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Full text of "Lezioni sulla teoria delle funzioni di variabile complessa e delle funzioni ellittiche"

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Pisa,  Tipografia  Siiec.  Fratelli  Nistri  1901 


liUIOI    BIAETCHI 


PROFESSORE    DELLA    REGIA    UNIVERSITÀ    DI    PISA 


LEZIONI 


SULLA 


II 01 M 


k 


DELLE  FUNZIONI  ELLITTICHE 


UNIVERSITY  OF  TORONTO 


PISA 
ENRICO    SPOERRI 

Libraio  -  Editore 
1901 


PARTE  PRIMA 


Teoria  delle  funzioni  di  variabile  complessa 


Capitolo  I. 

Funzioni  di  variabile  complessa  secondo  Cauchy-Riemann.  —  Serie  di  potenze 
e  loro  proprietà.  —  Rappresentazioni  conformi. 

§.   1- 
Piano  complesso.  —  Sfera  complessa. 

La  teoria  delle  funzioni  di  variabile  complessa  si  può  svolgere 
seguendo  due  metodi  diversi,  l'uno  dovuto  a  Cauchy-Riemann,  l'altro  a 
Weiersteass. 

Il  primo  metodo  si  fonda  sulle  proprietà  degli  integrali  della  così 
detta  equazione  di  Laplace 


,2  +  5:72  =  0  . 


l'altro  costruisce  l'intera  teoria  in  modo  puramente  aritmetico  operando 
colle  serie  di  potenze  (serie  di  Taylor)  come  elementi.  I  due  metodi  si 
completano  a  vicenda  e,  per  non  rinunziare  ai  particolari  vantaggi  del- 
l'uno e  dell'altro,  conviene  ormai  in  questi  studi  svolgerli  parallelamente. 
Questo  ci  proponiamo  appunto  di  fare  nella  prima  parte  del  presente 
corso,  ove  partiremo  dalle  definizioni  di  Cauchy-Riemann  per  arrivare 
air  importantissimo  concetto  di  funzione  analitica  secondo  Weierstrass  e 
svilupparne  le  conseguenze. 

Consideriamo  una  variabile  complessa 

z  =  x  -\-  iy 

1  cui  valori  distendiamo,  secondo  la  consueta  rappresentazione  geometrica, 


4  CAPITOLO   I.  —  §.  1 

sul  piano  complesso  di  Gauss,  sicché  atl  ogni  valore  di  z  corrisponde 
un  punto  del  piano  complesso,  il  suo  indice,  cioè  il  punto  che  ha  le 
coordinate  Cartesiane  ortogonali  (x,  y)  ;  e  viceversa  ad  ogni  punto  del 
piano  corrisponde  un  valore  della  variabile  z.  A  causa  di  questa  corri- 
spondenza biunivoca  fra  il  valore  di  ^  ed  il  punto  rappresentativo,  è 
lecito  designare,  come  faremo,  un  punto  qualsiasi  del  piano  mediante 
il  valore  ^o  che  vi  ha  la  variabile  2.  E  poiché  riguardiamo  il  valore  co 
di  s  come  un  unico  valore,  così  il  piano  complesso  si  riguarderà,  in 
questi  studi,  come  una  supei^ficie  chiusa  con  un  unico  punto  all'  infinito. 
Questo  modo  di  considerare  i  punti  all'infinito  del  piano  come  raccolti 
in  un  unico  punto,  contrariamente  alle  ordinarie  convenzioni  della  geo- 
metria projettiva  ed  analitica,  non  può  produrre  difficoltà,  quando  si 
pensi  che  qui  il  piano  interviene  soltanto  come  immagine  geometrica 
della  variabilità  complessa  e  ci  potremmo  servire  egualmente  di  qua- 
lunque altra  superficie  chiusa,  ai  punti  della  quale  possano  farsi  corri- 
spondere in  modo  biunivoc:o  e  continuo  i  valori  della  variabile  complessa. 
Ed  appunto  spesse  volte  ci  converrà  adoperare  in  luogo  del  piano  com- 
plesso la  sfera  complessa,  riportando  i  punti  del  piano  sulla  sfera  me- 
diante la  projezione  stereografica  polare.  Per  fissare  completamente  il 
modo  di  rappresentazione,  prendiamo  la  sfera  di  raggio  =  1  col  centro 
nell'origine  0  sicché,  indicando  con  £,  T^,  C  le  coordinate  correnti  di  punto, 
l'equazione  della  sfera  sarà 

a^  +  y/  +  e=l, 

e   dal   punto  P  ?^ee  (0,  0,  1)  della  sfera   (polo)   projettiamo    ogni  punto 
ì,i^{x,y)  del  piano  complesso  (piano  h'c^)  in  M'  suUa  sfera. 
Per  le  coordinate  t,  y„  C  di  questo  punto  M'  troviamo  subito 

^'  ^       x'+f+l    '      '       x'-^if^-l    '     ^       x'+y-+\' 

formolo  che,  note  le  coordinate  di  un  punto  {x,  y)  del  piano,  fanno  co- 
noscere le  coordinate  £,  /;,  'Q  del  punto  corrispondente  sulla  sfera.  Inver- 
samente mediante  le  formole 

determiniamo  il  punto  del  piano,  che  corrisponde  ad  un  punto  assegnato 


PIANO   COMPLESSO  -  SFERA   COMPLESSA  5 

sulla  sfera.  In  ogni  punto  (t„  y],  C)  della  sfera  abbiamo  così  per  la  variabile 
complessa  ^  il  valore 

^     I-C  • 

I  punti  all'infinito  del  piano  vengono  a  raccogliersi  sulla  sfera  nel- 
l'unico punto  (0,  0,  1)  cioè  nel  polo,  ove  ha  luogo  il  valore  0=  ce  della 
variabile  complessa. 

Ricordiamo  che  la  rappresentazione  stereografica  della  sfera  sul 
piano  gode  di  due  proprietà  fondamentali,  che  si  possono  dimostrare 
elementarmente,  od  anche  dedurre  dalle  formolo  (1),  (2)  di  rappresen- 
tazione e  cioè: 

1.°  la  rappresentazione  conserva  gli  angoli  ;  vale  a  dire  ogni  angolo 
di  una  figura  sferica  è  eguale  a  quello  della  figura  piana  corrispondente 
(rappresentazione  conforme). 

2.^  ad  ogni  circolo  (0  retta)  del  piano  corrisponde  un  circolo  sulla 
sfera  ed  inversamente. 

Diciamo  ancora  che  in  seguito  per  intorno  di  un  punto  ^  del  piano 
complesso  (0  della  sfera  complessa)  intenderemo  un  campo  comunque 
piccolo,  ma  di  ampiezza  diversa  da  zero,  che  contenga  nel  suo  inferno 
il  punto.  Per  intorno  del  punto  ^=co  del  piano  complesso  s'intenderà 
quindi  la  parte  del  piano  esterna  ad  un  campo  finito  comunque  grande, 
ciò  che  equivale  appunto,  per  la  sfera  complessa,  a  considerare  un  intorno 
comunque  piccolo  del  polo. 

§•  2. 
Funzioni  di  variabile  complessa. 

Consideriamo  un  campo  C  a  due  dimensioni  del  piano  0  della  sfera 
complessa  nel  cui  interno  si  muova  l' indice  della  variabile  complessa  ^. 
Sia 

ìv  =  u  -{-  iv 

una  seconda  variabile  complessa  dipendente  da  z  in  guisa  che  per  ogni 
valore  di  s  appartenente  a  C  la  xv  abbia  un  valore  perfettamente  deter- 
minato, cioè  la  parte  reale  u  e  il  coefficiente  v  dell'immaginario  in  w 
siano  nel  campo  C  funzioni,  nel  senso  ordinario,  delle  due  variabili 
reali  ic,  y. 


6  CAPITOLO    I.  —  §.2 

Ove,  seguendo  i  concetti  generali  di  Dirichlet,  considerassimo  iv  come 
funzione  della  variabile  complessa  z,  lo  studio  delle  funzioni  di  variabile 
complessa  non  verrebbe  a  differire  da  quello  delle  ordinarie  funzioni  di 
due  variabili  reali.  Ma  nel  concetto  odierno  di  funzione  di  variabile 
complessa  sono  incluse  alcune  limitazioni,  riguardanti  la  continuità  e  la 
esistenza  della  derivata,  delle  quali  ora  appunto  andiamo  a  trattare. 

In  primo  luogo  supponiamo  che  la  iv,  considerata  come  funzione  delle 
due  variabili  reali  x,  y,  sia  continua  superficialmente  nel  campo  C,  cioè 
che  tali  siano  le  due  funzioni  reali  u,  v  nell'  intorno  di  ogni  punto  di  C. 
Si  vedrà  subito  che  la  continuità  di  iv  in  un  punto  ^o  del  campo  si 
può  anche  definire  dicendo  che,  preso  un  numero  s  positivo  piccolo  a 
piacere,  deve  esistere  un  intorno  o  sufficientemente  piccolo  di  ^o  '^'  tale 
che  per  qualsiasi  punto  z  appartenente  a  questo  intorno  si  abbia 

\ws—w,^\  <e, 

ove  con  w.  indichiamo  il  valore  di  iv  in  ^  e  il  simbolo  !  tv^  -  Wz^  i  signi- 
fica, secondo  Weierstrass,  il  modulo  di  ivg-w,^  '^*. 

In  secondo  luogo  supponiamo  che  la  iv  possegga  derivate  parziali 
prime 

dw       dw 

dx    '    dy 

pure  finite  e  continue  in  C,  onde  segue  che,  se  consideriamo  una  linea  L 
qualunque  <^^  del  piano  complesso  uscente  da  un  suo  punto  Me^^o 
e,  spostandoci  lungo  L  da  Mo  ad  un  punto  vicino  M^^o  +  ^-^r,  calco- 
liamo il  rapporto  incrementale 

questo,  al  convergere  di  M  verso  ]\Io,  convergerà  verso  un  limite  deter- 
minato e  finito.  E  invero  indicando  con  s  l'arco  della  curva  L,  quando  s 


(^)  S' intende  che,  se  Sg  è  interno  al  campo,  l' intorno  3  deve  contenere  z^  nel 
suo  interno,  laddove  se  z^  è  sul  contorno  di  C,  l'intorno  a  confinerà  ad  un  tratto 
del  contorno  di  C,  che  contenga  nell'interno  z^. 

(*)  In  generale  essendo  A  una  quantità  complessa,  col  simbolo  |  A|  denotiamo, 
con  Weierstrass,  il  modulo  di  A. 

<3)  Supponiamo  che  tale  linea  sia  una  curva  ordinaria  dotata  di  tangente, 
che  varia  con  continuità  al  variare  in  modo  continuo  del  punto  di  contatto. 


FUNZIONI   DI   VARIABILE   COMPLESSA  7 

si  muove  lungo  L,  potremo  riguardare  s  e  io  con  funzioni  di  s  ed  avremo 

lim  -;—  =  lim 


As 


e  pero 


div  dx  div  dy 

Aio  dx    ds  dy   ds 

àz  dx  .  dy        ' 

ds  ds 

Questo  limite,  che  dipende  unicamente  dalla  direzione  della  tangente 
in  Mo  alla  curva,  dicesi  la  derivata  di  tv  secondo  quella  direzione.  In 
particolare  le  derivate  di  tv  prese  nel  senso  dell'asse  O^r  e  dell'asse  Oy 
saranno 

,  dw         \    div 

^  ^  d^    '    J  d^  ' 

Ora  l'ulteriore  limitazione  che  dobbiamo  porre  per  arrivare  al  con- 
cetto di  funzione  di  variabile  complessa  consiste  in  ciò  che  la  derivata 
di  w  sia  indipendente  dalla  direzione  secondo  cui  è  calcolata.  In  particolare 
le  derivate  (4)  calcolate  nel  senso  degli  assi  dovranno  essere  eguali,  cioè 
dovrà  essere  soddisfatta  la  condizione: 

,,.  dw l    dw 

dx         i    dy  ' 

Ma  viceversa,  se  questa  condizione  è  soddisfatta,  la  (3)  può  scriversi 

div  dx  .  dw  dy 

..     àlv  dx   ds  dx  ds   dw 

Òlz              dx  .  dy              dx 

ds  ds 

e  ci  dimostra  che  la  derivata  sarà  sempre  la  stessa  in  qualunque  dire- 
zione si  calcoli. 

La  condizione  (I)  si  suole  anche  citare  come  condizione  di  monogeneità 
giacché,  supposte  soddisfatte  tutte  le  condizioni  precedenti,  Cauchy  chia- 
mava IV  funzione  monogena  di  z.  Oggidì,  quando  si  parla  di  una  funzione  io 
della  variabile  complessa  z,  s'intende  senz'altro  che  tutte  le  indicate  con- 
dizioni, compresa  la  condizione  (I)  di  monogeneità,  debbono  essere  soddi- 


8  CAPITOLO   I.  —  §.  2 

sfatte  0  per  tutti  i  punti  del  campo  o  almeno  generalmente,  cioè  fatta 
eccezione  da  un  numero  finito  di  punti  o  di  linee  del  campo,  dove  qual- 
cuna delle  precedenti  condizioni  od  anche  tutte  potranno  cessare  di 
verificarsi.  E  così  dunque  porremo  la  seguente  definizione  fondamentale. 
Diremo  tv  funzione  della  variabile  complessa  z  nel  campo  C  quando  ad 
ogni  valore  di  2  in  C  corrisponde  un  valore  determinato  e  generalmente 
finito  per  w;  e  iv,  considerata  come  funzione  delle  variàbili  reali  x,  y,  sia 

continua  e  possegga  derivate  parziali  del  primo  ordine  -^  ,    ^—   pure 

generalmente  finite  e  continue  e  legate  dalla  relazione  di  monogeneità 

dio  1    dw 

'  dx  i    dy  ' 

Nelle  presenti  lezioni  ci  occuperemo  principalmente  del  caso  in  cui 
per  ogni  punto  ^  in  C  si  abbia  un  solo  valore  di  w.  In  tal  caso  se 
partendo  da  un  punto  qualunque  Mq  in  C  descriviamo  una  curva  chiusa 
qualunque  o  tutta  compresa  entro  C,  incontreremo  per  iv  una  catena 
continua  di  valori,  che  parte  dal  valore  iniziale  tvo  in  Mq  e  vi  ritorna. 
Allora  la  funzione  tv  di  z  si  dice  monodroma  in  C  per  significare  appunto 
che  descrivendo  qualunque  cammino  chiuso  in  C  si  ristabilisce  con  con- 
tinuità per  la  funzione  il  valore  iniziale.  Ma  si  possono  egualmente 
considerare,  e  si  considerano,  funzioni  di  variabile  complessa  a  più  valori 
ed  anche  con  numero  infinito  (discreto)  di  valori  in  ogni  punto;  sol- 
tanto quando  si  consideri  un  intorno  sufiìcientemente  piccolo  di  un  punto 
generico  di  C  deve  essere  possibile  di  scindere  le  diverse  determinazioni 
di  IV  in  altrettante  funzioni  monodrome  nell'intorno. 

Quando  nel  campo  completo  C,  partendo  da  un  punto  Mq,  si  descrive 
una  curva  chiusa  scegliendo  i  valori  di  n-  colla  legge  di  continuità,  si 
ritornerà  in  Mo  0  col  valore  iv^  scelto  inizialmente  0  con  uno  degli  altri 
valori  che  iv  ha  in  Mq.  E  se  effettivamente  per  certi  cammini  chiusi 
si  ritornerà  con  un  valore  di  iv  diverso  dall'  iniziale,  la  tv  si  dirà  funzione 
polidroma  nel  campo.  Più  tardi,  quando  parleremo  delle  funzioni  analitiche, 
ritorneremo  sui  concetti  di  monodromia  e  polidromia  delle  funzioni  che 
verranno  allora  meglio  precisati. 

Se  nella  condizione  (I)  di  monogeneità  scindiamo  la  parte  reale  e 
l'immaginaria  ponendo 

io  =  u  -\-  j  y  , 


FUNZIONI   DI   VARIABILE   COMPLESSA 


du 

dv 

d^    ~ 

9y 

du 

dv 

^!/~~ 

~dx 

vediamo  che  le  funzioni  reali  u,  v  delle  variabili  reali  x,  y  dovranno 
possedere  derivate  parziali  prime,  generalmente  finite  e  continue  nel 
campo,  e  legate  dalle  relazioni  fondamentali 


(II) 


In  seguito  dimostreremo  che  per  una  funzione  di  variabile  complessa 
l'ipotesi  (inclusa  nella  definizione)  di  una  derivata  prima  generalmente 
finita,  continua  e  indipendente  dalla  direzione,  trae  seco,  come  conse- 
guenza, l'esistenza  e  la  continuità  di  tutte  le  derivate  degli  ordini  su- 
periori. E  così  le  due  funzioni  reali  u,  v  possederanno  pure  le  derivate 
parziali  di  tutti  gli  ordini,  generalmente  finite  e  continue.  Ammettendo 
per  un  momento  la  cosa,  in  particolare  per  le  derivate  seconde,  dedu- 
ciamo subito  dalle  (II)  le  equazioni  del  2.°  ordine 

d^  ^  di' 


.^+  ^^^=^ 


2  +  ^=0 


Così  adunque  la  parte  reale  u  ed  il  coefiìciente  v  dell'immaginario 
di  una  funzione  tv  di  variabile  complessa  sono  soluzioni  dell'equazione 
di  Laplace 

dx'  '^  dy'  ~ 

Il  primo  membro  di  questa  equazione  si  indica  spesso  brevemente 
col  simbolo  ii^9  e  l' equazione  stessa  con  A^6  =  0. 

Viceversa  ad  ogni  soluzione  u  di  questa   equazione  ne   corrisponde 

una  coniugata  v  definita,  a  meno  di  una  costante  additiva,  secondo  le  (II), 

dal  suo  difi'erenziale  totale 

,        du    ,        du    , 
dv  =  ;r—  du  —  X—  dx  • 
dx  dy 

e  in  w  =  u-\-iv  si  ha  così  una  funzione  della  variabile  complessa  z.  Lo 
studio  delle  funzioni  di  variabile  complessa  può  riguardarsi  quindi  anche, 
da  un  punto  di  vista  del  tutto  reale,  come  lo  studio  delle  coppie  coniu- 
gate {u,  v)  di  soluzioni  dell'  equazione  di  Laplace. 


10  CAPITOLO   I.  —  §.3 

§.    3. 

Serie  di  potenze.  —  Cerchio  di  convergenza. 

Stabilito  nel  §.  precedente  il  concetto  di  funzione  di  variabile  com- 
plessa, andiamo  subito  a  considerare  nelle  serie  di  potenze  il  più  im- 
portante esempio  di  tali  funzioni.  Per  serie  di  potenze  di  una  variabile 
complessa  s  intendiamo  una  serie 

00 
C5)  «0  +   «1  ^  +   f'2  2!^  +   •  .  •   =  2   ^'^  ^'' 

0 

che  procede  per  le  potenze  ascendenti  intere  e  positive  di  z.  L'impor- 
tanza delle  serie  di  potenze  nella  nostra  teoria  è  alfatto  fondamentale, 
poiché  esse  sono  gli  elementi  coi  quali  può  costruirsi  ogni  funzione  di 
variabile  complessa  (Cauchy-Weierstrass). 

Cominciamo  dunque  dal  ricordare  e  precisare  le  proprietà  riguardanti 
la  convergenza  delle  serie  di  potenze.  Innanzi  tutto  è  chiaro  che  una 
serie  (5)  ha  almeno  un  punto  ove  converge,  il  punto  ^  =  0,  ove  si  riduce 
al  suo  primo  termine  ao;  ma  noi  supponiamo  che  essa  converga  anche 
in  qualche  altro  punto  z^^  del  piano.  Allora  dimostriamo  il  teorema 
fondamentale  : 

Se  in  un  punto  z^  del  piano  complesso,  diverso  daW origine  0,  la  serie 
di  potenze  (5)  converge  e  descriviamo  col  centro  in  0  un  cerchio  che  lasci 
il  punto  Zq  all'esterno,  per  quanto  prossimo  alla  periferia,  in  tutta  Varea 
del  cerchio  e  sid  contorno  la  serie  (5)  converge  assolutamente  ed  in  egual 
grado. 

Il  teorema  sarà  dimostrato  se  proviamo  la  convergenza  in  egnal 
grado  della  serie  dei  moduli 

00 

0 

cioè  se  dimostriamo  che,  dato  un  numero  s  piccolo  a  piacere,  possiamo 
trovare  un  numero  m  tanto  grande  che  il  resto  della  serie 

m   —  i  if«i  \   \<'\        r   I  t'm+1  1    !  ■^  1  ~r~  •  •  • 

per  tutti  i  valori  di  z  i  cui  indici  cadono  nella  detta  area  circolare, 
sia  <  £.  Ora  poiché  la  serie 

2  «■«  ^0 


SERIE   DI   POTENZE  11 

converge  per  ipotesi,  avremo  certamente 

lim   {(In  «o)  =  0  , 

H=00 

quindi  anche 

lim  I  rt„|  l^ol"  =  0  . 

Possiamo  dunque  fissare  una  quantità  positiva  finita  g,  tale  che  per 
tutti  i  valori  di  n  si  abbia 

(6)  \an\  l^o|"<5'. 
Ora  possiamo  scrivere 

avendo  posto 

e  però,  a  causa  della  diseguaglianza  (G),  abbiamo 

(7)  R„  <  (7  (C'"  +  r+'  +  C'"+' +...)• 

Se  indichiamo  con  r  il  raggio  del  nostro  cerchio  e  poniamo 

r 


sarà  evidentemente 
e  la  (7)  ci  darà 

e  a  più  forte  ragione 


-s'ol        ^ 


C<g<l 


Basta  dunque  prendere  m  tanto  grande  che  si  abbia 

ciò  che  è  sempre  possibile  essendo  g'<l,  ed   avremo  che   per  tutti  i 
punti  dell'area  circolare  e  della  periferia  risulterà,  come  si  voleva: 

Rm   <C   £  • 


12  CAPITOLO   I.  —  §.3 

Dal  teorema  dimostrato  risulta  come  corollario  che  se  in  punto  z^ 
la  serie  di  potente  (5)  diverge,  a  inii  forte  ragione  divergerà  in  qualsiasi 
punto  distante  dalV origine  più  di  0i. 

Dalle  considerazioni  precedenti  facilmente  deduciamo  l'esistenza  del 
così  detto  cerchio  di  convergenza  delle  serie  di  potenze.  Per  ciò  distri- 
buiamo tutti  i  circoli  col  centro  in  0  (o  i  loro  raggi)  in  due  classi  A)  B)  ; 
diremo  un  cerchio  della  prima  classe  A)  se  in  tutto  V  interno  del  cerchio 
la  serie  converge,  della  seconda  classe  B)  quando  in  tutto  l'esterno  del 
cerchio  la  serie  diverge.  Ogni  cerchio  apparterrà  necessariamente  alla 
una  0  all'altra  classe  poiché  se  non  è  della  classe  A)  ciò  significa  che 
in  qualche  punto  interno  al  cerchio  la  serie  diverge  ed  allora,  pel  co- 
rollario sopra  notato,  essa  diverge  a  più  forte  ragione  in  tutto  l'e- 
sterno del  cerchio,  il  quale  appartiene  dunque  a  B).  Similmente  se  un 
cerchio  non  è  della  classe  B),  esso  appartiene  necessariamente  alla 
classe  A). 

Di  più  è  chiaro  che  se  un  cerchio  è  della  classe  A),  qualunque  cerchio 
concentrico  e  più  piccolo  vi  appartiene  egualmente,  e  se  un  cerchio 
appartiene  a  B),  lo  stesso  accade  di  qualunque  cerchio  concentrico  più 
grande.  In  fine  non  vi  può  essere  al  massimo  che  un  solo  cerchio  appar- 
tenente insieme  alle  due  classi. 

La  ripartizione  dei  circoli  di  centro  0  nelle  due  classi  A),  B)  soddisfa 
quindi  alle  condizioni  fondamentali  che  ci  assicurano  dell'esistenza  di 
un  cerchio  C  limite  delle  due  classi  <^',  dotato  cioè  della  proprietà  che 
ogni  circolo  col  centro  in  0  appartiene  alla  classe  A)  se  è  interno  a  C, 
alla  classe  B)  se  è  esterno.  Così  adunque  :  In  ogni  punto  interno  a  C 
la  serie  di  potenze  converge,  in  ogni  punto  esterno  la  serie  diverge.  Quanto 
a  ciò  che  accade  sui  punti  della  periferia  di  C  nulla  si  può  dire  in 
generale,  potendosi  avere  in  tali  punti  convergenza  o  divergenza  secondo 
la  natura  particolare  della  serie. 

Il  cerchio  C  di  cui  abbiamo  così  dimostrato  l'esistenza,  e  che  può 
del  resto  estendersi  talora  a  tutto  il  piano  <^',  dicesi  il  cerchio  di  con- 
vergenza della  serie. 

Dalle  nostre  considerazioni  risulta  altresì  l'importante  risultato: 

In  qualunque  campo  tutto  interno  al  cerchio  C  di  convergenza  la  serie 
di  potenze  converge  assolutamente  ed  in  egual  grado. 


(')  Vedi  DiNi.  Fondamenti  ecc.,  §.  9,  pag.  11. 
(2)  Ogni  circolo  appartiene  allora  alla  classe  A). 


SERIE   DI   POTENZE  13 

Per  noti  teoremi  sulla  convergenza  in  egual  grado  delle  serie  (^',  si 
ha  quindi  anche: 

La  somma  tv  =  il  a„  ,e^"  della  serie  di  potente,  in  qualunque  campo  tutto 
interno  al  cerchio  di  convergenza,  rappresenta  una  funzione  finita  e  continua 
delle  due  variabili  reali  x,  y.  Che  la  tv  sia  una  funzione  della  variabile 
complessa  z  risulterà  poi  dai  §§.  seguenti. 

Notiamo  in  fine  che  il  cerchio  C  di  convergenza  della  serie  di  potenze 
Sa,i^"  è  perfettamente  caratterizzato  dalle  proprietà  seguenti: 

!."■  In  ogni  punto  interno  a  G  la  serie  dei  moduli  SI  «ni  \^\^  della 
proposta  è  convergente;  5."  in  ogni  punto  esterno  a  C  la  medesima  serie 
^\aj  \z i"  è  divergente. 

§.  4. 
Serie  derivata. 

Il  termine  generale  a.,  z"  della  serie  di  potenze  è  una  funzione  della 
variabile  complessa  z  ed  ha  per  derivata 


Consideriamo  la  serie  delle  derivate 

co 
1 

e  dimostriamo  che  questa  serie  di  potenze  ha  il  medesimo  cerchio  C 
di  convergenza  della  serie  primitiva.  Per  ciò  basterà  provare,  secondo 
quanto  abbiamo  notato  alla  fine  del  §.  precedente: 

1.°  che  in  qualunque  punto  interno  a  C  la  serie  dei  moduli: 

(8)  ^n\an\\z\-' 

è  convergente. 

2.0  che  in  qualunque  punto  esterno  a  C  la  serie  (8)  diverge. 
Sia  ^0  un  punto  interno  a  C  sicché,  detto  R  il  raggio  di  C,  sarà 

kol<R; 

dimostriamo  la  convergenza  della  serie  dei  moduli 


2  ^  I  ««  I  k( 


n-l 

01 


(1)  DiNi.  Fondamenti,  pag.  109  (§.  97). 


14  CAPITOLO   I.  —  §.4 

Prendiamo  un  punto  ^i  interno  a  C,  ma  più  prossimo  alla  periferia 
di  z^^  sicché 

kil  >  kol 

e  scriviamo 

Posto  3=,'-^,  è  g'<l,  e  i  termini  della  serie 

si  deducono  da  quelli  della  serie  convergente 

moltiplicandoli  per  quantità  positive 

che  non  solo  si  mantengono  finite  ma  vanno  indefinitamente  decre- 
scendo, a  causa  della  convergenza  in  z^  della  serie  primitiva.  Dunque 
anche  la  serie  Swla„l  i^ol"~^  è  convergente  e.  d.  d. 

Sia  ora  z^  un  punto  esterno  a  C;  dico  che  la  serie  Iwla^J  I^J""^ 
è  divergente.  E  invero,  se  fosse  convergente,  tale  sarebbe  pure  la  serie 

^n  |a„|  l^ii" 

e  a  più  forte  ragione  l'altra 

ciò  che  è  assurdo,  essendo  Zi  esterno  al  cerchio  di  convergenza  della 
serie  primitiva. 

Dimque  :  La  serie  derivata  S  n  an  ^"~^  lia  lo  stesso  cerchio  di  conver- 
genza della  serie  primitiva.  Ne   segue  che   in   qualunque   campo  tutto 


i'-l  Che  questa  serie  sia  convergente  risulta  dall'applicare  il  primo  criterio 
di  convergenza  delle  serie  a  termini  positivi.  Qui  abbiamo 

W„=7ig»-1    ,     Un+l  =  {7i-{-l)  q" 
indi 

hm   =  —  ^  1. 


SERIE  DI   POTENZE  15 

interno  al  cerchio  C  la  serie  derivata  converge  in  egual  grado.  In  un 
tale  campo  è  adunque  legittima  la  derivazione  per  serie  f^)  e  posto 

la  w  ammetterà  derivate  parziali  prime  pure  finite  e  continue,  date  dalle 
formole 

dij  ^ 

onde  sarà  soddisfatta  la  condizione  di  monogeneità 

dw  1    dw 

dx  i    dy   ' 

Abbiamo  dunque  il  teorema: 

Una  serie  di  potente  w^'Lan^^'^  rappresenta  nell'interno  del  cerchio 
di  convergenza  tma  funzione  finita,  continua  e  monodroma  della  variabile 
complessa  z. 

È  chiaro  poi  che  una  tale  funzione  possiede  non  solo  la  derivata 
prima,  ma  anche  derivate  di  tutti  gli  ordini,  rappresentate  dalle  serie 
delle  corrispondenti  derivate  prime,  seconde  ecc.,  le  quali  tutte  hanno 
il  medesimo  cerchio  di  convergenza  della  primitiva,  e  per  ciò  le  successive 
derivate  di  io  sono  tutte  funzioni  finite,  continue  e  monodrome  della 
variabile  complessa  z  entro  il  cerchio  di  convergenza. 

§.  5. 
Teorema  di  Cauchy-Hadamard. 

Le  considerazioni  del  §.  3  ci  hanno  dimostrata  l' esistenza  del  cerchio 
di  convergenza  per  una  serie  di  potenze.  Ora  andiamo  a  stabilire  un 
criterio,  col  quale  si  riesce  a  precisare  il  valore  del  raggio  R  del  cerchio 
di  convergenza.  Questa  proposizione,  già  contenuta  nelle  ricerche  di 
Caucliy,  fu  ritrovata  nuovamente  ed  in  tempo  recente  da  Hadaraard  e 
si  cita  comunemente  come  teorema  di  Hadamard.  Colla  sua  dimostrazione 


(*)  DiNi.  Fondamenti,  §.  105,  pag.  115. 


16  CAPITOLO   I.  —  §.5 

si  viene  nuovamente  a  provare  l'esistenza  ed  a  stabilire  le  proprietà  del 
cerchio  di  convergenza. 

Partiamo  dall'ipotesi  che  la  serie 

2  «"  ^'' 
converga  in  qualche  punto  ^o  fuori  dell'origine;  allora,  perchè 

lim  \an\  |^o|"=  0, 

11=00 

potremo  prendere  m  tanto  grande  che  si  abbia  sempre 

|«n|  ko|"<  1     per  ?^>m,     . 
cioè 

|a».i<r— 7,     (w>m). 

1*0; 

Estraendo,   nel   senso    aritmetico,   la    radice  n"*"    dai   due   membri 
avremo  quindi 

vi  «ni  <  j — I     (w>m). 

I  '^ol 

Ne  risulta  che  per  una  serie  di  potenze,  convergente  in  qualche  punto 
fuori  dell'origine  ^  =  0,  nella  serie  dei  numeri  positivi 

(9)  |ai|  ,    \/'i«2|   ,  Vlosl   ,    .  .  .  v/janl  ,  .  .  . 

tutti  i  termini  si  debbono  mantenere  inferiori  ad  una  quantità  finita  g. 
Ora  ripartiamo  i  numeri  positivi  <  (/  in  due  classi  A)  B),  ponendo  nella 
prima  classe  A)  ogni  numero  a  tale  che  nella  serie  (9),  in  là  quanto  si 
vuole,  vi  siano  sempre  dei  termini  >  a  e  attribuendo  un  numero  b  alla 
seconda  classe  B)  quando  nella  serie  (9),  da  un  certo  punto  in  poi,  tutti 
i  termini  sono  ^  b.  Questa  ripartizione  dei  numeri  fra  0  e  ^  in  due 
classi  soddisfa,  come  subito  si  vede,  alle  condizioni  fondamentali  già 
citate  al  §.3  '^^  che  assicurano  l'esistenza  di  un  numero  limite  a  che 
separa  le  due  classi,  tale  cioè  che  qualunque  numero  <  a  appartiene 
alla  classe  A),  qualunque  numero  >  a  appartiene  a  B).  Ciò  posto,  il 
teorema  di  Cauchy-Hadamard  consiste  nella  proposizione  seguente:  Il 


W  DiKi.  Fondamenti,  pag.  19. 


TEOREMA   DI   CAUCHY-HADAMARD  17 

raggio  R  del  cerchio  di  convergenza  e  jprecisamente  eguale  all' inversa  di 
questo  numero  a: 

a 

E  infatti  sia  dapprima 

,  1 

\^\  <  — 

'a 

e  prendiamo  s  positivo  e  così  piccolo  che  sia 

(a+s)  |^|=g<l. 

Poiché  il  numero  a+s  appartiene  a  B),  da  un  certo  valore  di  n  in 
poi,  è  sempre 

v/la,J  ^  a+£ , 

indi 

y'ianl  .  i^i^q, 

|an|kl"<g^ 
dunque  la  serie 

ha,  da  un   certo   punto   in  poi,  i  suoi   termini  minori   di   quelli    della 
progressione  i^g",  di  ragione  g  <  1,  ed  è  per  ciò  convergente. 
Sia  ora  invece 

e  poniamo 

1 

s  =  a ì — ;  . 

I  ^\ 

Il  numero 

1 

a  —  £  =  j — j 

appartiene  alla  classe  A),  quindi  vi  sono  sempre  dei  valori  di  n,  tanto 
grandi  quanto  si  vuole,  e  tali  che 


V|a«l  >  73 


1^1 
cioè 

\an\  kl"  >  1  , 

onde  deduciamo  che  la  serie  S|a«|  i^f'  è  in  tal  caso  divergente. 


18  CAPITOLO    I.  —  §§.  5,  6 

Da  questo  teorema  seguono  diversi  corollari  notevoli.  In  primo  luogo  ' 
questo,  che  il  raggio  del  cerchio  di  convergenza  di  una  serie  di  potenze 
dipende  unicamente  dai  moduli  dei  coefficienti,  ciò  che  del  resto  segue 
anche  subito  dal  fatto  che  la  serie  dei  moduli  è  convergente  nell'interno, 
divergente  all'  esterno  del  cerchio.  In  secondo  luogo  si  vede  che  la  serie 
sarà  convergente  in  tutto  il  piano  quando  sia  a  =  0,  ossia  quando 

lim  y\an\  =  0  . 

E  infatti  se  or  =  0,  un  numero  positivo  s  comunque  piccolo  appartiene 
alla  classe  B)  e  perciò,  da  un  certo  valore  di  n  in  poi,  si  ha 

Vi  «ni  :<£. 

Viceversa,  se  lim  \ì\an\  =0,  sarà  a  =  0;  dunque:  La  condizione  ne- 

cessarla  e  sufficiente  percnè  la  serie  di  potenze  X  a„  ^"  sia  convergente  in 
tutto  il  piano  è  che  si  àbhia: 

lim  V I  ^«  i  =  0  . 

11=00 

§.  6. 
Funzioni  elementari  e- ,  sen  ;?; ,  cos  »,  log  «  ,  :^« 

Esempì  di  serie  convergenti  in  tutto  il  piano  si  hanno  nelle  serie: 

y  -^—  =  1+^4-  — — I — - — h . . . 

^  T.{n)  ^^1.2^1.2.3^ 

y  ( _ iv __f =z  — - I - ■ 

^^       ^   7:(2?i+l)  1. 2. 3^1. 2. 3. 4. ó""' 

co  ^2)i  ^2  «,4 

^  ^       ^      T.{2n)  1.2^1.2.3.4""' 

che  per  z  reale,  z-x,  rappresentano  rispettivamente  le  funzioni  espo- 
nenziali e  circolari:  e^ ,  sena;,  cos  x.  Ma  anche  per  valori  complessi 
di  z  le  serie  hanno  un  significato  e  rappresentano  funzioni  finite,  continue 


FUNZIONI   ELEMENTAKI   e',   Sen  S  ECC.  19 

e  raonodrome  della  variabile  complessa  in  tutto  il  piano,  che  si  indicano 
ancora  coi  simboli 

co        r.n 

sen  ^  =  y  (  -  1)" 


0  7:(2n+l)' 


00  ^in 


cos^  =  |(-l)"^^(2^, 


e  queste  formolo,  per  ^  qualunque,  servono  appunto  di  definizione  alle 
funzioni  stesse.  In  sostanza  queste  funzioni  si  riducono  unicamente  alla 
esponenziale,  mediante  le  celebri  formolo  d' Eulero  : 

/  e'-'  =  cos  ^^  -f  l  sen^ 
/  e~''  =  cos  s  —  i  sen  ^  . 

La  proprietà  fondamentale  della  funzione  esponenziale  è  espressa 
dal  teorema  d'addizione 

che  si  verifica  facilmente  eseguendo  la  moltiplicazione  delle  due  serie. 
Ne  segue  che  in  e^  =  e^+'>  si  può  subito  separare  la  parte  reale  ed 
immaginaria  colla  formola 

Di  qui  si  trae  che  si  ha  e-i  =  e^i  allora  soltanto  quando  la  diffe- 
renza ^1-^2  eguaglia  un  multiplo  intero  di  2ùi,  ossia: 

La  funzione  esponenziale  e^  è  una  funzione  semplicemente  periodica 
col  periodo  fondamentale  2 zi. 

Dalle  formolo  d' Eulero  segue  poi  che  sen  z,  cos  z  sono  semplicemente 
periodiche  col  periodo  fondamentale  2-k. 

In  fine  notiamo  che  il  teorema  d'addizione  della  funzione  esponenziale 
porta  ad  estendere  i  teoremi  d'addizione  delle  funzioni  circolari  a  valori 
complessi  dell'argomento  colle  formolo: 

sen  (^1+^2)  =  sen  z^  cos  z^  +  sen  z^  cos  Zi 
cos  {zi-\-z^  =  cos  Zi  cos  Zi  —  sen  Zi  sen  z^ . 


20  CAPITOLO   I.  —  §.6 

Oltre  le  funzioni  elementari  precedenti,  consideriamo  anche  le  funzioni 

log  z    ,     ^  , 

con  a  costante  complessa  qualunque,  le  quali,  benché  in  certi  campi  non 
siano  più  monodrome,  sono  di  natura  così  elementare  che  conviene 
osservarne  subito  le  proprietà. 

Per  definire  la  funzione  log  z  ricordiamo  che  (a  causa  delle  citate 
formolo  d'Eulero)  si  può  esprimere  z  per  mezzo  del  suo  modulo  r  e 
dell'argomento  8  colla  formola 

z  =  ré^\ 

ma  ricordiamo  altresì  che,  mentre  il  modulo  \}o^-\-y^  è  perfettamente 
determinato,  l'argomento  0  =  arctg  (  —  j  lo  è  soltanto  a  meno  di  mul- 
tipli di  2  TU.  Prendiamo  allora  come  definizione  di  log  z  la  formola  : 

log  ^  =  log  y  -f  ^  6  • 

Prescindendo  da  ciò  che  log  z  ha  in  ogni  punto  infiniti  valori,  dif- 
ferenti per  multipli  di  2  ~  i,  vediamo  che  le  parti  reale  ed  immaginaria 
di  log  z: 

«t  =  -  log  {x^\y^  ,  V  =  arctg  (^] 

soddisfano  alle  condizioni  di  monogeneità 

du  J_   dv  du dv 

dx         dy     '       9«/  dx  ' 

Ora  osserviamo  che,  se  in  un  punto  del  piano  scegliamo  per  l'argo- 
mento 0  uno  dei  suoi  valori,  e  facciamo  descrivere  a  z,  partendo  dal 
pimto,  una  linea  qualunque  continua,  in  ogni  punto  del  cammino  sarà 
fissato  dalla  legge  di  continuità  il  valore  che  dovremo  prendere  per  0 
e  in  particolare,  se  descriveremo  una  linea  chiusa  o  che  non  giri  attorno 
air  origine,  ritorneremo  al  punto  di  partenza  col  medesimo  valore  di  0. 
Se  consideriamo  adunque  p.  e.  un  circolo  di  raggio  grande  quanto  si 
vuole,  ma  che  non  contenga  nell'  interno  il  punto  z  =  0,  basterà  fissare 
il  valore  di  log  z  in  un  punto  del  campo  e  la  funzione  log  z  sarà  in 
quel  campo  circolare  finita,  continua  e  monodroma.  Così  potremo  dire 
(§.  2)  che   in  qualunque   campo  la   funzione  log  z  sarà   funzione   della 


SERIE   DI   POTENZE   SUL   CIRCOLO   DI   CONVERGENZA  21 

variabile  complessa  z  e  soltanto,  se  il  campo  sarà  tale  clie  si  possano 
descrivervi  curve  chiuse  avvolgenti  l'origine,  la  funzione  log  s  sarà 
polidroma  (infinitiforme)  ed  avrà  in  ogni  punto  infiniti  valori,  differenti 
per  multipli  di  2 Tri. 

Descritte  così  le  proprietà  della  funzione  log  s,  definiremo  la  po- 
tenza ^"  di  z,  con  a  costante  complessa  qualunque,  assumendo 

^  —  gtt  log  g  _ 

Essa  sarà  anche  una  funzione  della  variabile  complessa  z  e  i  suoi 
valori  in  un  punto  risulteranno  da  uno  di  essi,  moltiplicando  questo  par- 
ticolare valore  per  potenze  di  i^-  '^  Il  numero  di  questi  valori  sarà  finito 
solo  quando  a  sia  un  numero  reale  frazionario;  in  tutti  gii  altri  casi 
infinito.  La  pohdromia  di  z",  come  quella  di  log  z,  dipende  dal  poter 
girare  intorno  al  punto  (singolare)  ^  =  0  ;  ma  le  varie  determinazioni  di  z"- 
costituiscono  altrettante  funzioni  monodrome  in  ogni  campo,  ove  tali  giri 
attorno  all'origine  siano  impossibili. 

§.  7. 
Esempì  di  serie  di  potenze  considerate  sulla  periferia  del  cerchio 

di  convergenza. 

Vediamo  ora  in  effettivi  esempì  come  una  serie  di  potenze  possa 
offrire  sulla  periferia  del  cerchio  di  convergenza  le  circostanze  più 
svariate.  Per  cominciare  da  un  esempio  semplicissimo,  consideriamo  la 
progressione  geometrica 

co  1 

0  ^    ^ 

che  ha  un  cerchio  di  convergenza  di  raggio  =  1. 

Sulla  circonferenza  essa  non  converge  in  alcun  punto;  e  invero  per 
^  =  cos  6+i  sen  9,  si  riduce  a 

2  (cos  w0  -|-  i  senw6) 

e  non  converge  perchè  il  modulo  del  termine  generale,  anziché  convergere 
a  zero,  è  sempre  =  1.  Eguali  circostanze  offrirà  la  serie 


22  CAPITOLO    I.  —  §-7 

quando  i  moduli  dei  coefficienti  a,,  non  tendono  a  zero  e  si  abbia 

bm  i r  =  1  ; 

,,=00     I  Cln^i  ^ 

il  cerchio   di   convergenza   della   serie  è  di  raggio  =  1  e  la  serie  non 
converge  in  nessun  punto  della  periferia. 
Al  contrario  consideriamo  una  serie 

in  cui  i  coefficienti  c„  siano   quantità  reali,  tutte   positive   decrescenti 
(da  un  certo  punto  in  poi)  e  tali  che 

lim  7.,,  =-■  0  ,    lim  —^  =  1 . 

Sulla  circonferenza  del  cerchio  di  convergenza,  di  raggio  =  1 ,  la 
serie  convergerà  dappertutto  salvo  eventualmente  nel  punto  ^=1,  le 
condizioni  imposte  alle  a  non  assicurando  la  convergenza  della  serie 
la,.  Proveremo  la  nostra  osservazione  dimostrando  che  le  serie 

2  ^n  cos  w6  ,  2  c.„  sen  n9 

convergono  ogni  qualvolta  0  non  è  multiplo  di  2-.   Consideriamo  p.  e. 
la  somma 

S„  =  7-1  cos  6  -f  7.2  cos  2  0  -f-  •  .  n-  a„  cos  w6 

dei  primi  n  termini  della  prima  serie.  Ne  deduciamo 

0            /       30              ^'\    ,       /        50  30\    , 

2  S„  sen  —  =  7.1  (sen— ^^^  2";  '^  '^"^  ■  ^^^  "^ ^^^  ~2^  )   '   '  * 

/       (2w+l)0             (2w-l)0\ 
-I-  7.,  [  sen  ' — ^ sen  ' — J 

che  possiamo  scrivere 

6  0    ,  30  ,  ,    ,  50, 

2  S„  sen  Y  =  -  a,  sen  y  +  sen  —  (ai  -  7.2)  -f  sen  —  {y.2  -  7.3)  +  . . . 

(2w-l)0  ,               ,    ,               (2w+l)0 
4-  sen  ^—^  (7„_i  -  7„)  +  a„  sen . 


SERIE   DI   POTENZE   SUL   CIRCOLO   DI   CONVERGENZA  23 

Poiché  lim  c.„  =  0  e  la  serie 

(7.1  -  7.2)  -f  (72  -  73)  +  .  . .  -f  (y-n-i  -  a,.)  +  . .  .  , 

che  ha,  ahneno  da  un  certo  punto  in  poi,  termini  tutti  positivi,  è  una 
serie  convergente,  convergerà  pure  verso  un  limite  determinato  e 
finito 

9 

2  Sn  sen  —  , 

quindi  anche  S„ ,  essendo  sen  — -  :^  0 .  Considerazioni  analoghe  valgono 

per  la  seconda  serie  2aHsenw6; 

Come  esempio  del  caso  ora  considerato,  adduciamo  la  serie  logaritmica 

che  converge  su  tutta  la  periferia  del  cerchio  di  convergenza,  salvo  che 
in  ^=1. 

In  fine,  essendo  m  un  numero  intero  qualunque  >  1,  consideriamo 
la  serie 

^  +  ^^'^  +  ^'"'  +  . . .  +  ^"'"  H- . . . , 

che  ha  un  cerchio  di  convergenza  di  raggio  =  1.  Se  consideriamo  un 
punto  della  periferia  ove  un  termine  ^'"'  della  serie  sia  eguale  alla 
unità,  anche  tutti  i  termini  seguenti  saranno  =  1  e  la  serie  sarà  ivi 
divergente.  Questi  punti  della  periferia  corrispondono  ad  anomalie  9 
date  da 

6  =  "^^—y-     {Jv,  r  interi  qualunque) , 
e  formano  sulla  circonferenza  un  gruppo  di  punti  dovunque  condensato. 

§.  8. 
Rappresentazioni  conformi. 

Della  teoria  delle  funzioni  di  variabile  complessa  si  può  dare  una 
interpretazione  geometrica  reale  che  importa  conoscere. 


24  CAPITOLO  I.  —  §.8 

Supponiamo  che  sia  w  funzione    della  variabile  complessa  ^  in  un 
certo  campo  C.  Scindendo  w  nella  sua  parte  reale  ed  immaginaria 

w  =  u  -{-  iv  , 

distendiamo  i  valori  di  w  in  un  altro  piano  complesso  ;:',  ove  gli  assi 
delle  quantità  reali  ed  immaginarie  si  diranno  gli  assi  O'u,  O'v.  Ad 
ogni  punto  0  di  C  corrisponderà  un  punto  tv  di  tz  e  mentre  2  percorre 
tutta  l'area  C,  io  percorrerà  nel  suo  piano  un  campo  C  a  due  dimen- 
sioni ('"),  che  sarà  finito  se  ìv  è  dovunque  finita.  Si  avrà  così  una  rappre- 
sentasione  dell'area  piana  C  sull'area  piana  C,  tale  che  ad  ogni  punto 
di  C  corrisponderà  un  solo  punto  di  C  e  ad  ogni  punto  di  C  uno  0  piìi 
punti  di  C,  con  legge  di  continuità.  Se  z  descrive  in  C  una  curva  ordi- 
naria 7,  IV  descriverà  in  C  una  curva  corrispondente  7'  e  in  generale 
ogni  figura  in  C  avrà  in  C  la  sua  figura  (immagine)  corrispondente. 
Ora  la  proprietà  essenziale  di  una  siffatta  rappresentazione  è  data  dal 
teorema:  Ogni  angolo  di  una  figura  nel  piano  z  eguaglia  V angolo  corri- 
spondente della  figura  immagine  nel  piano  w  (salvo  in  punti  eccezionali)  '^'. 
Una  rappresentazione  che  goda  della  proprietà  di  conservare  gU  angoli 
dicesi  conforme,  talché  ogni  funzione  di  variabile  complessa  dà  luogo 
ad  una  rappresentazione  conforme.  E  noi  dimostreremo  ora,  insieme  al 
teorema  enunciato,  anche  il  suo  inverso,  che  cioè  ogni  rappresentazione 
conforme  di  un'area  piana  sopra  un'altra  area  piana  si  ottiene  in  siffatta 
guisa  e  preciseremo  inoltre  se  vi  ha  conservazione  diretta  0  inversa  degli 
angoli. 

Consideriamo  dunque  due  piani  -,  iz  sui  quali  scegliamo  due  rispettivi 
sistemi  di  assi    cartesiani   ortogonali  Ox,  Oij\  O'x,  O'y    e    fissando    le 


(M  Che  il  campo  C  descritto  dal  punto  {u,  v)  sia  realmente  a  due  dimensioni 
risulta  subito  dalla  teoria  delle  funzioni  implicite  di  variabili  reali,  ove  si  osservi 
che  il  determinante  funzionale: 


d  (u,  V) 
d  {x,  y) 


du 

dx 

du 

dy 

dv 
dx 

dy 

du\^ 


©+(l) 


è  generalmente  diverso  da  zero.    Esso  si  annulla  invero  solo  nei  punti  ove  è 
nulla  la  derivata  v:'  (z). 

*^'  I  punti  eccezionali  sono,  come  si  vedrà,  quelli  ove  la  derivata  -y-  è  zero 
o  infinita. 


RAPPRESENTAZIONI    CONFORMI  25 

pagine  positive  dei  due  piani,  supponiamo  le  coppie  di  assi  egualmente 
orientate  (^'.  Consideriamo  poi  una  rappresentazione  del  piano  t:  sul 
piano  -',  analiticamente  esprèssa  dalle  formolo 

x'  =  X  {x,  y)    ,     y  =  y  {x,  y)  , 

le  funzioni  x'  {x,  y) ,  «/  {x,  y)  di  x,  y  essendo  supposte  entro  un  certo 
campo  C  ad  un  sol  valore,  finite  e  continue  insieme  alle  derivate  parziali 
prime.  Se  consideriamo  un  punto  P  ^  {x,  y)  ed  una  curva  y  uscente 
da  esso,  indicando  con  9  l'angolo  di  cui  deve  rotare  nel  verso  positivo 
(da  destra  verso  sinistra)  la  direzione  positiva  dell'asse  delle  x  per  as- 
sumere la  direzione  della  tangente  a  y  in  P,  avremo 

i  differenziali  essendo  presi  lungo  la  curva  '^^ 

Al  punto  V^{x,y)  corrisponderà  in  ;t'  il  punto  Y^{x',y')  e  alla 
curva  Y  una  curva  y',  uscente  da  P'  con  una  direzione  corrispondente 
alla  formola 

Ne  risulta  la  formola 
(10)  tang  e'  =  1^^ , 

la  quale  mostra  come  ad  ogni  direzione  uscente  da  P  ne  corrisponde, 
biunivocamente,  una  uscente  da  P'  ed  anzi  i  due  fasci  di  direzioni  cor- 
rispondenti sono  sempre  fra  loro  progettivi,  qualunque  sia  la  corrispon- 
denza fra  i  due  piani. 


(M  Fissiamo  p.  e.  che  per  un  osservatore  collocato  sulla  pagina  positiva  e 
che  guardi  verso  la  direzione  positiva  Occ  (O'a?')  la  direzione  positiva  Oy{0'y') 
giaccia  alla  sinistra. 

(-)  Quale  delle  due  direzioni  della  tangente  si  assuma  come  positiva  è  evi- 
dentemente indifferente  per  la  formola  del  testo. 


26  CAPITOLO   I.  —  §.8 

Ma  supponiamo  ora  che  la  rappresentazione  sia  conforme,  cioè  gli 
angoli  siano  conservati  e  distinguiamo  due  casi,  secondo  che  anche  il 
senso  degli  angoli  viene  conservato,  ovvero  invertito.  Nel  primo  caso,  se 
facciamo  ruotare  la  direzione  uscente  da  P  in  un  certo  senso,  p.  e.  nel 
senso  positivo,  di  altrettanto  dovrà  ruotare  e  nel  medesimo  verso  la 
direzione  corrispondente  per  P',  cioè  la  differenza  6'  —  0  dovrà  rimanere 
costante  al  variare  di  6.  Nel  secondo  caso  invece  rimarrà  costante  la 
somma  B'  +  0.  Avremo  quindi 

e'  =  +  64-«, 

il  doppio  segno  corrispondendo  ai   due  casi  ed  a  essendo  costante  al 
variare  di  8  ma,  in  generale,  funzione  di  x,  y. 
Ponendo 

tg  7.  =  m , 

ne  deduciamo 

^        1  +  w  tg  e 

e,  paragonando  colla  (IO),  ne  deduciamo 

'ècd 9/ 

"ex        ~  dy 

(11) 

dx'  _  dy 

dy  dx 

Viceversa,  se  le  condizioni  (1 1)  sono  soddisfatte,  vediamo  subito  che 

sarà  0'-G  o  6' +9  costante  e  la  rappresentazione  sarà  conforme  diretta 

0  conforme  inversa.  Nel  primo  caso  le  (11)  mostrano  che  x'+iy  deve 

essere  funzione  della  variabile  complessa  x+iy,  nel  secondo  invece  della 

coniugata  x-iy.  Per  altro  qui  è  supposto  implicitamente  che  non  siano 

simultaneamente  zero  le  derivate  parziali  di  x,  y,  cioè  che  non  sia  nulla 

.     ,    .     ,     d^' 
la  derivata  -v-  . 

Dunque  :  La  più  generale  rappresentazione  conforme  diretta  o  inversa 
di  un  piano  sopra  un  altro  si  ottiene  ponendo  la  variàbile  complessa  dell' un 
piano  eguale  ad  una  funzione  della  variàbile  complessa  délV altro,  o  della 
coniugata.  Punti  eccezionali  della  rappresentazione  sotto  quelli,  ove  la  de- 
rivata è  nidla  (o  infinita). 


RAPPRESENTAZIONI    CONFORMI 


27 


Spesso  si  dice  di  una  rappresentazione  conforme  che  essa  conserva 
la  similitudine  delle  parti  infinitesime,  ciò  che  è  una  conseguenza  geo- 
metrica della  conservazione  degli  angoli.  Analiticamente  constatiamo  il 
fatto  osservando  che  se  ds  è  l'elemento  d'arco  di  una  curva  y,  ds'  quello 
corrispondente  della  curva  7',  abbiamo 

ds^  =  dx^  -\-  dìf  , 

as"= ,."+  ir=  (^'  '^  + 1  ''2')^  +  (I  *«  + 1  *)' . 

indi  per  le  (11) 


ds-'  = 


ds' 


Se  valgono  nelle  (11)  i  segni  superiori,  abbiamo  dunque 

ds' 


d^ 
ds 


dz 


Ciò  dimostra  che  tutti  gli  elementi  lineari  spiccati  da  un  punto  P 
subiscono  nella  rappresentazione  il  medesimo  allungamento,  la  cui  gran- 
dezza è  misurata  dal  modulo  della  derivata. 

§.  9. 
Esempì  diversi. 

a)  Consideriamo  la  rappresentazione  conforme  stabilita  fra  i  due 
piani  complessi  r,  ::',  assumendo 


2  =  s" , 


dd 


ove  n  è  un  numero  intero  positivo.  Qui  abbiamo  -=-  =  nz"  ^  e  per  ciò 

(xz 

la  rappresentazione  riuscirà  conforme  in  tutti  i  punti,  salvo  che  in  ^  =  0. 

E  se  introduciamo  coordinate  polari  ponendo 

avremo  le  formole  di  rappresentazione 


f  =  P' 


=  wo  . 


28  CAPITOLO    I.  —  §.9 

Queste  dimostrano  che  neir  intorno  dell' origine  ^  =  0  gli  angoli  non 
sono  conservati  nella  rappresentazione,  ma  invece  w-uplicati.  Così  p.  e. 
se  consideriamo  nel  piano  z  il  settore  OAB  del   circolo  di  raggio  =  1 

racchiuso  dalle  rette  9  :=  0  ,  9  =  —  ,  la  figura  immagine  in  /  sarà  un 

n 

semicerchio  pure  di  raggio  =  1,  ai  due  raggi  estremi  OA,  OB  corrispon- 
dendo i  raggi  per  diritto  O'A',  O'B'. 

h)  Se  prendiamo 

,       z-ì 

^    =  r  , 

vediamo  che  per  z  reale  il  modulo  di  /  è  =  1  e,  percorrendo  z  tutto 
l'asse  reale  da   -  co  a  +  co ,  /  percorre  la  circonferenza 

x"  +  y  '  =  1 

in  verso  positivo  cominciando  da  /  =  1  e  ritornandovi.  Ai  punti  del 
semipiano  positivo  z  (del  semipiano  in  cui  y>0),  corrispondono  biu- 
nivocamente  i  punti  interni  al  detto  cerchio.  La  formola  precedente 
fornisce  quindi  la  rappresentazione  conforme  del  semipiano  sul  cerchio. 
Non  vi  ha  alcun   punto  eccezionale   perchè   l'unico  punto   z=  -i,  ove 

diventano  infinite  /  e  ^- ,  non  appartiene  al  semipiano  positivo. 

e)  Consideriamo  la  funzione 

2=z'—  1  =  (^-1)  (^+1). 

Poiché  i  moduli  di  ^  -  1,  ^+1  sono  rispettivamente  le  distanze  di  z  dai 
punti  +1,-1,  alla  circonferenza  di  centro  /=0  e  di  raggio  =1  corrisponderà 
una  lemniscata  di  BemouUi  coi  fuochi  in  ^=1,  ^=-1  e  più  in  generale  ad 
ogni  circonferenza  concentrica  in  0  corrisponderà  in  s  una  cassinoide  coi 
fuochi  nei  detti  pmiti.  L'interno  della  foglia  a  destra  della  lemniscata 
verrà  rappresentato  nell'interno  del  detto  cerchio,  al  fuoco  della  lemni- 
scata corrispondendo  il  centro  del  cerchio  e  la  rappresentazione  sarà 
dappertutto  biunivoca  e  conforme  tranne  al  nodo  z  =  0  della  lemniscata 

d^ 

ove  -7- =  0  (^).  Notiamo  che  alle  circonferenze  di  centro  0'  corrispon- 

dendendo  cassinoidi  confocali,  alle  rette  uscenti  da  0'  corrisponderanno 


(*)  Ivi  in  effetto  l'angolo  piatto  alla  circonferenza  viene  trasformato  in  un 
angolo  metà. 


ESEIWPÌ   DI   RAPPRESENTAZIONI    CONFORMI  29 

curve  che  taglieranno  ad  angolo  retto  tutte  le  cassinoidi.  Scrivendo  che 
lungo  queste  curve  l'argomento  di  /  è  costante,  troviamo  subito  che  esse 
hanno  per  equazione 

x^  —  if  —  \  —-  iTixy  =  ()    (h  parametro)  ; 

esse  sono  dunque  iperbole  equilatere  col  centro  in  ^  =  0e  passanti  pei 
due  punti  fissi  x=-\-\,x=  -1  sull'asse  delle  x  ^'^K 
d)  Prendiamo  la  funzione 

Z  =  COS  ^  , 

cioè 

x'-\-  iy  =  cos  {x-\-i y)  =  cos x  cosh y  —  isenx  senh y  , 

da  cui 

x'  =  cos  X  cosh  y   ,    y'  =  -  sen  x  senh  y  , 

e  però 


cosh^^   senh'^y 


x''  y"    ^^ 


cos^  X        sen"  x 


Vediamo  quindi  che  alle  rette  y  =  costante  corrispondono  le  ellissi  coi 
fuochi  in  rr'  =  4: 1  ^  =  0  e  alle  rette  x  =  costante  '  le  iperbole  confocali. 
Segue  di  qui  che  ellissi  ed  iperbole  confocali  formano  un  doppio  sistema 
ortogonale  (isotermo). 

e)  Consideriamo  ancora  il  seguente  esempio  di  Schwarz.  La  funzione 


z  ■=  tang^  (l"  ^^) 


fornisce  la  rappresentazione  conforme  della  parte  del  piano  z,  interna 
alla  parabola  col  fuoco  in  ^  =  0  e  col  vertice  in  ^=1,  sul  cerchio  del 
piano  z  col  centro  nell'origine  e  di  raggio  unitario. 


(*)  Evidentemente  si  può  anche  dire  che  si  ha  un  fascio  di  coniche  i  cui 
punti  base,  oltre  i  due  ora  detti,  sono  i  punti  immaginarii 


30  CAPITOLO   I.  —  §.9 

E  invero  l'equazione  polare  della  detta  parabola  è 


1 

r^  =  — - 


cos^- 


talché,  quando  z  percorre  la  sua  periferia,  si  ha   \j  s  =\  -^  i  tang  — 


e  pero 


,      ^      ,/.       ..  ex       (l+itangh(|tg|) 

.  =  tang^  f  -  +  ^  -  tang  ^J  =  -  ^ 

^1— *tanghf  —  tang— 


quindi  |/|  =  1.  Ai  punti  interni  alla  parabola  corrispondono  i  punti 
interni  al  circolo  (biunivocamente)  ;  al  fuoco  della  parabola  corrisponde 
il  centro  del  circolo.  Similmente  si  vedrà  che  la  parte  esterna  alla  detta 
parabola  è  rappresentata  sul  circolo  stesso  dalla  formola 


dove  è  da  notarsi  che,  il  punto  ^  =  0  essendo  esterno  all'area  ora  con- 
siderata, la  funzione  del  secondo  membro  è,  nell'area,  monodroma. 

f)  In  fine,  per  addurre  un  semplicissimo  esempio  di  rappresenta- 
zione conforme  inversa,  assumiamo 


1  1 

z 


Zo        x-ty 
onde 


Queste  sono  le  formolo  d' inversione  per  raggi  vettori  reciproci  rispetto 
al  cerchio 


31 


Capitolo  IL  '^' 

Sostituzioni  lineari.  —  Gruppi   discontinui  di  sostituzioni  lineari  e  loro  rappre- 
sentazione geometrica. 

§.   10. 
Sostituzioni  lineari  come  rappresentanti  affinità  circolari. 

Consideriamo  la  rappresentazione  biunivoca  conforme  che  si  stabilisce 
fra  due  piani,  ponendo  la  variabile  complessa  /  dell' un  piano  eguale 
ad  una  funzione  lineare  della  variabile  complessa  z  dell'altro: 

(1)  ^  =  "-4I . 

dove  a,  [3,  V,  <5  sono  costanti  complesse  qualunque,  tali  soltanto  che  il 
determinante  ao-(BY  non  si  annulli,  condizione  necessaria  perchè  il 
secondo  membro  della  (1)  dipenda  effettivamente  da  z. 

Moltiplicando  simultaneamente  i  coefficienti  a,  [3,  y,  8  per  un  fattore  Iz, 
ciò  che  non  altera  la  sostituzione  lineare  (1),  potremo  dare  al  determi- 
nante aS-PY)  0  modulo  della  sostituzione,  il  valore  che  più  ci  piace  e 
noi  fisseremo  di  assumere 

(2)  a5  — Py  =  1 

e  chiameremo  unimodulari  le  sostituzioni  (1),  per  le  quali  questa  con- 
dizione è  verificata.  I  coefficienti  7.,  [3,  y,  5  di  una  data  sostituzione  uni- 
modulare  saranno  così  perfettamente  fissati,  a  meno  di  un  cangiamento 
simultaneo  di  segno. 

La  rappresentazione  conforme  fra  i  due  piani  z,  z  stabilita  dalla  (1) 
gode  della  seguente  importante  proprietà:  Essa  trasforma  i  circoli  (o 
rette)  del  piano  z  in  circoli  (o  rette)  del  piano  z.  Come  trasformazione 
biunivoca  dei  due  piani  essa  coincide  con  quella  speciale  corrispondenza 
quadratica  che  da  Mòbius  prende  il  nome  di  affinità  circolare  (diretta). 

Per  dimostrare  l'enunciata  proprietà  osserviamo  che,  indicando  con  Uo, 
come  faremo   costantemente   in  seguito,  la  quantità  coniugata  di  una 


(*)  Il  presente  capitolo  viene  qui  inserito  in  vista  delle  applicazioni  che 
delle  teorie  in  esso  esposte  dovremo  fare  nella  seconda  parte  del  corso,  e  della 
importanza  fondamentale  delle  teorie  stesse  nel  campo  più  vasto  delle  funzioni 
automorfe. 


32  CAPITOLO    II.  —  §.  10 

quantità  complessa  qualsiasi  U,  l'equazione  di  ogni  circolo  (o  retta)  del 
piano  si  potrà  scrivere 

A^^o  +  B^  +  Bo-s'o-f  C  =  0, 

ove  i  coefficienti  A,  C  sono  reali  e  B,  Bo  sono  complessi  coniugati.  È 
chiaro  che  per  A  =  0  avremo  una  retta,  per  A  4^  0  un  circolo  ed  il  circolo 
sarà  reale  se 

BBo— AC>0, 

immaginario  se 

'BBo-AC<0, 

mentre  si  ridurrà  alla  coppia  di  rette  cicliche  uscenti  dal  centro  quando  sia 

BBo— AC  =  0. 

Ora,  poiché  z  si  esprime  lineannente  per  ^  colla  sostituzione  (inversa) 

Z  —  T-T-    , 

-Y^  +a 

basterà  evidentemente  al  nostro  oggetto  dimostrare  che,  quando  /  descrive 
un  circolo  (o  retta),  anche  s  descrive  un  circolo  (o  retta). 
Ad  un  circolo  del  piano  /  di  equazione 

A  zz\  +  B  /  -f  Bo  /o  -f  C  =  0 

corrisponderà  nel  piano  z  la  linea  di  equazione: 

A  (a^  f  ^)  (ao^o+,%)  +  B  (a^+p)  (Yo^o+^o)  +  Bo  ('^-o^o+Po)  (Y'^+5)  + 

H-  c  (Y^+a)  (yo^o+So)  =  0 , 

che  possiamo  scrivere 

(3)  A'^^o  +  B'^  +  B'o^o  -f  C  =  0  , 

dove  si  ponga 

A'  =  A  a  «0  -f  B  o.  Yo  +  Bo  Vo  y  -V  C  y  Yo 
B'  =Aa,So  +  B  aoo  +  BoPoY+CYSo 
B'o=  A  c/o?  +  Bo  ao5  ^-  B  ,3  Yo  +  C  Yo  § 
C  =  A  p  Po  +  B  p  oo  +  Bo  ?o  5  +  C  56o. 

Poiché  con  queste  formolo  A',  C  risultano  reali  e  B',  B'o  complessi 
coniugati,  ne  segue  appunto  che  la  linea  (3)  è  un  circolo.  Osserviamo 


AFFINITÀ   CIRCOLARI  33 

ancora  che,  essendo  A',  B',  B'o,C'  composti  linearmente  ed  omogenea- 
mente con  A,  B,  Bo,C:  ad  ogni  sistema  lineare  di  circoli  del  piano  z 
corrisponderà  nel  piano  z  un  sistema  lineare  di  circoli  di  eguale  dimen- 
sione, cioè  ad  un  fascio  un  fascio,  ad  una  rete  una  rete. 

Insieme  alle  rappresentazioni  conformi  dirette  date  dalla  (1),  ci  oc- 
correrà anche  considerare  quelle  inverse,  date  dalla  formola 

(1*)  /  =  ^^^  . 

Anche  in  questa  rappresentazione  i  circoli  si  trasformano  in  circoli 
e  gli  angoli  si  conservano  ;  ma  il  senso  degli  angoli  viene  invertito.  La 
corrispondenza  fra  i  due  piani  è  un'affinità  circolare  inversa  di  Mòbius. 
Distingueremo  le  sostituzioni  lineari  corrispondenti  (1),  (1*),  dicendo  che 
le  (1)  sono  di  prima  specie,  le  (1*)  di  seconda  specie. 

Notiamo  che,  con  una  conveniente  sostituzione  lineare  di  prima  specie, 
si  possono  portare  tre  punti  arbitrarli 

del  piano  z  rispettivamente  in  tre  punti  arbitrarli 

Zi,    Zi,    *  3 

del  piano  /  e  la  corrispondente  sostituzione  è  perfettamente  determinata 
dalla  formola: 

^    ^^  Z  \         (2^3      ^2  ^        **  1         ^3  "~  ^2 

Z  —  Z  %        Z  ^     Z  \  Z       Z^        Z-^       Z\ 

Ma  se  si  vuole  che  un  quarto  punto  Zt  venga  trasportato  in  un  quarto 
punto  ^i ,  sarà  per  ciò  necessario  e  sufficiente  che  risultino  eguali  i  due 
rapporti  anarmonici 

{z\  z\  z\  ^4)   ,     {Zi  Zi  ^3  ^4)  . 

Di  qui  risulta:  Condizione  necessaria  e  sufficiente  affinchè  i  quattro 
punti  Zi,z<i,  Z'i,  Zi  stiano  sopra  un  circolo,  è  che  il  rapporto  anarmonico 
(zi  z<i  z-i  Z4)  sia  reale. 

E  infatti  se  Zi,Z2,Z3,Z4  sono  sopra  un  circolo,  potremo  con  una  so- 
stituzione lineare  trasportarli  in  quattro  punti  z\,  z\,  z\,  z ^  dell'asse 
reale  sul  piano  z ,  onde 

{Zx  Zi  Zi  Z4)  =  (z\  Z\  Z\  Z4) 

è  reale.  L'inversa  risulta  pure  evidente. 


34  CAPITOLO   II.  —  §.11 

§.    11. 

Composizione  delle  sostituzioni. 

Se  eseguiamo  successivamente  due  sostituzioni  lineari  di  prima  specie 

_  g^  +  P  „  _  g^  +  r 

il  risultato  è  una  nuova  sostituzione  lineare: 


(4)  /'  = 


(aY'+YÒ')^+(,37'+oò')  * 


Spesso  indicheremo  la  sostituzione  lineare  (1)  scrivendo  i  coefficienti 
nel  quadro 


ri  'J 


T 

la  denominazione  data  alle  variabili  essendo  naturalmente  indifferente. 
La  sostituzione  (4),  che  risulta  dalle  due  successive 

g,13\         /a',p'\ 

dicesi  la  sostituzione  comimsta  o  il  prodotto  delle  due,  nelF  ordine  asse- 
gnato, e  si  scrive  simbolicamente 

(5) 

ponendo  a  sinistra  la  sostituzione  eseguita  prima  '^'.  La  designazione 
dell'ordine  è  evidentemente  necessaria  perchè,  invertendo  l'ordine  delle 
sostituzioni  componenti,  cambia  (in  generale)  la  sostituzione  composta. 


a 
Y 

oJ 

X( 

fa! 

/aa'+Yi^' 

Uy'+yS' 

Pg'+S(5'\ 

pY'+òev' 

(*)  Si  osservi  che  la  legge  (5)  di  composizione  di  due  sostituzioni  è  quella 


stessa  della  moltiplicazione  dei  determinanti 


e  precisamente, 


Y    ò  I  '    I  Y*    S* 
nella  notazione  adottata,  il  1."  e  2."  coefficiente  della  sostituzione  composta  si 

ottengono  moltiplicando  successivamente   le   due  colonne  di  /      '    '^  )   per   la 

',  '   ^,  J  ,  ed  il  3.0  e  4.»  moltiplicando  le  colonne  della  prima  per 
la  seconda  linea  della  seconda. 


COMPOSIZIONE   DELLE   SOSTITUZIONI  35 

Talora  indicheremo  anche,  simbolicamente,  una  sostituzione  lineare 
con  una  sola  lettera  e  così,  denotando  con  Si,  Sa  le  due  successive  so- 
stituzioni componenti,  con  S3  la  composta,  scriveremo 

Si  02  =  03. 

Definito  il  prodotto  di  due  costituzioni,  riesce  altresì  definito  il 
prodotto  di  tre  0  più  sostituzioni 

Oi  O2 .  .  .  Sn  , 

intendendo  con  ciò  la  sostituzione  che  nasce  componendo  prima  Si  con  S2, 
poi  la  sostituzione  composta  con  S3  e  così  via  fino  ad  Sn  (^).  È  impor- 
tante osservare  che,  mentre  in  un  prodotto  di  sostituzioni  non  è  lecito 
invertire  l'ordine  dei  fattori,  non  vale  cioè  la  legge  commutativa,  vale 
però  la  legge  associativa.  Per  vederlo  basta  dimostrarlo  pel  caso  ele- 
mentare di  tre  fattori,  cioè  provare  che  si  ha: 

(Si  S2)  S3  =  Si  (S2  S3)  , 

ciò  che  si  può  constatare  direttamente  colla  forinola  (5)  di  composizione 
0  dedurre  anche  a  priori  dal  significato  della  composizione  '^'. 

Se  in  un  prodotto  di  w  sostituzioni  i  singoli  fattori  sono  tutti  eguali 
fra  loro  e  ad  una  medesima  sostituzione  S,  il  prodotto  stesso  si  dice 
la  potenza  w'""  di  S  e  si  indica  con  S".  A  causa  della  legge  associativa, 
vale  evidentemente  la  formola 

(6)  S'".  S"=  S"'+", 

essendo  m,  n  numeri  interi  positivi. 
Insieme  ad  una  sostituzione 


(*'  Dovremmo  scrivere  propriamente 

(..((SiS,).S3)...)S„  . 

(')  La  Si  porti  z  in  z',  la  Sg  z'  in  s",  la  S3  z"  in  s'".  La  sostituzione  Si  S^ 
porta  2  in  s"  e  la  Sg  Sg  porta  2'  in  s'",  quindi  ambedue  le  sostituzioni  (Si  Sj)  S3  , 
Si  (S2  S3)  portano  z  in  2"'  e  sono  identiche. 


36  CAPITOLO    IL  —  §.11 

si  può  considerare  la  sua  inversa 


che  composta  con  S  produce  la  sostituzione  identica  ( 


Vy,  oJ   V-7  ,     a.)         VO,   iJ 


Questa  sostituzione  inversa  si  indica  con 

sicché,  indicando  col  simbolo  1  la  sostituzione  identica,  si  ha  SS~^  =  1; 
la  sua  introduzione  ci  permette  di  definire  le  potenze  di  S  con  esponente 
negativo,  convenendo  che  sia 

Dopo  ciò  si  vedrà  subito  che  la  formola  (6)  vale  per  esponenti  interi 
qualunque,  positivi  o  negativi. 

E  perchè  la  medesima  formola  (6)  valga  senza  eccezione,  converremo 
di  considerare  anche  la  potenza  S^  di  S  con  esponente  zero,  ponendo  S°  =  1. 

Essendo  S,  T  due  qualunque  sostituzioni,  la  sostituzione 

dicesi  la  trasformata  della  S  per  mezzo  della  T  e  si  ha  inversamente 

S  =  TSiT-^  =  (T->)-'SiT-S 

talché  S  é  la  trasformata  della  Si  per  mezzo  della  T~'.  Due  tali  sosti- 
tuzioni S,  Si  si  diranno  simili.  È  importante  osservare  il  teorema:  In 
due  sostituzioni  simili  la  somma  a+o  del  1.^  e  4."  coefficiente  è  la  stessa. 
Il  calcolo  effettivo  dimostra  subito  la  proprietà  enunciata,  che  potremo 
anche  esprimere  sotto  altra  forma  dicendo:  La  somma  J  =  a+S  non  cangia 
trasformando  comunque  la  sostituzione.  Per  ciò  diremo  j  =  a+o  V  invariante 
della  sostituzione.  Si  osservi  che  l' invariante  j  di  una  sostituzione 
lineare  é  determinato  soltanto  a  meno  di  un  cambiamento  di  segno. 

Può  darsi  che  una  sostituzione  lineare  S,  ripetuta  un  numero  suffi- 
ciente n  di  volte,  riproduca  l'identità,  in  simboli 

S"  =  1  ; 


CLASSIFICAZIONE   DELLE   SOSTITUZIONI   DI    1/  SPECIE  37 

allora  la  sostituzione  si  dice  periodica  ed  il  più  piccolo  esponente  po- 
sitivo n  pel  quale  S"  =  1  dicesi  il  suo  lìeriodo  '^L 

Ma  può  anche  accadere  che  nella  serie  indefinita  (nei  due  sensi) 
delle  potenze  di  S 

S— 3        C— 2       Q— 1         1  CI       C2       Q3 

,o         ,0         ,1,       0,0,0... 

i  termini  non  si  riproducano  mai  e  allora  la  sostituzione  si  dirà  ape- 
riodica. Due  sostituzioni  simili  sono  sempre  insieme  aperiodiche  o  perio- 
diche ed,  in  quest'ultimo  caso,  hanno  il  medesimo  periodo  (^'. 

§.  12. 
Classificazione  delle  sostituzioni  di  1/^  specie. 

Interpreteremo  d'ora  innanzi  Li  variabile  ^  e  la  sua  trasformata 
lineare  /  nel  medesimo  piano  complesso.  Per  ogni  sostituzione  hneare  (1) 
vi  sono  allora  due  punti,  distinti  o  coincidenti,  che  rimangono  fissi,  quelli 
che  corrispondono  alle  radici  della  equazione 

(7)  Y^+('^-a)^-P  =  0. 

Osserviamo  che  se  la  sostituzione  S  lascia  fissi  i  punti  A,  B  e  la  T 
trasporta  A,  B  rispettivamente  in  A',  B',  la  trasformata  T^^  ST  avrà  per 
punti  fissi  A',  B'. 

Il  discriminante  della  (7)  essendo 

{y.  -  of  +  4  Pv  =  (a  +  5y^  —  4  (7.5  -  |3v)  =  (a  +  o)^  —  4  , 
i  due  punti  fissi  coincideranno  quando 

af  o—±2. 


(')  Si  vedrà  subito  che  in  tal  caso,  essendo  e,  p  due  numeri  interi  qualunque, 
sarà 

s^^  =  sP , 

quando  e  solo  quando  (x=^  (mod  ?i). 

(2)  Ciò  risulta  facilmente  dall' osservare  che 

(T-i  S  T)  (T-i  U  T)  =  T-i  (S  U)  T  , 

quindi 

(X-iST)"  =  T-iS»T, 


38  CAPITOLO   II.  —  §.12 

In  tal  caso  la  sostituzione  dicesi  parabolica. 

Ad  ogni  sostituzione  parabolica  possiamo  sostituirne  una  simile  che 
lasci  fisso  il  punto  ^  =  qo  ;  questa  avrà  necessariamente  la  forma 

e  rappresenterà  nel  piano  complesso  una  traslazione.  Una  sostituzione 
parabolica  è  quindi  necessariamente  aperiodica. 

Supponiamo  ora  che  la  sostituzione  S  lasci  fissi  due  punti  distinti. 
Potremo  sostituirvi  una  trasformata  che  lasci  fissi  i  due  punti  ^  =  0, 
^=00,  che  avrà  quindi  la  forma: 

s  =^  -^  s  ,  ao  =  1 

0 

e  che  scriveremo  semplicemente 

Per  l'invariante  j  =  o.-\-ò  avremo 

h  f  1 


J 


\'Jc 


Ora  distinguiamo  tre  casi: 

1."  k  reale  positivo;  la  sostituzione  in  tal  caso  si  dice  iperholica 
e  r invariante  j  e  reale  ed  in  valore  assoluto  ^->  2. 
2.°  ìi  immaginario  di  modulo  =  1, 

'    ■^  2 

La  sostituzione  si  dice  ellittica  e  T  invariante  j  è  reale  ed  in  valore 
assoluto  <  2. 

3.°  h  immaginario,  ovvero  reale  e  negativo. 

Allora  r  invariante  j  è  immaginario  e  la  sostituzione  si  dice  losso- 
dromica. 


(^)  Propriamente  otteniamo  dapprima 
ma  siccome  a  5  =  1  e  inoltre  (§.11)  «  +  ^  =  +  2,  ne  risulta  a=ò  =  +l. 


CLASSIFICAZIONE   DELLE   SOSTITUZIONI   DI    1.*  SPECIE  39 

Una  sostituzione  normale  iperbolica 

z  =  hz    {k  reale  positivo) 

è  un'omotetia  diretta  del  piano.  Per  essa  tutte  le  rette  uscenti  dalla 
origine  restano  fisse. 

Una  sostituzione  normale  ellittica 

s  =  e^  '-?  z 

è  una  rotazione  del  piano  complesso  attorno  all'origine,  d'ampiezza  t .  Per 
essa  rimangono  fissi  tutti  i  circoli  col  centro  nell'origine  '^L 

In  fine  una  sostituzione  lossodromica  è  una  combinazione  di  una 
ellittica  e  di  una  iperbolica  coi  medesimi  punti  fissi. 

Riepilogando,  abbiamo  il  risultato  : 

La  specie  di  una  sostituzione 

dipende  dall'invariante  j  =  a +5.  Se  questo  è  reale,  la  sostituzione  è  ellittica, 

parabolica  od  iperbolica  secondo  che  \j\  =2.    Quando   l'invariante  j  è 

immaginario,  la  sostituzione  è  lossodromica. 

È  chiaro  che  fra  le  sostituzioni  lineari  solo  quelle  ellittiche  possono 
essere  periodiche  ;  ciò  avviene  quando  l' ampiezza  9  (che  dipende  uni- 
camente dall'invariante  j)  è  in  rapporto  commensurabile  con  2 ti. 

§.  13. 
Sostituzioni  di  2.='  specie.  —  Riflessioni. 

Una  sostituzione  S  di  2.*  specie 


W  In  generale  in  una  sostituzione  iperbolica  qualunque  rimangono  fissi 
tutti  i  circoli  di  un  fascio  con  due  punti  base  reali;  in  una  ellittica  quelli  di 
un  fascio  coi  punti  base  immaginarii. 


40  CAPITOLO    II.  —  §.  13 

dà  luogo,  ripetuta,  alla  sostituzione  di  1.*  specie 


(8)  S^  = 

^  ^  Vyc-o+SYo,  yPo+55o 

che  può  anche  ridursi  all'identità.  Consideriamo  dapprima  il  caso  ge- 
nerale, in  cui  S^  non  è  l'identità.  Poiché  il  suo  invariante 

j  =  aa^  +  Pyo  +  %  Y  +  ^  5o 

è  reale,  essa  non  può  essere  lossodromica,  ma  è  necessariamente  ellittica, 
parabolica  od  iperbolica.  Ricerchiamo  quali  punti  fissi  può  avere  la  S. 
Essi  debbono  pure  rimanere  fissi  per  S^  e  saranno  quindi  al  massimo 
due,  quelli  della  SI  D'altra  parte  se  z^,  z^  sono  i  due  punti  fissi  di  S^ 
la  S  dovrà  o  lasciarli  singolarmente  invariati,  o  permutarli  fra  loro  (^'. 
Dunque  intanto,  se  la  S^  è  parabolica,  anche  la  S  avrà  un  unico  punto 
fisso.  Nel  caso  ellittico  od  iperbolico,  prendendo  per  punti  fissi  di  S^  :  ^  =  0 , 
^  =  co ,  diamo  ad  S  la  forma 

z  =  kZ(^  ,     0    ^  =  —  , 

secondo  che  la  nostra  sostituzione  lascia  fissi  singolarmente  i  due  punti 
0,  co ,  ovvero  li  scambia  fra  loro.  La  S"^  sarà  rispettivamente  nei  due  casi 

Z  =z  JcJco  Z   ,      0    z  =  ^  z  , 

quindi  iperbolica  nel  primo,  ellittica  nel  secondo  caso.  Dopo  di  ciò,  pos- 
siamo classificare  le  sostituzioni  S  di  2.*  specie,  che  non  sono  a  periodo  2, 
come  paraboliche,  iperboliche  od  ellittiche,  secondo  la  specie  di  S^  Le 
sostituzioni  di  2.*  specie  ellittiche  non  hanno  alcun  punto  fisso,  quelle 
paraboliche  uno,  le  iperboliche  due. 

Veniamo  ora  al  caso  particolarmente  interessante  che  la  S  sia  a  pe- 
riodo 2.  Osservando  i  coefficienti  di  S^  nella  (8),  vediamo  che,  essendo  =  1 


(')  Invero  se  Zj  per  S  va  in  s/j,  ciò  che  indichiamo  simbolicamente  con 

avremo 

S2  {z\)  =  S3  (Z,)  =  S  (S2  (z,))  =  S  (z,)  =  2-1  , 

cioè  2*1  sarà  anche  uu  punto  fisso  di  S-  e  però  coinciderà  o  con  z^  o  con  z^. 


RIFLESSIONI  41 

il  determinante  della  S^  dovranno  aver  luogo  o  le  formole 

0  le  altre 

yao  +  Syo  =  0    ,     yPo  +  S5o  =  -  1  . 

Poiché  ao-i3Y=l,  ciò  equivale  a  dire  che  nel  primo  caso  sarà 

«0  =  5,    Yo  =  -  Y  ,    Po  =  -  P  ,    So  =  a 
e  nel  secondo 

«0  =  -  5  ,    Yo  =  Y  ,    Po  =  P  ,    Oo  =  -  a . 

Ponendo  in  evidenza  le  parti  reali  ed  immaginarie  dei  coefficienti, 
avremo  quindi  nel  1.°  caso 

indicando  ai,a2,Pi,Yi  quantità  reali,  e  nel  2.^  caso 

■  y  =  ('■'  +  ";>^'+^;  ,  con  .;+.?+P.  v.  =  - 1  • 

Domandiamo  ora  se  qualche  punto  del  piano  rimane  fisso  per  la 
nostra  sostituzione.  Ponendo  /  =  z,  vediamo  che  nel  caso  attuale  restano 
fissi  tutti  i  punti  di  un  circolo,  che  ha  rispettivamente  per  equazione 

(10)  Yi  (■«^+y')  —  2a2.'r+  2ai?/— ,3i  =  0  ,  nel  caso  (9) 

e  invece 

(10*)  YiC^+^z")  — 2^1^;  — 2  7-2^  — (3,  =  0,  nel  caso  (9*). 

Il  primo  circolo  è  reale  a  causa  di 

af  +  7j  +  PiTi=l, 

e  la  sostituzione  è  un'inversione  per  raggi  vettori  reciproci  rispetto  a 
questo  cerchio;  si  dirà  brevemente  una  riflessione  su  questo  circolo.  Nel 
secondo  caso  il  circolo  di  riflessione  (10*)  è  immaginario  e  la  sostituzione 


42  CAPITOLO  II.  —  §§.  13,  14 

si  dirà  una  riflessione  impropria.  È  facile  vedere  che  una  riflessione 
impropria  si  può  comporre  con  una  riflessione  propria  ed  una  rotazione 
di  Ti  attorno  al  centro  del  circolo  di  riflessione  '^'. 


§.  14. 
Gruppi  discontinui  di  sostituzioni  lineari. 

Le  sostituzioni  lineari  sopra  una  variabile  essendo  operazioni  suscet- 
tibili di  composizione  e  valendo  la  legge  associativa  (§.  11),  possiamo 
applicare  ai  sistemi  di  sostituzioni  lineari  i  concetti  generali  della  teoria 
dei  gruppi  di  operazioni.  Così  diremo  che  :  un  sistema  di  un  numero  finito 
od  infinito  di  sostituzioni  lineari  forma  un  gruppo,  quando  componendo 
fra  loro  due  qualunque  sostituzioni,  differenti  od  eguali,  del  sistema,  la 
sostituzione  composta  appartiene  pure  al  sistema. 

In  particolare  quindi  un  gruppo,  insieme  ad  ogni  sua  sostituzione  S, 
ne  conterrà  anche  tutte  le  potenze  con  esponente  intero  e  positivo.  Se 
il  gruppo  è  finito  '^',  vi  figureranno  altresì  le  potenze  con  esponente 
negativo  e  l'identità,  ciò  che,  stando  alla  data  definizione,  non  accadrà 
sempre  necessariamente  nel  caso  di  un  gruppo  infinito.  In  questo  caso 
però  noi  aggiungeremo  esplicitamente  la  condizione  che  il  gruppo  contenga 
insieme  ad  ogni  sostituzione  S  anche  la  sua  inversa  S~^  e  però  tutte  le 
potenze  positive  e  negative  di  S,  e  V  identità. 

Una  prima  divisione  dei  gruppi  di  sostituzioni  lineari  in  due  classi 
si  fa  distinguendo  i  gruppi  continui  dai  gruppi  discontinui.  Il  gruppo 
dicesi  continuo  (gruppo  di  Lie)  se  nei  coefficienti  7.,  p,  y,  5  entrano  pa- 
rametri suscettibili  di  prendere  una  serie  continua  di  valori,  discontinuo 
invece  quando  i  coefficienti  variano  solo  per  valori  discreti. 


(*)  Ad  ogni  riflessione  si  può  sostituire  una  riflessione  simile  che  scambi 
fra  loro  i  punti  0,  x  ;  questa  ha  allora  la  forma  normale 

con  fc  reale.  Essa  è  propria  od  impropria,  secondo  che  k  è  positivo  o  negativo. 
Ne  risulta  subito  dimostrata  l'asserzione  del  testo. 

(2'  Si  sa  che  i  gruppi  finiti  di  sostituzioni  lineari  sopra  una  variabile  sono 
tutti  noti  e  si  riducono  a  cinque  tipi  distinti,  che  portano  il  nome  di  gruppi 
dei  poliedri  regolari,  della  piramide  e  della  doppia  piramide  regolare,  (Cf.  Klein, 
Ikosatàder). 


GRUPPI    DI    SOSTITUZIONI   LINEARI  43 

Un'altra  importante  distinzione  è  da  farsi  nei  gruppi  discontinui,  in 
quanto  conskleriamo  Veffetto  delie  loro  operasioni  sui  punti  del  piano  com- 
plesso. Applicando  ad  un  punto  Zi  del  piano  le  sostituzioni  di  un  gruppo 
discontinuo  G,  si  otterrà  una  serie  infinita  di  punti,  che  diciamo  equi- 
valenti rispetto  al  gruppo.  Ora  si  dirà  che  il  gruppo  G  è  propriamente 
discontinuo  nelF  intorno  di  un  punto  P  del  piano  complesso,  quando  un 
intorno  sufficientemente  piccolo  di  P  non  contenga  alcuna  coppia  di  punti 
equivalenti  rispetto  a  G;  in  caso  contrario  diremo  che  G  è  impropria- 
mente discontinuo  nell'intorno  di  P.  Più  brevemente  diremo  anche  che 
nel  primo  caso  G  è  propriamente  discontinuo,  nel  secondo  impropria- 
mente discontinuo  nel  imnto  P.  Si  vede  subito  che  se  un  gruppo  è 
propriamente  discontinuo  in  un  punto  P,  esso  è  altresì  propriamente 
discontinuo  in  tutti  i  punti  di  un  intorno  sufficientemente  piccolo  di  P, 
onde  segue  che  per  un  tale  gruppo  l'insieme  dei  punti,  nell'intorno 
dei  quali  il  gruppo  opera  in  modo  propriamente  discontinuo,  costituisce 
un  campo  a  due  dimensioni. 

I  gruppi  che  dovunque,  nel  piano  complesso,  sono  impropriamente 
discontinui  non  hanno  per  lo  scopo  nostro  (per  la  teoria  delle  funzioni) 
importanza  alcuna.  Ora  vi  è  un  caso  in  cui  dalla  natura  stessa  delle 
sostituzioni  del  gruppo  si  conclude  immediatamente  che  il  gruppo  è 
dovunque  impropriamente  discontinuo;  ciò  accade  quando  nel  gruppo 
si  presentano  sostituzioni  infinitesimali,  cioè  sostituzioni  vicine  quanto 
si  vuole  alla  identità.  Precisiamo  questo  concetto  dicendo:    Un  gruppo  G 

di  sostituzioni  lineari  '  j  contiene  sostituzioni  infinitesimali  quando, 

preso  un  numero  s  reale,  positivo  e  piccolo  a  piacere,  esistono  sempre  nel 
gruppo  sostituzioni,  diverse  dall'identità,  per  le  quali  si  ha 

IPI  <e       Iti  <s       |a-S|  <  e  (^). 

Che  il  gruppo  sia  allora  impropriamente  discontinuo  risulta  dalle 
considerazioni  seguenti.  Suppongasi  al  contrario  che  si  possa  trovare  ad 
esempio  un'area  circolare  di  raggio  R,  priva  di  coppie  di   punti   equi- 


W  Se   le   sostituzioni   si   riducono   unimodulari,  si  potrà   anche   dire  che  i 
moduli  di 

p ,   T ,   «±1 ,    5+1 

debbono  essere  inferiori  ad  s. 


44  •CAPITOLO   II.  —  §.14 


valenti.  Variando  2  comunque  in  quest'area,  potremo  sempre  scegliere 

a. 

Y 


nel  gruppo  una  tale  sostituzione  (non  identica)  (         ^  ] ,  per  la  quale 


si  abbia 


T^  +  5 


^   2 


e  allora  ogni  punto  che  disti  dal  centro  meno  di  -^  e  non  coincida  con 
uno  dei  due  punti  fissi  di  (      '  ^  )  avrà  almeno  un  punto  equivalente 


entro  l'area  circolare,  contro  l'ipotesi. 

Così  adunque  :  Un  gruppo  discontinuo,  contenente  sostituzioni  infinite- 
simali, è  sempre  impropriamente  discontinuo  in  ogni  regione  del  piano. 

Come  primo  esempio  consideriamo  una  sostituzione  ellittica  aperiodica, 
che  possiamo  ridurre  alla  forma  normale  • 

z  z=  e  '  s  , 

dove  'f  sarà  incommensurabile  con  ;:.  Le  potenze  di  S  formano  un 
gruppo  con  sostituzioni  infinitesimali  e  per  ciò  dovunque  impropriamente 
discontinuo.  Ne  deduciamo  come  corollario:  Ciascuna  sostituzione  ellittica 
di  un  gruppo  propriamente  discontinuo  deve  avere  un  periodo  finito. 

La  discontinuità  propria  di  un  gruppo  è  incompatibile,  come  si  è 
visto,  coll'esistenza  di  sostituzioni  infinitesimali.  Ma  diciamo  subito  che 
sarebbe,  in  generale,  erroneo  il  concludere  dall'assenza  di  sostituzioni 
infinitesimali  nel  gruppo  alla  sua  discontinuità  propria;  l'esempio  che 
studieremo  alla  fine  del  presente  capitolo  lo  dimostrerà  chiaramente. 
Vi  ha  però  un  caso  molto  importante,  nel  quale  tale  conclusione  è 
legittima,  ed  è  quando  le  sostituzioni  del  gruppo  sono  tutte  a  coefficienti 
reali,  0  tali  si  possono  ridurre  con  una  conveniente  trasformazione, 
quando  cioè  vi  ha  un  circolo  del  piano  complesso  che  da  tutte  le  sosti- 
tuzioni del  gruppo  è  trasformato  in  sé  medesimo  (Hauptkreisgruppen). 
Sussiste  infatti  il  teorema,  dovuto  a  Poincaré  (^),  che  noi  qui  ci  limitiamo 
a  citare: 

Un  gruppo  di  sostituzioni  lineari  a  coefficienti  reali,  e  privo  di  sostitu- 
zioni infinitesimali,  è  sempre  impropriamente  discontinuo  nel  piano  complesso. 


(*'  Ada  Math.,  Bd.  3.  —  Vedi  anche  Fricke.  Automorphe  FuncUonen,  Bd.  I, 
pag.  99. 


SOTTOGRUPPI  45 

§.  15. 
Sottogruppi. 

Prima  di  procedere  allo  studio  di  alcuni  gruppi  particolari,  facciamo 
ancora  qualche  osservazione  d'indole  generale.  I  concetti  e  la  termino- 
logia dei  gruppi  finiti  di  operazioni  si  trasportano  senz'altro  nella  teoria 
dei  gruppi  discontinui  infiniti. 

Un  gruppo  r  di  sostituzioni  lineari  si  dirà  un  sottogruppo  di  un 
gruppo  G,  se  tutte  le  sostituzioni  di  F  appartengono  a  G,  Si  dirà  poi 
che  r  è  invariante  in  G  quando  qualunque  sostituzione  di  F,  trasformata 
con  una  sostituzione  arbitraria  di  G,  dà  una  sostituzione  di  F  stesso, 
quando  cioè  F  è  permutabile  con  qualunque  sostituzione  di  G. 

Se  G  è  un  gruppo  e  F  un  suo  sottogruppo,  si  potranno  distribuire 
le  sostituzioni  di  G  rispetto  a  F  in  un  quadro: 

Yi    >     Y2    j     "(3 

9'(i  ,    Oli  >   9I2 

g'^h  ,  912  ,  gii 


che  contiene  una  ed  una  sola  volta  tutte  le  sostituzioni  di  G,  ponendo 
nella  prima  orizzontale  tutte  le  sostituzioni  (in  numero  infinito)  di  F, 
nella  seconda  quelle  di  F  moltiplicate  da  una  medesima  parte  (p.  e.  a 
sinistra)  per  una  sostituzione  (/  di  G  fuori  di  F,  nella  terza  ancora  le 
sostituzioni  di  F  moltiplicate,  sempre  dalla  medesima  parte,  per  una 
sostituzione  g  di  G  presa  fuori  delle  due  prime  orizzontali  e  così  pro- 
seguendo finché  esistano  sempre  nuove  sostituzioni  di  G.  Due  casi  po- 
tranno darsi:  0  il  numero  delle  orizzontali  è  finito  e  questo  numero 
prende  allora  il  nome  di  indice  del  sottogruppo  F  in  G  ;  ovvero  il  numero 
delle  orizzontali  è  infinito  e  in  tal  caso  diciamo  che  F  è  sottogruppo 
d'indice  infinito  in  G.  Così  p.  e.  se  S  è  una  sostituzione  lineare  aperiodica, 
nel  gruppo  (ciclico)  G  generato  dalle  potenze  di  S  formano  un  sotto- 
gruppo F  d'indice  finito  le  potenze  di  S^,  essendo  p  un  numero  intero 
positivo;  in  tal  caso,  siccome  l'esponente  m  di  ogni  potenza  S'"  di  S  si 
può  porre  sotto  la  forma 

m  =  hp  -\-  r  , 


46  CAPITOLO    II.  —  §§.   15,  16 

dove  r  è  uno  dei  numeri  0,  1,  2  . .  .^)  -  1  e  ^'  è  un  intero  positivo  o 
negativo,  il  quadro  consterà  di  2)  orizzontali  e  l'indice  di  T  in  G  sarà 
finito  =p. 

Fino  ad  ora  abbiamo  supposto  di  considerare  gruppi  contenenti  soltanto 
sostituzioni  di  prima  specie.  Ma  possiamo  egualmente  considerare  gruppi  G, 
contenenti  sostituzioni  di  ambedue  le  specie.  In  tal  caso  si  vede  subito 
che:  le  sostituzioni  di  irrima  specie  di  G  costituiscono  un  sottogruppo  F 
invariante  in  G  e  di  indice  finito  =  2.  Ciò  risulta  dall'osservare  che,  se  g 
è  una  sostituzione  fissa  di  seconda  specie  in  Gè/  un'altra  tale  sosti- 
tuzione qualunque  in  G,  la  g"^  g  è  di  prima  specie  ed  è  quindi  una 
sostituzione  y  di  F,  onde 

ciò  che  dimostra  essere  =2  1'  indice  di  F  in  G.  Poiché  inoltre,  trasfor- 
mando con  una  sostituzione  di  prima  o  seconda  specie  una  di  prima 
specie,  la  trasformata  appartiene  sempre  alla  prima  specie,  vediamo  che  F 
è  invariante  in  G. 

§.  16. 
Gruppi  ciclici  e  loro  campo  fondamentale. 

Veniamo  ora  a  studiare  alcuni  gruppi  particolari  di  natura  molto 
semplice,  che  ci  daranno  una  facile  illustrazione  delle  considerazioni 
generali  esposte  al  §.  14  e  ci  serviranno  inoltre  a  fissare  l'importante 
nozione  del  campo  fondamentale  di  un  gruppo  propriamente  discontinuo. 

Cominciamo  dai  gruppi  ciclici,  dai  gruppi  cioè  che  sono  generati  dalle 
potenze  di  un'unica  sostituzione  S.  Siccome  però  escludiamo  dalle  nostre 
considerazioni  i  gruppi  contenenti  sostituzioni  infinitesimali  (poiché  allora 
sappiamo  già  che  il  gruppo  è  dovunque  impropriamente  discontinuo),  così 
supporremo  che,  se  la  sostituzione  S  è  ellittica,  essa  abbia  periodo  finito. 

Consideriamo  allora  i  varii  casi  che  possono  presentarsi: 
a)  La  sostituzione  S  è  ellittica  di  periodo  finito  n;  allora  il  gruppo 
generato  dalle  potenze  di  S  è  un  gruppo  finito  e,  riducendo  S  alla  forma 
normale,  potremo  assumere  per  S  l'espressione  analitica 

/  --  a  ^  , 

dove  e  è  una  radice  primitiva  w'""  della  unità.  Sostituendo  ad  S  una 


GRUPPI    CICLICI  47 

sua  potenza,  potremo  supporre 


=  e 


e   la  S   rappresenterà   nel   piano    complesso   una   rotazione   d'ampli- 

tudine  —  attorno  all'origino.   Si  consideri  ora  nel  piano  complesso  il 
n 

settore  infinito  limitato  da  due  raggi  che  escono  da  0  e  formano  fra 

loro  l'angolo  — ^  .  Applicando  a  tutta  l'area  settoriale   le  sostituzioni 
n 

del  gruppo,  veniamo  evidentemente  a  dividere  il  piano  in  n  tali  settori 

congruenti,  che  ricoprono  una  ed  una  sola  volta  il  piano  complesso.  Uno 

qualunque  di  questi  settori  gode  della  proprietà  che  un  punto  qualunque 

del  piano  è  equivalente  ad  un  punto  dell'area  settoriale,  ed  in  generale 

ad  uno  solo.  Soltanto  quando  questo  punto  cade  sul  contorno,  esso  ne 

ha  un  secondo  equivalente  sull'altro  lato  del  contorno,  ad  eguale  distanza 

dall'origine.  Per  queste  proprietà  si  dice  che  il  settore  considerato  è 

un  campo  fondamentale  del  gruppo,   poiché  in  esso   trovasi  un  punto, 

ed  in  generale  uno  solo,  equivalente  a  qualsiasi  punto  del  piano. 

l)  La  S  sia  una  sostituzione  iperbolica,  che  potremo  ridurre  alla 

forma  normale 

z'  =  hz , 

con  Ti  reale  e  positivo  (§.  12).  Essa  ci  darà  nel  piano  complesso  una 
omotetia  col  centro  nell'origine,  di  costante/;.  Si  tracci  ora  un  circolo 
qualunque  C  di  centro  0  e  scelgasi  p.  e.,  per  fissare  le  idee,  il  suo 
raggio  =1.1  circoli  trasformati  di  C  per  mezzo  del  gruppo  delle  potenze 
di  S  avranno  tutti  il  centro  in  0  ed  i  raggi 

7.-3       7.-2       7.-1        1        7.       7.2       7.3 

.,../(/  ,    h  ,     Iv  ,      l    ,    lly   ,     tv      ,     Iv      .    .    .     , 

essi  divideranno  il  piano  in  una  serie  di  anelli  circolari  limitati  da  due 
cerchi  consecutivi  nella  serie.  Uno  qualunque  di  questi  anelli  può  assu- 
mersi come  campo  fondamentale  del  gruppo,  poiché  infatti  un  punto 
qualunque  del  piano  può  trasportarsi,  applicandovi  una  conveniente  po- 
tenza di  S,  in  uno  ed  in  sol  punto  dell'anello.  Soltanto  se  questo  punto 
cadrà  sul  contorno  dell'anello,  ne  avremo  un  secondo  equivalente  sull'altro 
circolo  del  contorno. 

e)  La   S  sia   lossodromica  e,  ridotta   alla   forma   normale,  abbia 
dunque  la  forma  (§.  12) 

z  ^=  ke  '  z  . 


48  CAPITOLO  II.  —  §§.  16,  17 

Anche  in  questo  caso  potremo  costruire  una  serie  di  anelli  circolari 
come  nel  caso  precedente  ed  in  uno  di  essi  avremo  ancora  un  campo 
fondamentale  del  gruppo. 

d)  Supponiamo  in  fine  che  la  S  sia  parabolica  e  riduciamola  alla 
forma  normale 

z  =^-\-^. 

Essa  ci  rappresenterà  nel  piano  complesso  una  traslazione  e  se  per 
due  punti  del  piano,  che  nascono  l'uno  dall'altro  per  la  traslazione,  con- 
duciamo due  rette  qualsiasi  parallele  fra  loro,  ma  non  nel  senso  della 
traslazione,  limiteremo  una  striscia  del  piano,  che  sarà  un  campo  fonda- 
mentale del  nostro  gi'uppo.  Applicando  infatti  alla  intera  striscia  la  S 
e  le  sue  potenze,  otterremo  una  serie  di  striscio  consecutive  congruenti, 
che  ricoprono  una  ed  una  sola  volta  il  piano. 

Colla  dimostrazione  dell'esistenza  del  campo  fondamentale  per  ogni 
gruppo  ciclico,  privo  di  sostituzioni  infinitesimali,  è  dimostrata  in  parti- 
colare la  discontinuità  propria  di  questi  gruppi  in  tutto  il  piano.  Per 
questi  gruppi  adunque,  come  pei  gruppi  a  coefficienti  reali  secondo  il 
teorema  di  Poincaré,  la  mancanza  di  sostituzioni  infinitesimali  è  non  solo 
necessaria  ma  anche  sufficiente  ad  assicurare  la  discontinuità  propria 
del  gruppo.  La  stessa  cosa  vedremo  accadere  pei  gruppi  che  andiamo 
ora  a  considerare. 

§.  17. 
Gruppi  di  sostituzioni  paraboliche. 

Ci  proponiamo  ora  di  studiare  i  gruppi  che  sono  esclusivamente 
composti  di  sostituzioni  paraboliche  e  fra  questi  di  riconoscere  quelli 
che  sono  privi  di  sostituzioni  infinitesimali. 

In  primo  luogo  osserviamo  che  se  un  gruppo  è  composto  di  sole 
sostituzioni  paraboliche,  queste  dovranno  avere  tutte  il  medesimo  punto 
fisso.  E  infatti  riduciamo  una  di  queste,  sia  S,  alla  forma  normale 

S)     z  =  s  -\-  fj 

e  sia  U  un'altra  sostituzione  (unimodulare)  del  gruppo,  coll'espressione 

analitica  : 

,      az-\-h 

U)     ^  = ,    ad-ì)C=  l  . 

cz  +  d 


GRUPPI   DI   SOSTITUZIONI   PARABOLICHE  49 

ove,  essendo  U  parabolica,  avremo 

Indicando  con  n  un  intero  qualunque,  avremo  nel  gruppo  anche  la 
sostituzione  US",  la  cui  espressione  analitica  sarà 

,       {a-\-cn'p)z-\-h-\- dn'^ 

z  =  =; 

cz  i-  a 

e,  per  essere  anche  questa  parabolica,  dovremo  avere,  per  qualunque  n: 

ai-d  +  cn^  =  ±2, 

onde  e  =  0  ;  quindi  U  ha  il  medesimo  punto  fisso  ^=00  di  S. 

Ciò   premesso,  potremo  considerare  in  luogo  del  nostro  gruppo  un 
suo  trasformato,  nel  quale  tutte  le  sostituzioni,  avendo  la  forma 

(11)  /=-^  +  P, 

rappresenteranno  traslazioni  del  piano  complesso.  Per  abbreviare,  chia- 
meremo [3  V amplitudine  della  sostituzione  parabolica  (11).  È  evidente 
che  i  gruppi  ora  considerati  constano  di  sostituzioni  due  a  due  permu- 
tabili, sono  cioè  gruppi  Abeliani. 

Se  scegliamo  nel  gruppo  G,  ad  arbitrio,  un  certo  numero  n  di  so- 
stituzioni 

Oi  ,    O2  ,    ...    0,1  j 

combinando  fra  loro  queste  sostituzioni  e  le  loro  potenze,  si  ottiene  un 
sottogruppo  r  di  G  (che  può  anche  coincidere  con  G),  di  cui  tutte  le  sosti- 
tuzioni sono  comprese  nella  formo  la 

7  =  Sf'  Sf 2 . . .  Sf »  , 

dove  gli  esponenti  m  percorrono  tutti  i  valori  interi  positivi,  negativi 
0  nulli  ;  indicheremo  brevemente  questo  sottogruppo  T  colla  notazione  : 

1  =  [Si  ,  S2  ,  ...  S„] . 

Ora  se  è  possibile  determinare  degli  esponenti  r  interi,  positivi  0 
negativi,  ma  non  tutti  nulli,  tali  che  sia 

(12)  sp  s;-^...s:"  =  i, 

diremo  che  le  n  sostituzioni  Si,S2...Sn  sono  fra  loro  dipendenti  e  se 


50  CAPITOLO    II.  —  §.17 

nessuna  relazione  della  forma  (12)  sussiste,  le  diremo  invece  indipen- 
denti. Si  osserverà  che,  rispetto  alle  amplitudini  ^i,  %,  .  .  pn  di  queste 
sostituzioni,  la  (12)  si  traduce  nella  relazione  lineare  omogenea  a  coef- 
ficienti interi: 

(12*)  n?i  +  ^2p2+  ...+r„[v,  =  0, 

e  per  ciò  i  numeri  r  si  potranno  supporre  privi  di  un  divisore  comune. 
Cominciamo  dal  dimostrare  che,  se 

Si   ,    S2 ,     . . .    Sn 

sono  fra  loro  dipendenti,  potremo  generare  il  gruppo  F  con  un  numero 
minore  di  sostituzioni  fondamentali.  Per  semplificare  la  dimostrazione, 
possiamo  supporre  che  nella  (12)  gli  esponenti  r  non  nulli  siano  tutti 
positivi,  bastando  nel  caso  contrario  sostituire  ad  una  corrispondente  S 
la  sua  inversa.  Due  almeno  degli  esponenti  r  saranno  evidentemente  non 
nulli,  siano  p.  e. 

e  supponiamo,  per  fissare  le  idee, 

ri  <  n. 

Ponendo 

S  1  =  Si  S2  , 

con  (jr  intero  qualunque,  potremo  assumere  come  generatrici  di  F 

Si,    O2  ,    03  .  .  .  bn  > 

dopo  di  che  la  (12)  diverrà: 

s'fi.  s^-^-2'-i.  83^». . .  s;;-  =  1. 

Se  prendiamo  adunque  g  in  guisa  che  sia 

0  <  ^2  -  (z  n  <  n  , 

avremo  abbassato  uno  degli  esponenti  r,  lasciando  gli  altri  inalterati. 
Applicando  ripetutamente  il  processo,  verremo  ad  ottenere  un  sistema 
di  n  sostituzioni  generatrici 

5i  ,    So  ,    '  •  Sn 


GRUPPI   DI   SOSTITUZIONI  PARABOLICHE  51 

per  le  quali  la  relazione  (12)  conterrà  un  solo  esponente  non  nullo  e 
allora  la  corrispondente  sostituzione  5  sarà  l' identità,  onde  potremo  pren- 
dere per  sostituzioni  generatrici  di  I'  le  rimanenti  n-ì,c.d.d. 

Dimostriamo  ora  l'altro  teorema:  Se  le  amplitudini  Pi,p2  di  due  so- 
stituzioni Si,  Si  del  gruppo  hanno  un  rapporto  rcrne,  o  le  due  sostituzioni 
saranno  fra  loro  dipendenti,  o  il  gruppo  conterrà  sostituzioni  infinitesimali. 

E  invero,  se  il  rapporto  ^^  è  reale  e  commensurabile,  poniamo 

h    =    l^ 

essendo  jp,g'  numeri  interi  primi  fra  loro;  avremo  g?i=iJ|32,  cioè 

Sì  =  S^' , 
che  è  appunto  una  relazione  fra  Si,  S2. 

Se  poi  ^^  è  un  numero  reale  incommensurabile  a,  avremo  fji  =  a  %  ed, 

P2 

essendo  r,  s  numeri  interi  qualunque,  il  gruppo  conterrà  la  sostitu?ione 

Si  S2 

d'amplitudine  {r'y.-\-s)%.  Ma,  poiché  a  è  incommensurabile,  potremo  pren- 
dere r,  s  in  guisa  che  r  a  +  s,  che  non  è  mai  nullo,  sia  piccolo  quanto 
si  vuole;  onde  avremo  nel  gruppo  sostituzioni  infinitesimali. 

Ciò  premesso,  se  consideriamo  dapprima  un  gruppo  F  generato  da 
una  sola  sostituzione  S: 

in  esso,  per  quanto  si  è  visto  al  §.  precedente,  avremo  sempre  un  gruppo 
propriamente  discontinuo. 

Si  abbia  ora  un  gruppo  F  =  [Si ,  S2J  generato  da  due  sostituzioni  in- 
dipendenti 

Si)    /  =  ^  -f  0^1     ,       S2)    /  =  ^  -f-  (O2  , 

e  privo  di  sostituzioni  infinitesimali.  Le  amplitudini  coi ,  coj  delle  due  so- 
stituzioni fondamentali  saranno  quindi  in  rapporto  complesso.  Preso  un 
punto  qualunque  a  del  piano,  consideriamo  i  quattro  punti 

a  ,    a  -f-  Wi  ,    tt  -f-  0)2  ,    a  4-  f^i  +  ^2  j 

che  sono  i  vertici  di  un  parallelogrammo. 


52  CAPITOLO    IL  —  §.17 

Qualunque  punto  del  piano  complesso  è  equivalente,  rispetto  a  F,  ad 
un  punto  dell'area  parallelogrammica  e  ad  uno  solo,  eccetto  pei  punti 
del  contorno,  due  a  due  equivalenti.  Possiamo  quindi  assumere  questo 
parallelogrammo  come  campo  fondamentale  del  gruppo.  Applicando  a 
questo  campo  le  infinite  sostituzioni  del  gruppo,  il  piano  ne  risulta  di- 
viso in  una  rete  di  parallelogrammi  congruenti,  che  ricopre  una  ed  una 
sola  volta  tutto  il  piano. 

Il  nostro  gruppo  è  ancora  propriamente  discontinuo. 

Si  osservi  però  che  nella  scelta  del  parallelogi-ammo  fondamentale 
sussiste  ancora  molta  arbitrarietà,  non  solo  perchè  uno  dei  vertici  si  può 
collocare  dovunque  nel  piano,  ma  anche  perchè,  in  luogo  di  Si,'S2,  po- 
tremmo egualmente  assumere  due  altre  sostituzioni  fondamentali 

s,  =  Sf  ^l    ,    s,  =  ST  S,^ 

del  gruppo.  Queste  due  nuove   sostituzioni  Si ,  s-z  saranno  fondamentali, 
cioè  genereranno  tutto  il  gruppo,  solo  quando  il  determinante 

«  aS  — pv 

dei  numeri  interi  a,  ,3,  y,  5  sia=  ±  1  (^'. 

Coi  due  esempì  ora  trattati  sono  esauriti  tutti  i  casi  in  cui  un  gruppo 
di  traslazioni  del  piano  è  propriamente  discontinuo.  In  ogni  altro  caso 
infatti  il  gruppo  contiene,  come  ora  dimostreremo,  traslazioni  infinite- 
simali. Supponiamo  in  effetto  che  un  gruppo  F  possieda  tre  (o  più)  tra- 
slazioni indipendenti 

di  amplitudini 


(*)  E  invero,  perchè  Sj,  Sj,,  siano  fondamentali,  occorre  che  si  possano  trovare 
quattro  interi  o!,  ^',  ■(',  ò\  tali  che  sia  inversamente 

onde 

r,rj^fp'=^l      ,       ctr  +  TÒ'  =  0 
^c/.'  +  òp'  =  0     ,      ^^-,''+òò'  =  l, 

e  però 


GRUPPI    DI   TRASLAZIONI  53 

Se  per  es.  lOi ,  (02  fossero  in  rapporto  reale,  questo  rapporto  sarebbe 
incommensurabile  (poiché  Si,  So  sono  indipendenti  per  ipotesi)  e  F  con- 
terrebbe appunto  sostituzioni  infinitesimali.  Supponiamo  ora  che  —  sia 

complesso  e  costruiamo  il  parallelogrammo  fondamentale  [a,  «  +  Wi ,  «  +  oig, 
a  +  tói  +  C02]  del  sottogruppo 

r'  =  [81,82], 

indi,  considerando  un  sistema  di  punti 

^  ,   0  4-  0J3  ,   ^  4-  2  0)3 ,  .  .  . . 

equivalenti  rispetto  a  S3  e  alle  sue  potenze,  troviamo  nel  parallelogrammo 
i  loro  punti  equivalenti 

(13)  /i  ,    z\  ,    z\.  .  . 

rispetto  a  V .  Tutti  questi  punti  saranno  distinti,  perchè  altrimenti  fra 
(Oi,  0)2,  CO3  sussisterebbe  una  relazione  lineare  omogenea  a  coefficienti 
interi,  contro  l'ipotesi.  Il  gruppo  infinito  di  punti  (13),  addensandosi  in 
un'area  finita,  avrà  almeno  un  punto  limite,  nell'intorno  del  quale  le 
differenze  /,  -  /^  risulteranno  di  modulo  piccolo  quanto  si  vuole  ;  e,  poi- 
ché ciascuna  di  queste  differenze  rappresenta  l'amplitudine  di  una  tra- 
slazione di  r,  vediamo  che  F  contiene  traslazioni  infinitesime,  e.  d.  d. 

Così  vediamo  che  anche  per  i  gruppi  di  sostituzioni  paraboliche  la 
mancanza  di  sostituzioni  infinitesimali  assicura  la  discontinuità  propria 
del  gruppo. 

In  fine  osserviamo  che  il  processo  tenuto  nel  presente  §.  è  pure  ap- 
plicabile allo  studio  dei  gruppi  discontinui  di  traslazioni  nello  spazio  a 
tre  dimensioni  e  ad  un  numero  qualunque  di  dimensioni.  In  particolare 
tutti  i  gruppi  di  traslazioni  dello  spazio  a  n  dimensioni,  che  contengono 
più  di  n  traslazioni  indipendenti,  hanno  traslazioni  infinitesime.  Ogni 
altro  gruppo  di  traslazioni  è  propriamente  discontinuo  nel  rispettivo 
spazio. 

§.  18. 
Gruppo  modulare.  --  Circoli  e  rette  di  riflessione  del  gruppo  ampliato. 

Passiamo  ora  a  studiare  il  gruppo  di  sostituzioni  lineari  unimodulari 
(U)  ^'  =  ?^?     .      (-5-Pv  =  l) 


54  CAPITOLO   IL  —  §.  18 

con  coefficienti  interi  a,  p,  y,  ò.  Questo  gruppo  è  evidentemente  infinito, 
discontinuo  e  privo  di  sostituzioni  infinitesimali.  Esso  prende  il  nome 
di  gruppo  modulare.  Noi  ne  stabiliremo  direttamente  la  discontinuità 
propria  (che  risulta  anche  dal  teorema  di  Poincaré),  assegnando  il  campo 
fondamentale  del  gruppo.  Ponendo 

zz=x^  iij    ,     /  =  X  -\-  iy  , 

e  separando  in  -, — ^p7—<  il  reale  dall' immaginario,  troviamo  subito 

7  {x  +  vj)  +  0 

,^        y 

il  che  dimostra  che  y,  y  hanno  sempre  lo  stesso  segno.  Il  gruppo  opera 
quindi  separatamente  sulle  due  parti  in  cui  l'asse  reale  divide  il  piano 
e  noi  ci  limiteremo  a  considerare  il  semipiano  positivo  ^  >  0. 

Osserviamo  subito  che  tutti  i  punti  ragionali  dell'asse  reale  sono 
fra  loro  equivalenti  rispetto  al  gruppo  modulare  F  ed  equivalenti  p.  e. 

a  ^  =  0.  Per^  =  0  infatti  la  (14)  dà  /=^  e  i   numeri  p,  ò  possono   es- 

0 

sere  due  numeri  interi  qualunque,  primi  fra  loro.  Si  vede  quindi  che 
nell'intorno  di  qualsiasi  punto  dell'asse  reale  il  gruppo  modulare  T  è 
impropriamente  discontinuo.  Al  contrario,  nelF  intorno  di  ogni  punto  del 
semipiano  positivo,  esso  è,  come  si  vedrà,  propriamente  discontinuo. 

Per  lo  studio  del  gruppo  modulare  T,  come  per  quello  di  molti  altri 
gruppi,  è  importantissimo  procedere  ad  un  ampliamento  del  gruppo,  che 
si  ottiene  qui  associando  alle  sostituzioni  del  gruppo  la  riflessione  sul- 
r  asse  immaginario 


che  trasforma  ancora  il  semipiano  positivo  in  se  medesimo. 

Il  nuovo  gruppo,  che  così  risulta,  contiene,  oltre  le   sostituzioni  di 
1."  specie  (14),  le  altre  di  2.^  specie 

(14*)  ^^'— — ^  '    ''•'^—1^7  =  1; 

lo  diremo  il  gruppo  modulare  ampliato  e  lo  indicheremo  con  Po.  Esso 
contiene  il  gruppo  modulare  P  come  sottogruppo  invariante  d'indice  2 
(Cf.  §.  15  alla  fine). 


GRUPPO   MODULARE  55 

Particolarmente  importante  per  lo  studio  di  Fq  è  il  determinare  le 
riflessioni  (§.  13)  in  esso  contenute.  Esse  si  otterranno,  secondo  la  for- 
mola  (9)  pag.  41,  sempre  e  solo  quando  o  =  a  (^',  cioè  avranno  la  forma 


^.  •  "'-^•'  =  ' 


a*o  —  p  9     p 


e  saranno  per  ciò  riflessioni  proprie  (con  circolo  reale).  Distinguiamo 
per  altro  secondo  che  y  =  0,  ovvero  ','4^0.  Se  y  =  0,  allora  è  a  =  +  l  e 
si  ha  una  retta  di  riflessione  di  equazione 

essendo  p  un  intero  qualunque.  Abbiamo  dunque  nel  gruppo  infinite 
rette  di  riflessione 

1  3 

X  =  0  ,   x  =  ±--  ,    x  =  ±l  ,   x  =  +—... 

2i  di 

tutte  parallele  all'asse  immaginario  e  distanti  ciascuna  dalla  successiva 

Quando  poi  y4=0,  abbiamo  il  circolo  di  riflessione 
ovvero 


a' 

)'+?/^  = 

a^-Pv         1 

.,2                      .,5 

'(  / 

/ 

7               7 

Vi  sono  dunque  infiniti  circoli  di  riflessione  di  raggio  eguale  all'in- 
versa 7  di  un  numero  intero  qualunque  e  coi  centri  in  tutti  quei  punti 

razionali  dell'  asse  reale  -~  ,  pei  quali  il  numeratore  a  soddisfa  alla  con- 

7 
dizione 

a^  ^^  1     (mod  7) , 

e  così  p.  es.  circoli  di  raggio  =  1  col  centro  in  tutti  i  punti  interi  del- 
l'asse Veale,  circoli  di  raggio  -  coi  centri  nei  punti 

1,3  5 

-  2    '   -  2    '   -  2 


(*)  Per  fare  il  confronto   eolle   forinole  del  §.  13,  bisogna  dare  alla  (14*)  il 
determinante  -\-  1  scrivendo  : 


56  CAPITOLO   II.  —  §§.  18,  19 

circoli  di  raggio  -  coi  centri  nei  punti 


3 


+  y  ,  ±j,  +  -    ecc.  ecc. 


Per  il  seguito  delle  nostre  considerazioni  è  necessario  premettere  le 
due  osservazioni  seguenti: 

1.^  L'area  indefinita  racchiusa  nel  semipiano  positivo  da  due  rette 
x  =  a,  x  =  h  parallele  all'  asse  immaginario  e  da  una  retta  y  =  h  (k'^O) 
parallela  all'asse  reale  non  è  solcata  che  da  un  numero  finito  di  rette  e 
circoli  di  riflessione.  Per  le  rette  è  evidente,  poiché  si   succedono  col- 

r  intervallo  costante  di  ~  .  Quanto  ai  circoli,  potranno  solcare  l'area  solo 

quelli  che  hanno  un  raggio      >  le,  ciò  che  dà  un  numero  finito  di  valori 

V 

per  v;  ma  per  ogni  valore  di  v  i  centri  dei  circoli  si  succedono  sul- 
l'asse reale  ad  intervalli  finiti  e  però  solo  un  numero  finito  di  questi 
circoli  solcherà  la  striscia  compresa  fra  le  parallele  x  =  a,  x  =  h. 

2."  Applicando  alla  totalità  dei  circoli  e  delle  rette  di  riflessione  un'ope- 
razione qualunque  del  gruppo  Fq  ,  i  circoli  e  le  rette  si  scamhieranno  fra 
loro.  Ciò  risulta  subito  dall' osservare  che,  se  U  è  una  riflessione  del 
gruppo  sul  circolo  C,  e  T  una  sostituzione  di  Fq  che  porti  il  circolo  C 
nel  circolo  Ci,  la  trasformata  T^'  UT  sarà  una  riflessione  sul  circolo  Ci. 

§.  19. 
Il  triang'olo  fondamentale  del  gruppo  ampliato. 

Consideriamo  nel  piano  complesso  le  due  rette  successive  di  riflessione 
x  =  Q   ,    x=  -  — 
ed  il  circolo  di  riflessione 

La  regione  indefinita  del  semipiano  positivo,  compresa  entro  la  stri- 
scia hmitata  da  quelle  due  rette,  all'esterno  del  circolo,  si  dirà  il  trian- 


TRIANGOLO   FONDAMENTALE 


57 


gàio  fondamentale  T  e  in  effetto,  come  ora  dimostreremo,  nel  triangolo 
T  abbiamo  il  campo  fondamentale  del  gruppo  ampliato  Tq.  I  tre  vertici 

FlG.  1.^ 


-1 


T 


JL        4 


di  questo  triangolo  sono  nei  punti 


0 


z  =  e^  =1   ,    z=-e 


=  S     ,      ^  =   00 


e  i  rispettivi  angoli  a  questi  vertici  hanno  le  ampiezze 

^  ^        0 


Osserviamo  poi  che  il  nostro  triangolo  T  non  è  oMraversato  da  alcun 
altro  circolo  o  retta  di  riflessione. 

Se  applichiamo  al  triangolo  T  una  sostituzione  qualunque  di  Tq, 
avremo  un  nuovo  triangolo  T'  limitato  da  tre  archi  di  circoli  di  rifles- 
sione (o  rette),  coi  medesimi  angoli  di  ^  >  5"  >  ^  e  il  triangolo  T',  come  T 


58  CAPITOLO   II.  —  §.19 

da  cui  deriva,  non  sarà  attraversato  da  alcun  circolo  di  riflessione.  Vo- 
gliamo ora  dimostrare  che  :  tutti  questi  triangoli  formano  una  rete,  la  qtiale 
ricopre  mia  ed  una  sola  volta  tutto  il  semipiano  positivo.  E  infatti  pren- 
diamo dovunque  nel  semipiano  positivo  (l'asse  reale  escluso)  un  punto  A 
e  prendiamo  anche  un  punto  qualsiasi  B  nell'  interno  di  T  ;  indi  descri- 
viamo una  linea  continua  L  che  vada  nel  semipiano  positivo  da  B  ad  A 
senza  mai  toccare  l'asse  reale  (p.  es.  il  segmento  rettilineo  B  A).  La 
nostra  linea  L,  mantenendosi  i  suoi  punti  sempre  a  distanza  finita  dal- 
l'asse reale,  non  potrà  traversare  che  un  numero  finito  di  rette  o  circoli 
di  riflessione  (§.  16)  e  risulterà  quindi  divisa  in  un  numero  finito  di 
tratti  luh,--  l:,  avendo  luogo  ogni  volta  fra  un  tratto  e  l'altro  l'attra- 
versamento di  un  circolo  di  riflessione. 

Il  primo  tratto  k  è  nel  triangolo  T  e  nell'estremo  fra  Zi,  U  la  linea  L 
traversa  un  lato  di  T,  sicché  se  consideriamo  quel  triangolo  Ti  della  rete 
che  nasce  da  T  per  riflessione  su  quel  lato,  il  secondo  tratto  k  resterà 
entro  Ti.  Poi  la  linea  L  traversa  un  lato  di  Ti  ed  entra  per  il  tratto 
^3  in  un  terzo  triangolo  T2  aderente  a  Ti  pel  detto  lato.  Così  conti- 
nuando, è  chiaro  che  costruiremo  una  serie  successiva  di  v  triangoli  della 
rete 

T  ,   Ti  ,    T2  .  .  .  T._i , 

ciascuno  aderente  al  precedente  per  un  lato  e  nel  triangolo  T,_i  sarà 
il  punto  A.  Dunque  la  rete  si  estende  in  qualunque  regione  del  semipiano 
positivo. 

In  secondo  luogo  due  triangoli  T^ ,  T,  della  rete  non  possono  mai  in 
parte  sovrapporsi  (avei'e  una  regione  a  comune);  altrimenti  p.  e.  Tr  sa- 
rebbe attraversato  da  qualche  circolo  di  riflessione  (un  lato  di  T,). 

Così  è  dimostrato  quanto  volevamo  e  possiamo  ora  facilmente  vedere 
che  :  Ogni  punto  del  semipiano  positivo  è  equivalente,  rispetto  al  gruppo 
ampliato  Fq,  ad  uno  e  ad  un  solo  punto  del  triangolo  T,  il  quale  è  adunque 
il  triangolo  fondamentale  di  Tq. 

E  invero  se  A  è  un  punto  qualunque  del  semipiano  positivo,  esiste, 
come  si  è  visto,  un  triangolo  T'  della  rete  che  contiene  A,  e  la  sosti- 
tuzione di  l'o  che  porta  T'  in  T  porterà  A  in  un  punto  di  T. 

Osserviamo  poi  che  la  sostituzione  di  l\ ,  che  porta  T  in  T',  è  unica 
e  determinata  perchè,  se  ve  ne  fossero  due  differenti  Si,  82,  la  sostitu- 
zione (non  identica)  Si  Sr^  trasformerebbe  T  in  se  stesso.  Ora  ciò  è 
impossibile  ;  e  in  vero,  il  triangolo  T  avendo  i  tre  angoli  diseguali,  non 


LA   RETE   MODULARE  59 

esiste  non  solo  in  Tq ,  ma  nemmeno  fuori  di  Po ,  alcuna  sostituzione,  ne  di 
1.*  né  di  2.*  specie,  che  trasformi  T  in  sé  stesso,  essendo  che  ciascuno 
dei  tre  vertici  dovrebbe  rimanere  fisso  '^'. 

Risulta  di  qui  che  due  punti  P,  Q  del  triangolo  T  non  possono  es- 
sere equivalenti.  E  infatti  se  P ,  Q  sono  ambedue  interni  a  T,  la  sosti- 
tuzione che  cangia  P  in  Q  dovrebbe  trasformare  T  in  sé  medesimo.  Se 
P  è  sul  contorno  e  Q  nell'interno,  quella  sostituzione  cangerebbe  il  lato 
su  cui  si  trova  P  in  un  circolo  di  riflessione  attraversante  T.  Se  poi  P 
e  Q  sono  sul  contorno,  quella  sostituzione  dovrebbe  cangiare  T  in  un 
triangolo  aderente  e  sarebbe  quindi  una  riflessione  sopra  il  lato  con- 
tenente Q  e  lascierebbe  fisso  Q,  né  potrebbe  trasportarvi  P. 


§.  20. 
La  rete  modulare  e  le  riflessioni  generatrici  A,  B,  C. 

Tutta  la  rete  dei  triangoli  T,  che  ricopre  una  ed  una  sola  volta  il 
semipiano  positivo,  si  può  generare  riflettendo  il  triangolo  fondamentale 
sui  suoi  tre  lati,  i  nuovi  triangoli  ottenuti  sui  loro  lati  liberi  e  così  via 
di  seguito.  Per  figurare  con  chiarezza  la  rete,  tratteggiamo  tutti  i  trian- 
goli della  rete  che  nascono  da  T,  nel  modo  descritto,  con  un  numero 
dispari  di  riflessioni,  lasciando  gli  altri  non  tratteggiati;  otteniamo  così 
la  figura  2.*  che  ci  rappresenta  la  rete  modulare.  Ogni  triangolo  della  rete 
sarà  quindi  tratteggiato  o  no,  secondo  che  nasce  dal  fondamentale  per 
una  sostituzione  di  2.^  o  di  l.''  specie.  Possiamo  indicare  senza  ambi- 
guità ogni  triangolo  della  rete  per  mezzo  della  sostituzione  V  che  lo  fa 
derivare  dal  triangolo  fondamentale,  il  quale  sarà  adunque  indicato  col 
simbolo  1.  Indichiamo  rispettivamente  con 

A  ,    B  ,    C 


(')  Questa  considerazione  dimostra  che  :  Non  vi  ha  alcun  gruppo  più  ampio 
di  Fq,  che  contenga  F^  come  sottogruppo  invariante.  Le  sostituzioni  U  di  un  tale 
gruppo  dovrebbero  infatti  trasformare  le  riflessioni  di  Fq  in  nuove  riflessioni 
di  Fq  ,  e  però  il  triangolo  T  in  un  altro  T'  della  rete.  Se  con  ■(■  indichiamo  la 
sostituzione  di  F^  che  porta  T  in  T',  la  U-p ^  lascia  fisso  T  e  però  U'(--  =  1, 
cioè  U  =  f. 


60 


CAPITOLO   IL  —  §.  20 


Fio.  2.' 


le  tre  riflessioni  sui  lati 


1 


x  =  0  ,    ^=-Y'    x^-\-ìf=l 

del  triangolo  fondamentale  T  e  cogli  stessi  simboli  dovremo  indicare  i 
tre  triangoli  aderenti  al  fondamentale  1  pei  rispettivi  lati.  Ora  osserviamo 
che,  se  V  è  una  sostituzione  qualunque  di  l'o,  applicandola  p.  es.  ai  due 
triangoli  aderenti 

1    ,     A  , 

otterremo  due  triangoli  pure  aderenti 

V    ,     AV. 

Così  adunque  al  ti'iangolo  V  saranno  aderenti  i  tre  triangoli 

AV    ,     BV    ,     CV 

e  precisamente  A  V  lungo  il  lato  che  sottende  gli  angoli  di  J^,  o  ecc. 
E  poiché  si  può  passare  dal  triangolo  fondamentale  ad  uno  qualunque 


RETE   MODULARE  61 

della  rete  per  una  serie  di  triangoli  aderenti,  ne  deduciamo:  L'intero 
gruppo  modulare  ampliato  Fq  si  genera  colle  tre  riflessioni  elementari  A,  B,  C. 
L'espressione  analitica  di  queste  tre  riilessioni  è  data  rispettivamente  da 

E)     /  =  -  ^0  -  1 
C)    /  =  —  . 

I  vertici  della  rete  modulare  si  distinguono  in  tre  specie,  secondo  che 
gli  angoli  corrispondenti  sono  0  ,  ^  ,  ^ .  In  ciascuna  specie  tu^ti  i  ver- 
tici sono  equivalenti  e  non  solo  rispetto  al  gruppo  ampliato  Tq  ,  ma  an- 
che rispetto  al  gruppo  modulare  F,  come  si  rileva  dall'osservare  che  per 
ciascuno  dei  tre  vertici  di  un  triangolo  della  rete  esiste  una  sostituzione 
di  Ij"  specie  che  lo  lascia  fìsso  (una  riilessipne).  I  vertici  della  prima 
specie  sono  tutti  equivalenti  al  vertice  2^  =  oo  e  sono  i  punti  razionali 
dell'asse  reale;  quelli  della  seconda  specie  sono   equivalenti  al  vertice 

l2LÌ 

z  =  i  e  quelli  della  terza  specie  al  vertice  ^  =  s  =  e  3   ^ 

Intorno  a  ciascun  vertice  della  prima  specie  si  distribuiscono  infiniti 
triangoli  della  rete  che  diventano  sempre  più  piccoli,  avvicinandosi  al- 
l'asse reale.  Intorno  a  ciascun  vertice  equivalente  a^  =  i  si  riuniscono 
quattro  triangoli  della  rete  alternatamente  tratteggiati  0  no,  e  similmente 
intorno  ai  vertici  equivalenti  a  ^  =  =  sei  triangoli. 

§.  21. 

Il  Triangolo  fondamentale  del  gruppo  modulare 
e  le  sostituzioni  generatrici  S,  T. 

Per  ottenere  il  campo  fondamentale  del  gruppo  modulare  F  basta 
che  associamo  due  triangoli  aderenti  della  rete  modulare,  p.  e.  il  fon- 
damentale 1  e  il  suo  simmetrico  A  rispetto  all'  asse  immaginario.  Otte- 
niamo così  il  triangolo,  che  indicheremo  con  T,  limitato  fra  le  due  pa- 
rallele 


62  CAPITOLO    II.  —  §.21 

airesterno  del  circolo  x^+ìf  =  l,  con  angoli  eguali  a  ^-,^,0;  le  ricer- 
che precedenti  ci  fanno  subito  riconoscere  che  :  Ogni  imnto  del  semipiano 
è  equivalente,  rispetto  a  ì\  ad  un  punto  di  questo  triangolo  ;  due  punti  di 
esso  triangolo  non  sono  mai  equivalenti,  a  iveno  che  non  si  trovino  sul  con- 
torno, simmetricamente  disposti  rispetto  all'asse  immaginario. 

E  invero  un  punto  P  qualunque  del  semipiano  positivo  si  può  por- 
tare con  una  sostituzione  V  di  Fo  nella  metà  a  sinistra  del  detto  trian- 
golo. Se  V  è  di  l.'' specie,  lo  scopo  è  raggiunto:  altrimenti  eseguendo 
dopo  V  la  riflessione  A,  la  sostituzione  V  A  di  T  porterà  P  nella  seconda 
metà  del  nostro  triangolo  T.  In  secondo  luogo,  se  due  punti  P,  Q  di  T 
sono  equivalenti  rispetto  a  F  lo  saranno,  a  più  forte  ragione,  rispetto 
a  Fo  e  dovranno  quindi  trovarsi  l'uno  nella  prima,  l'altro  nella  seconda 
metà  di  T  ed  essere  simmetrici  rispetto  all'asse  immaginario.  Ora,  se  V 
è  la  supposta  sostituzione  di  1.=^  specie  che  porta  P  in  Q,  la  VA  di  2.* 
specie  lascierà  fermo  P,  che  dovrà  dunque  essere  sul  contorno  rettilineo 
0  circolare.  Nel  1.°  caso  la  VA  dovrà  coincidere  colla  riflessione  B,  nel 
secondo  colla  C  e  la  sostituzione  supposta  sarà  o  la 

S  =  BA, 

0  la 

T  =  CA. 

Effettivamente  la  sostituzione 

s=B^=(i;v)  ■  ^'-^+' 

porta  un  punto  della  retta  ^=  -  ^  ^^^  simmetrico  dell'altra  x=  +  -e 
la  sostituzione 

v-i ,  0  ;  '  ^ 

porta  un  punto  del  circolo  x-  +  if=l  nel  simmetrico  (rispetto  all'asse 
immaginario).  Dimostriamo  ora  che:  Le  due  sostituzioni 

bastano  già  a  generare  l'intero  gruppo  modulare. 


SOSTITUZIONI    S,  T    GENERATRICI    DI    V  63 

Cominciamo  dall'osservare  che  se  applichiamo   al  triangolo  T  tutte 

le  sostituzioni  di  T  otteniamo  una  rete  di  triangoli  (con  angoli  di  '■ ,  ^ ,  0), 

o     o 

ciascuno  dei  quali  non  è  che  1"  insieme  di  due  triangoli    aderenti  della 
rete  primitiva.  Potremo  indicare  questi  triangoli  col  simbolo  della  sosti- 

FiG.  3.« 


J 


-/ 


1 


3 


tuzione  stessa,  che  li  fa  derivare  dal  fondamentale  T.  Ma  al  triangolo  T, 
che  ora  indichiamo  con  1  (fig.  3.*),  sono  aderenti  i  triangoli 

S   ,    S-'  ,    T 
e  però  ogni  altro  triangolo  V  della  nuova  rete  ha  per  triangoli  aderenti 

SV   ,     S-^V   ,     TV. 

Se  ne  conclude,  come  al  §.  18,  che  combinando  le  sostituzioni  S,  T 
e  le  loro  potenze  si  genera  tutto  il  gruppo  modulare. 


64  CAPITOLO   IL  —  §.  22 

§•  22. 
Sostituzioni  ellittiche  del  gruppo  modulare. 

Le  sostituzioni  z  = \  del  gruppo  modulare  sono  ellittiche  quando 

r  invariante  y  =  a  +  ò  non  supera  in  valore  assoluto  il  2  e,  poiché  nel 
caso  attuale  J  è  un  numero  intero,  dovremo  avere 

a -[-5  =  0    ,     0    a-t-5=±l. 

A  causa  della  formola  (§.12) 

i  =  2  cos  -^  , 

avremo  nel  primo  caso  cos  ^  =  0  e  nel  secondo  cos  ^  =  +  — ,  onde  vediamo 

intanto  che  le  sostituzioni  ellittiche  del  nostro  gruppo  sono  a  periodo  2, 
0  a  periodo  3.  Al  medesimo  risultato  possiamo  arrivare  colle  conside- 
razioni geometriche  seguenti,  che  ci  fanno  inoltre  riconoscere  quali  sono 
le  sostituzioni  ellittiche  affini  <  ^* .  Ogni  sostituzione  ellittica  deve  lasciar 
fisso  un  punto  del  semipiano  positivo  (fuori  dell'asse  reale),  che  deve 
essere  dunque  un  vertice  della  rete  modulare  e  però  (§.  40)  o  equiva- 
lente al  vertice  z  =  i  o  all'altro  z  =  t.  Qualunque  sostituzione  ellittica  del 
gruppo  modulare  sarà  dunque  affine  ad  una  sostituzione  (ellittica)  che 
lasci  fisso  il  punto  0  =  i,  o  il  punto  ^  =  s.  Ma  le  prime  si  determinano  su- 
bito dalla  relazione 

.  _  ai+^ 

da  cui 

onde  a  causa  di  ad-^'(=l,  cioè  ^H,i'^=  1,  otteniamo  (escludendo  l'iden- 
tità) l'unica  sostituzione 

0,  1\ 

-1 , 0  ;  • 


W  In  generale  chiamiamo  affini  due  sostituzioni  in  un  gruppo,  quando 
r  una  si  ottiene  dall'altra  trasformando  questa  con  una  sostituzione  del  gruppo 
stesso. 


FORME   BINARIE   QUADRATICHE  65 

Nel  secondo  caso  troviamo  le  due  sostituzioni 

1,0         /  0  ,  -1 
-1,0;  ^1,1 


ossia 


,        ^+1  ,  1 

/= ,    z  =  - 


delle  quali  la  seconda  è  il  quadrato  della  prima  e  che,  nell'intorno  del 

27r 
punto  ^  =  s,  producono  una  rotazione  del  piano  di  —,  la  prima  nel  senso 

ó 

positivo,  la  seconda  nel  negativo.  Dunque:  Le  sostituzioni  ellittiche  del 
gruppo  modulare  sono  a  periodo  2,  ovvero  a  periodo  3  ;  le  prime  sono  tutte 

affini  alla  sostituzione  elementare  (  ,  '  ^  )  >  g,ueUe  a  periodo  3  si  riparti- 
scono in  due  classi  di  sostituzioni,  affini  rispettivamente  alle  due  i    ,  '  ^  )  s 

0,-r 

§.  23. 
Forme  binarie  quadratiche  a  determinante  negativo. 

Mediante  la  rappresentazione  geometrica  del  gruppo  modulare,  sta- 
bilita nei  §§.  precedenti,  si  può  dare  un'elegante  interpretazione  a  quel 
capitolo  della  teoria  dei  numeri  che  tratta  delle  forme  binarie  quadra- 
tiche, della  loro  riduzione,  della  risoluzione  dell'equazione  di  Peli  ecc., 
come  si  può  vedere  diffusamente  esposto  nel  1.°  volume  della  Theorie 
der  elliptischen  Moduìfunctionen  di  Klein-Fricke  (3^^  Kap.  pag.  243  s.  s.). 

Noi  qui  ci  limiteremo  al  caso  che  ha  maggiore  interesse  per  la  teo- 
ria delle  funzioni  ellittiche  (moltiphcazione  complessa),  al  caso  cioè  di 
una  forma  quadratica 

(15)  ax^ -\-  2hxy  -\-  cìf 

a  determinante  Y)  =  W-ac  negativo,  i  coefficienti  a,ì),c  essendo  sup- 
posti numeri  interi.  Manifestamente  i  cofficienti  estremi  a,  e  hanno  lo 
stesso  segno  e  li  supporremo  sempre  positivi,  bastando  nel  caso  opposto 
cangiare  di  segno  tutti  i  coefficienti.  Ricordiamo  che  la  forma  (15)  si 
dice  equivalente  alla  forma  : 

(15*)  ax"-\-2b'x'y'-\-c'y" 


66  CAPITOLO   II.  —  §.  23 

quando  la  prima  si  traduce  nella  seconda  mediante  una  sostituzione  li- 
neare sulle  variabili 

/  a;  :=  a  ic'  +  ?  y' 
(16) 

a  coefl&cienti  interi  e  a  determinante  a  o  -  ,3  y  =  1  •  Le  infinite  forme  equi- 
valenti ad  una  data  costituiscono  ciò  che  si  dice  una  classe  di  forme; 
esse  hanno  tutte  egual  determinante.  Tutte  le  forme  di  eguale  deter- 
minante si  distribuiscono  in  altrettante  classi  ed  uno  dei  principali  ri- 
sultati della  teoria,  che  ci  proponiamo  qui  di  stabilire,  consiste  in  questo 
che  il  numero  delle  classi,  corrispondenti  ad  un  dato  determinante,  è 
sempre  un  numero  finito. 

Si  dicono  radici  della  forma  (15)  le  due  radici  della  equazione 

a  Di'  -\-  2  b  Dì  -\-  e  =  0  , 

che  nel  caso  nostro,  essendo  D=  -A  =  &^-ac  negativo,  sono  coniugate 
immaginarie  ed  hanno  i  valori 

-6  +  iv/A  -6-iv'^ 


L' indice  della  prima  radice  oh  è  situato  nel  semipiano  positivo  e  si 
dirà  r  indice  della  forma.  È  importante  osservare  che  una  forma  {a,  b,  e) 
a  determinante  negativo  è  pienamente  determinata  quando  sia  dato  il  suo 
determinante  ed  il  suo  indice. 

Ciò  posto,  consideriamo  due  forme  (15),  (15*)  equivalenti  e  i  loro 
rispettivi  indici  Wi,  co'i,  che  per  le  (16)  e,  per  essere  ao-|3Y=  +  l, 
saranno  legati  dalla  relazione 

aco'i  +  ,3 

Oh  =  — r— 1=  , 
Y  co  1+0 

onde  vediamo  che  due  forme  equivalenti  hanno  indici  equivalenti  rispetto 
al  gruppo  modulare.  Viceversa,  dall'osservazione  fatta  sopra,  risulta  che 
due  forme  di  egual  determinante  saranno  equivalenti  se  hanno  indici 
equivalenti.  Ora,  con  una  sostituzione  del  gruppo  modulare,  possiamo 
trasportare  l'indice  di  una  forma  nel  triangolo  fondamentale 

(17)  "Y^^^  +  T      ^  +  y'2:i- 


FORME   RIDOTTE  G7 

Se  chiamiamo  dunque  ridotta  una  forma  quando  il  suo  indice  giace 
ne]  triangolo  fondamentale,  abbiamo  il  teorema: 

Ogni  forma  a  determinante  negativo  è  equivalente  ad  una  f^rma  ri- 
dotta. 

A  quali  condizioni  debbono  soddisfare  i  coefficienti  di  una  forma 
ridotta  {a,  b,  e)?  Poiché  l'indice  è  dato  da 

,    .           -&  +  iv/A 
(Oi  =  rr  -f  i  2/  = , 

le  diseguaglianze  (17)  si  traducono  nelle  altre  pei  coefficienti 
(17*)  2l6|<a<c. 

Queste  sono  appunto  le  condizioni  cui  deve  soddisfare  una  forma 
ridotta  secondo  Gauss. 

Dalle  diseguaglianze  (17*)  segue  subito  che  esiste  soltanto  un  nu- 
mero finito  di  forme  ridotte  di  assegnato  determinante,  poiché  dalle  (17*) 
abbiamo 

4:b'<ac    ,     36' <  A, 

quindi  |  6 1  <  1  /  -  .  Il  coefficiente  medio  h,  assegnato  A,  non  può  dunque 

avere  che  un  numero  finito  di  valori  e  per  ciascuno  di  essi,  a  causa  di 
A  =  ac-6^  i  coefficienti  estremi  a,  e  debbono  corrispondere  ad  una  de- 
composizione del  numero 

1  -{-  b^  =  ac 

nel  prodotto  di  dne  fattori.  Poiché  adunque  ogni  forma  è  equivalente 
ad  una  ridotta,  e  le  forme  ridotte  di  egual  determinante  sono  in  numero 
finito,  risulta  dimostrato  il  teorema  fondamentale: 

Le  forme  di  egual  determinante  negativo  si  distribuiscono  iti  un  nu- 
mero finito  di  classi. 

Per  risolvere  il  problema  fondamentale  della  teoria  dell'equivalenza, 
che  consiste  nel  riconoscere  se  due  forme  di  egual  determinante  appar- 
tengono 0  no  alla  medesima  classe,  resta  a  vedere  se  due  forme  ridotte 
possono  essere  equivalenti.  Poichà  i  loro  indici  appartengono  al  trian- 
golo fondamentale,  ciò  avverrà  soltanto  quando  si  trovino  sul  contorno, 
simmetricamente  disposti  rispetto  all'asse  immaginario.  Se  appartengono 


68  CAPITOLO  II.  —  §.  23,  24 

al  contorno  rettilineo,  le  due  forme  ridotte  equivalenti  presenteranno  i 
coefficienti 


/  1  ^,  /  1 

[a  ,    ~a,   cj         [CI,   -- 


e,  se  appartengono  al  contorno  circolare,  saranno 
{a  ,  h  ,  a)         (a  ,   -  &  ,  a)  '  ^' . 

§.  24. 
L' affinità  circolare  trasportata  nello  spazio  e  le  formole  di  Poincaré. 

Il  metodo  dell'ampliamento  per  riflessione,  che  abbiamo  adoperato 
per  lo  studio  del  gruppo  modulare,  riesce  per  molte  altre  classi  di  gruppi 
propriamente  discontinui  nel  piano  complesso.  Ma  vi  sono,  come  già  ab- 
biamo detto  al  §.  14,  dei  gruppi  che,  senza  contenere  sostituzioni  infi- 
nitesimali, sono  in  tutto  il  piano  impropriamente  discontinui. 

Nonostante  possiamo  estendere  anche  a  questi  gruppi  la  nozione  di 
campo  fondamentale,  passando  con  un  ingegnoso  artifizio  dovuto  a  Poin- 
caré {Acta  Mathematica,  T.  3),  dalla  rappresentazione  geometrica  nel 
piano  ad  una  rappresentazione  dello  spazio.  Per  intendere  come  si  ef- 
fettua questo  passaggio,  ricordiamo  che  la  sostituzione  lineare 

,        a^  +  P 

^  =  ^ 

'l^  +  O 

cangia  i  circoli  in  circoli  e  di  più  un  fascio  od  una  rete  di  circoli  egual- 
mente in  un  fascio  od  una  rete.  Ora  se  consideriamo  una  rete  di  circoli, 
essa  è  determinata  da  tre  dei  suoi  circoli  e  consta  di  tutti  i  circoli  nor- 
mali ad  un  cerchio  fisso,  che  ha  per  centro  il  centro  radicale  dei  tre 
circoli  ed  ha  per  quadrato  del  raggio  la  potenza  di  questo  centro  rispetto 
a  ciascun  circolo  della  rete.  Il  cerchio  fisso  è  quindi  reale  od  immagi- 
nario, secondo  che  questa  potenza  è  positiva  o  negativa.  Nel  secondo 
caso,  che  è  quello  ora  importante  per  noi,  possiamo  anche  dire  che  la 
rete  consta  dei  circoli  che  tagliano  in  punti  diametralmente  opposti  un 
cerchio  reale  fisso.  Ora  noi  osserviamo  che  tutte  le  sfere  descritte  sopra 
i  circoli  di  una  tale  rete  come  circoli  massimi  passano  per  due  punti 
fissi  reali  simmetrici  rispetto  al  piano  delle  rete,  che  sono  i  due  estremi 


W  Cf.  Dirichlet-Dedekind.  Zahlentheorie,  §.  65. 


AFFINITÀ   CIRCOLARE   NELLO   SPAZIO  69 

di  quel  diametro  della  sfera,  avente  per  cerchio  massimo  il  cerchio  fisso, 
che  è  perpendicolare  nel  centro  al  piano  della  figura  (^). 

Ciò  premesso,  consideriamo  l'intero  spazio,  o  meglio  il  semispazio 
C>0,  associando  ai  due  assi  ortogonali  0;,  Oyj  nel  piano  s  un  terzo 
asse  OC  ortogonale  ad  ambedue.  Prendiamo  un  punto  qualunque  P  in 
questo  semispazio  (di  ordinata  C>-0);  le  sfere  che  passano  per  P  ed 
hanno  il  centro  sul  piano  C  =  0  tagliano  questo  piano  in  una  rete  di  cir- 
coli della  specie  ora  considerata.  Questa  è  cangiata   dalla  sostituzione 

lineare  z  = ^  in  una  rete  omologa  che  definisce  nel  semispazio  un 

-(0+0 

punto  P'  pel  quale  vengono  a  passare  tutte  le  sfere  descritte  sui  circoli 
della  nuova  rete  come  circoli  massimi.  Così  rispetto  alla  detta  sostitu- 
zione lineare  ogni  punto  P^(<;,  ■/],  C)  del  semispazio  ne  individua  un  altro 
P'^(^',  -q,  ti')  e  noi  estendiamo,  con  Poincaré,  la  trasformazione  a  tutto  il 
semispazio  facendo  corrispondere  al  punto  P  il  punto  P'. 

Quali  saranno  le  formole  di  trasformazione?  Per  trovarle  basta  tra- 
durre analiticamente  la  definizione  geometrica  della  trasformazione.  Sia 
(§.10): 

(18)  kz  z,  +  B  /  +  Bo/o  +  C  =  0 


(^'  Tutte  le  proprietà  qui  accennate  possono  dimostrarsi  elementarmente,  o 
dedursi  analiticamente  cosi.  Prendiamo  per  origine  delle  coordinate  il  centro 
radicale  dei  circoli  della  rete;  questi  avranno  l'equazioni: 

'   ce*  +  ?/2  +  2  «1  ce  +  2  6, .?/  +  e  =  0  , 

V  x'^  +  y^  +  2a,x+2b^y+.c^0, 
e  taglieranno  ortogonalmente  il  cerchio 

a?^  +  Z/^  =  e  , 
che  è  però  immaginario  se  e  «c^  0.  In  tal  caso  si  consideri  invece  il  circolo 

aj2  +  ?/2  +  e  =  0  , 

che  i  tre  circoli  fondamentali   (e  tutti   quelli   della  rete)   taglieranno   in  punti 
diametralmente  opposti. 

In  fine  la  sfera  che  ha  per  circolo  massimo  p.  e.  il  primo  di  quei  tre  circoli 
ha  per  equazione 

2C^  +  «/^  +  2^  +  2  ^1  ce  +  2  6i  ?/  +  e  =  0 

e  taglia  l'asse  z  nei  du.e  punti  2  =  +  V — e. 


70  CAPITOLO   II.  —  §.  24 

l'equazione  dì  un  circolo   della   seconda   rete,  dove  A,  B,  C  sono  para- 
metri arbitrarii  (i  due  estremi  reali).  Ponendo 

sarà 

(18*)  Ar/'  +  ByH-Bo/o+C  =  0 

l'equazione  della  sfera  corrispondente. 

Il  circolo  (18)  si  muta,  per  la  sostituzione  lineare 

neir  altro 

(A  7. «0+  B a  Yo+  Bo^o Y  +  C  y  Yo)  ^ -^o  +  (Aa,3o+  B 7.  òo+  Bo,3o7  +  C  Y  ^o)  -^  + 

(AaoHBoaoO  +  BPyo+  Cyo^)  s,-\-  Appo+Bi^Oo+Bopoò  +  Cooq  =  0  ; 

la  sfera  che  lo  ha  per  circolo  massimo  ha  quindi  per  equazione: 

A  (a7.op^+7.;3o^  +  otop^o+??o)  +  B  (aYof-'^+  a^V  +  pYo-^o+P^o)  + 

e  deve  contenere  il  punto  P^ (£,-/],  C).  Paragonando  quest'ultima  equa- 
zione colla  (18*),  ne  deduciamo  per  le  formolo  richieste: 

,2_  actof/+aj3o^  +  7.o{3^o+(3|3o 

Y  To  p^T  ^0 ^  +  Yo  5 -2^0+ 5  Òo 

,  _  c(Yof/+(y-^o^  +  P Yo-go+  3 ^0 
YYof^^+Y  ^0^  +  Yo5^o+  §§0 

/  _  °toYP^+^o5^o+  (^oY^  +Po^ 

Y  Yo  '/ + Y  ^  0  ^  +  Yo  ^  'S'o + ^  èo 

Se  calcoliamo    da  queste   'C  =  [J' - z  z^,  supponendo  come  al   solito 
aS-PY  =  1>  troviamo 

(19*)  C  =  ^ 


(19) 


YYor>''+Y§o-2'  +  YoS'8'o+§<5o  * 


Questa  trasformazione  dello  spazio  conserva  gli  angoli  e  cangia  le 
sfere  in  sfere  e  di  più  il  piano  k'f\  in  sé  stesso,  quindi  i  circoli  normali 


LE    FORMOLE   DI   POINCARÉ  71 

a  questo  piano  in  altrettali  circoli  (^'.  Se  consideriamo  la  totalità  delle 
sostituzioni  lineari,  esse  formano  un  gruppo  contìnuo,  al  quale,  colle  for- 
molo (19),  (19*)  facciamo  corrispondere  un  gruppo  isomorfo  di  trasfor- 
mazioni conformi  dello  spazio. 
Osserviamo,  che  la  sostituzione 

,  _  g^  +  p 

se  non  è  parabolica,  avrà  sul  piano  ?  tj  due  punti  distinti  fìssi  A,  B  ed  il 
circolo  condotto  per  A,  B  normalmente  al  piano  si  cangerà  in  sé  mede- 
simo. In  particolare  quando  la  sostituzione  è  ellittica,  tutti  i  punti  del 
circolo  rimarranno  fissi  *^'. 

È  manifesto  che  le  nostre  deduzioni  restano  invariate  se,  in  luogo  di 
una  sostituzione  di  1.*  specie,  ne  consideriamo  una  di  2/ 

soltanto  dovremo  nelle  formole  di  Poincaré  scambiare  z  con  s'o .  In  par- 
ticolare, se  consideriamo  una  riflessione  e  sul  circolo  di  riflessione  come 
circolo  massimo  descriviamo  una  sfera,  la  trasformazione  corrispondente 
dello  spazio  sarà  un'inversione  per  raggi  vettori  reciproci  rispetto  a 
questa  sfera.  Noi  la  diremo  una  riflessione  su  questa  sfera,  che  si  chia- 
merà perciò  sfera  di  riflessione. 


(*)  Si   può  dimostrare  facilmente  la  cosa,  osservando  che  ciò  ha  luogo  per 
le  trasformazioni  corrispondenti  alle  sostituzioni  lineari  elementari 

z'  =  z-\-  a    ,     z'  =  kz    ,     2'  ==  —  , 

z 

colle  quali  ogni  altra  piiò  comporsi. 

(^)  Ciò  si  vede  nel  modo   più  semplice  riducendo  la  sostituzione  (ellittica) 
alla  forma  normale 

0 
con  c(  ò  =  1 ,  I  (z  I  =  I B I ,  dopo  di  che  le  formole  di  Poincaré  danno 


z  =  -^  z       e  =  e 

0 

e  rappresentano  semplicemente  una  rotazione  dello  spazio  attorno  all'asse  OC. 


72  CAPITOLO  II.  —  §§.  24,  25 

Consideriamo  ora  un  gruppo  discontinuo  di  sostituzioni  lineari  ed  il 
gruppo  corrispondente  di  trasformazioni  conformi  dello  spazio.  Possiamo 
trasportare  nello  spazio  la  nozione  di  punti  equivalenti  rispetto  al  gruppo 
e  di  campo  fondamentale,  che  sarà  ora  un  campo  a  tre  dimensioni.  Di- 
remo dunque  che  un  gruppo  discontinuo  di  sostituzioni  lineari  è  pro- 
priamente discontinuo  nello  spazio  se  tale  è  il  gruppo  corrispondente 
di  trasformazioni  dello  spazio.  È  chiaro  che  un  gruppo  con  sostituzioni 
infinitesimali  è  sempre  impropriamente  discontinuo  anche  nello  spazio; 
ma  nel  caso  opposto  abbiamo  l' importante  teorema  di  Poincaré  che  anche 
qui  ci  limitiamo  a  citare  :  Ogni  gruppo  discontinuo  di  sostituzioni  lineari, 
privo  di  sostituzioni  infinitesimali,  è  sempre  propriamente  discontitiuo  ndlo 
spazio. 

§.  25. 
Il  gruppo  delle  sostituzioni  unimodulari  a  coefficienti  interi  complessi. 

Come  applicazione  del  metodo  di  Poincaré,  esposto  nel  §.  precedente, 
tratteremo  il  gruppo  delle  sostituzioni  unimodulari 

ao  — i3y=1  , 


Y'^  +  5    ' 

i  cui  coefficienti  sono  numeri  interi  complessi  di  Gauss,  cioè  della  forma 

a  -\-  hi  , 

essendo  a,  h  interi  reali.  Questo  gruppo  é   impropriamente  discontinuo 
in  tutto  il  piano,  come  risulta  subito  dall'osservare  che  rispetto  al  gruppo 

attuale  sono  equivalenti  al  punto  ^  =  0  e  fra  loro  tutti  i  punti  z  = 

C  'T   Ctì/ 

e  questi  formano  un  gruppo  di  punti  ovunque  condensato  nel  piano  <^'. 


<*)  Questa  proposizione,  che  risulta  dalle  proprietà  elementari  degli  interi 
complessi  di  Gauss,  può  dimostrarsi  anche  cosi.  Prendasi  per  ò  uno  degli  infiniti 
numeri  primi  reali  p  della  forma  4n-[-3  e  per  ^j ,  ^.,  due  numeri  qualunque 
(reali)  non  simultaneamente  divisibili  per  p.  Possiamo  sempre  trovare  due  interi 
complessi 

o.  =  a^-\-i  czg  ,    -f  =  Yi  +  n2 , 

tali  che  sia 

al  —  Py  =  {y-1  +  ic/.j)  p  -  (P^  +  ^  ?2)  (Ti  +  «  T2)  =  1  • 


GRUPPO   COMPLESSO   Gq  73 

Ma  se  passiamo  dal  piano  allo  spazio,  il  gruppo  sarò  propriamente  di- 
scontinuo e  noi  ci  proponiamo  di  determinarne  il  campo  (poliedro)  fon- 
damentale. 

In  luogo  però  di  considerare  solo  le  sostituzioni  con  aò-^';  =  l,  qui 
ammettiamo  che  il  determinante  possa  essere  una  qualunque  delle  quattro 
unità  del  campo  complesso 

1    ,     — 1    ,     i    ,     — i 

e  poiché,  moltiplicando  i  quattro  coefficienti  per  l,  il  determinante  cambia 
segno,  possiamo  limitarci  a  considerare  le  sostituzioni 

con  coefficienti  interi  complessi  e  determinante 

ao  —  Py  =  À  5    0  =i. 

Questo  gruppo,  che  indicheremo  con  G,  contiene  il  precedente  come 
sottogi'uppo  invariante  d' indice  2. 

Per  lo  studio  del  nostro  gruppo  G  è  importante  un  ampliamento  per 
riflessione,  che  si  ottiene  associando  alle  sostituzioni  (20)  di  1.^  specie 
le  altre  di  2.*  specie 

(20*)  •''  =  .77t|     .      o.5-p-,  =  l,i. 


