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Pisa, Tipografia Siiec. Fratelli Nistri 1901
liUIOI BIAETCHI
PROFESSORE DELLA REGIA UNIVERSITÀ DI PISA
LEZIONI
SULLA
II 01 M
k
DELLE FUNZIONI ELLITTICHE
UNIVERSITY OF TORONTO
PISA
ENRICO SPOERRI
Libraio - Editore
1901
PARTE PRIMA
Teoria delle funzioni di variabile complessa
Capitolo I.
Funzioni di variabile complessa secondo Cauchy-Riemann. — Serie di potenze
e loro proprietà. — Rappresentazioni conformi.
§. 1-
Piano complesso. — Sfera complessa.
La teoria delle funzioni di variabile complessa si può svolgere
seguendo due metodi diversi, l'uno dovuto a Cauchy-Riemann, l'altro a
Weiersteass.
Il primo metodo si fonda sulle proprietà degli integrali della così
detta equazione di Laplace
,2 + 5:72 = 0 .
l'altro costruisce l'intera teoria in modo puramente aritmetico operando
colle serie di potenze (serie di Taylor) come elementi. I due metodi si
completano a vicenda e, per non rinunziare ai particolari vantaggi del-
l'uno e dell'altro, conviene ormai in questi studi svolgerli parallelamente.
Questo ci proponiamo appunto di fare nella prima parte del presente
corso, ove partiremo dalle definizioni di Cauchy-Riemann per arrivare
air importantissimo concetto di funzione analitica secondo Weierstrass e
svilupparne le conseguenze.
Consideriamo una variabile complessa
z = x -\- iy
1 cui valori distendiamo, secondo la consueta rappresentazione geometrica,
4 CAPITOLO I. — §. 1
sul piano complesso di Gauss, sicché atl ogni valore di z corrisponde
un punto del piano complesso, il suo indice, cioè il punto che ha le
coordinate Cartesiane ortogonali (x, y) ; e viceversa ad ogni punto del
piano corrisponde un valore della variabile z. A causa di questa corri-
spondenza biunivoca fra il valore di ^ ed il punto rappresentativo, è
lecito designare, come faremo, un punto qualsiasi del piano mediante
il valore ^o che vi ha la variabile 2. E poiché riguardiamo il valore co
di s come un unico valore, così il piano complesso si riguarderà, in
questi studi, come una supei^ficie chiusa con un unico punto all' infinito.
Questo modo di considerare i punti all'infinito del piano come raccolti
in un unico punto, contrariamente alle ordinarie convenzioni della geo-
metria projettiva ed analitica, non può produrre difficoltà, quando si
pensi che qui il piano interviene soltanto come immagine geometrica
della variabilità complessa e ci potremmo servire egualmente di qua-
lunque altra superficie chiusa, ai punti della quale possano farsi corri-
spondere in modo biunivoc:o e continuo i valori della variabile complessa.
Ed appunto spesse volte ci converrà adoperare in luogo del piano com-
plesso la sfera complessa, riportando i punti del piano sulla sfera me-
diante la projezione stereografica polare. Per fissare completamente il
modo di rappresentazione, prendiamo la sfera di raggio = 1 col centro
nell'origine 0 sicché, indicando con £, T^, C le coordinate correnti di punto,
l'equazione della sfera sarà
a^ + y/ + e=l,
e dal punto P ?^ee (0, 0, 1) della sfera (polo) projettiamo ogni punto
ì,i^{x,y) del piano complesso (piano h'c^) in M' suUa sfera.
Per le coordinate t, y„ C di questo punto M' troviamo subito
^' ^ x'+f+l ' ' x'-^if^-l ' ^ x'+y-+\'
formolo che, note le coordinate di un punto {x, y) del piano, fanno co-
noscere le coordinate £, /;, 'Q del punto corrispondente sulla sfera. Inver-
samente mediante le formole
determiniamo il punto del piano, che corrisponde ad un punto assegnato
PIANO COMPLESSO - SFERA COMPLESSA 5
sulla sfera. In ogni punto (t„ y], C) della sfera abbiamo così per la variabile
complessa ^ il valore
^ I-C •
I punti all'infinito del piano vengono a raccogliersi sulla sfera nel-
l'unico punto (0, 0, 1) cioè nel polo, ove ha luogo il valore 0= ce della
variabile complessa.
Ricordiamo che la rappresentazione stereografica della sfera sul
piano gode di due proprietà fondamentali, che si possono dimostrare
elementarmente, od anche dedurre dalle formolo (1), (2) di rappresen-
tazione e cioè:
1.° la rappresentazione conserva gli angoli ; vale a dire ogni angolo
di una figura sferica è eguale a quello della figura piana corrispondente
(rappresentazione conforme).
2.^ ad ogni circolo (0 retta) del piano corrisponde un circolo sulla
sfera ed inversamente.
Diciamo ancora che in seguito per intorno di un punto ^ del piano
complesso (0 della sfera complessa) intenderemo un campo comunque
piccolo, ma di ampiezza diversa da zero, che contenga nel suo inferno
il punto. Per intorno del punto ^=co del piano complesso s'intenderà
quindi la parte del piano esterna ad un campo finito comunque grande,
ciò che equivale appunto, per la sfera complessa, a considerare un intorno
comunque piccolo del polo.
§• 2.
Funzioni di variabile complessa.
Consideriamo un campo C a due dimensioni del piano 0 della sfera
complessa nel cui interno si muova l' indice della variabile complessa ^.
Sia
ìv = u -{- iv
una seconda variabile complessa dipendente da z in guisa che per ogni
valore di s appartenente a C la xv abbia un valore perfettamente deter-
minato, cioè la parte reale u e il coefficiente v dell'immaginario in w
siano nel campo C funzioni, nel senso ordinario, delle due variabili
reali ic, y.
6 CAPITOLO I. — §.2
Ove, seguendo i concetti generali di Dirichlet, considerassimo iv come
funzione della variabile complessa z, lo studio delle funzioni di variabile
complessa non verrebbe a differire da quello delle ordinarie funzioni di
due variabili reali. Ma nel concetto odierno di funzione di variabile
complessa sono incluse alcune limitazioni, riguardanti la continuità e la
esistenza della derivata, delle quali ora appunto andiamo a trattare.
In primo luogo supponiamo che la iv, considerata come funzione delle
due variabili reali x, y, sia continua superficialmente nel campo C, cioè
che tali siano le due funzioni reali u, v nell' intorno di ogni punto di C.
Si vedrà subito che la continuità di iv in un punto ^o del campo si
può anche definire dicendo che, preso un numero s positivo piccolo a
piacere, deve esistere un intorno o sufficientemente piccolo di ^o '^' tale
che per qualsiasi punto z appartenente a questo intorno si abbia
\ws—w,^\ <e,
ove con w. indichiamo il valore di iv in ^ e il simbolo ! tv^ - Wz^ i signi-
fica, secondo Weierstrass, il modulo di ivg-w,^ '^*.
In secondo luogo supponiamo che la iv possegga derivate parziali
prime
dw dw
dx ' dy
pure finite e continue in C, onde segue che, se consideriamo una linea L
qualunque <^^ del piano complesso uscente da un suo punto Me^^o
e, spostandoci lungo L da Mo ad un punto vicino M^^o + ^-^r, calco-
liamo il rapporto incrementale
questo, al convergere di M verso ]\Io, convergerà verso un limite deter-
minato e finito. E invero indicando con s l'arco della curva L, quando s
(^) S' intende che, se Sg è interno al campo, l' intorno 3 deve contenere z^ nel
suo interno, laddove se z^ è sul contorno di C, l'intorno a confinerà ad un tratto
del contorno di C, che contenga nell'interno z^.
(*) In generale essendo A una quantità complessa, col simbolo | A| denotiamo,
con Weierstrass, il modulo di A.
<3) Supponiamo che tale linea sia una curva ordinaria dotata di tangente,
che varia con continuità al variare in modo continuo del punto di contatto.
FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA 7
si muove lungo L, potremo riguardare s e io con funzioni di s ed avremo
lim -;— = lim
As
e pero
div dx div dy
Aio dx ds dy ds
àz dx . dy '
ds ds
Questo limite, che dipende unicamente dalla direzione della tangente
in Mo alla curva, dicesi la derivata di tv secondo quella direzione. In
particolare le derivate di tv prese nel senso dell'asse O^r e dell'asse Oy
saranno
, dw \ div
^ ^ d^ ' J d^ '
Ora l'ulteriore limitazione che dobbiamo porre per arrivare al con-
cetto di funzione di variabile complessa consiste in ciò che la derivata
di w sia indipendente dalla direzione secondo cui è calcolata. In particolare
le derivate (4) calcolate nel senso degli assi dovranno essere eguali, cioè
dovrà essere soddisfatta la condizione:
,,. dw l dw
dx i dy '
Ma viceversa, se questa condizione è soddisfatta, la (3) può scriversi
div dx . dw dy
.. àlv dx ds dx ds dw
Òlz dx . dy dx
ds ds
e ci dimostra che la derivata sarà sempre la stessa in qualunque dire-
zione si calcoli.
La condizione (I) si suole anche citare come condizione di monogeneità
giacché, supposte soddisfatte tutte le condizioni precedenti, Cauchy chia-
mava IV funzione monogena di z. Oggidì, quando si parla di una funzione io
della variabile complessa z, s'intende senz'altro che tutte le indicate con-
dizioni, compresa la condizione (I) di monogeneità, debbono essere soddi-
8 CAPITOLO I. — §. 2
sfatte 0 per tutti i punti del campo o almeno generalmente, cioè fatta
eccezione da un numero finito di punti o di linee del campo, dove qual-
cuna delle precedenti condizioni od anche tutte potranno cessare di
verificarsi. E così dunque porremo la seguente definizione fondamentale.
Diremo tv funzione della variabile complessa z nel campo C quando ad
ogni valore di 2 in C corrisponde un valore determinato e generalmente
finito per w; e iv, considerata come funzione delle variàbili reali x, y, sia
continua e possegga derivate parziali del primo ordine -^ , ^— pure
generalmente finite e continue e legate dalla relazione di monogeneità
dio 1 dw
' dx i dy '
Nelle presenti lezioni ci occuperemo principalmente del caso in cui
per ogni punto ^ in C si abbia un solo valore di w. In tal caso se
partendo da un punto qualunque Mq in C descriviamo una curva chiusa
qualunque o tutta compresa entro C, incontreremo per iv una catena
continua di valori, che parte dal valore iniziale tvo in Mq e vi ritorna.
Allora la funzione tv di z si dice monodroma in C per significare appunto
che descrivendo qualunque cammino chiuso in C si ristabilisce con con-
tinuità per la funzione il valore iniziale. Ma si possono egualmente
considerare, e si considerano, funzioni di variabile complessa a più valori
ed anche con numero infinito (discreto) di valori in ogni punto; sol-
tanto quando si consideri un intorno sufiìcientemente piccolo di un punto
generico di C deve essere possibile di scindere le diverse determinazioni
di IV in altrettante funzioni monodrome nell'intorno.
Quando nel campo completo C, partendo da un punto Mq, si descrive
una curva chiusa scegliendo i valori di n- colla legge di continuità, si
ritornerà in Mo 0 col valore iv^ scelto inizialmente 0 con uno degli altri
valori che iv ha in Mq. E se effettivamente per certi cammini chiusi
si ritornerà con un valore di iv diverso dall' iniziale, la tv si dirà funzione
polidroma nel campo. Più tardi, quando parleremo delle funzioni analitiche,
ritorneremo sui concetti di monodromia e polidromia delle funzioni che
verranno allora meglio precisati.
Se nella condizione (I) di monogeneità scindiamo la parte reale e
l'immaginaria ponendo
io = u -\- j y ,
FUNZIONI DI VARIABILE COMPLESSA
du
dv
d^ ~
9y
du
dv
^!/~~
~dx
vediamo che le funzioni reali u, v delle variabili reali x, y dovranno
possedere derivate parziali prime, generalmente finite e continue nel
campo, e legate dalle relazioni fondamentali
(II)
In seguito dimostreremo che per una funzione di variabile complessa
l'ipotesi (inclusa nella definizione) di una derivata prima generalmente
finita, continua e indipendente dalla direzione, trae seco, come conse-
guenza, l'esistenza e la continuità di tutte le derivate degli ordini su-
periori. E così le due funzioni reali u, v possederanno pure le derivate
parziali di tutti gli ordini, generalmente finite e continue. Ammettendo
per un momento la cosa, in particolare per le derivate seconde, dedu-
ciamo subito dalle (II) le equazioni del 2.° ordine
d^ ^ di'
.^+ ^^^=^
2 + ^=0
Così adunque la parte reale u ed il coefiìciente v dell'immaginario
di una funzione tv di variabile complessa sono soluzioni dell'equazione
di Laplace
dx' '^ dy' ~
Il primo membro di questa equazione si indica spesso brevemente
col simbolo ii^9 e l' equazione stessa con A^6 = 0.
Viceversa ad ogni soluzione u di questa equazione ne corrisponde
una coniugata v definita, a meno di una costante additiva, secondo le (II),
dal suo difi'erenziale totale
, du , du ,
dv = ;r— du — X— dx •
dx dy
e in w = u-\-iv si ha così una funzione della variabile complessa z. Lo
studio delle funzioni di variabile complessa può riguardarsi quindi anche,
da un punto di vista del tutto reale, come lo studio delle coppie coniu-
gate {u, v) di soluzioni dell' equazione di Laplace.
10 CAPITOLO I. — §.3
§. 3.
Serie di potenze. — Cerchio di convergenza.
Stabilito nel §. precedente il concetto di funzione di variabile com-
plessa, andiamo subito a considerare nelle serie di potenze il più im-
portante esempio di tali funzioni. Per serie di potenze di una variabile
complessa s intendiamo una serie
00
C5) «0 + «1 ^ + f'2 2!^ + • . • = 2 ^'^ ^''
0
che procede per le potenze ascendenti intere e positive di z. L'impor-
tanza delle serie di potenze nella nostra teoria è alfatto fondamentale,
poiché esse sono gli elementi coi quali può costruirsi ogni funzione di
variabile complessa (Cauchy-Weierstrass).
Cominciamo dunque dal ricordare e precisare le proprietà riguardanti
la convergenza delle serie di potenze. Innanzi tutto è chiaro che una
serie (5) ha almeno un punto ove converge, il punto ^ = 0, ove si riduce
al suo primo termine ao; ma noi supponiamo che essa converga anche
in qualche altro punto z^^ del piano. Allora dimostriamo il teorema
fondamentale :
Se in un punto z^ del piano complesso, diverso daW origine 0, la serie
di potenze (5) converge e descriviamo col centro in 0 un cerchio che lasci
il punto Zq all'esterno, per quanto prossimo alla periferia, in tutta Varea
del cerchio e sid contorno la serie (5) converge assolutamente ed in egual
grado.
Il teorema sarà dimostrato se proviamo la convergenza in egnal
grado della serie dei moduli
00
0
cioè se dimostriamo che, dato un numero s piccolo a piacere, possiamo
trovare un numero m tanto grande che il resto della serie
m — i if«i \ \<'\ r I t'm+1 1 ! ■^ 1 ~r~ • • •
per tutti i valori di z i cui indici cadono nella detta area circolare,
sia < £. Ora poiché la serie
2 «■« ^0
SERIE DI POTENZE 11
converge per ipotesi, avremo certamente
lim {(In «o) = 0 ,
H=00
quindi anche
lim I rt„| l^ol" = 0 .
Possiamo dunque fissare una quantità positiva finita g, tale che per
tutti i valori di n si abbia
(6) \an\ l^o|"<5'.
Ora possiamo scrivere
avendo posto
e però, a causa della diseguaglianza (G), abbiamo
(7) R„ < (7 (C'" + r+' + C'"+' +...)•
Se indichiamo con r il raggio del nostro cerchio e poniamo
r
sarà evidentemente
e la (7) ci darà
e a più forte ragione
-s'ol ^
C<g<l
Basta dunque prendere m tanto grande che si abbia
ciò che è sempre possibile essendo g'<l, ed avremo che per tutti i
punti dell'area circolare e della periferia risulterà, come si voleva:
Rm <C £ •
12 CAPITOLO I. — §.3
Dal teorema dimostrato risulta come corollario che se in punto z^
la serie di potente (5) diverge, a inii forte ragione divergerà in qualsiasi
punto distante dalV origine più di 0i.
Dalle considerazioni precedenti facilmente deduciamo l'esistenza del
così detto cerchio di convergenza delle serie di potenze. Per ciò distri-
buiamo tutti i circoli col centro in 0 (o i loro raggi) in due classi A) B) ;
diremo un cerchio della prima classe A) se in tutto V interno del cerchio
la serie converge, della seconda classe B) quando in tutto l'esterno del
cerchio la serie diverge. Ogni cerchio apparterrà necessariamente alla
una 0 all'altra classe poiché se non è della classe A) ciò significa che
in qualche punto interno al cerchio la serie diverge ed allora, pel co-
rollario sopra notato, essa diverge a più forte ragione in tutto l'e-
sterno del cerchio, il quale appartiene dunque a B). Similmente se un
cerchio non è della classe B), esso appartiene necessariamente alla
classe A).
Di più è chiaro che se un cerchio è della classe A), qualunque cerchio
concentrico e più piccolo vi appartiene egualmente, e se un cerchio
appartiene a B), lo stesso accade di qualunque cerchio concentrico più
grande. In fine non vi può essere al massimo che un solo cerchio appar-
tenente insieme alle due classi.
La ripartizione dei circoli di centro 0 nelle due classi A), B) soddisfa
quindi alle condizioni fondamentali che ci assicurano dell'esistenza di
un cerchio C limite delle due classi <^', dotato cioè della proprietà che
ogni circolo col centro in 0 appartiene alla classe A) se è interno a C,
alla classe B) se è esterno. Così adunque : In ogni punto interno a C
la serie di potenze converge, in ogni punto esterno la serie diverge. Quanto
a ciò che accade sui punti della periferia di C nulla si può dire in
generale, potendosi avere in tali punti convergenza o divergenza secondo
la natura particolare della serie.
Il cerchio C di cui abbiamo così dimostrato l'esistenza, e che può
del resto estendersi talora a tutto il piano <^', dicesi il cerchio di con-
vergenza della serie.
Dalle nostre considerazioni risulta altresì l'importante risultato:
In qualunque campo tutto interno al cerchio C di convergenza la serie
di potenze converge assolutamente ed in egual grado.
(') Vedi DiNi. Fondamenti ecc., §. 9, pag. 11.
(2) Ogni circolo appartiene allora alla classe A).
SERIE DI POTENZE 13
Per noti teoremi sulla convergenza in egual grado delle serie (^', si
ha quindi anche:
La somma tv = il a„ ,e^" della serie di potente, in qualunque campo tutto
interno al cerchio di convergenza, rappresenta una funzione finita e continua
delle due variabili reali x, y. Che la tv sia una funzione della variabile
complessa z risulterà poi dai §§. seguenti.
Notiamo in fine che il cerchio C di convergenza della serie di potenze
Sa,i^" è perfettamente caratterizzato dalle proprietà seguenti:
!."■ In ogni punto interno a G la serie dei moduli SI «ni \^\^ della
proposta è convergente; 5." in ogni punto esterno a C la medesima serie
^\aj \z i" è divergente.
§. 4.
Serie derivata.
Il termine generale a., z" della serie di potenze è una funzione della
variabile complessa z ed ha per derivata
Consideriamo la serie delle derivate
co
1
e dimostriamo che questa serie di potenze ha il medesimo cerchio C
di convergenza della serie primitiva. Per ciò basterà provare, secondo
quanto abbiamo notato alla fine del §. precedente:
1.° che in qualunque punto interno a C la serie dei moduli:
(8) ^n\an\\z\-'
è convergente.
2.0 che in qualunque punto esterno a C la serie (8) diverge.
Sia ^0 un punto interno a C sicché, detto R il raggio di C, sarà
kol<R;
dimostriamo la convergenza della serie dei moduli
2 ^ I «« I k(
n-l
01
(1) DiNi. Fondamenti, pag. 109 (§. 97).
14 CAPITOLO I. — §.4
Prendiamo un punto ^i interno a C, ma più prossimo alla periferia
di z^^ sicché
kil > kol
e scriviamo
Posto 3=,'-^, è g'<l, e i termini della serie
si deducono da quelli della serie convergente
moltiplicandoli per quantità positive
che non solo si mantengono finite ma vanno indefinitamente decre-
scendo, a causa della convergenza in z^ della serie primitiva. Dunque
anche la serie Swla„l i^ol"~^ è convergente e. d. d.
Sia ora z^ un punto esterno a C; dico che la serie Iwla^J I^J""^
è divergente. E invero, se fosse convergente, tale sarebbe pure la serie
^n |a„| l^ii"
e a più forte ragione l'altra
ciò che è assurdo, essendo Zi esterno al cerchio di convergenza della
serie primitiva.
Dimque : La serie derivata S n an ^"~^ lia lo stesso cerchio di conver-
genza della serie primitiva. Ne segue che in qualunque campo tutto
i'-l Che questa serie sia convergente risulta dall'applicare il primo criterio
di convergenza delle serie a termini positivi. Qui abbiamo
W„=7ig»-1 , Un+l = {7i-{-l) q"
indi
hm = — ^ 1.
SERIE DI POTENZE 15
interno al cerchio C la serie derivata converge in egual grado. In un
tale campo è adunque legittima la derivazione per serie f^) e posto
la w ammetterà derivate parziali prime pure finite e continue, date dalle
formole
dij ^
onde sarà soddisfatta la condizione di monogeneità
dw 1 dw
dx i dy '
Abbiamo dunque il teorema:
Una serie di potente w^'Lan^^'^ rappresenta nell'interno del cerchio
di convergenza tma funzione finita, continua e monodroma della variabile
complessa z.
È chiaro poi che una tale funzione possiede non solo la derivata
prima, ma anche derivate di tutti gli ordini, rappresentate dalle serie
delle corrispondenti derivate prime, seconde ecc., le quali tutte hanno
il medesimo cerchio di convergenza della primitiva, e per ciò le successive
derivate di io sono tutte funzioni finite, continue e monodrome della
variabile complessa z entro il cerchio di convergenza.
§. 5.
Teorema di Cauchy-Hadamard.
Le considerazioni del §. 3 ci hanno dimostrata l' esistenza del cerchio
di convergenza per una serie di potenze. Ora andiamo a stabilire un
criterio, col quale si riesce a precisare il valore del raggio R del cerchio
di convergenza. Questa proposizione, già contenuta nelle ricerche di
Caucliy, fu ritrovata nuovamente ed in tempo recente da Hadaraard e
si cita comunemente come teorema di Hadamard. Colla sua dimostrazione
(*) DiNi. Fondamenti, §. 105, pag. 115.
16 CAPITOLO I. — §.5
si viene nuovamente a provare l'esistenza ed a stabilire le proprietà del
cerchio di convergenza.
Partiamo dall'ipotesi che la serie
2 «" ^''
converga in qualche punto ^o fuori dell'origine; allora, perchè
lim \an\ |^o|"= 0,
11=00
potremo prendere m tanto grande che si abbia sempre
|«n| ko|"< 1 per ?^>m, .
cioè
|a».i<r— 7, (w>m).
1*0;
Estraendo, nel senso aritmetico, la radice n"*" dai due membri
avremo quindi
vi «ni < j — I (w>m).
I '^ol
Ne risulta che per una serie di potenze, convergente in qualche punto
fuori dell'origine ^ = 0, nella serie dei numeri positivi
(9) |ai| , \/'i«2| , Vlosl , . . . v/janl , . . .
tutti i termini si debbono mantenere inferiori ad una quantità finita g.
Ora ripartiamo i numeri positivi < (/ in due classi A) B), ponendo nella
prima classe A) ogni numero a tale che nella serie (9), in là quanto si
vuole, vi siano sempre dei termini > a e attribuendo un numero b alla
seconda classe B) quando nella serie (9), da un certo punto in poi, tutti
i termini sono ^ b. Questa ripartizione dei numeri fra 0 e ^ in due
classi soddisfa, come subito si vede, alle condizioni fondamentali già
citate al §.3 '^^ che assicurano l'esistenza di un numero limite a che
separa le due classi, tale cioè che qualunque numero < a appartiene
alla classe A), qualunque numero > a appartiene a B). Ciò posto, il
teorema di Cauchy-Hadamard consiste nella proposizione seguente: Il
W DiKi. Fondamenti, pag. 19.
TEOREMA DI CAUCHY-HADAMARD 17
raggio R del cerchio di convergenza e jprecisamente eguale all' inversa di
questo numero a:
a
E infatti sia dapprima
, 1
\^\ < —
'a
e prendiamo s positivo e così piccolo che sia
(a+s) |^|=g<l.
Poiché il numero a+s appartiene a B), da un certo valore di n in
poi, è sempre
v/la,J ^ a+£ ,
indi
y'ianl . i^i^q,
|an|kl"<g^
dunque la serie
ha, da un certo punto in poi, i suoi termini minori di quelli della
progressione i^g", di ragione g < 1, ed è per ciò convergente.
Sia ora invece
e poniamo
1
s = a ì — ; .
I ^\
Il numero
1
a — £ = j — j
appartiene alla classe A), quindi vi sono sempre dei valori di n, tanto
grandi quanto si vuole, e tali che
V|a«l > 73
1^1
cioè
\an\ kl" > 1 ,
onde deduciamo che la serie S|a«| i^f' è in tal caso divergente.
18 CAPITOLO I. — §§. 5, 6
Da questo teorema seguono diversi corollari notevoli. In primo luogo '
questo, che il raggio del cerchio di convergenza di una serie di potenze
dipende unicamente dai moduli dei coefficienti, ciò che del resto segue
anche subito dal fatto che la serie dei moduli è convergente nell'interno,
divergente all' esterno del cerchio. In secondo luogo si vede che la serie
sarà convergente in tutto il piano quando sia a = 0, ossia quando
lim y\an\ = 0 .
E infatti se or = 0, un numero positivo s comunque piccolo appartiene
alla classe B) e perciò, da un certo valore di n in poi, si ha
Vi «ni :<£.
Viceversa, se lim \ì\an\ =0, sarà a = 0; dunque: La condizione ne-
cessarla e sufficiente percnè la serie di potenze X a„ ^" sia convergente in
tutto il piano è che si àbhia:
lim V I ^« i = 0 .
11=00
§. 6.
Funzioni elementari e- , sen ;?; , cos », log « , :^«
Esempì di serie convergenti in tutto il piano si hanno nelle serie:
y -^— = 1+^4- — — I — - — h . . .
^ T.{n) ^^1.2^1.2.3^
y ( _ iv __f =z — - I - ■
^^ ^ 7:(2?i+l) 1. 2. 3^1. 2. 3. 4. ó""'
co ^2)i ^2 «,4
^ ^ ^ T.{2n) 1.2^1.2.3.4""'
che per z reale, z-x, rappresentano rispettivamente le funzioni espo-
nenziali e circolari: e^ , sena;, cos x. Ma anche per valori complessi
di z le serie hanno un significato e rappresentano funzioni finite, continue
FUNZIONI ELEMENTAKI e', Sen S ECC. 19
e raonodrome della variabile complessa in tutto il piano, che si indicano
ancora coi simboli
co r.n
sen ^ = y ( - 1)"
0 7:(2n+l)'
00 ^in
cos^ = |(-l)"^^(2^,
e queste formolo, per ^ qualunque, servono appunto di definizione alle
funzioni stesse. In sostanza queste funzioni si riducono unicamente alla
esponenziale, mediante le celebri formolo d' Eulero :
/ e'-' = cos ^^ -f l sen^
/ e~'' = cos s — i sen ^ .
La proprietà fondamentale della funzione esponenziale è espressa
dal teorema d'addizione
che si verifica facilmente eseguendo la moltiplicazione delle due serie.
Ne segue che in e^ = e^+'> si può subito separare la parte reale ed
immaginaria colla formola
Di qui si trae che si ha e-i = e^i allora soltanto quando la diffe-
renza ^1-^2 eguaglia un multiplo intero di 2ùi, ossia:
La funzione esponenziale e^ è una funzione semplicemente periodica
col periodo fondamentale 2 zi.
Dalle formolo d' Eulero segue poi che sen z, cos z sono semplicemente
periodiche col periodo fondamentale 2-k.
In fine notiamo che il teorema d'addizione della funzione esponenziale
porta ad estendere i teoremi d'addizione delle funzioni circolari a valori
complessi dell'argomento colle formolo:
sen (^1+^2) = sen z^ cos z^ + sen z^ cos Zi
cos {zi-\-z^ = cos Zi cos Zi — sen Zi sen z^ .
20 CAPITOLO I. — §.6
Oltre le funzioni elementari precedenti, consideriamo anche le funzioni
log z , ^ ,
con a costante complessa qualunque, le quali, benché in certi campi non
siano più monodrome, sono di natura così elementare che conviene
osservarne subito le proprietà.
Per definire la funzione log z ricordiamo che (a causa delle citate
formolo d'Eulero) si può esprimere z per mezzo del suo modulo r e
dell'argomento 8 colla formola
z = ré^\
ma ricordiamo altresì che, mentre il modulo \}o^-\-y^ è perfettamente
determinato, l'argomento 0 = arctg ( — j lo è soltanto a meno di mul-
tipli di 2 TU. Prendiamo allora come definizione di log z la formola :
log ^ = log y -f ^ 6 •
Prescindendo da ciò che log z ha in ogni punto infiniti valori, dif-
ferenti per multipli di 2 ~ i, vediamo che le parti reale ed immaginaria
di log z:
«t = - log {x^\y^ , V = arctg (^]
soddisfano alle condizioni di monogeneità
du J_ dv du dv
dx dy ' 9«/ dx '
Ora osserviamo che, se in un punto del piano scegliamo per l'argo-
mento 0 uno dei suoi valori, e facciamo descrivere a z, partendo dal
pimto, una linea qualunque continua, in ogni punto del cammino sarà
fissato dalla legge di continuità il valore che dovremo prendere per 0
e in particolare, se descriveremo una linea chiusa o che non giri attorno
air origine, ritorneremo al punto di partenza col medesimo valore di 0.
Se consideriamo adunque p. e. un circolo di raggio grande quanto si
vuole, ma che non contenga nell' interno il punto z = 0, basterà fissare
il valore di log z in un punto del campo e la funzione log z sarà in
quel campo circolare finita, continua e monodroma. Così potremo dire
(§. 2) che in qualunque campo la funzione log z sarà funzione della
SERIE DI POTENZE SUL CIRCOLO DI CONVERGENZA 21
variabile complessa z e soltanto, se il campo sarà tale clie si possano
descrivervi curve chiuse avvolgenti l'origine, la funzione log s sarà
polidroma (infinitiforme) ed avrà in ogni punto infiniti valori, differenti
per multipli di 2 Tri.
Descritte così le proprietà della funzione log s, definiremo la po-
tenza ^" di z, con a costante complessa qualunque, assumendo
^ — gtt log g _
Essa sarà anche una funzione della variabile complessa z e i suoi
valori in un punto risulteranno da uno di essi, moltiplicando questo par-
ticolare valore per potenze di i^- '^ Il numero di questi valori sarà finito
solo quando a sia un numero reale frazionario; in tutti gii altri casi
infinito. La pohdromia di z", come quella di log z, dipende dal poter
girare intorno al punto (singolare) ^ = 0 ; ma le varie determinazioni di z"-
costituiscono altrettante funzioni monodrome in ogni campo, ove tali giri
attorno all'origine siano impossibili.
§. 7.
Esempì di serie di potenze considerate sulla periferia del cerchio
di convergenza.
Vediamo ora in effettivi esempì come una serie di potenze possa
offrire sulla periferia del cerchio di convergenza le circostanze più
svariate. Per cominciare da un esempio semplicissimo, consideriamo la
progressione geometrica
co 1
0 ^ ^
che ha un cerchio di convergenza di raggio = 1.
Sulla circonferenza essa non converge in alcun punto; e invero per
^ = cos 6+i sen 9, si riduce a
2 (cos w0 -|- i senw6)
e non converge perchè il modulo del termine generale, anziché convergere
a zero, è sempre = 1. Eguali circostanze offrirà la serie
22 CAPITOLO I. — §-7
quando i moduli dei coefficienti a,, non tendono a zero e si abbia
bm i r = 1 ;
,,=00 I Cln^i ^
il cerchio di convergenza della serie è di raggio = 1 e la serie non
converge in nessun punto della periferia.
Al contrario consideriamo una serie
in cui i coefficienti c„ siano quantità reali, tutte positive decrescenti
(da un certo punto in poi) e tali che
lim 7.,, =-■ 0 , lim —^ = 1 .
Sulla circonferenza del cerchio di convergenza, di raggio = 1 , la
serie convergerà dappertutto salvo eventualmente nel punto ^=1, le
condizioni imposte alle a non assicurando la convergenza della serie
la,. Proveremo la nostra osservazione dimostrando che le serie
2 ^n cos w6 , 2 c.„ sen n9
convergono ogni qualvolta 0 non è multiplo di 2-. Consideriamo p. e.
la somma
S„ = 7-1 cos 6 -f 7.2 cos 2 0 -f- • . n- a„ cos w6
dei primi n termini della prima serie. Ne deduciamo
0 / 30 ^'\ , / 50 30\ ,
2 S„ sen — = 7.1 (sen— ^^^ 2"; '^ '^"^ ■ ^^^ "^ ^^^ ~2^ ) ' ' *
/ (2w+l)0 (2w-l)0\
-I- 7., [ sen ' — ^ sen ' — J
che possiamo scrivere
6 0 , 30 , , , 50,
2 S„ sen Y = - a, sen y + sen — (ai - 7.2) -f sen — {y.2 - 7.3) + . . .
(2w-l)0 , , , (2w+l)0
4- sen ^—^ (7„_i - 7„) + a„ sen .
SERIE DI POTENZE SUL CIRCOLO DI CONVERGENZA 23
Poiché lim c.„ = 0 e la serie
(7.1 - 7.2) -f (72 - 73) + . . . -f (y-n-i - a,.) + . . . ,
che ha, ahneno da un certo punto in poi, termini tutti positivi, è una
serie convergente, convergerà pure verso un limite determinato e
finito
9
2 Sn sen — ,
quindi anche S„ , essendo sen — - :^ 0 . Considerazioni analoghe valgono
per la seconda serie 2aHsenw6;
Come esempio del caso ora considerato, adduciamo la serie logaritmica
che converge su tutta la periferia del cerchio di convergenza, salvo che
in ^=1.
In fine, essendo m un numero intero qualunque > 1, consideriamo
la serie
^ + ^^'^ + ^'"' + . . . + ^"'" H- . . . ,
che ha un cerchio di convergenza di raggio = 1. Se consideriamo un
punto della periferia ove un termine ^'"' della serie sia eguale alla
unità, anche tutti i termini seguenti saranno = 1 e la serie sarà ivi
divergente. Questi punti della periferia corrispondono ad anomalie 9
date da
6 = "^^—y- {Jv, r interi qualunque) ,
e formano sulla circonferenza un gruppo di punti dovunque condensato.
§. 8.
Rappresentazioni conformi.
Della teoria delle funzioni di variabile complessa si può dare una
interpretazione geometrica reale che importa conoscere.
24 CAPITOLO I. — §.8
Supponiamo che sia w funzione della variabile complessa ^ in un
certo campo C. Scindendo w nella sua parte reale ed immaginaria
w = u -{- iv ,
distendiamo i valori di w in un altro piano complesso ;:', ove gli assi
delle quantità reali ed immaginarie si diranno gli assi O'u, O'v. Ad
ogni punto 0 di C corrisponderà un punto tv di tz e mentre 2 percorre
tutta l'area C, io percorrerà nel suo piano un campo C a due dimen-
sioni ('"), che sarà finito se ìv è dovunque finita. Si avrà così una rappre-
sentasione dell'area piana C sull'area piana C, tale che ad ogni punto
di C corrisponderà un solo punto di C e ad ogni punto di C uno 0 piìi
punti di C, con legge di continuità. Se z descrive in C una curva ordi-
naria 7, IV descriverà in C una curva corrispondente 7' e in generale
ogni figura in C avrà in C la sua figura (immagine) corrispondente.
Ora la proprietà essenziale di una siffatta rappresentazione è data dal
teorema: Ogni angolo di una figura nel piano z eguaglia V angolo corri-
spondente della figura immagine nel piano w (salvo in punti eccezionali) '^'.
Una rappresentazione che goda della proprietà di conservare gU angoli
dicesi conforme, talché ogni funzione di variabile complessa dà luogo
ad una rappresentazione conforme. E noi dimostreremo ora, insieme al
teorema enunciato, anche il suo inverso, che cioè ogni rappresentazione
conforme di un'area piana sopra un'altra area piana si ottiene in siffatta
guisa e preciseremo inoltre se vi ha conservazione diretta 0 inversa degli
angoli.
Consideriamo dunque due piani -, iz sui quali scegliamo due rispettivi
sistemi di assi cartesiani ortogonali Ox, Oij\ O'x, O'y e fissando le
(M Che il campo C descritto dal punto {u, v) sia realmente a due dimensioni
risulta subito dalla teoria delle funzioni implicite di variabili reali, ove si osservi
che il determinante funzionale:
d (u, V)
d {x, y)
du
dx
du
dy
dv
dx
dy
du\^
©+(l)
è generalmente diverso da zero. Esso si annulla invero solo nei punti ove è
nulla la derivata v:' (z).
*^' I punti eccezionali sono, come si vedrà, quelli ove la derivata -y- è zero
o infinita.
RAPPRESENTAZIONI CONFORMI 25
pagine positive dei due piani, supponiamo le coppie di assi egualmente
orientate (^'. Consideriamo poi una rappresentazione del piano t: sul
piano -', analiticamente esprèssa dalle formolo
x' = X {x, y) , y = y {x, y) ,
le funzioni x' {x, y) , «/ {x, y) di x, y essendo supposte entro un certo
campo C ad un sol valore, finite e continue insieme alle derivate parziali
prime. Se consideriamo un punto P ^ {x, y) ed una curva y uscente
da esso, indicando con 9 l'angolo di cui deve rotare nel verso positivo
(da destra verso sinistra) la direzione positiva dell'asse delle x per as-
sumere la direzione della tangente a y in P, avremo
i differenziali essendo presi lungo la curva '^^
Al punto V^{x,y) corrisponderà in ;t' il punto Y^{x',y') e alla
curva Y una curva y', uscente da P' con una direzione corrispondente
alla formola
Ne risulta la formola
(10) tang e' = 1^^ ,
la quale mostra come ad ogni direzione uscente da P ne corrisponde,
biunivocamente, una uscente da P' ed anzi i due fasci di direzioni cor-
rispondenti sono sempre fra loro progettivi, qualunque sia la corrispon-
denza fra i due piani.
(M Fissiamo p. e. che per un osservatore collocato sulla pagina positiva e
che guardi verso la direzione positiva Occ (O'a?') la direzione positiva Oy{0'y')
giaccia alla sinistra.
(-) Quale delle due direzioni della tangente si assuma come positiva è evi-
dentemente indifferente per la formola del testo.
26 CAPITOLO I. — §.8
Ma supponiamo ora che la rappresentazione sia conforme, cioè gli
angoli siano conservati e distinguiamo due casi, secondo che anche il
senso degli angoli viene conservato, ovvero invertito. Nel primo caso, se
facciamo ruotare la direzione uscente da P in un certo senso, p. e. nel
senso positivo, di altrettanto dovrà ruotare e nel medesimo verso la
direzione corrispondente per P', cioè la differenza 6' — 0 dovrà rimanere
costante al variare di 6. Nel secondo caso invece rimarrà costante la
somma B' + 0. Avremo quindi
e' = + 64-«,
il doppio segno corrispondendo ai due casi ed a essendo costante al
variare di 8 ma, in generale, funzione di x, y.
Ponendo
tg 7. = m ,
ne deduciamo
^ 1 + w tg e
e, paragonando colla (IO), ne deduciamo
'ècd 9/
"ex ~ dy
(11)
dx' _ dy
dy dx
Viceversa, se le condizioni (1 1) sono soddisfatte, vediamo subito che
sarà 0'-G o 6' +9 costante e la rappresentazione sarà conforme diretta
0 conforme inversa. Nel primo caso le (11) mostrano che x'+iy deve
essere funzione della variabile complessa x+iy, nel secondo invece della
coniugata x-iy. Per altro qui è supposto implicitamente che non siano
simultaneamente zero le derivate parziali di x, y, cioè che non sia nulla
. , . , d^'
la derivata -v- .
Dunque : La più generale rappresentazione conforme diretta o inversa
di un piano sopra un altro si ottiene ponendo la variàbile complessa dell' un
piano eguale ad una funzione della variàbile complessa délV altro, o della
coniugata. Punti eccezionali della rappresentazione sotto quelli, ove la de-
rivata è nidla (o infinita).
RAPPRESENTAZIONI CONFORMI
27
Spesso si dice di una rappresentazione conforme che essa conserva
la similitudine delle parti infinitesime, ciò che è una conseguenza geo-
metrica della conservazione degli angoli. Analiticamente constatiamo il
fatto osservando che se ds è l'elemento d'arco di una curva y, ds' quello
corrispondente della curva 7', abbiamo
ds^ = dx^ -\- dìf ,
as"= ,."+ ir= (^' '^ + 1 ''2')^ + (I *« + 1 *)' .
indi per le (11)
ds-' =
ds'
Se valgono nelle (11) i segni superiori, abbiamo dunque
ds'
d^
ds
dz
Ciò dimostra che tutti gli elementi lineari spiccati da un punto P
subiscono nella rappresentazione il medesimo allungamento, la cui gran-
dezza è misurata dal modulo della derivata.
§. 9.
Esempì diversi.
a) Consideriamo la rappresentazione conforme stabilita fra i due
piani complessi r, ::', assumendo
2 = s" ,
dd
ove n è un numero intero positivo. Qui abbiamo -=- = nz" ^ e per ciò
(xz
la rappresentazione riuscirà conforme in tutti i punti, salvo che in ^ = 0.
E se introduciamo coordinate polari ponendo
avremo le formole di rappresentazione
f = P'
= wo .
28 CAPITOLO I. — §.9
Queste dimostrano che neir intorno dell' origine ^ = 0 gli angoli non
sono conservati nella rappresentazione, ma invece w-uplicati. Così p. e.
se consideriamo nel piano z il settore OAB del circolo di raggio = 1
racchiuso dalle rette 9 := 0 , 9 = — , la figura immagine in / sarà un
n
semicerchio pure di raggio = 1, ai due raggi estremi OA, OB corrispon-
dendo i raggi per diritto O'A', O'B'.
h) Se prendiamo
, z-ì
^ = r ,
vediamo che per z reale il modulo di / è = 1 e, percorrendo z tutto
l'asse reale da - co a + co , / percorre la circonferenza
x" + y ' = 1
in verso positivo cominciando da / = 1 e ritornandovi. Ai punti del
semipiano positivo z (del semipiano in cui y>0), corrispondono biu-
nivocamente i punti interni al detto cerchio. La formola precedente
fornisce quindi la rappresentazione conforme del semipiano sul cerchio.
Non vi ha alcun punto eccezionale perchè l'unico punto z= -i, ove
diventano infinite / e ^- , non appartiene al semipiano positivo.
e) Consideriamo la funzione
2=z'— 1 = (^-1) (^+1).
Poiché i moduli di ^ - 1, ^+1 sono rispettivamente le distanze di z dai
punti +1,-1, alla circonferenza di centro /=0 e di raggio =1 corrisponderà
una lemniscata di BemouUi coi fuochi in ^=1, ^=-1 e più in generale ad
ogni circonferenza concentrica in 0 corrisponderà in s una cassinoide coi
fuochi nei detti pmiti. L'interno della foglia a destra della lemniscata
verrà rappresentato nell'interno del detto cerchio, al fuoco della lemni-
scata corrispondendo il centro del cerchio e la rappresentazione sarà
dappertutto biunivoca e conforme tranne al nodo z = 0 della lemniscata
d^
ove -7- = 0 (^). Notiamo che alle circonferenze di centro 0' corrispon-
dendendo cassinoidi confocali, alle rette uscenti da 0' corrisponderanno
(*) Ivi in effetto l'angolo piatto alla circonferenza viene trasformato in un
angolo metà.
ESEIWPÌ DI RAPPRESENTAZIONI CONFORMI 29
curve che taglieranno ad angolo retto tutte le cassinoidi. Scrivendo che
lungo queste curve l'argomento di / è costante, troviamo subito che esse
hanno per equazione
x^ — if — \ —- iTixy = () (h parametro) ;
esse sono dunque iperbole equilatere col centro in ^ = 0e passanti pei
due punti fissi x=-\-\,x= -1 sull'asse delle x ^'^K
d) Prendiamo la funzione
Z = COS ^ ,
cioè
x'-\- iy = cos {x-\-i y) = cos x cosh y — isenx senh y ,
da cui
x' = cos X cosh y , y' = - sen x senh y ,
e però
cosh^^ senh'^y
x'' y" ^^
cos^ X sen" x
Vediamo quindi che alle rette y = costante corrispondono le ellissi coi
fuochi in rr' = 4: 1 ^ = 0 e alle rette x = costante ' le iperbole confocali.
Segue di qui che ellissi ed iperbole confocali formano un doppio sistema
ortogonale (isotermo).
e) Consideriamo ancora il seguente esempio di Schwarz. La funzione
z ■= tang^ (l" ^^)
fornisce la rappresentazione conforme della parte del piano z, interna
alla parabola col fuoco in ^ = 0 e col vertice in ^=1, sul cerchio del
piano z col centro nell'origine e di raggio unitario.
(*) Evidentemente si può anche dire che si ha un fascio di coniche i cui
punti base, oltre i due ora detti, sono i punti immaginarii
30 CAPITOLO I. — §.9
E invero l'equazione polare della detta parabola è
1
r^ = — -
cos^-
talché, quando z percorre la sua periferia, si ha \j s =\ -^ i tang —
e pero
, ^ ,/. .. ex (l+itangh(|tg|)
. = tang^ f - + ^ - tang ^J = - ^
^1— *tanghf — tang—
quindi |/| = 1. Ai punti interni alla parabola corrispondono i punti
interni al circolo (biunivocamente) ; al fuoco della parabola corrisponde
il centro del circolo. Similmente si vedrà che la parte esterna alla detta
parabola è rappresentata sul circolo stesso dalla formola
dove è da notarsi che, il punto ^ = 0 essendo esterno all'area ora con-
siderata, la funzione del secondo membro è, nell'area, monodroma.
f) In fine, per addurre un semplicissimo esempio di rappresenta-
zione conforme inversa, assumiamo
1 1
z
Zo x-ty
onde
Queste sono le formolo d' inversione per raggi vettori reciproci rispetto
al cerchio
31
Capitolo IL '^'
Sostituzioni lineari. — Gruppi discontinui di sostituzioni lineari e loro rappre-
sentazione geometrica.
§. 10.
Sostituzioni lineari come rappresentanti affinità circolari.
Consideriamo la rappresentazione biunivoca conforme che si stabilisce
fra due piani, ponendo la variabile complessa / dell' un piano eguale
ad una funzione lineare della variabile complessa z dell'altro:
(1) ^ = "-4I .
dove a, [3, V, <5 sono costanti complesse qualunque, tali soltanto che il
determinante ao-(BY non si annulli, condizione necessaria perchè il
secondo membro della (1) dipenda effettivamente da z.
Moltiplicando simultaneamente i coefficienti a, [3, y, 8 per un fattore Iz,
ciò che non altera la sostituzione lineare (1), potremo dare al determi-
nante aS-PY) 0 modulo della sostituzione, il valore che più ci piace e
noi fisseremo di assumere
(2) a5 — Py = 1
e chiameremo unimodulari le sostituzioni (1), per le quali questa con-
dizione è verificata. I coefficienti 7., [3, y, 5 di una data sostituzione uni-
modulare saranno così perfettamente fissati, a meno di un cangiamento
simultaneo di segno.
La rappresentazione conforme fra i due piani z, z stabilita dalla (1)
gode della seguente importante proprietà: Essa trasforma i circoli (o
rette) del piano z in circoli (o rette) del piano z. Come trasformazione
biunivoca dei due piani essa coincide con quella speciale corrispondenza
quadratica che da Mòbius prende il nome di affinità circolare (diretta).
Per dimostrare l'enunciata proprietà osserviamo che, indicando con Uo,
come faremo costantemente in seguito, la quantità coniugata di una
(*) Il presente capitolo viene qui inserito in vista delle applicazioni che
delle teorie in esso esposte dovremo fare nella seconda parte del corso, e della
importanza fondamentale delle teorie stesse nel campo più vasto delle funzioni
automorfe.
32 CAPITOLO II. — §. 10
quantità complessa qualsiasi U, l'equazione di ogni circolo (o retta) del
piano si potrà scrivere
A^^o + B^ + Bo-s'o-f C = 0,
ove i coefficienti A, C sono reali e B, Bo sono complessi coniugati. È
chiaro che per A = 0 avremo una retta, per A 4^ 0 un circolo ed il circolo
sarà reale se
BBo— AC>0,
immaginario se
'BBo-AC<0,
mentre si ridurrà alla coppia di rette cicliche uscenti dal centro quando sia
BBo— AC = 0.
Ora, poiché z si esprime lineannente per ^ colla sostituzione (inversa)
Z — T-T- ,
-Y^ +a
basterà evidentemente al nostro oggetto dimostrare che, quando / descrive
un circolo (o retta), anche s descrive un circolo (o retta).
Ad un circolo del piano / di equazione
A zz\ + B / -f Bo /o -f C = 0
corrisponderà nel piano z la linea di equazione:
A (a^ f ^) (ao^o+,%) + B (a^+p) (Yo^o+^o) + Bo ('^-o^o+Po) (Y'^+5) +
H- c (Y^+a) (yo^o+So) = 0 ,
che possiamo scrivere
(3) A'^^o + B'^ + B'o^o -f C = 0 ,
dove si ponga
A' = A a «0 -f B o. Yo + Bo Vo y -V C y Yo
B' =Aa,So + B aoo + BoPoY+CYSo
B'o= A c/o? + Bo ao5 ^- B ,3 Yo + C Yo §
C = A p Po + B p oo + Bo ?o 5 + C 56o.
Poiché con queste formolo A', C risultano reali e B', B'o complessi
coniugati, ne segue appunto che la linea (3) è un circolo. Osserviamo
AFFINITÀ CIRCOLARI 33
ancora che, essendo A', B', B'o,C' composti linearmente ed omogenea-
mente con A, B, Bo,C: ad ogni sistema lineare di circoli del piano z
corrisponderà nel piano z un sistema lineare di circoli di eguale dimen-
sione, cioè ad un fascio un fascio, ad una rete una rete.
Insieme alle rappresentazioni conformi dirette date dalla (1), ci oc-
correrà anche considerare quelle inverse, date dalla formola
(1*) / = ^^^ .
Anche in questa rappresentazione i circoli si trasformano in circoli
e gli angoli si conservano ; ma il senso degli angoli viene invertito. La
corrispondenza fra i due piani è un'affinità circolare inversa di Mòbius.
Distingueremo le sostituzioni lineari corrispondenti (1), (1*), dicendo che
le (1) sono di prima specie, le (1*) di seconda specie.
Notiamo che, con una conveniente sostituzione lineare di prima specie,
si possono portare tre punti arbitrarli
del piano z rispettivamente in tre punti arbitrarli
Zi, Zi, * 3
del piano / e la corrispondente sostituzione è perfettamente determinata
dalla formola:
^ ^^ Z \ (2^3 ^2 ^ ** 1 ^3 "~ ^2
Z — Z % Z ^ Z \ Z Z^ Z-^ Z\
Ma se si vuole che un quarto punto Zt venga trasportato in un quarto
punto ^i , sarà per ciò necessario e sufficiente che risultino eguali i due
rapporti anarmonici
{z\ z\ z\ ^4) , {Zi Zi ^3 ^4) .
Di qui risulta: Condizione necessaria e sufficiente affinchè i quattro
punti Zi,z<i, Z'i, Zi stiano sopra un circolo, è che il rapporto anarmonico
(zi z<i z-i Z4) sia reale.
E infatti se Zi,Z2,Z3,Z4 sono sopra un circolo, potremo con una so-
stituzione lineare trasportarli in quattro punti z\, z\, z\, z ^ dell'asse
reale sul piano z , onde
{Zx Zi Zi Z4) = (z\ Z\ Z\ Z4)
è reale. L'inversa risulta pure evidente.
34 CAPITOLO II. — §.11
§. 11.
Composizione delle sostituzioni.
Se eseguiamo successivamente due sostituzioni lineari di prima specie
_ g^ + P „ _ g^ + r
il risultato è una nuova sostituzione lineare:
(4) /' =
(aY'+YÒ')^+(,37'+oò') *
Spesso indicheremo la sostituzione lineare (1) scrivendo i coefficienti
nel quadro
ri 'J
T
la denominazione data alle variabili essendo naturalmente indifferente.
La sostituzione (4), che risulta dalle due successive
g,13\ /a',p'\
dicesi la sostituzione comimsta o il prodotto delle due, nelF ordine asse-
gnato, e si scrive simbolicamente
(5)
ponendo a sinistra la sostituzione eseguita prima '^'. La designazione
dell'ordine è evidentemente necessaria perchè, invertendo l'ordine delle
sostituzioni componenti, cambia (in generale) la sostituzione composta.
a
Y
oJ
X(
fa!
/aa'+Yi^'
Uy'+yS'
Pg'+S(5'\
pY'+òev'
(*) Si osservi che la legge (5) di composizione di due sostituzioni è quella
stessa della moltiplicazione dei determinanti
e precisamente,
Y ò I ' I Y* S*
nella notazione adottata, il 1." e 2." coefficiente della sostituzione composta si
ottengono moltiplicando successivamente le due colonne di / ' '^ ) per la
', ' ^, J , ed il 3.0 e 4.» moltiplicando le colonne della prima per
la seconda linea della seconda.
COMPOSIZIONE DELLE SOSTITUZIONI 35
Talora indicheremo anche, simbolicamente, una sostituzione lineare
con una sola lettera e così, denotando con Si, Sa le due successive so-
stituzioni componenti, con S3 la composta, scriveremo
Si 02 = 03.
Definito il prodotto di due costituzioni, riesce altresì definito il
prodotto di tre 0 più sostituzioni
Oi O2 . . . Sn ,
intendendo con ciò la sostituzione che nasce componendo prima Si con S2,
poi la sostituzione composta con S3 e così via fino ad Sn (^). È impor-
tante osservare che, mentre in un prodotto di sostituzioni non è lecito
invertire l'ordine dei fattori, non vale cioè la legge commutativa, vale
però la legge associativa. Per vederlo basta dimostrarlo pel caso ele-
mentare di tre fattori, cioè provare che si ha:
(Si S2) S3 = Si (S2 S3) ,
ciò che si può constatare direttamente colla forinola (5) di composizione
0 dedurre anche a priori dal significato della composizione '^'.
Se in un prodotto di w sostituzioni i singoli fattori sono tutti eguali
fra loro e ad una medesima sostituzione S, il prodotto stesso si dice
la potenza w'"" di S e si indica con S". A causa della legge associativa,
vale evidentemente la formola
(6) S'". S"= S"'+",
essendo m, n numeri interi positivi.
Insieme ad una sostituzione
(*' Dovremmo scrivere propriamente
(..((SiS,).S3)...)S„ .
(') La Si porti z in z', la Sg z' in s", la S3 z" in s'". La sostituzione Si S^
porta 2 in s" e la Sg Sg porta 2' in s'", quindi ambedue le sostituzioni (Si Sj) S3 ,
Si (S2 S3) portano z in 2"' e sono identiche.
36 CAPITOLO IL — §.11
si può considerare la sua inversa
che composta con S produce la sostituzione identica (
Vy, oJ V-7 , a.) VO, iJ
Questa sostituzione inversa si indica con
sicché, indicando col simbolo 1 la sostituzione identica, si ha SS~^ = 1;
la sua introduzione ci permette di definire le potenze di S con esponente
negativo, convenendo che sia
Dopo ciò si vedrà subito che la formola (6) vale per esponenti interi
qualunque, positivi o negativi.
E perchè la medesima formola (6) valga senza eccezione, converremo
di considerare anche la potenza S^ di S con esponente zero, ponendo S° = 1.
Essendo S, T due qualunque sostituzioni, la sostituzione
dicesi la trasformata della S per mezzo della T e si ha inversamente
S = TSiT-^ = (T->)-'SiT-S
talché S é la trasformata della Si per mezzo della T~'. Due tali sosti-
tuzioni S, Si si diranno simili. È importante osservare il teorema: In
due sostituzioni simili la somma a+o del 1.^ e 4." coefficiente è la stessa.
Il calcolo effettivo dimostra subito la proprietà enunciata, che potremo
anche esprimere sotto altra forma dicendo: La somma J = a+S non cangia
trasformando comunque la sostituzione. Per ciò diremo j = a+o V invariante
della sostituzione. Si osservi che l' invariante j di una sostituzione
lineare é determinato soltanto a meno di un cambiamento di segno.
Può darsi che una sostituzione lineare S, ripetuta un numero suffi-
ciente n di volte, riproduca l'identità, in simboli
S" = 1 ;
CLASSIFICAZIONE DELLE SOSTITUZIONI DI 1/ SPECIE 37
allora la sostituzione si dice periodica ed il più piccolo esponente po-
sitivo n pel quale S" = 1 dicesi il suo lìeriodo '^L
Ma può anche accadere che nella serie indefinita (nei due sensi)
delle potenze di S
S— 3 C— 2 Q— 1 1 CI C2 Q3
,o ,0 ,1, 0,0,0...
i termini non si riproducano mai e allora la sostituzione si dirà ape-
riodica. Due sostituzioni simili sono sempre insieme aperiodiche o perio-
diche ed, in quest'ultimo caso, hanno il medesimo periodo (^'.
§. 12.
Classificazione delle sostituzioni di 1/^ specie.
Interpreteremo d'ora innanzi Li variabile ^ e la sua trasformata
lineare / nel medesimo piano complesso. Per ogni sostituzione hneare (1)
vi sono allora due punti, distinti o coincidenti, che rimangono fissi, quelli
che corrispondono alle radici della equazione
(7) Y^+('^-a)^-P = 0.
Osserviamo che se la sostituzione S lascia fissi i punti A, B e la T
trasporta A, B rispettivamente in A', B', la trasformata T^^ ST avrà per
punti fissi A', B'.
Il discriminante della (7) essendo
{y. - of + 4 Pv = (a + 5y^ — 4 (7.5 - |3v) = (a + o)^ — 4 ,
i due punti fissi coincideranno quando
af o—±2.
(') Si vedrà subito che in tal caso, essendo e, p due numeri interi qualunque,
sarà
s^^ = sP ,
quando e solo quando (x=^ (mod ?i).
(2) Ciò risulta facilmente dall' osservare che
(T-i S T) (T-i U T) = T-i (S U) T ,
quindi
(X-iST)" = T-iS»T,
38 CAPITOLO II. — §.12
In tal caso la sostituzione dicesi parabolica.
Ad ogni sostituzione parabolica possiamo sostituirne una simile che
lasci fisso il punto ^ = qo ; questa avrà necessariamente la forma
e rappresenterà nel piano complesso una traslazione. Una sostituzione
parabolica è quindi necessariamente aperiodica.
Supponiamo ora che la sostituzione S lasci fissi due punti distinti.
Potremo sostituirvi una trasformata che lasci fissi i due punti ^ = 0,
^=00, che avrà quindi la forma:
s =^ -^ s , ao = 1
0
e che scriveremo semplicemente
Per l'invariante j = o.-\-ò avremo
h f 1
J
\'Jc
Ora distinguiamo tre casi:
1." k reale positivo; la sostituzione in tal caso si dice iperholica
e r invariante j e reale ed in valore assoluto ^-> 2.
2.° ìi immaginario di modulo = 1,
' ■^ 2
La sostituzione si dice ellittica e T invariante j è reale ed in valore
assoluto < 2.
3.° h immaginario, ovvero reale e negativo.
Allora r invariante j è immaginario e la sostituzione si dice losso-
dromica.
(^) Propriamente otteniamo dapprima
ma siccome a 5 = 1 e inoltre (§.11) « + ^ = + 2, ne risulta a=ò = +l.
CLASSIFICAZIONE DELLE SOSTITUZIONI DI 1.* SPECIE 39
Una sostituzione normale iperbolica
z = hz {k reale positivo)
è un'omotetia diretta del piano. Per essa tutte le rette uscenti dalla
origine restano fisse.
Una sostituzione normale ellittica
s = e^ '-? z
è una rotazione del piano complesso attorno all'origine, d'ampiezza t . Per
essa rimangono fissi tutti i circoli col centro nell'origine '^L
In fine una sostituzione lossodromica è una combinazione di una
ellittica e di una iperbolica coi medesimi punti fissi.
Riepilogando, abbiamo il risultato :
La specie di una sostituzione
dipende dall'invariante j = a +5. Se questo è reale, la sostituzione è ellittica,
parabolica od iperbolica secondo che \j\ =2. Quando l'invariante j è
immaginario, la sostituzione è lossodromica.
È chiaro che fra le sostituzioni lineari solo quelle ellittiche possono
essere periodiche ; ciò avviene quando l' ampiezza 9 (che dipende uni-
camente dall'invariante j) è in rapporto commensurabile con 2 ti.
§. 13.
Sostituzioni di 2.=' specie. — Riflessioni.
Una sostituzione S di 2.* specie
W In generale in una sostituzione iperbolica qualunque rimangono fissi
tutti i circoli di un fascio con due punti base reali; in una ellittica quelli di
un fascio coi punti base immaginarii.
40 CAPITOLO II. — §. 13
dà luogo, ripetuta, alla sostituzione di 1.* specie
(8) S^ =
^ ^ Vyc-o+SYo, yPo+55o
che può anche ridursi all'identità. Consideriamo dapprima il caso ge-
nerale, in cui S^ non è l'identità. Poiché il suo invariante
j = aa^ + Pyo + % Y + ^ 5o
è reale, essa non può essere lossodromica, ma è necessariamente ellittica,
parabolica od iperbolica. Ricerchiamo quali punti fissi può avere la S.
Essi debbono pure rimanere fissi per S^ e saranno quindi al massimo
due, quelli della SI D'altra parte se z^, z^ sono i due punti fissi di S^
la S dovrà o lasciarli singolarmente invariati, o permutarli fra loro (^'.
Dunque intanto, se la S^ è parabolica, anche la S avrà un unico punto
fisso. Nel caso ellittico od iperbolico, prendendo per punti fissi di S^ : ^ = 0 ,
^ = co , diamo ad S la forma
z = kZ(^ , 0 ^ = — ,
secondo che la nostra sostituzione lascia fissi singolarmente i due punti
0, co , ovvero li scambia fra loro. La S"^ sarà rispettivamente nei due casi
Z =z JcJco Z , 0 z = ^ z ,
quindi iperbolica nel primo, ellittica nel secondo caso. Dopo di ciò, pos-
siamo classificare le sostituzioni S di 2.* specie, che non sono a periodo 2,
come paraboliche, iperboliche od ellittiche, secondo la specie di S^ Le
sostituzioni di 2.* specie ellittiche non hanno alcun punto fisso, quelle
paraboliche uno, le iperboliche due.
Veniamo ora al caso particolarmente interessante che la S sia a pe-
riodo 2. Osservando i coefficienti di S^ nella (8), vediamo che, essendo = 1
(') Invero se Zj per S va in s/j, ciò che indichiamo simbolicamente con
avremo
S2 {z\) = S3 (Z,) = S (S2 (z,)) = S (z,) = 2-1 ,
cioè 2*1 sarà anche uu punto fisso di S- e però coinciderà o con z^ o con z^.
RIFLESSIONI 41
il determinante della S^ dovranno aver luogo o le formole
0 le altre
yao + Syo = 0 , yPo + S5o = - 1 .
Poiché ao-i3Y=l, ciò equivale a dire che nel primo caso sarà
«0 = 5, Yo = - Y , Po = - P , So = a
e nel secondo
«0 = - 5 , Yo = Y , Po = P , Oo = - a .
Ponendo in evidenza le parti reali ed immaginarie dei coefficienti,
avremo quindi nel 1.° caso
indicando ai,a2,Pi,Yi quantità reali, e nel 2.^ caso
■ y = ('■' + ";>^'+^; , con .;+.?+P. v. = - 1 •
Domandiamo ora se qualche punto del piano rimane fisso per la
nostra sostituzione. Ponendo / = z, vediamo che nel caso attuale restano
fissi tutti i punti di un circolo, che ha rispettivamente per equazione
(10) Yi (■«^+y') — 2a2.'r+ 2ai?/— ,3i = 0 , nel caso (9)
e invece
(10*) YiC^+^z") — 2^1^; — 2 7-2^ — (3, = 0, nel caso (9*).
Il primo circolo è reale a causa di
af + 7j + PiTi=l,
e la sostituzione è un'inversione per raggi vettori reciproci rispetto a
questo cerchio; si dirà brevemente una riflessione su questo circolo. Nel
secondo caso il circolo di riflessione (10*) è immaginario e la sostituzione
42 CAPITOLO II. — §§. 13, 14
si dirà una riflessione impropria. È facile vedere che una riflessione
impropria si può comporre con una riflessione propria ed una rotazione
di Ti attorno al centro del circolo di riflessione '^'.
§. 14.
Gruppi discontinui di sostituzioni lineari.
Le sostituzioni lineari sopra una variabile essendo operazioni suscet-
tibili di composizione e valendo la legge associativa (§. 11), possiamo
applicare ai sistemi di sostituzioni lineari i concetti generali della teoria
dei gruppi di operazioni. Così diremo che : un sistema di un numero finito
od infinito di sostituzioni lineari forma un gruppo, quando componendo
fra loro due qualunque sostituzioni, differenti od eguali, del sistema, la
sostituzione composta appartiene pure al sistema.
In particolare quindi un gruppo, insieme ad ogni sua sostituzione S,
ne conterrà anche tutte le potenze con esponente intero e positivo. Se
il gruppo è finito '^', vi figureranno altresì le potenze con esponente
negativo e l'identità, ciò che, stando alla data definizione, non accadrà
sempre necessariamente nel caso di un gruppo infinito. In questo caso
però noi aggiungeremo esplicitamente la condizione che il gruppo contenga
insieme ad ogni sostituzione S anche la sua inversa S~^ e però tutte le
potenze positive e negative di S, e V identità.
Una prima divisione dei gruppi di sostituzioni lineari in due classi
si fa distinguendo i gruppi continui dai gruppi discontinui. Il gruppo
dicesi continuo (gruppo di Lie) se nei coefficienti 7., p, y, 5 entrano pa-
rametri suscettibili di prendere una serie continua di valori, discontinuo
invece quando i coefficienti variano solo per valori discreti.
(*) Ad ogni riflessione si può sostituire una riflessione simile che scambi
fra loro i punti 0, x ; questa ha allora la forma normale
con fc reale. Essa è propria od impropria, secondo che k è positivo o negativo.
Ne risulta subito dimostrata l'asserzione del testo.
(2' Si sa che i gruppi finiti di sostituzioni lineari sopra una variabile sono
tutti noti e si riducono a cinque tipi distinti, che portano il nome di gruppi
dei poliedri regolari, della piramide e della doppia piramide regolare, (Cf. Klein,
Ikosatàder).
GRUPPI DI SOSTITUZIONI LINEARI 43
Un'altra importante distinzione è da farsi nei gruppi discontinui, in
quanto conskleriamo Veffetto delie loro operasioni sui punti del piano com-
plesso. Applicando ad un punto Zi del piano le sostituzioni di un gruppo
discontinuo G, si otterrà una serie infinita di punti, che diciamo equi-
valenti rispetto al gruppo. Ora si dirà che il gruppo G è propriamente
discontinuo nelF intorno di un punto P del piano complesso, quando un
intorno sufficientemente piccolo di P non contenga alcuna coppia di punti
equivalenti rispetto a G; in caso contrario diremo che G è impropria-
mente discontinuo nell'intorno di P. Più brevemente diremo anche che
nel primo caso G è propriamente discontinuo, nel secondo impropria-
mente discontinuo nel imnto P. Si vede subito che se un gruppo è
propriamente discontinuo in un punto P, esso è altresì propriamente
discontinuo in tutti i punti di un intorno sufficientemente piccolo di P,
onde segue che per un tale gruppo l'insieme dei punti, nell'intorno
dei quali il gruppo opera in modo propriamente discontinuo, costituisce
un campo a due dimensioni.
I gruppi che dovunque, nel piano complesso, sono impropriamente
discontinui non hanno per lo scopo nostro (per la teoria delle funzioni)
importanza alcuna. Ora vi è un caso in cui dalla natura stessa delle
sostituzioni del gruppo si conclude immediatamente che il gruppo è
dovunque impropriamente discontinuo; ciò accade quando nel gruppo
si presentano sostituzioni infinitesimali, cioè sostituzioni vicine quanto
si vuole alla identità. Precisiamo questo concetto dicendo: Un gruppo G
di sostituzioni lineari ' j contiene sostituzioni infinitesimali quando,
preso un numero s reale, positivo e piccolo a piacere, esistono sempre nel
gruppo sostituzioni, diverse dall'identità, per le quali si ha
IPI <e Iti <s |a-S| < e (^).
Che il gruppo sia allora impropriamente discontinuo risulta dalle
considerazioni seguenti. Suppongasi al contrario che si possa trovare ad
esempio un'area circolare di raggio R, priva di coppie di punti equi-
W Se le sostituzioni si riducono unimodulari, si potrà anche dire che i
moduli di
p , T , «±1 , 5+1
debbono essere inferiori ad s.
44 •CAPITOLO II. — §.14
valenti. Variando 2 comunque in quest'area, potremo sempre scegliere
a.
Y
nel gruppo una tale sostituzione (non identica) ( ^ ] , per la quale
si abbia
T^ + 5
^ 2
e allora ogni punto che disti dal centro meno di -^ e non coincida con
uno dei due punti fissi di ( ' ^ ) avrà almeno un punto equivalente
entro l'area circolare, contro l'ipotesi.
Così adunque : Un gruppo discontinuo, contenente sostituzioni infinite-
simali, è sempre impropriamente discontinuo in ogni regione del piano.
Come primo esempio consideriamo una sostituzione ellittica aperiodica,
che possiamo ridurre alla forma normale •
z z= e ' s ,
dove 'f sarà incommensurabile con ;:. Le potenze di S formano un
gruppo con sostituzioni infinitesimali e per ciò dovunque impropriamente
discontinuo. Ne deduciamo come corollario: Ciascuna sostituzione ellittica
di un gruppo propriamente discontinuo deve avere un periodo finito.
La discontinuità propria di un gruppo è incompatibile, come si è
visto, coll'esistenza di sostituzioni infinitesimali. Ma diciamo subito che
sarebbe, in generale, erroneo il concludere dall'assenza di sostituzioni
infinitesimali nel gruppo alla sua discontinuità propria; l'esempio che
studieremo alla fine del presente capitolo lo dimostrerà chiaramente.
Vi ha però un caso molto importante, nel quale tale conclusione è
legittima, ed è quando le sostituzioni del gruppo sono tutte a coefficienti
reali, 0 tali si possono ridurre con una conveniente trasformazione,
quando cioè vi ha un circolo del piano complesso che da tutte le sosti-
tuzioni del gruppo è trasformato in sé medesimo (Hauptkreisgruppen).
Sussiste infatti il teorema, dovuto a Poincaré (^), che noi qui ci limitiamo
a citare:
Un gruppo di sostituzioni lineari a coefficienti reali, e privo di sostitu-
zioni infinitesimali, è sempre impropriamente discontinuo nel piano complesso.
(*' Ada Math., Bd. 3. — Vedi anche Fricke. Automorphe FuncUonen, Bd. I,
pag. 99.
SOTTOGRUPPI 45
§. 15.
Sottogruppi.
Prima di procedere allo studio di alcuni gruppi particolari, facciamo
ancora qualche osservazione d'indole generale. I concetti e la termino-
logia dei gruppi finiti di operazioni si trasportano senz'altro nella teoria
dei gruppi discontinui infiniti.
Un gruppo r di sostituzioni lineari si dirà un sottogruppo di un
gruppo G, se tutte le sostituzioni di F appartengono a G, Si dirà poi
che r è invariante in G quando qualunque sostituzione di F, trasformata
con una sostituzione arbitraria di G, dà una sostituzione di F stesso,
quando cioè F è permutabile con qualunque sostituzione di G.
Se G è un gruppo e F un suo sottogruppo, si potranno distribuire
le sostituzioni di G rispetto a F in un quadro:
Yi > Y2 j "(3
9'(i , Oli > 9I2
g'^h , 912 , gii
che contiene una ed una sola volta tutte le sostituzioni di G, ponendo
nella prima orizzontale tutte le sostituzioni (in numero infinito) di F,
nella seconda quelle di F moltiplicate da una medesima parte (p. e. a
sinistra) per una sostituzione (/ di G fuori di F, nella terza ancora le
sostituzioni di F moltiplicate, sempre dalla medesima parte, per una
sostituzione g di G presa fuori delle due prime orizzontali e così pro-
seguendo finché esistano sempre nuove sostituzioni di G. Due casi po-
tranno darsi: 0 il numero delle orizzontali è finito e questo numero
prende allora il nome di indice del sottogruppo F in G ; ovvero il numero
delle orizzontali è infinito e in tal caso diciamo che F è sottogruppo
d'indice infinito in G. Così p. e. se S è una sostituzione lineare aperiodica,
nel gruppo (ciclico) G generato dalle potenze di S formano un sotto-
gruppo F d'indice finito le potenze di S^, essendo p un numero intero
positivo; in tal caso, siccome l'esponente m di ogni potenza S'" di S si
può porre sotto la forma
m = hp -\- r ,
46 CAPITOLO II. — §§. 15, 16
dove r è uno dei numeri 0, 1, 2 . . .^) - 1 e ^' è un intero positivo o
negativo, il quadro consterà di 2) orizzontali e l'indice di T in G sarà
finito =p.
Fino ad ora abbiamo supposto di considerare gruppi contenenti soltanto
sostituzioni di prima specie. Ma possiamo egualmente considerare gruppi G,
contenenti sostituzioni di ambedue le specie. In tal caso si vede subito
che: le sostituzioni di irrima specie di G costituiscono un sottogruppo F
invariante in G e di indice finito = 2. Ciò risulta dall'osservare che, se g
è una sostituzione fissa di seconda specie in Gè/ un'altra tale sosti-
tuzione qualunque in G, la g"^ g è di prima specie ed è quindi una
sostituzione y di F, onde
ciò che dimostra essere =2 1' indice di F in G. Poiché inoltre, trasfor-
mando con una sostituzione di prima o seconda specie una di prima
specie, la trasformata appartiene sempre alla prima specie, vediamo che F
è invariante in G.
§. 16.
Gruppi ciclici e loro campo fondamentale.
Veniamo ora a studiare alcuni gruppi particolari di natura molto
semplice, che ci daranno una facile illustrazione delle considerazioni
generali esposte al §. 14 e ci serviranno inoltre a fissare l'importante
nozione del campo fondamentale di un gruppo propriamente discontinuo.
Cominciamo dai gruppi ciclici, dai gruppi cioè che sono generati dalle
potenze di un'unica sostituzione S. Siccome però escludiamo dalle nostre
considerazioni i gruppi contenenti sostituzioni infinitesimali (poiché allora
sappiamo già che il gruppo è dovunque impropriamente discontinuo), così
supporremo che, se la sostituzione S è ellittica, essa abbia periodo finito.
Consideriamo allora i varii casi che possono presentarsi:
a) La sostituzione S è ellittica di periodo finito n; allora il gruppo
generato dalle potenze di S è un gruppo finito e, riducendo S alla forma
normale, potremo assumere per S l'espressione analitica
/ -- a ^ ,
dove e è una radice primitiva w'"" della unità. Sostituendo ad S una
GRUPPI CICLICI 47
sua potenza, potremo supporre
= e
e la S rappresenterà nel piano complesso una rotazione d'ampli-
tudine — attorno all'origino. Si consideri ora nel piano complesso il
n
settore infinito limitato da due raggi che escono da 0 e formano fra
loro l'angolo — ^ . Applicando a tutta l'area settoriale le sostituzioni
n
del gruppo, veniamo evidentemente a dividere il piano in n tali settori
congruenti, che ricoprono una ed una sola volta il piano complesso. Uno
qualunque di questi settori gode della proprietà che un punto qualunque
del piano è equivalente ad un punto dell'area settoriale, ed in generale
ad uno solo. Soltanto quando questo punto cade sul contorno, esso ne
ha un secondo equivalente sull'altro lato del contorno, ad eguale distanza
dall'origine. Per queste proprietà si dice che il settore considerato è
un campo fondamentale del gruppo, poiché in esso trovasi un punto,
ed in generale uno solo, equivalente a qualsiasi punto del piano.
l) La S sia una sostituzione iperbolica, che potremo ridurre alla
forma normale
z' = hz ,
con Ti reale e positivo (§. 12). Essa ci darà nel piano complesso una
omotetia col centro nell'origine, di costante/;. Si tracci ora un circolo
qualunque C di centro 0 e scelgasi p. e., per fissare le idee, il suo
raggio =1.1 circoli trasformati di C per mezzo del gruppo delle potenze
di S avranno tutti il centro in 0 ed i raggi
7.-3 7.-2 7.-1 1 7. 7.2 7.3
.,../(/ , h , Iv , l , lly , tv , Iv . . . ,
essi divideranno il piano in una serie di anelli circolari limitati da due
cerchi consecutivi nella serie. Uno qualunque di questi anelli può assu-
mersi come campo fondamentale del gruppo, poiché infatti un punto
qualunque del piano può trasportarsi, applicandovi una conveniente po-
tenza di S, in uno ed in sol punto dell'anello. Soltanto se questo punto
cadrà sul contorno dell'anello, ne avremo un secondo equivalente sull'altro
circolo del contorno.
e) La S sia lossodromica e, ridotta alla forma normale, abbia
dunque la forma (§. 12)
z ^= ke ' z .
48 CAPITOLO II. — §§. 16, 17
Anche in questo caso potremo costruire una serie di anelli circolari
come nel caso precedente ed in uno di essi avremo ancora un campo
fondamentale del gruppo.
d) Supponiamo in fine che la S sia parabolica e riduciamola alla
forma normale
z =^-\-^.
Essa ci rappresenterà nel piano complesso una traslazione e se per
due punti del piano, che nascono l'uno dall'altro per la traslazione, con-
duciamo due rette qualsiasi parallele fra loro, ma non nel senso della
traslazione, limiteremo una striscia del piano, che sarà un campo fonda-
mentale del nostro gi'uppo. Applicando infatti alla intera striscia la S
e le sue potenze, otterremo una serie di striscio consecutive congruenti,
che ricoprono una ed una sola volta il piano.
Colla dimostrazione dell'esistenza del campo fondamentale per ogni
gruppo ciclico, privo di sostituzioni infinitesimali, è dimostrata in parti-
colare la discontinuità propria di questi gruppi in tutto il piano. Per
questi gruppi adunque, come pei gruppi a coefficienti reali secondo il
teorema di Poincaré, la mancanza di sostituzioni infinitesimali è non solo
necessaria ma anche sufficiente ad assicurare la discontinuità propria
del gruppo. La stessa cosa vedremo accadere pei gruppi che andiamo
ora a considerare.
§. 17.
Gruppi di sostituzioni paraboliche.
Ci proponiamo ora di studiare i gruppi che sono esclusivamente
composti di sostituzioni paraboliche e fra questi di riconoscere quelli
che sono privi di sostituzioni infinitesimali.
In primo luogo osserviamo che se un gruppo è composto di sole
sostituzioni paraboliche, queste dovranno avere tutte il medesimo punto
fisso. E infatti riduciamo una di queste, sia S, alla forma normale
S) z = s -\- fj
e sia U un'altra sostituzione (unimodulare) del gruppo, coll'espressione
analitica :
, az-\-h
U) ^ = , ad-ì)C= l .
cz + d
GRUPPI DI SOSTITUZIONI PARABOLICHE 49
ove, essendo U parabolica, avremo
Indicando con n un intero qualunque, avremo nel gruppo anche la
sostituzione US", la cui espressione analitica sarà
, {a-\-cn'p)z-\-h-\- dn'^
z = =;
cz i- a
e, per essere anche questa parabolica, dovremo avere, per qualunque n:
ai-d + cn^ = ±2,
onde e = 0 ; quindi U ha il medesimo punto fisso ^=00 di S.
Ciò premesso, potremo considerare in luogo del nostro gruppo un
suo trasformato, nel quale tutte le sostituzioni, avendo la forma
(11) /=-^ + P,
rappresenteranno traslazioni del piano complesso. Per abbreviare, chia-
meremo [3 V amplitudine della sostituzione parabolica (11). È evidente
che i gruppi ora considerati constano di sostituzioni due a due permu-
tabili, sono cioè gruppi Abeliani.
Se scegliamo nel gruppo G, ad arbitrio, un certo numero n di so-
stituzioni
Oi , O2 , ... 0,1 j
combinando fra loro queste sostituzioni e le loro potenze, si ottiene un
sottogruppo r di G (che può anche coincidere con G), di cui tutte le sosti-
tuzioni sono comprese nella formo la
7 = Sf' Sf 2 . . . Sf » ,
dove gli esponenti m percorrono tutti i valori interi positivi, negativi
0 nulli ; indicheremo brevemente questo sottogruppo T colla notazione :
1 = [Si , S2 , ... S„] .
Ora se è possibile determinare degli esponenti r interi, positivi 0
negativi, ma non tutti nulli, tali che sia
(12) sp s;-^...s:" = i,
diremo che le n sostituzioni Si,S2...Sn sono fra loro dipendenti e se
50 CAPITOLO II. — §.17
nessuna relazione della forma (12) sussiste, le diremo invece indipen-
denti. Si osserverà che, rispetto alle amplitudini ^i, %, . . pn di queste
sostituzioni, la (12) si traduce nella relazione lineare omogenea a coef-
ficienti interi:
(12*) n?i + ^2p2+ ...+r„[v, = 0,
e per ciò i numeri r si potranno supporre privi di un divisore comune.
Cominciamo dal dimostrare che, se
Si , S2 , . . . Sn
sono fra loro dipendenti, potremo generare il gruppo F con un numero
minore di sostituzioni fondamentali. Per semplificare la dimostrazione,
possiamo supporre che nella (12) gli esponenti r non nulli siano tutti
positivi, bastando nel caso contrario sostituire ad una corrispondente S
la sua inversa. Due almeno degli esponenti r saranno evidentemente non
nulli, siano p. e.
e supponiamo, per fissare le idee,
ri < n.
Ponendo
S 1 = Si S2 ,
con (jr intero qualunque, potremo assumere come generatrici di F
Si, O2 , 03 . . . bn >
dopo di che la (12) diverrà:
s'fi. s^-^-2'-i. 83^». . . s;;- = 1.
Se prendiamo adunque g in guisa che sia
0 < ^2 - (z n < n ,
avremo abbassato uno degli esponenti r, lasciando gli altri inalterati.
Applicando ripetutamente il processo, verremo ad ottenere un sistema
di n sostituzioni generatrici
5i , So , ' • Sn
GRUPPI DI SOSTITUZIONI PARABOLICHE 51
per le quali la relazione (12) conterrà un solo esponente non nullo e
allora la corrispondente sostituzione 5 sarà l' identità, onde potremo pren-
dere per sostituzioni generatrici di I' le rimanenti n-ì,c.d.d.
Dimostriamo ora l'altro teorema: Se le amplitudini Pi,p2 di due so-
stituzioni Si, Si del gruppo hanno un rapporto rcrne, o le due sostituzioni
saranno fra loro dipendenti, o il gruppo conterrà sostituzioni infinitesimali.
E invero, se il rapporto ^^ è reale e commensurabile, poniamo
h = l^
essendo jp,g' numeri interi primi fra loro; avremo g?i=iJ|32, cioè
Sì = S^' ,
che è appunto una relazione fra Si, S2.
Se poi ^^ è un numero reale incommensurabile a, avremo fji = a % ed,
P2
essendo r, s numeri interi qualunque, il gruppo conterrà la sostitu?ione
Si S2
d'amplitudine {r'y.-\-s)%. Ma, poiché a è incommensurabile, potremo pren-
dere r, s in guisa che r a + s, che non è mai nullo, sia piccolo quanto
si vuole; onde avremo nel gruppo sostituzioni infinitesimali.
Ciò premesso, se consideriamo dapprima un gruppo F generato da
una sola sostituzione S:
in esso, per quanto si è visto al §. precedente, avremo sempre un gruppo
propriamente discontinuo.
Si abbia ora un gruppo F = [Si , S2J generato da due sostituzioni in-
dipendenti
Si) / = ^ -f 0^1 , S2) / = ^ -f- (O2 ,
e privo di sostituzioni infinitesimali. Le amplitudini coi , coj delle due so-
stituzioni fondamentali saranno quindi in rapporto complesso. Preso un
punto qualunque a del piano, consideriamo i quattro punti
a , a -f- Wi , tt -f- 0)2 , a 4- f^i + ^2 j
che sono i vertici di un parallelogrammo.
52 CAPITOLO IL — §.17
Qualunque punto del piano complesso è equivalente, rispetto a F, ad
un punto dell'area parallelogrammica e ad uno solo, eccetto pei punti
del contorno, due a due equivalenti. Possiamo quindi assumere questo
parallelogrammo come campo fondamentale del gruppo. Applicando a
questo campo le infinite sostituzioni del gruppo, il piano ne risulta di-
viso in una rete di parallelogrammi congruenti, che ricopre una ed una
sola volta tutto il piano.
Il nostro gruppo è ancora propriamente discontinuo.
Si osservi però che nella scelta del parallelogi-ammo fondamentale
sussiste ancora molta arbitrarietà, non solo perchè uno dei vertici si può
collocare dovunque nel piano, ma anche perchè, in luogo di Si,'S2, po-
tremmo egualmente assumere due altre sostituzioni fondamentali
s, = Sf ^l , s, = ST S,^
del gruppo. Queste due nuove sostituzioni Si , s-z saranno fondamentali,
cioè genereranno tutto il gruppo, solo quando il determinante
« aS — pv
dei numeri interi a, ,3, y, 5 sia= ± 1 (^'.
Coi due esempì ora trattati sono esauriti tutti i casi in cui un gruppo
di traslazioni del piano è propriamente discontinuo. In ogni altro caso
infatti il gruppo contiene, come ora dimostreremo, traslazioni infinite-
simali. Supponiamo in effetto che un gruppo F possieda tre (o più) tra-
slazioni indipendenti
di amplitudini
(*) E invero, perchè Sj, Sj,, siano fondamentali, occorre che si possano trovare
quattro interi o!, ^', ■(', ò\ tali che sia inversamente
onde
r,rj^fp'=^l , ctr + TÒ' = 0
^c/.' + òp' = 0 , ^^-,''+òò' = l,
e però
GRUPPI DI TRASLAZIONI 53
Se per es. lOi , (02 fossero in rapporto reale, questo rapporto sarebbe
incommensurabile (poiché Si, So sono indipendenti per ipotesi) e F con-
terrebbe appunto sostituzioni infinitesimali. Supponiamo ora che — sia
complesso e costruiamo il parallelogrammo fondamentale [a, « + Wi , « + oig,
a + tói + C02] del sottogruppo
r' = [81,82],
indi, considerando un sistema di punti
^ , 0 4- 0J3 , ^ 4- 2 0)3 , . . . .
equivalenti rispetto a S3 e alle sue potenze, troviamo nel parallelogrammo
i loro punti equivalenti
(13) /i , z\ , z\. . .
rispetto a V . Tutti questi punti saranno distinti, perchè altrimenti fra
(Oi, 0)2, CO3 sussisterebbe una relazione lineare omogenea a coefficienti
interi, contro l'ipotesi. Il gruppo infinito di punti (13), addensandosi in
un'area finita, avrà almeno un punto limite, nell'intorno del quale le
differenze /, - /^ risulteranno di modulo piccolo quanto si vuole ; e, poi-
ché ciascuna di queste differenze rappresenta l'amplitudine di una tra-
slazione di r, vediamo che F contiene traslazioni infinitesime, e. d. d.
Così vediamo che anche per i gruppi di sostituzioni paraboliche la
mancanza di sostituzioni infinitesimali assicura la discontinuità propria
del gruppo.
In fine osserviamo che il processo tenuto nel presente §. è pure ap-
plicabile allo studio dei gruppi discontinui di traslazioni nello spazio a
tre dimensioni e ad un numero qualunque di dimensioni. In particolare
tutti i gruppi di traslazioni dello spazio a n dimensioni, che contengono
più di n traslazioni indipendenti, hanno traslazioni infinitesime. Ogni
altro gruppo di traslazioni è propriamente discontinuo nel rispettivo
spazio.
§. 18.
Gruppo modulare. -- Circoli e rette di riflessione del gruppo ampliato.
Passiamo ora a studiare il gruppo di sostituzioni lineari unimodulari
(U) ^' = ?^? . (-5-Pv = l)
54 CAPITOLO IL — §. 18
con coefficienti interi a, p, y, ò. Questo gruppo è evidentemente infinito,
discontinuo e privo di sostituzioni infinitesimali. Esso prende il nome
di gruppo modulare. Noi ne stabiliremo direttamente la discontinuità
propria (che risulta anche dal teorema di Poincaré), assegnando il campo
fondamentale del gruppo. Ponendo
zz=x^ iij , / = X -\- iy ,
e separando in -, — ^p7—< il reale dall' immaginario, troviamo subito
7 {x + vj) + 0
,^ y
il che dimostra che y, y hanno sempre lo stesso segno. Il gruppo opera
quindi separatamente sulle due parti in cui l'asse reale divide il piano
e noi ci limiteremo a considerare il semipiano positivo ^ > 0.
Osserviamo subito che tutti i punti ragionali dell'asse reale sono
fra loro equivalenti rispetto al gruppo modulare F ed equivalenti p. e.
a ^ = 0. Per^ = 0 infatti la (14) dà /=^ e i numeri p, ò possono es-
0
sere due numeri interi qualunque, primi fra loro. Si vede quindi che
nell'intorno di qualsiasi punto dell'asse reale il gruppo modulare T è
impropriamente discontinuo. Al contrario, nelF intorno di ogni punto del
semipiano positivo, esso è, come si vedrà, propriamente discontinuo.
Per lo studio del gruppo modulare T, come per quello di molti altri
gruppi, è importantissimo procedere ad un ampliamento del gruppo, che
si ottiene qui associando alle sostituzioni del gruppo la riflessione sul-
r asse immaginario
che trasforma ancora il semipiano positivo in se medesimo.
Il nuovo gruppo, che così risulta, contiene, oltre le sostituzioni di
1." specie (14), le altre di 2.^ specie
(14*) ^^'— — ^ ' ''•'^—1^7 = 1;
lo diremo il gruppo modulare ampliato e lo indicheremo con Po. Esso
contiene il gruppo modulare P come sottogruppo invariante d'indice 2
(Cf. §. 15 alla fine).
GRUPPO MODULARE 55
Particolarmente importante per lo studio di Fq è il determinare le
riflessioni (§. 13) in esso contenute. Esse si otterranno, secondo la for-
mola (9) pag. 41, sempre e solo quando o = a (^', cioè avranno la forma
^. • "'-^•' = '
a*o — p 9 p
e saranno per ciò riflessioni proprie (con circolo reale). Distinguiamo
per altro secondo che y = 0, ovvero ','4^0. Se y = 0, allora è a = + l e
si ha una retta di riflessione di equazione
essendo p un intero qualunque. Abbiamo dunque nel gruppo infinite
rette di riflessione
1 3
X = 0 , x = ±-- , x = ±l , x = +—...
2i di
tutte parallele all'asse immaginario e distanti ciascuna dalla successiva
Quando poi y4=0, abbiamo il circolo di riflessione
ovvero
a'
)'+?/^ =
a^-Pv 1
.,2 .,5
'( /
/
7 7
Vi sono dunque infiniti circoli di riflessione di raggio eguale all'in-
versa 7 di un numero intero qualunque e coi centri in tutti quei punti
razionali dell' asse reale -~ , pei quali il numeratore a soddisfa alla con-
7
dizione
a^ ^^ 1 (mod 7) ,
e così p. es. circoli di raggio = 1 col centro in tutti i punti interi del-
l'asse Veale, circoli di raggio - coi centri nei punti
1,3 5
- 2 ' - 2 ' - 2
(*) Per fare il confronto eolle forinole del §. 13, bisogna dare alla (14*) il
determinante -\- 1 scrivendo :
56 CAPITOLO II. — §§. 18, 19
circoli di raggio - coi centri nei punti
3
+ y , ±j, + - ecc. ecc.
Per il seguito delle nostre considerazioni è necessario premettere le
due osservazioni seguenti:
1.^ L'area indefinita racchiusa nel semipiano positivo da due rette
x = a, x = h parallele all' asse immaginario e da una retta y = h (k'^O)
parallela all'asse reale non è solcata che da un numero finito di rette e
circoli di riflessione. Per le rette è evidente, poiché si succedono col-
r intervallo costante di ~ . Quanto ai circoli, potranno solcare l'area solo
quelli che hanno un raggio > le, ciò che dà un numero finito di valori
V
per v; ma per ogni valore di v i centri dei circoli si succedono sul-
l'asse reale ad intervalli finiti e però solo un numero finito di questi
circoli solcherà la striscia compresa fra le parallele x = a, x = h.
2." Applicando alla totalità dei circoli e delle rette di riflessione un'ope-
razione qualunque del gruppo Fq , i circoli e le rette si scamhieranno fra
loro. Ciò risulta subito dall' osservare che, se U è una riflessione del
gruppo sul circolo C, e T una sostituzione di Fq che porti il circolo C
nel circolo Ci, la trasformata T^' UT sarà una riflessione sul circolo Ci.
§. 19.
Il triang'olo fondamentale del gruppo ampliato.
Consideriamo nel piano complesso le due rette successive di riflessione
x = Q , x= - —
ed il circolo di riflessione
La regione indefinita del semipiano positivo, compresa entro la stri-
scia hmitata da quelle due rette, all'esterno del circolo, si dirà il trian-
TRIANGOLO FONDAMENTALE
57
gàio fondamentale T e in effetto, come ora dimostreremo, nel triangolo
T abbiamo il campo fondamentale del gruppo ampliato Tq. I tre vertici
FlG. 1.^
-1
T
JL 4
di questo triangolo sono nei punti
0
z = e^ =1 , z=-e
= S , ^ = 00
e i rispettivi angoli a questi vertici hanno le ampiezze
^ ^ 0
Osserviamo poi che il nostro triangolo T non è oMraversato da alcun
altro circolo o retta di riflessione.
Se applichiamo al triangolo T una sostituzione qualunque di Tq,
avremo un nuovo triangolo T' limitato da tre archi di circoli di rifles-
sione (o rette), coi medesimi angoli di ^ > 5" > ^ e il triangolo T', come T
58 CAPITOLO II. — §.19
da cui deriva, non sarà attraversato da alcun circolo di riflessione. Vo-
gliamo ora dimostrare che : tutti questi triangoli formano una rete, la qtiale
ricopre mia ed una sola volta tutto il semipiano positivo. E infatti pren-
diamo dovunque nel semipiano positivo (l'asse reale escluso) un punto A
e prendiamo anche un punto qualsiasi B nell' interno di T ; indi descri-
viamo una linea continua L che vada nel semipiano positivo da B ad A
senza mai toccare l'asse reale (p. es. il segmento rettilineo B A). La
nostra linea L, mantenendosi i suoi punti sempre a distanza finita dal-
l'asse reale, non potrà traversare che un numero finito di rette o circoli
di riflessione (§. 16) e risulterà quindi divisa in un numero finito di
tratti luh,-- l:, avendo luogo ogni volta fra un tratto e l'altro l'attra-
versamento di un circolo di riflessione.
Il primo tratto k è nel triangolo T e nell'estremo fra Zi, U la linea L
traversa un lato di T, sicché se consideriamo quel triangolo Ti della rete
che nasce da T per riflessione su quel lato, il secondo tratto k resterà
entro Ti. Poi la linea L traversa un lato di Ti ed entra per il tratto
^3 in un terzo triangolo T2 aderente a Ti pel detto lato. Così conti-
nuando, è chiaro che costruiremo una serie successiva di v triangoli della
rete
T , Ti , T2 . . . T._i ,
ciascuno aderente al precedente per un lato e nel triangolo T,_i sarà
il punto A. Dunque la rete si estende in qualunque regione del semipiano
positivo.
In secondo luogo due triangoli T^ , T, della rete non possono mai in
parte sovrapporsi (avei'e una regione a comune); altrimenti p. e. Tr sa-
rebbe attraversato da qualche circolo di riflessione (un lato di T,).
Così è dimostrato quanto volevamo e possiamo ora facilmente vedere
che : Ogni punto del semipiano positivo è equivalente, rispetto al gruppo
ampliato Fq, ad uno e ad un solo punto del triangolo T, il quale è adunque
il triangolo fondamentale di Tq.
E invero se A è un punto qualunque del semipiano positivo, esiste,
come si è visto, un triangolo T' della rete che contiene A, e la sosti-
tuzione di l'o che porta T' in T porterà A in un punto di T.
Osserviamo poi che la sostituzione di l\ , che porta T in T', è unica
e determinata perchè, se ve ne fossero due differenti Si, 82, la sostitu-
zione (non identica) Si Sr^ trasformerebbe T in se stesso. Ora ciò è
impossibile ; e in vero, il triangolo T avendo i tre angoli diseguali, non
LA RETE MODULARE 59
esiste non solo in Tq , ma nemmeno fuori di Po , alcuna sostituzione, ne di
1.* né di 2.* specie, che trasformi T in sé stesso, essendo che ciascuno
dei tre vertici dovrebbe rimanere fisso '^'.
Risulta di qui che due punti P, Q del triangolo T non possono es-
sere equivalenti. E infatti se P , Q sono ambedue interni a T, la sosti-
tuzione che cangia P in Q dovrebbe trasformare T in sé medesimo. Se
P è sul contorno e Q nell'interno, quella sostituzione cangerebbe il lato
su cui si trova P in un circolo di riflessione attraversante T. Se poi P
e Q sono sul contorno, quella sostituzione dovrebbe cangiare T in un
triangolo aderente e sarebbe quindi una riflessione sopra il lato con-
tenente Q e lascierebbe fisso Q, né potrebbe trasportarvi P.
§. 20.
La rete modulare e le riflessioni generatrici A, B, C.
Tutta la rete dei triangoli T, che ricopre una ed una sola volta il
semipiano positivo, si può generare riflettendo il triangolo fondamentale
sui suoi tre lati, i nuovi triangoli ottenuti sui loro lati liberi e così via
di seguito. Per figurare con chiarezza la rete, tratteggiamo tutti i trian-
goli della rete che nascono da T, nel modo descritto, con un numero
dispari di riflessioni, lasciando gli altri non tratteggiati; otteniamo così
la figura 2.* che ci rappresenta la rete modulare. Ogni triangolo della rete
sarà quindi tratteggiato o no, secondo che nasce dal fondamentale per
una sostituzione di 2.^ o di l.'' specie. Possiamo indicare senza ambi-
guità ogni triangolo della rete per mezzo della sostituzione V che lo fa
derivare dal triangolo fondamentale, il quale sarà adunque indicato col
simbolo 1. Indichiamo rispettivamente con
A , B , C
(') Questa considerazione dimostra che : Non vi ha alcun gruppo più ampio
di Fq, che contenga F^ come sottogruppo invariante. Le sostituzioni U di un tale
gruppo dovrebbero infatti trasformare le riflessioni di Fq in nuove riflessioni
di Fq , e però il triangolo T in un altro T' della rete. Se con ■(■ indichiamo la
sostituzione di F^ che porta T in T', la U-p ^ lascia fisso T e però U'(-- = 1,
cioè U = f.
60
CAPITOLO IL — §. 20
Fio. 2.'
le tre riflessioni sui lati
1
x = 0 , ^=-Y' x^-\-ìf=l
del triangolo fondamentale T e cogli stessi simboli dovremo indicare i
tre triangoli aderenti al fondamentale 1 pei rispettivi lati. Ora osserviamo
che, se V è una sostituzione qualunque di l'o, applicandola p. es. ai due
triangoli aderenti
1 , A ,
otterremo due triangoli pure aderenti
V , AV.
Così adunque al ti'iangolo V saranno aderenti i tre triangoli
AV , BV , CV
e precisamente A V lungo il lato che sottende gli angoli di J^, o ecc.
E poiché si può passare dal triangolo fondamentale ad uno qualunque
RETE MODULARE 61
della rete per una serie di triangoli aderenti, ne deduciamo: L'intero
gruppo modulare ampliato Fq si genera colle tre riflessioni elementari A, B, C.
L'espressione analitica di queste tre riilessioni è data rispettivamente da
E) / = - ^0 - 1
C) / = — .
I vertici della rete modulare si distinguono in tre specie, secondo che
gli angoli corrispondenti sono 0 , ^ , ^ . In ciascuna specie tu^ti i ver-
tici sono equivalenti e non solo rispetto al gruppo ampliato Tq , ma an-
che rispetto al gruppo modulare F, come si rileva dall'osservare che per
ciascuno dei tre vertici di un triangolo della rete esiste una sostituzione
di Ij" specie che lo lascia fìsso (una riilessipne). I vertici della prima
specie sono tutti equivalenti al vertice 2^ = oo e sono i punti razionali
dell'asse reale; quelli della seconda specie sono equivalenti al vertice
l2LÌ
z = i e quelli della terza specie al vertice ^ = s = e 3 ^
Intorno a ciascun vertice della prima specie si distribuiscono infiniti
triangoli della rete che diventano sempre più piccoli, avvicinandosi al-
l'asse reale. Intorno a ciascun vertice equivalente a^ = i si riuniscono
quattro triangoli della rete alternatamente tratteggiati 0 no, e similmente
intorno ai vertici equivalenti a ^ = = sei triangoli.
§. 21.
Il Triangolo fondamentale del gruppo modulare
e le sostituzioni generatrici S, T.
Per ottenere il campo fondamentale del gruppo modulare F basta
che associamo due triangoli aderenti della rete modulare, p. e. il fon-
damentale 1 e il suo simmetrico A rispetto all' asse immaginario. Otte-
niamo così il triangolo, che indicheremo con T, limitato fra le due pa-
rallele
62 CAPITOLO II. — §.21
airesterno del circolo x^+ìf = l, con angoli eguali a ^-,^,0; le ricer-
che precedenti ci fanno subito riconoscere che : Ogni imnto del semipiano
è equivalente, rispetto a ì\ ad un punto di questo triangolo ; due punti di
esso triangolo non sono mai equivalenti, a iveno che non si trovino sul con-
torno, simmetricamente disposti rispetto all'asse immaginario.
E invero un punto P qualunque del semipiano positivo si può por-
tare con una sostituzione V di Fo nella metà a sinistra del detto trian-
golo. Se V è di l.'' specie, lo scopo è raggiunto: altrimenti eseguendo
dopo V la riflessione A, la sostituzione V A di T porterà P nella seconda
metà del nostro triangolo T. In secondo luogo, se due punti P, Q di T
sono equivalenti rispetto a F lo saranno, a più forte ragione, rispetto
a Fo e dovranno quindi trovarsi l'uno nella prima, l'altro nella seconda
metà di T ed essere simmetrici rispetto all'asse immaginario. Ora, se V
è la supposta sostituzione di 1.=^ specie che porta P in Q, la VA di 2.*
specie lascierà fermo P, che dovrà dunque essere sul contorno rettilineo
0 circolare. Nel 1.° caso la VA dovrà coincidere colla riflessione B, nel
secondo colla C e la sostituzione supposta sarà o la
S = BA,
0 la
T = CA.
Effettivamente la sostituzione
s=B^=(i;v) ■ ^'-^+'
porta un punto della retta ^= - ^ ^^^ simmetrico dell'altra x= + -e
la sostituzione
v-i , 0 ; ' ^
porta un punto del circolo x- + if=l nel simmetrico (rispetto all'asse
immaginario). Dimostriamo ora che: Le due sostituzioni
bastano già a generare l'intero gruppo modulare.
SOSTITUZIONI S, T GENERATRICI DI V 63
Cominciamo dall'osservare che se applichiamo al triangolo T tutte
le sostituzioni di T otteniamo una rete di triangoli (con angoli di '■ , ^ , 0),
o o
ciascuno dei quali non è che 1" insieme di due triangoli aderenti della
rete primitiva. Potremo indicare questi triangoli col simbolo della sosti-
FiG. 3.«
J
-/
1
3
tuzione stessa, che li fa derivare dal fondamentale T. Ma al triangolo T,
che ora indichiamo con 1 (fig. 3.*), sono aderenti i triangoli
S , S-' , T
e però ogni altro triangolo V della nuova rete ha per triangoli aderenti
SV , S-^V , TV.
Se ne conclude, come al §. 18, che combinando le sostituzioni S, T
e le loro potenze si genera tutto il gruppo modulare.
64 CAPITOLO IL — §. 22
§• 22.
Sostituzioni ellittiche del gruppo modulare.
Le sostituzioni z = \ del gruppo modulare sono ellittiche quando
r invariante y = a + ò non supera in valore assoluto il 2 e, poiché nel
caso attuale J è un numero intero, dovremo avere
a -[-5 = 0 , 0 a-t-5=±l.
A causa della formola (§.12)
i = 2 cos -^ ,
avremo nel primo caso cos ^ = 0 e nel secondo cos ^ = + — , onde vediamo
intanto che le sostituzioni ellittiche del nostro gruppo sono a periodo 2,
0 a periodo 3. Al medesimo risultato possiamo arrivare colle conside-
razioni geometriche seguenti, che ci fanno inoltre riconoscere quali sono
le sostituzioni ellittiche affini < ^* . Ogni sostituzione ellittica deve lasciar
fisso un punto del semipiano positivo (fuori dell'asse reale), che deve
essere dunque un vertice della rete modulare e però (§. 40) o equiva-
lente al vertice z = i o all'altro z = t. Qualunque sostituzione ellittica del
gruppo modulare sarà dunque affine ad una sostituzione (ellittica) che
lasci fisso il punto 0 = i, o il punto ^ = s. Ma le prime si determinano su-
bito dalla relazione
. _ ai+^
da cui
onde a causa di ad-^'(=l, cioè ^H,i'^= 1, otteniamo (escludendo l'iden-
tità) l'unica sostituzione
0, 1\
-1 , 0 ; •
W In generale chiamiamo affini due sostituzioni in un gruppo, quando
r una si ottiene dall'altra trasformando questa con una sostituzione del gruppo
stesso.
FORME BINARIE QUADRATICHE 65
Nel secondo caso troviamo le due sostituzioni
1,0 / 0 , -1
-1,0; ^1,1
ossia
, ^+1 , 1
/= , z = -
delle quali la seconda è il quadrato della prima e che, nell'intorno del
27r
punto ^ = s, producono una rotazione del piano di —, la prima nel senso
ó
positivo, la seconda nel negativo. Dunque: Le sostituzioni ellittiche del
gruppo modulare sono a periodo 2, ovvero a periodo 3 ; le prime sono tutte
affini alla sostituzione elementare ( , ' ^ ) > g,ueUe a periodo 3 si riparti-
scono in due classi di sostituzioni, affini rispettivamente alle due i , ' ^ ) s
0,-r
§. 23.
Forme binarie quadratiche a determinante negativo.
Mediante la rappresentazione geometrica del gruppo modulare, sta-
bilita nei §§. precedenti, si può dare un'elegante interpretazione a quel
capitolo della teoria dei numeri che tratta delle forme binarie quadra-
tiche, della loro riduzione, della risoluzione dell'equazione di Peli ecc.,
come si può vedere diffusamente esposto nel 1.° volume della Theorie
der elliptischen Moduìfunctionen di Klein-Fricke (3^^ Kap. pag. 243 s. s.).
Noi qui ci limiteremo al caso che ha maggiore interesse per la teo-
ria delle funzioni ellittiche (moltiphcazione complessa), al caso cioè di
una forma quadratica
(15) ax^ -\- 2hxy -\- cìf
a determinante Y) = W-ac negativo, i coefficienti a,ì),c essendo sup-
posti numeri interi. Manifestamente i cofficienti estremi a, e hanno lo
stesso segno e li supporremo sempre positivi, bastando nel caso opposto
cangiare di segno tutti i coefficienti. Ricordiamo che la forma (15) si
dice equivalente alla forma :
(15*) ax"-\-2b'x'y'-\-c'y"
66 CAPITOLO II. — §. 23
quando la prima si traduce nella seconda mediante una sostituzione li-
neare sulle variabili
/ a; := a ic' + ? y'
(16)
a coefl&cienti interi e a determinante a o - ,3 y = 1 • Le infinite forme equi-
valenti ad una data costituiscono ciò che si dice una classe di forme;
esse hanno tutte egual determinante. Tutte le forme di eguale deter-
minante si distribuiscono in altrettante classi ed uno dei principali ri-
sultati della teoria, che ci proponiamo qui di stabilire, consiste in questo
che il numero delle classi, corrispondenti ad un dato determinante, è
sempre un numero finito.
Si dicono radici della forma (15) le due radici della equazione
a Di' -\- 2 b Dì -\- e = 0 ,
che nel caso nostro, essendo D= -A = &^-ac negativo, sono coniugate
immaginarie ed hanno i valori
-6 + iv/A -6-iv'^
L' indice della prima radice oh è situato nel semipiano positivo e si
dirà r indice della forma. È importante osservare che una forma {a, b, e)
a determinante negativo è pienamente determinata quando sia dato il suo
determinante ed il suo indice.
Ciò posto, consideriamo due forme (15), (15*) equivalenti e i loro
rispettivi indici Wi, co'i, che per le (16) e, per essere ao-|3Y= + l,
saranno legati dalla relazione
aco'i + ,3
Oh = — r— 1= ,
Y co 1+0
onde vediamo che due forme equivalenti hanno indici equivalenti rispetto
al gruppo modulare. Viceversa, dall'osservazione fatta sopra, risulta che
due forme di egual determinante saranno equivalenti se hanno indici
equivalenti. Ora, con una sostituzione del gruppo modulare, possiamo
trasportare l'indice di una forma nel triangolo fondamentale
(17) "Y^^^ + T ^ + y'2:i-
FORME RIDOTTE G7
Se chiamiamo dunque ridotta una forma quando il suo indice giace
ne] triangolo fondamentale, abbiamo il teorema:
Ogni forma a determinante negativo è equivalente ad una f^rma ri-
dotta.
A quali condizioni debbono soddisfare i coefficienti di una forma
ridotta {a, b, e)? Poiché l'indice è dato da
, . -& + iv/A
(Oi = rr -f i 2/ = ,
le diseguaglianze (17) si traducono nelle altre pei coefficienti
(17*) 2l6|<a<c.
Queste sono appunto le condizioni cui deve soddisfare una forma
ridotta secondo Gauss.
Dalle diseguaglianze (17*) segue subito che esiste soltanto un nu-
mero finito di forme ridotte di assegnato determinante, poiché dalle (17*)
abbiamo
4:b'<ac , 36' < A,
quindi | 6 1 < 1 / - . Il coefficiente medio h, assegnato A, non può dunque
avere che un numero finito di valori e per ciascuno di essi, a causa di
A = ac-6^ i coefficienti estremi a, e debbono corrispondere ad una de-
composizione del numero
1 -{- b^ = ac
nel prodotto di dne fattori. Poiché adunque ogni forma è equivalente
ad una ridotta, e le forme ridotte di egual determinante sono in numero
finito, risulta dimostrato il teorema fondamentale:
Le forme di egual determinante negativo si distribuiscono iti un nu-
mero finito di classi.
Per risolvere il problema fondamentale della teoria dell'equivalenza,
che consiste nel riconoscere se due forme di egual determinante appar-
tengono 0 no alla medesima classe, resta a vedere se due forme ridotte
possono essere equivalenti. Poichà i loro indici appartengono al trian-
golo fondamentale, ciò avverrà soltanto quando si trovino sul contorno,
simmetricamente disposti rispetto all'asse immaginario. Se appartengono
68 CAPITOLO II. — §. 23, 24
al contorno rettilineo, le due forme ridotte equivalenti presenteranno i
coefficienti
/ 1 ^, / 1
[a , ~a, cj [CI, --
e, se appartengono al contorno circolare, saranno
{a , h , a) (a , - & , a) ' ^' .
§. 24.
L' affinità circolare trasportata nello spazio e le formole di Poincaré.
Il metodo dell'ampliamento per riflessione, che abbiamo adoperato
per lo studio del gruppo modulare, riesce per molte altre classi di gruppi
propriamente discontinui nel piano complesso. Ma vi sono, come già ab-
biamo detto al §. 14, dei gruppi che, senza contenere sostituzioni infi-
nitesimali, sono in tutto il piano impropriamente discontinui.
Nonostante possiamo estendere anche a questi gruppi la nozione di
campo fondamentale, passando con un ingegnoso artifizio dovuto a Poin-
caré {Acta Mathematica, T. 3), dalla rappresentazione geometrica nel
piano ad una rappresentazione dello spazio. Per intendere come si ef-
fettua questo passaggio, ricordiamo che la sostituzione lineare
, a^ + P
^ = ^
'l^ + O
cangia i circoli in circoli e di più un fascio od una rete di circoli egual-
mente in un fascio od una rete. Ora se consideriamo una rete di circoli,
essa è determinata da tre dei suoi circoli e consta di tutti i circoli nor-
mali ad un cerchio fisso, che ha per centro il centro radicale dei tre
circoli ed ha per quadrato del raggio la potenza di questo centro rispetto
a ciascun circolo della rete. Il cerchio fisso è quindi reale od immagi-
nario, secondo che questa potenza è positiva o negativa. Nel secondo
caso, che è quello ora importante per noi, possiamo anche dire che la
rete consta dei circoli che tagliano in punti diametralmente opposti un
cerchio reale fisso. Ora noi osserviamo che tutte le sfere descritte sopra
i circoli di una tale rete come circoli massimi passano per due punti
fissi reali simmetrici rispetto al piano delle rete, che sono i due estremi
W Cf. Dirichlet-Dedekind. Zahlentheorie, §. 65.
AFFINITÀ CIRCOLARE NELLO SPAZIO 69
di quel diametro della sfera, avente per cerchio massimo il cerchio fisso,
che è perpendicolare nel centro al piano della figura (^).
Ciò premesso, consideriamo l'intero spazio, o meglio il semispazio
C>0, associando ai due assi ortogonali 0;, Oyj nel piano s un terzo
asse OC ortogonale ad ambedue. Prendiamo un punto qualunque P in
questo semispazio (di ordinata C>-0); le sfere che passano per P ed
hanno il centro sul piano C = 0 tagliano questo piano in una rete di cir-
coli della specie ora considerata. Questa è cangiata dalla sostituzione
lineare z = ^ in una rete omologa che definisce nel semispazio un
-(0+0
punto P' pel quale vengono a passare tutte le sfere descritte sui circoli
della nuova rete come circoli massimi. Così rispetto alla detta sostitu-
zione lineare ogni punto P^(<;, ■/], C) del semispazio ne individua un altro
P'^(^', -q, ti') e noi estendiamo, con Poincaré, la trasformazione a tutto il
semispazio facendo corrispondere al punto P il punto P'.
Quali saranno le formole di trasformazione? Per trovarle basta tra-
durre analiticamente la definizione geometrica della trasformazione. Sia
(§.10):
(18) kz z, + B / + Bo/o + C = 0
(^' Tutte le proprietà qui accennate possono dimostrarsi elementarmente, o
dedursi analiticamente cosi. Prendiamo per origine delle coordinate il centro
radicale dei circoli della rete; questi avranno l'equazioni:
' ce* + ?/2 + 2 «1 ce + 2 6, .?/ + e = 0 ,
V x'^ + y^ + 2a,x+2b^y+.c^0,
e taglieranno ortogonalmente il cerchio
a?^ + Z/^ = e ,
che è però immaginario se e «c^ 0. In tal caso si consideri invece il circolo
aj2 + ?/2 + e = 0 ,
che i tre circoli fondamentali (e tutti quelli della rete) taglieranno in punti
diametralmente opposti.
In fine la sfera che ha per circolo massimo p. e. il primo di quei tre circoli
ha per equazione
2C^ + «/^ + 2^ + 2 ^1 ce + 2 6i ?/ + e = 0
e taglia l'asse z nei du.e punti 2 = + V — e.
70 CAPITOLO II. — §. 24
l'equazione dì un circolo della seconda rete, dove A, B, C sono para-
metri arbitrarii (i due estremi reali). Ponendo
sarà
(18*) Ar/' + ByH-Bo/o+C = 0
l'equazione della sfera corrispondente.
Il circolo (18) si muta, per la sostituzione lineare
neir altro
(A 7. «0+ B a Yo+ Bo^o Y + C y Yo) ^ -^o + (Aa,3o+ B 7. òo+ Bo,3o7 + C Y ^o) -^ +
(AaoHBoaoO + BPyo+ Cyo^) s,-\- Appo+Bi^Oo+Bopoò + Cooq = 0 ;
la sfera che lo ha per circolo massimo ha quindi per equazione:
A (a7.op^+7.;3o^ + otop^o+??o) + B (aYof-'^+ a^V + pYo-^o+P^o) +
e deve contenere il punto P^ (£,-/], C). Paragonando quest'ultima equa-
zione colla (18*), ne deduciamo per le formolo richieste:
,2_ actof/+aj3o^ + 7.o{3^o+(3|3o
Y To p^T ^0 ^ + Yo 5 -2^0+ 5 Òo
, _ c(Yof/+(y-^o^ + P Yo-go+ 3 ^0
YYof^^+Y ^0^ + Yo5^o+ §§0
/ _ °toYP^+^o5^o+ (^oY^ +Po^
Y Yo '/ + Y ^ 0 ^ + Yo ^ 'S'o + ^ èo
Se calcoliamo da queste 'C = [J' - z z^, supponendo come al solito
aS-PY = 1> troviamo
(19*) C = ^
(19)
YYor>''+Y§o-2' + YoS'8'o+§<5o *
Questa trasformazione dello spazio conserva gli angoli e cangia le
sfere in sfere e di più il piano k'f\ in sé stesso, quindi i circoli normali
LE FORMOLE DI POINCARÉ 71
a questo piano in altrettali circoli (^'. Se consideriamo la totalità delle
sostituzioni lineari, esse formano un gruppo contìnuo, al quale, colle for-
molo (19), (19*) facciamo corrispondere un gruppo isomorfo di trasfor-
mazioni conformi dello spazio.
Osserviamo, che la sostituzione
, _ g^ + p
se non è parabolica, avrà sul piano ? tj due punti distinti fìssi A, B ed il
circolo condotto per A, B normalmente al piano si cangerà in sé mede-
simo. In particolare quando la sostituzione è ellittica, tutti i punti del
circolo rimarranno fissi *^'.
È manifesto che le nostre deduzioni restano invariate se, in luogo di
una sostituzione di 1.* specie, ne consideriamo una di 2/
soltanto dovremo nelle formole di Poincaré scambiare z con s'o . In par-
ticolare, se consideriamo una riflessione e sul circolo di riflessione come
circolo massimo descriviamo una sfera, la trasformazione corrispondente
dello spazio sarà un'inversione per raggi vettori reciproci rispetto a
questa sfera. Noi la diremo una riflessione su questa sfera, che si chia-
merà perciò sfera di riflessione.
(*) Si può dimostrare facilmente la cosa, osservando che ciò ha luogo per
le trasformazioni corrispondenti alle sostituzioni lineari elementari
z' = z-\- a , z' = kz , 2' == — ,
z
colle quali ogni altra piiò comporsi.
(^) Ciò si vede nel modo più semplice riducendo la sostituzione (ellittica)
alla forma normale
0
con c( ò = 1 , I (z I = I B I , dopo di che le formole di Poincaré danno
z = -^ z e = e
0
e rappresentano semplicemente una rotazione dello spazio attorno all'asse OC.
72 CAPITOLO II. — §§. 24, 25
Consideriamo ora un gruppo discontinuo di sostituzioni lineari ed il
gruppo corrispondente di trasformazioni conformi dello spazio. Possiamo
trasportare nello spazio la nozione di punti equivalenti rispetto al gruppo
e di campo fondamentale, che sarà ora un campo a tre dimensioni. Di-
remo dunque che un gruppo discontinuo di sostituzioni lineari è pro-
priamente discontinuo nello spazio se tale è il gruppo corrispondente
di trasformazioni dello spazio. È chiaro che un gruppo con sostituzioni
infinitesimali è sempre impropriamente discontinuo anche nello spazio;
ma nel caso opposto abbiamo l' importante teorema di Poincaré che anche
qui ci limitiamo a citare : Ogni gruppo discontinuo di sostituzioni lineari,
privo di sostituzioni infinitesimali, è sempre propriamente discontitiuo ndlo
spazio.
§. 25.
Il gruppo delle sostituzioni unimodulari a coefficienti interi complessi.
Come applicazione del metodo di Poincaré, esposto nel §. precedente,
tratteremo il gruppo delle sostituzioni unimodulari
ao — i3y=1 ,
Y'^ + 5 '
i cui coefficienti sono numeri interi complessi di Gauss, cioè della forma
a -\- hi ,
essendo a, h interi reali. Questo gruppo é impropriamente discontinuo
in tutto il piano, come risulta subito dall'osservare che rispetto al gruppo
attuale sono equivalenti al punto ^ = 0 e fra loro tutti i punti z =
C 'T Ctì/
e questi formano un gruppo di punti ovunque condensato nel piano <^'.
<*) Questa proposizione, che risulta dalle proprietà elementari degli interi
complessi di Gauss, può dimostrarsi anche cosi. Prendasi per ò uno degli infiniti
numeri primi reali p della forma 4n-[-3 e per ^j , ^., due numeri qualunque
(reali) non simultaneamente divisibili per p. Possiamo sempre trovare due interi
complessi
o. = a^-\-i czg , -f = Yi + n2 ,
tali che sia
al — Py = {y-1 + ic/.j) p - (P^ + ^ ?2) (Ti + « T2) = 1 •
GRUPPO COMPLESSO Gq 73
Ma se passiamo dal piano allo spazio, il gruppo sarò propriamente di-
scontinuo e noi ci proponiamo di determinarne il campo (poliedro) fon-
damentale.
In luogo però di considerare solo le sostituzioni con aò-^'; = l, qui
ammettiamo che il determinante possa essere una qualunque delle quattro
unità del campo complesso
1 , — 1 , i , — i
e poiché, moltiplicando i quattro coefficienti per l, il determinante cambia
segno, possiamo limitarci a considerare le sostituzioni
con coefficienti interi complessi e determinante
ao — Py = À 5 0 =i.
Questo gruppo, che indicheremo con G, contiene il precedente come
sottogi'uppo invariante d' indice 2.
Per lo studio del nostro gruppo G è importante un ampliamento per
riflessione, che si ottiene associando alle sostituzioni (20) di 1.^ specie
le altre di 2.* specie
(20*) •'' = .77t| . o.5-p-, = l,i.
(mod p) ,
i %
Basta per ciò determinare due interi reali "d , Ta > che soddisfino le congruenze
h h — Pi Ti - 1
P.T2 + P2T1-O
ciò che è sempre possibile, il determinante del sistema 1 [^^ ^^ =p?-f"PÌ ^'^^^
Pi ' -
essendo divisibile per p. Dunque tutti i punti razionali di coordinate — , —
sono equivalenti e, poiché p può essere grande quanto si vuole, ne risulta il
teorema.
Osservazione. — Che vi siano infiniti numeri primi della forma 4 n-\-S risulta da
un teorema generale di Dirichlet; ma si può dimostrare elementarmente, seguendo
un procedimento di Euclide, così : Consideriamo i numeri primi della forma
4n-[-3 fino ad uno qualunque di essi p, e siano
3, 7, 11, ...p.
Il numero N = 3^ . 72, II2 p" + 2 è ^ 3 (mod 4) ed ammette quindi
qualche fattore primo della forma 4:n-{-S, che è al di là di quelli considerati.
74 CAPITOLO II. — §. 25
Le (20), (20*) insieme formano un gruppo Gq, in cui G è invariante
d'indice 2.
Per determinare il campo fondamentale del gruppo ampliato Go, se-
guiremo un metodo perfettamente analogo a quello tenuto pel gruppo
modulare e comincieremo dal trovare le riflessioni (proprie) contenute
in Go. Queste ci saranno date dalla formola (9) pag. 41, quando si sia reso
= 1 il determinante della sostituzione. Fra le sostituzioni di 2.* specie
(20*) a determinante = 1 le riflessioni saranno quindi date dalla formola
i numeri interi aj, 7.3, 3i, Yi soddisfacendo l'equazione
(22) '/? + ^l + PiYi = l.
