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Full text of "L'ultima guerra turco-veneziana (MDCCXIV-MDCCXVII)"

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SEP  2  7 


1993 


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L161—  O-1096 


AMY  A.  BERNARDY 


L' ULTIMA  GUERRA 


TURCO-VENEZJANA 


(MDCCXIV-MDCCXV11I) 


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FIRENZE 

STABILIMENTO    TIP.    GIUSEPPE    CIVELLI 
I902, 

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in  2013 


http://archive.org/details/lultimaguerraturOObern 


34  5,3/1 


ULTIMA  GUERRA  TURCO- VENEZIANA  (1714-171Ì 


SOMMARIO 


I.    —    Introduzione. 
Dalla  guerra  di   Morea  alla  guerra  di  successione  (1683-1713). 

II.  —  Prodromi  della  guerra. 

Cupidigie  Musulmane  —  Vecchi  rancori  e  pretesti  nuovi  —  Le  vertenze 
Turco -Venete  —  Sospetti  Veneti  e  preparativi  Turchi  —  Dispacci  dall'Oriente 
7-   Il  bailo   Andrea  Memmo  e  il  gran  visir  Ali   —   Dichiarazione  di  guerra. 

Ili,  —  Vittorie  Turche  ed  alleanze  Europee. 

Scoppio  delle  ostilità  —  Sfacelo  del  dominio  ducale  in  Oriente  —  La  Cri- 
stianità minacciata    —   Benedizioni  pontificie,  navi  europee  ed   armi   austriache 
[     contro  il  Turco   —   Rinnovamento  della  Sacra  Lega. 

V 

IV.  —  Vittorie  Austro-Venete. 

L'intervento  del  Principe  Eugenio  —  Sdoppiamento  del  teatro  della  guerra 
—   Armi    venete    sull'Jonio    ed    austriache    sulle    frontiere    —    Combattimenti 


547471 


-   4   - 

navali   —   Battaglia  di  Petervaradino  —  Liberazione  di  Corfù  —  Capitolazione 
di    Temeswar   —   Presa  di    Belgrado. 

V.  —  La  pace  di  Passarowitz 

Proposte  Turche  e  mediazioni  P2uropee  —  Trattative  di  pace  —  Inoppor- 
tune mosse  Spagnuole  —  L'  uti  possidetis  e  il  preliminare  veneto  —  Le  con- 
ferenze di  Passarowitz  —  Ultime  scintille  di  guerra  in  Dalmazia  —  Conclu- 
sione della  pace. 

VI.  —  Conclusione. 
Cessazione  definitiva  delle  ostilità   —   I  risultati  duella  guerra. 


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I. 

Introduzione 


Quando,  nel  1683,  Giovanni  Sobieski  respinse  i  turchi  dalle  mura 
di  Vienna,  egli  salvò  non  solo  l'Austria,  ma  l'Europa  e  la  civiltà. 
Mai  conquista  più  splendida  avrebbe  potuto  arridere  alle  speranze 
ottomane,  che  quella  della  città  imperiale  sul  Danubio,  centro  di 
regni,  porta  dell'  Occidente,  ultimo  baluardo  della  Cristianità.  Sul 
combattuto  ridotto  della  Gersthof  il  re  polacco,  difendendo  col- 
l' aiuto  di  Baviera,  Lorena  e  Sassonia  la  fede  di  Cristo,  risolvette 
colla  spada  problemi  politici,  civili,  economici,  di  un'  importanza 
enorme.  A  spalleggiare  i  Turchi  invadenti  stava  in  armi  l'Ungheria, 
su  cui  più  che  lo  zelo  della  fede  comune  poteva  l'amarezza  della 
oppressione  recente  e  l' amore  della  propria  indipendenza.  Salvata 
Vienna,  l' Ungheria  tornava,  è  vero,  sotto  l' egemonia  degli  Au- 
striaci, ma  vi  tornava  fremente  e  irrequieta,  dibattendosi  fra  gli 
artigli  dell'  aquila  sovrana.  La  questione  Orientale  si  delineava  con 
una  nettezza  ed  una  semplicità  da  sgomentare  :  1'  Oriente  Turco 
contro  1'  Occidente  Cristiano  :  gli  infedeli  padroni  degli  antemurali 
del  mondo  Europeo  per  mare  e  per  terra,  imbaldanziti  insieme  e 
inferociti  dall' aver  presa  Vienna  e  dall'averla  dovuta  lasciare;  gli 
Austriaci  stanchi  e  sgomenti  dall'  immensità  del  pericolo  corso  ;  fra 


-  e  - 

gli  uni  e  gli  altri  una  nazione  cristiana  di  tradizioni,  turca  d'inte- 
ressi e  di  alleanze,  sempre  oppressa  e  sempre  ribelle,  pronta  sempre 
a  suscitare  un  incendio  dalle  cui  fiamme  sperava  uscire  illesa  e  ri- 
generata. Non  bastava  avere  respinto  i  Turchi  e  strangolato  Kara 
Mustafà  per  aver  tolto  loro  il  desiderio  della  rivincita,  che  1'  Un- 
gheria seguitava  ad  aizzare  come  unica  via  al  compimento  delle 
proprie  speranze;  né  a  ciò  bastava  l'Austria. 

Di  fronte  al  pericolo  imminente  si  levò  in  armi  1'  Europa,  e  Ve- 
nezia, stancata  già  dai  continuati  sforzi  della  guerra  di  Candia,  entra 
anch'  essa  nella  lega,  e  trova  ancora  migliaia  di  ducati  e  decine 
di  galere  per  rinnovare  in  Oriente  il  motto  :  Haec  loca  possidet 
ducale  dominium.  Francesco  Morosini  per  mare  ed  Eugenio  di  Sa- 
voia per  terra  ottengono  trionfi  memorandi,  dei  quali  a  Venezia 
non  resterà  che  il  ricordo,  l'Austria  vedrà  il  rinnovamento.  Intral- 
ciano 1'  opera  demolitrice  della  potenza  turca  le  discordie  europee, 
abilmente  alimentate  dalla  Corte  di  Francia  ;  la  spingono  d' altra 
parte  le  ambizioni  politiche,  che  dischiudono  a  Venezia  le  coste 
dell'Arcipelago,  a  Vienna  le  rive  del  Danubio  fino  al  Mar  Nero. 
Svezia  e  Russia,  nazioni  novissime,  rimaste  fino  allora  in  disparte, 
guardano  attente  per  cogliere  il  momento  d'  entrare  nella  gran 
lotta,  e  Pietro  il  Grande  precipitato  su  Azof  introduce  un  commen- 
sale inaspettato  al  banchetto  europeo  sulle  desiderate  spoglie  del 
Turco  moribondo.  Zenta  e  Mohacz  avevano  solleticato  gli  appetiti 
dell'  Europa,  e  non  pareva  probabile  che  questa  volesse  osservare 
un'astinenza  eccessiva.  Ma  di  là  dai  Pirenei  s'appresta  un  altro 
convito,  e  le  Potenze  tornano  a  volgersi  all'  Occidente.  Corrono  le 
corti  occidentali  i  messaggi  della  prossima  fine  di  Carlo  II,  ed  ogni 
dinastia  offre  un  suo  rampollo  all'onore  della  cattolicissima  corona. 
La  Francia,  che,  rimasta  estranea  ai  fatti  d'  Oriente,  ha  saputo  scal- 
tramente approfittare  della  distrazione  europea,  provoca  il  testa- 
mento famoso  che  abbatterà  i  Pirenei.  Alla  rapace  aquila  d'Absburgo 
preme  conservarsi  liberi  gli  artigli  per  la  guerra  imminente  ;  e,  come 
Luigi  XIV  avea  precipitate  le  trattative  di  Ryswick,  cosi  l'Austria 
<  he  sognava  la  ricostituzione  della  potenza  formidabile  di  Carlo  II, 
adduce  volentes  nolente*  gli   alleati  alle  tende  di  Carlowitz. 


-   7  - 

Carlowitz  è  la  conseguenza  apparente  di  Zenta;  reale,  della 
successione  Spagnuola.  L' Austria  mette  avanti  pretese  vastissime, 
spingendo  i  desiderii  fino  alla  Bulgaria  e  alla  Valachia  da  una 
parte,  e  dall'altra  fino  a  quelle  terre  di  Bosnia  e  d'Erzegovina,  sue 
oggi,  dopo  due  secoli  di  cupida  aspettazione,  complemento  e  ar- 
rotondamento di  fatto,  se  non  di  diritto,  necessario  e  conveniente 
ai  frastagliati  domimi.  Ma  poi,  cosciente  certo  d'aver  chiesto  troppo, 
e  considerando  che  dopo  aver  rischiato  di  perder  Vienna,  v'  era 
da  contentarsi  di  guadagnar  la  Transilvania,  e  che  rinunziando  a 
qualche  cosa  in  Oriente  e'  era  il  caso  di  rifarsi  di  qua  dai  mari, 
pensa  bene  di  transigere.  Così,  giuocando  un  banato  balcanico  contro 
un  regno  europeo,  s' avvede  che  i  conti  non  sarebbero  poi  fatti 
tanto  male,  se  riuscissero.  —  Quella  invece  a  cui  i  sacrifizii  pe- 
sano senza  conforto  è  Venezia,  che  non  avrebbe  desiderato  di 
giungere  tanto  presto  ad  una  pace  che  le  toglieva  ogni  speranza 
di  ulteriori  espansioni,  e  nella  quale,  pur  acquistando  o  ritenendo 
molto  per  la  sua  gloria  e  troppo  per  le  sue  forze,  dovette  cedere 
alla  precipitazione  degli  avvenimenti  in  molte  legittime  pretese. 

Pareva  nondimeno  che  alla  Dominante  si  aprisse  un  nuovo  pe- 
riodo di  gloria  per  l'acquisto  recente  della  Morea,  d'Egina,  di 
S.  Maura;  pel  rinnovamento  dei  confini  di  Dalmazia  e  d'Albania; 
pel  vantaggio  economico  e  politico  che  le  portavano  la  soppres- 
sione del  tributo  di  Zante  ed  il  trattato  commerciale,  conseguenze 
veramente  importanti  di  una  guerra  fortunata,  accanto  alle  quali 
diminuivano  di  gravità  lo  sgombro  di  Livadia  e  la  demolizione  di 
Romelia  e  di  Prevesa,  danni  che  si  sarebbero  potuti  evitare,  se 
l'Austria  non  avesse  avuto  tanta  fretta  di  concluder  la  pace.  Ma 
era  un  vigore  fittizio  :  Venezia  uscì  dalla  guerra,  stanca  ed  impo- 
verita, né  poteva  giovarle  l'acquisto  di  domimi  che  essa  non  riu- 
sciva a  provvedere  né  di  armi  né  di  fortificazioni,  che  anzi  era 
costretta  a  lasciar  deperire  sempre  più.  L' alleanza  eoli' Austria  che 
le  aveva  imposto  quasi  esclusivamente  il  peso  della  guerra  ma- 
rittima, era  stata  uno  sforzo  doloroso,  determinato  da  un  com- 
plesso di  necessità  politiche  che  non  si  potevano  discutere,  di  tra- 
dizioni di  ricordi    di  ambizioni  a  cui  si  rinunziava  mal  volentieri, 


_   8  — 

poiché  la  gloria  della  Dominante  non  era  ancora  una  paiola  vani, 
e  il  vecchio  grido  di  viva  S.  Marco  destava  ancora  efficacemente  gli 
echi  della  laguna.  Di  fronte  all'Europa,  Venezia  conservava  quella 
autorità  e  quella  dignità  che  le  veniva  da  secoli  di  vita  ricca  di 
glorie  marinaresche  e  politiche,  di  fortuna  civile  e  commerciale, 
da  quell'  aura  di  solennità  e  di  mistero  che  aveva  tante  volte  rac- 
colto sul   palazzo  del  Doge  gli  sguardi  d' Italia  e  del  mondo. 

Nonostante  le  fortune  passate,  la  Serenissima  si  trovò  all'  alba 
del  secolo  nuovo  M  svigorita  ed  irresoluta  nell'  agitarsi  delle  enormi 
ambizioni  Europee.  E  nella  guerra  di  successione  delibera  la  neu- 
tralità. Neutralità  armata  in  faccia  ai  due  eserciti  discesi  in  Lom- 
bardia, mentre  Filippo  di  Lamberg  a  nome  di  Cesare  chiede  li- 
bero il  passo  alle  truppe  imperiali  sulle  terre  della  Dominante,  e 
in  nome  di  Luigi  XIV  un  altro  cardinale,  il  D' Estrèe,  propone 
un'  alleanza  franco-veneziana  che  è  rifiutata.  Ma  la  neutralità  co- 
stava quasi  più  della  guerra  dichiarata  :  ventiquattromila  uomini  alle 
frontiere,  dal  novembre  del  1700  all'aprile  del  17 13,  erano  peso 
gravissimo  al  pubblico  erario,  impoverito  anche  dalla  diminuzione 
delle  rendite,  da  cui  si  dovettero  dispensare  i  territorii  danneggiati 
dalle  guerre. 

Intanto  si  era  costretti  a  trascurar  le  difese  di  Levante  ;  e  depe- 
riva l'armata  navale,  per  la  cura  continua  di  quella  che  in  terra- 
ferma era  così  gravosa  e  così  inefficace  alla  Repubblica,  anche  per 
l'antico  sistema  di  questa  di  non  metterle  a  capo  un  suo  patrizio, 
cosicché  l'esercito  veneto  veniva  ad  essere  interamente  estraneo  agli 
interessi  più  vitali  dello  stato  che  doveva  difendere.  I  ventiquat- 
tromila uomini  neutrali  non  mettevano  davvero  soggezione  all'Eu- 
ropa, che  trattava  le  terre  veneziane  come  roba  sua,  e  vi  faceva 
scorrazzare  i  suoi  eserciti  senza  un  riguardo  al  mondo  ;  e  nella  stessa 
maniera  si  approfittava  dei  porti  di  S.  Marco,  in  cui  armavano  ed 
approdavano  liberamente  le  sue  navi,  soggetto  di  rimostranze  con- 


fi) Girolamo  Ferrari,  Notizie  stor.  della  lega  tra  V Imp.  C.  VI  e  la  Rep.  di  Ven.  eie, 
17/3  p.  6.  —  Vhndramino  Bianchi  —  /stor.  Relaz.  della  pace  di  Passaroiuitz,  1719,  j.  5. 
—  Giacomo   Dikdo,  St.  di  Venezia,  1751,    Voi.  IV,  p.  11-13. 


—  9   - 

tinue.  1  ruggiti  del  Leone  non  mettevano  paura  a  nessuno,  e  tutti 
seguitavano  a  fare  il  comodo  loro,  come  se  i  ventiquattromila  sol- 
dati fossero  stati  di  legno  per  davvero..  E  non  fu  questo  il  solo 
danno  :  l'Europa  ingrata  si  ebbe  anche  a  male  della  neutralità  re- 
missiva di  Venezia  :  la  Francia  perchè  era  stata  rifiutata  la  sua 
alleanza,  l'Austria  per  le  tradizioni  recenti  di  guerra  comune  che 
l' univano  a  Venezia,  gli  altri  per  altre  ragioni,  di  modo  che  la 
Repubblica,  illudendosi  siili'  opportunità  della  sua  linea  di  condotta, 
e  sperando  di  conciliarsi  la  benevolenza  di  tutti  e  di  non  ricever 
noie  da  nessuno,  si  trovò  invece  ad  aver  raggiunto  senza  accor- 
gersene, precisamente  lo  scopo  opposto^. 

Intanto  il  principe  Eugenio,  che  sui  campi  d'Ungheria  e  di  Tran- 
silvania  aveva  avverato  quel  magnifico  sogno  di  gloria  che  era  stato 
la  stella  della  sua  travagliata  ed  amara  giovinezza,  faceva  sui  campi 
d' Italia  e  d'  Olanda  contro  le  armi  francesi  le  vendette  dell'  aba- 
tino di  Savoia. 

E  nel  Nord  Carlo  XII,  salito  al  trono  di  Svezia,  minacciata  Co- 
penhagen da  una  parte,  Mosca  dall'altra,  invasa  la  Polonia,  deva- 
stata la  Lituania,  suscitava  la  guerra  formidabile  fulminea  sangui- 
nosa, che  cementò  col  sangue  le  basi  della  potenza  russa,  e  pro- 
strò a  Pultawa  le  fortune    della    Svezia.  —   La    Russia    prende  la 


(i)  Ferrari,  op.  cit.,  p.  6.  —  Diedo,  op.  cit.,  p.  33,  34,  39,  53.  Generale  dei  ventiquat- 
tromila soldati  fu  S.  E.  Alessandro  Molino,  il  cui  contegno  fornì  argomento  ai  panegirici  più 
sfacciati  di  tutte  le  accademie  veneziane.  I  Ricovrati  pubblicarono  (Padova  1705)  una  serie 
di  sonetti  che  riproduco  un  po' per  la  curiosità  e  un  po' per  la  rarità  loro,  integralmente  o 
in  parte. 


Eccoli 


Gloria  di  Libertà  valor  di  Regno 
Fu  il  rifiutar  d' Emoli  Re  gl'inviti 
E  con  novo  di  Stato  utile  ingegno 
Sol  prestar  lo  steccato  a  le  gran  Liti. 

Ma  che  ?  Di  pace  altr'  è  formar  dissegno 
Altro  eseguirlo  in  mezzo  a'  Brandi  arditi, 
Altro  è  il  dire,  altr'  è  il  far,  che  a  doppio  sdegno 
Dia  timore  il  Leon  senza  ruggiti. 

Lo  sa  l'Adige,  il  Po,  1*  Istro,  V  Ibero 

E  la  Senna  e  il  Tamigi,  e  lo  sa  il  Reno 
Se  il  fatto  aggevol  fu  quanto  1*  Impero. 

Ma  la  grand'opra  il  gran  pensiero  è  il  meno. 
Una  pace  serbar,  fu  il  gran  pensiero, 
L'opera  fu,  porre  a  due  Guerre  il  freno. 


egemonia  del  Nord,  e  con  essa  un  posto  formidabile  fra  gli  stati 
d'Europa.  Il  vinto  di  Pultawa  non  dimentica  l'odio  contro  il  Russo,  e, 
rifugiatosi  a  Costantinopoli,  riesce  a  fargli  muover  guerra  dal  Sul- 
tano. Guerra  che  minacciava  di  essergli  fatale,  se  la  cessione  di 
Azof  non  avesse  opportunamente  saziato  i  desiderii  degli  Ottomani, 
stanchi  ormai  da  una  parte  di  Carlo  XII  e  della  sua  irrequietezza 
continua,  preoccupati  dall'altra  delle  condizioni  interne  dell'Impero, 
e  accortisi  che  in  Europa  si  poteva  fare  qualche  cosa  di  meglio 
che  secondare  i   capricci  di  un  ospite  rovinato  e  incontentabile. 


Mandano  gli  altri  Regni  i  Duci    a    stuolo 
Ne  bastano  a  l' Impresa.  Invidia  mordi 
L'Adria  manda  Alessandro,  e  basta  un  solo  ! 

III. 

S'Adria  invitato  avesse,  infin  da  Eliso, 

Mario,  con  gli  altri  Eroi,  Camillo  e  Cato  ; 

Al  veder  Cimbri  e  Galli,  in  fiero  viso, 

Far  dell'Adriaca  pace  uà  lor  steccato  ; 
Dopo  grave  pensar,  che  auria  deciso, 

Per   comun  prò,  quel  pallido  Senato  ? 

Che  il  Veneto  valore  (ecco  l'avviso) 

Spettator  sia  delle  altrui  guerre  armato. 
Ma  perchè  armato  fosse,  e  in  un  tranquillo, 

Ad  Alessandro,  ogni  Roman  campione 

Del  Veneto  Valor  daria  il  Vessillo. 
Tal  coi  Cimbri  oggi  Mario  auria  tenzone, 

Tal  pugna  ora  coi  Galli  auria  Camillo, 

Così  Cesarian  saria  Catone. 

In  prosa  si  disse,  fra  le  altre  cose,  che  «  la  Veneta  neutralità  è  un  mirabile  orologgio  ». 
L'orologiaio  naturalmente  era  il  Molino,  ma  (per  non  uscire  dalla  peregrina  comparazione) 
non  riuscì  ad  altro  che  a  far  suonare  un'ora  infausta  per  Venezia. 


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II. 


Prodromi  della  guerra 


Nonostante  la  vittoria  sul  Pruth,  che  parve  dimostrare  all'  Eu- 
ropa come  si  rialzasse  presto  dopo  le  sconfitte  e  le  cessióni  di  tanti 
domimi,  la  potenza  Musulmana,  l' Impero  di  Achmet  III  non  era 
in  buone  condizioni.  —  Il  gran  visir  Ali  tiranneggiava  sfacciata- 
mente, attirandosi  l'odio  comune  per  la  sua  avarizia  e  la  sua  pre- 
potenza^. Erano  continue  le  ribellioni  dei  Pascià,  imminente  una 
sollevazione  dei  Giannizzeri,,  enormi  le  audacie  e  le  prepotenze  di 
corsari  e  di  ladroni,  dei  quali  terra  e  mare  erano  infestati,  tanto 
in  Europa  che  in  Asia.  Immensa  da  una  parte  la  ricchezza  del 
Visir  e  di  pochi  favoriti,  immensa  dall'altra  la  povertà  del  popolo, 
resa  sempre  più  grave  dalla  carestia,  che  ogni  giorno  si  andava 
facendo  più  terribile.  Le  vettovaglie  salivano  a  prezzi  altissimi  ^  ;  la 
carestia  del  pane  provocava  gravi  disordini  nella  città,  e  sui  confini 
contrabbandi  continui  di  frumento^,  ai  quali  non  tardarono  ad 
aggiungersi  quelli  dell'olio  dalle  coste  e  dalle  isole  dell'Arcipelago. 


(i)  Memmo.  Lett.  II,  e.  37,  (cod.  Marc.  2133,  CI.  VII,  It.)  Lett.  Ili,  id.  e.  43. 

(2)  Memmo.  Lett.  Ili  cit. 

(3)  Memmo.  Lett.  IV,  id.  e.  66. 


Il  problema  economico  presenta  una  gravità  straordinaria  ;  i  tu- 
multi si  estendono  anche  di  là  dal  Bosforo,  e  nell'Asia  minore 
scoppiano  sedizioni  continue;  una  fra  le  altre,  terribile,  ad  An- 
gora. Ai  malcontenti  gravi  si  tentò  riparare  in  parte  con  pronte 
elargizioni  e  col  pagamento  degli  stipendii  arretrati  alle  milizie,  ma 
non  bastava.  —  Ricorse  allora  il  Gran  Visir  all'aiuto  della  reli- 
gione, dando  la  colpa  delle  tristi  condizioni  dell'  Impero  alla  re- 
missione verso  i  Cristiani,  che  i  Giannizzeri,  pochi  e  indisciplinati, 
non  tenevano  a  freno  a  modo  suo.  E  per  correggere  questi  due 
inconvenienti,  rimette  in  vigore  un  costume  abolito  sin  dal  1664, 
che  cioè  «  i  figli  delle  schiaue  de'  Cristiani  non  giunti  agli  anni  13 
«  sieno  uenduti  a'  Turchi  »  educati  nell'Islamismo  ed  incorporati 
nei  Giannizzeri.  Ne  furono  immediatamente  presi  1500  (l).  —  A 
questa  barbarie*  aggiunge  altre  misure  odiose  contro  i  Cristiani  ^  ; 
vieta  agli  ambasciatori  la  villeggiatura  di  Belgrado,  per  timore  che 
la  loro  presenza  corrompa  le  acque  destinate  alle  abluzioni  del  Sul- 
tano, lascia  impunemente  offendere  consoli  e  dragomanni  esteri,  e  si 
sforza  in  tutti  i  modi  di  sfogare  e  di.  far  sfogare  sui  Cristiani  il  ve- 
leno proprio  e  1'  odio  degli  altri  contro  di  lui.  Così  riesce  a  te- 
nersi fermo  nella  grazia  del  Sultano.  —  <-,  Con  1'  altri,  uarie  sono 
«  le  maniere  ch'usa  per  non  cadere  sotto  il  peso  dell'odio  uni- 
«  uersale  »  ;  uccide  od  allontana  chi  gli  dà  sospetto ,  divide  i 
Giannizzeri ,  condanna  i  Cristiani  all'  isolamento ,  e  all'  esilio  dalla 
città  tutti  quelli  che  possiedono  terre  fuori,  di  essa  «  e  tolti  per- 
«  ciò  di  mezzo  li  capi  e  li  Ministri  alle  sollevationi,  tiene  il  re- 
«   stante  in  espettazione,  e  speranza  di  cose  nuove   ». 

Le  novità  lasciate  così  accortamente  intravedere  dal  Visir  al  pò 
polo  come  la  soluzione  dei  gravi  problemi  che  agitavano  tutto  l'Im- 


(1)  Memmo.  Lett.  Ili  cit. 

(2)  Memmo,  id.  —  Il  visir  costituisce  un  serraglio  a  Pera,  città  franca;  inoltre  «  accorso  ad 
«  un  pigcillo  fuoco,  che  s'era  acceso  in  quelle  parti,  ed  osservatolo  io  vinoso,  ne  comandò  ime- 
«  diate  il  restauro,  et  informatosi  de  vicini,  e  segnate  particolarmente  le  case  di  Francia  e 
»  d'Olanda  disse,  che  gl'Infedeli  s'avevano  preso  i  migliori  siti,  e  che  bisognava  trattenere 
«   mille  monsulmani  per  tenerli  a  dietro  ». 

Pei  le  altre  prodezze  del  Visir  a  sopranominato  dagli  stessi  Turchi  il  Diavolo  »  (Ferrari, 
op.  cit.,  p.  24)   v.  le  lettere  del   Memmo. 


-   13  — 

pero,  e  così  opportunamente  fatte  precedere  da  quelle  aperte  dimo- 
strazioni di  fervore  per  la  fede  di  Maometto  e  d'odio  contro  i  se- 
guaci di  Cristo,  erano  i  preparativi  di  una  prossima  guerra.  Prepa- 
rativi vaghi  ed  incerti,  se  si  vuole  W,  «  non  consigliandosi  questo 
«  primo  Miuistro,  che  con  sé  stesso,  e  non  essendovi  per  l'ordi- 
«  nario  chi  sia  conscio  de' suoi  consigli,  se  non  chi  deve  esseguirli  ». 
—  Così  il  desiderio  popolare  poteva  spaziare  da  un  capo  all'  al- 
tro d' Europa,  volgendo  ora  contro  Y  una  ora  contro  1'  altra  na- 
zione le  navi  e  le  armi  che  si  accumulavano  a  Stambul.  Occa- 
sioni non  ne  mancavano  davvero  :  erano  ormai  quindici  anni  che 
si  osservava  una  pace  costata  ben  cara  all'orgoglio  musulmano,  e 
non  solo  nella  sostanza,  ma  perfino  nella  forma  imposta  dai  vin- 
citori, e  a  cui  rabbiosamente  piegarono  il  capo  i  vinti,  pregustando 
col  desiderio  la  vendetta  M. 

Pacificata  finalmente  l' Europa  ad  Utrecht  e  a  Rastadt,  stan- 
che perciò  le  potenze  dalla  guerra  lunga  e  sanguinosa,  la  Sve- 
zia prostrata,  la  Russia  battuta,  tutta  insomma  intenta  l' Europa 
a  trovare  nella  pace  recente  riposo  alla  lunga  duplice  guerra,  i 
Turchi,  imbaldanziti  da  una  parte  per  i  successi  contro  lo  Czar, 
costretti  dall'altra  ad  evitare  con  una  guerra  esterna  quella  civile 
che  sarebbe  stata  disastrosa ,  vedevano ,  volgendosi  ad  Occidente , 
opportuno  il  momento  per  tentare  un'  impresa  militare  che  tutto 
faceva  sperare  fortunata^). 

Pareva  incerto  dapprima  se  i  preparativi  si  dovessero  volgere 
contro  i  Moscoviti  accusati  di  mala  fede  nella  delimitazione  dei 
confini,  o  contro  i  Polacchi  facili    ma  non  pingui  vittime,  o  con- 


fi) Memmo.  Lett.  I  cit. 

(a)  Cfr.  Diedo,  Bianchi,  Ferrari,  passim.  —  Cfr.poi  Ruzzini  (maneggio  di  Carlowitz, 
Cod.  Marc.  CCCLXXXI,  ci.  VII  It.)  «  Fu  certamente  oggetto  d'ammiratione  al  Mondo  ;  come 
«  sarà  caso  di  rara  memoria  nell'Historie  il  ueder  i  Turchi  capaci  di  soggettar  i  loro  maneggi 
«  al  methodo,  all'uguaglianza  et  alla  lentezza  di  tali  formalità ». 

(3)  Memmo.  Lett    III  cit.   —   I  Polacchi  anzi  si  spaventarono  per  davvero.  Ma   l'opinione 

dei  circoli  diplomatici  era,  che  fossero  tutte  voci  vane.  —  « Questi    che   parlano,    tutti 

«  hannrt  le  loro  passioni  e  li  loro  odij,  e  la  Corte,  quando  si  parla,  ottiene  il  suo  intento. —  » 
Temettero  poi  anche  i  Maltesi  «  quando  fu  preso  da  Siciliani  un  Pinco  con  bandiera  Franzese, 
«  nell'acque  di  Siracusa  con  quaranta  Turchi,  nell'atto  di  scandagliare  quel  fondo  »  (Fer- 
rari, p.  19). 


—    14   — 

tro  Malta  cuore  del  Mediterraneo,  o  contro  1'  Austria  nemica  im- 
placabile della  potenza  Ottomana  e  rivale  pericolosa  nei  dominii 
balcanici,  che,  già  messa  in  sospetto  dalle  mosse  ottomane,  alle- 
stiva tranquillamente  un  esercito  sui  confini  dell'Ungheria  W.  Ma 
più  d' ogni  altra  balenava  gradita  alle  avide  speranze  l'impresa  di 
Morea,  dilatantesi,  splendida  di  preda  e  di  conquista,  oltre  i  confini 
della  Dominante  fino  a  Malta  e  Sicilia. 

Poiché,  se  di  malissimo  animo  si  erano  sottomessi  i  Turchi  alla 
pace  di  Carlowitz  per  quanto  riguardava  l'Austria,  se  mal  volen- 
tieri avevano  sopportata  la  privazione  dei  dominii  Danubiani,  sopra 
tutto  era  dispiaciuta  loro  la  perdita  del  bel  regno  della  Morea,  la 
perla  dei  tre  mari,  antemurale  potente  delle  coste  d' Italia,  minac- 
cia continua  ai  possedimenti  musulmani  d'Albania,  che  si  trovavano 
chiusi  da  essa  e  dalla  Dalmazia  Veneta.  —  Era  scoppiata  allora 
una  ribellione  nel  Montenegro  ^\  Venezia  fu  dai  Turchi  prima  so- 
spettata, poi  apertamente  accusata  di  connivenza  coi  ribelli,  che  si 
volevano  ad  ogni  costo  «  non  ridotti,  ma  rovinati  ».  La  Porta  adi- 
rata manteneva  un  assoluto  silenzio  sulla  rivolta  e  sulle  mosse  di 
Naruman  Bassa,  incaricato  della  repressione,  le  cui  relazioni  si  pre- 
vedeva sarebbero  uscite  «  à  talento  della  Corte  »  se  pure  sareb- 
bero uscite  (3).  Il  Visir  fece  chiedere  a  Venezia  l'assicurazione  che 
i  sudditi  della  Repubblica  non  avrebbero  fornito  nessun  aiuto  ai  ri- 
belli (4).  Rispondeva  il  bailo  {s\  a  nome  della  Serenissima,  che  dei 
privati  non  si  poteva  far  garanzia,  potendosi  le  azioni  loro  punire, 
non  prevedere;  che  quanto  alla  punizione  pubblica,  ed  alla  più'  larga 
deferenza  di  Venezia  ai  desiderii  della  Porta,  non  dubitasse  il  Visir, 
che  la  neutralità  chiesta  si  sarebbe  osservata  volentieri,  e  sarebbesi 
in  ogni  modo  cercato  di  farla  osservare.    «  Vi  pensò  sopra  il  Reis 


(i)  Ferr.  op.  cit.  p.  20.  Carlo  VI  «  ordinò  a  cauzione  la  marcia  di  molti  reggimenti  nella 
«   Ungheria  ». 

(2)  Memmo.  Lett  [. 

(3)  Id.        Lett.  II. 

(4)  Id.         Lett.  Vili,  e.  75  —  20  agosto  1714. 

(5)  Era  Andrea  Memmo  di  nobilissima  famiglia.  Cfr.  Bonavia,  La  discendenza  della 
Ser. ma  famiglia  Memmo,  eie.  Udine  1712;  Moti,  Asiaticum  n  ardititi  seu  gens  Montiti  a, 
F'atavii   1684;  Cicogna,  Iscriz.   Ven.  voi.  IV. 


—  i5  — 

«    Effendi  per  un  piccolo  spacio  di  tempo  ;  poi  disse,  è  vero.  Il  su- 
premo  Visir  in  questa  cosa  è  un  poco  impaciente.  Il  Bailo  non  può 
«   risponder    altro    ».   E  per   allora  parve  quetarsi   ogni  cagione  di 
dissapori. 

Ma,  durante  lo  svolgersi  della  ribellione,  i  Turchi,  a  (pianto 
pare,  ebbero  da  rimproverare  a  Venezia  (f)  che,  mentre  essi  rischia- 
rono un  insuccesso  per  non  passare  «  sopra  le  terre  dello  Stato  di 
Venetia  »  un  certo  Gica  «  uno  degl'Officiali  »  che  lo  Czar  di  Mo- 
scovia  aveva  spedito  nel  1711  al  Montenegro,  il  Vescovo,  e  molti 
altri  ribelli  di  considerazione  si  ritirarono  nella  fortezza  di  Cattaro, 
e  e  ve  ne  fu  qualched'  un'  altro  che  si  rifugiarono  a  Durazzo,  e  Pe- 
«  rasto,  ed  Areisne,  tutte  Fortezze  dipendenti  dalla  Republica  di 
«    Venetia,   e  che  li  riceverono  e  trasportorono  coi  loro  Bastimenti 

<  le  Principali  delli  paesi  di  Fegra  e  Delita,  e  dagl'altri  Villaggi,  i 
«  loro  figli  et  effetti,  ch'erano  dall'altra  parte  di  rimpetto  alle  Terre 
«  di  Venetia  ».  I  Turchi  inviarono  lettere  al  governatore  Veneziano 
lamentandosi  di  questo  «  contravenire  alli  Trattatti  di  Pace  »  ma  in- 
vano. Anzi  «  mentre,  che  li  Turchi  erano  nelle  Terre  de  Ribelli, 
«  qualche  Vascello,  e  altro  Bastimento  Venetiano  capitorono  sopra 
«  quelle  Coste,  e  nel  tempo,  che  quei  ribelli  s'erano  ritirati  dalla  parte 
«  di  Cattaro,  e  che  le  Truppe  Ottomane  li  perseguitorono  sino  alle 
«  Frontiere,  li  Venetiani  erano  nel  dissegno  di  far'  un  sbarco  di  Mili- 
«  zie,  ma  il  vento  non  essendo  favorevole  fu  impossibile  di  farlo.  Se 
«   le  Truppe   Venetiane    fossero   state  disbarcate,  è  cosa  certa,  che 

<  havrebbero  attaccate  le  Truppe  Ottomane,  tale  essendo  la  loro  riso- 
%  lutione  ....  »  I  Turchi  inviarono  un'  altra  vana  ambasciata  al  gover- 
natore di  Cattaro,  che  rispose  «  che  fra  poco  sarebbe  commodato  que- 
«  sto  Negozio,  e  lo  licentiò  con  questa  risposta  absurda,  ciò  che  ha 
i  fatto  comparire  la  mala  fede  de  Venetiani  ad  osservare  li  Trat- 
«  tatti. ...  E  cosa  notoria,  che  li  Principali  di  quei  Ribelli  tiravano 
«  pensione  dai  Veneziani,  e  che  mentre,  che  erano  alle  prese  con 
«   loro  ricevevano  per  loro  soccorso  delle  guardie  e  delle  Truppe,  le 


(1)  «  Ragioni  per  le  quali  la  Porta  ha  dichiarato  la  guerra    a   Venezia  »  —    Ms.  Padov. 
bibl.  univ.  2Z23  —  V'en.  R.  Ardi,  di  St.  Disp.  Bailo  filza  172. 


—    i6  — 

«  quali  introrono  sopra  le  terre  dell'Imperio  e  fecero  schiavi  molti 
<■  Turchi  ».  Di  tutto  questo  il  Pascià  stende  il  processo  verbale,  e 
lo  spedisce  alla  Porta  cogli  allegati,  per  dimostrare  «  che  si  sareb- 
«  bero  puniti  tutti  li  Ribelli,  ma  come  si  sono  riffugiati  in  casa  de 
«  Venetiani,  che  gì'  hanno  ricevuti,  e  che  non  s'è  voluto  intrapren- 
«  dere  alcuna  cosa  contro  li  Trattatti  di  Pace,  restò  impedito  alle 
«  Truppe  Ottomane  di  perseguitarli  ».  Con  questa  tendenziosa  con- 
clusione finisce  la  vertenza  del  Montenegro,  la  più  importante  delle 
vertenze  turco-venete,  che  fu  poi  il  massimo  dei  pretesti  di  guerra 
per  il  suo  carattere  politico,  come  infrazione  di  diritto  internazio- 
nale pubblico;  per  quanto  si  possa  ragionevolmente  credere  che  tutto 
il  torto  non  stesse  dalla  parte  di  Venezia,  né  tutta  la  ragione  dalla 
parte  opposta. 

Le  infrazioni  di  diritto  privato  o  commerciale  delle  quali  si  la- 
mentano a  vicenda  Venezia  e  Costantinopoli  sono  numerosissime. 
Ne  hanno  colpa  in  gran  parte  i  corsari  di  Dulcigno,  che  tacita- 
mente, consenziente  il  Visir,  col  pretesto  di  «  fare  il  Corso  contra 
«  gli  Spagnuoli  »  armano  otto  mezze  galere  e  fanno  finta  che  tutte 
le  navi  siano  spagnuole.  E  quando  il  Memmo  se  ne  lamenta,  il 
gran  Visir  gli  taglia  le  parole  in  bocca,  e  si  mette  a  pigliare  un 
gelato  (').  Così  il  torto  resta  a  Venezia,  e  si  accumulano  incidenti 
svariatissimi  (di  navi  predate,  di  ricorsi  del  bailo,  dei  consoli,  dei 
sudditi,  di  rimostranze  turche  e  di  vicendevoli  querele,  imbrogli 
di  mercanti,  furti,  rapine,  bastonature,  soddisfazioni  chieste  e  non 
concesse)  che  parevano  fatti  apposta  (e  certo  ai  Turchi  non  man- 
cava la  volontà)  per  inasprire  le  relazioni  fra  essi  e  la  Serenissima, 
convinta  la  quale  di  fronte  al  mondo  Cristiano  d'infrazione  dei 
trattati,  pareva  ai  Turchi  legalizzata,  per  così  dire,  l'invasione  della 
sospirata  Morea.  Infatti,  senza  questa  circostanza  è  facile  supporre 
che  tutti  quegli  incidenti  sarebbero  passati  inavvertiti  od  avrebbero 
avuto  tutt'al  più  una  soluzione  puramente  diplomatica^. 


(i)  Memmo,  Lett.  XII. 

(2;  Cfr.  l'affare  della  nave  Gerusalemme  (Lelt.  I  e  V),  il  furto  al  dragomanno  veneto  di  Du- 
razzo  (Lett.  Ili),  la  vertenza  del  Mocenigo  e  del  Minotto  coi  Bosniaci  (Lett.  V),  i  sospetti  su 
Venezia  per  i  tesori  del  principe  di  Valachia  (Lett.  V  e  X),  la  cattura  della  tartana  a  Scio  e 


Intanto  gli  ambasciatori  europei  a  Costantinopoli  avevano  osser- 
vato l'eccitamento  popolare <x),  la  nuova  attitudine  del  Visir (2),  l'at- 
tività maggiore  dell'Arsenale  cui  faceva  frequenti  ed  inaspettate 
visite  il  Sultano  ^\  l'accentramento  di  navi  e  di  milizie  nella  città  (4). 
E  ne  scriveva  sul  principio  di  luglio  all'  Eccellentissimo  Senato  il 
bailo  Andrea  Memmo,  aggiungendo  però  :  «  ogni  cosa  non  è  di- 
:  retta,  che  all'  apparenza,  à  coprire  veramente  la  grande  debolezza 
«  in  che  sono,  e  à  tenere  divertiti  gì'  Uomini,  sì  che  non  pensino 
<  à  innovatione  alcuna  »  tanto  più  che  nell'Arsenale  si  lavora  a 
due  navi  solamente (s).  —  E  vero  che  si  allestiscono  le  milizie,  ma 
solo  perchè  la  loro  presenza  renda  sicura  al  Gran  Signore,  timidis- 
sima persona,  la  villeggiatura  di  Adrianopoli(6).  Il  Visir  poi  per  conto 
suo  diffonde  le  voci  di  guerra,  e  lascia  che  il  popolo  si  pasca  di 
speranze,  ma  non  commetterebbe  mai  1'  imprudenza  di  arrischiare 
una  guerra  per  non  mettere  a  capo  dell' esercito  un  duce  supremo 
che  sarebbe  inevitabilmente  diventato  suo  rivale  nell'  autorità  e  nella 
fiducia  del  Sultano.  La  guerra  oramai  s'  era  fatta,  per  necessità,  per 
difendersi  dai  Moscoviti,  ma,  conchiusa  con  essi  una  pace  soddi- 
sfacente, essendo  d'altra  parte  in  buonissimo  accordo  fra  loro  le 
Potenze,  mentre  i  Turchi  son  soliti  piombar  loro  addosso  solo  quando 
le  vedono  disunite  b\  qual  motivo  vi  poteva  essere  di  guerra,  quale  spe- 
ranza poi  di  guerra  fortunata?  —  Questo  si  domanda  il  Memmo,  e 
non  sapendo  che  cosa  rispondere,  pare  che  sia  convinto  per  dav- 
vero che  i  misteriosi  convegni  tra  il  Sultano,  il  Muftì  e  il  Visir, 
i  dodici  mortai  a  bomba   fusi    nel    Topanà,  i  quattordici   cannoni 


la  malleveria  non  concessa  dal    Memmo  (Lett.  Vili),  l'armo  dei  Dulcignotti  (Lett.  XII)  e  poi 
tutte  le  querele  esposte  negli  Articoli  della  dichiarazione  di  guerra  cit.  (V.  Appendice). 