(mod  p) , 

i  % 


Basta  per  ciò  determinare  due  interi  reali  "d ,  Ta  >  che  soddisfino  le  congruenze 

h  h  —  Pi  Ti  -  1 
P.T2  +  P2T1-O 

ciò  che  è  sempre  possibile,  il  determinante  del  sistema  1  [^^      ^^     =p?-f"PÌ  ^'^^^ 

Pi       '  - 
essendo  divisibile  per  p.  Dunque  tutti  i  punti  razionali  di  coordinate  —  ,  — 

sono  equivalenti  e,  poiché  p  può  essere  grande  quanto   si  vuole,  ne  risulta  il 
teorema. 

Osservazione.  —  Che  vi  siano  infiniti  numeri  primi  della  forma  4  n-\-S  risulta  da 
un  teorema  generale  di  Dirichlet;  ma  si  può  dimostrare  elementarmente,  seguendo 
un  procedimento  di  Euclide,  così  :  Consideriamo  i  numeri  primi  della  forma 
4n-[-3  fino  ad  uno  qualunque  di  essi  p,  e  siano 

3,  7,  11, ...p. 

Il  numero   N  =  3^ .  72,  II2 p"  +  2  è  ^  3  (mod  4)  ed    ammette   quindi 

qualche  fattore  primo  della  forma  4:n-{-S,  che  è  al  di  là  di  quelli  considerati. 


74  CAPITOLO    II.  —  §.  25 

Le  (20),  (20*)  insieme  formano  un  gruppo  Gq,  in  cui  G  è  invariante 
d'indice  2. 

Per  determinare  il  campo  fondamentale  del  gruppo  ampliato  Go,  se- 
guiremo un  metodo  perfettamente  analogo  a  quello  tenuto  pel  gruppo 
modulare  e  comincieremo  dal  trovare  le  riflessioni  (proprie)  contenute 
in  Go.  Queste  ci  saranno  date  dalla  formola  (9)  pag.  41,  quando  si  sia  reso 
=  1  il  determinante  della  sostituzione.  Fra  le  sostituzioni  di  2.*  specie 
(20*)  a  determinante  =  1  le  riflessioni  saranno  quindi  date  dalla  formola 

i  numeri  interi  aj,  7.3,  3i,  Yi  soddisfacendo  l'equazione 
(22)  '/?  +  ^l  +  PiYi  =  l. 

Le  sostituzioni  (20*)  a  determinante  i  si  riducono  a  determinante  1 

1  +  i 
moltiplicando  i  quattro  coefficienti  per  — ^^  e,  se  applichiamo  ancora  la 

V2 
citata  formola  (9),  troviamo  le  nuove  riflessioni 

/2i*N  j^  (ai+ia2)^o+(l-i)5i 

(1  -i)  Ci  So +{€(2+1  ai)  ' 

i  numeri  interi  reali  «i,  «2,  &i,  Ci  essendo  assoggettati  alla  condizione 

(22*)  al  +  al  +  2biCi  =  l. 

Fra  le  riflessioni  (21),  (21*)  ve  ne  hanno  di  quelle  che  avvengono 
sopra  piani  e  sono  quelle  che  corrispondono  rispettivamente  a  'd  =  0,  Ci  =  0. 
Otteniamo  così  i  piani  di  riflessione: 

(A)  2i  =  h  ,    2r^=^b  ,    i--q  =  h  ,    ^+-q  =  b, 

essendo  b  un  intero  reale  qualunque. 

Per  Yi  0  Ci  differenti  da  zero,  abbiamo  poi  le  due  specie  di  sfere  di 
riflessione  : 

(B)  !  \         Yi/        \         Yi/  fi 

o\  +  a|  ^  1     (mod  Yi) 


(B*)  \\  2  e,  y     '    V  '         2  Ci  y    '  2c{ 

c^i  +  a\^\     (mod  2 Ci) . 


PIRAMIDE   FONDAMENTALE  DI   Gq  75 

Le  forinole  (A),  (B),  (B*)  danno  tutte  le  sfere  di  riflessione  di  Gq. 

Come  al  §.  18,  così  ora  si  vede  che  se  si  considera  nel  semispazio 
positivo  la  regione  compresa  fra  quattro  piani  paralleli  ai  piani  coor- 
dinati K,  'q^: 

a  =  A,    ^  =  B,    ri  =  C  ,    r]=D, 

al  di  sopra  del  piano 

c  =  ^      (^  >  0) , 

questa  non  è  solcata  che  da  un  numero  finito  di  sfere  e  piani  di  rifles- 
sione. In  secondo  luogo  ogni  sostituzione  di  Gq,  applicata  alle  sfere  di 
riflessione,  le  scambierà  fra  loro. 

Ciò  premesso,  possiamo  facilmente  determinare  un  poliedro  fondamen- 
tale pel  gruppo  Go.  Si  considerino  invero  i  tre  piani  di  riflessione 

i  =  \  ,    vi  =  0    ,     ^-■q  =  0; 

questi  hmitano  nel  semispazio  positivo  un  prisma  triangolare  (isoscele) 
aperto,  che  non  è  più  attraversato  da  alcun  piano  di  riflessione.  Consi- 
deriamo poi  la  sfera  di  riflessione  del  tipo  (B) 

che  taglia  tutte  tre  le  facce  del  prisma. 

La  regione  del  prisma  esterna  a  questa  sfera  è  una  piramide  con  un 
vertice  all'infinito  e  coi  tre  vertici  al  finito 

V2 


V,^(0,0,1),    V,^^-,0,-^,    V3  =  ^-,- 


Dimostreremo  che  questa  è  una  piramide  fondamentale  di  Go.  Per 
ciò  basta  osservare:  L°  che  nessuna  sfera  di  riflessione  attraversa  la 
piramide;  2.°  che  nessuna  sostituzione  di  G,,  trasforma  la  piramide  in  sé 
stessa.  La  prima  cosa  risulta  da  ciò  che  nessuna  sfera  di  riflessione  può 
contenere  nel  suo  interno  un  vertice  Vi,  o  V2,  o  V3.  E  invero  il  raggio 

di  una  tale  sfera  dovrebbe  essere  >  —^ ,  quindi  =  1  ;  ma  le  sfere  di  rag- 

gio  =  1  hanno  i  centri  nei  punti  interi  del  piano  ^  =  «i  +  i  «2  e  non  at- 
traversano il  poliedro.  In  secondo  luogo  una  sostituzione  di  Gq,  che  can- 
giasse la  piramide  in  sé  stessa,  dovrebbe  lasciar  fisso  il  vertice  'Q=  co 


76  CAPITOLO  II.  —  §§.  25,  26 

quindi  anche  gli  altri  tre,  di  cui  lascierebbe  fìssa  T  ordinata.  Dopo  queste 
osservazioni,  il  ragionamento  procederà  come  pel  gruppo  modulare  e  si 
vedrà  che,  applicando  alla  piramide  tutte  le  sostituzioui  di  Gq,  si  riempirà 
il  semispazio  positivo  con  altrettante  piramidi  equivalenti.  Ne  risulta: 
Ogni  punto  del  semìspazio  positivo  e  equivalente  rispetto  a  Gq  ad  uno  e 
ad  un  solo  punto  della  piramide  fondamentale. 

Per  avere  il  poliedro  fondamentale  del  gruppo  G,  basterà  p.  e.  asso- 
ciare alla  piramide  la  sua  simmetrica  rispetto  al  piano  e  -  Y|  =  0.  I  punti 
di  questo  poliedro  sono  caratterizzati  dalle  disuguaglianze 

(0<a<|      ,       0<7]<| 

(23)  j     -    -  2     '        -  '  -  2 

(  ^2+-^2  4.c2>i. 

Osservazione.  —  Il  metodo  che  qui  abbiamo  tenuto  per  lo  studio  del 
gruppo  G  potrebbe  egualmente  applicarsi  ai  gruppi  di  sostituzioni  lineari 
unimodulari 

0.3  +  ^ 
^   =  k   > 

Y^  +  0 
nelle  quali  i  numeri  a,  p,  y,  3  percorrono  gli  interi  della  forma 

a-\-ihyjTt  , 
dove  D  indica  un  numero  intero  positivo  ed  a,  Z*  interi  ordinarli  '^). 

§.  26. 
Decomposizione  di  un  numero  nella  somma  di  quattro  quadrati. 

I  risultati  ottenuti  nel  §.  precedente  consentono  importanti  applica- 
zioni aritmetiche  alla  teoria  delle  forme  quadratiche,  per  le  quali  riman- 
diamo al  1.°  volume  delle  Automorphe  Fundionen  del  Fricke.  Qui  ci  li- 
miteremo a  dedurne  il  teorema  :  Ogni  numero  intero  è  la  somma  di  quattro 
quadrati  (interi). 

Se  m  è  un  numero  intero  qualunque,  possiamo  sempre  trovare  (e  in 
diversi  modi)  due  numeri  interi  r,  s  tali  che  r*+s^+l  sia  divisibile  per  m, 


(*)  Cf.  le  memorie  dell'autore  nei  volumi  38,40  dei  Mathematische  Annalen. 


DECOMPOSIZIONE  DI   UN   NUMERO   IN   QUATTRO   QUADRATI 


77 


Cloe; 


r'  +  sM-  l^sO     (mod  m)  (^) 
Consideriamo  ora  il  punto 


■'  r        s        1 


dello  spazio  e  troviamo,  rispetto  al  gruppo  del  §.  precedente,  il  suo  equi- 
valente nella  piramide  fondamentale.  Applicando  le  formolo  di  Poincaré 
(19),  (19*)  col  fare 


r+ts 
m 


?' 


r'+s'+l 


mr 


vediamo  subito  che  le  coordinate  del  punto   equivalente  saranno  della 
forma 

/        s         1 


Ma  dalle  diseguaglianze  (23)  deduciamo  che  si  avrà 

/  =  0  ,    5'  =  0  ,    m'  =  1  ; 

/r      s       1\ 
cioè  il  punto  (  ~  '  ~  '  ~  )  sarà  equivalente  al  vertice  (0,  0,  1)  della  pi- 


(*)  Nel  caso  dì  m  numero  primo,  si  dimostra  subito  l'asserzione  osservando 
che,  se  r  percorre  un  sistema  completo  di  resti  (mod  m),  non  può  il  niimero 
—  (r^  -|-  1)  essere   sempre  non  residuo  (mod  m),. ,  altrimenti   per  tutti  i  valori 

di  r  sarebbe 

111— 1 
[—  (r?  + 1)]~2~  =  —  1    (mod  m) 

e  la  congruenza,  che  è  di  grado  m  — 1,   avrebbe  m  radici,   ciò  che  è  assurdo. 
Dal  caso  di  un  modulo  primo  si  risale  al  caso  di  un  modulo  composto  in  modo  noto. 
E   del  resto   basta  dimostrare  il  teorema  del  testo  per  un  numerò  primo 
ricordando  che,  per  l'identità  (d'Eulero) 


a  +  i  6        c-\-id 
-c-\-id        a  —  ib 


p-\-iq        r  -\-is 
— r  -{-is        p  —  iq 


__  I  («+i  &)  [P+i  g)  +  (  e  +  ^■  cZ  )  (;•+/  s)    ,     (a+i  b)  (-r+i s)  +  (c+i  d)  {p-i  q) 
I  {a—i b)  {r+i  .9)  +  {—c^id)  [p^i q)    ,     {a~i  b){p  —  iq)-\-  (c—i  d)  (r—i  s) 

un  prodotto  di  due  somme  di  quattro  quadrati  è  ancora  la  somma  di  quattro 
quadrati. 


78  CAPITOLO   III.  —  §.  27 

ramide  fondamentale.  Sia  ora  (    "^  )  la  sostituzione  che  porta  (0  ,0. 1)  in 

(T         S  1  \ 

-,   -,  -     La  formola  (19*),  pag.  70,  ci  dà  subito 
m     m     mj 

cioè 

il  che  dimostra  il  teorema  enunciato. 

Capitolo  IIL 

Trasformazioni  di  integrali  doppi  in  integrali  semplici.  —  Funzioni  armoniche 
e  loro  proprietà  fondamentali.  —  Problema  di  Dirichlet  e  sua  risoluzione 
nel  caso  del  campo  circolare. 

§■  27. 
Integrali  curvilinei.  —  Integrali  doppi. 

Riprendendo  ora  lo  studio  generale  delle  funzioni  di  variabile  com- 
plessa, dobbiamo  innanzi  tutto  far  conoscere  alcune  formolo  fondamentali 
di  trasformazioni  dì  integrali  doppi,  estesi  ad  aree  piane,  in  integrali 
semplici  estesi  al  contorno  dell'area,  che  ci  serviranno  a  dimostrare  le 
più  importanti  proprietà  delle  soluzioni  dell'equazione  di  Laplace: 

e  più  tardi  a  stabilire  la  nozione  e  le  proprietà  degli  integrali  di  fun- 
zione di  variabile  complessa,  il  cui  studio  è  essenziale  per  tutta  la  teoria. 
Cominciamo  dal  ricordare  alcune  nozioni  di  calcolo  integrale.  Sup- 
poniamo di  avere  nel  piano  xy  un'area  A  <:onnessa  '^',  racchiusa  da 
uno  0  più  contorni  e  siano  fix,y),  '^{x,y)  due  funzioni  dei  punti  dell'area, 
per  le  quali  supponiamo  verificate  le  condizioni  seguenti  :  tanto  la  f  che 
la  <p  siano  finite  e  continue  in  tutta  Varca  e  inoltre  la  9  ammetta  derivate 

parziali  prime  —-  ,  ^  pure  finite  e  continue.  Tracciamo  nell'area  un  arco 


(^)  Un'area  si  dice  connessa  (0  d'un  solo  pezzo)  quando,  presi  due  punti 
qualunque  a,  b  dell'  area,  si  può  andare  da  a,  b  per  linee  appartenenti  intera- 
mente all'area. 


INTEGRALI    CURVILINEI  79 

di  curva  ordinaria  qualunque  nin,  che  percorriamo  da  m  ad  n.  Che  cosa 
intenderemo  2)er 


Lungo  l'arco  mn  le  coordinate  x,y  di  un  punto  variabile  sono  fun- 
zioni di  una  sola  variabile,  per  es.  dell'arco  s  della  curva,  che  contiamo 

per  semplicità  dall'estremo  m,  ed  esistono  le  derivate  -^r-  ,  -r^  finite  e 

ds      ds 

continue.  La  /  e  la  'f  sono  pure,  lungo  mn,  funzioni  finite  e  continue  di 
s  e  inoltre,  per  le  ipotesi  fatte,  esiste  ed  è  finita  e  continua  la  derivata 

-3^.  Ciò  posto,  se  con  S  indichiamo  la  lunghezza  dell'arco  totale  da  m 
ds 

ad  n,  intenderemo  che   /  f  ds  significa  l' integrale  definito  ordinario 


ifdp  sig 


•/  are  m  ii  ^  (J 

È  chiaro  che,  se  invertiamo  il  senso  d' integrazione,  l' integrale  cangia 
segno,  cioè 

«^  are  m  n        »^orc  ii  m 

Ma  possiamo  anche  dare  una  definizione  diretta  di  1  fd'{>,  come  li- 
mite di  una  somma,  che  è  un'estensione  di  quella  degli  ordinari  integrali 
definiti.  Dividiamo  per  ciò  l'arco  mn  in  intervalli  parziali  di  lunghezze 

5i  ,    §2  ....  0,. , 

il  cui  numero  r  faremo  poi  crescere  all'infinito,  mentre  ciascuno  di  essi 
dovrà  tendere  a  zero,  e  formiamo  la  somma 

dove  f,  è  uno  qualunque  dei  valori  che  /"assume  nell'intervallo  5,-  e  A'f, 
l'accrescimento  che  subisce  'f  nel  passare  dal  primo  al  secondo  estremo 
di  e,.  Se  facciamo  impiccolire  indefinitamente,  con  una  legge  qualsiasi, 
i  singoli  intervalli  5,,  ingrandendo  il  loro  numero  all'infinito,  la  detta 
somma  converge  verso  un  limite  determinato,  jndipendente  dalla  legge 


80  CAPITOLO   III.  —  §.  27 

di  divisione  in  intervalli  e  dai  valori  intermedii  f,  scelti  per  la  f,  e  questo 
limite  coinciderà  appunto  coli' integrale  sopra  definito.  La  coincidenza 
delle  due  definizioni  si  riconosce  facilmente  osservando  che,  per  una  for- 
mola  fondamentale  di  calcolo  differenziale,  si  ha  A  'f ,  =  §,  'f', ,  indicando  'f ',• 

un  conveniente  valore  intermedio  della  derivata  —-  nell'intervallo  o^,  ed 

as 

è  quindi 

Ma,  se  indichiamo  con  /",  il  valore  di  f  nello  stesso  punto  di  o,  in  cui 
è  preso  il  valore  'f',,  si  ha 

e  d'altra  parte  la  differenza 

2;  s.  A  T'i  -  2  5^  /^?''  =  2  ^^  (/•  -7^)  '^'< 

tende,  come  subito  si  vede,  a  zero,  onde  segue 

In  particolare  intendiamo  il  significato  di  integrale  curvilineo  ffdx\ 
ma,  a  scanso  di  equivoci,  conviene  bene  osservare  che  mentre  nell'in- 
tegrale definito  ordinario  il  dx  è  sempre  positivo,  qui  invece  sarà  dx 

dx 
positivo  0  negativo  secondo  che    -  è  positivo  0  negativo,  cioè  secondo 

che  la  curva  d'integrazione,  nel  suo  verso  positivo,  si  allontana  0  si 
avvicina  nel  punto  considerato  all'asse  delle  y. 

Supponiamo  ora  che  sia  Y{x,y)  una  funzione  finita  in  tutta  l'area 
A  e  dividiamo  l'area  A  in  un  certo  numero  di  aree  parziali 

il  cui  numero  facciamo  poi  crescere  all'infinito,  impiccolendo  indefini- 
tamente in  ogni  senso  ciascuna  area  parziale  (in  modo  cioè  che  preso 
un  numero  t  piccolo  a  piacere,  da  un  certo  punto  in  poi  ciascuna  area 
parziale  0,  possa  essere  contenuta  in  un  cerchio  di  raggio  ì),  e  costruiamo 
la  somma 


INTEGRALI    D  AREA  81 

indicando  con  F,  uno  qualunque  dei  valori  che  la  F  ha  nell'area  o,,  od 
anche  un  valore  semplicemente  compreso  fra  il  limite  superiore  e  l' in- 
feriore di  F  in  Oj.  Se  questa  somma  ha  un  limite,  indipendente  dalla 
legge  di  divisione  in  aree  parziali  e  dai  valori  F,  scelti,  questo  limite 
si  dice  V integrale  d'area 


f 


F  eh. 


È  noto  che,  analogamente  come  per  gli  integrali  definiti  semplici, 
perchè  si  verifichino  tutte  le  condizioni  ora  enunciate,  basta  che  la  somma 

dove  D,  sta  a  significare  l'oscillazione  della  funzione  F  nell'  area  a, ,  per 
una  particolare  legge  di  divisione  in  aree  parziali,  abbia  per  limite  zero. 
Allora  la  funzione  F  si  dice  integrabile  superficialmente  nell'area.  Tutte  le 
funzioni  continue  nell'area  sono  certo  anche  integrabili. 

Il  modo  più  usuale  di  divisione  in  aree  parziali  è  quello  che  adopera 
rettangoh  coi  lati  paralleli  agli  assi  coordinati,  conducendo  all'asse  delle 
y  e  delle  x  parallele  distanti  l'una  dalla  successiva  di  ù^x ,  ù^y,  dove 
Aic,  ^.y  possono  essere  costanti  od  anche  variabili,  ma  debbono  tendere 
poi  simultaneamente  a  zero.  Allora  la  somma  I F,  o^  diventa  la  somma 
doppia 

22FA^Ay, 

che  s' intende  estesa  non  solo  a  tutti  i  rettangoli  appartenenti  interamente 
all'area,  ma  anche  a  quelli  che  solo  in  parte  vi  appartengono,  essendo- 
ché, per  l'alterazione  così  prodotta  nella  somma,  non  cangia,  come  si  dimo- 
stra, il  limite.  L'integrale  d'area  si  suole  scrivere  per  ciò  anche  come 
integrale  doppio 


// 


F  {x,  y)  dxdy\ 

e  quando  la  funzione  F  {x,  y)  sia  integrabile  linearmente  sopra  ogni  pa- 
rallela all'asse  delle  x  (o  delle  y),  l'integrale  stesso  si  potrà  riguardare 
come  risultato  di  due  integrazioni  successive  e  scrivere 

(1)  j Jy  {x,  y)  dx  dy  =jdy  (/  F  (^,  y)  dx) . 

Quanto  ai  limiti  delle  due  successive  integrazioni  semplici  rispetto 
ad  x  QÙ.  y,  h  da  osservarsi  che,  eseguendo  la  integrazione  rispetto  ad  x, 

6 


82  CAPITOLO  III.  —  §§.  27,  28 

la  y  resta  fissa,  cioè  ci  muoviamo  lungo  una  parallela  all'asse  delle  x, 
e  l'integrale  jY{x,y)  cìx  dovrà  decomporsi  in  tante  parti  (integrali  de- 
finiti ordinarli)  in  quante  parti  la  detta  parallela  risulta  decomposta  dai 
contorni  dell'area. 

Il  risultato  di  questa  integrazione,  che  è  una  certa  funzione  di  y, 
deve  poi  integrarsi  rispetto  ad  y  fra  i  limiti  estremi  delle  ordinate  del- 
l' area. 

§•  28. 
Forinola  dì  Gauss. 

Neil'  area  piana  connessa  A,  limitata  da  una  o  piìi  curve  chiuse,  sia 
data  la  funzione  X  {x,  y)  per  la  quale  ammettiamo  che  siano  soddisfatte 
le  condizioni  seguenti:  la  X  sia  in  tutta  l'area  A,  il  contorno  incluso, 
finita,  continua  e  ad  un  sol  valore  e  ammetta  una  derivata  parziale  ri- 

spetto  ad  x:  ^  finita  ed  atta  all'integrazione  supei-ficiale  e  lineare  nel 

senso  dell'asse  delle  x.  Ammettiamo  poi  che  le  curve  contorno  dell'area 
siano  curve  ordinarie,  dotate  in  ogni  punto  di  una  tangente,  che  varia 
con  continuità  al  variare  del  punto  di  contatto,  o  tutto  al  piiì  ammet- 
tano un  numero  finito  di  punti  eccezionali,  ove,  pure  esistendo  una  tan- 
gente a  destra  ed  una  a  sinistra,  queste  non  coincidano  fra  loro  (punti 
angolari-vertici).  Prendiamo  allora  a  trasformare  l'integrale  doppio 


// 


^dxdy, 


e'steso  all'area  A,  in  un  integrale  semplice,  esteso  al  contorno.  Per  sem- 
plificare la  dimostrazione,  supponiamo  dapprima  che  il  contorno  di  A  sia 
formato  da  un'  unica  curva  chiusa  tale  che  tutte  le  parallele  all'asse  delle 
X,  solcanti  l'area  A,  incontrino  il  contorno  in  due  soli  punti,  uno  d'en- 
trata, che  indicheremo  con  1,  e  l'altro  d'uscita  2  (fig.  4.*).  Per  la  citata 
formola  (1),  abbiamo 


X/i'^^^/^'K/i 


FORMOLA   DI   GAUSS 

FICt.     4:.'' 


y 


83 


0 


X 


.—  dx  è  esteso  al  tratto  di  retta  parallela  al- 
l'asse y 


compreso  fra  i  due  punti  1,  2,  sicché 


dx 


ClX  —  A  2  —  A 1  , 


indicando  Xi ,  X2  i  valori  di  X  rispettivamente  nei  punti  1 ,  2  del  con- 
torno. Avremo  dunque 


(2) 


M  ^  c7^  dy  =j  (X^-XO  dy  =i  X,  dy  -j  X, 


dy 


I  due  integrali  del  secondo  membro  vanno  estesi  fra  i  valori  estremi 
y  =  h,y  =  a  delle  ordinate  del  campo  corrispondenti  ai  due  punti  B,  A 
del  contorno,  nei  quali  la  tangente  è  parallela  all'asse  delle  x.  Questi  due 
punti  dividono  il  contorno  in  due  archi  (ACB,  ADB  nella  figura),  il  primo 


84  CAPITOLO   III.  —  §.  28 

dei  quali  contiene  tutti  i  punti  d'ingresso  nell'area,  l'altro  i  punti  di 
egresso.  Ora,  se  indichiamo  con  ds  l'elemento  (positivo)  d'arco  del  con- 
torno corrispondente  all'incremento  positivo  dy  dell'ordinata?/,  e  con  h 
denotiamo  l'angolo  che  la  normale  al  contorno,  rivolta  verso  l'interno 
dell'area,  forma  colla  direzione  positiva  dell'asse  delle  x,  abbiamo 

dy  =+  cos  6  ds , 

dovendosi  adottare  il  segno  superiore  ove  k  è  acuto,  l'inferiore  ove  i  è 
ottuso.  Ora  k  è  acuto  nei  punti  1  d' ingresso,  ottuso  nei  punti  2  d'egresso  ; 
possiamo  quindi  considerare  i  due  integrali  del  secondo  membro  della 
(2)  come  integrali  curvilinei  estesi  rispettivamente  agli  archi  ADB,  BOA 
ed  abbiamo 


l^.dy  =    f 

/ 


X  cos  i  ds 
BCA 


^i  dy=  -  I  X  cos  i  ds  ; 


onde  la  (2)  diventa 


U: 


(I)  //;=»—  dx  dy  =  -   I  X  cos  i  ds 

JaJ  ^^  Js 


l'integrale  del  secondo  membro  essendo  esteso  al  contorno  completo  del- 
l'area. È  bene  osservare  che  in  questa  formola  è  affatto  indifferente  il 
senso  secondo  cui  si  percorre  il  contorno. 

Dimostrata  così  la  formola  fondamentale  di  Gauss  (I),  per  un'area  che 
soddisfi  alle  condizioni  restrittive  imposte,  facilmente  la  dimostriamo  per 
un'area  qualunque,  il  cui  contorno  offi'a  inoltre  eventualmente  punti  ango- 
lari. Sia  dapprima  un'area  qualunque  A,  racchiusa  da  una  o  più  curve  ai , 
02,  og. . .  ;  potremo  decomporre  l'area  A,  coli' aggiunta  di  nuovi  tratti  di 
contorno,  in  tante  aree  parziali  (come  le  aree  da  Ai  ad  Ag  della  fig.  5.*) 
tali  che,  per  ciascuna  di  esse,  ogni  parallela  all'asse  delle  x  che  la  solca 
abbia  un  solo  punto  d'entrata  ed  un  solo  punto  di  uscita.  Per  ciascuna 
di  queste  aree  varrà  adunque  la  formola  (I).  Pensiamo  scritte  tutte  queste 


FORMOLA  DI   GAUSS 
FlG.  5.» 


85 


y 


0 


-^^ 


forinole  e  sommiamole,  con  che  otteniamo  nel  primo  membro  l'integrale 
doppio 

7^  ax  dy  ^ 

dx 

esteso  a  tutta  l'area  A.  Nel  secondo  membro  ogni  integrale  J"X  cos  ^  cls, 
esteso  ad  un  tratto  di  contorno  aggiunto,  figura  due  volte  con  segno 
opposto,  perchè  ogni  tale  tratto  separa  due  aree  contigue,  per  le  quali 
le  normali  nello  stesso  punto  del  contorno  hanno  verso  opposto;  d'al- 
tronde il  contorno  primitivo  risulta  diviso  in  tratti,  ciascuno  dei  quali 
figura  una  ed  una  sola  volta,  onde  otteniamo  la  formola  (I)  di  Gauss, 
estesa  ad  un'area  qualunque. 

In  ciò  che  precede  abbiamo  fatto  astrazione  dagli  eventuali  punti 
angolari,  che  può  offrire  il  contorno.  La  presenza  di  un  numero  finito  di 
tali  punti  non  modifica  però  affatto  i  risultati,  come  risulta  dalle  pro- 
prietà elementari  della  integrazione,  potendosi  eseguire  la  decomposi- 
zione del  campo  in  strisele  in  guisa  che  da  ogni  punto  angolare  parta 
una  retta  del  contorno  di  una  striscia. 


"*86  CAPITOLO   III.  —  §.  29 

§.  29. 
Altre  forinole  di  trasformazione. 

Sia  Y  (x,  y)  una  funzione  di  x,  y  finita  e  continua  nell'  area  A,  in- 
eluso  il  contorno,  che  ammetta  la  derivata  parziale  ^  finita  ed  atta  al- 
l' integrazione.  Indicando  con  yj  l'angolo  che  la  normale  positiva  al  contorno 
fa  colla  direzione  positiva  dell'asse  y,  avremo  manifestamente,  per  la 
formola  di  Gauss; 

(P)  /    j  :^  dx  dy=  -  j  Y  cos  fj  ds  , 

e  sommando  con  (I): 

^"^  //(s^  +  ^)  "^^  ^^  =  "  /^^  '^'  ^+^  '^'  ''^  ^  ' 

In  queste  formolo  (I),  (P),  (II),  il  senso  secondo  cui  si  percorre  il 
contorno  è,  come  già  si  è  detto,  del  tutto  indifferente. 

Andiamo  ora  a  fissare,  con  opportune  convenzioni,  il  senso  positivo 
del  contorno,  e  potremo  dare  a  queste  formolo  fondamentali  un  diverso 
aspetto.  Fissiamo  per  ciò  che  in  ogni  punto  del  contorno  si  riguardi  come 
direzione  positiva  della  tangente  quella  che  giace,  rispetto  alla  direzione 
positiva  della  normale  (gicà  fissata  come  volgente  nell'interno  dell'area), 
come  la  direzione  positiva  dell'asse  delle  x  rispetto  a  quella  dell'asse 
delle  y.  Nel  modo  ordinario  d' orientazione  degli  assi,  avremo  dunque  che 
per  un  osservatore  collocato  sul  piano  e  che  guardi,  da  un  punto  del 
contorno,  verso  la  direzione  positiva  della  tangente,  l'area  interna  resterà 
alla  sinistra.  Riguarderemo  allora  come  senso  positivo  del  contorno  quello 
concordante  colla  direzione  positiva  della  tangente;  il  senso  positivo  di 
percorso  sul  contorno  sarà  per  ciò  quello  che  lascia  l'area  interna  alla 
sinistra.  Ne  risulta  che  se  l'area  ha  più  contorni,  uno  esterno,  gli  altri 
interni,  l'esterno  sarà  percorso  nel  senso  positivo  delle  rotazioni,  gli 
interni  nel  senso  opposto. 

Da  queste  convenzioni  segue  che,  se  indichiamo  con 

dx      dy 
ds  '    ds 


ALTRE   FORMOLE   DI   TRASFORMAZIONE  87 

le  derivate  di  x,  y  prese  nel  senso  positivo  della  tangente  al  contorno  '^) 

e  con 

dx       dy 

dp   '    dp 
quelle  prese  nel  senso  della  normale  interna,  avremo 


(3) 


E  invero,  indicando  con  t  la  direzione  positiva  della  tangente,  abbiamo 
--  =  cos  {xt)  ,    ^  =  cos  {yt)  =  sen  {xt) 

—-  z=  cos  {xp)  =  -  sen  {3$t)  ,   -^  =  cos  {yp)  =  cos  {xt) . 


dx 

dy 

ds 

dp 

dx 

dy 

dp 

ds  * 

<')  Ricordiamo  che,  se  U  è  una  funzione  di  x,  y,  finita  e  continua  colle  sue 

au    au 

derivate  parziali  ^  ,  ;^  ,  per  derivata  di  U  in  un  punto  M  e  nella  direzione 
segnata  da  una  retta  uscente  da  M,  s'intende  il  limite  del  rapporto 

Um— Um 

che  si  ottiene  spostando  M  in  M'  sulla  retta  e  nel  verso  fissato  e  dividendo  l'in- 
cremento subito  dalla  funzione  U,  nel  passaggio  da  M  a  M',  per  la  lunghezza  MM' 
del  tratto  percorso,  limite  preso  per  il  convergere  di  M'  verso  M.  Se  indichiamo 
con  r  la  detta  direzione,  e  con 

A  A 

XT    ,     yr 

gli  angoli  (misurati  nel  verso  positivo  delle  rotazioni)  delle  direzioni  positive 
0.X,  Oy  colla  r,  per   le  derivate  di  x,  y  nella  direzione  di  r,   che  indichiamo 

dx       dy 

dr  '    dr 

dx  ,^,         dy  ,^^ 

-^  =  cos{xr)    ,    -^  =  cos  (yr). 

Per  la  derivata  della  funzione  U,  nella  direzione  r,  abbiamo  poi 

3U_aU    dx       dJl  dy_ 
dr        dx    dr        dy    dr  ' 


88  CAPITOLO  III.  —  §§.  29,  30 

Ciò  posto,  potremo  scrivere  la  (II)  anche  così: 

ovvero  per  le  (3): 

(III)  ff(^^  +  i)  '^^  ^^^  =/^^  dy-Ydx), 

r  integrale  curvilineo  del  secondo  membro  dovendo  essere  calcolato  col 
percorrere  il  contorno  nel  verso  positivo. 

Supponiamo  ora  che  per  le  funzioni  X,  Y,  oltre  all'esser  soddisfatte 
le  condizioni  precedenti,  sia  soddisfatta  in  tutta  l'area  anche  l'altra 

ax      ai  _ 
dx  "^  ay  ■"    ' 

la  quale,  come  si  sa,  esprime  che  il  binomio 

Xdij  —  Ydx 

è  un  differenziale  esatto.  La  formola  (III),  essendo  nullo  il  primo  membro, 
ci  dà  il  teorema:  Se  in  un'area  connessa  A  l'espressione 

Xdy  —  Y  dx 

è  un  differenziale  esatto,  le  funzioni  X,  Y  essendo  finite  e  continue  in  tuMa 

ax    aY 

l'area  (incluso  il  contorno)  e  possedendo  derivate  parziali  -^  ,  -^  finite 
(incluso  il  contorno)  ed  atte  all'integrazione,  l'integrale  del  differenziale 
esatto  I  (K.dy-Y  dx),  esteso  a  tutto  il  contorno  nel  verso  positivo  <  ^' ,  è 
identicamente  nullo. 

§.  30. 
Ordine  di  connessione  delle  aree  piane. 

Per  maggiore  chiarezza  delle  considerazioni  seguenti  è  utile  che  diamo 
alcune  nozioni  sulla  connessione  delle  aree,  limitandoci  al  caso  semplice 


(*)  Se  l'area  ha  un  solo  contorno,  il  senso  del  percorso  può  essere  natural- 
mente qualunque. 


CONNESSIONE  DELLE   AREE  PIANE  89 

delle  aree  piane.  In  un'area  piana  connessa  consideriamo  una  linea  L, 
che  non  intersechi  sé  stessa  (priva  di  nodi),  e  che  vada  da  un  punto  A  del 
contorno  ad  un  altro  punto  B  del  contorno  stesso,  rimanendo  in  tutto  il 
suo  corso  neir  interno  dell'area,  salvo  che  agli  estremi  A,  B,  ed  imma- 
giniamo eseguito  nel  piano  un  taglio  lungo  questa  linea  L;  diremo  che 
si  è  eseguito  nell'area  un  taglio  semplice.  Nella  nuova  area  che  si  ot- 
tiene, la  quale  potrà  essere  connessa  o  no,  figureranno  come  nuove  parti 
del  contorno  i  due  lembi  del  taglio  L. 

Diremo  semplicemente  connessa  un'area  piana  quando  qualunque  taglio 
semplice,  in  essa  eseguito,  toglie  la  connessione  dell'area.  Se  invece 
possono  eseguirsi  dei  tagli  senza  rompere  la  connessione  dell'area,  di- 
remo che  l'area  possiede  una  connessione  multipla  e  V ordine  della  con- 
nessione si  valuterà  per  mezzo  delle  considerazioni  seguenti. 

È  chiaro  che  in  qualunque  area  piana  con  un  contorno  unico  non  si 
può  eseguire  alcun  taglio  senza  rompere  la  connessione,  e  perciò  una  tale 
area  è  semplicemente  connessa. 

L' inversa  è  pur  vera,  giacché  se  del  contorno  fanno  parte  due  diverse 
curve  chiuse  a,  b,  un  taglio  eseguito  da  un  punto  di  a  ad  un  punto  di 
b  non  toglie  la  connessione.  E  invero  i  due  lembi  del  taglio  t  si  con- 
giungono colle  curve  chiuse  a,  b  in  un  unico  nuovo  contorno,  seguendo 
il  quale  si  può  andare  da  un  punto  dell'  un  lembo  di  t  al  punto  opposto 
sull'altro  lembo.  Per  ciò,  eseguito  il  taglio  t,  non  viene  tolta  la  connes- 
sione fra  le  due  regioni  dell'area  aderenti  ai  lembi  di  t;  vediamo  adun- 
que che: 

Ogni  area  piana  a  contorno  unico  è  semplicemente  connessa  e  viceversa; 
ed  inoltre:  in  un'area  pluriconnessa  ogni  taglio  che  abbia  gli  estremi  su 
due  contorni  diversi  non  toglie  la  connessione  e  fa  diminuire  di  uno  il  nu- 
mero dei  contorni. 

Ciò  premesso,  abbiasi  un'area  piana  connessa,  il  cui  contorno  sia  for- 
mato da  n  curve  chiuse  distinte  Oi,  Cg,  . . .  0^.  Se  eseguiamo  nell'area  un 
taglio,  p.  e.  da  <^i  a  02,  l'area  nuova  è  ancora  connessa  ed  ha  ?*  -  1  contorni. 
In  questa  nuova  area  eseguiamo  un  secondo  taglio  fra  due  punti  di  con- 
torni diversi  e  così  di  seguito.  Dopo  n-\  tagli,  la  superficie  che  si  ottiene 
avrà  un  solo  contorno  e  sarà  quindi  semplicemente  connessa.  Dunque: 
Un'area  piana  connessa  con  n  contorni  si  può  ridurre  con  n—\  tagli,  che 
non  ne  rompano  la  connessione,  semplicemente  connessa.  Una  tale  area  si 
dice  per  ciò  n  volte  connessa  0  di  ordine  n  di  connessione,  valutando 
come  1  l'ordine  di  connessione  per  le  aree  semplicemente  connesse. 


90 


CAPITOLO    III. 


§.30 


È  chiaro  che  agli  n-ì  tagli,  che  rendono  l'area  semplicemente  con- 
nessa, si  potranno  dare  disposizioni  diverse.  Così,  per  l'area  triplamente 

FiG.  6.a 


connessa  della  figura,  si  potrà  dare  ai  tagli  ti,  ti  la  disposizione  a),  o 
la  b),  0  la  e). 

Osserviamo  poi  che,  descrivendo  in  un'area  semplicemente  connessa 
una  curva  chiusa  a  priva  di  nodi,  questa  forma  da  sé  stessa  il  contorno 
completo  di  un'area  parziale  (semplicemente  connessa).  Invece  per  le  aree 
pluriconnesse,  se  descriviamo  una  curva  chiusa  t  avvolgente  uno  o  più 
contorni  interni,  la  cm-va  ^  non  limita  più,  da  sé  sola,  una  regione  del- 
l'area. 


91 


§•  31. 
Integrali  di  differenziali  esatti. 

Premesse  queste  brevi  nozioni,  ritorniamo  al  teorema  alla  fine  del 
§.29.  Se  l'area  A,  in  cui  è  dato  il  differenziale  esatto 

Xdy  —  Y  dx , 

è  semplicemente  connessa,  e  descriviamo  una  curva  a  chiusa  che  dap- 
prima non  intersechi  sé  stessa,  la  a  formerà  il  contorno  completo  di  un'area 

parziale  A'  e  si  avrà  perciò:    /  {Xdt/-Ydx)  =  0. 

È  facile  vedere  che  il  medesimo  risultato  vale  anche  se  la  curva 
chiusa  a  interseca,  quante  volte  si  vuole,  sé  stessa.  E  infatti  seguiamo 
la  curva  chiusa  a  che  parte  da  un  punto  M  e  vi  ritorna,  comunque  in- 
trecciandosi, e  sia  K  il  primo  punto  ove  interseca  sé  stessa;  arrivati  da 
M  in  K  verremo  a  descrivere,  muovendoci  sopra  a,  a  partire  da  K,  una 
parte  chiusa  Oj  di  a  che  non  si  interseca,  e  sarà  dunque  di  per  sé: 


iXdy  —  Ydx)  =  0. 


Possiamo  dunque  sopprimere  questa  parte  e  procedere  sulla  rima- 
nente nel  medesimo  modo.  Si  ha  quindi  il  teorema:  Nell'interno  di  un'area 
semplicemente  connessa  se  si  eseguisce  lungo  una  curva  chiusa  n,  comunque 
intrecciata,  V  integrale 


(X  dy  -  Y  dx) 


0 


di  un  differenziale  esatto  (pel  quale  si  suppongono  soddisfatte  le  condizioni 
della  fine  del  §.  29),  il  risidtato  sarà  sempre  identicamente  nidlo. 

Consideriamo  ora  invece  una  linea  aperta  acb,  che  nell'area  sempli- 
cemente connessa  A  vada  da  un  punto  a  ad  un  punto  b,  comunque  in- 
trecciandosi ;  facilmente  vediamo  che  l'integrale 


(X  %  —  Y  dx) 
acb 

del  nostro  differenziale  esatto  dipende  unicamente  dai  due  punti  estremi 


92  CAPITOLO   III.  —  §.31 

a,  h  del  cammino  d' integrazione.  Consideriamo  infatti  un  altro  cammino 
d'integrazione  a  eh,  che  riunisca  i  medesimi  estremi  e  sia  comunque  fog- 
giato. Percorrendo  prima  a  eh  poi  il  cammino  he  a,  rovesciato  di  ac'h, 
abbiamo  una  curva  chiusa  a  e  perciò 


{Xdy  —  Ydx)+      (X 


{Xdy  —  Y  dx)  -\-      (Xdy —  Y  dx)  =  0 , 


Cloe: 


(Xdy—Ydx)=     {Xdy  —  Y  dx), 

il  che  appunto  si  voleva  provare.  Poiché  adunque  l'integrale  di  Xdy-  Ydx, 
esteso  ad  un  cammino  che  vada  da  a  in  h,  dipende  solo  dagli  estremi, 
potremo  indicarlo  senza  ambiguità  con 

r" 

ady-Ydx), 

ovvero  anche  con 

ri^i ,  Vi) 

/   (X  dy  —  Y  dx)  , 

^(^i ,  Vi) 

ponendo  in  evidenza  le  coordinate  Xi ,  y^  ;  Xz ,  yz  dei  due  estremi  a,  b. 

Pensiamo  ora  fisso  il  primo  estremo  (xi ,  y^  e  mobile  il  secondo,  le 
cui  coordinate  indicheremo  con  x,  y.  L' integrale 

ride     XÌ\ 
(Xdy-Ydx) 

sarà  una  funzione  di  x,  y  ad  un  sol  valore,  finita   e  continua   in  tutta 

l'area,  come  subito  si  vede.  Inoltre  ammetterà  le  derivate  parziali  prime 

dò      dò 

:^  ,  TT-^  pure  finite  e  continue  e  date  da 

dx     dy 

dx  '    dy 

sicché  il  differenziale  totale  d^  sarà  appunto  df^^Xdy-Ydx. 


INTEGRALI   DI   DIFFERENZIALI   ESATTI  93 

E  invero  abbiamo 

rx-\-\x,  y 
^  (a;+A  X,  y)  —  '^  {x,  y)=  ì    (^  dy  —  Y  dx) 

^x,y 

e  possiamo  seguire,  per  andare  da  x,y  a  x^^x.y,  il  cammino  parallelo 
all'asse  x,  almeno  quando  A^-  sia  già  sufficientemente  piccolo.  Avremo 
allora  dy  =  (ò  ^ 

rx-\-^x 
(j>  (a;+A  x,y)  —  ^{x,'y)=  -   \    Y  {x,  y)  dx  , 

^x 

onde,  indicando  con  Y  un  valore  di  Y  intermedio  nel  tratto,  sarà 

<}^{x+àx,y)—<ì^{x,y)^  _Y 

^x 

e,  passando  al  limite  per  àx  =  0,  otterremo,  a  causa  della  continuità  di  Y: 


e  similmente 


a,=  -Y(.,,) 


|  =  X  (..;,). 


Se  Tarea  in  cui  si  considera  il  differenziale  esatto  è  più  volte  con- 
nessa, i  risultati  precedenti  subiscono  una  modificazione,  che  è  facile  rico- 
noscere. Nell'area  n  volte  connessa  eseguiamo  per  ciò  n-  1  tagli  ti,  U,... 
^;^_l  sì  da  renderla  un'area  A'  semplicemente  connessa  e,  per  fissare  le 
idee,  supponiamo  che  i  tagli  t  non  si  intersechino  fra  loro,  ma  p.  e.  riu- 
niscano il  contorno  esterno  Oi  ai  rispettivi  contorni  interni  02,  03 , . .  On. 
Nell'area  tagliata  A'  l'integrale 

r{^,  y) 
^{x,y)^ì    (Xdy  —  Ydx) 

-'{^i ,  Vi) 

è  una  funzione  ad  un  solo  valore.  Se  confrontiamo  i  valori  di  ^  in  due 
punti  opposti  m,  m  sui  due  lembi  di  un  medesimo  taglio  t,  valori  che 
indichiamo  con 

vediamo  che  la  differenza 


94  CAPITOLO   III.  —  §.31 

è  costante  lungo  tutto  il  taglio.  E  invero,  se  n,  n'  sono  due  altri  punti 
di  fronte  sui  lembi  di  t,  si  ha 

pììi 

^^-^^=  I  (Xdtj-Ydx), 

'  n 

,-vnl 

^m—^n-=\  {y.dy  —  Ydx); 

Jn' 

f      ,    /      possono  calcolarsi  lungo  i  lembi  del  ta- 
n        Jn' 

glio  ed  è  perciò 

,'»m       rm' 

J    ^J,    ' 

^n        '^rù 

cioè 
ossia 

^m  -  ^m'  =  ^n  -  ^W       C.  d.  d. 

Questa  differenza  costante  che  passa  tra  i  valori  di  ']>  ai  due  lembi 
di  t  dicesi  la  costante  o  il  modido  di  periodicità  relativo  al  taglio  t.  Esso 

è  eguale  all'integrale   /  (Xdy-Ydx),  esteso  ad  una  curva  chiusa  che  in 

A'  vada  da  un  punto  di  t  all'opposto  traversando  una  sola  volta  t  ^^K  Cor- 
rispondentemente agli  n-\  tagli,  avremo  n-\  moduli  di  periodicità 


Vediamo  ora  quello  che  accade  considerando  l'area  primitiva  A  e 
lasciandovi  muovere  liberamente  il  cammino  d'integrazione.  Ogni  qual- 
volta il  cammino  attraversa  un  taglio,  p.  e.  da  m  ad  m\  il  suo  valore, 
confrontato  con  quello  che  avrebbe  in  m  se  per  andare  da  m  in  m  non 
si  fossero  attraversati  tagli,  cresce  o  diminuisce  del  corrispondente  mo- 
dulo di  periodicità  to,  secondo  il  senso  dell'attraversamento.  Se  ne  con- 
clude che,  se  in  un  punto  {x,  y)  si  ottiene  il  valore  '^  per  l'integrale,  se- 
guendo un  certo  cammino,  variando  comunque  il  cammino  si  otterranno 
valori  tutti  della  forma 

(j,'  =  ri;  -f  n  Wi  +  ^2  (02  +  .  .  .  +  Yn-X  Oi«_i  , 


(*'  Se  un  taglio  t  viene  attraversato  da  tagli  successivi,  ne  risulterà  diviso 
in  tante  parti,  a  ciascuna  delle  quali  apparterrà  un  proprio  modulo  di  periodicità. 


INTEGRALI    DI    DIFFERENZIALI    ESATTI  95 

dove  le  r  sono  numeri  interi  positivi  o  negativi.  Aggiungiamo  che,  va- 
riando convenientemente  il  cammino,  si  possono  fare  acquistare  ai  nu- 
meri Ti  valori  affatto  arbitrarli. 

In  generale  adunque,  in  un'area  più  volte  connessa,  l'integrale  di 
un  differenziale  esatto  ha  influiti  valori,  tutti  differenti  fra  loro  per  mul- 
tipli interi  di  periodi  Wi ,  Wg , . .  Wn-i .  Se  questi  periodi  sono  fra  loro  in- 
dipendenti, nel  senso  del  §.15,  e  sono  in  numero  >  1,  l'integrale  avrà 
in  ogni  punto  infiniti  valori  vicini  fra  loro  quanto  si  vuole.  Naturalmente 
però  può  accadere  che,  nonostante  la  connessione  multipla,  l'integrale 
'^{x,y)  sia  ancora  una  funzione  ad  un  sol  valore;  ciò  accadrà  quando  i 
moduli  di  periodicità  siano  tutti  nulli. 

Osserviamo  in  fine,  che  cangiando  il  sistema  di  tagli,  cangeranno 
anche  i  moduli  di  periodicità,  che  diventeranno 

w'i  ,  (tì'2 ,  . . .  co  ,i_i  ; 

ma  questi  dovranno  essere  combinazioni  lineari  a  coefficienti  interi  di 


ed  inversamente,  onde  segue  che  il  determinante  della  corrispondente 
sostituzione  hneare  sarà  l'unità. 

§.  32. 
Nuove  forinole  di  trasformazione  —  Forinola  di  Green. 

Indichiamo  con  U,  V  due  funzioni  finite  e  continue  nell'area  A  (in- 
cluso il  contorno)  che  soddisfino  inoltre  alle  condizioni  seguenti,  sempre 
beninteso  il  contorno  incluso:  1.°  U  possegga  derivate  parziali  del  primo 
ordine,  finite  ed  atte  all'integrazione  in  A,  2.°  la  V  possegga  derivate 
parziali  del  primo  ordine  finite  e  continue  e  inoltre  derivate  parziali  del 
secondo  ordine  finite  ed  atte  all'integrazione.  Se  poniamo  allora 

av  3v 

saranno  soddisfatte  le  condizioni  del  §.  27,  sotto  le  quali  vale  la  for- 
mola  (IP) 


Lf 


(g+S)*"--X(-S+'-|)' 


96  CAPITOLO  III.  —  §.  32 

Questa,  per  le  sostituzioni  precedenti,  diventa 


.j    \dx    dx        dy    dy 


=  -/u?<fe, 


che,  adottando  i  simboli 


dx'  ^  dy'  ' 

v(uv)  =  ^^  +  ^^av 

^    '  ^       dx   dx  ^  dy    dy  ' 


si  scriverà  anche 


aV*)      I      Và,\dxdy-\-  j       V(\],T}dxdy=  -      V^^  ds. 

Ponendo  in  questa,  come  è  lecito,  U  =  1,  otteniamo  la  formola  notevole 

(V)  /      ^,Ydxdy=  -  j  ~  ds, 

onde  risulta  in  particolare  il  teorema  :  Se  la  funzione  V  {x,  y)  è  nell'area 
A,  iìwluso  il  contorno,  finita  e  continua  insieme  alle  derivate  parziali  prime, 
e  possiede  derivate  seconde  finite  ed  atte  alV  integrazimie  che  soddisfano  alVe- 
quazione  Aj  V  =  0,  sarà  nullo  V  integrale  esteso  al  contorno  dell'area  della 
derivata  della  V  rispetto  alla  normale  al  contorno. 

Si  aggiunga  che,  se  l'area  è  semplicemente  connessa,  e  :;  una  curva 
chiusa  qualunque  nell'area,  sarà  sempre 

Viceversa  si  vede  subito  dalla  (V)  che  se,  per  una  funzione  V,  l' integi'ale 
precedente  esteso  a  qualunque  curva  chiusa  ^  è  nullo,  la  V  soddisferà 
in  tutta  l'area  all'equazione 

supposto  naturalmente  che  la  V  sia  finita  e  continua  nell'area  colle  de- 


FORMOLI    DI    GREEN  97 

rivate  parziali  prime  e  possegga  non  solo  derivate  seconde  finite  ed  atte 

all'integrazione,  ma  anche  tali  che  almeno  la  somma  sr— ?  +  ;=r-TSÌa  con- 

tinua. 

Supposto  nuovamente  che  V  soddisfi  a  tutte  le  condizioni  del  teorema 
precedente,  facciamo  nella  (IV*)  U  =  V,  con  che  Id  condizioni  imposte  ad 
U  saranno  a  più  forte  ragione  soddisfatte,  e  otterremo  la  formola  im- 
portante : 

Questa  formola,  giova  ripeterlo,  vale  per  ogni  soluzione  dell'equazione 

che  nell'area  A,  incluso  il  contorno,  sia  finita  e  continua  insieme  alle 
derivate  prime  e  possegga  derivate  seconde  finite  ed  atte  all'integra- 
zione. 

In  fine  deduciamo  dalla  (IV*)  una  nuova  formola,  detta  formola  di 
Green,  scambiando  in  essa  U,  V  e  sottraendo  le  due  formolo,  il  che  dà: 

(VII)       /    ì  {Vl^^Y  —  Y  ^,\J)dxdy^  i  (y^~  —  V~^  ds. 

Per  la  validità  di  questa  formola  occorre  naturalmente  che  anche  per 
U  si  verifichino  le  condizioni  già  enunciate  per  V,  fino  alle  derivate  se- 
conde. In  particolare  se  U,  V,  oltre  al  soddisfare  queste  condizioni,  sa- 
ranno soluzioni  dell'equazione  A2  =  0,  avremo 


i 


V^     dp  dp  J 


(Vili)  /     V^  — U^  ì  c?5  =  0 


Funzioni  armoniche  con  derivate  regolari  al  contorno. 

Applicheremo  le  formolo  precedenti  alla  ricerca  delle  proprietà  fon- 
damentali delle  soluzioni  dell'equazione 

A2  U  ==  0  ; 

ma,  per  brevità  di  linguaggio,  introdurremo  le  seguenti  denominazioni. 


98  CAPITOLO   III.  —  §.  33 

Se  in  un'area  A  la  funzione  U  è  ad  un  sol  valore,  finita  e  continua, 
incluso  il  contorno,  e  nelV  interno  dell'area  possiede  derivate  prime,  finite 
e  continue,  e  derivate  seconde  finite  ed  atte  all'integrazione,  legate  dalla 
relazione 

dx'  +  di/       ' 

diremo  che  la  U  è  una  funzione  armonica  nell'area.  Quando  le  condi- 
zioni per  le  derivate  sono  soddisfatte  non  solo  all'  interno  ma  anche  sul 
contorno,  diremo  che  la  U  possiede  derivate  regolari  anche  al  contorno. 
Le  formole  (VI),  (Vili)  del  §.  precedente  saranno  appunto  applicabili 
nel  caso  di  funzioni  U,  V  armoniche  nell'area,  con  derivate  regolari  al 
contorno. 

Supponiamo  che  una  funzione  armonica  V  in  un'area  A,  con  derivate 
regolari  al  contorno,  sia  nulla  su  tutto  il  contorno  dell'area.  Applicando 
la  (VI),  coll'osservare  che  l'integrale  del  secondo  membro  è  nullo,  ne 
deduciamo 


JJl 


(ST+(IT('"-°' 


onde  segue  che  sarà  in  tutta  l'area 

dx  '     dy 

e  però  V  costante  in  tutta  l'area.  Ma,  essendo  V  nulla  al  contorno,  avremo 
a  causa  della  continuità: 

V  =  0 

in  tutta  l'area.  Segue  di  qui  l'importante  teorema:  Bue  funzioni  Vi,  Y 2 
armoniche  in  un'area,  con  derivate  regolari  sul  contorno,  che  coincidono 
sul  contorno  coincidono  anche  nell'interno.  E  invero  la  differenza  Vi  -  V2  è 
una  funzione  armonica  nulla  al  contorno,  e  però  nulla  anche  nell'interno. 

Fra  breve  estenderemo  questo  teorema,  togliendo  la  condizione  delle 
derivate  regolari  al  contorno. 

Il  risultato  precedente  può  enunciarsi  sotto  altra  forma  dicendo:  I 
valori  di  una  funzione  armonica  in  un'  area,  con  derivate  regolari  al  con- 
torno, sono  pienamente  determinati  nélV  interno,  quando  siano  fissati  i  vcdori 
della  funzione  al  contorno. 


RICERCA   DEI    VALORI    DI   U   NELL'INTERNO  99 

Nasce  quindi  il  problema  di  esprimere,  per  una  tale  funzione  armo- 
nica, i  valori  nell'interno  per  mezzo  dei  valori  sul  contorno.  Per  pre- 
parare le  formolo  a  tale  oggetto,  premettiamo  le  osservazioni  seguenti. 
Sia  M'E^(a;',  y)  un  punto  fisso  del  piano  e  M  =  (.r,  y)  un  punto  variabile; 
indichiamo  con  r  la  distanza,  contata  positivamente,  del  punto  variabile 
dal  punto  fisso:  

Se  poniamo 

V  =  log  y , 

intendendo  il  logaritmo  preso  nel  senso  aritmetico,  in  qualunque  area 
piana,  die  non  contenga  il  punto  M',  sarà  V  =  log  r  una  funzione  armo- 
nica con  derivate  regolari  al  contorno,  come  si  verifica  immediata- 
mente (^). 

Ciò  premesso,  consideriamo  una  funzione  armonica  U  in  un'area  A, 
con  derivate  regolari  al  contorno,  e  proponiamoci  di  calcolarne  il  valore 
U'  in  un  punto  \]^~{xy')  interno  all'area.  Fatto  centro  in  M'  descri- 
viamo, internamente  all'area,  un  cerchio  di  raggio  p,  che  faremo  poi  im- 
piccolire indefinitamente  e  il  cui  contorno  indichiamo  con  a.  Se  togliamo 
dall'area  A  questo  disco  circolare,  otteniamo  un'area  A',  il  cui  contorno 
si  compone  del  contorno  primitivo  s  e  della  periferia  o  del  cerchio.  In 
questa  area  A'  le  due  funzioni 

U  ,    V  =  log  r 

sono  armoniche  ed  hanno  derivate  regolari  al  contorno.  Potremo  quindi 
applicare  la  formola  (Vili)  di  Green  ed  avremo 

Ma  neir  ultimo  integrale  il  primo  termine  è  identicamente  nullo,  per- 
chè durante  l' integrazione  log  r  è  costante  =  log  p  e,  per  una  proprietà 
delle  funzioni  armoniche  osservata  al  §.  32: 

il— ^ 


(*)  Posto  z'=^x'-{-iy' ,  z:=x~{-iy  la.  funzione  V  è  la  parte  reale  di  log  {z-z') 

(2)  Propriamente  qui  la  derivata  -w—  è  presa  secondo  la  normale  esterna  a  a 

ma  non  differisce  che  per  il  segno  dalla  derivata  secondo  la  normale  interna. 


100  CAPITOLO   III.  —  §.   33 

resta  quindi 


Nel  secondo  membro  la  derivata     -       è  presa  nel  senso  crescente 

dp 

dei  raggi  vettori,  rispetto  al  punto  fisso  M',  e  il  suo  valore  sul  contorno 
a  è  dato  da 

'91ogr\    1 

dp    /a        p 

D'altronde,  indicando  con  9  l'anomalia  di  un  punto  variabile  sopra 

a,  abbiamo 

d'^  =  [j  dò 

e  quindi  la  formola  precedente  può  scriversi 

intendendo  che  U^  denotino  i  valori  di  U  sulla  periferia  'j.  La  formola 
(4)  vale  comunque  piccolo  si  prenda  il  raggio  o  del  cerchio  ;  ma  notiamo 
che  il  primo  membro  è  evidentemente  indipendente  da  [j,  e  tale  dovrà 
quindi  essere  anche  il  secondo  membro.  Per  calcolarne  il  valore  osser- 
viamo che,  essendo  U'  il  valore  di  U  nel  centro,  possiamo  scrivere 


(5)  /    U3  fZe  =  2  -  U'  -i-  /    (U3  —  U')  dò  . 


Facendo  impiccolire  il  raggio  0  del  cerchio,  possiamo  rendere,  a  causa 
della  continuità  di  U  in  M',  piccolo  quanto  si  vuole  il  valore  assoluto  di 
U3  -  U'  su  tutta  la  periferia  0  e  però  anche  quello  dell'integrale 

ì    {J],-\]')dò. 

Se  ne  conclude  che  questo  integrale,  essendo  indipendente  per  la  (4) 
da  p,  è  necessariamente  nullo,  onde  risulta 


T  ■ 


2- 
(6)  /    U3  f?e  =  2  ;r  U' 

^IVERSITY  Gì-  ÌOf     '"'" -^ 


FUNZIONE   DI   GREEN  101 

Dopo  di  ciò  la  forinola  (4)  diventa: 

(IX)        u-  =  u(/.,')  =  J,/(.og,.f-u^-Mr)*. 


S 

§•  34. 
Funzione  di  Green. 


La  (IX)  ci  dà  i  valori  di  U  nell'interno,  espressi  per  i   valori  che 

au 

prendono  sul  contorno  la  funzione  U  e  la  sua  derivata  normale  -^  .  Come 

si  vede,  lo  scopo  che  ci  eravamo  proposti  non  è  del  tutto  raggiunto,  ma 
restano  ancora  da  eliminare,  se  è  possibile,  dalla  (IX)  i  valori  al  con- 

torno  di  y- .  Ciò  si  potrà  fare,  come  ora  ci  proponiamo  di  mostrare, 

quando  si  sappia  risolvere  il  problema  che  ci  occupa  in  un  certo  caso 
particolare.  Si  indichi  con  'f  una  funzione  armonica  in  tutta  Tarea,  con 
derivate  regolari  al  contorno;  si  avrà  per  la  (Vili): 


/(■ 


au     ^,9'f^  , 

g  ^'   dp  dpj 


e  la  (IX)  potrà  scriversi  anche: 

rv        1    ri     ,       X  SU      „3(logr+'^))  ^ 

Se  la  funzione  armonica  'f  è  dunque  tale  che  si  abbia  su  tutto  il 
contorno  dell'area 

('f  +  logr)s  =  0, 

resterà 

formola  che  risolve  il  problema  proposto.  Una  tale  funzione  ©,  se  esiste, 
è  unica  pei  teoremi  sopra  dimostrati;  essa  dicesi  la  funzione  di  Green 
relativa  al  punto  M'.  Le  condizioni  che  la  determinano  sono:  1°  di  es- 
sere una  funzione  armonica  nell'area,  con  derivate  regolari  al  contorno 


102  CAPITOLO  III.  —  §§.  34,  35 

2^^  di  assumere  sul  contorno  i  valori  -  log  r,  essendo  r  la  distanza  di  un 
punto  mobile  sul  contorno  da  un  punto  fìsso  M'  nelV  interno. 

Quando  per  tutti  i  punti  dell'area  A  esista  e  si  sappia  determinare 
la  funzione  di  Green,  la  forinola  (X)  serve  a  calcolare  i  valori  nell'in- 
terno di  ogni  funzione  U  armonica,  con  derivate  regolari  al  contorno, 
per  mezzo  dei  valori  Us  al  contorno. 

Un  caso  semplice,  in  cui  riesce  subito  la  determinazione  della  fun- 
zione di  Green,  è  quello  di  un'area  circolare.  Se  il  punto  M'  è  nel  centro, 
la  funzione  di  Green  si  riduce  alla  costante  -log TI  (R  raggio).  Quando 
M'  non  è  nel  centro  si  consideri  il  suo  coniugato  armonico  M",  che  è 
esterno  al  cerchio,  e  si  indichi  con  r  la  distanza  di  un  punto  mobile 
da  M".  Il  rapporto 

r 
V 

è  una  costante  h  lungo  la  periferia  del  cerchio  e  la  funzione  di  Green 
sarà  data  da 

'f  =  -  log  r  —  log  Z; . 

In  vero  essa  è  armonica  con  derivate  regolari  anche  sul  contorno, 
giacché  il  punto  M"  da  cui  sono  contate  le  distanze  /  è  esterno  ;  di  più 
sulla  circonferenza  si  riduce  a   -  log  r. 

§.  35. 
Massimi  e  minimi  delle  funzioni  armoniche. 

Togliendo  ora  le  condizioni  relative  alle  derivate  al  contorno,  sup- 
porremo soltant©  che  la  funzione  U  sia  armonica  nell'area  A  che  si  con- 
sidera e  cominceremo  dal  dimostrare  il  teorema:  In  ogni  disco  circolare, 
tutto  interno  all'area,  il  valore  che  la  funzione  armonica  U  ha  nel  centro 
è  la  media  dei  valori  che  la  funzione  stessa  assume  sul  contorno  del  disco. 

In  un  tale  disco  la  funzione  armonica  U  ha  derivate  regolari  sul 
contorno  e  possiamo  applicare  la  forinola  (IX),  situando  il  punto  M'  nel 
centro.  Ma  sul  contorno  del  disco  log  r  è  costante,  onde,  come  già  so- 
pra si  è  osservato,  il  primo  integrale  nel  secondo  membro  della  (IX)  è 
nullo;  e  poiché  inoltre 

31ogr\_      1 


MASSIMI   E   MINIMI   DELLE   FUNZIONI   ARMONICHE  103 

essendo  R  il  raggio  del  cerchio,  otteniamo 

•2- 


^'=2^57/»'?^  =  ^/    V.dB, 


=  -/' 


il  che  dimostra  il  teorema  (^'. 

La  funzione  U  essendo  continua  in  tutta  l'area  A,  incluso  il  contorno, 
avrà  ivi  un  massimo  M  ed  un  minimo  m  e  vi  sarà  almeno  un  punto 
nell'interno,  o  sul  contorno,  nel  quale  assumerà  effettivamente  il  valore 
massimo  M  ed  uno  almeno  nel  quale  assumerà  il  valore  minimo  m.  Ora 
dimostriamo  che  :  Il  massimo  ed  il  minimo  di  una  funzione  armonica,  non 
costante,  non  possono  mai  aver  luogo  nell'interno  delVarea  e  sono  quindi 
presi  dalla  funzione  sul  contorno  dell'area. 


W  Si  può  osservare  che  la  notevole  proprietà  espressa  da  questo  teorema  è 
caratteristica  delle  funzioni  ormoniche  e  propriamente  sussiste  la  proposizione 
seguente  :  Se  una  funzione  U  (ce,  y)  è  finita  e  continua,  insieme  alle  derivate 
parziali  prime  in  un'area  A,  dove  ammette  derivate  seconde  finite  ed  atte  alla 

integrazione  e  continue  almeno  nella  somma  w-^  -j-  y-g  ,  e  di  j^iìt'  gode  della  pro- 
prietà di  assumere  nel  centro  di  ogni  disco  circolare  C,  tutto  interno  all'area,  la 
inedia  dei  valori  che  ha  sul  contcnmo  del  disco,  si  avrà  necessaria'mente  in  tutta 
r  area  ^2X1=0. 

Si  consideri  infatti  un  tale  disco  circolare  C  di  raggio  R,  il  cui  contorno 
indichiamo  con  -^  e  sia  U'  il  valore  della  funzione  nel  centro  ;  avremo  per  ipotesi  : 

27r 


"'=2^X"'''==2-.XU'<'''- 


Descriviamo  un  circolo  Cj ,  di  contorno  -3^ ,  concentrico  ed  interno  a  C,  il 
cui  raggio  indichiamo  con  R  —  h,  essendo  h  una  quantità  positiva  piccola  ad 
arbitrio  ;  avremo  ancora 

onde 


Dividendo  per  h  e  passando  al  limite  per  h  =  0,  coli' osservare  che  la  U 
possiede  derivate  prime  continue,  ne  deduciamo  /  7=>—  cZa  =  0 ,  dopo  di  che,  dalla 
formola  (5),  §.  32,  discende  subito  la  verità  della  proposizione  enunciata. 


104  CAPITOLO   III,  —  §.  34 

Suppongasi  al  contrario  che  in  un  punto  P  interno  al  campo  la  U 
assuma  il  valore  massimo  M  (od  il  minimo  m).  Descriviamo  col  centro 
in  P  un  disco  circolare  tutto  interno  all'area.  Il  valore  M  (ovvero  m)  che 
ha  luogo  nel  centro  è,  pel  teorema  sopra  dimostrato,  la  media  dei  valori 
sulla  periferia  e  poiché  tutti  questi  valori  sono  :l'^  M  (ovvero  >  m),  se 
ne  conclude  che  dovrà  sempre  verificarsi  il  segno  d'uguaglianza  <^),  cioè 
su  tutta  la  periferia,  e  però  anche  nelF  interno  del  disco,  la  funzione  U 
sarà  costante  ed  eguale  al  valore  massimo  M  (o  al  minimo  m).  Ma  allora 
è  facile  vedere  che  in  qualunque  punto  Q  interno  all'area  la  U  sarà 
sempre  eguale  a  M  (o  ad  m).  E  infatti  congiungiamo  P  con  Q,  mediante 
una  linea  L  tutta  interna  all'area,  e  prendiamo  un  cerchio  di  raggio  r 
così  piccolo  che  ovunque  si  ponga  il  centro  del  disco  sulla  linea  L,  il 
disco  rimanga  tutto  interno  all'area  (^'. 

Potremo  descrivere  un  numero  finito  di  questi  dischi,  di  cui  il  primo 
e  r  ultimo  abbiano  i  centri  rispettivamente  in  P,  Q  e  ciascuno  abbia  il 
centro  entro  al  precedente.  Applicando  successivamente  il  risultato  ora 
ottenuto,  vediamo  che  nel  primo  disco  la  U  è  sempre  eguale  a  M  e 
quindi,  avendo  il  valore  M  nel  centro  del  secondo  disco,  serba  in  tutto 
il  secondo  disco  il  medesimo  valore  M,  medesimamente  pel  terzo, 
quarto  ecc.  onde  awà  il  valore  M  anche  nel  punto  finale  Q,   e.  d.  d. 

Dal  teorema  fondamentale  così  dimostrato  risulta:  Se  con  M,  m  si 
indicano  il  massimo  ed  il  minimo  valore  che  una  funzione  armonica  assume 
sul  contorno  deWarea,  questi  saranno  pure  il  massimo  ed  il  minimo  della 
funzione  hi  tutta  l'area,  ed  anzi  ogni  valore  nelV  interno  sarà  compreso  fra 
M  e  m,  gli  estremi  esclusi. 


W  La  forinola 

1  r'"" 

u'  =  _-  /  u.  fze, 

applicata  al  nostro  disco,  può  scriversi  infatti 

(M— U,)rf6  =  0 


£ 


e  poiché  la  differenza  M— U,  è  sempre  positiva  o  nulla,  se  ne  conclude  che  dovrà 
sempre  esser  nulla. 

(2)  Basta  prendere  r  più  piccolo  della  minima  distanza  dei  punti  di  L  dal 
contorno  dell'area. 


105 


§.  36. 
Problema  di  Dirichlet. 

Le  proprietà  ora  dimostrate  per  le  funzioni  armoniche  conducono  ad 
estendere  i  teoremi  d'unicità  del  §.  33,  togliendo  le  condizioni  per  le 
derivate  al  contorno.  E  infatti  supponiamo  che  una  funzione  U  armonica 
in  un'  area  sia  costante  sul  contorno  ;  allora  il  massimo  ed  il  minimo  al 
contorno  coincidono  in  quest'unico  valore  e  però  la  funzione  assumerà  in 
tutto  l'interno  dell'area  il  medesimo  valore  costante. 

Ne  risulta  quindi  il  teorema  :  Bue  funzioni  armoniche  in  un'area,  che 
coincidono  sul  contorno,  coincidono  anche  nell'interno  dell'area. 

In  altre  parole:  i  valori  che  una  funzione  armonica  ha  sul  contorno 
di  un'area  determinano  univocamente  i  valori  della  funzione  nell'interno. 
Di  qui  nasce  la  questione  se  tali  valori  al  contorno  possano  darsi  arbitra- 
riamente. Enunciamo  sotto  forma  più  precisa  la  questione,  che  costituisce 
il  così  detto  proUema  di  Dirichlet,  così: 

Sid  contorno  di  un'  area  piana  connessa  sono  assegnati  valori  arbitrarli, 
costituenti  per  ciascuna  curva  del  contorno  una  catena  finita  e  continua  di 
valori.  Si  domanda  di  costruire  una  funzione  armonica  nell'area  che  sul 
contorno  assuma  i  valori  assegnati. 

Riemann  dimostrò  che  il  problema  di  Dirichlet  ammette  sempre  una 
soluzione  (^)  e  questo  risultato  pose  a  fondamento  della  sua  Teoria  delle 
funzioni  Aheliane  '^'. 

Ma  la  dimostrazione  data  da  Riemann,  che  parte  da  considerazioni 
di  minimo  di  integrali  doppi,  manca  di  rigore,  come  Weierstrass  osservò, 
in  un  punto  fondamentale.  Soltanto  una  lunga  serie  di  ricerche  poste- 
riori, dovute  principalmente  a  Neumami  ed  a  Schwarz,  ha  posto  fuori 
di  dubbio  che,  almeno  sotto  certe  limitazioni  rispetto  alla  natura  del 
campo,  si  possono  effettivamente  dare  ad  arbitrio  i  valori  di  una  fun- 
zione armonica  sul  contorno  dell'area  e  così  l' intera  teoria,  edificata  da 
Riemann,  ha  acquistato  solide  fondamenta. 

Noi  non  possiamo  qui  addentrarci  nello  studio  del  problema  gene- 
rale di  Dirichlet  e  solo  ci  limiteremo  a  risolverlo  nel  caso  di  un  campo 
circolare,  caso  che  riesce  relativamente  facile.  Potremmo  servirci  a  tale 


O  Che  la  soluzione,  se  esiste,  debba  essere  unica  si  è  già  sopra  dimostrato. 
(^*  Riemann  's  Werke.  Theorie  der  Ahel  'schen  Functionen,  §.  3. 


106  CAPITOLO  III.  —  §§.  36,  37 

scopo  della  funzione  di  Green,  di  cui  al  §.  precedente  abbiamo  già  di- 
mostrata resistenza  e  trovata  l'espressione  per  l'area  circolare;  ma 
preferiamo  esporre  un  altro  metodo,  dovuto  a  Neumann,  i  cui  principi! 
hanno  il  vantaggio  di  applicarsi  a  casi  molto  più  estesi. 

§.  37. 
Forinole  di  Gauss  relative  all'  integrale  x—  /  — ^^^    ds  . 

Supponiamo  dapprima  un'area  qualunque  A  ed,  indicando  con  r  la 
distanza  di  un  punto  mobile  da  un  punto  M'  fisso  nelV  interno,  proponia- 
moci di  calcolare  il  valore  dell'integrale 


esteso  al  contorno  dell'  area.  Basta  per  ciò  fare  nella  formola  (IX)  §.  38, 
che  vale  per  ogni  funzione  armonica  U  con  derivate  regolari  al  contorno, 

U=  1. 

Ne  deduciamo  la  formola  di  Gauss 


I  - Js         3» 


^"^^  2-Js         dp 

Supponiamo  ora  invece  che  il  punto  M',  da  cui  si  contano  le  distanze  r, 
sia  esterno  all'  area .  Allora  log  f  —  j  è  una  funzione  armonica  nell'area, 
con  derivate  regolari  al  contorno,  e  si  ha  per  ciò 

^^^  2izJs  dp         -^' 

Prima  di  procedere  alla  deduzione  di  una  terza  formola  importante 
per  il  seguito,  osserviamo  un  significato  geometrico  semplice  della  fun- 

9  log  — 
r 
zione  — X al  contorno.  Per  ciò  dalla  formola 

dp 


1  p'°g(y) 

!  ir  .7q  dp 


deduciamo 


indi 


l'integrale  di  gauss  o-  /  — ^^'  '  ds  107 


••i=^^-^')S+^-^>l' 


\r J  1    \x' -X    dx    .y  -y    dy]^ 

dp  r   \     r       dp  r       dp)  ' 

La  quantità  fra  parentesi  è  il   coseno  dell'angolo  che  la   direzione 
M  M',  nel  verso  dal  punto  mobile  al  punto  fisso,  fa  colla  direzione  della 

A 

normale  interna;  indicando  quest'angolo  con  rp,  abbiamo  dunque: 

^^\rj  ^  cos  (rp)  ^ 
dp  r        ' 

Se  pel  punto  M  del  contorno  e  tangenzialmente  a  questo  si  conduce 
il  circolo  che  passa  per  M'  e  se  ne  indica  con  R  il  raggio,  si  avrà 

A 

cos  (rp) ^    1 

r       ~-2R  ' 

A 

secondo  che  l' angolo  rp  è  acuto  od  ottuso. 

Ciò    premesso,   domandiamo    quale  valore   avrà   il    sohto   integrale 


Js  dì) 


J  ^'"^  ^5  quando  il  punto  Mo,  da  cui  si  contano  le  distanze 

2t:  Js         dp 

che  ora  indicheremo  con  >-o ,  si  trovi  sul  contorno.  In  primo  luogo  si  os- 
servi che  la  formola  (9)  ci  dà 

3  log  -  .  ^  . 

Tq  ^  cos  (rop) 

dp  To       ' 

e  la  funzione  da  integrarsi  lungo  il  contorno  è  ancora  dappertutto  finita 
e  continua  salvo  ai  punti  angolari  del  contorno,  dove  avrà  discontinuità 
di  prima  specie  e  salvo  inoltre  event  imi  mente  al  punto  Mo ,  ove  potrà  pre- 
sentarsi qualche  singolarità,  se  in  Mo  la  curva  non  ha  circolo  osculatore. 

fa  log  ^ 

In  ogni  caso  il  nostro  integrale  /  — ^ — "  ds  potrà  essere  calcolato 
come  limite  dell'integrale  esteso  a  tutto  il  contorno,  asportato  un  pie- 


108  CAPITOLO   III.  —  §.  37 

colo  intorno  di  Mo.  Supponiamo,  per  maggiore  generalità,  che  il  punto 
IVIo  sia  un  punto  angolare  del  contorno  e  le  tangenti  a  destra  e  sini- 
stra formino  l'angolo  ar,  sicché  sarà  a=  1  se  Mo  è  un  punto  ordinario. 
Fatto  centro  in  Mo,  con  un  raggio  piccolissimo  p,  descriviamo  un  cerchio 
q  e  togliamo  dall'area  A  la  parte  interna  al  cerchio  ;  avremo  così  un'  area 
A'  limitata  dalla  parte  s'  di  contorno  s  esterna  al  cerchio  e  da  un  pic- 
colo arco  0  di  questo  cerchio.  Ora,  poiché  Mo  è  esterno  all'  area  A',  si 
avrà  per  la  (8): 


1  A '""(7)        1  Ai°svr 

2;z  Js         dp  2z^o         dp 


Ma  il  secondo  integrale,   come  già  altra  volta  abbiamo  visto,  può 
scriversi 


H''- 


1  a 

e  air  impiccolire  indefinito  di  .0  converge  verso  -~  cf.z=  -  -  ,  quindi 

avremo 

^     fdlogf-. 

hm  -—  / , X ds  =  — 

2%Js         dp  2 


ossia 


(10) 


2tJs         dp  2 


È  questa  la  terza  formola  che  volevamo  stabilire.  Si  ossen-erà  che 

se  Mo  è  un  punto  ordinario,  cioè  a=  1,  l'integrale  ha  il  valore  —  ,  che  è 

la  media  dei  valori  relativi  al  caso  di  un  punto  M'  interno  ed  al  caso 
di  M'  esterno. 


109 


§.  38. 


I) 


studio  dell'  integrale  —  /  U  — ^ —  ds 

Il  metodo  che  ora  passiamo  ad  esporre  per  la  risoluzione  del  pro- 
blema di  Dirichlet  nel  caso  del  cerchio  si  fonda  sullo  studio  di  quella 
parte  dell'  integrale  esteso  al  contorno,  nel  secondo  membro  della  formola 
(IX),  pag.  101  che  contiene  i  valori  prescritti  della  funzione  al  contorno. 
Le  formolo  che  stabiliremo  nel  presente  §.  valgono  non  solo  nel  caso 
del  cerchio,  ma  anche  per  qualunque  area  semplicemente  connessa,  il 
cui  contorno  volga  costantemente  la  sua  concavità  verso  l'interno  (con- 
torno di  Neumann)  e  servono  appunto  di  fondamento  alla  risoluzione  del 
problema  di  Dirichlet  per  ogni  tale  area. 

Supponiamo  data  sul  contorno  dei  cerchio  una  successione  U  di  va- 
lori, che  assoggettiamo  alla  sola  condizione  di  formare  una  catena  finita 
e  continua,  e  indicando  con  r  le  distanze  dei  punti  del  contorno  da  un 
punto  M'^^ixi/')  interno  dell'area,  studiamo  il  modo  di  comportarsi 
della  funzione 

1     f      ^'"8  (7) 

Intanto,  se  consideriamo  un'area  A'  tutta  interna  al   cerchio  ed  in 
questa  facciamo  muovere  il  punto  M',  la  funzione  sotto  il  segno  integrale 
1 


9  log 

-  ^ —  è  una  funzione  di  x',  y  sempre  finita  e  continua  che  am- 
mette, rispetto  ad  x ,  y\  le  derivate  parziali  di  ordine  tanto  elevato  quanto 
si  vuole  e  soddisfa  all'equazione 

Per  le  note  proprietà  degli  integrali  definiti,  e  delle  regole  di  deri- 
vazione sotto  il  segno,  abbiamo  dunque  :  In  qualunque  area  A'  tutta  in- 
terna al  cerchio  la  funzione  tj;  {x,  y)  è  finita  e  continua,  colle  sue  derivate 
parziali  di  tutti  gli  ordini,  e  soddisfa  alV equazione 

dx'^  "^  dy"'  ~     ' 


110  CAPITOLO    III.  —  §.38 

Vogliamo  ora  esaminare  (ed  è  questo  il  punto  essenziale  della  ri- 
cerca) quello  che  accade  della  funzione  armonica  '\  {x,  y),  quando  il  punto 
ìH!  ^{x\y'),  dair interno  del  cerchio,  si  accosta  indefinitamente  ad  un 
punto  Mo  della  periferia.  Perciò,  indicando  con  Uo  il  valore  di  U  in  Mo,  e 
sottraendo  da  <\{x\ìj)  la  costante  2U,j,  o^s^rviamo  che  per  la  formola 
(7)  di  Gauss  (pag.  106)  si  ha 

1 


1  ^^'^\r. 

M^,  2/)  -  2  Uo  =  -  J^  (U  -  Uo)  -^^  cfe, 

e  prendiamo  a  studiare  il  modo  di  comportarsi  dell'integrale  del  se- 
condo membro  quando  il  punto  M'  si  accosta  indefinitamente  verso  Mq. 
Se  con  /o  denotiamo  le  distanze  dei  punti  dell'area  dal  punto  Mq  fisso 
sulla  periferia,  la  funzione 


(U-Uo) 


dp 


sarà  finita  e  continua  su  tutto  il  contorno,  anche  in  Mo  (§.  37)  e  potremo 
considerare  l'integrale  definito 


1  f       ^ '»«(.-) 


^  ds. 

dp 

Sarà  questo,  come  ora  dimostreremo,  il  valor  limite  verso  cui   con- 
vergerà l'integrale 

1 


1  ^^'Hr. 

quando  M'  si  muoverà  verso  Mo;  si  avrà  cioè,  come  scriveremo: 


'^^Ki) .    1  L  . '^^^fi) 


(11)     lim—  /  (U-Uo)  ■ — ^-^^  ds  =  —   J  (U-Uo)  "'"^  ds. 

z  Js  dp  a  J  s  ds 

Dimostreremo  anzi  di  più  che  questa  convergenza  ha  luogo  superfi- 
cialmente in  egiicd  rjrado,  che  cioè,  preso  un  numero  positivo  ;  piccolo 
a  piacere,  si  può  fare  un  intorno  superficiale  di  Mo  così  piccolo  che, 


STUDIO   dell'integrale    —  /    U  j.-'— ^  ds  111 

muovendosi  M'  comunque  in  quest'  intorno,  la  differenza  dei  due  integrali  : 

i  i  ("  -  u»)  '-^^  *  -  i  i  (u  -  Uo)  ^-^^  * 

si  serbi  sempre,  in  valore  assoluto,  minore  di  s. 

Per  questo  cominciamo  dal  ricordare  che,  per  la  formola  (9)  del  §.  pre- 
cedente, pag.  107,  la  quantità 

aiogf-")  -, 

V  *■  /  cos  {rp) 

dp  r 

è  sempre  positiva,  perchè  nel  caso  del  cerchio,  e  più  in  generale  di  un 

A 

contorno  qualunque  di  Neumann,  l'angolo  rp  è  sempre  acuto  e  lo  stesso 

a  log  [^ 

vale  manifestamente  dell'  altra  — -  . 

dp 

Ora  cominciamo  dal  prendere  sulla  periferia  un  intorno  s'  di  Mq  tanto 

piccolo  che,  essendo  ci  una  quantità  positiva  prefissata,   piccola  quanto 

si  vuole,  si  abbia  in  tutto  5' 

|U-Uoi<s,, 

ciò  che  è  sempre  possibile,  a  causa  della  supposta  continuità  dei  valori 
U  al  contorno.  Indicando  poi  con  s"  tutta  la  parte  rimanente  della  pe- 
riferia, decomponiamo  i  nostri  due  integrali  così: 


1  r    M"^    1  r 

-    /  (U-Uo)  ~^~^  ds  =  ^   /   (U- 


3  log  (7^ 

^^  ""  —         /.'  v^     Uo)  Ti ds  -f- 

cp  TI  Js  dp 


1  f         ^^^^(i 


(12) 

1 


log(r)        1  f        ^1^41 

,    (U-Uo) ^-^^  ds==-      ,(U-Uo) ^-^^^  ds  + 

7:  Js  dp  Tt  J  s  dp  ' 

1   f         ^^"^(v 


112 


CAPITOLO   III.  —  §.  38 


Pei  due  primi  integrali  dei  secondi  membri,  essendo  come  si  è  detto 


3  1og(l)    31og(i 


dp 


dp 


sempre  positivi,  si  ha 


1  f       ''<) 


e  per  la  formola  (7)  di  Gauss 


r 


•7-    .    'O 


9  loK 


,  f'H^ 


dp  t:  Js         dp 


ds 


1     f  ^^°^^(Ì 


<2ei 


Similmente  si  troverà  per  la  (10) 


flf  l02 


tX'(u-u.) 


dp 


ds  ;  <  £i 


Dalle  (12)  deduciamo  quindi  per  sottrazione 


(13) 


1  ^^^^(7. 


1 


aiog(i) 


ds 


+ 


1  f     '''K^ 


T.V'^-^«)-     3, 


cZs 


i/" 


3  log 


^1 


A^-^o) 


cp 


<3si  + 


c?s 


la  quale  formola  vale  ancora  dovunque  sia  M'  nell'interno. 

Ma  ora  facciamo  un  piccolo  intorno  superficiale  di  Mo  in  guisa  che 
la  parte  del  suo  contorno  appartenente  alla  periferia  del  cerchio  sia  tutta 
interna  a  s'.  Allora,  muovendosi  M'  in  quest'intorno,  le  sue  distanze  dai 
punti  delFarco  s"  d'integrazione  si  mantengono  sempre  superiori  a  una 
quantità  fissa  e,  se  impiccoliamo  sufficientemente  quest'intorno,  la  dif- 
ferenza 


9  log 


IN 

,  -  I 


9  log 


cos  (rp)        cos{r^) 


dp  dp  r  To 

potrà  rendersi  lungo  tutto  Varco  s"  piccola  quanto  si  vuole.  Xe  segue  che, 


IL  PROBLEMA   DI    DIRICHLET   PEL    CIRCOLO  113 

serbandosi  U  -  Uo  sempre  finita,  anche  la  diiferenza  di  integrali  nel  se- 
condo membro  della  (13)  può  rendersi  inferiore  alla  quantità  che  più 
ci  piace,  p.  es.  ad  Si.  Il  secondo  membro  della  (13)  sarà  allora  inferiore  a 

4  £i,  e  posto  Si  =  T  5  avremo,  come  si  voleva 


<:£ 


f  aiog(l)  f  aiog(^ 

-  /  (U-Uo)  ^^^  ^  -  -  A  (U-Uo)  ■ ^^  ds 


§.  39. 
Risoluzione  del  problema  di  Dirichlet  pel  campo  circolare. 

Applichiamo  al  caso  del  cerchio  la  formola  (11),  che  abbiamo  dimo- 
strata nel  caso  generale  di  un  contorno  di  Neumann.  Essa  può  scriversi 
anche  così  : 

1     f     ^^'^(l)                     1     f     ^^'^(k) 
L   f  u  ~^^  ds  =  Vo  +  ^   f  U  ,,^^ 


lim—   /   U  ^ ds  =  Vo  +  —    '  U  ^--^^  ds; 

'     ''s  dp  7t  .->s  dp 


r-  .y 


ma  nel  caso  attuale,  se  indichiamo  con  R  il  raggio  del  cerchio,  abbiamo 

1 


Vn  )  _  cos(rQp)  _  _1_ 
3/>         ~       n       ~  2R  ' 

indi 

d  log 


t:  *y  s  dp  2zU'^s  2;:  c/O 


per  cui  risulta 

)_  /    TT   

dp  2;t^0 


1^  ^•2z 


lim  I—  /  U  ^-^  ds  —  J^LVdQ\  =  Uo 


La  funzione 

aio 


(14)  u  {xf„  y')  =  --  I  U ^-^^  cìs-^ÌV  dO 


^         1     frj  '  '"^yrj  1 

')  =  —  /   U ^ ds  —  —    , 


114  CAPITOLO    III.  —  §.  39 

è  quindi  armonica  nell'area  circolare  ed,  avvicinandosi  al  contorno,  tende 
ai  valori  prefissati. 

La  forinola  (14)  risolve  adunque,  per  un  campo  circolare,  il  lìróblema 
dì  Dirichlet. 

Possiamo  dare  a  questa  forraola  un  altro  aspetto,  introducendo  coor- 
dinate polari.  Siano  (p',  9'j  le  coordinate  polari  di  M'  e  (p,  b)  quelle  di 
mi  punto  M  mobile  nelFarea.  Avremo 

r^  =  f/+p'2_-2pp'cos(e-e'), 


quindi 


onde 


»'9-  =  r^-p  cos(9-6), 


^^^Ki)  p-p'cos(e-eo 


dp  pHp''— 2pp'cos(e-e')  ' 

e  sostituendo  nella  (14)  il  valore  di  questa  derivata  al  contorno,  avremo: 

/.o'x     1   Tti     R— p'cos(0-o')  1   r^; 

^(^-'^)-irj/R-+p---2Rp-cos(9-60^^-2^j/^^' 
che  possiamo  scrivere  anche 

(14*)         u  (,'.  e')  =  i_|  u"  R.^^;,?jR;4(e-9')  ''  ■ 

In  tutto  quello  che  si  è  detto  fin  qui  si  è  supposto  che  i  valori  U, 
assegnati  al  contorno,  formino  una  catena  finita  e  continua.  Ma  possiamo 
ora  facilmente  spingere  più  in  là  la  ricerca  e  consider  are  il  caso  in  cui 
i  valori  U  dati  al  contorno,  pur  mantenendosi  sempre  inferiori  ad  una 
quantità  fissa,  presentano  discontinuità  di  prima  o  se  conda  specie  in  un 
numero  finito  di  punti,  ovvero  anche  in  un  gruppo  infinito  di  punti,  pur- 
ché sia  di  prima  specie  (^'.  Domandiamo  allora  se  si  può  costruire  nel- 
l'area circolare  una  funzione  h,  i  cui  valori  si  serbino  tutti  inferiori  a 
un  numero  fisso,  che  sia  armonica  in  ogni  area  interaa  al  cerchio  ed, 
avvicinandosi  al  contorno  verso  i  punti  di  continuità  della  catena  U,  tenda 
con  continuità  verso  questi  valori,  mentre  nessuna  condizione  imponiamo 


(*)  DiNi.  Fondamenti,  pag.  17. 


IL  PROBLEMA  DI  DIRICHLET  PEL   CERCHIO  115 

per  l'avvicinarsi  dall' interno  verso  i  punti  di  discontinuità.  In  tali  con- 
dizioni dimostriamo  anzi  tutto  che,  se  la  funzione  n  esiste,  essa  è  unica  (^' 
ed  è  ancora  data  dalla  formola  (14),  o  (14*).  Descriviamo  infatti  un  cer- 
chio Si  concentrico,  con  raggio  Ri  •<  R,  ma  vicino  ad  R  quanto  si  vuole 
sì  da  includere  il  punto  (o',  6').  Indicando  con  Us,  i  valori  di  n  sul  con- 
torno Si ,  potremo  applicare  al  cerchio  minore  la  furinola  (14*)  ed  avremo 

"  ('-'•  ^'>  =  à, (u-  R;+f;'-2'Rf;cos(e-9o  "''  ■ 

Questa  formola  vale  comunque  Ri  sia  vicino  ad  R,  e  il  valore  del- 
l'integrale del  secondo  membro  è  indipendente  da  Ri.  Ma,  nelle  ipotesi 
ammesse,  si  vedrà  subito  che,  prendendo  Ri  sufficientemente  vicino  ad  R, 
la  differenza  fra  questo  integrale  e  l'integrale  limite 

u  ^  -' 


2%J^     R'+f/'-2Rf/cos(0-8O 

è  piccola  quanto  si  vuole,  onde  essa  è  assolutamente  nulla  e  sussiste 
ancora  la  (14*). 

Con  ciò  è  dimostrato  che,  se  la  funzione  cercata  ^«  esiste,  essa  è  unica 
ed  è  data  dalla  (14*).  Ma  ora,  se  rammentiamo  le  considerazioni  del 
§.  38,  vediamo  che  effettivamente  questa  funzione  u  (f/,  G'),  che  è  armo- 
nica in  ogni  area  interna  al  cerchio,  avvicinandosi  ai  punti  del  contorno 
ove  la  U  è  continua,  si  comporta  ancora  in  modo  continuo. 

Quanto  al  modo  di  comportarsi  della  n  avvicinandosi  ad  un  punto 
Mo  di  discontinuità  al  contorno,  nulla  possiamo  dire  in  generale,  quando 
la  discontinuità  della  U  in  Mo  sia  di  seconda  specie.  Ma  se  il  punto  Mo 
è  un  punto  di  discontinuità  di  prima  specie,  sicché  esista  un  limite  dei 
valori  a  destra  di  Mo,  sia  U^,  ed  un  limite  a  sinistra  U^,  possiamo 
determinare  colle  considerazioni  seguenti,  dovute  a  Schwarz,  come  si* 
comporterà  la  funzione  nelle  vicinanze  di  My.  Essendo  M  un  punto  qua- 
lunque del  cerchio,  indichiamo  per  ciò  con  6  l'angolo  che  la  direzione  po- 


(')  Per  l'unicità  della  funzione  è  essenziale  l'ipotesi  fatta  che  i  valori  dati 
sul  contorno  e  i  valori  nell'interno  si  serbino  tutti  inferiori  ad  un  numero  fisso, 


come  lo  dimostra  il  seguente  esempio.  Prendasi  la  parte  reale  u  =  ^^^  ^  ^  —  1  della 


funzione  di  variabile  complessa 1.  Nell'interno  del  cerchio  x^-\-y^==2x 

la  «^  è  armonica  e  si  annulla  sul  contorno. 


116  CAPITOLO   III. —  §.  39 

sitiva  della  tangente  in  Mq  fa  colla  direzione  Mq  M  e  con  B  i  valori  di  S 
al  contorno.  La  funzione  9  è  dentro  al  cerchio  una  funzione  ad  un  sol 
valore,  finita  e  continua  insieme  alle  sue  derivate  parziali,  in  là  quanto  si 
vuole,  e  soddisfa  al 

I  valori  ©  al  contorno  formano  una  funzione  dovunque  continua,  salvo 
in  Mo  dove  hanno,  precisamente  come  U,  una  discontinuità  di  prima 
specie,  tale  che 


Se  alla  catena  U  di  valori  al  contorno  sostituiamo  l'altra 

V=:U  + 


u^— Uo- 


questa  avrà  le  medesime  discontinuità  di  U  eccetto  in  Mq,  dove  sarà  ri- 
stabilita la  continuità,  se  intendiamo  che  pel  valore  di  V  in  Mo  si  prenda 
il  limite  comune  Ut  dei  valori  a  destra  e  a  sinistra.  Con  questi  valori  V 
costruiamo,  colla  formula  (14*),  la  corrispondente  funzione  armonica  v 
che  coinciderà  necessariamente,  pel  teorema  d'unicità,  con 

V  =  Il  -\ D  . 

La  V,  avvicinandosi  dall'interno  a  Mo,  si  comporterà  in  modo  continuo, 
convergendo  equabilmente  verso  U^  e  però  la  u  si  comporterà  come 

Se  muoviamo  dunque  verso  Mo  lungo  una  retta  inclinata  dell'angolo  ©o 
sulla  tangente  (positiva),  avremo 

TT- TT+ 

\ìmu  =  \j++^'  ^  ^"©0, 

la  quale  formola  ci  fa  conoscere  appunto  quello  che  si  domandava.  In 
particolare,  se  andiamo  verso  Mo  lungo  il  raggio  del  cerchio,  avremo 

So=  —  ed  u  convergerà  verso  la  media 

2 
dei  valori  limiti  a  destra  e  a  sinistra. 


(*)  Invero  6  è  il  coefficiente  dell'  immaginario  nella  funzione  log  (z — Zq). 


117 


Capitolo  IV. 

Integrali  di  funzioni  di  variabile  complessa.  —  Teorema  fondamentale  di  Caiichy 
e  sue  conseguenze.  —  Sviluppi  in  serie  di  Taylor.  —  Sviluppo  di  Laurent.  — 
Concetto  di  funzione  analitica  secondo  Weierstrass.  —  Serie  di  funzioni  ana- 
litiche. 

§.  40. 
Integrali  definiti  di  funzione  di  variabile  complessa. 

In  un'  area  A  connessa  sia  data  una  funzione  w  della  variabile  com- 
plessa z  finita,  continua  e  monodroma.  Consideriamo  un  arco  a  eh  di 
curva  neir interno  di  A  e  dividiamolo,  secondo  una  legge  arbitraria,  in 
tratti 

Oi ,  §2 ò„  ; 

formiamo  la  somma 

(1)  '^Wr  t^r  S  , 

1=1 

dove  con  Wr  indichiamo  uno  qualunque  dei  valori  di  w  nel  tratto  S,-  e 
con  ^.yZ  l'incremento  della  variabile  z  nel  passaggio  dal  primo  al  se- 
condo estremo  del  tratto.  Facciamo  ora  crescere  all'infinito  il  numero 
dei  tratti,  mentre  ciascuno  di  essi  impiccolisce  oltre  ogni  limite.  Facil- 
mente dimostriamo  che  la  somma  (1)  convergerà  verso  un  limite  deter- 
minato e  finito,  indipendente  dalla  legge  di  divisione  e  dai  valori  inter- 
medii  scelti  iv,-.  Scindendo  il  reale  dall' immaginario,  poniamo 

iVy  =  u,.  -f  i  y,.  ,    A,.  2;  =  A,,  a;  +  i  Ar  ?/ 
ed  avi'emo 

2  IVr  Ar  ^  =  2  (^'-  ^>-  ^  -  ^r  ^r  2/)  +  «  2  (^'^  ^''  •^  +  ^*'-  ^'^  V)  ' 

Ora  si  ha  (§.  27): 

lim  2  (ur  A,.  X  —  Vr  A,  y)  =  f  (u  dx  —  v  dy) 

lim  2  (^1-  ^rX  -\-  n,-  Ar  ?/)  =  /  {v  dx-^  u  dy) , 

*-  acb 


118 
quindi 


CAPITOLO  IV.  —  §.  40 


lim  ^  tVr  ^r  ^  =  I  (u  cìx  —  V  dy)  -\-  i      (v  dx-{-  u  dìj) 


Questo  limite  si  chiama  l'integrale  di  iv,  esteso  all'arco  ach,  e  si 
scrive  : 

(2)  /  w  ds  =  /  {u  dx — V  dìj)  -{-  i  \  {v  dx-\-u  dy) . 

^acb  '-'ach  '^  ach 

Dalla  definizione  stessa  di  integrale  definito  possiamo  subito  ottenere 
un  teorema  semplice,  ma  molto  utile,  dovuto  a  Darboux,  che  assegna  un 
limite  superiore  pel  modulo  dell'integrale  e  si  enuncia:  Il  modido  del- 
l'integrale  iivdz  non  può  superare  il  prodotto  del  massimo  modido  della 

funzione  durante  il  corso  dHntegr azione,  per  la  lunghezza  dell'arco  ach. 
Indicando  con  M  questo  massimo  modulo,  e  con  L  il  perimetro  dell'arco 
d'integrazione,  avremo  cioè: 


(3) 


i 


w  dz 
eh 


ML, 


E  infatti 


/ 

''  nt 


w  dz  =  lim  '^iv  àz  \ 
ach 


ora 


\^^v^z\<My,\^z\<M^\l^a^+^y' 

e  il  limite  della  somma  2V^^^  +  ^/  è  appunto  L,  onde  segue  la  (3). 
Qualche  volta  si  dà  alla  (3)  anche  un'altra  forma.  Indicando  con  w  il 
valore  di  tv  in  un  punto  di  massimo  modulo,  si  ha 

w  =  Me'"\ 
e  d'altra  parte 


/" 

r 

/  IV  dz  = 

1  w  dz 

"^ach 

Jach 

onde  avremo 

(3*) 

1  IV  dz 

^  a  e  h 

=  ),  L  IV 

dove  X  è  un  fattore  di  modulo 
sull'arco  d'integrazione  ach. 


1  e  ic  è   un  valore  intermedio  di  tv 


119 


§.  41. 
Teorema  di  Cauchy.  —  Integrali  indefiniti. 

Le  due  espressioni 

n  dx  —  V  dy    ,     V  dx  -\-  u  dy, 

che  figurano  nel  secondo  membro  della  (2),  a  causa  delle  condizioni  di 

monogeneità 

du dv         da  dv 

dy  dx    '     dx        dy  ' 

sono  differenziali  esatti.  Se  dunque  supponiamo  che  w  sia  finita,  continua 

o7f         eli 

e  monodroma  nelF  area  A  e  le  derivate  ;^  ,  ;^  si  serbino  finite  anche 

dx     dy 

sul  contorno,  sarà  applicabile  il  teorema  alla  fine  del  §.  27,  cioè  gli  in- 
tegrali 


f{udx — V  dy)  ,    I  (v  dx-^u  dy)  , 


estesi  al  contorno  completo  dell'area,  saranno  identicamente  nulli.  Ne 
risulta,  per  la  (2),  il  teorema  fondamentale  di  Cauchy:  Se  nell'area  A, 
incluso  il  contorno,  la  w  è  funzione  finita,  continua  e  monodroma  della  va- 
riabile complessa  z,  e  la  derivata  iv(z)  si  serba  finita  anche  al  contorno, 
V  integrale 

/w  dz, 

esteso  al  contorno  completo  dell'area,  è  identicamente  nullo. 

La  condizione  relativa  alla  derivata  al  contorno  si  può  anche  togliere 
nei  casi  ordinarli,  quando  l'area  A  possa  riguardarsi  come  limite  di  una 
area  interna  variabile  A',  il  cui  contorno  s  converga  uniformemente  verso 
il  contorno  s  in  guisa  che  ogni  punto  di  s  si  accosti  indefinitamente  ad 
un  punto  determinato  di  s.  E  infatti  allora,  per  ogni  configurazione  di  s, 
si  avrà 

Jf  tv  {z)  dz  =^0 
s' 

e  r  integrale  /  w  dz,  essendo  il  limite  verso  cui  converge  /  ^  w  dz,  sarà 
pure  nullo. 


120  CAPITOLO   IV.  —  §.41 

Senza  ripetere  per  gli  integrali  di  funzioni  di  variabile  complessa  le 
deduzioni  del  §.31,  relative  agli  integrali  curvilinei  di  differenziali  esatti 
reali,  basterà  enunciare  i  corrispondenti  teoremi: 

1.°  Indicando  con  a  una  curva  chiusa  qualunque  tracciata  nclV  interno 
di  un'area  A,  supposta  semplicemente  connessa,  nella  quale  la  funzione 
w{is)  è  finita,  continua  e  monodroma,  si  avrà 

2.°  NelVarea  semplicemente  connessa  A  l'integrale  Jwdz,  esteso  da  un 
punto  a  ad  un  punto  h  lungo  un  cammino  qualunque  nélV  interno  dell'area, 
dipende  solo  dagli  estremi  a,b  e  nidla  affatto  dal  cammiìio  percorso. 

Questo  integrale  si  può  quindi  indicare  opportunamente  con 

ri 
I  IV  de. 

Supponiamo  ora  fìsso  l'estremo  inferiore  e  mobile  l'estremo  superiore, 
che  indicheremo  con  ^,  e  consideriamo  l'integrale 


■2 

W  =  /  w  dz , 
a 


È  facile  vedere  che  W  sarà,  come  w  stessa,  una  funzione  finita,  con- 

dW 

tinua  e  monodroma  della  variabile  complessa  z  e  sarà  inoltre —r— =  w . 

az 

Si  ha  invero: 

rz  r(x,y)  r{x,y) 

Yf  =  I  tv  dz  =^  1  (u  dx — V  dg)  -{-  i      (v  dx  -\-  u  dy) 

e  basta  applicare  i  risultati  del  §.31,  osservando  che  ne  risulta 

aw         .  aw  .       .aw 

^--z=ll-\-lV=^lV    ,      ^r—  = V-^IU  =  l  ^^-    . 

dx  dy  dx 

Se  l'area  A  ha  una  connessione  d'ordine  n,  l'integrale  indefinito  Jwdz, 
esteso  da  un  punto  fisso  ad  un  punto  mobile  z,  sarà  ancora  una  funzione 


(')  Qui  le  condizioni  al  contorno  sono  manifestamente  superflue. 


INTEGRALI    INDEFINITI  121 

W  finita  e  continua  della  variabile  complessa  z,  ma  invece  di  essere 
monodroma  sarà  ora,  in  generale,  polidroma.  La  sua  polidromia  consi- 
sterà in  ciò  che  se  in  un  punto  z,  per  un  dato  cammino,  acquista  il  valore  W, 
variando  ad  arbitrio  il  cammino,  acquisterà  tutti  i  valori  della  forma 

W  -!-•  >'l  Wi  -}-   )\  co,  4-  •  •  •  +  >*n-i  Wn-i  , 

dove  lOi ,  («2 . . .  w,i_i  sono  n-\  quantità  complesse  (moduli  di  periodicità) 
fisse,  mentre  ri ,  rj . . .  Yn^^  prendono  tutti  i  valori  interi  positivi  e  ne- 
gativi. 

§.  42. 
Formola  di  Cauchy. 

Dal  teorema  di  Cauchy  si  può  facilmente  dedurre  una  formola,  pure 
dovuta  a  Cauchy,  che  ha  un'  importanza  fondamentale.  Essa  serve  a  cal- 
colare i  valori  nell'interno  dell'area  di  una  funzione  finita,  continua  e 
monodroma,  per  mezzo  dei  valori  che  la  funzione  ha  al  contorno.  Che 
i  valori  al  contorno  determinino  pienamente  i  valori  nell'interno  sap- 
piamo già  ;  ed  anzi  sappiamo  di  più  che  basta  dare  i  valori  al  contorno 
della  parte  reale  u  perchè  questa  venga  individuata  nell'  area,  e  siccome 
della  parte  immaginaria  v  si  conosce  allora  il  differenziale  totale,  basterà 
fissare  inoltre  in  un  punto  il  valore  di  v  perchè  la  io  risulti  individuata  '^' . 

Per  trovare  la  formola  di  Cauchy,  prendiamo  un  punto  /  interno  del- 
l' area  e,  fatto  centro  in  z\  descriviamo  un  piccolo  cerchio  tutto  interno 
all'area  e  indichiamo  con  rj  il  contorno  di  questo  cerchio.  Se  togliamo 
dall'area  A  il  disco  circolare,  otteniamo  un'area  A'  il  cui  contorno  si 
compone  del  contorno  primitivo  s  e  del  contorno  ^  del  cerchio.  In  que- 
st'area A'  la  funzione 

w  {z) 
z — z 

è  finita,  continua  e  monodroma  e  il  teorema  fondamentale  di  Cauchy  dà 
quindi  : 

w  iz)  dz        l  IV  {z)  (ìz 


I  w  (z)  dz        l 

J    z      /       7g 


0. 

«  —  fi      '     i      e. — !>: 


<*'  Si  osservi  che,  se  l'area  è  più  volte  connessa,  non  si  potranno  nemmeno 
dare  ad  arbitrio  i  valori  della  parte  reale  al  contorno,  perchè  la  parte  immagi- 
naria risulterà  (in  generale)  non  ad  un  sol  valore,  ma  ad  infiniti  valori. 


122  CAPITOLO   IV.  —  §.  42 

Qui  il  contorno  o,  come  contorno  interno,  è  percorso  nel  verso  ne- 
gativo; se  lo  intendiamo  percorso  nel  senso  diretto,  avremo  dunque 

Cw  {3)  dz i  IV  {£)  dz 

Js  ^—^    ~X  ^—^'  ' 

L'integrale  del  secondo  membro  ha  un  valore  che  è  facile  calcolare, 
sia  direttamente,  sia  ricorrendo  alla  proprietà  già  dimostrata  (Gap.  Ili 
§.  35)  per  le  funzioni  armoniche,  di  assumere  cioè  nel  centro  di  un  cer- 
chio la  media  dei  valori  al  contorno.  Servendoci  di  questo  teorema,  os- 
serviamo che  indicando  con  0  il  raggio  del  cerchio,  con  8  l'anomalia  di 
un  punto  z  variabile  sulla  circonferenza,  avremo  sopra  0: 


indi 


e  pero 


z — z  =  ^  e 


dz=^iùé'^  d%  ,    -,  =  idB, 

z — z 


Cw{z)  dz  ■     f  /'        .  7n 

/  ,-  =  i  /  (u  +  iv)  dB  . 

Ma  indicando  con  w{z')  =  ii  -\-iv'  il  valore  di  tv  in  z  si  ha,  pel  citato 
teorema  : 

r'2r.  -2- 


udQ  =  2-u'    ,        vdQ  =  2z V 


onde 


i 


w  (z)  dz       e,     ■     r  '\ 


a   ^-^ 


La  (4)  ci  dà  adunque 

,  ,  1     fiv  (z)  dz 

(I)  w'  [z  )  =  -—.  /  r  , 

2ziJ^    z — z 

che  è  la  formóla  di  Caiichy  <^>. 


(*>  Questa  formola  si  potrebbe  anche  dedurre  dalla  (IX)  §.  33  applicandola 
alla  parte  reale  u  ed  al  coefficiente  v  dell'  immaginario.  (Cf.  Picard.  Traité 
d'Analyse,  T.  II,  pag.  109). 


FORMOLA    DI    CAUCHT  123 

Si  osservi  che  la  (I)  rimane  valida  (per  contorni  ordinarli),  anche 
toghendo  al  contorno  le  condizioni  relative  alla  derivata  tv  (z).  (Cf.  §.  41). 

Dalla  formola  (I)  di  Cauchy  così  stabilita  deduciamo  subito  impor- 
tanti conseguenze.  Immaginiamo  di  far  muovere  /  in  un'area  A'  tutta 
interna  all'  area  A,  ma  del  resto  qualunque.  Mentre  z  nel  secondo  mem- 
bro della  (I)  percorre  il  contorno  s,  la  ^  -  /  rimane  col  modulo  discosto 
da  zero  più  di  una  quantità  fissa  e  perciò  la  funzione  sotto  il  segno 

z — / 

rimane  sempre  finita.  Essa  è  funzione  finita  e  continua  dei  parametri 
X  ,\j\  coordinate  di  /,  e  possiede,  rispetto  a  questi  parametri,  derivate 
sempre  finite  e  continue,  in  là  quanto  si  vuole,  e  soddisfacenti  alla  con- 
dizione di  monogeneità 

Ì_  _  _L   1 
9a;'         %    dy 

Per  le  regole  di  derivazione  sotto  il  segno  integrale,  se  ne  conclude 
quindi  che,  nell'  area  A',  esistono  le  derivate  rispetto  a  z  di  iv  (/)  in  là 
quanto  si  vuole  e  soddisfacenti  alla  condizione  di  monogeneità;  in  ge- 
nerale avremo 


(II)  là 


tv  {z)  dz 


^^  27ri       J'i^-z') 


s 


Abbiamo  dunque  il  teorema:  Se  una  funzione  tv  di  variabile  complessa 
è  finita,  continua  e  monodroma  in  un'area  A,  nell'interno  dell'area  essa 
ammetterà  non  solo  la  derivata  prima  finita,  continua  e  monodroma  (ciò 
che  è  conseguenza  della  definizione),  ma  anche  le  derivate  successive  di  tutti 
gli  ordini,  che  saranno  entro  l'area  A  tutte  funzioni  finite,  continue  e  mo- 
nodrome  della  variabile  complessa  z. 

§.  43. 
Sviluppi  in  serie  di  potenze. 

Dalla  formola  (I)  Cauchy  ha  dedotto  una  conseguenza  notevolissima, 
applicandola  al  caso  di  un  campo  circolare.  Sia  z  =  -i  il  centro  del  cir- 
colo; siccome,  mentre  z  percorre  il  contorno  del  circolo,  si  ha 

k'— tKI^— vi, 


124  CAPITOLO   IV.  —  §.  43 

cioè 

potremo  sviluppare 

1  1  1 


z — /        z — Y  / — Y 

in  serie  di  potenze  della  variabile 

^  — Y 
secondo  la  progressione  geometrica 

i-c     .à 

Avremo  quindi 

^— /        ,à    (^— y)"+^ 

e  questa  serie,  per  ogni  punto  z  interno  al  circolo,  muovendosi  z  sulla 
circonferenza,  sarà  convergente  in  egual  gi'ado. 
Sostituendo  nella  formola  di  Cauchy 


^    '         2-Z  l„    Z  —  ; 


il  valore  superiore  di , ,  potremo  eseguire  T  integrazione  termine  a 

z  —  z 

termine  e  scrivere 

[z)  dz 


»w=|(.'-vr.^,fe... 


's 
Poniamo 


2mJ  (z—'()" 


dz 


ed  avremo 

w{z)="%an(z-^r. 


SVILUPPO   IN   SERIE   DI    TAYLOR  125 

Si  osservi  che,  per  la  forinola  (II),  il  valore  (5)  del  coefficiente  a,»  è 

dato  da 

lé"^  (7) 


«n  = 


in) 


e  ponendo  ^  in  luogo  di  /,  potremo  dire  che,  in  ogni  punto  0  interno 
al  circolo,   si  avrà 

Questa  non  è  altro,  come  si  vede,  che  la  serie  di  Taylor,  estesa  ai 
valori  complessi  della  variabile.  E  poiché  attualmente  figurano  soltanto 
i  valori  della  funzione  e  delle  derivate  nel  centro  del  circolo,  è  chiaro 
che  per  la  validità  della  formola  basterà  che  la  funzione  w  i^)  sia  finita, 
continua  e  monodroma  in  ogni  area  interna  al  circolo,  senza  porre  al- 
cuna condizione  al  contorno.  E  infat*^i,  se  ^  è  interno  al  circolo,  basterà 
descrivere  un  circolo  concentrico  interno  di  raggio  >  1 2;  |  ed  applicare 
le  nostre  considerazioni  a  questo  circolo.  Se  ricordiamo  poi  i  risultati 
ottenuti  al  Gap.  I  riguardo  alle  serie  di  potenze,  potremo  enunciare 
l'importante  teorema:  Affinchè  una  funzione  tv {^)  di  variabile  complessa 
sia  sviluppabile  in  serie  di  potenze  di  z-  y,  è  necessario  e  sufficiente  che 
ndV  interno  di  un  circolo  di  centro  '(  essa  sia  finita,  continua  e  monodroma, 
insieme  alla  derivata  w  iz). 

Osserviamo  poi,  ciò  che  ancora  non  risulta  dalle  ricerche  precedenti, 
che  lo  sviluppo  è  unico  e  coincide  quindi  necessariamente  collo  sviluppo 
di  Taylor. 

E  infatti  se  due  serie  ordinate  per  le  potenze  di  ^;  -  y  rappresentano 
la  medesima  funzione,  la  loro  differenza,  che  è  pure  una  serie  di  potenze 

Co  +  Ci  (^— y)  +  C2  (^— y)'  -f  .  . .  , 

sarebbe  identicamente  nulla  per  ogni  valore  di  z  nell'area  considerata. 
Ora  poniamo  che  il  primo  coefficiente  non  nullo  della  serie  sia  c^ ,  sicché 
la  serie  si  scriva 


(^  — t)"|c.  +  c,h.i(^— Y)4-..-j 


Il  primo  fattore  {z  -  y)'*  si  annulla  solo  in  y,  quindi  la  serie  fra  pa- 
rentesi 

Ch  +  C«+i(^  — y)  +  ... 

dovrà  annullarsi,  salvo  al  più  in  y,  in  ogni  altro  punto  dell'area  e  però, 


126  CAPITOLO    IV.  —  §.  43 

a  causa  della  continuità,  anche  in  7.  Ne  risulterebbe  dunque,  contro 
l'ipotesi,  Cn  =  0.  Tutti  i  coefficienti  e  sono  dunque  nulli  e  quindi  le  due  serie 
coincidono  assolutamente. 

I  risultati  precedenti  pongono  in  piena  luce  le  condizioni  di  svilup- 
pabilità  di  una  funzione  in  serie  di  potenze  (serie  di  Taylor)  di  ^-7- 
Lo  sviluppo  resta  valido  finche  nel  cerchio  descritto  col  centro  7  la  fun- 
zione resta  finita,  continua  e  monodroma  colla  derivata,  ed  il  vero  cerchio 
di  convergenza  per  la  serie  è  il  massimo  che  si  possa  descrivere  soddi- 
sfacendo a  queste  condizioni.  Così  p.  e.  se  prendiamo  le  funzioni 

iog(i+^)  ,  (i+^r, 

dove  m  non  sia  un  intero  positivo,  queste  sono  finite,  continue  e  raono- 
drome  colle  derivate  entro  il  cerchio  di  centro  s  =  0  e  di  raggio  =  1 ,  ma 
nel  punto  z=  -  1  hanno  un  punto  singolare,  talché  il  raggio  del  cerchio 
di  convergenza  delle  corrispondenti  serie  (logaritmica  e  binomiale) 

log(l+^)=^  — -  +  -  + 


(i+^r  =  i  +  m^  +  ''^^^^^^  +  .... 

è  precisamente  l'unità. 

Così  la  funzione è  finita,  continua  e  monodroma  colla  derivata 

sen^ 

in  ogni  area  che  non  contenga  alcuno  dei  punti  singolari 
•  •  •        '->  •"  !        2,~  ,        7:,U,~,27r,o~,  ...  , 
e  se  7  è  un  punto  qualunque  del  piano  distinto  dai  punti  singolari,  po- 
tremo sviluppare in  serie  di  potenze  di  ^  -  7  e  il  raggio  di  conver- 

sen^ 

gonza  della  serie  sarà  la  minima  distanza  di  7  dai  punti  singolari. 

S'intende  altresì  come  limitandosi  a  considerare  le  condizioni  di  svi- 
luppabilità  in  serie  di  Taylor  per  le  funzioni  f{x)  di  variabile  reale, 
queste  non  possano  apparire  che  incompletamente.  E  invero,  per  le  pro- 
prietà delle  serie  di  potenze  (§.  3),  una  tale  funzione  è  necessariamente 
estendibile  al  piano  complesso  e  dalla  distribuzione  delle  singolarità,  non 
soltanto  suìVasse  reale,  ma  in  tutto  il  piano  complesso  dipendono,  come 
si  è  visto,  le  condizioni  di  sviluppabilità.  Così  p.  e.  la  funzione 

1 
cosh  X 


SVILUPPO   Di    LAURENT  127 

è  sempre  finita  e  continua  sull'asse  reale,  insieme  con  tutte  le  sue  deri- 
vate, in  là  quanto  si  vuole.  Ma  sviluppandola  ad  esempio  per  le  potenze 

di  X,  il  raggio  del  cerchio  di  convergenza  è  soltanto  ^  .  Ciò  dipende  da 

che,  estendendola  ai  valori  complessi,  la  funzione  — r—  ha  i  punti  sin- 
golari 

^==  {2  71+1)  ~      {n  intero) 

Tri 
sull'asse  immaginario,  e  di  questi  il  più  prossimo  a  ^  =  0  è  —  . 


§.  44. 
Sviluppo  di  Laurent. 

Passiamo  ora  ad  applicare  un  metodo  analogo  per  sviluppi  in  serie, 
anziché  ad  un  campo  circolare,  ad  un  anello  circolare,  cioè  allo  spazio  com- 
preso fra  due  circonferenze  concentriche  C,  C.  Supponiamo  che  in  questo 
spazio  (il  contorno  incluso)  la  funzione  iv(^)  sia  finita,  continua  e  mo- 
nodroma  colla  derivata  tv  (^).  Se  /  è  un  punto  interno  all'anello  e  con 
s  indichiamo  il  contorno  del  cerchio  esterno  C,  con  s'  quello  dell'interno 
C,  e  li  intendiamo  tutte  due  percorsi  nel  senso  positivo  delle  rotazioni, 
avremo  per  la  formola  di  Cauchy: 


w  (2)  dz         1       /  w  iz)  dz 


f    /^    ^  J_       /     tO   (^)   d^ 1_       /     ' 

^^'       2uiJ     z—s         2  7ri  L" 


Il  primo  integrale  si  potrà  ancora  sviluppare,  come  al  §.  precedente, 
per  potenze  di  /  -  7,  indicando  7  il  centro  dell'  anello,  e  si  avrà 


2tzì  j     z — z 


avendo  posto 
(6) 


1      l    w  (z)  dz 

''"-2^j,(^-7)"+^' 


128  CAPITOLO   IV.  —  §,  44 

Quanto  al  secondo  integrale  si  osservi  che,   mentre  z  percorre  C, 
si  ha 


VI 


e  perciò  potremo  sviluppare 

1  1 


z — /       z — z        z — Y  '  z — Y 

^-/=Y 
z  —  "t 

per  potenze  intere  e  positive  di  , — '  colla  formola 

/-Y 

1  _  _  "^»  (^— y)"-^ 

/  Id        (J .AH 


z—z      ,H   W—iY 
e,  a  causa  della  convergenza  in  egual  grado  di  questa  serie,  avremo 


w  {z)  dz  "-y         hn 


posto 

(7)  ^-  =  iri  hn^)  i^-'ir~' ciz . 

La  funzione  iv  iz')  risulterà  dunque,  per  V  interno  dell'  anello,  svilup- 
pata nella  serie 


tv 


(/)  =  ^an  {z'-^Y  +  2    7Z- 


Y)"  ' 


che  procede  insieme  per  le  potenze  ascendenti  e  discendenti  di  z  -^. 
Osserviamo  poi  che  i  coefficienti  (6),  (7)  risultano  calcolati  con  integrali 
definiti  estesi  rispettivamente  alle  circonferenze  C,  C  ;  ma  siccome  le  fun- 
zioni sotto  il  segno  in  tutto  l'anello  sono  finite,  continue  e  monodrome, 
potremo  estendere  anche  gli  integrali  stessi  ad  una  curva  chiusa  a  qua- 
lunque, p.  e.  ad  una  circonferenza  concentrica  che  giri  una  sola  volta 
attorno  all'anello,  sicché  avremo: 

Dopo  ciò  si  vedrà  subito  che  le  condizioni  al  contorno  dell'  anello  si 
possono  senz'altro  togliere  e  si  ha  quindi  il  teorema  di  Laurent: 


FUNZIONI   ANALITICHE  129 

Se  nell'interno  di  un  anello  circolare  la  funzione  iv{z)  è  finita,  con- 
tinua e  monodroma  colla  derivata,  si  potrà  sviluppare,  in  tutto  V  interno 
dell' anello,  nella  serie 

^  (^)  =  f  a„  (^-V)"  +  2  77-^«  ' 

0  1        \^  I,' 

procedente  per  le  potenze  intere  ascendenti  e  discendenti  di  2-^{,  e  i  valori 
dei  coefficienti  an,  bn  saranno  dati  dalle  (8). 

Si  osservi  che  se  anche  nell'  interno  di  C  la  w  (s)  si  mantiene  finita, 
continua  e  monodroma,  pel  teorema  fondamentale  di  Cauchy  sono  al- 
lora nulli  tutti  i  coefficienti  6„,  e  si  ritorna  allo  sviluppo  di  Taylor. 


§.  45. 
Funzioni  analitiche. 

Arriviamo  ora  all'importante  nozione  di  funzione  analitica  secondo 
Weierstrass.  Questo  concetto  è  fondato  sulle  proprietà  delle  serie  di  po- 
tenze, la  cui  importanza  fondamentale  nella  teoria  delle  funzioni  di  va- 
riabile complessa  risulta  già  dai  teoremi  di  Cauchy,  esposti  nel  §.  43.  In 
virtù  di  questi  teoremi  infatti  qualunque  funzione  di  variabile  complessa, 
sia  ad  uno,  sia  a  più  valori,  è  sempre  sviluppabile,  in  campi  sufficien- 
temente piccoli,  in  serie  di  potenze. 

Per  designare  una  serie  di  Taylor,  che  proceda  per  le  potenze  di 
z-'(,  ci  serviremo  con  Weierstrass  del  simbolo 

ed  innanzi  tutto  stabiliremo  la  nozione  di  prolungamento  analitico.  Se 
consideriamo  una  serie  di  potenze 

P(^-a), 

il  raggio  del  cui  cerchio  C  di  convergenza  non  sia  nullo,  essa  definisce 
entro  C  una  funzione  w  (z)  di  z  finita,  continua  e  monodroma.  Prendiamo 
entro  C  un  punto  h,  diverso  dal  centro  a,  e  descriviamo  col  centro  in 
b  un  cerchio  C  che  rimanga  entro  C;  il  massimo  raggio  che  potremo 
dare  a  C  sarà  evidentemente  la  minima  distanza  di  h  dalla  periferia  di 
C  e  sarà  quindi  dato  da  E  -  |  a  -  6  j,  avendo  indicato  con  R  il  raggio  di 


130 


CAPITOLO    IV 


§.45 


e.  Entro  il  cerchio  C  la  nostra  funzione  10(2)  è  certamente  finita,  con- 
tinua e  monodroma,  quindi  (§.  43)  sviluppabile  in  serie  di  potenze 

del  binomio  ^-h,  e  noli' area  C  abbiamo  per  la  funzione  ìv{s)  le  due 
diverse  rappresentazioni  analitiche 

IV  {js)  =  P  (^— a)  ,    w{s)  =  Pi  (.?  — i) . 

Ora  il  cerchio  di  convergenza  della  seconda  serie  è  almeno  C,  ma 
può  darsi  benissimo  che  sia  più  ampio.  Indichiamolo  in  tal  caso  con  Ci , 
e  la  serie  Pi  (^-&),  che  nell'area  comune  a  C,  Ci  rappresenta  la  funzione 

FiG.  7.a 


w{^),  conserva  un  significato  anche  fuori  del  cerchio  primitivo  C,  nel- 
l'area tratteggiata  della  figura  7.=^.  Diremo  allora,  con  Weierstrass,  che 

la  serie 

Pi  i^-b) 

dà  un  prolungamento  analitico  della  serie  P  (^  -  a),  od  anche  che  la  no- 
stra funzione  iv{z),  primitivamente  definita  entro  il  cerchio  C  dalla  serie 
P(^-a),  è  stata  analiticamente  prolungata  nella  parte  ombreggiata  della 
figura.  Più  in  generale,  se  costruiamo  una  successione  di  serie  di  potenze 

P(^— a)  ,    Pi  (^  — «1)  ,    P2  (^— «2) . . .  Pn  (-2^— a») , 


PROLUNGAMENTO   ANALITICO  131 

ciascuna  delle  quali  sia  dedotta  dalla  precedente  nel  modo  come  abbiamo 
dedotto  Pi(^-&)  da  P(^-a),  diremo  ancora  che  F ultima  serie  Pn(^-an) 
è  dedotta  per  prolungamento  analitico  dalla  primitiva  P  (^  -  a).  Ma,  per 
giustificare  e  precisare  queste  definizioni,  conviene  innanzi  tutto  dimo- 
strare il  teorema  :  ;S'e  una  serie  P  (^  -  a„)  nasce  per  prolungamento  ana- 
litico dall'altra  P  (^  -  a),  viceversa  questa  può  ottenersi  per  prolungamento 
analitico  da  V  {z  -  a„). 

Basterà  evidentemente  dimostrare  la  cosa  per  due  serie  consecutive 
nella  successione  supposta 

P  (z—a)  ,    P  {z — ai)  ,    P  {z—ttì)  ,  . .  P  {z — an)  , 

p.  e.  per  P  (^  -  a),  P  (^  -  «ij,  facendo  vedere  come  P  (^  -  «)  nasce  per  pro- 
lungamento analitico  da  P(^-ai)-  Se  il  cerchio  Ai  di  convergenza  di 
P(^-ai)  contiene  nel  suo  interno  il  centro  a  del  cerchio  A  di  conver- 
genza di  P(^-a),  ciò  è  evidente.  In  caso  opposto  si  osservi  che  la  fun- 
zione tv{z),  nell'area  formata  dalla  riunione  dei  due  cerchi  A,  Ai,  è  finita, 
continua  e  monodroma  e  per  ciò,  preso  un  punto  qualunque  d  interno 
neir  area,  la  iv  (z)  è  sviluppabile  in  serie  di  potenze  P  (z  -  <i)  e  il  cerchio 
di  convergenza  ha  almeno  un  raggio  eguale  alla  minima  distanza  di  d 
dal  contorno.  Ora  è  chiaro  geometricamente  che  possiamo  prendere, 
p.  e.  sulla  congiungente  dei  centri  «,«1,  una  serie  finita  di  punti  di, 
c?2  • .  •  dn  tali  che  i  cerchi  corrispondenti 

Ci  ,    C2  .  .  .  Cn 

abbiano  ciascuno  il  centro  interno  al  cerchio  seguente,  a  sia  interno  a 
Ci  e  dn  ad  Ar,  allora  la  successione  di  serie 

P{^— ai)  ,    ?{z-d,,)  ,    P  (^-c7„_i)  . .  P  (,e— (7,)  ,    P(^— a) 

condurrà,  per  prolungamento  analitico,  da  P  (^  -ai)-  a  P(^-a),  come  si 
voleva. 

Dal  teorema  dimostrato  risulta  subito  il  corollario  :  Se  due  serie  na- 
scono per  prolungamento  analitico  da  una  medesima  ter. za  serie,  l'una  si 
ottiene  pure  direttamente  per  prolungamento  analitico  dall' altra.  Conside- 
riamo l'insieme  di  tutte  le  serie  di  potenze,  che  possono  dedursi  da  una 
serie  iniziale  P  (^  -  a)  per  prolungamento  analitico  ;  questo  insieme,  per 
quanto  si  è  visto  sopra,  è  così  costituito,  che  partendo  da  una  qualunque 
delle  serie  delF  insieme  si  ottengono,  per  prolungamento  analitico,  tutte 


132  CAPITOLO  IV.  —  §§.  45,  46 

le  altre.  La  totalità  di  queste  serie  costituisce,  secondo  la  defini, rione  di 
Weierstrass,  ima  funzione  analitica,  di  cui  ogni  serie  della  totalità  dicesi 
un  elemento. 

Una  funzione  analitica  è  individuata  e  riconoscibile  da  uno  qualunque 
dei  suoi  elementi. 


§.  46. 
Campo  di  esistenza  di  una  funzione  analitica. 

Xelle  considerazioni  precedenti,  relative  al  prolungamento  analitico 
di  una  serie  di  potenze  P  (^  -  a),  abbiamo  supposto  che  il  prolungamento 
possa  in  realtà  effettuarsi.  Ma  può  darsi  invece  (ed  un  esempio  ce  lo 
proverà  subito)  che  per  qucdunqiie  punto  h,  preso  nelF  interno  del  cer- 
chio di  convergenza  C  di  P  (^  -  a),  il  cerchio  di  convergenza  della  serie 
dedotta  V(s-b)  non  si  estenda  mai  al  di  là  del  primitivo,  nel  qual  caso 
sarà  ad  esso  tangente  internamente.  Allora  la  circonferenza  C  è  il  limite 
natui'ale  d'esistenza  per  la  funzione  analitica,  che  viene  ad  essere  rap- 
presentata interamente  dall'unico  elemento  P(,?-a).  Si  dice  anche  in 
tal  caso  che  lo  spazio  esterno  a  C  è  uno  spazio  lacunare  per  la  fun- 
zione analitica,  uno  spazio  cioè  in  cui  la  funzione  non  esiste.  Per  accer- 
tarsi della  verità  di  quanto  sopra  si  è  asserito,  basta  p.  e.  ricorrere  ai 
risultati  ottenuti  nella  risoluzione  del  problema  di  Dirichlet  per  un  cer- 
chio C  (§.  39).  Distribuiamo  sul  contorno  una  catena  finita  e  continua  U 
di  valori,  ma  che  sia  priva  di  derivata  in  tutti  i  punti,  ovvero  anche 
soltanto  in  un  gruppo  di  punti  dovunque  condensato  '^',  e  costruiamo  la 
corrispondente  funzione  armonica  u  n^l  cerchio  C.  La  u  individua,  a 
meno  di  una  costante  additiva,  la  coniugata  v  che,  nell'area  semplice- 
mente connessa  C,  è  ad  un  sol  valore.  La  funzione  di  variabile  complessa 
iv  =  ii  +  iv  è  finita,  continua  e  monodroma  nell'  interno  di  C  e  sviluppabile 
quindi  in  una  serie  di  potenze,  che  ha  il  cerchio  C  per  cerchio  di  con- 
vergenza, ma  non  ammette  alcun  prolungamento  analitico. 

Un  esempio  anche  più  semplice  di  quelli  ora  considerati  ci  è  fornito 
dalla  funzione  (§.7) 

F  (^)  =  ^  -f-  ^•»  -f  ^'»'  4- . . .  -f  ^'""  +  . . . , 


(i)  DiNi.  Fondamenti,  pag.  135  e  163. 


CAMPO   d'esistenza   d'UNA   FUNZIONE  ANALITICA  133 

dove  m  è  un  intero  >2.  La  serie  del  secondo  membro  ha  per  cerchio  di 

convergenza  quello  di  raggio  =  1,  ma  non  è  prolungabile  analiticamente 

al  di  là.  Si  consideri  infatti  un  valore  di  ^  di  modulo  p  <  1  e  di  argo- 

2kzi  r 

mento  8  =  — ^  (Jc,r  interi  qualunque);  a  cominciare  dal  termine^'"   la 

m' 

serie  diventa 

e,  al  convergere  di  p  verso  l,  cresce  all'infinito  <^*.  La  F(^)  avvicinan- 

dosi  dall  interno,  lungo  il  raggio,  verso  tutti  i  punti  di  anomalia  o  =  — ^ , 

punti  che  formano  un  insieme  condensato  su  tutta  la  circonferenza,  cresce 
dunque  all'infinito,  ciò  che  rende  evidente  l'impossibilità  del  prolunga- 
mento analitico. 

Constatato  cogli  esempi  precedenti  che  una  funzione  analitica  può 
ammettere  nel  piano  degli  spazi  lacunari,  s' intenderà  meglio  ciò  che  ora 
vogliamo  esporre  in  generale  sul  campo  cTesistenza  di  una  funzione  ana- 
litica. Sia  dunque  dato  un  elemento  P  (^  -  a),  che  definisce  la  nostra  fun- 
zione analitica.  Dobbiamo  allora  distinguere  i  punti  del  piano,  rispetto 
alla  funzione  analitica,  in  due  classi  ;  diremo  della  prima  classe  un  punto 
del  piano  quando  esista  qualche  elemento  della  funzione,  cioè  una  serie 
dedotta  per  prolungamento  analitico  da  P  {s  -  a),  il  cui  cerchio  di  con- 
vergenza contenga  nel  suo  interno  il  punto.  La  totalità  di  questi  punti 
costituisce  un  continuo,  un  campo  a  due  dimensioni  connesso,  poiché  è 
chiaro  che,  se  A,  B  sono  due  tah  punti,  esisterà  una  serie  di  cerchi  con- 
catenati, che  saranno  cerchi  di  convergenza  di  elementi  della  funzione 
analitica,  il  primo  dei  quali  conterrà  A,  rultimo  B  e  potremo  tracciare 
da  A  a  B  una  linea  continua,  tutta  ^costituita  da  punti  della  prima  classe. 
Il  campo  così  definito  è  il  campo  cVesistenza  della  nostra  funzione  ana- 
litica. Fra  i  punti  dell'altra  classe  distingueremo  i  punti  al  limite  del 
campo  dai  punti  esterni  al  campo.  Un  punto  sarà  esterno  al  campo  quando 


<i)  Se  M  è  una  quantità  positiva,  grande  quanto  si  vuole,  e  q  una  quantità 
fissa  compresa  fra  Gel,  possiamo  prendere  un  numero  intero  n  tanto  grande 
che  sia  nq^^l  e  prendere  poi  f^  <^  1  cosi  prossimo  a  1,  che  sia 

Allora  nella  serie  del  testo  la  somma  dei  primi  n  termini  è  già  maggiore 
di  nq'^  M. 


134  CAPITOLO   IV. —  §.46 

un  intorno  sufficientemente  piccolo  del  punto  non  è  solcato  da  alcun  cer- 
chio di  convergenza  di  elementi  della  funzione;  apparterrà  invece  al 
limite  del  campo  quando,  per  quanto  piccolo  intorno  si  prenda  del  punto, 
esisteranno  sempre  dei  cerchi  di  convergenza  che  attraversano  l'intorno 
(senza  contenere  nell'interno  il  punto). 

Ogni  punto  al  limite  del  campo  si  dirà  un  punto  singolare  della  fun- 
zione; in  un  tale  punto,  stando  alla  definizione  di  Weierstrass,  la  fun- 
zione non  ha  propriamente  valore  alcuno.  Questi  punti  al  limite  del  campo 
possono  essere  in  numero  finito  o  infinito  ed  anche  riempire  tutta  una 
linea  (contorno)  del  campo.  In  generale  costituiscono  un  insieme,  un  gruppo 
di  punti,  al  quale  si  riconosce  subito  la  proprietà  seguente  :  1  punti  del- 
l' insieme  derivato  appartengono  all'  insieme  stesso  *  ^' .  E  infatti  un  tale 
punto  non  può  essere  né  interno,  né  esterno  al  campo  ;  non  interno  per- 
chè allora  un  intorno  sufficientemente  piccolo  del  punto  non  conterrebbe 
che  punti  interni  e  nessun  punto  al  limite,  non  esterno  perché  qualsiasi 
intorno  del  punto  è  solcato  da  cerchi  di  convergenza. 

Indichiamo  con  L  l' insieme  dei  punti  singolari,  con  L'  V  insieme  de- 
rivato. Come  si  é  detto,  L'  è  tutto  contenuto  in  L;  ma  può  darsi  che 
non  lo  esaurisca  interamente  ed  allora  ogni  punto  P  di  L,  non  appar- 
tenente a  L',  é  un  punto  singolare  isolato,  cioè  in  un  intorno  sufficiente- 
mente piccolo  di  P  non  esiste  altro  punto  singolare  che  P  stesso. 

Una  funzione  anahtica,  considerata  in  tutto  il  suo  campo  d'esistenza, 
può  essere  monodronia  (uniforme)  o  polidroma  (multiforme).  Si  dice  mo- 
nodroma  quando  in  ogni  punto  del  campo  si  trova  sempre  per  la  fun- 
zione il  medesimo  valore,  in  qualunque  modo  vi  si  arrivi  per  prolunga- 
mento analitico  dall' elemento  iniziale  P(^-(x),  polidroma  nel  caso  con- 
trario. In  altre  parole,  se  la  funzione  è  monodroma,  due  elementi  qualunque 
di  essa  P(^-6),  P(^-c),  ove  abbiano  un  campo  di  convergenza  comune, 
,ivi  coincidono;  nel  caso  della  polidromia  invece  vi  sono  elementi  P(^-6), 
P(^-c),  che  nel  campo  comune  di  convergenza  non  danno  per  la  fun- 
zione i  medesimi  valori. 

Se  invece  di  considerare  tutto  il  campo  d' esistenza  di  una  funzione 
analitica,  si  considera  un"  area  parziale  A,  tutta  contenuta  nel  campo 
d'esistenza,  può  darsi  che  partendo  da  un  elemento  P(^ — a)  della  fun- 


'')  Secondo  Cantor,  dicesi  insieme  derivato  l'insieme  di  tutti  i  punti  limiti 
dell'insieme  primitivo,  di  quei  punti  cioè  nell'intorno  dei  quali  si  addensano 
infiniti  punti  del  gruppo  primitivo. 


SERIE   DI   FUNZIONI   ANALITICHE  135 

zione  contenuto  in  A  e  prolungando  analiticamente  la  funzione,  senza 
uscire  dall'  area  A,  si  ottenga  una  funzione  monoiìroma  nelVarea  A,  quan- 
tunque la  funzione  analitica  completa  sia  polidroma. 

Viceversa,  se  in  un'area  A  abbiamo  una  funzione  finita,  continua  e 
monodroma  di  variabile  complessa  s  (nel  senso  di  Caucliy-Riemann), 
questa  è  una  porzione  di  una  funzione  analitica,  che  può  esistere  anche 
fuori  dell'area  ed  essere  monodroma,  o  polidroma. 

§•  47. 
Serie  di  funzioni  analitiche. 

In  un'area  connessa  A  del  piano  complesso  si  abbia  una  serie 

00 

2  «*«  (^)  ' 

1 

i  cui  singoli  termini  siano  funzioni  finite,  continue  e  monodrome  della 
variabile  complessa  z  nell'interno  dell'area.  Dimostriamo  l'importante 

teorema  : 

co 
Se  la  serie  ^  Un  {z)  e  convergente  in  egual  grado  in  ogni  area  tutta 

1 

interna  alla  primitiva,  la  somma  di  questa  serie  sarà  una  funzione  iv  (z) 
della  variabile  complessa  pure  finita,  continua  e  monodroma  e  le  successive 
derivate  di  w,  di  ordine  comunque  elevato,  si  otterranno  derivando  termine 
a  termine  la  serie. 

Questo  teorema  estende,  come  si  vede,  ad  ogni  serie  convergente  in 
egual  grado,  i  cui  termini  siano  funzioni  finite,  continue  e  monodrome 
di  variabile  complessa,  le  proprietà,  dimostrate  nel  Gap.  I,  per  le  serie 
di  potenze. 

Per  dimostrarlo,  prendiamo  internamente  ad  A  un'  area  A',  prossima 
del  resto  ad  A  quanto  si  vuole,  e  indichiamo  con  /  un  punto  mobile  in 
A'.  Prendiamo  poi  una  terza  area  B  contenente  A'  e  contenuta  in  A,  il 
cui  contorno,  che  indicheremo  con  s,  si  mantenga  discosto  sia  dal  contorno 
•di  A,  sia  da  quello  di  A'.  Indichiamo  con  w,-,  la  somma  della  serie  in  /: 

oo 

^^'^'  =  2  ^'"  (^')  • 

1 

Essendo  il  punto  /  interno  a  B,  avremo  per  la  formola  di  Cauchy 

,  1         r  Un  (Z)      , 


136  CAPITOLO    lY.  —  §.  47 

indi 


Ma  la  serie  2  «<»  (■s')  converge  in  egual  grado  sul  contorno  s  di  B,  ed 
altrettanto  accade  quindi  della  serie 

^       Un  (-g) 

giacché,  percorrendo  ^  il  contorno  di  B  e  /  muovendosi  in  A',  il  mo- 
dulo di  ^ — /  non  scende  mai  al  di  sotto  di  un  certo  limite. 

Nella  (9)  possiamo  dunque  eseguire  l' integrazione  termine  a  termine 

e,  poiché 

oo 

2  ^^n  (^)  =  ^i  , 
1 

avremo 

(10)  w,. 


troviamo  cioè  che  Wì-  é  data  dalla  formola  stessa  di  Cauchy.  Di  qui,  per 
il  modo  come  /  figura  sotto  il  segno  integrale,  deduciamo  subito  che 
muovendosi  z  in  A',  la  w^.  è  effettivamente  funzione  finita,  continua  e 
monodroma  della  variabile  complessa  /,  come  è  enunciato  nella  prima 
parte  del  teorema.  Scriviamo  quindi  la  (10)  così: 

(10*)  „(,.)=  ir^^iM^!. 

2ùl  J     z  —  z 

Per  dimostrare  la  seconda  parte  basta  ricordare  che,  secondo  la  for- 
mola (II)  §.  42,  abbiamo 


Vp"'  (z)  =  /    ^-!-r- 

^  '        2-i     L{z—/y 


ed  anche 

1 .  2.  S..r  j  Un  jz)  dz 
2t.ì      7^5=?pi' 


SERIE   DI   FUNZIONI   ANALITICHE  137 

quindi 

"^  M//N       1.2.  3.. r  ^   fun{s)dz 

(11)  2^^':'(-)  =  --^^a~  ì^i 5=7p • 

Ma  la  serie  ^  7 — ^^^^  è  convergente  in  egual  grado  sopra  s,  ed 
1  {^  —  ^  ) 
integrando  termine  a  termine,  vediamo  che  la  serie  del  secondo  membro 
in  (11)  è  effettivamente  convergente  ed  ha  per  somma 

>Q0 


9,ri         .AC       ^^_/V+'  ^    '' 


2lTÌ        ^S      {z — /)''^ 

onde  risulta 

come  è  asserito  nella  seconda  parte  del  teorema. 

§.  48. 
Appligazioni. 

Dal  teorema  così  dimostrato  risulta  che,  se  consideriamo  un  cerchio 
C  tutto  interno  ad  A,  e  con  7  ne  indichiamo  il  centro,  la  funzione 

co 
IV  {£)  =  2  Un  (^) 
1 

sarà  sviluppabile  in  una  serie  P(^  — 7j  convergente  in  C: 

ni =00 

^  (^)  =  2  «-  (^-'f)"  • 

rH=0  * 

Come  si  calcoleranno  i  coefficienti  «m  dello  sviluppo?  Dico  che  basterà 

00 

sviluppare  in  serie  P(^  —  7)  ciascun  termine  Un{^)  della  serie  2^«(^) 
e  raggruppare  tutti  i  termini  che  contengono  la  medesima  potenza  di 
z — 7.  Poniamo  invero 


138  CAPITOLO   IV.  —  §.  38 

avremo 

1         I     Un  (^)  d^ 

1      C  w  {£)  dz 

gli  integrali  essendo  estesi  al  contorno  a  del  cerchio  C.  Ora  si  ha 


7 r 


«,+1  ^^  ' 


quindi,  a  causa   della  convergenza  in  egual   grado  della  serie  sotto  il 
segno  : 

ciò  che  dimostra  appunto  la  proprietà  enunciata. 
Come  esempio,  si  consideri  la  serie  di  Lambert 

la  quale  in  ogni  cerchio  di  centro  0  e  di   raggio  R  <  1  è  convergente 
in  egual  grado,  poiché  se 

ki<R<i, 

si  ha 

1  ^  1 


1— ^"1  -"  1— R"   '"■  1  — R 

e  la  serie  S|^"|  è  convergente  in  egual  gi'ado. 

Potremo   dunque,   entro    il    cerchio  di   raggio  =1,   trasformarla  in 
serie  di  potenze  di  z  così: 

11=30  „!(  1!=X  /lll=»  \  N=» 

.1=1     ■>■  Z  ,.=1  \  ,„=o  /  N=l 

La  potenza  z^  comparirà  tante  volte  quante  volte  il  numero  N  si  può 
decomporre  in  due  fattori 

N  =  «  (m+1)  , 
sicché  6(N)  sarà  precisamente  il  numero  dei  divisori  di  N. 


FUNZIONI  DI   FUNZIONI  139 

Le  considerazioni  precedenti  ci  conducono  a  parlare  delle  funzioni 
di  funzioni.  Sia 

una  funzione  analitica  di  ^  e 

W  =  F  (iv) 

una  funzione  analitica  di  ic.  Quando  potremo  considerare  W  come  fun- 
zione analitica  di  ^V  Per  non  considerare  qui  che  il  caso  più  semplice, 
supponiamo  che  ^  varii  in  un'area  in  cui  /(^)  è  finita,  continua  e  mono- 
droma  e  w  varii  conseguentemente  in  un'altra  area  in  cui  F{w)  è  pure 
finita,  continua  e  monodroma.  Allora  il  segno 

F(/-(^)) 

avrà  un  significato  preciso  e  rappresenterà  una  funzione  finita,  continua 
e  monodroma  di  0.  Ciò  si  può  vedere  sia  ricorrendo  alla  definizione  di 
Cauchy-Riemann,  sia  a  quella  di  Weierstrass.  Per  dire  di  quest'ultimo 
modo,  basterà  evidentemente  sviluppare  W  in  serie  di  potenze  di  iv  —  tvo 
e  ciascuna  di  queste  potenze  in  serie  di  potenze  di  ^ — ^o-  Così  p.  e. 
le  funzioni 

e^^ ,  sen  {e')  ,  e^*"  ^  ,  sen  (sen  0)  ecc. 

saranno  funzioni  anahtiche  (monodrome)  esistenti  in  tutto  il  piano. 

Quando  le  funzioni  componenti  /'(^),  T  (w)  hanno  un  campo  limitato 
d'esistenza,  0  sono  polidrome,  si  possono  presentare  le  più  svariate  cir- 
costanze. In  particolare  può  accadere  che  il  segno  F(/(^))  non  definisca 
una  sola  funzione  analitica,  ma  più  od  anche  infinite  funzioni  anahtiche 
distinte  ed  anche  può  accadere,  al  contrario,  che  il  segno  F(f{z))  non  dia 
tutto  il  corso  di  una  funzione  analitica.  Come  esempì  del  primo  caso 
citiamo 

\U^=±0    ,    \og{^')  =a\og0 -\-2rr,i, 

con  a  costante  non  reale  e  frazionaria,  e  r  intero  qualunque,  che  si 
scindono  la  prima  in  due,  la  seconda  in  infinite  funzioni  anahtiche  distinte. 
Come  esempio  della  seconda  circostanza,  basta  citare  quello  in  cui 
w  =  'f  (s)  sia  una  funzione  a  spazio  lacunare  eW  =  F{w)  ne  sia  l' inversa  ; 
allora  F  ['f  {0)]  =  z  prende  solo  quei  valori  di  s  che  appartengono  al  campo 
di  esistenza  di  'f. 


140 


Capitolo  V. 

Punti  singolari  delle  funzioni  monodrome.  —  Poli  e  punti  singolari  essen- 
ziali. —  Residui.  —  Indicatore  logaritmico.  —  Inversione  delle  serie  di 
potenze. 

§.  49. 
Punti  regolari. 

I  nostri  studi  saranno  nel  seguito  quasi  esclusivamente  rivolti  alle 
funzioni  analitiche  monodrome,  ovvero  a  porzioni  di  funzioni  analitiche, 
monodrome  nell'  area  in  cui  si  considerano.  Per  abbreviare,  quando  non 
si  dica  esplicitamente  il  contrario,  intenderemo  semplicemente  per  fun- 
zione una  funzione  analitica  che  soddisfi  a  queste  condizioni. 

Si  consideri  in  un'  area  connessa  A  una  funzione  tv  {2),  per  la  quale 
ogni  punto  dell'area  A  e  del  suo  contorno  sia  0  un  punto  interno  al 
campo  d'esistenza  di  iv{^)  0  un  punto  al  limite  del  campo  (punto  sin- 
golare) (§.  44).  Nell'intorno  di  un  punto  7  in  A,  interno  al  campo  d'esi- 
stenza, la  funzione  iv{s)  è  sviluppabile  in  serie  di  potenze 

w(z)=V  (^— v)  ; 

diremo  anche,  con  Weierstrass,  che  la  w  (s)  è  regolare  nel  punto  7,  ov- 
vero che  Y  è  un  punto  regolare  per  w{:s).  Ogni  punto  non  regolare  di 
A  è  un  punto  singolare  per  u: 

Cominciamo  dal  dimostrare  il  seguente  teorema  fondamentale  :  Nel- 
l'intorno di  un  punto  regolare  y  la  funzione  iv{£)  non  può  annullarsi  in- 
finite volte.  Ciò  risulta,  con  leggiera  modificazione,  da  considerazioni  già 
svolte  al  §.  43  pag.  125.  Suppongasi  che  la  serie  di  potenze 

w  {z)  =  P  (^—7)  =  «0  +  «1  (^—7)  +  • .  • 

si  annulli  in  infiniti  punti  dell'  intorno  di  7.  A  causa  della  continuità,  si 
annullerà  anche  in  7  e  il  primo  coefficiente  della  serie  «o  sarà  certa- 
mente nullo.  Il  teorema  sarà  dimostrato  quando  si  provi  che  tutti  i  coef- 
ficienti della  serie  sono  nulli.  Suppongasi  che  il  primo  coefficiente  non 
nullo  sia  an\  potremo  scrivere 

w  {£)  =  (z—'ir  j  an  -f  ff„+i  (^—7)  -f  . .  I  =  (^—7)"  Pi  (4^—7) , 


PUNTI   REGOLARI  141 

dove  La  serie  Pi(<:  — 7),  essendo  il  suo  primo  coefficiente  «,,4:0,  non  si 
annullerà  in  y- 

Essendo  Pi  (^—7)  continua  in  ■;,  potremo  fare  un  intorno  di  7  così 
piccolo,  che  in  esso  la  serie  Pi  (^  —  7)  non  si  annulli  mai,   e  allora  la 

funzione 

,a  (^)  =  (^—7)"  Pi  (^—7) 

non  si  annulla  più  in  quell'intorno,  salvo  che  in  7,  ove  è  zero  il  primo 
fattore.  Ciò  è  contrario  all'ipotesi  fatta,  la  quale  è  adunque  assurda. 

Come  corollario  del  teorema,  abbiamo  l'importante  risultato:  Bue 
funzioni  io{z),  iVi{z),  che  assumano  i  medesimi  valori  in  infiniti  punti  ad- 
dcnsantisi  attorno  ad  un  punto  regolare  per  ambedue  le  funzioni,  coinci- 
dono in  tutta  la  loro  estensione. 

E  infatti  la  differenza  iv  {z)  —  wi  (z)  è  regolare  in  7  e  si  annulla  in 
infiniti  punti  dell'intorno,  quindi  in  tutto  l'intorno,  onde  il  suo  prolun- 
gamento analitico  è  sempre  zero. 

In  particolare  si  vede  che  se  due  funzioni  coincidono  per  un  tratto 
lineare  (0  superficiale),  del  loro  campo  d'esistenza,  per  quanto  piccolo 
sia,  coincidono  sempre. 

L'area  A  può  eventualmente  contenere  nel  suo  interno  il  punto  ^  =  qo  . 

Lo  studio  delle  funzioni  w{s!)  nell'intorno  di  ^=qo,  cioè  all'esterno 
di  un  cerchio  di  raggia  sufficientemente  grande  nel  piano,  si  riporta  a 
quello  di  una  funzione  nell'intorno  di  un  punto  a  distanza  finita  colla 

sostituzione 

,       1 

che  è  un'  inversione  per  raggi  vettori  reciproci,  congiunta  con  un  ribalta- 
mento. I  punti  z  a  distanza  grandissima  dall'  origine  sono  così  riportati 
in  punti  /  vicinissimi  all'origine  e  la  distribuzione  dei  valori  di  iv{z) 
attorno  a  ^=  co  è  la  stessa  di  quella  dei  valori  di 


wi  (/)  =  w;  f  y 


nell'intorno  di  z=0.  E  perciò  se  io\ÌJs')  è  regolare  in  quest'intorno, 
diremo  che  w  (z)  è  regolare  nell'  intorno  di  ^  =  co  ;  essa  sarà  allora  svi- 
luppabile in  quest'intorno  in  una  serie 

«^  (^)  =  P  (^7  )  =  «0  +  -  +  -2  + .  ■  +  ^.  -r  •  • 

,.1 

procedente  per  le  potenze  intere  e  positive  di  - . 


142  CAPITOLO    V.  —  §.  50 

§.  50. 
Infinitesimi. 

Se  la  funzione  iv(s),  regolare  in  y,  vi  si  annulla,  si   dice  che  ha  ivi 
uno  0ero  od  un  infinitesimo.  In  tal  caso  nella  serie 

w  (^)  =  p  (^  -  y)  =  «0  +  ^1  (^  -  v)  4-  •  •  • 

son  nulli  alcuni  dei  coefficienti,  a  cominciare  dal  primo  a^.  Se  suppo- 
niamo che  il  primo  coefficiente  non  nullo  sia  ««,  avremo 

(1)  ^^(^)=.(^-^^)"P,(^-.^)  =  (^-.^)"ja,  +  a,(^-v)+..}, 

dove  il  primo  coefficiente  7.0  della  serie  Pi  (^-7)  non  è  nullo.  Ora,  se 
formiamo  il  rapporto 

7— — -  — Pil--— 0 


7)' 

e  facciamo  tendere  s  verso  y,  vediamo  che  il  rapporto  converge  verso  la 
quantità  finita  e  diversa  da  zero  «o-  Le  due  quantità  w(^),  {z — y)",  che 
diventano  infinitesime  insieme,  avvicinandosi  s  a  y,  sono  dunque  da  re- 
putarsi del  medesimo  ordine.  E  poiché  valutiamo  z  —  y  come  infinitesimo 
del  primo  ordine,  quindi  {2  —  y)"  come  infinitesimo  d'ordine  n,  abbiamo 
il  teorema:  Una  funzione  w{z)  regolare  in  un  punto,  e  che  ivi  si  annulli, 
vi  diventa  infinitesima  cTordine  intero. 

Se  il  punto  y  è  all'infinito  dobbiamo,  per  quanto  si  è  detto  sopra, 

sostituire  a  s  —  y  l'inversa    -  della  variabile,  quindi  se  la  funzione  iv{z) 

sarà  regolare  all'infinito  ed  avrà  ivi  un  infinitesimo,  questo  sarà  d'ordine 
intero  n  e  si  avrà 


(1*) 


«=^!-+f+-h.'<i)' 


con  «0+0- 

Osserviamo  che  se  una  funzione  ir{z)  è  regolare  in  un  punto  ^=y  ed 

ivi  non  si  annulla,  anche  V  inversa  —7-7  sarà  regolare  in  y.  E  infatti  fac- 

tv{z) 

ciamo  un  intorno  di  y  così  piccolo  che  in  esso  w(z)  non  si  annulli  mai; 

in  questo  intorno  -— -r  è  finita,  continua  e   monodroma  e  quindi  rego- 

tv{z) 


INFINITESIMI 

lare  in  7.  Conoscendo  lo  sviluppo  di  w  {2)  : 

w  {z)  =  rto  +  «1  {2  -  t)  -r  «2  [^  -  lY  + 
si  potrà  calcolare  razionalmente  quello  di 


143 


w  [z) 


=  «0    +    «1   (^  -  7)    +    «2  (^  -  7)'  -f  •  •  • 


col  metodo    dei   coefficienti  indeterminati.    Moltiplicando  le  due  serie, 
otteniamo  infatti  le  relazioni  ricorrenti 

«0  ^0  =  1 

l     rt,  «0  +  «0  «l  =  0 

/    «2  «0  +  «1  ai  +  «0  «2  =  0 

\  «ij  ao  +  cin-i  7.1  -f  . .  +  a,  a„_i  -f  «o  «n  =  0  , 

dalle  quali  deduciamo 

«1      «0      0 ...  0 

«2      C!i      <*o  •  •  •  0 

ttn— 1    Ojii—ì  ^n— 3  •  •  '^O 
dn        Ojfi — 1   f^n — 2  •  •  ^'1 

Il  raggio  del  cerchio  di  convergenza  della  seconda  serie  sarà,  in  ge- 
nerale, differente  da  quello  della  primitiva. 

È  bene  osservare  come  si  comportano  le  derivate  di  una  funzione 
nell'intorno  di  un  suo  punto  d'infinitesimo  d'ordine  n.  Si  vedrà  subito 
che:  Se  V infinitesimo  cV ordine  n  è  a  distanza  finitoj,  ad  ogni  derivazione 
diminuisce  di  immunità  il  suo  ordine,  talché  la  derivata  w"'" i<;<"' (^)  non  vi 
diventa  più  nulla  ;  al  contrario  se  V  infinitesimo  e  in  ^  =  00 ,  ad  ogni  deri- 
vazione cresce  di  un'unità  il  suo  ordine. 


'«=Ì'  '-" 


(-1) 


n-l 


§.    51. 

Punti  singolari.  —  Poli. 

Cominciamo  ora  lo  studio  dei  punti  singolari  delle  funzioni,  ed  esa- 
miniamo dapprima  il  caso  dei  punti  singolari  isolati.  Sia  z  =  '[  un  punto 
singolare  isolato  ;  potremo  descrivere  col  centro  in  7  un  cerchio  C  così 


144  CAPITOLO   V.  —  §.  51 

piccolo  che  sulla  periferia  di  C  e  internamente  a  C  non  vi  sia  alcun 
altro  punto  singolare  alV  infuori  di  -[.  Allora  se,  con  un  raggio  inccolo 
quanto  si  vuole,  si  descrive  un  secondo  cerchio  C  concentrico  a  C,  nell'  a- 
nello  fra  C,  C  la  iv{e)  è  finita  continua  e  monodroma  e,  pel  teorema 
di  Laurent  (§.  44),  è  quindi  sviluppabile  in  una  serie; 

Z^(^)="f«n(^-Y)"+"f  ^" 


(^-v)"  ' 


che  procede  insieme  per  le  potenze  intere  ascendenti  e  discendenti  di 
^ — Y.  Di  queste  due  parti  la  prima  converge  entro  tutto  C,  la  seconda 
converge  in  tutto  il  piano,  eccetto  che  in  ^  =  -(. 

Ora  possono  darsi  due  casi  ben  distinti,  e  cioè  ;  1.°  la  serie  discen- 
dente si  riduce  ad  un  polinomio 

1^     /^ .A2  ^    •    •   T^ 


3."  la  parte  procedente  per  le  potenze  negative  è  un'  effettiva  serie. 

Nel  primo  caso  la  singolarità  si  dice  polare  o  un  jìoIo  od  anche,  per 
una  ragione  che  subito  vedremo,  un  infinito  della  funzione  ;  nel  secondo 
caso  la  singolarità  si  chiama  essenziale. 

Studiamo  dapprima  una  singolarità  polare  z  =  '{.  Nell'intorno  di  essa, 
salvo  che  in  y,  ove  la  funzione  analitica  non  è,  propriamente  parlando, 
definita,  si  ha: 

(2)       „(.)  =  -A^  +  _A_  +  ..  +  _i^  +  P  (,_,). 

Avvicinandosi  con  z  a  y,  tutti  i  valori  della  funzione  risultano  di  mo- 
dulo più  grande  di  qualunque  quantità  assegnabile,  ossia,  per  esprimersi 
con  maggiore  esattezza,  se  prendiamo  una  quantità  positiva  M  grande 
a  piacere,  possiamo  fare  un  intorno  così  piccolo  del  polo  che  in  tutto 
l'intorno  sia 

\w{z)\'>ì,i. 

I  valori  della  funzione,  avvicinandosi  al  polo,  convergono  dunque 
equabilmente  verso  co,  sicché  se  conveniamo  di  prendere  per  valore  di 
w{s)  nel  polo  l'infinito,  possiamo  dire  che  un  polo  è  ancora  un  punto  di 
continuità  della  funzione.  Si  osservi  poi  che  il  prodotto 


POLI  145 

convergendo  ^  a  v,  converge  verso  la  quantità  &„  finita  e  diversa  da  zero. 
Per  ciò,  quando  attorno  al  polo  vale  lo  sviluppo  (2),  con  hn^O,  si  dice 
che  il  punto  ^  =  'i  è  un  infinito  d'ordine  w  della  «?(^).  Dunque:  Gli  in- 
finiti, come  gli  infinitesimi,  di  una  funzione  analitica  uniforme  sono  sempre 
di  ordine  intero. 

Osserviamo  come  si  comporta  l' inversa  -  -r  nell'  intorno  del  polo 
0  =  '(  di  w(^).  Abbiamo  per  la  (2) 

w  (z)  {z—'iY  =  p  (z—'i)  =  «0  +  y-i  (z—'i)  -i- . . . , 

ove  P(^  —  7)  non  si  annulla  in  ^  =  y;  per  ciò 

è  pure  regolare  in  ^  =  v  e  non  nulla.  Ne  risulta 

1 


.  ■^  {z] 


=  (^-t)"  P,  (~--7)  , 


il  che   dimostra   che   un  polo  d'ordine  n  della  funzione  <r(^)  è,  per  la 

funzione  inversa  — ^7  >  ^''^  punto  regolare  e  precisamente  un  infinitesimo 

d'ordine  n. 

Questa  proprietà  di  sparire,  come  singolarità,  nell'inversa  è  caratte- 
ristica delle  singolarità  polari.  E  infatti,  se  il  punto  s  =  '!  è  singolare  per 

IV (z)  e  non  per  l'inversa  — ^^ ,  dovrà  essere  necessariamente  un  infini- 

w  (z) 

tesimo  per  — -r^ ,  altrimenti,  per  quanto  si  è  visto  al  §.  precedente,  non 
sarebbe  singolare  per  u\  Ora,  supposto  che  sia  un  infinitesimo  d'ordine 
n  per  —7^,  avremo  nell'intorno  di  y: 

ÌV  [Z) 

^  =  (^-T)''P  (.—.')  ,  r  (0)4^0, 

onde  ricaviamo  per  ic{z)  uno  sviluppo  della  forma  (2).  Si  può  dunque 
assumere  come  definizione  della  singolarità  polare  anche  la  seguente: 
Un  punto  di  singolarità  di  una  funzione  dicesi  un  polo,  quando  è  singo- 
lare per  la  funzione,  senza  esserlo  per  F  inversa. 

