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Full text of "Manuale dantesco 1"

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MANUALE  DANTESCO 


DEL    PROF. 


GIUSEPPE  JACOPO   FERRAZZI 


VOLUME  V. 


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MANUALE  DANTESCO 


VCL.  V  ED  ultimo: 


V 


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ENCICLOPEDIA 

DANTESCA 

DEL  PROF. 

GIUSEPPE  JACOPO  FEEEAZZI 

Premiata  colla  Medaglia  d' Argento 

NEI   CJONCRESSI  PEDAGOGICI   DI   NAPOLI  E  DI   VENEZIA. 


BIBLIOGRAFIA,  PARTE  IL 

AGGIUNTAVI    LA 

BIBLIOGRAFIA  PETRARCHESCA. 

Yol.  V  ed  nltiino. 

Meno  t'ho  inoaosi:  oinai  per  te  ti  cibii. 
I^rg.  X.   -'5. 


BASSANO 

TIPOGRAFIA    SANTE    POZZATO 


187  7. 

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l'roitrictà  Letteraria. 

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A  SUA  ECCELL.  IL  COMM. 

MICHELE    COPPINO 

MODERATORE  SUPREMO  DEGLI  STUDI 

NEL  REGNO  D'ITALIA 

UOMO  D'INTELLETTO  DI  SCIENZA  E  DI  CUORE 

INTEGRO  AL  DIRE  E  AL  FARE 

GroSEPPE  JACOPO  PROF.  FERRAZZI 

QUESTO  ULTIMO  LAVORO 
D.  D.  D. 


AL  TUO  NOME  IL  MIO  DESIRE 
APPARECCHIAVA  GRAZIOSO  LOCO. 


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PREFAZIONE 


Con  questo  volume  pongo  fine. al  mio  Manuale 
Dantesco.  A  me  non  istà  parlare  dell*  utilità  del 
lavoro  :  ne  lascio  giudice  il  pubblico,  che  anche  pel 
passato  mi  sorresse  con  tanta  indulgenza.  Delle 
inesattezze  certo. ve  ne  saranno  ;  né  forse  mi  sarebbe 
stato  possibile  lo  scansarmene.  Chi  pensi  per  poco 
Tingente  numero  degli  autori  citati,  talora  sulla  fede 
de'  periodici ,  talora  di  corrispondenze ,  in  cui  non 
puoi  sempre  bene  cogliere  il  carattere;  chi  pensi 
le  molte  difficoltà  che,  in  tal  fatta  di  studi,  quasi 
ad  ogni  passo  attraversano  il  cammino,  vorrà,  io 
spero,  contrappesando  Vun  con  V  altro  lato,  es- 
sermi cortese  di  perdono.  Non  di  rado  per  appurare 
una  sola  notizia  mi  avvenne  di  scrivere  più  volte, 
senza  potermi  acquetare  ai  riscontri  avuti.  —  Mi 
allargai  ne'  Commenti  parziali,  che  mi  parve  bello 
oflfrir  unito  un  tesoro  di  chiose  illustrative,  spigolate 
con  pazienza  pertinace  da  giornali,  da  opuscoli  di- 
venuti rarissimi,  da  varie  opere  di  autori  pregevoli 

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IV  PREFAZIONB. 

in  che  si  giacevano  racchiuse.  —  Per  gli  schiari- 
menti di  alcuni  passi  storici  non  mi  venne  meno 
l'invocata  cortesia  di  valentuomini  generosi,  nelle 
patrie  cronache  versatissimi.  E  larghi  sussidi,  oltre 
a  quanto  avessi  potuto  sperare,  mi  vennero  dal 
di  fuori;  onde  son  lieto  di  testificare  pubblica- 
mente la  mia  riconoscenza  al  dott.  Zbiler  bibliote- 
cario di  Praga,  al  co.  Géza  Kuun  di  Pest.  a'  dotti 
e  dilettissimi  miei  amici  prof.  LuniN  e  prof.  Scar- 
TAZZiNi,  al  prof.  TiENHOVEN  di  Amsterdam,  e  segna- 
tamente al  dott.  Gaetano  Vidal,  prof.  nelFUniversità 
di  Barcellona,  anime  gentili,  che  non  fecero  mai 
scusa ,  ma ,  con  bontà  di  animo ,  fecero  i  prieghi 
miei  esser  contenti.. 

Alla  Bibliografia  Dantesca  mi  piacque  pur  ag- 
giungere una  Bibliografia  Petrarchesca,  lavoro^ 
ch'io  sappia,  fin  qui  intentato;  che  il  Marsand  ci 
diede  quella  dell*  edizioni  del  Canzoniere  e  di  alcuni 
scritti  che  lo  riguardano,  e  THorUs  quella  dell*  edi- 
zioni della  Rossettiana  di  Trieste.  Più  largo  campo 
corre  la  mia.  —  E  anzi  tutto  mi  sia  consentito  di 
preporre  alcune  considerazioni  sugli  studi  che  si 
fecero  su  questo  secondo  luminare  della  nostra  let- 
teratura. 

Il  Canzoniere,  non  v*à  dubbio,  è  la  più  soave 
lirica  del  mondo,  il  più  perfetto  monumento  dellal 
poesia  amorosa  tra  le  nazioni  moderne.  Ma  puri 
troppo,  tra  noi,  per  ben  due  secoli  divenne  il  libroj 
di  moda,  e  direi,  la  Bibbia  dei  poeti.  L'apparente] 
facilità  di  mettere  insieme  quattordici  versi,  il  sen- 
timento d'amore  connaturato  in  tutti,  ma  che  il| 
Petrarca  rivelava  con  un'armonia  senza  esempio,! 
e  in  una  lingua  nitida,  e  dopo  cinque  secoli  tutta 

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PREFAZIONE.  V 

Tira  e  fresca,  ingenerò  una  turba  di  pedanti  che 
fli  si  appiccarono  addosso,  che  non  mossero  un*orma 
senza  lui,  e  se  non  retro  lui,  gente  parassita  che 
con  versi  freddi,  non  sentiti,  con  frasi  raccattate, 
credeasi  a  buon  mercato  guadagnare  il  nome  che  più 
flfira  e  più  onora,  A  Dante  que'  piccini  non  ardi- 
rono pur  d'appressarsi;  sgomentavali  l'altezza  su- 
Mime  di  quel  Titano  della  poesia,  che  a  guisa  di  . 
l^one,  anche  quando  si  posa,  non  che  riverenza  mette 
rimore  in  chi  lo  guarda.  Oltre  a  che  aveali  già  fatti 
u:corti  che  l'acqua  ch'ei  prese  giammai  non  si  corse, 
*=  che  perciò  non  si  avventurassero  di  mettersi  in 
j^lago  dietro  suo  legno,  che,  perdendo  lui,  ne  ri- 
marrebbero smarriti.  Per  lo  contrario  pareva  loro 
agevole  crearsi  una  Deità  convenzionale,  notomiz- 
zame  le  bellezze,  giocherellare  di  bisticci  e  di  con- 
cettini,  nella  speranza  di  aggiungere  il  modello  se 
con  di  entrargli  innanzi.  Ma  ad  essi  mai  spirò  il 
cuore,  ed  il  cuore  solo  dà  intelletto  al  poetare.  Ed 
a  tanto  crebbe  e  sopraccrebbe  la  frenesia  di  questa 
s^'uola  bastarda  di  cantori  evirati  che,  se  prèstiam 
fede  al  Crescimbeni,  nel  solo  secolo  XVI  vi  ebbero 
niente  meno  che  660  Sonettieri.  Nella  sola  Venezia, 
scrive  il  Rubbi,  si  poteva  fare  una  scelta  di  XII 
Canzonieri,  e  Marco  Foscarini  avea  già  riunite  e 
preparate  per  la  stampa  le  Rime  di  ben  sessanta 
gentiluomini  veneziani.  Era  dunque  necessario  che 
si  mettesse  riparo  a  questa  fiumana  irrompente,  che 
nulla  più  valea  rattenere.  Ci  narra  il  Capponi  che 
verso  il  1520,  certi  maestri  di  scuola  vietavano  agli 
scolari  leggere  il  Petrarca  fSl,  di  Fir.  t  ii,  p.  466); 
e  nella  stessa  Venezia  vi  ebbe  un'Accademia,  la 
quale,  ammirando  pure  ed  esaltando  il  Petrarca, 

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TI  PRBPAZIONB.  | 

veniva  sceverando  in  esso  ciò  che  domandava  la  i 
venerazione  di  tutti  i  tempi  e  ciò  che  bastava  ve-  ' 
nerare  nell'infanzia  della  lingua  e' deli* arte.  Se  non 
altro  tutta  quella  colluvie  di  sonetti,  di  ballate,  di  , 
madrigali  rimase  a  danno  delle  carte,  né  valse  a 
salvare  dall'oblio  i  migliori  la  testura  del  verso,  la 
venustà  della  forma  squisita  e  finissima. 
/     Con  miglior  stella  lo  scelsero  a  guida  gli  stra- 
nieri: ne  colsero  la  nota,  se  ne  abbellirono,  seguendo 
il  libero  volo  del  lor  genio.  —  I  poeti  castìgliani 
che  fiorirono  al  tempo  di  Giovanni  II,  ed  i  catalani 
che  cantarono  al  tempo  di  Alfonso  V  bevvero  tutti 
alle  fonti  del  Parnaso  italiano.  Inntgo  de  Lopez  de 
Mendoza  mena  vanto  di  aver  composto  i  suoi  canti 
suir andar  degF  italiani  (hechos  al  itàlico  modo!. 
Aitsias  March,  soprannominato  il  Petrarca  Valen- 
ziano,  innamora  anch' egli   della   sua  Teresita  di 
Momboy  in  una  chiesa  di  Valenza,  e  in  un  venerdì 
santo  (1),  e  con  passionata  mestizia  la  canta  viva 
e  morta  in  una  serie  di  componimenti  (cants,  e- 
stramps,  espargos)  le  cui  note  non  ti  son  nuove,  ma 
ti  par  d'averle   altra  volta  ricolte.   Mosseti  Jordi 
de  Seni  Jordi  si  scalda  alla  fiamma  del  più  gentile 
dei  poeti,  e  sale  in  bella  nominanza.  Nella  Canzone 
degli  Opositos  e  nel  Setge  d'Amor  (2)  e  in  molte 
altre  crobe  vi  leggi  specchiata  V  imitazione  del  suo 
prediletto  Autore.  Pur  nondimeno  gridarono  molti  il 
Petrarca  plagiario  dell' Ausìas  e  del  Jordis  (3),  e  più 
mi  duole  di  trovarne  confermata  la  voce  dal  Fo- 
scolo (4),  e  di  recente  in  un  bell'elogio  uscito  tra 
noi  nell'occasione  del  Centenario.  —  Più  tardi,  in 
Ispagna,  l'endecasillabo  e  la  melodia  del  sonetto 
italiano  fu  messa  in  grido  dal  Navagerio,  che  sa- 

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PBBFAZIOMB.  VII 

peva  a  mente  tutto  quanto  il  Petrarca,  quando  fu 
ambasciatore  alla  corte  di  Carlo  IV  in  Granata.  Ne 
tentò  la  prova  il  Boscan:  Garcilaso  de  la  Vega, 
r  Herrera,  fra  Luigi  de  Leon  colla  dolcezza  de*  lor 
versi  lo  accreditarono.  Una  tal  forma  fu  accolta  in 
Portogallo  dal  Camoens,  in  Inghilterra  dal  Shake- 
speare, ed  i  più  grandi  poeti  stranieri  fecero  alleanza 
nella  poesia  del  Petrarca,  il  quale,  ben  nota  TAle- 
ardi,  col  suggello  dell*  amore  segnò  V  unità  del  genio 
moderno.  —  loost  van  Vondel,  il  più  originale,  il 
più  grande  de'  poeti  olandesi,  peregrina  ad  Arquà, 
vi  si  ispira,  e  canta  della  grande  influenza  del  Pe- 
trarca su  tutti  i  poeti  del  mondo.  —  Costantino 
Huygens  (5)  ne'  suoi  Korenbloemen,  e  ne'  suoi  Dag- 
werck,  canta  mestamente  la  sua  donna  tra  le  belle 
bella,  e  che  Dio  si  tolse  per  adornarne  il  cielo  e 
cosa  era  da  lui.  Ma  lei  morta,  che  lo  facea  parlare, 
glie  morta  pur  l'ispirazione;  il  poema  ordito  giace 
in  abbandono ,  che  mancagli  la  dittatrlce  de'  versi 
d'amore,  la  pia  e  leggiadra  fanciulla  che  guidava 
le  penne  delle  sue  ali  a  voli  più  alti.  —  Alessandro 
Kisfalvdi  arde  di  una  giovinetta,  di  nome  Elisa: 
secondo  che  amore  il  governa  e  piagne  e  ride,  teme 
e  s' assicura.  Ei  pure,  senza  cessar  d' essere  origi- 
nale, si  fa  norma  de'  versi  del  Nostro,  e  se  ne  infiora  : 
per  la  venustà  delle  imagini,  per  la  grazia  dello 
stile  meritò  esser  chiamato  il  Petrarca  dell'  Un- 
gheria (6). 

Una  parola  sui  traduttori.  —  In  latino  non  avemmo 
che  il  tentativo  di  qualche  sonetto,  di  qualche  can- 
zone, e  nulla  più.  Valenti  interpreti  trovò  la  canzone 
Vergine  bella,  ed  è  rimasta  famosa  la  versione 
delle  Chiarie,  fresche  e  dolci  acque  di  Marcantonio 

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vili  PBBFàZIONB. 

Flaminio.  —  Anche  i  nostri  poeti  vernacoli  si  arri- 
schiarono di  accostarglisi,  ma  smisero  ben  tosto  la 
prova.  —  I  Trionfi  furono  i  primi  ad  asser  tradotti 
in  lingue  straniere,  più  tardi  il  Canzoniere.  Tedeschi 
ed  Inglesi  lo  fecero  suo  ;  studiaronsi  i  Francesi  tra- 
piantare quella  fragranza  di  fiori  ove  sentirono  V  aer 
primo;  le  altre  nazioni  gli  odorarono  appena.  — 
Fin  dal  suo  tempo  T Alighieri  scriveva:  nulla  cosa 
per  legame  armonizzata  potersi  dalla  sua  in  altra 
loquela  tramutare  senza  rompere  tutta  sua  dolcezza 
e  armonia  Se  ciò  è  vero  rispetto  a  tutti  i  poeti 
e  di  tutte  le  nazioni,  è  incontrastato  rispetto  al 
Petrarca.  Que'  piccoli  drammi,  que'  gentili  lavohetti, 
dove  il  più  consiste  nella  serenità,  nella  leggiadria, 
e  direi  nel  profumo  delle  imagini,  ne'  suoni  amorosi, 
voltati  in  altra  favella,  perdono  tutta  la  lor  fre- 
schezza. Son  pianticelle  delicate  che  si  disconven- 
gono in  terren  non  suo.  La  musica  di  que' versi, 
ben  diceva  T Aleardi,  non  può  essere  interamente 
colta  dallo  straniero,  il  quale  se  tenta  riprodurre 
le  grazie  fuggitive  sotto  la  mano  un  pò*  sempre 
pesa  del  traduttore  le  vede  dileguar  via  via.  E  però 
un  valentissimo  letterato  greco,  e  insieme  profondo 
conoscitore  della  nostra  letteratura,  scrivevami,  es- 
sere il  Petrarca,  secondo  lui,  intraducibile,  e  per 
questo  nessuno  essersi  cimentato  a  farlo  ospite  nella 
patria  di  Anacreonte.  Di  qui  la  causa  perchè  le  ver- 
sioni del  Canzoniere  a  gran  pezza  non  agguaglino 
in  numero  quelle  della  Divina  Comedia,  del  Furioso 
e  della  Gerusalemme  Liberata. 

Mi  passo  de' centonisti,  de' contrafifattori,  de' retori, 
de'  grammatici,  che  i  più  non  fur  mai  vivi  ;  toccherò 
un  poco  le  opere  latine,  troppo  forse  dimenticate. 

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PREFAZIONE.  IX 

Di  tatte  le  opere  latine  del  Petrarca  abbiamo, 
in  men  d*un  secolo,  sei  edizioni  accertate;  dalla 
principe  basileese  del  1496  ali*  ultima  pure  basileese 
del  1581.  —  Tra  esse,  ottenne  maggior  grido  quella 
De  RemedUs,  e  già  se  ne  conoscono  ben  21  ristampe 
separate,  e  parecchie  versioni  in  lingue  straniere,  e 
pur  queste  più  volte  riprodotte.  Ed  è  notevole  che  col 
cominciar  del  seicento  non  si  vegga  più  che  qualche 
rarissima  edizione  di  una  o  d'altra  dell'opere  morali, 
uscita  dal  Le  Preux  di  Berna,  o  dallo  Stoer  di 
Ginevra.  Le  mattezze  del  seicento  e  le  sdolcinate 
pastorellerie  del  settecento  se  cacciarono  di  nido 
la  maggior  nostra  musa  con  più  ragione  doveano 
far  cader  neglette  le  opere  del  Petrarca,  scritte  in 
una  lingua  men  coltivata,  ed  accolte  in  istampe 
corrottissime.  —  Sebastiano  Manifi,  che  nel  1492 
die  primo  alla  luce  otto  libri  dell'  Epistole  Familiari, 
si  lamenta  nella  prefazione  del  codice  scorretto 
eh'  ebbe  tra  le  mani,  e  temea,  malgrado  la  postavi 
diligenza,  che  dalla  sua  edizione  gliene  venisse  bia- 
simo anziché  lode.  Ma  non  per  questo  gli  editori 
successivi  si  curarono  di  emendarne  il  testo  :  l' epi- 
stole del  Petrarca  continuarono  ad  esser  stampate 
come  ce  le  diede  il  Manili.  —  Francesco  di  Madrid, 
arcidiacono  di  Alcor,  nell'avvertenza  preposta  alla 
sua  versione  De  Remediis,  si  lamenta  assai  del  testo 
arruffato  da  non  uscirne,  sicché  tante  volte  gli  fu 
forza  porre  e  levare.  Voltando  questo  libro  lettera 
per  lettera,  com'  è  nel  latino,  ne  verrebbe,  ei  dice, 
una  cosa  tanto  strana  ed  oscura  da  non  potersi 
leggere,  e  lettala  non  si  potrebbe  cogliere. 