(1)  Colloquio  del  Memmo  con  gli  ambasciatori  di  Francia,  Inghilterra  e  Olanda,  i  quali 
tutti  si  lamentano  del  Visir  (Lett.  IX). 

(2)  Negli  interessi  della  religione   —   Lett.  III. 

(3)  Lett.  II  cit. 

(4)  Lett.  Ili  cit. 

(5)  Lett.  II  cit. 

(6)  Lett.  III  cit. 

(')  Cfr.  Vendramino  Bianchf,  op.  cit.,  p.  6.  —  «  Fu  sempre  costume  dei  Turchi  il  la- 
«  sciar  prima  che  i  Principi  Cristiani  in  lunghe  guerre  tra  di  loro  si  snervino,  e  si  consumino, 
«  e  poi  gettarsi  improvvisamente  sopra  di  quello,  che  vedono  più  incapace  di  sostener  la  piena 
«  delle  loro  inondazioni  ». 


«  per  li  due  Vascelli  nuovi  »  le  perizie  del  costo  di  una  campagna 
per  40  navi,  20  galere,  60  galeotte  e  130  brigantini,  i  carichi  di 
vele  portati  all'  Arsenale,  le  polveri  che  si  fabbricano  a  Dcmonira  e 
a  Gallipoli,  gli  Agà  partiti  per  la  Macedonia  e  il  Mar  Nero,  l'or- 
dine alle  navi  commerciali  di  tornare  alla  fine  di  Novembre,  tutti 
insomma  gli  apparati  di  guerra  dei  quali  egli  rende  esatto  conto 
a  Sua  Serenità  ed  all'Eccellentissimo  Senato (l),  non  debbano  servire 
ad  altro  che  a  far  passare  al  Sultano,  quanto  più  amenamente  si 
potesse,  le  consuete  vacanze  di  Adrianopoli. 

Un  po' di  colpa  in  questa  convinzione  del  bailo  l'aveva  anche 
il  Fleischmann(2),  residente  Cesareo  a  Costantinopoli,  che,  esaminate 
di  proposito  le  probabilità  di  guerra,  le  aveva  tutte  respinte.  Disse 
che  i  Turchi  dovevano  considerare  una  impresa  contro  la  Russia 
come  inutile,  se  non  avanzandosi  nel  cuore  di  essa,  «  partito  di- 
speratissimo »  ;  che  dell'  impresa  di  Malta  la  voglia  sarebbe  stata 
grande,  ma  le  difficoltà  ben  maggiori,  per  la  sua  lontananza,  le 
sue  fortezze,  e  la  protezione  delle  Potenze.  Tacque  della  Sicilia; 
quanto  ai  Polacchi  ed  ai  Veneti  disse  «  aver  comissioni  tali,  che 
se  i  Turchi  entrerano  nella  Polonia  e  nella  Morea,  quand'  anche 
vi  fossero  inoltrati  per  molte  giornate,  egli  ad  un  cenno  li  scac- 
ciarebbe  ;  e  conchiuse,  che  queste  non  erano  più,  che  le  solite 
apparenze  »  (3). 

E  quelle  del  Fleischmann  non  erano  che  parole,  e  parole,  per 
giunta,  che  la  Porta  non  sentiva,  e  da  cui  parevano  molto  lon- 
tani i  fatti;  ed  era  già  un  mese  che,  in  una  consulta  tenuta  alle  Acque 
Dolci,  l'odio  che  sui  Veneziani  si  era  venuto  accumulando  da  quin- 
dici anni,  era  scoppiato  nella  voce  unanime  del  gran  Signore  e  di 
tutti  i  presenti  «  che,  se  s' avaria  a  far  la  guerra,  bisognava  farla 
«   a' Veneriamo   ». 


(1)  Leti    III  ci'. 

(2)  Leu.  IV  cit. 

(3)  Importantissimo  colloquio,  che  si  rannoda  agli  avvenimenti  del   1716. 

(4)  L'informazione  ci  vicn  data  dal  Memmo  stesso,  a  cui  l'aveva  comunicata  il  gen.  Goltz, 
inviato  di  Polonia,  (che  nella  stessa  occasione  mette  innanzi  l'idea  che  convenisse  cambiare 
in  un  trattato  positivo  l'articolo  della  difensiva  stabilito  dalla  Sacra  Lega.  Ma  le  buone  in- 
tenzìoni  dell'inviato,  mosso  da  risentimenti  personali  controia  Porta  per  il  cattivo  trattamento 


—   19  — 

Crescevano  intanto  non  solo  le  voci  di  guerra,  e  di  guerra  contro 
la  Morea,  ma  si  affrettavano  apertamente  i  preparativi/  si  parlava 
di  riedificar  Romelia {l),  s'erano  sbrigati  tutti  gli  affari  e  le  que- 
stioni diplomatiche  colla  Russia  e  colla  Polonia ^  per  avere  libere 
le  mani  all'azione  militare,  s'era  mandato  via  l'ospite  svedese  ^, 
e  il  Visir  s'informava  delle  condizioni  delle  marine  estere  e  sopra 
tutto  di  quella  de' Veneziani.  S'avvide  allora  il  Bailo  della  gravità 
della  situazione,  e  informatosi  anche  lui  della  marina  turca,  ne  ri- 
feriva diligentemente  al  Senato,  e  poneva  in  opera  ogni  mezzo  per 
ottenere  notizie  sicure.  Avuta  «  opportunità  di  comparire  alla  Corte  » 
volle  «  non  più  con  industria,  ma  apertamente  tentarne  1'  animo  » 
e  fece  presentare  al  Reis  Effendi,  perchè  lo  trasmettesse  al  Visir,  un 
Memoriale,  lamentandosi  della  progettata  ricostruzione  del  Castello 
di  Romelia,  contraria  agli  articoli  20  e  30  della  capitolazione  <4). 
Incaricò  poi  il  Dragomanno  grande  e  il  Carli  «  di  scoprire  quanto 


ricevuto,  non  erano  condivise  dallo  Stato).  II  Msmmo  rende  conto  di  questa  confidenza  al  Se 
nato  nella  lett.  X,  31  agosto  1714    come  di  cosa  avvenuta  tre  mesi  prima. 

(1)  Cfr.  Lett.  XI,  XII  in  Appendice,  e  per  la  riedificazione  di  Romelia  il  Memoriale,  id. 

(2)  Cfr.  Lett.  I,  VI,  IX,  X  e  XIII  :  «  Uscite  da  quest'Imperio  tutte  le  nationi,  che  o  per 
■  l'armi  o  per  il  negotio,  l'hanno  tenuto  occupato  negli  anni  addietro,  sono  con  gl'apparati 
«  cresciuti  incredibilmente  i  discorsi,  e  gl'indizii  di  prossima  guerra  per  mare  ». 

(3)  Per  la  partenza  di  Carlo  XII  v.  particolarmente  Lett.  II  e  X,  cfr.  poi  Theyls,  Me- 
vioires  pour  servir  a  l'hìstoire  de  Charles  XII  roì  de  Suede  —  Leide  1722  —  che  dà  estesis 
simi  particolari,  sebbene  non  sempre  attendibili.  Egli  era  cancelliere  ed  interprete  del  Colyers 
ambasciatore  d'Olanda  a  Costantinopoli  durante  la  guerra,  ed  alle  Memorie  ha  aggiunto  una 
specie  di  diario  di  essa,  occupandosi  molto  di  pettegolezzi  diplomatici  e  di  piccoli  segreti  di 
Ambasciata.  La  sua  opera  con  quella  del  Mirone  (Auecdotes  Vènitiennes  et  Turques)  e  l'A- 
nonima Lionese  delle  «  Campagnes  de  Mons.  le  Prince  Eugéne  »  ci  dà  la  piccola  cronaca 
e  la  parte  aneddotica  della  guerra  Turco-Veneta. 

(4)  Ecco  gli  Articoli  del  Trattato  di  Carlowitz  (1699)  che  riguardano  il  Castello  di  Rume- 
lia  (cod.  Marc.  3S4  e  900  ci.  VII,  Arch.  di  St.  Commemoriali  XXX  e.  93-111). 

Art.  II.  La  Terra  ferma  essendo  nel  possesso  dell'eccelso  Imperio,  resta  totalmente  nel 
possesso,  e  dominio  dell'  eccelso  Tmoerio  stesso  per  appunto  nello  stato,  che  si  trovava 
nel  principio  di  questa  ultima  guerra.  La  fortezza  di  Lepanto  resterà  evacuata  dalla  Repub- 
blica di  Venezia.  Il  castello  detto  di  Rumelia  nella  parte  di  Lepanto  sì  demolirà,  si  demo- 
lirà parimenti  la  fortezza  di  Prevesa,  e  si  lascierà  in  quella  parte  la  terra  ferma  nel  suo  pri- 
miero, et  intiero  stato. 

Art.  IV.  L'evacuatione  di  Lepanto,  e  la  demoìitione  del  castello  detto  di  Rume'ia  e  di 
Preresa,  si  eseguiranno  subito  dopo  la  distinzione  delli  limiti  dt  Dalmatia  ....  etc. 

Art.  XIII.  A  cadauna  delle  Parti  sia  lecito  di  risarcire,  riparare  e  fortificare  le  possedute 
Fortezze,  ma  non  già  di  fabricarne  di  nuovo  a'tre  fortezze  appresso  il  Confine,  o  le  demolite 
fortezze  della  Republica  di  Venetia  sulle  sponde  della  Terra  ferma  ». 


«  più  potesse  l'interno  del  suo  animo  »,  ed  ebbe  in  risposta  larghe 
profferte   di    cortesia   internazionale,  e  la  confidenza  da   parte    del 

Visir   «   che  l' armamento era  per  Malta,  il  che  dal  canto  suo 

«   confermò  il  Reis  Effendi.. . .  è  iminente  una  guerra  per  mare 

«  Che  la  confidenza  poi  sia  sincera  circa  l'oggetto,  io  non  sono 
«  molto  disposto  a  crederlo,  ed  assai  meno  ad  affermarlo (l)  ».  Ed 
aveva  tutte  le  ragioni,  poiché  la  Porta,  appena  si  accorse  che  Ve- 
nezia s' era  insospettita,  cambiò  sistema,  e  mentre  prima  lasciava 
diffondere  le  voci  di  guerra  in  ogni  senso,  ora  invece  «  osserva  in- 
«  diferentemente  un  rigoroso  silentio,  ed  il  Visir  applica  assai 
«  anco  a  fare,  che  nella  Città  si  parli  di  guerra  il  meno,  che  sia  pos- 
«  sibile,  avendo  per  questa  causa  esiliato  alcuno . . . .  M  che  esortò 
«  con  publicità  scandalosa  il  popolo  a  pregar  Iddio  per  1'  esito 
«   felice  nell'  espeditione,  che  s'  andava  facendo  contro  la  Morea  » . 

E  la  Morea  era  tutt'  altro  che  pronta  a  sostenere  un  urto  ne- 
mico. Il  provveditore  Antonio  Loredan  aveva  espresso  le  sue  ap- 
prensioni alla  Repubblica  nell'aprile  del  1714(3);  e  nei  dispacci 
del  maggio  lamentava  la  deficienza  delle  difese,  narrava  come  at- 
tendesse con  ogni  cura  a  fortificare,  per  quanto  poteva,  la  penisola 
ed  inviava  al  Senato  ragguagli,  prospetti,  richieste.  Da  Napoli  di 
Romania  il  Commissario  in  Armata  M  fa  notare  al  Senato  la  scar- 
sezza delle  forze  di  cui  può  disporre,  e  il  provveditor  generale  da 
Mar  l$\  dando  notizia  dei  grandi  armamenti  turchi,  sollecita  l' invio 
di  navi,  lamenta  il  gran  bisogno  di  pane  che  affligge  il  paese,  la 
mancanza  di  armi,  di  uomini,  di  requisiti  da  guerra,  tutto  insomma 
«  lo  stato  deplorabile  di  questo  regno,  che  posso  dire  spoglio  di 
«  tutti  quei  apprestamenti  che  sono  tanto  desiderabili  anche  in  quei 
".  paesi  dove  li  soccorsi  sono  vicini  e  non  devono  dipendere  da  l'in- 
giuria del   mare  ». 

Il  dispaccio  che  recava  all'Eccellentissimo    Senato    queste  deso- 


li) Memmo,  Leu.  XIV  e  XV. 

(2)  Theyls,  op.  cit.  p.  35. 

(3)  Cfr.  Dikdo,  op.  cit.  p.  83. 

(4)  Arch.  di  St.  Ven    Disp.  5   D.c.  1714   fiUa   15  e.  6. 

(5)  Arch.  di  St.  Ven.  Disp.  8   Die.  1714   filza  57  e.  23. 


—    21     — 

lauti  parole  era  dell' 8  dicembre  17 14,  e  1' 8  dicembre  17  14,  cu- 
riosa coincidenza,  avvenne  il  colloquio  importantissimo  del  Memmo 
col  primo  Visir,  colloquio  che  fu  il  precedente  immediato  della 
dichiarazione  di  guerra  M. 

Il  7  dicembre  riceveva  il  Memmo  «  biglietto  di  suo  confidente  » 
che  lo  avvertiva  si  ponesse  al  sicuro  ;  e  la  mattina  dell'  8  un  altro, 
che  «  bastò  ad  illuminar/i  dell'  intentione  del  Ministero  » .  Fu  in- 
tatti chiamato  dal  Primo  Visir,  e  vi  andò  con  «  il  fedelissimo  Pietro 
«  Riva,  li  Dragomani  Carli,  Christofolo  Tarsia,  e  Testa,  con  li  due 
«  Giovani  di  Lingua  Brutti  e  Acerbi  ».  Prendo  la  narrazione  dal 
Memmo  stesso  M  :  «  Fui  tenuto  in  fredissima  giornata  più  di  due 
«  ore  alla  scala,  sollecitato  estremamente  nel  viaggio,  tratto  con 
«  violenza  giù  da  cavallo,  allontanato  da  tutti  li  miei  con  pugna 
«  ed  urti,  condotto  io  solo  sopra  le  scale  fermato  nell'  ingresso 
«  della  seconda  scala  per  sin,  che  uscissero  tutti  gì'  Uomini  militari, 
«  e  tutti  quelli  della  Legge,  della  Consulta,  e  finalmente  condotto 
«  al  primo  Visir,  che  non  sopravvenne,  ma  m'aspettò  sedendo,  e 
«  mi  fece  ponere  il  solito  scagno  in  qualche  distanza  maggiore  del- 
«  1'  ordinario.  Qui  senza  alcuna  formalità  di  quelle  che  si  praticano 
«  cogli  Ambasciatori,  doppo  aver  atteso  il  Ministro,  che  se  gli 
«  reccassero  alcune  carte,  disse  con  voce  assai  alta,  e  con  qualche 
«  violenza  nel  movimento.  Che  la  Republica  di  Venezia  avea  oc- 
«  cupato  la  Morea  per  sorpresa;  che  poi  la  pace  dal  canto  suo  fu 
«  sempre  insidiosa.  Che  mai  la  Giustizia  non  s'  era  resa  a  sudditi 
«  della  Porta,  sopra  quali  si  sono  rapite  a  centinaia  a  centinaia 
«  le  Borse  ;  che  alle  querele  non  s'  è  risposto,  che  fraudolente- 
«  mente,  e  con  aperte  bugie.  Che  finalmente  s' era  ricoverato  in 
«  Cattaro  il  Vescovo  di  Cettine  con  i  capi  del  Montenero,  som- 
«  ministrate  armi,  dati  viveri  accomodato  il  trasporto  alle  Rive 
«  opposte,  esibito  il  Ricovero  a  sudditi  della  Porta  ;  E  che  il  non 
«   essersi  fatto  di  più  si  doveva    attribuire   a'  mali  tempi,  che  non 


(1)  Cfr.  Vendramino  Bianchi,  op.  cit.  p.  8;  Girol.  Ferrari,  op.  cit.  p  20;  DiEdo,  op. 
cit.  p.  76.  —  Questa  lett.  XVI  del  Memmo  si  trova  alla  Marciana  di  Veri.  (Cod.  2133,  VII) 
alla  Università  di  Padova  ms.  2223,  e  all'Arch.  di  Ven.  filza  172  e.  43. 

(2)  Trascrivo  dal  Codice  Marciano. 


—    22    — 

«  hanno  lasciato  approssimarsi  le  Genti,  e  le  Munitioni,  che  s'erano 
«  preparate  in  soccorso  di  que'  sudditi.  —  Qui  fece  leggere  lunga 
«  lettera  di  Mahuman  Bassa,  W  e  mostrò  i  cozzetti  sottoscritti  dagli 
«  altri  ministri,  a  quali  nella  lettera  di  Nahuman  si  diceva,  che 
«  aveva  dovuto  prestar  1'  assenso  quel  med.m0,  che  dall'  Ecc.r"° 
«  Sig.  Provveditor  general  di  Dalmazia  era  stato  a  lui  spedito  a 
«  giustificar  i  trascorsi  de' sudditi.  Volevo  rispondere,  ma  il  Visir 
«  mi  prevenne,  ed  ideandosi  varie  risposte,  che  potevano  farsi  le 
«  chiamò  fraudolenti,  false,  pazze,  e  fece  cenno  di  non  volere,  che 
«  articolassi  parola.  Ma  avendomi  benedetto  il  Signor  Iddio,  e 
«  lasciatami  intiera  la  libertà  dell'animo,  volli  avere  ancora  quella 
«  della  lingua  ».  —  E  si  difese  il  Memmo  con  dignità  e  con  vi- 
gore, e  cercò  difendere  la  Repubblica  :  traduceva  il  Dragomanno 
Carli,  che  fu  interrotto  violentemente  dal  Capigì  Bassi,  dopo  di 
che  il  Visir  «  alzatosi  un  poco  dal  sedere  con  le  mani,  disse,  che 
«  il  Gran  Signore,  egli,  e  tutto  il  Maometismo  erano  risoluti  di 
«  non  tolerare  più  lungamente.  Che  delle  guerre  Dio  era  il  pa- 
«  drone,  che  però  di  quello,  che  s'  era  stabilito  di  fare  con  l' uni- 
«  versale  consenso,  non  sarà  se  non  ciò  che  piacerà  alla  Divina 
«  Maestà  sua;  Ma  che  intanto  mi  diceva,  che  s'anderà  contro  la 
«  Morea,  e  che  quando  non  la  si  possa  prendere  in  un  anno,  si 
«  cercherà  di  prenderla  in  due,  in  tre,  in  tutto  il  corso  della  sua 
«  vita.  Disse  che  si  volevano  fuori  di  là  i  Venetiani,  chiamandoli 
«  con  i  nomi  di  Diavoli,  uomini  della  più  onorata  inocente  na- 
si tione  del  mondo.  Poscia  m'assegnò  20  giorni  a  partire  da  tutto 
«  lo  stato  ottomano,  passati  i  quali  minacciò  quanto  ha  più  di  or- 
«  ribile  la  morte,  a  chi  vi  si  fosse  trovato,  protestandomi,  che  di 
«  tutto  questo  io  solo  ne  sarei  in  colpa,  e  con  l'odiosissimo  ter- 
«  mine  di  va  in  malora,  mi  licenziò.  Fui  subito  senza  che  al  Carli, 
"■  fosse  permesso  espormi  in  Italiano  ciò  che  aveva  detto  il  Visir, 
"■  attorniato  da  tutti  li  suoi,  che  non  mi  fecero  più  violenza  alcuna, 
e  ne  all'  uscir  della  stanza,  ne  al  discendere  delle  scale.  Solo  in 
«  corte  mi  consegnarono  ad   un    sorbassi,  che  con    200   Gianizzeri 

(1)   Altrove  Hahauman,  Naruman,  Miman. 


-   23  - 

«  fattomi  salire  sul  mio  cavallo,  e  con  la  mia  Gente  distesa  avanti 
«  di  me,  secondo  il  solito,  m' accompagnò  in  questa  casa  » .  Il 
Memmo  si  preparava  a  partire,  quando  alle  22,  «  sopra  memo- 
«  riale  de' Bossinesi,  che  ricordavano  esservi  in  Stato  di  Vostra  Sere- 
«  nità  molti  mercanti  Turchi  »  fu  revocato  l' ordine  di  sfratto,  e 
ritenuto  il  Memmo  come  ostaggio  «  per  esser  poscia  trattato  a 
«  misura  delle  maniere,  che  costà  in  Dalmatia  si  tenessero  con  i 
«  sudditi  della  Porta  ».  I  Giannizzeri  assalirono  il  bailaggio,  scas- 
sinarono le  porte,  sforzarono  le  serrature,  fecero  man  bassa  su 
tutto,  e  la  rapina  durò  una  notte  intera.  Il  bailo  ricorse  ad  altri 
Giannizzeri,  «  ma  quel  che  s'  è  ricuperato,  è  Ser.mo  Principe  un 
«  amasso  di  Tavole  rotte,  ed  infrante  segno  miserabile  del  nau- 
«  fraggio  ».  E  non  finirono  qui  le  rapine  e  le  disgrazie  e  le  pri- 
gionie e  i  disordini  d'ogni  maniera,  in  mezzo  ai  quali  il  Memmo 
rimane  sbalordito  e  non  sa  a  chi  prima  pensare,  tante  sono  le  ri- 
chieste d'  aiuto,  di  protezione,  d' assistenza,  le  cure,  le  responsabi- 
lità, le  spese  gravi  e  le  perdite  personali  rilevantissime.  Le  quali 
però  sopporta  di  buon  animo,  considerandole  «  un  olocausto,  che 
«  senza  che  me  n'abbia  mai  a  dolere,  faccio  lietamente  alla  Maestà 
«   della  Patria    ». 

Il  9  Dicembre  la  Porta  pubblicava  le  «  Ragioni  per  le  quali.... 
«  dichiara  la  guerra  alla  Repubblica  di  Venezia  (l)  »  che  sono  come 
\  la  risposta  al  Memoriale  del  Memmo,  stesa  in  13  articoli,  ciascuno 
dei  quali  concerne  una  ragione  di  lagnanza  contro  Venezia,  cioè 
un  pretesto  più  o  meno  giustificato  che  la  Porta  inalzava  alla  di- 
gnità di  grave  offesa,  per  giustificare  a  sua  volta  l'  imminente  in- 
vasione della  Morea.  Leggermente  modificato,  il  manifesto  servì  di 
giustificazione  ai  popoli,  e  d'avviso  ai  principi  esteri.  Dalla  prima 
si  tolse  la  vertenza  del  Montenegro  per  non  rinfrescare  la  memoria 
del  sangue  sparso  —  nel  secondo  non  si  parlò  della  Morea  acqui- 
stata   «  essi  dicono    per  sorpresa,   e  ciò  per  non  indicare   la   mala 


(1)  Si  trovano  all'Arch.  di  St.  di  Veti.  Genn.  1714  (more  venete)  filza  172,  unite  alla  lett. 
del  Bailo,  ma  datate  8  Die.  1714  —  e  nel  ms.  di  Padova  2223.  —  Io  trascrivo  da  quest'  ul- 
timo. Inedite.  Citate  dal   Romanin  nel  Voi.    Vili,  p.  39. 


—    24   — 

«    fede  della  pace  fatta,  e  publicar  il  vero  e  solo  motivo  della  Guerra, 
«   mentre  tutti  gli  altri  sono  vani,  e  ridicoli  pretesti  ». 

Il  bailo  non  potè  far  note  nemmeno  privatamente  agli  altri  re- 
sidenti le  ragioni  della  Repubblica,  mancandogli  le  carte,  ed  es- 
sendo egli  e  i  familiari  guardati  a  vista  nel  Topanà,  tentandosi 
perfino  d'  intercettargli  le  lettere  Ducali  ;  ma  ricevette  dai  colleghi 
le  più  ampie  dimostrazioni  di  simpatia  M, 

Venezia  intanto  si  era  volta  con  ogni  diligenza  ai  preparativi  della 
guerra  M.  «  Accrebbe  incessantemente  l'Armata  di  mare,  ordinò  il  tra- 
«  sporto  nella  Dalmazia  e  nel  Levante  delle  milizie  veterane,  ch'erano 
«  nelle  piazze  della  terra  ferma....  spedì  commessioni  per  nuove  leve, 
«  ammassando  ne'  magazzini  abbondanti  provvisioni.  Venne  all'ele- 
«  zione  di  Capitano  Generale....  fu  permesso  di  armarsi  in  corso 
«  a'Perastini....  ».  Ma  tutto  questo  era  ben  poco  per  la  difesa  di  un 
vasto  territorio  che  mancava  di  tutto,  in  cui  si  dovettero  disarmare 
alcune  fortezze  per  salvarne  altre,  da  cui  giungevano  alla  Repub- 
blica relazioni  sconfortanti  e  richieste  continue  ora  di  navi,  ora 
d'armi,  ora  di  provvigioni.  In  Dalmazia  mancavano  ugualmente 
milizie,  cannoni,  provviste  da  bocca  e  da  fuoco  h\  di  cui  solleci- 
i  tava  l' invio  anche  per  conto  suo  il  Provveditor  Generale  da  Mar  M, 
che  senza  di  esse  non  poteva  muoversi  verso  le  Isole  (s\  che  non 
sapeva  come  fare  per  difendere  il  Castello  di  Morea<6),  aveva  tro- 
vato Romania  in  pessime  condizioni,  e  in  un  dispaccio  al  Senato 
diceva  dubitare  fortemente  del  buon  esito  della  guerra  ^).  Tutte  le 
forze  (8)  di  cui  il  Commissario  in  Armata  poteva  disporre  in  Le- 
vante sommavano  ad  8327   uomini. 


(1)  V.  Lett.  XVII  e  seg. 

(2)  Cfr.  Bianchi,  op.  cit.  p.  8.  Diedo,  op.  cit  p.  81-85,  Ferr.  p.  23-28.  Dispacci  in  Arch. 
di  St.  V«.n.  filza  57,  e  23,  24;  f.  15.  e.  5;  13,  5  ;  R.  180  e.  203  ;  R.91.C  200  ;  R.gi.c.  197  ;  f.  57 
e.  34;  R.  91  e.  202;  R.  268  e.  221,  f.  57  e.  3,;  R.  90.  e.  393;  f.  58  e.  37:  R.  26S  e.  286  e 
294;  R.  90  e.  437,  R.  91  e.  224;  f.  15  e    9  etc. 

(3)  «  Relaz.  di  quanto  successe  nel  tempo  di  guerra  in  Levante  »  Padova,  Bibl.  un.  ms. 
76  —  e.  3.  —  Si  disarmano  Coron  e  Navarin. 

(4)  Disp.  Provv.  Str.  a  Cattaro,  filza   13   e.   15. 

(5)  Disp.  Provv.  Gen.  Mar,  filza  57  e.  26. 

(6)  Disp.  Provv.  Gen.  e.  31. 

(7)  Disp.   Provv.  in  Morea  filza  15  e.  6. 

(8)  Disp.  Comin.  in  Armata  filza   15    e.  y. 


-  25  - 

Si  sperava  nell'aiuto  delle  Potenze,  e  negli  impegni  della  Sacra 
Lega.  Si  fecero  pratiche,  sia  per  ottener  soccorsi  di  fatto,  sia  per 
assicurarsi  la  protezione  diplomatica,  presso  le  Corti  di  Roma,  di 
Vienna,  di  Londra,  di  Polonia,  di  Toscana  W.  A  questa  azione 
della  diplomazia  Veneta  si  opponeva  quella  dei  Turchi  (2),  che  pru- 
dentemente avevano  rinnovato  gli  accordi  colla  Polonia  e  regolati  i 
confini  colla  Russia  ;  s'erano  levato  di  fra  i  piedi  lo  Svedese  ;  man- 
davano un  Agà  al  Principe  Eugenio  W  assicurandolo  della  loro  in- 
tenzione di  osservare  i  patti  di  Carlovvitz  ed  esprimendo  la  fiducia 
che  l' Imperatore  avrebbe  fatto  lo  stesso  ;  cercavano  insomma  di 
ottenere  da  ogni  parte  promesse  di  neutralità,  e  d'  isolare  Venezia. 

La  Cristianità  parve  in  generale  disposta  ad  ascoltare  più  le  con- 
venienti proposte  del  Turco  che  le  richieste  della  Serenissima.  La 
Francia  credette  d'aver  fatto  più  che  abbastanza  facendo  usar  cor- 
tesie al  bailo  Veneto  dal  suo  ambasciatore  di  Costantinopoli,  che 
viceversa  eccitava  di  sottomano  i  Turchi  a  dichiarar  guerra  a  Ve- 
nezia dicendo  loro  (secondo  la  testimonianza  del  Theyls)  «  tout  ce 
qu'  il  croioit  propre  à  donner  une  juste  idée  de  la  foiblesse  de 
cette  République  »  ;  e  intanto  forniva  milioni  a  Carlo  XII  perchè 
con  una  nuova  guerra  compromettesse  la  sicurezza  dell'Austria, 
unico  ostacolo  all'egemonia  francese  in  Europa.  Gli  Stati  Generali  (4) 
e  l' Inghilterra  ^\  i  mediatori  di  Carlovvitz,  diedero  ordine  ai  rispet- 
tivi residenti  (6)  d'  impiegare  i  migliori  ufficii  presso  la  Porta  per  evi- 
tare la  guerra,  ma  arrivarono  tardi,  e,  per  la  mancanza  d' informa- 
zioni da  Venezia,  non  seppero  che  rispondere  alle  accuse  della 
Porta.  La  Russia,  che  nel  17  n  era  stata  felice  di  salvarsi  dal  Turco, 
non  si  sentiva  davvero  la  voglia  di  ritornare  in  campo,  e  tanto 
meno  per  aiutare  Venezia,  con  cui  aveva  anche  una  certa  recente 


(1)  Cfr.  Vendramino    Bianchi,    op.  cit.  p.  78  —  G.  Ferrari,  op.  cit.  p.  31  36   —  Diedo, 
op.  cit  p.  77-79. 

(2)  Ferrari,  p.  27.  «  E  altresì  considerabile  con  qual'arte  s'insinuasse  il  Primo  Visire  cogli 
«  Ambasciatori  »  etc. 

(3)  Ferrari,  p.  27,  36,  40  —  Diedo,  p.  79  —  Disp.  Amb.  di  Germ.  filza  203  e    303. 

(4)  Cfr.  Senato  al  residente  Vincenti  R.  91.  e.  209. 

(5)  Cfr.  Senato  Corti  R.  91.  C.  186  id.  id.  e.  210. 

(6)  Ai  primi  di  Giugno,  e  per  preghiera  della  Repubblica. 


—     26    — 

ruggine  diplomatica  (!).  Nemmeno  si  poteva  sperare  d'interessar  la 
Polonia  (2),  che  faceva  finta  di  non  sentire  i  brevi  del  Papa,  e  si 
manteneva  in  prudente  riserva.  Della  Svezia  poi  non  c'era  neppur  da 
parlare.  Coll'Austria  la  cosa  era  più  complicata.  Nella  incertezza  delle 
sue  risoluzioni  ebbe  forse  parte  il  rancore  per  la  neutralità  del  1700^)  ; 
certo  è,  che  nonostante  le  tradizioni  della  Sacra  Lega,  le  pressioni 
del  Papa,  le  vive  istanze  di  Venezia  («),  e  le  proprie  dichiarazioni 
di  solidarietà  colla  causa  della  Repubblica,  l'azione  dell" Austria  si 
limitò  a  dichiarazioni  diplomatiche  ^5',  e  a  colloqui  del  Fleischmann 
col  Visir,  che  rimasero  senza  effetto,  com'era  facile  prevedere  (6). 

Intanto  in  Ispagna  (ed  anche  questo  ebbe  influenza  sull'Austria) 
l'astuto  Albero  ni  allestiva  la  sua  flotta  gagliarda,  e  faceva  credere 
al  Papa  che  l'avrebbe  mandata  contro  gì'  Infedeli.  Degna  e  giusta 
cosa  era  infatti  che  contro  gli  acerbi  nemici  del  nome  Cristiano 
movesse  armi  ed  armati  il  prete  ministro  del  Re  Cattolico  ;  ma  in- 
vece, insidiosamente  mirando  ad  altro  fine,  così  si  giustificava  l'Albe- 
roni  in  faccia  all'Europa  degli  insoliti  apparati  cui  l'Austria  volgeva 
insospettita  gli  sguardi,  e  ci  guadagnava  il  cappello  rosso  :  in  realtà  da 
lui  meno  che  dagli  altri  poteva  l'oltraggiata  Repubblica  attendersi  aiuti. 

Ne  mandò  il  Papa,  Clemente  XI  Albani  W,  che  mise  a  dispo- 
sizione di  Venezia  le  sue  quattro  galere,  quattro  vascelli  noleggiati, 
e  soccorsi  in  denaro  (8)  ;  scrisse  Brevi  ai  principi  della  Sacra  Lega  ^  e 
lettere  autografe  a  Carlo  VI  (IO)  ;  e  ne  mandò  il  granduca  di  Toscana 
per  far  piacere  al  Papa^1';  ne  mandarono,    sempre  per    opera  di 


(1)  Memmo,  Lett.  IX.   Temevano    altresì  i   Tartari,  e  fecero  assicurar  la  Porta  delle  loro 
buone  disposizioni. 

(2)  Senato  Corti  R.  91  e.  166  e.  217  id.  id.  al  Re  di  Polonia  e.  222   —  Ferrari,   p.  35. 

(3)  Arneth,  Prinz  Eugen,  Cap.  XV,  voi.   II. 

(4)  Senato  Corti  R.  91.  e.  166,  173,  180,  iS2,  189,  194,  198,  Disp.  Bailo,   filza   172,  e.  166, 
173,  180,  182,  e.  216. 

(5)  Disp.  amb.  Germ.  f.  203,  e.   163,  185,  216,  223,  229,  258,  303. 

(6)  Amb.  Geim.  f.  203  e.  207. 

(7)  Senato  Del.  Roma  R.  94,  e.  33.  Amb.  R,  f.  230  e.  131,   142,   164.  Sen.  e.   42.  Seri.   R. 
94,  e.  43  del.  Roma  —   Cfr.  poi  Camp,  chi  Pr.   Eìtg.  cit.  p.   200,  voi.  I. 

(8)  Disp.  Amb.  Roma  filza  230,  e.  197  e  399. 

(9)  Ferr.,  p.  32,  cit. 

fioj  Senato.  Corti.  Reg.  91.  e.  196  —  Roma  f.  230,  e.  197,  e.  364. 
(ri)  C. 


—  27  — 

Clemente  XI  Mt  i  cavalieri  di  Malta  giurati  difensori  della  fede 
di  Cristo,  sebbene  nel  17 14  partissero  da  Malta  assai  più  corsari 
ad  infestar  le  coste  Mediterranee,  che  guerrieri  alla  riconquista  del 
Santo  Sepolcro.  Gli  altri  no,  dei  quali  bene  a  proposito  avrebbe 
potuto  dire  l'Ariosto  : 

Dove  abbassar  dovrebbono  la  lancia 
In  augumento  della  Santa  Fede 
Tra  lor  si   dan  nel   petto  e  nella  pancia 
A   destruzion  del   poco  che  si   crede, 

se  nella  guerra  testé  dichiarata  la  religione  non  fosse  stata  messa 
molto  in  seconda  linea  dalla  politica.  Venezia  stessa  (e  lasciamo 
pur  dire  al  buon  Vendramino  Bianchi,  che  nelle  sue  guerre  col 
Turco  prevalse  sempre  lo  zelo  della  fede  al  vantaggio  del  pubblico 
erario)  Venezia  stessa  aveva  dato  l'esempio  quando  dai  vantaggi 
del  commercio  levantino  certo  più  che  da  altri  argomenti  s'  era 
lasciata  persuadere  a  mandar  in  Terrasanta  le  sue  navi.  D'  allora 
in  poi  in  tutte  le  relazioni  turco-venete  ebbe  sempre  parte  enorme 
l'elemento  economico  :  alle  dichiarazioni  di  guerra  seguono  le  rap- 
presaglie commerciali  e  doganali  per  parte  della  Turchia  ;  alle  con- 
venzioni diplomatiche  i  trattati  commerciali.  La  guerra,  per  Venezia, 
non  era  soltanto  di  armi  e  di  sangue  nei  dominii  d'Oriente;  ma  la 
fitta  rete  di  traffici  internazionali  che  la  avvinceva  al  Levante  ne  fa- 
ceva sentire  gravissimo  il  contraccolpo  sin  nei  fondaci  privati. 

Così  anche  ora  Venezia  si  trovava  ad  arrischiare  le  sue  ultime 
fortune  difendendo  la  Cristianità  contro  V  Islamismo,  e  la  Cristia- 
nità rispondeva  con  pochissimo  slancio  alle  sue  preghiere,  lasciando 
a  lei,  sola  e  sfiduciata,  la  cura  di  affrontare  come  meglio  poteva 
il  terribile  nemico  (2). 


(1)  Amb.  Roma  f  230  e.  399.  Cfr.  anche  la  Relazione  contempoianea  a  stampa  «  dell'in- 
gresso a  Roma  e  pubblica  udienza  avuta  dall'Ambasciatore  Veneto  Nicolò  Duodo  il  12  Ago- 
sto 1714  ». 

(2)  Aggiungo  qualche  indicazione  bibliografica  a  quelle  inserite  nelle  note,  avvertendo 
che  ometto  di  citare  le  opere  di  consultazione  generale,  Guglielmotti,  Errante,  Haramer,  Man- 
froni,  Matuschka,  Musatti,  Romanin,  Salaberry  etc.  etc. 

Del  Chiaro:  Istoria  delle  moderile  rivoluzioni  della    Vallachia  etc.  Venezia,  1718. 


-    28    — 

De  la  Croix  :  Abrégé  chronologìque  de  l*  histoire  ottomanne.  Paris,   1768. 

Elchagi  MustafÀ  :  Iuchfet  ulchibar  (contiene  la  storia  delle  guerre  marittime  degli 
ottomani).  Costantinopoli,  1728- 

Istoria  militare  di  Belgrado.  Italia,  1788  (anon.) 

KrUsinski  :   Tragica  vertentis  belli  persici  historia  etc.  Leopoli,  1740. 

Makana  :  L'espion  {ture)  dans  le  conrs  des  princes  chrétiens  eie.  Cologue,  1715. 

Mignot  :  Ilìst.  de  l'empire  ottoman.  Paris,   1771. 

Ottieri  :  Istoria  delle  guerre  avvenute  in  Europa.  Roma  1728- 1757  —  Anecdolcs  Ol- 
tovianes  etc.  Lyon,  1724. 

SanvitaLI  (Umicalia  Agostino):   Guerra  tra  Carlo   VI  e  Achmet  III,  Venezia,  1724. 

Simeonibus  (de)  :  De  Bello  transylvanico  et  pannonico.  Roma,  1713. 

V.  poi  altre  citazioni,  e  copiosissime  notizie  sui  documenti  vaticani  riguardanti  la  guerra 
negli  Stridii  siti  pontificato  di  Cleme)ite  VI  di  F.  Pomettj  (Arch.  della  Soc.  Rom.  di  storia 
patria.  Roma,  1899  1900,  voi.  XXII-XXI1I). 


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Vittorie  Turche  ed  alleanze  Europee 


Abbiamo  lasciato  il  Memmo  al  Topanà  donde  fu  tratto  nel 
marzo  17 15  e  «  a  guisa  di  sudito  miserabile  et  contumace  rin- 
«  chiuso  in  una  oribile  Carcere  »  del  Castello  d'Abido,  ove  «  il  trat- 
«  tamento  certamente  che  mi  si  fa  —  così  scriveva  al  Senato  il 
«  2S  Aprile (|)  —  è  inhumano,  e  l'alloggio  è  tale,  che  per  se  medesimo 
«  con  il  progresso  di  non  molto  tempo  può  tutti  perdersi.  La  luce 
«  v'  entra  per  una  asai  piccola  finestra,  per  cui  ci  passa  ancor  il  Cibo, 
«  ma  da  quella  il  Ciel  non  si  scorge,  essendovi  all'  incontro  il  Ma- 
«   schio  della  Fortezza,  per  il  quale  discende  a  noi  aere  grave,  e  pe- 


(1)  Lett.  XXV.  È  l'ultima  nel  Cod.  Marciano.  Il  ms.  di  Padova  2223,  che  contiene  la 
lett.  XVI  e  questa  XXV,  ne  riporta  ancora  un'altra,  scritta  dopo  la  liberazione  del  Memmo, 
dalla  nave  La  Francia,  nelle  acque  del  Zante.  (V.  Appendice).  Il  Memmo  fu  ricompensato 
colla  nomina  a  cavaliere  di    S.  Marco  (1715,  9  Maggio    in    Pregadi).  Ecco    la    deliberazione: 

«  Progrediscono  di  pari  passo  già  da  più  mesi  alla  Corte  Ottomana  e  i  formidabili  appa- 
«  rati  contro  la  Republica  e  i  barbari  insulti  loro  al  dilettissimo  NobiI  uomo  Bailo  Memo, 
«  singoiar  nell'  intrepidezza  ed  esemplare  nella  costanza  di  tutto  consecrare  con  pronto  et  im- 
«  perturbabile  sacrificio  al  bene  e  vantaggio  della  Patria.  Ora  che  nel  sfogo  et  imprendimento 
«  delle  ingiustissime  deliberazioni  con  1'  infration  della  Pace,  potearisi  forse  confidare  almeno 
«  contro  l' innocente  Ministro  sospesi  e  rallentati  gli  irritamenti,  s' intendon  anzi  fieramente 
«  rinvigoriti  con  la  dolorosa  separazion  sua  da'  Ministri  e  dalla  famiglia,  sentendolo  crudel- 
«  mente  tradotto  in  angustissima  carcere  ai  Dardanelli  e  da  inaudite  barbarie  ristrettagli  non 
«  che  le  communicazioni,  i  respiri,    con    l'ultimo  de' mali    effetti  nella  abbattutissima   sua  sa 


_   3o   - 

«  ricoloso,  ed  il  terreno  è  così  umido,  fangoso,  et  infetto,  che  per 
«  l'esallazioni  che  n'escano,  le  gambe  ormai  mi  si  gomfiano,  e  mi 
«  convien  tollerare  una  pocco  men,  che  continua  vigilia  e  gravis- 
«  simi  dolori  di  capo...,».  Questa  dolorosa  prigionia  del  Bailo  è 
«    il  precedente  immediato  della  guerra (l). 