10 


146  CAPITOLO  V.  —  §§.  51,  52 

Fino  ad  ora  abbiamo  supposto  il  polo  a  distanza  finita.  Se  il  polo 
è  in  ^=  00,  si  studierà  in  modo  perfettamente  analogo,  come  al  §.  pre- 
cedente abbiamo  trattato  il  caso  di  un  infinitesimo  all'infinito,  e  così 
avremo:  Se  in  .^=  ce  la  ìc{^)  ha  un  polo  d'ordine  n,  nell'intorno  di  z=  co 
si  svilupperà  colla  forinola 

1\ 

—  I 


(2*)  w{z)=h,z^  b,z'  H-  . .  -f  6.S"  +  P  f^' 


Si  osserverà  clie  questo  sviluppo  si  ottiene  semplicemente  da  quello 

(2)  relativo  ad  un  polo  a  distanza  finita,  cangiando  z  —  y  in  -.  Lame- 

z 

desima  osservazione,  senza  che  sia  necessario  ripeterla,  si  applicherà  nel 
seguito. 

Dagli  sviluppi  (2),  (2*)  si  rileva  subito  come  si  comportano  le  deri- 
vate di  una  funzione  w{z)  nell'intorno  di  un  polo  e  si  vede  che:  Per 
ogni  derivazione,  cresce  di  un^ unità  l'ordine  d'infinito,  se  questo  trovasi  a 
distanza  finita,  e  diminuisce  invece  di  un'unità  se  è  alV infinito. 


§.  52. 
Esempi  di  singolarità  essenziali. 

Un  punto  singolare,  che  non  sia  un  polo,  si  dirà  un  punto  singolare 
essenziale,  sia  che  si  tratti  di  una  singolarità  isolata,  ovvei'o  di  una  sin- 
golarità limite  d'infinite  altre  singolarità.  Per  far  subito  comprendere 
la  differenza  capitale  fra  una  singolarità  polare  ed  una  singolarità  essen- 
ziale adduciamo  qualche  esempio,  riservandoci  a  dare  nel  seguito  i  teo- 
remi generali.  In  vicinanza  di  un  punto  regolare,  ovvero  di  un  polo,  una 
funzione  u-{z)  non  può,  pel  teorema  fondamentale  del  §.  49,  riprendere 
infinite  volte  il  medesimo  valore,  sicché  se  una  funzione  w  {z)  prende  un 
medesimo  valore  in  tutti  i  punti  di  un  gruppo  infinito,  ogni  punto  limite 
del  gruppo  è  una  singolarità  essenziale.  Negli  esempì  che  ora  andiamo 
ad  addurre  si  vedrà  inversamente  che  le  funzioni  considerate,  in  vicinanza 
della  singolarità  essenziale,  riprendono  infinite  volte  un  medesimo  valore 
fissato  ad  arbitrio. 

Prendiamo  le  fmizioni 

e^  ,    sen  z  , 
che  hanno  in  ^  =  co  una  singolarità  essenziale  isolata,  come  risulta  dalla 


SINGOLARITÀ   ESSENZIALI  147 

loro  rappresentazione  per  serie  P(^)  convergenti  in  tutto  il  piano,  od 
anche  dalla  loro  periodicità  per  cui  riprendono  il  medesimo  valore  in 
punti  che  si  addensano  nell'intorno  di  ^=  oo.  Sia  A  =  pe'w  una  costante 
qualunque  finita  prefissata;  avremo  e^  =  A  tutte  le  volte  che  sia 

X  =  log  p    ,    y  =  co  -\-  2n  :: 

con  n  intero   qualunque.   Dunque  nelF  intorno  di  ^  =  co    la  funzione  e' 
prende  infinite  volte  il  valore  fissato  A.  Lo  stesso  vale  naturalmente  di 


sen  0  =  — 


2i 


Se  si  vuole  trasportare  la  singolarità  essenziale  a  distanza  finita,  ba- 
sterà considerare  le  funzioni 

e^    ,    sen  (  — 

z 

che  avranno  in^  =  0  una  singolarità  essenziale  (isolata)  e  in  vicinanza 
di  ^  =  0  riprenderanno  infinite  volte  ogni  valore,  eccettuati  i  valori  0,  co 
per  la  prima,  e  il  valore  oo   per  la  seconda. 

Gli  esempì  ora  addotti  sono  relativi  al  caso  piiì  semplice  di  singo- 
larità essenziali  isolate.  Un  esempio  di  singolarità  essenziale  cV  ordine 
superiore  sarebbe  il  punto  ^  =  0  per  la  funzione 


sen 


Qui  tutti  i  punti  singolari  (essenziali)  sono  i  punti 

_  J_ 

n  z 

e  queste  singolarità  isolate  si  addensano  attorno  a  ^  =  0.  A  più  forte 
ragione,  come  è  chiaro,  si  presenterà  ora,  nelle  vicinanze  di  s  =  0,  la  cir- 
costanza osservata  pel  caso  della  singolarità  isolata.  E  se   ripetendo  n 


148  CAPITOLO  V.  —  §§.  51,  52 

volte  il  nostro  processo,  consideriamo  p.  e.  la  catena  sinusoidale 

1 


sen 

sen^ — - 


sen  _ 

'  •    1 


1   ' 

sen  - 

z 

questa  funzione  avrà  un  gruppo  di  l.''  specie  di  singolarità  essenziali, 
il  cui  {n  —  1)™°  gruppo  derivato  consterà  del  solo  punto  ^  =  0;  una  tale 
singolarità  essenziale  si  potrà  dire  dell'ordine  n. 

Generalmente  però,  nel  seguito,  considereremo  soltanto  singolarità  es- 
senziali del  1."  ordine,  cioè  isolate. 

§.  53. 
Residui. 

Consideriamo  un  punto  ^  =  y,  singolare  o  no  per  la  funzione  w  {z),  e 
supponiamo  che,  se  è  singolare,  sia  isolato. 

Preso  un  intorno  di  v,  che  non  contenga  alcun  punto  singolare,  salvo 
eventualmente  y,  descriviamo  una  piccola  curva  chiusa  n,  p.  es.  un  cer- 
chio col  centro  in  y,  che  giri  una  ed  una  sola  volta  attorno  a  y  nel  senso 
diretto.  L'integrale: 


IV  {z)  dz 
o 


che  sarà  zero,  se  y  sarà  un  pmito  regolare  a  distanza  finita,  avrà  in 
generale  un  valore  indipendente  dalla  curva  o  descritta,  come  risulta 
dal  teorema  fondamentale  di  Cauchy;  questo  valore  si  chiama,  secondo 
Cauchy,  residuo  integrale  od  anche  semplicemente  residuo  della  funzione 
iuY-  Si  può  dare  del  residuo  anche  un'altra  definizione,  che  importa  molto 
osservare.  Supponiamo  dapprima  y  a  distanza  finita  ;  avremo  nell'  intorno 
del  punto: 

(3)  „(.)  =  P(.-,)  +  A_  +  _A_^^  +  ..., 

dove  la  serie  discendente  si  arresterà  ad  un  polinomio,  se  la  singolarità 


RESIDUI  149 

è  polare.  Dico  che  in  ogni  caso  :  Il  residuo  è  eguale  al  coefficiente  hi  della 
potenza  {s  —  7)""'. 

Per  dimostrarlo,  osserviamo  che  se  calcoliamo  l'integrale 


i 


{z-^ifdz. 


'o 

esteso  ad  un  cerchietto  di  centro  7,  dove  si  suppone  n  intero,  positivo 

0  negativo,  troveremo  il  valore  zero  se  «4=  — 1>  ^d  invece  2rù  per   / . 

E  invero,  se  n  è  positivo  0  nullo,  ciò  risulta  subito  dal  teorema  stesso 
di  Cauchy.  Per  n  qualunque,  osserviamo  che  lungo  il  cerchio  si  ha 

z  —  7  =  pe''^  ,    dz  =  iije'-^  dQ     (p  costante)  , 

indi 

{z-  7)"  dz  =  i:."+'  /  e'"+"''^^  d^  ; 

questo  integrale  è  zero  per  w+l^^O  ed   =27ui  per  n=  -1,  e.  d.  d. 
Ciò  posto,  sostituendo  in 

:   /   W  (z)  dz 

per  w{z)  il  valore  (3),  ed  osservando  che,  a  causa  della  convergenza  in 
egual  grado  della  serie  del  secondo  membro  (posto  pure  che  si  tratti 
di  una  singolarità  essenziale),  si  può  integrare  termine  a  termine,  si 
avrà  : 


dz 

2   i   •  • 


^ f-^i^dz=-^.  fv{z-,) dz+^ f^^ + -^  r  ,, 

2ziJ^     ^  ^  27iiJ^     ^  ^  2ziJ^  «— 7  ^  2iztJ  (^— 7> 

Ora,  pel  teorema  di  Cauchy,  il  primo  integrale  del  secondo  membro 
è  nullo  e  nulli  sono  pure,  per  l'osservazione  superiore,  tutti  gli  altri, 
eccetto 

61    1     dz    , 

ciò  che  dimostra  appunto  il  teorema  enunciato. 


150  CAPITOLO   V.  —  §.  53 

Poniamo  ora  che  il  punto  ^  =  y  sia  in  0  =  co  ;  avremo  allora  in  questo 
intorno 

(3*)  ^^(^)="f  a.^«+^  +  ^:  +  ..., 

dove  questa  volta  avremo  in.  ^  =  co  una  singolarità  polare  od  essenziale, 
secondo  che  la  serie  ascendente  si  riduce  ad  un  polinomio  0  no,  mentre 
^  =  oc  sarà  regolare  se  il  polinomio  si  riduce  ad  una  costante.  In  ogni 
caso  dico  che  :  Il  residuo  della  funzione  in  z=  co  sarà  il  coefficiente  —  h^ 
della  potenza  ^~\  cangiato  di  segno.  ' 

Osserviamo  subito  che,  in  virtù  di  questo  teorema,  contrariamente  a 
quello  che  accade  a  distanza  finita,  il  residuo  non  sarà  nullo  in  gene- 
rale per  una  funzione  regolare  nell'  intorno  di  ^  =  oc . 

Se  descriviamo  un  cerchio  grandissimo  s  col  centro  nelF  origine,  po- 
tremo considerarne  la  parte  esterna  come  intorno  di  2;  =  co  e  volendo 
allora  percorrere  la  circonferenza  in  guisa  che  l'intorno  resti  alla  sinistra, 
verremo  a  percorrerla  nel  senso  inverso  delle  rotazioni.  Avremo  dunque 
pel  residuo  il  valore 

I 
intendendo  ora  che  s  sia  percorso  nel  verso  positivo  degli  angoli.  So- 
stituendo a  w  {z)  il  valore  (3*)  e  integrando  per  serie,  ne  risulta  sul3Ìto 
la  verità  della  proposizione  enunciata. 

Facciamo  ancora  un'osservazione  sul  calcolo  dei  residui  in  un  caso 
semplice,  che  è  utile  spesso  applicare.  Supponiamo  che  il  punto  singo- 
golare  sia  un  polo  del  1."  ordine;  allora  diciamo  che:  il  residuo  è  eguale 

al  valore  dell'inversa  della  derivata  della  funzione  inversa  — 7—  in  quel 

IV  {z) 

punto. 

E  infatti  si  ha  nel  caso  supposto 


indi 

w  (z)  bi 


+  (^-v)^Pi(^-7), 


onde  per  valore  della   derivata  di  — —1-  in  z  =  -;  troviamo  appunto 

ic  [z) 

1  ^'        1 


{z)Jz=f        h 


151 


§.  54. 
L' integrsÀe  f  w  (z)  dx  nel  caso  di  punti  singolari  intemi. 

Consideriamo  un'area  piana  connessa  finita,  od  anche  estendentesi 
all'infinito,  ma  in  questo  caso  però  colla  condizione  che  il  punto  ^=  co 
non  si  trovi  sul  contorno  (che  cioè  il  contorno  sia  finito),  e  supponiamo 
che  la  funzione  //;  (s)  sia  in  tutta  l' area  e  sul  contorno  regolare,  salvo  in 
un  numero  finito  di  punti  singolari 

(Zi    ,     ^2  j  •  •  •   dji 

interni  all'area.  Proponiamoci  di  calcolare  il  valore  dell'integrale 


w  (z)  dz  , 

s 

esteso  al  contorno  completo  dell'area,  integrale  che  sarebbe  certamente 
nullo  se  l'area  fosse  finita  e  non  contenesse  punti  singolari.  Indicando  con 

Ri  ,    Ro  .  .  .  U,n 

i  residui  della  funzione  in  «i,  «2 . . .  a„  e  con  R^  il  residuo  in  z=  co, 
se  l'area  si  estenderà  all'infinito,  dimostriamo  la  formola  di  Cauchy 

J-,  L,{z)  f7^-R,  +  R.  -f  . .  +  R„  +  (RJ  , 

dove  il  termine  fra  parentesi  (R^)  è  da  sopprimersi  se  l'area  è  finita. 
In  parole  abbiamo  il  teorema  :  Il  valùre  delV  integrcde  -—.   1  w{z)  dz, 

iTll  Js 

esteso  ed  contorno  completo  dell'area,  è  egucde  alla  somma  dei  residui  nei 
punti  singolari  interni,  se  Varca  è  finita,  e  a  questa  somma  aumentata 
del  residuo  del  punto   co,  se  l'area  è  infinita. 

Se  infatti  escludiamo  con  piccoli  cerchi  Oj ,  Oj , . . .  -jh  i  punti  singo- 
lari dall'area  ed  anche  il  punto  all'infinito,  se  l'area  è  infinita,  togliendo 
dall'area  la  regione  esterna  ad  un  cerchio  grandissimo  I,  la  nuova  area 
ottenuta  sarà  finita  ed  in  essa  w(s)  sarà  finita,  continua  e  monodroma, 
il  contorno  incluso.  Pel  teorema  fondamentale,  avremo  quindi 


(z)  dz  -{-  j  IO  (z)  dz -j-  . . -{-      w  (z)  dz -\- I  /  w  (z)  dz\=zO 


•^S  '^Oi 


152  CAPITOLO  V.  —  §§.  54,  55 

dove  i  circoli  o  sono  percorsi  in  verso  negativo  e  il  cerchio  S  in  verso 
positivo.  Percorrendoli  tutti  in  verso  positivo,  avremo 


/  IV  (^)  cU  =  j  w  {z)  +  /  IO  iz)  dz  -\-  . . -\-  j  w  {z)  dz  — 


la  quale  forinola,  per  la  definizione  stessa  dei  residui,  coincide  colla  for- 
mola  da  dimostrarsi. 

Una  conseguenza  di  questa  formola  merita  di  essere  subito  notata. 
Supponiamo  che  la  funzione  analitica  uniforme  w{^)  esista  in  tutto  il 
piano  complesso  (su  tutta  la  sfera  complessa)  ed  abbia  un  numero  finito 
di  punti  singolari  e  dimostriamo:  La  somma  dei  residui  di  u{z)  nei 
punti  singolari  e  nel  punto  ^  =  co  è  nulla.  Descriviamo  infatti  un  cerchio 
di  raggio  grandissimo  includente  tutti  i  punti  singolari  a  distanza  finita; 
r  integrale 


'^U 


w  {z)  dz 
s 


esteso  al  cerchio  in  senso  diretto,  è  eguale  alla  somma  dei  residui  dei 
punti  singolari  interni  e  d'altra  parte  al  residuo,  cangiato  di  segno,  del 
punto  ^=00,  ciò  che  dimostra  la  nostra  proposizione. 

§.  55. 
Polidromia  dell'  integrale  W  (i)  =  ^  w  {%)  dz . 

Stabilita  la  nozione  di  residuo,  possiamo  riprendere  le  ricerche  del 
§,  41  intorno  alla  polidromia  degli  integrali  indefiniti.  In  un'area  sem- 
plicemente  connessa  la.  funzione  ìv(^)  sia  dappertutto  regolare,  eccettuato 
in  un  numero  finito  di  punti,  i  cui  rispettivi  residui  siano 

Ki  ,    ri2  .  .  .  ÌXn  ì 

e,  se  l'area  si  intende  all'infinito,  aggiungiamo  ancora  il  residuo  R^  del 
punto  all'infinito.  Se  escludiamo  dall'area  i  punti  singolari  (ed  even- 
tualmente il  punto  ^=  oc),  mediante  piccoli  cerchi  Oi,  02, . .  a,i,  la  nuova 
area  ottenuta  sarà  più  volte  connessa;  se  la  rendiamo  semplicemente 
connessa  mediante  tagli  semplici  fra  i  contorni  aggiunti  ed  il  primitivo 


POLIDROMIA   DEGLI   INTEGRALI   INBEFINITI  153 

vediamo  subito,  applicando  i  risultati  del  citato  §.  41,  che  i  moduli  di 
periodicità  dell'integrale  indefinito    1  w{2!)cU  ai  tagli  saranno 

2  7:iRi  ,  2  7rtR2,  .  . .  27riR,i  ; 

onde,  se  /  ìv{z)dz  è  un  particolare  valore  dell'integrale  in  z,  tutti  gli 

altri  valori  saranno 

rz 

j    wiz)dz  -]-  2-ù (mi Ri  -f  nhRz  +  ..  +  m,tR») , 

i  numeri  m,  essendo  interi  positivi,  o  negativi  arbitrarli. 

Nonostante  la  presenza  dei  punti  singolari,  l'integrale  potrà  essere 
monodromo  ;  ciò  accadrà  manifestamente  allora  e  allora  soltanto  quando 
tutti  i  residui  siano  nulli.  Così  p.  e.  gli  integrali 


/  2^      '     /  2^     '     '    ■    ■     '     / 


^    dz 

SQV^  Z 


sono  monodromi  anche  nelle  aree  racchiudenti  punti  singolari»  perchè  ivi 
sono  nulli  i  residui  delle  funzioni  sotto  il  segno.  Ma  consideriamo  invece 

l'integrale  /    —  che,  senza  presupporre  qui  la  nozione  della  funzione 

logaritmica,  indichiamo  con 

^"^dz 


log  z  = 

Il  residuo  di   -  in  ^  =  0  è  =  1  e  perciò  la  polidromia  dell'  integrale 

consiste  nell'aramettere  il  modulo  di  periodicità  2  izi. 
Ancora  consideriamo  l'integrale 


dz 


r  - 

^0  ^-^^ 


la  funzione  sotto  il  segno  ha  i  due  poli  del  1."  ordine  z  =  i,  z=  -i,  e 
poiché 

1  1/1  1 


z^+ 1        2i  \z-i       z+i 


154  CAPITOLO  V.  —  §§.  55,  56 

vediamo  che  i  residui  sono  rispettivamente 

i_      _  J_ 

2  i  '         2l  ' 

onde  avremo  per  V  integrale  un  unico  modulo  di  periodicità  =  rr,  come 
risulta  anche  dalla  definizione  diretta  della  funzione  are  tang^. 
In  fine  consideriamo  le  funzioni 

1  ,         cos  ^ 

C0t2^  = 


senz  '  senz  ' 

che  hanno  poli  del  1.°  ordine  in  tutti  i  punti  £  =  n~,  la  prima  col  re- 
siduo ( — 1)"  la  seconda  col  residuo  +  1,  come  si  rileva  subito  dalla  re- 
gola pel  calcolo  dei  residui  data  alla  fine  del  §.  53.  Se  ne  conclude  che 
le  funzioni 


I ■    ,     /    cot  2;  az 

Jj^  sen  z       Jt^ 


hanno  un  unico  modulo  di  periodicità  ='2  zi,  ciò  che  risulta  anche  dalle 
loro  espressioni  effettive 

log  tang  —  ,    log  sen  z . 

Negli  esempì  addotti  fin  qui  non   si  avevano  moduli  di   periodicità 
infinitesimi.  Un  esempio  di  tali  funzioni  si  ha  p.  e.  nell'integrale 


r 


+  -^)«^^> 


\z-\    '    z-2 


con  moduli  di  periodicità  2-i,  2-iV-  in  rapporto  reale  incommensu- 
rabile. 

§.  56. 
Indicatore  logaritmico. 

Consideriamo  una  funzione  iv  {s)  che  sia  uniforme  in  un'  area  A,  in- 
cluso il  contorno,  ed  abbia  ivi  soltanto  singolarità  polari.  Kicerchiamo 
se  il  rapporto 

1    dio w 

tv     dz         w 


INDICATORE   LOGARITMICO  155 

che  si  dice  la  derivata  logaritmica  della  iv{z),  avrà  punti  singolari  e 
quali.  In  ogni  punto  regolare  di  w,  che  non  ne  sia  un  infinitesimo,  è 

pure  regolare  — ,  onde  le  singolarità  di    —  possono  essere  soltanto  ne- 

W  IV 

w 
gli  infinitesimi  e  nesli  infiniti  di  w.  Vediamo  se  —  avrà  effettivamente 

w 

in  ogni  tale  punto  una  singolarità  e  di  quale  specie.  Supponiamo  dap- 
prima che^  =  Y  sia  un  infinitesimo  d'ordine  n  di  w{z),  talché  nelP intorno 
di  Y  avremo 

(4)  IO  {z)  =  (z  -  t)"  P  (^  -  7)  ,    con  P  (0)  i^  0 . 

Derivando  logaritmicamente,  risulta 

w  (z)  _     n  V  (z  -  y) 

p'  /^ y) 

ma  la  seconda  parte  ^  , :;  è  regolare  nelP  intorno  di  ^  =  y,  a  causa 

P  [z — y) 

di  P(0)  4=0,  onde  in  z  =  '(  la    -  ha  un  polo  del  1,"  ordine  col  residuo  n, 

eguale  all'ordine  d'infinitesimo  di  ^  =  y  per  w  {z).  Per  un  infinito  d'ordine  n 

il  calcolo  è  perfettamente  analogo,  bastando  solo  cangiare  nella  (4)  n  in  -  n. 

,Xe  concludiamo  :  Se  neìV  area  che  si  considera  la  funzione  >c  (z)  non  ha  sin- 

10  (^) 
qolarità  essenziali,  la  sua  derivata  logaritmica   — ,—  vi  ha  soltanto  sin- 
^  -^  w{z) 

gólarità  jìolari  del  primo  ordine;  queste  sono  situate  negli  infinitesimi  e 
negli  infiniti  di  w  e  i  loro  residui  sono  dati  da  +n  o  da  —  n,  secondo 
che  per  w{z)  il  punto  considerato  è  un  infinitesimo,  ovvero  un  infinito  ci" or- 
dine n. 

Questo  teorema,  per  quanto  riguarda  il  valore  del  residuo,  sussiste 
ancora  quando  il  punto  z  =  ■;  sia  in  ^  =  qo  ,  ma  allora  la  derivata  loga- 
ritmica, in  luogo  di  un  polo,  ha  in  -s;=  qo  un  infinitesimo  del  1.°  ordine. 
E  invero  se  in  ^=  x>  la  w(z)  ha  un  infinitesimo,  si  ha  nel  suo  intorno 


onde 


/     N  ^         /"  l  d'I  ,  d'i       ,  \ 

(^)  =  :;;r  1  ^0  +  —  +  -2  + )  ,    con  «o  +  0  , 

2-        \^  Z  2^  J 


«1    ,   202   , 

w  {z) n  z^         z"        '  '  *^     I    "0  _j_  °'-i    I 

10  {zj  Z  «1    ,     «2    ,  z  z^  ^ 


I        >^1        I         "'Zi 

«.  +  -  +  ^+- 


156  CAPITOLO   V.  —  §.  56 

e  il  residuo  di  —  in  ^  =  x  i  che  è  un  infinitesimo  del  1 ."  ordine  per  —  1 

IV  \  '■       tv  J 

è  ancora  +  n.  Similmente,  se  ^=  co  è  un  polo  d'ordine  n  per  w,  avremo 
neir  intorno  : 


(^) 


onde 


=  ^»fao  +  ^  +  5  +  ..)  ,    «o4:0 


w{z)         z  ^  z'  ^  :^^ 


formola  che  pone  in  evidenza  per  — H  in^=oo  un  infinitesimo  del  1.° 

w  (^) 

ordine  col  residuo  — n. 

Ciò  premesso,  si  abbia  in  un'area  connessa  A  finita  o  infinita  (ma 
con  contorno  finito)  una  funzione  iv(0),  uniforme  nell'area,  che  sul  con- 
torno non  diventi  mai  né  zero,  né  infinita  e  non  abbia  alcuna  singola- 
rità essenziale  nell'interno  o  sul  contorno  dell'area.  I  suoi  infinitesimi 
ed  infiniti  nell'interno  dell'area  saranno  certamente  in  numero  finito,  al- 
trimenti (§.  52)  la  IV  (s)  avrebbe  singolarità  essenziali.  Supponiamo  che 
gli  infinitesimi  di  w{2)  siano  nei  punti 


coi  rispettivi  ordini 
e  i  poli  nei  punti 
con  ordini  dati  da 


di  ,    Clì  ,  .  .  .  (Ir  f 


nii  ,  ììh,  . . .  m,- , 


bi  ,  h,  . .  .bs 


Wi  ,   Wa ,  .  .  .  Ws . 


La  derivata  logaritmica  — 7-^  non  ha  alcuna  singolarità  sul  contorno, 

mentre  nell'interno  dell'area  ha  poli  del  1."  ordine  solo  nei  punti  a,b 
con  residui  +m  nei  primi,  — n  nei  secondi.  Se  estendiamo  al  contorno 

completo  s  dell'area  l'integrale  ;; — :  /  — ^4-^,  otterremo  dunque (S.  54): 

^  1-lJs     IV  {Z)  1       \:)        / 

1     Cv^{z)dz       '^  "^ 


INDICATORE   LOGARITMICO  157 

Se  computiamo  ciascun  infinitesimo  e  ciascun  polo  tante  volte  quante 
unità  sono  nel  suo  ordine,  e  poniamo 

2  ''^*  =  ^^0 ,  2  ^^''  =  ^^  ' 

sarà    evidentemente  No  il  numero    totale  degli  infinitesimi,   N^  quello 
dei  poli,  e  risulterà  la  formola  notevolissima,  dovuta  a  Cauchy: 

1/71  ^  (  '^''  (^)  ^^  XT  XT 

-^  /  d  log  IV  =  ~ — :  /       \\     =  No—  N^  . 

L'integrale  del  primo  membro  prende  anche  il  nome  di  indicatore 
logaritmico  di  Cauchy;  il  suo  computo  fa  conoscere  la  differenza  fra  il 
numero  delle  radici  e  il  numero  dei  poli  di  et; (^)  nell'area,  supposto  che 
non  vi  siano  ne  radici  ne  poli  sul  contorno. 

Supponiamo  in  particolare  che  la  iv{s)  sia  uniforme  su  tutta  la  sfera 
complessa  e  non  abbia  ivi  che  singolarità  polari  '^),  le  quali  saranno 
quindi  in  numero  finito.  La  sua  derivata  logaritmica  avi'à  un  numero  finito 
di  poli  del  1."  ordine  e  la  somma  di  tutti  i  suoi  residui  sarà  nulla  (§.  54). 
Dunque  :  Se  una  funzione  w  {z)  è  uniforme  su  tutta  la  sfera  complessa  e 
non  ha  che  singolarità  polari,  essa  diventa  tante  volte  zero  quante  volte 
infinita. 

Se  applichiamo  questo  teorema  al  caso  di  una  funzione  razionale 
intera 

XV  {Z)  =  tto  Z"'  +  «1  2f"~^  +  .  .  4-  «»i-l  z-{-  am, 

% 
siccome  essa  ha  una  sola  singolarità  polare  in  ^  =  co  e  questa  d'ordine 
m,  ne  deduciamo  il  teorema  fondamentale  dell'algebra:   Ogni  equazione 
di  grado  m  ha  precisamente  m  radici. 

§.  57. 
Formola  Q,  _  Q^  =  2  ::  (No  -  N  J . 

Alla  formola  di  Cauchy  per  l' indicatore  logaritmico  si  può  dare  un'altra 
forma,  che  è  utile  osservare. 


(^)  Si  vedrà  fra  breve  che  una  tale  funzione  è  necessariamente  razionale 
in  z.  (Vedi  §.61). 


158  CAPITOLO  V.  —  §.  57 

Supponiamo  per  un  momento  che  il  contorno  sia  unico,  cioè  l'area 
semplicemente  connessa.  Percorrendo  il  contorno,  iv  {z)  ha  in  ogni  punto 
un  modulo  ,o  (non  nullo  né  infinito)  perfettamente  determinato  ed  un 
argomento  il,  determinato  a  meno  di  multipli  di  2  ti.  Ma  se  in  iin  punto 
iniziale  Mo  del  contorno  scegliamo  un  determinato  %  fra  i  valori  pos- 
sibili dell'argomento,  lungo  tutto  il  percorso  sarà  9.  perfettamente  de- 
terminato dalla  legge  di  continuità,  sicché  dopo  percorso  il  contorno  a 
partire  da  Mq  (in  senso  positivo),  al  ritorno  in  Mo,  il  avrà  acquistato  un 
valore  %  differente  da  %  per  multipli  di  2 tu;  ora  dico  che  si  avrà  pre- 
cisamente 

(5)  fìi-fìo  =  2  7r(No— NJ. 

E  infatti  abbiamo 


d  log  w  {z)  =  d  log  [j  -\-id9. , 


onde 


Ora  il  primo  integrale  é  nullo  perché  log  ,o,  essendo  preso  nel  senso 
aritmetico,  riprende  al  ritorno  il  valore  iniziale  ed  il  secondo  è  eguale 

appunto  a  —  (Qi  —  Qo),  ciò  che  dimostra  la  formola: 

Manifestamente,  se  l'area  fosse  a  più  contorni,  avremmo  per  risultato 
d'integrazione  una  somma  di  tante  differenze  come  ^i  —  %,  cioè 

2(fìi-^o)  =  2;:(No-NJ. 

In  particolare  si  consideri  un  infinitesimo  2  =  a  d'ordine  n  per  iv  {z) 
e  se  ne  prenda  un  intorno  abbastanza  piccolo,  descrivendo  ad  esempio 
un  cerchietto  col  centro  in  a,  perché  in  esso  e  sul  contorno  non  vi  siano 
altri  infinitesimi  né  infiniti  della  funzione.  Se  con  s;  percorriamo  il  con- 
torno s  del  cerchio,  l'argomento  di  io  crescerà  di  2r.n,  ossia  nel  piano 
w  la  congiungente  l'origine  coli' indice  di  iv  compirà  n  giri,  in  senso  po- 
sitivo, attorno  all'origine,  mentre  ^  ne  compie  uno  solo.  Lo  stesso  vale 
evidentemente  se  s  =  a  è  invece  un  polo  d'ordine  n  ;  soltanto  gli  n  giri 
si  compirebbero  allora  in  senso  negativo.  Di  qui  si  intende  facilmente 
che  nel  detto  intorno  di  z  =  a  la  funzione  iv  {z)  riprenderà  precisamente 
n  volte  ogni  valore  abbastanza  prossimo  a  zero  (o  ad  infinito). 


APPLICAZIONI    dell'indicatore   LOGARITMICO  159 

Per  precisare  la  cosa  e  dimostrarla  rigorosamente,  ritorniamo  alla 
formola  generale  di  Caiichy 

supponendo  naturalmente  soddisfatte  le  condizioni  del  §.  .OG  per  la  va- 
lidità della  formola.  Poiché  il  modulo  di  ic  sul  contorno  non  si  annulla, 
ammetterà  un  minimo  m  >  0,  talché  su  tutto  il  contorno  sarà 

\ws\  >  m . 
Sia  Wi  una  costante  qualunque  di  modulo 

I  wi  I  <  w^  ; 
la  differenza 

non  è  nulla  (né  infinita)  al  contorno  e  nelF  interno  ha  evidentemente  lo 
stesso  numero  di  poli  di  >v{2')  cioè  N^.  Sia  N'o  il  numero  degli  infini- 
tesimi di  questa  differenza  nel  campo  ;  avremo  per  la  formola  di  Cauchy  : 

Facciamo  variare  wi  con  continuità,  sempre  supponendo  |  wi  \  <  m.  Il 
primo  membro  della  (6)  è  una  funzione  continua  di  wi ,  poiché  la  fun- 
zione sotto  il  segno  integrale  é  funzione  finita  e  continua  di  a-i ,  la  dif- 
ferenza w  {z)  —  Wi,  non  annullandosi  mai;  d'altra  parte,  essendo  il  suo 
valore  un  numero  intero,  non  potrebbe  variare  che  in  modo  discontinuo. 
Se  ne  conclude  che  per  tutti  i  valori  di  «?i  con  \uh\<^in  l'indicatore 
logaritmico  serba  sempre  lo  stesso  valore,  onde  si  ha 

N'o  =  No. 

Abbiamo  dunque  il  teorema:  Se  la  fundone  io{s)  e  regolare  in  tutti 
i  inmti  di  ini'  area  connessa  A,  incluso  il  contorno,  eccetto  in  un  numero 
finito  di  polì  nelV  interno,  e  sul  contorno  il  suo  modulo  si  serba  sempre 
superiore  od  egucde  ad  un  minimo  positivo  m,  nelV  interno  prenderà  ogni 
valore  di  modulo  <im  precisamente  tante  volte  quante  volte  si  annulla. 

Se  si  applica  il  teorema  stesso  alla  funzione  inversa  — r\  >  si  vede 

wiz) 


160  CAPITOLO  V.  —  §§.  57,  58 

che,  indicando  con  M  il  massimo  modulo  di  icis)  sul  contorno:  la  w{z) 
prenderà  nelV  interno  tante  volte  ogni  valore  di  modulo  ^  M  quante  volte 
diviene  infinita. 

Si  aggiunga  che,  fatta  eccezione  al  più  da  un  numero  finito  di  valori, 
\2iw{z)  prenderà  ogni  valore  w  di  modulo  \ir  <Cm  precisamente  No  volte 
distinte,  ed  ogni  valore  di  modulo  ^  M  precisamente  N;  volte  distinte. 
E  invero  se  la  differenza  ic  (s)  —  wi  diventa  in  qualche  punto  infinitesima 
d' ordine  superiore  al  primo,  ivi  si  annulla  la  derivata  w  (^)  ;  ma  gli  infi- 
nitesimi della  derivata  nell'area  sono  in  numero  finito. 

Come  caso  particolare  del  risultato  superiore,  abbiamo  il  teorema: 
NelV  intorno  di  un  infinitesimo  (o  di  un  infinito)  di  ordine  n  la  w  {2) 
prende  ogni  valore  di  modulo  sufficientemente  piccolo  (0  sufficientemente 
grande)  precisamente  n  volte  distinte. 

§.  58. 
Inversione  delle  serie. 

I  risultati  ultimamente  conseguiti  ci  conducono  a  parlare  della  in- 
versione delle  funzioni  0  delle  serie  di  potenze.  Sia  v;  =  f{s)  una  funzione 
analitica  di  z\  domandiamo  se  si  potrà  considerare  inversamente  s  come 
funzione  analitica  di  w.  Essendo  ^  =  y  un  punto  regolare  per  iu{s),  si 
abbia 

w  =  P  (^  -  7)  =  «0  4-  «1  (^  -  V)  +  «2  (^  -  'if  +  .  .  • 

e  supponiamo  dapprima  che  in  7  non  si  annulli  /'(^),  che  sia  cioè 

ai4:  0. 

Cangiando  s — 7  in  ^  e  w — «o  in  w,  scriviamo 

(7)  ?6-  =  «1  2;  -[-  «2  5;^  +  •  •  •  )  con  ai-^0. 

Facciamo  un  intorno  così  piccolo  di  ^  =  0,  descrivendo  un  cerchio  C 
col  centro  in  0,  che  in  C  e  sul  contorna  iv  non  diventi  né  zero,  ne  infi- 
nita. Se  m  è  il  minimo  modulo  di  w  sul  contorno  s,  la  f{z)  prenderà  entro 
C  ogni  valore  wi  di  modulo  \wi  \  <im  una  ed  una  sola  volta  in  un  punto  z^. 
Descrivendo  nel  piano  w,  col  centro  in  ic  -  0,  un  cerchio  C  di  raggio  m, 
ad  ogni  punto  ic\  entro  C  corrisponderà  un  solo  punto  z^  entro  C;  di- 


INVERSIONE   DELLE   SERIE   DI   POTENZE  161 

mostreremo  che  ^i  è  funzione  analitica  di  wi,  regolare  nell'intorno  di 
tvi  =  0.  La  funzione  : 

diventa  entro  C  infinita  del  primo  ordine  solo  in  ^  =  ^1  col  residuo  ^1  (^), 
onde  avremo 


(8)  ^i^TT--      iA^^clz. 


1     /    zfjz) 
s  f{z)-wi 


2^U 


Mentre  z  percorre  il  contorno  è 

\f{z)\s>m  ,    \wi\<m  , 


onde 


«<1  e  possiamo  sviluppare 


f{z) — wi        f{z)  '  j 


W\ 


f{z) 


"=*'  ^,.  M 


nella  serie   ^  f{n+ì)i  \  •  Sostituendo  nella  (8),  e  integrando   termine  a 
termine  la  serie  convergente  in  egual  grado,  risulterà 


2^1=  2  a 


n  IV\  , 


»i=0 


avendo  posto 


ove  si  osserverà  che  il  primo  coefficiente  ao  è  nullo.  Abbiamo  dunque  il 
teorema:  Se  io  è  sviluppabile  per  una  serie  (7)  di  potente  P(^)  col  primo 


W  In  generale,  se  in  un  prodotto 

il  primo  fattore  è  regolare   iu  un  punto  s  =  a,  ed  il  secondo  vi  ha  un  polo  del 
1.''  ordine  col  residuo  R,  il  residuo  del  prodotto  sarà  R  cp  (a),  poiché  esso  è  dato  da 

lim  I  (z—a)  cp  (z)  4»  (z)  j  =  'f  («)  lim  j  (2— a)  '|  (s)  |  . 

11 


162  CAPITOLO  V.  —  §.  58 

coefficiente  «i  ^0,  si  può  inversamente  esprimere,  in  un  intorno  di  u;  =  0,  la 
g  carne  una  serie  di  potente  per  w: 

(10)  Z  =  7-1  IV  -\-   7.2  IV^  -f   «3  10^  -{-.... 

I  coefficienti  a,j  sono  definiti  dalle  (9),  ma  possono  anche  calcolarsi 
algebricamente  sostituendo  nel  secondo  membro  della  (10)  per  w  la  serie 
(7)  e  sviluppando,  secondo  il  teorema  del  §.  48,  in  serie  di  potenze  di  s. 
Identificando  la  serie  del  secondo  membro  con  z,  si  ottiene  una  serie 
di  equazioni  lineari  ricorrenti  nelle  a: 

7-1  «1  =  1 

7.1  ag  +  «2  «1  =  0 
«1  «3  4-  2  «2  «1  «2  +  73  a?  =  0 


che  determinano  successivamente  i  coefficienti  7.. 
Supponiamo  ora  il  caso  piiì  generale  che 

abbia  in  ^  =  0  un  infinitesimo  d'ordine  n,  onde  avremo 
(11)  w  =  z"  («i+aj  z+a-i  z^+  . .) ,  con  «i  ^  0 . 

Poniamo  ic  =  t"  ed,  estraendo  la  radice  n'"",  avremo 


t  =  z  \'ai+a2Z+a-3  2r+  .... 

Nell'intorno  di  ^  =  0  il  radicale,  che  è  funzione  regolare  di  ^  perchè 
la  funzione  sotto  il  segno  non  si  annulla  per  ^  =  0,  si  può  convertire 
in  una  serie  di  potenze,  onde  scriviamo 

^  =  ^(7.1  +  7.2  ^  +  3^3  ■2^+  ••)  ,  ^-1  +  0. 

Pel  risultato  precedente,  se  consideriamo  z  come  funzione  di  t,  assu- 
mendo z  =  0  per  ^  =  0,  la  z  è  funzione  regolare  di  t  : 

ì_ 

sostituendo  per  t  il  suo  valore  w"  ,  abbiamo  z  espressa  per  iv  colla  serie 
(12)  z  =  ^,w"-\-^iW"-\-... 


INVERSIONE   DELLE   SERIE   DI   POTENZE  163 

Per  ogni  valore  di  w,  interno  al  cerchio  di  convergenza  di  questa 
serie,  abbiamo  n  valori  distinti  per  ^,  che  girando  attorno  a  ^  =  0  si 
permutano  ciclicamente  fra  loro  e  costituiscono  n  rami  di  una  medesima 
funzione  analitica  di  iv  ' ^* .  -Il  punto  w-0  è  un  punto  critico  algebrico 
per  0  (punto  di  diramazione).  Se  indichiamo  con 

gli  n  rami  di  s,  corrispondenti  ad  un  valore  di  w,  ogni  funzione  razio- 
nale intera  e  simmetrica  di  ^1,^2  >  •  -^n  sarà  una  funzione  di  w  regolare 
in  IO  =  0.  Ciò  si  può  vedere  anche  direttamente,  dimostrando  la  cosa  per 
le  funzioni  simmetriche  elementari  {somme  delle  potenze  simili): 

■sH-  ■2^2  +  •  •  •  +  ^l    {v  intero  positivo) . 

E  invero  la  funzione 

z'f{z) 

entro  il  cerchio  C,  ha  poli  del  1.°  ordine  in  ^1 ,  s.,, . .  Sn  coi  residui  s\,^l,..zl, 
onde  risulta 

zl-{-zl'i-...-\-z:  =  —-  /       '         dz . 

Il  secondo  membro  è  evidentemente  una  funzione  regolare  di  w  nel- 
r  intorno  di  w  =  0. 

Capitolo  VI. 

Funzioni  uniformi  in  tutto  il  piano  complesso.  —  Loro  sviluppi  in  serie  di  fra- 
zioni parziali  secondo  Cauchy.  —  Teorema  di  Mittag-Leffer.  —  Sviluppi 
in  prodotti  infiniti  per  le  trascendenti  intere. 

§.  59. 
Trascendenti  intere. 

Procediamo  ora  allo  studio  ed  alla  classificazione  delle  funzioni  ana- 
litiche uniformi  esistenti  in  tutto  il  piano  {su  tutta  la  sfera  complessa), 


(^'  Essendo  a^O  un  punto  qualsiasi  nell'intorno  considerato  di  w,   si  può 
sviluppare 

^  <=  j  (li)  —  a)  -|-  a  I  T 

per  potenze  intere  e  positive  di  iv  —  a,  quindi  anche  per  z  si  ha  nell'intorno 
di  w  =  a  una  serie  di  potenze:  3  =  P(i<; — a). 


164  CAPITOLO   VI.  —  §.  59 

e  dimostriamo  in  primo  luogo  il  teorema  fondamentale:  Ogni  funzione 
analitica,  uniforme  e  non  costante  su  tutta  la  sfera  complessa,  deve  avere 
almeno  un  punto  singolare. 

Nel  caso  contrario  il  suo  modulo  si  manterrebbe  su  tutta  la  sfera 
inferiore  ad  una  quaiitità  fissa  M.  Descriviamo  in  tale  ipotesi  nel  piano 
complesso,  col  centro  nell'origine,  un  cerchio  C  di  raggio  R  grande  ad 
arbitrio;  la  nostra  funzione  w[s)  è  quivi  finita,  continua  e  monodroma 
e  però  sviluppabile  in  una  serie  di  potenze 

w{z)  =  aQ  -\-  aiZ-\-  «2  z^  -\-  . . -\-  an  z''  -{- . . .  , 

convergente  in  tutto  il  piano.  Il  coefficiente  a^  è  dato,  per  le  formole 
(5)  del  §.  43,  pag.  124,  dall'integrale 

1      Cw  (z)  dz 

esteso  al  contorno  s  del  cerchio.  Ora,  per  ipotesi,  si  ha  sempre  \iv\<,  <M 
ed,  applicando  la  formola  di  Darboux,  ne  deduciamo 

e  siccome,  se  n  >  0,  all'  ingrandire  di  R  il  secondo  membro  tende  a  zero, 
mentre  il  primo  ha  un  valore  fisso,  ne  deduciamo 

an=  0    per  7^  =  1 ,  2 ,  3  . . .  , 

e  però  ?f(^)  =  ao,  cioè  costante  contro  l'ipotesi. 

Le  funzioni  uniformi  in  tutto  il  piano,  avendo  necessariamente  qual- 
che singolarità,  potranno  classificarsi  a  seconda  del  numero  e  della  specie 
delle  loro  singolarità.  Il  caso  più  semplice  sarà  quello  in  cui  si  abbia 
una  sola  singolarità  e  questa  sia  in  ^  =  qo  ,  talché  in  qualunque  campo 
finito  del  piano  la  funzione  sarà  sempre  finita,  continua  e  monodroma. 
Allora  ic{s)  è  sviluppabile  in  una  serie 


w  {z)  =  2 


a,,  z" 


convergente  in  tutto  il  piano,  e  la  singolarità  in  s=  co  sarà  polare  od 
essenziale,  secondo  che  la  serie  si  arresterà  o  no  ad  un  polinomio.  Nel 
secondo  caso  la  funzione  dicesi  una  trascendente  intera  e  si  indica,  con 
Weierstrass,  col  simbolo  G{z). 


TRASCENDENTI   INTERE  165 

Abbiamo  dunque  il  risultato;  Una  funzione  uniforme  in  tutto  il  piano, 
con  un  solo  punto  singolare  in  ^  =  oo ,  è  un  polinomio  razionale  intero  in 
z,  ovvero  una  trascendente  intera  G  {z),  secondo  che  la  singolarità  è  polare 
od  essenziale. 

Notiamo  che  dalla  dimostrazione  data  del  teorema  fondamentale  ri- 
sulta che,  fissato  un  numero  positiv^o  M  grande  a  piacere,  in  qualunque 
intorno  di  ^  =  co  una  trascendente  intera  G  {z)  assume  anche  dei  valori 
di  modulo  >  M.  Nel  caso  particolare  di  un  polinomio  si  può  fare  anzi 
r  intorno  in  guisa  che  tutti  i  valori  della  funzione  abbiano  modulo  >>  M. 

Fra  le  trascendenti  intere  ve  ne  sono  alcune,  come 

g«  g  sen  a 

che  non  solo  non  diventano  mai  infinite  a  distanza  finita,  ma  nemmeno 
si  annullano.  È  facile  vedere  che  l'espressione  generale  di  una  siffatta 
trascendente  intera  G(^)  sarà: 

(1)  G(0)  =  eGi(^), 

dove  Gi(^)  è,  essa  stessa,  una  trascendente  intera.  E  infatti,  se  G(^)  non 
si  annulla  mai,  la  sua  derivata  logaritmica 

G>) 
G(^) 

è  una  trascendente  intera  G2(^),  e  però  integrando  si  ha 

log  G  {z)  (  1)  =  y G2  {z)  dz  =  G,  (z) , 
e  passando  dai  logaritmi  ai  numeri,  risulta  appunto  la  (1). 

§.  60. 
Punti  singolari  essenziali. 

Se  la  funzione  iv  (z)  uniforme  (  in  una  certa  area  )  ha  nel  punto  z  =  a 
una  singolarità  essenziale  isolata  essa  può  porsi,  come  sappiamo,  nel- 
r  intorno  del  punto,  sotto  la  forma 


{z)=¥{z-a)  +  2 


M  {z—ar 


e  La  polidromia  proveniente  dal  segno  logaritmico  è  qui  soltanto  apparente, 
perchè  G  {z)  non  diventa  mai  né  zero  né  infinita. 


166  CAPITOLO    IV.  —  §.  60 

La  serie  discendente  converge  in  tutto  il  piano,  salvo  in  ^  =  a,  ed  è 

quindi  una  trascendente  intera  dell'argomento  ,  che  inoltre  si  annulla 

pel  valore  0  deirargomento,  cioè  per  ^  =  co .  Indicando  una  tale  trascen- 
dente intera  col  simbolo 

avremo  dunque 

(2)  wiz)=Y{z-a)+g'     ^    ^ 


-  a)  ' 

Da  questa  osservazione,  e  da  quanto  abbiamo  detto  al  §.  precedente 
relativamente  alle  trascendenti  intere,  facilmente  possiamo  trarre  una  di- 
mostrazione del  teorema  di  Weierstrass:  In  vicinanza  di  un  punto  sin- 
golare essenziale  isolato,  e  per  quanto  piccolo  intorno  si  prenda  di  esso,  la 
funzione  assume  anche  valori  di  modido  tanto  grande  quanto  si  vuole  ed 
anche  valori  prossimi  di  tardo  poco  quanto  si  vuole  ad  una  quantità  finita  A 
prefissata  ad  arbitrio. 

Che  la  IV  (z)  assuma,  in  qualunque  prossimità  di  ^  =  a,  anche  valori  di 
modulo  più  grande  di  qualunque  quantità  assegnata  risulta  subito  dal- 
l'ossei'vare  che  nel  secondo  membro  della  (2),  per  z  prossimo  ad  a,  il  primo 
termine  P(^ — a)  assume  valori  prossimi  al  termine  iniziale  della  serie, 

mentre  g  ( )  assume  (§.  59)  anche  valori  di  modulo  grande  quanto 

si  vuole.  Per  dimostrare  poi  la  cosa  anche  pei  valori  finiti  A,  si  consideri 
la  funzione 

(3) 


IV  (z) — A 


che  avrà  in  z  =  a  certamente  una  singolarità  essenziale,  la  quale  sarà 
inoltre  isolata,  se  in  prossimità  di  ^  =  a  non  si  annullerà  infinite  volte 
la  differenza  tv  {s)  —  A.  Ma  in  questo  secondo  caso  sarebbe  già  provata 
la  nostra  asserzione;  anzi  non  solo  wiz)  si  approssimerebbe  quanto  si 
vuole  ad  A,  ma  assumerebbe  effettivamente  infinite  volte  il  valore  A.  Xel 
primo  caso  poi,  la  singolarità  essenziale  z  =  a  per  la  funzione  (3)  essendo 
isolata,  la  funzione  stessa  deve  prendere  in  qualsiasi  intorno  di  a  valori 
di  modulo  grande  ad  arbitrio  o,  ciò  che  è  lo  stesso,  deve  w{z)  accostarsi 
ad  A  di  tanto  poco  quanto  si  vuole. 


FUNZIONI   UNIFORMI  CON  UN  NUMERO  FINITO  DI   SINGOLARITÀ  167 

Questo  teorema  di  Weierstrass  fa  già  comprendere  la  profonda  diffe- 
renza che  esiste  fra  una  singolarità  polare  ed  una  essenziale.  Picard  ha 
precisato  vieppiù  questo  risultato,  dimostrando  che  :  In  vicinanza  di  un 
punto  singolare  essenziale  la  funzione  non  solo  si  accosta,  ma  prende  effet- 
tivamente infinite  volte  tutti  i  valori  possibili,  fatta  eccezione  da  due  spe- 
ciali valori  al  massimo  '^'. 

Ritorneremo  più  tardi  su  questo  teorema,  che  per  ora  enunciamo  sol- 
tanto. Qui  osserviamo  ancora  che  il  teorema  di  Weierstrass  sussiste  non 
solo  per  singolarità  essenziali  isolate,  ma  anche  (ed  a  più  forte  ragione) 
per  singolarità  limiti  di  infinite  altre  singolarità  (Cf.  §,  52). 

§.  61. 
Funzioni  uniformi  con  un  numero  finito  di  singolarità. 

Continuando  nella  classificazione  delle  funzioni  uniformi  in  tutto  il 
piano,  consideriamo  ora  quelle  che  hanno  in  tutto  il  piano  complesso  un 
numero  finito  di  singolarità.  Le  singolarità  a  distanza  finita  siano  nei 
punti 

«1   ,    «2  ,   .  .  .  fln  5 

potrà  aversi  ancora  eventualmente  nella  funzione  iciz)  una   singolarità 
all'infinito.  Nell'intorno  dì  z  =  ai  la  funzione  w{z)  si  pone  sotto  la  forma 


w  (z)  =  V{z-ai)-\-  gì  (- — -  )  , 


la  gi{t)  indicando  una  trascendente  intera  di  t  annullantesi  per  ^  =  0, 
ovvero  un  polinomio,  secondo  che  la  singolarità  in  z  =  ai  è  essenziale, 
0  polare.  Se  poniamo 

/_1 
.z—a. 


f^  (^)  —  9i  [y~^  ì  =  '^1  (^)  ' 


la  tvi(z)  sarà  regolare  in  ^  =  «i  ed  avrà  le  rimanenti  singolarità  di  tv  (z). 
Procedendo  nel  medesimo  modo  sopra  'i^i(z),  avremo 


/     1     \ 
u\  {z)  =  W2  (z)  +  g-z    - — - 

\Z «2/ 


(*'  Cf.  gli  esempi  discussi  al  §.  52. 


168  CAPITOLO   TI. —  §.  61 

e  la  Wì(z)  non  avrà  singolarità  che  in 

2;  =  «3   ,     «4  .  .  .    «n  ,     (  CO  )  . 

Così  procedendo,  troveremo 


w 


w = i'.  G-é^) + ^<j4^) + •  • + ^»  C-^j + n^) . 


dove  la  f{s)  non  avrà  altra  singolarità  che  in  s=  co,  se  pure  esisteva 
in  ìv{z).  La  f{s)  si  ridurrà  quindi  ad  una  costante,  ovvero  ad  un  poli- 
nomio, 0  in  fine  ad  una  trascendente  intera  G{£).  Includendo  in  que- 
st'ultimo caso  generale  gli  altri  due,  scriveremo 

(*)      "  W  =  9^  ij^)  +  9,  (  J^J  +-.+9.  {^)  +  G  (^) . 

Se  le  singolarità  saranno  soltanto  polari,  le  funzioni  gi,g2--gn,  G 
saranno  altrettanti  polinomii  interi  nei  loro  argomenti.  E  poiché  una 
funzione  uniforme  su  tutta  la  sfera  e  che  non  ha  singolarità  essenziali 
non  può  avere  un  numero  infinito  di  singolarità  polari,  ne  concludiamo  : 
Una  funzione  uniforme  su  tutta  la  sfera  complessa,  e  dotata  soltanto  di 
singolarità  polari,  è  una  funzione  razionale  di  z.  L' inversa  è  evidente  <  ^* . 

Si  osservi  poi  che  la  formola  (4),  applicata  al  caso  attuale,  dà  pre- 
cisamente quella  decomposizione  di  una  funzione  razionale  in  frazioni 
parziali  che  si  considera  nell'algebra  e  si  utilizza  nel  calcolo  per  l'in- 
tegrazione delle  funzioni  razionali. 

È  evidente  che,  dati  ad  arbitrio  i  punti  in  numero  finito  «i,  «2, . .  a», 
ed  assegnate  ad  arbitrio  le  trascendenti  intere 

gì ,  gì,  ■■•gn, 

si  può  costruire  colla  (4)  una  funzione  uniforme  in  tutto  il  piano  coi 
soli  punti  singolari  a^ ,  «2 . .  a» ,  nei  quali  si  comporterà  rispettivamente 
come  le  trascendenti 


(')  Si  noti  come  dalla  espressione  effettiva  di  una  funzione  razionale  espressa 
pel  quoziente  di  due  polinomii  si  verifichi  subito  il  teorema,  già  dimostrato  al 
§.  56,  che  una  tale  funzione  diventa  tante  volte  zero  quante  volte  infinita. 


FUNZIONI   UNIFORMI   CON   UN   NUMERO    FINITO   DI   SINGOLARITÀ  169 

Osserviamo  in  fine  che,  applicando  i  ragionamenti  superiori  ad  una 
funzione  w{2)  uniforme  non  in  tutto  il  piano  ma  solo  in  un'area  data 
A,  con  un  numero  finito  di  punti  singolari 

nell'interno  dell'area  la  iv(s)  potrà  porsi  sotto  la  forma 

(5)  „  (.)  =  „  (-A_)  +  ,,  (_±_)  +  ..+,,.  (^_i_J  ,.  ^(,)  , 

la  f{0)  essendo  una  funzione  uniforme  e  regolare  in  tutta  l'area. 

§.  62. 

Metodo  di  Oauchy  per  gli  sviluppi  in  serie  di  funzioni 
con  infinite  singolarità. 

Passiamo  ora  a  considerare  le  funzioni  uniformi  in  tutto  il  piano  e 
con  un  numero  infinito  di  singolarità,  le  quali  abbiano  però  come  unico 
punto  limite  il  punto  z=  <x> ,  tali  cioè  che  in  qualunque  campo  tutto  si- 
tuato a  distanza  finita  capiti  soltanto  un  numero  finito  di  punti  singolari 
(essenziali  o  polari)  e  soltanto  cresca  all'infinito  questo  numero,  ingran- 
dendo all'infinito  il  campo. 

Consideriamo  un  tale  campo  finito  (racchiuso  da  un  solo  contorno,  ossia 
semplicemente  connesso)  supponendo  per  altro  che  sul  contorno  non  vi 
sia  alcun  punto  singolare  della  nostra  funzione  iv{z).  Nell'interno  di  C 
cadrà  un  numero  finito  di  punti  singolari 

di  ,  a^  >  •  • .  a^i 

e  in  tutto  C  potremo  porre,  secondo  la  (5),  la  iv{z)  sotto  la  forma 

(6)  '    ^<^{^)-%9>(-^)-Vf{z), 

ove  f{£)  è  regolare  nei  punti  di  C  (contorno  incluso).  Prendiamo  un  punto 
/  interno  a  C,  ma  distinto  dai  punti  singolari,  e  cerchiamo  di  calcolare 
il  valore  di  iv  in  /  per  mezzo  dei  valori  di  w  al  contorno  s  del  campo, 
estendendo  così  la  formola  di  Cauchy  al  caso  attuale,  ove  si  hanno  Inter- 


170  CAPITOLO   VI.  —  §.62 

namente  al  campo  singolarità.  Alla  f{s),  che  è  regolare  in  C,  possiamo 
applicare  la  formola  di  Caiichy 

che  per  la  (6)  diventa 

■  ^       ,éi      \z'—arj        2r.ijg   z  —  z         2t.i  ^J^z—z'^"  \z  —  ayj 

Ora  facilmente  vediamo  che  ciascun  integrale  della  somma  del  se- 
condo membro 


7_  z — z     *"  V^; — a,-/ 


dz 


è  nullo,  poiché  nella  regione  del  piano  esterna  ad  s  la  funzione  sotto  il 
segno 

Z Z  \Z ttr 

è  dappertutto  regolare  e  in  ^=  oo  è  infinitesima  del  2.°  ordine  almeno  '^', 
onde  il  suo  residuo  è  nullo.  La  formola  precedente  diventa  quindi  sem- 
plicemente 

(7)  „(,)  =  _  j^ -^  +  2  ^'^(-r^ 

e  non  differisce  dall'ordinaria  formola  di  Cauchy  che  per  la  parte  rela- 
tiva alle  singolarità. 

Immaginiamo  ora  che  il  campo  C  ingrandisca  all'infinito,  passando 
per  una  serie  discreta  di  configurazioni  in  guisa  che,  per  ogni  speciale 
configurazione,  il  contorno  5  di  C  non  contenga  mai  alcun  punto  singo- 
lare, ma  del  resto  con  legge  arbitraria. 

La  formola  (7)  rimarrà  sempre  applicabile,  purché  /  non  coincida 
con  un  punto  singolare  a;  soltanto  il  numero  dei  punti  a  che  cadranno 
entro  il  campo,  cioè  il  numero  dei  termini  nella  somma  del  secondo 
membro  della  (7),  andrà  sempre  più  crescendo. 


W  Si  ricordi  che  la  trascendente  intera  qr  \ ì  si  annulla  in  z=cc . 


a  gr  { ) 


SVILUPPI   IN   SERIE  DI   FRAZIONI  PARZIALI  171 

Ora  se  la  legge  d' accrescimento  del  contorno  è  tale  che,  mantenendo 
z   entro  un'area  A  finita  arbitraria,  l'integrale 

w  [z)  dz 

s  ^—^ 

converga  equabilmente  (in  egual  grado)  verso  zero,  dalla  (7),  con  pas- 
saggio al  limite,  otterremo  la  formola 

(8)  ^(^0  =  2^'-  7-V) 

e  la  serie  del  secondo  membro  sarà,  in  ogni  area  finita  A,  convergente 
in  egual  grado,  quando  ne  siano  esclusi  con  piccoli  intorni  i  punti  sin- 
golari a.  Così  otteniamo  per  la  funzione  w  {z)  uno  sviluppo  che  vale  in 
tutto  il  piano,  a  qualunque  distanza  finita,  e  ne  pone  in  evidenza  le 
singolarità,  analogamente  alla  decomposizione  in  frazioni  parziali  di  una 
funzione  razionale.  Si  noti  però  che  la  convergenza  della  serie  (8)  sarà 
in  generale  subordinata  all'ordine  dei  termini,  i  quali  dovranno  essere 
raggruppati  al  modo  stesso  come  entrano  i  punti  singolari  nel  campo  C 
crescente  secondo  la  legge  assegnata. 

§.  63. 
Due  casi  particolari. 

Per  le  applicazioni,  che  dovremo  fare  nel  seguito,  di  questo  processo 
generale  sono  particolarmente  importanti  due  casi,  in  cui  si  riscontra  effet- 
tivamente che  si  ha 

(10)  lim   {'^^^  =^-Oi^K 

Js  ^-^ 

1."  Supponiamo  che  l'ingrandimento  del  contorno  s  proceda  in  guisa 
che  tutti  i  suoi  punti  si  allontanino  all'infinito  dall'origine  e  sul  con- 
torno via  via  crescente  si  mantenga  sempre 

\w{^)\s  <  Q, 


(*'  Scrivendo  questa  formola  sottintendiamo  che,  variando  z'  in  un'area 
qualunque  finita,  il  limite  deve  essere  preso  per  l' ingrandire  infinito  del  con- 
torno s  e  la  convergenza  a  zero  dell'integrale  deve  aver  luogo  equabilmente. 


172 


CAPITOLO   VI.  —  §.  63 


essendo  Q  una  quantità  finita.  Diciamo  che  allora  basterà  dimostrare  che 
si  ha 


per  essere  sicuri  che  sussisterà  la  (10)  e  varrà  quindi  lo  sviluppo  in  se- 
rie (8). 

Prendiamo  ora  un'area  A  comunque  grande,  ma  finita,  nella  quale  man- 
terremo /,  talché  !/j  si  manterrà  inferiore  ad  una  quantità  finita  K: 

Da  un  certo  punto  in  poi,  movendosi  s  sul  contorno  s,  risulterà  per 

le  ipotesi  fatte 

I  '  I 
1^1  >  l^'l  ,    cioè  —^  <  1, 

onde  potremo  sviluppare  in  serie  — -,  colla  formola  : 


z  —  z 


ed  avremo,  a  causa  della  convergenza  in  egual  grado: 


fw  (z)  dz  __  Cw  iz)  dz     "^    ,^  fw  (z)  dz 

Js    ^       ^  Js        ^  "=i       Js 


Se  dimostriamo  che  ingrandendo  il  contorno  s,  possiamo  rendere 


(11) 


„=1  ./o         <• 


)  dz 


<  =  , 


essendo  e  una  quantità  comunque  piccola,  sarà  provata  la  nostra  asser- 
zione. 

Ora  si  ha 


(12) 


«=i      Js     ^  «=1       Js     ^  "='       Wr     ^ 


z)  dz 


DUE   CASI   PARTICOLARI 


173 


Calcoliamo  un  limite  superiore  del  modulo  dell'integrale  / 
riportando  colla  sostituzione 


^  =  T 


il  contorno  grandissimo  5  ad  un  contorno  piccolissimo  a  attorno  all'ori- 
gine, ed  applicando  la  formola  di  Darboux.  Abbiamo 


l^'-j'Ax) 


df: 


e,  indicando  con  o  la  massima  distanza  dell'origine  dai  punti  di  a  e  con 
X  il  perimetro  di  o,  risulta 


IV 


{z)  dz 


onde  la  (12)  diventa 


yn+l 


w  {z)  dz 


<Qr'"-'>>, 


<KQX 


1 


1— Kf. 


Siccome  tanto  p  quanto  X  convergono  verso  zero,  risulterà,  da  un 
certo  punto  in  poi,  soddisfatta  la  (11)  e.  d.  d. 

2.°  Supponiamo  che  :  il  contorno  s  ingrandisca  per  forme  circolari,  col 
centro  nelV origine,  e  sid  contorno  crescente  del  cerchio  non  solo  \  io  {é)  \  si 
mantenga  finito  ma  diventi,  da  un  certo  punto  in  x>oi,  minore  di  qualunque 
quantità  assegnabile.  Dico  che  sarà  allora  soddisfatta  la  (10). 

Per  quanto  abbiamo  visto  sopra  basta  provare  che  si  ha 


lim 


i 


w  (z)  dz 


=  0, 


ciò  che  è  un'immediata  conseguenza  della  formola  di  Darboux  e  della 
nostra  ipotesi. 

Quest'ultimo  risultato  conduce  ad  applicare,  con  una  conveniente  mo- 
dificazione, il  processo  di  sviluppo  in  serie  anche  nel  caso  in  cui  il  mo- 
dulo di  ìv(z)  sul  contorno  crescente  del  cerchio,  anziché  diminuire,  cresce 
air  infinito  comparabilmente  ad  una  potenza  del  raggio  K,  in  guisa  che, 


174  CAPITOLO  VI.  —  §§.  63,  64 

per  un  valore  sufficientemente  grande  del  numero  intero  n,  risulti  da  un 

certo  punto  in  poi 


^  I  piccolo  a  piacere.  Potremo  allora  applicare  lo 


z" 


sviluppo  alla  funzione  -~  e  risulterà 


1        \* — "■» 


Se  sviluppiamo 
per  potenze  di  z-a,-  col  binomio  di  Newton,  vediamo  che  il  prodotto 

\z — arj 
si  converte  in  una  nuova  trascendente  intera 

\Z ttrj 

aumentata  di  un  polinomio  Pa^.  {z)  di  grado  n-\  in  z,  onde  avremo  per 
w{z),  lo  sviluppo 

(13)  „(.)  =  ||,;(_^)+P„^(.)j. 

L'aggiunta  dei  polinomi  P„,:  {s)  nei  singoli  termini  della  serie  a  de- 
stra ha  per  effetto  di  assicurarne  la  convergenza,  artificio  che  ritrove- 
remo fra  breve  per  stabilire  il  teorema  di  Mittag-Leffler  (§.  65). 

§•  64. 

Sviluppi  in  serie  delle  funzioni  ,  cotz. 

^■^  sen  z  ' 

Applichiamo  il  processo  generale  descritto  alle  due  funzioni 

,    cot  2; , 

sen  z 

i  cui  punti  singolari  sono  nei  punti 


SVILUPPI   IN   SERIE   DI    ~  .   »"i--  175 

percorrendo  n  i  numeri  interi,  positivi  e  negativi;  per  Funa  e  per  l'altra 
funzione  la  singolarità  è  polare  del  l.«>  ordine  col  residuo 

(  —  1)"  per ,    +  1    per  cot  z  , 

^      ^  sen^ 

come  risulta  dalla  regola  alla  fine  del  §.  53.  La  trascendente  intera  gn 
si  riduce  qui  rispettivamente  a 

(—1)"  1 


■mi       z  —  «71 


Per  campo  C,  che  dovremo  poi  fare  ingrandire  all'infinito,  prendiamo 
il  rettangolo  racchiuso  dalle  rette 


a;=±('m  +  -ì  -  ,    ij  =  ±l, 


dove  m  è  un  numero  intero  positivo  e  h  una  costante  qualunque;  fa- 
cendo crescere  all'  infinito  sì  m  che  h,  il  contorno  s  si  allontanerà  in  ogni 
senso  all'infinito. 

D'altra  parte,  posto 

si  ha 


1 


sen^; 


\/cos*a;  +  senh*«/ 

\J  sen''  X  +  senh^  y  \J  sen^  x  +  senh^  y 


zoiz 


e  si  vede  subito  che  i  moduli  delle  due  funzioni  rimangono  sempre  in- 
feriori ad  una  quantità  fissa  sul  contorno  crescente.  Basterà  dunque  ve- 
rificare (§.  63)  che  gli  integrali 


c  dz      r 

J  zsenz  '   J 


cot  z  dz 


estesi  al  contorno  del  rettangolo,  hanno  per  limite  lo  zero.  Ora  questi 
due  integrali,  a  causa  della  simmetria  del  contorno  rispetto  all'origine 
e  delle  forinole: 

sen ( — ^)  =  -  sen ^  ,  cot  ( — z)  =  -coi  z , 

sono  assolutamente  nulli,  il  che  prova  quanto  volevamo  (^'.  Sono  quindi 


W  Allo  stesso  risultato  si  arriva  anche  subito,  calcolando  la  somma  dei  residui 
delle  due  funzioni  sotto  il  segno  nell'interno  del  rettangolo. 


176  CAPITOLO   VI.  —  §.  64 

applicabili  i  risultati  del  primo  caso  discusso  al  §.  precedente  e  poiché, 
all'ingrandire  del  contorno,  i  poli  entrano  due  a  due,  associandosi  ad 
ogni  polo  il  suo  simmetrico,  avremo  le  formolo: 


san  z       „=«  ^  z — r  7C 

"        1 
cot  2;  =  lim  y > 

,.=»  ir  ^ — 'TT^ 
ovvero 

1      ,    "^   (      1        ,        1      )        1     ,  "^*        2^ 
(15)         cot^  = hS H— —    =-  +  2~^ 2—2 

e  le  serie  del  secondo  membro,  in  qualunque  campo  a  distanza  finita, 
da  cui  siano  esclusi  i  poli,  sono  convergenti  in  egual  grado.  Derivando 
la  (15)  termine  a  termine,  come  è  lecito  (§.  47),  abbiamo  l'altro  svi- 
luppo per  — r-  : 

1  1        "°°*  (1  1       ) 

^^^^  ^^H^  ""  7"  +  ,11  \{z—nT:f  +  {z-^niCfS  ' 


Dalla  (16),  facendo  z  =  ~  ,  si  ottiene 

t-^   •  V  (      1        I  _i__ì 

*      4  ""     "^  ^'(2^— 1)'"^  (2«+l)M  ' 
che  si  può  scrivere 

^2  co  J  111 

"8  ""  ?  (2w  +  l)^  =  1  +  ^2  +  ^2  +  72  +  •  • . 

formola  che  ci  dà  la  somma  delle  inverse  dei  quadrati  dei  numeri  di- 
spari. D'altronde  si  ha 

QOj^        00]^  co         Y  1*^1^        1 

2  ^  =  2(^  ^  2  (2w  +  l)^  ^  T  t'  >^^  "^  t'  (2w+l)' 


NUMERI  DI   BERNOULLI  177 

e  la  precedente  si  può  anche  scrivere 

co       1  -2  • 

risultato  che  dovremo  applicare  in  seguito. 

Questa  non  è  del  resto  che  un  caso  particolare  delle  formole  che 
dimostrano  come  il  valore  della  serie 

sta  in  rapporto  commensurabile  con  k^",  dipendente  dai  così  detti  numeri 
di  JBernoidli. 

Stabiliremo  rapidamente  queste  formole  ricorrendo  alla  (15),  che  scri- 
viamo 

^2/  ,       ^    2^'         1 


^  cot^ 


T  ^ — v^'^^  1 


M*7t 


2  ^i 


Per  I^K^r  possiamo  sviluppare  il  secondo  membro  in  serie  di  po- 
tenze per  z,  applicando  la  formola 

2    '' 


^       n^%'- 


Z-  ^    W*'-7U*'-    ' 


e  ricordando  i  risultati  generali  del  §.  48.  Otteniamo  cosi 

^cot^  =  i-2"f  |^>^"; 

e  ponendo 

_2S2n.2.3..(2n) 

potremo  scrivere 

^  cot  ^  =  1  —  2Li 


,él    2.3...(2w)  * 
Dall'identità  che  ne  deriva 


1.2    '    1.2.3.4 

__  I  .  ~  I  ^  ^\L       Bi(2^)^       B,(2^)^ 


1  .2.3    '     1.2.3.4.5  "V   V  2  2.3.4" 

12 


178  CAPITOLO  VI.  —  §§.  64,  65 

paragonando  dall'una  parte  e  dall'altra  i  coefficienti  delle  medesime  po- 
tenze di  z,  si  calcolano  p^r  via  ricorrente  i  numeri  di  BernouUi 

Bi  ,  Bj  ,  B3 . . .  , 

che  sono  tutti  numeri  razionali;  i  primi  valori  sono 

B,  =  -  ,    B,=  -  ,    B3  =  -  ,    B,  =  -... 

§.  65. 
Teorema  di  Mittag-Leffler. 

Nei  §§.  precedenti  abbiamo  supposto  (Ma  la  funzione  iv(z),  uniforme 
in  tutto  il  piano  e  con  un  numero  finito  di  singolarità  in  ogni  campo 
finito,  e  ne  abbiamo  cercato  uno  sviluppo  in  serie,  che  ne  ponesse  in 
evidenza  le  singolarità.  Ora  ci  proponiamo  il  problema  inverso  e  cioè 
vogliamo  costruire  una  funzione  con  assegnate  singolarità  in  punti  pre- 
fissati. Supponiamo  dato  un  insieme  di  punti  isolato  nel  piano  com- 
plesso ;  un  tale  insieme,  per  un  teorema  di  Cantor,  è  sempre  numerabile, 
cioè  si  possono  ordinare  i  punti,  distribuendo  loro  per  indici  i  numeri 
l,2,3..n...  Per  ciascuno  di  questi  punti 

fll  ,    Gfg  ,   .  .  .  Cln  •  •  • 

supponiamo  inoltre  assegnata  una  trascendente  intera  corrispondente 

?.  (j^)  .  9'  C-^^j  •  •  ■  ?"  C"^)  •  •  • 

affatto  ad  arbitrio  e  domandiamo  di:  costruire  una  funzione  uniforme 
w{z)  in  tutto  il  inano  che  nelV  intorno  di  ciascun  punto  an  dell' insieme  si 

comporti  come  la  trascendente  intera  assegnata  On  ( )  '^'  e  non  abbia 

\z-  an/ 

alcun' altra  singolarità,  salvo  nei  punti  dell' insieme  derivato. 

La  soluzione  generale  di  questo  problema  è  stata   data  da  Mittag- 
Leffler  (^',  il  quale  l'ha  risoluto  affermativamente  per  ogni  insieme  iso- 


(*)  In  modo  cioè  che  la  differenza 


(^)-*"C-i,) 


w  \ 
sia  regolare  in  a»  • 

(^)  Sur  la  représentaUon  analytique  des  fonctions  uniformes.  Acta  Math.,  T.  4. 


TEOREMA   DI   MITTA6-LEFFLER  179 

lato,  costruendo  eifettivamente  la  funzione  domandata.  Questo  risultato 
porta  il  nome  di  teorema  di  Mittag-Leffler.  Noi  non  ne  studieremo  qui 
che  un  caso  particolare,  il  caso  cioè  che  vi  sia  un  unico  punto  limite  del 
gruppo  delle  singolarità  assegnate,  e,  senza  alterare  la  generalità,  po- 
tremo supporre  che  quest'unico  punto  limite  sia  il  punto  ,^  =  oo ,  cioè 
che  in  ogni  campo  finito  cada  un  numero  finito  di  punti  a,  ma  questo 
numero  vada  crescendo  oltre  ogni  limite  all'ingrandire  del  campo. 
Numereremo  allora  i  punti  a,  distribuendoli  per  ordine  di  modulo  cre- 
scente, e  quelli  che  abbiano  eventualmente  lo  stesso  modulo  per  ordine 
d'argomento  crescente,  talché 

\ai\<Wì\<\(h\ 

Supponiamo    dapprima  |ai|>0,  cioè  che   il  primo   punto  non  cada 

nell'origine  e  quindi  anche  nessuno  dei  seguenti.  La  trascendente  intera 

/    1     ^                                 1 
qJ )  dell'argomento ,  nell'interno  del  cerchio  C,j  col  cen- 

\3-anJ  S-ttn 

tro  neir  origine  e  di  raggio  =  !  «„  | ,  è  finita,  continua  e  monodroma  e 
però  sviluppabile  in  serie  di  Taylor 

(18)  5'Hf-V)=1B„,,.^^ 

avente  il  cerchio  Ci  per  cerchio  di  convergenza.  Ora  prendiamo  ad  ar- 
bitrio una  serie  di  numeri  reali  e  positivi 

Si   ,    %  ,    .  .  .  S,t  .  .  .    , 

che  assoggettiamo  alla  sola  condizione  di  dar  luogo  ad  una  serie  con- 
vergente 

^  =»  =  =1  +  -2  T~  •  •  "i"  =;(  ~r  •  • 

e  fissiamo  inoltre  arbitrariamente  una  quantità  positiva  ò  <^  |  «i  | .  Nel 
cerchio  C'«  concentrico  ed  interno  a  C„  e  distante  da  C„  di  o  la  serie 
del  secondo  membro  nella  (18)  è  convergente  in  egual  grado,  e  però  si  può 
trovare  un  numero  intero  m„  tanto  grande  che  per  tutti  i  punti  z  in 
C'„  risulti 

/       1       \         r=ma  I 

Qn  (  1    -      "2    ^«"-  ^''     <  ^^  • 


z — a. 


r^Q 


180  CAPITOLO  VI.  —  §.  65 

Se  poniamo 

2    Bn,,.^'-  =  P„.j4^), 


r^O 


sarà  Pm„  (^)  un  polinomio  di  grado  Mn  in  0,  e  per  ogni  e  interno  a  C'n 
avremo 


(19) 


y^{^y^->M 


<e». 


Fissati  così  i  numeri  interi  mi,  w?2,  •  • 'w„  . , ,  prendiamo  a  conside- 
rare la  serie 

(a)  "f  j^n(-^)  +  P.„(.)j 

)i=0  [         ^» t*n/  1 

e  dimostriamo  che  in  qualunque  campo  a  distanza  finita,  dal  quale  siano 
esclusi  i  punti  a  che  vi  capitano,  essa  è  convergente  in  egual  grado  e 
rappresenta  la  funzione  cercata.  Basta  evidentemente  considerare  il  caso 
di  un  campo  circolare,  grande  quanto  si  vuole,  col  centro  nell'origine. 
Sia  C  un  tale  cerchio  di  raggio  R  e  siano 

quei  punti  a  (in  numero  finito)  che  distano  dall'origine  meno  di  R  +  S; 
scindiamo  allora  la  nostra  serie  nella  somma  dei  primi  r  termini  e  nella 
parte  residua 

(20)  'l\9nf-\)^?..M\, 

della  quale  basterà  mostrare  la  convergenza  in  egual  grado  in  C.  Poiché 
i  punti 

ftr+i  5    (ir+2  »   •  •  •  ^n  •  •  • 

distano  esternamente  da  C  almeno  di  5,  a  tutti  i  termini  della  (20)  è 
applicabile  la  diseguaglianza  (19)  e  quindi  la  serie  dei  moduli  della  (20) 
ha  i  termini  inferiori  a  quelli  della  serie 

co 

r+1 

che  per  ipotesi  è  convergente.  Così  è  provata  la  convergenza  in  egual 


TEOREMA   DI    MITTAG-LEFFLER  181 

grado  della  serie  («)  in  qualunque  campo  finito  (esclusi  i  punti  a).  Se 
poniamo 

(21)  tv [z)  =  %gn (-^)  +  P".. (^) !  , 

sarà  dunque  w  [£)  funzione  finita,  continua  e  monodroma  della  variabile 
complessa  z  in  tutto  il  piano,  esclusi  i  punti  a  (Cf.  §.  47).  In  questi 
punti  si  comporterà  nel  modo  voluto  poiché,  se  dalla  serie  del  secondo 
membro  in  (21)  togliamo  il  termine  corrispondente  a  z  =  a,-,  la  serie 
rimanente  è  una  funzione  regolare  nell'intorno  di  a,  ed  in  questo  intorno 
si  ha  per  ciò 


/IN 

IV  {£)  =  g,.  {—::^^  )  +  P  i^—a,) 


Osserviamo  poi  che  se  avesse  luogo  il  caso  escluso,  che  cioè  fra  i 

punti  singolari  figurasse  l' origine  colla  trascendente  ^  (  —  j  ,  basterebbe 

aggiungere  questo  termine  nel  secondo  membro  della  (21),  la  quale  pos- 
siamo dunque  ritenere  valga  in  tutti  i  casi. 

Abbiamo  così  dimostrato  il  teorema  di  Mittag-Leffler,  costruendo  una 
funzione  uniforme  iv{z)  con  tutte  e  sole  le  singolarità  volute.  Ma  evi- 
dentemente,  di  tali  funzioni  ne  esistono  infinite,  differenti  fra  loro  per 
trascendenti  intere  delF argomento  z.  L'espressione  piiì  generale  della 
funzione  richiesta  sarà  dunque: 

(22)  IV  {Z)  =  G  (Z)  -i-"f\gn  (-^)  +   Pm.  (^)  I    , 

,1=1  (         \* ttn/  1 

designando  G{z)  una  trascendente  intera  arbitraria. 

§.  66. 
Costruzione  di  una  trascendente  intera  per  prodotti  infiniti. 

Una  questione,  che  si  collega  a  quella  risoluta  nel  §.  precedente  col 
teorema  di  Mittag-Leffler,  e  di  non  minore  importanza,  è  quella  di  co- 
struire una  trascendente  intera,  noti  che  ne  siano  i  punti  e  gli  ordini 
di  infinitesimo.  Ci  proponiamo  di  stabilire  il  teorema  fondamentale  do- 
vuto a  Weierstrass: 


182  CAPITOLO   TI.  —  §.  66 

Dati  ad  arbitrio  nel  piano  un  numero  infinito  '^*  di  punti,  che  abbiano 
per  unico  punto  limite  il  punto  ^  =  co ,  si  può  sempre  costruire  una  tra- 
scendente intera,  che  si  annulli  soltanto  nei  punti  dati 

a\  ,    fl2  ,  .  .  .  ttn  }  •  •  • 

con  ordini  corrispondenti  assegnati  pure  ad  arbitrio: 

Pi  ,  Pi,   '-'Pn,   '.' 

Ricondurremo  la  costruzione  della  trascendente  intera  cercata  al  pro- 
blema già  risoluto  nel  §.  precedente,  mediante  le  seguenti  considerazioni. 
Supponiamo  che  G  (z)  sia  una  trascendente  intera,  che  soddisfi  alle  con- 
dizioni volute.  La  sua  derivata  logaritmica 

sarà  una  funzione  uniforme  in  tutto  il  piano,  che  in  tutti  e  soli  i  punti 
an  avrà  singolarità  e  precisamente  poli  del  1.°  ordine  coi  termini  cor- 
rispondenti d'infinito 

Pn 

Una  tale  funzione  w  {z)  esiste,  pel  teorema  di  Mittag-Leffler,  ed  ha 
per  espressione  analitica 

(23)  w  {£)  =  G,  iz)  -f  f  j -^  +  P.„  (^)  j  , 

dove  P».„(^)  è  un  polinomio  in  z  di  grado  conveniente  m^.  La  trascen- 
dente intera  cercata,  se  esiste,  dovrà  dedursi  per  integrazione  da  u){z). 
Moltiplicando  i  due  membri  della  (23)  per  dz  e  integrando  da  0  a  ^  per 
un  medesimo  cammino  che  eviti  i  punti  ««,  potremo  eseguire  nel  se- 
condo membro,  a  causa  della  convergenza  in  egual  grado,  l' integrazione 
termine  a  termine  ed  otterremo 


Jr^  Go  .  -       g  \ 

tv  (Z)  dz  =G2{z)+^\pn\0g\    1  —  "    )  +  Q« 
0  1      \  \  ^n/ 


(-^) 


O  II  caso  di  un  numero  finito  di   infinitesimi   offre  immediata  risoluzione 
per  mezzo  di  una  funzione  razionale  intera. 


COSTRUZIONE  DI  UNA  TRASCENDENTE  INTERA  PER  PRODOTTO  INFINITO      183 

dove  Q,»^  (z)  è  il  polinomio  di  grado  m„  +  1  in  2,  che  nasce  integrando 
Vm,^{z)-  Passando  dai  logaritmi  ai  numeri,  si  ottiene 

fw  (^)  d^       G,  (^)  2  !  log  f  1  -^T"+  Qn,,  (^)  j  , 
ovvero  : 

La  polidromia  è  sparita  dai  due  membri  e  il  prodotto  infinito  essendo 
convergente  in  egual  grado  in  qualunque  campo  a  distanza  finita,  inclusi 
ora  anche  i  punti  ctn ,  ove  si  annulla  dell'  ordine  pn ,  vediamo  che  la  tra- 
scendente cercata  esiste  ed  è  data  dalla  formola 

(24)  G(.)  =  /-(^^"n  Ki-lJ».*^-*^)!, 

restando  la  trascendente  intera  Gì  (e)  aff"atto  arbitraria.  Inversamente 
ogni  trascendente  intera  che  abbia  gli  infinitesimi  nei  punti  «„ ,  cogli  or- 
dini Pn ,  è  data  dalla  (24).  Questo  importantissimo  risultato  è  dovuto  a 
Weierstrass,  il  quale  diede  il  nome  di  fattori  primarii  ai  fattori 


l'aggiunta  dell'  esponenziale  e  '"  avendo  per  effetto  di  assicurare  la 
convergenza  assoluta  ed  in  egual  grado  del  prodotto  infinito. 

Nella  formola  (24)  è  supposto  che  l'origine  non  debba  essere  un  in- 
finitesimo per  G(^);  ma  evidentemente,  se  vogliamo  che  Giz)  abbia  in 
2;  =  0  un  infinitesimo  d'ordine  r,  basterà  far  precedere  nella  (24)  al  pro- 
dotto infinito  il  fattore  z"". 

Dall'esistenza  di  una  trascendente  intera  con  infinitesimi  assegnati 
ad  arbitrio  si  può  trarre,  con  Weierstrass,  un'  importante  conseguenza. 
Sia  «^  (z)  una  funzione  uniforme  in  tutto  il  piano  e  senza  singolarità  es- 
senziali a  distanza  finita.  Le  sue  singolarità  polari  formeranno  un  gruppo 
di  punti  coir  unico  punto  limite  ^=  co  ;  siano 

^1  i    ^8  >  •  "  •  ^n  •  •  • 

questi  poli  e 

Pi   ,   P2  ,   ■  '  ■  Pn  .  .  • 


184  CAPITOLO  VI.  —  §§.  66,  67 

i  loro  rispettivi  ordini.  Costruiamo  la  trascendente  intera  G(é)  che  diventa 
infinitesima  nei  punti  a  dei  medesimi  ordini  pi.  Il  prodotto  ^c'(z).G(^) 
è  uniforme  e  senza  singolarità  né  essenziali,  né  polari  a  distanza  finita, 
e  però  è  una  trascendente  intera  Gì  (e).  Abbiamo  dunque  il  teorema: 

Ogni  funzione  uniforme  in  tutto  il  piano,  che  non  abbia  singolarità 
essenziali  a  distanza  finita,  è  il  quoziente  di  due  trascendenti  intere. 

Come  corollario,  ne  segue  che  una  tale  funzione  può  sempre  espri- 
mersi analiticamente  per  mezzo  del  quoziente  di  due  prodotti  infiniti 
della  forma  (24). 

§.  67. 
Forma  degli  esponenti  Qm„(^). 

Consideriamo  ora  più  da  vicino  il  modo  di  formazione  dei  poli- 
nomii  Qm„  {z),  che  figurano  come  esponenti  nei  fattori  della  (24).  Il  po- 
linomio derivato  P«),j(^)  consta,  secondo  il  §.  65,  dei  primi  m„  +  1  ter- 
mini dello  sviluppo  per  potenze  di  z  dell'espressione 

Vn  {1         z        z\       \ 

=  i'n  )—  +  -2  +  -3  +  . .    ; 


si  ha  cioè 


z — «n  «n        a,,        al 


Ì\  z  z^  «"♦„ 

:r  +  ;;2  +  773  +  •  •  + 


(  CI  fi  ■  0/n  W^„  (lf^  "       ) 

dove  i  numeri  nin  debbono  essere  fissati  in  guisa  che  la  serie 

2  K^  +  p.„  ìM  =  2^4+2-  •  -^— 

'^  Iz ttn  n^^)  Y      C''+^  Z 

ttn 

in  ogni  campo  finito,  dal  quale  siano  esclusi  i  punti  a,  converga  in  egual 
grado. 

Poniamo  per  abbreviare 

Wn  +  2  =  rn 

e  risulterà 


^    .         ,         ^'■" 


r„-l 


^'""  ^^^  "^^  Un  +  2  flf.  +  3  «^  ^'  •  •  +  {rn-l)a:r'\  ' 


FORMA  DEGLI  ESPONENTI  Qw„  (^)  185 

dove  i  numeri  r„  debbono  essere  determinati  in  guisa  da  assicurare  la 
convergenza  in  egual  grado  della  serie 

(25)  2^^'---!-; 

«n"  1   _   ^ 

ttn 

e  la  formola  (24)  si  scrive  allora  così: 


Che  i  numeri  r„  siano  sempre  determinabili  nel  modo  richiesto  ri- 
sulta dalla  dimostrazione,  data  al  §.  65,  del  teorema  di  Mittag-Leffler. 
Questi  numeri  r^  saranno  in  general^  variabili  coli' indice  n  e  nulla  sap- 
piamo in  generale  della  loro  determinazione  effettiva.  Però  vi  ha  un  caso 
molto  importante,  e  ancora  di  grande  generalità,  nel  quale  si  possono 
prendere  tutti  i  numeri  r^  eguali  ad  un  numero  fisso  r,  talché  l'espo- 
nente di  e  nei  fattori  primarii  (26)  ha  il  grado  fisso  r-\.  Ciò  avviene 
quando  sono  soddisfatte  le  condizioni  seguenti  : , 

\°  Gli  ordini  ^1,^)2, . .  .pn  . . .  d'infinitesimo  rimangano  tutti  inferiori 
ad  un  numero  fisso. 

2.<*  La  sericei — r;  risulti  convergente  (*'. 

In  tal  caso  infatti  se  prendiamo  r„  =  r,  e  facciamo  variare  z  in  un 
campo  finito,  dal  quale  siano  esclusi  i  punti  a»,  la  serie  dei  moduli 
della  (25): 


Pn 

k 

|r-l 

1- 

— 

0-n 

1 


s 


si  ottiene   dalla  serie  ^  i — ~t  »  convergente  per  ipotesi,  moltiplicando  i 

termini  di  questa  per  quantità  che  si  mantengono  inferiori  ad  una  quan- 
tità fissa. 

Abbiamo  dunque  il  teorema: 


(')  Si  noti  che  la  prima  condizione  necessaria  per  la  convergenza  :  lina  | — r^  =  0 
è  soddisfatta  (con  qualunque  r  positivo). 


186  CAPITOLO  VI,  —  §§.  67,  68 

Se  la  trascendente  intera  G(2^)  ha  gli  infinitesimi 

tti  ,  a^ ,  •  •  '  an  •  •  •  5 

di  ordini 

JPl  ,  Ì?2  ,  • . .  JPn  .  .  .  , 

che  rimangono  inferiori  ad  un  numero  fisso  e  la  serie 

per  un  conveniente  valore  intero  positivo  di  r,  converge,  la  G{z)  si  può 
sviluppare  in  prodotto  infinito,  convergente  assolutamente  ed  in  egual  grado, 
colla  formala 

(27)   Gw=.*^'« "n  Ix-^Y'^ ^ 27:  +  ■•  +  F^I)^  . 

§.  68. 
Genere  delle  trascendenti  intere.  —  Esempi.  —  r  Euleriana. 

Le  trascendenti  intere  che  soddisfano  alle  condizioni  del  teorema 
precedente  si  classificano,  secondo  Laguerre,  in  generi  dipendentemente 
dal  minimo  esponente  intero  r  che  rende  la  serie 


2i«nl 


convergente;  una  tale  trascendente  intera  si  dice  di  genere  r— 1. 
Prendiamo  p.  e.  la  funzione 

sen?:^ 

che  ha  infinitesimi  del  1.°  ordine  nei  punti 

z  =  ±\  ,  ±2  ,  ±3,  ... 

Siccome  la  serie  "S  -^  è  convergente,  qui  abbiamo  r  =  2  e  la  trascen- 

■"  n 

dente  intera  è  quindi  di  primo  genere.  Il  suo  sviluppo  in  prodotto  infi- 


GENERE  DELLE  TRASCENDENTI  INTERE  187 

nito  sarà  ciato  per  la  (27)  da: 

senTr^        Gì  (^)  "^  /,        ^  \    - 
=  e  n       1 e" 


110  «=-00  \  n 

dove  nel  prodotto  infinito  n  percorre  tutti  gli  interi  positivi  e  negativi, 
zero  escluso. 

munendo  i  fattori  corrispondenti  a  valori  opposti  di  n,  si  può  scrivere 


Per  trovare  qui  l'effettivo  valore  di  GiC^"),  basta  derivare  logaritmi- 
camente questa  formola  e  confrontarla  colla  (15)  §.  64,  ove  si  cangi  ^  in 
712;;  si  ottiene  così  G'i-0,  cioè  Gì  =  costante,  e  la  formola  precedente 
dimostra  subito  che  Gi  =  0;  ne  risulta  la  formola  d'Eulero: 

„=»   /         ^ 
(27*)  ^qtl'.zz  =  t:s  11       1 j 

Come  esempio  di  costruzione  di  una  nuova  trascendente  intera,  cer- 
chiamo una  tale  trascendente  che  abbia  i  suoi  infinitesimi  del  1."  ordine 
nei  punti 

z  =  Q,   — 1  ,  — 2  ,  — 3,  ...  — w,  ... 

Poiché  la  serie  y  -^  è  convergente,  avremo  immediatamente  l'espres- 
sione  analitica  di  una  tale  funzione  nel  prodotto  infinito 

n  /  X        Cri(^)    "7*  f         z\     —~ 
G  iz)--^  e        ^  11      1  -I ]  e 

Prendiamo  (}i{z)  =  cz,  dove  e  indica  una  costante,  ed  avremo 

G(^)  =  e'^^^n  I  1  +  -  1  e      ». 


Fissiamo  anche  la  costante  e,  determinandola  in  guisa  che  sia  reale 
e  renda  G(l)  =  l.  L'inversa  della  funzione  G  (e)  è  la  funzione  gamma 
Euleriana  T  {z),  sicché 


188  CAPITOLO   VI.  —  §.  68 

essa  è  uniforme  in  tutto  il  piano  ed  ha  soltanto  singolarità  polari  del 
1.°  ordine  nei  punti  ^  =  0,  —  1,  — 3...  —  n,  . . 

La  costante  e  prende  il  nome  di  costante  di  Mascheroni.  Dalla  con- 
dizione 

co   /  1\      _i_ 

e-«  =  n     1  +  -    e      " 


risulta  per  e  anche  la  definizione 

il  valore  approssimato  di  e  è 

e  =  0,577  215  664  901. 
Possiamo  scrivere  la  (28)  così: 

,  \  ^  f  1  -f  —  +  ..  +  --  —  log  W  )        *=„  /  \ 

,-^=limLV  2  n  A..ri(l+-fl.- 


j.(i^.)(.  +  fj...(i  +  ^) 


e  si  ha  la  formola  di  Gauss 
(29)  r  (2)  =  lim 


Da  questa  espressione  di   V  (z)  risulta  subito  dimostrata  la  prima 
proprietà  fondamentale  di  T  (z),  espressa  dalla  formola 

(30)  r{zi-l)=zTiz). 

Da  questa  e  dall'essere  r(l)  =  l  segue  che  per  un  valore  intero  e 
positivo  m  dell'argomento  la  F  euleriana  assume  il  valore 

T{m)=  1.2.3...(w-l). 


(1*  Pel  simbolo  7i  s' intende,  senza  ambiguità,  e-  -^S'*  (logn  in  senso  aritmetico). 


r   EULERIANA  189 

Dalla  (30)  e  dalla  (28)  risulta 


T{z+1)  V  V        n 

e  cangiando  z  in   —  z 


1  °°  ~ 

=  e-c^  n    (  1— ^  )  e"  , 


T(ì-z)  1    V         n, 

da  cui  moltiplicando  si  ottiene  per  la  forinola  (27*)  d'Eulero: 


r{l+z)lil-z)  =  ^^'^ 
sennz 


ossia  per  la  (30) 

(31)  V{z)V{l-z) 


senKz 


formola  che  ci  esprime  la  seconda  proprietà  fondamentale  della  F  eu- 
leriana. 

§.  69. 

Caso  in  cui  le  distanze  fra  i  punti  d' infinitesimo  si  mantengono  superiori 

a  una  quantità  fìssa. 

Ritorniamo  ora  al  teorema  in  fine  al  §.  6  per  segnalarne  un  caso 
particolare  notevole,  il  caso  in  cui  la  distanza  fra  due  punti  qualunque 
d'infinitesimo 

CCi  y  Cli  ,  ,  .  .  (Xn  .  .  . 

si  mantiene  sempre  superiore  ad  una  quantità  fissa  d.  In  tal  caso  di- 
mostriamo che  la  serie 

<^^>  2  li 

è  convergente.  Se  sarà  quindi  soddisfatta  l'altra  condizione  che  gli  ordini 


190  CAPITOLO    IV.  —  §.  69 

d'infinitesimo  non  vadano  crescendo  oltre  ogni  limite,  il  prodotto  infinito 


n  M  1 e  \ 

1  \  ttn/  ) 

convergerà  e  rappresenterà  la  funzione  cercata. 

La  convergenza  della  serie  (32)  si  prova  facilmente  colle  considera- 
zioni seguenti.  Mediante  le  rette,  parallele  agli  assi,  di  equazioni 

d  d 

x  =  m  -^  ,  y  =  n  —^  , 

\J2  \/2 

dove  m,n  percorrono  tutti  i  valori  interi  positivi  e  negativi,  dividiamo 
il  piano  in  una  rete  di  quadrati  di  diagonale  =  d,  di  modo  che  in  uno 
dei  quadrati  cadrà  al  massimo  nno  dei  punti  a. 

Dalla  serie  (32)  togliamo  quei  termini,  in  numero  di  quattro  al  più, 
che  corrispondono  a  punti  a  situati  in  uno  dei  quattro  quadrati  attorno 
all'origine  e  cangiamo  tutti  gli  altri  termini  in  termini  più  grandi 
sostituendo  ad  ogni  punto  a,  il  vertice  più  prossimo  all'  origine  del  qua- 
drato in  cui  si  trova.  Provata  la  convergenza  della  nuova  serie  sarà,  a 
più  forte  ragione,  dimostrata  per  la  (32).  Tutto  si  riduce  quindi  a  dimo- 
strare la  convergenza  della  serie  doppia 


:i: 

1 

ossia 

la 

convei 

•genza 

della  serie 

+» 

y. 

+« 

2 

1 

3 

ì 

X 

:c 

{m'+n'y 

dove  nella  sommazione  s'intende  esclusa  la  combinazione  m  =  0,  n  =  0. 
Ora  in  questa  serie  la  somma  dei  termini  in  cui  m  =  ±n  forma  la  serie 
convergente 

'    (2nY  '    "* 

e  gli  altri  si  riuniscono  nella  serie  doppia 

00      00  1 

8  =  422 — ^' 


CASO  DI  r=  3  191 

escluse  le  combinazioni  m  =  n.  Ma  questa  può  scriversi  anche 


S=:8"f    "2 


— 1 

3 


e  perchè,  essendo 


^<Ì^     in=U2,..m-l), 


si  ha 


risulterà 


H==ni — 1  -1  1 


n=0      /      2    I         Ìn'q"  ^^ 


s  <  8  2  A 


Dunque  S  è  convergente,  come  si  era  asserito. 


Capitolo  VII. 

Funzioni  analitiche  di   più  variabili  complesse.  —  Funzioni  implicite.  —  Pro- 
prietà fondamentali  delle  funzioni  algebriche. 

§.  70. 
Funzioni  regolari  di  due  variabili  complesse. 

1  principii  della  teoria  delle  funzioni  di  una  variabile  complessa,  in 
particolare  il  concetto  di  funzione  analitica,  si  possono  estendere  al  caso 
di  funzioni  di  più  variabili  complesse,  come  ci  proponiamo  ora  di  dimo- 
strare in  tutta  brevità.  Per  semplicità  di  linguaggio  ci  limitiamo  al  caso 
di  due  variabili  complesse;  ma  si  vedrà  immediatamente  che  le  consi- 
derazioni si  applicano  al  caso  generale  di  n  variabili  complesse. 

Siano 

due  variabili  complesse,  i  cui  indici  si  muovono  nel  rispettivo  piano  com- 
plesso illimitatamente,  ovvero  entro  campi  finiti  corrispondenti  Ci,  C2. 
Supponiamo  che  la  variabile  complessa  tv  dipenda  da  «1,^2  in  guisa  che 


192  CAPITOLO   VII.  —  §.  70 

per  qualsiasi  coppia  di  valori  (^i,  z^)  appartenente  al  campi  (Ci,  C2)  la  iv 
assuma  un  valore  e,  considerata  come  funzione  delle  quattro  variabili  reali 

sia  una  funzione  finita,  continua  (e  ad  un  sol  valore),  e  possegga  deri- 
vate prime  pure  finite  e  continue  e  soddisfacenti  alle  condizioni  di  mo- 
nogeneità 

div  1    dw         dw  1    dw   ,j> 

dXi         i     dyi    '     dXi         i     di/2 

In  tal  caso  diremo  che  la  w  è  nel  campo  (Ci,  Cz)  una  funzione  re- 
golare delle  due  variabili  complesse  s^u  z^  e  scriveremo 

W=f{Zi,Z2). 

È  chiaro  che  per  ogni  valore  fissato  di  Z2  interno  a  C2  la  w  sarà  in 
Ci  una  funzione  dappertutto  regolare  di  Zi  e  analogamente  scambiando 
Zi  con  Z2. 

Sia  ora  {z\,z'2)  una  coppia  di  valori  per  Zi,  z^  interna  al  campo 
(Ci,  C2).  Col  centro  in  z\  descriviamo,  nel  piano  complesso  z^,  un  cerchio 
Fi  tutto  interno  a  Ci  e  similmente  nel  piano  complesso  z^,  col  centro  in 
Zi,  un  cerchio  12  interno  a  C2.  Se  con  {z^  z^)  indichiamo  una  coppia 
variabile  entro  (Fi,  Fj)  la  funzione 

tenendo  fisso  z^  e  variabile  Zi  è,  dentro  Fi ,  una  funzione  finita,  continua 


(')  Scindendo  w  nella  sua  parte  reale  ed  immaginaria  :  w  =  u-\-iv ,  si  hanno 

le  relazioni 

du  dv         I   du    dv 

du  dv  I    du  dv 

dy^  dXi  {   a?/2~      ^^2  ' 

dalle  quali  si  trae  che  u  deve  verificare  simultaneamente  le  quattro  equazioni 

d'*u        d^u  d^u        d^u  

d^u      _      d^u  dhi  d^u     _ 

dxidy^  ~  dx^di/j    '      dXidXt~^  dyidyz~ 


FUNZIONI   DI   DUE   VARIABILI    COMPLESSE  193 

e  monoclroma   e   però   sviluppabile   in  serie   di   potenze   di  Zi  —  z\;  si 
avrà: 

(1)  f(Zu^2)=y,   hn{z,-z\y  , 

dove 

(2)  K=    ^     /7(^n^^)^^^ 


avendo  indicato  con  Si  il  contorno  di  Fi . 

D'altronde,  pel  modo  con  cui  ^2  figura  in  h,,,  si  vede  che  &„  è  fun- 
zione finita,  continua  e  monodroma  di  z^  entro  Ca  e  quindi  si  potrà  svi- 
luppare in  serie  di  potenze  di  z-i — z\  colla  forinola 

(3)  ^  h,,=  '^am,n{z2-z.y\ 
dove  sarà 

/  .  <  1  l  Un  dZ^ 

(4)  «„, ,  n  — 


2  7ziJ^^{z,—z\y"+'' 
ovvero  per  la  (2): 

^^  """  '~  (2  ^ifX^{z^-z\r^^X^  {z.-z\r^^  • 

Sostituendo  nella  (1)  per  hn  il  valore  dato  dalla  (3),  ed  osservando 
che,  la  convergenza  delle  nostre  serie  essendo  assoluta,  si  possono  ordi- 
nare i  termini  della  serie  doppia  risultante  come  si  vuole,  si  potrà 
scrivere  : 

(6)  /■  È  ,  ^)  =  2  2  a,n  ,  n  (^i— /i)"  {Z,-Z\r^  . 

m         n 

Abbiamo  dunque  il  teorema:  Se,  variando  Zi,  z^  entro  i  rispettivi  cer- 
chi Vi,  Fa  di  centri  z'i,  z'2,  la  funzione  f(zi,  Z2)  è  funzione  finita,  conti- 
nua e  ad  un  sol  valore  delle  variabili  complesse  z^ ,  z., ,  essa  è  sviluppabile 
in  una  serie  doppia  di  potenze  intere  e  positive  dei  binomii 

Zi Zi,     Z2  —  Z  2  , 

convergente  assolutamente  in  tutto  il  campo. 

n 


194  CAPITOLO   VII.  —  §.71 

§.  71. 
Serie  dì  potenze. 

L' inversione  del  teorema  precedente  si  fa  con  somma  facilità,  ricor- 
rendo alle  proprietà  delle  serie  di  potenze  di  più  variabili,  che  sono 
affatto  analoghe  a  quelle  dimostrate  nel  Gap.  I  (§§.  3,  4  pag.  14,  s.  s.) 
per  le  serie  di  potenze  di  una  variabile.  Per  semplicità,  facendo  zi-z^^^, 
consideriamo  una  serie  di  potenze  di  due  variabili  2^1, '2^2: 

(7)  P  (^1 ,  22)  =  21  2  ^'"  '  »»  ^"  ^2 

e  supponiamo  che  per  una  coppia  di  valori 

y       ^0)  „       ^0) 

4,1  ^1       ,       ^2  -^2     j 

nessuno  dei  quali  sia  nullo,  la  serie  converga. 
Fissiamo  due  valori  positivi  ì\,  )\,  tali  che 

n<W\  ,  >-2<|41, 

ma  che  siano  del  resto  prossimi  a  \^T\,  \ 4"' |  rispettivamente  tanto  poco 
quanto  si  vuole.  Sussiste  allora  il  teorema  fondamentale  (cf.  pag.  15): 
La  serie  S  S  a», ,  n  ^ì"  zi ,  'per  tutti  i  valori  di  Zi ,  z^  che  soddisfano  le  con- 
dizioni 

è  convergente  assolutamente  ed  in  egual  grado. 
Per  ipotesi  la  serie 

è  convergente  e  però 

lim  Ia.,n!|M^"|4'"|"  =  0, 

onde  segue  che  possiamo  fissare  una  quantità  positiva  g  abbastanza 
grande,  perchè  si  abbia  per  ogni  coppia  di  valori  m,n: 


SERIE   DI    POTENZE   DI   PIÙ    VARIABILI  195 

Prendiamo  la  serie  dei  moduli  della  proposta  (7): 


r;]=oo      lì^^yo 


^        ^       I       '"  '  *1   ■^l       2  I 


„,=0       »=0 


e  consideriamo  il  resto  a  partire  da  valori 

m  >  mi  ,    w  >  Wi 
abbastanza  elevati: 


»M  =  00     «  =  30 

im  I       IH 


-^        "S^      i  I   I       1'"  I       I 


»J  =  W(     M^«i 


Scrivendo 


1'"    i         in 


e  posto 


avremo 


e  pero 


O/m  ì  n  \    \  ^1  \       \  ^2  ì      —     ^"1  ì  n  \    \  ^1 


*1    I         I  ■<52    I 


d'in  >  n  II  ^1 1      I  '^'z  I     "^  9  ^i  ^i 


)1=»         H=» 


Siccome  Ci,  C2  sono  quantità  positive  <1,  potremo  scrivere 

onde  si  vede  che,  presi  m^,  n^  sufficientemente  grandi,  il  resto  Rwi,wi 
si  potrà  rendere  minore  di  qualunque  quantità  prefissata  s,  jper  tutti  i 
valori  Zi  5  Zi  tali  che 

I  ^1 1  <  »'i  ,    I  «2 1  <  «'a  , 

ciò  che  dimostra  il  teorema. 

Da  questo  teorema  fondamentale  si  traggono,  come  è  chiaro,  conse- 
guenze affatto  simili  a  quelle  del  Gap.  I  per  le  funzioni  di  una  sola  va- 
riabile, in  particolare  il  teorema:  Se  la  serie  di  potenze  P (^1,2^2)  con- 
verge per  una  coppia  di  valori  zf,zf  delle  variàbili  di  modidi  \zf\^0, 
|4"*|!!>0,  tracciando  nei  rispettivi  piani  Zi,  z^  due  circoli  Ci,  C2  coi  centri 


196  CAPITOLO  VII.  —  §§.  71,  72 

in  2^1=0,  2'2=0,  in  guisa  che  lascino  air  esterno  i  punti  4°',  4**',  la  serie  P  (^i ,  ^2), 
movendosi  z^ ,  z<i  entro  Ci .  C2 ,  convergerà  in  egual  grado  e  rappresenterà 
nel  campo  (Ci,  C2)  una  funzione  finita,  continua  e  monodroma  delle  due 
variabili  complesse  Zi,  z^. 


§.  72. 
Campo  ristretto  di  convergenza.  —  Prolungamento  analitico. 

La  delimitazione  del  vero  campo  di  convergenza  di  una  serie  di  po- 
tenze a  più  variabili  dipende,  come  Weierstrass  ha  dimostrato  '^*,  da 
una  diseguaglianza 

F  (Pi ,  P2)  <  0  , 
cui  debbono  soddisfare  i  moduli 

pi  =  kil  ,    H  =  \zi\ 

delle  variabili.  Senza  entrare  in  queste  ricerche  generali,  che  non  occor- 
rono al  nostro  scopo,  ci  basterà  qui  definire  quello  che  Weierstrass  chiama 
il  campo  ristretto  di  convergenza  di  una  serie  di  potenze  V{zi,Zi)  nel 
modo  seguente.  Distinguiamo  i  numeri  positivi  p  in  due  classi  e  diciamo 
della  prima  classe  A)  ogni  numero  [j  tale  che  per 

kiKr^  ,  l-s*?!  <  p 

la  serie  converga,  della  seconda  classe  B)  ogni  numero  p  tale  che  per 

ki!  >p  ,  1^2!  >p 

la  serie  diverga.  Come  al  §.  3  (pag.  18),  risulta  che  esiste  un  numero 
limite  R  che  separa  le  due  classi,  sicché  la  serie  P  {z^ ,  z^  converge  per 
valori  che  siano  sitnultaneamente  di  modulo  <  R  e  diverge  per  valori  i 
cui  moduli  superino  simidtaneamente  R.  Ma  naturalmente  può  la  serie 
convergere  anche  per  valori  z^ ,  z^  tali  che  sia  !  ^1  i  >  R ,  |  ^2 1  <  R  e  divergere 
per  '^i|<R  con  1^2l>R-  —  Allora  se  nei  piani  ^1,^2,  coi  centri  nelle 
origini,  tracciamo  due  circoli  Ci,  Cj  di  raggio  R,  per  ogni  coppia  {z^,  z.^ 


(*)  Einleituny   in   die   Theorie  dei'  analytischen   Fimctionen.  (Lezioni  ma- 
noscritte). 


CAMPO   RISTRETTO   DI   CONVERGENZA  197 

i  cui  indici  cadano  simultaneamente  nell'interno  dei  circoli,  la  serie 
converge,  e  diverge  invece  se  tutti  due  gli  indici  cadono  alFesterno.  Il 
campo  (CijCj)  è  quello  che  Weierstrass  chiama  il  campo  ristretto  di 
convergenza. 

Diciamo  ora  brevemente  del  prolungamento  analitico  di  una  serie  di 
potenze  P(^i,  io). 

Prendiamo  una  coppia  di  punti  («i,  «2)  nell'interno  del  campo  di 
convergenza  e  sia  r  la  più  piccola  delle  due  distanze  di  ai,  a^  dal  ri- 
spettivo contorno.  Se  descriviamo  coi  centri  in  «i,  «2  due  circoli  Ti,  Fg 
di  raggio  =r,  questi  rimangono  nelF interno  rispettivamente  di  (Ci,  C2) 
e  possiamo  quindi  (§.  70)  convertire  la  serie  V{zx,z^  in  una  nuova 

serie 

P  {^1  -ay.Zi-  02)  ; 

il  raggio  del  campo  ristretto  di  convergenza  per  questa  nuova  serie  è 
almeno  =  r,  ma  può  anche  essere  maggiore.  In  quest'  ultimo  caso  può  darsi 
che  la  funzione  risulti  così  prolungata  analiticamente  al  di  là  del  primitivo 
campo  di  convergenza.  Dopo  ciò  s'intende  subito  come  il  concetto  di 
funzione  analitica,  che  abbiamo  sviluppato  al  §.  45  pel  caso  di  una  sola 
variabile,  sia  estendibile  anche  nel  campo  di  più  variabili  complesse. 

§.  73. 
Radici  di  un'equazione  f{w,:i)  =  0. 
Sia 

una  serie  di  potenze  delle  due  variabili  w,  z,  di  cui  indichiamo  con  R 
il  raggio  del  campo  ristretto  C  di  convergenza.  Poniamo  fra  w  e  2;  la 
relazione 

(8)  f{w^s)=Q>, 

e  domandiamo  se,  ed  in  quale  senso,  potremo  dire  che  w  viene  così  de- 
finita come  funzione  analitica  implicita  della  z.  Un  caso  particolare  è  già 
stato  risoluto  al  §.  58  coli' inversione  delle  serie,  e  con  un  metodo  ana- 
logo possiamo  ora  risolvere  la  questione  generale. 

Supponiamo  di  conoscere  una  coppia  particolare  ^0 .  -^o  di  valori,  che 
soddisfino  la  (8),  e  facciamo  senz'altro,  come  è  lecito: 

«(^0  =  0  ,    ^0  =  0, 


198  CAPITOLO   VII.  —  §.  73 

sicché  per  ipotesi 

f(0,0)  =  0. 

La  funzione  f{^,0)  è  una  funzione  regolare  di  tv  entro  C  e  s'annulla 
per  z  =  0\  ma  noi  supponiamo  naturalmente  che  non  sia  identicamente 
f{w,0)  =  Q  (  i) .  Questa  funzione 

P  (,,,)  =  /•(,,,  0) 

avrà  dunque  mw  =  0  un  infinitesimo,  il  cui  ordine  diciamo  n  ;  allora  per 
z  =  0  l'equazione  /(w,  0)  =  0  ha  una  radice  nulla  w  =  0,  multipla  dell'ordine 
n.  Ora  ci  proponiamo  di  dimostrare  che:  per  ^prossima  a  zero  V equa- 
zione f{w,  z)  =  0  avrà  n  radici 

Wi  ,    IVì,  ...  Wn 

prossime  a  zero. 

Dimostreremo  il  nostro  teorema,  e  ne  preciseremo  il  senso,  colle  con- 
siderazioni seguenti.  Cominciamo  dal  descrivere  nel  piano  w  un  circolo 
C  di  raggio  0,  concentrico  a  C,  e  più  piccolo  in  guisa  che  P  («;)  =  / (^<;,  0) 
non  si  annulli  nell'area  circolare  C  né  sul  suo  contorno  s,  eccetto  natu- 
ralmente che  in  w  =  0.  Su  tutto  il  contorno  s  la  funzione  /  {ws ,  0)  avrà 
il  modulo  discosto  da  zero;  supponiamo  che  sia  sempre 

(9)  |/'K,0);>5r, 

essendo  g  una  quantità  positiva.  Mostriamo  in  primo  luogo  che  si  può  de- 
scrivere nel  piano  z,  col  centro  in  ^  =  0,  un  cerchio  T  di  raggio  r  abba- 
stanza piccolo  perchè  si  abbia  sempre 

(10)  \f{^s,z)  —  f{w,,0)\<g 

per  i  2: 1  <  r  e  iva  essendo  dovunque  sul  contorno  s.  Variando  w,  z  colle 
limitazioni 

\w\<P  ,    kl  <P, 

la  serie  f{w,z)  é  convergente  in  egual  grado  e  però  possiamo  decom- 
porla  in  una  parte  finita  I*  (w,  z)  (un  polinomio)  ed  un  resto  R(w,z): 

f  {w,  z)  =¥  {w,  z)  -j-  K  (ic,  z) , 


e  In  tal  caso  in  tutti  i  termini  di  f{w,  z)  comparirebbe  una  potenza  di  z, 
che  si  potrebbe  sopprimere  in  precedenza. 


RADICI  DELLA   EQUAZIONE  f{w,z)  =  0  199 

tale  che  sia  per  tutti  i  valori  di  tv,  z,  di  modulo  non  superiore  a  p  : 

|R(«^,^)l  <-^9  ' 
Ora 

i'  f{lOs  ,  ^)  =  P  {ws ,  2:)  -|-  R  {ws  ,  z)  , 
(  f{ws,0)  =  V{ws,0)  +  R{ws,0)  , 

e  perciò 

|/-(i^, ,  z)-f(ws,0)\  <:\V{ws,s)-Viws,0)\  +  jg. 

La  differenza 

PK,^)  — P(t«„0) 

è  un  polinomio  in  z,  che  si  annulla  per  z  =  0  e  i  cui  coefficienti,  pur  va- 
riando ivt  sul  contorno  di  C,  non  superano  col  modulo  una  quantità  fissa. 
Possiamo  dunque  prendere  r  così  piccolo  che  sia  sempre 

\'P{w8,z)  —  'P{ws,0)\  <j  9    per  k|  <r 

e  troveremo  così  sempre  verificata  la  (10),  come  si  voleva. 

Ciò  premesso,  dimostriamo  che  :  fissato  un  valore  z  di  modulo  \z\<^r, 
V equazione  f  {w,  z)  =  0  avrà  precisamente  n  radici  iVi  ,  iv-z ,  . . .  iVn  entro  il 
circolo  C,  cioè  di  modulo  <  p. 

Intanto  la  f{w,  z)  non  si  annulla  certo  sul  contorno  s  di  C,  poiché 
se  fosse 

/K,^)  =  0, 

per  la  (10)  ne  risulterebbe  \f{>Vs,  0)\  <^g,  che  contraddice  la  (9).  Se  in- 
dichiamo adunque  con  N  il  numero  delle  radici  di 

f{w,z)  =  0, 

entro  C  ,  e  poniamo  /  ,„  (w,  z)  =  — ^ — - ,  avremo  secondo  la  formola  del- 

cw 


V  indicatore  logaritmico  : 


i!^i^-  d«. . 


S     f(tVs,z) 


200  CAPITOLO  VII.  —  §§.  73,  74 

L'integrale  del  secondo  membro,  se  facciamo  variare  z  entro  \\  è 
una  funzione  continua  di  z  ed  essendo  un  numero  intero,  dalla  consi- 
derazione stessa  fatta  al  §.  58,  risulta  che  esso  serberà  sempre  lo  stesso 
valore.  Ma  poiché  per  0  =  0  si  ha  N  =  w,  avremo  sempre 

N  =  w    ,     e.  d  d. 

§.  74. 
Teorema  di  Weierstrass. 

Siano  ivx,  u\,...ivn  i  valori  di  w  entro  C,  radici  dell'equazione 

f  {w,  ^)  =  0     per  0  <  r . 
Se  consideriamo  l'integrale 


1      /  ...k^^ogf{ir,z) 
's 


2kiJ  dw 


essendo  k  un  intero  positivo  qualunque,  il  suo  valore  sarà  la  somma  dei 
residui  nell'interno,  onde: 

1     C  j^d\o%f{w,z) 

4 


W\  +  Wl  4-  ...  -\-  ivi  ^=  Tk :   /    «<-'*  "  '"°-(   ^^^'~'   dw  , 

2-1  dw 


ed  il  secondo  membro  è  evidentemente  una  funzione  regolare  di  z  entro 
r,  che  di  più  si  annulla  per  z  =  0.  Se  poniamo 

'f  {W,  £)  =  {tv  -  U\)  (W  -  W2)  .  .  .  {W  -  tVn)  = 

saranno  quindi  le  :'.  serie  di  potenze  di  z  convergenti  entro  F. 

Preso  ora  un  punto  qualunque  z  entro  T,  ed  un  punto  w  entro  C, 
distinto  da  ivi,  W2,..icn,  si  consideri  la  funzione  di  iv 

1      3  log  /■  {w,  s) 


"  dw 

tv IV 


Questa  ha  entro  C  solo  singolarità  in 

Wi  ,  Wi,  . . .  iVn    e  in  w, 


TEOREMA   DI   VEIERSTRASS  201 

e  precisamente  singolarità  polari  del  1."  ordine,  coi  residui 

1  1  1 

_  '  —  '  •  •  *  _ 

IVi  -  ÌV        U\  -IV  Wn-W 

nei  primi  punti,  e  col  residuo 

'd  log  f{w,zy 


dw 
in  w.  Avremo  quindi 


dw 

IVi-lV  U\-W  tVn-lV 


31og/(«,,^)^^ 


S  IV — w 

Il  secondo  membro  è  una  funzione  regolare  di  ^  e  w,  diciamo  P  (w,  0) 
e,  cangiando  w  in  w,  potremo  scrivere  la  forraola  precedente  anche  così  : 

a  log  f  {w,  z)       aiog'f  0<;,^)  _-D,^„    . 

da  cui,  integrando  rispetto  a  ;ì>  e  passando  dai  logaritmi  ai  numeri,  ot- 
teniamo : 

f  (tv,  z)  =  ']>  {£) .  z  {iv,  z)  e^i  ("^>  «) , 

ove  '^  (z),  che  è  una  funzione  regolare  di  z  e  non  s'annulla  per2'  =  0  (altri- 
menti s'annullerebbe  identicamente  f{iv,0)),  si  può  includere  nell'espo- 
nenziale. 

Otteniamo  così  la  formola: 

f{tv,  z)  =  'f  {iv,  z)  ePi  («''-)  =  |?/;"+ai  tv''~^+  . .  +a„|  e^i  K^) , 

che  ci  esprime  il  teorema  di  Weierstrass:  Se  la  funzione  regolare  f(iv,z) 
delle  due  variabili  complesse  w,  z  si  anmdla  per  w  =  0,  z  =  0  e  non  è  iden- 
ticamente f  {iv,  0)  =  0,  in  un  intorno  sufficientemente  piccolo  di  iv=^Q,  z  =  Q 
si  può  porre  sotto  la  forma 

dove  il  primo  fattore,  che  pone  in  evidenza  il  modo  di  anmdlarsi  della 
funzione,  è  un  polinomio  di  grado  finito  in  w  coti  coefficienti  funzioni  re- 
golari di  z  e  nulle  per  z  =  0,  mentre  il  secondo  fattore  (esponenziale)  non 
si  annulla  più  nélV  intorno. 


202  CAPITOLO  VII.  —  §.75 

§.  75. 
Funzioni  implicite. 

Il  teorema  di  Weierstrass  ci  dimostra  che,  volendo  studiare  come 
dipendono  da  z  nell'intorno  di  0  =  0  le  radici  iVi,  w^,  .  .  w^  prossime  a 
zero  dell'equazione 

f{w,z)  =  0  , 

si  può  sostituire  a  questa  l'altra  più  semplice 

'f  {w,  s)  =  ?/•"  4-  7.1  w;"-'  +  .  .  .  +  a„  =  0  , 

che  è  del  grado  n  in  iv.  Se  supponiamo  dapprima  n=l,  l'equazione 
precedente  ci  dà  senz'altro  iv  in  serie  di  potenze  per  0  e  ci  dimostra 
il  teorema  fondamentale: 

Se    l'equazione   f{iv,z)  =  0    è   soddisfatta   per    z  =  a    w  =  h  ed   è 

(      X  '      )       4^  0 ,  per  ogni  valore  di  z  prossimo  ad  a  l'equazione  ha  una 

\     dw      J  »,  h 

sola  radice  w  prossima  a  h  e  questo  valore  w  è  una  funzione  regolare  di 
z  nélV  intorno  di  z  =  a. 

Quando  invece  si  annulli  per  z  =  a,  ic  =  l>  un  certo  numero  di  de- 
rivate 

K     ^  9"-^  f 

ho  '   du'  '  '  '  dw»-'  ' 

ma  sia 

allora  per  z  =  a  avremo  n  valori  ici ,  W2,  ■  •  wn  prossimi  a  b,  dati  da  un 
equazione  della  forma 

(11)  9  {w,  s)  =  iw  -  ò)-  -f  7.1  (u-  -  b)"-' . .  -h  y.n  =  0  . 

dove  le  a  sono  funzioni  regolari  di  z  nell'intorno  di  z  =  a  e  quivi  nulle. 
Questi  n  valori  di  tr,  restringendo  convenientemente  l'intorno  di  z  =  a, 
si  potranno  supporre  tutti  distinti,  altrimenti  dovrebbe  annullarsi  anche 
il  discriminante  J)  (z)  della  (11)  rispetto  a  w:  ma  questo  discriminante 
è  regolare  nell" intorno  di  a,  e  restringendo  l'intorno  si  può  far  sì  che  non 
abbia  altra  radice  che  in  z  =  a.  Se  z^  è  un  punto  di  questo  intorno  di- 


FUNZIONI   IMPLICITE  203 

stinto  da  a,  ciascuno  degli  n  valori  ivi,  toz, . . .  lon,  p.  e.  wi,  sarà  svilup- 
pabile in  serie  di  potenze  di  z-Zo,  essendo 


df  {w,  s) 


')  +0 


Vediamo  dunque  che  in  ogni  caso,  ponendo  fra  w,  z  il  legame  espresso 
dall'  equazione 

veniamo  a  definire  una  o  più  funzioni  analitiche  w  della  variabile  com- 
plessa z. 

§.  76. 
Funzioni  algebriche. 

Applichiamo  questi  risultati  generali  al  caso  importante  in  cui  la 
f{n\z)  sia  una  funzione  razionale  intera  degli  argomenti  iv,z  e  si  abbia 
quindi  l'equazione: 

(12)     f{xv,  z)  =  z,  {z)  iv'^  +  'fi  {z)  w''-'  +  . .  •  +  'f >.-!  (^)  w  +  'fn  (^)  =  0  , 

i  cui  coefficienti  'f ,  (z)  sono  polinomii  razionali  interi  in  z.  La  w,  definita 
da  una  tale  equazione  come  funzione  implicita  di  z,  dicesi  una  fumione 
algebrica  di  z.  Per  ogni  valore  di  z  abbiamo  n  valori  di  w: 

Wi  ,    Wz,  .  .  .  Wn, 

che  sono  in  generale  distinti  e  finiti.  Eccezione  si  ha  soltanto  per  un 
numero  finito  di  valori  di  z,  i  cui  indici  diconsi  i  punti  critici.  Questi 
punti  critici  sono  di  due  specie.  Essi  provengono  in  primo  luogo  da  quei 
valori  di  z  che  annullano  il  primo  coefficiente  'fo  (z),  e  per  questi  valori 
di  z  uno  0  più  dei  valori  di  w  diventano  infiniti  ;  uno  solo  se  quel  valore 
di  z  annulla  il  primo  coefficiente  90  (^)  e  nessuno  dei  seguenti,  più  se 
accade  il  contrario. 

In  secondo  luogo,  per  valori  speciali  di  z,  possono  due  0  più  valori 
di  w  coincidere;  ciò  avviene  quando  insieme  a  fUv.z)  si  annulla  anche 
df{w,z) 


dw 


e  però  il  discriminante  D  {z)  della  (12)  rispetto  a  w. 


204  CAPITOLO   VII.  —  §.57 

Gli  indici  delle  radici  delle  due  equazioni 

sono  dunque  i  punti  critici  della  (12). 

Se  ^  ^=  a  è  un  punto  non  critico,  le  radici 

IVi  ,    IV2  ,  •  •  •  Wn 

sono  finite  e  tutte  diseguali  per  z  =  a,  onde 

e  dal  teorema  fondamentale  del  §.  precedente  risulta:  Ciascuno  degli  n 
rami 

è  nélV intorno  di  impunto  non  critico  z  =  a  una  funzione  regolare  di  z, 
cioè  sviluppabile  in  serie  di  potenze 

(13)  u\  =  ?i{z-a). 

È  facile  vedere  che  se  prolunghiamo  analiticamente  un  ramo  Wi=^'Pi{z-a), 
il  suo  prolungamento  soddisferà  ancora  alla  (12)  e  sarà  quindi  sempre 
uno  degli  n  rami. 

E  invero  se  Pi  {^-h)  è  un  prolungamento  analitico  immediato  di 
Pi  {z  -  a),  nel  campo  comune  di  convergenza  si  ha 

f{?,(z-b),  z)  =  0, 

e  questa  relazione  vale  quindi  anche  in  tutto  il  campo  di  convergenza 
di  Pi  (2 -6). 

Importa  ora  osservare  che:  U  raggio  del  cerchio  di  convergenza  di 
ciascuna  di  queste  serie  di  potenze  (13)  sarà,  per  lo  meno,  eguale  alla  mi- 
nima distanza  del  centro  a  dai  punti  critici. 

Consideriamo  infatti  un  determinato  ramo,  p.  e. 

u-i  ^  Pi  (^  -  a) , 

e  la  serie  del  2.°  membro  converga  in  un  cerchio  C,  che  non  contenga 
alcun  punto  critico  né  all'interno,  ne  sulla  periferia;  dimostriamo  che 
il  vero  cerchio  di  convergenza  sarà  più  grande  di  C.  Invero  nell'intorno 


FUNZIONI   ALGEBRICHE  205 

di  qualunque  punto  h  del  disco  circolare  C,  o  del  suo  contorno,  qualunque 
degli  n  rami  è  sviluppabile  in  una  serie  di  potenze  V{z-h),\\  cui  raggio  R 
del  cerchio  di  convergenza  è  certamente  >  0  onde,  per  un  teorema  di 
Weierstrass  sul  limite  inferiore  (^',  potremo  prendere  un  valore  abba- 
stanza piccolo  r  che  serva  e o.iia  raggio  di  convergenza  per  tutti  i  punti 
dell'  area  C.  Descriviamo  allora  un  cerchio  C  concentrico  a  C  e  di  raggio 

=  p -  -,  avendo  indicato  con  o  il  raggio  di  C.  Ogni  cerchio  T  col  cen- 
tro in  un  punto  e  della  periferia  di  C  e  di  raggio  =  r  può  valere  come 
cerchio  di  sviluppo  in  serie  di  potenze  V  {z-c)  per  ogni  ramo  di  w  ;  esso 
ci  dà  in  particolare  per  wi  un  prolungamento  analitico  oltre  il  cerchio 
primitivo  C.  L'inviluppo  dei  circoli  T  è  un  cerchio  C"  concentrico  a  C 

e  di  raggio  ^=  o  +  --  e  la  nostra  funzione  Wi  è  dunque  in  tutto  il  cer- 
chio C"  finita,  continua  e  monodroma;  dunque  la  serie  Pi(^-a)  converge 
nel  cerchio  C  più  ampio  di  C,  ciò  che  dimostra  l'asserzione  fatta. 

§.  77. 
Teorema   fondamentale. 

Consideriamo  nel  piano  complesso  z  una  curva  chiusa  o,  che  parta 
da  un  punto  non  critico  A  e  vi  ritorni,  senza  passare  per  alcun  punto 
critico.  Per  ogni  punto  ?>  di  0  gli  n  rami  saranno  sviluppabiU  in  serie 
di  potenze  P  {2:  -  6)  e  vi  sarà  un  raggio  r,  abbastanza  piccolo,  che  potrà 
servire  come  raggio  di  convergenza  per  tutti  i  punti  di  i  (§.  76).  Fis- 
siamo in  A  un  ramo  di  partenza  lOi  e  prolunghiamolo  analiticamente 
lungo  il  cammino  a  per  mezzo  di  cerchi  di  convergenza  di  raggio  r,  cia- 
scuno dei  quali  abbia  una  parte  superficiale  a  comune  col  precedente. 
Al  ritorno  in  A  il  ramo  Wi  0  ritornerà  col  valore  iniziale,  0  con  uno  degli 
altri  n  —  1  valori  che  xc  ha  in  A.  Se  si  osserva  che  due  rami  diversi 


(*)  Esiste  certamente  un  limite  inferiore  per  R,  sia  r;  basta  provare  che?'^0. 
Pel  citato  teorema  di  Weierstrass,  esiste  nel  cerchio  C  almeno  un  punto  L  tale 
che  in  qualunque  intorno  di  esso,  comunque  piccolo,  il  limite  inferiore  dei  valori 
di  R  è  ancora  r  :  e  siccome  per  questo  punto  limite  R  ha  un  valore  R^  ^  0,  in 
un  intorno  sufficientemente  piccolo  di  L  tutti  i  valori  di  R  saranno  p.  e.  superiori 

a  -~  ,  onde  è  certamente  r  ]>  0. 


206 


CAPITOLO    VII. 


77 


w,,  Wk,  descritto  il  cammino  chiuso,  si  mutano  necessariamente  in  due 
rami  diversi,  si  vede  che  l'effetto  prodotto  sugli  n  rami  Wi,  Wz.-.Wn 
dal  descrivere  il  cammino  chiuso  z  sarà  di  permutarli  fra  loro  in  un 
certo  modo,  di  produrre  cioè  una  corrispondente  sostituzione  sui  rami 


S  = 


W,       IV„  IC\ 


gli  indici  >i,  i-i. . .  in  coincidendo,  salvo  l'ordine,  con  1,  2, ...  w.  Si  vede 
poi  subito  che  la  sostituzione  S  sugli  indici  rimane  la  stessa  spostando 
sopra  a  il  punto  A  di  partenza.  Questa  sostituzione  S  può  anche  essere 
l'identità,  cioè  può  ogni  ramo  ritornare  col  proprio  valore.  Ciò  avviene 
effettivamente  se  il  cammino  chiuso  n  è  tutto  contenuto  in  un'area  sem- 
plicemente connessa  e  priva  di  punti  critici.  Per  dimostrarlo,  supponiamo 
dapprima  che  o  non  intersechi  sé  stessa,  nel  qual  caso  formerà  il  con- 


torno di  un'area  semplice,  priva  nell'interno  e  sul  contorno  di  punti 
critici,  e  per  ogni  punto  2^0  dell'area  (contorno  incluso)  potremo  servirci 
per  le  corrispondenti  serie  P(0  —  Zq)  di  un  raggio  fisso  r  di  cerchio  di 
convergenza. 


TEOREMA   FONDAMENTALE  207 

Descriviamo  il  cammino  chiuso 

o  =  ABCDA 

della  figura,  partendo  da  A  col  ramo  tvi,  e  supponiamo  si  ritorni  in  A 
con  un  valore  diverso  1V2,  sicché  la  sostituzione  prodotta  sui  rami  dal 
cammino  chiuso  AB  CD  A  non  è  l'identità.  Per  mezzo  di  una  linea  sem- 
plice ED,  che  riunisca  due  punti  del  contorno  -,  dividiamo  l'area  in  due 
regioni  coi  contorni  ABDA,  BCDB.  Dico  che  uno  almeno  di  questi  due 
cammini  chiusi  deve  produrre  sui  rami  una  sostituzione  non  identica. 
E  in  vero,  se  invece  di  descrivere  -  descriviamo  l'altro  cammino 
chiuso 

ABCDBDA, 

inserendo  due  volte  il  tratto  BD,  percorso  in  verso  contrario,  l'effetto 
prodotto  sui  rami  è  evidentemente  lo  stesso.  Se  dunque  il  cammino 
chiuso  BCDB  non  produce  sostituzione  sui  rami,  l'effetto  prodotto  da 
o  sarà  il  medesimo  che  quello  del  cammino  chiuso  ABDA,  il  quale  pro- 
durrà un'effettiva  sostituzione.  Possiamo  ora  ragionare  sul  cammino 
chiuso  ABDA  come  prima  sopra  AB  CD  A,  spezzando  Parea  racchiusa 
in  due  aree  parziali  più  piccole.  Così  procedendo,  arriveremo  ad  un 
contorno  chiuso,  producente  sostituzione  sui  rami,  tutto  contenuto  in 
un  cerchio  del  raggio  fissato  r,  ciò  che  è  assurdo. 

È  chiaro  poi  che  se  il  cammino  chiuso  n  intersecasse  sé  stesso,  ba- 
sterebbe applicare  considerazioni  analoghe  a  quelle  del  §.31  (pag.  91) 
per  arrivare  alla  medesima  conclusione. 

Abbiamo  così  dimostrato  il  teorema:  In  qualunque  area  semplicemente 
connessa,  priva  di  punti  critici,  ogni  ramo  della  funzione  algèbrica  è  una 
funzione  finita,  continua  e  monodroma  di  z. 

§.  78. 
Punti  di  diramazione. 

Andiamo  ora  a  studiare  il  modo  di  comportarsi  di  una  funzione  al- 
gebrica nell'intorno  di  un  punto  critico  2;  =  6  (a  distanza  finita)  e  sup- 
poniamo dapprima  che  in  h  coincidano  due  0  più  rami,  senza  che  alcun 
ramo  vi  diventi  infinito  ;  supponiamo  cioè  che  h  sia  una  radice  del  discri- 
minante Diz)  e  non  del  primo  coefficiente  'fo(«)  (§.76).  Prendiamo  un 


208  CAPITOLO  VII.  —  §.  78 

intorno,  p.  e.  circolare,  così  piccolo  del  punto  critico  h  che  non  contenga 
alcun  altro  punto  critico.  Per  un  giro  attorno  a  ^  =  6  gli  n  rami  iVi ,iV2,. .  iVn 
subiranno  una  sostituzione  S  (che  potrà  anche  eventualmente  ridursi 
all'identità);  decomponiamo  questa  sostituzione  in  cicli  e  sia 

{WiW  .  .  .  tVp) 

uno  dei  cicli  contenente  il  ramo  tv^ .  Per  vedere  la  specie  di  singolarità 
che  hanno  in  z  =  h  ì  p  rami  wi ,  it\ , .  .^^p,  che  si  permutano  ciclicamente 
fra  loro  girando  attorno  a  b,  facciamo  la  sostituzione 

(14)  3-h^tP 

e  consideriamo  ivi,  ìCz,  . .  .iVp  come  funzioni  di  t.  Se  nelF  intorno  consi- 
derato di  z  =  h  prendiamo  un  punto  -^o  e  col  centro  in  z^  descriviamo  un 
cerchio  che  escluda  h,  i  rami  wi,iv2'-tvp  sono  sviluppabiH  in  serie  di 
potenze  di  ^s'-^o-  Considerati  come  funzioni  di  t  in  un  intorno  di  f=0, 
essi  sono  quindi  funzioni  regolari  in  ogni  punto,  salvo  al  massimo  in  t  =  0. 
Ma  ora  vediamo  subito  che  essi  sono  regolari  anche  in  t,  per  la  qual 
cosa  basta  dimostrare  che  facendo  compiere  a  t  un  giro  attorno  a  ^  =  0 
ciascun  ramo,  p.  e.  wi,  ritorna  col  proprio  valore.  E  invero,  perla  (14),  se 
t  gira  una  volta  attorno  a  ^^^0,  la  ^^  gira  p  volte  attorno  a.  z=^b  e  sui 
rami  di  w  producendosi  la  sostituzione  S''  si  vede  appunto  che  wi,  ic2,"  wp 
ritornano  ciascuno  col  medesimo  valore.  Avremo  dunque 

«;,=P(iJ)  =  ^y,  +  air-f  7.,#^J-.., 

cioè 

(15)  IV,  =  c/.o  +  0.1  (^  -  h)'"'  +  a^i^-p)^'  +  •  •  • 

È  chiaro  che  gli  sviluppi  per  wz,  ws . .  .  wp  si  ottengono  da  quello  di 
wi  cangiando  t  in  tt,  t^t,. . .  e^'H  rispettivamente,  ove  si  ponga 

2-1 

giacche  per  un  giro  di  z  attorno  a  h,  che  muta  ici  in  ic2,  ic2  in  w^...,  la 

1 
{z — h)t'  acquista  appunto  il  fattore  =. 

Come  si  vede,  nell'intorno  di  un  punto  critico  z  =  l),  ove  più  rami 

coincidono,  questi  si  sviluppano   in  generale  per  potenze  frazionarie  di 

s — 6,  i  cui  esponenti  hanno  il  medesimo  denominatore. 


SVILUPPI    DEI   RAMI   NELL'INTORNO    DI   UN  PUNTO    CRITICO  209 

Può  anche  darsi  che  il  punto  critico  sia  soltanto  apparente  e  ciò  av- 
viene se  la  sostituzione  S  è  l'identità.  Allora  nell'intorno  di  esso  tutti 
i  rami  si  comportano  regolarmente. 

Se  la  S  non  è  l' identità,  il  punto  z^=^h  si  dice  un  punto  critico  alge- 
brico 0  di  diramazione  per  significare  che,  girando  attorno  ad  un  tale 
punto,  i  rami  si  permutano  fra  loro. 

§.  79. 
Singolarità  polari. 

Supponiamo  ora  che  il  valore  critico  z  =  h  annulli  il  1."  coefficiente 
9o  {z).  Se  facciamo  la  sostituzione 

1 

IO  =  —  , 
w 

l'equazione  (12)  diventa 

(16)         'fn  (^)  10^'  +  'f„_i  {z)  ;ì>-^  +  .  .  .  -f  <Pi  iz)  w'  +  'fo  (^)  =  0  . 

Se  il  valore  z  =  ì)  annulla  %  senza  annullare  'fi,  la  (16)  ha-per  z  =  h 
una  sola  radice  nulla  w\  =  0,  talché  w\  è  una  serie  di  potenze  di  z  —  h 
annullantesi  per  z  =  h.  Supposto  che  vi  si  annulli  dell'ordine  w,  avremo 

IV  i  =  (^  -  &)"  I  «1  +  ^2  (•^  -&)  +  ..  I  ,    con  «1  4=  0  , 
e  quindi  pel  ramo  corrispondente  «i  della  primitiva 

«'•^  =  ^A^^  +  r-4^  +  •  •  +  ^  +  P  (^  -  ^)  • 

{z — 6)"       {z — 6)"^  z — h  ' 

Quel  ramo  «-i,  che  diventa  infinito  per  z  =  h,  ha  dunque  semplice- 
mente in  2;  =  &  una  singolarità  polare. 

Supponiamo  ora  che  per  z  =  ì)  siano  nulli,  oltre  e o  >  anche  91 ,  'f  2  • .  •  ^r-i 
e  sia 

'f-(^)  +  0. 

Allora  la  (16)  ha  per  2;  =  6  precisamente  r  radici  nulle.  Una  di  esse, 
p.  e.  vói  5  si  svilupperà  nell'  intorno  di  2;  =  6  per  potenze  intere  e  positive 


210  CAPITOLO   VII.  —  §.79  * 

(li  (z-h)^ ,  supposto  che  il  ciclo  contenente  w'i  consti  di  p  rami.  Se  lo 
sviluppo  comincia  colla  potenza  {z-h)''  ,  avremo 


indi 


ossia 


w'i  =  {z-  f))  "     «1  +  «2  {z-V)^'  +  •  •  p  «1  =t=  0  , 


w,-={z-h)     "  yA+n,(^-b)>'  +..},  y.,^0 


(17)      ^v,=  -^  +  -^-{-..-^-^-\-T({z-b)" 
{z-h)v        {z-h)  V  {z-iy 

In  tal  caso  w^  si  sviluppa  adunque  per  potenze  intere,  positive  e  ne- 
gative, di 

(z-b)"  ; 

ma  la  parte  che  contiene  potenze  negative  ha  sempre  un  numero  finito 
di  termini.  È  evidente  che  una  tale  singolarità  si  può  riguardare  come 
proveniente  dal  sovrapporsi  di  una  singolarità  polare  e  di  un  punto 
di  diramazione.  / 

Abbiamo  così  esaminato  il  modo  di  comportarsi  dei  rami  di  una  fun- 
zione algebrica  nell'  intorno  di  ogni  punto  «  =  &  a  distanza  finita.  Resta 
soltanto  che  esaminiamo  ciò  che  accade  neir  intorno  di  z=  ce  .  Colla  so- 
stituzione 2;  =  -;  riporteremo  Tesarne  all' intorno  del  punto  z==^0,  e  di- 
remo quindi  che  in  z=  oo  si  ha  pel  ramo  ic\  in  considerazione  un  punto 
regolare,  un  punto  di  diramazione,  ovvero  un  polo,  corrispondentemente  a 
quello  che  accade  per  uh  in  z=^0. 

Gli  sviluppi  dei  rami  nell' intorno  dì  z=  x  ,  nel  caso  che  questo  punto 
sia  singolare  pel  ramo,  si  otterranno  quindi  semplicemente  dagli  sviluppi 

(15)  0  (17),  cangiandovi  z  -b  in  -. 

Riepilogando  abbiamo  il  risultato  :  Una  funzione  algebrica  ha  su  tutta 
la  sfera  complessa  un  numero  finito  di  punti  singolari,  che  possono  essere 
0  poli,  0  punti  di  diramazione,  o  singolarità  composte  di  queste  due 
specie. 


211 


§.  80. 
Le  funzioni  algebriche  come  funzioni  analitiche. 

Ciascun  ramo  di  una  funzione  algebrica  di  ;  è  altresì  un  ramo  di 
una  funzione  analitica  e,  come  si  è  detto  già  al  §.  76,  la  funzione  ana- 
litica prolungata  dà  sempre  un  ramo  della  funzione  algebrica.  Ci  rimane 
da  risolvere  l' importante  questione  :  Gli  n  rami  wi ,  iv2 .  •  ivn  della  funzione 
algebrica  w  costituiscono  una  sola  funzione  analitica,  ormerò  V  insieme  di 
più  funzioni  analitiche? 

La  risposta  è  molto  semplice:  avviene  il  primo  caso  se  V equazione 
f  (w,  z)  =  0  è  irriducibile,  il  secondo  se  è  invece  riducibile. 

Se  la  f  {w,  z)  è  riducibile,  cioè  se  si  spezza  nel  prodotto  di  due  fat- 
tori razionali  interi 

f{io,z)='t{w,z).  '^{io,z), 
è  ben  chiaro  che  le  due  equazioni 

'f  {iv,  ^)  =  0   ,    cjj  {w,  z)  =  0 

definiscono  due  funzioni  algebriche  distinte. 
Ma  supponiamo  invece  che 

f{m,z)=() 

sia  irriducibile;  per  provare  che  in  tal  caso  gli  n  rami  costituiscono 
un'  unica  funzione  analitica  basterà  dimostrare  che  da  un  ramo  wi  si  può 
passare,  per  prolungamento  analitico,  descrivendo  convenienti  cammini 
chiusi,  ad  uno  qualunque  degli  altri.  Supponiamo  al  contrario  che  da  wi 
si  possa  così  passare  soltanto  a 

Wi  ,  iVi,  . . .  Wp     con  p  <Cn. 

Si  vede  subito  che  i  p  rami  ivi ,  tv^, . ..  Wp  formano  un  ciclo  chiuso  in 
guisa  che  da  uno  qualunque  di  essi  si  può  passare  per  prolungamento 
anahtico  soltanto  ad  uno  degli  altri.  Consideriaìno  allora  le  funzioni  sim- 
metriche elementari  dei  p  rami  del  ciclo 

ove  ^  è  un  intero  positivo.  Questa  funzione  analitica  di  ^  è  uniforme  su 


212  CAPITOLO   VII. —  §.80 

tutta  la  sfera  complessa,  poiché  per  ogni  cammino  chiuso  descritto  da  z 
i  p  rami  ivi ,  w^. . .  u\,  si  permutano  fra  loro  e  Fi  {z)  ritorna  quindi  col 
medesimo  valore.  Inoltre  la  F^  (z)  possiede  soltanto  un  numero  finito  di 
singolarità  e  queste  sono  necessariamente  singolarità  polari  ;  infatti,  appli- 
cando ai  singoli  termini  ìv'-  gli  sviluppi  (15),  (17),  le  potenze  frazionarie 
debbono  necessariamente  sparire  nella  somma  monodroma  Fa  (0), 

Questa  funzione  F^  {z)  è  dunque  una  funzione  razionale  di  z  (§.61). 
Ne  risulta  che  il  prodotto 

{w — w^  {w — W2)  '  '  ■  {iv — iVp)  =  iv^  +  ^i  ^«^^"^  +  '^■2  ^^'^~^  -\-  . . .  -\-  ap 

ha  i  suoi  coefficienti  funzioni  razionali  di  z.  Questo  polinomio  è  d'altronde 
un  fattore  di 

f{w,  Z)  =  'fo  {z)  {W Wi)  {W IV^  .  .  .  {iV Wn)  , 

onde  concludiamo  appunto  che  f  {w,  z)  è  allora  riducibile. 

Abbiamo  così  dimostrato  il  teorema:  Un'equazione  algebrica  irridu- 
cibile ' 

f{w,z)=0, 

di  grado  n  in  w,  definisce  tin'  unica  funzione  analitica  tv  di  z  con  n  rami. 

Dimostriamo  che  le  proprietà  caratteristiche  delle  funzioni  analitiche 
algebriche  consistono  in  ciò:  1.°  esse  hanno  un  numero  finito  di  deter- 
minazioni 0  rami,  2."  su  tutta  la  sfera  complessa  non  hanno  che  un 
numero  finito  di  singolarità,  che  sono  0  poli  0  punti  di  diramazione. 

E  invero  se  *<;  è  una  funzione  analitica  di  z  con  n  rami 

Wi  ,    U\  .  .  .  IVn 

ed  ha  un  numero  finito  di  punti  singolari,  nell'  intorno  dei  quali  possiede 
sviluppi  della  forma  (15,  (17),  il  ragionamento  testé  applicato  dimostra 
che  nel  polinomio 

W^  -\-  tti  ld^~^  -\-  .  .  -\-  Cln  =■  {io ÌV^  {iV W^  .  .  {W Zt'n) 

i  coefficienti  a  sono  funzioni  razionali  di  z. 


213 


§.  81. 
Gruppo  di  monodromia. 

Consideriamo  un'equazione  algebrica 

'Xo  (Z)  W^'  +  'f  1  (0)  Vf'^'  +  .  .  +  'h^  {^)=0. 

Fissando  un  punto  non  critico  A  nel  piano,  ad  ogni  cammino  chiuso  o 
descritto  da  z,  che  parta  da  A  e  vi  ritorni  senza  passare  per  alcun  punto 
critico,  corrisponde  (§.  77)  una  sostituzione  S  sugli  n  rami.  Se  conside- 
riamo due  cammini  chiusi  a,,  aj,  che  producano  rispettivamente  le  sosti- 
tuzioni Si,  Sa,  il  cammino  chiuso  Oj  "j.^,  che  risulta  dal  percorrere  prima 
Gì  poi  0-2,  produce  evidentemente  la  sostituzione  prodotto 

S..S,. 

In  particolare  il  cammino  of  \  che  si  ottiene  percorrendo  Oi  in  senso 
inverso,  produrrà  la  sostituzione  inversa  Sr'. 

Ciò  premesso,  consideriamo  la  totalità  dei  cammini  chiusi;  avremo 
corrispondentemente  un  insieme  di  sostituzioni  sui  rami  che  saranno  ne- 
cessariamente in  numero  tinito,  al  massimo  =  r.  (n).  Queste  sostituzioni 

(18)  Si  ,  S2  . . . .  Sm  , 

fra  le  quali  si  trova  certamente  l'identità,  formano  un  yrnppo  poiché, 
per  le  osservazioni  premesse,  se  S,,  St  sono  due  sostituzioni  qualunque 
della  serie  (18),  anche  il  prodotto  S,  S/,  trovasi  nella  serie  stessa.  Questo 
gruppo  r  dicesi  il  gruppo  di  monodromia  dell'equazione.  Facilmente  si 
vede  che  il  gruppo  stesso  è  indipendente  dal  punto  iniziale  scelto  A. 

Se  l'equazione  è  irriducibile,  vi  sono  in  V  sostituzioni  che  portano 
un  ramo  qualunque  in  un  altro  qualunque,  cioè  il  gruppo  di  monodromia 
r  è  transitivo.  E  invece  F  è  intransitivo  se  la  proposta  è  riducibile. 

Il  gruppo  di  monodromia  V  possiede  le  proprietà  caratteristiche  date 
dai  teoremi  seguenti: 

l.**  Se  una  funzione  razionale 

y  =  Y(u\  ,  U-2.  .  .  Wn,  z) 

degli  n  rami  della  funzione  algebrica  e  di  z  rimane  invariata  eseguendo 
sugli  n  rami  una  sostituzione  qualunque  del  gruppo  F  di  monodromia,  essa 
e  una  funzione  razionale  di  z. 


214  CAPITOLO  TU.  —  §§.  81,  82 

E  infatti,  pei  principii  della  teoria  delle  equazioni,  la  y  è  certamente 
legata  a  ^  da  un'  equazione  algebrica  (risolvente  della  data),  cioè  è  una 
funzione  algebrica  di  z\ 

(1  9)  F  {U\  ,IV2...  Wn  ,^)='\'  {^)  • 

Ma,  descrivendo  un  qualunque  cammino  chiuso,  'l  (s-)  ritonia,  per  ipo- 
tesi, col  medesimo  valore  ed  è  perciò  una  funzione  razionale  di  z. 

2.°  Inversamente,  se  una  funzione  razionale  F  (iVi,  ivi . . .  Wn,  z)  si  può 
esprimere  razionalmente  per  z,  essa  deve  rimanere  invariata  per  qualun- 
que sostituzione  del  gruppo  di  monodromia. 

E  infatti  nella  (19),  ove  si  supponga  'y  {z)  razionale  in  z,  facciamo 
percorrere   a    ^    il    cammino    chiuso   a,,  che    produce    la    sostituzione 

S,=  (    /    /         "  )  del  gruppo   di  monodromia.   Per  le  proprietà   del 

prolungamento  analitico,  la  (19)  rimarrà  sempre  soddisfatta  e,  perchè  '^j{z) 
ritorna  col  proprio  valore,  avremo 

F  {y\  ,  Wi^ . , .  «;,.  _ ,  ^)  =  F  {v\  ,  w^...  Wn  ,  z)  , 
e.  d.  d. 

In  generale  distinto  dal  gi'uppo  di  monodromia  è  il  gruppo  algebrico 
G  dell'equazione,  pel  quale  intendiamo  il  gruppo  di  Galois  per  l'equa- 
zione nel  campo  di  razionalità  formato  dalle  quantità  costanti  (coefficienti) 
che  vi  figurano,  aggiunto  al  campo  stesso  il  parametro  indeterminato  z. 
Pel  gi'uppo  algebrico  dell'equazione  valgono  i  due  teoremi  sopra  enun- 
ciati pel  gruppo  di  monodromia,  soltanto  modificati  in  questo  che  le  fun- 
zioni razionali  di  z  ivi  considerate  hanno  di  più  coefficienti  razionali.  Si 
dimostra  che  in  ogni  caso  :  Il  gruppo  di  monodromia  F  è  un  sottogruppo 
invariante  del  gruppo  algehrico  G  ;  V aggiunta  di  una  sóla  irrazionalità  nu- 
merica abbassa  il  gruppo  di  Galois  per  l'equazione  da  G  a  F  '^'. 

§.  82. 
Sostituzioni  elementari  del  gruppo  di  monodromia. 

Consideriamo  sulla  sfera  complessa  i  punti  di  diramazione  in  numero 
finito 

**)  Vedi  Teoria  dei  gruppi  e  delle  eqtuxzioni  algebriche. 


SOSTITUZIONI   ELEMENTARI    DEL   GRUPPO    DI    MONODROMIA 


215 


incluso  il  punto  co ,  se  è  di  diramazione,  e  fissiamo  il  punto  A  origine 
dei  cammini  chiusi  che  descriviamo  per  calcolare  le  sostituzioni  del  gruppo 
di  monodromia.  Diciamo  cammino  elementare  o  cappio  un  cammino  chiuso 

FiG.  9.^ 


foggiato  nel  modo  seguente.  Andiamo  da  A  ad  un  punto  A,  vicinissimo 
al  punto  critico  a^  per  un  arco  li  di  curva  semplice,  giriamo  poi  intorno 
ad  «1 ,  nel  verso  positivo,  sopra  una  piccola  circonferenza  Oj  avente  il 
centro  in  «i  indi,  percorrendo  U  in  senso  inverso,  torniamo  in  A.  Il  cam- 
mino chiuso 

il  Ji  li 

sarà  il  cappio  relativo  ad  a^.  Così  per  ciascun  punto  critico  «,•  costrui- 
remo un  cappio  corrispondente  li'^,lr\  in  guisa  che  i  tratti  ?i,  Iz-.-h 
non  s' intersechino  fra  loro.  Corrispondentemente  ad  ogni  cappio  l,  <3i  li~\ 
avremo  una  sostituzione  s,  del  gruppo  di  monodromia  e  facilmente  ve- 
diamo che:  L' infero  gruppo  di  monodromia  si  genera,  componendo  le  so- 
stituzioni elementari 

Si   ,    .9.2  ,  .  .  .  5.V 


216 


CAPITOLO   VII. 


§.82 


e  le  loro  potense  fra  loro.  E  invero  qualunque  cammino  chiuso  si  può 
ridurre,  per  deformazione  continua,  senza  attraversare  punti  critici,  ad 
una  successione  di  cappii. 

Naturalmente  fra  le  sostituzioni  generatrici  Si ,  §2 , ...  5x  può  esservene 
un  certo  numero  di  superflue,  che  risultino  cioè  da  combinazioni  delle 
altre.  Anzi  ciò  avviene  necessariamente  se  nella  serie 


.   tty 


sono  inclusi  tutti  i  punti  di  diramazione,  giacché  un  cammino  chiuso  che 
avvolga  tutti  i  punti  critici  produce  la  sostituzione  identica. 

Per  calcolare  le  sostituzioni  elementari  5,,  prodotte  dai  cappii,  la 
ricerca  fondamentale  da  farsi  consiste  nell'  esaminare  come  si  permutano 
fra  loro  i  rami  girando  sul  piccolo  contorno  o,,  avvolgente  il  punto  cri- 
tico a,.  Questo  insegna  il  metodo  di  Puiseux,  che  permette  di  calcolare 
dello  sviluppo  in  serie  per  potenze  frazionarie  di  z  —  a,,  per  ogni  ramo, 
tanti  termini  quanti  occorrono  per  differenziare  il  ramo  stesso  da  tutti 
gli  altri.  Ma  noi  non  ci  addentreremo  qui  in  tali  studi  e  solo  faremo 
l'osservazione  seguente  che,  calcolato  il  discriminante  D(^),  permette  di 
riconoscere  se  una  sostituzione  elementare  5,  è  pari  o  dispari,  se  consta 
cioè  di  un  numero  pari  o  dispari  di  trasposizioni. 

Diciamo  che  :  La  sostituzione  elementare  s,  sarà  pari  o  dispari,  secondo 
che  il  punto  critico  z  =  ai  sarà  pel  discriminante  D  {z)  un  infinitesimo 
(od  un  polo)  di  ordine  pari  o  di  ordine  dispari. 

E  infatti  la  radice  quadrata  del  discriminante 


Vd  {£)  = 


Wi       IVì 


IVr. 


iv\      ic\    .  .  .     wl 


tVi  ^  ivi  ^ 


per  il  cammino  chiuso  a,  non  cangia  se  s,  è  pari  e  muta  invece  di  segno 
se  Si  è  dispari.  Ma  se  l'infinitesimo  (o  polo)  è  dell'ordine  r  l'argomento 
di  D  iz)  aumenta  (o  diminuisce)  dopo  il  giro  :;,  di  2zr  e  quello  di  VD(s) 
di  "Rr,  onde  avverrà  il  primo  caso  se  r  è  pari,  il  secondo  se  r  è  dispari. 


217 


Capitolo  Vili. 

Prime  nozioni  sulle  superficie  di  Riemann  e  sugli  integrali  Abeliani. 

§.  83. 
Concetto  generale  della  superfìcie  Riemanniana. 

Per  lo  studio  delle  funzioni  algebriche  e  dei  loro  integrali  (integrali 
Abeliani)  Riemann  ha  introdotta  un'utile  e  feconda  rappresentazione 
geometrica  colle  superficie  che  portano  il  suo  nome.  Ci  proponiamo  di 
esporre  nel  presente  capitolo  i  primi  concetti  della  teoria  Riemanniana 
nella  brevità  che  ci  viene  imposta  dalla  natura  del  presente  corso.  Se, 
proseguendo  lo  studio  delle  funzioni  algebriche,  si  adopera,  come  negli 
ultimi  §§.  del  Capitolo  precedente,  la  consueta  rappresentazione  geome- 
trica nella  quale  i  valori  della  variabile  indipendente  z  vengono  distesi 
sul  piano  complesso  di  Gauss  (o  sulla  sfera  complessa),  si  presenta  l'in- 
conveniente che  in  ogni  punto  z  la  funzione  algebrica  iv  non  ha  più  un 
solo  valore,  ma  un  certo  numero  m  di  valori  distinti  ;  e  per  seguire  la 
variazione  della  u:,  allorquando  il  punto  rappresentativo  si  muove  nel 
piano  complesso,  occorre  sempre  tener  conto  del  cammino  seguito  dal 
punto  per  giungere  dalla  posizione  iniziale  alla  finale,  poiché  insomma 
la  w  non  è  più  una  funzione  monodroma  della  posizione  del  punto  rap- 
presentativo. L'introduzione  delle  superficie  di  Riemann  ha  appunto  per 
iscopo  di  ristabilire  la  monodromia  nella  rappresentazione. 

Chiameremo  superficie  di  Riemann  per  una  data  equazione  alge- 
brica (^': 

(1)  /0^^^)  =  o 

una  superficie  chiusa  così  costituita  che  ad  ogni  suo  punto  possa  asso- 
ciarsi 0,  come  diremo,  pensare  ivi  deposta,  una  ed  una  sola  coppia  di 
valori  di  w,  z,  soddisfacenti  alla  (1),  ed  inversamente  ad  ogni  tale  coppia 
corrisponda  uno  ed  un  solo  punto  della  superficie,  in  guisa  che  la  corri- 


(*)  Qui  ci  occupiamo  soltanto  delle  superficie  di  Riemann  corrispondenti 
ad  una  relazione  algebrica  fra  iv,z;  ma  si  possono  egualmente  considerare 
superficie  Riemanniane  per  relazioni  funzionali  di  specie  qualunque.  Queste 
superficie  di  monodromia  possono  alla  loro  volta  prestare  utili  servigi  nelle 
ricerche  analitiche. 


218  CAPITOLO  Vili.  —  §.83 

spondenza  hiunivoca  fra  le  coppie  (v.  z)  ed  i  punti  della  superficie  sia 
una  corrispondenza  continua. 

Ammessa  per  un  momento  la  possibilità  di  costruire  una  tale  super- 
ficie Riemanniana  R,  possibilità  che  fra  breve  dimostreremo,  è  chiaro 
che  se  il  punto  rappresentativo  P  descriverà  sulla  superficie  R  un  cam- 
mino chiuso  qualsiasi,  la  coppia  iniziale  {lu,  z)  sarà  ricondotta,  attraverso 
ad  una  catena  continua  di  valori,  alla  coppia  primitiva  stessa  ed  avremo 
così  perfettamente  ristabilita  la  monodromia.  Osserviamo  che  sulla  su- 
perficie Riemanniana  R  ogni  valore  z  della  variabile  indipendente  dovrà 
manifestamente  trovarsi  disteso  tante  volte  quanti  sono  i  valori  di  tv 
corrispondenti  ad  un  medesimo  valore  dì  z  e  cioè  precisamente  m  volte, 
se  la  (1)  è  di  grado  in  in  w;  similmente  ogni  valore  di  w  si  troverà 
sulla  R  ripetuto  n  volte,  se  w  è  il  grado  della  (1)  in  z. 

La  definizione  stessa  che  abbiamo  dato  della  superficie  R  di  Riemann 
rende  evidente  che  potremo  sostituire  ad  R  qualunque  altra  superficie 
chiusa  R',  tale  che  fra  i  punti  di  R  e  quelli  di  R'  possa  stabilirsi  una 
corrispondenza  biunivoca  e  continua,  bastando  per  ciò  immaginare  deposta 
ogni  coppia  di  valori  w,  z,  soddisfacenti  alla  (1),  anziché  in  un  punto  P 
di  R,  nel  corrispondente  punto  P'  di  R'.  In  questi  studi  adunque  la  forma 
e  la  grandezza  delle  varie  parti  della  superficie  rappresentativa  non  hanno 
per  sé  importanza  alcuna  e  solo  essenziale  é  la  relazione  di  contiguità 
fra  le  parti  stesse.  Conviene  per  ciò  immaginare  la  superficie  come  for- 
mata da  un  velo  perfettamente  flessibile  ed  estendìbile  e  le  infinite  forme 
che  possono  darsi  alla  superficie  deformandola  in  modo  continuo,  senza 
rottura  né  duplicatura,  saranno  perfettamente  sostituibili,  pel  nostro 
scopo,  alla  superficie  primitiva.  Anzi  potremo  più  in  generale  ammettere 
di  spezzare  la  superficie  in  un  numero  qualsiasi  di  parti  e,  dopo  di  avere 
deformata  in  modo  arbitrario  ciascuna  delle  parti,  di  riunire  ancora  i  varii 
pezzi,  solo  che  si  facciano  alla  fine  coincidere  nuovamente  i  punti,  che 
si  trovavano  riuniti  sulla  superficie  primitiva.  Ammetteremo  ancora  che 
il  velo  ideale,  da  cui  la  superficie  é  costituita,  possa  liberamente  attra- 
versare sé  stesso  e  fra  due  regioni  che  mutuamente  si  attraversano  pen- 
seremo non  aver  luogo,  lungo  la  linea  di  passaggio,  connessione  alcuna, 
se  non  ha  luogo  la  coincidenza  dei  valori  di  n:,  z  che  nelle  due  regioni 
immaginiamo  deposti  in  un  medesimo  punto  di  questa  linea  '  ^' .  Del  resto 


(')  Un  tale  punto   rappresenta  dunque   due  punti  distinti  della  superficie, 
secondo  che  si  pensa  della  prima  o  della  seconda  regione. 