Il  primo  che  togliesse  ad  onorare  il  Petrarca  in 
modo   diverso   degli  altri  suoi  veneratori,   facendo 

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X  PRBFAZIONB. 

rivivere  quello  che  altri,  più  o  meno  direttamente, 
affaticarono  di  seppellire  fu  Domenico  Rossetti  di 
Scander,  benemerito  tra  quanti  vi  furono  della  me- 
moria del  Petrarca.  E  anzi  tutto  pose  le  sue  cure 
nelle  Vite  degli  uomini  illtùstri,  quasi  ignote  ai  più 
diligenti  scrittori  di  storie  letterarie.  Ma  eragli  me- 
stieri legittimarne  prima  la  paternità,  che  la  vita 
di  Giulio  Cesare,  la  sola  che  più  volte  fosse  uscita 
per  le  stampe,  portava  in  fronte  il  nome  di  Giulio 
Celso,  che  non  ha  mai  esistito  quale  scrittore  né 
di  questo  né  di  verun  altro  libro.  —  Una  postilla 
del  codice  Petaviano,  datoci  dal  Jungermann,  nella 
sua  edizione  del  1606,  la  reca  al  Petrarca.  Ma  tale 
opinione  fu  gagliardamente  combattuta  dal  Vossio  e 
da  Fr.  Oudendorp.  Appresso  Bernardo  de  la  Monnaye 
(Moneta),  il  Fabricio,  il  Jócher,  TArchaintre  ed  il 
Lemaire  non  che  la  rendessero  al  Petrarca,  entra- 
rono solo  in  sospetto  ch'ei  ne  fosse  l'autore.  Chi 
si  fa  leggere  per  intero  V  illustrazione  bibliologica 
del  Rossetti,  con  tutt^  quelle  investigazioni  di  codici, 
con  tutta  quella  suppellettile  di  argomenti  aperti 
ed  inoppugnabili,  con  che  ci  prova  che  tutte  le  Vite 
da  Romolo  a  Giulio  Cesare  appartengono  indub- 
biamente al  Petrarca,  non  può  non  andarne  me- 
ravigliato. 

Mentre  che  il  Rossetti  travagliavasi  con  tanto 
onore  in  si  solenne  rivendicazione,  un  dottissimo 
straniero  entrava  valorosamente  nel  medesimo  ar- 
ringo, onde  degno  è  che  dove  è  Vun  l'altro  s'induca. 
Fu  questi  il  prof.  Carlo  Schneider  di  Breslavia  che 
nel  1827  pubblicò  col  nome  del  Petrarca  la  Vita  di 
Giulio  Cesare,  ravvalorandone  con  sapienti  lucubra- 
zioni  la  paternità,  e  successivamente  ci  diede  le  altre 

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PBBPAZIONB.  XI 

Vite  (1828-1834);  e  cosi  l'Italia,  dopo  tre  secoli  e 
mezzo,  potè  andar  lieta  del  nuovo  acquisto,  giacché 
scambiavasi  il  compendio  con  Y  opera  immensa  che 
avea  costato  al  suo  autore  tante  vigilie,  e  di  che 
compiacevasi  pur  tanto.  Se  non  che  il  prof.  Schneider 
riproduceva  accuratamente  la  grafia  del  codice  Bre- 
slaviese  co'  suoi  nessi,  colle  sue  abbreviature,  sicché 
l'opera  sua,  quantunque  lodevolissima,  non  potea 
dirsi  che  una  preparazione  a  chi  si  accignesse  a 
mettere  in  pubblico  tutte  le  Vite.  Oltre  a  ciò  era  pur 
comune  desiderio  che  il  testo  latino  non  andasse 
scompagnato  dall'  aurea  versione  che  ne  fece  M.  Do- 
nato degli  Albanzani,  da  Pratovecchio,  amicissimo 
del  Petrarca;  che  l'edizione  di  Polliano  del  1486 
è  ornai  irreperibile,  e  rarissima  pure  la  veneta  del 
De  Gregorii  del  1527,  senza  contare  che  tutte  e 
due  le  stampe  riescirono  scorrettissime.  A  lavoro 
di  tanta  mole,  con  intelletto  d'amore,  si  diede  il 
Priore  Razzolini,  nello  studio  dei  testi  antichi  con- 
sumatissimo.  I  primi  due  volumi,  usciti  nel  1874, 
ci  fan  fede  della  singolare  perizia  e  dell'assenna- 
tezza usata,  e  solo  ci  duole  che  gravi  ragioni,  in- 
dipendenti dal  Razzolini,  ci  ritardino  più  oltre  il 
desideratissimo  compimento. 

Non  appena  si  raccertò  il  Rossetti  che  altri  avea 
posto  gl'ingegni  nelle  Vite,  s'attese  alla  Bucolica 
ed  alle  Epistole  metriche  del  Petrarca,  parendogli, 
ed  a  diritto,  che  meritassero  d'essere  vantaggiate 
nel  testo  e  mèglio  conosciute  nel  nostro  paese.  11 
De  Sade  si  avea  già  proposto  di  pubblicare  l' Ecloghe, 
di  voltarle  in  francese,  di  arricchirle  di  note,  rite- 
nendole importantissime  per  la  storia  secreta  di  quei 
tempi,  anche  per  le  frequenti  allusioni  ai  papi,  ai 

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XII  PRBFAZIONB. 

cardinali,  alla  corruzione  della  chiesa,  al  re  di 
Francia  ed  a  quello  d' Inghilterra.  È  ben  vero  che 
di  pastorale  non  ne  hanno  che  il  nome,  che  volendo 
il  poeta  percuotere  le  più  alte  cime,  e  le  tante  laide 
opere  che  facean  sozza  la  Babilonia  avignonese,  gli 
era  forza  ascondere  i  veri  invidiosi  sotto  il  velame 
di  versi  incompresi,  de*  quali  dovea  dinudare  il  con- 
cetto perchè  gli  stessi  contemporanei  vi  trapassassero 
entro.  Lo  che  non  potea  non  iscemarne  il  pregio, 
specialmente  presso  coloro  cui  quel  tempo  divenne 
antico.  —  F^a  l'epìstole  metriche  ce  ne  sono  di 
belle,  di  molto  affettuose,  ricche  d* amore  pel  bel 
paese,  ed  affettuosissima  tra  tutte  mi  parve  quella 
con  che  dall'  alto  del  Monginevra  il  Petrarca  saluta 
r Italia,  bellissima  sua  madre  e  gloria  del  mondo. 
Nò  solo  il  Rossetti  volle  darci  il  testo  corretto 
ed  illustrato  di  ben  79  poemetti,  ma  fece  appello 
a  poeti  più  noti  perchè  li  rendessero  in  vesta  ita- 
liana. —  Ed  è  questa,  scriveva  egli,  V  ultima  pub- 
blica onoranza  che  da  me  si  porge  alla  memoria 
del  secondo  de'  massimi  Glassici  e  servirà ,  se  non 
m'illudo,  forse  d'invito  ed  esempio  ad  altri  che 
meglio  di  me  sappia  e  possa  ulteriormente  magni- 
ficarlo. 

Né  s'appose  egli.  Quanto  meritasse  il  Fracassetti 
dell'  Epistolario  del  Petrarca  abbiam  stesamente 
esposto  nella  nostra  Bibliografia.  Accenno  solo  di 
volo  eh'  ei  ci  diede  169  lettere  mai  più  pubblicate,  il 
testo  latino  delle  Famigliari  e  delle  Varie  emendato, 
la  versione  delle  stesse  e  delle  Senili,  che  di  molte 
rettificò  l'indirizzo  e  l'anno  in  che  vennero  scritte, 
che  vi  appose  a  tutte  copiosissime  note,  in  che 
meravigliosamente  vi  è  illustrato  il  secolo  del  Pe- 

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PREFAZIONE.  XIII 

trarca,  e  delineati  gli  uomini  che  gli  furono  fami- 
gliari, e  nelle  quali  non  sai  più  se  prevalga  V  urba- 
nità, la  erudizione  o  la  critica  sapiente.  E  ben  fece 
TAccademia  della  Crusca  segnalare  l'Autore  al  Co- 
mitato Avignonese  come  degnissimo  di  premio,  che 
certo,  dalla  morte  del  poeta  a*  nostri  giorni,  nes- 
suno alzò  monumento  più  durevole  alla  memoria  del 
grande  italiano. 

Se  non. che  il  Petrarca  tutto  pieno  la  mente  ed 
il  petto  della  grandezza  di  Roma  s*era  posto  in 
cuore  di  raccomandare  la  sua  fama  ad  un  poema 
che  il  facesse  degno  dell'amato  alloro.   Fra  tutto 
quel   popolo   di  Eroi   gli  parea  si  levasse  gigante 
Scipione,  quel  Scipione  che  fin  da  giovanetto  avea 
appreso  ad  amare  [EjrìsL  ad  PosLj,  sicché  egli  non 
arde   di  vedere  la  città  dei  re,   la  città   unica  al 
mondo  se  non  per  ispirarsi  al  suo  sepolcro,  (Fam.  ii, 
9)  raccendervi  F  estro,  cantarne  le  magnanime  gesta, 
sol  da  Ennio  con  ruvido  carme  celebrate  (7),  ma 
degne  di  poema  chiarissimo  e  d*  istoria.  Ed  un  bel 
di  aggirandosi  egli  fra  i  fidi  e  solitari  recessi  della 
sua  Valchiusa,  tra  quelle  di  bei  colli  ombrose  chio- 
stre, vola  col  pensiero  a  Scipione,  si  sente  scaldato 
dalla  fiamma  divina^  comincia  metterne  in  metro  le 
mirabili  prove,  vi  torna  sopra  tra  i  monti  parmensi, 
dove  s'avvolge  l'Enza,  in  mezzo  ai  boschetti  di 
Selvapiana  (Epist.  ad  Post;  Barbato  Sulm.  Ep. 
Metr.  II,  30).  Non  appena  ne  corse  la  voce,  in  un 
medesimo  giorno  Parigi  e  Roma  (Ep.  Fam.  10,  4) 
gii  offrono  la  corona,  che  riceve  in  Campidoglio. 
Mai  autore  alcuno  provò  tante  lotte,  tante  speranze, 
tanti  scoramenti  come  il  Petrarca  per  la  sua  Africa. 
Per  essa  ei  spera  rendersi  pietosa  la  sua  Laura 

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XIV  PREFAZIONE. 

(EcL  III,  46),  per  essa  vivere  gran  tempo  ancora 
quando  altri  lo  terrà  morto  (Canz.iii^  1,  p.  4; 
Afr.  ix),  ed  ei  la  carezza  eoa  lungo  stadio  e  grande 
amore  (8)  perchè  venga  su  bella  e  vegnente;  e  così, 
ei  dice,  spiri  Minerva  e  conditcami  Apollo  (9)  perchè 
riesca  degna  di  re  (10),  e  di  splendido  re  qual'ò  il  mio 
Roberto  (Poem.  Min.  ii,  102,  194,  222).  Ma  poi, 
disconfortato,  la  lascia  da  parte,  e  sì  duole  che  la 
misera  derelitta  si  muoia  di  sete  (Ad  Brunum,  ii, 
328);  vuol  consegnarla  alle  fiamme,  ma  gliene  piange 
il  cuore  e  se  ne  rista  (De  Coni.  Mun.,  DiaL  iii); 
ed  egli  si  generoso  di  tutte  le  cose  sue  agli  amici, 
teme  che  altri  vi  metta  su  gli  occhi,  né  perdonò  mai 
al  suo  Barbato  di  aver  fatto  pubblici  34  versi  (Sen. 
Il,  1).  Ond'  è  che  al  solo  sentirsela  ricordare,  sospira 
(Fam.  Ili,  18)  ;  ed  a  Verona  gli  vengono  le  lagrime 
agli  occhi,  ed  espone  che  nulla  gli  sarebbe  più  caro 
se  far  potesse  di  non  averle  mai  data  la  vita.  £  nel 
suo  Segreto  (DiaL  ni)  si  fa  dire  da  Agostino  :  metti 
giù  il  pensiero  dell' Afinca  e  lasciala  a'  suoi  posses- 
sori: tu  non  aggiungerai  gloria  a  te  o  al  tuo  Sci- 
pione, perchè  né  egli  può  crescere  da  più  di  quello 
eh* è,  né  le  tue  ah  hanno  forza  da  tener  dietro  a 
tanto  volo. 

Morto  il  Petrarca,  il  Boccaccio  con  affettuosa 
cura  chiedevano  conto  al  Brossano  (11),  e  face  vaio 
accorto  a  non  lasciarla  cadere  in  mano  degl'  invidi, 
dei  legisti  sovrattutto.  La  richiese  il  Salutati ,  ne 
sollecitò  gli  amici ,  pregò  e  ripregò  per  ben  sette 
anni,  ma,  ottenutala,  s' addiede  delle  lacune  e  smise 
il  pensiero  della  pubblicazione.  Ne  vennero  appresso 
le  sei  stampe  del  cinquecento;  ma  queste  senza 
aiuto  di  indici,  né  d' argomenti  di  libri,  e  quel  eh'  è 

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PREFAZIONE.  XV 

peggio,  SÌ  ispide  di  errori,  che  era  una  disperazione 
il  raccapezzarne  il  senso.  Più  avanti  non  se  ne  parlò 
pili,  e  pressocchè  nessuno  la  lesse.  Un  francese,  il 
Lefebvre  de  Villebrune  le  scosse  per  poco  la  polvere, 
ma  solo  per  fare  del  Petrarca  un  plagiaro  di  Silio 
Italico;  stolida  calunia  da  italiani  e  stranieri  con- 
futata, e  valorosamente  dall' Occioni. 

Che  il  poema  dell'Africa  sia  povero  d'invenzione, 
che  vi  manchi  la  favola  epica,  che  abbia  di  molti 
difetti,  primo  di  tutti  lo  conobbe  il  Petrarca  mede- 
simo. Ma  l'argomento  è  quanto  mai  nobilissimo: 
la  guerra  più  bella  più  santa  che  abbia  fatto  Roma 
contro  lo  straniero  che  per  vent'anni  avea  corsa 
l'Italia,  la  seconda  guerra  punica  guidata  da  An- 
nibale, e  l'eroe  di  questa  guerra  è  Scipione  Africano, 
il  più  puro  il  più  santo  de'  Romani^  che  avea  difeso 
a  Roma  la  gloria  del  mondo  (12).  Nessun  poema 
latino  scritto  in  Italia  superò  mai  questo  per  nobili 
aspirazioni,  per  note  di  malinconia,  per  generoso 
sentimento  di  patria.  Né  vi  mancano  bellezze  di 
affetto  e  di  stile ,  ne'  tratti  sovrattutto  che  s' ac- 
cordano al  genio  e  alla  maniera  del  poeta  lirico, 
n  Settembrini  trasmodò  nelle  lodi.  Certo  è  però 
che  l'Africa  non  meritava  di  esser  dimenticata,  e , 
eh' è  più,  bistrattata,  e  forse  da  quelli  che  solo  ne 
lessero  qua  e  là  qualche  tratto,  o  non  la  lessero 
mai.  Era  dunque  nell'universale  sentito  il  bisogno 
di  una  ristampa,  condotta  con  critici  intendimenti. 
L' esempio  del  Rossetti  avea  invogliato  un  drappello 
di  volonterosi  a  tentarne  l'impresa.  Ciascheduno 
avea  per  compito  un  libro,  dovea  curarne  il  testo 
ed  aggiungervi  la  versione.  Il  solo  Montanari,  eh'  io 
sappia,  in  più  riprese  ci  diede  tradotto  il  libro  quinto. 

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XVI  PBBFAZIONB. 

Ma  il  tentativo,  quantunque  attuato,  non  poteva 
non  fallire.  Il  solo  fatto,  nota  a  ragione  TOccioni, 
di  due  letterati  che  traducano  un  autore  classico, 
tanti  canti  per  uno,  annuncia  più  un'industria  di 
mestiere  che  la  vera  coscienza  dell*  arte.  Al  ponde- 
roso incarico,  rifiutato  da  filologi  valenti,  gridò  il 
francese  Pingaud  ;  i  mi  sobbarco.  Ma  fé  mala  prova  ; 
anche  di  vera  luce  dispiccò  tenebre.  Ma  il  Petrarca 
avea  cantato  :  Va,  o  mia  Africa,  sui  nuovi  sassi  del 
tepido  sepolcro  sciogli  la  mia  promessa  a  quel  sacro 
cenere;  tutto  constima  il  tempo,  ed  io  morirò  an- 
ch'io; ma  tu,  0  mia  Africa,  tu  vivrai  ancora  in 
secolo  migliore  in  cui  non  sarà  questo  sonno  e  queste 
tenebre.  Intanto  vivi  or  come  puoi  sconosciuta  al 
popolo;  quando  il  popolo  avrà  vita,  quando  splen- 
deranno  tempi  migliori,  allora  riDgiovanisci  anche 
tu  !  —  E  il  prof.  Corradini,  ci  donava  V  Africa  rin- 
novellata  di  novella  vita  :  a  lui  era  dato  avverarne 
il  vaticinio. 

Io  mi  riassumo.  —  Meritò  bene  del  testo,  nel 
secolo  nostro,  il  Marsand;  di  quello  dei  Trionfi  il 
Pasqualigo.  Il  De  Sanctis  meditò  con  critica  più 
elevata  sul  Canzoniere  ;  ed  il  Carducci  ci  diede  un 
Saggio  di  un  Testo  e  Commento  nttovo,  modello 
di  erudizione,  di  critica  e  di  gusto  squisito.  —  Fu 
Rossetti  il  primo  che  rimise  in  pregio  le  dimenticate 
opere  latine:  per  lui.  Io  Schneider  ed  il  Razzolini 
fummo  arricchiti  di  una  nuova  importantissima  opera 
le  Vite  degli  Uomini  Illustri:  ci  riprodusse  il  Ros- 
setti la  Bucolica  e  V  Epistole  metriche.  Non  con- 
trastabile titolo  di  lode  si  acquistarono  il  Fracassetti 
ed  il  Corradini,  il  primo  colla  pubblicazione  deìYEpi- 
stolario,  l'altro  con  quella  deW Africa.  —  Il  Mé- 

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PRBFAZiONB.  XVII 

zières  si  propose  darci  il  vero  Petrarca,  Io  studiò 
nelle  sue  passioni,  neiramore,  nell'amicizia,  nel  culto 
delle  lettere,  nel  patriotismo  ;  lavoro  psicologico, 
veramente  stupendo.  —  L'Hortis  ci  raggranellava 
alcune  opere  inedite  ed  illustravale  degnamente  :  egli, 
e  prima  di  lui  il  Marsand,  ci  diedero  lavori  biblio- 
grafici, non  cosi  presto  superabili.  Il  Valentinelli 
esplorò  magistralmente  i  codici  petrarcheschi  della 
Marciana;  il  tesoro  dell'altre  biblioteche  governative 
e  delle  non  pubbliche  di  Roma  riunì  con  cura  sa- 
piente il  Narducci,  sussidi  preziosi  a  nuovi  studi. 
Il  Centenario  inoltre  ci  arricchì  di  eccellenti  mono- 
grafie, e  mi  ò  caro  ricordare  quelle  dello  Zendrini, 
del  Fiorentino,  del  Di  Giovanni,  del  Bernardi,  del 
Ròndani,  del  Ronchini  e  del  Romussi.  Ed  è  ben  a 
dolersi  che  il  Ghivizzani  non  abbia  potuto  attuare 
r  ideata  opera  monumentale  sul  Petrarca  e  il  suo 
Secolo,  che  avremmo  cresciuta  la  messe  delle  in- 
vestigazioni, e,  eh'  è  più,  per  cura  de'  più  splendidi 
intelletti  della  nazione.. Nò  potrei  preterire  il  com* 
mend.  Francesco  Zambrini,  preside  della  R.  Com- 
missione pe'  Testi  di  Lingua,  alla  quale  mi  onoro 
di  appartenere.  —  I  Ricordi  della  vita  del  Petrarca 
e  di  M.  Laura  di  L.  Peruzzi;  la  Vita  di  Fr.  Pe- 
trarca, d'ignoto  trecentista;  il  Comento  a  due 
canzoni  politiche  del  P.  Luigi  Marsili  e  del  prof. 
Berlan;  due  Saggi  delle  Vite  degli  Uomini  Illustri; 
i  Fioretti  dell'una  e  dell'altra  Fortuna  trovarono 
luogo  nella  Scelta  delle  cur0sità  tradite  e  rare; 
e  la  versione  de'  Remedi  di  Giovanni  Dasamminiato, 
e  le  Vite  degli  Uomini  illustri,  curate  dal  Razzolini, 
nella  Collezione  dell'Opere  inedite  e  rare  de' primi 
tre  secoli.  Lo  stesso  Zambrini,  nell'occasione  del 

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XVllI  PREI^'AZIONB. 