Le sostituzioni (20*) a determinante i si riducono a determinante 1
1 + i
moltiplicando i quattro coefficienti per — ^^ e, se applichiamo ancora la
V2
citata formola (9), troviamo le nuove riflessioni
/2i*N j^ (ai+ia2)^o+(l-i)5i
(1 -i) Ci So +{€(2+1 ai) '
i numeri interi reali «i, «2, &i, Ci essendo assoggettati alla condizione
(22*) al + al + 2biCi = l.
Fra le riflessioni (21), (21*) ve ne hanno di quelle che avvengono
sopra piani e sono quelle che corrispondono rispettivamente a 'd = 0, Ci = 0.
Otteniamo così i piani di riflessione:
(A) 2i = h , 2r^=^b , i--q = h , ^+-q = b,
essendo b un intero reale qualunque.
Per Yi 0 Ci differenti da zero, abbiamo poi le due specie di sfere di
riflessione :
(B) ! \ Yi/ \ Yi/ fi
o\ + a| ^ 1 (mod Yi)
(B*) \\ 2 e, y ' V ' 2 Ci y ' 2c{
c^i + a\^\ (mod 2 Ci) .
PIRAMIDE FONDAMENTALE DI Gq 75
Le forinole (A), (B), (B*) danno tutte le sfere di riflessione di Gq.
Come al §. 18, così ora si vede che se si considera nel semispazio
positivo la regione compresa fra quattro piani paralleli ai piani coor-
dinati K, 'q^:
a = A, ^ = B, ri = C , r]=D,
al di sopra del piano
c = ^ (^ > 0) ,
questa non è solcata che da un numero finito di sfere e piani di rifles-
sione. In secondo luogo ogni sostituzione di Gq, applicata alle sfere di
riflessione, le scambierà fra loro.
Ciò premesso, possiamo facilmente determinare un poliedro fondamen-
tale pel gruppo Go. Si considerino invero i tre piani di riflessione
i = \ , vi = 0 , ^-■q = 0;
questi hmitano nel semispazio positivo un prisma triangolare (isoscele)
aperto, che non è più attraversato da alcun piano di riflessione. Consi-
deriamo poi la sfera di riflessione del tipo (B)
che taglia tutte tre le facce del prisma.
La regione del prisma esterna a questa sfera è una piramide con un
vertice all'infinito e coi tre vertici al finito
V2
V,^(0,0,1), V,^^-,0,-^, V3 = ^-,-
Dimostreremo che questa è una piramide fondamentale di Go. Per
ciò basta osservare: L° che nessuna sfera di riflessione attraversa la
piramide; 2.° che nessuna sostituzione di G,, trasforma la piramide in sé
stessa. La prima cosa risulta da ciò che nessuna sfera di riflessione può
contenere nel suo interno un vertice Vi, o V2, o V3. E invero il raggio
di una tale sfera dovrebbe essere > —^ , quindi = 1 ; ma le sfere di rag-
gio = 1 hanno i centri nei punti interi del piano ^ = «i + i «2 e non at-
traversano il poliedro. In secondo luogo una sostituzione di Gq, che can-
giasse la piramide in sé stessa, dovrebbe lasciar fisso il vertice 'Q= co
76 CAPITOLO II. — §§. 25, 26
quindi anche gli altri tre, di cui lascierebbe fìssa T ordinata. Dopo queste
osservazioni, il ragionamento procederà come pel gruppo modulare e si
vedrà che, applicando alla piramide tutte le sostituzioui di Gq, si riempirà
il semispazio positivo con altrettante piramidi equivalenti. Ne risulta:
Ogni punto del semìspazio positivo e equivalente rispetto a Gq ad uno e
ad un solo punto della piramide fondamentale.
Per avere il poliedro fondamentale del gruppo G, basterà p. e. asso-
ciare alla piramide la sua simmetrica rispetto al piano e - Y| = 0. I punti
di questo poliedro sono caratterizzati dalle disuguaglianze
(0<a<| , 0<7]<|
(23) j - - 2 ' - ' - 2
( ^2+-^2 4.c2>i.
Osservazione. — Il metodo che qui abbiamo tenuto per lo studio del
gruppo G potrebbe egualmente applicarsi ai gruppi di sostituzioni lineari
unimodulari
0.3 + ^
^ = k >
Y^ + 0
nelle quali i numeri a, p, y, 3 percorrono gli interi della forma
a-\-ihyjTt ,
dove D indica un numero intero positivo ed a, Z* interi ordinarli '^).
§. 26.
Decomposizione di un numero nella somma di quattro quadrati.
I risultati ottenuti nel §. precedente consentono importanti applica-
zioni aritmetiche alla teoria delle forme quadratiche, per le quali riman-
diamo al 1.° volume delle Automorphe Fundionen del Fricke. Qui ci li-
miteremo a dedurne il teorema : Ogni numero intero è la somma di quattro
quadrati (interi).
Se m è un numero intero qualunque, possiamo sempre trovare (e in
diversi modi) due numeri interi r, s tali che r*+s^+l sia divisibile per m,
(*) Cf. le memorie dell'autore nei volumi 38,40 dei Mathematische Annalen.
DECOMPOSIZIONE DI UN NUMERO IN QUATTRO QUADRATI
77
Cloe;
r' + sM- l^sO (mod m) (^)
Consideriamo ora il punto
■' r s 1
dello spazio e troviamo, rispetto al gruppo del §. precedente, il suo equi-
valente nella piramide fondamentale. Applicando le formolo di Poincaré
(19), (19*) col fare
r+ts
m
?'
r'+s'+l
mr
vediamo subito che le coordinate del punto equivalente saranno della
forma
/ s 1
Ma dalle diseguaglianze (23) deduciamo che si avrà
/ = 0 , 5' = 0 , m' = 1 ;
/r s 1\
cioè il punto ( ~ ' ~ ' ~ ) sarà equivalente al vertice (0, 0, 1) della pi-
(*) Nel caso dì m numero primo, si dimostra subito l'asserzione osservando
che, se r percorre un sistema completo di resti (mod m), non può il niimero
— (r^ -|- 1) essere sempre non residuo (mod m),. , altrimenti per tutti i valori
di r sarebbe
111— 1
[— (r? + 1)]~2~ = — 1 (mod m)
e la congruenza, che è di grado m — 1, avrebbe m radici, ciò che è assurdo.
Dal caso di un modulo primo si risale al caso di un modulo composto in modo noto.
E del resto basta dimostrare il teorema del testo per un numerò primo
ricordando che, per l'identità (d'Eulero)
a + i 6 c-\-id
-c-\-id a — ib
p-\-iq r -\-is
— r -{-is p — iq
__ I («+i &) [P+i g) + ( e + ^■ cZ ) (;•+/ s) , (a+i b) (-r+i s) + (c+i d) {p-i q)
I {a—i b) {r+i .9) + {—c^id) [p^i q) , {a~i b){p — iq)-\- (c—i d) (r—i s)
un prodotto di due somme di quattro quadrati è ancora la somma di quattro
quadrati.
78 CAPITOLO III. — §. 27
ramide fondamentale. Sia ora ( "^ ) la sostituzione che porta (0 ,0. 1) in
(T S 1 \
-, -, - La formola (19*), pag. 70, ci dà subito
m m mj
cioè
il che dimostra il teorema enunciato.
Capitolo IIL
Trasformazioni di integrali doppi in integrali semplici. — Funzioni armoniche
e loro proprietà fondamentali. — Problema di Dirichlet e sua risoluzione
nel caso del campo circolare.
§■ 27.
Integrali curvilinei. — Integrali doppi.
Riprendendo ora lo studio generale delle funzioni di variabile com-
plessa, dobbiamo innanzi tutto far conoscere alcune formolo fondamentali
di trasformazioni dì integrali doppi, estesi ad aree piane, in integrali
semplici estesi al contorno dell'area, che ci serviranno a dimostrare le
più importanti proprietà delle soluzioni dell'equazione di Laplace:
e più tardi a stabilire la nozione e le proprietà degli integrali di fun-
zione di variabile complessa, il cui studio è essenziale per tutta la teoria.
Cominciamo dal ricordare alcune nozioni di calcolo integrale. Sup-
poniamo di avere nel piano xy un'area A <:onnessa '^', racchiusa da
uno 0 più contorni e siano fix,y), '^{x,y) due funzioni dei punti dell'area,
per le quali supponiamo verificate le condizioni seguenti : tanto la f che
la <p siano finite e continue in tutta Varca e inoltre la 9 ammetta derivate
parziali prime —- , ^ pure finite e continue. Tracciamo nell'area un arco
(^) Un'area si dice connessa (0 d'un solo pezzo) quando, presi due punti
qualunque a, b dell' area, si può andare da a, b per linee appartenenti intera-
mente all'area.
INTEGRALI CURVILINEI 79
di curva ordinaria qualunque nin, che percorriamo da m ad n. Che cosa
intenderemo 2)er
Lungo l'arco mn le coordinate x,y di un punto variabile sono fun-
zioni di una sola variabile, per es. dell'arco s della curva, che contiamo
per semplicità dall'estremo m, ed esistono le derivate -^r- , -r^ finite e
ds ds
continue. La / e la 'f sono pure, lungo mn, funzioni finite e continue di
s e inoltre, per le ipotesi fatte, esiste ed è finita e continua la derivata
-3^. Ciò posto, se con S indichiamo la lunghezza dell'arco totale da m
ds
ad n, intenderemo che / f ds significa l' integrale definito ordinario
ifdp sig
•/ are m ii ^ (J
È chiaro che, se invertiamo il senso d' integrazione, l' integrale cangia
segno, cioè
«^ are m n »^orc ii m
Ma possiamo anche dare una definizione diretta di 1 fd'{>, come li-
mite di una somma, che è un'estensione di quella degli ordinari integrali
definiti. Dividiamo per ciò l'arco mn in intervalli parziali di lunghezze
5i , §2 .... 0,. ,
il cui numero r faremo poi crescere all'infinito, mentre ciascuno di essi
dovrà tendere a zero, e formiamo la somma
dove f, è uno qualunque dei valori che /"assume nell'intervallo 5,- e A'f,
l'accrescimento che subisce 'f nel passare dal primo al secondo estremo
di e,. Se facciamo impiccolire indefinitamente, con una legge qualsiasi,
i singoli intervalli 5,, ingrandendo il loro numero all'infinito, la detta
somma converge verso un limite determinato, jndipendente dalla legge
80 CAPITOLO III. — §. 27
di divisione in intervalli e dai valori intermedii f, scelti per la f, e questo
limite coinciderà appunto coli' integrale sopra definito. La coincidenza
delle due definizioni si riconosce facilmente osservando che, per una for-
mola fondamentale di calcolo differenziale, si ha A 'f , = §, 'f', , indicando 'f ',•
un conveniente valore intermedio della derivata —- nell'intervallo o^, ed
as
è quindi
Ma, se indichiamo con /", il valore di f nello stesso punto di o, in cui
è preso il valore 'f',, si ha
e d'altra parte la differenza
2; s. A T'i - 2 5^ /^?'' = 2 ^^ (/• -7^) '^'<
tende, come subito si vede, a zero, onde segue
In particolare intendiamo il significato di integrale curvilineo ffdx\
ma, a scanso di equivoci, conviene bene osservare che mentre nell'in-
tegrale definito ordinario il dx è sempre positivo, qui invece sarà dx
dx
positivo 0 negativo secondo che - è positivo 0 negativo, cioè secondo
che la curva d'integrazione, nel suo verso positivo, si allontana 0 si
avvicina nel punto considerato all'asse delle y.
Supponiamo ora che sia Y{x,y) una funzione finita in tutta l'area
A e dividiamo l'area A in un certo numero di aree parziali
il cui numero facciamo poi crescere all'infinito, impiccolendo indefini-
tamente in ogni senso ciascuna area parziale (in modo cioè che preso
un numero t piccolo a piacere, da un certo punto in poi ciascuna area
parziale 0, possa essere contenuta in un cerchio di raggio ì), e costruiamo
la somma
INTEGRALI D AREA 81
indicando con F, uno qualunque dei valori che la F ha nell'area o,, od
anche un valore semplicemente compreso fra il limite superiore e l' in-
feriore di F in Oj. Se questa somma ha un limite, indipendente dalla
legge di divisione in aree parziali e dai valori F, scelti, questo limite
si dice V integrale d'area
f
F eh.
È noto che, analogamente come per gli integrali definiti semplici,
perchè si verifichino tutte le condizioni ora enunciate, basta che la somma
dove D, sta a significare l'oscillazione della funzione F nell' area a, , per
una particolare legge di divisione in aree parziali, abbia per limite zero.
Allora la funzione F si dice integrabile superficialmente nell'area. Tutte le
funzioni continue nell'area sono certo anche integrabili.
Il modo più usuale di divisione in aree parziali è quello che adopera
rettangoh coi lati paralleli agli assi coordinati, conducendo all'asse delle
y e delle x parallele distanti l'una dalla successiva di ù^x , ù^y, dove
Aic, ^.y possono essere costanti od anche variabili, ma debbono tendere
poi simultaneamente a zero. Allora la somma I F, o^ diventa la somma
doppia
22FA^Ay,
che s' intende estesa non solo a tutti i rettangoli appartenenti interamente
all'area, ma anche a quelli che solo in parte vi appartengono, essendo-
ché, per l'alterazione così prodotta nella somma, non cangia, come si dimo-
stra, il limite. L'integrale d'area si suole scrivere per ciò anche come
integrale doppio
//
F {x, y) dxdy\
e quando la funzione F {x, y) sia integrabile linearmente sopra ogni pa-
rallela all'asse delle x (o delle y), l'integrale stesso si potrà riguardare
come risultato di due integrazioni successive e scrivere
(1) j Jy {x, y) dx dy =jdy (/ F (^, y) dx) .
Quanto ai limiti delle due successive integrazioni semplici rispetto
ad x QÙ. y, h da osservarsi che, eseguendo la integrazione rispetto ad x,
6
82 CAPITOLO III. — §§. 27, 28
la y resta fissa, cioè ci muoviamo lungo una parallela all'asse delle x,
e l'integrale jY{x,y) cìx dovrà decomporsi in tante parti (integrali de-
finiti ordinarli) in quante parti la detta parallela risulta decomposta dai
contorni dell'area.
Il risultato di questa integrazione, che è una certa funzione di y,
deve poi integrarsi rispetto ad y fra i limiti estremi delle ordinate del-
l' area.
§• 28.
Forinola dì Gauss.
Neil' area piana connessa A, limitata da una o piìi curve chiuse, sia
data la funzione X {x, y) per la quale ammettiamo che siano soddisfatte
le condizioni seguenti: la X sia in tutta l'area A, il contorno incluso,
finita, continua e ad un sol valore e ammetta una derivata parziale ri-
spetto ad x: ^ finita ed atta all'integrazione supei-ficiale e lineare nel
senso dell'asse delle x. Ammettiamo poi che le curve contorno dell'area
siano curve ordinarie, dotate in ogni punto di una tangente, che varia
con continuità al variare del punto di contatto, o tutto al piiì ammet-
tano un numero finito di punti eccezionali, ove, pure esistendo una tan-
gente a destra ed una a sinistra, queste non coincidano fra loro (punti
angolari-vertici). Prendiamo allora a trasformare l'integrale doppio
//
^dxdy,
e'steso all'area A, in un integrale semplice, esteso al contorno. Per sem-
plificare la dimostrazione, supponiamo dapprima che il contorno di A sia
formato da un' unica curva chiusa tale che tutte le parallele all'asse delle
X, solcanti l'area A, incontrino il contorno in due soli punti, uno d'en-
trata, che indicheremo con 1, e l'altro d'uscita 2 (fig. 4.*). Per la citata
formola (1), abbiamo
X/i'^^^/^'K/i
FORMOLA DI GAUSS
FICt. 4:.''
y
83
0
X
.— dx è esteso al tratto di retta parallela al-
l'asse y
compreso fra i due punti 1, 2, sicché
dx
ClX — A 2 — A 1 ,
indicando Xi , X2 i valori di X rispettivamente nei punti 1 , 2 del con-
torno. Avremo dunque
(2)
M ^ c7^ dy =j (X^-XO dy =i X, dy -j X,
dy
I due integrali del secondo membro vanno estesi fra i valori estremi
y = h,y = a delle ordinate del campo corrispondenti ai due punti B, A
del contorno, nei quali la tangente è parallela all'asse delle x. Questi due
punti dividono il contorno in due archi (ACB, ADB nella figura), il primo
84 CAPITOLO III. — §. 28
dei quali contiene tutti i punti d'ingresso nell'area, l'altro i punti di
egresso. Ora, se indichiamo con ds l'elemento (positivo) d'arco del con-
torno corrispondente all'incremento positivo dy dell'ordinata?/, e con h
denotiamo l'angolo che la normale al contorno, rivolta verso l'interno
dell'area, forma colla direzione positiva dell'asse delle x, abbiamo
dy =+ cos 6 ds ,
dovendosi adottare il segno superiore ove k è acuto, l'inferiore ove i è
ottuso. Ora k è acuto nei punti 1 d' ingresso, ottuso nei punti 2 d'egresso ;
possiamo quindi considerare i due integrali del secondo membro della
(2) come integrali curvilinei estesi rispettivamente agli archi ADB, BOA
ed abbiamo
l^.dy = f
/
X cos i ds
BCA
^i dy= - I X cos i ds ;
onde la (2) diventa
U:
(I) //;=»— dx dy = - I X cos i ds
JaJ ^^ Js
l'integrale del secondo membro essendo esteso al contorno completo del-
l'area. È bene osservare che in questa formola è affatto indifferente il
senso secondo cui si percorre il contorno.
Dimostrata così la formola fondamentale di Gauss (I), per un'area che
soddisfi alle condizioni restrittive imposte, facilmente la dimostriamo per
un'area qualunque, il cui contorno offi'a inoltre eventualmente punti ango-
lari. Sia dapprima un'area qualunque A, racchiusa da una o più curve ai ,
02, og. . . ; potremo decomporre l'area A, coli' aggiunta di nuovi tratti di
contorno, in tante aree parziali (come le aree da Ai ad Ag della fig. 5.*)
tali che, per ciascuna di esse, ogni parallela all'asse delle x che la solca
abbia un solo punto d'entrata ed un solo punto di uscita. Per ciascuna
di queste aree varrà adunque la formola (I). Pensiamo scritte tutte queste
FORMOLA DI GAUSS
FlG. 5.»
85
y
0
-^^
forinole e sommiamole, con che otteniamo nel primo membro l'integrale
doppio
7^ ax dy ^
dx
esteso a tutta l'area A. Nel secondo membro ogni integrale J"X cos ^ cls,
esteso ad un tratto di contorno aggiunto, figura due volte con segno
opposto, perchè ogni tale tratto separa due aree contigue, per le quali
le normali nello stesso punto del contorno hanno verso opposto; d'al-
tronde il contorno primitivo risulta diviso in tratti, ciascuno dei quali
figura una ed una sola volta, onde otteniamo la formola (I) di Gauss,
estesa ad un'area qualunque.
In ciò che precede abbiamo fatto astrazione dagli eventuali punti
angolari, che può offrire il contorno. La presenza di un numero finito di
tali punti non modifica però affatto i risultati, come risulta dalle pro-
prietà elementari della integrazione, potendosi eseguire la decomposi-
zione del campo in strisele in guisa che da ogni punto angolare parta
una retta del contorno di una striscia.
"*86 CAPITOLO III. — §. 29
§. 29.
Altre forinole di trasformazione.
Sia Y (x, y) una funzione di x, y finita e continua nell' area A, in-
eluso il contorno, che ammetta la derivata parziale ^ finita ed atta al-
l' integrazione. Indicando con yj l'angolo che la normale positiva al contorno
fa colla direzione positiva dell'asse y, avremo manifestamente, per la
formola di Gauss;
(P) / j :^ dx dy= - j Y cos fj ds ,
e sommando con (I):
^"^ //(s^ + ^) "^^ ^^ = " /^^ '^' ^+^ '^' ''^ ^ '
In queste formolo (I), (P), (II), il senso secondo cui si percorre il
contorno è, come già si è detto, del tutto indifferente.
Andiamo ora a fissare, con opportune convenzioni, il senso positivo
del contorno, e potremo dare a queste formolo fondamentali un diverso
aspetto. Fissiamo per ciò che in ogni punto del contorno si riguardi come
direzione positiva della tangente quella che giace, rispetto alla direzione
positiva della normale (gicà fissata come volgente nell'interno dell'area),
come la direzione positiva dell'asse delle x rispetto a quella dell'asse
delle y. Nel modo ordinario d' orientazione degli assi, avremo dunque che
per un osservatore collocato sul piano e che guardi, da un punto del
contorno, verso la direzione positiva della tangente, l'area interna resterà
alla sinistra. Riguarderemo allora come senso positivo del contorno quello
concordante colla direzione positiva della tangente; il senso positivo di
percorso sul contorno sarà per ciò quello che lascia l'area interna alla
sinistra. Ne risulta che se l'area ha più contorni, uno esterno, gli altri
interni, l'esterno sarà percorso nel senso positivo delle rotazioni, gli
interni nel senso opposto.
Da queste convenzioni segue che, se indichiamo con
dx dy
ds ' ds
ALTRE FORMOLE DI TRASFORMAZIONE 87
le derivate di x, y prese nel senso positivo della tangente al contorno '^)
e con
dx dy
dp ' dp
quelle prese nel senso della normale interna, avremo
(3)
E invero, indicando con t la direzione positiva della tangente, abbiamo
-- = cos {xt) , ^ = cos {yt) = sen {xt)
—- z= cos {xp) = - sen {3$t) , -^ = cos {yp) = cos {xt) .
dx
dy
ds
dp
dx
dy
dp
ds *
<') Ricordiamo che, se U è una funzione di x, y, finita e continua colle sue
au au
derivate parziali ^ , ;^ , per derivata di U in un punto M e nella direzione
segnata da una retta uscente da M, s'intende il limite del rapporto
Um— Um
che si ottiene spostando M in M' sulla retta e nel verso fissato e dividendo l'in-
cremento subito dalla funzione U, nel passaggio da M a M', per la lunghezza MM'
del tratto percorso, limite preso per il convergere di M' verso M. Se indichiamo
con r la detta direzione, e con
A A
XT , yr
gli angoli (misurati nel verso positivo delle rotazioni) delle direzioni positive
0.X, Oy colla r, per le derivate di x, y nella direzione di r, che indichiamo
dx dy
dr ' dr
dx ,^, dy ,^^
-^ = cos{xr) , -^ = cos (yr).
Per la derivata della funzione U, nella direzione r, abbiamo poi
3U_aU dx dJl dy_
dr dx dr dy dr '
88 CAPITOLO III. — §§. 29, 30
Ciò posto, potremo scrivere la (II) anche così:
ovvero per le (3):
(III) ff(^^ + i) '^^ ^^^ =/^^ dy-Ydx),
r integrale curvilineo del secondo membro dovendo essere calcolato col
percorrere il contorno nel verso positivo.
Supponiamo ora che per le funzioni X, Y, oltre all'esser soddisfatte
le condizioni precedenti, sia soddisfatta in tutta l'area anche l'altra
ax ai _
dx "^ ay ■" '
la quale, come si sa, esprime che il binomio
Xdij — Ydx
è un differenziale esatto. La formola (III), essendo nullo il primo membro,
ci dà il teorema: Se in un'area connessa A l'espressione
Xdy — Y dx
è un differenziale esatto, le funzioni X, Y essendo finite e continue in tuMa
ax aY
l'area (incluso il contorno) e possedendo derivate parziali -^ , -^ finite
(incluso il contorno) ed atte all'integrazione, l'integrale del differenziale
esatto I (K.dy-Y dx), esteso a tutto il contorno nel verso positivo < ^' , è
identicamente nullo.
§. 30.
Ordine di connessione delle aree piane.
Per maggiore chiarezza delle considerazioni seguenti è utile che diamo
alcune nozioni sulla connessione delle aree, limitandoci al caso semplice
(*) Se l'area ha un solo contorno, il senso del percorso può essere natural-
mente qualunque.
CONNESSIONE DELLE AREE PIANE 89
delle aree piane. In un'area piana connessa consideriamo una linea L,
che non intersechi sé stessa (priva di nodi), e che vada da un punto A del
contorno ad un altro punto B del contorno stesso, rimanendo in tutto il
suo corso neir interno dell'area, salvo che agli estremi A, B, ed imma-
giniamo eseguito nel piano un taglio lungo questa linea L; diremo che
si è eseguito nell'area un taglio semplice. Nella nuova area che si ot-
tiene, la quale potrà essere connessa o no, figureranno come nuove parti
del contorno i due lembi del taglio L.
Diremo semplicemente connessa un'area piana quando qualunque taglio
semplice, in essa eseguito, toglie la connessione dell'area. Se invece
possono eseguirsi dei tagli senza rompere la connessione dell'area, di-
remo che l'area possiede una connessione multipla e V ordine della con-
nessione si valuterà per mezzo delle considerazioni seguenti.
È chiaro che in qualunque area piana con un contorno unico non si
può eseguire alcun taglio senza rompere la connessione, e perciò una tale
area è semplicemente connessa.
L' inversa è pur vera, giacché se del contorno fanno parte due diverse
curve chiuse a, b, un taglio eseguito da un punto di a ad un punto di
b non toglie la connessione. E invero i due lembi del taglio t si con-
giungono colle curve chiuse a, b in un unico nuovo contorno, seguendo
il quale si può andare da un punto dell' un lembo di t al punto opposto
sull'altro lembo. Per ciò, eseguito il taglio t, non viene tolta la connes-
sione fra le due regioni dell'area aderenti ai lembi di t; vediamo adun-
que che:
Ogni area piana a contorno unico è semplicemente connessa e viceversa;
ed inoltre: in un'area pluriconnessa ogni taglio che abbia gli estremi su
due contorni diversi non toglie la connessione e fa diminuire di uno il nu-
mero dei contorni.
Ciò premesso, abbiasi un'area piana connessa, il cui contorno sia for-
mato da n curve chiuse distinte Oi, Cg, . . . 0^. Se eseguiamo nell'area un
taglio, p. e. da <^i a 02, l'area nuova è ancora connessa ed ha ?* - 1 contorni.
In questa nuova area eseguiamo un secondo taglio fra due punti di con-
torni diversi e così di seguito. Dopo n-\ tagli, la superficie che si ottiene
avrà un solo contorno e sarà quindi semplicemente connessa. Dunque:
Un'area piana connessa con n contorni si può ridurre con n—\ tagli, che
non ne rompano la connessione, semplicemente connessa. Una tale area si
dice per ciò n volte connessa 0 di ordine n di connessione, valutando
come 1 l'ordine di connessione per le aree semplicemente connesse.
90
CAPITOLO III.
§.30
È chiaro che agli n-ì tagli, che rendono l'area semplicemente con-
nessa, si potranno dare disposizioni diverse. Così, per l'area triplamente
FiG. 6.a
connessa della figura, si potrà dare ai tagli ti, ti la disposizione a), o
la b), 0 la e).
Osserviamo poi che, descrivendo in un'area semplicemente connessa
una curva chiusa a priva di nodi, questa forma da sé stessa il contorno
completo di un'area parziale (semplicemente connessa). Invece per le aree
pluriconnesse, se descriviamo una curva chiusa t avvolgente uno o più
contorni interni, la cm-va ^ non limita più, da sé sola, una regione del-
l'area.
91
§• 31.
Integrali di differenziali esatti.
Premesse queste brevi nozioni, ritorniamo al teorema alla fine del
§.29. Se l'area A, in cui è dato il differenziale esatto
Xdy — Y dx ,
è semplicemente connessa, e descriviamo una curva a chiusa che dap-
prima non intersechi sé stessa, la a formerà il contorno completo di un'area
parziale A' e si avrà perciò: / {Xdt/-Ydx) = 0.
È facile vedere che il medesimo risultato vale anche se la curva
chiusa a interseca, quante volte si vuole, sé stessa. E infatti seguiamo
la curva chiusa a che parte da un punto M e vi ritorna, comunque in-
trecciandosi, e sia K il primo punto ove interseca sé stessa; arrivati da
M in K verremo a descrivere, muovendoci sopra a, a partire da K, una
parte chiusa Oj di a che non si interseca, e sarà dunque di per sé:
iXdy — Ydx) = 0.
Possiamo dunque sopprimere questa parte e procedere sulla rima-
nente nel medesimo modo. Si ha quindi il teorema: Nell'interno di un'area
semplicemente connessa se si eseguisce lungo una curva chiusa n, comunque
intrecciata, V integrale
(X dy - Y dx)
0
di un differenziale esatto (pel quale si suppongono soddisfatte le condizioni
della fine del §. 29), il risidtato sarà sempre identicamente nidlo.
Consideriamo ora invece una linea aperta acb, che nell'area sempli-
cemente connessa A vada da un punto a ad un punto b, comunque in-
trecciandosi ; facilmente vediamo che l'integrale
(X % — Y dx)
acb
del nostro differenziale esatto dipende unicamente dai due punti estremi
92 CAPITOLO III. — §.31
a, h del cammino d' integrazione. Consideriamo infatti un altro cammino
d'integrazione a eh, che riunisca i medesimi estremi e sia comunque fog-
giato. Percorrendo prima a eh poi il cammino he a, rovesciato di ac'h,
abbiamo una curva chiusa a e perciò
{Xdy — Ydx)+ (X
{Xdy — Y dx) -\- (Xdy — Y dx) = 0 ,
Cloe:
(Xdy—Ydx)= {Xdy — Y dx),
il che appunto si voleva provare. Poiché adunque l'integrale di Xdy- Ydx,
esteso ad un cammino che vada da a in h, dipende solo dagli estremi,
potremo indicarlo senza ambiguità con
r"
ady-Ydx),
ovvero anche con
ri^i , Vi)
/ (X dy — Y dx) ,
^(^i , Vi)
ponendo in evidenza le coordinate Xi , y^ ; Xz , yz dei due estremi a, b.
Pensiamo ora fisso il primo estremo (xi , y^ e mobile il secondo, le
cui coordinate indicheremo con x, y. L' integrale
ride XÌ\
(Xdy-Ydx)
sarà una funzione di x, y ad un sol valore, finita e continua in tutta
l'area, come subito si vede. Inoltre ammetterà le derivate parziali prime
dò dò
:^ , TT-^ pure finite e continue e date da
dx dy
dx ' dy
sicché il differenziale totale d^ sarà appunto df^^Xdy-Ydx.
INTEGRALI DI DIFFERENZIALI ESATTI 93
E invero abbiamo
rx-\-\x, y
^ (a;+A X, y) — '^ {x, y)= ì (^ dy — Y dx)
^x,y
e possiamo seguire, per andare da x,y a x^^x.y, il cammino parallelo
all'asse x, almeno quando A^- sia già sufficientemente piccolo. Avremo
allora dy = (ò ^
rx-\-^x
(j> (a;+A x,y) — ^{x,'y)= - \ Y {x, y) dx ,
^x
onde, indicando con Y un valore di Y intermedio nel tratto, sarà
<}^{x+àx,y)—<ì^{x,y)^ _Y
^x
e, passando al limite per àx = 0, otterremo, a causa della continuità di Y:
e similmente
a,= -Y(.,,)
| = X (..;,).
Se Tarea in cui si considera il differenziale esatto è più volte con-
nessa, i risultati precedenti subiscono una modificazione, che è facile rico-
noscere. Nell'area n volte connessa eseguiamo per ciò n- 1 tagli ti, U,...
^;^_l sì da renderla un'area A' semplicemente connessa e, per fissare le
idee, supponiamo che i tagli t non si intersechino fra loro, ma p. e. riu-
niscano il contorno esterno Oi ai rispettivi contorni interni 02, 03 , . . On.
Nell'area tagliata A' l'integrale
r{^, y)
^{x,y)^ì (Xdy — Ydx)
-'{^i , Vi)
è una funzione ad un solo valore. Se confrontiamo i valori di ^ in due
punti opposti m, m sui due lembi di un medesimo taglio t, valori che
indichiamo con
vediamo che la differenza
94 CAPITOLO III. — §.31
è costante lungo tutto il taglio. E invero, se n, n' sono due altri punti
di fronte sui lembi di t, si ha
pììi
^^-^^= I (Xdtj-Ydx),
' n
,-vnl
^m—^n-=\ {y.dy — Ydx);
Jn'
f , / possono calcolarsi lungo i lembi del ta-
n Jn'
glio ed è perciò
,'»m rm'
J ^J, '
^n '^rù
cioè
ossia
^m - ^m' = ^n - ^W C. d. d.
Questa differenza costante che passa tra i valori di ']> ai due lembi
di t dicesi la costante o il modido di periodicità relativo al taglio t. Esso
è eguale all'integrale / (Xdy-Ydx), esteso ad una curva chiusa che in
A' vada da un punto di t all'opposto traversando una sola volta t ^^K Cor-
rispondentemente agli n-\ tagli, avremo n-\ moduli di periodicità
Vediamo ora quello che accade considerando l'area primitiva A e
lasciandovi muovere liberamente il cammino d'integrazione. Ogni qual-
volta il cammino attraversa un taglio, p. e. da m ad m\ il suo valore,
confrontato con quello che avrebbe in m se per andare da m in m non
si fossero attraversati tagli, cresce o diminuisce del corrispondente mo-
dulo di periodicità to, secondo il senso dell'attraversamento. Se ne con-
clude che, se in un punto {x, y) si ottiene il valore '^ per l'integrale, se-
guendo un certo cammino, variando comunque il cammino si otterranno
valori tutti della forma
(j,' = ri; -f n Wi + ^2 (02 + . . . + Yn-X Oi«_i ,
(*' Se un taglio t viene attraversato da tagli successivi, ne risulterà diviso
in tante parti, a ciascuna delle quali apparterrà un proprio modulo di periodicità.
INTEGRALI DI DIFFERENZIALI ESATTI 95
dove le r sono numeri interi positivi o negativi. Aggiungiamo che, va-
riando convenientemente il cammino, si possono fare acquistare ai nu-
meri Ti valori affatto arbitrarli.
In generale adunque, in un'area più volte connessa, l'integrale di
un differenziale esatto ha influiti valori, tutti differenti fra loro per mul-
tipli interi di periodi Wi , Wg , . . Wn-i . Se questi periodi sono fra loro in-
dipendenti, nel senso del §.15, e sono in numero > 1, l'integrale avrà
in ogni punto infiniti valori vicini fra loro quanto si vuole. Naturalmente
però può accadere che, nonostante la connessione multipla, l'integrale
'^{x,y) sia ancora una funzione ad un sol valore; ciò accadrà quando i
moduli di periodicità siano tutti nulli.
Osserviamo in fine, che cangiando il sistema di tagli, cangeranno
anche i moduli di periodicità, che diventeranno
w'i , (tì'2 , . . . co ,i_i ;
ma questi dovranno essere combinazioni lineari a coefficienti interi di
ed inversamente, onde segue che il determinante della corrispondente
sostituzione hneare sarà l'unità.
§. 32.
Nuove forinole di trasformazione — Forinola di Green.
Indichiamo con U, V due funzioni finite e continue nell'area A (in-
cluso il contorno) che soddisfino inoltre alle condizioni seguenti, sempre
beninteso il contorno incluso: 1.° U possegga derivate parziali del primo
ordine, finite ed atte all'integrazione in A, 2.° la V possegga derivate
parziali del primo ordine finite e continue e inoltre derivate parziali del
secondo ordine finite ed atte all'integrazione. Se poniamo allora
av 3v
saranno soddisfatte le condizioni del §. 27, sotto le quali vale la for-
mola (IP)
Lf
(g+S)*"--X(-S+'-|)'
96 CAPITOLO III. — §. 32
Questa, per le sostituzioni precedenti, diventa
.j \dx dx dy dy
= -/u?<fe,
che, adottando i simboli
dx' ^ dy' '
v(uv) = ^^ + ^^av
^ ' ^ dx dx ^ dy dy '
si scriverà anche
aV*) I Và,\dxdy-\- j V(\],T}dxdy= - V^^ ds.
Ponendo in questa, come è lecito, U = 1, otteniamo la formola notevole
(V) / ^,Ydxdy= - j ~ ds,
onde risulta in particolare il teorema : Se la funzione V {x, y) è nell'area
A, iìwluso il contorno, finita e continua insieme alle derivate parziali prime,
e possiede derivate seconde finite ed atte alV integrazimie che soddisfano alVe-
quazione Aj V = 0, sarà nullo V integrale esteso al contorno dell'area della
derivata della V rispetto alla normale al contorno.
Si aggiunga che, se l'area è semplicemente connessa, e :; una curva
chiusa qualunque nell'area, sarà sempre
Viceversa si vede subito dalla (V) che se, per una funzione V, l' integi'ale
precedente esteso a qualunque curva chiusa ^ è nullo, la V soddisferà
in tutta l'area all'equazione
supposto naturalmente che la V sia finita e continua nell'area colle de-
FORMOLI DI GREEN 97
rivate parziali prime e possegga non solo derivate seconde finite ed atte
all'integrazione, ma anche tali che almeno la somma sr— ? + ;=r-TSÌa con-
tinua.
Supposto nuovamente che V soddisfi a tutte le condizioni del teorema
precedente, facciamo nella (IV*) U = V, con che Id condizioni imposte ad
U saranno a più forte ragione soddisfatte, e otterremo la formola im-
portante :
Questa formola, giova ripeterlo, vale per ogni soluzione dell'equazione
che nell'area A, incluso il contorno, sia finita e continua insieme alle
derivate prime e possegga derivate seconde finite ed atte all'integra-
zione.
In fine deduciamo dalla (IV*) una nuova formola, detta formola di
Green, scambiando in essa U, V e sottraendo le due formolo, il che dà:
(VII) / ì {Vl^^Y — Y ^,\J)dxdy^ i (y^~ — V~^ ds.
Per la validità di questa formola occorre naturalmente che anche per
U si verifichino le condizioni già enunciate per V, fino alle derivate se-
conde. In particolare se U, V, oltre al soddisfare queste condizioni, sa-
ranno soluzioni dell'equazione A2 = 0, avremo
i
V^ dp dp J
(Vili) / V^ — U^ ì c?5 = 0
Funzioni armoniche con derivate regolari al contorno.
Applicheremo le formolo precedenti alla ricerca delle proprietà fon-
damentali delle soluzioni dell'equazione
A2 U == 0 ;
ma, per brevità di linguaggio, introdurremo le seguenti denominazioni.
98 CAPITOLO III. — §. 33
Se in un'area A la funzione U è ad un sol valore, finita e continua,
incluso il contorno, e nelV interno dell'area possiede derivate prime, finite
e continue, e derivate seconde finite ed atte all'integrazione, legate dalla
relazione
dx' + di/ '
diremo che la U è una funzione armonica nell'area. Quando le condi-
zioni per le derivate sono soddisfatte non solo all' interno ma anche sul
contorno, diremo che la U possiede derivate regolari anche al contorno.
Le formole (VI), (Vili) del §. precedente saranno appunto applicabili
nel caso di funzioni U, V armoniche nell'area, con derivate regolari al
contorno.
Supponiamo che una funzione armonica V in un'area A, con derivate
regolari al contorno, sia nulla su tutto il contorno dell'area. Applicando
la (VI), coll'osservare che l'integrale del secondo membro è nullo, ne
deduciamo
JJl
(ST+(IT('"-°'
onde segue che sarà in tutta l'area
dx ' dy
e però V costante in tutta l'area. Ma, essendo V nulla al contorno, avremo
a causa della continuità:
V = 0
in tutta l'area. Segue di qui l'importante teorema: Bue funzioni Vi, Y 2
armoniche in un'area, con derivate regolari sul contorno, che coincidono
sul contorno coincidono anche nell'interno. E invero la differenza Vi - V2 è
una funzione armonica nulla al contorno, e però nulla anche nell'interno.
Fra breve estenderemo questo teorema, togliendo la condizione delle
derivate regolari al contorno.
Il risultato precedente può enunciarsi sotto altra forma dicendo: I
valori di una funzione armonica in un' area, con derivate regolari al con-
torno, sono pienamente determinati nélV interno, quando siano fissati i vcdori
della funzione al contorno.
RICERCA DEI VALORI DI U NELL'INTERNO 99
Nasce quindi il problema di esprimere, per una tale funzione armo-
nica, i valori nell'interno per mezzo dei valori sul contorno. Per pre-
parare le formolo a tale oggetto, premettiamo le osservazioni seguenti.
Sia M'E^(a;', y) un punto fisso del piano e M = (.r, y) un punto variabile;
indichiamo con r la distanza, contata positivamente, del punto variabile
dal punto fisso:
Se poniamo
V = log y ,
intendendo il logaritmo preso nel senso aritmetico, in qualunque area
piana, die non contenga il punto M', sarà V = log r una funzione armo-
nica con derivate regolari al contorno, come si verifica immediata-
mente (^).
Ciò premesso, consideriamo una funzione armonica U in un'area A,
con derivate regolari al contorno, e proponiamoci di calcolarne il valore
U' in un punto \]^~{xy') interno all'area. Fatto centro in M' descri-
viamo, internamente all'area, un cerchio di raggio p, che faremo poi im-
piccolire indefinitamente e il cui contorno indichiamo con a. Se togliamo
dall'area A questo disco circolare, otteniamo un'area A', il cui contorno
si compone del contorno primitivo s e della periferia o del cerchio. In
questa area A' le due funzioni
U , V = log r
sono armoniche ed hanno derivate regolari al contorno. Potremo quindi
applicare la formola (Vili) di Green ed avremo
Ma neir ultimo integrale il primo termine è identicamente nullo, per-
chè durante l' integrazione log r è costante = log p e, per una proprietà
delle funzioni armoniche osservata al §. 32:
il— ^
(*) Posto z'=^x'-{-iy' , z:=x~{-iy la. funzione V è la parte reale di log {z-z')
(2) Propriamente qui la derivata -w— è presa secondo la normale esterna a a
ma non differisce che per il segno dalla derivata secondo la normale interna.
100 CAPITOLO III. — §. 33
resta quindi
Nel secondo membro la derivata - è presa nel senso crescente
dp
dei raggi vettori, rispetto al punto fisso M', e il suo valore sul contorno
a è dato da
'91ogr\ 1
dp /a p
D'altronde, indicando con 9 l'anomalia di un punto variabile sopra
a, abbiamo
d'^ = [j dò
e quindi la formola precedente può scriversi
intendendo che U^ denotino i valori di U sulla periferia 'j. La formola
(4) vale comunque piccolo si prenda il raggio o del cerchio ; ma notiamo
che il primo membro è evidentemente indipendente da [j, e tale dovrà
quindi essere anche il secondo membro. Per calcolarne il valore osser-
viamo che, essendo U' il valore di U nel centro, possiamo scrivere
(5) / U3 fZe = 2 - U' -i- / (U3 — U') dò .
Facendo impiccolire il raggio 0 del cerchio, possiamo rendere, a causa
della continuità di U in M', piccolo quanto si vuole il valore assoluto di
U3 - U' su tutta la periferia 0 e però anche quello dell'integrale
ì {J],-\]')dò.
Se ne conclude che questo integrale, essendo indipendente per la (4)
da p, è necessariamente nullo, onde risulta
T ■
2-
(6) / U3 f?e = 2 ;r U'
^IVERSITY Gì- ÌOf '"'" -^
FUNZIONE DI GREEN 101
Dopo di ciò la forinola (4) diventa:
(IX) u- = u(/.,') = J,/(.og,.f-u^-Mr)*.
S
§• 34.
Funzione di Green.
La (IX) ci dà i valori di U nell'interno, espressi per i valori che
au
prendono sul contorno la funzione U e la sua derivata normale -^ . Come
si vede, lo scopo che ci eravamo proposti non è del tutto raggiunto, ma
restano ancora da eliminare, se è possibile, dalla (IX) i valori al con-
torno di y- . Ciò si potrà fare, come ora ci proponiamo di mostrare,
quando si sappia risolvere il problema che ci occupa in un certo caso
particolare. Si indichi con 'f una funzione armonica in tutta Tarea, con
derivate regolari al contorno; si avrà per la (Vili):
/(■
au ^,9'f^ ,
g ^' dp dpj
e la (IX) potrà scriversi anche:
rv 1 ri , X SU „3(logr+'^)) ^
Se la funzione armonica 'f è dunque tale che si abbia su tutto il
contorno dell'area
('f + logr)s = 0,
resterà
formola che risolve il problema proposto. Una tale funzione ©, se esiste,
è unica pei teoremi sopra dimostrati; essa dicesi la funzione di Green
relativa al punto M'. Le condizioni che la determinano sono: 1° di es-
sere una funzione armonica nell'area, con derivate regolari al contorno
102 CAPITOLO III. — §§. 34, 35
2^^ di assumere sul contorno i valori - log r, essendo r la distanza di un
punto mobile sul contorno da un punto fìsso M' nelV interno.
Quando per tutti i punti dell'area A esista e si sappia determinare
la funzione di Green, la forinola (X) serve a calcolare i valori nell'in-
terno di ogni funzione U armonica, con derivate regolari al contorno,
per mezzo dei valori Us al contorno.
Un caso semplice, in cui riesce subito la determinazione della fun-
zione di Green, è quello di un'area circolare. Se il punto M' è nel centro,
la funzione di Green si riduce alla costante -log TI (R raggio). Quando
M' non è nel centro si consideri il suo coniugato armonico M", che è
esterno al cerchio, e si indichi con r la distanza di un punto mobile
da M". Il rapporto
r
V
è una costante h lungo la periferia del cerchio e la funzione di Green
sarà data da
'f = - log r — log Z; .
In vero essa è armonica con derivate regolari anche sul contorno,
giacché il punto M" da cui sono contate le distanze / è esterno ; di più
sulla circonferenza si riduce a - log r.
§. 35.
Massimi e minimi delle funzioni armoniche.
Togliendo ora le condizioni relative alle derivate al contorno, sup-
porremo soltant© che la funzione U sia armonica nell'area A che si con-
sidera e cominceremo dal dimostrare il teorema: In ogni disco circolare,
tutto interno all'area, il valore che la funzione armonica U ha nel centro
è la media dei valori che la funzione stessa assume sul contorno del disco.
In un tale disco la funzione armonica U ha derivate regolari sul
contorno e possiamo applicare la forinola (IX), situando il punto M' nel
centro. Ma sul contorno del disco log r è costante, onde, come già so-
pra si è osservato, il primo integrale nel secondo membro della (IX) è
nullo; e poiché inoltre
31ogr\_ 1
MASSIMI E MINIMI DELLE FUNZIONI ARMONICHE 103
essendo R il raggio del cerchio, otteniamo
•2-
^'=2^57/»'?^ = ^/ V.dB,
= -/'
il che dimostra il teorema (^'.
La funzione U essendo continua in tutta l'area A, incluso il contorno,
avrà ivi un massimo M ed un minimo m e vi sarà almeno un punto
nell'interno, o sul contorno, nel quale assumerà effettivamente il valore
massimo M ed uno almeno nel quale assumerà il valore minimo m. Ora
dimostriamo che : Il massimo ed il minimo di una funzione armonica, non
costante, non possono mai aver luogo nell'interno delVarea e sono quindi
presi dalla funzione sul contorno dell'area.
W Si può osservare che la notevole proprietà espressa da questo teorema è
caratteristica delle funzioni ormoniche e propriamente sussiste la proposizione
seguente : Se una funzione U (ce, y) è finita e continua, insieme alle derivate
parziali prime in un'area A, dove ammette derivate seconde finite ed atte alla
integrazione e continue almeno nella somma w-^ -j- y-g , e di j^iìt' gode della pro-
prietà di assumere nel centro di ogni disco circolare C, tutto interno all'area, la
inedia dei valori che ha sul contcnmo del disco, si avrà necessaria'mente in tutta
r area ^2X1=0.
Si consideri infatti un tale disco circolare C di raggio R, il cui contorno
indichiamo con -^ e sia U' il valore della funzione nel centro ; avremo per ipotesi :
27r
"'=2^X"'''==2-.XU'<'''-
Descriviamo un circolo Cj , di contorno -3^ , concentrico ed interno a C, il
cui raggio indichiamo con R — h, essendo h una quantità positiva piccola ad
arbitrio ; avremo ancora
onde
Dividendo per h e passando al limite per h = 0, coli' osservare che la U
possiede derivate prime continue, ne deduciamo / 7=>— cZa = 0 , dopo di che, dalla
formola (5), §. 32, discende subito la verità della proposizione enunciata.
104 CAPITOLO III, — §. 34
Suppongasi al contrario che in un punto P interno al campo la U
assuma il valore massimo M (od il minimo m). Descriviamo col centro
in P un disco circolare tutto interno all'area. Il valore M (ovvero m) che
ha luogo nel centro è, pel teorema sopra dimostrato, la media dei valori
sulla periferia e poiché tutti questi valori sono :l'^ M (ovvero > m), se
ne conclude che dovrà sempre verificarsi il segno d'uguaglianza <^), cioè
su tutta la periferia, e però anche nelF interno del disco, la funzione U
sarà costante ed eguale al valore massimo M (o al minimo m). Ma allora
è facile vedere che in qualunque punto Q interno all'area la U sarà
sempre eguale a M (o ad m). E infatti congiungiamo P con Q, mediante
una linea L tutta interna all'area, e prendiamo un cerchio di raggio r
così piccolo che ovunque si ponga il centro del disco sulla linea L, il
disco rimanga tutto interno all'area (^'.
Potremo descrivere un numero finito di questi dischi, di cui il primo
e r ultimo abbiano i centri rispettivamente in P, Q e ciascuno abbia il
centro entro al precedente. Applicando successivamente il risultato ora
ottenuto, vediamo che nel primo disco la U è sempre eguale a M e
quindi, avendo il valore M nel centro del secondo disco, serba in tutto
il secondo disco il medesimo valore M, medesimamente pel terzo,
quarto ecc. onde awà il valore M anche nel punto finale Q, e. d. d.
Dal teorema fondamentale così dimostrato risulta: Se con M, m si
indicano il massimo ed il minimo valore che una funzione armonica assume
sul contorno deWarea, questi saranno pure il massimo ed il minimo della
funzione hi tutta l'area, ed anzi ogni valore nelV interno sarà compreso fra
M e m, gli estremi esclusi.
W La forinola
1 r'""
u' = _- / u. fze,
applicata al nostro disco, può scriversi infatti
(M— U,)rf6 = 0
£
e poiché la differenza M— U, è sempre positiva o nulla, se ne conclude che dovrà
sempre esser nulla.
(2) Basta prendere r più piccolo della minima distanza dei punti di L dal
contorno dell'area.
105
§. 36.
Problema di Dirichlet.
Le proprietà ora dimostrate per le funzioni armoniche conducono ad
estendere i teoremi d'unicità del §. 33, togliendo le condizioni per le
derivate al contorno. E infatti supponiamo che una funzione U armonica
in un' area sia costante sul contorno ; allora il massimo ed il minimo al
contorno coincidono in quest'unico valore e però la funzione assumerà in
tutto l'interno dell'area il medesimo valore costante.
Ne risulta quindi il teorema : Bue funzioni armoniche in un'area, che
coincidono sul contorno, coincidono anche nell'interno dell'area.
In altre parole: i valori che una funzione armonica ha sul contorno
di un'area determinano univocamente i valori della funzione nell'interno.
Di qui nasce la questione se tali valori al contorno possano darsi arbitra-
riamente. Enunciamo sotto forma più precisa la questione, che costituisce
il così detto proUema di Dirichlet, così:
Sid contorno di un' area piana connessa sono assegnati valori arbitrarli,
costituenti per ciascuna curva del contorno una catena finita e continua di
valori. Si domanda di costruire una funzione armonica nell'area che sul
contorno assuma i valori assegnati.
Riemann dimostrò che il problema di Dirichlet ammette sempre una
soluzione (^) e questo risultato pose a fondamento della sua Teoria delle
funzioni Aheliane '^'.
Ma la dimostrazione data da Riemann, che parte da considerazioni
di minimo di integrali doppi, manca di rigore, come Weierstrass osservò,
in un punto fondamentale. Soltanto una lunga serie di ricerche poste-
riori, dovute principalmente a Neumami ed a Schwarz, ha posto fuori
di dubbio che, almeno sotto certe limitazioni rispetto alla natura del
campo, si possono effettivamente dare ad arbitrio i valori di una fun-
zione armonica sul contorno dell'area e così l' intera teoria, edificata da
Riemann, ha acquistato solide fondamenta.
Noi non possiamo qui addentrarci nello studio del problema gene-
rale di Dirichlet e solo ci limiteremo a risolverlo nel caso di un campo
circolare, caso che riesce relativamente facile. Potremmo servirci a tale
O Che la soluzione, se esiste, debba essere unica si è già sopra dimostrato.
(^* Riemann 's Werke. Theorie der Ahel 'schen Functionen, §. 3.
106 CAPITOLO III. — §§. 36, 37
scopo della funzione di Green, di cui al §. precedente abbiamo già di-
mostrata resistenza e trovata l'espressione per l'area circolare; ma
preferiamo esporre un altro metodo, dovuto a Neumann, i cui principi!
hanno il vantaggio di applicarsi a casi molto più estesi.
§. 37.
Forinole di Gauss relative all' integrale x— / — ^^^ ds .
Supponiamo dapprima un'area qualunque A ed, indicando con r la
distanza di un punto mobile da un punto M' fisso nelV interno, proponia-
moci di calcolare il valore dell'integrale
esteso al contorno dell' area. Basta per ciò fare nella formola (IX) §. 38,
che vale per ogni funzione armonica U con derivate regolari al contorno,
U= 1.
Ne deduciamo la formola di Gauss
I - Js 3»
^"^^ 2-Js dp
Supponiamo ora invece che il punto M', da cui si contano le distanze r,
sia esterno all' area . Allora log f — j è una funzione armonica nell'area,
con derivate regolari al contorno, e si ha per ciò
^^^ 2izJs dp -^'
Prima di procedere alla deduzione di una terza formola importante
per il seguito, osserviamo un significato geometrico semplice della fun-
9 log —
r
zione — X al contorno. Per ciò dalla formola
dp
1 p'°g(y)
! ir .7q dp
deduciamo
indi
l'integrale di gauss o- / — ^^' ' ds 107
••i=^^-^')S+^-^>l'
\r J 1 \x' -X dx .y -y dy]^
dp r \ r dp r dp) '
La quantità fra parentesi è il coseno dell'angolo che la direzione
M M', nel verso dal punto mobile al punto fisso, fa colla direzione della
A
normale interna; indicando quest'angolo con rp, abbiamo dunque:
^^\rj ^ cos (rp) ^
dp r '
Se pel punto M del contorno e tangenzialmente a questo si conduce
il circolo che passa per M' e se ne indica con R il raggio, si avrà
A
cos (rp) ^ 1
r ~-2R '
A
secondo che l' angolo rp è acuto od ottuso.
Ciò premesso, domandiamo quale valore avrà il sohto integrale
Js dì)
J ^'"^ ^5 quando il punto Mo, da cui si contano le distanze
2t: Js dp
che ora indicheremo con >-o , si trovi sul contorno. In primo luogo si os-
servi che la formola (9) ci dà
3 log - . ^ .
Tq ^ cos (rop)
dp To '
e la funzione da integrarsi lungo il contorno è ancora dappertutto finita
e continua salvo ai punti angolari del contorno, dove avrà discontinuità
di prima specie e salvo inoltre event imi mente al punto Mo , ove potrà pre-
sentarsi qualche singolarità, se in Mo la curva non ha circolo osculatore.
fa log ^
In ogni caso il nostro integrale / — ^ — " ds potrà essere calcolato
come limite dell'integrale esteso a tutto il contorno, asportato un pie-
108 CAPITOLO III. — §. 37
colo intorno di Mo. Supponiamo, per maggiore generalità, che il punto
IVIo sia un punto angolare del contorno e le tangenti a destra e sini-
stra formino l'angolo ar, sicché sarà a= 1 se Mo è un punto ordinario.
Fatto centro in Mo, con un raggio piccolissimo p, descriviamo un cerchio
q e togliamo dall'area A la parte interna al cerchio ; avremo così un' area
A' limitata dalla parte s' di contorno s esterna al cerchio e da un pic-
colo arco 0 di questo cerchio. Ora, poiché Mo è esterno all' area A', si
avrà per la (8):
1 A '""(7) 1 Ai°svr
2;z Js dp 2z^o dp
Ma il secondo integrale, come già altra volta abbiamo visto, può
scriversi
H''-
1 a
e air impiccolire indefinito di .0 converge verso -~ cf.z= - - , quindi
avremo
^ fdlogf-.
hm -— / , X ds = —
2%Js dp 2
ossia
(10)
2tJs dp 2
È questa la terza formola che volevamo stabilire. Si ossen-erà che
se Mo è un punto ordinario, cioè a= 1, l'integrale ha il valore — , che è
la media dei valori relativi al caso di un punto M' interno ed al caso
di M' esterno.
109
§. 38.
I)
studio dell' integrale — / U — ^ — ds
Il metodo che ora passiamo ad esporre per la risoluzione del pro-
blema di Dirichlet nel caso del cerchio si fonda sullo studio di quella
parte dell' integrale esteso al contorno, nel secondo membro della formola
(IX), pag. 101 che contiene i valori prescritti della funzione al contorno.
Le formolo che stabiliremo nel presente §. valgono non solo nel caso
del cerchio, ma anche per qualunque area semplicemente connessa, il
cui contorno volga costantemente la sua concavità verso l'interno (con-
torno di Neumann) e servono appunto di fondamento alla risoluzione del
problema di Dirichlet per ogni tale area.
Supponiamo data sul contorno dei cerchio una successione U di va-
lori, che assoggettiamo alla sola condizione di formare una catena finita
e continua, e indicando con r le distanze dei punti del contorno da un
punto M'^^ixi/') interno dell'area, studiamo il modo di comportarsi
della funzione
1 f ^'"8 (7)
Intanto, se consideriamo un'area A' tutta interna al cerchio ed in
questa facciamo muovere il punto M', la funzione sotto il segno integrale
1
9 log
- ^ — è una funzione di x', y sempre finita e continua che am-
mette, rispetto ad x , y\ le derivate parziali di ordine tanto elevato quanto
si vuole e soddisfa all'equazione
Per le note proprietà degli integrali definiti, e delle regole di deri-
vazione sotto il segno, abbiamo dunque : In qualunque area A' tutta in-
terna al cerchio la funzione tj; {x, y) è finita e continua, colle sue derivate
parziali di tutti gli ordini, e soddisfa alV equazione
dx'^ "^ dy"' ~ '
110 CAPITOLO III. — §.38
Vogliamo ora esaminare (ed è questo il punto essenziale della ri-
cerca) quello che accade della funzione armonica '\ {x, y), quando il punto
ìH! ^{x\y'), dair interno del cerchio, si accosta indefinitamente ad un
punto Mo della periferia. Perciò, indicando con Uo il valore di U in Mo, e
sottraendo da <\{x\ìj) la costante 2U,j, o^s^rviamo che per la formola
(7) di Gauss (pag. 106) si ha
1
1 ^^'^\r.
M^, 2/) - 2 Uo = - J^ (U - Uo) -^^ cfe,
e prendiamo a studiare il modo di comportarsi dell'integrale del se-
condo membro quando il punto M' si accosta indefinitamente verso Mq.
Se con /o denotiamo le distanze dei punti dell'area dal punto Mq fisso
sulla periferia, la funzione
(U-Uo)
dp
sarà finita e continua su tutto il contorno, anche in Mo (§. 37) e potremo
considerare l'integrale definito
1 f ^ '»«(.-)
^ ds.
dp
Sarà questo, come ora dimostreremo, il valor limite verso cui con-
vergerà l'integrale
1
1 ^^'Hr.
quando M' si muoverà verso Mo; si avrà cioè, come scriveremo:
'^^Ki) . 1 L . '^^^fi)
(11) lim— / (U-Uo) ■ — ^-^^ ds = — J (U-Uo) "'"^ ds.
z Js dp a J s ds
Dimostreremo anzi di più che questa convergenza ha luogo superfi-
cialmente in egiicd rjrado, che cioè, preso un numero positivo ; piccolo
a piacere, si può fare un intorno superficiale di Mo così piccolo che,
STUDIO dell'integrale — / U j.-'— ^ ds 111
muovendosi M' comunque in quest' intorno, la differenza dei due integrali :
i i (" - u») '-^^ * - i i (u - Uo) ^-^^ *
si serbi sempre, in valore assoluto, minore di s.
Per questo cominciamo dal ricordare che, per la formola (9) del §. pre-
cedente, pag. 107, la quantità
aiogf-") -,
V *■ / cos {rp)
dp r
è sempre positiva, perchè nel caso del cerchio, e più in generale di un
A
contorno qualunque di Neumann, l'angolo rp è sempre acuto e lo stesso
a log [^
vale manifestamente dell' altra — - .
dp
Ora cominciamo dal prendere sulla periferia un intorno s' di Mq tanto
piccolo che, essendo ci una quantità positiva prefissata, piccola quanto
si vuole, si abbia in tutto 5'
|U-Uoi<s,,
ciò che è sempre possibile, a causa della supposta continuità dei valori
U al contorno. Indicando poi con s" tutta la parte rimanente della pe-
riferia, decomponiamo i nostri due integrali così:
1 r M"^ 1 r
- / (U-Uo) ~^~^ ds = ^ / (U-
3 log (7^
^^ "" — /.' v^ Uo) Ti ds -f-
cp TI Js dp
1 f ^^^^(i
(12)
1
log(r) 1 f ^1^41
, (U-Uo) ^-^^ ds==- ,(U-Uo) ^-^^^ ds +
7: Js dp Tt J s dp '
1 f ^^"^(v
112
CAPITOLO III. — §. 38
Pei due primi integrali dei secondi membri, essendo come si è detto
3 1og(l) 31og(i
dp
dp
sempre positivi, si ha
1 f ''<)
e per la formola (7) di Gauss
r
•7- . 'O
9 loK
, f'H^
dp t: Js dp
ds
1 f ^^°^^(Ì
<2ei
Similmente si troverà per la (10)
flf l02
tX'(u-u.)
dp
ds ; < £i
Dalle (12) deduciamo quindi per sottrazione
(13)
1 ^^^^(7.
1
aiog(i)
ds
+
1 f '''K^
T.V'^-^«)- 3,
cZs
i/"
3 log
^1
A^-^o)
cp
<3si +
c?s
la quale formola vale ancora dovunque sia M' nell'interno.
Ma ora facciamo un piccolo intorno superficiale di Mo in guisa che
la parte del suo contorno appartenente alla periferia del cerchio sia tutta
interna a s'. Allora, muovendosi M' in quest'intorno, le sue distanze dai
punti delFarco s" d'integrazione si mantengono sempre superiori a una
quantità fissa e, se impiccoliamo sufficientemente quest'intorno, la dif-
ferenza
9 log
IN
, - I
9 log
cos (rp) cos{r^)
dp dp r To
potrà rendersi lungo tutto Varco s" piccola quanto si vuole. Xe segue che,
IL PROBLEMA DI DIRICHLET PEL CIRCOLO 113
serbandosi U - Uo sempre finita, anche la diiferenza di integrali nel se-
condo membro della (13) può rendersi inferiore alla quantità che più
ci piace, p. es. ad Si. Il secondo membro della (13) sarà allora inferiore a
4 £i, e posto Si = T 5 avremo, come si voleva
<:£
f aiog(l) f aiog(^
- / (U-Uo) ^^^ ^ - - A (U-Uo) ■ ^^ ds
§. 39.
Risoluzione del problema di Dirichlet pel campo circolare.
Applichiamo al caso del cerchio la formola (11), che abbiamo dimo-
strata nel caso generale di un contorno di Neumann. Essa può scriversi
anche così :
1 f ^^'^(l) 1 f ^^'^(k)
L f u ~^^ ds = Vo + ^ f U ,,^^
lim— / U ^ ds = Vo + — ' U ^--^^ ds;
' ''s dp 7t .->s dp
r- .y
ma nel caso attuale, se indichiamo con R il raggio del cerchio, abbiamo
1
Vn ) _ cos(rQp) _ _1_
3/> ~ n ~ 2R '
indi
d log
t: *y s dp 2zU'^s 2;: c/O
per cui risulta
)_ / TT
dp 2;t^0
1^ ^•2z
lim I— / U ^-^ ds — J^LVdQ\ = Uo
La funzione
aio
(14) u {xf„ y') = -- I U ^-^^ cìs-^ÌV dO
^ 1 frj ' '"^yrj 1
') = — / U ^ ds — — ,
114 CAPITOLO III. — §. 39
è quindi armonica nell'area circolare ed, avvicinandosi al contorno, tende
ai valori prefissati.
La forinola (14) risolve adunque, per un campo circolare, il lìróblema
dì Dirichlet.
Possiamo dare a questa forraola un altro aspetto, introducendo coor-
dinate polari. Siano (p', 9'j le coordinate polari di M' e (p, b) quelle di
mi punto M mobile nelFarea. Avremo
r^ = f/+p'2_-2pp'cos(e-e'),
quindi
onde
»'9- = r^-p cos(9-6),
^^^Ki) p-p'cos(e-eo
dp pHp''— 2pp'cos(e-e') '
e sostituendo nella (14) il valore di questa derivata al contorno, avremo:
/.o'x 1 Tti R— p'cos(0-o') 1 r^;
^(^-'^)-irj/R-+p---2Rp-cos(9-60^^-2^j/^^'
che possiamo scrivere anche
(14*) u (,'. e') = i_| u" R.^^;,?jR;4(e-9') '' ■
In tutto quello che si è detto fin qui si è supposto che i valori U,
assegnati al contorno, formino una catena finita e continua. Ma possiamo
ora facilmente spingere più in là la ricerca e consider are il caso in cui
i valori U dati al contorno, pur mantenendosi sempre inferiori ad una
quantità fissa, presentano discontinuità di prima o se conda specie in un
numero finito di punti, ovvero anche in un gruppo infinito di punti, pur-
ché sia di prima specie (^'. Domandiamo allora se si può costruire nel-
l'area circolare una funzione h, i cui valori si serbino tutti inferiori a
un numero fisso, che sia armonica in ogni area interaa al cerchio ed,
avvicinandosi al contorno verso i punti di continuità della catena U, tenda
con continuità verso questi valori, mentre nessuna condizione imponiamo
(*) DiNi. Fondamenti, pag. 17.
IL PROBLEMA DI DIRICHLET PEL CERCHIO 115
per l'avvicinarsi dall' interno verso i punti di discontinuità. In tali con-
dizioni dimostriamo anzi tutto che, se la funzione n esiste, essa è unica (^'
ed è ancora data dalla formola (14), o (14*). Descriviamo infatti un cer-
chio Si concentrico, con raggio Ri •< R, ma vicino ad R quanto si vuole
sì da includere il punto (o', 6'). Indicando con Us, i valori di n sul con-
torno Si , potremo applicare al cerchio minore la furinola (14*) ed avremo
" ('-'• ^'> = à, (u- R;+f;'-2'Rf;cos(e-9o "'' ■
Questa formola vale comunque Ri sia vicino ad R, e il valore del-
l'integrale del secondo membro è indipendente da Ri. Ma, nelle ipotesi
ammesse, si vedrà subito che, prendendo Ri sufficientemente vicino ad R,
la differenza fra questo integrale e l'integrale limite
u ^ -'
2%J^ R'+f/'-2Rf/cos(0-8O
è piccola quanto si vuole, onde essa è assolutamente nulla e sussiste
ancora la (14*).
Con ciò è dimostrato che, se la funzione cercata ^« esiste, essa è unica
ed è data dalla (14*). Ma ora, se rammentiamo le considerazioni del
§. 38, vediamo che effettivamente questa funzione u (f/, G'), che è armo-
nica in ogni area interna al cerchio, avvicinandosi ai punti del contorno
ove la U è continua, si comporta ancora in modo continuo.
Quanto al modo di comportarsi della n avvicinandosi ad un punto
Mo di discontinuità al contorno, nulla possiamo dire in generale, quando
la discontinuità della U in Mo sia di seconda specie. Ma se il punto Mo
è un punto di discontinuità di prima specie, sicché esista un limite dei
valori a destra di Mo, sia U^, ed un limite a sinistra U^, possiamo
determinare colle considerazioni seguenti, dovute a Schwarz, come si*
comporterà la funzione nelle vicinanze di My. Essendo M un punto qua-
lunque del cerchio, indichiamo per ciò con 6 l'angolo che la direzione po-
(') Per l'unicità della funzione è essenziale l'ipotesi fatta che i valori dati
sul contorno e i valori nell'interno si serbino tutti inferiori ad un numero fisso,
come lo dimostra il seguente esempio. Prendasi la parte reale u = ^^^ ^ ^ — 1 della
funzione di variabile complessa 1. Nell'interno del cerchio x^-\-y^==2x
la «^ è armonica e si annulla sul contorno.
116 CAPITOLO III. — §. 39
sitiva della tangente in Mq fa colla direzione Mq M e con B i valori di S
al contorno. La funzione 9 è dentro al cerchio una funzione ad un sol
valore, finita e continua insieme alle sue derivate parziali, in là quanto si
vuole, e soddisfa al
I valori © al contorno formano una funzione dovunque continua, salvo
in Mo dove hanno, precisamente come U, una discontinuità di prima
specie, tale che
Se alla catena U di valori al contorno sostituiamo l'altra
V=:U +
u^— Uo-
questa avrà le medesime discontinuità di U eccetto in Mq, dove sarà ri-
stabilita la continuità, se intendiamo che pel valore di V in Mo si prenda
il limite comune Ut dei valori a destra e a sinistra. Con questi valori V
costruiamo, colla formula (14*), la corrispondente funzione armonica v
che coinciderà necessariamente, pel teorema d'unicità, con
V = Il -\ D .
La V, avvicinandosi dall'interno a Mo, si comporterà in modo continuo,
convergendo equabilmente verso U^ e però la u si comporterà come
Se muoviamo dunque verso Mo lungo una retta inclinata dell'angolo ©o
sulla tangente (positiva), avremo
TT- TT+
\ìmu = \j++^' ^ ^"©0,
la quale formola ci fa conoscere appunto quello che si domandava. In
particolare, se andiamo verso Mo lungo il raggio del cerchio, avremo
So= — ed u convergerà verso la media
2
dei valori limiti a destra e a sinistra.
(*) Invero 6 è il coefficiente dell' immaginario nella funzione log (z — Zq).
117
Capitolo IV.
Integrali di funzioni di variabile complessa. — Teorema fondamentale di Caiichy
e sue conseguenze. — Sviluppi in serie di Taylor. — Sviluppo di Laurent. —
Concetto di funzione analitica secondo Weierstrass. — Serie di funzioni ana-
litiche.
§. 40.
Integrali definiti di funzione di variabile complessa.
In un' area A connessa sia data una funzione w della variabile com-
plessa z finita, continua e monodroma. Consideriamo un arco a eh di
curva neir interno di A e dividiamolo, secondo una legge arbitraria, in
tratti
Oi , §2 ò„ ;
formiamo la somma
(1) '^Wr t^r S ,
1=1
dove con Wr indichiamo uno qualunque dei valori di w nel tratto S,- e
con ^.yZ l'incremento della variabile z nel passaggio dal primo al se-
condo estremo del tratto. Facciamo ora crescere all'infinito il numero
dei tratti, mentre ciascuno di essi impiccolisce oltre ogni limite. Facil-
mente dimostriamo che la somma (1) convergerà verso un limite deter-
minato e finito, indipendente dalla legge di divisione e dai valori inter-
medii scelti iv,-. Scindendo il reale dall' immaginario, poniamo
iVy = u,. -f i y,. , A,. 2; = A,, a; + i Ar ?/
ed avi'emo
2 IVr Ar ^ = 2 (^'- ^>- ^ - ^r ^r 2/) + « 2 (^'^ ^'' •^ + ^*'- ^'^ V) '
Ora si ha (§. 27):
lim 2 (ur A,. X — Vr A, y) = f (u dx — v dy)
lim 2 (^1- ^rX -\- n,- Ar ?/) = / {v dx-^ u dy) ,
*- acb
118
quindi
CAPITOLO IV. — §. 40
lim ^ tVr ^r ^ = I (u cìx — V dy) -\- i (v dx-{- u dìj)
Questo limite si chiama l'integrale di iv, esteso all'arco ach, e si
scrive :
(2) / w ds = / {u dx — V dìj) -{- i \ {v dx-\-u dy) .
^acb '-'ach '^ ach
Dalla definizione stessa di integrale definito possiamo subito ottenere
un teorema semplice, ma molto utile, dovuto a Darboux, che assegna un
limite superiore pel modulo dell'integrale e si enuncia: Il modido del-
l'integrale iivdz non può superare il prodotto del massimo modido della
funzione durante il corso dHntegr azione, per la lunghezza dell'arco ach.
Indicando con M questo massimo modulo, e con L il perimetro dell'arco
d'integrazione, avremo cioè:
(3)
i
w dz
eh
ML,
E infatti
/
'' nt
w dz = lim '^iv àz \
ach
ora
\^^v^z\<My,\^z\<M^\l^a^+^y'
e il limite della somma 2V^^^ + ^/ è appunto L, onde segue la (3).
Qualche volta si dà alla (3) anche un'altra forma. Indicando con w il
valore di tv in un punto di massimo modulo, si ha
w = Me'"\
e d'altra parte
/"
r
/ IV dz =
1 w dz
"^ach
Jach
onde avremo
(3*)
1 IV dz
^ a e h
= ), L IV
dove X è un fattore di modulo
sull'arco d'integrazione ach.
1 e ic è un valore intermedio di tv
119
§. 41.
Teorema di Cauchy. — Integrali indefiniti.
Le due espressioni
n dx — V dy , V dx -\- u dy,
che figurano nel secondo membro della (2), a causa delle condizioni di
monogeneità
du dv da dv
dy dx ' dx dy '
sono differenziali esatti. Se dunque supponiamo che w sia finita, continua
o7f eli
e monodroma nelF area A e le derivate ;^ , ;^ si serbino finite anche
dx dy
sul contorno, sarà applicabile il teorema alla fine del §. 27, cioè gli in-
tegrali
f{udx — V dy) , I (v dx-^u dy) ,
estesi al contorno completo dell'area, saranno identicamente nulli. Ne
risulta, per la (2), il teorema fondamentale di Cauchy: Se nell'area A,
incluso il contorno, la w è funzione finita, continua e monodroma della va-
riabile complessa z, e la derivata iv(z) si serba finita anche al contorno,
V integrale
/w dz,
esteso al contorno completo dell'area, è identicamente nullo.
La condizione relativa alla derivata al contorno si può anche togliere
nei casi ordinarli, quando l'area A possa riguardarsi come limite di una
area interna variabile A', il cui contorno s converga uniformemente verso
il contorno s in guisa che ogni punto di s si accosti indefinitamente ad
un punto determinato di s. E infatti allora, per ogni configurazione di s,
si avrà
Jf tv {z) dz =^0
s'
e r integrale / w dz, essendo il limite verso cui converge / ^ w dz, sarà
pure nullo.
120 CAPITOLO IV. — §.41
Senza ripetere per gli integrali di funzioni di variabile complessa le
deduzioni del §.31, relative agli integrali curvilinei di differenziali esatti
reali, basterà enunciare i corrispondenti teoremi:
1.° Indicando con a una curva chiusa qualunque tracciata nclV interno
di un'area A, supposta semplicemente connessa, nella quale la funzione
w{is) è finita, continua e monodroma, si avrà
2.° NelVarea semplicemente connessa A l'integrale Jwdz, esteso da un
punto a ad un punto h lungo un cammino qualunque nélV interno dell'area,
dipende solo dagli estremi a,b e nidla affatto dal cammiìio percorso.
Questo integrale si può quindi indicare opportunamente con
ri
I IV de.
Supponiamo ora fìsso l'estremo inferiore e mobile l'estremo superiore,
che indicheremo con ^, e consideriamo l'integrale
■2
W = / w dz ,
a
È facile vedere che W sarà, come w stessa, una funzione finita, con-
dW
tinua e monodroma della variabile complessa z e sarà inoltre —r— = w .
az
Si ha invero:
rz r(x,y) r{x,y)
Yf = I tv dz =^ 1 (u dx — V dg) -{- i (v dx -\- u dy)
e basta applicare i risultati del §.31, osservando che ne risulta
aw . aw . .aw
^--z=ll-\-lV=^lV , ^r— = V-^IU = l ^^- .
dx dy dx
Se l'area A ha una connessione d'ordine n, l'integrale indefinito Jwdz,
esteso da un punto fisso ad un punto mobile z, sarà ancora una funzione
(') Qui le condizioni al contorno sono manifestamente superflue.
INTEGRALI INDEFINITI 121
W finita e continua della variabile complessa z, ma invece di essere
monodroma sarà ora, in generale, polidroma. La sua polidromia consi-
sterà in ciò che se in un punto z, per un dato cammino, acquista il valore W,
variando ad arbitrio il cammino, acquisterà tutti i valori della forma
W -!-• >'l Wi -}- )\ co, 4- • • • + >*n-i Wn-i ,
dove lOi , («2 . . . w,i_i sono n-\ quantità complesse (moduli di periodicità)
fisse, mentre ri , rj . . . Yn^^ prendono tutti i valori interi positivi e ne-
gativi.
§. 42.
Formola di Cauchy.
Dal teorema di Cauchy si può facilmente dedurre una formola, pure
dovuta a Cauchy, che ha un' importanza fondamentale. Essa serve a cal-
colare i valori nell'interno dell'area di una funzione finita, continua e
monodroma, per mezzo dei valori che la funzione ha al contorno. Che
i valori al contorno determinino pienamente i valori nell'interno sap-
piamo già ; ed anzi sappiamo di più che basta dare i valori al contorno
della parte reale u perchè questa venga individuata nell' area, e siccome
della parte immaginaria v si conosce allora il differenziale totale, basterà
fissare inoltre in un punto il valore di v perchè la io risulti individuata '^' .
Per trovare la formola di Cauchy, prendiamo un punto / interno del-
l' area e, fatto centro in z\ descriviamo un piccolo cerchio tutto interno
all'area e indichiamo con rj il contorno di questo cerchio. Se togliamo
dall'area A il disco circolare, otteniamo un'area A' il cui contorno si
compone del contorno primitivo s e del contorno ^ del cerchio. In que-
st'area A' la funzione
w {z)
z — z
è finita, continua e monodroma e il teorema fondamentale di Cauchy dà
quindi :
w iz) dz l IV {z) (ìz
I w (z) dz l
J z / 7g
0.
« — fi ' i e. — !>:
<*' Si osservi che, se l'area è più volte connessa, non si potranno nemmeno
dare ad arbitrio i valori della parte reale al contorno, perchè la parte immagi-
naria risulterà (in generale) non ad un sol valore, ma ad infiniti valori.
122 CAPITOLO IV. — §. 42
Qui il contorno o, come contorno interno, è percorso nel verso ne-
gativo; se lo intendiamo percorso nel senso diretto, avremo dunque
Cw {3) dz i IV {£) dz
Js ^—^ ~X ^—^' '
L'integrale del secondo membro ha un valore che è facile calcolare,
sia direttamente, sia ricorrendo alla proprietà già dimostrata (Gap. Ili
§. 35) per le funzioni armoniche, di assumere cioè nel centro di un cer-
chio la media dei valori al contorno. Servendoci di questo teorema, os-
serviamo che indicando con 0 il raggio del cerchio, con 8 l'anomalia di
un punto z variabile sulla circonferenza, avremo sopra 0:
indi
e pero
z — z = ^ e
dz=^iùé'^ d% , -, = idB,
z — z
Cw{z) dz ■ f /' . 7n
/ ,- = i / (u + iv) dB .
Ma indicando con w{z') = ii -\-iv' il valore di tv in z si ha, pel citato
teorema :
r'2r. -2-
udQ = 2-u' , vdQ = 2z V
onde
i
w (z) dz e, ■ r '\
a ^-^
La (4) ci dà adunque
, , 1 fiv (z) dz
(I) w' [z ) = -—. / r ,
2ziJ^ z — z
che è la formóla di Caiichy <^>.
(*> Questa formola si potrebbe anche dedurre dalla (IX) §. 33 applicandola
alla parte reale u ed al coefficiente v dell' immaginario. (Cf. Picard. Traité
d'Analyse, T. II, pag. 109).
FORMOLA DI CAUCHT 123
Si osservi che la (I) rimane valida (per contorni ordinarli), anche
toghendo al contorno le condizioni relative alla derivata tv (z). (Cf. §. 41).
Dalla formola (I) di Cauchy così stabilita deduciamo subito impor-
tanti conseguenze. Immaginiamo di far muovere / in un'area A' tutta
interna all' area A, ma del resto qualunque. Mentre z nel secondo mem-
bro della (I) percorre il contorno s, la ^ - / rimane col modulo discosto
da zero più di una quantità fissa e perciò la funzione sotto il segno
z — /
rimane sempre finita. Essa è funzione finita e continua dei parametri
X ,\j\ coordinate di /, e possiede, rispetto a questi parametri, derivate
sempre finite e continue, in là quanto si vuole, e soddisfacenti alla con-
dizione di monogeneità
Ì_ _ _L 1
9a;' % dy
Per le regole di derivazione sotto il segno integrale, se ne conclude
quindi che, nell' area A', esistono le derivate rispetto a z di iv (/) in là
quanto si vuole e soddisfacenti alla condizione di monogeneità; in ge-
nerale avremo
(II) là
tv {z) dz
^^ 27ri J'i^-z')
s
Abbiamo dunque il teorema: Se una funzione tv di variabile complessa
è finita, continua e monodroma in un'area A, nell'interno dell'area essa
ammetterà non solo la derivata prima finita, continua e monodroma (ciò
che è conseguenza della definizione), ma anche le derivate successive di tutti
gli ordini, che saranno entro l'area A tutte funzioni finite, continue e mo-
nodrome della variabile complessa z.
§. 43.
Sviluppi in serie di potenze.
Dalla formola (I) Cauchy ha dedotto una conseguenza notevolissima,
applicandola al caso di un campo circolare. Sia z = -i il centro del cir-
colo; siccome, mentre z percorre il contorno del circolo, si ha
k'— tKI^— vi,
124 CAPITOLO IV. — §. 43
cioè
potremo sviluppare
1 1 1
z — / z — Y / — Y
in serie di potenze della variabile
^ — Y
secondo la progressione geometrica
i-c .à
Avremo quindi
^— / ,à (^— y)"+^
e questa serie, per ogni punto z interno al circolo, muovendosi z sulla
circonferenza, sarà convergente in egual gi'ado.
Sostituendo nella formola di Cauchy
^ ' 2-Z l„ Z — ;
il valore superiore di , , potremo eseguire T integrazione termine a
z — z
termine e scrivere
[z) dz
»w=|(.'-vr.^,fe...
's
Poniamo
2mJ (z—'()"
dz
ed avremo
w{z)="%an(z-^r.
SVILUPPO IN SERIE DI TAYLOR 125
Si osservi che, per la forinola (II), il valore (5) del coefficiente a,» è
dato da
lé"^ (7)
«n =
in)
e ponendo ^ in luogo di /, potremo dire che, in ogni punto 0 interno
al circolo, si avrà
Questa non è altro, come si vede, che la serie di Taylor, estesa ai
valori complessi della variabile. E poiché attualmente figurano soltanto
i valori della funzione e delle derivate nel centro del circolo, è chiaro
che per la validità della formola basterà che la funzione w i^) sia finita,
continua e monodroma in ogni area interna al circolo, senza porre al-
cuna condizione al contorno. E infat*^i, se ^ è interno al circolo, basterà
descrivere un circolo concentrico interno di raggio > 1 2; | ed applicare
le nostre considerazioni a questo circolo. Se ricordiamo poi i risultati
ottenuti al Gap. I riguardo alle serie di potenze, potremo enunciare
l'importante teorema: Affinchè una funzione tv {^) di variabile complessa
sia sviluppabile in serie di potenze di z- y, è necessario e sufficiente che
ndV interno di un circolo di centro '( essa sia finita, continua e monodroma,
insieme alla derivata w iz).
Osserviamo poi, ciò che ancora non risulta dalle ricerche precedenti,
che lo sviluppo è unico e coincide quindi necessariamente collo sviluppo
di Taylor.
E infatti se due serie ordinate per le potenze di ^; - y rappresentano
la medesima funzione, la loro differenza, che è pure una serie di potenze
Co + Ci (^— y) + C2 (^— y)' -f . . . ,
sarebbe identicamente nulla per ogni valore di z nell'area considerata.
Ora poniamo che il primo coefficiente non nullo della serie sia c^ , sicché
la serie si scriva
(^ — t)"|c. + c,h.i(^— Y)4-..-j
Il primo fattore {z - y)'* si annulla solo in y, quindi la serie fra pa-
rentesi
Ch + C«+i(^ — y) + ...
dovrà annullarsi, salvo al più in y, in ogni altro punto dell'area e però,
126 CAPITOLO IV. — §. 43
a causa della continuità, anche in 7. Ne risulterebbe dunque, contro
l'ipotesi, Cn = 0. Tutti i coefficienti e sono dunque nulli e quindi le due serie
coincidono assolutamente.
I risultati precedenti pongono in piena luce le condizioni di svilup-
pabilità di una funzione in serie di potenze (serie di Taylor) di ^-7-
Lo sviluppo resta valido finche nel cerchio descritto col centro 7 la fun-
zione resta finita, continua e monodroma colla derivata, ed il vero cerchio
di convergenza per la serie è il massimo che si possa descrivere soddi-
sfacendo a queste condizioni. Così p. e. se prendiamo le funzioni
iog(i+^) , (i+^r,
dove m non sia un intero positivo, queste sono finite, continue e raono-
drome colle derivate entro il cerchio di centro s = 0 e di raggio = 1 , ma
nel punto z= - 1 hanno un punto singolare, talché il raggio del cerchio
di convergenza delle corrispondenti serie (logaritmica e binomiale)
log(l+^)=^ — - + - +
(i+^r = i + m^ + ''^^^^^^ + ....
è precisamente l'unità.
Così la funzione è finita, continua e monodroma colla derivata
sen^
in ogni area che non contenga alcuno dei punti singolari
• • • '-> •" ! 2,~ , 7:,U,~,27r,o~, ... ,
e se 7 è un punto qualunque del piano distinto dai punti singolari, po-
tremo sviluppare in serie di potenze di ^ - 7 e il raggio di conver-
sen^
gonza della serie sarà la minima distanza di 7 dai punti singolari.
S'intende altresì come limitandosi a considerare le condizioni di svi-
luppabilità in serie di Taylor per le funzioni f{x) di variabile reale,
queste non possano apparire che incompletamente. E invero, per le pro-
prietà delle serie di potenze (§. 3), una tale funzione è necessariamente
estendibile al piano complesso e dalla distribuzione delle singolarità, non
soltanto suìVasse reale, ma in tutto il piano complesso dipendono, come
si è visto, le condizioni di sviluppabilità. Così p. e. la funzione
1
cosh X
SVILUPPO Di LAURENT 127
è sempre finita e continua sull'asse reale, insieme con tutte le sue deri-
vate, in là quanto si vuole. Ma sviluppandola ad esempio per le potenze
di X, il raggio del cerchio di convergenza è soltanto ^ . Ciò dipende da
che, estendendola ai valori complessi, la funzione — r— ha i punti sin-
golari
^== {2 71+1) ~ {n intero)
Tri
sull'asse immaginario, e di questi il più prossimo a ^ = 0 è — .
§. 44.
Sviluppo di Laurent.
Passiamo ora ad applicare un metodo analogo per sviluppi in serie,
anziché ad un campo circolare, ad un anello circolare, cioè allo spazio com-
preso fra due circonferenze concentriche C, C. Supponiamo che in questo
spazio (il contorno incluso) la funzione iv(^) sia finita, continua e mo-
nodroma colla derivata tv (^). Se / è un punto interno all'anello e con
s indichiamo il contorno del cerchio esterno C, con s' quello dell'interno
C, e li intendiamo tutte due percorsi nel senso positivo delle rotazioni,
avremo per la formola di Cauchy:
w (2) dz 1 / w iz) dz
f /^ ^ J_ / tO (^) d^ 1_ / '
^^' 2uiJ z—s 2 7ri L"
Il primo integrale si potrà ancora sviluppare, come al §. precedente,
per potenze di / - 7, indicando 7 il centro dell' anello, e si avrà
2tzì j z — z
avendo posto
(6)
1 l w (z) dz
''"-2^j,(^-7)"+^'
128 CAPITOLO IV. — §, 44
Quanto al secondo integrale si osservi che, mentre z percorre C,
si ha
VI
e perciò potremo sviluppare
1 1
z — / z — z z — Y ' z — Y
^-/=Y
z — "t
per potenze intere e positive di , — ' colla formola
/-Y
1 _ _ "^» (^— y)"-^
/ Id (J .AH
z—z ,H W—iY
e, a causa della convergenza in egual grado di questa serie, avremo
w {z) dz "-y hn
posto
(7) ^- = iri hn^) i^-'ir~' ciz .
La funzione iv iz') risulterà dunque, per V interno dell' anello, svilup-
pata nella serie
tv
(/) = ^an {z'-^Y + 2 7Z-
Y)" '
che procede insieme per le potenze ascendenti e discendenti di z -^.
Osserviamo poi che i coefficienti (6), (7) risultano calcolati con integrali
definiti estesi rispettivamente alle circonferenze C, C ; ma siccome le fun-
zioni sotto il segno in tutto l'anello sono finite, continue e monodrome,
potremo estendere anche gli integrali stessi ad una curva chiusa a qua-
lunque, p. e. ad una circonferenza concentrica che giri una sola volta
attorno all'anello, sicché avremo:
Dopo ciò si vedrà subito che le condizioni al contorno dell' anello si
possono senz'altro togliere e si ha quindi il teorema di Laurent:
FUNZIONI ANALITICHE 129
Se nell'interno di un anello circolare la funzione iv{z) è finita, con-
tinua e monodroma colla derivata, si potrà sviluppare, in tutto V interno
dell' anello, nella serie
^ (^) = f a„ (^-V)" + 2 77-^« '
0 1 \^ I,'
procedente per le potenze intere ascendenti e discendenti di 2-^{, e i valori
dei coefficienti an, bn saranno dati dalle (8).
Si osservi che se anche nell' interno di C la w (s) si mantiene finita,
continua e monodroma, pel teorema fondamentale di Cauchy sono al-
lora nulli tutti i coefficienti 6„, e si ritorna allo sviluppo di Taylor.
§. 45.
Funzioni analitiche.
Arriviamo ora all'importante nozione di funzione analitica secondo
Weierstrass. Questo concetto è fondato sulle proprietà delle serie di po-
tenze, la cui importanza fondamentale nella teoria delle funzioni di va-
riabile complessa risulta già dai teoremi di Cauchy, esposti nel §. 43. In
virtù di questi teoremi infatti qualunque funzione di variabile complessa,
sia ad uno, sia a più valori, è sempre sviluppabile, in campi sufficien-
temente piccoli, in serie di potenze.
Per designare una serie di Taylor, che proceda per le potenze di
z-'(, ci serviremo con Weierstrass del simbolo
ed innanzi tutto stabiliremo la nozione di prolungamento analitico. Se
consideriamo una serie di potenze
P(^-a),
il raggio del cui cerchio C di convergenza non sia nullo, essa definisce
entro C una funzione w (z) di z finita, continua e monodroma. Prendiamo
entro C un punto h, diverso dal centro a, e descriviamo col centro in
b un cerchio C che rimanga entro C; il massimo raggio che potremo
dare a C sarà evidentemente la minima distanza di h dalla periferia di
C e sarà quindi dato da E - | a - 6 j, avendo indicato con R il raggio di
130
CAPITOLO IV
§.45
e. Entro il cerchio C la nostra funzione 10(2) è certamente finita, con-
tinua e monodroma, quindi (§. 43) sviluppabile in serie di potenze
del binomio ^-h, e noli' area C abbiamo per la funzione ìv{s) le due
diverse rappresentazioni analitiche
IV {js) = P (^— a) , w{s) = Pi (.? — i) .
Ora il cerchio di convergenza della seconda serie è almeno C, ma
può darsi benissimo che sia più ampio. Indichiamolo in tal caso con Ci ,
e la serie Pi (^-&), che nell'area comune a C, Ci rappresenta la funzione
FiG. 7.a
w{^), conserva un significato anche fuori del cerchio primitivo C, nel-
l'area tratteggiata della figura 7.=^. Diremo allora, con Weierstrass, che
la serie
Pi i^-b)
dà un prolungamento analitico della serie P (^ - a), od anche che la no-
stra funzione iv{z), primitivamente definita entro il cerchio C dalla serie
P(^-a), è stata analiticamente prolungata nella parte ombreggiata della
figura. Più in generale, se costruiamo una successione di serie di potenze
P(^— a) , Pi (^ — «1) , P2 (^— «2) . . . Pn (-2^— a») ,
PROLUNGAMENTO ANALITICO 131
ciascuna delle quali sia dedotta dalla precedente nel modo come abbiamo
dedotto Pi(^-&) da P(^-a), diremo ancora che F ultima serie Pn(^-an)
è dedotta per prolungamento analitico dalla primitiva P (^ - a). Ma, per
giustificare e precisare queste definizioni, conviene innanzi tutto dimo-
strare il teorema : ;S'e una serie P (^ - a„) nasce per prolungamento ana-
litico dall'altra P (^ - a), viceversa questa può ottenersi per prolungamento
analitico da V {z - a„).
Basterà evidentemente dimostrare la cosa per due serie consecutive
nella successione supposta
P (z—a) , P {z — ai) , P {z—ttì) , . . P {z — an) ,
p. e. per P (^ - a), P (^ - «ij, facendo vedere come P (^ - «) nasce per pro-
lungamento analitico da P(^-ai)- Se il cerchio Ai di convergenza di
P(^-ai) contiene nel suo interno il centro a del cerchio A di conver-
genza di P(^-a), ciò è evidente. In caso opposto si osservi che la fun-
zione tv{z), nell'area formata dalla riunione dei due cerchi A, Ai, è finita,
continua e monodroma e per ciò, preso un punto qualunque d interno
neir area, la iv (z) è sviluppabile in serie di potenze P (z - <i) e il cerchio
di convergenza ha almeno un raggio eguale alla minima distanza di d
dal contorno. Ora è chiaro geometricamente che possiamo prendere,
p. e. sulla congiungente dei centri «,«1, una serie finita di punti di,
c?2 • . • dn tali che i cerchi corrispondenti
Ci , C2 . . . Cn
abbiano ciascuno il centro interno al cerchio seguente, a sia interno a
Ci e dn ad Ar, allora la successione di serie
P{^— ai) , ?{z-d,,) , P (^-c7„_i) . . P (,e— (7,) , P(^— a)
condurrà, per prolungamento analitico, da P (^ -ai)- a P(^-a), come si
voleva.
Dal teorema dimostrato risulta subito il corollario : Se due serie na-
scono per prolungamento analitico da una medesima ter. za serie, l'una si
ottiene pure direttamente per prolungamento analitico dall' altra. Conside-
riamo l'insieme di tutte le serie di potenze, che possono dedursi da una
serie iniziale P (^ - a) per prolungamento analitico ; questo insieme, per
quanto si è visto sopra, è così costituito, che partendo da una qualunque
delle serie delF insieme si ottengono, per prolungamento analitico, tutte
132 CAPITOLO IV. — §§. 45, 46
le altre. La totalità di queste serie costituisce, secondo la defini, rione di
Weierstrass, ima funzione analitica, di cui ogni serie della totalità dicesi
un elemento.
Una funzione analitica è individuata e riconoscibile da uno qualunque
dei suoi elementi.
§. 46.
Campo di esistenza di una funzione analitica.
Xelle considerazioni precedenti, relative al prolungamento analitico
di una serie di potenze P (^ - a), abbiamo supposto che il prolungamento
possa in realtà effettuarsi. Ma può darsi invece (ed un esempio ce lo
proverà subito) che per qucdunqiie punto h, preso nelF interno del cer-
chio di convergenza C di P (^ - a), il cerchio di convergenza della serie
dedotta V(s-b) non si estenda mai al di là del primitivo, nel qual caso
sarà ad esso tangente internamente. Allora la circonferenza C è il limite
natui'ale d'esistenza per la funzione analitica, che viene ad essere rap-
presentata interamente dall'unico elemento P(,?-a). Si dice anche in
tal caso che lo spazio esterno a C è uno spazio lacunare per la fun-
zione analitica, uno spazio cioè in cui la funzione non esiste. Per accer-
tarsi della verità di quanto sopra si è asserito, basta p. e. ricorrere ai
risultati ottenuti nella risoluzione del problema di Dirichlet per un cer-
chio C (§. 39). Distribuiamo sul contorno una catena finita e continua U
di valori, ma che sia priva di derivata in tutti i punti, ovvero anche
soltanto in un gruppo di punti dovunque condensato '^', e costruiamo la
corrispondente funzione armonica u n^l cerchio C. La u individua, a
meno di una costante additiva, la coniugata v che, nell'area semplice-
mente connessa C, è ad un sol valore. La funzione di variabile complessa
iv = ii + iv è finita, continua e monodroma nell' interno di C e sviluppabile
quindi in una serie di potenze, che ha il cerchio C per cerchio di con-
vergenza, ma non ammette alcun prolungamento analitico.
Un esempio anche più semplice di quelli ora considerati ci è fornito
dalla funzione (§.7)
F (^) = ^ -f- ^•» -f ^'»' 4- . . . -f ^'"" + . . . ,
(i) DiNi. Fondamenti, pag. 135 e 163.
CAMPO d'esistenza d'UNA FUNZIONE ANALITICA 133
dove m è un intero >2. La serie del secondo membro ha per cerchio di
convergenza quello di raggio = 1, ma non è prolungabile analiticamente
al di là. Si consideri infatti un valore di ^ di modulo p < 1 e di argo-
2kzi r
mento 8 = — ^ (Jc,r interi qualunque); a cominciare dal termine^'" la
m'
serie diventa
e, al convergere di p verso l, cresce all'infinito <^*. La F(^) avvicinan-
dosi dall interno, lungo il raggio, verso tutti i punti di anomalia o = — ^ ,
punti che formano un insieme condensato su tutta la circonferenza, cresce
dunque all'infinito, ciò che rende evidente l'impossibilità del prolunga-
mento analitico.
Constatato cogli esempi precedenti che una funzione analitica può
ammettere nel piano degli spazi lacunari, s' intenderà meglio ciò che ora
vogliamo esporre in generale sul campo cTesistenza di una funzione ana-
litica. Sia dunque dato un elemento P (^ - a), che definisce la nostra fun-
zione analitica. Dobbiamo allora distinguere i punti del piano, rispetto
alla funzione analitica, in due classi ; diremo della prima classe un punto
del piano quando esista qualche elemento della funzione, cioè una serie
dedotta per prolungamento analitico da P {s - a), il cui cerchio di con-
vergenza contenga nel suo interno il punto. La totalità di questi punti
costituisce un continuo, un campo a due dimensioni connesso, poiché è
chiaro che, se A, B sono due tah punti, esisterà una serie di cerchi con-
catenati, che saranno cerchi di convergenza di elementi della funzione
analitica, il primo dei quali conterrà A, rultimo B e potremo tracciare
da A a B una linea continua, tutta ^costituita da punti della prima classe.
Il campo così definito è il campo cVesistenza della nostra funzione ana-
litica. Fra i punti dell'altra classe distingueremo i punti al limite del
campo dai punti esterni al campo. Un punto sarà esterno al campo quando
<i) Se M è una quantità positiva, grande quanto si vuole, e q una quantità
fissa compresa fra Gel, possiamo prendere un numero intero n tanto grande
che sia nq^^l e prendere poi f^ <^ 1 cosi prossimo a 1, che sia
Allora nella serie del testo la somma dei primi n termini è già maggiore
di nq'^ M.
134 CAPITOLO IV. — §.46
un intorno sufficientemente piccolo del punto non è solcato da alcun cer-
chio di convergenza di elementi della funzione; apparterrà invece al
limite del campo quando, per quanto piccolo intorno si prenda del punto,
esisteranno sempre dei cerchi di convergenza che attraversano l'intorno
(senza contenere nell'interno il punto).
Ogni punto al limite del campo si dirà un punto singolare della fun-
zione; in un tale punto, stando alla definizione di Weierstrass, la fun-
zione non ha propriamente valore alcuno. Questi punti al limite del campo
possono essere in numero finito o infinito ed anche riempire tutta una
linea (contorno) del campo. In generale costituiscono un insieme, un gruppo
di punti, al quale si riconosce subito la proprietà seguente : 1 punti del-
l' insieme derivato appartengono all' insieme stesso * ^' . E infatti un tale
punto non può essere né interno, né esterno al campo ; non interno per-
chè allora un intorno sufficientemente piccolo del punto non conterrebbe
che punti interni e nessun punto al limite, non esterno perché qualsiasi
intorno del punto è solcato da cerchi di convergenza.
Indichiamo con L l' insieme dei punti singolari, con L' V insieme de-
rivato. Come si é detto, L' è tutto contenuto in L; ma può darsi che
non lo esaurisca interamente ed allora ogni punto P di L, non appar-
tenente a L', é un punto singolare isolato, cioè in un intorno sufficiente-
mente piccolo di P non esiste altro punto singolare che P stesso.
Una funzione anahtica, considerata in tutto il suo campo d'esistenza,
può essere monodronia (uniforme) o polidroma (multiforme). Si dice mo-
nodroma quando in ogni punto del campo si trova sempre per la fun-
zione il medesimo valore, in qualunque modo vi si arrivi per prolunga-
mento analitico dall' elemento iniziale P(^-(x), polidroma nel caso con-
trario. In altre parole, se la funzione è monodroma, due elementi qualunque
di essa P(^-6), P(^-c), ove abbiano un campo di convergenza comune,
,ivi coincidono; nel caso della polidromia invece vi sono elementi P(^-6),
P(^-c), che nel campo comune di convergenza non danno per la fun-
zione i medesimi valori.
Se invece di considerare tutto il campo d' esistenza di una funzione
analitica, si considera un" area parziale A, tutta contenuta nel campo
d'esistenza, può darsi che partendo da un elemento P(^ — a) della fun-
'') Secondo Cantor, dicesi insieme derivato l'insieme di tutti i punti limiti
dell'insieme primitivo, di quei punti cioè nell'intorno dei quali si addensano
infiniti punti del gruppo primitivo.
SERIE DI FUNZIONI ANALITICHE 135
zione contenuto in A e prolungando analiticamente la funzione, senza
uscire dall' area A, si ottenga una funzione monoiìroma nelVarea A, quan-
tunque la funzione analitica completa sia polidroma.
Viceversa, se in un'area A abbiamo una funzione finita, continua e
monodroma di variabile complessa s (nel senso di Caucliy-Riemann),
questa è una porzione di una funzione analitica, che può esistere anche
fuori dell'area ed essere monodroma, o polidroma.
§• 47.
Serie di funzioni analitiche.
In un'area connessa A del piano complesso si abbia una serie
00
2 «*« (^) '
1
i cui singoli termini siano funzioni finite, continue e monodrome della
variabile complessa z nell'interno dell'area. Dimostriamo l'importante
teorema :
co
Se la serie ^ Un {z) e convergente in egual grado in ogni area tutta
1
interna alla primitiva, la somma di questa serie sarà una funzione iv (z)
della variabile complessa pure finita, continua e monodroma e le successive
derivate di w, di ordine comunque elevato, si otterranno derivando termine
a termine la serie.
Questo teorema estende, come si vede, ad ogni serie convergente in
egual grado, i cui termini siano funzioni finite, continue e monodrome
di variabile complessa, le proprietà, dimostrate nel Gap. I, per le serie
di potenze.
Per dimostrarlo, prendiamo internamente ad A un' area A', prossima
del resto ad A quanto si vuole, e indichiamo con / un punto mobile in
A'. Prendiamo poi una terza area B contenente A' e contenuta in A, il
cui contorno, che indicheremo con s, si mantenga discosto sia dal contorno
•di A, sia da quello di A'. Indichiamo con w,-, la somma della serie in /:
oo
^^'^' = 2 ^'" (^') •
1
Essendo il punto / interno a B, avremo per la formola di Cauchy
, 1 r Un (Z) ,
136 CAPITOLO lY. — §. 47
indi
Ma la serie 2 «<» (■s') converge in egual grado sul contorno s di B, ed
altrettanto accade quindi della serie
^ Un (-g)
giacché, percorrendo ^ il contorno di B e / muovendosi in A', il mo-
dulo di ^ — / non scende mai al di sotto di un certo limite.
Nella (9) possiamo dunque eseguire l' integrazione termine a termine
e, poiché
oo
2 ^^n (^) = ^i ,
1
avremo
(10) w,.
troviamo cioè che Wì- é data dalla formola stessa di Cauchy. Di qui, per
il modo come / figura sotto il segno integrale, deduciamo subito che
muovendosi z in A', la w^. è effettivamente funzione finita, continua e
monodroma della variabile complessa /, come è enunciato nella prima
parte del teorema. Scriviamo quindi la (10) così:
(10*) „(,.)= ir^^iM^!.
2ùl J z — z
Per dimostrare la seconda parte basta ricordare che, secondo la for-
mola (II) §. 42, abbiamo
Vp"' (z) = / ^-!-r-
^ ' 2-i L{z—/y
ed anche
1 . 2. S..r j Un jz) dz
2t.ì 7^5=?pi'
SERIE DI FUNZIONI ANALITICHE 137
quindi
"^ M//N 1.2. 3.. r ^ fun{s)dz
(11) 2^^':'(-) = --^^a~ ì^i 5=7p •
Ma la serie ^ 7 — ^^^^ è convergente in egual grado sopra s, ed
1 {^ — ^ )
integrando termine a termine, vediamo che la serie del secondo membro
in (11) è effettivamente convergente ed ha per somma
>Q0
9,ri .AC ^^_/V+' ^ ''
2lTÌ ^S {z — /)''^
onde risulta
come è asserito nella seconda parte del teorema.
§. 48.
Appligazioni.
Dal teorema così dimostrato risulta che, se consideriamo un cerchio
C tutto interno ad A, e con 7 ne indichiamo il centro, la funzione
co
IV {£) = 2 Un (^)
1
sarà sviluppabile in una serie P(^ — 7j convergente in C:
ni =00
^ (^) = 2 «- (^-'f)" •
rH=0 *
Come si calcoleranno i coefficienti «m dello sviluppo? Dico che basterà
00
sviluppare in serie P(^ — 7) ciascun termine Un{^) della serie 2^«(^)
e raggruppare tutti i termini che contengono la medesima potenza di
z — 7. Poniamo invero
138 CAPITOLO IV. — §. 38
avremo
1 I Un (^) d^
1 C w {£) dz
gli integrali essendo estesi al contorno a del cerchio C. Ora si ha
7 r
«,+1 ^^ '
quindi, a causa della convergenza in egual grado della serie sotto il
segno :
ciò che dimostra appunto la proprietà enunciata.
Come esempio, si consideri la serie di Lambert
la quale in ogni cerchio di centro 0 e di raggio R < 1 è convergente
in egual grado, poiché se
ki<R<i,
si ha
1 ^ 1
1— ^"1 -" 1— R" '"■ 1 — R
e la serie S|^"| è convergente in egual gi'ado.
Potremo dunque, entro il cerchio di raggio =1, trasformarla in
serie di potenze di z così:
11=30 „!( 1!=X /lll=» \ N=»
.1=1 ■>■ Z ,.=1 \ ,„=o / N=l
La potenza z^ comparirà tante volte quante volte il numero N si può
decomporre in due fattori
N = « (m+1) ,
sicché 6(N) sarà precisamente il numero dei divisori di N.
FUNZIONI DI FUNZIONI 139
Le considerazioni precedenti ci conducono a parlare delle funzioni
di funzioni. Sia
una funzione analitica di ^ e
W = F (iv)
una funzione analitica di ic. Quando potremo considerare W come fun-
zione analitica di ^V Per non considerare qui che il caso più semplice,
supponiamo che ^ varii in un'area in cui /(^) è finita, continua e mono-
droma e w varii conseguentemente in un'altra area in cui F{w) è pure
finita, continua e monodroma. Allora il segno
F(/-(^))
avrà un significato preciso e rappresenterà una funzione finita, continua
e monodroma di 0. Ciò si può vedere sia ricorrendo alla definizione di
Cauchy-Riemann, sia a quella di Weierstrass. Per dire di quest'ultimo
modo, basterà evidentemente sviluppare W in serie di potenze di iv — tvo
e ciascuna di queste potenze in serie di potenze di ^ — ^o- Così p. e.
le funzioni
e^^ , sen {e') , e^*" ^ , sen (sen 0) ecc.
saranno funzioni anahtiche (monodrome) esistenti in tutto il piano.
Quando le funzioni componenti /'(^), T (w) hanno un campo limitato
d'esistenza, 0 sono polidrome, si possono presentare le più svariate cir-
costanze. In particolare può accadere che il segno F(/(^)) non definisca
una sola funzione analitica, ma più od anche infinite funzioni anahtiche
distinte ed anche può accadere, al contrario, che il segno F(f{z)) non dia
tutto il corso di una funzione analitica. Come esempì del primo caso
citiamo
\U^=±0 , \og{^') =a\og0 -\-2rr,i,
con a costante non reale e frazionaria, e r intero qualunque, che si
scindono la prima in due, la seconda in infinite funzioni anahtiche distinte.
Come esempio della seconda circostanza, basta citare quello in cui
w = 'f (s) sia una funzione a spazio lacunare eW = F{w) ne sia l' inversa ;
allora F ['f {0)] = z prende solo quei valori di s che appartengono al campo
di esistenza di 'f.
140
Capitolo V.
Punti singolari delle funzioni monodrome. — Poli e punti singolari essen-
ziali. — Residui. — Indicatore logaritmico. — Inversione delle serie di
potenze.
§. 49.
Punti regolari.
I nostri studi saranno nel seguito quasi esclusivamente rivolti alle
funzioni analitiche monodrome, ovvero a porzioni di funzioni analitiche,
monodrome nell' area in cui si considerano. Per abbreviare, quando non
si dica esplicitamente il contrario, intenderemo semplicemente per fun-
zione una funzione analitica che soddisfi a queste condizioni.
Si consideri in un' area connessa A una funzione tv {2), per la quale
ogni punto dell'area A e del suo contorno sia 0 un punto interno al
campo d'esistenza di iv{^) 0 un punto al limite del campo (punto sin-
golare) (§. 44). Nell'intorno di un punto 7 in A, interno al campo d'esi-
stenza, la funzione iv{s) è sviluppabile in serie di potenze
w(z)=V (^— v) ;
diremo anche, con Weierstrass, che la w (s) è regolare nel punto 7, ov-
vero che Y è un punto regolare per w{:s). Ogni punto non regolare di
A è un punto singolare per u:
Cominciamo dal dimostrare il seguente teorema fondamentale : Nel-
l'intorno di un punto regolare y la funzione iv{£) non può annullarsi in-
finite volte. Ciò risulta, con leggiera modificazione, da considerazioni già
svolte al §. 43 pag. 125. Suppongasi che la serie di potenze
w {z) = P (^—7) = «0 + «1 (^—7) + • . •
si annulli in infiniti punti dell' intorno di 7. A causa della continuità, si
annullerà anche in 7 e il primo coefficiente della serie «o sarà certa-
mente nullo. Il teorema sarà dimostrato quando si provi che tutti i coef-
ficienti della serie sono nulli. Suppongasi che il primo coefficiente non
nullo sia an\ potremo scrivere
w {£) = (z—'ir j an -f ff„+i (^—7) -f . . I = (^—7)" Pi (4^—7) ,
PUNTI REGOLARI 141
dove La serie Pi(<: — 7), essendo il suo primo coefficiente «,,4:0, non si
annullerà in y-
Essendo Pi (^—7) continua in ■;, potremo fare un intorno di 7 così
piccolo, che in esso la serie Pi (^ — 7) non si annulli mai, e allora la
funzione
,a (^) = (^—7)" Pi (^—7)
non si annulla più in quell'intorno, salvo che in 7, ove è zero il primo
fattore. Ciò è contrario all'ipotesi fatta, la quale è adunque assurda.
Come corollario del teorema, abbiamo l'importante risultato: Bue
funzioni io{z), iVi{z), che assumano i medesimi valori in infiniti punti ad-
dcnsantisi attorno ad un punto regolare per ambedue le funzioni, coinci-
dono in tutta la loro estensione.
E infatti la differenza iv {z) — wi (z) è regolare in 7 e si annulla in
infiniti punti dell'intorno, quindi in tutto l'intorno, onde il suo prolun-
gamento analitico è sempre zero.
In particolare si vede che se due funzioni coincidono per un tratto
lineare (0 superficiale), del loro campo d'esistenza, per quanto piccolo
sia, coincidono sempre.
L'area A può eventualmente contenere nel suo interno il punto ^ = qo .
Lo studio delle funzioni w{s!) nell'intorno di ^=qo, cioè all'esterno
di un cerchio di raggia sufficientemente grande nel piano, si riporta a
quello di una funzione nell'intorno di un punto a distanza finita colla
sostituzione
, 1
che è un' inversione per raggi vettori reciproci, congiunta con un ribalta-
mento. I punti z a distanza grandissima dall' origine sono così riportati
in punti / vicinissimi all'origine e la distribuzione dei valori di iv{z)
attorno a ^= co è la stessa di quella dei valori di
wi (/) = w; f y
nell'intorno di z=0. E perciò se io\ÌJs') è regolare in quest'intorno,
diremo che w (z) è regolare nell' intorno di ^ = co ; essa sarà allora svi-
luppabile in quest'intorno in una serie
«^ (^) = P (^7 ) = «0 + - + -2 + . ■ + ^. -r • •
,.1
procedente per le potenze intere e positive di - .
142 CAPITOLO V. — §. 50
§. 50.
Infinitesimi.
Se la funzione iv(s), regolare in y, vi si annulla, si dice che ha ivi
uno 0ero od un infinitesimo. In tal caso nella serie
w (^) = p (^ - y) = «0 + ^1 (^ - v) 4- • • •
son nulli alcuni dei coefficienti, a cominciare dal primo a^. Se suppo-
niamo che il primo coefficiente non nullo sia ««, avremo
(1) ^^(^)=.(^-^^)"P,(^-.^) = (^-.^)"ja, + a,(^-v)+..},
dove il primo coefficiente 7.0 della serie Pi (^-7) non è nullo. Ora, se
formiamo il rapporto
7— — - — Pil--— 0
7)'
e facciamo tendere s verso y, vediamo che il rapporto converge verso la
quantità finita e diversa da zero «o- Le due quantità w(^), {z — y)", che
diventano infinitesime insieme, avvicinandosi s a y, sono dunque da re-
putarsi del medesimo ordine. E poiché valutiamo z — y come infinitesimo
del primo ordine, quindi {2 — y)" come infinitesimo d'ordine n, abbiamo
il teorema: Una funzione w{z) regolare in un punto, e che ivi si annulli,
vi diventa infinitesima cTordine intero.
Se il punto y è all'infinito dobbiamo, per quanto si è detto sopra,
sostituire a s — y l'inversa - della variabile, quindi se la funzione iv{z)
sarà regolare all'infinito ed avrà ivi un infinitesimo, questo sarà d'ordine
intero n e si avrà
(1*)
«=^!-+f+-h.'<i)'
con «0+0-
Osserviamo che se una funzione ir{z) è regolare in un punto ^=y ed
ivi non si annulla, anche V inversa —7-7 sarà regolare in y. E infatti fac-
tv{z)
ciamo un intorno di y così piccolo che in esso w(z) non si annulli mai;
in questo intorno -— -r è finita, continua e monodroma e quindi rego-
tv{z)
INFINITESIMI
lare in 7. Conoscendo lo sviluppo di w {2) :
w {z) = rto + «1 {2 - t) -r «2 [^ - lY +
si potrà calcolare razionalmente quello di
143
w [z)
= «0 + «1 (^ - 7) + «2 (^ - 7)' -f • • •
col metodo dei coefficienti indeterminati. Moltiplicando le due serie,
otteniamo infatti le relazioni ricorrenti
«0 ^0 = 1
l rt, «0 + «0 «l = 0
/ «2 «0 + «1 ai + «0 «2 = 0
\ «ij ao + cin-i 7.1 -f . . + a, a„_i -f «o «n = 0 ,
dalle quali deduciamo
«1 «0 0 ... 0
«2 C!i <*o • • • 0
ttn— 1 Ojii—ì ^n— 3 • • '^O
dn Ojfi — 1 f^n — 2 • • ^'1
Il raggio del cerchio di convergenza della seconda serie sarà, in ge-
nerale, differente da quello della primitiva.
È bene osservare come si comportano le derivate di una funzione
nell'intorno di un suo punto d'infinitesimo d'ordine n. Si vedrà subito
che: Se V infinitesimo cV ordine n è a distanza finitoj, ad ogni derivazione
diminuisce di immunità il suo ordine, talché la derivata w"'" i<;<"' (^) non vi
diventa più nulla ; al contrario se V infinitesimo e in ^ = 00 , ad ogni deri-
vazione cresce di un'unità il suo ordine.
'«=Ì' '-"
(-1)
n-l
§. 51.
Punti singolari. — Poli.
Cominciamo ora lo studio dei punti singolari delle funzioni, ed esa-
miniamo dapprima il caso dei punti singolari isolati. Sia z = '[ un punto
singolare isolato ; potremo descrivere col centro in 7 un cerchio C così
144 CAPITOLO V. — §. 51
piccolo che sulla periferia di C e internamente a C non vi sia alcun
altro punto singolare alV infuori di -[. Allora se, con un raggio inccolo
quanto si vuole, si descrive un secondo cerchio C concentrico a C, nell' a-
nello fra C, C la iv{e) è finita continua e monodroma e, pel teorema
di Laurent (§. 44), è quindi sviluppabile in una serie;
Z^(^)="f«n(^-Y)"+"f ^"
(^-v)" '
che procede insieme per le potenze intere ascendenti e discendenti di
^ — Y. Di queste due parti la prima converge entro tutto C, la seconda
converge in tutto il piano, eccetto che in ^ = -(.
Ora possono darsi due casi ben distinti, e cioè ; 1.° la serie discen-
dente si riduce ad un polinomio
1^ /^ .A2 ^ • • T^
3." la parte procedente per le potenze negative è un' effettiva serie.
Nel primo caso la singolarità si dice polare o un jìoIo od anche, per
una ragione che subito vedremo, un infinito della funzione ; nel secondo
caso la singolarità si chiama essenziale.
Studiamo dapprima una singolarità polare z = '{. Nell'intorno di essa,
salvo che in y, ove la funzione analitica non è, propriamente parlando,
definita, si ha:
(2) „(.) = -A^ + _A_ + .. + _i^ + P (,_,).
Avvicinandosi con z a y, tutti i valori della funzione risultano di mo-
dulo più grande di qualunque quantità assegnabile, ossia, per esprimersi
con maggiore esattezza, se prendiamo una quantità positiva M grande
a piacere, possiamo fare un intorno così piccolo del polo che in tutto
l'intorno sia
\w{z)\'>ì,i.
I valori della funzione, avvicinandosi al polo, convergono dunque
equabilmente verso co, sicché se conveniamo di prendere per valore di
w{s) nel polo l'infinito, possiamo dire che un polo è ancora un punto di
continuità della funzione. Si osservi poi che il prodotto
POLI 145
convergendo ^ a v, converge verso la quantità &„ finita e diversa da zero.
Per ciò, quando attorno al polo vale lo sviluppo (2), con hn^O, si dice
che il punto ^ = 'i è un infinito d'ordine w della «?(^). Dunque: Gli in-
finiti, come gli infinitesimi, di una funzione analitica uniforme sono sempre
di ordine intero.
Osserviamo come si comporta l' inversa - -r nell' intorno del polo
0 = '( di w(^). Abbiamo per la (2)
w (z) {z—'iY = p (z—'i) = «0 + y-i (z—'i) -i- . . . ,
ove P(^ — 7) non si annulla in ^ = y; per ciò
è pure regolare in ^ = v e non nulla. Ne risulta
1
. ■^ {z]
= (^-t)" P, (~--7) ,
il che dimostra che un polo d'ordine n della funzione <r(^) è, per la
funzione inversa — ^7 > ^''^ punto regolare e precisamente un infinitesimo
d'ordine n.
Questa proprietà di sparire, come singolarità, nell'inversa è caratte-
ristica delle singolarità polari. E infatti, se il punto s = '! è singolare per
IV (z) e non per l'inversa — ^^ , dovrà essere necessariamente un infini-
w (z)
tesimo per — -r^ , altrimenti, per quanto si è visto al §. precedente, non
sarebbe singolare per u\ Ora, supposto che sia un infinitesimo d'ordine
n per —7^, avremo nell'intorno di y:
ÌV [Z)
^ = (^-T)''P (.—.') , r (0)4^0,
onde ricaviamo per ic{z) uno sviluppo della forma (2). Si può dunque
assumere come definizione della singolarità polare anche la seguente:
Un punto di singolarità di una funzione dicesi un polo, quando è singo-
lare per la funzione, senza esserlo per F inversa.
10
146 CAPITOLO V. — §§. 51, 52
Fino ad ora abbiamo supposto il polo a distanza finita. Se il polo
è in ^= 00, si studierà in modo perfettamente analogo, come al §. pre-
cedente abbiamo trattato il caso di un infinitesimo all'infinito, e così
avremo: Se in .^= ce la ìc{^) ha un polo d'ordine n, nell'intorno di z= co
si svilupperà colla forinola
1\
— I
(2*) w{z)=h,z^ b,z' H- . . -f 6.S" + P f^'
Si osserverà clie questo sviluppo si ottiene semplicemente da quello
(2) relativo ad un polo a distanza finita, cangiando z — y in -. Lame-
z
desima osservazione, senza che sia necessario ripeterla, si applicherà nel
seguito.
Dagli sviluppi (2), (2*) si rileva subito come si comportano le deri-
vate di una funzione w{z) nell'intorno di un polo e si vede che: Per
ogni derivazione, cresce di un^ unità l'ordine d'infinito, se questo trovasi a
distanza finita, e diminuisce invece di un'unità se è alV infinito.
§. 52.
Esempi di singolarità essenziali.
Un punto singolare, che non sia un polo, si dirà un punto singolare
essenziale, sia che si tratti di una singolarità isolata, ovvei'o di una sin-
golarità limite d'infinite altre singolarità. Per far subito comprendere
la differenza capitale fra una singolarità polare ed una singolarità essen-
ziale adduciamo qualche esempio, riservandoci a dare nel seguito i teo-
remi generali. In vicinanza di un punto regolare, ovvero di un polo, una
funzione u-{z) non può, pel teorema fondamentale del §. 49, riprendere
infinite volte il medesimo valore, sicché se una funzione w {z) prende un
medesimo valore in tutti i punti di un gruppo infinito, ogni punto limite
del gruppo è una singolarità essenziale. Negli esempì che ora andiamo
ad addurre si vedrà inversamente che le funzioni considerate, in vicinanza
della singolarità essenziale, riprendono infinite volte un medesimo valore
fissato ad arbitrio.
Prendiamo le fmizioni
e^ , sen z ,
che hanno in ^ = co una singolarità essenziale isolata, come risulta dalla
SINGOLARITÀ ESSENZIALI 147
loro rappresentazione per serie P(^) convergenti in tutto il piano, od
anche dalla loro periodicità per cui riprendono il medesimo valore in
punti che si addensano nell'intorno di ^= oo. Sia A = pe'w una costante
qualunque finita prefissata; avremo e^ = A tutte le volte che sia
X = log p , y = co -\- 2n ::
con n intero qualunque. Dunque nelF intorno di ^ = co la funzione e'
prende infinite volte il valore fissato A. Lo stesso vale naturalmente di
sen 0 = —
2i
Se si vuole trasportare la singolarità essenziale a distanza finita, ba-
sterà considerare le funzioni
e^ , sen ( —
z
che avranno in^ = 0 una singolarità essenziale (isolata) e in vicinanza
di ^ = 0 riprenderanno infinite volte ogni valore, eccettuati i valori 0, co
per la prima, e il valore oo per la seconda.
Gli esempì ora addotti sono relativi al caso piiì semplice di singo-
larità essenziali isolate. Un esempio di singolarità essenziale cV ordine
superiore sarebbe il punto ^ = 0 per la funzione
sen
Qui tutti i punti singolari (essenziali) sono i punti
_ J_
n z
e queste singolarità isolate si addensano attorno a ^ = 0. A più forte
ragione, come è chiaro, si presenterà ora, nelle vicinanze di s = 0, la cir-
costanza osservata pel caso della singolarità isolata. E se ripetendo n
148 CAPITOLO V. — §§. 51, 52
volte il nostro processo, consideriamo p. e. la catena sinusoidale
1
sen
sen^ — -
sen _
' • 1
1 '
sen -
z
questa funzione avrà un gruppo di l.'' specie di singolarità essenziali,
il cui {n — 1)™° gruppo derivato consterà del solo punto ^ = 0; una tale
singolarità essenziale si potrà dire dell'ordine n.