LA   SUPERFICIE   RIEMANNIANA  PER  w^\  Z  219 

si  può  in  Ogni  caso,  con  deformazione  continua,  ridurle  una  superficie 
Riemanniana  ad  una  superficie  libera  nello  spazio  che  non  attraversi  mai 
sé  medesima,  evitando  così  anche  la  leggiera  difficoltà  che  questo  modo 
di  concepire  le  cose  suole  presentare  da  principio. 

§.  84. 
La  superficie  Riemanniana  a  due  fogli  per  le  funzioni  tv  —yl'z,  w  =Vp  (2) . 

Esposto  il  concetto  generale  di  superficie  Riemanniana,  andiamo 
ora  a  dimostrare  come  per  una  data  equazione  algebrica  (1)  si  costruisca 
effettivamente  una  tale  superficie  nella  forma  ordinaria  di  m  fogli  0  strati 
sovrapposti.  Per  maggior  chiarezza  comincieremo  da  alcuni  casi  semplici, 
per  elevarci  poi  alle  considerazioni  generali. 

Prendiamo  a  considerare  dapprima  la  semplicissima  funzione  alge- 
brica 

IV  =  '\l  z  . 

La  polidromia  di  questa  funzione  nell'ordinario  piano  complesso  (sfera 
complessa)  nasce  dal  girare  isolatamente  attorno  al  punto  di  diramazione 
^==0,  ovvero  attorno  all'altro  2'=ao,  poiché  per  un  tale  giro  un  ramo 
del  radicale  si  cangia  con  continuità  nell'  opposto.  Immaginiamo  il  piano 
tagliato  lungo  una  linea  che  dal  punto  2^  =  0  vada  senza  intersecare  sé» 
stessa,  all'infinito,  per  es.  pensiamo,  per  fissare  le  idee,  eseguito  un  tale 
taglio  lungo  la  parte  negativa  dell'asse  reale  da  0  a  -00.  Scelto  in  un 
punto  z,  per  es.  in  ^=-l,  uno  dei  valori  del  radicale,  diciamo  iv=-{-\, 
quel  ramo  sarà  nel  piano  così  tagliato  una  funzione  monodroma  della  z. 
In  due  punti  di  fronte  sui  due  orli  del  taglio  i  valori  di  w  saranno  eguali 
e  di  segno  contrario  e  precisamente,  supposto  il  taglio  eseguito  come 
sopra,  i  valori  di  ic  sull'orlo  superiore  (0  destro)  saranno  puramente  im- 
maginarli col  coefficiente  dell'immaginario  positivo,  quelli  sull'orlo  infe- 
riore (sinistro)  i  coniugati.  Così  abbiamo  la  rappresentazione  geometrica 
per  uno  solo  dei  rami  della  nostra  funzione  algebrica. 

Ma  immaginiamo  di  prendere  un  secondo  piano  complesso,  0  come 
diciamo,  un  secondo  foglio,  che  tagliamo  precisamente  come  il  primo  e 
sovrapponiamo  a  questo.  Su  questo  secondo  foglio  distendiamo  i  valori 
del  secondo  ramo,  partendo  ad  esempio  dal  medesimo  punto  z  =  \,  ove 
questa  volta  prenderemo  il  valore  opposto  io=  -i   del  radicale.  Così 


220  CAPITOLO   Vili.  —  §.  84 

in  due  punti  collocati  Tuno  sull'altro  dei  due  fogli  Fi,  Fj  i  valori  ivi 
deposti  per  io  saranno  sempre  uguali  e  di  segno  contrario,  e  per  ciò  i 
valori  di  w  suU'  orlo  destro  del  taglio  in  Fi  coincideranno  ordinatamente 
con  quelli  dell'orlo  sinistro  in  F2  e  quelli  dell'orlo  sinistro  su  Fi  con  quelli 
dell'orlo  destro  su  Fj.  E  allora  se  immaginiamo  connessi  0  saldati  l'uno 
all'altro  l'orlo  destro  di  Fj  col  sinistro  di  F2  e  quello  sinistro  di  Fi  col 
destro  di  F2,  verremo  appunto  a  formare  un'unica  superfìcie  a  due  fogli 

0  strati  che  si  connettono,  intrecciandosi  fra  loro,  lungo  la  linea  primi- 
tiva del  taglio  (sezione  di  diramazione).  Ad  ogni  coppia  distinta  di  va- 
lori di  (/,  z,  soddisfacenti  all'equazione  ur^=^z,  corrisponderà  così  uno  ed 
un  solo  punto  della  nostra  superfìcie  e*  questa  corrispondenza  sarà  evi- 
dentemente biunivoca  e  continua;  abbiamo  così  costruita  la  superficie 
Riemanniana  a  due  fogli  per  l'equazione  w^  —  2^  =  0. 

Prendiamo  ora  a  considerare  più  in  generale  la  equazione  algebrica 

dove  P  {z)  indica  un  polinomio  razionale  intero  in  ^  a  radici  tutte  sem- 
plici e  cerchiamo  di  costruire  la  superficie  Ptiemanniana  corrispondente. 

1  punti  di  diramazione  a  distanza  finita  della  funzione  »^=  \' V  (z)  sono 
qui  tutti  e  soli  gli  infinitesimi  di  P(^),  e  il  punto  z'=^  x  sarà  un  punto 
di  diramazione  0  no  secondo  che  il  grado  del  polinomio  è  impari  0  pari. 
In  ogni  caso  adunque  il  numero  totale  dei  punti  di  diramazione  sarà 
pari  e  noi  lo  indicheremo  con  2^)4-2,  dove  adunque  il  grado  del  poli- 
nomio sarà  2p+l  se  dispari,  e  2;; +2  se  pari.  Indichiamo  con 

i  punti  di  diramazione,  distribuiti  arbitrariamente  in  coppie,  e  nel  piano 
complesso  z  immaginiamo  congiunto  ciascun  punto  di  diramazione  Cgr-i 
col  successivo  e^r  con  una  linea  che  non  intersechi  sé  medesima  né  le 
altre  precedenti  e  lungo  queste  jp  + 1  linee  eseguiamo  altrettanti  tagli. 
Se  nel  piano  complesso  così  tagliato  fissiamo  in  un  punto  0,  diverso 
dai  punti  di  diramazione,  il  valore  che  assumiamo  pervP(2'),  indi  pro- 
lunghiamo analiticamente  il  ramo,  otterremo  distesi  su  questo  primo 
foglio  Fi  i  valori  di  un  ramo  del  nostro  radicale,  che  costituiranno  una 
funzione  monodroma,  poiché  in  esso  foglio  sono  resi  impossibili  i  giri 
attorno  ad  un  numero  dispari  di  punti  di  diramazione.  Prendasi  ora  un 
secondo  foglio  Fg,  tagliato  precisamente  come  Fj,  e  sovrapposto  a  questo, 


DEFORMAZIONI    DELLE    SUPERFICIE   DI    RIEMANN  221 

sul  quale  deponiamo  in  ogni  punto  quel  valore  di  VP  {z)  che  è  l'opposto 
del  valore  che  il  radicale  ha  nel  punto  sottostante  di  Fi;  così  anche  in  F2 
avremo  una  distribuzione  monodroma  dei  valori  del  secondo  ramo.  Ora 
lungo  ogni  taglio  i  valori  di  \  1*1^)  all'orlo  destro  (0  sinistro)  di  Fi 
coincidono  con  quelli  all'ori )  sinistro  (destro)  di  Fa  e  per  ciò,  se  imma- 
giniamo nuovamente  di  connettere  questi  quattro  orli  nel  modo  di  prima, 
otterremo  un'  unica  superficie  a  due  fogli  che  si  connettono  intrecciandosi 
lungo  \e  2^+1  sezioni  di  diramazione,  e  in  essa  avremo  evidentemente 
la  superficie  Rieinanniana  cercata. 

Osserviamo  che  in  luogo  di  costruire  la  nostra  superficie  adoperando 
fogli  piani,  sovrapposti  all'ordinario  piano  complesso,  potremmo  egual- 
mente operare  sulla  sfera  complessa  con  fogli  sferici,  nel  qual  caso  par- 
leremo della  sfera  Rieinanniana  a  più  strati. 

§.  85. 

Deformazione  della  superficie  Riemanniana  in  quella  di  una  sfera, 

di  un  anello  ecc. 

Possiamo  assoggettare  la  superficie  Riemanniana  costruita  ad  una 
qualunque  deformazione  continua,  secondo  le  osservazioni  generali  del 
§.  83;  in  particolare  vogliamo  qui  mostrare  come  si  può  dedurne  una 
superficie  libera  nello  spazio,  che  non  attraversi  sé  medesima. 

Riprendiamo  per  ciò  la  costruzione  della  prima  superficie  Rieman- 
niana per  w  =  v'  ^  prima  della  connessione  stabilita  fra  gii  orli  dei  tagli 
di  Fi,  Fo.  Supposti  sempre  i  tagli  eseguiti  lungo  la  parte  negativa  del- 
l' asse  reale,  ribaltiamo  ad  esempio  il  foglio  Fi  attorno  all'asse  reale,  sic- 
ché i  valori  di  un  ramo  del  radicale  risulteranno  distribuiti  sulla  pagina 
superiore  '^*  del  foglio  F2  e  quelli  del  secondo  ramo  sulla  pagina  infe- 
riore di  Fi.  Attualmente  lungo  gli  orli  dei  tagli  in  Fi ,  F2  coincideranno 


i  valori  di  V  ^^'  (2^)  immediatamente  sovrapposti,  sicché  connettendo  gli 
orli  corrispondenti  avremo  in  sostanza  l'ordinario  piano  rivestito  nella 
sua  pagina  superiore  ed  inferiore  di  un  doppio  velo  continuo  che  si  piega 
attraverso  la  fenditura  praticata  lungo  il  semiasse  reale.  Deformando  in 
modo  continuo  questo  velo,  possiamo  dai'gli  la  forma  omologa  sferica  ed 


(i>  Immag-iniamo ,    per   fissare   le   idee,    i   fogli   collocati   sopra  un   piano 
orizzontale. 


222  CAPITOLO  vili.  —  §.  85 

anche,  continuando  la  deformazione,  foggiare  in  modo  arbitrario,  sco- 
standoli, gli  orli  della  fenditura,  così  p.  e.  da  farne  un  circolo  della  sfera 
diviso  in  due  semicerchi,  ciascuno  dei  quali  corrisponde  ad  uno  degli 
antichi  orli.  Così  avi-emo  una  calotta  sferica  rivestita  internamente  ed 
esternamente  di  un  unico  velo,  che  potremo  deformare  ancora  in  guisa  da 
dargli  la  forma  di  una  superficie  chiusa,  dappertutto  convessa  verso  Te- 
sterno,  p.  e.  di  nuovo  la  forma  sferica.  Per  tal  modo,  da  ultimo,  avremo  tra- 
sformata la  superficie  Riemanniana,  primitiva  in  una  sfera  ordinaria  ^^K 

Consideriamo  ora  il  caso  della  superficie  Riemanniana  a  due  fogli 
per  la  funzione  ìr  =  \f  P  (z),  quando  il  polinomio  P  {z)  è  di  terzo  o  quarto 
grado  in  z  e  quindi,  nelle  notazioni  del  §.  84,  abbiamo  |>  =  1  e  conse- 
guentemente 2  sezioni  di  diramazione.  Immaginiamo  che  la  nostra  su- 
perficie sia  una  sfera  Riemanniana  a  due  fogli  e,  per  fissare  le  idee,  le 
due  sezioni  di  diramazione  siano  praticate  in  un  meridiano  verticale  e 
simmetricamente  disposte  rispetto  al  diametro  verticale.  Tolta  la  con- 
nessione fra  i  due  fogli  lungo  le  sezioni  di  diramazione,  si  deformi  con 
continuità  l'uno  e  l'altro  foglio  sì  da  foggiarli  p.  e.  a  cilindri  circolari 
coassiali  nei  quali  le  circonferenze  delle  basi  rappresenteranno  le  se- 
zioni di  diramazione,  divisa  ciascuna  da  un  diametro  in  due  metà  cor- 
rispondenti agli  orli  destro  e  sinistro  del  primitivo  taglio.  Si  estragga, 
parallelamente  all'asse,  il  foglio  cilindrico  interno  e  dopo  averlo  ribal- 
tato attorno  al  detto  diametro  di  una  delle  circonferenze  basi  si  riav- 
vicinino nuovamente  i  due  cilindri  sì  da  riunirli  per  le  due  circonferenze 
basi  di  fronte,  con  che  appunto  verremo  a  riunire,  per  una  delle  sezioni 
di  diramazione,  i  punti  congiunti  primitivamente  sulla  superficie  Rie- 
manniana. 

Xeir  unico  cilindro  così  risultante  i  punti  delle  due  basi  sopra  una 
medesima  generatrice  rappresenteranno  ancora  un  solo  e  medesimo  punto 
della  superficie  Riemanniana.  Per  unire  efi'ettivamente  anche  questi,  basta 
immaginare  di  deformare  in  modo  continuo  il  cilindro,  incurvando  p.  e. 
a  forma  di  archi  circolari,  vieppiù  vicini  ad  una  circonferenza  completa, 
le  generatrici,  ed  alla  fine,  saldando  insieme  le  circonferenze  basi  del- 
l'anello aperto,  otterremo  la  superficie  chiusa  dell'anello  completo  o  toro, 
che  potremo  adoperare  come  superficie  Riemanniana  nel  caso  considerato. 


'*>  Naturalmente  su  questa  sfera  trovausi  distesi  due  volte  i  valori  di  z  ed 
una  sola  volta  quelli  di  io. 


LA    SUPERFICIE   RIEMANNIANA    GENERALE  223 

Se  consideriamo  ora  il   caso  più  generale  della  sfera  Riemanniana 


a  due  fogli  per  la  funzione  tv  =  \  P  (s),  il  polinomio  P  {z)  avendo  il  grado 
2p  +  \  0  2jp  +  2,  potremo  procedere  in  mòdo  analogo  togliendo  la  con- 
nessione dei  due  fogli  lungo  le  p-vl  sezioni  di  diramazione  ed,  estratto 
il  foglio  interno,  potremo  uiriormare  i  due  fogli  in  guisa  da  conservare 
p.  e.  ad  ambedue  la  forma  sferica  e  da  ridurre  ciascuna  fenditura  alla 
forma  di  un  circolo  minore  completo.  I  due  fogli  porteranno  così  ^)+l 
aperture  circolari  ciascuno,  che  due  a  due  si  corrispondono  e  i  cui  orli  cor- 
rispondenti debbono  nuovamente  congiungersi  fra  loro.  Per  una  coppia 
di  questi  contorni  possiamo  operare  direttamente  il  congiungimento  dei 
due  fogli  e  deformare  poi  l' unica  superficie  risultante,  riducendola  p.  e. 
ad  una  sfera  con  2p  aperture  circolari  che  si  dividono  in  p  coppie,  i  cui 
orli  corrispondenti  sono  ancora  da  congiungersi  fra  loro.  La  deforma- 
zione che  resta  da  eseguire  può  immaginarsi  compiuta  in  guisa  che  la 
riunione  di  un  contorno  circolare  col  corrispondente  abbia  luogo  per  mezzo 
di  un  anello  esterno  alla  sfera.  Da  ultimo  avremo  così  ridotta  la  nostra 
superficie  Riemanniana  ad  una  sfera  con  p  anelli,  o  manichi. 

§.  86. 
La  superfìcie  Riemanniana  a  m  fogli  per  requazione  f{w,%)  =  0. 

Le  considerazioni  relative  ai  casi  particolari  sopra  trattati  renderanno 
ora  più  chiaro  il  procedimento  da  seguirsi  pel  caso  generale.  Data 
un'equazione  algebrica  qualunque 

f{w,z)  =  Q,, 

il  cui  grado  in  u:  indicheremo  con  m,  segnamo  sul  piano  complesso  z 
gli  effettivi  punti  di  diramazione,  che  indicheremo  con 

comprendendovi  naturalmente  il  punto  z=cc,  se  questo  sarà  un  punto 
di  diramazione;  e  fissato  nel  medesimo  piano  un  punto  0,  distinto  dai 
punti  di  diramazione,  riuniamolo  ai  punti  «i,  a^, ...  a^  mediante  N  linee 
semplici  /i,  ?2, . . .  ?.v,  che  non  intersechino  sé  stesse,  né  si  intersechino 
fra  loro.  Prendiamo  ora  m  fogli  Fi ,  Fj , . . .  F„; ,  che  sovrapponiamo  tutti 
al  piano  complesso,  e  in  ciascuno  di  essi,  sia  F,,  segniamo  il  punto  0^ 


224  CAPITOLO  vili.  —  §.  86 

sovrapposto  ad  0  e  le  linee  Z,'",  l^'K . .  U'^  sovrapposte  a  li,Ì2...ls,  e 
lungo  queste  linee  ll'K,  ì.^'* . . ,  />;",  eseguiamo  nel  foglio  F,  altrettanti  tagli. 
Nel  punto  0  gli  m  valori  di*  w  sono  distinti  e  siano 


ciascuno  dei  quali  attribuiremo  ordinatamente  in  0,.  Oo . . .  0,»  ai  fogli 
Fj.  F, . . .  F,„.  Se  nel  foglio  F,  così  tagliato,  partendo  dal  valore  wi  di 
IV  in  0,,  seguiamo  il  prolungamento  analitico  di  questo  ramo  di  w,  ver- 
remo a  depoiTe  in  ogni  punto  di  F,  un  unico  e  determinato  valore  di 
te  e  questi  valori  costituiranno  sopra  il  foglio  tagliato  F,  una  funzione 
monodroma.  Se  consideriamo  gli  m  punti  Pi, Pi ,  . . . Pm  sovrapposti  in 
Fi,  F2,...F,„  ad  un  medesimo  punto  qualsiasi  p  del  piano  complesso 
(distinto  naturalmente  dai  punti  di  diramazione),  i  corrispondenti  valori 
di  w,  che  indicheremo  senza  ambiguità  con 

Pi   •        ^2  '    •  •  •      Pm  ' 

vi  saranno  manifestamente  tutti  distinti  e  daranno  gli  m  valori  di  w 
corrispondenti  al  valore  di  ^  nel  punto  p.  Consideriamo  in  particolare 
ciò  che  accade  in  punti  sovrapposti  ai  due  orli  di  m  tagli  Z/'  ?/' . . .  Z,*"'' 
corrispondenti  sopra  Fi ,  Fj . . .  F„, .  Distinguendo  i  due  orli  di  un  taglio  in 
destro  e  sinistro,  siano  Pi,  Pi,  .  .pm  gli  ni  punti  sovrapposti  sull'orlo  de- 
stro e  5i ,  52 ,  •  •  •  <lm  gli  in  punti  di  fronte  sulF  orlo  sinistro,  punti  che 
corrispondono  tutti  ad  un  solo  e  medesimo  valore  di  ^,  sia  z  =  a.  Tanto  i 
valori 


quanto  gli  altri 


%i  ,  % 


%i  >  "'■j 


danno  tutte  e  sole  le  radici  della  nostra  equazione  algebrica  per  z  =  a 
e  per  ciò,  prescindendo  dall'ordine,  sono  i  medesimi;  supponiamo  dun- 
que che  si  abbia 


^Vi  ==%,,'  ''f.-%-"''p.=  \„ 


ove  il,  Ì2 . . .  iw  sono  i  numeri  1,2, ...  m  in  altro  ordine.  Se  spostiamo  2h 
lungo  l'orlo  destro  del  taglio  considerato  sopra  Fi  e  contemporaneamente 
g,j,  nel  medesimo  modo,  lungo  Torlo  sinistro  del  taglio  in  F,^,  avremo 
manifestamente  sempre  Wp^  =  u-g.,  e  similmente  u-p^=ivg.  , . .  Wp^  =  Wg.  , 


LA   SUPERFICIE  RIEMANNIANA   GENERALE  225 

talché  dappertutto,  lungo  quegli  m  tagli  sovrapposti,  i  valori  di  iv  deposti 
suir  orlo  destro  in  Fj ,  Fg . . .  Fm  coincideranno  ordinatamente  con  quelli 
dell'orlo  sinistro  in  F,^,  Fi., . .  F,_^  .  Per  ciò  lungo  questi  tagli  l'orlo  destro 
in  Fi,  Fo, . . .  F,„  si  connetterà  rispettivamente  col  sinistro  in  F,-  ,  F   , . .  Fi 

1  '2  »1 

ed  eseguita  questa  operazione  per  tutti  i  sistemi  di  tagli,  avremo  co- 
struita una  superficie  i  cui  punti  corrispondono  biunivocamente  ed  in 
modo  continuo  alle  coppie  di  valori  iv,s!,  che  soddisfano  all'equazione  al- 
gebrica proposta.  Questa  superficie  ad  m  fogli  o  strati  è  adunque  la  su- 
perficie Kiemanniana  cercata;  essa  risulterà  connessa  allora  ed  allora 
soltanto  quando  la  equazione  proposta  sia  irriducibile. 

Alla  costruzione  della  superficie  Riemanniaiia  generale  facciamo  se- 
guire alcune  considerazioni  esplicative.  Il  congiungimento  dei  fogli  lungo 
una  sezione  di  diramazione,  che  parte  da  un  punto  di  diramazione,  av- 
viene precisamente  nel  modo  stesso  rome  gli  m  rami  si  permutano  per 
un  giro  nel  piano  semplice  attorno  a  questo  punto  z  =  ai.  Se  decom- 
poniamo la  sostituzione  corrispondente  in  un  prodotto  di  sostituzioni  cir- 
colari, gli  m  fogli  si  decomporranno  in  altrettanti  gruppi  e  se  uno  di 
essi  è  composto  dei  fogli  Fi ,  Fa , . .  F, ,  questi  r  fogli  saranno  congiunti 
ciclicamente  fra  loro,  sicché  girando  attorno  al  punto  di  diramazione  si 
passerà  dal  foglio  Fi  a  Fg ,  da  Fj  a  F3  ; .  . .  da  F,  _i  a  F,-  e  in  fine  da 
F*-  si  ritornerà  sopra  Fi.  Il  punto  di  diramazione  nel  quale  gli  r  fogli 
sono  congiunti  ciclicamente  fra  loro  é  un  unico  punto  della  superficie 
Riemanniana  R  e  dicesi  un  punto  di  diramazione  dell'ordine  r — 1.  Al 
punto  di  diramazione  z  =  ai  del  piano  semplice  corrispondono  dunque, 
sulla  superficie  Riemanniana,  tanti  punti  distinti  quante  sono  le  sostitu- 
zioni circolari,  nelle  quali  si  decompone  la  sostituzione  sui  rami  per  un 
giro  attorno  a  ^  ==  a,- . 

Ciò  premesso,  é  facile  definire  V  intorno  di  un  punto  qualsiasi  della 
superficie  Riemanniana.  Se  il  punto  che  si  considera  non  é  di  dirama- 
zione, una  piccola  curva  chiusa  che  giri  una  volta  attorno  al  punto,  p.  e. 
un  circolo  col  centro  nel  punto,  descritta  nel  foglio  a  cui  il  punto  ap- 
partiene, limiterà  il  detto  intorno  (^'.  Se  il  nostro  punto  é  un  punto  di 


(^'  Può  anche  darsi  che  il  punto  in  considerazione  appartenga  a  più  fogli 
della  superficie  Riemanniana,  senza  che  ivi  abbia  luogo  diramazione.  Ciò  avviene 
se  più  rami  della  funzione  algebrica  w  coincidono  in  quel  punto  senza  diramarsi  ; 
ed  in  tal  caso  saranno  da  considerarsi  tanti  intorni  del  punto  quanti  sono  ì 
fogli  a  cui  appartiene. 

15 


226  CAPITOLO  vili.  —  §§.  86,  87 

diramazione  d'ordine  r — 1  e  congiunge  ciclicamente  i  fogli  Fi,  F2, . .  F, , 
la  curva  chiusa  che  limita  l'intorno  farà  un  giro  sul  primo  foglio  F,, 
un  secondo  giro  su  Fj  ecc.  un  r'""  giro  sopra  Fr ,  e  soltanto  dopo  compiuti 
questi  r  giri  si  chiuderà.  In  tal  caso  l'intorno  del  punto  è  assimilabile 
all'insieme  di  r  spire  di  una  superficie  elicoidale  di  passo  infinitesimo. 


§.  87. 
Funzioni  uniformi  sulla  superfìcie  Riemanniana. 

Data  un'equazione  algebrica 

f{iv,z)  =  0, 

abbiamo  visto  come  si  può  costruire  una  superficie  Riemanniana  ad  m 
fogli  che  rappresenta  geometricamente  il  modo  di  diramazione  della  fun- 
zione algebrica. 

Ma  il  concetto  più  importante  e  fecondo  della  teoria  Riemanniana 
consiste  appunto  nella  inversione  di  quest'ordine  di  considerazioni,  nel 
supporre  cioè  data  a  priori  una  superficie  a  m  fogli,  distesi  sull'ordinario 
piano  complesso,  connessi  fra  loro  mediante  sezioni  di  diramazione  co- 
munque assegnate.  Una  tale  superficie  definisce  sempre,  secondo  Riemann, 
una  classe  di  corrispondenti  funzioni  algebriche.  Questo  importante  ri- 
sultato che  Riemann  deduceva,  in  modo  non  rigoroso,  applicando  il  così 
detto  principio  di  Dirichlet,  venne  posto  fuori  di  dubbio  dalle  ricerche 
di  Neumann  e  Schwarz. 

Noi  ci  limiteremo  all'avere  così  accennato  a  questo  punto  più  elevato 
di  vista,  e  nelle  ricerche  ulteriori  del  presente  capitolo  supporremo  sem- 
pre data  un'equazione  algebrica  fondamentale 

(1)  /■(«•,  z)  =  0 

e  costruita  la  corrispondente  superficie  R  di  Riemann,  alla  quale  appli- 
cheremo le  nostre  considerazioni. 

Sopra  una  superficie  Riemanniana  R  si  possono  studiare  le  funzioni 
di  variabile  complessa  precisamente  come  sull'ordinario  piano  semplice, 
ed  è  appunto  di  questo  studio  che  vogliamo  ora  occuparci.  Ma  in  primo 


FUNZIONI   UNIFORMI    SULLA   SUPERFICIE   RIEMANNIANA  227 

luogo,  per  maggiore  chiarezza  e  brevità  dell'esposizione,  definiamo  ciò 
che  intenderemo  per  variabile  iwindpale  in  un  punto  della  superficie  di 
Eiemann.  Se  il  punto  z  =  a  che  si  considera  è  un  punto  ordinario  (non 
di  diramazione)  a  distanza  finita,  chiameremo  variabile  principale  il  bi- 
nomio z  —  a  ed,  ove  il  punto  ordinario  in  considerazione  sia  all'infinito, 

la  variabile  principale  nel  punto  sarà  -  . 

Quando  il  punto  z  =  a  sia  un  punto  di  diramazione  a  distanza  finita 
d'ordine  r — 1,  la  sostituzione 

z — a  =  f 

darà  la  rappresentazione  conforme  dell'intorno  del  punto  in  considera- 
zione sopra  un  disco  circolare  semplice  del  piano  ^  e  si  assumerà  allora 


t=  {z-a)' 

come  variabile  principale.  In  fine  se  il  punto  di  diramazione  d'ordine 
r-1  è  all'infinito,  prenderemo  corrispondentemente  per  variabile  prin- 
cipale 

i_ 

t  =  z     '■  . 

Una  funzione  v  di  variabile  complessa  sulla  superficie  R  si  dirà  re- 
golare in  un  punto  se  essa  è  sviluppabile  nell'intorno  del  punto  in  serie 
di  potenze  intere  e  positive  della  variabile  principale,  per  il  che  sarà 
necessario  e  sufficiente,  secondo  il  teorema  di  Cauchy,  che  essa  sia  finita, 
continua  e  monodroma  nell'intorno  del  punto.  Similmente  nell'intorno 
di  un  punto  singolare  isolato  la  v,  supposta  monodroma  nell'intorno,  sarà 
sviluppabile  in  serie  di  Laurent  per  le  potenze  intere  ascendenti  e  di- 
scendenti della  variabile  principale  f  e,  se  la  seconda  parte  sarà  una  serie 
infinita,  la  singolarità  si  dirà  essenziale;  polare  nel  caso  opposto. 

In  quest'ultimo  caso  si  dirà  ordine  della  singolarità  polare  o  d'infi- 
nito l'esponente  della  massima  potenza  negativa  di  t,  che  figura  nello 
sviluppo.  In  modo  del  tutto  simile  si  definirà  l'ordine  di  infinitesimo  in 
un  punto  z  =  a,  ove  la  funzione  v  si  annulli,  coraportandovisi  regolar- 
mente; l'infinitesimo  di  1.°  ordine  in  qualsiasi  punto  della  superficie  Rie- 
manniana  è  dunque  dato  dalla  prima  potenza  f  della  variabile  principale. 


228  CAPITOLO  vili.  —  §.  87 

Particolarmente  importanti  sono  le  funzioni  v  che  esistono  su  tutta 
la  superficie  Riemanniana  e  sono  ivi  monodrome,  cioè  le  funzioni  uni- 
formi della  superficie  Riemanniana.  Formiamo  subito  di  tali  funzioni, 
considerando  un  polinomio  razionale  intero  in  ir,  i  cui  coefficienti  siano 
funzioni  uniformi  di  z  in  tutto  il  piano  complesso.  Il  grado  di  questo 
polinomio  si  potrà  abbassare  ad  m — 1,  tenendo  conto  dell"  equazione  (1) 
di  grado  m  in  iv,  cui  w  soddisfa,  e  si  avrà  così 


(2) 


f  =  7.0  -f  yiw  -{-  a^w^  -{-...  -{-  a„,_i  w'"  \ 


dove  le  a  sono  funzioni  uniformi  di  z  in  tutto  il  piano  complesso.  È  evi- 
dente che  una  tale  funzione  v  è  uniforme  sulla  superficie  Riemanniana; 
i  suoi  punti  singolari  si  trovano  unicamente  fra  i  punti  singolari  (poli) 
della  funzione  algebrica  tv  ed  i  punti  singolari  dei  coefficienti  a. 

Dimostriamo  ora  inversamente  che  la  (2)  ci  dà  la  più  generale  espres- 
sione di  una  funzione  uniforme  sulla  superficie  Riemanniana.  Per  ciò 
osserviamo  che  una  funzione  monodroma  v  sulla  superficie  Riemanniana, 
considerata  come  funzione  analitica  sul  piano  semplice  z,  avrà  in  ogni 
punto  m  ed  m  determinazioni  soltanto  distinte  {m  rami),  che  indiche- 
remo con 

Vy  ,    ^2  ,    .  .  .  Vm  ì 

corrispondentemente  ai  valori 

che  hanno  luogo  per  iv  nei  punti  sovrapposti  degli  m  fogli.  La  mono- 
dromia  di  v  sulla  superficie  Ri^nanniana  si  tradurrà  nel  piano  semplice 
z  in  ciò  che  per  qualunque  cammino  chiuso  tracciato  in  questo  piano  le 
t\ , ro . . .  Vm  subiranno  la  medesima  sostituzione  di  iVi,  ivz.. .  Wm-  Ciò  posto, 
se  dalle  m  equazioni  lineari: 

Vi  =  y-o  +  ai  wi  4-  72  IVI  -\-  . . .-{-  «m-i  ?<"i'~^ 

^'2   =  «0  +   «1  «^"2    1-   7-2  ivi    ^   ...   -i-  7m-2  «^"P^ 


■Vm=  7-0  +  7i  Wm-\-  72  ivi  -f  •  •  •  +  ^-m-l  «^^ 


m—1 


FUNZIONI   UNIFORMI    SULLA    SUPERFICIE    RIEMANNIANA  229 

ricaviamo  i  valori  delle  a,  troviamo  per  una  qualunque  di  esse: 
1     ....        ,„!-i  .,.  .,.'+1 


(3) 


a,-  (^)  = 


1 


U'i 


Wì 


+1 


It'l 


Wi 


'+1 


Wi 


Wm' 


,_i       ,.        ,+1 


r—l         r  r+1 

tV2         W2    M'2 


tu— 1 
IV2 


W2 


dove  il  determinante  denominatore,  come  prodotto  delle  differenze  di 
u\ ,  u-2 ,  . .  iVm  è  certamente  diverso  da  zero  (salvo  che  nei  punti  di  dira- 
mazione). Un  giro  qualunque  nel  piano  semplice  z,  producendo  la  me- 
desima sostituzione  sopra  Vi ,V2...Vm  come  sopra  iCi  ivz, ..  tVm ,  non  altera 
il  secondo  membro  della  (3)  e  perciò  a,,  {z)  è  una  funzione  uniforme  di 
z  nel  piano  semplice  z.  Così  adunque:  Qualunque  funzione  uniforme  v 
sulla  superficie  liiemanniana  può  porsi  sotto  la  forma  (2),  dove  le  a  sono 
fmizioni  uniformi  di  z  nel  piano  semplice. 


Teorema  di  Cauchy,  residui  e  indicatore  logaritmico. 

Alle  funzioni  uniformi  sulla  superficie  Riemanniana  possono  esten- 
dersi i  teoremi  fondamentali  relativi  alle  funzioni  uniformi  sul  piano 
semplice,  come  ora  vogliamo  brevemente  dimostrare.  In  primo  luogo  sup- 
poniamo che  in  un'  area  connessa  della  superficie  Riemanniana  la  nostra 
funzione  uniforme  v  sia  dappertutto  regolare  e  dimostriamo  che  sussi- 
sterci ancora  il  teorema  fondamentale  di  Cauchy: 

/  vdz  =  Q , 


r  integrale  essendo  esteso  al  contorno  completo  dell'area.  Se  quest'area 
occupa  col  suo  contorno  un  solo  strato  della  superficie  Riemanniana,  la 
cosa  è  evidente,  non  differendo  allora  il  teorema  dall'ordinario. 


230  CAPITOLO  Vili.  —  §.  88 

Se  al  contrario  essa  occupa  più  strati,  basterà  decomporre  l'area  in 
tante  aree  parziali,  ciascuna  delle  quali  si  trovi  tutta  in  un  solo  foglio, 
ciò  che  si  può  sempre  fare  aggiungendo  convenienti  contorni.  Gli  inte- 
grali estesi  al  contomo  completo  di  ciascuna  area  parziale  saranno  nulli 
ciascuno  per  sé  e  per  ciò  anche  la  loro  somma,  nella  quale  gli  integrali 
estesi  ai  contorni  aggiunti  si  distruggeranno  due  a  due,  perchè  percorsi 

ciascuno  due  volte  in  senso  contrario,  e  rimarrà  appunto  fvclz  =  0. 

Js 

Al  teorema  di  Cauchy  si  lega  la  considerazione  dei  residui.  Per  re- 
siduo in  un  punto  della  superficie  Riemanniana  di  una  funzione  v,  che 
ivi  abbia  al  più  una  singolarità  isolata,  intendiamo,  in  analogia  colla  de- 
finizione  data  pel  piano   semplice,   il   valore  dell"  integrale  ^ — :  /  v  dz 

esteso,  nel  senso  positivo,  ad  una  curva  chiusa  ':;  che  limiti  V  intomo  del 
punto.  Come  al  §.  53,  si  vedrà  che  se  il  punto  z  =  ak  un  punto  ordinario 
della  superficie  Riemanniana  a  distanza  finita,  il  residuo  di  v  m  z  =  a 

sarà  il  coefficiente  di  nello  sviluppo  di  v;  e  se  si  tratta  di  un 

z  —  a 

punto  (ordinario  per  la  superficie  Riemanniana)  all'  infinito,  il  residuo  sarà 

il  coefficiente  di  -  cangiato  di  segno. 

z 

Sia  ora  z  =  a  un  punto  di  diramazione  a  distanza  finita,  d'ordine  r — 1. 
Per  calcolare  il  residuo,  cioè  il  valore  dell'integrale 


J\  V  dz , 


converrà  in  questo  caso  introdurre  la  variabile  principale  t  (§.  87),  po- 
nendo 

z  —  a  =  V , 

e  risulterà 

J-Ldz  =  r.^j  vf-'dt, 

l'integrale  del  secondo  membro  essendo  esteso  ad  una  piccola  curva 
chiusa  s,  che  nel  piano  semplice  t  giri  una  volta  attorno  a  t  =  0.  Se 
supponiamo  adunque  che  nello  sviluppo  di  v  nell'intorno  (ìi  z  =  a  per 


RESIDUI  231 


L  1 

potenze  di  {z  —  a)'-  sia  B  il  coeftìciente  di  -,  pel  valore  del  resi- 

z  —  a 

duo  avremo  precisamente 


^    .  ,   ^  dz  =  rB 


Affatto  similmente  si  vedrà  che,  se  il  punto  di  cui  si  tratta  è  all'infi- 
nito ed  è  nello  stesso  tempo  un  punto  di  diramazione  dell'ordine  r — 1, 
il  residuo  sarà  dato  da  — rB,  indicando  nuovamente  B  il  coefficiente 

di       nello  sviluppo  di  v  neir  intorno  di  quel  punto. 

Dopo  queste  considerazioni  è  manifesto  che  se  in  un'area  della  su- 
perficie Riemanniana  avremo  una  funzione  monodroma  dappertutto  re- 
golare, salvo  che   in   un   numero  finito   di   punti  singolari,   l'integrale 

- — :   /  vdz,  esteso  al  contorno  dell'area,  sarà  eguale  alla  somma  dei 

2  TI  l  Js 

residui  nell'interno. 

Si  può  facilmente  estendere  anche  il  teorema  sull'indicatore  logari- 
tmico di  Cauchy  (§.  56),  supponendo  di  considerare  un'area  della  super- 
ficie Biemanniana  ove  la  funzione  uniforme  non  abbia  nell'interno  che 
singolarità  polari  (e  per  ciò  in  numero  finito)  e  sul  contorno  non  diventi 
né  zero  ne  infinita.  Se  consideriamo  infatti  il  modo  di  comportarsi  della 

V 

derivata  logaritmica  ~ ,  facilmente  vediamo  che  essa  ha  singolarità  po- 
lari del  1.°  ordine  dove  la  v  diventa  infinitesima  o  infinita  e  precisa- 
mente con  residuo  eguale  all'ordine  di  infinitesimo  di  v  o  a  quello  del- 
l' infinito,  preso  questa  -  seconda  volta  col  segno  contrario.  E  infatti 
supponiamo  p.  e.  che  in  z  =  a  \sl  v  diventi  infinitesima  d'ordine  q  e,  per 
maggiore  generalità,  supponiamo  che  questo  punto  sia  di  diramazione 
dell'ordine  r — 1;  avremo  nell'intorno  di  a  per  v  uno  sviluppo  della 
forma 

v={z-ay     ao  -|-  ^-1  (^  -  «)  '"  +  • .     > 


con  a^^O,  e  perciò 


V        r{z-a)  ^^        '   "^ 


232  CAPITOLO  vili.  —  §§.  88,  89 

v' 
Il  residuo  di  —  in  ^  =  a  è  adunque 

V 

come  si  è  asserito.  Affatto   analogamente  si  procederà  nel   caso  di  un 
infinito  e  nel  caso  in  cui  l'infinitesimo  o  il  polo  di  v  sia  all'infinito. 

Ma  qui  è  da  notarsi  che,  a  differenza  delle  funzioni  uniformi  sul  piano 
semplice,  la  derivata  logaritmica  può  avere  singolarità  polari  anche  in 
punti  dove  la  funzione  è  regolare  e  non  infinitesima;  in  tal  caso  però 

il  residuo  di  -  sarà  ivi  nullo.  E  infatti  la  circostanza  notata  può  veri- 

V 

ficarsi  solo  in  un  punto  di  diramazione,  sia  p.  e.  ^  =  a,  a  distanza  finita  ; 
se  esso  è  dell'ordine  ^'-1,  avremo  nell'intorno 


2 


V  =  «0 4-  «1  (s - «) "■  +  «2  {z-a)'-  -\-  . . 
con  «0+0,  e  perciò 

Come  si  vede,  nello  sviluppo  di  -  vi  sono  anche,  in  generale,  po- 

1 
tenze  negative  di  {z  —  ay  ,  ma  con  esponente  non  eccedente  r  —  le 

per  ciò  il  residuo  è  certamente  nullo,  e.  d.  d. 

Dopo  ciò  è  evidente  che  la  formola  dell'indicatore  logaritmico: 

sarà  applicabile  anche  sulla  superficie  Riemanniana. 

§.  89. 
Funzioni  razionali  sulla  superficie  Riemanniana. 

Fra  le  funzioni  uniformi  sopra  la  sfera  Riemanniana  particolarmente 
notevoli  sono  quelle  che  offrono  soltanto  singolarità  polari,  e  diconsi  fun- 
zioni razionali  sulla  superficie  Riemanniana  perchè,  come  ora  dimostre- 
remo, esse  sono  in  ogni  caso  funzioni  razionali  delle  due  variabili  w,  z, 


FUNZIONI   RAZIONALI   SULLA   SUPERFICIE  RIEMANNIANA  233 

legate  fra  loro  dalla  equazione  fondamentale  (1).  Ad  una  tale  funzione 
razionale,  tenendo  conto  della  (1)  stessa,  si  potrà  sempre  dare  la  forma 

(4)  V  =  «0  -(-  «1  tv  -f  «2  iv^-\-  . .-{-  y-m-i  tv'"~\ 

dove  le  a  sono  funzioni  razionali  di  z.  Che  una  funzione  data  dalla  (4) 
sia  uniforme  sulla  sfera  Riemanniana  ed  abbia  soltanto  singolarità  polari, 
risulta  chiaramente  da  ciò  che  i  punti  singolari  della  funzione  algebrica 
iv  sulla  sfera  Riemanniana  sono  appunto  di  natura  polare  (§.  79),  e  d'al- 
tronde le  7.,  come  funzioni  razionali  di  z,  hanno  già  soltanto  singolarità 
polari  nel  piano  z. 

Ma  la  proposizione  inversa  enunciata  risulta  pure  facilmente  da  quanto 
si  è  visto  al  §.  87.  Supposto  infatti  la  v  uniforme  su  tutta  la  sfera  Rie- 
manniana, potremo  scrivere  la  (4)  e  le  a  saranno  funzioni  uniformi  di  z 
nel  piano  z.  Ora,  se  la  v  ha  soltanto  singolarità  polari,  nello  sviluppo  in 
serie  degli  m  rami  della  v  per  potenze  della  variabile  principale  il  nu- 
mero delle  potenze  negative  sarà  in  ogni  caso  finito,  e  la  formola  (3) 
pag.  229  per  la  a,-  dimostra  che  nello  sviluppo  in  serie  di  a,-  per  potenze  di 

z  —  e  0  di  -,  nell'intorno  di  un  punto  singolare  z  =  e  o  z=  ce,  le  po- 
tenze negative  saranno  sempre  in  numero  finito.  Dunque  le  a,  essendo 
uniformi  in  tutto  il  piano  complesso  z  e  con  sole  singolarità  polari,  sa- 
ranno appunto  funzioni  razionali  di  z,  e.  d.  d. 

Una  funzione  razionale  v  sulla  superficie  Riemanniana  non  può  man- 
care affatto  di  poli,  a  meno  che  non  si  riduca  ad  una  costante.  In  caso 
contrario  infatti,  se  indichiamo  con  Vi,  v^, . .  v„t  le  m  determinazioni  di  v, 
le  loro  funzioni  simmetriche  elementari 

^Vi  ,    2  Vi  Vk  ,    2  ^'  ^/'  ^'  •  •  • 

sarebbero  funzioni  razionali  di  z  prive  di  polì  e  per  ciò  costanti,  onde 
V  stessa  sarebbe  costante.  Una  funzione  razionale  v  sulla  superficie  Rie- 
manniana ha  quindi  un  certo  numero  (finito)  di  poli  e  se  applichiamo 
le  considerazioni  stesse  del  §.54  troviamo:  La  somma  di  tutti  i  residui 
di  una  funzione  razionale  sulla  superficie  Riemanniana  è  nidla. 

Se  si  osserva  ora  che  la  derivata  logaritmica  di  una  funzione  razio- 
nale è  ancora  una  funzione  razionale  e  si  applica  alla  derivata  logarit- 
mica il  teorema  precedente,  ricordando  le  proprietà  osservate  al  §.  88, 
si  trova  il  teorema: 


234  CAPITOLO  Vili.  —  §.  89 

Ogni  funzione  razionale  sulla  superficie  Riemanniana  diventa  tante 
volte  zero  quante  volte  mfinìta. 

Più  in  generale  se,  indicando  con  ìi  una  costante  qualunque,  consi- 
deriamo in  luogo  della  v  la  funzione  v  —  It  vediamo  che  :  Una  funzione 
razionale  sulla  superficie  Riemanniana  riprende  il  medesimo  numero  di 
volte  qualunque  valore  prefissato. 

Questo  numero  costante  dicesi  l'ordine  od  anche  la  valenza  della  fun- 
zione razionale  v.  Così,  in  particolare,  se  l'equazione  fondamentale  (1) 
sarà  di  grado  m  in  tv  e  di  grado  n  in  z,  la  funzione  razionale  w  sarà 
di  valenza  w  e  la  ^  di  valenza  m. 

Si  osservi  che  dalle  osservazioni  generali  precedenti  seguono  le  due 
proposizioni: 

1.*  Due  funzioni  razionali  sulla  superficie  Riemanniana,  che  abbiano 
a  comune  gli  infinitesimi  e  gli  infiniti,  non  jìossono  differire  che  per  un 
fattore  costante. 

2."  Due  funzioni  razionali,  che  abbiano  a  comune  gli  infiniti  ed  i  ter- 
mini d'infinito,  non  possono  differire  che  per  una  costante  additiva. 

Le  proprietà  delle  funzioni  razionali  sopra  una  superficie  Rieman- 
niana fin  qui  sviluppate  offrono,  come  si  vede,  la  più  completa  analogia 
con  quelle  delle  ordinarie  funzioni  razionali.  Ma  diciamo  subito  che,  pro- 
seguendo questi  studi,  si  manifestano  altresì  profonde  differenze.  Un 
fatto  nuovo  fondamentale  si  presenta  allorquando,  cercando  di  invertire 
le  due  proposizioni  precedenti,  si  proponga  di  costruii-e  una  funzione 
razionale  della  superficie  Ptiemanniana  che  abbia  assegnati  infinitesimi 
ed  infiniti,  ovvero  infiniti  assegnati  con  prescritti  termini  d'infinito.  Come 
nel  caso  delle  ordinarie  funzioni  razionali,  la  funzione  cercata,  se  esiste, 
sarà  determinata  a  meno  di  un  fattore  costante  nel  primo  caso  e  a  meno 
di  una  costante  additiva  nel  secondo.  Ma  mentre  per  le  ordinarie  fun- 
zioni razionali  quegli  elementi  possono  darsi  affatto  ad  arbitrio  ed  esi- 
ste sempre  la  corrispondente  funzione,  per  una  superficie  Riemanniana 
al  contrario  fra  questi  elementi  dovrà  sussistere  un  certo  numero  di 
relazioni  (dipendenti  dalla  connessione  multipla  della  superficie)  affinchè 
la  funzione  cercata  esista.  Così  fra  le  posizioni  dei  poli  e  quelle  degli 
infinitesimi  di  una  funzione  razionale  debbono  sussistere  relazioni,  che 
sono  fornite  da  un  celebre  teorema  d'Abel. 


235 


§.  90. 
Nozioni  sugli  integrali  Abeliani. 

Diconsi  integrali  Abeliani  gli  integrali  delle  funzioni  razionali  sopra 
una  superficie  Riemanniana.  Siccome  ogni  tale  funzione  razionale  è  alla 
sua  volta  una  funzione  algebrica  di  ;s,  si  possono  anche  definire  gli  in- 
tegrali Abeliani  come  gli  integrali  delie  funzioni  algebriche.  Nel  presente 
§.  ci  proponiamo  di  dare  le  primissime  nozioni  su  questi  integrali  con- 
siderati come  funzioni  (multiformi)  sulla  superficie  Riemanniana,  limi- 
tandoci a  riconoscere  la  natura  dei  loro  punti  singolari  e  la  loro  classi- 
ficazione in  tre  specie. 

Essendo 

(1)  f{iv,z)  =  0 

l'equazione  fondamentale  e 

V  =  'S  (w,  z) 

una  funzione  razionale  qualsiasi  di  tv,  z,  che  potremo  sempre  ridurre  alla 
forma  (4)  §.  89,  Tespressione  più  generale  di  un  integrale  Abeliano  cor- 
rispondente sarà 


=/" 


dz 


Esaminiamo  il  modo  di  comportarsi  di  un  integrale  Abeliano  nel- 
r  intorno  di  un  punto  qualsiasi  della  superficie  Riemanniana.  Sia  dapprima 
^=c  un  punto  ordinario  a  distanza  finita.  La  funzione  razionale  v  sarà 
regolare  in  z  =  c,  o  al  massimo  vi  avrà  un  polo  di  un  certo  ordine  n, 
sicché  neir  intorno  di  ^  =  e  avremo 

■A-o  I  Al  .  ,     Am_i     ,    Ti  /  \ 

'^  = -(j::^  +  (TT^pr  +  •  ■  •  +  7Z7  +  P  (^  - '') 

ed  integrando  avremo 

j ^ I Al A>i_2    1 

~  {\-n){z-  cy-^  ^  {2-n)(z-cy-'  +•••""  ^^  "+- 

+  A^i  log  {z-c)  +  ?,{z-c). 


236  CAPITOLO  vili.  —  §.  90 

Se  manca  il  residuo  A,j_i,  l'integrale  J  sarà  monodromo  nell'intorno 
di  2=c  e  YÌ  avrà  un  polo  dell'ordine  n —  1.  Quando  sia  A,r_i  ^  0,  l'in- 
tegrale J  avrà  inoltre  in  2  =  e  una  singolarità  logaritmica  e  sarà  poli- 
dromo  nell'intorno  di  z  =  c,  col  modulo  di  periodicità  2-iA„_i.  Una 
conclusione  affatto  analoga  si  trae  quando  il  punto  ordinario  2  =  e  è 
air  infinito.  Avremo  infatti  allora  nell"  intorno  di  z=  x  : 

A         1      / 1  "^ 

V  =  «0 .2"  +  «1  ^"~'  H-  . . .  +  (i>v-i  s  -\-  an-\ h-iP— ) 

^  Z  \Z  J 

e  però 

Anche  qui  adunque  la  singolarità  dell'integrale  m  z^=-jj  consiste  in 
una  singolarità  polare  (dell'ordine  n  +  1)  sovrapposta  ad  una  singolarità 
logaritmica,  la  quale  ultima  manca  se  è  nullo  il  residuo  dell'integrando  v. 

Consideriamo  ora  un  punto  z  =  c,  a  distanza  finita,  che  sia  di  dira- 
mazione dell'ordine  r — 1;  avremo  nell" intorno  di  esso 


Ao 
V  = 


T  +  -A^r  4-  . . .  +  -^  +  P  ix^-cV)  , 


(z — e)"       {z — e)  >■  (z — e)' 

e  quindi  integrando  otterremo  per  J  un'espressione  della  forma 

J  =  R  log  {z—c)  r  {z—c)  ~  '  Pi  (s^—cy)  , 

dove  il  termine  col  logaritmo,  che  rende  l'integrale  polidromo  nell'intorno 

di  z=^c,  si  presenterà  soltanto  quando  non  sia  nullo  il  residuo  R  di  v. 

1 
Quanto  alle  potenze  negative  di  {z  —  e)''  ,  esse  mancheranno  affatto  se 

si  ha  n  <  r,  se  cioè  l'ordine  d'infinito  dell'integrando  non  supera  l'or- 
dine del  punto  di  diramazione.  In  questo  caso  la  singolarità  dell'inte- 
grando sparisce  nell'integrazione. 

Se  in  fine  il  punto  di  diramazione  dell'ordine  ;•  è  all'infinito,  avremo 

v=^  a^^z'  -{■  a^z  '    -[-  .  .  .   t-  a„,_i  z'  -]-  am-\ y  ^ ^2"  +  •  •  • 

z^       0^ 


INTEGRALI    ABELIANI  237 

e  nell'integrale  avremo  un  termine  col  logaritmo  se  il  residuo  h,-  non 

1 
sarà  nullo,  ed  inoltre  un  certo  numero  di  potenze  positive  di  z''  ,  per  ef- 
fetto delle  quali  l'integrale  vi  avrà  inoltre  una  singolarità  polare. 

Mancherà  nell'  integrale  ogni  singolarità  allora  soltanto  quando  l' in- 
tegrando si  annulli  nel  punto  z=  oo  considerato  almeno  d'ordine  r+  1. 

Riassumendo,  vediamo  che  ogni  integrale  Abeliano  ha  sulla  superficie 
Riemanniana  un  numero  finito  di  singolarità  polari  o  logaritmiche.  Que- 
ste ultime  mancano  solo  quando  sono  nulli  tutti  i  residui  della  funzione 
razionale  integranda.  Una  prima  classificazione  degli  integrali  Abeliani, 
corrispondente  a  queste  proprietà  generali,  li  divide  in  due  categorie, 
assegnando  alla  prima  categoria  quelli  che  non  hanno  alcuna  singolarità 
logaritmica,  che  hanno  cioè  soltanto  singolarità  polari,  ed  invece  alla 
seconda  categoria,  od  anche  alla  terza  specie,  quelli  che  presentano  sin- 
golarità logaritmiche. 

Un  integrale  di  prima  categoria  nell'  intorno  di  qualsiasi  punto  della 
superficie  Riemanniana  è  monodromo;  ma  sarebbe  erroneo  il  conclu- 
derne la  monodromia  sull'intera  superficie  Riemanniana.  Tale  conclusione 
è  legittima  soltanto  quando  la  superficie  Riemanniana,  come  più  avanti 
diremo,  è  semplicemente  connessa  ossia  di  genere  zero. 

Gli  integrali  di  prima  categoria  si  distinguono  poi  in  integrali  di 
prima  specie  e  integrali  di  seconda  specie.  Diconsi  di  prima  specie  quelli 
che  non  hanno  singolarità  alcuna,  di  seconda  quelli  che  hanno  qualche 
singolarità  (polare).  Perchè  un  integrale 


-/• 


d^ 


sia  di  prima  specie  è  necessario  e  sufficiente,  per  quanto  sopra  abbiamo 
osservato,  che  siano  soddisfatte  le  condizioni  seguenti: 

1.°  La  funzione  razionale  v  deve  avere  i  suoi  poli  soltanto  nei  punti 
di  diramazione  e  in  ogni  tale  punto  Vordine  del  polo  non  deve  superare 
Vordine  del  punto  di  diramazione. 

2."  In  ogni  punto  alV  infinito  della  superficie  Riemanniana  la  v  deve 
diventare  infinitesima  e  precisamente  almeno  delVordine  r+  1,  se  in  quél 
punto  sono  congiunti  ciclicamente  r  fogli. 

Osserviamo  che  se 

Ji  ,  J2 ,  . .  Ji 

sono  altrettanti  integrali  di  prima  specie,  anche  qualunque  loro  combi- 


238  CAPITOLO  vili.  —  §§.  90,  91 

nazione  lineare  a  coefficienti  costanti  è  un  integrale  di  prima  specie.  Per 
ogni  superficie  Riemanniana  il  numero  degli  integrali  linearmente  distinti 
di  prima  specie  è  sempre  un  numero  finito  p.  Questo  numero  dicesi  il 
genere  della  superficie  Riemanniana  ed  lia  la  massima  importanza  nella 
teorica  generale  di  Riemann.  Di  altre  definizioni  del  genere  parleremo 
più  avanti. 

Osserviamo  in  fine  di  quale  natura  sarà  la  polidromia  di  un  integrale 
Abeliano  qualunque  sulla  superficie  Riemanniana. 

Poiché  la  derivata  di  un  integrale  Abeliano  è  una  funzione  mono- 
droma  (razionale),  due  diversi  rami  del  medesimo  integrale  non  possono 
difi'erire  che  per  una  costante.  Queste  costanti,  di  cui  aumenta  un  inte- 
grale Abeliano  per  un  giro  chiuso  sulla  R,  diconsi  i  suoi  moduli  di  pe- 
riodicità. Un  integrale  di  prima  categoria  ha  precisamente  2p  moduli  di 
periodicità  distinti,  essendo  p  il  genere.  Per  un  integrale  di  seconda 
categoria  (o  terza  specie)  vi  si  aggiungono  altrettanti  nuovi  moduli  di 
periodicità  quante  sono  le  singolarità  logaritmiche. 

§.  91. 
Caso  iperellittico. 

Per  alcune  delle  proprietà  considerate  nei  due  §§.  precedenti,  come 
per  le  condizioni  d' esistenza  di  una  funzione  razionale  sulla  R  con  asse- 
gnati elementi  e  per  l'esistenza  ed  il  numero  degli  integrali  di  prima 
specie,  abbiamo  dovuto  limitarci  al  semplice  enunciato,  né  possiamo  ad- 
dentrarci in  un  tale  studio  generale.  Vogliamo  però  in  un  caso  partico- 
lare semplice,  nel  caso  iperellittico,  confermare  ed  illustrare  le  proposi- 
zioni enunciate.  Prendiamo  per  ciò  la  superficie  Riemanniana  a  due  fogli 
del  §.  84  costruita  per  V  equazione  algebrica 

dove  P  is)  è  un  polinomio  razionale  intero  in  z  di  grado  2^  +  2  o  2^+1,  e 
cerchiamo  di  costruire  una  funzione  razionale  sulla  superficie  Rieman- 
niana che  diventi  infinita  in  un  solo  punto  di  questa  superficie.  Per  fis- 
sare le  idee,  supponiamo  che  il  grado  del  polinomio  P(^)  sia  2^;+2  talché 
all'infinito  non  avremo  diramazione,  cioè  i  due  fogli  correranno  isolati; 
ma  si  vedrà  poi  subito  che  considerazioni  afi'atto  analoghe  valgono  per 
l'altro  caso.  Distingueremo  due  punti  sovrapposti  sui  due  fogli  per  mezzo 


ESEMPÌ    NEL    CASO   IPERELLITTICO  239 


dei  valori  uh  =  y'  P  {£) ,  W2  =^  — v  P  (^)  che  vi  ha  il  radicale.  Ogni  fun- 
zione razionale  's  sulla  superficie  Rieraanniana  ha,  secondo  il  §.  89, 
l'espressione  : 

_  A(^)  +  B(^)v/P^ 

dove  A,  B,  C  sono  tre  polinomii  razionali  interi  di  z,  privi  di  un  fattore 
comune. 

Ora  osserviamo  che  se  z^  è  una  radice  di  C  (z),  nell'uno  0  nell'altro 
dei  due  punti  sovrapposti  della  superficie  Riemanniana 

(v'PM.^o)   .    (-v'P(^,^o) 

la  nostra  funzione  z  avrà  necessariamente  un  polo.  E  infatti  perchè  ciò 
non  accadesse  bisognerebbe  che  si  a^^esse  simultaneamente 

(  A(^o)+B(^o)vP(^oj  =  0 

(o)  •  

(  A(^o)-B(^o)\/P(^o)=0; 

ora  ciò  è  assurdo  se  non  è  P  (^0)  =  0,  perchè  si  avrebbe  allora 

A  (^o)  =  0  ,    B  (^0)  =  0 

e  i  tre  polinomii  A(^),  B  (^),  C(^),  avrebbero  un  fattore  comune.  Se  poi 
P  (^u)  =  0,  se  cioè  Zo  è  un  punto  di  diramazione,  i  due  punti  considerati 
coinciderebbero  e  coinciderebbero  pure  le  due  equazioni  (6)  nell'unica 
A  (^0)  =  0.  Ma,  pure  supposta  questa  soddisfatta,  non  cesserebbe  di  sus- 
sistere la  proprietà  enunciata  poiché,  soppresso  il  fattore  \/'z  —  z^  co- 
mune al  numeratore  ed  al  denominatore  della  z,  il  numeratore  non  si 
annullerebbe  più  per  z  =  Zo  e  perciò  z  diventerebbe  ivi  in  ogni  caso 
infinita. 

Se  vogliamo  adunque  che  la  funzione  9  diventi  infinita  in  un  solo 
punto  {iCo,z^),  che  supponiamo  dapprima  a  distanza  finita  e  distinto  da 
un  punto  di  diramazione,  dovrà  manifestamente  C  {z)  differire  da  una  po- 
tenza di  z  —  Zo  solo  per  un  fattore  costante,  sicché  potremo  porre  sen- 
z'  altro 

c(.~)  =  c^-^or 

e  dovrà  inoltre  il  numeratore  annullarsi  in  {-Wo,z^)  almeno  dell'ordine 
r,  dopo  di  che  la  ©  avrà  in  (wo,  ^0)  un  polo  d'ordine  r.  Poiché  inoltre 


240  CAPITOLO   Vili. —  §,  91 

la  'f  deve  serbarsi  finita  all' infinito  sopra  ambedue  i  fogli  della  superficie 
Riemanniana,  cioè  nelle  sue  detei-rainazioni 


lo  stesso  dovrà  avvenire  delle  frazioni 


A{z)        B(0)v'P(^) 


e  per  ciò,  indicando  con  m,  n  i  rispettivi  gradi  di  A,  B,  dovremo  avere 

m<^r  ,    M+J9+1  <^  r  , 

quindi  in  ogni  caso  sarà 

r  >  ^  -f~  1 

Abbiamo  dunqne  il  risultato: 

Se  ima  fimsione  razionale  's  sulla  nostra  superficie  liiemanniana  ha 
un  solo  polo,  distinto  da  un  punto  di  diramazione,  Vordine  di  questo  polo 
(cioè  la  vcdenza  della  funzione)  non  può  essere  inferiore  a  p+1. 

Alla  medesima  conclusione  si  arriva  se  si  suppone  che  l'unico  polo 
di  's  sia  all'infinito.  Allora  la  's  ha  manifestamente  la  forma 


'f  =  A(^)  +  B(^)v/P(^), 
la  C  essendo  una  costante,  e  se  una  delle  determinazioni  della  's  all'infi- 


nito si  serba  finita,  l'altra  vi  diventa  infinita  almeno  dell'ordine  di  v  Pl-^) 
cioè  dell'  ordine  p  +  1. 

Possiamo  dunque  dire  che  fra  le  funzioni  che  diventano  infinite  in 
un  solo  punto  della  superficie,  distinto  da  un  punto  di  diramazione, 
mancano  quelle  degli  ordini 

1,2,  3,...p. 

Esistono  invece  quelle  di  tutti  gli  altri  ordini,  poiché  le  condizioni 
a  ciò  necessarie  si  traducono  pei  coefficienti  dei  polinomii  A  (z),  B  (z) 
in  equazioni  lineari  ed  omogenee  in  numero  inferiore  al  numero  dei  coef- 
ficienti disponibili. 


ESEMPÌ   NEL   CASO   IPERELLITTICO  241 

Vediamo  ora  facilmente  che  anche  nel  caso  in  cui  Zo  sia  in  un  punto 
di  diramazione  vi  sono  sempre  p  ordini  mancanti;  soltanto  non  sono  più 
gli  ordini  precedenti,  ma  invece  i  p  ordini  dispari 

1,3,  ò,...2p-l. 

Che  tutti  gli  ordini  pari  2r  siano  in  questo  caso  ordini  di  funzioni 
effettivamente  esistenti,  con  un  solo  polo  in  un  punto  di  diramazione  z  =  e, 
si  vede  immediatamente  considerando  la  funzione  razionale 


{z—ey 


Ma  se  vogliamo  costruire  una  funzione  «p  che  diventi  in  ^  =  «i  infinita 
d'ordine  impari  2r-l,  dovremo  porre 


^A(3)+E(^)VP(g) 

colla  condizione  A(ei)  =  0.  Però,  affinchè  all'infinito  la  tp  possa  serbarsi 
finita,  dovremo  avere  come  prima  r^p  +  1  e  per  ciò 

2»"— 1  >2p+l  , 

il  che  dimostra  appunto  che  in  tal  caso  gli  ordini  mancanti  sono 

1  ,  3  ,  . . .  2p—l . 

La  circostanza  qui  ritrovata  pel  caso  iperellittico  si  presenta  affatto 
generalmente  per  una  qualunque  superficie  Kiemanniana  e  dà  la  defini- 
zione del  genere  p  secondo  Weierstrass.  Fra  gli  ordini  delle  funzioni  ra- 
zionali, che  diventano  infinite  in  un  solo  e  medesimo  punto  della  super- 
ficie Riemanniana,  vi  è  sempre  un  numero  costante  di  lacune  (onde  il 
nome  di  Luckematz  di  Weierstrass)  e  questo  numero  costante  p  è  quello 
che  dicesi  il  genere  della  superficie  '^L 

Così  adunque  vediamo  in  particolare  che  il  genere  della  superficie 
Riemanniana  corrisjìondente  alla  equazione  algebrica 

to'  =  V{z), 
dove  P  {z)  è  un  'polinomio  di  grado  2p+2  o  2^  +  1  in  z,  è  appunto  =p. 


W  Per  un  punto  generico  della  superficie  gli  ordini  mancanti  sono  sempre 
1,2,3,  .  .  p.  Solo  per  punti  speciali  della  superficie  (punti  di  Weierstrass)  le  p 
lacune  sono  rappresentate  da  altri  numeri. 


16 


242  CAPITOLO  vili.  —  §.91 

Abbiamo  già  notato  al  §.  precedente  un'altra  definizione  del  genere, 
come  numero  degli  integrali  di  1."  specie  linearmente  indipendenti,  e 
vogliamo  qui  verificare  la  coincidenza  delle  due  definizioni  pel  caso 
iperellittico,  costruendo  l'espressione  generale  di  un  integrale  di  1.^ 
specie.  L'integrale  iperellittico 


-/ 


C{z) 


sarà  1.^  di  specie  allora  e  allora  soltanto  che  siano  soddisfatte  le  con- 
dizioni seguenti  (§.90): 

1°  La  funzione  razionale  y  sotto  il  segno  abbia  i  suoi  poli  solo  nei 
punti  di  diramazione,  ed  al  massimo  del  L°  ordine. 

2°  In  ciascuno  dei  due  punti  all'infinito,  la  'f  si  annulli  del  2.°  or- 
dine almeno. 

Per  quanto  si  è  visto  sopra,  C  (-?)  non  potrà  annullarsi  che  nei  punti 
di  diramazione 

Ci  ,  62 . . .  c^pj^ì  5 

e  se  in  ^  =  e,  sì  annulla  effettivamente  C  {z)  d'ordine  r,  la  'f  vi  avrà  un 
polo  d'ordine  2  r  se  A  (e,)  ±  0,  e  d'ordine  2  r  -  1  se  A  (e,)  =  0. 

Dunque  avremo   necessariamente  r=l,  A(e,)  =  0;  e  poiché,  per  la 

condizione  imposta   nei  punti   all'infinito,  deve^,^  annullarsi  almeno 

del  2.°  ordine  per  ^=  x ,  ne  concludiamo  che  sarà  identicamente  k{z)  =  0 
e  quindi,  essendo  P(^')  divisibile  per  C{z),  avremo: 

j_  rq  [z]  dz 
J  V'Pl^    ' 

dove  Q  (z)  è  un  polinomio  razionale  intero  in  z,  il  cui  gi*ado  non  supe- 
rerà ^-1.  L'espressione  piiì  generale  di  un  integrale  di  L*  specie  è 
adunque  nel  nostro  caso 


/a. 


+aiZ+a2S^+..+ap_izP  ^  , 

dz  ; 

V  {z—ey)  {z—e,) . . .  {z — 62^+2) 


('>  Supponiamo  anche  qui,  per  fissare  le  idee,  che  P  (2)  sia  d'ordine  pari 
2p-{-2  e  non  vi  sia  quindi  diramazione  all'infinito. 


IL  GENERE  p   SECONDO  RIEMANN  243 

come  si  vede,  esso  contiene  linearmente  p  costanti  arbitrarie  «u,  ai, ..  a^_i, 
componendosi  coi  p  integrali 

^  f    dz  _   l'zdz  f  z^dz  rzv~^dz 

J  V/P(^)  J  \/P(^)  J  \/P(^)  ^  V^P(^) 

i  quali  sono  evidentemente  indipendenti. 


§.  92. 
Il  genere  p  secondo  Riemann. 

Abbiamo  già  osservato  due  diverse  definizioni  del  genere  p,  l'una 
come  numero  delle  lacune  negli  ordini  delle  funzioni  razionali  con  un 
unico  polo  in  un  punto  fisso,  l'altra  come  numero  degli  integrali  distinti 
di  prima  specie.  Vi  ha  ancora  una  terza  definizione  del  genere,  che  è  la 
prima  in  ordine  storico,  quella  stabilita  da  Riemann  e  dipendente  dal- 
l'orc^me  di  connessione  della  superficie  Riemanniana  '^'.  Noi  non  possiamo 
qui  esporre  la  teoria  della  connessione,  ma  ci  limiteremo  ad  enunciarne 
il  concetto  fondamentale  e  a  far  conoscere  la  formola  Riemanniana  colla 
quale  si  calcola  il  genere  p,  conoscendo  il  numero  dei  fogli  della  su- 
perficie R  e  la  somma  degli  ordini  dei  suoi  punti  di  diramazione. 

Si  perviene  al  concetto  di  ordine  di  connessione  di  una  superficie  nel 
modo  seguente.  Consideriamo  dapprima  una  superficie  qualunque  f^)  do- 
tata  di  contorno  e  che  sia  connessa,  cioè  tale  che  due  punti  qualunque 
A,  B  di  essa  possano  congiungersi  con  una  linea  tutta  appartenente  alla 
superficie.  Se  lungo  una  linea  semplice,  priva  di  nodi,  che  vada  da  un 
punto  A  del  contorno  ad  un  altro  punto  B  del  contorno,  si  taglia  la  su- 
perficie, si  dice  che  si  è  eseguito  un  taglio  semplice  (Querschnitt  di  Rie- 
mann). Eseguito  il  taglio,  i  due  orli  di  esso  vengono  ad  aggiungersi  al 
primitivo  contorno,  della  qual  cosa  è  da  tenersi  conto  nell' eseguire  i 
tagli  successivi. 


(•)  È  noto  come  il  concetto  di  genere  di  un'equazione  algebrica  f{iv,  z)  =  0, 
stabilito  da  Riemann,  fu  poi  trasportato  felicemente  da  Clebsch  al  campo  geo- 
metrico, nella  teoria  delle  curve  algebriche. 

(2)  Per  la  validità  dei  teoremi  relativi  alla  connessione  è  necessario  imporre 
alle  superfìcie  che  si  considerano  alcune  condizioni  restrittive,  per  le  qiiali  vedasi 
Neumann  :  Theorie  der  Abel'  schen  Integrale.  Siebentes  Capitel. 


244  CAPITOLO  Vili.  —  §.  92 

Diciamo  semplicemente  connessa-  una  superficie  quando  qualunque 
taglio  ne  distrugga  la  connessione,  ed  invece  2^J urico) messa,  nel  caso  con- 
trario. Il  grado,  0  l'ordine,  di  connessione  si  valuta  nel  modo  seguente. 

Supponiamo  che  N — 1  tagli  semplici,  successivamente  eseguiti,  non 
tolgano  la  connessione  ma  rendano  la  superficie  semplicemente  connessa, 
talché  sia  impossibile  eseguire  un  N"""  taglio  senza  rompere  la  connes- 
sione. Si  dimostra  che  questo  numero  N — le  un  invariante;  cioè  se 
altri  N' — 1  tagli,  eseguiti  sulla  superficie  primitiva,  non  ne  rompono  la 
connessione,  ma  la  rendono  semplicemente  connessa,  si  ha  necessaria- 
mente N'  =  N.  Questo  numero  N  dicesi  l'ordine  di  connessione  della  su- 
perficie, cioè:  Una  superficie  connessa  dotata  di  contorno,  dicesi  d'ordine 
N  di  connessione,  se  si  possono  eseguire  sulla  superficie  N — 1  tar/li  sem- 
plici, che  non  tolgono  la  connessione  alla  superfìcie,  ma  la  rendono  sem- 
plicemente connessa. 

In  una  superficie  semplicemente  connessa  il  contorno  consta  neces- 
sariamente di  una  sola  linea  chiusa  '^'  e,  poiché  per  ogni  taglio  semplice 
il  numero  dei  contorni  di  una  superficie  cresce  o  diminuisce  di  un'unità, 
ne  segue  che  se  una  superficie  con  n  contorni  si  rende  semplicemente 
connessa  con  N  —  1  tagli,  si  ha  necessariamente 

N — l^n^-l     (mod  2) 

ossia  :  L'ordine  di  connessione  di  una  superfìcie  connessa  è  pari  o  dispari, 
secondo  che  il  numero  dei  suoi  contorni  è  pari  o  dispari. 

Fino  ad  ora  abbiamo  supposto  la  superficie  dotata  di  contorno.  Se 
essa  è  chiusa,  si  immagina  di  darle  un  contorno  asportandone  l' intorno 
di  un  punto  ;  la  piccola  curva  chiusa  che  delimitava  l' intorno  forma  al- 
lora il  contorno  (unico).  L'ordine  di  connessione  di  questa  superficie, 
necessariamente  dispari,  dicesi  anche  l'ordine  di  connessione  della  su- 
perficie chiusa.  Indicandolo  con  2p-\-\,  il  numero^  prende  il  nome  di 
genere  della  superficie,  cioè:  Una  superficie  chiusa  connessa,  d'ordine  2  p+l 
di  connessione,  dicesi  di  genere  p.  Si  vede  subito  che  il  genere  di  una 
superficie  chiusa  non  muta  per  deformazione  continua  (§.  83)  della  su- 
perficie. 


(')  Si  a^"^'erta  che  tale  condizione  necessaria  per  la  connessione  semplice  è  ben 
lungi  dall'essere  sufficiente.  Così  p.  e.  la  superficie  di  un  anello  (toro),  alla  quale 
sia  dato  un  contorno  asportandone  l' intorno  di  un  punto,  è  triplamente  connessa. 


GENERE   DI   UNA   SUPERFICIE   RIEMANNIANA  245 

Si  può  dimostrare  d'altronde  che  esso  è  l'unico  invariante,  cioè:  Fra 
i  punti  di  due  superficie  chiuse  connesse  del  medesimo  genere  può  sempre 
stabilirsi  una  corrispondenza  biunivoca  e  continua. 

Si  può  anche,  come  osserva  il  Klein,  definire  direttamente  il  genere  p 
di  una  superficie  chiusa,  senza  ridurla  prima  ad  una  superficie  con  contorno. 
Per  questo  si  immagini  di  tracciare  sulla  superficie  una  curva  chiusa  che 
non  intersechi  sé  medesima  e  lungo  la  linea  si  tagli  la  superficie  ;  un  tale 
taglio  dicesi  taglio  rientrante  (Riickerschnitt).  Una  superficie  chiusa  con- 
nessa è  semplicemente  connessa  o  di  genere  zero,  se  qualunque  taglio 
rientrante  ne  distrugge  la  connessione.  La  definizione  diretta  del  genere 
p  è  allora  la  seguente  :  Il  genere  p  di  una  superficie  chiusa  connessa  è  il 
massimo  numero  di  tagli  rientranti,  che  possono  farsi  sidla  superficie  senza 
romperne  la  connessione.  A  fondamento  di  questa  definizione  del  genere 
sta  il  teorema  che  tale  numero  massimo  è  un  invariante,  che  cioè  se 
due  diversi  sistemi  di  tagli  rientranti  in  rispettivo  numero  di  p,p'  non 
tolgono,  ciascuno  per  sé,  la  connessione  ma  ogni  volta  un  ulteriore  taglio 
rientrante  distruggerebbe  la  connessione,  si  ha  necessariamente  iì=p'. 

Venendo  ora  al  calcolo  del  genere  p  di  una  superficie  Riemanniana, 
dimostra  Riemann  che  esso  dipende  unicamente  dal  numero  m  dei  fogli 
e  dalla  somma  degli  ordini 

ri-1  ,  r.2-1  ,  .  .  .  rn-l 
dei  rispettivi  punti  di  diramazione,  secondo  la  formola 

(A)  p=^  ^V^^  — m+1  '^'. 

Così  p.  e.  per  la  superficie  Riemanniana  a  due  fogli  del  caso  iperel- 
littico  con  2p-\-2  punti  di  diramazione   del  1.".  ordine,  la  formola  (A) 


(*)  Si  osservi  che  la  somma  X  (?'— 1)  è  sempre  necessariamente  pari,  perchè 
un  giro  attorno  a  tutti,  i  punti  di  diramazione  produce  la  sostituzione  identica; 
e  decomponendosi  questa  d'  altronde  nel  prodotto  delle  singole  sostituzioni  cir- 
colari d'  ordini 

ri  ,  7-2  ..  .  r„ 

attorno  ai  punti  di  diramazione,  1^  quali  equivalgono  rispettivamente  a 

r^  —  1  ,  ?'2  —  1  >  •  •  >•«  —  1 

trasposizioni,  il  numero  totale  i)  (''—1)  di  queste  trasposizioni  deve  essere  neces- 
sariamente pari. 


246  CAPITOLO   Vili.  —  §.  92 

fa  subito  riconoscere  che  il  genere  è  =p,  come  già  abbiamo  constatato 
al  §-91,  riferendoci  alle  altre  definizioni  del  genere.  Al  medesimo  risul- 
tato si  arriva  riducendo  la  superficie  con  deformazione  continua,  secondo 
il  §.  85,  alla  sfera  con  p  anelli  ed  osservando  che  se  si  eseguiscono  p  tagli 
rientranti,  uno  per  ciascuno  anello,  lungo  p.  e.  un  meridiano  dell'anello, 
la  superficie  rimane  ancora  connessa;  ma  ogni  altro  {p+l)'""  taglio  rien- 
trante rompe  la  connessione. 

Insieme  alla  formola  Riemanniana  (A)  pel  calcolo  del  genere  p,  torna 
spesse  volte  utile  nelle  applicazioni  la  così  detta  formola  d'  Eulero  ge- 
neralizzata, che  serve  a  calcolare  il  genere  p  di  una  qualunque  superficie 
chiusa,  sulla  quale  sia  tracciata  una  rete  poligonale,  che  ricopra  V  intera 
superficie,  e  così  formata  che  ciascun  poligono  della  rete  rappresenti 
un'area  semplicemente  connessa. 

Se  si  indica  allora  con  F  il  numero  delle  facce,  con  V  il  numero  dei 
vertici  e  con  C  il  numero  delle  costole  della  rete,  si  ha: 

(B)  F-i-Y— C  =  2  — 2/), 

essendo  p  il  genere  della  superficie  chiusa. 


PARTE  SECONDA 


Teoria  delle  funzioni  ellittiche 


Capitolo  IX. 

Le  funzioni  fondamentali  ■zu,  pu  di  Weierstrass.  —  Le  funzioni  generali  ellit- 
tiche espresse  per  la  3  u.  —  Equazione  differenziale  per  la  pu  :  p'u  =  i  p^U 

§.  93. 
Cenni  storici. 

Un  problema  di  calcolo  integrale  ha  dato  origine  alla  teoria  delle 
funzioni  ellittiche.  Denoti  f{x,y)  una  funzione  razionale  dei  due  argo- 
menti .r,  ?/  e  si  consideri  V  integrale  (Abeliano) 

(1)  ff{x,y¥(xj)dx, 

dove  P  (x)  è  un  polinomio  razionale  intero  in  x.  Se  P  (x)  è  di  primo  0 
secondo  grado,  con  note  sostituzioni  si  riporta  questa  quadratura  a  quella 
di  una  funzione  razionale  di  una  variabile  ausiliaria  e  V  integrale  stesso 
si  esprime  per  ordinarie  funzioni,  algebriche  e  logaritmiche.  Ma  appena 
P  {x)  supera  il  secondo  grado  diventa,  in  generale,  impossibile  una  si- 
mile riduzione  e  la  funzione  di  x  che  nasce  dalF  integrazione  rappre- 
senta una  nuova  trascendente,  non  riducibile  alle  trascendenti  ordinarie. 
Se  in  particolare  il  polinomio  P  (x)  è  di  terzo  0  quarto  grado,  V  integrale 
(1)  dicesi  un  integrale  eUittico.  Quando  il  polinomio  è  di  grado  superiore 
al  quarto,  si  hanno  gli  integrali  iperellittici  (§.  91).  La  denominazione  di 
integrale  ellittico  ha  un'origine  geometrica,  perchè  appunto  per  un  in- 
tegrale di  questa  specie  si  esprime  la  lunghezza  di  un  arco  d'ellisse. 


250  CAPITOLO  IX.  —  §.  93 

Una  fondamentale  scoperta  nella  teoria  degli  integrali  ellittici  è  do- 
vuta ad  Eulero,  che  trovò  il  così  detto  teorema  d'addizione  per  gli  in- 
tegrali di  1.*  specie,  nel  quale  sono  inclusi,  come  casi  particolari,  i 
risultati  già  prima  trovati  da  Fagnani  sugli  archi  di  lemniscata  di  Ber- 
noulli. 

Ma  Legendre  fu  il  primo  che  costruì  sistematicamente  la  teoria,  clas- 
sificando e  riducendo  a  tre  specie  essenziali  distinte  gli  integrali  ellittici. 
Egli  studiò  le  proprietà  di  queste  nuove  trascendenti,  cui  diede  il  nome 
di  funzioni  ellittiche,  oggidì  riserbato  ad  altre  specie  di  funzioni  che 
nascono,  come  ora  diremo,  da  un  problema  d'inversione. 

Le  geniali  ricerche  di  Abel  e  di  Jacobi  cangiarono  totalmente  l'aspetto 
della  teoria  di  Legendre  ed  arricchirono  l'analisi  di  nuove  ed  importanti 
conquiste. 

Due  sono  le  principali  idee  che  guidarono  Abel  e  Jacobi  nelle  loro 
scoperte.  L'una  consiste  nell'estendere  la  considerazione  dei  nuovi  enti 
analitici  ai  valori  complessi  delle  variabili,  l'altra  nel  sostituire  allo  studio 
diretto  degli  integrali  ellittici  quello  delle  funzioni  che  nascono  dall'in- 
versione degli  integrali  stessi  (di  1.*  specie).  S'intenderà  facilmente 
l'importanza  del  principio  d' inversione,  ove  si  consideri,  con  Jacobi,  in 
qual  modo  la  teoria  delle  funzioni  circolari,  se  già  non  fosse  stata  prima 
nota,  si  sarebbe  introdotta  in  un  problema  analogo  di  calcolo  integrale. 
Si  consideri  l'integrale 

dx 

y 


^0   Jl 


che  porta  alla  funzione  circolare  inversa  are  sen  x.  Seguendo  il  metodo 
di  Legendre,  dovremmo  qui  studiare  la  y  come  funzione  della  x.  Ma  ben 
più  semplici  ed  importanti  sono,  come  sappiamo,  le  proprietà  della  fun- 
sione  inversa:  a;  =  seny;  é  la  ragione  principale  sta  in  ciò  che  mentre  y 
considerata  come  funzione  della  x  è  infinitiforme,  la  inversa  x  =  sen  y  è 
invece  una  funzione  uniforme  e  periodica  del  suo  argomento. 

Analogamente  si  consideri  l'integrale  ellittico  di  1.*  specie  della  foima 
normale  di  Legendre: 


i 


dx 


\J{l—x'^{l—'k^x') 
essendo  h  una  costante  (modulo),  e  in  luogo  di  considerare  y  come  fun- 


CENNI   STORICI  251 

zione  di  x,  si  consideri  il  limite  superiore  x  dell'integrale  come  funzione 
del  valore  y  dell'integrale  stesso.  Servendoci  delle  nozioni  acquistate 
nello  studio  generale  delle  funzioni  di  variabile  complessa,  possiamo 
esprimere  il  risultato  fondamentale  di  Abel  Jacobi,  dicendo  che  la  fun- 
zione X  di  y  così  definita  è  uniforme  in  tutto  il  piano  y,  con  sole  sin- 
golarità polari,  e,  partecipando  ad  un  tempo  della  natura  delle  funzioni 
circolari  ed  esponenziali,  possiede  una  doppia  periodicità.  È  questa  la 
prima  funzione  ellittica  di  Jacobi,  da  lui  indicata  col  simbolo 

sen  am  y  (seno  amplitudine). 

Della  medesima  natura  sono  le  due  altre  funzioni  ellittiche  di  Jacobi 

cos  am  y  =  Vi  -  sen  am"^  y  (coseno  amplitudine) 

A  am  y  =  \l\-¥  sen  am*  y  (delta  amplitudine). 

Oggi  si  indicano  più  brevemente  queste  tre  funzioni  coi  simboli  di 
Gudermann 

sn?/  ,   cn?/  ,    dn?/. 

Sotto  il  nome  generale  di  funzioni  ellittiche  si  comprendono  ora  tutte 
le  funzioni  uniformi,  con  sole  singolarità  polari,  a  distanza  finita,  dotate 
di  una  doppia  periodicità;  le  funzioni  ottenute  per  inversione  dell'inte- 
grale ellittico  di  1.^  specie  ne  offrono  il  primo  esempio. 

Un'altra  idea  di  Jacobi,  di  cui  si  trova  traccia  anche  nelle  memorie 
di  Abel,  è  di  capitale  importanza  per  la  teoria.  Le  funzioni  ellittiche  di 
Jacobi 

sny  ,    eny  ,    dny 

essendo  uniformi  in  tutto  il  piano,  prive  di  singolarità  essenziali,  e  di- 
ventando infinite  nei  medesimi  punti,  possono  esprimersi  (ciò  che  risulta 
per  noi  dal  teorema  di  Weierstrass  al  Gap.  VI  §.  66)  come  quozienti  di 
trascendenti  intere,  il  denominatore  essendo  nei  tre  casi  il  medesimo. 
Queste  trascendenti  intere,  senza  essere  doppiamente  periodiche,  offrono 
però  evidentemente  una  doppia  periodicità  rispetto  alla  distribuzione  dei 
loro  infinitesimi.  Esse  sono  le  funzioni  d-  (theta)  di  Jacobi,  che  si  riducono 
in  sostanza  ad  una  sola  trascendente,  mediante  la  quale  possono  espri- 
mersi tutte  le  funzioni  che  si  incontrano  nella  teoria  delle  funzioni  e 
degli  integrali  ellittici. 


252  CAPITOLO  IX.  —  §§.  93,  94 

Un  perfezionamento  notevole  è  stato  portato  alle  teorie  di  Jacobi  da 
Weierstrass.  Alle  tre  funzioni  di  Jacobi 

sn^  ,    cny  ,    dny 

egli  ha  sostituito  un'unica  funzione  ellittica,  che  per  molti  riguardi  si 
comporta  più  semplicemente.  È  questa  la  funzione  indicata  da  Weier- 
strass col  simbolo 

e  per  mezzo  di  questa  e  della  sua  derivata  prima  p'u  si  possono  espri- 
mere razionalmente,  come  si  vedrà,  tutte  le  funzioni  ellittiche  dell'argo- 
mento u  (coi  medesimi  periodi).  Così  pure  alle  funzioni  9-  di  Jacobi 
Weierstrass  ha  sostituito  un'unica  trascendente  intera,  la  funzione 

ou, 

che  gode  di  proprietà  analoghe  alle  t>,  ma  più  semplici  e  simmetriche. 
La  funzione  -su  è  appunto  l'elemento  col  quale  si  possono  esprimere  tutte 
le  funzioni  e  gli  integrali  ellittici  nella  teoria  di  Weierstrass. 

Noi  ci  occuperemo  principalmente  in  questo  corso  delle  funzioni  di 
Weierstrass  ou,  pu,  senza  trascurare  lo  studio  delle  funzioni  di  Jacobi 
e  particolarmente  delle  8-,  che  oltre  l'importanza  storica  offrono  grande 
interesse  per  l'eleganza  dei  loro  sviluppi  in  serie  a  rapidissima  conver- 
genza. Comincieremo  dal  costruire  la  funzione  elementare  ou  e  da  essa 
dedurremo  tutte  le  altre. 

Questo  modo  di  sviluppare  la  teoria,  che  procede  in  senso  inverso 
all'  effettivo  sviluppo  storico,  ha  per  noi  il  vantaggio  di  essere  semplice 
e  rapido,  senza  esigere  altre  nozioni  che  quelle  della  teoria  delle  funzioni 
monodrome. 

§.  94. 
Costruzione  della  funzione  zu  di  Weierstrass. 

Nella  funzione  sen  ^  abbiamo  l'esempio  di  una  trascendente  intera, 
i  cui  infinitesimi  sono  distribuiti  a  regolari  intervalli  sopra  una  retta 
(asse  reale). 

La  trascendente  intera 


sen  , 
.2(1) 


COSTRUZIONE   DELLA    a^«  253 

dove  w  è  una  costante  complessa,  ha  similmente  i  suoi  infinitesimi  di- 
stribuiti a  regolari  intervalli  sulla  retta  che  unisce  Torigine  al  punto  2  to  ; 
essi  sono  infatti  nei  punti 

00  =  m .  2  co  , 

percorrendo  m  tutti  i  valori  interi  positivi  e  negativi. 
La  trascendente  intera 

ou 

di  Weierstrass  (dove  ora  indichiamo  con  u  la  variabile  complessa  argo- 
mento) ha  proprietà  simili,  ma  i  suoi  infinitesimi  hanno  una  ricorrenza 
doppiamente  periodica.  Indichiamo  con 


due  costanti  fondamentali  complesse  2  domandiamoci  in  primo  luogo:  È 
possibile  costruire  una  trascendente  intera  che  divenga  infinitesima  del 
primo  ordine  in  tutti  e  soli  i  punti  del  piano  dati  dalla  formola 

dove  m,n  percorrono  tutti  gli  interi  positivi  e  negativi?  Osserviamo  che, 
rispetto  al  gruppo  hneare  di  sostituzioni  paraboliche  (Gap,  II,  §.  17): 

(2)  u'  =  u  ~\-  1  nnà  -\-  2  noi'  , 

ì  punti  in  questione  formano  un  sistema  completo  di  punti  equivalenti 
all'  origine  «o  =  0-  Le  ricerche  del  citato  §.  ci  portano  subito  ad  escludere 

il  caso  in  cui  il  rapporto  —  sia  reale.  E  infatti  se  —  fosse  reale  com- 

co  co 

mensurabile,  i  periodi  2oj,  2o/  sarebbero  multipli  di  un  medesimo  pe- 
riodo fondamentale  2 1^  e  la  trascendente  domandata  non  potrebbe  diffe- 
rire dalla  funzione  elementare 

che  per  un  fattore  esponenziale,  caso  per  noi  senza  importanza.  Se  poi 

—  fosse  reale  ed  incommensurabile,  nell'intorno  di  ogni  infinitesimo  della 
to 

funzione  da  costruirsi  si  addenserebbero  infiniti  altri  infinitesimi,  ciò  che 

esclude  la  possibilità  dell'esistenza  per  la  funzione  richiesta. 


254  CAPITOLO  IX.  —  §.  94 

co 
Il  rapporto  —  deve  dunque  essere  una  costante  complessa 


co 
co 

co 


03 


e,  siccome  possiamo  cangiare  di  segno  Funo  o  T  altro  dei  periodi,  non 
alteriamo  la  generalità  supponendo  al  coefficiente  ,3  dell'  immaginario  un 
segno  determinato.  E  noi  facciamo  la  convenzione  fondamentale  per  il 

seguito  :  Il  coefficiente   dell'  immaginario  nel  rapporto  dei  periodi  t  =  — 

deve  essere  positivo. 

Questa  convenzione  induce  una  conseguenza,  che  importa  subito  no- 
tare. Costruiamo  la  rete  parallelogrammica  (§.  17,  pag.  52)  relativa  al 
gruppo  (2)  di  traslazioni  situando  un  vertice  in  Uo  =  0,  sicché  i  quattro 
vertici  del  parallelogrammo  fondamentale  saranno  i  punti 

0  ,   2co  ,     2co  +  2co'  ,    2co'. 

Il  supporre  R[r-]>0,  '^*  come  abbiamo  fatto,  porta  che  percor- 
rendo il  contorno  del  parallelogrammo  nel  verso  positivo  si  incontrino, 
a  partire  dall'origine,  i  vertici  nell'ordine  sopra  scritto  (^>.  La  trascen- 
dente intera  da  costruirsi  deve  avere  i  suoi  infinitesimi,  del  primo  or- 
dine, nei  vertici  della  nostra  rete  parallelogrammica  e  poiché  le  distanze 
fra  questi  punti  non  scendono  al  di  sotto  del  minimo  fra  i  moduli  delle 
quattro  quantità  2  co,  2  o/,  2  co +2  co',  2  co  -  2  co',  il  teorema  del  Cap.  VI,  §.  69 
ci  fornisce  subito  la  trascendente  cercata  nel  doppio  prodotto  infinito 


^^Wll ^  ]   g2moj  +  2«oj'   '    2    (2wuu-f2no>7 

2mctì+2wa)'/ 


(*)  Col  simbolo  R  (Q)  indichiamo  la  parte  reale  di  una  quantità  complessa  Q. 
(2)  Posto  infatti  cj  =  p  e'    ,  to'  =  p'  e*   ,  si  ha 

—  =  il  j  cos  (6-6')  +  i  sen  (6-6')  \ 
w       fM  ; 

onde 

sen  (6—6')  >  0  , 

ciò  che  dimostra  che  per  un  osservatore  collocato  in  0,  che  guardi  nella  direzione 
da  0  a  2 cu,  la  direzione  da  0  a  2oj'  resta  alla  sinistra. 


PROPRIETÀ   DELLA   Gli  255 

esteso  a  tutti  i  valori  interi  positivi  e  negativi  di  m,  n,  V  accento  nel 
prodotto  infinito  indicando  che  viene  esclusa  la  combinazione  m  =  0,  n  =  0. 
Questo  prodotto  infinito,  in  ogni  campo  finito,  converge  indipendente- 
mente dall'ordine  dei  fattori  ed  in  egual  grado  e  rappresenta,  senza 
alcuna  aggiunta  di  fattore  esponenziale  esterno  e*^'"',  appunto  la  funzione 
ow  di  Weierstrass.  Ponendo  per  brevità 

tv  =  2  m  co  -(-  2  n  co' , 

notazione  che  conserveremo  in  seguito,  abbiamo  dunque  per  la  a?/,  la 
prima  espressione  analitica 

u   .    u^ 

(I)  mi^uX{'(\-'^].e^''^^\ 


\ 


IV 


Questa  trascendente  intera  dipende,  oltre  che  dairargomento  n,  anche 
dalle  costanti  fondamentali  2  o),  2  co',  rispetto  alle  quali  è  costruita,  che 
si  dicono  i  periodi.  Volendo  porre  in  evidenza  anche  i  periodi  coi  quali 
la  Oli  è  costruita,  si  scriverà  con  Weierstrass: 

a  {u  I  co,  co') . 

§.  95. 
Proprietà  fondamentali  della  -ju. 

Una  prima  proprietà  della  o«  si  rileva  subito  dalla  sua  espressione 
analitica  (I):  La  ou  è  una  funzione  dispari,  cioè  si  ha 

(3)  o( — u)==  —  ou. 

E  infatti  dalla  (I)  si  ha 

u        u^ 

a  i—it)  ==  —  u  n'  (l  +  ii")  e"  ^  ''2^'  ,     • 


e  poiché  il  prodotto  infinito  non  cangia  mutando  m,  n  in  -m,  -  n,  cioè 
IV  in  -  IV,  ne  risulta  subito  la  formola  scritta. 
Similmente  dalla  (I)  vediamo  subito  che  si  ha 

(3*)  lim  —  =  1  , 

ossia  o'0  =  1. 


256  CAPITOLO  IX.  —  §.  95 

Ancora  dalla  espressione  analitica  risulta  dimostrata  una  proprietà  di 
omogeneità  della  -:;,  espressa  dalla  formola 

(4)  a  (X  M I  X  tó  ,  ).  oj')  =  >.  a  {n  \  co  ,  o/)  , 

dove  X  indica  un  fattore  costante  arbitrario. 

Troviamo  un'altra  proprietà  importantissima  della  funzione  ^u,  pro- 
ponendoci la  questione  seguente: 

Tossono  due  funzioni 

(3  (m  I  (0  ,  0)')    ,     0  (m  I  lì  ,  Q')   , 

costruite  con  periodi  diversi,  coincidere? 

Poiché  gli  infinitesimi  della  prima  debbono  essere  anche  infinitesimi 
della  seconda  e  viceversa,  dovranno  o),  oj'  esprimersi  linearmente  ed  omo- 
geneamente, con  coefficienti  interi,  per  fì,  9.'  e  inversamente  0,  9J  per  w,  o/ 
in  modo  analogo. 

Si  dovrà  dunque  avere 

L  OJ  =  a  9.  -f-  ,3  p;         (  p  =  yf  0)  -f  p'  0)' 
(  to'=  Y  P  +  0  P'         (  P'=  v'  tó  +  e'  (o' , 

i  coefficienti  a,  [3, 7.  ò;  a ,  (3',  7',  ò'  essendo  interi.  Se  sostituiamo  nelle  prime 
due  formole  i  valori  di  P,  P'  dati  dalle  seconde,  dobbiamo  ottenere  delle 

identità,  poiché  ~  non  è  reale.  Ne  deduciamo 
co 


(  aa'  +  ?/=l   ,    a.'i'  +  ri5'  =  0 


onde 


e  pero 


a     p 

T      8 


aS  — p7=+ 1  (^), 


1, 


L'incertezza  del  segno  si  toglie  osservando  che,  per  ipotesi,  i  coef- 
ficienti dell'immaginario  nei  due  rapporti 


0/      P' 
w  '   P 


W  Ci.  Gap.  II,  §.  17,  pag.  52  nota. 


PROPRIETÀ    DELLA   OU  257 

legati  dalla  relazione  lineare 


debbono  essere  ambedue  positivi,  il  che  porta  che  si  abbia 

aò  — [iv=+l. 

Inversamente,  se  supponiamo 

i  (tì  =  e.  lì  +  [3  0/ 

con  a,  [3,  Y,  0  interi  e  aò-^-i  =  l,  risolvendo  avremo 

(  lì   =  5  (0  —  p  co' 


onde  gli  infinitesimi 


f  lì'  =  —  Y  (0  -j-  a  w'  , 

tv  =  2  m  0)  -\-  2n  co' 
w=  2m9.  ^  2wlì' 


delle  due  :;  coincideranno,  salvo  Tordine,  e  le  loro  espressioni  analitiche 
(I),  a  causa  della  convergenza  assoluta  del  prodotto  infinito,  coincide- 
ranno altresì.  Abbiamo  dunque  il  teorema: 

Condizione  necessaria  e  sufficiente  affinchè  due  funzioni  a,  costruite  con 
diversi  periodi: 

a  {u\(à,  oì)  ,    a  (m  I  lì ,  lì') 

coincidano,  è  che  i  periodi  siano  legati  da  relazioni  lineari,  intere  ed  omo- 
genee 

f  co  =  a  12 -h  [3  lì' 

;  co'=vl2  +  ol>; 
a  coefficienti  interi  a,  [j,  7,  oca  determinante 

7.  5  — |3y=+U 


258  CAPITOLO  IX.  —  §.  96 

Le  funzioni  'Cu  e  pu  e  la  doppia  periodicità  di  pu,pu. 

Consideriamo  la   derivata  logaritmica  della  a,  funzione  indicata  da 
Weierstrass  col  simbolo  'Ut,  sicché 

/K\  ^  ou 

(5)  Zu  =  —  . 

ou 

L' espressione  analitica  della  ^  u  risulta  immediatamente  dalla  (I)  per 
la  au,  derivando  logaritmicamente,  e  si  ha 

(II)  Cw  = hZ 2       » 

la  serie  del  secondo  membro  essendo  convergente  in  egual  grado  in  ogni 
campo  finito,  dal  quale  siano  esclusi  i  punti 

Uo  =  2miù  -|-  2noì  , 

che  sono  per  l,u  i  punti  singolari,  e  precisamente  poli  del  1.°  ordine  col 
residuo  +1. 

La  funzione  Cw  è,  come  la  ot<,  tma  funzione  dispari: 

C  ( — u)  =  -Cm. 
La  funzione 

di  Weierstrass  si  definisce  semplicemente  come  la  derivata  della  C«<,  can- 
giata di  segno: 

/^x  >/  cflogow 

(6)  pu=-Zu= ^^^. 

La  pu  è  evidentemente  una  funzione  pari,  cioè: 

(7)  p{—u)=pu. 


(^'  L' accento  nella  somma  indica  l' omissione  del  termine  corrispondente  a 
m  =  0,n  =  0. 


LA   FUNZIONE   pU  '  259 

La  sua  espressione  analitica  si  ottiene  per  derivazione  (Gap.  IV  §.  47) 
dalla  (II);  risulta  così: 


(III)      pu  =  ^  +  2' 


1 


7f.  { {u — 2 mitì — 2n(tìy       {2moì  +  2n u/f) 
Una  nuova  derivazione  ci  dà 

2        „  ^,  1 


•u=  - 


2  ^" 


u^       "  ,rf.  (M-2m(o-2ww'f  ' 
che  si  può  anche  scrivere  semplicemente 

^^^  ^'''  "  "  ^  2  (^^Ts^^^^^riY^s  . 

attualmente  con  inclusione  del  termine  corrispondente  a  m  =  0,  n  =  0.  La 
convergenza  delle  serie  (III),  (IV)  è  assoluta  ed  in  egual  grado  in  ogni 
campo  finito,  esclusi  i  punti 

Wo  =  2  m  (0  -j  2  w  0)' , 

ove  le  ^M,  p'u  diventano  rispettivamente  infinite  del  2.°  e  del  3.°  ordine 
coi  termini  d'infinito 

1  -2 


(w-2mw- 2mio')^  '    (t(-2ma)  -  2  ww')^  * 

Ma  l'espressione  (IV)  della  p'u  pone  in  evidenza  una  proprietà  di 
capitale  importanza,  e  cioè  la  sua  doppia  periodicità.  Se  cangiamo  infatti 
nella  (IV)  w  in  t<  +  2  oj,  o  in  «  -(-  2  oV,  i  termini  della  serie  non  fanno 
che  cangiar  di  posto  e  si  ha  quindi 

(  p'(it+2  w)  =  p'u 
(8) 

(    ^'(M  +  2(tì')  =  p'u , 

e  più  in  generale  naturalmente 

p'  {u+2moì+2  n  o/)  =  p'u  , 

essendo  tn,  n  interi  qualunque.  Anche  la  funzione  pii  è  doppiamente  pe- 
riodica, coi  periodi  fondamentali  2  w,  2  o/,  sebbene  la  cosa  non  riesca  su- 


260  CAPITOLO  IX.  —  §§.  96,  97 

bito  evidente  dallo  sviluppo  (ITI)  in  serie.  Integrando  le  precedenti  (8), 
si  ottiene  infatti 

(p  (w+2  oj)  —  pu  =  e 
$)  (w+  2  o/)  —  pu  =  c  , 

con  e,  e  costanti.  Ma  se  in  queste  facciamo  rispettivamente  u  =  -  w, 
u=  -là  (osservando  che  po),  pò/  non  sono  infinite )  otteniamo  subito, 
a  causa  della  parità  della  pu: 

c  =  0  ,    c'  =  0 

e  quindi 

I  p  (m+2  oj)  =  pu 

(9) 

'  p  (M+2tó)  =  pet. 

Ne  concludiamo:  La  funzione  pii  e  tutte  le  sue  successive  derivate 

p'u  ,  p"it  ,    p"'u . . . 

sono  funzioni  uniformi  in  tutto  il  piano  complesso  e  sono  doppiamente  pe- 
riodiche, coi  periodi  fondamentali  2  o),  2  w'. 

I  loro  punti  singolari  si  trovano  unicamente  nei  punti  Uq  =  2moi  +  2  W, 
vertici  della  rete  parallelogi'ammica,  ove  hanno  dei  poli.  Si  noti  poi  che 
la  pii  e  tutte  le  sue  derivate  d'ordine  pari  p"ii,  p^^'u, . . .  sono  funzioni 
pari,  mentre  le  derivate  d'ordine  dispari  p'u,  p"'u, . . .  sono  tutte  fun- 
zioni dispari. 

§.  97. 
Effetto  dell'aggiunta  di  periodi  all'argomento  di  3W. 

Vediamo  ora  come  si  comporta  la  funzione  a  u,  quando  all'argomento 
u  si  aggiunga  2w  o  2w'.  Dalle  (9),  integrando,  si  ha 

o'0t+2co)         o'u    ,    ^ 

—  = r  2  V] 

0  {u+2  oì)         ou 

o'  {u-\-2  (à) ou    ,    ^  . , 

o(«+2  w')  ~  ow  '^  ' 

essendo  •/],  r/  due  costanti  d'integrazione. 


AGGIUNTA    DI   PERIODI    ALL'ARGOMENTO   DI    OM  261 

Per  determinarle  si  faccia  nelle  precedenti  rispettivamente  u  =  -  co, 
u=  -  co'  e,  rammentando  che  —  =  C ^«  è   una  funzione   dispari,   si  avrà 

G  U 

subito 

(11)  yj  =  — ^C(o    ,    -q  = — 7  =  Cw  . 

aco  0(0 

Integrando  nuovamente  le  (10)  e  passando  dai  logaritmi  ai  numeri, 
deduciamo 

(  a(«+2(o)  =  Ce2^Wo«* 

(  a(M+2(o')  =  C'e2^'^oM, 

con  C,C'  nuove  costanti,  che  si  determinano  subito  facendo  in  queste 
ultime  formolo  rispettivamente  u=  -oì,  u=  -o/;  si  trovano  così  le 
forinole 

(  o(m+2co)=  -e2^(«+<'^).5M 
(12) 

(  o{u+2o/)=  -e2V(«+"^').oM. 

Come  si  vede,  aumentando  l'argomento  u  della  a  di  un  periodo,  la 
funzione  si  riproduce,  moltiplicata  per  un  fattore  esponenziale  con  espo- 
nente di  primo  grado  nella  u  ^^K 

Le  costanti  2  Tj,  2  r/  si  dicono  anche  i  periodi  di  seconda  specie,  per 
distinguerli  dai  periodi  2  co,  2  co',  che  si  dicono  di  prima  specie.  Fra  i  pe- 
riodi di  prima  e  seconda  specie  ha  luogo  l'importante  relazione: 

(V)  vjo)'— ^'(0  =  ^(^1, 

che  dimostriamo  nel  modo  seguente. 

Consideriamo  nel  piano  complesso  u  il  parallelogrammo  A  B  C  D,  i 
cui  vertici  sono  nei  punti 

A= (CO  +  CO')    ,     B^CO  — co'    ,     C^CO  +  Ctì'    ,     D^ — (o  +  o/ . 


'*'  Che  si  dovesse  riprodurre  a  meno  di  un  fattore  esponenziale,  risultava 
subito  dall'osservare  che  3  {u-\-2  m),  3  (w-|-2  o/)  hanno  i  medesimi  infinitesimi  di  au. 

<*)  Che  debba  essere  r]  (»' —  tj'  (d  vm  multiplo  di  -_'  si  riconosce  anche  subito 

cosi.  Nella   prima  delle  (12)  si  cangi  u  in  w-f-2a)'e  nella  seconda  u  in  w-|-2od 
e  si  paragonino  i  risultati,  che  debbono  essere  eguali. 


262  CAPITOLO  IX.  —  §.  97 

'j  u 

Sul  contorno  e  nel!'  interno  di  esso  la  funzione  C  m  =  — -  non  ha  al- 

ou 

cuna  singolarità,  salvo  in  u  =  0,  ove  ha  un  polo  del  primo  ordine  col 
residuo  +  1  ;  si  ha  quindi 

2;ri  =  /   t,u  du  , 
•'^ABCD 

l'integrale  essendo  esteso  al  contorno  nel  senso  positivo,  che  è  appunto 
il  senso  A  B  C  D  (Cf.  §.  94).  Possiamo  scrivere  in  altro  modo,  riunendo 
le  parti  dell'integrale  estese  ai  tratti  paralleli  AB,  CD;  BC,  DA,  e  cioè: 

2zi=  j  |CM-C(w+2a)')|  (?M+      \Cu-C{u+2(u)\du, 
'^AB  '^DA 

onde,  per  le  formole  fondamentali  (10)  essendo 

C(M+2a))  =  CM+2yj  ,    C  (M+2a)')  =  Cw+2r/ , 

ricaviamo 

2zi=  -   /  2ridii-\-  j  2■^^du  =  4:-qiù — 4r/co, 

il  che  dimostra  appunto  la  (V). 

Ciò  premesso,  possiamo  dalle  (12)  dedurre  la  formola  generale  che 
dà  l'effetto  sulla  ou  dell'aggiunta  di  un  qualsiasi  periodo  2  »?.«>  + 2  wo/ 
all'argomento  u. 

Dalla  prima  delle  (12)  si  ha  intanto,  per  qualunque  m  intero  e  po- 
sitivo, cangiandovi  ii  in  u  +  2{m-l)(à 

o{u  +  2  m 03)  =  - e^ ^. ["+2 ("^-1) ''^+H.  o  {u+2  (m—ì)  w) . 

Cangiando  in  questa  successivamente  m  in  w-  1,  m-  2, ...  2,  1  e 
moltiplicando  insieme  tutte  le  formole,  otteniamo: 

(13)  o  (M+2m(o)  =  (_i)«*  e2mYi(M+mco)^  ^^^^ 

Se  in  questa  si  cangia  u  in  u-  2mo),  si  ottiene  la  formola  stessa  per 
m  negativo.  Similmente  avremo  per  qualunque  n  intero: 

(14)  0  (M+2WI./)  =  (—1)^*  e^nr;{u+no^')^  ^^^ 


PROPRIETÀ    GENERALI   DELLE    FUNZIONI    ELLITTICHE  263 

Cangiamo  nella  (13)  ?f  in  u+2tn<ì,  sostituendo  nel  secondo  membro 
a  G(Mi-2wto')  il  valore  (14);  troveremo 

G{u+'2m(tì  +  2n to') --=  (—  1)"' +«  e(2 "^ -1+2 « r/) (m+v/ì o.+ji (.V)+2 m n {ri o>—q oV) 

ovvero  per  la  (V): 

(VI)    o{h  +  2  m 0)  +  2  n co')  =-  (^_iyn-^n+mn ^  g(2mr,+2 «r/)  («+mo)+noV)^ ^^^ 

È  questa  la  formola  generale  richiesta. 

§.  98  (^). 
Proprietà  generali  delle  funzioni  ellittiche. 

Nella  pu  e  nelle  sue  derivate  abbiamo  riconosciuto  delle  funzioni 
uniformi  in  tutto  il  piano,  aventi  a  distanza  finita  soltanto  singolarità 
polari  e  dotate  di  due  periodi  indipendenti  2(o,  2o/.  In  generale,  come 
già  si  è  detto  al  §.  93,  si  comprendono  oggidì  sotto  il  nome  di  funzioni 
ellittiche  tutte  le  funzioni  doppiamente  periodiche,  con  sole  singolarità 
polari  a  distanza  finita.  Se  chiamiamo  2  co,  2  co'  i  periodi  della  funzione, 
possiamo  anche  dire  che  le  funzioni  ellittiche  rimangono  invariate  ese- 
guendo sull'argomento  tutte  le  sostituzioni  lineari  del  gruppo  parabolico 

Il  =  M  -]-  2  w co  -f-  2  wco' . 

Esse  offrono,  dopo  le  funzioni  semplicemente  periodiche,  il  più  sem- 
plice esempio  di  quella  classe  generale  di  funzioni  uniformi  nel  loro 
campo  d' esistenza  che  si  dicono  autmnorfe  (Fuchsiane-Kleiniane  secondo 
Poincaré)  e  che  godono  della  proprietà  di  riprodursi,  quando  sul  loro 
argomento  si  eseguiscono  le  sostituzioni  lineari  di  un  gruppo  fondamen- 
tale. È  chiaro  che,  nel  campo  d' esistenza  della  funzione,  il  gruppo  deve 
essere  propriamente  discontinuo  (Gap.  II  §.  14).  E,  per  restare  al  caso 
nostro  speciale,  i  due  periodi  2  co,  2  co'  di  ogni  funzione  ellittica  debbono 
essere  in  rapporto  complesso;  altrimenti,  se  fossero  indipendenti,  nel- 
r  intorno  di  ogni  punto  del  piano  si  addenserebbero  infiniti  punti  equi- 


tà» Le  proprietà  generali  delle  funzioni  ellittiche,  che  si  studiano  nel  presente  § 
e  nel  seguente,  non  sono  che  un  caso  particolare  delle  proprietà  delle  funzioni 
razionali  sopra  una  superficie  Riemanuiana  di  cui  abbiamo  trattato  al  §.  89,  e 
corrispondono  precisamente  al  caso  ellittico  p  =  l. 


264  CAPITOLO  IX.  —  §§.  98,  99 

valenti,  nei  quali  la  funzione  ellittica  dovrebbe  riprendere  il  medesimo 
valore,  ciò  che  è  incompatibile  coli' uniformità  della  funzione.  Si  osservi 
ancora  che  le  nostre  ricerche  sui  gruppi  di  traslazioni  (Gap.  II  §.  17) 
ci  assicurano  che:  non  esistono  funzioni  uniformi  con  tre  o  più  periodi 
indipendenti. 

Cominciamo  lo  studio  delle  proprietà  generali  delle  funzioni  ellittiche 
colla  dimostrazione  del  seguente  teorema: 

Ogni  funzione  ellittica  deve  ammettere  dei  pòli  a  distanza  finita.  In 
caso  contrario  infatti,  se  consideriamo  un  parallelogrammo  fondamentale 
dei  periodi,  il  cui  primo  vertice  collochiamo  in  un  punto  arbitrario  a  del 
piano,  ivi  il  modulo  della  nostra  funzione,  che  sarebbe  una  trascendente 
intera,  si  manterrebbe  inferiore  ad  un  numero  fisso  K  e  lo  stesso  av- 
verrebbe quindi,  a  causa  della  doppia  periodicità,  in  qualunque  campo 
finito.  Il  teorema  dimostrato  al  Gap.  VI  §.  59  ci  assicura  allora  che  la 
funzione  si  ridurrebbe  ad  una  costante. 

Da  questo  teorema  seguono  due  corollarii  importanti,  di  continuo  uso 
nella  teoria,  e  cioè: 

1.°  Se  due  funzioni  ellittiche  f{u),  fi{u)  coi  medesimi  periodi  2  co,  2o/ 
hanno  i  medesimi  punti  di  infinito  e  di  infinitesimo,  coi  medesimi  ordini, 
non  possono  differire  che  per  un  fattore  costante. 

E  infatti  il  quoziente  \r hA  sarebbe  ancora  una  funzione  ellittica  coi 
fi  (u) 

periodi  2  co,  2o/  e  non  diventerebbe  più  infinito  (né  zero),  onde  sarebbe 
una  costante. 

2.°  Se  due  funzioni  ellittiche  f{u),fi(u),  coi  medesimi  periodi,  hanno 
a  comune  i  poli  e  i  relativi  termini  cT  infinito,  Vima  non  puh  differire  dal- 
l''altra  che  per  una  costante  additiva. 

E  infatti  la  differenza  /l  (m)  -  f  {u)  sarebbe  doppiamente  periodica  e 
senza  poli,  e  perciò  una  costante. 

§.  99. 
Ordine  di  una  funzione  ellittica  e  teorema  d'Abel. 

Sia  f{u)  una  funzione  ellittica  coi  periodi  (2o),  2  co')  e  consideriamo  un 
parallelogrammo  fondamentale  A  B  C  D  dei  periodi  coi  vertici  nei  punti 

k^a  ,    B^a+2(tì  ,    C^a+2iù+2(ù'  ,    J)^a+2(tì', 


ORDINE    DI    UNA    FUNZIONE    ELLITTICA  265 

essendo  a  un  punto  arbitrario  del  piano,  scelto  però  in  guisa  che  sul 
contorno  AB  CD  la  f(;u)  non  divenga  infinita,  ciò  che  evidentemente  è 
sempre  possibile,  gli  infiniti  di  f{u)  in  un  campo  finito  essendo  in  nu- 
mero finito.  Allora  la  f(t()  diventerà  certamente  infinita  in  qualche 
punto  interno  del  parallelogrammo  e  noi  vogliamo  dimostrare  l'impor- 
tante teorema: 

La  somma  dei  residui  di  una  funzione  ellittica  nelV  interno  del  paral- 
lelogrammo dei  periodi  e  nidla. 

Questa  somma  è  data  infatti  da 


—  /   f{u)  du  ; 


e  se  riuniamo  nell'integrale  le  parti  relative  ai  lati  paralleli,  ricordando 
che  f(ii  +  2 0))  =  /■(?<),  f(u  +  2(ù')  =  f{:i),  vediamo  subito  che  l'integi-ale 
stesso  è  nullo  (Cf.  §.97). 

Supponiamo  ora  di  più  che  il  parallelogrammo  fondamentale  dei  pe- 
riodi sia  collocato  in  guisa  da  non  contenere  sul  contorno  nemmeno  in- 
finitesimi della  f{u),  come  è  lecito  ammettere.  Se  applichiamo  il  teorema 

■f'  (  \ 
precedente  alla  derivata  logaritmica  Yr~\  '  ^^^^   ^   anch'essa    manifesta- 

mente   una   funzione  ellittica,  e  ricordiamo  che  la  somma  dei  residui 

di  ^TT^  è  data  da 

indicando  con  No  il  numero  degli  infinitesimi  e  con  N^  il  numero  degli 
infiniti  '^*   della  f{u)  nel  parallelogi'ammo,  ne  risulta 

cioè  il  teorema:  0;yni  funzione  ellittica  diventa  nel  parallelogrammo  dei 
periodi  tante  volte  zero  quante  volte  infinita.  Possiamo  intendere  che  questo 
teo:-ema  valga  anche  quando  capitino  infinitesimi  o  poli  sul  contorno, 
punhè  dei  due  infinitesimi  o  poli  equivalenti  sui  lati  se  ne  conti  uno 
solo  Ed  ora  se  osserviamo  che,  essendo  e  una  costante  qualunque,  anche 
f{u)~  e  è  una  funzione  ellittica,  possiamo  enunciare  il  teorema  generale: 


0  Ben' inteso,  computando  ciascun  infinitesimo  o  infinito  tante  volte  quante 
unità  sono  nel  suo  ordine. 


2G6  CAPITOLO   IX.  —  §.  99 

Una  funzione  ellittica  prende  n^l  parallelogrammo  dei  periodi  ogni 
valore  fissato  ad  arbitrio  sempre  lo  stesso  numero  di  volte. 

Questo  numero  fisso,  che  dice  quante  volte  una  funzione  ellittica  ri- 
prende in  un  parallelogrammo  dei  periodi  ogni  suo  valore,  si  chiama 
Vordine  della  funzione  ellittica.  Si  vede  subito  che  non  esistono  funzioni 
ellittiche  di  primo  ordine.  Una  tale  funzione  dovrebbe  invero  possedere 
un  solo  polo  del  1."  ordine  con  residuo  nullo,  ciò  che  è  assurdo.  Dunque: 
Le  funzioni  ellittiche  di  minimo  ordine  sono  quelle  di  secondo  ordine.  Tale 
è  per  esempio  la  funzione  elementare  di  Weierstrass  fiu. 

Per  una  funzione  ellittica  f{u)  d'ordine  ti  siano 


i  punti  di  infinitesimo,  e 

i  poli  nel  parallelogrammo  fondamentale  dei  periodi  A  B  C  D,  che  sup- 
poniamo nuovamente  non  contenga  sul  contorno  né  punti  a  ne  punti  [j. 
Fra  le  posizioni  degli  zeri  a  e  degli  infiniti  ,3  passa  una  relazione,  che 
è  un  caso  particolare  di  un  celebre  teorema  d'Ahcl  e  che  consiste  nella 
formola 

(15)  ^a.  —  2  ?  ^^  2  m  w  4-  2  7i  co'    {m,  n  interi) , 

0,  come  si  suol  scrivere  anche  più  semplicemente: 

2a=2?'(2^^>2co'). 

Per  dimostrare  la  (15),  si  estenda  al  contorno  AB  CD  del  paralle- 
logrammo r  integrale 


2^*./abCd/'(») 


du , 


il  cui  valore  sarà  la  somma  dei  residui  della  funzione  sotto  il  se^no, 
cioè  appunto  Ì7. -I|3.  D'altra  parte,  decomponendo  l'integrale  com<  al 


<*)  Se  vi  sono  infinitesimi  o  poli  d'ordine  superiore,  intendiamo  che  altret- 
tante a  0  altrettante  3  coincidono. 


TEOREMA   d'aBEL  267 

97,  abbiamo 

'      M    ^-f-^  chi  =  --^  /        u  hr-i-  —  M+2  cu')  '—7 — ^-7^   du 


2^VARpn/"(^*)  2^Var(      /"(^O  /(tt+2w') 


2  -  ^4  B  ^  (^)  2  ^  *-/A D  ^(^) 


Ora  r  integrale  indefinito  /  ~r\  du  è  log  f{u)  e  poiché  in  B,  D  la 

J    f  W 

f{u)  ha  lo  stesso  valore  che  in  A,  i  due  valori  ottenuti  in  B,  D  per  log  f 
lungo  i  cammini  rettilinei  A  B,  A  D  non  possono  ditferire  da  log  fx  che 
per  multipli  interi  di '2:1^,  ciò  che  dimostra  la  (15). 


§.  100. 

Espressione  di  una  funzione  ellittica  con  infinitesimi 
ed  infiniti  assegnati. 

Procediamo  ora  alla  effettiva  costruzione  delle  più  generali  funzioni 
ellittiche.  Riferendoci  ai  teoremi  dimostrati  alla  fine  del  §.  98,  risolve- 
remo successivamente  i  due  problemi: 

A)  costruire  una  funzione  ellittica,  assegnati  nel  parallelogrammo  fon- 
damentale i  suoi  infinitesimi  ed  i  suoi  poli. 

B)  costruire  una  funzione  ellittica,  assegnati  i  suoi  poli  ed  i  suoi  ter- 
mini d'infinito. 

Nel  presente  capitolo  ci  occupiamo  del  primo  problema,  esprimendo 
la  funzione  ellittica  cercata  per  mezzo  della  o.  Siano  nel  parallelogrammo 
fondamentale 

ai  ,    «2  ,  .  .  .  Cf.n 

gli  infinitesimi,  e 

i  poli  della  funzione  ellittica  cercata  dove,  al  solito,  se  si  avranno  in- 
finitesimi 0  poli  d'ordine  superiore  al  primo,  altrettante  a  o  fri  dovranno 
coincidere  fra  loro. 


268  CAPITOLO  IX.  —  §.  100 

Pel  teorema  d'Abel,  l'esistenza  della  funzione  è  subordinata  al  veri- 
ficarsi della  relazione 

(15*)  ^a  — 2P  =  2ro>  +  2.Stó'  (r,  s  interi) ; 

ma  ora  dimostreremo  che,  soddisfatta  questa  condizione,   esiste  effetti- 
vamente la  funzione  ellittica  cercata  f{u). 
Consideriamo  la  funzione 

,     .  o  {u — y-i)  o  (u — «g) ...  0  ju—an) 

^     ^  a(u  -PO  0  {i(r-^,)  ...  a  (ii—'^n)  ' 

che  è  uniforme  in  tutto  il  piano  ed  ha  a  comune  colla  f{u)  da  costruirsi 
gli  infinitesimi  ed  i  poli.  La  f(u)  richiesta  non  può  dunque  differire  dalla 
(16)  che  per  un  fattore  esponenziale 

pG(«) 

il  cui  esponente  G  (u)  sia  una  trascendente  intera.  Avremo  dunque  : 
fiu) 


^G(„)  '^  iu—y-i)  n  {U (Xg)  .  .  .  G  {U an) 

0  (u — pi)  a  (u — [ii) ...  a  {u — ^n) 


e  resterà  da  determinare,  se  sarà  possibile,  la  G  («)  in  guisa  che  il  se- 
condo membro  ammetta  i  periodi  2  w,  2  w'.  Servendoci  delle  formole  fon- 
damentali (12)  §.  97,  troviamo  che  G  (ii)  deve  soddisfare  le  condizioni 
seguenti 

(  G  {u+2  co)  —  2  rJ2  a  —  V  ,3]  =  G  {u)  +  2k  tc i 
(17) 

(  G{u+2oi')  —  2r[[y^  '•— 2i^]  =G{u)  +  2k'r.i, 

dove  h,  h'  debbono  essere  interi.  Da  queste  derivando  segue  che  la  trascen- 
dente intera  G'  {u)  deve  ammettere  i  periodi  2  w,  2  w',  onde  sarà  una 
costante  (§.98)  ed  avremo 

G(t<)  =  AM  +  B 

con  A,  B  costanti.  Le  (17)  diventano 

(  A  w  —  r.  (2  r  co  +  2  s  w')  =  Jczi 
'  Ad) — Tj  (2rtó+2s(o)  =  «  zi 


ESPRESSIONE   DI   UNA   FUNZIONE   ELLITTICA  PER  LA   aw  269 

da  cui 

A  (rjw' — -q  oi)  =  {Ji'r^ — k-q)  ni. 

Ma,  per  la  (V)  pag.  261,  è  tjw'  -  yj'w  =  -  e  però 

A  =  2k''q  —  2Jc'q. 
Sostituendo  nella  prima  delle  (18),  abbiamo 

(2 k' Tj— 2 k-q)  oi  —  -q  (2 r w+2 siù')=kr.i 

ovvero,  poiché  -/j'io  =  -^  w'  -  —  : 

2  (fc'— r)  Y](o  —  2  (k\s)  7]  tó'  =  0  , 

e  similmente  dalla  seconda  delle  (18)  :  2  {U - r)qiù  —  2{k  +  s)  -^V  =  0. 
Non  potendo  essere  'q  =  -q  =  0,  ne  deduciamo 

k'  =  r    ,     k=  -s  , 

e  però 

A  =  2r'q  +  2s-q 

e  con  questo  valore  di  A  le  (18)  sono  effettivamente  soddisfatte. 

Per  la  funzione  ellittica  cercata  f{u)  avremo  dunque  l'espressione 
analitica 

(VI)         f{u)  =  C  .(2-^+2.r/)  .  ^^,^;f  ^^;'|---"^^:"),  , 

a  {u—^i)  0  (tt— Pa)  .  .  .  o  (zt— ,3„) 

restando  C  costante  arbitraria.  Ne  concludiamo:  Dati  ad  arbitrio  nel 
parallelogrammo  dei  periodi  gli  infinitesimi  a  e  gli  infiniti  [3  di  una  fun- 
zione ellittica  da  determinarsi,  purché  sia  soddisfatta  la  condizione 

(15*)  y^a  —  ^^  =  2riù+2s(ù'    (r,  5  interi) , 

la  funzione  esiste  ed  è  data,  a  meno  di  un  fattore  costante,  dalla  (VI). 

Osserviamo  che  nella  (VI)  non  importa  che  i  punti  a,  .3  siano  tutti 
in  un  medesimo  parallelogrammo,  ma  basta  che  le  oc  formino  un  sistema 
ììompleto  di  infinitesimi  non  equivalenti  e  le  (3  similmente  un  sistema 


270  CAPITOLO    IX.  —  §^.   100,  101 

completo  di  poli  della  funzione.  In  particolare  potremo  alterare  le  a  e 
le  |3  di  periodi,  in  guisa  che  risulti 

e  allora  la  (VI)  diventerà  più  semplicemente: 

§.   101. 
Funzioni  doppiamente  periodiche  di  1%  2^  e  3*  categoria. 

Per  mezzo  della  o  si  esprimono,  come  si  è  visto,  tutte  le  funzioni 
ellittiche,  mediante  la  (VI)  o  (VI*).  Ma  insieme  a  queste  funzioni,  che 
offrono  una  doppia  periodicità  assoluta,  possiamo  esprimere  più  general- 
mente per  la  a  tutte  quelle  funzioni  uniformi,  senza  singolarità  essenziali 
tranne  in  u=  ce ,  i  cui  infinitesimi  ed  infiniti  sono  distribuiti  in  modo 
doppiamente  periodico  nel  piano,  senza  die  lo  siano  gli  altri  valori  '  ^' . 

Dati  infatti  ad  arbitrio  un  sistema  completo  di  infinitesimi 

«1  ,  «2 ,  • . .  a-/» , 
ed  un  sistema  completo  di  poli 

per  la  funzione  cercata  'f  (m),  questa  non  potrà  differire  dal  quoziente 

o  {u — ai)  o  {u — ag)  ...  e  (m — a„) 

a  (?t— Pi)  0  (m — Pj)  ...  a  {u — Pm) 

che  per  un  fattore  esponenziale 

nel  quale  la  trascendente  G(m)  resterà  affatto  arbitraria,  sicché 

^^    '  O  {u—%)  ...   0  (W-Pm) 


(*)  La  3  stessa  offre  il  più  semplice  esempio  di  una  tale  specie  di  funzioni. 


FUNZIONI    PERIODICHE   DI    P,    2*   E    3/   CATEGORIA  271 

Si  avrà  allora 

^{u+2  (o)  ^  ^Q  ( j^_|_2  (u)  _  G  {u)  +  2  -^  {n—m)  m  +  2  ■/]'  {1  ^— I  a)  +  (?i— m)  z  i 
<P  (w) 

(p(^<+2(oO  _  ^G(«+2o;)  —  G(m)  +  2r/(n-7/i)  ii  +  2yj'(Sp-Va)  -|-  («-,»)  ^i  _ 
?  (m) 

Possiamo  determinare  G  (^0  in  guisa  che  i  fattori  esponenziali,  per 
cui  a3(««  +  2w),  'f  (m+2o/)  differiscono  da  ^{u),  abbiano  esponenti  li- 
neari in  ti,  come  accade  per  la  ou.  Sarà  perciò  necessario  e  sufficiente 
che  G{u)  sia  un  polinomio  di  2."  grado  in  u: 

G  (u)  =au^  -\-  bu  -{-  e  , 

dopo  di  che  per  la  funzione 

(VII)  .  («)  =  ^'"+'>u+c  <<»-«■)■■■  °(«-^.) 

^       ^  '  ^  a  (it — pi) ...  a  {il — [3„,) 

risulterà  : 

(  '^(^tf2co)  =  e^"+B.9(^0 

(  9(M+2a)')  =  e^'"+^'-?(w), 
dove  si  è  posto  < 

A  =  4aw+2-/](n — m)  ,    A' =  4aco'+2Y/ (>^— m) 

l  B'  =  4  aw'2 4-  2  6a)'  +  2  '/]' (V  [3— ^  a)  +  {n—ìn)  tt i . 
Si  noti  che  fra  le  costanti  A,  A'  ha  luogo  la  relazione 

(20)  Aa>' — A'to  =  (w  — m)  Tri. 

Diremo  funzioni  periodiche  di  1.^  categoria  quelle  ^(u)  date  dalla 
(VII),  per  le  quali  si  possono  determinare  a,  h  in  guisa  che  ne  risulti 

A  =  A'  =  B  =  B'  =  0, 

cioè  in  modo  da  avere  una  funzione  ellittica.  Per  ciò  è  necessario  e  suf- 
ficiente che  si  abbia  insieme 

(21)  n  =  m  ,  2=^  =  2^- 


272  CAPITOLO  IX.  —  §§.  101,  102 

Le  funzioni  periodiche  di  1.''  categoria  coincideranno  dunque  colle 
ordinarie  funzioni  ellittiche,  o  ne  differiranno  soltanto  per  un  fattore 
esponenziale  con  esponente  di  2.°  grado. 

Diremo  periodiche  di  2.*  categoria  quelle  -f  (u)  per  le  quah  possiamo 
determinare  a,  b  in  guisa  che  risultino  ancora 

A  =  A'  =  0  , 

ma  non  simultaneamente  B  =  B'  =  0.  In  tal  caso  delle  due  condizioni  (21) 
sarà  soddisfatta  solo  la  prima,  e  la  funzione  'f  (w)  acquisterà  fattori 
costanti  per  aggiunta  di  periodi  all'argomento. 

Attribuiamo  in  fine  alla  terza  categoria  tutte  le  altre  funzioni  9  (u), 
per  le  quali  adunque  non  è  possibile  determinare  a,  h  in  guisa  da  ren- 
dere A  =  A'  =  0.  Per  le  funzioni  di  3.*  categoria  sarà  quindi  n^m. 


§.  102. 

c(v-\-u)o(v-u)     ,  .  .  .    .          , 

Forinola  pu—pv  = ^ — § ed  equazione  ai  tre  termini  per  la  a. 


Applichiamo  subito  i  risultati  generali  del  §.  100  alla  ricerca  di  al- 
cune formolo  fondamentali.  Sia  v  un  punto  fisso  nel  primo  parallelo- 
grammo dei  periodi  (0,  2a),  2a>+2(tì',  2o/)  e  si  consideri  la  differenza 

pu  —  pv. 

Considerata  come  funzione  di  u,  è  questa  una  funzione  ellittica  di 

2.°  ordine  con  un  unico  infinito  in  u  =  0  e  col   termine   d'infinito -5. 

ir 

Essa  avrà  dunque  due  infinitesimi  nel  parallelogrammo,  che  sono  evi- 
dentemente nei  punti 

Uo  =  v  ,    Uo  =  2iù+2oì' — V  (^); 

questi  infinitesimi  saranno  del  1.''  ordine  salvo  quando  siano  equivalenti, 


W  A  causa  di  p  {-v)  =  pv. 


FORMOLA    FONDAMENTALE    pU  -  pV  = 

il  che  accade  soltanto  per 


rs  (v+u)  g{v-u) 


ou  ov 


273 


•y  =  w   ,    tó'  ,    w+w'  (^)  . 


La  (VI*)  ci  dà  quindi  subito 
pu — (f>v  =  C 


?(MJ 


essendo  C  una  costante  rispetto  ad  u,  cioè  una  funzione  di  v. 

Per  determinare  C  basta  moltiplicare  per  u^  e  passare  al  limite  per 
u  =  0,  osservando  che 

lim  u^  pu=\  ,    lini  —  =  1 

«=o  "=o     W 

e  si  trova  C=  -n^v.  Abbiamo  così  la  formola  fondamentale: 

a  {u+v)  a  {v — u) 


(Vili) 


pu  —  pv  = 


o'-u  a  t? 


Di  qui  possiamo  dedurre  un'altra  formola  importante  per  la  a.  Es- 
sendo 

a  ,  6  ,  e  ,  d 

quattro  valori  qualsiasi  dell'argomento  u,  e  posto 

k  =  pa  ,  B  =  ^6  ,  C  =  ^c  ,  D  =  ^(? , 

si  ha  l'identità 

(A— B)  (C— D)  +  (A— C)  (D— B)  +  (A— D)  (B— C)  =  0('), 


(*)  Che  le  differenze 

pU p(à  ,   pu — più   ,   pu p(lÙ  +  0)') 

abbiano   rispettivamente   in    u  =  w ,  to',  co  -\-  w'  un   infinitesimo   del   2."   ordine 
risulta  anche  da  ciò  che  ivi  si  annulla  p.  Infatti,  essendo  p   dispari,  si  ha  p.  e. 

p'  (2  (0 — u)  =  -  p'u  , 
indi  p'w  =  -  p'ià  =  0  e  così  ^'w  =  0,  p'  (w+co')  =  0. 

(2)  Basta  sviluppare  il  determinante  identicamente  nullo 


A  A  A 
B  C  D 
111 


A-B    A— C    A— D 
B  C  D- 

111 


18 


274  CAPITOLO  IX.  —  §§.  102,  103 

ossia 
ipa—ph)  {pc—(pd)  +  ipa—pc)  pd—ph)  +  ipa—pd)  {pb—pc)  =  0 . 

Se  alle  differenze  pa  -  ph,  pc  -  pd  ecc.  sostituiamo  le  loro  espres- 
sioni date  dalla  (Vili),  e  togliamo  i  denominatori,  otteniamo  la  formola 
domandata  : 

(IX)   a(a— ò)  C5  {a^h)^{c— (!)-.{€ ^d)  +  -.{a— e)  'z{a+c)  -.{d—h)  a((i+&)  -[- 
-h  c!  {a—d)  n{a  +  d)  z  (h—c)  n{h-\-c)  =  0, 

che  si  dice  Vequa^ione  ai  tre  termini  per  la  o. 

§.  103. 
Equazione  differenziale  per  la  pu:  p'^  =  ^  p^~g-2  p  -gz- 

Un'altra  formula  importantissima  otteniamo  esprimendo  la  derivata 
pu  per  la  a.  Si  osservi  che  la  p'u  è  una  funzione  ellittica  di  3."  ordine, 

che  diventa  infinita  neir  origine  come s  ed  infinitesima  del  1.°  or- 

dine  nei  tre  punti  non  equivalenti 

(0    ,     ttì'    ,     — (w  +  d/)   '^>  . 

Per  la  (VI*)  pag.  270  avremo  dunque 

,          „  o  {u — w)  n  (u — to')  G  (n+oi+to') 
pu=L  3 . 

Per  determinare  la  costante  C  si  moltiplichi  per  ii^  e  si  passi  al 
limite  per  ^*  =  0;  troviamo 

C-  2 

0  w  c  co  a  (lo+o)  ) 

ìndi 

n  (u — (tì)  a  (u — (lì)  a  (w+w  +  to') 


(X)  p'n=-2 


o  w  e  co'  a  (oj  +  to')  0^ 


"'  Si    prende  — ((»-}- o/)  iu  luogo  di  ii)-{-iu',    perchè  sia  Xc(  =  0   come  Sp. 
(Cf.  §.  100). 


EQUAZIONE   DIFFERENZIALE  PER   LA   g)U  275 

Cangiando  in  questa  u  in  -u  e  moltiplicando  le  due  fonnole  fra 
loro,  si  ha: 

,j    a  {(ù-iì)  a  (cd+m)      o((o'-^t)  a(ttì'-H<)      a  (oj+(tì'-?i)  a  (co+to'-Ut) 

0  0)  a  w  a  co  a  w  a  (w+co  )  c% 

ossia  per  la  (Vili) 

(XI)  p'Si  =  4  {pu -  ^co)  (p«< - pDì)  ipu  - p  ((O+O/) )  , 

formola  che  potremmo  anche  stabilire  direttamente,  osservando  che  le 
due  funzioni  ellittiche  dei  due  membri  hanno  a  comune  infinitesimi  e 
poli. 

Da  questa  formola  (XI)  deriviamo  importanti  conseguenze,  cercando 
di  determinare  i  coefficienti  del  polinomio  di  3.°  grado  in  pu  del  se- 
condo membro.  Possiamo  a  tale  scopj  servirci  degli  sviluppi  di  pu,  p'u 
nell'intorno  deir origine  w-0.  La  formola  (III)  pag.  259  ci  dà  per  lo 
sviluppo  di  pu  neir intorno  dell'origine 

(22)  fu  =  \^-  X  lr-^2  -  -J 

u      ,tr„  {{ii—w)      w) 

(i<;  =  2  m  (jo  +  2  w  to') . 

Secondo  i  teoremi  sulle  serie  di  funzioni  analitiche  (Gap.  IV,  §.  47,  48), 
si  può  sviluppare  la  serie  del  secondo  membro  in  una  serie  di  potenze 
di  u  nel  modo  seguente.  Abbiamo 

'  =4  ri-" 


{u—wf        w^  \         w 

e  quando  |f(|<;|w^l  (per  il  che  basta  che  \u\  sia  minore  della  più  pic- 
cola delle  quantità  2  j  w  .  2  !  w'  ;  2  {co  +  to'  '  2  j  co  -  w'  |  ),  sviluppando  colla 
serie  binomiale,  abbiamo 

1  —  ]  =2  (''+1)  —  . 

;ndi 

(u-wY        IV- ~  ,sl  ^'' ^ ^  i<^'+' 
e  sostituendo  nella  (22)  : 

1     ,    v'v"  (»* +  !)«*'' 


pu  =  -8  +  2'  2 


r+2 


276  CAPITOLO  IX.  —  §.  103 

Ordiniamo  la  serie  tripla  per  le  potenze  di  m,  osservando  che  tutte 
le  somme  doppie 


per  r  dispari  sono  nulle  '^'.  Ponendo 

<^3)  '-liOM.+ìn.r*'     (-1-2.  3..). 

avj'erao  per  lo  sviluppo  domandato 

(24)  pu  =  -^  +  2  (2^1-1)  Cr  li'' , 
quindi 

(24*)  p'u  =-\+2^r  (2r+ 1)  e,  ii''-\ 

Ora,  facendo  uso  con  Weierstrass  delle  notazioni 

(25)  ei  =  p(à  ,    e.2  =  p  (co  +  o/)  ,    e^  =  ^o/  , 
e  ponendo 

(26)  ^1  =  4(61+62+63)  ,    i/2  =- 4  (61  62+62  63+63  61)  ,    ^73  =  4  6162  63, 
potremo  scrivere  la  (XI)  cosi: 

(p'\  =  4  ^^w  —  gì  (p\i  —  Qi  (pu  —  Oz . 

Moltiplichiamo  questa  per  u^  e  sostituendo  ad  u^  p'it,  u^  pu  i  loro  svi- 
luppi, dati  dalla  (24),  (24*): 

ti^  p'u  =  -  2  +  6  Ci  m'  +  20  62  tt^  +  . . . 

u^  pu  =  l  -{-  S  Ci  21*  -\-  5  c^u^  -{-...  , 

avremo  T identità:  • 

(—  2  4-  6  Ci  u*  +  20  C2  u'+. .)'  =  4  (1  +  3  Ci  u'  -[-  5  62 11'  +  .  .)^  — 

- giu' {1  +  3  Ci  u'+..)—g,u'il-]-3Ciu'-\-..)  —  g3u', 


(')  Ciò  risulta  anche  dalla  parità  di  pu. 


ESPRESSIONI    DEGLI    INVARIANTI  0^,0^  277 

e  paragonando  da  una  parte  e  dall'altra  i   coefficienti  di  «t^  M^  ^t^  ot- 
teniamo 

gi  =  0  ,   g^  =  GO  e,  =  60  2' 


^3=140C2=140  2' 


1  (2wco  +  2wa)')^  ' 
1 


Di  qui  vediamo  intanto  che  si  ha 
(27)  e,  +  e»  4-  ea  =  0  , 

cioè 

^to  +  ^0)'  -|-  ^  (w  +  ct/)  =  0 

e  per  ciò 

(  (/j  =  —  4  (ei  62+^2  63+63  eO  =  2  (ei+e|+e|) 
(38) 

(  ^3  =  4  Ci  62  C3  • 

La  relazione  fra  fp'u  e  ^?t  resta  dunque 

(XII)  ip'hf.  =  4  phi—g2  pu  —g^ . 

§.  104. 
Gli  invarianti  5'2  )  5';5  e  gli  sviluppi  di  pii,^u,^u  nell'intorno  dÌM  =  0. 

Le  costanti  g^.g^,  che  dipendono  dai  periodi  2o),  2co'  nel  modo  tra- 
scendente espresso  dalle  formole 


'\i 


(XIII) 

5^3  =  140  2   (2wa)  +  2wtóy  ' 

diconsi  gli  invarianti  della  funzione  pu.  Una  prima  ragione  di  tale  de- 
nominazione la  troviamo  in  questo  che,  comunque  si  cangino  i  periodi, 
purché  la  pu  rimanga  la  stessa,  le  costanti  g^ ,  gz  non  cangiano.  È  evi- 
dente infatti  che,  come  per  la  a?*  (§.  95),  così  per  la  pu,  condizione  ne- 


278  CAPITOLO   IX.  —  §.  104 

cessarla  e  sufficiente  perchè  due  pu  costruite  con  diversi  periodi 

p{u\  (tì,  o/)  ,    ^(w|Q,  Q') 

coincidano,  è  die  i  loro  periodi  siano  legati  da  una  sostituzione  lineare  omo- 
genea 

(  co  =  a  o  +  p  Q' 

a  coefficienti  interi  e  determinante  aÒ-,37  =  l.  In  conseguenza  i  punti 
(poli)  2moo  +  2ww'  coincidono,  salvo  l'ordine,  cogli  altri  2miì  +  2nii' 
e  perciò,  secondo  le  (XIII),  i  corrispondenti  invarianti  sono  identici. 

Osserviamo  poi  che  dalla  espressione  analitica  (22)  della  pu  discende 
immediatamente  la  formola  di  omogeneità 

p  {\u  !  Xw,  Xoj')  =  -^  p  {u  0),  o/) . 

Si  vedrà  poi  più  tardi  che  la  denominazione   di  invarianti,  data  a 
fj2,g3,  corrisponde  anche  ad  una  proprietà  algebrica. 

Ritorniamo  ora  allo  sviluppo  di  pu  nell'intorno  di  u  =  0: 

*>»  =  ^  +  1  (2'-+l)  e,  u-  =  l,  +  -^  „>  +  I  „.  +  . . 

per  dimostrare  l'importante  teorema: 

Tutti  i  coefficieìiti  di  qu£sta  serie  sono  funzioni  razionali  intere,  a  coef- 
ficienti razionali,  degli  invarianti  g^,  gz. 

Per  dimostrarlo  osserviamo  che,  derivando  la  (XII),  si  ottiene 

(29)  p"u^^^phl  —  ^g, 

e,  se  sostituiamo  da  una  parte  e  dall'  altra  gli  sviluppi  di  pu,  p"u  nel- 
r  intorno  di  u  =  0,  otterremo  delle  formole  ricorrenti  per  i  coefficienti,  che 
porranno  in  evidenza  la  proprietà  enunciata. 
Pongasi  per  brevità  u^  =  v  e  inoltre 

ao=l  ,    «1  =  0  ,    an  =  (2n-l)  Cn-i     (pernii);' 

avremo 

1    °^ 

pu  =  —  y  a„  y" 


NATURA    DEI   COEFFICIENTI    DELLO   SVILUPPO    DI    pU  279 

e  quindi 


W'      ,^0 


0      \r=0 


p"u  =  -Y  2  (2n-2)  (2w-3)  «„?;". 

Sostituendo  nella  (29)  e  paragonando  da  una  parte  e  dall'altra  i  coef- 
ficienti di  v""^  (per  m>>2),  otteniamo 

(2«—  2)  {2n  -  3)  «n  =  6  («o  a'n  +  «i  «„_i  +  •  •  +  «»-i  «i  +  «»  «o) 
ovvero,  supposto  n  ">  3  : 

,=«—2 

(30)  (W  -  3)    (2  WM  )  «„  =  3    2    «'■  ^rt-r  . 

1=2 

Da  questa  forinola  ricon'ente  a  coefficienti  interi  potremo  calcolare 
successivamente 

por  funzioni  razionali  ed  intere,  a  coefficienti  razionali,  di  «2,  «3,  ossia  di 
92,93-  Per  i  primi  termini  dello  sviluppo  si  trova  così: 

(31)       ^'^-,,2+20''  +28"  +2\3.5^''    '2\5.7.1l'*  + 

^  2M3  \  7  ^  2.3.5V     ^2^3.5^7.lr   ^••• 

Risulta  dal  teorema  dimostrato  che  due  funzioni  pu,  le  quali  abbiano  i 
medesimi  invarianti,  coincidono,  giacché  coincidendo  i  loro  sviluppi  (31) 
nell'intorno  dell'origine,  le  due  funzioni  sono  identiche.  Siccome  la  ^m 
resta  individuata  dagli  invarianti  (Jì,  g-i,  come  dai  periodi,  si  scriverà 

^(«;  92,  fh), 

quando  si  vogliano  porre  in  evidenza  gli  invarianti. 

Con  ciò  però  non  è  ancora  dimostrato  che  agli  invariontì  gì-.g^  si 
possano  dare  valori  arhifrarii.  Questa  proprietà  importante  effettivamente 
sussiste;  ma  nel  nostro  metodo  di  esposizione  della  teoria  non  lo  po- 
tremo dimostrare  che  più  tardi  (V.  Gap.  XI). 


280  CAPITOLO   IX.  —  §.  104 

Dallo  sviluppo  (31)  di  pu  facilmente  si   deduce  integrando  quello 
di  Cw: 

^à^)  U«-  ^        20    3         28    5         2\3.5''    7   "^  '  '  '  ' 


i  cui  coefficienti  sono  evidentemente  funzioni  razionali  intere,  a  coeffi- 
cienti razionali,  di 

92  ,    9z' 

Osserviamo  in  fine  che,  anche  per  la  trascendente  intera  zu,  nello 
sviluppo  in  serie 

ou  =  u  -\-  au^  ■■{-  hìc'  -{-  ciC  +  . . . 
i  coefficienti  a,b,c...  saranno  della  medesima  natura.  E  infatti  poiché 

ou . Cw  =  cu , 

avremo 

1  4-  3aM'  +  òbu*  +  7cn^  +  . .  = 

e  paragonando  dall'una  parte  e  dall'altra  i  coefficienti  delle  medesime 
potenze  di  «,  ne  risulta  subito  la  proprietà  enunciata.  Si  avrà  in  parti- 
colare 

™=«-2fo'*'-8ro»'+-- 


281 


Capitolo  X. 

Decomposizione  di  una  funzione  ellittica  in  elementi  semplici.  —  Teorema  d' ad- 
dizione per  la  Cw  e  la  pu.  —  Le  funzioni  ellittiche  espresse  razionalmente 
per  pu,  p  II.  —  Moltiplicazione  e  divisione  dell'argomento  nella  pu. 

§.  105. 

Costruzione  di  una  funzione  ellittica  con  poli  e  termini 
d'infinito  assegnati. 

Ritornando  alle  funzioni  generali  ellittiche,  occupiamoci  ora  di  risol- 
vere il  secondo  problema  B)  enunciato  al  §.  100:  costruire  una  funzione 
ellittica,  di  cui  siano  assegnati  nel  parallelogrammo  dei  periodi  i  poli  ed 
i  termini  d' infinito.  Sia  u  =  ^  uno  qualunque  dei  poli  assegnati  e  siano 

(1)        A  +  ,-A^+,-7A^+..+  ^^^ 


i  relativi  termini  d'infinito.  La  somma  dei  residui 

estesa  a  tutti  i  poli  nel  parallelogrammo,  o  ad  un  sistema  completo  qua- 
lunque di  poli,  dovrà  essere  nulla  (§.  99);  viceversa,  soddisfatta  questa 
condizione,  esiste  una  corrispondente  funzione  ellittica,  come  ora  dimo- 
streremo costruendola  effettivamente. 

Per  ciò  coininciamo  dall'osservare  che  le  funzioni 


O  ti 

Cm  =  —  ,    pu  ,    p'u  ,    p"u  . . .  p'^'-^^u 

GU 


diventano  infinite  in  u  =  0  e  nei  punti  equivalenti  coi  termini  rispettivi 
di  infinito 


1     i_      _  A      hA 


282  CAPITOLO  X.  —  §.  ]  05 

L' espressione 

(2)     AoC(«-fi)  +  A,  ^  («-?)- I  A,  p{a-'^  +  —^  p"  {u-'p)  +  . . . 

diventa  quindi  infinita  in  ?i  =  ,3  precisamente  coi  termini  d'infinito  (1). 
Se  facciamo  la  somma  delle  espressioni  (2),  estesa  ai  punti  [i  nel  pa- 
rallelogrammo dei  i)eri()di,  ovvero  ad  un  sistema  completo  di  poli  della 
funzione  ellittica  cercata  t'{n),  ed  osserviauio  che  la  somma 

ammette  i  periodi  2w,  2(o'  a  causa  di 

avremo  subito 

(I)         f{u)  =  C  -f  2  I  Ao  C  (u  -  ;ì)  ^-  A,  p  [n  -  p;  —  '^  p'  [a  -  .3)   r- 

essendo  C  una  costante  additiva  arbitraria.  11  secondo  membro  è  effet- 
tivamente una  funzione  ellittica  coi  periodi  2  co,  2  to',  coi  poli  e  i  termini 
d'infinito  assegnati.  Dunque  vediamo  che:  Di  una  funzione  eìlittica  f{u) 
si  possono  assegnare  ad  arbitrio  un  sistema  completo  di  poli  e  i  loro  ter- 
mini d'infinito,  purché  sia  nulla  la  somma  dei  rfsidui;  eia  funzione  cer- 
cata e  data,  a  meno  di  una  costante  additiva,  dalla  (I). 

§.   10(). 
Formole  d'addizione  degli  argomenti  nella  '~u  ^  nella  pu. 

Il  secondo  membro  della  formola  (!)  si  può  cangiare,  come  ci  pro- 
poniamo di  dimostrare,  in  una  funzione  razionale  di  pn.  pu.  A  que- 
sto si  arriva  trasformando  la  (I)  mediante  le  così  dette  formole  d'addi- 
zione degli  argomenti. 


FORMOLA    d'addizione   PER    LA    'Cu  283 

Cominciamo  dallo  stabilire  la  formola  (Faddizione  per  la  funzione  Cu- 
Perciò  prendiamo  la  formola  (§.  102): 


a  (u+v)  a  Ui-'v) 


2  2 


pv  -  pu 


e  derivandola  logaritmicamente  rapporto  ad  u  otteniamo 

C  {u+v)  4-  C  (w  -  v)  —  2  C  w  =      ^^*       , 

pn—pv 

da  cui,  permutando  u  con  v  e  sommando,  abbiamo: 

1    p'u  -  p'v 


(II)  C(«+v)  =  C«< -h  C«^  + 


2     ^?e  -  ^v 


Questa  esprime,  come  si  vede,  la  C  della  somma  di  due  argomenti 
per  la  C,  la  p  e  la.  p  degli  argomenti  semplici  e  dicesi  la  formola  d'addi- 
zione per  la  C. 

Deduciamo  subito  dalla  (II)  una  conseguenza  che  importa  notare.  Fa- 
cendovi 

U  z=  Oì    ,      V  ^  M 

e  ricordando  che  p'co  =  0  p'o/  =  0,  ne  risulta 

C  (CO  +  OJ')   =  e  (0  -|-    e  w'  =  7]  +  // 

Più  in  generale  se  r,  s  sono  due  interi  che  non  siano  ambedue  pari, 
ne  risulta 

C  {)'«)+ SO))  =  rri+sr[  . 

Ciò  posto,  supponiamo  di  cangiare  i  periodi  fondamentali  2  co,  2  co'  in 
altri  due  fondamentali  2m,  2o/  colla  sostituzione  lineare  (§.  95) 

l  w  =  a  0)  -f-  [3  co' 
f   co'  =  Y  03  -[    0  oj' , 

con  a,  ,3,  7,  0  interi  e  co -,37=  1,  e  chiamiamo  2-^,  2-^  i  nuovi  periodi  di 
2.*  specie.  Siccome  lìf  nuova  funzione  C  è  eguale  all'antica,  pel  mede- 


284  CAPITOLO  X.  —  §.  106 

Simo  valore  dell'argomento,  avremo 

(  r/  =  C  (to')  =  C  (y  to  +  ò  o/)  =  V  T,  +  ò  fi. 

Se  ne  conclude  il  teorema:  Se  i  periodi  di  i."  specie  subiscono  una 

sostituzione  lineare  (  /'  ^  )  «  coefficienti  interi  e  a  determinante  =  \ ,  anche 

i  periodi  di  2.^  specie  subiscono  la  medesima  sostituzione. 

Ritorniamo  alla  formola  generale  (II)  d'addizione  per  la  C  e  derivia- 
mola rapporto  ad  u;  otteniamo: 

/TTT\  ,       ■.  \     d    p'u  -  fp'v 

III  $>  {u+v)  =  pu  —  ^  ^  ^^ ^  , 

2    du     pu-  pv 

che  è  una  prima  forma  del  teorema  d'addizione  per  la  p. 

Se  eseguiamo  nel  secondo  membro  della  (III)  la  derivazione,  e  so- 
stituiamo a 

p'u    ,     p  u 

i  loro  rispettivi  valori 

4  phi  -  g.2  pu  -  fh  .    B  p-u  —  -^9ì, 
la  poniamo  sotto  l'altra  forma 

2  {pu  pv-\  g^)  (pu  +  pv)  —  gz—  p'u  p'v 


p{u^v)  = 


2{pu-pi-)' 


mediante  la  quale  esprimiamo  p(u+v)  razionalmente  per  pu.  pu,  pv,  p'v. 
Compendiando  la  formola  precedente  con  quella  che  se  ne  ottiene  can- 
giando V  in  -  u,  possiamo  scrivere 

(IV)  p  (u  +  v)  =  ^  (P^^  P'^-\  9i)  (pii+H  —93  +  p'u  p'v 

"  2  ipu  -  pvf 

Notiamo  altre  forme  semplici  ed  utili  del  teorema  d'addizione  per 
la  p.  Dalla  (III)  si  ha 

^  /,, ,  ^A  _  ^,.  _  ^P'u—^g,        1    p"u-p'upv 


FORMOLE   d'addizione   PER   LA    pU  285 

Permutando  in  questa  u  con  v,  sommando  e  dividendo  per  2,  abbiamo 
la  forinola  equivalente 


(V)  p  {h+v)  =  ]    f  ^-^-^  )  _  pu  -  pv 

^   ^  ^  4    \  pu  -  pv  ' 


e  perciò  anche 


,        ,       1    fp'u  +  p'vV 

p(u-v)  =  '-  !  —  pu  -  pv , 

^^        ^       4    \pu-pvj        ^        ^ 


da  cui 

(VI)  ^(„+„)_p(„-.)=-^^^,. 

Meritano  speciale  menzione  quei  casi  particolari  del  teorema  d'ad- 
dizione in  cui  l'argomento  v  è  un  semiperiodo  co,  co'  ovvero  co+c./,  perchè 
allora  il  secondo  membro  si  esprime  per  una  funzione  lineare  della  sola 
pu.  Se  facciamo  p.  es.  nella  (V)  w  =  co,  otteniamo 

,    ,    X  ,1        ^'^«*  ,      ,     .   ,    ipu-ei)ipu~e3) 

p  [u+oi)  =  -  pu  _  Ci  -f  —  --^ ^  =  -  ipu  +  ei)  H ^ . 

4    (pu-e^y  '^  pu-ei 

Ora  si  ha,  eseguendo  la  divisione: 

{pu  -  e,)  {pu  -  e,)  _  ^^  _  ^^  _  ^^  ^  fa  -  e,)  {e,  ~  e.) 

pu  —  ei  pu-  ei 

,161-62)  (61-63) 
e  quindi: 

.        ,         X  ,.     (61-62)    (61-63) 

p  (m  +  Co)  =  6i  +  ' . 

^  ^        ^  pu-ei 

Con  un  calcolo  analogo  per  v  =  co+co',  v  =  u)\  otteniamo  le  formole 


280  CAPITOLO  X.  —  §§.  106,  107 

richieste 


pU-Ci 

(62 

-63]  {€2- 

-eù 

pU-Ci 

(63- 

-Ci)  («3- 

■e,) 

(MI)  /  p  (et+to+o/)  =  «2-1- 


§.   107. 
Espressione  di  ogni  funzione  ellittica  in  funzione  razionale  di  pu,  p'u. 

Trovate  nel  §.  precedente  le  formole  d'addizione  per  la  pii,  facilmente 
ne  deduciamo  quelle  per  le  successive  derivate,  osservando  che  si  ha 

p'hi  =  4  phi  —  ^2  p^t'  —  9ì 

ip'u  =(ip^u  —  -  g^ 

p"'u  =  12  pup'H 

p^'u  =  12  (  IO  phi  —  —  gz  pu  —  gA 


e  in  generale  che  ogni  derivata  d' ordine  pari  è  un  polinomio  razionale 
intero  in  pu,  mentre  ogni  derivata  d' ordine  impari  è  il  prodotto  di  p'u 


W  Queste  formole  si  possono  anche  stabilire  direttamente  così.  Le  funzioni 
ellittiche 

p  (/<+w)  -  ^CO    ,      p  (i<+Oi+tti'j  -  p  ((O+ttì'l     ,      p  (««+0)')  -  p'JÙ 

hanno  rispettivamente   per   infinitesimi  ed  infiniti   gli   infiniti  ed  infinitesimi 
delle  differenze 

pu  -  poy  ,    pn-  p  (coW)  ,    pu  -  più' , 

dalle  cui  inverse   differiscono   quindi  solo   per  fattori  costanti.  Questi  si  deter- 
minano subito  facendo  successivamente,  nelle  tre  formole 


ESPRESSIONE  RAZIONALE  DI  OGNI  FUNZIONE  ELLITTICA  PER  pu,  p'u      287 

per  un  tale  polinomio  '^'.  Ne  segue  che  in  generale 

si  esprime  razionalmente  per 

pu  .    pv  ,    p'u  ,    p'v. 

Ciò  posto,  riprendiamo  la  formola  generale  (I)  §.  195,  che  dà  la  de- 
composizione di  una  qualsiasi  funzione  ellittica  f{u)  in  elementi  semplici 
e  modifichiamo  il  secondo  membro,  servendoci  del  teorema  d'addizione. 
Abbiamo  in  primo  luogo 

2     pn-p;'j 
onde,  a  causa  di  1  A^  =  0 

C4Va.C(„-?,-^C'+1n;a.^. 
La  (1)  può  quindi  scriversi  anche  così 
(Vili,  ^(„)  =  C'+Ì2A.t^  + 

Però  è  da  osservarsi  che  se  uno  dei  poli  della  f{u)  fosse  in  (3  =  0, 
il  corrispondente  termine  nella  prima  somma  del  secondo  membro  deve 
essere  tralasciato.  Se  nessun  polo  di  f{u)  è  in  u  =  0,  il  termine  appa- 
rente d'infinito  in  u  =  0  nella  (Vili)  sparisce  in  effetto,  a  causa  di  I  Aq  =  0. 

Ora  è  evidente  che  nella  (Vili)  possiamo,  colle  formolo  d'addizione, 
cangiare  anche  gli  altri  termini  della  somma  in  altrettante  funzioni  ra- 
zionali di  pu,  p'u.  Perveniamo  così  all'importante  teorema: 


(^'  Supposto  infatti  verificata  la  legge  fino  alle  derivate 
facilmente  si  vede  che  vale  per  le  successive 


288  CAPITOLO  X.  —  §.  107 

Qualunque  funzione  ellittica  coi  periodi  2  co,  2o/  è  esprimibile  razio- 
nalmente per  la  pu,  p'u  costruite  coi  medesimi  periodi. 

La  funzione  pu  e  la  sua  derivata  p'n  sono  dunque  le  funzioni  ele- 
mentari ellittiche,  colle  quali  si  possono  comporre  razionalmente  tutte 
le  altre. 

Osserviamo  poi  che,  siccome  il  quadrato  di  p'  è  esprimibile  razio- 
nalmente per  la  p,  potremo  porre  ogni  funzione  ellittica  f{u)  sotto  la 
forma 

f{u)  =  k  ipu)  -f  pu  B  ipu) , 

essendo  A,  B  funzioni  razionali  di  pu.  Così  ogni  funzione  ellittica  f(u) 
risulta  decomposta  in  due  parti  l'una  pari,  l'altra  dispari.  Mancherà  la 
seconda  parte  se  f{u)  è  pari,  la  prima  se  f{u)  è  dispari. 

Segue  inoltre  che:  per  ogni  funzione  ellittica  f'{ti)  si  avrà  un  teorema 
d'addizione  e  cioè  fra 

fin)  ,    f{v)  ,    f{u+v) 

sussisterà,  qualunque  siano  gli  argomenti  u,  v  una  relazione  algebrica 

(3)  G{fkii)  ,    f{v)  ,    f{u+v))  =  0, 

dove  G  è  un  polinomio  razionale  intero  nei  suoi  tre  argoìnenti. 
E  infatti,  se  dalle  formole 

f{u)  =  A  {pu)  -\~  pu  B  {pu) 

f{v)  =  A  {pv)  +  p'v  B  {pv) 
fiw^v)  =  k{p{u+v))  -f-  p' {u-yo)  là{p{uM)))  , 

mediante  le  formole  d'addizione  e  le  formole 

p^u  =  4  phi  —  g^ pu  —  ^3 
p'-'o  =  4  p^'v  —g^pv—gz, 

eliminiamo  pu,  pu,  pv,  pv,  otterremo  appunto  fra  f{u),  f{v),  f{u+v) 
una  relazione  della  forma  (3). 

Se  consideriamo  due  funzioni  ellittiche  f  (ti)  /i  (m)  coi  medesimi  pe- 
riodi, avremo 

f  {u)  =  A  ipu)  -f  p'u  B  {pu) 

fi  [u)  =  Al  (pu)  +  p'u  Bi  (pu) 


SECONDO   MODO   DI   STABILIRE  LE  FORMOLE   d'aDDIZIONE  289 

e  fra  queste  due  e  la 

p'^i  =  4  phi  —  g^^u  —  gs, 

eliminando  pti,  p'ii,  ne  segue  una  relazione  algebrica  fra  f{u),  fi{u). 
Abbiamo  dunque  il  teorema:  Due  funzioni  ellittkhe  coi  medesimi  periodi 
sono  sempre  legate  da  un'equazione  algebrica. 


§.  108. 
Nuovo  modo  di  stabilire  i  risultati  dei  due  §§.  precedenti. 

I  risultati  stabiliti  nei  due  §§.  precedenti  sono  d'importanza  così 
fondamentale  per  la  teoria  delle  funzioni  ellittiche  che  sarà  bene  darne 
una  seconda  dimostrazione.  Comincia^no  per  ciò  dallo  stabilire  in  altro 
modo  semplicissimo  la  formola  (V)  d'addizione,  della  quale  tutte  le  altre 
sono  conseguenze. 

Indichiamo  con  Ux,  «2  due  valori  fissi  dell'argomento,  che  non  siano 
però  multipli  di  periodi,  né  congrui  fra  loro,  e  supponiamo  di  più  che 
non  sia 

Ui-\-  u.2^0 . 