Centenaria^  mise  fuori  novellamente  ed  illustrò  dsj 
suo  pari  la  Pietosa  Fonte,  poema  di  Zenone  d^ 
Pistoia,  €  in  cui  si  rimpiange  la  morte  d'  uno  de'  più 
grandi  uomini  che  da  cinque  secoli  in  qua  possa 
vantare  la  nazione.  » 

Valgano  tanti  nobili  esempi  ad  invogliare  i  nostri 
giovani  segnatamente  a  nuovi  studi  larghi  e  coscien^ 
ziosi  !  Bisogna  rispecchiarci  ne'  nostri  antichi ,  cb^ 
hanno  onorato  ogni  scienza  ed  arte.  Non  con  U 
vuota  e  vanitosa  garrulità,  ma  solo  con  istudi  viril^ 
ci  potrem  ritemprare  ad  alti  propositi,  a  più  e  meglio 
pensare  ed  a  meno  parlare.  Fu  il  canto  inspirato 
de'  nostri  bardi  che  per  cinque  secoli  tenne  dubitoso 
Io  straniero  che  ci  stette  sopra  capo.  Que' fatidici 
versi  divennero  la  Marsigliese  della  nazione:  da 
essi  usciva  un  grido  continuo  che  ci  suonava  dentro 
r  anima,  essere  omai  tempo  da  ritrarre  il  collo  dal 
giogo  antico,  di  ricacciar  oltr'alpe  la  rabbia  tedesca, 
di  sgravarci  dalla  soma  dannosa  dei  tanti  regoli, 
pensosi  solo  di  sé  stessi,  di  riunire  in  una  sola  fa- 
miglia tutto  il  bel  paese  ch'Appennin  parte,  il  mar 
circonda  e  l'alpe.  Il  leggendario  nostro  Re,  seguendo 
sua  stella,  da  Palestre  ci  condusse  al  Campidoglio. 
L'Italia  è  surta  a  nazione.  Voglia  il  cielo  che  sa- 
pienza amore  e  virtute  le  infondano  vita  sempre 
più  rigogliosa,  e  la  facciano  risalire  all' antica  gran- 
dezza! 


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NOTE. 


(1)  Amor,  amor,  lo  jorn  que  V  Ignocent 

per  be  de  tota  fon  posai  en  lo  pai 
V08  me  ferìs,  car  jo*  m  guardava  mal 
pensant  quel  jom  me  sora  defeneat. 
Ausias  Marchf  nella  chiusa  (tornada)  al  suo  terzo  Cani  dCAmor, 

(2)  Nel  Setge  SAmor: 

Ajustat  vey  d'amor  tot  lo  poder 
E  sobre  mi  ja  posai  son  fort  site 
die  ricorda: 

Amor  che  nel  penaier  mio  vive  e  regna 

E*l  suo  seggio  maggior  nel  mio  contiene.  Petr.,  Son,  91. 
E  in  altra  composizione: 

Sino  es  amor  donchs  ago  que  sera? 

S^amor  non  è,  che  dunque  è  quel  ch'io  sento?  Son.  88. 

(3)  Odoardo  Gomez  di  Portogallo  e  Jacopo  Antonio  Buono 
ferrarese,  Juan  Lopez  de  Hojos  scrissero  che  il  Petrarca,  non  da 
Toscani  antichi,  nò  da  Provenzali  ma  da  Ausias  March,  poeta 
lemosino,  ebbe  tolta  gran  parte  delle  sue  composizioni  (tornò 
miichos  de  Ics  conceptos  mas  delicados).  Ma  T  Ausias  scrìsse 
un  secolo  dopo  il  Petrarca,  e  ce  ne  son  bella  prova  i  versi  da 
lai  indirizzati  alla  signora  Eucleia  Borgia,  nipote  di  Calisto  III, 
che  successe  a  Nicolò  V  nel  1455,  oUaniaun*  anno  dopo  la  morte 
del  Petrarca. 

Sembra  pressocchò  impossibile  come  parecchi  valentuomini 
«pagnuoli,  il  Benter,  T Escolano,  Argoie  de  Molina,  Nicolas 
Antonio,  Parìa  j  Sonsa,  il  Basterò,  e  de'nostrì  il  Quadrio  e 
perfino  il  Foscolo  falsamente  apponessero  al  Petrarca  d^  essere 

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XX  NOTE  ALLA.  PREFAZIONE. 

stato  plagiario  del  Jordis.   L'affinità  di  un  nome,  rauiorittl 
de* molti  scrittori  che  lo  attestarono,  senza  approfondirne  Is 
questione,  fece  si  che  di  grido  in  grido  se  ne  accreditasse  la 
voce.  —  Conquistata  Valenza,  e  cacciatine  i  Mori,  il  re  d'Arac 
gona  Jacopo  I  riparti  tra* suoi  guerrieri  le  terre  tolte  al  nemico, 
nel  novero  de*  quali  trovavasi  un  cotal  Jordà  che  alcuni  lesserò 
Jordi.  E  siccome  il  Canzoniere  di  Parigi  (Candonero  de  F^aris^ 
Cansoner  des  obres  ennamorades)^  segnato  al  n.  7699,  abbraccia^ 
tra  gli  altri,  vari  componimenti  attribuiti  ad  un  poeta  yalen^ 
ziano,  di  nome  Jordi,  ed  uno  segnatamente  che  ha  per  titolò 
Cancton  de  Opósitos  {fol.  112)  in  che  si  leggono  3  versi  e 
3  emistichii  che  si  leggono  pure  nel  Petrarca,  si  ritenne  sen- 
z'altro che  il  Nostro  studiato  avesse  nel  Catalano  e  da  esso 
pur  presa  e  la  dolcezza  de*  numeri  e  il  bello  stile  che  gli  ha 
fatto  onore.  —  Ma  posto,  come  vorrebbero  il  Ximeno  (Escrt- 
tores  de  Valencia,  1. 1,  p.  1)  ed  il  Fuster  (Biblioteca  Yalenciana, 
1. 1,  p.  1)  che  tra'  poeti  del  secolo  XIII  fiorisse  un  Jordi,  fami- 
guarissimo  del  re  Giacomo  I  il  Conquistatore,  e  che,    come 
testùnonio  di  veduta,  descrisse  la  terribile  procella  onde  fu  tra- 
vagliata r  armata  reale  nelle  coste  della  Melloria  nel  Settembre 
del  1269,  non  ne  viene  in  modo  alcuno  eh*  egli,  se  pur  real- 
mante  ha  esistito ,  sia  1*  autore  della  canzone  a  cui  pretende- 
rebbesi  inspirato  il  Petrarca.  Ne  fii  invece  autore  Mossen  Jordi 
de  Sent  Jordi^  cameriere  di  Alfonso  V  d'Aragona ,  tenuto  in 
grande  pregio  ed  amore  da  tutta  quella  corte,  talché  la  stessa 
regina  Donna  Maria,  a*  14  Luglio  del  1456,  scrisse  all*abbadessa 
del  monastero  la  Zaidìa  di  Valenza  perchè  volesse  accogliere 
tra  le  suore  la  giovine  Isabella  sorella  del  poeta.  Ma  a  tagliar 
netto  la  questione,  si  aggiunge  la  non  disputabile  autorità  di 
D.  Innigo  Lopez  de  Mendoza,  marchese  di  Santillana,  che  nel 
suo  famoso  proemio  al  Contestabile  di  Portogallo  "cosi  si  esprime  : 
«  En  estos  nuestros  tiempos  flores^ió  Mossen  Jordé  de  Sanct  Jordé, 
cavaliere  prudente,  el  qual  ^iertamente  compuso  assaz  fermosas 
cosas,  las  quales  él  mèsmo  asonava  :  ca  fuó  mùsico  excellente, 
é  fiQO  entro  otras,  una  cangion  de  Opósitos  que  comien^a: 

Tota  jorns  aprench  e  desaprench  ensems^ 

fi^o  la  Passion  de  amor  ^  en  la  qual  copilo  muchas  buenas 
can^iones  antiguas,  assy  destos  que  ya  dixe,  corno  de  otros.  > 


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NOTB  ALLA  PRBPAZIONB.  XXI 

Trattarono  pure  la  questione  :  Torres  Amai,  Meinorias  para 
avudar  à  formar  un  diccionario  crìtico  de  los  autores  catala- 
ne». Art.  Jordi,  p.  328.  Barcelona,  1836.  —  Amador  de  los 
Rios^  Obras  de  D.  Innigo  Lopez  de  Mendoza,  Marques  de  San* 
tillana,  p.  11,- 332,  618.  Madrid,  1852.  —  G.  Ticknor,  Historia 
de  la  Literatura  espannola,  traducida  al  castellano  —  por  D. 
Pascual  de  Gayangos  y  D  Enrique  de  Vedia,  t.  i,  p.  384. 
Madrid,  1851-56.  —  Amador  de  los  Rios,  Historia  critica  de 
la  Literatura  espannola,  t  vi,  p.  17.  Madrid,  1861.  —  Mild  y 
Fontanals  M. ,  Resenya  histórica  y  critica  dels  antichs  poetas 
catalana,  en  «  Jochs  florais  de  Barcelona  en  1865,  >  p.  136. 
Barcelona,  1865.  —  Brun9  Withe^  Hist.  des  languaa  romanes 
et  de  leur  litterature.  Paris,  1841,  t.  ii,  418-23. 

Io  mi  professo  debitore  di  tutte  queste  notizie  alla  squisita 
cortesia  del  dott.  Vidal  prof,  deir  Università  di  Barcellona.  Ed 
egli  pur  compiacevasi  di  aggiungermi  per  intero  il  testo  della 
tanto  disputata  canzone  degli  OpósitoSy  eh*  io  son  lieto  di  pub- 
blicare. Il  testo  è  tolto  dal  Dizionario  degli  Autori  catalani  di 
Torres  Amat  (p.  332),  il  quale  pur  si  valse  di  alcune  note  im- 
portanti ofièrtegli  da  M.  Tastù.  Ma  il  dotto  amico  mio  vi  tro- 
verebbe delle  inesattezze:  le  parole  in  corsivo  chiuse  entro 
parentesi,  segnano  le  correzioni  che,  secondo  suo  avviso,  vi  si 
dovrebbono  introdurre. 


Tois  jorns  aprench  è  desapronch  ensempa 

E  viach  6  mujr  6  lau  dennig  (d'enuig)  plaher 

Aximateix  &U  del  arol  (del  avol  fau)  bon  tempa 

E  yej  aans  alla  (1)  é  saj  menys  de  saber. 
E  no  atrench  res  é  tot  lo  mon  abras  (2) 

Voi  Bobrel  (sobre'l)  cai  è  nom  mori  de  {no'm  mou  de  la)  terra  (3) 

E  co  quem  fbig  inoeasantment  acaa 

Em  (E'm)  fuig  a^  quem  {que'm)  aegueix  em  aferra  (e  m' aferra). 

Lo  mal  nom  piata  {no'm  plau)  è  soren  lom  [lo'm)  percas 
Am  sena  amor  e  no  creya  co  que  se 
Par  que  somiy  tot  quant  vey  prea  ma  fas 
Hoy  (oy)  be  de  mi  e  voli  altre  [a  altre)  gran  be  (i). 


(1)  Veggio  tenx*  occhi.  Son.  00,  t.  9. 

(a)  B  nuli*  stxinro,  e  tutto  '1  mondo  abbraccio.  Son.  00,  r.  4. 

(3)  E  Tolo  lopraM  cielo,  e  giaccio  in  terra.  Son.  00,  v.  8. 

(4)  Ed  bo  In  odio  ino  ateaco,  ed  amo  alimi.  Son.  00,  v.  11. 


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XXII  NOTB  ALLA  PREFAZIONE. 

E  per  Uni  cali  e  avis  roenys  doyr 

Del  hoc  (oc)  cuyt  no  lo  ver  me  par  faUia 

E  menis  (meng)  sena  fam  6  grat-me  {gratme)  sena  pruhir 

E  aens  mans  palp  é  fas  de  seny  follìa. 

Cobi  vali  matar  de  vali  ^muntar  devall)  aens  quenom  (que'm  nom)  g-ir 

E  davallant  (det>allant)  puig  corrent  en  alt  loch 

E  rient  plor  (1)  e  vellar  mes  (vetllar  m'cs)  dormir 

E  quant  (quan)  ao  fret,  pus  calt  me  sent  que  foch  (2). 
E  adret  (a  dret)  seny  jo  fas  co  que  no  vuU 

E  perdoni  guany  el  {e't)  temps  cuytats  mes  tarda  {m'es  tart) 

E  sens  dolor  mantes  de  vets  me  duU 

El  simplauyell  {E" l  simpìe  auyelt)  tinch  per  falsa  guinarda  {faìaguinm-l), 

Golguanl  me  leu  e  vestint  me  despull 

E  trop  {trob)  lenger  \qì  fexuch  e  gran  carch 

E  quan  me  vany  {bany)  me  pena  que  nom  {no'm)  remull 

E  sucre  dolc  me  semble  fel  amar  oh. 

Lo  jorn  mes  (mV«)  nuyt  e  fas  clar  des  eseur 

I^  temps  passai  mes  {m'es)  present  cascunora  {cascun' ho^'o) 
El  (e'/)  fori  mes  flach,  el  {e"t)  blan  lìnch  moli  per  dur 
E  sens  faller  me  fall  c<>  quem  demora. 

Nom  {no'm)  pari  dun  (d'wn)  loch  e  james  nom  atur  (no  m'atur) 
Lo  que  no  crech  ivarcosamenl  trob 

Del  qui  nom  {no'm)  fiu  me  tinch  moli  {tefveh  per  moU)  segur 
El  {E'I)  baix  m*es  alt  el  alt  {e  l'alt)  me  semble  prop. 

E  vaig  cercant  co  que  nos  {no'»)  poi  trobar 
E  ferma  veig  la  causa  {ccuaf)  sorooguda 
E  lo  fona  gorg  {gorch)  aygua  sus  pari  {suspart)  me  par 
E  ma  virlul  nom  {no'm)  te  pron  nem  aiuda  {ne  m'ajuda). 

Quanl  xant  me  par  do  quem  prench  adular  {me  par  que'm  prench  a  udolnr) 
E  lo  moli  beli  me  semble  fer  è  leig 

Avana  men  torn  quem  {m'en^>m  qu'en)  loch  no  vull  anar 
E  no  ho  pau  e  no  tench  quìm  garreig  {qui'm  gnerreig)  (3). 

Acon  {Ago'm)  ve  tot  per  tal  com  vey  ences 
De  revers  fayts  aycert  {aycest)  mon  é  natura 
E  sen  quim  {E  sent  qui  'm)  so  en  lurs  fayt  {fayts)  tanl  erapes 
Quem  es  {Q\^e  m'es)  forcai  de  viure  sens  mesura. 

TORNADA. 

Prengua  cascu  co  qui  millor  li  es 

De  nun  dit  vers  revergat  descriptura  {d' cscriptura) 

E  sii  {si'1)  mirata  al  dret  à  al  revers 

Traure  porets  del  avol  {de  ì'axot)  cas  dretura. 

(1)  Planrendo  rido.  Son.  00,  r.  I>. 

(9)  Ed  ardo,  e  lon  on  ghiaccio.  Son.  00,  r.  2. 

(3)  Paca  non  (rovo  e  non  ho  da  fkr  guerra.  8on.  90,  t.  1. 


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Stn'E  ALLA  PREFAZIONB.  XXlU 

(4)  €  Anche  il  Petrarca  fu  tenuto  a  scontare  il  misero  de- 
bito di  quasi  tutti  gli  scrittori  coi  piegare  il  proprio  seutire 
a  quello  de**  contemporanei.  Innestò  ne*  suoi  versi  le  agudezzas, 
*^mur{u  y  conceptos  de*  poeti  spagnuoli,  e  fu  a  ragione  tassato 
di  plagio.  Avemmo  anticamente,  dice  uno  storico  di  Valenza 
(Gaspsire  Scuoiano],  un  &moso  poeta  chiamato  Mossen  Jordi, 
e  il  Petrarca,  nato  centanni  dopo,  gli  rubò  i  versi,  e  li  vendè 
ia  italiano  al  mondo  come  propri ....  »  U.  Foscolo^  Saggi  sopra 
h  poesia  del  Petrarca,  Foscolo  Opere  (Ediz.  Le  Mounier),  x,  43. 

(3)  E  fu  lo  stesso  Huygens  che  con  una  bella  elegia  si 
rivolse  a*  suoi  amici  e  a  quanti  letterati  noverava  la  sua  patria, 
perchè  si  imissero  a  lui  a  suggellare  di  pei'petuo  anatema  il 
frate  Martinelli,  sacrilego  violatore  del  sepolcro  del  Petrarca. 

(6)  Eisfaludi  Sandor,  Uimfy*  Szerelmei  mesodik  Rész.  Budan 
Jkiràldy-magyar  unìversités  Betùivwel  1807.  A*  Kersegd  relem. 
T.  I.  A*  boldog  herelem,  t.  n. 

(7)  Sed  de  hoc  tam  laudato  juvene  nemo  canit  ;  quod  ideo 
dictum  est,  quoniam,  etsi  omnis  historia  laudibus  et  rebus  ejus 
piena  sii,  et  Ennium  de  eo  multa  scripsisse  non  sit  dubium  rudi 
et  impolito,  ut  Valerius  ait,  stilo,  cùltior  tamen  de  illius  rebus 
liber  metricus  non  apparet.  Ep.  Fam,  x,  4.  —  Rudis  senex. 

Ed.  m.  —  Quel  fior  antico  di  virtuti  e  d'armi Ennio  di 

quel  cantò  ruvido  carme.  Son,  cxxxiv. 

(8)  Che  il  Petrarca  ci  tornasse  sopra  nella  speranza  di 
ridurre  con  più  solerti  studi  men  imperfetto  il  lavoro,  lo  pro- 
vano, tra'  molti  che  potrei  citare,  i  brani  seguenti  :  —  Eo  tem- 
pore quo  ardentissime  AfHcam  meam  ingressus,  quantum  nun- 
quam  sole  leonem  obtinente  arsit,  Africae  opus  inceperam, 
quod  inter  manus  meas  diuUus  iam  pependit^  et  quod  unum, 
si  qua  spes  salutis  est,  anheli  sitim  pectoris  puto  vel  leniet  vel 
extinguet. . . .  Ep,  Fam.  xiii,  7.  —  Tu,  ut  video,  sic  itffectus 
es,  ut  totus  in  Scipionis  mei  ac  solìus  Africae  nomine  con- 
quiescas,  virtutis  cultor,  avidissimus  litterarum.  Atqui  ne  dum 
Scipio  meuB  ad  summum  meo  perdudus  est  Carmine^  et  Africa 
diutìus  mihi  possessa,  et  lahoriosms  exarata  quam  credidi, 
nondum  tamen  supremo  sarculo  eulta  est,  nondum  glebulas 
inutiles  rastris  attrivi,  nondum  superductis  cratibus  scabrioris 
agelli  cumulos  coeequavi,  nondum  frondes  et  luxuriantes  pam- 
pinos  et  hirsutam  sepem  falce  compescui. . . .  Ep.  Fam.  xiii,  11. 