La  quale  si  apre  colla  mossa  contemporanea  dei  due  eser- 
citi turchi,  quello  di  mare  al  comando  di  Janum  Cogia  pei  Dar- 
danelli verso  Scio  e  Negroponte  dove  erano  depositi  di  provvi- 
gioni (2)  ;  e  quello  di  terra,  di  40000  uomini^)  agli  ordini  del 
Visir,  per  Adrianopoli  e  Filippopoli  a  Salonicco,  dove  fece  sosta, 
per  esser  pronto  secondo  che  gli  Imperiali  si  decidessero  o  no 
a  muover  le  armi,  a  passare  in  Serbia'  od  a  scendere  in  Morea. 
L'Austria  non  si  mosse,  e  lo  stendardo  verde  procedette  a  Larissa 
e  poi  a  Tebe,  passando  l'Istmo  per  venire  a  Corinto.  Era  il  20  giu- 
gno  17  15. 

Il  5  giugno,  per  la  viltà  del  Provveditore  Balbi,  si  era  arresa  al 
Cogia,  infausto  auspicio  alle  fortune  Venete,  la  ben  guarnita  piazza 


«  Iute,  onde  è  ben  giusto,  nel  vedersi  all'eccesso  e  le  perverse  intenzioni  dei  nemici,  et  al 
«  sommo  la  fermezza  e  virtù  di  cittadino  zelantissimo,  che  più  oltre  non  differiscansi  il  ri- 
«  durre  a  lato  sopra  la  prediletta  di  lui  persona  le  più  volte  benignamente  espresse  dechia- 
«  rationi  della  pubblica  clemenza,  con  alcun  visibile  contrassegno  di  restituzione,  et  ornamento 
«  che  renda  consolazione,  e  ristoro,  nei  durissimi  anfratti  che  l'opprimono,  al  benemerito  et 
"  angustiato  Ministro;  però 

«  L'anderà  parte  che  per  motivo  spontaneo  della  munificentia  di  questo  consiglio  sia  e 
«  s'  intenda  il  dilettissimo  Nobil  nostro  Andrea  Memo  attuai  Bailo  alla  Porta  Ottomana  creato 
«  Kavalier  di  S.  Marco  et  insignito  di  tutte  le  dignità,  preiogative,  e  preminenze  del  grado, 
«  onde  illustrate  del  distinto  pregio  e  molte  accette  sue  applicazioni,  e  confortatene  le  gravi 
«  angustie  riconoscasi  cosi  pienamente  assicurato  della  piena  pubblica  beneficenza  verso  il 
«  proprio  sì  segnalato  e  ben  distinto  merito.  » 

Marin  Angelo  de'  Negri,  Segretario. 
In  Senato  —   182  —  In  Collegio  —  21 

—  70  —  —     o 

—  17  ~  —     °  475 

(1)  Mi  attengo  nella  narrazione  alle  lince  generali,  valendomi  di  un  manoscritto  della  Bibl. 
Univ.  di  Padova  «  Rellazione  di  quanto  successe  nel  tempo  di  guerra  in  Levante  »  di  e.  50, 
anonimo;  di  un  altro  ras, padovano  (191)  per  l'attacco  di  Corfù  ;  delle  relazioni  contemporanee 
a  stampa  per  l'attacco  di  Corfù,  per  i  combattimenti  navali,  e  per  l'acquisto  di  Vonizza  e 
Prevesa  ;  per  il  resto,  delle  opere  già  citate. 

(2)  Le  cifre  sono  incerte  ;  il  Mirone  dà  un  totale  di  circa  200  navi. 

(3)  Questa  è  la  cifra  più  verosimile  —  fu  aumentata  a  200000.  —  Cfr.  Mirone;  Bianchi 
p.  3;  Ferrari,  40  ;  Diedo,  85. 


—  3i   - 

di  Tine(,),  che  ebbe  smantellata  la  fortezza,  e  trasportate  in  Barbarla 
duecento  delle  principali  famiglie.  L'  armata  navale  seguitò  il  suo 
viaggio  verso  Egena  (■). 

Corinto &>,  al  comando  del  Provveditore  Minotto,  resiste  impavida 
per  varii  giorni  a  fierissimi  assalti  e  a  tre  intimazioni  di  resa.  Man- 
cava l'acqua;  i  seicento  difensori  erano  ormai  scemati  di  numero  e 
di  forze,  ma  risoluti  di  «  restare  sacrificati  sulle  mura  piuttosto  che 
cedere  N>.  Si  chiesero  soccorsi,  ma  invano,  ad  Alessandro  Bon.  Ri- 
spondeva egli  da  Nauplia,  incoraggiando:  non  poter  inviare  rinforzi 
che  non  aveva;  quando  le  cose  fossero  veramente  all'estremo,  do- 
versi accondiscendere  alla  resa,  per  salvare  alla  Patria  almeno  quelle 
poche  vite,  e  ai  suoi  domimi  i  difensori  tanto  necessarii.  —  Si 
dovette  cedere. 

Erano  minacciate  anche  Suda  e  Spinalonga  da  cui  giungevano 
al  Capitan  Generale  vane  richieste  d'aiuto.  Cadde  senza  gloria  Egena 
sotto  le  armi  dal  Capitan  Bassa,  mentre  il  Visir  marciava  diretta- 
mente da  Corinto  su  Nauplia.  L' invasione  turca  era  immensamente 
agevolata  dai  tradimenti  continui  dei  Greci,  che  temevano  le  loro 
rappresaglie  prevedendoli  vincitori,  cercavano  d'  evitare  le  deva- 
stazioni con  tutti  i  mezzi  possibili,  e  temevano  d'altra  parte  le  sco- 
muniche minacciate  dal  Patriarca  di  Costantinopoli  a  chi  avesse  in 
qualsiasi  maniera  aiutato  i  Veneti. 

La  caduta  di  Tine,  d'Egena,  di  Corinto  traeva  seco  fatalmente 
la  rovina  delle  piazze  minori,  ed  empiva  di  terrore  le  popolazioni, 
di  sconforto  la  Dominante. 


(i)  Cfr.  Ferrari,  p.  41  —  Diedo,  p.  36.  —  11  Balbi  fu  condannato  a  perpetuo  carcere. 
Tine  era  governata  da  un  rettore  e  guardata  da  100  Italiani  sotto  Ferdinando  Petrovich  e  il 
governatore  dall'armi  Lorenzo  Locattlli.  Aveva  una  popolazione  di  15000  abitanti,  tutti  Catto- 
lici. Piazza  fortissima  «  spina  nel  centro  dell'Imperio  Ottomano  ». 

(2)  Cfr.  Bane,  yournal  de  la  Campagne  que  le  grand  Vizir  Ali  Pacha  a  faii  en  17/j 
pciir  la  conquète  de  la  Morèe  —  Paris,  1870. 

(3)  Ferrari,  p.  45.  Campagne  de  la  Morèe  (in  Camp,  du  Pr.  Eug.)  p.  227  —  Nella  presa 
di  Corinto  fu  fatto  prigioniero  il  Minotto  stesso,  che  fu  poi  riscattato  dalla  signora  di  Ho- 
chepied,  moglie  del  console  Olandese  a  Smirne.  Costei,  tipo  di  donna  accorta  e  intrigante,  aveva 
allora  40  anni.  Il  Mirone  che  ne  fa  il  ritratto  la  di  e  furba,  spiritosa,  coltissima.  Sapeva  8  lin- 
gue: splendidamente  il  Turco.  A  Smirne  domina  i  Turchi  con  le  gentilezze;  sposa  una  figlia  al 
console  di  Francia  ed  una  a  quello  d'Inghilterra;  presta  del  denaro  al  Veneto,  e  così  s'è 
resa  padroni  della  città.  Gli  storici  Veneti  che  la  chiamano  Madama  Cogliers  dal  nome  del 
padre  ne  fanno  grandi  elogi,  per  aver  essa   riscattato  molti  prigionieri. 


Il  9  Luglio  M  i  Turchi  giunsero  sotto  le  mura  di  Nauplia,  difesa 
dal  Bon  con  circa  2500  uomini,  di  cui  1000  volontari,  e  400  ca- 
valieri Croati.  —  Un  sanguinoso  assalto  durato  7  ore  in  cui  fu  tre 
volte  perduto  e  tre  volte  riacquistato  il  Bonetto,  indebolì  enorme- 
mente la  difesa.  Inoltre  una  batteria  per  comando  del  La  Sai  ful- 
minò un  distaccamento  di  volontari  che  travestiti  da  Greci  tenta- 
vano la  riconquista  delle  palizzate.  Furono  molti  i  disertori  ;  si 
trovarono  inchiodati  i  cannoni,  corrotta  l'acqua  delle  cisterne,  na- 
scoste delle  micce  nei  magazzini,  e  fu  «  scoperto  che  da  certuni 
«  tiravasi  sopra  Turchi  senza  palla  ».  Al  tradimento  aggiungen- 
dosi le  mine,  le  batterie,  il  numero  superiore  dei  combattenti,  l'as- 
salto ostinato  dei  Turchi,  la  città  cadde  in  mano  loro  improvvisa- 
mente, senza  che  il  Bon  avesse  tempo  d'esporre  bandiera  di  resa, 
e  fu  con  strage  enorme  compiuto  il  saccheggio  della  città  più  ricca 
e  meglio  fortificata  del  Dominio.  La  sua  caduta  travolse  le  ultime 
fortune  della  Repubblica,  e  il  terrore  più  che  le  armi  conquistò 
la  Morea  agli   Ottomani. 

Presa  Romania,  l' esercito  musulmano  si  biparte  :  il  Visir  pro- 
cede a  Modon,  il  Seraschiere  marcia  sul  Castello  (2).  Cadono  l'una  e 
l'altro,  non  ostante  il  valore  dei  comandanti,  come  sotto  il  terrore 
del  Cogia  cadono  Cerigo  e  Suda  e  Spinalunga  h\  scolte  avanzate  del 
dominio  veneziano  e  suoi  ultimi  propugnacoli  nei  mari  di  Levante. 
Malvasia  M,  che  si  abbandonò  alla  mercede  dei  Musulmani  senza 
tirare  un  sol  colpo,  chiuse  vilmente  la  serie  di  rese,  in  parte  co- 
darde, in  parte  sventurate,  che  rimisero  le  conquiste  del  Morosini 
in  mano  agli  Infedeli,  restando  spettatrice  inerte  degli  avvenimenti 
l'Europa. 

Durante  tutta  la  campagna,  non  vi  fu  uri  solo  combattimento  na- 
vale. La  flotta  veneta  non  potè  agire  per  la  mancanza  delle  prov- 
viste, per  la  lentezza  dei  rinforzi,  per  l' insubordinazione  degli  alleati 


(i)    DlEDO,    p.    91    C    SCg. 

(2)  Diedo,  p.  99. —  Camp,  du  Pr.  Eug.  p.  235  voi.  I.  —  Ferraio,  p.  60  e  seguenti. 

(3)  Ferrari,  p.  69.  —  Camp,  du  Pr.  Eng.  p.  237   voi.  1.  —  Diedo,    p.  102- 106    —    Per 
Malvasia,  v.  Ardi,  di  St.  f.   58.   Ven.  Disp.  Cap.  Gen. 

(4)  Cfr.  Diedo,  p.  107-112.  -    Camp,  du  Pr.  Bug,  p.  238.  —   Ferrari,  p.  81.  —  Si  diede 
colpa  degli  insuccessi  al  Dulfin,  capit,  gener.  dell'Armata. 


-  33   - 

e  sopra  tutto  dei  Maltesi,  che  anzi  a  un  certo  punto  l'abbandona- 
rono, per  la  gravissima  responsabilità  che  si  incontrava  arrischiando 
in  una  battaglia  così  sproporzionata  le  poche  navi  che  avrebbero 
forse,  com'ebbe  a  dire  a  sua  discolpa  il  Dolfin,  potuto  conquistare 
un  regno,  ma  che,  perdute,  perdevano  certo  la  Repubblica.  In 
t[ncsta  terribile  incertezza,  navigando  da  /ante  verso  Nauplia,  e, 
saputa  per  viaggio  la  caduta  di  questa,  verso  Modon  alle  Sapienze, 
a  Climinò,  in  alto  mare,  ora  senza  osar  la  battaglia,  ora  senza  po- 
terla attaccare,  il  capitan  generale  assistette  alla  rovina  della  Morea. 
Già  i  preparativi  turchi  si  volgevano  alle  Isole,  specialmente  a 
Santa  Maura  M,  mentre  nei  possedimenti  di  Dalmazia  e  d' Albania 
Angelo  Emo  ^  sosteneva  con  vigore  e  con  qualche  fortuna  le  sorti 
della  Repubblica,  scorrendo  dalla  Bosnia  al  Montenegro,  mentre 
Giorgio  Balbi  resisteva  non  senza  gloria  all'  assedio  di  Sign,  e  il 
Vitturi  capitano  in  Golfo  attendeva  a  reprimere  le  insolenze  dei 
Dulcignotti.  Povero  conforto  davvero  alle  sventure  sofferte,  ed  alle 
tristi  previsioni  del  futuro. 

Venezia  era  in  lutto  ed  in  apprensione  ^\  mentre  a  Costantinopoli 
si  celebrava  con  sette  giorni  e  sette  notti  di  pubbliche  feste  (*)  la  ri- 


fi)  Cui  furono  per  deliberazione  della  Consulta  fatte  saltar  in  aria    le   mura.  Cfr.  Diedo, 
p.  ic6  —  Ferrari,  p.  80.  —  Camp,  du  Pr.  Eug.  p.  243. 
(1)  Ferrari,  p.  70  —  Diedo,  p.  8o,  95,  96. 

(3)  Cfr.  Camp,  du  Pr.  Eug.  p.  231  •  ..  ..  l'on  n'eut  jamais  jugé  que  c'étoit  le  lieu,  où  il 
«  semble,  que  de  temps  immemorial  les  plaisirs  et  la  volupté  ayent  fixé  leur  séjour  ». 

(4)  Ma,  dice  il  Theyls  —  il  cattivo  tempo  «  fut  cause  qu'  on  ne  put  s'y  divertir  ».  A 
completar  le  feste  s' incrudeliva  contro  i  Veneti  —  perfino  un  Greco  di  Malvasia  fu  impic- 
cato perchè  aveva  un  diploma  Veneto  «  et  pendant  quelque  tems  on  vit  tous  les  jours  de 
«  semblables  scènes  ».  Il  25  dicembre  si  proibisce  l'importazione  delle  merci  Venete  e  di 
altre  nazioni  (Russia,  Francia,  Ragusa).  Cfr  nella  mise.  Ven.  2394,  e  167,  le  «  Preghiere 
«  pubbl  che  fatte  a  Costantinopoli  per  ordine  del  Gran  Signore  e  del  Muftì,  e  in  tutto  l' Im- 
«  pero,  a  processione,  tradotte  per  ordine  del  Memo  da  Pietro  Acerbo,  giovane  di  lingua. 
«  Venezia  1715  »  che  trascrivo: 

I. 
Per  la  riverenza  che  professiamo  alla  vostra  Divina  Essenza,  O  Dio  Magnifico  e  Miseri- 
cordioso. —  Concedeteci  1'  acquisto  della  Morea  senza  combattimento  e  senza  Battaglia. 

(Popolo)  :  Amen,  Amen. 
II. 

Per  li  miracoli  del  vero  Profeta  Maometto  o  Sempiterno  Iddio.  —  Concedeteci  (etc.  come 
sopra). 

Id.  Amen,  Amen. 
III. 
Per  tanti  sospiri  de'  Fanciulli  consolate  i  Combattenti  per  la  vera    Fede.  Rendete,  o  Dio, 
le  città  degli  Infedeli,  coll'opprimerli,  desolale  e  deserte. 


—  34  - 

conquista  della  Morea,  e  non  si  faceva  mistero  della  futura  cam- 
pagna contro  le  isole  Ionie  e  delle  vaste  speranze  che  la  loro  con- 
quista ormai  sicura  dischiudeva  all'ardire  ottomano. 

Era  morto  intanto,  con  gran  dispiacere  della  Porta,  Luigi  XIV. 
L'Europa,  variamente  commossa  dalla  sua  sparizione,  e  impensierita 
dall'  atteggiamento  un  po'  misterioso  di  queir  enigmatico  Alberoni 
che  seguitava  a  preparare  la  flotta  come  se  in  Morea  non  fosse 
successo  nulla,  1'  Europa  non  pareva  disposta  ad  intervenire  negli 
affari  d'Oriente.  Re  Giorgio  d'Annover  aveva,  è  vero,  dato  ordine 
al  suo  ministro  di  Costantinopoli,  di  adoperarsi  perchè  fossero  trat- 
tati meglio  i  patrizii  veneti  caduti  schiavi  (l\  ma  la  sua  azione  s'era 
limitata  a  questo  dovere  d'umanità,  e  non  accennava  a  procedere^. 
Egli  doveva  all'Austria  il  nono  voto  elettorale,  ed  era  perciò  os- 
sequente alla  maestà  di  Carlo  VI,  che  non  aveva  ormai  più  da 
temere  né  la  Francia,  per  la  minorità  del  nuovo  Re  e  per  dissensi 

IV. 
Prostrati  i  vostri  veri  seguaci  e  giovani  e  vecchi  con  pianti  alla  vostra  presenza.  —  Con- 
cedeteci (etc.  e.  s.) 

Id.  Amen,  Amen. 
V. 
fate  diventare  le  chiese  di  quelli  che  professano  più  Dii  luogo    d'Adorazione    de' Musul- 
mani che  professano  la  vera  Fede.  Fate    che    la    riputazione    de'  Musulmani    renda    terrore  a 
tutto  1'  Universo. 

VI. 
Non  rendete  infruttuosi,  o  Dio,  tanti  sospiri  gemiti  e  dolorosi  pianti.  —  Concedeteci  etc.  C.  s. 

Id.    Amen,  Amen. 
VII. 
Rendete,  o  Dio  onnipotente,  vittorioso    l'Esercito  Musulmano;   fate  che  sia  soggiogato  il 
perverso  Nemico  o  Divina  Eternità. 

Vili. 
Non  rifiutate  le  preghiere  dell' Imperator  della  Vera  Fede.  —  Concedeteci  eie.  e.  s. 

IX. 
La  riverenza  professata,  o  Dio.  al  detto  dell'Alcorano,  la  spada  d'Acmet    discacci    affatto 
i  suoi  nemici  e  gli  riduca  al  niente. 

X. 
Vedete  con  lo  sguardo  del  Vostro  soccorso  ed  assistenza  1'  Esercito  Munsulmano.  —  Con- 
cedeteci etc.  e.  s. 

Id.   Amen,  Amen. 
XI. 

Facilitateci,  o  Di'»,  il  presente  intrapreso  acquisto  della  Morea,  acciocché  possa  quanto 
prima  la  Fede   Munsulmana  conquistare  e  Vienna  e  Roma  stessa. 

Amen,  Amen. 

(i)  Sen.  Corti.  R.  92  C.  169. 

(2)  Il  Thkyls  assicura  che  il  Colyers  seppe  dal  Visir  che  la  Porta  avrebbe  accettato  la 
mediazione  inglese  e  olandese,  ma  solo  in  base  alla  restituzione  di  tutto  quanto  aveva  perduto 
a  Carlowitz,  e  che  successe  un  piccolo  incidente  diplomatico,  perchè  l'Ambasciatore  inglese 
Sutton,  credendo  che  fosse  una  domanda  formale  di  mediazione,  s'era  affrettato  ad  informarne 
il   Re. 


—  35    - 

civili  intenta  ai  propri  affari,  né  l'Olanda,  che  da  sola  non  poteva 
far  molto,  né  lo  Svedese,  cui  veniva  a  mancare  con  Luigi  XIV 
ogni  ardimento.  Venezia  si  accorse  che  era  il  caso  di  ritentare,  e 
(mesta  volta  con  speranza  d'esito  felice,  la  domanda  della  coope- 
razione Imperiale  contro  gli  Infedeli,  che  non  si  era  potuta  otte- 
nere l'anno  precedente,  nemmeno  ricordando  all'  Imperatore  gli  ob- 
blighi di  Leopoldo  I  alla  Repubblica  di  Venezia,  e  promettendogli 
la  garanzia  pontificale  contro  le  incerte  mosse  della  Spagna.  —  Si 
può  dire  che  le  trattative  per  un  rinnovamento  della  Sacra  Lega  non 
si  fossero  mai  interrotte  tra  la  Repubblica  e  l' Impero.  Da  princi- 
pio questo  pareva  pieno  di  buona  volontà,  poi,  —  considerandosi 
incerta  la  situazione  in  Europa,  esausto  l'erario  per  la  guerra  colla 
Francia  (cui  non  aveva  voluto  aderire  Venezia,  e  l'Austria  ne  con- 
serva un  certo  risentimento),  dubbio  l'atteggiamento  della  Spagna 
e  della  Svezia,  di  poca  conseguenza  l'intervento  papale,  —  s'  era 
pensato  meglio  di  ritirarsi  prudentemente  da  una  parte,  e  star  a 
vedere  come  finiva  il  dramma. 

Quando  non  restarono  più  che  le  Isole  Ionie  fra  la  Morea  turca 
e  l'austriaco  dominio  di  Napoli,  l'ambasciatore  Pietro  Grimani  fece 
nuove  premure  a  Carlo  VI  per  ottenere  l' effettuazione  di  quelle 
ampie  promesse  che  il  Residente  Cesareo  andava  facendo  nel  1 7 1 4 
al  bailo  Andrea  Memmo,  ne'  loro  colloqui  di  Pera*"1).  Il  maneggio 
tlel  Grimani  condusse  ad  uno  scambio  d' idee  e  di  progetti  sulla 
conclusione  di  un'alleanza  austro-veneta  ;  anzi,  Carlo  VI  aveva  pro- 
posto al  Senato  certi  articoli  sui  quali  non  si  era  ancora  riusciti 
a  mettersi  d'accordo  Ì2\  Egli  non  voleva  impegnare  le  proprie  armi 
in  una  guerra  contro  il  Turco,  se  Venezia  non  si  obbligava  a  ga- 
rantirgli i  suoi  possessi  d' Italia.  A  questo  Venezia  non  si  sapeva 
risolvere,  parendole,  e  non  a  torto,  che  ugualmente  il  dovere  e 
V  interesse  dovessero  convincere  Carlo  VI  a  concludere  la  lega,  in- 
trecciandosi strettamente  le  fortune  venete  a  quelle  della  Cristianità 
e  specialmente  dell'Austria,    per  indiscutibili  ragioni  geografiche  e 


(1)  Cfr.  Disp.  Amb.  di  Germania,   filza  205    e.  75. 

(2)  Cfr.  Dispac.  Sen.  Corti   R.  92,  e.  zoo. 


-  36  -• 

politiche.  Ma  Carlo  VI  faceva  finta  di  non  accorgersene,  e  Venezia 
stretta  dalla  necessità,  dovette  autorizzare  il  suo  ambasciatore  ad 
esporre  a  Vienna  il  consentimento  del  Senato  circa  alla  richiesta 
difesa  degli  Stati  d' Italia,  determinato  specialmente  (e  questo  si  di- 
ceva, ma  certo  non  si  pensava)  «  dal  desiderio  di  compiacere  Ce- 
«  sare  »  (-I\  Cosicché  quello  che  doveva  essere  un  patto  di  crociata 
sotto  gli  auspicii  del  Pontefice,  si  muta  in  un'alleanza  difensiva  per 
gli  Stati  che  ciascuno  possedeva  in  Italia,  impegnandosi  la  Repub- 
blica a  resistere  con  6000  fanti  ad  eventuali  invasioni  terrestri  nei 
dominii  di  Cesare,  e  con  8  navi  a  quelle  marittime  (2\  mentre  il  Papa 
doveva  concorrere  con  sussidii  di  navi,  e  di  denaro  e  con  la  sua 
interposizione  presso  la  Spagna  a  facilitare  l' impresa  contro  il  Turco. 
Carlo  VI  da  parte  sua  avrebbe  messo  in  campo  un  esercito  nella 
imminente  primavera,  creando  così  una  diversione  in  Ungheria. 
Restava  poi  affidata  alla  Repubblica  l'azione  marittima,  e  la  di- 
fesa delle  isole  e  delle  coste.  Su  queste  basi  e  con  queste  inten- 
zioni si  stava  laboriosamente  stendendo  un  trattato  (3),  la  cui  forma 
fu  oggetto  di  lunghe  e  difficili  conferenze  fra  l'ambasciatore  veneto 
e  il  Consiglio  di  guerra,  presieduto  dal  principe  Eugenio  di  Savoia. 
Eppure  la  cosa  era  semplicissima  :  Carlo  VI  anticipava  di  poco  una 
difesa  inevitabile  dei  proprii  territori  Danubiani,  e  Venezia  continuava 
a  difendere  quel  poco  che  le  restava  in  Oriente,  approfittando  però 
del  conseguente  indebolimento  delle  forze  ottomane,  e  di  tutti  gli 
altri  vantaggi  che  venivano  dallo  sdoppiamento  del  teatro  della 
guerra  :  equo  compenso  dei  servigi  da  lei  resi  a  Leopoldo  I.  —  Il 
19  Gennaio  17 16  (more  veneto  17 15)  si  stabilisce,  come  capo- 
saldo della  Lega,  che  essa  sia  «  reciproca  difensiva  per  li  Stati 
«  che  ogni  principe  possiede  in  Italia  M,  e  durevole  per  la  sola  pre- 
«  sente  guerra  col  Turco  ».  E  si  continua  poi  a  lavorare  attivamente 
per  lungo   tempo  intorno  a  quello    che    sarà  il  trattato    definitivo. 


(1)  Senato  Corti.  R.  92,  e.   178. 

(2)  Senato  Corti.  R.  92,  e.  178. 

(3)  Seri.   Corti.  R.  92,  e.  178  —  f.  205,  e.  75  Amb.   Germ.,  —  id.  e.  94,    104,  107.  —  Sen. 
R,  92,  e.  192  —  f.  205,  e.  113,   i2i,  1  ,0,  150,  155.  R.  92,  e.  200,  f.  205,  e.   72,  183,  196, 

216,  R.  gì,  e.  210,  215,  f.  205  e.  222,  232,  251,  R.  93,  e.  6,  f.  205,  e.  262,  2S2  ctc. 

(4)  Ditp.   Ami),  in   Cerni,  f.    205,  e     13O. 


—  37   - 

Accanto  ai  preparativi  diplomatici  procedono  quelli  militari,  che  im- 
pensieriscono il  Visir  (»).;  anche  la  diplomazia  turca  lavora,  e  non 
solo  presso  il  residente  Cesareo  di  Pera  e  presso  il  principe  Eu- 
genio. Tanto  è  vero  che  mentre  l'Austria  crede  di  poter  contare 
sull'aiuto  della  Russia  e  della  Polonia'2),  lo  Czar  fa  assicurare  la  Porta 
a  più  riprese  che  non  si  unirebbe  a  Venezia  e  a  Carlo  VI,  nono- 
stante le  loro  insistenze  b\  e  farebbe  di  tutto  per  indurre  alla  neutra- 
lità anche  la  Polonia.  Non  paiono  infiammate  per  la  causa  veneta 
nemmeno  l1  Inghilterra  e  l'Olanda,  che  forse  nella  rovina  della  Sere- 
nissima intravedono  l'espansione  della  propria  influenza  commerciale. 

A  questa  freddezza  si  oppone  l'attività  del  Pontefice,  che  pub- 
blica un  breve  per  esortare  alla  guerra  i  principi  cristiani  h\  concede 
a  Cesare  tre  decime  per  cinque  anni,  riordina  le  proprie  galere, 
ne  ottiene  altre  dalla  Spagna  (s)  con  sei  navi  da  guerra  e  un  corpo 
di  truppe,  più  la  desiderata  garanzia  per  il  Regno  di  Napoli,  e  fi- 
nalmente fornisce  ragguardevoli  somme  in  contanti  '^  tanto  al  Re  Cat- 
tolicissimo che  a  Sua  Maestà  Apostolica,  per  incoraggiarli  a  soste- 
nere colle  armi  la  causa  di  Cristo. 

Così  tutto  procede  a  gonfie  vele;  l'u  Aprile  Eugenio  di  Savoia 
comunica  al  Visir  che  si  desisterebbe  dai  preparativi  solo  nel  caso 
che  venissero  rese  alla  Repubblica  tutte  le  conquiste  della  passata 
campagna,  e  rifatti  all'Imperatore  i  danni  e  le  spese  fin  allora  so- 
stenute in  seguito  all'  infrazione  della  pace  ;  ed  autorizza  il  Residente 
al  ritiro  delle  credenziali,  prevenendo  la  Porta  che  ogni  difficoltà  oppo- 
sta alla  sua  partenza  equivarrebbe  ad  una  dichiarazione  di  guerra. 

Il  1 3  Aprile  i  7  1 6  Eugenio  di  Savoia,  il  Trautzen,  il  Sinzendorff, 
lo  Stahremberg  e  il  Grimani  firmavano  a  nome  dell'Imperatore  e 
della    Repubblica   il  trattato [^  che    stabiliva  il  rinnovamento  della 


(1)  Disp.  Amb.  in  Germ.  f.  205  e.  150. 

(2)  F.  205,  e.  104  —  R.  92,  e.   188,  191,  207,  218.  R.  93,  e.  13,   J3. 

(3)  Theyls  —  e  Camp,  du  Pr.  Eug. 

(4)  F.'aos  e.  159. 

(5)  F.  205  e.  297. 

(6)  F.  205  e.  277. 

(7)  V.  Appendice.  —  Il  trattato  è  inedito.  Si  cita  generalmente  la  copia  esistente  nei  Coni- 
memoriali  e.  18  che  però  è  abbreviata! 


-  38  - 

Sacra  Lega,  l'alleanza  difensiva  e  reciproca  per  l'Italia,  la  dichia- 
razione di  guerra  alla  Porta  da  parte  dell'  Impero,  il  libero  passag- 
gio delle  truppe  sui  rispettivi  dominii,  l'invito  alla  Polonia  di  cor- 
rispondere agli  impegni  della  Sacra  Lega,  ed  alla  Russia  di  acce- 
dervi nuovamente. 

La  stipulazione  di  questo  trattato  fu  un  conforto  per  Venezia, 
e  per  Carlo  VI  un  atto  di  grande  opportunità  politica (5).  Egli  vo- 
leva una  garanzia  ai  suoi  possessi  Italiani  messi  in  pericolo  dalle 
nozze  recenti  di  Filippo  I  con  Elisabetta  Farnese  e  dall'audacia  del 
turbolento  Alberoni,  e  l' ebbe.  La  crescente  fortuna  dei  Turchi 
rendeva  poi  possibile  e  probabile  e  temuta  una  spedizione  su  Na- 
poli almeno  quanto  un'  occupazione  Borbonica  ;  e  che  ad  impedirvi 
l'invasione  ottomana  fosse  antemurale  validissimo,  unico  oramai, 
Corfù,  questo  Cesare  lo  sapeva  da  sé,  e  non  v'  era  bisogno  che 
facesse  tante  meraviglie  quando  glielo  dissero  i  Veneziani.  C  era 
poi  1'  Ungheria  che  non  avendo  fortezze  di  frontiera  sarebbe  restata 
senza  difesa  contro  le  irruzioni  dei  Turchi,  una  volta  che  questi 
avessero  finito  di  conquistarsi  i  confini  settentrionali  delle  Domi- 
nanze. Essi  potevano  oramai  togliere  più  poco  a  Venezia,  tutto 
all'Austria.  Ma  l' Austria  aveva  per  sé  il  principe  di  Savoia  e  le 
tradizioni  di  Zenta,  cioè  tutte  le  probabilità  di  troncare  nel  suo 
fiore  l' espansione  ottomana. 

Questo  capisce  Carlo  VI,  o  meglio  riflette  per  lui  Eugenio  ;  e 
trovandosi  cosi  felicemente  d'  accordo  lo  zelo  della  fede  comune, 
i  milioni  pontificali  e  gli  interessi  di  Casa  d'Austria,  si  rimanda  a 
Costantinopoli  l'Agà  colle  sue  proposte,  e  si  muovono  gli  eserciti 
verso  1'  Ungheria.  E  tocca  a  Venezia  rinnovare  ancora  una  volta 
la  favola  eterna  del  cavallo,  che,  chiamato  l'uomo  in  aiuto  contro 
al  suo  nemico,  dovette  poi  sottostare  al  freno.  Come  si  vedrà  in 
seguito,   la  vittoria  non  fu  allegra  davvero. 


(5)  Aveva  ritardato  la  conclusione  di  esso  il  timore  che  Venezia  si  pacificasse  coi  Tuichi 
e  lasciasse  poi  l'Impero  nell'impegno  della  guerra.  Dibdo,  p.  123. 


<«3H  <ìrH   '/rlfc   (<n&  Cì>   6ni& 


Da  un'incisione  contemporanea. 


A.  A.  B. 


IL  PRINCIPE  EUGENIO  DI  SA  VOI  A 


IV. 

Vittorie  Austro -Venete 


Solo,  taciturno,  educato  nell'  esilio  e  cresciuto  senza  amore  fra 
le  ispirazioni  di  vendetta  e  i  vaneggiamenti  astrologici  della  madre 
Olimpia  Mancini  nipote  del  Mazarino,  poi  sotto  la  regola  severa 
della  nonna  principessa  di  Carignano,  destinato  al  sacerdozio  e 
nato  per  le  armi,  respinto  dalla  Francia  sua  terra  nativa  e  dalla 
madre  patria  Italia,  così  gracile  e  delicato  che  non  lo  facevano 
degno  di  portar  la  spada  e  in  corte  lo  chiamavano  le  petit  abbi, 
tale  era  nella  sua  triste  giovinezza  1'  uomo  che  noi  vediamo  cin- 
quantenne, ricco  di  gloria  e  di  fortuna,  reggere  le  sorti  militari 
dell'Austria  W. 


fi)  Ecco  il  ritratto  che  ne  fa  il  Ruzzini,  ambasciatore  Veneto  a  Carlowitz  :  —  «  .  .  .  ,  la 
sciato  1'  habito,  e  la  professione  Ecclesiastica,  a  cui,  nella  prima  età,  pareua  dedicato,  come 
uolontario,  uidde  poche  campagne  dell'  Hungaria.  Con  lo  splendore  poi  della  nascita  e  con 
gli  appoggi  del  Borgomanero  Amb.r  di  Spagna,  passato  celeremente  per  i  gradi  militari,  in 
breve  arrivò  al  posto  di  poter  comandar  le  truppe  di  Cesare  in  Italia.  Di  là  trasportato  di 
nuovo  all'  Hungaria,  se  ben  fosse  quello  il  primo  non  facile  esperimento  di  regger  solo  la 
macchina  grande  di  tutta  la  guerra,  e  dell'esercito  Capitale,  ad' ogni  modo  che  entrò  tra  le 
angustie  e  gl'azzardi,  ne  uscì  con  quella  gloria,  che  rende  il  suo  nome  celebre  ai  tempi 
presenti,  e  memorabile  ai  futuri...  .  Per  il  studio,  e  per  l'esperienza  possiede  tutta  la  co- 
guiticne  della  Guerra.  La  esercita  con  esatta  attentione  sino  alle  cose  più  minute.  Ha  in  pari 
grado  il  coraggio,  e  la  prudenza    Cerca,  e  sostiene  con  l'uno  la    presenza  dell'occasioni,  e 


—    4o   — 

È  stato  lui  che  ha  imposto  a  Venezia  l' aut-mtt;  ma  è  stato 
anche  lui  che  ha  troncato  le  esitazioni  imperiali  quando  ogni  in- 
dugio era  per  lei  una  rovina.  L'abbiamo  visto  diplomatico:  lo  ve- 
dremo generale  supremo  in  campo.  Bel  tipo  di  politico  e  di  guer- 
riero, in  cui  il  militarismo  forse  eccessivo  si  tempera  di  una  vasta 
coltura  scientifica  e  letteraria,  di  una  geniale  inclinazione  alle  arti 
belle,  di  un  sottile  accorgimento  diploma1  ico,  di  tutta  l'esperienza 
di  una  vita  lunga  ed  agitata,  che  gli  ha  data  una  coscienza  larga 
e  serena  dell'altrui  diritto  e  del  proprio  dovere. 

Ali'  annunzio  della  sua  partenza  per  l'Ungheria  venne  a  lui,  come 
a  duce  e  maestro,  il  fiore  della  nobiltà,  europea  mosso  dallo  spi- 
rito cavalleresco  superstite  attraverso  i  secoli  nelle  vecchie  casate. 
È  un  ultimo  tentativo  di  crociata.  Il  Portogallo  manda  il  suo  gio- 
vine principe,  Emanuele  ;  il  Wurtemberg  i  due  fratelli  Alessandro 
e  Federigo  ;  la  Francia  il  Condè,  il  Dombes,  il  Charolus,  auspice 
il  reggente  d'Orléans  ;  la  Baviera  Carlo  Alberto  e  Ferdinando  ;  la 
Lorena  il  principe  di  Pons.  Militavano  regolarmente  sotto  le  ban- 
diere d'Absburgo  i  magnati  dell'Impero,  dai  confini  di  Carinzia  a 
quelli  di  Polonia.  Giunsero  poi  a  Vienna  le  benedizioni  e  gli  scudi 
d'  oro  di  Clemente  XI,  a  Corfù  le  galere  pontificie,  maltesi,  to- 
scane, spagnuole.  —  Il  principe  Eugenio,  assumendo  il  comando 
supremo  dell'esercito  e  la  direzione  della  guerra,  sgomenta  già  col 
ricordo  di  Zenta  i  memori  Ottomani.  La  Porta  aveva  disposto 
d'attaccare  contemporaneamente  Corfù  per  mare^  e  la  Dalmazia  per 
terra,  mirando  forse  oltre  l'Adriatico,  ma  1'  intervento  del  principe 
Eugenio  troncò  i  suoi  disegni,  costringendo  il  Visir  a  condurre  in 


•  con  l'altra  le  regola,  à  misura  di  sottrarle  più  che  si  può  dagli  arbitrij  della  fortuna.  Ri- 
•<  stretto  nelle  parole,  e  parco  nell'accoglienze  si  stabilisce  il  credito  con  la  stima  del  valore, 
«  e  con  la  mira  di  non  offendere,  e  non  spiacere.  Se  ben  unito  dalla   natura  alla  casa  di  Sa- 

•  noia  si  professa  diviso  dagl'  interessi  del  Duca,  correndo  alcuni  dissidii  sopra  certe  pretese 
"  d'  I  (eredità,  e  d'assegnamenti.  Perciò  nell'acquisto  e  demolitione  di  Casale,  oppose  i  di  lui 
■  pareri,  dando  prone  di  fede  incontaminata  nel  Cesareo  servitio.  Cesare,  dopo  d'esso,  in  tutto 
■•  l'ampio  numero  de'  suoi  Marescialli,  non  ha  altro  soggetto,  nelle  cui  mani  possa  per  luna 
«  depositar  con  quiete  il  destino  delle  proprie  anni  ».  (Cod.  Marc.  38,  ci.  VII.  e.  54). 

(1)   Cfr.    Detenzione  dell'  Isola  e   Ci/là    di    Cor///,    Ven.    1^17  ;    CAPUTI,    Vere  e  disi/ '///>• 

tutizie  dell'attedio  e  liberazione  di  Cor/it,  Napoli  1716;  Notìzia  breve  dei  tuccetti  dell' as- 
tedio  di  Coi/ìi,  Kom.i,  1716. 


-  4i    - 

Ungheria  le  forze  destinate  alla  Dalmazia.  —  Si  sdoppia  così  il 
teatro  della  guerra,  e  si  presenta  ai  Turchi  doppia  resistenza  e 
doppia  difesa  (che  non  tarderà  molto,  almeno  in  parte,  a  cambiarsi 
in  offesa)  :  terrestre  al  Nord,  con  armi  austriache,  marittima  al 
Sud,  con  navi  collegate  e  presidii  mantenuti  dalla  Repubblica.  —  Il 
Danubio  viene  occupato  dalla  flottiglia  fluviale  austriaca,  mentre 
rannata  navale  turca  il  24  giugno  17 16  gira  Corfù  e  dà  fondo 
nel  canale  d'  Epiro,  riuscendo  a  sbarcare  nell'isola,  dopo  uno  scon- 
tro colle  navi  venete,  40,000  uomini  con  trentasei  cannoni.  Ai 
primi  di  Luglio  si  pone  l'assedio  alla  città. 

Intanto  il  principe  Eugenio  arriva  a  Petervaradino.  E  qui  le 
memorie  della  guerra  precedente  tornano  ad  essere  di  buon  augu- 
rio alle  armi  cristiane:  servono  alla  difesa  degli  Austriaci  i  trin- 
ceramenti fatti  inalzare,  ventidue  anni  prima,  dal  Caprara.  —  Sulla 
fine  di  Luglio  i  Turchi,  gettato  un  ponte  sulla  Sava  e  passati  a 
Carlowitz  vi  si  accampano,  e  per  una  curiosa  combinazione  pro- 
prio presso  la  cappella  inalzatavi  nel  1699  a  ricordo  della  pace, 
avviene  il  primo  scontro  austro-turco  fra  i  duemila  uomini  del 
PalfTy  mossosi  per  riconoscere  il  campo  nemico,  e  ventimila  otto- 
mani che  lo  costringono  a  retrocedere,  il  2  Agosto,  fino  a  Peter- 
varadino cui  intimano  la  resa. 

Dopo  lunghe  esitazioni  e  contrasti  nel  consiglio  di  guerra  per 
l'incertezza  della  posizione,  Eugenio  ordina  1'  attacco,  all'  alba.  I 
Turchi  erano  pronti  ;  e  appena  cominciato  il  fuoco  si  vide  piegare 
la  destra  degli  Imperiali,  mentre  la  sinistra  procedeva  vittoriosa.  Eu- 
genio, veduto  scoperto  un  fianco  dell'  esercito  nemico,  gli  lanciò  con- 
tro qualche  migliaio  di  cavalieri,  e  con  questa  abile  mossa  spaventò 
i  Turchi,  che  fuggirono  verso  Belgrado  lasciando  sul  campo  carri 
e  bagagli,  il  cadavere  del  Gran  Visir  e  la  sua  tenda,  nella  quale 
insieme  a  ricche  prede,  Eugenio,  rimasto  a  mezzogiorno  padrone 
del  campo,  trovò  i  cadaveri  di  alcuni  prigionieri  austriaci,  scan- 
nati, quale  ultima  rappresaglia,  pochi  minuti  prima  della  sconfitta 
(5   Agosto   17 16). 