Generalmente però, nel seguito, considereremo soltanto singolarità es-
senziali del 1." ordine, cioè isolate.
§. 53.
Residui.
Consideriamo un punto ^ = y, singolare o no per la funzione w {z), e
supponiamo che, se è singolare, sia isolato.
Preso un intorno di v, che non contenga alcun punto singolare, salvo
eventualmente y, descriviamo una piccola curva chiusa n, p. es. un cer-
chio col centro in y, che giri una ed una sola volta attorno a y nel senso
diretto. L'integrale:
IV {z) dz
o
che sarà zero, se y sarà un pmito regolare a distanza finita, avrà in
generale un valore indipendente dalla curva o descritta, come risulta
dal teorema fondamentale di Cauchy; questo valore si chiama, secondo
Cauchy, residuo integrale od anche semplicemente residuo della funzione
iuY- Si può dare del residuo anche un'altra definizione, che importa molto
osservare. Supponiamo dapprima y a distanza finita ; avremo nell' intorno
del punto:
(3) „(.) = P(.-,) + A_ + _A_^^ + ...,
dove la serie discendente si arresterà ad un polinomio, se la singolarità
RESIDUI 149
è polare. Dico che in ogni caso : Il residuo è eguale al coefficiente hi della
potenza {s — 7)""'.
Per dimostrarlo, osserviamo che se calcoliamo l'integrale
i
{z-^ifdz.
'o
esteso ad un cerchietto di centro 7, dove si suppone n intero, positivo
0 negativo, troveremo il valore zero se «4= — 1> ^d invece 2rù per / .
E invero, se n è positivo 0 nullo, ciò risulta subito dal teorema stesso
di Cauchy. Per n qualunque, osserviamo che lungo il cerchio si ha
z — 7 = pe''^ , dz = iije'-^ dQ (p costante) ,
indi
{z- 7)" dz = i:."+' / e'"+"''^^ d^ ;
questo integrale è zero per w+l^^O ed =27ui per n= -1, e. d. d.
Ciò posto, sostituendo in
: / W (z) dz
per w{z) il valore (3), ed osservando che, a causa della convergenza in
egual grado della serie del secondo membro (posto pure che si tratti
di una singolarità essenziale), si può integrare termine a termine, si
avrà :
dz
2 i • •
^ f-^i^dz=-^. fv{z-,) dz+^ f^^ + -^ r ,,
2ziJ^ ^ ^ 27iiJ^ ^ ^ 2ziJ^ «— 7 ^ 2iztJ (^— 7>
Ora, pel teorema di Cauchy, il primo integrale del secondo membro
è nullo e nulli sono pure, per l'osservazione superiore, tutti gli altri,
eccetto
61 1 dz ,
ciò che dimostra appunto il teorema enunciato.
150 CAPITOLO V. — §. 53
Poniamo ora che il punto ^ = y sia in 0 = co ; avremo allora in questo
intorno
(3*) ^^(^)="f a.^«+^ + ^: + ...,
dove questa volta avremo in. ^ = co una singolarità polare od essenziale,
secondo che la serie ascendente si riduce ad un polinomio 0 no, mentre
^ = oc sarà regolare se il polinomio si riduce ad una costante. In ogni
caso dico che : Il residuo della funzione in z= co sarà il coefficiente — h^
della potenza ^~\ cangiato di segno. '
Osserviamo subito che, in virtù di questo teorema, contrariamente a
quello che accade a distanza finita, il residuo non sarà nullo in gene-
rale per una funzione regolare nell' intorno di ^ = oc .
Se descriviamo un cerchio grandissimo s col centro nelF origine, po-
tremo considerarne la parte esterna come intorno di 2; = co e volendo
allora percorrere la circonferenza in guisa che l'intorno resti alla sinistra,
verremo a percorrerla nel senso inverso delle rotazioni. Avremo dunque
pel residuo il valore
I
intendendo ora che s sia percorso nel verso positivo degli angoli. So-
stituendo a w {z) il valore (3*) e integrando per serie, ne risulta sul3Ìto
la verità della proposizione enunciata.
Facciamo ancora un'osservazione sul calcolo dei residui in un caso
semplice, che è utile spesso applicare. Supponiamo che il punto singo-
golare sia un polo del 1." ordine; allora diciamo che: il residuo è eguale
al valore dell'inversa della derivata della funzione inversa — 7— in quel
IV {z)
punto.
E infatti si ha nel caso supposto
indi
w (z) bi
+ (^-v)^Pi(^-7),
onde per valore della derivata di — —1- in z = -; troviamo appunto
ic [z)
1 ^' 1
{z)Jz=f h
151
§. 54.
L' integrsÀe f w (z) dx nel caso di punti singolari intemi.
Consideriamo un'area piana connessa finita, od anche estendentesi
all'infinito, ma in questo caso però colla condizione che il punto ^= co
non si trovi sul contorno (che cioè il contorno sia finito), e supponiamo
che la funzione //; (s) sia in tutta l' area e sul contorno regolare, salvo in
un numero finito di punti singolari
(Zi , ^2 j • • • dji
interni all'area. Proponiamoci di calcolare il valore dell'integrale
w (z) dz ,
s
esteso al contorno completo dell'area, integrale che sarebbe certamente
nullo se l'area fosse finita e non contenesse punti singolari. Indicando con
Ri , Ro . . . U,n
i residui della funzione in «i, «2 . . . a„ e con R^ il residuo in z= co,
se l'area si estenderà all'infinito, dimostriamo la formola di Cauchy
J-, L,{z) f7^-R, + R. -f . . + R„ + (RJ ,
dove il termine fra parentesi (R^) è da sopprimersi se l'area è finita.
In parole abbiamo il teorema : Il valùre delV integrcde -—. 1 w{z) dz,
iTll Js
esteso ed contorno completo dell'area, è egucde alla somma dei residui nei
punti singolari interni, se Varca è finita, e a questa somma aumentata
del residuo del punto co, se l'area è infinita.
Se infatti escludiamo con piccoli cerchi Oj , Oj , . . . -jh i punti singo-
lari dall'area ed anche il punto all'infinito, se l'area è infinita, togliendo
dall'area la regione esterna ad un cerchio grandissimo I, la nuova area
ottenuta sarà finita ed in essa w(s) sarà finita, continua e monodroma,
il contorno incluso. Pel teorema fondamentale, avremo quindi
(z) dz -{- j IO (z) dz -j- . . -{- w (z) dz -\- I / w (z) dz\=zO
•^S '^Oi
152 CAPITOLO V. — §§. 54, 55
dove i circoli o sono percorsi in verso negativo e il cerchio S in verso
positivo. Percorrendoli tutti in verso positivo, avremo
/ IV (^) cU = j w {z) + / IO iz) dz -\- . . -\- j w {z) dz —
la quale forinola, per la definizione stessa dei residui, coincide colla for-
mola da dimostrarsi.
Una conseguenza di questa formola merita di essere subito notata.
Supponiamo che la funzione analitica uniforme w{^) esista in tutto il
piano complesso (su tutta la sfera complessa) ed abbia un numero finito
di punti singolari e dimostriamo: La somma dei residui di u{z) nei
punti singolari e nel punto ^ = co è nulla. Descriviamo infatti un cerchio
di raggio grandissimo includente tutti i punti singolari a distanza finita;
r integrale
'^U
w {z) dz
s
esteso al cerchio in senso diretto, è eguale alla somma dei residui dei
punti singolari interni e d'altra parte al residuo, cangiato di segno, del
punto ^=00, ciò che dimostra la nostra proposizione.
§. 55.
Polidromia dell' integrale W (i) = ^ w {%) dz .
Stabilita la nozione di residuo, possiamo riprendere le ricerche del
§, 41 intorno alla polidromia degli integrali indefiniti. In un'area sem-
plicemente connessa la. funzione ìv(^) sia dappertutto regolare, eccettuato
in un numero finito di punti, i cui rispettivi residui siano
Ki , ri2 . . . ÌXn ì
e, se l'area si intende all'infinito, aggiungiamo ancora il residuo R^ del
punto all'infinito. Se escludiamo dall'area i punti singolari (ed even-
tualmente il punto ^= oc), mediante piccoli cerchi Oi, 02, . . a,i, la nuova
area ottenuta sarà più volte connessa; se la rendiamo semplicemente
connessa mediante tagli semplici fra i contorni aggiunti ed il primitivo
POLIDROMIA DEGLI INTEGRALI INBEFINITI 153
vediamo subito, applicando i risultati del citato §. 41, che i moduli di
periodicità dell'integrale indefinito 1 w{2!)cU ai tagli saranno
2 7:iRi , 2 7rtR2, . . . 27riR,i ;
onde, se / ìv{z)dz è un particolare valore dell'integrale in z, tutti gli
altri valori saranno
rz
j wiz)dz -]- 2-ù (mi Ri -f nhRz + .. + m,tR») ,
i numeri m, essendo interi positivi, o negativi arbitrarli.
Nonostante la presenza dei punti singolari, l'integrale potrà essere
monodromo ; ciò accadrà manifestamente allora e allora soltanto quando
tutti i residui siano nulli. Così p. e. gli integrali
/ 2^ ' / 2^ ' ' ■ ■ ' /
^ dz
SQV^ Z
sono monodromi anche nelle aree racchiudenti punti singolari» perchè ivi
sono nulli i residui delle funzioni sotto il segno. Ma consideriamo invece
l'integrale / — che, senza presupporre qui la nozione della funzione
logaritmica, indichiamo con
^"^dz
log z =
Il residuo di - in ^ = 0 è = 1 e perciò la polidromia dell' integrale
consiste nell'aramettere il modulo di periodicità 2 izi.
Ancora consideriamo l'integrale
dz
r -
^0 ^-^^
la funzione sotto il segno ha i due poli del 1." ordine z = i, z= -i, e
poiché
1 1/1 1
z^+ 1 2i \z-i z+i
154 CAPITOLO V. — §§. 55, 56
vediamo che i residui sono rispettivamente
i_ _ J_
2 i ' 2l '
onde avremo per V integrale un unico modulo di periodicità = rr, come
risulta anche dalla definizione diretta della funzione are tang^.
In fine consideriamo le funzioni
1 , cos ^
C0t2^ =
senz ' senz '
che hanno poli del 1.° ordine in tutti i punti £ = n~, la prima col re-
siduo ( — 1)" la seconda col residuo + 1, come si rileva subito dalla re-
gola pel calcolo dei residui data alla fine del §. 53. Se ne conclude che
le funzioni
I ■ , / cot 2; az
Jj^ sen z Jt^
hanno un unico modulo di periodicità ='2 zi, ciò che risulta anche dalle
loro espressioni effettive
log tang — , log sen z .
Negli esempì addotti fin qui non si avevano moduli di periodicità
infinitesimi. Un esempio di tali funzioni si ha p. e. nell'integrale
r
+ -^)«^^>
\z-\ ' z-2
con moduli di periodicità 2-i, 2-iV- in rapporto reale incommensu-
rabile.
§. 56.
Indicatore logaritmico.
Consideriamo una funzione iv {s) che sia uniforme in un' area A, in-
cluso il contorno, ed abbia ivi soltanto singolarità polari. Kicerchiamo
se il rapporto
1 dio w
tv dz w
INDICATORE LOGARITMICO 155
che si dice la derivata logaritmica della iv{z), avrà punti singolari e
quali. In ogni punto regolare di w, che non ne sia un infinitesimo, è
pure regolare — , onde le singolarità di — possono essere soltanto ne-
W IV
w
gli infinitesimi e nesli infiniti di w. Vediamo se — avrà effettivamente
w
in ogni tale punto una singolarità e di quale specie. Supponiamo dap-
prima che^ = Y sia un infinitesimo d'ordine n di w{z), talché nelP intorno
di Y avremo
(4) IO {z) = (z - t)" P (^ - 7) , con P (0) i^ 0 .
Derivando logaritmicamente, risulta
w (z) _ n V (z - y)
p' /^ y)
ma la seconda parte ^ , :; è regolare nelP intorno di ^ = y, a causa
P [z — y)
di P(0) 4=0, onde in z = '( la - ha un polo del 1," ordine col residuo n,
eguale all'ordine d'infinitesimo di ^ = y per w {z). Per un infinito d'ordine n
il calcolo è perfettamente analogo, bastando solo cangiare nella (4) n in - n.
,Xe concludiamo : Se neìV area che si considera la funzione >c (z) non ha sin-
10 (^)
qolarità essenziali, la sua derivata logaritmica — ,— vi ha soltanto sin-
^ -^ w{z)
gólarità jìolari del primo ordine; queste sono situate negli infinitesimi e
negli infiniti di w e i loro residui sono dati da +n o da — n, secondo
che per w{z) il punto considerato è un infinitesimo, ovvero un infinito ci" or-
dine n.
Questo teorema, per quanto riguarda il valore del residuo, sussiste
ancora quando il punto z = ■; sia in ^ = qo , ma allora la derivata loga-
ritmica, in luogo di un polo, ha in -s;= qo un infinitesimo del 1.° ordine.
E invero se in ^= x> la w(z) ha un infinitesimo, si ha nel suo intorno
onde
/ N ^ /" l d'I , d'i , \
(^) = :;;r 1 ^0 + — + -2 + ) , con «o + 0 ,
2- \^ Z 2^ J
«1 , 202 ,
w {z) n z^ z" ' ' *^ I "0 _j_ °'-i I
10 {zj Z «1 , «2 , z z^ ^
I >^1 I "'Zi
«. + - + ^+-
156 CAPITOLO V. — §. 56
e il residuo di — in ^ = x i che è un infinitesimo del 1 ." ordine per — 1
IV \ '■ tv J
è ancora + n. Similmente, se ^= co è un polo d'ordine n per w, avremo
neir intorno :
(^)
onde
= ^»fao + ^ + 5 + ..) , «o4:0
w{z) z ^ z' ^ :^^
formola che pone in evidenza per — H in^=oo un infinitesimo del 1.°
w (^)
ordine col residuo — n.
Ciò premesso, si abbia in un'area connessa A finita o infinita (ma
con contorno finito) una funzione iv(0), uniforme nell'area, che sul con-
torno non diventi mai né zero, né infinita e non abbia alcuna singola-
rità essenziale nell'interno o sul contorno dell'area. I suoi infinitesimi
ed infiniti nell'interno dell'area saranno certamente in numero finito, al-
trimenti (§. 52) la IV (s) avrebbe singolarità essenziali. Supponiamo che
gli infinitesimi di w{2) siano nei punti
coi rispettivi ordini
e i poli nei punti
con ordini dati da
di , Clì , . . . (Ir f
nii , ììh, . . . m,- ,
bi , h, . . .bs
Wi , Wa , . . . Ws .
La derivata logaritmica — 7-^ non ha alcuna singolarità sul contorno,
mentre nell'interno dell'area ha poli del 1." ordine solo nei punti a,b
con residui +m nei primi, — n nei secondi. Se estendiamo al contorno
completo s dell'area l'integrale ;; — : / — ^4-^, otterremo dunque (S. 54):
^ 1-lJs IV {Z) 1 \:) /
1 Cv^{z)dz '^ "^
INDICATORE LOGARITMICO 157
Se computiamo ciascun infinitesimo e ciascun polo tante volte quante
unità sono nel suo ordine, e poniamo
2 ''^* = ^^0 , 2 ^^'' = ^^ '
sarà evidentemente No il numero totale degli infinitesimi, N^ quello
dei poli, e risulterà la formola notevolissima, dovuta a Cauchy:
1/71 ^ ( '^'' (^) ^^ XT XT
-^ / d log IV = ~ — : / \\ = No— N^ .
L'integrale del primo membro prende anche il nome di indicatore
logaritmico di Cauchy; il suo computo fa conoscere la differenza fra il
numero delle radici e il numero dei poli di et; (^) nell'area, supposto che
non vi siano ne radici ne poli sul contorno.
Supponiamo in particolare che la iv{s) sia uniforme su tutta la sfera
complessa e non abbia ivi che singolarità polari '^), le quali saranno
quindi in numero finito. La sua derivata logaritmica avi'à un numero finito
di poli del 1." ordine e la somma di tutti i suoi residui sarà nulla (§. 54).
Dunque : Se una funzione w {z) è uniforme su tutta la sfera complessa e
non ha che singolarità polari, essa diventa tante volte zero quante volte
infinita.
Se applichiamo questo teorema al caso di una funzione razionale
intera
XV {Z) = tto Z"' + «1 2f"~^ + . . 4- «»i-l z-{- am,
%
siccome essa ha una sola singolarità polare in ^ = co e questa d'ordine
m, ne deduciamo il teorema fondamentale dell'algebra: Ogni equazione
di grado m ha precisamente m radici.
§. 57.
Formola Q, _ Q^ = 2 :: (No - N J .
Alla formola di Cauchy per l' indicatore logaritmico si può dare un'altra
forma, che è utile osservare.
(^) Si vedrà fra breve che una tale funzione è necessariamente razionale
in z. (Vedi §.61).
158 CAPITOLO V. — §. 57
Supponiamo per un momento che il contorno sia unico, cioè l'area
semplicemente connessa. Percorrendo il contorno, iv {z) ha in ogni punto
un modulo ,o (non nullo né infinito) perfettamente determinato ed un
argomento il, determinato a meno di multipli di 2 ti. Ma se in iin punto
iniziale Mo del contorno scegliamo un determinato % fra i valori pos-
sibili dell'argomento, lungo tutto il percorso sarà 9. perfettamente de-
terminato dalla legge di continuità, sicché dopo percorso il contorno a
partire da Mq (in senso positivo), al ritorno in Mo, il avrà acquistato un
valore % differente da % per multipli di 2 tu; ora dico che si avrà pre-
cisamente
(5) fìi-fìo = 2 7r(No— NJ.
E infatti abbiamo
d log w {z) = d log [j -\-id9. ,
onde
Ora il primo integrale é nullo perché log ,o, essendo preso nel senso
aritmetico, riprende al ritorno il valore iniziale ed il secondo è eguale
appunto a — (Qi — Qo), ciò che dimostra la formola:
Manifestamente, se l'area fosse a più contorni, avremmo per risultato
d'integrazione una somma di tante differenze come ^i — %, cioè
2(fìi-^o) = 2;:(No-NJ.
In particolare si consideri un infinitesimo 2 = a d'ordine n per iv {z)
e se ne prenda un intorno abbastanza piccolo, descrivendo ad esempio
un cerchietto col centro in a, perché in esso e sul contorno non vi siano
altri infinitesimi né infiniti della funzione. Se con s; percorriamo il con-
torno s del cerchio, l'argomento di io crescerà di 2r.n, ossia nel piano
w la congiungente l'origine coli' indice di iv compirà n giri, in senso po-
sitivo, attorno all'origine, mentre ^ ne compie uno solo. Lo stesso vale
evidentemente se s = a è invece un polo d'ordine n ; soltanto gli n giri
si compirebbero allora in senso negativo. Di qui si intende facilmente
che nel detto intorno di z = a la funzione iv {z) riprenderà precisamente
n volte ogni valore abbastanza prossimo a zero (o ad infinito).
APPLICAZIONI dell'indicatore LOGARITMICO 159
Per precisare la cosa e dimostrarla rigorosamente, ritorniamo alla
formola generale di Caiichy
supponendo naturalmente soddisfatte le condizioni del §. .OG per la va-
lidità della formola. Poiché il modulo di ic sul contorno non si annulla,
ammetterà un minimo m > 0, talché su tutto il contorno sarà
\ws\ > m .
Sia Wi una costante qualunque di modulo
I wi I < w^ ;
la differenza
non è nulla (né infinita) al contorno e nelF interno ha evidentemente lo
stesso numero di poli di >v{2') cioè N^. Sia N'o il numero degli infini-
tesimi di questa differenza nel campo ; avremo per la formola di Cauchy :
Facciamo variare wi con continuità, sempre supponendo | wi \ < m. Il
primo membro della (6) è una funzione continua di wi , poiché la fun-
zione sotto il segno integrale é funzione finita e continua di a-i , la dif-
ferenza w {z) — Wi, non annullandosi mai; d'altra parte, essendo il suo
valore un numero intero, non potrebbe variare che in modo discontinuo.
Se ne conclude che per tutti i valori di «?i con \uh\<^in l'indicatore
logaritmico serba sempre lo stesso valore, onde si ha
N'o = No.
Abbiamo dunque il teorema: Se la fundone io{s) e regolare in tutti
i inmti di ini' area connessa A, incluso il contorno, eccetto in un numero
finito di polì nelV interno, e sul contorno il suo modulo si serba sempre
superiore od egucde ad un minimo positivo m, nelV interno prenderà ogni
valore di modulo <im precisamente tante volte quante volte si annulla.
Se si applica il teorema stesso alla funzione inversa — r\ > si vede
wiz)
160 CAPITOLO V. — §§. 57, 58
che, indicando con M il massimo modulo di icis) sul contorno: la w{z)
prenderà nelV interno tante volte ogni valore di modulo ^ M quante volte
diviene infinita.
Si aggiunga che, fatta eccezione al più da un numero finito di valori,
\2iw{z) prenderà ogni valore w di modulo \ir <Cm precisamente No volte
distinte, ed ogni valore di modulo ^ M precisamente N; volte distinte.
E invero se la differenza ic (s) — wi diventa in qualche punto infinitesima
d' ordine superiore al primo, ivi si annulla la derivata w (^) ; ma gli infi-
nitesimi della derivata nell'area sono in numero finito.
Come caso particolare del risultato superiore, abbiamo il teorema:
NelV intorno di un infinitesimo (o di un infinito) di ordine n la w {2)
prende ogni valore di modulo sufficientemente piccolo (0 sufficientemente
grande) precisamente n volte distinte.
§. 58.
Inversione delle serie.
I risultati ultimamente conseguiti ci conducono a parlare della in-
versione delle funzioni 0 delle serie di potenze. Sia v; = f{s) una funzione
analitica di z\ domandiamo se si potrà considerare inversamente s come
funzione analitica di w. Essendo ^ = y un punto regolare per iu{s), si
abbia
w = P (^ - 7) = «0 4- «1 (^ - V) + «2 (^ - 'if + . . •
e supponiamo dapprima che in 7 non si annulli /'(^), che sia cioè
ai4: 0.
Cangiando s — 7 in ^ e w — «o in w, scriviamo
(7) ?6- = «1 2; -[- «2 5;^ + • • • ) con ai-^0.
Facciamo un intorno così piccolo di ^ = 0, descrivendo un cerchio C
col centro in 0, che in C e sul contorna iv non diventi né zero, ne infi-
nita. Se m è il minimo modulo di w sul contorno s, la f{z) prenderà entro
C ogni valore wi di modulo \wi \ <im una ed una sola volta in un punto z^.
Descrivendo nel piano w, col centro in ic - 0, un cerchio C di raggio m,
ad ogni punto ic\ entro C corrisponderà un solo punto z^ entro C; di-
INVERSIONE DELLE SERIE DI POTENZE 161
mostreremo che ^i è funzione analitica di wi, regolare nell'intorno di
tvi = 0. La funzione :
diventa entro C infinita del primo ordine solo in ^ = ^1 col residuo ^1 (^),
onde avremo
(8) ^i^TT-- iA^^clz.
1 / zfjz)
s f{z)-wi
2^U
Mentre z percorre il contorno è
\f{z)\s>m , \wi\<m ,
onde
«<1 e possiamo sviluppare
f{z) — wi f{z) ' j
W\
f{z)
"=*' ^,. M
nella serie ^ f{n+ì)i \ • Sostituendo nella (8), e integrando termine a
termine la serie convergente in egual grado, risulterà
2^1= 2 a
n IV\ ,
»i=0
avendo posto
ove si osserverà che il primo coefficiente ao è nullo. Abbiamo dunque il
teorema: Se io è sviluppabile per una serie (7) di potente P(^) col primo
W In generale, se in un prodotto
il primo fattore è regolare iu un punto s = a, ed il secondo vi ha un polo del
1.'' ordine col residuo R, il residuo del prodotto sarà R cp (a), poiché esso è dato da
lim I (z—a) cp (z) 4» (z) j = 'f («) lim j (2— a) '| (s) | .
11
162 CAPITOLO V. — §. 58
coefficiente «i ^0, si può inversamente esprimere, in un intorno di u; = 0, la
g carne una serie di potente per w:
(10) Z = 7-1 IV -\- 7.2 IV^ -f «3 10^ -{-....
I coefficienti a,j sono definiti dalle (9), ma possono anche calcolarsi
algebricamente sostituendo nel secondo membro della (10) per w la serie
(7) e sviluppando, secondo il teorema del §. 48, in serie di potenze di s.
Identificando la serie del secondo membro con z, si ottiene una serie
di equazioni lineari ricorrenti nelle a:
7-1 «1 = 1
7.1 ag + «2 «1 = 0
«1 «3 4- 2 «2 «1 «2 + 73 a? = 0
che determinano successivamente i coefficienti 7..
Supponiamo ora il caso piiì generale che
abbia in ^ = 0 un infinitesimo d'ordine n, onde avremo
(11) w = z" («i+aj z+a-i z^+ . .) , con «i ^ 0 .
Poniamo ic = t" ed, estraendo la radice n'"", avremo
t = z \'ai+a2Z+a-3 2r+ ....
Nell'intorno di ^ = 0 il radicale, che è funzione regolare di ^ perchè
la funzione sotto il segno non si annulla per ^ = 0, si può convertire
in una serie di potenze, onde scriviamo
^ = ^(7.1 + 7.2 ^ + 3^3 ■2^+ ••) , ^-1 + 0.
Pel risultato precedente, se consideriamo z come funzione di t, assu-
mendo z = 0 per ^ = 0, la z è funzione regolare di t :
ì_
sostituendo per t il suo valore w" , abbiamo z espressa per iv colla serie
(12) z = ^,w"-\-^iW"-\-...
INVERSIONE DELLE SERIE DI POTENZE 163
Per ogni valore di w, interno al cerchio di convergenza di questa
serie, abbiamo n valori distinti per ^, che girando attorno a ^ = 0 si
permutano ciclicamente fra loro e costituiscono n rami di una medesima
funzione analitica di iv ' ^* . -Il punto w-0 è un punto critico algebrico
per 0 (punto di diramazione). Se indichiamo con
gli n rami di s, corrispondenti ad un valore di w, ogni funzione razio-
nale intera e simmetrica di ^1,^2 > • -^n sarà una funzione di w regolare
in IO = 0. Ciò si può vedere anche direttamente, dimostrando la cosa per
le funzioni simmetriche elementari {somme delle potenze simili):
■sH- ■2^2 + • • • + ^l {v intero positivo) .
E invero la funzione
z'f{z)
entro il cerchio C, ha poli del 1.° ordine in ^1 , s.,, . . Sn coi residui s\,^l,..zl,
onde risulta
zl-{-zl'i-...-\-z: = —- / ' dz .
Il secondo membro è evidentemente una funzione regolare di w nel-
r intorno di w = 0.
Capitolo VI.
Funzioni uniformi in tutto il piano complesso. — Loro sviluppi in serie di fra-
zioni parziali secondo Cauchy. — Teorema di Mittag-Leffer. — Sviluppi
in prodotti infiniti per le trascendenti intere.
§. 59.
Trascendenti intere.
Procediamo ora allo studio ed alla classificazione delle funzioni ana-
litiche uniformi esistenti in tutto il piano {su tutta la sfera complessa),
(^' Essendo a^O un punto qualsiasi nell'intorno considerato di w, si può
sviluppare
^ <= j (li) — a) -|- a I T
per potenze intere e positive di iv — a, quindi anche per z si ha nell'intorno
di w = a una serie di potenze: 3 = P(i<; — a).
164 CAPITOLO VI. — §. 59
e dimostriamo in primo luogo il teorema fondamentale: Ogni funzione
analitica, uniforme e non costante su tutta la sfera complessa, deve avere
almeno un punto singolare.
Nel caso contrario il suo modulo si manterrebbe su tutta la sfera
inferiore ad una quaiitità fissa M. Descriviamo in tale ipotesi nel piano
complesso, col centro nell'origine, un cerchio C di raggio R grande ad
arbitrio; la nostra funzione w[s) è quivi finita, continua e monodroma
e però sviluppabile in una serie di potenze
w{z) = aQ -\- aiZ-\- «2 z^ -\- . . -\- an z'' -{- . . . ,
convergente in tutto il piano. Il coefficiente a^ è dato, per le formole
(5) del §. 43, pag. 124, dall'integrale
1 Cw (z) dz
esteso al contorno s del cerchio. Ora, per ipotesi, si ha sempre \iv\<, <M
ed, applicando la formola di Darboux, ne deduciamo
e siccome, se n > 0, all' ingrandire di R il secondo membro tende a zero,
mentre il primo ha un valore fisso, ne deduciamo
an= 0 per 7^ = 1 , 2 , 3 . . . ,
e però ?f(^) = ao, cioè costante contro l'ipotesi.
Le funzioni uniformi in tutto il piano, avendo necessariamente qual-
che singolarità, potranno classificarsi a seconda del numero e della specie
delle loro singolarità. Il caso più semplice sarà quello in cui si abbia
una sola singolarità e questa sia in ^ = qo , talché in qualunque campo
finito del piano la funzione sarà sempre finita, continua e monodroma.
Allora ic{s) è sviluppabile in una serie
w {z) = 2
a,, z"
convergente in tutto il piano, e la singolarità in s= co sarà polare od
essenziale, secondo che la serie si arresterà o no ad un polinomio. Nel
secondo caso la funzione dicesi una trascendente intera e si indica, con
Weierstrass, col simbolo G{z).
TRASCENDENTI INTERE 165
Abbiamo dunque il risultato; Una funzione uniforme in tutto il piano,
con un solo punto singolare in ^ = oo , è un polinomio razionale intero in
z, ovvero una trascendente intera G {z), secondo che la singolarità è polare
od essenziale.
Notiamo che dalla dimostrazione data del teorema fondamentale ri-
sulta che, fissato un numero positiv^o M grande a piacere, in qualunque
intorno di ^ = co una trascendente intera G {z) assume anche dei valori
di modulo > M. Nel caso particolare di un polinomio si può fare anzi
r intorno in guisa che tutti i valori della funzione abbiano modulo >> M.
Fra le trascendenti intere ve ne sono alcune, come
g« g sen a
che non solo non diventano mai infinite a distanza finita, ma nemmeno
si annullano. È facile vedere che l'espressione generale di una siffatta
trascendente intera G(^) sarà:
(1) G(0) = eGi(^),
dove Gi(^) è, essa stessa, una trascendente intera. E infatti, se G(^) non
si annulla mai, la sua derivata logaritmica
G>)
G(^)
è una trascendente intera G2(^), e però integrando si ha
log G {z) ( 1) = y G2 {z) dz = G, (z) ,
e passando dai logaritmi ai numeri, risulta appunto la (1).
§. 60.
Punti singolari essenziali.
Se la funzione iv (z) uniforme ( in una certa area ) ha nel punto z = a
una singolarità essenziale isolata essa può porsi, come sappiamo, nel-
r intorno del punto, sotto la forma
{z)=¥{z-a) + 2
M {z—ar
e La polidromia proveniente dal segno logaritmico è qui soltanto apparente,
perchè G {z) non diventa mai né zero né infinita.
166 CAPITOLO IV. — §. 60
La serie discendente converge in tutto il piano, salvo in ^ = a, ed è
quindi una trascendente intera dell'argomento , che inoltre si annulla
pel valore 0 deirargomento, cioè per ^ = co . Indicando una tale trascen-
dente intera col simbolo
avremo dunque
(2) wiz)=Y{z-a)+g' ^ ^
- a) '
Da questa osservazione, e da quanto abbiamo detto al §. precedente
relativamente alle trascendenti intere, facilmente possiamo trarre una di-
mostrazione del teorema di Weierstrass: In vicinanza di un punto sin-
golare essenziale isolato, e per quanto piccolo intorno si prenda di esso, la
funzione assume anche valori di modido tanto grande quanto si vuole ed
anche valori prossimi di tardo poco quanto si vuole ad una quantità finita A
prefissata ad arbitrio.
Che la IV (z) assuma, in qualunque prossimità di ^ = a, anche valori di
modulo più grande di qualunque quantità assegnata risulta subito dal-
l'ossei'vare che nel secondo membro della (2), per z prossimo ad a, il primo
termine P(^ — a) assume valori prossimi al termine iniziale della serie,
mentre g ( ) assume (§. 59) anche valori di modulo grande quanto
si vuole. Per dimostrare poi la cosa anche pei valori finiti A, si consideri
la funzione
(3)
IV (z) — A
che avrà in z = a certamente una singolarità essenziale, la quale sarà
inoltre isolata, se in prossimità di ^ = a non si annullerà infinite volte
la differenza tv {s) — A. Ma in questo secondo caso sarebbe già provata
la nostra asserzione; anzi non solo wiz) si approssimerebbe quanto si
vuole ad A, ma assumerebbe effettivamente infinite volte il valore A. Xel
primo caso poi, la singolarità essenziale z = a per la funzione (3) essendo
isolata, la funzione stessa deve prendere in qualsiasi intorno di a valori
di modulo grande ad arbitrio o, ciò che è lo stesso, deve w{z) accostarsi
ad A di tanto poco quanto si vuole.
FUNZIONI UNIFORMI CON UN NUMERO FINITO DI SINGOLARITÀ 167
Questo teorema di Weierstrass fa già comprendere la profonda diffe-
renza che esiste fra una singolarità polare ed una essenziale. Picard ha
precisato vieppiù questo risultato, dimostrando che : In vicinanza di un
punto singolare essenziale la funzione non solo si accosta, ma prende effet-
tivamente infinite volte tutti i valori possibili, fatta eccezione da due spe-
ciali valori al massimo '^'.
Ritorneremo più tardi su questo teorema, che per ora enunciamo sol-
tanto. Qui osserviamo ancora che il teorema di Weierstrass sussiste non
solo per singolarità essenziali isolate, ma anche (ed a più forte ragione)
per singolarità limiti di infinite altre singolarità (Cf. §, 52).
§. 61.
Funzioni uniformi con un numero finito di singolarità.
Continuando nella classificazione delle funzioni uniformi in tutto il
piano, consideriamo ora quelle che hanno in tutto il piano complesso un
numero finito di singolarità. Le singolarità a distanza finita siano nei
punti
«1 , «2 , . . . fln 5
potrà aversi ancora eventualmente nella funzione iciz) una singolarità
all'infinito. Nell'intorno dì z = ai la funzione w{z) si pone sotto la forma
w (z) = V{z-ai)-\- gì (- — - ) ,
la gi{t) indicando una trascendente intera di t annullantesi per ^ = 0,
ovvero un polinomio, secondo che la singolarità in z = ai è essenziale,
0 polare. Se poniamo
/_1
.z—a.
f^ (^) — 9i [y~^ ì = '^1 (^) '
la tvi(z) sarà regolare in ^ = «i ed avrà le rimanenti singolarità di tv (z).
Procedendo nel medesimo modo sopra 'i^i(z), avremo
/ 1 \
u\ {z) = W2 (z) + g-z - — -
\Z «2/
(*' Cf. gli esempi discussi al §. 52.
168 CAPITOLO TI. — §. 61
e la Wì(z) non avrà singolarità che in
2; = «3 , «4 . . . «n , ( CO ) .
Così procedendo, troveremo
w
w = i'. G-é^) + ^<j4^) + • • + ^» C-^j + n^) .
dove la f{s) non avrà altra singolarità che in s= co, se pure esisteva
in ìv{z). La f{s) si ridurrà quindi ad una costante, ovvero ad un poli-
nomio, 0 in fine ad una trascendente intera G{£). Includendo in que-
st'ultimo caso generale gli altri due, scriveremo
(*) " W = 9^ ij^) + 9, ( J^J +-.+9. {^) + G (^) .
Se le singolarità saranno soltanto polari, le funzioni gi,g2--gn, G
saranno altrettanti polinomii interi nei loro argomenti. E poiché una
funzione uniforme su tutta la sfera e che non ha singolarità essenziali
non può avere un numero infinito di singolarità polari, ne concludiamo :
Una funzione uniforme su tutta la sfera complessa, e dotata soltanto di
singolarità polari, è una funzione razionale di z. L' inversa è evidente < ^* .
Si osservi poi che la formola (4), applicata al caso attuale, dà pre-
cisamente quella decomposizione di una funzione razionale in frazioni
parziali che si considera nell'algebra e si utilizza nel calcolo per l'in-
tegrazione delle funzioni razionali.
È evidente che, dati ad arbitrio i punti in numero finito «i, «2, . . a»,
ed assegnate ad arbitrio le trascendenti intere
gì , gì, ■■•gn,
si può costruire colla (4) una funzione uniforme in tutto il piano coi
soli punti singolari a^ , «2 . . a» , nei quali si comporterà rispettivamente
come le trascendenti
(') Si noti come dalla espressione effettiva di una funzione razionale espressa
pel quoziente di due polinomii si verifichi subito il teorema, già dimostrato al
§. 56, che una tale funzione diventa tante volte zero quante volte infinita.
FUNZIONI UNIFORMI CON UN NUMERO FINITO DI SINGOLARITÀ 169
Osserviamo in fine che, applicando i ragionamenti superiori ad una
funzione w{2) uniforme non in tutto il piano ma solo in un'area data
A, con un numero finito di punti singolari
nell'interno dell'area la iv(s) potrà porsi sotto la forma
(5) „ (.) = „ (-A_) + ,, (_±_) + ..+,,. (^_i_J ,. ^(,) ,
la f{0) essendo una funzione uniforme e regolare in tutta l'area.
§. 62.
Metodo di Oauchy per gli sviluppi in serie di funzioni
con infinite singolarità.
Passiamo ora a considerare le funzioni uniformi in tutto il piano e
con un numero infinito di singolarità, le quali abbiano però come unico
punto limite il punto z= <x> , tali cioè che in qualunque campo tutto si-
tuato a distanza finita capiti soltanto un numero finito di punti singolari
(essenziali o polari) e soltanto cresca all'infinito questo numero, ingran-
dendo all'infinito il campo.
Consideriamo un tale campo finito (racchiuso da un solo contorno, ossia
semplicemente connesso) supponendo per altro che sul contorno non vi
sia alcun punto singolare della nostra funzione iv{z). Nell'interno di C
cadrà un numero finito di punti singolari
di , a^ > • • . a^i
e in tutto C potremo porre, secondo la (5), la iv{z) sotto la forma
(6) ' ^<^{^)-%9>(-^)-Vf{z),
ove f{£) è regolare nei punti di C (contorno incluso). Prendiamo un punto
/ interno a C, ma distinto dai punti singolari, e cerchiamo di calcolare
il valore di iv in / per mezzo dei valori di w al contorno s del campo,
estendendo così la formola di Cauchy al caso attuale, ove si hanno Inter-
170 CAPITOLO VI. — §.62
namente al campo singolarità. Alla f{s), che è regolare in C, possiamo
applicare la formola di Caiichy
che per la (6) diventa
■ ^ ,éi \z'—arj 2r.ijg z — z 2t.i ^J^z—z'^" \z — ayj
Ora facilmente vediamo che ciascun integrale della somma del se-
condo membro
7_ z — z *" V^; — a,-/
dz
è nullo, poiché nella regione del piano esterna ad s la funzione sotto il
segno
Z Z \Z ttr
è dappertutto regolare e in ^= oo è infinitesima del 2.° ordine almeno '^',
onde il suo residuo è nullo. La formola precedente diventa quindi sem-
plicemente
(7) „(,) = _ j^ -^ + 2 ^'^(-r^
e non differisce dall'ordinaria formola di Cauchy che per la parte rela-
tiva alle singolarità.
Immaginiamo ora che il campo C ingrandisca all'infinito, passando
per una serie discreta di configurazioni in guisa che, per ogni speciale
configurazione, il contorno 5 di C non contenga mai alcun punto singo-
lare, ma del resto con legge arbitraria.
La formola (7) rimarrà sempre applicabile, purché / non coincida
con un punto singolare a; soltanto il numero dei punti a che cadranno
entro il campo, cioè il numero dei termini nella somma del secondo
membro della (7), andrà sempre più crescendo.
W Si ricordi che la trascendente intera qr \ ì si annulla in z=cc .
a gr { )
SVILUPPI IN SERIE DI FRAZIONI PARZIALI 171
Ora se la legge d' accrescimento del contorno è tale che, mantenendo
z entro un'area A finita arbitraria, l'integrale
w [z) dz
s ^—^
converga equabilmente (in egual grado) verso zero, dalla (7), con pas-
saggio al limite, otterremo la formola
(8) ^(^0 = 2^'- 7-V)
e la serie del secondo membro sarà, in ogni area finita A, convergente
in egual grado, quando ne siano esclusi con piccoli intorni i punti sin-
golari a. Così otteniamo per la funzione w {z) uno sviluppo che vale in
tutto il piano, a qualunque distanza finita, e ne pone in evidenza le
singolarità, analogamente alla decomposizione in frazioni parziali di una
funzione razionale. Si noti però che la convergenza della serie (8) sarà
in generale subordinata all'ordine dei termini, i quali dovranno essere
raggruppati al modo stesso come entrano i punti singolari nel campo C
crescente secondo la legge assegnata.
§. 63.
Due casi particolari.
Per le applicazioni, che dovremo fare nel seguito, di questo processo
generale sono particolarmente importanti due casi, in cui si riscontra effet-
tivamente che si ha
(10) lim {'^^^ =^-Oi^K
Js ^-^
1." Supponiamo che l'ingrandimento del contorno s proceda in guisa
che tutti i suoi punti si allontanino all'infinito dall'origine e sul con-
torno via via crescente si mantenga sempre
\w{^)\s < Q,
(*' Scrivendo questa formola sottintendiamo che, variando z' in un'area
qualunque finita, il limite deve essere preso per l' ingrandire infinito del con-
torno s e la convergenza a zero dell'integrale deve aver luogo equabilmente.
172
CAPITOLO VI. — §. 63
essendo Q una quantità finita. Diciamo che allora basterà dimostrare che
si ha
per essere sicuri che sussisterà la (10) e varrà quindi lo sviluppo in se-
rie (8).
Prendiamo ora un'area A comunque grande, ma finita, nella quale man-
terremo /, talché !/j si manterrà inferiore ad una quantità finita K:
Da un certo punto in poi, movendosi s sul contorno s, risulterà per
le ipotesi fatte
I ' I
1^1 > l^'l , cioè —^ < 1,
onde potremo sviluppare in serie — -, colla formola :
z — z
ed avremo, a causa della convergenza in egual grado:
fw (z) dz __ Cw iz) dz "^ ,^ fw (z) dz
Js ^ ^ Js ^ "=i Js
Se dimostriamo che ingrandendo il contorno s, possiamo rendere
(11)
„=1 ./o <•
) dz
< = ,
essendo e una quantità comunque piccola, sarà provata la nostra asser-
zione.
Ora si ha
(12)
«=i Js ^ «=1 Js ^ "=' Wr ^
z) dz
DUE CASI PARTICOLARI
173
Calcoliamo un limite superiore del modulo dell'integrale /
riportando colla sostituzione
^ = T
il contorno grandissimo 5 ad un contorno piccolissimo a attorno all'ori-
gine, ed applicando la formola di Darboux. Abbiamo
l^'-j'Ax)
df:
e, indicando con o la massima distanza dell'origine dai punti di a e con
X il perimetro di o, risulta
IV
{z) dz
onde la (12) diventa
yn+l
w {z) dz
<Qr'"-'>>,
<KQX
1
1— Kf.
Siccome tanto p quanto X convergono verso zero, risulterà, da un
certo punto in poi, soddisfatta la (11) e. d. d.
2.° Supponiamo che : il contorno s ingrandisca per forme circolari, col
centro nelV origine, e sid contorno crescente del cerchio non solo \ io {é) \ si
mantenga finito ma diventi, da un certo punto in x>oi, minore di qualunque
quantità assegnabile. Dico che sarà allora soddisfatta la (10).
Per quanto abbiamo visto sopra basta provare che si ha
lim
i
w (z) dz
= 0,
ciò che è un'immediata conseguenza della formola di Darboux e della
nostra ipotesi.
Quest'ultimo risultato conduce ad applicare, con una conveniente mo-
dificazione, il processo di sviluppo in serie anche nel caso in cui il mo-
dulo di ìv(z) sul contorno crescente del cerchio, anziché diminuire, cresce
air infinito comparabilmente ad una potenza del raggio K, in guisa che,
174 CAPITOLO VI. — §§. 63, 64
per un valore sufficientemente grande del numero intero n, risulti da un
certo punto in poi
^ I piccolo a piacere. Potremo allora applicare lo
z"
sviluppo alla funzione -~ e risulterà
1 \* — "■»
Se sviluppiamo
per potenze di z-a,- col binomio di Newton, vediamo che il prodotto
\z — arj
si converte in una nuova trascendente intera
\Z ttrj
aumentata di un polinomio Pa^. {z) di grado n-\ in z, onde avremo per
w{z), lo sviluppo
(13) „(.) = ||,;(_^)+P„^(.)j.
L'aggiunta dei polinomi P„,: {s) nei singoli termini della serie a de-
stra ha per effetto di assicurarne la convergenza, artificio che ritrove-
remo fra breve per stabilire il teorema di Mittag-Leffler (§. 65).
§• 64.
Sviluppi in serie delle funzioni , cotz.
^■^ sen z '
Applichiamo il processo generale descritto alle due funzioni
, cot 2; ,
sen z
i cui punti singolari sono nei punti
SVILUPPI IN SERIE DI ~ . »"i-- 175
percorrendo n i numeri interi, positivi e negativi; per Funa e per l'altra
funzione la singolarità è polare del l.«> ordine col residuo
( — 1)" per , + 1 per cot z ,
^ ^ sen^
come risulta dalla regola alla fine del §. 53. La trascendente intera gn
si riduce qui rispettivamente a
(—1)" 1
■mi z — «71
Per campo C, che dovremo poi fare ingrandire all'infinito, prendiamo
il rettangolo racchiuso dalle rette
a;=±('m + -ì - , ij = ±l,
dove m è un numero intero positivo e h una costante qualunque; fa-
cendo crescere all' infinito sì m che h, il contorno s si allontanerà in ogni
senso all'infinito.
D'altra parte, posto
si ha
1
sen^;
\/cos*a; + senh*«/
\J sen'' X + senh^ y \J sen^ x + senh^ y
zoiz
e si vede subito che i moduli delle due funzioni rimangono sempre in-
feriori ad una quantità fissa sul contorno crescente. Basterà dunque ve-
rificare (§. 63) che gli integrali
c dz r
J zsenz ' J
cot z dz
estesi al contorno del rettangolo, hanno per limite lo zero. Ora questi
due integrali, a causa della simmetria del contorno rispetto all'origine
e delle forinole:
sen ( — ^) = - sen ^ , cot ( — z) = -coi z ,
sono assolutamente nulli, il che prova quanto volevamo (^'. Sono quindi
W Allo stesso risultato si arriva anche subito, calcolando la somma dei residui
delle due funzioni sotto il segno nell'interno del rettangolo.
176 CAPITOLO VI. — §. 64
applicabili i risultati del primo caso discusso al §. precedente e poiché,
all'ingrandire del contorno, i poli entrano due a due, associandosi ad
ogni polo il suo simmetrico, avremo le formolo:
san z „=« ^ z — r 7C
" 1
cot 2; = lim y >
,.=» ir ^ — 'TT^
ovvero
1 , "^ ( 1 , 1 ) 1 , "^* 2^
(15) cot^ = hS H— — =- + 2~^ 2—2
e le serie del secondo membro, in qualunque campo a distanza finita,
da cui siano esclusi i poli, sono convergenti in egual grado. Derivando
la (15) termine a termine, come è lecito (§. 47), abbiamo l'altro svi-
luppo per — r- :
1 1 "°°* (1 1 )
^^^^ ^^H^ "" 7" + ,11 \{z—nT:f + {z-^niCfS '
Dalla (16), facendo z = ~ , si ottiene
t-^ • V ( 1 I _i__ì
* 4 "" "^ ^'(2^— 1)'"^ (2«+l)M '
che si può scrivere
^2 co J 111
"8 "" ? (2w + l)^ = 1 + ^2 + ^2 + 72 + • • .
formola che ci dà la somma delle inverse dei quadrati dei numeri di-
spari. D'altronde si ha
QOj^ 00]^ co Y 1*^1^ 1
2 ^ = 2(^ ^ 2 (2w + l)^ ^ T t' >^^ "^ t' (2w+l)'
NUMERI DI BERNOULLI 177
e la precedente si può anche scrivere
co 1 -2 •
risultato che dovremo applicare in seguito.
Questa non è del resto che un caso particolare delle formole che
dimostrano come il valore della serie
sta in rapporto commensurabile con k^", dipendente dai così detti numeri
di JBernoidli.
Stabiliremo rapidamente queste formole ricorrendo alla (15), che scri-
viamo
^2/ , ^ 2^' 1
^ cot^
T ^ — v^'^^ 1
M*7t
2 ^i
Per I^K^r possiamo sviluppare il secondo membro in serie di po-
tenze per z, applicando la formola
2 ''
^ n^%'-
Z- ^ W*'-7U*'- '
e ricordando i risultati generali del §. 48. Otteniamo cosi
^cot^ = i-2"f |^>^";
e ponendo
_2S2n.2.3..(2n)
potremo scrivere
^ cot ^ = 1 — 2Li
,él 2.3...(2w) *
Dall'identità che ne deriva
1.2 ' 1.2.3.4
__ I . ~ I ^ ^\L Bi(2^)^ B,(2^)^
1 .2.3 ' 1.2.3.4.5 "V V 2 2.3.4"
12
178 CAPITOLO VI. — §§. 64, 65
paragonando dall'una parte e dall'altra i coefficienti delle medesime po-
tenze di z, si calcolano p^r via ricorrente i numeri di BernouUi
Bi , Bj , B3 . . . ,
che sono tutti numeri razionali; i primi valori sono
B, = - , B,= - , B3 = - , B, = -...
§. 65.
Teorema di Mittag-Leffler.
Nei §§. precedenti abbiamo supposto (Ma la funzione iv(z), uniforme
in tutto il piano e con un numero finito di singolarità in ogni campo
finito, e ne abbiamo cercato uno sviluppo in serie, che ne ponesse in
evidenza le singolarità. Ora ci proponiamo il problema inverso e cioè
vogliamo costruire una funzione con assegnate singolarità in punti pre-
fissati. Supponiamo dato un insieme di punti isolato nel piano com-
plesso ; un tale insieme, per un teorema di Cantor, è sempre numerabile,
cioè si possono ordinare i punti, distribuendo loro per indici i numeri
l,2,3..n... Per ciascuno di questi punti
fll , Gfg , . . . Cln • • •
supponiamo inoltre assegnata una trascendente intera corrispondente
?. (j^) . 9' C-^^j • • ■ ?" C"^) • • •
affatto ad arbitrio e domandiamo di: costruire una funzione uniforme
w{z) in tutto il inano che nelV intorno di ciascun punto an dell' insieme si
comporti come la trascendente intera assegnata On ( ) '^' e non abbia
\z- an/
alcun' altra singolarità, salvo nei punti dell' insieme derivato.
La soluzione generale di questo problema è stata data da Mittag-
Leffler (^', il quale l'ha risoluto affermativamente per ogni insieme iso-
(*) In modo cioè che la differenza
(^)-*"C-i,)
w \
sia regolare in a» •
(^) Sur la représentaUon analytique des fonctions uniformes. Acta Math., T. 4.
TEOREMA DI MITTA6-LEFFLER 179
lato, costruendo eifettivamente la funzione domandata. Questo risultato
porta il nome di teorema di Mittag-Leffler. Noi non ne studieremo qui
che un caso particolare, il caso cioè che vi sia un unico punto limite del
gruppo delle singolarità assegnate, e, senza alterare la generalità, po-
tremo supporre che quest'unico punto limite sia il punto ,^ = oo , cioè
che in ogni campo finito cada un numero finito di punti a, ma questo
numero vada crescendo oltre ogni limite all'ingrandire del campo.
Numereremo allora i punti a, distribuendoli per ordine di modulo cre-
scente, e quelli che abbiano eventualmente lo stesso modulo per ordine
d'argomento crescente, talché
\ai\<Wì\<\(h\
Supponiamo dapprima |ai|>0, cioè che il primo punto non cada
nell'origine e quindi anche nessuno dei seguenti. La trascendente intera
/ 1 ^ 1
qJ ) dell'argomento , nell'interno del cerchio C,j col cen-
\3-anJ S-ttn
tro neir origine e di raggio = ! «„ | , è finita, continua e monodroma e
però sviluppabile in serie di Taylor
(18) 5'Hf-V)=1B„,,.^^
avente il cerchio Ci per cerchio di convergenza. Ora prendiamo ad ar-
bitrio una serie di numeri reali e positivi
Si , % , . . . S,t . . . ,
che assoggettiamo alla sola condizione di dar luogo ad una serie con-
vergente
^ =» = =1 + -2 T~ • • "i" =;( ~r • •
e fissiamo inoltre arbitrariamente una quantità positiva ò <^ | «i | . Nel
cerchio C'« concentrico ed interno a C„ e distante da C„ di o la serie
del secondo membro nella (18) è convergente in egual grado, e però si può
trovare un numero intero m„ tanto grande che per tutti i punti z in
C'„ risulti
/ 1 \ r=ma I
Qn ( 1 - "2 ^«"- ^'' < ^^ •
z — a.
r^Q
180 CAPITOLO VI. — §. 65
Se poniamo
2 Bn,,.^'- = P„.j4^),
r^O
sarà Pm„ (^) un polinomio di grado Mn in 0, e per ogni e interno a C'n
avremo
(19)
y^{^y^->M
<e».
Fissati così i numeri interi mi, w?2, • • 'w„ . , , prendiamo a conside-
rare la serie
(a) "f j^n(-^) + P.„(.)j
)i=0 [ ^» t*n/ 1
e dimostriamo che in qualunque campo a distanza finita, dal quale siano
esclusi i punti a che vi capitano, essa è convergente in egual grado e
rappresenta la funzione cercata. Basta evidentemente considerare il caso
di un campo circolare, grande quanto si vuole, col centro nell'origine.
Sia C un tale cerchio di raggio R e siano
quei punti a (in numero finito) che distano dall'origine meno di R + S;
scindiamo allora la nostra serie nella somma dei primi r termini e nella
parte residua
(20) 'l\9nf-\)^?..M\,
della quale basterà mostrare la convergenza in egual grado in C. Poiché
i punti
ftr+i 5 (ir+2 » • • • ^n • • •
distano esternamente da C almeno di 5, a tutti i termini della (20) è
applicabile la diseguaglianza (19) e quindi la serie dei moduli della (20)
ha i termini inferiori a quelli della serie
co
r+1
che per ipotesi è convergente. Così è provata la convergenza in egual
TEOREMA DI MITTAG-LEFFLER 181
grado della serie («) in qualunque campo finito (esclusi i punti a). Se
poniamo
(21) tv [z) = %gn (-^) + P".. (^) ! ,
sarà dunque w [£) funzione finita, continua e monodroma della variabile
complessa z in tutto il piano, esclusi i punti a (Cf. §. 47). In questi
punti si comporterà nel modo voluto poiché, se dalla serie del secondo
membro in (21) togliamo il termine corrispondente a z = a,-, la serie
rimanente è una funzione regolare nell'intorno di a, ed in questo intorno
si ha per ciò
/IN
IV {£) = g,. {—::^^ ) + P i^—a,)
Osserviamo poi che se avesse luogo il caso escluso, che cioè fra i
punti singolari figurasse l' origine colla trascendente ^ ( — j , basterebbe
aggiungere questo termine nel secondo membro della (21), la quale pos-
siamo dunque ritenere valga in tutti i casi.
Abbiamo così dimostrato il teorema di Mittag-Leffler, costruendo una
funzione uniforme iv{z) con tutte e sole le singolarità volute. Ma evi-
dentemente, di tali funzioni ne esistono infinite, differenti fra loro per
trascendenti intere delF argomento z. L'espressione piiì generale della
funzione richiesta sarà dunque:
(22) IV {Z) = G (Z) -i-"f\gn (-^) + Pm. (^) I ,
,1=1 ( \* ttn/ 1
designando G{z) una trascendente intera arbitraria.
§. 66.
Costruzione di una trascendente intera per prodotti infiniti.
Una questione, che si collega a quella risoluta nel §. precedente col
teorema di Mittag-Leffler, e di non minore importanza, è quella di co-
struire una trascendente intera, noti che ne siano i punti e gli ordini
di infinitesimo. Ci proponiamo di stabilire il teorema fondamentale do-
vuto a Weierstrass:
182 CAPITOLO TI. — §. 66
Dati ad arbitrio nel piano un numero infinito '^* di punti, che abbiano
per unico punto limite il punto ^ = co , si può sempre costruire una tra-
scendente intera, che si annulli soltanto nei punti dati
a\ , fl2 , . . . ttn } • • •
con ordini corrispondenti assegnati pure ad arbitrio:
Pi , Pi, '-'Pn, '.'
Ricondurremo la costruzione della trascendente intera cercata al pro-
blema già risoluto nel §. precedente, mediante le seguenti considerazioni.
Supponiamo che G (z) sia una trascendente intera, che soddisfi alle con-
dizioni volute. La sua derivata logaritmica
sarà una funzione uniforme in tutto il piano, che in tutti e soli i punti
an avrà singolarità e precisamente poli del 1.° ordine coi termini cor-
rispondenti d'infinito
Pn
Una tale funzione w {z) esiste, pel teorema di Mittag-Leffler, ed ha
per espressione analitica
(23) w {£) = G, iz) -f f j -^ + P.„ (^) j ,
dove P».„(^) è un polinomio in z di grado conveniente m^. La trascen-
dente intera cercata, se esiste, dovrà dedursi per integrazione da u){z).
Moltiplicando i due membri della (23) per dz e integrando da 0 a ^ per
un medesimo cammino che eviti i punti ««, potremo eseguire nel se-
condo membro, a causa della convergenza in egual grado, l' integrazione
termine a termine ed otterremo
Jr^ Go . - g \
tv (Z) dz =G2{z)+^\pn\0g\ 1 — " ) + Q«
0 1 \ \ ^n/
(-^)
O II caso di un numero finito di infinitesimi offre immediata risoluzione
per mezzo di una funzione razionale intera.
COSTRUZIONE DI UNA TRASCENDENTE INTERA PER PRODOTTO INFINITO 183
dove Q,»^ (z) è il polinomio di grado m„ + 1 in 2, che nasce integrando
Vm,^{z)- Passando dai logaritmi ai numeri, si ottiene
fw (^) d^ G, (^) 2 ! log f 1 -^T"+ Qn,, (^) j ,
ovvero :
La polidromia è sparita dai due membri e il prodotto infinito essendo
convergente in egual grado in qualunque campo a distanza finita, inclusi
ora anche i punti ctn , ove si annulla dell' ordine pn , vediamo che la tra-
scendente cercata esiste ed è data dalla formola
(24) G(.) = /-(^^"n Ki-lJ».*^-*^)!,
restando la trascendente intera Gì (e) aff"atto arbitraria. Inversamente
ogni trascendente intera che abbia gli infinitesimi nei punti «„ , cogli or-
dini Pn , è data dalla (24). Questo importantissimo risultato è dovuto a
Weierstrass, il quale diede il nome di fattori primarii ai fattori
l'aggiunta dell' esponenziale e '" avendo per effetto di assicurare la
convergenza assoluta ed in egual grado del prodotto infinito.
Nella formola (24) è supposto che l'origine non debba essere un in-
finitesimo per G(^); ma evidentemente, se vogliamo che Giz) abbia in
2; = 0 un infinitesimo d'ordine r, basterà far precedere nella (24) al pro-
dotto infinito il fattore z"".
Dall'esistenza di una trascendente intera con infinitesimi assegnati
ad arbitrio si può trarre, con Weierstrass, un' importante conseguenza.
Sia «^ (z) una funzione uniforme in tutto il piano e senza singolarità es-
senziali a distanza finita. Le sue singolarità polari formeranno un gruppo
di punti coir unico punto limite ^= co ; siano
^1 i ^8 > • " • ^n • • •
questi poli e
Pi , P2 , ■ ' ■ Pn . . •
184 CAPITOLO VI. — §§. 66, 67
i loro rispettivi ordini. Costruiamo la trascendente intera G(é) che diventa
infinitesima nei punti a dei medesimi ordini pi. Il prodotto ^c'(z).G(^)
è uniforme e senza singolarità né essenziali, né polari a distanza finita,
e però è una trascendente intera Gì (e). Abbiamo dunque il teorema:
Ogni funzione uniforme in tutto il piano, che non abbia singolarità
essenziali a distanza finita, è il quoziente di due trascendenti intere.
Come corollario, ne segue che una tale funzione può sempre espri-
mersi analiticamente per mezzo del quoziente di due prodotti infiniti
della forma (24).
§. 67.
Forma degli esponenti Qm„(^).
Consideriamo ora più da vicino il modo di formazione dei poli-
nomii Qm„ {z), che figurano come esponenti nei fattori della (24). Il po-
linomio derivato P«),j(^) consta, secondo il §. 65, dei primi m„ + 1 ter-
mini dello sviluppo per potenze di z dell'espressione
Vn {1 z z\ \
= i'n )— + -2 + -3 + . . ;
si ha cioè
z — «n «n a,, al
Ì\ z z^ «"♦„
:r + ;;2 + 773 + • • +
( CI fi ■ 0/n W^„ (lf^ " )
dove i numeri nin debbono essere fissati in guisa che la serie
2 K^ + p.„ ìM = 2^4+2- • -^—
'^ Iz ttn n^^) Y C''+^ Z
ttn
in ogni campo finito, dal quale siano esclusi i punti a, converga in egual
grado.
Poniamo per abbreviare
Wn + 2 = rn
e risulterà
^ . , ^'■"
r„-l
^'"" ^^^ "^^ Un + 2 flf. + 3 «^ ^' • • + {rn-l)a:r'\ '
FORMA DEGLI ESPONENTI Qw„ (^) 185
dove i numeri r„ debbono essere determinati in guisa da assicurare la
convergenza in egual grado della serie
(25) 2^^'---!-;
«n" 1 _ ^
ttn
e la formola (24) si scrive allora così:
Che i numeri r„ siano sempre determinabili nel modo richiesto ri-
sulta dalla dimostrazione, data al §. 65, del teorema di Mittag-Leffler.
Questi numeri r^ saranno in general^ variabili coli' indice n e nulla sap-
piamo in generale della loro determinazione effettiva. Però vi ha un caso
molto importante, e ancora di grande generalità, nel quale si possono
prendere tutti i numeri r^ eguali ad un numero fisso r, talché l'espo-
nente di e nei fattori primarii (26) ha il grado fisso r-\. Ciò avviene
quando sono soddisfatte le condizioni seguenti : ,
\° Gli ordini ^1,^)2, . . .pn . . . d'infinitesimo rimangano tutti inferiori
ad un numero fisso.
2.<* La sericei — r; risulti convergente (*'.
In tal caso infatti se prendiamo r„ = r, e facciamo variare z in un
campo finito, dal quale siano esclusi i punti a», la serie dei moduli
della (25):
Pn
k
|r-l
1-
—
0-n
1
s
si ottiene dalla serie ^ i — ~t » convergente per ipotesi, moltiplicando i
termini di questa per quantità che si mantengono inferiori ad una quan-
tità fissa.
Abbiamo dunque il teorema:
(') Si noti che la prima condizione necessaria per la convergenza : lina | — r^ = 0
è soddisfatta (con qualunque r positivo).
186 CAPITOLO VI, — §§. 67, 68
Se la trascendente intera G(2^) ha gli infinitesimi
tti , a^ , • • ' an • • • 5
di ordini
JPl , Ì?2 , • . . JPn . . . ,
che rimangono inferiori ad un numero fisso e la serie
per un conveniente valore intero positivo di r, converge, la G{z) si può
sviluppare in prodotto infinito, convergente assolutamente ed in egual grado,
colla formala
(27) Gw=.*^'« "n Ix-^Y'^ ^ 27: + ■• + F^I)^ .
§. 68.
Genere delle trascendenti intere. — Esempi. — r Euleriana.
Le trascendenti intere che soddisfano alle condizioni del teorema
precedente si classificano, secondo Laguerre, in generi dipendentemente
dal minimo esponente intero r che rende la serie
2i«nl
convergente; una tale trascendente intera si dice di genere r— 1.
Prendiamo p. e. la funzione
sen?:^
che ha infinitesimi del 1.° ordine nei punti
z = ±\ , ±2 , ±3, ...
Siccome la serie "S -^ è convergente, qui abbiamo r = 2 e la trascen-
■" n
dente intera è quindi di primo genere. Il suo sviluppo in prodotto infi-
GENERE DELLE TRASCENDENTI INTERE 187
nito sarà ciato per la (27) da:
senTr^ Gì (^) "^ /, ^ \ -
= e n 1 e"
110 «=-00 \ n
dove nel prodotto infinito n percorre tutti gli interi positivi e negativi,
zero escluso.
munendo i fattori corrispondenti a valori opposti di n, si può scrivere
Per trovare qui l'effettivo valore di GiC^"), basta derivare logaritmi-
camente questa formola e confrontarla colla (15) §. 64, ove si cangi ^ in
712;; si ottiene così G'i-0, cioè Gì = costante, e la formola precedente
dimostra subito che Gi = 0; ne risulta la formola d'Eulero:
„=» / ^
(27*) ^qtl'.zz = t:s 11 1 j
Come esempio di costruzione di una nuova trascendente intera, cer-
chiamo una tale trascendente che abbia i suoi infinitesimi del 1." ordine
nei punti
z = Q, — 1 , — 2 , — 3, ... — w, ...
Poiché la serie y -^ è convergente, avremo immediatamente l'espres-
sione analitica di una tale funzione nel prodotto infinito
n / X Cri(^) "7* f z\ —~
G iz)--^ e ^ 11 1 -I ] e
Prendiamo (}i{z) = cz, dove e indica una costante, ed avremo
G(^) = e'^^^n I 1 + - 1 e ».
Fissiamo anche la costante e, determinandola in guisa che sia reale
e renda G(l) = l. L'inversa della funzione G (e) è la funzione gamma
Euleriana T {z), sicché
188 CAPITOLO VI. — §. 68
essa è uniforme in tutto il piano ed ha soltanto singolarità polari del
1.° ordine nei punti ^ = 0, — 1, — 3... — n, . .
La costante e prende il nome di costante di Mascheroni. Dalla con-
dizione
co / 1\ _i_
e-« = n 1 + - e "
risulta per e anche la definizione
il valore approssimato di e è
e = 0,577 215 664 901.
Possiamo scrivere la (28) così:
, \ ^ f 1 -f — + .. + -- — log W ) *=„ / \
,-^=limLV 2 n A..ri(l+-fl.-
j.(i^.)(. + fj...(i + ^)
e si ha la formola di Gauss
(29) r (2) = lim
Da questa espressione di V (z) risulta subito dimostrata la prima
proprietà fondamentale di T (z), espressa dalla formola
(30) r{zi-l)=zTiz).
Da questa e dall'essere r(l) = l segue che per un valore intero e
positivo m dell'argomento la F euleriana assume il valore
T{m)= 1.2.3...(w-l).
(1* Pel simbolo 7i s' intende, senza ambiguità, e- -^S'* (logn in senso aritmetico).
r EULERIANA 189
Dalla (30) e dalla (28) risulta
T{z+1) V V n
e cangiando z in — z
1 °° ~
= e-c^ n ( 1— ^ ) e" ,
T(ì-z) 1 V n,
da cui moltiplicando si ottiene per la forinola (27*) d'Eulero:
r{l+z)lil-z) = ^^'^
sennz
ossia per la (30)
(31) V{z)V{l-z)
senKz
formola che ci esprime la seconda proprietà fondamentale della F eu-
leriana.
§. 69.
Caso in cui le distanze fra i punti d' infinitesimo si mantengono superiori
a una quantità fìssa.
Ritorniamo ora al teorema in fine al §. 6 per segnalarne un caso
particolare notevole, il caso in cui la distanza fra due punti qualunque
d'infinitesimo
CCi y Cli , , . . (Xn . . .
si mantiene sempre superiore ad una quantità fissa d. In tal caso di-
mostriamo che la serie
<^^> 2 li
è convergente. Se sarà quindi soddisfatta l'altra condizione che gli ordini
190 CAPITOLO IV. — §. 69
d'infinitesimo non vadano crescendo oltre ogni limite, il prodotto infinito
n M 1 e \
1 \ ttn/ )
convergerà e rappresenterà la funzione cercata.
La convergenza della serie (32) si prova facilmente colle considera-
zioni seguenti. Mediante le rette, parallele agli assi, di equazioni
d d
x = m -^ , y = n —^ ,
\J2 \/2
dove m,n percorrono tutti i valori interi positivi e negativi, dividiamo
il piano in una rete di quadrati di diagonale = d, di modo che in uno
dei quadrati cadrà al massimo nno dei punti a.
Dalla serie (32) togliamo quei termini, in numero di quattro al più,
che corrispondono a punti a situati in uno dei quattro quadrati attorno
all'origine e cangiamo tutti gli altri termini in termini più grandi
sostituendo ad ogni punto a, il vertice più prossimo all' origine del qua-
drato in cui si trova. Provata la convergenza della nuova serie sarà, a
più forte ragione, dimostrata per la (32). Tutto si riduce quindi a dimo-
strare la convergenza della serie doppia
:i:
1
ossia
la
convei
•genza
della serie
+»
y.
+«
2
1
3
ì
X
:c
{m'+n'y
dove nella sommazione s'intende esclusa la combinazione m = 0, n = 0.
Ora in questa serie la somma dei termini in cui m = ±n forma la serie
convergente
' (2nY ' "*
e gli altri si riuniscono nella serie doppia
00 00 1
8 = 422 — ^'
CASO DI r= 3 191
escluse le combinazioni m = n. Ma questa può scriversi anche
S=:8"f "2
— 1
3
e perchè, essendo
^<Ì^ in=U2,..m-l),
si ha
risulterà
H==ni — 1 -1 1
n=0 / 2 I Ìn'q" ^^
s < 8 2 A
Dunque S è convergente, come si era asserito.
Capitolo VII.
Funzioni analitiche di più variabili complesse. — Funzioni implicite. — Pro-
prietà fondamentali delle funzioni algebriche.
§. 70.
Funzioni regolari di due variabili complesse.
1 principii della teoria delle funzioni di una variabile complessa, in
particolare il concetto di funzione analitica, si possono estendere al caso
di funzioni di più variabili complesse, come ci proponiamo ora di dimo-
strare in tutta brevità. Per semplicità di linguaggio ci limitiamo al caso
di due variabili complesse; ma si vedrà immediatamente che le consi-
derazioni si applicano al caso generale di n variabili complesse.
Siano
due variabili complesse, i cui indici si muovono nel rispettivo piano com-
plesso illimitatamente, ovvero entro campi finiti corrispondenti Ci, C2.
Supponiamo che la variabile complessa tv dipenda da «1,^2 in guisa che
192 CAPITOLO VII. — §. 70
per qualsiasi coppia di valori (^i, z^) appartenente al campi (Ci, C2) la iv
assuma un valore e, considerata come funzione delle quattro variabili reali
sia una funzione finita, continua (e ad un sol valore), e possegga deri-
vate prime pure finite e continue e soddisfacenti alle condizioni di mo-
nogeneità
div 1 dw dw 1 dw ,j>
dXi i dyi ' dXi i di/2
In tal caso diremo che la w è nel campo (Ci, Cz) una funzione re-
golare delle due variabili complesse s^u z^ e scriveremo
W=f{Zi,Z2).
È chiaro che per ogni valore fissato di Z2 interno a C2 la w sarà in
Ci una funzione dappertutto regolare di Zi e analogamente scambiando
Zi con Z2.
Sia ora {z\,z'2) una coppia di valori per Zi, z^ interna al campo
(Ci, C2). Col centro in z\ descriviamo, nel piano complesso z^, un cerchio
Fi tutto interno a Ci e similmente nel piano complesso z^, col centro in
Zi, un cerchio 12 interno a C2. Se con {z^ z^) indichiamo una coppia
variabile entro (Fi, Fj) la funzione
tenendo fisso z^ e variabile Zi è, dentro Fi , una funzione finita, continua
(') Scindendo w nella sua parte reale ed immaginaria : w = u-\-iv , si hanno
le relazioni
du dv I du dv
du dv I du dv
dy^ dXi { a?/2~ ^^2 '
dalle quali si trae che u deve verificare simultaneamente le quattro equazioni
d'*u d^u d^u d^u
d^u _ d^u dhi d^u _
dxidy^ ~ dx^di/j ' dXidXt~^ dyidyz~
FUNZIONI DI DUE VARIABILI COMPLESSE 193
e monoclroma e però sviluppabile in serie di potenze di Zi — z\; si
avrà:
(1) f(Zu^2)=y, hn{z,-z\y ,
dove
(2) K= ^ /7(^n^^)^^^
avendo indicato con Si il contorno di Fi .
D'altronde, pel modo con cui ^2 figura in h,,, si vede che &„ è fun-
zione finita, continua e monodroma di z^ entro Ca e quindi si potrà svi-
luppare in serie di potenze di z-i — z\ colla forinola
(3) ^ h,,= '^am,n{z2-z.y\
dove sarà
/ . < 1 l Un dZ^
(4) «„, , n —
2 7ziJ^^{z,—z\y"+''
ovvero per la (2):
^^ """ '~ (2 ^ifX^{z^-z\r^^X^ {z.-z\r^^ •
Sostituendo nella (1) per hn il valore dato dalla (3), ed osservando
che, la convergenza delle nostre serie essendo assoluta, si possono ordi-
nare i termini della serie doppia risultante come si vuole, si potrà
scrivere :
(6) /■ È , ^) = 2 2 a,n , n (^i— /i)" {Z,-Z\r^ .
m n
Abbiamo dunque il teorema: Se, variando Zi, z^ entro i rispettivi cer-
chi Vi, Fa di centri z'i, z'2, la funzione f(zi, Z2) è funzione finita, conti-
nua e ad un sol valore delle variabili complesse z^ , z., , essa è sviluppabile
in una serie doppia di potenze intere e positive dei binomii
Zi Zi, Z2 — Z 2 ,
convergente assolutamente in tutto il campo.
n
194 CAPITOLO VII. — §.71
§. 71.
Serie dì potenze.
L' inversione del teorema precedente si fa con somma facilità, ricor-
rendo alle proprietà delle serie di potenze di più variabili, che sono
affatto analoghe a quelle dimostrate nel Gap. I (§§. 3, 4 pag. 14, s. s.)
per le serie di potenze di una variabile. Per semplicità, facendo zi-z^^^,
consideriamo una serie di potenze di due variabili 2^1, '2^2:
(7) P (^1 , 22) = 21 2 ^'" ' »» ^" ^2
e supponiamo che per una coppia di valori
y ^0) „ ^0)
4,1 ^1 , ^2 -^2 j
nessuno dei quali sia nullo, la serie converga.
Fissiamo due valori positivi ì\, )\, tali che
n<W\ , >-2<|41,
ma che siano del resto prossimi a \^T\, \ 4"' | rispettivamente tanto poco
quanto si vuole. Sussiste allora il teorema fondamentale (cf. pag. 15):
La serie S S a», , n ^ì" zi , 'per tutti i valori di Zi , z^ che soddisfano le con-
dizioni
è convergente assolutamente ed in egual grado.
Per ipotesi la serie
è convergente e però
lim Ia.,n!|M^"|4'"|" = 0,
onde segue che possiamo fissare una quantità positiva g abbastanza
grande, perchè si abbia per ogni coppia di valori m,n:
SERIE DI POTENZE DI PIÙ VARIABILI 195
Prendiamo la serie dei moduli della proposta (7):
r;]=oo lì^^yo
^ ^ I '" ' *1 ■^l 2 I
„,=0 »=0
e consideriamo il resto a partire da valori
m > mi , w > Wi
abbastanza elevati:
»M = 00 « = 30
im I IH
-^ "S^ i I I 1'" I I
»J = W( M^«i
Scrivendo
1'" i in
e posto
avremo
e pero
O/m ì n \ \ ^1 \ \ ^2 ì — ^"1 ì n \ \ ^1
*1 I I ■<52 I
d'in > n II ^1 1 I '^'z I "^ 9 ^i ^i
)1=» H=»
Siccome Ci, C2 sono quantità positive <1, potremo scrivere
onde si vede che, presi m^, n^ sufficientemente grandi, il resto Rwi,wi
si potrà rendere minore di qualunque quantità prefissata s, jper tutti i
valori Zi 5 Zi tali che
I ^1 1 < »'i , I «2 1 < «'a ,
ciò che dimostra il teorema.
Da questo teorema fondamentale si traggono, come è chiaro, conse-
guenze affatto simili a quelle del Gap. I per le funzioni di una sola va-
riabile, in particolare il teorema: Se la serie di potenze P (^1,2^2) con-
verge per una coppia di valori zf,zf delle variàbili di modidi \zf\^0,
|4"*|!!>0, tracciando nei rispettivi piani Zi, z^ due circoli Ci, C2 coi centri
196 CAPITOLO VII. — §§. 71, 72
in 2^1=0, 2'2=0, in guisa che lascino air esterno i punti 4°', 4**', la serie P (^i , ^2),
movendosi z^ , z<i entro Ci . C2 , convergerà in egual grado e rappresenterà
nel campo (Ci, C2) una funzione finita, continua e monodroma delle due
variabili complesse Zi, z^.
§. 72.
Campo ristretto di convergenza. — Prolungamento analitico.
La delimitazione del vero campo di convergenza di una serie di po-
tenze a più variabili dipende, come Weierstrass ha dimostrato '^*, da
una diseguaglianza
F (Pi , P2) < 0 ,
cui debbono soddisfare i moduli
pi = kil , H = \zi\
delle variabili. Senza entrare in queste ricerche generali, che non occor-
rono al nostro scopo, ci basterà qui definire quello che Weierstrass chiama
il campo ristretto di convergenza di una serie di potenze V{zi,Zi) nel
modo seguente. Distinguiamo i numeri positivi p in due classi e diciamo
della prima classe A) ogni numero [j tale che per
kiKr^ , l-s*?! < p
la serie converga, della seconda classe B) ogni numero p tale che per
ki! >p , 1^2! >p
la serie diverga. Come al §. 3 (pag. 18), risulta che esiste un numero
limite R che separa le due classi, sicché la serie P {z^ , z^ converge per
valori che siano sitnultaneamente di modulo < R e diverge per valori i
cui moduli superino simidtaneamente R. Ma naturalmente può la serie
convergere anche per valori z^ , z^ tali che sia ! ^1 i > R , | ^2 1 < R e divergere
per '^i|<R con 1^2l>R- — Allora se nei piani ^1,^2, coi centri nelle
origini, tracciamo due circoli Ci, Cj di raggio R, per ogni coppia {z^, z.^
(*) Einleituny in die Theorie dei' analytischen Fimctionen. (Lezioni ma-
noscritte).
CAMPO RISTRETTO DI CONVERGENZA 197
i cui indici cadano simultaneamente nell'interno dei circoli, la serie
converge, e diverge invece se tutti due gli indici cadono alFesterno. Il
campo (CijCj) è quello che Weierstrass chiama il campo ristretto di
convergenza.
Diciamo ora brevemente del prolungamento analitico di una serie di
potenze P(^i, io).
Prendiamo una coppia di punti («i, «2) nell'interno del campo di
convergenza e sia r la più piccola delle due distanze di ai, a^ dal ri-
spettivo contorno. Se descriviamo coi centri in «i, «2 due circoli Ti, Fg
di raggio =r, questi rimangono nelF interno rispettivamente di (Ci, C2)
e possiamo quindi (§. 70) convertire la serie V{zx,z^ in una nuova
serie
P {^1 -ay.Zi- 02) ;
il raggio del campo ristretto di convergenza per questa nuova serie è
almeno = r, ma può anche essere maggiore. In quest' ultimo caso può darsi
che la funzione risulti così prolungata analiticamente al di là del primitivo
campo di convergenza. Dopo ciò s'intende subito come il concetto di
funzione analitica, che abbiamo sviluppato al §. 45 pel caso di una sola
variabile, sia estendibile anche nel campo di più variabili complesse.
§. 73.
Radici di un'equazione f{w,:i) = 0.
Sia
una serie di potenze delle due variabili w, z, di cui indichiamo con R
il raggio del campo ristretto C di convergenza. Poniamo fra w e 2; la
relazione
(8) f{w^s)=Q>,
e domandiamo se, ed in quale senso, potremo dire che w viene così de-
finita come funzione analitica implicita della z. Un caso particolare è già
stato risoluto al §. 58 coli' inversione delle serie, e con un metodo ana-
logo possiamo ora risolvere la questione generale.
Supponiamo di conoscere una coppia particolare ^0 . -^o di valori, che
soddisfino la (8), e facciamo senz'altro, come è lecito:
«(^0 = 0 , ^0 = 0,
198 CAPITOLO VII. — §. 73
sicché per ipotesi
f(0,0) = 0.
La funzione f{^,0) è una funzione regolare di tv entro C e s'annulla
per z = 0\ ma noi supponiamo naturalmente che non sia identicamente
f{w,0) = Q ( i) . Questa funzione
P (,,,) = /•(,,, 0)
avrà dunque mw = 0 un infinitesimo, il cui ordine diciamo n ; allora per
z = 0 l'equazione /(w, 0) = 0 ha una radice nulla w = 0, multipla dell'ordine
n. Ora ci proponiamo di dimostrare che: per ^prossima a zero V equa-
zione f{w, z) = 0 avrà n radici
Wi , IVì, ... Wn
prossime a zero.
Dimostreremo il nostro teorema, e ne preciseremo il senso, colle con-
siderazioni seguenti. Cominciamo dal descrivere nel piano w un circolo
C di raggio 0, concentrico a C, e più piccolo in guisa che P («;) = / (^<;, 0)
non si annulli nell'area circolare C né sul suo contorno s, eccetto natu-
ralmente che in w = 0. Su tutto il contorno s la funzione / {ws , 0) avrà
il modulo discosto da zero; supponiamo che sia sempre
(9) |/'K,0);>5r,
essendo g una quantità positiva. Mostriamo in primo luogo che si può de-
scrivere nel piano z, col centro in ^ = 0, un cerchio T di raggio r abba-
stanza piccolo perchè si abbia sempre
(10) \f{^s,z) — f{w,,0)\<g
per i 2: 1 < r e iva essendo dovunque sul contorno s. Variando w, z colle
limitazioni
\w\<P , kl <P,
la serie f{w,z) é convergente in egual grado e però possiamo decom-
porla in una parte finita I* (w, z) (un polinomio) ed un resto R(w,z):
f {w, z) =¥ {w, z) -j- K (ic, z) ,
e In tal caso in tutti i termini di f{w, z) comparirebbe una potenza di z,
che si potrebbe sopprimere in precedenza.
RADICI DELLA EQUAZIONE f{w,z) = 0 199
tale che sia per tutti i valori di tv, z, di modulo non superiore a p :
|R(«^,^)l <-^9 '
Ora
i' f{lOs , ^) = P {ws , 2:) -|- R {ws , z) ,
( f{ws,0) = V{ws,0) + R{ws,0) ,
e perciò
|/-(i^, , z)-f(ws,0)\ <:\V{ws,s)-Viws,0)\ + jg.
La differenza
PK,^) — P(t«„0)
è un polinomio in z, che si annulla per z = 0 e i cui coefficienti, pur va-
riando ivt sul contorno di C, non superano col modulo una quantità fissa.
Possiamo dunque prendere r così piccolo che sia sempre
\'P{w8,z) — 'P{ws,0)\ <j 9 per k| <r
e troveremo così sempre verificata la (10), come si voleva.
Ciò premesso, dimostriamo che : fissato un valore z di modulo \z\<^r,
V equazione f {w, z) = 0 avrà precisamente n radici iVi , iv-z , . . . iVn entro il
circolo C, cioè di modulo < p.
Intanto la f{w, z) non si annulla certo sul contorno s di C, poiché
se fosse
/K,^) = 0,
per la (10) ne risulterebbe \f{>Vs, 0)\ <^g, che contraddice la (9). Se in-
dichiamo adunque con N il numero delle radici di
f{w,z) = 0,
entro C , e poniamo / ,„ (w, z) = — ^ — - , avremo secondo la formola del-
cw
V indicatore logaritmico :
i!^i^- d«. .
S f(tVs,z)
200 CAPITOLO VII. — §§. 73, 74
L'integrale del secondo membro, se facciamo variare z entro \\ è
una funzione continua di z ed essendo un numero intero, dalla consi-
derazione stessa fatta al §. 58, risulta che esso serberà sempre lo stesso
valore. Ma poiché per 0 = 0 si ha N = w, avremo sempre
N = w , e. d d.
§. 74.
Teorema di Weierstrass.
Siano ivx, u\,...ivn i valori di w entro C, radici dell'equazione
f {w, ^) = 0 per 0 < r .
Se consideriamo l'integrale
1 / ...k^^ogf{ir,z)
's
2kiJ dw
essendo k un intero positivo qualunque, il suo valore sarà la somma dei
residui nell'interno, onde:
1 C j^d\o%f{w,z)
4
W\ + Wl 4- ... -\- ivi ^= Tk : / «<-'* " '"°-( ^^^'~' dw ,
2-1 dw
ed il secondo membro è evidentemente una funzione regolare di z entro
r, che di più si annulla per z = 0. Se poniamo
'f {W, £) = {tv - U\) (W - W2) . . . {W - tVn) =
saranno quindi le :'. serie di potenze di z convergenti entro F.
Preso ora un punto qualunque z entro T, ed un punto w entro C,
distinto da ivi, W2,..icn, si consideri la funzione di iv
1 3 log /■ {w, s)
" dw
tv IV
Questa ha entro C solo singolarità in
Wi , Wi, . . . iVn e in w,
TEOREMA DI VEIERSTRASS 201
e precisamente singolarità polari del 1." ordine, coi residui
1 1 1
_ ' — ' • • * _
IVi - ÌV U\ -IV Wn-W
nei primi punti, e col residuo
'd log f{w,zy
dw
in w. Avremo quindi
dw
IVi-lV U\-W tVn-lV
31og/(«,,^)^^
S IV — w
Il secondo membro è una funzione regolare di ^ e w, diciamo P (w, 0)
e, cangiando w in w, potremo scrivere la forraola precedente anche così :
a log f {w, z) aiog'f 0<;,^) _-D,^„ .
da cui, integrando rispetto a ;ì> e passando dai logaritmi ai numeri, ot-
teniamo :
f (tv, z) = ']> {£) . z {iv, z) e^i ("^> «) ,
ove '^ (z), che è una funzione regolare di z e non s'annulla per2' = 0 (altri-
menti s'annullerebbe identicamente f{iv,0)), si può includere nell'espo-
nenziale.
Otteniamo così la formola:
f{tv, z) = 'f {iv, z) ePi («''-) = |?/;"+ai tv''~^+ . . +a„| e^i K^) ,
che ci esprime il teorema di Weierstrass: Se la funzione regolare f(iv,z)
delle due variabili complesse w, z si anmdla per w = 0, z = 0 e non è iden-
ticamente f {iv, 0) = 0, in un intorno sufficientemente piccolo di iv=^Q, z = Q
si può porre sotto la forma
dove il primo fattore, che pone in evidenza il modo di anmdlarsi della
funzione, è un polinomio di grado finito in w coti coefficienti funzioni re-
golari di z e nulle per z = 0, mentre il secondo fattore (esponenziale) non
si annulla più nélV intorno.
202 CAPITOLO VII. — §.75
§. 75.
Funzioni implicite.
Il teorema di Weierstrass ci dimostra che, volendo studiare come
dipendono da z nell'intorno di 0 = 0 le radici iVi, w^, . . w^ prossime a
zero dell'equazione
f{w,z) = 0 ,
si può sostituire a questa l'altra più semplice
'f {w, s) = ?/•" 4- 7.1 w;"-' + . . . + a„ = 0 ,
che è del grado n in iv. Se supponiamo dapprima n=l, l'equazione
precedente ci dà senz'altro iv in serie di potenze per 0 e ci dimostra
il teorema fondamentale:
Se l'equazione f{iv,z) = 0 è soddisfatta per z = a w = h ed è
( X ' ) 4^ 0 , per ogni valore di z prossimo ad a l'equazione ha una
\ dw J », h
sola radice w prossima a h e questo valore w è una funzione regolare di
z nélV intorno di z = a.
Quando invece si annulli per z = a, ic = l> un certo numero di de-
rivate
K ^ 9"-^ f
ho ' du' ' ' ' dw»-' '
ma sia
allora per z = a avremo n valori ici , W2, ■ • wn prossimi a b, dati da un
equazione della forma
(11) 9 {w, s) = iw - ò)- -f 7.1 (u- - b)"-' . . -h y.n = 0 .
dove le a sono funzioni regolari di z nell'intorno di z = a e quivi nulle.
Questi n valori di tr, restringendo convenientemente l'intorno di z = a,
si potranno supporre tutti distinti, altrimenti dovrebbe annullarsi anche
il discriminante J) (z) della (11) rispetto a w: ma questo discriminante
è regolare nell" intorno di a, e restringendo l'intorno si può far sì che non
abbia altra radice che in z = a. Se z^ è un punto di questo intorno di-
FUNZIONI IMPLICITE 203
stinto da a, ciascuno degli n valori ivi, toz, . . . lon, p. e. wi, sarà svilup-
pabile in serie di potenze di z-Zo, essendo
df {w, s)
') +0
Vediamo dunque che in ogni caso, ponendo fra w, z il legame espresso
dall' equazione
veniamo a definire una o più funzioni analitiche w della variabile com-
plessa z.
§. 76.
Funzioni algebriche.
Applichiamo questi risultati generali al caso importante in cui la
f{n\z) sia una funzione razionale intera degli argomenti iv,z e si abbia
quindi l'equazione:
(12) f{xv, z) = z, {z) iv'^ + 'fi {z) w''-' + . . • + 'f >.-! (^) w + 'fn (^) = 0 ,
i cui coefficienti 'f , (z) sono polinomii razionali interi in z. La w, definita
da una tale equazione come funzione implicita di z, dicesi una fumione
algebrica di z. Per ogni valore di z abbiamo n valori di w:
Wi , Wz, . . . Wn,
che sono in generale distinti e finiti. Eccezione si ha soltanto per un
numero finito di valori di z, i cui indici diconsi i punti critici. Questi
punti critici sono di due specie. Essi provengono in primo luogo da quei
valori di z che annullano il primo coefficiente 'fo (z), e per questi valori
di z uno 0 più dei valori di w diventano infiniti ; uno solo se quel valore
di z annulla il primo coefficiente 90 (^) e nessuno dei seguenti, più se
accade il contrario.
In secondo luogo, per valori speciali di z, possono due 0 più valori
di w coincidere; ciò avviene quando insieme a fUv.z) si annulla anche
df{w,z)
dw
e però il discriminante D {z) della (12) rispetto a w.
204 CAPITOLO VII. — §.57
Gli indici delle radici delle due equazioni
sono dunque i punti critici della (12).
Se ^ ^= a è un punto non critico, le radici
IVi , IV2 , • • • Wn
sono finite e tutte diseguali per z = a, onde
e dal teorema fondamentale del §. precedente risulta: Ciascuno degli n
rami
è nélV intorno di impunto non critico z = a una funzione regolare di z,
cioè sviluppabile in serie di potenze
(13) u\ = ?i{z-a).
È facile vedere che se prolunghiamo analiticamente un ramo Wi=^'Pi{z-a),
il suo prolungamento soddisferà ancora alla (12) e sarà quindi sempre
uno degli n rami.
E invero se Pi {^-h) è un prolungamento analitico immediato di
Pi {z - a), nel campo comune di convergenza si ha
f{?,(z-b), z) = 0,
e questa relazione vale quindi anche in tutto il campo di convergenza
di Pi (2 -6).
Importa ora osservare che: U raggio del cerchio di convergenza di
ciascuna di queste serie di potenze (13) sarà, per lo meno, eguale alla mi-
nima distanza del centro a dai punti critici.
Consideriamo infatti un determinato ramo, p. e.
u-i ^ Pi (^ - a) ,
e la serie del 2.° membro converga in un cerchio C, che non contenga
alcun punto critico né all'interno, ne sulla periferia; dimostriamo che
il vero cerchio di convergenza sarà più grande di C. Invero nell'intorno
FUNZIONI ALGEBRICHE 205
di qualunque punto h del disco circolare C, o del suo contorno, qualunque
degli n rami è sviluppabile in una serie di potenze V{z-h),\\ cui raggio R
del cerchio di convergenza è certamente > 0 onde, per un teorema di
Weierstrass sul limite inferiore (^', potremo prendere un valore abba-
stanza piccolo r che serva e o.iia raggio di convergenza per tutti i punti
dell' area C. Descriviamo allora un cerchio C concentrico a C e di raggio
= p - -, avendo indicato con o il raggio di C. Ogni cerchio T col cen-
tro in un punto e della periferia di C e di raggio = r può valere come
cerchio di sviluppo in serie di potenze V {z-c) per ogni ramo di w ; esso
ci dà in particolare per wi un prolungamento analitico oltre il cerchio
primitivo C. L'inviluppo dei circoli T è un cerchio C" concentrico a C
e di raggio ^= o + -- e la nostra funzione Wi è dunque in tutto il cer-
chio C" finita, continua e monodroma; dunque la serie Pi(^-a) converge
nel cerchio C più ampio di C, ciò che dimostra l'asserzione fatta.
§. 77.
Teorema fondamentale.
Consideriamo nel piano complesso z una curva chiusa o, che parta
da un punto non critico A e vi ritorni, senza passare per alcun punto
critico. Per ogni punto ?> di 0 gli n rami saranno sviluppabiU in serie
di potenze P {2: - 6) e vi sarà un raggio r, abbastanza piccolo, che potrà
servire come raggio di convergenza per tutti i punti di i (§. 76). Fis-
siamo in A un ramo di partenza lOi e prolunghiamolo analiticamente
lungo il cammino a per mezzo di cerchi di convergenza di raggio r, cia-
scuno dei quali abbia una parte superficiale a comune col precedente.
Al ritorno in A il ramo Wi 0 ritornerà col valore iniziale, 0 con uno degli
altri n — 1 valori che xc ha in A. Se si osserva che due rami diversi
(*) Esiste certamente un limite inferiore per R, sia r; basta provare che?'^0.
Pel citato teorema di Weierstrass, esiste nel cerchio C almeno un punto L tale
che in qualunque intorno di esso, comunque piccolo, il limite inferiore dei valori
di R è ancora r : e siccome per questo punto limite R ha un valore R^ ^ 0, in
un intorno sufficientemente piccolo di L tutti i valori di R saranno p. e. superiori
a -~ , onde è certamente r ]> 0.
206
CAPITOLO VII.
77
w,, Wk, descritto il cammino chiuso, si mutano necessariamente in due
rami diversi, si vede che l'effetto prodotto sugli n rami Wi, Wz.-.Wn
dal descrivere il cammino chiuso z sarà di permutarli fra loro in un
certo modo, di produrre cioè una corrispondente sostituzione sui rami
S =
W, IV„ IC\
gli indici >i, i-i. . . in coincidendo, salvo l'ordine, con 1, 2, ... w. Si vede
poi subito che la sostituzione S sugli indici rimane la stessa spostando
sopra a il punto A di partenza. Questa sostituzione S può anche essere
l'identità, cioè può ogni ramo ritornare col proprio valore. Ciò avviene
effettivamente se il cammino chiuso n è tutto contenuto in un'area sem-
plicemente connessa e priva di punti critici. Per dimostrarlo, supponiamo
dapprima che o non intersechi sé stessa, nel qual caso formerà il con-
torno di un'area semplice, priva nell'interno e sul contorno di punti
critici, e per ogni punto 2^0 dell'area (contorno incluso) potremo servirci
per le corrispondenti serie P(0 — Zq) di un raggio fisso r di cerchio di
convergenza.
TEOREMA FONDAMENTALE 207
Descriviamo il cammino chiuso
o = ABCDA
della figura, partendo da A col ramo tvi, e supponiamo si ritorni in A
con un valore diverso 1V2, sicché la sostituzione prodotta sui rami dal
cammino chiuso AB CD A non è l'identità. Per mezzo di una linea sem-
plice ED, che riunisca due punti del contorno -, dividiamo l'area in due
regioni coi contorni ABDA, BCDB. Dico che uno almeno di questi due
cammini chiusi deve produrre sui rami una sostituzione non identica.
E in vero, se invece di descrivere - descriviamo l'altro cammino
chiuso
ABCDBDA,
inserendo due volte il tratto BD, percorso in verso contrario, l'effetto
prodotto sui rami è evidentemente lo stesso. Se dunque il cammino
chiuso BCDB non produce sostituzione sui rami, l'effetto prodotto da
o sarà il medesimo che quello del cammino chiuso ABDA, il quale pro-
durrà un'effettiva sostituzione. Possiamo ora ragionare sul cammino
chiuso ABDA come prima sopra AB CD A, spezzando Parea racchiusa
in due aree parziali più piccole. Così procedendo, arriveremo ad un
contorno chiuso, producente sostituzione sui rami, tutto contenuto in
un cerchio del raggio fissato r, ciò che è assurdo.
È chiaro poi che se il cammino chiuso n intersecasse sé stesso, ba-
sterebbe applicare considerazioni analoghe a quelle del §.31 (pag. 91)
per arrivare alla medesima conclusione.
Abbiamo così dimostrato il teorema: In qualunque area semplicemente
connessa, priva di punti critici, ogni ramo della funzione algèbrica è una
funzione finita, continua e monodroma di z.
§. 78.
Punti di diramazione.
Andiamo ora a studiare il modo di comportarsi di una funzione al-
gebrica nell'intorno di un punto critico 2; = 6 (a distanza finita) e sup-
poniamo dapprima che in h coincidano due 0 più rami, senza che alcun
ramo vi diventi infinito ; supponiamo cioè che h sia una radice del discri-
minante Diz) e non del primo coefficiente 'fo(«) (§.76). Prendiamo un
208 CAPITOLO VII. — §. 78
intorno, p. e. circolare, così piccolo del punto critico h che non contenga
alcun altro punto critico. Per un giro attorno a ^ = 6 gli n rami iVi ,iV2,. . iVn
subiranno una sostituzione S (che potrà anche eventualmente ridursi
all'identità); decomponiamo questa sostituzione in cicli e sia
{WiW . . . tVp)
uno dei cicli contenente il ramo tv^ . Per vedere la specie di singolarità
che hanno in z = h ì p rami wi , it\ , . .^^p, che si permutano ciclicamente
fra loro girando attorno a b, facciamo la sostituzione
(14) 3-h^tP
e consideriamo ivi, ìCz, . . .iVp come funzioni di t. Se nelF intorno consi-
derato di z = h prendiamo un punto -^o e col centro in z^ descriviamo un
cerchio che escluda h, i rami wi,iv2'-tvp sono sviluppabiH in serie di
potenze di ^s'-^o- Considerati come funzioni di t in un intorno di f=0,
essi sono quindi funzioni regolari in ogni punto, salvo al massimo in t = 0.
Ma ora vediamo subito che essi sono regolari anche in t, per la qual
cosa basta dimostrare che facendo compiere a t un giro attorno a ^ = 0
ciascun ramo, p. e. wi, ritorna col proprio valore. E invero, perla (14), se
t gira una volta attorno a ^^^0, la ^^ gira p volte attorno a. z=^b e sui
rami di w producendosi la sostituzione S'' si vede appunto che wi, ic2," wp
ritornano ciascuno col medesimo valore. Avremo dunque
«;,=P(iJ) = ^y, + air-f 7.,#^J-..,
cioè
(15) IV, = c/.o + 0.1 (^ - h)'"' + a^i^-p)^' + • • •
È chiaro che gli sviluppi per wz, ws . . . wp si ottengono da quello di
wi cangiando t in tt, t^t,. . . e^'H rispettivamente, ove si ponga
2-1
giacche per un giro di z attorno a h, che muta ici in ic2, ic2 in w^..., la
1
{z — h)t' acquista appunto il fattore =.
Come si vede, nell'intorno di un punto critico z = l), ove più rami
coincidono, questi si sviluppano in generale per potenze frazionarie di
s — 6, i cui esponenti hanno il medesimo denominatore.
SVILUPPI DEI RAMI NELL'INTORNO DI UN PUNTO CRITICO 209
Può anche darsi che il punto critico sia soltanto apparente e ciò av-
viene se la sostituzione S è l'identità. Allora nell'intorno di esso tutti
i rami si comportano regolarmente.
Se la S non è l' identità, il punto z^=^h si dice un punto critico alge-
brico 0 di diramazione per significare che, girando attorno ad un tale
punto, i rami si permutano fra loro.
§. 79.
Singolarità polari.
Supponiamo ora che il valore critico z = h annulli il 1." coefficiente
9o {z). Se facciamo la sostituzione
1
IO = — ,
w
l'equazione (12) diventa
(16) 'fn (^) 10^' + 'f„_i {z) ;ì>-^ + . . . -f <Pi iz) w' + 'fo (^) = 0 .
Se il valore z = ì) annulla % senza annullare 'fi, la (16) ha-per z = h
una sola radice nulla w\ = 0, talché w\ è una serie di potenze di z — h
annullantesi per z = h. Supposto che vi si annulli dell'ordine w, avremo
IV i = (^ - &)" I «1 + ^2 (•^ -&) + .. I , con «1 4= 0 ,
e quindi pel ramo corrispondente «i della primitiva
«'•^ = ^A^^ + r-4^ + • • + ^ + P (^ - ^) •
{z — 6)" {z — 6)"^ z — h '
Quel ramo «-i, che diventa infinito per z = h, ha dunque semplice-
mente in 2; = & una singolarità polare.
Supponiamo ora che per z = ì) siano nulli, oltre e o > anche 91 , 'f 2 • . • ^r-i
e sia
'f-(^) + 0.
Allora la (16) ha per 2; = 6 precisamente r radici nulle. Una di esse,
p. e. vói 5 si svilupperà nell' intorno di 2; = 6 per potenze intere e positive
210 CAPITOLO VII. — §.79 *
(li (z-h)^ , supposto che il ciclo contenente w'i consti di p rami. Se lo
sviluppo comincia colla potenza {z-h)'' , avremo
indi
ossia
w'i = {z- f)) " «1 + «2 {z-V)^' + • • p «1 =t= 0 ,
w,-={z-h) " yA+n,(^-b)>' +..}, y.,^0
(17) ^v,= -^ + -^-{-..-^-^-\-T({z-b)"
{z-h)v {z-h) V {z-iy
In tal caso w^ si sviluppa adunque per potenze intere, positive e ne-
gative, di
(z-b)" ;
ma la parte che contiene potenze negative ha sempre un numero finito
di termini. È evidente che una tale singolarità si può riguardare come
proveniente dal sovrapporsi di una singolarità polare e di un punto
di diramazione. /
Abbiamo così esaminato il modo di comportarsi dei rami di una fun-
zione algebrica nell' intorno di ogni punto « = & a distanza finita. Resta
soltanto che esaminiamo ciò che accade neir intorno di z= ce . Colla so-
stituzione 2; = -; riporteremo Tesarne all' intorno del punto z==^0, e di-
remo quindi che in z= oo si ha pel ramo ic\ in considerazione un punto
regolare, un punto di diramazione, ovvero un polo, corrispondentemente a
quello che accade per uh in z=^0.
Gli sviluppi dei rami nell' intorno dì z= x , nel caso che questo punto
sia singolare pel ramo, si otterranno quindi semplicemente dagli sviluppi
(15) 0 (17), cangiandovi z -b in -.
Riepilogando abbiamo il risultato : Una funzione algebrica ha su tutta
la sfera complessa un numero finito di punti singolari, che possono essere
0 poli, 0 punti di diramazione, o singolarità composte di queste due
specie.
211
§. 80.
Le funzioni algebriche come funzioni analitiche.
Ciascun ramo di una funzione algebrica di ; è altresì un ramo di
una funzione analitica e, come si è detto già al §. 76, la funzione ana-
litica prolungata dà sempre un ramo della funzione algebrica. Ci rimane
da risolvere l' importante questione : Gli n rami wi , iv2 . • ivn della funzione
algebrica w costituiscono una sola funzione analitica, ormerò V insieme di
più funzioni analitiche?
La risposta è molto semplice: avviene il primo caso se V equazione
f (w, z) = 0 è irriducibile, il secondo se è invece riducibile.
Se la f {w, z) è riducibile, cioè se si spezza nel prodotto di due fat-
tori razionali interi
f{io,z)='t{w,z). '^{io,z),
è ben chiaro che le due equazioni
'f {iv, ^) = 0 , cjj {w, z) = 0
definiscono due funzioni algebriche distinte.
Ma supponiamo invece che
f{m,z)=()
sia irriducibile; per provare che in tal caso gli n rami costituiscono
un' unica funzione analitica basterà dimostrare che da un ramo wi si può
passare, per prolungamento analitico, descrivendo convenienti cammini
chiusi, ad uno qualunque degli altri. Supponiamo al contrario che da wi
si possa così passare soltanto a
Wi , iVi, . . . Wp con p <Cn.
Si vede subito che i p rami ivi , tv^, . .. Wp formano un ciclo chiuso in
guisa che da uno qualunque di essi si può passare per prolungamento
anahtico soltanto ad uno degli altri. Consideriaìno allora le funzioni sim-
metriche elementari dei p rami del ciclo
ove ^ è un intero positivo. Questa funzione analitica di ^ è uniforme su
212 CAPITOLO VII. — §.80
tutta la sfera complessa, poiché per ogni cammino chiuso descritto da z
i p rami ivi , w^. . . u\, si permutano fra loro e Fi {z) ritorna quindi col
medesimo valore. Inoltre la F^ (z) possiede soltanto un numero finito di
singolarità e queste sono necessariamente singolarità polari ; infatti, appli-
cando ai singoli termini ìv'- gli sviluppi (15), (17), le potenze frazionarie
debbono necessariamente sparire nella somma monodroma Fa (0),
Questa funzione F^ {z) è dunque una funzione razionale di z (§.61).
Ne risulta che il prodotto
{w — w^ {w — W2) ' ' ■ {iv — iVp) = iv^ + ^i ^«^^"^ + '^■2 ^^'^~^ -\- . . . -\- ap
ha i suoi coefficienti funzioni razionali di z. Questo polinomio è d'altronde
un fattore di
f{w, Z) = 'fo {z) {W Wi) {W IV^ . . . {iV Wn) ,
onde concludiamo appunto che f {w, z) è allora riducibile.
Abbiamo così dimostrato il teorema: Un'equazione algebrica irridu-
cibile '
f{w,z)=0,
di grado n in w, definisce tin' unica funzione analitica tv di z con n rami.
Dimostriamo che le proprietà caratteristiche delle funzioni analitiche
algebriche consistono in ciò: 1.° esse hanno un numero finito di deter-
minazioni 0 rami, 2." su tutta la sfera complessa non hanno che un
numero finito di singolarità, che sono 0 poli 0 punti di diramazione.
E invero se *<; è una funzione analitica di z con n rami
Wi , U\ . . . IVn
ed ha un numero finito di punti singolari, nell' intorno dei quali possiede
sviluppi della forma (15, (17), il ragionamento testé applicato dimostra
che nel polinomio
W^ -\- tti ld^~^ -\- . . -\- Cln =■ {io ÌV^ {iV W^ . . {W Zt'n)
i coefficienti a sono funzioni razionali di z.
213
§. 81.
Gruppo di monodromia.
Consideriamo un'equazione algebrica
'Xo (Z) W^' + 'f 1 (0) Vf'^' + . . + 'h^ {^)=0.
Fissando un punto non critico A nel piano, ad ogni cammino chiuso o
descritto da z, che parta da A e vi ritorni senza passare per alcun punto
critico, corrisponde (§. 77) una sostituzione S sugli n rami. Se conside-
riamo due cammini chiusi a,, aj, che producano rispettivamente le sosti-
tuzioni Si, Sa, il cammino chiuso Oj "j.^, che risulta dal percorrere prima
Gì poi 0-2, produce evidentemente la sostituzione prodotto
S..S,.
In particolare il cammino of \ che si ottiene percorrendo Oi in senso
inverso, produrrà la sostituzione inversa Sr'.
Ciò premesso, consideriamo la totalità dei cammini chiusi; avremo
corrispondentemente un insieme di sostituzioni sui rami che saranno ne-
cessariamente in numero tinito, al massimo = r. (n). Queste sostituzioni
(18) Si , S2 . . . . Sm ,
fra le quali si trova certamente l'identità, formano un yrnppo poiché,
per le osservazioni premesse, se S,, St sono due sostituzioni qualunque
della serie (18), anche il prodotto S, S/, trovasi nella serie stessa. Questo
gruppo r dicesi il gruppo di monodromia dell'equazione. Facilmente si
vede che il gruppo stesso è indipendente dal punto iniziale scelto A.
Se l'equazione è irriducibile, vi sono in V sostituzioni che portano
un ramo qualunque in un altro qualunque, cioè il gruppo di monodromia
r è transitivo. E invece F è intransitivo se la proposta è riducibile.
Il gruppo di monodromia V possiede le proprietà caratteristiche date
dai teoremi seguenti:
l.** Se una funzione razionale
y = Y(u\ , U-2. . . Wn, z)
degli n rami della funzione algebrica e di z rimane invariata eseguendo
sugli n rami una sostituzione qualunque del gruppo F di monodromia, essa
e una funzione razionale di z.
214 CAPITOLO TU. — §§. 81, 82
E infatti, pei principii della teoria delle equazioni, la y è certamente
legata a ^ da un' equazione algebrica (risolvente della data), cioè è una
funzione algebrica di z\
(1 9) F {U\ ,IV2... Wn ,^)='\' {^) •
Ma, descrivendo un qualunque cammino chiuso, 'l (s-) ritonia, per ipo-
tesi, col medesimo valore ed è perciò una funzione razionale di z.
2.° Inversamente, se una funzione razionale F (iVi, ivi . . . Wn, z) si può
esprimere razionalmente per z, essa deve rimanere invariata per qualun-
que sostituzione del gruppo di monodromia.
E infatti nella (19), ove si supponga 'y {z) razionale in z, facciamo
percorrere a ^ il cammino chiuso a,, che produce la sostituzione
S,= ( / / " ) del gruppo di monodromia. Per le proprietà del
prolungamento analitico, la (19) rimarrà sempre soddisfatta e, perchè '^j{z)
ritorna col proprio valore, avremo
F {y\ , Wi^ . , . «;,. _ , ^) = F {v\ , w^... Wn , z) ,
e. d. d.
In generale distinto dal gi'uppo di monodromia è il gruppo algebrico
G dell'equazione, pel quale intendiamo il gruppo di Galois per l'equa-
zione nel campo di razionalità formato dalle quantità costanti (coefficienti)
che vi figurano, aggiunto al campo stesso il parametro indeterminato z.
Pel gi'uppo algebrico dell'equazione valgono i due teoremi sopra enun-
ciati pel gruppo di monodromia, soltanto modificati in questo che le fun-
zioni razionali di z ivi considerate hanno di più coefficienti razionali. Si
dimostra che in ogni caso : Il gruppo di monodromia F è un sottogruppo
invariante del gruppo algehrico G ; V aggiunta di una sóla irrazionalità nu-
merica abbassa il gruppo di Galois per l'equazione da G a F '^'.
§. 82.
Sostituzioni elementari del gruppo di monodromia.
Consideriamo sulla sfera complessa i punti di diramazione in numero
finito
**) Vedi Teoria dei gruppi e delle eqtuxzioni algebriche.
SOSTITUZIONI ELEMENTARI DEL GRUPPO DI MONODROMIA
215
incluso il punto co , se è di diramazione, e fissiamo il punto A origine
dei cammini chiusi che descriviamo per calcolare le sostituzioni del gruppo
di monodromia. Diciamo cammino elementare o cappio un cammino chiuso
FiG. 9.^
foggiato nel modo seguente. Andiamo da A ad un punto A, vicinissimo
al punto critico a^ per un arco li di curva semplice, giriamo poi intorno
ad «1 , nel verso positivo, sopra una piccola circonferenza Oj avente il
centro in «i indi, percorrendo U in senso inverso, torniamo in A. Il cam-
mino chiuso
il Ji li
sarà il cappio relativo ad a^. Così per ciascun punto critico «,• costrui-
remo un cappio corrispondente li'^,lr\ in guisa che i tratti ?i, Iz-.-h
non s' intersechino fra loro. Corrispondentemente ad ogni cappio l, <3i li~\
avremo una sostituzione s, del gruppo di monodromia e facilmente ve-
diamo che: L' infero gruppo di monodromia si genera, componendo le so-
stituzioni elementari
Si , .9.2 , . . . 5.V
216
CAPITOLO VII.
§.82
e le loro potense fra loro. E invero qualunque cammino chiuso si può
ridurre, per deformazione continua, senza attraversare punti critici, ad
una successione di cappii.
Naturalmente fra le sostituzioni generatrici Si , §2 , ... 5x può esservene
un certo numero di superflue, che risultino cioè da combinazioni delle
altre. Anzi ciò avviene necessariamente se nella serie
. tty
sono inclusi tutti i punti di diramazione, giacché un cammino chiuso che
avvolga tutti i punti critici produce la sostituzione identica.
Per calcolare le sostituzioni elementari 5,, prodotte dai cappii, la
ricerca fondamentale da farsi consiste nell' esaminare come si permutano
fra loro i rami girando sul piccolo contorno o,, avvolgente il punto cri-
tico a,. Questo insegna il metodo di Puiseux, che permette di calcolare
dello sviluppo in serie per potenze frazionarie di z — a,, per ogni ramo,
tanti termini quanti occorrono per differenziare il ramo stesso da tutti
gli altri. Ma noi non ci addentreremo qui in tali studi e solo faremo
l'osservazione seguente che, calcolato il discriminante D(^), permette di
riconoscere se una sostituzione elementare 5, è pari o dispari, se consta
cioè di un numero pari o dispari di trasposizioni.
Diciamo che : La sostituzione elementare s, sarà pari o dispari, secondo
che il punto critico z = ai sarà pel discriminante D {z) un infinitesimo
(od un polo) di ordine pari o di ordine dispari.
E infatti la radice quadrata del discriminante
Vd {£) =
Wi IVì
IVr.
iv\ ic\ . . . wl
tVi ^ ivi ^
per il cammino chiuso a, non cangia se s, è pari e muta invece di segno
se Si è dispari. Ma se l'infinitesimo (o polo) è dell'ordine r l'argomento
di D iz) aumenta (o diminuisce) dopo il giro :;, di 2zr e quello di VD(s)
di "Rr, onde avverrà il primo caso se r è pari, il secondo se r è dispari.
217
Capitolo Vili.
Prime nozioni sulle superficie di Riemann e sugli integrali Abeliani.
§. 83.
Concetto generale della superfìcie Riemanniana.
Per lo studio delle funzioni algebriche e dei loro integrali (integrali
Abeliani) Riemann ha introdotta un'utile e feconda rappresentazione
geometrica colle superficie che portano il suo nome. Ci proponiamo di
esporre nel presente capitolo i primi concetti della teoria Riemanniana
nella brevità che ci viene imposta dalla natura del presente corso. Se,
proseguendo lo studio delle funzioni algebriche, si adopera, come negli
ultimi §§. del Capitolo precedente, la consueta rappresentazione geome-
trica nella quale i valori della variabile indipendente z vengono distesi
sul piano complesso di Gauss (o sulla sfera complessa), si presenta l'in-
conveniente che in ogni punto z la funzione algebrica iv non ha più un
solo valore, ma un certo numero m di valori distinti ; e per seguire la
variazione della u:, allorquando il punto rappresentativo si muove nel
piano complesso, occorre sempre tener conto del cammino seguito dal
punto per giungere dalla posizione iniziale alla finale, poiché insomma
la w non è più una funzione monodroma della posizione del punto rap-
presentativo. L'introduzione delle superficie di Riemann ha appunto per
iscopo di ristabilire la monodromia nella rappresentazione.
Chiameremo superficie di Riemann per una data equazione alge-
brica (^':
(1) /0^^^) = o
una superficie chiusa così costituita che ad ogni suo punto possa asso-
ciarsi 0, come diremo, pensare ivi deposta, una ed una sola coppia di
valori di w, z, soddisfacenti alla (1), ed inversamente ad ogni tale coppia
corrisponda uno ed un solo punto della superficie, in guisa che la corri-
(*) Qui ci occupiamo soltanto delle superficie di Riemann corrispondenti
ad una relazione algebrica fra iv,z; ma si possono egualmente considerare
superficie Riemanniane per relazioni funzionali di specie qualunque. Queste
superficie di monodromia possono alla loro volta prestare utili servigi nelle
ricerche analitiche.
218 CAPITOLO Vili. — §.83
spondenza hiunivoca fra le coppie (v. z) ed i punti della superficie sia
una corrispondenza continua.
Ammessa per un momento la possibilità di costruire una tale super-
ficie Riemanniana R, possibilità che fra breve dimostreremo, è chiaro
che se il punto rappresentativo P descriverà sulla superficie R un cam-
mino chiuso qualsiasi, la coppia iniziale {lu, z) sarà ricondotta, attraverso
ad una catena continua di valori, alla coppia primitiva stessa ed avremo
così perfettamente ristabilita la monodromia. Osserviamo che sulla su-
perficie Riemanniana R ogni valore z della variabile indipendente dovrà
manifestamente trovarsi disteso tante volte quanti sono i valori di tv
corrispondenti ad un medesimo valore dì z e cioè precisamente m volte,
se la (1) è di grado in in w; similmente ogni valore di w si troverà
sulla R ripetuto n volte, se w è il grado della (1) in z.
La definizione stessa che abbiamo dato della superficie R di Riemann
rende evidente che potremo sostituire ad R qualunque altra superficie
chiusa R', tale che fra i punti di R e quelli di R' possa stabilirsi una
corrispondenza biunivoca e continua, bastando per ciò immaginare deposta
ogni coppia di valori w, z, soddisfacenti alla (1), anziché in un punto P
di R, nel corrispondente punto P' di R'. In questi studi adunque la forma
e la grandezza delle varie parti della superficie rappresentativa non hanno
per sé importanza alcuna e solo essenziale é la relazione di contiguità
fra le parti stesse. Conviene per ciò immaginare la superficie come for-
mata da un velo perfettamente flessibile ed estendìbile e le infinite forme
che possono darsi alla superficie deformandola in modo continuo, senza
rottura né duplicatura, saranno perfettamente sostituibili, pel nostro
scopo, alla superficie primitiva. Anzi potremo più in generale ammettere
di spezzare la superficie in un numero qualsiasi di parti e, dopo di avere
deformata in modo arbitrario ciascuna delle parti, di riunire ancora i varii
pezzi, solo che si facciano alla fine coincidere nuovamente i punti, che
si trovavano riuniti sulla superficie primitiva. Ammetteremo ancora che
il velo ideale, da cui la superficie é costituita, possa liberamente attra-
versare sé stesso e fra due regioni che mutuamente si attraversano pen-
seremo non aver luogo, lungo la linea di passaggio, connessione alcuna,
se non ha luogo la coincidenza dei valori di n:, z che nelle due regioni
immaginiamo deposti in un medesimo punto di questa linea ' ^' . Del resto
(') Un tale punto rappresenta dunque due punti distinti della superficie,
secondo che si pensa della prima o della seconda regione.
LA SUPERFICIE RIEMANNIANA PER w^\ Z 219
si può in Ogni caso, con deformazione continua, ridurle una superficie
Riemanniana ad una superficie libera nello spazio che non attraversi mai
sé medesima, evitando così anche la leggiera difficoltà che questo modo
di concepire le cose suole presentare da principio.
§. 84.
La superficie Riemanniana a due fogli per le funzioni tv —yl'z, w =Vp (2) .
Esposto il concetto generale di superficie Riemanniana, andiamo
ora a dimostrare come per una data equazione algebrica (1) si costruisca
effettivamente una tale superficie nella forma ordinaria di m fogli 0 strati
sovrapposti. Per maggior chiarezza comincieremo da alcuni casi semplici,
per elevarci poi alle considerazioni generali.
Prendiamo a considerare dapprima la semplicissima funzione alge-
brica
IV = '\l z .
La polidromia di questa funzione nell'ordinario piano complesso (sfera
complessa) nasce dal girare isolatamente attorno al punto di diramazione
^==0, ovvero attorno all'altro 2'=ao, poiché per un tale giro un ramo
del radicale si cangia con continuità nell' opposto. Immaginiamo il piano
tagliato lungo una linea che dal punto 2^ = 0 vada senza intersecare sé»
stessa, all'infinito, per es. pensiamo, per fissare le idee, eseguito un tale
taglio lungo la parte negativa dell'asse reale da 0 a -00. Scelto in un
punto z, per es. in ^=-l, uno dei valori del radicale, diciamo iv=-{-\,
quel ramo sarà nel piano così tagliato una funzione monodroma della z.
In due punti di fronte sui due orli del taglio i valori di w saranno eguali
e di segno contrario e precisamente, supposto il taglio eseguito come
sopra, i valori di ic sull'orlo superiore (0 destro) saranno puramente im-
maginarli col coefficiente dell'immaginario positivo, quelli sull'orlo infe-
riore (sinistro) i coniugati. Così abbiamo la rappresentazione geometrica
per uno solo dei rami della nostra funzione algebrica.
Ma immaginiamo di prendere un secondo piano complesso, 0 come
diciamo, un secondo foglio, che tagliamo precisamente come il primo e
sovrapponiamo a questo. Su questo secondo foglio distendiamo i valori
del secondo ramo, partendo ad esempio dal medesimo punto z = \, ove
questa volta prenderemo il valore opposto io= -i del radicale. Così
220 CAPITOLO Vili. — §. 84
in due punti collocati Tuno sull'altro dei due fogli Fi, Fj i valori ivi
deposti per io saranno sempre uguali e di segno contrario, e per ciò i
valori di w suU' orlo destro del taglio in Fi coincideranno ordinatamente
con quelli dell'orlo sinistro in F2 e quelli dell'orlo sinistro su Fi con quelli
dell'orlo destro su Fj. E allora se immaginiamo connessi 0 saldati l'uno
all'altro l'orlo destro di Fj col sinistro di F2 e quello sinistro di Fi col
destro di F2, verremo appunto a formare un'unica superfìcie a due fogli
0 strati che si connettono, intrecciandosi fra loro, lungo la linea primi-
tiva del taglio (sezione di diramazione). Ad ogni coppia distinta di va-
lori di (/, z, soddisfacenti all'equazione ur^=^z, corrisponderà così uno ed
un solo punto della nostra superfìcie e* questa corrispondenza sarà evi-
dentemente biunivoca e continua; abbiamo così costruita la superficie
Riemanniana a due fogli per l'equazione w^ — 2^ = 0.
Prendiamo ora a considerare più in generale la equazione algebrica
dove P {z) indica un polinomio razionale intero in ^ a radici tutte sem-
plici e cerchiamo di costruire la superficie Ptiemanniana corrispondente.
1 punti di diramazione a distanza finita della funzione »^= \' V (z) sono
qui tutti e soli gli infinitesimi di P(^), e il punto z'=^ x sarà un punto
di diramazione 0 no secondo che il grado del polinomio è impari 0 pari.
In ogni caso adunque il numero totale dei punti di diramazione sarà
pari e noi lo indicheremo con 2^)4-2, dove adunque il grado del poli-
nomio sarà 2p+l se dispari, e 2;; +2 se pari. Indichiamo con
i punti di diramazione, distribuiti arbitrariamente in coppie, e nel piano
complesso z immaginiamo congiunto ciascun punto di diramazione Cgr-i
col successivo e^r con una linea che non intersechi sé medesima né le
altre precedenti e lungo queste jp + 1 linee eseguiamo altrettanti tagli.