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XXIV  NOTE  ALLA.  PREFAZIONE. 

—  Utinam  iam  felici  exitu  claudendus  seni  (liber  meus  qui 
inscrìbitur  Africa),  quam  magno  animo  cofptus  estjuveni! 
Ep.  Fam,  x,  4. 

(9)  Sic  nobilis  Africa  snrgat,  Sic  mihi  vìrgineus  dausae 
penetralia  Girrhae  Rite  chorus  reseret,  fàveatqiie  Bupernus 
Apollo  !  Ep,  Zoilo,  Poem.  Min.  n,  240. 

(10)  Seguita  la  morte  del  Petrarca,  fu  trovato  il  manoscritto 
col  titolo  ai  mani  di  Roberto, 

(U)  «Ma  che  avvenne  della  preziosa  Biblioteca  di  quell*  il- 
lastre? se  ne  parla  qui  variamente.  Per  altro  sono  le  opere  di  lui 
che  più  mi  stanno  a  cuore,  e  principalmente  V Africa^  la  quale 
io  reputo  poema  sovrano.  Fu  essa  per  ventura  consegnata  alle 
fiamme,  come,  per  una  soverchia  delicatezza  e  severità  in  ri* 
sguardo  ai  lavori  suoi  propri!,  avea  disegnato  egli  medesimo? 
Si  narra,  essere  ad  alcuni  stata  commessa  la  cura  di  pigliarla 
ad  esame  e  determinarne  la  sorte.  Ma  qual  mai  si  ardirà  con- 
dannar queUo  che  il  mio  Maestro  approvò?  Temo  essersi  ad- 
dossata cotesta  soma  a  certi  giuristi,  che,  studiate  le  leggi,  si 
danno  vanto  di  sapientissimi.  Difendano  i  cieli  dalla  temerità 
loro  i  versi  di  quel  generoso!  Non  pertanto  è  voce  aver  cotesti 
Dottori  fatto  bruciare  di  già  i  Trionfi.  Qual  danno  se  fosse! 
Ma  troppo  si  vede,  non  avere  la  scienza  un  più  reo  nemico 
dell'ignoranza.  Nò  gF invidiosi  della  gloria  di  quel  magnanimo 
uomo  sono  a  me  sconosciuti.  E  se  alla  loro  malizia  non  sia 
posto  un  argine,  e  nasconderanno  il  meglio,  e  rigetteranno  ciò 
che  non  intendono,  e  guasteranno  ogni  cosa.  Laonde  si  appar- 
tiene a  te  sopravvegghiare ,  acciocchò  le  lettere  italiane  non 
abbiano  a  piangere  uno  strazio  si  grande  e  si  disonesto.  » 
Gr.  Boccaccio  a  Francesco  di  Brossano  nel  Nov.  1374,  Versione 
di  M.  Leoni. 

(12)  Virorum  optimus  est  Scipio.  Ep.  Fam.  xra,  11.  —  Scipio 
Africanus  vir  incomparabilis,  et  cui  in  virtute  omnia,  nullum  cum 
voluptate  commercium.  Ep.  Fam.  v,  4.  —  Sydereum  juvenem 
genitumque  ex  stirpe  Deorum.  Ed.  i.  —  V.  Ep.  Fam.  ix,  13. 


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STUDI    BIOGRAFICI 

(V.  Man.  Dant.  U.  «/  «M;  lY  1-88^. 


Villani  Giovanni  (m.  di  peste  nel  1348),  Chi  fu  il  poeta 
Dante  Alighieri  di  Firenze,  Cronaca,  Firenze,  Magheri,  1823, 
per  cura  d*  Ignazio  Moutier,  1.  ix.  e.  cxxv. 

<  Il  più  autorevole,  senza  dubbio,  nel  poco  ch'egli  scrisse 
intorno  a  Dante,  o  meglio  il  solo  veramente  autorevole  fra  tutti 
i  biografi  di  Dante.  Di  poco  piii  giovane  che  TAlighierì,  e  con- 
cittadino e  vicino  di  luì,  egli  seppe  certamente  i  &tti  della 
gioventù  del  poeta. . . . .  >  Todeschini,  Scritti  su  Dante,  i.  273. 

Boccaccio  Giovanni,  Della  vita  e  costumi  e  studi  del  claris- 
Simo  poeta  Dante,  Venezia,  Vindelino  da  Spira,  1477;  Roma 
per  Frane.  Priscianese,  1554,  che  la  diede  come  cosa  rara  e 
nuova;  Firenze,  Sermartelli,  1576;  Napoli,  ma  colla  data  di  Fi- 
renze, 1773  (edit.  Cellenio  Zacclorì-Lorenzo  Ciccarelli)  ;  Firenze, 
Tartini-Franchi,  1723  (ediz.  curata  dal  Biscioni);  Parma,  fratelli 
ÀmoreUi,  1801;  Milano,  Classici,  1803;  Milano,  Mussi,  1809; 
Padova,  Tip.  della  Minerva,  1822  (ediz.  della  Div.  Com.  con  note 
di  Fil.  De  Romanis);  Milano,  Silvestri,  1823;  Venezia,  Alviso- 
poli,  1825  (1);  Firenze,  Magheri,  1833,  per  cura  d*Ign.  Moutier; 

(1)  Ho  Bostenato  una  pasienxa  da  Giobbe  per  ridurre  ad  ottima  lecione 
la  vita  di  Dante  che  si  lesse  malconcia.  —  Suli'ediz.  del  Gamba  veggasi 
la  lettera  di  Pier  Alessandro  Paravia  a  Vicenso  Monti.  Di  alcune  osaer- 
vazioni  di  lingua  fatte  singolarmente  sopra  l'ultima  edizione  della  vita 
di  Dante  scritta  dal  Boccaccio,  Treviso,  Andreola,  1825;  e  la  lettera  dell'Aft. 
Zendrini  al  Paravia  (Estr.  dal  Giom.  delle  Scienxe  e  Lettere  delle  Prov. 
Ven.  1S25).  Il  Milanesi  ritiene  Tediz.  del  Gamba  e  quella  del  Moutier  per 
le  più  riputate. 


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2  STUDI  BIOORAna. 

Parigi,  Didot,  1844;  Napoli,  Pedone  (tip.  Perotti,  1856);  Fi- 
renze, Le  Monnier,  1863,  per  cura  di  G.  Milanesi;  Torino,  Tip. 
deli^Orat.  di  S.  Francesco,  1870;  Prato,  Grazzini-Giannini,  1873, 
nel  Commento  di  G.  de  Marzo,  ecc. 

«  Mi  venne  alle  mani ,  scrive  Leonardo  Aretino,  un'  operetta 
del  Boccaccio  intitolata  Della  vita,  costumi  e  studi  del  clat-is- 
simo  poeta  Dante,  la  quale  opera,  benché  da  me  altra  volta 
fusse  stata  diligentissimamente  letta,  pur  al  presente  esaminata 
di  nuovo,  mi  parve  che  il  nostro  Boccaccio,  dolcissimo  e  sua- 
vissimo  uomo,  cosi  scrivesse  la  vita  e  i  costumi  di  tanto  sublime 
Poeta,  come  se  a  scrivere  avesse  il  Filocolo,  o  il  Filostraio,  o 
la  Fiammetta.  Perocché  tutta  d' amore  e  di  sospiri  e  di  cocenti 
lagrime  è  piena;  come  se  Tuomo  nascesse  in  questo  mondo 
solamente  per  ritrovarsi  in  quelle  dieci  Giornate  amorose,  nelle 
quali  da  donne  innamorate  e  da  giovani  leggiadri  raccontate 
furono  le  cento  Novelle:  e  tanto  s'infiamma  in  queste  parti 
d*  amore,  che  le  gravi  e  sustanzievoli  parti  della  Vita  di  Dante 
lascia  indietro  e  trapassa  con  silenzio,  ricordando  le  cose  leg- 
gieri e  tacendo  le  gravi  >.  —  «  La  vita  di  Dante  scritta  dal 
Boccaccio  sembra  V  opera  piuttosto  di  un  declamatore  e  di  un 
retore  che  di  un  diligente  biografo».  Todeschini,  Scritti  su 
Dante,  i,  273.  —  Ugo  Foscolo,  la  ritiene,  tra  V  opere  del  Boc- 
caccio, la  più  luminosa  di  stile  e  di  pensieri.  (Disc.  Stor.  stil 
Testo  del  Decamerone).  —  Sulla  credibilità  della  Vita,  v.  Foscolo, 
Discorso  sul  Testo,  cxxvn.  —  Ma  ben  altrimenti  ne  sente  il 
prof.  Eliodoro  Lombardi.  —  Nel  suo  libro  sulla  Yita  di  Dante, 
cosi  egli,  ben  si  avverte  come  sia  V  apostolo  della  nuova  scuola, 
però  che  non  d' altro  ei  prende  cura  e  attenzione  che  di  fatti, 
di  accidenti  umani  e  di  fenomeni;  onde  tu  il  vedi  fax  pompa 
di  quel  genio  ricchissimo  e  descrittivo,  che  non  soffre  già  emuli 

nell'istoria  dell'Arte,  se  togli  forse  l'Ariosto La  Vita  di 

Dante  è  un  lavoro  unico  pe'suoi  pregi;  è  in  quella  che  esso 
ci  rìvela  l'acume  osservativo,  la  potenza  descrittiva  e  l'affettiva 
del  Certaldese,  ei  ci  si  Oi&e  testimonio  irrefragabile  della  onestà 
ferma  e  della  generosa  nobiltà  del  suo  animo,  che,  a  tempi  in 
cui  eran  pur  fresche  le  acerbe  ire  di  parte,  e  pochi  anni  dopo 
che  messer  Beltrame  Cardinale  del  Poggetto,  di  memoria  ab- 
bominanda,  avea  come  cose  eretiche  contenente  dannato  al  fuoco 
il  mirabile  libro  De  Monarchia,  e  (orribile  a  dirsi)  il  somi- 

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STUDI  BIOGRAFia.  3 

gbante  si  era  sforzato  di  fare  delle  stanche  ossa  dell'  esule  divi- 
00  ;  fa  egli,  il  Boccaccio,  che,  solo,  ardito  e  fidente,  si  assunse 
spontaneo  il  mandato  di  rivendicare  la  memoria  del  grande 
afflitto,  e,  descrivendone  la  vita,  gridar  T  anatema  agi*  ipocriti 
aoatematizzatori ,  ed  ai  vili  persecutori  del  gran  poeta.  Lom- 
bardi, La  Critica  italiana  e  il  Boccaccio. 

Mr&coiii  prof.  Filippo,  Sulla  sospetta  autenticità  della  vita  di  Dante 
che  va  sotto  il  nome  di  Giovanni  Boccaccio.  Lezione  viii.  —  Estratta  dal 
Giornale  Arcadico,  tom.  cxxix.  Roma,  Tipografia  delle  Belle  Arti,  1853. 

Il  Mercuri  sostiene  che  non  possa  essere  del  Boccaccio  un  parto  cosi 
stranamente  contraffatto  (!),  che  meglio  riterrebbe  impostura  di  Vindelln  da 
Spira,  o  d'albi.  Egli  inclina  a  credere  che  la  vita  pubblicata  dal  Mehus, 
e  da  Ixii  attribuita  ad  Antonio  Cartulario,  sia  la  vera  e  genuina  vita  di 
Dante,  scritta  dal  Boccaccio  in  latino.  Se  non  che  il  Milanesi  ritiene  le 
ragioni  e  gU  argomenti  del  Mercuri  più  speciosi  che  veri;  che,  oltre  la 
testimommnza  di  tutti  i  codici  (e  sono  assai),  che  ne  dicono  autore  il  Boc- 
caccio, e*  è  anche  quella  di  lui  jnroprìo,  il  quale  la  riconosce  per  sua  nella 
prima  Lezione  del  Cemento;  senza  far  conto  di  altri  riscontri  di  somiglianza 
che  si  trovano  tra  le  due  scritture:  come  per  esempio,  il  racconto  del 
ritrovamento  de*  primi  sette  canti  d^*  Inferno,  la  difesa  della  Poesia  e  de' 
Poeti ,  e  la  descrìzioue  de*  guai  e  delle  noie  che  seguitano  il  filosofo  ann 
laogliato. 

Villani  Filippo,  di  Matteo  (n.  nella  villa  di  S.  Procolo  nel 
1325,  m.  circa  il  1403),  Yitae  Dantis,  Peirarchae,  et  Boccaccii 
a  Philippo  Villanio  scriptae  ex  cod.  ined.  Barberiniano,  Flo- 
rentiae,  typis  Magherianis,  1826.  —  Pubblicata  per  cura  del 
can.  Domenico  Moreni,  conforme  a  copia  tratta  dalla  Laurenziana 
di  Firenze  e  riscontrata  coi  codici  Barberini  di  Romadairab. 
Rezzi.  Dalla  sua  opera:  De  Origine  civitatis  Florentiae,  et  de 
ejusdem  famosis  cimbiis,  V.  Antol.  di  Firenze,  n.  lxxv. 

Bruni  Leonardo,  Aretino  (n.  1369,  m.  in  Firenze  il  9  marzo 
1444),  Vita  Dantis  poetai  clarissimi  per  Leonardum  Areiinum 
Incipit.  Fu  impressa  la  prima  volta  in  Perugia  dagli  eredi  di 
Sebastiano  Zecchini  nel  1671,  in  4^,  per  opera  di  Gio.  Cinelli, 
benemerito  della  storia  letter.  fiorentina  ;  ripubblicata  un  anno 
dopo  in  12*^,  in  Firenze,  all'insegna  della  Stella,  dal  rinomato 
Francesco  Redi,  unitamente  alla  vita  del  Petrarca  ;  e  neir  edlz. 
della  Divina  Comedla,  Padova,  Cornino,  1727;  Venezia,  Pa- 
squali, 1739;  Venezia,  Zatta,  1757;  Padova,  Minerva,  1822; 
Firenze,  Le  Monnier,  1857  e  1868,  con  note  di  Brunone  Bianchi  ; 
Napoli,  tip.  Naz.  1863;  Firenze,  Barbèra,  1870,  ecc. 

Gli  editori  della  Minerva  la  dicono  pregevolissima  per  fé- 


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4  STUDI  BIOORAFia. 

deità  storica,  per  lingua  e  per  brevità.  —  Il  Giusti  nel  suo 
Progetto  per  una  nuova  edizione  di  tutte  le  Opere  di  Danfe^ 
voleva  «  premessa  la  Vita  del  Poeta  breve,  completa  e  fortificata 
da  quelle  parole  che  e  nel  Poema  e  nelle  Opere  Minori  ne  Iia 
lasciato  di  sé  »,  ed  indicava  quella  €  di  Leonardo  Aretino  >, 
L'Andreoli  la  dice  di  valore  isterico  incontrastabilmente  mag^- 
giore  di  quella  del  Boccaccio:  il  Todeschini  la  ritiene  invece 
cosa  leggera,  sbadatamente  scritta —  e  per  suo  spdsso,  ia 
qualche  ritaglio  di  tempo  tolto  a  maggiori  cure. 

Manetti  Giannozzo,  (n.  il  5  Giugno  1396,  m.  il  26  Ottobre 
1459),  "De  vita  et  moribus  trium  illustrium  poetarum  floren-^ 
tinotnim,  Firenze,  Giovanelli,  1747  (per  cura  dell' ab.  Mehus); 
in  più  luoghi  emendata  e  riempiuta,  Palermo,  1836. 

Nello  stendere  brevemente  in  lingua  latina  le  vite  dei  tre 
poeti  fiorentini,  e  particolarmente  quella  di  Dante,  io  non  credo 
già  che  fosse  intenzione  del  Manetti  di  raccogliere  nuove  e 
peregrine  notizie,  ma  piuttosto  di  compilare  intorno  a  quella 
materia  un  libro  che  fosse  gradevole  ai  dotti,  ì  quali  sdogana- 
vano allora  la  lingua  volgare.  Quindi  la  sua  vita  di  Dante  non 
è  per  la  massima  parte  che  un  accurato  estratto  di  ciò  che 
ne  avevano  già  scritto  in  volgare  il  Boccaccio  e  Leonardo. 
Todeschini,  Scritti  su  Dante,  i,  310.  —  V.  Foscolo,  Discorsa 
sul  Testo,  cxxvii. 

Philelphi  Marii,  (n.  a  Costantinopoli  nel  1426),  Vita  Dantis 
AUgherii  nunc  primum  ex  cod.  Laurentiano  in  lucetn  edita 
et  notis  illustrata,  Florentiae,  ex  typ.  Magheriana,  1828,  pag. 
XL-144.  —  Ne  fu  editore  il  can.  Domenico  Moreni.  —  (Alcuni 
brani  più  interessanti  di  questa  vita  erano  stati  pubblicati  dal 
Mehus  nella  predizione  alla  vita  di  Dante  scritta  dal  Manetti). 

«  Non  solamente  il  Filelfo  nel  suo  scritto  intorno  air  Ali- 
ghieri  non  mostra  d' aver  fatto  diligenti  ricerche,  nò  di  appog- 
giare i  proprii  detti  sopra  solide  autorità;  che  anzi  egli  dà  a 
divedere   nel  modo   più  palese  di  lasciarsi  cader  dalla  penna 

ciocché  I^immaginazione  gli  detta <  Giuseppe  La  Farina,  cosi 

scriveva  alquanti  anni  fa  nel  programma  di  un'opera  intorno 
al  secolo  XIII:  —  «  Chrfede  poi  volete  eh*  io  presti  al  Filelfo .... 
a  colui  che  sbagliò  fio  anco,  citando,  gì*  incominciaraenti  del  la 
Volgare  Eloquenza  e  del  Trattato  della  Monarchia  ;  a  colui  che 
teneasi  improvisatore,  e  gloriavasi  avere  a  45  anni  scritto  tanti 

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STUDI  BIOGRAFICI.  5 

volami,  che  sarebbe  bastato  a  pena  mezzo  tanto  dì  tempo  a  tra- 
scriverli? > —  Ed  il  marchese  Giovan  Giacomo  Trivulzio  con 
tnono  pili  gagliardo  scriveva  il  28  Agosto  1828  al  co.  Mario 
Valdrighi:  «  Il  citare  Mario  Filelfo  come  autorità  è  tanto  ridicolo, 
come  sarebbe  il  citare  l'autore  del  D.  Chisciotte  per  conferma 
d' un  fatto  storico.  Mario  Filelfo  riconosciuto  vivo  e  morto  per 
QD  solenne  impostore  da  tutti,  ora  meriterà  solo  tanta  fede?  »  — 
Il  prof.  Todeschini  conchiude:  €  le  cose  narrate  intomo  a  Dante 
dal  solo  Filelfo  non  sono  che  bolle  di  sapone  che  si  disciolgono 
in  aria.  >  Scritti  su  Dante,  i,  376.  —  V.  Ugo  Foscolo,  Discorso 
sul  Testo,  cxxxii  e  seg. 