Questo  primo  trionfo  delle  armi  cristiane  fu  salutato,  per  ordine 
del  principe,  con  trecento  colpi  di  cannone,  e  si  cantò  il  Te  Deum 


—  42    - 

sul  campo.  Era  l'8  Agosto  17  16.  —  In  quella  stessa  notte  Vienna 
si  destava  in  festa  ad  accogliere  il  Kewenhuller,  messaggero  della 
vittoria.  Dalla  Favorita  gli  corse  incontro,  rallegrandosi,  l' impera- 
tore. Si  cantò  all'  Augustiner-Kirche  il  De  Profundis  per  i  morti, 
ma  a  S.  Stefano,  pavesato  a  festa  cogli  stendardi  turchi,  il  Te  Deum, 
presenti  l' Imperatore  e  l' Imperatrice,  mentre  sul  Danubio  tonavano 
le  artiglierie  W.  Ad  esse  fecero  eco  le  campane  della  Città  Eterna, 
sonando  a  distesa  per  celebrare  non  tanto  la  vittoria  degli  Austriaci 
quanto  il  trionfo  solenne  della  fede  cristiana.  E  il  vicario  di  Cristo 
inviava,  congratulandosi  e  benedicendo,  una  spada  e  un  cappello 
benedetto  al  vincitore,  che  Villars  si  .augurava  di  veder  presto 
trionfante  sulle  sponde  del  Mar  Nero  (2). 

Gli  avvisi  della  vittoria  portarono  lo  sconforto  nei  Turchi,  già 
eccitati  per  il  cattivo  presagio  di  vari  incendi  scoppiati  a  Stambul, 
a  Belgrado  e  a  Temeswar,  e  convinti  che  il  principe  di  Savoia  fosse 
protetto  dagli   «  angeli  neri (3)  ». 

Giunsero  invece,  accolti  con  entusiasmo  e  «  festeggiati  colla 
«  maggior  pompa  di  Suoni,  di  Campane,  Trombe,  Tamburi,  lumi  e 
«  Spari  d'Artiglierie  »  a  Cor  fu,  dove  ormai  da  più  di  un  mese  du- 
rava, l'assedio.  Venezia  pareva  voler  rivendicare  la  propria  gloria, 
poiché  realmente  questa  difesa  di  Corfù  è  una  delle  più  belle,  delle 
più  eroiche,  delle  più  audaci  che  s'incontrino  nelle  sue  stòrie  W. 


fi)  Cfr.  Cavipagiies  du  Priiice  Eugène  —  anche  per  particolari  sulla  partenza  della  flotta 

(2)  A  Venezia  nel  giardino  del  palazzo  del  conte  Collorèdo  ambasciatore  di  S.  M.  Cesa 
rea  e  cattolica,  il  29  agosto  1716  fu  fatta  una  cantata  a  quattro  voci,  stampata  poi  presso 
l'Albizzi  a  Venezia  nel  1716.  Le  quattro  voci  raffiguravano  la  Fede,  il  Valore,  la  Gloria,  la 
Fama.  —  Don  Antonio  Ura  siciliano,  cappellano  di  Corte,  scrisse  per  Carlo  VI  La  Siciliana 
Calliope,  componimento  eroico,  stampato  poi  a  Vienna  nel   1720. 

(3)  Cfr.  in  Db  Mikonk,  Mhnoires  et  Avantures  secrettes  et  curieuses  d'un  voyage  du 
Levante  -  Liege,  1732,  curiosi  particolari,  il  Muftì  rivelò  nel  Divano  un'apparizione  del 
Profeta  che  gli  aveva  predetto  la  vittoria.  Invece  avvenne  la  rotta  di  Belgrado,  e  il  Sultano 
giurò  che,  se  avesse  vinto,  avrebbe  passato  a  fil  di  spada  i  Cristiani.  —  Lo  stesso  Muftì 
aveva  anche  indotto  una  favorita,  Nadina,  a  fingere  una    visione    per    indurre  il  Sultano  alla 

Il   Muftì,  invitato  a  spiegar  la  visione,  aveva  aggiunto  che  già  da  tre  notti  gli  appa 
riva  il  Profeta  per  chiedergli  il  sangue  di  tutti  i  Cristiani  di  Costantinopoli  in  ricompensa  delle 
vittorie  che  egli  avrebbe  procurato  ai  suoi  fedeli,  —  V.  inoltre  la  descrizione  delle  preghière 
i.'uiie  la  campagna  si  facevano  a  Costantinopoli. 

(4)  Dell'ai  edio    di    Corfù  esiste    una    relazione    contemporanea  a    stampa  nella  Gali,  di 
1,   Voi.   VI,  con   una  pianta  della  Fortezza,  ed  un'altra,  molto  più  estesa,  in  Miscellanee 


—  43  - 

La  flotta  l'aveva  secondata  felicemente,  fino  da  quando,  forzato  il 
passo  all'armata  nemica,  era  riuscita  a  penetrare  nel  porto  aprendo 
la  via  alle  navi  onerarie  che  il  1 8  Luglio  vi  arrecavano  migliaia  di 
ducati,  una  quantità  enorme  di  provviste,  e  casse  di  munizioni.  La 
resistenza  per  terra  era  organizzata  quanto  meglio  si  poteva  (date 
le  condizioni  dell'isola,  e  le  continue  diserzioni  dei  soldati,  gente 
raccogliticcia  e  mercenaria)  dal  Loredano  e  sopratutto  dal  Mare- 
sciallo di  Schulemburg,  la  cui  azione  nell'assedio  di  Corfù,  di  fronte 
alle  vili  figure  di  Bernardo  Balbi  e  di  Federigo  Badoer,  darebbe 
purtroppo  occasione  a  confronti  dolorosi.  Il  5  Agosto  i  Turchi  man- 
darono un  invito  di  resa.  —  Risposero  audacemente  i  difensori  che 
si  sarebbero  scambiate  volentieri  le  chiavi  di  Corfù  con  quelle  di 
Costantinopoli,  «  che  il  Seraschiere  si  attendesse  risposta  a  misura 
«  e  proporzione  delle  proposte  »  ma  che  intanto  lo  si  consigliava 
a  desistere  da  queste,  per  non  perdere  insieme  armata,  onore  e 
vita.  I  Turchi  inferociti  tentano  invano  di  prender  la  fonte  di 
Paiopoli;  prendono  invece  i  monti  d'Abramo  e  di  S.  Salvator,  po- 
sizioni favorevolissime. 

A  nuove  intimazioni  del  nemico  si  risponde  ancora  una  volta 
<■■  che  attendesse  pur  egli  a  combattere,  ch'essi  non  aveano  punto 
e  da  far  coli' Armata  Maritima,  che  perciò  ragionasse  d'  altro  il  Se- 
«   raschiere,  che  della  resa  » .  —  Nel  fatto  invece  i  difensori  erano 


Parte  Veneta  (Bibl.  Naz.  Marc,  di  Ver».)  Voi.  167,  n.  34*  di  Andrea  Caputi  —  Venezia  Al- 
brizzi  1717  —  ricca  di  particolari,  ma  gonfia  e  verbosa.  Dà  come  cifre  dell'armata  Turca  22  sul- 
tane, 16  alessandrine,  12  ausiliarie  barbarescbe,  1  fregata,  2  brulotti,  12  galere  e  60  navi 
onerarie  «  a  vele  gonfie  più  d'  aure  di  vane  speranze,  che  di  venti  favorevoli  ».  —  Riporta 
poi  1'  invito  di  resa  inviato  al  Minotto  dal  comandante  Turco,  in  forma  diversa  da  quello  che 
è  dato  dal  Ms.   191  di  Padova.  Probabilmente    sono  alterati  l'uno  e  l'altro. 

Esiste  poi  dell'assedio  di  Corfù  una  relazione  manoscritta  intitolata:  «  Diaria  relazione 
dell'attacco  della  Piaza  di  Corfìt  forviato  dall'armi  Ottomane  l'anno  17/6  ».  (Bibl.  Un. 
Padova). 

Descrive  Corfù  così  :  «  Ella  è  d'un  imperfetto  profilo,  è  cinta  di  moltissime  opere,  domi 
»   nate  sin  nel  più  interno  dalle  due  altezze  di  Abramo,  e  San  Salvatore,  le  quali  sempre  più 

■  vanno  moltiplicando  l' impegno,  e  facilitando    l'oppugnazione      ....  Aggiungansi    à    questi 

■  mancamenti  due  altri  disordini,  quanto  ridicoli,  altrettanto    temibili la  mutazione  di 

«  Capitan  Generale  nella  persona  d'  Andrea  Pisani .  .  .  Non  deuo  celarui  la  costernazione,  che 
-  ho  all'Ora  osseruato  in  tutti,  cosi  Militanti,  come  terrieri,  che  rimasero  storditi  à  questa  da 
«  loro  creduta  somma  disaventura  ;  mosso  però  dalla  curiosità,  indagandone  la  cagione,  rile- 
«   vossi  esser  la  somma    placidezza  di  quel    K.r  et  il  giusto  concetto  che  universalmente  ave- 


-     44   — 

stanchi,  e  forse  senza  la  controscena   —  diciamo  così  —  di  Peter- 
varadino,  Corfù  era  perduta.   —  Si  aggiungeva  alle  ragioni  di  scon- 
forto la    vana   attesa  di    ulteriori    rinforzi,    che    giunsero    invece  a 
festa   finita,  e  l'esito  rovinoso  di  una  sortita  degli  Schiavoni. 
Il    1 8  si  rinnova  con  più  vigore  l'assalto  nemico,  e  cade  in  po- 


«  vano  del  di  lui  corraggio,  e  dirretìone,  e  per  uerità  si  ebbe  dopo  relazione  die  in  Costanti-, 
«   nopoli  furon  fatte  da  Turchi    publiclie    feste    per    1'  allontanamento  della    di  lui  persona  da 

«  loro  grandemente  temuta ».  A  e.  5,  del  principio   dell'attacco:  —  «   Infatti    alli    2, 

«  3,  4  dì  detto  mese  {Luglio)  doppo  molti  dubiosi  et  incerti  auisi  si  sepe  con  sicurrezza  in 
«  città,  die  1'  inimico,  tenendo  l'acque  della  Valona,  e  del  Latero,  atendesse  propizia  con 
«  giontura  d'entrare  in  questo  Canalle,  qual  lacrimeuole  auiso  fu  riferito  dal  figlio  d'un  tale 
«  Spiro  Lazari  Albanese  da  I.  F.  pe  ò  Christianissimo,  'anzi  per  auer  portato  tale  nuova  fu 
«  passato  in  arresto  come  inuentatore.  Et  ecco,  che  la  Domenica  delli  5  ad'  bore  16  si  udì, 
«  appena  che  si  uidde  imbocare  dallo  streto  di  Casopo  in  buona  ordinanza  l'Armata  sotile 
«  Ottomane  in  numero  di  circa  trenta  tra  meze  gallere  Galeote  e  Fuste,  e  di  tredeci  Galere 
»  gonfiata  da  uento  fresco  Maistro  che  ben  presto  là  fé  auanzare.  A  tal  comparsa  fece  ime- 
»  diate  tiro  di  leuata  là  Bastarda  et  uscitassi  fuori  di  Mandrachio  con  tredeci  Gallere  e  le 
«  due  Galleazze,  una  del  Capitano  delle  medesime  N.  H.  Capello,  e  l'altra  del  N.  H  Grimani, 
«  mostrarono,  che  pronte  per  incontrarui  coragiosamente  l'inimico  si  portovono  anco  fino 
«  alla  punta  dello  scoglio  di  Vido  delli  Pieri  se  in  quel!'  istante  non  hauessero  scoperto  il 
«  Medesimo  Cap.n  Bassa  ad  imbocare  il  predeto  stretto  con  settantadue  Velie  quadre  tra 
«  grandi  e  picole,  comprese  le  due  Palandre,  et  un  Bruloto  ...... 

Negli  assalti  della  città  «  il  preacenato  Lasari  fu  causa,  che  si  mitigò  il  dano,  che  andò 
«  in  persona  dal  Seraschiere,  che  non  era  per  anco  sbarcato,  dicendogli,  Signore  tjuesta 
«  Piaza  per  voler  Diuino  dicemo  che  dourà  esser  del  Gran  Signore  perchè  dunque  la  dane- 
«  giano  con  guastar,  et  abrugiar  le  loro  Chiese,  Case,  e  grani  ?  Diede  ordine  il  predeto  Sera- 
«  schiere,  di  non  più  dannegiare  in  pena  della  lor  uita  ». 

Ecco  uno  dei  tanti  trad'menti  che  ebbe  a  soffrir  Venezia  durante  la  guerra  :  (e.  20  r.)  — 

" li  20  si  lasciarono  uedere  al    Capo  bianco  di  Leftimo    li  Sig.ri  Maltesi  al  numero 

»  di  quatro  Navi,  cinque  Galere,  e  due  Tarbone,  che  per  uento  contrario  che  si  era  gagiar- 
«  damente  rinforzato  non  puotero  guadagnar  il  Porto,  ma  perche  il  Giubilo,  e  la  tristeza 
«  uànno  sempre  del  pari  s'osseruò  in  questo  giorno  un  Pinco  con  bandiera  Nostra  Nacionale 
«  ad'  entrare  dallo  stretto  di  Casopo,  non  si  sa  se  auedutamente  ò  per  inscienza,  e  darsi 
«  all'ubbidienza  del  Cap.n  Bassa  Gianu  Coza,  non  dubitandosi  fosse  stato  spedito  da  Venezia 
«  con  soccorsi  de  genti,  e  municioni,  come  se  ne  aueuano  avute  le  notitie  col  prenominato 
«  Conuoglio,  doveano  essersi  sopra  esso  Pinco  doicento  soldati  molti  Centinaia  di  Moschetti, 
«  e  spade  biscotti,  et  altri  atreci  da  guerra,  tutti  soccorsi    non    bisogneuoli,    ma    neccessari 

«  simi    in    un  tal  assedio all'ore    12  delli    22    fu    S.  E.  M.r  Sandiè 

•<  Generale  di  Malta  complimentato  dal  Seg.rio  dell'Eccmo  Cap.n  General  Pisani,  accompa- 
«  gnato  da  due  Gallere  à  mezo  il  Canale  in  faccia  il  borgo  di  Cosbrades,  et  all'  ore  14 
«  auanzatasi  là  squadra  Maltese  uerso  il  Castello  da  Mare  fu  incontrata  dà  tutta  l'Armata 
«  Sottile  Veneta  al  scito  predetto,  attendendo  che  quella  facesse  la  scarica  di  settanta  fucili, 
«   e  di  cinque  tirri  di  Cannone  per  cadaun  bastimento,    che    fu    nella    stessa    guisa    imediata- 

«   mente  corrisposto  dà  questa Se  le  offese  de  Turchi,  per  altro  di  poco   rilieuo,  cau- 

«  sorono  qualche  tristeza  ne  nostri,     là    uenuta    in    Porto    della    sudeta    squadra    de    nani,  e 

■  galer.    ausiliari  che  preuii  li  cerimoniali  predeti  li  3  Luglio,  compensò- l'afflizione  con  alt re- 

■  tanto  di  giubilo.  Consisteua  questa  in  quatto  navi  e  quatro  Gallere    Pontifìcie,  cinque  pure 
•  lalt-ie  di  Spagna,  tri  'li  Fiorenza,  e  due  di  Genoua,   rinforzo  così  rileuante  elio  superando 


-  45   - 

(  tere  dei    Turchi  la   controscarpa    della    fortezza    nuova.    La    difesa 
parve  disperata,   ma  il  pericolo  imminente  rinnovò    il    coraggio   ai 

difensori.  Loredan  fa  piover  granate,  fuoco  e  bitume;  lo  Schulem- 
burg  combatte  per  due  ore  fuori  delle  porte;  tuona  il  cannone  del 
Pisani  dal  mare  fulminando  le  trincee  del  Monte  A  bramo.  I  Tur- 


«  le  nostre  speranze,  pareua  ci  assicurasse  di  una  piena  uittoria  nell'  iminente  conflitto  ».  — 
K  lilialmente  un  episodio  :  (p.  22  r.).  «  Dal  sbaro  del  pred.to  Baluardo  fu  colpito  dà  una 
«  Canonata  un  scolare  greco,  che  staua  dormendo  sopra  l' ombratura  d'  una  Canoniera  d'  un 
«  riuelino  esteriore  ».  —  Ouesti  pochi  brani  basteranno  a  dare  un'idea  del  carattere  e  dello 
stile  del  manoscritto,  che  è  anonimo  ed  inedito. 

S' intende  che  di  fronte  a  tale  assedio  non  potevano  tacere  i  poeti,  per  quanto  non  degni 
affatto  dell'eroico  evento.  Trascrivo  due  sonetti  dalle  «  Venture  di  Venezia  »  (Ven.  Bibl.  Naz. 
di  S.  Marco,  Parte  Ven.  Mise.  CLXXVII,  2,  160  n.  5). 

I. 

CORFÙ    DIFESA    DAI    VENETI 
veli'  anno  171 6 

O  Italia  !  o  Roma  !  se  '1  valore  antico 

Non  raccendean  la  mia  real  Cittade, 

Qual  riparo  alle  vostre  alme  contrade  ? 

Chi  vi  scampava  dal  crudel   nemico? 
Ogni  ampia  riva,  ogni  bel  colle  aprico 

Di  mille  ingombro  e  mille  inique  spade, 

Mal  per  1'  Unno  furore  all'  altra  etade. 

Tutto  scorrea  del  gentil  sangue  amico. 
Vinegia  noi  sofferse,  e  ai  danni  e  all'  onte 

Vostre  fé'  saldo  e  impenetrabil  scudo 

La  bella  difendendo  egra  Corcira  ; 
Che  il  Trace  già  d'  ardir  e  speme  ignudo 

Gran  duol  portando  e  gran  vergogna  in  fronte, 

Ne  fuggi  ,  al  cielo  ed  a  se  stesso  in  ira. 

(Del  p.  Jacopantonio  Bassani  Gesuita  Veneziano  m.  1747). 
II. 
VALORE    DE'  VENETI 

Gentil  Vinegia 

Degna  d' impero 

Dovunque  il  vero 

Valor  si  pregia  ; 
Tua  virtù  egregia 

Del  Trace  fiero 

L'ardir  primiero 

Già  frange  e  spregia  ; 
Corcira  il  dica 

Dove  or  fa  nido 

Tua  gloria  antica; 
E  in  ogni  lido 

L'oste  nemica 

Ne  tema  il  grido. 

(Del  p.  Jacopantonio  Bassani  Gesuita  Veneziano  m.  1747). 
G.  F.  Canal  cantò   in  latino    «  Pietatis  triumphus  in  insigni  Turcarum  Corcyram  obsiden- 
tium  expulsione   ». 


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chi  abbandonano  la  posizione,   nella  quale  si  affrettano  a  barn»  ai  ri 
i  Veneti. 

Il  20  una  pioggia  torrenziale  accompagnata  da  vento  fortissimo 
e  da  fulmini  allaga  il  campo  turco,  rovina  i  lavori  delle  trincee, 
e  danneggia  gravemente  le  flotte. 

Il  2  1  si  osserva  nell'accampamento  una  insolita  agitazione.  Temen- 
dosi un  nuovo  assalto  si  mandano  gli  avvisi  a  mare,  e  si  veglia 
tutta  la  notte  senza  interrompere  il  fuoco,  a  cui  però  nessuno  ri- 
sponde. All'alba  nella  campagna  di  Corfù  non  v'è  più  un  Turco, 
e  le  navi  si  sono  allontanate.  Gli  esploratori  usciti  al  campo  sor- 
prendono tre  sentinelle  addormentate,  e  volti  alla  città  col  grido 
di  S.  Marco  accennano  gioiosamente  la  fuga  dei  nemici.  La  città 
spalanca  le  sue  porte,  e  fra  l'esultanza  universale  si  trovano  ab- 
bandonate tende,  mortai,  bandiere,  munizioni,  bestie,  armi,  scale 
e  cannoni,  tutto  insomma  1'  enorme  bagaglio  di  un  esercito  Mu- 
sulmano. 

Fu  cantato  alla  Cattedrale  il  Te  Deum  con  particolari  azioni  di 
grazie  ai  santi  Marco  e  Spiridione,  officiando  solennemente  Mon- 
signor Zacco  Arcivescovo.  Si  mandarono  gli  avvisi  della  liberazione 
alle  Corti  e  alla  Dominante,  che  con  regale  magnificenza  ricom- 
pensò i  difensori. 

Non  seguì  battaglia  fra  le  armate  navali.  La  Turca  sopravento 
entrò  felicemente  nel  Mar  Egeo;  la  Veneta  che  era  sottovento  non 
si  potè  muovere,  dovè  contentarsi  di  un  inseguimento  che  non 
ebbe  frutto,  ed  ancorò  a  Zante.  Nelle  cui  acque  il  Pisani  ringrazia 
e  congeda  gli  ausiliarii  «  quali  ricevuto  da' Veneti  ogni  dovuto  com- 
«  plimento  in  rendimento  di  grazie  per  causa  di  loro  venuta  ed 
«  unione  all'armi  della  Repubblica,  coll'agurio  di  prospero  e  felice 
«  viaggio,  e  l' onor  del  saluto,  drizzarono  lieti  verso  i  loro  porti 
'■    le  prore  v. 

Quattro  giorni  dopo  la  liberazione  di  Corfù  il  Principe  Eugenio 
attraversando  a  marce  forzate  la  pianura  di  Zenta,  giungeva  a 
Temeswar,  cui  intimava  immediatamente  la  resa.  Mehemed  Agà  che 
la  difendeva  con  18000  uomini,  rispose  non  ignorare  che  Eugenio 
aveva  preso    fortezze    maggiori,  e  poteva   riuscir  a  prender  quella, 


-  47  — 

nui  essendo  egli  incaricato  di  difenderla,  esser  altresì  risoluto  di 
resistere.  E  resistette  davvero  accanitamente  per  quarantasei  giorni, 
alla  fine  dei  quali  domandò  di  capitolare  ^'.  Si  convenne  libero  passo 
a  Belgrado  per  la  guarnigione,  trasporto  e  scorta  per  le  donne,  i 
bambini,  i  bagagli  ;  artiglieria  e  munizioni  agli  Imperiali  ;  completa 
libertà  d'  azione  ai  non  Turchi.  Riguardo  ai  ribelli  ungheresi,  Eu- 
genio aggiunse  all'art.  VITI  di  proprio  pugno,  questa  frase  in  ita- 
liano:  La  canaglia  può  andare  dove  vuole. 

La  canaglia  se  ne  approfittò  con  immenso  piacere,  e  corse  a  ri- 
fugiarsi sotto  le  bandiere  dell'Esterhazy  e  del  Ragotzki,  del  quale 
si  diceva  che  e  la  Porte  lui  fourniroit  tant  d'argent  qu'il  pourroit 
«  aisément  faire  révolter  toute  la  Hongrie  contre  l'Empereur  ». 
Egli  sperava  trovar  aiuto  nella  Polonia,  e  forse  ci  sarebbe  riuscito 
se  la  Russia  non  le  avesse  fatto  formale  domanda  di  neutralità 
nelle  vertenze  Ungheresi.  —  A  questa  corrente  turcofila  si  contrap- 
poneva l'azione  delle  nazionalità  slovene,  contrarie  per  ragioni  re- 
ligiose e  politiche  alla  fortuna  ottomana.  In  Albania  vi  fu  un 
forte  movimento  del  clero  in  favore  di  Venezia  {2\  mentre  in  Vala- 
chia  (i\  dove  pesava  la  tirannia  di  Nicola  Maurocordato,  si  apriva  la 
via  al  Dettin  e  ai  suoi  1200  uomini  fino  a  Bucarest.  L'ospodaro, 
preso  e  mandato  ad  Hermannstadt,  dove  incontra  il  Fleischmann, 
consiglia  quest'ultimo  ad  usar  la  sua  influenza  presso  la  Corte  Ce- 
sarea per  disporla  alla  pace,  della  quale  appunto  in  quei  giorni  s'era 
offerto  mediatore  Wortley  Montague,  ambasciatore  Britannico,  ma 
senza  successo. 

Essendo  ormai  avanzata  la  stagione,  si  chiudeva  la  campagna 
del  17 16,  coll'acquisto,  per  opera  del  Pisani,  di  Butintro,  la  eelsa 
Buthroii  itrbs  di  Virgilio,  che  nel  secolo  XV  era  stata  già  fiorente 
dominio  Veneziano. 

La  nuova  campagna  si    apre   il  2  6   Maggio   1717    per  delibera  - 


(1)  Cfr.   Campagne*  du  Pr.   Eug.   Voi.   I,  p.  122,  con  estesi  particolari. 

(2)  Sopratutto  dei  vescovi  di  Scanderia  e  d'Antivari  —  Diedo,  p.  131. 

(3)  Cfr.  Campagnes  du  Pr.  Eug.  Voi.  I,  p.  152-157.  La  principessa  Cantacuzeno  chiese 
che  la  Valachia  fosse  resa  al  suo  figlio  maggiore,  e  che  1'  Imperatore  difendesse  i  suoi  di- 
ritti. Carlo  VI  ricevette  anche  un'  ambasciata  composta  del  vescovo  e  di  4  magnati,  ma  le 
pratiche  non  diedero  alcun  risultato. 


zione  della  Consulta,  colla  partenza  dal  Zante  di  Lodovico  Flangini 
a  capo  di  27  navi  scortate  dai  brulotti  e  disposte  in  tre  divisioni. 
Il  io  giugno  si  scorge  nelle  acque  d'Inibirò  la  Motta  nemica;  si 
delibera  la  battaglia,  ma  lo  svantaggio  del  vento  la  impedisce,  e 
si  perdono   ventiquattr'ore  in  vani  inseguimenti. 

Finalmente  Tu,  alle  21  e  mezzo,  otto  sultane  muovono  contro  le 
galere  di  Marcantonio  Diedo,  e  alle  23  vengono  incontro  al  Flangini 
la  Capitana  e  il  resto  della  flotta  nemica.  Si  combatte  a  lume  di 
luna  e  si  colano  a  fondo  due  brulotti  nemici.  I  Turchi  si  ritirano, 
la  Capitana  veneta  accende  i  lumi  per  seguitar  la  battaglia,  ma 
i  Turchi  continuano  a  manovrare,  favoriti  dalle  tenebre,  e  riescono 
a  sfuggire  all'  inseguimento. 

All'alba  del  16,  dopo  tre  giorni  di  rotta,  lasciandosi  addietro 
Santo  Stretti  e  Monte  Santo,  il  Flangini  si  trova  a  sei  miglia  dalla 
riotta  turca,  e  attacca  battaglia,  costringendo  i  nemici  a  ritirarsi, 
L' inseguimento  sarebbe  stato  non  solo  possibile,  ma  vantaggioso, 
se  non  che  il  Flangini  colpito  da  una  fucilata  cade  come  morto; 
gli  altri  capitani  attendono  invano  i  segnali  dalla  nave  ammiraglia, 
e  si  perde  così  il  vantaggio  della  vittoria,  che  aveva  disalberato  ai 
Turchi  7  sultane,  avariatene  altre,  ridotta  la  Capitana  al  rimorchio 
e  colato  a  fondo  un  brulotto.  Nel  comando  dell'  armata  veneta  il 
Diedo  sostituì  il  Flangini,  che  morì  in  un  nuovo  scontro  sangui- 
noso con  una  parte  della  squadra  turca  (22   Giugno)  W. 

Procedono  intanto  le  operazioni  militari  in  Dalmazia,  uniformi, 
regolate,  senza  vittorie  strepitose,  ma  con  vantaggi  continui  e  si- 
curi, secondati  dalle  popolazioni  cristiane.  —  Si  era  pensato  ad  un 
tentativo  sul  Montenegro  e  sull'Erzegovina,  dove  si  poteva  contare 
su  quell'appoggio  del  clero,  la  cui  mancanza  in  Morea  era  stata 
non  ultima  causa  dei  tradimenti  e  delle  diserzioni.  Ma  Scutari  e 
Dulcigno  erano  troppo  guardati;  onde  mutato  pensiero,  si  volsero  le 
armi  contro  la  Prevesa  e  Vonizza  (2\  piazze  di  non  grande  importanza 


(>)  Cfr    di  questi  scontri  una  relazione  a  stampa.  Mise.  Ven.  169,  75  e  2707,  38. 

(  ■)  Cfr.  anche  per  questi  una  relazione  contemporanea  a  stampa  (Mise.  Ven.  169,  75).  Ec- 
cone un  Mini.-:  Il  ca|.  Gen.  Pisani  imbarca  a  Zante  anni  e  milizie  al  comando  dello 
Schulemburg,  e  parte  il  15  ottobre    per    la    Prevesa,  dove    il    serg.    gen.   Sala  con  7  galeotte 


—  49  — 

allora;  per  esservi  infetta  l'aria,  ma  bene  adatte  alla  difesa  dei  ter- 
ritori litorali,  e  all'esazione  dei  tributi.  Francesco  Morosini  consi- 
derava la  prima  come  ima  delle  sue  conquiste  più  importanti.  Si 
arresero  alle  forze  dello  Schulemburg  e  del  Pisani,  dopo  ostinata 
resistenza,  il  22  e  il  24  d'Ottobre;  poco  dopo  si  arrendeva  vo- 
lontariamente Arta,  le  armi  della  Repubblica  si  spingevano  fino  alla 
Narenta  in  scorrerie  vittoriose,  e  Alvise  Mocenigo  impadronitosi  di 
Imoschi  si  disponeva  all'assedio  d'Antivari. 

Seguendo  le  fortune  di  Venezia  abbiamo  trascurato  per  un  mo- 
mento gli  avvenimenti  d'  Ungheria.  —  Con  Temeswar,  di  cui  si 
firmò  la  resa  il  13  ottobre  17 16,  veniva  all'Impero  l'importan- 
tissimo banato,  che  era  in  mano  dei  Turchi  da  164  anni.  Eugenio, 
disponendosi  a  tornare  alla  capitale,  ne  affidò  la  custodia  al  Mercy 
e  lasciò  allo  Steinville  la  cura  della  Moldavia  e  della  Transilva- 
nia.  La  crescente  fortuna  degli  Imperiali  impensieriva  gravemente 
i  Turchi,  e  li  abbiamo  veduti  sollecitare  la  mediazione  di  Wortley 
Montague.  Ma  le  trattative  sfumarono  subito,  e  tanto  la  Turchia 
quanto  l'Austria  attendevano  con  ogni  diligenza  alle  provviste  per 
la  prossima  campagna  to. 

Il  14  Maggio  Eugenio  partiva  da  Vienna,  e  per  Futak  e  il 
Banato,  si  trovava  il  18  Giugno  sotto  Belgrado.  Egli  aveva  già  fer- 
mato il  suo  proposito,  e,  quando  il  12  Agosto  duecentomila  Turchi 
vennero  ad  accamparglisi  alle  spalle,  ed  altri  trentamila  gli  si  affor- 
zavano dinanzi  nelle  mura  di  Belgrado,  lo  espresse  con  queste 
semplici  parole  :  O  io  prenderò  Belgrado,  0  i  Turchi  prenderanno  il 
principe  di  Savoia. 


aiuta  lo  sbarco.  Lo  Schulemburg  dispone  3  attacchi  di  trincee,  batterie  di  cannoni  e  mortai 
contro  il  presidio  turco,  di  600  uomini,  che  il  21,  alle  ventidue,  alza  bandiera  bianca,  e  chiede 
di  poter  uscire  con  armi  e  bagaglio  —  il  che  non  si  concede.  —  I  Veneziani  chiedono  poi 
anche  Vonizza,  con  un  ultimatum  di  24  ore.  Ma  i  Turchi  fanno  una  sortita  a  tradimento  che 
però  riesce  male.  I  Veneziani  entrano  nella  fortezza,  e  la  trovano  piena  di  micce  e  materie 
incendiarie  predisposte  per  farla  saltare  in  aria.  Si  presero  30  pezzi  di  artiglieria  e  «  si  Con- 
sacrò 1'  infame  moschea  »  al  culto  cattolico.  La  mattina  del  24  si  prende  possesso  di  Vonizza 
presidiata  da  1500  Turchi.  —  V'è  poi  una  relaz.  del  Grimani  (Mise.  Ven.  1827,  n.II)  sulle  ren- 
dite della  Prevesa  e  di  Vonizza  che  ammontano  a  1351  Zecchini. 

(1)  Cfr.  Arnbth,  Voi.  II,  Cap.  XVI  ;   Camp,  du  Prin.  Eng.  Voi.  IT,  p.  198  e  seg.,  che  dà 
molti  interessanti  particolari. 


—  50  - 

La  posizione  era  difficile:  incertissimo  l'esito  di  qualsiasi  azione, 

eppure  indispenscabile  muoversi  e  risolvere  in  meglio  o  in  peggio 
1'  immobilità  che  ormai  non  si  poteva  più  conservare. 

Le  palle  cadevano  a  bruciapelo  nel  campo  ;  1'  esercito  soffriva 
pei  luoghi  paludosi;  i  capitani  erano  già  in  parte  malati;  Eugenio 
stesso  perdeva  le  forze;  i  nemici  erano  a  seicento  passi.  Ah  Prinz 
Eugenius  dies  vernommen  —  come  dice  la  vecchia  canzone  au- 
striaca (l)  —  si  decise  per  1'  attacco  immediato.  Gli  ordini  furono  se- 
verissimi :  vietato  sotto  pena  di  morte  il  far  bottino  e  lo  sbandarsi  ; 
vietato  agli  ufficiali  di  trasmettere  i  comandi  con  violenza  od  agi- 
tazione ;  vietato  alla  cavalleria  di  far  fuoco  se  non  costretta  ;  alla 
fanteria  d'  interromperlo,  per  qualunque  ragione. 

A  mezzanotte  in  silenzio  escono  dal  campo  gli  squadroni  della 
cavalleria,  al  tocco  il  resto  dell'  esercito.  La  notte  era  chiara,  da 
temersi  la  vigilanza  nemica.  Si  procede  tanto  oltre  che  l'ala  sini- 
stra si  trova  fra  i  piedi    una    trincea    nemica.    Il   campo    turco    si 


(i)   La  trascrivo  qui  nella  strana  melodia  del  suo  ritmo  così  vario,  dal   baldanzoso  ardire 
della  prima  strofa  all'  eco  dolorosa  degli  ultimi  versi  : 

i.  Prinz  Eugen,  der  edle  Ritter,  wollt'dem  Kaiser  vvicdiuin  kriegen  Stadt  und  Eestung  Belgerad. 
Er  liess  schlagen  einen  Brucken,  dass  man  kunnt'  hinùber  rucken  mit  dr'Armee  wolil  fur 
die  Stadt. 

2.  Als  der  Brucken  nun  war  geschlagen,  dass    man  kunt'  mit  Stuck    und  Wageu    frei  passim 

den   Donaufìuss,  bei  .Semlin  schlug  man    das    Lager,    alle   Turken  zu  vcrjagen,  ihn'n  zum 
Spott  und  zum  Verdruss. 

3.  Am  aiatel1  August  so  eben   kam  ein  Spion  bei  Sturili  und  Regen,  sclivvur's  dem  Prinzen  und 

zeigt's  ihm  an,  dass  die  Tùrken  futragiren,  so  viel  als  man  kunnt'  verspùren,  an  die  drei- 
malhunderttausend  Mann. 

4.  Als  Prinz   Eugenius  dies  vernommen,  liess  cr  glcich  zusammenkommen    seinc    General  und 

Feldmarschall;  er  that  sic  recht  inslrugiren,  wie    man  sollt' die  Tiuppen  fuhien    und  den 
Feind  recht  greifen  an. 

5.  Bei  der  Parole  that  cr  bcfelilen,  dass  man  sollt'  die  Zwòlfe  zahlen  bei  der  Uhi    um  Mitter- 

nacht;  da  solIt'All's  zu   Pferd    aufsitzen,  mit  dem   Echide  zu  scharmutzen,  was  zum  Streit 
nur  hattc   Kraft. 

6.  Alles  sass  auch  gleich  zu  Pfcidc,  jeder  grifi*  nacli  seinem  Sclivvcrte,  ganz  siili  ruckt  man  aus 

der  Schanz  ;  die  Musketier  wie  auch  die  Reitcr  thaten  alle  tapfer  streiten:  'swar  fui  w  ali: 
ein  sohoncr  Tanz ! 

7.  Ihr   Konstabler  auf  der  Schanzen,  spielct    auf  zu  diesern  'J'anzen   mit  Kartaunen  gross  und 

klein;  mit  den  grossen,  mil  den  kleinen,  auf  die  Turken,  auf  die   Hciden,  dass  sic  laufen 
all'  davon  ! 

8.  l'rinz   Eugenius  wohl  auf  der  Rechlcn  that  als  wie  ein   Lòwe  fediteti,  als  General  und  Fel- 

dmarschall. Prinz  Ludewig  1  itt  auf  tmd  nieder:   «   flalt' cucii     brav,  ihr  deutschen  Briider, 

greift  den    Eeind   nur  herzhaft  an  !    » 
.).   Prinz   Ludewig,  der  musst'aufgeben  seinen  Geist  und  junges  Leben,  ward  gctiolfen  von  dem 

Blei.  Prinz   Eugen  ward  sdir  betrubet,  wcil  er  ihn  so  sdir  geliebet;  liess  ihn  bringen  nach 

Peterwardein. 

(  fr    anche  Tiiai.v  KàlmÀn  —  Règi  magyar  vitci.i  nicheli  és  clcgjcs  dauka.XVl    \  I  11 
a  XVIII  tzà*   —   J'cst  1864. 


-  5«  — 

desta  in  tumulto;  è  impossibile  ricostituire  l'ordine  di  battaglia.  La 
nebbia  sopraggiunta  impedisce  dapprima  ai  Turchi  di  vedere  che 
gli  Imperiali  hanno  un  fianco  scoperto.  Se  ne  avvedono  però  quando 
la  nebbia  scompare,  verso  le  otto  del  mattino,  e  ne  approfittano 
immediatamente;  vi  si  lancia  a  passo  di  carica  Eugenio,  (mentre 
la  cavalleria  fulmina  i  Turchi  di  fianco  e  la  fanteria  di  fronte),  e 
riesce  a  ristabilire  l'ordine  di  battaglia,  facendo  passare  i  suoi  reg- 
gimenti allo  squillo  delle  trombe  e  a  bandiere  spiegate  sotto  il 
fuoco  nemico.  —  Alle  nove  gli  Imperiali  vincitori  salivano  sull'al- 
tura conquistata,  e  vedevano  nella  pianura  disperdersi  i  nemici  su- 
perstiti inseguiti  dai  Serbi.  Ventimila  erano  rimasti  sul  terreno,  con 
trecento  cannoni,  cinquanta  bandiere  e  ricchezze  immense. 

L'  Hamilton  portò  alla  Favorita  le  notizie  della  vittoria,  attra- 
versando la  città  al  suono  delle  trombe  di  sei  postiglioni.  Vienna 
esultava,  ed  accoglieva  pochi  giorni  dopo  con  entusiasmo  immenso 
le  notizie  della  resa  di  Belgrado (l),  e  della  celebrazione  solenne  di 
un  Te  Dcum  nella  tenda  stessa  del  Visir  pavesata  degli  stendardi 
nemici,  ed  adorna  di  trofei  di  guerra  (2).  —  Dal  Te  Deum  cantato 
sotto  la  tenda  conquistata  del  Visir  ad  una  messa  solenne  dinanzi 
ai  riconsacrati  altari  di  S.  Sofia  non  c'era  un  abisso;  e  vi  fu  un 
momento  in  cui  il  pensare  ad  un  impero  Austro-Bizantino  non  parve 
un'audacia  forsennata,  e  tutta  Europa  affrettò  col  desiderio  il  giorno 
in  cui  Eugenio  di  Savoia  avrebbe  piantato  la  bandiera  vittoriosa 
sulle  mura  della  capitale    ottomana.  —    Ma    non  fu    che  un    mo= 


i  La  capitolazione  di  Belgrado  fu  redatta  in  nove  articoli,  sul  tipo  di  quella  di  Teme- 
swar  ;  cioè,  I:  cessazione  di  ostilità  durante  la  capitolazione;  II:  consegna  della  munizioni  ; 
III  libera  uscita  della  guarnigione  etc.  e  consegna  dei  prigionieri;  IV:  aiuto  austriaco  al 
trasporto  etc;  V:  scorta  ai  vinti;  VI:  libertà  di  comprare  e  vendere  per  facilitare  l'uscita; 
VII:  scambio  di  prigionieri;  Vili:  garanzia  per  8  giorni  di  viaggio;  IX:  evacuazione  della 
fortezza  il  22  (18  agosto   1717). 

(2)  I  trofei  della  guerra  si  trovano  ora  in  parte  allo  Stadtmuseum  di  Vienna,  dove  occu- 
pano, con  quelli  della  guerra  precedente,  due  sale  ;  in  parte  ancora  a  S.  Stefano,  in  parte  a 
Maria-Zeli  nella  Stiria.  —  Il  papa  divise  i  suoi  fra  S.  Maria  Maggiore  e  il  Santuario  di 
Loreto,  per  desiderio  dell'  Imperatore.  —  AH'  Hofmuseum  di  Vienna  e'  è  poi  la  medaglia 
commemorativa  di  Belgrado  ;  sul  recto  ha  il  profilo  de!  principe,  sul  verso  la  figura  del 
Principe  stesso  a  cavallo,  e  le  leggende  «  Non  est  heic  aliud  nisi  gladius  indie.  VII  »  in 
cui  certe  lettere  allungate  danno  la  data  171 7,  e  «  Turcis  fusis,  castris  occupatis,  Belgrado 
recepto  ». 


_     52     - 

mento  :  il  trionfo  della  fede  comune  non  compensava  agli  occhi 
della  diplomazia  europea  le  complicazioni  che  potevano  sorgere  da 
una  illimitata  espansione  austriaca  in  Oriente  ;  e  sbollirono  subito 
gli  entusiasmi,  per  lasciar  posto  alle  riflesssioni  pacifiche  e  alle  pro- 
poste di  mediazione. 