Se nel piano complesso così tagliato fissiamo in un punto 0, diverso
dai punti di diramazione, il valore che assumiamo pervP(2'), indi pro-
lunghiamo analiticamente il ramo, otterremo distesi su questo primo
foglio Fi i valori di un ramo del nostro radicale, che costituiranno una
funzione monodroma, poiché in esso foglio sono resi impossibili i giri
attorno ad un numero dispari di punti di diramazione. Prendasi ora un
secondo foglio Fg, tagliato precisamente come Fj, e sovrapposto a questo,
DEFORMAZIONI DELLE SUPERFICIE DI RIEMANN 221
sul quale deponiamo in ogni punto quel valore di VP {z) che è l'opposto
del valore che il radicale ha nel punto sottostante di Fi; così anche in F2
avremo una distribuzione monodroma dei valori del secondo ramo. Ora
lungo ogni taglio i valori di \ 1*1^) all'orlo destro (0 sinistro) di Fi
coincidono con quelli all'ori ) sinistro (destro) di Fa e per ciò, se imma-
giniamo nuovamente di connettere questi quattro orli nel modo di prima,
otterremo un' unica superficie a due fogli che si connettono intrecciandosi
lungo \e 2^+1 sezioni di diramazione, e in essa avremo evidentemente
la superficie Rieinanniana cercata.
Osserviamo che in luogo di costruire la nostra superficie adoperando
fogli piani, sovrapposti all'ordinario piano complesso, potremmo egual-
mente operare sulla sfera complessa con fogli sferici, nel qual caso par-
leremo della sfera Rieinanniana a più strati.
§. 85.
Deformazione della superficie Riemanniana in quella di una sfera,
di un anello ecc.
Possiamo assoggettare la superficie Riemanniana costruita ad una
qualunque deformazione continua, secondo le osservazioni generali del
§. 83; in particolare vogliamo qui mostrare come si può dedurne una
superficie libera nello spazio, che non attraversi sé medesima.
Riprendiamo per ciò la costruzione della prima superficie Rieman-
niana per w = v' ^ prima della connessione stabilita fra gii orli dei tagli
di Fi, Fo. Supposti sempre i tagli eseguiti lungo la parte negativa del-
l' asse reale, ribaltiamo ad esempio il foglio Fi attorno all'asse reale, sic-
ché i valori di un ramo del radicale risulteranno distribuiti sulla pagina
superiore '^* del foglio F2 e quelli del secondo ramo sulla pagina infe-
riore di Fi. Attualmente lungo gli orli dei tagli in Fi , F2 coincideranno
i valori di V ^^' (2^) immediatamente sovrapposti, sicché connettendo gli
orli corrispondenti avremo in sostanza l'ordinario piano rivestito nella
sua pagina superiore ed inferiore di un doppio velo continuo che si piega
attraverso la fenditura praticata lungo il semiasse reale. Deformando in
modo continuo questo velo, possiamo dai'gli la forma omologa sferica ed
(i> Immag-iniamo , per fissare le idee, i fogli collocati sopra un piano
orizzontale.
222 CAPITOLO vili. — §. 85
anche, continuando la deformazione, foggiare in modo arbitrario, sco-
standoli, gli orli della fenditura, così p. e. da farne un circolo della sfera
diviso in due semicerchi, ciascuno dei quali corrisponde ad uno degli
antichi orli. Così avi-emo una calotta sferica rivestita internamente ed
esternamente di un unico velo, che potremo deformare ancora in guisa da
dargli la forma di una superficie chiusa, dappertutto convessa verso Te-
sterno, p. e. di nuovo la forma sferica. Per tal modo, da ultimo, avremo tra-
sformata la superficie Riemanniana, primitiva in una sfera ordinaria ^^K
Consideriamo ora il caso della superficie Riemanniana a due fogli
per la funzione ìr = \f P (z), quando il polinomio P {z) è di terzo o quarto
grado in z e quindi, nelle notazioni del §. 84, abbiamo |> = 1 e conse-
guentemente 2 sezioni di diramazione. Immaginiamo che la nostra su-
perficie sia una sfera Riemanniana a due fogli e, per fissare le idee, le
due sezioni di diramazione siano praticate in un meridiano verticale e
simmetricamente disposte rispetto al diametro verticale. Tolta la con-
nessione fra i due fogli lungo le sezioni di diramazione, si deformi con
continuità l'uno e l'altro foglio sì da foggiarli p. e. a cilindri circolari
coassiali nei quali le circonferenze delle basi rappresenteranno le se-
zioni di diramazione, divisa ciascuna da un diametro in due metà cor-
rispondenti agli orli destro e sinistro del primitivo taglio. Si estragga,
parallelamente all'asse, il foglio cilindrico interno e dopo averlo ribal-
tato attorno al detto diametro di una delle circonferenze basi si riav-
vicinino nuovamente i due cilindri sì da riunirli per le due circonferenze
basi di fronte, con che appunto verremo a riunire, per una delle sezioni
di diramazione, i punti congiunti primitivamente sulla superficie Rie-
manniana.
Xeir unico cilindro così risultante i punti delle due basi sopra una
medesima generatrice rappresenteranno ancora un solo e medesimo punto
della superficie Riemanniana. Per unire efi'ettivamente anche questi, basta
immaginare di deformare in modo continuo il cilindro, incurvando p. e.
a forma di archi circolari, vieppiù vicini ad una circonferenza completa,
le generatrici, ed alla fine, saldando insieme le circonferenze basi del-
l'anello aperto, otterremo la superficie chiusa dell'anello completo o toro,
che potremo adoperare come superficie Riemanniana nel caso considerato.
'*> Naturalmente su questa sfera trovausi distesi due volte i valori di z ed
una sola volta quelli di io.
LA SUPERFICIE RIEMANNIANA GENERALE 223
Se consideriamo ora il caso più generale della sfera Riemanniana
a due fogli per la funzione tv = \ P (s), il polinomio P {z) avendo il grado
2p + \ 0 2jp + 2, potremo procedere in mòdo analogo togliendo la con-
nessione dei due fogli lungo le p-vl sezioni di diramazione ed, estratto
il foglio interno, potremo uiriormare i due fogli in guisa da conservare
p. e. ad ambedue la forma sferica e da ridurre ciascuna fenditura alla
forma di un circolo minore completo. I due fogli porteranno così ^)+l
aperture circolari ciascuno, che due a due si corrispondono e i cui orli cor-
rispondenti debbono nuovamente congiungersi fra loro. Per una coppia
di questi contorni possiamo operare direttamente il congiungimento dei
due fogli e deformare poi l' unica superficie risultante, riducendola p. e.
ad una sfera con 2p aperture circolari che si dividono in p coppie, i cui
orli corrispondenti sono ancora da congiungersi fra loro. La deforma-
zione che resta da eseguire può immaginarsi compiuta in guisa che la
riunione di un contorno circolare col corrispondente abbia luogo per mezzo
di un anello esterno alla sfera. Da ultimo avremo così ridotta la nostra
superficie Riemanniana ad una sfera con p anelli, o manichi.
§. 86.
La superfìcie Riemanniana a m fogli per requazione f{w,%) = 0.
Le considerazioni relative ai casi particolari sopra trattati renderanno
ora più chiaro il procedimento da seguirsi pel caso generale. Data
un'equazione algebrica qualunque
f{w,z) = Q,,
il cui grado in u: indicheremo con m, segnamo sul piano complesso z
gli effettivi punti di diramazione, che indicheremo con
comprendendovi naturalmente il punto z=cc, se questo sarà un punto
di diramazione; e fissato nel medesimo piano un punto 0, distinto dai
punti di diramazione, riuniamolo ai punti «i, a^, ... a^ mediante N linee
semplici /i, ?2, . . . ?.v, che non intersechino sé stesse, né si intersechino
fra loro. Prendiamo ora m fogli Fi , Fj , . . . F„; , che sovrapponiamo tutti
al piano complesso, e in ciascuno di essi, sia F,, segniamo il punto 0^
224 CAPITOLO vili. — §. 86
sovrapposto ad 0 e le linee Z,'", l^'K . . U'^ sovrapposte a li,Ì2...ls, e
lungo queste linee ll'K, ì.^'* . . , />;", eseguiamo nel foglio F, altrettanti tagli.
Nel punto 0 gli m valori di* w sono distinti e siano
ciascuno dei quali attribuiremo ordinatamente in 0,. Oo . . . 0,» ai fogli
Fj. F, . . . F,„. Se nel foglio F, così tagliato, partendo dal valore wi di
IV in 0,, seguiamo il prolungamento analitico di questo ramo di w, ver-
remo a depoiTe in ogni punto di F, un unico e determinato valore di
te e questi valori costituiranno sopra il foglio tagliato F, una funzione
monodroma. Se consideriamo gli m punti Pi, Pi , . . . Pm sovrapposti in
Fi, F2,...F,„ ad un medesimo punto qualsiasi p del piano complesso
(distinto naturalmente dai punti di diramazione), i corrispondenti valori
di w, che indicheremo senza ambiguità con
Pi • ^2 ' • • • Pm '
vi saranno manifestamente tutti distinti e daranno gli m valori di w
corrispondenti al valore di ^ nel punto p. Consideriamo in particolare
ciò che accade in punti sovrapposti ai due orli di m tagli Z/' ?/' . . . Z,*"''
corrispondenti sopra Fi , Fj . . . F„, . Distinguendo i due orli di un taglio in
destro e sinistro, siano Pi, Pi, . .pm gli ni punti sovrapposti sull'orlo de-
stro e 5i , 52 , • • • <lm gli in punti di fronte sulF orlo sinistro, punti che
corrispondono tutti ad un solo e medesimo valore di ^, sia z = a. Tanto i
valori
quanto gli altri
%i , %
%i > "'■j
danno tutte e sole le radici della nostra equazione algebrica per z = a
e per ciò, prescindendo dall'ordine, sono i medesimi; supponiamo dun-
que che si abbia
^Vi ==%,,' ''f.-%-"''p.= \„
ove il, Ì2 . . . iw sono i numeri 1,2, ... m in altro ordine. Se spostiamo 2h
lungo l'orlo destro del taglio considerato sopra Fi e contemporaneamente
g,j, nel medesimo modo, lungo Torlo sinistro del taglio in F,^, avremo
manifestamente sempre Wp^ = u-g., e similmente u-p^=ivg. , . . Wp^ = Wg. ,
LA SUPERFICIE RIEMANNIANA GENERALE 225
talché dappertutto, lungo quegli m tagli sovrapposti, i valori di iv deposti
suir orlo destro in Fj , Fg . . . Fm coincideranno ordinatamente con quelli
dell'orlo sinistro in F,^, Fi., . . F,_^ . Per ciò lungo questi tagli l'orlo destro
in Fi, Fo, . . . F,„ si connetterà rispettivamente col sinistro in F,- , F , . . Fi
1 '2 »1
ed eseguita questa operazione per tutti i sistemi di tagli, avremo co-
struita una superficie i cui punti corrispondono biunivocamente ed in
modo continuo alle coppie di valori iv,s!, che soddisfano all'equazione al-
gebrica proposta. Questa superficie ad m fogli o strati è adunque la su-
perficie Kiemanniana cercata; essa risulterà connessa allora ed allora
soltanto quando la equazione proposta sia irriducibile.
Alla costruzione della superficie Riemanniaiia generale facciamo se-
guire alcune considerazioni esplicative. Il congiungimento dei fogli lungo
una sezione di diramazione, che parte da un punto di diramazione, av-
viene precisamente nel modo stesso rome gli m rami si permutano per
un giro nel piano semplice attorno a questo punto z = ai. Se decom-
poniamo la sostituzione corrispondente in un prodotto di sostituzioni cir-
colari, gli m fogli si decomporranno in altrettanti gruppi e se uno di
essi è composto dei fogli Fi , Fa , . . F, , questi r fogli saranno congiunti
ciclicamente fra loro, sicché girando attorno al punto di diramazione si
passerà dal foglio Fi a Fg , da Fj a F3 ; . . . da F, _i a F,- e in fine da
F*- si ritornerà sopra Fi. Il punto di diramazione nel quale gli r fogli
sono congiunti ciclicamente fra loro é un unico punto della superficie
Riemanniana R e dicesi un punto di diramazione dell'ordine r — 1. Al
punto di diramazione z = ai del piano semplice corrispondono dunque,
sulla superficie Riemanniana, tanti punti distinti quante sono le sostitu-
zioni circolari, nelle quali si decompone la sostituzione sui rami per un
giro attorno a ^ == a,- .
Ciò premesso, é facile definire V intorno di un punto qualsiasi della
superficie Riemanniana. Se il punto che si considera non é di dirama-
zione, una piccola curva chiusa che giri una volta attorno al punto, p. e.
un circolo col centro nel punto, descritta nel foglio a cui il punto ap-
partiene, limiterà il detto intorno (^'. Se il nostro punto é un punto di
(^' Può anche darsi che il punto in considerazione appartenga a più fogli
della superficie Riemanniana, senza che ivi abbia luogo diramazione. Ciò avviene
se più rami della funzione algebrica w coincidono in quel punto senza diramarsi ;
ed in tal caso saranno da considerarsi tanti intorni del punto quanti sono ì
fogli a cui appartiene.
15
226 CAPITOLO vili. — §§. 86, 87
diramazione d'ordine r — 1 e congiunge ciclicamente i fogli Fi, F2, . . F, ,
la curva chiusa che limita l'intorno farà un giro sul primo foglio F,,
un secondo giro su Fj ecc. un r'"" giro sopra Fr , e soltanto dopo compiuti
questi r giri si chiuderà. In tal caso l'intorno del punto è assimilabile
all'insieme di r spire di una superficie elicoidale di passo infinitesimo.
§. 87.
Funzioni uniformi sulla superfìcie Riemanniana.
Data un'equazione algebrica
f{iv,z) = 0,
abbiamo visto come si può costruire una superficie Riemanniana ad m
fogli che rappresenta geometricamente il modo di diramazione della fun-
zione algebrica.
Ma il concetto più importante e fecondo della teoria Riemanniana
consiste appunto nella inversione di quest'ordine di considerazioni, nel
supporre cioè data a priori una superficie a m fogli, distesi sull'ordinario
piano complesso, connessi fra loro mediante sezioni di diramazione co-
munque assegnate. Una tale superficie definisce sempre, secondo Riemann,
una classe di corrispondenti funzioni algebriche. Questo importante ri-
sultato che Riemann deduceva, in modo non rigoroso, applicando il così
detto principio di Dirichlet, venne posto fuori di dubbio dalle ricerche
di Neumann e Schwarz.
Noi ci limiteremo all'avere così accennato a questo punto più elevato
di vista, e nelle ricerche ulteriori del presente capitolo supporremo sem-
pre data un'equazione algebrica fondamentale
(1) /■(«•, z) = 0
e costruita la corrispondente superficie R di Riemann, alla quale appli-
cheremo le nostre considerazioni.
Sopra una superficie Riemanniana R si possono studiare le funzioni
di variabile complessa precisamente come sull'ordinario piano semplice,
ed è appunto di questo studio che vogliamo ora occuparci. Ma in primo
FUNZIONI UNIFORMI SULLA SUPERFICIE RIEMANNIANA 227
luogo, per maggiore chiarezza e brevità dell'esposizione, definiamo ciò
che intenderemo per variabile iwindpale in un punto della superficie di
Eiemann. Se il punto z = a che si considera è un punto ordinario (non
di diramazione) a distanza finita, chiameremo variabile principale il bi-
nomio z — a ed, ove il punto ordinario in considerazione sia all'infinito,
la variabile principale nel punto sarà - .
Quando il punto z = a sia un punto di diramazione a distanza finita
d'ordine r — 1, la sostituzione
z — a = f
darà la rappresentazione conforme dell'intorno del punto in considera-
zione sopra un disco circolare semplice del piano ^ e si assumerà allora
t= {z-a)'
come variabile principale. In fine se il punto di diramazione d'ordine
r-1 è all'infinito, prenderemo corrispondentemente per variabile prin-
cipale
i_
t = z '■ .
Una funzione v di variabile complessa sulla superficie R si dirà re-
golare in un punto se essa è sviluppabile nell'intorno del punto in serie
di potenze intere e positive della variabile principale, per il che sarà
necessario e sufficiente, secondo il teorema di Cauchy, che essa sia finita,
continua e monodroma nell'intorno del punto. Similmente nell'intorno
di un punto singolare isolato la v, supposta monodroma nell'intorno, sarà
sviluppabile in serie di Laurent per le potenze intere ascendenti e di-
scendenti della variabile principale f e, se la seconda parte sarà una serie
infinita, la singolarità si dirà essenziale; polare nel caso opposto.
In quest'ultimo caso si dirà ordine della singolarità polare o d'infi-
nito l'esponente della massima potenza negativa di t, che figura nello
sviluppo. In modo del tutto simile si definirà l'ordine di infinitesimo in
un punto z = a, ove la funzione v si annulli, coraportandovisi regolar-
mente; l'infinitesimo di 1.° ordine in qualsiasi punto della superficie Rie-
manniana è dunque dato dalla prima potenza f della variabile principale.
228 CAPITOLO vili. — §. 87
Particolarmente importanti sono le funzioni v che esistono su tutta
la superficie Riemanniana e sono ivi monodrome, cioè le funzioni uni-
formi della superficie Riemanniana. Formiamo subito di tali funzioni,
considerando un polinomio razionale intero in ir, i cui coefficienti siano
funzioni uniformi di z in tutto il piano complesso. Il grado di questo
polinomio si potrà abbassare ad m — 1, tenendo conto dell" equazione (1)
di grado m in iv, cui w soddisfa, e si avrà così
(2)
f = 7.0 -f yiw -{- a^w^ -{-... -{- a„,_i w'" \
dove le a sono funzioni uniformi di z in tutto il piano complesso. È evi-
dente che una tale funzione v è uniforme sulla superficie Riemanniana;
i suoi punti singolari si trovano unicamente fra i punti singolari (poli)
della funzione algebrica tv ed i punti singolari dei coefficienti a.
Dimostriamo ora inversamente che la (2) ci dà la più generale espres-
sione di una funzione uniforme sulla superficie Riemanniana. Per ciò
osserviamo che una funzione monodroma v sulla superficie Riemanniana,
considerata come funzione analitica sul piano semplice z, avrà in ogni
punto m ed m determinazioni soltanto distinte {m rami), che indiche-
remo con
Vy , ^2 , . . . Vm ì
corrispondentemente ai valori
che hanno luogo per iv nei punti sovrapposti degli m fogli. La mono-
dromia di v sulla superficie Ri^nanniana si tradurrà nel piano semplice
z in ciò che per qualunque cammino chiuso tracciato in questo piano le
t\ , ro . . . Vm subiranno la medesima sostituzione di iVi, ivz.. . Wm- Ciò posto,
se dalle m equazioni lineari:
Vi = y-o + ai wi 4- 72 IVI -\- . . .-{- «m-i ?<"i'~^
^'2 = «0 + «1 «^"2 1- 7-2 ivi ^ ... -i- 7m-2 «^"P^
■Vm= 7-0 + 7i Wm-\- 72 ivi -f • • • + ^-m-l «^^
m—1
FUNZIONI UNIFORMI SULLA SUPERFICIE RIEMANNIANA 229
ricaviamo i valori delle a, troviamo per una qualunque di esse:
1 .... ,„!-i .,. .,.'+1
(3)
a,- (^) =
1
U'i
Wì
+1
It'l
Wi
'+1
Wi
Wm'
,_i ,. ,+1
r—l r r+1
tV2 W2 M'2
tu— 1
IV2
W2
dove il determinante denominatore, come prodotto delle differenze di
u\ , u-2 , . . iVm è certamente diverso da zero (salvo che nei punti di dira-
mazione). Un giro qualunque nel piano semplice z, producendo la me-
desima sostituzione sopra Vi ,V2...Vm come sopra iCi ivz, .. tVm , non altera
il secondo membro della (3) e perciò a,, {z) è una funzione uniforme di
z nel piano semplice z. Così adunque: Qualunque funzione uniforme v
sulla superficie liiemanniana può porsi sotto la forma (2), dove le a sono
fmizioni uniformi di z nel piano semplice.
Teorema di Cauchy, residui e indicatore logaritmico.
Alle funzioni uniformi sulla superficie Riemanniana possono esten-
dersi i teoremi fondamentali relativi alle funzioni uniformi sul piano
semplice, come ora vogliamo brevemente dimostrare. In primo luogo sup-
poniamo che in un' area connessa della superficie Riemanniana la nostra
funzione uniforme v sia dappertutto regolare e dimostriamo che sussi-
sterci ancora il teorema fondamentale di Cauchy:
/ vdz = Q ,
r integrale essendo esteso al contorno completo dell'area. Se quest'area
occupa col suo contorno un solo strato della superficie Riemanniana, la
cosa è evidente, non differendo allora il teorema dall'ordinario.
230 CAPITOLO Vili. — §. 88
Se al contrario essa occupa più strati, basterà decomporre l'area in
tante aree parziali, ciascuna delle quali si trovi tutta in un solo foglio,
ciò che si può sempre fare aggiungendo convenienti contorni. Gli inte-
grali estesi al contomo completo di ciascuna area parziale saranno nulli
ciascuno per sé e per ciò anche la loro somma, nella quale gli integrali
estesi ai contorni aggiunti si distruggeranno due a due, perchè percorsi
ciascuno due volte in senso contrario, e rimarrà appunto fvclz = 0.
Js
Al teorema di Cauchy si lega la considerazione dei residui. Per re-
siduo in un punto della superficie Riemanniana di una funzione v, che
ivi abbia al più una singolarità isolata, intendiamo, in analogia colla de-
finizione data pel piano semplice, il valore dell" integrale ^ — : / v dz
esteso, nel senso positivo, ad una curva chiusa ':; che limiti V intomo del
punto. Come al §. 53, si vedrà che se il punto z = ak un punto ordinario
della superficie Riemanniana a distanza finita, il residuo di v m z = a
sarà il coefficiente di nello sviluppo di v; e se si tratta di un
z — a
punto (ordinario per la superficie Riemanniana) all' infinito, il residuo sarà
il coefficiente di - cangiato di segno.
z
Sia ora z = a un punto di diramazione a distanza finita, d'ordine r — 1.
Per calcolare il residuo, cioè il valore dell'integrale
J\ V dz ,
converrà in questo caso introdurre la variabile principale t (§. 87), po-
nendo
z — a = V ,
e risulterà
J-Ldz = r.^j vf-'dt,
l'integrale del secondo membro essendo esteso ad una piccola curva
chiusa s, che nel piano semplice t giri una volta attorno a t = 0. Se
supponiamo adunque che nello sviluppo di v nell'intorno (ìi z = a per
RESIDUI 231
L 1
potenze di {z — a)'- sia B il coeftìciente di -, pel valore del resi-
z — a
duo avremo precisamente
^ . , ^ dz = rB
Affatto similmente si vedrà che, se il punto di cui si tratta è all'infi-
nito ed è nello stesso tempo un punto di diramazione dell'ordine r — 1,
il residuo sarà dato da — rB, indicando nuovamente B il coefficiente
di nello sviluppo di v neir intorno di quel punto.
Dopo queste considerazioni è manifesto che se in un'area della su-
perficie Riemanniana avremo una funzione monodroma dappertutto re-
golare, salvo che in un numero finito di punti singolari, l'integrale
- — : / vdz, esteso al contorno dell'area, sarà eguale alla somma dei
2 TI l Js
residui nell'interno.
Si può facilmente estendere anche il teorema sull'indicatore logari-
tmico di Cauchy (§. 56), supponendo di considerare un'area della super-
ficie Biemanniana ove la funzione uniforme non abbia nell'interno che
singolarità polari (e per ciò in numero finito) e sul contorno non diventi
né zero ne infinita. Se consideriamo infatti il modo di comportarsi della
V
derivata logaritmica ~ , facilmente vediamo che essa ha singolarità po-
lari del 1.° ordine dove la v diventa infinitesima o infinita e precisa-
mente con residuo eguale all'ordine di infinitesimo di v o a quello del-
l' infinito, preso questa - seconda volta col segno contrario. E infatti
supponiamo p. e. che in z = a \sl v diventi infinitesima d'ordine q e, per
maggiore generalità, supponiamo che questo punto sia di diramazione
dell'ordine r — 1; avremo nell'intorno di a per v uno sviluppo della
forma
v={z-ay ao -|- ^-1 (^ - «) '" + • . >
con a^^O, e perciò
V r{z-a) ^^ ' "^
232 CAPITOLO vili. — §§. 88, 89
v'
Il residuo di — in ^ = a è adunque
V
come si è asserito. Affatto analogamente si procederà nel caso di un
infinito e nel caso in cui l'infinitesimo o il polo di v sia all'infinito.
Ma qui è da notarsi che, a differenza delle funzioni uniformi sul piano
semplice, la derivata logaritmica può avere singolarità polari anche in
punti dove la funzione è regolare e non infinitesima; in tal caso però
il residuo di - sarà ivi nullo. E infatti la circostanza notata può veri-
V
ficarsi solo in un punto di diramazione, sia p. e. ^ = a, a distanza finita ;
se esso è dell'ordine ^'-1, avremo nell'intorno
2
V = «0 4- «1 (s - «) "■ + «2 {z-a)'- -\- . .
con «0+0, e perciò
Come si vede, nello sviluppo di - vi sono anche, in generale, po-
1
tenze negative di {z — ay , ma con esponente non eccedente r — le
per ciò il residuo è certamente nullo, e. d. d.
Dopo ciò è evidente che la formola dell'indicatore logaritmico:
sarà applicabile anche sulla superficie Riemanniana.
§. 89.
Funzioni razionali sulla superficie Riemanniana.
Fra le funzioni uniformi sopra la sfera Riemanniana particolarmente
notevoli sono quelle che offrono soltanto singolarità polari, e diconsi fun-
zioni razionali sulla superficie Riemanniana perchè, come ora dimostre-
remo, esse sono in ogni caso funzioni razionali delle due variabili w, z,
FUNZIONI RAZIONALI SULLA SUPERFICIE RIEMANNIANA 233
legate fra loro dalla equazione fondamentale (1). Ad una tale funzione
razionale, tenendo conto della (1) stessa, si potrà sempre dare la forma
(4) V = «0 -(- «1 tv -f «2 iv^-\- . .-{- y-m-i tv'"~\
dove le a sono funzioni razionali di z. Che una funzione data dalla (4)
sia uniforme sulla sfera Riemanniana ed abbia soltanto singolarità polari,
risulta chiaramente da ciò che i punti singolari della funzione algebrica
iv sulla sfera Riemanniana sono appunto di natura polare (§. 79), e d'al-
tronde le 7., come funzioni razionali di z, hanno già soltanto singolarità
polari nel piano z.
Ma la proposizione inversa enunciata risulta pure facilmente da quanto
si è visto al §. 87. Supposto infatti la v uniforme su tutta la sfera Rie-
manniana, potremo scrivere la (4) e le a saranno funzioni uniformi di z
nel piano z. Ora, se la v ha soltanto singolarità polari, nello sviluppo in
serie degli m rami della v per potenze della variabile principale il nu-
mero delle potenze negative sarà in ogni caso finito, e la formola (3)
pag. 229 per la a,- dimostra che nello sviluppo in serie di a,- per potenze di
z — e 0 di -, nell'intorno di un punto singolare z = e o z= ce, le po-
tenze negative saranno sempre in numero finito. Dunque le a, essendo
uniformi in tutto il piano complesso z e con sole singolarità polari, sa-
ranno appunto funzioni razionali di z, e. d. d.
Una funzione razionale v sulla superficie Riemanniana non può man-
care affatto di poli, a meno che non si riduca ad una costante. In caso
contrario infatti, se indichiamo con Vi, v^, . . v„t le m determinazioni di v,
le loro funzioni simmetriche elementari
^Vi , 2 Vi Vk , 2 ^' ^/' ^' • • •
sarebbero funzioni razionali di z prive di polì e per ciò costanti, onde
V stessa sarebbe costante. Una funzione razionale v sulla superficie Rie-
manniana ha quindi un certo numero (finito) di poli e se applichiamo
le considerazioni stesse del §.54 troviamo: La somma di tutti i residui
di una funzione razionale sulla superficie Riemanniana è nidla.
Se si osserva ora che la derivata logaritmica di una funzione razio-
nale è ancora una funzione razionale e si applica alla derivata logarit-
mica il teorema precedente, ricordando le proprietà osservate al §. 88,
si trova il teorema:
234 CAPITOLO Vili. — §. 89
Ogni funzione razionale sulla superficie Riemanniana diventa tante
volte zero quante volte mfinìta.
Più in generale se, indicando con ìi una costante qualunque, consi-
deriamo in luogo della v la funzione v — It vediamo che : Una funzione
razionale sulla superficie Riemanniana riprende il medesimo numero di
volte qualunque valore prefissato.
Questo numero costante dicesi l'ordine od anche la valenza della fun-
zione razionale v. Così, in particolare, se l'equazione fondamentale (1)
sarà di grado m in tv e di grado n in z, la funzione razionale w sarà
di valenza w e la ^ di valenza m.
Si osservi che dalle osservazioni generali precedenti seguono le due
proposizioni:
1.* Due funzioni razionali sulla superficie Riemanniana, che abbiano
a comune gli infinitesimi e gli infiniti, non jìossono differire che per un
fattore costante.
2." Due funzioni razionali, che abbiano a comune gli infiniti ed i ter-
mini d'infinito, non possono differire che per una costante additiva.
Le proprietà delle funzioni razionali sopra una superficie Rieman-
niana fin qui sviluppate offrono, come si vede, la più completa analogia
con quelle delle ordinarie funzioni razionali. Ma diciamo subito che, pro-
seguendo questi studi, si manifestano altresì profonde differenze. Un
fatto nuovo fondamentale si presenta allorquando, cercando di invertire
le due proposizioni precedenti, si proponga di costruii-e una funzione
razionale della superficie Ptiemanniana che abbia assegnati infinitesimi
ed infiniti, ovvero infiniti assegnati con prescritti termini d'infinito. Come
nel caso delle ordinarie funzioni razionali, la funzione cercata, se esiste,
sarà determinata a meno di un fattore costante nel primo caso e a meno
di una costante additiva nel secondo. Ma mentre per le ordinarie fun-
zioni razionali quegli elementi possono darsi affatto ad arbitrio ed esi-
ste sempre la corrispondente funzione, per una superficie Riemanniana
al contrario fra questi elementi dovrà sussistere un certo numero di
relazioni (dipendenti dalla connessione multipla della superficie) affinchè
la funzione cercata esista. Così fra le posizioni dei poli e quelle degli
infinitesimi di una funzione razionale debbono sussistere relazioni, che
sono fornite da un celebre teorema d'Abel.
235
§. 90.
Nozioni sugli integrali Abeliani.
Diconsi integrali Abeliani gli integrali delle funzioni razionali sopra
una superficie Riemanniana. Siccome ogni tale funzione razionale è alla
sua volta una funzione algebrica di ;s, si possono anche definire gli in-
tegrali Abeliani come gli integrali delie funzioni algebriche. Nel presente
§. ci proponiamo di dare le primissime nozioni su questi integrali con-
siderati come funzioni (multiformi) sulla superficie Riemanniana, limi-
tandoci a riconoscere la natura dei loro punti singolari e la loro classi-
ficazione in tre specie.
Essendo
(1) f{iv,z) = 0
l'equazione fondamentale e
V = 'S (w, z)
una funzione razionale qualsiasi di tv, z, che potremo sempre ridurre alla
forma (4) §. 89, Tespressione più generale di un integrale Abeliano cor-
rispondente sarà
=/"
dz
Esaminiamo il modo di comportarsi di un integrale Abeliano nel-
r intorno di un punto qualsiasi della superficie Riemanniana. Sia dapprima
^=c un punto ordinario a distanza finita. La funzione razionale v sarà
regolare in z = c, o al massimo vi avrà un polo di un certo ordine n,
sicché neir intorno di ^ = e avremo
■A-o I Al . , Am_i , Ti / \
'^ = -(j::^ + (TT^pr + • ■ • + 7Z7 + P (^ - '')
ed integrando avremo
j ^ I Al A>i_2 1
~ {\-n){z- cy-^ ^ {2-n)(z-cy-' +•••"" ^^ "+-
+ A^i log {z-c) + ?,{z-c).
236 CAPITOLO vili. — §. 90
Se manca il residuo A,j_i, l'integrale J sarà monodromo nell'intorno
di 2=c e YÌ avrà un polo dell'ordine n — 1. Quando sia A,r_i ^ 0, l'in-
tegrale J avrà inoltre in 2 = e una singolarità logaritmica e sarà poli-
dromo nell'intorno di z = c, col modulo di periodicità 2-iA„_i. Una
conclusione affatto analoga si trae quando il punto ordinario 2 = e è
air infinito. Avremo infatti allora nell" intorno di z= x :
A 1 / 1 "^
V = «0 .2" + «1 ^"~' H- . . . + (i>v-i s -\- an-\ h-iP— )
^ Z \Z J
e però
Anche qui adunque la singolarità dell'integrale m z^=-jj consiste in
una singolarità polare (dell'ordine n + 1) sovrapposta ad una singolarità
logaritmica, la quale ultima manca se è nullo il residuo dell'integrando v.
Consideriamo ora un punto z = c, a distanza finita, che sia di dira-
mazione dell'ordine r — 1; avremo nell" intorno di esso
Ao
V =
T + -A^r 4- . . . + -^ + P ix^-cV) ,
(z — e)" {z — e) >■ (z — e)'
e quindi integrando otterremo per J un'espressione della forma
J = R log {z—c) r {z—c) ~ ' Pi (s^—cy) ,
dove il termine col logaritmo, che rende l'integrale polidromo nell'intorno
di z=^c, si presenterà soltanto quando non sia nullo il residuo R di v.
1
Quanto alle potenze negative di {z — e)'' , esse mancheranno affatto se
si ha n < r, se cioè l'ordine d'infinito dell'integrando non supera l'or-
dine del punto di diramazione. In questo caso la singolarità dell'inte-
grando sparisce nell'integrazione.
Se in fine il punto di diramazione dell'ordine ;• è all'infinito, avremo
v=^ a^^z' -{■ a^z ' -[- . . . t- a„,_i z' -]- am-\ y ^ ^2" + • • •
z^ 0^
INTEGRALI ABELIANI 237
e nell'integrale avremo un termine col logaritmo se il residuo h,- non
1
sarà nullo, ed inoltre un certo numero di potenze positive di z'' , per ef-
fetto delle quali l'integrale vi avrà inoltre una singolarità polare.
Mancherà nell' integrale ogni singolarità allora soltanto quando l' in-
tegrando si annulli nel punto z= oo considerato almeno d'ordine r+ 1.
Riassumendo, vediamo che ogni integrale Abeliano ha sulla superficie
Riemanniana un numero finito di singolarità polari o logaritmiche. Que-
ste ultime mancano solo quando sono nulli tutti i residui della funzione
razionale integranda. Una prima classificazione degli integrali Abeliani,
corrispondente a queste proprietà generali, li divide in due categorie,
assegnando alla prima categoria quelli che non hanno alcuna singolarità
logaritmica, che hanno cioè soltanto singolarità polari, ed invece alla
seconda categoria, od anche alla terza specie, quelli che presentano sin-
golarità logaritmiche.
Un integrale di prima categoria nell' intorno di qualsiasi punto della
superficie Riemanniana è monodromo; ma sarebbe erroneo il conclu-
derne la monodromia sull'intera superficie Riemanniana. Tale conclusione
è legittima soltanto quando la superficie Riemanniana, come più avanti
diremo, è semplicemente connessa ossia di genere zero.
Gli integrali di prima categoria si distinguono poi in integrali di
prima specie e integrali di seconda specie. Diconsi di prima specie quelli
che non hanno singolarità alcuna, di seconda quelli che hanno qualche
singolarità (polare). Perchè un integrale
-/•
d^
sia di prima specie è necessario e sufficiente, per quanto sopra abbiamo
osservato, che siano soddisfatte le condizioni seguenti:
1.° La funzione razionale v deve avere i suoi poli soltanto nei punti
di diramazione e in ogni tale punto Vordine del polo non deve superare
Vordine del punto di diramazione.
2." In ogni punto alV infinito della superficie Riemanniana la v deve
diventare infinitesima e precisamente almeno delVordine r+ 1, se in quél
punto sono congiunti ciclicamente r fogli.
Osserviamo che se
Ji , J2 , . . Ji
sono altrettanti integrali di prima specie, anche qualunque loro combi-
238 CAPITOLO vili. — §§. 90, 91
nazione lineare a coefficienti costanti è un integrale di prima specie. Per
ogni superficie Riemanniana il numero degli integrali linearmente distinti
di prima specie è sempre un numero finito p. Questo numero dicesi il
genere della superficie Riemanniana ed lia la massima importanza nella
teorica generale di Riemann. Di altre definizioni del genere parleremo
più avanti.
Osserviamo in fine di quale natura sarà la polidromia di un integrale
Abeliano qualunque sulla superficie Riemanniana.
Poiché la derivata di un integrale Abeliano è una funzione mono-
droma (razionale), due diversi rami del medesimo integrale non possono
difi'erire che per una costante. Queste costanti, di cui aumenta un inte-
grale Abeliano per un giro chiuso sulla R, diconsi i suoi moduli di pe-
riodicità. Un integrale di prima categoria ha precisamente 2p moduli di
periodicità distinti, essendo p il genere. Per un integrale di seconda
categoria (o terza specie) vi si aggiungono altrettanti nuovi moduli di
periodicità quante sono le singolarità logaritmiche.
§. 91.
Caso iperellittico.
Per alcune delle proprietà considerate nei due §§. precedenti, come
per le condizioni d' esistenza di una funzione razionale sulla R con asse-
gnati elementi e per l'esistenza ed il numero degli integrali di prima
specie, abbiamo dovuto limitarci al semplice enunciato, né possiamo ad-
dentrarci in un tale studio generale. Vogliamo però in un caso partico-
lare semplice, nel caso iperellittico, confermare ed illustrare le proposi-
zioni enunciate. Prendiamo per ciò la superficie Riemanniana a due fogli
del §. 84 costruita per V equazione algebrica
dove P is) è un polinomio razionale intero in z di grado 2^ + 2 o 2^+1, e
cerchiamo di costruire una funzione razionale sulla superficie Rieman-
niana che diventi infinita in un solo punto di questa superficie. Per fis-
sare le idee, supponiamo che il grado del polinomio P(^) sia 2^;+2 talché
all'infinito non avremo diramazione, cioè i due fogli correranno isolati;
ma si vedrà poi subito che considerazioni afi'atto analoghe valgono per
l'altro caso. Distingueremo due punti sovrapposti sui due fogli per mezzo
ESEMPÌ NEL CASO IPERELLITTICO 239
dei valori uh = y' P {£) , W2 =^ — v P (^) che vi ha il radicale. Ogni fun-
zione razionale 's sulla superficie Rieraanniana ha, secondo il §. 89,
l'espressione :
_ A(^) + B(^)v/P^
dove A, B, C sono tre polinomii razionali interi di z, privi di un fattore
comune.
Ora osserviamo che se z^ è una radice di C (z), nell'uno 0 nell'altro
dei due punti sovrapposti della superficie Riemanniana
(v'PM.^o) . (-v'P(^,^o)
la nostra funzione z avrà necessariamente un polo. E infatti perchè ciò
non accadesse bisognerebbe che si a^^esse simultaneamente
( A(^o)+B(^o)vP(^oj = 0
(o) •
( A(^o)-B(^o)\/P(^o)=0;
ora ciò è assurdo se non è P (^0) = 0, perchè si avrebbe allora
A (^o) = 0 , B (^0) = 0
e i tre polinomii A(^), B (^), C(^), avrebbero un fattore comune. Se poi
P (^u) = 0, se cioè Zo è un punto di diramazione, i due punti considerati
coinciderebbero e coinciderebbero pure le due equazioni (6) nell'unica
A (^0) = 0. Ma, pure supposta questa soddisfatta, non cesserebbe di sus-
sistere la proprietà enunciata poiché, soppresso il fattore \/'z — z^ co-
mune al numeratore ed al denominatore della z, il numeratore non si
annullerebbe più per z = Zo e perciò z diventerebbe ivi in ogni caso
infinita.
Se vogliamo adunque che la funzione 9 diventi infinita in un solo
punto {iCo,z^), che supponiamo dapprima a distanza finita e distinto da
un punto di diramazione, dovrà manifestamente C {z) differire da una po-
tenza di z — Zo solo per un fattore costante, sicché potremo porre sen-
z' altro
c(.~) = c^-^or
e dovrà inoltre il numeratore annullarsi in {-Wo,z^) almeno dell'ordine
r, dopo di che la © avrà in (wo, ^0) un polo d'ordine r. Poiché inoltre
240 CAPITOLO Vili. — §, 91
la 'f deve serbarsi finita all' infinito sopra ambedue i fogli della superficie
Riemanniana, cioè nelle sue detei-rainazioni
lo stesso dovrà avvenire delle frazioni
A{z) B(0)v'P(^)
e per ciò, indicando con m, n i rispettivi gradi di A, B, dovremo avere
m<^r , M+J9+1 <^ r ,
quindi in ogni caso sarà
r > ^ -f~ 1
Abbiamo dunqne il risultato:
Se ima fimsione razionale 's sulla nostra superficie liiemanniana ha
un solo polo, distinto da un punto di diramazione, Vordine di questo polo
(cioè la vcdenza della funzione) non può essere inferiore a p+1.
Alla medesima conclusione si arriva se si suppone che l'unico polo
di 's sia all'infinito. Allora la 's ha manifestamente la forma
'f = A(^) + B(^)v/P(^),
la C essendo una costante, e se una delle determinazioni della 's all'infi-
nito si serba finita, l'altra vi diventa infinita almeno dell'ordine di v Pl-^)
cioè dell' ordine p + 1.
Possiamo dunque dire che fra le funzioni che diventano infinite in
un solo punto della superficie, distinto da un punto di diramazione,
mancano quelle degli ordini
1,2, 3,...p.
Esistono invece quelle di tutti gli altri ordini, poiché le condizioni
a ciò necessarie si traducono pei coefficienti dei polinomii A (z), B (z)
in equazioni lineari ed omogenee in numero inferiore al numero dei coef-
ficienti disponibili.
ESEMPÌ NEL CASO IPERELLITTICO 241
Vediamo ora facilmente che anche nel caso in cui Zo sia in un punto
di diramazione vi sono sempre p ordini mancanti; soltanto non sono più
gli ordini precedenti, ma invece i p ordini dispari
1,3, ò,...2p-l.
Che tutti gli ordini pari 2r siano in questo caso ordini di funzioni
effettivamente esistenti, con un solo polo in un punto di diramazione z = e,
si vede immediatamente considerando la funzione razionale
{z—ey
Ma se vogliamo costruire una funzione «p che diventi in ^ = «i infinita
d'ordine impari 2r-l, dovremo porre
^A(3)+E(^)VP(g)
colla condizione A(ei) = 0. Però, affinchè all'infinito la tp possa serbarsi
finita, dovremo avere come prima r^p + 1 e per ciò
2»"— 1 >2p+l ,
il che dimostra appunto che in tal caso gli ordini mancanti sono
1 , 3 , . . . 2p—l .
La circostanza qui ritrovata pel caso iperellittico si presenta affatto
generalmente per una qualunque superficie Kiemanniana e dà la defini-
zione del genere p secondo Weierstrass. Fra gli ordini delle funzioni ra-
zionali, che diventano infinite in un solo e medesimo punto della super-
ficie Riemanniana, vi è sempre un numero costante di lacune (onde il
nome di Luckematz di Weierstrass) e questo numero costante p è quello
che dicesi il genere della superficie '^L
Così adunque vediamo in particolare che il genere della superficie
Riemanniana corrisjìondente alla equazione algebrica
to' = V{z),
dove P {z) è un 'polinomio di grado 2p+2 o 2^ + 1 in z, è appunto =p.
W Per un punto generico della superficie gli ordini mancanti sono sempre
1,2,3, . . p. Solo per punti speciali della superficie (punti di Weierstrass) le p
lacune sono rappresentate da altri numeri.
16
242 CAPITOLO vili. — §.91
Abbiamo già notato al §. precedente un'altra definizione del genere,
come numero degli integrali di 1." specie linearmente indipendenti, e
vogliamo qui verificare la coincidenza delle due definizioni pel caso
iperellittico, costruendo l'espressione generale di un integrale di 1.^
specie. L'integrale iperellittico
-/
C{z)
sarà 1.^ di specie allora e allora soltanto che siano soddisfatte le con-
dizioni seguenti (§.90):
1° La funzione razionale y sotto il segno abbia i suoi poli solo nei
punti di diramazione, ed al massimo del L° ordine.
2° In ciascuno dei due punti all'infinito, la 'f si annulli del 2.° or-
dine almeno.
Per quanto si è visto sopra, C (-?) non potrà annullarsi che nei punti
di diramazione
Ci , 62 . . . c^pj^ì 5
e se in ^ = e, sì annulla effettivamente C {z) d'ordine r, la 'f vi avrà un
polo d'ordine 2 r se A (e,) ± 0, e d'ordine 2 r - 1 se A (e,) = 0.
Dunque avremo necessariamente r=l, A(e,) = 0; e poiché, per la
condizione imposta nei punti all'infinito, deve^,^ annullarsi almeno
del 2.° ordine per ^= x , ne concludiamo che sarà identicamente k{z) = 0
e quindi, essendo P(^') divisibile per C{z), avremo:
j_ rq [z] dz
J V'Pl^ '
dove Q (z) è un polinomio razionale intero in z, il cui gi*ado non supe-
rerà ^-1. L'espressione piiì generale di un integrale di L* specie è
adunque nel nostro caso
/a.
+aiZ+a2S^+..+ap_izP ^ ,
dz ;
V {z—ey) {z—e,) . . . {z — 62^+2)
('> Supponiamo anche qui, per fissare le idee, che P (2) sia d'ordine pari
2p-{-2 e non vi sia quindi diramazione all'infinito.
IL GENERE p SECONDO RIEMANN 243
come si vede, esso contiene linearmente p costanti arbitrarie «u, ai, .. a^_i,
componendosi coi p integrali
^ f dz _ l'zdz f z^dz rzv~^dz
J V/P(^) J \/P(^) J \/P(^) ^ V^P(^)
i quali sono evidentemente indipendenti.
§. 92.
Il genere p secondo Riemann.
Abbiamo già osservato due diverse definizioni del genere p, l'una
come numero delle lacune negli ordini delle funzioni razionali con un
unico polo in un punto fisso, l'altra come numero degli integrali distinti
di prima specie. Vi ha ancora una terza definizione del genere, che è la
prima in ordine storico, quella stabilita da Riemann e dipendente dal-
l'orc^me di connessione della superficie Riemanniana '^'. Noi non possiamo
qui esporre la teoria della connessione, ma ci limiteremo ad enunciarne
il concetto fondamentale e a far conoscere la formola Riemanniana colla
quale si calcola il genere p, conoscendo il numero dei fogli della su-
perficie R e la somma degli ordini dei suoi punti di diramazione.
Si perviene al concetto di ordine di connessione di una superficie nel
modo seguente. Consideriamo dapprima una superficie qualunque f^) do-
tata di contorno e che sia connessa, cioè tale che due punti qualunque
A, B di essa possano congiungersi con una linea tutta appartenente alla
superficie. Se lungo una linea semplice, priva di nodi, che vada da un
punto A del contorno ad un altro punto B del contorno, si taglia la su-
perficie, si dice che si è eseguito un taglio semplice (Querschnitt di Rie-
mann). Eseguito il taglio, i due orli di esso vengono ad aggiungersi al
primitivo contorno, della qual cosa è da tenersi conto nell' eseguire i
tagli successivi.
(•) È noto come il concetto di genere di un'equazione algebrica f{iv, z) = 0,
stabilito da Riemann, fu poi trasportato felicemente da Clebsch al campo geo-
metrico, nella teoria delle curve algebriche.
(2) Per la validità dei teoremi relativi alla connessione è necessario imporre
alle superfìcie che si considerano alcune condizioni restrittive, per le qiiali vedasi
Neumann : Theorie der Abel' schen Integrale. Siebentes Capitel.
244 CAPITOLO Vili. — §. 92
Diciamo semplicemente connessa- una superficie quando qualunque
taglio ne distrugga la connessione, ed invece 2^J urico) messa, nel caso con-
trario. Il grado, 0 l'ordine, di connessione si valuta nel modo seguente.
Supponiamo che N — 1 tagli semplici, successivamente eseguiti, non
tolgano la connessione ma rendano la superficie semplicemente connessa,
talché sia impossibile eseguire un N""" taglio senza rompere la connes-
sione. Si dimostra che questo numero N — le un invariante; cioè se
altri N' — 1 tagli, eseguiti sulla superficie primitiva, non ne rompono la
connessione, ma la rendono semplicemente connessa, si ha necessaria-
mente N' = N. Questo numero N dicesi l'ordine di connessione della su-
perficie, cioè: Una superficie connessa dotata di contorno, dicesi d'ordine
N di connessione, se si possono eseguire sulla superficie N — 1 tar/li sem-
plici, che non tolgono la connessione alla superfìcie, ma la rendono sem-
plicemente connessa.
In una superficie semplicemente connessa il contorno consta neces-
sariamente di una sola linea chiusa '^' e, poiché per ogni taglio semplice
il numero dei contorni di una superficie cresce o diminuisce di un'unità,
ne segue che se una superficie con n contorni si rende semplicemente
connessa con N — 1 tagli, si ha necessariamente
N — l^n^-l (mod 2)
ossia : L'ordine di connessione di una superfìcie connessa è pari o dispari,
secondo che il numero dei suoi contorni è pari o dispari.
Fino ad ora abbiamo supposto la superficie dotata di contorno. Se
essa è chiusa, si immagina di darle un contorno asportandone l' intorno
di un punto ; la piccola curva chiusa che delimitava l' intorno forma al-
lora il contorno (unico). L'ordine di connessione di questa superficie,
necessariamente dispari, dicesi anche l'ordine di connessione della su-
perficie chiusa. Indicandolo con 2p-\-\, il numero^ prende il nome di
genere della superficie, cioè: Una superficie chiusa connessa, d'ordine 2 p+l
di connessione, dicesi di genere p. Si vede subito che il genere di una
superficie chiusa non muta per deformazione continua (§. 83) della su-
perficie.
(') Si a^"^'erta che tale condizione necessaria per la connessione semplice è ben
lungi dall'essere sufficiente. Così p. e. la superficie di un anello (toro), alla quale
sia dato un contorno asportandone l' intorno di un punto, è triplamente connessa.
GENERE DI UNA SUPERFICIE RIEMANNIANA 245
Si può dimostrare d'altronde che esso è l'unico invariante, cioè: Fra
i punti di due superficie chiuse connesse del medesimo genere può sempre
stabilirsi una corrispondenza biunivoca e continua.
Si può anche, come osserva il Klein, definire direttamente il genere p
di una superficie chiusa, senza ridurla prima ad una superficie con contorno.
Per questo si immagini di tracciare sulla superficie una curva chiusa che
non intersechi sé medesima e lungo la linea si tagli la superficie ; un tale
taglio dicesi taglio rientrante (Riickerschnitt). Una superficie chiusa con-
nessa è semplicemente connessa o di genere zero, se qualunque taglio
rientrante ne distrugge la connessione. La definizione diretta del genere
p è allora la seguente : Il genere p di una superficie chiusa connessa è il
massimo numero di tagli rientranti, che possono farsi sidla superficie senza
romperne la connessione. A fondamento di questa definizione del genere
sta il teorema che tale numero massimo è un invariante, che cioè se
due diversi sistemi di tagli rientranti in rispettivo numero di p,p' non
tolgono, ciascuno per sé, la connessione ma ogni volta un ulteriore taglio
rientrante distruggerebbe la connessione, si ha necessariamente iì=p'.
Venendo ora al calcolo del genere p di una superficie Riemanniana,
dimostra Riemann che esso dipende unicamente dal numero m dei fogli
e dalla somma degli ordini
ri-1 , r.2-1 , . . . rn-l
dei rispettivi punti di diramazione, secondo la formola
(A) p=^ ^V^^ — m+1 '^'.
Così p. e. per la superficie Riemanniana a due fogli del caso iperel-
littico con 2p-\-2 punti di diramazione del 1.". ordine, la formola (A)
(*) Si osservi che la somma X (?'— 1) è sempre necessariamente pari, perchè
un giro attorno a tutti, i punti di diramazione produce la sostituzione identica;
e decomponendosi questa d' altronde nel prodotto delle singole sostituzioni cir-
colari d' ordini
ri , 7-2 .. . r„
attorno ai punti di diramazione, 1^ quali equivalgono rispettivamente a
r^ — 1 , ?'2 — 1 > • • >•« — 1
trasposizioni, il numero totale i) (''—1) di queste trasposizioni deve essere neces-
sariamente pari.
246 CAPITOLO Vili. — §. 92
fa subito riconoscere che il genere è =p, come già abbiamo constatato
al §-91, riferendoci alle altre definizioni del genere. Al medesimo risul-
tato si arriva riducendo la superficie con deformazione continua, secondo
il §. 85, alla sfera con p anelli ed osservando che se si eseguiscono p tagli
rientranti, uno per ciascuno anello, lungo p. e. un meridiano dell'anello,
la superficie rimane ancora connessa; ma ogni altro {p+l)'"" taglio rien-
trante rompe la connessione.
Insieme alla formola Riemanniana (A) pel calcolo del genere p, torna
spesse volte utile nelle applicazioni la così detta formola d' Eulero ge-
neralizzata, che serve a calcolare il genere p di una qualunque superficie
chiusa, sulla quale sia tracciata una rete poligonale, che ricopra V intera
superficie, e così formata che ciascun poligono della rete rappresenti
un'area semplicemente connessa.
Se si indica allora con F il numero delle facce, con V il numero dei
vertici e con C il numero delle costole della rete, si ha:
(B) F-i-Y— C = 2 — 2/),
essendo p il genere della superficie chiusa.
PARTE SECONDA
Teoria delle funzioni ellittiche
Capitolo IX.
Le funzioni fondamentali ■zu, pu di Weierstrass. — Le funzioni generali ellit-
tiche espresse per la 3 u. — Equazione differenziale per la pu : p'u = i p^U
§. 93.
Cenni storici.
Un problema di calcolo integrale ha dato origine alla teoria delle
funzioni ellittiche. Denoti f{x,y) una funzione razionale dei due argo-
menti .r, ?/ e si consideri V integrale (Abeliano)
(1) ff{x,y¥(xj)dx,
dove P (x) è un polinomio razionale intero in x. Se P (x) è di primo 0
secondo grado, con note sostituzioni si riporta questa quadratura a quella
di una funzione razionale di una variabile ausiliaria e V integrale stesso
si esprime per ordinarie funzioni, algebriche e logaritmiche. Ma appena
P {x) supera il secondo grado diventa, in generale, impossibile una si-
mile riduzione e la funzione di x che nasce dalF integrazione rappre-
senta una nuova trascendente, non riducibile alle trascendenti ordinarie.
Se in particolare il polinomio P (x) è di terzo 0 quarto grado, V integrale
(1) dicesi un integrale eUittico. Quando il polinomio è di grado superiore
al quarto, si hanno gli integrali iperellittici (§. 91). La denominazione di
integrale ellittico ha un'origine geometrica, perchè appunto per un in-
tegrale di questa specie si esprime la lunghezza di un arco d'ellisse.
250 CAPITOLO IX. — §. 93
Una fondamentale scoperta nella teoria degli integrali ellittici è do-
vuta ad Eulero, che trovò il così detto teorema d'addizione per gli in-
tegrali di 1.* specie, nel quale sono inclusi, come casi particolari, i
risultati già prima trovati da Fagnani sugli archi di lemniscata di Ber-
noulli.
Ma Legendre fu il primo che costruì sistematicamente la teoria, clas-
sificando e riducendo a tre specie essenziali distinte gli integrali ellittici.
Egli studiò le proprietà di queste nuove trascendenti, cui diede il nome
di funzioni ellittiche, oggidì riserbato ad altre specie di funzioni che
nascono, come ora diremo, da un problema d'inversione.
Le geniali ricerche di Abel e di Jacobi cangiarono totalmente l'aspetto
della teoria di Legendre ed arricchirono l'analisi di nuove ed importanti
conquiste.
Due sono le principali idee che guidarono Abel e Jacobi nelle loro
scoperte. L'una consiste nell'estendere la considerazione dei nuovi enti
analitici ai valori complessi delle variabili, l'altra nel sostituire allo studio
diretto degli integrali ellittici quello delle funzioni che nascono dall'in-
versione degli integrali stessi (di 1.* specie). S'intenderà facilmente
l'importanza del principio d' inversione, ove si consideri, con Jacobi, in
qual modo la teoria delle funzioni circolari, se già non fosse stata prima
nota, si sarebbe introdotta in un problema analogo di calcolo integrale.
Si consideri l'integrale
dx
y
^0 Jl
che porta alla funzione circolare inversa are sen x. Seguendo il metodo
di Legendre, dovremmo qui studiare la y come funzione della x. Ma ben
più semplici ed importanti sono, come sappiamo, le proprietà della fun-
sione inversa: a; = seny; é la ragione principale sta in ciò che mentre y
considerata come funzione della x è infinitiforme, la inversa x = sen y è
invece una funzione uniforme e periodica del suo argomento.
Analogamente si consideri l'integrale ellittico di 1.* specie della foima
normale di Legendre:
i
dx
\J{l—x'^{l—'k^x')
essendo h una costante (modulo), e in luogo di considerare y come fun-
CENNI STORICI 251
zione di x, si consideri il limite superiore x dell'integrale come funzione
del valore y dell'integrale stesso. Servendoci delle nozioni acquistate
nello studio generale delle funzioni di variabile complessa, possiamo
esprimere il risultato fondamentale di Abel Jacobi, dicendo che la fun-
zione X di y così definita è uniforme in tutto il piano y, con sole sin-
golarità polari, e, partecipando ad un tempo della natura delle funzioni
circolari ed esponenziali, possiede una doppia periodicità. È questa la
prima funzione ellittica di Jacobi, da lui indicata col simbolo
sen am y (seno amplitudine).
Della medesima natura sono le due altre funzioni ellittiche di Jacobi
cos am y = Vi - sen am"^ y (coseno amplitudine)
A am y = \l\-¥ sen am* y (delta amplitudine).
Oggi si indicano più brevemente queste tre funzioni coi simboli di
Gudermann
sn?/ , cn?/ , dn?/.
Sotto il nome generale di funzioni ellittiche si comprendono ora tutte
le funzioni uniformi, con sole singolarità polari, a distanza finita, dotate
di una doppia periodicità; le funzioni ottenute per inversione dell'inte-
grale ellittico di 1.^ specie ne offrono il primo esempio.
Un'altra idea di Jacobi, di cui si trova traccia anche nelle memorie
di Abel, è di capitale importanza per la teoria. Le funzioni ellittiche di
Jacobi
sny , eny , dny
essendo uniformi in tutto il piano, prive di singolarità essenziali, e di-
ventando infinite nei medesimi punti, possono esprimersi (ciò che risulta
per noi dal teorema di Weierstrass al Gap. VI §. 66) come quozienti di
trascendenti intere, il denominatore essendo nei tre casi il medesimo.
Queste trascendenti intere, senza essere doppiamente periodiche, offrono
però evidentemente una doppia periodicità rispetto alla distribuzione dei
loro infinitesimi. Esse sono le funzioni d- (theta) di Jacobi, che si riducono
in sostanza ad una sola trascendente, mediante la quale possono espri-
mersi tutte le funzioni che si incontrano nella teoria delle funzioni e
degli integrali ellittici.
252 CAPITOLO IX. — §§. 93, 94
Un perfezionamento notevole è stato portato alle teorie di Jacobi da
Weierstrass. Alle tre funzioni di Jacobi
sn^ , cny , dny
egli ha sostituito un'unica funzione ellittica, che per molti riguardi si
comporta più semplicemente. È questa la funzione indicata da Weier-
strass col simbolo
e per mezzo di questa e della sua derivata prima p'u si possono espri-
mere razionalmente, come si vedrà, tutte le funzioni ellittiche dell'argo-
mento u (coi medesimi periodi). Così pure alle funzioni 9- di Jacobi
Weierstrass ha sostituito un'unica trascendente intera, la funzione
ou,
che gode di proprietà analoghe alle t>, ma più semplici e simmetriche.
La funzione -su è appunto l'elemento col quale si possono esprimere tutte
le funzioni e gli integrali ellittici nella teoria di Weierstrass.
Noi ci occuperemo principalmente in questo corso delle funzioni di
Weierstrass ou, pu, senza trascurare lo studio delle funzioni di Jacobi
e particolarmente delle 8-, che oltre l'importanza storica offrono grande
interesse per l'eleganza dei loro sviluppi in serie a rapidissima conver-
genza. Comincieremo dal costruire la funzione elementare ou e da essa
dedurremo tutte le altre.
Questo modo di sviluppare la teoria, che procede in senso inverso
all' effettivo sviluppo storico, ha per noi il vantaggio di essere semplice
e rapido, senza esigere altre nozioni che quelle della teoria delle funzioni
monodrome.
§. 94.
Costruzione della funzione zu di Weierstrass.
Nella funzione sen ^ abbiamo l'esempio di una trascendente intera,
i cui infinitesimi sono distribuiti a regolari intervalli sopra una retta
(asse reale).
La trascendente intera
sen ,
.2(1)
COSTRUZIONE DELLA a^« 253
dove w è una costante complessa, ha similmente i suoi infinitesimi di-
stribuiti a regolari intervalli sulla retta che unisce Torigine al punto 2 to ;
essi sono infatti nei punti
00 = m . 2 co ,
percorrendo m tutti i valori interi positivi e negativi.
La trascendente intera
ou
di Weierstrass (dove ora indichiamo con u la variabile complessa argo-
mento) ha proprietà simili, ma i suoi infinitesimi hanno una ricorrenza
doppiamente periodica. Indichiamo con
due costanti fondamentali complesse 2 domandiamoci in primo luogo: È
possibile costruire una trascendente intera che divenga infinitesima del
primo ordine in tutti e soli i punti del piano dati dalla formola
dove m,n percorrono tutti gli interi positivi e negativi? Osserviamo che,
rispetto al gruppo hneare di sostituzioni paraboliche (Gap, II, §. 17):
(2) u' = u ~\- 1 nnà -\- 2 noi' ,
ì punti in questione formano un sistema completo di punti equivalenti
all' origine «o = 0- Le ricerche del citato §. ci portano subito ad escludere
il caso in cui il rapporto — sia reale. E infatti se — fosse reale com-
co co
mensurabile, i periodi 2oj, 2o/ sarebbero multipli di un medesimo pe-
riodo fondamentale 2 1^ e la trascendente domandata non potrebbe diffe-
rire dalla funzione elementare
che per un fattore esponenziale, caso per noi senza importanza. Se poi
— fosse reale ed incommensurabile, nell'intorno di ogni infinitesimo della
to
funzione da costruirsi si addenserebbero infiniti altri infinitesimi, ciò che
esclude la possibilità dell'esistenza per la funzione richiesta.
254 CAPITOLO IX. — §. 94
co
Il rapporto — deve dunque essere una costante complessa
co
co
co
03
e, siccome possiamo cangiare di segno Funo o T altro dei periodi, non
alteriamo la generalità supponendo al coefficiente ,3 dell' immaginario un
segno determinato. E noi facciamo la convenzione fondamentale per il
seguito : Il coefficiente dell' immaginario nel rapporto dei periodi t = —
deve essere positivo.
Questa convenzione induce una conseguenza, che importa subito no-
tare. Costruiamo la rete parallelogrammica (§. 17, pag. 52) relativa al
gruppo (2) di traslazioni situando un vertice in Uo = 0, sicché i quattro
vertici del parallelogrammo fondamentale saranno i punti
0 , 2co , 2co + 2co' , 2co'.
Il supporre R[r-]>0, '^* come abbiamo fatto, porta che percor-
rendo il contorno del parallelogrammo nel verso positivo si incontrino,
a partire dall'origine, i vertici nell'ordine sopra scritto (^>. La trascen-
dente intera da costruirsi deve avere i suoi infinitesimi, del primo or-
dine, nei vertici della nostra rete parallelogrammica e poiché le distanze
fra questi punti non scendono al di sotto del minimo fra i moduli delle
quattro quantità 2 co, 2 o/, 2 co +2 co', 2 co - 2 co', il teorema del Cap. VI, §. 69
ci fornisce subito la trascendente cercata nel doppio prodotto infinito
^^Wll ^ ] g2moj + 2«oj' ' 2 (2wuu-f2no>7
2mctì+2wa)'/
(*) Col simbolo R (Q) indichiamo la parte reale di una quantità complessa Q.
(2) Posto infatti cj = p e' , to' = p' e* , si ha
— = il j cos (6-6') + i sen (6-6') \
w fM ;
onde
sen (6—6') > 0 ,
ciò che dimostra che per un osservatore collocato in 0, che guardi nella direzione
da 0 a 2 cu, la direzione da 0 a 2oj' resta alla sinistra.
PROPRIETÀ DELLA Gli 255
esteso a tutti i valori interi positivi e negativi di m, n, V accento nel
prodotto infinito indicando che viene esclusa la combinazione m = 0, n = 0.
Questo prodotto infinito, in ogni campo finito, converge indipendente-
mente dall'ordine dei fattori ed in egual grado e rappresenta, senza
alcuna aggiunta di fattore esponenziale esterno e*^'"', appunto la funzione
ow di Weierstrass. Ponendo per brevità
tv = 2 m co -(- 2 n co' ,
notazione che conserveremo in seguito, abbiamo dunque per la a?/, la
prima espressione analitica
u . u^
(I) mi^uX{'(\-'^].e^''^^\
\
IV
Questa trascendente intera dipende, oltre che dairargomento n, anche
dalle costanti fondamentali 2 o), 2 co', rispetto alle quali è costruita, che
si dicono i periodi. Volendo porre in evidenza anche i periodi coi quali
la Oli è costruita, si scriverà con Weierstrass:
a {u I co, co') .
§. 95.
Proprietà fondamentali della -ju.
Una prima proprietà della o« si rileva subito dalla sua espressione
analitica (I): La ou è una funzione dispari, cioè si ha
(3) o( — u)== — ou.
E infatti dalla (I) si ha
u u^
a i—it) == — u n' (l + ii") e" ^ ''2^' , •
e poiché il prodotto infinito non cangia mutando m, n in -m, - n, cioè
IV in - IV, ne risulta subito la formola scritta.
Similmente dalla (I) vediamo subito che si ha
(3*) lim — = 1 ,
ossia o'0 = 1.
256 CAPITOLO IX. — §. 95
Ancora dalla espressione analitica risulta dimostrata una proprietà di
omogeneità della -:;, espressa dalla formola
(4) a (X M I X tó , ). oj') = >. a {n \ co , o/) ,
dove X indica un fattore costante arbitrario.
Troviamo un'altra proprietà importantissima della funzione ^u, pro-
ponendoci la questione seguente:
Tossono due funzioni
(3 (m I (0 , 0)') , 0 (m I lì , Q') ,
costruite con periodi diversi, coincidere?
Poiché gli infinitesimi della prima debbono essere anche infinitesimi
della seconda e viceversa, dovranno o), oj' esprimersi linearmente ed omo-
geneamente, con coefficienti interi, per fì, 9.' e inversamente 0, 9J per w, o/
in modo analogo.
Si dovrà dunque avere
L OJ = a 9. -f- ,3 p; ( p = yf 0) -f p' 0)'
( to'= Y P + 0 P' ( P'= v' tó + e' (o' ,
i coefficienti a, [3, 7. ò; a , (3', 7', ò' essendo interi. Se sostituiamo nelle prime
due formole i valori di P, P' dati dalle seconde, dobbiamo ottenere delle
identità, poiché ~ non è reale. Ne deduciamo
co
( aa' + ?/=l , a.'i' + ri5' = 0
onde
e pero
a p
T 8
aS — p7=+ 1 (^),
1,
L'incertezza del segno si toglie osservando che, per ipotesi, i coef-
ficienti dell'immaginario nei due rapporti
0/ P'
w ' P
W Ci. Gap. II, §. 17, pag. 52 nota.
PROPRIETÀ DELLA OU 257
legati dalla relazione lineare
debbono essere ambedue positivi, il che porta che si abbia
aò — [iv=+l.
Inversamente, se supponiamo
i (tì = e. lì + [3 0/
con a, [3, Y, 0 interi e aò-^-i = l, risolvendo avremo
( lì = 5 (0 — p co'
onde gli infinitesimi
f lì' = — Y (0 -j- a w' ,
tv = 2 m 0) -\- 2n co'
w= 2m9. ^ 2wlì'
delle due :; coincideranno, salvo Tordine, e le loro espressioni analitiche
(I), a causa della convergenza assoluta del prodotto infinito, coincide-
ranno altresì. Abbiamo dunque il teorema:
Condizione necessaria e sufficiente affinchè due funzioni a, costruite con
diversi periodi:
a {u\(à, oì) , a (m I lì , lì')
coincidano, è che i periodi siano legati da relazioni lineari, intere ed omo-
genee
f co = a 12 -h [3 lì'
; co'=vl2 + ol>;
a coefficienti interi a, [j, 7, oca determinante
7. 5 — |3y=+U
258 CAPITOLO IX. — §. 96
Le funzioni 'Cu e pu e la doppia periodicità di pu,pu.
Consideriamo la derivata logaritmica della a, funzione indicata da
Weierstrass col simbolo 'Ut, sicché
/K\ ^ ou
(5) Zu = — .
ou
L' espressione analitica della ^ u risulta immediatamente dalla (I) per
la au, derivando logaritmicamente, e si ha
(II) Cw = hZ 2 »
la serie del secondo membro essendo convergente in egual grado in ogni
campo finito, dal quale siano esclusi i punti
Uo = 2miù -|- 2noì ,
che sono per l,u i punti singolari, e precisamente poli del 1.° ordine col
residuo +1.
La funzione Cw è, come la ot<, tma funzione dispari:
C ( — u) = -Cm.
La funzione
di Weierstrass si definisce semplicemente come la derivata della C«<, can-
giata di segno:
/^x >/ cflogow
(6) pu=-Zu= ^^^.
La pu è evidentemente una funzione pari, cioè:
(7) p{—u)=pu.
(^' L' accento nella somma indica l' omissione del termine corrispondente a
m = 0,n = 0.
LA FUNZIONE pU ' 259
La sua espressione analitica si ottiene per derivazione (Gap. IV §. 47)
dalla (II); risulta così:
(III) pu = ^ + 2'
1
7f. { {u — 2 mitì — 2n(tìy {2moì + 2n u/f)
Una nuova derivazione ci dà
2 „ ^, 1
•u= -
2 ^"
u^ " ,rf. (M-2m(o-2ww'f '
che si può anche scrivere semplicemente
^^^ ^''' " " ^ 2 (^^Ts^^^^^riY^s .
attualmente con inclusione del termine corrispondente a m = 0, n = 0. La
convergenza delle serie (III), (IV) è assoluta ed in egual grado in ogni
campo finito, esclusi i punti
Wo = 2 m (0 -j 2 w 0)' ,
ove le ^M, p'u diventano rispettivamente infinite del 2.° e del 3.° ordine
coi termini d'infinito
1 -2
(w-2mw- 2mio')^ ' (t(-2ma) - 2 ww')^ *
Ma l'espressione (IV) della p'u pone in evidenza una proprietà di
capitale importanza, e cioè la sua doppia periodicità. Se cangiamo infatti
nella (IV) w in t< + 2 oj, o in « -(- 2 oV, i termini della serie non fanno
che cangiar di posto e si ha quindi
( p'(it+2 w) = p'u
(8)
( ^'(M + 2(tì') = p'u ,
e più in generale naturalmente
p' {u+2moì+2 n o/) = p'u ,
essendo tn, n interi qualunque. Anche la funzione pii è doppiamente pe-
riodica, coi periodi fondamentali 2 w, 2 o/, sebbene la cosa non riesca su-
260 CAPITOLO IX. — §§. 96, 97
bito evidente dallo sviluppo (ITI) in serie. Integrando le precedenti (8),
si ottiene infatti
(p (w+2 oj) — pu = e
$) (w+ 2 o/) — pu = c ,
con e, e costanti. Ma se in queste facciamo rispettivamente u = - w,
u= -là (osservando che po), pò/ non sono infinite ) otteniamo subito,
a causa della parità della pu:
c = 0 , c' = 0
e quindi
I p (m+2 oj) = pu
(9)
' p (M+2tó) = pet.
Ne concludiamo: La funzione pii e tutte le sue successive derivate
p'u , p"it , p"'u . . .
sono funzioni uniformi in tutto il piano complesso e sono doppiamente pe-
riodiche, coi periodi fondamentali 2 o), 2 w'.
I loro punti singolari si trovano unicamente nei punti Uq = 2moi + 2 W,
vertici della rete parallelogi'ammica, ove hanno dei poli. Si noti poi che
la pii e tutte le sue derivate d'ordine pari p"ii, p^^'u, . . . sono funzioni
pari, mentre le derivate d'ordine dispari p'u, p"'u, . . . sono tutte fun-
zioni dispari.
§. 97.
Effetto dell'aggiunta di periodi all'argomento di 3W.
Vediamo ora come si comporta la funzione a u, quando all'argomento
u si aggiunga 2w o 2w'. Dalle (9), integrando, si ha
o'0t+2co) o'u , ^
— = r 2 V]
0 {u+2 oì) ou
o' {u-\-2 (à) ou , ^ . ,
o(«+2 w') ~ ow '^ '
essendo •/], r/ due costanti d'integrazione.
AGGIUNTA DI PERIODI ALL'ARGOMENTO DI OM 261
Per determinarle si faccia nelle precedenti rispettivamente u = - co,
u= - co' e, rammentando che — = C ^« è una funzione dispari, si avrà
G U
subito
(11) yj = — ^C(o , -q = — 7 = Cw .
aco 0(0
Integrando nuovamente le (10) e passando dai logaritmi ai numeri,
deduciamo
( a(«+2(o) = Ce2^Wo«*
( a(M+2(o') = C'e2^'^oM,
con C,C' nuove costanti, che si determinano subito facendo in queste
ultime formolo rispettivamente u= -oì, u= -o/; si trovano così le
forinole
( o(m+2co)= -e2^(«+<'^).5M
(12)
( o{u+2o/)= -e2V(«+"^').oM.
Come si vede, aumentando l'argomento u della a di un periodo, la
funzione si riproduce, moltiplicata per un fattore esponenziale con espo-
nente di primo grado nella u ^^K
Le costanti 2 Tj, 2 r/ si dicono anche i periodi di seconda specie, per
distinguerli dai periodi 2 co, 2 co', che si dicono di prima specie. Fra i pe-
riodi di prima e seconda specie ha luogo l'importante relazione:
(V) vjo)'— ^'(0 = ^(^1,
che dimostriamo nel modo seguente.
Consideriamo nel piano complesso u il parallelogrammo A B C D, i
cui vertici sono nei punti
A= (CO + CO') , B^CO — co' , C^CO + Ctì' , D^ — (o + o/ .
'*' Che si dovesse riprodurre a meno di un fattore esponenziale, risultava
subito dall'osservare che 3 {u-\-2 m), 3 (w-|-2 o/) hanno i medesimi infinitesimi di au.
<*) Che debba essere r] (»' — tj' (d vm multiplo di -_' si riconosce anche subito
cosi. Nella prima delle (12) si cangi u in w-f-2a)'e nella seconda u in w-|-2od
e si paragonino i risultati, che debbono essere eguali.
262 CAPITOLO IX. — §. 97
'j u
Sul contorno e nel!' interno di esso la funzione C m = — - non ha al-
ou
cuna singolarità, salvo in u = 0, ove ha un polo del primo ordine col
residuo + 1 ; si ha quindi
2;ri = / t,u du ,
•'^ABCD
l'integrale essendo esteso al contorno nel senso positivo, che è appunto
il senso A B C D (Cf. §. 94). Possiamo scrivere in altro modo, riunendo
le parti dell'integrale estese ai tratti paralleli AB, CD; BC, DA, e cioè:
2zi= j |CM-C(w+2a)')| (?M+ \Cu-C{u+2(u)\du,
'^AB '^DA
onde, per le formole fondamentali (10) essendo
C(M+2a)) = CM+2yj , C (M+2a)') = Cw+2r/ ,
ricaviamo
2zi= - / 2ridii-\- j 2■^^du = 4:-qiù — 4r/co,
il che dimostra appunto la (V).
Ciò premesso, possiamo dalle (12) dedurre la formola generale che
dà l'effetto sulla ou dell'aggiunta di un qualsiasi periodo 2 »?.«> + 2 wo/
all'argomento u.
Dalla prima delle (12) si ha intanto, per qualunque m intero e po-
sitivo, cangiandovi ii in u + 2{m-l)(à
o{u + 2 m 03) = - e^ ^. ["+2 ("^-1) ''^+H. o {u+2 (m—ì) w) .
Cangiando in questa successivamente m in w- 1, m- 2, ... 2, 1 e
moltiplicando insieme tutte le formole, otteniamo:
(13) o (M+2m(o) = (_i)«* e2mYi(M+mco)^ ^^^^
Se in questa si cangia u in u- 2mo), si ottiene la formola stessa per
m negativo. Similmente avremo per qualunque n intero:
(14) 0 (M+2WI./) = (—1)^* e^nr;{u+no^')^ ^^^
PROPRIETÀ GENERALI DELLE FUNZIONI ELLITTICHE 263
Cangiamo nella (13) ?f in u+2tn<ì, sostituendo nel secondo membro
a G(Mi-2wto') il valore (14); troveremo
G{u+'2m(tì + 2n to') --= (— 1)"' +« e(2 "^ -1+2 « r/) (m+v/ì o.+ji (.V)+2 m n {ri o>—q oV)
ovvero per la (V):
(VI) o{h + 2 m 0) + 2 n co') =- (^_iyn-^n+mn ^ g(2mr,+2 «r/) («+mo)+noV)^ ^^^
È questa la formola generale richiesta.
§. 98 (^).
Proprietà generali delle funzioni ellittiche.
Nella pu e nelle sue derivate abbiamo riconosciuto delle funzioni
uniformi in tutto il piano, aventi a distanza finita soltanto singolarità
polari e dotate di due periodi indipendenti 2(o, 2o/. In generale, come
già si è detto al §. 93, si comprendono oggidì sotto il nome di funzioni
ellittiche tutte le funzioni doppiamente periodiche, con sole singolarità
polari a distanza finita. Se chiamiamo 2 co, 2 co' i periodi della funzione,
possiamo anche dire che le funzioni ellittiche rimangono invariate ese-
guendo sull'argomento tutte le sostituzioni lineari del gruppo parabolico
Il = M -]- 2 w co -f- 2 wco' .
Esse offrono, dopo le funzioni semplicemente periodiche, il più sem-
plice esempio di quella classe generale di funzioni uniformi nel loro
campo d' esistenza che si dicono autmnorfe (Fuchsiane-Kleiniane secondo
Poincaré) e che godono della proprietà di riprodursi, quando sul loro
argomento si eseguiscono le sostituzioni lineari di un gruppo fondamen-
tale. È chiaro che, nel campo d' esistenza della funzione, il gruppo deve
essere propriamente discontinuo (Gap. II §. 14). E, per restare al caso
nostro speciale, i due periodi 2 co, 2 co' di ogni funzione ellittica debbono
essere in rapporto complesso; altrimenti, se fossero indipendenti, nel-
r intorno di ogni punto del piano si addenserebbero infiniti punti equi-
tà» Le proprietà generali delle funzioni ellittiche, che si studiano nel presente §
e nel seguente, non sono che un caso particolare delle proprietà delle funzioni
razionali sopra una superficie Riemanuiana di cui abbiamo trattato al §. 89, e
corrispondono precisamente al caso ellittico p = l.
264 CAPITOLO IX. — §§. 98, 99
valenti, nei quali la funzione ellittica dovrebbe riprendere il medesimo
valore, ciò che è incompatibile coli' uniformità della funzione. Si osservi
ancora che le nostre ricerche sui gruppi di traslazioni (Gap. II §. 17)
ci assicurano che: non esistono funzioni uniformi con tre o più periodi
indipendenti.
Cominciamo lo studio delle proprietà generali delle funzioni ellittiche
colla dimostrazione del seguente teorema:
Ogni funzione ellittica deve ammettere dei pòli a distanza finita. In
caso contrario infatti, se consideriamo un parallelogrammo fondamentale
dei periodi, il cui primo vertice collochiamo in un punto arbitrario a del
piano, ivi il modulo della nostra funzione, che sarebbe una trascendente
intera, si manterrebbe inferiore ad un numero fisso K e lo stesso av-
verrebbe quindi, a causa della doppia periodicità, in qualunque campo
finito. Il teorema dimostrato al Gap. VI §. 59 ci assicura allora che la
funzione si ridurrebbe ad una costante.
Da questo teorema seguono due corollarii importanti, di continuo uso
nella teoria, e cioè:
1.° Se due funzioni ellittiche f{u), fi{u) coi medesimi periodi 2 co, 2o/
hanno i medesimi punti di infinito e di infinitesimo, coi medesimi ordini,
non possono differire che per un fattore costante.
E infatti il quoziente \r hA sarebbe ancora una funzione ellittica coi
fi (u)
periodi 2 co, 2o/ e non diventerebbe più infinito (né zero), onde sarebbe
una costante.
2.° Se due funzioni ellittiche f{u),fi(u), coi medesimi periodi, hanno
a comune i poli e i relativi termini cT infinito, Vima non puh differire dal-
l''altra che per una costante additiva.
E infatti la differenza /l (m) - f {u) sarebbe doppiamente periodica e
senza poli, e perciò una costante.
§. 99.
Ordine di una funzione ellittica e teorema d'Abel.
Sia f{u) una funzione ellittica coi periodi (2o), 2 co') e consideriamo un
parallelogrammo fondamentale A B C D dei periodi coi vertici nei punti
k^a , B^a+2(tì , C^a+2iù+2(ù' , J)^a+2(tì',
ORDINE DI UNA FUNZIONE ELLITTICA 265
essendo a un punto arbitrario del piano, scelto però in guisa che sul
contorno AB CD la f(;u) non divenga infinita, ciò che evidentemente è
sempre possibile, gli infiniti di f{u) in un campo finito essendo in nu-
mero finito. Allora la f(t() diventerà certamente infinita in qualche
punto interno del parallelogrammo e noi vogliamo dimostrare l'impor-
tante teorema:
La somma dei residui di una funzione ellittica nelV interno del paral-
lelogrammo dei periodi e nidla.
Questa somma è data infatti da
— / f{u) du ;
e se riuniamo nell'integrale le parti relative ai lati paralleli, ricordando
che f(ii + 2 0)) = /■(?<), f(u + 2(ù') = f{:i), vediamo subito che l'integi-ale
stesso è nullo (Cf. §.97).
Supponiamo ora di più che il parallelogrammo fondamentale dei pe-
riodi sia collocato in guisa da non contenere sul contorno nemmeno in-
finitesimi della f{u), come è lecito ammettere. Se applichiamo il teorema
■f' ( \
precedente alla derivata logaritmica Yr~\ ' ^^^^ ^ anch'essa manifesta-
mente una funzione ellittica, e ricordiamo che la somma dei residui
di ^TT^ è data da
indicando con No il numero degli infinitesimi e con N^ il numero degli
infiniti '^* della f{u) nel parallelogi'ammo, ne risulta
cioè il teorema: 0;yni funzione ellittica diventa nel parallelogrammo dei
periodi tante volte zero quante volte infinita. Possiamo intendere che questo
teo:-ema valga anche quando capitino infinitesimi o poli sul contorno,
punhè dei due infinitesimi o poli equivalenti sui lati se ne conti uno
solo Ed ora se osserviamo che, essendo e una costante qualunque, anche
f{u)~ e è una funzione ellittica, possiamo enunciare il teorema generale:
0 Ben' inteso, computando ciascun infinitesimo o infinito tante volte quante
unità sono nel suo ordine.
2G6 CAPITOLO IX. — §. 99
Una funzione ellittica prende n^l parallelogrammo dei periodi ogni
valore fissato ad arbitrio sempre lo stesso numero di volte.
Questo numero fisso, che dice quante volte una funzione ellittica ri-
prende in un parallelogrammo dei periodi ogni suo valore, si chiama
Vordine della funzione ellittica. Si vede subito che non esistono funzioni
ellittiche di primo ordine. Una tale funzione dovrebbe invero possedere
un solo polo del 1." ordine con residuo nullo, ciò che è assurdo. Dunque:
Le funzioni ellittiche di minimo ordine sono quelle di secondo ordine. Tale
è per esempio la funzione elementare di Weierstrass fiu.
Per una funzione ellittica f{u) d'ordine ti siano
i punti di infinitesimo, e
i poli nel parallelogrammo fondamentale dei periodi A B C D, che sup-
poniamo nuovamente non contenga sul contorno né punti a ne punti [j.
Fra le posizioni degli zeri a e degli infiniti ,3 passa una relazione, che
è un caso particolare di un celebre teorema d'Ahcl e che consiste nella
formola
(15) ^a. — 2 ? ^^ 2 m w 4- 2 7i co' {m, n interi) ,
0, come si suol scrivere anche più semplicemente:
2a=2?'(2^^>2co').
Per dimostrare la (15), si estenda al contorno AB CD del paralle-
logrammo r integrale
2^*./abCd/'(»)
du ,
il cui valore sarà la somma dei residui della funzione sotto il se^no,
cioè appunto Ì7. -I|3. D'altra parte, decomponendo l'integrale com< al
<*) Se vi sono infinitesimi o poli d'ordine superiore, intendiamo che altret-
tante a 0 altrettante 3 coincidono.
TEOREMA d'aBEL 267
97, abbiamo
' M ^-f-^ chi = --^ / u hr-i- — M+2 cu') '—7 — ^-7^ du
2^VARpn/"(^*) 2^Var( /"(^O /(tt+2w')
2 - ^4 B ^ (^) 2 ^ *-/A D ^(^)
Ora r integrale indefinito / ~r\ du è log f{u) e poiché in B, D la
J f W
f{u) ha lo stesso valore che in A, i due valori ottenuti in B, D per log f
lungo i cammini rettilinei A B, A D non possono ditferire da log fx che
per multipli interi di '2:1^, ciò che dimostra la (15).
§. 100.
Espressione di una funzione ellittica con infinitesimi
ed infiniti assegnati.
Procediamo ora alla effettiva costruzione delle più generali funzioni
ellittiche. Riferendoci ai teoremi dimostrati alla fine del §. 98, risolve-
remo successivamente i due problemi:
A) costruire una funzione ellittica, assegnati nel parallelogrammo fon-
damentale i suoi infinitesimi ed i suoi poli.
B) costruire una funzione ellittica, assegnati i suoi poli ed i suoi ter-
mini d'infinito.
Nel presente capitolo ci occupiamo del primo problema, esprimendo
la funzione ellittica cercata per mezzo della o. Siano nel parallelogrammo
fondamentale
ai , «2 , . . . Cf.n
gli infinitesimi, e
i poli della funzione ellittica cercata dove, al solito, se si avranno in-
finitesimi 0 poli d'ordine superiore al primo, altrettante a o fri dovranno
coincidere fra loro.
268 CAPITOLO IX. — §. 100
Pel teorema d'Abel, l'esistenza della funzione è subordinata al veri-
ficarsi della relazione
(15*) ^a — 2P = 2ro> + 2.Stó' (r, s interi) ;
ma ora dimostreremo che, soddisfatta questa condizione, esiste effetti-
vamente la funzione ellittica cercata f{u).
Consideriamo la funzione
, . o {u — y-i) o (u — «g) ... 0 ju—an)
^ ^ a(u -PO 0 {i(r-^,) ... a (ii—'^n) '
che è uniforme in tutto il piano ed ha a comune colla f{u) da costruirsi
gli infinitesimi ed i poli. La f(u) richiesta non può dunque differire dalla
(16) che per un fattore esponenziale
pG(«)
il cui esponente G (u) sia una trascendente intera. Avremo dunque :
fiu)
^G(„) '^ iu—y-i) n {U (Xg) . . . G {U an)
0 (u — pi) a (u — [ii) ... a {u — ^n)
e resterà da determinare, se sarà possibile, la G («) in guisa che il se-
condo membro ammetta i periodi 2 w, 2 w'. Servendoci delle formole fon-
damentali (12) §. 97, troviamo che G (ii) deve soddisfare le condizioni
seguenti
( G {u+2 co) — 2 rJ2 a — V ,3] = G {u) + 2k tc i
(17)
( G{u+2oi') — 2r[[y^ '•— 2i^] =G{u) + 2k'r.i,
dove h, h' debbono essere interi. Da queste derivando segue che la trascen-
dente intera G' {u) deve ammettere i periodi 2 w, 2 w', onde sarà una
costante (§.98) ed avremo
G(t<) = AM + B
con A, B costanti. Le (17) diventano
( A w — r. (2 r co + 2 s w') = Jczi
' Ad) — Tj (2rtó+2s(o) = « zi
ESPRESSIONE DI UNA FUNZIONE ELLITTICA PER LA aw 269
da cui
A (rjw' — -q oi) = {Ji'r^ — k-q) ni.
Ma, per la (V) pag. 261, è tjw' - yj'w = - e però
A = 2k''q — 2Jc'q.
Sostituendo nella prima delle (18), abbiamo
(2 k' Tj— 2 k-q) oi — -q (2 r w+2 siù')=kr.i
ovvero, poiché -/j'io = -^ w' - — :
2 (fc'— r) Y](o — 2 (k\s) 7] tó' = 0 ,
e similmente dalla seconda delle (18) : 2 {U - r)qiù — 2{k + s) -^V = 0.
Non potendo essere 'q = -q = 0, ne deduciamo
k' = r , k= -s ,
e però
A = 2r'q + 2s-q
e con questo valore di A le (18) sono effettivamente soddisfatte.
Per la funzione ellittica cercata f{u) avremo dunque l'espressione
analitica
(VI) f{u) = C .(2-^+2.r/) . ^^,^;f ^^;'|---"^^:"), ,
a {u—^i) 0 (tt— Pa) . . . o (zt— ,3„)
restando C costante arbitraria. Ne concludiamo: Dati ad arbitrio nel
parallelogrammo dei periodi gli infinitesimi a e gli infiniti [3 di una fun-
zione ellittica da determinarsi, purché sia soddisfatta la condizione
(15*) y^a — ^^ = 2riù+2s(ù' (r, 5 interi) ,
la funzione esiste ed è data, a meno di un fattore costante, dalla (VI).
Osserviamo che nella (VI) non importa che i punti a, .3 siano tutti
in un medesimo parallelogrammo, ma basta che le oc formino un sistema
ììompleto di infinitesimi non equivalenti e le (3 similmente un sistema
270 CAPITOLO IX. — §^. 100, 101
completo di poli della funzione. In particolare potremo alterare le a e
le |3 di periodi, in guisa che risulti
e allora la (VI) diventerà più semplicemente:
§. 101.
Funzioni doppiamente periodiche di 1% 2^ e 3* categoria.
Per mezzo della o si esprimono, come si è visto, tutte le funzioni
ellittiche, mediante la (VI) o (VI*). Ma insieme a queste funzioni, che
offrono una doppia periodicità assoluta, possiamo esprimere più general-
mente per la a tutte quelle funzioni uniformi, senza singolarità essenziali
tranne in u= ce , i cui infinitesimi ed infiniti sono distribuiti in modo
doppiamente periodico nel piano, senza die lo siano gli altri valori ' ^' .
Dati infatti ad arbitrio un sistema completo di infinitesimi
«1 , «2 , • . . a-/» ,
ed un sistema completo di poli
per la funzione cercata 'f (m), questa non potrà differire dal quoziente
o {u — ai) o {u — ag) ... e (m — a„)
a (?t— Pi) 0 (m — Pj) ... a {u — Pm)
che per un fattore esponenziale
nel quale la trascendente G(m) resterà affatto arbitraria, sicché
^^ ' O {u—%) ... 0 (W-Pm)
(*) La 3 stessa offre il più semplice esempio di una tale specie di funzioni.
FUNZIONI PERIODICHE DI P, 2* E 3/ CATEGORIA 271
Si avrà allora
^{u+2 (o) ^ ^Q ( j^_|_2 (u) _ G {u) + 2 -^ {n—m) m + 2 ■/]' {1 ^— I a) + (?i— m) z i
<P (w)
(p(^<+2(oO _ ^G(«+2o;) — G(m) + 2r/(n-7/i) ii + 2yj'(Sp-Va) -|- («-,») ^i _
? (m)
Possiamo determinare G (^0 in guisa che i fattori esponenziali, per
cui a3(«« + 2w), 'f (m+2o/) differiscono da ^{u), abbiano esponenti li-
neari in ti, come accade per la ou. Sarà perciò necessario e sufficiente
che G{u) sia un polinomio di 2." grado in u:
G (u) =au^ -\- bu -{- e ,
dopo di che per la funzione
(VII) . («) = ^'"+'>u+c <<»-«■)■■■ °(«-^.)
^ ^ ' ^ a (it — pi) ... a {il — [3„,)
risulterà :
( '^(^tf2co) = e^"+B.9(^0
( 9(M+2a)') = e^'"+^'-?(w),
dove si è posto <
A = 4aw+2-/](n — m) , A' = 4aco'+2Y/ (>^— m)
l B' = 4 aw'2 4- 2 6a)' + 2 '/]' (V [3— ^ a) + {n—ìn) tt i .
Si noti che fra le costanti A, A' ha luogo la relazione
(20) Aa>' — A'to = (w — m) Tri.
Diremo funzioni periodiche di 1.^ categoria quelle ^(u) date dalla
(VII), per le quali si possono determinare a, h in guisa che ne risulti
A = A' = B = B' = 0,
cioè in modo da avere una funzione ellittica. Per ciò è necessario e suf-
ficiente che si abbia insieme
(21) n = m , 2=^ = 2^-
272 CAPITOLO IX. — §§. 101, 102
Le funzioni periodiche di 1.'' categoria coincideranno dunque colle
ordinarie funzioni ellittiche, o ne differiranno soltanto per un fattore
esponenziale con esponente di 2.° grado.
Diremo periodiche di 2.* categoria quelle -f (u) per le quah possiamo
determinare a, b in guisa che risultino ancora
A = A' = 0 ,
ma non simultaneamente B = B' = 0. In tal caso delle due condizioni (21)
sarà soddisfatta solo la prima, e la funzione 'f (w) acquisterà fattori
costanti per aggiunta di periodi all'argomento.
Attribuiamo in fine alla terza categoria tutte le altre funzioni 9 (u),
per le quali adunque non è possibile determinare a, h in guisa da ren-
dere A = A' = 0. Per le funzioni di 3.* categoria sarà quindi n^m.
§. 102.
c(v-\-u)o(v-u) , . . . . ,
Forinola pu—pv = ^ — § ed equazione ai tre termini per la a.
Applichiamo subito i risultati generali del §. 100 alla ricerca di al-
cune formolo fondamentali. Sia v un punto fisso nel primo parallelo-
grammo dei periodi (0, 2a), 2a>+2(tì', 2o/) e si consideri la differenza
pu — pv.
Considerata come funzione di u, è questa una funzione ellittica di
2.° ordine con un unico infinito in u = 0 e col termine d'infinito -5.
ir
Essa avrà dunque due infinitesimi nel parallelogrammo, che sono evi-
dentemente nei punti
Uo = v , Uo = 2iù+2oì' — V (^);
questi infinitesimi saranno del 1.'' ordine salvo quando siano equivalenti,
W A causa di p {-v) = pv.
FORMOLA FONDAMENTALE pU - pV =
il che accade soltanto per
rs (v+u) g{v-u)
ou ov
273
•y = w , tó' , w+w' (^) .
La (VI*) ci dà quindi subito
pu — (f>v = C
?(MJ
essendo C una costante rispetto ad u, cioè una funzione di v.
Per determinare C basta moltiplicare per u^ e passare al limite per
u = 0, osservando che
lim u^ pu=\ , lini — = 1
«=o "=o W
e si trova C= -n^v. Abbiamo così la formola fondamentale:
a {u+v) a {v — u)
(Vili)
pu — pv =
o'-u a t?
Di qui possiamo dedurre un'altra formola importante per la a. Es-
sendo
a , 6 , e , d
quattro valori qualsiasi dell'argomento u, e posto
k = pa , B = ^6 , C = ^c , D = ^(? ,
si ha l'identità
(A— B) (C— D) + (A— C) (D— B) + (A— D) (B— C) = 0('),
(*) Che le differenze
pU p(à , pu — più , pu p(lÙ + 0)')
abbiano rispettivamente in u = w , to', co -\- w' un infinitesimo del 2." ordine
risulta anche da ciò che ivi si annulla p. Infatti, essendo p dispari, si ha p. e.
p' (2 (0 — u) = - p'u ,
indi p'w = - p'ià = 0 e così ^'w = 0, p' (w+co') = 0.
(2) Basta sviluppare il determinante identicamente nullo
A A A
B C D
111
A-B A— C A— D
B C D-
111
18
274 CAPITOLO IX. — §§. 102, 103
ossia
ipa—ph) {pc—(pd) + ipa—pc) pd—ph) + ipa—pd) {pb—pc) = 0 .
Se alle differenze pa - ph, pc - pd ecc. sostituiamo le loro espres-
sioni date dalla (Vili), e togliamo i denominatori, otteniamo la formola
domandata :
(IX) a(a— ò) C5 {a^h)^{c— (!)-.{€ ^d) + -.{a— e) 'z{a+c) -.{d—h) a((i+&) -[-
-h c! {a—d) n{a + d) z (h—c) n{h-\-c) = 0,
che si dice Vequa^ione ai tre termini per la o.
§. 103.
Equazione differenziale per la pu: p'^ = ^ p^~g-2 p -gz-
Un'altra formula importantissima otteniamo esprimendo la derivata
pu per la a. Si osservi che la p'u è una funzione ellittica di 3." ordine,
che diventa infinita neir origine come s ed infinitesima del 1.° or-
dine nei tre punti non equivalenti
(0 , ttì' , — (w + d/) '^> .
Per la (VI*) pag. 270 avremo dunque
, „ o {u — w) n (u — to') G (n+oi+to')
pu=L 3 .
Per determinare la costante C si moltiplichi per ii^ e si passi al
limite per ^* = 0; troviamo
C- 2
0 w c co a (lo+o) )
ìndi
n (u — (tì) a (u — (lì) a (w+w + to')
(X) p'n=-2
o w e co' a (oj + to') 0^
"' Si prende — ((»-}- o/) iu luogo di ii)-{-iu', perchè sia Xc( = 0 come Sp.
(Cf. §. 100).
EQUAZIONE DIFFERENZIALE PER LA g)U 275
Cangiando in questa u in -u e moltiplicando le due fonnole fra
loro, si ha:
,j a {(ù-iì) a (cd+m) o((o'-^t) a(ttì'-H<) a (oj+(tì'-?i) a (co+to'-Ut)
0 0) a w a co a w a (w+co ) c%
ossia per la (Vili)
(XI) p'Si = 4 {pu - ^co) (p«< - pDì) ipu - p ((O+O/) ) ,
formola che potremmo anche stabilire direttamente, osservando che le
due funzioni ellittiche dei due membri hanno a comune infinitesimi e
poli.
Da questa formola (XI) deriviamo importanti conseguenze, cercando
di determinare i coefficienti del polinomio di 3.° grado in pu del se-
condo membro. Possiamo a tale scopj servirci degli sviluppi di pu, p'u
nell'intorno deir origine w-0. La formola (III) pag. 259 ci dà per lo
sviluppo di pu neir intorno dell'origine
(22) fu = \^- X lr-^2 - -J
u ,tr„ {{ii—w) w)
(i<; = 2 m (jo + 2 w to') .
Secondo i teoremi sulle serie di funzioni analitiche (Gap. IV, §. 47, 48),
si può sviluppare la serie del secondo membro in una serie di potenze
di u nel modo seguente. Abbiamo
' =4 ri-"
{u—wf w^ \ w
e quando |f(|<;|w^l (per il che basta che \u\ sia minore della più pic-
cola delle quantità 2 j w . 2 ! w' ; 2 {co + to' ' 2 j co - w' | ), sviluppando colla
serie binomiale, abbiamo
1 — ] =2 (''+1) — .
;ndi
(u-wY IV- ~ ,sl ^'' ^ ^ i<^'+'
e sostituendo nella (22) :
1 , v'v" (»* + !)«*''
pu = -8 + 2' 2
r+2
276 CAPITOLO IX. — §. 103
Ordiniamo la serie tripla per le potenze di m, osservando che tutte
le somme doppie
per r dispari sono nulle '^'. Ponendo
<^3) '-liOM.+ìn.r*' (-1-2. 3..).
avj'erao per lo sviluppo domandato
(24) pu = -^ + 2 (2^1-1) Cr li'' ,
quindi
(24*) p'u =-\+2^r (2r+ 1) e, ii''-\
Ora, facendo uso con Weierstrass delle notazioni
(25) ei = p(à , e.2 = p (co + o/) , e^ = ^o/ ,
e ponendo
(26) ^1 = 4(61+62+63) , i/2 =- 4 (61 62+62 63+63 61) , ^73 = 4 6162 63,
potremo scrivere la (XI) cosi:
(p'\ = 4 ^^w — gì (p\i — Qi (pu — Oz .
Moltiplichiamo questa per u^ e sostituendo ad u^ p'it, u^ pu i loro svi-
luppi, dati dalla (24), (24*):
ti^ p'u = - 2 + 6 Ci m' + 20 62 tt^ + . . .
u^ pu = l -{- S Ci 21* -\- 5 c^u^ -{-... ,
avremo T identità: •
(— 2 4- 6 Ci u* + 20 C2 u'+. .)' = 4 (1 + 3 Ci u' -[- 5 62 11' + . .)^ —
- giu' {1 + 3 Ci u'+..)—g,u'il-]-3Ciu'-\-..) — g3u',
(') Ciò risulta anche dalla parità di pu.
ESPRESSIONI DEGLI INVARIANTI 0^,0^ 277
e paragonando da una parte e dall'altra i coefficienti di «t^ M^ ^t^ ot-
teniamo
gi = 0 , g^ = GO e, = 60 2'
^3=140C2=140 2'
1 (2wco + 2wa)')^ '
1
Di qui vediamo intanto che si ha
(27) e, + e» 4- ea = 0 ,
cioè
^to + ^0)' -|- ^ (w + ct/) = 0
e per ciò
( (/j = — 4 (ei 62+^2 63+63 eO = 2 (ei+e|+e|)
(38)
( ^3 = 4 Ci 62 C3 •
La relazione fra fp'u e ^?t resta dunque
(XII) ip'hf. = 4 phi—g2 pu —g^ .
§. 104.
Gli invarianti 5'2 ) 5';5 e gli sviluppi di pii,^u,^u nell'intorno dÌM = 0.
Le costanti g^.g^, che dipendono dai periodi 2o), 2co' nel modo tra-
scendente espresso dalle formole
'\i
(XIII)
5^3 = 140 2 (2wa) + 2wtóy '
diconsi gli invarianti della funzione pu. Una prima ragione di tale de-
nominazione la troviamo in questo che, comunque si cangino i periodi,
purché la pu rimanga la stessa, le costanti g^ , gz non cangiano. È evi-
dente infatti che, come per la a?* (§. 95), così per la pu, condizione ne-
278 CAPITOLO IX. — §. 104
cessarla e sufficiente perchè due pu costruite con diversi periodi
p{u\ (tì, o/) , ^(w|Q, Q')
coincidano, è die i loro periodi siano legati da una sostituzione lineare omo-
genea
( co = a o + p Q'
a coefficienti interi e determinante aÒ-,37 = l. In conseguenza i punti
(poli) 2moo + 2ww' coincidono, salvo l'ordine, cogli altri 2miì + 2nii'
e perciò, secondo le (XIII), i corrispondenti invarianti sono identici.
Osserviamo poi che dalla espressione analitica (22) della pu discende
immediatamente la formola di omogeneità
p {\u ! Xw, Xoj') = -^ p {u 0), o/) .
Si vedrà poi più tardi che la denominazione di invarianti, data a
fj2,g3, corrisponde anche ad una proprietà algebrica.
Ritorniamo ora allo sviluppo di pu nell'intorno di u = 0:
*>» = ^ + 1 (2'-+l) e, u- = l, + -^ „> + I „. + . .
per dimostrare l'importante teorema:
Tutti i coefficieìiti di qu£sta serie sono funzioni razionali intere, a coef-
ficienti razionali, degli invarianti g^, gz.
Per dimostrarlo osserviamo che, derivando la (XII), si ottiene
(29) p"u^^^phl — ^g,
e, se sostituiamo da una parte e dall' altra gli sviluppi di pu, p"u nel-
r intorno di u = 0, otterremo delle formole ricorrenti per i coefficienti, che
porranno in evidenza la proprietà enunciata.
Pongasi per brevità u^ = v e inoltre
ao=l , «1 = 0 , an = (2n-l) Cn-i (pernii);'
avremo
1 °^
pu = — y a„ y"
NATURA DEI COEFFICIENTI DELLO SVILUPPO DI pU 279
e quindi
W' ,^0
0 \r=0
p"u = -Y 2 (2n-2) (2w-3) «„?;".
Sostituendo nella (29) e paragonando da una parte e dall'altra i coef-
ficienti di v""^ (per m>>2), otteniamo
(2«— 2) {2n - 3) «n = 6 («o a'n + «i «„_i + • • + «»-i «i + «» «o)
ovvero, supposto n "> 3 :
,=«—2
(30) (W - 3) (2 WM ) «„ = 3 2 «'■ ^rt-r .
1=2
Da questa forinola ricon'ente a coefficienti interi potremo calcolare
successivamente
por funzioni razionali ed intere, a coefficienti razionali, di «2, «3, ossia di
92,93- Per i primi termini dello sviluppo si trova così:
(31) ^'^-,,2+20'' +28" +2\3.5^'' '2\5.7.1l'* +
^ 2M3 \ 7 ^ 2.3.5V ^2^3.5^7.lr ^•••
Risulta dal teorema dimostrato che due funzioni pu, le quali abbiano i
medesimi invarianti, coincidono, giacché coincidendo i loro sviluppi (31)
nell'intorno dell'origine, le due funzioni sono identiche. Siccome la ^m
resta individuata dagli invarianti (Jì, g-i, come dai periodi, si scriverà
^(«; 92, fh),
quando si vogliano porre in evidenza gli invarianti.
Con ciò però non è ancora dimostrato che agli invariontì gì-.g^ si
possano dare valori arhifrarii. Questa proprietà importante effettivamente
sussiste; ma nel nostro metodo di esposizione della teoria non lo po-
tremo dimostrare che più tardi (V. Gap. XI).
280 CAPITOLO IX. — §. 104
Dallo sviluppo (31) di pu facilmente si deduce integrando quello
di Cw:
^à^) U«- ^ 20 3 28 5 2\3.5'' 7 "^ ' ' ' '
i cui coefficienti sono evidentemente funzioni razionali intere, a coeffi-
cienti razionali, di
92 , 9z'
Osserviamo in fine che, anche per la trascendente intera zu, nello
sviluppo in serie
ou = u -\- au^ ■■{- hìc' -{- ciC + . . .
i coefficienti a,b,c... saranno della medesima natura. E infatti poiché
ou . Cw = cu ,
avremo
1 4- 3aM' + òbu* + 7cn^ + . . =
e paragonando dall'una parte e dall'altra i coefficienti delle medesime
potenze di «, ne risulta subito la proprietà enunciata. Si avrà in parti-
colare
™=«-2fo'*'-8ro»'+--
281
Capitolo X.
Decomposizione di una funzione ellittica in elementi semplici. — Teorema d' ad-
dizione per la Cw e la pu. — Le funzioni ellittiche espresse razionalmente
per pu, p II. — Moltiplicazione e divisione dell'argomento nella pu.
§. 105.
Costruzione di una funzione ellittica con poli e termini
d'infinito assegnati.
Ritornando alle funzioni generali ellittiche, occupiamoci ora di risol-
vere il secondo problema B) enunciato al §. 100: costruire una funzione
ellittica, di cui siano assegnati nel parallelogrammo dei periodi i poli ed
i termini d' infinito. Sia u = ^ uno qualunque dei poli assegnati e siano
(1) A + ,-A^+,-7A^+..+ ^^^
i relativi termini d'infinito. La somma dei residui
estesa a tutti i poli nel parallelogrammo, o ad un sistema completo qua-
lunque di poli, dovrà essere nulla (§. 99); viceversa, soddisfatta questa
condizione, esiste una corrispondente funzione ellittica, come ora dimo-
streremo costruendola effettivamente.
Per ciò coininciamo dall'osservare che le funzioni
O ti
Cm = — , pu , p'u , p"u . . . p'^'-^^u
GU
diventano infinite in u = 0 e nei punti equivalenti coi termini rispettivi
di infinito
1 i_ _ A hA
282 CAPITOLO X. — §. ] 05
L' espressione
(2) AoC(«-fi) + A, ^ («-?)- I A, p{a-'^ + —^ p" {u-'p) + . . .
diventa quindi infinita in ?i = ,3 precisamente coi termini d'infinito (1).
Se facciamo la somma delle espressioni (2), estesa ai punti [i nel pa-
rallelogrammo dei i)eri()di, ovvero ad un sistema completo di poli della
funzione ellittica cercata t'{n), ed osserviauio che la somma
ammette i periodi 2w, 2(o' a causa di
avremo subito
(I) f{u) = C -f 2 I Ao C (u - ;ì) ^- A, p [n - p; — '^ p' [a - .3) r-
essendo C una costante additiva arbitraria. 11 secondo membro è effet-
tivamente una funzione ellittica coi periodi 2 co, 2 to', coi poli e i termini
d'infinito assegnati. Dunque vediamo che: Di una funzione eìlittica f{u)
si possono assegnare ad arbitrio un sistema completo di poli e i loro ter-
mini d'infinito, purché sia nulla la somma dei rfsidui; eia funzione cer-
cata e data, a meno di una costante additiva, dalla (I).
§. 10().
Formole d'addizione degli argomenti nella '~u ^ nella pu.
Il secondo membro della formola (!) si può cangiare, come ci pro-
poniamo di dimostrare, in una funzione razionale di pn. pu. A que-
sto si arriva trasformando la (I) mediante le così dette formole d'addi-
zione degli argomenti.
FORMOLA d'addizione PER LA 'Cu 283
Cominciamo dallo stabilire la formola (Faddizione per la funzione Cu-
Perciò prendiamo la formola (§. 102):
a (u+v) a Ui-'v)
2 2
pv - pu
e derivandola logaritmicamente rapporto ad u otteniamo
C {u+v) 4- C (w - v) — 2 C w = ^^* ,
pn—pv
da cui, permutando u con v e sommando, abbiamo:
1 p'u - p'v
(II) C(«+v) = C«< -h C«^ +
2 ^?e - ^v
Questa esprime, come si vede, la C della somma di due argomenti
per la C, la p e la. p degli argomenti semplici e dicesi la formola d'addi-
zione per la C.
Deduciamo subito dalla (II) una conseguenza che importa notare. Fa-
cendovi
U z= Oì , V ^ M
e ricordando che p'co = 0 p'o/ = 0, ne risulta
C (CO + OJ') = e (0 -|- e w' = 7] + //
Più in generale se r, s sono due interi che non siano ambedue pari,
ne risulta
C {)'«)+ SO)) = rri+sr[ .
Ciò posto, supponiamo di cangiare i periodi fondamentali 2 co, 2 co' in
altri due fondamentali 2m, 2o/ colla sostituzione lineare (§. 95)
l w = a 0) -f- [3 co'
f co' = Y 03 -[ 0 oj' ,
con a, ,3, 7, 0 interi e co -,37= 1, e chiamiamo 2-^, 2-^ i nuovi periodi di
2.* specie. Siccome lìf nuova funzione C è eguale all'antica, pel mede-
284 CAPITOLO X. — §. 106
Simo valore dell'argomento, avremo
( r/ = C (to') = C (y to + ò o/) = V T, + ò fi.
Se ne conclude il teorema: Se i periodi di i." specie subiscono una
sostituzione lineare ( /' ^ ) « coefficienti interi e a determinante = \ , anche
i periodi di 2.^ specie subiscono la medesima sostituzione.
Ritorniamo alla formola generale (II) d'addizione per la C e derivia-
mola rapporto ad u; otteniamo:
/TTT\ , ■. \ d p'u - fp'v
III $> {u+v) = pu — ^ ^ ^^ ^ ,
2 du pu- pv
che è una prima forma del teorema d'addizione per la p.
Se eseguiamo nel secondo membro della (III) la derivazione, e so-
stituiamo a
p'u , p u
i loro rispettivi valori
4 phi - g.2 pu - fh . B p-u — -^9ì,
la poniamo sotto l'altra forma
2 {pu pv-\ g^) (pu + pv) — gz— p'u p'v
p{u^v) =
2{pu-pi-)'
mediante la quale esprimiamo p(u+v) razionalmente per pu. pu, pv, p'v.
Compendiando la formola precedente con quella che se ne ottiene can-
giando V in - u, possiamo scrivere
(IV) p (u + v) = ^ (P^^ P'^-\ 9i) (pii+H —93 + p'u p'v
" 2 ipu - pvf
Notiamo altre forme semplici ed utili del teorema d'addizione per
la p. Dalla (III) si ha
^ /,, , ^A _ ^,. _ ^P'u—^g, 1 p"u-p'upv
FORMOLE d'addizione PER LA pU 285
Permutando in questa u con v, sommando e dividendo per 2, abbiamo
la forinola equivalente
(V) p {h+v) = ] f ^-^-^ ) _ pu - pv
^ ^ ^ 4 \ pu - pv '
e perciò anche
, , 1 fp'u + p'vV
p(u-v) = '- ! — pu - pv ,
^^ ^ 4 \pu-pvj ^ ^
da cui
(VI) ^(„+„)_p(„-.)=-^^^,.
Meritano speciale menzione quei casi particolari del teorema d'ad-
dizione in cui l'argomento v è un semiperiodo co, co' ovvero co+c./, perchè
allora il secondo membro si esprime per una funzione lineare della sola
pu. Se facciamo p. es. nella (V) w = co, otteniamo
, , X ,1 ^'^«* , , . , ipu-ei)ipu~e3)
p [u+oi) = - pu _ Ci -f — --^ ^ = - ipu + ei) H ^ .
4 (pu-e^y '^ pu-ei
Ora si ha, eseguendo la divisione:
{pu - e,) {pu - e,) _ ^^ _ ^^ _ ^^ ^ fa - e,) {e, ~ e.)
pu — ei pu- ei
,161-62) (61-63)
e quindi:
. , X ,. (61-62) (61-63)
p (m + Co) = 6i + ' .
^ ^ ^ pu-ei
Con un calcolo analogo per v = co+co', v = u)\ otteniamo le formole
280 CAPITOLO X. — §§. 106, 107
richieste
pU-Ci
(62
-63] {€2-
-eù
pU-Ci
(63-
-Ci) («3-
■e,)
(MI) / p (et+to+o/) = «2-1-
§. 107.
Espressione di ogni funzione ellittica in funzione razionale di pu, p'u.
Trovate nel §. precedente le formole d'addizione per la pii, facilmente
ne deduciamo quelle per le successive derivate, osservando che si ha
p'hi = 4 phi — ^2 p^t' — 9ì
ip'u =(ip^u — - g^
p"'u = 12 pup'H
p^'u = 12 ( IO phi — — gz pu — gA
e in generale che ogni derivata d' ordine pari è un polinomio razionale
intero in pu, mentre ogni derivata d' ordine impari è il prodotto di p'u
W Queste formole si possono anche stabilire direttamente così. Le funzioni
ellittiche
p (/<+w) - ^CO , p (i<+Oi+tti'j - p ((O+ttì'l , p (««+0)') - p'JÙ
hanno rispettivamente per infinitesimi ed infiniti gli infiniti ed infinitesimi
delle differenze
pu - poy , pn- p (coW) , pu - più' ,
dalle cui inverse differiscono quindi solo per fattori costanti. Questi si deter-
minano subito facendo successivamente, nelle tre formole
ESPRESSIONE RAZIONALE DI OGNI FUNZIONE ELLITTICA PER pu, p'u 287
per un tale polinomio '^'. Ne segue che in generale
si esprime razionalmente per
pu . pv , p'u , p'v.
Ciò posto, riprendiamo la formola generale (I) §. 195, che dà la de-
composizione di una qualsiasi funzione ellittica f{u) in elementi semplici
e modifichiamo il secondo membro, servendoci del teorema d'addizione.
Abbiamo in primo luogo
2 pn-p;'j
onde, a causa di 1 A^ = 0
C4Va.C(„-?,-^C'+1n;a.^.
La (1) può quindi scriversi anche così
(Vili, ^(„) = C'+Ì2A.t^ +
Però è da osservarsi che se uno dei poli della f{u) fosse in (3 = 0,
il corrispondente termine nella prima somma del secondo membro deve
essere tralasciato. Se nessun polo di f{u) è in u = 0, il termine appa-
rente d'infinito in u = 0 nella (Vili) sparisce in effetto, a causa di I Aq = 0.
Ora è evidente che nella (Vili) possiamo, colle formolo d'addizione,
cangiare anche gli altri termini della somma in altrettante funzioni ra-
zionali di pu, p'u. Perveniamo così all'importante teorema:
(^' Supposto infatti verificata la legge fino alle derivate
facilmente si vede che vale per le successive
288 CAPITOLO X. — §. 107
Qualunque funzione ellittica coi periodi 2 co, 2o/ è esprimibile razio-
nalmente per la pu, p'u costruite coi medesimi periodi.
La funzione pu e la sua derivata p'n sono dunque le funzioni ele-
mentari ellittiche, colle quali si possono comporre razionalmente tutte
le altre.
Osserviamo poi che, siccome il quadrato di p' è esprimibile razio-
nalmente per la p, potremo porre ogni funzione ellittica f{u) sotto la
forma
f{u) = k ipu) -f pu B ipu) ,
essendo A, B funzioni razionali di pu. Così ogni funzione ellittica f(u)
risulta decomposta in due parti l'una pari, l'altra dispari. Mancherà la
seconda parte se f{u) è pari, la prima se f{u) è dispari.
Segue inoltre che: per ogni funzione ellittica f'{ti) si avrà un teorema
d'addizione e cioè fra
fin) , f{v) , f{u+v)
sussisterà, qualunque siano gli argomenti u, v una relazione algebrica
(3) G{fkii) , f{v) , f{u+v)) = 0,
dove G è un polinomio razionale intero nei suoi tre argoìnenti.
E infatti, se dalle formole
f{u) = A {pu) -\~ pu B {pu)
f{v) = A {pv) + p'v B {pv)
fiw^v) = k{p{u+v)) -f- p' {u-yo) là{p{uM))) ,
mediante le formole d'addizione e le formole
p^u = 4 phi — g^ pu — ^3
p'-'o = 4 p^'v —g^pv—gz,
eliminiamo pu, pu, pv, pv, otterremo appunto fra f{u), f{v), f{u+v)
una relazione della forma (3).
Se consideriamo due funzioni ellittiche f (ti) /i (m) coi medesimi pe-
riodi, avremo
f {u) = A ipu) -f p'u B {pu)
fi [u) = Al (pu) + p'u Bi (pu)
SECONDO MODO DI STABILIRE LE FORMOLE d'aDDIZIONE 289
e fra queste due e la
p'^i = 4 phi — g^^u — gs,
eliminando pti, p'ii, ne segue una relazione algebrica fra f{u), fi{u).
Abbiamo dunque il teorema: Due funzioni ellittkhe coi medesimi periodi
sono sempre legate da un'equazione algebrica.
§. 108.
Nuovo modo di stabilire i risultati dei due §§. precedenti.
I risultati stabiliti nei due §§. precedenti sono d'importanza così
fondamentale per la teoria delle funzioni ellittiche che sarà bene darne
una seconda dimostrazione. Comincia^no per ciò dallo stabilire in altro
modo semplicissimo la formola (V) d'addizione, della quale tutte le altre
sono conseguenze.
Indichiamo con Ux, «2 due valori fissi dell'argomento, che non siano
però multipli di periodi, né congrui fra loro, e supponiamo di più che
non sia
Ui-\- u.2^0 .
II determinante
M«0 =
è una funzione ellittica del 3.° ordine con un polo del 3." ordine in m=0
ed avrà quindi tre infinitesimi non equivalenti, due dei quali sono evi-
dentemente in u=Ui, u = U2 e il terzo Uq sarà quindi in
Uo^—ith+Uz)-
Avremo dunque l'identità
1 ^ (Ui+U.^ - p' [Ui-Hli)
1 pUi p'ui = 0 ,
1 pUs p'Ui
1
pu
pu
1
fplh
(p'ui
1
pUi
&'1h
19
290 CAPITOLO X. — §. 108
formola che contiene appunto l'indicato teorema d'addizione. Svilup-
pando abbiamo
fiUi p'ut — ipUi p'ux -f fp {ui-Hii) ip'ui-p'ih) = fp {ui+Ui) [tpih-pux)
ed elevando al quadrato col porre p (wi + ii^ = x, otterremo
(4) (4 a^~gi x~g^) {pUi-pihf— \ {p'ih-p'uò ^ + P^h p^h-pih p'ih P = 0 .
Le radici di questa equazione del 3." grado sono, oltre x = p{ui-\- u^),
le x = piii, x = pu.2, giacché il determinante 'l (ii) si annulla per u = Ui,
ti = u^. Il primo membro della (4) sarà dunque identicamente eguale al
prodotto
4 {pui—pKiY {x—p {i(i'Hiì)) {x—pih) (x—pUi)
e, se paragoniamo i coefficienti di x^ , troviamo precisamente la for-
mola (V)
p (Ui-Hli) + plh -\- pU.2 —
4 V (pUi — P^
Dimostriamo ora nuovamente il teorema che: Ogni funzione ellittica
coi xìeriodi 2a), 2w' è una funzione razionale di pu, pu.
Per questo cominciamo dall'osservare che dalla formola fondamentale
(I) pag. 282 risulta subito il teorema: Ogni funzione ellittica d'ordine n,
che diventa infinita solo nell'origine (e nei punti equivalenti), è una fun-
zione lineare intera di
pu , pu , p"u . . . ^<"~^'m
e quindi esprimibile sotto la forma
f{u) = a{pu) -}- p'u^ipu),
dove 7, (3 sono polinomii razionali interi in pu.
Ora è ben facile vedere che qualsiasi funzione ellittica ò {u) è sem-
pre il quoziente di due tali funzioni speciali fi (u), f {u).
Siano infatti «i , «2 . . . a^ gli infinitesimi (non equivalenti) di à (u) e
òi, 62 ... &„ i poli; avremo la^^lh. Supposto dapprima che sia Ih^O,
potremo costruire una funzione ellittica d'ordine w, sia /"(«*), che diventi in-
finitesima in 1)1,02. . hn ed infinita (d'ordine n) nell'origine, onde il pro-
dotto f{u) . '^u) diventerà infinito solo nei vertici della rete e sarà per-
FUNZIONI UNIFORMI CHE AMMETTONO UN TEOREMA d'aDDIZIONE 291
ciò una funzione fi (u) della specie voluta, e. d. d. Se poi S & ^ 0,
prendasi &«-,.i^^ — 16 e si costruisca la f(u) d'ordine n-\-l cogli infini-
tesimi hi,hi. .hn, hn+i e un infinito d'ordine w + 1 nell'origine e si pro-
ceda come sopra.
§. 109.
Funzioni uniformi che ammettono un teorema d'addizione.
Le funzioni ellittiche sono, come abbiamo dimostrato, funzioni uni-
formi che ammettono un teorema d'addizione.
Queste proprietà caratterizzano perfettamente le funzioni ellittiche e
due altre classi di funzioni, che possono del resto riguardarsi come casi
limiti delle ellittiche. Sussiste infatti il seguente teorema, dovuto a Weier-
strass :
Se una funzione f{u), uniforme in tutto il piano complesso, possiede
un teorema d'addizione, in guisa che, essendo u, v due valori qualunque
dell'argomento, fra f{u), f{v), f{u+v) abbia luogo l'equazione algebrica
{a) G(fiu), f{v), f{u+v)) = 0,
la f{u) potrà presentare i tre casi seguenti: 1." la f{u) è ima funzione
razionale di u, 2.'^ la f{u) è una funzione razionale dell'esponenziale e'"'
(a costante), 8." f{u) è una funzione ellittica e quindi razionale nelle due
funzioni elementari pu, ^'u < ^' .
Questo importante teorema è per Weierstrass il punto di partenza
per la sua trattazione della teoria delle funzioni ellittiche (Cf. Lezioni
manoscritte).
Dimostreremo il teorema enunciato seguendo il metodo di Phragmèn
(1. e. in nota). In primo luogo se la f{u), uniforme in tutto il piano com-
plesso, non ha alcuna singolarità essenziale sarà una funzione razionale
di u (Gap. VI §.61). Che inversamente ogni funzione razionale di u pos-
segga un teorema d'addizione è subito evidente.