II  determinante 


M«0  = 


è  una  funzione  ellittica  del  3.°  ordine  con  un  polo  del  3."  ordine  in  m=0 
ed  avrà  quindi  tre  infinitesimi  non  equivalenti,  due  dei  quali  sono  evi- 
dentemente in  u=Ui,  u  =  U2  e  il  terzo  Uq  sarà  quindi  in 

Uo^—ith+Uz)- 
Avremo  dunque  l'identità 

1      ^  (Ui+U.^       -  p'  [Ui-Hli) 

1         pUi  p'ui  =  0 , 

1  pUs  p'Ui 


1 

pu 

pu 

1 

fplh 

(p'ui 

1 

pUi 

&'1h 

19 


290  CAPITOLO   X.  —  §.  108 

formola  che  contiene  appunto   l'indicato  teorema   d'addizione.  Svilup- 
pando abbiamo 

fiUi  p'ut  —  ipUi  p'ux  -f  fp  {ui-Hii)  ip'ui-p'ih)  =  fp  {ui+Ui)  [tpih-pux) 

ed  elevando  al  quadrato  col  porre  p  (wi  +  ii^  =  x,  otterremo 

(4)     (4  a^~gi  x~g^)  {pUi-pihf—  \  {p'ih-p'uò  ^  +  P^h  p^h-pih  p'ih  P  =  0 . 

Le  radici  di  questa  equazione  del  3."  grado  sono,  oltre  x  =  p{ui-\-  u^), 
le  x  =  piii,  x  =  pu.2,  giacché  il  determinante  'l  (ii)  si  annulla  per  u  =  Ui, 
ti  =  u^.  Il  primo  membro  della  (4)  sarà  dunque  identicamente  eguale  al 
prodotto 

4  {pui—pKiY  {x—p  {i(i'Hiì))  {x—pih)  (x—pUi) 

e,  se  paragoniamo  i  coefficienti  di  x^ ,  troviamo  precisamente  la  for- 
mola (V) 

p  (Ui-Hli)  +  plh  -\-  pU.2  — 


4    V  (pUi — P^ 

Dimostriamo  ora  nuovamente  il  teorema  che:  Ogni  funzione  ellittica 
coi  xìeriodi  2a),  2w'  è  una  funzione  razionale  di  pu,  pu. 

Per  questo  cominciamo  dall'osservare  che  dalla  formola  fondamentale 
(I)  pag.  282  risulta  subito  il  teorema:  Ogni  funzione  ellittica  d'ordine  n, 
che  diventa  infinita  solo  nell'origine  (e  nei  punti  equivalenti),  è  una  fun- 
zione lineare  intera  di 

pu  ,    pu  ,    p"u  .  . .  ^<"~^'m 

e  quindi  esprimibile  sotto  la  forma 

f{u)  =  a{pu)  -}-  p'u^ipu), 

dove  7,  (3  sono  polinomii  razionali  interi  in  pu. 

Ora  è  ben  facile  vedere  che  qualsiasi  funzione  ellittica  ò  {u)  è  sem- 
pre il  quoziente  di  due  tali  funzioni  speciali  fi  (u),  f  {u). 

Siano  infatti  «i ,  «2 . . .  a^  gli  infinitesimi  (non  equivalenti)  di  à  (u)  e 
òi,  62 ...  &„  i  poli;  avremo  la^^lh.  Supposto  dapprima  che  sia  Ih^O, 
potremo  costruire  una  funzione  ellittica  d'ordine  w,  sia /"(«*),  che  diventi  in- 
finitesima in  1)1,02. .  hn  ed  infinita  (d'ordine  n)  nell'origine,  onde  il  pro- 
dotto f{u) .  '^u)  diventerà  infinito  solo  nei  vertici  della  rete  e  sarà  per- 


FUNZIONI  UNIFORMI  CHE  AMMETTONO  UN  TEOREMA  d'aDDIZIONE  291 

ciò  una  funzione  fi  (u)  della  specie  voluta,  e.  d.  d.  Se  poi  S  &  ^  0, 
prendasi  &«-,.i^^  — 16  e  si  costruisca  la  f(u)  d'ordine  n-\-l  cogli  infini- 
tesimi hi,hi.  .hn,  hn+i  e  un  infinito  d'ordine  w  +  1  nell'origine  e  si  pro- 
ceda come  sopra. 

§.  109. 
Funzioni  uniformi  che  ammettono  un  teorema  d'addizione. 

Le  funzioni  ellittiche  sono,  come  abbiamo  dimostrato,  funzioni  uni- 
formi che  ammettono  un  teorema  d'addizione. 

Queste  proprietà  caratterizzano  perfettamente  le  funzioni  ellittiche  e 
due  altre  classi  di  funzioni,  che  possono  del  resto  riguardarsi  come  casi 
limiti  delle  ellittiche.  Sussiste  infatti  il  seguente  teorema,  dovuto  a  Weier- 
strass : 

Se  una  funzione  f{u),  uniforme  in  tutto  il  piano  complesso,  possiede 
un  teorema  d'addizione,  in  guisa  che,  essendo  u,  v  due  valori  qualunque 
dell'argomento,  fra  f{u),  f{v),  f{u+v)  abbia  luogo  l'equazione  algebrica 

{a)  G(fiu),  f{v),  f{u+v))  =  0, 

la  f{u)  potrà  presentare  i  tre  casi  seguenti:  1."  la  f{u)  è  ima  funzione 
razionale  di  u,  2.'^  la  f{u)  è  una  funzione  razionale  dell'esponenziale  e'"' 
(a  costante),  8."  f{u)  è  una  funzione  ellittica  e  quindi  razionale  nelle  due 
funzioni  elementari  pu,  ^'u  <  ^' . 

Questo  importante  teorema  è  per  Weierstrass  il  punto  di  partenza 
per  la  sua  trattazione  della  teoria  delle  funzioni  ellittiche  (Cf.  Lezioni 
manoscritte). 

Dimostreremo  il  teorema  enunciato  seguendo  il  metodo  di  Phragmèn 
(1.  e.  in  nota).  In  primo  luogo  se  la  f{u),  uniforme  in  tutto  il  piano  com- 
plesso, non  ha  alcuna  singolarità  essenziale  sarà  una  funzione  razionale 
di  u  (Gap.  VI  §.61).  Che  inversamente  ogni  funzione  razionale  di  u  pos- 
segga un  teorema  d'addizione  è  subito  evidente. 

Abbia  ora  la  /"(«)  almeno  una  singolarità  essenziale;  dimostreremo 
allora  in  primo  luogo  che  la  f  {u)  dovrà  essere  almeno  una  volta  perio- 


(**  Per  le  generali  funzioni  analitiche  sussiste  un  teorema  analogo,  sosti- 
tuendo alla  qualifica  di  funzione  l'azionale  quella  di  funzione  algebrica  (vedi 
la  dimostrazione  di  Phragmèn.  Ada  Mathematica,  Bd.  7,  pag.  33). 


292  CAPITOLO  X.  —  §.  109 

dica  e  per  ciò  partiremo  dal  fatto  che,  essendo  N  un  numero  intero 
grande  quanto  si  voglia,  vi  sarà  qualche  valore  che  la  f{u)  riprenderà 
N  volte  0  più.  Utilizzando  un  teorema  di  Picard,  enunciato  al  Gap.  VI 
§.  60,  la  cosa  riesce  di  immediata  evidenza;  ma  possiamo  facilmente  di- 
mostrare il  nostro  lemma  riferendoci  soltanto  ai  risultati  di  Weierstrass, 
relativi  alle  singolarità  essenziali,  dimostrati  al  citato  §.  60.  Sia  h  un 
valore  preso  da  f{u)  un  certo  numero  m  di  volte  in  m  punti  regolari 

Se  consideriamo  m  intorni  sufficientemente  piccoli  di  Ui,  ii-i, . . .  Um , 
sappiamo  che  f{u)  prenderà  in  questi  intorni  tutti  i  valori  sufficiente- 
mente prossimi  a  b. 

D'altronde,  in  vicinanza  di  una  singolarità  essenziale,  la  f{u)  prende 
dei  valori  prossimi  a  b  più  di  qualunque  quantità  assegnabile.  Se  ne  con- 
clude che  esisterà  qualche  valore  e  prossimo  a  6,  che  f{u)  riprenderà 
almeno  ni  +  1  volte,  e  cioè  una  volta  nell'intorno  di  ciascun  punto 
Ui,U2 . . .  Um  ed  una  volta  nell' intorno  della  singolarità  essenziale.  Par- 
tendo ora  da  e  troveremo  almeno  un  valore  d,  che  f  {u)  dovrà  ripren- 
dere almeno  w+2  volte  e  così  di  seguito. 

Ciò  premesso,  supponiamo  che,  nella  supposta  formola  d'addizione 

ia)  G(fu),  fiv),  /■(n-H;))  =  0, 

la  funzione  razionale  intera  G  sia  di  grado  m  in  f{u+v)  e  sia  b  un 
valore  che  f  (u)  riprenda  almeno  m+  l  volte  nei  punti  distinti 

Vi  ,   V2...V„+i. 

L'equazione 

G{f{u)  ,b,x)  =  0 

ammetterà  le  m  + 1  radici  in  x 

f{m^i)  ,  fiti+Vz) . . .  f{^l-^m+l) 

e  fra  queste  ve  ne  saranno  quindi  almeno  due  eguali,  p.  e.  sarà  con  qua- 
lunque u: 

fiu-H;i)=f{uH;i) , 

od  anche 

f{UrWi-V2)=fiu), 


FUNZIONI   UNIFORMI   CON   UN   TEOREMA   d' ADDIZIONE  293 

ossia,  posto  Vi  —  v2  =  2ìù: 

/'(M+2tó)  =f{u). 

Dunque  intanto:  la  f{u)  è  almeno  una  volta  periodica.  Supponiamo 
dapprima  che  sia  semplicemente  periodica  e  sia  2w  il  periodo  di  mo- 
dulo minimo,  del  quale  adunque  tutti  gli  altri  saranno  multipli.  Se  po- 
niamo 


e  consideriamo  f{u)  come  funzione  di  s 

sarà  9  {z)  funzione  uniforme  di  z,  poiché,  per  ogni  cammino  chiuso  de- 
scritto da  z^ 

w  =  -T  log  0 

aumenta  di  un  multiplo  di  2  w  ed  /"  («)  si  riproduce.  Ora  se  9  {z)  non  ha, 
rispetto  a  z,  alcuna  singolarità  essenziale  sarà  una  funzione  razionale  di 
z,  diciamo  R  {z),  quindi 

/•(w)  =  rU'^;. 

Che  viceversa  ogni  funzione  razionale  dell'esponenziale  possegga  un 
teorema  d'addizione  è  subito  evidente. 

Se  poi  'f  (z)  possiede  qualche  singolarità  essenziale,  dovrà,  per  quanto 
si  è  visto  sopra,  riprendere  il  medesimo  valore  per  m  +  1  valori  distinti 
di  ^  e  quindi  per  m  +  1  valori  di  u  incongrui  rispetto  al  periodo  2  w. 
La  f{u)  ammetterà  dunque  un  secondo  periodo  distinto. 

Resta  in  fine  che  consideriamo  il  caso  in  cui  la  f{u)  possegga  due 
periodi  distinti  2 co,  2  w'  (in  rapporto  necessariamente  complesso )  e  pos- 
siamo supporre  2  w,  2w'  già  scelti  in  guisa  che  ogni  altro  periodo,  non 
indipendente  da  questi,  sia  un  loro  aggregato  lineare  omogeneo  a  coef- 
ficienti interi.  Se  proviamo  che  f  {ti)  non  può  avere  singolarità  essenziali 
a  distanza  finita,  sarà  provato  che  è  una  funzione  ellittica,  quindi  razio- 
nale in  pu,  p'u.  Ora,  se  vi  fosse  nel  parallelogrammo  (2w,  2  0)')  una 
singolarità  essenziale,  dalla  formola  supposta  d'addizione  seguirebbe, 


294  CAPITOLO  X.  —  §§.  109,  110 

come  sopra,  che  per  due  certi  punti  Vi,  v^  situati  nel  parallelogrammo 
dei  periodi  (2w,  2o/)  si  avrebbe  per  qualunque  valore  dell'argomento  2< 

e  però  Vi — i^  sarebbe  un  nuovo  periodo,  indipendente  da  2o),  2o/,  ciò 
che  è  impossibile  (§.  98).  Così  l'enunciato  teorema  di  ^Yeierstrass  è 
completamente  dimostrato. 

§.  110. 
Forinole  di  moltiplicazione  dell'argomento  per  la  pu. 

Passiamo  ora  a  studiare  le  formole  di  molUplicasione  dell'argomento 
per  la  pu.  Essendo  n  un  numero  intero  qualunque,  la  funzione  p{nu) 
è  evidentemente  una  funzione  ellittica  coi  periodi  2  co,  2  co'  ed  è  una  fun- 
zione pari,  come  la  pti,  onde  avremo  (§.  95):  La  p{nu),  per  qualunque 
valore  del  numero  intero  n,  è  una  funzione  razionale  di  pu.  Si  tratta  ora 
di  studiare  pili  da  vicino  la  composizione  di  questa  funzione  razionale 
F  {pu).  Ricorriamo  per  ciò  alle  formole  di  addizione  (§.  106)  e  dalla  (IV) 
deduciamo 

2  {pu  pv—\  g^)  (pu+pv) —Qz 


p  {uW)  +  p  (u-v)  = 


{pu  -  pvf 


Se  cangiamo  in  questa  u  in  (m — 1)  u  e  v  m  u,  otteniamo  la  formola 
ricorrente  : 

rK\    w     ^l    ^/^,1^«^       ^[piii^-'^)^)  P^—Ì92](p{n-l)u-\- pii)—g, 

(5)    p {nu)  4-  p{(n-l)u)  = 7 — ; — ir z^— — , 

\  j     ir\      j    i    orw        }    I  {p{n-l)u  —  puf 

mediante  la  quale,  facendovi  successivamente 

w  =  3  ,  4  ,  5  , , 

si  calcoleranno  successivamente 

p{Sii)  ,    p{4:u)  ,    p{òu)... 
in  funzione  razionale  di  pu,  p{2u).  Se  poi  nella  formola  (V)  pag.  285: 


,      .        1    /pu-pvY 
p  (w+v)  =  —     - — ^—     —  pu-pv  , 
4    \  pu-pv  J 


FORMOLE  DI   MOLTIPLICAZIONE   DELL'ARGOMENTO  PER   LA  $>U  295 

poniamo  u  =  v,  osservando  che,  al  limite  per  u  =  v, 

pu—p'v 


diventa 


otteniamo 


fili — fiv 
fp'u  p'u 


È  utile  dare  a  questa  formola  l'altra  forma 
(6)  p  (.2«)-pu  =  -3p'»  +  fgaP'»  +  3i>3f»  +  TVgl  . 

Dalle  (5),  (6)  risulta  che:  nella  funzione  razionale  F{pu)  =  p{nu)  il 
numeratore  ed  il  denominatore  sono  polinomii  a  coefficienti  interi  nelle 

quantità  gz,  -~  g^. 

§.  111. 

a  {nu) 


La  funzione  ^n  (m)  = 


o"m 


Il  calcolo  successivo  di  ^(2?«),  ^(3m),  p{^u) . . .  dalla  formola  ricor- 
rente (5)  riuscirebbe  molto  complicato.  Si  ottiene  una  notevole  sempli- 
ficazione del  processo  introducendo  una  funzione  ellittica  ausiliaria  ']^n(w)) 
che  definiamo  ponendo: 

(6*)  ^»(»)  =  ^. 

Le  formolo  fondamentali  perla  ^^<  (§.  97)  dimostrano  subito  che  la 
^n  (w)  è  effettivamente  una  funzione  ellittica  coi  periodi  2  co,  2  0)'.  Essa 
diventa  infinita  d' ordine  n^  —  1  in  «=  0  ;  i  suoi  n'  —  1  infinitesimi  nel 
parallelogrammo  dei  periodi  sono  nei  punti 

2ra)  +  2sw' 


296  CAPITOLO  X.  —  §.111 

dove  r,  s  percorrono  tutti  i  valori  0,  1,  2  . .  ;  w — 1,  esclusa  la  combina- 
zione {r,  s)  =  (0,  0).  Ne  segue  che,  se  si  considera  il  prodotto 

„,  /              /2rto  +  2s(o' 
^A^^^'^l n 

ove  r,  s  percorrono  gli  indicati  valori,  questa  funzione  avrà  a  comune 
con  4*^  (u)  periodi,  infiniti  ed  infinitesimi  e  sarà  quindi 

(7)  ^;(„)  =  cii;(p«-^(?r^:^) 

Ora,  se  osserviamo  che 

/2(n-r)iò-\-2(n-s)(ù'\  /2rtó+2s(o' 


e  che  le  coppie  opposte  (r,  s)  (n  —  r,  n  —  s)  sono  sempre  distinte  se  n  è 
dispari,  vediamo  che  per  n  dispari  il  secondo  membro  della  (7)  è  il  qua- 
drato perfetto  di  un  polinomio  in  pn  e  si  ha  per  ciò 

(8)        ^(ww)  =  C'n"  ipu-p{^'^'^'^J^'^\\  ,  perw=l  (mod2), 

ove  nel  prodotto  II"  i  numeri  r,  s  percorrono  — r —   coppie  incongrue 

di  valori  (mod  n)  tali  che  colle  opposte  ( — r, — 5)  formino  un  sistema 

fi^ 1 

completo  (mod  w),  con  esclusione  della  coppia  (0,  0).  Per  queste 

coppie  si  potranno  prendere  p.  e.  le  combinazioni  seguenti 

n—  1 
r  =  1  ,  2  ,  3  ,  .  . .  ,  con  s  =  0 


2 


(^=0,1.2,        -  -  "  -    "-1 


n—\  ,  con  s=  1  ,  2  ,  3 


Per  determinare  infine  la  costante  C  in  (8)  si  moltiplichi  dall'una 
parte  e  dall'  altra  per  ti"  ~^  e  si  passi  al  limite  per  u  =  0,  osservando  che 

lim  {u^  pu)  =  1  ,    lim  |«X~^  '^niu)  j  =  w  ; 


FORMOLE   DI   MOLTIPLICAZIONE  DELL'ARGOMENTO   PER  LA  pU  297 

si  avrà  così  la  forinola  definitiva 

(9)  ^^  {u)  =  n  n"  (^pu  -  g>  [^^:^à^^yj  ,  (n=  1  (mod  2) ) . 

Se  w  è  pari,  vi  sono  soltanto  le  tre  coppie 

2'V'  (O'TJ'  (t'T 

che  coincidono  colle  proprie  opposte,  e  i  corrispondenti  fattori  in  (7)  si 
riuniscono  in 

(pU-fi(ù)  {fiU  —  p(à')  {(pU  —  $>  (tóW))  =  —  (p\  , 

mentre  le  residue  n^  —  4  coppie  {r,s)  si  distribuiscono  nuovamente  due 
a  due  in  coppie  opposte;  si  avrà  quindi 

'l^n 00  =  Cp'uu(pu-p  (^2^^  +  ^^^^^^     (^=0  (mod  2)) , 

ove  nel  prodotto  II  le  coppie  r,s  percorrono  p.  e.  i  valori  seguenti: 

n  n 

r=  1  ,  2,  3,  ... 1  ,  con  s  =  0  ,  s  =  Y 

r  =  0,l,2,...   n—1  ,cons=l,2,3...-^— 1 

e  determinando  in  fine  la  C  col  solito  processo  avremo 

(10)  (|.„(^0=  -y  ^'^*n  (^^*-^^^^^-~))  '  ("=0  ("^^<i  2)). 

Per  mezzo  delle  funzioni  %  (m)  possiamo  esprimere  le  formolo  di  mol- 
tiplicazione dell'argomento  per  la  pu,  partendo  dalla  formola  (§.  102) 

p  {nu)  —  pu=  - o-, — ; — 2 , 

<^  ^     ''       '^  0^  (nu) .  ahi 

che  scriviamo 

a(n—  l)  u     n(n-\-l)u 

p  {nu)  -pu  = 


anu 


o"*w 


298  CAPITOLO  X.  —  §§.  111,112 

od  anche  per  la  (6*) 


(11)  p{nu)-pu=  - 


'^l  (u) 


Si  osserverà  poi  che,  secondo  le  formole  (9),  (10):  La  funzione  ^{u) 

per  n  dispari  è  un  polinomio  di  grado  — - —  in  pu  e  per  n  pari  è  il 

n^ — 4 
prodotto  di  (pu  per  un  polinomio  di  grado  — - —  in  pu. 


§.  112. 
Calcolo  delle  funzioni  'K(w)  per  mezzo  di  formole  ricorrenti. 

La  formola  (11)  riduce  la  costruzione  delle  formolo  di  moltiplicazione 
dell'argomento  della  pu  al  calcolo  delle  funzioni  '^n  (««).  Dalla  (6*)  ab- 
biamo subito  intanto 

'l'I  (w)  =  1 

e  dalla  (10) 

^ì  {u)  =  -p'u. 

Poi,  dal  confronto  della  (C)  §.110  colla  formola 


deduciamo 


^(2w)-F*=-y?, 


3  1 

4*3  {u)  =  -  3  phi  -\--^(j2  P^u  -{-S  g^pu-f—  gì 


Per  calcolare  anche  ^iiu),  ricorriamo  alla  (5)  pag.  294,  facendovi  n  =  3, 
e  ne  deduciamo: 

..  ,0 .A  ,  ....  _{'ip{2u)pu  —  ^ g,)  (p (2 u)+pu)  —gs  . 
sottraendo   dai  due  membri  2pu  e   sostituendo   per  p{2u)  il  suo  va- 

p'^u  {p'Si  —  ^3  {u)  p"u) 


^3  iu)    , 
lore  pu  —  -^—^ ,  troviamo 


y(3«)-<«.=  ^,^^^ 


FORMOLE   RICOKRENTI   PER  4iE   '^n  (u)  299 

e  paragonando  questa  colla 

^(3«)-p«=-*||-', 

Y3 

che  segue  dalla  (11),  abbiamo  in  fine: 

(5  1  1       ) 

Calcolate  così  le  prime  funzioni  ^n' 

(12)     i}^,  =  l  ,  ^,=  -p'u  ,  'Ì3  =  -3  pSi  -V  ^gt  p^u  f  ^gzpu^  j^gl, 

'%  =  p'u  {p'*u  -  Ó3  p"it) , 
possiamo  calcolare  le  successive 

per  mezzo  di  due  formole  ricorrenti,  che  ora  andiamo  a  stabilire. 
Partiamo  per  ciò  dall'equazione  ai  tre  termini  per  la  au  (§.  102): 

a  (a-b)  a  (a+b)  a  (c-d)  0  (c+d)  +  o  (a-c)  a  (a+c)  a  (d-b)  0  (d+b)  -f 
--f  a  (a-fZ)  0  (a+d)  0  (b-c)  a  (b+c)  =  0 

e  facciamo  in  questa 

a  =  imi  ,    b  =  nu  ,    c=^u  ,    d=  0  , 
onde  avremo 

o  (m+n)  li .  0  (ni-n)  u  .  o*«  =  o  (m-1)  ^{ .  a  (m+l)  u .  a^nu  — 
—  0  (n-l)  ti .  0  (w+1)  ?t ,  o^mu. 

Dividendo  per 
otteniamo 


300  CAPITOLO   X.  —  §§.  112,  113 

Se  facciamo  in  questa  m=n+l  coll'osservare  che  ^i(u)  =  l,  ab- 
biamo 

(1  3)  <I»2„+i  =  'ln+2  '\>l  —  '^^1  ^l+l . 

Cangiando  nella  (a)  n  in  n  —  1  ed  m  in  n  -\-  l  e  ricordando  che 
^^2=  -  fi'u  risulterà 

(13*)  ^^n  =  ^       «^n-2^!+l-W^»-i)- 

Le  (13),  (13*)  sono  le  formolo  ricorrenti  richieste.  La  prima  a  par- 
tire da  w  =  2,  e  la  seconda  da  n  =  3,  esprimono  '^2n-\.i,  ^2w  per  le  <}  con 
indice  inferiore  e  risolvono  quindi  la  questione  proposta. 


§.  113. 
Divisione  dell' argomento  nella  $>u. 

Data  pu,  la  pimi)  si  calcola  razionalmente.  Se  supponiamo  invece 
data  p{nii)  e  cerchiamo  pii,  dalla  (11)  abbiamo  per  determinare  pu 
l'equazione 

(14)  p  {mi) .  <},!  —  pu  ^l  +  (l>^i  <^n+i  =  0 . 

Tenendo  conto  dei  gi-adi  in  pu  di  <{>n,  ']>«_!,  '^n+\  si  vede  che  in  ogni 
caso  questa  equazione  è  del  grado  n^  in  pu,  poiché  il  termine  di  questo 
più  alto  grado  ha  un  coefficiente  non  nullo,  come  risulta  subito  dalle  (9), 
(10).  La  (14)  è  irriducibile,  perchè  il  polinomio  'I/^non  ha  fattori  comuni 
né  con  >\in-i,  né  con  ']'n+i- 

ti 

Cangiando  nella  (14)  u  in  -  e  ponendo 

fu 

le  'II,  'y,t_i  '\>n+i  diventeranno  polinomii  in  y;  e  per  determinare  y  dato  x, 
avremo  l'equazione  di  grado  n^ 

(15)  a:'].f.  — ?/'].!  + Vi  ^^H-i  =  0, 

che  è  l'equazione  per  la  divisione  ddV  argomento  della  pu. 


DIVISIONE   dell'argomento   NELLA   pU  301 

Dimostriamo  ora  l'importante  teorema:  L'equazione  (15)  per  la  di- 
visione dell'argomento  è  risolubile  per  radicali. 

Cominciamo  per  ciò  dall'esprimere  tutte  le  radici  'm.ìj  della  (15),  os- 
servando che  questa  relazione  fra  pii,  P  [-]  sussiste  qualunque  sia  u 
e  per  ciò  anche  mutando  «  in  u  -f-  2rco  -[-  2 so/,  con  r,  s  interi  qualunque. 
Con  ciò  x  =  pu  non  muta  ;  miiy  =  p(-j  si  cangia  in 

/w+2ra>+25tó" 
p    

e  poiché  si  ha 

/u+2riù  +  2soò'\  /M+2r,w  +  2s,a)' 

^    z Ì=P 


solo  quando  sia 

r^ri  ,    s^Si     (mod  n) , 

ciò  che  esprimiamo  più  brevemente  scrivendo 

(r,  s)^(ri,Si)     (modn), 

così  vediamo  che:  Le  n^  radici  della  equazione  (15)  per  la  divisione  del- 
l'argomento sono  date  dalle  espressioni 

'ii+2r<à+2s(ù' 
yr,s  =  p  ' 

percorrendo  (r,  s)  un  sistema  completo  di  n^  coppie  incongrue  (mod  n). 
Ora,  per  le  forraole  d'addizione 

'M+2rco+2s(tì' 
yr,s  =  p 


n  / 

si  esprime  razionalmente  per 

fu\         ,fu\  /2rco  +  2s{ù'\         , /2r(tì-|-25to'\ 

*■  UJ  ■  *"  («;  ■  *'( — n — )  '  "  {-^ — ) 

e  d'altronde  per  le  formole  di  moltiplicazione 


^w  =  F  (  ^  ;  "* 

n 


302  CAPITOLO   X.  —  §.  113 

dove  F  è  il  simbolo  di  una  funzione  razionale,  e  quindi  derivando  si  ha: 


O  =  -'«*(-©) 


essendo  <ì>  razionale.  Vediamo  quindi  che  se,  oltre  x  =  pu,  consideriamo 
come  nota  anche  y  4^s(^ —  g^x  —  g^^  p\  ogni  radice?/.,,  della  (15)  è 

una  funzione  razionale  della  prima  radice  yoo  =  pi—j  i  cui  coefficienti,    . 

oltre  gi,g3,  contengono  razionalmente  i  valori  delle  p,  p'  per  le  parti 
aliquote  dei  periodi 

2ro)-\-2s(à'\         ,  /2roì-\-2soì' 


Ora,  se  si  pone 

,   ,     ,        .V       /'Kà-2r(ù+2so)'\       ,    /     /'u\\ 
yr,s  =  ^  (2/oo)  ,    Cloe  p  ^ ~ J  =  '];  [p  (^- J  J 

yr„^=  ^1  (yoo)  ,    Cloe  p  (^ j  =  ']^,  [p  (^- jj  , 

essendo  «{j,  4*1  simboli  di  due  funzioni  razionali  della  specie  indicata,  e  si 
osserva  che  queste  relazioni  sussistono  qualunque  sia  it,  cangiando  nella 
prima  u  in  u  +  2  ri w  +  2 Si co'  e  nella  seconda  u  in  u  -{-  2riù  -\-2s co', 
ne  dedurremo 

Di  più  si  vede  che  ove  uno  almeno  dei  due  numeri  r,  s  sia  primo 
con  n,  il  periodo  della  corrispondente  operazione  ']^  è  precisamente  n  e 
se  ne  conclude: 

L'equazione  (15)  per  la  divisione  dell' argomento  è  un'equazione  Ahe- 
liana  composta  di  grado  w^,  che  si  risolve  coli' estrazione  di  due  radicali 
d!  indice  n. 

A  questo  risultato  possiamo  pervenire  anche  direttamente  ricercando 
il  gruppo  di  monodromia  (§.  81)  della  (15).  Per  ciò  dobbiamo  far  per- 
correre 2i(\.  x  =  pu,  nel  suo  piano  complesso,  un  cammino  chiuso  qua- 
lunque, cioè  cangiare  ti  in 

±  u -\-  2  ^  oò  -]-  2  V  0/     (;j,,  V  interi) 


GRUPPO  DI  MONODROMIA  DELL'eQUAZ.°«  PER  LA  DIV."«  DELL' ARG.**»  IN  pU     303 

ed  esaminare  la  sostituzione  indotta  sulle  radici 

Si  vede  subito  che  la  «/,-,, s  si  porta  per  tale  sostituzione  nella  y^,  g-, 
dove  gii  indici  /,  s  sono  determinati  dalle  congruenze 

(  /  ^  ±r  -\-  [X 
(16)  {  (mod  n) . 

(  s'=±5  +  V 

Queste  sostituzioni  (IG)  formano  appunto  il  gruppo  di  monodromia 
per  la  nostra  equazione.  Il  gruppo  (16)  contiene  evidentemente  2n^  so- 
stituzioni e  in  esso  è  contenuto,  come  sottogruppo  invariante  d'indice 
2,  il  gruppo 

(  /  ==  r  -{-  [x 
(16*)  {  (mod  n) , 

corrispondente  ai  segni  superiori.  Il  gruppo  di  monodromia  (16)  si  abbassa 
a  (16*)  coU'aggiunta  di  un  radicale  quadratico,  che  si  vede  subito  essere 

giacché  le  sostituzioni  (16)  corrispondenti  ai  segni  inferiori  lasciano  bensì 
invariato  pn,  ma  cangiano  .p'u  in  — p'u. 

Se  consideriamo  dunque  come  data  anche  p'u,  il  gruppo  di  mono- 
dromia è  il  gruppo  (16)  d'ordine  >i^  generato  dalle  due  sostituzioni  ele- 
mentari . 

(/,  s')  ^  (r+1 ,  s)    (mod  n) 

(/,  s')  ^  (r ,  5+ 1  )    (mod  n) . 

Anche  di  qui  vediamo,  come  sopra,  che  l'equazione  si  risolve  col- 
r estrazione  di  due  radicali  d'indice  n. 

Ma  il  primo  metodo  ha  il  vantaggio  di  farci  riconoscere  quali  sono 
gli  irrazionali  numerici  (rispetto  agli  invarianti  ^2,^3  supposti  dati),  la 
cui  aggiunta  fa  scendere  il  gruppo  algebrico  al  gruppo  di  monodromia. 
Sono  questi  i  valori  della  p,  p   per  le  parti  aliquote  dei  periodi. 


304  CAPITOLO   X.  —  §.  114 

§•  114. 
Equazione  per  la  divisione  dei  periodi. 

Esaminiamo  ora  l'equazione  da  cui  dipende  la  ricerca  degli  irrazionali 
2rw-4-2sw'\         ,/2rw+2sw' 


Basterà  che  ci  occupiamo  di  determinare  p  i '■ j ,  perchè 

fi'  i —  j  si  otterrà  successivamente  estraendo  una  radice  qua- 
drata. Osserviamo  poi  che,  se  w  è  un  numero  composto  w  =  g .  q,  basta 
saper  risolvere  l'equazione  proposta  pei  divisori  g-,  q   dopo  di  che,  per 

.  .     .          ,  r.             .            .             .       /2rw  +  2so/\ 
quanto  si  e  visto  al  §.  precedente,  si  otterrà  (p  [ -, 1  con  estra- 
zione di  radicali.  Ci  possiamo  dunque  limitare  al  caso  di  n  numero  primo. 
Ora  per  n  =  2  ì  corrispondenti  valori 

più  ,    p(tì'  ,    p  (CO+O)') 

sono  le  radici  ei,e2,<53  dell'equazione  di  3<>  grado 

4e^  — 5-8  e  — ^3  =  0. 

Consideriamo  dunque  il  caso  di  n  numero  primo  dispari.  Siccome 

/2r(o+2sco'\  _      /^— 2rtó — 2s(o' 
^  (^         n         J  ~  ^ 

basterà  far  percorrere  a  (r,  s)  — - —  coppie  incongi'ue  (mod  n),  tali  che 

colle  opposte  (-r,  -s)  formino  un  sistema  completo  (mod  n)  esclusa  (0, 0). 

-,      ^.  n^ — 1       ,     .       /2rco+2s(tì'\  .         j-  •    i  n 

Questi  — r —  valori  p  f 1  sono  le  radici  della  equazione 

(17)  ^(2/)  =  0, 

J2,2 1  .    .  .    .  1 

che  è  appunto  di  grado  — - — ,  ed  ha  coefficienti  razionali  interi  in  gs,  -Qì 

con  coefficienti  numerici  interi.  Per  ciò  V  equazione  (17)  '^n(y)  =  0  si  dice 
Vequasione  per  la  divisione  dei  periodi. 


EQUAZIONE  PER   LA   DIVISIONE   DEI   PERIODI  305 

Osserviamo  ora  che  tutte  le  radici  della  (17)  in  cui  s  =  0  si  ordinano 
nella  serie 

/A>  ^2a)\  /       2co\  /       2(tì\  fn—\      2  co 

(A)        p    —     ,    p    2  .  —     ,    p    3 


n  j  \        Vi  J  \        w/  \^  ** 

e,  per  le  forinole  di  moltiplicazione  dell'argomento,  tutte  le  radici  di  que- 
sta serie  sono  funzioni  razionali  della  prima  p  [  ì  con  coefficienti  ra- 
zionali in  (72,  9^3-  Le  rimanenti  radici  della  (17)  possono  egualmente  or- 
dinarsi  in  serie,   contenenti  ciascuna  — — -  radici,   e  dotate  delle  prò- 

prietà  stesse  della  serie  (A).  E  infatti,  per  s^O  (modw),  possiamo 
determinare  un  numero  v  dalla  congruenza 

sv  ^  r    (mod  n) 

e  scrivere 

/2rio-f2so/\  /     2voi+2o/ 

^( — n — r^-K'^ir- 

Tenendo  fermo  v  e  ponendo 

n-\ 

s  =  1      2  

abbiamo  una  nuova  serie  di  radici 

/2va)+2a>'\  [^     2vw  +  2co'\  (n—\      2v{.i4-2w' 

(B)      p     . J .      ,    ^     2  .  1 .  . .  ^  ' 


dotata  delle  proprietà  della  serie  (A).  Ora  se  diamo  successivamente  a  v 

i  valori 

v  =  0  ,  1  ,  2,  ..  ,  n—\ 

le  n  serie  (B),  insieme  colla  serie  (A),  contengono  una  ed  una  sola  volta 
tutte  le  radici  della  (17),  come  subito  si  vede. 
Poniamo  per  semplicità 

2voi-|-2  w' 
Wv  =  — 

n 
e  introducendo  l'indice  qo   per  v  nel  primo  caso  di  s  =  0,  poniamo  altresì 

.    _  2w  _ 

20 


306  CAPITOLO  X.  —  §.  114 

W^ — 1 

le  — - —  radici  della  (17)  si  ordineranno  così  nel  quadro: 

.^     ,  ,„     .  fn — 1        \\      à)^  =  — 

^  Wo     ,     p  (2  Wo)     ,     ^  (3  à)o)    .  .  .  ^  V  ^~  *"o     J    f  ** 


2o) 

n 

2v(o+2a>' 


co. 


^  («^^n-i)  ,    P  (2  W,»_i)   ,    p  (3  W,,_i)  .  .  .   ^  f  -^  Wn_i  j     / 

contenente  n-\-\  orizzontali  di  — - —  radici  ciascuna.  In  ogni  orizzon- 
tale possiamo  poi  ordinare  in  modo  più  conveniente  le  radici  così.  Sia 
g  una  radice  primitiva  (mod  w),  e  con  r^  si  indichi  il  resto  di  g"  (mod  m), 

^  n  —  1 
0  il  suo  complemento  a  n,  secondo  che  il  resto  stesso  e  <  — - —  ovvero 

Yi \ 

>» — - — ;  talché    i    numeri   rp ,  ri ,  ^2 . .  r„-i    saranno  in  altro  ordine  i 
2  —^ 


numeri 


1,2,  3...^(^), 


(C) 


Se  ordiniamo  le  radici  della  (17)  nel  nuovo  quadro 

^(wo)    ,      pC^'Wo)     ,      ^(5'^Wo)     ...   ^\g~^~'  Wo    j(       "^^  ~    W 


2(0 

2voj+2co' 


/.— 1 


vediamo  che,  per  le  formolo  di  moltiplicazione  si  ha: 


^'     2 


(')  E  infatti  da  ^  ^  +  ^1  seguirebbe  ^^"''i  ^+ 1   quindi   s  —  s^   multiplo 
n-1 


RISOLVENTI   DI   GRADO   n+l    PER   n   PRIMO  307 

dove  9  è  il  simbolo  di  una  funzione  razionale  con  coefficienti  razionali 
in  ^2,  ^3;  si  avrà  quindi: 

P  (ó^wj  =  0  (^tò,)  ,    p  (g^óì^)  =  0  (0(^wv))  =  0'  (^Wv) .  . . 

fi  [9'     cò^J  =  0^     (pò),;, 


indi 


PU/^   ^v]=P  (<^v)  =  0  ^   (pò),) . 


Dunque:  Ze  radici  di  una  medesima  orizsontale  nel  quadro  (C)  sono 
tutte  funzioni  razionali  della  prima  e  formano,  così  ordinate,  un  unico 
periodo. 

§•  11^. 
Risolventi  di  grado  ?i+l  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi 

e  loro  gruppo. 

Dal  risultato  precedente,  pei  teoremi  generali  della  teoria  delle  equa- 
zioni secondo  Galois,  segue  l'importante  teorema:  L'equazione  per  la 
divisione  dei  periodi  possiede  nel  caso  di  n  primo  (dispari)  risolventi  di 
grado  w  +  1 . 

Prendasi  infatti  una  funzione  razionale  (intera)  e  simmetrica  delle 
radici  di  una  medesima  orizzontale  del  quadro  (C)  e  sia 

z.,  =  4>  r^w, ,  (p  igOi,)  ...  p  (^g~^~'  wj  j     V  =  00 ,  0 ,  1 ,  . . .  w- 1 . 
Gli  w  -f  1  valori  di  z 

sono  radici  di  una  equazione  risolvente  di  grado  n  -}-  1  in  z 
(18)  F„+i(^)  =  0, 

con  coefficienti  razionali  in  g^,  g^.  Quando  sia  risoluta  la  risolvente  (18), 
la  proposta  (17)  si  risolve  con  estrazioni  di  radicali  d'indice  — - — .  Anzi 


308  CAPITOLO  X.  —  §.  115 

basta  nel  nostro  caso  l'estrazione  di  due  tali   radicali  che  ci  diano 

p(  —  )  p(  —  j ,  e  dei   due  radicali   quadratici   che  danno  p  (  —  j , 

p  [  —  ] ,  le  altre  radici  p   ■ j  potendosi    poi    calcolare   ra- 

zionalmente  mediante  le  formolo  d'addizione. 

La  risoluzione  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi  si  riduce 
dunque  in  sostanza  a  quella  della  (18)  e  ad  estrazioni  di  radicali.  Kesta 
dunque  che  esaminiamo  la  risolvente  (18)  e  ne  determiniamo  il  gruppo 
di  Galois.  La  equazione  (18)  contiene  razionalmente  nei  coefficienti  le 
quantità  (/2,  g^  che  riguardiamo  come  parametri  '^'  e  vogliamo  innanzi  tutto 
determinare  il  gruppo  di  monodromia  della  (18)  rispetto  a  gì,yì.  Per 
ciò  dobbiamo  far  variare  i  periodi  2  o),  2  co'  per  tali  cammini  che  g^ ,  g-ì  ri- 
prendano alla  fine  i  medesimi  valori  ed  esaminare  la  sostituzione  in- 
dotta sulle  radici 

Dal  §.  104  sappiamo  che,  a  fine  di  riprodurre  i  medesimi  valori  di 
gì,  g3,  dobbiamo  far  subire  ad  w,  o/  la  sostituzione  lineare 

a(o+Yo/    j5oj+òo/ 
w  w' 

a  coefficienti  interi  a,  J5,  y,  o  e  a   determinante  a 6  —  Py=1-  Per  tale 
sostituzione  una  radice  qualunque  della  (17) 

.,  .  ,           A2vco+2a>'\  .   .. 

p  (ftco  )  =  p  [Jc —  )  ,   per  V  finito  , 

si  trasporta  nella  radice 


/,  2  V  (a  0)4-7  w  )  +  2  (S  o)+S  o/)  \  /,  ,       ,,2  v'o)+2  w' \ 


posto 


C..V  +  P 


(10)  v'=— H^     (modw), 

Vv  +  o  ' 

cioè  in  una  radice  p  (rw,-)  e  la  medesima  formola  vale  per  v  =  qo  ,  giacché 


^(^w^)  =  ^(^ 


2w 
n 


W  In  ciò  facciamo  uso  della  proprietà,   che  si   dimostrerà  nel   seguente 
Capitolo,  che  gli  invarianti  g^ ,  g^  della  p  possono  darsi  affatto  arbitrariamente. 


GRUPPO   DELLE   RISOLVENTI   DI   GRADO   W+1  309 

si  trasporta  in 

P  Y^ ^ y  =p  ^. 

con  v'  ^  -  (mod  w).  Tutte  le  radici  di  una  orizzontale  nel  quadro  (C)  si 

trasportano  dunque  nelle  radici  di  un'altra  orizzontale,  colla  legge  espressa 

dalla  (19)  e  per  ciò  ogni  radice  z^  della  (18)  si  cangia  nella  radice  z^,- 

secondo  la  sostituzione  lineare  (19)  sull'indice. 

Ne  concludiamo:  Il  gruppo  di  mmiodromia  della  equazione  (18)  è  il 

iz  (fi 1  ì 

gruppo  di — -  sostituzioni,  rappresentato  analiticamente  dalla  forinola 

(19)  ^'^^    (mod^),  aS-Pv^l. 

Si  sa  che  questo  gruppo  (gruppo  seminio dular e)  è  semplice  appena  w  >  3 
e  per  ciò  l'equazione  (18)  non  è  ulteriormente  riducibile  ad  equazioni 
più  semplici;  in  particolare  essa  non  è  risolubile  per  radicali. 

Il  gruppo  algebrico  dell'equazione  (18),  dovendo  contenere  come  sotto 
gruppo  invariante  il  gruppo  semimodulare  (19),  non  può  essere  che  il 
gruppo  stesso  o  il  gruppo  totale  lineare  di  w  {n^  -  1)  sostituzioni 

v'  =  °^^  ,    aS-PY^O    (modw). 

Ritornando  più  tardi,  nella  teoria  della  trasformazione  delle  funzioni 
ellittiche,  su  queste  risolventi  di  grado  n  -\-  1  dell'equazione  per  la  di- 
visione dei  periodi,  vedremo  che  è  quest'ultimo  caso  che  si  presenta  e 
l'irrazionalità  numerica  che  si  deve  aggiungere  per  ridurre  il  gruppo 
algebrico  al  gruppo  di  monodromia  è  precisamente  la  radice  quadrata 


v/ 


(— 1)  2  .  n. 


§.  116. 

Risolubilità  per  radicali  della  equazione  per  la  divisione  dei  periodi 
nelle  funzioni  lemniscatiche. 

Ciò  che  abbiamo  detto  nel  §.  precedente,  relativamente  al  gruppo  di 
Galois  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi  suppone  che  gli  inva- 


310  CAPITOLO   X.  —  §.  116 

rianti  ^2,  g^  (o  i  periodi  2tó,  2o/)  abbiano  valori  arbitrarii.  Ma  per  valori 
particolari  dei  periodi,  o  degli  invarianti,  può  darsi  benissimo  che  il  gruppo 
si  abbassi  ad  un  suo  sottogruppo  fino  anche  ad  ottenere  un  gruppo  riso- 
lubile ed  allora  per  queste  speciali  funzioni  ellittiche  l'equazione  per  la 
divisione  dei  periodi  risulterà  risolubile  per  radicali. 

Un  esempio  semplice  di  una  tale  classe  di  funzioni  ellittiche  si  ha 
nelle  funzioni  lemniscaticìie.  Portano  questo  nome  le  funzioni  ellittiche 

nelle  quali  il  rapporto  dei  periodi  —  è  =  i  '  ^* .  Per  la  funzione  lemnisca- 

tica  ^(M|tó,  iw)  ha  luogo  la  formola  di  moUipUcadone  complessa 

(20)  p(iu)=-fiu, 

che  si  deduce  come  caso  particolare  dalla  formola  d'omogeneità  (§.  104) 

p  (Àw  j  Xo) ,  Ilo)  =  y,p(u\oì,  oì)  , 

ove  si  faccia 

0)'  =  itó    ,    X  =  i   (2). 

Confrontando  nella  (20)  gli  sviluppi  di  p{i^^),  pu  nell'intorno  del- 
l' origine  si  vede  subito  che  :  per  la  funzione  lemniscatica  pu  il  secondo 
invariante  g^  è  nullo. 

Dimostriamo  ora  che  per  la  nostra  speciale  pu  sussiste  una  formola 
generale  di  moltiplicazione  complessa 

(21)  p{mu)  =  'R{pu) , 

dove  ni  è  un  numero  qualunque  intero  complesso  di  Gauss,  cioè  della 
forma  a  -\-hi  {a,b  interi  reali)  ed  R  è  il  simbolo  di  una  funzione  ra- 
zionale con  coefficienti  razionali  in  g-i.  Siccome  la  (21)  è  vera  per  m=  1 
e  per  m  =  i,  basterà  provare  che  se  sussiste  per  m,  sussiste  anche  per 

m  +  v     (c  =  0,  1,2,  3). 


W  II  nome  di  lemniscatiche  proviene  da  ciò  che  la  rettificazione  di  una  arco 
di  lemniscata  dipende  appunto  da  funzioni  di  questa  specie. 

(2)  La  (20)  si  stabilisce   anche   subito   osservando  che  le  due  funzioni  ellit- 
p  ^iu),  —  pu  hanno  a  comune  periodi  ed  infiniti  coi  termini  d' infinito. 


FUNZIONE   ^U   LEMNISCATICA  311 

Ora  per  la  forinola  d'addizione  (IV)  pag.  284,  essendo  5-3  =  0,  si  ha 

Ma  per  la  (20)  si  ha 

p  (r  u)  =  {-if  pu  ,   p'  (i-  u)  =  'f-  (p'u 

e  dalla  (21)  derivando  si  ottiene 

ey'  (mu)  =  —  R'  (pu) .  p'u , 

onde 

p'  (mu)  p'  (i^u)  =  Ri  (pii) 

e  ne  risulta  la  proprietà  asserita. 

Ciò  premesso,  se  ritorniamo  per  la  pu  lemniscatica  alla  equazione 
(18)  per  la  divisione  dei  periodi,  vediamo  che  qualunque  sua  radice 

/2riù+2s(ù'\  /       .  ,  2(ù\ 

è  una  funzione  razionale  della  prima  p  (  —  j  e  poiché,  ponendo 
p((r  +  is)^)=^(p(^)) 

si  vede  subito  che  si  ha 


p  ((r+is)  (n+isi)  -^j  =  4*  (^h,  {^jj  =  ^,  [^ 


2(0 

n 


ne  concludiamo  che  l'equazione  per  la  divisione  dei  periodi  è  nel  caso 
attuale  un'equazione  Abeliana  ed  è  quindi  risolubile  per  radicali. 

Le  funzioni  lemniscatiche  non  sono  del  resto  che  un  caso  particolare 
di  una  intera  classe  di  funzioni  ellittiche,  considerate  da  Abel,  che  am- 
mettono formole  di  moltiplicazione  complessa,  e  per  le  quali  l'equazione 
per  la  divisione  dei  periodi  è  risolubile  per  radicali,  come  si  vedrà  nei 
due  ultimi  capitoli. 


312  CAPITOLO   XI.  —  §.  117 


Capitolo  XI. 

Proprietà  fondamentali  della  prima  funzione  modulare  J  (-)  (invariante  asso- 
luto). —  La  funzione  p{u\  g^i  gè  con  assegnati  invarianti.  —  Integrali  el- 
littici di  prima  specie  e  loro  inversione.  —  Integrali  ellittici  generali. 


§.  117. 
L' invariante  assoluto  J  =   ,    l     ^ ,  considerato  come  funzione 

del  rapporto  '  =  —  dei  periodi. 


Nel  presente  capitolo  cominciamo  dal  trattare  la  quistione,  già  posta 
al  §.  194:  Possono  gli  invarianti  g2,  ffz  di  una  funzione  ellittica  pii  as- 
sumere  valori  arbitrari?  La  risolveremo  affermativamente,  per  una  via 
invero  alquanto  indiretta,  ma  che  ha  il  vantaggio  di  procurarci  la  cono- 
scenza della  funzione  fondamentale  di  una  nuova  ed  importante  classe 
di  funzioni,  la  classe  delle  funzioni  modulari  ellittiche. 

Cominciamo  dal  ricordare  che,  secondo  le  formole  (XIII)  pag.  277,  gli 
invarianti  g^,  yz  si  esprimono  per  i  periodi  2o),  2 co'  colle  formole 

^  >yi/  1  =  ^  V  1 

5'2—  4  L  (^nnà  +  nià'Y  '   ^'~16^  (ww  +  wo/)« 

e  sono  per  ciò  funzioni  omogenee  di  gradi  — 4,  — 6  rispettivamente  di 
CD,  o/.  È  facile  quindi  formare  delle  espressioni  razionali  in  g2,  gs,  che 

(0 


dipendano  soltanto  dal  rapporto  t  =  —  dei  periodi.  Kicordiamo  che 

ei  =  p(à  ,    C2  =  p  {(a+oì')  ,    e3  =  p to' 
sono  le  radici  della  equazione  di  3.°  grado 

Ae^-g2e-g3  =  0. 

A 

Indicando  con  —  il  discriminante 

lo 

{e,  -  Cif  (^2  -  63)'  (^3  -  ^if 


l'invariante  assoluto  J(t)  313 

di  questa  equazione,  avremo 


^=gl_21gl. 

Ora  poniamo 

T_à          gì 

A        5^-27^^ 

e  J  sarà  funzione  omogenea  di  grado  zero  in  co,  w',  cioè  dipenderà  sol- 
tanto  dal  rapporto  t=—  dei  periodi.  Questa  espressione  J  dicesi  V in- 
variante assoluto  e  primo  oggetto  della  nostra  ricerca  sarà  di  provare 
che  J  è  funzione  uniforme  della  variabile  complessa  t,  nel  semipiano  po- 
sitivo T. 

Consideriamo  nel  piano  complesso  x  un  campo  finito  qualunque  C  che 
rimanga,  anche  col  suo  contorno,  tu+to  nell'interno  del  semipiano  posi- 
tivo. Le  due  serie 

G,  =  ^,co  =-2.  („^:^^4 

(1)  : 

r<  «  ,,6       35  ^,         1 

16  ^   [m  +  my 

convergono  in  egual  grado,  come  ora  dimostreremo,  in  tutto  il  campo  C 
e  rappresentano  per  ciò,  in  tutto  C,  delle  funzioni  finite,  continue  e 
monodrome  di  i.  Osserviamo  intanto  che,  restando  T  =  a+ip  in  C,  l'or- 
dinata p  si  mantiene  superiore  ad  una  quantità  fissa  positiva  Po  e  perciò 

\m+ni\  =y{m+naY+n^^^ 

si  mantiene  superiore  o  eguale  alla  più  piccola  d  delle  due  quantità 

Po   ,     1. 

Per  la  medesima  ragione  la  distanza  5  fra  due  punti  m+nz,  m+tiv: 
6  =  Vi  im--m')+{n-n')  a  f  f  {n-nj  p* 

non  scende,  essa  stessa,  al  disotto  di  d. 

Fissato  quindi  un  numero  positivo  k<C.d,  se,  procedendo  come  al 

§,  69  (Gap.  VI),   dividiamo  il  piano  in  una  rete  di  quadrati  con  lato 

h 
=  — z,  potremo  paragonare  i  moduli  dei  termini  delle  nostre  serie  con 

V^2 


314  CAPITOLO   XI.  —  §.  117 

quelli  delle  due  serie  seguenti,  indipendenti  da  t,  ed  assolutamente  con- 
vergenti 


Li  z-4  '  ^ 


2-2  ^^+^)    23 


""   (r'+^f^      '■'  {r'+sy 


onde  risulta  subito   la   convergenza  in   egual   grado  in  tutto   C   delle 
serie  (1). 

Ne  segue  che  la  forinola 

(I)  JW=       ^ 


ci  definisce  una  funzione  della  variabile  complessa  t,  continua  e  monodroma 
in  tutto  il  semipiano  positivo,  l'asse  reale  escluso.  Facilmente  vediamo 
inoltre  che  J  (:)  è  anche  sempre  fìnita  a  qualunque  distanza  finita,  escluso 
sempre  l'asse  reale,  E  infatti,  se  1  =  0. -{- f^  è  finito  e  |3>>0,  non  può 
essere  nullo  il  denominatore 

^— 27  ^3' =  16  (^0)  -  ^0/)^  (^  w  -  ^  (oj  +  o/))n^o/ -  |j(o3  +  o/))% 
giacché  le  funzioni  ellittiche  di  secondo  ordine 

fiU-  più    ,     fili  — più'    ,     pU-p(0)  +  lù') 

hanno  già  infinitesimi  di  2.°  ordine  in 

U=(ù    ,     U  =  ltì     ,     n  =  oì  +  (tì' 

rispettivamente  e  non  possono  quindi  annullarsi  in  punti  non  equiva- 
lenti a  questi. 

Facciamo  ancora  l'osservazione,  che  ci  tornerà  utile  fra  breve:  L'in- 
variante assoluto  J  {-)  in  due  punti 

simmetrici  rispetto  aìVasse  immaginario,  assume  valori  coniugati.  Ciò  ac- 
cade infatti,  come  subito  si  vede,  delle  due  serie 


"V'        ^  'V'        1 


315 


§.   118. 
L'invariante  J  (")  come  funzione  automorfa  rispetto  al  gruppo  modulare. 

La  funzione  J  (i)  è  regolare,  come  si  è  visto,  in  tutto  il  semipiano 
positivo,  l'asse  reale  escluso.  Stabiliamo  ora  la  proprietà  fondamentale 
di  questa  funzione,  ricercando  quando  accadrà  che  in  due  punti  z,  z  del 
semipiano  positivo  J  (.)  riprenda  il  medesimo  valore,  cioè  si  abbia 

J(r)  =  J(0. 

Consideriamo  per  ciò  le  due  funzioni  ^: 

fi{u\\,x    ,    p(m|1,t'), 

coi  rispettivi  rapporti  dei  periodi  t,  z,  e  indichiamone  gii  invarianti 
rispettivamente  con 

Si  ha  per  ipotesi 

à  f2 


^-27^1       9'\-21gV 
ossia  indicando  con  /.  un  fattore  di  proporzionalità 

é  =  \cj\  ,    5^  =  X5^|. 
Se  con  [1  indichiamo  un  conveniente  valore  di   y  X>  potremo  scrivere 

92  =  ^^92    ,      93  =  \^^(^3. 

Costruiamo  ora  una  terza  funzione  ellittica 

per  la  quale  il  rapporto  dei  periodi  sia  ancora  z;  i  suoi  invarianti  72,  Ys 
saranno  quindi  (§.  117) 

onde,  prendendo  fì^  =  - ,  avremo 


12  =  92   ,    lz=9z 


316  CAPITOLO  xr.  —  §.  118 

e  però 

fi  (u  \Q ,  ^i)  =  fi  {u  \1 ,  z\ . 

Per  quanto  si  è  visto  al  §.  104,  avremo  quindi 

(2) 

cioè 

,       at  +  p 


(3) 


T  +  5 


essendo  a,  (2,  y,  5  numeri  interi  e  a  S  -  (5  y  =  1. 

Viceversa  se  z  è  legata  ar  dalla  (3',  cioè  da  una  sostituzione  del 
gruppo  modulare  (Gap.  II),  ne  seguirà 

J(x')=J(r). 

E  infatti,  indicando  con  9.  un  fattore  di  proporzionalità,  potremo 
sostituire  le  (2)  alla  (3)  e  le  due  funzioni  coincidenti 

fi  (^t|l,T)  ,    fi{u\9.,9.x) 

avranno  i  medesimi   invarianti  g^,  y^  e  però  anche  il  medesimo  inva- 
riante assoluto. 

Kiepilogando,  abbiamo  dunque  :  condizione  necessaria  e  sufficiente  af- 
fincJiè  sia  J  [i)  =  J  (r)  è  cJie  gli  argomenti  r,  z  siano  legati  da  una  sosti- 
tuzione del  gruppo  modulare 

az±l 
Yr+g- 

Nella  funzione  J  (t)  abbiamo  così  un  nuovo  esempio  di  funzioni 
automorfe  (Vedi  §.  98),  il  gruppo  corrispondente  di  sostituzioni  lineari 
essendo  nel  caso  attuale  il  gruppo  modulare.  Questa  funzione  J  (t)  non 
è  che  la  prima  e  più  semplice  fi'a  le  funzioni  modulari^  delle  quali  in 
seguito  tratteremo  più  diffusamente. 

Se  invece  di  considerare  soltanto  le  sostituzioni  del  gruppo  modu- 
lare, consideriamo  anche  quelle  di  2.*  specie 

appartenenti  al  gruppo  modulare  ampliato  (Gap.  II  §.  18),  per  Tosser- 


LA  FUNZIONE  J  (t)  COME  FUNZIONE  AUTOMORFA  517 

vazione  alla  fine  del  §.  precedente,  vediamo  che  in  due  tali  punti  t,  x  la 
funzione  modulare  J  (t)  assumerà  valori  coniugati,  sicché  :  In  due  punti 
T,  X  del  semipiano  positivo,  equivalenti  rispetto  al  gruppo  modulare  ampliato, 
J  (r)  assume  valori  eguali  o  valori  coniugati,  secondo  che  la  sostituzione  del 
gruppo  che  fa  passare  da  t  a  x'  è  di  prima  o  di  seconda  specie. 

§.  119. 
Distribuzione  dei  valori  di  J  (-)  nella  rete  modulare. 

Se  ricordiamo  ora  la  rappresentazione  geometrica  del  gruppo  modu- 
lare, che  abbiamo  stabilito  nel  Gap.  II,  e  in  particolare  la  divisione  del 
semipiano  positivo  nella  rete  modulare  (pag.  91),  questa  figura  acquisterà 
un  corrispondente  significato  per  la  distribuzione  dei  valori  delF  inva- 
riante assoluto.  Intanto  in  ogni  triangolo  T'  della  rete  J  (r)  ripeterà  i 
valori  che  prende  nel  primo  triangolo  fondamentale  T,  o  i  coniugati 
di  questi,  secondo  che  T'  deriva  dal  fondamentale  per  un  numero  pari 
0  dispari  di  riflessioni  e  basterà  quindi  che  esaminiamo  la  distribuzione 
dei  valori  di  J  (r)  nel  triangolo  fondamentale.  In  primo  luogo  osserviamo 
che  su  tutto  il  contorno  del  triangolo  fondamentale,  come  sopra  ogni  circolo 
di  riflessione  del  gruppo,  J  (t)  è  reale.  E  invero  se  C  è  un  tale  circolo 
e  A,  B  due  punti  corrispondenti  per  la  riflessione  su  C,  i  valori  di  J 
in  a  e  6 

J(«)  ,   J(&) 

sono  coniugati  ;  ma  quando  a  cade  sulla  circonferenza  C  allora  h  coin- 
cide con  a  e  però  J  (ci)  è  coniugato  di  sé  stesso,  cioè  reale.  Invece  nel- 
l'interno del  triangolo  fondamentale  J  (x)  non  é  mai  reale;  poiché,  altri- 
menti, nel  punto  simmetrico  rispetto  all'  asse  immaginario  J  (t)  dovrebbe 
riprendere  il  medesimo  valore  e  i  due  punti  sarebbero  equivalenti  ri- 
spetto al  gruppo  modulare  (non  ampliato)  F,  ciò  che  non  è.  Segue  di  qui 
che  in  tutti  i  punti  interni  di  T  il  coefficiente  dell'  immaginario  in  J  (r) 
serba  sempre  lo  stesso  segno.  Vediamo  ora  quali  valori  J  (t)  assume  nei 
vertici 

ini 

zz=i  ^    x  =  s  =  e3 
di  T;  dico  che  si  ha 

J(i)  =  l  ,    J(e)=0, 


318  CAPITOLO  XI. —  §.  119 

La  prima  cosa  risulta  da  ciò  che  per  la  funzione  lemniscatica 
p  (u  I  OD,  iw)  si  ha  ^3  =  0  come  si  è  visto  al  §.  116.  E  similmente  per  la  fun- 
zione p  (equianarmonica) 

^  {U  I  tO,  £0i) 

avendo  luogo,  come  risulta  dalla  formola  d'omogeneità,  la  formola  di 
moltiplicazione  complessa 

p  (ew)  =  e  pu 

il  confronto  dei  primi  termini  degli  sviluppi  di  pisiì),  z  pu  nelF  intorno 
di  u  =  0  dà  subito  ^2  =  0  <^'.  Siccome  J(t)  sul  contorno  di  T  è  sempre 
reale  e  non  può  mai  riprendere  due  volte  lo  stesso  valore,  vediamo  che 
nel  tratto  circolare  da  t  =  =  a  t  =  i  J  (t)  andrà  costantemente  crescendo 
da  0  a  1,  nel  tratto  rettilineo  dell'asse  immaginario  da  x  =  i  a  t  =  ì  co 
è  sempre  positivo  e  crescente  a  partire  da  J  =  1  e  nel  tratto  rettilineo 

R(t)  = claT  =  ó  a  t  =  —  -4-iao   è  sempre  negativo  e  decre- 

scente  a  partire  da  J  =  0. 

Volendo  in  fine  esaminare  come  si  comporta  J  (t)  in  prossimità  del 
vertice  t  =  co  ,  facciamo  uso  delle  considerazioni  seguenti. 

Poiché  J(t)  è  funzione  periodica  di  r  col  periodo  1,  J  (t-f- 1)  =  J(^), 
se  poniamo 

^z=e2'r-%    T  =  — ^log^, 
sarà 

una  funzione  di  z  esistente  per  tutti  i  valori  di  z  di  modulo  1  ^ I<  1  e 


(M  La  medesima  cosa,  senza  ricorrere  alle  proprietà  della  p  lemniscatica  ed 
equianarmonica,  risulta  direttamente  dalla  considerazione  delle  serie 

2'  1  VI'  1 

la  prima  delle  quali  si  annulla  per  -  =  i  e  la  seconda  per  t  =  s,  come  si  vede 
associando  nel  primo  caso  i  numeri  di  Gauss  quattro  a  quattro  nel  gruppo  di 
numeri  (associati) 

m-\-ni  ,    i{m-{-ni)  ,   i^{m-\-ni)  ,    {^{m-^-ni) 
e  nel  secondo  i  numeri  m-{-m  tre  a  tre  nel  gruppo  di  numeri  associati 


ANDAMENTO   DI   J  (t)   SUL   CONTORNO   DI   T  319 

sarà  inoltre  monodroma  e  regolare  in  tutti  i  punti  della  corrispondente 
area  circolare,  salvo  che  in  ^  =  0.  Quale  specie  di  singolarità  avrà  tv  (z) 
in  2  =  0?  Non  può  essere  una  singolarità  essenziale  perchè  nell'intorno 
di  z=:0  IV  (s)  prenderebbe  allora  valori  prossimi  p.  e.  a  1  di  tanto  poco 
quanto  si  vuole  e  J  (t),  allontanandosi  t  all'infinito  entro  la  striscia 

1  1 

prenderebbe  valori  che  J  (t)  avrebbe  già  preso  in  prossimità  di  t  =  i, 
ciò  che  è  assurdo. 

Non  può  nemmeno  ^  =  0  essere  per  w  (z)  un  polo  d'ordine  superiore 
al  primo,  giacché  allora  in  prossimità  di  ^  =  0  ic  (z)  riprenderebbe  due 
0  più  volte  il  medesimo  valore  e  lo  stesso  accadrebbe  per  J  (t)  entro  la 
detta  striscia  a  distanza  grandissima.  In  fine  non  può  darsi  che  5;  =  0 
sia  un  punto  regolare  di  iv  (z)  perchè  allora  J  (t),  al  crescere  all'  infinito 
dell'ordinata  di  t,  dovrebbe  convergere  verso  un  unico  valore  finito,  ciò 
che  è  impossibile  essendo  J  (r),  come  si  è  visto,  positivo  e  crescente  sul- 
l'un  lato  rettilineo  del  triangolo  fondamentale  e  negativo  decrescente 
sull'altro.  Se  ne  conclude  che  w{z)  si  svilupperà  per  tutti  i  valori  di  z 
di  modulo  I  0  I  <<  1  così  : 

tv  (z)  = 1-  «0  4-  «1  -3  +  «2  ^^  +  •  •  •  (A4:  0) 

Z 

e  corrispondentemente  avremo  per  J  (t)  un'  espressione  analitica  della 
forma 

J  (t)  =  A  e-2-*"-^  +  «0  +  «1  e^''''-\'  «2  6^^''"+  . . . , 

valevole  per  tutti  i  valori  di  r  d' ordinata  positiva,  cioè  in  tutto  il  campo 
di  esistenza  della  funzione  '^'.  Nell'intorno  di  t=:co   J  (r)  si  comporta 

2tìz 

dunque  come  e  '  '  e  per  ciò  diciamo  che  J  (t)  ha  in  t  =  co  una  sin- 
golarità logaritmica.  Una  singolarità  della  medesima  natura  ha  J  (r)  in 
tutti  i  punti  equivalenti,  cioè  nei  punti  razionali  dell'asse  reale,  il  che 
fa  vedere  appunto  come  il  campo  d'esistenza  di  questa  funzione  anali- 
tica sia  il  semipiano  positivo,  l'asse  reale  essendo  il  limite  del  campo. 


(*)  Ritorneremo  più  tardi  su  questo  sviluppo  di  J  {-)  per  precisare  la  natura 
dei  suoi  coefficienti  (vedi  §.  182). 


320  CAPITOLO   XI.  —  §.  120 

§.   120. 
Rappresentazione  conforme  del  triangolo  fondamentale  sul  semipiano. 

Abbiamo  già  visto  che,  mentre  z  percorre  l'area  del  triangolo  fonda- 
mentale T,  il  coefficiente  dell'immaginario  in  J(t)  conserva  sempre  lo 
stesso  segno,  cioè,  interpretando  i  valori  di  J  nel  suo  piano  complesso, 
J  (x)  si  muove  in  un  semipiano.  Per  distinguere  in  quale,  basta  osservare 
che,  percorrendo  il  contorno  di  T  in  verso  positivo  a  partire  p.  e.  da  x  =  s, 
s'incontrano  successivamente  i  vertici  T  =  e,  r  =  i,  t=co  e  corrispon- 
dentemente J  (T)  si  muove  sul  suo  asse  reale  in  senso  positivo.  Dunque  : 
in  tutto  il  triangolo  fondamentale  J  (t)  ha  sempre  il  coefficiente  délV  imma- 
ginario positivo. 

Ora  facilmente  vediamo,  per  ragioni  di  continuità,  che  inversamente, 
fissato  per  J  un  valore  qualunque  Jo  di  ordinata  positiva  (o  nulla),  vi  è 
sempre  uno  (ed  un  solo)  punto  To  di  T  ove  J(t)  assume  il  valore  pre- 
fissato Jq.  Per  dimostrare  la  cosa  in  tutto  rigore  possiamo  usare  le  con- 
siderazioni seguenti.  Per  abbreviare  diciamo  valori  a  i  valori  Jo  che  J 
prende  effettivamente  e  valori  p  quei  valori  Jo  (se  ne  esistono)  che  J 
non  può  prendere.  Vediamo  subito  che  se  Jo  è  un  valore  a,  un  intorno 
sufficientemente  piccolo  di  Jo  contiene  tutti  valori  a  (§.  57).  Medesima- 
mente dico  che,  se  Jo  è  un  valore  p,  un  intorno  sufficientemente  piccolo 
di  Jo  conterrà  tutti  valori  p.  E  infatti  se,  comunque  piccolo  si  prendesse 
questo  intorno,  vi  si  trovassero  sempre  dei  valori  a,  a  ciascuno  di  questi 
punti  corrisponderebbe  un  punto  r  in  T  e  questi  infiniti  punti  x  adden- 
santisi  in  T,  con  ordinate  minori  di  una  quantità  fissa,  avi'ebbero  almeno 
un  punto  limite  To,  ove  J(x)  assumerebbe,  a  causa  della  continuità,  pre- 
cisamente il  valore  Jo ,  che  sarebbe  dunque  un  valore  a.  Ora  sia  Jo  se 
è  possibile,  un  valore  Pi  e  Ji  nn  valore  a  p.  e.  lo  zero  ;  segniamo  nel 
semipiano  J  il  tratto  rettilineo  '^)  che  unisce  Ji  con  Jo  e  dividiamo  i 
punti  di  questo  tratto  in  due  classi  A,  B  attribuendo  alla  prima  classe  A 
quei  punti  J  tali  che  il  tratto  da  Ji  a  J  contenga  tutti  punti  a,  alla 
seconda  B  quelli  tali  che  nel  tratto  Ji  J  vi  siano  anche  punti  ?.  Questa 
divisione  in  due  classi  soddisfa  alle  condizioni  fondamentali  (^^  che  assi- 


(*)  Prendiamo  per  semplicità  un  tratto  rettilineo  che  unisca  Jq  con  Ji  ma 
si  potrebbe  adoperare  egualmente  qualunque  altra  linea  continua. 
(2)  DiNi.  Fondamenti,  pag.  11. 


RAPPRESENTAZIONE  CONFORME  DEL  TRIANGOLO  FONDAMENTALE  ECC.       321 

curano  l'esistenza  di  un  punto  limite  J  di  separazione  fra  le  due  classi. 
Questo  punto  J  sarebbe  manifestamente  un  punto  a;  e  allora,  prolungando 
il  tratto  Ji  J  per  un  nuovo  piccolo  tratto,  questo  conterrebbe  ancora  tutti 
punti  a,  ciò  che  è  assurdo. 

Ne  concludiamo:  Nell'interno  del  triangolo  fondamentale  T  V inva- 
riante assoluto  J  (t)  assume  una  ed  una  sola  volta  tutti  i  valori  Jo  di  or- 
dinata positiva,  e  sul  contorno  tutti  i  valori  reali  da   -  co    a  +  qo  . 

Osserviamo  inoltre  che   nell'interno   del  triangolo    fondamentale  ed 

^  J 
anche  sul  contorno,  i  vertici   esclusi,  la  derivata  ^—  non  può  mai  an- 

dv 

nuUarsi  (ne  diventare  infinita);  poiché  nell'intorno  di  ogni  punto,  che  non 

sia  un  vertice  della  rete  modulare,  J  (t)  non  prende  che  una  sola  volta 

i  propri  valori.  Invece  nell'  intorno  di  t  =  i  e  di  tutti  i  punti  equivalenti 

J(t)  riprende  due  volte  i  valori  prossimi  ad  1,  e  per  ciò  J-1  diventa 

dJ 
in  v  =  i  infinitesimo  del  2.°  ordine  e  -^—  del  primo.  Similmente  nell' in- 
ai 

torno  di  T  =  £,  e  dei  vertici  equivalenti,  J  (t)  riprende  tre  volte  i  valori 

prossimi  a  zero  e  perciò  J(t)  diventa  in  r  =  e  infinitesima  del  3.°  ordine 

e  -^—  del  secondo. 
dz 

Dunque  :  La  funzione  J  (t)  dà  la  rappresentazione  biunivoca  conforme 

del  triangolo  fondamentale  sul  semipiano.  Fmvti  eccezionali  della  rappre- 

sentazione  sono  soltanto  i  vertici,  ove  gli  angoli  di  ~ ,  —,  0  vengono  can- 
giati in  angoli  piatti. 

Associando  al  triangolo  fondamentale  T  il  suo  simmetrico  rispetto 
all'asse  immaginario,  abbiamo  il  triangolo  T  fondamentale  pel  gruppo 
modulare  T  (§.21);  in  esso  J(r)  prende  una  ed  una  sola  volta  tutti  i 
valori  possibili  e  soltanto  in  punti  simmetrici  del  contorno  riprende  lo 
stesso  valore.  Questo  modo  di  comportarsi  della  funzione  automorfa  J  (r) 
nel  suo  campo  fondamentale  è  quindi,  in  un  certo  senso,  più  semplice 
di  quello  che  offrono  le  funzioni  ellittiche,  le  quali  debbono  nel  parallelo- 
grammo fondamentale  riprendere  due  volte  almeno  il  medesimo  valore  <^'. 


{*■)  L'intima  ragione  di  questa  differenza  sta  in  ciò  che  il  campo  fonda- 
mentale di  J  (");  quando  s'immaginano  saldati  fra  loro  i  lati  corrispondenti  in 
guisa  da  far  coincidere  i  punti  equivalenti,  diventa  una  superficie  chiusa  di 
genere  zero,  mentre  il  parallelogrammo  delle  funzioni  ellittiche  dà  una  superficie 
chiusa  di  genere  uno  (toro). 

21 


322  CAPITOLO  XI.  —  §.121 

§.  121. 
La  funzione  inversa  '(1)6  il  teorema  di  Picard  sulle  trascendenti  intere. 

Consideriamo  ora  la  funzione  inversa  dell'invariante  assoluto  J(t), 
che  si  ottiene  considerando  x  come  funzione  di  J.  Neil'  intorno  di  ogni 
valore  J,  differente  da  0,  1,  a  oo ,  si  può,  per  quanto  si  è  detto  sopra, 
eseguire  univocamente  l'inversione,  una  volta  scelto  il  valore  Ti  di  t, 
poiché  lo  sviluppo  di  J  —  Ji  per  potenze  di  r  —  -i  contiene  effettivamente 
il  termine  colla  prima  potenza  di  t  —  ti.  Se  Ji  =  0,  allora  ti  deve  essere 
un  vertice  della  rete  equivalente  a  'c=:£,  e  t  —  Ti  si  sviluppa  in  serie 

di   potenze  di  J  ^  e  così  per  Ji  =  1  in  serie  di  potenze  di  (J-1)^  • 
(Cf.  §.  58). 

La  rete  modulare  ci  rappresenta  chiaramente  le  proprietà  fondamen- 
tali di  questa  funzione  inversa  t  (J),  permettendoci  di  seguire,  senza  am- 
biguità, ogni  suo  prolungamento  analitico.  Fissiamo  invero  un  valore  ini- 
ziale Ji  di  J,  p.  e.  nel  semipiano  positivo,  al  quale  corrisponderà  in  ogni 
triangolo  non  tratteggiato  della  rete  modulare  (Gap.  II,  §.  20)  un  punto. 
Scegliamo  p.  e.   quello  ri  appartenente  al  triangolo  fondamentale   1  e 

prendiamo 

per  J  =  Ji  ,  r  =  Ti . 

Partendo  da  Ji ,  descriviamo  con  J  un  cammino  chiuso  qualunque,  che, 
senza  passare  pei  punti  singolari  J  =  0,  J  =  l,J  =  co,  ritorni  in  Ji. 
Lungo  di  esso  potremo  prolungare  analiticamente  la  funzione  senza 
alcuna  ambiguità.  Finché  il  cammino  considerato,  partendo  da  Ji,  rimane 
nel  semipiano  positivo,  i  rimarrà  sempre  nel  primo  triangolo;  ma  ap- 
pena J  traversa  l'asse  reale  t  entrerà  in  uno  determinato  dei  tre  trian- 
goli tratteggiati  aderenti  al  fondamentale  e  precisamente  nel  triangolo 
A,  B  0  C  (fig.  pag.  60),  secondo  che  J  traversa  l'asse  reale  nel  tratto  loo 
0  nel  tratto  Oco,  o  in  fine  nel  tratto  01.  Fino  ad  un  nuovo  traversa- 
mento dell'asse  reale,  che  riconduca  J  nel  semipiano  positivo,  i  rimarrà 
neir  interno  del  nuovo  triangolo  ;  entrerà  poi  in  un  nuovo  triangolo  della 
rete  perfettamente  determinato  al  nuovo  traversamento.  Così  seguitando 
si  vede  che,  lungo  tutto  il  cammino  chiuso,  t  avrà  sempre  un  unico  va- 
lore e,  ritornato  J  in  Ji ,  x  ritornerà  o  in  ti  stesso,  o  in  uno  degli  infiniti 

punti  equivalenti     ^      t!  rispetto  al  gruppo  modulare.  È  chiaro  poi  che 


IL   TEOREMA   DI   PICARD    SULLE   TRASCENDENTI    INTERE  323 

inversamente,  prendendo  un  conveniente  cammino  chiuso  per  J,  possiamo 
far  sì  che  t,  al  ritorno,  assuma  uno  qualunque  degli  infiniti  valori  equi- 
valenti a  II. 

Così  adunque  :  La  funzione  t  (J)  è  ima  funzione  analitica  infìnitiforme, 
esistente  in  tutto  il  piano  complesso  J,  i  cui  rami  si  ottengono  tutti  da  uno 
di  essi  r  eseguendovi  le  sostituzioni  del  gruppo  modidare.  Ogni  ramo  è  una 
funzione  regolare  di  J  in  ogni  punto  distinto  dai  tre  singolari  J  =  0, 
J=l,  J=cc. 

Questi  punti  sono  punti  di  diramazione,  cioè  girando  attorno  ad  essi 
si  permutano  i  rami  della  funzione.  Precisamente  un  giro  attorno  a  J  =  0 

cangia  t  in ,  per  un  giro  attorno  a  J  =  1  r  si  muta  in e  in- 

fine  un  giro  attorno  a  J  =  oo   cangia  z  in  i+l  '^'• 

Delle  proprietà  di  questa  funzione  i(J)  Picard  si  è  servito  per  di- 
mostrare un  teorema  importante,  che  concerne  il  modo  di  comportarsi 
di  una  funzione  nell'intorno  di  una  singolarità  essenziale  <^'.  Qui  ci  li- 
mitiamo al  caso  particolare  di  una  trascendente  intera  G  (z)  e  dimo- 
striamo :  Ogni  trascendente  intera  prende  a  distanza  finita  tidti  i  valori 
finiti,  eccettuato  uno  al  più. 

Supponiamo  che  la  trascendente  intera  G  {z)  non  prenda  né  il  valore 
finito  A,  né  il  valore  finito  B;  allora  la  trascendente  intera 

_  G  (^)— A 

non  prenderà  né  il  valore  zero,  né  il  valore  uno.  Essendo  t  (J)  la  fun- 
zione inversa  dell'invariante  assoluto  sopra  considerata,  poniamo  l'ar- 
gomento J  =  Gì  {z)  e  studiamo  la  funzione  di  z 

<p(^)  =  t(Gi(^)). 

Per  fissare  completamente  questa  funzione,  basterà  fissare  che  per  un 
certo  valore  Zi  di  z,  fra  gli  infiniti  valori  corrispondenti  di  t,  se  ne  scelga 


(*)  La  rete  modulare  si  può  riguardare  come  una  superficie  Riemanniana 
ad  infiniti  fogli  sulla  quale  vengono  a  trovarsi  distese,  in  modo  monodromo, 
le  coppie  di  valori  per  J,  -:  legati  dall'equazione  trascendente  J  =  J  (t)  ;  ciascun 
triangolo  della  rete  del  gruppo  modulare  rappresenta  un  foglio. 

(2)  Picard.  Traité  d'Analyse,  T.  Ili,  pag.  346. 


324  CAPITOLO  xr.  —  §§.  121,  122 

uno  determinato  Tj.  Si  otterrà  così  una  funzione  analitica  'f  (^),  regolare 
per  ogni  valore  finito  a  di  z,  poiché  per  ipotesi 

Gì  (a)  tO,  1,  co; 

la  9  {z)  esiste  dunque  in  tutto  il  piano  complesso  ed  è  regolare  in  ogni 
punto  e  perciò  monodro>na,  come  risulta  da  considerazioni  del  tutto  si- 
mili a  quelle  che  abbiamo  sviluppato  al  §.77  per  dimostrare  il  teorema 
fondamentale  relativo  ai  rami  di  una  funzione  algebrica.  Ne  risulta  che 
la  'f  {z)  =  T  [Gì  («)]  sarebbe  una  trascendente  intera  col  coefficiente  del- 
l'immaginario sempre  positivo.  Ma  allora  la  trascendente  intera  e^^^^' 
sarebbe  di  modulo  sempre  <C  1,  ciò  che  è  assurdo. 

§.  122. 
Esistenza  della  funzione  più;  g^,  g^)  con  invarianti  assegnati. 

Colle  cognizioni  delle  proprietà  fondamentali  della  funzione  modu- 
lare J  (t),  acquistate  nei  §§.  precedenti,  siamo  ora  in  grado  di  stabilire 
r  importante  teorema  : 

Nella  funzione  ellìttica  p  (m  j  w,  w')  si  possono  sempre  assegnare  ai  pe- 
riodi 2  w,  2  co'  tali  valori  che  gli  invarianti  g^ ,  g^  acquistino  valori  prefès- 
sati arbitrarii  'd,  73,  purché  non  sia  mdlo  il  discriminante 

A=YÌ-27v^ 

Dai  valori  dati  per  g^,  g^  calcoliamo  infatti  il  corrispondente  valore 
Ji  che  dovrà  avere  l'invariante  assoluto,  e  cioè 

j  Ti 

valore  finito  per  ipotesi.  Esisterà  certamente  nel  triangolo  fondamentale, 
0  nel  suo  simmetrico  rispetto  all'asse  immaginario,  un  valore  ii  di  t,  per 
il  quale  risulterà  effettivamente 

J(tO=Ji=       '^^ 


7Ì-27TÌ  • 


Essendo  9.  una  quantità  per  ora  indeterminata,  costruiamo  la   fun- 
zione ellittica  ^(m|Q,  lìti),  il  cui  invariante  assoluto  sarà  precisamente 


LA   FUNZIONE   pU   CON    ASSEGNATI    INVARIANTI   ^2,^3  325 

=  Ji.  Col  processo  stesso  del  §.  118  si  vede  che  si  può  sempre  prendere 
fì  in  guisa  che  gli  invarianti  ^2 ,  93  della  nostra  pii  abbiano  precisamente 
i  valori  assegnati  ys,  Y3- 

Nelle  effettive  applicazioni  i  valori  dati  degli  invarianti  sono  sempre 
reali,  e  reale  è  quindi  pure  il  valore  di  J.  Per  i  calcoli  numerici,  che  si 
presentano  nella  pratica,  basta  quindi  avere  una  tavola  che  permetta  di 
seguire  l'andamento  numerico  dell'invariante  assoluto  J  lungo  il  con- 
torno del  triangolo  fondamentale.  Le  tavole  costruite  da  Legendre  per 
il  calcolo  degli  integrali  ellittici  nel  suo  Tmité  des  fonctions  elliptiques 
si  prestano  facilmente  alla  trasformazione  richiesta. 

Il  risultato  che  abbiamo  così  conseguito  può  anche  enunciarsi  sotto 
altra  forma,  ricordando  l'equazione  differenziale  cui  soddisfa  pu,  e  cioè: 

p'^u  =  4  phi  —  g2pu  —  g3. 

Possiamo  dire  infatti:  L'equazione  differenziale  del  i."  ordine 

(4)  gy=4s»_^,s-33 

s'irdegra  per  mezzo  della  funzione  ellittica  pji,  qualunque  siano  i  valori 
delle  costanti  g-i,  gz,  purché  il  polinomio  di  3."  grado  in  s  del  secondo  mem- 
bro non  abbia  fattori  multipli. 
E  infatti  prendendo 

s=  p{u-\-G\  gi,gi) 

si  ha  l'integrale  generale  della  (4). 
Se  si  presenta  il  caso  qui  escluso 

gl  —  21gl  =  Q, 

la  quadratura 


/ 


ds 


che  dobbiamo  eseguire  per  integrare   la  (4),  porta  evidentemente  ad 
un  integrale  della  forma 


/ 


ds 
(s — a)  yjs  —  b 


326  CAPITOLO  XI.  —  §§.  122,  123 

ovvero,  ponendo  s  —  h  =  f,  all'integrale 

2dt 


/ 


f-\-'k 

cioè  ad  un  arco  tangente  (o  ad  un  logaritmo),  ed  s,  considerata  come 
funzione  del  valore  dell'integrale,  è  ancora  una  funzione  monodroma, 
circolare  (od  iperbolica). 

Propriamente  dunque  il  caso 

gi-21gl  =  0 

non  è  un  caso  d'eccezione,  ma  soltanto  un  caso  limite,  ove  la  funzione 
^u  degenera  in  una  funzione  circolare  (od  iperbolica). 

§.  123. 

Equazione  differenziale  per  le  funzioni  ellittiche  del  2.'  ordine 
e  problema  d'inversione. 

La  funzione  ellittica  del  2.°  ordine  p{u\  g-i,  g^)  soddisfa  all'equazione 
differenziale  (4).  Ora  possiamo  generalizzare  questo  risultato  considerando 
una  qualunque  funzione  ellittica  del  2°  ordine  w  {u)  e  dimostrando  che 
essa  soddisfa  ad  un'equazione  differenziale  del  l.^  ordine  della  forma 

2 


o=^«. 


dove  P  {w)  è  un  polinomio  di  3."  o  4.°  grado  in  te,  secondo  che  iv  (m)  ha 
un  solo  infinito  del  2.°  ordine  nel  parallelogrammo  dei  periodi,  ovvero 
due  infiniti  staccati  del  1.°  ordine. 

E  infatti  nel  1."  caso  ^—  sarà  una  funzione  ellittica  del  3.°  ordine, 
du 

che  avrà  dunque  tre  infinitesimi  del  1."  ordine,  e,  se  indichiamo  con  ivi, 
Wi,  iVz  i  valori  che  assume  tv  in  questi  tre  infinitesimi  di  ic,  si  vede  su- 
bito che  le  due  funzioni 

(^)     '    (^^"""^i)  (w—Wi)  (w—Ws) 
hanno  a  comune  periodi,  infiniti  ed  infinitesimi,  onde   risulta  appunto 


EQUAZIONI  DIFFERENZIALI  PER  LE  FUNZIONI  ELLITTICHE  DI  2°  ORDINE      327 

che  si  ha 


(5) 


{ty=^^<^+y^"^+0'c+j>, 


essendo  A,  B,  C,  D  costanti. 

Se  la  tv  (u)  ha  due  infiniti  del  1.°  ordine,  la  sua  derivata  -r—  è  del 

a  ti 

4.°  ordine  e  un  ragionamento  analogo  al  precedente  dimostra  che  si 

avrà  allora 


(6) 


f^^  =  Aw'  -]-Bw'  +  Cw'-\-  Div  +  E. 


Le  equazioni  differenziali  (5),  (6)  s'integrano  evidentemente  per  fun- 
zioni ellittiche.  Riesce  ora  ben  naturale  la  domanda:  Dati  arbitraria- 
mente i  polinomii  di  3.^  o  4."  grado  nei  secondi  membri  delle  (5),  (6),  pos- 
sono queste  equazioni  differenziali  integrarsi  per  funzioni  ellittiche? 

In  altre  parole  si  chiede  se  è  possibile  determinare  gli  invarianti 
gt,  gz  di  una  funzione  s  =  pu  in  guisa  che  l'integrale  della  (5)  o  della 
(6)  possa  porsi  sotto  la  forma 


tv 


=  F  (pu ,  p'u)  =  F  (5 ,  v/4  s'  -  5r2  s  -  g^)  , 


essendo  F  il  simbolo  di  una  funzione  razionale  nei  due  argomenti. 

La  questione  così  posta,  alla  quale  è  da  rispondersi  affermativamente, 
come  ora  dimostreremo,  può  anche  formularsi  nel  modo  seguente.  Dalla 
(5)  0  (6)  si  trae 

dtv 


du 


sjF(w) 


essendo  P  {ic)  un  polinomio  di  3.°  o  4."  grado  in  tv,  e  poiché,  nell'ipo- 
tesi che  la  proprietà  da  dimostrarsi  sussista,  dobbiamo  avere  altresì 

con  s  =  pu 

ds 


\j\^-giS—g^ 


possiamo  dare  al  nostro  problema  la  seguente  forma  algebrica  :  Ponendo 
IO  eguale  ad  una  conveniente  funzione  razionale  di  s  e  \^  4:S^  -gtS-g^, 


328  CAPITOLO  XI.  —  §§.  123,  124 

è  possibile  trasformare  il  differenziale  (ellittico) 

dw 

nella  forma  normale  di  Weierstrass 

ds 


yJ^^-gìS—g-i 

Ciò  è  possibile,  come  si  vedrà,  in  infiniti  modi,  fra  i  quali  ne  sce- 
glieremo due  pili  semplici  e  adatti  agli  scopi  pratici. 

Il  problema  qui  enunciato  porta  il  nome  di  problema  d'inversione. 
Colla  sua  risoluzione  noi  veniamo  invero  a  dimostrare  che  neir  integrale 
ellittico  (di  1.'  specie) 

dw 

u 


a 


VP  N 


considerando  il  limite  superiore  w  come  funzione  del  valore  u  dell'in- 
tegrale, si  ha  una  funzione  uniforme  di  u  doppiamente  periodica,  cioè 
una  funzione  ellittica. 

§.  124. 
Primo  metodo  d'inversione  per  mezzo  di  una  sostituzione  lineare. 

Cominciamo  dal  caso  in  cui  il  polinomio  P  {iv)  è  di  3."  grado  e  scri- 
viamo, con  coefficienti  binomiali: 


P  {w)  =  «0  iv^  +  3  «1  w'  -}-  3  «2  't'  -f-  «3  • 

tico 

V'  P  («^) 


div 
In  tal  caso  la  trasformazione  del  differenziale  ellittico  ,  nella 


forma  normale  di  Weierstrass 

ds 


^^s^—g^s—gz 
si  può  fare  nel  modo  più  semplice  con  una  sostituzione  lineare  intera 
(7)  w^=a-{-bs, 


PRIMO    METODO    d' INVERSIONE  329 

ciò  che  equivale  a  prendere  per  tv  (§.  123)  una  funzione   ellitttica  del 
2.°  ordine  cogli  infiniti  stessi  della  pu.  Colla  sostituzione  (7)  si  ha 

dw  b  ds  ds 


VP(»)    Vp(«+m    y'^p^„)+l„p^„)  +  '^r(a)+^p^(.a) 

Basterà  dunque  disporre  di  a,  b  in  guisa  che  sia 
P"(„)=0,    6=p^. 

Si  ha  dunque  il  risultato:  Il  differenziale  ellittico 

div 
\/«o  w^^+  3  «1  tv^+  3  «2  w'+as 

per  mezzo  della  sostituzione  lineare 

w= 1 s  , 

si  riduce  alla  forma  normale  di  Weierstrass 

ds 


V4  s'— ^2  s—g^ 
Passiamo  ora  al  caso  in  cui  P(t^)  sia  del  4."  grado: 

P  (w)  ==  «0  w^*  -|"  ^  aiiv^  -\-  %  a^iv^  -\-  'ò  a^w  -{-  a^\ 

in  questo  caso  potremo  raggiungere  lo  scopo  ancora  con  una  sostituzione 
lineare,  ma  frazionaria  in  luogo  che  intera,  cioè  della  forma 

(8)  ?/;  =  «+  -^  (^). 

S G 

Per  meglio  intendere  il  significato  dei  calcoli  seguenti  conviene  ri- 
correre a  variabili  omogenee,  scindendo  io  nel  quoziente  di  due  nuove 


(')  Ciò  equivale  a  prendere  per  iv  (§.  123)  una  funzione  ellittica  del  2.»  ordine, 
i  cui  infiniti  siano  in  due  punti  a,  2to-f-2oj' — a  del  parallelogrammo  dei  periodi. 


330 

variabili  Wi,  uy. 


CAPITOLO   XI.  —  §.  124 


W  = 


W'2 


e  scrivendo  quindi  il  differenziale  ellittico  sotto  la  forma  omogenea 


V  P  («0        V<*o  w"? + 4  «1  M7?  iVi +&  aiw\w\+A:a2  Wi  w\ + «4 


w\ 


dove  attualmente  sotto  il  segno  radicale  figura  una  forma  biquadratica. 
È  ben  noto  che  una  tale  forma  possiede  due  invarianti  S,  T  V  uno 
di  2.°,  l'altro  di  3."  grado  nei  coefficienti;  le  loro  espressioni  effettive 
sono: 

S  =  «0  «4  +  3  «1  —  4  «1  «3 


(9) 


T  = 


«0 

«1 

«2 

a, 

«2 

«3 

«2 

«3 

«4 

=   «0  «2  ^4 «0  <^  H"  2  «1  «2  «3 «1  <*4 «■2- 


Eseguendo  ora  sulle  variabili  n\,  u\  una  sostituzione  lineare 
I  Wi  =  hiSi-\-  hi 6'2 

^    W^2  -—"   C\  Si  ~j~    C2  S2 

e  indicando  con 


(10) 


a'o  st  +  4  a  1  s?  «2  "h  •  •  •  +  «^'4  4 
la  forma  trasformata,  sarà  evidentemente 


Wz  dw^  —  Wi  dwi 


61    62 

Cx     Ci 


S2  aSi      Si  as% 


Se  ora  disponiamo  dei  quattro  coefficienti  nella  (10)  in  guisa  che 
risulti 

61  C2  -  &2  Ci  =  1  ,    a'o  =  0  ,    a'i  =  1  ,    a  2  =^  0  , 


indi  poniamo 


5'2  =  -  4  a's  ,    9^=  -  a  4 , 


vediamo  dalle  (9)  che  g^,  g^  saranno  precisamente  gli  invarianti  S',  T' 
della  trasformata  e  sarà  per  ciò 


5^2  =  8   ,    5'3  =  T, 


PRIMO   METODO   d' INVERSIONE  331 

Restituendo  le  variabili  non  omogenee,  otterremo 
dw      ds 

mediante  la  sostituzione  lineare 


w 


C1S+C2 


Resta  dunque  soltanto  che  vediamo  come  si  possono  determinare  i 
coefficienti  a,  b,  e  nella  (8)  in  guisa  da  raggiungere  lo  scopo  prefisso.  Per 
ciò  osserviamo  che  si  ha  colla  sostituzione  (8) 

dto  ds  ds 


Vp  (tv)         1  /{s  -  cY  p  f^_^  J_\  VPi  (s) 

s-  e. 


V^' 


ove  si  ponga 


Pi(5)=^'p(«)  +  ^'P'(«)+ ^'P''(a)  +  ^-^ 


Basterà  determinare  a,  b,  e  per  modo  che  si  abbia 

P  (a)  =  0  ,    -^  =  4  ,    -^  F  {a)  +  -^  =  0  , 

ossia 

P(a)=.0  ,    b  =  jV'{a)  ,    c  =  ~F'{a). 

Abbiamo  dunque  il  risultato:  Per  ridurre  il  differenziale  ellittico 

dw      dw 

Vp  («^)        V«o  «<'^+  4  «1  tv^+  6  Oi  w^+  3  «3  w+tti 

alla  forma  normale  di  Weierstrass 

ds 


332    •  CAPITOLO  XI. —  §§.  124,  125 

hasta  porre 

(11)  w  =  a  -^  - 


»-^F'(a) 


essendo  a  una  radice  qualunque  del  polinomio  di  4."  grado  V  [tv).  Gli  in- 
varianti ^2,  <73  risulteranno  eguali  ai  due  invarianti  S,T  di  P  {w)  e  cioè: 


(12) 

^3   = 


gi  =  aoa4-{-  S  al  —  4  «i  «3 
a^    a\    a^ 

Ui       «2       CI3 

a^   «3    «4 


Così  resta  giustificata,  anche  dal  punto  di  vista  algebrico,  la  deno- 
minazione di  invarianti  data  a  gz,  g-i- 

È  da  osservarsi  che,  mentre  nel  caso  in  cui  V  {w)  è  di  3.°  grado  i 
coefficienti  della  sostituzione  da  eseguirsi  dipendono  razionalmente  dai 
coefficienti  di  V{iv),  attualmente  ne  dipendono  irrazionalmente,  espri- 
mendosi per  una  radice  di  P(w)  =  0,  che  bisogna  supporre  nota.  Però, 
ed  è  questo  un  punto  essenziale,  ove  la  funzione  pu  di  Weierstrass  ha 
già  un  rilevante  vantaggio  su  quelle  di  Jacobi,  gli  invarianti  g^ ,  g^  della  pu 
si  calcolano  sempre  razionalmente,  come  invarianti  della  forwM  biquadratica. 

§.  125. 
Secondo  metodo  d'inversione. 

Nei  casi  pratici  il  polinomio  P  iw)  è  a  coefficienti  reali  e  però  anche 
gli  invarianti  g-.,  g^  sono  reali.  Se  non  si  conosce  alcuna  radice  di  P  {ir)  =  0, 
ovvero,  essendo  queste  tutte  immaginarie,  si  vuole  evitare  nelle  formole 
d'inversione  d' introdurlo  esplicitamente,  converrà  meglio  ricorrere  al 
secondo  metodo  d'inversione,  che  ora  passiamo  ad  esporre. 

Essendo  v  un  valore  fisso  dell'  argomento,  prendiamo  per  ciò  a  con- 
siderare la  funzione  ellittica  del  2.°  ordine 

1  p'u — p'v 
y  ^=^  —  - — ^ — ~ — 

2  pu — pv  ' 

che  abbiamo  visto  figurare  nelle  formole  d'addizione  (§.  106)  e  propo- 


SECONDO   METODO   d' INVERSIONE  333 


eguaglia  [-^)  '^'-  l^ei'  ciò  osserviamo  che  dalla  formola  (V)  d'addizione 


niaraoci  di  costruire  eifettivamente  il  polinomio  di  4.°   grado  in  y  che 
'«"^Slia  (fi)  I" 
(pag.  285)  si  ha 

ossia 

(13)  ?/  —  3  pv  =  [^  {iti + V)  —  pv\  +  {pu  —  pz;J  . 

La  forraola  (III)  (pag.  284)  ci  dà 

1  3    p'u — p'v        1       p"v           1     p'u — p'v     , 
p  {uWj  —  pv  =  -—  --  "= =  —   ■ —  f- ?— -  p V 

2  do    pu — pv         2    pn — pv        2    {pu — pvy 

e  moltiplicando  per  2  (  pu  — pv  )  risulta 

p"v—  2ypv  =  2[p  (u+v)  -  pv]  [pu  -  pv] . 
Quadrando  la  (13)  e  sottraendovi  il  doppio  di  quest'ultima,  si  ottiene 

(!/'  -  3  pvf  +  2  (2  ^  p'v  -  p"v)  =  [p  (u+v)  -  puf . 
D'altronde,  per  la  citata  formola  d' addizione  (  III  )  si  ha 

onde  troviamo  per  la  forraola  cercata 

che,  sostituendo  per  p"v  la  sua  espressione  6  p^v  —  -  Qì,  diventa: 

^^^^  (È)  =  ^'  -  ^  ^^  /  +  4  ^'y  ^  +  (/^  -  3  pS . 

Dopo  ciò  è  molto  facile  ridurre  una  qualunque  equazione   diiferen- 
ziale  (6) 

(15)  K'J']  =  ^0  i<^*  +  4  «1 16;^  4~  6  «2  w?^  +  4  «3  ty  +  «4 


(*>  Che  debba  essere  un  polinomio  di  4."  (e  non  di  3.°)  grado  in  u  risulta 
da  ciò  che  la  y  ha  due  infiniti  del  1."  ordine  staccati,  l'uno  in  tt  =  0,  l'altro 
in  Zi  =  —  V. 


334  CAPITOLO  XI. —  §.  125 

a  questa  particolare  forma  (14)  mediante  una  sostituzione  lineare  intera 

ttf  =  A  -f-  B«/. 
Si  cominci  infatti,  colla  nota  sostituzione 

«1    , 

IV  = 1-  u\  , 

a  far  sparire  dal  2.°  membro  di  (15)  il  termine  in  wl,  dopo  di  che  po- 
tremo scrivere 

/div  ^  ^ 
(15*)  (^ -^j  =  «0  «^t  +  6  a\  wl-^i  «3  Wl  +  a\  . 

Gli  invarianti  S',  T'  di  questo  polinomio  saranno  gli  stessi  che  in  (15) 
e  sarà  perciò 

<^o  «'4  +  3  a'I  =  S  ,    «0  «'2  «'4  —  «0  «1  -  al  =  T  . 

Ora,  posto 

wJi  =  B?/ , 

dobbiamo  ridurre  la  (15*)  alla  (14),  determinando  convenientemente 

^  ,  92,  93,  V. 

Dal  confronto  dei  coefficienti  nella  supposta  identità 

B'\i/-6pv.if  K  p'v.y+g,-  3  p'v\  =  a,  B^y+6  a\  Wif-\-^  a,By+a\ 

deduciamo 

(16)      B  =  —  ,   pv=  —a'i  ,   p'v  =  a\  \i a^  ,   g^ —  3  g>'v  =  a\  «o 
e,  poiché  deve  essere 

otteniamo  per  gli  invarianti  i  valori 

^,  =  S   ,   ^3  =  T, 
dopo  di  che  le  (16)  si  riducono  alle  relazioni  concordanti 
(pv  =  —a'i  ,    gì'v  =  a'a  \l ao 


SECONDO  METODO  d' INVERSIONE  335 

cioè 

af  —  a«  «2         ,        2  a?  —  3  «0  «i  ctz+al  «3 
^  =  ^ ,    pv= ^:— . 

Possiamo  dunque  formulare  il  risultato  dei  nostri  calcoli  col  seguente 
teorema:  Per  integrare  l'equazione  differenziale 

(  -j -  I  =  «0 10^  +  4  «1  to'  +  6  «2  w^  -j"  4  «3  i«  -|-  «4 

per  funzioni  eUlttlcìie,  costruiscasi  la  funzione  p  di  Weierstrass  cogli  in- 
varianti 

r/2  =  S  =  «0  «4  +  3  «2  —  4  «1  «3 


(  (^3  =  T  =  «0  <^2  CI4  —  a^al-j-  2  ai  a^  a^  —  a\ai  —  a\ 

e  determinando  l'argomento  costante  v  delle  relazioni  concordanti 

«1 — «0  «j         /        2  «1  —  3  tto  «1  ai-Val  «3 
(pv  = ,    pv  = ~ 

°  aa\J  a^ 

si  avrà 

I      ^  _  ^  j \_    pti—pv 

\'^  «0        2v/ao    ^^-^^ 

dw  1      .  /    ,    \ 

[  -^  =  --  {fìu—fi{u+v). 

\  ^**        \/ao 

In  questo  secondo  modo  d' inversione  non  si  richiede  la  previa  riso- 
luzione dell'equazione  di  4."  grado  P  (tv)  =  0,  anzi  è  chiaro  come  ne  ri- 
sulti la  risoluzione  dell'equazione  di  4."  grado  stessa  per  funzioni  ellittiche. 

E  infatti  il  binomio 

pu  —  p  (u+v) 

si  annulla  evidentemente  per  tutti  e  soli  i  valori  u  della  forma 

V 

u  =  — —  -\-  mia  -\-  noi      (m,  n  interi) 

e  però  le  radici  dell'equazione  di  4.°  grado  saranno  date  dalla  forinola 

/v  \ 

p'{—-{'moì+ni)ì'j-\-p'v 


_      tti 

«0 


2  V  «0  p  (--  -\-  mi)ì-\-noìj  —  pv 


dove  basterà  dare  ad  {m,  n)  i  quattro  valori  di  un  sistema  completo  di 
coppie  (mod2)  p.e.  (0,0)  (0,1)  (1,0)  (1,1). 


336  CAPITOLO   IX.  —  §.  126 

^.  126. 


Integrazione  delle  funzioni  razionali  di  una  variabile  f  e  di  V  P(m;). 

Coir  uno  0  coir  altro  metodo  d'inversione  sopra  discussi  siamo  in 
grado  di  risolvere  il  problema: 

Dato  un  polinomio  di  3."  o  4.*^  grado  P  {iv),  esprimere  contemporanea- 
mente la  variabile  w  e  il  radicale  \  P  {w)  per  funzioni  ellittiche  di  un 
parametro  ausiliario  u. 

A  questo  punto  possiamo  risolvere  completamente  il  problema,  che 
ha  dato  storicamente  origine  alla  teoria  delle  funzioni  ellittiche  (§.  93) 
e  cioè  : 

Essendo  Y  {w,  \  P  {w)  )  una  funzione  razionale  di  w  e  della  radice 
quadrata  di  un  polinomio  P  {w)  di  3."  o  4.°  grado  in  w,  eseguire  la  qua- 
dratura 

(17)  J  =  J  F  {w ,  VPM)  dw  . 

Introducendo  il  parametro  ausiliario  u,  l'integrale  precedente  diventa 
evidentemente 

J  =J  FApu,pu)du, 

dove  Fi  è  una  funzione  razionale  di  pu,  p'u,  cioè  una  funzione  ellittica. 
La  questione  proposta  si  riduce  dunque  all'altra  di  trovare  l'integrale 
di  una  funzione  generale  ellittica  f{ìi).  Si  vede  subito  che  un  tale  inte- 
grale dà  luogo  ad  una  funzione  ellittica  aumentata  di  termini  della  forma 

log  a  {u  -v)  ,    C  (u  -  v) . 

E  infatti,  se  decomponiamo  la  nostra  funzione  ellittica  f{ti)  in  ele- 
menti semplici  secondo  la  formola  (I)  ipag.  282) 

otteniamo  immediatamente 

(18)  J  =Jf(u)du  =  Cu+y^A^ìogG(u--^)-^A,!:{u-'^)+^{pu,p'ii)  , 
essendo  i  razionale  in  pii,  p'u  cioè  una  funzione  ellittica. 


INTEGRAZIONE   DELLE   FUNZIONI    RAZIONALI    DI    IO    E    \'V{lv)  337 

L'introduzione  nell'analisi  delle  funzioni 

0  insomma  dell'unica  funzione  (^u,  permette  di  eseguire  tutte  le  qua- 
drature (17). 

Si  osserverà  che  l'integrale  ellittico  (18),  oltre  l'argomento  esplicito 
u  e  la  parte  periodica  <^  {pu,  p'u),  contiene  anche  le  due  parti  non  pe- 
riodiche 

2;Aoiogo(w-[5) ,  2;aiC(«-p). 

In  casi  particolari  possono  però  queste  parti  sparire.  Ciò  accade  per 
la  prima  quando  tutti  i  residui  di  f{u)  sono  nulli,  quando  cioè  l'integrale 
Abeliano  (17)  è  di  prima  categoria  (Cf.  §.90),  e  perchè  sparisca  anche 
la  seconda  basterà  che  sia  I  Ai  =  0,  come  risulta  dalle  forinole 

C  (m  +  2 co)  =  C  u+2'q  ,    C  {u+2lù)  =  C  u+2r[  , 

ovvero  anche  dalla  formola  d'addizione  per  la  C«. 

Un  altro  caso  interessante  si  presenta  quando,  essendo  sempre  S  Ai  =  0, 
i  residui  Ao  sono  tali  che  il  prodotto 

sia  una  funzione  ellittica,  cioè  razionale  in  pu,  p'u.  Allora  il  secondo 
membro  della  (18),  prescindendo  dal  termine  lineare  in  ii,  consta  di  una 
funzione  razionale  di  pu,  p'u  e  del  logaritmo  di  una  tale  funzione  ra- 
zionale. , 

§.  127. 
Integrali  normali  ellittici  delle  tre  specie  secondo  Weierstrass. 

Ogni  integrale  J  della  forma  (17)  dicesi  un  imegrale  ellìttico.  Diciamo 
qui  di  passaggio  che  sotto  questa  denominazione  si  comprendono  più 
in  generale  tutti  gli  integrali  della  forma 

J  =  /  F  {x,  y)  dx  , 

dove  le  variabiU  x,  y  siano  legate  da  un'  equazione  algebrica 

f{x,y)  =  0 
di  genere  uno.  Si  perverrebbe,  nel  modo  del  §.  123,  a  queste  più  generali 


338  CAPITOLO  XI.  —  §.  127 

relazioni  ellittiche,  considerando  una  generale  funzione  ellittica  tv,  che 
è  appunto  legata  alla  sua  derivata  iv  da  un'equazione  algebrica  di  ge- 
nere uno  (o  zero).  Ma  nel  modo  da  noi  scelto  per  lo  sviluppo  della  teoria 
volgiamo  specialmente  l'attenzione  ai  particolari  integrali  ellittici  (17). 
Se  osserviamo  che  nella  formola  (18)  si  ha  SAo  =  0,  vediamo  che  si  può 
scrivere 

2Aologa(^-r.)  =  2Aolog"-^+B, 
essendo  B  una  costante.  D'altronde  per  la  formola  d'addizione  della  C 


C(m-^)  =  Cw-Ci3+  o     ....     .^o  ' 


2     pu  -  ip'p 


^  possiamo  quindi  scrivere  la  (18)  così: 

(18*)     J  =jf{u)  du=Cu-i2A{)^u  +  2  Aolog^^l^^  +  ']>  (li), 

dove  '{)  {il)  è  una  nuova  funzione  ellittica.  Ora,  se  poniamo 


s  =  pu  ,    indi  \/4:  s^ — gi  s — gs  =  p'u  , 
vediamo  che  l'integrale  generale  ellittico 

J  =J  F  (s ,  \/4  s'—gi  s  -gs)  ds 

si  compone  con  termini  delle  seguenti  quattro  specie: 
1.°  di  una  parte  razionale  in  s  e  \/4s^ — g^s — gj 


2.°  dell'integrale  ellittico 


(A)  '  ^ 


/d& 


V^4  s^—gi  s—gs 
3.°  dell' integi-ale 

::'«  r  s  ds 


(B)  C^*  = 

n'n.  I        1.1 

h  s—g2 


/«  r  s  ds 

4.<»  di  un  certo  numero  di  termini  della  forma 

log '1^)=  ri  e:«+4?  ,„_«:?„+ e, 


INTEGRALI    ELLITTICI   DELLE   TRE   SPECIE  339 

ossia,  prescindendo  dal  2,"  termine,  clie  è  della  forma  (A),  di  integrali 
ellittici  della  forma 

(0  /■i.£:?i±£|*,. 

Gli  integrali  ellittici  (A),  (B),  (C)  sono  quelli  che  Weierstrass  indica 
come  integrali  (elementari)  di  prima,  seconda  e  terza  specie  rispettiva- 
mente (^>. 

Come  si  vede  :  Un  integrale  generale  ellittico  si  compone  di  una  parte 
razionale  e  di  integrali  elementari  di  i",  2"'  e  5"  specie. 

Capitolo  XII. 

Le  tre  funzioni  3  pari  di  Weierstrass  e  le  funzioni  ellittiche  di  Jacobi  snv, 
cn-y,  dny.  —  II  quadrato  k-  del  modulo  come  funzione  modulare.  —  For- 
molo d' addizione  per  sn  v,  cn  v,  dn  v. 

§.  128. 
Funzioni  periodiche  appartenenti  a  sottogruppi  del  gruppo  modulare. 

Una  delle  proprietà  fondamentali  delle  funzioni  di  Weierstrass  nu, 
gju,  considerate  come  dipendenti  dai  periodi,  è  espressa  dalle  formole 

0  {ti  |aco+pw'  ,  Ytó  +  Sctì')  =  o(ti\(ù,  to') 

fi{u\oi.(ù+^(fì   ,  Yco  +  §co')  =  p{){.\oì,  co'), 

essendo 

'aoi+pw'    yw-h5w'^ 

03  0)'        , 

una  qualunque  sostituzione  del  gruppo  modulare   omogeneo.  Il  seguito 


(^)  Queste  denominazioni  corrispondono  appunto  a  quelle  in  uso  nella  teoria 
generale  degli  integrali  Abeliani.  (Cf.  §.  90)  Sulla  superficie  Riemanniana  a  due 
fogli  per  l'equazione  algebrica 

y^  =  ^s^—g-2s—g3 

l'integrale  (A)  è  sempre  finito;  i  suoi  periodi  fondamentali  sono  2oj,  2oj'. — 
L'integrale  (B)  ha  un  solo  polo  del  1.»  ordine  in  6-  =  oo  (che  è  altresì  punto  di 
diramazione;.  —  L' integrale  (C)  ha  due  infiniti  logaritmici  in  s  =  a)  e  s  =  p^, 
y  =  P  "^  coi  residui  — 1,  -\-l. 


340  CAPITOLO   XII.  —  §.  128 

della  teoria  ci  conduce  a  considerare  delle  funzioni  periodiche  di  1.^  o 
3.^  categoria  (§.  101),  che  ammettono  i  periodi  2  co,  2o)'  o  loro  multipli  (^* 

e,  senza  rimanere  invariate  per  tutte  le  sostituzioni  (.  ''^  )  del  gruppo 

modulare,  tali  rimangono  per  quelle  di  un  sottogruppo  d'indice  finito. 
Fra  i  sottogruppi  del  gruppo  modulare  si  considerano  specialmente 
i  sottogruppi  congruensicdi  (Congruenzuntergruppen),  che  sono  cioè  defi- 
niti da  congruenze  cui  debbono  soddisfare  i  coefficienti  a,  p,  y,  5  rispetto 
ad  un  dato  modulo  n.  I  sottogruppi  di  questa  specie  sono  sempre  con- 
tenuti nel  sottogruppo  principale  r„  definito  dalle  congruenze 

:;8-G;?)  (■»°^«)'^ 

che  contiene  tutte  le  sostituzioni  congrue  coli'  identità  (mod  n)  ed  hanno 
tutti  indice  finito.  I  sottogruppi  principali  F„  sono  inoltre  invarianti  nel 
gruppo  modulare. 

Le  funzioni  periodiche  appartenenti  al  sottogruppo  Fn  si  diranno  della 
w'""  specie  (Stufe  secondo  Klein).  In  questo  senso  le  ou,  pu  apparten- 
gono alla  prima  specie.  Nel  caso  seguente  n  =  2  rientrano  le  funzioni 
classiche  di  Jacob  i 

sn  ?;  ,    znv  ,   dn  y . 

Storicamente  adunque  lo  studio  delle  funzioni  ellittiche  di  seconda 
specie  ha  preceduto  quello  delle  più  semplici  di  prima  specie  (della  pu). 
Arriveremo  alle  funzioni  di  Jacobi  costruendo  prima  tre  funzioni  perio- 
diche di  3.*^  categoria  e  di  2.^  specie  introdotte  da  Weierstrass,  le  così 
dette  funzioni  sigma  pari.  Per  ciò  conviene  innanzi  tutto  partire  dalle 

considerazioni  seguenti.  Rispetto  al  modulo  2  le  sostituzioni  f/'H  del 

gruppo  modulare  F  si  ripartiscono  nelle  6  classi  seguenti: 


('I  Xaturalmeute,  se  si  tratta  di  funzioni  periodiche  di  S.^*  (o  2.^)  categoria, 
la  periodicità  s' intende  soltanto  relativa  ai  loro  infiniti  ed  infinitesimi. 

(2)  Che  le  sostituzioni  di  questa  specie  formino  gruppo  risulta  subito  dalla 
legge  di  composizione  delle  loro  sostituzioni. 


SOTTOGRUPPO  Tg  ^s;  (     '     ì  (mod  2) 


341 


Quelle  della  prima  classe  formano  appunto  il  sottogruppo  Fg  e  la 
ripartizione  superiore  in  6  classi  corrisponde  precisamente  alla  riparti- 
zione delle  sostituzioni  di  F  rispetto  a  quelle  del  sottogruppo  Fg,  il  quale 
adunque  è  in  F  un  sottogruppo  (invariante)  d'indice  6. 

Per  ogni  sostituzione  di  F 


(1) 
si  ha 


^  (m  I  co ,  tó')  =  ^  (m  ,  fì ,  fì') 
e  perciò  le  radici  Ci ,  Cg ,  e^  dell'  equazione  cubica 

4e'  — 5^2  6— ^3  =  0, 
che  abbiamo  definite  colle  formole 

ei  =  più  ,    C2  =  ^  (w+o/)  ,    es  =  p(tì' , 

per  qualsiasi  sostituzione  (1)  (/'H  di  F  non  potranno  che  permutarsi 
fra  loro.  Per  vedere  come  si  permutano,  poniamo 

e'i  =  ^fì  ,    e2  =  p(9.+Q,')  ,    63  =  pQ,' 

e  distinguendo,  come  sopra,  le  sostituzioni  f    '  M  in  6  classi  rispetto  al 
sottogruppo  F2,  potremo  subito  costruire  la  tabella  seguente: 


(A) 


(y  '  ^/  ~  (0  '  1)  ^"^^^^  '^^  '  ^''  "  ^'  '  ^''  "  ^'  '  ^''  "  ^' 

(y  '  5/  ^  (0  '  1)  ^"^^^  ^^  '  ^''  "  '''  '  ^  "'  "^  ^'  '  ^'^  "  ^' 

(y  '  6/  ^  (1  '  0/  ^^^^°^^  ^^  '  ^''  ^  ^'  '  ^''  ^  ^'  '  ^''  ^  ^' 

(y  '  s)  ^  (1  '  1)  *^'^°^  ^'^  '  ^''  ^  ^'  '  '^'^  ""  ^'  '  ^''  "  ^' 


Sostituzioni 
sopra  e^  e^  e^ 


(ei  63) 
(ei  63  62) 

(«1   «2  63) 

(^1  «2) 


a42  CAPITOLO  XII.  —  §§.  128,  129 

Come  si  vede,  le  sostituzioni  (  /'  t!  )  di  T  inducono  sopra  Ci ,  62.  63  le 
6  sostituzioni  del  gruppo  totale  su  3  elementi. 

§.  129. 
Le  tre  funzioni  oyu. 

Le  tre  funzioni  0,  «  pari  si  deducono  dalla  om  in  modo  semplice,  au- 
mentando l'argomento  u  della  a  di  uno  dei  semiperiodi 

co    ,      0)  +  co'    ,      0)   . 

Per  maggior  simmetria  poniamo 

0)1  =  0)    ,      0)2  =  CÙ  +  C0'    ,      (j)3  =  Cj)' 

e  analogamente 

sicché  in  generale 

■/j^  =  cio),     (/•=1,2, 3). 

Dalla  formola  fondamentale  (VI)  pag.  263  per  la  "ju  si  deduce  che 
per  un  valore  qualunque  dell'indice  r  è 

o(tH2co,)=  -e2v(«+"Matt, 
nella  qual  formola,  cangiando  ti  in  u  —  co,.,  otteniamo 
e""'!'-"  a  (ti+itìr)  =  e^'»-"  a  (co,-m)  . 

La  funzione 

Ce-V^a(M+co,) 

è  adunque  una  funzione  pari;  se  diamo  alla  costante  C  un  tale  valore 
che  per  u  =  0  la  funzione  assuma  il  valore  1,  avremo  precisamente  la 
funzione  che  Weierstrass  indica  col  simbolo  o,-?f.  Avremo  dunque  per 
definizione 

(I)  Gr  u  =  e-V «  "  ^''+''^-^  =  e^.ru  ^joyr-u) 

^  0(0,-  Gtór 


LE   TRE   FUNZIONI    3   PARI  343 

e  dando  ad  r  i  suoi  tre  valori  sarà 

(I*    Oi?«=e    ^^*^ -ou^^e    l^i-^1^"-^- '  ^  i^  =  (r-h'^  -^ — ^. 

a  to  0  (co+o)  )  0  0) 

Possiamo  dimostrare  subito  che  le  tre  a  pari,  che  sono  evidentemente 
funzioni  di  3.*  categoria,  appartengono  precisamente  al  sottogruppo  Tj 
nel  senso  del  §.  precedente.  E  invero  dalla  formola 


fpu  -  poh 


O  (O),.  -7i)  -j  (C0,.  +  W) 

2  2 

0  0)r  'J  U 


che  per  la  (I)  può  scriversi 

(2)  ^M-pOV=:-2-     , 

risulta  intanto  evidente  che,  per  qualunque  sostituzione  (   ^  t!  )  di  T  sui 
periodi,  i  quadrati  delle  Or 

si  permutano  fra  loro  al  modo  stesso  di 

nella  tabella  (A).  Ma  poiché  per  n  =  0  tutte   tre  le  funzioni  3,  ridu- 
consi  =  1,  è  chiaro  che  anche 

si  permuteranno  nel  medesimo  modo.  Ne  concludiamo  :  Le  tre  a  pari 
rimarìQono  assolutamente  invariate,  eseguendo  sui  periodi  una  sostituzione 


(:,i)-&:)  <--' 


del  sottogruppo  T^  ;  per  ogni  altra  sostituzione  di  V  si  permutano  sempli- 
cemente fra  loro  nel  modo  stesso  di  Cj,  e^,  e^  nella  tabella  (A). 

Osserviamo   ancora   che   gli   infinitesimi   delle   quattro   trascendenti 
intere 

OU   ,     OiU   ,     O2U   ,     o^u 


344  CAPITOLO  XII.  —  §§.  129,  130 

sono  nei  punti 

Uo  =     2m(ù     -f     2n(tì         per  la  ow 

Uo  =  {2m+l)oì -{-     2wo/  „  OiM 

Uo  =  (2m+l)oi  +  (2w+l)o/  „  02W 

Uq  =     2mo)      -{-  (2n+l)i>/  „  Gj,u  , 

dove  m,  n  indicano  interi  qualunque. 

Infine  dalla  formola  (VI)  pag.  263  per  ìslou,  tenendo  conto  della  identità 


Yj  w'  -  Tj'o)  = 


deduciamo  le  corrispondenti  per  GjW,  OjW,  a^u,  che  riassumiamo  nel  pro- 
spetto seguente: 


(B) 


0  («+2moj+2wo/)  =  (-lf^^^+^^+".  g(2^r.+27?r;)(u+m(o+n,.;)^  ^^ 

ai(w+2m(o+2witì')  =  (-ir"  +  "^     .  e(2mr,+27ir;)(M+7n,o+noV)^  ^^^ 

03(w+2w(tì  +  2Ma)')  =  (-ir''  +  ''      .  e(2^r,+2«r;)0.+m(u+«oV)^  ^^^ 

§.  130. 


Le  funzioni  ellittiche  \' pu — e,  e  i  valori  di  ve* — e«  . 

La  formola  (2)  ci  dimostra  che  la  funzione 

yjgm—er  =  +  -^ 

si  scinde  colle  sue  due  determinazioni  in  due  funzioni  monodrome  di- 
stinte, ciò  che  risulta  del  resto  anche  dall'osservare  che  gli  infinitesimi 
e  gli  infiniti  delle  funzioni 

sono  tutti  di  ordine  pari.  Golia  segnatura 


LE   FUNZIONI   ELLITTICHE  \J (pU — Or  345 

intenderemo  sempre  la  funzione  -f-  -^ ,  sicché  avremo 

a  u 

(II)  yj^u  —  e^  =  -!-  ,   yjpu—ei  =  —  ,  yjpu  —  e^  =  —  . 

a^<  Gli  nu 

Mediante  le  formolo  (B)  si  constata  subito  che  queste  tre  funzioni 
sono  doppiamente  periodiche  del  2.°  ordine  coi  rispettivi  periodi  fonda- 
mentali 

(2(0,  4co')  ,    (2w  +  2(o',  4(o)  ,    (4co,2(o'). 

Alla  (II)  si  coordina  una  formola  notevole,  che  esprime  p'u  per  le  o  ; 
si  ha  infatti: 

p'u  =  +  2  y/ipu  -  e,)  {pu  -  e,)  {pu  -e^)=±  2  ^'^  ^f  ^'^ 

0  M 

e  il  segno  si  determina  subito  dal  modo  di  comportarsi  di  p'u  nell'intorno 
di  M  =  0,  onde  risulta 

(III)  p  w  =  -  2  — — s . 

Fissato  in  modo  preciso  colle  (II)   il    senso  dei  radicali  ^J pu — e^  , 


intenderemo  per  \l  Cg  —  e,    il  valore  - — ^  ;  avremo  quindi  senza  alcuna 

0  0)., 


°1^2  .y,.    ,,,.  Otóg 


(a) 


OtOj 


a  003 


(6) 


0  0^3 


GoW, 


V-2 — ^1  y 

gj — gj  =  —  =  e 

0(0, 


Vei-e3  =  ^^  =  e-%-1 


(e) 


Ve2 — 63  =  ^-^  =  -  e^3 

OCOg  0(03  0(0 


0  (Oi  0  0)2 

0(02 

0(0l     OOOg 

0(0i 

0(02  00)3 

0(03 

0(02  OtOj 

0(02 

0(03  0(0i 

0(0i 

346  CAPITOLO  XII. —  §.  130 

Dietro  queste  convenzioni  risulta 
(d)    \Jex — 62=1  \Je2 — 61  ,  sje^ — 63  =  i  v^s — e^  ,  \'ei — 63  =  i  \/ei — ei  . 

Moltiplicando  la  2.*  delle  (h)  per  la  1.^  delle  (e),  risulta 

, e'ii  "^1 

\/ei— 62  .  V«i— ^  =  -^2 — 

ed  estraendo  nuovamente  la  radice  quadrata,  coli' adottare  nel  2°  membro 

la  determinazione  ,  e  analogamente   procedendo   per   gli  altri 

0  0)1 

prodotti 

\Je2 — 63  yjci — Ci  ,  yje^ — Ci  ^e^ — e^, 

avremo  le  formolo 


4/ 4/ e 

(IV)  N   Ve^ — 63  yjci — Ci 


0  0)2 

4/ 4/- e* 

v/eg — 61  v^s — 62  =  , 

OW3 

dalle  quali  segue  una  notevole  identità.  Dalla  formola 

1  _  63-62     

(61-62)  (61-63)  "~  (61-62)  (62-63)  (63-61)  ' 

permutando  circolarmente  gli  indici  e  sommando,  si  ottiene  l'identità 


(61-61)  (61-63)  (62-63)  (62-61)  (63-61)  (^-63) 

ovvero  per  le  (IV) 


(V)  \e     2     00)1  j    +  1^6     2     5,02/   +  \e     ^     ^^^y^o, 

che  è  la  formola  richiesta. 


347 


§•  131. 
Aggiunta  di  semiperiodi  all'argomento  della  o^u. 

Cerchiamo  ora  l' effetto  prodotto  sopra  una  qualunque  delle  funzioni 
a  per  l'aggiunta  all'argomento  u  di  un  semiperiodo  arbitrario 

Q  =  miù+noì  , 

essendo  m,  n  due  numeri  interi,  di  cui  uno  almeno  impari.  Se  poniamo 

H  =  mri+nri  , 

avremo,  per  la  proprietà  fondamentale  della  au: 

a(M+2fì)=  -e2H("+2)o^*, 

da  cui  cangiando  u  in  u  —  fì 

e-H"  a  {u+^)  =  e^w  a  (fì  - M) . 

Ponendo 

(3)  a„„„«=«-H"'-M«), 

si  avrà  evidentemente 

Ma  si  trova  subito  che  aumentando  m,n  di  2  la  a,nnU  non  cangia: 

"«1+2  ?  M^ ^m?  n^^U  =  '^ctm'^ 

e  però  la  funzione  a^n  «  non  dipende  dai  valori  assoluti  degli  indici  m,  n, 
ma  solo  dalla  loro  parità  o  disparità,  talché  si  ha 

[  Omni('  =  '^\U      per  (w,  n)^(l,0)    (mod2) 
<  ^mn^«  =  '^2W         „     (m,  w)^(l,  1) 
(  0,nnU  =  ^zU  „      {m,  n)  ^  (0,  1) . 

La  formola  (3)  può  dunque  riguardarsi  come  esprimente  o  (m  -f  fì) 
per  una  delle  altre  funzioni  a.  Ora  nella  (3)  aumentiamo  u  di  rw  +  sw' 


348  CAPITOLO  XII.  —  §§.  131,  132 

con  r,  s  interi  qualunque,  non  ambedue  pari,  e  distinguiamo  due  casi 
secondo  che  i  numeri  m-\-r,  n  +  s  sono  ambedue  pari,  ovvero  no.  Nel 
1."  caso  si  ha 

e  determinando  il  fattore  costante  C  col  fare  u=  -(rw+so)')  otteniamo 
(4)  G,nn  (w+ra)+sw')=  -e(^"'i+^^')  i^+r ^'>+s .^') 


ou 


0  (roì+soi  ) 
formola  che  vale  per 

{m+r ,  n+s)  ^  (0,  0)  (mod  2) . 
Nel  2.**  caso  risulta  invece 

e  determinando  C  col  fare  p.  e.  m  =  0  si  ha  la  seconda  formola  do- 
mandata 

(4*)  0,„  n  {u  +  riÙ-\-S  O/)  =  e^^  ^'+^  ^''^  "  O,,,  „  (r  W  +  S  w')  n„+n  ,  r+s  u 

per  {m-\-n,  r-\-s)^  (0,0)  (mod  2). 

§.  132. 
Sviluppo  della  trascendente  intera  3.  w  in  serie  di  potenze  di  u. 

Le  trascendenti  intere  o^m  (r  =  I,  2,  3)  sono  sviluppabili  in  serie  di 
potenze  di  u,  convergenti  in  tutto  il  piano,  ed  importa  ora  che  precisiamo 
la  natura  dei  coefficienti  di  queste  serie.  Dimostreremo  :  1  coefficienti  a», 
dello  sviluppo  in  serie  di 

00 

0 

sono  formati  razionalmente  cogli  invarianti  gt,  g^  e  colla  radice  e,-  corri- 
spondente dell'equazione  cubica 

4e^— ^Tae— 5^3  =  0. 


SVILUPPI   IN   SERIE  DI   POTENZE   DI   U  DELLA   (3,- W  349 

Risulta  di  qui  nuovamente  che  per  ogni  sostituzione  [^  A  del  gruppo 
modulare  sui  periodi  le  tre  funzioni 

si  permutano  fra  loro  al  modo  stesso  di 

Per  stabilire  la  proprietà  enunciata,  consideriamo  la  funzione  più  ge- 
nerale periodica  di  3.*  categoria 

(5)  ,(„)  =  ,-C.^, 

dove  V  h  mi  parametro;  per  v  =  co,.  otterremo  precisamente  la  OyU.  La 
(p  {u)  è  funzione  anche  del  parametro  v  e  derivando  rispetto  ad  w  o  y  ot- 
teniamo 


du 
31og'f 


=  C  {u-\-v)  —  ^v-\-upv , 


dv 
onde  risulta  che  f  soddisfa  l'equazione  a  derivate  parziali  del  1.°  ordine 

(6)  |_|  +  „,^„  =  0. 

Ora  supponiamo  che  sia 


lo  sviluppo  di  'f  (u)  in  serie  delle  potenze  ascendenti  di  u;  i  coefficienti 
An  saranno  funzioni  analitiche  uniformi  di  v  e  potremo  applicare  la  deri- 
vazione per  serie  sia  rispetto  ad  ti,  sia  rispetto  a  v.  Dalla  (6)  risulta 
quindi  pei  coef&cienti  A„  la  formola  ricorrente 

An  = ——^  —  (n  -  1)  An-2  pv . 


350  CAPITOLO  XII.  —  §§.  132,  133 

Partendo  dai  primi  valori 
Ai  =  0  ,  Ai=  -pv  ,  A3=  -p'v  ,  Ai=  -p"v^3p^v=  -Sp^v-\-~  g^ 

vediamo  adunque  che  i  coefficienti  A„  sono  funzioni  razionali  intere  di 
fiv  per  n  pari,  con  coefficienti  razionali  interi  in  g-z,  gs,  mentre  per  n  di- 
spari sono  eguali  al  prodotto  di  p'v  per  una  tale  funzione.  Se  facciamo 
v  =  o),,  la  <p{u)  si  muta  in  OrU;  e  poiché 

pco,  =  e,.  ,    p'(à,.  =  0  , 

ne  risulta  la  verità  del  teorema  enunciato.  È  chiaro  poi  che  nei  coeffi- 
cienti dello  sviluppo  di  OfU  si  potrà  far  figurare  e,-  a  potenze  non  su- 
periori alla  seconda.  Così  si  ha: 


a,-?t 


§.  133. 
Le  funzioni  ellittiche  di  Jacobi  sn??,  cnw,  dni;. 

I  risultati  dei  §§.  precedenti  conducono  direttamente  alle  tre  fun- 
zioni ellittiche  di  Jacobi  di  cui  ora  tratteremo  ;  esse  sono  funzioni  dop- 
piamente periodiche  appartenenti,  secondo  i  concetti  generali  del  §.  128, 

al  sottogi-uppo  r,:  C^f)  =  Q^^  (mod2). 

Consideriamo  perciò  le  tre  funzioni 


(7)  <p(u)  =  ^Je,-e^  —  ,    'r>,{u)  =  --  ,    '^,{u)  =  —  , 

O^U  O^U  O3U 

le  quali,  secondo  le  formolo  (B)  pag.  344,  hanno  i  rispettivi  periodi 
elementari 

(4w,2w'),    4co,2(tìf2tó')   ,    (2co,4o/) 

ed  hanno  infiniti  di  1.°  ordine  nei  punti 

u„  =  2mw  -f  {2n+l)  w' 

ed  infinitesimi  di  1.°  ordine  rispettivamente  nei  punti 

Wo  =  2mai+2w(o' ,  Wo  =  (2  a>j+1)  ctì  +  2wco' ,  iio==  {2m+l)oì+{2n-\-ì)(ù' , 


LE   TRE   FUNZIONI   ELLITTICHE   DI    JACOBI:    Sn  V,  CIl  V,  duv  351 

percorrendo  m,  n  tutti  i  valori  interi.  Inoltre  queste  funzioni  soddisfano 
alle  condizioni  iniziali 

?(w) 


(8)  lim  ^  :=  V/ei— 63  ,    03(10)  =  !  ,    (pi(0)  =  l  ,    cp2(0)=l. 

Calcoliamo  poi  i   residui  di  queste  tre  funzioni   per  m  =  w',    osser- 
vando che  si  ha 

lini  =  -e~%'"3  0W3  (1)  ; 

Tenendo  conto  delle  forinole  («),  (&),  (e),  pag.  345,  troviamo: 

1  j 

(9)  lim  [{u  -  o/)  9  («)]  =  -^^zz  )    lim  [{u  -  w')  'fi  (w)]  = zzz=:  > 

lini  [(«(  -  w')  92  (m)]  =  - 


V^Ci — 63 

Osserviamo  ancora  che,  per  le  proprietà  di  omogeneità  della  ow  (§.  93), 
della  Cm  e  della  pu,  se  si  moltiplicano  argomento  e  periodi  per  un  me- 
desimo fattore  X,  le 

acquistano  rispettivamente  i  fattori 

e  per  ciò  le  costanti 

tir  ,    yjer—es 

il  fattore  r- ,  onde  segue  che  Oi  u,  Gj  u,  03  u  restano  invariate.  Le  nostre  tre 

K 


W  Ciò  risulta  subito  dalla  forinola 

33(^+0^3)=- e"l3(*^+"^3) 

indi 

hm    ( ~]  =  lim  — -. — I r  =- 

^^0)   V    ^3«    /       «=0^3  0* +  ''^3) 


-■13"J3, 


352  CAPITOLO  XII.  —  §.133 

funzioni  (7)  godono  dunque  della  comune  proprietà  espressa  dalla  formola 
^  (lu  I  Xw,  Xo/)  =  $  (m  I  w,  o/). 

Con  una  semplice  mutazione  dell'argomento  è  facile  quindi  cangiare 
le  'f  (u)  in  tre  funzioni  dipendenti  solo  dall'  argomento  e  dal  rapporto 

t  =  —  dei  periodi.  Pongasi  perciò 


e  si  riguardino 

'f  (m)  =  Vei— 63  —  ,    'fi  (w)  =  —  ,    'f2  (w)  =  — 
C3M  O3W  O3W 

come  funzioni  del  nuovo  argomento  v.  Esse  dipenderanno,  oltre  che  dal- 
l'argomento, soltanto  dal  rapporto  t  dei  periodi;  sono  queste  precisa- 
mente le  tre  funzioni  ellittiche  di  Jacobi 

sen  ani  v  0  sn  v  ,    cos  am  y  0  cn  e;  ,    A  am  «;  0  dn  v . 
Abbiamo  dunque  per  definizione 


snv 

= 

V  fil- 

-C3 

O3W 

cn?; 

= 

ai  M 
03W 

dnv 

02M 
03W 

(C)  /  cn2;=  —  ;  v  =  ti\/ei  —  e^ 


Se  poniamo  inoltre,  per  usare  delle  notazioni  di  Jacobi: 

K  =  (tì  Vei  —  63  ,    ìK'  =  (tì  Vci — 63  , 

vediamo  che  sussistono  le  proprietà  fondamentali  seguenti  : 

Le  tre  funzioni  ellittiche  di  Jacobi  hanno  risiìettivamente  i  periodi  ele- 
mentari 

4  K ,  2  i  K'       per  sn  v 
4K,  2K+2ÌK'    per  cnv 
2  K  ,  4  i  K'       per  dn  v  ; 


LB  FUNZIONI   ELLITTICHE   Di   JACOBI   SII  V,  CIl  V,  dn  V  353 

i  loro  infiniti  di  1°  ordine  sono  nei  punti 

?;^  =  2mK^-  (2w+l)iK' 
e  gli  infinitesimi  rispettivamente  in 

^0  =  2  m  K  +  2  w  i  K'  per  sn  « 

«;o==(2w+l)K  + 2wiK'  per  cn  v 

?;o  =  (2m+l)K  +  (2w+l)iK'    perdn?;. 

Tutte  tre  sono  funzioni  ellittiche  di  2.^  ordine,  nel  loro  rispettivo  paral- 
lelogrammo dei  periodi. 

Le  forinole  (8),  (9)  si  cangiano  poi  nelle  seguenti,  che  importa  notare  : 

(8*)  lim  (^  =  1  ,    cn  0  =  1  ,    dn  0  =  1  ,    sn  K  =  1 

1  i 

(9*)  lim  \{v  -  i  K')  sn  v]  =  y-  ,    lim  [{v  -  i  K')  cn  w]  =  -  7-  , 


lim  {{v—i  K')  dn  v]  =  -  i , 

1.=.  K' 

avendo  posto 

(VI) 

V  ei— e. 

Questa  costante  li,  che  dipende  soltanto  dal  rapporto  t  =  —  =  -^^7-  dei 

periodi,  dicesi  il  modulo  delle  funzioni  ellittiche  sn  v,  cn  v,  dn  v  e,  con- 
siderata come  funzione  di  i,  è  storicamente  la  prima  funzione  studiata 
della  classe  delle  funzioni  modulari,  alla  quale  ha  dato  appunto  il  nome. 
Insieme  al  modulo  h,  conviene  considerare  anche  il  così  detto  modulo 
complementare  h',  definito  dalla  forinola 

i  radicali  avendo  i  sensi  precisi  loro  attribuiti  nelle  formolo  (a),  (h),  (e) 
pag.  345.  Fra  il  modulo  h  ed  il  complementare  //  ha  luogo  evidentemente 
la  relazione 

(10)  F  4-^=1. 

28 


354  CAPITOLO  XII. —  §§.  133,  134 

È  inoltre  da  notarsi  che  si  ha 

(11)  dnK='^^  =  /.'. 

Osserviamo  poi  che  delle  tre  funzioni  ellittiche  di  Jacobi  la  prima 
sn  ?;  è  impari,  le  altre  due  cn  r,  dn  v  sono  pari  ;  inoltre  aumentando  v 
di  2K  0  2iK'  si  comportano  nel  modo  seguente 

sn  (2K+v)  =  —  sn  w  ,    sn  (2ìK'-h;)  =  sn  v 

cn  (2  K-R')  =  -  cn  V  ,    cn  (2  iK'+f)  =  -  cn  v 

(  dn  (2K-R^)  =  dn  V  ,    dn  (2iK'-H;)  =  -  dn  ?; . 

Notiamo  in  fine  la  formola 

sn  (2  K  -  v)  =  sn  w  . 

§.  134. 
Relazioni  fra  snr,  cn  r,  dn  ?•  e  loro  derivate. 

Fra  i  quadrati  di  sn  v,  cn  v,  dn  v,  hanno  luogo  due  sempHci  relazioni, 
che  si  deducono  immediatamente  dalle  loro  espressioni  per  la  p  di  Weier- 
strass  : 


(VII)     sn  ?;  =  -^zz^  ,  cn  v  =  "^         ,    dn  r  =  \^  («>  =  u\e^-e^  ; 

\lpu-e2  \i  pii-e^  \  pu-e3 

si  hanno  quindi  le  relazioni  cercate 

(12)  sn^  v+cn"^  v  =  1  ,    h^  sn^  y+dn^  v  =  1 . 

Stabiliamo  ora  le  formolo  che  esprimono  le  derivate  di  sn  v,  cn  v,  dn  v 
per  le  funzioni  stesse  di  Jacobi.  Derivando  per  ciò  le  (VII),  col  ricor- 
dare che 

p'u=  -  2  yJipu  -  Ci)  {pu  -  Ci)  [pu  -  es) , 

si  otterranno  subito  le  formolo  importanti 

I  d  sn  V 


dv 


=  cn  V  dn  v 


(Vili)  s  — - —  =  -  sn  V  dn  y 

j     dv 

\  d  ànv        -,, 

— ; —  =  -  Io  sn  w  cn  ^' , 
\     dv 


SVILUPPI  DI  sn  V,  cn  v,  dn  v  in  serie  di  potenze  di  y  355 

che  potrebbero  facilmente  stabilirsi  per  via  diretta  dalle  proprietà  ca- 
ratteristiche di  snv,  cnw,  dn  v  '^>, 

Da  queste  forinole  si  trae  subito  una  conseguenza  importante  nel 
teorema  :  Le  funzioni  ellittiche  di  Jacohi  sn  v,  cn  v,  dn  v  dipendono  ra- 
sìonalììiente  dal  quadrato  h^  del  modulo,  come  la  funzione  di  Weierstrass 
p  (u ; g^ ,  Qi)  dagli  invarianti  g^^gs-  Queste  tre  funzioni  sono  infatti  svi- 
luppabili in  serie  di  potenze  di  v,  convergenti  entro  il  cerchio  che  ha 
per  raggio  la  minima  distanza  dell'  origine  dai  vertici  della  rete  paral- 
lelogrammica:  2mK+2niK';  ora  le  formolo  (Vili),  e  quelle  che  se  ne 
ottengono  per  successiva  derivazione,  dimostrano  che  i  coefficienti  di 
queste  serie  sono  polinomii  razionali  interi  in  Jc-,  Pei  primi  termini  di 
questi  sviluppi  abbiamo: 


cn  V 


1-172 +  <"'+>)  172^4  + 


Quando  si  vuol  porre  in  evidenza  per  le  funzioni  ellittiche  di  Jacobi 
il  valore  del  rapporto  t  dei  periodi,  ovvero  quello  del  modulo  k,  si  scrive 
rispettivamente 

sn  {v,  t)  ,    cn  {v,  t)  ,    dn  {v,  t)  , 

ovvero 

sn  {v,  k)  ,    cn  (y,  h)  ,    dn  (v,  k) . 

Ambedue  i  sistemi  di  segnatura  sono  a  determinazione  univoca. 


§.  135. 
Il  quadrato  k^  del  modulo  come  funzione  modulare. 

Studiamo  ora  quale  specie  di  funzione  è  il  quadrato  F  del  modulo, 
considerato  come  funzione  del  rapporto  t  dei  periodi.   Dimostriamo  in 


W  Del  resto  basta  stabilire   la  prima  delle  (Vili),  e  le  altre  ne  seguono 
derivando  le  (12). 


35G  CAPITOLO  XII.  —  §.  135 

primo  luogo  che  J  (t)  è  una  funzione  razionale  del  6.°  grado  di  /^^  E 
infatti  si  ha 

Ci 63  61  —  63 

onde 

^     ""   -  (61-63?  -  (61-63)^ 

cioè 

3        92 


1-FF  = 


4    (61-63)^ 
Ne  segue 


J(,^  9Ì  _  (^1-^)' 


16  (61-6,)^  (62-63)^  (63-61)^        \^l^'-''\^  "  -^  '' 


lei-63/ 


^61-63/     \6i-63/ 

e  infine 

4    {l-hny        4    (1-/.;HZ:T 


(IX)  J(t)== 


27        Z;'^''  27     A;^(l-A;'f 


forinola  che  dimostra  la  proprietà  enunciata. 

Si  vede  dunque  che  /.''  è  una  funzione  della  variabile  complessa  t; 
di  più  essa  è  monodroma,  come  lo  dimostra  la  sua  espressione  analitica 

7,2  ^2         ^ 

61         63 

ed  inoltre  in  tutto  il  semipiano  positivo  t,  l'asse  reale  escluso,  è  finita 
e  diversa  da  0  e  da  1,  come  segue  dalla  (IX)  ovvero  dalla  precedente. 
Eicerchiamo  ora  per  quali  valori  i   dell'argomento  la  funzione  U  (x) 
riprenderà  il  mede§imo  valore.  Intanto  se 

^  W  {x')  =  h'  (t) , 

sarà  a  più  forte  ragione 

e  quindi 

essendo  [^  i]  una  sostituzione  del  gruppo  modulare.  D'altra  parte  la 


LA   FUNZIONE  k^  (t)    COME   FUNZIONE   MODULARE  357 

tabella  (A)  del  §.  128  (pag.  341)  ci  mostra  immediatamente  che  l'effetto 
prodotto  sopra  F(t)  dalla  sostituzione  - — -^  è  diverso  a  seconda  del 


carattere  di  f  ''  "^  j  (mod  2)  ;  e  precisamente  si  ha 

a,[3\  /1,1 

Y  ,  5/  ~  lo ,  1 


j^,l^'+?\^     Z;^(r) 


/a t+3\  _  k\z)-l  /a  ,^  p\         /l ,  1\ 

^JaT+?\_        1  /a,i3l_/l,0 


/  (mod  2). 


YT+^/         F(t)  »     \y,5/~\1,1 

Come  si  vede  :  La  funzione  ¥  (t)  rimane  invariata  per  tutte  e  sole 
quelle  sostituzioni  del  gruppo  modulare,  che  appartengono  al  sottogruppo 

Fe^f    '     j  {mod  2);  per  le  altre  essa  subisce  le  sostituzioni  linea/ri  del 

gruppo  anarmonico 

'F  i-F  -1-  ^tzi  j^  n 

Di  qui,  per  quanto  si  è  visto  alla  fine  del  §.  134,  risulta  altresì  il 
teorema  : 

Le  funzioni  ellittiche  di  Jacóbi 

sn  (v,  t)  ,    cn  (w,  t)  ,    dn  {v,  t)  , 

considerate  come  funzioni  del  rapporto  r  dei  periodi,  restano  invariate  per 

tutte  le  sostituzioni  del  sottogruppo  Fg  ^  [    '     )  (mod  2). 

Come  si  trasformino  per  le  altre  sostituzioni  del   gruppo  modulare 
sarà  esaminato  fra  breve  (Vedi  §.  137). 


358  CAPITOLO  XII.  —  §.  136 

§.  136. 
Forinole  d'addizione  per  sav,  cu??,  dnv. 

Diamo  ora  le  formolo  d'addizione  degli  argomenti  per  le  funzioni 
ellittiche  di  Jacobi  sn  v,  cn  v,  dn  v,  mediante  le  quali  si  esprimono 

sn  {vi-H)ì)  ,  cn  (vi+Vi)  ,    dn  (vi-H)2) 

razionalmente  per 

sn  Vi  ,  cn  e;i  ,  dn  Vi  ;    snv^  ,  cn  Vz  ,  dn  v? . 

Cominciamo  dal  caso  particolare  in  cui  uno  degli  argomenti  è  un 

semiperiodo 

K  ,    ìK'  ,   K+iK'. 

Ricordando  le  (VII)  pag.  354,  che  esprimono  sn  v,  cn  v,  dn  v  per  la  pu 
e  le  formolo  d'addizione  dei  semiperiodi  nella  pu  (pag.  286),  troviamo 
subito 

sn  (v+K)  =  «3 —  ,    cn  (v+K)  =  h  -, —  ,     dn  (?'+K)  =  -j — 
^      '         dnv  Anv  dnv 

sn(v+iK)  = ,    cn(v+iK)  =  b  ,    dn(z;+iK)  =  c , 

^         -^      sn  V  sn  w  sn  z; 

dove  a,  b,  e,  a,  b\  e   sono  fattori  costanti  (^L 

Per  determinare  questi  fattori  si  faccia  nella  prima  e  nella  terza  v  =  0, 
nella  seconda  invece  v=  -K,  e  nelle  ultime  tre  si  moltiplichi  per  v  e 
si  passi  al  limite  per  v  =  0.  Avendo  riguardo  alle  formolo  (8*)  (9*)  (pag.  353), 
si  trova  così  per  le  formolo  domandate: 

sn  (v  +  K)  =  T —  ,  cn(v+K)=  -  k'  -. —  ,    dn  (v+K)  =  - — 
^        ^       dn  V  dn  V  dn  v 

(13)  ; 

/      -Tz/s  1  /       ^^r'^  ^    du  V       ,      .       .^,,.  .CUV 

sn  (v+*K  )  =  ^ ,  cn  (v+*K  )  =  - 1 ,  dn {v+iK  )  =  ~i 

^         ^      k  snv  A;  sn  V  sn  y 


(')  Queste  formole  si  possono  anche  stabilire  subito  direttamente,  conside- 
rando che  in  ciascuna  di  esse  le  funzioni  a  destra  e  sinistra  hanno  a  comune 
periodi,  infiniti  ed  infinitesimi. 


ADDIZIONE  DEI   SEMIPERIODI   K,  ÌK',  K+iK'  359 

Ne  seguono  altresì  le  forinole 

(14)  sn  (v+K+i  K')=--P^  ,    cn  (v+K+i  K')  =  -  ^  , 

dn  (v+K+i  K')  =  iZ;'  ?^  ; 
cn  V 

e  facendo  v  =  0,  si  hanno  le  altre  pure  notevoli: 

sn  (K+i  K')  =  ~  ,   m  (K+i  K')  =  —  ^'  . 

Per  stabilire  ora  le  formole  generali  d' addizione,  consideriamo  le  tre 
funzioni  ellittiche 

sn  V  sn  (v+rj.)  ,    cn  ??  cn  (v+a)  ,    dn  u  dn  (v+a) 

(ove  a  è  una  costante  qualunque),  che  hanno  evidentemente  i  periodi 
2K,  2iK'  e  nel  parallelogrammo  fondamentale  (2K,  2iK')  hanno  due  in- 
finiti del  1.°  ordine  nei  punti 

v^^iK'  ,   -a+iK' , 

con  residui  naturalmente  eguali  e  di  segno  contrario.  Ora  i  residui  in 
v  =  iK'  delle  tre  funzioni  sono  rispettivamente 

1  i 

j-  sn  (a+i  K')  ,    —  -r  cn  (a+i  K')  ,    ~i  dn  (a+i  K') , 

ossia  per  le  (13): 

1  1    dn  a  cn  a 

it^  sn  a  '         F    sn  oc  '        sn  a  ' 

Per  conseguenza  le  due  funzioni 

dn  V  dn  (v+a)  -\-  k^  cn  a  snv  sn  (v+y.) 
cn  V  cn  (?;+o[)  -f-  dn  a  sn  v  sn  (v+a) 

sono  doppiamente  periodiche  e  prive  di  poli,  e  quindi  costanti,  e  siccome 
per  y  =  0  si  riducono  rispettivamente  a  dn  a,  cn  a  avremo 

/  cn  ^'  cn  (v+y.)  +  dn  a  sn  v  sn  (v+ol)  =  cn  a 

(«) 

'     (  dny  dn  (v+o)  +  Z;^  cna  snv  sn  (y+a)  =  dn  a  . 


360  CAPITOLO  XII.  —  §.  136 

Permutiamo  nella  prima  a  con  v  e  risolviamo  le  due  equazioni  così 
ottenute 

cn  V  cn  (v+a)  -f  dn  a  sn  v  sn  (v+a.)  =  cn  a 

cn  a  cn  (v+a)  -f  dn  y  sn  a  sn  (v+a.)  =  cn  u 

rispetto  a  sn(t;+a).  Otteniamo  la  prima  formola  d'addizione 

,      .  su'*  ?;  -  sn^  a 

sn  {v+a)  = 


sn  w  cn  0.  dn  a  -  sn  a  cn  V  dn  V  ' 


alla  quale  si  suol  dare  comunemente  un'altra  forma  moltiplicando  nel 
2.°  membro  numeratore  e  denominatore  per 

sn  V  cn  a  dn  a  -f  sn  a  cn  i;  dn  w . 
Così  il  denominatore  diventa 
sn*  V  cn*  a  dn*  a  —  sn*  a  cn*  y  dn*  z;  =  (sn*  y  -  sn*  a)  (1  —  ^*  sn*  a  sn*  v) 

e  perciò 

,      ^       sn  V  cn  a  dn  a  +  sn  a  cn  y  dn  y 

sn  {v+a)  = — ^2 — 2 2 • 

^      '  1  -  a:^  sn*  ot  sn*  v 

Sostituendo  nelle  (a),  si  trovano  le  formole  per  cn(z;  +  a),  dn(w  +  a), 
che  riepiloghiamo  nel  quadro: 

sn  y  cn  a  dn  a4-sn  a  cn  v  dn  w 
sn  {v+a)  = 


1 

cn  V  cn  a- 

-A;*sn*a  sn*y 

— sn  V  dn^;  sn  a  dn  a 

1 

dn  V  dn  a- 

-Fsn*asn*v 

—¥  snwcnvsna  cna 

(15)  '  cn  [v+a)  = 

\  ^^  1 -yfc*sn*asn*2; 

Si  osserverà  che  ciascuna  di  queste  formole  si  può  scrivere  in  guisa 
da  far  figurare  soltanto  la  funzione  ellittica  a  cui  è  relativa  e  la  sua 
derivata.  Così  p.  e.  : 

d  sna  ,         d  snv 

sn  v  — = 4-  sn  a  — - — 

,      ,  da.  dv 

sn  {v+a)  = — =^ — ^ X ecc. 

1 -A;-sn*asn*y 


FORMOLE  d'addizione  PER  sn  V,  CRv,  duv  361 

Dalle  (15),  cangiando  a  in    -a  e  sommando,  risultano  le  altre 

2  sn  V  cn  a  dn  a 


1-Fsn^asn^  v 

2  cn  V  cn  a 
1-^^  sn^  a  sn*  v 

2  dn  ?;  dn  a 


sn  (v+a.)  -f-  sn  (v-a)  = 
(15*)  )  cn  (v+a)  +  cn  (v-y.)  = 

A  queste  formolo  fondamentali  d'addizione  per  le  funzioni  di  Jacobi 
se  ne  collegano  svariatissime  altre,  delle  quali  citeremo  qui  soltanto  quelle 
che  danno  i  prodotti 

sn  (v+y.)  sn  (v-y.)  ,    cn  (y+a)  cn  {v-x)  ,    dn  (w-a)  dn  (w-a) . 

Queste  si  deducono  nel  modo  più  semplice  dalle  (15*)  cangiando  ri- 
spettivamente nella  prima,  seconda  e  terza  di  esse  v  in 

v+K  ,   v+K+iK'  ,   v+iK 

ed  applicando  le  formolo  (13),  (14)  d'addizione  dei  semiperiodi.  Si  ot- 
tengono in  tal  guisa  le  formolo  domandate: 

l       ,      .        /      s  sn^v— sn^a 

sn  iv+y)  sn  {v-y)  = 


1  -Fsn^a  sn^  y 


)       ,      .        ,      ,       cn.*^;cn^a  — i^'^sn^vsn^a       cn^  v  —  sn^  a  dn^  iJ 

(16)  '  cn  {v+y)  cn  {v-y)  = — =^ — ^ ^ =  — — 71 — 2 2 — 

'^  ^  1  1-Fsn-asn^y  l-k^STry.sirv 

1    ,      s   ,    .      s       dn^vdnS.+Z;^Z;'^sn^vsn''a       dn^«J  — Fsn^a  cn'^y 

dn  (y+7.)  dn  {v-a)  = — y-^ — 5 ^ =  - — -^ — ^ 2 —  • 

1  -  /;''  sn-  a  sn' v  1  —  ¥  sn^  a  sn^  v 


§.  137. 
Trasformazioni  di  1.'^  ordine  per  snv,  cn  v^  dnv. 

Abbiamo  veduto  che  le  funzioni  ellittiche  di  Jacobi 
sn  {v,  1)  ,    cn  {v,  t)  ,    dn  {v,  t) 
restano  invariate  quando  sul  rapporto  t  dei  periodi  si  eseguisce  una  so- 


362  CAPITOLO  XII.  —  §.  137 

stituzione 

gt-f  p 

del  sottogruppo  (J^'?)  ^^  (ni)  ^™^^  ^^'  ^^  proponiamo  ora  di  esa- 
minare come  cangiano  per  le  altre  sostituzioni  del  gruppo  modulare. 
Manifestamente  avremo  qui  6  casi  diversi,  a  seconda  del  carattere  della 

sostituzione  ( .  '  ^  )  (mod  2)  ;  ma  basterà  che  ricerchiamo  V  effetto  pro- 
dotto dall'una  e  dall'altra  delle  due  sostituzioni  elementari  del  gruppo 
modulare 

/'  0,  n       fi,  \ 
V-i ,  oj       Vo ,  1 

A  tale  oggetto  esprimeremo  sn  v,  cn  v,  dn  v  per  le  o  colle  formolo  (C) 
pag,  352  ed  esamineremo  il  corrispondente  effetto  prodotto  sulle  a.  Indi- 
cando con  2w,  2  to'  i  nuovi  ■  periodi,  porremo  per  ciò  una  prima  volta 


(a) 

w'  =  co      to=  — to' 

ed  una  seconda  volta 

© 

to'  =  o/  +  0)         (tì  =  to 

Poniamo 

Or  ?<  =  Or  (m  !  (0  ,  to') 

e  dalla  tabella  (A)  pag.  341  dedurremo  immediatamente: 


'ZU  =  <iU       CiW  =  '33W       322t=<J2^<       ■352t  =  OiM 


I 


61=63  62  =  62  62  =  61 


=.  s 


nel  caso  (a) 


e  invece 


e\  =  d         e  2  =  63         e'a  =  62 


nel  caso  (p). 


TRASFORMAZIONI   DEL    1.°  ORDINE   PER  SUV,  CUV,  duv  363 

Ora  si  hanno  le  formole 

/ au  sn  (v,  t)  =  Ve ^-e^  — 

w'  -  I  ~_  '^ 

cn  (v,t)  =  ^—  )  w  cn  (y,  t^)  =  ^ 


agtt 


Oglt 


dn  (v,  t)  = 


1  '  ■'à  ■"'  I 

iv=  Vei-CsM, 


o,«t 


03«<  /  dn(u,  t)  = 

03% 


onde  risulta 

-      Vcs — ei  . 

V  =  -^^^::^  v=  —IV     nel  caso  (a) , 

Vei — «3 

V  =  ^  V  =  ^'w     nel  caso  (P) . 

Vei — 63 

Le  formole  cercate  sono  dunque  le  seguenti 

(X)  snUz;, —    =i — H-^  >    cn  Uv, --    = — p — r, 

V  ^  /         cn  (v,  t)  V  ^  )       cn  (v,  t) 

,  /.  n  dn(?;,i) 
dnUv,  --  =  — ^^ 
•    V  "^J       cn(v,  t) 

/VT\  (T       -.\      7/Sn(u,  t)  ,  cn(w,  t) 

(XI)  sn  (Z:.,  r+1)  =  7.  ^  ,  cn  {Iv.  r+1)  =  ^  , 

dn  (fcV,  r+l)  =      ^ 


dn  (v,  t) 
Se  si  osserva  poi  che  nel  primo  caso  il  modulo  trasformato  è 


w      V, 


'63—61 
e  nel  secondo  

^  (1^+1)  —  -===  -TT, 
ponendo  in  evidenza  i  moduli  anziché  il  rapporto  dea  periodi,  potremo 


364  CAPITOLO  XII,  XIII.  —  §§.  137,  138 

scrivere  : 

/v*^        /•     7^       .sn(v,  Z;)  ,.     ,,-  1  ,,.     -.,.       dn(v,  Z;) 

(X')    sn (.t-,  J)  = . ^-^^^^^ ,  cn  («, h)  =  ^-_^^^  ,  dn(«,  i)  =  ^^^ 

dn  (  ^'«; ,  -yr  )  = 


Le  (X*)  diconsi  le  formole  della  trasformazione  complementare,  come 
quelle  che  danno  il  passaggio  dalle  funzioni  ellittiche  di  modulo  h  a 
quelle  col  modulo  complementare  h'. 

Capitolo  XIII. 

Le  fimzioni  pu,  ou  e  -SrU  per  valori  reali  degli  invarianti  e  le  funzioni  di  Ja- 
cobi  snv,  cn  v,  dnv,  per  valori  reali  del  modulo  fc  fra  0  e  1.  —  Integrali 
ellittici  di  Legendre  e  Jacobi. 

§.   138. 

Osservazioni  fondamentali  sulla  funzione  p{u]g^,g^) 
con  invarianti  reali. 

Fino  ad  ora  ci  siamo  occupati  della  teoria  generale  delle  funzioni 
ellittiche,  e  in  particolare  delle  funzioni  di  Weierstrass  e  di  Jacobi,  senza 
distinzione  fra  i  valori  reali  od  immaginarli  degU  argomenti  o  delle  fun- 
zioni. Ma  nelle  applicazioni  pratiche  è  il  reale  soltanto  che  entra  in 
considerazione,  ed  è  per  ciò  necessario  che  studiamo  meglio  l'andamento 
delle  nostre  funzioni,  con  speciale  riguardo  ai  valori  reali,  per  quei  casi 
che  si  presentano  nelle  effettive  applicazioni. 

Le  funzioni  ellittiche  si  introducono  sempre  in  pratica  in  problemi 
d'inversione,  cioè  nella  integi'azione  di  funzioni  razionali 

essendo  P  {iv)  un  polinomio  di  3.°  o  4.^  gTado  (§.  126).  E  siccome  i  poli- 
nomii  P  {w),  che  si  presentano  effettivamente,  sono  sempre  a  coefficienti 


LA   ^  (w;  5*25  5^3)   CON   INVARIANTI   «J'a ,  ^'3  REAH  365 

reali  e  quindi  anche  ad  invarianti  reali  g^^gz,  così  il  problema  fonda- 
mentale da  proporsi  è  il  seguente  :  Studiare  V andamento  della  funzione 

^{u;  92,93) 

per  valori  reali  degli  invarianti  g-z^gz. 

Cominciamo  per  questo  dall' osservare  che  dallo  sviluppo  della  tra- 
scendente intera  (pag.  280). 

a  (y'igì^gz)  =  ««  —  -^  ^t'  +  . . .  , 

i  coefficienti  essendo  nel  caso  attuale  reali  (perchè  funzioni  razionali 
intere  a  coefficienti  razionali  di  g^^g-i),  risulta:  La  funzione  ou  con  in- 
varianti reali  è  reale  per  valori  reali  e  puramente  immaginaria  per  valori 
puramente  immaginarii  dell'argomento  u. 

Lo  stesso  vale  evidentemente  per  la  funzione  Cw  mentre  invece:  La 
funzione  p(ii;  g2,g3)  con  invarianti  reali  è  reale  tanto  sull'asse  delle  quan- 
tità  reali,  come  su  quello  delle  immaginarie. 

Ma  in  generale,  quando  una  funziona  analitica  è  reale  lungo  un  tratto 
rettilineo  del  piano  complesso,  in  punti  simmetrici  rispetto  a  questo  tratto 
assume  valori  coniugati  (^',  onde  si  vede  che:  La  piu;g2,gz)  in  punti 


W  Tutto  si  riduce  a  dimostrare  questa  proprietà  pel  caso  di  un  tratto  del- 
l'asse reale,  il  caso  generale  riportandosi  a  questo  con  una  sostituzione  lineare 
intera  sull'argomento.  Ora  se  a  è  un  punto  dell'asse  reale,  nel  cui  intorno  la 
funzione  f{z)  sia  regolare,  si  avrà 

(1)  f{z}^y^a,,{z-o.y' 

e  i  coefficienti  a»  saranno  per  ipotesi  reali,  onde  a  valori  coniugati  di  z  entro 
il  cerchio  di  convergenza  di  (1)  corrisponderanno  certamente  valori  coniugati  per 
tutte  le  derivate.  Ma  allora,  se  un  prolungamento  analitico  di  (1)  è 

si  vede  subito  che  un  secondo  prolungamento  analitico  sarà  /■(2)  =  S  &rt(3— y)" 
essendo  { ,  6,i  le  coniugate  di  •,',  hn .  Cosi  ad  ogni  ulteriore  prolungamento  ana- 
litico di  f{z)  corrisponderà  un  prolungamento  coniugato,  ciò  che  dimostra  il 
teorema. 