Ferretti  Giovanni  Pietro,  Ravennate,  Vito  di  Dante.  — 
Martinetti  Cardoni,  Dante  in  Ravenna,  9(>-98. 

Domenico  di  Maestro  Bandino  d'Arezzo.  Nel  Libro  i.  della 
parte  v.  del  suo  Fons  Memorahilium  universi.  Pubblicata  dal 
Mehus  nella  vita  del  Traversar!  a  p.  clxviii. 

Landino  Cristophoro,  Yita  et  costumi  del  Poeta.  In  tutte 
l'edizioni  del  suo  Commento. 

Vbllutello  Alessandro,  Id.  Id. 

Ademollo  Agostino,  Notizie  intorno  a  Dante  Alighieri. 
Nella  sua  Marietta  de*  Ricci.  Firenze ,  Stamperia  Granducale , 
1840. 

Ambrosoli  Francesco,  Vita  di  Dante  Alighieri.  Nel  suo 
Manuale  di  Letter.  Ital.  Milano,  Fontana,  1831. 

Arici  Cesare,  Della  vita  e  degli  scritti  di  Dante  Alighieri. 
Nella  Vita  e  Ritratti  pubblicati  dal  Bettoni  ;  Bologna,  Tip.  deHa 
Volpe,  1844. 

Balbo  Cesare,  Vita  di  Dante.  Torino,  Pomba,  1839;  con 
note  di  Emmanuele  Rocco,  Napoli,  Nobile,  1840;  Firenze, 
Le  Mounier,  1853.  (Life  and  times  of  by  Cesare  Balbo  tr.  by 
Bumbery,  Bentley,  1851). 

Chi  voglia  conoscere  la  vita  dell*  Alighieri  e  per  essa  il  suo 
tempo  e  nell^una  e  nelf  altro  il  più  del  suo  poema,  non  tra* 
scuri,  scrive  TAndreoli,  la  lettura  del  Balbo.  Tra  le  vite  che 
ne  furono  scritte  la  dice  la  sola  veramente  buona.  (V.  Bibliot.  Ital. 
Maggio  1839,  145-165). 

Todeschini  OinsBPPS,  Osservazioni  e  censure  alla  vita  di  Dante 
scritta  dal  co.  Cesare  Balbo  ed  annotata  da  Em.  Rocco.  Scritti  su  Dante, 
I.  281-889. 


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6  STUDI  BIOGRAFICI. 

Dante  ci  fa  sapere  nel  canto  xxii  del  Paradiso  (v.  110-17)  di  essere 
nato  mentre  il  sole  era  in  Gemini.  Ora  nel  1265  il  sole  non  entrava  in 
Gèmini  che  il  13  Maggio;  dunque  Dante  non  nacque  che  verso  la  metà, 
o  dopo  la  metà  di  questo  mese.  L'equinozio  di  primavera,  ossia  l'entrata 
del  sole  in  Ariete  nel  1285,  avvenne  al  12  Marzo,  ore  5  e  mezza  di  sera  : 
il  tempo  passato  dall*  entrata  in  Ariete  all'  ingresso  in  Gemini  fa  presso 
a  poco  di  giorni  61  ed  ore  12  e  mezza  ;  dunque  nel  1265  l'entrata  in  Gemini 
dovette  accadere  il  13  Maggio,  ore  6  del  mattino.  Che  se  l'equinozio  del 
1300  (fissato  da  molti  astronomi  al  12  Marzo,  ore  5  antimeridiane)  fosse  in 
quella  vece  avvenuto  di  sera,  come  pretendono  alM,  allora  tutto  in  questo 
calcolo  si  posticiperebbe  di  dodici  ore  a  cagione  de'  nove  anni  bisestili  in- 
termedi, e  quindi  l'entrata  del  sole  in  Gemini  nel  1265  sarebbe  avvenuta 
il  13  Maggio,  ore  6  della  sera. 

Era  vezzo  comunissimo  nel  dugento  e  nel  trecento  di  abbandonare  il 
nome  battesimale,  e  valersi  non  d'altro  che  d'un  nome  troncato,  si  nelle 
occasioni  solenni  che  nell'  uso  quotidiano.  E  tuttavia  rimasero  bastanti  te- 
stimonianze del  nome  primitivo  dell'Alighieri.  Esso  è  ripetuto  tre  volte  in 
un  documento  pubblico  fiorentino  del  1312,  eretto  ad  istanza  di  suo  figlio 
Jacopo,  di  cui  buona  parte  è  riportata  dal  Pelli.  —  Il  Todeschini  ritiene 
propriamente  ed  intrinsecamente  fallace  la  opinione  di  coloro  che  asseri- 
scono la  famiglia  di  Dante  ascritta  alla  classe  de*  grandi  anzicchè  a  quella 
de'  popolani,  e  ne  mette  in  piena  luce  l'erroneità.  Coir  autorità  del  Villani  e 
dell'Ammirato,  che  vide  e  lesse  tante  croniche  e  scritture  di  Firenze,  quanto 
forse  niun  altro,  ci  prova,  come  già  cominciato  il  secolo  XIIT,  e  più  di  ses- 
sant'  anni  dopo  la  morte  di  Gacciagulda ,  i  maggiori  di  Dante  non  erano 
altrimenti  fra  le  schiatte  nobili  della  città.  Aggiungasi  che  prima  di  appar- 
tenere ad  una  schiatta  nobile  facea  duopo  appartenere  ad  una  qualche  schiatta, 
eh'  è  quanto  dire,  essere  membro  d'una  famiglia,  che  abbia  un  nome  proprio 
generalmente  riconosciuto.  Ora  i  maggiori  di  Dante  sul  principio  del  se- 
colo XIII  non  avevano  ancora  un  nome  famigliare:  eglino  non  s'appellavano 
che  pel  nome  personale  e  per  quello  de'  loro  genitori ,  come  si  usò  lungo 
tempo  fra  le  genti  mezzane,  ed  un  tempo  assai  più  lungo  nel  popolo  mi- 

n\}to Il  nome  Alighieri,  come  nome  proprio  di  un  casato,  non  era 

pienamente  stabilito  nemmeno  un  secolo  appresso,  ma  talvolta  usavasi  ancora 
come  semplice  patronimico,  dappoiché  nel  padre  di  Dante  s' era  rinnovato 
il  nome  del  padre  di  Bellincione.  —  Né  i  suoi  maggiori  si  trovano  net 
catalogo  non  solo  de'  grandi,  ma  nemmeno  delle  case  notabili  del  popolo, 
di  parte  guelfa,  che,  in  occasione  della  sconfitta  di  Montaperti,  avvenuta  nel 
Settembre  del  1260,  fìiggirono  di  Firenze.  Adunque  Dante  Alighieri  nacque 
e  visse  popolano ,  ed  appunto  per  ciò  ebbe  aperto  l' adito  a  sedere  fra  ì 
signori  del  comune,  locchè  per  le  le.ggi  del  1293  era  vietato  a  ciascheduno 
de'  grandi.  Nato  da  una  famiglia  del  popolo,  cresciuto  a  perfetta  età  mentre 
in  Firenze  prendevano  un  grande  e  straordinario  sviluppo  i  principi i  de- 
mocratici ,  salito  in  qualità  di  popolano  al  sommo  onore  della  repubblica, 
attaccatosi  nella  divisione  de'  Bianchi  e  de*  Neri  a  quel  partito,  eh'  era  più 
amico  del  popolo,  più  avverso  alla  dominazione  de*  grandi,  Dante  professò 
per  lungo  tempo  sentimenti  i  più  avversi  alla  nobiltà  ereditaria.  Nella 
terza  canzone  del  Convito,  ei  combatte  le  idee  comuni  della  nobiltà  ;  nega 
eh'  ella  possa  consistere ,  o  nel  possesso  di  antica  ricchezza ,  o  nella  deri- 


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STUDI  .BIOGRAFICI.  7 

3  da  illnstri  maggiori,  ma  che  è  una  prerogativa  indiyidaale,  un  seme 
a  felicità  meMSO  da  Dio  nell'anima  ben  potta^  idee  singolarmente  ricon- 
fersuite  nel  Gom«nto. 

Ciùimque  stima  Dante  esser  nato  di  schiatta  nobile,  dice  il  Todeschini, 
0  non  ha  mai  letto  il  Trattato  quarto  del  Convito,  o  non  ha  mai  preso  a 
are  il  paragone  di  quello  scritto  coli' eterne  pagine  della  scienza  del  cuore 


n  Todeschini  di  poi  le  ragioni  che  in  appresso  scossero  l'animo  po- 
polare dell*  esule  ghibellino ,  ed  a  poco  a  poco  lo  trassero  a  pensare ,  che, 
qnal  che  si  fosse  la  verità  delle  cose  nel  mondo  delle  idee,  gli  era  ad  ogni 
modo  necessario  nel  mondo  de'  fatti  di  attribuire  una  importanza  ed  una 
considerazione  alla  nobiltà  dei  lignaggi  (Par.  xv.  xvi).  >-  Todeschini,  Scritti 
sa  Dante  i,  3^t4-3G0,  e  i,  26S.  — 11  Todeschini  poi  prova  che,  non  per  farsi 
popolano,  che  tale  era  nato,  ma  per  rendersi  capace  degli  uffici  del  civile 
reggimento,  a*  quali  non  salivano  se  non  che  i  membri  dei  collegi  delle  arti, 
l'Alighieri  desse  il  suo  nome  all'arte  de'  medici  e  degli  speziali.  Alla  sesta 
dell'  arti  maggiori,  la  quale  prendeva  il  suo  nome  da'  medici  e  dagli  speziali, 
<à  comprendevano  i  dipintori,  e  con  loro  certamente  tutti  quelli  ch'erano 
dati  alla  professione  del  disegno,  e  che  non  entravano  nell'  arte  duodecima 
dò  maestri  della  pietra.  Onde  Ant.  Pucci  cantò:  La  sesta  sono  medici  e 
speóali  E  dipintori^  e  di  piA  altri  assaij,  Che  in  questa  arte  son  con  loro 
ignoti.  —  Ed  ei  pur  ritiene  che  prima  della  battaglia  di  Gampaldino  si  fosse 
trovato  in  altre  fazioni  di  guerra,  e  perciò  acquistato  opinione  di  giovine 
valoroso,  e  certo  fra'  cavalieri ,  cittadini  di  Firenze ,  che  nel  Giugno  128S 
bandirono  Oète  sopra  Arezzo.  De*  sette  figliuoli,  di  cui  lo  si  volle  padre, 
ei  non  riconosce  che  Pietro,  Jacopo  e  Beatrice,  e  ne  adduce  le  ragioni.  — 
D^e  vite  che  dell'altissimo  Poeta  abbiamo,  il  Todeschini  non  par  contento. 
Uomini  dottissimi  e  di  rispettato  nome,  ei  dice,  hanno  tessuto  la  storia  della 
vita  e  del  poema  di  Dante,  secondo  il  parere  e  piacer  loro,  e  farebbe  d*  uopo 
recare  in  mezzo  fatti,  autorità  ragioni  per  rendere  aperto  il  sentiero  della 
verità.  Opera  sarebbe  grave  faticosa  e  da  non  venirne  si  presto  a  capo. 
Lango  camino  ù  avrebbe  dinanzi,  nò  si  potrebbe  trascorrerlo  senza  rimuo- 
vere ad  ora  ad  ora  gli  ostacoli  che  lo  attraversano.  Che  se  avessi  fidanza 
della  mia  vita  e  delle  mie  forze  io  moverei  parola  da  compiere  in  altro 
tonpo  quelle  cose  che  ora  accenno. 

BuNCHi  Brunone,  Cenni  intorno  alla  vita  e  alle  opere  di 
Dante  Alighieri.  Premessi  alPediz.  della  Div.  Com.  Firenze, 
Le  Mounier,  1844  e  1846. 

Camerini  Eugenio,  Vita  di  Dante,  Premessa  al  suo  Co- 
mento.  Milano,  Sonzogno,  1873  e  1876. 

Canova  Giovanni,  Vita  di  Dante  Alighieri.  Verona,  Mo- 
roni,  1823. 

Correnti  Cesare,  Dante  Alighieri,  Nel  iv.  voi.  dell'Enci- 
clopedia popolare  del  Pomba,  p.  780-86. 

L*  egregio  prof.  Zoncada  mi  additava  T  Autore  di  questa 
vita  piena  di  alti  concetti  e  di  vedute  profonde. 


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O  STUDI  BIOORAFICI.  i 

Costa  Paolo,  Vita  di  Dante,  Bologna,  Oamberini,  e  Par- 
meggiani,  1819,  e  nelle  altre  edizioni  del  suo  Gomento.  j 

Di  Cesare  Giuseppe,  Memoria  sulla  vita  di  Dante,  Estr. 
dal  I.  voi.  dell'Accademia  Pontaniana.  Napoli,  Stamp.  R.  181 1. 

Dolce  Lodovico,  Vita  premessa  alPediz.  della  Div.  Com- 
media. Venezia,  Giolito  de' Ferrari,  1555. 

Gregorbtti  Francesco,  Notizie  su  Dante  Alighieri  e  i  suoi 
tempi  per  agevolare  a*  giovani  V  intelligenza  della  Divina 
Commedia.  Giorn.  Eug.  Sett.  1847  (V.  pure  Man,  Dani.  n.  533). 

Fraticelli  Pietro,  Cenni  stotiei  intorno  alla  vita  di  Dante 
Alighieri,  Premessi  al  suo  Comento.  Firenze,  Barbèra,  1860 
(Sulla  sua  /Scorta  della  Yita  ecc.  vedi  Man,  Dant,  il  533). 

Memorie  isteriche  per  servire  alla  vita  de* piti  illustri  uomini 
della  Toscana,  raccolte  da  una  Società  di  Letterati  ed  arric- 
chite  di  diligentissimi  ritratti,  Livorno,  Santini,  1757.  La  vita 
di  Dante  Alighieri,  voi.  l  p.  1. 

MissiRiNi  Melchiorb,  Vita  di  Dante  Alighieri,  adoma  di 
40  incisioni.  Firenze,  Fabris,  1840.  (Nel  iv.  voi.  dell' ediz.  della 
Div.  Com.);  Milano  e  Vienna,  Tendler  e  Schaefler,  1844. 

N.  N.,  Vita  di  Dante,  Nel  Magazzino  Toscano.  Livorno, 
Santini,  1754-56. 

Pelli  Giuseppe,  Memorie  per  servire  alla  vita  di  Dante 
Alighieri,  Venezia,  Zatta,  1758;  id.  1759;  id.  1760;  Firenze, 
Piatti,  1823  —  V.  U.  Foscolo,  Discorso  sul  Testo  cxxvn  e  seg. 

PoociANTi  P.  Michael,  Servita,  Dantes  Alygerius.  Catalo- 
gus  scriptorum  florentinorum  ecc.  Florentiae,  apud  Philippum 
lunctam,  1589. 

PosoGCO  G.  U.,  La  vita  di  Dante  in  reiasione  del  suo  tempo, 
Studio.  Fermo,  Bacher,  1876. 

RiNucciNi  Filippo,  di  Gino,  Vita  di  Dante  Alighieri,  Delizie 
degli  eruditi  Toscani,  voi.  xii. 

Rossetti  Gabriele,  La  vita  di  Dante.  Precede  il  Comento 
analitico  della  Divina  Commedia.  Londra,  Murray,  1826. 

RuBBi  A.,  Notìzie  storiche  e  critiche  su  Dante  e  il  suo  Poema. 
Nel  voi.  IH.  dell' ediz.  della  Div.  Com.  del  Zatta.  Venezia,  1784. 

JSacchi  Deitbndbnte,  Dante  Alighieri,  Ne' suoi  Saggi,  col 
titolo  Uomini  utili,  voi.  i.  1-11.  Milano,  Silvestri,  1840. 

SciFONi  Felice,  Dante  Alighieri,  Dizion.  Biogr.  Univ.  Fi- 
renze, Passigli,  1840. 


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STUDI  BlOGRAFia.  9 

Sebassi  Pibr  Antonio.  Nella  ediz.  della  Div.  Com.  Bergamo, 
Lancellotti,  1752;  Roma,  Fulgoni,  1791. 

TiRABoscHi  GiROLiMO.  La  vita  di  Dante  scritta  dal  Tiraboschi 
nella  Storia  della  Letter.  Ital.  (T.  v.  L.  3  C.  2-nn.  3-11)  fu 
ristampata  e  corredata  di  molte  note  dal  De  Romania  nel  iv  voi. 
dell' ediz.  da  lui  procurata  della  Div.  Com.  1815-17,  e  poscia 
riprodotta  nell'ediz.  di  Padova  del  1822,  Tip.  della  Minerva, 
e  in  molte  altre  ancora. 

Tommaseo  Nicolò,  NeW  Encyclopedie  des  gens  de  Monde, 
1856  —  V.  Man.  Dani.  iv.  40. 

Ugouni  F.,  Dante  Alighieri.  Ediz.  diam.  della  Div.  Com. 
Firenze,  Barbèra-Bianchi,  1859. 

Zaccaria  p.  Francesco  Antonio,  Vite  di  Dante.  Premessa 
air  ediz.  della  Div.  Com.  Verona,  Berna,  1749.  V.  Lettera  del 
P.  Valerio  Baggi,  Gesuita;  Melandri  P.  Gius,  intomo  allo  studio 
dei  P.  P.  della  Comp.  di  Gesù  nelle  Opere  di  Dante,  p.  18. 

ZiNELLi  Federico,  Brevi  notìzie  intomo  alla  vita  ed  alle 
opere  di  Dante  Alighieri.  Intorno  allo  spirito  religioso  di  Dante 
Alighieri,  Venezia,  Andreola,  1839,  I.  v.  xxvi. 

AiCARD  J.,  Notice  sur  Dante  Aligì^ieri,  Nell'opera:  Un 
Mlion  de  Faits.  Paris,  Dubochet,  1843. 

Ginguenè  P.  L.,  Notice  sur  la  vie  de  Dante  et  sur  ses 
ouvrages,  et  Analyse  de  la  Div.  Comedie.  Milan,  Giusti,  1820 
—  Traduzione  Italiana,  Almanacco  per  Vanno  1834,  Venezia, 
Andreola  —  Id.  Artide  su  Dante  Alighieri.  Nella  Biographie 
Universelle,  Paris,  Michaud  frères,  1811-20. 

MoR^i  Louis,  Dante  Aligeri.  Nel  suo  Grand  Dictionnairo 
historìque,  Bayle,  Brandmuiler,  1740. 

Papirii  Massoni,  Vitae  triumph.  Hetruriae  procerum,  Dantis, 
Petrarcae.  Parisiis,  a  Prato,  1587  —  Elogia  varia.  Parisiis» 
Hurè,  1638. 

VoLTABRE  Fr.  M.,  Le  Dante.  Dictionnaire  phil.,  Kehl,  Soc. 
Liter.  et  Typ.,  1784. 