L'Austria,  ripensando  gli  avvenimenti,  capiva  che  forse  il  sogno 
era  troppo  ardito,  e  che  la  prudenza  consigliava  di  non  tentar  più 
oltre  la  fortuna  ;  capiva  che  il  momento  era  opportuno  per  una  pace 
che  si  poteva  imporre  come  si  voleva  e  lasciava  intravedere  espan- 
sioni illimitate  nei  nuovi  confini;  eppure  non  sapeva  a  che  ri- 
solversi. 

Mancava  il  colpo  decisivo  ;  e  a  questo,  per  conforto  dei  Turchi 
e  della  diplomazia  Europea,  pensa  l'Alberoni. 


^   <x%   (^   ^   (rn^   6nl> 


TL   CONGRESSO  DI  PASSAROWITZ. 


V. 

La  pace  di  Passarowitz 


Dopo  la  decisiva  battaglia  di  Belgrado  e  la  conseguente  resa 
dell'  Antemurale  C/iristianitatis,  gli  Ottomani  si  convinsero  della 
necessità  di  venire  ad  una  pace,  tanto  più  che  minacciavano  Co- 
stantinopoli le  sollevazioni  popolari  prodotte  dall'esito  infelice  della 
guerra.  Gli  Austriaci  dal  canto  loro  ne  intendevano  la  convenienza. 
E  nonostante  continuavano  ad  ammucchiare  armi  ed  armati,  in 
ossequio  al  si  vis  pacem  para  belhim,  persuasi  gli  uni  e  gli  altri 
per  diverse  ragioni,  che  restava  possibile  una  sola  linea  d'  azione. 
Quella  che  non  ne  pareva  convinta  era  Venezia,  che,  riacquistato 
coraggio  per  le  vittorie  degli  alleati,  sperava  molto  nel  futuro  e  non 
attendeva  altro  che  la  ripresa  della  campagna  per  completare  le  mosse 
avviate  in  Dalmazia.  Ma  né  Carlo  VI  né  i  Turchi  le  chiesero  il  suo 
parere  da  principio. 

Questi  avevano  cominciato  a  pensare  alla  pace  dopo  la  resa  di 
Temeswar;  e  tanto  più  ci  pensarono  dopo  la  rotta  di  Belgrado  ('). 
L'  ex-comandante  della  fortezza,  Mustafà  Pascià,  spedì,  subito  dopo 


(i)  Nonostante  la  fierissima  opposizione  del  Muftì,  che  d'accordo  col  Ragozzi  tentava  ogni 
espediente  per  impedir  la  pace.  (ms.  op.  cit  ). 


-  54  - 

la  capitolazione,  al  campo  austriaco  un  ufficiale,  col  pretesto  di 
ritirare  gli  ostaggi  ottomani  ;  in  realtà  con  una  missione  segreta  al 
Principe  Eugenio,  la  quale  venne  confermata  poco  dopo  dalla  pre- 
senza di  un  Agà  e  di  un  segretario.  L' annunzio  di  tali  visite  fu 
recato  a  Vienna  a  metà  d'  Ottobre  da  Federico  di  Wurtemberg, 
inviato  del  Principe  ;  ma  i  particolari  si  tenevano  gelosamente  ce- 
lati. Non  tanto  però,  che  qualcosa  non  trapelasse  alla  vigilanza  del 
Grimani,  e  cioè,  che  l'Agà  aveva  espresso  al  Principe  «  il  deside- 
«  rio  della  Porta,  che  si  rinnovasse  1'  amicizia  tra  li  due  Imperii  » 
e  che  mediante  1'  Inghilterra  si  tenesse  un  Congresso  pacificatore, 
il  che  fu  poi  ufficialmente  comunicato  al  Grimani.  Contemporanea- 
mente avanzava  proposte  di  pace  Wortley  Montague,  ambasciatore 
di  S.  M.  Britannica^;  1'  uno  e  l'altro  però,  in  termini  generali,  senza 
nominar  Venezia.  —  Fu  risposto  che  1'  Imperatore  non  avrebbe 
trattato  la  pace  senza  il  consenso  degli  alleati  e  lo  stabilimento  di 
un  articolo  preliminare  ;  e  anche  di  questo  fu  data  comunicazione 
al  Grimani,  con  una  quantità  di  proteste,  che,  per  non  esser  che 
parole,  non  parvero  meno  felice  auspicio.  Rispose  ancora  il  Sul- 
tano, pieno  di  buone  disposizioni  per  la  pace,  ma  queste  eran  parole 
davvero,  perchè,  girando  intorno  all'  argomento,  non  diceva  nulla 
quanto  alla  Repubblica  ed  ai  preliminari.  Di  nuovo  1'  Imperatore 
protesta,  e  fa  osservare  inoltre,  che,  pur  accettando  di  buon  grado 
la  mediazione  inglese,  non  gli  pareva  opportuno  escludere  1'  Olanda, 
i  cui  buoni  ufficii  a  Carlowitz  non  si  dovevano  dimenticare. 

L'Alberoni  intanto  si  pigliava  la  Sardegna  colla  flotta  famosa  che 
gli  aveva  servito  a  pigliarsi,  o  almeno  a  farsi  dare  il  cappello  rosso; 
e  della  sua  prepotenza  si  sentirono  gli  influssi  anche  alla  corte 
turca,  ove,  colle  speranze  di  gravi  dissensioni  fra  i  principi  cri- 
stiani, rifiorivano  quelle  di  una  rivincita  sull'Austria,  e  naturalmente 
di  altre  vittorie  su  Venezia,  o  almeno  di  una  pace  molto  meno 
svantaggiosa  da  parte  di  Carlo  VI,   quando  ve    lo    costringesse    la 


(i)  ])opo  (li  lui  le  ripresentarono  il  Sutton  ambasciatore  straordinario,  e  lo  Stanyans,  cbe 
fu  nel  frattempo  sostituito  al  Montague  nell'Ambasciata  straordinaria  alla  Porta.  —  Bian 
CHt,  p.    18. 


-  55  — 

necessità  di  volgere  l'azione  della  diplomazia  e  delle  armi  dall'Oriente 
all'Occidente.  I  Turchi  capirono  benissimo  che  a  fasciarsi  la  testa 
v'era  tempo  quando  fosse  rotta  senza  rimedio,  ma  finché  uno  spira- 
glio di  speranza  v'era,  conveniva  dissimulare  e  temporeggiare  e  re- 
golarsi secondo  i  movimenti  della  Spagna  nelle  pretese  e  nelle  con- 
cessioni, conservandosi  intanto  la  libertà  d'avanzare  o  di  ritirare  le 
proposte  secondo  l'opportunità;  perciò  fecero  capire  all'Austria 
che  la  restituzione  di  Belgrado  era  una  condizione  sine  qua  non  per 
aprir  le  trattative  ;  e  ritardarono  di  proposito  la  risposta  alle  richie- 
ste Imperiali  sino  alla  fine  del  Gennaio  1718,  quando  con  generale 
sorpresa  si  ricevette  a  Vienna  un  messaggio  del  Visir  (x).  Ma,  dicia- 
molo volgarmente,  il  fumo  era  molto,  e  l' arrosto  poco,  e  sui  Pre- 
liminari si  serbava  un  silenzio  ostinato,  pensando  che  per  le  preoc- 
cupazioni spagnuole  l'Austria  avrebbe  chiuso  un  occhio  sulle  ter- 
giversazioni turche. 

Viceversa  la  Spagna  pensava  che ,  impegnata  com'  era  l'Austria 
col  Turco,  non  avrebbe  voluto  compromettere  in  una  guerra  occi- 
dentale i  vantaggi  enormi  che  offriva  la  situazione  d'Oriente  a  chi 
come  lei,  era  in  grado  di  potersene  approfittare.  Pretendeva  per- 
tanto il  Re  Filippo,  il  riconoscimento  della  sua  legittimità  dinastica 
da  parte  degli  Absburgo,  la  sanzione  dell'eredità  spagnuola  in  linea 
secondogenita,  e  della  successione,  per  i  diritti  di  Elisabetta,  a 
Parma  e  Toscana,  e  la  restituzione  delle  piccole  dinastie  italiane 
allo  statu  quo  ante  belhim.  A  tutto  dovè  aderire  Carlo  VI,  sebbene 
gli  paresse  un  po'  duro  il  veder  la  sacra  corona  di  Carlo  V,  per 
il  femminile  orgoglio  di  una  Farnese  e  gli  intrighi  di  un  prete,  pas- 
sare eventualmente  alla  linea  secondogenita  di  una  dinastia  malvo- 
lentieri legittimata.  Ma  il  mondo  è  dei  forti,  e  tanto  più  quando 
sono  anche  prepotenti,  e  dispongono  di  milioni,  come  poteva  fare 
allora  la  Spagna.  —  Tra  questi  milioni  ce  n'erano  due,  che  vera- 
mente venivano  alla  guerra  Alberoniana  dalle  casse  della  Santa  Sede; 


(1)  Fu  comunicato  al  Grimauì,  e  la  risposta  s'inviò  il  15  di  febbraio  — Tanto  l'una  che 
F  altra  lettera  si  trovano  nel  ms.  a  p.  21-30  :  la  prima  è  sottoscritta  Supremus  Veziritis;  la 
seconda,  ad  officia  paratissimus  Eugenius  a   Sabandia. 


-  $6- 

e  sarebbe  stata  intenzione  del  Papa  che  si  impiegassero  contro  i 
Turchi  e  non  contro  l'Austria  quando  questa  spendeva  tutte  le  sue 
forze  a  difesa  della  Cristianità  e  della  Religione;  ma  l'Alberoni 
non  guardava  tanto  pel  sottile,  e  spendendo  allegramente  gli  apo- 
stolici ducati  lasciava  che  l'Austria  opprimesse  di  rimostranze  il 
povero  Clemente  XI  che  non  aveva  nessun  torto,  che  per  la  causa 
austro-veneta  aveva  fatto  tutto  quel  che  doveva  e  forse  più  di  quel 
che  poteva,  ed  avea  tentato  più  volte  invano  di  richiamare  all'or- 
dine il  turbolento  cardinale. 

Ebbe  invece  maggior  effetto  l'intromissione  di  Francia  e  Inghil- 
terra nella  vertenza  austro-spagnuola,  onde  parve  doversi  ristabilire 
l'equilibrio  europeo,  tutelati  colle  armi  gli  interessi  dell'Impero  dalla 
Francia  sui  Pirenei,  e  dall'  Inghilterra  nel  Mediterraneo  ;  e  impe- 
gnato sotto  Friedrichsthal  Carlo  XII  di  Svezia,  guadagnato  dall'oro 
Spagnuolo  «  per  insultar  l'Alemagna  ».  Continuavano  intanto  inde- 
fessamente gli  armamenti  da  parte  di  Venezia  (che  in  sole  provvi- 
gioni spese  2,700,000  ducati  e  credeva  ancora  sul  serio  che  la 
guerra  si  sarebbe  continuata),  e  i  Turchi  (che  per  quanto  si  fossero 
vantati  d'esser  pronti  a  rimettere  in  campo  eserciti  formidabili  per 
ripigliarsi  Belgrado  con  tutta  l'Ungheria,  erano  invece  in  tristi  con- 
dizioni economiche,  ben  lontani  dalla  speranza  di  prossime  vittorie 
e  preoccupati  dal  timore  di  rivoluzioni  interne  nel  caso,  più  che 
probabile,  dell'  insuccesso),  vedendo  d'altra  parte  repressi  energica- 
mente dall'Austria  tutti  i  tentativi  di  sollevazione  in  Ungheria,  ai 
quali  per  mezzo  del  Ragotzki  non  era  estranea  la  Spagna  (l\  si  de- 
cisero per  la  pace,  e  per  mezzo  del  Colyers  chiesero  formalmente  che 
si  venisse  ad  un  Congresso. 

Acconsentirono  Carlo  VI  e  il  Principe  Eugenio,  ponendo  come 
base  dei  trattati  YUH fiossidetis,  ed  esigendo  che  fosse  espressamente 
considerata  dai  Turchi  come  potenza  belligerante  e  alleata  dell'Au- 
stria, a  parità  di  condizioni  (2\  Venezia,   e  che  a  questo  riguardo  si 


(1)  Alla  quale   il   Ragotzki  aveva  spedito  il    Conte  d'Apsac,  per    incoraggiarla    ad  appro- 
nti ire   ildla  circostanza    favorevole. 

(2)  v  Aequis  et  iustis  condicionibus  »  si  aggiunse  poi . 


-  57   ~ 

stendesse  un  articolo  Preliminare.  Ad  includere  Venezia  nei  trat- 
tati si  piegavano  malvolentieri  i  Turchi,  che  davano  a  lei  la  colpa 
dell'intervento  di  Carlo  VI  «  quasiché  per  non  far  cosa  spiacevole  al 
«  suo  fiero  nemico,  avesse  la  Repubblica  dovuto  lasciar  di  provedere 
«   alla  propria  difesa  e  con  l'Armi  sue  e  con  quelle  de' suoi  Alleati  ». 

All'Austria  parve  di  aver  fatto  molto,  e  forse  non  aveva  torto, 
almeno  secondo  il  suo  modo  di  vedere  ;  così  però  non  parve  a  Ve- 
nezia, che  nutriva  ancora  speranza  di  potersi  riavere  in  un'  altra 
campagna  e  si  accorgeva  che,  nonostante  tutte  le  proteste,  l'Austria, 
nella  fretta  di  concludere  i  trattati,  avrebbe  sacrificato  lei  piutto- 
sto che  sé  stessa;  e  si  sarebbe  rinnovato  ciò  che  era  avvenuto  a 
Carlowitz,  ma  questa  volta  con  ben  minori  speranze  di  buon  esito, 
data  la  enorme  disparità  dei  successi  della  guerra.  Infatti  non  era 
probabile  che  l'Impero  permettesse  alla  Repubblica  di  misurare  le 
proprie  pretese  dalle  vittorie  del  Principe  Eugenio. 

Il  quale,  tornato  dal  campo  alla  Presidenza  del  Consiglio  di  guerra, 
e  saputo,  in  una  conferenza  col  Ruzzini,  ambasciatore  straordinario 
della  Repubblica  e  destinato  a  rappresentarla  al  Congresso  ^\  che  essa 
chiedeva  la  Morea,  Prevesa,  Vonizza,  lo  Xeromero  e  S.  Maura,  in 
parte  per  YUti  possidetis,  in  parte  come  indennità  di  guerra  «  più 
«  di  una  volta  nel  mezo  del  discorso  considerò  che  S.  M.à  sorpas- 
«  sando  tutti  i  riguardi  aueua  intrapreso  questa  grandissima  guerra 
«  per  la  Repubblica.  Che  era  riuscita  gloriosa,  ma  nello  stesso  tempo 
«  molto  pesante  ai  sudditi  afflitti  da  tanti  passati  travagli  onde  anco  in 
«  vista  delle  presenti  contingenze  d'  Europa  e  dell'  Italia,  la  prudenza 
«   consigliaua  à  non  negligere  le  buone  occasioni  di  terminarla  ». 

Ma  il  Ruzzini  s'era  già  accorto  che  «  stabilito  che  sia  V  Ufi  possidetis 
»  per  Cesare,  egli  in  esso  troua  già  l'essenciale  della  sua  pace  ».  E  YUti 
possidetis  per  Venezia  voleva  dire  tutt'  altro  h\  —  Ma  anche  Carlo  VI 
faceva  sentire  al  Ruzzini  «  la  necessità  d'accomodarsi  allo  stato  delle 


(3)  Lett.  IV,  cod.  383,  ci.  VII.  —  Giustificava  la  richiesta  della  Morea  col  dirla  «  equi- 
valente di  Candia  sempre  considerato  per  antemurale  della  Christianità  »  e  dello  Xeromero 
col  fine  di  liberar  dai  corsari  il  mare  d' Italia. 

(4)  Infatti  essa  conservava  sola  la  disputata  S.  Maura,  e  Corfù  ;  più  aveva  Vonizza  e  la 
Prevesa  colle  loro  dipendenze,  con  alcune  piazze  dell'Albania,  che  erano  terre  di  conquista. 


-   58  - 

«  congiunture,  e  dell'Europa  per  riseruare  gli  ulteriori  disegni  à  tempi 
e  migliori,  quando  da  Dio  venissero  acconsentiti  ».  Fatica  intelligenti; 
e  Venezia  capiva  pur  troppo. 

Procedevano  intanto  le  trattative  per  l'apertura  del  Congresso  e 
concorse  grandemente  a  facilitarle  la  deposizione  del  Visir  che,  d'ac- 
cordo col  Muftì  e  col  Ragotzki,  aveva  fatto  di  tutto  per  impedir  la 
pace.  Il  Sultano  gli  sostituì  «  nell'  instabile  e  lubrico  nicchio  » 
Ibrahim  suo  genero  e  favorito.  «  Non  è  lui  soldato  —  dice  il  Ruz- 
zini  —  perchè  non  ha  mai,  né  veduto,  né  essercitato  la  guerra  »;  è  stato 
invece  «  la  prima  mente  dei  consegli,  et  il  motore  principale  delli  cor- 
«  renti  maneggi  di  Pace  »  e  si  può  essere  sicuri  che  userà  tutta  la 
sua  influenza  sull'animo  del  Sovrano  per  condurli    a    compimento. 

Sotto  questi  auspicii,  per  comune  consenso  delle  parti,  si  anda- 
vano adunando  i  plenipotenziarii  presso  Passarowitz.  Venezia  vi 
mandava  il  Ruzzimi,  che  già  aveva  avuto  parte  ai  trattati  di  Car- 
lowitz  e  di  Utrecht,  dandogli  a  compagni  Vendramino  Bianchi  ^  e 
Gian  Alberto  Colonna  come  segretarii,  quello  al  Congresso  e  questo 
all'Ambasciata,  e  per  dragomanni  il  Carli  e  il  Fortis,  addetti  alla 
Residenza  di  Costantinopoli;  l'Austria,  il  Talman(3)  e  il  Wirmond^); 
l'Olanda  il  conte  Colyers^;  l'Inghilterra  il  suo  ministro  Sutton.  I 


(i)  Cfr.  Ruzzini,  lett.  X,  27  maggio  1718  e  Bianchi,  p.  17.  —  Ibrahim  era  figlio  di  un 
rinnegato  maronita. 

(2)  «  Noto  per  sette  precedenti  impieghi,  tra  quali  le  residenze  di  Milano,  Elvezia  e 
Inghilterra,  e  per  li  Trattati  di  Lega  da  lui  manegiati,  e  conchiusi  colli  Svizzeri,  e  Griggioni  » 
(p.  17  id.) 

(3)  «  Il  cui  parlar  Turco  fu  molto  favorevole  »   (Ruzzini,  lett.  da  Passarowitz). 

(4)  Benevolo,  gentile,  gaio,  ospitale,  munificente  ;  così  ce  lo  descrive  il  Mirone,  aggiun- 
gendo che  quando  era  ambasciatore  a  Costantinopoli  riempiva  la  città  d'allegria. 

(5)  Di  lui  dice  il  Ruzzini  nella  Rei.  del  Congr.  di  Carlo-witz,  (cod.  Marc.  381)  «  huomo 
«  di  soavità,  di  sincerità,  e  di  maniere  tutt' aperte.  Nato  in  Costantinopoli  qunnd'  il  Padre 
«  sosteneua  pure  l'Ambasciata  dei  Stati,  continuato  in  quel  soggiorno  (piasi  tutto  il  corso 
«  d<-lla  sua  vita,  possedè  la  lingua,  e  con  l'uso  di  tutte  le  maniere  della  Natione,  se  ne  con- 
«  cilia  l'affetto  »  (e.  26).  Il  Mironic  poi  lo  dice  di  aristocratica  presenza,  grande  e  digni- 
toso; vestiva  alla  Turca,  ma  con  parrucca  e  cappello;  aveva  un  bel  palazzo  sul  Bosforo,  una 
tavola  sontuosa  (per  la  quale  spendeva  troppo)  e  una  moglie  (per  la  quale  anche  spendeva 
troppo)  greca  ortodossa,  spiritosa,  ambiziosa,  sposata  da  lui  «  après  vingt  ans  d'amourettes  ». 
Tutti  e  due  sono  d'accordo  nel  non  pagare  salario  alla  servitù.  La  signora  ha  una  passione 
per  riscattare  i  Greci  prigionieri  di  guerra  ;  potrebbe  limitare    il    patriottismo  ed  esser  meno 

i   pel   marito,  al  quale  l'Ambasciata    rende    pochissimo,  perchè  il  commercio  <  Handese 
■i  fa  a  Smirne. 


-  59  - 

quali  con  grande  sfarzo  di  scorte  e  di  bagagli  (ad  eccezione  del 
Coiyers  che  aveva  fatto  il  viaggio  «  di  conserva,  ed  a  tutte  spese 
«^dei  Turchi  stessi  »)  incontrarono  fra  Passarovvitz  e  Costellizza  i  ple- 
nipotenziarii  musulmani,  con  ottocento  uomini  di  seguito,  scortati 
inoltre  da  Maurocordato,  Voivoda  di  Valachia,  figlio  del  plenipo- 
tenziario turco  di  Carlowitz,  che  coi  suoi  600  uomini  «  serviva  .... 
«    a  dare  splendore  all'Ambasciata (l)  >. 

Ma  non  si  poteva  cominciare  il  Congresso,  perchè  la  Plenipo- 
tenza turca  non  faceva  menzione  dei  Veneziani,  come  se  con  loro 
la  Porta  non  volesse  la  pace,  o  sdegnasse  di  trattare  W.  Portava  poi 
in  coda  un  articolo  pieno  di  tali  e  tante  ingiurie  contro  i  Vene- 
ziani, che  si  era  giudicato  opportuno  mandarlo  a  rifare,  chiedendo 
anche  la  firma  del  Sultano,   oltre  a  quella  del  Visir  te). 

Durante  l'attesa,  da  Semlino  e  da  Orsowa  si  minacciava  la  pa- 
rola del  cannone;  e  i  Turchi  impensieriti  instavano,  ma  invano, 
perchè  si  desse  principio  al  Congresso  M.  Giunse  finalmente  il  2  Giu- 
gno la  nuova  Plenipotenza  «  munita  delle  formalità  più  ualide,  so- 
«  lenni,  e  mai  più  ne  tempi  decorsi  pratticate  dal  barbaro  fasto 
<-<  di  quella  Corte.  Ella  comprende  unitamente  li  nomi  dell'  Impe- 
«  ratore  e  della  Repubblica,  et  è  sottoscritta  dal  carattere  Impe- 
'<  riale,  formato  dalla  stessa  mano  del  Sultano  ....  Disse  Talman, 
«  che  dopo  che  l' Imperio  Ottomano  è  in  piedi,  mai  più  sia  uscito 
«   fuori  del  medesimo  carta  che  porti  con  se  stessa  il  carattere  del 

Sultano  (5)    » . 

Così  finalmente,  dopo  una  quantità  di  pettegolezzi  per  questione 
di  precedenza,  si  diede  principio  al  Congresso.  «  Nella  pianura  si- 
«  tuata  tra  gli  accampamenti  de  Mediatori  fu  stesa  una  Tenda  grande 
«  et  alle  parti  di  questa  ne  posero  una  gì'  Imperiali,  et  un'  altra 
<■<   li  Turchi    per    raccogliersi    in    essa   sino    al   momento  di  passar 


(1)  Cfr.  Vendrauino  Bianchi    p.  Tty. 

(2)  11  Ruzzini,  giunto  tardi  a  Passarowitz,    non  ne  fa  menzione  nelle    lettere:    due    però 
avergli  il  Mediatore  Inglese  comunicato  che  si  era  chiesto  una  nuova  Plenipotenza. 

(3)  Cfr.  V.  Bianchi,  p.  59. 

(4)  Cfr.  V.  Bianchi,  p.61  ;  si  allegò  che  l'omissione  di  Venezia  era  una  dimenticanza,  e  che 
il  Gran  Signore  non  aveva  pensato  di  far  pace   con  lei. 

(5)  Ruzzini.  Leu.  11,   3  giugno  1718. 


-  6o  — 

i 

«  nella  principale.  Nel  mezzo  di  questa  stauano  disposti  li  luaSjkhi 
«  per  il  sedere.  Un  soffa  dalla  parte  delli  Turchi.  Dall'altro  se^ie 
«  per  gl'Ambasciatori  e  per  li  Mediatori,  posti  alli  lati,  nel  des^o 
«   l'Inglese,  e  l'Ollandese  nel  sinistro f')   ». 

Nella  prima  conferenza  il  Talman  difese  Venezia  «  e  con  molta 
«  forza  caricò  1'  ingiustizia  sopra  li  Turchi,  che  ingiustamente  ave- 
«  vano  assalito  la  Republica,  ed  imprudentemente  negletti  gì'  ufficii 
«  esibiti  dall'  Imperatore.  Calmati  poi  gli  animi,  piegarono  li  Tur- 
«  chi  à  dire  che  si  tratterà  con  la  Republica.  Fu  risposto,  che  la 
«  disposizione  di  trattare  non  era  merito,  ne  arbitrio  loro,  ma  co- 
«  mando  della  Plenipotenza  uenuta  e  che  per  1'  auanti  indebita- 
«  mente  mancaua.  Soggiunsero  li  Turchi,  che  si  farebbe  pace  anche 
«  con  Vostra  Serenità  ma  con  derrisione  si  replicò,  che  non  era 
«  render  sodisfazione  il  solo  pacificarsi  con  uno,  dopo  averlo  al- 
«  tamente  offeso  ».  Dopo  qualche  contrasto  si  firmò  il  seguente 
Articolo  Preliminare  :  «  Cum  prae  omnibus  conditionibus  Venctis  sa- 
«  tisfaciendi  causa,  ut  UH  ad  tractandam  pacem  admitterentur,  ex 
«  parte  Romanorum  Imperatoris  expeditum  fuerit  ;  quare  ut  il  sive 
"  per  restitutionem  sive  per  commutationem  verbaliter  et  realiter  con- 
«  tenti  reddantur,  promissum  et  acceptum  est.  A.  njo  sexta  Men- 
«   sis  Recep.  idest  quinta  lutiti  1J18   ». 

Tralascio  i  particolari  delle  conferenze,  inutili  ed  intricati,  che 
Vendramino  Bianchi  ci  ha  lasciato  per  esteso  nella  sua  «  Istorie  a 
relazione  »  una  specie  di  resoconto  ufficiale  delle  trattative,  desti- 
nato al  pubblico  ed  ai  posteri  (e  forse  per  questo  non  sempre  im- 
parziale). 

Alla  terza  conferenza,  tenuta  il  16  Giugno,  festa  del  Corpus 
Domini,  interviene  il  Ruzzini  in  forma  solenne,  e  presenta  così  le 
domande  della  Repubblica  ^\  «  Si  dimanda  la  restituzione  della  Mo- 
«  rea.  Se  questo  non  vogliono  dette  considerarsi  esser  state  prese 
'■    Suda  Spinalonga   Tine  e  Cerigo  non  perche  il  loro  acquisto,    sia 


(i)  Cfr.  nel  I'.ianciii  il  frontespi/io  che  rappresenta  la  Tenda  e  i  Congressisti.  Non  trovo 
nei  codici  di  Passarowitz  1'  «  Ichnographia  Conferentiarum  »  clic  sta  a  fronte  di  quelli 
di  Carlowitz. 

(2)  Allegato  alla  lettera  del   17  giugno   1718. 


e  staio  l'oggetto  della  guerra,  ma  perche  la  guerra  ha  portato  così. 
«  Queste  come  luochi  d'antico  dominio  della  Rep.ca  e  sempre  restate 
%  ad  essa  in  tutte  le  Paci  passate,  deuono  esser  restituite.  Così  dun- 
c  (/uè  resta  a  parlarsi  del  contracambio  douuto  alla  Rcp.ca  in  luoco 
«  della  Marea.  E  però  si  dimanda  che  si  estenda  il  dominio  della 
«  Rep.ca  stessa  ncir  Albania,  per  longitudine  sino  alla  Vallona  in- 
«  elusive,  e  per  latitudine  sino  al  lago  di  Scutari,  sì  che  tra  gl'altri 
«  luochi,  ui  resti  Scutari  Antiuari  e  Dolcigno,  nido  de  Corsari,  e 
«  pietra  di  scandalo,  che  può  esser  causa  di  nuoue  rotture,  e  che 
«  non  duri  lungamente  la  Pace.  Questo  essendo  V  oggetto  della  pre- 
ti sente  dimanda,  perche  la  Rep.ca  desidera  una  Pace  durabile,  e  senza 
«   di  questo  non  ui  può  esser  una  lunga  e  soda  Pace. 

«  Si  dimanda,  che  Preuesa  Vonizza  e  Butintrò,  con  tutto  il  di 
«  più,  si  fosse  acquistato  sino  alla  Pace,  con  li  loro  Territorii,  di- 
ti stretti,  attinenze  ed  appartenenze,  e  particolarmente  il  Xeromero, 
e  come  dipendente  da  Preuesa,  e  Vonizza,  restino  nel  possesso,  e  Do- 
ti   minio  della  Ser.ma  Repubblica   ». 

Veramente  le  richieste  di  Venezia  uscivano  un  po'  troppo  dai 
limiti  dell'  uti  possidetis,  e  il  Ruzzini  confessa  candidamente  d'averle 
fatte  coli'  intenzione  di  venirle  restringendo  un  po'  per  volta  ;  ma 
dovettero  parere  addirittura  enormi  quelle  degli  Imperiali,  che  oltre 
Temeswar  e  il  suo  banato,  e  Belgrado  con  la  Serbia,  pretendevano 
«  anco  il  rimanente,  non  solo  della  Uallacchia,  ma  tutta  1'  altra 
«  prouincia  della  Moldauia,  e  ciò  a  titolo  di  risarcimento  alle  spese 
«   et  al  sangue  sparso  per  occasione  della  guerra W   ». 

Ma  quanto  più  dissimulavano  gli  Imperiali,  tanto  era  maggiore 
il  desiderio  che,  per  le  notizie  di  Spagna,  avevano  di  finir  presto, 
fidando  grandemente  nell'effetto  che  l'annunzio  ufficiale  della  pace 
avrebbe  fatto  alla  corte  di  Spagna,  ed  anche  a  quella  del  Duca  di 
Savoia,  le  cui  famose  voltate  politiche  impensierivano  l'Austria. 
Tanto  che  l'Ambasciatore  Wirmond  in  un  colloquio  col  Ruzzini, 
ebbe  a  dirgli  «  che  se  non  conseguiremo  quello,  è  giusto,  non  sarà 
«  colpa  nostra,  ne  dell'  Imperatore,  ma  degl'  altri,  indicando  li  Spa- 
ti) Leu.  XVI,  24  giugno  1718. 


—    62    - 

«   gnuoli,  et  in  un  certo  modo  anche  il  Duca  di  Sauoia,  quasi  che 
«   egli  concorra  nella  macchina  d'attirar  una  nuoua  guerra  all'Itali  a 

I  Turchi,  che  se  ne  erano  accorti,  oscillavano  continuamente,  e 
ad  ogni  piccola  differenza  facevano  finta  di  volersi  ritirare. 

Sarebbe  stato  necessario  un  pronto  intervento  dell'esercito,  che 
minacciasse  sul  serio  di  riprender  la  campagna,  e  spalleggiasse  colla 
forza  le  domande  della  diplomazia  M,  ma  l'esercito  non  si  poteva  e 
non  si  voleva  allontanar  troppo  dai  confini  d' Italia,  essendo  tenuto 
per  così  dire,  in  scacco  dalle  mosse  della  Spagna,  mentre  l' in- 
certezza delle  provvigioni,  la  siccità  e  la  malaria  contribuivano  ad 
impedirne  l'azione.  Le  poche  scaramucce  Dalmate  non  bastavano 
a  metter  soggezione  ai  Turchi,  che  anzi  protestavano  contro  di  esse 
come  se  nel  fatto  del  tenersi  un  Congresso  di  pace  fosse  virtual- 
mente incluso  un  tacito  accordo  di  tregua. 

Questa  serie  di  operazioni  militari  da  parte  di  Venezia  costi- 
tuisce la  conclusione  senza  importanza  di  una  guerra  cui  Venezia 
stessa  aveva  dato  l'introduzione  sfortunata,  l'Austria  un  nucleo  di 
vittorie.  Essa  non  ha  un  piano  prestabilito,  ma  piuttosto  si  svolge 
secondo  l'opportunità  e  senza  accordo  d'azione  colle  armi  alleate. 
È  come  una  scintilla  che  Venezia  cerca  di  ridestare  dalle  ceneri 
della  sua  gloria,  di  cui  Corfù  era  stata  l' ultima  fiamma.  Si  ebbe 
dapprima  uno  scontro  navale  nelle  acque  di  Pagania,  dove  i  van- 
taggi ottenuti  dai  Veneti  non  bastarono  a  compensare  la  morte 
dell'  abiurante  Lodovico  Diedo  ucciso  da  una  palla  di  cannone: 
triste  epilogo  alle  tristi  fortune  delle  galere  di  S.  Marco  nella  loro 
ultima  guerra.  S'  empiva  intanto  di  guerriglie  l'Albania,  e  pareva 
promettere  esito  migliore  l'assedio  di  Dulcigno,  sebbene  fosse  fune- 
stato da  burrasche  e  naufragii.  Ma  intanto  da  Vienna  s' inviavano 
continui  messaggi  a  Passarowitz,  ordinando  d'affrettare  quanto  più 
fosse  possibile  la  conclusione  dei  trattati,  per  l'incertezza  dei  futuri 
avvenimenti  e  per  il  timore  che  i  Turchi  potessero  metter  ad  ef- 
fetto le   loro   minacce    e    piantar    lì    Congresso  e    Congressisti    pei 


(i)  Id.   Leu.  XVI. 

(2)   Il  Kuzzini  ne  sciisse  anche  al   Principe   Eugenio,    ma  invano;  cfr.  anche  la  lettera  al 
Co.  Schlik  :   «  li  Turchi senza    alcuna    gelosia  o  pericolo  d'armi  che  li  incalzino»  etc. 


-   63   - 

tornare  alle  armi.  E  il  pensiero  di  potersi  trovare  ad  una  doppia 
guerra  pesava  sugli  animi  con  una  gravità  straordinaria. 

Gli  Imperiali  ridussero  molto  sensibilmente  le  loro  domande,  e 
le  loro  pressioni  costrinsero  il  Ruzzini  a  far  lo  stesso,  dopo  una 
tenace  resistenza  al  contegno  oltraggioso  e  sprezzante  ed  alle  insidie 
dei  Turchi,  che,  non  potendo  sfogare  il  loro  rancore  sugli  Impe- 
riali, se  la  rifacevano  à  coeur  joie  sui  Veneti.  —  Il  Ruzzini  fece 
tutto  quello  che  potè  per  ritardare  la  conclusione  precipitosa  del 
Congresso:  pregò  i  Mediatori,  cercò  di  convincere  i  Plenipoten- 
ziarii,  scrisse  a  Vienna  più  volte  che  W  «  se  non  si  farà  la  Pace  a 
«  nostro  modo ....  sarà  nostra  colpa,  e  non  sarà  ben  usata  una  con- 
«  giuntura  che  dopo  tanti  secoli  è  donata,  e  mandata  dal  cielo  al 
«  Sublime  merito  di  S.  M.h  ....  Spero,  e  nulamente  spero,  che  la 
«  di  lui  rettitudine  ed  amicitia  riconoscendo  li  sacrificii  della  Re- 
«  publica,  non  uorrà  che  ella  esca  da  due  Guerre  ;  così  lunghe, 
«    terribili,  e  rouinose,  senza  alcuno  almen  conueniente  profitto   ». 

Ma  la  Maestà  di  Carlo  VI  non  si  commosse;  procedettero  in 
fretta  le  trattative  austro-turche,  finché  il  Ruzzini  potè  «  agevol- 
«  mente  comprendere  avanzate  in  maniera  le  cose  dei  Cesarei,  che 
«  poco  mancava  all'  intiero  stabilimento  degli  Articoli  principali  della 
«  loro  pace  ».  Così  era  infatti;  e  gli  stessi  ambasciatori  gli  confes- 
sarono d'averne  ricevuti  ordini  precisi  da  Vienna;  aver  però  su- 
bordinato la  conclusione  definitiva  della  pace  austro-turca  all'  ac- 
cordo turco-veneto,  che  doveva  essere  di  piena  soddisfazione  della 
Repubblica  ^\ 

Si  capisce  che  cosa  potesse  essere  la  piena  soddisfazione,  stando 
le  cose  in  quei  termini,  e  tanto  più  che  a  Vienna  —  come  scri- 
veva al  Ruzzini  l'ambasciatore  Grimani  —  si  voleva  la  pace  ad  ogni 
costo,  «  vedendo  già  assicurato  il  sostanziale  *  dei  desiderii  Cesarei. 
E  in  nome  di  Cesare  il  Trautzen  aveva  fatto  capire  al  Grimani^ 
che  se  Venezia  avesse  insistito  nelle  sue  pretese,  pensasse  lei  anche 
a  sostenerle  :  che    per  l' obbligo    della    difensiva  alleanza  l'Austria 


(x)  Al  Co.  Schlik,  il   giugno  171S. 

(2)  Bianchi,  op.  cit.  p.  120 

(3)  28  giugno. 


-  64   - 

aveva  fatto  più  di  quel  che  poteva,  e  che  pertanto  si  consigliava 
alla  Repubblica  di  risolversi  presto,  poiché  Carlo  VI  aveva  altre 
gatte  da  pelare.  Questa  ili  breve  la  sostanza  del  lungo  e  specioso 
ragionamento  del  Trautzen.  —  Il  Ruzzini  si  vide  perduto  :  chiese 
una  conferenza  coi  Turchi^,  e  dopo  lunghe  e  faticose  trattative,  ed 
insidie  e  ritrattazioni  da  parte  loro,  e  rimostranze  ed  insistenze  da 
parte  sua,  cercando  di  conquistare  palmo  a  palmo  i  nuovi  confini 
alla  Repubblica,  dovè  finalmente  contentarsi  del  possesso  d'  Imo- 
schi,  Iscovaz,  Sternizza  e  poche  altre  piazze  dalmate  ed  albanesi, 
Cerigo,  Cerigotto,  Prevesa,  Vonizza  e  Butintro,  più  la  riduzione  delle 
dogane  dal  cinque  al  tre  per  cento.  Su.  queste  basi  si  stese,  non 
senza,  difficoltà  e  tentativi  di  tradimento  da  parte  dei  Turchi,  il 
trattato  di  pace^),  che  per  gli  Imperiali  fu  redatto  secondo  YUtipos- 
sidetis,  con  lievi  aggiunte  e  modificazioni,  restando  però  fermo  lo 
importantissimo  punto  del  possesso  di  Belgrado  e  Temeswar  colle 
loro  dipendenze.  Si  stabiliva  fra  Cesare  e  la  Porta  una  tregua  ven- 
tiquattrenne, fra  Venezia  e  il  Sultano  la  pace  «  per  tutta  la  du- 
«  razione  del  di  lui  Impero  ».  Ai  trattati  seguiva  un  articolo  de- 
claratorio dell'  alleanza  difensiva  tra  l' Impero,  la  Polonia  e  Vene- 
zia, e  un  concordato  commerciale  per  l'Austria.  Il  21  di  Luglio, 
•per  la  firma  dei  trattati,  si  celebrò  con  gran  solennità  la  conclu- 
sione della  pace  :  intervennero  dal  campo  molti  principi  e  magnati  ; 


(1)  Bianchi,  p.  133. 

(2)  II  trattato  Cesareo  e  il  Veneto  hanno  la  data  del  21  luglio  1718;  il  Turco  della  fine  di 
luglio  1718;  il  Cesareo  di  Commercio,  del  27  luglio  1718.  Le  ratifiche  sono  rispettivamente 
del  12  agosto,  del  30  luglio,  della  fine  di  luglio,  e  del  16  agosto  1718.  I  trattati  Turco-Cesarei 
sono  redatti  in  Latino,  i  Turco-Veneti  in  Italiano.  — Nel  cod.  Marciano  383  ci.  VII  It.  si  trova 
il  tratt  Cesareo  a  e.  84  r.;  la  testimonianza  del  Sutton  a  e.  90;  l'Articolo  Declaratorio  a  e.  72 
r.  ;  il  trattato  Ven.  a  e.  7}  r.  e  81  r.  ;  (seguono  le  testimonianze  dei  Mediatori)  l'Art.  Decla- 
ratorio a  e.  71  v.  e  a  72  r.  la  rispettiva  attestazione.  —  La  ratificazione  Cesarea  venne  «  da 
«  Vienna  formata  con  la  maggior  pompa.  Scieltissimo  è  il  carattere;  li  cartoni  sono  di  ricco 
«  gango  d'oro,  il  sigillo  grandissimo  in  cera  rossa,  e  dentro  legno  prezioso,  lauorato  tutto  al 
«  di  fuori  à  finissima  Marcheteria  e  tutto  ciò  riposto  dentro  una  nobile  Cassetta  »  (Ruzzini, 
Ccd.383l  leu.  XXVI). 

Il  trattato  Cesareo  di  Commercio  si  trova,  tradotto  liberamente  in  Italiano,  a  e.  90  v.  del 
cod.  mare.  383  cit.  ed  è  sottoscritto  da  *  Anselmus  Franciscus  de  Fleischmann  »  l'ex-residente 
di  Costantinopoli  e  collega  del  Memmo. 

Non  trascrivo  i  trattati  perche  tutti  esattamente  editi  in  Vendramino  Bianchi,  op.  cit. 
e  nella  mise.  ven.  3273,  2 


-  65  - 

l'ambasciatore  veneto  giunse  con  tre  carrozze  a  sei  cavalli  «  con 
«  nobile  livrea  »,  e  un  ricco  corteggio  di  gentiluomini,  di  paggi 
e  di  staffieri,  scortato  da  un  reggimento  di  corazze.  Con  simile 
pompa  seguivano  Talman  e  Wirmond  accompagnati  da  ufficiali  a 
cavallo  e  seguiti  da  «  un  riguardevole  numero  di  cavalli  ricca- 
«  mente  bardati  e  condotti  a  mano  » .  I  Turchi  ostentarono  tutta 
la  loro  magnificenza  orientale  ;  l' Impero  mandò  semplicemente  i 
suoi  reggimenti,  ma  erano  i  vincitori  di  Belgrado. 