366  CAPITOLO  XIII.  —  §.  138 

simmetrici  rispetto  all'asse  delle  quantità  reali,  o  delle  immagi/narie,  assuma 
valori  coniugati. 

Dopo  di  ciò  è  facile  vedere  che  nel  caso  attuale  ad  ogni  periodo 
2  iì  della  pu  corrisponderà  un  periodo  coniugato  2  % . 

Sia  infatti  2i2  un  periodo  qualunque  di  pu;  se  ii  è  reale  =  re,  pei  va- 
lori coniugati 

x-\-2  9.  ,    a;  +  2Qo 

dell'argomento  la  p  assumerà  valori  coniugati  e,  poiché  p{x+2Q,)  =  p{x) 
è  reale,  sarà  p{x+2  9.^))  =  px.  Dunque  la  funzione 

p  (m+2  Qo)  —  pu , 

essendo  nulla  sull'asse  reale,  sarà  costantemente  nulla,  cioè  2  fìo  è  anche 
un  periodo  di  pu,  e.  d.  d. 

Ora  osserviamo  che,  fissati  i  valori  (reali)  degli  invarianti  g2,g3,  i 
periodi  fondamentali  2  w,  2  w'  della  pu  sono  determinati  soltanto  a  meno 

di  una  sostituzione  lineare  (   '  5^  )  del  gruppo  modulare.  Poiché  il  valore 


I 

dell'invariante  assoluto  é  reale,  un  corrispondente  valore  di  t  =  —  sarà 

w 

certamente  sul  contorno  del  triangolo  fondamentale  (Cf.  §.119)  e  noi 

intenderemo  colla  notazione 

2  tó  ,    2  co' 

quei  periodi  fondamentali  che  rispondono  ad  un  rapporto  t  sul  detto 
contorno.  A  questa  coppia  di  periodi  ne  sostituiremo  poi  ogni  volta  una 
seconda  equivalente,  che  indicheremo  con 

2a)i  ,    2(03, 
più  adatta  nei  singoli  casi  alla  ricerca. 


CASO   DEL  DISCRIMINANTE  A  =  (j|-27  5rl>>0  36"/ 

§.    139. 

Caso  del  discriminante  positivo  ^  =  gi-21  (jl'^0. 
Rappresentazione  conforme  di  un  rettangolo  sul  semipiano. 

Dobbiamo  distinguere  nel  nostro  studio  due  casi,  secondo  che  il  va- 
lore del  discriminante 

^  =  cjl-21gl=U  {e,-e,f  {e,-e,r  {e,-e,y 

è  positivo  0  negativo.  Consideriamo  qui  il  primo  caso;  allora  si  ha  evi- 
dentemente 

g2>0  ,   jrr)>l  . 

e  però  l' indice  di  t  nel  triangolo  fondamentale  è  suU'  asse  immaginario. 
Inoltre  le  tre  radici  61,62,63  dell'equazione  cubica 

4  e^  —  5r2  e  —  /73  =  0 

sono,  nel  caso  attuale,  tutte  tre  reali. 
Dalle  formolo 

_  ^  V'  1  _  ^  V'  1 


(à*  ^  (2m+2nzy  '   "^^        w''    ^  {2m+2nzf  ' 

essendo  reali  le  serie  dei  secondi  membri,  segue  che  w*  è  reale  e  quindi 
w  reale,  0  puramente  immaginario,  e  corrispondentemente  w'  puramente 
immaginario  0  reale.  Porremo  nel  primo  caso 

(Oi  =  OJ    ,     0)3=  0/  , 

e  nel  secondo 

(Oi  =  —  w'    ,     0)3  =  (tì  , 

(ciò  che  equivale  a  cangiare  i  in j  ed  avremo  quindi  che:  i  due 

periodi  fondamentali  2  Wj ,  2  cog  saranno  reale  il  primo,  e  puramente  imma- 
ginario il  secondo. 

Il  parallelogrammo  fondamentale  dei  periodi  diventerà  quindi  nel 
caso  attuale  il  rettangolo 

(0  ,  2  o)i ,  2  Wi  4-  2  (03 ,  2  CD3) . 


368  CAPITOLO  XIII.  —  §.  139 

Dividiamolo  per  mezzo  delle  linee  mediane 

(Wl,  W1  +  2W3)  ,    (0)3,20)1  +  0)3) 
in  quattro  rettangoli  parziali  congruenti  (come  nella  figura  qui  sotto) 

FiG.  10. 


2cOi 


^J 


UJI,-t-2Wi 


<^2 

z-w^ 


i4/^+2<AJ^ 


Z-cu^ 


0  ^é  ^^i 

ed  osserviamo  che,  a  causa  della  formola 

p  (2  0)1+20)3—%)  =  ipu  , 

nel  terzo  di  questi  rettangoli 

(0)1+0)3,  20)1+0)3,  2o)i  +  2o)3 ,  0)1+20)3) 

la  ^u  riprende  i  valori  già  presi  nel  primo  rettangolo 

(0  ,  o)i ,  0)1+0)3 ,  0)3) , 

nel  quale  adunque  assumerà  ogni  suo  valore  una  sola  volta.  In  punti 
simmetrici  rispetto  all'asse  reale  0  immaginario  la  pu  assume  valori 
coniugati  e  lo  stesso  accade  quindi  in  punti  simmetrici  rispetto  alle  due 
linee  mediane,  sulle  quali  conseguentemente  la  pu  è  reale  (^).  Ne  segue 
che  nel  secondo  e  quarto  dei  detti  rettangoli  minori  pu  prende  i  valori 
coniugati  a  quelli  del  primo  e  terzo  rettangolo. 
Su  tutto  il  contorno  del  primo  rettangolo 

(0,  o)i,  o)i 4-0)3,  0)3) 

la  funzione  pu  è  reale  ;  e  poiché  in  prossimità  di  w  =  0  sull'asse  reale  è 
grandissima  positiva,  e  invece  sull'asse  immaginario  grandissima  nega- 


(i)  Ciò  risulta  anche  immediatamente  dalle  formolo  d'addizione  dei  semi- 
periodi (pag. 286),  le  radici  e^^e^,  e^  essendo  qui  reali. 


RAPPEESENTAZIONE  CONFORME  DI  UN  RETTANGOLO  SUL  SEMIPIANO   369 

tiva,  come  risulta  dallo  sviluppo 

neir  intorno  di  ii  =  0,  vediamo  che  percorrendo  il  detto  contorno  nel  senso 
positivo,  a  partire  dall'origine,  la  pn  andrà  continuamente  decrescendo  da 
+  Qo  a  -  00 .  Ora  nei  vertici 

la  fiu  assume  i  valori 

Si  vede  dunque  che  e, ,  62,  e-i  risultano  così  ordinate  per  grandezza 

decrescente,  cioè: 

ei>e2>e3; 

e  poiché 

61+62+63  =  0 , 

sarà  Ci  positiva,  63  negativa.  Quanto  al  segno  di  621  a  causa  di 

^2  =  4  61 62  63 , 

sarà  evidentemente  opposto  a  quello  di  (j^. 

Ogni  valore  reale  è  già  preso  dalla  pu  due  volte  in  punti  non  equi- 
valenti dei  lati  e  delle  mediane  del  rettangolo  dei  periodi,  onde  segue 
che  nell'interno  di  ciascuno  dei  quattro  rettangoli  minori  la  pii  è  sempre 
complessa  e  per  ciò  il  coefficiente  dell'  immaginario  in  pu  serba  ivi  sempre 
lo  stesso  segno.  Così  p.  e.  nell'interno  del  primo  rettangolo  (0,a>i,toi+(i)3,(O3), 
a  causa  dell'  andamento  da  +  00  a  -  e»  sul  contorno  percorso  in  verso 
positivo,  il  coefficiente  dell'immaginario  in  pu  è  sempre  negativo.  È 
chiaro  poi  che  ogni  valore 

s  =  a+j[3, 

con  p<CO,  sarà  preso  da  pu  una  ed  una  sola  volta  nell'interno  del  detto 

ds 
rettangolo.  D'altronde  ^-  =  p'u  non  vi  s'annulla  mai,  né  diventa  infinita, 
du 

salvo  ai  quattro  vertici  0,0^1,0^1  +  0)3,0)3;  per  ciò  se  poniamo 

s  =  pu 
ed  interpretiamo  s  nel  suo  piano  complesso,  vediamo  che:  La  funzione 

24 


370  CAPITOLO  XIII.  —  §§.  139,  140 

s  =  pu  dà  la  rappresentazione  conforme  biunivoca  del  rettangolo  (0,  oy^ ,  v)^,  (03) 
sul  semipiano  negativo  s;  gli  unici  punti  eccezionali  della  rappresentazione 
sono  i  vertici  del  rettangolo. 

Si  osservi  in  fine  che,  dando  a  gi,gz  convenienti  valori  reali  con 
5^2  -  27  (/3  >  0,  si  può  far  coincidere  il  nostro  rettangolo  con  un  rettangolo 
qualunque  dato  a  priori,  onde  risulta:  B problema  della  rappresentazione 
conforme  di  tin  rettangolo  sopra  un  semipiano  conduce  direttamente  alla  fun- 
zione di  Weier Strass  p  {u  ;  ^2,  ^3)  con  invarianti  reali  e  discriminante  positivo. 

§.  140. 
Andamento  della  p'u  —  La  cubica  y^  =  4:X^  —  g^x  —  g^. 

Osserviamo  anche  l'andamento  di  p'u  sul  contorno  del  rettangolo 
(0,  coi ,  0^2 ,  033).  Mentre  l'argomento  ?(  e  la  pu  lungo  i  quattro  tratti  del 
contorno  variano  rispettivamente  negli  intervalli: 

u     da  0  . . .  coi  ;    Wi . .  .  coo  ;    o)^ ...  0)3  ;    0)3 0 

pu     +  Gc  . . .  61   ;    Ci  ...  €2   ;    «2 .  •  ■  ^3  ;    63  ...  -  co  , 

vediamo  che  l'andamento  di 


p'u  =  -  2  V  (pw  -  e,)  (pu  -  Ci)  {pu  -  63) 
è  il  seguente: 

^t  da  0 tói     j    u  da  coi ...  0^2    ]     u  da  cog . . .  (03     ^     ^t  da  0)3 ...  0 

^M  reale  negativa  ip'u  immaginaria  1  p'u  reale  positiva  ip'u  immaginaria 
da  -  00  ...  0     )        positiva        ]         da  0  a  0         )       negativa. 

In  particolare  si  osservi  :  I  valori  dell'argomento  u,  che  rendono  simul- 
taneamente reali  pu,  p'u,  sono  della  forma 

u  =  ^  ,   u  =  i+(à3    (areale). 

Si  ottiene  una  chiara  interpretazione  geometrica  del  corso  reale  delle 
funzioni  pu,  p'u  nel  modo  seguente.  Essendo  x,  y  coordinate  cartesiane  di 
un  puflto  mobile  in  un  piano,  si  consideri  la  curva  definita  dalle  equazioni 

X  =  pu  ,    y  =  p'u  , 

che  è  evidentemente  la  cubica 

(1)  y'  =  ^p'  —  g-2x  —  gz. 


LA  CUBICA  ìf  =  '^ci? -g-ìX-g^  371 

Ora  importa  osservare  che:  questa  equazione  rappresenta  la  più  ge- 
nerale curva  del  terzo  ordine,  a  meno  di  trasformazioni  projettive.  Per  ve- 
derlo nel  modo  più  semplice  passiamo  alle  coordinate  omogenee,  ponendo 

dOz  X-i 

sicché  l'equazione  diventa: 

(2)  x\Xi—4.ci?^+g^x^xl-[-giO(^  =  Q. 

Se  esaminiamo  quale  particolare  relazione  ha  Fattuale  triangolo  di 
riferimento  colla  curva,  vediamo  che  hanno  luogo  le  seguenti  proprietà: 

1.°  il  vertice  (0,  1,  0)  è  un  flesso  della  curva  e  il  lato  0-3  =  0  è  la  cor- 
rispondente tangente  di  flesso. 

2.*'  il  Iato  X2  =  0  è  ^a  polare  armonica  del  flesso  (cioè  insieme  colla 
tangente  x-i=^0  di  flesso  costituisce  la  conica  polare  del  flesso). 

3.°  il  lato  :ì;i  =  0  è  la  polare  lineare  del  vertice  (1,  0,  0),  punto  d'in- 
contro delle  due  rette  ora  dette. 

Viceversa  si  vedrà  subito  che,  preso  il  triangolo  di  riferimento  nel 
modo  descritto,  si  può  dare  all'equazione  della  curva  del  3.°  ordine  la 
forma  normale  (2)  di  Weierstrass.  Abbiamo  dunque  il  risultato:  Le  coor- 
dinate di  un  punto  mobile  sopra  una  curva  generale  del  3."  ordine  possono 
esprimersi  per  funzioni  ellittiche  di  un  'parametro. 

Si  osservi  di  più  che,  se  l'equazione  data  della  cubica  è  a  coefficienti 
reali,  la  trasformazione  indicata  si  può  ottenere  per  via  reale  e  per  ciò 
gli  invarianti  g^,  g^,  saranno  reali  '^'.  Kitornando  ora  al  caso  particolare, 
che  trattiamo  attualmente,  del  discriminante  \=g\-21  gl'^0,  esami- 
niamo il  corso  reale  della  nostra  curva  (1).  Per  quanto  si  è  visto  sopra, 
otterremo  i  punti  reali  della  nostra  curva  0  prendendo 

u  =  k    {i  reale) , 
ovvero 

Basterà  naturalmente  far  variare  i  fra  -coi  e  +o)i,  perchè  quando 
i  aumenta  di  multipli  di  2  wj  il  punto  della  curva  riprende  la  medesima 


(^)  Presciudendo  da  coefficienti  numerici,  g^i  Oz  coincidono  i^recisamente 
cogli  invarianti  S,  T  di  4.»  e  6."  grado  rispettivamente  della  forma  cubica  ter- 
naria. (Salmon.  Algebre  supérieure.  Treizieme  Le^on). 


372  CAPITOLO  XIII.  —  §§.  140,  141 

posizione.  Anzi,  a  causa  delle  formole 

p  (-u)  =  pu 

basterà  far  crescere  i  da  0  a  coj  e  si  otterrà  una  prima  metà  della  curva, 
che  ribaltata  attorno  all'asse  delle  x  darà  la  seconda  metà. 

Ora,  quando  u  cresce  da  0  ad  to,,  la  x  =  pu  decresce  da  +  o)  ad  ei>>0, 
mentre  y  =  p'u  cresce  da  -  co  a  0,  sicché  si  ha  una  prima  metà  di  un 
ramo  infinito  della  curva  al  di  sotto  dell'asse  delle  x,  che  esce  dal  punto 
(ei ,  0)  dell'asse  delle  x,  ortogonalmente  a  quest'asse. 

Ribaltando  questa  prima  metà  del  ramo  attorno  all'asse  x,  si  ottiene 
il  ramo  completo  infinito,  che  contiene  tutti  e  soli  i  punti  reali  della  curva, 
corrispondenti  a  valori  reali  di  u. 

Veniamo  a  considerare  gli  altri  valori  di  ir,  che  danno  ancora  punti 
reali  della  curva,  cioè  i  valori  della  forma  m  =  4  +  w3,  dove  facciamo 
crescere  4  da  0  a  o^i;  allora  x  =  pu  crescerà  da  e^  a  e^  ed  y^p'u  pas- 
serà per  una  serie  di  valori  positivi,  annullandosi  agli  estremi.  Corrispon- 
dentemente avremo  un  tratto  finito  della  nostra  curva  che  parte  dal  punto 
(eg,  0)  dell'asse  delle  x  per  arrivare  al  punto  (cj,  0)  e  che  sarà  ortogonale 
negli  estremi  all'asse  stesso. 

Per  ribaltamento  attorno  all'asse  delle  x  otteniamo  la  seconda  parte 

reale  della  cubica,  costituita  di  una  parte  chiusa  (ovale).  Dunque:  La 

cubica 

y^  =  io(?-giX-(j^, 

nel  caso  di 

consta  di  due  rami  diversi,  di  cui  l'uno  è  infinito,  l'altro  un  ovale. 

§.  141. 
Alcune  applicazioni  geometriche. 

La  rappresentazione  parametrica  dei  punti  di  una  cubica  generale  per 
mezzo  delle  funzioni  ellittiche  dà  luogo  ad  una  serie  di  interessanti  ap- 
plicazioni geometriche,  di  cui  qui  accenneremo  solo  le  fondamentali,  av- 
vertendo che  nel  presente  §.  non  facciamo  più  alcuna  ipotesi  speciale 
riguardo  agli  invarianti  g.^,  g-3,  che  possono  essere  reali  o  complessi. 


APPLICAZIONI    GEOMETRICHE  373 

Un  punto  mobile  {x,  y)  della  cubica  è  dato  dalle  formolo 

X  =  pu   ,    y  =  fp'u\ 

ad  ogni  valore  di  «  corrisponde  un  unico  punto  della  curva  ed  il  punto 
resta  il  medesimo  per  valori  congrui  dell'argomento. 

Viceversa,  se  due  punti  Mi  ,  u^  della  curva  coincidono,  si  ha  t«i  ^  u^ , 

cioè 

th  ==  «2  -|-  2  m  toi  -\-  2n(àz  (m,  n  interi) . 

Cerchiamo  ora  la  condizione  perchè  tre  punti  iii ,  u^ ,  ii^  della  cubica 
siano  in  linea  retta.  Se  y  =  ax  +  b  è  l'equazione  della  retta  che  li  con- 
tiene (^',  la  funzione  ellittica  del  3.°  ordine 

p'ìi  —  a  pu  —  b  , 

con  un  polo  di  3."  ordine  nell'origine,  ha  gli  infinitesimi  incongrui  :  Wi,  U2,  ih 
e  perciò  si  ha 

Ui -{-  U2  -\-  th  ^  0 . 

E  questa,  come  subito  si  vede,  la  condizione  necessaria  e  sufficiente 
perchè  i  tre  punti  Ui,U2,U2  siano  allineati  (teorema  d'Abel). 

Di  qui  si  può  dedurre  di  nuovo  il  teorema  d'addizione  per  la  pii, 
sotto  la  forma  del  §.  108  (pag.  289): 


1     piih+ih)     -p'iih+ih) 

1  pUi  p'Ui 

1  pU2  p'ih 


=  0, 


Più  in  generale  consideriamo  una  curva  d'ordine  n 

f{x,y)  =  0 

e  i  suoi  punti  d'incontro  colla  cubica.  La  funzione  f{pu,  p'u)  è  una  fun- 
zione ellittica  d'ordine  3w,  che  ha  dunque  3w  punti  d'infinitesimo 
Ui,  Uz. . .  Usn  *^'  ed  un  solo  infinito  d'ordine  3n  in  u  =  0,  sicché  pel  teo- 


fi)  Il  caso  in  cui  l'equazione  della  retta  sia  x==k  rientra  in  questo,  uno 
dei  tre  punti  d'incontro  essendo  allora  all'infinito  in  u=0. 

(*)  Può  anche  darsi  che,  mancando  alcuni  termini  in  f(x,  y),  la  funzione 
ellittica  f{pu,  p  II)  sia  d'ordine  minore  di  3  n,  p.  e.  ^n  —  r;  allora  r  delle  inter- 
sezioni sono  raccolte  nel  flesso  all'  infinito. 


374  CAPITOLO   XIII.  —  §.  141 

rema  d'Abel  si  ha 

Mi  +  Mg  4-  •  ••  +«*3n^s0  . 

Questa  esprime  la  condizione  necessaria  e  sufficiente  perchè  3  n  punti 
Ui^Ui.  .u^n  della  cubica  costituiscano  i  punti  d'intersezione  della  cubica 
con  una  curva  d'ordine  n. 

Applichiamo  questi  teoremi  generali  alla  risoluzione  di  due  problemi: 
1.°  Tangenti  che  da  ìin  inmto  della  cubica  partono  alla  cubica  stessa. 
Sia  ti  il  punto  di  partenza  e  w  il  punto  di  contatto  di  una  delle  anzi- 
dette tangenti;  dovremo  avere  pel  teorema  d'Abel 

ciò  che  dà  per  v  ì  quattro  valori  distinti 

u  u    ,  u    ,  u    , 

"2    '   -J-^"''  '  -y  +  ^^'  -¥  +  ^'^^' 

onde  si  conclude  che  da  ogni  punto  della  cubica  si  possono   condurre 
quattro  tangenti  alla  cubica. 

Se  la  cubica  è  reale  e  a  discriminante  positivo,  vediamo  che  da  ogni 
punto  del  ramo  infinito  partono  quattro  tangenti  tutte  reali  alla  curva, 
laddove  da  un  punto  dell'ovale  partono  tangenti  tutte  immaginarie. 

2.°  Punti  d'inflessione.  Un  flesso  della  curva  è  un  punto  ove  la  tan- 
gente ha  tre  punti  coincidenti  a  comune  colla  curva. 

Il  parametro  u  di  un  flesso  deve  soddisfare  alla  condizione  (neces- 
saria e  sufficiente): 

32*^0; 

si  hanno  quindi  nove  flessi  con  argomento 

«  = ;    „i  =  0,l,2. 

Se  Ui ,  2i2  sono  due  flessi,  ed  ih  il  punto  ove  la  loro  congiungente  in- 
contra la  cubica,  si  ha 

Ui  -{-  Ui -{-  t(^  ^  0    ,     3  Mi  ^  0    ,     3  Ma  ^  0  , 

onde  anche  3  Mg  ^  0  ;  ne  segue  il  noto  teorema  :  La  congiungente  due  flessi 
di  una  cubica  incontra  la  curva  in  un  terzo  flesso. 


CASO   DEL  DISCRIMINANTE   NEGATIVO  375 

Ritornando  al  caso  di  una  cubica  reale  a  discriminante  gl-21gl^0, 
vediamo  allora  che  dei  nove  flessi  tre  soltanto  sono  reali  e  cioè  i  flessi 

'     d    '     3    ' 
situati  sul  ramo  infinito  della  curva. 


§.  142. 
La  p  {u;  g.^,  g.^)  con  invarianti  reali  e  discriminante  negativo. 

Veniamo  al  caso  del  discriminante  negativo,  riprendendo  le  conside- 
razioni dei  §§.  138,  139.  Essendo 

gl  —  27gl<0, 

potrà  essere  ^2>0  o  ^2<!0;  nel  1.°  caso  sarà 

e  nel  secondo 

0<J<1, 

.  .        co'       .  1 

cioè  T  =  —  sarà  nel  1.°  caso  sul  lato  rettilineo  R  (t)  =  -- del  triangolo 

(0  2 

fondamentale,  nel  secondo  invece  sull'arco  circolare  l'È  1  =  1.  Insieme  ai 
periodi  2a),  2(o',  la  pu  ammetterà  i  periodi  coniugati  2(0o,  —  2o/o'^'  e 
sussisteranno  quindi  le  formole  : 

—  o/o=  aw'+  pco 
cOq  =  Y  w'+  5(0  , 

con  a,  ,3,  Y,  5  interi  e,  poiché  queste  formole  debbono  anche  valere  can- 
giando i  in  -i,  si  vede  che  anche  2  co,, ,  -  2  w'o  saranno  periodi  fonda- 
mentali, cioè  sarà  aò-[ÌY  =  l-  Ora  essendo 

et  +  S 


(*)  Prendiamo  —^m'q  in  luogo  di  2u>'q  perchè  il  rapporto ^  si  conservi 

col  coefficiente  dell'  immaginario  positivo. 


376  CAPITOLO  XIII.  —  §.  142 

il  punto  T  è  equivalente,  rispetto  al  gruppo  modulare,  al  simmetrico  ri- 
spetto all'asse  immaginario  e  avremo  perciò 

a)  (  ■'  M  =  (     '         ),  se  r  è  sull'arco  circolare, 

l)  i    '  M  =  f  —    '  ~    j ,  se  T  è  sul  lato  rettilineo  R  (r)  =  -  —  . 

In  ambedue  i  casi  diciamo  che:  Si  possono  sostituire  a  2oj,  2o/  due 
nuovi  periodi  fondamentali  2o)i ,  2  CO3  tali  che  Vtmo  sia  coniugato  dell'altro. 
Pongasi  invero 

o)i  =  rià+soi' 

indi  0)3  eguale  alla  quantità  coniugata 

(1)3  =  rwo+so/o  =  {rd  -  5p)  0)  -f-  (ry  -  sa)  0/  ; 

basterà  che  determiniamo  gli  interi  r,  s  in  guisa  che  sia 

r  (rv  -  sa)  —  s  {re — sp)  :=  1 

cioè 

Vr'  — (a+S)»-s+ps*=l  , 

il  che  è  possibile  tanto  nel  caso  a)  quanto  nel  caso  b). 

Scelti  così  i  due  periodi  fondamentali  2o),,  20J3  in  guisa  che  l'uno 
sia  coniugato  dell'altro,  poniamo 

0)3  =  a+ib  ,    i)ìi  =  a- ib 

e  supposto,  come  è  lecito,  a>>0  sarà  altresì  ò>>0.  La  funzione  pu  am- 
metterà anche  i  due  periodi 

2  (O2  =  2  0J3  +  2  Wi  =  4  a 
2  (o'j  :=  2  0)3  —  2  0)1  =  4  i  ò , 

reale  il  primo  e  puramente  immaginario  il  secondo,  come  nel  caso  del 
discriminante  positivo.  Per  altro  è  da  osservarsi  che  nel  caso  attuale 
questi  due  periodi   2oj2,  2  co/  non   sono  più  fondamentali  come  prima, 

1,  1 


perchè  il  determinante 


-1,  1 
mentali,  non  è  eguale  all'unità  ma  a  2 


della  sostituzione,  che  li  lega  ai  fonda- 


CASO    DEL   DISCRIMINANTE   NEGATIVO 

Nel  rettangolo  (0,0)2,20)3,0/2)  della  figura  qui  sotto 

FiG.  11. 


2u)„ 


-co^ 


377 


0 


-H), 


-Zìa) 
Z 


2\jc^ 

^-^ 

^^--^ 

"^^^^^ 

^'z         ^^^ 

Z\\}^ 

2U)^ 

la  funzione  pu,  a  causa  della  formola 

|7(2a)3-it)  =  ^w, 

riprende  due  volte  ogni  valore;  sul  suo  contorno  essa  è  reale  coli' anda- 
mento seguente: 

M  da    0  ...  0)2    ;     0)2 .. .  o)2  +  o)'2  =  20)3  ;     20)3 .  . .  oì'g    ;      oì'g .  .  .    0 
^Mda+co...e2    ;     63  • .  •  -  00  ;     +00. ..62    ;     e^...-^ 


e  corrispondentemente  la  ^  m  offre  l'andamento  seguente 


(0,0)2) 


(0)2,  20)3 


(2  0)3,  0)^2) 


(0/2,  0) 


p'u  reale  negativa     ^'^  Ì,Sfr^"^     ^'''  reale  positiva     ^'^  immaginaria 


positiva 


negativa. 


^^\\  interno  del  detto  rettangolo  la  pu  non  è  mai  reale  e  per  ciò  il 
coefficiente  dell'immaginario  in  pu  conserva  sempre  lo  stesso  segno,  che 
si  vede  essere  il  negativo. 


378  CAPITOLO  XIII.  —  §§.  142,  143 

Vi  ha  un  solo  punto  nell'  interno  ove  pu  si  annulla,  ed  è  il  centro  del 
rettangolo  ^(  =  0J3,  ove  pu  =  &i.  L'immagine  di  questo  rettangolo  nel  piano 
s  =  pu  ricopre  due  volte  il  semipiano  negativo,  avendo  in  5  =  63  un  punto 
di  diramazione  del  1.°  ordine. 

Si  osserverà  che,  per  l'opportuna  scelta  dei  periodi:  La  radice 
media  Cz  è  reale,  mentre  e^,  e^  sono  immaginarie  coniugate,  la  e^  avendo 
positivo  il  coefficiente  dell'immaginario;  inoltre  e^  è  positiva  0  negativa 
con  ^3. 

Dallo  studio  precedente  risulta  che,  se  un  argomento  u  rende  simul- 
taneamente 

pu  ,    p'u 

reali,  sarà  u  reale  a  meno  di  multipli  del  periodo  immaginario  2  0)3 .  In 
questo  caso  adunque,  per  avere  tutti  i  punti  reali  della  cubica 

x  =  pu  ,    y  =  p'u, 

basterà  far  variare  u  per  valori  reali  da  u=  -  0)2  ad  u  =  itì^  e  quindi  : 
La  cubica  y^  =  Ax^  —  g^x—  g^  nel  caso  di  ffl  —  21  gl<iO  consta  di  un 
solo  ramo  infinito. 

Anche  in  questo  caso  avremo  tre  soli  flessi  reali  in  linea  retta,  cor- 
rispondenti agli  argomenti 

2coi  +  2w3      4o)i4-4(03 
u  =  0  , , . 


§•  143. 
Degenerazione  della  funzione  piu-.g^.g^i)  nel  caso  g.^^  —  21g^^  =  Q. 

Esaminiamo  ora  quello  che  accade  della  funzione  p{u\  w,  to')  quando 

il  rapporto  i  =  -  dei  periodi  si  fa  tendere,  per  valori  puramente  imma- 

ginarii,  a   co  ovvero  a  zero;  allora  J(":)  diventa  infinito  e  il  discrimi- 
nante gi  —  21  gì,  supposto  che  g^  non  vada  a  zero,  tende  a  zero. 

a)  Se  diamo  ad  co  un  valore  reale  fisso  e  facciamo  tendere  o/  =  ipco 
per  valori  puramente  immaginarli  all'  infinito,  la  serie  doppia  che  ci  defi- 
nisce la  pu  (pag.  259)  si  cangia  nella  serie  semplice: 

_  _i   ,  -yi     1       ,       1     I 2_  ^^  _!_ 

^'*       u^  "^  „à \{u-2 m (o)-  '^  {u+2m (o)^!        (2  to)^  ^  m"-  ' 


DEGENERAZIONE   DELLA   fiU  379 

Ora  a  causa  delle  forinole  del  §.  64  (pag.  176)  si  ha 

A  ,  ^^  i 1 ,  ^ !  _  fjLY L_ 

ti"  ^  ^  \{u-2mLùf  ~  (u+2miùy)        V2oW  ,  /^^ 

V2to 

V  —  =  - 

Y  m'        6 

e  possiamo  quindi  enunciare  il  risultato: 

Se,  avendo  w  un  valore  fisso  reale,  si  fa  crescere  o/  alV  infinito  per  valori 
puramente  immaginarli,  \a  p  {u  |  w,  o/)  degenera  nella  funzione  circolare 

(A)  01=  -V  UrJ  + 


3    \2iàJ    '    \2(tìJ         .fTzu 
sen'    ^r- 

Conseguentemente  la  C««  e  la  cjet  degenerano  anch'esse,  secondo  le 
formole 

e**  =  ?r-  COt      r—       +  -    (^r-  ]   U, 

2  CO         \2  (tì/         3    v2w/ 

1   /XM\2 

6  \27)/    2  co         /::  w 
a^t  =  e  .  ■ —  sen    -— 

71  \2  (0 

h)  Teniamo  ora  fisso  co'  =  i  ^  puramente  immaginario  e  facciamo  cre- 
scere (0  reale  all'  infinito,  con  che  -  convergerà  sull'asse  immaginario  a  0  ; 
si  vedrà  che  la  pu  degenera  allora  nella  funzione  iperbolica 

1     /  7r\2        r  T.V 
(B)  pu  =  ~  f^J   +' 


2py     V2?y  ^^^,.g 

Nei  modi  (A),  (B)  di  degenerazione  della  pu  è  chiaro  che  due  delle 
radici  e^,  e^,  e^  vengono  a  coincidere  e  precisamente  in  (A)  e^  viene  a 
coincidere  con  e^,  e  nel  caso  (B)  coincide  62  con  e^. 

e)  Possiamo  in  fine  considerare  un  terzo  modo  di  degenerazione,  cor- 
rispondente al  caso  che  si  abbia  insieme  g.2^=^  g^  =  0.  Basta  per  ciò  far 
crescere  co,  co'  simultaneamente  all'  infinito,  conservando  finito  il  loro  rap- 
porto; allora  al  limite  si  ha 

pti=—^i  ,   Cm  =  —  ,    ou  =  u 
u  u 

gj  =  62  =  63  =  0 . 


380  CAPITOLO   XIII.  —  §.  144 

§.  144. 
Le  funzioni  sn  v,  cn  v,  dn  V  per  valori  reali  positivi  e  <  1  di  A;^ 

Le  funzioni  ellittiche  di  Jacobi 

sn  V  ,    cn  w  ,    dn  V 

che  si  presentano  nelle  applicazioni  (quando  nella  trattazione  di  un  pro- 
blema che  porta  alle  funzioni  ellittiche  si  vogliano  introdurre  quelle  di 
Jacobi  in  luogo  della  pu  di  Weierstrass)  corrispondono  sempre  al  caso 
in  cui  gli  invarianti  r/2,^3  sono  reali  e  il  discriminante  ^  —  21gl'^0. 
Allora  Ci,  e^,  e^  sono  reali  e  disposte  per  ordine  decrescente  e  le  for- 
mole  a)  h)  e)  §.  130  (pag.  345)  danno  per 


valori  reali  e  positivi;  quindi 


; v'g2 — 63      i>  _  ygi — g2 

v'ei — 63  v'ei — «3 

sono  reali,  positivi  e  <C  1  e  le  quantità  di  Jacobi 


K  =  tó  \Jei — 63    ,    K'  =  —  V  Ci — ^3 

i 

sono  pure  reali  e  positive. 
Le  tre  funzioni  di  Jacobi 

sn  V  ,  cn  V  ,  dn  w 

assumono  valori  reali  sull'asse  reale,  mentre  sull'asse  immaginario  la 
prima  è  puramente  immaginaria  e  le  due  ultime  sono  ancora  reali.  Os- 
serviamo ora  specialmente  l'andamento  di  sn  y,  cn  v,  dn  v  per  valori  reali 
dell'argomento.  Le  formolo 

sn^  V  -[-  cn'^  w  =  1 

dn^  V  -f  là  sn^  t;  =  1 

dimostrano  che  sn  v,  cn  v  sono  sempre  comprese  fra  -  1  e  + 1  mentre 
dnv,  che  non  s'annulla  mai  sull'asse  reale,  è  sempre  positivo  e  com- 
preso fra  1  e  h'. 


ANDAMENTO  DI  sn  V,  cn  V,  cln  V  381 

Più  in  particolare,  crescendo  w  da  0  a  K,  sn  v  cresce  da  0  a  1 ,  poi 
da  K  a  2K  decresce  da  1  a  0.  Secondo  la  formola 

sn(2K+z;)=  -snw , 

sn  V  cangia  di  segno  fra  2  K  e  4  K,  e  al  di  là  di  4  K  riprende  periodi- 
camente i  medesimi  valori.  Analogamente  succede  per  cn  v  e  le  curve  : 

y  =  ^\ix  ,    y  =  QXiX 

hanno  quindi  una  forma  sinusoidale. 
La  curva 

y  =  dn  a; 

ha  il  periodo  2 K  parallelo  all'asse  delle  x  e  rimane  tutta  al  di  sopra 
di  quest'asse,  avendo  per  ordinata  massima 

y=\     per  ;z;  =  0  ,  ±  2K  ,  ±  4  K  . . . 

e  per  ordinata  minima 

y  =  l'    per  a;  =  ±K,  ±3K, +5K... 

Ogni  tratto  da  y=\  a  y  =  h'  volge  prima  la  concavità,  indi  la  con- 
vessità all'asse  delle  x,  flettendosi  nel  punto  ove 

sn*  X  =  cn*  x  =  ~  . 

Mediante  le  formolo  di  trasformazione  complementare  [(X*)  §.  138] 
si  può  ridurre  il  calcolo  delle  funzioni  di  Jacobi,  nel  caso  che  ci  occupa, 
e  per  valori  complessi  qualunque  dell'argomento,  al  caso  di  argomento 
reale,  cioè  possiamo  separare  in 

sn(a+i(3)  ,    cn(7.+ip)  ,    dn(a+ip) 

la  parte  reale  dall'immaginaria.  Si  ha  invero  per  le  formolo  citate 

e,  servendosi  delle  formolo  d'addizione,  si  ottengono  subito  le  formolo  ri- 
chieste. 


382  CAPITOLO  XIII.  —  §§.  144,  145 

Così  p.  e.  si  ha  : 

.  ^  sn  (g,  7ó  cn  (i  p,  li)  dn  (i  jB,  lì) + sn  (i  p,  ^)  cn  (a, ^)  dn  (?■,  ^) 

e  per  ciò 

.^  sn  (g,  ^)  dn  C^,  Z:") +i  sn  (p,  A:')  cn  (p,  IQ  cn  (g,  Z;)  dn  (a,  fe) 

sn  (7.+Z,.,  k)  —                 ^^,  (?,lc')W  sn'  {o.,lì)  sn^  {^,1')  ' 

e  analogamente  per  dn(a+i[5),  cn(a+i(i). 


§•  145. 

Integrale  ellittico  di  l.^'  specie  di  Legendre.  —  Integrali  completi  K,K'. 

Degenerazione  di  su  v,  cn  v,  dn  v. 


Dalla  forinola 
d  sn  V 


=  cn  y  dn  y  =  V(l  -  sn^^)  (1  -  ¥  sn^v)  , 


dv 
ponendo 

e  osservando  che  per  v  =  0  si  ha  x  =  0  risulta 

'^^  dx 


(3)  v  = 


'O   }J{l-x'){l-l^x') 


L'integrale  del  2.°  membro  è  V integrale  ellittico  di  1."  specie  di  Le- 
gendre.  Limitandoci  al  caso  delle  applicazioni  in  cui  k  è  reale,  positivo 
<<  1,  e  la  a;  varia  da  —  1  a  +  1,  si  può  porre 

a;  ^  sen  9 , 

ove  'f  è  un  angolo  reale,  e  ne  risulta 


(4) 


^0  Vi-^' 


sen 


Legendre  indicava  col  simbolo  F{'s,lc)  l'integrale  del  2°  membro,  e 
dava  il  nome  di  amplitudine   all'  intervallo  's  d' integrazione,   onde  ap- 


INTEGRALI    ELLITTICI    DI    LEGENDRE  383 

punto  è  derivato  il  nome  di  seno  amplitudine  alla  funzione  inversa 

x  =  <à\\v  =  sen  'f . 

Osservando  che  si  ha 

sn  K  =  1  , 

si  ha  subito  per  K  l'espressione  per  integrale  definito 

(5)      K=   T—       ^"^  =C' ^^ ■^YJl.h 


0   yj{l-x^){l-h^x^)      Jo    \/l-^'sen^<p  ^^ 

Si  può  ottenere  un'  espressione  analoga  per  K'  osservando  che,  a  causa 
delle  forinole 

sn  (v+K)  =  "^  ,    sn  (K+i  K')  =  ~  , 
dnw  le 

facendo  crescere  v  pel  cammino  rettilineo  da  K  a  K+iK\  la  a;  =  sn«; 
cresce,  per  valori  reali,  da  1  a  t-  e  si  ha  per  ciò: 

K+i  K' = r    ^^  — + ^^     ^^^ 


^0   V(l-^'j(l-^'^')       -^1    yl{\-x')(l-Wx') 
onde 


„,        /  *  dx 


h  yj{x^-i){\-'k^x'') 

Cangiando  in  questo  integrale  la  variabile  x  nella  x,  col  porre 
^x'^-k^x^^l, 
si  ottiene  subito 

(6)  K'=/^^-=^=  =  Fff,7/), 

.'0   Ì{l-x'){l-rx-  V2        J 

formola  che,  messa  a  confronto  colla  (5),  dimostra  che  K'  si  esprime  per 
y  come  K  per  h,  la  qual  cosa  si  poteva  anche  dedurre  dalle  formole  di 
trasformazione  complementare. 


384  CAPITOLO  XIII.  —  §§.  145,  146 

Per  mezzo  di  queste  forinole  vediamo  subito  come  degenerano  le  fun- 
zioni ellittiche  di  Jacobi  nei  casi  limiti: 

^  =  0  ,    ^  =  1. 

Si  ha  infatti  per  ^  ^=  0 

K  =  |,   K'=» 

sn  y  =  sen  v , 
cioè 

(7)  sn  (v,  0)  =  sen  w  ,    cn  (v,  0)  =  cos  v  ,    dn  {v,  0)  =  1 . 

Similmente  dalle  formole  stesse,  o  da  quelle  della  trasformazione  com- 
plementare, deducesi 

(8)  sn  {v,  1)  =-  tangh  v  ,  cn  (v,  1)  =  dn  {v,  1)  =  ^^^  . 

§.  146. 
Gli  integrali  di  2.^  specie  E(v),  Z{v)  di  Legendre  e  Jacobi. 

Nella  teoria  di  Legendre,  oltre  all'integrale  ellittico  di  1.=^  specie 

/dx 
Ì{l-x')  {l-h'x')  ' 

si  presentavano  gli  altri  due  integrali  elementari 

rv^!,,,  f ^- 

J    Vl-^  J  {\+nx^Ì{\-x^){\-l^a^) 

che  Legendre  chiamava  rispettivamente  integrali  di  2.^  e  3.*  specie.  L'in- 
tegrazione di  ogni  funzione  razionale 

F(^,  V(l-^')(1-^'^^) 

si  riportava  a  funzioni  ordinarie  e  ad  un  aggregato  di  integrali  elemen- 
tari delle  tre  specie  (Cf.  §.  127).  Per  il  confronto  delle  formole  della 
teoria  di  Legendre,  le  quali  si  trovano  adoperate  in  trattati  e  memorie 


INTEGRALE  DI   2.^   SPECIE   DI   LEGENDRE  385 

classiche,  con  quelle  di  Weierstrass  diamo  le  forinole  di  passaggio  alle 
funzioni  3;t  e  pii  di  Weierstrass. 

Ponendo  x  =  s,n{v,h),  l'integrale  di  2/  specie  di  Legendre  diventa 


J'  dx  =^  I     dn^v  dv. 

0     Vi  -  ^  -^0 


V 

Siccome  la  funzione  dn^  v  ha  residui  tutti  nulli  (perchè  nel  paralle- 
logrammo dei  periodi  (2K,  2  ili')  dn  ^y  ha  un  solo  infinito),  l'integrale 
stesso  è  una  funzione  monodroma  di  v  che  s'indica,  secondo  Legendre 
e  Jacobi,  con 


rv 
E(v)=  I    dn^  V  dv . 


'0 
Per  esprimere  E  (v)  coi  simboli  di  Weierstrass,  osserviamo  che  si  ha 

pu  —  e^  pu  —  63 

e  per  le  formole  d'addizione  dei  semi  periodi: 

dn^  V  =  — p  (m+w')  . 

Risulta  quindi 

Vi;r^  i  a(M+«.')  ^         '  !  ' 

ovvero 

(I)  E  (V)  =  p^  +  6)  M       ,     V  =  tl  V^i  — ^3  , 

che  è  la  forinola  richiesta.  ^ 

Indicando  poi,  come  faceva  Legendre,  con  E  V  integrale  completo: 

E  =  /     — ^z=^  d^  =  /     dn^  V  dv  , 
-'0      ^/l—x"  ^'0 


avremo  dalla  (I) 

(I*)  E=— i=::    {e.io+ri). 


386  CAPITOLO  XIII.  —  §.  146 

Ponendo  a;  =  sen'f,  Legendre  usava  per  l'integrale  di  2.*   specie  la 
notazione 


talché  l'integrale  completo  E  è  dato  da  E  f  ^  ,  h\ . 

L'integrale  E  {zjì)  si  presenta  appunto  nel  calcolo  dell'arco  dell'ellisse. 
Se  si  esprimono  le  coordinate  di  un  punto  mobile  sull'ellisse  di  semi- 
assi a,  h  per  l'angolo  eccentrico  'f  colle  formole 

X  =  a  sen  -f  ,    y  —h  cos  z  , 

e  si  pone  

Ti  ^= (eccentricità), 


per  l'arco  s  di  ellisse,  contato  a  partire  dall'  estremità  dell'  asse  minore, 
si  ha 


s  =  a 

'0 


/    Vl-h'sen''sch  =  aE{z,^ 


L'integrale  completo  E{  ^,  ]c]=-  E  misura  adunque  la  lunghezza 


\2 

di  un  quadrante  dell'ellisse  di  semi-asse  maggiore  =  1  e  di   eccentri- 
cità ìc. 

All'integrale  di  2.^  specie  di  Legendre  Jacobi  sostituiva  l'altro 


/  ^  x'dx  ^  1       /  dx /  -^nj 

Jo  V(l-ar^)(l-;^V)       ^''  [Jo  \(l-x')il-l''x')      Jo    \i-x' 

e  indicava  col  simbolo  Z  (v)  la  funzione 

Z{v)  =  E{v)-^v. 

La  Z  {v)  di  Jacobi  si  esprime,  per  le  (I)  (I*),  mediante  le  funzioni  di 
Weierstrass  colla  formola: 


(II)  Z{v)-.=  -'^ 


\ei — 63 


u\    ,    V  =  U\  Ci  —  63  . 

GzU  (tì      J. 


387 


§.   147. 
L'integrale  di  3.a  specie  n(v,a)  di  Jacobi. 

Jacobi  considerava  come  integrale  di  3.*^  specie  il  seguente 


/ 


{l^nx')Ì{\-~x'){l-h^x^) 

che  si  compone  evidentemente  con  integrali  di  1.*  e  3.*  specie  di  Le- 
gendre.  Ponendo  a;  =  sn  v  e  indicando  con  a  una  conveniente  costante, 
Jacobi  indicava  col  simbolo 

n  {v,  a) 

l'integrale  di  3.=*  specie 

^      sn^  V  dv 


n  {v,  a)  =  ¥  sn  a  cn  a  dn  a 


'q  1  -Z;^sn^asn^t?' 


che  vogliamo  qui  esprimere  per  funzioni  di  Weierstrass.  A  tale  scopo 
rammentiamo  le  formolo 

i/ cj  u        Ve, — e, 

sn  «;  =  V  61-63  —  = 


cnv  = 

dn  v  = 
e  ponendo  per  brevità 

troveremo  : 


-1/ iv=vei  — 63  u 

\        61—63 


b  = 


Ver 


lì  {v,  a)  =  (ci  -  63)  {e.,  -  63) -3 


C3&  I      _,      (e) -63)  (62-63)  • 


•vO  pi-C', 


388  CAPITOLO  XIII.  —  §§.  147,  148 

Ora,  ricordando  le  forinole 

ou  (pu—e^ 

*''"  +  '•-*  = (pn-e,f         ' 

avremo  subito 

Ma,  per  le  formolo  d'addizione  della  'Cu,  si  ha 

ed  essendo 

potremo  scrivere 

2    ^!«— ^(6+tó')        2    03(m— &)         2     Csiu+b)  "^  036   ' 
onde  infine  avremo  per  la  formola  cercata 


(III)  IT  (r,  a)  =  —  log  — ) — ,v  H 7-  ^*  ^  


§.  148. 

Riduzione  dell'  integrale  ellittico  di  l."  specie  alla  forma  normale 

di  Legendre. 

Per  completare  queste  notizie  sull'  antica  teoria  degli  integrali  ellit- 
tici, daremo  ancora  il  processo  che  serve  a  ridurre  il  differenziale  ellittico 
di  1.^  specie 

(9)  -^, 

v/P(«.) 


RIDUZIONE   ALLA    FORMA   NORMALE    DI    LEGENDRE  389 

ove  V{ìr)  è  un  polinomio  di  3.°  o  4.°  grado  in  iv,  alla  forma  normale  di 
Legendre 

(10)  ^^      , 


V(l-.r'j(l-/^V) 


e,  avendo  riguardo  ai  casi  che  effettivamente  si  presentano  nelle  appli- 
cazioni ove  P  («•)  è  a  coefficienti  reali,  dimostreremo  come  la  riduzione 
possa  sempre  farsi  in  guisa  che  ne  risulti  Jr  reale,  positivo  e  <<  1 . 

Basterà  che  riduciamo,  con  una  sostituzione  razionale,  il  differenziale 
(9)  alla  forma 

(11)  ^y — , 


V2/(l-2/)(l— ^'2/) 
poiché  la  sostituzione  quadratica 

fa  passare  dalla  forma  (11)  alla  (10).  Ora  il  passaggio  dalla  (9)  alla  (11) 
si  può  sempre  conseguire  con  una  sostituzione  hneare 

(12)  IV  =       /   . 

c+ay 

E  invero,  se  ^{ìc)  è  del  3.°  grado,  si  prenda  semplicemente 

e  si  determinino  a,  h  in  guisa  che  una  radice  y.  di  P  (iv)  =  0  venga  por- 
tata in  y  =  0  ed  una  seconda  (3  in  ?/  =  1  ;  si  ponga  cioè 


Allora,  posto 


risulterà 


w  =  a-f-  (p-a)?/, 


F(w)  =  A  (ic—y.)  (<r— p)  {tv—'() , 


dtr     dy 


^/'P{w)         \'y{l-y){l-h'y)' 


390  CAPITOLO  XIII.  —  §.  148 

ove  si  è  posto 

V^A(Y-a)  '^-°^ 

Sia  ora  P  (tv)  del  4.°  grado  ed,  omettendo  un  fattore  costante,  scri- 
viamo 

P  (w)  =  {w  -a.){w-  P)  (iv  -  7)  (w  ^  5) . 

La  sostituzione  (12)  dà: 
dio  {bc—ad)dy 


Perchè  questo  differenziale  abbia  la  forma  voluta  (11),  basta  che  uno 

e' 

dei  binomii  sotto  il  segno,  p.  e.  ic  —  p,  si  riduca  a      ,    ,    ,  cioè  che  la 

e  -Y  ay 

radice  [3  di  P  {iv)  =  0  sia  portata  in  ?/  =  co ,  e  gli  altri  binomii  si  annul- 
Uno  rispettivamente  per  y  =  0,  1,  ..^  •  La  (12)  dovrà  dunque  portare  ri- 
spettivamente a,  p,  Y  in  0,  oc,  1,  e  sarà  per  ciò 

7  —  8  w  —  a 

ij  = . 

•^       Y  — a  w — p 

.     Y  —  So  —  a 
La  quarta  radice  o  viene  portata  in ^^ -,  onde  si  ha 

^  Y 7.   0  —  p 

^  a — ò      [j — Y 

Dipendentemente  dall'  ordine  delle  quattro  radici  si  potrà  effettuare 
la  riduzione  richiesta  in  24  modi  diversi,  ai  quali  corrispondono  però 
soltanto  6  valori  del  rapporto  anarmonico: 


(*)  Si  osservi  che  k^  è  il  rapporto  auarmonico  dei  quattro  valori  a,  co  ,  p,  y. 


RIDUZIONE   ALLA    FORMA   NORMALE   DI    LEGENDRE  391 

Se  P  {il})  è  a  coefficienti  reali  e  le  sue  radici  sono  tutte  reali,  o  tutte 
complesse,  i  6  valori  del  rapporto  anarmonico  sono  reali  ed  uno  di  essi 
è  positivo  e  -<  1. 

Quando  si  avessero  invece  due  radici  reali  o-,  p  e  due  immaginarie 
(coniugate)  y,  5,  colla  trasformazione 

f  =  '"-'■ 


IV— [i 

risulterebbe 

dw    _      2  (g  -  p)  dt 

v'ivo       v/(p-Y)(p-5)   -i  /7y_Z^  )   (  i 


e  il  polinomio  di  4."  grado  in  t  avrebbe  radici  tutte  complesse,  talché 
si  ricade  nel  caso  precedente. 

Nel  caso  di  un  polinomio  V{ir)  di  3.°  grado  a  radici  reali  si  avrà  ancora 
immediatamente  il  medesimo  risultato.  E  se  una  delle  radici  è  reale,  le 
altre  due  immaginarie,  con  una  sostituzione  lineare  ci  ricondurremo  al 
caso  di  un  polinomio  di  4.°  grado  con  due  radici  reali  e  due  immaginarie. 

Per  ridurre  il  differenziale  ellittico  di  l.''  specie  alla  forma  normale 
di  Legendre  occorre,  come  si  vede,  conoscere  le  radici  di  P  {w)  =  0.  Uno 
dei  principali  vantaggi  del  metodo  di  Weierstrass  (Gap.  X  §§.  124-127) 
è  appunto  questo  che  la  riduzione  alla  forma  normale  si  effettua  razio- 
nalmente per  gli  invarianti,  ossia  pei  coefficienti  del  polinomio  POr). 

Capitolo  XIV. 

Sviluppi  in  prodotti  infiniti  ed  in  serie  trigonometriche  delle  funzioni  3.  —  Le 
serie  {}  di  Jacobi  e  le  loro  proprietà. 

§.  149. 
Sviluppo  in  prodotto  infinito  semplice  per  33  w. 

Ci  proponiamo  ora  di  far  conoscere  le  principali  espressioni  analitiche 
per  prodotti  infiniti  e  per  serie  trigonometriche  delle  funzioni  ellittiche 
e  loro  affini.  Questi  sviluppi  presentano  un  grande  interesse  teorico  e 
pratico  insieme,  per  la  loro  legge  di   costruzione  e  per  la  loro  rapida 


392  CAPITOLO  XIV.  —  §.  149 

convergenza  nei  casi  delle  applicazioni,  che  li  rende  molto  adatti  al  calcolo 
numerico. 

Comincieremo  dal  dare  gli  sviluppi  in  prodotti  infiniti  semplici  delle 
funzioni  a,  Oj,  02,  ^^  di  Weierstrass.  Potremmo  per  ciò  ricorrere  allo  svi- 
luppo della  OM  in  prodotto  infinito  doppio  (§.94),  convertirlo  in  pro- 
dotto infinito  semplice  e  dedurne  poi  i  prodotti  infiniti  per  le  altre  Or. 
Qui  preferiamo  dedurre  queste  espressioni  analitiche  direttamente  dalle 
proprietà  caratteristiche  della  a^w. 

Prendiamo  p.  e.  la  o^^u  ;  essa  gode  delle  seguenti  proprietà  : 

1.^  è  una  trascendente  intera  cogli  infinitesimi  del  1.°  ordine  nei  punti 

Wo=r  2moj  -f  (2w+l)  w' 

2.*  aumentando  l'argomento  u  dì  2 co  0  2w',  essa  si  comporta  nel 
modo  seguente  (§.  129) 

I  03(M  +  2o/)=  -e2r;(«+„/)^^^^ 

3.^  per  M  =  0  è  r^^u  =  1. 

Queste  sono,  come  subito  si  vede,  proprietà  caratteristiche  della  o^ii, 
cioè,  se  una  trascendente  intera  G  (w)  vi  soddisfa,  essa  coincide  con  a^ii. 

Sostituiamo  alla  0^11  un'altra  trascendente  intera  periodica  di  3.''  ca- 
tegoria (§.  101)  'Hm),  che  abbia  il  periodo  assoluto  2w.  Pongasi  per  ciò 

<}^{u)  =  e  ^"^  03^< 
e  la  ^{u)  avrà  le  proprietà  1.*^  e  3.^  della  o^u,  mentre  la  2.%  a  causa 

iz  i 
di  •/]  tó'  —  r[  0)  =  -—  ,  si  tradurrà  nelle  altre 


Pongasi  ora 


,   ^  («*-}- 2  03)  =  ó(w) 

i  --(ti+oV) 

(  (|.(w+2w')=  -e     "'  ^{u). 


—  i  ,..' 


e^^  =  z  ,    e  "'  =q, 


onde  sarà  q  una  costante  di  modulo  <  1,  e  si  consideri  ^(it)  come  fun- 
zione di  z 

4»  (w)  =  9  (^) . 


SVILUPPO   IN   PRODOTTO    INFINITO   PER   O^U  393 

La  9  (z)  sarà  una  funzione  monodroma  -di  z  sempre  finita  e  continua, 
tranne  che  nei  due  punti  singolari  (essenziali)  .^  =  0,  x?  =  co ,  e  godrà 
delle  seguenti  proprietà: 

1.^  's{z)  ha  infinitesimi  del  1."  ordine  nei  punti 

\l    ,    <f  ,   g^  .  .  .  g^""*"^  .  .  . 


^ft  = 


\ 


<r\  q~\  or'''  •  •  ?-""+'>. 


2.*  '^  {z)  soddisfa  all'equazione  funzionale 

3.^  per  0=1  è  'f  (^)  =  1. 
Ora  poiché  la  serie 

converge  assolutamente,  a  causa  di  {q\<il,  è  facile  (§.66)  costruire 
una  prima  funzione  che  abbia  gli  infinitesimi  nei  punti 

^0  =  q~\  2~',  2"' , 

come  pure  una  seconda  che  li  abbia  invece  in 

^o  =  q  ,  ^ ,  (t  •  •  ■ 

Esse  saranno  date  rispettivamente  dai  due  prodotti  infiniti 

n(i— 2^«-'^)  ,  n  (  1— ^^ — 1 , 

,.=1  „=i  V  ^    J 

dei  quali  il  primo  converge  assolutamente  ed  in  egual  grado  in  qualunque 
campo  finito  ed  il  secondo  in  tutto  il  piano,  escluso  ^  =  0.  Riunendo  i 
due  prodotti,  si  ha  la  funzione 


n(i_2^"-^)i^i-Lj 


che  ha  le  proprietà  1.*  e  2.^  della  'f  {z)  e  non  differisce  quindi  da  'f  {z) 
che  per  un  fattore  costante;  si  trova  subito 


(1-2'"-^ 


394  CAPITOLO  XIV.  —  §§.  149,  150 

e  ponendo  per  z  il  suo  valore,  abbiamo  così  la  prima  espressione  ana- 
litica cercata  per  la  OgM  sotto  la  forma: 

/  rAu\    f  — -tu 


a)  e  2»^  .03^  =  11    ^^^^ ^     e      y   VI      g       e 


§.  150. 
Sviluppi  in  prodotti  infiniti  per  le  3,  a,  e  per  le  costanti 


Dallo  sviluppo  ora  trovato  per  ".-iU,  ricorrendo  alle  formolo  del  §.  131, 
facilmente  ritroviamo  gli  sviluppi  analoghi  per  le  rimanenti  "u  Si  ha  infatti 

0  ?«  =  Ae^'  "  03  (i<  —  0)')  , 
dove  A  ò  una  costante,  e  per  ciò 


ossia 


»=i 

T.ÌU\     /  — ~ÌU 


=  A"  sen  f"^)  "n    \l  —q'»  e  "'  )  ^1— g'«  e    "' 

Per  determinare  A"  si  divida  dall'  una  e  dall'  altra  parte  per  m  e  si 
passi  al  limite  per  u  =  0,  osservando  che 

lim     —  ;  =  1   ,    hm 


„=o  \  tt  J  '     «=o  u  2  (0  ' 

e  si  troverà  quindi 

(        ^V        =^^^ 

S)       e  -^'^  G«<=  —  seni—-)  11 -r^ 

^^  TU         V2o)y  ,.=1  (1-  (f'f 


SVILUPPI  IN   PRODOTTI    INFINITI   PER   LE   0  395 

Dalle  a)  [3),  mediante  le  forinole 

02 w  =  B  e~^  ^'  Os(u  f  co)  I 

i  B,  C  costanti  , 

si  deducono  subito  gli  sviluppi  analoghi  per  o^u,  o^u.  Riuniamo  le  quat- 
tro formole  nella  tabella  seguente: 

,  /  TÌIC\      /  — ~ÌU\ 

L^,  „ = ^  ,en r-^ì  "r7  VI  - 4'"  ^~Ai  - 2- ^^;  _ 


TZ  \2o>J  „=i  (1-^'")' 


/      N  „-«  l-2tìf2«cos  — +g^ 
2(0        f7:u\  ~  co 

=  —  senN—     11    - 
ir  \2<o/  „=i 


,/  ~iu\    /  — t:ì?<. 


\2oìJ  1  (l-^g-^") 


/      -    ^   l+22'«cos  — +g' 
/jitA    „  co 

=  cos  I  -—     n 


(I) 


71  7/2 


V2coy  r         (i+g'")' 


e  ^"^  o,^«:^^ 


(l+2^«-0' 


...  ^M 

1  +  2^'"-' cos  —  + 

=  n - 


1  (l+(Z^''-^)2 


Sr       _    n  vi  -2'""'  e  "^  J  ^vl  -g'"*"'  e    *" 


.-.  „3„=n^-        ^^_^,„_.j, 


1 


j__2^2n-i  cos  —  + 
(0 

=  II  — 


«-1\2 


Dalle  formole  precedenti  e  dalle  (a)  (6)  (e)  pag.  345,  che  danno  la  pre- 
cisa definizione  dei  valori  delle  costanti 


V'ei— 62  ,Vei  — 63  ,Ve2— 


«3 


396  CAPITOLO    XIY. —  §.  150 

possiamo   dedurre   gli   sviluppi   in    prodotti  infiniti    per   queste  ultime 
quantità. 

Osserviamo  a  tale  scopo  che,  ponendo 


(1)  Ui  =  e     ^     acoi  ,    U2  =  e     ^     oco,  ,    U3  — -     ^ 

le  citate  formole  ci  danno 


;  Ve;=^  =  e-..-i_^^^  _  ,  4_j^ 


ouìi  0CO2  Ui  Us 


TiZ 


(2)  V^;373  =  _e^3c»2-^'^=_e      4-^ 

acogOCOg  U2  U3 


Vei — 63  =  e-^3<'h 


ri 

O  tóo  A  U 2 


"2         _    «     4 


C;  0)i   0  0)3  Ui     U; 


e  tutto  si  riduce  quindi  a  calcolare  Ui,  U2,  U3. 

Nelle  formole  (I)  figurano  i  seguenti  quattro  prodotti  infiniti; 

co  co  00  co 

(3)  Qo  =  li  a-cf") ,  Q,  =  II  (uq'") ,  Q.  =  n  (i+g-^"-o ,  Q3= n  (i-g'"-') , 

111  1 

che  moltiplicati  fra  loro  danno 

co 

Qo  Qi  Q2  Q3  =  n  (1  -  r/  ")  (1  -  (/  "-')  =  Qo  , 
1 

e  fra  gli  ultimi  tre  sussiste  per  ciò  l'identità 

(4)  Qi  Qa  Q3  =  1 . 

Ora  per  calcolare  Ui  facciamo  nella  1.*  delle  (I)  u  =  oj  ed  avremo  subito 

Se  nella  medesima  formola  (I)  facciamo  poi  w  =  0/  risulterà 


e  0(0  = — Il j— 2 


SVILUPPI    IN   PRODOTTI    INFINITI   PER    yj e-j,  —  63  397 


Cloe 

Ti  (ij'2                                       7;  i  oj' 

2  co     i      Ql 
^    2gi  Qo 

,2.  ,„/=2.o^2.,   -y-i     1    Q3 

TT                  2*     1— g  Q^ 

ed  osservando  che  si  ha 

yico'^         w'     /  ,      ,   irA 

ne  dedurremo 

/A^                                           TT  —  ^  ""      ^     Q' 

In  fine  per  calcolare 

— %«>2 

U,  =  e    ^     a  dio  , 

ricorriamo  alla  formola 


G  CO2  =  e^'  ^'^  a  0/.  G3  0) 


e  facendo  ^(  =  o)  nella  4.=^  delle  (I),  coir  osservare  la  (/>),  avremo: 


onde  in  fine 


TI 


,  _2co    e*    Ql 

^     2g^  '^o 

Dopo  di  ciò  le  (2),  tenendo  conto  della  identità  (4),  ci  daranno 

^  CO  ^  oj  ^  cu 

Estraendo  ancora  la   radice    quadrata,  coli' adottare   una   delle  due 
determinazioni  di  segno,  avremo: 

(5*)       V^;:^  =  y^^  Q^  Qo  ,   V^^^=  y^  .  2g^Q?  Qo  , 


398  CAPITOLO  XIV.  —  §§.  150,  151 

Di  qui  risulta  una  notevole  espressione  per 


24  _ 

V'A 


e  cioè 


(II) 


24  _  24 ^     I   ~  1      ^ 

Va  =  yjgì-21gl  =y  ^  q'^  H  (1  -g^")- 


151. 


—  ,  V^  ,  V^*'  5  V^^^'  e  per  le  funzioni  siw,  cnv,  dnv. 

La  quantità  K  di  Jacobi  è  data  (§.  133)  da 

K  =  coVci— 63, 
e  per  la  ^.^  delle  (5)  si  ha  quindi  la  formola 

forinola  che  fa  conoscere  il  periodo  4  K  delle  funzioni  ellittiche  di  Jacobi, 
appena  noto 

q  =  e-^\ 

Dalle  (5)  seguono  ancora  le  formolo 

^='^  or  ^=Q^ 

ed,  estraendo  le  radici  quarte,  abbiamo  le  altre  notevoli 


■.i' 


/IT  JQi       ,)7T    -R-  S       l+e2»  =  " 


(IV)  ^^ 

/  ■*  _       n        °o  1     „(2?i— lì-ìT 

\*  Q?  1     l^.e(2;^-l)7:^T 

I  prodotti  infiniti  dei  secondi  membri  convergono  assolutamente  ed 
in  egual  grado  in  ogni  campo  finito  del  semipiano  positivo  r,  l'asse  reale 


SVILUPPI  PER  y/Jc ,  y/h' ,  y/hjc  399 

escluso,  e  definiscono  \ik,   v  k'  come  funzioni  uniformi  in  questo  semi- 
piano (funzioni  modulari). 

È  degna  ancora  di  nota  la  forinola  che  risulta  moltiplicando  le  (IV), 
il  che  dà 

V"'  =  V^  ^^  ^  ■ 

Per  l'identità  (4)  possiamo  scrivere 
ed,  estraendo  ancora  la  radice  terza,  abbiamo 

—  1_     1  6  'll^ 


(V)  yA-^'=y2  g^^-^^=y2   e 


ff(l+e(2'^-l)^^'^) 


Tenendo  conto  delle  formole  precedenti  e  delle  fondamentali  (I),  pos- 
siamo ora  esprimere  le  funzioni  ellittiche  di  Jacobi  per  prodotti  infiniti 
ed  otteniamo  le  formole  seguenti: 


1  -2q'"  cos  [-.'^ 
sn  V  =  —^  sen  f  :^  1   II 


..  i  .      X    rr.      1  -  2^'"  cos    -=^    +  a*"» 


^    /P        /      \  00      l  +  2  2'"cosf~)  +  2'" 
(VI)    ^  cn  ?;  =  2  g^  \/  r  ^os  hr^     TI  7 — ~ 


1-22'  "~  cos  (  -^  )  -f  2' 


dn  V  =  s/h'  n ^      ^ 


l_2g2"-i  cos  (  'ì^-  )  +  2*"-' 


§.  152. 
Sviluppo  di  una  funzione  periodica  in  serie  di  Fourier. 

Si  ottengono  sviluppi  importantissimi  per  le  funzioni  ellittiche,  ap- 
plicando il  seguente  teorema  generale,  che  permette  di  sviluppare  ogni 
funzione  uniforme  periodica  in  serie  trigonometriche  (serie  di  Fourier): 


400  CAPITOLO   XIV.  —  §.  152 

Se  f{ni)  è  una  funzione  uniforme  della  variabile  complessa  u  col  pe- 
riodo 9.  e  nélV  interno  della  strìscia  del  xnano  cotnplesso  u,  compresa  fra 
due  rette  parallele  alla  direzione  del  perìodo  9.,  non  ha  nessun  punto  sin- 
golare, essa  è  sviluppabile  in  serie  di  Fourier  della  forma 

^,  ,  ,  "^^i  f2mtu\    ,   ,  flnr^uW 

(6)  /•  (w)  =  a,  4-  2  a«  cos  (  — ^  )  "i"  ^«  s^n  (  — cj— )  j  ' 

convergente  in  egnal  grado  in  ogni  spazio  interno  alla  detta  striscia. 

Questo  teorema  è  una  facile  conseguenza  del  teorema  di  Laurent 

(§.  44).  Pongasi  infatti 

2rAu 


z  —  e   ^ 


sarà 

f{u)  =  -^{z) 


funzione  monodroma  di  s,  perchè  per  ogni  cammino  chiuso  descritto  da 
z  la  u  aumenta  di  un  multiplo  di  9.  ed  fi^u)  si  riproduce.  Inoltre  men- 
tre M,  movendo  da  un  punto  Mi  del  suo  piano  complesso  descrive  una 
retta  parallela  alla  direzione  del  periodo  9,  si  ha 

^  u  =  Ui-\r)^9. , 

essendo  À  un  parametro  reale  che  varia  da  -  co   a  +  co   e  quindi 

2  7:  i  Mj 
s==  e     ^     (cos  2  ::  À+i  sen  2  r.  X) 

2~iuA 

descrive  un  cerchio  col  centro  in  ^  =  0  e  di  raggio  =  e  "  | .  Alla  stri- 
scia considerata  corrisponde  quindi  nel  piano  b  un  anello  circolare  col 
centro  in  ^^  =  0  ;  e  poiché  'f  {z)  entro  quest'  anello  è  finita,  continua  e 
monodroma  varrà  lo  sviluppo  di  Laurent 

00  00 

0  1 

onde  avremo 

fin)  =  Ao  -f  II  (A.+B.)  cos  (^-^)  +  i  (A.-B.)  sen  (^*)  j , 
che  ponendo 

(Zq  =^  Ao    ;     ayi  ^^^  A}i  +  Dn    5      Ofi  ^^=  *  (A'rt       iJn) 


SVILUPPI   IN   SERIE  DI   FOURIER  401 

assumerà  precisamente  la  forma  (6)  del  teorema  e  la  serie  del  secondo 
membro  sarà  convergente  in  egual  grado  in  ogni  spazio  interno  alla 
striscia. 

Possiamo  di  più  esprimere  per  integrali  definiti  i  valori  dei  coefficienti 
a„,  bn  della  serie  (6)  di  Fourier.  E  invero  le  formole  (8)  pag.  128  ci 
danno 

gli  integrali  essendo  estesi  ad  un  cerchio  a  concentrico  ed  intermedio 
ai  due  che  limitano  l'anello.  Ponendo  per  z  il  suo  valore,  gli  integrali 
risulteranno  estesi  nel  piano  u  ad  un  tratto  rettilineo  l  parallelo  ed  in- 
terno alla  striscia  considerata  e  di  lunghezza  =  |^|.  Ne  risultano  quindi 
per  i  valori  dei  coefficienti  della  serie  (6)  le  espressioni: 


(7) 


«0  =  Q-  /  f{u)  du  ,   «n  =  o   /  /"{«)  cos  f       '     )  du, 
^n^-^Jf{u)sm[-^)du. 


§.  153. 
Sviluppo  in  serie  trigonometrica  della  33  w. 

Sviluppiamo  in  serie  trigonometriche  le  funzioni  a,  cominciando  dalla 
funzione  03M.  Per  ciò  sostituiamo  alla  03  m  la  funzione 


che  ha  il  periodo  fì  =  2(o  e  aumentando  u  di  2wco'  si  riproduce,  a  causa 
delle  (a*)  pag.  392,  moltiplicata  pel  fattore 


(  -  1)«  q-""    e     "^         \q  =  e 
si  ha  cioè 


ìlTZtU 

2 


(8)  /'(M+2w(tì')  =  (-1)"  q-^'  e     "^      .  f{u) . 


26 


402 


CAPITOLO   XIV.  —  S.  153 


Ciò  premesso,  osserviamo  die,  essendo  f{u)  una  funzione  pari,  tutti 
i  coefficienti  hn  nella  (6)  saranno  nulli  e  potremo  calcolare  i  coefficienti 
«n  mediante  le  considerazioni  seguenti.  Tracciamo  nel  piano  u  il  paral- 


lelogrammo 


FiG.  12. 


-tó+2wto' 


a)+2wtó' 


—  W  +0) 

ABCD^(-(o,(o,to+2wtó',  -oi  +  2wa)') 
ed  osserviamo  che,  essendo  f{u)  una  trascendente  intera,  sarà 

Jf    f{u)du  =  0. 
ABCD 

Accoppiando  gli  integrali  estesi  ai  lati  paralleli,  quelli  estesi  a  BC, 
DA  si  distruggono,  perchè  f(u-\-2o:))  =  f{n),  onde  resta 


Jr.j 


ovvero 


/    f{u)du^r\   fi^^)  du  =  0, 


Xf{u)  du  =  I   f{u+2n(ù)  du  , 


SERIE  TRIGONOMETRICA  PER    LA   O3M  403 

il  che  ci  dà  per  la  (8) 

—  riTÌu 


/  f{u)du  =  {-  1)"  r*''  /  f{u)e     "^      du  = 
•/ab  Ab 


'AB 
ovvero  per  le  (7) 


=  (-1)'^  r"' r  fin)  cos  (~^^  du , 


a„  =  2ao(-l)"(Z"'. 


Avremo  dunque 


a)  /•(w)  =  e2c«  03t,  =  a<,  1  +  2  2  (-ir  r' cos ''''''* 

e  determineremo  anche  «o  osservando  che  si  ha 

/'(0)  =  1. 
Si  ha  così  per  lo  sviluppo  cercato: 


^      i+sf  (-ir^'^'cosf*^^) 

Iw     ^ 1  V     W     / 


Yl  ■?/.* 


e2"03W_ 

1  +  22  (-1^2"' 

§.  154. 
Sviluppo  delle  altre  a  e  serie  per  calcolare  tj. 

In  modo  simile  si  potrebbe  procedere  per  le  altre  o  ;  ma  è  più  sem- 
phce  dedurre  i  loro  sviluppi  da  quello  ora  ottenuto  per  la  03 .  Si  ha  in- 
fatti 

0M  =  Ce^'^03(M-w') , 


e  perciò 


404  CAPITOLO  XIV.  —  §.  154 

avendo  f{u)  il  valore  a).  Indicando  con  A  un  fattore  costante,  sarà  dunque: 

— r]M* 

n  il  =  POS  . 

V2to 

n~i  (u — o/)       tìu 


Ae^ 


OM  =  cos  !  :^  )  —  ^  sen    ~    +  y  (  -  1)"  2"'  z oT7  4- 

\2  co/        T^  6 


OJ 


+  2(-i)"?"'e 


2(u  _ 


=  cos  (  ^r—    — *sen    ^r— 

.2oW  V2(0/        T 


00 


(2  71-1)  ^r— 


00  -(2n+l)  ^ 


Ponendo  da  sé  il  termine  della  prima  somma  corrispondente  ad  w  =  1 , 
e  cangiando  in  questa  n  in  w  -f  1 ,  otterremo 


YjM^ 


Ae^*"  ou=-2isen(^)  -  ^(-l)" 2" ''"*■'* 


2tó 


f"+'>^.r*'"+'*'^ 


e  quindi 


oze 


>         /z  w 


=  B    sen  g)  +  i  (- 1)«  Ì-+"  sen  (''  "+^>  "" 
=  B  2  (-1)» «•""+» sen  f^^""^^' "" 

0  \ 


2w 


Per  determinare  la  costante  B,  si  divida  dall'una  e  dall'altra  parte 
per  w  e  si  passi  al  limite  per  m  =  0;  ne  verrà 


00 


2tó   ^ 


1  =  B  ;^  2  (-  1)"  (2>^+l)  (Z"'""^", 


onde 


— -q  u^ 


2co 


e  2u.  o«.  =  ^"^   -^ 

71 


2  (-ir2"'*^"*'"sen(2«+l)^ 


20) 


2(-l)"(2w+l)g'*' 


(»»+i) 


SERIE   TRIGONOMETRICHE   PER  LE   0 

Come  al  §.  150,  basterà  servirsi  ora  delle  relazioni 


405 


o^^t  =  Ce    ^^0  {u+(à) 


B,  C  costanti 


per  dedurre  gli  sviluppi  di  oi,  02  e  potremo  riassumere  le  formolo  nel 
quadro  : 


— yjM^ 


2w 


0  u 


Y \      2(0      y 

00 

2  (-l)"(2w+l)  2«'"+'> 


7]^^ 


(VE) 


00 


2?" 


G2U  = 


00 
o  -.«2 


03^  = 


l+22r 
1 

00  /, 

1  +  2  2  (-i)"g'"'cosf 


nizu 


1+2  2  (-1)"2' 


Dallo  sviluppo  della  ou  possiamo  dedurre  una  formola  che  serve  al 
calcolo  del  semiperiodo  di  2.*  specie  -q,  dati  che  siano  w,  0/.  Sviluppiamo 
per  ciò  l'uno  e  l'altro  membro  della  prima  delle  (VII)  in  serie  di  po- 
tenze di  w,  secondo  le  formolo 


-TjW 


au  =  u  —  ^u  + 


i-F^  + 

2w     ^ 


(2w+l);rM (2w+l);rM        1    /(2w+1)m\^ 

^^"^        2^0         "-         2^0  "6    V      2co      j  +  •  •  ' 


e  paragoniamo  i  coefficienti  di  mI  Posto 

1 


e  =  2-^ 


2  (-l)"(2»*+l)2"''*+" 


406  CAPITOLO  XIV.  —  §§.  154,  155 

avremo 

e  quindi 

00 
2      "S(-1)''(2W+1)'3"'"+"  2     ,  o3      2        .3      6         .3       12 

7c*    r"  ^    1 -3^3H5^3^-7^g'^+, 


{\'II*)vi»>  =  f„  I 


'2|(-l)«(2«+l)g.>.«        12  1-3  *'+5  ««-7  «'«+...• 


che  è  la  forinola  cercata  e  fa  conoscere  y]  dati  co,  o/.  Dalla  relazione 


Yjw' — yfo)  = 


7r^ 


si  potrà  poi  calcolare  rj'. 


§.  155. 
Le  serie  &. 

Consideriamo  quelle  particolari  funzioni  o  che  rispondono  ai  periodi 
2(0  =  1   ,    2tó'^T 

e  pei  secondi  membri  delle  formolo  (VII),  moltiplicando  nelle  prime  due 
formolo  numeratore  e  denominatore  per  2qi,  avremo  le  espressioni 

2  2)  (-1)"  q      ^   sen  [(2  w+1) tim]  2 ^  r     ^  cos  [(2  w+1)  ttm] 

N  0  T\  0 

^/  00  /-„  -    1\2  >         '^)  50      A.  ■    1\2 

27c2  (-l)"(2w+l)rz'^     ^^  22  r     ^ 

0  0 

00  00 

1  +  22  2"^  cos  {2nr.u)  1+2  ^(-l)"  3"'  cos  {2nriu) 

^)  00  '         ^/  00  * 

1  +  2  2  2"'  1+2  2  (-1)"  2"' 

1  1  w 

Le  serie  al  numeratore  di  queste  espressioni  possono  anche  scriversi 
rispettivamente  : 


LE   FUNZIONI   6-  407 

1\2 


+00  ^^■:  (ri-!--)  4-2(71  +  ^]  iTÌM 

—  00 
-00 


+ °?     TT  i  X  w2  4-  2  n  T  i  ?< 

-00 


-00 


esse  rientrano  nel  tipo  generale  seguente 


(y)        (-*n  (-ly^e  ^   2;^     V  -T-2/ 


dove  ^,  ^  sono  numeri  interi,  che  nei  rispettivi  casi  a*),  b*)  e*)  d*)  hanno 
i  valori 

a*(5r,/^)  =  (l,l),  6*  (^,70  =  (1,0),  e*  (g,h)  =  {0,0)  ,  d*  (^,h)  =  (0,1). 

Le  serie  (y)  prendono,  secondo  Jacobi,  il  nome  di  serie  d-.  Ponendo 
in  evidenza  l'argomento  ti,  scriveremo 

(Vili)      ^,j,k{ti)  =  (-iy"   ^(-l)""e        ^         2/  V         2/ 

-00 

Si  vede  subito  che  sussistono  le  formolo 

(9)  ^g+2,h{u)  =  d'g,k{u)  ,    ^g,h+2{n)={-iy  d-g,h{u), 

onde  risulta  che  le  d-gh  (u)  coincidono,  salvo  il  segno,  colle  quattro  fon- 
damentali 

^u(«0  ,    '9-io(«<)  ,    K{u)  ,    ^01  (u). 

La  notazione  ora  introdotta  dei  doppi  indici  è  utile  in  molte  ricerche, 
ma  più  usata  è  la  seguente  con  un  solo  indice: 


408 


CAPITOLO   XIV.  —  §§.  155,  156 

1 


a-i  (w)  =  &11  (m)  =  2  2  (  -  1)"  r  sen  [(2  n+l)  nu] 


co 

2 

0 


ax) 


00    ^(2n+l)2 
^2  (m)  =  ^,,  (m)  =  2  2  r  cos  [(2  w  + 1  )  ::  m] 


^3  (w)  =  tì-oo  (w)  =  1  +  2   2  ^"'  COS  (2  WTTW) 

co 
1  tì-0  (w)  =  ^01  (w)  =  1  +  2  2  (  -  1)"  2"'  cos  {2n%u) . 


Dopo  di  ciò,  denotando  con  x^'  le  derivate  delle  d-  rapporto  ad  u, 
possiamo  secondo  le  (VII)  esprimere  le  o  per  le  ^  colle  formole: 


(X) 


— r.  ?/,* 


a2«< 


^'i  (0) 

^3(0) 


,    e         03  w  = 


^2  (0)  / 
_  ^0  (v)  \ 


V  = 


2(0 


^o(O)  / 


Come  si  vede,  ciascuna  o  si  esprime  per  la  ^  coli' indice  superiore 
di  un'unità,  l'indice  4  essendo  computato  equivalente  a  0. 

Si  osserverà  che:  Delle  quattro  funzioni  ^  la  ■9'j(m)  è  dispari,  le  altre 
tre  è  sono  pari. 

§.  156. 
Relazioni  fra  le  &. 


Se  nella  formola  (Vili)  cangiamo  u  in  u  -\ -^  ,   essendo  /  hf 

due  numeri  interi  qualunque,  troviamo: 


}i^g^ 


=(_i),.+i(_i).,./'<"+iy+2="'(«+i)+^'(*'+'''^K"+f) 


RELAZIONI   FRA   LE  ^  409 

ovvero 


v(«+^)  = 


-00  ' 

da  cui  risulta  subito  la  forinola  generale 

(XI)  ^,.  (^1*  +  ^ j  =  (-1)^^' .  i^''^^^"')  e       4  %,+,- ,  ,H-v  {u) . 

Questa  ci  permette  di  esprimere  le  quattro  ^  per  una  sola  di  esse, 
p.  e.  per  la 

-00 

Dalla  (XI)  deduciamo  in  particolare  l'effetto  che  si  produce  in  0^  h  (u) 
aggiungendo  all'argomento  un  numero  intero  ovvero  un  multiplo   di  r; 


W  Ove  si  ponga 
la  serie  ^^{ii)  diventa 

+  00 

"V  gaM'  +  2bn 

—  co 

serie  sempre  convergente  per  qualunque  valore  di  6  e  pei  valori  di  a  colla  parte 
reale  negativa.  Inversamente  si  può  partire  da  una  tale  serie  per  costruire  le  & 
e  tutta  la  teoria  delle  funzioni  ellittiche.  Con  legge  analoga  di  formazione  si 
costruiscono  le  serie  con  un  numero  qualunque  p  di  indici  n^  n^.. , Up 

I...V 
W£  =  —  00         ni= 00         «;j=  —  00 

le  quali  convergono  quando,  indicando  con  a',*  la  parte  reale  di  aa  la  forma 
quadratica 

1..;, 
i,  k 

è  definita  negativa.  Per  mezzo  di  queste  serie  si  costruiscono  le  funzioni  &  a 
più  variabili  u^  u^  ...u,,,  mediante  le  quali  si  risolve  il  problema  d'inversione 
nella  teoria  degli  integrali  Abeliani. 


410  CAPITOLO   XIV.  —  §,  156 

si  ha  infatti 

(XII)  ] 

(  ^„,  {u+  i)  =  {-ì)"  e-""' (2 u-\-z)  ^^^  (^)  ^ 

Dalla  semplice  ispezione  della  serie  (Vili),  considerando  d'r,h{u)  come 
funzione  delle  due  variabili  u,  z  deduciamo  subito  l' importante  risultato  : 
Le  funzioni  d-g  h  {u,  t)  soddisfano  V  equazione  a  derivate  parziali  del  2.'* 
ordine: 

(XIII)  i|  =  *"aT-       • 

Dalle  formolo  (X)  facilmente  deduciamo  i  valori  delle  tre  quantità 

— T^I  t"i  -^2«J2  —'^tz^h 

Ui  =  e  <3  o)i  ,    U2  =  e  5  «2  ,    U3  =  e     ^     a  0)3 , 

già  considerati  al  §.  150,  espressi  per  i  valori  che  assumono 

per  u^O,  valori  che,  per  brevità,  si  indicano  con 

omettendo  T argomento.  A  tale  scopo  osserviamo  che  dalla  (XI)  e  dalle 
(9)  si  trae 

T.iuj'  ~ÌOì' 


e  facendo  nella  prima  delle  (X)  successivamente 

u  =  tó  ,    co'  ,    t0+(0' 

indi 

—  1      1      1±^ 
^~  2    '    2    '     2     ' 


avremo 


U.=  2o)|^    U.  =  2coe^^,    U2  =  2io>^° 
■iti  ■"■  1  ^1 


SVILUPPI   IN   SERIE   DI  Vgi — e^  ,  Vcg — 63,  Vci — gg  411 

e  quindi  per  le  forinole  (2)  del  §.  150  (pag.  396) 


e 


t/ 4      U3  1     ■9-0  ^'1 


Ui    U2  2  (0    ^2   ^3 

e% — 63 


(10)  'v,7r^  =  _,4     Ul.=,  1  !i^ 

1  U2    U3  2  CO    ^0  *3 

I    y    ^        U»      }_   ^z^\ 

Queste  formole  possono  semplificarsi,  facendo  uso  della  identità  sco- 
perta da  Jacobi 

(XIV)  ^\  =7:^0  ^2^3, 

che  ora  dimostreremo.  Esse  diventano  così: 

(10*)   v^:=^  :=  ~  ^\ ,  v^;=:^  =  ^  ^1 ,  v^;=^  =  ^^h 

2(0  2(0  2(0 


§.  157. 

Dimostrazione  dell'identità  (XIV)  di  Jacobi  e  valori  in  serie 

di  \/^,  \/h',yi. 

Per  dimostrare  l'identità  Jacobiana  (XIV),  partiamo  dalla  formola 

(/*  =  1,  2,  3)     fi  (ii+f.Or)  =  -  g^  log  a  (U+Iùr)  = ^^j—  , 

che  per  le  (X)  può  scriversi 

,  ^  ,        li,       ,  ^Mogav+l(^0) 

colla  convenzione  9-4  (v)  =  ^o  (w)- In  questa  facciamo  u  =  0  ed  osservando 
che  la  formola  (VII*)  pag.  406,  che  dà  il  valore  di  y](o,  può  scriversi 

1  r, 

4.1(0=--^, 


412  CAPITOLO  XIV.  —  §.157 

e  d'altronde  si  ha 

3*  log  ^  (v)  _  r  (v)  _  d^ 

mentre  '9''o  =  ^'2  =  ^'3  =  0>  ne  dedurremo 

1     P'V+i       1    ^"'i| 


(11)  er  = 


(2co)2  (tì-.+i         3    d-W 


Ora  dalla  equazione  (XIII)  alle  derivate  parziali,  cui  soddisfano  le 
d',  segue 

^"r+i      ,     .  aiog^.+i 

^  4  71  *  -^ 


1  ^>+i~           a^ 

1  r,     ,    .  3  log  ^\ 

e  quindi  si  ha 

3er  = 

zi  |31og^^+i       31ogtì-'i 
(0*   (      3t                3t 

Per  ciò  l'identità 

61  +  C2  +  63  =  0 

diventa 


e  ci  dimostra  che  il  rapporto 


^0  ^2  ^3 


è  una  costante  assoluta.  Per  determinarne  il  valore  effettivo  si  osservi 
che  avendosi 

{^3=l  +  23  +  2g^+2g^^-... 
è\=27:qi\l-3q'-]-òq*+...\ 


SVILUPPI   IN   SERIE  DI  V^  >  V^''  ,  V^ 


413 


se  si  fa  crescere  t  per  valori  puramente  iraraaginarii  all'infinito,  q^  tende 

a  zero 
dunque 


a  zero  e  quindi  — ^  ha  per  limite  t:  mentre  a>o,  "9^3  tendono  a  1,  Si  ha 


'Q'O  ^2  '9'3 


=  7:, 


che  è  appunto  l'identità  (XIV). 

Così  sono  anche  dimostrate  le  formole  (10),  dalle  quali  risulta  l'altra 
identità 

(XV)  d3'-^^  +  ^2, 

pure  dovuta  a  Jacobi.  È  molto  notevole  che  fra  i  quattro  valori 

che  sono  espressioni  trascendenti  in  t,  sussistano  così  due  relazioni  al- 
gebriche (XIV)  e  (XV). 

Le  forraole  (10*)  conducono  poi  ad  espressioni  notevoli  in  serie  per 

4  4 


-«3 


avremo  invero 


^=S=^ 


24" 


(W+1) 


00 
.1  ^«2 


1+2  >;r 


(XVI) 


v^'=l 


l  +  22(-l)"5'"' 


\ 


Similmente  per  il  valore  di 


1+2  22" 


Va  =  \/2  \l{ei  -  Ci)  (^2  -  63)  (ei  -  63) 
troviamo  l' espressione 

ossia 

(XVII)  VA  =  f^f .  è  2 (- 1)" (2^+1) g*'"'"^". 


414  CAPITOLO   XIV.  —  §.  158 

§.  158. 
Sviluppi  in  prodotti  infiniti  delle  &. 

Paragonando  le  forinole  (10*),  che  ci  danno  gli  sviluppi  in  serie  di 
V  Ci  —  e^ ,  V  6t — C3  ,  V  61 — 63 , 
colle  (5)  pag.  397  che  ne  danno  gli  sviluppi  pei  prodotti  infiniti 

Qo  =  n  (1-q'-)  ,  Qi  =  n  (l+2'«)  ,  Q2  =  n  (l+g^-^  ,  Q3  =  n  (l-q'^-') , 


1  1  1 


troviamo  subito  le  forinole 

L'incertezza  del  segno  si  toglie  esaminando  il  caso  limite  q  =  0  e 
si  ha  così: 

(XVIII)  a-o  =  Q^  Qo  ,   ^2  =  22^  Qì  Qo  ,   ^3  =  Ql  Qo , 

dalle  quali  segue  anche,  per  l' identità 

Ql  Q2  Q3  =  1 

(XVIIP)         ^'i  =  7r&o'8-8^3  =  27r2^  Q^  =  2co  V^  yjà  . 

Queste  formole  ci  danno  le  seguenti  notevoli  trasformazioni  di  serie 
in  prodotti  infiniti: 

QO  CO 

i+2i;(-i)"r'=  n  {i-q'''-'y  (i  -^"o 

1  1 

co  co 

0  1 

co  co 

1+22  2"'     =  n  (1  n'"''')'  (1  -  2"0 
1  1 

co      -  co 

1  2H)"(2-i).*«=n(i-^«)3 

che  valgono  qualunque  sia  q,  purché  sia  l^l  <  1. 


SVILUPPI  DELLE   9-   IN   PRODOTTI   INFINITI 


415 


Con  ciò  è  anche  risoluto  il  problema  di  esprimere  le  serie  ^  per  pro- 
dotti infiniti.  Paragonando  infatti  le  (X)  pag.  408  colle  (I)  pag.  395  otte- 
niamo subito  intanto: 


^1  (v)  =  C  senTTv  H  (1  -  2q'*'  cos  2nv+q^'') 

1 

00 

^2  (v)  =  C,  COS  Tiv  n  (1  +  2  q"'  cos  2  ::v+q''') 
1 

00 
^3  (v)  =  Ca  n  (14-  2  2'»-'  cos  2  71  y+2'  "-*) 

^0  («,)  =  Cs  n  (1  -  2 ^'"-'  cos  2T:v+q^''-^  , 


dove  C,  Ci,C2,C3  sono  costanti  rispetto  all'argomento  v.  Per  determi- 
narle facciamo  nelle  tre  ultime  w  =  0  e  lo  stesso  facciamo  nella  prima  dopo 
divisi  i  due  membri  per  v;  troviamo  così: 


e  quindi  per  le  (XVIII),  (XVIII*) 

C  =  a  =  22?Qo  ,    C2  =  C3  =  Qo. 
Abbiamo  dunque  le  formolo  definitive: 

I  1     00 


=  2q^  sen  (jiv)  n  (1  - 2 g'"  cos  (2 7r«)+2'")  (1  - g'") 


1  °° 
^2  (v)  =  2^4  2  g"'*^+"  cos  [(2w+l)  Tzv]  = 


00 


(XIX) 


=  2 g5  cos  (;r  v)  n  (1  +  2  q' "  cos  (2  z v)  +q* «)  (1  -  q'"") 
i 

00 
^3  (Z;)  =  1  +2    2    2"'  COS  (2  WTTV)  = 
1 

00 

=  n  (1  +  22'«-'  COS  {2t:v)  l-g'»*-')  (1  -g'") 
1 

00 

èo{v)==l+2  2  ( -  1)"  e"'  cos  {2miv)  = 
i 

00 

=  n  (1  -  22^»-^  cos  (27cv)+3'''-*)  (1  -2'"). 


416  CAPITOLO  XIV.  —  §§.  158,  159 

Notiamo  in  fine  due  sviluppi  in  serie  per 

V? .  V¥ 

che  risultano  dalle  formule  (III),  (IV)  pag.  398 

confrontate  con  quelle  superiori.  Otteniamo  così  le  formolo  molto  note- 
voli di  Jacobi: 


(XX) 


V2  K  °° 

--  =^3=1  +  22  2"'=1  +  224-22'  + 2  g'+... 

-^=&„=i+22(-l)"2"'=l-2g+22'-2g^+... 

§.  159.  ' 

Trasformazioni  di  1.*^  ordine  per  le  »  {v,  -). 


Le  funzioni  d  sono  propriamente  funzioni  delle  due  variabili  v,  t  ; 
volendo  porre  in  evidenza  non  solo  il  valore  dell'argomento  v,  ma  anche 
quello  del  rapporto  dei  periodi  si  scrive: 

^1  {v,  t)  ,   -a-j  {v,  t)  ,   ^3  {v,  x)  ,   ^0  {v,  t) . 

È  importante  ricercare  come  cangiano  le  d  quando  sul  rapporto  t 
dei  periodi  si  eseguisca  una  sostituzione  del  gruppo  modulare 

Basterà  per  ciò  esaminare  l'effetto  delle  due  sostituzioni  generatrici 
del  gruppo  modulare 

x=t+l ,    t =--. 


TRASFORMAZIONI   DI    1.°  ORDINE  PER   LE   d- 


417 


Quanto  all'effetto  della  prima  la  risposta  è  immediata,  appena  si  os- 
servino le  loro  espressioni  analitiche  (XIX),  e  si  trovano  così  le  formole: 


(XXI) 


^1  {v,  T+1)  =  e^^i  (v,  r)  ,    d-,  {v,  T+l)  =  e^^,  {v,  t) 


Per  esaminare  l'effetto  dell'altra  sostituzione 


t  = 


esprimiamo  le  d-  per  le  o  per  mezzo  delle  (X)  (pag.  408)  e  ricorriamo 
alle  (XVIII),  (XVIII*),  che  ci  danno 


>Vv 


^',  =  2(0  \/—  VA; 


avremo  così  le  formole 


(12) 


ì 8  -^^' 

-  Va   6  2- 

71 


OM 


— rjM^ 


^3(^,t)=y^v^:=73e2 


OgM 


U 

2tó 


Vei — «2  e  ^"^  ogw  / 


Consideriamo  ora  le  funzioni  a  coi  nuovi  periodi 

(«)  =  («)',      to'  =   -  (1)  , 

che  indicheremo  con  ou,  a^u,  OgM,  03 m,  mentre  con 

^1  J    ^2  >    ^  5    A 


97 


418  CAPITOLO  XIV. —  §.159 

indicheremo  i  nuovi  valori  di  ei,  c^,  63,  A.  Per  le  formolo  della  tabella 
(A)  pag.  341,  avremo 

au  =  (SU  ,    01^  =  03%  ,    02^  =  02^,    03^:^01% 

Ci  =  C3    ,      62  =  62    ,      &3  =  6i  , 

e  similmente  sarà 


■ri  =  -f{  ,   ri=--fi. 


Ora  dalle  (12),  ponendo 


- u    V 


risulta 


i~^=V^v 


8  -^^^' 


*i{«^»— 7)  =\-^^   e  ^"^  .aw  = 


— r.  11% 


6-2 — 63.  e      ^^   QiU- 


Tj'm^ 


»       TU 


-VjM 
1  -      '      - 


^3(«^,— f  )  =  V  ^  Vei-e3  e  2"^  .02^  = 

=33vry^v^ 


~2 


60  e  """  OoM 


e        O3M 


—  4  — y/»^ 

—  Veg — 63  e  2""'  oiit, 


TRASFOKMAZIONI   DI    1.°  ORDINE  PER  LE   {> 


419 


dove  Bi,s2,h,  =4  indicano  convenienti  radici  ottave  dell'unità.  Il  confronto 
colle  (12),  osservando  che  si  ha 


ci  dà 


YjM^  rfu^  Y](i)'  — 7]'tO 


7r^ 


;  «,2 


TZIV 


2(0         2(tì' 


2  (0  (0  4  w  oj  t 


^, 


V 


1 


=  bJz   e   ^  ^3(?^,t) 


^o(-,  — )=s4Vt   e  -'  &,{v,r) 


Per  determinare  Si ,  s., ,  £3 ,  £4 ,  che  sono  indipendenti  da  «;  e  r,  si  faccia 
nelle  ultime  tre  formolo  v  =  0,  r  =  i  e  risulterà 


Vi 
mentre  la  prima,  divisa  per  u,  e  fatto  ancora  u  =  0,  t  =  ì  dà 

i 


£1  = 


v/i 


e  quindi  abbiamo  per  le  formolo  cercate: 


(XXII) 


^c 


^n       -,— 


i)  =  V^ 


—    e   '    -a-a  (v,  t)  . 


420  CAPITOLO  XIV,  XV.  —  §§.  159,  160 

Per  far  sparire  ogni  ambiguità  da  queste  forinole  finali  resta  solo  da 
stabilirsi  quale  determinazione  è  da  scegliersi  per  y  -  in  ciascuna  di 
esse;  dimostriamo  che  in  tutte  quattro  le  formole  (XXII)  deve  prendersi 
per  y  —  quél  segno  che  dà  un  valore  positivo  alla  sua  parte  reale. 

Ciò  ha  luogo  in  effetto  per  y  =  0,  t  =  i  e  quindi  in  tutti  i  casi  perchè  la 
parte  reale  di  ~,  quindi  anche  quella  di  Y—,  non  passa  mai  per  lo  zero. 

Osservazione.  —  Il  caso  più  importante  delle  applicazioni  è  quello  in 
cui  debbasi  calcolare  i  valori  delle  a  o  delle  ^  per  valori  puramente 
immaginarli  di  t.  Ora  il  caso  in  cui  j  r  |  <<  1  si  riconduce,  mediante  le 

(XXII),  al  caso  ji|>>l,  ove  q  =  e    '  =  e      ""^   è  reale,   positiva  e  mi- 
nore di 

e-"  =  0,  0432  1  ... 

Le  serie  %■,  per  valori  reali  dell'  argomento  v,  hanno  allora  una  con- 
vergenza estremamente  rapida,  sicché  basta  il  calcolo  di  pochi  termini 
della  serie  per  ottenere  con  grande  approssimazione  il  corrispondente  va- 
lore delle  ^  (^). 

Capitolo  XV. 

Teoria  della  trasformazione  delle  funzioni  ellittiche.  —  Trasformazioni  di  grado 
primo  della  pu  e  della  aw.  —  Trasformazione  di  Landen. 

§.  160. 

Problema  della  trasformazione  delle  funzioni  ellittiche. 
Riduzione  al  caso  delle  trasformazioni  razionali. 

Nelle  teorie  relative  alle  funzioni  ellittiche,  che  abbiamo  svolto  fin 
qui,  i  periodi  2  w,  2  o/  si  riguardavano  come  costanti  e  si  ricercavano  le 
relazioni  fra  funzioni  ellittiche  di  diversi  argomenti  coi  medesimi  periodi. 
Ma  in  realtà  le  funzioni  ellittiche,  e  in  particolare  la  fondamentale 

p{u\iù,  co') , 


(1)  Veggasi  per  più  ampie  notizie  il  Gap.   Vili   del    Tratte   des   foncUons 
elliptiques  di  Halphen  T.  I. 


PROBLEMA   DELLA    TRASFORMAZIONE  421 

sono  funzioni  delle  tre  variabili  ii,  to,  to'  e  possiamo  egualmente  ricercare 
le  relazioni  fra  funzioni  ellittiche  con  diversi  periodi.  Appartiene  a  questo 
genere  di  ricerche  la  teoria  della  trasformazione  delle  funzioni  ellittiche, 
di  cui  ora  ci  andiamo  ad  occupare.  Il  problema  fondamentale  della  teoria, 
limitandoci  alla  funzione  elementare  pu,  si  enuncia  nel  modo  seguente: 
Per  quali  funzioni  p,  costruite  con  diversi  periodi 

pu  =  p  (il  I  (tì,  0)')  ,    pu  =  fi  (il  I S2,  Sì') , 

accade  che  sussista  fra  pu,  pu  una  relazione  algebrica 

F  {pu,  pu)  =0? 

Possiamo  dare  a  questo  problema  una  forma  algebrica  osservando, 
che,  posto 

s  =  pu  ,   S  =  pu,    • 

e  indicando  con  gz ,  gz  gli  invarianti  della  pu,  con  g^ ,  g^  quelli  della  pu, 
si  avrà 

(1)  du=  '^'  ^^ 


Ì^s'-g,s-g,        V4S3_«,S- 


Oi^-gz 

la  questione  proposta  equivale  quindi  alla  ricerca  delle  relazioni  alge- 
briche 

(2)  F(5,S)  =  0 

che  trasformano  l'uno  nell'altro  i  differenziali  ellittici 

ds  d^ 


^^4.^-gzS-g,     y4S3_^^s- 


9z 


ovvero  alla  ricerca  delle  condizioni  perchè  l'equazione  differenziale  (1) 
ammetta  un' integi'ale  (2)  algebrico. 

Mentre  la  trattazione  algebrica  di  questo  problema  offrirebbe  grandi 
difficoltà,  esso  può  risolversi  facilmente  per  via  trascendente.  Per  ciò 
osserviamo  che  se  nella  supposta  relazione  algebrica 

(2*)  Y{pu,pu)  =  Q, 


422  CAPITOLO  XV. —  §.  160 

che  intendiamo  già  ridotta  a  forma  razionale  ed  intera,  accresciamo  l'ar- 
gomento u  di  2/0),  essendo  r  un  intero  qualmique,  la  pu  non  muta  e 
sarà  quindi  ancora 

F  {^u,  p  {u+2ru>))  =  0  , 

cioè  tutte  le  quantità 

Xr  =  fi  {u+2roì) 

saranno  radici  della  equazione 

F(pu,x)  =  0, 

e  però  dovrà  necessariamente  accadere  che,  per  valori  distinti  di  r,  r,  si 
abbiano  eguaglianze  della  forma 

p  (w+2rto)  =  p  (m+2/o)). 

La  differenza 

2  {r-r^  oì  =  21c(à 

sarà  perciò  un  periodo  della  pu  e  si  avrà  quindi 

con  a,  h,  A-,  numeri  interi,  e  similmente 

1c'oi'  =  c9.-}-(l^', 
essendo  ancora  e,  d,  Jc  interi.  Potremo  quindi  scrivere  le  relazioni 

r  co  =  «1  Q  -f  &i  Q' 


(3)  '        '  O^   7     ' 

r  co  =  Ci  ii  -j-  «1  w 

dove  i  numeri  interi  «i ,  &i ,  Ci ,  f?i ,  r  si  potranno  supporre  senza  divisore 

comune  e  sarà 

ttidi  —  &i  Ci  4=  0 . 

Inversamente,  se  fra  i  periodi  2w,  2o/  della  pu  e  quelli  2fì,  2Q' 
della  pu  sussistono  relazioni  della  forma  (3),  le  due  funzioni  ellittiche 
pu,  pu,  avendo  a  comune  la  coppia  di  periodi 

2  r (0  ,    2ro/  , 

saranno  certamente  legate  da  una  relazione  algebrica  (§.  107).  Dunque: 


TRASFORMAZIONI   IRRAZIONALI  423 

La  condizione  necessaria  e  sufficiente  affinchè  fra  p {u \  w,  to') ,  p{u\Q,  Qf) 
sussista  una  relazione  algebrica  è  che  fra  i  loro  periodi  abbiano  luogo  le 
relazioni  (3)  a  coefficienti  interi. 

Ma  possiamo  subito  semplificare  il  nostro  problema  colla  considera- 
zione seguente.  Se  introduciamo  la  terza  funzione  ellittica 

pyti  =  p  {u\r(ù,  ria')  , 

tanto  pu  che  pu,  ammettendo  i  periodi  di  piU  ed  essendo  pari,  saranno 
funzioni  razionali  di  pi  u.  La  trasformazione  irrazionale  che  da  pu  con- 
duce a  pu  si  può  dunque  comporre  con  due  trasformazioni  razionali, 
mediante  le  quali  tanto  pu  che  pu  si  esprimono  razionalmente  per  l'au- 
siliaria piU  (^). 

Così  il  problema  della  trasformazione  è  ridotto  all'  altro  più  sem- 
plice : 

Quali  funzioni  ^  (w  |  fì,  12'  )  si  esprimono  razionalmente  per  ^  (m  |  w,  co')  ? 

§.  161. 
Trasformazioni  razionali  e  loro  grado. 

Ridotto  così  il  problema  alla  ricerca  delle  trasformazioni  razionali, 
supponiamo  dunque  che  si  abbia 

(A)  ^  (w  I  fì,  fì')  =  F  (p  (m  I  tó,  0)')) , 

essendo  F  il  simbolo  di  una  funzione  razionale.  È  chiaro  che  i  periodi 
2(t),  2w'  della  pu  dovranno  pur  essere  periodi  della 

pu  =  p{u\^,  fì') 

co  =  a  fì  -f  6  fì' 
tó'=cQ  +  <?S2', 


e  si  avrà  per  ciò 
(I) 


(*)  Ciò  dimostra  che  l'equazione  algebrica  (2)  è  in  ogni  caso  di  genere  zero. 


424  CAPITOLO  XV.  —  §.161 

con  a,  b,  e,  d  numeri  interi.  E  poiché  supponiamo  inoltre  sempre 

il  determinante 

A  =  ad—bc 

sarà  un  numero  intero  positivo.  Inversamente,  se  hanno  luogo  relazioni 
della  forma  (I),  la  pu  ammetterà  i  periodi  di  pu,  ed  essendo  pari,  sarà 
una  funzione  razionale  di  pu. 

Vogliamo  ora  stabilire  il  significato  del  determinante  A  =  ar?  —  bc. 
Supponiamo  che  la  funzione  razionale  F  (s)  (s  =  pu)  sia  il  quoziente  di 
due  polinomii  razionali  interi  U(s),  V(s)  primi  fra  loro 

^  ^^^      V  (s)  ' 

si  dirà  grado  della  trasformazione  il  più  alto  dei  due  gradi  dei  polinomii 
U,V.  Ora  il  significato  di  A  è  dato  dal  teorema: 

Il  determinante  A  =  ad — bc  dà  il  grado  della  trasformatone. 

Per  dimostrarlo  osserviamo  che,  posto 

S  —  pu, 

si  ha 

SV(s)  — U(s)  =  0 

e,  fissato  S  ad  arbitrio,  questa  equazione  irriducibile  in  s  avrà  un  nu- 
mero di  radici  eguale  al  grado  della  trasformazione.  Questo  grado  egua- 
glia dunque  il  numero  dei  valori  distinti  di  pu  per  un  medesimo  valore 

di  pu. 

Ora  se  risolviamo  le  (I)  rapporto  ad  fì,  Q',  abbiamo 

f  A  fì  =  ^  co  —  bo) 
{  Afì'=  — cw-f-aco' 

e  poiché  i  valori  di  u  che  danno  lo  stesso  valore  di  pu  sono  tutti  della 
forma 

+  ^<  +  2mfì  +  2n^' , 

percorrendo  m,  n  tutti  gli  interi,  converrà  esaminare  quanti  dei  corri- 


GRADO   DELLA   TRASFORMAZIONE   RAZIONALE  425 

spendenti  valori  di  pu: 

p  (±w+2wfì-f  2n^)  =  pi  ±u-\-2 -^ to  +  2 -r w  J  , 

ovvero  di  (^)  < 

(B)  p  [u-\-2 T (tì  +  2  — T w 


saranno  distinti. 
Ora,  se  poniamo 

(     mei — tic  =  r 
\—mo  ■-\~  na  =  s, 

ed  osserviamo  che  una  nuova  coppia  di  valori  (ri ,  sj  per  r,  s  darà  nella 
(B)  il  medesimo  valore  allora  e  allora  soltanto  che  sia 

{n ,  Si)  ^  (r,  s)    (mod  A) , 

vediamo  che  il  numero  richiesto  sarà  il  numero  delle  coppie  (r,  s)  incon- 
grue (mod  A),  definite  dalle  (4).  Sia  s  il  massimo  comun  divisore  di  e,  d 
e  poniamo 

c  =  eci  ,    d  =  zdi  ,  r  =  BVi, 

onde 

(5)  mdi — nci=ri. 

Poiché  Ci,  di  sono  primi  fra  loro,  potrà  ri  avere  qualsiasi  valore  e 
quindi 

r  ==  sri 

assumerà  soltanto  -  valori  incongrui  (mod  A).  Per  ognuno  di  questi  va- 
lori le  coppie  {m,  n)  che  soddisfano  la  (5)  sono  legate  ad  una  fissa  mf,  n 
dalle  formole 

m  =  m'  -\-tCi  ) 

,   ,  T  \  i  intero  qualunque 

w  —  w  ~\~  t  eli  ) 


(*'  È  inutile  considerare  il  doppio  segno  di  u,  come  si  vede  cangiando  m,  n 
in  —  m,  —  n. 


426  CAPITOLO  XV.  —  §§.  161,  162 

e  i  corrispondenti  valori  di  s  sono  dati  da 

s  =  -m'b  -^-  n  a  4- 1  {-bci-\-a di) 

A 
=  —m  b  ■■{-  n  a  4- t  ~- 

e  1 

e  percorrono  solo  e  valori  distinti  (mod  A).  Il  numero  cercato  è  adunque 

—  .  e  =  A     e.  d.  d. 

e 

§.  162. 
Equivalenza  delle  trasformazioni. 

La  trasformazione  razionale  (A)  è  perfettamente  determinata,  noti  che 
siano  i  quattro  numeri  a,  b,  e,  d  nelle  (I);  indicheremo  per  ciò  la  tra- 
sformazione stessa  col  simbolo 

a ,  b 
e  ,  d 

e  la  prima  questione  che  dovremo  risolvere  sarà  di  vedere  quando  due 
diversi  simboli 


a  ,  b\      /a',  b'\ 
c,dj  '  ^c,  d'J 


rappresenteranno  la  medesima  trasformazione,  conducendo  dalla  mede- 
sima funzione  p  {u  j  w,  w')  ad  eguali  funzioni  trasformate 

(a)  p{u\9.,^')  =  p{u\%,^\). 

Le  formole  (I)  per  la  trasformazione 

/a  ,  b' 
\c',d' 

saranno 

co  =  a'  fìi  +  b'  STi 


l0  =  c9.:-{-d'^\ 


EQUIVALENZA   DELLE   TRASFORMAZIONI  427 

Ora  le  condizioni  necessarie  e  sufficienti  per  l'eguaglianza  (a)  sono 
contenute  nelle  relazioni  (§.  104) 

con  a,  p,  S,  Y  interi  e  a  5  —  ^7=1.  Sostituendo  nelle  (I),  e  paragonando 
colle  (6),  troviamo 

(  e' =  e  a -|- <^Y  ,    d'=c^-\-d^. 

La  trasformazione  [  /' j/  )  >  che  conduce  da  ^{uìoi,  0/)  a  p{u\9.i,  Q,\), 
è  quindi  il  risultato  delle  due  successive 

a,b\      /a,  (3^ 
e,  d)  '   Vt,  5y  ' 

la  prima  delle  quali  fa  passare  da  $>  {u  \  co,  0/)  a  ^  (t«  |  fì,  fì')  e  la  seconda 
da  (p{u\9.,9!)  a  ^(««l^i,  fì'j;  ma  per  questa  ultima,  che  è  di  1."  grado, 
la  corrispondente  pu  non  cangia  (^'. 

Scriviamo  simbolicamente  la  trasformazione  composta  così  : 

^^  \c\d')        \c,d)\^,z)        ^ca+^Y,c(3+rtJ3y  • 

Due  tali  trasformazioni  f  /  ^  )  ,  (    '  ,  ) ,  legate  da  una  relazione  (7), 
essendo 

una  trasformazione  qualunque  di  1."  grado,  si  diranno  fra  loro  equiva- 
lenti, come  quelle  che  conducono  alla  medesima  f»w  trasformata.  Il  con- 


(*'  Questa  proprietà  della  ^u  di  Weierstrass  di  restare  immutata  per  tutte 
le  trasformazioni  di  l.*^  grado  è  quella  appunto  che  qui,  nella  teoria  della  tra- 
sformazione, rende  tanto  più  semplice  la  ricerca  in  confronto  dell'  antica  teoria 
per  le  funzioni  di  Jacobi 

sn  V,  cn  V,  dn  v. 


428  CAPITOLO  XV.  —  §§.  162,  163 

cetto  di  equivalenza  è  evidentemente  invertibile,  come  si  vede  anche 
dalla  formola 

a,  b\  ^fa,b'\    /  S,-p 
e,  dj        \c\d')   V-Y,    a 

e  poiché  inoltre  due  trasformazioni  equivalenti  ad  una  terza  sono  anche 
equivalenti  fra  loro,  potremo  ripartire  tutte  le  trasformazioni 

a,  b 
e,  d, 

di  un  dato  grado  n  in  classi,  ponendo  nella  medesima  classe  tutte  le 
infinite  trasformazioni  equivalenti  fra  loro.  Così  due  trasformazioni  qua- 
lunque saranno  equivalenti  o  no,  secondo  che  appartengono  o  non  ap- 
partengono alla  medesima  classe. 

§.  163. 
Riduzione  alla  forma  normale. 

Stabilite  queste  nozioni  fondamentali,  dimostriamo  subito  il  teorema  : 
Per  ogni  valore  del  grado  n  il  numero  delle  classi,  cioè  il  numero  delle 
trasformazioni  distinte,  è  sempre  finito. 

Per  ciò  dimostreremo  che  in  ogni  classe  vi  sono  trasformazioni  del  tipo 

a',  0 
c\d; 

col  secondo   coefficiente  V  =  0.   Sia  infatti  (    '  ,  )  una  trasformazione 

\c,dj 

qualunque  della  classe  e  sia  b:^  0.  Se  «  =  0  basta  osservare  che  si  ta 


(0,b\   f  0,  l\^f-b,0\ 
\c,  dJ  \-l,Oj       \-d,  e) 


per  conseguire  lo  scopo  proposto. 

Siano  ora  adunque 

a^O ,    b^O; 

dimostriamo    che    si    possono   assegnare    quattro    interi   a,  p,  v,  ò,   con 
aÒ-^'l  =  l,  tali  che  sia 

f a,  b\   fa.,  J3\        fa',  0'^ 


fa,  b^^   fa.,  ?\_  fa',0\ 


RIDUZIONE  DELLE   TRASFORMAZIONI  429 

cioè  con 

(8)  a^-\-bd  =  0. 

Indichiamo  con  a  il  massimo  comun  divisore  di  a,b,  che  dividerà 

ad — hc  =  n. 

Dovendo  essere  per  la  (8) 

a_  3  ' 

G 

ed  essendo  ambedue  le  frazioni  ridotte  ai  minimi  termini,  sarà 

0  O 

e  poiché  un  cangiamento  simultaneo  di  segno  in  a,  j3,  y,  S  non  altera  evi- 

dentemente  la  trasformazione  composta  [  /',/),  potremo  assumere  sen- 
z'  altro 

fi         ^        ;;_  ^ 

onde  risulterà 

a  =aa-{'b'(  =  G  {c/d  -^^)  =  a 

0  0 

Ora  da 

0  a 

equazione  solubile  in  numeri  interi  a,  y  perchè  -  ,  -  sono   primi  fra 

loro,  si  vede  che  indicando  con  a,  y'  una  particolare  coppia  di  soluzioni, 
ogni  altra  sarà  data  dalle  formolo 

& 
a  =  a  —  p  — 

a 

con  p  intero  qualunque 

T  =T  +P  — 


430  CAPITOLO  XV.  —  §§.  163,  164 

e  sarà  quindi 

e'  =  cri  -\-  d'['  +  p  —  . 

a 

Esistono  adunque  nella  classe  di  f    '    j  infinite   trasformazioni  col 
2.°  coefficiente  zero;  esse  hanno  tutte  la  forma 

(II) 

dove  il  3.°  coefficiente 

n 


e  =  ca  +  fZY'+f. 


a 


fi 
è  determinato  soltanto  rispetto  al  modulo  ~.  Due  trasformazioni  della 

forma  normale  (II)  appartengono  dunque  a  classe  diversa  se  il  divisore 
0  è  diverso  nelle  due  trasformazioni  ovvero  se,  essendo  lo  stesso  a,  sono 

diversi  i  valori  di  i    mod  - 

v     ^ 

n 
Ad  ogni  divisore  o  di  n  corrispondono  quindi  -  classi  distinte,  onde 

0 

vediamo  che  il  numero  totale  dèlie  classi  è  dato  dalla  smnma  dei  divi- 
sori di  n. 


§.  164. 

Trasformazioni  imprimitive  e  primitive.  Trasformazioni 
di  grado  composto. 

Se  con  una  trasformazione  [    '  ^  )  di  grado  n  si  passa  dalla  p  {u  '  w,  w') 

/  ,]  di  grado  m, 
dalla  p{u\Q,^')  alla  p{u\9.,Q%  si  ha  infine 

espressa  razionalmente  per  ^  {u  \  to,  to')  colla  trasformazione  composta  di 


TRASFORMAZIONI   PRIMITIVE  431 

grado  nm 

/«,  h\    fa,  b'\  /aa-\-bc,  ah'-\-bd'\ 

\c,  d)  \c',  d'J  ~  \ca+dc,  ch'-\-dd')  ' 

Ora  osserviamo  che  una  trasformazione  di  grado  n^  della  forma 

/n,  0\ 
VO  ,  nj 

si  riduce  propriamente  ad  una  moltiplicazione  dell'argomento  giacché, 
per  la  formola  di  omogeneità  della  pu 

f       I     ^  ^\  2/1  '\ 

\      n       n  J  1    '     / 

si  esprime  razionalmente  per  pu  colle  formolo  di  moltiplicazione  del- 

,c,  d, 


V  argomento.  Ne  risulta  che  se  in  una   trasformazione  (    '  7  I  i  quattro 


numeri  a,  b,  e,  d  hanno  im  divisore  comune  r,  avendosi 


a 

b 

a, 
e  , 

vo, 

rJ 

V  ' 

r 
d 
r 

la  trasformazione  risulta  dal  comporre  una  moltiplicazione  per  r  del- 
l'argomento con  una  trasformazione.  Una  trasformazione  f    '  ,j  in  cui 

i  numeri  a,  b,  e,  d  hanno  un  divisore  comune  dicesi  per  ciò  imprimitiva, 
altrimenti  primitiva.  È  chiaro  che  basterà  limitarsi  allo  studio  delle  tra- 
sformazioni primitive,  le  forinole  di  moltiplicazione  dell'argomento  es- 
sendo già  note. 

Possiamo  già  ora  determinare  quante  trasformazioni  primitive  distinte 

a 

esistono  in  un  dato  grado  n,  che  sia  la  potenza  esatta  q  di  un  numero 
primo  q.  Esse  sono  infatti  tutte  comprese  nel  simbolo 


dove  i  percorre  un  sistema  completo  di  resti  f  mod  q      )  esclusi,  per 
valori  di  r  diversi  da  0  e  da  a,  quelli  divisibili  per  q.  Indicando  dunque 


432  CAPITOLO  XV.  —  §.  164 

con  N  il  numero  cercato  delle  trasformazioni  primitive  distinte,  avremo 

,         N^g^-'  +  f/-^  (g-i)4.r/-3  (g  _  i)  +  . .  +  (g- 1)  +  1 

ossia 

N  =  g«-i  (.if  1). 

Dimostriamo  ora  il  seguente  teorema,  che  riduce  sostanzialmente  la 
ricerca  delle  trasformazioni  a  quelle  il  cui  grado  è  un  numero  primo: 
Ogni  trasformazione,  il  cui  grado  n  si  decomponga  nel  prodotto  di  due  nu- 
meri P,  Q,  è  il  risultato  di  due  successive  trasformazioni,  Vuna  di  grado 
P  V altra  di  grado  Q. 

Consideriamo  una  trasformazione  di  grado  w  =  P  Q  già  ridotta  alla 
forma  normale 

n  ,  0 

e  cerchiamo  di  comporla  con  due  trasformazioni  normali 

T,    0 

runa  di  grado  P,  l'altra  di  grado  Q;  dovremo  avere 
,      ,         ,,    P^      w       PQ 

Perchè,  per  qualunque  h,  si  possano  determinare  •/],  C  dall'equazione 
(9)  ./jt'+Zc  =  l 

basterà  che  z  =-  e  -  siano  primi  fra  loro,  cioè   che  x  sia  il  massimo 

TX 

comun  divisore  di  o,  P  ed  avremo  senz'altro 


il  nostro  teorema  è  così  già  dimostrato. 


TRASFORMAZIONI  PRIMITIVE  433 


Ma  supponiamo  ora  di  pia  che  P,  Q  siano  primi  fra  loro.  Allora  po- 
mo 
posto 


tremo  soddisfare  la  (9)  con  un  valore  di  ■/]  multiplo  di  -  =  — .E  infatti, 


^  =  7-^ 


la  (9)  diventa 

(9*)  Qr/  +  ^C  =  ^, 

p 

che  si  può  sempre  soddisfare,  essendo  Q  primo  con  -.  Inoltre  vediamo 

che  dalla  (9*)  yj',  e  quindi  anche  y],  è  perfettamente  determinato  rispetto| 

P 

al  modulo  -  dalla  congruenza 

e  similmente  C  è  perfettamente  determinato  rispetto  al  modulo  Q,  e  a 
più  forte  ragione  rispetto  a  -,  da 

T 

—  ^  =  i  (modQ). 

Ne  risulta  che:  in  questo  modo  di  decomposizione 

0,   0 
n 


^, 


a 


la  classe  della  trasformazione  composta   determina  completamente  quelle 
delle  componenti. 

Dì  più  è  facile  vedere  che  la  trasformazione  composta  sarà  impri- 
mitiva solo  quando  tale  sia  una  delle  componenti.  Supponiamo  infatti 
che  un  numero  primo  p  divida  simultaneamente 

n  =  v.z   ,    —  =  —.  —  ,    ^=:Q7j-f_C; 

a  T  X  T 

uno  solo  dei  due  numeri  t,  t'  sarà  divisibile  per  p.  Allora  se  p  divide 

0  P 

T,  sarà  primo  con  -^  e  dividerà  anche  -  e  però  anche  -ri,  per  cui  la  prima 


434  CAPITOLO  XV.  —  §§.  164,  165 

trasformazione  sarà  impropria.  Se  invece  p  divide  x,  si  vedrà  similmente 
che  è  impropria  la  seconda. 

Di  qui  risulta  che  il  numero  delle  trasformazioni  primitive  di  grado 
w  =  P  Q,  con  P,  Q  primi  fra  loro,  è  il  prodotto  dei  numeri  analoghi  pei 
gradi  P,  Q.  Dopo  di  ciò  possiamo  subito  determinare  il  numero  N  delle 
trasformazioni  primitive  di  un  dato  grado  n.  Decomponiamo  infatti  n  nei 
suoi  fattori  primi  distinti  e  sia 

ricordando  che  vi  sono 

trasformazioni  proprie  distinte  di  grado  p  ,  avremo  pel  numero  richiesto  : 
N  =ift^-^p'i^-^. . .  /^'-l  ip,  +  l)  (j),+  l) . .  (i?,+l). 

§.  165. 
Trasformazioni  di  grado  primo. 

Ci  proponiamo  ora  di  stabilire  le  formolo  effettive  per  le  trasforma- 
zioni il  cui  grado  n  è  un  numero  primo,  essendo  queste,  come  si  è  visto, 
le  trasformazioni  elementari  colle  quali  tutte  le  altre  possono  comporsi. 

Per  11  primo  vi  sono  soltanto  ii+l  trasformazioni  distinte  (§.  164), 
che  potremo  scrivere  sotto  forma  normale 

n,  0\      /  1,0 
0,1/'   V-v  ,n 

dove  V  percorre  un  sistema  completo  di  resti  (mod  n),  p.  e.  i  numeri 

0,  1,  2,  ...  ?i-l. 

Le  formole  (I),  (I*),  che  legano  i  semi-periodi  primitivi  o),  o/  ai  tra- 
sformati 9.,  Q',  diventano  : 

tà  =  n^  ,   (à  =  9.'  )  . 

S=»,    o'  =  .'      P-(o,l 

n  ; 

0)  =  fì  ,    0)'=  -  vi2  +  wQ'  ^  / 

n 


s  =  „,  a'=  ■'^^±^\  ""A-v 


TRASFOKMAZIONI   DI   GRADO   PRIMO  435 

Si  osservi  in  particolare  clie  le  due  trasformazioni 

^    fn,  0\      fi,  0\ 

corrispondono  rispettivamente  alla  divisione  per  m  del  primo  o  del  se- 
condo periodo. 

Gli  infiniti  non  equivalenti  della  funzione 

^(w|fì,Q') 

saranno  nel  primo  caso  nei  punti 

0  ,    —  ,   2  .  —  ,  .  . .  (w  -  1)  — 

n  n  ^  n 


e  nel  secondo  nei  punti 


2v(o+2co'       ^    2vtó+2a)'             ^        ,^  2v(0  +  2co' 
0  »    Z »    2  . ,  .  .  .  {n-l) 


Se,  facendo  uso  di  una  notazione  già  introdotta  per  le  formole  di 
divisione  dell'argomento  (§.  114),  poniamo  ■ 

2  co  2vto+2w' 

co     = ,      Oi,.  =  . 

n    '      '  n         ' 

vediamo  che  nel  primo  caso  gli  infiniti  della  p  trasformata,  che  indi- 
cheremo con 

sono  nei  punti 

rò)^  {r  =  0,1,2  ...n—1) 

e  nel  secondo  caso  la  p  trasformata,  che  indicheremo  con  p.^  u,  avrà  gli 
infiniti  nei  punti 

rcòv    {r  =  0,l,2,  ...n-l). 

Se  di  più  osserviamo  che  questi  infiniti  sono  tutti  del  2.°  ordine  col 
termine  d'infinito 

1 

la  formola  generale  (I)  §.  105  (pag.  282)  di  decomposizione  di  una  fun- 


436  CAPITOLO  XV.  —  §.  165 

zione  ellìttica  in  elementi  semplici  ci  darà  immediatamente 

r=n-l  • 

(10)  fi^u  =  C-\-pu  +  ^  gj{u-r(b,), 

7=1 

dove  C  è  una  costante  e  v  prende  gli  n  -\- 1  valori 
00  ,  0  ,  1  ,  2  . . .  w  -  1 . 
Indichiamo  con  g^ ,  gz  gli  invarianti  della  primitiva  (pu  q  con 

quelli  della  trasformata  ^yw;  potremo  determinare  dalla  (10)  i  valori 
di  C  e  dei  nuovi  invarianti  (jiì\  Gy  sviluppando  i  due  membri  in 
serie  nell'intorno  dell'origine  e  paragonando  i  coefficienti.  Abbiamo  così: 


^  +  W^*+^^+'---^  +  ¥  +  20^*+28 


+2  ^  (^'^'O  +  Y  2  ^"  (^-^-o  +  ^  2  p''  (*'<j>v)  + . . . 

e  il  paragone  dei  termini  scritti  ci  dà 

C=  -''|~V(>''5)v)  ,  G[^)  =  ^,+  io' 2"V'(^^^v)  , 
G^^)=^3+|'2V(^^v), 

per  cui  la  (10)  può  scriversi 

1...»— 1 

(II)  p^u=zpu-\.  2    [p{u-r(tì'j)  —  p{rm)], 

r 

mentre  per  gli  invarianti  G^"'\  G^^  si  hanno  le  formolo 

gM  =  60    2  ^'  (>-  wv)  —  (5  w  -  6)  ^2 

(III)  \ 
G^)  =  uo"  2  V(^wv)  -  21  ^2*2  '^(/*wv)-(14jì-  15)5r3. 


437 


§.  166. 
Distinzione  del  caso  di  w=2  e  di  n  dispari. 

Il  secondo  membro  della  formola  di  trasformazione  (II)  deve  potersi 
cangiare  in  una  funzione  razionale  di  pu,  ciò  che  ora  vogliamo  fare.  Per 
ciò  distinguiamo  il  caso  di  w  =  2  da  quello  in  cui  n  è  un  numero  primo 
dispari. 

a)  Trasformazioni  di  2J>  grado  :  Per  >^  =  2,  ponendo  in  evidenza  nella 
(II)  i  periodi  2  il,  2  fì'  della  p  trasformata,  avremo  le  tre  formole: 


(o,  ijl  \      ^         J  fiu-ei 

(11)  (o  '  2)  \po  u  =  p(u\^  ,~)  =  pu+p  (u-c,')  -  pc.'  =  pu  +  (^iH^ 
\-l  ,2J  piU  =  p(u\oi,  ^^  )  =  pu+p  (ii-oì-tó'yp  (o)+o/)  =  pU-\-  ^^^"^^Hez-ga) 

in  cui  i  secondi  membri  sono  appunto  razionali  di  2."  grado  in  pu. 

Ritornando  sui  risultati  del  Gap.  XIII  relativi  all'andamento  della 
p{u;  (jì,  gz)  per  valori  reali  degli  invarianti,  possiamo  utilismre  le  tra- 
sformazioni del  2°  ordine  per  ridurre  il  calcolo  delle  funzioni  pu  coft  di- 
scriminante negativo  a  quello  delle  pu  con  discriminante  positivo.  Per  una 
funzione 

pU  =  p{u\(ài,lÒ3) 

con  invarianti  reali  e  discriminante  negativo  possiamo  infatti  scegliere 
i  periodi  fondamentali  2o)i,  20)3  in  guisa  che  siano  coniugati  (§.  142, 
pag.  376).  Se  poniamo  allora 

pu  =  p(u\o),  w') , 

essendo 

(0    =  (j)i-|-a>3 

to'  =   -  (tìi  -f  (O3  , 

la  pu  sarà  ad  invarianti  reali  e  discriminante  positivo  e  sarà  legata  alla  pu 


438  CAPITOLO  XV.  —  §§.  166,  167 

dalla  trasformazione   di  2.°  ordine  li'-|)  =  (    i'o)(a'i)'  ^^^^ 
dalla  3.^  delle  (11): 

(62  -  eO  (62  -  63) 


^u  =  (pu  + 


(pu-  62 


formola  che  raggiunge  lo  scopo  prefisso. 

h)   Trasformazioni  d'ordine  primo  dispari. 
Sia  ora  n  un  numero  primo  dispari. 
In  tal  caso  la  (II)  può  scriversi: 


l...(u-l)  •■•2 

^v  (m)  =  P^l—   2    ^  (^  ^'•')  +  2  !  ^  (^*  -  5  '^^"^)  +  ^  {u-in-s)  òiv)  | 


l...(n-l)  •■•    2 


ovvero  per  le  formole  d'addizione  della  pu: 

(IV)    ^,  z.  =  ^H -    1    ^  (^^'^^^^  -^-   4- [0i-p(s&df 

In  questa  formola  di  trasformazione  il  secondo  membro  è  evidente- 
mente una  funzione  razionale  di  pu  di  grado  n  e  precisamente  di  grado 
n  al  numeratore,  di  grado  n  —  1  al  denominatore. 

Rispetto  ai  coefficienti  di  questa  funzione  razionale  si  osservi  che 
essi  sono  composti  razionalmente  con  gz,  Qz  e  con  p(cov)  poiché,  per  le 
formole  di  moltiplicazione,  f'(rco,,)  è  razionale  in  pco,, ,  e  siccome  ^Wy  è 
una  radice  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi,  vediamo  che  i  detti 
coefficienti  sono  funzioni  algebriche  di  g.,  g^.  Essi  saranno  noti  appena 
risoluta  la  risolvente  di  grado  n  +  1  dell'equazione  per  la  divisione  dei 
periodi  (§.  115). 

§.  167. 
Risolubilità  per  radicali  dell'  equazione  di  trasformazione. 

Data  la  pn,  ciascuna  delle  n+  l  p,^n  trasformate  si  esprime  razio- 
nalmente per  pu  secondo  la  formola  (IV).  Ora  vogliamo  ricercare  inver- 


RISOLUBILITÀ  PER  RADICALI  DELL'EQUAZIONE  DI  TRASFORMAZIONE       439 

samente  come  data  la  p^  u,  per  un  valore  fìsso  di  v,  si  può  determinare 
la  pit.  Abbiamo  per  ciò  dalla  (IV)  un'equazione  di  grado  n  in  pu,  di 
cui  è  facile  assegnare  le  radici.  Data  infatti  ^^  u,  l'argomento  u  è  de- 
terminato solo  a  meno  del  segno  e  di  multipli  dei  periodi  2^,  2Q';  cioè 
tutti  i  valori  di  u  che  danno  il  medesimo  valore  di  p.^  u  sono  della 
forma 

(  li  =  0,l,2,...n-l 


+  M  +  ^ wv  4-  2 rw  +  2 so/  ,         .  ,     . 

(  r,  s  mteri  qualunque, 

onde  le  radici  della  (IV)  sono 

pu  ,  p{u  —  (bJ)  ,  p  {il—  2  wv)  . . .  ^  («  -  (n-l)  wv) . 

Ora  una  qualunque  di  esse 

ì/r  =  p  {u-r  Wv) 

è  esprimibile  razionalmente,  colle  formolo  d'addizione,  per  pti,  p'u,  e  d'al- 
tronde, derivando  la  (IV),  si  ha 

^'v  w  =  tp'u  F  {pu) , 

essendo  F  razionale  in  pu.  Dunque  se,  oltre  p^jU,  consideriamo  come 
nota  anche  p\,  u,  ogni  radice  y,-  della  (IV)  è  razionalmente  esprimibile 
per  la  prima  ijo  =  pu.  Siamo  per  ciò  in  presenza  di  un'equazione  Abe- 
liana  di  grado  primo  n  e  la  risoluzione  si  effettua  estraendo  un  radicale 
d'indice  n.  Quanto  alle  quantità  che  compariranno  razionalmente  sotto 
il  radicale  V   ,  saranno  evidentemente 

9-2,   9s  ,    ^Wv  ,    pvU  ,    p'vU. 

E  facile  anche  dare  la  effettiva  formola  ^i  risoluzione;  ma  noi  qui 
osserveremo  soltanto  ancora  che  la  risoluzione  delle  equazioni  di  trasfor- 
mazione include  quella  delle  equazioni  per  la  divisione  dell'argomento. 
Per  vederlo  basta  ricordare  che  la  moltiplicazione  per  n  dell'argomento 

si  compone  delle  due  successive  trasformazioni  (    '  ^  ],  (    '     ).  Così  la 

\0,  ly     \0,  nj 

teoria  della  trasformazione  riduce  effettivamente  la  risoluzione  dell'equa- 
zione Abeliana  composta  di  grado  n',  che  si  presenta  nel  problema  della 
divisione  per  n  dell'argomento,  a  quella  di  due  successive  equazioni  Abe- 
li ane  semplici  di  grado  n. 


440  CAPITOLO  XV. —  §.  168 

§.  168. 
Esistenza  dell'equazione  modulare  fra  gli  invarianti  assoluti. 


Indichiamo  con 


l'invariante  assoluto  J  della  pu  primitiva  e  con 

gì 


J'  = 


GÌ— 27G^ 


l'invariante  assoluto  di  una  qualunque  delle  «+1  pu  trasformate,  sicché 
sarà 


p 
e  chiamando  J',,   F  invariante  assoluto  della  p.,  u  sarà  dunque 

Ora  sussiste  l'importante  teorema: 

Fra  V  invariante  J  della  pu  primitiva  e  V  invariante  J'  di  una  qua- 
lunque pu,  ottenuta  per  trasformazione  d'ordine  primo  n,  sussiste  un'equa- 
zione algebrica 

(V)  /'(J,J')  =  0 

di  grado  n+l  in  J',  le  cui  n+l  radici  in  J'  sono  date  da 

j'.  =  j(..) ,  j'.=  jg)  ,  j'.  =  j  (!±i)  ...  JV.=  J  (^^ 

È  questa  l'equazione  che  prende  U  nome  di  equazione  modidare  (fra 
gli  invarianti  assoluti). 

Per  dimostrare  il  teorema,  basta  osservare  che,  secondo  le  formolo 
(III)  §.  165  che  danno  i  valori  degli  invarianti  Gz,  G3  trasformati,  l'in- 
variante J'v  è  una  funzione  razionale  simmetrica  di 

(12)  ^à>v  ,    ^(2w,)  ,..  p  [^^  (b,J  , 

che  sono  radici  di  una  medesima  orizzontale  dell'equazione  per  la  divi- 


EQUAZIONE   MODULARE  FRA   GLI   INVARIANTI   ASSOLUTI  441 

sione  dell'argomento  nel  quadro  (C)  del  §.  114  (pag.  306).  Questa  fun- 
zione  razionale   simmetrica  dei   valori  (12)  ha   quindi  appunto  w+1 

valori  distinti 

T'       T'      T'         T' 

"ce     5      "05      O    l   .    .    .    O    n—l   5 

che  sono  dunque  radici  di  una  risolvente  di  grado  n  + 1 

(13)  F(J',^3,5'3)  =  0 

con  coefficienti  razionali  in  g-i,  g^.  Ma  se  osserviamo  che  cangiando  w,  w' 
in  iw,  ico'  l'argomento  t:  g  g^  non  cangiano,  mentre  «73  cangia  segno,  si 
vede  che  nella  (13)  figurerà  solo  razionalmante  gì  e  similmente  poiché 

cangiando  co,  0/  in  sw,  so/  \^  =  e  ^  )  g^  non  muta  e  gz  si  cangia  in  z^ gz, 
dovrà  nella  (13)  r/a  comparire  solo  nelle  potenze  di  gì-  Eliminando  ora 
dalla  (13)  gì  per  mezzo  della  relazione 


9t-21gr 
la  (13)  acquisterà  la  forma 

(14)  MJ',  J,^2)  =  0, 

essendo  ^  razionale  nei  tre  argomenti. 

Ma  è  facile  vedere  che  in  questa  equazione  c/2  non  può  figurare  espli- 
citamente, che  cioè  coll'eliminazione  di  g^  dalla  (13)  viene  eliminato  anche 
g^.  E  infatti  se  cangiamo  co,  co'  in  X  co,  X  co',  con  X  qualunque,  nella  (14) 

J,  J'  restano  inalterati,  mentre  g^  si  cangia  in  ^  e  però  gz  deve  neces- 
sariamente sparire. 

Così  è  provata  l'esistenza  dell'equazione  modulare  (V). 

Studieremo  fra  breve  più  da  vicino  ed  in  modo  diretto  le  proprietà 
dell'equazione  modulare  (V).  Ma  fin  d'ora  osserviamo  che,  secondo  i 
risultati  del  §.  116,  siamo  in  grado  di  assegnare  il  suo  gruppo  di  mo- 
nodromia,  che  è  definito  dalle  sostituzioni  lineari 

v'=^^^     (a5-PY=l  (modw)) 

sugli  indici  degli  n  -\-  1  rami  J'^ 

T'         T'       V  V 


442  CAPITOLO  XV,  —  §.169 

§.  169. 
Forinole  di  trasformazione  per  la  ^w. 

Cerchiamo  ora  di  esprimere  anche  le  aw  coi  periodi  trasformati 

/    .  w        A  /    I         voj+w' 

a  Un  —,  0)       ,    '3  [  u  ,0) ,  

\      n         J  V  ^ 

per  la  au  primitiva.  Se  osserviamo  che  si  ha 

/    .         va)+ctì''\  /  voH-w' 

a  (  w   0) ,  =  a     w  t ,  w 

\   '         w    /         V  '         ** 


vediamo  che  tutto  si  riduce  a  trovare  la  formola  che  esprime  a  (  m  -  ,  w' 

per  OM,  cioè  la  formola  che  dà  per  la  iw  l'effetto  della  divisione  per  n 
del  primo  periodo. 

Ora  la  a  trasformata 


ou 


=  0    ?n  —  ,  (tì 
\      n       J 


può  anche  considerarsi,  secondo  il  §.  101,  come  una  funzione  intera  pe- 
riodica di  3.*  categoria  coi  periodi  2  co,  2  co'  e  si  può  quindi  esprimere 
per  la  o?«,  appena  se  ne  determinino  nel  primo  parallelogrammo  dei 
periodi  gli  infinitesimi.  Questi  sono  nei  punti 

Wo  =  0  ,    —  ,    2  .  —  ,  .  .  .  {n—  1)  .  — 

n  n  n 


e  si  ha  per  ciò: 

.=..-1     /  2  to^, 

< — r . 

r=0  V 


_  )=,■—!    f  2  to^ 

(15)  aie  =  e^*"'    Il   qÌu—y.  —  ) 


dove  G  (m)  è  un  polinomio  di  2.°  grado  in  m. 

Supponiamo  dapprima  n  dispari  e  scriviamo  la  (15)  così; 
_  ti— 1 

r    /  ^         '~r?~      /'       2  (0  \        /       2  0>    ,       \ 

OM  =  etri  (M).  oit    11    <z  [  s  . u\  r^\  s  .  — ■  -\-  U\  , 

.=1       V       w  /       \       w  / 

dove  Gì  (m)  sarà  nuovamente  un  polinomio  di  2.<>  grado  in  u  e  poiché 


FORMOLE    DI   TRASFORMAZIONE   PER   LA   OM  443 

ou,  mi  sono  dispari,  mentre  il  prodotto  nel  2.°  membro  è  pari,  sarà 
Gì  (m)  =  —  aw^  4-  ò     (a,  h  costanti) , 

2k 


onde  avremo 


n— 1 


aw  =  Ce        ow  11    OS.  • u]  r^  \s  .  — ■  +  «     . 


\      \       Il  j      \       n 


Per  determinare  la  costante  C,  basta  dividere  dall'una  e  dall'altra 
parte  per  u  e  passare  al  limite  per  u  =  0\  si  ottiene  così  : 


2(1)         ^       z'    2(1) 

(VI)       0^  =  6^^""  oz«  n 


.=1  ,  /       2ctì 

In  fine,  per  determinare  la  costante  a,  si  indichino  con  y],  r(  i  semi- 
periodi di  2.*  specie  della  om  coi  periodi  di  1.*  specie  2  (o  =  — ,  2o)'  =  2o)', 
talché  sarà 

--       --       Tri 
■rj  0)  —  r;  co  =  y  , 

cioè 

(16)  w  rj  w' —  r/  to  =  ?e  —  . 

Cangiando  allora  nella  (VI)  successivamente  u  in  tt  -l-2(tì=  i«-[-2w(«) 
ed  in  w  +  2  0)'  =  M  -f-  2  co',  si  ricava  subito 

(17)  ^_MÌ-j)_?-«V 

(0  0) 

e  la  coincidenza  di  questi  due  valori  per  a  risulta  subito  dalla  (16). 
Alla  (VI)  si  può  dare  un  differente  aspetto,  ricordando  la  formola 


2(0  \      /      2o) 

=  pu  —  p  [  s 


n  j      \       n  /      2o) 


2(i)\    2  ^  \       n 

a'-  [  s  .  —  !  o^u  ^ 

n   ' 


444  CAPITOLO  XV.  —  §§.  169,  170 

e  scrivendola  quindi 


II— 1 


(VI*)  3M  =  e^        0"M      [1      \pu  —  p\8. —        . 


i  a  ìC- 


T=\ 


^■^)s 


Dalle  (VI),  (VI*)  si  potrebbero  ora  dedurre  le  formole  di  trasforma- 
zione per  le  o  pari 

e  combinando  per  divisione  le   formole  così   ottenute,  si  avrebbero  le 
formole  di  trasformazione  per 

sn  ^'  ,    cn  i;  ,    dn  y  , 

come  furono  poste  da  Jacobi  nei:  Fundamenta  nova. 

§.  170. 
Trasformazione  di  Landen. 

Ci  limiteremo  a  dedurre  le  formole  di  trasformazione  di  2.°  ordine 
per  sn  v,  a  stabilire  cioè  per  questa  funzione  ellittica  la  formola  di  du- 
plicazione del  rapporto  t  dei  periodi.  Interpretata  per  l'integrale  ellit- 
tico di  l.''  specie,  questa  conduce  alla  celebre  trasformazione  scoperta 
dal  matematico  inglese  Landen  (1775-1780),  scoperta  che  ha  preceduto 
la  costruzione  della  teoria  degli  integrali  ellittici  di  Legendre  ed  è  stata 
la  sorgente  dell'intera  teoria  della  trasformazione. 

Ritorniamo  alla  formola  (15)  di  trasformazione  perla  ow  e  suppo- 
niamo ora  w  =  2.  Avremo 

a  M  =  a  [  M  I  —  ,  0/  j  =  e*^  *"'  0  m  0  (i<  -  w)  , 

che,  per  la  formola 

„  a  (oj  —  u) 

0(0 


possiamo  scrivere; 


cu  =  e^i  (")  au  .  Oi w . 


Il  polinomio  di  2."  grado  Gi(m)  deve  essere  pari  e  si  ha  quindi 


X  n  ìi% 


0  tt  =  C  e         a  M  Oi  w  , 


TRASFORMAZIONE   DI   LANDEN 

con  C, 

a 

costanti. 

Si  trova  subito 

0) 

onde 

(VII) 

a  f  m|  —  ,  co  j  =  e  "^        ow  Oi 

445 


Mutando  in  questa  w  in  w-fco',  si  trova  la  formola  di  trasformazione 
per  03  w: 

/         W  A  ^^^M* 

(VII*)  03  f  M  I  —  ,  tó'  j  =  e  "^        CgM  03M 

ed  analogamente  si  dedurrebbero  le  formole  per  ai  u,  1^  u. 

Indichiamo  con  e^,  62,  e^  i   valori   di   c^,  62,  e^  rispondenti   ai   nuovi 
periodi 

2oì  =  là  ,    2  u)'  =  2  to' 

e  dividendo  la  (VII)  per  la  (VII*)  col  ricordare  le  formole  (C)  §.  133 
avremo 

con 

Vi  =  yei — 63 .  M   ,    v  =  \ei — 63  u . 

Se  poniamo 

M  =  -^^^, 
Vci— 63 

potremo  scrivere  la  formola  così; 

sn  w  cn  y 


(18)  sn(Mt;,2T)  =  M 


dnv 


Indicando  con  4  K,  2  i  K'  i  periodi  di  sn  {v,  2 1)  corrispondenti  a  4  K, 
2  ìK'  per  sn  {v,  i),  abbiamo 

K  =wVei— ^=M^ 
(19)  ^  2 


ÌK' 


=  (o'Vei— e3  =  MiK' 


446  CAPITOLO   XV.  —  §.  170 

e  potremo  determinare  il  moltiplicatore  M  della  (18)  e  il  modulo  X  =  ^"  (2-:) 

K  — 

colle  considerazioni  seguenti.  Pongasi  nella  (18)  v  =  --  e  poiché  sn(K,  2t)  =  l, 

avremo 

M=  ' 


K        K 

^^  Y  ^^  T 


Ma  dalle  formole 


sn  {v+K)  =  ^  ,    dn  {v+K)  =  ^ 
dnu  dnv 


ponendo  v=  --  ,  deduciamo 


K 


onde 


K  2        ,  2  K       - , 

sny  =  -^,   dn«-  =  ;fc', 


dn^l 

2    ^ 


Ora  moltiplichiamo  i  due  membri  della  (18)  per 


e,  ricordando  che  i  residui  di  sn  v,  cn  v,  dnv  in  ?;  =  ìK'  sono  rispetti va- 


mente  v-  ,  -y-  ,  —  i,  troveremo 


Z-—  ^~^  (1) 


W  Rispetto  alla  funzione  modulare  fc  (t),  possiamo  scrivere  la  formola 

,(2,)^1-V/Ijgg^ 
l+v/l-^-'Cr) 

formola  che  dà  l'effetto  della  duplicazione  dell'argomento. 


TRASFORMAZIONE    DI    LANDEN  447 

Ed  ora,  ponendo  in  evidenza  nella  (18)  i  moduli  anziché  i  periodi, 
avremo  la  formola  di  trasformazione 

/TTTTTs  [ ,.     if.        1 — ^*^' I        /,     7/.  sn  (-y,  Z;)  cn  (v,  A;) 

(Vili)        sn  \(l^lc')v,  j-^,  !  =  (1  +70       ^j„;^^)'      , 

che  è  la  formola  della  trasformazione  di  Landen. 


§.  171. 
Applicazione  della  trasformazione  di  Landen. 

La  trasformazione  di  Landen  si  può  utilmente  applicare  al  calcolo 
numerico  degli  integrali  ellittici  di  1/  specie.  Poniamo  per  ciò 

2/  =  sn  [(1  +li)  v.Til  ,   x  —  sn{v,Jc)  ,  Jc=  — -^ 


ed  avremo 


^^  ^{l+h')dv   ,    ——^—-—  =  dv. 


Supponiamo  il  caso  ordinario  delle  applicazioni  in  cui  h,  quindi  anche 
h,  è  reale  positivo  e  minor  d'uno  ed,  osservando  che  y  si  annulla  con 
X,  avremo 


p  dx  _  _1_   p j% 


e  la  (Vili)  diverrà 

(21)  ^  =  (1+^0^;^^'. 

i 

Con  questa  trasformazione  irrazionale  si  cangia  dunque  un  integrale 
ellittico  di  L^  specie  di  modulo  h  in  un  altro  di  modulo 

Y_  \  —  h'  _      F 


448  CAPITOLO  XV.  —  §§.  171,  172 

e  si  avranno  ancora  le  formole 

(22*)  /fc  =  ?AA,    i+fc'  =  _^, 


onde  la  (20)  potrà  scriversi 

^y  dy  2       /^'  dx 


(20*) 


2    n 

1  +  ^Jo 


Jo   V(i^/)  (1-^-^.7^      1  +  ^Jo  V(i-^(i-^-^^^ 

Essendo  0«</^<!l,  il  modulo  trasformato 

(1+^0' 

sarà  <C^^  e  quindi  più  vicino  a  zero.  Ripetendo  n  volte  la  trasforma- 
zione (20),  si  arriverà  ad  un  modulo  <i.l^'\  vicino  quindi  a  zero  quanto 
ci  piace. 

Colla  trasformazione  inversa  (20*)  passiamo  dal  modulo  %  al  modulo 


li  = 


1  +  ^ 


V^>V^ 


e,  ripetendola  n  volte,  ad  un  modulo  così  vicino  ad  uno  quanto  ci  piace. 
Nelle  applicazioni  numeriche  converrà  fare  uso  della  scala  discendente 
0  ascendente  dei  moduli,  secondo  che  k  è  più  prossimo  a  0  ovvero  ad 
1,  e  nel  primo  caso  si  ridurrà  il  calcolo  dell'integrale  a  quello  di  un 
arco  circolare,  nel  secondo  al  calcolo  di  logaritmi  o  funzioni  iperboliche. 

§.  172. 
La  trasformazione  di  Landen  nelle  amplitudini. 

Rendiamo  le  formole  precedenti  atte  al  calcolo  logaritmico,  introdu- 
cendo le  amplitudini  degli  integrali  ellittici  col  porre 

y  =  sen  ^  ,   x  =  sen  <p 


e  la  (21)  diventerà: 


/,    ,„     sen^cos'f 
sencj>==(l+Z;')  ^ 


Vi -A*  sen^9 


TRASFORMAZIONE  DI   LANDEN  449 

da  cui  si  ottiene  subito 

cos^  '^-h'  sen^©  ,„ 

COS  '^  =  —  (  1) 


e  quindi 

(^^'  '''"«*- l-^'tang«, 

Derivando  otteniamo 


d']^  ,      ,,    l+h'  tang^  's   cos^  A 

"^  ~  ^^    '  (l-//tang^ff  co?7  ' 


il  che  dimostra  che  ó  è  sempre  crescente  per  'f  crescente  e  inoltre  ai 
valori 

,  0  ,    —  ,    z  ,   3  -  ,    per  'f 

corrispondono  i  valori  duplicati 

0  ,  -,  2~  ,  3;: per  <];. 

Ora  la  (23),  ridotta  a  forma  intera,  ci  dà  l'altra 
(24)  tang  ('])  -  9)  =  h'  tang  'f  , 

che  si  presta  al  calcolo  logaritmico  di  ò,  dato  che  sia  'f .  Scrivendo  poi 
questa  formola  così 

(1  +^)  tang  ('^  -'S)  =  {l-h)  tang  's> , 
ovvero 

sen  (']j-':)  COS  9  -  sen  'f  cos  (']^-'f  )  =  —  ^  j  sen  -f  cos  (']>--f  )  +  cos  'f  sen  ('{/--f  )  | , 
ne  deduciamo 

(24*)  •      sen  (2  's  -'h)  =  Jc  sen  'l* , 

formola  che  si  presta  al  calcolo  di  'f   dato  f|».  Le  (20),  (20*)  diventano 


W  La  determimazione  del  seguo  risulta  da  ciò,  che  per  cf  =  0  è  '^  =  0. 

29 


450  CAPITOLO   XV.  —  §.  172 

allora 

(25)      H—ji—  ==  -L_  n^ 


d'\> 


W  sen^  <{/ 


e  si  farà  uso  della  prima  o  della  seconda,  secondo  che  si  vorrà  passare 

da  /*;  a  a;,  0  viceversa. 

Supponiamo  ora  di  ripetere  n  volte  la  trasformazione  (25)  e  indi- 
chiamo con 

le  successive  amplitudini  e  con 

fC    ,    tCi    ,     /i2  ,    .   .   .    A^n— 1 

i  successivi  moduli  trasformati;  avremo: 


Jo    Vl-^^sen^9  2  2  2      J^  y  j_^2_^  ^^^^  ^ 

ove  le  (jjj  si  calcoleranno  successivamente  dalle  formole 

tang  ('-l^i  -  'i,_i)  =  h'i^i  tang  '|),_i , 

essendo  i^',_i  il  modulo  complementare  di  ^,_i .  Ora  si  osservi  che  il  pro- 
dotto infinito 

(1+X)  {\+h)  (i+I-,)...(i+L)... 

è  certamente  convergente  perchè  ìin<^fil-\  e  quindi  esisterà   pure  un 
limite  determinato  per  w=co   dell'integrale 


l-^!_i  sen"  ^ 
e  poiché 


Vn-i 


1         rV^l        (?4,  t};,^^  1 


I!!=l  <  _        ^ <- 


JoVl-A;f._iSen'4^  ''^ 

si  vede  che  4è^  ha  lo  stesso  limite. 


2" 


TRASFORMAZIONE  DI   LANDEN  451 

Ora  se,  fra  i  limiti  d' approssimazione  voluta,  è 

(1+^)  (1+^J  .  .  .  (1+^,^0  ^  /l  -  J-\  =  0 

\  flJn— 1/ 

si  avrà  pure,  entro  i  medesimi  limiti  d'approssimazione: 
(26)  I   '  ^       '^ ■  =  (1+^)  (1+^0  .  .  .  (l+/7„_0  %^  , 

formola  molto  adatta  al  calcolo  numerico,  a  causa  della  rapida  conver- 
genza del  prodotto  infinito.  Se  facciamo  nella  (26)  'f  =  ;r,  avremo  anche 

J>_  ^  j^  .^  jJz  ^  ^  ^V-1  ^ 

2  2^  '      2^       ...  —    2«   —  2 

e  ne  otterremo  quindi  il  notevole  sviluppo  in  prodotto  infinito 
(26*)  ^  =  (1+A^)  (l+Z^O  (1+:^,)  .  .  .  (1+^,0  .  .  .  , 


onde  la  (26)  si  scriverà 


( 


Jo  Vi-/^^ 


=  —  hm  ^ 


sen' 


I  successivi  moduli  trasformati  /.-,  Ai . . .  si  calcoleranno  facilmente, 
coir  uso  delle  ordinarie  tavole  trigonometriche,  ponendo 

li  =  sen  0  ,  Z;  =  sen  0i  ,  ^i  =  sen  02 ,  ...  Tin-\  =  sen  0^, 

per  cui  avremo 

-r 1  —  ^'  1  — cos  0      Y 1  -  cos  01 

~  r+¥  ~  1  TcosQ  '     '  ~~  1+ cos  01  •  •  •  ' 

cioè 

fì  fì  fì 

sen  01  =  tang^  --  ,    sen  0^  =  tang^  ■—  ,    sen  03  =  tang^  T^  •  •  •  • 

Formole  analoghe  potrebbero  stabilirsi  per  l'applicazione  ripetuta 
della  trasformazione  inversa. 


452  CAPITOLO   XV. —  §.  17  3 

§.  173. 
Media  aritmetico-geometrica  M  (a,  b)  secondo  Lagrange  e  Gauss. 

La  scala  dei  moduli  nell'applicazione  ripetuta  della  trasformazione 
di  Landen  sta  in  una  semplice  relazione  colla  teoria  della  media  arit- 
metico-geometrica, della  quale  si  occuparono  Lagrange  e  Gauss.  Daremo 
ancora  un  cenno  di  questo  argomento  storicamente  molto  importante, 
che  ha  segnato  la  via  per  la  quale  Gauss,  prevenendo  le  ricerche  di 
Abel  e  Jacobi,  aveva  già  costruito  la  teoria  delle  funzioni  ellittiche  senza 
dare  pubblicità  alcuna  ai  risultati  conseguiti  <^'. 

Siano  a,  h  due  numeri  reali  positivi  e  supponiamo  p.  e. 

Costruiamo  le  due  medie,  aritmetica  e  geometrica  di  a,  b  : 

e  da  a,  6  deduciamo  nello  stesso  modo 

«1  =  -^  ,   6i  =  Va   6  , 
e  così  continuiamo  costruendo 

«1  +  &1     r     a/-  r 


''n  „  ,      Ofi  —    V  Ojn—\  Or 


Le  due  serie  di  numeri  positivi 

\    Q/  j    et  ^    G/\   j    C^2  •   •  •  •    ^H 

(27)  j         _     _      _ 


(')  Gauss.  Werke  Bd.  III.  Nachlass. 

(*)  Per  questo  radicale  e  tutti  i  seguenti  s' intendono  scelti  i  valori  positivi. 


MEDIA   ARITMETICO-GEOMETRICA  453 

sono  decrescente  la  prima,  crescente  la  seconda,  e  convergono  ambedue 
verso  il  medesimo  limite,  che  si  dice  la  media  aritmetico-geometrica  dei 
due  numeri  a,  &  e  si  indica  con  Gauss  col  simbolo 

M  {a,b). 

Per  dimostrare  quanto  sopra  è  asserito  basta  osservare  che,  ponendo 

k  = ,   indi   k  =  —  , 

a  a 

e  ritenendo  le  notazioni  del  §.  precedente,  si  ha 

-_     1+^'  _  _«_ 
^  1+1 


h  =  yjah   =ay/Jc' 


e  in  generale 


Cln—i 


1  +  ÌCn  {l+k)(l+k,)...(l+JCn) 

Un  =^  <^M— 1   V  f^  w— 1  • 

Per  la  formola  (26*)  si  ha  quindi  subito 

lim  a„  =  -— 
e  d'altronde 

,  lim  3^  =  lim  V^'n_i  =  1  , 

Ctn—i 

quindi 

M  {a,  h)  ==  lim  ««  =  lim  K  =  ^  . 

Così  sono  dimostrate  le  nostre  asserzioni  ed   è  inoltre   ritrovata  la 
formola 

1       _  2  K  _  2    (2       d^ 


che  esprime  V  inversa  della  media  aritmetico  geometrica  per  un  integrale 


454  CAPITOLO  XV.  —  §.  173 

completo  ellittico  di  1.*  specie  a  modulo 


1  =  "^-^^ 


La  proprietà  delle  due  serie  (27)  di  convergere  verso  un  limite  co- 
mune M  {a,  b)  si  può  del  resto  dimostrare  colle  seguenti  considerazioni 
elementari  ^^K  Essendo 

(a-b)  {a+b)=a'-b'=^^(a-hf 

si  vede  che  b<ia  e  così 

6  <  a  ,    6i  <  «1  ,    &2  <  «2  .  .  .  ^n  <  «n  .  .  . , 

cioè  ogni  termine  della  serie  inferiore  è  minore  del  corrispondente  della 
superiore. 

Si  ha  poi  evidentemente 

a<ia  ,    ai<ia  ,    «2  <C  «i  •  •  • 
b>b  ,    b,>b  ,    b,>b,... 

e  però  la  prima  serie  è  continuamente  decrescente,  la  seconda  crescente; 
di  più  si  ha 

a- b         a-b  a-b  1 


indi 


^-^       4(aT6)       2(a+6)  +  4  6 


a-6  <  —  ia—b) 

cii-bi  <  y  (a  -&)  <  j  (a  -  b) 


an-bn<^x{(i-b)  , 

dopo  di  che  risulta  evidente  l'esistenza  di  un  limite  comune  M  {a,  h)  per 
le  due  serie. 

(*)  Gauss,  l.  e. 


MEDIA   ARITMETICO-GEOMETRICA  455 

Se  nella  forinola  (IX)  cangiamo  h  in  c  =  \j'  a^-b"^,  manifestamente 
k  si  cangia  in  k'  e  perciò  K  in  K',  onde  abbiamo: 

(jX*)  1 2K'  _   2     fw         d'f 


La  quantità  g  =  e  '  '  =  e  ^    di  Jacobi  si  può  quindi  anche  scrivere 

_M(a,  6) 
5=  e     ~M(a,  e) 

e,  se  introduciamo  coi  simboli  di  Gauss  le  tre  quantità 


^      VM(a,&)   '    ^~\U{a,h)   '    ^~VM(a,&)' 


avremo  evidentemente 


2KA; 


e  varranno  gli  sviluppi  in  serie  di  potenze  di  q,  già  dati  da  Gauss: 

00  00  OD        (2«+l)« 

p  =  i+2  2  r' ,  Q-i+2  2(-i)"2"' ,  R=2y  q  * 

1  1  1 

che  per  noi  risultano  già  dalle  formole  dimostrate  al  §.  158. 


Capitolo  XVI. 

Funzioni  modulari  ellittiche. 

§.   174. 
Definizione  delle  funzioni  modulari.  —  Loro  sottogruppo. 

Strettamente  connessa  colla  teoria  delle  funzioni  ellittiche  è  la  teoria 
delle  funzioni  modulari  (ellittiche),  la  quale  a  sua  volta  non  è  che  un 
capitolo  della  grande  teoria  delle  funzioni  automorfe.  Già  in  vari  punti 
di  questo  corso  (cf.  particolarmente  i  Gap.  XI,  XII,  XV)  abbiamo  toccato 
delle  proprietà  di  due  funzioni  fondamentali  nella  classe  delle  funzioni 


456  CAPITOLO  XVI.  —  §.  174 

modulari  e  cioè  delF  invariante  assoluto  J  (r)  e  del  quadrato  del  modulo 
di  Legendre  h^  (t).  Ora  ci  proponiamo  di  dare  alcune  poche  nozioni  sulla 
teoria  generale  delle  funzioni  modulari,  rimandando  per  uno  studio  ef- 
fettivo dell'interessante  argomento  all'opera  di  Klein-Fricke :  Theorie  der 
elUptischen  3Iodulfunctionen. 

Definiamo  le  funzioni  modulari  (algebriche)  nel  modo  seguente  :  Ogni 
funzione  algebrica  di  J  (rj  che,  considerata  come  funzione  di  z,  sia  uni- 
forme dicesi  una  funzione  modidare  (algebrica). 

Oltre  le  funzioni  modulari  algebriche,  si  considerano  anche  delle  fun- 
zioni modulari  trascendenti;  ma  noi  qui  parleremo  soltanto  delle  prime 
e  le  diremo  senz'altro  funzioni  modidari. 

Sia  'f  =  ?p  W  una  funzione  modulare  e  sia 

(1)  /'('f,J)  =  0, 

dove  f  indica  una  funzione  razionale  intera  nei  due  argomenti,  l'equa- 
zione algebrica  irriducibile  che  la  lega  all'invariante  assoluto  J  (t).  Os- 
serviamo in  primo  luogo  che  essendo,  per  un  assegnato  valore  di  r, 
'f  (t)  una  radice  della  (1)  tutte  le  altre  radici  saranno  date  dall'espressioni 

dove   [    '  ^  ]  è  una  qualunque  sostituzione  del   gruppo  modulare.  Che 

tutte  le  espressioni  (2)  siano  radici  della  (1)  si  vede  .subito  osservando 
che  se  nel  semipiano  positivo  tracciamo  una  linea  continua,  che  vada 

da  z  al  punto  equivalente  — — ^  ,  l'invariante  assoluto  J  (x)    descrive 

un   cammino  chiuso  e  's  (r)  si   cangia  con   continuità  in  's     ^     . 