Floto  Hartwig,  Dante  Alighieri,  sein  Lehen  u.  scine 
Werhe  (Dante  Alighieri,  la  sua  vita  e  le  sue  opere),  Stuttgart» 
Beisfer,  1858.  —  Lezioni  pronunziate  neir  inverno  1856-57  nel- 
TAula  deir  Università  di  Basilea, 

BALDACCHiin  Saverio,  Sludii  Danteschi  in  Germania.  Hartwig  Floto. 
Prose,  n,  ll(>-26.  Napoli,  Stamperia  del  Vaglio,  1873. 

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10  STUDI  BIOGRAFICI. 

Il  Baldacchini  antliza  la  vita  che  dell'Alighieri  acriase  U  Flotto,  e  la 
trova  leggera  aaaai.  Secondo  il  Pioto,  Dante  non  Ai  mai  popolare,  nemmeno 
ili  Italia,  e  lo  provano  i  molti  espositori,  e  le  molte  cattedre  instituite  perchè 
il  suo  poema  venisse  cementato  e  quindi  inteso.  Ma  quel  lihro  esprime  meglio 
r ìntima  natura  degl'Italiani,  e  per  conseguenza  quale  può  essere  più  pò- 
])olare  per  noi  che  in  esso  vi  <A  ravvisiamo  come  ritratti  e  acolpiti?  Ed 
appunto  la  Divina  Commedia  era  dichiarata,  perchè  ciascuno  voleva  far 
s-.ia  quella  viva  parola,  studiandosi  che  si  diffondesse  ancor  più.  Ck>me  una 
f'ncirlopedia  essa  consideravasi ,  e  voleasi  che  la  parte  più  riposta  di  essa 
divenisse  accessibile  a  tutti,  di  guisa  che  la  più  squisita  ontologia  cristiana 
o  la  più  alta  teologia  divenir  potessero  laicali.  —  Se  tutto  chiaro  fosse  il 
poema  ad  un  modo,  non  rappresenterebbe,  come  veramente  rapprraenta. 
1* universo,  eh' è  luce  e  tenebre;  e  perderebbe  la  sua  natura  simbolica  e 
profetica,  la  quale,  tanto  sopra  ogni  altro  poema  antico  e  moderno  lo  innalza. 
—  Il  Fleto  vuole  spiegare  l'adorazione  di  Dante  per  Beatrice  con  la  cavalleria, 
(>  ro' trovatori,  e  con  le  corti  d'amore,  e  con  gli  altri  costumi  de'  Proven- 
zali. Ma  ben  non  considera  il  professore  di  Stuttgarda  che  la  Cavalleria  si 
congiugne  agli  ordini  feudali,  e  che  per  gl'Italiani  Ai  sempre  cosa  forestiera, 
non  natia.  Non  considera  egli  che  la  nostra  poesia,  altamente  civile,  nulla 
ìi:ì  che  fare  con  quella  de'  trovatori,  eh'  è  castellana.  Non  considera  infine 
li*  origini  gotiche  della  civiltà  aquitanica  o  provenzale,  affatto  diver^  dalle 
nostre  che  latine  sono  e,  come  latine,  assai  prossime  alle  elleniche.  L'amore, 
rlie  i  nostri  professano  per  la  bellezza  nella  sua  idea  universale,  solo  rende 
possibile  ogni  altro  amore  in  guisa  che  abbia  grandezza,  e  s' intreccia  mi- 
rabilmente con  la  più  severa  osservanza  del  dovere.  Ciò  che  più  offende  il 
Balilacchini  nel  libretto  del  Fleto  si  è  il  non  avere  egli  intesa  abbastanza 
la  grande  anima  di  Dante  e  l'unità  ideale  della  Divina  Commedia.  Né  il 
Ruth  né  il  Floto  non  intesero  che  essa  non  sarebbe  stata  un'  epopea  ab- 
bastanza storica,  se  spogliata  fosse  della  parte  allegorica  e  simbolica,  sendo 
allegorica  e  simbolica  l'età  dantesca.  —  Al  Floto  pare  imperfetta  l'astro- 
nomia tolemaica  di  Dante,  imperfetta  la  sua  teologia  stessa,  non  ostante  che 
il  poeta  fosse  ito  a  Parigi  per  fortificarsi,  non  ostante  che  la  sua  dottrina 
si  accordi  a  quella  delle  nostre  scuole  da  Paolo  a  Tomaso  d'Aquino.  In  breve, 
s.?condo  il  Floto,  la  Divina  Commedia  fu  scritta  per  l'esaltazione  del  santo 
romano  impero  della  nazione  germanica. 

Kakrajsck  Franz,  nel  periodico  sloveno  Soca,  1874,  dettò 
una  diffusa  biografia  di  Dante,  e  ci  diede  tradotti  pure  in  slo- 
veno alcuni  brani  delle  poesie  dantesche.  —  Nel  xii.  £asc.  an.  ii. 
deir  Uj  magyar  muzeum  (nuovo  museo  ungherese),  rivista 
pubblicata  dairAccadetnia  Ungherese,  troviamo  un  articolo  del 
Csàzàr,  col  titolo  Dante  Alighieri,  e  col  motto  onorate  V  altis- 
simo poeta.  Questo  articolo  contiene  tre  parti:  1°  una  prefii- 
zione  in  forma  di  lettera,  indirizzata  dalP  editore  del  Museo  a 
Fr.  Toldij  :  2®  una  breve  introduzione  nella  quale  Csàz&r  parla 
della  vita  e  dell'  opere  di  Dante,  e  lo  intitola  padre  del  roman- 
ticismo. Toldij  in  una  nota  aggiunta  alla  predizione  dice  che 


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STUDI  BIOGRAFICI.  II 

Dante  è  la  porta  gigantesca  che  dal  medio  evo  introduce  all'età 
novella,  ed  ognuno  che  vuole  conoscere  Tuna  o  T  altra  di  queste 
epoche,  ovvero  ambedue,  vi  deve  passar  sotto.  Co.  Géza  Kuun. 

Sandbr  Diaconus  9U  Gronau  Ritter  des  eisernen  Kreuseg, 
Dante  Alighieri  der  Dickter  der  goUUchen  KomÓdie  Vortrag 
iV>*  evangelischen  Verein  zu  Hannover  gehalten.  —  Hannover, 
Cari  Mehr,  1872,  in  le"",  80  p.  —  Dante  Alighieri,  poeta  della 
Divina  Commedia,  discorso  tenuto  nella  riunione  evangelica  ad 
Annover  da  Sander  diacono  a  Gronau,  cav.  della  croce  dì  ferro. 

Racconta  brevemente  la  storia  dei  tempi  e  della  vita  del- 
TAlighieri,  e  dà  poi  un'analisi  della  Divina  Commedia.  È  un 
lavoro  di  poca  importanza. 

Scrissero  più  o  meno  ampiamente  della  Vita  del  Nostro  tutti  gli  Sto- 
rici della  Letteratura  Italiana:  Comiani  Giamb.j,  I  Secoli  della  Letter.  Ital. 
Torino,  Pomba,  1844, 1. 144>74.  —  Riccardi  Ani.,  Manuale  d'ogrni  letteratura. 
Prato,  Guasti,  1839.  —  Alaffei  Gius.,  Storia  della  Letter.  Milano,  Classici, 
i'vit;  C.  IV.  42-$^.  —  Franceschi  Ferrucci  Caterina,  I  primi  quattro  se- 
coli della  Letter.  Firenze,  Bianchi,  185C,  Lez.  iv-ix,  74-295.  —  Cereseto  G. 
B.,  Storia  della  Poesia  Italiana,  Milano,  Silvestri,  1857,  Voi.  i,  58-72.  — 
Emilirmi  Giudici  Paolo,  Storia  della  Letter.  Ital.  Firense,  Le  Mounier,  1855, 
p.  118-2Ó0;  Id.  Compendio,  Firenze,  Poligrafia  lUl.  1855;  p.  72-125.  —  Car- 
t'nra  Franeeéco,  Antol.  Ital.  Vienna,  Ueberreuter,  i,  15-19.  —  Canlù  Cesare, 
Sloria  della  Letter.  Ital.  Firenze,  Le  Monnier,  1865,  p.  31-59,  ecc.  ecc. 

<  Nella  libreria  Riccardiana  (Cod.  xxii.  se.  N.  ord.  I.)  vi  ha  una  raccolta 
in  lingua  latina  di  vite  di  filosofi  e  di  eruditi  che  si  crede  essere  di  Antonio 
C'trtulario  Padovano.  Vi  è  un  framento  della  vita  di  Dante,  il  quale  dal 
«lottissimo  Gio.  Lami  fu  trascritto  nelle  sue  novelle  letterarie  dell'anno  174& 
<cv\.  181  e  seg.  ).  Anche  Tab.  Mehus  lo  inserì  nella  vita  del  Padre  Am- 
hrugio,  traendolo  dal  medesimo  codice.  Di  esso  non  si  conosce  l'autore, 
«siccome  pure  di  un*  altra  vita  di  Dante,  che  al  dire  del  Gionacci  nelle  sopra 
rifate  schede  si  trova  nella  libreria  Strozziaua  (nel  cod.  segn.  181  de' libri 
tn  fol.).  Ivi  pure  (nel  cod.  301  e  560  de' libri  in  4'>  ed  In  8°)  trovasi  altra 
vita  deUo  stesso  Poeta  d* autore  anonimo;  ed  il  cod.  1006  de' libri  in  foglio 
racchiude  varie  notìzie  sopra  la  nascita  e  morte  del  medesimo.  Jacopo  Cor- 
binelli  in  fine  della  sua  edizione  del  libro  De  vulgari  eloquentia,  fatta  in 
Parigi  Panno  1577,  pubMico  una  breve  vita  di  Dante  similmente^ d'incerto 
scrittore.  Nel  tomo  xii  delle  Delizie  degli  eruditi  Toscani  pubblicate  dal 
[K  Idelfonso  da  S.  Luigi  vi  hanno  alcune  imbreviature  d'istruroenti  a' fra- 
telli di  lai,  che  sono  curiose;  l'elezione  del  medesimo  ad  ambasciatore  al 
romune  di  S.  Qimignano  nel  1209;  la  condanna  dello  stesso  nel  1302,  ed  a 
pag.  155  la  supplica  dell'Accademia  fiorentina  dell'  11  Gennaio  1587  per  eri<r 
jrere  un  busto  dì  marmo  a  Dante.  >  Pelli  —  Sul  busto  decretato  dall' Accad. 
fior.  V.  Salvino  Salvini,  Fasti  Consolari,  286;  Man.  Dant.  n.  422;  G.  Gar^ 
fjani.  Lettera  al  cav.  Emilio  Frullani,  Giornale  del  Centen.  113. 


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12  SDUDI  BIOORAFICI. 

Anche  Sieeone  Poìentano  ne  scrisse  la  vita  che  inseri  n^Ia  saa  inadita 
opera:  De  scriptoribus  latinae  linguae  ad  Polidorum  filiwn.  Il  Mehus  nella 
prefaz.  alla  vita  del  poeta  di  Giaunozzo  Manetti  (pag.  xix)  trascrisse  questa 
vita  conforme  al  codice  dell'Ambrosiana  di  Milano,  ed  a  pag.  xxi  riferi  ìì 
principio  ed  il  fine  come  si  legge  nella  Ricoardiana.  Nella  vita  poi  del  Tra- 
versari  (p.  clxvi-clkxii)  Tha  riportata  intera  sopra  lo  stesso  codice  Rjo- 
<;ardiano,  facendo  meglio  conoscere  quanto  fra  loro  differiscano  i  due  mss. 


MONOGRAFIE  BIOGRAFICHE 


ScARABELLi  LUCIANO,  Che  il  cosato  del  Poeta  è  AUaghieri, 
Codice  Lambertino,  iii.  xxxvi. 

n  vero  cognome  o  casato  dell' AW/grAt^/  non  è  nò  Allighieri,  né  Ali^ 
-ghieri,  ma  Del  Bello,  e  ne'  migliori  testi  io  trovo  scritto  Dante  d'XUìghìeri 
Del  Bello;  dove  vuoisi  notare  che  Del  Bello  è  il  vero  cognome  o  casata, 
e  àWllfghieri  il  soprannome.  Nel  29  canto  del  Purgatorio  sì  ragiona  di  G^ri 
■del  BetlOj  e  nei  commenti  a  quel  canto  potrei  mostrare  che  molti  priorlsti 
fiorentini,  nei  quali  si  tien  conto  dei  Gasati  e  insiememente  del  tempo,  nel 
quale  gli  uomini  di  una  famiglia  erano  in  dignità,  tutti  trattando  della 
nobilissima  famiglia  di  quelli  del  Bello,  nominano   ed  hanno   segnato  in 

loro  Dante Soprannome  significa  il  nome ,  il  quale  si  mette  sopra  al 

nome,  come  dire  Dante  è  il  nome,  Allighiert  è   il  soprannome,  cioè  il 

nome  del  padre: ma  come  richiede  il  Mercuri  da  Val  di  Pado  potea 

formarsi  il  soprannome  à' Allighieri,  e  quale  analogia  egli  ha  la  voce  Val 
di  Pado  con  rAUighieril  La  Val  di  Pado  dovea  chiamarsi  Val  di  Oert. 
quindi  Alligeri.  o  Aldigeri,  o  Allifjhieri,  o  Aldighieri . . . .  Impone  il  sug- 
gello il  canto  XXIX  deli'  Inferno ,  dove  Dante  parlando  di  Cteri  del  Bello, 
dice:  Credo  eh' un  spirto  del  mio  aangtte  pianga ^  e  il  xv  del  Paradiso, 
dove  fa  dire  a  Cacciaguida  sangui»  metis  o  super  infusa,  nei  quali  luoghi 
<;hiamando  Danto  e  dicendo  Gerì  del  suo  sangue  e  messer  Cacciaguida  si- 
milmente chiamando  Dante  suo  sangue,  certo  è  che  Oeri  e  Dante  venivano 
ad  essere  del  medesimo  sangue  e  avevano  lo  stesso  Cognome  o  Casato.  — 
Mercurij  Lettera  al  prof.  Scolari.  —  Anche  V.  Buonanni  intitola  il  suo 
Discorso  sopra  la  prima  Cantica  (Fiorenza,  Sermatelll,  1572)  del  divinissimo 
theologo  Dante  d'Alighieri  Del  Bello. 

DiONisi  GuN  Jacopo,  DegH  amori  di  Dante  per  Beatrice. 
Aned.  ii.  e.  xiv  e  xv.  Preparazione  Storica,  cap.  xxxvii-xliii, 
voi.  IL,  p.  43-in. 

Arrivabbne  Ferdinando,  Gli  amori  di  Dante  e  tU  Beatrice, 
tolti  d'allegoria  ed  avverati  con  autentic?ie  testimonianze. 
Mantova,  Caranenti,  1823;  Id.  il  Secolo  di  Dante.  Udine,  1827, 
p.  57G-601. 


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STUDI  BIOGRAFICI.  13^ 

Mbsirini  Melchiorb,  BelC  amore  di  Dante  Alighieri  e  del 
TìtraUo  di  BecUrice  Portinari.  Firenze,  Ciardetti,  1830;  Milano, 
Teadler  e  Scbaeffer,  1844. 

Rbcmont  Alfrbd,  Beatrice  atts  Dante* s  lugendleben.  la 
una  Strcsina,  col  titolo  Italia,  Berlino,  Duncker,  1838,  p.  67-103. 

Tommaseo  Nicolò,  Amori  di  Dante;  Ancora  deW  amore  di 
Dante,  Nei  prologomeni  al  Comento. 

Db  Boni  Filippo,  Beatrice  Portinari,  Meseaggiere  della 
donne  italiane  di  Lucca,  n.  Il  del  1844. 

Sacchi  Defbndbnte,  Amore  e  vicende  dei  quattro  poeti  ita» 
Uani  Dante,  Petrarca,  Ariosto  e  Tasso,  Studi  storici.  Milano^ 
uL  ditta  Vallardi,  1856. 

Nardi  Pietro,  Amori  celebri  dei  poeti  e  degli  artisti  italiani. 
^lano,  tip.  Dante  Alighieri,  1874. 

Mi^tcH  Raffaele,  DegU  amori  di  Dante  veri  e  supposti,. 
Memoria  letta  aWAccad.  di  Padova  il  14  Maggio  1865.  Pa- 
dova, Sacchetti,  1871.  Pubbl.  per  Nozze  Carlotti-Cittadella  Vi- 
godarzere. 

Dante  Alighieri  ebbe  nobilissimi  affetti.  Amò  fin  dai  primi 
suoi  anni  Beatrice  d*  un  amore  purissimo,  da  lui  quasi  diviniz- 
zato nei  sacro  Poema.  Amò  la  famiglia,  nò  potea  con  essa  non 
amare  la  moglie,  la  quale  dopo  T esilio  di  lui  rimase  T unico 
appoggio  de*  pargoletti  lor  figli.  Amò  la  patria,  quantunque  da 
lei  pili  volte  acerbamente  ripresa.  Amò  la  sapienza,  eh*  egl'  im- 
bandì in  tanta  copia  nel  suo  Convito,  e  largamente  trasfuso 
nella  Divina  Commedia,  Questi  i  veri  amori,  che  più  sublima- 
rono la  mente  e  T  anima  del  Poeta.  Veruna  prova  si  sa  poi 
trovare  de*  presunti  suoi  amori  profani,  se  non  in  qualche  tratto 
della  Canz.  ix.  ed  appena  forse  in  alcun  altro  de*  suoi  componi- 
menti 8U  Pietra.  La  pargoletta  mentovata  da  Beatrice  nel  G.  xxxi. 
del  Purgatorio,  non  è  che  un  nome  generico,  ovvero  una  indica- 
zione corrispondente,  non  a  Gentucca,  ma  ad  una  Pietra  celebrata 
ne*  sopraddetti  versi  dell* Alighieri.  Nessuna  prova  si  rinviene 
dell*  amore  che  si  suppone  collocato  dal  Poeta  in  una  Bolognese^ 
e  in  una  donna  del  Casentino.  L*  affetto  di  Dante  alla  Lucchese 
Gentucca,  ovvero  ad  Alagia  Fieschi,  non  era  illecito ,  bensì  un 
sentimento  di  gratitudine,  che  gli  fece  lieto  il  soggiorno  di  una 
città  da  lui  anteriormente  ripresa.  (V.  Dionisi,  Prepar.  Ist.  ii. 
e.  35  e  36.  Ugo  Foscolo,  Discorso  sul  Testo,  xc). 


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14  STUDI  BIOGRAFICI. 

WoLTERS  W.  P.,  Beatrice,  Leiden;  S.  C.  van  Doesburgh,  1874. 