Abbia ora la /"(«) almeno una singolarità essenziale; dimostreremo
allora in primo luogo che la f {u) dovrà essere almeno una volta perio-
(** Per le generali funzioni analitiche sussiste un teorema analogo, sosti-
tuendo alla qualifica di funzione l'azionale quella di funzione algebrica (vedi
la dimostrazione di Phragmèn. Ada Mathematica, Bd. 7, pag. 33).
292 CAPITOLO X. — §. 109
dica e per ciò partiremo dal fatto che, essendo N un numero intero
grande quanto si voglia, vi sarà qualche valore che la f{u) riprenderà
N volte 0 più. Utilizzando un teorema di Picard, enunciato al Gap. VI
§. 60, la cosa riesce di immediata evidenza; ma possiamo facilmente di-
mostrare il nostro lemma riferendoci soltanto ai risultati di Weierstrass,
relativi alle singolarità essenziali, dimostrati al citato §. 60. Sia h un
valore preso da f{u) un certo numero m di volte in m punti regolari
Se consideriamo m intorni sufficientemente piccoli di Ui, ii-i, . . . Um ,
sappiamo che f{u) prenderà in questi intorni tutti i valori sufficiente-
mente prossimi a b.
D'altronde, in vicinanza di una singolarità essenziale, la f{u) prende
dei valori prossimi a b più di qualunque quantità assegnabile. Se ne con-
clude che esisterà qualche valore e prossimo a 6, che f{u) riprenderà
almeno ni + 1 volte, e cioè una volta nell'intorno di ciascun punto
Ui,U2 . . . Um ed una volta nell' intorno della singolarità essenziale. Par-
tendo ora da e troveremo almeno un valore d, che f {u) dovrà ripren-
dere almeno w+2 volte e così di seguito.
Ciò premesso, supponiamo che, nella supposta formola d'addizione
ia) G(fu), fiv), /■(n-H;)) = 0,
la funzione razionale intera G sia di grado m in f{u+v) e sia b un
valore che f (u) riprenda almeno m+ l volte nei punti distinti
Vi , V2...V„+i.
L'equazione
G{f{u) ,b,x) = 0
ammetterà le m + 1 radici in x
f{m^i) , fiti+Vz) . . . f{^l-^m+l)
e fra queste ve ne saranno quindi almeno due eguali, p. e. sarà con qua-
lunque u:
fiu-H;i)=f{uH;i) ,
od anche
f{UrWi-V2)=fiu),
FUNZIONI UNIFORMI CON UN TEOREMA d' ADDIZIONE 293
ossia, posto Vi — v2 = 2ìù:
/'(M+2tó) =f{u).
Dunque intanto: la f{u) è almeno una volta periodica. Supponiamo
dapprima che sia semplicemente periodica e sia 2w il periodo di mo-
dulo minimo, del quale adunque tutti gli altri saranno multipli. Se po-
niamo
e consideriamo f{u) come funzione di s
sarà 9 {z) funzione uniforme di z, poiché, per ogni cammino chiuso de-
scritto da z^
w = -T log 0
aumenta di un multiplo di 2 w ed /" («) si riproduce. Ora se 9 {z) non ha,
rispetto a z, alcuna singolarità essenziale sarà una funzione razionale di
z, diciamo R {z), quindi
/•(w) = rU'^;.
Che viceversa ogni funzione razionale dell'esponenziale possegga un
teorema d'addizione è subito evidente.
Se poi 'f (z) possiede qualche singolarità essenziale, dovrà, per quanto
si è visto sopra, riprendere il medesimo valore per m + 1 valori distinti
di ^ e quindi per m + 1 valori di u incongrui rispetto al periodo 2 w.
La f{u) ammetterà dunque un secondo periodo distinto.
Resta in fine che consideriamo il caso in cui la f{u) possegga due
periodi distinti 2 co, 2 w' (in rapporto necessariamente complesso ) e pos-
siamo supporre 2 w, 2w' già scelti in guisa che ogni altro periodo, non
indipendente da questi, sia un loro aggregato lineare omogeneo a coef-
ficienti interi. Se proviamo che f {ti) non può avere singolarità essenziali
a distanza finita, sarà provato che è una funzione ellittica, quindi razio-
nale in pu, p'u. Ora, se vi fosse nel parallelogrammo (2w, 2 0)') una
singolarità essenziale, dalla formola supposta d'addizione seguirebbe,
294 CAPITOLO X. — §§. 109, 110
come sopra, che per due certi punti Vi, v^ situati nel parallelogrammo
dei periodi (2w, 2o/) si avrebbe per qualunque valore dell'argomento 2<
e però Vi — i^ sarebbe un nuovo periodo, indipendente da 2o), 2o/, ciò
che è impossibile (§. 98). Così l'enunciato teorema di ^Yeierstrass è
completamente dimostrato.
§. 110.
Forinole di moltiplicazione dell'argomento per la pu.
Passiamo ora a studiare le formole di molUplicasione dell'argomento
per la pu. Essendo n un numero intero qualunque, la funzione p{nu)
è evidentemente una funzione ellittica coi periodi 2 co, 2 co' ed è una fun-
zione pari, come la pti, onde avremo (§. 95): La p{nu), per qualunque
valore del numero intero n, è una funzione razionale di pu. Si tratta ora
di studiare pili da vicino la composizione di questa funzione razionale
F {pu). Ricorriamo per ciò alle formole di addizione (§. 106) e dalla (IV)
deduciamo
2 {pu pv—\ g^) (pu+pv) —Qz
p {uW) + p (u-v) =
{pu - pvf
Se cangiamo in questa u in (m — 1) u e v m u, otteniamo la formola
ricorrente :
rK\ w ^l ^/^,1^«^ ^[piii^-'^)^) P^—Ì92](p{n-l)u-\- pii)—g,
(5) p {nu) 4- p{(n-l)u) = 7 — ; — ir z^— — ,
\ j ir\ j i orw } I {p{n-l)u — puf
mediante la quale, facendovi successivamente
w = 3 , 4 , 5 , ,
si calcoleranno successivamente
p{Sii) , p{4:u) , p{òu)...
in funzione razionale di pu, p{2u). Se poi nella formola (V) pag. 285:
, . 1 /pu-pvY
p (w+v) = — - — ^— — pu-pv ,
4 \ pu-pv J
FORMOLE DI MOLTIPLICAZIONE DELL'ARGOMENTO PER LA $>U 295
poniamo u = v, osservando che, al limite per u = v,
pu—p'v
diventa
otteniamo
fili — fiv
fp'u p'u
È utile dare a questa formola l'altra forma
(6) p (.2«)-pu = -3p'» + fgaP'» + 3i>3f» + TVgl .
Dalle (5), (6) risulta che: nella funzione razionale F{pu) = p{nu) il
numeratore ed il denominatore sono polinomii a coefficienti interi nelle
quantità gz, -~ g^.
§. 111.
a {nu)
La funzione ^n (m) =
o"m
Il calcolo successivo di ^(2?«), ^(3m), p{^u) . . . dalla formola ricor-
rente (5) riuscirebbe molto complicato. Si ottiene una notevole sempli-
ficazione del processo introducendo una funzione ellittica ausiliaria ']^n(w))
che definiamo ponendo:
(6*) ^»(») = ^.
Le formolo fondamentali perla ^^< (§. 97) dimostrano subito che la
^n (w) è effettivamente una funzione ellittica coi periodi 2 co, 2 0)'. Essa
diventa infinita d' ordine n^ — 1 in «= 0 ; i suoi n' — 1 infinitesimi nel
parallelogrammo dei periodi sono nei punti
2ra) + 2sw'
296 CAPITOLO X. — §.111
dove r, s percorrono tutti i valori 0, 1, 2 . . ; w — 1, esclusa la combina-
zione {r, s) = (0, 0). Ne segue che, se si considera il prodotto
„, / /2rto + 2s(o'
^A^^^'^l n
ove r, s percorrono gli indicati valori, questa funzione avrà a comune
con 4*^ (u) periodi, infiniti ed infinitesimi e sarà quindi
(7) ^;(„) = cii;(p«-^(?r^:^)
Ora, se osserviamo che
/2(n-r)iò-\-2(n-s)(ù'\ /2rtó+2s(o'
e che le coppie opposte (r, s) (n — r, n — s) sono sempre distinte se n è
dispari, vediamo che per n dispari il secondo membro della (7) è il qua-
drato perfetto di un polinomio in pn e si ha per ciò
(8) ^(ww) = C'n" ipu-p{^'^'^'^J^'^\\ , perw=l (mod2),
ove nel prodotto II" i numeri r, s percorrono — r — coppie incongrue
di valori (mod n) tali che colle opposte ( — r, — 5) formino un sistema
fi^ 1
completo (mod w), con esclusione della coppia (0, 0). Per queste
coppie si potranno prendere p. e. le combinazioni seguenti
n— 1
r = 1 , 2 , 3 , . . . , con s = 0
2
(^=0,1.2, - - " - "-1
n—\ , con s= 1 , 2 , 3
Per determinare infine la costante C in (8) si moltiplichi dall'una
parte e dall' altra per ti" ~^ e si passi al limite per u = 0, osservando che
lim {u^ pu) = 1 , lim |«X~^ '^niu) j = w ;
FORMOLE DI MOLTIPLICAZIONE DELL'ARGOMENTO PER LA pU 297
si avrà così la forinola definitiva
(9) ^^ {u) = n n" (^pu - g> [^^:^à^^yj , (n= 1 (mod 2) ) .
Se w è pari, vi sono soltanto le tre coppie
2'V' (O'TJ' (t'T
che coincidono colle proprie opposte, e i corrispondenti fattori in (7) si
riuniscono in
(pU-fi(ù) {fiU — p(à') {(pU — $> (tóW)) = — (p\ ,
mentre le residue n^ — 4 coppie {r,s) si distribuiscono nuovamente due
a due in coppie opposte; si avrà quindi
'l^n 00 = Cp'uu(pu-p (^2^^ + ^^^^^^ (^=0 (mod 2)) ,
ove nel prodotto II le coppie r,s percorrono p. e. i valori seguenti:
n n
r= 1 , 2, 3, ... 1 , con s = 0 , s = Y
r = 0,l,2,... n—1 ,cons=l,2,3...-^— 1
e determinando in fine la C col solito processo avremo
(10) (|.„(^0= -y ^'^*n (^^*-^^^^^-~)) ' ("=0 ("^^<i 2)).
Per mezzo delle funzioni % (m) possiamo esprimere le formolo di mol-
tiplicazione dell'argomento per la pu, partendo dalla formola (§. 102)
p {nu) — pu= - o-, — ; — 2 ,
<^ ^ '' '^ 0^ (nu) . ahi
che scriviamo
a(n— l) u n(n-\-l)u
p {nu) -pu =
anu
o"*w
298 CAPITOLO X. — §§. 111,112
od anche per la (6*)
(11) p{nu)-pu= -
'^l (u)
Si osserverà poi che, secondo le formole (9), (10): La funzione ^{u)
per n dispari è un polinomio di grado — - — in pu e per n pari è il
n^ — 4
prodotto di (pu per un polinomio di grado — - — in pu.
§. 112.
Calcolo delle funzioni 'K(w) per mezzo di formole ricorrenti.
La formola (11) riduce la costruzione delle formolo di moltiplicazione
dell'argomento della pu al calcolo delle funzioni '^n (««). Dalla (6*) ab-
biamo subito intanto
'l'I (w) = 1
e dalla (10)
^ì {u) = -p'u.
Poi, dal confronto della (C) §.110 colla formola
deduciamo
^(2w)-F*=-y?,
3 1
4*3 {u) = - 3 phi -\--^(j2 P^u -{-S g^pu-f— gì
Per calcolare anche ^iiu), ricorriamo alla (5) pag. 294, facendovi n = 3,
e ne deduciamo:
.. ,0 .A , .... _{'ip{2u)pu — ^ g,) (p (2 u)+pu) —gs .
sottraendo dai due membri 2pu e sostituendo per p{2u) il suo va-
p'^u {p'Si — ^3 {u) p"u)
^3 iu) ,
lore pu — -^—^ , troviamo
y(3«)-<«.= ^,^^^
FORMOLE RICOKRENTI PER 4iE '^n (u) 299
e paragonando questa colla
^(3«)-p«=-*||-',
Y3
che segue dalla (11), abbiamo in fine:
(5 1 1 )
Calcolate così le prime funzioni ^n'
(12) i}^, = l , ^,= -p'u , 'Ì3 = -3 pSi -V ^gt p^u f ^gzpu^ j^gl,
'% = p'u {p'*u - Ó3 p"it) ,
possiamo calcolare le successive
per mezzo di due formole ricorrenti, che ora andiamo a stabilire.
Partiamo per ciò dall'equazione ai tre termini per la au (§. 102):
a (a-b) a (a+b) a (c-d) 0 (c+d) + o (a-c) a (a+c) a (d-b) 0 (d+b) -f
--f a (a-fZ) 0 (a+d) 0 (b-c) a (b+c) = 0
e facciamo in questa
a = imi , b = nu , c=^u , d= 0 ,
onde avremo
o (m+n) li . 0 (ni-n) u . o*« = o (m-1) ^{ . a (m+l) u . a^nu —
— 0 (n-l) ti . 0 (w+1) ?t , o^mu.
Dividendo per
otteniamo
300 CAPITOLO X. — §§. 112, 113
Se facciamo in questa m=n+l coll'osservare che ^i(u) = l, ab-
biamo
(1 3) <I»2„+i = 'ln+2 '\>l — '^^1 ^l+l .
Cangiando nella (a) n in n — 1 ed m in n -\- l e ricordando che
^^2= - fi'u risulterà
(13*) ^^n = ^ «^n-2^!+l-W^»-i)-
Le (13), (13*) sono le formolo ricorrenti richieste. La prima a par-
tire da w = 2, e la seconda da n = 3, esprimono '^2n-\.i, ^2w per le <} con
indice inferiore e risolvono quindi la questione proposta.
§. 113.
Divisione dell' argomento nella $>u.
Data pu, la pimi) si calcola razionalmente. Se supponiamo invece
data p{nii) e cerchiamo pii, dalla (11) abbiamo per determinare pu
l'equazione
(14) p {mi) . <},! — pu ^l + (l>^i <^n+i = 0 .
Tenendo conto dei gi-adi in pu di <{>n, ']>«_!, '^n+\ si vede che in ogni
caso questa equazione è del grado n^ in pu, poiché il termine di questo
più alto grado ha un coefficiente non nullo, come risulta subito dalle (9),
(10). La (14) è irriducibile, perchè il polinomio 'I/^non ha fattori comuni
né con >\in-i, né con ']'n+i-
ti
Cangiando nella (14) u in - e ponendo
fu
le 'II, 'y,t_i '\>n+i diventeranno polinomii in y; e per determinare y dato x,
avremo l'equazione di grado n^
(15) a:'].f. — ?/'].! + Vi ^^H-i = 0,
che è l'equazione per la divisione ddV argomento della pu.
DIVISIONE dell'argomento NELLA pU 301
Dimostriamo ora l'importante teorema: L'equazione (15) per la di-
visione dell'argomento è risolubile per radicali.
Cominciamo per ciò dall'esprimere tutte le radici 'm.ìj della (15), os-
servando che questa relazione fra pii, P [-] sussiste qualunque sia u
e per ciò anche mutando « in u -f- 2rco -[- 2 so/, con r, s interi qualunque.
Con ciò x = pu non muta ; miiy = p(-j si cangia in
/w+2ra>+25tó"
p
e poiché si ha
/u+2riù + 2soò'\ /M+2r,w + 2s,a)'
^ z Ì=P
solo quando sia
r^ri , s^Si (mod n) ,
ciò che esprimiamo più brevemente scrivendo
(r, s)^(ri,Si) (modn),
così vediamo che: Le n^ radici della equazione (15) per la divisione del-
l'argomento sono date dalle espressioni
'ii+2r<à+2s(ù'
yr,s = p '
percorrendo (r, s) un sistema completo di n^ coppie incongrue (mod n).
Ora, per le forraole d'addizione
'M+2rco+2s(tì'
yr,s = p
n /
si esprime razionalmente per
fu\ ,fu\ /2rco + 2s{ù'\ , /2r(tì-|-25to'\
*■ UJ ■ *" («; ■ *'( — n — ) ' " {-^ — )
e d'altronde per le formole di moltiplicazione
^w = F ( ^ ; "*
n
302 CAPITOLO X. — §. 113
dove F è il simbolo di una funzione razionale, e quindi derivando si ha:
O = -'«*(-©)
essendo <ì> razionale. Vediamo quindi che se, oltre x = pu, consideriamo
come nota anche y 4^s(^ — g^x — g^^ p\ ogni radice?/.,, della (15) è
una funzione razionale della prima radice yoo = pi—j i cui coefficienti, .
oltre gi,g3, contengono razionalmente i valori delle p, p' per le parti
aliquote dei periodi
2ro)-\-2s(à'\ , /2roì-\-2soì'
Ora, se si pone
, , , .V /'Kà-2r(ù+2so)'\ , / /'u\\
yr,s = ^ (2/oo) , Cloe p ^ ~ J = ']; [p (^- J J
yr„^= ^1 (yoo) , Cloe p (^ j = ']^, [p (^- jj ,
essendo «{j, 4*1 simboli di due funzioni razionali della specie indicata, e si
osserva che queste relazioni sussistono qualunque sia it, cangiando nella
prima u in u + 2 ri w + 2 Si co' e nella seconda u in u -{- 2riù -\-2s co',
ne dedurremo
Di più si vede che ove uno almeno dei due numeri r, s sia primo
con n, il periodo della corrispondente operazione ']^ è precisamente n e
se ne conclude:
L'equazione (15) per la divisione dell' argomento è un'equazione Ahe-
liana composta di grado w^, che si risolve coli' estrazione di due radicali
d! indice n.
A questo risultato possiamo pervenire anche direttamente ricercando
il gruppo di monodromia (§. 81) della (15). Per ciò dobbiamo far per-
correre 2i(\. x = pu, nel suo piano complesso, un cammino chiuso qua-
lunque, cioè cangiare ti in
± u -\- 2 ^ oò -]- 2 V 0/ (;j,, V interi)
GRUPPO DI MONODROMIA DELL'eQUAZ.°« PER LA DIV."« DELL' ARG.**» IN pU 303
ed esaminare la sostituzione indotta sulle radici
Si vede subito che la «/,-,, s si porta per tale sostituzione nella y^, g-,
dove gii indici /, s sono determinati dalle congruenze
( / ^ ±r -\- [X
(16) { (mod n) .
( s'=±5 + V
Queste sostituzioni (IG) formano appunto il gruppo di monodromia
per la nostra equazione. Il gruppo (16) contiene evidentemente 2n^ so-
stituzioni e in esso è contenuto, come sottogruppo invariante d'indice
2, il gruppo
( / == r -{- [x
(16*) { (mod n) ,
corrispondente ai segni superiori. Il gruppo di monodromia (16) si abbassa
a (16*) coU'aggiunta di un radicale quadratico, che si vede subito essere
giacché le sostituzioni (16) corrispondenti ai segni inferiori lasciano bensì
invariato pn, ma cangiano .p'u in — p'u.
Se consideriamo dunque come data anche p'u, il gruppo di mono-
dromia è il gruppo (16) d'ordine >i^ generato dalle due sostituzioni ele-
mentari .
(/, s') ^ (r+1 , s) (mod n)
(/, s') ^ (r , 5+ 1 ) (mod n) .
Anche di qui vediamo, come sopra, che l'equazione si risolve col-
r estrazione di due radicali d'indice n.
Ma il primo metodo ha il vantaggio di farci riconoscere quali sono
gli irrazionali numerici (rispetto agli invarianti ^2,^3 supposti dati), la
cui aggiunta fa scendere il gruppo algebrico al gruppo di monodromia.
Sono questi i valori della p, p per le parti aliquote dei periodi.
304 CAPITOLO X. — §. 114
§• 114.
Equazione per la divisione dei periodi.
Esaminiamo ora l'equazione da cui dipende la ricerca degli irrazionali
2rw-4-2sw'\ ,/2rw+2sw'
Basterà che ci occupiamo di determinare p i '■ j , perchè
fi' i — j si otterrà successivamente estraendo una radice qua-
drata. Osserviamo poi che, se w è un numero composto w = g . q, basta
saper risolvere l'equazione proposta pei divisori g-, q dopo di che, per
. . . , r. . . . /2rw + 2so/\
quanto si e visto al §. precedente, si otterrà (p [ -, 1 con estra-
zione di radicali. Ci possiamo dunque limitare al caso di n numero primo.
Ora per n = 2 ì corrispondenti valori
più , p(tì' , p (CO+O)')
sono le radici ei,e2,<53 dell'equazione di 3<> grado
4e^ — 5-8 e — ^3 = 0.
Consideriamo dunque il caso di n numero primo dispari. Siccome
/2r(o+2sco'\ _ /^— 2rtó — 2s(o'
^ (^ n J ~ ^
basterà far percorrere a (r, s) — - — coppie incongi'ue (mod n), tali che
colle opposte (-r, -s) formino un sistema completo (mod n) esclusa (0, 0).
-, ^. n^ — 1 , . /2rco+2s(tì'\ . j- • i n
Questi — r — valori p f 1 sono le radici della equazione
(17) ^(2/) = 0,
J2,2 1 . . . . 1
che è appunto di grado — - — , ed ha coefficienti razionali interi in gs, -Qì
con coefficienti numerici interi. Per ciò V equazione (17) '^n(y) = 0 si dice
Vequasione per la divisione dei periodi.
EQUAZIONE PER LA DIVISIONE DEI PERIODI 305
Osserviamo ora che tutte le radici della (17) in cui s = 0 si ordinano
nella serie
/A> ^2a)\ / 2co\ / 2(tì\ fn—\ 2 co
(A) p — , p 2 . — , p 3
n j \ Vi J \ w/ \^ **
e, per le forinole di moltiplicazione dell'argomento, tutte le radici di que-
sta serie sono funzioni razionali della prima p [ ì con coefficienti ra-
zionali in (72, 9^3- Le rimanenti radici della (17) possono egualmente or-
dinarsi in serie, contenenti ciascuna — — - radici, e dotate delle prò-
prietà stesse della serie (A). E infatti, per s^O (modw), possiamo
determinare un numero v dalla congruenza
sv ^ r (mod n)
e scrivere
/2rio-f2so/\ / 2voi+2o/
^( — n — r^-K'^ir-
Tenendo fermo v e ponendo
n-\
s = 1 2
abbiamo una nuova serie di radici
/2va)+2a>'\ [^ 2vw + 2co'\ (n—\ 2v{.i4-2w'
(B) p . J . , ^ 2 . 1 . . . ^ '
dotata delle proprietà della serie (A). Ora se diamo successivamente a v
i valori
v = 0 , 1 , 2, .. , n—\
le n serie (B), insieme colla serie (A), contengono una ed una sola volta
tutte le radici della (17), come subito si vede.
Poniamo per semplicità
2voi-|-2 w'
Wv = —
n
e introducendo l'indice qo per v nel primo caso di s = 0, poniamo altresì
. _ 2w _
20
306 CAPITOLO X. — §. 114
W^ — 1
le — - — radici della (17) si ordineranno così nel quadro:
.^ , ,„ . fn — 1 \\ à)^ = —
^ Wo , p (2 Wo) , ^ (3 à)o) . . . ^ V ^~ *"o J f **
2o)
n
2v(o+2a>'
co.
^ («^^n-i) , P (2 W,»_i) , p (3 W,,_i) . . . ^ f -^ Wn_i j /
contenente n-\-\ orizzontali di — - — radici ciascuna. In ogni orizzon-
tale possiamo poi ordinare in modo più conveniente le radici così. Sia
g una radice primitiva (mod w), e con r^ si indichi il resto di g" (mod m),
^ n — 1
0 il suo complemento a n, secondo che il resto stesso e < — - — ovvero
Yi \
>» — - — ; talché i numeri rp , ri , ^2 . . r„-i saranno in altro ordine i
2 —^
numeri
1,2, 3...^(^),
(C)
Se ordiniamo le radici della (17) nel nuovo quadro
^(wo) , pC^'Wo) , ^(5'^Wo) ... ^\g~^~' Wo j( "^^ ~ W
2(0
2voj+2co'
/.— 1
vediamo che, per le formolo di moltiplicazione si ha:
^' 2
(') E infatti da ^ ^ + ^1 seguirebbe ^^"''i ^+ 1 quindi s — s^ multiplo
n-1
RISOLVENTI DI GRADO n+l PER n PRIMO 307
dove 9 è il simbolo di una funzione razionale con coefficienti razionali
in ^2, ^3; si avrà quindi:
P (ó^wj = 0 (^tò,) , p (g^óì^) = 0 (0(^wv)) = 0' (^Wv) . . .
fi [9' cò^J = 0^ (pò),;,
indi
PU/^ ^v]=P (<^v) = 0 ^ (pò),) .
Dunque: Ze radici di una medesima orizsontale nel quadro (C) sono
tutte funzioni razionali della prima e formano, così ordinate, un unico
periodo.
§• 11^.
Risolventi di grado ?i+l dell'equazione per la divisione dei periodi
e loro gruppo.
Dal risultato precedente, pei teoremi generali della teoria delle equa-
zioni secondo Galois, segue l'importante teorema: L'equazione per la
divisione dei periodi possiede nel caso di n primo (dispari) risolventi di
grado w + 1 .
Prendasi infatti una funzione razionale (intera) e simmetrica delle
radici di una medesima orizzontale del quadro (C) e sia
z., = 4> r^w, , (p igOi,) ... p (^g~^~' wj j V = 00 , 0 , 1 , . . . w- 1 .
Gli w -f 1 valori di z
sono radici di una equazione risolvente di grado n -}- 1 in z
(18) F„+i(^) = 0,
con coefficienti razionali in g^, g^. Quando sia risoluta la risolvente (18),
la proposta (17) si risolve con estrazioni di radicali d'indice — - — . Anzi
308 CAPITOLO X. — §. 115
basta nel nostro caso l'estrazione di due tali radicali che ci diano
p( — ) p( — j , e dei due radicali quadratici che danno p ( — j ,
p [ — ] , le altre radici p ■ j potendosi poi calcolare ra-
zionalmente mediante le formolo d'addizione.
La risoluzione dell'equazione per la divisione dei periodi si riduce
dunque in sostanza a quella della (18) e ad estrazioni di radicali. Kesta
dunque che esaminiamo la risolvente (18) e ne determiniamo il gruppo
di Galois. La equazione (18) contiene razionalmente nei coefficienti le
quantità (/2, g^ che riguardiamo come parametri '^' e vogliamo innanzi tutto
determinare il gruppo di monodromia della (18) rispetto a gì,yì. Per
ciò dobbiamo far variare i periodi 2 o), 2 co' per tali cammini che g^ , g-ì ri-
prendano alla fine i medesimi valori ed esaminare la sostituzione in-
dotta sulle radici
Dal §. 104 sappiamo che, a fine di riprodurre i medesimi valori di
gì, g3, dobbiamo far subire ad w, o/ la sostituzione lineare
a(o+Yo/ j5oj+òo/
w w'
a coefficienti interi a, J5, y, o e a determinante a 6 — Py=1- Per tale
sostituzione una radice qualunque della (17)
., . , A2vco+2a>'\ . ..
p (ftco ) = p [Jc — ) , per V finito ,
si trasporta nella radice
/, 2 V (a 0)4-7 w ) + 2 (S o)+S o/) \ /, , ,,2 v'o)+2 w' \
posto
C..V + P
(10) v'=— H^ (modw),
Vv + o '
cioè in una radice p (rw,-) e la medesima formola vale per v = qo , giacché
^(^w^) = ^(^
2w
n
W In ciò facciamo uso della proprietà, che si dimostrerà nel seguente
Capitolo, che gli invarianti g^ , g^ della p possono darsi affatto arbitrariamente.
GRUPPO DELLE RISOLVENTI DI GRADO W+1 309
si trasporta in
P Y^ ^ y =p ^.
con v' ^ - (mod w). Tutte le radici di una orizzontale nel quadro (C) si
trasportano dunque nelle radici di un'altra orizzontale, colla legge espressa
dalla (19) e per ciò ogni radice z^ della (18) si cangia nella radice z^,-
secondo la sostituzione lineare (19) sull'indice.
Ne concludiamo: Il gruppo di mmiodromia della equazione (18) è il
iz (fi 1 ì
gruppo di — - sostituzioni, rappresentato analiticamente dalla forinola
(19) ^'^^ (mod^), aS-Pv^l.
Si sa che questo gruppo (gruppo seminio dular e) è semplice appena w > 3
e per ciò l'equazione (18) non è ulteriormente riducibile ad equazioni
più semplici; in particolare essa non è risolubile per radicali.
Il gruppo algebrico dell'equazione (18), dovendo contenere come sotto
gruppo invariante il gruppo semimodulare (19), non può essere che il
gruppo stesso o il gruppo totale lineare di w {n^ - 1) sostituzioni
v' = °^^ , aS-PY^O (modw).
Ritornando più tardi, nella teoria della trasformazione delle funzioni
ellittiche, su queste risolventi di grado n -\- 1 dell'equazione per la di-
visione dei periodi, vedremo che è quest'ultimo caso che si presenta e
l'irrazionalità numerica che si deve aggiungere per ridurre il gruppo
algebrico al gruppo di monodromia è precisamente la radice quadrata
v/
(— 1) 2 . n.
§. 116.
Risolubilità per radicali della equazione per la divisione dei periodi
nelle funzioni lemniscatiche.
Ciò che abbiamo detto nel §. precedente, relativamente al gruppo di
Galois dell'equazione per la divisione dei periodi suppone che gli inva-
310 CAPITOLO X. — §. 116
rianti ^2, g^ (o i periodi 2tó, 2o/) abbiano valori arbitrarii. Ma per valori
particolari dei periodi, o degli invarianti, può darsi benissimo che il gruppo
si abbassi ad un suo sottogruppo fino anche ad ottenere un gruppo riso-
lubile ed allora per queste speciali funzioni ellittiche l'equazione per la
divisione dei periodi risulterà risolubile per radicali.
Un esempio semplice di una tale classe di funzioni ellittiche si ha
nelle funzioni lemniscaticìie. Portano questo nome le funzioni ellittiche
nelle quali il rapporto dei periodi — è = i ' ^* . Per la funzione lemnisca-
tica ^(M|tó, iw) ha luogo la formola di moUipUcadone complessa
(20) p(iu)=-fiu,
che si deduce come caso particolare dalla formola d'omogeneità (§. 104)
p (Àw j Xo) , Ilo) = y,p(u\oì, oì) ,
ove si faccia
0)' = itó , X = i (2).
Confrontando nella (20) gli sviluppi di p{i^^), pu nell'intorno del-
l' origine si vede subito che : per la funzione lemniscatica pu il secondo
invariante g^ è nullo.
Dimostriamo ora che per la nostra speciale pu sussiste una formola
generale di moltiplicazione complessa
(21) p{mu) = 'R{pu) ,
dove ni è un numero qualunque intero complesso di Gauss, cioè della
forma a -\-hi {a,b interi reali) ed R è il simbolo di una funzione ra-
zionale con coefficienti razionali in g-i. Siccome la (21) è vera per m= 1
e per m = i, basterà provare che se sussiste per m, sussiste anche per
m + v (c = 0, 1,2, 3).
W II nome di lemniscatiche proviene da ciò che la rettificazione di una arco
di lemniscata dipende appunto da funzioni di questa specie.
(2) La (20) si stabilisce anche subito osservando che le due funzioni ellit-
p ^iu), — pu hanno a comune periodi ed infiniti coi termini d' infinito.
FUNZIONE ^U LEMNISCATICA 311
Ora per la forinola d'addizione (IV) pag. 284, essendo 5-3 = 0, si ha
Ma per la (20) si ha
p (r u) = {-if pu , p' (i- u) = 'f- (p'u
e dalla (21) derivando si ottiene
ey' (mu) = — R' (pu) . p'u ,
onde
p' (mu) p' (i^u) = Ri (pii)
e ne risulta la proprietà asserita.
Ciò premesso, se ritorniamo per la pu lemniscatica alla equazione
(18) per la divisione dei periodi, vediamo che qualunque sua radice
/2riù+2s(ù'\ / . , 2(ù\
è una funzione razionale della prima p ( — j e poiché, ponendo
p((r + is)^)=^(p(^))
si vede subito che si ha
p ((r+is) (n+isi) -^j = 4* (^h, {^jj = ^, [^
2(0
n
ne concludiamo che l'equazione per la divisione dei periodi è nel caso
attuale un'equazione Abeliana ed è quindi risolubile per radicali.
Le funzioni lemniscatiche non sono del resto che un caso particolare
di una intera classe di funzioni ellittiche, considerate da Abel, che am-
mettono formole di moltiplicazione complessa, e per le quali l'equazione
per la divisione dei periodi è risolubile per radicali, come si vedrà nei
due ultimi capitoli.
312 CAPITOLO XI. — §. 117
Capitolo XI.
Proprietà fondamentali della prima funzione modulare J (-) (invariante asso-
luto). — La funzione p{u\ g^i gè con assegnati invarianti. — Integrali el-
littici di prima specie e loro inversione. — Integrali ellittici generali.
§. 117.
L' invariante assoluto J = , l ^ , considerato come funzione
del rapporto ' = — dei periodi.
Nel presente capitolo cominciamo dal trattare la quistione, già posta
al §. 194: Possono gli invarianti g2, ffz di una funzione ellittica pii as-
sumere valori arbitrari? La risolveremo affermativamente, per una via
invero alquanto indiretta, ma che ha il vantaggio di procurarci la cono-
scenza della funzione fondamentale di una nuova ed importante classe
di funzioni, la classe delle funzioni modulari ellittiche.
Cominciamo dal ricordare che, secondo le formole (XIII) pag. 277, gli
invarianti g^, yz si esprimono per i periodi 2o), 2 co' colle formole
^ >yi/ 1 = ^ V 1
5'2— 4 L (^nnà + nià'Y ' ^'~16^ (ww + wo/)«
e sono per ciò funzioni omogenee di gradi — 4, — 6 rispettivamente di
CD, o/. È facile quindi formare delle espressioni razionali in g2, gs, che
(0
dipendano soltanto dal rapporto t = — dei periodi. Kicordiamo che
ei = p(à , C2 = p {(a+oì') , e3 = p to'
sono le radici della equazione di 3.° grado
Ae^-g2e-g3 = 0.
A
Indicando con — il discriminante
lo
{e, - Cif (^2 - 63)' (^3 - ^if
l'invariante assoluto J(t) 313
di questa equazione, avremo
^=gl_21gl.
Ora poniamo
T_à gì
A 5^-27^^
e J sarà funzione omogenea di grado zero in co, w', cioè dipenderà sol-
tanto dal rapporto t=— dei periodi. Questa espressione J dicesi V in-
variante assoluto e primo oggetto della nostra ricerca sarà di provare
che J è funzione uniforme della variabile complessa t, nel semipiano po-
sitivo T.
Consideriamo nel piano complesso x un campo finito qualunque C che
rimanga, anche col suo contorno, tu+to nell'interno del semipiano posi-
tivo. Le due serie
G, = ^,co =-2. („^:^^4
(1) :
r< « ,,6 35 ^, 1
16 ^ [m + my
convergono in egual grado, come ora dimostreremo, in tutto il campo C
e rappresentano per ciò, in tutto C, delle funzioni finite, continue e
monodrome di i. Osserviamo intanto che, restando T = a+ip in C, l'or-
dinata p si mantiene superiore ad una quantità fissa positiva Po e perciò
\m+ni\ =y{m+naY+n^^^
si mantiene superiore o eguale alla più piccola d delle due quantità
Po , 1.
Per la medesima ragione la distanza 5 fra due punti m+nz, m+tiv:
6 = Vi im--m')+{n-n') a f f {n-nj p*
non scende, essa stessa, al disotto di d.
Fissato quindi un numero positivo k<C.d, se, procedendo come al
§, 69 (Gap. VI), dividiamo il piano in una rete di quadrati con lato
h
= — z, potremo paragonare i moduli dei termini delle nostre serie con
V^2
314 CAPITOLO XI. — §. 117
quelli delle due serie seguenti, indipendenti da t, ed assolutamente con-
vergenti
Li z-4 ' ^
2-2 ^^+^) 23
"" (r'+^f^ '■' {r'+sy
onde risulta subito la convergenza in egual grado in tutto C delle
serie (1).
Ne segue che la forinola
(I) JW= ^
ci definisce una funzione della variabile complessa t, continua e monodroma
in tutto il semipiano positivo, l'asse reale escluso. Facilmente vediamo
inoltre che J (:) è anche sempre fìnita a qualunque distanza finita, escluso
sempre l'asse reale, E infatti, se 1 = 0. -{- f^ è finito e |3>>0, non può
essere nullo il denominatore
^— 27 ^3' = 16 (^0) - ^0/)^ (^ w - ^ (oj + o/))n^o/ - |j(o3 + o/))%
giacché le funzioni ellittiche di secondo ordine
fiU- più , fili — più' , pU-p(0) + lù')
hanno già infinitesimi di 2.° ordine in
U=(ù , U = ltì , n = oì + (tì'
rispettivamente e non possono quindi annullarsi in punti non equiva-
lenti a questi.
Facciamo ancora l'osservazione, che ci tornerà utile fra breve: L'in-
variante assoluto J {-) in due punti
simmetrici rispetto aìVasse immaginario, assume valori coniugati. Ciò ac-
cade infatti, come subito si vede, delle due serie
"V' ^ 'V' 1
315
§. 118.
L'invariante J (") come funzione automorfa rispetto al gruppo modulare.
La funzione J (i) è regolare, come si è visto, in tutto il semipiano
positivo, l'asse reale escluso. Stabiliamo ora la proprietà fondamentale
di questa funzione, ricercando quando accadrà che in due punti z, z del
semipiano positivo J (.) riprenda il medesimo valore, cioè si abbia
J(r) = J(0.
Consideriamo per ciò le due funzioni ^:
fi{u\\,x , p(m|1,t'),
coi rispettivi rapporti dei periodi t, z, e indichiamone gii invarianti
rispettivamente con
Si ha per ipotesi
à f2
^-27^1 9'\-21gV
ossia indicando con /. un fattore di proporzionalità
é = \cj\ , 5^ = X5^|.
Se con [1 indichiamo un conveniente valore di y X> potremo scrivere
92 = ^^92 , 93 = \^^(^3.
Costruiamo ora una terza funzione ellittica
per la quale il rapporto dei periodi sia ancora z; i suoi invarianti 72, Ys
saranno quindi (§. 117)
onde, prendendo fì^ = - , avremo
12 = 92 , lz=9z
316 CAPITOLO xr. — §. 118
e però
fi (u \Q , ^i) = fi {u \1 , z\ .
Per quanto si è visto al §. 104, avremo quindi
(2)
cioè
, at + p
(3)
T + 5
essendo a, (2, y, 5 numeri interi e a S - (5 y = 1.
Viceversa se z è legata ar dalla (3', cioè da una sostituzione del
gruppo modulare (Gap. II), ne seguirà
J(x')=J(r).
E infatti, indicando con 9. un fattore di proporzionalità, potremo
sostituire le (2) alla (3) e le due funzioni coincidenti
fi (^t|l,T) , fi{u\9.,9.x)
avranno i medesimi invarianti g^, y^ e però anche il medesimo inva-
riante assoluto.
Kiepilogando, abbiamo dunque : condizione necessaria e sufficiente af-
fincJiè sia J [i) = J (r) è cJie gli argomenti r, z siano legati da una sosti-
tuzione del gruppo modulare
az±l
Yr+g-
Nella funzione J (t) abbiamo così un nuovo esempio di funzioni
automorfe (Vedi §. 98), il gruppo corrispondente di sostituzioni lineari
essendo nel caso attuale il gruppo modulare. Questa funzione J (t) non
è che la prima e più semplice fi'a le funzioni modulari^ delle quali in
seguito tratteremo più diffusamente.
Se invece di considerare soltanto le sostituzioni del gruppo modu-
lare, consideriamo anche quelle di 2.* specie
appartenenti al gruppo modulare ampliato (Gap. II §. 18), per Tosser-
LA FUNZIONE J (t) COME FUNZIONE AUTOMORFA 517
vazione alla fine del §. precedente, vediamo che in due tali punti t, x la
funzione modulare J (t) assumerà valori coniugati, sicché : In due punti
T, X del semipiano positivo, equivalenti rispetto al gruppo modulare ampliato,
J (r) assume valori eguali o valori coniugati, secondo che la sostituzione del
gruppo che fa passare da t a x' è di prima o di seconda specie.
§. 119.
Distribuzione dei valori di J (-) nella rete modulare.
Se ricordiamo ora la rappresentazione geometrica del gruppo modu-
lare, che abbiamo stabilito nel Gap. II, e in particolare la divisione del
semipiano positivo nella rete modulare (pag. 91), questa figura acquisterà
un corrispondente significato per la distribuzione dei valori delF inva-
riante assoluto. Intanto in ogni triangolo T' della rete J (r) ripeterà i
valori che prende nel primo triangolo fondamentale T, o i coniugati
di questi, secondo che T' deriva dal fondamentale per un numero pari
0 dispari di riflessioni e basterà quindi che esaminiamo la distribuzione
dei valori di J (r) nel triangolo fondamentale. In primo luogo osserviamo
che su tutto il contorno del triangolo fondamentale, come sopra ogni circolo
di riflessione del gruppo, J (t) è reale. E invero se C è un tale circolo
e A, B due punti corrispondenti per la riflessione su C, i valori di J
in a e 6
J(«) , J(&)
sono coniugati ; ma quando a cade sulla circonferenza C allora h coin-
cide con a e però J (ci) è coniugato di sé stesso, cioè reale. Invece nel-
l'interno del triangolo fondamentale J (x) non é mai reale; poiché, altri-
menti, nel punto simmetrico rispetto all' asse immaginario J (t) dovrebbe
riprendere il medesimo valore e i due punti sarebbero equivalenti ri-
spetto al gruppo modulare (non ampliato) F, ciò che non è. Segue di qui
che in tutti i punti interni di T il coefficiente dell' immaginario in J (r)
serba sempre lo stesso segno. Vediamo ora quali valori J (t) assume nei
vertici
ini
zz=i ^ x = s = e3
di T; dico che si ha
J(i) = l , J(e)=0,
318 CAPITOLO XI. — §. 119
La prima cosa risulta da ciò che per la funzione lemniscatica
p (u I OD, iw) si ha ^3 = 0 come si è visto al §. 116. E similmente per la fun-
zione p (equianarmonica)
^ {U I tO, £0i)
avendo luogo, come risulta dalla formola d'omogeneità, la formola di
moltiplicazione complessa
p (ew) = e pu
il confronto dei primi termini degli sviluppi di pisiì), z pu nelF intorno
di u = 0 dà subito ^2 = 0 <^'. Siccome J(t) sul contorno di T è sempre
reale e non può mai riprendere due volte lo stesso valore, vediamo che
nel tratto circolare da t = = a t = i J (t) andrà costantemente crescendo
da 0 a 1, nel tratto rettilineo dell'asse immaginario da x = i a t = ì co
è sempre positivo e crescente a partire da J = 1 e nel tratto rettilineo
R(t) = claT = ó a t = — -4-iao è sempre negativo e decre-
scente a partire da J = 0.
Volendo in fine esaminare come si comporta J (t) in prossimità del
vertice t = co , facciamo uso delle considerazioni seguenti.
Poiché J(t) è funzione periodica di r col periodo 1, J (t-f- 1) = J(^),
se poniamo
^z=e2'r-% T = — ^log^,
sarà
una funzione di z esistente per tutti i valori di z di modulo 1 ^ I< 1 e
(M La medesima cosa, senza ricorrere alle proprietà della p lemniscatica ed
equianarmonica, risulta direttamente dalla considerazione delle serie
2' 1 VI' 1
la prima delle quali si annulla per - = i e la seconda per t = s, come si vede
associando nel primo caso i numeri di Gauss quattro a quattro nel gruppo di
numeri (associati)
m-\-ni , i{m-{-ni) , i^{m-\-ni) , {^{m-^-ni)
e nel secondo i numeri m-{-m tre a tre nel gruppo di numeri associati
ANDAMENTO DI J (t) SUL CONTORNO DI T 319
sarà inoltre monodroma e regolare in tutti i punti della corrispondente
area circolare, salvo che in ^ = 0. Quale specie di singolarità avrà tv (z)
in 2 = 0? Non può essere una singolarità essenziale perchè nell'intorno
di z=:0 IV (s) prenderebbe allora valori prossimi p. e. a 1 di tanto poco
quanto si vuole e J (t), allontanandosi t all'infinito entro la striscia
1 1
prenderebbe valori che J (t) avrebbe già preso in prossimità di t = i,
ciò che è assurdo.
Non può nemmeno ^ = 0 essere per w (z) un polo d'ordine superiore
al primo, giacché allora in prossimità di ^ = 0 ic (z) riprenderebbe due
0 più volte il medesimo valore e lo stesso accadrebbe per J (t) entro la
detta striscia a distanza grandissima. In fine non può darsi che 5; = 0
sia un punto regolare di iv (z) perchè allora J (t), al crescere all' infinito
dell'ordinata di t, dovrebbe convergere verso un unico valore finito, ciò
che è impossibile essendo J (r), come si è visto, positivo e crescente sul-
l'un lato rettilineo del triangolo fondamentale e negativo decrescente
sull'altro. Se ne conclude che w{z) si svilupperà per tutti i valori di z
di modulo I 0 I << 1 così :
tv (z) = 1- «0 4- «1 -3 + «2 ^^ + • • • (A4: 0)
Z
e corrispondentemente avremo per J (t) un' espressione analitica della
forma
J (t) = A e-2-*"-^ + «0 + «1 e^''''-\' «2 6^^''"+ . . . ,
valevole per tutti i valori di r d' ordinata positiva, cioè in tutto il campo
di esistenza della funzione '^'. Nell'intorno di t=:co J (r) si comporta
2tìz
dunque come e ' ' e per ciò diciamo che J (t) ha in t = co una sin-
golarità logaritmica. Una singolarità della medesima natura ha J (r) in
tutti i punti equivalenti, cioè nei punti razionali dell'asse reale, il che
fa vedere appunto come il campo d'esistenza di questa funzione anali-
tica sia il semipiano positivo, l'asse reale essendo il limite del campo.
(*) Ritorneremo più tardi su questo sviluppo di J {-) per precisare la natura
dei suoi coefficienti (vedi §. 182).
320 CAPITOLO XI. — §. 120
§. 120.
Rappresentazione conforme del triangolo fondamentale sul semipiano.
Abbiamo già visto che, mentre z percorre l'area del triangolo fonda-
mentale T, il coefficiente dell'immaginario in J(t) conserva sempre lo
stesso segno, cioè, interpretando i valori di J nel suo piano complesso,
J (x) si muove in un semipiano. Per distinguere in quale, basta osservare
che, percorrendo il contorno di T in verso positivo a partire p. e. da x = s,
s'incontrano successivamente i vertici T = e, r = i, t=co e corrispon-
dentemente J (T) si muove sul suo asse reale in senso positivo. Dunque :
in tutto il triangolo fondamentale J (t) ha sempre il coefficiente délV imma-
ginario positivo.
Ora facilmente vediamo, per ragioni di continuità, che inversamente,
fissato per J un valore qualunque Jo di ordinata positiva (o nulla), vi è
sempre uno (ed un solo) punto To di T ove J(t) assume il valore pre-
fissato Jq. Per dimostrare la cosa in tutto rigore possiamo usare le con-
siderazioni seguenti. Per abbreviare diciamo valori a i valori Jo che J
prende effettivamente e valori p quei valori Jo (se ne esistono) che J
non può prendere. Vediamo subito che se Jo è un valore a, un intorno
sufficientemente piccolo di Jo contiene tutti valori a (§. 57). Medesima-
mente dico che, se Jo è un valore p, un intorno sufficientemente piccolo
di Jo conterrà tutti valori p. E infatti se, comunque piccolo si prendesse
questo intorno, vi si trovassero sempre dei valori a, a ciascuno di questi
punti corrisponderebbe un punto r in T e questi infiniti punti x adden-
santisi in T, con ordinate minori di una quantità fissa, avi'ebbero almeno
un punto limite To, ove J(x) assumerebbe, a causa della continuità, pre-
cisamente il valore Jo , che sarebbe dunque un valore a. Ora sia Jo se
è possibile, un valore Pi e Ji nn valore a p. e. lo zero ; segniamo nel
semipiano J il tratto rettilineo '^) che unisce Ji con Jo e dividiamo i
punti di questo tratto in due classi A, B attribuendo alla prima classe A
quei punti J tali che il tratto da Ji a J contenga tutti punti a, alla
seconda B quelli tali che nel tratto Ji J vi siano anche punti ?. Questa
divisione in due classi soddisfa alle condizioni fondamentali (^^ che assi-
(*) Prendiamo per semplicità un tratto rettilineo che unisca Jq con Ji ma
si potrebbe adoperare egualmente qualunque altra linea continua.
(2) DiNi. Fondamenti, pag. 11.
RAPPRESENTAZIONE CONFORME DEL TRIANGOLO FONDAMENTALE ECC. 321
curano l'esistenza di un punto limite J di separazione fra le due classi.
Questo punto J sarebbe manifestamente un punto a; e allora, prolungando
il tratto Ji J per un nuovo piccolo tratto, questo conterrebbe ancora tutti
punti a, ciò che è assurdo.
Ne concludiamo: Nell'interno del triangolo fondamentale T V inva-
riante assoluto J (t) assume una ed una sola volta tutti i valori Jo di or-
dinata positiva, e sul contorno tutti i valori reali da - co a + qo .
Osserviamo inoltre che nell'interno del triangolo fondamentale ed
^ J
anche sul contorno, i vertici esclusi, la derivata ^— non può mai an-
dv
nuUarsi (ne diventare infinita); poiché nell'intorno di ogni punto, che non
sia un vertice della rete modulare, J (t) non prende che una sola volta
i propri valori. Invece nell' intorno di t = i e di tutti i punti equivalenti
J(t) riprende due volte i valori prossimi ad 1, e per ciò J-1 diventa
dJ
in v = i infinitesimo del 2.° ordine e -^— del primo. Similmente nell' in-
ai
torno di T = £, e dei vertici equivalenti, J (t) riprende tre volte i valori
prossimi a zero e perciò J(t) diventa in r = e infinitesima del 3.° ordine
e -^— del secondo.
dz
Dunque : La funzione J (t) dà la rappresentazione biunivoca conforme
del triangolo fondamentale sul semipiano. Fmvti eccezionali della rappre-
sentazione sono soltanto i vertici, ove gli angoli di ~ , —, 0 vengono can-
giati in angoli piatti.
Associando al triangolo fondamentale T il suo simmetrico rispetto
all'asse immaginario, abbiamo il triangolo T fondamentale pel gruppo
modulare T (§.21); in esso J(r) prende una ed una sola volta tutti i
valori possibili e soltanto in punti simmetrici del contorno riprende lo
stesso valore. Questo modo di comportarsi della funzione automorfa J (r)
nel suo campo fondamentale è quindi, in un certo senso, più semplice
di quello che offrono le funzioni ellittiche, le quali debbono nel parallelo-
grammo fondamentale riprendere due volte almeno il medesimo valore <^'.
{*■) L'intima ragione di questa differenza sta in ciò che il campo fonda-
mentale di J ("); quando s'immaginano saldati fra loro i lati corrispondenti in
guisa da far coincidere i punti equivalenti, diventa una superficie chiusa di
genere zero, mentre il parallelogrammo delle funzioni ellittiche dà una superficie
chiusa di genere uno (toro).
21
322 CAPITOLO XI. — §.121
§. 121.
La funzione inversa '(1)6 il teorema di Picard sulle trascendenti intere.
Consideriamo ora la funzione inversa dell'invariante assoluto J(t),
che si ottiene considerando x come funzione di J. Neil' intorno di ogni
valore J, differente da 0, 1, a oo , si può, per quanto si è detto sopra,
eseguire univocamente l'inversione, una volta scelto il valore Ti di t,
poiché lo sviluppo di J — Ji per potenze di r — -i contiene effettivamente
il termine colla prima potenza di t — ti. Se Ji = 0, allora ti deve essere
un vertice della rete equivalente a 'c=:£, e t — Ti si sviluppa in serie
di potenze di J ^ e così per Ji = 1 in serie di potenze di (J-1)^ •
(Cf. §. 58).
La rete modulare ci rappresenta chiaramente le proprietà fondamen-
tali di questa funzione inversa t (J), permettendoci di seguire, senza am-
biguità, ogni suo prolungamento analitico. Fissiamo invero un valore ini-
ziale Ji di J, p. e. nel semipiano positivo, al quale corrisponderà in ogni
triangolo non tratteggiato della rete modulare (Gap. II, §. 20) un punto.
Scegliamo p. e. quello ri appartenente al triangolo fondamentale 1 e
prendiamo
per J = Ji , r = Ti .
Partendo da Ji , descriviamo con J un cammino chiuso qualunque, che,
senza passare pei punti singolari J = 0, J = l,J = co, ritorni in Ji.
Lungo di esso potremo prolungare analiticamente la funzione senza
alcuna ambiguità. Finché il cammino considerato, partendo da Ji, rimane
nel semipiano positivo, i rimarrà sempre nel primo triangolo; ma ap-
pena J traversa l'asse reale t entrerà in uno determinato dei tre trian-
goli tratteggiati aderenti al fondamentale e precisamente nel triangolo
A, B 0 C (fig. pag. 60), secondo che J traversa l'asse reale nel tratto loo
0 nel tratto Oco, o in fine nel tratto 01. Fino ad un nuovo traversa-
mento dell'asse reale, che riconduca J nel semipiano positivo, i rimarrà
neir interno del nuovo triangolo ; entrerà poi in un nuovo triangolo della
rete perfettamente determinato al nuovo traversamento. Così seguitando
si vede che, lungo tutto il cammino chiuso, t avrà sempre un unico va-
lore e, ritornato J in Ji , x ritornerà o in ti stesso, o in uno degli infiniti
punti equivalenti ^ t! rispetto al gruppo modulare. È chiaro poi che
IL TEOREMA DI PICARD SULLE TRASCENDENTI INTERE 323
inversamente, prendendo un conveniente cammino chiuso per J, possiamo
far sì che t, al ritorno, assuma uno qualunque degli infiniti valori equi-
valenti a II.
Così adunque : La funzione t (J) è ima funzione analitica infìnitiforme,
esistente in tutto il piano complesso J, i cui rami si ottengono tutti da uno
di essi r eseguendovi le sostituzioni del gruppo modidare. Ogni ramo è una
funzione regolare di J in ogni punto distinto dai tre singolari J = 0,
J=l, J=cc.
Questi punti sono punti di diramazione, cioè girando attorno ad essi
si permutano i rami della funzione. Precisamente un giro attorno a J = 0
cangia t in , per un giro attorno a J = 1 r si muta in e in-
fine un giro attorno a J = oo cangia z in i+l '^'•
Delle proprietà di questa funzione i(J) Picard si è servito per di-
mostrare un teorema importante, che concerne il modo di comportarsi
di una funzione nell'intorno di una singolarità essenziale <^'. Qui ci li-
mitiamo al caso particolare di una trascendente intera G (z) e dimo-
striamo : Ogni trascendente intera prende a distanza finita tidti i valori
finiti, eccettuato uno al più.
Supponiamo che la trascendente intera G {z) non prenda né il valore
finito A, né il valore finito B; allora la trascendente intera
_ G (^)— A
non prenderà né il valore zero, né il valore uno. Essendo t (J) la fun-
zione inversa dell'invariante assoluto sopra considerata, poniamo l'ar-
gomento J = Gì {z) e studiamo la funzione di z
<p(^) = t(Gi(^)).
Per fissare completamente questa funzione, basterà fissare che per un
certo valore Zi di z, fra gli infiniti valori corrispondenti di t, se ne scelga
(*) La rete modulare si può riguardare come una superficie Riemanniana
ad infiniti fogli sulla quale vengono a trovarsi distese, in modo monodromo,
le coppie di valori per J, -: legati dall'equazione trascendente J = J (t) ; ciascun
triangolo della rete del gruppo modulare rappresenta un foglio.
(2) Picard. Traité d'Analyse, T. Ili, pag. 346.
324 CAPITOLO xr. — §§. 121, 122
uno determinato Tj. Si otterrà così una funzione analitica 'f (^), regolare
per ogni valore finito a di z, poiché per ipotesi
Gì (a) tO, 1, co;
la 9 {z) esiste dunque in tutto il piano complesso ed è regolare in ogni
punto e perciò monodro>na, come risulta da considerazioni del tutto si-
mili a quelle che abbiamo sviluppato al §.77 per dimostrare il teorema
fondamentale relativo ai rami di una funzione algebrica. Ne risulta che
la 'f {z) = T [Gì («)] sarebbe una trascendente intera col coefficiente del-
l'immaginario sempre positivo. Ma allora la trascendente intera e^^^^'
sarebbe di modulo sempre <C 1, ciò che è assurdo.
§. 122.
Esistenza della funzione più; g^, g^) con invarianti assegnati.
Colle cognizioni delle proprietà fondamentali della funzione modu-
lare J (t), acquistate nei §§. precedenti, siamo ora in grado di stabilire
r importante teorema :
Nella funzione ellìttica p (m j w, w') si possono sempre assegnare ai pe-
riodi 2 w, 2 co' tali valori che gli invarianti g^ , g^ acquistino valori prefès-
sati arbitrarii 'd, 73, purché non sia mdlo il discriminante
A=YÌ-27v^
Dai valori dati per g^, g^ calcoliamo infatti il corrispondente valore
Ji che dovrà avere l'invariante assoluto, e cioè
j Ti
valore finito per ipotesi. Esisterà certamente nel triangolo fondamentale,
0 nel suo simmetrico rispetto all'asse immaginario, un valore ii di t, per
il quale risulterà effettivamente
J(tO=Ji= '^^
7Ì-27TÌ •
Essendo 9. una quantità per ora indeterminata, costruiamo la fun-
zione ellittica ^(m|Q, lìti), il cui invariante assoluto sarà precisamente
LA FUNZIONE pU CON ASSEGNATI INVARIANTI ^2,^3 325
= Ji. Col processo stesso del §. 118 si vede che si può sempre prendere
fì in guisa che gli invarianti ^2 , 93 della nostra pii abbiano precisamente
i valori assegnati ys, Y3-
Nelle effettive applicazioni i valori dati degli invarianti sono sempre
reali, e reale è quindi pure il valore di J. Per i calcoli numerici, che si
presentano nella pratica, basta quindi avere una tavola che permetta di
seguire l'andamento numerico dell'invariante assoluto J lungo il con-
torno del triangolo fondamentale. Le tavole costruite da Legendre per
il calcolo degli integrali ellittici nel suo Tmité des fonctions elliptiques
si prestano facilmente alla trasformazione richiesta.
Il risultato che abbiamo così conseguito può anche enunciarsi sotto
altra forma, ricordando l'equazione differenziale cui soddisfa pu, e cioè:
p'^u = 4 phi — g2pu — g3.
Possiamo dire infatti: L'equazione differenziale del i." ordine
(4) gy=4s»_^,s-33
s'irdegra per mezzo della funzione ellittica pji, qualunque siano i valori
delle costanti g-i, gz, purché il polinomio di 3." grado in s del secondo mem-
bro non abbia fattori multipli.
E infatti prendendo
s= p{u-\-G\ gi,gi)
si ha l'integrale generale della (4).
Se si presenta il caso qui escluso
gl — 21gl = Q,
la quadratura
/
ds
che dobbiamo eseguire per integrare la (4), porta evidentemente ad
un integrale della forma
/
ds
(s — a) yjs — b
326 CAPITOLO XI. — §§. 122, 123
ovvero, ponendo s — h = f, all'integrale
2dt
/
f-\-'k
cioè ad un arco tangente (o ad un logaritmo), ed s, considerata come
funzione del valore dell'integrale, è ancora una funzione monodroma,
circolare (od iperbolica).
Propriamente dunque il caso
gi-21gl = 0
non è un caso d'eccezione, ma soltanto un caso limite, ove la funzione
^u degenera in una funzione circolare (od iperbolica).
§. 123.
Equazione differenziale per le funzioni ellittiche del 2.' ordine
e problema d'inversione.
La funzione ellittica del 2.° ordine p{u\ g-i, g^) soddisfa all'equazione
differenziale (4). Ora possiamo generalizzare questo risultato considerando
una qualunque funzione ellittica del 2° ordine w {u) e dimostrando che
essa soddisfa ad un'equazione differenziale del l.^ ordine della forma
2
o=^«.
dove P {w) è un polinomio di 3." o 4.° grado in te, secondo che iv (m) ha
un solo infinito del 2.° ordine nel parallelogrammo dei periodi, ovvero
due infiniti staccati del 1.° ordine.
E infatti nel 1." caso ^— sarà una funzione ellittica del 3.° ordine,
du
che avrà dunque tre infinitesimi del 1." ordine, e, se indichiamo con ivi,
Wi, iVz i valori che assume tv in questi tre infinitesimi di ic, si vede su-
bito che le due funzioni
(^) ' (^^"""^i) (w—Wi) (w—Ws)
hanno a comune periodi, infiniti ed infinitesimi, onde risulta appunto
EQUAZIONI DIFFERENZIALI PER LE FUNZIONI ELLITTICHE DI 2° ORDINE 327
che si ha
(5)
{ty=^^<^+y^"^+0'c+j>,
essendo A, B, C, D costanti.
Se la tv (u) ha due infiniti del 1.° ordine, la sua derivata -r— è del
a ti
4.° ordine e un ragionamento analogo al precedente dimostra che si
avrà allora
(6)
f^^ = Aw' -]-Bw' + Cw'-\- Div + E.
Le equazioni differenziali (5), (6) s'integrano evidentemente per fun-
zioni ellittiche. Riesce ora ben naturale la domanda: Dati arbitraria-
mente i polinomii di 3.^ o 4." grado nei secondi membri delle (5), (6), pos-
sono queste equazioni differenziali integrarsi per funzioni ellittiche?
In altre parole si chiede se è possibile determinare gli invarianti
gt, gz di una funzione s = pu in guisa che l'integrale della (5) o della
(6) possa porsi sotto la forma
tv
= F (pu , p'u) = F (5 , v/4 s' - 5r2 s - g^) ,
essendo F il simbolo di una funzione razionale nei due argomenti.
La questione così posta, alla quale è da rispondersi affermativamente,
come ora dimostreremo, può anche formularsi nel modo seguente. Dalla
(5) 0 (6) si trae
dtv
du
sjF(w)
essendo P {ic) un polinomio di 3.° o 4." grado in tv, e poiché, nell'ipo-
tesi che la proprietà da dimostrarsi sussista, dobbiamo avere altresì
con s = pu
ds
\j\^-giS—g^
possiamo dare al nostro problema la seguente forma algebrica : Ponendo
IO eguale ad una conveniente funzione razionale di s e \^ 4:S^ -gtS-g^,
328 CAPITOLO XI. — §§. 123, 124
è possibile trasformare il differenziale (ellittico)
dw
nella forma normale di Weierstrass
ds
yJ^^-gìS—g-i
Ciò è possibile, come si vedrà, in infiniti modi, fra i quali ne sce-
glieremo due pili semplici e adatti agli scopi pratici.
Il problema qui enunciato porta il nome di problema d'inversione.
Colla sua risoluzione noi veniamo invero a dimostrare che neir integrale
ellittico (di 1.' specie)
dw
u
a
VP N
considerando il limite superiore w come funzione del valore u dell'in-
tegrale, si ha una funzione uniforme di u doppiamente periodica, cioè
una funzione ellittica.
§. 124.
Primo metodo d'inversione per mezzo di una sostituzione lineare.
Cominciamo dal caso in cui il polinomio P {iv) è di 3." grado e scri-
viamo, con coefficienti binomiali:
P {w) = «0 iv^ + 3 «1 w' -}- 3 «2 't' -f- «3 •
tico
V' P («^)
div
In tal caso la trasformazione del differenziale ellittico , nella
forma normale di Weierstrass
ds
^^s^—g^s—gz
si può fare nel modo più semplice con una sostituzione lineare intera
(7) w^=a-{-bs,
PRIMO METODO d' INVERSIONE 329
ciò che equivale a prendere per tv (§. 123) una funzione ellitttica del
2.° ordine cogli infiniti stessi della pu. Colla sostituzione (7) si ha
dw b ds ds
VP(») Vp(«+m y'^p^„)+l„p^„) + '^r(a)+^p^(.a)
Basterà dunque disporre di a, b in guisa che sia
P"(„)=0, 6=p^.
Si ha dunque il risultato: Il differenziale ellittico
div
\/«o w^^+ 3 «1 tv^+ 3 «2 w'+as
per mezzo della sostituzione lineare
w= 1 s ,
si riduce alla forma normale di Weierstrass
ds
V4 s'— ^2 s—g^
Passiamo ora al caso in cui P(t^) sia del 4." grado:
P (w) == «0 w^* -|" ^ aiiv^ -\- % a^iv^ -\- 'ò a^w -{- a^\
in questo caso potremo raggiungere lo scopo ancora con una sostituzione
lineare, ma frazionaria in luogo che intera, cioè della forma
(8) ?/; = «+ -^ (^).
S G
Per meglio intendere il significato dei calcoli seguenti conviene ri-
correre a variabili omogenee, scindendo io nel quoziente di due nuove
(') Ciò equivale a prendere per iv (§. 123) una funzione ellittica del 2.» ordine,
i cui infiniti siano in due punti a, 2to-f-2oj' — a del parallelogrammo dei periodi.
330
variabili Wi, uy.
CAPITOLO XI. — §. 124
W =
W'2
e scrivendo quindi il differenziale ellittico sotto la forma omogenea
V P («0 V<*o w"? + 4 «1 M7? iVi +& aiw\w\+A:a2 Wi w\ + «4
w\
dove attualmente sotto il segno radicale figura una forma biquadratica.
È ben noto che una tale forma possiede due invarianti S, T V uno
di 2.°, l'altro di 3." grado nei coefficienti; le loro espressioni effettive
sono:
S = «0 «4 + 3 «1 — 4 «1 «3
(9)
T =
«0
«1
«2
a,
«2
«3
«2
«3
«4
= «0 «2 ^4 «0 <^ H" 2 «1 «2 «3 «1 <*4 «■2-
Eseguendo ora sulle variabili n\, u\ una sostituzione lineare
I Wi = hiSi-\- hi 6'2
^ W^2 -—" C\ Si ~j~ C2 S2
e indicando con
(10)
a'o st + 4 a 1 s? «2 "h • • • + «^'4 4
la forma trasformata, sarà evidentemente
Wz dw^ — Wi dwi
61 62
Cx Ci
S2 aSi Si as%
Se ora disponiamo dei quattro coefficienti nella (10) in guisa che
risulti
61 C2 - &2 Ci = 1 , a'o = 0 , a'i = 1 , a 2 =^ 0 ,
indi poniamo
5'2 = - 4 a's , 9^= - a 4 ,
vediamo dalle (9) che g^, g^ saranno precisamente gli invarianti S', T'
della trasformata e sarà per ciò
5^2 = 8 , 5'3 = T,
PRIMO METODO d' INVERSIONE 331
Restituendo le variabili non omogenee, otterremo
dw ds
mediante la sostituzione lineare
w
C1S+C2
Resta dunque soltanto che vediamo come si possono determinare i
coefficienti a, b, e nella (8) in guisa da raggiungere lo scopo prefisso. Per
ciò osserviamo che si ha colla sostituzione (8)
dto ds ds
Vp (tv) 1 /{s - cY p f^_^ J_\ VPi (s)
s- e.
V^'
ove si ponga
Pi(5)=^'p(«) + ^'P'(«)+ ^'P''(a) + ^-^
Basterà determinare a, b, e per modo che si abbia
P (a) = 0 , -^ = 4 , -^ F {a) + -^ = 0 ,
ossia
P(a)=.0 , b = jV'{a) , c = ~F'{a).
Abbiamo dunque il risultato: Per ridurre il differenziale ellittico
dw dw
Vp («^) V«o «<'^+ 4 «1 tv^+ 6 Oi w^+ 3 «3 w+tti
alla forma normale di Weierstrass
ds
332 • CAPITOLO XI. — §§. 124, 125
hasta porre
(11) w = a -^ -
»-^F'(a)
essendo a una radice qualunque del polinomio di 4." grado V [tv). Gli in-
varianti ^2, <73 risulteranno eguali ai due invarianti S,T di P {w) e cioè:
(12)
^3 =
gi = aoa4-{- S al — 4 «i «3
a^ a\ a^
Ui «2 CI3
a^ «3 «4
Così resta giustificata, anche dal punto di vista algebrico, la deno-
minazione di invarianti data a gz, g-i-
È da osservarsi che, mentre nel caso in cui V {w) è di 3.° grado i
coefficienti della sostituzione da eseguirsi dipendono razionalmente dai
coefficienti di V{iv), attualmente ne dipendono irrazionalmente, espri-
mendosi per una radice di P(w) = 0, che bisogna supporre nota. Però,
ed è questo un punto essenziale, ove la funzione pu di Weierstrass ha
già un rilevante vantaggio su quelle di Jacobi, gli invarianti g^ , g^ della pu
si calcolano sempre razionalmente, come invarianti della forwM biquadratica.
§. 125.
Secondo metodo d'inversione.
Nei casi pratici il polinomio P iw) è a coefficienti reali e però anche
gli invarianti g-., g^ sono reali. Se non si conosce alcuna radice di P {ir) = 0,
ovvero, essendo queste tutte immaginarie, si vuole evitare nelle formole
d'inversione d' introdurlo esplicitamente, converrà meglio ricorrere al
secondo metodo d'inversione, che ora passiamo ad esporre.
Essendo v un valore fisso dell' argomento, prendiamo per ciò a con-
siderare la funzione ellittica del 2.° ordine
1 p'u — p'v
y ^=^ — - — ^ — ~ —
2 pu — pv '
che abbiamo visto figurare nelle formole d'addizione (§. 106) e propo-
SECONDO METODO d' INVERSIONE 333
eguaglia [-^) '^'- l^ei' ciò osserviamo che dalla formola (V) d'addizione
niaraoci di costruire eifettivamente il polinomio di 4.° grado in y che
'«"^Slia (fi) I"
(pag. 285) si ha
ossia
(13) ?/ — 3 pv = [^ {iti + V) — pv\ + {pu — pz;J .
La forraola (III) (pag. 284) ci dà
1 3 p'u — p'v 1 p"v 1 p'u — p'v ,
p {uWj — pv = -— -- "= = — ■ — f- ?— - p V
2 do pu — pv 2 pn — pv 2 {pu — pvy
e moltiplicando per 2 ( pu — pv ) risulta
p"v— 2ypv = 2[p (u+v) - pv] [pu - pv] .
Quadrando la (13) e sottraendovi il doppio di quest'ultima, si ottiene
(!/' - 3 pvf + 2 (2 ^ p'v - p"v) = [p (u+v) - puf .
D'altronde, per la citata formola d' addizione ( III ) si ha
onde troviamo per la forraola cercata
che, sostituendo per p"v la sua espressione 6 p^v — - Qì, diventa:
^^^^ (È) = ^' - ^ ^^ / + 4 ^'y ^ + (/^ - 3 pS .
Dopo ciò è molto facile ridurre una qualunque equazione diiferen-
ziale (6)
(15) K'J'] = ^0 i<^* + 4 «1 16;^ 4~ 6 «2 w?^ + 4 «3 ty + «4
(*> Che debba essere un polinomio di 4." (e non di 3.°) grado in u risulta
da ciò che la y ha due infiniti del 1." ordine staccati, l'uno in tt = 0, l'altro
in Zi = — V.
334 CAPITOLO XI. — §. 125
a questa particolare forma (14) mediante una sostituzione lineare intera
ttf = A -f- B«/.
Si cominci infatti, colla nota sostituzione
«1 ,
IV = 1- u\ ,
a far sparire dal 2.° membro di (15) il termine in wl, dopo di che po-
tremo scrivere
/div ^ ^
(15*) (^ -^j = «0 «^t + 6 a\ wl-^i «3 Wl + a\ .
Gli invarianti S', T' di questo polinomio saranno gli stessi che in (15)
e sarà perciò
<^o «'4 + 3 a'I = S , «0 «'2 «'4 — «0 «1 - al = T .
Ora, posto
wJi = B?/ ,
dobbiamo ridurre la (15*) alla (14), determinando convenientemente
^ , 92, 93, V.
Dal confronto dei coefficienti nella supposta identità
B'\i/-6pv.if K p'v.y+g,- 3 p'v\ = a, B^y+6 a\ Wif-\-^ a,By+a\
deduciamo
(16) B = — , pv= —a'i , p'v = a\ \i a^ , g^ — 3 g>'v = a\ «o
e, poiché deve essere
otteniamo per gli invarianti i valori
^, = S , ^3 = T,
dopo di che le (16) si riducono alle relazioni concordanti
(pv = —a'i , gì'v = a'a \l ao
SECONDO METODO d' INVERSIONE 335
cioè
af — a« «2 , 2 a? — 3 «0 «i ctz+al «3
^ = ^ , pv= ^:— .
Possiamo dunque formulare il risultato dei nostri calcoli col seguente
teorema: Per integrare l'equazione differenziale
( -j - I = «0 10^ + 4 «1 to' + 6 «2 w^ -j" 4 «3 i« -|- «4
per funzioni eUlttlcìie, costruiscasi la funzione p di Weierstrass cogli in-
varianti
r/2 = S = «0 «4 + 3 «2 — 4 «1 «3
( (^3 = T = «0 <^2 CI4 — a^al-j- 2 ai a^ a^ — a\ai — a\
e determinando l'argomento costante v delle relazioni concordanti
«1 — «0 «j / 2 «1 — 3 tto «1 ai-Val «3
(pv = , pv = ~
° aa\J a^
si avrà
I ^ _ ^ j \_ pti—pv
\'^ «0 2v/ao ^^-^^
dw 1 . / , \
[ -^ = -- {fìu—fi{u+v).
\ ^** \/ao
In questo secondo modo d' inversione non si richiede la previa riso-
luzione dell'equazione di 4." grado P (tv) = 0, anzi è chiaro come ne ri-
sulti la risoluzione dell'equazione di 4." grado stessa per funzioni ellittiche.
E infatti il binomio
pu — p (u+v)
si annulla evidentemente per tutti e soli i valori u della forma
V
u = — — -\- mia -\- noi (m, n interi)
e però le radici dell'equazione di 4.° grado saranno date dalla forinola
/v \
p'{—-{'moì+ni)ì'j-\-p'v
_ tti
«0
2 V «0 p (-- -\- mi)ì-\-noìj — pv
dove basterà dare ad {m, n) i quattro valori di un sistema completo di
coppie (mod2) p.e. (0,0) (0,1) (1,0) (1,1).
336 CAPITOLO IX. — §. 126
^. 126.
Integrazione delle funzioni razionali di una variabile f e di V P(m;).
Coir uno 0 coir altro metodo d'inversione sopra discussi siamo in
grado di risolvere il problema:
Dato un polinomio di 3." o 4.*^ grado P {iv), esprimere contemporanea-
mente la variabile w e il radicale \ P {w) per funzioni ellittiche di un
parametro ausiliario u.
A questo punto possiamo risolvere completamente il problema, che
ha dato storicamente origine alla teoria delle funzioni ellittiche (§. 93)
e cioè :
Essendo Y {w, \ P {w) ) una funzione razionale di w e della radice
quadrata di un polinomio P {w) di 3." o 4.° grado in w, eseguire la qua-
dratura
(17) J = J F {w , VPM) dw .
Introducendo il parametro ausiliario u, l'integrale precedente diventa
evidentemente
J =J FApu,pu)du,
dove Fi è una funzione razionale di pu, p'u, cioè una funzione ellittica.
La questione proposta si riduce dunque all'altra di trovare l'integrale
di una funzione generale ellittica f{ìi). Si vede subito che un tale inte-
grale dà luogo ad una funzione ellittica aumentata di termini della forma
log a {u -v) , C (u - v) .
E infatti, se decomponiamo la nostra funzione ellittica f{ti) in ele-
menti semplici secondo la formola (I) ipag. 282)
otteniamo immediatamente
(18) J =Jf(u)du = Cu+y^A^ìogG(u--^)-^A,!:{u-'^)+^{pu,p'ii) ,
essendo i razionale in pii, p'u cioè una funzione ellittica.
INTEGRAZIONE DELLE FUNZIONI RAZIONALI DI IO E \'V{lv) 337
L'introduzione nell'analisi delle funzioni
0 insomma dell'unica funzione (^u, permette di eseguire tutte le qua-
drature (17).
Si osserverà che l'integrale ellittico (18), oltre l'argomento esplicito
u e la parte periodica <^ {pu, p'u), contiene anche le due parti non pe-
riodiche
2;Aoiogo(w-[5) , 2;aiC(«-p).
In casi particolari possono però queste parti sparire. Ciò accade per
la prima quando tutti i residui di f{u) sono nulli, quando cioè l'integrale
Abeliano (17) è di prima categoria (Cf. §.90), e perchè sparisca anche
la seconda basterà che sia I Ai = 0, come risulta dalle forinole
C (m + 2 co) = C u+2'q , C {u+2lù) = C u+2r[ ,
ovvero anche dalla formola d'addizione per la C«.
Un altro caso interessante si presenta quando, essendo sempre S Ai = 0,
i residui Ao sono tali che il prodotto
sia una funzione ellittica, cioè razionale in pu, p'u. Allora il secondo
membro della (18), prescindendo dal termine lineare in ii, consta di una
funzione razionale di pu, p'u e del logaritmo di una tale funzione ra-
zionale. ,
§. 127.
Integrali normali ellittici delle tre specie secondo Weierstrass.
Ogni integrale J della forma (17) dicesi un imegrale ellìttico. Diciamo
qui di passaggio che sotto questa denominazione si comprendono più
in generale tutti gli integrali della forma
J = / F {x, y) dx ,
dove le variabiU x, y siano legate da un' equazione algebrica
f{x,y) = 0
di genere uno. Si perverrebbe, nel modo del §. 123, a queste più generali
338 CAPITOLO XI. — §. 127
relazioni ellittiche, considerando una generale funzione ellittica tv, che
è appunto legata alla sua derivata iv da un'equazione algebrica di ge-
nere uno (o zero). Ma nel modo da noi scelto per lo sviluppo della teoria
volgiamo specialmente l'attenzione ai particolari integrali ellittici (17).
Se osserviamo che nella formola (18) si ha SAo = 0, vediamo che si può
scrivere
2Aologa(^-r.) = 2Aolog"-^+B,
essendo B una costante. D'altronde per la formola d'addizione della C
C(m-^) = Cw-Ci3+ o .... .^o '
2 pu - ip'p
^ possiamo quindi scrivere la (18) così:
(18*) J =jf{u) du=Cu-i2A{)^u + 2 Aolog^^l^^ + ']> (li),
dove '{) {il) è una nuova funzione ellittica. Ora, se poniamo
s = pu , indi \/4: s^ — gi s — gs = p'u ,
vediamo che l'integrale generale ellittico
J =J F (s , \/4 s'—gi s -gs) ds
si compone con termini delle seguenti quattro specie:
1.° di una parte razionale in s e \/4s^ — g^s — gj
2.° dell'integrale ellittico
(A) ' ^
/d&
V^4 s^—gi s—gs
3.° dell' integi-ale
::'« r s ds
(B) C^* =
n'n. I 1.1
h s—g2
/« r s ds
4.<» di un certo numero di termini della forma
log '1^)= ri e:«+4? ,„_«:?„+ e,
INTEGRALI ELLITTICI DELLE TRE SPECIE 339
ossia, prescindendo dal 2," termine, clie è della forma (A), di integrali
ellittici della forma
(0 /■i.£:?i±£|*,.
Gli integrali ellittici (A), (B), (C) sono quelli che Weierstrass indica
come integrali (elementari) di prima, seconda e terza specie rispettiva-
mente (^>.
Come si vede : Un integrale generale ellittico si compone di una parte
razionale e di integrali elementari di i", 2"' e 5" specie.
Capitolo XII.
Le tre funzioni 3 pari di Weierstrass e le funzioni ellittiche di Jacobi snv,
cn-y, dny. — II quadrato k- del modulo come funzione modulare. — For-
molo d' addizione per sn v, cn v, dn v.
§. 128.
Funzioni periodiche appartenenti a sottogruppi del gruppo modulare.
Una delle proprietà fondamentali delle funzioni di Weierstrass nu,
gju, considerate come dipendenti dai periodi, è espressa dalle formole
0 {ti |aco+pw' , Ytó + Sctì') = o(ti\(ù, to')
fi{u\oi.(ù+^(fì , Yco + §co') = p{){.\oì, co'),
essendo
'aoi+pw' yw-h5w'^
03 0)' ,
una qualunque sostituzione del gruppo modulare omogeneo. Il seguito
(^) Queste denominazioni corrispondono appunto a quelle in uso nella teoria
generale degli integrali Abeliani. (Cf. §. 90) Sulla superficie Riemanniana a due
fogli per l'equazione algebrica
y^ = ^s^—g-2s—g3
l'integrale (A) è sempre finito; i suoi periodi fondamentali sono 2oj, 2oj'. —
L'integrale (B) ha un solo polo del 1.» ordine in 6- = oo (che è altresì punto di
diramazione;. — L' integrale (C) ha due infiniti logaritmici in s = a) e s = p^,
y = P "^ coi residui — 1, -\-l.
340 CAPITOLO XII. — §. 128
della teoria ci conduce a considerare delle funzioni periodiche di 1.^ o
3.^ categoria (§. 101), che ammettono i periodi 2 co, 2o)' o loro multipli (^*
e, senza rimanere invariate per tutte le sostituzioni (. ''^ ) del gruppo
modulare, tali rimangono per quelle di un sottogruppo d'indice finito.
Fra i sottogruppi del gruppo modulare si considerano specialmente
i sottogruppi congruensicdi (Congruenzuntergruppen), che sono cioè defi-
niti da congruenze cui debbono soddisfare i coefficienti a, p, y, 5 rispetto
ad un dato modulo n. I sottogruppi di questa specie sono sempre con-
tenuti nel sottogruppo principale r„ definito dalle congruenze
:;8-G;?) (■»°^«)'^
che contiene tutte le sostituzioni congrue coli' identità (mod n) ed hanno
tutti indice finito. I sottogruppi principali F„ sono inoltre invarianti nel
gruppo modulare.
Le funzioni periodiche appartenenti al sottogruppo Fn si diranno della
w'"" specie (Stufe secondo Klein). In questo senso le ou, pu apparten-
gono alla prima specie. Nel caso seguente n = 2 rientrano le funzioni
classiche di Jacob i
sn ?; , znv , dn y .
Storicamente adunque lo studio delle funzioni ellittiche di seconda
specie ha preceduto quello delle più semplici di prima specie (della pu).
Arriveremo alle funzioni di Jacobi costruendo prima tre funzioni perio-
diche di 3.*^ categoria e di 2.^ specie introdotte da Weierstrass, le così
dette funzioni sigma pari. Per ciò conviene innanzi tutto partire dalle
considerazioni seguenti. Rispetto al modulo 2 le sostituzioni f/'H del
gruppo modulare F si ripartiscono nelle 6 classi seguenti:
('I Xaturalmeute, se si tratta di funzioni periodiche di S.^* (o 2.^) categoria,
la periodicità s' intende soltanto relativa ai loro infiniti ed infinitesimi.
(2) Che le sostituzioni di questa specie formino gruppo risulta subito dalla
legge di composizione delle loro sostituzioni.
SOTTOGRUPPO Tg ^s; ( ' ì (mod 2)
341
Quelle della prima classe formano appunto il sottogruppo Fg e la
ripartizione superiore in 6 classi corrisponde precisamente alla riparti-
zione delle sostituzioni di F rispetto a quelle del sottogruppo Fg, il quale
adunque è in F un sottogruppo (invariante) d'indice 6.
Per ogni sostituzione di F
(1)
si ha
^ (m I co , tó') = ^ (m , fì , fì')
e perciò le radici Ci , Cg , e^ dell' equazione cubica
4e' — 5^2 6— ^3 = 0,
che abbiamo definite colle formole
ei = più , C2 = ^ (w+o/) , es = p(tì' ,
per qualsiasi sostituzione (1) (/'H di F non potranno che permutarsi
fra loro. Per vedere come si permutano, poniamo
e'i = ^fì , e2 = p(9.+Q,') , 63 = pQ,'
e distinguendo, come sopra, le sostituzioni f ' M in 6 classi rispetto al
sottogruppo F2, potremo subito costruire la tabella seguente:
(A)
(y ' ^/ ~ (0 ' 1) ^"^^^^ '^^ ' ^'' " ^' ' ^'' " ^' ' ^'' " ^'
(y ' 5/ ^ (0 ' 1) ^"^^^ ^^ ' ^'' " ''' ' ^ "' "^ ^' ' ^'^ " ^'
(y ' 6/ ^ (1 ' 0/ ^^^^°^^ ^^ ' ^'' ^ ^' ' ^'' ^ ^' ' ^'' ^ ^'
(y ' s) ^ (1 ' 1) *^'^°^ ^'^ ' ^'' ^ ^' ' '^'^ "" ^' ' ^'' " ^'
Sostituzioni
sopra e^ e^ e^
(ei 63)
(ei 63 62)
(«1 «2 63)
(^1 «2)
a42 CAPITOLO XII. — §§. 128, 129
Come si vede, le sostituzioni ( /' t! ) di T inducono sopra Ci , 62. 63 le
6 sostituzioni del gruppo totale su 3 elementi.
§. 129.
Le tre funzioni oyu.
Le tre funzioni 0, « pari si deducono dalla om in modo semplice, au-
mentando l'argomento u della a di uno dei semiperiodi
co , 0) + co' , 0) .
Per maggior simmetria poniamo
0)1 = 0) , 0)2 = CÙ + C0' , (j)3 = Cj)'
e analogamente
sicché in generale
■/j^ = cio), (/•=1,2, 3).
Dalla formola fondamentale (VI) pag. 263 per la "ju si deduce che
per un valore qualunque dell'indice r è
o(tH2co,)= -e2v(«+"Matt,
nella qual formola, cangiando ti in u — co,., otteniamo
e""'!'-" a (ti+itìr) = e^'»-" a (co,-m) .
La funzione
Ce-V^a(M+co,)
è adunque una funzione pari; se diamo alla costante C un tale valore
che per u = 0 la funzione assuma il valore 1, avremo precisamente la
funzione che Weierstrass indica col simbolo o,-?f. Avremo dunque per
definizione
(I) Gr u = e-V « " ^''+''^-^ = e^.ru ^joyr-u)
^ 0(0,- Gtór
LE TRE FUNZIONI 3 PARI 343
e dando ad r i suoi tre valori sarà
(I* Oi?«=e ^^*^ -ou^^e l^i-^1^"-^- ' ^ i^ = (r-h'^ -^ — ^.
a to 0 (co+o) ) 0 0)
Possiamo dimostrare subito che le tre a pari, che sono evidentemente
funzioni di 3.* categoria, appartengono precisamente al sottogruppo Tj
nel senso del §. precedente. E invero dalla formola
fpu - poh
O (O),. -7i) -j (C0,. + W)
2 2
0 0)r 'J U
che per la (I) può scriversi
(2) ^M-pOV=:-2- ,
risulta intanto evidente che, per qualunque sostituzione ( ^ t! ) di T sui
periodi, i quadrati delle Or
si permutano fra loro al modo stesso di
nella tabella (A). Ma poiché per n = 0 tutte tre le funzioni 3, ridu-
consi = 1, è chiaro che anche
si permuteranno nel medesimo modo. Ne concludiamo : Le tre a pari
rimarìQono assolutamente invariate, eseguendo sui periodi una sostituzione
(:,i)-&:) <--'
del sottogruppo T^ ; per ogni altra sostituzione di V si permutano sempli-
cemente fra loro nel modo stesso di Cj, e^, e^ nella tabella (A).
Osserviamo ancora che gli infinitesimi delle quattro trascendenti
intere
OU , OiU , O2U , o^u
344 CAPITOLO XII. — §§. 129, 130
sono nei punti
Uo = 2m(ù -f 2n(tì per la ow
Uo = {2m+l)oì -{- 2wo/ „ OiM
Uo = (2m+l)oi + (2w+l)o/ „ 02W
Uq = 2mo) -{- (2n+l)i>/ „ Gj,u ,
dove m, n indicano interi qualunque.
Infine dalla formola (VI) pag. 263 per ìslou, tenendo conto della identità
Yj w' - Tj'o) =
deduciamo le corrispondenti per GjW, OjW, a^u, che riassumiamo nel pro-
spetto seguente:
(B)
0 («+2moj+2wo/) = (-lf^^^+^^+". g(2^r.+27?r;)(u+m(o+n,.;)^ ^^
ai(w+2m(o+2witì') = (-ir" + "^ . e(2mr,+27ir;)(M+7n,o+noV)^ ^^^
03(w+2w(tì + 2Ma)') = (-ir'' + '' . e(2^r,+2«r;)0.+m(u+«oV)^ ^^^
§. 130.
Le funzioni ellittiche \' pu — e, e i valori di ve* — e« .
La formola (2) ci dimostra che la funzione
yjgm—er = + -^
si scinde colle sue due determinazioni in due funzioni monodrome di-
stinte, ciò che risulta del resto anche dall'osservare che gli infinitesimi
e gli infiniti delle funzioni
sono tutti di ordine pari. Golia segnatura
LE FUNZIONI ELLITTICHE \J (pU — Or 345
intenderemo sempre la funzione -f- -^ , sicché avremo
a u
(II) yj^u — e^ = -!- , yjpu—ei = — , yjpu — e^ = — .
a^< Gli nu
Mediante le formolo (B) si constata subito che queste tre funzioni
sono doppiamente periodiche del 2.° ordine coi rispettivi periodi fonda-
mentali
(2(0, 4co') , (2w + 2(o', 4(o) , (4co,2(o').
Alla (II) si coordina una formola notevole, che esprime p'u per le o ;
si ha infatti:
p'u = + 2 y/ipu - e,) {pu - e,) {pu -e^)=± 2 ^'^ ^f ^'^
0 M
e il segno si determina subito dal modo di comportarsi di p'u nell'intorno
di M = 0, onde risulta
(III) p w = - 2 — — s .
Fissato in modo preciso colle (II) il senso dei radicali ^J pu — e^ ,
intenderemo per \l Cg — e, il valore - — ^ ; avremo quindi senza alcuna
0 0).,
°1^2 .y,. ,,,. Otóg
(a)
OtOj
a 003
(6)
0 0^3
GoW,
V-2 — ^1 y
gj — gj = — = e
0(0,
Vei-e3 = ^^ = e-%-1
(e)
Ve2 — 63 = ^-^ = - e^3
OCOg 0(03 0(0
0 (Oi 0 0)2
0(02
0(0l OOOg
0(0i
0(02 00)3
0(03
0(02 OtOj
0(02
0(03 0(0i
0(0i
346 CAPITOLO XII. — §. 130
Dietro queste convenzioni risulta
(d) \Jex — 62=1 \Je2 — 61 , sje^ — 63 = i v^s — e^ , \'ei — 63 = i \/ei — ei .
Moltiplicando la 2.* delle (h) per la 1.^ delle (e), risulta
, e'ii "^1
\/ei— 62 . V«i— ^ = -^2 —
ed estraendo nuovamente la radice quadrata, coli' adottare nel 2° membro
la determinazione , e analogamente procedendo per gli altri
0 0)1
prodotti
\Je2 — 63 yjci — Ci , yje^ — Ci ^e^ — e^,
avremo le formolo
4/ 4/ e
(IV) N Ve^ — 63 yjci — Ci
0 0)2
4/ 4/- e*
v/eg — 61 v^s — 62 = ,
OW3
dalle quali segue una notevole identità. Dalla formola
1 _ 63-62
(61-62) (61-63) "~ (61-62) (62-63) (63-61) '
permutando circolarmente gli indici e sommando, si ottiene l'identità
(61-61) (61-63) (62-63) (62-61) (63-61) (^-63)
ovvero per le (IV)
(V) \e 2 00)1 j + 1^6 2 5,02/ + \e ^ ^^^y^o,
che è la formola richiesta.
347
§• 131.
Aggiunta di semiperiodi all'argomento della o^u.
Cerchiamo ora l' effetto prodotto sopra una qualunque delle funzioni
a per l'aggiunta all'argomento u di un semiperiodo arbitrario
Q = miù+noì ,
essendo m, n due numeri interi, di cui uno almeno impari. Se poniamo
H = mri+nri ,
avremo, per la proprietà fondamentale della au:
a(M+2fì)= -e2H("+2)o^*,
da cui cangiando u in u — fì
e-H" a {u+^) = e^w a (fì - M) .
Ponendo
(3) a„„„«=«-H"'-M«),
si avrà evidentemente
Ma si trova subito che aumentando m,n di 2 la a,nnU non cangia:
"«1+2 ? M^ ^m? n^^U = '^ctm'^
e però la funzione a^n « non dipende dai valori assoluti degli indici m, n,
ma solo dalla loro parità o disparità, talché si ha
[ Omni(' = '^\U per (w, n)^(l,0) (mod2)
< ^mn^« = '^2W „ (m, w)^(l, 1)
( 0,nnU = ^zU „ {m, n) ^ (0, 1) .
La formola (3) può dunque riguardarsi come esprimente o (m -f fì)
per una delle altre funzioni a. Ora nella (3) aumentiamo u di rw + sw'
348 CAPITOLO XII. — §§. 131, 132
con r, s interi qualunque, non ambedue pari, e distinguiamo due casi
secondo che i numeri m-\-r, n + s sono ambedue pari, ovvero no. Nel
1." caso si ha
e determinando il fattore costante C col fare u= -(rw+so)') otteniamo
(4) G,nn (w+ra)+sw')= -e(^"'i+^^') i^+r ^'>+s .^')
ou
0 (roì+soi )
formola che vale per
{m+r , n+s) ^ (0, 0) (mod 2) .
Nel 2.** caso risulta invece
e determinando C col fare p. e. m = 0 si ha la seconda formola do-
mandata
(4*) 0,„ n {u + riÙ-\-S O/) = e^^ ^'+^ ^''^ " O,,, „ (r W + S w') n„+n , r+s u
per {m-\-n, r-\-s)^ (0,0) (mod 2).
§. 132.
Sviluppo della trascendente intera 3. w in serie di potenze di u.
Le trascendenti intere o^m (r = I, 2, 3) sono sviluppabili in serie di
potenze di u, convergenti in tutto il piano, ed importa ora che precisiamo
la natura dei coefficienti di queste serie. Dimostreremo : 1 coefficienti a»,
dello sviluppo in serie di
00
0
sono formati razionalmente cogli invarianti gt, g^ e colla radice e,- corri-
spondente dell'equazione cubica
4e^— ^Tae— 5^3 = 0.
SVILUPPI IN SERIE DI POTENZE DI U DELLA (3,- W 349
Risulta di qui nuovamente che per ogni sostituzione [^ A del gruppo
modulare sui periodi le tre funzioni
si permutano fra loro al modo stesso di
Per stabilire la proprietà enunciata, consideriamo la funzione più ge-
nerale periodica di 3.* categoria
(5) ,(„) = ,-C.^,
dove V h mi parametro; per v = co,. otterremo precisamente la OyU. La
(p {u) è funzione anche del parametro v e derivando rispetto ad w o y ot-
teniamo
du
31og'f
= C {u-\-v) — ^v-\-upv ,
dv
onde risulta che f soddisfa l'equazione a derivate parziali del 1.° ordine
(6) |_| + „,^„ = 0.
Ora supponiamo che sia
lo sviluppo di 'f (u) in serie delle potenze ascendenti di u; i coefficienti
An saranno funzioni analitiche uniformi di v e potremo applicare la deri-
vazione per serie sia rispetto ad ti, sia rispetto a v. Dalla (6) risulta
quindi pei coef&cienti A„ la formola ricorrente
An = ——^ — (n - 1) An-2 pv .
350 CAPITOLO XII. — §§. 132, 133
Partendo dai primi valori
Ai = 0 , Ai= -pv , A3= -p'v , Ai= -p"v^3p^v= -Sp^v-\-~ g^
vediamo adunque che i coefficienti A„ sono funzioni razionali intere di
fiv per n pari, con coefficienti razionali interi in g-z, gs, mentre per n di-
spari sono eguali al prodotto di p'v per una tale funzione. Se facciamo
v = o),, la <p{u) si muta in OrU; e poiché
pco, = e,. , p'(à,. = 0 ,
ne risulta la verità del teorema enunciato. È chiaro poi che nei coeffi-
cienti dello sviluppo di OfU si potrà far figurare e,- a potenze non su-
periori alla seconda. Così si ha:
a,-?t
§. 133.
Le funzioni ellittiche di Jacobi sn??, cnw, dni;.
I risultati dei §§. precedenti conducono direttamente alle tre fun-
zioni ellittiche di Jacobi di cui ora tratteremo ; esse sono funzioni dop-
piamente periodiche appartenenti, secondo i concetti generali del §. 128,
al sottogi-uppo r,: C^f) = Q^^ (mod2).
Consideriamo perciò le tre funzioni
(7) <p(u) = ^Je,-e^ — , 'r>,{u) = -- , '^,{u) = — ,
O^U O^U O3U
le quali, secondo le formolo (B) pag. 344, hanno i rispettivi periodi
elementari
(4w,2w'), 4co,2(tìf2tó') , (2co,4o/)
ed hanno infiniti di 1.° ordine nei punti
u„ = 2mw -f {2n+l) w'
ed infinitesimi di 1.° ordine rispettivamente nei punti
Wo = 2mai+2w(o' , Wo = (2 a>j+1) ctì + 2wco' , iio== {2m+l)oì+{2n-\-ì)(ù' ,
LE TRE FUNZIONI ELLITTICHE DI JACOBI: Sn V, CIl V, duv 351
percorrendo m, n tutti i valori interi. Inoltre queste funzioni soddisfano
alle condizioni iniziali
?(w)
(8) lim ^ := V/ei— 63 , 03(10) = ! , (pi(0) = l , cp2(0)=l.
Calcoliamo poi i residui di queste tre funzioni per m = w', osser-
vando che si ha
lini = -e~%'"3 0W3 (1) ;
Tenendo conto delle forinole («), (&), (e), pag. 345, troviamo:
1 j
(9) lim [{u - o/) 9 («)] = -^^zz ) lim [{u - w') 'fi (w)] = zzz=: >
lini [(«( - w') 92 (m)] = -
V^Ci — 63
Osserviamo ancora che, per le proprietà di omogeneità della ow (§. 93),
della Cm e della pu, se si moltiplicano argomento e periodi per un me-
desimo fattore X, le
acquistano rispettivamente i fattori
e per ciò le costanti
tir , yjer—es
il fattore r- , onde segue che Oi u, Gj u, 03 u restano invariate. Le nostre tre
K
W Ciò risulta subito dalla forinola
33(^+0^3)=- e"l3(*^+"^3)
indi
hm ( ~] = lim — -. — I r =-
^^0) V ^3« / «=0^3 0* + ''^3)
-■13"J3,
352 CAPITOLO XII. — §.133
funzioni (7) godono dunque della comune proprietà espressa dalla formola
^ (lu I Xw, Xo/) = $ (m I w, o/).
Con una semplice mutazione dell'argomento è facile quindi cangiare
le 'f (u) in tre funzioni dipendenti solo dall' argomento e dal rapporto
t = — dei periodi. Pongasi perciò
e si riguardino
'f (m) = Vei— 63 — , 'fi (w) = — , 'f2 (w) = —
C3M O3W O3W
come funzioni del nuovo argomento v. Esse dipenderanno, oltre che dal-
l'argomento, soltanto dal rapporto t dei periodi; sono queste precisa-
mente le tre funzioni ellittiche di Jacobi
sen ani v 0 sn v , cos am y 0 cn e; , A am «; 0 dn v .
Abbiamo dunque per definizione
snv
=
V fil-
-C3
O3W
cn?;
=
ai M
03W
dnv
02M
03W
(C) / cn2;= — ; v = ti\/ei — e^
Se poniamo inoltre, per usare delle notazioni di Jacobi:
K = (tì Vei — 63 , ìK' = (tì Vci — 63 ,
vediamo che sussistono le proprietà fondamentali seguenti :
Le tre funzioni ellittiche di Jacobi hanno risiìettivamente i periodi ele-
mentari
4 K , 2 i K' per sn v
4K, 2K+2ÌK' per cnv
2 K , 4 i K' per dn v ;
LB FUNZIONI ELLITTICHE Di JACOBI SII V, CIl V, dn V 353
i loro infiniti di 1° ordine sono nei punti
?;^ = 2mK^- (2w+l)iK'
e gli infinitesimi rispettivamente in
^0 = 2 m K + 2 w i K' per sn «
«;o==(2w+l)K + 2wiK' per cn v
?;o = (2m+l)K + (2w+l)iK' perdn?;.
Tutte tre sono funzioni ellittiche di 2.^ ordine, nel loro rispettivo paral-
lelogrammo dei periodi.
Le forinole (8), (9) si cangiano poi nelle seguenti, che importa notare :
(8*) lim (^ = 1 , cn 0 = 1 , dn 0 = 1 , sn K = 1
1 i
(9*) lim \{v - i K') sn v] = y- , lim [{v - i K') cn w] = - 7- ,
lim {{v—i K') dn v] = - i ,
1.=. K'
avendo posto
(VI)
V ei— e.
Questa costante li, che dipende soltanto dal rapporto t = — = -^^7- dei
periodi, dicesi il modulo delle funzioni ellittiche sn v, cn v, dn v e, con-
siderata come funzione di i, è storicamente la prima funzione studiata
della classe delle funzioni modulari, alla quale ha dato appunto il nome.
Insieme al modulo h, conviene considerare anche il così detto modulo
complementare h', definito dalla forinola
i radicali avendo i sensi precisi loro attribuiti nelle formolo (a), (h), (e)
pag. 345. Fra il modulo h ed il complementare // ha luogo evidentemente
la relazione
(10) F 4-^=1.
28
354 CAPITOLO XII. — §§. 133, 134
È inoltre da notarsi che si ha
(11) dnK='^^ = /.'.
Osserviamo poi che delle tre funzioni ellittiche di Jacobi la prima
sn ?; è impari, le altre due cn r, dn v sono pari ; inoltre aumentando v
di 2K 0 2iK' si comportano nel modo seguente
sn (2K+v) = — sn w , sn (2ìK'-h;) = sn v
cn (2 K-R') = - cn V , cn (2 iK'+f) = - cn v
( dn (2K-R^) = dn V , dn (2iK'-H;) = - dn ?; .
Notiamo in fine la formola
sn (2 K - v) = sn w .
§. 134.
Relazioni fra snr, cn r, dn ?• e loro derivate.
Fra i quadrati di sn v, cn v, dn v, hanno luogo due sempHci relazioni,
che si deducono immediatamente dalle loro espressioni per la p di Weier-
strass :
(VII) sn ?; = -^zz^ , cn v = "^ , dn r = \^ («> = u\e^-e^ ;
\lpu-e2 \i pii-e^ \ pu-e3
si hanno quindi le relazioni cercate
(12) sn^ v+cn"^ v = 1 , h^ sn^ y+dn^ v = 1 .
Stabiliamo ora le formolo che esprimono le derivate di sn v, cn v, dn v
per le funzioni stesse di Jacobi. Derivando per ciò le (VII), col ricor-
dare che
p'u= - 2 yJipu - Ci) {pu - Ci) [pu - es) ,
si otterranno subito le formolo importanti
I d sn V
dv
= cn V dn v
(Vili) s — - — = - sn V dn y
j dv
\ d ànv -,,
— ; — = - Io sn w cn ^' ,
\ dv
SVILUPPI DI sn V, cn v, dn v in serie di potenze di y 355
che potrebbero facilmente stabilirsi per via diretta dalle proprietà ca-
ratteristiche di snv, cnw, dn v '^>,
Da queste forinole si trae subito una conseguenza importante nel
teorema : Le funzioni ellittiche di Jacohi sn v, cn v, dn v dipendono ra-
sìonalììiente dal quadrato h^ del modulo, come la funzione di Weierstrass
p (u ; g^ , Qi) dagli invarianti g^^gs- Queste tre funzioni sono infatti svi-
luppabili in serie di potenze di v, convergenti entro il cerchio che ha
per raggio la minima distanza dell' origine dai vertici della rete paral-
lelogrammica: 2mK+2niK'; ora le formolo (Vili), e quelle che se ne
ottengono per successiva derivazione, dimostrano che i coefficienti di
queste serie sono polinomii razionali interi in Jc-, Pei primi termini di
questi sviluppi abbiamo:
cn V
1-172 + <"'+>) 172^4 +
Quando si vuol porre in evidenza per le funzioni ellittiche di Jacobi
il valore del rapporto t dei periodi, ovvero quello del modulo k, si scrive
rispettivamente
sn {v, t) , cn {v, t) , dn {v, t) ,
ovvero
sn {v, k) , cn (y, h) , dn (v, k) .
Ambedue i sistemi di segnatura sono a determinazione univoca.
§. 135.
Il quadrato k^ del modulo come funzione modulare.
Studiamo ora quale specie di funzione è il quadrato F del modulo,
considerato come funzione del rapporto t dei periodi. Dimostriamo in
W Del resto basta stabilire la prima delle (Vili), e le altre ne seguono
derivando le (12).
35G CAPITOLO XII. — §. 135
primo luogo che J (t) è una funzione razionale del 6.° grado di /^^ E
infatti si ha
Ci 63 61 — 63
onde
^ "" - (61-63? - (61-63)^
cioè
3 92
1-FF =
4 (61-63)^
Ne segue
J(,^ 9Ì _ (^1-^)'
16 (61-6,)^ (62-63)^ (63-61)^ \^l^'-''\^ " -^ ''
lei-63/
^61-63/ \6i-63/
e infine
4 {l-hny 4 (1-/.;HZ:T
(IX) J(t)==
27 Z;'^'' 27 A;^(l-A;'f
forinola che dimostra la proprietà enunciata.
Si vede dunque che /.'' è una funzione della variabile complessa t;
di più essa è monodroma, come lo dimostra la sua espressione analitica
7,2 ^2 ^
61 63
ed inoltre in tutto il semipiano positivo t, l'asse reale escluso, è finita
e diversa da 0 e da 1, come segue dalla (IX) ovvero dalla precedente.
Eicerchiamo ora per quali valori i dell'argomento la funzione U (x)
riprenderà il mede§imo valore. Intanto se
^ W {x') = h' (t) ,
sarà a più forte ragione
e quindi
essendo [^ i] una sostituzione del gruppo modulare. D'altra parte la
LA FUNZIONE k^ (t) COME FUNZIONE MODULARE 357
tabella (A) del §. 128 (pag. 341) ci mostra immediatamente che l'effetto
prodotto sopra F(t) dalla sostituzione - — -^ è diverso a seconda del
carattere di f '' "^ j (mod 2) ; e precisamente si ha
a,[3\ /1,1
Y , 5/ ~ lo , 1
j^,l^'+?\^ Z;^(r)
/a t+3\ _ k\z)-l /a ,^ p\ /l , 1\
^JaT+?\_ 1 /a,i3l_/l,0
/ (mod 2).
YT+^/ F(t) » \y,5/~\1,1
Come si vede : La funzione ¥ (t) rimane invariata per tutte e sole
quelle sostituzioni del gruppo modulare, che appartengono al sottogruppo
Fe^f ' j {mod 2); per le altre essa subisce le sostituzioni linea/ri del
gruppo anarmonico
'F i-F -1- ^tzi j^ n
Di qui, per quanto si è visto alla fine del §. 134, risulta altresì il
teorema :
Le funzioni ellittiche di Jacóbi
sn (v, t) , cn (w, t) , dn {v, t) ,
considerate come funzioni del rapporto r dei periodi, restano invariate per
tutte le sostituzioni del sottogruppo Fg ^ [ ' ) (mod 2).
Come si trasformino per le altre sostituzioni del gruppo modulare
sarà esaminato fra breve (Vedi §. 137).
358 CAPITOLO XII. — §. 136
§. 136.
Forinole d'addizione per sav, cu??, dnv.
Diamo ora le formolo d'addizione degli argomenti per le funzioni
ellittiche di Jacobi sn v, cn v, dn v, mediante le quali si esprimono
sn {vi-H)ì) , cn (vi+Vi) , dn (vi-H)2)
razionalmente per
sn Vi , cn e;i , dn Vi ; snv^ , cn Vz , dn v? .
Cominciamo dal caso particolare in cui uno degli argomenti è un
semiperiodo
K , ìK' , K+iK'.
Ricordando le (VII) pag. 354, che esprimono sn v, cn v, dn v per la pu
e le formolo d'addizione dei semiperiodi nella pu (pag. 286), troviamo
subito
sn (v+K) = «3 — , cn (v+K) = h -, — , dn (?'+K) = -j —
^ ' dnv Anv dnv
sn(v+iK) = , cn(v+iK) = b , dn(z;+iK) = c ,
^ -^ sn V sn w sn z;
dove a, b, e, a, b\ e sono fattori costanti (^L
Per determinare questi fattori si faccia nella prima e nella terza v = 0,
nella seconda invece v= -K, e nelle ultime tre si moltiplichi per v e
si passi al limite per v = 0. Avendo riguardo alle formolo (8*) (9*) (pag. 353),
si trova così per le formolo domandate:
sn (v + K) = T — , cn(v+K)= - k' -. — , dn (v+K) = - —
^ ^ dn V dn V dn v
(13) ;
/ -Tz/s 1 / ^^r'^ ^ du V , . .^,,. .CUV
sn (v+*K ) = ^ , cn (v+*K ) = - 1 , dn {v+iK ) = ~i
^ ^ k snv A; sn V sn y
(') Queste formole si possono anche stabilire subito direttamente, conside-
rando che in ciascuna di esse le funzioni a destra e sinistra hanno a comune
periodi, infiniti ed infinitesimi.
ADDIZIONE DEI SEMIPERIODI K, ÌK', K+iK' 359
Ne seguono altresì le forinole
(14) sn (v+K+i K')=--P^ , cn (v+K+i K') = - ^ ,
dn (v+K+i K') = iZ;' ?^ ;
cn V
e facendo v = 0, si hanno le altre pure notevoli:
sn (K+i K') = ~ , m (K+i K') = — ^' .
Per stabilire ora le formole generali d' addizione, consideriamo le tre
funzioni ellittiche
sn V sn (v+rj.) , cn ?? cn (v+a) , dn u dn (v+a)
(ove a è una costante qualunque), che hanno evidentemente i periodi
2K, 2iK' e nel parallelogrammo fondamentale (2K, 2iK') hanno due in-
finiti del 1.° ordine nei punti
v^^iK' , -a+iK' ,
con residui naturalmente eguali e di segno contrario. Ora i residui in
v = iK' delle tre funzioni sono rispettivamente
1 i
j- sn (a+i K') , — -r cn (a+i K') , ~i dn (a+i K') ,
ossia per le (13):
1 1 dn a cn a
it^ sn a ' F sn oc ' sn a '
Per conseguenza le due funzioni
dn V dn (v+a) -\- k^ cn a snv sn (v+y.)
cn V cn (?;+o[) -f- dn a sn v sn (v+a)
sono doppiamente periodiche e prive di poli, e quindi costanti, e siccome
per y = 0 si riducono rispettivamente a dn a, cn a avremo
/ cn ^' cn (v+y.) + dn a sn v sn (v+ol) = cn a
(«)
' ( dny dn (v+o) + Z;^ cna snv sn (y+a) = dn a .
360 CAPITOLO XII. — §. 136
Permutiamo nella prima a con v e risolviamo le due equazioni così
ottenute
cn V cn (v+a) -f dn a sn v sn (v+a.) = cn a
cn a cn (v+a) -f dn y sn a sn (v+a.) = cn u
rispetto a sn(t;+a). Otteniamo la prima formola d'addizione
, . su'* ?; - sn^ a
sn {v+a) =
sn w cn 0. dn a - sn a cn V dn V '
alla quale si suol dare comunemente un'altra forma moltiplicando nel
2.° membro numeratore e denominatore per
sn V cn a dn a -f sn a cn i; dn w .
Così il denominatore diventa
sn* V cn* a dn* a — sn* a cn* y dn* z; = (sn* y - sn* a) (1 — ^* sn* a sn* v)
e perciò
, ^ sn V cn a dn a + sn a cn y dn y
sn {v+a) = — ^2 — 2 2 •
^ ' 1 - a:^ sn* ot sn* v
Sostituendo nelle (a), si trovano le formole per cn(z; + a), dn(w + a),
che riepiloghiamo nel quadro:
sn y cn a dn a4-sn a cn v dn w
sn {v+a) =
1
cn V cn a-
-A;*sn*a sn*y
— sn V dn^; sn a dn a
1
dn V dn a-
-Fsn*asn*v
—¥ snwcnvsna cna
(15) ' cn [v+a) =
\ ^^ 1 -yfc*sn*asn*2;
Si osserverà che ciascuna di queste formole si può scrivere in guisa
da far figurare soltanto la funzione ellittica a cui è relativa e la sua
derivata. Così p. e. :
d sna , d snv
sn v — = 4- sn a — - —
, , da. dv
sn {v+a) = — =^ — ^ X ecc.
1 -A;-sn*asn*y
FORMOLE d'addizione PER sn V, CRv, duv 361
Dalle (15), cangiando a in -a e sommando, risultano le altre
2 sn V cn a dn a
1-Fsn^asn^ v
2 cn V cn a
1-^^ sn^ a sn* v
2 dn ?; dn a
sn (v+a.) -f- sn (v-a) =
(15*) ) cn (v+a) + cn (v-y.) =
A queste formolo fondamentali d'addizione per le funzioni di Jacobi
se ne collegano svariatissime altre, delle quali citeremo qui soltanto quelle
che danno i prodotti
sn (v+y.) sn (v-y.) , cn (y+a) cn {v-x) , dn (w-a) dn (w-a) .
Queste si deducono nel modo più semplice dalle (15*) cangiando ri-
spettivamente nella prima, seconda e terza di esse v in
v+K , v+K+iK' , v+iK
ed applicando le formolo (13), (14) d'addizione dei semiperiodi. Si ot-
tengono in tal guisa le formolo domandate:
l , . / s sn^v— sn^a
sn iv+y) sn {v-y) =
1 -Fsn^a sn^ y
) , . , , cn.*^;cn^a — i^'^sn^vsn^a cn^ v — sn^ a dn^ iJ
(16) ' cn {v+y) cn {v-y) = — =^ — ^ ^ = — — 71 — 2 2 —
'^ ^ 1 1-Fsn-asn^y l-k^STry.sirv
1 , s , . s dn^vdnS.+Z;^Z;'^sn^vsn''a dn^«J — Fsn^a cn'^y
dn (y+7.) dn {v-a) = — y-^ — 5 ^ = - — -^ — ^ 2 — •
1 - /;'' sn- a sn' v 1 — ¥ sn^ a sn^ v
§. 137.
Trasformazioni di 1.'^ ordine per snv, cn v^ dnv.
Abbiamo veduto che le funzioni ellittiche di Jacobi
sn {v, 1) , cn {v, t) , dn {v, t)
restano invariate quando sul rapporto t dei periodi si eseguisce una so-
362 CAPITOLO XII. — §. 137
stituzione
gt-f p
del sottogruppo (J^'?) ^^ (ni) ^™^^ ^^' ^^ proponiamo ora di esa-
minare come cangiano per le altre sostituzioni del gruppo modulare.
Manifestamente avremo qui 6 casi diversi, a seconda del carattere della
sostituzione ( . ' ^ ) (mod 2) ; ma basterà che ricerchiamo V effetto pro-
dotto dall'una e dall'altra delle due sostituzioni elementari del gruppo
modulare
/' 0, n fi, \
V-i , oj Vo , 1
A tale oggetto esprimeremo sn v, cn v, dn v per le o colle formolo (C)
pag, 352 ed esamineremo il corrispondente effetto prodotto sulle a. Indi-
cando con 2w, 2 to' i nuovi ■ periodi, porremo per ciò una prima volta
(a)
w' = co to= — to'
ed una seconda volta
©
to' = o/ + 0) (tì = to
Poniamo
Or ?< = Or (m ! (0 , to')
e dalla tabella (A) pag. 341 dedurremo immediatamente:
'ZU = <iU CiW = '33W 322t=<J2^< ■352t = OiM
I
61=63 62 = 62 62 = 61
=. s
nel caso (a)
e invece
e\ = d e 2 = 63 e'a = 62
nel caso (p).
TRASFORMAZIONI DEL 1.° ORDINE PER SUV, CUV, duv 363
Ora si hanno le formole
/ au sn (v, t) = Ve ^-e^ —
w' - I ~_ '^
cn (v,t) = ^— ) w cn (y, t^) = ^
agtt
Oglt
dn (v, t) =
1 ' ■'à ■"' I
iv= Vei-CsM,
o,«t
03«< / dn(u, t) =
03%
onde risulta
- Vcs — ei .
V = -^^^::^ v= —IV nel caso (a) ,
Vei — «3
V = ^ V = ^'w nel caso (P) .
Vei — 63
Le formole cercate sono dunque le seguenti
(X) snUz;, — =i — H-^ > cn Uv, -- = — p — r,
V ^ / cn (v, t) V ^ ) cn (v, t)
, /. n dn(?;,i)
dnUv, -- = — ^^
• V "^J cn(v, t)
/VT\ (T -.\ 7/Sn(u, t) , cn(w, t)
(XI) sn (Z:., r+1) = 7. ^ , cn {Iv. r+1) = ^ ,
dn (fcV, r+l) = ^
dn (v, t)
Se si osserva poi che nel primo caso il modulo trasformato è
w V,
'63—61
e nel secondo
^ (1^+1) — -=== -TT,
ponendo in evidenza i moduli anziché il rapporto dea periodi, potremo
364 CAPITOLO XII, XIII. — §§. 137, 138
scrivere :
/v*^ /• 7^ .sn(v, Z;) ,. ,,- 1 ,,. -.,. dn(v, Z;)
(X') sn (.t-, J) = . ^-^^^^^ , cn («, h) = ^-_^^^ , dn(«, i) = ^^^
dn ( ^'«; , -yr ) =
Le (X*) diconsi le formole della trasformazione complementare, come
quelle che danno il passaggio dalle funzioni ellittiche di modulo h a
quelle col modulo complementare h'.
Capitolo XIII.
Le fimzioni pu, ou e -SrU per valori reali degli invarianti e le funzioni di Ja-
cobi snv, cn v, dnv, per valori reali del modulo fc fra 0 e 1. — Integrali
ellittici di Legendre e Jacobi.
§. 138.
Osservazioni fondamentali sulla funzione p{u]g^,g^)
con invarianti reali.
Fino ad ora ci siamo occupati della teoria generale delle funzioni
ellittiche, e in particolare delle funzioni di Weierstrass e di Jacobi, senza
distinzione fra i valori reali od immaginarli degU argomenti o delle fun-
zioni. Ma nelle applicazioni pratiche è il reale soltanto che entra in
considerazione, ed è per ciò necessario che studiamo meglio l'andamento
delle nostre funzioni, con speciale riguardo ai valori reali, per quei casi
che si presentano nelle effettive applicazioni.
Le funzioni ellittiche si introducono sempre in pratica in problemi
d'inversione, cioè nella integi'azione di funzioni razionali
essendo P {iv) un polinomio di 3.° o 4.^ gTado (§. 126). E siccome i poli-
nomii P {w), che si presentano effettivamente, sono sempre a coefficienti
LA ^ (w; 5*25 5^3) CON INVARIANTI «J'a , ^'3 REAH 365
reali e quindi anche ad invarianti reali g^^gz, così il problema fonda-
mentale da proporsi è il seguente : Studiare V andamento della funzione
^{u; 92,93)
per valori reali degli invarianti g-z^gz.
Cominciamo per questo dall' osservare che dallo sviluppo della tra-
scendente intera (pag. 280).
a (y'igì^gz) = «« — -^ ^t' + . . . ,
i coefficienti essendo nel caso attuale reali (perchè funzioni razionali
intere a coefficienti razionali di g^^g-i), risulta: La funzione ou con in-
varianti reali è reale per valori reali e puramente immaginaria per valori
puramente immaginarii dell'argomento u.
Lo stesso vale evidentemente per la funzione Cw mentre invece: La
funzione p(ii; g2,g3) con invarianti reali è reale tanto sull'asse delle quan-
tità reali, come su quello delle immaginarie.
Ma in generale, quando una funziona analitica è reale lungo un tratto
rettilineo del piano complesso, in punti simmetrici rispetto a questo tratto
assume valori coniugati (^', onde si vede che: La piu;g2,gz) in punti
W Tutto si riduce a dimostrare questa proprietà pel caso di un tratto del-
l'asse reale, il caso generale riportandosi a questo con una sostituzione lineare
intera sull'argomento. Ora se a è un punto dell'asse reale, nel cui intorno la
funzione f{z) sia regolare, si avrà
(1) f{z}^y^a,,{z-o.y'
e i coefficienti a» saranno per ipotesi reali, onde a valori coniugati di z entro
il cerchio di convergenza di (1) corrisponderanno certamente valori coniugati per
tutte le derivate. Ma allora, se un prolungamento analitico di (1) è
si vede subito che un secondo prolungamento analitico sarà /■(2) = S &rt(3— y)"
essendo { , 6,i le coniugate di •,', hn . Cosi ad ogni ulteriore prolungamento ana-
litico di f{z) corrisponderà un prolungamento coniugato, ciò che dimostra il
teorema.
366 CAPITOLO XIII. — §. 138
simmetrici rispetto all'asse delle quantità reali, o delle immagi/narie, assuma
valori coniugati.
Dopo di ciò è facile vedere che nel caso attuale ad ogni periodo
2 iì della pu corrisponderà un periodo coniugato 2 % .
Sia infatti 2i2 un periodo qualunque di pu; se ii è reale = re, pei va-
lori coniugati
x-\-2 9. , a; + 2Qo
dell'argomento la p assumerà valori coniugati e, poiché p{x+2Q,) = p{x)
è reale, sarà p{x+2 9.^)) = px. Dunque la funzione
p (m+2 Qo) — pu ,
essendo nulla sull'asse reale, sarà costantemente nulla, cioè 2 fìo è anche
un periodo di pu, e. d. d.
Ora osserviamo che, fissati i valori (reali) degli invarianti g2,g3, i
periodi fondamentali 2 w, 2 w' della pu sono determinati soltanto a meno
di una sostituzione lineare ( ' 5^ ) del gruppo modulare. Poiché il valore
I
dell'invariante assoluto é reale, un corrispondente valore di t = — sarà
w
certamente sul contorno del triangolo fondamentale (Cf. §.119) e noi
intenderemo colla notazione
2 tó , 2 co'
quei periodi fondamentali che rispondono ad un rapporto t sul detto
contorno. A questa coppia di periodi ne sostituiremo poi ogni volta una
seconda equivalente, che indicheremo con
2a)i , 2(03,
più adatta nei singoli casi alla ricerca.
CASO DEL DISCRIMINANTE A = (j|-27 5rl>>0 36"/
§. 139.
Caso del discriminante positivo ^ = gi-21 (jl'^0.
Rappresentazione conforme di un rettangolo sul semipiano.
Dobbiamo distinguere nel nostro studio due casi, secondo che il va-
lore del discriminante
^ = cjl-21gl=U {e,-e,f {e,-e,r {e,-e,y
è positivo 0 negativo. Consideriamo qui il primo caso; allora si ha evi-
dentemente
g2>0 , jrr)>l .
e però l' indice di t nel triangolo fondamentale è suU' asse immaginario.
Inoltre le tre radici 61,62,63 dell'equazione cubica
4 e^ — 5r2 e — /73 = 0
sono, nel caso attuale, tutte tre reali.
Dalle formolo
_ ^ V' 1 _ ^ V' 1
(à* ^ (2m+2nzy ' "^^ w'' ^ {2m+2nzf '
essendo reali le serie dei secondi membri, segue che w* è reale e quindi
w reale, 0 puramente immaginario, e corrispondentemente w' puramente
immaginario 0 reale. Porremo nel primo caso
(Oi = OJ , 0)3= 0/ ,
e nel secondo
(Oi = — w' , 0)3 = (tì ,
(ciò che equivale a cangiare i in j ed avremo quindi che: i due
periodi fondamentali 2 Wj , 2 cog saranno reale il primo, e puramente imma-
ginario il secondo.
Il parallelogrammo fondamentale dei periodi diventerà quindi nel
caso attuale il rettangolo
(0 , 2 o)i , 2 Wi 4- 2 (03 , 2 CD3) .