Nel  momento  in  cui  si  sottoscrissero  i  trattati,  tremila  colpi  di 
moschetto  e  tre  salve  di  gioia  tre  volte  replicate  salutavano  la  fine 
della  guerra,  e  i  Plenipotenziarii  si  abbracciarono  in  segno  di  fra- 
tellanza. Voltosi  allora  il  Ruzzini  ai  due  principi  di  Baviera  che 
gli  stavano  accanto  (questo  però  Vendramino  Bianchi  non  lo  dice) 
domandò  loro  commetti  leurs  Altesscs  trouvoient  cettc  Cerimonie.  E 
il  maggiore,  pronto  :  Bcaucoup  Jiicillcurc  que  votre  guerre,  Monsieur. 

L'  insolenza  del  principino  di  Baviera  esprimeva  perfettamente 
ciò  che  l'Austria  pensava  riguardo  a  Venezia. 

Quel  che  pensasse  Venezia  riguardo  a  Carlo  VI,  sentiamolo  da  1 
Ruzzini W;  «  Par  che  abbia  in  oggetto  de  blandir,  ed  allettar  con 
«  le  parole,  mentre  i  fatti  poi,  come  fano  tutti  i  Principi,  son 
«  pesati  dal  Ministerio,  con  la  bilancia  sottilissima  del  proprio  in- 
'  teresse.  Uà  mosso  la  guerra  ai  Turchi,  più  che  per  la  fede 
-  dell'  Aleanza,  per  1'  impulso  delle  sue  eonuenienze,  in  oggetto 
«  d'euitar  el  mal  e  promouer  el  ben.  Euitar  el  mal,  nel  difender 
*  la  Republica  e  l'Italia  dall' oppression,  Acciò  non  se  ne  ren- 
«  desse  essorbitante  la  Potenza  Ottomana.  Procurar  el  ben,  col 
'■'.  tentar  1'  utilissime,  e  necessarie  conquiste  Temisuar  e  Belgrado, 
«    chiavi  dei  stati  Cesarei,   et  Ottomani,    ottenute  più  per  miracolo 


(i)  Lett.  XXXIV,  io  nov.  1718.  Forse  non  è  inopportuno  riferir  qui  il  ritratto  che  ne 
fece  il  Ruzzini  stesso  nel  1699  (Cod.  Marc.  384,  e.  52).  —  «  L'Arciduca  Carlo  si  troua 
«  nel  decimo  quinto  anno  della  sua  età.  Con  la  nobiltà,  e  soavità  dell'  indole  con  la  pron- 
«  tezza;  e  maturità  dello  spirito,  Col  genio,  et  applicatione  assidua,  con  cui  s'inoltra  nel  corso 
»  de'  suoi  studij  assistito  dall'amore,  e  cure  dei  Principe  Ant.  Letichstain,  attira  sopra  di  se 
"  gl'occhi,  le  lodi,  e  le  speranze  di  tutti.  Parendo  che  porti  un'aria  di  genio,  e  temperamento 
«  simile  al  padre,  Cesare  Io  ama  con  distinta  tenerezza,  e  lo  uorebbe  inalzato  al  nicchio  di 
«  grandezza  maggiore  di  quella,  che  possiede  ». 


—   66   — 

«  del  cielo  che  per  la  forza  dell'armi.  Tultauia  ama  de  far  apparir 
«  che  la  risoluzion  sia  sta  prodotta  dal  solo  riguardo  de  sostener 
«  la  Repubblica ....  ».  E  la  Repubblica  sentiva  che  questo  ri- 
guardo le  era  mancato  apertamente  a  Passarowitz,  donde  il  Ruz- 
zini  aveva  scritto  ad  Eugenio  «  ....  se  i  Turchi  crederanno  di  essere 
«  al  fine  con  S.  M.à,  spererano  di  finire  con  noi  in  qualunque 
«  maniera  ».  Ed  era  proprio  accaduto  così,  non  repugnante  l'Au- 
stria, anzi  per  colpa  sua. 


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Cajìoli/s  VI 


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vi. 


Conclusione 


La  conclusione  dei  trattati  di  Passarowitz  troncò  l' assedio  di 
Dulcigno,  che  aveva  durato  fin  allora  eccitando  continue  querele  dei 
Turchi,  e  porgendo  loro  argomento  a  ritrattazioni  e  rappresaglie 
diplomatiche  durante  i  negoziati.  Finalmente,  dopo  uno  scambio 
di  note  diplomatiche  ottomane  e  di  giustificazioni  venete,  la  Re- 
pubblica dovette,  sebbene  contro  voglia,  abbassare  le  armi,  e  ces- 
sarono definitivamente  le  ostilità.  La  fortuna  pareva  perseguitare 
Venezia,  funestando  le  coste  dalmate  di  naufragii  e  Corni  d'  ina- 
spettati disastri (l).  Gli  strascichi  della  guerra  durarono  ancora  per  un 
pezzo,  prima  per  la  delimitazione  dei  confini  e  la  liberazione  degli 
schiavi,  poi  per  altre  vertenze  che  1*  odio  insaziabile  dei  Turchi 
contro  Venezia  trovava  sempre  modo  di  suscitare;  ma  lo  scambio 
di  ambascerie  straordinarie  fra  Venezia,  Vienna  e  Costantinopoli 
rimise  finalmente  allo  statu  quo  le  relazioni  internazionali. 

La  Turchia  uscì  dal  Congresso  di  Passarowitz  grandemente  dan- 


(i)  La  notte  del  21  Settembre  un  fulmine  colpi  la  polveriera  della  Fortezza  Vecchia  e 
saltarono  in  aria  circa  3000  barili  di  polvere  rovinando  il  Mandracchio  e  il  palazzo  Genera 
lizio  :  sotto  le  rovine  perirono  il  Pisani  ed  altri  nobili  Veneti,  e  400  uomini  della  guarnigione. 
—  Cir    ms.   Padov.    76  e  191. 


—  68  - 

neggiata  per  la  perdita  dei  territori!  danubiani,  perdita  che  l'acqui- 
sto della  Morea  e  delle  isole  non  valse  a  compensare.  Cosicché 
per  lei  la  guerra  triennale,  pur  così  fortunatamente  cominciata,  non 
fu  che  una  continuazione  infelice  del  regresso  cui  l'avevano  co- 
stretta prima  il  Sobieski  e  poi  Eugenio  di  Savoia,  segnando  col- 
l' abbandono  di  Vienna,  colla  battaglia  di  Zenta,  col  trattato  di 
Carlo witz  la  fine  del  suo  lungo  periodo  di  gloria  e  della  sua  espan- 
sione oltre  i  limiti  balcanici.  La  Morea,  splendida  riconquista  in 
apparenza,  era  in  realtà  per  la  Turchia  un  possesso  negativo,  finché 
restavano  in  mano  di  Venezia  le  isole  Ionie,  e  l'Austria  vegliava 
ai  confini  settentrionali. 

L'Austria  invece  esce  dalla  guerra  breve  e  fortunata  con  un  grande 
accrescimento  di  potenza,  contribuendo  i  vantaggi  della  pace  e  la 
sua  nuova  posizione  nell'  Europa  orientale  a  consolidare  la  sua  au- 
torità negli  affari  d'  Occidente.  Essa  ha  saputo  in  brevissimo  tempo 
e  con  pari  fortuna  condurre  a  fine  due  trattati  importantissimi  che 
le  assicurano  una  posizione  di  prim'ordine  tanto  nella  politica  orien- 
tale —  perchè  accentra  in  sé  le  popolazioni  Danubiane  e  possiede  le 
porte  della  Turchia,  —  quanto  nella  politica  Europea,  —  estenden- 
dosi la  sua  sovranità  dopo  l'agosto  del  17  18  dall'Oceano  Atlantico 
col  Belgio  alle  rive  del  Basso  Danubio  con  la  Serbia  ed  il  Banato, 
e  dal  Mare  del  Nord  per  diritto  dinastico  al  Mediterraneo  per  acqui- 
sto politico,  essendosi  presa  la  Sicilia  quasi  a  compenso  delle  in- 
quietudini che,  anche  per  colpa  del  Duca  di  Savoia,  le  avevano 
fatto  febbrilmente  affrettare  i  trattati  col  Turco.  Restavano  poi  (e  non 
a  torto)  escluse  dalla  politica  orientale  Russia  e  Polonia,  per  cui 
era  stata  una  parola  vana  la  Sacra  Lega.  L'Austria  non  aveva  da 
vigilare  che  il  'l'ureo  e  i  suoi  maneggi  colla  coscienza  di  vigilare 
un  nemico  ridotto  all'impotenza  per  qualche  tempo:  migliori  con- 
dizioni non  si  potevano  desiderare. 

Peccato  -—  beninteso,  per  1'  Austria  che  del  resto  se  lo  meritava 
per  i  suoi  torti  con  Venezia,  e  perchè  il  Turco  non  meritava 
tanta  fortuna  peccato  che  la  preoccupazione  degli  stati  ereditarii 
traesse  poi  Callo  VI  alla  guerra  della  successione  polacca,  che  diede 
modo  alla    Francia  di  eccitare    i   Turchi  contro  l'Austria,  e  di  to- 


-  69  - 

glierle  coi  trattati  di  Vienna  e  di  Belgrado  un  primato  che  non 
potè  mai  più  riacquistare,  come  prima  lo  aveva  indotto  a  blan- 
dire i  Borboni  per  assicurare  la  successione  a  Maria  Teresa  nata 
durante  la  campagna  vittoriosa  d'Ungheria,  piccola  ospite  mal  gra- 
dita, appunto  quando  Carlo  VI  desiderava  un  erede  maschio  a  cui 
potesse  trasmettere  senza  prammatica  sanzione  col  nuovo  retaggio 
le  speranze  della  corona  bizantina.  E  non  erano  speranze  pazze; 
poiché  la  guerra  che  pareva  così  fortunata  per  il  Turco,  coli' in- 
tervento dell'  Austria  1'  aveva  ridotto  agli  estremi,  e  1'  eterno  mori- 
bondo sarebbe  forse  ora  finito  da  un  pezzo,  se  le  potenze  non  ne 
avessero  fatto  allora  precisamente  quello  che  ne  fanno  oggi  :  un 
elemento  indispensabile  dell'  equilibrio  europeo  ;  e  se  l' Alberoni  non 
avesse  pensato  lui  a  fermare  il  principe  Eugenio  sulla  via  di  Co- 
stantinopoli. 

Oggi,  dopo  quasi  due  secoli,  sono  avvenuti  grandi  cambiamenti 
nei  Balcani,  agitatesi  e  agitantisi  ancora  in  essi  tendenze  diverse  di 
nazionalità,  di  razza,  di  religione.  Dalla  provincia  ottomana  di  Mo- 
rea  è  sorto  il  regno  di  Grecia  ;  dal  tributario  principato  di  Vala- 
chia  s'è  svolto  il  regno  indipendente  di  Rumenia;  ha  affermato  i 
propri  diritti  quello  d'Ungheria;  è  sorto  quello  di  Serbia;  un  prin- 
cipe quasi  indipendente  ha  avuto  la  Bulgaria  ;  e  l'Austria  s'  è  presa 
la  Bosnia  e  la  Dalmazia,  restando  libero  il  piccolo  e  forte  Mon- 
tenegro ;  ma  l' Impero  Turco  è  ancora  nella  stessa  condizione  in  cui 
era  a  Passarowitz  :  un  elemento  che  dovrebbe  sparire,  sparire  per  la 
causa  della  civiltà  (poiché  non  è  più  il  caso  di  parlare  di  causa  della 
Cristianità,  e  gli  entusiasmi  di  Clemente  XI  riposano  con  lui  nella 
tomba  pontificale);  che  lascia  sempre  sperare  la  fine,  eppure  non 
finisce  mai,  e  all'ultimo  momento  trova  sempre  chi  gli  dà  una  mano, 
perchè  nessuno  riesca  a  inalberare  sul  Bosforo  una  bandiera  europea. 

Così,  quando  a  Passarowitz  si  firmarono  i  duplici  trattati,  dietro 
alle  meteoriche  audacie  dell'Alberoni  stava  sorda  e  tenace  l'opera 
del  «  concerto  Europeo  »  che  precluse  nello  stesso  tempo  e  per  la 
stessa  ragione  Costantinopoli  all'Austria  e  il  Mediterraneo  alla  Spa- 
gna, servendosi  dell'Alberoni  contro  Carlo  VI,  e  della  flotta  inglese 
contro  l'Alberoni. 


—   7o  — 

E  così  finiva  in  un  intrigo  diplomatico  1'  ultima  Crociata  ;  finiva 
l'opera  del  Pontefice  nelle  questioni  d'Oriente,  per  risorgere  poi  in 
altri  tempi  con  altri  metodi  ed  altri  intendimenti,  e  finiva  sul  mare 
il  dominio  di  Venezia. 

La  quale,  esausta  (la  guerra  le  era  costata  18,000,000  di  ducati), 
addolorata,  ferita  nel  suo  orgoglio  di  regina  del  Levante,  si  fossi- 
lizzò nelle  neutralità  e  nelle  esitazioni,  frutto  della  sua  debolezza, 
che  finirono  col  perderla;  si  vide  sfuggire  il  primato  commerciale 
che  le  fu  avidamente  carpito  dall'Olanda,  e  cercò  dimenticare  glorie 
e  sventure  nelle  feste  a  cui  accorreva  1'  Europa,  e  delle  quali  im- 
parò presto  a  contentarsi  un  popolo  che  i  patrizii  non  permette- 
vano fosse  educato  a  vigorosi  sentimenti.  L'arte,  ultima  dea,  col 
Tiepolo  e  con  Rosalba  Carriera,  la  pittrice  di  Carlo  VI  e  della 
sua  Corte,  illuminò  la  decadenza  di  Venezia,  ma  fu  un  pallido  tra- 
monto in  confronto  agli  splendori  del  meriggio. 

La  Serenissima  rimase  immobile  nella  cerchia  dei  suoi  dominii, 
dopo  quest'  ultimo  episodio  di  una  immensa  epopea,  che  si  era 
svolta  gloriosamente  per  sei  secoli  di  audaci  tentativi  e  di  resistenze 
accanite,  di  splendide  vittorie  e  di  eroiche  sconfitte,  e  si  chiuse 
con  una  profusione  di  uomini  e  di  denari,  resa  inutile  da  un  com- 
plesso di  circostanze  sfavorevoli,  di  viltà  personali  e  di  debolezza 
politica,  a  cui  tentarono  invano  di  resistere  col  sacrifizio  di  sé 
stessi  pochi  valorosi.  Ma  è  triste  vedere  la  grande,  la  Serenissima 
Dominante  perdere  in  tre  mesi  vilmente  le  conquiste  di  Francesco 
Morosini,  dover  ricorrere  supplicando  all'  Europa  nemica  o  indiffe- 
rente, dover  sopportare  l' orgoglio  ingeneroso  dell'Austria,  affidare 
la  difesa  della  sua  ultima  fortezza  ad  uno  straniero,  profondere 
senza  frutto  oro  e  sangue  con  sacrifizi  enormi,  per  venire  poi  ad 
un  Congresso,  in  cui  l'Austria  si  fa  la  parte  del  leone,  e  vuol  es- 
serne anche  ringraziata. 

Venezia  si  sforzò  d'  illudersi  e  di  convincere  sé  e  gli  altri  che 
i  pochi  scogli  di  Cerigo  e  un  ribasso  doganale  sullo  scalo  di  Smirne 
equivalessero  al  possesso  della  bella  Morea  e  di  Candia,  propugnacolo 
del  Levante.  Ma  oramai  la  sua  gloria  era  finita  ;  e  la  pompa  di  cui 
la  Serenissima  volle  circondata  questa  rinunzia  al  suo  glorioso  pas- 


-  7i  - 

sato,  (l)  e  la  solennità  con  cui  ne  fece  l' apologia,  dedicandola  al 
Doge,  il  suo  fedel  segretario  ed  ex-residente  Vendramino  Bianchi, 
ricordano  in  certo  modo,  se  il  paragone  non  sembrerà  irriverente, 
quella  parrucca  che  aveva  portato  di  Francia  il  giovane  E  rizzo, 
per  nascondere  sotto  i  riccioloni  incipriati  la  cicatrice  che  gli  sfre- 
giava la  fronte. 


(i)  Cito  per  curiosità  dulie    «  Venture  di  Venezia  »  un  sonetto   del  maceratese   Giuseppe 
Alaleona  : 

L'ITALIA    A    VENEZIA 
per  la  pace  di  Passarovìtz  1717  (sic). 

Città,  che  a  prova  il  Ciel,  Nalura  ed  Arte 

Fecero  eterna,  e  d'  ogni  fregio  chiara, 

Cui  da  tute' altre  il  mar  disgiunge  e  parte 

Ma  più  virtù  che  sì  t'  orna  e  rischiara  ; 
Tu  le  mie,  dice  Italia,  afflitte  e  sparte 

Fortune  riconforti,  ond' io  l'amara 

Memoria  sgombro  e  i  segni  veggo  in  parte 

Di  quanto  un  tempo  fui  temuta  e  cara. 
Se  ai  tuoi  bronzi,  ai  tuoi  marmi  io  volgo  il  ciglio 

Scorgo  l'antico  mio  vero  splendore, 

Che  acquisto  e  premio  fur  d'alcun  tuo  figlio, 
In  te  la  libertade,  in  te  il  valore 

In  te  il  mio  senno  veggio,  il  mio  consiglio, 

Veggio  me  stessa  alfin,  veggio  il  mio  onore. 

(Di  Giuseppe  Alaleona  Maceratese  m.  1749). 


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DOCUMENTI 


TRADUZIONE 

delle  ragioni  per    le    quali   la    Porta    Ottomana    ha   dichiarata  la 
Guerra  alla  Repubblica  di  Venezia  nel  mese  di  Dicembre  1714. 


Articolo  Primo. 


Haichè  Moglie  di  Muslì  Agà  Selectar  del  Portaspada  di  Has- 
san  Passa  innanzi  gran  Visire,  Sulich  figlio  della  detta  Haichè, 
Muslì  suo  Marito  Hassan  Passa,  e  molti  altri  Mussulmani  carica- 
rono i  loro  effetti  a  Tripoli  di  Soria  sopra  il  Vascello  di  Capi- 
tano Antonio  Marsin  Veneti  >no,  il  quale  aveva  fatto  gridare  dalli 
stridatori  publici,  che  esso  haveva  una  Patente,  e  che  potevano 
con  tutta  sicurezza  imbarcarsi  sopra  della  sua  Nave.  Molti  Passag- 
gieri  Mussulmani  vi  s' imbarcarono  II  Capitano  sbarcò  a  Milo  qual- 
cheduno  delli  suddetti  passaggieri,  ne  ammazzò  tre  di  quelli,  che 
restarono  nel  suo  Bastimento,  e  portò  seco  tutt'  i  loro  effetti.  Gl'In- 
teressati presentarono  molte  dimande  alla  sublime  Porta,  e  a  Sua 
Maestà  Imperiale,  nelle  quali  esponevano  che  s'  erano  imbarcati  so- 
pra il  suddetto  Bastimento.  Che  in  virtù  delli  Trattatti  di  pace  fra 
la  Porta,  e  la  Repubblica  di  Venetia  dimandavano  che  fosse  fatta 
loro  giustizia,  facendo  loro  rendere  li  loro  eletti  dal  Bailo  di  Ve- 
netia. La  Porta  ha  vendo  interrogato  il  Bailo  sopra  di  questo  af- 
fare, apparve  se  ne  mettesse  poco  in  pena,  havendo  risposo  d'una 
maniera  poco  honesta.   Lo  so    diss'  egli,    che  il    Capitano   Antonio 


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ha  ammazzato  quest'  huomeni,  e  che  si  è  salvato  ;  ma  non  tocca  a 
ma  di  andarlo  a  cercare,  ne  di  obligarmi  a  pagare  gì' effetti  da 
esso  asportati:  Questi  sono  gl'ordini  che  io  tengo  dalla  Repubblica, 
tutta  volta  s' io  venissi  a  sapere,  che  questo  Capitano  sia  in  qual- 
che luogo  dipendente  dagli  Stati  di  Venetia,  lo  farò  arrestare 

Articolo  Secondo. 

Li  Vascelli  di  Tripoli  di  Barbaria  riavendo  fatto  quatro  prese 
sopra  il  Mare  le  equiporrono  e  le  spedirono  a  Durazzo,  che  è  una 
scala  dell'Imperio  Ottomano;  mentre  che  gli  equipaggi  esistevano 
in  Terra,  il  Console  di  Venetia  residente  in  quella  medesima  scala 
fece  condur  via  dal  Porto  quelle  quitro  prese,  e  dodeci  cluenti 
soldati  furono  publicamente  ammazzati. 

GÌ'  Habitanti  di  Durazzo  havendo  veduto  tali  carnificine  ra- 
presentarono  alla  Porta,  che  durante  la  Pace,  ogn'uno  si  credeva 
in  sicurezza  sopra  le  Frontiere,  ed  a  dove  procedeva  che  s'  am- 
mazzassero nei  loro  proprij  Porti  li  Turchi,  e  che  si  rapissero  i 
loro  Bastimenti. 

Li  Trippolini  da  una  altra  parte  presentarono  dimanda  alla 
Porta,  supplicandola,  che  ella  li  facesse  fare  giustizia  sopra  le  prese 
fatteli  in  conformità  delle  Leggi  del  Mare  doppo  che  li  Venetiani 
gliele  havevano  rubbate,  e  doppo  havev'  ammazzati  molti  Turchi, 
sopra  di  che  prese  le  informationi  dal  Bailo  di  Venetia,  e  sopra 
il  di  più  che  era  stato  rappresentato,  come  si  fosse  ardito  di  com- 
mettere un  tal' attentato.  Rispose  arditamente  con  durezza,  che  si- 
mili cose  arrivavano  anco  con  li  Stati  vicini. 

Articolo  Terzo. 

Delli  Mercanti  da  Manzi,  e  de  Castrati  sopra  la  buona  fede 
della  sicurezza  privata,  essendo  passati  a  Venetia  rappresentarono 
alla  Repubblica,  che  il  Doganiere  della  Scala  di  Zara  voleva  com- 
prar da  essi  delle  Bestie,  e  domandarono  se  poteva  fidarsi  a  lui. 
La  Repubblica  diede  a  questi  Mercanti  una  lettera  Ducale,  et  il 
Doganiere  comprò  da  loro  per  Undecimilla  Zecchini  di  Bestie,  egli 
fece  una  buona  cauzione.  Essendo  passato  un  anno  e  mezzo  senza, 
che  il  Doganiere  si  mettesse  in  Stato  di  pagare,  e  li  Dragomani 
di  Venetia  alla  Porta,  havendo  promesso  a  questi  Mercanti  di  far 
venire  il  loro  pagamento  in  una  centena  di  giorni  non  facessero 
però  venire,  che  una  semplice  lettera  senza  dinaro.  Il  Governatore, 
et  il  Defserdar  di   Bossina    facessero   grand' Istanze;  e  rappresenta- 


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rono  alti  Venetiani,  che  ciò  era  contrario  alli  Trattatti  di  pace. 
Nulladimeno  ciò  non  ha  prodotto  cos'  alcuna,  e  questi  Mercanti 
vedendosi  ni  vinati,  andarono  al  Divano  Imperiale  e  presentarono 
molte  dimnnde  per  tal' affare.  Il  Bailo  di  Venetia  interrogato  sopra 
di  ciò  rispose,  che  li  Mercanti  dovevano  andar  sopra  luoco  a  do- 
mandar il  pagamento  da  i  loro  Creditori,  e  senz'altro  riguardo 
acgionse,  che  non  li  conveniva  d'impiegarsi  per  questo  debito,  ne 
di  farlo  pagare  non  havendo  sopra  di  ciò  alcun  potere  dalla  Re- 
pubblica. 

Articolo   Quarto. 

GÌ'  Habitanti  di  Dulcigno  non  potendo  sostenersi,  che  con  il 
negotio  un  Capitano  nominato  Abduzzaam  caricò  nel  17 13  de^e 
mercantie  sopra  del  suo  bastimento  in  una  Scala  presso  Lepanto. 
Trovandosi  all'altezza  della  Città  di  Corfù,  vidde  nel  Porto  sette 
Vascelli,  e  qualche  galera,  appresso  delle  quali  diede  fondo,  e  là 
aspettando  il  vento  favorevole.  Le  Galere  essendo  partite,  un  Va- 
scello, et  una  barca  abordorno  questo  bastimento,  e  doppo  un 
combattimento  di  cinque  hore  vi  restarono  quattro  Turchi  morti, 
e  tre  schiavi.  Quelli  dell'equipaggio,  che  sono  rimasti  rappresen- 
tarono alla  Maestà  Imperiale,  che  si  doveva  spedire  in  Spagna 
quelli,  che  erano  fatti  schiavi  per  essere  ivi  venduti  :  Che  Corfù 
appartenendo  alli  Venetiani  li  Turchi  non  potevano  esser  fatti  schia- 
vi, ne  permesso,  che  fo  sero  presi  nel  Porto  senza  contravvenire 
ai  Trattatti  di  pace,  che  altramente  non  vi  sarebbe  più  di  sicu- 
rezza per  essi,   e  che  non  sapevano  più  cosa  fare  per  vivere. 

Il  Bailo  interrogato  sopra  questo  Capo  rispose,  mascherando 
la  verità,  che  non  sapeva  di  qual  Natione  erano  quelli,  che  nave- 
vano  presi  questi  effetti,  e  che  havevano  fatti  schiavi,  e  morti 
quelli  Turchi,  non  havendo  innanzi  mai  inteso  parlare  di  simile 
affare. 

Articolo  Quinto 

Come  li  Corsari  di  Malta,  e  di  Spagna  inquietano  sempre  li 
Bastimenti  della  Costa  di  Dulcigno,  un  Capitano  nominato  Hussein 
armò  una  fregata  unicamente  per  mettere  a  coperto  li  loro  beni, 
e  le  loro  vite  dal  banderaggio  di  quelli  Corsari,  senza  però  con- 
ti avenire  alli  Trattatti  di  pace.  La  tempesta  però  avendolo  obbli- 
gato d'  entrare  nel  Porto  di  Hostia  dipendente  da  Venetia  un  certo 
Malberas   comandante  d'  una  galera  della   Repubblica  abbordò  que- 


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sta  Fregata  sotto  pretesto,  che  ella  fosse  in  coi  so,  et  ammazzò 
dieci  Turchi,  prese  tutti  li  loro  effetti,  e  fece  mettere  settanta  altri 
Mussulmani  alla  galera  abbenchè  innocenti.  La  Porta  sopra  l' in- 
formationi  de  Venetiani,  che  ella  ha  creduto  vero,  abbenchè  fossero 
false  spedì  quelle  genti  nelle  priggioni  della  Canea.  GÌ'  Habitanti 
di  Scutari,  e  quelli  di  Dulcigno  riavendo  ciò  inteso  rappresentorono 
alla  Porta,  che  ciò,  che  li  Venetiani  avevano  detto  erano  falsità, 
o  calunie,  e  che  si  servivano  spesso  di  queste  menzogne  per  far 
torto  ai  Musulmani,  doppo  di  che  la  Porta  ha  fatto  mettere  in 
libertà  quei  prigioni,  dimandorono  qual  fatto  havevano  commesso, 
se  conveniva,  che  fossero  follati  sotto  li  piedi  dalli  Infedeli  Vene- 
tiani, ed  havendo  dimandato  con  diverse  suppliche,  che  presento- 
rono  a  S.  Maestà  Imperiale,  che  fosse  fatto  loro  giustizia,  e  che 
fosse  impedito,  che  non  fossero  per  l' avenire  molestati,  fu  diman- 
dato al  Bailo  di  Venetia  di  che  maniera  fosse  accaduto,  confesso 
il  fatto,  e  disse,  che  ne  haveva  scritto  sopra  li  luoghi,  e  che  biso- 
gnava aspettar  risposta. 

Articolo  Sesto. 

Nove  mercanti  dell'  Isola  di  Candia  che  in  virtù  della  Pace 
negotiavano  sopra  le  Barche  Venetinne  e  Francesi,  s'erano  imbar- 
cate sopra  il  Bastimento  di  un  nominato Venetiano, 

andorono  al  Porto  d' Inos  dove  trovarono  un  Vascello  di  Malta. 
Questo  Vascello  senza  ragione  abbordò  il  Bastimento.  Prese  quin- 
decimilla  scudi,  e  di  lui  effetti,  e  fece  schiavi  quei  mercanti  con 
li  loro  fanciulli,  e  Parenti.  Sei  Persone  havendo  informato  la  Porta 
di  ciò,  e  ricevute  testimonianze  della  verità  del  fatto  dimandarono 
con  supplica,  che  quelli  che  erano  s'ati  presi  fossero  rimmessi  in 
libertà,  e  ristituiti  li  loro  effetti,  e  doppo  aver  interrogato  sopra  di 
ciò  molte  volte  il  Bailo  di  Venetia  non  diede  alcuna  risposta  po- 
sitiva, abbenchè  vi  fossero  tanti  testimonii  di  tal  fatto,  da  che  n'  è 
derivato  che  li  beni  di  questi  mercanti  sono  restati  nelle  mani 
de  Venetiani. 

Articolo  Settimo. 

Dei  Menanti  Venetiani  nominati  Gioseppe,  e  Daniele  doppo 
d' haver  comprato  da  tredici  Marcanti  di  Galata  dei  Curami  per 
trentamila  scudi  presero  la  fuga.  Il  Bailo  di  Venetia  bollati  li 
Magazeni  de  fugitivi  s'impadronì  de' loro  effetti,  e  stabilì  in  un 
Dragomano,  e  loro    Sensale  come  piaggi,  e  proguratori.   La  causa 


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fu  portata  innanzi  al  Tribunale  della  Giustizia  e  vi  fu  una  sen- 
tenza in  favore  delli  mercanti  di  Galata,  che  ordinava,  che  sareb- 
bero pagati  subito  disdotto  milla  scudi,  et  il  resto  in  molti  paga- 
menti, a  conto  de  quali  erano  stati  esborsati  mille  scudi,  ma  come 
si  cominciò  deludere  li  pagamenti,  e  che  il  sensale  rinuntiò  alla 
pieggeria  dicendo,  che  il  Bailo  1'  haveva  ingannato  la  Giustizia  non 
potendo  altrimenti  obligare  un  sensale  di  pagar  li  Mercanti  di  Ga- 
lata presentarono  supplica  al  Divano  Imperiale,  e  dimandarono,  che 
il  Bailo  pagasse  secondo  gl'Articoli  di  Pace.  Ma  quando  gliene 
fu  parlato  si  contentò  di  dire,  che  erano  otto  o  nove  anni,  che 
haveva  inteso  parlare  di  questo  negotio,  e  che  non  appariva  che 
fossero  state  stabilite  pieggerie  ne  procuratori,  e  perseverò  a  voler 
far  perdere  ai  mercanti  li  loro  beni. 

Articolo  Ottavo. 

Un  Christiano  chiamato  Dimo  nativo  di  Svena,  havendo  por- 
tati sette  milla  scudi  a  Santa  Maura,  lo  fecero  mettere  in  prigione 
sotto  falsi  prettesti  con  idea  di  prendere  li  suoi  beni.  Li  Gover- 
natori, e  Giudici  del  Confine,  havendone  informata  la  Porta,  e  là 
spedì  un  Ago  con  una  lettera  del  Bailo  di  Venetia  per  far  rendere 
Giustitia  a  questo  Mercante.  Il  Generale  di  Napoli  di  Romania  lo 
fermò  molto  tempo  dicendo,  che  faceva  venir  il  Mercante  da  S.a  Mau- 
ra, e  in  seguito  lo  ingannò,  mettendoli  fra  le  mani  una  Carta,  che 
qualificò  di  sentenza,  benché  non  fosse,  che  un  atto  di  compara- 
tione,  dicendoli,  che  gì' haveva  sententiato  la  metà  della  somma, 
la  quale  riceverebbe  dal  Bailo,  che  è  la  Porta. 

Qualche  tempo  doppo  il  Governatore  fece  mettere  il  Mercante 
in  priggione  e  con  le  minaccie  che  li  fece,  n'estorse  una  dichia- 
ratione,  come  non  haveva  più  niente  da  prettendere,  di  sorte,  che 
licentiò  quel  mercante  nominato,  e  le  mani  vuote,  dicendoli,  che 
andasse  a  ricevere  il  suo  dinaro  dal  Bailo.  Questo  mercante  al 
suo  arrivo  presentò  molte  suppliche  a  Sua  Maestà  Imperiale  per 
essere  sodisfatto.  Il  Bailo  al  quale  fu  parlato  se  ne  pose  poco  in 
pena  e  rispose,  che  esso  non  si  mescolava  negl'affari  di  Comercio, 
che  un  mercante  potesse  havere  con  gl'Habitanti  di  S.a  Maura, 
che  egli  non  li  poteva  loro  dar  lettere  per  ritornare  a  quella  parte, 
e  che  non  poteva  di  più  rispondere,  che  sarebbe  satisfatto,  non 
havendo  sopra  di  ciò  ricevuto  alcun  Ordine  dalla  Republica  aggiun- 
gendo ancora,  che  non  conveniva,  che  si  dimandassero  tali  cose 
ai  Baili. 


—     8o 


Articolo  Nono. 


Un  Christiano  nominato  Dracho  era  andato  ad  un'Isola  della 
Republica  di  Venetia  chiamata  Egena  per  negotiarvi  col  suo  Basti- 
mento con  tre  milla  scudi  di  fondo  che  haveva  tolto  ad  imprestito 
a  conditione  che  darebbe  la  metà  del  j  roffitto.  Il  Comandante  di 
cmel  Paese  lo  fece  schiavo  e  lo  spedì  col  suo  danaro  al  Gover- 
natore di  Napoli  di  Romania  il  quale  havendolo  tenuto  nelle  prig- 
gioni  per  il  spazio  di  otto  mesi.  GÌ'  Habitanti  dei  confini  della 
Morea  lo  fecero  sapere  alla  Porta.  Il  Mercante  essendo  stato  rila- 
sciato in  virtù  d'una  lettera  del  Bailo  spedì  di  nuovo  un'altra 
Barca.  Il  Governatore,  e  Cadì  di  Negroppnte  havendo  informata  la 
Porta,  che  gì' erano  stati  novamente  presi  tutti  li  suoi  effetti,  il  Dra- 
gomano  Venetiano  Carli  dichiarò  in  presenza  del  Capitano  Bassa, 
che  veramente  l'affare  era  tal  qual  veniva  rappresentato  ma  che 
il  Bailo  haveva  fatto  rilasciare  il  Bastimento.  Fu  dimandato  a  degli 
Capitani  esperti  e  versati  negl'affari  della  Marina,  di  che  maniera 
gl'Articoli  della  Pace,  dovevano  esser  osservati  in  simili  incontri, 
e  risposero  che  non  potevano  arrestarsi  in  alcuna  maniera  li  Ba- 
stimenti mercanti.  Che  era  malissimo  fatto  di  ti  attenerli  lungo 
tempo  e  che  quando  ciò  fosse,  anco  in  fallo  si  dovevano  rilasciare 
subito,  che  se  ne  fosse  avertito.  Che  così  non  vi  era  alcuna  rag- 
gione  per  fermare  quella  Barca  un  mese  doppo  l' aviso  dato  ;  il 
detto  Dracho  essendo  morto  in  questo  fra  tempo,  e  il  bene  appar- 
tenendo ad  altri,  li  fanciulli  del  defonto  presentarono  molte  Sup- 
pliche al  Divano  Imperiale  nelle  quali  dicevano  d'esser  nell'impo- 
tenza di  pagare  quegl'effetti,  e  rappresentavano  il  torto,  che  i  Ve- 
netiani  havevano  loro  fatto  contro  i  Trattatti  di  Pace,  x^bbenchè  il 
Dragomano  havesse  confermato  la  maniera  del'a  quale  ciò  era  ca- 
duto, e  che  li  Capitani  havessero  sicurato,  che  tutto  ciò,  che  era 
passato  a  questo  riguardo  era  contrario  alli  Trattatti  di  Pace,  non 
ostante  malgrado  a  tutto  questo  interrogato  sopra  di  ciò  il  Bailo 
non  ha  dato  che  delle  risposte  artificiose  sopra  ogni  dimanda,  e 
ancora  ha  bisognato  aspettar  lungo  tempo  per  haver  le  sue  risposte. 


Articolo  Decimo. 

II uomo  d'Attene  nominato  Dervich  Mehemet  caricò  per  otto- 
cento scudi  Sopra  d'un  Bastimento  d'un  certo  Michiel  da  Tino, 
che   haveva  una   Patente,   e  abbenchè    il  vento  fosse   favorevole  in 


luogo  di  seguire  il  suo  viaggio  lo  condusse  all'Isola  di  Mirsel,  li 
prese  i  suoi  effetti  e  l'havrebbe  fatto  morire  se  non  fosse  fugito 
Dervich  Meemet  al  suo  ritorno  portò  le  sue  doglianze  al  Bailo  che 
li  diede  un  huomo  per  condurlo  dal  Comandante  di  Tino  che  lo 
trattenne  cinquanta  giorni,  e  abenche  la  parte  avversaria  si  tro- 
vasse nel  luogo  fu  fatta  nascondere  et  obligato  Mehemet  partire 
senz'  alcuna  speranza.  Al  suo  arrivo  qui  presentò  una  supplica,  di- 
mandando, che  fosse  fatto  comparire  il  di  lui  Aversario  e  se  gli 
facesse  Giustizia  perchè  era  in  stato  di  provar,  che  il  Bastimento 
di  Michiel  haveva  Bandiera  e  Patente  di  Venetia  e  che  era  stato 
imbarcato  a  Galata.  11  Bailo  rispose,  che  non  haveva  alcuna  cono- 
scenza di  tal  affare,  e  negò  d'haver  scritto  sopra  dello  stesso. 

Articolo  Undecimo. 

Due  Turchi,  chiamato  l'uno  Osman,  e  l'altro  Salich  carica- 
rono a  Sio  il  Bastimento  d'un  Venetiano  nominato  Gio.  Costan- 
tin,  doppo  che  il  Console  haveva  fatto  loro  conoscere,  che  non 
havevano  niente  a  temere,  e  che  li  si  fosse  fatto  piaggio  alla  sua 
Cancelleria,  mentre  che  andavano  a  Salonichio.  Il  detto  Costantino 
li  fece  schiavi  e  prese  i  loro  effetti.  Sopra  le  doglianze  che  spedi- 
rino  al  Divano  Imperiale,  furono  rilasciati  ;  ma  come  si  riteneva 
loro  trecento,  e  dieci  sette  ducati  e  trecento  scudi  di  marcanzia 
volevano  novamente  dolersi,  ma  fu  loro  risposto  in  termini  duri 
e  a  speri,  che  dovevano  esser  contenti  d' haver  la  libertà,  poiché 
nel  tempo,  che  le  loro  persone  dovevano  esser  riguardate  come  un 
bottino  dimandavano  ancora  il  loro  denaro.  Al  loro  ritorno  diman- 
darono con  supplica  alla  Porta,  che  gli  facesse  ristituire  il  loro 
danaro  e  li  loro  effetti.  Quando  ne  fu  parlato  al  Bailo  rispose, 
ch'erano  stati  ritenuti  i  loro  effetti,  che  scriverebbe  a  Malta  per 
haverne  l' inforni atione,  e  per  negligenza  l'affare  restò  là. 

Articolo  Dodicesimo. 

Un  Vascello,  ch'era  all'Isola  di  Scopulo  con  Bandiera  Vene- 
tiana  prese  il  nominato  Ali  con  il  Bastimento,  che  comandava.  Il 
Capitano  di  questo  Vascello  vendè  Ali  in  Attene  ad  un'  Ebreo,  che 
lo  condusse  in  Costantinopoli.  Ali  presentò  supplica  alla  Porta,  e 
là  conteneva,  che  non  era  in  stato  di  pagare  all'Ebreo  li  500  scudi, 
che  haveva  esborsati  per  il  suo  riscatto.  Ch'il  Vascello,  che  l'ha- 
veva  preso  haveva    Band  era  Venetiana,  che    però    supplicava  che 


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fosse  fatto  pagare  tal  somma  al  Bailo.  Esso  rispose,  che  li  Corsari 
havevano  molte  sorti  di  Bandiere  e  che  Ali  era  stato  ingannato. 
Con  questa  debole  risposta  il  Bailo  si  tirò  d'impaccio. 

Articolo  Tredicesimo. 

Mukarsen  e  qualche  altro  Mercante  che  hanno  delle  prettese 
con  delli  mercanti  di  Venetia  in  virtù  dei  buoni  contratti,  e  della 
sentenza  della  Republica  dimandarono  al  Bailo  che  li  facesse  pa- 
gare delli  pieggi,  ma  come  lui  neglige^a  questo  negozio  presento- 
rono  supplica  alla  Porta,  il  torto  che  veniva  loro  fatto;  il  Bailo 
non  negò  il  fatto,  ma  invece  di  far  venire  questo  dinaro  nel  ter- 
mine di  cento  giorni  come  baveva  promesso  si  scordò  intieramente 
l' affare,  e  lasciò  li  mercanti  nei  loro  danni. 

La  Porta  havendo  vedute  per  le  risposte,  che  il  Bailo  di 
Venetia  di  viva  voce,  e  per  quelle  date  con  il  mezzo  de  suoi 
Dragomani  che  non  vi  era  niente  da  sperare  da  lui,  et  essendo 
d' altronde  importunata  da  doglianze  dei  supplicanti,  ella  ha  cre- 
duto di  prendere  un'  altra  strada  nella  speranza  di  poter  terminare 
tali  affari. 

Per  questa  causa  ella  diede  il  Capitano  Passa,  che  era  su  la 
sua  partenza  per  l' Arcipelago  una  copia  delli  sudetti  Articoli  in- 
giongendoli  di  dimandare  alla  Republica  di  Venetia  una  risposta 
positiva  sopra  de  medesimi  con  commissione  di  farli  comprendere, 
che  erano  stati  aquietati,  li  supplicanti  con  la  speranza,  che  loro 
veniva  data,  che  non  tarderebbero  lungamente  gl'ordini  della  Re- 
publica sopra  li  predetti  affari. 

Al  ritorno  del  Capitano  Passa,  la  Porta  gli  dimandò  la  ri- 
sposta che  la  Republica  gì'  haveva  dato,  esso  rispose,  che  essendo 
partito  di  là  con  1'  Armata  navale  andò  a  Negroponte,  che  spedì 
uno  dei  suoi  con  una  lettera  per  la  Republica  ed  un'abra  per  il 
Capitano  Governatore,  al  quale  huomo  haveva  consegnato  una  copia 
di  tutti  li  sopraddetti  Articoli.  Che  quest' huomo  essendo  arrivato 
all'Armata,  il  Capitano  Governatore  li  fece  intendere  di  non  avan- 
zarsi d'avantaggio,  e  che  gli  spedisse  i  dispacci  delli  quali  era  in- 
caricato. 