D'altronde  tidte  le  radici  della  (1)  sono  date  da  espressioni  (2)  poiché, 
la  (1)  essendo  per  ipotesi  irriducibile,  se  facciamo  descrivere  a  J  un 
conveniente  cammino  chiuso,  passiamo  da  una  radice  'f  (t)  ad  un'altra 
qualunque;  ora,  come  si  è  visto  al  §.  121,  possiamo  far  descrivere  a 
J  (t)  un  cammino  chiuso  qualunque  facendo  muovere  t  da  "  ad  un  punto 

equivalente  ^ ^  per  un  conveniente  cammino. 

Supponiamo  ora  che  la  (1)  sia  di  grado  m  rispetto  alla  'f  e  siano 


FUNZIONI   MODULARI  457 

le  sue  radici.  Ogni  valore  (2)  dovrà  eguagliare  uno  di  questi  m,  e  sic- 
come se  le  due  sostituzioni 


^-Cil'^'-P;'). 


eseguite  sull'argomento  i  di  z  (r),  danno  eguali  risultati 

la  sostituzione  UU'~^  lascia  z  (t),  invariata   si  conclude:    Esistono   nel 
gruppo  modulare  T  infinite  sostituzioni 

gi=  l  ,   (h  ,   g3  .  .  . 

che  lasciano  'f  (t)  invariata;  esse  formano  evidentemente  in  Y  un  sottogruppo  G. 
Diremo   per  ciò  che  la  funzione   modulare  'f  (r)  appartiene  al  sotto- 
gruppo G,  od  anche  che  G  è  il  sottogruppo  riproduttivo  di  z  (t). 
Di  pili  se 

'l  =^    1    ,     f 2   )     *3   •    •    •   t„t 

sono  m  particolari  sostituzioni  di  F  che  cangiano  9  (r)  in 

vediamo  subito  che  qualunque  sostituzione  y  di  V  si  potrà  porre  sotto 
la  forma 

h-  =1,2,  ...  m^ 


T  =  ^c  g,  ,  . 

-^   \i=  1,2,  3...  00 

onde  concludiamo  :  Il  sottogruppo  G  di  T  che  lascia  invariata  la  funzione 
modulare  z  (t)  ha  indice  finito  in  F  e  precisamente  eguale  al  grado  ni  a 
cui  z  comparisce  neW equazione  (1),  che  la  lega  all'invariante  assoluto. 
Dobbiamo  subito  osservare  che  mentre  per  l'eguaghanza 

J  (r)  ^  J  (tO 

è  necessario  e  sufficiente  che  1,  z   siano  equivalenti  rispetto  a  V,  per  la 
eguaglianza 

Z  (r)  =  Z  (tO 

è  bensì   suflficiente,  ma  non  in  generale  necessario  che  r,  t'  siano   equi- 
valenti rispetto  al  sottogruppo  G,  cui  z  appartiene. 


458  CAPITOLO  XVI.  —  §§.  174,  175 

E  invero,  se  la  (1)  è  di  grado  n  in  J,  per  ogni  valore  assegnato  di 
(f  (t)  si  hanno  n  valori  distinti  di  J  (i)  e  se 


sono  n  corrispondenti  valori  di  z,  fra  questi  non  ve  ne  saranno  due 
equivalenti  rispetto  a  T  e  tanto  meno  rispetto  a  G.  Questo  numero  n, 
che  indica  quante  volte  la  funzione  modulare  z  (t)  riprende  il  medesimo 
valore  in  punti  non  equivalenti  rispetto  al  sottogruppo  riproduttivo  G, 
si  dirà  la  valenza  di  'f  (t).  Se  n=l,  allora  J  (t)  è  funzione  razionale 
di  9  (t)  e  questa  è  monovalente  ;  tale  è  per  esempio  la  funzione  mo- 
dulare k^  (t). 

Osserviamo  ora  che  tutte  le  radici 

'fi   }    ?2   •   •   •    rm 

della  (1)  sono,  come  è  chiaro,  altrettante  funzioni  modulari  e  se  il  sot- 
togruppo riproduttivo  della  prima  è  G,  quelli  di  'fs,  'f 3 .  • .  '^m  saranno  i 
rispettivi  sottogruppi  trasformati 

G2  =  1^2  G  t^^   ,     G3  =  ^3  G  t^\  .  .   Gm  =  tm  G  t~^   f^)  . 

In  particolare  si  osservi  che:  Se  il  sottogruppo  riproduttivo  G  della 
funzione  modidare  'fi  =  'f  (t)  è  invariante  in  F,  le  altre  funzioni  modulari 
(S2  (t) , .  . .  'Sm  (r),  radici  della  (1),  apparterranno  al  medesimo  sottogruppo  G. 

Dai  teoremi  generali  sulle  funzioni  algebriche  segue  allora  che  ogni 
radice  'f,  della  (1)  è  razionalmente  esprimibile  per  'fi  e  J,  giacché  ad 
ogni  coppia  di  valori  'fi,J  corrisponde  iin  solo  valore  di  .9,-. 

§•  175. 

Diramazione  di  una  funzione  modulare  ?(-) 
rispetto  all'invariante  assoluto  J(-). 

Fino  ad  ora  abbiamo  senz'altro  supposto  che  l'equazione  algebrica  (1) 
sia  tale  che  'f,  considerata  come  funzione  di  t,  risulti  monodroma.  Vo- 


(^)  Pongasi  invero 
e  sia  /  /  /         a,t'+3y 

?  (^.O  =  'h-  (^)  =  'f '•  (0  =  'f  (^  .■)  ,  ^  r  =  :— 7-v- , 

sarà  Vr  legata  a  -r  da  una  sostituzione  ^r  di  G  e  però  t  a  x"  appunto  da  t,-  g  tT 


DIRAMAZIONE   DI   UNA   FUNZIONE   MODULARE  459 

gliamo  ora  ricercare  quali  sono  le  condizioni  necessarie  e  sufficienti  cui 
deve  soddisfare  la  (1)  perchè  ciò  accada.  La  risposta  viene  facilmente 
fornita  dalle  proprietà  dell'invariante  assoluto,  stabilite  al  Gap.  X  (vedi 
particolarmente  §.  121),  mediante  le  considerazioni  seguenti.  Supponiamo 
adunque  che  z  (t)  sia  monodroma  in  r  e  funzione  algebrica  di  J  definita 
dalla  (1).  Consideriamo  un  punto  qualunque  J  =  Ji  del  piano  complesso  J, 
diverso  da  uno  dei  tre  valori  0,  1 ,  oo ,  che  corrispondono  ai  vertici  della 
rete  modulare.  Se  facciamo  descrivere  a  J  un  piccolo  circuito  chiuso 
attorno  a  Ji  e,  scelto  per  valore  di  x  corrispondente  al  valore  Jj  di  J 
uno  qualunque  degli  infiniti  valori  equivalenti  corrispondenti,  esaminiamo 
il  corrispondente  cammino  descritto  da  r,  vediamo  che  sarà  questo  un 
cammino  chiuso  attorno  a  xj  e  perciò  gli  m  rami 

'fi  .    'f2  .  .  .  <pm 

della  funzione  algebrica  'f,  essendo  per  ipotesi  monodromi  in  r,  ritor- 
neranno ciascuno  col  proprio  valore.  Dunque: 

1  punti  di  diramazione  della  funzione  modulare  9  {zj,  considerata 
come  funzione  algebrica  di  J  (t),  si  potranno  presentare  soltanto  per  i  tre 

valori 

J  =  0  ,    J=  1   ,    J=  00  . 

Esaminiamo  ora  quali  specie  di  diramazione  si  avranno  in  questi 
punti.  Per  vederlo  basta  osservare  che  per  un  circuito  chiuso  descritto 
da  J,  che  giri  tre  volte  attorno  a  Ji  =  0,  t  descrive  un  giro  semplice 

attorno  ad  un  vertice  della  rete  modulare,  equivalente  al  vertice  s  =  e  ^  , 
e  similmente  per  un  circuito  chiuso  di  J,  che  giri  due  volte  attorno  a 
Ji  =  l,  T  gira  una  volta  attorno  ad  un  vertice  della  rete,  equivalente  al 

~i 
vertice  i  =  e-" ,  onde  vediamo  :  Attorno  a  J  =  0  quei  rami  della  funzione 
algebrica  9  cJie  non  corrono  isolati  si  permutano  ciclicamente  tre  a  tre; 
e  similmente  attorno  a  J  =  1  ogni  ramo,  0  corre  isolato,   0  subisce  una 
trasposizione  con  un  altro  ramo. 

Quanto  alla  diramazione  in  J  =  co ,  non  occorre  ulteriormente  speci- 
ficarla, poiché  essa  risulta  già  fissata  dalle  diramazioni  attorno  a  J  =  0, 
J=l  (^). 


W  E  infatti,  avendosi  i  tre  soli  punti  critici  J  =  0,J  =  l,J  =  <x),  un  giro 
attorno  a  J  ^  x>  equivale  a  un  giro  complessivo  attorno  ai  due  punti  J  =  0 
J  =  l. 


460  CAPITOLO  XVI.  —  §.175 

Ora  è  bene  importante  che  le  condizioni,  cosi  trovate  come  neces- 
sarie, siano  anche  sufficienti,  come  viene  precisato  dalla  proposizione 
seguente,  che  costituisce  il  così  detto  teorema  di  diramazione  (Verzwei- 
gungssatz)  di  Klein: 

Affinchè  Vequazione  algèbrica  irriducibile 

(1)  /'(<P,J)  =  0 

definisca  una  funzione  modidare  't  (t)  è  necessario  e  sufficiente  che  siano 
soddisfatte  le  condizioni  seguenti: 

!."■  la  funzione  algebrica  %  di  J  sia  diramata  soltanto  jìer  J  =  0,  1,  oo . 
^.^  iDer  J  =  0  i  rami  restino  isolati,  o  si  permutino  ciclicamente  tre  a  tre. 
5."  2^er  J  =  1  ogni  ramo  corra  isolato,  o  si  permuti  per  trasposizione  con 
un  altro. 

Che  le  condizioni  siano  necessarie  si  è  già  visto  ;  resta  ora  a  dimo- 
strarsi che  sono  sufficienti.  Dobbiamo  provare  cioè  che,  soddisfatte  queste 
condizioni,  se  per  un  particolare  valore  ti  di  -z  fissiamo  uno  dei  rami  'fi  e 
lo  continuiamo  analiticamente,  ne  risulterà  una  funzione  monodroma  di  t  : 

<pi  =  9  (t)  . 

Consideriamo  nel  semipiano  positivo  t  un  cammino  finito  chiuso  e 
privo  di  nodi  s,  che  non  passi  per  alcun  vertice  della  rete  modulare  e 
racchiuda  quindi  un'area  semplice  finita,  che  conterrà  nel  suo  intemo 
un  numero  finito  di  vertici  e  dimostriamo  che  per  un  tale  cammino  5 
le  m  determinazioni  di  'f: 

'fi    ,    'f 2  .  .  .   ? m 

ritornano  ciascuna  col  valore  iniziale.  E  infatti,  per  considerazioni  ana- 
loghe a  quelle  del  §.  80,  vediamo  che  se  s  producesse  un'effettiva  per- 
mutazione di  'fi, 'fa, .. 'fm  potremmo  decomporre  l'area  in  due  aree 
minori,  inserendo  una  hnea  semplice  interna,  che  eviti  ancora  il  passaggio 
pei  vertici,  e  l'uno  o  l'altro  dei  due  contorni  chiusi  Si,  Sj  delle  aree 
parziali  dovrebbe  produrre  una  permutazione  di  'fi,  f 2 . . .  fm.  Così  con- 
tinuando, come  al  §.  80,  troveremmo  contorni  chiusi,  piccoli  a  piacere, 
che  permuterebbero ^9i ,  'fg . . .  'tm . 

Ora  ciò  è  impossibile  perchè  se  un  tale  contorno  non  gira  attorno 
ad  un  vertice  della  rete,  J  descrive  un  piccolo  contorno  chiuso,  che 
non  gira  attorno  nò  a  J  =  0  né  a  J  =  1 ,  e  però  'fi ,  'f 2 . . .  '-fm  singoiar- 


TEOREMA   DI   DIRAMAZIONE  461 

mente  si  riproducono.  Ma,  quando  anche  r  giri  attorno  ad  un  vertice 
della  rete,  J  girerà  attorno  aJ  =  OoaJ  =  ltreo  due  volte  rispetti- 
vamente e  però,  per  le  ipotesi  fatte,  ri,  fi-  -  -r'»  riprenderanno  con 
continuità  i  valori  iniziali.  Dopo  ciò  è  evidente  che  per  qualunque  cam- 
mino chiuso  descritto  da  t,  comunque  intrecciato,  'fi ,  'f 2 . . .  9 ,«  si  ripro- 
ducono. Il  teorema  di  diramazione  è  così  dimostrato. 

Ora  i  teoremi  generali  di  esistenza  delle  funzioni  algebriche,  corri- 
spondenti a  superficie  Riemanniane  date  a  priori,  permettono  di  asserire, 
che,  assegnando  ad  arbitrio  il  modo  di  diramazione  della  funzione  al- 
gebrica z  di  J,  tali  funzioni  esisteranno  effettivamente,  e,  purché  siano 
soddisfatte  le  condizioni  del  teorema  di  diramazione,  condurranno  ad 
altrettante  funzioni  modulari. 

I  teoremi  ora  indicati  ci  permettono  dunque  di  riconoscere  l'esistenza 
di  infiniti  sottogruppi  d' indice  finito  uel  gruppo  modulare  e  di  costruirli 
effettivamente. 

Per  altro  è  da  osservarsi  che  ogni  equazione  algebrica  (1),  soddi- 
sfacente alle  condizioni  del  teorema  di  diramazione,  definisce  propria- 
mente non  un  solo  sottogruppo  G  del  gruppo  modulare  F,  ma  insieme 
anche  tutti  i  sottogruppi  affini 

Gì  =  G  ,    G2  ==  ^2  G  ^^^  ,  .  .  .  Gm  =  tmGtm  • 

§.  176. 
Sottogruppi  d'indice  finito  e  loro  poligono  fondamentale. 

Ogni  funzione  modulare  appartiene,  come  si  è  visto,  ad  un  sotto- 
gruppo G  d'indice  finito  m  del  gruppo  modulare  F.  Per  dimostrare  in- 
versamente che  per  ogni  sottogruppo  G  del  gruppo  modulare  F,  il  cui 
indice  in  P  sia  finito,  esistono  funzioni  modulari  a  gi'uppo  riproduttivo  G, 
occorre  premettere  alcune  nozioni  generali  sui  sottogruppi  d' indice  finito 
dei  gruppo  modulare  e  sui  loro  campi  fondamentali. 

Sia  dunque  G  un  sottogruppo  d' indice  finito  m  in  F  e  distribuiamo 
tutte  le  sostituzioni  di  F,  rispetto  al  sottogruppo  G,  nel  quadro: 


a)  F  = 


fji  ,    (j2  ,    gz  '  •  • 

tm  9l  5    tm  92  ì   ^w  i/3  •    •    j 


462  CAPITOLO  XVI.  —  §.  176 

coi  medesimi  simboli  delle   sostituzioni  indicheremo  i  (doppi)  triangoli 
della  rete  relativa  al  gruppo  Y,   considerandoli   come  derivati  p.  e.  dal 
triangolo  fondamentale,  che  indicheremo  col  simbolo  1  '^'. 
Due  sostituzioni  di  T 

0  i  due  corrispondenti  triangoli,  si  diranno  relativamente  equivalenti,  od 
equivalenti  rispetto  al  sottogruppo  G,  quando  l' un  triangolo  deriva  dal- 
l'altro con  una  sostituzione  g  di  G,  quando  si  abbia  cioè 

sicché  due  sostituzioni,  o  triangoli,  saranno  relativamente  equivalenti  o 
no,  secondo  che  nel  quadro  a)  figurano  nella  medesima  linea  orizzontale, 
0  in  orizzontali  diverse.  Se  prendiamo  adunque  da  ciascuna  orizzontale 
del  quadro  a)  un  triangolo  ad  arbitrio,  avremo  un  sistema  di  m  triangoli 


Ti  ,  T^  .  .  .  T 


m  j 


che  si  può  dire  un  sistema  completo  di  triangoli  non  equivalenti,  giacché 
qualunque  altro  triangolo  della  rete  sarà  equivalente  ad  uno  e  ad  uno 
solo  di  questi. 

Ora  dimostriamo  che  possiamo  scegliere  i  triangoli  Tj,  Tj. . .  T,„  in 
guisa  che  ciascuno  sia  aderente  ad  un  altro  almeno  di  essi  per  un  lato 
e  il  loro  insieme  formi  quindi  un'area  connessa.  Per  ciò  prendiamo  ad 
arbitrio  un  triangolo,  p.  e.  il  fondamentale  T',  e  associamovi  quei  triangoli 
aderenti  a  T'  che  non  sono  relativamente  equivalenti  a  T  né  fra  loro; 
per  ciascuno  dei  triangoli  aggiunti  si  proceda  nel  medesimo  modo,  ag- 
giungendo al  complesso  dei  triangoli  già  prima  ottenuti  ogni  nuovo 
triangolo  aderente,  quando  non  trovi  il  suo  equivalente,  rispetto  a  G, 
nei  triangoli  del  complesso.  Siccome  fra  m+1  triangoli  presi  ad  arbitrio 
ve  ne  sono  almeno  due  relativamente  equivalenti,  il  processo  descritto 
condurrà  ad  un  insieme  di  un  numero  finito  r  <  m  di  triangoli  aderenti 

(3)  T'  ,  T"  .  .  .  T"-» , 

così  costituito  che  ogni  triangolo  aderente  ad  uno  di  questi  r  triangoli 
trovi  il  suo  equivalente,  rispetto  a  G,  in  uno  dei  triangoli  stessi.  E 
ben  facile  ora  vedere  che  si  ha  necessariamente  r  =  m,  onde  risulta  la 


(*)  Cf.  Gap.  II,  pag.  95. 


POLIGONO   FONDAMENTALE   DI   UN   SOTTOGKUPPO  463 

verità  della  proposizione  enunciata.  E  infatti  osserviamo  che  se  un 
triangolo  qualunque  U  della  rete  è  equivalente,  rispetto  a  G,  ad  uno 
dei  triangoli  (3)  p.  e.  a  T''',  anche  un  triangolo  U',  aderente  ad  U  per 
un  lato,  sarà  equivalente  ad  un  triangolo  in  (3).  In  vero  quella  sosti- 
tuzione g  di  G,  che  porta  U  in  T"',  porterà  U'  in  un  triangolo  aderente 
a  T*'*  e  quindi  relativamente  equivalente  ad  uno  della  serie  stessa  (3). 
E  siccome  in  fine  possiamo  passare  da  un  triangolo  qualsiasi  V  al  fon- 
damentale per  una  serie  finita  di  triangoli  successivamente  aderenti,  ne 
risulta  appunto  che  V  sarà  relativamente  equivalente  ad  un  triangolo  (3). 
L'insieme  di  triangoli  così  scelti 

forma  un  poligono  P,  limitato  da  archi  di  circoli  di  riflessione  del  gruppo 
modulare,  ed  in  questo  poligono  P  riconosciamo  il  campo  o  poligono 
fondamentale  del  sottogruppo  G,  diciamo  cioè  che  :  Ogni  punto  del  semi- 
piano positivo  è  equivalente,  rispetto  al  sottogruppo  G,  ad  un  punto  del 
poligono  P,  mentre  due  punti  del  poligono  non  sono  fra  loro  relativamente 
equivalenti,  fatta  eccezione  dai  punti  del  contorno,  che  si  ordinano  in  coppie 
di  punti  equivalenti. 

La  prima  cosa  è  subito  evidente,  poiché  ogni  punto  del  semipiano 
positivo  appartiene  ad  un  triangolo  della  rete,  che  è  relativamente  equi- 
valente ad  un  triangolo  di  P.  Supponiamo  ora  che  M,  N  siano  due  punti 
di  P  relativamente  equivalenti;  essi  dovranno  necessariamente  trovarsi 
sul  contorno  di  P.  E  infatti  se  p.  e.  M  fosse  interno  a  P,  sia  che  si 
trovasse  sopra  un  lato  interno  o  in  un  vertice  della  rete  modulare,  la 
sostituzione  di  G  che  porta  M  in  N  porterebbe  un  triangolo  di  P,  con- 
tenente M,  in  un  altro  triangolo  di  P,  ciò  che  è  assurdo.  Prendiamo 
invece  un  punto  M  sul  contorno  di  P,  cioè  sopra  un  lato  esterno  l  di  P. 
Quel  triangolo  della  rete  che  è  aderente  esternamente  a  P  lungo  l  trova 
il  suo  equivalente  in  un  triangolo  T'*'  di  P  ed  è  chiaro,  per  quanto 
precede,  che  il  lato  l'  di  T''*  equivalente  a  l  sarà  pure  un  lato  esterno 
di  P.  Vediamo  adunque  che:  /  lati  esterni  del  poligono  P  si  ordinano 
a  coppie  di  lati  coniugati,  cioè  relativamente  equivalenti  rispetto  al  sotto- 
gruppo G. 

Per  ciò  anche  i  punti  del  contorno  di  P  si  ordinano  a  coppie  di 
punti  equivalenti  e  si  vede  subito  che  ogni  punto  del  contorno  ne 
ammette  così  uno  ed  uno  solo  relativamente  equivalente  sul  contorno 
stesso. 


464  CAPITOLO  XVI.  —  §§.  176,  177 

Osserviamo  però  che,  nel!' ordinamento  dei  lati  del  poligono  fonda- 
mentale in  coppie  di  lati  coniugati,  può  darsi  benissimo  che  un  lato  l 
risulti  coniugato  a  sé  stesso,  il  che  significa  allora  che  il  triangolo  di  P, 
che  ha  l  per  lato,  è  relativamente  equivalente  a  quello  aderente  lungo  l 
esternamente.  In  tal  caso,  la  sostituzione  di  G  che  cangia  l  in  sé  stesso 
è  ellittica  a  periodo  2  ed  ha  su  l  un  punto  fisso,  che  divide  l  in  due 
tratti  coniugati;  allora  riguardiamo  l  come  costituito  di  due  lati  per 
diritto  e  il  detto  punto  fisso  come  nuovo  vertice,  a  cui  corrisponde  un 
angolo  piatto.  In  generale  é  da  osservarsi  che  se  un  punto  P  percorre 
un  lato  l  del  contorno  in  verso  positivo,  l'equivalente  P'  percorre  il  lato 
coniugato  nel  senso  opposto. 

Applicando  al  poligono  fondamentale  P  di  G  tutte  le  sostituzioni 
di  G  stesso  otteniamo  una  rete  di  poligoni,  come  P,  che  ricopre  una 
ed  una  sola  volta  tutto  il  semipiano  positivo,  come  risulta  da  quanto 
sopra  abbiamo  dimostrato.  Ora  se  consideriamo  le  a  coppie  di  lati  co- 
niugati di  P  e  le  [j.  sostituzioni  di  G 

(4)  (Ji,  92-  -  -9^  , 

che  portano  un  lato  nel  coniugato,  insieme  alle  loro  inverse 

9T'  ,  9T'-  •  .  9~'  , 

facilmente  vediamo  che  :  L' intero  sottogruppo  si  genera  combinando  le  [x 
sostituzioni  (4)  e  le  loro  potenze.  E  invero  le  [j.  sostituzioni  (4)  e  le  loro 
inverse  bastano  già  a  trasportare  P  in  tutti  i  poligoni  aderenti  della 
rete  ora  considerata  e  d'altra  parte  si  può  passare  dal  poligono  fonda- 
mentale P  ad  uno  qualunque  della  rete  per  una  successione  di  poKgoni 
l'uno  all'altro  aderenti.  (Cf.  Gap.  II). 

§.  177. 
Esistenza  di  funzioni  modulari  appartenenti  ad  un  dato  sottogruppo. 

Immaginiamo  ora  di  tagliare  dal  semipiano  positivo  l'area  poligo- 
nale P  ed,  assoggettando  quest'area  ad  una  deformazione  continua  (^' 


(*)  Come  nella  teoria  della  connessione  si  riguarda  l'area  come  formata  da 
un  velo  perfettamente  flessibile  ed  estendibile,  che  può  traversare  liberamente 
sé  stesso. 


FUNZIONI    MODULARI   APPARTENENTI    AD   UN   DATO    SOTTOGRUPPO         465 

nello  spazio,  di  saldare  insieme  i  lati  coniugati  sì  che  ciascuna  coppia 
di  punti  equivalenti  dia  luogo  ad  un  unico  punto.  Ne  risulterà  una 
superficie  chiusa  R  tale  che,  supponendo  dapprima  l'esistenza  della  cor- 
rispondente funzione  modulare  9  (t),  ad  ogni  punto  della  superficie  cor- 
risponderà una  ed  una  sola  coppia  di  valori  -f,  J  per  la  funzione  modu- 
lare f  e  l'invariante  assoluto  J,  e  viceversa  ad  ogni  coppia  di  valori 
f,J  soddisfacente  all'equazione  (1)  f{'s,  J)  =  0  uno  ed  un  solo  punto  della 
superficie  R.  La  prima  cosa  è  evidente,  per  la  monodromia  di  tp  (t),  J  (t)  ; 
la  seconda  poi  risulta  da  ciò  che,  se  si  ha  simultaneamente 

J  (t)  =  J  (ti)  ,    tp  (t)  =  (p  (Ti)  , 

i  valori  T,  Ti  sono  legati  da  una  sostituzione  del  sottogruppo  G,  cioè  sono 
relativamente  equivalenti,  e  per  ciò  i  due  punti  supposti  su  R  necessa- 
riamente coincidono. 

Secondo  quanto  abbiamo  detto  al  §.  83,  la  superficie  chiusa  R  non 
è  altro  che  la  superficie  Riemanniana  per  l'equazione  algebrica 

/•(9,J)  =  0; 

soltanto  gli  m  fogli,  che  nell'ordinaria  rappresentazione  sono  collocati 
l'uno  sull'altro,  qui  si  trovano  l'uno  accanto  all'altro  e  sono  rappresen- 
tati dagli  m  triangoli  di  P,  in  ciascuno  dei  quali  J  (x)  ripete  appunto 
tutti  i  suoi  valori. 

Il  genere  p  della  superficie  Riemanniana  si  valuta  subito,  applicando 
la  nota  forinola  d'Eulero  generalizzata,  citata  al  §.  92: 

F  +  V  =  C  +  2  — 2/). 

Da  queste  considerazioni  e  dai  teoremi  d'esistenza  delle  funzioni 
algebriche,  corrispondenti  a  superficie  Riemanniane  date  a  priori,  si  può 
ora  dedurre  l'importante  teorema:  Dato  ad  arbitrio  un  sottogruppo  di 
indice  finito  m  del  gruppo  modulare  T,  esistono  sempre  funzioni  modulari 
appartenenti  al  sottogruppo  G. 

E  infatti  costruiamo  il  poligono  fondamentale  P  di  G  e,  nel  modo 
descritto  al  principio  del  presente  §,  conformiamolo  a  superficie  chiusa  R. 
Sopra  ciascuno  degli  m  triangoli  in  cui  R  è  diviso  sono  distesi  una  volta 
i  valori  di  J  (t)  e  possiamo  riguardare  R  come  una  superficie  Rieman- 
niana a  m  fogli.  Soltanto  attorno  ai  vertici,  ove  per  J  si  hanno  i  valori 

J  =  0  ,    J  =  l    ,    J  =  co, 

* 

so 


466  CAPITOLO  XVI.  —  §§.  177,  178 

avviene  scambio  dei  fogli  e,  come  subito  si  vede,  il  modo  dello  scambio 
corrisponde  appunto  alle  condizioni  del  teorema  di  diramazione.  Se  ora 
prendiamo  una  funzione  algebrica  'f  di  J  appartenente  alla  superficie 
Kiemanniana  R,  della  cui  esistenza  ci  assicurano  i  teoremi  generali,  essa, 
considerata  come  funzione  di  t,  sarà  monodroma  come  e'  insegna  il  teo- 
rema di  diramazione,  cioè  sarà  una  funzione  modulare.  Per  dimostrare 
poi  che  la  'f  (t)  rimarrà  invariata  per  tutte  le  sostituzioni  di  G  basterà 

provare  la  cosa  per  le  ]x  sostituzioni  (4)  generatrici  di  G.  Sia  |    '  ,    una 

tale  sostituzione,  che  cangia  dunque  un  lato  l  di  P  nel  lato  coniugato  l'. 
Le  due  funzioni 


laT+b\ 


coincidono  lungo  l  perchè,  mentre  z  percorre  l ,  j   percorre  l'  e  in 

punti  corrispondenti  di  l,  V  (che  sulla  superficie  chiusa  R  coincidono  in 
un  medesimo  punto)  la  'f  ha  il  medesimo  valore,  onde  si  conclude  che 

e  sempre  <p  (^^^j  =  <P  (t)- 

In  fine  per  essere  certi  che  nessun' altra  sostituzione  di  F,  oltre  quelle 
di  G,  lascia  9  invariata,  cioè  che  'f  (r)  appartiene  realmente  al  sottogruppo 
G  e  non  ad  un  sottogi-uppo  più  ampio,  basterà  scegliere  la  funzione 
algebrica  'f  di  J  in  guisa  che  pel  medesimo  valore  generico  di  J  la  'f 
assuma  m  valori  distinti,  ciò  che  è  sempre  possibile. 

§.  178. 
Il  poligono  fondamentale  del  sottogruppo  G  =  l   '    j  (mod  2). 

Limitandoci  ai  principii  fondamentali,  esposti  nei  §§.  precedenti,  per 
quanto  riguarda  la  teoria  generale  delle  funzioni  modulari,  tratteremo 
ora  di  alcune  poche  funzioni  modulari,  che  furono  le  prime  studiate  e 
diedero  il  nome  all'intera  classe.  E  in  primo  luogo  riprenderemo  lo 
studio  della  funzione  modulare  h^  (t)  (§.  135),  appartenente  al  sottogruppo 


0^(1;;)  (mod  2), 


LA  FUNZIONE   MODULARE   ¥  (t)  467 

e  legata  all'  invariante  assoluto  J  (r)  dalla  relazione 

4   {\--¥+iy 


(5)  J  = 


27    ^^(l-^^)'-^ 


per  determinarne  il  poligono  fondamentale,  che  consisterà  di  6  triangoli 
della  rete  del  gruppo  modulare  F.  Potremmo  a  questo  oggetto  applicare 
il  processo  generale  descritto  al  §.  176,  ma  preferiamo  procedere,  come 
già  al  Gap.  II  per  lo  studio  del  gruppo  modulare,  ampliando  il  gruppo  G 
colla  riflessione  z  =  —z^  e  considerando  quindi  il  gruppo  ampliato  Go, 
composto  delle  sostituzioni  di  1.''  e  2/  specie  della  forma 


z  = 


a  2^0 — P 


•(•::3-{i;^--) 


7^0—5 
Le  riflessioni  contenute  nel  sottogruppo  Go  hanno  la  forma 

con  a^l ,  (3^Y:^0  (mod  2)  e  perciò  le  rette  e  i  circoli  di  riflessione 
saranno  dati  dalle  equazioni  (Cf.  §.  18): 

dove  w  è  un  intero  qualunque  e  si  ha  v^^O  (mod  2)  con  a^E^l  (mod  7). 
Consideriamo  il  triangolo  T  del  semipiano  positivo,  limitato  entro  la 
striscia  compresa  fra  le  due  rette  successive  di  riflessione 

x^=0  ,  X-  -  1 , 

esternamente  al  circolo  di  riflessione 


|)'  +  2/^=(|)'  (vedifig.13) 


Questo  triangolo  T,  coi  tre  angoli  nulli,  non  è  attraversato  da  alcun 
altro  circolo  0  retta  di  riflessione  di  Go  e  rappresenta  il  triangolo  fon- 
damentale del  gruppo  Go ,  come  si  dimostra  con  considerazioni  del  tutto 


468 


CAPITOLO  XVI.  —  §.  178 


simili  a  quelle  dei  §§.  18,  19.  Ogni  punto  del  semipiano  positivo  è  e- 
quivalente,  rispetto  a  Go,  ad  uno  e  ad  un  solo  punto  di  T;  l'ultima  cosa 


FiG.  13. 


risultando  da  ciò  che  nessuna  sostituzione  di  Go  trasforma  T  in  sé  me- 
desimo. E  infatti  cerchiamo  in  generale  le  sostituzioni  di  1.*  e  2.*  specie 
che  lasciano  fisso  T,  senza  nemmeno  esigere  che  appartengano  al  gruppo 
modulare.  In  primo  luogo  troviamo  fra  queste  la  sostituzione  ellittica  a 
periodo  3 

1 


U)  z'=  - 


z+l 


che  produce  sui  vertici  0 ,  —  1 ,  oo  di  T  la  permutazione  ciclica  (0,  -  1 ,  qo 

0  +  1 


e  il   suo    quadrato   U^)  /  --= 


che   produce    la   permutazione 


(0,  GO  -1).  Nessun' altra  sostituzione  di  1.*  specie  può  lasciar  fisso  T, 
perchè  dovrebbe  lasciar  fisso  uno  dei  tre  vertici  e  permutare  gli  altri 
due  e  componendola  con  U  o  con  U^  si  avrebbe  una  sostituzione  che 
lascierebbe  fisso  oo  e  permuterebbe  (0,-1).  Ora  una  tale  sostituzione 


POLIGONO  FONDAMENTALE   PER   h^  (t)  469 

esiste  eflfettivamente  ed  è 

/=-(0+l); 

ma,  essendo  a  determinante  —  1 ,  scambia  i  due  semipiani  e,  invece  di 

lasciar  fisso  T,  lo  cangia  nel  suo  simmetrico  rispetto  all'asse  reale.  Così 

adunque  di  sostituzioni  di  1.*  specie  che  lascino   fisso  T  vi  sono  solo 

le  tre 

1 ,  U  ,  U% 

appartenenti  al  gruppo  modulare  F.  Vi  ha  poi  anche  la  riflessione  B 

B)   2f=-Z,-l 

che  lascia  fisso  T,  e  quindi  le  tre  di  2.*  specie 

B  ,   BU  ,   BU^ 

né  ve  ne  possono  essere  altre.  Tutte  sei  queste  sostituzioni  appartengono 
al  gruppo  modulare  ampliato  Fo,  ma  non  a  Go,  onde  segue  quanto  sopra 
è  asserito  '^).  Nella  figura  13  sono  rappresentati  i  6  triangoli  della  rete 
modulare  in  cui  T  si  decompone;  i  nomi  di  questi  6  triangoli  sono  ap- 
punto quelli 

1  ,   U  ,   U'  ,    B  ,   BU  ,    BU' 

delle  6  sostituzioni  di  Fq,  che  costituiscono  il  gruppo  riproduttivo  di  T. 

Volendo  ora  ottenere  il  poligono  fondamentale  del  gruppo  G^l    '     I 

(mod  2),  basterà  associare  al  triangolo  T  il  suo  simmetrico  rispetto 
all'asse  immaginario  e  nel  quadrilatero  così  formato,  racchiuso  dalle  due 
rette  x  =  +  1  all'esterno  dei  due  circoli 


hèr-^=i. 


avremo  appunto  il  poligono  fondamentale  di  G  (vedi  fig.  14).  Ogni  punto 
del  semipiano  positivo  è  equivalente,  rispetto  al  sottogi'uppo  G,  ad  un 


(')  Risulta  di  più:  E  gruppo  modulare  V^  è  il  più  ampio,  nel  giuileG^  sia 
contenuto  com^  sottogruppo  invariante. 


470 


CAPITOLO   XVI.  —  §.  178 


punto  e  ad  uno  solo  di  questo  poligono  P,  a  meno  che  il  punto  non  trovisi 
sul  contorno,  nel  qual  caso  esso  è  equivalente  al  punto  del  contorno,  simme- 
trico rispetto  all'asse  immaginario.  (Cf.  §.21).  I  lati  del  quadrilatero  P 
sono  due  a  due  coniugati,  i  rettilinei  fra  loro,  i  circolari  fra  loro  ;  le  ri- 


Fia.  14. 


spettive  sostituzioni  di  G,  che  cangiano  l'uno  nell'altro  i  lati  coniugati,  sono 


1,  ±2 
0,       1 


1,  0 

±2,1 


Se  ne   conclude   (§.    176):    Il  sottogruppo    G    del  gruppo   modidare 
r,  definito  dalla  congruenza  [    '  'J^l    '     1  (mod  2),  si  genera  mediante 


DISTRIBUZIONE   DEI   VALORI   DI   ¥  {z)  471 

le  due  sostituzioni  elementari  ('paraboliche): 

^1  ,  2\      /l  ,  0) 


>0 ,  1/  '   \2  ,  1/ 

Se,  conformemente  a  quanto  si  è  detto  nel  §.  precedente,  si  saldano 
insieme  i  lati  coniugati  di  P,  si  ha  una  superficie  Riemanniana  (di  genere 
zero)  a  6  fogli  che  si  diramano  in  J  =  0  tre  a  tre,  in  J  =  1  due  a  due 
e  medesimamente  in  J  =  co .  Essa  è  la  superficie  di  Riemann  per  l'equa- 
zione algebrica  (5). 

,      §.  179. 
Distribuzione  dei  valori  di  fc^')  nel  suo  poligono  fondamentale. 

Esaminiamo  ora  la  distribuzione  dei  valori  di  h-{i)  nel  suo  poligono 
fondamentale.  Dalle  espressioni  analitiche  per  prodotti  infiniti  e  per  serie, 
date  al  Gap.  XIII,  in  particolare  ad  es.  dalle  (IV)  pag.  398  o  dalle  (XVI) 
pag.  413,  risulta  che  W{z)  è  reale  su  tutto  l'asse  immaginario  e  quindi  in 
punti  simmetrici  rispetto  all'asse  immaginario  (come  pure  in  punti  sim- 
metrici rispetto  ad  ogni  circolo  di  riflessione  di  Go)  assume  valori  coniu- 
gati. Basterà  dunque  esaminarne  l' andamento  sul  contorno  del  triangolo 
fondamentale  di  Go,  ove  ¥{x)  sarà  sempre  reale  e  non  potrà  passare  due 
volte  pel  medesimo  valore.  All'infinito  sull'asse  immaginario  g  =  e'''*^  si 
annulla  e  perciò  anche  /^'^(ioo)  =  0.  In  virtù  della  formola  (pag.  357) 


si  ha 


k'{-\]=\-inx)  , 


^^(*)=|  ,  ^Mo)  =  i, 


sicché  sull'asse  immaginario  da  oo  a  0  F(t)  va  sempre  crescendo  per 
valori  reali  da  0  a  1.  Ora  la  sostituzione 


(*)  Si  osservi  che  il  sottogruppo  G  contiene  soltanto  sostituzioni  paraboliche 
ed  iperboliche,  ma  nessuna  ellittica.     ■ 


472  CAPITOLO  XVI.  —  §.179 

cangia  l'asse  immaginario  nel  lato  semi-circolare 

sul  quale,  movendo  t  da  0  a  -  1,  /jM'))  a  causa  della  formola  (pag.  357) 

andrà  crescendo  da  1  a  co .  In  fine  se  si  osserva  che  la  sostituzione 

T 

cangia  l'asse  immaginario  nel  lato  rettilineo  x=  -1  e  d'altronde  si  ha 

/       r+l\k^(.)-l 

si  vede  che  sul  lato  x=  —1,  k^  (y)    va    crescendo    per    valori    negativi 
da  —00  a  0  (vedi  fig.  15).  In  tutto  l'interno   del  triangolo  fondamen- 

FiG.  15. 


tale  T  di  Go  il  coefficiente    dell'immaginario    in  k^  (v)  serba  sempre  lo 


LA   FUNZIONE   h^  (z)   COME   UNIFORMIZZANTE  473 

stesso  segno  (perchè  ivi  k^{r)  non  è  mai  reale)  e  poiché  nel  triangolo 
simmetrico  rispetto  all'asse  immaginario  prende  i  valori  coniugati  e  d'al- 
tronde nel  quadrilatero  fondamentale  di  G  assume  (una  volta)  ogni 
possibile  valore  '  ^) ,  ne  risulta  che  nell'  interno  dì  T  k^  (t)  prenderà  una 
ed  una  sola  volta  tutti  i  valori  col  coefficiente  dell'immaginario  di  un 
medesimo  segno,  che  si  riconosce  subito  essere  il  negativo  dall'anda- 
mento di  F  (r)  sul  contomo. 

Se  distendiamo  i  valori  di  P(r)  nel  suo  piano  complesso,  abbiamo 
il  risultato  :  La  funzione  modulare  k^  (t)  dà  la  rappresentazione  biunivoca 
conforme  del  triangolo  fondamentale  di  Go  sul  semipiano  negativo. 

§.  180. 
La  funzione  k^{-:)  come  uniformìzzante. 

Osserviamo  che  nel  semipiano  positivo,  a  distanza  finita,  F(t)  non 
prende  mai  uno  dei  tre  valori 

0  ,    1  ,    co  , 

valori  che  assume  soltanto,  o  meglio  verso  i  quali  converge,  andando 
ai  punti  limiti  del  campo,  che  sono  il  punto  t  =  co  e  i  punti  razionali 
dell'asse  reale.  E  siccome  con  una  sostituzione 

^'=7^.  (:'j)-t  ?)(--) 

del  gruppo  G  riproduttivo  di  ^•*  (t)  si  passa  da  t  =  oo  a  tutti  i  punti 
razionali  dell'asse  reale  della  forma  —  con  (a,  7)^(1,0)  (mod  2),  dal 

punto  t  =  0  a  tutti  i  punti  y  con  (p,  8)  e^  (0, 1)  (mod  2)  e  infine  da 

T=  - 1  a  tutti  i  punti  —^  =  -  con  {r,  s)  ^  (1,  1)  (mod  2)  ne  con- 
cludiamo : 

La  funzione  modulare  F  (r)  assume  i  valori  0, 1 ,  co  (0  meglio  converge 

r 

verso  di  essi)  soltanto  all'  infinito  e  nei  punti  razionali  —  dell'asse  reale 


(*)  Basta  osservare  che  k^  (-)  è  legato  a  J  (t)  dalla  (5)  e  ricordare  quanto  si 
dimostrò  al  §.120  riguardo  all'invariante  assoluto. 


474  CAPITOLO  XVI.  —  §.  180 

con  r,  s  interi  primi  fra  loro  e  precisamente  converge  verso  i  valori  0,  1 ,  od 
secondo  che 

{r,  s)  =  (1,  0)  ,  =  (0,  1)  ,  =  (1,  1)    (mod  2). 

Questa  proprietà  della  funzione  modulare  F  (t),  di  non  prendere  i 

valori 

F  =  0  ,    1   ,    00  , 

dà  luogo  ad  un'importante  applicazione,  che  vogliamo  ora  accennare.  Sia 

ly  =  F  (z) 

una  funzione  analitica  di  s  comunque  polidroma,  ma  così  costituita  che 
soltanto  girando  attorno  ad  uno  dei  tre  punti 

^  =  0  ,    1  ,    00  , 

avvenga  scambio  dei  rami,  che  sia  cioè  diramata  soltanto  in  2;  =  0,  1,  co 
e  quivi  del  resto  in  modo  affatto  arbitrario.  Se  poniamo  z  =  k^  (t)  e  ri- 
guardiamo ìv  =  F  (z)  come  funzione  di  t,  diciamo  ic  =  z  (-),  basterà  fissare 
per  un  valore  iniziale  Tq  di  z  la  scelta  fra  uno  dei  valori  di  F  {k^  (tq)  ) 
per  avere  completamente  fissata  la  funzione  analitica  w  =  'f  (r).  Ora  di- 
ciamo che  essa  è  in  ogni  caso  una  funzione  monodroma  di  z.  Per  vederlo 
basta  ripetere  le  considerazioni  fatte  al  §.  175,  a  proposito  del  teorema 
di  diramazione,  e  ricordare  che  per  un  cammino  chiuso  descritto  da  t 
la  z  =  k-{z)  non  può  girare  attorno  a  z  =  0,  1,  oc. 

Questo  risultato  si  esprime  anche  dicendo  che  per  la  relazione  fun- 
zionale w  =  Y{z),  ove  la  w  si  dirami,  in  modo  del  resto  arbitrario,  at- 
torno a  2;  =  0,  1,  00  soltanto,  la  variabile  ausiliaria  z  è  una  variabile 
uniformismnte,  cioè  tale  che  per  essa  si  esprimono  ad  un  tempo  la 
variabile  indipendente  z  =  k^  iz)  e  la  funzione  iv  =  z  (z)  quali  funzioni 
uniformi.  Suppongasi  in  particolare  che  la  tv  sia  funzione  algebrica  di  z 
e  diramata  soltanto  nei  punti  ^  =  0,  1,  oo;  applicando  il  teorema  generale 
precedente  ed  osservando  che  in  tal  caso,  essendo  w  legata  algebrica- 
mente a  k^[z),  lo  è  anche  all'invariante  assoluto  J  (t),  otteniamo  il 
teorema  : 

Qualunque  funzione  algèbrica  di  F  (t),  die  sia  di/ramata  soltanto  per 

k'  =  0  ,    k'  =  l  ,    k'=cx^  , 

e  quivi  del  resto  in  modo  affatto  arbitrario,  è  una  funzione  modulare 
algebrica  di  i. 


475 


§.  181. 

Le  funzioni  modulari  VA-^(r)  ,  Vl-A;^(r)  . 

Da  quanto  abbiamo  ora  detto  risulta  in  particolare  che,  indicando 

con  n  un  numero  intero  positivo  qualunque,  le  funzioni 


ik^z)    ,    Vi— A;2  =  V/t'= 
;  le  fisseremo  perfettame 
dere  per  t  =  ì  il  valore  aritmetico  del  radicale 


sono  funzioni  modulari;  le  fisseremo  perfettamente  convenendo  di  pren- 

1 

I  poligoni  fondamentali  delle  furzioni  modulari 


che  constano  di  6w  triangoli  del  gruppo  modulare  T,  sono  facili  a  de- 
terminarsi. Basta  per  ciò  considerare  che  la  superficie  Riemanniana, 
corrispondente  ad  es.  alla  prima  equazione  algebrica 

<Ì>«  =  A;% 

consta  di  n  fogli  sopra  ognuno  dei  quali  sono  distesi  una  volta  i  valori 
di  F  ed  ha  i  due  punti  di  diramazione  Jir  =  0,  F  =  oo  ,  ove  gli  n  fogli 
si  riuniscono  in  un  ciclo.  Ora  se  consideriamo  il  poligono  fondamentale 
di  ]c\  che  consta  di  due  successivi  triangoli  di  Go  (§.  178)  e  rappresenta 
un  foglio  della  superficie  Riemanniana,  basterà  prendere  n  successivi  di 
questi  poligoni  derivati   dal   fondamentale  colla   ripetuta  applicazione 

della  traslazione  S^  =  L  '  ,  )  e  saldare  quindi  i  due  lati  rettilinei  estremi 

mediante  la  sostituzione  S^"  e  i  circolari  nel  modo  indicato  dalle  freccio 
nella  figura,  ove  è  rappresentato  'il  caso  w  =  3  (  ^) .  Effettivamente,  con 
questa  corrispondenza  dei  lati,    si   vede  subito  che  in  k^  =  0 ,  k^=  oo 


(*)  È  da  notarsi  che  tutti  questi  lati  circolari  sono  fra  loro  equivalenti  non 
solo  rispetto  a  Gq  ma  anche  rispetto  a  G  e  per  ciò  le  sostituzioni  che  congiun- 
gono i  lati  appartengono  al  gruppo  G  ^  ('    j   (niod  2),    come   è   confermato 


dai  calcoli  del  testo. 


476 


CAPITOLO   XTI.  —  §.  181 


i   tre  fogli   sono   riuniti    ciclicamente,  laddove   per  k^=l   non  vi   ha 
diramazione. 

FiG.  16. 


>> 


A  Ji 


/ 


/ 


c^ 


i .'  '  1 1 


;uiiiPiiMiM|||i|, 1,1,1, Il 

''■■iii;;i;i;;i|,,ii,!iii|," 


iiil 


.-::';j:I-Im'i 
•'Il  '|-n  li;;-'  " 


iiMÌ'i|i!|i|i 


,|l'l  '  i|T 
■  1 1 1 1 1 1    , 

ll,  ,1. 

Un' 


i:i;: 


/ 


Jr^o 


ll|ll 
>l  l|l 


!, '• 
111  . 
1,1, ti 


<i|ii|ii'i|i|ii 

'''ii '-i^'i 


i.ii 


' "  'i  ("il  'i 

't'i'll!>i'll'!i 


'II;  I 
'  1 1  '  :  I  ;  '  '  I 


TP 


ll|i| 
lll'l 
llll, 

ii'i' 


JT 


Jc-o 


|l,i|ll|ilh;i|llllil 

||||||I;|i;||!:;mm) 

'M'iiliil. .;.'■, ■'.'■■■uni 


|Tp7TT 
Il   'ili 

1'!'" 
llli'l' 
I  '  1 , 1 1 
Milli; 
"'"Il 


'III 
i|i( 
'1/ 


M 


A'o 


Calcoliamo  subito  le  n+1  sostituzioni  generatrici  del  sottogruppo  di 
^(-).  Una  di  esse  sarà  la  S'«  =  |^'    ^j  che  congiunge  i  lati  rettilinei  e 


LE   FUNZIONI   MODULARI  VA:*  ,  VA;'*  477 

un'altra  la  sostituzione 

lén-l  ,    -2n 
^  \      2  -1 

che  congiunge  i  lati  estremi  circolari.  Quanto  alle  intermedie  n-1,  esse 
debbono  trasformare  il  lato  circolare  cogli  estremi  nei  due  punti  2r-l,2r 

nel   contiguo    cogli    estremi   2r-\-l,  2r  (per  r=l  ,  2,  3 n-1). 

Una  tale  sostituzione  si  compone  della   riflessione  sulla   retta  x  =  2r  e 
della  riflessione  sull'ultimo  circolo,  e  si  trova  quindi  per  la  sua  espressione 

\     2      .-(ér-l)/ 

Concludiamo  adunque  che  :  Le  sostituzioni  generatrici  del  sottogruppo 
riproduttivo  della  funzione  modulare 


0(t)  =  V^'(^) 
sono  le  n+l  sostituzioni  seguenti 

A.2w\      ^^       /^n-l,-2n\     ,,        /4r+l,    -8r^    ., 


0,     1/  \     2    ,    -1/  \    2    ,  -(4^-1) 

Analogamente  si  determinerebbero  le  n+l  sostituzioni  generatrici 
del  gruppo  riproduttivo  di 

Ma  del  resto  basta  osservare  che  si  ha 

per  vedere  che  si  otterranno  le  sostituzioni  domandate  trasformando  le 
precedenti  per  mezzo  della 

/  0,  r 


Potremmo  ora  domandarci  come  si  possono  definire  aritmeticamente 
le  sostituzioni  di  questi  gruppi  riproduttivi  di  4>  (r),  W  (t),  di  cui  cono- 
sciamo le  sostituzioni  generatrici.  Ma  nello  stato  attuale  della  teoria  vi 
è  una  sola  specie  di  sottogruppi  del  gruppo  modulare  che  siamo  in  grado 


478  CAPITOLO  XVI,  —  §§.  181,  182 

di  definire  aritmeticamente  e  questi  sono  i  sottogruppi  congruenziali,  le 
cui  sostituzioni  sono  perfettamente  caratterizzate  da  congruenze  cui 
debbono  soddisfare  i  coefficienti.  (Cf.  §.  128).  Ora  i  gruppi  superiori  non 
sono  mai  gruppi  congruenziali  salvo  i  casi 

n  =  8  ,    4  ,    2  , 

come  si  può  vedere  dimostrato  nell'opera  di  Klein-Fricke  (^'.  Ci  limi- 
teremo allo  studio  delle  funzioni  modulari 

ik  ,  Vk' , 

che,  colle  loro  potenze  2.^  e  4.*  sono,  come  si  è  detto,  le  uniche  radici 
di  k^  (t),  k'^  (r)  appartenenti  a  sottogruppi  congruenziali. 

Queste  furono  in  effetto  le  prime  funzioni  modulari  studiate  ;  e  noi 
vogliamo  ora  caratterizzarne  perfettamente  il  sottogruppo  riproduttivo 
con  congruenze  (mod  16),  secondo  le  formolo  che  Hermite  per  primo 
fece  conoscere. 

§.  182. 

4  _  4_ 

Le  funzioni  modulari  'f  (t)  =^/k  ,   '\>(y)  =  VA;' . 
Poniamo  con  Hermite 

4  _  4  _ 

,p(t)z=VA:  ,    ({)(t)  =  VA;' 

e  precisiamo  il  valore  che  prenderemo  per  la  radice  quarta,  ricorrendo 
alle  formolo  (IV)  pag.  398,  con  che  avremo: 


(6)  : 

00     i_g(2n— l)-zx 

Ricerchiamo  l'effetto  che  una  sostituzione  qualunque  j ''  y\  del  gruppo 
modulare  F  produce  su  'f  (t),  (Jì(t),  per  il  che  già  basterebbe  conoscere 


(')  Bd.  I,  pag.  659  e  ss. 


FORMOLE   DI   HERMITE  PER   (p  (t)  =  Vk  479 

quello  delle  sostituzioni  elementari 

\0,  1/  '    1-1,0/ 

Intanto   dalle  espressioni   analitiche  (6),  indicando  con  r  un  intero 
qualunque,  deduciamo  immediatamente  le  formole: 

f  -ir  I  (2r4-l)  ~i 

(7)    l  (7*)    l  n^) 

che  danno  in  particolare  Feffetto  prv^dotto  da      ' 
D'altronde  avendosi 


cioè 


risulta  che 


non  possono  diiferire  da  ^  (t),  'f  (t)  rispettivamente  che  per  radici  8.® 
dell'unità.  Ma,  per  t  puramente  immaginario,  9  (t),  ;];  (t)  sono  reali  e  po- 
sitive e  perciò  abbiamo  senz'altro  le  formole 


(8) 


Ciò  premesso,  possiamo  stabilire  le  formole  generali  richieste  distin- 
guendo  le  sostituzioni  i    '  A  del  gruppo  modulare  F  nelle  solite  6  classi 

rispetto  al  sottogruppo  G^  '    '     ;  (mod  2).  Consideriamo  dapprima  una 

sostituzione  [^  '  \\  di  G,  supponiamo  cioè  r  '  ^j  ^  (    '    ]  (mod  2);  dico 


480  CAPITOLO  XVI.  —  §.  182 

che  sussisterà  la  forinola: 

\         (mod  2)  / 

Per  dimostrare  questa  forinola,  osserviamo  che  essa  sussiste  per  le 
due  sostituzioni  generatrici  di  G  (§.  178) 

\0  ,      1/       \±  2  ,  1/  ' 
cioè  si  ha 


+^^ 


9(t+2)=e     4^(t)  .   ,p(^^)  =  ^(x), 

poiché  la  prima  è  un  caso   particolare  delle  (7)  e  la  seconda  risulta 
dalle  (7),  (8),  ossei-vando  che  si  ha 

/     1,  0\       /O  ,  -1\   /l  ,+2\   /O  ,  -1 
U2,  1/       \1  ,     0/  \0  ,     1/  \l  ,     0 

Per  dimostrare  che  la  (9)  sussiste  in  generale  basterà  dunque  pro- 
vare che,  supposta  vera  per  la  sostituzione  '  'J ,  essa  sussiste  anche 
per  le  due  sostituzioni 

h '  ^A  _  /  ^'  ^\  T'  '  ^\  _  ("-'^^  '  ^\ 

Va,  V     U2,  1/  \y  ,  2/     \y±2o  ,  g/ 

M,  PA        /l   ,  ±2\    /a  ,  A        1^,  ±2a+^\ 
\u,oJ       [0  ,      1)  \i  ,  e)       \y,±2y+5/ 


Ma  si  ha  per  ipotesi 


\Yt+5/ 


Tt 


e«  9(t) 


FORMOLE  DI   HERMITE   PER  VA;  ,  VA;'  481 

e  quindi 


n-T^J^'  ^(^±2)=. 8  .^(,)^ 

onde  basterà  verificare  le  congruenze 

(^.±2 13)  [3  +(a±213f=  a^  +  a"^    ) 

\  (mod  16); 
a(+2a+p)+      a^      ^a^+rj.^+2  ) 

tale  verifica  è  immediata,  ove  si  rifletta  che  a  è  dispari,  p  pari. 
5.°  caso  /a  ,  P\         /O  >  1\ 


Poiché 


e  si  ha 


risulterà  per  la  (9) 


h.,  [i\    _    /     0,   1\    /-?,   a^ 
VY  ,   S/  \-l,  0/   [-0,    y 


-(3,   a\  /l,  0\ 

=  (mod  2) , 

-0,   'il         \0,   1/ 


e,  cangiando  t  in ,  avremo  dunque 


3."  caso  [a  ,  (3\         /l  ,  T 


(mod  2). 
J  ,5/         VO  ,  1/ 


31 


482 


CAPITOLO   XVI. —  §.  182 


Si  ha 


ed  è 


onde  per  la  (9) 


[l  ,    Y  +  5 


1   ,  -  1\    /a  ,    a+?^ 

0  ,     1/  \7  ,  T+sy 


(mod  2)  , 


? 


\0,   1/ 


=  e 


Tt:+ (7  +  5)1 
e,  mutando  z  in  t-l,  segue  per  le  (7*j 


9W 


(11) 

4."  caso 


YT  +  3 


.    =e" 


^7.  ,     ,i^ 


:?   ^   '/a,  p\_^l,   1 
•(},(r)   LVy,  ^y        ^0,1 


'1,   n 
.1,  Oy 


Essendo 


(mod  2). 


-.3.  'v.^ 


\V,  5/         \-l,  0/  \-ò,  J  '    \-ò,  J 
siamo  subito  ridotti  al  caso  precedente  ed  abbiamo 


(12)     ,(^-^)=e-^'''^-^'ì 


. ,  ,  per  I        *^ 

9  (^)         Vy  ,  '5 


1,  1 

1,0 


a,  r 

.0,   1, 


(mod  2) 


5."  caso 


Colla  formola 


\Y  ,  5y 

VY  ,    oj 


a,  1. 


(mod  2). 


a    ,  -1\    /a,   a  +  [i^ 
vO  ,       1/    \Y  ,   Y  +  W 


si  riduce  al  2.°  caso  e  si  trova 


aT4-p\         %(«?+^'-l)     1 


<-''*'  ■'^^^)- 


=  e 


M^)'^^'Vy,V 


«,PA_^0,  1 


1,1 


(mod  2). 


4  _        4  _ 

FORMOLE  DI   HERMITE  PER  LE   FUNZIONI   MODULARI  ih  ,  Ìli' 
6."  caso  /a  ,  |3\  /l  ,  0\ 

\Y  ,   o)         \1,   1/ 
Si  riduce  al  precedente,  osservando  che 


483 


(mod  2) . 


^a,  [3\        /     0  ,  -1\    /-p,  a^ 


e  si  ha  quindi 

(13) 

Riepiloghiamo  le  formolo  trovate  nel  quadro  seguente 

I) 

II) 


(A) 


III) 
IV) 

V) 
VI) 


a,  (3\        ^0,   1 

Y ,  §;  —  U ,  0 


1,  1 

1,  0 
0,   1 


a, 

P 

Y  , 

0 

a, 

P 

Y  , 

5 

.   .     ^     =e  .'Hi:) 

Vy  ^  +  0/ 


1,   V   '     Hy^  +  oV  tl,(r) 


'='■,  hW^'1'  ^ 


\Vl,  oj        \\,lj  '    ^  Vy^  + 


9 


a.z-\-[i\  -^(-ap+c.2-1)      1 


=  e 


>  W  ' 


ove  le  congruenze  s'intendono  prese  rispetto  al  modulo  2.   Si   hanno 
subito  le  formolo  analoghe  per  '];  (t),  osservando  che 


+  W  =  ?(-j); 


484  CAPITOLO  XVI.  —  §.  182 

per  tal  modo  si  trovano  le  forinole: 


i)i*(.^;ì =>"'"■""'*« 


Yt+5 


n)l,(;^5  =  a¥'^'+-'''-%W 


(A*) 


J     VT  ^-r  ^/  ']'  ( 

IV) 


(^) 


V) 


at+p 


,¥  "f^  9(t) 


1      VT^+V  ?W 


in  corrispondenza  alle  forinole  egualmente  numerate  nella  tabella  (A). 
Da  queste  forinole  si  trae  immediatamente  l'enunciato  teorema  che 
i  sottogruppi  riproduttivi   di  z  (t),  à  (-)  sono   perfettamente  definiti  da 
congruenze.  E  invero  la  tabella  (A)  dimostra  che  la  funzione  modulare 


9  (t)  =  V^*   si  riproduce  per  tutte  e  sole  le  sostituzioni 


disfano  alle  congruenze 
(14) 


a,  p 


che  sod- 


a  ,  ij 
Y 


1,0 


(mod    2) 


0,  1. 
a^+a?  ^^       1         (mod  16), 

la  quale  ultima  può  anche  surrogarsi  colle  due  seguenti 


(15) 


p^O  (mod  16)      con  a ^±  1  (mod  8) 
p  ^  8  (mod  16)      con  a  ^±  3  (mod  8) 


Quanto  al  sottogruppo  riproduttivo  di  ^  (t),  esso  non  è  altro  che  il 

0,  1 


trasformato  del  precedente  per  mezzo  della  sostituzione  T  = 
e  può  definirsi  analogamente  per  congruenze. 


-1,  0 


485 


Capitolo  XVII. 

4  _ 

Equazioni  modulari  per  l'invariante  assoluto  e  per  la  funzione  modulare  Vfe. — 
Metodo  di  Hermite  per  la  risoluzione  dell'equazione  generale  di  5."  grado. 


§.  183. 
Considerazioni  preliminari. 

Una  delle  più  importanti  proprietà  delle  funzioni  modulari  è  di  dar 
luogo  alle  così  dette  equazioni  modulari,  che  possono  considerarsi  sia  come 
formole  di  moltiplicazione,  sia  come  formolo  di  divisione  dell'argomento 
per  un  numero  intero  n  e,  più  in  generale,  come  formole  di  trasforma- 
zione di  ordine  n. 

Già  al  §.  168  abbiamo  dimostrato  l'esistenza  dell'equazione  modulare 
per  l'invariante  assoluto  J(r),  deducendola  dalle  formole  di  trasformazione 
della  funzione  ellittica  pu.  Ci  proponiamo  ora  di  stabilire  in  modo  più 
diretto  l'esistenza  e  le  proprietà  delle  equazioni  modulari,  fondandoci 
unicamente  sulle  proprietà  delle  funzioni  modulari. 

Dobbiamo  per  ciò  in  primo  luogo  ritornare  allo  sviluppo  di  J  (t)  per 
potenze  di 

che  già  al  §.  119  abbiamo  visto  possedere  la  forma 

J  (^)  =  -^  +  «^0  +  «1  2^  +  «2  2*  -f +  0,n  q^''  + , 

per  precisare  la  natura  dei  coefficienti  in  questo  sviluppo.  A  tale  scopo 
ricorriamo  all'espressione  di  J  (r)  per  k^  : 


J(x)  = 


4  (i-k'ky 


27     {k'k'y     ' 
osservando  che  secondo  le  formole  (XVI)  pag.  413  si  ha 


1  +  22  a"'  l  +  22+24'+24'+. 


486  CAPITOLO  XVII.  —  §.  183 

Eseguendo  il  quoziente  delle  due  serie  del  secondo  membro,  col  de- 
terminare i  coefficienti  di  questo  quoziente  colle  note  formolo  ricorrenti, 
vediamo  subito  che  questi  coefficienti  sono  tutti  numeri  interi  e  si  ha 


V A;  =  2  qì  (1-2  q  -{■  6  q'  —  IO  q^  +  .  .  .  .) 


da  cui 


A;'  =  2'  g  (1  —  8  g  +  44  g'  —  152  r/  +  . . . .) 
k'^=l  — 16  q-j- 128  q'  — 704:^  i-  ...  , 

e  sostituendo  in  J  (t)  avremo 

J  (t)  =  Y2V  ^^  ~^  ^'  ^'  +  «2  <2'  -h  «3  g''  + ) , 

dove  le  a  sono  tutti  numeri  interi  (^'  e  la  serie  contiene  solo  le  potenze 
pari  di  q,  a  causa  della  formola  J(i+l)  =  J(:).  In  ciò  che  segue,  per 
evitare  coefficienti  frazionarli,  è  conveniente  sostituire  a  J  (r),  come  inva- 
riante assoluto,  la  funzione 

i(r)=12^J(r), 

che  non  ne  differisce  che  pel  fattore  numerico  12^;  avremo  così  per  lo 
sviluppo  di  j  (i) 

(I)  i(t)  =  -\  +  744  2^-f  196844^^  +  ....  , 

gli  altri  coefficienti  della  serie  ordinata  per  potenze  di  q^  essendo  numeri 
interi.  Ricordiamo  che  questo  sviluppo  vale  per  tutto  il  campo  d'esistenza 
della  funzione,  cioè  in  tutto  il  semipiano  positivo  t. 

A  fondamento  delle  ricerche  sulle  equazioni  modulari  porremo  le 
osservazioni  seguenti.  Supponiamo  che  sia  F  (t)  una  funzione  finita,  con- 
tinua e  monodroma  di  r  in  tutto  il  semipiano  positivo  e  che  inoltre  F  (t) 
rimanga,  come  j  (t),  invariata  per  tutte  le  sostituzioni  del  gruppo  mo- 
dulare r.  Allora  F  (t),  considerata  come  funzione  di.y(t),  sarà  monodroma 
in  j,  perchè  per  ogni  cammino  chiuso  descritto  da  j  nel  suo  piano,  -  su- 
bisce appunto  una  sostituzione  del  gruppo  modulare.  Poiché  inoltre  per 
ogni  valore  finito  di  j  la  funzione  F  (t)  =  9(j)  per  ipotesi  è  finita,  sarà 
in  generale  ©0)  una  trascendente  intera  in  j;  e  viceversa  è  chiaro  che 


<*)  In  particolare  si  ha 

aj  =  744  ,    a^  =  196884. 


ESISTENZA   dell'equazione   MODULARE  487 

Ogni  trascendente  intera  di  j  è  una  funzione  finita,  continua  e  mono- 
droma  di  t  nel  semipiano  positivo  e  rimane  invariata  per  qualunque 
sostituzione  del  gruppo  modulare.  Ma  supponiamo  di  più  che  la  funzione 
0  (j)  si  comporti  per  ^=00  come  una  potenza  intera  e  positiva  j^  di 

;,  che  cioè  ^.„-  converga  per  J  =  00  verso  un  valore  determinato  e  fi- 
nito; ne  concluderemo  subito  che  0  {j)  è  un  polinomio  razionale  intero 
in  j.  Si  ha  dunque  il  teorema  fondamentale  : 

Ogni  funzione  finita,  continua  e  monodroma  di  r  nel  semipiano  posi- 
tivo, che  si  riproduca  'per  ogni  sostitufdone  - — ^  del  gruppo  modulare,  e 

per  j=  co  si  comporti  coinè  una  potenza  di  j,  è  una  funzione  razionale 
infera  dell'argomento  j. 


§.  184. 
Esistenza  dell'equazione  modulare  per  j(x). 

Perveniamo  direttamente  alla  teoria  delle  equazioni  modulari  propo- 
nendoci il  seguente  problema  :  Come  cangia  j  (t)  quando  suW argomento  t 
si  eseguisca  una  sostituzione  lineare 

ax+b 
cz+d 

a  coefficienti  interi  e  a  determinante 

ad  —  hc  =  n 
positivo  (  ^'   qualmique  ? 

Per  risolvere  questo  problema  cerchiamo  in  primo  luogo  quanti  va- 
lori distinti  assume 

.iaz+h\ 


^\ci+dl 


per  tutte  le  possibili  sostituzioni  i     '     j  col  medesimo  determinante  n. 


^    ,  ,  a-z-\-h      ^.     , 

<^)  Il  determinante  ad  — he  deve  essere  positivo,  affinchè  —5  resti  nel  se- 

^  cz-\-a 

mipiano  positivo. 


488  CAPITOLO  XVII.  —  §.184 

Se  (,',,)  è  un'altra  sostituzione  col  medesimo  determinante  n,  avremo 
\c,d  j 

^  \c'x  +  d')  ""^  \cx-\'d, 
allora  e  allora  soltanto  che  si  abbia 


a  z-\-h'         '  cz-\-d  ' 


4-S 


Cloe 


(2) 


c'x-\-d'  az-\-h  ,  ^ 

V  — n?  +  ^ 


a\  y\  _  (a,  b\   fa,  p\  ^  /aa+c|3 ,  bo.+d^\ 
e',  d'J  ~~\c,d)  Vy  ,  V  ~~  Uy+c§  ,  h'i-^dh)  ' 


essendo  (/'  A  una  qualunque  sostituzione  del  gruppo  modulare.  Diremo 

allora  che  le  due  sostituzioni  (  /  '  ^'  )  >  (  '  j  )  sono  equivalenti.  Con  un 
processo  affatto  analogo  a  quello  usato  nei  §§.  162,  163  si  vedrà  che 
ad  ogni  sostituzione  I  '  j  se  ne  potrà  sostituire  una  equivalente  del 
tipo  normale 


dove  a  è  un  divisore  di  )^  e  v  è  determinato  soltanto  rispetto  al  mo- 
dulo il.  Ne  risulta  che  il  numero  dei  valori  distinti  di 

per  tutte  le  possibili   sostituzioni  (    '     j   di   un   dato  determinante,  è 

sempre  un  numero  finito.  E  siccome  valgono  anche  qui  i  teoremi  del 
§.  164  rispetto  alla  composizione  delle  sostituzioni,  potremo  limitare  la 
nostra  ricerca  al  caso  in  cui  n  sia  eguale  ad  un  numero  primo  p.  Allora 
i  valori  distinti  di 

.  fax-\-ì)\ 


ESISTENZA  dell'equazione    MODULARE  489 

saranno  ^  +  1  soltanto  e  cioè 

D'altronde  per  una  sostituzione  qualunque  (.'-!)  del  gruppo  mo- 
dulare, eseguita  su  t,  questi  p+1  valori  di  j  [^'T.j  si  permutano 
semplicemente  fra  loro,  poiché  da 


segue  anche 

Ora,  essendo  r  un  intero  positivo  qualunque,  poniamo 

(4)       F.  (r)  =  f  (,  ,)  +  /  (1)  +  /  (^-^;  +  .  .  .  +  /  (^■^) 

e  sarà  evidentemente  F,-  (r)  una  funzione  finita,  continua  e  monodroma 
di  T  in  tutto  il  semipiano  positivo,  che  resterà  inoltre  invariata  per  tutte 
le  sostituzioni  del  gruppo  modulare,  avendo  queste  per  effetto  di  per- 
mutare fra  loro  i  termini  della  somma  nel  secondo  membro  della  (4). 
Ma  dallo  sviluppo  in  serie  (I)  per  j  (t)  abbiamo 

Ìj  {pz)  =  q-'p  (1  +  744  q'f  +  196844  q^P  +  .  .  .) 
i  f  -^  j  =  £-"  q    "  f  1  +  744  e  q>'  -j-  196844  e^'g"  + . . .  j 

e=eP  , 
onde  si  vede  che  F^  (t)  per  i  =  qo  si  comporta  come  f,  cioè  il  quoziente 

M) 

jrp 

ha  un  limite  finito  e  diverso  da   zero   per  ;  =  co .  Dunque  F,.  (t)  è  un 


490  CAPITOLO  XVII. —  §§.  184,  185 

polinomio  razionale  intero  in  j  (§.  183).  Se  poniamo 

e  costruiamo  il  polinomio  di  grado  ^  +  1  nella  variabile  / 

U'-L)  (/-io)  (/-il) . . .  (i'-i.-i)  =/"'-'+  'a/^-I- 'a/^-^+.. .+  ypf-\-y-p+i , 

1  coefl&cienti  a  saranno  polinomii  razionali  interi  in  j  (t).  Siamo  così  di- 
rettamente arrivati  all'esistenza  dell'equazione  modulare  col  teorema: 

Se  i    '   ,  )  è  una  sostituzione  a  coefficienti  interi   e  a   determinante 

\c ,  dj 

primo  p,  fra  le  funzioni  di  v 

sussiste  un'equazione  algebrica  di  grado  p+l  in  /; 

(III)         f  (/,  j)  =  JP-^'  +  a,  j'P  +  a,  fP-'  +  ...  +  «,  /  +  ap^,  =  0  , 

i  cui  coefficienti  a  sono  polinomii  razionali  interi  in  j. 

Questa  è  l'equazione  modulare  fra  j,  f  e  le  suei'  +  l  radici  in  /  sono 


§.  185. 
Gruppo  di  monodromia  dell'equazione  modulare. 

Vogliamo  ora  determinare  direttamente  il  gruppo  di  monodromia 
dell'equazione  modulare,  confermando  così  i  risultati  ottenuti  alla  fine  del 
§.  168.  Dobbiamo  per  ciò  far  percorrere  a  j  {■:)  nel  suo  piano  complesso 
un  cammino  chiuso  qualunque  ed  esaminare  come  si  permutano  corri- 
spondentemente i  i?4-l  rami 

Jk  '   hi  Ji  •  •  •  Jp-i 
della  funzione  algebrica  /  di  j.  Un  cammino  chiuso  qualsiasi,  descritto 

da  jiz).  produce  su  t  una  sostituzione  I   "'  'Ì  1  del  gruppo  modulare  e 

Vi ,  oj 


GRUPPO   DI   MONODROMIA   DELL'EQUAZIONE   MODULARE  491 

basterà   per   ciò   esaminare   l'effetto   sui   p  +  l    rami  delle  sostituzioni 
elementari 

•1,    l\       (    0,   IN 

,0,  i;  '  v-i,  oj  ' 

Per  la  prima  j^  =j  (pz)  non  cangia,  mentre 

si  cangia  in 

dunque  gli  indici  v  dei  p  +  l  rami  subiscono  la  sostituzione  lineare 
a)  v'  ^  V  + 1  (mod  p) 

Per  l'altra  sostituzione 


r'=-  - 

V 


ì  due  rami 


si  permutano  fra  loro,  giacché 

E  se  indichiamo  con  //  il  ramo  in  cui  va  p  per  v  diverso  da  0,  qo  , 
dovremo  avere 

T  +  "|      ./.^^      .A+V 


P       I  \   P'    J  \  V 

e  perciò 

T+V 

vt— 1  _  '^~p~^^  __  aT+(av'+pi?) 
essendo  (     '  !>  )  una  sostituzione  del  gruppo  modulare.  Il  paragone  dei 


492  CAPITOLO  XVII.  —  §.185 

coefficienti  in  queste  due  sostituzioni  lineari  a  determinante  p  dà 

a  =+ V  ,    av'+pi)  =+  1  , 

onde 

vv'^ —  1    (mod^;)  , 

formola  che  vale  anche  per  v  =  0,  co  come  sopra  si  è  visto.  Dunque  la 
sostituzione  [    ■■  '  r,  )  P^^t^^^^  ^^S^^  indici  dei  rami  la  sostituzione 

h)  v'^ (modp). 

E  siccome  colle  due  sostituzioni  a),  h)  si  genera,  come  sappiamo, 
l'intero  gruppo  modulare  (mod^) 

(IV)  v'  =  ^^^  (mod  p)  ,    a  d—b  e  =  1 , 

si  conclude  che  questo  è  il  gruppo  richiesto  di  raonodromia. 

Del  resto  è   anche   facile   vedere   quale   sostituzione  del  gruppo  di 

,  .     .    ar+S     -  , 
monodromia  (IV)  si  produce   per  una  sostituzione  qualsiasi  ^ — — ^   del 

gruppo  modulare.  Supposto  invero 

avremo 

'"-l+i  +  v 

•^  V     p     I    ^  \    p'(i+pd    J    ^  \  p 

quindi 

T-|- V 

P'ii+po  ,  hV       g,        v't  +  (y'>/+  S»  ' 

essendo  (  '/  t!,  )  un'altra  sostituzione  del  gruppo  modulare.  Se  ne  trae 

a  +  Yv=±a    ,    i3-l-5v=±(aV-fp» 


GRUPPO  DI  MONODROMIA  DELL'EQUAZIONE  MODULARE        493 

onde 

,         ùv-rp     ,       ,     . 
V  ^  — — ^    (mod  v) 

Yv-|-  a 

e  se  ne  conclude:  La  sostitìmone  — ^^  del  gruppo  modulare  produce 

YT-f-Ò 

sui  p-f  1  indici  dei  rami  della  funzione  algebrica  /  la  sostituzione 

(5)  v'=^^     (modp). 

YV-j-a 

Siccome  questo  gruppo  sui  p-\-\  rami  è  transitivo  (anzi  doppiamente 
transitivo),  si  vede  che:  L'equazione  modulare  (III)  è  irriducibile. 


§.  186. 
Diramazione  di  /  rapporto  aie  poligono  fondamentale  di  j  f  — 

Mediante  i  risultati  ora  conseguiti  è  facile  studiare  l'effettiva  dira- 
mazione della  funzione  modulare  /  rapporto  a  j,  ciò  che  ci  fornirà  un 
esempio  semplice  ed  istruttivo  della  teoria  generale  al  §.  175.  Se  j  =  a 
è  punto  qualunque  del  piano  complesso  j,  e  ti  il  punto  corrispondente 
del  triangolo  fondamentale,  per  un  giro  di  j  attorno  ad  a,  supposto  dap- 
prima a  4=  0, 1 2^,  00 ,  sopra  una  piccola  curva  chiusa,  t  girerà  una  sola 
volta  attorno  a  Tj  e  ciascun  ramo  p  tornerà  col  proprio  valore,  cioè  non 
vi  sarà  diramazione  di  /.  Se  poia  =  0,  ovvero  a=12^  o  infine  a=Go, 
avremo  corrispondentemente 

Ti  =  e  ^     ,     Ti  =  i    ,     Ti  =   co 

e  un  giro  positivo  di  j  attorno  ad  a  produrrà  rispettivamente  le  sosti- 
tuzioni 

T  +  1  1 

sopra  r.  Avremo  quindi  sugli  indici  v  dei  rami  di  /  rispettivamente  le 
sostituzioni  : 

7)  '/^^^  ,    p)  -/=-|  ,    7)  v'=v  +  l  (modi)). 


494  CAPITOLO  XVII.  —  §.  186 

La  a)  è  a  periodo  3  e  quindi  i  rami  si  permutano  attorno  a  ^"  =  0 
tre  a  tre  e  potranno  restare  eventualmente  isolati  due  rami  corrispon- 
denti alle  radici  della  congruenza 

'/  — v+1  =0    (modp) 

ossia 

(2v-l)2  =  — 3    (mod^). 

Dunque  quando  f !  =+  1,  cioè  p  è  della  forma  6  r+l,  due  rami 

restano  isolati  e  i  rimanenti  ^  —  1  =  6  r  si  permutano  3  a  3  ;  che  se 
invece  p  è  della  forma  6r-}-5,  allora  tutti  i  p^l  rami  si  permutano 
3  a  3.  Nel  caso  particolare  ^  =  3  il  solo  ramo 

resta  isolato,  permutandosi  ciclicamente  i  tre  restanti. 

Similmente  dalla  ,3)  si  vede  che  in  i=  12^  tutti  i  rami  si  scambiano  2 
a  2,  se  j9  è  della  forma  4w-|-3;  e  invece  due  dei  rami  corrono  isolati, 
se  jp  è  della  forma  4«+l- 

In  fine  per  ;  =  co  abbiamo  in  ogni  caso  un  ramo  isolato,  mentre  i  p 
rimanenti  si  scambiano  ciclicamente. 

Volendo  rappresentare  la  superficie  Riemanniana,  corrispondente  al- 
l'equazione algebrica  modulare  (III),  basterà  costruire,  secondo  il  §.  177, 
il  poligono  fondamentale  di  una  delle  sue  radici,  p.  e.  di 

t 
V 

ed  esaminare  la  distribuzione  dei  suoi  lati  in  coppie  di  lati  coniugati. 
Ora  dalla  (5)  risulta  subito  che  le  sostituzioni  ( .  '  H  del  gruppo  mo- 

dulare  F,  che  lasciano  invariata  la  funzione  modulare  y    —  1 ,  sono  tutte 

e  sole  quelle  per  le  quali  p  — 0  (mod^j).  Queste  formano  in  F  un  sot- 
togruppo congruenziale  G  d'indice  finito  =;;-}- 1,  che  è  il  sottogruppo 

riproduttivo  di  j/  f  ^  j  .  l  p-[-\  valori  distinti  che  assume  jo  =  j  l—  j 

per  le  sostituzioni  di  F  sono,  come  sappiamo 


POLIGONO   FONDAMENTALE  DI  j  f  —  j  495 

percorrendo  v  un  sistema  completo  di  resti  (mod  p),  onde  si  rileva  che 
un  sistema  completo  di  p  +'  1  sostituzioni  di  F,  non  equivalenti  rispetto 
a  G,  è  dato  da 

0,1^       gv  _^1  '    '^ 


-1 ,  oy  '         vo ,  1 

ove  V  percorra  un  sistema  completo  di  resti  (mod  p).  Ogni  altra  sostitu- 
zione (    '  t!  )    di  r   sarà  equivalente,  rispetto  a  G,  ad  una  di  queste, 

/a,13\        /  0,  1^|   fa,  b\  ^  ^-h  ,  a 
V7 ,  0/        \-l  ,  0/    ^c  ,  dj        \-d ,  e 


cioè  sarà 


ovvero 

/a,  PN  _  /^l  ,  r\    fa,  h\  _  fd ,  ra+h\ 
Vy,  d)  ~\0,lj  Ve  dì  ~  Ve  ,  re  +d)  ' 

essendo  I     '      |  una  sostituzione  di  G,  che  ha  cioè  b'^^O  {mod  p).  Si 

\c ,  dJ 

vede  di  qui  che  sono  equivalenti  a  T  tutte  quelle  sostituzioni  che  hanno 
a ^0  (modi-)),  che  se  i 
quella  S'  per  la  quale 


a ^0  (modi-)),  che  se  invece  a^O(modi))  sarà  (.  '  ?)  equivalente  a 


ra^P    {mod  p) . 

Ciò  premesso  ed  escludendo  il  caso  di  p  =  2,  che  si  tratta  subito 
direttamente,  supponiamo  p  dispari  e  prendiamo  per  ì  p+1  rappresen- 
tanti le  p-{-l  sostituzioni 

(s~'2". . .  s-^  s-\  1  ,  S ,  SI  . .  s'"^) ,  T . 

Il  poligono  fondamentale  di  j  [  —  ),  cioè  del  sottogruppo  pnO  modp), 

\P  / 

potrà  costituirsi  coi  i?  + 1  (doppii)  triangoli  omonimi  della  rete  modu- 
lare, come  è  rappresentato  nella  figura  17  a  pag.  496  per  p  =  5.  Per 
ricercare  poi  come  sono  coniugati  due  a  due  i  lati  e  quali  sono  le  so- 
stituzioni (generatrici  del  sottogruppo  G)  che  li  congiungono,  basta  ap- 
plicare la  regola  generale  del  §.  177  ed  osservare  che  al  triangolo  S'' 
{r  ^  0)  del  poligono  è  aderente  pel  lato  (circolare)  esterno  il  triangolo 


496  CAPITOLO   XVII.  —  §.  18G 

il  quale,  secondo  la  regola  sopra  notata,  è  relativamente  equivalente  a 
quel  triangolo  S*^  del  poligono  pel  quale  sì  ha 

vr  ^ — 1    (mod^'), 
FiG.  17. 


|||llllll||||l|l|IHI),il||itlllllll|ll||IIIHIII'l|IMI|ll|lj| 
I    Milli     |lil||l'l  11,11  lllM'hllillliiiliinl'Hii:, 


^'lilll|lllll|l|l|l||i'!li' 

(lllllllll>llllllillll  III 
;i''|'ii|, l'ini, Il  ,ii 
!:il!'!nnill!ii,ii!l'! 


iii!iiiiM|ii|iiiiii)iiiiiiiiinii!ii 
i'Iii'ii'!i'iiii''iiiii!i"i'lili':!i 

i'    l'il'    '"'  ilM'IllUi'l.'i 


s 


>l'llllllllllillllllllllll 
\iii,;i!;;iii.i|iii|.i;i 


lili"' 


^ 


Oui 


M'>i!llll'lliN|'!li|ii'|l"ilH!ll! 
i|'|||||illi'|,'i  I  |ii|[Vl'|l"l'!i 


ilili|||il|liil'Mli.iiiiliili||iH|il'M|||!|l|l||lillj! 

!!!n'!ii:i;iii;;r"    ■ "- 

I  'i'"i  '"i'' 


ll'lll,l,llllllllljll 

'■''ini! '' 


S 


l>i||l|,|jMYfllll"|['l,.l 

, ..,  '"n.i.  iji'niiiii'  I  i" 

nllllhhlllillllilllllllilill. 


iiiiii  '  iii,ihi",ii'  l 'l'iiij.i 

'■iiilliiiill'ilii'ni:!  |i|iii! 

l:HHnl!!iniiliÌilllllllll'lliillll 


s 


e  per  la  corrispondente  sostituzione  che  ne  congiunge  i  lati  si  trova 
subito 


(6) 

supposto 


,      r' z  —  'k'p 


T — r 


rr'-f  1  =lip. 


POLIGONO   FONDAMENTALE   DI   j  (  —  ]  497 

Al  triangolo  ST  aderente  a  T  per  un  lato  esterno,  essendo 


è  equivalente  T  stesso,  i  cui  due  lati  esterni  sono  dunque  coniugati  e 
la  sostituzione  che  li  congiunge  è 

che  del  resto  si  ottiene  come  caso  particolare  dalla  (6)  ove  si  faccia 
/  =1,  r=  -\.  Restano  soltanto  i  due  lati  rettilinei  del  poligono,  che 
sono  congiunti  dalla  sostituzione 

Vo,  i 

Così  adunque:   L'intero  sottogruppo  G,  definito   dalla   congruenza 
P^O  (mod  p),  è  generato  dalle  sostituzioni 

(r'      -    "Z^IX 
G;  l)  '    (''   '      ^     ^     )  '  ^^=-1  («^«d^)), 

percorrendo  r,r  le  coppie  incongrue  che  danno  r/^  —  1  (modp).  La 
superficie  Riemanniana  chiusa,  che  si  ottiene  saldando  i  lati  coniugati, 
offre  naturalmente  la  diramazione  già  studiata  al  principio  del  presente  §. 
Si  potrà  facilmente,  colla  nota  formola  della  teoria  della  connessione, 
calcolare  il  genere  della  superficie  Riemanniana  e  si  vedrà  che  esso  è 
zero  solo  nei  casi 

p  =  d,ò,  7,  13  (^). 


(^)  Per  calcolare  il  genere  P  della  superficie  Kiemanniana  si  ha  la  formola 
già  citata  al  §.  92 

(«)  p=2^-«^+i, 

ove  m  è  il  numero  dei   fogli  (qui  =^:>  -|-  1),  r  è  il  numero  dei   fogli   congiunti 
ciclicamente  in  ogni  punto  di  diramazione.  Basta  ora  distinguere  i  quattro  casi 

32 


498  CAPITOLO  XVII.  —  §.  187 

§.  187. 
Proprietà  dei  coefficienti  dell'equazione  modulare. 

Andiamo  ora  a  studiare  più  da  vicino  i  polinomii  ai ,  otg . . .  c/.p^i  ra- 
zionali interi  in  j,  che  sono  i  coefficienti  dell'equazione  modulare  (III) 
§.  184.  In  primo  luogo,  tenendo  conto  degli  sviluppi  (I),  (II)  in  serie 
di  potenze  di  2^  facilmente  valutiamo  il  loro  grado.  Intanto,  avendosi 

-«1 = L  +  io  +  /i  + . . .  +  jp-i , 

nello  sviluppo  di  c.i  per  potenze  di  (f  la  più  alta  potenza  negativa,  che 
vi  comparisce,  è  g~*^  che  vi  ha  il  coefficiente  -1;  onde  per  la  (I)  c(i  è 
un  polinomio  di  grado  p  in  j  e  la  potenza  f  vi  comparisce  col  coef- 
ficiente —  1. 

Con  considerazioni  analoghe  si  vede  che  i  gradi  di  ag ,  «3 . . .  otn 
rispetto  a  j  non  superano  p.  Quanto  all'  ultimo 

esso  contiene  nello  sviluppo  in  potenze  di  q^  come  più  alta  potenza 
negativa  g'"^<-p+**  col  coefficiente  +1  e  si  ha  per  ciò 

essendo  le  h  coefficienti  numerici.  Da  tuttociò  si  raccoglie  che  l'equa- 
zione modulare  (III)  può  scriversi  sotto  la  forma 

(V)  (P^  U'-lJ')='2crsff, 


che  può  offrire  p  rispetto  al  modulo  12,  cioè  i  quattro  casi: 

p  =  12n-{-l  ,  12n-\-ò  ,  12  n  +  7  ,  12  n  +  11 
ed  applicando  la  forinola  {0)  si  trova  ordinatamente 
F  =  71  —  1,  n  ,  71,  n-\-l  , 

ciò  che  dà  immediatamente  i  risultati  enunciati  del  testo.  Ulteriormente  si  ha 

P  =  l  per 

p  =  11  ,  17  ,  19  ecc. 

(*)  Si  suppone  p  impari. 


PROPRIETÀ   DEI   COEFFICIENTI   DELL'EQUAZIONE  MODULARE  499 

dove  Cr,s  è  un  coefficiente  numerico  e,  per  quanto  sopra  è  detto 

p  j  p  —  ^  • 

Dimostriamo  ora   l'importante  proprietà:  TuUi  i  coefficienti  Crs  del- 
l'equazione modulare  (V)  sono  numeri  interi  divisibili  per  p. 
In  primo  luogo  dimostriamo  che  Vequazione  modulare  (V) 

f  U\  j)  =  (i'^-i)  {j'-jp)  =2  ^'•'  *  i"'/  =  0 
è  simmetrica  in  f,  j.  Si  ha  infatti,  qualunque  sia  t 

fU(pr),JÌT))  =  0, 


e  cangiando  t  in  — 


<i«..-(^))  =  o, 


cioè 

fU,f)  =  o, 

ossia 

Se  questa  non  coincidesse  colla  precedente,  sottraendolo  si  avrebbe 
peri'  un'equazione  di  grado  inferiore  a  i^+1,  ciò  che  è  contrario  alla 
dimostrata  irriducibilità  dell'equazione  modulare;  dunque  si  ha 

e,-  g  Cs  r 

e  la  (V)  può  scriversi 

(V*)   ij'p-j)  (f-jn  ='f  T^-  irf+fp)  +T^../^/. 

,=0      ,=0  ^ 

Per  determinare   i   coefficienti  e,,  osserviamo   che  questa  equazione 
diventa  un'identità  se  vi  si  fa 


4=00 

Ora,  per  la  legge  di  formazione  della  potenza  p"'"  di  una  serie,  ri- 
sulta di  qui 

jp  ^  ^-2p  2  a':  q'P'  +  p g-2(;>-i)  2  a's  q'' , 
dove  le  a'  sono,  come  le  a,  numeri  interi. 


500  CAPITOLO   XVII. —  §.187 

Ma  si  ha,  pel  teorema  di  Ferraat 

a'^  ^  tts  (mod  p)  ,   flo  =  1 
e  la  precedente  può  scriversi 

essendo  le  b  altri  numeri  interi,  onde  risulta 

ove  le  d  sono  nuovamente  numeri  interi. 

Sostituiamo  questo  sviluppo  nel  primo  membro  della  (V),  ponendo 
nel  secondo  membro  per 

ì  loro  sviluppi  per  potenze  di  2^  che  cominciano  rispettivamente  coi 
termini 

aventi  per  coefficiente  +1.  Nel  secondo  membro  della  (V*)  non  possono 
comparire  due  termini  colla  stessa  più  alta  potenza  di  q;  poiché  da 

p  r+s  =  p  r'+s' 

segue  5  =  s,  r  =  /.  Paragonando  adunque  dalle  due  parti  i  coefficienti 
delle  potenze  negative  di  q,  cominciando  dalla  più  alta,  avremo  ogni 
volta  delle  equazioni  lineari  nelle  e,  delle  quali  ciascuna  conterrà  una 
sola  nuova  incognita  Cs  col  coefficiente  =1  '^'.  Dunque  tutti  i  coeffi- 
cienti e  sono  numeri  interi  divisibili  per  p  e.  d.  d. 


(^)  Se  si  scrivono  i 

coefficienti 

Cr  s  nel  quadro 

^p—i  >  p— 1 

Cp-l  ,   i^2 

Cp-2  ,   p-2 

Cp-^1   ,   1^3 

C;,-2  ,   ^-3 

Cp-S  ,   p-3 

Cp-Ì  ,  1 

Cy,-2.   1 

C^;_3,  1     ....     di 

Ci^l  ,  0 

Cp—i,0 

Cp-3 ,0     ....     Ciò 

Coo, 

è  chiaro  che  verranno  cosi  successivamente  determinati  i  coefficienti  della  1.* 
colonna  (dall'alto  in  basso)  poi  quelli  della  2.*  della  3.^  ecc. 


501 


§.  188. 
Gruppo  algebrico  dell'equazione  modulare. 

Ora  che  conosciamo  la  natura  dei  coefficienti  dell'equazione  modu- 
lare (V)  possiamo  completare  la  ricerca  del  §.  185,  ove  abbiamo  dimo- 
strato che  il  gruppo   di  monodromia  di   questa  equazione  contiene  le 


2 


sostituzioni  sugli  indici 


(IV)  v'  =  ^^  ,  ad-bc=  1  (mod  p) , 

e  determinare  anche  il  suo  gruppo  algebrico  o  di  Galois  nel  campo  dei 
numeri  razionali.  Il  gruppo  algebrico  deve  contenere  quello  di  mono- 
dromia come  sottogruppo  invariante  e  si  sa  dalla  teoria  dei  gruppi  di 
sostituzioni  che  il  più  ampio  gruppo,  contenente  come  sottogruppo  in- 
variante il  gruppo  (IV),  è  quello  formato  da  tutte  le  possibili  sostitu- 
zioni lineari  sugli  ìndici 

v= — r—, (mod«),  ad — &c^0. 

cv-\-d 

In  questo   gruppo  H^j  (p^-i)  di  p  (p^ — 1)    sostituzioni   il   gruppo  di 
monodromia  (IV),  che  indichiamo  con  R'^.  (^4_i) ,  è  contenuto  come  sot- 

2 

togruppo  invariante  d'indice  2;  e  si  noti  che  H'  contiene  tutte  le  sosti- 
tuzioni pari  di  H.  Pertanto  il  gruppo  algebrico  dell'equazione  modulare 
coinciderà  o  con  H',  o  con  H.  Per  decidere  quale  dei  due  casi  abbia 
luogo,  consideriamo  la  radice  quadrata  del  discriminante  D  dell'equa- 
zione modulare 

(7)  Vd  =^~  (i-i.)  n  u^-p') , 

v=0  V,  v' 

p  ( p~ 1 ) 

il   secondo   prodotto   essendo   esteso    a    tutte    le  --^ — -  combinazioni 

degli  indici  v,  v'  presi  nella  serie  0,  1,  1...p-\  colla  condizione  v<Cv'. 
Questa  è  una  funzione  razionale  (intera)  delle  radici  dell'equazione  mo- 
dulare, invariabile  per  le  sostituzioni  di  H',  non  per  quelle  di  H,  ed  è 
quindi  un  polinomio  razionale  intero  in  ;  con  coefficienti  numerici.  Se  il 


502  CAPITOLO  XVII.  —  §.  188 

gruppo  algebrico  coincide  con  H',  questi  coefficienti  saranno  numeri 
razionali  e  nel  caso  opposto  invece  dovranno  contenere  un'irrazionalità 
quadratica  y/A,  con  A  numero  razionale,  la  cui  aggiunta  abbasserà  il 
gruppo  algebrico  al  gi'uppo  di  monodi'omia.  Poniamo 

essendo  0  un  polinomio  razionale  intero  in  j  e  calcoliamo  il  coefficiente  a 
della  più  alta  potenza  di  j  in  0.  Sostituiamo  per  ciò  nel  secondo  membro 
della  (7)  per  j^,p  i  loro  sviluppi  (II)  in  serie: 

Zoo  =r'^  (l+«i  ^''+'")  >  P  =  ^~"  2"^(l+«i  ^"  r+'-) 

e  vedremo  subito  che  la  piìi  alta  potenza  di  q~^  nel  2."  membro  è  data  da 

ed  il  suo  coefficiente  sarà 

(8)  a  =  n{t' -'-''). 


p-  l 
Dunque  0  0")  è  di  grado  p^  -\ ~-  in  j  e  si  ha 

di 

i  termini  seguenti  essendo  di  grado  inferiore  a  ■jf  -f-  e  il  coeffi- 

Ài 

dente  a  avendo  il  valore  (8).  Si  osservi  ora  che 


non  è  altro  che  il  discriminante  deirequazione 

Q^—\  =  0, 
e  per  ciò,  indicando  con  s,-  la  somma  delle  potenze  r'"*  delle  sue  radici, 


GRUPPO   ALGEBRICO   DELL'EQUAZIONE   MODULARE 


503 


si  ha 


a  = 


So      Si    ...    .    Sp_i 
S\      S%   .    ,    ,  ' ,      Sp 


Sp—1     Sp  .  .    ,    .  S2(p— 1) 

e  poiché  Sr=  1  -f  e'' H-£2\..-|- £'?-!"•  è  eguale  a  i)  se  r^O  (mod^),  e 
invece 

£^•■-1 


Sr  = 


s"--! 


=  0    per  y  ^  0   (mod  p) , 


avremo 


a'  = 


p  0  0  .  . 

.  0  0 

0  0  0.. 

.  0  p 

0  0  0.. 

.  p  0 

0  p  0  .  . 

.  0  0 

=  (-i)'^V 


e  quindi 


=  i)  2  V(-i)  ip. 


Se  ne  conclude  adunque  :  Il  gruppo  algebrico  dell'equazione  modulare 
è  il  gruppo  lineare  totale 

'/ ^ — T--,  (mod»)  ,    ad-hc^O. 
cv-\-d  ^        -^^  '  ^ 

L'irrazionalità  numerica,  la  cui  aggiunta  lo  abbassa  al  gruppo  di 

r 


\'       ini 

monodromia,  è  data  da  V  (  -  l)  2  p. 


§.  189. 
Equazione  modulare  per  9  (t)  ='\/k  e  sue  radici. 


Il  processo  indicato  al  §.  187  pel  calcolo  dei  coefficienti  c,-,«  potrebbe 
servire  a  dare  le  effettive  equazioni  modulari  per  j  (t).  Ma  i  valori  ef- 
fettivi dei  coefficienti  c-s  sono  numeri  tanto  grandi,  anche  per  piccoli 
valori  di  p,  che  i  calcoli  indicati  riuscirebbero  laboriosissimi.  Soltanto 
per  ^-=2  è  calcolata  la  forma  esplicita  dell'equazione  modulare  (da  Stephen 


504  CAPITOLO   XVII. —  §.  189 

Smith)  e  pei  casi  p  =  3,  5,  7,  13,  in  cui  il  genere  della  superficie  Rie- 
manniana  riesce  zero,  il  Klein,  utilizzando  il  modo  di  diramazione  della 
superficie  di  Riemann,  ha  dato  delle  formole  che  implicitamente  deter- 
minano le  corrispondenti  equazioni  modulari  (^). 

Assai  più  semplici  riescono  le  equazioni  modulari  per  altre  funzioni 
(modulari)  teoricamente  più  complicate  dì  j  (i)  '^'.  Così  è  per  le  equazioni 
modulari  della  funzione 

'f(t)  =  V^, 

che  furono  le  prime  calcolate  (da  Jacobi  e  Sohncke).  Vogliamo  ora  trattare 
di  queste  particolari  equazioni  modulari  e  costruirle  effettivamente  pei 
valori  più  bassi  di  p. 

Partiamo  dalla  seguente  osservazione  generale.  Se  4>  (t)  è  una  qual- 
siasi funzione  modulare,  legata  a  J  (t)  dall'equazione  algebrica 

F(^(x)  ,    J(r))  =  0, 

X 

cangiando  in  questa  t  in  —  avremo 

n 


Ora  se  prendiamo  l'equazione  modulare 


(*)  Math.  Annalen.  Bd.  XIV. 

(2)  P.  e.  nel  caso  p  =  2  noi  abbiamo  potuto  stabilire,  studiando  la  trasfor- 
mazione di  Landen  (§.  170),  la  semplice  formola 


..,J-V'-(i) 


1  + 


V'-'(i)  ' 


che  è  una  forma  dell'equazione  modulare  per  j>  ^  2.  È  manifesto  che  la  rela- 
zione fra 

è  molto  più  complicata. 


4 


EQUAZIONI   MODULARI   PER  V^  505 


e  fra  le  tre  equazioni  scritte  eliminiamo  J  (^) ,  J  (  —  J ,  avremo  evidente- 
mente una  relazione  della  forma 


\ 
n 


«^(*W,  *(^))  =  o. 


essendo  W  una  funzione  razionale  intera  (irriducibile)  dei  suoi  due  argo- 
menti. Questa  si  dirà  l'equazione  modulare  per  <ì>  (t). 

Consideriamo  dunque  in  particolare  la  funzione  modulare 

,p  (r)  =  V^ 

e,  supponendo  senz'altro  j^  numero  primo  dispari,  ricerchiamo  le  pro- 
prietà dell'equazione  modulare 


(VI)  f('H^)  ,  'f( 


p 


0 


che,  ponendo 


w  =  tp  (i)  ,    V  ^  9  l^j  , 


scriveremo  anche 

(VI*)  f(u,v)  =  0, 

indicando  f{u,  v)  una  funzione  razionale,  intera  ed  irriducibile  dei  due 

argomenti  u,  v. 

/t  \ 
Cerchiamo  in  primo  luogo  il  grado  della  (VI)  in  cp  (— |  e  le  sue  radici. 

Per  ciò  bisogna  far  descrivere  a  -s  (-)  nel  suo   piano  complesso   tutti  i 
possibili  cammini  chiusi  ed   osservare   quanti  e  quali  valori  diversi  as- 

sume  's  j  —  .  Per  far   descrivere  a  e:  (i)  un    cammino   chiuso,  bisogna 

'  \PI 

cangiare  t  secondo  una  sostituzione  — ^f-^  del  sottogruppo  A  di  ce  (t) 
§.  182,  e  deve  essere  quindi 

W',  §)^(o!  l)  ^""^^^^  '    «^  +  ^'=1  (modl6). 
Il  valore  nel   quale  z  I  — 1  si  cangierà  con  continuità  sarà 


'  ^P   "^^-{-^1 


506  CAPITOLO   XVII.  —  §.  189 

sicché  è  da  vedersi  quanti  valori  distinti  assume  questa  espressione  per- 
correndo (    '  A  le  sostituzioni  del  detto  sottogruppo  A.  Ora  si  avrà 


con  a,  b,  e,  d  numeri  interi  ed  ad-bc=p,  tutte  le  volte  che  si  abbia 

/a,   b\        /  «  >  fi  \   /«i  '  ?A        /aai+PY?i ,  pai+i^opA 
\c  ,  d)       \ir(,p8/   \Ti  ,  V       VaYi+i'YOi,  PTi+Ì^SSi/ 
essendo 

\Yi  ,  Si/ 

un'altra  sostituzione  di  A,  cioè 

/ai  ,  PA         /l  ,  0\ 

=  (mod2)  ,  a?  +  aipi  =  l  (mod  16). 

\Yi  ,  ^J         \0  ,  1/ 


%b\ 
e,  dì 


Approfittando  dell'indeterminazione  di  I  ''  J],  possiamo  ridurre 

y(i .  Oli 

ad  una  forma  normale  nel  modo  seguente: 
1.°  caso  —  Supponiamo  dapprima  che  sia 

a  ^  0    (mod  p)  ; 
prendasi 

Yi  =  -i^Y  ^  0  (mod  2)  ,    Si  =  a  ^  1  (mod  2) , 

onde  risulterà 

c  =  aYi+i3TSi  =  0, 

indi  si  detennini  aj,  j3i  in  guisa  che  sia 

5^i5i— piYi=aai4-2)Ypi=  1 
e  inoltre  sia  soddisfatta  la  congruenza 

a?  +  aiPi^l    (mod  16), 
ciò  che  con   considerazioni  elementari  si  vede  esser  sempre  possibile. 


LE   BADICI   dell'equazione   MODULAEE  PER  ^  (t)  =  V'^  507 

Allora  la  sostituzione      ^'  ^M  appartiene  al  sottogruppo  A  e  si  ha 


onde,  essendo 
risulta 

Ponendo 
avremo  dunque 


a'4-a6^  1    (mod  16), 

6^0    (mod  16). 

b=  16v, 


Osserviamo  poi  che  b  e  quindi  v  è  perfettamente  determinato  (modjp), 
poiché  si  ha  per  le  precedenti 

6  ^  «ip  (mod  p)  ,   «la  ^  1  (mod  p) , 

onde 

a  6  ^  [3    (mod  p) , 

cioè 

16av^|3    (mod^). 

I  valori  distinti  dell'espressione  (9)  corrispondono  ai  valori  incongrui 
di  V  (mod  p)  e  si  ottengono  così  le  p  radici  dell'equazione  modulare  (VI) 

^^       J'^^)       ^f'J±'2^\  ,/^^+16(i)-l) 

p 


pj'  '{-~rJ'  ^{-~p-'---'f 


corrispondenti  all'ipotesi  a^O  (mod^). 

3."  caso — Sia  ora  a^O  (modj?).  Allora  si  può  scrivere: 


e  siccome  \ 


\i)    YT-I-S/  \'(.pi+pdj 

è  una  sostituzione^!    '     |  (mod  2),   per   le   for- 


508  CAPITOLO  XVII.  —  §§.  189,  190 

mole  (A)  §.  182,  avremo 


Ma,  essendo  p  impari,  si  ha 

/=1  (mod  8)  ,   i)'=l  (mod  16) 
e  però 

^  +  ^- 1  =/  (a^+i^ap)  -  1  (mod  16)  , 

Jr  ir 

e  siccome 

a}A^pa/^  =  o}^a.^  +  {p-\)  afj^  1  (mod  16) 


avremo 


Si  conclude  quindi  che,  quando  of  ^  0  (mod  2>),  si  ha 

che  è  una  nuova  ed  ultima  radice  dell'equazione  modulare  (VI).  Abbiamo 
così  dimostrato  il  teorema: 

L'equazione  modulare  (VI)   e  del  grado  p-[-\  in  v  =  z  I—    e  le  sue 
|)+1  radici,  per  un  valore  dato  di  ^t  =  'f  (t),  sono  date  dalle  espressioni 

«2—1 

'    '  'r+16\  /t+16r\ 


v^={-\)  's(pt)   ,    Vo  =  <p{jj  ,   v,=^z[-^y..vr=,  ^    ^ 


lr+16{p-l)\ 


§.  190. 
Gruppo  di  monodromia  ed  algebrico  dell'equazione  modulare 

(VI*)    f{u,v)  =  0. 

Dimostriamo  ora  che  il  gruppo  di  monodromia  deìV equazione  modu- 
lare (VP)  è  precisamente  lo  stesso  che  quello  dell'equazione  modulare  per 
l'invariante  assoluto  (§.  185). 


GRUPPO  dell'  equazione  MODULARE  f  {u,  v)  =  0  509 

Per  fare  descrivere  ad  m  =  'f  (x),  nel  suo  piano  complesso,  un  cammino 
chiuso  dobbiamo  cangiare  r  in 

essendo  j   '  U  una  sostituzione  del  sottogruppo  A  di  ^  {■:),  cioè 

a^+ap^l    (modl6). 
Ora  i  p+1  rami  di  v 

^«  =  (-1)  ^    'pCi'^).  ^'  =  'P[^~Jì 
si  permutano  fra  loro  nello  stesso  modo  di 

e,  supposto  quindi  che  ?;v  si  cangi  in  w,  si  avrà  per  la  (5)  §.  185 

(10)  16v'^m4^    (modi,) 

Y .  16  v+a 

che,  determinando  b  dalla  congruenza 

16  6^13     (modi?) 

e  ponendo 

a  =  8  ,    c=16y,    d  =  a. , 

ha  la  forma 

(11)  v' ^    ^T  ,  >   ttf? — 6c^l    (mod») 

cv-|-(« 

del  gruppo  di  monodromia  per  V  invariante  assoluto.  È  poi  facile  vedere 
che  qualunque  sostituzione  (11)  si  trova  nel  gruppo  di  monodromia  di 
f(u,v),  per  il  che  basta  dimostrare  che  vi  si  trovano  le  due  elementari 

v'  =  V  +  1  ,    v'  = (mod  p) . 


510  CAPITOLO   XVII.  —  §.  190 

Ora  la  prima  si  ottiene  subito,  facendo 

a  =  l,[3=16,Y  =  0,6=1 

e  per  la  seconda  basterà  prendere  a,  p,  7,  ò  p.  e.  in  guisa  che  soddisfino 
le  congruenze 

(a^O  (modi?),  p=16  (modi?)  ,  16y  =  — 1  (mod_p)  ,  0  =  0  (modp) 
(  a=  1  (mod  8)  ,  p  =•  0   (mod  16)  ,       Y    =    0   (mod  2) 

e  l'eguaglianza  aS-[3Y  =  l. 
A  tale  scopo  prendiamo 

rj=py:  ,    [3  =  16  Ti',    Y  =  2y',    o=p?j' 

e  dovi'emo  determinare  a',  [3',  y',  6'  in  guisa  che  soddisfino  le  congruenze 

pa=l  (mod  8)  ,   p'=l  (modi?)  ,    32y'  =  — 1  (modi?) 

e  l'eguaglianza 

(12)  /a  S'  — 32|3'y'=1 

che  include,  a  causa  di  32  y'  =  —  1  (mod  p),  la  congruenza  ^'=  1  (modp). 
Possiamo  scegliere  a',  Y  in  guisa  che  soddisfino  le  congruenze  superiori 

pa  =  l(mod8)    ,     32  y' =— 1  (mod  2?) 

e  siano  inoltre  primi  fra  loro  e  allora  la   (12)   è  risolubile  in  numeri 
interi  8',  p'  e.  d,  d. 

Apparirà  dalle  ricerche  seguenti  (§.  191)  che  anche  nell'equazione 
modulare  f{u,v)  =  0  ì  coefiicienti  numerici  sono  tutti  interi,  onde  si  pone 
la  questione  quale  sia  il  gruppo  algebrico  di  questa  equazione  modulare 
nel  campo  dei  numeri  rasionali.  Con  considerazioni  perfettamente  ana- 
loghe a  quelle  del  §.  188  si  dimostra  che  il  gruppo  algebrico  è  ancora 
il  gruppo  lineare  totale 

v'  =  ^-,    {a  d—b  e  ^  0    (mod  p)  ) 

e  r  irrazionalità  numerica,  la  cui  aggiunta  lo  abbassa  al  gruppo  di  mo- 

/ ^=r— 

nodromia,  è  data  da  V  (  - 1)  2  ^j . 


511 


§.  191. 
Proprietà  della  equazione  modulare  f{u,  v)  =  0. 

Dimostriamo  ora  alcune  proprietà  dell'equazione  modulare  (VI*),  che 
ne  faciliteranno  la  costruzione  effettiva. 

Scriviamo  l'equazione  modulare,  ordinata  per  le  potenze  di  v,  nel 
modo  seguente: 

(VII)  vp^'  +  B.vP-^B^vP-'  -f  . . .  +  Bpv  -f  Bp+i  =  0  , 

ove  le  B  sono  funzioni  razionali  in  u  e  stabiliamo  le  successive  proprietà: 
i."  proprietà:  I  coefficienti  B  sono  polinomii  ragionali  interi  in  u. 
Per  dimostrarlo  basta  osservare  che  nessuna  delle  p+1  radici  della  (VII) 

p2— 1 


(-1)   «    ,(^x).  ..  =  ,(1ÌIÌ^) 


può  diventare  infinita,  se  tale  non  diventa  anche  u.  E  infatti,  per  quanto 
si  è  visto  al  §.  180,  affinchè  v^  o  wv  diventino  infinite  bisogna  che  l'argo- 
mento pi  0  acquisti  un  valore  razionale  y  con  a,  h  impari  ;  ma 

allora  anche  t  acquista  un  tale  valore  e  u  =  9  (r)  diventa  pure  infinita. 

2J^  proprietà:   L'ultimo   coefficiente   Bp+i  dell'equazione   modulare   è 
dato  da 

B^+i  =  (-l)    ^    u^+\ 

Si  osservi  per  ciò  che  le  radici  della  equazione  modulare  si  annul- 
lano soltanto  quando  l'argomento 

t+16v 

pz    0    

P 

è  un  numero  razionale  della  forma  -7-  con  (a,  &)  =  (1, 0)  (mod  2)  (§.  180); 

ma  allora  avendo  t  la  medesima  forma,  anche  11  si  annulla.  Ne  segue 
che  Bp+i  consta  di  una  sola  potenza  di  u,  sia 

Bp^i  =  Aw''. 


512  CAPITOLO  XVII.  —  §.  191 

Ora  si  ha 

(13)  B^+i  =  v^VoVi  .  .  .  Vp_i  =  Aw»", 

e  per  determinare  l'esponente  r  ed  il  coefficiente  A  basta  sviluppare  dal- 
l'una parte  e  dall'altra  per  potenze  di  q  secondo  la  forinola 

u-==s/2  q^  {l-q-\-2q'-3q'i-...), 
che  ponendo 

2^  =  Q, 
si  scrive 

(14)  M  =  v'2  Qjl— Q«+2Q^«— 3Q^+...|. 

Per  gli  sviluppi  di  v^,  vv  ne  deduciamo  quindi 

v^  =  (-1)"^?  {p  t)  =  (-1)"8~  yj2  QP  (1  -  Q«P -f  2  Q^^^  +  . . .) 


(15) 


=  '  (^)  ^  '^  ^^  ^"^  (l-='^  q'  +  2sl6v  Q^  +  .  . .) 


\ 

Sostituendo  nella  (13)  e  paragonando  le  potenze  più  basse  di  Q  ne 
risulta  appunto 

r=p+l    ,     A  =  (-l)    ^    . 

5."  proprietà,:  Ciascun  poUnmnio  Bg  pw)  porsi  sotto  la  forma 

B,  =  M^  A.  (w«) 

dove  rs  è  il  minimo  resto  lìositivo  del  prodotto  ps  (mod  8)  e  Ag  è  razionale 
intero  in  u*. 

Suppongasi  che  nel  polinomio  B^  figuri  il  termine 

au^\ 

questo,  sviluppato  per  potenze  di  Q,  dà  per  termine  colla  minima  po- 
tenza di  Q 

r 

a^J  Q»- 

e  tutte  le  altre  potenze  di  Q  provenienti  da  quel  termine  hanno  espo- 
nenti =r  (mod  8). 


PEOPRIETÀ   dell'equazione   MODULARE  513 

Ora  si  ha 

la  somma  essendo  estesa  alle  combinazioni  s  ad  s  delle  radici  v^,Vo...  Vp_i. 
Sostituendo  nel  secondo  membro  gli  sviluppi  (15),  tutte  le  potenze  di  Q 
hanno  esponenti  dell'una  o  dell'altra  delle  due  forme 

p  H [-  Skp  -\ ,   (con  fc,  k  interi) : 

e  dovendo  queste  potenze  trovare  le  loro  equivalenti  negli  sviluppi  dei 
varii  termini  au"  di  B^,,  né  potendo  darsi  che  per  gli  sviluppi  di  due 
0  più  di  tali  termini  si  elidano  completamente  le  potenze  di  Q,  si  avrà 
necessariamente  una  delle  due  congruenze: 

pr^^p^-\-s — 1  ,  ovvero    pr^s  (mod  8) , 

cioè  in  ogni  caso,  poiché  p^^  1  (mod  8) 

r^ps    (mod  8), 

e  però 

r  =  rs-\-8m   (m  intero) . 

4."  proprietà:  L'equadone  modulare  non  muta,  cangiando  rispettiva- 
p2— 1 

mente  u,v  in  v,  {—!)    ^    tt. 
Si  ha  invero  identicamente 

e  quindi  anche 

/  Eni      \ 

dunque  l'equazione 


f  \v  ,    (-1)    °    uj  =  0 
ha  a  comune  colla  f{u,v)  =  0,  che  é  irriducibile,  la  radice  v^  e  però  le 

due  equazioni,  salvo  il  segno  (  -  1)  ^  ,  coincidono.  Si  rileva  di  qui  in 
particolare  che  l'equazione  (VII)  é  del  grado  p-\-l  in  u,  come  in  v,  e  i 
coefficienti  B  salgono  al  massimo  al  grado  p  in  u. 

S3 


514  CAPITOLO    XVII.  —  §.  191 

5."  proprietà  :  L'equazione  modulare  non  mtéa,  cangiando  u,  v  rispet- 
tivamente in  —  ,  —  ,  e  moltiplicando  Vequazione  per 

pg— 1 

(-1)    ^    ^*^+'  ^;P+^ 

Dall'identità 

f  {,(.),    ,(1))=0, 

T 

cangiando  r  in  — -  ,  coll'osservare  che  si  ha  (pag.  483,  (A)  ) 

t+l 


ri/  y       —  i 

P  \pj 

risulta 

onde 

pg— 1 

(  _  1)     8    ^^p+i  ^p+i     f  (^1      1 
\u        V 

deve  coincidere  con  /"  {u,  v). 

O."'  proprietà:   Se  nell'equazione  modulare  si  pone   u=l,  una  delle 

p^-1 
radici  diventa  eguale  a  +1  e  le  rimanenti  p  a  {-!)    ^    . 

Pongasi  1= e  si  avrà 

Ti 

facendo  crescere  tj,  per  valori  puramente  immaginarli,  all'infinito  la  u 
convergerà  appunto  verso  +1.  Ora  abbiamo 

«.=  (-1)  '  T(-g=(-i)^tg 


% 


=  K~i^)  =  **^"'' 


PROPRIETÀ    dell'equazione   MODULARE  515 

onde  v^,  v^  convergono  rispettivamente  verso 

p2— 1 

(-1)    ^     ,    +1. 
Per  ogni  altra  radice  v.,  si  ha 

/16vTi-l  \ 

Vj  =  'f    1  ; 

\     P^i     J 

e  se  prendiamo  due  numeri  interi  a,  h  tali  che  sia 

16  V  a — 'pc  =  1  , 

avremo 

.-         .        c  +  lGv-i 

16vTi-l  p 


a  +p 

P 

Facendo  inoltre  a  ^  0  (mod  1 6) 

a  =  16  Vi , 
avremo  secondo  la  tabella  (A)  pag.  483  : 

/•16vTi-l\         "^(«'-1),  Al  — a 
\     P^i     y  \    P 

C2— 1 

il  che  dimostra  che  v^  converge  verso  (-1)   ^   ovvero,  essendo  pc^ —  1 

(mod  16),  verso  (- 1)  ^'  e.  d.  d. 

7."  proprietà:  Nell'equazione  modulare  figura  il  termine 

auv , 

p-i 

col  coefficiente  a  =  —  2  ^  . 

Se  nel  primo  membro  della  equazione  modulare  (Vili) 

j/— 1 

vP+'-^B,vP  + ...BpV  +  {-l)    ^    uP+'==0 

sostituiamo  per  u,  v  gli  sviluppi  (14),  (15) 

u  =  m'2  Q  (1  — 2Q«  +  ...) 
p'^—l 


516  CAPITOLO  XVII.  —  §§.  191,  192 

debbono  annullarsi  i  varii  coefficienti  delle  potenze  di  Q.  Ma  l'ultimo 
termine  porta  la  potenza 

(-1)    8    (v'2r^Q^+' 

e  questa  potenza  minima  Q''"*"^  non  è  portata  da  alcun  altro  termine, 
salvo  da 

onde  si  trae  appunto 

Per  la  5.*  proprietà,  segue  che  nell'equazione  modulare  il  termine 
*t^  v^  vi  figura  col  coefficiente 

p2— 1    p—l 
—  (-1)"^~  2  2   , 

§.  192. 
Le  equazioni  modulari  per  p  =  3,  5,  7,  11. 

Le  proprietà  ora  stabilite  per  l'equazione  modulare  bastano  già  a 
costruire  efiettivaniente  queste  equazioni  nei  casi 

p  =  S,ò,l,  11. 

a)  Per  p  =  3  l'equazione   modulare,  in  forza   della  3.'  proprietà  e 

della  1.^5  sarà 

v'^  -\-  a%^  'ì?  A-  huv — «■*  =  0 

e  per  la  7.^  a  =  2,  &=  —  2  ,  onde  si  ha 

(a)  w^+ 2z<^z;^  — 2wv— z<^  =  0. 

Si  può  dare  a  questa  equazione  modulare  una  notevole  forma  irra- 
zionale (Legendre).  Se  la  scriviamo  sotto  le  due  forme 

(1  -  w'j  (1  +  ?;")  =  1  -  m'  y'  +  2  Mv  (1  -2*'  v'') 
(1  +  tt")  (1  ^  ?;^)  =  1  -  v^  v^  —  2  i*  V  (1  -  «/  v") , 

moltiplicando  otteniamo 

(I-M*)    {1-V')^il-U'vy 


LE   EQUAZIONI    MODULARI    PER  J3  =  3,   5,   7,   11  517 

e  ponendo 

si  può  scrivere  quindi 

(a*)  yJFk  +  vW  =  1 , 

che  è  la  forma  di  Legendre. 

b)  Sia  jp  =  5.  —  L'equazione  modulare,  per  la  3.*  e  S/  proprietà,  sarà: 

v^  -\-  au^  v^  -\-  bii^v*  —  hu*v^ — auv — u^  =  0 

e  dalla  7.*  avremo  a  =  4,  indi  dalla  6.* 

v^  -{-  4:  v^ -{-  b  v*  —  b  v^  —  4:  v—l  =  {v -  l)  (v+lf, 

onde  6  =  5  e  però 

(6)  v'—u'—4:uv{l-  u'  v')  +  5 u^v^  {v' - w^)  =  0 . 

e)  Sia  p  =  l.  —  L'equazione  modulare  sarà 

w^  + w^  +  a  (ti^v'+uv)  +  b  {u'^v^Wv^)  -\-  e  (u^v^+u^v^)  -f  du'^v*  =  0  , 

e  per  la  6.*  proprietà  avremo 

ì/'-^av'-{-bv'-{-cv^-\-dv*-\-cv'  +  bv''-\-av-{-l  =  {v-  If, 

da  cui 

a=  -8  ,    &  =  28  ,    e  =  -  56  ,    ci  =10 

e  però  / 

(e)    v^-  8u''v''+28u'v'  -56ii^v^+10u'v'  -66u^v^+28u''v^-8uvW=0. 
Questa  si  può  scrivere  anche 

(1-w')  {ì-v')  =  (i-uvy 

e  dà  luogo  alla  forma  irrazionale  di  Gutzlaff 

4  4  

d)  Sia  in  fine  p  =  ll.  —  Per  le  proprietà  3*,  4.*  e  5*,  l'equazione  mo- 
dulare ha  la  forma  seguente: 

yi«.^  u^  {a+2hi')  v''-\-  bu'v''-]-u  (  -  a+du')  v'-\-  eii*v^  ifu''v'+ 


518  CAPITOLO   XVII.  —  §.  192 

I  coefficienti  costanti  a,  b,  d,  e,  f  si  determinano  subito  dalla  6.* 
proprietà,  secondo  la  quale,  perM=l,  deve  il  primo  membro  ridursi  a 
{v-1)  {v+iy\  Si  trova  così 

a=~22  ,    6  =  44  ,    d  =  88  ,    e=165  ,    /=132. 

Osservazioni  circa  il  caso  generale.  —  Nei  casi  superiori  non  bastano 
più  le  proprietà  deirequazione  modulare,  descritte  al  §.  191,  per  deter- 
minare completamente  i  valori  numerici  dei  coefficienti.  In  tutti  i  casi 
però  ci  potremo  servire  del  metodo  seguente.  Scriviamo  l'equazione 
modulare  sotto  la  forma 

p*— 1  p'— 1    p—\  p—1 

(VII*)      t'P+'4-(-l)    ^    uP+'  —  {-\)    ^    .2  2   nPvP  —  2  2   uv  = 

0..,, 

=    y  Cr s  W  V'      {Cn  =  0,  Cpp  =  0). 

Essa  dovrà  risultare  identicamente  soddisfatta,  quando  per  u,  v  si 
pongano  rispettivamente  gli  sviluppi 

^*=v/2  Q(l  — Q«+2Q^^+...) 

p2— 1 


V 


(-1)    8    v'2  Q^(l— Q'^  +  2Q>^^  +  -..), 


talché  i  coefficienti  delle  varie  potenze  di  Q  dovranno  eguagliarsi  dal- 
l'una  parte  e  dall'altra.  Ora  il  termine  del  2.°  membro 

porta  come  minima  potenza  di  Q 

Qps  +  r  ^ 

col  coefficiente 

(-1)    8     ^(v'2X+', 

e  queste  minime  potenze  sono  tutte  differenti  pei  vari  termini.  Inoltre 
per  la  5.*  proprietà  si  ha,  salvo  il  segno, 

onde  basta  limitarsi  a  quei  valori  degli  indici  r,s  pei  quali  r+s<2>+l- 
Ma  allora,  poiché  nel  l."  membro  tutti  i  coefficienti  sono  interi  e  con- 


ABBASSAMENTO  DELLE  EQUAZIONI  MODULARI  519 

tengono  2  ^  ,  mentre  r+s-^p  +  l  è  in  ogni  caso  pari  (^',  si  conclude: 
Tutti  i  coefficienti  e,  s  nelV equazione  modulare  (\l\*)  sono  numeri  interi. 
In  modo  analogo  a  quello  tenuto  al  §.  187,  si  potrebbe  dimostrare  ulte- 
riormente che  tutti  questi  coefficienti  interi  c,«  sono  divisibili  per  p. 


§.  193. 
Abbassamento  della  equazione  di  6."  grado  (Notizie  storiche). 

Galois  scoperse  e  lasciò  enunciata  una  celebre  proposizione  relativa 
all'abbassamento  delle  equazioni  modulari  per/)  =  5,  7,  11.  Queste  equa- 
zioni, di  rispettivi  gradi  6,  8,  12,  posseggono  risolventi  di  un  grado  in- 
feriore =p.  L'esistenza  di  queste  nsolventi  è  dovuta  al  fatto  che  il 
gruppo  di  monodromia 

(a)  v'  ^  — -^     (ad-hc)^^  1)    (mod p) 

P  (P^  -  1) 
di  — sostituzioni  contiene,  nei  detti  casi  p  =  6,  7,  11,  sottogruppi 

d'indice^,  ciò  che  non  ha  più  luogo  nei  casi  superiori.  La  prima  dimo- 
strazione del  teorema  fu  data  dal  Betti  (^'.  Soltanto  in  epoca  molto  più 
recente  (1881)  fu  trattata  e  completamente  risoluta  dal  Gierster  '^'  la 
questione  di  determinare  tutti  i  sottogruppi  del  gruppo  (a)  e  fu  così 
spiegata  l'intima  ragione  per  la  quale  differiscono  i  casi  p  =  ó,  7,  11  dai 
superiori. 

Riconosciuta  la  possibilità  d'abbassamento  delle  equazioni  modulari 
nei  casi  indicati,  restava  da  calcolare  effettivamente  le  risolventi  che  la 
teoria  indicava. 

Hermite  perii  primo,  in  una  celebre  memoria  del  1858  '*',  costruì 
effettivamente  una  particolare  risolvente  di  5.°  grado  dell'equazione 
modulare  di  6."  e  riconobbe  che  a  questa  particolare  forma  poteva  ri- 


O  Ciò  segue  dalla  3.^  proprietà,  secondo  la  quale  si   ha  r  =  (p-|-l  — s)p 

(mod  8),  indi 

r-{-s  =  0  (mod  2) 

(«)  Annali  di  Tortolini.  Voi.  3  (1853). 

(3)  Math.  Annalen.  Bd.  18. 

(*)  Comptes  Rendus  t.  46.  Sur  la  résolution  de  Véquation  du  cinquième  degré. 


520  CAPITOLO  XVII.  —  §.  193 

dursi,  risolvendo  soltanto  equazioni  ausiliarie  di  2.°  e  3.°  grado,  la  più 
generale  equazione  di  5."  grado.  Con  ciò  fu  ottenuta  la  risoluzione  per  fun- 
zioni ellittiche  (modulari)  della  equazione  generale  di  5.°  grado.  Il  metodo 
di  Hermite  venne  perfezionato  e  trasformato  nel  seguito  specialmente  per 
le  ricerche  di  Kronecker  e  Brioschi  ;  e  in  particolare  si  vide  che  la  riso- 
luzione dell'equazione  ausiliaria  di  3.°  gi'ado  si  poteva  evitare,  costruendo 
altre  più  convenienti  risolventi  di  S.*»  gi'ado  dell'equazione  modulare. 

Noi  ci  contenteremo  qui  di  esporre  il  primo  metodo  di  Hermite  e 
rimanderemo  per  la  teoria  generale  della  risoluzione  dell'equazione  di 
5.°  grado  ai  lavori  originali  di  Hermite  stesso,  Kronecker,  Brioschi  e  in 
particolare  al  libro  del  Klein:  Vorlesungen  uber  das  IJcosaeder,  ove  la 
intera  teoria  è  esposta  sistematicamente  in  modo  nuovo  ed  originale. 

Per  noi  si  tratta  qui  in  primo  luogo,  ricorrendo  a  note  proposizioni 
della  teoria  dei  gruppi,  di  riconoscere  che  il  gruppo  di  monodromia 
dell'equazione  modulare  di  6.°  grado,  rappresentato  dalla  formola 

v'^ — ~—^   (mod  5)  ,    ad-bc^l  , 

e  V  +  a 

possiede  in  effetto  sottogruppi  d'indice  5  e  però  esistono  risolventi  di  5.° 
grado  dell'equazione  n^odulare.  Il  detto  gruppo  è  infatti  semplice  e  di 
ordine  60  e  per  ciò  oloedricamente  isomorfo  col  gruppo  delle  60  rota- 
zioni dell'icosaedro,  ovvero  col  gi'uppo  alterno  su  5  lettere.  Ora  il  grappo 
dell'icosaedro  contiene  cinque  sottogruppi  tetraedrali  d'ordine  12  e 
quindi  d'indice  =5,  ai  quali  nel  gruppo  alterno  su  5  lettere  corrispon- 
dono i  gruppi  alterni  su  quattro  sole  delle  lettere.  Definiamo  uno  dei 
cinque  detti  sottogruppi  Y^  del  giaippo  di  monodromia,  dando  le  due 
sostituzioni  elementari  di  un  V^ 

(16)  v'  =  --  ,   v'  =  '4|    (mod  5), 

che  composte  fra  loro  e  colle  loro  potenze  danno  appunto  luogo  a  12 
sole  sostituzioni  distinte,  come  subito  si  verifica. 

Prendiamo  ora  una  funzione  razionale  delle  6  radici 

dell'equazione  modulare,  che  rimanga  invariata  per  le  due  sostituzioni 
elementari  (16),  cioè  per  le  due 

{vo  vj  .  {Vi  Vi)   ,     (Vo  Vi  Vi)   (v^  Vi  Vi)  . 


RISOLVENTE   DI    5"    GRADO   DELL'EQUAZIONE    MODULARE   PER  p  =  5      521 

Una  tale  funzione  è  semplicemente  la  seguente 

^o  =  iV^—Vo)    (Vi-V,)    (Vj-Va); 

essa  per  tutte  le  sostituzioni  del  gruppo  modulare  assume  i  5  valori 
distinti 

Ì^o  =  {V„  -  Vo)    (Wi  -  V4)     («2  -  V3)    ,      ^i  =  {V^  -  Vi)    (Vi  -  Vo)    (Vg  -  V4) 
^2  =  (V^-V2)    (V3-V1)    (Vi-Vs)    ,     Z3  =  (V^-V3)    (Vi-Vi)    (Vo-Vi) 
^4  =  (v»  -  V4)  {vo  -  Vi)  {vi  -  Vi)  , 
che  possono  compendiarsi  nell'unica  formola 

^=(^00-^)    in+\-Vi+))    {V2+1-VS+',) 

1  =  0,  1,  2,  3,  4. 
Le  sostituzioni  elementari 

/=v+l  ,   v'=— -    (mod5) 

del  gruppo  modulare  permutano  fra  loro  questi  cinque  valori  e  precisa- 
mente la  prima  produce  la  sostituzione  ciclica  del  5.°  ordine  (^0  •s'i  ■^'2  ^3  ■^'4) 
e  la  seconda  il  prodotto  di  due  trasposizioni 

{^i  ^2)  (^3  ^4) , 

colle  quali  sostituzioni  elementari  si  genera  tutto  il  gruppo  alterno 
sulle  cinque  0. 

Se  ne  conclude:  I  cinque  valori  (17)  sono  radici  di  una  risolvente  di 
5."  grado  dell'equazione  modidare;  il  gruppo  di  questa  risolvente  è  il  gruppo 
alterno  sulle  cinque  radici. 

§.  194. 
Costruzione  effettiva  della  risolvente  di  Hermite. 

Per  costruire  effettivamente  la  risolvente  di  Hermite,  cominciamo 
dall'osservare  che  se  nell'equazione  modulare 

v^  +  4  u^v^  -\-6u^v^  —  6  u*v^—4:uv—u^  =  0 
si  pone 


V 

w  = 


,5     > 


522  CAPITOLO  xvii.  —  §.  194 

la  nuova  equazione  in  tv  ha  coefficienti  razionali  (non  interi)  in  ti^  ;  e  posto 

quindi 

W/.  =  {tv^  -  w;)  (?i''i+>  -  wi,+))  {w2^'>.  - ?(;3+/) 

).  ==  0    1    2    3   4 
le  5  quantità  W^  sono  radici  di  una  risolvente  di  5."  grado 

W  +  «1  W^  +  «2  W^  +  «3  W^  4-   «4  W  +  «5  =  0  , 

con  coefficienti  razionali  in  u^  e  poiché  si  ha 

Z;^  =   U'^  Wx  , 

la  risolvente  di  5.°  grado  in  z  avrà  la  forma 

(18)        /  +  Bi  u'  z'  -h  B2  u''  ^  +  B3  li'  /  -f  B4  u''  z  I-  B5  it'  =  0  , 

dove  i  coefficienti  B  sono  funzioni  razionali  di  li'.  Ora,  siccome  per 
valori  finiti  di  u  le  sei  v^,  ,  e  quindi  anche  le  cinque  z^ ,  sono  finite,  ve- 
diamo che  le  B  sono  poUnomii  razionali  interi  in  u^. 

Per  la  5/  proprietà  dell'equazione  modulare  (§.  191),  se  si  cangia  r 

T  1  1 

in  ,  u  si  cangia  in  —  e  le  radici  v-j  nelle  loro  inverse  — ,  salvo  Tor- 

T+1  *  U  Vy' 

dine.  Ma  vediamo  subito  come  dipende  /'  da  v,  osservando  che  per  la 
medesima  sostituzione 
e  si  ha  quindi  (§,  185) 


medesima  sostituzione  (     '  ,  ]  eseguita  su  t  deve  Jv  cangiarsi  in  Jv'  <^' 


onde 

si  muteranno  rispettivamente  in 

i_    Jl    J_    J_    Jl    JL 

Vi    '     V^    '     V3    '     Vi'     ^2    '    v„ 

e  quindi  ^0  in 


Z' 


V^  Vq  Vi  Vi  V3  Vi  tr 

Dunque  la  risolvente  (18),  che  è  irriducibile,  deve  rimanere  invariata 

1       z 
quando  vi  si  cangi  u,  z  rispettivamente  in  —  ,  —g  e  si  moltiplichi  tutta 

tv  tt 


(1) 


Si  osservi  che  J  (— ^-= — )  =  J  l'T    )  =  Jv 


LA   RISOLVENTE   DI   HERMITE 

l'equazione  per  «i^^  il  che  dà: 


523 


u''B,f-]^  +  u''B,(^]z-\- 


e  paragonando  colla  (18),  si  ottiene 

B,  f^^)  =  u'  B,  (u)  ,   B,  (~^J  =  B,  (te)  ,   u'  B3  (^^)  =  B3  00 

u''  B,  (~)  =  B4  (u)  ,    u^  B5  f-)  =  B5  (w) . 

Queste  dimostrano  che  si  ha  Bi  =  0 ,  Ba  costante  mentre  B3 ,  B4 ,  B5 
sono  polinomii  reciproci  dei  rispettiAi  gradi  1,  2,  3  in  ^*^  Dunque  la  (18) 
avrà  la  forma 


191-2.^)   e 


essendo  a,  b,  e,  d,  e,  f  costanti  numeriche. 

Ora  per  u=l  tutte  cinque  le  radici  0  si  annullano 
quindi  anche  tutti  i  coefl&cienti,  dopo  il  primo,  della  (18) 

Se  ne  trae  subito 


a  =  0  ,    h=0  ,    d=-2  ,   f=-\ 
onde  l'equazione  diventa 
(18*)  ^-\-cu'{\-uy.z-\-euH\-u^f  {\W)  =  0 

e  resteranno  solo  da  determinarsi  le  due  costanti  e,  e.  Per  ciò  serviamoci 
degli  sviluppi  (14),  (15)  §.  192: 

u    =  v/2  Q  (l_Q«  +  2Q^«  +  ...) 

t;„=-V2  QMl-Q'H-2Q«^-t-...) 
V,   =  ^2Q^(1  — Qt+...) 
V,   =ev/2  Q*(l— ^'Q^+...) 
V,  =eV2  Q*(l— =QM-.-.) 
v^  =sV2  Q^(1-£''Q^+...) 


524  CAPITOLO  XVII.  —  §.  194 

avendo  posto 

e  =  e  5  . 

Se  si  osserva  che  si  ha 

ne  risulta  per  s!o  lo  sviluppo 

^,  =2tV5  Q^(l-Q^+...)  (1  +  Q^+...)  (1  +  Q^  +  ...), 
ossia 

^,  =  2tV5  Qt  (1  +  Qt+...), 

le  potenze  di  Q^  trascurate  entro  parentesi  essendo  la  16%  24*  ecc. 

Sostituendo  nella  (18*),  col  tener  conto  soltanto  delle  due  più  basse 
potenze  di  Q  che  vi  compariscono,  che  sono 

Q^  Q^ , 

avremo  l'identità 

2^5'V5  Q'(1  +  5Q'+  ...)  +  2^V5c.  Q^+ . . .  +  2^  e  Q^  4- . .  .  =  0 

onde  si  trae 

c=  -2*5'  ,    e  =  -  2'  5'  V 5  . 

Abbiamo  dunque  per  la  forma  definitiva  della  risolvente  di  Hermite  : 

(Vili)       :^—2'  6^ u'  {ì-ti'f  0  —  2'  ò'  y/^  u'  {1  -u'f  (1+1*^  =  0. 

Colla  trasformazione 


z  =  y/2*.6\u*(l-uy.y, 


cioè 


0  =  2y/6^  uy/l-u^y  , 
essa  diventa: 
(Vili*)  if-ij   -A  =  0, 


dove  si  è  posto 
(19)  A  = 


1+M*  2         1+A:* 


V5'   m'  v/(1-w')        v5'   \ih{\-l^ 


RISOLVENTE   DI    HERMITE  525 

Ora  Bring,  e  successivamente  Jerrard,  hanno  dimostrato  che  ogni 
equazione  di  5.°  grado  può  ridursi,  con  trasformazioni  di  Tschirnhaus, 
risolvendo  soltanto  equazioni  di  2.°  e  3."  grado,  alla  forma  (Vili*).  Dopo 
di  ciò,  se  determiniamo  il  modulo  k  dalla  equazione  di  4.*'  grado 

k  (l-k')  4  ' 


Cloe 


^4  _|_  5!j/5  A^^H  2  h'—  5^  A^A;+  1  =  0, 


che  ponendo 


si  riduce  alle  due  successive  di  2.°  grado 

(       l^  —  [Lk—l=0, 

avremo  ridotto  l'equazione  generale  di  6.'^  grado  alla  forma  di  una  ri- 
solvente di  Hermite  e  le  sue  radici  si  esprimeranno  per  funzioni  ellittiche 
(modulari).  La  risoluzione  dell'equazione  di  5.°  grado  è  così  ridotta  alla 
divisione  (o  moltiplicazione)  per  5  dell'argomento  della  funzione  modu- 
lare 9  (t),  in  modo  analogo  come  si  ottiene  la  risoluzione  trigonometrica 
dell'equazione  di  3.°  grado,  riducendola  alla  trisezione  dell'argomento 
nelle  funzioni  circolari. 

Capitolo  XVIII. 

Principii  della  teoria  delle  funzioni  ellittiche  a  moltiplicazione  complessa. 

§.  195. 

Definizione  delle  funzioni  ellittiche  a  moltiplicazione  complessa 
e  formole  fondamentali. 

Nei  capitoli  precedenti  abbiamo   studiato  quelle  proprietà  generali 
delle  funzioni  ellittiche,  e  in  particolare  della  p  {u\oì,  w'),  che  conven- 


526  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  195 

gono  a  tutte  le  funzioni  ellitticlie,  comunque  siano  assegnati  i  valori 
particolari  2w,  2a)'  dei  periodi.  Ma  vi  lia  un'importante  classe  di  funzioni 
ellittiche  che,  per  la  natura  speciale  dei  loro  periodi  (o  meglio  del  loro 

rapporto  r  =  —  1  ,  vengono  inoltre  a  godere  di  singolari  proprietà  spe- 
ciali. È  questa  la  classe  delle  funzioni  ellittiche  a  moltiplicazione  complessa, 
che  per  primo  Abel  considerò,  lasciando  enunciate  alcune  loro  proprietà 
fondamentali. 

Per  opera  specialmente  di  Kronecker  e  per  le  ricerche  successive 
di  altri  matematici  (Hermite,  Stuart,  Pick,  Weber,  Greenhill  ecc.)  fu 
costruita  la  teoria  di  questa  speciale  classe  di  funzioni  ellittiche.  Le 
singolari  proprietà  aritmetiche  di  queste  particolari  funzioni  ellittiche 
e  specialmente  la  loro  intima  relazione  colla  teoria  delle  forme  binarie 
quadratiche  secondo  Gauss,  danno  un  particolare  interesse  allo  studio 
di  questo  ramo  nella  moderna  teoria  delle  funzioni  ellittiche. 

Qui  noi  ci  proponiamo  soltanto  di  far  conoscere  i  prìhcipii  fonda- 
mentali della  indicata  teoria  e  nella  esposizione  ci  atterremo  partico- 
larmente alle  memorie  di  Halphen  (^'  e  Sylow  (^^  e  all'opera  di  Weber  <^). 

Perveniamo  direttamente  alla  speciale  classe  di  funzioni  ellittiche, 
che  deve  ora  formare  l'oggetto  del  nostro  studio,  proponendoci  il  pro- 
blema seguente:  Per  quali  funzioni  ellittiche  p{u\iù,oì)  accade  che  (p  [zu), 
essendo  e  un  conveniente  fattore  costante  (moltiplicatore),  si  esprima  razio- 
nalmente per  ^u? 

Sappiamo  che  ciò  accade  per  qualunque  funzione  ellittica  pu,  se  il 
moltiplicatore  e  è  un  numero  reale  intero;  ed  ora  si  tratta  appunto  di 
vedere  se  può  accadere  in  altri  casi.  Siccome,  per  la  formola  di  omo- 
geneità, si  ha 


dai  principii  della  teoria  della  trasformazione  (§.  161)  risulta  che,  sup- 
posto p  (bu)   funzione  razionale  di  pu,   dovranno   sussistere  relazioni 


(*)  Sur  la  multiplication  coviplexe  des  fonctions  elliptiques.  (Journal  de  Mathém. 
1889,  t.  V). 

(2)  Id.  [Journal  de  Mathém.  1887,  t.  III). 

(^)  EUiptische  Funtionen  und  algébraische  Zahlen.  (Braunschweig-Yieweg. 
1891). 


LE   FUNZIONI    pU   A    MOLTIPLICAZIONE    COMPLESSA 


527 


della  forma 
(I) 


tO  0) 

oì  =  a \-  0  — 

£  e 

to  =  e \-  a  — , 

e  £ 


dove  a,  h,  e,  d  sono  numeri  interi  e 

ad— he  =  N>0. 

Inversamente,  se  sono  soddisfatte  relazioni  fondamentali  della  forma 
(I),  sarà  p  (tu)  una  funzione  razionale  di  grado  N  della  pu.  Possiamo 
scrivere  le  (I)  anche  così 

Ì(a— e)w-|-     6co'  =  0 
cw      4- ((?— £)(,/  =  0, 

dalle  quali  risulta  che  due  casi  soli  possono  presentarsi  e  cioè: 
l.'*  Le  (I*)  sono  identità  e  però 

a  =  d=e  ,    h  =  c==0  , 

e  si  hanno  allora  le  formole  di  ordinaria  moltiplicazione,  che  valgono 
qualunque  siano  i  periodi. 

2.0  Se  le  (I)  0  (I*)  non  sono  identiche,  eliminando  e  si  ha 

(a(o+6co')a)'=  {c(à  +  doì')  co  , 

ossia,  ponendo  come  al  solito 


ai) 


hx^-f-{a-d)  T — e  =  0 . 


Eliminando  invece  —  dalle  (I*),  abbiamo  per  e  l'equazione  di  2.°  grado 


a-£        b 
e         d—B 


0, 


cioè 

(II*)  s^—  (a+d)  e  +  (ad-hc)  =  0. 

Il  discriminante  comune 

A  =  {a+d)'—  4:{ad-bc)=^  {a+df^ 4 N 


528  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  195 

delle  (II),  (II*)  deve  essere  negativo,  poiché  t  è  complesso  (col  coefficiente 
dell' immaginario  positivo),  e  per  ciò  il  moltiplicatore  e  è  un  numero 
complesso  della  forma 

e  =  |  (a  +  t?+iV:^). 

Inversamente,  se  il  rapporto  x  dei  periodi  di  una  funzione  ellittica  pu 
è  radice  di  un'equazione  di  2.°  grado  a  coefficienti  interi  e  a  determinante 
negativo 

(1)  Pi^+Qi  +  R  =  0, 
ponendo  p.  e.  nelle  (I) 

6  =  P  ,    a—d  =  Q,  ,   c=  -E 

(2)  •  6  =  1  ja+(?  +  iV:rAJ, 

vediamo  che  p{zu)  si  esprimerà  per  una   funzione  razionale  di  $>u  di 

grado 

N  =  ad-bc. 

Dunque  :  Condizione  necessaria  e  sufficiente  percM  p  (s  u)  sia  funzione 
razionale  di  pu,  senza  che  e  sia  un  intero  reale,  è  che  il  rapporto  z  dei 
periodi  sia  radice  di  un'equazione  (I)  a  coefficienti  interi  e  a  determinante 
negativo.  Allora  il  moltiplicatore  e  è  un  numero  complesso  della  forma  (2). 

Di  qui  appunto  l'origine  del  nome  di  moltiplicazione  complessa. 

Ora  notiamo  che  ci  potremo  restringere  al  caso  in  cui  i  quattro 
interi  a,  h,  e,  d  nelle  (I)  non  hanno  alcun  divisore  comune  (eccetto  la 
unità);  poiché,  se  e  é  il  loro  massimo  comun  divisore  e  si  pone  £  =  aéi, 
si  vede  dalle  (I)  che  già 

P  (si  w) 
si  esprimerà  razionalmente  per  pu  e  successivamente  si  avrà 

p  (tu)  =  p  [^ .  Siti) 

colle  ordinarie  forinole  di  moltiplicazione  pel  numero  o.  Potremo  dunque 
limitarci  al  caso  in  cui  a,  b,  e,  d  sono  primi  fra  loro,  cioè  al  caso  delle 
moltiplicazioni  complesse  primitive.  (Cf.  §.  164). 


529 


§.  196. 

Corrispondenza  fra  le  funzioni  pn  a  moltiplicazione  complessa 
e  le  classi  delle  forme  binarie  quadratiche.  —  Moltiplicazioni  elementari. 

Se  p{u\  (a,  w')  è  una  funzione  ellittica  a  moltiplicazione   complessa, 
fra  co,  to'  avremo  una  relazione  quadratica  della  forma 

Ao/24- 2Bcoo/+Cw^  =  0, 

dove  A,  B,  C  sono  numeri  interi  sen^a  divisore  comune.  Il  primo  membro 
è  una  forma  binaria  quadratica  (Cf.  §.  23) 

(A,  B,  C) 

primitiva,  che  si  dice  di  1."  specie  se  anche  A,  2B,  C  sono  primi  fra 
loro,  se  cioè  A,  C  non  sono  ambedue  pari,  e  di  2."-  specie  nel  caso  opposto. 
Il  determinante  della  forma  (che  qui  prenderemo  col  segno  opposto  a 
quello  considerato  da  Gauss)  è  dato  da 

D  =  AC— B^ 

ed  è  essenzialmente  positivo.  Siccome  i  coefificienti  estremi  A,  C  hanno 

necessariamente  il  medesimo  segno,  li  supporremo,  come  è  lecito,  positivi. 

Si  noti  che  per  le  forme  di  2."  specie,  essendo  A,  C  pari,  quindi  B 

impari,  sarà  sempre 

D  ^—  1    (mod  4) . 

Una  forma  primitiva  di  l."^  0  2."  specie 

(A,  B,  C) 

definisce  completamente,  a  meno  di  un  fattore,  i  periodi  e  quindi  una 

funzione  ellittica  p  (ii  \  w,  io')  a  moltiplicazione   complessa.  Ma  siccome, 

senza  cangiare  la  pu,  possiamo   eseguire  sui  periodi   una  sostituzione 

lineare,  omogenea  a  coefficienti  interi  e  a  determinante  1,  così  vediamo 

che  le  infinite  forme 

(A',  B',  C) 

equivalenti  alla  (A,  B,  C)  (§.  23)  e  queste  soltanto  danno  luogo  alla  me- 
desima pu.  Dunque:  Ogni  classe  di  forme  binarie  quadratiche  a  deter- 

34 


530  CAPITOLO   XVIII.  —  §.  196 

minante  xìositivo  dà  una  funzione  pu  a  moltiplicazione  complessa  ed 
inversamente. 

Si  tratta  ora  di  stabilire  per  una  tale  funzione  pu,  corrispondente 
ad  una  data  forma  quadratica 

(A,  B,  C) , 

le  più  generali  forinole  di  moltiplicazione  complessa.  Dovendo  essere  t 
radice  della  equazione 

AiM-2Bt  +  C==0, 

paragonando  colla  (II),  risulta  intanto  che  dovremo  porre 

b  =  xA  ,    a  —  d  =  x.2B  ,    c=—xC, 

essendo  x  un  fattore  di  proporzionalità  che,  per  la  condizione  che  a,  h,  e,  d 
siano  interi,  mentre  A,  B,  C  sono  primi  fra  loro,  dovrà  essere  un  numero 
intero  se  (A,  B,  C)  è  di  1.^  specie,  laddove  se  (A,  B,  C)  è  di  2.^  specie 
potrà  anche  essere  la  metà  di  un  numero  intero.  Possiamo  dunque  porre 

(III)  h  =  xk  ,    a  =  xB-\-y  ,    d=  -xB+i/  ,    c=  -xC, 

dove  i  numeri  x,ij  saranno  certamente  interi  se  (A,  B,  C)  è  di  1.*  specie 
e  potranno  invece  essere  ambedue  la  metà  di  numeri  interi  dispari  se 
(A,  B,  C)  è  di  2.^  specie;  in  ogni  caso  però  saranno  x,  y,  ovvero  2x,  2y, 

primi  fra  loro,  poiché  supponiamo  la  trasformazione  (    '     j  primitiva 

(§.  164). 

Dai  valori  precedenti  di  a,b,c,  d  risultano  le  forinole 

(IV)  ì^=^ad-bc  =  Dx'+f  ,    1  =  (a+d)' -  ^ì^  =  -iDx' 

(V)  e  =  yiix>^B. 

In  queste  forinole  (III),  (IV),  (V)  possiamo  dare  a  x,  y  valori  qualunque, 
soddisfacenti  alle  dette  condizioni,  e  rimanendo  sempre  la  stessa  la  fun- 
zione pu,  varierà  il  moltiplicatore  z  ed  il  grado 

N  =  Da;'+2/' 
della  trasformazione.   Il  valore  minimo  di  questo  grado  si  otterrà  evi- 


MOLTIPLICAZIONI   ELEMENTARI  531 

denteraente  pei  valori  seguenti  di  x,  y 

x  =  ±l  ,  ìj  =   0     per  una  forma  di  1.''  specie, 

x  =  ±-,  y=  ±—    per  una  forma  di  2.*  specie, 
e  si  avrà  rispettivamente  nei  due  casi 

N  =  D.    N  =  ^, 

4 

e  corrispondentemente  pel  moltiplicatore 

£  =  ìv/D  ,   £  =  ^  (l+iv^D). 

Le  formolo  corrispondenti,  che  esprimono 

^(iv/D.M), 

ovvero 

'l+i\/D 


S>    17^—  •«* 


razionalmente  per  pu,  si  diranno  le  formóle  elementari  di  moltiplicazione 
complessa,  perchè  tutte  le  altre  forraole  di  moltiphcazione  complessa  si 
otterranno  da  queste  elementari  e  dalle  formolo  ordinarie  di  addizione 
e  moltiplicazione  dell'argomento.  E  invero  ogni  altro  valore  s  del  mol- 
tiplicatore sarà,  per  la  (V),  della  forma 

£  =  r-\-  s  £ 

_        1  4-  i  \''D 
avendo  e  il  valore  elementare  i\'D  o ,  conr,s  interi  ordinarli 

(sarà  cioè  un  intero  complesso  nel  campo  quadratico  (l,e)). 
Ma  la  formola  elementare  di  moltiplicazione  complessa  ci  dà 

p{zu)  =F(pM) 
e  le  forinole  ordinarie  di  moltiplicazione 

p  (ru)  =  <ì>  (pu)  ,    p  {seti)  =  F  {piru))  =  4>i  (pu)  , 
essendo  F,  <i>,  <J>i  razionali  nel  loro  argomento.  Derivando  le  precedenti, 


532  CAPITOLO  XIII.  —  §§.  196,  197 

abbiamo 

p'  (r  u)  =  —  4)'  {pu) .  p'ii 
y  r 

I  p'  (sBu)  =  —  ^y.ipu).  p'u\ 

ed  ora  dalla  forinola  d'addizione 

{2p(ru)p(sBti)—y2)(p{ru)+p(szu))-g<i-p\ru)p'(sBu) 

p{rU  +  SZU)  = ^—. -. r -, TTj 

avremo  subito 

p  {r  -\  sz)u 

espressa  razionalmente  per  pu.  Ne  concludiamo 

Le  forinole  elementari  di  moltiplicazione  complessa  iper  la  funzione  pu, 
corrispondente  ad  una  forma  (A,  B,  C)  primitiva,  si  ottengono  dando  ai 

coefficienti  (    '     )    della   trasformazione  ed  al   mxìltiplicatore  s   i  valori 

\G ,  dj 

seguenti  : 

a  =  B,    h  =  A,    c=-C,    d=  -B  ,    N  =  D,    b  =  ì\/B 

per  le  forme  di  1."  specie;  e  invece 

a  =  |(B  +  l)  ,    6  =  1  A  ,    c=-|c  ,    d  =  ^{~B  +  l)  ,  N  =  ^ 

^  l-\-i\/B 
^  ~~        2 

per  le  forme  di  2."-  specie. 

§.  197. 
Formole  effettive  di  moltiplicazione  complessa. 

Le  formole  effettive  di  moltiplicazione  complessa,  corrispondenti  alle 
formole  (I) 

(tì  =  a  —  4-  6  — 
\  e  e 

(I) 

/     /  w  w 

w  =  e \-  d —  , 

\  e  e 

dove  «,  h,  e,  d  sono  interi  primi  fra  loro,  non  sono  altro  in  sostanza  che 


LE   FORMOLE    DI    MOLTIPLICAZIONE    COMPLESSA  533 

le  forinole  della  trasformazione  primitiva 

a ,  b\ 
e  ,  dj 

d'ordine  ì^  =  ad—hc.  Siccome  però,  al  Gap.  XIV,  noi  abbiamo  stabilito 
queste  forinole  nel  solo  caso  di  N  primo,  converrà  ora  che  le  deduciamo 
in  modo  diretto  e  nello  stesso  tempo  avremo  anclie  così  le  forinole  ge- 
nerali (primitive)  di  trasformazione  per  un  ordine  N  qualunque.  A  tale 

oggetto   cominciamo  dallo  scrivere  le  (I)  risolute  rispetto  a  —  ,  —  : 


0) 


d(ìì — b(ù' 


e  N 

(3)  l     ,  ,      'ì^=^ad-bc. 

\  T  ""        N 


Gli  infiniti  della  funzione 
P 


sono  nei  punti 


u  = (r,  s  interi  qualunque) , 


coi  termini  d'infinito 


(m — u^y  ' 


Ora  ci  conviene  in  primo  luogo  dimostrare  che  i  valori  ?*^  coincidono 
con  tutti  i  multipli  della  parte  aliquota 

di  un  conveniente  periodo  2  (o.  Se  consideriamo  le  (I),  (3)  come  forinole 
della  trasformazione   [    '  j  )  '  corrispondente  alle  relazioni 

I  o/=  ciì  ^  dQ' , 
sostituendo  ad  iì,  iV  un  sistema  di  semiperiodi  equivalenti  Sii,  -'i.  pò- 


534  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  197 

tremo  dare  alla  trasformazione  la  forma  normale  (^.  163) 


le,    ='3  9., 


dove  'j  è  un  divisore  di  N,  e  il  numero  £  è  determinato  (  mod  -  j   e  non 

X 

ha   divisore   comune  con  a  e   -  .  Di  qui  si  trae 

a 

N 

"1  N       '    ■■'  N        ■ 

N 
Sia  a  il  massimo  comun  divisore  di  o,  i,  che  sarà  primo  con  - ,  e 

'  a 

pongasi 

a  =  [i  Oi  ,    ^  =  p4i  , 

onde 

N 

/.x                              n         '^              o'            Oitó— £,(0 
(4)  9.,  =  ^^  ,   9.,=  u.  ^—  . 

Eseguiamo  ora  sui  periodi  2w,  2w'  la  sostituzione  lineare 
(   co  =  coi 

dove  7  indica  un  intero  qualunque,  e  i  nuovi  periodi  2  ojj ,  2  w'i  saranno 
ancora  fondamentali.  Le  (4)  diventano 

N 

a  ,  (0i7— £i)(Di+OiWi 


Poniamo  017  —  ^,  =  /?  e  scegliamo  7  in  guisa  che  7«,  il  quale  è  primo 

i  Oi ,  lo  sia 
loro;  avremo 


con  Oi ,  lo  sia  anche  con  — ,  ciò  che  è  possibile  essendo  Ci ,  ii  primi  fra 

0 


N 


FORMOLE    DI    MOLTIPLICAZIONE    COMPLESSA  535 

Trascurando  multipli  di  semiperiodi  coj,  o/i,  possiamo  scrivere 

h  (Oi  -f  ^1  (  1  +  p  —  )  w 
fì'i  ^E  [j,  — ■ — 


N 

N 
essendo  p  un  intero  arbitrario.  Ora  prendiamo  [j  in  guisa  che  sia  1  -| —  p 

G 

N 
multiplo  di  h[}.,  ciò  che  è  possibile  perchè  —  è  primo  con  h]i.,  e  ponendo 

N 
1  +  P  —  =  AiJ. .  f/     (f/  intero) , 

o 

avremo 

N  N  ,.  ,   ,,       N    , 

—  cOi         —   ((0  —  ap  co  i)         —  0) 

^  N  N  ~    N 

Le  espressioni 
avranno  quindi  la  forma 

N  N 

e  il  numero  —  r-\-h[}..s,  essendo  —,  h[).  primi  fra  loro,  percorrerà  tutti 

0  a 

gli  interi  possibili,  cioè  u^  tutti  i  multipli  di 

Risulta  di  qui  che  gli  infiniti  della  funzione 

che  ammette  i  periodi  della  pu,  sono  di  2."  ordine  nei  punti  incongrui 

2  Gì 
r^     (r  =  0,  1,  1,  ...N-1), 

coi  termini  d'infinito  -, 


2tò^2  ' 


536 

CAPITOLO 

XVIII.  - 

e  si 

ha 

quindi 

b' 

^(s 

u) 

=  pu 

+ 

2 

r=l 

2oM 

Per  determinare  la  costante  C  basta  sviluppare  dalle  due  parti  per 
potenze  di  ?i,  nell'intorno  di  m  =  0,  e  paragonando  i  termini  costanti  il 
che  dà 

ne  risulta  la  formola  domandata: 

(VI)      £'  p  {zu)  =  pu  +  2  (  ^  r*  ~  *"  N"  J  ~  ^  r  •  N" j  • 

§.  198. 
Natura  dei  coefficienti  nelle  formole  di  moltiplicazione  complessa. 

Si  tratta  ora  di  convertire  il  secondo  membro  della  (VI)  in  una 
funzione  razionale  di  pu.  Per  ciò  distinguiamo  due  casi,  secondo  che  N 
è  dispari  o  pari. 

1.°  caso:  N  dispari. —  Associando  i  valori  r,  N-r  di  r,  la  (VI)  può 
scriversi 

_  N— 1  _  N— 1 

2     r     ^  o'x^'~     /2à)\       '"^/  i       /  2w\  /      ,        2à)\) 

B'pióu)  =  pu  —  2   2i  ^[yI+    Zi    i^f  ~^  N")"^  ^r"^^"  N/j  ' 

da  cui  per  le  formole  d'addizione 

N— 1 

(VII)         b'pM  =pu-2    2    P  («•  ^)  + 

formola  che  esprime  effettivamente  p  {bu)  razionalmente  per  pii. 


I  COEFFICIENTI  DELLE  FORMOLE  DI  MOLTIPLICAZIONE  COMPLESSA  537 

2."  caso:  N  pari.  —  Associando  ancora  i  valori  r,  N— r,  resta  questa 

N 
volta  isolato  il  valore  r  =  —  ,  onde  si  ha 

£2  p  {bu)  =  pu—2    2    ^  (  ^  •  "N  y  ^  ^  ^^*  -Co)  — pòi  + 
+    i     \p(u-s.^)-hp(u  +  s.^ 


n;  '  ^  V         N 

Siccome  w  è  un  semiperiodo,  sarà  pòi  uno  dei  tre  valori  61,6,,  ^3, 
sia  e^ ,  e  diciamo  co ,  e-^  gli  altri  due  ;  avremo 

p  (u  —  (h)  —  pGì  —■ j 

pu — ex 

sicché  la  formola  (VI)  diventa  in  questo  caso: 

(VIP)      s>M=PH-2    2     4^   N-)  + pu-e.  + 


^«<  — ^ 

In  ambedue  i  casi  risulta 

\J{pu) 


(Vili)  t'  p  (cu) 


V  ipu)  ' 


dove  U,  V  sono  polinoraii  razionali  interi  in  pu,  primi  fra  loro,  di  grado  N 
il  primo,  di  grado  N  -  1  il  secondo. 

Importa  ora  che  ricerchiamo  di  quale  natura  sono  i  coefficienti  di 
questi  polinomi  i,  che  già  dalle  formole  stesse  risultano   razionalmente 

formati  con  g^,  g^  e  col  valore  p  i-^] ,  Dimostriamo  che  sussiste  l'im- 
portante proprietà: 

1  coefficienti  dei  polinomii  U,  V  nella  formola  di  moltiplicatone  com- 
plessa (VIII)  sono  funzioni  ragionali  intere  di  g2,gz  con  coefficienti  nur 
merici  razionali  se  la  forma  (A,  B,  C)  è  di  i."  specie,  ovvero  contenenti 
V  unica  irrazimialità  i\'\)  se  la  forma  è  di  2."' specie 


538  CAPITOLO  XVIII.—  §.  198 

Pongasi 
pu  =  y  ,    U  fi/)  =  ìf     +  «1  y^^'  +  «2  !/^~'  +  .  . .  +  a.N_,  y  -f  «n    , 

e  si  scriva  la  (Vili)  nel  modo  seguente: 

(5)     e'  p  (zìi)  [y'--'  +  b,,/~'+h,/-'+...+b,_,]  -  [y'+a,if-'  +  ...  +  a,]  =  0. 
Se  svolgiamo  in  serie  di  potenze  di  u,  servendoci  degli  sviluppi 

ed  eguagliamo  a  zero  i  coefficienti  delle  varie  potenze  di  u,  otteniamo 
una  serie  di  equazioni  lineari  nei  coefficienti  a,  6  e  i  coefficienti  di  queste 
equazioni  sono  appunto  della  natura  indicata  nell'enunciato  del  teorema. 
Ora  queste  equazioni  lineari,  qualunque  numero  se  ne  prenda,  sono 
sempre  fra  loro  compatibili  quando  gz,  g^  abbiano  i  valori  speciali  con- 
venienti alla  nostra  pu  a  moltiplicazione  complessa,  perchè  le  a,  b  sono 
certamente  determinabili  in  guisa  che  la  (5)  risulti  identicamente  sod- 
disfatta. Ma  se  lasciamo  le  a,  h  indeterminate,  il  1.°  membro  della  (5) 

(5*)    ^'p{^ll)[{puY-'^b,{puf-'  +  ...^b,_,]-[{puY-Va,{pu^^^^ 

è  una  funzione  ellittica  coi  periodi  2to,  2o/  che  ha  nell'origine  m  =  0  un 
infinito  d'ordine  2X-2  ed  al  massimo  altri  X— 1  infiniti  del  2.°  ordine 
nei  punti 

r^""     (r=l,  2,  3...W-1). 
Se  nello  sviluppo  (5*)  eguagliamo  a  zero  i  coefficienti  delle  potenze 

^  ^  JL         «0         «2  4  .,2(-N-l) 

^2(N-1)    '       ^2(N-2)  ...     ^^2    ,»,«*,«*•••    «» 

avremo  2N  — 1  relazioni  lineari  fra  le2N-l  costanti  a,  &,  che  saranno 
certo  compatibili,  per  quanto  precede,  se  go,gz  hanno  i  valori  che  ap- 
partengono alla  nostra  pu. 