368 CAPITOLO XIII. — §. 139
Dividiamolo per mezzo delle linee mediane
(Wl, W1 + 2W3) , (0)3,20)1 + 0)3)
in quattro rettangoli parziali congruenti (come nella figura qui sotto)
FiG. 10.
2cOi
^J
UJI,-t-2Wi
<^2
z-w^
i4/^+2<AJ^
Z-cu^
0 ^é ^^i
ed osserviamo che, a causa della formola
p (2 0)1+20)3—%) = ipu ,
nel terzo di questi rettangoli
(0)1+0)3, 20)1+0)3, 2o)i + 2o)3 , 0)1+20)3)
la ^u riprende i valori già presi nel primo rettangolo
(0 , o)i , 0)1+0)3 , 0)3) ,
nel quale adunque assumerà ogni suo valore una sola volta. In punti
simmetrici rispetto all'asse reale 0 immaginario la pu assume valori
coniugati e lo stesso accade quindi in punti simmetrici rispetto alle due
linee mediane, sulle quali conseguentemente la pu è reale (^). Ne segue
che nel secondo e quarto dei detti rettangoli minori pu prende i valori
coniugati a quelli del primo e terzo rettangolo.
Su tutto il contorno del primo rettangolo
(0, o)i, o)i 4-0)3, 0)3)
la funzione pu è reale ; e poiché in prossimità di w = 0 sull'asse reale è
grandissima positiva, e invece sull'asse immaginario grandissima nega-
(i) Ciò risulta anche immediatamente dalle formolo d'addizione dei semi-
periodi (pag. 286), le radici e^^e^, e^ essendo qui reali.
RAPPEESENTAZIONE CONFORME DI UN RETTANGOLO SUL SEMIPIANO 369
tiva, come risulta dallo sviluppo
neir intorno di ii = 0, vediamo che percorrendo il detto contorno nel senso
positivo, a partire dall'origine, la pn andrà continuamente decrescendo da
+ Qo a - 00 . Ora nei vertici
la fiu assume i valori
Si vede dunque che e, , 62, e-i risultano così ordinate per grandezza
decrescente, cioè:
ei>e2>e3;
e poiché
61+62+63 = 0 ,
sarà Ci positiva, 63 negativa. Quanto al segno di 621 a causa di
^2 = 4 61 62 63 ,
sarà evidentemente opposto a quello di (j^.
Ogni valore reale è già preso dalla pu due volte in punti non equi-
valenti dei lati e delle mediane del rettangolo dei periodi, onde segue
che nell'interno di ciascuno dei quattro rettangoli minori la pii è sempre
complessa e per ciò il coefficiente dell' immaginario in pu serba ivi sempre
lo stesso segno. Così p. e. nell'interno del primo rettangolo (0,a>i,toi+(i)3,(O3),
a causa dell' andamento da + 00 a - e» sul contorno percorso in verso
positivo, il coefficiente dell'immaginario in pu è sempre negativo. È
chiaro poi che ogni valore
s = a+j[3,
con p<CO, sarà preso da pu una ed una sola volta nell'interno del detto
ds
rettangolo. D'altronde ^- = p'u non vi s'annulla mai, né diventa infinita,
du
salvo ai quattro vertici 0,0^1,0^1 + 0)3,0)3; per ciò se poniamo
s = pu
ed interpretiamo s nel suo piano complesso, vediamo che: La funzione
24
370 CAPITOLO XIII. — §§. 139, 140
s = pu dà la rappresentazione conforme biunivoca del rettangolo (0, oy^ , v)^, (03)
sul semipiano negativo s; gli unici punti eccezionali della rappresentazione
sono i vertici del rettangolo.
Si osservi in fine che, dando a gi,gz convenienti valori reali con
5^2 - 27 (/3 > 0, si può far coincidere il nostro rettangolo con un rettangolo
qualunque dato a priori, onde risulta: B problema della rappresentazione
conforme di tin rettangolo sopra un semipiano conduce direttamente alla fun-
zione di Weier Strass p {u ; ^2, ^3) con invarianti reali e discriminante positivo.
§. 140.
Andamento della p'u — La cubica y^ = 4:X^ — g^x — g^.
Osserviamo anche l'andamento di p'u sul contorno del rettangolo
(0, coi , 0^2 , 033). Mentre l'argomento ?( e la pu lungo i quattro tratti del
contorno variano rispettivamente negli intervalli:
u da 0 . . . coi ; Wi . . . coo ; o)^ ... 0)3 ; 0)3 0
pu + Gc . . . 61 ; Ci ... €2 ; «2 . • ■ ^3 ; 63 ... - co ,
vediamo che l'andamento di
p'u = - 2 V (pw - e,) (pu - Ci) {pu - 63)
è il seguente:
^t da 0 tói j u da coi ... 0^2 ] u da cog . . . (03 ^ ^t da 0)3 ... 0
^M reale negativa ip'u immaginaria 1 p'u reale positiva ip'u immaginaria
da - 00 ... 0 ) positiva ] da 0 a 0 ) negativa.
In particolare si osservi : I valori dell'argomento u, che rendono simul-
taneamente reali pu, p'u, sono della forma
u = ^ , u = i+(à3 (areale).
Si ottiene una chiara interpretazione geometrica del corso reale delle
funzioni pu, p'u nel modo seguente. Essendo x, y coordinate cartesiane di
un puflto mobile in un piano, si consideri la curva definita dalle equazioni
X = pu , y = p'u ,
che è evidentemente la cubica
(1) y' = ^p' — g-2x — gz.
LA CUBICA ìf = '^ci? -g-ìX-g^ 371
Ora importa osservare che: questa equazione rappresenta la più ge-
nerale curva del terzo ordine, a meno di trasformazioni projettive. Per ve-
derlo nel modo più semplice passiamo alle coordinate omogenee, ponendo
dOz X-i
sicché l'equazione diventa:
(2) x\Xi—4.ci?^+g^x^xl-[-giO(^ = Q.
Se esaminiamo quale particolare relazione ha Fattuale triangolo di
riferimento colla curva, vediamo che hanno luogo le seguenti proprietà:
1.° il vertice (0, 1, 0) è un flesso della curva e il lato 0-3 = 0 è la cor-
rispondente tangente di flesso.
2.*' il Iato X2 = 0 è ^a polare armonica del flesso (cioè insieme colla
tangente x-i=^0 di flesso costituisce la conica polare del flesso).
3.° il lato :ì;i = 0 è la polare lineare del vertice (1, 0, 0), punto d'in-
contro delle due rette ora dette.
Viceversa si vedrà subito che, preso il triangolo di riferimento nel
modo descritto, si può dare all'equazione della curva del 3.° ordine la
forma normale (2) di Weierstrass. Abbiamo dunque il risultato: Le coor-
dinate di un punto mobile sopra una curva generale del 3." ordine possono
esprimersi per funzioni ellittiche di un 'parametro.
Si osservi di più che, se l'equazione data della cubica è a coefficienti
reali, la trasformazione indicata si può ottenere per via reale e per ciò
gli invarianti g^, g^, saranno reali '^'. Kitornando ora al caso particolare,
che trattiamo attualmente, del discriminante \=g\-21 gl'^0, esami-
niamo il corso reale della nostra curva (1). Per quanto si è visto sopra,
otterremo i punti reali della nostra curva 0 prendendo
u = k {i reale) ,
ovvero
Basterà naturalmente far variare i fra -coi e +o)i, perchè quando
i aumenta di multipli di 2 wj il punto della curva riprende la medesima
(^) Presciudendo da coefficienti numerici, g^i Oz coincidono i^recisamente
cogli invarianti S, T di 4.» e 6." grado rispettivamente della forma cubica ter-
naria. (Salmon. Algebre supérieure. Treizieme Le^on).
372 CAPITOLO XIII. — §§. 140, 141
posizione. Anzi, a causa delle formole
p (-u) = pu
basterà far crescere i da 0 a coj e si otterrà una prima metà della curva,
che ribaltata attorno all'asse delle x darà la seconda metà.
Ora, quando u cresce da 0 ad to,, la x = pu decresce da + o) ad ei>>0,
mentre y = p'u cresce da - co a 0, sicché si ha una prima metà di un
ramo infinito della curva al di sotto dell'asse delle x, che esce dal punto
(ei , 0) dell'asse delle x, ortogonalmente a quest'asse.
Ribaltando questa prima metà del ramo attorno all'asse x, si ottiene
il ramo completo infinito, che contiene tutti e soli i punti reali della curva,
corrispondenti a valori reali di u.
Veniamo a considerare gli altri valori di ir, che danno ancora punti
reali della curva, cioè i valori della forma m = 4 + w3, dove facciamo
crescere 4 da 0 a o^i; allora x = pu crescerà da e^ a e^ ed y^p'u pas-
serà per una serie di valori positivi, annullandosi agli estremi. Corrispon-
dentemente avremo un tratto finito della nostra curva che parte dal punto
(eg, 0) dell'asse delle x per arrivare al punto (cj, 0) e che sarà ortogonale
negli estremi all'asse stesso.
Per ribaltamento attorno all'asse delle x otteniamo la seconda parte
reale della cubica, costituita di una parte chiusa (ovale). Dunque: La
cubica
y^ = io(?-giX-(j^,
nel caso di
consta di due rami diversi, di cui l'uno è infinito, l'altro un ovale.
§. 141.
Alcune applicazioni geometriche.
La rappresentazione parametrica dei punti di una cubica generale per
mezzo delle funzioni ellittiche dà luogo ad una serie di interessanti ap-
plicazioni geometriche, di cui qui accenneremo solo le fondamentali, av-
vertendo che nel presente §. non facciamo più alcuna ipotesi speciale
riguardo agli invarianti g.^, g-3, che possono essere reali o complessi.
APPLICAZIONI GEOMETRICHE 373
Un punto mobile {x, y) della cubica è dato dalle formolo
X = pu , y = fp'u\
ad ogni valore di « corrisponde un unico punto della curva ed il punto
resta il medesimo per valori congrui dell'argomento.
Viceversa, se due punti Mi , u^ della curva coincidono, si ha t«i ^ u^ ,
cioè
th == «2 -|- 2 m toi -\- 2n(àz (m, n interi) .
Cerchiamo ora la condizione perchè tre punti iii , u^ , ii^ della cubica
siano in linea retta. Se y = ax + b è l'equazione della retta che li con-
tiene (^', la funzione ellittica del 3.° ordine
p'ìi — a pu — b ,
con un polo di 3." ordine nell'origine, ha gli infinitesimi incongrui : Wi, U2, ih
e perciò si ha
Ui -{- U2 -\- th ^ 0 .
E questa, come subito si vede, la condizione necessaria e sufficiente
perchè i tre punti Ui,U2,U2 siano allineati (teorema d'Abel).
Di qui si può dedurre di nuovo il teorema d'addizione per la pii,
sotto la forma del §. 108 (pag. 289):
1 piih+ih) -p'iih+ih)
1 pUi p'Ui
1 pU2 p'ih
= 0,
Più in generale consideriamo una curva d'ordine n
f{x,y) = 0
e i suoi punti d'incontro colla cubica. La funzione f{pu, p'u) è una fun-
zione ellittica d'ordine 3w, che ha dunque 3w punti d'infinitesimo
Ui, Uz. . . Usn *^' ed un solo infinito d'ordine 3n in u = 0, sicché pel teo-
fi) Il caso in cui l'equazione della retta sia x==k rientra in questo, uno
dei tre punti d'incontro essendo allora all'infinito in u=0.
(*) Può anche darsi che, mancando alcuni termini in f(x, y), la funzione
ellittica f{pu, p II) sia d'ordine minore di 3 n, p. e. ^n — r; allora r delle inter-
sezioni sono raccolte nel flesso all' infinito.
374 CAPITOLO XIII. — §. 141
rema d'Abel si ha
Mi + Mg 4- • •• +«*3n^s0 .
Questa esprime la condizione necessaria e sufficiente perchè 3 n punti
Ui^Ui. .u^n della cubica costituiscano i punti d'intersezione della cubica
con una curva d'ordine n.
Applichiamo questi teoremi generali alla risoluzione di due problemi:
1.° Tangenti che da ìin inmto della cubica partono alla cubica stessa.
Sia ti il punto di partenza e w il punto di contatto di una delle anzi-
dette tangenti; dovremo avere pel teorema d'Abel
ciò che dà per v ì quattro valori distinti
u u , u , u ,
"2 ' -J-^"'' ' -y + ^^' -¥ + ^'^^'
onde si conclude che da ogni punto della cubica si possono condurre
quattro tangenti alla cubica.
Se la cubica è reale e a discriminante positivo, vediamo che da ogni
punto del ramo infinito partono quattro tangenti tutte reali alla curva,
laddove da un punto dell'ovale partono tangenti tutte immaginarie.
2.° Punti d'inflessione. Un flesso della curva è un punto ove la tan-
gente ha tre punti coincidenti a comune colla curva.
Il parametro u di un flesso deve soddisfare alla condizione (neces-
saria e sufficiente):
32*^0;
si hanno quindi nove flessi con argomento
« = ; „i = 0,l,2.
Se Ui , 2i2 sono due flessi, ed ih il punto ove la loro congiungente in-
contra la cubica, si ha
Ui -{- Ui -{- t(^ ^ 0 , 3 Mi ^ 0 , 3 Ma ^ 0 ,
onde anche 3 Mg ^ 0 ; ne segue il noto teorema : La congiungente due flessi
di una cubica incontra la curva in un terzo flesso.
CASO DEL DISCRIMINANTE NEGATIVO 375
Ritornando al caso di una cubica reale a discriminante gl-21gl^0,
vediamo allora che dei nove flessi tre soltanto sono reali e cioè i flessi
' d ' 3 '
situati sul ramo infinito della curva.
§. 142.
La p {u; g.^, g.^) con invarianti reali e discriminante negativo.
Veniamo al caso del discriminante negativo, riprendendo le conside-
razioni dei §§. 138, 139. Essendo
gl — 27gl<0,
potrà essere ^2>0 o ^2<!0; nel 1.° caso sarà
e nel secondo
0<J<1,
. . co' . 1
cioè T = — sarà nel 1.° caso sul lato rettilineo R (t) = -- del triangolo
(0 2
fondamentale, nel secondo invece sull'arco circolare l'È 1 = 1. Insieme ai
periodi 2a), 2(o', la pu ammetterà i periodi coniugati 2(0o, — 2o/o'^' e
sussisteranno quindi le formole :
— o/o= aw'+ pco
cOq = Y w'+ 5(0 ,
con a, ,3, Y, 5 interi e, poiché queste formole debbono anche valere can-
giando i in -i, si vede che anche 2 co,, , - 2 w'o saranno periodi fonda-
mentali, cioè sarà aò-[ÌY = l- Ora essendo
et + S
(*) Prendiamo —^m'q in luogo di 2u>'q perchè il rapporto ^ si conservi
col coefficiente dell' immaginario positivo.
376 CAPITOLO XIII. — §. 142
il punto T è equivalente, rispetto al gruppo modulare, al simmetrico ri-
spetto all'asse immaginario e avremo perciò
a) ( ■' M = ( ' ), se r è sull'arco circolare,
l) i ' M = f — ' ~ j , se T è sul lato rettilineo R (r) = - — .
In ambedue i casi diciamo che: Si possono sostituire a 2oj, 2o/ due
nuovi periodi fondamentali 2o)i , 2 CO3 tali che Vtmo sia coniugato dell'altro.
Pongasi invero
o)i = rià+soi'
indi 0)3 eguale alla quantità coniugata
(1)3 = rwo+so/o = {rd - 5p) 0) -f- (ry - sa) 0/ ;
basterà che determiniamo gli interi r, s in guisa che sia
r (rv - sa) — s {re — sp) := 1
cioè
Vr' — (a+S)»-s+ps*=l ,
il che è possibile tanto nel caso a) quanto nel caso b).
Scelti così i due periodi fondamentali 2o),, 20J3 in guisa che l'uno
sia coniugato dell'altro, poniamo
0)3 = a+ib , i)ìi = a- ib
e supposto, come è lecito, a>>0 sarà altresì ò>>0. La funzione pu am-
metterà anche i due periodi
2 (O2 = 2 0J3 + 2 Wi = 4 a
2 (o'j := 2 0)3 — 2 0)1 = 4 i ò ,
reale il primo e puramente immaginario il secondo, come nel caso del
discriminante positivo. Per altro è da osservarsi che nel caso attuale
questi due periodi 2oj2, 2 co/ non sono più fondamentali come prima,
1, 1
perchè il determinante
-1, 1
mentali, non è eguale all'unità ma a 2
della sostituzione, che li lega ai fonda-
CASO DEL DISCRIMINANTE NEGATIVO
Nel rettangolo (0,0)2,20)3,0/2) della figura qui sotto
FiG. 11.
2u)„
-co^
377
0
-H),
-Zìa)
Z
2\jc^
^-^
^^--^
"^^^^^
^'z ^^^
Z\\}^
2U)^
la funzione pu, a causa della formola
|7(2a)3-it) = ^w,
riprende due volte ogni valore; sul suo contorno essa è reale coli' anda-
mento seguente:
M da 0 ... 0)2 ; 0)2 .. . o)2 + o)'2 = 20)3 ; 20)3 . . . oì'g ; oì'g . . . 0
^Mda+co...e2 ; 63 • . • - 00 ; +00. ..62 ; e^...-^
e corrispondentemente la ^ m offre l'andamento seguente
(0,0)2)
(0)2, 20)3
(2 0)3, 0)^2)
(0/2, 0)
p'u reale negativa ^'^ Ì,Sfr^"^ ^''' reale positiva ^'^ immaginaria
positiva
negativa.
^^\\ interno del detto rettangolo la pu non è mai reale e per ciò il
coefficiente dell'immaginario in pu conserva sempre lo stesso segno, che
si vede essere il negativo.
378 CAPITOLO XIII. — §§. 142, 143
Vi ha un solo punto nell' interno ove pu si annulla, ed è il centro del
rettangolo ^( = 0J3, ove pu = &i. L'immagine di questo rettangolo nel piano
s = pu ricopre due volte il semipiano negativo, avendo in 5 = 63 un punto
di diramazione del 1.° ordine.
Si osserverà che, per l'opportuna scelta dei periodi: La radice
media Cz è reale, mentre e^, e^ sono immaginarie coniugate, la e^ avendo
positivo il coefficiente dell'immaginario; inoltre e^ è positiva 0 negativa
con ^3.
Dallo studio precedente risulta che, se un argomento u rende simul-
taneamente
pu , p'u
reali, sarà u reale a meno di multipli del periodo immaginario 2 0)3 . In
questo caso adunque, per avere tutti i punti reali della cubica
x = pu , y = p'u,
basterà far variare u per valori reali da u= - 0)2 ad u = itì^ e quindi :
La cubica y^ = Ax^ — g^x— g^ nel caso di ffl — 21 gl<iO consta di un
solo ramo infinito.
Anche in questo caso avremo tre soli flessi reali in linea retta, cor-
rispondenti agli argomenti
2coi + 2w3 4o)i4-4(03
u = 0 , , .
§• 143.
Degenerazione della funzione piu-.g^.g^i) nel caso g.^^ — 21g^^ = Q.
Esaminiamo ora quello che accade della funzione p{u\ w, to') quando
il rapporto i = - dei periodi si fa tendere, per valori puramente imma-
ginarii, a co ovvero a zero; allora J(":) diventa infinito e il discrimi-
nante gi — 21 gì, supposto che g^ non vada a zero, tende a zero.
a) Se diamo ad co un valore reale fisso e facciamo tendere o/ = ipco
per valori puramente immaginarli all' infinito, la serie doppia che ci defi-
nisce la pu (pag. 259) si cangia nella serie semplice:
_ _i , -yi 1 , 1 I 2_ ^^ _!_
^'* u^ "^ „à \{u-2 m (o)- '^ {u+2m (o)^! (2 to)^ ^ m"- '
DEGENERAZIONE DELLA fiU 379
Ora a causa delle forinole del §. 64 (pag. 176) si ha
A , ^^ i 1 , ^ ! _ fjLY L_
ti" ^ ^ \{u-2mLùf ~ (u+2miùy) V2oW , /^^
V2to
V — = -
Y m' 6
e possiamo quindi enunciare il risultato:
Se, avendo w un valore fisso reale, si fa crescere o/ alV infinito per valori
puramente immaginarli, \a p {u | w, o/) degenera nella funzione circolare
(A) 01= -V UrJ +
3 \2iàJ ' \2(tìJ .fTzu
sen' ^r-
Conseguentemente la C«« e la cjet degenerano anch'esse, secondo le
formole
e** = ?r- COt r— + - (^r- ] U,
2 CO \2 (tì/ 3 v2w/
1 /XM\2
6 \27)/ 2 co /:: w
a^t = e . ■ — sen -—
71 \2 (0
h) Teniamo ora fisso co' = i ^ puramente immaginario e facciamo cre-
scere (0 reale all' infinito, con che - convergerà sull'asse immaginario a 0 ;
si vedrà che la pu degenera allora nella funzione iperbolica
1 / 7r\2 r T.V
(B) pu = ~ f^J +'
2py V2?y ^^^,.g
Nei modi (A), (B) di degenerazione della pu è chiaro che due delle
radici e^, e^, e^ vengono a coincidere e precisamente in (A) e^ viene a
coincidere con e^, e nel caso (B) coincide 62 con e^.
e) Possiamo in fine considerare un terzo modo di degenerazione, cor-
rispondente al caso che si abbia insieme g.2^=^ g^ = 0. Basta per ciò far
crescere co, co' simultaneamente all' infinito, conservando finito il loro rap-
porto; allora al limite si ha
pti=—^i , Cm = — , ou = u
u u
gj = 62 = 63 = 0 .
380 CAPITOLO XIII. — §. 144
§. 144.
Le funzioni sn v, cn v, dn V per valori reali positivi e < 1 di A;^
Le funzioni ellittiche di Jacobi
sn V , cn w , dn V
che si presentano nelle applicazioni (quando nella trattazione di un pro-
blema che porta alle funzioni ellittiche si vogliano introdurre quelle di
Jacobi in luogo della pu di Weierstrass) corrispondono sempre al caso
in cui gli invarianti r/2,^3 sono reali e il discriminante ^ — 21gl'^0.
Allora Ci, e^, e^ sono reali e disposte per ordine decrescente e le for-
mole a) h) e) §. 130 (pag. 345) danno per
valori reali e positivi; quindi
; v'g2 — 63 i> _ ygi — g2
v'ei — 63 v'ei — «3
sono reali, positivi e <C 1 e le quantità di Jacobi
K = tó \Jei — 63 , K' = — V Ci — ^3
i
sono pure reali e positive.
Le tre funzioni di Jacobi
sn V , cn V , dn w
assumono valori reali sull'asse reale, mentre sull'asse immaginario la
prima è puramente immaginaria e le due ultime sono ancora reali. Os-
serviamo ora specialmente l'andamento di sn y, cn v, dn v per valori reali
dell'argomento. Le formolo
sn^ V -[- cn'^ w = 1
dn^ V -f là sn^ t; = 1
dimostrano che sn v, cn v sono sempre comprese fra - 1 e + 1 mentre
dnv, che non s'annulla mai sull'asse reale, è sempre positivo e com-
preso fra 1 e h'.
ANDAMENTO DI sn V, cn V, cln V 381
Più in particolare, crescendo w da 0 a K, sn v cresce da 0 a 1 , poi
da K a 2K decresce da 1 a 0. Secondo la formola
sn(2K+z;)= -snw ,
sn V cangia di segno fra 2 K e 4 K, e al di là di 4 K riprende periodi-
camente i medesimi valori. Analogamente succede per cn v e le curve :
y = ^\ix , y = QXiX
hanno quindi una forma sinusoidale.
La curva
y = dn a;
ha il periodo 2 K parallelo all'asse delle x e rimane tutta al di sopra
di quest'asse, avendo per ordinata massima
y=\ per ;z; = 0 , ± 2K , ± 4 K . . .
e per ordinata minima
y = l' per a; = ±K, ±3K, +5K...
Ogni tratto da y=\ a y = h' volge prima la concavità, indi la con-
vessità all'asse delle x, flettendosi nel punto ove
sn* X = cn* x = ~ .
Mediante le formolo di trasformazione complementare [(X*) §. 138]
si può ridurre il calcolo delle funzioni di Jacobi, nel caso che ci occupa,
e per valori complessi qualunque dell'argomento, al caso di argomento
reale, cioè possiamo separare in
sn(a+i(3) , cn(7.+ip) , dn(a+ip)
la parte reale dall'immaginaria. Si ha invero per le formolo citate
e, servendosi delle formolo d'addizione, si ottengono subito le formolo ri-
chieste.
382 CAPITOLO XIII. — §§. 144, 145
Così p. e. si ha :
. ^ sn (g, 7ó cn (i p, li) dn (i jB, lì) + sn (i p, ^) cn (a, ^) dn (?■, ^)
e per ciò
.^ sn (g, ^) dn C^, Z:") +i sn (p, A:') cn (p, IQ cn (g, Z;) dn (a, fe)
sn (7.+Z,., k) — ^^, (?,lc')W sn' {o.,lì) sn^ {^,1') '
e analogamente per dn(a+i[5), cn(a+i(i).
§• 145.
Integrale ellittico di l.^' specie di Legendre. — Integrali completi K,K'.
Degenerazione di su v, cn v, dn v.
Dalla forinola
d sn V
= cn y dn y = V(l - sn^^) (1 - ¥ sn^v) ,
dv
ponendo
e osservando che per v = 0 si ha x = 0 risulta
'^^ dx
(3) v =
'O }J{l-x'){l-l^x')
L'integrale del 2.° membro è V integrale ellittico di 1." specie di Le-
gendre. Limitandoci al caso delle applicazioni in cui k è reale, positivo
<< 1, e la a; varia da — 1 a + 1, si può porre
a; ^ sen 9 ,
ove 'f è un angolo reale, e ne risulta
(4)
^0 Vi-^'
sen
Legendre indicava col simbolo F{'s,lc) l'integrale del 2° membro, e
dava il nome di amplitudine all' intervallo 's d' integrazione, onde ap-
INTEGRALI ELLITTICI DI LEGENDRE 383
punto è derivato il nome di seno amplitudine alla funzione inversa
x = <à\\v = sen 'f .
Osservando che si ha
sn K = 1 ,
si ha subito per K l'espressione per integrale definito
(5) K= T— ^"^ =C' ^^ ■^YJl.h
0 yj{l-x^){l-h^x^) Jo \/l-^'sen^<p ^^
Si può ottenere un' espressione analoga per K' osservando che, a causa
delle forinole
sn (v+K) = "^ , sn (K+i K') = ~ ,
dnw le
facendo crescere v pel cammino rettilineo da K a K+iK\ la a; = sn«;
cresce, per valori reali, da 1 a t- e si ha per ciò:
K+i K' = r ^^ — + ^^ ^^^
^0 V(l-^'j(l-^'^') -^1 yl{\-x')(l-Wx')
onde
„, / * dx
h yj{x^-i){\-'k^x'')
Cangiando in questo integrale la variabile x nella x, col porre
^x'^-k^x^^l,
si ottiene subito
(6) K'=/^^-=^= = Fff,7/),
.'0 Ì{l-x'){l-rx- V2 J
formola che, messa a confronto colla (5), dimostra che K' si esprime per
y come K per h, la qual cosa si poteva anche dedurre dalle formole di
trasformazione complementare.
384 CAPITOLO XIII. — §§. 145, 146
Per mezzo di queste forinole vediamo subito come degenerano le fun-
zioni ellittiche di Jacobi nei casi limiti:
^ = 0 , ^ = 1.
Si ha infatti per ^ ^= 0
K = |, K'=»
sn y = sen v ,
cioè
(7) sn (v, 0) = sen w , cn (v, 0) = cos v , dn {v, 0) = 1 .
Similmente dalle formole stesse, o da quelle della trasformazione com-
plementare, deducesi
(8) sn {v, 1) =- tangh v , cn (v, 1) = dn {v, 1) = ^^^ .
§. 146.
Gli integrali di 2.^ specie E(v), Z{v) di Legendre e Jacobi.
Nella teoria di Legendre, oltre all'integrale ellittico di 1.=^ specie
/dx
Ì{l-x') {l-h'x') '
si presentavano gli altri due integrali elementari
rv^!,,, f ^-
J Vl-^ J {\+nx^Ì{\-x^){\-l^a^)
che Legendre chiamava rispettivamente integrali di 2.^ e 3.* specie. L'in-
tegrazione di ogni funzione razionale
F(^, V(l-^')(1-^'^^)
si riportava a funzioni ordinarie e ad un aggregato di integrali elemen-
tari delle tre specie (Cf. §. 127). Per il confronto delle formole della
teoria di Legendre, le quali si trovano adoperate in trattati e memorie
INTEGRALE DI 2.^ SPECIE DI LEGENDRE 385
classiche, con quelle di Weierstrass diamo le forinole di passaggio alle
funzioni 3;t e pii di Weierstrass.
Ponendo x = s,n{v,h), l'integrale di 2/ specie di Legendre diventa
J' dx =^ I dn^v dv.
0 Vi - ^ -^0
V
Siccome la funzione dn^ v ha residui tutti nulli (perchè nel paralle-
logrammo dei periodi (2K, 2 ili') dn ^y ha un solo infinito), l'integrale
stesso è una funzione monodroma di v che s'indica, secondo Legendre
e Jacobi, con
rv
E(v)= I dn^ V dv .
'0
Per esprimere E (v) coi simboli di Weierstrass, osserviamo che si ha
pu — e^ pu — 63
e per le formole d'addizione dei semi periodi:
dn^ V = — p (m+w') .
Risulta quindi
Vi;r^ i a(M+«.') ^ ' ! '
ovvero
(I) E (V) = p^ + 6) M , V = tl V^i — ^3 ,
che è la forinola richiesta. ^
Indicando poi, come faceva Legendre, con E V integrale completo:
E = / — ^z=^ d^ = / dn^ V dv ,
-'0 ^/l—x" ^'0
avremo dalla (I)
(I*) E=— i=:: {e.io+ri).
386 CAPITOLO XIII. — §. 146
Ponendo a; = sen'f, Legendre usava per l'integrale di 2.* specie la
notazione
talché l'integrale completo E è dato da E f ^ , h\ .
L'integrale E {zjì) si presenta appunto nel calcolo dell'arco dell'ellisse.
Se si esprimono le coordinate di un punto mobile sull'ellisse di semi-
assi a, h per l'angolo eccentrico 'f colle formole
X = a sen -f , y —h cos z ,
e si pone
Ti ^= (eccentricità),
per l'arco s di ellisse, contato a partire dall' estremità dell' asse minore,
si ha
s = a
'0
/ Vl-h'sen''sch = aE{z,^
L'integrale completo E{ ^, ]c]=- E misura adunque la lunghezza
\2
di un quadrante dell'ellisse di semi-asse maggiore = 1 e di eccentri-
cità ìc.
All'integrale di 2.^ specie di Legendre Jacobi sostituiva l'altro
/ ^ x'dx ^ 1 / dx / -^nj
Jo V(l-ar^)(l-;^V) ^'' [Jo \(l-x')il-l''x') Jo \i-x'
e indicava col simbolo Z (v) la funzione
Z{v) = E{v)-^v.
La Z {v) di Jacobi si esprime, per le (I) (I*), mediante le funzioni di
Weierstrass colla formola:
(II) Z{v)-.= -'^
\ei — 63
u\ , V = U\ Ci — 63 .
GzU (tì J.
387
§. 147.
L'integrale di 3.a specie n(v,a) di Jacobi.
Jacobi considerava come integrale di 3.*^ specie il seguente
/
{l^nx')Ì{\-~x'){l-h^x^)
che si compone evidentemente con integrali di 1.* e 3.* specie di Le-
gendre. Ponendo a; = sn v e indicando con a una conveniente costante,
Jacobi indicava col simbolo
n {v, a)
l'integrale di 3.=* specie
^ sn^ V dv
n {v, a) = ¥ sn a cn a dn a
'q 1 -Z;^sn^asn^t?'
che vogliamo qui esprimere per funzioni di Weierstrass. A tale scopo
rammentiamo le formolo
i/ cj u Ve, — e,
sn «; = V 61-63 — =
cnv =
dn v =
e ponendo per brevità
troveremo :
-1/ iv=vei — 63 u
\ 61—63
b =
Ver
lì {v, a) = (ci - 63) {e., - 63) -3
C3& I _, (e) -63) (62-63) •
•vO pi-C',
388 CAPITOLO XIII. — §§. 147, 148
Ora, ricordando le forinole
ou (pu—e^
*''" + '•-* = (pn-e,f '
avremo subito
Ma, per le formolo d'addizione della 'Cu, si ha
ed essendo
potremo scrivere
2 ^!«— ^(6+tó') 2 03(m— &) 2 Csiu+b) "^ 036 '
onde infine avremo per la formola cercata
(III) IT (r, a) = — log — ) — ,v H 7- ^* ^
§. 148.
Riduzione dell' integrale ellittico di l." specie alla forma normale
di Legendre.
Per completare queste notizie sull' antica teoria degli integrali ellit-
tici, daremo ancora il processo che serve a ridurre il differenziale ellittico
di 1.^ specie
(9) -^,
v/P(«.)
RIDUZIONE ALLA FORMA NORMALE DI LEGENDRE 389
ove V{ìr) è un polinomio di 3.° o 4.° grado in iv, alla forma normale di
Legendre
(10) ^^ ,
V(l-.r'j(l-/^V)
e, avendo riguardo ai casi che effettivamente si presentano nelle appli-
cazioni ove P («•) è a coefficienti reali, dimostreremo come la riduzione
possa sempre farsi in guisa che ne risulti Jr reale, positivo e << 1 .
Basterà che riduciamo, con una sostituzione razionale, il differenziale
(9) alla forma
(11) ^y — ,
V2/(l-2/)(l— ^'2/)
poiché la sostituzione quadratica
fa passare dalla forma (11) alla (10). Ora il passaggio dalla (9) alla (11)
si può sempre conseguire con una sostituzione hneare
(12) IV = / .
c+ay
E invero, se ^{ìc) è del 3.° grado, si prenda semplicemente
e si determinino a, h in guisa che una radice y. di P (iv) = 0 venga por-
tata in y = 0 ed una seconda (3 in ?/ = 1 ; si ponga cioè
Allora, posto
risulterà
w = a-f- (p-a)?/,
F(w) = A (ic—y.) (<r— p) {tv—'() ,
dtr dy
^/'P{w) \'y{l-y){l-h'y)'
390 CAPITOLO XIII. — §. 148
ove si è posto
V^A(Y-a) '^-°^
Sia ora P (tv) del 4.° grado ed, omettendo un fattore costante, scri-
viamo
P (w) = {w -a.){w- P) (iv - 7) (w ^ 5) .
La sostituzione (12) dà:
dio {bc—ad)dy
Perchè questo differenziale abbia la forma voluta (11), basta che uno
e'
dei binomii sotto il segno, p. e. ic — p, si riduca a , , , cioè che la
e -Y ay
radice [3 di P {iv) = 0 sia portata in ?/ = co , e gli altri binomii si annul-
Uno rispettivamente per y = 0, 1, ..^ • La (12) dovrà dunque portare ri-
spettivamente a, p, Y in 0, oc, 1, e sarà per ciò
7 — 8 w — a
ij = .
•^ Y — a w — p
. Y — So — a
La quarta radice o viene portata in ^^ -, onde si ha
^ Y 7. 0 — p
^ a — ò [j — Y
Dipendentemente dall' ordine delle quattro radici si potrà effettuare
la riduzione richiesta in 24 modi diversi, ai quali corrispondono però
soltanto 6 valori del rapporto anarmonico:
(*) Si osservi che k^ è il rapporto auarmonico dei quattro valori a, co , p, y.
RIDUZIONE ALLA FORMA NORMALE DI LEGENDRE 391
Se P {il}) è a coefficienti reali e le sue radici sono tutte reali, o tutte
complesse, i 6 valori del rapporto anarmonico sono reali ed uno di essi
è positivo e -< 1.
Quando si avessero invece due radici reali o-, p e due immaginarie
(coniugate) y, 5, colla trasformazione
f = '"-'■
IV— [i
risulterebbe
dw _ 2 (g - p) dt
v'ivo v/(p-Y)(p-5) -i /7y_Z^ ) ( i
e il polinomio di 4." grado in t avrebbe radici tutte complesse, talché
si ricade nel caso precedente.
Nel caso di un polinomio V{ir) di 3.° grado a radici reali si avrà ancora
immediatamente il medesimo risultato. E se una delle radici è reale, le
altre due immaginarie, con una sostituzione lineare ci ricondurremo al
caso di un polinomio di 4.° grado con due radici reali e due immaginarie.
Per ridurre il differenziale ellittico di l.'' specie alla forma normale
di Legendre occorre, come si vede, conoscere le radici di P {w) = 0. Uno
dei principali vantaggi del metodo di Weierstrass (Gap. X §§. 124-127)
è appunto questo che la riduzione alla forma normale si effettua razio-
nalmente per gli invarianti, ossia pei coefficienti del polinomio POr).
Capitolo XIV.
Sviluppi in prodotti infiniti ed in serie trigonometriche delle funzioni 3. — Le
serie {} di Jacobi e le loro proprietà.
§. 149.
Sviluppo in prodotto infinito semplice per 33 w.
Ci proponiamo ora di far conoscere le principali espressioni analitiche
per prodotti infiniti e per serie trigonometriche delle funzioni ellittiche
e loro affini. Questi sviluppi presentano un grande interesse teorico e
pratico insieme, per la loro legge di costruzione e per la loro rapida
392 CAPITOLO XIV. — §. 149
convergenza nei casi delle applicazioni, che li rende molto adatti al calcolo
numerico.
Comincieremo dal dare gli sviluppi in prodotti infiniti semplici delle
funzioni a, Oj, 02, ^^ di Weierstrass. Potremmo per ciò ricorrere allo svi-
luppo della OM in prodotto infinito doppio (§.94), convertirlo in pro-
dotto infinito semplice e dedurne poi i prodotti infiniti per le altre Or.
Qui preferiamo dedurre queste espressioni analitiche direttamente dalle
proprietà caratteristiche della a^w.
Prendiamo p. e. la o^^u ; essa gode delle seguenti proprietà :
1.^ è una trascendente intera cogli infinitesimi del 1.° ordine nei punti
Wo=r 2moj -f (2w+l) w'
2.* aumentando l'argomento u dì 2 co 0 2w', essa si comporta nel
modo seguente (§. 129)
I 03(M + 2o/)= -e2r;(«+„/)^^^^
3.^ per M = 0 è r^^u = 1.
Queste sono, come subito si vede, proprietà caratteristiche della o^ii,
cioè, se una trascendente intera G (w) vi soddisfa, essa coincide con a^ii.
Sostituiamo alla 0^11 un'altra trascendente intera periodica di 3.'' ca-
tegoria (§. 101) 'Hm), che abbia il periodo assoluto 2w. Pongasi per ciò
<}^{u) = e ^"^ 03^<
e la ^{u) avrà le proprietà 1.*^ e 3.^ della o^u, mentre la 2.% a causa
iz i
di •/] tó' — r[ 0) = -— , si tradurrà nelle altre
Pongasi ora
, ^ («*-}- 2 03) = ó(w)
i --(ti+oV)
( (|.(w+2w')= -e "' ^{u).
— i ,..'
e^^ = z , e "' =q,
onde sarà q una costante di modulo < 1, e si consideri ^(it) come fun-
zione di z
4» (w) = 9 (^) .
SVILUPPO IN PRODOTTO INFINITO PER O^U 393
La 9 (z) sarà una funzione monodroma -di z sempre finita e continua,
tranne che nei due punti singolari (essenziali) .^ = 0, x? = co , e godrà
delle seguenti proprietà:
1.^ 's{z) ha infinitesimi del 1." ordine nei punti
\l , <f , g^ . . . g^""*"^ . . .
^ft =
\
<r\ q~\ or''' • • ?-""+'>.
2.* '^ {z) soddisfa all'equazione funzionale
3.^ per 0=1 è 'f (^) = 1.
Ora poiché la serie
converge assolutamente, a causa di {q\<il, è facile (§.66) costruire
una prima funzione che abbia gli infinitesimi nei punti
^0 = q~\ 2~', 2"' ,
come pure una seconda che li abbia invece in
^o = q , ^ , (t • • ■
Esse saranno date rispettivamente dai due prodotti infiniti
n(i— 2^«-'^) , n ( 1— ^^ — 1 ,
,.=1 „=i V ^ J
dei quali il primo converge assolutamente ed in egual grado in qualunque
campo finito ed il secondo in tutto il piano, escluso ^ = 0. Riunendo i
due prodotti, si ha la funzione
n(i_2^"-^)i^i-Lj
che ha le proprietà 1.* e 2.^ della 'f {z) e non differisce quindi da 'f {z)
che per un fattore costante; si trova subito
(1-2'"-^
394 CAPITOLO XIV. — §§. 149, 150
e ponendo per z il suo valore, abbiamo così la prima espressione ana-
litica cercata per la OgM sotto la forma:
/ rAu\ f — -tu
a) e 2»^ .03^ = 11 ^^^^ ^ e y VI g e
§. 150.
Sviluppi in prodotti infiniti per le 3, a, e per le costanti
Dallo sviluppo ora trovato per ".-iU, ricorrendo alle formolo del §. 131,
facilmente ritroviamo gli sviluppi analoghi per le rimanenti "u Si ha infatti
0 ?« = Ae^' " 03 (i< — 0)') ,
dove A ò una costante, e per ciò
ossia
»=i
T.ÌU\ / — ~ÌU
= A" sen f"^) "n \l —q'» e "' ) ^1— g'« e "'
Per determinare A" si divida dall' una e dall' altra parte per m e si
passi al limite per u = 0, osservando che
lim — ; = 1 , hm
„=o \ tt J ' «=o u 2 (0 '
e si troverà quindi
( ^V =^^^
S) e -^'^ G«<= — seni—-) 11 -r^
^^ TU V2o)y ,.=1 (1- (f'f
SVILUPPI IN PRODOTTI INFINITI PER LE 0 395
Dalle a) [3), mediante le forinole
02 w = B e~^ ^' Os(u f co) I
i B, C costanti ,
si deducono subito gli sviluppi analoghi per o^u, o^u. Riuniamo le quat-
tro formole nella tabella seguente:
, / TÌIC\ / — ~ÌU\
L^, „ = ^ ,en r-^ì "r7 VI - 4'" ^~Ai - 2- ^^; _
TZ \2o>J „=i (1-^'")'
/ N „-« l-2tìf2«cos — +g^
2(0 f7:u\ ~ co
= — senN— 11 -
ir \2<o/ „=i
,/ ~iu\ / — t:ì?<.
\2oìJ 1 (l-^g-^")
/ - ^ l+22'«cos — +g'
/jitA „ co
= cos I -— n
(I)
71 7/2
V2coy r (i+g'")'
e ^"^ o,^«:^^
(l+2^«-0'
... ^M
1 + 2^'"-' cos — +
= n -
1 (l+(Z^''-^)2
Sr _ n vi -2'""' e "^ J ^vl -g'"*"' e *"
.-. „3„=n^- ^^_^,„_.j,
1
j__2^2n-i cos — +
(0
= II —
«-1\2
Dalle formole precedenti e dalle (a) (6) (e) pag. 345, che danno la pre-
cisa definizione dei valori delle costanti
V'ei— 62 ,Vei — 63 ,Ve2—
«3
396 CAPITOLO XIY. — §. 150
possiamo dedurre gli sviluppi in prodotti infiniti per queste ultime
quantità.
Osserviamo a tale scopo che, ponendo
(1) Ui = e ^ acoi , U2 = e ^ oco, , U3 — - ^
le citate formole ci danno
; Ve;=^ = e-..-i_^^^ _ , 4_j^
ouìi 0CO2 Ui Us
TiZ
(2) V^;373 = _e^3c»2-^'^=_e 4-^
acogOCOg U2 U3
Vei — 63 = e-^3<'h
ri
O tóo A U 2
"2 _ « 4
C; 0)i 0 0)3 Ui U;
e tutto si riduce quindi a calcolare Ui, U2, U3.
Nelle formole (I) figurano i seguenti quattro prodotti infiniti;
co co 00 co
(3) Qo = li a-cf") , Q, = II (uq'") , Q. = n (i+g-^"-o , Q3= n (i-g'"-') ,
111 1
che moltiplicati fra loro danno
co
Qo Qi Q2 Q3 = n (1 - r/ ") (1 - (/ "-') = Qo ,
1
e fra gli ultimi tre sussiste per ciò l'identità
(4) Qi Qa Q3 = 1 .
Ora per calcolare Ui facciamo nella 1.* delle (I) u = oj ed avremo subito
Se nella medesima formola (I) facciamo poi w = 0/ risulterà
e 0(0 = — Il j— 2
SVILUPPI IN PRODOTTI INFINITI PER yj e-j, — 63 397
Cloe
Ti (ij'2 7; i oj'
2 co i Ql
^ 2gi Qo
,2. ,„/=2.o^2., -y-i 1 Q3
TT 2* 1— g Q^
ed osservando che si ha
yico'^ w' / , , irA
ne dedurremo
/A^ TT — ^ "" ^ Q'
In fine per calcolare
— %«>2
U, = e ^ a dio ,
ricorriamo alla formola
G CO2 = e^' ^'^ a 0/. G3 0)
e facendo ^( = o) nella 4.=^ delle (I), coir osservare la (/>), avremo:
onde in fine
TI
, _2co e* Ql
^ 2g^ '^o
Dopo di ciò le (2), tenendo conto della identità (4), ci daranno
^ CO ^ oj ^ cu
Estraendo ancora la radice quadrata, coli' adottare una delle due
determinazioni di segno, avremo:
(5*) V^;:^ = y^^ Q^ Qo , V^^^= y^ . 2g^Q? Qo ,
398 CAPITOLO XIV. — §§. 150, 151
Di qui risulta una notevole espressione per
24 _
V'A
e cioè
(II)
24 _ 24 ^ I ~ 1 ^
Va = yjgì-21gl =y ^ q'^ H (1 -g^")-
151.
— , V^ , V^*' 5 V^^^' e per le funzioni siw, cnv, dnv.
La quantità K di Jacobi è data (§. 133) da
K = coVci— 63,
e per la ^.^ delle (5) si ha quindi la formola
forinola che fa conoscere il periodo 4 K delle funzioni ellittiche di Jacobi,
appena noto
q = e-^\
Dalle (5) seguono ancora le formolo
^='^ or ^=Q^
ed, estraendo le radici quarte, abbiamo le altre notevoli
■.i'
/IT JQi ,)7T -R- S l+e2» = "
(IV) ^^
/ ■* _ n °o 1 „(2?i— lì-ìT
\* Q? 1 l^.e(2;^-l)7:^T
I prodotti infiniti dei secondi membri convergono assolutamente ed
in egual grado in ogni campo finito del semipiano positivo r, l'asse reale
SVILUPPI PER y/Jc , y/h' , y/hjc 399
escluso, e definiscono \ik, v k' come funzioni uniformi in questo semi-
piano (funzioni modulari).
È degna ancora di nota la forinola che risulta moltiplicando le (IV),
il che dà
V"' = V^ ^^ ^ ■
Per l'identità (4) possiamo scrivere
ed, estraendo ancora la radice terza, abbiamo
— 1_ 1 6 'll^
(V) yA-^'=y2 g^^-^^=y2 e
ff(l+e(2'^-l)^^'^)
Tenendo conto delle formole precedenti e delle fondamentali (I), pos-
siamo ora esprimere le funzioni ellittiche di Jacobi per prodotti infiniti
ed otteniamo le formole seguenti:
1 -2q'" cos [-.'^
sn V = —^ sen f :^ 1 II
.. i . X rr. 1 - 2^'" cos -=^ + a*"»
^ /P / \ 00 l + 2 2'"cosf~) + 2'"
(VI) ^ cn ?; = 2 g^ \/ r ^os hr^ TI 7 — ~
1-22' "~ cos ( -^ ) -f 2'
dn V = s/h' n ^ ^
l_2g2"-i cos ( 'ì^- ) + 2*"-'
§. 152.
Sviluppo di una funzione periodica in serie di Fourier.
Si ottengono sviluppi importantissimi per le funzioni ellittiche, ap-
plicando il seguente teorema generale, che permette di sviluppare ogni
funzione uniforme periodica in serie trigonometriche (serie di Fourier):
400 CAPITOLO XIV. — §. 152
Se f{ni) è una funzione uniforme della variabile complessa u col pe-
riodo 9. e nélV interno della strìscia del xnano cotnplesso u, compresa fra
due rette parallele alla direzione del perìodo 9., non ha nessun punto sin-
golare, essa è sviluppabile in serie di Fourier della forma
^, , , "^^i f2mtu\ , , flnr^uW
(6) /• (w) = a, 4- 2 a« cos ( — ^ ) "i" ^« s^n ( — cj— ) j '
convergente in egnal grado in ogni spazio interno alla detta striscia.
Questo teorema è una facile conseguenza del teorema di Laurent
(§. 44). Pongasi infatti
2rAu
z — e ^
sarà
f{u) = -^{z)
funzione monodroma di s, perchè per ogni cammino chiuso descritto da
z la u aumenta di un multiplo di 9. ed fi^u) si riproduce. Inoltre men-
tre M, movendo da un punto Mi del suo piano complesso descrive una
retta parallela alla direzione del periodo 9, si ha
^ u = Ui-\r)^9. ,
essendo À un parametro reale che varia da - co a + co e quindi
2 7: i Mj
s== e ^ (cos 2 :: À+i sen 2 r. X)
2~iuA
descrive un cerchio col centro in ^ = 0 e di raggio = e " | . Alla stri-
scia considerata corrisponde quindi nel piano b un anello circolare col
centro in ^^ = 0 ; e poiché 'f {z) entro quest' anello è finita, continua e
monodroma varrà lo sviluppo di Laurent
00 00
0 1
onde avremo
fin) = Ao -f II (A.+B.) cos (^-^) + i (A.-B.) sen (^*) j ,
che ponendo
(Zq =^ Ao ; ayi ^^^ A}i + Dn 5 Ofi ^^= * (A'rt iJn)
SVILUPPI IN SERIE DI FOURIER 401
assumerà precisamente la forma (6) del teorema e la serie del secondo
membro sarà convergente in egual grado in ogni spazio interno alla
striscia.
Possiamo di più esprimere per integrali definiti i valori dei coefficienti
a„, bn della serie (6) di Fourier. E invero le formole (8) pag. 128 ci
danno
gli integrali essendo estesi ad un cerchio a concentrico ed intermedio
ai due che limitano l'anello. Ponendo per z il suo valore, gli integrali
risulteranno estesi nel piano u ad un tratto rettilineo l parallelo ed in-
terno alla striscia considerata e di lunghezza = |^|. Ne risultano quindi
per i valori dei coefficienti della serie (6) le espressioni:
(7)
«0 = Q- / f{u) du , «n = o / /"{«) cos f ' ) du,
^n^-^Jf{u)sm[-^)du.
§. 153.
Sviluppo in serie trigonometrica della 33 w.
Sviluppiamo in serie trigonometriche le funzioni a, cominciando dalla
funzione 03M. Per ciò sostituiamo alla 03 m la funzione
che ha il periodo fì = 2(o e aumentando u di 2wco' si riproduce, a causa
delle (a*) pag. 392, moltiplicata pel fattore
( - 1)« q-"" e "^ \q = e
si ha cioè
ìlTZtU
2
(8) /'(M+2w(tì') = (-1)" q-^' e "^ . f{u) .
26
402
CAPITOLO XIV. — S. 153
Ciò premesso, osserviamo die, essendo f{u) una funzione pari, tutti
i coefficienti hn nella (6) saranno nulli e potremo calcolare i coefficienti
«n mediante le considerazioni seguenti. Tracciamo nel piano u il paral-
lelogrammo
FiG. 12.
-tó+2wto'
a)+2wtó'
— W +0)
ABCD^(-(o,(o,to+2wtó', -oi + 2wa)')
ed osserviamo che, essendo f{u) una trascendente intera, sarà
Jf f{u)du = 0.
ABCD
Accoppiando gli integrali estesi ai lati paralleli, quelli estesi a BC,
DA si distruggono, perchè f(u-\-2o:)) = f{n), onde resta
Jr.j
ovvero
/ f{u)du^r\ fi^^) du = 0,
Xf{u) du = I f{u+2n(ù) du ,
SERIE TRIGONOMETRICA PER LA O3M 403
il che ci dà per la (8)
— riTÌu
/ f{u)du = {- 1)" r*'' / f{u)e "^ du =
•/ab Ab
'AB
ovvero per le (7)
= (-1)'^ r"' r fin) cos (~^^ du ,
a„ = 2ao(-l)"(Z"'.
Avremo dunque
a) /•(w) = e2c« 03t, = a<, 1 + 2 2 (-ir r' cos ''''''*
e determineremo anche «o osservando che si ha
/'(0) = 1.
Si ha così per lo sviluppo cercato:
^ i+sf (-ir^'^'cosf*^^)
Iw ^ 1 V W /
Yl ■?/.*
e2"03W_
1 + 22 (-1^2"'
§. 154.
Sviluppo delle altre a e serie per calcolare tj.
In modo simile si potrebbe procedere per le altre o ; ma è più sem-
phce dedurre i loro sviluppi da quello ora ottenuto per la 03 . Si ha in-
fatti
0M = Ce^'^03(M-w') ,
e perciò
404 CAPITOLO XIV. — §. 154
avendo f{u) il valore a). Indicando con A un fattore costante, sarà dunque:
— r]M*
n il = POS .
V2to
n~i (u — o/) tìu
Ae^
OM = cos ! :^ ) — ^ sen ~ + y ( - 1)" 2"' z oT7 4-
\2 co/ T^ 6
OJ
+ 2(-i)"?"'e
2(u _
= cos ( ^r— — *sen ^r—
.2oW V2(0/ T
00
(2 71-1) ^r—
00 -(2n+l) ^
Ponendo da sé il termine della prima somma corrispondente ad w = 1 ,
e cangiando in questa n in w -f 1 , otterremo
YjM^
Ae^*" ou=-2isen(^) - ^(-l)" 2" ''"*■'*
2tó
f"+'>^.r*'"+'*'^
e quindi
oze
> /z w
= B sen g) + i (- 1)« Ì-+" sen ('' "+^> ""
= B 2 (-1)» «•""+» sen f^^""^^' ""
0 \
2w
Per determinare la costante B, si divida dall'una e dall'altra parte
per w e si passi al limite per m = 0; ne verrà
00
2tó ^
1 = B ;^ 2 (- 1)" (2>^+l) (Z"'""^",
onde
— -q u^
2co
e 2u. o«. = ^"^ -^
71
2 (-ir2"'*^"*'"sen(2«+l)^
20)
2(-l)"(2w+l)g'*'
(»»+i)
SERIE TRIGONOMETRICHE PER LE 0
Come al §. 150, basterà servirsi ora delle relazioni
405
o^^t = Ce ^^0 {u+(à)
B, C costanti
per dedurre gli sviluppi di oi, 02 e potremo riassumere le formolo nel
quadro :
— yjM^
2w
0 u
Y \ 2(0 y
00
2 (-l)"(2w+l) 2«'"+'>
7]^^
(VE)
00
2?"
G2U =
00
o -.«2
03^ =
l+22r
1
00 /,
1 + 2 2 (-i)"g'"'cosf
nizu
1+2 2 (-1)"2'
Dallo sviluppo della ou possiamo dedurre una formola che serve al
calcolo del semiperiodo di 2.* specie -q, dati che siano w, 0/. Sviluppiamo
per ciò l'uno e l'altro membro della prima delle (VII) in serie di po-
tenze di w, secondo le formolo
-TjW
au = u — ^u +
i-F^ +
2w ^
(2w+l);rM (2w+l);rM 1 /(2w+1)m\^
^^"^ 2^0 "- 2^0 "6 V 2co j + • • '
e paragoniamo i coefficienti di mI Posto
1
e = 2-^
2 (-l)"(2»*+l)2"''*+"
406 CAPITOLO XIV. — §§. 154, 155
avremo
e quindi
00
2 "S(-1)''(2W+1)'3"'"+" 2 , o3 2 .3 6 .3 12
7c* r" ^ 1 -3^3H5^3^-7^g'^+,
{\'II*)vi»> = f„ I
'2|(-l)«(2«+l)g.>.« 12 1-3 *'+5 ««-7 «'«+...•
che è la forinola cercata e fa conoscere y] dati co, o/. Dalla relazione
Yjw' — yfo) =
7r^
si potrà poi calcolare rj'.
§. 155.
Le serie &.
Consideriamo quelle particolari funzioni o che rispondono ai periodi
2(0 = 1 , 2tó'^T
e pei secondi membri delle formolo (VII), moltiplicando nelle prime due
formolo numeratore e denominatore per 2qi, avremo le espressioni
2 2) (-1)" q ^ sen [(2 w+1) tim] 2 ^ r ^ cos [(2 w+1) ttm]
N 0 T\ 0
^/ 00 /-„ - 1\2 > '^) 50 A. ■ 1\2
27c2 (-l)"(2w+l)rz'^ ^^ 22 r ^
0 0
00 00
1 + 22 2"^ cos {2nr.u) 1+2 ^(-l)" 3"' cos {2nriu)
^) 00 ' ^/ 00 *
1 + 2 2 2"' 1+2 2 (-1)" 2"'
1 1 w
Le serie al numeratore di queste espressioni possono anche scriversi
rispettivamente :
LE FUNZIONI 6- 407
1\2
+00 ^^■: (ri-!--) 4-2(71 + ^] iTÌM
— 00
-00
+ °? TT i X w2 4- 2 n T i ?<
-00
-00
esse rientrano nel tipo generale seguente
(y) (-*n (-ly^e ^ 2;^ V -T-2/
dove ^, ^ sono numeri interi, che nei rispettivi casi a*), b*) e*) d*) hanno
i valori
a*(5r,/^) = (l,l), 6* (^,70 = (1,0), e* (g,h) = {0,0) , d* (^,h) = (0,1).
Le serie (y) prendono, secondo Jacobi, il nome di serie d-. Ponendo
in evidenza l'argomento ti, scriveremo
(Vili) ^,j,k{ti) = (-iy" ^(-l)""e ^ 2/ V 2/
-00
Si vede subito che sussistono le formolo
(9) ^g+2,h{u) = d'g,k{u) , ^g,h+2{n)={-iy d-g,h{u),
onde risulta che le d-gh (u) coincidono, salvo il segno, colle quattro fon-
damentali
^u(«0 , '9-io(«<) , K{u) , ^01 (u).
La notazione ora introdotta dei doppi indici è utile in molte ricerche,
ma più usata è la seguente con un solo indice:
408
CAPITOLO XIV. — §§. 155, 156
1
a-i (w) = &11 (m) = 2 2 ( - 1)" r sen [(2 n+l) nu]
co
2
0
ax)
00 ^(2n+l)2
^2 (m) = ^,, (m) = 2 2 r cos [(2 w + 1 ) :: m]
^3 (w) = tì-oo (w) = 1 + 2 2 ^"' COS (2 WTTW)
co
1 tì-0 (w) = ^01 (w) = 1 + 2 2 ( - 1)" 2"' cos {2n%u) .
Dopo di ciò, denotando con x^' le derivate delle d- rapporto ad u,
possiamo secondo le (VII) esprimere le o per le ^ colle formole:
(X)
— r. ?/,*
a2«<
^'i (0)
^3(0)
, e 03 w =
^2 (0) /
_ ^0 (v) \
V =
2(0
^o(O) /
Come si vede, ciascuna o si esprime per la ^ coli' indice superiore
di un'unità, l'indice 4 essendo computato equivalente a 0.
Si osserverà che: Delle quattro funzioni ^ la ■9'j(m) è dispari, le altre
tre è sono pari.
§. 156.
Relazioni fra le &.
Se nella formola (Vili) cangiamo u in u -\ -^ , essendo / hf
due numeri interi qualunque, troviamo:
}i^g^
=(_i),.+i(_i).,./'<"+iy+2="'(«+i)+^'(*'+'''^K"+f)
RELAZIONI FRA LE ^ 409
ovvero
v(«+^) =
-00 '
da cui risulta subito la forinola generale
(XI) ^,. (^1* + ^ j = (-1)^^' . i^''^^^"') e 4 %,+,- , ,H-v {u) .
Questa ci permette di esprimere le quattro ^ per una sola di esse,
p. e. per la
-00
Dalla (XI) deduciamo in particolare l'effetto che si produce in 0^ h (u)
aggiungendo all'argomento un numero intero ovvero un multiplo di r;
W Ove si ponga
la serie ^^{ii) diventa
+ 00
"V gaM' + 2bn
— co
serie sempre convergente per qualunque valore di 6 e pei valori di a colla parte
reale negativa. Inversamente si può partire da una tale serie per costruire le &
e tutta la teoria delle funzioni ellittiche. Con legge analoga di formazione si
costruiscono le serie con un numero qualunque p di indici n^ n^.. , Up
I...V
W£ = — 00 ni= 00 «;j= — 00
le quali convergono quando, indicando con a',* la parte reale di aa la forma
quadratica
1..;,
i, k
è definita negativa. Per mezzo di queste serie si costruiscono le funzioni & a
più variabili u^ u^ ...u,,, mediante le quali si risolve il problema d'inversione
nella teoria degli integrali Abeliani.
410 CAPITOLO XIV. — §, 156
si ha infatti
(XII) ]
( ^„, {u+ i) = {-ì)" e-""' (2 u-\-z) ^^^ (^) ^
Dalla semplice ispezione della serie (Vili), considerando d'r,h{u) come
funzione delle due variabili u, z deduciamo subito l' importante risultato :
Le funzioni d-g h {u, t) soddisfano V equazione a derivate parziali del 2.'*
ordine:
(XIII) i| = *"aT- •
Dalle formolo (X) facilmente deduciamo i valori delle tre quantità
— T^I t"i -^2«J2 —'^tz^h
Ui = e <3 o)i , U2 = e 5 «2 , U3 = e ^ a 0)3 ,
già considerati al §. 150, espressi per i valori che assumono
per u^O, valori che, per brevità, si indicano con
omettendo T argomento. A tale scopo osserviamo che dalla (XI) e dalle
(9) si trae
T.iuj' ~ÌOì'
e facendo nella prima delle (X) successivamente
u = tó , co' , t0+(0'
indi
— 1 1 1±^
^~ 2 ' 2 ' 2 '
avremo
U.= 2o)|^ U. = 2coe^^, U2 = 2io>^°
■iti ■"■ 1 ^1
SVILUPPI IN SERIE DI Vgi — e^ , Vcg — 63, Vci — gg 411
e quindi per le forinole (2) del §. 150 (pag. 396)
e
t/ 4 U3 1 ■9-0 ^'1
Ui U2 2 (0 ^2 ^3
e% — 63
(10) 'v,7r^ = _,4 Ul.=, 1 !i^
1 U2 U3 2 CO ^0 *3
I y ^ U» }_ ^z^\
Queste formole possono semplificarsi, facendo uso della identità sco-
perta da Jacobi
(XIV) ^\ =7:^0 ^2^3,
che ora dimostreremo. Esse diventano così:
(10*) v^:=^ := ~ ^\ , v^;=:^ = ^ ^1 , v^;=^ = ^^h
2(0 2(0 2(0
§. 157.
Dimostrazione dell'identità (XIV) di Jacobi e valori in serie
di \/^, \/h',yi.
Per dimostrare l'identità Jacobiana (XIV), partiamo dalla formola
(/* = 1, 2, 3) fi (ii+f.Or) = - g^ log a (U+Iùr) = ^^j— ,
che per le (X) può scriversi
, ^ , li, , ^Mogav+l(^0)
colla convenzione 9-4 (v) = ^o (w)- In questa facciamo u = 0 ed osservando
che la formola (VII*) pag. 406, che dà il valore di y](o, può scriversi
1 r,
4.1(0=--^,
412 CAPITOLO XIV. — §.157
e d'altronde si ha
3* log ^ (v) _ r (v) _ d^
mentre '9''o = ^'2 = ^'3 = 0> ne dedurremo
1 P'V+i 1 ^"'i|
(11) er =
(2co)2 (tì-.+i 3 d-W
Ora dalla equazione (XIII) alle derivate parziali, cui soddisfano le
d', segue
^"r+i , . aiog^.+i
^ 4 71 * -^
1 ^>+i~ a^
1 r, , . 3 log ^\
e quindi si ha
3er =
zi |31og^^+i 31ogtì-'i
(0* ( 3t 3t
Per ciò l'identità
61 + C2 + 63 = 0
diventa
e ci dimostra che il rapporto
^0 ^2 ^3
è una costante assoluta. Per determinarne il valore effettivo si osservi
che avendosi
{^3=l + 23 + 2g^+2g^^-...
è\=27:qi\l-3q'-]-òq*+...\
SVILUPPI IN SERIE DI V^ > V^'' , V^
413
se si fa crescere t per valori puramente iraraaginarii all'infinito, q^ tende
a zero
dunque
a zero e quindi — ^ ha per limite t: mentre a>o, "9^3 tendono a 1, Si ha
'Q'O ^2 '9'3
= 7:,
che è appunto l'identità (XIV).
Così sono anche dimostrate le formole (10), dalle quali risulta l'altra
identità
(XV) d3'-^^ + ^2,
pure dovuta a Jacobi. È molto notevole che fra i quattro valori
che sono espressioni trascendenti in t, sussistano così due relazioni al-
gebriche (XIV) e (XV).
Le forraole (10*) conducono poi ad espressioni notevoli in serie per
4 4
-«3
avremo invero
^=S=^
24"
(W+1)
00
.1 ^«2
1+2 >;r
(XVI)
v^'=l
l + 22(-l)"5'"'
\
Similmente per il valore di
1+2 22"
Va = \/2 \l{ei - Ci) (^2 - 63) (ei - 63)
troviamo l' espressione
ossia
(XVII) VA = f^f . è 2 (- 1)" (2^+1) g*'"'"^".
414 CAPITOLO XIV. — §. 158
§. 158.
Sviluppi in prodotti infiniti delle &.
Paragonando le forinole (10*), che ci danno gli sviluppi in serie di
V Ci — e^ , V 6t — C3 , V 61 — 63 ,
colle (5) pag. 397 che ne danno gli sviluppi pei prodotti infiniti
Qo = n (1-q'-) , Qi = n (l+2'«) , Q2 = n (l+g^-^ , Q3 = n (l-q'^-') ,
1 1 1
troviamo subito le forinole
L'incertezza del segno si toglie esaminando il caso limite q = 0 e
si ha così:
(XVIII) a-o = Q^ Qo , ^2 = 22^ Qì Qo , ^3 = Ql Qo ,
dalle quali segue anche, per l' identità
Ql Q2 Q3 = 1
(XVIIP) ^'i = 7r&o'8-8^3 = 27r2^ Q^ = 2co V^ yjà .
Queste formole ci danno le seguenti notevoli trasformazioni di serie
in prodotti infiniti:
QO CO
i+2i;(-i)"r'= n {i-q'''-'y (i -^"o
1 1
co co
0 1
co co
1+22 2"' = n (1 n'"''')' (1 - 2"0
1 1
co - co
1 2H)"(2-i).*«=n(i-^«)3
che valgono qualunque sia q, purché sia l^l < 1.
SVILUPPI DELLE 9- IN PRODOTTI INFINITI
415
Con ciò è anche risoluto il problema di esprimere le serie ^ per pro-
dotti infiniti. Paragonando infatti le (X) pag. 408 colle (I) pag. 395 otte-
niamo subito intanto:
^1 (v) = C senTTv H (1 - 2q'*' cos 2nv+q^'')
1
00
^2 (v) = C, COS Tiv n (1 + 2 q"' cos 2 ::v+q''')
1
00
^3 (v) = Ca n (14- 2 2'»-' cos 2 71 y+2' "-*)
^0 («,) = Cs n (1 - 2 ^'"-' cos 2T:v+q^''-^ ,
dove C, Ci,C2,C3 sono costanti rispetto all'argomento v. Per determi-
narle facciamo nelle tre ultime w = 0 e lo stesso facciamo nella prima dopo
divisi i due membri per v; troviamo così:
e quindi per le (XVIII), (XVIII*)
C = a = 22?Qo , C2 = C3 = Qo.
Abbiamo dunque le formolo definitive:
I 1 00
= 2q^ sen (jiv) n (1 - 2 g'" cos (2 7r«)+2'") (1 - g'")
1 °°
^2 (v) = 2^4 2 g"'*^+" cos [(2w+l) Tzv] =
00
(XIX)
= 2 g5 cos (;r v) n (1 + 2 q' " cos (2 z v) +q* «) (1 - q'"")
i
00
^3 (Z;) = 1 +2 2 2"' COS (2 WTTV) =
1
00
= n (1 + 22'«-' COS {2t:v) l-g'»*-') (1 -g'")
1
00
èo{v)==l+2 2 ( - 1)" e"' cos {2miv) =
i
00
= n (1 - 22^»-^ cos (27cv)+3'''-*) (1 -2'").
416 CAPITOLO XIV. — §§. 158, 159
Notiamo in fine due sviluppi in serie per
V? . V¥
che risultano dalle formule (III), (IV) pag. 398
confrontate con quelle superiori. Otteniamo così le formolo molto note-
voli di Jacobi:
(XX)
V2 K °°
-- =^3=1 + 22 2"'=1 + 224-22' + 2 g'+...
-^=&„=i+22(-l)"2"'=l-2g+22'-2g^+...
§. 159. '
Trasformazioni di 1.*^ ordine per le » {v, -).
Le funzioni d sono propriamente funzioni delle due variabili v, t ;
volendo porre in evidenza non solo il valore dell'argomento v, ma anche
quello del rapporto dei periodi si scrive:
^1 {v, t) , -a-j {v, t) , ^3 {v, x) , ^0 {v, t) .
È importante ricercare come cangiano le d quando sul rapporto t
dei periodi si eseguisca una sostituzione del gruppo modulare
Basterà per ciò esaminare l'effetto delle due sostituzioni generatrici
del gruppo modulare
x=t+l , t =--.
TRASFORMAZIONI DI 1.° ORDINE PER LE d-
417
Quanto all'effetto della prima la risposta è immediata, appena si os-
servino le loro espressioni analitiche (XIX), e si trovano così le formole:
(XXI)
^1 {v, T+1) = e^^i (v, r) , d-, {v, T+l) = e^^, {v, t)
Per esaminare l'effetto dell'altra sostituzione
t =
esprimiamo le d- per le o per mezzo delle (X) (pag. 408) e ricorriamo
alle (XVIII), (XVIII*), che ci danno
>Vv
^', = 2(0 \/— VA;
avremo così le formole
(12)
ì 8 -^^'
- Va 6 2-
71
OM
— rjM^
^3(^,t)=y^v^:=73e2
OgM
U
2tó
Vei — «2 e ^"^ ogw /
Consideriamo ora le funzioni a coi nuovi periodi
(«) = («)', to' = - (1) ,
che indicheremo con ou, a^u, OgM, 03 m, mentre con
^1 J ^2 > ^ 5 A
97
418 CAPITOLO XIV. — §.159
indicheremo i nuovi valori di ei, c^, 63, A. Per le formolo della tabella
(A) pag. 341, avremo
au = (SU , 01^ = 03% , 02^ = 02^, 03^:^01%
Ci = C3 , 62 = 62 , &3 = 6i ,
e similmente sarà
■ri = -f{ , ri=--fi.
Ora dalle (12), ponendo
- u V
risulta
i~^=V^v
8 -^^^'
*i{«^»— 7) =\-^^ e ^"^ .aw =
— r. 11%
6-2 — 63. e ^^ QiU-
Tj'm^
» TU
-VjM
1 - ' -
^3(«^,— f ) = V ^ Vei-e3 e 2"^ .02^ =
=33vry^v^
~2
60 e """ OoM
e O3M
— 4 — y/»^
— Veg — 63 e 2""' oiit,
TRASFOKMAZIONI DI 1.° ORDINE PER LE {>
419
dove Bi,s2,h, =4 indicano convenienti radici ottave dell'unità. Il confronto
colle (12), osservando che si ha
ci dà
YjM^ rfu^ Y](i)' — 7]'tO
7r^
; «,2
TZIV
2(0 2(tì'
2 (0 (0 4 w oj t
^,
V
1
= bJz e ^ ^3(?^,t)
^o(-, — )=s4Vt e -' &,{v,r)
Per determinare Si , s., , £3 , £4 , che sono indipendenti da «; e r, si faccia
nelle ultime tre formolo v = 0, r = i e risulterà
Vi
mentre la prima, divisa per u, e fatto ancora u = 0, t = ì dà
i
£1 =
v/i
e quindi abbiamo per le formolo cercate:
(XXII)
^c
^n -,—
i) = V^
— e ' -a-a (v, t) .
420 CAPITOLO XIV, XV. — §§. 159, 160
Per far sparire ogni ambiguità da queste forinole finali resta solo da
stabilirsi quale determinazione è da scegliersi per y - in ciascuna di
esse; dimostriamo che in tutte quattro le formole (XXII) deve prendersi
per y — quél segno che dà un valore positivo alla sua parte reale.
Ciò ha luogo in effetto per y = 0, t = i e quindi in tutti i casi perchè la
parte reale di ~, quindi anche quella di Y—, non passa mai per lo zero.
Osservazione. — Il caso più importante delle applicazioni è quello in
cui debbasi calcolare i valori delle a o delle ^ per valori puramente
immaginarli di t. Ora il caso in cui j r | << 1 si riconduce, mediante le
(XXII), al caso ji|>>l, ove q = e ' = e ""^ è reale, positiva e mi-
nore di
e-" = 0, 0432 1 ...
Le serie %■, per valori reali dell' argomento v, hanno allora una con-
vergenza estremamente rapida, sicché basta il calcolo di pochi termini
della serie per ottenere con grande approssimazione il corrispondente va-
lore delle ^ (^).
Capitolo XV.
Teoria della trasformazione delle funzioni ellittiche. — Trasformazioni di grado
primo della pu e della aw. — Trasformazione di Landen.
§. 160.
Problema della trasformazione delle funzioni ellittiche.
Riduzione al caso delle trasformazioni razionali.
Nelle teorie relative alle funzioni ellittiche, che abbiamo svolto fin
qui, i periodi 2 w, 2 o/ si riguardavano come costanti e si ricercavano le
relazioni fra funzioni ellittiche di diversi argomenti coi medesimi periodi.
Ma in realtà le funzioni ellittiche, e in particolare la fondamentale
p{u\iù, co') ,
(1) Veggasi per più ampie notizie il Gap. Vili del Tratte des foncUons
elliptiques di Halphen T. I.
PROBLEMA DELLA TRASFORMAZIONE 421
sono funzioni delle tre variabili ii, to, to' e possiamo egualmente ricercare
le relazioni fra funzioni ellittiche con diversi periodi. Appartiene a questo
genere di ricerche la teoria della trasformazione delle funzioni ellittiche,
di cui ora ci andiamo ad occupare. Il problema fondamentale della teoria,
limitandoci alla funzione elementare pu, si enuncia nel modo seguente:
Per quali funzioni p, costruite con diversi periodi
pu = p (il I (tì, 0)') , pu = fi (il I S2, Sì') ,
accade che sussista fra pu, pu una relazione algebrica
F {pu, pu) =0?
Possiamo dare a questo problema una forma algebrica osservando,
che, posto
s = pu , S = pu, •
e indicando con gz , gz gli invarianti della pu, con g^ , g^ quelli della pu,
si avrà
(1) du= '^' ^^
Ì^s'-g,s-g, V4S3_«,S-
Oi^-gz
la questione proposta equivale quindi alla ricerca delle relazioni alge-
briche
(2) F(5,S) = 0
che trasformano l'uno nell'altro i differenziali ellittici
ds d^
^^4.^-gzS-g, y4S3_^^s-
9z
ovvero alla ricerca delle condizioni perchè l'equazione differenziale (1)
ammetta un' integi'ale (2) algebrico.
Mentre la trattazione algebrica di questo problema offrirebbe grandi
difficoltà, esso può risolversi facilmente per via trascendente. Per ciò
osserviamo che se nella supposta relazione algebrica
(2*) Y{pu,pu) = Q,
422 CAPITOLO XV. — §. 160
che intendiamo già ridotta a forma razionale ed intera, accresciamo l'ar-
gomento u di 2/0), essendo r un intero qualmique, la pu non muta e
sarà quindi ancora
F {^u, p {u+2ru>)) = 0 ,
cioè tutte le quantità
Xr = fi {u+2roì)
saranno radici della equazione
F(pu,x) = 0,
e però dovrà necessariamente accadere che, per valori distinti di r, r, si
abbiano eguaglianze della forma
p (w+2rto) = p (m+2/o)).
La differenza
2 {r-r^ oì = 21c(à
sarà perciò un periodo della pu e si avrà quindi
con a, h, A-, numeri interi, e similmente
1c'oi' = c9.-}-(l^',
essendo ancora e, d, Jc interi. Potremo quindi scrivere le relazioni
r co = «1 Q -f &i Q'
(3) ' ' O^ 7 '
r co = Ci ii -j- «1 w
dove i numeri interi «i , &i , Ci , f?i , r si potranno supporre senza divisore
comune e sarà
ttidi — &i Ci 4= 0 .
Inversamente, se fra i periodi 2w, 2o/ della pu e quelli 2fì, 2Q'
della pu sussistono relazioni della forma (3), le due funzioni ellittiche
pu, pu, avendo a comune la coppia di periodi
2 r (0 , 2ro/ ,
saranno certamente legate da una relazione algebrica (§. 107). Dunque:
TRASFORMAZIONI IRRAZIONALI 423
La condizione necessaria e sufficiente affinchè fra p {u \ w, to') , p{u\Q, Qf)
sussista una relazione algebrica è che fra i loro periodi abbiano luogo le
relazioni (3) a coefficienti interi.
Ma possiamo subito semplificare il nostro problema colla considera-
zione seguente. Se introduciamo la terza funzione ellittica
pyti = p {u\r(ù, ria') ,
tanto pu che pu, ammettendo i periodi di piU ed essendo pari, saranno
funzioni razionali di pi u. La trasformazione irrazionale che da pu con-
duce a pu si può dunque comporre con due trasformazioni razionali,
mediante le quali tanto pu che pu si esprimono razionalmente per l'au-
siliaria piU (^).
Così il problema della trasformazione è ridotto all' altro più sem-
plice :
Quali funzioni ^ (w | fì, 12' ) si esprimono razionalmente per ^ (m | w, co') ?
§. 161.
Trasformazioni razionali e loro grado.
Ridotto così il problema alla ricerca delle trasformazioni razionali,
supponiamo dunque che si abbia
(A) ^ (w I fì, fì') = F (p (m I tó, 0)')) ,
essendo F il simbolo di una funzione razionale. È chiaro che i periodi
2(t), 2w' della pu dovranno pur essere periodi della
pu = p{u\^, fì')
co = a fì -f 6 fì'
tó'=cQ + <?S2',
e si avrà per ciò
(I)
(*) Ciò dimostra che l'equazione algebrica (2) è in ogni caso di genere zero.
424 CAPITOLO XV. — §.161
con a, b, e, d numeri interi. E poiché supponiamo inoltre sempre
il determinante
A = ad—bc
sarà un numero intero positivo. Inversamente, se hanno luogo relazioni
della forma (I), la pu ammetterà i periodi di pu, ed essendo pari, sarà
una funzione razionale di pu.
Vogliamo ora stabilire il significato del determinante A = ar? — bc.
Supponiamo che la funzione razionale F (s) (s = pu) sia il quoziente di
due polinomii razionali interi U(s), V(s) primi fra loro
^ ^^^ V (s) '
si dirà grado della trasformazione il più alto dei due gradi dei polinomii
U,V. Ora il significato di A è dato dal teorema:
Il determinante A = ad — bc dà il grado della trasformatone.
Per dimostrarlo osserviamo che, posto
S — pu,
si ha
SV(s) — U(s) = 0
e, fissato S ad arbitrio, questa equazione irriducibile in s avrà un nu-
mero di radici eguale al grado della trasformazione. Questo grado egua-
glia dunque il numero dei valori distinti di pu per un medesimo valore
di pu.
Ora se risolviamo le (I) rapporto ad fì, Q', abbiamo
f A fì = ^ co — bo)
{ Afì'= — cw-f-aco'
e poiché i valori di u che danno lo stesso valore di pu sono tutti della
forma
+ ^< + 2mfì + 2n^' ,
percorrendo m, n tutti gli interi, converrà esaminare quanti dei corri-
GRADO DELLA TRASFORMAZIONE RAZIONALE 425
spendenti valori di pu:
p (±w+2wfì-f 2n^) = pi ±u-\-2 -^ to + 2 -r w J ,
ovvero di (^) <
(B) p [u-\-2 T (tì + 2 — T w
saranno distinti.
Ora, se poniamo
( mei — tic = r
\—mo ■-\~ na = s,
ed osserviamo che una nuova coppia di valori (ri , sj per r, s darà nella
(B) il medesimo valore allora e allora soltanto che sia
{n , Si) ^ (r, s) (mod A) ,
vediamo che il numero richiesto sarà il numero delle coppie (r, s) incon-
grue (mod A), definite dalle (4). Sia s il massimo comun divisore di e, d
e poniamo
c = eci , d = zdi , r = BVi,
onde
(5) mdi — nci=ri.
Poiché Ci, di sono primi fra loro, potrà ri avere qualsiasi valore e
quindi
r == sri
assumerà soltanto - valori incongrui (mod A). Per ognuno di questi va-
lori le coppie {m, n) che soddisfano la (5) sono legate ad una fissa mf, n
dalle formole
m = m' -\-tCi )
, , T \ i intero qualunque
w — w ~\~ t eli )
(*' È inutile considerare il doppio segno di u, come si vede cangiando m, n
in — m, — n.
426 CAPITOLO XV. — §§. 161, 162
e i corrispondenti valori di s sono dati da
s = -m'b -^- n a 4- 1 {-bci-\-a di)
A
= —m b ■■{- n a 4- t ~-
e 1
e percorrono solo e valori distinti (mod A). Il numero cercato è adunque
— . e = A e. d. d.
e
§. 162.
Equivalenza delle trasformazioni.
La trasformazione razionale (A) è perfettamente determinata, noti che
siano i quattro numeri a, b, e, d nelle (I); indicheremo per ciò la tra-
sformazione stessa col simbolo
a , b
e , d
e la prima questione che dovremo risolvere sarà di vedere quando due
diversi simboli
a , b\ /a', b'\
c,dj ' ^c, d'J
rappresenteranno la medesima trasformazione, conducendo dalla mede-
sima funzione p {u j w, w') ad eguali funzioni trasformate
(a) p{u\9.,^') = p{u\%,^\).
Le formole (I) per la trasformazione
/a , b'
\c',d'
saranno
co = a' fìi + b' STi
l0 = c9.:-{-d'^\
EQUIVALENZA DELLE TRASFORMAZIONI 427
Ora le condizioni necessarie e sufficienti per l'eguaglianza (a) sono
contenute nelle relazioni (§. 104)
con a, p, S, Y interi e a 5 — ^7=1. Sostituendo nelle (I), e paragonando
colle (6), troviamo
( e' = e a -|- <^Y , d'=c^-\-d^.
La trasformazione [ /' j/ ) > che conduce da ^{uìoi, 0/) a p{u\9.i, Q,\),
è quindi il risultato delle due successive
a,b\ /a, (3^
e, d) ' Vt, 5y '
la prima delle quali fa passare da $> {u \ co, 0/) a ^ (t« | fì, fì') e la seconda
da (p{u\9.,9!) a ^(««l^i, fì'j; ma per questa ultima, che è di 1." grado,
la corrispondente pu non cangia (^'.
Scriviamo simbolicamente la trasformazione composta così :
^^ \c\d') \c,d)\^,z) ^ca+^Y,c(3+rtJ3y •
Due tali trasformazioni f / ^ ) , ( ' , ) , legate da una relazione (7),
essendo
una trasformazione qualunque di 1." grado, si diranno fra loro equiva-
lenti, come quelle che conducono alla medesima f»w trasformata. Il con-
(*' Questa proprietà della ^u di Weierstrass di restare immutata per tutte
le trasformazioni di l.*^ grado è quella appunto che qui, nella teoria della tra-
sformazione, rende tanto più semplice la ricerca in confronto dell' antica teoria
per le funzioni di Jacobi
sn V, cn V, dn v.
428 CAPITOLO XV. — §§. 162, 163
cetto di equivalenza è evidentemente invertibile, come si vede anche
dalla formola
a, b\ ^fa,b'\ / S,-p
e, dj \c\d') V-Y, a
e poiché inoltre due trasformazioni equivalenti ad una terza sono anche
equivalenti fra loro, potremo ripartire tutte le trasformazioni
a, b
e, d,
di un dato grado n in classi, ponendo nella medesima classe tutte le
infinite trasformazioni equivalenti fra loro. Così due trasformazioni qua-
lunque saranno equivalenti o no, secondo che appartengono o non ap-
partengono alla medesima classe.
§. 163.
Riduzione alla forma normale.
Stabilite queste nozioni fondamentali, dimostriamo subito il teorema :
Per ogni valore del grado n il numero delle classi, cioè il numero delle
trasformazioni distinte, è sempre finito.
Per ciò dimostreremo che in ogni classe vi sono trasformazioni del tipo
a', 0
c\d;
col secondo coefficiente V = 0. Sia infatti ( ' , ) una trasformazione
\c,dj
qualunque della classe e sia b:^ 0. Se « = 0 basta osservare che si ta
(0,b\ f 0, l\^f-b,0\
\c, dJ \-l,Oj \-d, e)
per conseguire lo scopo proposto.
Siano ora adunque
a^O , b^O;
dimostriamo che si possono assegnare quattro interi a, p, v, ò, con
aÒ-^'l = l, tali che sia
f a, b\ fa., J3\ fa', 0'^
fa, b^^ fa., ?\_ fa',0\
RIDUZIONE DELLE TRASFORMAZIONI 429
cioè con
(8) a^-\-bd = 0.
Indichiamo con a il massimo comun divisore di a,b, che dividerà
ad — hc = n.
Dovendo essere per la (8)
a_ 3 '
G
ed essendo ambedue le frazioni ridotte ai minimi termini, sarà
0 O
e poiché un cangiamento simultaneo di segno in a, j3, y, S non altera evi-
dentemente la trasformazione composta [ /',/), potremo assumere sen-
z' altro
fi ^ ;;_ ^
onde risulterà
a =aa-{'b'( = G {c/d -^^) = a
0 0
Ora da
0 a
equazione solubile in numeri interi a, y perchè - , - sono primi fra
loro, si vede che indicando con a, y' una particolare coppia di soluzioni,
ogni altra sarà data dalle formolo
&
a = a — p —
a
con p intero qualunque
T =T +P —
430 CAPITOLO XV. — §§. 163, 164
e sarà quindi
e' = cri -\- d'[' + p — .
a
Esistono adunque nella classe di f ' j infinite trasformazioni col
2.° coefficiente zero; esse hanno tutte la forma
(II)
dove il 3.° coefficiente
n
e = ca + fZY'+f.
a
fi
è determinato soltanto rispetto al modulo ~. Due trasformazioni della
forma normale (II) appartengono dunque a classe diversa se il divisore
0 è diverso nelle due trasformazioni ovvero se, essendo lo stesso a, sono
diversi i valori di i mod -
v ^
n
Ad ogni divisore o di n corrispondono quindi - classi distinte, onde
0
vediamo che il numero totale dèlie classi è dato dalla smnma dei divi-
sori di n.
§. 164.
Trasformazioni imprimitive e primitive. Trasformazioni
di grado composto.
Se con una trasformazione [ ' ^ ) di grado n si passa dalla p {u ' w, w')
/ ,] di grado m,
dalla p{u\Q,^') alla p{u\9.,Q% si ha infine
espressa razionalmente per ^ {u \ to, to') colla trasformazione composta di
TRASFORMAZIONI PRIMITIVE 431
grado nm
/«, h\ fa, b'\ /aa-\-bc, ah'-\-bd'\
\c, d) \c', d'J ~ \ca+dc, ch'-\-dd') '
Ora osserviamo che una trasformazione di grado n^ della forma
/n, 0\
VO , nj
si riduce propriamente ad una moltiplicazione dell'argomento giacché,
per la formola di omogeneità della pu
f I ^ ^\ 2/1 '\
\ n n J 1 ' /
si esprime razionalmente per pu colle formolo di moltiplicazione del-
,c, d,
V argomento. Ne risulta che se in una trasformazione ( ' 7 I i quattro
numeri a, b, e, d hanno im divisore comune r, avendosi
a
b
a,
e ,
vo,
rJ
V '
r
d
r
la trasformazione risulta dal comporre una moltiplicazione per r del-
l'argomento con una trasformazione. Una trasformazione f ' ,j in cui
i numeri a, b, e, d hanno un divisore comune dicesi per ciò imprimitiva,
altrimenti primitiva. È chiaro che basterà limitarsi allo studio delle tra-
sformazioni primitive, le forinole di moltiplicazione dell'argomento es-
sendo già note.
Possiamo già ora determinare quante trasformazioni primitive distinte
a
esistono in un dato grado n, che sia la potenza esatta q di un numero
primo q. Esse sono infatti tutte comprese nel simbolo
dove i percorre un sistema completo di resti f mod q ) esclusi, per
valori di r diversi da 0 e da a, quelli divisibili per q. Indicando dunque
432 CAPITOLO XV. — §. 164
con N il numero cercato delle trasformazioni primitive distinte, avremo
, N^g^-' + f/-^ (g-i)4.r/-3 (g _ i) + . . + (g- 1) + 1
ossia
N = g«-i (.if 1).
Dimostriamo ora il seguente teorema, che riduce sostanzialmente la
ricerca delle trasformazioni a quelle il cui grado è un numero primo:
Ogni trasformazione, il cui grado n si decomponga nel prodotto di due nu-
meri P, Q, è il risultato di due successive trasformazioni, Vuna di grado
P V altra di grado Q.
Consideriamo una trasformazione di grado w = P Q già ridotta alla
forma normale
n , 0
e cerchiamo di comporla con due trasformazioni normali
T, 0
runa di grado P, l'altra di grado Q; dovremo avere
, , ,, P^ w PQ
Perchè, per qualunque h, si possano determinare •/], C dall'equazione
(9) ./jt'+Zc = l
basterà che z =- e - siano primi fra loro, cioè che x sia il massimo
TX
comun divisore di o, P ed avremo senz'altro
il nostro teorema è così già dimostrato.
TRASFORMAZIONI PRIMITIVE 433
Ma supponiamo ora di pia che P, Q siano primi fra loro. Allora po-
mo
posto
tremo soddisfare la (9) con un valore di ■/] multiplo di - = — .E infatti,
^ = 7-^
la (9) diventa
(9*) Qr/ + ^C = ^,
p
che si può sempre soddisfare, essendo Q primo con -. Inoltre vediamo
che dalla (9*) yj', e quindi anche y], è perfettamente determinato rispetto|
P
al modulo - dalla congruenza
e similmente C è perfettamente determinato rispetto al modulo Q, e a
più forte ragione rispetto a -, da
T
— ^ = i (modQ).
Ne risulta che: in questo modo di decomposizione
0, 0
n
^,
a
la classe della trasformazione composta determina completamente quelle
delle componenti.
Dì più è facile vedere che la trasformazione composta sarà impri-
mitiva solo quando tale sia una delle componenti. Supponiamo infatti
che un numero primo p divida simultaneamente
n = v.z , — = —. — , ^=:Q7j-f_C;
a T X T
uno solo dei due numeri t, t' sarà divisibile per p. Allora se p divide
0 P
T, sarà primo con -^ e dividerà anche - e però anche -ri, per cui la prima
434 CAPITOLO XV. — §§. 164, 165
trasformazione sarà impropria. Se invece p divide x, si vedrà similmente
che è impropria la seconda.
Di qui risulta che il numero delle trasformazioni primitive di grado
w = P Q, con P, Q primi fra loro, è il prodotto dei numeri analoghi pei
gradi P, Q. Dopo di ciò possiamo subito determinare il numero N delle
trasformazioni primitive di un dato grado n. Decomponiamo infatti n nei
suoi fattori primi distinti e sia
ricordando che vi sono
trasformazioni proprie distinte di grado p , avremo pel numero richiesto :
N =ift^-^p'i^-^. . . /^'-l ip, + l) (j),+ l) . . (i?,+l).
§. 165.
Trasformazioni di grado primo.
Ci proponiamo ora di stabilire le formolo effettive per le trasforma-
zioni il cui grado n è un numero primo, essendo queste, come si è visto,
le trasformazioni elementari colle quali tutte le altre possono comporsi.
Per 11 primo vi sono soltanto ii+l trasformazioni distinte (§. 164),
che potremo scrivere sotto forma normale
n, 0\ / 1,0
0,1/' V-v ,n
dove V percorre un sistema completo di resti (mod n), p. e. i numeri
0, 1, 2, ... ?i-l.
Le formole (I), (I*), che legano i semi-periodi primitivi o), o/ ai tra-
sformati 9., Q', diventano :
tà = n^ , (à = 9.' ) .
S=», o' = .' P-(o,l
n ;
0) = fì , 0)'= - vi2 + wQ' ^ /
n
s = „, a'= ■'^^±^\ ""A-v
TRASFOKMAZIONI DI GRADO PRIMO 435
Si osservi in particolare clie le due trasformazioni
^ fn, 0\ fi, 0\
corrispondono rispettivamente alla divisione per m del primo o del se-
condo periodo.
Gli infiniti non equivalenti della funzione
^(w|fì,Q')
saranno nel primo caso nei punti
0 , — , 2 . — , . . . (w - 1) —
n n ^ n
e nel secondo nei punti
2v(o+2co' ^ 2vtó+2a)' ^ ,^ 2v(0 + 2co'
0 » Z » 2 . , . . . {n-l)
Se, facendo uso di una notazione già introdotta per le formole di
divisione dell'argomento (§. 114), poniamo ■
2 co 2vto+2w'
co = , Oi,. = .
n ' ' n '
vediamo che nel primo caso gli infiniti della p trasformata, che indi-
cheremo con
sono nei punti
rò)^ {r = 0,1,2 ...n—1)
e nel secondo caso la p trasformata, che indicheremo con p.^ u, avrà gli
infiniti nei punti
rcòv {r = 0,l,2, ...n-l).
Se di più osserviamo che questi infiniti sono tutti del 2.° ordine col
termine d'infinito
1
la formola generale (I) §. 105 (pag. 282) di decomposizione di una fun-
436 CAPITOLO XV. — §. 165
zione ellìttica in elementi semplici ci darà immediatamente
r=n-l •
(10) fi^u = C-\-pu + ^ gj{u-r(b,),
7=1
dove C è una costante e v prende gli n -\- 1 valori
00 , 0 , 1 , 2 . . . w - 1 .
Indichiamo con g^ , gz gli invarianti della primitiva (pu q con
quelli della trasformata ^yw; potremo determinare dalla (10) i valori
di C e dei nuovi invarianti (jiì\ Gy sviluppando i due membri in
serie nell'intorno dell'origine e paragonando i coefficienti. Abbiamo così:
^ + W^*+^^+'---^ + ¥ + 20^*+28
+2 ^ (^'^'O + Y 2 ^" (^-^-o + ^ 2 p'' (*'<j>v) + . . .
e il paragone dei termini scritti ci dà
C= -''|~V(>''5)v) , G[^) = ^,+ io' 2"V'(^^^v) ,
G^^)=^3+|'2V(^^v),
per cui la (10) può scriversi
1...»— 1
(II) p^u=zpu-\. 2 [p{u-r(tì'j) — p{rm)],
r
mentre per gli invarianti G^"'\ G^^ si hanno le formolo
gM = 60 2 ^' (>- wv) — (5 w - 6) ^2
(III) \
G^) = uo" 2 V(^wv) - 21 ^2*2 '^(/*wv)-(14jì- 15)5r3.
437
§. 166.
Distinzione del caso di w=2 e di n dispari.
Il secondo membro della formola di trasformazione (II) deve potersi
cangiare in una funzione razionale di pu, ciò che ora vogliamo fare. Per
ciò distinguiamo il caso di w = 2 da quello in cui n è un numero primo
dispari.
a) Trasformazioni di 2J> grado : Per >^ = 2, ponendo in evidenza nella
(II) i periodi 2 il, 2 fì' della p trasformata, avremo le tre formole:
(o, ijl \ ^ J fiu-ei
(11) (o ' 2) \po u = p(u\^ ,~) = pu+p (u-c,') - pc.' = pu + (^iH^
\-l ,2J piU = p(u\oi, ^^ ) = pu+p (ii-oì-tó'yp (o)+o/) = pU-\- ^^^"^^Hez-ga)
in cui i secondi membri sono appunto razionali di 2." grado in pu.
Ritornando sui risultati del Gap. XIII relativi all'andamento della
p{u; (jì, gz) per valori reali degli invarianti, possiamo utilismre le tra-
sformazioni del 2° ordine per ridurre il calcolo delle funzioni pu coft di-
scriminante negativo a quello delle pu con discriminante positivo. Per una
funzione
pU = p{u\(ài,lÒ3)
con invarianti reali e discriminante negativo possiamo infatti scegliere
i periodi fondamentali 2o)i, 20)3 in guisa che siano coniugati (§. 142,
pag. 376). Se poniamo allora
pu = p(u\o), w') ,
essendo
(0 = (j)i-|-a>3
to' = - (tìi -f (O3 ,
la pu sarà ad invarianti reali e discriminante positivo e sarà legata alla pu
438 CAPITOLO XV. — §§. 166, 167
dalla trasformazione di 2.° ordine li'-|) = ( i'o)(a'i)' ^^^^
dalla 3.^ delle (11):
(62 - eO (62 - 63)
^u = (pu +
(pu- 62
formola che raggiunge lo scopo prefisso.
h) Trasformazioni d'ordine primo dispari.
Sia ora n un numero primo dispari.
In tal caso la (II) può scriversi:
l...(u-l) •■•2
^v (m) = P^l— 2 ^ (^ ^'•') + 2 ! ^ (^* - 5 '^^"^) + ^ {u-in-s) òiv) |
l...(n-l) •■• 2
ovvero per le formole d'addizione della pu:
(IV) ^, z. = ^H - 1 ^ (^^'^^^^ -^- 4- [0i-p(s&df
In questa formola di trasformazione il secondo membro è evidente-
mente una funzione razionale di pu di grado n e precisamente di grado
n al numeratore, di grado n — 1 al denominatore.
Rispetto ai coefficienti di questa funzione razionale si osservi che
essi sono composti razionalmente con gz, Qz e con p(cov) poiché, per le
formole di moltiplicazione, f'(rco,,) è razionale in pco,, , e siccome ^Wy è
una radice dell'equazione per la divisione dei periodi, vediamo che i detti
coefficienti sono funzioni algebriche di g., g^. Essi saranno noti appena
risoluta la risolvente di grado n + 1 dell'equazione per la divisione dei
periodi (§. 115).
§. 167.
Risolubilità per radicali dell' equazione di trasformazione.
Data la pn, ciascuna delle n+ l p,^n trasformate si esprime razio-
nalmente per pu secondo la formola (IV). Ora vogliamo ricercare inver-
RISOLUBILITÀ PER RADICALI DELL'EQUAZIONE DI TRASFORMAZIONE 439
samente come data la p^ u, per un valore fìsso di v, si può determinare
la pit. Abbiamo per ciò dalla (IV) un'equazione di grado n in pu, di
cui è facile assegnare le radici. Data infatti ^^ u, l'argomento u è de-
terminato solo a meno del segno e di multipli dei periodi 2^, 2Q'; cioè
tutti i valori di u che danno il medesimo valore di p.^ u sono della
forma
( li = 0,l,2,...n-l
+ M + ^ wv 4- 2 rw + 2 so/ , . , .
( r, s mteri qualunque,
onde le radici della (IV) sono
pu , p{u — (bJ) , p {il— 2 wv) . . . ^ (« - (n-l) wv) .
Ora una qualunque di esse
ì/r = p {u-r Wv)
è esprimibile razionalmente, colle formolo d'addizione, per pti, p'u, e d'al-
tronde, derivando la (IV), si ha
^'v w = tp'u F {pu) ,
essendo F razionale in pu. Dunque se, oltre p^jU, consideriamo come
nota anche p\, u, ogni radice y,- della (IV) è razionalmente esprimibile
per la prima ijo = pu. Siamo per ciò in presenza di un'equazione Abe-
liana di grado primo n e la risoluzione si effettua estraendo un radicale
d'indice n. Quanto alle quantità che compariranno razionalmente sotto
il radicale V , saranno evidentemente
9-2, 9s , ^Wv , pvU , p'vU.
E facile anche dare la effettiva formola ^i risoluzione; ma noi qui
osserveremo soltanto ancora che la risoluzione delle equazioni di trasfor-
mazione include quella delle equazioni per la divisione dell'argomento.
Per vederlo basta ricordare che la moltiplicazione per n dell'argomento
si compone delle due successive trasformazioni ( ' ^ ], ( ' ). Così la
\0, ly \0, nj
teoria della trasformazione riduce effettivamente la risoluzione dell'equa-
zione Abeliana composta di grado n', che si presenta nel problema della
divisione per n dell'argomento, a quella di due successive equazioni Abe-
li ane semplici di grado n.
440 CAPITOLO XV. — §. 168
§. 168.
Esistenza dell'equazione modulare fra gli invarianti assoluti.
Indichiamo con
l'invariante assoluto J della pu primitiva e con
gì
J' =
GÌ— 27G^
l'invariante assoluto di una qualunque delle «+1 pu trasformate, sicché
sarà
p
e chiamando J',, F invariante assoluto della p., u sarà dunque
Ora sussiste l'importante teorema:
Fra V invariante J della pu primitiva e V invariante J' di una qua-
lunque pu, ottenuta per trasformazione d'ordine primo n, sussiste un'equa-
zione algebrica
(V) /'(J,J') = 0
di grado n+l in J', le cui n+l radici in J' sono date da
j'. = j(..) , j'.= jg) , j'. = j (!±i) ... JV.= J (^^
È questa l'equazione che prende U nome di equazione modidare (fra
gli invarianti assoluti).
Per dimostrare il teorema, basta osservare che, secondo le formolo
(III) §. 165 che danno i valori degli invarianti Gz, G3 trasformati, l'in-
variante J'v è una funzione razionale simmetrica di
(12) ^à>v , ^(2w,) ,.. p [^^ (b,J ,
che sono radici di una medesima orizzontale dell'equazione per la divi-
EQUAZIONE MODULARE FRA GLI INVARIANTI ASSOLUTI 441
sione dell'argomento nel quadro (C) del §. 114 (pag. 306). Questa fun-
zione razionale simmetrica dei valori (12) ha quindi appunto w+1
valori distinti
T' T' T' T'
"ce 5 "05 O l . . . O n—l 5
che sono dunque radici di una risolvente di grado n + 1
(13) F(J',^3,5'3) = 0
con coefficienti razionali in g-i, g^. Ma se osserviamo che cangiando w, w'
in iw, ico' l'argomento t: g g^ non cangiano, mentre «73 cangia segno, si
vede che nella (13) figurerà solo razionalmante gì e similmente poiché
cangiando co, 0/ in sw, so/ \^ = e ^ ) g^ non muta e gz si cangia in z^ gz,
dovrà nella (13) r/a comparire solo nelle potenze di gì- Eliminando ora
dalla (13) gì per mezzo della relazione
9t-21gr
la (13) acquisterà la forma
(14) MJ', J,^2) = 0,
essendo ^ razionale nei tre argomenti.
Ma è facile vedere che in questa equazione c/2 non può figurare espli-
citamente, che cioè coll'eliminazione di g^ dalla (13) viene eliminato anche
g^. E infatti se cangiamo co, co' in X co, X co', con X qualunque, nella (14)
J, J' restano inalterati, mentre g^ si cangia in ^ e però gz deve neces-
sariamente sparire.
Così è provata l'esistenza dell'equazione modulare (V).
Studieremo fra breve più da vicino ed in modo diretto le proprietà
dell'equazione modulare (V). Ma fin d'ora osserviamo che, secondo i
risultati del §. 116, siamo in grado di assegnare il suo gruppo di mo-
nodromia, che è definito dalle sostituzioni lineari
v'=^^^ (a5-PY=l (modw))
sugli indici degli n -\- 1 rami J'^
T' T' V V
442 CAPITOLO XV, — §.169
§. 169.
Forinole di trasformazione per la ^w.
Cerchiamo ora di esprimere anche le aw coi periodi trasformati
/ . w A / I voj+w'
a Un —, 0) , '3 [ u ,0) ,
\ n J V ^
per la au primitiva. Se osserviamo che si ha
/ . va)+ctì''\ / voH-w'
a ( w 0) , = a w t , w
\ ' w / V ' **
vediamo che tutto si riduce a trovare la formola che esprime a ( m - , w'
per OM, cioè la formola che dà per la iw l'effetto della divisione per n
del primo periodo.
Ora la a trasformata
ou
= 0 ?n — , (tì
\ n J
può anche considerarsi, secondo il §. 101, come una funzione intera pe-
riodica di 3.* categoria coi periodi 2 co, 2 co' e si può quindi esprimere
per la o?«, appena se ne determinino nel primo parallelogrammo dei
periodi gli infinitesimi. Questi sono nei punti
Wo = 0 , — , 2 . — , . . . {n— 1) . —
n n n
e si ha per ciò:
.=..-1 / 2 to^,
< — r .
r=0 V
_ )=,■—! f 2 to^
(15) aie = e^*"' Il qÌu—y. — )
dove G (m) è un polinomio di 2.° grado in m.
Supponiamo dapprima n dispari e scriviamo la (15) così;
_ ti— 1
r / ^ '~r?~ /' 2 (0 \ / 2 0> , \
OM = etri (M). oit 11 <z [ s . u\ r^\ s . — ■ -\- U\ ,
.=1 V w / \ w /
dove Gì (m) sarà nuovamente un polinomio di 2.<> grado in u e poiché
FORMOLE DI TRASFORMAZIONE PER LA OM 443
ou, mi sono dispari, mentre il prodotto nel 2.° membro è pari, sarà
Gì (m) = — aw^ 4- ò (a, h costanti) ,
2k
onde avremo
n— 1
aw = Ce ow 11 OS. • u] r^ \s . — ■ + « .
\ \ Il j \ n
Per determinare la costante C, basta dividere dall'una e dall'altra
parte per u e passare al limite per u = 0\ si ottiene così :
2(1) ^ z' 2(1)
(VI) 0^ = 6^^"" oz« n
.=1 , / 2ctì
In fine, per determinare la costante a, si indichino con y], r( i semi-
periodi di 2.* specie della om coi periodi di 1.* specie 2 (o = — , 2o)' = 2o)',
talché sarà
-- -- Tri
■rj 0) — r; co = y ,
cioè
(16) w rj w' — r/ to = ?e — .
Cangiando allora nella (VI) successivamente u in tt -l-2(tì= i«-[-2w(«)
ed in w + 2 0)' = M -f- 2 co', si ricava subito
(17) ^_MÌ-j)_?-«V
(0 0)
e la coincidenza di questi due valori per a risulta subito dalla (16).
Alla (VI) si può dare un differente aspetto, ricordando la formola
2(0 \ / 2o)
= pu — p [ s
n j \ n / 2o)
2(i)\ 2 ^ \ n
a'- [ s . — ! o^u ^
n '
444 CAPITOLO XV. — §§. 169, 170
e scrivendola quindi
II— 1
(VI*) 3M = e^ 0"M [1 \pu — p\8. — .
i a ìC-
T=\
^■^)s
Dalle (VI), (VI*) si potrebbero ora dedurre le formole di trasforma-
zione per le o pari
e combinando per divisione le formole così ottenute, si avrebbero le
formole di trasformazione per
sn ^' , cn i; , dn y ,
come furono poste da Jacobi nei: Fundamenta nova.
§. 170.
Trasformazione di Landen.
Ci limiteremo a dedurre le formole di trasformazione di 2.° ordine
per sn v, a stabilire cioè per questa funzione ellittica la formola di du-
plicazione del rapporto t dei periodi. Interpretata per l'integrale ellit-
tico di l.'' specie, questa conduce alla celebre trasformazione scoperta
dal matematico inglese Landen (1775-1780), scoperta che ha preceduto
la costruzione della teoria degli integrali ellittici di Legendre ed è stata
la sorgente dell'intera teoria della trasformazione.
Ritorniamo alla formola (15) di trasformazione perla ow e suppo-
niamo ora w = 2. Avremo
a M = a [ M I — , 0/ j = e*^ *"' 0 m 0 (i< - w) ,
che, per la formola
„ a (oj — u)
0(0
possiamo scrivere;
cu = e^i (") au . Oi w .
Il polinomio di 2." grado Gi(m) deve essere pari e si ha quindi
X n ìi%
0 tt = C e a M Oi w ,
TRASFORMAZIONE DI LANDEN
con C,
a
costanti.
Si trova subito
0)
onde
(VII)
a f m| — , co j = e "^ ow Oi
445
Mutando in questa w in w-fco', si trova la formola di trasformazione
per 03 w:
/ W A ^^^M*
(VII*) 03 f M I — , tó' j = e "^ CgM 03M
ed analogamente si dedurrebbero le formole per ai u, 1^ u.
Indichiamo con e^, 62, e^ i valori di c^, 62, e^ rispondenti ai nuovi
periodi
2oì = là , 2 u)' = 2 to'
e dividendo la (VII) per la (VII*) col ricordare le formole (C) §. 133
avremo
con
Vi = yei — 63 . M , v = \ei — 63 u .
Se poniamo
M = -^^^,
Vci— 63
potremo scrivere la formola così;
sn w cn y
(18) sn(Mt;,2T) = M
dnv
Indicando con 4 K, 2 i K' i periodi di sn {v, 2 1) corrispondenti a 4 K,
2 ìK' per sn {v, i), abbiamo
K =wVei— ^=M^
(19) ^ 2
ÌK'
= (o'Vei— e3 = MiK'
446 CAPITOLO XV. — §. 170
e potremo determinare il moltiplicatore M della (18) e il modulo X = ^" (2-:)
K —
colle considerazioni seguenti. Pongasi nella (18) v = -- e poiché sn(K, 2t) = l,
avremo
M= '
K K
^^ Y ^^ T
Ma dalle formole
sn {v+K) = ^ , dn {v+K) = ^
dnu dnv
ponendo v= -- , deduciamo
K
onde
K 2 , 2 K - ,
sny = -^, dn«- = ;fc',
dn^l
2 ^
Ora moltiplichiamo i due membri della (18) per
e, ricordando che i residui di sn v, cn v, dnv in ?; = ìK' sono rispetti va-
mente v- , -y- , — i, troveremo
Z-— ^~^ (1)
W Rispetto alla funzione modulare fc (t), possiamo scrivere la formola
,(2,)^1-V/Ijgg^
l+v/l-^-'Cr)
formola che dà l'effetto della duplicazione dell'argomento.
TRASFORMAZIONE DI LANDEN 447
Ed ora, ponendo in evidenza nella (18) i moduli anziché i periodi,
avremo la formola di trasformazione
/TTTTTs [ ,. if. 1 — ^*^' I /, 7/. sn (-y, Z;) cn (v, A;)
(Vili) sn \(l^lc')v, j-^, ! = (1 +70 ^j„;^^)' ,
che è la formola della trasformazione di Landen.
§. 171.
Applicazione della trasformazione di Landen.
La trasformazione di Landen si può utilmente applicare al calcolo
numerico degli integrali ellittici di 1/ specie. Poniamo per ciò
2/ = sn [(1 +li) v.Til , x — sn{v,Jc) , Jc= — -^
ed avremo
^^ ^{l+h')dv , ——^—-— = dv.
Supponiamo il caso ordinario delle applicazioni in cui h, quindi anche
h, è reale positivo e minor d'uno ed, osservando che y si annulla con
X, avremo
p dx _ _1_ p j%
e la (Vili) diverrà
(21) ^ = (1+^0^;^^'.
i
Con questa trasformazione irrazionale si cangia dunque un integrale
ellittico di L^ specie di modulo h in un altro di modulo
Y_ \ — h' _ F
448 CAPITOLO XV. — §§. 171, 172
e si avranno ancora le formole
(22*) /fc = ?AA, i+fc' = _^,
onde la (20) potrà scriversi
^y dy 2 /^' dx
(20*)
2 n
1 + ^Jo
Jo V(i^/) (1-^-^.7^ 1 + ^Jo V(i-^(i-^-^^^
Essendo 0«</^<!l, il modulo trasformato
(1+^0'
sarà <C^^ e quindi più vicino a zero. Ripetendo n volte la trasforma-
zione (20), si arriverà ad un modulo <i.l^'\ vicino quindi a zero quanto
ci piace.
Colla trasformazione inversa (20*) passiamo dal modulo % al modulo
li =
1 + ^
V^>V^
e, ripetendola n volte, ad un modulo così vicino ad uno quanto ci piace.
Nelle applicazioni numeriche converrà fare uso della scala discendente
0 ascendente dei moduli, secondo che k è più prossimo a 0 ovvero ad
1, e nel primo caso si ridurrà il calcolo dell'integrale a quello di un
arco circolare, nel secondo al calcolo di logaritmi o funzioni iperboliche.
§. 172.
La trasformazione di Landen nelle amplitudini.
Rendiamo le formole precedenti atte al calcolo logaritmico, introdu-
cendo le amplitudini degli integrali ellittici col porre
y = sen ^ , x = sen <p
e la (21) diventerà:
/, ,„ sen^cos'f
sencj>==(l+Z;') ^
Vi -A* sen^9
TRASFORMAZIONE DI LANDEN 449
da cui si ottiene subito
cos^ '^-h' sen^© ,„
COS '^ = — ( 1)
e quindi
(^^' '''"«*- l-^'tang«,
Derivando otteniamo
d']^ , ,, l+h' tang^ 's cos^ A
"^ ~ ^^ ' (l-//tang^ff co?7 '
il che dimostra che ó è sempre crescente per 'f crescente e inoltre ai
valori
, 0 , — , z , 3 - , per 'f
corrispondono i valori duplicati
0 , -, 2~ , 3;: per <];.
Ora la (23), ridotta a forma intera, ci dà l'altra
(24) tang (']) - 9) = h' tang 'f ,
che si presta al calcolo logaritmico di ò, dato che sia 'f . Scrivendo poi
questa formola così
(1 +^) tang ('^ -'S) = {l-h) tang 's> ,
ovvero
sen (']j-':) COS 9 - sen 'f cos (']^-'f ) = — ^ j sen -f cos (']>--f ) + cos 'f sen ('{/--f ) | ,
ne deduciamo
(24*) • sen (2 's -'h) = Jc sen 'l* ,
formola che si presta al calcolo di 'f dato f|». Le (20), (20*) diventano
W La determimazione del seguo risulta da ciò, che per cf = 0 è '^ = 0.
29
450 CAPITOLO XV. — §. 172
allora
(25) H—ji— == -L_ n^
d'\>
W sen^ <{/
e si farà uso della prima o della seconda, secondo che si vorrà passare
da /*; a a;, 0 viceversa.
Supponiamo ora di ripetere n volte la trasformazione (25) e indi-
chiamo con
le successive amplitudini e con
fC , tCi , /i2 , . . . A^n— 1
i successivi moduli trasformati; avremo:
Jo Vl-^^sen^9 2 2 2 J^ y j_^2_^ ^^^^ ^
ove le (jjj si calcoleranno successivamente dalle formole
tang ('-l^i - 'i,_i) = h'i^i tang '|),_i ,
essendo i^',_i il modulo complementare di ^,_i . Ora si osservi che il pro-
dotto infinito
(1+X) {\+h) (i+I-,)...(i+L)...
è certamente convergente perchè ìin<^fil-\ e quindi esisterà pure un
limite determinato per w=co dell'integrale
l-^!_i sen" ^
e poiché
Vn-i
1 rV^l (?4, t};,^^ 1
I!!=l < _ ^ <-
JoVl-A;f._iSen'4^ ''^
si vede che 4è^ ha lo stesso limite.
2"
TRASFORMAZIONE DI LANDEN 451
Ora se, fra i limiti d' approssimazione voluta, è
(1+^) (1+^J . . . (1+^,^0 ^ /l - J-\ = 0
\ flJn— 1/
si avrà pure, entro i medesimi limiti d'approssimazione:
(26) I ' ^ '^ ■ = (1+^) (1+^0 . . . (l+/7„_0 %^ ,
formola molto adatta al calcolo numerico, a causa della rapida conver-
genza del prodotto infinito. Se facciamo nella (26) 'f = ;r, avremo anche
J>_ ^ j^ .^ jJz ^ ^ ^V-1 ^
2 2^ ' 2^ ... — 2« — 2
e ne otterremo quindi il notevole sviluppo in prodotto infinito
(26*) ^ = (1+A^) (l+Z^O (1+:^,) . . . (1+^,0 . . . ,
onde la (26) si scriverà
(
Jo Vi-/^^
= — hm ^
sen'
I successivi moduli trasformati /.-, Ai . . . si calcoleranno facilmente,
coir uso delle ordinarie tavole trigonometriche, ponendo
li = sen 0 , Z; = sen 0i , ^i = sen 02 , ... Tin-\ = sen 0^,
per cui avremo
-r 1 — ^' 1 — cos 0 Y 1 - cos 01
~ r+¥ ~ 1 TcosQ ' ' ~~ 1+ cos 01 • • • '
cioè
fì fì fì
sen 01 = tang^ -- , sen 0^ = tang^ ■— , sen 03 = tang^ T^ • • • •
Formole analoghe potrebbero stabilirsi per l'applicazione ripetuta
della trasformazione inversa.
452 CAPITOLO XV. — §. 17 3
§. 173.
Media aritmetico-geometrica M (a, b) secondo Lagrange e Gauss.
La scala dei moduli nell'applicazione ripetuta della trasformazione
di Landen sta in una semplice relazione colla teoria della media arit-
metico-geometrica, della quale si occuparono Lagrange e Gauss. Daremo
ancora un cenno di questo argomento storicamente molto importante,
che ha segnato la via per la quale Gauss, prevenendo le ricerche di
Abel e Jacobi, aveva già costruito la teoria delle funzioni ellittiche senza
dare pubblicità alcuna ai risultati conseguiti <^'.
Siano a, h due numeri reali positivi e supponiamo p. e.
Costruiamo le due medie, aritmetica e geometrica di a, b :
e da a, 6 deduciamo nello stesso modo
«1 = -^ , 6i = Va 6 ,
e così continuiamo costruendo
«1 + &1 r a/- r
''n „ , Ofi — V Ojn—\ Or
Le due serie di numeri positivi
\ Q/ j et ^ G/\ j C^2 • • • • ^H
(27) j _ _ _
(') Gauss. Werke Bd. III. Nachlass.
(*) Per questo radicale e tutti i seguenti s' intendono scelti i valori positivi.
MEDIA ARITMETICO-GEOMETRICA 453
sono decrescente la prima, crescente la seconda, e convergono ambedue
verso il medesimo limite, che si dice la media aritmetico-geometrica dei
due numeri a, & e si indica con Gauss col simbolo
M {a,b).
Per dimostrare quanto sopra è asserito basta osservare che, ponendo
k = , indi k = — ,
a a
e ritenendo le notazioni del §. precedente, si ha
-_ 1+^' _ _«_
^ 1+1
h = yjah =ay/Jc'
e in generale
Cln—i
1 + ÌCn {l+k)(l+k,)...(l+JCn)
Un =^ <^M— 1 V f^ w— 1 •
Per la formola (26*) si ha quindi subito
lim a„ = -—
e d'altronde
, lim 3^ = lim V^'n_i = 1 ,
Ctn—i
quindi
M {a, h) == lim «« = lim K = ^ .
Così sono dimostrate le nostre asserzioni ed è inoltre ritrovata la
formola
1 _ 2 K _ 2 (2 d^
che esprime V inversa della media aritmetico geometrica per un integrale
454 CAPITOLO XV. — §. 173
completo ellittico di 1.* specie a modulo
1 = "^-^^
La proprietà delle due serie (27) di convergere verso un limite co-
mune M {a, b) si può del resto dimostrare colle seguenti considerazioni
elementari ^^K Essendo
(a-b) {a+b)=a'-b'=^^(a-hf
si vede che b<ia e così
6 < a , 6i < «1 , &2 < «2 . . . ^n < «n . . . ,
cioè ogni termine della serie inferiore è minore del corrispondente della
superiore.
Si ha poi evidentemente
a<ia , ai<ia , «2 <C «i • • •
b>b , b,>b , b,>b,...
e però la prima serie è continuamente decrescente, la seconda crescente;
di più si ha
a- b a-b a-b 1
indi
^-^ 4(aT6) 2(a+6) + 4 6
a-6 < — ia—b)
cii-bi < y (a -&) < j (a - b)
an-bn<^x{(i-b) ,
dopo di che risulta evidente l'esistenza di un limite comune M {a, h) per
le due serie.
(*) Gauss, l. e.
MEDIA ARITMETICO-GEOMETRICA 455
Se nella forinola (IX) cangiamo h in c = \j' a^-b"^, manifestamente
k si cangia in k' e perciò K in K', onde abbiamo:
(jX*) 1 2K' _ 2 fw d'f
La quantità g = e ' ' = e ^ di Jacobi si può quindi anche scrivere
_M(a, 6)
5= e ~M(a, e)
e, se introduciamo coi simboli di Gauss le tre quantità
^ VM(a,&) ' ^~\U{a,h) ' ^~VM(a,&)'
avremo evidentemente
2KA;
e varranno gli sviluppi in serie di potenze di q, già dati da Gauss:
00 00 OD (2«+l)«
p = i+2 2 r' , Q-i+2 2(-i)"2"' , R=2y q *
1 1 1
che per noi risultano già dalle formole dimostrate al §. 158.
Capitolo XVI.
Funzioni modulari ellittiche.
§. 174.
Definizione delle funzioni modulari. — Loro sottogruppo.
Strettamente connessa colla teoria delle funzioni ellittiche è la teoria
delle funzioni modulari (ellittiche), la quale a sua volta non è che un
capitolo della grande teoria delle funzioni automorfe. Già in vari punti
di questo corso (cf. particolarmente i Gap. XI, XII, XV) abbiamo toccato
delle proprietà di due funzioni fondamentali nella classe delle funzioni
456 CAPITOLO XVI. — §. 174
modulari e cioè delF invariante assoluto J (r) e del quadrato del modulo
di Legendre h^ (t). Ora ci proponiamo di dare alcune poche nozioni sulla
teoria generale delle funzioni modulari, rimandando per uno studio ef-
fettivo dell'interessante argomento all'opera di Klein-Fricke : Theorie der
elUptischen 3Iodulfunctionen.
Definiamo le funzioni modulari (algebriche) nel modo seguente : Ogni
funzione algebrica di J (rj che, considerata come funzione di z, sia uni-
forme dicesi una funzione modidare (algebrica).
Oltre le funzioni modulari algebriche, si considerano anche delle fun-
zioni modulari trascendenti; ma noi qui parleremo soltanto delle prime
e le diremo senz'altro funzioni modidari.
Sia 'f = ?p W una funzione modulare e sia
(1) /'('f,J) = 0,
dove f indica una funzione razionale intera nei due argomenti, l'equa-
zione algebrica irriducibile che la lega all'invariante assoluto J (t). Os-
serviamo in primo luogo che essendo, per un assegnato valore di r,
'f (t) una radice della (1) tutte le altre radici saranno date dall'espressioni
dove [ ' ^ ] è una qualunque sostituzione del gruppo modulare. Che
tutte le espressioni (2) siano radici della (1) si vede .subito osservando
che se nel semipiano positivo tracciamo una linea continua, che vada
da z al punto equivalente — — ^ , l'invariante assoluto J (x) descrive
un cammino chiuso e 's (r) si cangia con continuità in 's ^ .
D'altronde tidte le radici della (1) sono date da espressioni (2) poiché,
la (1) essendo per ipotesi irriducibile, se facciamo descrivere a J un
conveniente cammino chiuso, passiamo da una radice 'f (t) ad un'altra
qualunque; ora, come si è visto al §. 121, possiamo far descrivere a
J (t) un cammino chiuso qualunque facendo muovere t da " ad un punto
equivalente ^ ^ per un conveniente cammino.
Supponiamo ora che la (1) sia di grado m rispetto alla 'f e siano
FUNZIONI MODULARI 457
le sue radici. Ogni valore (2) dovrà eguagliare uno di questi m, e sic-
come se le due sostituzioni
^-Cil'^'-P;').
eseguite sull'argomento i di z (r), danno eguali risultati
la sostituzione UU'~^ lascia z (t), invariata si conclude: Esistono nel
gruppo modulare T infinite sostituzioni
gi= l , (h , g3 . . .
che lasciano 'f (t) invariata; esse formano evidentemente in Y un sottogruppo G.