È  un  piccolo  romanzo  dell*  amore  di  Dante  per  Beatrice. 
Ci  vien  essa  presentata  con  la  sua  amica  Gemma  Donati,  nella 
•casa  di  sua  madre  Celia,  dove  Cimabue  introduce  Jacopo  da 
Todi.  Dante,  innamorato,  le  invia  spesso  de' sonetti,  ne^ quali 
parla  del  suo  amot*e.  Se  non  che  Brunetto  Latini  dà  un  altro 
indirizzo  alla  sua  anima,  e  gli  apprende  ad  amare  T  ideale  non 
già  la  realtà  di  Beatrice.  Essa,  negletta  da  chi  ebbe  tanto  caro, 
toglie  a  marito  Simone  de  Bardi.  L'autore  paiola  della  stretta 
amicìzia  che  legava  il  poeta  a  Simone,  a  Guido  Cavalcanti,  a 
Giotto.  Beatrice  rimase  fedele  al  suo  sposo,  quantunque  non 
possa  dimenticare  il  suo  Dante,  ch'ella  rivede  qualche  volta 
dopo  la  battaglia  di  Campaldino,  ed  in  un  intimo  convegno,  in 
cui  egli  canta  le  vicende  di  quel  glorioso  fatto  d'armi,  in  versi 
si  belli  onde  ne  sale  in  bella  rinomanza.  Ma  amore  dUèconfig- 
geta  ogni  giorno  più  la  poca  vita  di  Beatrice;  invano  si  fa 
sovente  a  chiedere  conforti  e  consolazioni  a  Fra  Jacopo  da  Todi 
che  r  esorta  alla  preghiera.  Ed  è  Fra  Jacopo  che  conduce  Dante? 
al  letto  di  lei  moriente.  Neil'  ultimo  incontro,  sulla  dimanda  di 
Beatrice,  promette  che  come  ei  Tamò  nei  mortai  corpo,  cosf 
amerebbela  sciolta;  ed  ella,  a  ricontro,  guiderebbe  le  pciìne 
delle  sue  ali  ad  alto  volo,  per  poterla  vagheggiar,  vivo,  nel  cielo 
che  più  prende  della  gloria  di  Dio. 

RossBURGBB  LoTHUN,  Dante  e  Beatrice,  Londra,  King,  1870, 
n.  2  voi. 

L'Autore  descrive  il  poeta  e  la  sua  donna,  i  tempi  ne'  quali 
vissero,  e  consacra  le  sue  ricerche  all'  «  Italia  non  più  divisxi, 
madre,  regina  coronata  nella  pace  ».  Dopo  aver  alluso  a  €  quel 
g^rande  avvenire  dell'  Italia,  che  di  certo  sarà  più  bello  del  suo 
presente  »,  egli  scrive  :  «  possa  il  ricordo  di  due  nobili  vite 
giovare  a  questo  avvenire,  richiamando  alla  mente,  come  ri- 
tratto vivo,  la  loro  tenacità,  fedeltà,  perseveranza.  Possano 
^r  italiani  educare  i  loro  figli  a  seguir  tale  esempio.  »  —  L'opera 
é  dedicata  a  Firenze  «  madre  e  patria  di  Dante  Alighieri  e  di 
Beatrice  Portinari.  »  Le  descrizioni  del  Medio  Evo  prendono  gran 
parte  del  libro  :  vi  s' impara,  con  diletto,  come  si  abbigliassei-o, 
come  mangiassero  i  mercanti  fiorentini,  e  le  loro  famiglie.  La 
nobile  e  severa  figura  di  Dante,  quella  graziosa  di  Beatrice  son 
delineate  con  finezza  suprema.  Rivista  Internas.y  1876,  i,  128. 


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STUDI  BIOGRAFICr.  15 

Witti  Carlo,  Un  dubbio  su  Gemma  Donati.  Rivista 
Internaz.  Brittan.  Germ.  Slava  I  Marzo  1876,  p.  6-8.  — 

ScARTAZziNi  Gio.  Andrba,  Gemma  Donati,  Rivista  Inteiiiaz., 
p.  65-71.  — 

WiTTE  Carlo,  Gemma  Donati,  Replica,  Id.  p.  97.  — 

ScARTAZZiNi  Gio.  Andrba,  Gemma  Donati,  Replica,  Id.  1G6> 
173. 

Carlo  Witte,  T  illustre  dantofilo,  muove  un  dubbio  intorno 
a  Geoìma  Donati,  la  moglie  di  Dante,  se  cioè,  egli  non  abbia 
avuto  da  rammaricaci  forte  de*  costumi  di  lei.  Uno  degli  ar- 
gomenti del  Witte  ò  questo:  Quando  Forese  Donati  ià  quella 
sua  beo  nota  invettiva  contro  le  sfacciate  donne  fiorentine  che 
tan  mostrando  colle  poppe  il  petto ,  e  quando  pone  loro  in 
contrasto  la  illibatissima  sua  vedovella,  perchè  dimenticò  la 
donna  di  Dante  pure  sua  affine?  e  perchè  Dante  stesso  non 
trovò  a  ridire  suir  asserzione  esser  la  Nella  di  Forese  in  bene 
operar  più,  soletta  ?  Dubita  quindi  che  il  Certaldese  e  Giannotto 
Manetti  sulla  sua  fede  avesser  ragione  quando  furono  cosi  crudeli 
inverso  cotesta  Gemma,  a  cui  pure  il  Witte  dichiara  non  poter 
pensare  senza  una  oerta  mestizia.  Ma  T  egregio  mio  amico, 
prof.  Scartazzini,  ritiene  corti  e  difettivi  gli  argomenti  addotti 
dai  Witte,  e  facendosi  paladino  della  Gemma  con  fine  accor- 
gimento, con  logica  rigorosa  e  con  acume  grande  ribatte  ad 
una  ad  una  le  accuse  del  Boccaccio  contro  la  moglie  di  Dante. 
Ma  il  W^itte  non  ritenne  perciò  falsificato  il  suo  parere.  Noi 
però  non  possiamo  non  tenere  col  prof.  Scartazzini. 

Anche  il  Minich,  nell'opuscolo  auccennato,  si  fa  campione  della  Gemma. 
—  L*Aiighierì,  cosi  egli,  convisse  colla  moglie  più  di  nove  anni,  e  tuttavìa 
n>bbe  in  quel  corso  di  tempo  non  meno  di  sette  figli,  lo  che  dee  sembrare 
una  bella  testimonianza  d'  affezione  e  d'  armonia  coniugale.  Fu  poi  separalo 
a  forza  dalla  sua  donna  per  V  ingiusta  condanna  all'  esilio,  e  in  tutto  quel 
tempo  almeno  Tasaenza  esclude  ogni  paragone  odila  stizzosa  moglie  del  greco 
filosofo.  Potrebbeai  obbiettare  che  Gemma  doveva  farai  compagna  del  marito 
anco  nell*  esigilo ,  ma  è  facile  avvertire  eh'  ella  non  poteva  allontanarsi  da 
Firenze,  giacché  la  conservazione  de'  beni  della  sua  dote  era  l' unico  mezzo 
rU  provvedere  al  sostentamento  della  famiglia;  né  sarebbe  stato  possibile 
il  peregrinare  traendo  seco  molti  figliuoletti  in  età  minore  ed  infantile.  Che 
&e  r  Alighieri  nelle  sue  opere  non  ha  mai  nominato  la  moglie,  non  ha  nem- 
meno fatta  menzione  de'  figli ,  il  maggiore  de'  quali  fu  però  sovente  al  di 
lui  fianco  ;  e  neppure  ha  creduto  di  poter  nominare  se  stesso  fuor  che  una 
volta  per  necessaria  cagione.  (Purg.  xxx.  55-63).  Ma  sono  pur  affettuoa-^ 
le  parole  del  Poeta  nel  G.  xvii.  del  Paradiso  che  attestano  quanto  gli  era 


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16  8TVDt  BIOGRAFICI. 

dolorosa  la  separazione  dalla  patria  e  dalla  famiglia  :  —  Tu  Uuci&irai  o(jni 
cosa  diletta  più  caramente,  e  questo  è  quello  strale  che  l'arco  dell'esilio 
pria  saetta  —  ;  e  nella  famiglia,  eh' è  fra  le  cose  più  all'uomo  dilette,  dovea 
par  comprendersi  dall'Alighieri  insieme  configli,  la  moglie,  che  n'era 
rimasa  1*  unico  sostegno  e  conforto.  Anche  il  Petrarca  in  una  sua  lettet^a 
«1  Boccaccio,  attestò  l'amore  di  Dante  alla  moglie  ed  a' figli  scrivendo:  — 
né  l'iyigìuria  de' ciUadini,  né  l'esilio,  né  la  povertò,  né  l'amor  della 
moglie,  né  la  pietà  de' fijliuoli  il  distolsero  mai  dal  cammino  una  volt'X 
intrapreso. 

Croce  Enrico,  Dante  speziale.  La  Rivista  Eur.  Feb.  1876, 
p.  49C-5Q0. 

Ricerca  il  perchè  Dante  si  ascrivesse  air  arte  degli  speziali 
invece  che  a  quella  de' lanaiuoli,  de' cuoiai,  de' vaiai,  de*  tap- 
pezzieri, ecc.  nelle  quali  arti  andava  per  legge  ripartita  tutta 
la  cittadinanza  in  Firenze.  —  «  Nell'epoca  della  Repubblica 
Fiorentina,  ei  dice,  gli  speziali  erano  eziandio  depositarli,  traffi- 
canti e  venditori  di  libri  mss.,  ond'egli  si  matricolò  in  que- 
st'arte, non  perchè  sua  intenzione  fosse  di  trafficar  mai  in 
droghe,  in  perle  preziose  o  in  altri  generi  coloniali,  sì  bene 
per  aver  agio  e  commodi  maggiori  a  proseguire  i  suoi  studiì 
ed  accrescere  la  cerchia  delle  proprie  cognizioni.  >  —  La  quale 
scoperta  commenterebbe  quel  passo  del  Boccaccio  nella  vita 
ch'egli  scrisse  di  Dante,  ov'è  detto  ch'essendo  egli  in  Siena, 
s'avvenne  nella  stazione  di  uno  speziale,  ed  è  a  sua  volta  illu- 
strata e  avvalorata  dal  nome  inglese  Stationer,  che  tuoI  dire 
Libraio, 

Odorici  Federico,  L* esilio  di  Dante,  frammento.  Monumento 
di  Carità,  Album  scient.  letter.  di  Nazario  Gallo,  Trieste,  Weis, 
1857.  Vi  è  unita  una  bellissima  incisione  su  disegno  del  Tom- 
roaselli. 

Brot  Alfonso,  L'esilio  di  Dante,  Racconto.  Versione  dal 
francese.  Milano,  Martinelli,  1842.  —  Riduzione  dal  francese, 
li  Silfo,  giorn.  artist.  letter.  a.  i.  n.  18. 

Grion  Giusto,  Cangrande  amico  di  Dante.  Il  Propugnatore 
di  Bologna,  a.  iv,  disp.  4,  1871,  p.  395-427. 

Vuole  alla  fine  dei  Settembre  1302  Dante  si  conducesse  a  Ve- 
rona a  cercarvi  lo  primo  suo  rifugio  e  il  primo  ostello;  giacché 
nulla  egli  avesse  chiesto,  e  nulla  ottenuto  né  da  Ugo  ad  Arezzo, 
né  da  Scarpetta  a  Forlì.  Quivi  fu  per  tre  mesi  ospitato  in  casa 
di  Cangrande,  e  per  avventura  in  quella  stessa  casa  che  ve- 


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STUDI  BIOGRAFICI.  17 

>liamo  più  tardi  destinata  ad  alberg^are  gli  ambasciatori,  a  speso 
pubbliche,  oggi  divenuta  albergo  privato  alle  due  Torì-i.  Nel 
1302  Dante  non  chiedeva  ospitalità  ma  alleanza.  —  Ne  fu  piccolo 
aìerito  di  Cane,  allora  di  22  anni,  se  egli  fece  ospitare  Danto 
■1  spese  pubbliche,  cioè  riconoscere  gli  emigrati  fiorentini  come 
]iarte  belligerante,  e  s'egli  persuase  il  fratello,  tutore,  di  affi- 
'largli  una  mano  di  £inti  e  di  cavalli,  coi  quali,  per  Faenza  e  la 
valle  del  Lamone,  come  portato  da  Euro,  sali  e  scendette  le 
ùlde  d* A  pennino,  per  prendere  parte  il  12  Marzo  1303  alla  zuffa 
ii  PolciajK),  e  consigliare  la  ritirata  quando  temette  d'essere 
investito.  Ciò  risponde  all'  età  sua,  a  quanto  sappiamo  della  sua 
indole,  al  passo  di  Dante,  alla  testimonianza  del  Biondo.  11  Oriou 
'Xingettura  su  varie  altre  visite  fatte  dal  Poeta  a  Cangrande, 
ritiene  suppositizia  e  la  famosa  Epistola  a  Cangrande,  e  V  altra 
riepiù  ilare  a  frate  Ilario,  e  l' egloghe  scambiate  tra  Giovanni 
«lei  Vii^lio  e  Dante  mezzo  biondo  e  mezzo  nero;  vuole  che 
(Jane  do<nasse  il  Poeta  di  una  tenuta  a  Gargagnago  in  Valpu- 
licella,  e  che  a  sifiatto  dono  si  riferiscano  i  versi:  A  liti  t^ aspetta 
'♦  a'  suoi  benefici,  —  Non  Dante,  bensì  il  figlio  Jacopo  avrebbe 
mandato  a  Cangrande  l*  originale  autografo  della  Commedia 
man  mano  che  terminava  di  copiare  i  fisiscicoli  per  fame  dono 
3  Guido  Novello,  nel  1322  capitano  a  Bologna,  probabilmente 
Iter  ultima  volontà  del  padre,  o  per  desiderio  espresso  dalla 
i^entOezza  di  Cane. 

De'  viaggi  di  DantB  a  Par:igi,  Estratto  dal  Museo  di  Scienze 
*i  Lettere  di  Napoli,  1845. 

MoRBio  Carlo,  Francia  ed  Italia,  ossia  mss.  francesi  delle 
nostre  biblioteche  con  istudii  di  storia,  letteratura  ed  arti  ita- 
liane. Milano,  Ricordi,  1873.  —  Il  terzo  cap.  parla  del  soggiorno 
di  Dante  a  Parigi. 

Cavara.  Cbsabb,  Sul  probabile  soggiorno  di  Dante  a  Per- 

-iceto,  Persiceto,  Giambattistelli,  1864.  (Estratto  dal  n.  12  del 

f'iccolo  Educatore). 

I         Alighiero,  figlio  di  Cacciaguida,  fu  padre  di  Bellincione  e  di 

1    Hello  ;  da  Bellincione  venne  Alighieri,  padre  di  Dante.  A  Bello 

j   !u  figlio  Gerì  padre  di  Bellino,  che  ebbe  a  figlie  Betta  e  Checa, 

'   la  quale  ultima  si  manto  a  Bartolomeo  di  Sala.  Accettato  fra 

i  fatti  storici  che  Dante  onorò  di  sua  presenza  Nonantola,  di  qui 

•listante  poche  miglia,  e  compresa  essa  pure  nel  va^to  agro 

2 

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18  STUDI  BIOGRAFICI. 

Persiceta,  vorremo  noi  credere  che  nel  suo  esigilo  non  so^ior- 
nasse  o  molto  poco  a  S.  Giovanni,  dove  nel  1307  aveva  un  pa 
rente  così  stretto  dal  lato  fraterno,  dove  ne  aveva  dal  lato  dell^ 
moglie,  dove  erano  gli  Ubaldini? 

ScARABELLi  LuciANO,  Del  possibile  ritratto  di  Beatrice  Por 
tinaìH  e  della  barba  probabile  di  Dante  Alighieri,  Le:iotii 
Accademica,  Nuovissima  edizione  (di  soli  100  esempi.)  corretto 
ed  ampliata,  (in  8®  di  pag.  20).  Bologna,  Regia  Tip.,  1874.  1 
dedicata  alV  onorevole  Dantista  H.  CI.  Barlow, 

Dante  ne' suoi  ritratti  ci  si  presenta  sbarbato.  Chi  lo  ren 
desse  altrimenti,  non  troverebbe  più  chi  T accettasse.  Eppun 
era  barbato,  e  ce  lo  dice  il  Boccaccio,  e  Dante  stesso  nel  x:sx 
del  Purg.  V.  68  e  71.  —  E  nel  Convito  i,  12  si  compiace  di  que 
naturale  ornamento  del  viso,  e  ci  £sl  sapere  che  ogni  bontà  prò 
pria  in  alcuna  cosa,  è  amabile  in  quella;  siccome  nella  ma' 
schiezza  essere  bene  barbuto.  —  Il  prof.  Scarabelli  ribatte  dappoi 
le  contrarie  argomentazioni.  —  Riguardo  il  possibile  ritratta 
di  Beatrice.  V.  Man,  Dant,  iv.  172. 

DioNisi  Gian  Jacopo,  Del  focale  di  Dante,  Aneddoto  viui 
Verona,  Merlo,  1806. 

Arguzie  e  motti  di  Dante  Alighieri,  Nella  Strenna  Fion 
d*arte  e  di  Lettere  italiane.  Milano,  Bravetta,  1840,  p.  147>51. 

Sbrmini  Gentile,  Ser  Giovanni  d^  Prato  condoUosi  con 
Baldinasua  vaga  in  camara,  adagio,  di  nocie  et  soU  d'accordo, 
e  cenato,  nella  veghia  cominciò  a  leggere  Dante,  e  troppo  con' 
tinuando  il  leggere,  Baldina,  sdegnata,  stimando  che  lui  piti 
di  Dante  leggere,  che  di  lei  si  contentasse,  lassoUo  in  frega  t 
partissi:  esso,  rimaso  bianco,  la  mattina  doltosene  con  une 
suo  caro  compagno,  et  dettoli  la  novella  con  abbondante  ri^ 
^t  risponde,  come  appresso  la  novella  leggerassi.  IL*  ediz.  di 
soli  12  esempi.  Venezia,  Clementi,  1868.  Ne  fu  editore  il  proti 
Pietro  Ferrato. 

Dante  e  il  conte  Guido,  novelletta  secondo  due  testi  a  penmi^ 
di  lezione  diversa.  Faenza,  Conti,  1875.  —  Ediz.  di  soli  2^ 
esemplari  tutti  per  ordine  numerati.  Ne  fu  editore  il  Comm, 
Francesco  Zambrini. 

Paranti  Giovanni,  Dante  secondo  la  Tradizione  e  i  Novel- 
latori, Ricerche.  Livorno,  Vigo,  1873. 

Il  Rapanti,  bibliografo  dottissimo  ed  accuratissimo,  ha  avuto 


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STUDI  BIOGRAFICI.  19 

r  Ottimo  pensiero  di  darci  per  la  prima  voUa  raccolte  insieme 
tutte  la  novelle,  facezie,  tnuiizioni,  aneddoti  storici  riguardanti 
TAiighieri,  e  che  formano  si  pnò  dire,  la  leggenda  di  lui.  Tutti 
i  sei  secoli;,  dal  XIV  al  nostro,  meno  il  XVIII,  oflrirono  beila 
messe,  ch'ei  spigolò  da  ben  45  scrittori.  La  parte  in  cui  spicca 
nmggioiTnente  il  merito  dei  Papanti,  è  senza  meno  quella  delle 
QOte,  preziosissime  anche  per  gli  studi  comparativi  ch'esse 
contengono  e  per  le  varie  scritture  che  vi  sono  pubblicate  nel 
loro  testo,  non  solo  dell'antico  volgare,  ma  e  di  latino,  e  di 
lìAgne  straniere,  e  ben  anco  di  vernacolo.  Sia  lode  pertanto 
grandissima  al  valoroso  Papanti  e  per  la  diligenza  delle  ricerche, 
h  felicità  dei  confronti  e  delle  illustrazioni,  la  dottrina  infine 
e  il  buon  gusto  dimostrati  nel  curare  la  lezione  di  vari  e  non 
sempre  agevoli  testi.  V.  L.  Satorini,  Propugnatore,  Nov.,  Die. 
1873.  p.  492;  Rimsta  Eur.,  Die.  1873;  Archivio  storico,  ecc. 