Il  mio  huomo  gli  spedì  le  lettere  e  gli  Articoli.  Gli  fu  fatto 
dire  che  s'  havrebbe  havuto  attenzione  di  spedir  alla  Republica  li 
dispaci,  che  erano  destinati  per  ella,  e  che  poteva  ritornarsene  di 
modo  che  fu  spedito  senza  risposta  positiva  Poco  sodisfatto  di  tal 
procedura  aggionse  il  Capitano  Passa  io  feci  un  secondo  passo  sopra 
la  notizia  che  havevo  havuto,  che  era  pervenuto  un    nuovo  Capi- 


-  83  - 

tano  Governatore.  Io  gli  spedii  novamente  il  mio  huomo  con  una 
lettera  per  la  Republica  et  un'altra  per  lui,  alla  quale  aggionsi 
copia  degl' accennati  Articoli;  ma  l' Huomo  fu  trattatto  come  la 
prima  volta,  cioè  a  dire,  che  furono  presi  tutti  li  dispacci  senza 
darli  alcuna  risposta.  Hora  replicò  il  Capitano  Passa  ben  lontani 
di  haver  fatto  pervenire  a  Venetia,  che  io  havevo  spedito  due  volte 
non  hanno  voluto  permetterli  d'entrare  in  Armata,  e  che  non 
gì' hanno  dato  alcuna  risposta  capace  di  rimediare  agl'inconvenienti, 
è  cosa  evidente  diss'egli,  che  li  Venetiani  vogliono  perseverare  nella 
loro  ostinatone. 

Oltre  di  ciò,  eh' è  esposto  di  sopra  il  Governatore  della  Bos- 
sina,  gli  Bergelbei,  li  Bei  Capitani  Comandanti,  e  Assecky,  Assam 
Ago  Comandante  della  parte  del  Corpo  de  Gianizari,  li  Gianizari, 
e  le  altre  truppe  della  Frontiera  andorono  contro  li  ribelli,  com'erano 
stati  comandatici  Baragidrigh,  o  Montenegrini.  Entrarono  per  quattro 
parti  differenti,  li  ribelli  si  ritirorono  nelli  loro  trincieramenti  dentro 
a  delle  Grotte  delle  Torri,  e  de  luoghi  inaccessibili.  Li  attaccarono 
per  tutte  le  parti  si  difesero.  Vi  furono  molti  Turchi  ammaz- 
zati, doppo  haverli  rotti  ne  ammazzarono  molti.  Molti  furon  fatti 
schiavi,  e  quelli,  che  poterono  fuggire  si  ridussero  sopra  la  fron- 
tiera, overo  Costa  della  Fortezza  di  Cattarro  dipendente  dalla  Re- 
publica di  Venetia,  e  si  fortifìcorono  nelle  Grotte,  e  luoghi  pieni 
di  giebbano.  Achmet  Passa  Governatore  di  Scutari,  Habubeir  Passa 
d'Arcigovina,  Durvich  Passa  altre  volte  Governatore  di  quel  me- 
desimo luogo,  e  tutti  li  Zaimet  Fimars,  Capitani  e  Comandanti 
dei  Sangiachi  vicini,  che  erano  stati  comandati  da  quella  parte, 
marchiarono  contro  di  loro,  ma  non  poterono  invilupparli,  perchè 
vi  era  un  sito,  per  il  quale  non  poterono  arrivarli,  senza  passare 
sopra  le  Terre  dello  Stato  di  Venetia,  si  contentarono  d'attaccarli 
per  tre  differenti  parti,  e  doppo  un  combattimento  di  sette  hore 
si  resero  Padroni  delli  loro  Trincieramenti,  delle  loro  Grotte  e  dei 
loro  effetti.  Molti  di  quei  ribelli  furono  ammazzati,  d' altri  fatti 
schiavi,  ma  un  certo  Gica,  uno  degl'  Officiali,  che  il  Zar  di  Mo 
scovia  aveva  spedito  nel  1 7 1 1  al  Montenegro,  il  Vescovo,  e  molti 
altri  ribelli  di  consideratione  si  ritirorono  nella  fortezza  di  Cattaro, 
e  ve  ne  fu  qualche  d'  un'  altro  che  si  rifugiorono  a  Durazzo,  e 
Perasto,  ed  Areisne  tutte  fortezze  dipendenti  della  Republica  di  Ve- 
netia e  che  li  riceverono  e  trasportorono  coi  loro  Bastimenti  le 
principali  delli  paesi  di  Fegra,  e  Delita  e  dagl'altri  villaggi,  i  loro 
figli  et  effetti,  eh'  erano  d'  altra  parte  di  rimpetto  alle  Terre  di 
Venetia. 

Infine  la  contraversione  dei  Venetiani  ai  trattati   di  Pace  es- 


-  84  - 

sendo  stata  osservata  furono  formati  nei  processi  verbali  sopra  di 
ciò  dalli  Illustrissimi  Visir  Miman  Passa,  Amet  Passa  Governatore 
di  Scutari  Hebecher  Passa  Governatore  di  Arcigovina,  li  quali 
scriverno  delle  lettere  al  Governatore  Venetiano,  e  a  tutti  li  Go- 
vernatori dell'altre  Piazze,  le  quali  furono  spedite  con  feizullach 
Effendi,  che  è  un  vecchio  habitante  dei  confini,  al  quale  diedero 
l'autorità  d'  ambasciadore.  Queste  lettere  contenevano,  che  il  dar 
ricovero  ai  principali  ribelli  era  un  contravenire  alli  Trattati  di 
Pace.  Il  Governatore  Veneziano  in  tre  differenti  volte,  che  rispose 
a  Miman  Passa  et  ad  Amet  Passa  non  fece  mentione  in  alcuna 
delle  sue  lettere,  che  esso  non  ricevesse  li  ribelli,  ne  che  li  farebbe 
cercare  quelli,  che  si  erano  ritirati  sopra  le  Terre  di  Venetia.  Queste 
lettere  non  contenivano,  che  delle  parole  vane,  e  piene  di  falsità. 

Li  Turchi  non  volsero  far  niente  di  contrario  alla  Pace  e  la- 
sciarono le  cose  nella  maniera,  ch'erano  di  modo,  che  li  Ribelli 
sono  stati  ricevuti  e  prottetti  dalli  Venetiani.  Quest'è  un  fatto  co- 
nosciuto da  tutti  li  Capi  e  da  tutte  le  truppe  Ottomane.  Nel  tempo, 
che  si  radunavano  le  truppe  nella  Bossina,  e  che  si  spedivano  da 
tutte  le  parti  Ordini  per  far  li  preparativi  necessarii  ;  Miman  Passa 
scrisse  una  lettera  al  Governatore  di  Cattaro  per  farli  intendere, 
eh'  in  caso  che  li  Ribelli  di  Montenegro  si  ritirassero  sopra  le 
Terre  di  Venetia  non  li  ricevesse  per  non  infrangere  li  Trattati 
di  Pace,  ne  dar  loro  alcun  soccorso  di  monizioni  da  guerra  e  da 
Bocca.  Il  Governatore  rispose  assicurandolo,  che  non  li  riceverebbe. 
Non  ostante  tutti  gl'avvertimenti  di  questo  Visire  in  lettera  con 
espresso  non  produssero  niente,  e  li  Venetiani  hanno  fatto  com- 
parire in  tutte  l'occasioni  la  loro  perfidia  e  la  loro  inimicizia. 

Nel  principio  Bechir  Passa  Governatore  di  Arcigovina  scrisse 
una  lettera  a  Miman  Passa,  che  erano  arrivati  in  quelle  parti  tre 
Vascelli  di  Venetia  cariche  di  Truppe,  di  monizioni  da  guerra,  e 
da  bocca,  che  erano  stati  distribuiti  li  soldati  nelle  Fortezze,  et 
che  havevano  date  molte  provisioni  alli  Ribelli,  così  che  li  Vene- 
tiani 1'  havevano  soccorsi. 

Mentre,  che  li  Turchi  erano  nelle  Terre  de  Ribelli  qualche 
Vascello  e  altro  Bastimento  Venetiano  capitorono  sopra  quelle  Co- 
ste, e  nel  tempo  che  quei  Ribelli  s' erano  ritirati  dalla  parte  di 
Cattaro,  e  che  le  Truppe  Ottomane  li  perseguitorono  sino  alle  Fron- 
tiere, li  Venetiani  erano  nel  dissegno  di  far  un  sbarco  di  Milizie, 
ma  il  vento  non  essendo  favorevole  fu  impossibile  di  farlo.  Se  le 
Truppe  Venetiane  fossero  state  disbarcate,  è  cosa  certa,  che  riavreb- 
bero attaccate  le  Truppe  Ottomane,  tale  essendo  la  loro  risolutione. 
Li    Passa   spedirono   dalla    Frontiera   alli    Bei    in    passato    Sangiach 


-  85  - 

Bei  de  Zilir  al  Governatore  di  Cattaro  nel  tempo,  che  li  Ribelli 
s'erano  ritirati  nelle  Terre  de  Venetiani.  Questo  Bei  accompagnato 
da  otto  persone  disse  a  quel  Governatore  perchè  riceveva  quei  ri- 
belli contro  li  Trattatti,  gli  rispose,  che  fra  poco  sarebbe  commo- 
dato  questo  negotio,  e  lo  licentiò  con  questa  risposta  absutda,  ciò 
che  ha  fatto  comparire  la  mala  fede  de  Venetiani  ad  osservare  li 
Trattatti. 

L' anno  dell'  Egir  i  7  i  i  li  Moscoviti  spedirono  a  Montenegro 
treni acinque  milla  ducati  che  furono  distribuiti  alli  Ribelli  dal  loro 
Vescovo,  e  dal  Parroco  del  distretto  di  Destorich.  Questo  stesso 
Vescovo  s'è  salvato  a  Cattaro  ed  il  Curato  è  stato  preso,  ed  im- 
piccato. 

È  cosa  notoria,  e  publica,  che  li  Principali  di  quei  Ribelli 
tiravano  pensione  dai  Venetiani,  e  che  mentre,  che  erano  alle  prese 
con  loro  ricevevano  per  loro  soccorso  delle  Guardie  e  delle  Truppe 
le  quali  introrono  sopra  le  Terre  dell'  Imperio,  e  fecero  schiavi  molti 
Turchi.  Miman  Passa  vedendo  che  le  tre  lettere,  che  il  Governa- 
tore gì'  haveva  spedito  in  risposta  di  quelle,  che  lui  haveva  scritto 
per  avertirlo  di  non  ricevere  li  ribelli  sopra  le  Terre  della  Repu- 
blica,  vedendo,  che  le  tre  lettere  non  contenevano  niente,  e  che 
V  ultima  di  queste  che  gli  è  stata  portata  da  un  certo  Giovanni 
Primo  Dragomano  di  quel  Governatore  non  vi  era  niente  di  posi- 
tivo, Miman  Passa  fece  convocare  un'Assemblea  in  sua  presenza, 
in  quella  di  Cherif  Emet  EfTen  Cadì  dell'Armata,  ove  si  ritrovorono 
presenti  tutti  li  Baiglet,  Bei,  Assechi,  Asaen,  Ago  Comandante  de 
Gianizzari  tutti  Zaims  Effimere  della  Bos^ina,  tutti  li  Capitani,  et 
antichi  Abitanti  de' Confini.  Questo  Visire  in  presenza  del  Drago- 
mano disse;  Le  Truppe  Ottomane  essendo  andate  per  Ordine  della 
Porta  contro  i  Montenegrini  che  s'erano  ribellati  contro  di  el'a. 
Quei  Ribelli  si  ritirorono  all'estremità  della  frontiera  Ottomana  co- 
pra d'un  luoco  pieno  di  grebbano,  e  di  Grotte,  luoco  che  non  è 
lontano  da  Cattaro  Fortezza  della  Republica  di  Venetia,  che  è  un' 
hora  di  camino  per  un'huomo  a  cavallo  e  di  un' e  mezza  per  uno 
a  piedi,  che  fu  in  quel  luoco,  che  1'  Armata  Turchesca  disfece  li 
Ribelli  doppo  sett'hore  di  combattimento,  che  quelli  fra  di  loro,  che 
erano  fugiti  si  ritirarono  a  Cattaro  e  nelle  altre  Fortezze  Venetiane, 
che  furono  ricevuti,  e  nascosti,  e  che  erano  stati  spediti  li  più  con- 
siderabili sopra  de  Vascelli  della  Republica,  e  che  questo  era  un 
fatto  di  nottorietà  publica.  Il  Dragomano  essendo  stato  interrogato 
rispose  per  Ordine  del  Bassa,  che  non  era  sopra  il  luogo  quando 
tutto  questo  è  arrivato,  ma  il  nostro  Governatore  ha  saputo  che 
qualcheduno  delle  nostre  genti  cattive,  havevano  ricevuti  qualche- 


—  86  — 

duno  di  quelli  Ribelli,  e  licoverati,  doppo  di  che  fu  esteso  un  atto 
in  presenza  di  tutti  li  Turchi  della  Fortezza,  e  Miman  Passa,  e 
tutti  gl'altri  hanno  saputo  questo  affare  in  dettaglio. 

L' Atto  esteso  dal  Cadì,  il  Processo  Verbale,  lettere  et  altre 
Carte  estese  dalli  Comandanti  della  Frontiera  di  Bossina,  Capitani, 
Ala,  Bei,  et  altri  antichi,   sono  state  spedite  alla  Porta. 

Si  sarebbero  puniti  tutti  li  Ribelli,  ma  come  si  sono  rirTugiati 
in  casa  de  Venetiani,  che  gì'  hanno  ricevuti,  e  che  non  s' è  voluto 
intraprendere  alcuna  cosa  contro  li  Trattatti  di  Pace,  restò  impe- 
dito alle  Truppe  Ottomane  di  perseguitarli.  Gl'atti  estesi  per  la 
milizia  in  presenza  di  Miman  Passa  e  degl'altri  Be.her  Bei  pro- 
vengono, che  li  Venetiani  non  hanno  osservati  li  Trattatti  di  Pace, 
ai  quali  hanno  contravenuto  nel  ricevere  li  Ribelli,  che  sono  rico- 
verati in  casa  loro. 

Padova,  Bibl.   Un.  Ms.  2223. 


s; 


II 


ANDREA  MEMMO 


LETTERA  XXIV. 


Ser.™°   Principe^ 

L'  acclusa  è  la  relatione  dell' Audienza  avuta  nel  scritto  Venerdì  primo  del 
corrente  de  questo  Sig.  Residente  Cesareo  ;  Viene  essa  dalla  persona,  che  mi 
communicò  l'altra  di  Novembre,  e  come  che  un  solo,  fuori,  che  il  primo  Vi- 
sir, il  Chiaià,  ed  il  Rey  Effendi  non  può  essere  conscio,  così  perchè  non  cada 
in  una  prodittione,  che  sarebbe  ignominiosa  supplico  umilmente  la  Ser.à  Vo- 
stra difenderla  dalla  lubricità  di  qualcheduno,  e  da  ogni  pericolo  che  certe 
particolarità  potessero  esser  risapute  qui,  o  altrove.  Il  Signor  Residente  ne  fa 
un  Mistero  e  non  se  n'è  spiegato  con  chi  si  sia.  Ad  un  mio  Viglietto  non  m'ha 
fatto  rispondere,  che  in  voce  queste  sole  parole.  Che  per  me  le  cose  vanno 
assai  bene,  ma  per  lui  assai  male.  Dimani  si  attende  la  risolutone  ultima  della 
Corte  sopra  ciò,  che  deve  esser  di  me,  e  di  tutti  quelli  che  qui  sono  meco. 
Anticipo  per  ciò  questa  breve  umilissima  lettera,  e  perchè  nel  caso  non  mi 
si  togliesse  ogni  immaginabile  modo  di  communicare  al  di  fuori,  sia  la  Sere- 
nità Vostra  persuasa,  che  io  posso  ben  cercar  di  vincere  gì'  intoppi  ma  che 
la  necessità  è  insuperabile,  e  mi  sarà  forza  di  ubbidirla.  In  gratia  del  Sig.  Am- 
basciator  di  Francia  ho  segnato  per  la  Serenità  Vostra  un  Foglio,  di  cui  mi 
convien  chiederle  perdono,  essendomivi  lasciato  assai  mal  volentieri  condurre 
dalli  riguardi  del  mio  stato  presente,  e  conoscendo  per  altro  quanto  male  mi 
convenisse  a  me  per  tali  ufficii.  Per  espeditione  espressa  averà  la  presente  in 
mancanza  di  ogni  altra  la  via  di  Ragusi.  Gratie. 

Topana  7  marzo  1714. 

Andrea  Memo-Batlo. 


Copia  di  contenuto  in    Viglietto  scritlo  a  S.  E.   Bailo  da  Confidente. 

Il  Sig.  Residente  Cesareo  quando  si  presentò  al  Supremo  Visir,  li  rap- 
presentò, che  per  commando  espresso  del  suo  Sovrano  era  tenuto  significarli, 
come  la  Republica  Veneta  avea  fatto  riccorso  alla  Maestà  dell'  Imperator  con 
supplicarlo  volesse  impiegare  li  suoi  ufficii,  ed  interporsi  come  mediatore  ap- 
presso la  Fuglida  Porta,  che  già  gli  ha  dichiarata  la  Guerra,  trovandosi  S.  M.  C. 
confederato  con  li  SS.  Venitiani  era  in  debito  d'assisterli,  e  diffen  ierli  da  chi 
li  volesse  ostilmente  attaccare,  e  perciò  bramerebbe  interporsi  volentieri,  e 
farsi  mediatore  per  oviare  l'effusione  del  sangue  innocente,  ed  impedire  i 
danni  e  rovine,  che  seco  porta  la  Guerra.  A  tal  fine  averebbe  anco  molto  a 
caro  sapere  li  motivi  dati  dalli  Signori  Venetiani  alla  Fuglida  Porta  per  obli- 
garla  a  questa  dicchiaratione.  Appena  il  signor  Residente  profferì  queste  pa- 
role, il  supremo  Visir,  che  già  avea  premeditato  quello  doveva  rispondere, 
essendo  stato  precisamente  avisato  di  quanto  li  doveva  esponere  il  Signor 
Residente,  con  grande  alteriggia  rispose:  Non  esser  necessario,  che  S.  M.  Im- 
periale intraprenda  alcuna  mediatione  appresso  la  Porta,  ma  che  passi  simili 
ufficii  con  li  Signori  Venetiani,  procurando  persuaderli  a  restituire  la  Morea, 
come  Provincia  appartenente  a  questo  Impero,  e  da  essi  furtivamente  sorpresa 
e  quando  si  disponeranno  a  tal  restitutione,  allora  la  Fuglida  Porta  soprase- 
derebbe dalle  sue  risolutioni  ;  ne  procederebbe  con  violenze  ostili  e  farle  ve- 
run  danno.  Benché  essi  abbino  comminciato  a  praticar  dell'ostilità  nel  Domi- 
nio M<  nsulmano.  Quando  poi  non  vorranno  a  ciò  piegarsi,  la  Fuglida  Porta 
avrà  forze  bastanti  per  ripigliarla  dalle  loro  mani.  In  quanto  poi  chela  Mae- 
stà dell'Imperatore  voglia  assisterli,  ed  aiutarli,  egli  non  ha  avuto  alcun  mo- 
tivo dalla  parte  nostra,  perchè  noi  sempre  abbiamo  procurato  di  conservare 
riligiosamente  la  Pace,  e  tutte  le  conventioni  tra  di  noi  stabilite,  e  s'ha  aleanza 
con  i  Venetiani,  questo  non  deve  pregiudicare  alla  nostra  Pace,  mentre  noi 
non  diamo  occasione  di  violarla.  Che  però,  se  contravenirà  alle  capitolationi, 
che  ha  con  la  Fuglida  Porta,  egli  renderà  conto  a  Dio  di  simil  violatione,  e 
quando  S.  M.  Cesarea  vorrà  realmente  assistere  alli  Venetiani,  e  darli  aiuto, 
dovrà  prima  significarcelo,  acciò  la  Fuglida  Porta  possa  prender  le  opportune 
misure,  che  in  virtù  della  loro  santa  Legge  si  diffenderanno  non  fondando  le 
loro  speranze  ne  sul  numero  grande  dei  loro  Eserciti,  ne  sull'  immensità  dei 
Tesori,  ne  sovra  altre  circostanze  che  possono  esserle  favorevoli,  ma  su  la  Giu- 
stizia, ed  assistenza  Divina,  che  severamente  punisce  i  violatori  della  Pace, 
e  dona  le  vittorie  a  chi  fedelmente  la  conserva.  Sopra  questo  particolare  pro- 
dusse molti  esempi  con  i  quali  si  sforzò  di  mostrare  come  Dio  abbia  castigato 
quelli  che  hanno  violato  la  Pace.  Tutto  questo  espresse  il  Visir  con  una  ener- 
gia mirabile   mostrando  però  una  total  rassegnatone  al  voler  Divino. 


-  89  - 

Il  Sig.  Residente  poi  con  maniera  dolce,  e  parole  piuttosto  sommesse  non 
s'estese  in  altro  che  in  repplicar  di  nuovo  che  S.  M.  Cesarea  abbraccierà  vo- 
lentieri la  mediatione  per  rinovare  la  Pace  con  li  S.S.  Venetiani  e  per  ov- 
viare a  tanti  mali  che  possono  succedere  e  che  il  Visir  non  volle  prestar  più 
orecchie,  anzi  con  maniera  imperiosa  ricercò  il  Sig.  Residente,  che  li  signi- 
ficasse l'intentione  del  suo  Sovrano  s'era  di  soccorrer  veramente  li  S.S.  Vene- 
tiani. A  questo  egli  rispose,  non  aver  avuto  altro  ordine,  che  di  rappresentare 
quanto  già  aveva  esposto,  non  potendo  egli  sapere  le  intentioni  del  suo  So- 
vrano. Alla  fine,  doppo  che  il  Visir  fece  un  lungo  discorso,  dimostrò,  che  la 
Torta  non  brama  altro  se  non  sapere  l'intentione  dell'Imperatore,  sigillando  il 
discorso  con  queste  precise  parole.  Cioè:  lo  bramo  sapere  questo  da  Voi,  per- 
chè il  mìo  potentissimo  Imperatore  e  Patrone  saprà  cosa  avere  a  fare  e  con 
1'  Imperatore  e  con  voi  con  questa  espressione  fece  il  Visir  perdere  al  Resi- 
dente quel  poco  di  coraggio,  che  li  restava.  Doppo  questo  discorso  passarono 
a  discorrer  sopra  il  passaggio,  et  arrivo  del  Re  di  Svezia  in  Pomerania,  nel 
che  mostrò,  che  la  Porta  fa  gran  capitale  sopra  S.  M.  Svedese,  sperando  che 
susciterà  nuove  guerre  in  Pomerania,  de  gran  disturbi  all'Imperio,  che  potranno 
causare  grandi  inquietezze  allo  stesso  Imperatore;  soggiungendo  che  il  Re  di 
Francia,  oltre  di  due  millioni  di  lire  già  mandateli,  somministrerà  somme  mag- 
giori. Questo  li  viene  suggerito  da  Francesi  e  d'altri,  che  vorrebbero  veder 
impiegato  in  queste  parti  e  incoragiscono  i  Turchi,  rassegnandoli  che  l'Impe- 
ratore scarseggia  molto  di  denaro  e  d'  altre  cose  necessarie,  e  che  averà  de'di- 
sturbi  nell'  Imperio,  che  non  lascieranno  d'applicare  con  tutte  le  sue  forze  a 
questa  parte.  Queste  cose  sono  commanicate  al  Rey  Effendi,  che  poi  le  riffe  - 
sce  al  Supremo  Visir. 


LETTERA  XXV. 


Ser.™°  Principe, 

Nel  scorso  mese  di  Marzo  fui  con  stranissima  improvisa  risolutione  ra- 
pito dalla  casa  del  Topanà  ove  ero  custodito,  condotto  sopra  la  Nave  prigione, 
ed  indi  a  guisa  di  suddito  miserabile,  e  contumace  rinchiuso  in  un  orribile 
carcere  di  questo  Castello.  Meco  v'han  tratto  il  Raggionato,  il  Giovin  di  lingua 
Alberti,  e  tre  servi,  condotto  il  Secretano,  il  Carli,  e  tutti  gli  altri  al  N.  di  42  : 
nelle  Sette  Torri.  La  voce  sparsa  qualche  giorno  avanti  che  costì  siano  stati 
fermati  i  mercanti  Turchi,  trucidati  quelli,  eh'  erano  in  Narente,  ed  ucciso 
l'Emino  in  Zara,  ha  servito  di  pretesto  alla  violenza,  ma  qual'  oggetto  abbia 
persuasa  così  odiosa  separatione,  non  saprei  dirlo,  se  non  fosse  per  toglier  me 
da  ogni  commercio,  ed  isfogare  1*  intensissimo  odio  contro  Vostra  Serenila, 
sopra  la  mia  persona  che  in  Costantinopoli  sarebbe  in  certa    maniera    diffesa 


-   9o  - 

dall'onestà  pubblica,  dalla  presenza  de'  Ministri  delle  Corone,  e  dalli  riguardi 
della  Religione,  che  vieta  espressamente  inferocire,  contro  gli  Ambasciatori.  Il 
trattamento  che  mi  si  fa  è  inumano,  e  l'alloggio  è  tale,  che  per  se  medesimo 
con  il  progresso  può  tutti  perderci.  La  luce  v'  entra  per  una  assai  piccola  fi- 
nestra per  cui  ci  si  passa  anco  il  cibo,  ma  da  quella  il  Ciel  non  si  scorge, 
essendovi  all'  incontro  il  Maschio  della  Fortezza  per  il  quale  discende  a  noi 
un  aere  grave  e  pericoloso,  e  il  terreno  e  così  umido,  fangoso,  ed  infetto  che 
per  P  esalationi  che  n'  escono,  le  gambe  ornai  mi  si  gonfiano,  e  mi  convien 
tollerare  una  poco  men  che  continua  vigilia,  e  gravissimi  dolori  di  capo.  In 
Costantinopoli,  mentre  chiesi  di  aver  meco  il  Capellano,  ed  il  Medico,  mi  si 
rispose  aspramente  ;  e  qui  avendoli  chiesti  due  volte  mi  s'è  risposto  con  de- 
risione, che  questo  è  un  luogo  venerabile  e  santo  posto  al  disotto  d'una  Mo- 
schea, che  vi  sono  dimorati  sempre  dei  Monsulmani,  e  che  senz'  altro  vi  po- 
tevano ben  stare  degl'Infedeli.  Il  di  più  che  si  pratica  meco  non  occorre  nar- 
rarlo, per  non  contaminare  la  pietà  pubblica.  Dio  voglia  che  a  chi  è  nelle 
Sette  Torri  s'usino  migliori  maniere,  ma  non  so  persuadermelo.  Eccettuati  al- 
cuni della  Corte  bassa,  che  miseramente  strillarono,  tutti  hanno  incontrato  il 
presente  travaglio  con  costanza,  e  Vostra  Serenità,  può  assicurarsi,  che  per 
niuno  s'  è  dato  alcun  Testimonio  di  viltà  e  di  debolezza.  Il  secretano  partico- 
larmente, così  fiacco  come  egli  è  di  salute  m'  ha  lasciato  partir  contento  ed 
all'estremo  edificato  dell'imperturbabilità  sua,  e  della  franchezza  di  spirito,  con 
che  s'è  posto  ad  incoraggire  gli  altri,  e  prometter  loro  la  sua  assistenza.  Dio 
Signore  l'assista.  Egli  è  in  luogo  che  (quando  possi)  renderà  più  buon  ser- 
vizio a  Vostra  Serenità  ;  che  qui  a  me  (lontano  dalla  città  e  da  qualunque 
commercio,  con  un  solo  vilissimo  Gianizzero,  che  al  più  può  portar  qualche 
lettera  al  Console    di  Francia)  è  intieramente  interdetto. 

Li  gioverà  anco  molto  aver  seco  il  quanto  si  possa  mai  dire  in  questa 
occasione  benemerito  Dragoman  Carli,  che  sempre  è  d'  un  grande  aiuto,  e 
conforto  \interrotlo  nell'originale]  parlare,  e  questo  ancora  a  me  è  negato.  Per 
le  pubbliche  occorenze,  e  per  il  mantenimento  di  tanta  gente,  l'ho  fatto  nu- 
merare 7500:  Reali,  piccola  somma  al  grave  suo  impegno,  ma  quale  io  ho 
potuto  esborsare.  M'ha  giovato  pochi  giorni  avanti  la  scossione  di  6700  :  Reali, 
che  per  altro  non  averei  saputo  come  soccorrerlo.  Ma  chi  poteva  figurarsi  una 
così  subita  e  fatale  separatione.  Ho  anco  lasciato  addietro  ad  uso  loro  tutti 
gli  utensili  della  Camera,  della  Cucina,  e  due  teppetti  con  li  vestiti  per  la 
persona,  tutto  il  restante  delle  cose  mie,  la  biancheria,  le  livree,  e  (toltine  i 
fornimenti  delle  stanze  che  suppono  capitati  costà  con  li  due  Santi)  tutti  i  miei 
mobili  restarono  alla  discretione  dei  Turchi.  Ma  e  della  mia  robba  e  dei  pre- 
senti travagli  e  della  vita  medesima  faccio  con  pronto,  e  posso  dire  anco  con 
lieto  animo  un'offerta  volontaria  a  Dio  Signore  pregandolo  a  riccogliere  verso 
la  Ser.ma  Repubblica,  gli  occhi  suoi  misericordiosissimi,  e  non  imputare  a  lei, 
se  della  Gratin,  per  cui  ha  voluto  a  giorni  nostri   donarle  un  fortissimo  Regno, 


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qualche  Cittadino,  come  pur  troppo  ho  udito  più  volte  ad  esagerare  in  Ve- 
netia,  nel  camino,  ed  in  Costantinopoli  aveva  fatto  mal'uso.  La  squadra  delle 
navi,  che  qui  m'ha  condotto  è  passata  subito  a  Negroponte.  A  quindici  del 
presente  è  qui  con  altre  9,  giunto  il  Capitan  Bassa,  che  lascia  indietro  la 
Bastarda, "e  deve  formarsi  sopra  le  navi  ne  me  egli  è  sufficientemente  fornito, 
con  la  Reale  se  ne  attendono  allora  dieci,  ma  tarderanno  a  comparire  per  la 
mancanza  medesima,  da  cui  proviene,  che  il  disegno  d'uscire  in  marzo,  ed 
armare  le  12  mercantili  sia  da  se  stesso  perito  così  che  non  comprese  l'ausi- 
liarie barbaresche,  l'Armata  consisterà  in  trenta  sei  navi.  Per  le  Galere,  tre 
ne  sono  ieri  uscite,  e  due  ne  capitarano  da  Costantinopoli.  11  restante  numero 
voleva  armarsi  di  Galeotte,  e  di  Ganzabassi,  ha  dovuto  restringersi  a  qualche 
cosa  di  meno,  che  non  è  quello  delle  navi,  e  quando  si  verificasse  ciò  che 
sento  a  mormorare  a  bassa  voce  tra  li  Gianiizeri  di  mia  Guardia,  che  il  so- 
lito morbo  della  natione  cominciasse  a  far  gran  stragge  nella  squadra  partita 
per  Negroponte,  si  potrebbe  sperare  che  le  Forze  del  mare  non  fossero  per 
quest'anno  così  terribili  come  costoro  aveano  pensato,  che  dovessero  essere. 
Dell'  esercito  di  terra  nulla  posso  asserire. 

Mi  si  dice  di  già  partito  il  Visir  per  Larissa,  il  numero  sì  fa  immenso 
e  certamente  le  dispositioni  erano  tali,  che  non  posso  credere  diversamente. 
Nel  giorno  medesimo,  anzi  nello  stesso  momento  in  che  levato  dal  Topanà 
ricevei  le  Riverite  Ducali  di  Vostr.  Ser.tà  segnate  in  data  di  Genaro. 

11  tempo  non  ha  servito,  che  ne  rilevi  l'intiero  del  contenuto  ;  ma  aven- 
domi detto  all'orecchio  il  Sig.  Segretario  di  aver  in  esse  letto  qualche  termine 
della  publica  generosità  per  la  mia  persona,  devo  renderne  alla  Ser.tà  Vostra 
infinite  ed  umilissime  gratie.  Anco  questa  consolatione  dovrà  mancarmi  nel- 
l' avvenire.  Con  tutto  che  dovessi  continuare  questa  mia  priggionia  e  che 
non  si  trovasse  disdicevole  il  servirsi  della  zifra,  con  che  mi  prendo  1'  ardire 
di  scrivere  la  presente  e  si  volesse  dare  questo  conforto  ad  un  umilissimo 
cittadino,  oserei  supplicare  la  Ser.tà  Vostra  a  tentare,  che  me  ne  pervenisse  al- 
cuno per  la  via  di  questo  Console  di  Francia,  se  sono  quasi  che  morto,  e  se- 
polto a  tutto  il  restante  del  mondo,  non  m'abbia  a  parere  d'esserlo  nella  me- 
moria e  nella  benegnità  dell'Ecc."10  Senato.  Gralie. 

Dalle  Priggioni  del  Castello  dì  Abido 
li  28:  Aprile  17 15. 

Andrea  Memo  Bailo. 


(CW.  Marc.  2133,  ci.  VII,  It.) 


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Lettera  scritta  ali* Ecc. mo  Senato  nella  quale  riferisce    la    sua    tibe- 
ratione  dalla  Prigione  delti  Castelli  di  Abido. 


Serenissimo  Principe  : 

Solo  da  quest'  aque,  ed  in  questo  momento  doppo  la  mia  deliberazione 
dal  terribile  carcere,  in  cui  per  4  mesi  sono  stato  chiuso,  posso  render  conto 
a  V.ra  Ser.tà  ,  e  lo  faccio  senza  comemorare  li  gravi  disaggi  in  esso  costante- 
mente per  la  grazia  di  Dio  sofferti,  per  non  ripetere  alla  pietà  dell'  Kcc  mo 
Senato  una  materia  troppo  miserabile  per  se  stessa,  ma  per  me  sommamente 
onorifica.  Ne  meno  questo  Sig.  Secretario  Franceschi  prima  di  staccarsi  da 
Costantinopoli  ebbe  il  modo  da  supplire  ad  un  tale  debito  in  difetto  di  pronta 
espedizione  ed  in  necessità  d'  accellerare  a  tutto  studio  la  mossa.  Così  consi- 
gliavano veramente  non  in  lui  la  stanchezza,  o  il  timore  de  pericoli  tante  volte 
minacciatili,  ma  le  popolari  declamationi,  che  disaprovano  apertamente  tale 
rissolutione  del  Governo,  e  che  allora  furiosamente  si  facevano  contro  Vene- 
tiani  creduti  autori  dell'incendio  pochi  giorni  succeduto,  da  cui  senza  esage- 
rar punto,  anzi  con  diminuire  qualche  cosa  del  vero,  era  rimasta  arsa  una 
quinta  parte  di  quella  vasta  Città.  Accresceva  queste  disseminazioni  la  voce 
sparsa,  che  fossero  stati  ritrovati  gli  strumenti  per  attaccare  l'incendio,  e  preso 
un  Ebreo  Veneziano  rinegato,  il  quale  lontano  da  purgarsi  dell'imputazione, 
se  ne  fosse  confessato  reo,  publicando  d'aver  seco  quaranta  compagni,  e  tutti 
Veneziani,  rissoluti  a  qualunque  rischio  di  abbruggiare  il  restante.  In  una  città 
qual  è  quella  poteva  una  tal  fissassione  esservi  fatale.  Ma  fu  buona  sorte,  che 
il  Caimecan  Vecchio  lo  Caia  della  Regina  Madre  non  mal  affetto  alla  Na- 
tione,  e  che  ha  in  sé  il  merito  d'  essersi  egli  opposto  a'  tentativi  promossi 
nella  guerra  passata,  perchè  le  fabriche  de  damaschetti  di  cotesta  Dominante 
fossero  bandite,  non  curasse  le  voci  del  volgo  :  con  tutto  ciò  ogni  dilatione 
poteva  riuscir  assai  pericolosa,  e  fu  molto  ben  fatto  togliere  qualche  motti vo 
a  quest'  oggetto  il  Sig.»'  Amb.r  di  Francia,  che  in  ogni  altro  incontro  s'  era 
dimostrato  partialissimo  verso  gli  interessi  di  V.ra  Ser.tà,  et  amicissimo  di  mia 
persona  operò  in  maniera,  che  il  giorno  immeliate  susseguente  all'arrivo 
delle  Reggie  commissioni  di  rimandarmi  alla  Patria  il  che  fu  li  5  del  sca" 
duto,  da  esso  subito  participatomi  per  Caichio  espresso  col  unito  Biglietto, 
fossero  per  un  Agà  destinato  dal  Caimecan  predetto  notificare  al  Disdar  delle 
7  Torri,  ed  intimare  a  Retenti.  Con  la  stessa  mira  procurò,  et  ottene,  che  il 
giorno  doppo  in  cui  mi  spedì  altro  Caichio  espresso  sotto  la  scorta  dell'Agà 
Medemo.  Li  Sig.ri  Secretario,  e  Dragoman  venissero  rilasciati  col  Mastro  di  Casa, 
e  condotti   al  suo  Palazzo,  dove  godute  le  dimostrationi  più  generose  poterono 


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in  tre  soli  giorni  con  la  di  lui  assistenza  autorevole  stabilire  il  nolligio  di  Vascello 
di  quella  natione  nominato  la  Francia,  vederlo  di  tutto  punto  allistito,  e  far  sup- 
plire alle  provisioni  necessarie  al  viaggio  per  la  numerosa  famiglia.  Sul  quarto 
giorno,  che  fu  li  li  spirato  restituitisi  questi  di  buon  mattino  alle  7  torri, 
e  consumato  poche  ore  nell'imbarco,  ricolmi  di  tali  favori  dell'  E.  S.  si  pos- 
sero  alla  velia  il  dopo  pranzo  con  tutta  la  corte,  e  col  beneficio  delle  Tra- 
montane pervenero  nel  giorno  adietro  a  Castelli  verso  il  tramontar  del  sole* 
L'ora  veramente  avanzata  non  assentì,  eh'  io  fossi  tratto  dalla  prigione,  se  non 
la  mattina  susseguente,  in  cui  miseramente  ricondotto  avanti  il  Tribunal  for- 
mato dal  Cadì,  Disdar  Chiaus  e  principali  del  luogo  per  essere  riconosciuto 
alla  presenza  dell'Agà  capitano  con  comandamento  fui  al  fine  dopo  varj  e 
non  brevi  formalità  licenziato,  avendomi  permesso  d'alloggiare  in  Casa  di  quel 
Console  di  Francia,  che  per  tutto  il  corso  di  mia  priggionia  m'  assistè  vera- 
mente quanto  era  possibile  con  maravigliosa  desterità,  et  affessione,  et  con  suo 
grande  rischio.  Mi  trattene  tutto  quel  giorno,  pensando  di  partire,  come  feci 
nel  susseguente.  Ma  perchè  avessi  a  provare  anche  negl'  ultimi  momenti  le 
maggiori  stravaganze  dove  vedermi  ciò  contrastato  da  curiosa  pretesa  del  Di- 
sdar e  Chiaus,  che  dovessi  trattenermi  costì  almeno  per  tre  giorni  sopra  le 
considerationi,  che  io  ero  Ambasciatore  d'un  Prencipe  inimico,  e  che  il  Gran 
Signore,  ed  il  primo  Visir  potevano  pentirsi  di  rilasciarmi,  e  che  ordini  di 
tal  peso  dovevano  eseguirsi  con  matturità,  e  lasciar  luogo  a'  suoi  Sig."  di  com- 
mandare, quando  così  lor  piacesse  diversamente.  Avallorava  questa  difficoltà, 
un  vantaggio  marcantilmente  sopra  la  nave  comparsa  senza  il  Firmano  con- 
sueto sul  suposto  forse,  che  in  tale  estraordinario  caso  fosse  superfluo,  onde 
ebbi  necessità  di  por  la  cosa  in  negozio.  Rimasto  io  pienamente  sodisfatto 
della  modestia,  attività,  e  destre  maniere,  con  cui  nell'  occorenze  tutte  della 
mia  prigionia  ha  ottimamente  adempiute  le  parti  del  proprio  officio  il  gio- 
vine di  lingua  Alberti  1'  unico  lasciato  meco,  e  che  s'  era  parimente  reso  ac- 
cettissimo al  Disdar,  et  al  Chiaus.  Di  mia  guardia,  credutone  impiegarlo  anche 
in  quest'  occasione  sopra  la  confidenza,  che  fosse  per  riuscirmi  felicemente,  et 
aggiunse  al  distintissimo,  che  s'è  aquistato  in  tutto  l'infelice  corso  di  quel 
soggiorno  un  nuovo  merito  e  si  facesse  sempre  più  degno  della  publica  ge- 
nerosa munificenza.  Feci  dunque  che  loro  considerasse  1'  inutilità  d'  uu  com- 
mandamento particolare  per  la  nave,  quando  nell'  altro  appariva  sì  chiara  la 
intentione  del  Gran  Signore  per  il  mio  rilascio,  et  allontanamento,  con  che 
poi  insinuatosi  dolcemente  ne  loro  animi,  rimasero  persuasi  doppo  essersi  in 
certa  maniera  doluti  delle  maniere,  che  avevo  ad  essi  fatte  di  prender  nuovo 
consiglio  con  vedere  a  prezzo  moderato  le  loro  opposizioni  svilupatemi  con 
tal  mezzo  sciolsi  da  Castelli  li  14  spirato  principiando  in  quel  momento  solo 
sebbene  non  per  intero  ad  assagiar  la  libertà  il  di  cui  auttore,  m'  è  tuttavia 
ignoto.  Molti  lo  vogliono  nella  persona  del  Capitan  Bassa  da  me  con  tutti  li 
mezzi   possibili,  con  quele  massime  di  maggiore  efficacia  appresso    natione   si 


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avida  coltivato  con  tutti  i  riguardi.  Veramente  nel  fratempo,  che  io  mi  trat- 
teni  sopra  1'  armata,  ricevei  da  esso  molte  proteste  d'amicizia  con  considera- 
tane che  prescindendo,  che  in  lui  era  stato  sempre  grandissimo  il  desiderio 
della  guerra,  e  di  ricuperar  la  Morea,  non  aveva  trovato  natione  più  onesta 
de  Veneziani,  espressioni  uniformi  che  molte  asseveranze  fattemi  anco  in 
avanti  tenere  della  sua  piena  propensione  per  mezzo  del  Sig.r  Dragomano 
Carli  e  del  giovine  di  lingua  Brutti.  Nulla  però  mi  fu  detto  in  suo  nome, 
sin'  a  che  egli  si  trattene  a  Castelli,  mentre  se  ben  procurò  che  meco  s'  ab- 
boccasse il  suo  Chiaus,  non  volle  in  modo  alcuno  acconsentirlo  il  Chiaus,  solo 
doppo  partito  mi  fece  sapere  dal  Console  di  Francia,  che  egli  per  interposta 
persona  l'aveva  incaricato  di  farmi  penetrare  se  mai  n'avessi  il  modo.  Che  io 
pregassi  il  Signore  Iddio  di  vero  cuore  di  non  esser  tolto  da  quelle  carceri. 
Consolatione  somigliante  alle  tante  altre  de  quali  furono  ripieni  li  5  mesi 
della  mia  prigionia,  e  di  tutti  quelli  alle  7  Torri,  a  quali  altro  non  si  parlava 
sopra  il  loro  destino,  che  de  Palli,  e  di  lacci,  e  simili  oribili  generi  di  morti. 
Se  ne  da  anche  gran  merito  il  S:g.r  Ambasciator  di  Francia,  e  lo  autentica 
con  l'anessa  lettera  a  cui  V.ra  Ser.tà  è  supplicata  a  riflettere  per  le  considera- 
zioni, che  m'onorerò  far  in  progresso,  da  lui  scritta  in  Parigi  il  giorno  primo 
di  Giugno  vale  a  dire  in  tempo  innocente.  Certa  cosa  è  che  egli  se  bene  siano 
stati  rigettati  li  Uffizij  fatti  alla  Corte  dal  Bruè  di  lui  Dragomano,  che  seguita 
il  Campo,  s'è  però  sempre  adoperato  con  parcialissimo  amore,  e  se  li  deve  da  se 
medesimo  molto  di  riconoscenza.  Resta  a  credere,  che  il  primo  Visir  vi  si  sia  di- 
sposto per  qualche  occulta  caggione,  avendo  molte  volte  grandissima  forza  per 
muover  li  Turchi,  un  semplice  segno,  una  superstizione,  e  un  augurio,  o  che  ve- 
ramente tale  sia  stata  sempre  la  sua  intenzione,  ne  l'habbia  prima  esseguita, 
che  giungessero  gl'Arsiz  e  Cozetti  espressi  nel  Firmano,  che  includo.  Per  me 
certa  cosa  è  che  non  vi  ho  contribuito  punto,  se  bene  era  interesse  di  mia 
preservazione,  non  l'ho  creduto,  che  lo  fosse  di  mio  dovere,  e  di  Publica  uti- 
liià,  che  vi  contribuissi  :  mentre  ero  in  sequèstro  al  Topanè,  tutti  li  studj  fu- 
rono d'esser  rimessi  in  Bajlaggio,  e  ne  scrissi  alla  Ser.tà  V.ra  ,  in  che  non 
essendo  riuscito,  cambiai  1'  intention  mia,  per  che  mi  fosse  permesso  trovarmi 
una  in  Galata,  come  nella  guerra  fatta  da  Sultan  Selin  fu  praticato  col 
Bajlo  Barbaro,  e  nel  1638  col  Bailo  Contarini.  Aveva  il  Sig.r  Ambasciador 
di  Francia  drizzata  una  memoria  d'  esse  ragioni,  che  dovevano  persuader  il 
primo  Visir  a  rimandarmi,  e  prima  di  farla  vedere  me  la  communicò,  ma  so- 
pra le  mie  istanze  s'  astenne  poscia  di  presentarle,  contento,  che  io  con  Bi- 
glietto lo  pregassi  a  non  inoltrarsi  a  ciò  per  mottivo  che  non  gli  spiegauo 
all'ora,  ma  che  V.  E.  averebbe  trovato  buono,  quando  in  voce  avessi  avuto  il 
piacere  di  communicargeli  :  fattami  poi  due  giorni  avanti,  che  fossi  condotto 
a  Castelli  da  lui  sapere  questa  ressoluzione  della  Corte,  senza  però  la  strana 
particolarità,  che  dovessi  restar  separato  da  miei,  dicendoci  parato  a  favorire 
le  misure,  che  avessi  prese  con  una  frase,  la  quale  con  tutto,  che  non  si  spie- 


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gasse  bene  risuonava  cosa  da  me  giudicata  contraria  all'onor  mio  pregiudiciale 
al  publico  servitio,  e  rovinosa  a  tutti  quelli  del  mio  seguito  ;  Restò  da  me 
persuaso  che  gì'  oflìzij  suoi  avessero  a  cercare  di  divertirmi  questo  disastro,  e 
non  potendolo,  quando  eh'  il  trattamento  fosse,  come  pur  troppo  è  stato  du- 
rissimo mitigarlo.  Allora  fu  sempre  che  io  me  ne  fossi  espresso,  cha  l'È.  S. 
comprese  quasi  per  intiero  gl'argomenti  di  questa  sua  condotta,  che  sin  a  quel 
giorno  gl'era  parsa  estraordinaria,  e  non  si  compiaque  non  solamente  appro- 
varla, ma  ornandomi  con  laudi,  eh'  io  veramente  non  merito,  mi  permisse  di 
tenersi  per  sin  a  tanto,  che  gli  dissi,  per  usar  i  suoi  termini  nuove  istruzioni 
sul  piede,  in  cui  l'avevo  posto.  Per  questo  come  V.ra  Ser.tà  dalla  sua  lettera 
scritta  in  Francia,  si  è  egli  restato  a  chiedere  per  me  qualche  libertà,  ma- 
niere migliori. 