Diremo per ciò che la funzione modulare 'f (r) appartiene al sotto-
gruppo G, od anche che G è il sottogruppo riproduttivo di z (t).
Di pili se
'l =^ 1 , f 2 ) *3 • • • t„t
sono m particolari sostituzioni di F che cangiano 9 (r) in
vediamo subito che qualunque sostituzione y di V si potrà porre sotto
la forma
h- =1,2, ... m^
T = ^c g, , .
-^ \i= 1,2, 3... 00
onde concludiamo : Il sottogruppo G di T che lascia invariata la funzione
modulare z (t) ha indice finito in F e precisamente eguale al grado ni a
cui z comparisce neW equazione (1), che la lega all'invariante assoluto.
Dobbiamo subito osservare che mentre per l'eguaghanza
J (r) ^ J (tO
è necessario e sufficiente che 1, z siano equivalenti rispetto a V, per la
eguaglianza
Z (r) = Z (tO
è bensì suflficiente, ma non in generale necessario che r, t' siano equi-
valenti rispetto al sottogruppo G, cui z appartiene.
458 CAPITOLO XVI. — §§. 174, 175
E invero, se la (1) è di grado n in J, per ogni valore assegnato di
(f (t) si hanno n valori distinti di J (i) e se
sono n corrispondenti valori di z, fra questi non ve ne saranno due
equivalenti rispetto a T e tanto meno rispetto a G. Questo numero n,
che indica quante volte la funzione modulare z (t) riprende il medesimo
valore in punti non equivalenti rispetto al sottogruppo riproduttivo G,
si dirà la valenza di 'f (t). Se n=l, allora J (t) è funzione razionale
di 9 (t) e questa è monovalente ; tale è per esempio la funzione mo-
dulare k^ (t).
Osserviamo ora che tutte le radici
'fi } ?2 • • • rm
della (1) sono, come è chiaro, altrettante funzioni modulari e se il sot-
togruppo riproduttivo della prima è G, quelli di 'fs, 'f 3 . • . '^m saranno i
rispettivi sottogruppi trasformati
G2 = 1^2 G t^^ , G3 = ^3 G t^\ . . Gm = tm G t~^ f^) .
In particolare si osservi che: Se il sottogruppo riproduttivo G della
funzione modidare 'fi = 'f (t) è invariante in F, le altre funzioni modulari
(S2 (t) , . . . 'Sm (r), radici della (1), apparterranno al medesimo sottogruppo G.
Dai teoremi generali sulle funzioni algebriche segue allora che ogni
radice 'f, della (1) è razionalmente esprimibile per 'fi e J, giacché ad
ogni coppia di valori 'fi,J corrisponde iin solo valore di .9,-.
§• 175.
Diramazione di una funzione modulare ?(-)
rispetto all'invariante assoluto J(-).
Fino ad ora abbiamo senz'altro supposto che l'equazione algebrica (1)
sia tale che 'f, considerata come funzione di t, risulti monodroma. Vo-
(^) Pongasi invero
e sia / / / a,t'+3y
? (^.O = 'h- (^) = 'f '• (0 = 'f (^ .■) , ^ r = :— 7-v- ,
sarà Vr legata a -r da una sostituzione ^r di G e però t a x" appunto da t,- g tT
DIRAMAZIONE DI UNA FUNZIONE MODULARE 459
gliamo ora ricercare quali sono le condizioni necessarie e sufficienti cui
deve soddisfare la (1) perchè ciò accada. La risposta viene facilmente
fornita dalle proprietà dell'invariante assoluto, stabilite al Gap. X (vedi
particolarmente §. 121), mediante le considerazioni seguenti. Supponiamo
adunque che z (t) sia monodroma in r e funzione algebrica di J definita
dalla (1). Consideriamo un punto qualunque J = Ji del piano complesso J,
diverso da uno dei tre valori 0, 1 , oo , che corrispondono ai vertici della
rete modulare. Se facciamo descrivere a J un piccolo circuito chiuso
attorno a Ji e, scelto per valore di x corrispondente al valore Jj di J
uno qualunque degli infiniti valori equivalenti corrispondenti, esaminiamo
il corrispondente cammino descritto da r, vediamo che sarà questo un
cammino chiuso attorno a xj e perciò gli m rami
'fi . 'f2 . . . <pm
della funzione algebrica 'f, essendo per ipotesi monodromi in r, ritor-
neranno ciascuno col proprio valore. Dunque:
1 punti di diramazione della funzione modulare 9 {zj, considerata
come funzione algebrica di J (t), si potranno presentare soltanto per i tre
valori
J = 0 , J= 1 , J= 00 .
Esaminiamo ora quali specie di diramazione si avranno in questi
punti. Per vederlo basta osservare che per un circuito chiuso descritto
da J, che giri tre volte attorno a Ji = 0, t descrive un giro semplice
attorno ad un vertice della rete modulare, equivalente al vertice s = e ^ ,
e similmente per un circuito chiuso di J, che giri due volte attorno a
Ji = l, T gira una volta attorno ad un vertice della rete, equivalente al
~i
vertice i = e-" , onde vediamo : Attorno a J = 0 quei rami della funzione
algebrica 9 cJie non corrono isolati si permutano ciclicamente tre a tre;
e similmente attorno a J = 1 ogni ramo, 0 corre isolato, 0 subisce una
trasposizione con un altro ramo.
Quanto alla diramazione in J = co , non occorre ulteriormente speci-
ficarla, poiché essa risulta già fissata dalle diramazioni attorno a J = 0,
J=l (^).
W E infatti, avendosi i tre soli punti critici J = 0,J = l,J = <x), un giro
attorno a J ^ x> equivale a un giro complessivo attorno ai due punti J = 0
J = l.
460 CAPITOLO XVI. — §.175
Ora è bene importante che le condizioni, cosi trovate come neces-
sarie, siano anche sufficienti, come viene precisato dalla proposizione
seguente, che costituisce il così detto teorema di diramazione (Verzwei-
gungssatz) di Klein:
Affinchè Vequazione algèbrica irriducibile
(1) /'(<P,J) = 0
definisca una funzione modidare 't (t) è necessario e sufficiente che siano
soddisfatte le condizioni seguenti:
!."■ la funzione algebrica % di J sia diramata soltanto jìer J = 0, 1, oo .
^.^ iDer J = 0 i rami restino isolati, o si permutino ciclicamente tre a tre.
5." 2^er J = 1 ogni ramo corra isolato, o si permuti per trasposizione con
un altro.
Che le condizioni siano necessarie si è già visto ; resta ora a dimo-
strarsi che sono sufficienti. Dobbiamo provare cioè che, soddisfatte queste
condizioni, se per un particolare valore ti di -z fissiamo uno dei rami 'fi e
lo continuiamo analiticamente, ne risulterà una funzione monodroma di t :
<pi = 9 (t) .
Consideriamo nel semipiano positivo t un cammino finito chiuso e
privo di nodi s, che non passi per alcun vertice della rete modulare e
racchiuda quindi un'area semplice finita, che conterrà nel suo intemo
un numero finito di vertici e dimostriamo che per un tale cammino 5
le m determinazioni di 'f:
'fi , 'f 2 . . . ? m
ritornano ciascuna col valore iniziale. E infatti, per considerazioni ana-
loghe a quelle del §. 80, vediamo che se s producesse un'effettiva per-
mutazione di 'fi, 'fa, .. 'fm potremmo decomporre l'area in due aree
minori, inserendo una hnea semplice interna, che eviti ancora il passaggio
pei vertici, e l'uno o l'altro dei due contorni chiusi Si, Sj delle aree
parziali dovrebbe produrre una permutazione di 'fi, f 2 . . . fm. Così con-
tinuando, come al §. 80, troveremmo contorni chiusi, piccoli a piacere,
che permuterebbero ^9i , 'fg . . . 'tm .
Ora ciò è impossibile perchè se un tale contorno non gira attorno
ad un vertice della rete, J descrive un piccolo contorno chiuso, che
non gira attorno nò a J = 0 né a J = 1 , e però 'fi , 'f 2 . . . '-fm singoiar-
TEOREMA DI DIRAMAZIONE 461
mente si riproducono. Ma, quando anche r giri attorno ad un vertice
della rete, J girerà attorno aJ = OoaJ = ltreo due volte rispetti-
vamente e però, per le ipotesi fatte, ri, fi- - -r'» riprenderanno con
continuità i valori iniziali. Dopo ciò è evidente che per qualunque cam-
mino chiuso descritto da t, comunque intrecciato, 'fi , 'f 2 . . . 9 ,« si ripro-
ducono. Il teorema di diramazione è così dimostrato.
Ora i teoremi generali di esistenza delle funzioni algebriche, corri-
spondenti a superficie Riemanniane date a priori, permettono di asserire,
che, assegnando ad arbitrio il modo di diramazione della funzione al-
gebrica z di J, tali funzioni esisteranno effettivamente, e, purché siano
soddisfatte le condizioni del teorema di diramazione, condurranno ad
altrettante funzioni modulari.
I teoremi ora indicati ci permettono dunque di riconoscere l'esistenza
di infiniti sottogruppi d' indice finito uel gruppo modulare e di costruirli
effettivamente.
Per altro è da osservarsi che ogni equazione algebrica (1), soddi-
sfacente alle condizioni del teorema di diramazione, definisce propria-
mente non un solo sottogruppo G del gruppo modulare F, ma insieme
anche tutti i sottogruppi affini
Gì = G , G2 == ^2 G ^^^ , . . . Gm = tmGtm •
§. 176.
Sottogruppi d'indice finito e loro poligono fondamentale.
Ogni funzione modulare appartiene, come si è visto, ad un sotto-
gruppo G d'indice finito m del gruppo modulare F. Per dimostrare in-
versamente che per ogni sottogruppo G del gruppo modulare F, il cui
indice in P sia finito, esistono funzioni modulari a gi'uppo riproduttivo G,
occorre premettere alcune nozioni generali sui sottogruppi d' indice finito
dei gruppo modulare e sui loro campi fondamentali.
Sia dunque G un sottogruppo d' indice finito m in F e distribuiamo
tutte le sostituzioni di F, rispetto al sottogruppo G, nel quadro:
a) F =
fji , (j2 , gz ' • •
tm 9l 5 tm 92 ì ^w i/3 • • j
462 CAPITOLO XVI. — §. 176
coi medesimi simboli delle sostituzioni indicheremo i (doppi) triangoli
della rete relativa al gruppo Y, considerandoli come derivati p. e. dal
triangolo fondamentale, che indicheremo col simbolo 1 '^'.
Due sostituzioni di T
0 i due corrispondenti triangoli, si diranno relativamente equivalenti, od
equivalenti rispetto al sottogruppo G, quando l' un triangolo deriva dal-
l'altro con una sostituzione g di G, quando si abbia cioè
sicché due sostituzioni, o triangoli, saranno relativamente equivalenti o
no, secondo che nel quadro a) figurano nella medesima linea orizzontale,
0 in orizzontali diverse. Se prendiamo adunque da ciascuna orizzontale
del quadro a) un triangolo ad arbitrio, avremo un sistema di m triangoli
Ti , T^ . . . T
m j
che si può dire un sistema completo di triangoli non equivalenti, giacché
qualunque altro triangolo della rete sarà equivalente ad uno e ad uno
solo di questi.
Ora dimostriamo che possiamo scegliere i triangoli Tj, Tj. . . T,„ in
guisa che ciascuno sia aderente ad un altro almeno di essi per un lato
e il loro insieme formi quindi un'area connessa. Per ciò prendiamo ad
arbitrio un triangolo, p. e. il fondamentale T', e associamovi quei triangoli
aderenti a T' che non sono relativamente equivalenti a T né fra loro;
per ciascuno dei triangoli aggiunti si proceda nel medesimo modo, ag-
giungendo al complesso dei triangoli già prima ottenuti ogni nuovo
triangolo aderente, quando non trovi il suo equivalente, rispetto a G,
nei triangoli del complesso. Siccome fra m+1 triangoli presi ad arbitrio
ve ne sono almeno due relativamente equivalenti, il processo descritto
condurrà ad un insieme di un numero finito r < m di triangoli aderenti
(3) T' , T" . . . T"-» ,
così costituito che ogni triangolo aderente ad uno di questi r triangoli
trovi il suo equivalente, rispetto a G, in uno dei triangoli stessi. E
ben facile ora vedere che si ha necessariamente r = m, onde risulta la
(*) Cf. Gap. II, pag. 95.
POLIGONO FONDAMENTALE DI UN SOTTOGKUPPO 463
verità della proposizione enunciata. E infatti osserviamo che se un
triangolo qualunque U della rete è equivalente, rispetto a G, ad uno
dei triangoli (3) p. e. a T''', anche un triangolo U', aderente ad U per
un lato, sarà equivalente ad un triangolo in (3). In vero quella sosti-
tuzione g di G, che porta U in T"', porterà U' in un triangolo aderente
a T*'* e quindi relativamente equivalente ad uno della serie stessa (3).
E siccome in fine possiamo passare da un triangolo qualsiasi V al fon-
damentale per una serie finita di triangoli successivamente aderenti, ne
risulta appunto che V sarà relativamente equivalente ad un triangolo (3).
L'insieme di triangoli così scelti
forma un poligono P, limitato da archi di circoli di riflessione del gruppo
modulare, ed in questo poligono P riconosciamo il campo o poligono
fondamentale del sottogruppo G, diciamo cioè che : Ogni punto del semi-
piano positivo è equivalente, rispetto al sottogruppo G, ad un punto del
poligono P, mentre due punti del poligono non sono fra loro relativamente
equivalenti, fatta eccezione dai punti del contorno, che si ordinano in coppie
di punti equivalenti.
La prima cosa è subito evidente, poiché ogni punto del semipiano
positivo appartiene ad un triangolo della rete, che è relativamente equi-
valente ad un triangolo di P. Supponiamo ora che M, N siano due punti
di P relativamente equivalenti; essi dovranno necessariamente trovarsi
sul contorno di P. E infatti se p. e. M fosse interno a P, sia che si
trovasse sopra un lato interno o in un vertice della rete modulare, la
sostituzione di G che porta M in N porterebbe un triangolo di P, con-
tenente M, in un altro triangolo di P, ciò che è assurdo. Prendiamo
invece un punto M sul contorno di P, cioè sopra un lato esterno l di P.
Quel triangolo della rete che è aderente esternamente a P lungo l trova
il suo equivalente in un triangolo T'*' di P ed è chiaro, per quanto
precede, che il lato l' di T''* equivalente a l sarà pure un lato esterno
di P. Vediamo adunque che: / lati esterni del poligono P si ordinano
a coppie di lati coniugati, cioè relativamente equivalenti rispetto al sotto-
gruppo G.
Per ciò anche i punti del contorno di P si ordinano a coppie di
punti equivalenti e si vede subito che ogni punto del contorno ne
ammette così uno ed uno solo relativamente equivalente sul contorno
stesso.
464 CAPITOLO XVI. — §§. 176, 177
Osserviamo però che, nel!' ordinamento dei lati del poligono fonda-
mentale in coppie di lati coniugati, può darsi benissimo che un lato l
risulti coniugato a sé stesso, il che significa allora che il triangolo di P,
che ha l per lato, è relativamente equivalente a quello aderente lungo l
esternamente. In tal caso, la sostituzione di G che cangia l in sé stesso
è ellittica a periodo 2 ed ha su l un punto fisso, che divide l in due
tratti coniugati; allora riguardiamo l come costituito di due lati per
diritto e il detto punto fisso come nuovo vertice, a cui corrisponde un
angolo piatto. In generale é da osservarsi che se un punto P percorre
un lato l del contorno in verso positivo, l'equivalente P' percorre il lato
coniugato nel senso opposto.
Applicando al poligono fondamentale P di G tutte le sostituzioni
di G stesso otteniamo una rete di poligoni, come P, che ricopre una
ed una sola volta tutto il semipiano positivo, come risulta da quanto
sopra abbiamo dimostrato. Ora se consideriamo le a coppie di lati co-
niugati di P e le [j. sostituzioni di G
(4) (Ji, 92- - -9^ ,
che portano un lato nel coniugato, insieme alle loro inverse
9T' , 9T'- • . 9~' ,
facilmente vediamo che : L' intero sottogruppo si genera combinando le [x
sostituzioni (4) e le loro potenze. E invero le [j. sostituzioni (4) e le loro
inverse bastano già a trasportare P in tutti i poligoni aderenti della
rete ora considerata e d'altra parte si può passare dal poligono fonda-
mentale P ad uno qualunque della rete per una successione di poKgoni
l'uno all'altro aderenti. (Cf. Gap. II).
§. 177.
Esistenza di funzioni modulari appartenenti ad un dato sottogruppo.
Immaginiamo ora di tagliare dal semipiano positivo l'area poligo-
nale P ed, assoggettando quest'area ad una deformazione continua (^'
(*) Come nella teoria della connessione si riguarda l'area come formata da
un velo perfettamente flessibile ed estendibile, che può traversare liberamente
sé stesso.
FUNZIONI MODULARI APPARTENENTI AD UN DATO SOTTOGRUPPO 465
nello spazio, di saldare insieme i lati coniugati sì che ciascuna coppia
di punti equivalenti dia luogo ad un unico punto. Ne risulterà una
superficie chiusa R tale che, supponendo dapprima l'esistenza della cor-
rispondente funzione modulare 9 (t), ad ogni punto della superficie cor-
risponderà una ed una sola coppia di valori -f, J per la funzione modu-
lare f e l'invariante assoluto J, e viceversa ad ogni coppia di valori
f,J soddisfacente all'equazione (1) f{'s, J) = 0 uno ed un solo punto della
superficie R. La prima cosa è evidente, per la monodromia di tp (t), J (t) ;
la seconda poi risulta da ciò che, se si ha simultaneamente
J (t) = J (ti) , tp (t) = (p (Ti) ,
i valori T, Ti sono legati da una sostituzione del sottogruppo G, cioè sono
relativamente equivalenti, e per ciò i due punti supposti su R necessa-
riamente coincidono.
Secondo quanto abbiamo detto al §. 83, la superficie chiusa R non
è altro che la superficie Riemanniana per l'equazione algebrica
/•(9,J) = 0;
soltanto gli m fogli, che nell'ordinaria rappresentazione sono collocati
l'uno sull'altro, qui si trovano l'uno accanto all'altro e sono rappresen-
tati dagli m triangoli di P, in ciascuno dei quali J (x) ripete appunto
tutti i suoi valori.
Il genere p della superficie Riemanniana si valuta subito, applicando
la nota forinola d'Eulero generalizzata, citata al §. 92:
F + V = C + 2 — 2/).
Da queste considerazioni e dai teoremi d'esistenza delle funzioni
algebriche, corrispondenti a superficie Riemanniane date a priori, si può
ora dedurre l'importante teorema: Dato ad arbitrio un sottogruppo di
indice finito m del gruppo modulare T, esistono sempre funzioni modulari
appartenenti al sottogruppo G.
E infatti costruiamo il poligono fondamentale P di G e, nel modo
descritto al principio del presente §, conformiamolo a superficie chiusa R.
Sopra ciascuno degli m triangoli in cui R è diviso sono distesi una volta
i valori di J (t) e possiamo riguardare R come una superficie Rieman-
niana a m fogli. Soltanto attorno ai vertici, ove per J si hanno i valori
J = 0 , J = l , J = co,
*
so
466 CAPITOLO XVI. — §§. 177, 178
avviene scambio dei fogli e, come subito si vede, il modo dello scambio
corrisponde appunto alle condizioni del teorema di diramazione. Se ora
prendiamo una funzione algebrica 'f di J appartenente alla superficie
Kiemanniana R, della cui esistenza ci assicurano i teoremi generali, essa,
considerata come funzione di t, sarà monodroma come e' insegna il teo-
rema di diramazione, cioè sarà una funzione modulare. Per dimostrare
poi che la 'f (t) rimarrà invariata per tutte le sostituzioni di G basterà
provare la cosa per le ]x sostituzioni (4) generatrici di G. Sia | ' , una
tale sostituzione, che cangia dunque un lato l di P nel lato coniugato l'.
Le due funzioni
laT+b\
coincidono lungo l perchè, mentre z percorre l , j percorre l' e in
punti corrispondenti di l, V (che sulla superficie chiusa R coincidono in
un medesimo punto) la 'f ha il medesimo valore, onde si conclude che
e sempre <p (^^^j = <P (t)-
In fine per essere certi che nessun' altra sostituzione di F, oltre quelle
di G, lascia 9 invariata, cioè che 'f (r) appartiene realmente al sottogruppo
G e non ad un sottogi-uppo più ampio, basterà scegliere la funzione
algebrica 'f di J in guisa che pel medesimo valore generico di J la 'f
assuma m valori distinti, ciò che è sempre possibile.
§. 178.
Il poligono fondamentale del sottogruppo G = l ' j (mod 2).
Limitandoci ai principii fondamentali, esposti nei §§. precedenti, per
quanto riguarda la teoria generale delle funzioni modulari, tratteremo
ora di alcune poche funzioni modulari, che furono le prime studiate e
diedero il nome all'intera classe. E in primo luogo riprenderemo lo
studio della funzione modulare h^ (t) (§. 135), appartenente al sottogruppo
0^(1;;) (mod 2),
LA FUNZIONE MODULARE ¥ (t) 467
e legata all' invariante assoluto J (r) dalla relazione
4 {\--¥+iy
(5) J =
27 ^^(l-^^)'-^
per determinarne il poligono fondamentale, che consisterà di 6 triangoli
della rete del gruppo modulare F. Potremmo a questo oggetto applicare
il processo generale descritto al §. 176, ma preferiamo procedere, come
già al Gap. II per lo studio del gruppo modulare, ampliando il gruppo G
colla riflessione z = —z^ e considerando quindi il gruppo ampliato Go,
composto delle sostituzioni di 1.'' e 2/ specie della forma
z =
a 2^0 — P
•(•::3-{i;^--)
7^0—5
Le riflessioni contenute nel sottogruppo Go hanno la forma
con a^l , (3^Y:^0 (mod 2) e perciò le rette e i circoli di riflessione
saranno dati dalle equazioni (Cf. §. 18):
dove w è un intero qualunque e si ha v^^O (mod 2) con a^E^l (mod 7).
Consideriamo il triangolo T del semipiano positivo, limitato entro la
striscia compresa fra le due rette successive di riflessione
x^=0 , X- - 1 ,
esternamente al circolo di riflessione
|)' + 2/^=(|)' (vedifig.13)
Questo triangolo T, coi tre angoli nulli, non è attraversato da alcun
altro circolo 0 retta di riflessione di Go e rappresenta il triangolo fon-
damentale del gruppo Go , come si dimostra con considerazioni del tutto
468
CAPITOLO XVI. — §. 178
simili a quelle dei §§. 18, 19. Ogni punto del semipiano positivo è e-
quivalente, rispetto a Go, ad uno e ad un solo punto di T; l'ultima cosa
FiG. 13.
risultando da ciò che nessuna sostituzione di Go trasforma T in sé me-
desimo. E infatti cerchiamo in generale le sostituzioni di 1.* e 2.* specie
che lasciano fisso T, senza nemmeno esigere che appartengano al gruppo
modulare. In primo luogo troviamo fra queste la sostituzione ellittica a
periodo 3
1
U) z'= -
z+l
che produce sui vertici 0 , — 1 , oo di T la permutazione ciclica (0, - 1 , qo
0 + 1
e il suo quadrato U^) / --=
che produce la permutazione
(0, GO -1). Nessun' altra sostituzione di 1.* specie può lasciar fisso T,
perchè dovrebbe lasciar fisso uno dei tre vertici e permutare gli altri
due e componendola con U o con U^ si avrebbe una sostituzione che
lascierebbe fisso oo e permuterebbe (0,-1). Ora una tale sostituzione
POLIGONO FONDAMENTALE PER h^ (t) 469
esiste eflfettivamente ed è
/=-(0+l);
ma, essendo a determinante — 1 , scambia i due semipiani e, invece di
lasciar fisso T, lo cangia nel suo simmetrico rispetto all'asse reale. Così
adunque di sostituzioni di 1.* specie che lascino fisso T vi sono solo
le tre
1 , U , U%
appartenenti al gruppo modulare F. Vi ha poi anche la riflessione B
B) 2f=-Z,-l
che lascia fisso T, e quindi le tre di 2.* specie
B , BU , BU^
né ve ne possono essere altre. Tutte sei queste sostituzioni appartengono
al gruppo modulare ampliato Fo, ma non a Go, onde segue quanto sopra
è asserito '^). Nella figura 13 sono rappresentati i 6 triangoli della rete
modulare in cui T si decompone; i nomi di questi 6 triangoli sono ap-
punto quelli
1 , U , U' , B , BU , BU'
delle 6 sostituzioni di Fq, che costituiscono il gruppo riproduttivo di T.
Volendo ora ottenere il poligono fondamentale del gruppo G^l ' I
(mod 2), basterà associare al triangolo T il suo simmetrico rispetto
all'asse immaginario e nel quadrilatero così formato, racchiuso dalle due
rette x = + 1 all'esterno dei due circoli
hèr-^=i.
avremo appunto il poligono fondamentale di G (vedi fig. 14). Ogni punto
del semipiano positivo è equivalente, rispetto al sottogi'uppo G, ad un
(') Risulta di più: E gruppo modulare V^ è il più ampio, nel giuileG^ sia
contenuto com^ sottogruppo invariante.
470
CAPITOLO XVI. — §. 178
punto e ad uno solo di questo poligono P, a meno che il punto non trovisi
sul contorno, nel qual caso esso è equivalente al punto del contorno, simme-
trico rispetto all'asse immaginario. (Cf. §.21). I lati del quadrilatero P
sono due a due coniugati, i rettilinei fra loro, i circolari fra loro ; le ri-
Fia. 14.
spettive sostituzioni di G, che cangiano l'uno nell'altro i lati coniugati, sono
1, ±2
0, 1
1, 0
±2,1
Se ne conclude (§. 176): Il sottogruppo G del gruppo modidare
r, definito dalla congruenza [ ' 'J^l ' 1 (mod 2), si genera mediante
DISTRIBUZIONE DEI VALORI DI ¥ {z) 471
le due sostituzioni elementari ('paraboliche):
^1 , 2\ /l , 0)
>0 , 1/ ' \2 , 1/
Se, conformemente a quanto si è detto nel §. precedente, si saldano
insieme i lati coniugati di P, si ha una superficie Riemanniana (di genere
zero) a 6 fogli che si diramano in J = 0 tre a tre, in J = 1 due a due
e medesimamente in J = co . Essa è la superficie di Riemann per l'equa-
zione algebrica (5).
, §. 179.
Distribuzione dei valori di fc^') nel suo poligono fondamentale.
Esaminiamo ora la distribuzione dei valori di h-{i) nel suo poligono
fondamentale. Dalle espressioni analitiche per prodotti infiniti e per serie,
date al Gap. XIII, in particolare ad es. dalle (IV) pag. 398 o dalle (XVI)
pag. 413, risulta che W{z) è reale su tutto l'asse immaginario e quindi in
punti simmetrici rispetto all'asse immaginario (come pure in punti sim-
metrici rispetto ad ogni circolo di riflessione di Go) assume valori coniu-
gati. Basterà dunque esaminarne l' andamento sul contorno del triangolo
fondamentale di Go, ove ¥{x) sarà sempre reale e non potrà passare due
volte pel medesimo valore. All'infinito sull'asse immaginario g = e'''*^ si
annulla e perciò anche /^'^(ioo) = 0. In virtù della formola (pag. 357)
si ha
k'{-\]=\-inx) ,
^^(*)=| , ^Mo) = i,
sicché sull'asse immaginario da oo a 0 F(t) va sempre crescendo per
valori reali da 0 a 1. Ora la sostituzione
(*) Si osservi che il sottogruppo G contiene soltanto sostituzioni paraboliche
ed iperboliche, ma nessuna ellittica. ■
472 CAPITOLO XVI. — §.179
cangia l'asse immaginario nel lato semi-circolare
sul quale, movendo t da 0 a - 1, /jM')) a causa della formola (pag. 357)
andrà crescendo da 1 a co . In fine se si osserva che la sostituzione
T
cangia l'asse immaginario nel lato rettilineo x= -1 e d'altronde si ha
/ r+l\k^(.)-l
si vede che sul lato x= —1, k^ (y) va crescendo per valori negativi
da —00 a 0 (vedi fig. 15). In tutto l'interno del triangolo fondamen-
FiG. 15.
tale T di Go il coefficiente dell'immaginario in k^ (v) serba sempre lo
LA FUNZIONE h^ (z) COME UNIFORMIZZANTE 473
stesso segno (perchè ivi k^{r) non è mai reale) e poiché nel triangolo
simmetrico rispetto all'asse immaginario prende i valori coniugati e d'al-
tronde nel quadrilatero fondamentale di G assume (una volta) ogni
possibile valore ' ^) , ne risulta che nell' interno dì T k^ (t) prenderà una
ed una sola volta tutti i valori col coefficiente dell'immaginario di un
medesimo segno, che si riconosce subito essere il negativo dall'anda-
mento di F (r) sul contomo.
Se distendiamo i valori di P(r) nel suo piano complesso, abbiamo
il risultato : La funzione modulare k^ (t) dà la rappresentazione biunivoca
conforme del triangolo fondamentale di Go sul semipiano negativo.
§. 180.
La funzione k^{-:) come uniformìzzante.
Osserviamo che nel semipiano positivo, a distanza finita, F(t) non
prende mai uno dei tre valori
0 , 1 , co ,
valori che assume soltanto, o meglio verso i quali converge, andando
ai punti limiti del campo, che sono il punto t = co e i punti razionali
dell'asse reale. E siccome con una sostituzione
^'=7^. (:'j)-t ?)(--)
del gruppo G riproduttivo di ^•* (t) si passa da t = oo a tutti i punti
razionali dell'asse reale della forma — con (a, 7)^(1,0) (mod 2), dal
punto t = 0 a tutti i punti y con (p, 8) e^ (0, 1) (mod 2) e infine da
T= - 1 a tutti i punti —^ = - con {r, s) ^ (1, 1) (mod 2) ne con-
cludiamo :
La funzione modulare F (r) assume i valori 0, 1 , co (0 meglio converge
r
verso di essi) soltanto all' infinito e nei punti razionali — dell'asse reale
(*) Basta osservare che k^ (-) è legato a J (t) dalla (5) e ricordare quanto si
dimostrò al §.120 riguardo all'invariante assoluto.
474 CAPITOLO XVI. — §. 180
con r, s interi primi fra loro e precisamente converge verso i valori 0, 1 , od
secondo che
{r, s) = (1, 0) , = (0, 1) , = (1, 1) (mod 2).
Questa proprietà della funzione modulare F (t), di non prendere i
valori
F = 0 , 1 , 00 ,
dà luogo ad un'importante applicazione, che vogliamo ora accennare. Sia
ly = F (z)
una funzione analitica di s comunque polidroma, ma così costituita che
soltanto girando attorno ad uno dei tre punti
^ = 0 , 1 , 00 ,
avvenga scambio dei rami, che sia cioè diramata soltanto in 2; = 0, 1, co
e quivi del resto in modo affatto arbitrario. Se poniamo z = k^ (t) e ri-
guardiamo ìv = F (z) come funzione di t, diciamo ic = z (-), basterà fissare
per un valore iniziale Tq di z la scelta fra uno dei valori di F {k^ (tq) )
per avere completamente fissata la funzione analitica w = 'f (r). Ora di-
ciamo che essa è in ogni caso una funzione monodroma di z. Per vederlo
basta ripetere le considerazioni fatte al §. 175, a proposito del teorema
di diramazione, e ricordare che per un cammino chiuso descritto da t
la z = k-{z) non può girare attorno a z = 0, 1, oc.
Questo risultato si esprime anche dicendo che per la relazione fun-
zionale w = Y{z), ove la w si dirami, in modo del resto arbitrario, at-
torno a 2; = 0, 1, 00 soltanto, la variabile ausiliaria z è una variabile
uniformismnte, cioè tale che per essa si esprimono ad un tempo la
variabile indipendente z = k^ iz) e la funzione iv = z (z) quali funzioni
uniformi. Suppongasi in particolare che la tv sia funzione algebrica di z
e diramata soltanto nei punti ^ = 0, 1, oo; applicando il teorema generale
precedente ed osservando che in tal caso, essendo w legata algebrica-
mente a k^[z), lo è anche all'invariante assoluto J (t), otteniamo il
teorema :
Qualunque funzione algèbrica di F (t), die sia di/ramata soltanto per
k' = 0 , k' = l , k'=cx^ ,
e quivi del resto in modo affatto arbitrario, è una funzione modulare
algebrica di i.
475
§. 181.
Le funzioni modulari VA-^(r) , Vl-A;^(r) .
Da quanto abbiamo ora detto risulta in particolare che, indicando
con n un numero intero positivo qualunque, le funzioni
ik^z) , Vi— A;2 = V/t'=
; le fisseremo perfettame
dere per t = ì il valore aritmetico del radicale
sono funzioni modulari; le fisseremo perfettamente convenendo di pren-
1
I poligoni fondamentali delle furzioni modulari
che constano di 6w triangoli del gruppo modulare T, sono facili a de-
terminarsi. Basta per ciò considerare che la superficie Riemanniana,
corrispondente ad es. alla prima equazione algebrica
<Ì>« = A;%
consta di n fogli sopra ognuno dei quali sono distesi una volta i valori
di F ed ha i due punti di diramazione Jir = 0, F = oo , ove gli n fogli
si riuniscono in un ciclo. Ora se consideriamo il poligono fondamentale
di ]c\ che consta di due successivi triangoli di Go (§. 178) e rappresenta
un foglio della superficie Riemanniana, basterà prendere n successivi di
questi poligoni derivati dal fondamentale colla ripetuta applicazione
della traslazione S^ = L ' , ) e saldare quindi i due lati rettilinei estremi
mediante la sostituzione S^" e i circolari nel modo indicato dalle freccio
nella figura, ove è rappresentato 'il caso w = 3 ( ^) . Effettivamente, con
questa corrispondenza dei lati, si vede subito che in k^ = 0 , k^= oo
(*) È da notarsi che tutti questi lati circolari sono fra loro equivalenti non
solo rispetto a Gq ma anche rispetto a G e per ciò le sostituzioni che congiun-
gono i lati appartengono al gruppo G ^ (' j (niod 2), come è confermato
dai calcoli del testo.
476
CAPITOLO XTI. — §. 181
i tre fogli sono riuniti ciclicamente, laddove per k^=l non vi ha
diramazione.
FiG. 16.
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'1/
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A'o
Calcoliamo subito le n+1 sostituzioni generatrici del sottogruppo di
^(-). Una di esse sarà la S'« = |^' ^j che congiunge i lati rettilinei e
LE FUNZIONI MODULARI VA:* , VA;'* 477
un'altra la sostituzione
lén-l , -2n
^ \ 2 -1
che congiunge i lati estremi circolari. Quanto alle intermedie n-1, esse
debbono trasformare il lato circolare cogli estremi nei due punti 2r-l,2r
nel contiguo cogli estremi 2r-\-l, 2r (per r=l , 2, 3 n-1).
Una tale sostituzione si compone della riflessione sulla retta x = 2r e
della riflessione sull'ultimo circolo, e si trova quindi per la sua espressione
\ 2 .-(ér-l)/
Concludiamo adunque che : Le sostituzioni generatrici del sottogruppo
riproduttivo della funzione modulare
0(t) = V^'(^)
sono le n+l sostituzioni seguenti
A.2w\ ^^ /^n-l,-2n\ ,, /4r+l, -8r^ .,
0, 1/ \ 2 , -1/ \ 2 , -(4^-1)
Analogamente si determinerebbero le n+l sostituzioni generatrici
del gruppo riproduttivo di
Ma del resto basta osservare che si ha
per vedere che si otterranno le sostituzioni domandate trasformando le
precedenti per mezzo della
/ 0, r
Potremmo ora domandarci come si possono definire aritmeticamente
le sostituzioni di questi gruppi riproduttivi di 4> (r), W (t), di cui cono-
sciamo le sostituzioni generatrici. Ma nello stato attuale della teoria vi
è una sola specie di sottogruppi del gruppo modulare che siamo in grado
478 CAPITOLO XVI, — §§. 181, 182
di definire aritmeticamente e questi sono i sottogruppi congruenziali, le
cui sostituzioni sono perfettamente caratterizzate da congruenze cui
debbono soddisfare i coefficienti. (Cf. §. 128). Ora i gruppi superiori non
sono mai gruppi congruenziali salvo i casi
n = 8 , 4 , 2 ,
come si può vedere dimostrato nell'opera di Klein-Fricke (^'. Ci limi-
teremo allo studio delle funzioni modulari
ik , Vk' ,
che, colle loro potenze 2.^ e 4.* sono, come si è detto, le uniche radici
di k^ (t), k'^ (r) appartenenti a sottogruppi congruenziali.
Queste furono in effetto le prime funzioni modulari studiate ; e noi
vogliamo ora caratterizzarne perfettamente il sottogruppo riproduttivo
con congruenze (mod 16), secondo le formolo che Hermite per primo
fece conoscere.
§. 182.
4 _ 4_
Le funzioni modulari 'f (t) =^/k , '\>(y) = VA;' .
Poniamo con Hermite
4 _ 4 _
,p(t)z=VA: , ({)(t) = VA;'
e precisiamo il valore che prenderemo per la radice quarta, ricorrendo
alle formolo (IV) pag. 398, con che avremo:
(6) :
00 i_g(2n— l)-zx
Ricerchiamo l'effetto che una sostituzione qualunque j '' y\ del gruppo
modulare F produce su 'f (t), (Jì(t), per il che già basterebbe conoscere
(') Bd. I, pag. 659 e ss.
FORMOLE DI HERMITE PER (p (t) = Vk 479
quello delle sostituzioni elementari
\0, 1/ ' 1-1,0/
Intanto dalle espressioni analitiche (6), indicando con r un intero
qualunque, deduciamo immediatamente le formole:
f -ir I (2r4-l) ~i
(7) l (7*) l n^)
che danno in particolare Feffetto prv^dotto da '
D'altronde avendosi
cioè
risulta che
non possono diiferire da ^ (t), 'f (t) rispettivamente che per radici 8.®
dell'unità. Ma, per t puramente immaginario, 9 (t), ;]; (t) sono reali e po-
sitive e perciò abbiamo senz'altro le formole
(8)
Ciò premesso, possiamo stabilire le formole generali richieste distin-
guendo le sostituzioni i ' A del gruppo modulare F nelle solite 6 classi
rispetto al sottogruppo G^ ' ' ; (mod 2). Consideriamo dapprima una
sostituzione [^ ' \\ di G, supponiamo cioè r ' ^j ^ ( ' ] (mod 2); dico
480 CAPITOLO XVI. — §. 182
che sussisterà la forinola:
\ (mod 2) /
Per dimostrare questa forinola, osserviamo che essa sussiste per le
due sostituzioni generatrici di G (§. 178)
\0 , 1/ \± 2 , 1/ '
cioè si ha
+^^
9(t+2)=e 4^(t) . ,p(^^) = ^(x),
poiché la prima è un caso particolare delle (7) e la seconda risulta
dalle (7), (8), ossei-vando che si ha
/ 1, 0\ /O , -1\ /l ,+2\ /O , -1
U2, 1/ \1 , 0/ \0 , 1/ \l , 0
Per dimostrare che la (9) sussiste in generale basterà dunque pro-
vare che, supposta vera per la sostituzione ' 'J , essa sussiste anche
per le due sostituzioni
h ' ^A _ / ^' ^\ T' ' ^\ _ ("-'^^ ' ^\
Va, V U2, 1/ \y , 2/ \y±2o , g/
M, PA /l , ±2\ /a , A 1^, ±2a+^\
\u,oJ [0 , 1) \i , e) \y,±2y+5/
Ma si ha per ipotesi
\Yt+5/
Tt
e« 9(t)
FORMOLE DI HERMITE PER VA; , VA;' 481
e quindi
n-T^J^' ^(^±2)=. 8 .^(,)^
onde basterà verificare le congruenze
(^.±2 13) [3 +(a±213f= a^ + a"^ )
\ (mod 16);
a(+2a+p)+ a^ ^a^+rj.^+2 )
tale verifica è immediata, ove si rifletta che a è dispari, p pari.
5.° caso /a , P\ /O > 1\
Poiché
e si ha
risulterà per la (9)
h., [i\ _ / 0, 1\ /-?, a^
VY , S/ \-l, 0/ [-0, y
-(3, a\ /l, 0\
= (mod 2) ,
-0, 'il \0, 1/
e, cangiando t in , avremo dunque
3." caso [a , (3\ /l , T
(mod 2).
J ,5/ VO , 1/
31
482
CAPITOLO XVI. — §. 182
Si ha
ed è
onde per la (9)
[l , Y + 5
1 , - 1\ /a , a+?^
0 , 1/ \7 , T+sy
(mod 2) ,
?
\0, 1/
= e
Tt:+ (7 + 5)1
e, mutando z in t-l, segue per le (7*j
9W
(11)
4." caso
YT + 3
. =e"
^7. , ,i^
:? ^ '/a, p\_^l, 1
•(},(r) LVy, ^y ^0,1
'1, n
.1, Oy
Essendo
(mod 2).
-.3. 'v.^
\V, 5/ \-l, 0/ \-ò, J ' \-ò, J
siamo subito ridotti al caso precedente ed abbiamo
(12) ,(^-^)=e-^'''^-^'ì
. , , per I *^
9 (^) Vy , '5
1, 1
1,0
a, r
.0, 1,
(mod 2)
5." caso
Colla formola
\Y , 5y
VY , oj
a, 1.
(mod 2).
a , -1\ /a, a + [i^
vO , 1/ \Y , Y + W
si riduce al 2.° caso e si trova
aT4-p\ %(«?+^'-l) 1
<-''*' ■'^^^)-
= e
M^)'^^'Vy,V
«,PA_^0, 1
1,1
(mod 2).
4 _ 4 _
FORMOLE DI HERMITE PER LE FUNZIONI MODULARI ih , Ìli'
6." caso /a , |3\ /l , 0\
\Y , o) \1, 1/
Si riduce al precedente, osservando che
483
(mod 2) .
^a, [3\ / 0 , -1\ /-p, a^
e si ha quindi
(13)
Riepiloghiamo le formolo trovate nel quadro seguente
I)
II)
(A)
III)
IV)
V)
VI)
a, (3\ ^0, 1
Y , §; — U , 0
1, 1
1, 0
0, 1
a,
P
Y ,
0
a,
P
Y ,
5
. . ^ =e .'Hi:)
Vy ^ + 0/
1, V ' Hy^ + oV tl,(r)
'='■, hW^'1' ^
\Vl, oj \\,lj ' ^ Vy^ +
9
a.z-\-[i\ -^(-ap+c.2-1) 1
= e
> W '
ove le congruenze s'intendono prese rispetto al modulo 2. Si hanno
subito le formolo analoghe per ']; (t), osservando che
+ W = ?(-j);
484 CAPITOLO XVI. — §. 182
per tal modo si trovano le forinole:
i)i*(.^;ì =>"'"■""'*«
Yt+5
n)l,(;^5 = a¥'^'+-'''-%W
(A*)
J VT ^-r ^/ ']' (
IV)
(^)
V)
at+p
,¥ "f^ 9(t)
1 VT^+V ?W
in corrispondenza alle forinole egualmente numerate nella tabella (A).
Da queste forinole si trae immediatamente l'enunciato teorema che
i sottogruppi riproduttivi di z (t), à (-) sono perfettamente definiti da
congruenze. E invero la tabella (A) dimostra che la funzione modulare
9 (t) = V^* si riproduce per tutte e sole le sostituzioni
disfano alle congruenze
(14)
a, p
che sod-
a , ij
Y
1,0
(mod 2)
0, 1.
a^+a? ^^ 1 (mod 16),
la quale ultima può anche surrogarsi colle due seguenti
(15)
p^O (mod 16) con a ^± 1 (mod 8)
p ^ 8 (mod 16) con a ^± 3 (mod 8)
Quanto al sottogruppo riproduttivo di ^ (t), esso non è altro che il
0, 1
trasformato del precedente per mezzo della sostituzione T =
e può definirsi analogamente per congruenze.
-1, 0
485
Capitolo XVII.
4 _
Equazioni modulari per l'invariante assoluto e per la funzione modulare Vfe. —
Metodo di Hermite per la risoluzione dell'equazione generale di 5." grado.
§. 183.
Considerazioni preliminari.
Una delle più importanti proprietà delle funzioni modulari è di dar
luogo alle così dette equazioni modulari, che possono considerarsi sia come
formole di moltiplicazione, sia come formolo di divisione dell'argomento
per un numero intero n e, più in generale, come formole di trasforma-
zione di ordine n.
Già al §. 168 abbiamo dimostrato l'esistenza dell'equazione modulare
per l'invariante assoluto J(r), deducendola dalle formole di trasformazione
della funzione ellittica pu. Ci proponiamo ora di stabilire in modo più
diretto l'esistenza e le proprietà delle equazioni modulari, fondandoci
unicamente sulle proprietà delle funzioni modulari.
Dobbiamo per ciò in primo luogo ritornare allo sviluppo di J (t) per
potenze di
che già al §. 119 abbiamo visto possedere la forma
J (^) = -^ + «^0 + «1 2^ + «2 2* -f + 0,n q^'' + ,
per precisare la natura dei coefficienti in questo sviluppo. A tale scopo
ricorriamo all'espressione di J (r) per k^ :
J(x) =
4 (i-k'ky
27 {k'k'y '
osservando che secondo le formole (XVI) pag. 413 si ha
1 + 22 a"' l + 22+24'+24'+.
486 CAPITOLO XVII. — §. 183
Eseguendo il quoziente delle due serie del secondo membro, col de-
terminare i coefficienti di questo quoziente colle note formolo ricorrenti,
vediamo subito che questi coefficienti sono tutti numeri interi e si ha
V A; = 2 qì (1-2 q -{■ 6 q' — IO q^ + . . . .)
da cui
A;' = 2' g (1 — 8 g + 44 g' — 152 r/ + . . . .)
k'^=l — 16 q-j- 128 q' — 704:^ i- ... ,
e sostituendo in J (t) avremo
J (t) = Y2V ^^ ~^ ^' ^' + «2 <2' -h «3 g'' + ) ,
dove le a sono tutti numeri interi (^' e la serie contiene solo le potenze
pari di q, a causa della formola J(i+l) = J(:). In ciò che segue, per
evitare coefficienti frazionarli, è conveniente sostituire a J (r), come inva-
riante assoluto, la funzione
i(r)=12^J(r),
che non ne differisce che pel fattore numerico 12^; avremo così per lo
sviluppo di j (i)
(I) i(t) = -\ + 744 2^-f 196844^^ + .... ,
gli altri coefficienti della serie ordinata per potenze di q^ essendo numeri
interi. Ricordiamo che questo sviluppo vale per tutto il campo d'esistenza
della funzione, cioè in tutto il semipiano positivo t.
A fondamento delle ricerche sulle equazioni modulari porremo le
osservazioni seguenti. Supponiamo che sia F (t) una funzione finita, con-
tinua e monodroma di r in tutto il semipiano positivo e che inoltre F (t)
rimanga, come j (t), invariata per tutte le sostituzioni del gruppo mo-
dulare r. Allora F (t), considerata come funzione di.y(t), sarà monodroma
in j, perchè per ogni cammino chiuso descritto da j nel suo piano, - su-
bisce appunto una sostituzione del gruppo modulare. Poiché inoltre per
ogni valore finito di j la funzione F (t) = 9(j) per ipotesi è finita, sarà
in generale ©0) una trascendente intera in j; e viceversa è chiaro che
<*) In particolare si ha
aj = 744 , a^ = 196884.
ESISTENZA dell'equazione MODULARE 487
Ogni trascendente intera di j è una funzione finita, continua e mono-
droma di t nel semipiano positivo e rimane invariata per qualunque
sostituzione del gruppo modulare. Ma supponiamo di più che la funzione
0 (j) si comporti per ^=00 come una potenza intera e positiva j^ di
;, che cioè ^.„- converga per J = 00 verso un valore determinato e fi-
nito; ne concluderemo subito che 0 {j) è un polinomio razionale intero
in j. Si ha dunque il teorema fondamentale :
Ogni funzione finita, continua e monodroma di r nel semipiano posi-
tivo, che si riproduca 'per ogni sostitufdone - — ^ del gruppo modulare, e
per j= co si comporti coinè una potenza di j, è una funzione razionale
infera dell'argomento j.
§. 184.
Esistenza dell'equazione modulare per j(x).
Perveniamo direttamente alla teoria delle equazioni modulari propo-
nendoci il seguente problema : Come cangia j (t) quando suW argomento t
si eseguisca una sostituzione lineare
ax+b
cz+d
a coefficienti interi e a determinante
ad — hc = n
positivo ( ^' qualmique ?
Per risolvere questo problema cerchiamo in primo luogo quanti va-
lori distinti assume
.iaz+h\
^\ci+dl
per tutte le possibili sostituzioni i ' j col medesimo determinante n.
^ , , a-z-\-h ^. ,
<^) Il determinante ad — he deve essere positivo, affinchè —5 resti nel se-
^ cz-\-a
mipiano positivo.
488 CAPITOLO XVII. — §.184
Se (,',,) è un'altra sostituzione col medesimo determinante n, avremo
\c,d j
^ \c'x + d') ""^ \cx-\'d,
allora e allora soltanto che si abbia
a z-\-h' ' cz-\-d '
4-S
Cloe
(2)
c'x-\-d' az-\-h , ^
V — n? + ^
a\ y\ _ (a, b\ fa, p\ ^ /aa+c|3 , bo.+d^\
e', d'J ~~\c,d) Vy , V ~~ Uy+c§ , h'i-^dh) '
essendo (/' A una qualunque sostituzione del gruppo modulare. Diremo
allora che le due sostituzioni ( / ' ^' ) > ( ' j ) sono equivalenti. Con un
processo affatto analogo a quello usato nei §§. 162, 163 si vedrà che
ad ogni sostituzione I ' j se ne potrà sostituire una equivalente del
tipo normale
dove a è un divisore di )^ e v è determinato soltanto rispetto al mo-
dulo il. Ne risulta che il numero dei valori distinti di
per tutte le possibili sostituzioni ( ' j di un dato determinante, è
sempre un numero finito. E siccome valgono anche qui i teoremi del
§. 164 rispetto alla composizione delle sostituzioni, potremo limitare la
nostra ricerca al caso in cui n sia eguale ad un numero primo p. Allora
i valori distinti di
. fax-\-ì)\
ESISTENZA dell'equazione MODULARE 489
saranno ^ + 1 soltanto e cioè
D'altronde per una sostituzione qualunque (.'-!) del gruppo mo-
dulare, eseguita su t, questi p+1 valori di j [^'T.j si permutano
semplicemente fra loro, poiché da
segue anche
Ora, essendo r un intero positivo qualunque, poniamo
(4) F. (r) = f (, ,) + / (1) + / (^-^; + . . . + / (^■^)
e sarà evidentemente F,- (r) una funzione finita, continua e monodroma
di T in tutto il semipiano positivo, che resterà inoltre invariata per tutte
le sostituzioni del gruppo modulare, avendo queste per effetto di per-
mutare fra loro i termini della somma nel secondo membro della (4).
Ma dallo sviluppo in serie (I) per j (t) abbiamo
Ìj {pz) = q-'p (1 + 744 q'f + 196844 q^P + . . .)
i f -^ j = £-" q " f 1 + 744 e q>' -j- 196844 e^'g" + . . . j
e=eP ,
onde si vede che F^ (t) per i = qo si comporta come f, cioè il quoziente
M)
jrp
ha un limite finito e diverso da zero per ; = co . Dunque F,. (t) è un
490 CAPITOLO XVII. — §§. 184, 185
polinomio razionale intero in j (§. 183). Se poniamo
e costruiamo il polinomio di grado ^ + 1 nella variabile /
U'-L) (/-io) (/-il) . . . (i'-i.-i) =/"'-'+ 'a/^-I- 'a/^-^+.. .+ ypf-\-y-p+i ,
1 coefl&cienti a saranno polinomii razionali interi in j (t). Siamo così di-
rettamente arrivati all'esistenza dell'equazione modulare col teorema:
Se i ' , ) è una sostituzione a coefficienti interi e a determinante
\c , dj
primo p, fra le funzioni di v
sussiste un'equazione algebrica di grado p+l in /;
(III) f (/, j) = JP-^' + a, j'P + a, fP-' + ... + «, / + ap^, = 0 ,
i cui coefficienti a sono polinomii razionali interi in j.
Questa è l'equazione modulare fra j, f e le suei' + l radici in / sono
§. 185.
Gruppo di monodromia dell'equazione modulare.
Vogliamo ora determinare direttamente il gruppo di monodromia
dell'equazione modulare, confermando così i risultati ottenuti alla fine del
§. 168. Dobbiamo per ciò far percorrere a j {■:) nel suo piano complesso
un cammino chiuso qualunque ed esaminare come si permutano corri-
spondentemente i i?4-l rami
Jk ' hi Ji • • • Jp-i
della funzione algebrica / di j. Un cammino chiuso qualsiasi, descritto
da jiz). produce su t una sostituzione I "' 'Ì 1 del gruppo modulare e
Vi , oj
GRUPPO DI MONODROMIA DELL'EQUAZIONE MODULARE 491
basterà per ciò esaminare l'effetto sui p + l rami delle sostituzioni
elementari
•1, l\ ( 0, IN
,0, i; ' v-i, oj '
Per la prima j^ =j (pz) non cangia, mentre
si cangia in
dunque gli indici v dei p + l rami subiscono la sostituzione lineare
a) v' ^ V + 1 (mod p)
Per l'altra sostituzione
r'=- -
V
ì due rami
si permutano fra loro, giacché
E se indichiamo con // il ramo in cui va p per v diverso da 0, qo ,
dovremo avere
T + "| ./.^^ .A+V
P I \ P' J \ V
e perciò
T+V
vt— 1 _ '^~p~^^ __ aT+(av'+pi?)
essendo ( ' !> ) una sostituzione del gruppo modulare. Il paragone dei
492 CAPITOLO XVII. — §.185
coefficienti in queste due sostituzioni lineari a determinante p dà
a =+ V , av'+pi) =+ 1 ,
onde
vv'^ — 1 (mod^;) ,
formola che vale anche per v = 0, co come sopra si è visto. Dunque la
sostituzione [ ■■ ' r, ) P^^t^^^^ ^^S^^ indici dei rami la sostituzione
h) v'^ (modp).
E siccome colle due sostituzioni a), h) si genera, come sappiamo,
l'intero gruppo modulare (mod^)
(IV) v' = ^^^ (mod p) , a d—b e = 1 ,
si conclude che questo è il gruppo richiesto di raonodromia.
Del resto è anche facile vedere quale sostituzione del gruppo di
, . . ar+S - ,
monodromia (IV) si produce per una sostituzione qualsiasi ^ — — ^ del
gruppo modulare. Supposto invero
avremo
'"-l+i + v
•^ V p I ^ \ p'(i+pd J ^ \ p
quindi
T-|- V
P'ii+po , hV g, v't + (y'>/+ S» '
essendo ( '/ t!, ) un'altra sostituzione del gruppo modulare. Se ne trae
a + Yv=±a , i3-l-5v=±(aV-fp»
GRUPPO DI MONODROMIA DELL'EQUAZIONE MODULARE 493
onde
, ùv-rp , , .
V ^ — — ^ (mod v)
Yv-|- a
e se ne conclude: La sostitìmone — ^^ del gruppo modulare produce
YT-f-Ò
sui p-f 1 indici dei rami della funzione algebrica / la sostituzione
(5) v'=^^ (modp).
YV-j-a
Siccome questo gruppo sui p-\-\ rami è transitivo (anzi doppiamente
transitivo), si vede che: L'equazione modulare (III) è irriducibile.
§. 186.
Diramazione di / rapporto aie poligono fondamentale di j f —
Mediante i risultati ora conseguiti è facile studiare l'effettiva dira-
mazione della funzione modulare / rapporto a j, ciò che ci fornirà un
esempio semplice ed istruttivo della teoria generale al §. 175. Se j = a
è punto qualunque del piano complesso j, e ti il punto corrispondente
del triangolo fondamentale, per un giro di j attorno ad a, supposto dap-
prima a 4= 0, 1 2^, 00 , sopra una piccola curva chiusa, t girerà una sola
volta attorno a Tj e ciascun ramo p tornerà col proprio valore, cioè non
vi sarà diramazione di /. Se poia = 0, ovvero a=12^ o infine a=Go,
avremo corrispondentemente
Ti = e ^ , Ti = i , Ti = co
e un giro positivo di j attorno ad a produrrà rispettivamente le sosti-
tuzioni
T + 1 1
sopra r. Avremo quindi sugli indici v dei rami di / rispettivamente le
sostituzioni :
7) '/^^^ , p) -/=-| , 7) v'=v + l (modi)).
494 CAPITOLO XVII. — §. 186
La a) è a periodo 3 e quindi i rami si permutano attorno a ^" = 0
tre a tre e potranno restare eventualmente isolati due rami corrispon-
denti alle radici della congruenza
'/ — v+1 =0 (modp)
ossia
(2v-l)2 = — 3 (mod^).
Dunque quando f ! =+ 1, cioè p è della forma 6 r+l, due rami
restano isolati e i rimanenti ^ — 1 = 6 r si permutano 3 a 3 ; che se
invece p è della forma 6r-}-5, allora tutti i p^l rami si permutano
3 a 3. Nel caso particolare ^ = 3 il solo ramo
resta isolato, permutandosi ciclicamente i tre restanti.
Similmente dalla ,3) si vede che in i= 12^ tutti i rami si scambiano 2
a 2, se j9 è della forma 4w-|-3; e invece due dei rami corrono isolati,
se jp è della forma 4«+l-
In fine per ; = co abbiamo in ogni caso un ramo isolato, mentre i p
rimanenti si scambiano ciclicamente.
Volendo rappresentare la superficie Riemanniana, corrispondente al-
l'equazione algebrica modulare (III), basterà costruire, secondo il §. 177,
il poligono fondamentale di una delle sue radici, p. e. di
t
V
ed esaminare la distribuzione dei suoi lati in coppie di lati coniugati.
Ora dalla (5) risulta subito che le sostituzioni ( . ' H del gruppo mo-
dulare F, che lasciano invariata la funzione modulare y — 1 , sono tutte
e sole quelle per le quali p — 0 (mod^j). Queste formano in F un sot-
togruppo congruenziale G d'indice finito =;;-}- 1, che è il sottogruppo
riproduttivo di j/ f ^ j . l p-[-\ valori distinti che assume jo = j l— j
per le sostituzioni di F sono, come sappiamo
POLIGONO FONDAMENTALE DI j f — j 495
percorrendo v un sistema completo di resti (mod p), onde si rileva che
un sistema completo di p +' 1 sostituzioni di F, non equivalenti rispetto
a G, è dato da
0,1^ gv _^1 ' '^
-1 , oy ' vo , 1
ove V percorra un sistema completo di resti (mod p). Ogni altra sostitu-
zione ( ' t! ) di r sarà equivalente, rispetto a G, ad una di queste,
/a,13\ / 0, 1^| fa, b\ ^ ^-h , a
V7 , 0/ \-l , 0/ ^c , dj \-d , e
cioè sarà
ovvero
/a, PN _ /^l , r\ fa, h\ _ fd , ra+h\
Vy, d) ~\0,lj Ve dì ~ Ve , re +d) '
essendo I ' | una sostituzione di G, che ha cioè b'^^O {mod p). Si
\c , dJ
vede di qui che sono equivalenti a T tutte quelle sostituzioni che hanno
a ^0 (modi-)), che se i
quella S' per la quale
a ^0 (modi-)), che se invece a^O(modi)) sarà (. ' ?) equivalente a
ra^P {mod p) .
Ciò premesso ed escludendo il caso di p = 2, che si tratta subito
direttamente, supponiamo p dispari e prendiamo per ì p+1 rappresen-
tanti le p-{-l sostituzioni
(s~'2". . . s-^ s-\ 1 , S , SI . . s'"^) , T .
Il poligono fondamentale di j [ — ), cioè del sottogruppo pnO modp),
\P /
potrà costituirsi coi i? + 1 (doppii) triangoli omonimi della rete modu-
lare, come è rappresentato nella figura 17 a pag. 496 per p = 5. Per
ricercare poi come sono coniugati due a due i lati e quali sono le so-
stituzioni (generatrici del sottogruppo G) che li congiungono, basta ap-
plicare la regola generale del §. 177 ed osservare che al triangolo S''
{r ^ 0) del poligono è aderente pel lato (circolare) esterno il triangolo
496 CAPITOLO XVII. — §. 18G
il quale, secondo la regola sopra notata, è relativamente equivalente a
quel triangolo S*^ del poligono pel quale sì ha
vr ^ — 1 (mod^'),
FiG. 17.
|||llllll||||l|l|IHI),il||itlllllll|ll||IIIHIII'l|IMI|ll|lj|
I Milli |lil||l'l 11,11 lllM'hllillliiiliinl'Hii:,
^'lilll|lllll|l|l|l||i'!li'
(lllllllll>llllllillll III
;i''|'ii|, l'ini, Il ,ii
!:il!'!nnill!ii,ii!l'!
iii!iiiiM|ii|iiiiii)iiiiiiiiinii!ii
i'Iii'ii'!i'iiii''iiiii!i"i'lili':!i
i' l'il' '"' ilM'IllUi'l.'i
s
>l'llllllllllillllllllllll
\iii,;i!;;iii.i|iii|.i;i
lili"'
^
Oui
M'>i!llll'lliN|'!li|ii'|l"ilH!ll!
i|'|||||illi'|,'i I |ii|[Vl'|l"l'!i
ilili|||il|liil'Mli.iiiiliili||iH|il'M|||!|l|l||lillj!
!!!n'!ii:i;iii;;r" ■ "-
I 'i'"i '"i''
ll'lll,l,llllllllljll
'■''ini! ''
S
l>i||l|,|jMYfllll"|['l,.l
, .., '"n.i. iji'niiiii' I i"
nllllhhlllillllilllllllilill.
iiiiii ' iii,ihi",ii' l 'l'iiij.i
'■iiilliiiill'ilii'ni:! |i|iii!
l:HHnl!!iniiliÌilllllllll'lliillll
s
e per la corrispondente sostituzione che ne congiunge i lati si trova
subito
(6)
supposto
, r' z — 'k'p
T — r
rr'-f 1 =lip.
POLIGONO FONDAMENTALE DI j ( — ] 497
Al triangolo ST aderente a T per un lato esterno, essendo
è equivalente T stesso, i cui due lati esterni sono dunque coniugati e
la sostituzione che li congiunge è
che del resto si ottiene come caso particolare dalla (6) ove si faccia
/ =1, r= -\. Restano soltanto i due lati rettilinei del poligono, che
sono congiunti dalla sostituzione
Vo, i
Così adunque: L'intero sottogruppo G, definito dalla congruenza
P^O (mod p), è generato dalle sostituzioni
(r' - "Z^IX
G; l) ' ('' ' ^ ^ ) ' ^^=-1 («^«d^)),
percorrendo r,r le coppie incongrue che danno r/^ — 1 (modp). La
superficie Riemanniana chiusa, che si ottiene saldando i lati coniugati,
offre naturalmente la diramazione già studiata al principio del presente §.
Si potrà facilmente, colla nota formola della teoria della connessione,
calcolare il genere della superficie Riemanniana e si vedrà che esso è
zero solo nei casi
p = d,ò, 7, 13 (^).
(^) Per calcolare il genere P della superficie Kiemanniana si ha la formola
già citata al §. 92
(«) p=2^-«^+i,
ove m è il numero dei fogli (qui =^:> -|- 1), r è il numero dei fogli congiunti
ciclicamente in ogni punto di diramazione. Basta ora distinguere i quattro casi
32
498 CAPITOLO XVII. — §. 187
§. 187.
Proprietà dei coefficienti dell'equazione modulare.
Andiamo ora a studiare più da vicino i polinomii ai , otg . . . c/.p^i ra-
zionali interi in j, che sono i coefficienti dell'equazione modulare (III)
§. 184. In primo luogo, tenendo conto degli sviluppi (I), (II) in serie
di potenze di 2^ facilmente valutiamo il loro grado. Intanto, avendosi
-«1 = L + io + /i + . . . + jp-i ,
nello sviluppo di c.i per potenze di (f la più alta potenza negativa, che
vi comparisce, è g~*^ che vi ha il coefficiente -1; onde per la (I) c(i è
un polinomio di grado p in j e la potenza f vi comparisce col coef-
ficiente — 1.
Con considerazioni analoghe si vede che i gradi di ag , «3 . . . otn
rispetto a j non superano p. Quanto all' ultimo
esso contiene nello sviluppo in potenze di q^ come più alta potenza
negativa g'"^<-p+** col coefficiente +1 e si ha per ciò
essendo le h coefficienti numerici. Da tuttociò si raccoglie che l'equa-
zione modulare (III) può scriversi sotto la forma
(V) (P^ U'-lJ')='2crsff,
che può offrire p rispetto al modulo 12, cioè i quattro casi:
p = 12n-{-l , 12n-\-ò , 12 n + 7 , 12 n + 11
ed applicando la forinola {0) si trova ordinatamente
F = 71 — 1, n , 71, n-\-l ,
ciò che dà immediatamente i risultati enunciati del testo. Ulteriormente si ha
P = l per
p = 11 , 17 , 19 ecc.
(*) Si suppone p impari.
PROPRIETÀ DEI COEFFICIENTI DELL'EQUAZIONE MODULARE 499
dove Cr,s è un coefficiente numerico e, per quanto sopra è detto
p j p — ^ •
Dimostriamo ora l'importante proprietà: TuUi i coefficienti Crs del-
l'equazione modulare (V) sono numeri interi divisibili per p.
In primo luogo dimostriamo che Vequazione modulare (V)
f U\ j) = (i'^-i) {j'-jp) =2 ^'•' * i"'/ = 0
è simmetrica in f, j. Si ha infatti, qualunque sia t
fU(pr),JÌT)) = 0,
e cangiando t in —
<i«..-(^)) = o,
cioè
fU,f) = o,
ossia
Se questa non coincidesse colla precedente, sottraendolo si avrebbe
peri' un'equazione di grado inferiore a i^+1, ciò che è contrario alla
dimostrata irriducibilità dell'equazione modulare; dunque si ha
e,- g Cs r
e la (V) può scriversi
(V*) ij'p-j) (f-jn ='f T^- irf+fp) +T^../^/.
,=0 ,=0 ^
Per determinare i coefficienti e,, osserviamo che questa equazione
diventa un'identità se vi si fa
4=00
Ora, per la legge di formazione della potenza p"'" di una serie, ri-
sulta di qui
jp ^ ^-2p 2 a': q'P' + p g-2(;>-i) 2 a's q'' ,
dove le a' sono, come le a, numeri interi.
500 CAPITOLO XVII. — §.187
Ma si ha, pel teorema di Ferraat
a'^ ^ tts (mod p) , flo = 1
e la precedente può scriversi
essendo le b altri numeri interi, onde risulta
ove le d sono nuovamente numeri interi.
Sostituiamo questo sviluppo nel primo membro della (V), ponendo
nel secondo membro per
ì loro sviluppi per potenze di 2^ che cominciano rispettivamente coi
termini
aventi per coefficiente +1. Nel secondo membro della (V*) non possono
comparire due termini colla stessa più alta potenza di q; poiché da
p r+s = p r'+s'
segue 5 = s, r = /. Paragonando adunque dalle due parti i coefficienti
delle potenze negative di q, cominciando dalla più alta, avremo ogni
volta delle equazioni lineari nelle e, delle quali ciascuna conterrà una
sola nuova incognita Cs col coefficiente =1 '^'. Dunque tutti i coeffi-
cienti e sono numeri interi divisibili per p e. d. d.
(^) Se si scrivono i
coefficienti
Cr s nel quadro
^p—i > p— 1
Cp-l , i^2
Cp-2 , p-2
Cp-^1 , 1^3
C;,-2 , ^-3
Cp-S , p-3
Cp-Ì , 1
Cy,-2. 1
C^;_3, 1 .... di
Ci^l , 0
Cp—i,0
Cp-3 ,0 .... Ciò
Coo,
è chiaro che verranno cosi successivamente determinati i coefficienti della 1.*
colonna (dall'alto in basso) poi quelli della 2.* della 3.^ ecc.
501
§. 188.
Gruppo algebrico dell'equazione modulare.
Ora che conosciamo la natura dei coefficienti dell'equazione modu-
lare (V) possiamo completare la ricerca del §. 185, ove abbiamo dimo-
strato che il gruppo di monodromia di questa equazione contiene le
2
sostituzioni sugli indici
(IV) v' = ^^ , ad-bc= 1 (mod p) ,
e determinare anche il suo gruppo algebrico o di Galois nel campo dei
numeri razionali. Il gruppo algebrico deve contenere quello di mono-
dromia come sottogruppo invariante e si sa dalla teoria dei gruppi di
sostituzioni che il più ampio gruppo, contenente come sottogruppo in-
variante il gruppo (IV), è quello formato da tutte le possibili sostitu-
zioni lineari sugli ìndici
v= — r—, (mod«), ad — &c^0.
cv-\-d
In questo gruppo H^j (p^-i) di p (p^ — 1) sostituzioni il gruppo di
monodromia (IV), che indichiamo con R'^. (^4_i) , è contenuto come sot-
2
togruppo invariante d'indice 2; e si noti che H' contiene tutte le sosti-
tuzioni pari di H. Pertanto il gruppo algebrico dell'equazione modulare
coinciderà o con H', o con H. Per decidere quale dei due casi abbia
luogo, consideriamo la radice quadrata del discriminante D dell'equa-
zione modulare
(7) Vd =^~ (i-i.) n u^-p') ,
v=0 V, v'
p ( p~ 1 )
il secondo prodotto essendo esteso a tutte le --^ — - combinazioni
degli indici v, v' presi nella serie 0, 1, 1...p-\ colla condizione v<Cv'.
Questa è una funzione razionale (intera) delle radici dell'equazione mo-
dulare, invariabile per le sostituzioni di H', non per quelle di H, ed è
quindi un polinomio razionale intero in ; con coefficienti numerici. Se il
502 CAPITOLO XVII. — §. 188
gruppo algebrico coincide con H', questi coefficienti saranno numeri
razionali e nel caso opposto invece dovranno contenere un'irrazionalità
quadratica y/A, con A numero razionale, la cui aggiunta abbasserà il
gruppo algebrico al gi'uppo di monodi'omia. Poniamo
essendo 0 un polinomio razionale intero in j e calcoliamo il coefficiente a
della più alta potenza di j in 0. Sostituiamo per ciò nel secondo membro
della (7) per j^,p i loro sviluppi (II) in serie:
Zoo =r'^ (l+«i ^''+'") > P = ^~" 2"^(l+«i ^" r+'-)
e vedremo subito che la piìi alta potenza di q~^ nel 2." membro è data da
ed il suo coefficiente sarà
(8) a = n{t' -'-'').
p- l
Dunque 0 0") è di grado p^ -\ ~- in j e si ha
di
i termini seguenti essendo di grado inferiore a ■jf -f- e il coeffi-
Ài
dente a avendo il valore (8). Si osservi ora che
non è altro che il discriminante deirequazione
Q^—\ = 0,
e per ciò, indicando con s,- la somma delle potenze r'"* delle sue radici,
GRUPPO ALGEBRICO DELL'EQUAZIONE MODULARE
503
si ha
a =
So Si ... . Sp_i
S\ S% . , , ' , Sp
Sp—1 Sp . . , . S2(p— 1)
e poiché Sr= 1 -f e'' H-£2\..-|- £'?-!"• è eguale a i) se r^O (mod^), e
invece
£^•■-1
Sr =
s"--!
= 0 per y ^ 0 (mod p) ,
avremo
a' =
p 0 0 . .
. 0 0
0 0 0..
. 0 p
0 0 0..
. p 0
0 p 0 . .
. 0 0
= (-i)'^V
e quindi
= i) 2 V(-i) ip.
Se ne conclude adunque : Il gruppo algebrico dell'equazione modulare
è il gruppo lineare totale
'/ ^ — T--, (mod») , ad-hc^O.
cv-\-d ^ -^^ ' ^
L'irrazionalità numerica, la cui aggiunta lo abbassa al gruppo di
r
\' ini
monodromia, è data da V ( - l) 2 p.
§. 189.
Equazione modulare per 9 (t) ='\/k e sue radici.
Il processo indicato al §. 187 pel calcolo dei coefficienti c,-,« potrebbe
servire a dare le effettive equazioni modulari per j (t). Ma i valori ef-
fettivi dei coefficienti c-s sono numeri tanto grandi, anche per piccoli
valori di p, che i calcoli indicati riuscirebbero laboriosissimi. Soltanto
per ^-=2 è calcolata la forma esplicita dell'equazione modulare (da Stephen
504 CAPITOLO XVII. — §. 189
Smith) e pei casi p = 3, 5, 7, 13, in cui il genere della superficie Rie-
manniana riesce zero, il Klein, utilizzando il modo di diramazione della
superficie di Riemann, ha dato delle formole che implicitamente deter-
minano le corrispondenti equazioni modulari (^).
Assai più semplici riescono le equazioni modulari per altre funzioni
(modulari) teoricamente più complicate dì j (i) '^'. Così è per le equazioni
modulari della funzione
'f(t) = V^,
che furono le prime calcolate (da Jacobi e Sohncke). Vogliamo ora trattare
di queste particolari equazioni modulari e costruirle effettivamente pei
valori più bassi di p.
Partiamo dalla seguente osservazione generale. Se 4> (t) è una qual-
siasi funzione modulare, legata a J (t) dall'equazione algebrica
F(^(x) , J(r)) = 0,
X
cangiando in questa t in — avremo
n
Ora se prendiamo l'equazione modulare
(*) Math. Annalen. Bd. XIV.
(2) P. e. nel caso p = 2 noi abbiamo potuto stabilire, studiando la trasfor-
mazione di Landen (§. 170), la semplice formola
..,J-V'-(i)
1 +
V'-'(i) '
che è una forma dell'equazione modulare per j> ^ 2. È manifesto che la rela-
zione fra
è molto più complicata.
4
EQUAZIONI MODULARI PER V^ 505
e fra le tre equazioni scritte eliminiamo J (^) , J ( — J , avremo evidente-
mente una relazione della forma
\
n
«^(*W, *(^)) = o.
essendo W una funzione razionale intera (irriducibile) dei suoi due argo-
menti. Questa si dirà l'equazione modulare per <ì> (t).
Consideriamo dunque in particolare la funzione modulare
,p (r) = V^
e, supponendo senz'altro j^ numero primo dispari, ricerchiamo le pro-
prietà dell'equazione modulare
(VI) f('H^) , 'f(
p
0
che, ponendo
w = tp (i) , V ^ 9 l^j ,
scriveremo anche
(VI*) f(u,v) = 0,
indicando f{u, v) una funzione razionale, intera ed irriducibile dei due
argomenti u, v.
/t \
Cerchiamo in primo luogo il grado della (VI) in cp (— | e le sue radici.
Per ciò bisogna far descrivere a -s (-) nel suo piano complesso tutti i
possibili cammini chiusi ed osservare quanti e quali valori diversi as-
sume 's j — . Per far descrivere a e: (i) un cammino chiuso, bisogna
' \PI
cangiare t secondo una sostituzione — ^f-^ del sottogruppo A di ce (t)
§. 182, e deve essere quindi
W', §)^(o! l) ^""^^^^ ' «^ + ^'=1 (modl6).
Il valore nel quale z I — 1 si cangierà con continuità sarà
' ^P "^^-{-^1
506 CAPITOLO XVII. — §. 189
sicché è da vedersi quanti valori distinti assume questa espressione per-
correndo ( ' A le sostituzioni del detto sottogruppo A. Ora si avrà
con a, b, e, d numeri interi ed ad-bc=p, tutte le volte che si abbia
/a, b\ / « > fi \ /«i ' ?A /aai+PY?i , pai+i^opA
\c , d) \ir(,p8/ \Ti , V VaYi+i'YOi, PTi+Ì^SSi/
essendo
\Yi , Si/
un'altra sostituzione di A, cioè
/ai , PA /l , 0\
= (mod2) , a? + aipi = l (mod 16).
\Yi , ^J \0 , 1/
%b\
e, dì
Approfittando dell'indeterminazione di I '' J], possiamo ridurre
y(i . Oli
ad una forma normale nel modo seguente:
1.° caso — Supponiamo dapprima che sia
a ^ 0 (mod p) ;
prendasi
Yi = -i^Y ^ 0 (mod 2) , Si = a ^ 1 (mod 2) ,
onde risulterà
c = aYi+i3TSi = 0,
indi si detennini aj, j3i in guisa che sia
5^i5i— piYi=aai4-2)Ypi= 1
e inoltre sia soddisfatta la congruenza
a? + aiPi^l (mod 16),
ciò che con considerazioni elementari si vede esser sempre possibile.
LE BADICI dell'equazione MODULAEE PER ^ (t) = V'^ 507
Allora la sostituzione ^' ^M appartiene al sottogruppo A e si ha
onde, essendo
risulta
Ponendo
avremo dunque
a'4-a6^ 1 (mod 16),
6^0 (mod 16).
b= 16v,
Osserviamo poi che b e quindi v è perfettamente determinato (modjp),
poiché si ha per le precedenti
6 ^ «ip (mod p) , «la ^ 1 (mod p) ,
onde
a 6 ^ [3 (mod p) ,
cioè
16av^|3 (mod^).
I valori distinti dell'espressione (9) corrispondono ai valori incongrui
di V (mod p) e si ottengono così le p radici dell'equazione modulare (VI)
^^ J'^^) ^f'J±'2^\ ,/^^+16(i)-l)
p
pj' '{-~rJ' ^{-~p-'---'f
corrispondenti all'ipotesi a^O (mod^).
3." caso — Sia ora a^O (modj?). Allora si può scrivere:
e siccome \
\i) YT-I-S/ \'(.pi+pdj
è una sostituzione^! ' | (mod 2), per le for-
508 CAPITOLO XVII. — §§. 189, 190
mole (A) §. 182, avremo
Ma, essendo p impari, si ha
/=1 (mod 8) , i)'=l (mod 16)
e però
^ + ^- 1 =/ (a^+i^ap) - 1 (mod 16) ,
Jr ir
e siccome
a}A^pa/^ = o}^a.^ + {p-\) afj^ 1 (mod 16)
avremo
Si conclude quindi che, quando of ^ 0 (mod 2>), si ha
che è una nuova ed ultima radice dell'equazione modulare (VI). Abbiamo
così dimostrato il teorema:
L'equazione modulare (VI) e del grado p-[-\ in v = z I— e le sue
|)+1 radici, per un valore dato di ^t = 'f (t), sono date dalle espressioni
«2—1
' ' 'r+16\ /t+16r\
v^={-\) 's(pt) , Vo = <p{jj , v,=^z[-^y..vr=, ^ ^
lr+16{p-l)\
§. 190.
Gruppo di monodromia ed algebrico dell'equazione modulare
(VI*) f{u,v) = 0.
Dimostriamo ora che il gruppo di monodromia deìV equazione modu-
lare (VP) è precisamente lo stesso che quello dell'equazione modulare per
l'invariante assoluto (§. 185).
GRUPPO dell' equazione MODULARE f {u, v) = 0 509
Per fare descrivere ad m = 'f (x), nel suo piano complesso, un cammino
chiuso dobbiamo cangiare r in
essendo j ' U una sostituzione del sottogruppo A di ^ {■:), cioè
a^+ap^l (modl6).
Ora i p+1 rami di v
^« = (-1) ^ 'pCi'^). ^' = 'P[^~Jì
si permutano fra loro nello stesso modo di
e, supposto quindi che ?;v si cangi in w, si avrà per la (5) §. 185
(10) 16v'^m4^ (modi,)
Y . 16 v+a
che, determinando b dalla congruenza
16 6^13 (modi?)
e ponendo
a = 8 , c=16y, d = a. ,
ha la forma
(11) v' ^ ^T , > ttf? — 6c^l (mod»)
cv-|-(«
del gruppo di monodromia per V invariante assoluto. È poi facile vedere
che qualunque sostituzione (11) si trova nel gruppo di monodromia di
f(u,v), per il che basta dimostrare che vi si trovano le due elementari
v' = V + 1 , v' = (mod p) .
510 CAPITOLO XVII. — §. 190
Ora la prima si ottiene subito, facendo
a = l,[3=16,Y = 0,6=1
e per la seconda basterà prendere a, p, 7, ò p. e. in guisa che soddisfino
le congruenze
(a^O (modi?), p=16 (modi?) , 16y = — 1 (mod_p) , 0 = 0 (modp)
( a= 1 (mod 8) , p =• 0 (mod 16) , Y = 0 (mod 2)
e l'eguaglianza aS-[3Y = l.
A tale scopo prendiamo
rj=py: , [3 = 16 Ti', Y = 2y', o=p?j'
e dovi'emo determinare a', [3', y', 6' in guisa che soddisfino le congruenze
pa=l (mod 8) , p'=l (modi?) , 32y' = — 1 (modi?)
e l'eguaglianza
(12) /a S' — 32|3'y'=1
che include, a causa di 32 y' = — 1 (mod p), la congruenza ^'= 1 (modp).
Possiamo scegliere a', Y in guisa che soddisfino le congruenze superiori
pa = l(mod8) , 32 y' =— 1 (mod 2?)
e siano inoltre primi fra loro e allora la (12) è risolubile in numeri
interi 8', p' e. d, d.
Apparirà dalle ricerche seguenti (§. 191) che anche nell'equazione
modulare f{u,v) = 0 ì coefiicienti numerici sono tutti interi, onde si pone
la questione quale sia il gruppo algebrico di questa equazione modulare
nel campo dei numeri rasionali. Con considerazioni perfettamente ana-
loghe a quelle del §. 188 si dimostra che il gruppo algebrico è ancora
il gruppo lineare totale
v' = ^-, {a d—b e ^ 0 (mod p) )
e r irrazionalità numerica, la cui aggiunta lo abbassa al gruppo di mo-
/ ^=r—
nodromia, è data da V ( - 1) 2 ^j .
511
§. 191.
Proprietà della equazione modulare f{u, v) = 0.
Dimostriamo ora alcune proprietà dell'equazione modulare (VI*), che
ne faciliteranno la costruzione effettiva.
Scriviamo l'equazione modulare, ordinata per le potenze di v, nel
modo seguente:
(VII) vp^' + B.vP-^B^vP-' -f . . . + Bpv -f Bp+i = 0 ,
ove le B sono funzioni razionali in u e stabiliamo le successive proprietà:
i." proprietà: I coefficienti B sono polinomii ragionali interi in u.
Per dimostrarlo basta osservare che nessuna delle p+1 radici della (VII)
p2— 1
(-1) « ,(^x). .. = ,(1ÌIÌ^)
può diventare infinita, se tale non diventa anche u. E infatti, per quanto
si è visto al §. 180, affinchè v^ o wv diventino infinite bisogna che l'argo-
mento pi 0 acquisti un valore razionale y con a, h impari ; ma
allora anche t acquista un tale valore e u = 9 (r) diventa pure infinita.
2J^ proprietà: L'ultimo coefficiente Bp+i dell'equazione modulare è
dato da
B^+i = (-l) ^ u^+\
Si osservi per ciò che le radici della equazione modulare si annul-
lano soltanto quando l'argomento
t+16v
pz 0
P
è un numero razionale della forma -7- con (a, &) = (1, 0) (mod 2) (§. 180);
ma allora avendo t la medesima forma, anche 11 si annulla. Ne segue
che Bp+i consta di una sola potenza di u, sia
Bp^i = Aw''.
512 CAPITOLO XVII. — §. 191
Ora si ha
(13) B^+i = v^VoVi . . . Vp_i = Aw»",
e per determinare l'esponente r ed il coefficiente A basta sviluppare dal-
l'una parte e dall'altra per potenze di q secondo la forinola
u-==s/2 q^ {l-q-\-2q'-3q'i-...),
che ponendo
2^ = Q,
si scrive
(14) M = v'2 Qjl— Q«+2Q^«— 3Q^+...|.
Per gli sviluppi di v^, vv ne deduciamo quindi
v^ = (-1)"^? {p t) = (-1)"8~ yj2 QP (1 - Q«P -f 2 Q^^^ + . . .)
(15)
= ' (^) ^ '^ ^^ ^"^ (l-='^ q' + 2sl6v Q^ + . . .)
\
Sostituendo nella (13) e paragonando le potenze più basse di Q ne
risulta appunto
r=p+l , A = (-l) ^ .
5." proprietà,: Ciascun poUnmnio Bg pw) porsi sotto la forma
B, = M^ A. (w«)
dove rs è il minimo resto lìositivo del prodotto ps (mod 8) e Ag è razionale
intero in u*.
Suppongasi che nel polinomio B^ figuri il termine
au^\
questo, sviluppato per potenze di Q, dà per termine colla minima po-
tenza di Q
r
a^J Q»-
e tutte le altre potenze di Q provenienti da quel termine hanno espo-
nenti =r (mod 8).
PEOPRIETÀ dell'equazione MODULARE 513
Ora si ha
la somma essendo estesa alle combinazioni s ad s delle radici v^,Vo... Vp_i.
Sostituendo nel secondo membro gli sviluppi (15), tutte le potenze di Q
hanno esponenti dell'una o dell'altra delle due forme
p H [- Skp -\ , (con fc, k interi) :
e dovendo queste potenze trovare le loro equivalenti negli sviluppi dei
varii termini au" di B^,, né potendo darsi che per gli sviluppi di due
0 più di tali termini si elidano completamente le potenze di Q, si avrà
necessariamente una delle due congruenze:
pr^^p^-\-s — 1 , ovvero pr^s (mod 8) ,
cioè in ogni caso, poiché p^^ 1 (mod 8)
r^ps (mod 8),
e però
r = rs-\-8m (m intero) .
4." proprietà: L'equadone modulare non muta, cangiando rispettiva-
p2— 1
mente u,v in v, {—!) ^ tt.
Si ha invero identicamente
e quindi anche
/ Eni \
dunque l'equazione
f \v , (-1) ° uj = 0
ha a comune colla f{u,v) = 0, che é irriducibile, la radice v^ e però le
due equazioni, salvo il segno ( - 1) ^ , coincidono. Si rileva di qui in
particolare che l'equazione (VII) é del grado p-\-l in u, come in v, e i
coefficienti B salgono al massimo al grado p in u.
S3
514 CAPITOLO XVII. — §. 191
5." proprietà : L'equazione modulare non mtéa, cangiando u, v rispet-
tivamente in — , — , e moltiplicando Vequazione per
pg— 1
(-1) ^ ^*^+' ^;P+^
Dall'identità
f {,(.), ,(1))=0,
T
cangiando r in — - , coll'osservare che si ha (pag. 483, (A) )
t+l
ri/ y — i
P \pj
risulta
onde
pg— 1
( _ 1) 8 ^^p+i ^p+i f (^1 1
\u V
deve coincidere con /" {u, v).
O."' proprietà: Se nell'equazione modulare si pone u=l, una delle
p^-1
radici diventa eguale a +1 e le rimanenti p a {-!) ^ .
Pongasi 1= e si avrà
Ti
facendo crescere tj, per valori puramente immaginarli, all'infinito la u
convergerà appunto verso +1. Ora abbiamo
«.= (-1) ' T(-g=(-i)^tg
%
= K~i^) = **^"''
PROPRIETÀ dell'equazione MODULARE 515
onde v^, v^ convergono rispettivamente verso
p2— 1
(-1) ^ , +1.
Per ogni altra radice v., si ha
/16vTi-l \
Vj = 'f 1 ;
\ P^i J
e se prendiamo due numeri interi a, h tali che sia
16 V a — 'pc = 1 ,
avremo
.- . c + lGv-i
16vTi-l p
a +p
P
Facendo inoltre a ^ 0 (mod 1 6)
a = 16 Vi ,
avremo secondo la tabella (A) pag. 483 :
/•16vTi-l\ "^(«'-1), Al — a
\ P^i y \ P
C2— 1
il che dimostra che v^ converge verso (-1) ^ ovvero, essendo pc^ — 1
(mod 16), verso (- 1) ^' e. d. d.
7." proprietà: Nell'equazione modulare figura il termine
auv ,
p-i
col coefficiente a = — 2 ^ .
Se nel primo membro della equazione modulare (Vili)
j/— 1
vP+'-^B,vP + ...BpV + {-l) ^ uP+'==0
sostituiamo per u, v gli sviluppi (14), (15)
u = m'2 Q (1 — 2Q« + ...)
p'^—l
516 CAPITOLO XVII. — §§. 191, 192
debbono annullarsi i varii coefficienti delle potenze di Q. Ma l'ultimo
termine porta la potenza
(-1) 8 (v'2r^Q^+'
e questa potenza minima Q''"*"^ non è portata da alcun altro termine,
salvo da
onde si trae appunto
Per la 5.* proprietà, segue che nell'equazione modulare il termine
*t^ v^ vi figura col coefficiente
p2— 1 p—l
— (-1)"^~ 2 2 ,
§. 192.
Le equazioni modulari per p = 3, 5, 7, 11.
Le proprietà ora stabilite per l'equazione modulare bastano già a
costruire efiettivaniente queste equazioni nei casi
p = S,ò,l, 11.
a) Per p = 3 l'equazione modulare, in forza della 3.' proprietà e
della 1.^5 sarà
v'^ -\- a%^ 'ì? A- huv — «■* = 0
e per la 7.^ a = 2, &= — 2 , onde si ha
(a) w^+ 2z<^z;^ — 2wv— z<^ = 0.
Si può dare a questa equazione modulare una notevole forma irra-
zionale (Legendre). Se la scriviamo sotto le due forme
(1 - w'j (1 + ?;") = 1 - m' y' + 2 Mv (1 -2*' v'')
(1 + tt") (1 ^ ?;^) = 1 - v^ v^ — 2 i* V (1 - «/ v") ,
moltiplicando otteniamo
(I-M*) {1-V')^il-U'vy
LE EQUAZIONI MODULARI PER J3 = 3, 5, 7, 11 517
e ponendo
si può scrivere quindi
(a*) yJFk + vW = 1 ,
che è la forma di Legendre.
b) Sia jp = 5. — L'equazione modulare, per la 3.* e S/ proprietà, sarà:
v^ -\- au^ v^ -\- bii^v* — hu*v^ — auv — u^ = 0
e dalla 7.* avremo a = 4, indi dalla 6.*
v^ -{- 4: v^ -{- b v* — b v^ — 4: v—l = {v - l) (v+lf,
onde 6 = 5 e però
(6) v'—u'—4:uv{l- u' v') + 5 u^v^ {v' - w^) = 0 .
e) Sia p = l. — L'equazione modulare sarà
w^ + w^ + a (ti^v'+uv) + b {u'^v^Wv^) -\- e (u^v^+u^v^) -f du'^v* = 0 ,
e per la 6.* proprietà avremo
ì/'-^av'-{-bv'-{-cv^-\-dv*-\-cv' + bv''-\-av-{-l = {v- If,
da cui
a= -8 , & = 28 , e = - 56 , ci =10
e però /
(e) v^- 8u''v''+28u'v' -56ii^v^+10u'v' -66u^v^+28u''v^-8uvW=0.
Questa si può scrivere anche
(1-w') {ì-v') = (i-uvy
e dà luogo alla forma irrazionale di Gutzlaff
4 4
d) Sia in fine p = ll. — Per le proprietà 3*, 4.* e 5*, l'equazione mo-
dulare ha la forma seguente:
yi«.^ u^ {a+2hi') v''-\- bu'v''-]-u ( - a+du') v'-\- eii*v^ ifu''v'+
518 CAPITOLO XVII. — §. 192
I coefficienti costanti a, b, d, e, f si determinano subito dalla 6.*
proprietà, secondo la quale, perM=l, deve il primo membro ridursi a
{v-1) {v+iy\ Si trova così
a=~22 , 6 = 44 , d = 88 , e=165 , /=132.
Osservazioni circa il caso generale. — Nei casi superiori non bastano
più le proprietà deirequazione modulare, descritte al §. 191, per deter-
minare completamente i valori numerici dei coefficienti. In tutti i casi
però ci potremo servire del metodo seguente. Scriviamo l'equazione
modulare sotto la forma
p*— 1 p'— 1 p—\ p—1
(VII*) t'P+'4-(-l) ^ uP+' — {-\) ^ .2 2 nPvP — 2 2 uv =
0..,,
= y Cr s W V' {Cn = 0, Cpp = 0).
Essa dovrà risultare identicamente soddisfatta, quando per u, v si
pongano rispettivamente gli sviluppi
^*=v/2 Q(l — Q«+2Q^^+...)
p2— 1
V
(-1) 8 v'2 Q^(l— Q'^ + 2Q>^^ + -..),
talché i coefficienti delle varie potenze di Q dovranno eguagliarsi dal-
l'una parte e dall'altra. Ora il termine del 2.° membro
porta come minima potenza di Q
Qps + r ^
col coefficiente
(-1) 8 ^(v'2X+',
e queste minime potenze sono tutte differenti pei vari termini. Inoltre
per la 5.* proprietà si ha, salvo il segno,
onde basta limitarsi a quei valori degli indici r,s pei quali r+s<2>+l-
Ma allora, poiché nel l." membro tutti i coefficienti sono interi e con-
ABBASSAMENTO DELLE EQUAZIONI MODULARI 519
tengono 2 ^ , mentre r+s-^p + l è in ogni caso pari (^', si conclude:
Tutti i coefficienti e, s nelV equazione modulare (\l\*) sono numeri interi.
In modo analogo a quello tenuto al §. 187, si potrebbe dimostrare ulte-
riormente che tutti questi coefficienti interi c,« sono divisibili per p.
§. 193.
Abbassamento della equazione di 6." grado (Notizie storiche).
Galois scoperse e lasciò enunciata una celebre proposizione relativa
all'abbassamento delle equazioni modulari per/) = 5, 7, 11. Queste equa-
zioni, di rispettivi gradi 6, 8, 12, posseggono risolventi di un grado in-
feriore =p. L'esistenza di queste nsolventi è dovuta al fatto che il
gruppo di monodromia
(a) v' ^ — -^ (ad-hc)^^ 1) (mod p)
P (P^ - 1)
di — sostituzioni contiene, nei detti casi p = 6, 7, 11, sottogruppi
d'indice^, ciò che non ha più luogo nei casi superiori. La prima dimo-
strazione del teorema fu data dal Betti (^'. Soltanto in epoca molto più
recente (1881) fu trattata e completamente risoluta dal Gierster '^' la
questione di determinare tutti i sottogruppi del gruppo (a) e fu così
spiegata l'intima ragione per la quale differiscono i casi p = ó, 7, 11 dai
superiori.
Riconosciuta la possibilità d'abbassamento delle equazioni modulari
nei casi indicati, restava da calcolare effettivamente le risolventi che la
teoria indicava.
Hermite perii primo, in una celebre memoria del 1858 '*', costruì
effettivamente una particolare risolvente di 5.° grado dell'equazione
modulare di 6." e riconobbe che a questa particolare forma poteva ri-
O Ciò segue dalla 3.^ proprietà, secondo la quale si ha r = (p-|-l — s)p
(mod 8), indi
r-{-s = 0 (mod 2)
(«) Annali di Tortolini. Voi. 3 (1853).
(3) Math. Annalen. Bd. 18.
(*) Comptes Rendus t. 46. Sur la résolution de Véquation du cinquième degré.
520 CAPITOLO XVII. — §. 193
dursi, risolvendo soltanto equazioni ausiliarie di 2.° e 3.° grado, la più
generale equazione di 5." grado. Con ciò fu ottenuta la risoluzione per fun-
zioni ellittiche (modulari) della equazione generale di 5.° grado. Il metodo
di Hermite venne perfezionato e trasformato nel seguito specialmente per
le ricerche di Kronecker e Brioschi ; e in particolare si vide che la riso-
luzione dell'equazione ausiliaria di 3.° gi'ado si poteva evitare, costruendo
altre più convenienti risolventi di S.*» gi'ado dell'equazione modulare.
Noi ci contenteremo qui di esporre il primo metodo di Hermite e
rimanderemo per la teoria generale della risoluzione dell'equazione di
5.° grado ai lavori originali di Hermite stesso, Kronecker, Brioschi e in
particolare al libro del Klein: Vorlesungen uber das IJcosaeder, ove la
intera teoria è esposta sistematicamente in modo nuovo ed originale.
Per noi si tratta qui in primo luogo, ricorrendo a note proposizioni
della teoria dei gruppi, di riconoscere che il gruppo di monodromia
dell'equazione modulare di 6.° grado, rappresentato dalla formola
v'^ — ~—^ (mod 5) , ad-bc^l ,
e V + a
possiede in effetto sottogruppi d'indice 5 e però esistono risolventi di 5.°
grado dell'equazione n^odulare. Il detto gruppo è infatti semplice e di
ordine 60 e per ciò oloedricamente isomorfo col gruppo delle 60 rota-
zioni dell'icosaedro, ovvero col gi'uppo alterno su 5 lettere. Ora il grappo
dell'icosaedro contiene cinque sottogruppi tetraedrali d'ordine 12 e
quindi d'indice =5, ai quali nel gruppo alterno su 5 lettere corrispon-
dono i gruppi alterni su quattro sole delle lettere. Definiamo uno dei
cinque detti sottogruppi Y^ del giaippo di monodromia, dando le due
sostituzioni elementari di un V^
(16) v' = -- , v' = '4| (mod 5),
che composte fra loro e colle loro potenze danno appunto luogo a 12
sole sostituzioni distinte, come subito si verifica.
Prendiamo ora una funzione razionale delle 6 radici
dell'equazione modulare, che rimanga invariata per le due sostituzioni
elementari (16), cioè per le due
{vo vj . {Vi Vi) , (Vo Vi Vi) (v^ Vi Vi) .
RISOLVENTE DI 5" GRADO DELL'EQUAZIONE MODULARE PER p = 5 521
Una tale funzione è semplicemente la seguente
^o = iV^—Vo) (Vi-V,) (Vj-Va);
essa per tutte le sostituzioni del gruppo modulare assume i 5 valori
distinti
Ì^o = {V„ - Vo) (Wi - V4) («2 - V3) , ^i = {V^ - Vi) (Vi - Vo) (Vg - V4)
^2 = (V^-V2) (V3-V1) (Vi-Vs) , Z3 = (V^-V3) (Vi-Vi) (Vo-Vi)
^4 = (v» - V4) {vo - Vi) {vi - Vi) ,
che possono compendiarsi nell'unica formola
^=(^00-^) in+\-Vi+)) {V2+1-VS+',)
1 = 0, 1, 2, 3, 4.
Le sostituzioni elementari
/=v+l , v'=— - (mod5)
del gruppo modulare permutano fra loro questi cinque valori e precisa-
mente la prima produce la sostituzione ciclica del 5.° ordine (^0 •s'i ■^'2 ^3 ■^'4)
e la seconda il prodotto di due trasposizioni
{^i ^2) (^3 ^4) ,
colle quali sostituzioni elementari si genera tutto il gruppo alterno
sulle cinque 0.
Se ne conclude: I cinque valori (17) sono radici di una risolvente di
5." grado dell'equazione modidare; il gruppo di questa risolvente è il gruppo
alterno sulle cinque radici.
§. 194.
Costruzione effettiva della risolvente di Hermite.
Per costruire effettivamente la risolvente di Hermite, cominciamo
dall'osservare che se nell'equazione modulare
v^ + 4 u^v^ -\-6u^v^ — 6 u*v^—4:uv—u^ = 0
si pone
V
w =
,5 >
522 CAPITOLO xvii. — §. 194
la nuova equazione in tv ha coefficienti razionali (non interi) in ti^ ; e posto
quindi
W/. = {tv^ - w;) (?i''i+> - wi,+)) {w2^'>. - ?(;3+/)
). == 0 1 2 3 4
le 5 quantità W^ sono radici di una risolvente di 5." grado
W + «1 W^ + «2 W^ + «3 W^ 4- «4 W + «5 = 0 ,
con coefficienti razionali in u^ e poiché si ha
Z;^ = U'^ Wx ,
la risolvente di 5.° grado in z avrà la forma
(18) / + Bi u' z' -h B2 u'' ^ + B3 li' / -f B4 u'' z I- B5 it' = 0 ,
dove i coefficienti B sono funzioni razionali di li'. Ora, siccome per
valori finiti di u le sei v^, , e quindi anche le cinque z^ , sono finite, ve-
diamo che le B sono poUnomii razionali interi in u^.
Per la 5/ proprietà dell'equazione modulare (§. 191), se si cangia r
T 1 1
in , u si cangia in — e le radici v-j nelle loro inverse — , salvo Tor-
T+1 * U Vy'
dine. Ma vediamo subito come dipende /' da v, osservando che per la
medesima sostituzione
e si ha quindi (§, 185)
medesima sostituzione ( ' , ] eseguita su t deve Jv cangiarsi in Jv' <^'
onde
si muteranno rispettivamente in
i_ Jl J_ J_ Jl JL
Vi ' V^ ' V3 ' Vi' ^2 ' v„
e quindi ^0 in
Z'
V^ Vq Vi Vi V3 Vi tr
Dunque la risolvente (18), che è irriducibile, deve rimanere invariata
1 z
quando vi si cangi u, z rispettivamente in — , —g e si moltiplichi tutta
tv tt
(1)
Si osservi che J (— ^-= — ) = J l'T ) = Jv
LA RISOLVENTE DI HERMITE
l'equazione per «i^^ il che dà:
523
u''B,f-]^ + u''B,(^]z-\-
e paragonando colla (18), si ottiene
B, f^^) = u' B, (u) , B, (~^J = B, (te) , u' B3 (^^) = B3 00
u'' B, (~) = B4 (u) , u^ B5 f-) = B5 (w) .
Queste dimostrano che si ha Bi = 0 , Ba costante mentre B3 , B4 , B5
sono polinomii reciproci dei rispettiAi gradi 1, 2, 3 in ^*^ Dunque la (18)
avrà la forma
191-2.^) e
essendo a, b, e, d, e, f costanti numeriche.
Ora per u=l tutte cinque le radici 0 si annullano
quindi anche tutti i coefl&cienti, dopo il primo, della (18)
Se ne trae subito
a = 0 , h=0 , d=-2 , f=-\
onde l'equazione diventa
(18*) ^-\-cu'{\-uy.z-\-euH\-u^f {\W) = 0
e resteranno solo da determinarsi le due costanti e, e. Per ciò serviamoci
degli sviluppi (14), (15) §. 192:
u = v/2 Q (l_Q« + 2Q^« + ...)
t;„=-V2 QMl-Q'H-2Q«^-t-...)
V, = ^2Q^(1 — Qt+...)
V, =ev/2 Q*(l— ^'Q^+...)
V, =eV2 Q*(l— =QM-.-.)
v^ =sV2 Q^(1-£''Q^+...)
524 CAPITOLO XVII. — §. 194
avendo posto
e = e 5 .
Se si osserva che si ha
ne risulta per s!o lo sviluppo
^, =2tV5 Q^(l-Q^+...) (1 + Q^+...) (1 + Q^ + ...),
ossia
^, = 2tV5 Qt (1 + Qt+...),
le potenze di Q^ trascurate entro parentesi essendo la 16% 24* ecc.
Sostituendo nella (18*), col tener conto soltanto delle due più basse
potenze di Q che vi compariscono, che sono
Q^ Q^ ,
avremo l'identità
2^5'V5 Q'(1 + 5Q'+ ...) + 2^V5c. Q^+ . . . + 2^ e Q^ 4- . . . = 0
onde si trae
c= -2*5' , e = - 2' 5' V 5 .
Abbiamo dunque per la forma definitiva della risolvente di Hermite :
(Vili) :^—2' 6^ u' {ì-ti'f 0 — 2' ò' y/^ u' {1 -u'f (1+1*^ = 0.
Colla trasformazione
z = y/2*.6\u*(l-uy.y,
cioè
0 = 2y/6^ uy/l-u^y ,
essa diventa:
(Vili*) if-ij -A = 0,
dove si è posto
(19) A =
1+M* 2 1+A:*
V5' m' v/(1-w') v5' \ih{\-l^
RISOLVENTE DI HERMITE 525
Ora Bring, e successivamente Jerrard, hanno dimostrato che ogni
equazione di 5.° grado può ridursi, con trasformazioni di Tschirnhaus,
risolvendo soltanto equazioni di 2.° e 3." grado, alla forma (Vili*). Dopo
di ciò, se determiniamo il modulo k dalla equazione di 4.*' grado
k (l-k') 4 '
Cloe
^4 _|_ 5!j/5 A^^H 2 h'— 5^ A^A;+ 1 = 0,
che ponendo
si riduce alle due successive di 2.° grado
( l^ — [Lk—l=0,
avremo ridotto l'equazione generale di 6.'^ grado alla forma di una ri-
solvente di Hermite e le sue radici si esprimeranno per funzioni ellittiche
(modulari). La risoluzione dell'equazione di 5.° grado è così ridotta alla
divisione (o moltiplicazione) per 5 dell'argomento della funzione modu-
lare 9 (t), in modo analogo come si ottiene la risoluzione trigonometrica
dell'equazione di 3.° grado, riducendola alla trisezione dell'argomento
nelle funzioni circolari.
Capitolo XVIII.
Principii della teoria delle funzioni ellittiche a moltiplicazione complessa.
§. 195.
Definizione delle funzioni ellittiche a moltiplicazione complessa
e formole fondamentali.
Nei capitoli precedenti abbiamo studiato quelle proprietà generali
delle funzioni ellittiche, e in particolare della p {u\oì, w'), che conven-
526 CAPITOLO XVIII. — §. 195
gono a tutte le funzioni ellitticlie, comunque siano assegnati i valori
particolari 2w, 2a)' dei periodi. Ma vi lia un'importante classe di funzioni
ellittiche che, per la natura speciale dei loro periodi (o meglio del loro
rapporto r = — 1 , vengono inoltre a godere di singolari proprietà spe-
ciali. È questa la classe delle funzioni ellittiche a moltiplicazione complessa,
che per primo Abel considerò, lasciando enunciate alcune loro proprietà
fondamentali.
Per opera specialmente di Kronecker e per le ricerche successive
di altri matematici (Hermite, Stuart, Pick, Weber, Greenhill ecc.) fu
costruita la teoria di questa speciale classe di funzioni ellittiche. Le
singolari proprietà aritmetiche di queste particolari funzioni ellittiche
e specialmente la loro intima relazione colla teoria delle forme binarie
quadratiche secondo Gauss, danno un particolare interesse allo studio
di questo ramo nella moderna teoria delle funzioni ellittiche.
Qui noi ci proponiamo soltanto di far conoscere i prìhcipii fonda-
mentali della indicata teoria e nella esposizione ci atterremo partico-
larmente alle memorie di Halphen (^' e Sylow (^^ e all'opera di Weber <^).
Perveniamo direttamente alla speciale classe di funzioni ellittiche,
che deve ora formare l'oggetto del nostro studio, proponendoci il pro-
blema seguente: Per quali funzioni ellittiche p{u\iù,oì) accade che (p [zu),
essendo e un conveniente fattore costante (moltiplicatore), si esprima razio-
nalmente per ^u?
Sappiamo che ciò accade per qualunque funzione ellittica pu, se il
moltiplicatore e è un numero reale intero; ed ora si tratta appunto di
vedere se può accadere in altri casi. Siccome, per la formola di omo-
geneità, si ha
dai principii della teoria della trasformazione (§. 161) risulta che, sup-
posto p (bu) funzione razionale di pu, dovranno sussistere relazioni
(*) Sur la multiplication coviplexe des fonctions elliptiques. (Journal de Mathém.
1889, t. V).
(2) Id. [Journal de Mathém. 1887, t. III).
(^) EUiptische Funtionen und algébraische Zahlen. (Braunschweig-Yieweg.
1891).
LE FUNZIONI pU A MOLTIPLICAZIONE COMPLESSA
527
della forma
(I)
tO 0)
oì = a \- 0 —
£ e
to = e \- a — ,
e £
dove a, h, e, d sono numeri interi e
ad— he = N>0.
Inversamente, se sono soddisfatte relazioni fondamentali della forma
(I), sarà p (tu) una funzione razionale di grado N della pu. Possiamo
scrivere le (I) anche così
Ì(a— e)w-|- 6co' = 0
cw 4- ((?— £)(,/ = 0,
dalle quali risulta che due casi soli possono presentarsi e cioè:
l.'* Le (I*) sono identità e però
a = d=e , h = c==0 ,
e si hanno allora le formole di ordinaria moltiplicazione, che valgono
qualunque siano i periodi.
2.0 Se le (I) 0 (I*) non sono identiche, eliminando e si ha
(a(o+6co')a)'= {c(à + doì') co ,
ossia, ponendo come al solito
ai)
hx^-f-{a-d) T — e = 0 .
Eliminando invece — dalle (I*), abbiamo per e l'equazione di 2.° grado
a-£ b
e d—B
0,
cioè
(II*) s^— (a+d) e + (ad-hc) = 0.
Il discriminante comune
A = {a+d)'— 4:{ad-bc)=^ {a+df^ 4 N
528 CAPITOLO XVIII. — §. 195
delle (II), (II*) deve essere negativo, poiché t è complesso (col coefficiente
dell' immaginario positivo), e per ciò il moltiplicatore e è un numero
complesso della forma
e = | (a + t?+iV:^).
Inversamente, se il rapporto x dei periodi di una funzione ellittica pu
è radice di un'equazione di 2.° grado a coefficienti interi e a determinante
negativo
(1) Pi^+Qi + R = 0,
ponendo p. e. nelle (I)
6 = P , a—d = Q, , c= -E
(2) • 6 = 1 ja+(? + iV:rAJ,
vediamo che p{zu) si esprimerà per una funzione razionale di $>u di
grado
N = ad-bc.
Dunque : Condizione necessaria e sufficiente percM p (s u) sia funzione
razionale di pu, senza che e sia un intero reale, è che il rapporto z dei
periodi sia radice di un'equazione (I) a coefficienti interi e a determinante
negativo. Allora il moltiplicatore e è un numero complesso della forma (2).
Di qui appunto l'origine del nome di moltiplicazione complessa.
Ora notiamo che ci potremo restringere al caso in cui i quattro
interi a, h, e, d nelle (I) non hanno alcun divisore comune (eccetto la
unità); poiché, se e é il loro massimo comun divisore e si pone £ = aéi,
si vede dalle (I) che già
P (si w)
si esprimerà razionalmente per pu e successivamente si avrà
p (tu) = p [^ . Siti)
colle ordinarie forinole di moltiplicazione pel numero o. Potremo dunque
limitarci al caso in cui a, b, e, d sono primi fra loro, cioè al caso delle
moltiplicazioni complesse primitive. (Cf. §. 164).
529
§. 196.
Corrispondenza fra le funzioni pn a moltiplicazione complessa
e le classi delle forme binarie quadratiche. — Moltiplicazioni elementari.
Se p{u\ (a, w') è una funzione ellittica a moltiplicazione complessa,
fra co, to' avremo una relazione quadratica della forma
Ao/24- 2Bcoo/+Cw^ = 0,
dove A, B, C sono numeri interi sen^a divisore comune. Il primo membro
è una forma binaria quadratica (Cf. §. 23)
(A, B, C)
primitiva, che si dice di 1." specie se anche A, 2B, C sono primi fra
loro, se cioè A, C non sono ambedue pari, e di 2."- specie nel caso opposto.
Il determinante della forma (che qui prenderemo col segno opposto a
quello considerato da Gauss) è dato da
D = AC— B^
ed è essenzialmente positivo. Siccome i coefificienti estremi A, C hanno
necessariamente il medesimo segno, li supporremo, come è lecito, positivi.
Si noti che per le forme di 2." specie, essendo A, C pari, quindi B
impari, sarà sempre
D ^— 1 (mod 4) .
Una forma primitiva di l."^ 0 2." specie
(A, B, C)
definisce completamente, a meno di un fattore, i periodi e quindi una
funzione ellittica p (ii \ w, io') a moltiplicazione complessa. Ma siccome,
senza cangiare la pu, possiamo eseguire sui periodi una sostituzione
lineare, omogenea a coefficienti interi e a determinante 1, così vediamo
che le infinite forme
(A', B', C)
equivalenti alla (A, B, C) (§. 23) e queste soltanto danno luogo alla me-
desima pu. Dunque: Ogni classe di forme binarie quadratiche a deter-
34
530 CAPITOLO XVIII. — §. 196
minante xìositivo dà una funzione pu a moltiplicazione complessa ed
inversamente.
Si tratta ora di stabilire per una tale funzione pu, corrispondente
ad una data forma quadratica
(A, B, C) ,
le più generali forinole di moltiplicazione complessa. Dovendo essere t
radice della equazione
AiM-2Bt + C==0,
paragonando colla (II), risulta intanto che dovremo porre
b = xA , a — d = x.2B , c=—xC,
essendo x un fattore di proporzionalità che, per la condizione che a, h, e, d
siano interi, mentre A, B, C sono primi fra loro, dovrà essere un numero
intero se (A, B, C) è di 1.^ specie, laddove se (A, B, C) è di 2.^ specie
potrà anche essere la metà di un numero intero. Possiamo dunque porre
(III) h = xk , a = xB-\-y , d= -xB+i/ , c= -xC,
dove i numeri x,ij saranno certamente interi se (A, B, C) è di 1.* specie
e potranno invece essere ambedue la metà di numeri interi dispari se
(A, B, C) è di 2.^ specie; in ogni caso però saranno x, y, ovvero 2x, 2y,
primi fra loro, poiché supponiamo la trasformazione ( ' j primitiva
(§. 164).
Dai valori precedenti di a,b,c, d risultano le forinole
(IV) ì^=^ad-bc = Dx'+f , 1 = (a+d)' - ^ì^ = -iDx'
(V) e = yiix>^B.
In queste forinole (III), (IV), (V) possiamo dare a x, y valori qualunque,
soddisfacenti alle dette condizioni, e rimanendo sempre la stessa la fun-
zione pu, varierà il moltiplicatore z ed il grado
N = Da;'+2/'
della trasformazione. Il valore minimo di questo grado si otterrà evi-
MOLTIPLICAZIONI ELEMENTARI 531
denteraente pei valori seguenti di x, y
x = ±l , ìj = 0 per una forma di 1.'' specie,
x = ±-, y= ±— per una forma di 2.* specie,
e si avrà rispettivamente nei due casi
N = D. N = ^,
4
e corrispondentemente pel moltiplicatore
£ = ìv/D , £ = ^ (l+iv^D).
Le formolo corrispondenti, che esprimono
^(iv/D.M),
ovvero
'l+i\/D
S> 17^— •«*
razionalmente per pu, si diranno le formóle elementari di moltiplicazione
complessa, perchè tutte le altre forraole di moltiphcazione complessa si
otterranno da queste elementari e dalle formolo ordinarie di addizione
e moltiplicazione dell'argomento. E invero ogni altro valore s del mol-
tiplicatore sarà, per la (V), della forma
£ = r-\- s £
_ 1 4- i \''D
avendo e il valore elementare i\'D o , conr,s interi ordinarli
(sarà cioè un intero complesso nel campo quadratico (l,e)).
Ma la formola elementare di moltiplicazione complessa ci dà
p{zu) =F(pM)
e le forinole ordinarie di moltiplicazione
p (ru) = <ì> (pu) , p {seti) = F {piru)) = 4>i (pu) ,
essendo F, <i>, <J>i razionali nel loro argomento. Derivando le precedenti,
532 CAPITOLO XIII. — §§. 196, 197
abbiamo
p' (r u) = — 4)' {pu) . p'ii
y r
I p' (sBu) = — ^y.ipu). p'u\
ed ora dalla forinola d'addizione
{2p(ru)p(sBti)—y2)(p{ru)+p(szu))-g<i-p\ru)p'(sBu)
p{rU + SZU) = ^—. -. r -, TTj
avremo subito
p {r -\ sz)u
espressa razionalmente per pu. Ne concludiamo
Le forinole elementari di moltiplicazione complessa iper la funzione pu,
corrispondente ad una forma (A, B, C) primitiva, si ottengono dando ai
coefficienti ( ' ) della trasformazione ed al mxìltiplicatore s i valori
\G , dj
seguenti :
a = B, h = A, c=-C, d= -B , N = D, b = ì\/B
per le forme di 1." specie; e invece
a = |(B + l) , 6 = 1 A , c=-|c , d = ^{~B + l) , N = ^
^ l-\-i\/B
^ ~~ 2
per le forme di 2."- specie.
§. 197.
Formole effettive di moltiplicazione complessa.
Le formole effettive di moltiplicazione complessa, corrispondenti alle
formole (I)
(tì = a — 4- 6 —
\ e e
(I)
/ / w w
w = e \- d — ,
\ e e
dove «, h, e, d sono interi primi fra loro, non sono altro in sostanza che
LE FORMOLE DI MOLTIPLICAZIONE COMPLESSA 533
le forinole della trasformazione primitiva
a , b\
e , dj
d'ordine ì^ = ad—hc. Siccome però, al Gap. XIV, noi abbiamo stabilito
queste forinole nel solo caso di N primo, converrà ora che le deduciamo
in modo diretto e nello stesso tempo avremo anclie così le forinole ge-
nerali (primitive) di trasformazione per un ordine N qualunque. A tale
oggetto cominciamo dallo scrivere le (I) risolute rispetto a — , — :
0)
d(ìì — b(ù'
e N
(3) l , , 'ì^=^ad-bc.
\ T "" N
Gli infiniti della funzione
P
sono nei punti
u = (r, s interi qualunque) ,
coi termini d'infinito
(m — u^y '
Ora ci conviene in primo luogo dimostrare che i valori ?*^ coincidono
con tutti i multipli della parte aliquota
di un conveniente periodo 2 (o. Se consideriamo le (I), (3) come forinole
della trasformazione [ ' j ) ' corrispondente alle relazioni
I o/= ciì ^ dQ' ,
sostituendo ad iì, iV un sistema di semiperiodi equivalenti Sii, -'i. pò-
534 CAPITOLO XVIII. — §. 197
tremo dare alla trasformazione la forma normale (^. 163)
le, ='3 9.,
dove 'j è un divisore di N, e il numero £ è determinato ( mod - j e non
X
ha divisore comune con a e - . Di qui si trae
a
N
"1 N ' ■■' N ■
N
Sia a il massimo comun divisore di o, i, che sarà primo con - , e
' a
pongasi
a = [i Oi , ^ = p4i ,
onde
N
/.x n '^ o' Oitó— £,(0
(4) 9., = ^^ , 9.,= u. ^— .
Eseguiamo ora sui periodi 2w, 2w' la sostituzione lineare
( co = coi
dove 7 indica un intero qualunque, e i nuovi periodi 2 ojj , 2 w'i saranno
ancora fondamentali. Le (4) diventano
N
a , (0i7— £i)(Di+OiWi
Poniamo 017 — ^, = /? e scegliamo 7 in guisa che 7«, il quale è primo
i Oi , lo sia
loro; avremo
con Oi , lo sia anche con — , ciò che è possibile essendo Ci , ii primi fra
0
N
FORMOLE DI MOLTIPLICAZIONE COMPLESSA 535
Trascurando multipli di semiperiodi coj, o/i, possiamo scrivere
h (Oi -f ^1 ( 1 + p — ) w
fì'i ^E [j, — ■ —
N
N
essendo p un intero arbitrario. Ora prendiamo [j in guisa che sia 1 -| — p
G
N
multiplo di h[}., ciò che è possibile perchè — è primo con h]i., e ponendo
N
1 + P — = AiJ. . f/ (f/ intero) ,
o
avremo
N N ,. , ,, N ,
— cOi — ((0 — ap co i) — 0)
^ N N ~ N
Le espressioni
avranno quindi la forma
N N
e il numero — r-\-h[}..s, essendo —, h[). primi fra loro, percorrerà tutti
0 a
gli interi possibili, cioè u^ tutti i multipli di
Risulta di qui che gli infiniti della funzione
che ammette i periodi della pu, sono di 2." ordine nei punti incongrui
2 Gì
r^ (r = 0, 1, 1, ...N-1),
coi termini d'infinito -,
2tò^2 '
536
CAPITOLO
XVIII. -
e si
ha
quindi
b'
^(s
u)
= pu
+
2
r=l
2oM
Per determinare la costante C basta sviluppare dalle due parti per
potenze di ?i, nell'intorno di m = 0, e paragonando i termini costanti il
che dà
ne risulta la formola domandata:
(VI) £' p {zu) = pu + 2 ( ^ r* ~ *" N" J ~ ^ r • N" j •
§. 198.
Natura dei coefficienti nelle formole di moltiplicazione complessa.
Si tratta ora di convertire il secondo membro della (VI) in una
funzione razionale di pu. Per ciò distinguiamo due casi, secondo che N
è dispari o pari.
1.° caso: N dispari. — Associando i valori r, N-r di r, la (VI) può
scriversi
_ N— 1 _ N— 1
2 r ^ o'x^'~ /2à)\ '"^/ i / 2w\ / , 2à)\)
B'pióu) = pu — 2 2i ^[yI+ Zi i^f ~^ N")"^ ^r"^^" N/j '
da cui per le formole d'addizione
N— 1
(VII) b'pM =pu-2 2 P («• ^) +
formola che esprime effettivamente p {bu) razionalmente per pii.
I COEFFICIENTI DELLE FORMOLE DI MOLTIPLICAZIONE COMPLESSA 537
2." caso: N pari. — Associando ancora i valori r, N— r, resta questa
N
volta isolato il valore r = — , onde si ha
£2 p {bu) = pu—2 2 ^ ( ^ • "N y ^ ^ ^^* -Co) — pòi +
+ i \p(u-s.^)-hp(u + s.^
n; ' ^ V N
Siccome w è un semiperiodo, sarà pòi uno dei tre valori 61,6,, ^3,
sia e^ , e diciamo co , e-^ gli altri due ; avremo
p (u — (h) — pGì —■ j
pu — ex
sicché la formola (VI) diventa in questo caso:
(VIP) s>M=PH-2 2 4^ N-) + pu-e. +
^«< — ^
In ambedue i casi risulta
\J{pu)
(Vili) t' p (cu)
V ipu) '
dove U, V sono polinoraii razionali interi in pu, primi fra loro, di grado N
il primo, di grado N - 1 il secondo.
Importa ora che ricerchiamo di quale natura sono i coefficienti di
questi polinomi i, che già dalle formole stesse risultano razionalmente
formati con g^, g^ e col valore p i-^] , Dimostriamo che sussiste l'im-
portante proprietà:
1 coefficienti dei polinomii U, V nella formola di moltiplicatone com-
plessa (VIII) sono funzioni ragionali intere di g2,gz con coefficienti nur
merici razionali se la forma (A, B, C) è di i." specie, ovvero contenenti
V unica irrazimialità i\'\) se la forma è di 2."' specie
538 CAPITOLO XVIII.— §. 198
Pongasi
pu = y , U fi/) = ìf + «1 y^^' + «2 !/^~' + . . . + a.N_, y -f «n ,
e si scriva la (Vili) nel modo seguente:
(5) e' p (zìi) [y'--' + b,,/~'+h,/-'+...+b,_,] - [y'+a,if-' + ... + a,] = 0.
Se svolgiamo in serie di potenze di u, servendoci degli sviluppi
ed eguagliamo a zero i coefficienti delle varie potenze di u, otteniamo
una serie di equazioni lineari nei coefficienti a, 6 e i coefficienti di queste
equazioni sono appunto della natura indicata nell'enunciato del teorema.
Ora queste equazioni lineari, qualunque numero se ne prenda, sono
sempre fra loro compatibili quando gz, g^ abbiano i valori speciali con-
venienti alla nostra pu a moltiplicazione complessa, perchè le a, b sono
certamente determinabili in guisa che la (5) risulti identicamente sod-
disfatta. Ma se lasciamo le a, h indeterminate, il 1.° membro della (5)
(5*) ^'p{^ll)[{puY-'^b,{puf-' + ...^b,_,]-[{puY-Va,{pu^^^^
è una funzione ellittica coi periodi 2to, 2o/ che ha nell'origine m = 0 un
infinito d'ordine 2X-2 ed al massimo altri X— 1 infiniti del 2.° ordine
nei punti
r^"" (r=l, 2, 3...W-1).