I  COEFFICIENTI  PELLE  FORMOLE  DI  MOLTIPLICAZIONE  COMPLESSA  539 

Prendendo  le  a,  h  in  guisa  che  tali  relazioni  siano  soddisfatte, 
la  funzione  ellittica  del  1.°  membro  della  (5*)  avrà  al  massimo  2(N-1) 
poli,  mentre  in  «  =  0  avrà  un  infinitesimo  d'ordine  2N,  e  però  la  funzione 
stessa  sarà  identicamente  nulla,  cioè  sarà  identicamente: 

(Vili  )  s  p  [.u)  -  ^^^^^,_.^  ^^  ^^^^^,_,^  _  _   _^  ^^_^  . 

E  siccome  non  può  in  questa  formola  restare  arbitraria  qualcuna 
delle  a,  b,  segue  che  le  2  N  —  1  relazioni  lineari  ricordate  fra  le  a,  h 
servono  a  determinarle  completamente,  cioè  il  determinante  formato  coi 
coefiicienti  delle  a,  b,  in  quelle  2  N  —  1  equazioni  lineari,  è  diverso  da 
zero  per  quei  particolari  valori  di  gz,  g^.  Esso  è  quindi  a  fortiori  diverso 
da  zero  se  lasciamo  in  quelle  2  N  -  1  equazioni  g^ ,  ^3  arbitrarli  ;  queste 
servono  adunque  ad  esprimere  nella  (Vili*)  i  coefficienti  a,  b  razional- 
mente per  (,'2,  ^3. 

Un  fatto  molto  importante  segue  anche  da  ciò  che,  oltre  g2,  g^,  nelle 
equazioni  lineari  che  servono  a  determinare  le  costanti  a,  b  figurano 
unicamente  il  numero  N  ed  il  moltiplicatore  s,  ratìntre  non  vi  è  alcuna 
traccia  dei  coefficienti  (A,  B,  C)  della  forma  cui  la  nostra  funzione  ellit- 
tica f»M  a  moltiplicazione  complessa  corrisponde.  Ne  risulta:  La  formola 
(Vili)  0  (Vili*)  di  moltiplicatone  complessa  dipende  solo  dal  determi- 
nante D  e  dalla  specie  della  forma. 

Osserviamo  di  più  che  quando  D  ^ —  1  (mod  4),  ed  esistono  quindi 

forme  di  l.''  e  2.''  specie,  converrà  sempre  cominciare  la  ricerca  dalle 

D+1 
forme  di  2.=^  specie,  per  la  quale  il  grado  N  ha  il  minimo  valore  ,  e 

si  passerà  poi  alle  formolo  relative  alle  forme  di  1."  specie,  operando 
una  trasformazione  di  2.°  grado.  E  infatti,  se  si  considerano  le  due  forme 
principali  di  l.''  e  2.^  specie 

(1,0,D)   ,    ^2,  1,  ^), 

e  si  indicano  rispettivamente  con  t,  Tj  i  rapporti  dei  periodi,  si  ha 

-l+iy'D 


z  =  Ì\,D     ,     T,  = 


2 


/2  ,  1 
e  quindi  t  è  legato  a  ti  dalla  trasformazione  di  2.*  grado  (  ^  '  , 


/ 
t  =  2-,+  l. 


540  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  199 

§.   199. 
Risolubilità  per  radicali  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi. 

Al  §.  116,  occupandoci  delle  funzioni  fp  lemniscatiche,  che  sono  ap- 
punto le  più  semplici  funzioni  ellittiche  a  moltiplicazione  complessa  e 
corrispondono  aD  =  l,  abbiamo  dimostrato  che  l'equazione  per  la  divi- 
sione dei  periodi  è,  in  questo  caso,  risolubile  per  radicali.  Questa  pro- 
prietà compete,  come  ora  dimostreremo,  a  tutte  le  funzioni  ellittiche 
a  moltiplicazione  complessa,  quando  dapprima  si  riguardino  come  noti 
(o  si  aggiungano  al  campo  di  razionalità)  gli  invarianti  (ji,  g^. 

Sia  p  una  funzione  ellittica  a  moltiplicazione  complessa,  ed  s  il  mol- 
tiplicatore elementare;  avremo 

(6)  ^  ((m+W£)m)  =  F  {g)u) , 

essendo  m,  n  due  interi   qualunque  ed  F  una  funzione  razionale  con 
coefi&cienti  razionali  in  (ji,  g^  i\J\)  . 

Consideriamo  ora  l'equazione  per  la  divisione  dei  periodi  in  un  nu- 
mero qualunque  g  di  parti,  che  supporremo  senz'altro,  come  è  lecito,  un 
numero  primo  dispari  '  ^' .  Se  con  9.  indichiamo  un  semiperiodo  qualsiasi 

(7)  fì  =  Xoi  — {xo/, 
dove  X,  ij.  sono  interi  non  pari  insieme,  i  valori 

(8)  J''Jr±lM\     (r,,  interi) 


saranno  altrettante  radici  della  equazione  <hrj  (y)  =  0  per  la  divisione  dei 

periodi  (§.  114)  di  grado  ^—- —  .  Facciamo    ora   percorrere  nella  (8)  a 

q^ 1 

(r,  s)  coppie  incongrue  fra  loro  e  colle  opposte  (-r,  -s)  (mod  q), 

p.  e.  le  seguenti  : 

q  -1 

r  =  1  ,  2  ,  3  ,  . . .  ^r^  ,  con  s  =  0 

q-1 
r  =  0,l,2,...g-l,  cons=l,2,3...  ^-—  , 


(*'  Del  resto  le  considerazioni   che   seguono  valgono   anche  per  q  dispari 
qualunque. 


l'equazione  per  la  divisione  dei  periodi  541 

g^-1 
e  dimostriamo  che,  scegliendo  convenientemente  À,  jx  nella  (7),  i  — — - 

Zi 

corrispondenti  valori  (8)  saranno  tutti  diseguali,  e  per  ciò  saranno  tutte 
le  radici  di  '\q  {y)  =  0.  Se  supponiamo  infatti 

2(r+s-:)y\  /2(ri+Sie)fì 


avremo  necessariamente 

[r±ri)  +  (s+Si)£]^  , 

t L — }_ — i-^—  ==^  ^n  oì-j-n  (tì   (m,  n  mteri) , 

cioè 

(r±r i)   (>.  0)  —  [j-  co')  4"  {s±Si)  (X  e  w  -  ;j- = o/)  =  q  (m  o)+n  o/ ) , 

e  sostituendo  per  s co,  sto'  i  valori 

.    e  co  =  a  co  -}-  &  w' 
*  f  E  co'  =  e  Oi  4-  (Z  o/  , 


dovranno  risultare  eguali  dall'una  e  dall'altra  parte  i  coef&cienti  di  co,  o/. 
congruenze 


Ne  seguono  le  congruenze 


^  (mod  q) , 
{r+r,)  X  +  (s±sO  {U-\Kd)  =  0 

le  quali,  non  essendo  simultaneamente 

r+Ti^O  ,    s+Si^O  (mod  2)), 

richiedono  che  si  abbia 

X     {j.  e  —  X  a 
[j.      X6 — i).d 


0  (mod  q) 


cioè  (§.  197) 

A  X^  4-  2  B  l  {J,  +  C  <^}  =  0  (mod  q)  . 

Ma  poiché  (A,  B,  C)  è  una  forma  primitiva,  risulta  da  considerazioni 
elementari  che  si  possono  scegliere  X,  \i.,  non  simultaneamente  pari,  in 
guisa  che  la  precedente  congruenza  non  risulti  soddisfatta  (^'.  Scelti  X,  [i 


W  Se  q  divide  A  e  C  si  diano  a  X,  jj.  valori  non  divisibili  per  q;  se  poi  q 
non  divide  p.  e.  A,  si  dia  a  jj.  un  valore  divisibile  per  q,  a  X  un  valore  non  di- 
visibile. (Cf.  DiEiC'HLET-  Teoria  del  numeri,  pag.  227,  edizione  italiana). 


542  CAPITOLO  XVIII.  —  §§.  199,  200 

in  questa  guisa,  facendo  percorrere  nell'espressione  (8)  ad  r,  s  le  indi- 

q^—l 
cate — - —  coppie  di  valori,  si  avranno  tutte  le  radici  di  <hci{y)  =  0.  Ora 

prendiamo  le  forinole  di  moltiplicazione  complessa 

^  ((y  +  s  £)w)  =  F  {pu) 

essendo  F,  Fi  funzioni  razionali  della  specie  descritta.  Mutando  nella 
prima  formola  w  in  (n+Si^)  u,  e  nella  seconda  u  in  (r+ss)^,  deduciamo 

F(Fi(^m))=Fi(F(pm)). 

2^ 
Facendo  in  particolare  m  =  -^  ,  abbiamo 

.(.(.(f)))^.(.(.(f))), 

vediamo  adunque  che  l'equazione  6,  («/)  =  0  è  in  questo  caso  un'equazione 
Abeliana  (con  un  gruppo  di  Galois  di  sostituzioni  permutabili)  ed  è  per 
ciò  risolubile  per  radicali,  come  si  era  asserito. 

§.  200. 

Equazione  algebrica  fra  fj. ,  Hi  per  le  funzioni  ^ 
a  moltiplicazione  complessa. 

Nei  §§.  precedenti  abbiamo  riguardato  le  funzioni  ellittiche  a  mol- 
tiplicazione complessa  come  definite  dal  rapporto  t  dei  periodi,  radice 
di  una  forma  quadratica  (A,  B,  C),  e  in  particolare,  nella  risoluzione  per 
radicali  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi,  abbiamo  considerati 
come  noti  gli  invarianti  f/2,^3.  Ora  vogliamo  occuparci  del  problema  di 
determinare  gli  invarianti  g-i,  gz,  appena  sia  data  la  forma  (A,  B,  C)  cui 
la  nostra  funzione  ellittica 

fp  {U  I  03,  w') 


EQUAZIONE    ALGEBRICA    FRA  g-i,  g^  543 

appartiene.  Ricordiamo  che,  assegnato  il  rapporto  t  dei  periodi,  gli  inva- 
rianti cjì,  ffs  sono  determinati  soltanto  a  meno  delle  potenze  X^  À*^  di  un 
fattore  di  omogeneità  X,  e  però  il  problema  proposto  si  riduce  essen- 
zialmente a  ricercare  il  valore  corrispondente  dell'invariante  assoluto 


^-27  ^r 

Riprendendo  le  considerazioni  alla  fine  del  §.  198,  facilmente  ve- 
diamo che: 

Gli  invarianti  02,  g^  di  una  funzione  ellittica  a  moltiplicazione  com- 
plessa sono  legati  fra  loro  da  un'equazione  algebrica 

(A)  4>(^2,-3)  =  0 

a  coefficienti    interi,  dipendente   unicamente   dal   determinante  D  e  dalla 
specie  della  forma  (A,  B,  C),  cui  pu  appartiene. 

Nel  determinare  infatti  i  valori  delle  2  N  - 1  costanti  a,  b  nella  (5) 
noi  abbiamo  proceduto  algebricamente,  come  se  g^,  ga  fossero  arbitrarii. 
Ora  prendendo  quante  si  vogliano  delle  seguenti  equazioni  lineari  fra 
le  a,  b,  dopo  le  prime  2N  -  1,  che  ci  hanno  servito  a  determinare  le  a,  b 
in  funzione  di  (/2,f/3,  è  certo  che  esse  sono  compatibili  colle  precedenti 
per  quei  particolari  valori  di  g2,gz  che  appartengono  alla  nostra  pii; 
ma  è  impossibile  che  ciò  accada  lasciando  g^,  gz  arbitrarii,  altrimenti 
la  forinola 

{pu)  ""    +  «1  {puf-^  +  . . .  +  a.v 


s.^  P{bu)  = 


{pur-'+b,{pur-'+...+b,_r 


con  £  =  i  V  D  0  £  =  — -^  ,  varrebbe  per  una  pu  arbitraria,  ciò  che  è 

assurdo. 

Dunque  nella  serie  delle  dette  equazioni  hneari  ne  incontreremo 
certamente  una  (2N)™^  che  non  sarà  più  indipendente  dalle  prime  2N-  1 
per  f/2,^3  arbitrarii,  ed  eliminando  quindi  le  2N— 1  costanti  a,b  fra 
queste  equazioni  lineari,  si  avrà  appunto,  sotto  forma  di  determinante, 
l'asserita  relazione  (A),  che  potremo  liberare  dall'irrazionalità  i  \/D,  se 
pur  la  contiene.  È  manifesto  poi  che  la  (A)  dipende  unicamente  dal 
determinante  D  e  dalla  specie  della  forma  (A,  B,  C),  come  porta  l'enun- 
ciato del  teorema. 


544  CAPITOLO  XVIII.  —  §§.  200,  201 

Ora  osserviamo  che  la  relazione  (A)  fra  (j.2,  (j^,  a  causa  delle  men- 
tovate forinole  d'omogeneitcà,  si  può  trasformare  in  un'equazione 

(B)  F  (J)  =  0 

per  l'invariante  assoluto  J  (x),  con  coefficienti  inferi,  e  di  questa  equazione 
saranno  radici  tutti  gli  invarianti  assoluti  delle  funzioni  ellittiche  pu 
a  moltiplicazione  complessa,  corrispondenti  a  forme  quadratiche  (A,  B,  C) 
della  medesima  specie  e  dello  stesso  determinante  D. 

Alla  dimostrazione  della  esistenza  della  equazione  algebrica  (Ai,  e 
conseguentemente  della  (B),  possiamo  pervenire  anche  nel  modo  seguente 
(Halphen  1.  e).  Sviluppiamo  direttamente  i  due  membri  della  (VI)  §.  197 
per  potenze  di  u  e  paragoniamo  dalle  due  parti  i  coefi&cienti  di  u^,u*; 
abbiamo  così  le  forinole  : 

r=N— 1 


(9) 


2o(^^-i)^^=y   2^"  VN 


28  '         '"'      24    M  '^     V  N 
Sostituendo  per  p"  (  -^^  ) ,  ^'^'  (  ^j;^  J  i  loro  valori 


2ròì\        „     „  /2rà)\         1 


6^*^ 


^    [^^    =  ^  P  {~1^     -  ^9^ 


^Ny        '^vn;      2 

ed  esprimendo  quindi  i   secondi   membri   delle  (9)   razionalmente  per 
'2w^ 


„  ,  ,  colle  formolo  ordinarie  di  moltiplicazione  dell'argomento,  l'e- 
liminazione di  p  [~T^  I  fr^  1^  (9)  porterà  ad  una  relazione  (A)  fi-a  g2,g3, 
0  alla  (B)  per  J(r). 


§.  201. 
Esempì  numerici  D  =  3,D  —  2,D  =  7. 

Prima  di  procedere  allo  studio  delle  proprietà  della  equazione  (B), 
cui  soddisfano  gli  invarianti  assoluti  delle  funzioni  ellittiche  a  moltipli- 


esempi:  D  =  3,  2,  7  545 

cazione  complessa,  applichiamo  i  processi  generali  esposti  ad  alcuni  casi 
particolari  più  semplici. 

In  due  soli  casi  il  grado  N  della  trasformazione  per  la  moltiplicazione 
complessa  è  semplicemente   =  1,  e  cioè  nei  casi 

D  =  l  ,    D  =  3  , 

corrispondentemente  alla  unica  classe  a  determinante  D  =  1 

(1,  0,  1) 
e  all'unica  classe  di  2.*  specie  per  D  =  3 

(2,1,2). 

Le  funzioni  p  corrispondenti  sono  la  lemniscatica  e  la  equianarmonica, 
colle  formole  rispettive  di  moltiplicazione  complessa 

p{in)=  -  pn 
p{zu)  =  Bptl  . 

I  valori  caratteristici  degli  invarianti  sono  ^'3  =  0  nel  1.°  caso,  e  g2  =  0 
nel  2.°  Esaminiamo  ora  i  casi  successivi  in  cui  si  ha  N  =  2  ,  che  corri- 
spondono unicamente  ai  valori 

D  =  2,  D  =  7, 

quando,  nel  caso  D  =  7  ,  si  considerino  forme  di  2.*  specie. 

1."  caso:  Sia  D  =  2. —  Qui  abbiamo  una  sola  classe  di  forme,  rap- 
presentata dalla  forma  ridotta  (1,  0,  2).  Le  forinole  (I)  §.  195  diventano 


e  =  iV2  ,  N  =  2. 


Per  semiperiodo  w  si  può  prendere  semplicemente  (ò  =  (o'  e  la  for- 
mola  (VII*)  pag.  537  ci  darà  subito 

(10)  6>  {lU)  =  pu  -}- '-    , 

pU  ^3 

che  scriviamo  sotto  la  forma 


f 

IO                 (0 

ew   =    (0     , 

V~2; 

ecù'=  -  2(1)  , 

—     =      (0 

e 

=  P  i^u)  = 


pU  —  'J. 

36 


546  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  201 

Per  determinare  le  costanti  a,  ,3,  seguiamo  il   processo   indicato  al 
§.  198,  sostituendo  nella  (10)  gli  sviluppi  in  serie 

^'"  =  ^+  10    +   §"'+245  «'+••• 

e  paragonando  i  termini  costanti  e  i  coefficienti  di  it^  dalle  due  parti 
dell'  identità 

eV  (3w)  (^^<  —  a)  =  phi  —  a  ^w  -f  p  , 

troveremo  subito 

7^2    '     ^         20    • 


a= z —  ,     p 


Il  paragone  poi  dei  coefficienti  di  u^  darà 
da  cui  la  relazione  algebrica  fra  g^ ,  g^ 

3  o  .  D  9 

Ne  deduciamo  quindi 

J(iV2")=:(|-j. 

Si  assuma  p.  e.,  disponendo  del  ÌTattore  di  omogeneità  in  gì,  gz, 

g.=  2.  3.5.  =  30 
^3  =  2^  .    7=28 

e  si  troverà 

3  3 

ei=lH ^,    62  =1 ,    C3=-2, 

V2  V2 

onde  la  formola  di  moltiplicazione  complessa  (10)  diventa 

(12)  _2p(iV2.»)  =  P«+5^. 


esempio:  D  =  7  547 

2."  caso:  D  =  7. —  Qui  si  ha  una  sola  classe  di  1.*  specie  ed  una 
sola  di  2.°-  specie,  rappresentate  rispettivamente  dalle  forme  ridotte 

(1,0,7),    (2,1,4). 

Cerchiamo  la  formola  di  moltiplicazione  complessa  della  pu  corri- 
spondente alla  seconda  forma,  dalla  quale  potremmo  poi  dedurre  quella 
relativa  alla  pu  di  1.^  specie  con  una  trasformazione  di  2."  grado  (§.  198). 

Le  formole  fondamentali  (I)  diventano  nel  caso  attuale: 

l+iV7 
,    .      con  e  =  — -— 

4 
Potremo  quindi  fare  ój  =  co'  e  la  (VII*)  pag.  537  ci  darà  nuovamente 


1    ^ 

w 

e  (0  =  to+ui' 

)    s 

~  2" 

£(«>'=  —  2  w 

1  ^ 

(10)  eV  (sm)  =  ^w  + 


pu  —  e^ 


Per  determinare  i  coefficienti  e  la  relazione  fra  g^ ,  (jz  potremmo  pro- 
cedere come  nel  caso  precedente;  qui  preferiamo  il  calcolo  seguente. 
Facciamo  nella  (11)  11  =  0^  e  avremo 

£^62=61  +  62  —  63, 
che  combinata  coir  identità 

0  =  ei  +  62  +  «3 , 
e  avendo  riguardo  all'equazione 

e'  — £  +  2  =  0 
cui  soddisfa  il  moltiplicatore,  ci  dà 

63=  fi  — 2")  ^2'  ei=f|-  — 2Je2 


e  quindi 


onde 


g^=4:e,eie3         =  {2-=)(e- 4:)  et, 
9l^      1    ' 


548  CAPITOLO  XVIII.  —  §§.  201,  202 

quindi 


^(-^^-1 


A  meno  di  un  fattore  di  omogeneità,  possiamo  porre 
^,=  5.7  =  35  ,  5f3=  7^=49; 
e  allora  per  le  radici  e,,  e^,  e^  avremo: 

7  a  +  3         7  +  iV7  £-4        -7+i\/7 

e  per  la  formola  di  moltiplicazione  complessa  '^'  : 
(13)  (a  — 2)^(em)-^h   F  '^       ^~^' 


2  2^M+4-£ 


Conformemente  ai  teoremi  generali,  vediamo  che  nella  (12)  il  2.° 
membro  è  libero  dalla  irrazionalità  3,  laddove  nella  (13)  vi  comparisce. 

§.  202. 
Invarianti  delle  classi. 

Abbiamo  veduto  al  §.  200  che  tutti  gli  invarianti  assoluti  J  delle 
funzioni  ellittiche  a  moltiplicazione  complessa,  corrispondenti  alle  classi 
delle  forme  quadratiche  (A,  B,  C)  del  medesimo  determinante  e  della 
medesima  specie,  sono  radici  di  una  medesima  equazione  (B)  a  coefficienti 
interi.  Siccome  ad  ogni  classe  di  forme  quadratiche  corrisponde  un  tale 
invariante,  chiameremo  i  valori  J  (ij) ,  ove  Tj  sia  radice  di  una  forma  qua- 
dratica (A,  B,  C),  invarianti  delle  classi  e  potremo  enunciare  il  teorema: 

Gli  invarianti  delle  classi  sono  numeri  algebrici. 

Vogliamo  stabilire  e  precisare  questo  teorema,  applicando  la  teoria 
delle  equazioni  modulari,  nella  qual  cosa  ci  serviremo  nuovamente  del- 
l'invariante modificato  (§.  183) 

i(i)  =  12^J(t). 


(*)  Si  osservi  che  si  ha 


7 
(es-Ci)  («3-  62)  =  ^(1-3  3). 


INVARIANTI    DELLE    CLASSI  549 

Per  questo  ci  è  necessario  premettere  alcune  nozioni  sulle  equazioni 
modulari  per  y(i),  anche  pel  caso  che  il  grado  della  trasformazione 

d ,  e 

b  ,  a 

dato  dsi  ad~bc  =  i^,  non  sia  un  numero  primo.  Se  eseguiamo  sull'argo- 
mento t  di  y(t)  tutte  le  sostituzioni  primitive  <^^ 

dz+c 
bi+a    . 

a  determinante 

ad  —  6c  =  N  , 


„       .  f'dz-{-c\ 


i  valori  distinti  che  assume 

J)T+aJ 
sono  tutti  compresi  nella  formula 

(C)  i('^),«a  =  N, 

essendo  "j,  v,  n  tre  numeri  senza  divisore  comune,  tali  che  wo  =  N,  e  v 
risultando  determinato  solo  rispetto  al  modulo  n.  Il  numero  'l(S)  di 
questi  valori  distinti  (C) ,  supposto  che  decomponendo  X  in  fattori  primi 
si  abbia 

M  _  „«!  »,«2  ^  'Jr 

IN  Pi    Pi    .    .    .  Pr     t 

sarà  dato  da 

(Cf.  §.  164).  Precisamente  come  si  è  fatto  nel  §.  184,  pel  caso  di  N 
primo,  si  dimostra  che  questi  ó  (X)  valori  /  sono  radici  di  un'equazione 
algebrica  (modulare),  che  indicheremo  con 

(D)  F,(i',i)  =  0, 

dove  F.s  è  una  funzione  razionale  intera  con  coefficienti  interi  e  di  grado 
(}<(N)  in  /. 


(*)  In  cui   cioè  a,  b,  e,  d  sono  primi  fra  loro. 


550  CAPITOLO  XIII. —  §.  202 

Sia  ora  t^  V  indice  di  una  forma  quadratica  (A,  B,  C)  a  determinante 
D,  di  1.*  0  di  2.*  specie.  Poniamo,  secondo  le  formolo  (III)  del  §.  196: 

(14)  b  =  X  A  ,  a^  xB  -\-  y  ,  d=  — icB  +  ?/  .  c=  —xQ 

"^  =iad  —  bc  =  'Dx^  ^y^, 

dove  x,y  saranno  interi  primi  fra  loro  se  (A,  B,  C)  è  di  1.^  specie,  o 
anche,  nel  caso  che  (A,  B,  C)  sia  di  2.^  specie,  la  metà  di  numeri  di- 
spari primi  fra  loro. 

Avremo 

dro+c 

OTo  +  a 

e  perciò  anche 

onde  segue  che  l'equazione  modulare  (D)  è  soddisfatta  ponendo 

dunque:  l'invariante  di  classe  ;(to)  è  radice  della  equazione 

(D*)  F^{u,u)  =  0, 

e  poiché  questa  equazione  ha  i  coefficienti  interi,  segue  nuovamente  il 
risultato  superiore  che  gli  invarianti  di  classi  sono  numeri  algebrici. 
Ma  possiamo  spingere  piiì  in  là  la  ricerca  e  dimostrare  che:  Gli  inva- 
rianti j  (t)  di  classi  sono  numeri  interi  algebrici  '  ^' .  Per  ciò  dimostreremo 
che,  escluso  il  caso  in  cui  N  sia  un  quadrato  perfetto,  caso  che  possiamo 
sempre  evitare  scegliendo  convenientemente   nella  (14)  i  numeri  x,  y: 

Il  coefficiente  della  più  alta  potenza  di  u  nella  (D*)  è  V  unità. 

Per  dimostrarlo  osserviamo  che  si  ha  identicamente 


FK(/,y(t))  =  n(/-i( 


./CI-  +  V 


(^)  Numero  intero  algebrico  è  un  numero  che  soddisfa  ad  un'equazione  con 
coefficienti  interi  e  il  primo  eguale  all'unità.  (Cf.  Dedekind  Suppl.  alla  Zahlen- 
theorie  di  Dirichlet). 


GLI  INVARIANTI  DELLE  CLASSI  COME  NUMERI  INTERI  ALGEBRICI  551 

il  prodotto  del  2."  membro  essendo  esteso  ad  un  sistema  completo  di 
rappresentanti  I     '     1  ;  ne  risulta  : 

(15)  F,(i(x),i(r))=nri(x)-;(^^j     . 

Ora,  sviluppando  u=j{t)  in  serie  di  potenze  di  Q  =  q^=e^'^'^'^,  si  ha 

le  a  essendo  numeri  interi.  Per  ciò  la  più  alta  potenza  di  u  nella  (D*) 
avrà  un  esponente  ed  un  coefficiente  eguali  rispettivamente  all'esponente 
e  coefficiente  della  più  alta  potenza  di  Q~',  che  figura  nello  sviluppo 
per  potenze  di  Q  nel  2.°  membro  della  (15).  Lo  sviluppo  di  ciascun 
fattore 

è  dato  da 

0  2~iv/  a     2iciv 


Q-'(i  +  «iQ-f.-.)-Q    "e      "    Vl  +  «,Q^e«+. 

e  la  più  alta  potenza  di  Q~^  che  vi  figura  è  la  prima  se  o  <in  ed  ha 
coefficiente  =  1,  mentre  quando  c^^n  (^'  questa  più  alta  potenza  nega- 

3  2  -  Z  V 

tiva  di  Q  è  Q  **,  con  coefficiente  =-e  ^  .  Se  riuniamo  tutti  i  fat- 
tori che  si  ottengono  tenendo  fissi  o,  n  e  facendo  percorrere  a  v  tutti 
i  suoi  valori  distinti,  cioè  un  sistema  completo  di  resti  (mod  n)  che  siano 
primi  col  massimo  comun  divisore  o  di  a,  7i,  il  numero  di  questi  fattori 

il 
sarà  dato  da   -- 'f  (ò),  avendo  'f  (o)  il  solito  significato  aritmetico  <^',  e 

0 

il  prodotto  di  questi  fattori  porterà  la  potenza    -  'f  (o)  di  Q~^  col  coef- 

0 

ficiente 

(16)  ±e'' 

Ora  si  ha  S  v  ^  0  (mod  n),  poiché  se  r  indica  un  numero  primo  con  n, 
mentre  v  percorre  i  suoi  valori,  anche  rv  percorre  un  sistema  completo 


<*)  Non  può  essere  a  =  n,  altrimenti  sarebbe  N  =  7i^  un  quadrato  contro  la 
ipotesi. 

(^'  Numero  dei  numeri  inferiori  a  3  e  primi  con  ò. 


552  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  202 

di  resti  (mod  w)  e  primi  con  Z  onde,  rXv==^lv  (mod  w)  e  quindi  ap- 
punto S v^O  (mod  n),  se  w>'2.  Che  se  w  =  2,  allora  >  =  1  e  il  valore  (16) 
è  =±1. 

In  ogni  caso  dunque  il  valore  assoluto  del  coefficiente  (16)  è  l'unità. 
L'esponente  della  potenza  di  u  portata  dai  fattori  corrispondenti  a  valori 

n  n 

fissi  di  -3,  w  è  quindi  —  'f  (ò)  o   ,r  'f  (o),  secondo  che  w^t  o  o>>w,  e  per 

0  0 

ciò  l'esponente  totale  h  è  dato  da: 

tanto  la  prima  che  la  seconda  somma  essendo  estese  ai  divisori  m  o  a 
di  N  che  sono  >>  V^  .  Si  conclude  quindi  :  La  'più,  alta  potenza  di  u, 
che  figura  nella  (D*),  ha  un  esponente  h  dato  da 


n 


^=2  2  y?(5), 


dove  n  percorre  i  divisori  di  N  che  sono  maggiori  di  yN  e  o  è  il  massimo 

N  .  .  .. 

coniun  divisore  di  n,  —  ;  il  coefficiente  di  questa  più  alta  potenza  e  =  ±  1 . 

76- 

Così  adunque  è  stabilito  il  teorema  enunciato: 

Gli  invarianti  j  (i)  delle  classi  sono  numeri  interi  algebrici. 

In  particolare  quando  vi  ha  una  sola  classe,  come  nei  casi 


D  =  l  ,    D  =  2 
D  =  3  ,    D  =  7, 

i  valori  corrispondenti  di  ;  saranno  numeri  interi  ordinarii.  Come  con- 
ferma, ricordiamo  che  abbiamo  trovato 


i(i)      =12',;H±^,         0 


j  (iljl)  =  20»  ,    ;•  (-ii*^  =  -S'.  5»  (§.  201), 


553 


§.  203. 
Proprietà  delle  equazioni  irriducibili  per  gli  invarianti  delle  classi. 

Ogni  invariante  ji  di  una  classe,  essendo  un  numero  intero  algebrico, 
soddisfa  ad  un'equazione 

(E)  9  U)  =  0 

irriducibile  con  coefficienti  interi  ed  il  primo  eguale  all'  unità.  Vogliamo 
ora  dimostrare  il  teorema:  Tutte  le  radici  della  equazione  irriducibile  (E), 
cui  soddisfa  un  invariante  jy  di  classe,  sono  pure  invarianti  di  classi,  del 
medesimo  determinante  e  della  medesima  specie. 
Per  questo  riprendiamo  l'equazione  (D*) 

(D*)  F,,.  {u,  u)  =  0 

per  meglio  caratterizzare  tutte  le  sue  radici.  Se  ^«  è  una  radice  di  (D*) 
e  si  pone 

u  =  j  (Ti)  , 

l'equazione 

F«(i',;(tO)  =  0 

avrà  una  radice  f=j{^i)  e  per  ciò  sarà,  per  convenienti  valori  dei  nu- 
meri 0,  n,  V  (senza  divisore  comune)  : 


e  quindi 


j(^ù'-i(^^).n.^^, 


T,  =  = ,    ad-oc  =  N  , 

bii+a 


essendo  a,  b,  e,  d  quattro  interi  senza  divisore  comune,  cioè  Ti  indice  di 
una  forma  quadratica  (A,  B,  C)  primitiva. 

Ora  di  qui  seguono  (§.  196)  le  relazioni  (14)  del  §.  precedente,  es- 
sendo X,  y  interi  primi  fra  loro,  ovvero  la  metà  di  numeri  dispari  primi 
fra  loro.  Se  ne  deduce  il  teorema  fondamentale: 

Le  radici  della  equazione  (D*) 

(D*)  Fn  {u,  u)  =  0 

sono  tutti  e  soli  quegli  invarianti  di  classi  (A,  B,  C)  di  prima  specie  con 


554  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  203 

determinanti  D  pei  quali  è  risolubile,  in  modo  proprio,  l'equazione 

e  quegli  invarianti  di  classi  di  2."  specie  con  tali  determinanti  D  che  sia 
solubile  l'equazione  precedente,  ovvero  l'altra 

4N  =  Dx^  +  t/ 

in  numeri  x,  y  impari  primi  fra  loro. 

In  altre  parole  le  radici  di  F^  {u,  u)  =  0  sono  tutti  e  soli  quegli  in- 
varianti di  classi  tali  che  o  il  grado  N  sia  rappresentabile  in  modo 
proprio  dalla  forma  principale  (1,  0,  D),  ovvero  4N  dalla  forma  stessa 
con  soluzioni  impari. 

Sia  dunque  la  (E)  l'equazione  irriducibile,  cui  soddisfa  un  invariante 
di  classe  ji  a  determinante  D.  Allora  ji  è  anche  radice  della  equazione 

Fd  {u,  u)  =  0  , 

la  quale  avrà  pure  tutte  le  altre  radici  della  equazione  irriducibile  (E), 
onde  si  vede  intanto  che:  tutte  le  radici  della  (E)  sono  invarianti  di 
classi.  Ma  ora  dobbiamo  di  più  dimostrare  che  tutte  queste  radici  sono 
invarianti,  appartenenti  al  medesimo  determinante  ed  alla  medesima 
specie. 

Siano  j/i ,  J2  due  invarianti  di  classi,  radici  della  (E),  ed  apparten- 
gano, se  è  possibile,  a  determinanti  diversi  D,  Di;  sia  p.  e.  D<<Di. 

Allora  jì  non  potrà  essere  di  1.*  specie;  perchè  l'equazione 

Fd  (il,  u)  =  0  , 

avendo  la  radice  ji  dell'equazione  irriducibile  (E),  ammetterrebbe  pure 
la  J2  G)  pel  teorema  fondamentale,  dovrebbe  quindi  essere  solubile  in 
modo  proprio  l'equazione 

J)  =  I),x'i-y\ 

ciò  che  è  assurdo  essendo  D<CDi  '^*-  La  radice  j-z  di  maggior  determi- 
nante sarà  quindi  di  2."  specie.  Quella  ji  di  minor  determinante  sarà 
invece  di  1."  specie;  perchè  se  fosse  anche  ji  di  2.*  specie,  sarebbe  D^  —  1 
(mod  4)  e  ji  sarebbe  radice  di 

Fd+1  {u,  u)  =  0 

4 


(1)  Il  caso  D  =  1  naturalmente  si  esclude  perchè  allora  j\  è  razionale  =  12^. 


PROPRIETÀ  DELLA  EQUAZIONE  IRRIDU(!lBILE  PER  GLI  INVARIANTI  ECC.       555 

e  però  anche  j^,  onde    dovrebbe    aversi   pel  teorema  fondamentale,  in 
numeri  x,  y  primi  fra  loro  : 

ovvero 

D+1  =  T),3(?^y\ 

in  quest'ultimo  caso  con  x,y  impari  e  ciò  è  assurdo,  perchè  D<[Di  e 
si  suppone  Dà^3  '^L 

Dunque  nelle  nostre  ipotesi  sarà  ji  di  prima,  j^  di  seconda  specie; 
e  poiché  ambedue  sono  radici  di  Fu  {u,  w)  =  0,  e  non  è  solubile  propria- 
mente l'equazione 

lo  sarà,  in  numeri  impari,  l'altra 

4D  =-  Di^rH/, 
onde  deduciamo 

D'altronde  j^ ,  quindi  jy ,  è  radice  di 

Fd,.|-i  {u,  u)  =  0 

e  però  è  solubile  propriamente  l'equazione 

D,+l 


4 
onde  si  trae  (perchè  Di:^3) 

D,+l 


=  Dx^-ì-y\ 


4    ^-»' 


e,  confrontando  con  a),  risulterebbe 


(1)  Per  D  =  3  sarebbe  j\  =  0. 


556  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  203 

Ma  l'equazione 

Fd,  (.II,  m)  -=  0 

ammette  la  radice  J2,  quindi  ji,  e  però  è  solubile  propriamente  l'equazione 

0 

4D-  1  =Dx'+if, 

onde  seguirebbe  x  =  ±l  indi  y^^ — 1  (mod  3),  ciò  che  è  assurdo. 

Così  è  dimostrato  che  tutte  le  radici  della  (E)  appartengono  al  me- 
desimo determinante.  Ma  anche  la  loro  specie  è  la  stessa;  perchè  se  ji 
fosse  di  l.",  J2  di  2.^  specie,  essendo  ambedue  radici  di 

Fy-i  {u,  U)  =  0  , 
4 

sarebbe  solubile  propriamente  l'equazione 

D  +  1       r»  2  I    2 

ciò  che  è  assurdo,  essendo  D:èij:3. 

Dal  teorema  dimostrato  segue  che  se 

fi,  fi,  U-  ■  -fh 

sono  un  sistema  completo  di  forme  di  egual  determinante  D  e  della 
medesima  specie,  i  cui  indici  siano 

e  i  corrispondenti  valori  degli  invarianti  delle  classi  si  indicano  con 

Jl   ì    ]2  ì   Jz  '  '  •  Jh  , 

il  polinomio  di  grado  h  in  ; 

(i-ii)  U-h)'-  •  U-jh) 

ha  coefficienti  interi  e  per  primo  coefficiente  1.  Indicheremo  questo 
polinomio  con  R^U)  P^r  le  forme  di  1.*  specie,  e  con  R'vU)  per  quelle 
di  2.*  specie.  Così  avremo  per  esempio 

HlO•)=i-12^    H,  {;)=i-20^ 
H'3(i)=i  ,    H',(i)=i+3l5l 


557 


§.  204. 
Modo  di  calcolare  i  fattori  H„,  {j) ,  H',„  {j). 

Nel  §.  precedente  abbiamo  dimostrato  che  i  polinomii  Hd(j),  H'd(Ì) 
hanno  coefficienti  interi  (il  primo  =  1  )  ;  ma  resta  a  dare  un  metodo  che 
serva  al  calcolo  effettivo  di  questi  polinomii.  Per  questo  procediamo, 
con  Weber,  nel  modo  seguente,  che  dà  nel  medesimo  tempo  una  nuova 
dimostrazione,  per  induzione  completa,  dei  risultati  sopra  ottenuti.  Sup- 
poniamo adunque  di  conoscere  tutti  i  polinomii  (^' 

H«(i)  ,    H'4.-i(i) 

per  n<im,  e  di  aver  verificato  che  essi  hanno  tutti  coefficienti  interi,  e 
proponiamoci  di  calcolare 

H.(;)  ,    HV.-i(Ì). 

Per  questo  costruiamo  l'equazione 

(P)  Fm  {u,  m)  =  0  , 

le  cui  radici  sono  tutti  invarianti  di  classi  e  precisamente  alcune  sono 
invarianti  di  1.^  specie,  appartenenti  a  determinanti  n  pei  quali  è  so- 
lubile propriamente  l'equazione 

m  =^  x^  -{-  n'jf . 

Il  massimo  valore  che  si  può  dare  ad  n  è  appunto  m,  talché  F„,  {u,  u) 
contiene  come  fattore  il  polinomio  di  1."  specie  H,„  (7)  ed  altri  HnO) 
di  1.*  specie  con  n<^m,  e  per  ciò  già  noti  per  ipotesi.  Le  altre  radici 
della  ((3)  saratino  invarianti  di  classi  di  2.*  specie,  appartenenti  a  deter- 
minanti ^n-\  pei  quali  è  solubile  l'equazione 

Ani  =.  x'^-[-{An-  1)  if 

e  nuovamente  il  massimo  valore  di  n  è  ni,  ove  x  =  ±\,  y  =  ±\.  Si  vede 
adunque  che  F„,  {u,  u)  contiene  il  fattore 

H„,  (;•) .  HV«-i  (i) 


(')  Si  ricordi  che  i  polinomii  H'm  {j  )  di  2»  specie  esistono  solo  per  m  =  —  1 
(mod  4). 


558  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  204 

e  tutte  le  rimanenti  radici  appartengono  a  polinomii 

con  n<Cm  e  quindi  già  noti.  Se  adunque,  coi  noti  processi  razionali, 
si  libera  Fm  {u,  u)  dai  fattori  multipli  e  da  quelli  comuni  coi  polinomii 
UnU),  K 4,1^1  (j),  già  calcolati,  si  otterrà  intanto  il  prodotto 

che  avrà  coef&cienti  razionali.  Per  separare  poi  questi  due  fattori  Hm, 
H'4m-i,  si  osservi  che  l'equazione 

F4„,_i  {u,  u)  =  0 

ammette  il  fattore  H^h-iO),  ma  non  l'altro  Hm  0),  giacché  l'equazione 

4m  -  1  =  x^-\-mìf 

è  insolubile  '^*.  Il  massimo  comun  divisore  di  F4m_i  {ti,u)  e  del  prodotto 
Hm  (i) .  E\m-\{j)  è  adunque  H'4m-i(i),  che  si  può  quindi  separare  ra- 
zionalmente. Così,  se  ammettiamo  dimostrato  che  i  polinomii 

H„0')  ,    H'4^iO'), 

finché  n<im,  hanno  coefficienti  razionali,  lo  stesso  vale  di  HmO)  , 
H'4«_i0);  e  poiché  i  polinomii 

H,C;-)  ,  R\{j)  ;  H,(i),  HUi) 

hanno  coefficienti  razionali  (§.  203),  lo  stesso  vale  in  generale.  Che  poi 
questi  coefficienti  siano  inoltre  interi  segue  da  ciò  che  le  loro  radici  sono 
numeri  interi  algebrici. 

Il  metodo  descritto  pel  calcolo  dei  polinomii  HmO),  H'4,„_i0")  ha 
un  valore  soltanto  teorico,  poiché,  anche  per  valori  relativamente  piccoli 
di  m,  la  funzione  Fm{j,j)  è  complicatissima  e  i  calcoli  da  eseguirsi  sa- 
rebbero immensamente  laboriosi.  Altri  metodi  si  hanno  per  la  costruzione 
dei  detti  polinomii,  che  sono  principalmente  fondati  suUe  proprietà  di 
funzioni  modulari  più  elevate  e  delle  corrispondenti  equazioni  modu- 
lari; ma  noi  qui  non  possiamo  occuparcene  e  rimandiamo  alla  citata  opera 
del  Weber  ed  alle  memorie  di  Greenhill. 


(*)  Altrimenti  seguirebbe  t/^  =  1 ,  oc*  =  —  1  (mod  3). 


559 


§.  205. 

Gli  invarianti  di  classi  di  2.=*  specie  espressi  razionalmente 
per  quelli  di  1.^ 

A  fine  di  poter  limitare  le  ulteriori  considerazioni  ai  polinomii  H^  (j) 
di  1.*  specie  e  alle  corrispondenti  equazioni 

H.0')  =  0  , 

dimostreremo  il  teorema  '  ^'  : 

Gli  invarianti  di  ^."  specie,  appartenenti  ad  un  dato  determinante  m, 
sono  razionalmente  esprimibili  per  quelli  di  l."'  specie  cól  medesimo  deter- 
minante m. 

Consideriamo  una  radice  qualsiasi 

della  equazione  Hm(i)  =  0,  e  sia  (A,  B,  C)  una  corrispondente  forma  di 
1.*  specie,  dove  quindi  uno  almeno  dei  due  numeri  A,  C  è  dispari,  po- 
niamo p.  e.  sia  A^l  (mod  2).  Possiamo   supporre   anche   B  dispari; 

altrimenti  colla  sostituzione  (  ^v  '  ,  )  trasformeremmo  (A,  B,  C)  nell'equi- 
valente (A,  B+A,  A+2  B+C),  ove  il  cofficiente  medio  B+ A  sarebbe  impari. 
Allora,  essendo 

m  =  AC  — B'  =  — 1  (mod  4), 

sarà  necessariamente 

C  ^  0  (mod  4)  . 

Si  consideri  ora  l'equazione  modulare  di  3.°  grado 

(17)  F2C;-',i((«))  =  o, 

le  cui  tre  radici  in  /  sono 

/^  =  J  (2co)  ,  /o  =  ^  [jj  ,  j\  =  J  (^— pj  • 
Posto  ordinatamente 

O  ,  W  ,  (tì+1 

aj=2oi,    w=—    ,    w=  — - —  , 


(»)  Weber  l.  e.  §.  89,  pag.  338. 


560  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  205 

l'equazione  cui  soddisfa  0/  sarà  rispettivamente: 

Aco' 2  +  4Ba)'+4C=0  perco'=2oì 

2Ao)'^+2Ba>'  +  y  =0  „     co' =   ~ 

4Ao/H4(B-A)o/+A-2B  +  C-=0  „     0/  =  ^^. 

Tutte  tre  le  corrispondenti  forme 

(A,2B,4C)   ,    (2A,B,|^ 
(4A,  2(B-A)  ,    A  — 2B  +  C) 

sono  primitive;  ma  le  due  estreme  sono  di  1.*  specie,  col  determinante 
4w,  la  media  invece  è  di  2/  specie  col  determinante  m.  Dunque,  delle 

tre  radici  della  (17),  soltanto  la  media  j'^=ji  —  \  soddisfa   anche  la 

equazione 

H'.(/)  =  0 

e  perciò  1  due  polinomii 

H'.(/)       F,0-',i(co)) 

hanno  a  comune  soltanto  il  fattore  lineare 


che  si  calcolerà  quindi  razionalmente  per  i(w).  Si  avrà  così: 

(18)  ;(|-)  =  0O-(«)), 

essendo  i5  il  simbolo  di  una  funzione  razionale  a  coefficienti  razionali, 
che  sarà  affatto  indipendente  dalla  particolare  radice  scelta  /(co)  della 
Hw(m)  =  0.  Ogni  radice  j{uì)  di  H,.,0)  =  0,  sostituita  nella  (18),  dà  quindi 
una  radice  /  di  Hm  {j')  =  0  ed  ora  vogliamo  dimostrare  che  così  si  ot- 
tengono tutte  le  radici  di  H'„i  (/)  =  0,  dopo  di  che  sarà  dimostrato  il 
teorema  enunciato.  Sia  j  (co')  una  radice  di  H'm(i)  =  0  e 

(2 A,    B,    2C) 


GLI    INVARIANTI   DI    2.*  SPECIE    ESPRESSI   PER    QUELLI   DI    1.*  561 

una  corrispondente  forma  primitiva  di  2."  specie,  sicché  avremo: 

e  potremo  supporre  che  sia  A  dispari  (^). 

Allora,  posto  co  =  2  co',  sarà  co  radice  della  forma  primitiva  di  1.* 
specie  a  determinante  m: 

Aco2  +  2Bco  +  4C  =  0  , 

e  perciò  la  radice  j{io')  di  H'^O)  =  0  si  esprimerà  colla  (18)  per  la  radice 
y((tì)=y(2co')  della  H„.(i)  =  0,  e.  d.  d. 

Le  varie  radici  J(co)  di  HmO')  =  0,  sostituite  in  (18),  danno  tutte  e 
sole  le  radici  di  H'„,  (y)  =  0;  ma  vogliamo  ora  esaminare  ulteriormente 
la  questione  se  queste  radici  di  H',„  {j)  =  0  si  troveranno  o  no  ripetute. 
Per  decidere  la  cosa  osserviamo  che,  se  due  radici  differenti  j  (co), 
y(coi)  di  H„i(i)  =  0  danno,  sostituite  nella  (18),  la  medesima  radice  ^  (co') 
di  H',„  (j)  =  0,  dovranno  j  (w),  j  (co,)  essere  ambedue  radici  della  equazione 
modulare 

F,(/,y(co'))  =  o. 

Ma  queste  radici  sono 

(19)  i(2.0,>(|^),.-(^). 

e  si  tratta  dunque  di  vedere  in  primo  luogo  quali  di  questi  tre  valori 
sono  radici  di  H^  (j)  =  0.  Ora,  posto  successivamente 

co  co+1 

C0  =  2C0      ,      W=y     ,      C0  =  -^—    , 

dall'equazione 

Aco'24-Bco'+C  =  0 

si  deduce  che  co  sarà  rispettivamente  radice  dell'equazione 
Aco2+2Boi+   4C     =0     per  co  =  2co' 

4Aco'  +  2Bco4-      C     =0       „     oj 


4  A  oj'+ 2  (B-2  A)  oì  +  A-B+C  --=  0 


2 

co'+l 


(*)  Se  A  fosse  pari,  C  impari,  basterebbe  cangiare  o/  in ^e  se  A,C  fos- 

aero  ambedue  pari,  iu  ^  . 

S6 


562  CAPITOLO  XVIII.  —  §.  205 

e  le  tre  forme  corrispondenti  hanno  ancora  il  determinante  m.  Di  esse 
però  la  prima  è  certamente  primitiva  (di  1."'  specie),  le  altre  due  invece, 
come  subito  vediamo,  saranno  imprimitive  se  w^ —  1  (mod  8),  primitive 
quando  m^B  (mod  8).  E  infatti,  siccome 

4AC-B'  =  m, 

e  B^^-fl  (mod  8),  perchè  B  è  dispari,  sarà  nel  primo  caso  AC^O 
(mod  2)  e  nel  secondo  A  C  :^e^  1  (mod  2  )  e  quindi,  essendo  A  impari, 
sarà  C  pari  se  w^ — 1  (mod  8),  impari  se  m^^S  (mod  8). 

Dunque  se  m^ —  1  (mod  8),  dei  tre  valori  (19)  solo  il  primo  è  radice 
di  Hm  (/)  =  0  ed  ogni  invariante  di  2.*  specie  ne  dà  uno  solo  di  1/  specie, 
cioè:  Se  m^ — 1  (mod  8)  gli  invarianti  di  1.'*  specie  si  esprimono  ra- 
zionalmente per  quelli  di  ^." 

Nel  caso  m^3  (mod  8)  tutti  tre  i  valori  (19)  sono  invarianti  di 
1.*  specie  e  rimane  soltanto  da  vedere  se  sono  differenti  o  no,  se  cioè 
fra  i  tre  valori 

,      o/      to'+l 

/ 
ve  ne  sono  due  equivalenti.  Basterà  esaminare  se  i  due  primi  2  oi ,  — - 

possono  essere  equivalenti,  gli  altri  casi  riducendosi  a  questo  col  can- 
giare o/  in  o/+l,  ovvero  in ,  .  Supponiamo  dunque  che  sia 

0) 


2  o/  = 


con  a,  |3,  Y,  o  interi  e  aò  -  jj-,-  =  1  ;  avremo 

2yco'2+(4ò  -7.)  co'  — 2  ;?  =  0  , 
che,  paragonata  con 

Ao/M-Bto'-fC  =  0, 

dà 

2Y  =  rrA  ,    45-a  =  a;B,    -2p  =  JcC, 

dove  X  sarà  un  intero  (perchè  A,  B,  C  non  hanno  divisor  comune)  evi- 


GLI    INVARIANTI    DI    2/  SPECIE    ESPRESSI   PER   QUELLI   DI    1.''  5G3 

dentemente  pari;  e  se  poniamo 

sarà  pure  y  un  intero  pari  e  dalle  forinole 

2y.=y-^X  ,    2[-i=-Gx,    2'i  =^  kx  ,    85  =  ^+Ba; 

si  trae 

16  (a5  -  15y)  =  16  =  y'^+mx'^ , 

equazione  solubile  soltanto  per  m  =  3.  In  questo  caso  i  tre  valori 

,       co         OJ  + 1 

sono  fra  loro  equivalenti. 

Vediamo  dunque  che  se  w;;^3  Cmod  8),  e  non  è  m  =  3,  le  radici  j  (w) 
dì  Hm(i)  =  0,  sostituite  nella  (18),  danno  tre  atre  la  medesima  radice 
di  H',„  (j).  Se  si  indica  quindi  con  h  il  numero  delle  classi  delle  forme 
primitive  di  L^  specie  a  determinante  m,  con  //  quello  delle  classi  di  2.* 
specie,  si  avrà 

h'  =  il      per  m^ —  1  (mod  8) 

h 
il  =  —      per  in  ^   3  (mod  8) , 
o 

eccettuato  m  =  3  ove  nuovamente  h'  =  h  '^L 


Capitolo  XIX. 

Composizione  delle  forme  quadratiche  e  gruppo  di  Galois  per  l'equazione  degli 
invarianti  delle  classi. 


§.  206. 
Composizione  delle  forme  quadratiche  secondo  Gauss. 

Nella  ricerca   degli   invarianti   assoluti   delle  classi  tutto  si   riduce, 
per  quanto  sopra  si  è  visto,  allo  studio  deiroquazione 

(1)  H,(i)  =  0, 


(')  Dirichlet-Dedekind.  Zahlentheorie,  §.97  e  Supplemento  X." 


564  CAPITOLO  XIX.  —  §.  206 

le  cui  radici  sono  gli  invarianti  appartenenti  alle  classi  di  1.*  specie  a 
determinante  D.  Secondo  un  teorema  enunciato  da  Abel'^',  l'equazione 
(1),  che  ha  per  radici  gli  invarianti  delle  classi,  è  un'equazione  riso- 
lubile per  radicali.  Il  gruppo  di  Galois  per  quest'equazione,  quando  al 
campo  assoluto  di  razionalità  si  aggiunga  il  radicale  quadratico  i  \JD  , 
è  un  gruppo  Abeliano  (di  sostituzioni  permutabili);  esso  coincide  (è  oloe- 
dricamente  isomorfo)  col  gruppo  di  composizione,  secondo  Gauss,  delle 
forme  quadratiche  di  l.'*  specie  a  determinante  D.  Così  la  teoria  della 
composizione  delle  forme,  data  da  Gauss  nelle  Disquisitiones  arithmeticae, 
contiene  già  tutti  gli  elementi  necessarii  per  la  conoscenza  delle  equa- 
zioni per  gli  invarianti  delle  classi,  dal  punto  di  vista  della  teoria  di 
Galois. 

Noi  ci  proponiamo  qui,  come  ultima  ricerca,  di  stabilire  le  enunciate 
proprietà,  il  che  ci  obbliga  a  riassumere  brevemente  la  teoria  della  com- 
posizione delle  forme  quadratiche,  rimandando  per  maggiori  notizie  al 
X.°  Supplemento  dell'opera  di  Dirichlet-Dedekind  e  alle  lezioni  litografate 
di  Klein  (^',  alle  quali  ci  atteniamo  nell'esposizione  seguente.  Conside- 
riamo una  forma  quadratica 

(a,  h,  e) , 

che  supporremo  senz'altro  primitiva  di  1.*  specie.  Essa  determina  una 
classe  di  funzioni  ellittiche,  nelle  quali  il  rapporto  i  dei  periodi  è  dato  da 

_(«)'_  —b+i  v'D 
iù  a 

e  1  periodi  2a),  2  to'  sono  determinati  a  meno  di  un  fattor  comune  di 
proporzionalità.  Consideriamo  i  vertici  della  rete  parallelogrammica  ap- 
partenente alla  p{u\(ù,(ù'),  che  sono  nei  punti 

(2)  u  =  2oì.x  -{-  2itì'y  , 

percorrendo  x,  y  tutti  i  valori  interi. 

L'insieme  di  tutti  questi  punti  si  dirà  il  reticolo  appartenente  alla 
forma  {a,  h,  e);  esso  sarà  determinato  solo  a  meno  di  una  rotazione 
attorno  all'origine  e  di  un'omotetia  rispetto  all'origine  stessa.  Per  fissare 
le  idee  prendiamo  _ 

-  b+i  v^D 


2  (0  =  \'  a    ,    2  tó'  = 


\  a 


W  L'enunciato  d'Abel  si  riferisce  naturalmente  ai  moduli  k^  di  Legendre. 
(2)  Ausgewahlte  Kapitel  der  Zahlentheorie  (Gottingen  1896). 


COMPOSIZIONE   DEI   RETICOLI  565 

e  il  reticolo  consterà  allora  dei  punti 

ro\                                    UT          ^       I    —i+i\'^ 
(3)  M=  \  a  x-\ :;^ —  y . 

Da  considerazioni  già  svolte  in  altra  occasione  (Vedi  Gap.  II,  §.23 
e  Gap.  Vili,  §.  95)  risulta  il  teorema:  Se  due  forme  quadratiche  primitive 
{a,  h,  e) ,  {a',  h',  e)  hanno  il  medesimo  reticolo,  ovvero  reticoli  che  si  cangiano 
l'uno  nelV altro  per  rotazione  ed  omotetia  rispetto  all'origine,  esse  sono 
equivalenti. 

Veniamo  ora  all'oggetto  proprio  di  questo  §.,  cioè  alla  composizione 
dei  reticoli  e  delle  forme.  Siano  {a,  b,  e),  {a',  b',  e)  due  forme  quadratiche 
primitive  di  1.*  specie  e  di  egual  determinante  D,  e  si  considerino  •  i 
rispettivi  reticoli 


n/r  /-  ,       ~b  +  Ì\JD 


y 

\J  a 

M  =  V  «  a;'  -1 ^^^—  2/ . 

Facciamo  tutti  i  possibili  prodotti  M  M'  di  un  numero  del  primo 
reticolo  per  un  numero  del  secondo  e  addizioniamo  quanti  si  vogliano 
di  questi  prodotti,  moltiplicati  per  numeri  interi  arbitrari!.  Dimostreremo 
che  i  numeri  così  ottenuti  sono  tutti  e  soli  i  vertici  di  un  terso  reticolo,  appar- 
tenente ad  una  terza  forma  quadratica  a  determinante  D.  Il  terzo  reticolo 
si  dirà  il  reticolo  composto  dei  due  e  la  terza  forma  si  dirà  composta 
delle  due  {a,  b,  e),  {a,  b\  e').  Già  prima  di  eseguire  il  nostro  calcolo  os- 
serviamo che,  siccome  a  forme  equivalenti  appartiene  il  medesimo  reti- 
colo e  inversamente,  si  avrà  senz'altro  il  teorema  :  La  classe  della  forma 
composta  dipende  unicamente  dalle  classi  delle  due  forme  componenti. 

Per  dimostrare  ora  il  teorema  fondamentale  cominciamo  dal  prendere 
due  forme  dalle  rispettive  classi  delle  due  forme  date,  che  abbiano  i 
primi  coefficienti  a,  a'  primi  fra  loro  ed  eguale  coefficiente  medio  b'  =  b, 
ciò  che  vediamo  subito  esser  sempre  possibile.  E  infatti  possiamo  intanto 
supporre  che  i  due  primi  coefficienti  a,  a  siano  primi  fra  loro,  poiché 
ad  ogni  forma  primitiva  possiamo  sostituirne  una  equivalente  il  cui  primo 
coefficiente  sia  primo  col  numero  che  più  ci  piace  (^'.  Ed  ora  mediante 


(M  Cf.  Dirichlet-Dedbkind,  §.93. 


566  CAPITOLO  XIX.  —  §.  206 

le  sostituzioni  rispettive 


.0,  ly  '  \o,  \j 

si  traducano  le  forme 

(a,  6,  e)  ,    {a,  h\  e) 

nelle  equivalenti 

{a,  b+am,  c+2bm+am^) 

(a,  b'+a'n,  c+2b'n+a'n^) 

e  si  determinino  i  numeri  interi  m,  n  in  guisa  che  risulti 

6  +  aw  =  b'-{-a  n, 

cioè 

am—a'n  =  b' -b , 

il  che  è  sempre  possibile,  essendo  a,  a   primi  fra  loro.  Otterremo  così 
due  forme  equivalenti  alle  primitive 

/",  =  (a,  b,  e)  ,    /;  =  (a',  b,  e') 

in  cui  a,  a  saranno  primi  fra  loro  e  il  coef&ciente  medio  b  sarà  il  mede- 
simo. Si  osservi  ora  che,  il  determinante  D  essendo  il  medesimo,  si  ha 

ac  =  de 
e  poiché  a,  a   sono  primi  fra  loro  avremo 

e  =  a'  C  ,    e'  =  a  C  , 
essendo  C  un  conveniente  terzo  numero.  Le  due  forme  saranno  quindi 
(4)  fy  =  (a,  b,  a  C)  ,    {-2  =  («',  b,  aC). 

Come  si  è  visto,  in  due  classi  qualunque  possiamo  scegliere  due  tali 
forme  (4)  in  cui  a,  a  siano  primi  fra  loro.  Ma  per  le  applicazioni  che 
dovremo  farne  fra  breve  converrà  che  consideriamo  il  caso  più  generale 
in  cui  nelle  forme  (4)  si  supponga  soltanto  che  i  tre  numeri 

a  ,    a  .    2  ì) 

non  abbiano  alcun  divisore  comune.  Se  questa  condizione  è  soddisfatta, 
le  due  forme  (4)  si  diranno  concordanti. 


COMPOSIZIONE   DELLE    FORME  567 

Ora  sì  prendano  due  numeri  dei  corrispondenti  reticoli 

Mi  =  Va    X  -\ — ^—  y 

Va 

M2  =  Va  ^  H -e—  /  ; 

Va' 

moltiplicandoli  fra  loro  troviamo,  a  causa  della  formola 

aa'C  — 6'  =  D: 

(5)  MiM2  =  Vo^  {xx'  —  Gijy)  +  ~^"^^  {axy+a'xy~2byy')  . 

Vaa' 

Questi  prodotti  Mi  Mg ,  e  quindi  anche  la  somma  di  quanti  si  vogliano 
di  essi,  sono  numeri  del  terzo  reticolo 

(6)  M,  =  V^'X+=*±^Y, 

y/aa' 

appartenente  alla  forma 

fz  =  (a a,  b,  C)  , 

che  è  ancora  a  determinante  D  e  primitiva  di  1.*  specie,  come  fi ,  f^- 
Ma  vogliamo  di  più  diihostrai'e  che  coi  prodotti  (5)  e  colle  loro  somme 
si  ottengono  tutti  i  numeri  del  terzo  reticolo  (6). 

Basterà  per  ciò  constatare  che  si  possono  ottenere  nel  detto  modo 
i  due  numeri  fondamentali  del  terzo  reticolo 


y/aa'  , 


-b+i\D 
yjaa 


Quanto  al  primo  si  ottiene  subito  come  prodotto  di  Mi  =  \j  a  per  Mj  =  \J a  \ 
se  facciamo  poi 

Mi  ==  \la    ,      Mi  = ^^— 

Va 

T»«-  A/"T  UT/  —b  +  iy/l) 

Ma  =  Va    .      M  2  =  -^ —  , 

v« 


568                               CAPITOLO  XIX.  —  §§.  206,  207 
abbiamo                                   _  _ 

MiM2=  —  .  a  ,    M2M'i= — ~~  a 

Vaa' 

che  sono  numeri  formati  dai  due  reticoli  nel  modo  prescritto,  ed  ora, 
indicando  con 

m  ,  n  ,  p 

tre  interi  qualunque,  sarà  pure  uno  dei  detti  numeri: 

mMiM'^  4-  nM\M,—p  iM.\M\  +  CMjM^)  =  ~^t!^^  (am+a'n+2  hp) 

\Jaa' 

ed,  essendo  a,  a,  2h  primi  fra  loro,  potremo  rendere 

am  -\-  a  n  -\-  2bp  ^  l  , 

il  che  dimostra  quanto  volevamo.  Così  abbiamo  stabilito  il  teorema  fon- 
damentale della  composizione  delle  forme  e  ritrovata  la  regola  seguente: 
Per  comporre  due  classi  K,  K'  di  forme  (primitive  di  1."  specie)  di 
egiial  determinante,  si  scelgano  dalle  due  classi  due  forme  concordanti 

{a  ,  b  ,  aC)  ,    {a'  ,  b  ,  aC), 

nelle  quali  a,  a ,  2  b  siano  primi  fra  loro,  e  la  forma  composta  sarà 

{ad  ,  b  ,  C) . 

Denoteremo  la  classe  composta  K"  col  simbolo 

K"  =  KK', 

come  prodotto  delle  due  classi  componenti,  ove  Perdine  dei  fattori  sarà 
naturalmente  indifferente. 

§.  207. 
Gruppo  di  composizione  delle  forme. 

Consideriamo  tutte  le  classi  di  forme  primitive  di  l.""  specie  di  un 
dato  determinante  D;  se  /^  è  il  loro  numero,  indichiamo  queste  ìi  classi 


COMPOSIZIONE   DELLE   CLASSI  569 

distinte  con 

(7)  Ki  ,  K2 ,  K3 .  .  .  .  K,  . 

Componiamo  le  h  classi  di  questo  sistema  completo  con  una  qualunque 
di  esse,  presa  ad  arbitrio,  K, .  Le  h  classi  composte 

(8)  KiK,,  K2K,,  ...K;,K, 

si  troveranno  certamente  fra  le  (7)  e  siccome,  come  ora  dimostreremo, 
nessuna  classe  è  ripetuta  nel  sistema  (8),  così  le  (8)  saranno,  in  altro 
ordine,  le  (7)  stesse,  sicché  la  composizione  di  tutte  le  classi  con  una 
determinata  K,  dà  luogo  ad  una  sostituzione  fra  le  h  classi,  che  indi- 
cheremo con  s,. 

Per  dimostrare  la  nostra  asse'-zione  facciamo  le  due  seguenti  os- 
servazioni : 

1.*  Sia  Ki  la  classe  principale,  contenente  cioè  la  forma  principale 
(1,  0,  D).  Questa  forma  principale,  composta  con  ogni  altra  forma  {a,  h,  e), 
dà  la  forma  {a,  h,  e)  stessa.  E  infatti  la  forma  (1,  0,  D)  è  equivalente 
alla  forma  (1,  &,  ac),  che  è  concordante  con  {a,  b,  e),  e  composta  con  essa, 
secondo  la  regola  del  §.  206,  dà  appunto  (a,  h,  e).  Per  ciò  la  classe  prin- 
cipale Ki  si  indicherà  anche  col  simbolo  1 . 

2.*  Sia  (a,  b,  e)  una   forma  qualunque  e  si  consideri  la  sua  opposta 

(a,  -  b,  e),  che  mediante  la  sostituzione  l  '  j  si  traduce  nella  equiva- 
lente (e,  b,  a).  Possiamo  sempre  supporre  che  a,  e,  siano  primi  fra  loro, 
altrimenti  ci  ridurremo  a  questo  caso  trasportando  (a,  b,  e)  mediante  una 

sostituzione  f     '       j  in  una  forma  equivalente 

(a,  b+am  ,   c+2bm+am^  , 

e  prendendo  m  primo  col  massimo  comun  divisore  di  a,  e.  Allora  le  due 

forme 

(a,  b,  e)  ,    (e,  b,  a) 

sono  concordanti  e  composte  danno  la  classe  principale 
(ac,  b,  1)  =  (1,  -b,  ac)  =  (l,  0,  D)  . 

Dunque:  Ogni  classe  K  composta  colla  sua  opposta  K'  dà  la  classe 
principale  1. 


570  CAPITOLO  XIX.  —  §,  207 

Ciò  premesso,  se  si  avessero  due  classi  eguali  nella  serie  (8),  p.  e, 

K,j  Kj  =  Kfc  K, , 

componendo  colla  opposta  K'j  di  K,  risulterebbe  Ka  =  Kj . 

Ad  ogni  classe  K,,  adoperata  come  classe  moltiplicatrice  di  tutte  le 
classi  (7),  corrisponde  adunque  una  sostituzione  s,  sulle  classi  stesse, 
ed  è  chiaro  che  ad  una  classe  composta 

K,  K, 

corrisponde  la  sostituzione  prodotto 

Si  Sj 

e  alla  classe  opposta  Kr'  di  K,  la  sostituzione  inversa  sr\  sicché  se  K,- 
è  diversa  da  K;  anche  5,  è  diversa  da  Sj. 
Così  adunque:  Le  h  sostituzioni  sulle  classi 

Si  =   1   ,      §2  ,      S3    .    .    .    Sji 

formano  un  gruppo  d'ordine  h  di  sostituzioni  permutaMli  sulle  h  classi. 

Questo  è  evidentemente  un  gruppo  Abeliano  semplicemente  transitivo 
sulle  h  classi;  esso  dicesi  il  gruppo  di  composizione  delle  forme. 

Diremo  periodo  di  una  classe  K  il  minimo  esponente  positivo  ^,  a 
cui  bisogna  elevare  la  classe  per  ottenere  la  classe  principale  1.  Evi- 
dentemente sarà  allora  K^      ,  0  K~\  la  classe  opposta  di  K. 

Meritano  particolare  menzione  quelle  classi  che  coincidono  colle  proprie 
opposte,  che  sono  cioè  a  periodo  2;  esse  diconsi,  secondo  Gauss,  classi 
ancipiti  0  ambigue.  Se  (a,  h,  e)  è  una  forma  ancipite,  equivalente  cioè  ad 

(a,  -h.c),  i  due  indici  equivalenti  ^^ —  ,    ^ —  sono  simmetrici 

a  a 

rispetto  all'asse   immaginario  e  per  ciò,  supposta   la  forma   ridotta,  il 

suo  indice  sarà  sul  contorno  del  triangolo  fondamentale,  onde  si    vede 

che  sussiste  il  teorema:  Gli  invarianti  delle  classi  ancipiti  e  questi  soltanto 

sono  reali. 

Essendo  il    gruppo  di  composizione   un   gruppo  Abeliano,    potremo 

scegliere  fra  le  h  classi  un  certo  numero  r  di  classi  fondamentali 


GRUPPO   DI    COMPOSIZIONE   DELLE   FORME  571 

per  formare  una  base  del  gruppo'^'   e  se 

sono  i  rispettivi  periodi  di  ^i ,  1*2 . .  •  h  ,  tutte  le  h  forme  saranno  date 
dalle  espressioni 

(a)  k't'  Jc^' .  .  .  /S;^ 


7.1  =  0,  1,  2,  ...pi-l 
a,=  0,  1,  2,  ...P2-I 


ar=0,  1,  2,  ...p,-l, 
né  alcuna  forma  si  troverà  così  ripetuta,  sicché  sarà 

Una  forma  («)  sarà  ancipite  se  sussisteranno  le  congruenze 
2  7-1  E^  0  (mod  pi)  ,    2  7-2^0  (mod  I32) . . .  2  7^  ^  0  (mod  p,)  ; 
e  poiché  se  p.  e.  Pi  è  impari,  ne  risulta  cti^O  (mod  PO,  mentre  se  pi 
é  pari  vi  è  l'altra  soluzione  ^  ,  vediamo  che  il  numero  delle  classi  an- 
cipiti è  dato  da  2"  (^',  essendo  n  il  numero  dei   periodi   fondamentali 
Pi ,  p2 . . .  pi-  che  sono  pari. 

§.  208. 
Teoremi  vari  sulla  composizione  delle  forme. 

Prima  di  applicare  la  teoria  della  composizione  delle  forme  all'equa- 
zione degli  invarianti  delle  classi,  conviene  che  dimostriamo  ancora  alcuni 
teoremi  relativi  alla  composizione,  in  primo  luogo  il  seguente: 

Ogni  forma  (A,  B,  C)  si  può  ottenere  come  risidtato  di  composizione 
di  successive  forme 

ip,h,c)  ,    {p\h\c')  ,    {p",h",c")..., 

i  cui  primi  coefficienti  p,  p ,  p".  . .  sono  numeri  primi  (^'. 


(')  Vedi  Teoria  dei  gruppi. 

(^)  Naturalmente  è  qui  computata  fra  le  classi  ancipiti  anche  la  principale 
(a  periodo  1). 

(3)  Un  teorema  molto  più  generale,  la  cui  dimostrazione  è  do^oita  a  Weber, 
assicura  che  in  ogni  classe  primitiva  di  1.^  specie  vi  sono  infinite  forme  il  cui 
primo  coefficiente  è  un  numero  primo,  che  cioè  fra  i  numeri  rappresentabili  da 
una  tale  forma  ve  ne  sono  infiniti  primi.  Ma  la  dimostrazione  di  questo  teore- 
rema  è  assai  riposta  ;  per  le  applicazioni  attuali  basta  la  proposizione  del  testo. 


572  CAPITOLO  XIX.  —  §.  208 

Prendiamo  la  forma  (A,  B,  C)  in  guisa  che  il  primo  coefficiente  sia 
dispari  e  primo  con  D  e  sia  j)  un  fattore  primo  di  A,  che,  non  dividendo  D, 
non  dividerà  nemmeno  B.  Ora  le  due  forme  primitive  di  1.*  specie  a 
determinante  D 

sono  evidentemente  concordanti  e,  composte  fra  loro,  danno  appunto 
(A,B,C)  =  (i>,B.  ^j.  (|.B,   Ci)). 

Similmente,  se  p'  è  un  divisore  primo  di  — ,  avremo 

|.B,C,)  =  (/,B,^j(A,,B,C„'). 

Così  continuando,  vediamo  che,  se  si  scinde  A  nei  suoi  fattori  primi 
P,  p\  p"-  •  •  diversi  od  eguali 

A'   // 
=  PP  p  ...  , 

la  forma  (A,  B,  C)  si  otterrà  componendo  le  successive 

-       T,     AC\       /  ,    ^      AC\       f  „    ^     AC 

ciò  che  dimostra  il  teorema 

Consideriamo  ora  in  particolare  una  forma 

P  =  (p,  l,  e) , 

il  cui  primo  coefficiente  p  sia  un  numero  primo  dispari  che  non  divida  D, 
del  quale  quindi  -  D  sarà  residuo  quadratico,  a  causa  di 

pc-ly  =  D , 

e  sia  (3  il  periodo  della  classe  P.  Alla  forma  (jp,  ò,  e)  possiamo  sostituirne 
una  equivalente  {p,  B,  C),  in  cui  sia 

B  =  6  (mod;;)   ,    B'=— D  (mod^)?). 
Come  si  sa  '^) ,  essendo  i I  =  +1,  la  seconda  congruenza  è  sempre 


(^)  DiEiCHLET.  Zahkntheoi'ie,  §.35. 


TEOREMI    SULLA   COMPOSIZIONE   DELLE   FORME  573 

solubile  ed  ha  due  radici  opposte  incongrue  (raod^;)  ed  una  di  esse  è 
appunto  ^6  (mod|>).  Se  poniamo 

avremo 

P  =  {p,  B,  Ci^p-i) . 

Essendo  p  primo  con  2B,  potremo  comporre  la  classe  P  con  sé  stessa 
ed  avremo 

Similmente 

p3    =(/,  B,  Cp^-B) 

Pp-i=  (^^-1,  B,  Cp) 
n    ={pK  B,  C); 

e  poiché  per  ipotesi  P?  è  la  minima  potenza  di  P  che  coincide  colla 
classe  principale  (1,  0,  D),  se  ne  conclude  che  la  potenza  p?  dì  p  è  rap- 
presentabile dalla  forma  principale 

a^  +  Dtf 

ed  é  la  minima  per  la  quale  ciò  accade. 

Dunque:  Se  p  è  lin  numero  primo  non  divisore  di  2T)   e  tale  che 
-D 


+  1,  esiste  una  minima  potenza  p^  di  p  per  la  quale  è  risolubile 

l'equazione 

p^  =  x^-^-T)y^; 

qu£sto  esponente  p  è  anche  il  periodo  delle  due  classi  opposte  rappresentate 
da  forme  P  col  primo  coefficiente  =p. 


§.  209. 
Trasformazione  degli  invarianti  delle  classi. 

Dopo  queste  necessarie  preparazioni,  veniamo  ad  un'altra  parte  della 
ricerca  che  utilizza  le  proprietà  delle  equazioni  modulari,  esaminando 
Vefifetto  della  trasformazione  sugli  invarianti  di  classi. 


574  CAPITOLO  XIX.  —  §.  209 

Introduciamo  per  ciò  un'opportuna  notazione  abbreviata,  che  ci  sarà 
molto  utile.  Essendo 

Ki  ,  K^ ,  . . .  K;, 

un  sistema  completo  di  classi,  o  di  forme  loro  rappresentanti,  a  deter- 
minante D  e  primitive  di  1.*  specie,  indichiamo  i  corrispondenti  valori 
degli  invarianti  di  classi  con 

(9)  Ìk,  ,  ÌK3 ,  . . .  Ìk/,  , 

ciò  che  si  potrà  fare  senza  alcuna  ambiguità,  la  classe  determinando 
completamente  il  corrispondente  valore  dell'invariante  e  reciprocamente. 
Gli  h  valori  (9)  saranno  allora  tutte  e  sole  le  radici  dell'equazione 

(10)  H,(i)  =  0. 

Prendiamo  ad  arbitrio  una  classe  K  e  la  corrispondente  radice  j^ 
della  (10)  e  indichiamo  con  />  un  numero  primo  che  non  divida  D  e  di 
cui  —  D  sia  residuo  quadratico.  Come  è  ben  noto,  e  dimostrabile  elemen- 
tarmente, vi  sono  infiniti  numeri  primi  di  questa  specie  ^^K 

Scegliamo  la  forma  (A,  B,  C)  rappresentante  della  classe  K  in  guisa 
che  i  coefl&cienti  estremi  A,  C  siano  ambedue  divisibili  per  p,  ciò  che 
facilmente  si  vede  esser  sempre  possibile  '^'.  Essendo  ora  w  l'indice 
della  forma  (A,  B,  C),  cioè 

A(D^+2Bco  +  C  =  0, 


W  La  proprietà  enunciata  nel  testo  equivale  a  dire  che  se  nell'espressione 
x^  -\-T>  si  fanno  percorrere  a  x  gli  infiniti  numeri  interi  primi  con  D,  i  numeri 
ottenuti  offriranno  una  serie  illimitata  di  divisori  primi.  Ciò  si  dimostra  subito 
osservando  che  se  2^iì  P2J P'  ^  ^^^  ^^^'^^  finita  di  numeri  primi,  non  divi- 
sori di  D,  e  si  pone  5e=i?i  P2 P'-  V  con  y  intero,  il  numero  JC^-f-  D  ha  i  suoi 

divisori  primi  fuori  di  Pi,  p^.  ■  ■  ■  .p<  • 

<2)  In  primo  luogo,  se  A  non  è  già  divisibile  per  p,  trasformando  (A,  B,  C) 

colla  sostituzione  \    ^  i\  ,  il  nuovo  coefficiente  A  è  dato  da 

AG'2+2Bcz-(  +  Cf , 
e  possiamo  sempre  prendere  c(,  y  primi  fra  loro  in  guisa  che  risulti 
A  rji  +  2  B  Gt  7  +  C  -,'2  =  0  (mod  p)  , 

cioè 

(A  a  +  B  7)2  =  —  Df  (mod  p) . 


TRASFORMAZIONE   DEGLI    INVARIANTI  575 

assoggettiamo  rinvariante^  («>)  =:Jk  alla  trasformazione  d'ordine  j)  e,  con- 
siderando la  corrispondente  equazione  modulare 

(11)  F,(/,i(co))  =  F,(/,yK)-^0, 

esaminiamo  se  la  (11)  ha  railici  comuni  colla  (10),  e  quali.  Per  ciò  ricor- 
diamo che  le  radici  della  (11)  sono 

percorrendo  V  un  sistema  completo  di  resti  (modj9).  Ora,  posto  succes- 
sivamente 

tó  +  y 

0)  =  w  IO   ,    co  = , 

p 

vediamo  che  nel  primo  caso  w'  soddisfa  all'equazione 

(12)  -  to"^  +  2B(o'-f  Ci?  =  0, 

mentre  nell'altro  si  ha: 

A/.(o'^  +  2i)(B-Av)a>'4-(Av2-2Bv+C)  =  0. 


Essendo  v  una  radice  di  v^  ^  —  D  (mod  j^),  basta  porre  infatti  a  =  ji  y  ®  ^^' 

terminare  ji  da 

A  (JL  4-  B  =  +  V  (mod  p). 

Supposto  ora  A=p''  A'  e  A'  non  divisibile  per  p,  alla  forma 

(A,B,C) 

se  ne  può  sostituire  una  equivalente 

(A,B  +  XA,C'), 

determinando  X  in  guisa  che  sia 

(B  -1-  >.  A)2  =  (B  +  Ip'-  A')2  =  B2  +  2  B  Ip'  A'  s-  D  (mod  p'-+^) , 

per  il  che  essendo 

B2  4-D  =  AC=p'-  AC, 

basterà  prendere  X  in  guisa  che  si  abbia 

2BX=-C(mod  p) . 

Ma  allora,  poiché  AC—  (B  +  XA)2=D,  sarà  AC  divisibile  per  p^+^  e  perciò 
C  per  p,  come  si  voleva. 


576  CAPITOLO  XIX.  —  §.  209 

Quando  v  è  diflferente  da  zero  (raod  p)  i  tre  coefficienti 
kp^  ,    2i)(B-Av)  ,    Av2-2Bv  +  C 
sono  primi  fra  loro  e  quindi  le  radici 

sono  bensì  invarianti  di  classi,  ma  col  determinante  D^^  e  non  soddi- 
sfano per  ciò  la  (10).  Quando  invece  v  =  0,  si  ha 

A»(o'«+2Bw'  +  -  =  0 


e  tanto  la  forma 


(f  B  ,  Cp)  , 


corrispondente  alla  (12),  come  la  f  A^  ,  B  ,  —  j  corrispondente  alla  pre- 
cedente, sono  primitive  di  1.*  specie  a  determinante  D.  Dunque  si  con- 
clude che:  La  (11)  ha  a  comune  colla  (10)  soltanto  le  due  radici 


f„^JÌP^)  ,   -^''^^{^J  ' 


Conviene  ora  vedere  quali  sono  le  classi  K,-,  Kr  indici  di  queste  due 
radici.  Per  ciò  si  osservi  che  posto 

si  ha  (§.  208) 

(^p,B,  ^  =  ^,B,^y  (A,B,C), 

cioè  la  classe  di  (  kp,  B,  —  i  è  la  classe  composta  PK,  sicché  j'^  =  Ìpk  • 

f  k  \ 

D'altronde  l'altra  forma  f  —  ,  B  ,  C^?  )  è  equivalente  a 


(c,.-B,A), 


TRASFORMAZIONE   DEGLI    INVARIANTI    DI    CLASSI  577 

che  si  compone  delle  due 

T-'=(p,  -B,  ^)  ,    K  =  (A,B,C) 

e  perciò  j'^  =ip-i  k  . 

Abbiamo  dunque  il  teorema  :  Se  si  trasforma  un  invariante  j^.  di  una 
classe  K  (primitiva  di  i."  specie)  a  determinante  D  mediante  una  trasfor- 
mazione di  grado  primo  p  non  divisore  di  D,  e  di  cui  -  D  sia  residuo 
quadratico,  l'equazione  modulare  (11) 

ha  due  sole  radici  comuni  colla  (10) 

H.(/)  =  0, 

e  queste  sono  gli  invarianti  di  classi 

JPK   ,    ÌP-iK, 

essendo  P,  P~^  le  due  classi  opposte  rappresentate  da  forme  con  primo 
coefficiente  p. 

Ora  si  hanno  due  casi  essenzialmente  diversi,  secondo  che  la  classe  P 
è  ancipite  o  no,  secondo  che  cioè  il  periodo  di  P  è  =2  ovvero  >-2. 

i."  caso:  Nel  1.°  caso  è  P  =  P~^  e  le  due  radici  jpk,Jp-^k  coincidono 
in  un'unica  radice  doppia  della  (11),  che  è  invece  radice  semplice  della 
(10).  Il  massimo  comun  divisore  dei  primi  membri  delle  (10),  (11)  è 

e,  calcolandolo  coi  processi  di  ordinaria  divisione,  si  otterrà  jVk  in  funzione 
razionale  fijk)  di  j^  a  coefficienti  interi;  questa  funzione  razionale  f 
dipenderà  unicamente  dal  numero  primo  p,  cioè  dalla  classe  P  e  nulla 
affatto  dalla  classe  K,  i  calcoli  indicati  eseguendosi  sulle  (10),  (11)  ri- 
guardando in  quest'ultima  Jk  come  un  parametro.  Denoteremo  per  ciò 
la  funzione  razionale  f  con  fy  sicché  avremo 

(13)  j,K  =  fv{JK), 

e  questa  relazione  varrà  qualunque  sia  la  classe  K.  Abbiamo  dunque  il 
teorema  : 

37 


578  CAPITOLO  XIX.  —  §.  209 

SeV  è  una  classe  a  periodo  2  (ancipite)  (ed  esiste  un  numero  primo  p 
rappresentabile  dalla  forma  P  '^*),  preso  l'invariante  Jk  di  una  qualunque 
classe  K,  l'invariante  jp^  della  classe  composta  PK  è  esprimihile  razio- 
nalmente per  /k  mediante  la  (13),  la  fp  avendo  coefficienti  interi  e  dipen- 
dendo unicamente  dalla  classe  P. 

2°  caso:  La  P  sia  una  classe  non  ancipite.  Allora  le  due  radici 

JPK  ,  Ìp-ik  , 

che  la  (10)  ha  a  comune  colla  (11),  sono  distinte  e  il  massimo  comun 
divisore  dei  due  primi  membri,  che  calcoliamo  nuovamente  in  modo 
razionale  per  j^,  è  il  polinomio  di  2.o  grado 

p  —  (Ìp  k  +  ÌP-i  K  )  i  '  r  Ìp  K .  ÌP-i  K , 
onde  vediamo  che  in  questo  caso  potremo  scrivere  dapprima  soltanto 

l  Ìpk  -l-;p-iK=  /"i.  Ok) 

(14) 

(  Ìpk  .  ?p-ik=Fp(;k)  , 

indicando  nuovamente  f^ ,  Fp  funzioni  razionali  di  Jk  con  coefficienti  interi 
e  dipendenti  unicamente  dalla  classe  P,  non  da  K. 

Si  tratta  ora  di  separare  le  due  radici  e  ottenere  p.  e.  >«  in  funzione 
razionale  di  Jk-  Ciò  è  sempre  possibile,  come  dimostreremo;  però  la 
nuova  funzione  razionale  di  À-  che  eguaglia  >  k  non  avrà  più  coefficienti 
razionali,  ma  conterrà  invece  nei  coefficienti  l'irrazionalità  i\/I),  talché 
potremo  scrivere 

(15)  ;PK--='fplÌK,  n  D), 

la  funzione  razionale  z^,  dei  due  argomenti  j^,  i  \D  avendo  coefficienti 
interi  e  dipendendo  ancora  unicamente  dalla  forma  componente  P,  non 
dalla  K. 

Nella  dimostrazione  di  quest'importante  risultato,  cioè  della  formola 
(lo),  consiste  l'ultimo  passo  che  ci  resta  a  fare  per  condurre  a  termine 
la  nostra  ricerca. 

Un  primo  metodo  per  stabilire  il  teorema  enunciato  si  fonda  sulle 
proprietà  delle  così  detta  equazioni  del  moltiplicatore  (^);  ma  non  avendo 


(')  Quest'  ultima  condizione  non  è  veramente  necessaria,  trovandosi  sempre 
soddisfatta  pel  teorema  di  Dikichlet  (Cf.  sopra). 

(2)  Cf.  Weber  Le;  Pick,  Math.  Annalen  25;  Klein  l.c. 


GRUPPO    dell'equazione   PER   LA   DIVISIONE    DEI    PERIODI  579 

noi  potuto  trattare  nel  presente  corso  di  queste  speciali  equazioni 
(risolventi  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi),  non  possiamo  se- 
guire questa  via. 

Un  secondo  metodo,  dato  da  Sylow  '^^  pel  caso  del  modulo  Z;^  e  che 
utilizza  le  proprietà  delle  equazioni  modulari  e  quelle  proprie  della 
moltiplicazione  complessa,  conduce  pure,  per  via  molto  naturale,  al 
risultato  stesso  ed  è  appunto  il  metodo  che  qui  adotteremo. 

'    §.  210. 

Ritorno  all'equazione  per  la  divisione  dei  periodi 
e  determinazione  del  suo  gruppo. 

Ci  conviene  per  ciò  ritornare  all'equazione  per  la  divisione  dei  periodi 
della  generale  funzione  ellittica  pu  in  p  parti  eguali  {p  numero  primo) 
per  determinarne  il  gruppo  di  monodromia  rispetto  ai  parametri  g^,  ga 
e  il  gruppo  algebrico,  quando  al  campo  naturale  di  razionalità  (dei  nu- 
meri razionali)  si  aggiungano  le  indeterminate  g2,  ffs  '^'. 

Ricordiamo  che  le  —— —  radici 

(16)  yr,s  =  P[^ — 

dell'equazione 

(17)  '^p(y)  =  0 

per  la  divisione  dei  periodi  si  ottengono  facendo  percorrere  agli  indici 
(r,s)  la  metà  di  un  sistema  completo  di  p^  —  l  coppie  (mod^),  esclusa 
la  coppia  (0,  0),  sicché  queste  coppie  (r,  s)  insieme  colle  opposte  (-r,  ~s), 
che  danno  la  medesima  radice  g,-,:,  percorrano  il  detto  sistema  completo, 
esclusa  la  coppia  (0,  0)  (Cf.  §§.  114,  115).  Per  ciò  gli  indici  r,  s  nella  (16) 
si  intendono  presi  (raod  p)  e  si  riguardano  come  identiche  le  coppie 
opposte. 


(1)  Journal  de  Mathém.  1887. 

(2)  Alla  dimostrazione  del  teorema  enunciato  nella  formola  (15)  non  sono 
propriamente  indispensabili  le  ricerche  di  questo  e  del  seguente  §.,  ma  soltanto 
le  considerazioni  alla  fine  del  §.  212  ;  lo  studio  generale  del  detto  gruppo  e  del 
suo  abbassamento  nel  caso  particolare  della  moltiplicazione  complessa  fa  però 
meglio  intendere  la  ragione  del  risultato  espresso  nella  (15). 


580  CAPITOLO    XIX.  —  §.  210 

Per  determinare  il  gruppo  Y  di  monodromia  della  (17)  dobbiamo  far 
descrivere  ai  parametri  ^2,^3,  nei  loro  rispettivi  piani  complessi,  cammini 
chiusi  ed  esaminare  la  sostituzione  indotta  sulle  radici  ?/,-,s.  Ma,  quando 
92 ,  9z  riprendono  i  medesimi  valori,  i  periodi  2  w,  2  w'  subiscono  una 
sostituzione 

/a  co +  ,30/  ,   Y03  +  5ci/\ 


a  coefficienti  interi  e  a  determinante  1,  e  per  ciò 

/2r(o  +  2so/^ 

y-"-i'[^ — j 

si  cangia  in 

2  r  (a  oj  +  Ti  0/)  -f  2  0'  ( y  oj  +  5  ia') 


P 

cioè  gli  indici  r,  s'  subiscono  (mod  ^;)  la  sostituzione 

(  /  ^  a  «-  -I-  Y  s 
(18)  ]  '  (modi?)  ,  ao-i37  =  l  (mod^?) 

e  dando  nella  (18)  ad  a,  ['■',  7,  ò  tutti  i  possibili  valori  {mod  p),  che  sod- 
disfano alla  condizione 

ao -pY  ^^  1    (mod^)  , 

col  prescindere  inoltre  da  un  cangiamento  simultaneo  di  segno  in  a,  13,  y,  5, 
si  avrà   il    gruppo    Y   di    monodromia,    che    consta    evidentemente    di 

Ì'(/-l)        -■-     •     • 
— ^-r sostituzioni. 

Per  determinare  il  gruppo  algebrico  G,  ci  fondiamo  sulla  nota  pro- 
prietà che  G  deve  contenere  il  gruppo  di  monodromia  come  sottogruppo 
invariante.  Ogni  sostituzione  di  G  deve  dunque  trasformare  Y  in  sé  stesso 
e  quindi  ogni  sottogruppo  ciclico  d'ordine  p  in  Y  in  un  altro  ta^.e  sot- 
togruppo. 

7)2 1 

Ma  poiché  la  più  alta  potenza  di  p  che  divide  l'ordine  p  — - —  di  F 

è  appunto  p,  tutti  questi  sottogruppi  ciclici  d'ordine  p,  per  un  corollario 
del  teorema  di  Sylow,  sono  fra  loro  affini,  cioè  nascono  tutti  da  uno  di 
essi  trasformando  questo  con  una  sostituzione  di  Y.  Se  g  è  una  sosti- 
tuzione qualunque  di  G  che  trasformi  uno  dei  detti  sottogruppi  Hi  in 


GRUPPO  ALGEBRICO  DELLA  EQUAZIONE  PER  LA  DIVISIONE  DEI  PERIODI     581 

un  altro  H.2 ,  combinando  g  con  una  conveniente  7  di  Y,  avremo  una  nuova 
sostituzione  g  =g'[  di  G  (equivalente  a^y  rispetto  a  F)  che  trasformerà  Hi 
in  sé  medesimo.  Per  sottogruppo  ciclico  Hi  d'ordine  -p  prendiamo  quello 
generato  dalla  seguente  sostituzione  U  di  F 

(  /e^  r+5 
U)         , 

f    S    E£^  5, 

e  basterà  limitarsi  a  cercare  quelle  sostituzioni  di  G  che  trasformano  U 
in  una  sua  potenza.  Ora  si  osservi  che  la  sostituzione  U  e  le  sue  po- 
tenze sono  caratterizzate  da  ciò  che  sono  le  uniche  sostituzioni  di  F  per 
le  quali  le  singole  radici 

(19)  2/10,  «/20  .  .  .  2//'-i.o 

restano  fisse  '^'.  Tutte  le  sostituzioni  di  F  della  forma 

(20)  ,    7.0  =  1 
(  s'=         §s 

permutano  le  radici  (19)  fra  loro  e  per  ciò  trasformano  U  in  una  potenza 

»-  1 

di  U.  Se  decomponiamo  U  nei  suoi  cicli,  abbiamo  i  ~^  cicli 

(J/OjS    )     .V^lS    ,     y-li-ìS    •    .    .    ?/(/,_l)S,6J  J     s  1,2,....         -  , 

e  con  una  conveniente  sostituzione  (20)  di  F  portiamo  le  lettere  di  un 
ciclo  in  quelle  di  un  altro  ciclo  arbitrario. 

Ciò  premesso,  sia  g'  una  sostituzione  di  G  che  trasformi  U  in  una 
sua  potenza  e  però  le  lettere  di  un  ciclo  in  quelle  di  un  altro  ciclo. 
Combinando  g  con  una  sostituzione  (20)  di  F,  potremo  cangiare  g  in 
una  equivalente  di  G  che  trasformerà  ancora  U  in  una  sua  potenza,  in 
guisa  da  cangiare  p.  e.  il  primo  ciclo 

(2/01  «/il  2/21 ..  .  Vv-x.ò 


(*)  Una  sostituzione  di  T  che  lasci  fissa  y^^  ha  necessariamente  la  forma 

(  r'  =  ?'  -|-  Y  ^ 
\  ^^        s 
e  coincide  per  ciò  con  U'. 


582  CAPITOLO   XIX. —  §.  210 

in  una  sua  potenza.  Di  più,  combinando  la  g  con  una  conveniente  potenza 
di  U  stessa,  potremo  sostituire  una  g  equivalente  che  lasci  fissa  yoi-  Ma 
allora,  avendosi  per  le  formolo  di  moltiplicazione  dell'argomento 

(a)  yos  =  fi:yoi), 

dove  f  è  razionale  in  ?/oi,  con  coefficienti  razionali  in  g2,g3,  e  qualunque 
sostituzione  g  del  gruppo  di  Galois  essendo  permessa  in  una  tale  re- 
lazione razionale,  segue  che  la  nostra  sostituzione  g  lascierà  fissa  ogni 
radice 

Supposto   che   la  g   trasformi  U  in  U''  ,  dovrà  dunque  trasformare 
ogni  ciclo 

nella  sua  potenza  v 

{yos  i/vs, s  yìvsì s  •  ") 

e  per  ciò  in  generale 

2/,-,«     in   y,r,s     per  s^  0. 

Diciamo  che  ciò  vale  non  solo  per.s^O,  ma  anche  per  s^O,  che 
cioè  g  dovrà  portare 

y,o     in    ?/v,,o. 

Si  consideri  per  ciò  l'altra  sostituzione  V  di  F 

che  lascia  fisse  le  radici 

2/01  ,yo2'.-yo,'^ 

e  contiene  il  ciclo 

(yro   yrr    ?/,-,2r...)  . 

La  g  deve  trasformare  anche  la  V  in  una  potenza  di  Y  e  per  ciò 
tutte  le  lettere  del  ciclo  scritto  in  quelle  di  un  altro  ciclo 

(ìjr'o    yr'r-    2/,' 2» ), 

e  in  questo  precisamente  la  yro  in  y>'o,  giacché  la  g  deve   permutare 


GRUPPO  ALGEBRICO  DELL'EQUAZIONE  PER  LA  DIVISIONE  DEI  PERIODI      5 So 

fra  loro 

yio  !/2o  2/30 .. .  y>i-' ,  0  • 

D'altronde 

/  p-V 

y>r    ,    yr,2r   ,    yr,2r...       r=l,    2, ^ 


sono  portate  da  g  in 

Vili'  ■>  •     )      l/'J  r  ,2r    j      ^1/  »■  )  3  f  •  •  •   > 

dunque  è  r~vr.  Concludiamo  adunque: 

La  sostituzione  cercata  g  di  G  ha  l'espressione  analitica 

r^=\ir  ,    s'^^s  (mod^) 
(v=l,  2,  3...  p-1). 

Combinando  colle  sostituzioni  (18)  del  gruppo  di  monodromia  T,  si 
deduce  : 

Le  sostituzioni  del  gruppo  algebrico  G  dell'equazione  per  la  divisione 
dei  periodi  hanno  tutte  la  forma  lineare 

i  /=^  ar-\-hs  \ 

(21)  ^  {v[iO&p)\  ad-hc^O. 

[  s'^cr+ds  ) 

Tutte  le  sostituzioni  (21)  formano  un  gruppo  d'ordine 

{p~lf  p(p+l) 
2 

e  dalla  nostra  dimostrazione  risulta  soltanto  che  il  gruppo  algebrico  G 
è  un  suo  sottogruppo  'contenente  F).  Ciò  basta  al  nostro  scopo,  ma  con 
ulteriori  ricerche  si  dimostrerebbe  che  G  comprende  tutte  le  sostitu- 
zioni (21)  e  che  l'irrazionale  numerico  la  cui  aggiunta  abbassa  G  a  F 

27T1 

è  precisamente  la  radice  ;)""'  dell'unità  e  ^. 

§.  211. 

Abbassamento  del  gruppo  nel  caso  delle  funzioni  ellittiche 
a  moltiplicazione  complessa. 

Supponiamo  ora  che  la  nostra  funzione  ellittica  ^u  sia  una  funzione  p 
a  moltiplicazione  complessa,  appartenente  ad  una  classe  K  primitiva  di 


584  CAPITOLO  XIX. —  §.  121 

1.^  specie  a  determinante  D.  Il  gruppo  di  Galois  della  sua  equazione 
per  la  divisione  dei  periodi  in  p  parti  eguali  (p  primo)  sarà  certo  un 
sottogruppo  del  gruppo  generale  G  definito  dalle  formole  (21)  del  §.  pre- 
cedente 

i  r^  ar+hs 
G)  <  (mod  p)  ,  ad-bc  ^0; 

(  s' z^  cr+ds 

ed  anzi  sappiamo  già,  dalle  nostre  ricerche  al  §.  199,  che  G  devesi  in 
tal  caso  abbassare  ad  un  suo  sottogruppo  risolubile  per  radicali.  Ciò 
vogliamo  constatare  ora  direttamente,  per  trovare  la  forma  effettiva  delle 
sostituzioni  del  gruppo  di  Galois.  Ci  limiteremo  per  altro-  al  caso  che 
importa  soltanto  al  nostro  scopo,  al  caso  cioè  in  cui  p  non  divida  D  e 
sia  -  D  residuo  quadratico  di  p  : 

P   ) 

Prenderemo  allora  la  forma  (A,  B,  C)  rappresentante  della  classe  K, 
come  al  §.  209,  in  guisa  che  siano  A,  C  divisibili  per  ;9  e  conseguente- 
mente 2B  non  divisibile. 

Consideriamo  dapprima  il  campo  naturale  di  razionalità,  cioè  quello 
dei  soli  numeri  razionali,  ampliato  coll'aggiunta  di  g^,  g-i,  e  in  esso  de- 
terminiamo il  gruppo  di  Galois  (o  un  limite  superiore  del  gruppo)  per 
l'equazione  (17)  della  divisione  dei  periodi.  Per  le  formole  di  moltipli- 
cazione complessa  elementare  si  ha 

p{,u)  =  Y{pu)   ,    (c  =  ìVD) 

dove  la  F  è  razionale  in  pu  e  con  coefficienti  razionali,  apparte- 
nendo (A,  B,  C)  alla  1 .-'  specie.  In  particolare,  facendo  nella  precedente 
2r(tì+2s{o' 


V 


avremo 


,     ,                         /2rsw  +  2s£{o'  ^/     /2roi  +  2sco'\ 

(22)  tP  (  — ^ j  =  F  i^p  [—^) 

Ora  avendosi  (§§.  195,  196): 


(23) 


SO)     =    B  w  +  A  w' 

£  co'  =  —Co)  —  B  to'  , 


ABBASSAMENTO  DEL  GRUPPO  PER  LE  f  A  MOLTIPLICAZIONE  COMPLESSA  585 

indi 

2ra>+25o/  _     r  (B co  +  A o/j — s (C (o -[- B (dQ 

ed  essendo  inoltre 

A^C=0  (modp) , 

la  (22)  può  scrìversi,  come  relazione  fra  le  radici  dell'equazione  per  la 
divisione  dei  periodi: 

formola  che  vale  per  un  sistema  qualunque  di  valori  degli  indici  r,  s. 
Sia  ora 

(mod^j)  ,  ad  —  bc^O 
s'  ^cr  -\-  ds 

una  sostituzione  qualunque  del  gi-uppo  di  Galois  per  la  nostra  equazione. 
Per  le  proprietà  fondamentali  del  gruppo  di  Galois,  la  (a)  resterà  ve- 
rificata eseguendo  sugli  indici  delle  due  radici  yr.s  ,  y^r.-vs  la  sostitu- 

a,  b 

I  ;  SI  H 

yn  {„  r-ù  .) ,  B  (o  r~d  s)  =  Ì    {y„  r+/>  »  ,  -  r+  ,  .  ) 


zione  -,    ;  SI  avrà  cioè 

\c  ,  dj 


D'altronde,  se  cangiamo  direttamente  nella  (a)  r,  s  in  ar+bs,  cr+ds, 
otteniamo  ♦ 

ya  {',  r+6 .),  -B  (e  r+d .)  =  F  (y„ ,.+,: ,, ,,  r+rf .  )  ; 
dunque  si  ha,  qualunque  siano  r,  s: 

2/n  («  :-i  ») ,  D  (e  ;  -,; .»)  =  y B  (n  ,+f,  ») ,  -B  [r  ,+,/  *) 

e  poiché  B  ^  0  (mod  p)  sarà  quindi 

ar  —  bs^  ±  {ar+bs) 
cr  —  ds^  +  (cr+ds)  . 

Se  valgono  i  segni  superiori  ne  segue 

b^O  ,    c^O  (mod p) , 

e  quando  valgano  gli  inferiori  invece 

a^O  ,    d-^0  . 


586  CAPITOLO  XIX.  —  §.211 

Di  qui  deduciamo  intanto:  Il  r/ruppo  di  Galois  (nel  campo  assoluto 
di  razionalità,  ampliato  coir  aggiunta  dì  g-i ,  g-i)  per  V  equazione  per  la  di- 
visione dei  periodi  in  p  parti  eguali  '  ^'  nella  nostra  funzione  ellittica  pu 
contiene  soltanto  sostituzioni  délVuna  o  dell'altra  delle  due  forme 

et)  r'^ar  ,    s'^ds     (mod^) 

P)  r^bs,    s  E^cr     (mod  p)  . 

Queste  sostituzioni  a)  [3)  formano  un  gruppo  d'ordine  (p-l)^  nel 
quale  è  contenuto,  come  sottogruppo  invariante  d'indice  2,  il  gruppo 
di  sostituzioni  permutabili  formato  dalle  a).  Coli'  aggiunta  di  una  radice 
quadrata  di  un  numero  razionale,  l'equazione  diventa  quindi  Abeliana, 
conformemente  ai  risultati  del  §.  199.  Anzi,  per  quanto  si  è  visto  al 
citato  §.,  è  facilmente  prevedibile  che  il  detto  radicale  quadratico  è  pre- 
cisamente \  -f)  =  i  V  D  .  Ciò  constatiamo  ora  nel  modo  seguente.  Per  le 
formole  di  moltiplicazione  complessa  abbiamo  (§.  196) 

p{{\+t)u)  =  ''?{pu), 
dove  la  <I>  è  razionale  in  pu,  con  coefficienti  razionali  nel  campo 

Ponendo  nuovamente 

2roj  +  2sfo' 

abbiamo 

/^«*x                      ^/.      >2rto+2sa)'\        ^/     /2r(o+25w'' ^ 
(22*)  p     (H-£) ]  =  ^[P 


p         j  \     \        P 

ed  ora  procedendo  su  questa  come  dianzi  sulla  (22)  troveremo 

/ (Xf -\-l}S     cr^  ds^ 
indi  eseguendo  la  sostituzione  i  '  j  dell'attuale  gruppo  di 

Galois,  avremo  le  congruenze 

±  (1  +  B)  (ar+bs)  =  a  (1 +B)  r+b  (1  -  B)  s 
±(l-B)(cr+f?s)  =  c(l+B)  r+f7(l-B)5. 


(*)  Si  ricordi  che  ciò  vale  nell'  ipotesi  che  D  non  sia  divisibile  per  p  e  si  abbia 


DIMOSTEAZIOiNE   DELLA    (15),   PAG.   578  587 

Queste  sono  bensì  soddisfatte  dalle  sostituzioni  della  forma  a),  ma 
non  da  quelle  della  forma  ,:),  onde  concludiamo: 

Se  si  amplia  il  campo  di  razionalità  precedente  {^2 ,  g^  colV aggiunta  di 
i  V  D  ,  il  gruppo  di  Galois  per  V  equazione  della  divisione  dei  periodi  in 

p  parti  eguali  i  nélV  ipotesiì 1  =  +1  )  consta  di  sostituzioni  tutte  della 

forma  a) 

a)  r'  ^ar  ,    s'  ^  ds     (mod  p)  . 


§.  212. 
Dimostrazione  della  forinola  fondamentale  (15),  §.209. 

Dopo  queste  ricerche  preparatorie  siamo  in  grado  di  ritornare  alle 
ricerche  del  §.  209  sulla  trasformazione  degli  invarianti  di  classi  per 
completarle  colla  dimostrazione  dei  teoremi  enunciati  alla  fine  di  questo  §. 
Riprendiamo  adunque  la  considerazione  dell'  invariante  j^  della  classe  K 
e  della  corrispondente  equazione  modulare  (11) 

colle  ^+1  radici 

./       •/      ./  ./ 

Il  suo  gruppo  di  Galois  nel  campo  assoluto  di  razionalità,  ampliato 
coir  aggiunta  di  j/k,  è  certamente  contenuto  nel  gruppo 

v'=^^^    (mod/>),  aò  — Py^O. 

Ma  siccome  questa  equazione  modulare  non  è  altro  che  una  risolvente 
di  grado  p-]-l  dell'equazione  per  la  divisione  dei  periodi,  il  suo  gruppo 
sarà  subordinato  a  quello  determinato  al  §.  precedente,  quando  si  ponga 

r 
V  ^  -  (modjj) 

(Cf.  §.  116),  e  però  non  potrà  contenere  che  sostituzioni  della  forma  de- 
rivata da  Cf)  0  [i),  cioè 

a*)    v'  =  Xv  ,    p*)    v'=-^-  ; 
e  poiché  queste  sostituzioni  lasciano  ferme  le  radici  /o.  i'«,,  0  le  scambiano 


588  CAPITOLO  XIX.  —  §.  212 

fra  loro,  si  conclude  nuovamente  die  le  funzioni  simmetriche  elementari 

sono  esprimibili  razionalmente  per  j^  con  coefl&cienti  razionali  (§.  209). 
Ma  ampliamo  ora  il  campo  coli'  aggiunta  di  i  \JD  ;  allora  nel  gruppo  della 
equazione  per  la  divisione  dei  periodi  restano  solo  sostituzioni  della 
forma  a)  e  per  ciò  nel  gruppo  della  equazione  modulare  solo  le  sosti- 
tuzioni della  forma  a*),  le  quali  lasciano  singolarmente  invariate 

U=JPK    ,    i'^=ÌP-iK 

Ne  segue,  come  era  stato  enunciato  al  §.  209,  che 

Ìpk  ,   yp-iK 
si  possono  esprimere  razionalmente  per  /k  ,  con  coefficienti  razionali  in 

n'D- 

Resta  soltanto  da  provare  che  nella  coiTispondente  forinola  (15): 

la  funzione  razionale  f ,,  dipende  solo  dal  numero  p,  o  dalla  classe  P,  e 
resta  la  stessa  sostituendo  a  ^k  una  qualsiasi  altra  radice  di 

H.  (i)  =  0  . 

La  dimostrazione  sarebbe  immediata  se  avessimo  stabilita  la  proprietà 
che  effettivamente  sussiste:  L'equazione  U.^  (J)  =  0  per  gli  invarianti 
delle  classi  è  irriducibile,  anche  se  al  campo  assoluto  di  razionalità  si 
aggiunge  l' irrazionalità  i  \'I> .  Ma  non  volendo  inoltrarci  nelle  conside- 
razioni della  teoria  dei  numeri  algebrici  che  servono  allo  scopo  (^',  ri- 
corriamo nuovamente  alla  equazione  per  la  divisione  dei  periodi 

per  separarne  razionalmente  (dopo  aggiunta  ì\''D)  i  fattori  che  conten- 
gono rispettivamente  l'uno  le  radici 

2/io,  2/20-  ••  y^.o 
e  l'altro  le  radici 

yoi  ,    2/02  ...   «/O  ,  '-^   • 


(»>  Cf.  Pick.  Math.  Annalen,  26.  Weber  Le. 


DIMOSTRAZIONE    DELLA   (15),    PAG.   578  589 

Essendo  sempre  (A,  B,  C)  la  forma  cui  corrisponde  la  nostra  pu  e 
scelta  in  guisa  che 

A  ^  C  ^^  0    (mod  li) , 

si  esprimano  colle  formolo  di  moltiplicazione  complessa 

p[{B^-.)ii]   ,    p[{B-^)u] 

razionalmente  per  pu,  ciò  che  si  otterrà  colla  forni  ola 

VipuJ^'B) 


(24)  p[{B  +  B)u]  = 


\  {pu,i\jW 


essendo  U,  V  polinomii  razionali  interi  in  pu  con  coefficienti  razionali 
in  gz,  g-i,  i  \jj)  e  deducendosi  manifestamente  la  formola  per  p(  (B  -  c)m) 
col  cangiare  il  segno  di  iv'D   (Cf.  §.  196): 

(24*)  p[(B-.)u]  =  ^-^f''''-''~^J. 

Si  consideri  ora  l'equazione 

V(^M,M/D)  =  V(y,ivD)  =  0, 
e  si  cerchi  se  e  quali  radici  ha  a  comune  con 

cioè  si  cerchino  i  valori 

y„.  =  S>[--^ 

che  annullano  V(^tt,  i  vD).  Per  essi  p[(B-\-z)n]  deve  diventare  infi- 
nita senza  che  lo  diventi  pa,  e  viceversa  ogni  valore  di  u  della  forma 

, ,    esclusa   la    combinazione    {r,  s)  =  (0,  0) ,    tale    che    renda 

P 

p[{B-\-i)u'\  infinita,  è  uno  dei  richiesti. 

Per  ciò  è  necessario  e  sufficiente  che  r,  s  siano  tali  da  rendere 

eguale  a  un  multiplo  di  periodi.  Ora,  per  le  formolo  (23),  si  può  scrivere 

,^     ,  2ro)+2so}       ^  rBco+sBo/   ,    ^  r (B co+A o/) - s (C o)+B w') 

B  +  =)  =  2 [-  2  -^ ^ - 

p  P  P 


590  CAPITOLO   XIX.  —  §.212 

ossia,  poiché  A  =  C  =  0  (raod  p),  se  trascuriamo  multipli  di  periodi  : 

,^      ,  2ra>+2so/       ,  rB(o 

(B+s) =  4  . 

P  V 

Dunque  è  necessario  e  sufficiente  che  sia 
r  nEE  0    (mod  j9)  ; 
cioè:  Il  massimo  comun  divisore  di  Y  {y,  i\D),  'h'iì/)  è 

'^'  iy)  =  iy- y^i)  '^y  -  2/02) .  • .  (2/  -  2/0 ,  ?=i) . 

Questo  polinomio  "/.  iy)  si  calcolerà  quindi  razionalmente  e  i  suoi 
coefficienti  conterranno  razionalmente  ^25.93,  ^VD;  di  più,  a  causa  della 
natura  delle  formole  di  moltiplicazione  complessa,  l'espressione  così  trovata 
per  7.  (ì/)  varrà  indistintamente  per  tutte  le  pu  a  moltiplicazione  complessa, 
corrispondenti  a  forme  primitive  di  1.*  specie  a  determinante  D. 

Se,  invece  di  considerare  il  polinomio  V  (2/,  i  \/D),  avessimo  conside- 
rato l'altro 

V(i/,  -i\/D), 

manifestamente  pel  suo  massimo  comun  divisore  '/n  {y)  con  ^p  (y)  avremmo 
trovato 

>'-!  iy)  =  {y-  ^10)  (2/-2/20)  • .  •  iy—y,^  «  )  • 

Per  venire  infine  alla  nostra  ricerca,  si  consideri  che  j\  è  funzione 
simmetrica  di 

^01  ,   2/02  •••  2/0 ,  '^ 

(vedi  formole  (III),  pag,  436)  e  però  esprimibile  razionalmente  per  ^2,^3» 
ivD>  con  coefficienti  razionali.  Ma  poiché  l'invariante  assoluto  dipende 
solo  dal  rapporto  dei  periodi,  mentre  «72  ,.^3  si  cangiano  a  volontà  in 
X^^2,  k^Qi,  con  osservazioni  perfettamente  analoghe  a  quelle  del  §.  168 
per  le  equazioni  generali  modulari,  ne  concludiamo  che  si  avrà 

Ì'o  =  ÌpK  =  'fp(ÌK,  M'D) 

e  la  funzione  'f,  indicata  al  §.  209  formola  (15)  con  'fp  dipenderà  appunto 
unicamente,  come  ivi  era  stato  asserito,  dalla  classe  P,  non  da  K.  Ve- 
diamo ora  di  più  che  l'altra  radice  j'^  si  ottiene  semplicemente  cangiando 


GRUPPO   DI    GALOIS   PER   LA   HdO)  =  0  59 1 

in  'f  p  il  segno  di  i  \  D ,  cioè  si  hanno  le  forinole 

,,,  (Ìpk      =  9p(Ìk,    ìV'D) 

(A) 

(  JP--1K=  'fp(./K,-'^  VD). 

§.  213. 

Gruppo  di  Galois  per  l'equazione  Hd  0)  =  0  e  sua  risolubilità 

per  radicali. 

Applicando  le  forinole  ora  trovate  e  il  teorema  del  §.  208,  secondo 
il  quale  qualunque  forma  (o  classe)  può  comporsi  con  successive  forme 

P  =  {p,  h,  e)  ,    F  =  (/,  b',  e')  ,    P"  =  { p",  h",  e") . . . 

i  cui  primi  coefficienti  siano  numeri  primi,  siamo  ora  in  grado  di  esten- 
dere le  forinole  (A)  a  qualunque  classe  e  pervenire  così  al  risultato  finale, 
dimostrando  la  risolubilità  per  radicali  della  equazione  per  gli  invarianti 

delle  classi 

H.(i)  =  0. 

Cominciamo  dallo  scrivere  le  due  forinole  (A) 
1  ji'  K  =  'f  P  (Ìk  ,  i  ^' D) 

ip)  { 

(    >K='fp.(ÌK,    *  VD) 

e  mutando,  come  è  lecito,  nella  prima  j^  in  jV-k  avremo 

Ìp.-.k=  'fp(ÌHK ,  i  Vd)  =  -fpCfi'-OK,  *  Vi)) ,  i  VD)  , 

che  scriveremo 

Ìpp.K^'fpp'(À,  M'D), 

ove  la  funzione  razionale  'f.-rr  resterà  la  medesima  cangiando  comunque 
la  classe  K,  Se  si  cangia  invece  nella  seconda  delle  (B)  K  in  PK  si  trova 

h .',  K  =  ('f  p. ('f  p  (ìk  ,  ^  VD) ,  i  VD)  =  Tp,  p  (ìk  ,  i  Vd)  , 
onde  si  vede  che 

'f  P  !-  (Ì:< ,  ^  VD)  =  'f  p,P  (Ìk  ,  *  Vd) 

e  la  funzione  fppr  dipende  in  sostanza  unicamente  dalla  classe  composta 


592  CAl'iTOLO  xlx.  —  §.  213 

PP'.  Similmente  si  stabilirebbe  la  formola 

^PPlPl'K  =   T'PI''P"  V^K?    *    V  D) 

e  così  via  per  uà   numero   qualunque   di   classi  P  componenti.   Se  ne 
conclude  quindi  il  teorema: 

Essendo  K,  K'  due  classi  qualunque  fra 

si  ha  la  formola 

(C)  ;K-K  =  'fK.  (Ìk,  ìVd), 

la  funzione  ragionale  'f  ki  dipendendo  unicamente  dalla  seconda  classe  K', 
non  dalla  prima  K. 

Cangiando  in  'f  k-  il  segno  del  radicale  i  Vd  si  passa  alla  classe  op- 
posta K'~^;  si  ha  cioè 

(C*)  ÌK'-iK='fK.OK,-iVD).. 

Ed  ora  possiamo  determinare,  nel  campo  di  razionalità  dei  numeri 
razionali  ampliato  coli' aggiunta  di  i  Vd  ,  la  natura  del  gruppo  di  Galois 
per  l'equazione  degli  invarianti  delle  classi 

Ho  (i)  ==  0  , 
le  cui  radici  sono 

Supponiamo  infatti  che,  essendo  Ki  =  1  la  classe  principale,  una  so- 
stituzione S  del  gruppo  di  Galois  porti  Jki  in  jk,  .  Essendo  K,  una  qua- 
lunque delle  classi  si  ha  per  la  (C) 

h.  K.  =  'f K.  iJKr  ,  i  Vd) 

ed  anche 

Ìk,  =  'f  K.  (il ,  i  VD)  . 

In  quest'  ultima  relazione  eseguiamo,  come  è  lecito,  la  sostituzione  S 
del  gruppo  di  Galois  la  quale  porta  per  ipotesi  ji  in  jk,  e  ne  risulterà 
che  S  porterà  jk,  in 

'f K,  iJK, ,  i\ì))  =  JK,  Kr  ■ 


GRUPPO  DI  GALOIS  PER  LA  Hj,  Q")  =  0  593 

Dunque  la  S  produce  sulle  radici 

JKi,  ,  Ìk.2  . . .  ÌKa 
la  permutazione 

cioè  cangia  i  loro  indici  secondo  la  sostituzione  K,  del  gruppo  di  com- 
posizione delle  classi  (§.  207).  Se  ne  conclude  : 

Nel  campo  dei  numeri  ragionali,  ampliato  coli' aggiunta  di  ìVd,  il 
gruppo  G  di  Galois  per  Veqiia^ione 

Ho  (i)  =  0 

degli  invarianti  delle  classi  è  contenuto  nel  gruppo  di  composizione  delle 
forme. 

In  ogni  caso  G  è  un  gruppo  Aoeliano  e  per  ciò  si  ha  il  teorema 
finale  d'Abel  a  cui  miravano  le  nostre  ricerche: 

L' equazione  Hn  (  ;  )  =  0  è  risolubile  per  radicali. 

L'incertezza  lasciata  dalle  nostre  ricerche  se  il  gruppo  di  Galois 
di  E.y\j)  =  0  coincida  col  gruppo  di  composizione,  o  ne  sia  soltanto  un 
sottogruppo,  si  toglierebbe  colla  dimostrazione  già  sopra  accennata  della 
irriducibilità  dell'  equazione  ;  e  poiché  il  gruppo  di  composizione  sulle 
forme  è  semplicemente  transitivo,  si  avrebbe  il  risultato  definitivo:  Il 
gruppo  di  Galois  per  Ho  ij)  =  0,  nel  campo  di  rasioncdità  {\,i^ D),  coincide 
(è  óloedricamente  isomorfo)  col  gruppo  di  composizione  delle  classi. 

In  fine  possiamo  determinare  il  gruppo  di  Galois  di  liiy(j)  =  0  nel 
campo  assoluto  di  razionalità,  prima  cioè  dell'aggiunta  di  iVD.  I  teo- 
remi generali  ci  assicurano  che  questo  nuovo  gruppo  T,  se  è  effettiva- 
mente più  ampio,  conterrà  G  come  sottogruppo  invariante  d'indice  2, 
abbassandosi  T  a  G  per  l' aggiunta  della  radice  quadrata  V  -  D .  Ora 
associamo  alle  sostituzioni  del  gruppo  di  composizione  G  quella  sosti- 
tuzione S  che  consiste  nel  cangiare  ogni  forma  nella  propria  opposta 
(inversa)  ;  la  S  non  appartiene  a  G  (salvo  quando,  essendo  ancipiti  tutte 
le  classi,  Sèi'  identità)  ed  è  permutabile,  come  subito  si  vede  con  G. 

Per  ciò 

r  =  [G,  SG] 

è  un  gruppo  d'ordine  2h,  che  contiene  G  come  sottogruppo  invariante. 
Ora  dimostriamo  facilmente  che  :  Il  gruppo  dell'equazione  Hd  (i)  =  0, 
nel  campo  assoluto  di  razionalità,  coincide  col  gruppo  T  così  ampliato  dal 
gruppo  di  composizione  (ovvero  ne  è  un  sottogruppo). 

33 


594  CAPITOLO  XIX.  —  §§.  213,  214 

Consideriamo  infatti  una  funzione  razionale  a  coefficienti  ragionali 

F  iJK,  ,  JK,  ,  .  .  .  JK,,) 

delle  radici  di  Hf,(j)  =  0,  che  rimanga  invariata  per  tutte  e  sole  le  so- 
stituzioni di  r  e  dimostriamo  che  il  suo  valore  è  quello  di  un  numero 
razionale,  dopo  di  che  sarà  appunto  provato  il  teorema.  Certamente  se 
aggiungiamo  i  Vd  la  F  è  razionalmente  nota,  perchè  le  sostituzioni  di  G 
la  lasciano  invariata;  dunque  si  ha 

F  (ìkj  ,  jK, . . .  ìk/,)  =  «+i  &  Vd  , 

con  a,  h  numeri  razionali.  Ma  di  più  la  F  rimane  invariata  numerica- 
mente cangiando  ogni  classe  nella  propria  opposta,  cioè  ogni  radice  Jk 
nella  coniugata  jk-i  ,  e  per  ciò  il  suo  valore  è  reale,  onde  h--^0,  ciò 
che  prova  l'asserzione. 

§.  214. 

Decomposizione  di  He  {j)  in  fattori  corrispondenti  ai  generi  delle  forme 

secondo  Kronecker. 

L'equazione  H;,0')  =  0  è  irriducibile,  come  già  si  è  detto,  non  solo 
nel  campo  assoluto  di  razionalità,  ma  anche  dopo  l'aggiunta  di  i  VD  . 
Però  Kronecker,  nelle  sue  celebri  comunicazioni  all'Accademia  di  Berlino 
sulla  teoria  della  moltiplicazione  complessa,  ha  trovato  che  appena  si 
aggiimgano  convenienti  radici  quadrate  reali  (di  fattori  del  determi- 
nante D)  il  polinomio  Hu  ( j)  diventa  riducibile  e  si  spezza  nel  prodotto 
di  tanti  fattori,  di  egual  grado,  quanti  sono  i  generi  delle  forme  qua- 
dratiche, secondo  la  definizione  di  Gauss  <  ^' ,  le  radici  di  ciascun  fattore 
appartenendo  appunto  alle  classi  di  un  medesimo  genere. 

Di  questi  bei  risultati,  dovuti  a  Éronecker,  vogliamo  qui  soltanto 
stabilire  quella  parte  che  discende  senz'altro  dalla  natura  del  gruppo  F 
della  nostra  equazione.  Per  ciò  stabiliamo  in  primo  luogo  la  ripartizione 
delle  h  classi  in  generi,  sotto  la  forma  più  breve  che  ci  consentono  le 
nozioni  acquistate  sul  gruppo  di  composizione. 

Se  si  considerano  tratte  le  seconde  potenze  delle  h  classi 

K?  ,  Ki  ,  Kt . .  K! , 


(''  DisqidsiHones  art.  229-233.  —  Dirichlet-Dedekixd.   Zahlentheorie.  Sup- 
plemento IV. 


I  GENERI  DELLE  FORME  QUADRATICHE  595 

e  si  indicano  con 

le  classi  distinte  così  risultanti,  è  manifesto  che  queste  classi,  ottenute 
per  duplicazione,  formano  per  sé  un  gruppo,  cioè  un  sottogruppo  H  del 
gruppo  G  di  composizione.  Quindi  segue  che  il  numero  s  è  un  divisore 
di  h;  e  ripartendo  le  sostituzioni  (o  classi)  del  gruppo  totale  G  rispetto 
a  quelle  del  sottogruppo  H,  otterremo  il  quadro  : 

k\    ,     A'2     ,     ft'3    ...    ks 

(D)  ,    i    2,     2    2,    3    . 

fCi  K  ,j ,  K2  tv  ,j ,  A/'s  k  ,j .  .  .  ks  k  q , 
dove  con 

abbiamo  indicato  le  classi  moltiplicatrici,  il  cui  numero  g  è  Vindice 
di  H  in  G. 

Le  classi  contenute  nel  quadro  (D)  in  una  medesima  orizzontale 
costituiscono  un  genere  secondo  Gauss,  in  particolare  quelle  della  prima 
orizzontale  il  così  detto  genere  principale;  il  numero  q  non  è  altro  che 
il  numero  dei  generi  distinti.  Facilmente  dimostriamo  che  g  è  una  po- 
tenza esatta  del  2  e  precisamente  si  ha  il  teorema: 

Il  numero  q  dei  generi  eguaglia  il  mimerò  2"  delle  classi  ancipiti 
(§.  207). 

Se  riprendiamo  infatti  la  rappresentazione  di  ogni  classe  per  mezzo 

di  una  base 

Ki  ,  K2 ,  . . .  K,  , 

ricordata  alla  fine  del  citato  §.  207,  quando  sia 

vediamo  che  K  apparterrà  al  genere  principale  (si  otterrà  per  duplica- 
zione) allora  soltanto  quando  gli  esponenti  a  siano  tutti  pari,  0  tali 
possano  ridursi  sostituendo  a  ciascuno  di  essi  un  esponente  congruo 
rispetto  al  corrispondente  modulo  j^.  Ora  ciò  può  sempre  ottenersi 
per  quegli  esponenti  a  il  cui  corrispondente  modulo  (periodo)  [j  è  impari, 

mentre  quando  |i  è  pari  avremo  solo  \r  valori  possibili  (pari)  per  a  ed 
incongrui  (mod  ,3). 


596  CAPITOLO  XIX.  —  §.  214 

Dunque  indicando,  come  al  §.  207,  con  n  il  numero  delle  fi  pari,  si  ha 

,  _  Pi  fe  .  .  .  Pr 

*  —         2« 

e  quindi 

^  =  -  =  2"  ,  ed.  d. 

s 

Se  si  compongono  fra  loro  due  classi  qualunque  prese  l'una  nella 
orizzontale  ;h"'",  Taltra  nella  m'"'",  il  numero  d'ordine  della  orizzontale 
cui  appartiene  la  classe  composta  dipenderà  unicamente  da  m,  in.  In 
altre  parole  il  gruppo  di  composizione  sulle  classi  è  imprimitivo  e  i 
singoli  generi  formano  altrettanti  sistemi  d' imprimitività.  Il  gruppo  di 
sostituzioni  indotto  da  G  sui  generi,  che  diciamo  il  gruppo  di  compo- 
sizione sui  generi,  è  un  gruppo  Abeliano  d'ordine  2"  semplicemente 
transitivo  e  le  sue  sostituzioni 

Hi  ,  H2 . . .  H2" 

sono*tutte  a  periodo  2  (salvo  naturalmente  l'identità),  perchè  due  classi 
del  medesimo  genere  si  compongono  in  una  classe  del  genere  principale. 
Invece  due  generi  diversi  non  possono  comporsi  nel  genere  princi- 
pale, onde  segue  che  due  classi  opposte  (componendosi  nella  principale) 
appartengono  necessariamente  allo  stesso  genere.  Se  consideriamo  dunque 
il  gruppo  r  ampliato  da  G  associandovi  la  sostituzione  che  cangia  ogni 
classe  nella  sua  opposta,  non  solo  rispetto  a  G,  ma  ben  anche  rispetto 
a  r  i  2"  generi  costituiranno  sistemi  d' imprimitività.  Ora  F  è  il  gruppo 
di  Hd(ì)  =  0  nel  campo  assoluto  di  razionalità  0  almeno  (stando  soltanto 
a  quello  che  abbiamo  propriamente  dimostrato)  certamente  lo  contiene. 
Se  ordiniamo  le  radici  di  H^  [j)  =  0  nel  quadro  corrispondente  al 
quadro  (D) 

/    jk^      jk-i    .  .  .    jk; 

j  ;a-i  k'.2  jki  y.y   .  .  .  jki  k\ 

\  jki  k^,j    jk.2  y,,    .    .    .   jk,  k>,, 


(D*) 


e  prendiamo  una  funzione  razionale  simmetrica  delle  radici  di  una  oriz- 
zontale, con  coefficienti  razionali  reali,  p.  e. 

(2  5)  X  =  jk,  H-  i/i'2  +  •  •  •  +  Jl    {"i  intero) , 


DECOMPOSIZIONE  DELLA  HvU)  IN  FATTORI  CORRISPONDENTI  AI  GENERI    597 

questa,  per  le  sostituzioni  di  T,  assumerà  solo  q  =  2"  valori 

corrispondenti  alle  orizzontali  del  quadro  (D*)  e  questi  2"  valori  saranno 
numericamente  distinti,  ove  si  scelga  opportunamente  la  detta  funzione 
simmetrica.  Inoltre  essi  saranno  tutti  reali,  comparendo  in  essa  funzione 
simmetrica  insieme  ad  un  invariante  jk  il  coniugato  jk-i  .  Pei  teoremi 
generali  questi  2"  valori  (26)  saranno  radici  di  una  risolvente  di  grado  2", 
che  indicheremo  con 

(27)  t};,»  (x)  =  0  , 

la  quale  avrà  coefficienti  reali  interi  e  radici  pure  reali.  Inoltre  si  potrà 
supporre  che  il  primo  coefficiente  sia  eguale  all'  unità,  scegliendo  la 
funzione  risolvente  intera  e  a  coefficienti  interi.  La  risoluzione  di  questa 
ausiliaria  produce  (in  ordine  ai  detti  teoremi)  nel  polinomio  ìio{j)  ap- 
punto lo  spezzamento  in  2"  fattori,  contenenti  ciascuno  le  radici  j^.  che 
appartengono  a  classi  del  medesimo  genere.  Il  gruppo  della  risolvente 

(27)  è  isomorfo  col  gruppo  di  composizione  sui  generi  (0  vi  è  contenuto 
come  sottogruppo).  Ma  questo  gruppo  X  è  Abeliano  di  grado  2"  e  non 
ha  che  sostituzioni  a  periodo  2,  onde  facilmente  vediamo  che  l'equazione 
si  risolve  estraendo  n  radici  quadrate  separate 

Vtti  ,  Va^  ....  Va^  , 

che  portano  sopra  numeri  interi  e  positivi.  E  infatti,  se  rappresentiamo 
le  sostituzioni  0  di  I  mediante  una  base,  questa,  avendo  ogni  sostituzione 
generatrice  a  periodo  2,  consterà  di  n  termini 

Oi  ,  a2  .  .  .  c„ 

e  si  avrà 

(28)  a=afiG^_.o:f", 

ciascun  esponente  a  avendo  il  valore  0  0  1.  Ora  consideriamo  gli  n 
sottogruppi  di  I  d'ordine  2""' 

^^1  =  [^2  5  ^3  5  •  •  •  '^n] 
2<2  =  ["'1  '  ^3  ,  •  •  .  '^n] 
^n  =   ['^1  j  '^2  )   •  •  •  'J>J— ij  > 


598  CAPITOLO  XIX.  —  §.214 

che  hanno  la  sola  sostituzione  identica  a  comune.  Se  costruiamo  una 
funzione  razionale  intera  a  coefficienti  interi  delle  radici  della  (27)  che 
rimanga  invariata  per  tutte  e  sole  le  sostituzioni  di  li,  essa  darà  luogo 
ad  una  risolvente  di  2.<»  grado  a  radici  reali  della  (27)  e  l'aggiunta  di 
un  radicale  quadrato  Vai ,  che  porta  sopra  un  numero  razionale  intero 
e  positivo  «1,  abbasserà  il  gruppo  S  a  Xj .  Procedendo  medesimamente 
per  gli  altri  sottogruppi  '£2,  ^3...  ^n,  l'aggiunta  simultanea  degli  indicati 
radicali 

\/ai  ,  \a2  .  .  .  \an 

abbasserà  X  al  sottogruppo  comune  di 

y    y       y 

cioè  all'identità,  ciò  che  dimostra  quanto  sopra  è  asserito.  Concludiamo 
adunque  : 

Fer  spezzare  il  polinomio  Hi,(;)  in  2"  fattori  corrispondenti  ai  generi 
delle  forme  quadratiche,  basta  V aggiunta  al  campo  assoluto  di  razionalità 
di  n  radici  quadrate 

\/ai  ,   \/a2,...  y'an 

estratte  sopra  n  numeri  a^ ,  a». . .  an  razionali,  interi  e  -positivi. 

Un  pili  profondo  esame  dimostrerebbe  che  questi  numeri  «i ,  a,  •  •  •  «» 
non  sono  altro  che  fattori  primi  del  determinante  D,  0  loro  prodotti  '^'. 
Ma  le  ulteriori  ricerche  necessarie  alla  dimostrazione  precisa  dei  teoremi 
di  Kronecker,  come  quelle  che  riguardano  la  più  volte  mentovata 
irriducibilità  dell'  equazione  Hu  (.;)  =  0  per  gli  invarianti  delle  classi 
eccederebbero  i  limiti  imposti  alle  presenti  lezioni. 


(M  Cf.  Weber vZ.  e.  §§.103-106. 


INDICE 


PARTE    PEIMA 
Teoria  delle  funzioni  di  variabile  complessa. 


Capitolo  I. 

Funzioni  di  variabile   complessa  secondo   Caucliy-Eiemauu.  —  Serie  di  potenze  e  loro  pro- 
prietà. —  Rappresentazioni  conformi. 


§.    1.  —  Piano  complesso  e  sfera  complessa         .... 

2.  —  Funzioni  di  variabile  complessa     ..... 

3.  —  Serie  di  potenze.  —  Cerchio  di  convergenza  . 

4.  —  Serie  derivata        ........ 

5.  —  Teorema  di  Cauchy-Hadamard       ..... 

6.  —  Funzioni  elementari  e',  sen  z,  cos  2,  log  z,  z" 

7.  —  Serie  di  potenze  sulla^  periferia  del  cerchio  di  convergenza 

8.  —  Rappresentazioni  conformi     ...... 

9.  —  Esempì  diversi 


•    pag. 

3 

» 

5 

» 

10 

» 

13 

•       » 

15 

» 

18 

» 

21 

•       » 

23 

» 

27 

Capitolo  IL 

Sostituzioni   lineari.  —  Gruppi   discontinui  di   sostituzioni   lineari   e  loro    rappresentazione 
geometrica. 


§.  10.  —  Sostituzioni  lineari  ed  affinità  circolari 

11.  —  Composizione  delle  sostituzioni 

12.  ^  Classificazione  delle  sostituzioni  di  1.»  specie 

13.  —  Sostituzioni  di  2."  specie.  —  Riflessioni  . 

14.  —  Gruppi  discontinui  di  sostituzioni  lineari 

15.  —  Sottogruppi    ....... 

16.  —  Gruppi  ciclici  e  loro  campo  fondamentale 

17.  —  Gruppi  di  sostituzioni  paraboliche 

18.  —  Gruppo  modulare.  —  Circoli  e  rette  di  riflessione 

19.  —  Il  triangolo  fondamentale  del  gruppo  ampliato 

20.  —  La  rete  modulare  e  le  riflessioni  generatrici  A,B 

21.  —  Triangolo  fondamentale  del  gruppo  modulare 

22.  —  Sostituzioni  ellittiche  del  gruppo  modulare   . 

23.  —  Forme  binarie  quadratiche  a  determinante  negativo 

24.  —  L'  affinità   circolare  trasportata  nello  spazio  e   le  formole  di 

Poincaré    .......... 


pag. 


31 
34 
37 
39 
42 
45 
46 
48 
53 
56 
59 
61 
64 
65 

68 


600 

§.  25.  —  Il  gruppo  delle  sostituzioni  uuimodulari  a  coefficienti  interi 

complessi        ..........     pag.     72 

26.  —  Decomposizione  di  un  numero  nella  somma  di  quattro  quadrati       »         76 

Capitolo  III. 

Trasformazioni  di  integrali  doppi  in  integrali  semplici. —  Funzioni  armoniche  e  loro  proprietà 
fondamentali.  —  Problema  di  Dirichlet  e  sua  risoluzione  nel  caso  del  campo  circolare. 


§.  27.  —  Integrali  curvilinei.  —  Integrali  doppi  . 

28.  —  Formola  di  Gauss  ...... 

29.  —  Altre  formole  di  trasformazione     .... 

30.  —  Ordine  di  connessione  delle  aree  piane 

31.  —  Integrali  di  differenziali  esatti       .... 

32.  —  Formola  di  Green  ...... 

33.  —  Funzioni  armoniche  con  derivate  regolari  al  contorno 

34.  —  Funzione  di  Green         ...... 

35.  —  Massimi  e  minimi  delle  funzioni  armoniche 

36.  —  Problema  di  Dirichlet    ...... 


37.  —  L' integrale  di  Gauss 


38.  —  Studio  dell'integrale        /  U 


u 


log 


ds 


cip 


ds 


pac 


39.  —  Risoluzione  del  problema  di  Dirichlet  pel  campo  circolare 


78 

82 

86 

88 

91 

95 

97 

101 

102 

105 

106 


109 
113 


Capitolo  IV. 

Integrali  di  funzioni  di  variabile  comples.sa. —  Teorema  fondamentale  di  Cauchy  e  sue  con- 
seguenze.—Sviluppi  in  serie  di  Taylor.—  Sviluppo  di  Laui-ent.— Concetto  di  funzione 
analitica  secondo  Weierstrass. —  Serie  di  funzioni  analitiche. 


§.  40.  —  Integrali  definiti  di  funzione  di  variabile  complessa 

41.  —  Teorema  di  Cauchy.  —  Integrali  indefiniti 

42.  —  Formola  di  Cauchy        ..... 

43.  —  Sviluppi  in  serie  di  potenze 

44.  —  Sviluppo  di  Laurent       ..... 

45.  —  Funzioni  analitiche        ..... 

46.  —  Campo  di  esistenza  di  una  funzione  analitica 

47.  —  Serie  di  funzioni  analitiche  .... 

48.  —  Applicazioni  ....... 


pag. 

117 

» 

119 

» 

121 

» 

123 

» 

127 

» 

129 

» 

132 

7) 

135 

» 

137 

Capitolo  V. 

Punti  singolari  delle  fimzioni   monodrome.  —  Poli  e  pimti  singolari  essenziali.  —  Eesidui.  — 
Integrale  logaritmico. —  Inversione  delle  serie  di  potenze. 


601 


§.  49.  —  Punti  regolari 

50.  —  Infinitesimi    .... 

51.  —  Punti  singolari.  —  Poli  . 

52.  —  Esempì  di  singolarità  essenziali 

53.  —  Residui  .         .         .     "    . 

54.  —  L'integrale  /  w(z)dz  nel  caso  di  punti 

55.  —  Polidromia  dell'  integrale  indefinito 

56.  —  Indicatore  logaritmico    . 

57.  — Formola:  Oj  — Qo=2-{No  — N^)    . 

58.  —  Inversione  delle  serie    . 


singolari  interni 


•  pflg- 

140 

.     .    » 

142 

» 

143 

.     » 

146 

» 

148 

rni   .   » 

151 

» 

152 

» 

154 

.   » 

157 

.   » 

160 

Capitolo  VI. 

Funzioni  uuil'onui  in  tutto  il  piano  complesso.  —  Loro  sviluppi  in  serie  di  frazioni  parziali 
secondo  Caucliy.  —  Teorema  di  Mittag-Leffler. —  Sviluppi  in  prodotti  infiniti  per  le  tra- 
scendenti intere. 


§.  59.  —  Trascendenti  intere        ........ 

60.  —  Punti  singolari  essenziali       ....... 

61.  —  Funzioni  uniformi  con  un  numero  finito  di  singolarità 

62.  —  Metodo  di  Cauchy  per  gli  sviluppi  in  serie  di  frazioni  parziali 

63.  —  Due  casi  particolari        ........ 

64.  —  Sviluppi  in  serie  per ,  cot  z  . 

sen  z 

65.  —  Teorema  di  Mittag-Leffler 

66.  —  Costruzione  di  una  trascendente  intera  per  prodotti  infiniti 

67.  —  Forma  degli  esponenti  Q„,^^  (2)       .....         . 

68.  —  Genere  delle  trascendenti  intere.  —  La  F  Euleriana 

69.  —  Caso  in  cui  le  distanze  fra  i  punti  d'infinitesimo  si  manten- 

gono superiori  a  una  quantità  fissa       ..... 


pac 


163 
165 
167 
169 
171 

174 

178 
181 

184 
186 

189 


Capitolo  VII. 

Funzioni  analitiche  di  più  variabili  complesse.—  Funzioni  implicite. —  Proprietà  fondamentali 
delle  funzioni  algebi'iche. 


§.  70.  —  Funzioni  regolari  di  due  variabili  complesse         .         .         .    pag.  191 

71.  —  Serie  di  potenze    ..........  194 

72.  —  Campo  ristretto  di  convergenza.  —  Prolungamento  analitico         »  196 

73.  —  Radici  di  un'equazione  f{iv,z)^0        ......  197 

74.  —  Teorema  di  Weierstrass  ........  200 

75.  —  Funzioni  implicite  .........  202 

76.  —  Funzioni  algebriche        .........  203 

77.  —  Teorema  fondamentale  .........  205 

78.  —  Punti  di  diramazione     .........  207 


602 


§.  79.  —  Singolarità  polari  ....... 

80.  —  Le  funzioni  algebriche  come  funzioni  analitiche  . 

81.  —  Gruppo  di  monodromia  ..... 

82.  —  Sostituzioni  elementari  del  gruppo  di  monodromia 


pag.  209 

»  211 

y  213 

»  214 


§.83. 

84. 
85. 


87. 
88. 
89. 
90. 
91. 
92. 


Capitolo  Vili. 

Prime  nozioni  sulle  superficie  di  Riemann  e  sugli  integrali  Abeliani. 

Concetto  generale  della  superficie  Riemanniana    . 
La  superficie  Riemanniana  a  due  fogli  per  ic  =  Vp  (s) 
Deformazione  della  superficie  Riemanniana  in  quella  di  una 
sfera,  di  un  anello  ecc.  .         .         .         ,         . 

La  superficie  Riemanniana  a  m  fogli    . 
Funzioni  uniformi  sulla  superficie  Riemanniana   . 
Teorema  di  Cauchy,  residui  e  indicatore  logaritmico 
Funzioni  razionali  sulla  superficie  Riemanniana   . 
Nozioni  sugli  integrali  Abeliani     .... 

Caso  iperellittico    ....... 

Il  genere  p  secondo  Riemann        .... 


pag.  217 

»  219 

»  221 

»  223 

»  226 

»  229 

»  232 

»  235 

»  238 

»  243 


PARTE    SECONDA 
Teoria  delle  funzioni  ellittiche. 


Capitolo  IX. 

Le  funzioni  fondamentali  zu,  pU  di  AVeierstrass. —  Le  funzioni  generali  ellittiche  espresse 
per  la  aw.  —  Equazione  differenziale  per  la  pU. 


§.  93.  —  Cenni  storici  sulla  teoria  delle  funzioni  ellittiche 

94.  —  Costruzione  della  funzione  zu  di  Weierstrass 

95.  —  Proprietà  fondamentali  della  3  «t    . 

96.  —  Le  funzioni  Qu ,  pu  e  la  doppia  periodicità  di  pu,  p'u 

97.  —  Effetto  dell'aggiunta  di  periodi  all'argomento  di  -ju    . 

98.  —  Proprietà  generali  delle  funzioni  ellittiche    . 

99.  —  Ordine  di  una  funzione  ellittica  e  teorema  d'Abel 

100.  —  Espressione  di  una  funzione  ellittica  con  infinitesimi  ed  infi 

niti  assegnati  ........ 

101.  -  Funzioni  doppiamente  periodiche  di  1=^,  2''',  e  3^  categoria 


102.  —  Formola  pu-pv- 
mini  per  la  3 


ed    equazione   ai   tre   ter 


pac 


249 
252 
255 
258 
260 
263 
264 

267 
270 


272 


§.  103.  —  Equazione  differenziale  per  la  pt(  :  p''^  =  4  p^—Qì  p  -  g^ 
104.  —  Gli    invarianti  g^ìQ-i  e  gli  svilui)pi  di  pu,  'Cu,  ou  nell'in- 
torno di  u^O      . 


603 

pag.   274 

»       277 


Capitolo  X. 

Decomposizione  di  ima  funzione  ellittica  in  elementi  semplici.  —  Teorema  d' addizione  per 
la  ^W  e  la  pu.  —  Le  funzioni  ellittiche  espresse  i^azionalmente  per  pu,  p  U.  —  Mol- 
tiplicazione e  divisione  dell'argomento  nella  pu. 


§.  105.  —  Costruzione  di  una  funzione  ellittica  con  assegnati  termini 
d' infiniti       ....... 

106.  —  Forinole  d'addizione  per  la  Zio  e  la  pu 

107-108.  —  Espressione  di  una  funzione  ellittica  per  pu,  p  u 

109.  —  Funzioni  u.niforrai  con  un  teox-ema  d'addizione 

110.  —  Moltiplicazione  dell'argomento  in  pu  . 

3  (n  u) 


111.  —  La  funzione  ò,,  (n) 


3»'-^  ti 


112.  —  Calcolo  delle  funzioni  à„  per  formolo  ricorrenti 

113.  —  Divisione  dell'argomento  nella  pu 

114.  —  Equazione  per  la  divisione  dei  periodi 

115.  —  Risolventi  di  grado  n-\-l  e  loro  gruppo 

116.  —  Divisione  dei  periodi  nella  p  lemniscatica  . 


pag. 

281 

» 

282 

» 

286 

» 

291 

» 

294 

» 

295 

» 

298 

» 

300 

» 

304 

» 

307 

» 

309 

Capitolo  XL 

Proprietà  fondamentali  della  prima  funzione  modiilare  J(T). —  La  funzione  p  (u^  C/^ì  d'i) 
con  assegnati  invarianti. —  Integrali  ellittici  di  prima  specie  e  loro  inversione. —  Inte- 
grali ellittici  generali. 


§.  117.  —  L' invariante  assoluto  J  =  -3- 


gi 


-^g 


2  come   funzione  del  rap- 


porto T  dei  periodi        ........ 

118.  —  L' invariante  J  (i)  come  funziono  automorfa  rispetto  al  gruppo 

modulare      ......... 

119.  —  Distribuzione  dei  valori  di  J  (-)  nella  rete  modulare    . 

120.  —  Rappresentazione  conforme  del   triangolo   fondamentale  sul 

semipiano     ......... 

121.  —  La  funzione  inversa  x(J)  e  il  teorema  di  Picard 

122.  —  Esistenza  della  pn  con  invarianti  assegnati 

123.  —  Equazione  differenziale  per  le  funzioni  ellittiche  di  secondo 

ordine  .......... 

124.  —  Primo  metodo  d' inversione  con  una  sostituzione  lineare 

125.  —  Secondo  metodo  d' inversione       ..... 

126.  —  Integrazione  delle  funzioni  razionali  di  iv  e  VP(ìo)     . 

127.  —  Integrali  normali  ellittici  di  Weierstrass 


pag. 


312 

315 
317 

320 
322 
324 

326 
328 
332 
336 
337 


604 


Capitolo  XII. 

Le  tre  funzioni  7  pari  di  Weierstrass  e  le  funzioni  ellittiche  di  Jaoobi  snv,  cn  r,  dn  r. —  Il 
quadrato  k^  del  modulo  come  funzione  modulare.  —  Formole  d'addizione  per  en  v, 
cn  V,  dn  v. 

§.  128.  —  Funzioni  periodiche  cappartenenti  a  sottogruppi  del  gruppo 
modulare      ......... 

129.  —  Le  tre  funzioni  -s  pari  ...... 

130.  —  Le  funzioni  ellittiche  \  pu  —  e,-  e  i  valori  di  \  Cy  —  ea 

r 

131.  —  Aggiunta  di  semiperiodi  all'argomento  delle  a,« 

132.  —  Serie  di  potenze  in  u  per  la  ::,■  u 

133.  —  Le  funzioni  ellittiche  di  Jacobi  sn  v,  cn  v,  dn  u    . 

134.  —  Relazioni  fra  sn  v,  cn  u,  dn  u  e  loro  derivate 

135.  —  Il  quadrato  A--  del  modulo  come  funzione  modulare     . 

136.  —  Formole  d'addizione  per  sn  v,  cn  v,  dn  v       .         .         . 

137.  —  Trasformazione  di  1."  ordine  per  sn  v,  cu  u,  dn  w 


•  pag. 

339 

» 

342 

» 

344 

» 

347 

» 

348 

» 

350 

» 

354 

■0 

355 

» 

358 

» 

361 

Capitolo  XIII. 

Le  funzioni  pu^  ^u,  "jrU  per  valori  reali  degli  invarianti  e  le  funzioni  di  Jacobi  snr,  cn??, 
dn  V  per  valori  reali  del  modula  k  fra  0  e  1.  —  Integrali  ellittici  di  Legendre  e  Jacobi. 


138.  —  Osservazioni  fondamentali  sulla  p  {u',  9i,(h)  con  invarianti 
reali     .         .         .         .         .         .         .    •     . 

139. —  Caso  del  discriminante  A  =^2—27 5r|>0    . 

140.  —Andamento  di  pn.  —  La  cubica:  y-  =  ^:X^—g.iX—g.^  . 

141.  —  Alcune  applicazioni  geometriche.         .... 

142.  —  La  p  {u  ;  g-z ,  g^)  con  invarianti  reali  e  discriminante  A  ne 

gativo  .......... 

143.  —  Degenerazione  della  pu  nel  caso  di  A  =  0  . 

144.  —  Le  funzioni  sn  v,  cn  v,  dn  v  per  valori  reali,  positivi  e  <^  1  di  k^ 

145.  —  Integrale   ellittico  di  1.^  specie   di   Legendre,  —  Degenera- 

zione di  sn  tJ,  cn  f ,  dn  V 

146.  —  Gli  integrali  di  2.^  specie  E  (y),  Z  (r)  di  Legendre  e  Jacobi 

147.  —  L' integrale  di  3.=*  specie  II  (v,  a)  di  Jacobi  . 

148.  —  Riduzione  dell'  integrale  ellittico  di  1.^  specie  alla  forma  nor 

male  di  Legendre         ....... 


pag.  364 

r>  367 

»  370 

»  372 

»  375 

»  378 

»  380 

»  382 

^  384 

»  387 

»  388 


Capitolo  XIV. 

Sviluppi  in  prodotti  infiniti  ed  in  serie  trigonometriche  delle  funzioni  3.  —  Serie  &  di  Jacobi  e 
loro  proprietà. 

§.  149.  —  Sviluppo  in  prodotto  infinito  semplice  per  33  u    .         .         .     pag.    391 
150.  —  Sviluppi    in   prodotti   infiniti   per   le  quattro  3  e  per  le  co- 


stanti Ve,, — cg ,  Va 


394 


605 


/2K 


§.  151.  —  Sviluppi  per  y  -- 


4  _         4  12 

'\  A:  ,  '\  k' ,  \k  fc*  e  per  su  v,  cu  v,  du  v 


152.  —  Sviluppo  di  una  funzione  periodica  in  serie  di  Fourier 

153.  —  Sviluppo  in  serie  trigonometrica  per  la  -j^u 

154.  —  Sviluppo  delle  altre  a  e  serie  per  calcolare  'r^       . 

155.  —  Le  serie  &  di  Jacobi     ........ 

156.  —  Relazioni  fra  le  &.......         . 

157.  —  Dimostrazione   dell'  identità  di  Jacobi   e   valori  in  serie   di 

\'k  ,  y/k' ,  VA 

158.  —  Sviluppi  in  prodotti  infiniti  per  le  i>    . 

159.  —  Trasformazioni  di  1."  ordine  per  le  &  (y,  ")   .         .         .         . 


pag.  398 

»  399 

x  401 

»  403 

»  406 

»  408 


411 
414 
416 


Capitolo  XV. 

Teoria  della  trasformazioue  delle  fiiuzioni  ellittiche. —  Trasforiuazioni  di  grado  primo  della 
pU  e  della  OM.  —  Trasformazione  di  Landeii. 


§.  160.  —  Problema  della  trasformazione  delle  funzioni  ellittiche 

161.  —  Trasformazioui  razionali  e  loro  grado  ... 

162.  —  Equivalenza  delle  trasformazioni  .         . 

163.  —  Riduzione  alla  forma  normale      ..... 

164.  —  Trasformazioni  imprimitive  e  primitive.  —  Trasformazioui  d 

grado  composto    ........ 

165.  —  Trasformazioni  di  grado  primo     ..... 

166.  —  Distinzione  del  caso  n  =  2  dal  caso  di  n  dispari . 

167.  —  Risolubilità  per  radicali  dell'equazione  di  trasformazioue 

168.  —  Esistenza  dell'equazione  modulare  fra  gli  invarianti  assoluti 

169.  —  Formole  di  trasformazione  per  la  a  m   . 

170.  —  Trasformazione  di  Lauden    .         .  ... 

171.  —  Applicazione  al  calcolo  degli  iuLegrali  ellittici 

172.  —  Trasformazioue  di  Landeu  nelle  amplitudini 

173.  —  Media  aritmetico-geometrico   M  {a,  b)  secondo    Lagrange   e 

Gauss  ........... 


pag. 


420 
423 
426 
428 

430 
434 
437 
438 
440 
442 
444 
417 
448 

452 


Capitolo  XVI, 

Funzioni  modiilari  ellitticlie. 


§.  174.  —  Definizione  delle  funzioni  modulari.  —  Loro  sottogruppo 

175.  —  Diramazione  di  una  funzione  modulare 'f  (t)  rispetto  all'in- 

variante assoluto  J  {-)  .         .         .         .         .         . 

176.  —  Sottogruppi  d' indice  finito  e  loro  poligono  fondamentale     . 

177.  —  Esistenza   di    funzioni    modulari    appartenenti   ad  un   dato 

sottogruppo  .......... 


pai 


455 

458 
461 

464 


606 

§.  178.  —  Il  poligono  fondamentale  del  sottogruppo  G  ZE  [  „'    ì  (mod  2)    pag.    466 

179.  —  Distribuzione   dei   valori  di  k-  (-)   nel   suo   poligono    fonda- 

mentale        ...........       471 

180.  —  La  funzione  k^  (-)  come  uniformizzante        ....       »       473 

181.- Le  funzioni  modiilari  V'/?,  Vfc^ »       475 

4  4     _ 

182.  —  Le  funzioni  modulari  f  (-)  =  \k  ,  ò{z)  =  )/fd       .         .         .       »       478 


Capitolo  XVII. 

4 

Equazioni  modulari  per  l'invariante  assoluto  e  per  la  funzione  modulare  V^ —  Metodo  di 
Hermite  per  la  risoluzione  dell' o<iuaziono  generale  di  5.»  gi-ado. 

§.  183.  —  Considerazioni  preliminari    .......     pag.  485 

184.  —  Esistenza  dell'equazione  modulare  per  j  (~) .         .         .         .       »  487 

185.  —  Gruppo  di  monodromia  dell'equazione  modulare           .         .       »  490 

186.  —  Diramazione   di  j'   rapporto   n  j  e  poligono   fondamentale 

dii(-^) *  493 

187.  —  Proprietà  dei  coefficienti  dell'equazione  modulare         .         .       »  498 

188.  —  Gruppo  algebrico  dell'equazione  modulare  ....       »  501 

4 

189.  —  Equazione  modulare  per  ':<{-:)  =  \k  e  sue  radici  ...»  503 

190.  —  Gruppo  di  monodromia  ed  algebrico  dell'equazione  modulare       »  508 

191.  —  Proprietà  dell'equazione  modulare  f{u,v)^0     ...»  511 

192.  —  Le  equazioni  modulari  per  jj  =  3,5,7,ll      ....       »  516 

193.  —  Abbassamento  dell'equazione  modulare  di  6."  grado    .         .       »  519 

194.  —  Costruzione  effettiva  della  risolvente  di  5."  grado  di  Hermite       »  521 


Capitolo  XVIII. 

Principii  della  teoria  delle  funzioni  ellittiche  a  moltiplicazione  complessa. 


§.  195.  —  Funzioni   ellittiche   a   moltiplicazione   complessa   e  formole 
fondamentali         ........ 

196.  —  Corrispondenza  colle  classi  di  forme  binarie  quadratiche 

197.  —  Formole  effettive  di  moltiplicazione  complessa 

198.  —  Natura  dei  coefficienti  nelle  formole  di  moltiplicazione  com- 

plessa .......... 

199.  —  Risolubilità  per  radicali  dell'equazione  per  la  divisione  dei 

periodi  ......... 

200.  —  Equazione  algebrica  fra  g^,  9i     • 

201.  —  Esempì  numerici  D  ^  3,  2,  7 


»  540 

»  542 

»  544 

202.  —  Invarianti  delle  classi  .......  »  548 


pag.  525 

»  529 

»  532 

»  536 


607 

§.  203.  —  Proprietà  delle  equazioni  irriducibili  per  gii  invarianti  delle 

classi    ...........     pag.    553 

204. —  Modo  di  calcolare  i  fattori  H,.0'),  H',„  (J)    .         .         .         .       »       557 

205.  —  Gli  invarianti  di  classi  di  2.-'  specie  espressi  razionalmente 

per  quelli  di  1.^  specie  ........       559 


Capitolo  XIX. 

Composizione  delle  forme  qiiadratiche  e  gruppo  di  Galois  per  l'equazione  degli  invarianti 
delle  classi. 

§.  206.  —  Composizione  delle  forme  quadratiche  secondo  Gauss  .         .    pag.  563 

•  207.  —  Gruppo  di  composizione  delle  forme     ......  568 

208.  —  Teoremi  varii  sulla  composizione  delle  forme       ...»  571 

209.  —  Trasformazione  degli  invarianti  delle  classi  ...»  573 

210.  —  Ritorno   all'equazione  per  la  divisione  dei   periodi   e  deter- 

minazione del  suo  gruppo    ........       579 

211.  —  Abbassamento  del  gruppo  nel  caso  delle  funzioni  ellittiche 

a  moltiplicazione  complessa  .......       583 

212.  —  Dimostrazione  della  formola  fondamentale  (15),  pag.  578      .       »       587 

213.  —  Gruppo  di  Galois   per  l'equazione  Hd(j')  =  0  e  sua  risolu- 

bilità per  radicali  ...,....»       591 

214.  —  Decomposizione  di  Ho  0')  in  fattori  corrispondenti  ai  generi 

delle  forme  secondo  Kronecker     .,,.,.»       594 


CORREZIONI  ED  AGGIUNTE 


Pag.  130,  linea  9  —  Alle  parole:  e  la  serie  Pj  (2—6),  che  nell'area  comune  a  C,Ci 
rappresenta  la  funzione  ic  (z)  si  aggiungano  le  osservazioni  seguenti  : 

La  differenza  P  (2 — a)  —  Pj  (s — b)  delle  due  serie  è  una  funzione  w  (2) 
finita,  continua  e  monodroma  entro  la  lunula  comune  a  C,  C^  che  inoltre  è 
nulla  nel  disco  circolare  col  centro  in  b,  interno  alla  lunula,  onde  segue  che 
essa  è  nulla  in  tutta  la  lunula.  E  infatti  sia  A  un  punto  interno  al  detto 
disco,  B  un  punto  qualunque  nella  lunula;  si  tracci  una  curva  ','  che  entro 
la  lunula  vada  da  A  in  B.  Sul  tratto  di  y  uscente  da  A  interno  al  disco  è 
oj  (2)  =  0  ;  e  se  supponessimo  ('j  (B)  =?  0  esisterebbe  sulla  curva  7  (per  un  noto 
teorema  di  Weierstrass)  un  punto  di  separazione  C,  perfey amente  determinato, 
tale  che  nel  tratto  AC  sarebbe  ò)(z)  =  0,  mentre  da  C  in  poi,  in  qualunque 
X>rossimità  di  C,  w  (z)  assumerebbe  anche  valori  non  nulli.  Ora  ciò  è  assurdo, 
perchè  in  C  si  annulla  Co  (z)  e  si  annullano  inoltre  evidentemente  tutte  le  sue 
derivate.  Se  e  è  il  valore  di  z  in  C,  lo  sviluppo  di  w  iz)  in  serie  P  (z— e),  se- 
condo il  teorema  di  Cauchy,,  ha  dunque  nulli  tutti  i  suoi  coefficienti. 

Pag.  194,  linea  4  —  Alla  fine  del  periodo  :  per  le  serie  di  potenze  di  una  variabile 
si  aggiunga:  <i  quando  alla  condizione  di  semplice  convergenza  si  sostituisca 
quella  di  convergenza  assoluta». 

Pag.  194,  linea  9  —  In  luogo  di  :  ki  serie  converga  leggi  :  la  serie  converga  asso- 
lutamente. 

Pag.  194,  linea  5  dal  basso  —  In  luogo  di  :  è  convergente  si  legga  :  è  convergente 
assolutamente. 

Pag.  195,  linea  3  dal  basso  —  In  luogo  di  :  Se  la  serie  di  potenze  P  (z^ ,  z^  converge 
leggi:  se  la  serie  di  potenze  V{z^,z^  converge  assolutamente. 

Pag.  196,  linea  9  dal  basso  —  In  luogo  di  :  la  serie  converga  leggi  :  la  sene  con- 
verga assolutamente. 

Pag.  196,  linea  7  dal  basso  —  In  luogo  di:  la  serie  V  {z^^z.^)  leggi:  la  serie  dei 
moduli  della  P(Zj,Z2). 

Pag.  197,  linea  1  —  In  luogo  di  :  la  serie  leggi  :  la  serie  dei  moduli. 


Pag.  195,  linea  6  dall'alto  —  Leggi  al  modo  seguente: 

WI^OO       «  =  30  m^Mj — 1     «=» 


"R        —   "V      "V   I /-/     Mp-  i'"  \f  "-\-     "V        'V    1^/     \  \f  '"'  1^  1»  I 

l\»l^n^  —     ^         ^     ,  itni  »j  |    l^il      1*2         l^        ^  ^      |i*mn|    1*11      |*2l     j 


i 
«^«,  — 1  m=cc 

"mn  I    I  "^1 1 


_j_     'V^         'V^    I  /^      1  I  ~  I»"  I  V  I" 


M=0      m=m 
Pag.  195,  linea  14  dall'alto  —  Leggi: 


ii,..«,<ry  cr»  q"  2  2; ^1"  ^^  +  ^  -,--7-  ^^''  2  ^^  +  ^ -7—-  cr«  2  ^i' 

,„=0   i.=0  ^         'si  ..=0  ^  ~  ^2  ».=.0 

Pag.  195,  linea  15  dall'alto  —  Dopo:  scricerp,  aggiungi:  a  fnriiori: 
»      195,      »      1(5         »         —  Leggi  al  modo  seguente  : 


Pag.  194,  linea  9  —  In  luogo  dì  :  la  serie  converga  leggi  :  la  serie  converga  asso- 
lutamente. 

Pag.  194,  linea  5  dal  basso  —  In  luogo  di  :  è  convergente  si  legga  :  è  convergente 
assolutamente. 

Pag.  195,  linea  3  dal  basso  —  In  luogo  di  :  .S'è  la  serie  di  potenze  P  {z^ ,  Zg)  converge 
leggi  :  se  la  serie  di  potenze  P  (Sj ,  Sj)  converge  assolutamente. 

Pag.  196,  linea  9  dal  basso  —  In  luogo  di  :  la  serie  converga  leggi:  la  serie  con- 
verga assolutamente. 

Pag.  196,  linea  7  dal  basso  —  In  luogo  di:  la  serie  Y  {z^,z.^  leggi:  la  serie  dei 
moduli  della  V  {z^,z^. 

Pag.  197,  linea  1  —  In  luogo  di  :  la  serie  leggi  :  la  serie  dei  moduli. 


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