In  difetto  di  publiche  commissioni  mi  son  condotto  Ser.mo  Principe  in 
questa  guisa  perche  la  maggior  parte  degli  huomini  non  si  lasciano  muovere 
dalla  gratitudine  non  dalla  Religione,  non  dal  timor  de  travagli  lontani,  ma 
dal  sospetto  de  pericoli  vicini,  o  dall'interesse  presente.  Una  esata,  e  non  pas- 
segera  osservatione  sopra  tutte  le  guerre  fatte  per  Taddietro  da  Turchi  mi  ha 
convinto  di  questa  verità,  che  i  Principi  Christiani  per  non  dire  d'  alcuno  in 
particolare  non  si  sono  mai  date  in  alcun  tempo  un  forte  movimento  per  agiu- 
tare  V.ra  Ser.tà  a  sostenere  il  gran  peso,  se  non  all'  hora,  che  la  Ser.ma  Re- 
publica  à  avuti  gl'Ambasciatori  suoi  a  portata  di  fare,  o  d'udire  qualche  pro- 
posizione. Tanto  accadde  nella  guerra  eon  Solimano  nel  1535,  tanto  nell'al- 
tra con  Selino  suo  figliuolo  nel  1570,  e  di  tanto  vi  sono  degl'argomenti  non 
oscuri  in  quella  di  Candia,  non  essendo  quella  della  Morea  di  tal  ragione,  che 
sopra  vi  si  abbino  a  verificare  tali  riflessi.  L'osservatione  potrebbe  portarsi  an- 
cora più  oltre,  e  sin  dove  s'avanzano  quei  chiarissimi  huomini,  che  si  lasciano 
la  memoria  de  quei  tempi,  i  quali  rifferiscono  essersi  intepiditi,  e  i  conforti 
e  1'  offerte  altrui  a  misura  che  la  Republica  s' andava  impegnando  generosa- 
mente nella  guerra,  ma  a  me  bastò  accenarli  la  causa,  per  cui  mi  son  fatto 
il  dovere  di  non  procurar  punto  il  mio  ritorno  in  Patria.  Il  che  se  non  à 
servito  all'oggietto  prefissomi,  averà  giovato  almeno  all'  Economia,  a  cui  la 
servitù  di  quasi  50  buoni  servitori,  e  sudditi  di  V.  V.  E.  E.  sarà  stata  di 
pocco  peso,  di  pochissimo,  di  niuno  la  libertà.  Ma  pervenuto  a  Castelli  il  Fir- 
mano ridotta  la  mia  divota  persona,  e  quella  del  Secretano  in  un  infelicissimo 
stato,  riconosciuto  affatto  inutile  al  servitio  di  V.ra  Ser.tà  e  ritrovatomi  senza 
alcun  publico  foglio,  che  in  tutti  li  quattro  mesi  della  mia  cattività  sia  pe- 
netrato o  nelle  7  Torri  o  ne  Castelli,  benché  la  fede  e  1'  industria  de  confi- 
denti non  vi  sia  mancato  e  tutte  le  altre  private,  che  non  anno  tenuto  la  via 
di  Vienna  siano  gionte  a  recarmi  per  questo  motivo  ramarico,  che  consolatione, 
ho  ceduto  alla  forza  de  tempi,  e  se  ho  sollecitato  l'imbarco,  che  mi  volevano 
differire  il  Disdar  e  gli  Ministri  fu  non  per  impatienza,  ma  per  non  ardere 
senza  profitto  nel  fuoco  dì   Costantinopoli,  di  che  dubitò  forse  lo  stesso  Cai- 


-  96  - 

mecan  il  quale  alla  permissione  datta,  aggiunse  privati  consigli,  acciò  nell'es- 
seguirla  non  si  mischiasse  alcun  benché  minimo  indugio,  e  molto  più  per  non 
dar  luogo  che  mi  si  facesse  sopragiungere  il  Secr.»o  Colombo  di  che  avevo 
gran  timore,  come  riferirò  a  suo  tempo. 

Mi  sono  dunque  posto  alla  velia  il  giorno  delli  14  passato  e  con  sommo 
piacere  mi  ho  veduta  tutta  la  mia  gente  che  senza  riservarne  pur  uno  ha  man- 
tenuta ad  onta  di  tante  miserie  illibata  la  Religione,  e  incontaminata  la  Fede 
verso  il  suo  Prencipe,  superate  tutte  le  tentazioni  solite  far  prevaricare  in  quel 
Paese  la  gente  vile,  quando  gì'  avantaggi,  che  se  gli  promettono  s'aggiunga  lo 
stimolo  delle  attuali  calamità.  Ma  il  viaggio  tenuto  sin  a  quest'aque  per  22 
giorni  fu  Ser.mo  Prencipe  molesto  incomparabilmente  più  della  prigionia.  La 
presa  di  Tine  l' inondatione  d'  un  essercito  innumerabile  nella  Morea,  l'occu- 
pation  di  Corinto,  e  di  Napoli  di  Romania  fatta  dagl'  Inimici  in  pochissimi 
giorni,  e  con  un  corso  di  felicità  inenarabile,  che  appena  può  compirsi  1'  an 
reso  luttuoso,  e  pieno  di  lagrime.  Immenso  è  il  numero,  grande  è  la  forza,  e 
maggiore  l'astio,  e  la  risolutione  de  Turchi;  con  tutto  ciò  il  concorso  de  tanti 
accidenti  che  per  15  mesi  continui,  e  prima,  e  doppo  che  si  siano  prese  Je 
armi  sono  avenuti  ha  dell'incredibile,  e  del  sopranaturale,  ne  io  saprei  fissar- 
mene sopra,  e  molto  meno  farne  il  dettaglio  a  V.ra  Ser.tà  non  potendo  l'animo 
a  ripeterlo  tra  se,  non  che  a  nararlo.  Correggerà  però  questa  malvagità  de 
tempi  la  costanza  publica  e  la  Carità  de  cittadini  verso  la  Patria,  e  la  cor- 
reggerà la  virtù,  e  l'esperienza  di  questo  Ecc.m0  Sig.  K.r  Proc.r  Capitan  Ge- 
neral Dolfin  destinato  dalla  Providenza  del  Sig.  Iddio  a  sotenere  il  peso  di 
una  guerra,  di  cui  veramente  la  Ser.tà  V.ra  non  ha  avuta  la  maggiore,  e  la 
più  determinata.  GÌ'  augurij  di  questa  mia  confidenza  sono  fin  qui  felicissimi. 
L'animo  dell'E.  S.  è  intiero,  intiere  sono  le  forze  del  mare  riservate  sempre 
all'onore  delle  publiche  glorie  in  tante,  e  tante  speditioni  non  s'ha  diminuite 
in  n'una  benché  minima  parte  alcun  accidente  della  fortuna.  Li  N.  N.  IL  II. 
che  anno  a  manegiarli  attendono  impatiente  il  momento,  benché  vicino  d'es- 
ser condotti  al  cimento,  et  a  meraviglia  anno  preso  dall'Egregio  lor  Condut- 
tiere  l'armi  per  altro  difficilissime  di  non  lasciarsi  punto  vincere  dalle  disa- 
venture  qui  certamente  non  mancano,  e  non  mancheranno  dell'  opera  loro  i 
suoi  cittadini  alla  Patria,  e  la  Patria  a  se  medesima  e  Dio  alla  sua  Causa. 
Partirà  l'armata,  e  suplito,  che  sia  all'occorrenze  viaggio  lo  proseguirò  sino  a 
Corfù,  e  colà  attenderò  la  publica  commissione  di  ripatriare,  non  credendo 
che  mi  si  convenga  di  presentarmi  a  V.ra  Ser.tà  prima  che  l'Ecc.mo  Sen.°  me 
lo  acconsenta.  L'obligo  mio  era  veramente  di  fermarmi  nella  prima  terra  della 
Ser.ma  Republica,  ma  le  congiunture  presenti  me  1'  anno  vietato,  e  chiedo 
umilmente  perdono,  se  col  passare  tant'oltre  et  ove  più  solleciti  possono  giun- 
germi i  public!  comandi,  offendessi  in  qualche  parte  la  delicatezza,  con  che 
la  rassegnatione  mia  gl'averebbe  in  tempi  men  crudeli  di  questi  attesi  al  con- 
fine.  E  qui  prego  divotamente  la  Ser.tà  V.ra  in  atto  di  ossequio  il  più  rispet- 


-  97   - 

toso  a  dimenticarsi  de  miei  passati  disaggi,  e  non  rifletter  al  bisogno,  che  in 
me  per  altro  è  grandissimo  di  riposo,  e  di  tranquillità  ma  disponerc  intiera- 
mente dì  mia  persona,  e  credere,  che  quali  possano  essere  le  mie  comissioni, 
saranno  da  me  ricevuti  con  soma  veneratione,  et  ossequio,  come  se  presente- 
mente entrassi  fresco  e  nuevo  al  travaglio.  Benché  V.r»  Ser.tà  gl'abbia  accor- 
dato benignamente  la  sua  licenza,  si  tratterà  meco  il  sig.r  Secrettario  Fran- 
ceschi, parato  anch'esso  con  costante,  et  illare  animo  a  servir  la  sua  Patria,  e 
non  abbandonare  il  suo  impiego  se  non  all'ora,  che  a  me  sarà  permesso  de- 
ponere  il  mio.  Quanto  io  potrei  dire  sarà  sempre  inferiore  a  quanto  se  gli 
doverebbe,  e  V."  Ser.tà  ne  ha  avuti  argomenti  sensibili,  e  perchè  ne  sia  per- 
suasa qualunque  mia  osservatione  è  ormai  soverchia.  Chiudo  il  presente  umi- 
lissimo foglio  con  la  sorpresa  fattami  nell'  aque  di  Modon  dal  N.  II.  E.  Vi- 
cenzo  Pasta  Proved.  Estraordinario  in  Regno  la  di  cui  insigne  costanza  a 
tanti  pericoli  m'ha  intenerito,  ed  indi  in  questa  dell'E.mo  Sig.r  IO"  Procura- 
tor  Gen.al  Capitan,  che  onorando  il  mio  nome  col  titolo  di  Cavaliere  m'arino 
i  primi  fatto  sapere  il  distintissimo  grado  a  cui  V.ra  Ser.tà  ha  voluto  ellevar- 
mi,  e  quello  egualmente  distinto  a  che  ha  promosso  il  Sig.  Lorenzo  mio  Fra- 
tello. Dio  sa  Ser.mo  Prencipe  che  io  non  mento.  Ho  avuto  l'onore  di  servire 
la  Patria  replicatamente  nella  T.  Ferma  e  nell'Eccmo  Collegio  e  nel  presente 
importantissimo  Ministro,  ne  oggetto  alcuno  è  giunto  a  contaminare  la  purità 
de  miei  sacrifieij.  Ho  servito  per  nuli'  altro  che  per  servire,  e  più  oltre,  che 
a  questo  solo  termine  non  ho  portato  li  miei  desidenj.  La  Ser.tà  V.ra  ha  vo- 
luto profondere  sopra  di  me  e  casa  mia  gratie  non  meritate  ne  attese.  Le  cu- 
stodirò con  veneratione,  e  nell'uso  d'esse  rinnoverò  tutti  i  giorni  1'  antico  sa- 
cro impegno  di  non  amar  doppo  Dio  e  non  me  stesso  al  pari  della  m;a  ado- 
ratissima   Patria.  Gratie. 


Dalle  aque  del  Zante  Nave  la  Francia 
li  7  Agosto  iy  rj. 


Andrea  Memo  Kr.  Bajlo. 


(R.  Biblioteca    Univ.  di  Padova, 

Ms.  2223.  n.    io.  Carte  47-59). 


-   98  - 


III. 


TRATTATO  del  13  Aprile  1716 
fra  Carlo    VI  e  la  Repubblica  di    Venezia. 


(Dal  diploma  originale  nell'Arch.  di  St.  Ven.  Documenti  restituiti  dal  Governo  Austriaco. 
Busta  Pacta  N.  4,  sotto  fascia  N.  31). 

Nos  Carolus  Sextus  Divina  favente  Clementia,  electus  Roma- 
norum  Imperator,  seniper  Augustus,  Ac  Germaniae,  Hispaniarum, 
Hungariae,  Bohemiae,  Dalmatiae,  Croatiae,  Slavoniaeque  Rex,  Archi- 
dux  Austriae,  Dux  Burgundiae,  Barbantiae,  Stiriae,  Carintiae,  Carnio- 
liae,  Limburgi,  Lucemburgi,  Geldriae,  ac  Superioris  et  Inferioris 
Silesiae,  età,  Wiirtembergae,  Princeps  Sveviae,  Marchio  Sac.  Rom. 
Imp.  Burgoviae,  Moraviae,  Superioris  et  Inferioris  Lusatiae,  Comes 
Habsburgi,  Flandriae,  Tijrolis,  Ferxtis,  Kyburgi,  Goritiae  et  Na- 
niurci,  Landgravius  Alsatiae,  Dominus  Marchiae  Slavoniae,  Portus 
Naonis  et  Salinarum,  etc.  etc. 

Notimi  testatumque  facimus,   quorum  interest  Universis. 

Postquam  Foedus  Anno  Millesimo  Sexcentesimo  Octuagesimo 
Quarto,  die  quinta  Martij  a  Sereniss.  et  potentiss.  Principe  Leo- 
poldo Romanorum  Imperatore  qua  Hungariae,  Bhemaeque  Rege 
ac  Aivhiduce  Austriae,  Nostro  Colendissimo  Domino  ac  Genitore 
glor.  mem.  cum  Seren.,no  et  Potent."10  Principe  Joanne  III  Rege 
Regnoque  itidem  Poloniae,  nec  non  Illustr.n)a  Venetorum  Repu- 
blica  Linzij  sub  auspicijs  Innocentij  XI  Summi  tunc  in  Terris 
Christi  Vicarij  et  Pontificis  contra  immanem  Christiani  nominis 
hostem  Turcam  feliciter  initum  sub  die  XIII  Aprilis  Anni  curren- 
tis  cum  eadem  jnclijta  Republica  per  destinatos  ad  id  utrinque 
Ministros  sufficienti  Mandato  instructos,  quorum  nomina  Tractatui 
inserta  :  mandata  vero  hic  subjecta  conspiciuntur,  hic  Vienna  con- 
firmatum,  renovatum,  atque  etiam  adjectis  quibusdam,  securitatem 
Italiae  respicientibus  Articulis  sequentis  tenoris  ad  auctum  fuit. 


-  99 


In  Nomine  Sanctissimae  Trinitatis. 


Postquam  Turca  Communis  Christianitatis  hostis,  Seren.ma  Ve- 
netorum  Reipublicae  seposita  omnibus  gentibus  veneranda  pacto- 
rum  Sanctimonia,  contra  pacis  Carlovicensis  tenorem,  nulla  pros- 
sus  adducta  solida,  vera  et  fundata  ratione  bellum  indixerit,  lega- 
tum  suum  contra  receptum  ab  omnibus  gentibus  morem,  barbare 
habuerit,  ad  Carceres  detruserit,  Terras  Ditionesque  Armis  suis  in- 
festa veri  t,  ac  denique  excidium,  si  vires  sufficiant,  eidem  minitatus 
sit,  prefata  Sereniss.ma  Respub.a  per  Legatos  suos  Augustissimo  Ro- 
manorum  Imp  Carolo  VI  quae  Successerunt,  exposuerit,  Sua  Sac. 
Caes.  Regioque  Càth.ca  Majestas  vera  omnia  officia,  licet  exquisi- 
tissima  apud  Portam  multoties  adhibuerit,  ac  eidem,  quae  Carlo- 
vincensìbus  Articulis  continentur,  quaeque  vi  Sacri  Foederis  Suae 
Maj estati  incumbant,  ac  obligante,  serio  sincereque  significaverit, 
Porta  horum  omnium  nulla  habita  ratione  a  suscepto  desistere  no- 
luerit,  sed  decretum  bellum  omni  conatu  prosequi  statuerit,  Ser.ma 
Venetorum  Resp.ca  idcirco  ad  Sac.  Caes.  Regiamque  Catholicam 
Majestatem  tamquam  praecipuum  Sacri  Foederis  Socium  se  conver- 
tii-, quae  pactorum,  avitaeque  religionis  memor  eidem  Armis  Con- 
silijsque  adesse  non  detractavit.  Utitaque  praefatae  Serenis.ma  Rei- 
pub.  Sacrique  Foederis  Socijs,  et  denique  communis  Christianitatis 
bono  melius  consulatur,  placuit  per  Commissarios  et  Legatura  piena 
auctoritate  jnstructos,  nempe  ex  Parte  Sac.  Caes.  Regiaeque  Catti.3 
Majestatis,  per  Illustrissimum,  ac  Illustrem,  nec  non  Ulustres  ac 
Magnificos  Ejusdem  respective  Cammerarios,  Aurei  Veìleris  Equi- 
tes,  Principem  Eugenium  de  Sabaudia  et  Pedemontio  Consilij  Bel- 
lici Praesidem,  Locum  Tenentem  Generalem  ac  Ducatus  Mediola- 
nensis  Gubernatorem,  Joannem  Leopoldum  Donacum  Sac.  Rom. 
Imp.  Principem  a  Trautsohn  Comitem  de  Falkstein  Philippum  Lu  • 
dovicum  Comitem  a  Sinzendorf  et  Thanausen  Sac.  Rom.  Imp.  The- 
saurariarum  Autaeque  Cancellarium  Thomam  Gundaccarum  Comitem 
a  Stahrenberg,  Majestatis  Suae  Consiliarios  jntimos.  Ex  parte  vero 
Sereniss.ma  Reipub.  per  Eiusdem  apud  Aulam  Caesaream  Legatum 
Ordinarium  Nobilem  Petrum  a  Grimani  Equitem  sub  auspicijs 
Christi  in  Terris  Vicarij  Sanctissimi  in  Christo  Patris  Clementis 
Divina  Providentia  Stimmi  Pontificis  hujus  nominis  Undecimi,  in 
hac  Aula  Caesarea,  comutatis  prius  Plenipotentiarium  tabulis,  hisce 
sub  finem  annexis,  ac  Divini  Nominis  Gloriam  et  Christianae  Rei- 
publicae salutem,  ac  tutamen,  in  sequentes  amicitiae,  Societatisque 
Leges  denuo  convenire. 


—     IOO 


Articulus  I. 


Sit  maneatque  inter  Sa  e.  Caes.  Reg.  Cath.  Majestatem  Caro- 
lum  Sextum  qua  Hispaniarum,  Hungariae,  Bohemiaeque  Regem, 
Archiducem  Austriae,  tunc  aliarum  Provinciarum  Haereditariarum 
Dominum  ac  Haeredem,  suaeque  Majestatis  in  haereditaria  Regna 
et  Provincias  Successores  et  Sereniss.m  Rerap.m  Venetam,  obfirmandae 
Societatis  fundamentum  et  basis,  Foedus  illud  Sacrum  sub  Auspi- 
cijs  Olim  Summi  Pontificis  Innocentij  XI  pijssimae  recordationis 
5«u  Mirtji  Anni  1684  Linzij,  cum  Articulis  Separatis  de  2o.mo 
ejusdem  mensis  et  anni,  inter  Sacram  Caesaream  Maj.tem  Leopol- 
dum  et  qua  Hungariae  pariter  Bohemiaeque  Regem,  Archiducem- 
que  Austriae,  tum  aliarum  Haereditariarum  Provinciarum  Domi- 
num et  Haeredem.  Joannem  Tertium  Regem  Regnumque  Poloniae 
ac  Ducatum  Lituaniae,  et  Ser.m  Venetorum  Remp.m  inituin  Sacro- 
%  que  jure  jurando  ad  manus  Suae  Sanctitatis  corroboratum,  nisi  in 
quantum  id  exigente  moderno  verum  sfatti  sequentibus  Articulis 
mutuo  placito  et  consensu  sive  immuctatum,  sive  adauctum  ali- 
quanto,  ac  magis  dilucidatimi  fuerit,  ita  ut  quidquid  de  Unione 
Consiliorum,  viriumque,  de  disposinone  Exercituum,  de  Expeditioni- 
bus  bellicis,  paceque  separata  nulla  tenus  confìcienda  seu  acceptanda, 
ac  denique  de  ligamine  semper  duraturo  in  eo  statutum  fuit,  invio- 
labiliter  firmum,  ratum,  gratumque  habendum  sit. 

Articulus  II. 

Cum  itaque  contracta  priore  Fo edere  Società s  ad  solum  bellum 
Turcicum  restringatur,  cui  Sua  Majestas  Caesarea  Regio-Catholica 
nunc  quoque  totis  viribus  incubere  intendit,  metuendum  vero  sit,  ni 
evocato  ex  Italia  milite  Regnimi  Neapolitanum  alijsque  Status,  quos 
ibidem  nunc  possidet  a  quopiam  turbentur,  vel  Armis  etiam  Terra 
Mariue  infestentur.  Hinc  Sacra  Caesnrea  Regio-Catholica  Maj.as  prò 
Se,  Ejusque  in  dictis  Regnis  ac  provineijs  successoribus  ex  una, 
ed  ex  alia  Sereniss.a  Resp.a  Veneta  Securitati  Italiae,  dictorumque 
Regnorum  et  Provinciarum  consulturae,  tanque  salutare  sibi  ac 
Caesareum  propositum  promovere  cupientes  soleniter  hisce  invicem 
promittunt  ac  spondent.  Se  in  casum  Secuturae,  durante  hoc  bello 
Turcico,  hostilis  aggressionis  contra  quemeunque  alium  invasorem 
sibi  esse  invicem  opitulaturas,  vimque  ostilem  conjunctis  Armis  pro- 
pulsili as,  quaequidem  casu  existente  determinanda  erunt  :  Coeterum 


IOI     — 


ratum   firmumque  maneat,   quod  praesens  conventio  ad  solum   hoc 
brllum   Turcicum   ejusque  durationem   restringatur. 

In  praesentiarum  vero  et  vel  ex  nunc  utrinque  ad  jamplacuit 
et  convenir.,  ut  casu  ilio  eveniente  Sereniss.a  Respub.a  teneatur  suis 
sumptibus,  Octo  Naves  bellicas  una  cum  Sex  Mille  Peditibus  Ma- 
jestati  Suae  Caesareae  Regioquae  Catholicae  in  auxilium  submittere 
prout  vicissim  altefata  Majestas  Sua  Ser.mae  Reipublicae  quando  Pro- 
vincias  ejusdem  Italicas  durante  scilicet  hoc  bello  Turcico  ab  alio 
quocunque  infestari  contingeret,  Duodecim  Millibus  Peditum  suis 
pariter  sumptibus  auxiliaturam  se  spondet  Quod  si  sepedicta  Ser.ma 
Respublica  duna  casus  existeret,  supra  promissas  Octo  Naves  bel- 
licas classi  sua  forte  alibi  contra  Turcam  impedita,  submittere  ne- 
quiret  eas  aequipollenti  numero  alijs  in  usu  belli  adaptatis  Navi 
bus  suppleturam  se  hisce  pollicetur. 

Articulus  III. 

Quae  superiori  Articulo  Auxilia  de  submittendis  Sex  Mille  pe- 
ditibus et  Octo  Navibus  bellicis  Serenissima  Respublica  promisit, 
ea  in  hunc  modum  declarari  placuit,  ut  quando  una  eodemque 
tempore  Regnum  Neapolitanum  simul,  et  Ducatum  Mediolanen- 
sem  aliosve  Status,  quos  Sua  Caesarea  R.-Catholica  Maj.as  nunc  in 
Italia  possidet,  a  quopiam  hoste  simul  invadi  contingeret,  in  eum 
casum  S.a  Resp.8  suis  sumptibus  Altefate  Suae  Majestati  Sex  Mille  Pe- 
dites  et  Octo  Naves  bellicas  in  auxilium  submittere  teneatur,  ita  tnmen 
ut  Sex  Mille  Pedites  in  Mediolanensi  et  Mantuano  Ducatibus,  nec  non 
in  fortalitijs  et  locis  in  Hetruria  cum  a  Sua  Ces.a  Majestate  pos- 
sesis,  militare  solum  teneantur,  et  Octo  Naves  bellicae  in  Auxi- 
lium Regni  Napolitani  tantum  esse  debeant.  In  casum  vero  solus 
Ducatus  Mediolanensis  vel  aliae  supradictae  Provinciae  Caesareo- 
Austriae  hostiliter  impeterentur,  tunc  Sereniss.a  Respublica  solos 
Sex  Mille  Pedites  absque  Navibus  bellicis  :  At  ubi  solum  Regnum 
Neapolitanum  bello  infestantur,  absque  quod  in  idem  praedicti  Du- 
catus, et  Status  Caesareo-Austriaci  una  implicarentur,  in  hunc  ca- 
sum eadem  Serenissima  Respublica  Octo  Naves  Bellicas,  et  insu- 
per Tria  Millia  Peditum,  et  hos  quidem  summa,  qua  fieri  potest, 
festinatione,  eo  modo  in  auxilium'  dicti  Regni  mittere  obstricta 
sit,  ut  vicissim  Sua  Sacra  Caesarea  Regio-Catholica  Majestas  parem 
numerum  militum  in  Dalmatiam  abligare  vel  Militem  Venetum  in 
Regnum  Napolitano  existente  proprio  Caesareo  Milite  permutare, 
illumque  Reipublicae  demicum  remittere  teneatur.  Casu  quo  vero 
saepe  Altefata  Sua  Majestas  Caesarea  Regio-Catholica    dictos    Tres 


—     102    — 

Mille  pedites  intra  bimestre  Sereniss.mae  Reip.ae  in  Dalmatia  pari 
numero  non  reficeret,  nec  Militem  Venetum  in  Regno  existentem 
submisso  proprio  Milite  inde  deduceret,  aut  exigentibus  ita  circum- 
stantijs  reficere  aut  deducere  non  posset,  Sua  Majestas  Militem 
Venetum  suo  stipendio  tamdiu  in  Regnum  alendum  suscipit,  quous- 
que  vel  ejus  supplementum  in  Dalmatia,  vel  ejus  deductio  ex  Regno 
sequatur.  Coeterum  id  ratum  firmumque  manet,  Copias  et  respective 
Naves,  quae  mutuo  Auxilio  mittuntur,  proprijs  cujusque  stipendijs  et 
sumptibus  Militare  in  comparanda  vero  annona  quemvis  alterum 
coadjuvare  debere,  ne  eam  prò  auxiliaribus  Copijs  majori,  ac  prò 
proprijs  suis  pretio  comparare  opporteat,  nisi  forte  utrinque  ita  con- 
veniret,  ut  Sua  Majestas  Tres  Mille  Pedites  a  Republica  in  Regnum- 
Neapolitanum  mittendos  Suo  :  et  è  contra  Respublica  Militem  Cae- 
sareum  in  Dalmatia    subsidiarium  suo  quoque  dispendio  sustineat. 

Articulus  IV. 

Contra  Saepefata  Sua  Caesarea  Regio-Catholica  Majestas  pro- 
mittit  ac  spondet,  se  praesenti  vero  bellum  Turcis  declaraturam, 
ac  totis  viribus  illatura  esse,  juxta  ac  in  Sacro  Foedere  de  anno 
£684  (:  finito  hoc  bello  semper  duraturo:)  conventum,  et  vi  prae- 
sentis  Tractatus  confirmatum  est, 

Articulus  V. 

Ad  obfirmandam  porro  eo  magis  mutuam  amicitiam,  neces- 
situdinisque  vinculum,  liber  sit  utrique  parti  per  alterius  Ditiones, 
Terra.  Marique  transitus  innoxium  et  citra  ullum  alterius  partis, 
ejusque  sudditorum  gravamen,  nec  non  trajectus  Copiarti m  Com- 
meatuum ,  ac  omnium  denique  rerum  ad  apparatimi  bellicum 
spectantium,  ita  ut  hujus  rei  causa  non  modo  nullum  unquam 
obstaculum  aut  impedimentum  alterutri  ab  altera  durante  hoc  Foe- 
dere, quavis  ratione  vel  praetextu  deinceps  ponatur,  verum  etiam 
Res]).a  erumpente  Lello  lume  innoxium  transitimi  ac  tutam  Navi- 
gationem,  quantum  per  eam  stat,  omnibus  modis  promoveat.  Quo 
vero  transitus  per  utrinque  Terras  et  Provincias  sudditis  innoxium 
sit,  ijsque  damnum  nullum  aut  noxa  inferatur,  eveniente  casti  ejus 
utrinque  requisitionem  praevie  fieri  placuit. 

Articulus  VI. 

El  si  vi  Foederis  inter  Sacram  Majestatem  Leopoldum  pri* 
mum  et  Rcgem   Poloniae  Joannem  tertium  Regnum<|iic  Poloniae  ac 


-  i<>3  - 

Ducatum  Lithuaniae  Varsaviae  die  31  Martij  1683  initi,  ac  Linzij 
anno  1684,  20  Martij  ad  Serenissimam  Venetorum  Rempublicam 
extensi,  niodernus  Augustus  Poloniae  Rex  omni  ligamine  contra 
Turcas  teneatur,  nihilominus  ad  renovationem  hujus  Sacri  Foede- 
ris,  una  cum  Regno  Poloniae,  et  Magno  Ducatu  Lithuaniae  sub 
auspicijs  itidem  Suae  Sanctitatis  invitabitur,  solenni  jure  jurando 
ad  manus  ejusdem  corroborandi. 

Articulus  VII. 

Utile  pariter  proficuumque  visum  est,  Moscorum  Czaarum  eo, 
quo  ultimi s  dijndicabitur,  modo,  ad  praesens  hoc  Foedus,  si  de- 
sideraverit,  admittere  sicut  et  omnes  Christianos  Principes,  et  ul- 
tro  se  offerentes,  ita  tamen,  ut  amicorum  et  Foederatorum  Princi- 
pum  consonus  accedat  assensus,  quoties  aliquis  praefatorum  noviter 
admittendus  erit. 

Articulus  Viti. 

Diplomata  vero  Ratificationum  hujus  rcnovati  Foederis  DD. 
Comm'ssarij  et  Legati  Plenipotentiarij  mutuo  in  Aula  Caesarea  in- 
tra Mensis  spatium,  vel  citius,  si  fieri  poterit,  commutabunt.  In 
quorum  fidem  Nomine  Augustissimae  Suae  Majestatis  Caesareae 
Regio-Catholicae  et  Sereniss.mae  Reipub.cae  Venetae,  Literis  Ple- 
nipotentiarum  mediantibus,  Nos  Commissarij  Caesarei  Plenipoten- 
tiarij: et  Ego  Legatus  Plenipotentinrius  Venetus  manibus  proprijs 
haec  subscripsimus,  et  Sigillis  munivimus.  Actum  in  Urbe  Vienna 
die  XIII  Mensis  Aprilis  Anno  Domini  Millesimo  Septingentesimo 
decimo  sexto. 

(L.  S.)  Eugenius  A  Sabaudia. 

(L.  S.)  joannes  Leopoldus  Princeps  Trautsohn. 

(L.  S.)  Philippus  Ludovicus  Comes  a  Sinzendorff. 

(L.  S.)  GUNDACCARUS  COMES  A  S TAHRENBERG. 

(L.  S.)  Petrus  Grimani  Eques. 

[Unita  al  trattato  sì  trova  la  Plenipotenza  Cesarea,  e  una  lettera  di 
Carlo  VI,  del  16  maggio  17 16,  diretta  al  Doge.  (Cfr.  Disp.  Amb.  in  Ger- 
mania filza  205  e.   391,    16  maggio   17 16). 

Nei  Commemoriali,  e.  18,  si  trova  una  riproduzione  del  Trattato,  abbre- 
viata, con  le  due  Plenipotenze,  e  le  due  ratifiche  di  esso  Trattato], 


104 


IV. 


PLENIPOTENZA 

per  il  trattato  di  Passar oivitz  —   17 18 


|Ho  già  accennato  ai  documenti  e  diplomi  ammessi  ai  dispacci 
del  Ruzzini  da  Passarowitz.  —  Le  plenipotenze  poi  sono  state  pub- 
blicate da  V.  Bianchi  (Istor.  rei.  della  pace  di  Posaroviz  —  Pa- 
dova 17 19)  p.  79  Imperiale,  82  Veneta,  83  Britannica,  85  Olan- 
dese. —  Manca  però  la  Plenipotenza  del  Doge  Giovanni  Corner  II 
al  Ruzzini,  per  il  caso  di  un  armistizio  Austro -Turco,  a  cui  dovesse 
aderire  anche  Venezia,  durante  le  trattative  di  pace  —  Perciò  la 
trascrivo  qui  esattamente,   dalla  pergamena  veneta.] 


JOANNES    CORNELIUS 

Dei  Gratta  Dux    Venetìarum,    et    (Jniversis,    et    Singulis    quorum    interest^ 
et  quomodolibet  interesse  potest,  notum  facimus  et  tcstamur. 

Dall'aperture  di  pace  che  si  sono  andate  auuanzando  tra  la  M.tà  del  Ser.mo 
e  Potentiss.mo  Imp.re  de  Romani,  et  la  Rep.ca  N#ra  con  il  Ser.mo  e  Potentis- 
simo Rè  della  Gran  Brettagna,  e  delli  Alti,  e  Potenti  Stati  delle  Prou.e  Unite, 
polendo  nascer  il  caso  che  sia  per  conuenirsi  prima  in  alcun  Armistitio,  col 
maneggio  delli  Prestanti,  e  Nobili  Sig.r  K.<"  Suton  Amb.re  del  Sud.to  Rè  della 
Gran  Brettagna,  e  del  Sig.r  Coliers  Amb.r  pure  de  Stati  med.mi  arriuati, 
che  siano  al  Congresso  gl'Amb."  Plenipotenziari  d'essi  Principi  interessati, 
però  Inclinando  Noi  di  secondar  li  consigli  della  M.tà  dell'  Imp.re  j  e  di  faci- 
litar 1'  occasione,  et  il  modo  di  stabilire  la  reciproca  concordia  concedemo  in 
virtù  della  presente  N.ra  Plenip.a  al  Dil.mo  N.  II.  Ms.  Carlo  Ruzzini  K.r  IV 
Amb.r  Est. rio  Plenip.r»°  soggetto  di  virtù  e  stima,  facoltà  di  firmare,  ogni  qualvolta 
occorresse,  per  Nome  della    Rep.ca  N.ra,  Armistitio,  con  cadaun  Articolo,  con 


-   los  - 

gì'  Ill.mi  Nobili,  e  Prestantiss.mi  Hebraim  Effendi  attuai  2. do  onorando  Pres- 
sed.te  della  Camera  detta  Schak,  et  il  terzo  Pressid.te  della  stessa  Camera, 
destinati  Plenip.nj  del  sud.o  Ser.mo  Imp.re  de  Turchi  con  l' opera  e  mezo  sti- 
matiss.mo  de  stessi  SS."  Mediatori,  potendo  à  questo  fine  supplire  à  tutto 
quello  occorrerà,  pronti  Noi  d' auere  per  rato,  e  concluso  tutto  ciò,  che  da  esso 
Plenip.no  N.10    sarà  stabilito,  concluso,  e  firmato. 

Dat.  in   N.ro  Dli   Pal.o    Die 

XXVIII  Aprilis  Ind.e   X  MDCCXVIII. 


(Pè  ^  0fc  GÈ  (M  <**  (M 


INDICE 


Cap.      I.   —   Introduzione -Pag.  5 

»        II.  —  Prodromi  della  guerra »  11 

»      III.   —  Vittorie  Turche  ed  alleanze  Europee      ....  »  29 

»      IV.   —   Vittorie  Austro-Venete »  39 

»        V.   —   La  pace  di  Passarowitz »  53 

»      VI.  —   Conclusione »  67 

Documenti: 

I.   —    Traduzione  delle   ragioni  etc »  75 

II.    —   Lettere  varie  di  A.   Memmo »  87 

III.  —  Trattato  di  rinnovamento  della  Sacra  Lega  ...  »  98 

IV.  —   Plenipotenza  all'ambasciatore  Ruzzini.       ....  »  104 

Incisioni  : 

I.   —   Il  doge  Giov.  Corner »  5 

IL   —   Carta  della  Morea »  11 

III.  —   Pianta  di  Corfù »  29 

IV.  —   Il  principe  Eugenio  di  Savoia »  39 

V.   —   Il  Congresso  di  Passarowitz »  53 

VI.   —   L'imperatore  Carlo  VI »  67 


^  ^  ^  ^  ^  ^ 


AMY  •  A.  •  BERNARDY 


^L'VLTIMA  »  G VERRÀ 


*  TVRCO-VENEZIANA 


FIRENZE    MCMII    —    G.     CIVELLI    EDITORE 


UNIVERSITY  OF  ILLINOIS-URBANA 


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