Se nello sviluppo (5*) eguagliamo a zero i coefficienti delle potenze
^ ^ JL «0 «2 4 .,2(-N-l)
^2(N-1) ' ^2(N-2) ... ^^2 ,»,«*,«*••• «»
avremo 2N — 1 relazioni lineari fra le2N-l costanti a, &, che saranno
certo compatibili, per quanto precede, se go,gz hanno i valori che ap-
partengono alla nostra pu.
I COEFFICIENTI PELLE FORMOLE DI MOLTIPLICAZIONE COMPLESSA 539
Prendendo le a, h in guisa che tali relazioni siano soddisfatte,
la funzione ellittica del 1.° membro della (5*) avrà al massimo 2(N-1)
poli, mentre in « = 0 avrà un infinitesimo d'ordine 2N, e però la funzione
stessa sarà identicamente nulla, cioè sarà identicamente:
(Vili ) s p [.u) - ^^^^^,_.^ ^^ ^^^^^,_,^ _ _ _^ ^^_^ .
E siccome non può in questa formola restare arbitraria qualcuna
delle a, b, segue che le 2 N — 1 relazioni lineari ricordate fra le a, h
servono a determinarle completamente, cioè il determinante formato coi
coefiicienti delle a, b, in quelle 2 N — 1 equazioni lineari, è diverso da
zero per quei particolari valori di gz, g^. Esso è quindi a fortiori diverso
da zero se lasciamo in quelle 2 N - 1 equazioni g^ , ^3 arbitrarli ; queste
servono adunque ad esprimere nella (Vili*) i coefficienti a, b razional-
mente per (,'2, ^3.
Un fatto molto importante segue anche da ciò che, oltre g2, g^, nelle
equazioni lineari che servono a determinare le costanti a, b figurano
unicamente il numero N ed il moltiplicatore s, ratìntre non vi è alcuna
traccia dei coefficienti (A, B, C) della forma cui la nostra funzione ellit-
tica f»M a moltiplicazione complessa corrisponde. Ne risulta: La formola
(Vili) 0 (Vili*) di moltiplicatone complessa dipende solo dal determi-
nante D e dalla specie della forma.
Osserviamo di più che quando D ^ — 1 (mod 4), ed esistono quindi
forme di l.'' e 2.'' specie, converrà sempre cominciare la ricerca dalle
D+1
forme di 2.=^ specie, per la quale il grado N ha il minimo valore , e
si passerà poi alle formolo relative alle forme di 1." specie, operando
una trasformazione di 2.° grado. E infatti, se si considerano le due forme
principali di l.'' e 2.^ specie
(1,0,D) , ^2, 1, ^),
e si indicano rispettivamente con t, Tj i rapporti dei periodi, si ha
-l+iy'D
z = Ì\,D , T, =
2
/2 , 1
e quindi t è legato a ti dalla trasformazione di 2.* grado ( ^ ' ,
/
t = 2-,+ l.
540 CAPITOLO XVIII. — §. 199
§. 199.
Risolubilità per radicali dell'equazione per la divisione dei periodi.
Al §. 116, occupandoci delle funzioni fp lemniscatiche, che sono ap-
punto le più semplici funzioni ellittiche a moltiplicazione complessa e
corrispondono aD = l, abbiamo dimostrato che l'equazione per la divi-
sione dei periodi è, in questo caso, risolubile per radicali. Questa pro-
prietà compete, come ora dimostreremo, a tutte le funzioni ellittiche
a moltiplicazione complessa, quando dapprima si riguardino come noti
(o si aggiungano al campo di razionalità) gli invarianti (ji, g^.
Sia p una funzione ellittica a moltiplicazione complessa, ed s il mol-
tiplicatore elementare; avremo
(6) ^ ((m+W£)m) = F {g)u) ,
essendo m, n due interi qualunque ed F una funzione razionale con
coefi&cienti razionali in (ji, g^ i\J\) .
Consideriamo ora l'equazione per la divisione dei periodi in un nu-
mero qualunque g di parti, che supporremo senz'altro, come è lecito, un
numero primo dispari ' ^' . Se con 9. indichiamo un semiperiodo qualsiasi
(7) fì = Xoi — {xo/,
dove X, ij. sono interi non pari insieme, i valori
(8) J''Jr±lM\ (r,, interi)
saranno altrettante radici della equazione <hrj (y) = 0 per la divisione dei
periodi (§. 114) di grado ^—- — . Facciamo ora percorrere nella (8) a
q^ 1
(r, s) coppie incongrue fra loro e colle opposte (-r, -s) (mod q),
p. e. le seguenti :
q -1
r = 1 , 2 , 3 , . . . ^r^ , con s = 0
q-1
r = 0,l,2,...g-l, cons=l,2,3... ^-— ,
(*' Del resto le considerazioni che seguono valgono anche per q dispari
qualunque.
l'equazione per la divisione dei periodi 541
g^-1
e dimostriamo che, scegliendo convenientemente À, jx nella (7), i — — -
Zi
corrispondenti valori (8) saranno tutti diseguali, e per ciò saranno tutte
le radici di '\q {y) = 0. Se supponiamo infatti
2(r+s-:)y\ /2(ri+Sie)fì
avremo necessariamente
[r±ri) + (s+Si)£]^ ,
t L — }_ — i-^— ==^ ^n oì-j-n (tì (m, n mteri) ,
cioè
(r±r i) (>. 0) — [j- co') 4" {s±Si) (X e w - ;j- = o/) = q (m o)+n o/ ) ,
e sostituendo per s co, sto' i valori
. e co = a co -}- & w'
* f E co' = e Oi 4- (Z o/ ,
dovranno risultare eguali dall'una e dall'altra parte i coef&cienti di co, o/.
congruenze
Ne seguono le congruenze
^ (mod q) ,
{r+r,) X + (s±sO {U-\Kd) = 0
le quali, non essendo simultaneamente
r+Ti^O , s+Si^O (mod 2)),
richiedono che si abbia
X {j. e — X a
[j. X6 — i).d
0 (mod q)
cioè (§. 197)
A X^ 4- 2 B l {J, + C <^} = 0 (mod q) .
Ma poiché (A, B, C) è una forma primitiva, risulta da considerazioni
elementari che si possono scegliere X, \i., non simultaneamente pari, in
guisa che la precedente congruenza non risulti soddisfatta (^'. Scelti X, [i
W Se q divide A e C si diano a X, jj. valori non divisibili per q; se poi q
non divide p. e. A, si dia a jj. un valore divisibile per q, a X un valore non di-
visibile. (Cf. DiEiC'HLET- Teoria del numeri, pag. 227, edizione italiana).
542 CAPITOLO XVIII. — §§. 199, 200
in questa guisa, facendo percorrere nell'espressione (8) ad r, s le indi-
q^—l
cate — - — coppie di valori, si avranno tutte le radici di <hci{y) = 0. Ora
prendiamo le forinole di moltiplicazione complessa
^ ((y + s £)w) = F {pu)
essendo F, Fi funzioni razionali della specie descritta. Mutando nella
prima formola w in (n+Si^) u, e nella seconda u in (r+ss)^, deduciamo
F(Fi(^m))=Fi(F(pm)).
2^
Facendo in particolare m = -^ , abbiamo
.(.(.(f)))^.(.(.(f))),
vediamo adunque che l'equazione 6, («/) = 0 è in questo caso un'equazione
Abeliana (con un gruppo di Galois di sostituzioni permutabili) ed è per
ciò risolubile per radicali, come si era asserito.
§. 200.
Equazione algebrica fra fj. , Hi per le funzioni ^
a moltiplicazione complessa.
Nei §§. precedenti abbiamo riguardato le funzioni ellittiche a mol-
tiplicazione complessa come definite dal rapporto t dei periodi, radice
di una forma quadratica (A, B, C), e in particolare, nella risoluzione per
radicali dell'equazione per la divisione dei periodi, abbiamo considerati
come noti gli invarianti f/2,^3. Ora vogliamo occuparci del problema di
determinare gli invarianti g-i, gz, appena sia data la forma (A, B, C) cui
la nostra funzione ellittica
fp {U I 03, w')
EQUAZIONE ALGEBRICA FRA g-i, g^ 543
appartiene. Ricordiamo che, assegnato il rapporto t dei periodi, gli inva-
rianti cjì, ffs sono determinati soltanto a meno delle potenze X^ À*^ di un
fattore di omogeneità X, e però il problema proposto si riduce essen-
zialmente a ricercare il valore corrispondente dell'invariante assoluto
^-27 ^r
Riprendendo le considerazioni alla fine del §. 198, facilmente ve-
diamo che:
Gli invarianti 02, g^ di una funzione ellittica a moltiplicazione com-
plessa sono legati fra loro da un'equazione algebrica
(A) 4>(^2,-3) = 0
a coefficienti interi, dipendente unicamente dal determinante D e dalla
specie della forma (A, B, C), cui pu appartiene.
Nel determinare infatti i valori delle 2 N - 1 costanti a, b nella (5)
noi abbiamo proceduto algebricamente, come se g^, ga fossero arbitrarii.
Ora prendendo quante si vogliano delle seguenti equazioni lineari fra
le a, b, dopo le prime 2N - 1, che ci hanno servito a determinare le a, b
in funzione di (/2,f/3, è certo che esse sono compatibili colle precedenti
per quei particolari valori di g2,gz che appartengono alla nostra pii;
ma è impossibile che ciò accada lasciando g^, gz arbitrarii, altrimenti
la forinola
{pu) "" + «1 {puf-^ + . . . + a.v
s.^ P{bu) =
{pur-'+b,{pur-'+...+b,_r
con £ = i V D 0 £ = — -^ , varrebbe per una pu arbitraria, ciò che è
assurdo.
Dunque nella serie delle dette equazioni hneari ne incontreremo
certamente una (2N)™^ che non sarà più indipendente dalle prime 2N- 1
per f/2,^3 arbitrarii, ed eliminando quindi le 2N— 1 costanti a,b fra
queste equazioni lineari, si avrà appunto, sotto forma di determinante,
l'asserita relazione (A), che potremo liberare dall'irrazionalità i \/D, se
pur la contiene. È manifesto poi che la (A) dipende unicamente dal
determinante D e dalla specie della forma (A, B, C), come porta l'enun-
ciato del teorema.
544 CAPITOLO XVIII. — §§. 200, 201
Ora osserviamo che la relazione (A) fra (j.2, (j^, a causa delle men-
tovate forinole d'omogeneitcà, si può trasformare in un'equazione
(B) F (J) = 0
per l'invariante assoluto J (x), con coefficienti inferi, e di questa equazione
saranno radici tutti gli invarianti assoluti delle funzioni ellittiche pu
a moltiplicazione complessa, corrispondenti a forme quadratiche (A, B, C)
della medesima specie e dello stesso determinante D.
Alla dimostrazione della esistenza della equazione algebrica (Ai, e
conseguentemente della (B), possiamo pervenire anche nel modo seguente
(Halphen 1. e). Sviluppiamo direttamente i due membri della (VI) §. 197
per potenze di u e paragoniamo dalle due parti i coefi&cienti di u^,u*;
abbiamo così le forinole :
r=N— 1
(9)
2o(^^-i)^^=y 2^" VN
28 ' '"' 24 M '^ V N
Sostituendo per p" ( -^^ ) , ^'^' ( ^j;^ J i loro valori
2ròì\ „ „ /2rà)\ 1
6^*^
^ [^^ = ^ P {~1^ - ^9^
^Ny '^vn; 2
ed esprimendo quindi i secondi membri delle (9) razionalmente per
'2w^
„ , , colle formolo ordinarie di moltiplicazione dell'argomento, l'e-
liminazione di p [~T^ I fr^ 1^ (9) porterà ad una relazione (A) fi-a g2,g3,
0 alla (B) per J(r).
§. 201.
Esempì numerici D = 3,D — 2,D = 7.
Prima di procedere allo studio delle proprietà della equazione (B),
cui soddisfano gli invarianti assoluti delle funzioni ellittiche a moltipli-
esempi: D = 3, 2, 7 545
cazione complessa, applichiamo i processi generali esposti ad alcuni casi
particolari più semplici.
In due soli casi il grado N della trasformazione per la moltiplicazione
complessa è semplicemente = 1, e cioè nei casi
D = l , D = 3 ,
corrispondentemente alla unica classe a determinante D = 1
(1, 0, 1)
e all'unica classe di 2.* specie per D = 3
(2,1,2).
Le funzioni p corrispondenti sono la lemniscatica e la equianarmonica,
colle formole rispettive di moltiplicazione complessa
p{in)= - pn
p{zu) = Bptl .
I valori caratteristici degli invarianti sono ^'3 = 0 nel 1.° caso, e g2 = 0
nel 2.° Esaminiamo ora i casi successivi in cui si ha N = 2 , che corri-
spondono unicamente ai valori
D = 2, D = 7,
quando, nel caso D = 7 , si considerino forme di 2.* specie.
1." caso: Sia D = 2. — Qui abbiamo una sola classe di forme, rap-
presentata dalla forma ridotta (1, 0, 2). Le forinole (I) §. 195 diventano
e = iV2 , N = 2.
Per semiperiodo w si può prendere semplicemente (ò = (o' e la for-
mola (VII*) pag. 537 ci darà subito
(10) 6> {lU) = pu -}- '- ,
pU ^3
che scriviamo sotto la forma
f
IO (0
ew = (0 ,
V~2;
ecù'= - 2(1) ,
— = (0
e
= P i^u) =
pU — 'J.
36
546 CAPITOLO XVIII. — §. 201
Per determinare le costanti a, ,3, seguiamo il processo indicato al
§. 198, sostituendo nella (10) gli sviluppi in serie
^'" = ^+ 10 + §"'+245 «'+•••
e paragonando i termini costanti e i coefficienti di it^ dalle due parti
dell' identità
eV (3w) (^^< — a) = phi — a ^w -f p ,
troveremo subito
7^2 ' ^ 20 •
a= z — , p
Il paragone poi dei coefficienti di u^ darà
da cui la relazione algebrica fra g^ , g^
3 o . D 9
Ne deduciamo quindi
J(iV2")=:(|-j.
Si assuma p. e., disponendo del ÌTattore di omogeneità in gì, gz,
g.= 2. 3.5. = 30
^3 = 2^ . 7=28
e si troverà
3 3
ei=lH ^, 62 =1 , C3=-2,
V2 V2
onde la formola di moltiplicazione complessa (10) diventa
(12) _2p(iV2.») = P«+5^.
esempio: D = 7 547
2." caso: D = 7. — Qui si ha una sola classe di 1.* specie ed una
sola di 2.°- specie, rappresentate rispettivamente dalle forme ridotte
(1,0,7), (2,1,4).
Cerchiamo la formola di moltiplicazione complessa della pu corri-
spondente alla seconda forma, dalla quale potremmo poi dedurre quella
relativa alla pu di 1.^ specie con una trasformazione di 2." grado (§. 198).
Le formole fondamentali (I) diventano nel caso attuale:
l+iV7
, . con e = — -—
4
Potremo quindi fare ój = co' e la (VII*) pag. 537 ci darà nuovamente
1 ^
w
e (0 = to+ui'
) s
~ 2"
£(«>'= — 2 w
1 ^
(10) eV (sm) = ^w +
pu — e^
Per determinare i coefficienti e la relazione fra g^ , (jz potremmo pro-
cedere come nel caso precedente; qui preferiamo il calcolo seguente.
Facciamo nella (11) 11 = 0^ e avremo
£^62=61 + 62 — 63,
che combinata coir identità
0 = ei + 62 + «3 ,
e avendo riguardo all'equazione
e' — £ + 2 = 0
cui soddisfa il moltiplicatore, ci dà
63= fi — 2") ^2' ei=f|- — 2Je2
e quindi
onde
g^=4:e,eie3 = {2-=)(e- 4:) et,
9l^ 1 '
548 CAPITOLO XVIII. — §§. 201, 202
quindi
^(-^^-1
A meno di un fattore di omogeneità, possiamo porre
^,= 5.7 = 35 , 5f3= 7^=49;
e allora per le radici e,, e^, e^ avremo:
7 a + 3 7 + iV7 £-4 -7+i\/7
e per la formola di moltiplicazione complessa '^' :
(13) (a — 2)^(em)-^h F '^ ^~^'
2 2^M+4-£
Conformemente ai teoremi generali, vediamo che nella (12) il 2.°
membro è libero dalla irrazionalità 3, laddove nella (13) vi comparisce.
§. 202.
Invarianti delle classi.
Abbiamo veduto al §. 200 che tutti gli invarianti assoluti J delle
funzioni ellittiche a moltiplicazione complessa, corrispondenti alle classi
delle forme quadratiche (A, B, C) del medesimo determinante e della
medesima specie, sono radici di una medesima equazione (B) a coefficienti
interi. Siccome ad ogni classe di forme quadratiche corrisponde un tale
invariante, chiameremo i valori J (ij) , ove Tj sia radice di una forma qua-
dratica (A, B, C), invarianti delle classi e potremo enunciare il teorema:
Gli invarianti delle classi sono numeri algebrici.
Vogliamo stabilire e precisare questo teorema, applicando la teoria
delle equazioni modulari, nella qual cosa ci serviremo nuovamente del-
l'invariante modificato (§. 183)
i(i) = 12^J(t).
(*) Si osservi che si ha
7
(es-Ci) («3- 62) = ^(1-3 3).
INVARIANTI DELLE CLASSI 549
Per questo ci è necessario premettere alcune nozioni sulle equazioni
modulari per y(i), anche pel caso che il grado della trasformazione
d , e
b , a
dato dsi ad~bc = i^, non sia un numero primo. Se eseguiamo sull'argo-
mento t di y(t) tutte le sostituzioni primitive <^^
dz+c
bi+a .
a determinante
ad — 6c = N ,
„ . f'dz-{-c\
i valori distinti che assume
J)T+aJ
sono tutti compresi nella formula
(C) i('^),«a = N,
essendo "j, v, n tre numeri senza divisore comune, tali che wo = N, e v
risultando determinato solo rispetto al modulo n. Il numero 'l(S) di
questi valori distinti (C) , supposto che decomponendo X in fattori primi
si abbia
M _ „«! »,«2 ^ 'Jr
IN Pi Pi . . . Pr t
sarà dato da
(Cf. §. 164). Precisamente come si è fatto nel §. 184, pel caso di N
primo, si dimostra che questi ó (X) valori / sono radici di un'equazione
algebrica (modulare), che indicheremo con
(D) F,(i',i) = 0,
dove F.s è una funzione razionale intera con coefficienti interi e di grado
(}<(N) in /.
(*) In cui cioè a, b, e, d sono primi fra loro.
550 CAPITOLO XIII. — §. 202
Sia ora t^ V indice di una forma quadratica (A, B, C) a determinante
D, di 1.* 0 di 2.* specie. Poniamo, secondo le formolo (III) del §. 196:
(14) b = X A , a^ xB -\- y , d= — icB + ?/ . c= —xQ
"^ =iad — bc = 'Dx^ ^y^,
dove x,y saranno interi primi fra loro se (A, B, C) è di 1.^ specie, o
anche, nel caso che (A, B, C) sia di 2.^ specie, la metà di numeri di-
spari primi fra loro.
Avremo
dro+c
OTo + a
e perciò anche
onde segue che l'equazione modulare (D) è soddisfatta ponendo
dunque: l'invariante di classe ;(to) è radice della equazione
(D*) F^{u,u) = 0,
e poiché questa equazione ha i coefficienti interi, segue nuovamente il
risultato superiore che gli invarianti di classi sono numeri algebrici.
Ma possiamo spingere piiì in là la ricerca e dimostrare che: Gli inva-
rianti j (t) di classi sono numeri interi algebrici ' ^' . Per ciò dimostreremo
che, escluso il caso in cui N sia un quadrato perfetto, caso che possiamo
sempre evitare scegliendo convenientemente nella (14) i numeri x, y:
Il coefficiente della più alta potenza di u nella (D*) è V unità.
Per dimostrarlo osserviamo che si ha identicamente
FK(/,y(t)) = n(/-i(
./CI- + V
(^) Numero intero algebrico è un numero che soddisfa ad un'equazione con
coefficienti interi e il primo eguale all'unità. (Cf. Dedekind Suppl. alla Zahlen-
theorie di Dirichlet).
GLI INVARIANTI DELLE CLASSI COME NUMERI INTERI ALGEBRICI 551
il prodotto del 2." membro essendo esteso ad un sistema completo di
rappresentanti I ' 1 ; ne risulta :
(15) F,(i(x),i(r))=nri(x)-;(^^j .
Ora, sviluppando u=j{t) in serie di potenze di Q = q^=e^'^'^'^, si ha
le a essendo numeri interi. Per ciò la più alta potenza di u nella (D*)
avrà un esponente ed un coefficiente eguali rispettivamente all'esponente
e coefficiente della più alta potenza di Q~', che figura nello sviluppo
per potenze di Q nel 2.° membro della (15). Lo sviluppo di ciascun
fattore
è dato da
0 2~iv/ a 2iciv
Q-'(i + «iQ-f.-.)-Q "e " Vl + «,Q^e«+.
e la più alta potenza di Q~^ che vi figura è la prima se o <in ed ha
coefficiente = 1, mentre quando c^^n (^' questa più alta potenza nega-
3 2 - Z V
tiva di Q è Q **, con coefficiente =-e ^ . Se riuniamo tutti i fat-
tori che si ottengono tenendo fissi o, n e facendo percorrere a v tutti
i suoi valori distinti, cioè un sistema completo di resti (mod n) che siano
primi col massimo comun divisore o di a, 7i, il numero di questi fattori
il
sarà dato da -- 'f (ò), avendo 'f (o) il solito significato aritmetico <^', e
0
il prodotto di questi fattori porterà la potenza - 'f (o) di Q~^ col coef-
0
ficiente
(16) ±e''
Ora si ha S v ^ 0 (mod n), poiché se r indica un numero primo con n,
mentre v percorre i suoi valori, anche rv percorre un sistema completo
<*) Non può essere a = n, altrimenti sarebbe N = 7i^ un quadrato contro la
ipotesi.
(^' Numero dei numeri inferiori a 3 e primi con ò.
552 CAPITOLO XVIII. — §. 202
di resti (mod w) e primi con Z onde, rXv==^lv (mod w) e quindi ap-
punto S v^O (mod n), se w>'2. Che se w = 2, allora > = 1 e il valore (16)
è =±1.
In ogni caso dunque il valore assoluto del coefficiente (16) è l'unità.
L'esponente della potenza di u portata dai fattori corrispondenti a valori
n n
fissi di -3, w è quindi — 'f (ò) o ,r 'f (o), secondo che w^t o o>>w, e per
0 0
ciò l'esponente totale h è dato da:
tanto la prima che la seconda somma essendo estese ai divisori m o a
di N che sono >> V^ . Si conclude quindi : La 'più, alta potenza di u,
che figura nella (D*), ha un esponente h dato da
n
^=2 2 y?(5),
dove n percorre i divisori di N che sono maggiori di yN e o è il massimo
N . . ..
coniun divisore di n, — ; il coefficiente di questa più alta potenza e = ± 1 .
76-
Così adunque è stabilito il teorema enunciato:
Gli invarianti j (i) delle classi sono numeri interi algebrici.
In particolare quando vi ha una sola classe, come nei casi
D = l , D = 2
D = 3 , D = 7,
i valori corrispondenti di ; saranno numeri interi ordinarii. Come con-
ferma, ricordiamo che abbiamo trovato
i(i) =12',;H±^, 0
j (iljl) = 20» , ;• (-ii*^ = -S'. 5» (§. 201),
553
§. 203.
Proprietà delle equazioni irriducibili per gli invarianti delle classi.
Ogni invariante ji di una classe, essendo un numero intero algebrico,
soddisfa ad un'equazione
(E) 9 U) = 0
irriducibile con coefficienti interi ed il primo eguale all' unità. Vogliamo
ora dimostrare il teorema: Tutte le radici della equazione irriducibile (E),
cui soddisfa un invariante jy di classe, sono pure invarianti di classi, del
medesimo determinante e della medesima specie.
Per questo riprendiamo l'equazione (D*)
(D*) F,,. {u, u) = 0
per meglio caratterizzare tutte le sue radici. Se ^« è una radice di (D*)
e si pone
u = j (Ti) ,
l'equazione
F«(i',;(tO) = 0
avrà una radice f=j{^i) e per ciò sarà, per convenienti valori dei nu-
meri 0, n, V (senza divisore comune) :
e quindi
j(^ù'-i(^^).n.^^,
T, = = , ad-oc = N ,
bii+a
essendo a, b, e, d quattro interi senza divisore comune, cioè Ti indice di
una forma quadratica (A, B, C) primitiva.
Ora di qui seguono (§. 196) le relazioni (14) del §. precedente, es-
sendo X, y interi primi fra loro, ovvero la metà di numeri dispari primi
fra loro. Se ne deduce il teorema fondamentale:
Le radici della equazione (D*)
(D*) Fn {u, u) = 0
sono tutti e soli quegli invarianti di classi (A, B, C) di prima specie con
554 CAPITOLO XVIII. — §. 203
determinanti D pei quali è risolubile, in modo proprio, l'equazione
e quegli invarianti di classi di 2." specie con tali determinanti D che sia
solubile l'equazione precedente, ovvero l'altra
4N = Dx^ + t/
in numeri x, y impari primi fra loro.
In altre parole le radici di F^ {u, u) = 0 sono tutti e soli quegli in-
varianti di classi tali che o il grado N sia rappresentabile in modo
proprio dalla forma principale (1, 0, D), ovvero 4N dalla forma stessa
con soluzioni impari.
Sia dunque la (E) l'equazione irriducibile, cui soddisfa un invariante
di classe ji a determinante D. Allora ji è anche radice della equazione
Fd {u, u) = 0 ,
la quale avrà pure tutte le altre radici della equazione irriducibile (E),
onde si vede intanto che: tutte le radici della (E) sono invarianti di
classi. Ma ora dobbiamo di più dimostrare che tutte queste radici sono
invarianti, appartenenti al medesimo determinante ed alla medesima
specie.
Siano j/i , J2 due invarianti di classi, radici della (E), ed apparten-
gano, se è possibile, a determinanti diversi D, Di; sia p. e. D<<Di.
Allora jì non potrà essere di 1.* specie; perchè l'equazione
Fd (il, u) = 0 ,
avendo la radice ji dell'equazione irriducibile (E), ammetterrebbe pure
la J2 G) pel teorema fondamentale, dovrebbe quindi essere solubile in
modo proprio l'equazione
J) = I),x'i-y\
ciò che è assurdo essendo D<CDi '^*- La radice j-z di maggior determi-
nante sarà quindi di 2." specie. Quella ji di minor determinante sarà
invece di 1." specie; perchè se fosse anche ji di 2.* specie, sarebbe D^ — 1
(mod 4) e ji sarebbe radice di
Fd+1 {u, u) = 0
4
(1) Il caso D = 1 naturalmente si esclude perchè allora j\ è razionale = 12^.
PROPRIETÀ DELLA EQUAZIONE IRRIDU(!lBILE PER GLI INVARIANTI ECC. 555
e però anche j^, onde dovrebbe aversi pel teorema fondamentale, in
numeri x, y primi fra loro :
ovvero
D+1 = T),3(?^y\
in quest'ultimo caso con x,y impari e ciò è assurdo, perchè D<[Di e
si suppone Dà^3 '^L
Dunque nelle nostre ipotesi sarà ji di prima, j^ di seconda specie;
e poiché ambedue sono radici di Fu {u, w) = 0, e non è solubile propria-
mente l'equazione
lo sarà, in numeri impari, l'altra
4D =- Di^rH/,
onde deduciamo
D'altronde j^ , quindi jy , è radice di
Fd,.|-i {u, u) = 0
e però è solubile propriamente l'equazione
D,+l
4
onde si trae (perchè Di:^3)
D,+l
= Dx^-ì-y\
4 ^-»'
e, confrontando con a), risulterebbe
(1) Per D = 3 sarebbe j\ = 0.
556 CAPITOLO XVIII. — §. 203
Ma l'equazione
Fd, (.II, m) -= 0
ammette la radice J2, quindi ji, e però è solubile propriamente l'equazione
0
4D- 1 =Dx'+if,
onde seguirebbe x = ±l indi y^^ — 1 (mod 3), ciò che è assurdo.
Così è dimostrato che tutte le radici della (E) appartengono al me-
desimo determinante. Ma anche la loro specie è la stessa; perchè se ji
fosse di l.", J2 di 2.^ specie, essendo ambedue radici di
Fy-i {u, U) = 0 ,
4
sarebbe solubile propriamente l'equazione
D + 1 r» 2 I 2
ciò che è assurdo, essendo D:èij:3.
Dal teorema dimostrato segue che se
fi, fi, U- ■ -fh
sono un sistema completo di forme di egual determinante D e della
medesima specie, i cui indici siano
e i corrispondenti valori degli invarianti delle classi si indicano con
Jl ì ]2 ì Jz ' ' • Jh ,
il polinomio di grado h in ;
(i-ii) U-h)'- • U-jh)
ha coefficienti interi e per primo coefficiente 1. Indicheremo questo
polinomio con R^U) P^r le forme di 1.* specie, e con R'vU) per quelle
di 2.* specie. Così avremo per esempio
HlO•)=i-12^ H, {;)=i-20^
H'3(i)=i , H',(i)=i+3l5l
557
§. 204.
Modo di calcolare i fattori H„, {j) , H',„ {j).
Nel §. precedente abbiamo dimostrato che i polinomii Hd(j), H'd(Ì)
hanno coefficienti interi (il primo = 1 ) ; ma resta a dare un metodo che
serva al calcolo effettivo di questi polinomii. Per questo procediamo,
con Weber, nel modo seguente, che dà nel medesimo tempo una nuova
dimostrazione, per induzione completa, dei risultati sopra ottenuti. Sup-
poniamo adunque di conoscere tutti i polinomii (^'
H«(i) , H'4.-i(i)
per n<im, e di aver verificato che essi hanno tutti coefficienti interi, e
proponiamoci di calcolare
H.(;) , HV.-i(Ì).
Per questo costruiamo l'equazione
(P) Fm {u, m) = 0 ,
le cui radici sono tutti invarianti di classi e precisamente alcune sono
invarianti di 1.^ specie, appartenenti a determinanti n pei quali è so-
lubile propriamente l'equazione
m =^ x^ -{- n'jf .
Il massimo valore che si può dare ad n è appunto m, talché F„, {u, u)
contiene come fattore il polinomio di 1." specie H,„ (7) ed altri HnO)
di 1.* specie con n<^m, e per ciò già noti per ipotesi. Le altre radici
della ((3) saratino invarianti di classi di 2.* specie, appartenenti a deter-
minanti ^n-\ pei quali è solubile l'equazione
Ani =. x'^-[-{An- 1) if
e nuovamente il massimo valore di n è ni, ove x = ±\, y = ±\. Si vede
adunque che F„, {u, u) contiene il fattore
H„, (;•) . HV«-i (i)
(') Si ricordi che i polinomii H'm {j ) di 2» specie esistono solo per m = — 1
(mod 4).
558 CAPITOLO XVIII. — §. 204
e tutte le rimanenti radici appartengono a polinomii
con n<Cm e quindi già noti. Se adunque, coi noti processi razionali,
si libera Fm {u, u) dai fattori multipli e da quelli comuni coi polinomii
UnU), K 4,1^1 (j), già calcolati, si otterrà intanto il prodotto
che avrà coef&cienti razionali. Per separare poi questi due fattori Hm,
H'4m-i, si osservi che l'equazione
F4„,_i {u, u) = 0
ammette il fattore H^h-iO), ma non l'altro Hm 0), giacché l'equazione
4m - 1 = x^-\-mìf
è insolubile '^*. Il massimo comun divisore di F4m_i {ti,u) e del prodotto
Hm (i) . E\m-\{j) è adunque H'4m-i(i), che si può quindi separare ra-
zionalmente. Così, se ammettiamo dimostrato che i polinomii
H„0') , H'4^iO'),
finché n<im, hanno coefficienti razionali, lo stesso vale di HmO) ,
H'4«_i0); e poiché i polinomii
H,C;-) , R\{j) ; H,(i), HUi)
hanno coefficienti razionali (§. 203), lo stesso vale in generale. Che poi
questi coefficienti siano inoltre interi segue da ciò che le loro radici sono
numeri interi algebrici.
Il metodo descritto pel calcolo dei polinomii HmO), H'4,„_i0") ha
un valore soltanto teorico, poiché, anche per valori relativamente piccoli
di m, la funzione Fm{j,j) è complicatissima e i calcoli da eseguirsi sa-
rebbero immensamente laboriosi. Altri metodi si hanno per la costruzione
dei detti polinomii, che sono principalmente fondati suUe proprietà di
funzioni modulari più elevate e delle corrispondenti equazioni modu-
lari; ma noi qui non possiamo occuparcene e rimandiamo alla citata opera
del Weber ed alle memorie di Greenhill.
(*) Altrimenti seguirebbe t/^ = 1 , oc* = — 1 (mod 3).
559
§. 205.
Gli invarianti di classi di 2.=* specie espressi razionalmente
per quelli di 1.^
A fine di poter limitare le ulteriori considerazioni ai polinomii H^ (j)
di 1.* specie e alle corrispondenti equazioni
H.0') = 0 ,
dimostreremo il teorema ' ^' :
Gli invarianti di ^." specie, appartenenti ad un dato determinante m,
sono razionalmente esprimibili per quelli di l."' specie cól medesimo deter-
minante m.
Consideriamo una radice qualsiasi
della equazione Hm(i) = 0, e sia (A, B, C) una corrispondente forma di
1.* specie, dove quindi uno almeno dei due numeri A, C è dispari, po-
niamo p. e. sia A^l (mod 2). Possiamo supporre anche B dispari;
altrimenti colla sostituzione ( ^v ' , ) trasformeremmo (A, B, C) nell'equi-
valente (A, B+A, A+2 B+C), ove il cofficiente medio B+ A sarebbe impari.
Allora, essendo
m = AC — B' = — 1 (mod 4),
sarà necessariamente
C ^ 0 (mod 4) .
Si consideri ora l'equazione modulare di 3.° grado
(17) F2C;-',i((«)) = o,
le cui tre radici in / sono
/^ = J (2co) , /o = ^ [jj , j\ = J (^— pj •
Posto ordinatamente
O , W , (tì+1
aj=2oi, w=— , w= — - — ,
(») Weber l. e. §. 89, pag. 338.
560 CAPITOLO XVIII. — §. 205
l'equazione cui soddisfa 0/ sarà rispettivamente:
Aco' 2 + 4Ba)'+4C=0 perco'=2oì
2Ao)'^+2Ba>' + y =0 „ co' = ~
4Ao/H4(B-A)o/+A-2B + C-=0 „ 0/ = ^^.
Tutte tre le corrispondenti forme
(A,2B,4C) , (2A,B,|^
(4A, 2(B-A) , A — 2B + C)
sono primitive; ma le due estreme sono di 1.* specie, col determinante
4w, la media invece è di 2/ specie col determinante m. Dunque, delle
tre radici della (17), soltanto la media j'^=ji — \ soddisfa anche la
equazione
H'.(/) = 0
e perciò 1 due polinomii
H'.(/) F,0-',i(co))
hanno a comune soltanto il fattore lineare
che si calcolerà quindi razionalmente per i(w). Si avrà così:
(18) ;(|-) = 0O-(«)),
essendo i5 il simbolo di una funzione razionale a coefficienti razionali,
che sarà affatto indipendente dalla particolare radice scelta /(co) della
Hw(m) = 0. Ogni radice j{uì) di H,.,0) = 0, sostituita nella (18), dà quindi
una radice / di Hm {j') = 0 ed ora vogliamo dimostrare che così si ot-
tengono tutte le radici di H'„i (/) = 0, dopo di che sarà dimostrato il
teorema enunciato. Sia j (co') una radice di H'm(i) = 0 e
(2 A, B, 2C)
GLI INVARIANTI DI 2.* SPECIE ESPRESSI PER QUELLI DI 1.* 561
una corrispondente forma primitiva di 2." specie, sicché avremo:
e potremo supporre che sia A dispari (^).
Allora, posto co = 2 co', sarà co radice della forma primitiva di 1.*
specie a determinante m:
Aco2 + 2Bco + 4C = 0 ,
e perciò la radice j{io') di H'^O) = 0 si esprimerà colla (18) per la radice
y((tì)=y(2co') della H„.(i) = 0, e. d. d.
Le varie radici J(co) di HmO') = 0, sostituite in (18), danno tutte e
sole le radici di H'„, (y) = 0; ma vogliamo ora esaminare ulteriormente
la questione se queste radici di H',„ {j) = 0 si troveranno o no ripetute.
Per decidere la cosa osserviamo che, se due radici differenti j (co),
y(coi) di H„i(i) = 0 danno, sostituite nella (18), la medesima radice ^ (co')
di H',„ (j) = 0, dovranno j (w), j (co,) essere ambedue radici della equazione
modulare
F,(/,y(co')) = o.
Ma queste radici sono
(19) i(2.0,>(|^),.-(^).
e si tratta dunque di vedere in primo luogo quali di questi tre valori
sono radici di H^ (j) = 0. Ora, posto successivamente
co co+1
C0 = 2C0 , W=y , C0 = -^— ,
dall'equazione
Aco'24-Bco'+C = 0
si deduce che co sarà rispettivamente radice dell'equazione
Aco2+2Boi+ 4C =0 per co = 2co'
4Aco' + 2Bco4- C =0 „ oj
4 A oj'+ 2 (B-2 A) oì + A-B+C --= 0
2
co'+l
(*) Se A fosse pari, C impari, basterebbe cangiare o/ in ^e se A,C fos-
aero ambedue pari, iu ^ .
S6
562 CAPITOLO XVIII. — §. 205
e le tre forme corrispondenti hanno ancora il determinante m. Di esse
però la prima è certamente primitiva (di 1."' specie), le altre due invece,
come subito vediamo, saranno imprimitive se w^ — 1 (mod 8), primitive
quando m^B (mod 8). E infatti, siccome
4AC-B' = m,
e B^^-fl (mod 8), perchè B è dispari, sarà nel primo caso AC^O
(mod 2) e nel secondo A C :^e^ 1 (mod 2 ) e quindi, essendo A impari,
sarà C pari se w^ — 1 (mod 8), impari se m^^S (mod 8).
Dunque se m^ — 1 (mod 8), dei tre valori (19) solo il primo è radice
di Hm (/) = 0 ed ogni invariante di 2.* specie ne dà uno solo di 1/ specie,
cioè: Se m^ — 1 (mod 8) gli invarianti di 1.'* specie si esprimono ra-
zionalmente per quelli di ^."
Nel caso m^3 (mod 8) tutti tre i valori (19) sono invarianti di
1.* specie e rimane soltanto da vedere se sono differenti o no, se cioè
fra i tre valori
, o/ to'+l
/
ve ne sono due equivalenti. Basterà esaminare se i due primi 2 oi , — -
possono essere equivalenti, gli altri casi riducendosi a questo col can-
giare o/ in o/+l, ovvero in , . Supponiamo dunque che sia
0)
2 o/ =
con a, |3, Y, o interi e aò - jj-,- = 1 ; avremo
2yco'2+(4ò -7.) co' — 2 ;? = 0 ,
che, paragonata con
Ao/M-Bto'-fC = 0,
dà
2Y = rrA , 45-a = a;B, -2p = JcC,
dove X sarà un intero (perchè A, B, C non hanno divisor comune) evi-
GLI INVARIANTI DI 2/ SPECIE ESPRESSI PER QUELLI DI 1.'' 5G3
dentemente pari; e se poniamo
sarà pure y un intero pari e dalle forinole
2y.=y-^X , 2[-i=-Gx, 2'i =^ kx , 85 = ^+Ba;
si trae
16 (a5 - 15y) = 16 = y'^+mx'^ ,
equazione solubile soltanto per m = 3. In questo caso i tre valori
, co OJ + 1
sono fra loro equivalenti.
Vediamo dunque che se w;;^3 Cmod 8), e non è m = 3, le radici j (w)
dì Hm(i) = 0, sostituite nella (18), danno tre atre la medesima radice
di H',„ (j). Se si indica quindi con h il numero delle classi delle forme
primitive di L^ specie a determinante m, con // quello delle classi di 2.*
specie, si avrà
h' = il per m^ — 1 (mod 8)
h
il = — per in ^ 3 (mod 8) ,
o
eccettuato m = 3 ove nuovamente h' = h '^L
Capitolo XIX.
Composizione delle forme quadratiche e gruppo di Galois per l'equazione degli
invarianti delle classi.
§. 206.
Composizione delle forme quadratiche secondo Gauss.
Nella ricerca degli invarianti assoluti delle classi tutto si riduce,
per quanto sopra si è visto, allo studio deiroquazione
(1) H,(i) = 0,
(') Dirichlet-Dedekind. Zahlentheorie, §.97 e Supplemento X."
564 CAPITOLO XIX. — §. 206
le cui radici sono gli invarianti appartenenti alle classi di 1.* specie a
determinante D. Secondo un teorema enunciato da Abel'^', l'equazione
(1), che ha per radici gli invarianti delle classi, è un'equazione riso-
lubile per radicali. Il gruppo di Galois per quest'equazione, quando al
campo assoluto di razionalità si aggiunga il radicale quadratico i \JD ,
è un gruppo Abeliano (di sostituzioni permutabili); esso coincide (è oloe-
dricamente isomorfo) col gruppo di composizione, secondo Gauss, delle
forme quadratiche di l.'* specie a determinante D. Così la teoria della
composizione delle forme, data da Gauss nelle Disquisitiones arithmeticae,
contiene già tutti gli elementi necessarii per la conoscenza delle equa-
zioni per gli invarianti delle classi, dal punto di vista della teoria di
Galois.
Noi ci proponiamo qui, come ultima ricerca, di stabilire le enunciate
proprietà, il che ci obbliga a riassumere brevemente la teoria della com-
posizione delle forme quadratiche, rimandando per maggiori notizie al
X.° Supplemento dell'opera di Dirichlet-Dedekind e alle lezioni litografate
di Klein (^', alle quali ci atteniamo nell'esposizione seguente. Conside-
riamo una forma quadratica
(a, h, e) ,
che supporremo senz'altro primitiva di 1.* specie. Essa determina una
classe di funzioni ellittiche, nelle quali il rapporto i dei periodi è dato da
_(«)'_ —b+i v'D
iù a
e 1 periodi 2a), 2 to' sono determinati a meno di un fattor comune di
proporzionalità. Consideriamo i vertici della rete parallelogrammica ap-
partenente alla p{u\(ù,(ù'), che sono nei punti
(2) u = 2oì.x -{- 2itì'y ,
percorrendo x, y tutti i valori interi.
L'insieme di tutti questi punti si dirà il reticolo appartenente alla
forma {a, h, e); esso sarà determinato solo a meno di una rotazione
attorno all'origine e di un'omotetia rispetto all'origine stessa. Per fissare
le idee prendiamo _
- b+i v^D
2 (0 = \' a , 2 tó' =
\ a
W L'enunciato d'Abel si riferisce naturalmente ai moduli k^ di Legendre.
(2) Ausgewahlte Kapitel der Zahlentheorie (Gottingen 1896).
COMPOSIZIONE DEI RETICOLI 565
e il reticolo consterà allora dei punti
ro\ UT ^ I —i+i\'^
(3) M= \ a x-\ :;^ — y .
Da considerazioni già svolte in altra occasione (Vedi Gap. II, §.23
e Gap. Vili, §. 95) risulta il teorema: Se due forme quadratiche primitive
{a, h, e) , {a', h', e) hanno il medesimo reticolo, ovvero reticoli che si cangiano
l'uno nelV altro per rotazione ed omotetia rispetto all'origine, esse sono
equivalenti.
Veniamo ora all'oggetto proprio di questo §., cioè alla composizione
dei reticoli e delle forme. Siano {a, b, e), {a', b', e) due forme quadratiche
primitive di 1.* specie e di egual determinante D, e si considerino • i
rispettivi reticoli
n/r /- , ~b + Ì\JD
y
\J a
M = V « a;' -1 ^^^— 2/ .
Facciamo tutti i possibili prodotti M M' di un numero del primo
reticolo per un numero del secondo e addizioniamo quanti si vogliano
di questi prodotti, moltiplicati per numeri interi arbitrari!. Dimostreremo
che i numeri così ottenuti sono tutti e soli i vertici di un terso reticolo, appar-
tenente ad una terza forma quadratica a determinante D. Il terzo reticolo
si dirà il reticolo composto dei due e la terza forma si dirà composta
delle due {a, b, e), {a, b\ e'). Già prima di eseguire il nostro calcolo os-
serviamo che, siccome a forme equivalenti appartiene il medesimo reti-
colo e inversamente, si avrà senz'altro il teorema : La classe della forma
composta dipende unicamente dalle classi delle due forme componenti.
Per dimostrare ora il teorema fondamentale cominciamo dal prendere
due forme dalle rispettive classi delle due forme date, che abbiano i
primi coefficienti a, a' primi fra loro ed eguale coefficiente medio b' = b,
ciò che vediamo subito esser sempre possibile. E infatti possiamo intanto
supporre che i due primi coefficienti a, a siano primi fra loro, poiché
ad ogni forma primitiva possiamo sostituirne una equivalente il cui primo
coefficiente sia primo col numero che più ci piace (^'. Ed ora mediante
(M Cf. Dirichlet-Dedbkind, §.93.
566 CAPITOLO XIX. — §. 206
le sostituzioni rispettive
.0, ly ' \o, \j
si traducano le forme
(a, 6, e) , {a, h\ e)
nelle equivalenti
{a, b+am, c+2bm+am^)
(a, b'+a'n, c+2b'n+a'n^)
e si determinino i numeri interi m, n in guisa che risulti
6 + aw = b'-{-a n,
cioè
am—a'n = b' -b ,
il che è sempre possibile, essendo a, a primi fra loro. Otterremo così
due forme equivalenti alle primitive
/", = (a, b, e) , /; = (a', b, e')
in cui a, a saranno primi fra loro e il coef&ciente medio b sarà il mede-
simo. Si osservi ora che, il determinante D essendo il medesimo, si ha
ac = de
e poiché a, a sono primi fra loro avremo
e = a' C , e' = a C ,
essendo C un conveniente terzo numero. Le due forme saranno quindi
(4) fy = (a, b, a C) , {-2 = («', b, aC).
Come si è visto, in due classi qualunque possiamo scegliere due tali
forme (4) in cui a, a siano primi fra loro. Ma per le applicazioni che
dovremo farne fra breve converrà che consideriamo il caso più generale
in cui nelle forme (4) si supponga soltanto che i tre numeri
a , a . 2 ì)
non abbiano alcun divisore comune. Se questa condizione è soddisfatta,
le due forme (4) si diranno concordanti.
COMPOSIZIONE DELLE FORME 567
Ora sì prendano due numeri dei corrispondenti reticoli
Mi = Va X -\ — ^— y
Va
M2 = Va ^ H -e— / ;
Va'
moltiplicandoli fra loro troviamo, a causa della formola
aa'C — 6' = D:
(5) MiM2 = Vo^ {xx' — Gijy) + ~^"^^ {axy+a'xy~2byy') .
Vaa'
Questi prodotti Mi Mg , e quindi anche la somma di quanti si vogliano
di essi, sono numeri del terzo reticolo
(6) M, = V^'X+=*±^Y,
y/aa'
appartenente alla forma
fz = (a a, b, C) ,
che è ancora a determinante D e primitiva di 1.* specie, come fi , f^-
Ma vogliamo di più diihostrai'e che coi prodotti (5) e colle loro somme
si ottengono tutti i numeri del terzo reticolo (6).
Basterà per ciò constatare che si possono ottenere nel detto modo
i due numeri fondamentali del terzo reticolo
y/aa' ,
-b+i\D
yjaa
Quanto al primo si ottiene subito come prodotto di Mi = \j a per Mj = \J a \
se facciamo poi
Mi == \la , Mi = ^^—
Va
T»«- A/"T UT/ —b + iy/l)
Ma = Va . M 2 = -^ — ,
v«
568 CAPITOLO XIX. — §§. 206, 207
abbiamo _ _
MiM2= — . a , M2M'i= — ~~ a
Vaa'
che sono numeri formati dai due reticoli nel modo prescritto, ed ora,
indicando con
m , n , p
tre interi qualunque, sarà pure uno dei detti numeri:
mMiM'^ 4- nM\M,—p iM.\M\ + CMjM^) = ~^t!^^ (am+a'n+2 hp)
\Jaa'
ed, essendo a, a, 2h primi fra loro, potremo rendere
am -\- a n -\- 2bp ^ l ,
il che dimostra quanto volevamo. Così abbiamo stabilito il teorema fon-
damentale della composizione delle forme e ritrovata la regola seguente:
Per comporre due classi K, K' di forme (primitive di 1." specie) di
egiial determinante, si scelgano dalle due classi due forme concordanti
{a , b , aC) , {a' , b , aC),
nelle quali a, a , 2 b siano primi fra loro, e la forma composta sarà
{ad , b , C) .
Denoteremo la classe composta K" col simbolo
K" = KK',
come prodotto delle due classi componenti, ove Perdine dei fattori sarà
naturalmente indifferente.
§. 207.
Gruppo di composizione delle forme.
Consideriamo tutte le classi di forme primitive di l."" specie di un
dato determinante D; se /^ è il loro numero, indichiamo queste ìi classi
COMPOSIZIONE DELLE CLASSI 569
distinte con
(7) Ki , K2 , K3 . . . . K, .
Componiamo le h classi di questo sistema completo con una qualunque
di esse, presa ad arbitrio, K, . Le h classi composte
(8) KiK,, K2K,, ...K;,K,
si troveranno certamente fra le (7) e siccome, come ora dimostreremo,
nessuna classe è ripetuta nel sistema (8), così le (8) saranno, in altro
ordine, le (7) stesse, sicché la composizione di tutte le classi con una
determinata K, dà luogo ad una sostituzione fra le h classi, che indi-
cheremo con s,.
Per dimostrare la nostra asse'-zione facciamo le due seguenti os-
servazioni :
1.* Sia Ki la classe principale, contenente cioè la forma principale
(1, 0, D). Questa forma principale, composta con ogni altra forma {a, h, e),
dà la forma {a, h, e) stessa. E infatti la forma (1, 0, D) è equivalente
alla forma (1, &, ac), che è concordante con {a, b, e), e composta con essa,
secondo la regola del §. 206, dà appunto (a, h, e). Per ciò la classe prin-
cipale Ki si indicherà anche col simbolo 1 .
2.* Sia (a, b, e) una forma qualunque e si consideri la sua opposta
(a, - b, e), che mediante la sostituzione l ' j si traduce nella equiva-
lente (e, b, a). Possiamo sempre supporre che a, e, siano primi fra loro,
altrimenti ci ridurremo a questo caso trasportando (a, b, e) mediante una
sostituzione f ' j in una forma equivalente
(a, b+am , c+2bm+am^ ,
e prendendo m primo col massimo comun divisore di a, e. Allora le due
forme
(a, b, e) , (e, b, a)
sono concordanti e composte danno la classe principale
(ac, b, 1) = (1, -b, ac) = (l, 0, D) .
Dunque: Ogni classe K composta colla sua opposta K' dà la classe
principale 1.
570 CAPITOLO XIX. — §, 207
Ciò premesso, se si avessero due classi eguali nella serie (8), p. e,
K,j Kj = Kfc K, ,
componendo colla opposta K'j di K, risulterebbe Ka = Kj .
Ad ogni classe K,, adoperata come classe moltiplicatrice di tutte le
classi (7), corrisponde adunque una sostituzione s, sulle classi stesse,
ed è chiaro che ad una classe composta
K, K,
corrisponde la sostituzione prodotto
Si Sj
e alla classe opposta Kr' di K, la sostituzione inversa sr\ sicché se K,-
è diversa da K; anche 5, è diversa da Sj.
Così adunque: Le h sostituzioni sulle classi
Si = 1 , §2 , S3 . . . Sji
formano un gruppo d'ordine h di sostituzioni permutaMli sulle h classi.
Questo è evidentemente un gruppo Abeliano semplicemente transitivo
sulle h classi; esso dicesi il gruppo di composizione delle forme.
Diremo periodo di una classe K il minimo esponente positivo ^, a
cui bisogna elevare la classe per ottenere la classe principale 1. Evi-
dentemente sarà allora K^ , 0 K~\ la classe opposta di K.
Meritano particolare menzione quelle classi che coincidono colle proprie
opposte, che sono cioè a periodo 2; esse diconsi, secondo Gauss, classi
ancipiti 0 ambigue. Se (a, h, e) è una forma ancipite, equivalente cioè ad
(a, -h.c), i due indici equivalenti ^^ — , ^ — sono simmetrici
a a
rispetto all'asse immaginario e per ciò, supposta la forma ridotta, il
suo indice sarà sul contorno del triangolo fondamentale, onde si vede
che sussiste il teorema: Gli invarianti delle classi ancipiti e questi soltanto
sono reali.
Essendo il gruppo di composizione un gruppo Abeliano, potremo
scegliere fra le h classi un certo numero r di classi fondamentali
GRUPPO DI COMPOSIZIONE DELLE FORME 571
per formare una base del gruppo'^' e se
sono i rispettivi periodi di ^i , 1*2 . . • h , tutte le h forme saranno date
dalle espressioni
(a) k't' Jc^' . . . /S;^
7.1 = 0, 1, 2, ...pi-l
a,= 0, 1, 2, ...P2-I
ar=0, 1, 2, ...p,-l,
né alcuna forma si troverà così ripetuta, sicché sarà
Una forma («) sarà ancipite se sussisteranno le congruenze
2 7-1 E^ 0 (mod pi) , 2 7-2^0 (mod I32) . . . 2 7^ ^ 0 (mod p,) ;
e poiché se p. e. Pi è impari, ne risulta cti^O (mod PO, mentre se pi
é pari vi è l'altra soluzione ^ , vediamo che il numero delle classi an-
cipiti è dato da 2" (^', essendo n il numero dei periodi fondamentali
Pi , p2 . . . pi- che sono pari.
§. 208.
Teoremi vari sulla composizione delle forme.
Prima di applicare la teoria della composizione delle forme all'equa-
zione degli invarianti delle classi, conviene che dimostriamo ancora alcuni
teoremi relativi alla composizione, in primo luogo il seguente:
Ogni forma (A, B, C) si può ottenere come risidtato di composizione
di successive forme
ip,h,c) , {p\h\c') , {p",h",c")...,
i cui primi coefficienti p, p , p". . . sono numeri primi (^'.
(') Vedi Teoria dei gruppi.
(^) Naturalmente è qui computata fra le classi ancipiti anche la principale
(a periodo 1).
(3) Un teorema molto più generale, la cui dimostrazione è do^oita a Weber,
assicura che in ogni classe primitiva di 1.^ specie vi sono infinite forme il cui
primo coefficiente è un numero primo, che cioè fra i numeri rappresentabili da
una tale forma ve ne sono infiniti primi. Ma la dimostrazione di questo teore-
rema è assai riposta ; per le applicazioni attuali basta la proposizione del testo.
572 CAPITOLO XIX. — §. 208
Prendiamo la forma (A, B, C) in guisa che il primo coefficiente sia
dispari e primo con D e sia j) un fattore primo di A, che, non dividendo D,
non dividerà nemmeno B. Ora le due forme primitive di 1.* specie a
determinante D
sono evidentemente concordanti e, composte fra loro, danno appunto
(A,B,C) = (i>,B. ^j. (|.B, Ci)).
Similmente, se p' è un divisore primo di — , avremo
|.B,C,) = (/,B,^j(A,,B,C„').
Così continuando, vediamo che, se si scinde A nei suoi fattori primi
P, p\ p"- • • diversi od eguali
A' //
= PP p ... ,
la forma (A, B, C) si otterrà componendo le successive
- T, AC\ / , ^ AC\ f „ ^ AC
ciò che dimostra il teorema
Consideriamo ora in particolare una forma
P = (p, l, e) ,
il cui primo coefficiente p sia un numero primo dispari che non divida D,
del quale quindi - D sarà residuo quadratico, a causa di
pc-ly = D ,
e sia (3 il periodo della classe P. Alla forma (jp, ò, e) possiamo sostituirne
una equivalente {p, B, C), in cui sia
B = 6 (mod;;) , B'=— D (mod^)?).
Come si sa '^) , essendo i I = +1, la seconda congruenza è sempre
(^) DiEiCHLET. Zahkntheoi'ie, §.35.
TEOREMI SULLA COMPOSIZIONE DELLE FORME 573
solubile ed ha due radici opposte incongrue (raod^;) ed una di esse è
appunto ^6 (mod|>). Se poniamo
avremo
P = {p, B, Ci^p-i) .
Essendo p primo con 2B, potremo comporre la classe P con sé stessa
ed avremo
Similmente
p3 =(/, B, Cp^-B)
Pp-i= (^^-1, B, Cp)
n ={pK B, C);
e poiché per ipotesi P? è la minima potenza di P che coincide colla
classe principale (1, 0, D), se ne conclude che la potenza p? dì p è rap-
presentabile dalla forma principale
a^ + Dtf
ed é la minima per la quale ciò accade.
Dunque: Se p è lin numero primo non divisore di 2T) e tale che
-D
+ 1, esiste una minima potenza p^ di p per la quale è risolubile
l'equazione
p^ = x^-^-T)y^;
qu£sto esponente p è anche il periodo delle due classi opposte rappresentate
da forme P col primo coefficiente =p.
§. 209.
Trasformazione degli invarianti delle classi.
Dopo queste necessarie preparazioni, veniamo ad un'altra parte della
ricerca che utilizza le proprietà delle equazioni modulari, esaminando
Vefifetto della trasformazione sugli invarianti di classi.
574 CAPITOLO XIX. — §. 209
Introduciamo per ciò un'opportuna notazione abbreviata, che ci sarà
molto utile. Essendo
Ki , K^ , . . . K;,
un sistema completo di classi, o di forme loro rappresentanti, a deter-
minante D e primitive di 1.* specie, indichiamo i corrispondenti valori
degli invarianti di classi con
(9) Ìk, , ÌK3 , . . . Ìk/, ,
ciò che si potrà fare senza alcuna ambiguità, la classe determinando
completamente il corrispondente valore dell'invariante e reciprocamente.
Gli h valori (9) saranno allora tutte e sole le radici dell'equazione
(10) H,(i) = 0.
Prendiamo ad arbitrio una classe K e la corrispondente radice j^
della (10) e indichiamo con /> un numero primo che non divida D e di
cui — D sia residuo quadratico. Come è ben noto, e dimostrabile elemen-
tarmente, vi sono infiniti numeri primi di questa specie ^^K
Scegliamo la forma (A, B, C) rappresentante della classe K in guisa
che i coefl&cienti estremi A, C siano ambedue divisibili per p, ciò che
facilmente si vede esser sempre possibile '^'. Essendo ora w l'indice
della forma (A, B, C), cioè
A(D^+2Bco + C = 0,
W La proprietà enunciata nel testo equivale a dire che se nell'espressione
x^ -\-T> si fanno percorrere a x gli infiniti numeri interi primi con D, i numeri
ottenuti offriranno una serie illimitata di divisori primi. Ciò si dimostra subito
osservando che se 2^iì P2J P' ^ ^^^ ^^^'^^ finita di numeri primi, non divi-
sori di D, e si pone 5e=i?i P2 P'- V con y intero, il numero JC^-f- D ha i suoi
divisori primi fuori di Pi, p^. ■ ■ ■ .p< •
<2) In primo luogo, se A non è già divisibile per p, trasformando (A, B, C)
colla sostituzione \ ^ i\ , il nuovo coefficiente A è dato da
AG'2+2Bcz-( + Cf ,
e possiamo sempre prendere c(, y primi fra loro in guisa che risulti
A rji + 2 B Gt 7 + C -,'2 = 0 (mod p) ,
cioè
(A a + B 7)2 = — Df (mod p) .
TRASFORMAZIONE DEGLI INVARIANTI 575
assoggettiamo rinvariante^ («>) =:Jk alla trasformazione d'ordine j) e, con-
siderando la corrispondente equazione modulare
(11) F,(/,i(co)) = F,(/,yK)-^0,
esaminiamo se la (11) ha railici comuni colla (10), e quali. Per ciò ricor-
diamo che le radici della (11) sono
percorrendo V un sistema completo di resti (modj9). Ora, posto succes-
sivamente
tó + y
0) = w IO , co = ,
p
vediamo che nel primo caso w' soddisfa all'equazione
(12) - to"^ + 2B(o'-f Ci? = 0,
mentre nell'altro si ha:
A/.(o'^ + 2i)(B-Av)a>'4-(Av2-2Bv+C) = 0.
Essendo v una radice di v^ ^ — D (mod j^), basta porre infatti a = ji y ® ^^'
terminare ji da
A (JL 4- B = + V (mod p).
Supposto ora A=p'' A' e A' non divisibile per p, alla forma
(A,B,C)
se ne può sostituire una equivalente
(A,B + XA,C'),
determinando X in guisa che sia
(B -1- >. A)2 = (B + Ip'- A')2 = B2 + 2 B Ip' A' s- D (mod p'-+^) ,
per il che essendo
B2 4-D = AC=p'- AC,
basterà prendere X in guisa che si abbia
2BX=-C(mod p) .
Ma allora, poiché AC— (B + XA)2=D, sarà AC divisibile per p^+^ e perciò
C per p, come si voleva.
576 CAPITOLO XIX. — §. 209
Quando v è diflferente da zero (raod p) i tre coefficienti
kp^ , 2i)(B-Av) , Av2-2Bv + C
sono primi fra loro e quindi le radici
sono bensì invarianti di classi, ma col determinante D^^ e non soddi-
sfano per ciò la (10). Quando invece v = 0, si ha
A»(o'«+2Bw' + - = 0
e tanto la forma
(f B , Cp) ,
corrispondente alla (12), come la f A^ , B , — j corrispondente alla pre-
cedente, sono primitive di 1.* specie a determinante D. Dunque si con-
clude che: La (11) ha a comune colla (10) soltanto le due radici
f„^JÌP^) , -^''^^{^J '
Conviene ora vedere quali sono le classi K,-, Kr indici di queste due
radici. Per ciò si osservi che posto
si ha (§. 208)
(^p,B, ^ = ^,B,^y (A,B,C),
cioè la classe di ( kp, B, — i è la classe composta PK, sicché j'^ = Ìpk •
f k \
D'altronde l'altra forma f — , B , C^? ) è equivalente a
(c,.-B,A),
TRASFORMAZIONE DEGLI INVARIANTI DI CLASSI 577
che si compone delle due
T-'=(p, -B, ^) , K = (A,B,C)
e perciò j'^ =ip-i k .
Abbiamo dunque il teorema : Se si trasforma un invariante j^. di una
classe K (primitiva di i." specie) a determinante D mediante una trasfor-
mazione di grado primo p non divisore di D, e di cui - D sia residuo
quadratico, l'equazione modulare (11)
ha due sole radici comuni colla (10)
H.(/) = 0,
e queste sono gli invarianti di classi
JPK , ÌP-iK,
essendo P, P~^ le due classi opposte rappresentate da forme con primo
coefficiente p.
Ora si hanno due casi essenzialmente diversi, secondo che la classe P
è ancipite o no, secondo che cioè il periodo di P è =2 ovvero >-2.
i." caso: Nel 1.° caso è P = P~^ e le due radici jpk,Jp-^k coincidono
in un'unica radice doppia della (11), che è invece radice semplice della
(10). Il massimo comun divisore dei primi membri delle (10), (11) è
e, calcolandolo coi processi di ordinaria divisione, si otterrà jVk in funzione
razionale fijk) di j^ a coefficienti interi; questa funzione razionale f
dipenderà unicamente dal numero primo p, cioè dalla classe P e nulla
affatto dalla classe K, i calcoli indicati eseguendosi sulle (10), (11) ri-
guardando in quest'ultima Jk come un parametro. Denoteremo per ciò
la funzione razionale f con fy sicché avremo
(13) j,K = fv{JK),
e questa relazione varrà qualunque sia la classe K. Abbiamo dunque il
teorema :
37
578 CAPITOLO XIX. — §. 209
SeV è una classe a periodo 2 (ancipite) (ed esiste un numero primo p
rappresentabile dalla forma P '^*), preso l'invariante Jk di una qualunque
classe K, l'invariante jp^ della classe composta PK è esprimihile razio-
nalmente per /k mediante la (13), la fp avendo coefficienti interi e dipen-
dendo unicamente dalla classe P.
2° caso: La P sia una classe non ancipite. Allora le due radici
JPK , Ìp-ik ,
che la (10) ha a comune colla (11), sono distinte e il massimo comun
divisore dei due primi membri, che calcoliamo nuovamente in modo
razionale per j^, è il polinomio di 2.o grado
p — (Ìp k + ÌP-i K ) i ' r Ìp K . ÌP-i K ,
onde vediamo che in questo caso potremo scrivere dapprima soltanto
l Ìpk -l-;p-iK= /"i. Ok)
(14)
( Ìpk . ?p-ik=Fp(;k) ,
indicando nuovamente f^ , Fp funzioni razionali di Jk con coefficienti interi
e dipendenti unicamente dalla classe P, non da K.
Si tratta ora di separare le due radici e ottenere p. e. >« in funzione
razionale di Jk- Ciò è sempre possibile, come dimostreremo; però la
nuova funzione razionale di À- che eguaglia > k non avrà più coefficienti
razionali, ma conterrà invece nei coefficienti l'irrazionalità i\/I), talché
potremo scrivere
(15) ;PK--='fplÌK, n D),
la funzione razionale z^, dei due argomenti j^, i \D avendo coefficienti
interi e dipendendo ancora unicamente dalla forma componente P, non
dalla K.
Nella dimostrazione di quest'importante risultato, cioè della formola
(lo), consiste l'ultimo passo che ci resta a fare per condurre a termine
la nostra ricerca.
Un primo metodo per stabilire il teorema enunciato si fonda sulle
proprietà delle così detta equazioni del moltiplicatore (^); ma non avendo
(') Quest' ultima condizione non è veramente necessaria, trovandosi sempre
soddisfatta pel teorema di Dikichlet (Cf. sopra).
(2) Cf. Weber Le; Pick, Math. Annalen 25; Klein l.c.
GRUPPO dell'equazione PER LA DIVISIONE DEI PERIODI 579
noi potuto trattare nel presente corso di queste speciali equazioni
(risolventi dell'equazione per la divisione dei periodi), non possiamo se-
guire questa via.
Un secondo metodo, dato da Sylow '^^ pel caso del modulo Z;^ e che
utilizza le proprietà delle equazioni modulari e quelle proprie della
moltiplicazione complessa, conduce pure, per via molto naturale, al
risultato stesso ed è appunto il metodo che qui adotteremo.
' §. 210.
Ritorno all'equazione per la divisione dei periodi
e determinazione del suo gruppo.
Ci conviene per ciò ritornare all'equazione per la divisione dei periodi
della generale funzione ellittica pu in p parti eguali {p numero primo)
per determinarne il gruppo di monodromia rispetto ai parametri g^, ga
e il gruppo algebrico, quando al campo naturale di razionalità (dei nu-
meri razionali) si aggiungano le indeterminate g2, ffs '^'.
Ricordiamo che le —— — radici
(16) yr,s = P[^ —
dell'equazione
(17) '^p(y) = 0
per la divisione dei periodi si ottengono facendo percorrere agli indici
(r,s) la metà di un sistema completo di p^ — l coppie (mod^), esclusa
la coppia (0, 0), sicché queste coppie (r, s) insieme colle opposte (-r, ~s),
che danno la medesima radice g,-,:, percorrano il detto sistema completo,
esclusa la coppia (0, 0) (Cf. §§. 114, 115). Per ciò gli indici r, s nella (16)
si intendono presi (raod p) e si riguardano come identiche le coppie
opposte.
(1) Journal de Mathém. 1887.
(2) Alla dimostrazione del teorema enunciato nella formola (15) non sono
propriamente indispensabili le ricerche di questo e del seguente §., ma soltanto
le considerazioni alla fine del §. 212 ; lo studio generale del detto gruppo e del
suo abbassamento nel caso particolare della moltiplicazione complessa fa però
meglio intendere la ragione del risultato espresso nella (15).
580 CAPITOLO XIX. — §. 210
Per determinare il gruppo Y di monodromia della (17) dobbiamo far
descrivere ai parametri ^2,^3, nei loro rispettivi piani complessi, cammini
chiusi ed esaminare la sostituzione indotta sulle radici ?/,-,s. Ma, quando
92 , 9z riprendono i medesimi valori, i periodi 2 w, 2 w' subiscono una
sostituzione
/a co + ,30/ , Y03 + 5ci/\
a coefficienti interi e a determinante 1, e per ciò
/2r(o + 2so/^
y-"-i'[^ — j
si cangia in
2 r (a oj + Ti 0/) -f 2 0' ( y oj + 5 ia')
P
cioè gli indici r, s' subiscono (mod ^;) la sostituzione
( / ^ a «- -I- Y s
(18) ] ' (modi?) , ao-i37 = l (mod^?)
e dando nella (18) ad a, ['■', 7, ò tutti i possibili valori {mod p), che sod-
disfano alla condizione
ao -pY ^^ 1 (mod^) ,
col prescindere inoltre da un cangiamento simultaneo di segno in a, 13, y, 5,
si avrà il gruppo Y di monodromia, che consta evidentemente di
Ì'(/-l) -■- • •
— ^-r sostituzioni.
Per determinare il gruppo algebrico G, ci fondiamo sulla nota pro-
prietà che G deve contenere il gruppo di monodromia come sottogruppo
invariante. Ogni sostituzione di G deve dunque trasformare Y in sé stesso
e quindi ogni sottogruppo ciclico d'ordine p in Y in un altro ta^.e sot-
togruppo.
7)2 1
Ma poiché la più alta potenza di p che divide l'ordine p — - — di F
è appunto p, tutti questi sottogruppi ciclici d'ordine p, per un corollario
del teorema di Sylow, sono fra loro affini, cioè nascono tutti da uno di
essi trasformando questo con una sostituzione di Y. Se g è una sosti-
tuzione qualunque di G che trasformi uno dei detti sottogruppi Hi in
GRUPPO ALGEBRICO DELLA EQUAZIONE PER LA DIVISIONE DEI PERIODI 581
un altro H.2 , combinando g con una conveniente 7 di Y, avremo una nuova
sostituzione g =g'[ di G (equivalente a^y rispetto a F) che trasformerà Hi
in sé medesimo. Per sottogruppo ciclico Hi d'ordine -p prendiamo quello
generato dalla seguente sostituzione U di F
( /e^ r+5
U) ,
f S E£^ 5,
e basterà limitarsi a cercare quelle sostituzioni di G che trasformano U
in una sua potenza. Ora si osservi che la sostituzione U e le sue po-
tenze sono caratterizzate da ciò che sono le uniche sostituzioni di F per
le quali le singole radici
(19) 2/10, «/20 . . . 2//'-i.o
restano fisse '^'. Tutte le sostituzioni di F della forma
(20) , 7.0 = 1
( s'= §s
permutano le radici (19) fra loro e per ciò trasformano U in una potenza
»- 1
di U. Se decomponiamo U nei suoi cicli, abbiamo i ~^ cicli
(J/OjS ) .V^lS , y-li-ìS • . . ?/(/,_l)S,6J J s 1,2,.... - ,
e con una conveniente sostituzione (20) di F portiamo le lettere di un
ciclo in quelle di un altro ciclo arbitrario.
Ciò premesso, sia g' una sostituzione di G che trasformi U in una
sua potenza e però le lettere di un ciclo in quelle di un altro ciclo.
Combinando g con una sostituzione (20) di F, potremo cangiare g in
una equivalente di G che trasformerà ancora U in una sua potenza, in
guisa da cangiare p. e. il primo ciclo
(2/01 «/il 2/21 .. . Vv-x.ò
(*) Una sostituzione di T che lasci fissa y^^ ha necessariamente la forma
( r' = ?' -|- Y ^
\ ^^ s
e coincide per ciò con U'.
582 CAPITOLO XIX. — §. 210
in una sua potenza. Di più, combinando la g con una conveniente potenza
di U stessa, potremo sostituire una g equivalente che lasci fissa yoi- Ma
allora, avendosi per le formolo di moltiplicazione dell'argomento
(a) yos = fi:yoi),
dove f è razionale in ?/oi, con coefficienti razionali in g2,g3, e qualunque
sostituzione g del gruppo di Galois essendo permessa in una tale re-
lazione razionale, segue che la nostra sostituzione g lascierà fissa ogni
radice
Supposto che la g trasformi U in U'' , dovrà dunque trasformare
ogni ciclo
nella sua potenza v
{yos i/vs, s yìvsì s • ")
e per ciò in generale
2/,-,« in y,r,s per s^ 0.
Diciamo che ciò vale non solo per.s^O, ma anche per s^O, che
cioè g dovrà portare
y,o in ?/v,,o.
Si consideri per ciò l'altra sostituzione V di F
che lascia fisse le radici
2/01 ,yo2'.-yo,'^
e contiene il ciclo
(yro yrr ?/,-,2r...) .
La g deve trasformare anche la V in una potenza di Y e per ciò
tutte le lettere del ciclo scritto in quelle di un altro ciclo
(ìjr'o yr'r- 2/,' 2» ),
e in questo precisamente la yro in y>'o, giacché la g deve permutare
GRUPPO ALGEBRICO DELL'EQUAZIONE PER LA DIVISIONE DEI PERIODI 5 So
fra loro
yio !/2o 2/30 .. . y>i-' , 0 •
D'altronde
/ p-V
y>r , yr,2r , yr,2r... r=l, 2, ^
sono portate da g in
Vili' ■> • ) l/'J r ,2r j ^1/ »■ ) 3 f • • • >
dunque è r~vr. Concludiamo adunque:
La sostituzione cercata g di G ha l'espressione analitica
r^=\ir , s'^^s (mod^)
(v=l, 2, 3... p-1).
Combinando colle sostituzioni (18) del gruppo di monodromia T, si
deduce :
Le sostituzioni del gruppo algebrico G dell'equazione per la divisione
dei periodi hanno tutte la forma lineare
i /=^ ar-\-hs \
(21) ^ {v[iO&p)\ ad-hc^O.
[ s'^cr+ds )
Tutte le sostituzioni (21) formano un gruppo d'ordine
{p~lf p(p+l)
2
e dalla nostra dimostrazione risulta soltanto che il gruppo algebrico G
è un suo sottogruppo 'contenente F). Ciò basta al nostro scopo, ma con
ulteriori ricerche si dimostrerebbe che G comprende tutte le sostitu-
zioni (21) e che l'irrazionale numerico la cui aggiunta abbassa G a F
27T1
è precisamente la radice ;)""' dell'unità e ^.
§. 211.
Abbassamento del gruppo nel caso delle funzioni ellittiche
a moltiplicazione complessa.
Supponiamo ora che la nostra funzione ellittica ^u sia una funzione p
a moltiplicazione complessa, appartenente ad una classe K primitiva di
584 CAPITOLO XIX. — §. 121
1.^ specie a determinante D. Il gruppo di Galois della sua equazione
per la divisione dei periodi in p parti eguali (p primo) sarà certo un
sottogruppo del gruppo generale G definito dalle formole (21) del §. pre-
cedente
i r^ ar+hs
G) < (mod p) , ad-bc ^0;
( s' z^ cr+ds
ed anzi sappiamo già, dalle nostre ricerche al §. 199, che G devesi in
tal caso abbassare ad un suo sottogruppo risolubile per radicali. Ciò
vogliamo constatare ora direttamente, per trovare la forma effettiva delle
sostituzioni del gruppo di Galois. Ci limiteremo per altro- al caso che
importa soltanto al nostro scopo, al caso cioè in cui p non divida D e
sia - D residuo quadratico di p :
P )
Prenderemo allora la forma (A, B, C) rappresentante della classe K,
come al §. 209, in guisa che siano A, C divisibili per ;9 e conseguente-
mente 2B non divisibile.
Consideriamo dapprima il campo naturale di razionalità, cioè quello
dei soli numeri razionali, ampliato coll'aggiunta di g^, g-i, e in esso de-
terminiamo il gruppo di Galois (o un limite superiore del gruppo) per
l'equazione (17) della divisione dei periodi. Per le formole di moltipli-
cazione complessa elementare si ha
p{,u) = Y{pu) , (c = ìVD)
dove la F è razionale in pu e con coefficienti razionali, apparte-
nendo (A, B, C) alla 1 .-' specie. In particolare, facendo nella precedente
2r(tì+2s{o'
V
avremo
, , /2rsw + 2s£{o' ^/ /2roi + 2sco'\
(22) tP ( — ^ j = F i^p [—^)
Ora avendosi (§§. 195, 196):
(23)
SO) = B w + A w'
£ co' = —Co) — B to' ,
ABBASSAMENTO DEL GRUPPO PER LE f A MOLTIPLICAZIONE COMPLESSA 585
indi
2ra>+25o/ _ r (B co + A o/j — s (C (o -[- B (dQ
ed essendo inoltre
A^C=0 (modp) ,
la (22) può scrìversi, come relazione fra le radici dell'equazione per la
divisione dei periodi:
formola che vale per un sistema qualunque di valori degli indici r, s.
Sia ora
(mod^j) , ad — bc^O
s' ^cr -\- ds
una sostituzione qualunque del gi-uppo di Galois per la nostra equazione.
Per le proprietà fondamentali del gruppo di Galois, la (a) resterà ve-
rificata eseguendo sugli indici delle due radici yr.s , y^r.-vs la sostitu-
a, b
I ; SI H
yn {„ r-ù .) , B (o r~d s) = Ì {y„ r+/> » , - r+ , . )
zione -, ; SI avrà cioè
\c , dj
D'altronde, se cangiamo direttamente nella (a) r, s in ar+bs, cr+ds,
otteniamo ♦
ya {', r+6 .), -B (e r+d .) = F (y„ ,.+,: ,, ,, r+rf . ) ;
dunque si ha, qualunque siano r, s:
2/n (« :-i ») , D (e ; -,; .») = y B (n ,+f, ») , -B [r ,+,/ *)
e poiché B ^ 0 (mod p) sarà quindi
ar — bs^ ± {ar+bs)
cr — ds^ + (cr+ds) .
Se valgono i segni superiori ne segue
b^O , c^O (mod p) ,
e quando valgano gli inferiori invece
a^O , d-^0 .
586 CAPITOLO XIX. — §.211
Di qui deduciamo intanto: Il r/ruppo di Galois (nel campo assoluto
di razionalità, ampliato coir aggiunta dì g-i , g-i) per V equazione per la di-
visione dei periodi in p parti eguali ' ^' nella nostra funzione ellittica pu
contiene soltanto sostituzioni délVuna o dell'altra delle due forme
et) r'^ar , s'^ds (mod^)
P) r^bs, s E^cr (mod p) .
Queste sostituzioni a) [3) formano un gruppo d'ordine (p-l)^ nel
quale è contenuto, come sottogruppo invariante d'indice 2, il gruppo
di sostituzioni permutabili formato dalle a). Coli' aggiunta di una radice
quadrata di un numero razionale, l'equazione diventa quindi Abeliana,
conformemente ai risultati del §. 199. Anzi, per quanto si è visto al
citato §., è facilmente prevedibile che il detto radicale quadratico è pre-
cisamente \ -f) = i V D . Ciò constatiamo ora nel modo seguente. Per le
formole di moltiplicazione complessa abbiamo (§. 196)
p{{\+t)u) = ''?{pu),
dove la <I> è razionale in pu, con coefficienti razionali nel campo
Ponendo nuovamente
2roj + 2sfo'
abbiamo
/^«*x ^/. >2rto+2sa)'\ ^/ /2r(o+25w'' ^
(22*) p (H-£) ] = ^[P
p j \ \ P
ed ora procedendo su questa come dianzi sulla (22) troveremo
/ (Xf -\-l}S cr^ ds^
indi eseguendo la sostituzione i ' j dell'attuale gruppo di
Galois, avremo le congruenze
± (1 + B) (ar+bs) = a (1 +B) r+b (1 - B) s
±(l-B)(cr+f?s) = c(l+B) r+f7(l-B)5.
(*) Si ricordi che ciò vale nell' ipotesi che D non sia divisibile per p e si abbia
DIMOSTEAZIOiNE DELLA (15), PAG. 578 587
Queste sono bensì soddisfatte dalle sostituzioni della forma a), ma
non da quelle della forma ,:), onde concludiamo:
Se si amplia il campo di razionalità precedente {^2 , g^ colV aggiunta di
i V D , il gruppo di Galois per V equazione della divisione dei periodi in
p parti eguali i nélV ipotesiì 1 = +1 ) consta di sostituzioni tutte della
forma a)
a) r' ^ar , s' ^ ds (mod p) .
§. 212.
Dimostrazione della forinola fondamentale (15), §.209.
Dopo queste ricerche preparatorie siamo in grado di ritornare alle
ricerche del §. 209 sulla trasformazione degli invarianti di classi per
completarle colla dimostrazione dei teoremi enunciati alla fine di questo §.
Riprendiamo adunque la considerazione dell' invariante j^ della classe K
e della corrispondente equazione modulare (11)
colle ^+1 radici
./ •/ ./ ./
Il suo gruppo di Galois nel campo assoluto di razionalità, ampliato
coir aggiunta di j/k, è certamente contenuto nel gruppo
v'=^^^ (mod/>), aò — Py^O.
Ma siccome questa equazione modulare non è altro che una risolvente
di grado p-]-l dell'equazione per la divisione dei periodi, il suo gruppo
sarà subordinato a quello determinato al §. precedente, quando si ponga
r
V ^ - (modjj)
(Cf. §. 116), e però non potrà contenere che sostituzioni della forma de-
rivata da Cf) 0 [i), cioè
a*) v' = Xv , p*) v'=-^- ;
e poiché queste sostituzioni lasciano ferme le radici /o. i'«,, 0 le scambiano
588 CAPITOLO XIX. — §. 212
fra loro, si conclude nuovamente die le funzioni simmetriche elementari
sono esprimibili razionalmente per j^ con coefl&cienti razionali (§. 209).
Ma ampliamo ora il campo coli' aggiunta di i \JD ; allora nel gruppo della
equazione per la divisione dei periodi restano solo sostituzioni della
forma a) e per ciò nel gruppo della equazione modulare solo le sosti-
tuzioni della forma a*), le quali lasciano singolarmente invariate
U=JPK , i'^=ÌP-iK
Ne segue, come era stato enunciato al §. 209, che
Ìpk , yp-iK
si possono esprimere razionalmente per /k , con coefficienti razionali in
n'D-
Resta soltanto da provare che nella coiTispondente forinola (15):
la funzione razionale f ,, dipende solo dal numero p, o dalla classe P, e
resta la stessa sostituendo a ^k una qualsiasi altra radice di
H. (i) = 0 .
La dimostrazione sarebbe immediata se avessimo stabilita la proprietà
che effettivamente sussiste: L'equazione U.^ (J) = 0 per gli invarianti
delle classi è irriducibile, anche se al campo assoluto di razionalità si
aggiunge l' irrazionalità i \'I> . Ma non volendo inoltrarci nelle conside-
razioni della teoria dei numeri algebrici che servono allo scopo (^', ri-
corriamo nuovamente alla equazione per la divisione dei periodi
per separarne razionalmente (dopo aggiunta ì\''D) i fattori che conten-
gono rispettivamente l'uno le radici
2/io, 2/20- •• y^.o
e l'altro le radici
yoi , 2/02 ... «/O , '-^ •
(»> Cf. Pick. Math. Annalen, 26. Weber Le.
DIMOSTRAZIONE DELLA (15), PAG. 578 589
Essendo sempre (A, B, C) la forma cui corrisponde la nostra pu e
scelta in guisa che
A ^ C ^^ 0 (mod li) ,
si esprimano colle formolo di moltiplicazione complessa
p[{B^-.)ii] , p[{B-^)u]
razionalmente per pu, ciò che si otterrà colla forni ola
VipuJ^'B)
(24) p[{B + B)u] =
\ {pu,i\jW
essendo U, V polinomii razionali interi in pu con coefficienti razionali
in gz, g-i, i \jj) e deducendosi manifestamente la formola per p( (B - c)m)
col cangiare il segno di iv'D (Cf. §. 196):
(24*) p[(B-.)u] = ^-^f''''-''~^J.
Si consideri ora l'equazione
V(^M,M/D) = V(y,ivD) = 0,
e si cerchi se e quali radici ha a comune con
cioè si cerchino i valori
y„. = S>[--^
che annullano V(^tt, i vD). Per essi p[(B-\-z)n] deve diventare infi-
nita senza che lo diventi pa, e viceversa ogni valore di u della forma
, , esclusa la combinazione {r, s) = (0, 0) , tale che renda
P
p[{B-\-i)u'\ infinita, è uno dei richiesti.
Per ciò è necessario e sufficiente che r, s siano tali da rendere
eguale a un multiplo di periodi. Ora, per le formolo (23), si può scrivere
,^ , 2ro)+2so} ^ rBco+sBo/ , ^ r (B co+A o/) - s (C o)+B w')
B + =) = 2 [- 2 -^ ^ -
p P P
590 CAPITOLO XIX. — §.212
ossia, poiché A = C = 0 (raod p), se trascuriamo multipli di periodi :
,^ , 2ra>+2so/ , rB(o
(B+s) = 4 .
P V
Dunque è necessario e sufficiente che sia
r nEE 0 (mod j9) ;
cioè: Il massimo comun divisore di Y {y, i\D), 'h'iì/) è
'^' iy) = iy- y^i) '^y - 2/02) . • . (2/ - 2/0 , ?=i) .
Questo polinomio "/. iy) si calcolerà quindi razionalmente e i suoi
coefficienti conterranno razionalmente ^25.93, ^VD; di più, a causa della
natura delle formole di moltiplicazione complessa, l'espressione così trovata
per 7. (ì/) varrà indistintamente per tutte le pu a moltiplicazione complessa,
corrispondenti a forme primitive di 1.* specie a determinante D.
Se, invece di considerare il polinomio V (2/, i \/D), avessimo conside-
rato l'altro
V(i/, -i\/D),
manifestamente pel suo massimo comun divisore '/n {y) con ^p (y) avremmo
trovato
>'-! iy) = {y- ^10) (2/-2/20) • . • iy—y,^ « ) •
Per venire infine alla nostra ricerca, si consideri che j\ è funzione
simmetrica di
^01 , 2/02 ••• 2/0 , '^
(vedi formole (III), pag, 436) e però esprimibile razionalmente per ^2,^3»
ivD> con coefficienti razionali. Ma poiché l'invariante assoluto dipende
solo dal rapporto dei periodi, mentre «72 ,.^3 si cangiano a volontà in
X^^2, k^Qi, con osservazioni perfettamente analoghe a quelle del §. 168
per le equazioni generali modulari, ne concludiamo che si avrà
Ì'o = ÌpK = 'fp(ÌK, M'D)
e la funzione 'f, indicata al §. 209 formola (15) con 'fp dipenderà appunto
unicamente, come ivi era stato asserito, dalla classe P, non da K. Ve-
diamo ora di più che l'altra radice j'^ si ottiene semplicemente cangiando
GRUPPO DI GALOIS PER LA HdO) = 0 59 1
in 'f p il segno di i \ D , cioè si hanno le forinole
,,, (Ìpk = 9p(Ìk, ìV'D)
(A)
( JP--1K= 'fp(./K,-'^ VD).
§. 213.
Gruppo di Galois per l'equazione Hd 0) = 0 e sua risolubilità
per radicali.
Applicando le forinole ora trovate e il teorema del §. 208, secondo
il quale qualunque forma (o classe) può comporsi con successive forme
P = {p, h, e) , F = (/, b', e') , P" = { p", h", e") . . .
i cui primi coefficienti siano numeri primi, siamo ora in grado di esten-
dere le forinole (A) a qualunque classe e pervenire così al risultato finale,
dimostrando la risolubilità per radicali della equazione per gli invarianti
delle classi
H.(i) = 0.
Cominciamo dallo scrivere le due forinole (A)
1 ji' K = 'f P (Ìk , i ^' D)
ip) {
( >K='fp.(ÌK, * VD)
e mutando, come è lecito, nella prima j^ in jV-k avremo
Ìp.-.k= 'fp(ÌHK , i Vd) = -fpCfi'-OK, * Vi)) , i VD) ,
che scriveremo
Ìpp.K^'fpp'(À, M'D),
ove la funzione razionale 'f.-rr resterà la medesima cangiando comunque
la classe K, Se si cangia invece nella seconda delle (B) K in PK si trova
h .', K = ('f p. ('f p (ìk , ^ VD) , i VD) = Tp, p (ìk , i Vd) ,
onde si vede che
'f P !- (Ì:< , ^ VD) = 'f p,P (Ìk , * Vd)
e la funzione fppr dipende in sostanza unicamente dalla classe composta
592 CAl'iTOLO xlx. — §. 213
PP'. Similmente si stabilirebbe la formola
^PPlPl'K = T'PI''P" V^K? * V D)
e così via per uà numero qualunque di classi P componenti. Se ne
conclude quindi il teorema:
Essendo K, K' due classi qualunque fra
si ha la formola
(C) ;K-K = 'fK. (Ìk, ìVd),
la funzione ragionale 'f ki dipendendo unicamente dalla seconda classe K',
non dalla prima K.
Cangiando in 'f k- il segno del radicale i Vd si passa alla classe op-
posta K'~^; si ha cioè
(C*) ÌK'-iK='fK.OK,-iVD)..
Ed ora possiamo determinare, nel campo di razionalità dei numeri
razionali ampliato coli' aggiunta di i Vd , la natura del gruppo di Galois
per l'equazione degli invarianti delle classi
Ho (i) == 0 ,
le cui radici sono
Supponiamo infatti che, essendo Ki = 1 la classe principale, una so-
stituzione S del gruppo di Galois porti Jki in jk, . Essendo K, una qua-
lunque delle classi si ha per la (C)
h. K. = 'f K. iJKr , i Vd)
ed anche
Ìk, = 'f K. (il , i VD) .
In quest' ultima relazione eseguiamo, come è lecito, la sostituzione S
del gruppo di Galois la quale porta per ipotesi ji in jk, e ne risulterà
che S porterà jk, in
'f K, iJK, , i\ì)) = JK, Kr ■
GRUPPO DI GALOIS PER LA Hj, Q") = 0 593
Dunque la S produce sulle radici
JKi, , Ìk.2 . . . ÌKa
la permutazione
cioè cangia i loro indici secondo la sostituzione K, del gruppo di com-
posizione delle classi (§. 207). Se ne conclude :
Nel campo dei numeri ragionali, ampliato coli' aggiunta di ìVd, il
gruppo G di Galois per Veqiia^ione
Ho (i) = 0
degli invarianti delle classi è contenuto nel gruppo di composizione delle
forme.
In ogni caso G è un gruppo Aoeliano e per ciò si ha il teorema
finale d'Abel a cui miravano le nostre ricerche:
L' equazione Hn ( ; ) = 0 è risolubile per radicali.
L'incertezza lasciata dalle nostre ricerche se il gruppo di Galois
di E.y\j) = 0 coincida col gruppo di composizione, o ne sia soltanto un
sottogruppo, si toglierebbe colla dimostrazione già sopra accennata della
irriducibilità dell' equazione ; e poiché il gruppo di composizione sulle
forme è semplicemente transitivo, si avrebbe il risultato definitivo: Il
gruppo di Galois per Ho ij) = 0, nel campo di rasioncdità {\,i^ D), coincide
(è óloedricamente isomorfo) col gruppo di composizione delle classi.
In fine possiamo determinare il gruppo di Galois di liiy(j) = 0 nel
campo assoluto di razionalità, prima cioè dell'aggiunta di iVD. I teo-
remi generali ci assicurano che questo nuovo gruppo T, se è effettiva-
mente più ampio, conterrà G come sottogruppo invariante d'indice 2,
abbassandosi T a G per l' aggiunta della radice quadrata V - D . Ora
associamo alle sostituzioni del gruppo di composizione G quella sosti-
tuzione S che consiste nel cangiare ogni forma nella propria opposta
(inversa) ; la S non appartiene a G (salvo quando, essendo ancipiti tutte
le classi, Sèi' identità) ed è permutabile, come subito si vede con G.
Per ciò
r = [G, SG]
è un gruppo d'ordine 2h, che contiene G come sottogruppo invariante.
Ora dimostriamo facilmente che : Il gruppo dell'equazione Hd (i) = 0,
nel campo assoluto di razionalità, coincide col gruppo T così ampliato dal
gruppo di composizione (ovvero ne è un sottogruppo).
33
594 CAPITOLO XIX. — §§. 213, 214
Consideriamo infatti una funzione razionale a coefficienti ragionali
F iJK, , JK, , . . . JK,,)
delle radici di Hf,(j) = 0, che rimanga invariata per tutte e sole le so-
stituzioni di r e dimostriamo che il suo valore è quello di un numero
razionale, dopo di che sarà appunto provato il teorema. Certamente se
aggiungiamo i Vd la F è razionalmente nota, perchè le sostituzioni di G
la lasciano invariata; dunque si ha
F (ìkj , jK, . . . ìk/,) = «+i & Vd ,
con a, h numeri razionali. Ma di più la F rimane invariata numerica-
mente cangiando ogni classe nella propria opposta, cioè ogni radice Jk
nella coniugata jk-i , e per ciò il suo valore è reale, onde h--^0, ciò
che prova l'asserzione.
§. 214.
Decomposizione di He {j) in fattori corrispondenti ai generi delle forme
secondo Kronecker.
L'equazione H;,0') = 0 è irriducibile, come già si è detto, non solo
nel campo assoluto di razionalità, ma anche dopo l'aggiunta di i VD .
Però Kronecker, nelle sue celebri comunicazioni all'Accademia di Berlino
sulla teoria della moltiplicazione complessa, ha trovato che appena si
aggiimgano convenienti radici quadrate reali (di fattori del determi-
nante D) il polinomio Hu ( j) diventa riducibile e si spezza nel prodotto
di tanti fattori, di egual grado, quanti sono i generi delle forme qua-
dratiche, secondo la definizione di Gauss < ^' , le radici di ciascun fattore
appartenendo appunto alle classi di un medesimo genere.
Di questi bei risultati, dovuti a Éronecker, vogliamo qui soltanto
stabilire quella parte che discende senz'altro dalla natura del gruppo F
della nostra equazione. Per ciò stabiliamo in primo luogo la ripartizione
delle h classi in generi, sotto la forma più breve che ci consentono le
nozioni acquistate sul gruppo di composizione.
Se si considerano tratte le seconde potenze delle h classi
K? , Ki , Kt . . K! ,
('' DisqidsiHones art. 229-233. — Dirichlet-Dedekixd. Zahlentheorie. Sup-
plemento IV.
I GENERI DELLE FORME QUADRATICHE 595
e si indicano con
le classi distinte così risultanti, è manifesto che queste classi, ottenute
per duplicazione, formano per sé un gruppo, cioè un sottogruppo H del
gruppo G di composizione. Quindi segue che il numero s è un divisore
di h; e ripartendo le sostituzioni (o classi) del gruppo totale G rispetto
a quelle del sottogruppo H, otterremo il quadro :
k\ , A'2 , ft'3 ... ks
(D) , i 2, 2 2, 3 .
fCi K ,j , K2 tv ,j , A/'s k ,j . . . ks k q ,
dove con
abbiamo indicato le classi moltiplicatrici, il cui numero g è Vindice
di H in G.
Le classi contenute nel quadro (D) in una medesima orizzontale
costituiscono un genere secondo Gauss, in particolare quelle della prima
orizzontale il così detto genere principale; il numero q non è altro che
il numero dei generi distinti. Facilmente dimostriamo che g è una po-
tenza esatta del 2 e precisamente si ha il teorema:
Il numero q dei generi eguaglia il mimerò 2" delle classi ancipiti
(§. 207).
Se riprendiamo infatti la rappresentazione di ogni classe per mezzo
di una base
Ki , K2 , . . . K, ,
ricordata alla fine del citato §. 207, quando sia
vediamo che K apparterrà al genere principale (si otterrà per duplica-
zione) allora soltanto quando gli esponenti a siano tutti pari, 0 tali
possano ridursi sostituendo a ciascuno di essi un esponente congruo
rispetto al corrispondente modulo j^. Ora ciò può sempre ottenersi
per quegli esponenti a il cui corrispondente modulo (periodo) [j è impari,
mentre quando |i è pari avremo solo \r valori possibili (pari) per a ed
incongrui (mod ,3).
596 CAPITOLO XIX. — §. 214
Dunque indicando, come al §. 207, con n il numero delle fi pari, si ha
, _ Pi fe . . . Pr
* — 2«
e quindi
^ = - = 2" , ed. d.
s
Se si compongono fra loro due classi qualunque prese l'una nella
orizzontale ;h"'", Taltra nella m'"'", il numero d'ordine della orizzontale
cui appartiene la classe composta dipenderà unicamente da m, in. In
altre parole il gruppo di composizione sulle classi è imprimitivo e i
singoli generi formano altrettanti sistemi d' imprimitività. Il gruppo di
sostituzioni indotto da G sui generi, che diciamo il gruppo di compo-
sizione sui generi, è un gruppo Abeliano d'ordine 2" semplicemente
transitivo e le sue sostituzioni
Hi , H2 . . . H2"
sono*tutte a periodo 2 (salvo naturalmente l'identità), perchè due classi
del medesimo genere si compongono in una classe del genere principale.
Invece due generi diversi non possono comporsi nel genere princi-
pale, onde segue che due classi opposte (componendosi nella principale)
appartengono necessariamente allo stesso genere. Se consideriamo dunque
il gruppo r ampliato da G associandovi la sostituzione che cangia ogni
classe nella sua opposta, non solo rispetto a G, ma ben anche rispetto
a r i 2" generi costituiranno sistemi d' imprimitività. Ora F è il gruppo
di Hd(ì) = 0 nel campo assoluto di razionalità 0 almeno (stando soltanto
a quello che abbiamo propriamente dimostrato) certamente lo contiene.
Se ordiniamo le radici di H^ [j) = 0 nel quadro corrispondente al
quadro (D)
/ jk^ jk-i . . . jk;
j ;a-i k'.2 jki y.y . . . jki k\
\ jki k^,j jk.2 y,, . . . jk, k>,,
(D*)
e prendiamo una funzione razionale simmetrica delle radici di una oriz-
zontale, con coefficienti razionali reali, p. e.
(2 5) X = jk, H- i/i'2 + • • • + Jl {"i intero) ,
DECOMPOSIZIONE DELLA HvU) IN FATTORI CORRISPONDENTI AI GENERI 597
questa, per le sostituzioni di T, assumerà solo q = 2" valori
corrispondenti alle orizzontali del quadro (D*) e questi 2" valori saranno
numericamente distinti, ove si scelga opportunamente la detta funzione
simmetrica. Inoltre essi saranno tutti reali, comparendo in essa funzione
simmetrica insieme ad un invariante jk il coniugato jk-i . Pei teoremi
generali questi 2" valori (26) saranno radici di una risolvente di grado 2",
che indicheremo con
(27) t};,» (x) = 0 ,
la quale avrà coefficienti reali interi e radici pure reali. Inoltre si potrà
supporre che il primo coefficiente sia eguale all' unità, scegliendo la
funzione risolvente intera e a coefficienti interi. La risoluzione di questa
ausiliaria produce (in ordine ai detti teoremi) nel polinomio ìio{j) ap-
punto lo spezzamento in 2" fattori, contenenti ciascuno le radici j^. che
appartengono a classi del medesimo genere. Il gruppo della risolvente
(27) è isomorfo col gruppo di composizione sui generi (0 vi è contenuto
come sottogruppo). Ma questo gruppo X è Abeliano di grado 2" e non
ha che sostituzioni a periodo 2, onde facilmente vediamo che l'equazione
si risolve estraendo n radici quadrate separate
Vtti , Va^ .... Va^ ,
che portano sopra numeri interi e positivi. E infatti, se rappresentiamo
le sostituzioni 0 di I mediante una base, questa, avendo ogni sostituzione
generatrice a periodo 2, consterà di n termini
Oi , a2 . . . c„
e si avrà
(28) a=afiG^_.o:f",
ciascun esponente a avendo il valore 0 0 1. Ora consideriamo gli n
sottogruppi di I d'ordine 2""'
^^1 = [^2 5 ^3 5 • • • '^n]
2<2 = ["'1 ' ^3 , • • . '^n]
^n = ['^1 j '^2 ) • • • 'J>J— ij >
598 CAPITOLO XIX. — §.214
che hanno la sola sostituzione identica a comune. Se costruiamo una
funzione razionale intera a coefficienti interi delle radici della (27) che
rimanga invariata per tutte e sole le sostituzioni di li, essa darà luogo
ad una risolvente di 2.<» grado a radici reali della (27) e l'aggiunta di
un radicale quadrato Vai , che porta sopra un numero razionale intero
e positivo «1, abbasserà il gruppo S a Xj . Procedendo medesimamente
per gli altri sottogruppi '£2, ^3... ^n, l'aggiunta simultanea degli indicati
radicali
\/ai , \a2 . . . \an
abbasserà X al sottogruppo comune di
y y y
cioè all'identità, ciò che dimostra quanto sopra è asserito. Concludiamo
adunque :
Fer spezzare il polinomio Hi,(;) in 2" fattori corrispondenti ai generi
delle forme quadratiche, basta V aggiunta al campo assoluto di razionalità
di n radici quadrate
\/ai , \/a2,... y'an
estratte sopra n numeri a^ , a». . . an razionali, interi e -positivi.
Un pili profondo esame dimostrerebbe che questi numeri «i , a, • • • «»
non sono altro che fattori primi del determinante D, 0 loro prodotti '^'.
Ma le ulteriori ricerche necessarie alla dimostrazione precisa dei teoremi
di Kronecker, come quelle che riguardano la più volte mentovata
irriducibilità dell' equazione Hu (.;) = 0 per gli invarianti delle classi
eccederebbero i limiti imposti alle presenti lezioni.
(M Cf. Weber vZ. e. §§.103-106.
INDICE
PARTE PEIMA
Teoria delle funzioni di variabile complessa.
Capitolo I.
Funzioni di variabile complessa secondo Caucliy-Eiemauu. — Serie di potenze e loro pro-
prietà. — Rappresentazioni conformi.
§. 1. — Piano complesso e sfera complessa ....
2. — Funzioni di variabile complessa .....
3. — Serie di potenze. — Cerchio di convergenza .
4. — Serie derivata ........
5. — Teorema di Cauchy-Hadamard .....
6. — Funzioni elementari e', sen z, cos 2, log z, z"
7. — Serie di potenze sulla^ periferia del cerchio di convergenza
8. — Rappresentazioni conformi ......
9. — Esempì diversi
• pag.
3
»
5
»
10
»
13
• »
15
»
18
»
21
• »
23
»
27
Capitolo IL
Sostituzioni lineari. — Gruppi discontinui di sostituzioni lineari e loro rappresentazione
geometrica.
§. 10. — Sostituzioni lineari ed affinità circolari
11. — Composizione delle sostituzioni
12. ^ Classificazione delle sostituzioni di 1.» specie
13. — Sostituzioni di 2." specie. — Riflessioni .
14. — Gruppi discontinui di sostituzioni lineari
15. — Sottogruppi .......
16. — Gruppi ciclici e loro campo fondamentale
17. — Gruppi di sostituzioni paraboliche
18. — Gruppo modulare. — Circoli e rette di riflessione
19. — Il triangolo fondamentale del gruppo ampliato
20. — La rete modulare e le riflessioni generatrici A,B
21. — Triangolo fondamentale del gruppo modulare
22. — Sostituzioni ellittiche del gruppo modulare .
23. — Forme binarie quadratiche a determinante negativo
24. — L' affinità circolare trasportata nello spazio e le formole di
Poincaré ..........
pag.
31
34
37
39
42
45
46
48
53
56
59
61
64
65
68
600
§. 25. — Il gruppo delle sostituzioni uuimodulari a coefficienti interi
complessi .......... pag. 72
26. — Decomposizione di un numero nella somma di quattro quadrati » 76
Capitolo III.
Trasformazioni di integrali doppi in integrali semplici. — Funzioni armoniche e loro proprietà
fondamentali. — Problema di Dirichlet e sua risoluzione nel caso del campo circolare.
§. 27. — Integrali curvilinei. — Integrali doppi .
28. — Formola di Gauss ......
29. — Altre formole di trasformazione ....
30. — Ordine di connessione delle aree piane
31. — Integrali di differenziali esatti ....
32. — Formola di Green ......
33. — Funzioni armoniche con derivate regolari al contorno
34. — Funzione di Green ......
35. — Massimi e minimi delle funzioni armoniche
36. — Problema di Dirichlet ......
37. — L' integrale di Gauss
38. — Studio dell'integrale / U
u
log
ds
cip
ds
pac
39. — Risoluzione del problema di Dirichlet pel campo circolare
78
82
86
88
91
95
97
101
102
105
106
109
113
Capitolo IV.
Integrali di funzioni di variabile comples.sa. — Teorema fondamentale di Cauchy e sue con-
seguenze.—Sviluppi in serie di Taylor.— Sviluppo di Laui-ent.— Concetto di funzione
analitica secondo Weierstrass. — Serie di funzioni analitiche.
§. 40. — Integrali definiti di funzione di variabile complessa
41. — Teorema di Cauchy. — Integrali indefiniti
42. — Formola di Cauchy .....
43. — Sviluppi in serie di potenze
44. — Sviluppo di Laurent .....
45. — Funzioni analitiche .....
46. — Campo di esistenza di una funzione analitica
47. — Serie di funzioni analitiche ....
48. — Applicazioni .......
pag.
117
»
119
»
121
»
123
»
127
»
129
»
132
7)
135
»
137
Capitolo V.
Punti singolari delle fimzioni monodrome. — Poli e pimti singolari essenziali. — Eesidui. —
Integrale logaritmico. — Inversione delle serie di potenze.
601
§. 49. — Punti regolari
50. — Infinitesimi ....
51. — Punti singolari. — Poli .
52. — Esempì di singolarità essenziali
53. — Residui . . . " .
54. — L'integrale / w(z)dz nel caso di punti
55. — Polidromia dell' integrale indefinito
56. — Indicatore logaritmico .
57. — Formola: Oj — Qo=2-{No — N^) .
58. — Inversione delle serie .
singolari interni
• pflg-
140
. . »
142
»
143
. »
146
»
148
rni . »
151
»
152
»
154
. »
157
. »
160
Capitolo VI.
Funzioni uuil'onui in tutto il piano complesso. — Loro sviluppi in serie di frazioni parziali
secondo Caucliy. — Teorema di Mittag-Leffler. — Sviluppi in prodotti infiniti per le tra-
scendenti intere.
§. 59. — Trascendenti intere ........
60. — Punti singolari essenziali .......
61. — Funzioni uniformi con un numero finito di singolarità
62. — Metodo di Cauchy per gli sviluppi in serie di frazioni parziali
63. — Due casi particolari ........
64. — Sviluppi in serie per , cot z .
sen z
65. — Teorema di Mittag-Leffler
66. — Costruzione di una trascendente intera per prodotti infiniti
67. — Forma degli esponenti Q„,^^ (2) ..... .
68. — Genere delle trascendenti intere. — La F Euleriana
69. — Caso in cui le distanze fra i punti d'infinitesimo si manten-
gono superiori a una quantità fissa .....
pac
163
165
167
169
171
174
178
181
184
186
189
Capitolo VII.
Funzioni analitiche di più variabili complesse.— Funzioni implicite. — Proprietà fondamentali
delle funzioni algebi'iche.
§. 70. — Funzioni regolari di due variabili complesse . . . pag. 191
71. — Serie di potenze .......... 194
72. — Campo ristretto di convergenza. — Prolungamento analitico » 196
73. — Radici di un'equazione f{iv,z)^0 ...... 197
74. — Teorema di Weierstrass ........ 200
75. — Funzioni implicite ......... 202
76. — Funzioni algebriche ......... 203
77. — Teorema fondamentale ......... 205
78. — Punti di diramazione ......... 207
602
§. 79. — Singolarità polari .......
80. — Le funzioni algebriche come funzioni analitiche .
81. — Gruppo di monodromia .....
82. — Sostituzioni elementari del gruppo di monodromia
pag. 209
» 211
y 213
» 214
§.83.
84.
85.
87.
88.
89.
90.
91.
92.
Capitolo Vili.
Prime nozioni sulle superficie di Riemann e sugli integrali Abeliani.
Concetto generale della superficie Riemanniana .
La superficie Riemanniana a due fogli per ic = Vp (s)
Deformazione della superficie Riemanniana in quella di una
sfera, di un anello ecc. . . . , .
La superficie Riemanniana a m fogli .
Funzioni uniformi sulla superficie Riemanniana .
Teorema di Cauchy, residui e indicatore logaritmico
Funzioni razionali sulla superficie Riemanniana .
Nozioni sugli integrali Abeliani ....
Caso iperellittico .......
Il genere p secondo Riemann ....
pag. 217
» 219
» 221
» 223
» 226
» 229
» 232
» 235
» 238
» 243
PARTE SECONDA
Teoria delle funzioni ellittiche.
Capitolo IX.
Le funzioni fondamentali zu, pU di AVeierstrass. — Le funzioni generali ellittiche espresse
per la aw. — Equazione differenziale per la pU.
§. 93. — Cenni storici sulla teoria delle funzioni ellittiche
94. — Costruzione della funzione zu di Weierstrass
95. — Proprietà fondamentali della 3 «t .
96. — Le funzioni Qu , pu e la doppia periodicità di pu, p'u
97. — Effetto dell'aggiunta di periodi all'argomento di -ju .
98. — Proprietà generali delle funzioni ellittiche .
99. — Ordine di una funzione ellittica e teorema d'Abel
100. — Espressione di una funzione ellittica con infinitesimi ed infi
niti assegnati ........
101. - Funzioni doppiamente periodiche di 1=^, 2''', e 3^ categoria
102. — Formola pu-pv-
mini per la 3
ed equazione ai tre ter
pac
249
252
255
258
260
263
264
267
270
272
§. 103. — Equazione differenziale per la pt( : p''^ = 4 p^—Qì p - g^
104. — Gli invarianti g^ìQ-i e gli svilui)pi di pu, 'Cu, ou nell'in-
torno di u^O .
603
pag. 274
» 277
Capitolo X.
Decomposizione di ima funzione ellittica in elementi semplici. — Teorema d' addizione per
la ^W e la pu. — Le funzioni ellittiche espresse i^azionalmente per pu, p U. — Mol-
tiplicazione e divisione dell'argomento nella pu.
§. 105. — Costruzione di una funzione ellittica con assegnati termini
d' infiniti .......
106. — Forinole d'addizione per la Zio e la pu
107-108. — Espressione di una funzione ellittica per pu, p u
109. — Funzioni u.niforrai con un teox-ema d'addizione
110. — Moltiplicazione dell'argomento in pu .
3 (n u)
111. — La funzione ò,, (n)
3»'-^ ti
112. — Calcolo delle funzioni à„ per formolo ricorrenti
113. — Divisione dell'argomento nella pu
114. — Equazione per la divisione dei periodi
115. — Risolventi di grado n-\-l e loro gruppo
116. — Divisione dei periodi nella p lemniscatica .
pag.
281
»
282
»
286
»
291
»
294
»
295
»
298
»
300
»
304
»
307
»
309
Capitolo XL
Proprietà fondamentali della prima funzione modiilare J(T). — La funzione p (u^ C/^ì d'i)
con assegnati invarianti. — Integrali ellittici di prima specie e loro inversione. — Inte-
grali ellittici generali.
§. 117. — L' invariante assoluto J = -3-
gi
-^g
2 come funzione del rap-
porto T dei periodi ........
118. — L' invariante J (i) come funziono automorfa rispetto al gruppo
modulare .........
119. — Distribuzione dei valori di J (-) nella rete modulare .
120. — Rappresentazione conforme del triangolo fondamentale sul
semipiano .........
121. — La funzione inversa x(J) e il teorema di Picard
122. — Esistenza della pn con invarianti assegnati
123. — Equazione differenziale per le funzioni ellittiche di secondo
ordine ..........
124. — Primo metodo d' inversione con una sostituzione lineare
125. — Secondo metodo d' inversione .....
126. — Integrazione delle funzioni razionali di iv e VP(ìo) .
127. — Integrali normali ellittici di Weierstrass
pag.
312
315
317
320
322
324
326
328
332
336
337
604
Capitolo XII.
Le tre funzioni 7 pari di Weierstrass e le funzioni ellittiche di Jaoobi snv, cn r, dn r. — Il
quadrato k^ del modulo come funzione modulare. — Formole d'addizione per en v,
cn V, dn v.
§. 128. — Funzioni periodiche cappartenenti a sottogruppi del gruppo
modulare .........
129. — Le tre funzioni -s pari ......
130. — Le funzioni ellittiche \ pu — e,- e i valori di \ Cy — ea
r
131. — Aggiunta di semiperiodi all'argomento delle a,«
132. — Serie di potenze in u per la ::,■ u
133. — Le funzioni ellittiche di Jacobi sn v, cn v, dn u .
134. — Relazioni fra sn v, cn u, dn u e loro derivate
135. — Il quadrato A-- del modulo come funzione modulare .
136. — Formole d'addizione per sn v, cn v, dn v . . .
137. — Trasformazione di 1." ordine per sn v, cu u, dn w
• pag.
339
»
342
»
344
»
347
»
348
»
350
»
354
■0
355
»
358
»
361
Capitolo XIII.
Le funzioni pu^ ^u, "jrU per valori reali degli invarianti e le funzioni di Jacobi snr, cn??,
dn V per valori reali del modula k fra 0 e 1. — Integrali ellittici di Legendre e Jacobi.
138. — Osservazioni fondamentali sulla p {u', 9i,(h) con invarianti
reali . . . . . . . • .
139. — Caso del discriminante A =^2—27 5r|>0 .
140. —Andamento di pn. — La cubica: y- = ^:X^—g.iX—g.^ .
141. — Alcune applicazioni geometriche. ....
142. — La p {u ; g-z , g^) con invarianti reali e discriminante A ne
gativo ..........
143. — Degenerazione della pu nel caso di A = 0 .
144. — Le funzioni sn v, cn v, dn v per valori reali, positivi e <^ 1 di k^
145. — Integrale ellittico di 1.^ specie di Legendre, — Degenera-
zione di sn tJ, cn f , dn V
146. — Gli integrali di 2.^ specie E (y), Z (r) di Legendre e Jacobi
147. — L' integrale di 3.=* specie II (v, a) di Jacobi .
148. — Riduzione dell' integrale ellittico di 1.^ specie alla forma nor
male di Legendre .......
pag. 364
r> 367
» 370
» 372
» 375
» 378
» 380
» 382
^ 384
» 387
» 388
Capitolo XIV.
Sviluppi in prodotti infiniti ed in serie trigonometriche delle funzioni 3. — Serie & di Jacobi e
loro proprietà.
§. 149. — Sviluppo in prodotto infinito semplice per 33 u . . . pag. 391
150. — Sviluppi in prodotti infiniti per le quattro 3 e per le co-
stanti Ve,, — cg , Va
394
605
/2K
§. 151. — Sviluppi per y --
4 _ 4 12
'\ A: , '\ k' , \k fc* e per su v, cu v, du v
152. — Sviluppo di una funzione periodica in serie di Fourier
153. — Sviluppo in serie trigonometrica per la -j^u
154. — Sviluppo delle altre a e serie per calcolare 'r^ .
155. — Le serie & di Jacobi ........
156. — Relazioni fra le &....... .
157. — Dimostrazione dell' identità di Jacobi e valori in serie di
\'k , y/k' , VA
158. — Sviluppi in prodotti infiniti per le i> .
159. — Trasformazioni di 1." ordine per le & (y, ") . . . .
pag. 398
» 399
x 401
» 403
» 406
» 408
411
414
416
Capitolo XV.
Teoria della trasformazioue delle fiiuzioni ellittiche. — Trasforiuazioni di grado primo della
pU e della OM. — Trasformazione di Landeii.
§. 160. — Problema della trasformazione delle funzioni ellittiche
161. — Trasformazioui razionali e loro grado ...
162. — Equivalenza delle trasformazioni . .
163. — Riduzione alla forma normale .....
164. — Trasformazioni imprimitive e primitive. — Trasformazioui d
grado composto ........
165. — Trasformazioni di grado primo .....
166. — Distinzione del caso n = 2 dal caso di n dispari .
167. — Risolubilità per radicali dell'equazione di trasformazioue
168. — Esistenza dell'equazione modulare fra gli invarianti assoluti
169. — Formole di trasformazione per la a m .
170. — Trasformazione di Lauden . . ...
171. — Applicazione al calcolo degli iuLegrali ellittici
172. — Trasformazioue di Landeu nelle amplitudini
173. — Media aritmetico-geometrico M {a, b) secondo Lagrange e
Gauss ...........
pag.
420
423
426
428
430
434
437
438
440
442
444
417
448
452
Capitolo XVI,
Funzioni modiilari ellitticlie.
§. 174. — Definizione delle funzioni modulari. — Loro sottogruppo
175. — Diramazione di una funzione modulare 'f (t) rispetto all'in-
variante assoluto J {-) . . . . . .
176. — Sottogruppi d' indice finito e loro poligono fondamentale .
177. — Esistenza di funzioni modulari appartenenti ad un dato
sottogruppo ..........
pai
455
458
461
464
606
§. 178. — Il poligono fondamentale del sottogruppo G ZE [ „' ì (mod 2) pag. 466
179. — Distribuzione dei valori di k- (-) nel suo poligono fonda-
mentale ........... 471
180. — La funzione k^ (-) come uniformizzante .... » 473
181.- Le funzioni modiilari V'/?, Vfc^ » 475
4 4 _
182. — Le funzioni modulari f (-) = \k , ò{z) = )/fd . . . » 478
Capitolo XVII.
4
Equazioni modulari per l'invariante assoluto e per la funzione modulare V^ — Metodo di
Hermite per la risoluzione dell' o<iuaziono generale di 5.» gi-ado.
§. 183. — Considerazioni preliminari ....... pag. 485
184. — Esistenza dell'equazione modulare per j (~) . . . . » 487
185. — Gruppo di monodromia dell'equazione modulare . . » 490
186. — Diramazione di j' rapporto n j e poligono fondamentale
dii(-^) * 493
187. — Proprietà dei coefficienti dell'equazione modulare . . » 498
188. — Gruppo algebrico dell'equazione modulare .... » 501
4
189. — Equazione modulare per ':<{-:) = \k e sue radici ...» 503
190. — Gruppo di monodromia ed algebrico dell'equazione modulare » 508
191. — Proprietà dell'equazione modulare f{u,v)^0 ...» 511
192. — Le equazioni modulari per jj = 3,5,7,ll .... » 516
193. — Abbassamento dell'equazione modulare di 6." grado . . » 519
194. — Costruzione effettiva della risolvente di 5." grado di Hermite » 521
Capitolo XVIII.
Principii della teoria delle funzioni ellittiche a moltiplicazione complessa.
§. 195. — Funzioni ellittiche a moltiplicazione complessa e formole
fondamentali ........
196. — Corrispondenza colle classi di forme binarie quadratiche
197. — Formole effettive di moltiplicazione complessa
198. — Natura dei coefficienti nelle formole di moltiplicazione com-
plessa ..........
199. — Risolubilità per radicali dell'equazione per la divisione dei
periodi .........
200. — Equazione algebrica fra g^, 9i •
201. — Esempì numerici D ^ 3, 2, 7
» 540
» 542
» 544
202. — Invarianti delle classi ....... » 548
pag. 525
» 529
» 532
» 536
607
§. 203. — Proprietà delle equazioni irriducibili per gii invarianti delle
classi ........... pag. 553
204. — Modo di calcolare i fattori H,.0'), H',„ (J) . . . . » 557
205. — Gli invarianti di classi di 2.-' specie espressi razionalmente
per quelli di 1.^ specie ........ 559
Capitolo XIX.
Composizione delle forme qiiadratiche e gruppo di Galois per l'equazione degli invarianti
delle classi.
§. 206. — Composizione delle forme quadratiche secondo Gauss . . pag. 563
• 207. — Gruppo di composizione delle forme ...... 568
208. — Teoremi varii sulla composizione delle forme ...» 571
209. — Trasformazione degli invarianti delle classi ...» 573
210. — Ritorno all'equazione per la divisione dei periodi e deter-
minazione del suo gruppo ........ 579
211. — Abbassamento del gruppo nel caso delle funzioni ellittiche
a moltiplicazione complessa ....... 583
212. — Dimostrazione della formola fondamentale (15), pag. 578 . » 587
213. — Gruppo di Galois per l'equazione Hd(j') = 0 e sua risolu-
bilità per radicali ...,....» 591
214. — Decomposizione di Ho 0') in fattori corrispondenti ai generi
delle forme secondo Kronecker .,,.,.» 594
CORREZIONI ED AGGIUNTE
Pag. 130, linea 9 — Alle parole: e la serie Pj (2—6), che nell'area comune a C,Ci
rappresenta la funzione ic (z) si aggiungano le osservazioni seguenti :
La differenza P (2 — a) — Pj (s — b) delle due serie è una funzione w (2)
finita, continua e monodroma entro la lunula comune a C, C^ che inoltre è
nulla nel disco circolare col centro in b, interno alla lunula, onde segue che
essa è nulla in tutta la lunula. E infatti sia A un punto interno al detto
disco, B un punto qualunque nella lunula; si tracci una curva ',' che entro
la lunula vada da A in B. Sul tratto di y uscente da A interno al disco è
oj (2) = 0 ; e se supponessimo ('j (B) =? 0 esisterebbe sulla curva 7 (per un noto
teorema di Weierstrass) un punto di separazione C, perfey amente determinato,
tale che nel tratto AC sarebbe ò)(z) = 0, mentre da C in poi, in qualunque
X>rossimità di C, w (z) assumerebbe anche valori non nulli. Ora ciò è assurdo,
perchè in C si annulla Co (z) e si annullano inoltre evidentemente tutte le sue
derivate. Se e è il valore di z in C, lo sviluppo di w iz) in serie P (z— e), se-
condo il teorema di Cauchy,, ha dunque nulli tutti i suoi coefficienti.
Pag. 194, linea 4 — Alla fine del periodo : per le serie di potenze di una variabile
si aggiunga: <i quando alla condizione di semplice convergenza si sostituisca
quella di convergenza assoluta».
Pag. 194, linea 9 — In luogo di : ki serie converga leggi : la serie converga asso-
lutamente.
Pag. 194, linea 5 dal basso — In luogo di : è convergente si legga : è convergente
assolutamente.
Pag. 195, linea 3 dal basso — In luogo di : Se la serie di potenze P (z^ , z^ converge
leggi: se la serie di potenze V{z^,z^ converge assolutamente.
Pag. 196, linea 9 dal basso — In luogo di : la serie converga leggi : la sene con-
verga assolutamente.
Pag. 196, linea 7 dal basso — In luogo di: la serie V {z^^z.^) leggi: la serie dei
moduli della P(Zj,Z2).
Pag. 197, linea 1 — In luogo di : la serie leggi : la serie dei moduli.
Pag. 195, linea 6 dall'alto — Leggi al modo seguente:
WI^OO « = 30 m^Mj — 1 «=»
"R — "V "V I /-/ Mp- i'" \f "-\- "V 'V 1^/ \ \f '"' 1^ 1» I
l\»l^n^ — ^ ^ , itni »j | l^il 1*2 l^ ^ ^ |i*mn| 1*11 |*2l j
i
«^«, — 1 m=cc
"mn I I "^1 1
_j_ 'V^ 'V^ I /^ 1 I ~ I»" I V I"
M=0 m=m
Pag. 195, linea 14 dall'alto — Leggi:
ii,..«,<ry cr» q" 2 2; ^1" ^^ + ^ -,--7- ^^'' 2 ^^ + ^ -7—- cr« 2 ^i'
,„=0 i.=0 ^ 'si ..=0 ^ ~ ^2 ».=.0
Pag. 195, linea 15 dall'alto — Dopo: scricerp, aggiungi: a fnriiori:
» 195, » 1(5 » — Leggi al modo seguente :
Pag. 194, linea 9 — In luogo dì : la serie converga leggi : la serie converga asso-
lutamente.
Pag. 194, linea 5 dal basso — In luogo di : è convergente si legga : è convergente
assolutamente.
Pag. 195, linea 3 dal basso — In luogo di : .S'è la serie di potenze P {z^ , Zg) converge
leggi : se la serie di potenze P (Sj , Sj) converge assolutamente.
Pag. 196, linea 9 dal basso — In luogo di : la serie converga leggi: la serie con-
verga assolutamente.
Pag. 196, linea 7 dal basso — In luogo di: la serie Y {z^,z.^ leggi: la serie dei
moduli della V {z^,z^.
Pag. 197, linea 1 — In luogo di : la serie leggi : la serie dei moduli.
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