Marchions  di  Coppo  Stefano,  Delia  morte  di  Dante  AH- 
gkieri.  Delizie  degli  eruditi  toscani,  Firenze,  Cambiagi,  1770-86. 

MsBCUBi  Filippo,  Lez,  ix  in  forma  di  lettera  diretta  al  cav. 
Filippo  Scolari  netta  quale  è  trattato  se  Dante  veramente  sia 
morto  nel  1321.  Napoli,  Nobile,  1853. 

Da  molti  luoghi  del  poema  e  delle  altre  opere  di  Dante, 
s'argomenta  provare  che  Dante  non  mori  nel  1321,  ma  indub- 
biamente nel  1328  (!!). 

Il  prof.  Orion  Bcrìvevft:  «  Giov.  Villani,  il  più  antico  biografo  e  quasi 
coetaneo  di  Dante,  lo  dice  morto  in  laglio;  il  Villani  abitava  in  sesto 
S.  Pietro,  e  poteva  faoBmente  informarsene  dal  figlio  Jacopo.  Mona.  Fer- 
retti, dei  secolo  XVI,  il  quale  avea  tutto  l' agio  e  potere  di  esaminare  o  &re 
esaminare  gli  archivi  delle  sagrestie  di  Ravenna,  nella  vita  di  Dante  che 
conservasi  autografa  nella  Classense,  lo  dice  morto  intra  ealendas  julicu. 
Altri  biografi  ricordano  un  di  festivo,  e  pensano  o  al  3  di  maggio  o  al  1-4 
settembre:  il  2  luglio  1321  era  un  giovedì,  ma  dedicato  alla  Visitazione 
di  M.  V.  Pier  Giardino,  ravennate,  che  dovea  sapere  il  mese  in  cui  Dante 
morì,  come  quegli  eh*  era  stato  presente  (o  per  tale  creduto)  alla  sua  morte, 
«  che  doveva  sapere  che  la  Divina  Commedia  era  stata  presentata  da  Jacopo 
a  Guido  Polentano  il  1  aprile  1322,  fa  smarrire  gli  ultimi  tredici  canti  per 
otto  mesi  dalla  detta  morte,  il  che,  lasciato  anche  il  tempo  per  la  trascri- 
zione,  combina  benissimo  col  luglio,  ma  elimina  il  settembre.  Che  sia  di 
ciò,  resta  incrollabile  T autorità  del  Villani  storico  rimpeito  a  quella  del 
Boccaccio  che  non  istudio  il  Dante  con  critica  se  non  dopo  il  1359,  e,  scri- 
vendo la  vita  di  Dante  nel  1305,  fu  in  questo  punto  che  riguarda  la  morte 
di  lui  ingannato  dalle  epigrafi,  che  sono  esercitazioni  poetiche  del  quarto 
decennio  del  secolo.  Cangrande  amico  di  Dante,  p.  30. 

Alberico  de  Roscìate,  m.  nel  1354,  fa  invece  nascere  il  poeta  cinque  anni 
prima  che  tutti  i  suoi  biografi  :  Vixit  Dante»  diebua  viginti  duobits  minibus 

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20  STUDI  BIOGRAFICI. 

quingentìa  sex  et  dt^eessil  in  civitate  Hawwiae  anno  domtmeae  inc^rv^- 
tionùt  miUesimD  trecentesimo  vigeaimo  primo  die  S.  Crucia  de  mr;i.s*- 
Aeptetnbria.  O^fus  anitna  per  Dei  mìaericordiam  requieacnt  in  pace.  Atneu. 
Ejc  quibus  diebus  poasHut  notori  anni  sex  ìjinta  unus  menata  sepie nx  diri 
fredeeim,  computato  die  mortifs.  Item  potest  notori  quod  eitia  nativit-'^ 
fuit  anno  mUlesìtno  durentesiyno  aexajeaimo,  Knl.  februiriì. 

Beltrame  ab.  Francesco,  Priore  di  S.Alberto,  Relazione 
sul  sepolcro  di  Dante  e  le  sue  adiacenze.  Ravenna,  1783  e  1701. 

—  V.  Lami,  Novelle  Letter.  di  Firenze,  28  Nov.  1783,  ed  £•//:> 
tneridi  Romane,  6  Dee.  1783. 

Martinetti  Cardoni  Gaspare,  Stona  del  Sepolcro  di  Dani  e. 
Dante  in  Ravenna,  79-86;  98-103. 

Lemovne  cav.  Paolo,  parigino,  Visita  fatta  alla  tomba  degV  H- 
lustri  italiani  in  S.  Croce  di  Firenze  e  da  lui  esposta  in  uw 
generale  adunanza  tenuta  dalC Accademia  tiberina  il  ffiornu 
14  Dee.  1845,  essendone  Presidente  annuale.  Roma,  Tip.  delle 
Belle  Arti,  1846. 

CoRLARi  AB.  Andrea,  Descrizione  della  festa  ad  onore  di 
Dante  celebrata  a  Ravenna  nel  3  Gennaio  1798.  Nella  vita 
deirAlighieri  di  Ces.  Arici.  Bologna,  Tip.  della  Volpe,  1844. 

—  V.  Martinetti  Cardoni,  Dante  in  Ravenna,  85-103. 


CEiNNI  CRONOLOGICI 


Foscolo  Ugo,  Cronologia  di  avvenimenti  connessi  alia  viUi 
e  alla  Commedia  di  Dante,  avverata  su  gli  annali  ól  Italia, 
e  documentata  con  citazioni  dalle  opere  del  Poeta.  Nelle  edi- 
zioni della  Commedia  di  Dante  da  lui  illustrata. 

G.  G.  Waren  LORD  Vernon,  Cronologia  della  vita  di  Dante 
Alighieri.  L'Inferno  di  Dante  ecc.  Firenze,  Piatti,  1842,  xci». 
—  Avvenimenti  precedenti  e  contemporanei  ad  illustrazione 
della  vita  e  degli  scritti  di  Dante  Alighieri,  Id.  xcvii-civ. 

Bbllomo  B.,  Cenni  cronologici  intomo  alla  vita  e  alle  opere 
di  Dante  Alighieri  e  al  suo  secolo.  Firenze,  Cellini,  1865. 

Ferrazzi  Jacopo,  Specchio  cronologico  della  vita  di  Dante 
Alighieri  e  degli  avvenimenti  contemporanei  e  di  quelli  c/w 
prepararono  il  suo  secolo  con  osservazioni  critiche  intomo  alle 
opere  del  poeta  ed  alla  loro  pubblicazione.  Man.  Dant.  li.  1-C4. 

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21 


DOCUMENTI 


Risgtutrdanti  la  vita  di  Dante. 

1399,  8  Maggio.  —  Riformagione  sull'amhascieria  di  Dante  Alighieri 
al  oomnne  di  S.  Gemignano.  P.  Idelfonso,  Delizie  degli  Eruditi  Toscani, 
Voi.  XII,  p.  257;  /V///^  Memorie,  9t  ;  Fraticelìi,  Storia  della  vita  di  Danto 
Alighieri,  p.  138. 

1301,  28  Apr.  —  Milanesi  Gius.  Documenti  inediti  e  sconosciuti  che 
ri'jH^rdano  Dante  Alighieri.  Archivio  Stor.  Ser.  in,  t.  ix,  p.  53.  —  V. 
3Ian.  Dant.  iv.  22. 

1308,  27  Gen.  —  Prima  sentenza  di  Gante  de  Gabrielli  con  che  con- 
danna Dante  a  nn  esilio  perpetuo  e  alla  confisca  di  tutti  i  beni.  —  Archivio 
delie  Riformagioni  (Capitolici,  xi,  disi,  i,  n.  19  a  e.  2);  P.  Idelfonso,  De- 
lizio ecc.,  X.  94;  Fraticelli,  Storia  ecc.,  p.  147. 

1302,  10  Marzo.  —  Seconda  sentenza  con  che  vien  condannato  ad  esser 
bruciato  vivo  qualora  nelle  forze  della  republica  pervenisse.  Archìvio  delle 
Riformagioni  (Capitoli  CI.  xi,  disi  i,  num.  23  a  e.  9)  ;  P.  Idelfonso,  De- 
lizie ecc.,  xn,  158;  Pelli,  Memorie,  106;  Fraticelli,  Storia  ecc.,  p.  157. 

1306,  Giugno.  —  Atto  rogato  da  ser  Giovanni  d' Ampinana  nella  chiesa 
abbazlale  di  S.  Gaudenzio,  appiè  dell*  alpi,  in  che,  tra' contraenti,  si  legge 
il  nome  di  Dante.  Fraticelli,  Storia  ecc.,  191. 

1306,  6  Ottobre.  — >  Dantia  Alighieri  Legatìo  prò  Francischino  Mala- 
spina  ad  ineundam  pacem  cum  Antonio  Episcopo  Lunensi,  denuo  recognita 
♦"t  itenim  in  lucem  edita  Consilio  et  sumptibus  G.  J.  Bar.  Vernon.  Pisis, 
ex  offic.  Nlstrìana,  1817.  —  Ex  tabularlo  pub.  Civita tis  Serazanensis,  serie 
342,  tit.  3.  instrument.  Notarli  pub.  Parentis  Stupii.  Pubblicata  prima  dal 
prof.  Maccìont,  Codice  diplom.  della  famiglia  Malaspina,  Pisa,  1769;  Fra- 
ticelli, Storia  ecc.,  197. 

1308,  o  1309.  —  Lettera  di  Frate  Hario  dal  Corvo  a  Uguccione  della 
Paggiola.  V.  Man.  Dant.  ii.  597. 

1315,  6  Nov.  (28  Febr.  1316).  —  Quarta  sentenza  daU  da  Ranieri  di 
Zaccaria  d*  Orvieto,  vicario  del  re  Roberto  che  lo  condanna  a  perder  la 
t^sta  per  mano  del  carnefice.  —  Dall'Archivio  diplom.  di  Firenze,  perga- 
rnene  già  spettanti  al  convento  di  S.  Maria  Novella  —  Fraticelli,  Storia  ecc., 
2r>3.  —  I.a  terza  condanna  è  del  1311  facta  ab  Hubaldo  de  AuguglUme; 
V.  ab.  Mehus,  Vita  del  Camaldolese  Ambrogio  Traversari  a  CLXXxn. 


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22  DOCUfiOCNTI. 

IL 
Riguardanti  le  ceneri  delt Alighieri, 

■*  E  flà  4  storico  dwtlno,  e  Flrcnie,  che  a  te  nfgs  lo  oh*  dd  tre  Brmndi  tuoi 
Agli.  Tu  li  ipargeeti}  fleim  a  gonerota  rapabblicai  come  eplritl  creatori  en  l'ale  dd 
Tenti  ;  e  aesaano  di  loro  A  toknato  alla  madre  ;  tono  rimasti  con  l' Italia  che  c»si 
idealmente  crearono.  E  Intorno  alla  tomba  dell'Alighlcrt  Teglia  la  fede  del  forte  po- 
polo di  Romagna,  cvetode  degno.  8a  la  tomba  di  Arqnà  cantano  gli  naignoli,  e  tutta 
la  Vcaeala  ee  ne  adoma  come  d' nn  aimbole  della  gcntlleaaa  ava  ila  nell'  eroismo. 
La  memoria  di  OiOTanni  Boccacci  abita  i  suoi  colli  paterni;  e  li  abiterà  gloriosa  fin 
che  resti  una  nota  di  qaes|^  eloquio  toscano  che  a  Oiorgio  Dyron  suonara  sì  eome 
nna  musica  fkvellata.  ^  Cardateci,  ai  Parentali  di  Oìot.  Jloceacci  in  Ccrtaldo,  p.  S7. 

I.o  22  Dee.  1390.  —  Deliberazione  de'  Priori  della  R^Hbblica  fio- 
rentina. 

Fu  presa  la  parte  con  153  voti  su  201 .. .  —  «  Quod  Operarii  oper»' 
et  sou  fabrico  majoris  Ecclesie  fiorentine  possint  ac  etiam  sub  pena  libra- 
rum  mille  florenorum  parvorum  teneantur  et  debeant,  saltem  infra  sex 
annos  proxime  secuturos  facere  et  fecisse  conduci  ad  civitatem  Florentle 
Ossa  que  poterunt  comode  reperir!  et  haberi  de  olim  illtistribus  et  Celebris 
memorie  viris  civibus  florentinis  videlicet.  Dante  Alleghieri,  D.  Francesco 
Petrarca ...  Et  quod  prò  quolibet  ipsoruro  facere  et  fieri  fecisse  in  maiorì 
Ecclesia  fiorentina  unam  eminentem  mapniflcam  et  honorabilem  sepulUi- 
rara  ornatam  scuUuris  marnioreia  et  aliis  ornnmentis  de  quibus  et  prout 
bonori  Civitatis  Florentie  et  fame  ac  virluli  talium  et  tantorum  virorum 
vidcriut  convenire.  Et  ossa  cujuslibet  prcdictorum  facere.  In  sua  sepultiira 
recondi  ad  perpetuam  famam  et  celebrem  memoriam  omnium  predictoruni 
et  Civitatis  ac  rei  publice  fiorentine  et  quod  habeantur  vel  non  ossa,  uichilo- 
minus  fieri  debeant  prò  causa  predicta  diete  sepulturc  ....  » 

L'originale  nel  R.  Archivio  delle  Riforma{?ioni,  Cod.  87  CI,  ii.  a  270  e 
281.  Il  documento  venne  pubblicato  per  intero  dal  Martinetti  Cardani, 
Dante  in  Ravenna,  101-110;  da  R.  Conti,  p.  43. 

II.®  —1  Feb.  1129.  —  Lettera  della  Signoria  di  Firenze  ad  Ostnsio 
Polentano^  Signore  di  Ravenna ,  con  che  gli  si  chieggono  le  ceneri 
dell'  Alighieri. 

....  «  Fuit  jam  pridera  per  nostram  rem  pubblicam  conslitutum  ul 
Dantis  Alagherii  et  Franciscì  Petrarce  inclitorum  poetaruni  sepulcra  cum 
ea  qua  decet' magniflcentia  in  urbe  nostra  hoc  est  in  patria  ipsorum  pot^ 
tarum  construerentur.  Quam  rem  haclenus  pretermissam,  decrevimus  nunc 
utpote  laudabilem  et  comendatione  dignam  ad  effectum  perducere .  . .  > 

L'originale  nel  R.  Archivio  delle  Riformagioni,  Cod.  30,  CI.  x.  Distr. 
1  a  17.  Il  documento  venne  pubblicato  per  la  prima  volta  dal  Gaye;  dal 
Can.  Moreni  nella  vita  di  Dante  del  Filelfo,  xxxi,  che  lo  dà  per  inedito; 
dal  Martinetti  Cardani^  Dante  in  Ravenna,  p.  110;  dal  Conti,  p.  45. 

III.**  —  13  Aprilo  1476.  —  Dbl  Lungo  Isidoro,  Un  doaonento  dell' Ar- 
chivio  Mediceo.  Estratto  dall'Archivio  storico  italiano,  Serie  in,  t.  xix, 
Disp.  I,  Firenze,  Cellini,  1871. 

Il  documento  ch'io  presento,  scrive  l'egregio  professore,  aggiunge  un 


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DOCUMENTI.  23 

episodio  del  tatto  ignoto,  e  degnissimo  di  essere  conosciuto,  ad  una  storia 
che  a«&*anno  di  dantesca  celebriU,  1805,  ebbe  tanti  raccontatori:  la  storia 
He  vicende  incontrate  dalle  ossa  di  Dante.  —  Da  esso  si  fa  manifesto  il 
t-TKolo  un"  altra  volta  corso  e  gravissimo,  da*  frati  e  da*  cittadini  di  Ha- 
T'-nna,  di  perdere  le  ossa  del  divino  poeta  sì  caramente  e  nobilmente  diletto. 
Ebbe  gran  parte  in  questo  disegno  Bernardo  Bembo,  padre  al  Card.  Pietro, 
'.ntore  -veneziano  a  Firenze,  il  quale  a  troppa  fidanza  della  sua  Repubblica, 
i  qued  di  a  Ravenna  prepotente,  se  ne  fece  promettitore.  E  abbiamo  pur 
da  esso  come  i  Medici,  quantunque  per  loro  fini,  al  dire  del  Foscolo,  si 
^rt>fe»aj»ero  i  devoti  deUa  Chiesa,  della  Francia  e  della  plebe,  dessero 
jiTDva  di  amare  e  venerare  T  avversario  implacabile  di  Bonifacio  viii,  e  che 
^  Lorenzo  il  desiderio  di  rivendicare  la  tomba  di  Dante  alla  sua  Firenze 
cju  fosse  minore  della  gelosa  fermezza  di  Ravenna  in  conservarla.  Ecco 
1  docfunento: 

Magnìfico  viro  e  magior  mio  onorandissimo, 

r  ò  inteso ,  per  lettera  di  costi ,  come  lo  'nbasciadorc  veneziano  s'  è 
usTQìUy  a  casa.  Il  perchè,  ricordandomi  quello  che  la  Magnificenza  Vostra 
7i  disse  una  sera,  tornando  da  visitarlo,  poco  dopo  T esequie  di  Matteo 
Palmieri,  circ'  a  casa  Antonio  di  Puccio,  voglio  che  Voi  intendiate  che  Voi 
V* apponesti;  e  per  un  piacere  a' mia  di,  non  so  quale  io  mi  potessi  averlo 
."nagìore,  che  vedere  rìpatriare  quell'ossa,  che  per  la  Magnificenza  di 
«ietto  anobasciadore  dopo  la  tornata  sua  vi  furono  promesse  :  massime  perchè 
i'>  mi  rendo  certissimo,  che  con  quella  gratitudine  e  magnificenza  per  Voi 
<i  preparerà,  che,  per  quanto  si  può  fare,  merita  uno  uomo  tanto  eccellente, 
circa  ricevere  quelle  degnissime  ossa,  la  corona,  la  sepoltura  e  luogo.  Al 
i^agnanìjno  s'appartengono  le  gran  cose:  ma  qual  può  essere  magiore 
rhe  questa?  Raccomandomi  a  la  Magnificenza  Vostra  in  ogni  caso;  che 
Dio  felice  vi  conservi. 

In  Santo  Giovanni,  a' di  xiij  d'Aprile  1476. 

Antonio  Manetti,  Vicario. 
IH  fuori:  Magnifico  et  generoso  viro   Lorenzo  di  Piero  de' Medici, 
magiore  «no  singularissimo,  ec.  In  Firenze, 

IV.o  —  20  Ottobre  1519.  —  Memoriale  dell'  Accademia  Medicea  fio- 
rentina a  Papa  Leone  X,  affinchè  le  fosse  concesso  :  ossa  atqtie  cineres  ex 
ravennate  ad  natale  aolum  transfereyidi  celebrique  monv^mento  obrìtendi. 
La  proposizione  venne  da  Girolamo  Benivieni  amatore  ardentissimo  della 
patria^  eh'  era  stato  dei  più  caldi  seguaci  di  firate  Savonarola.  —  Michelan- 
gelo Buonarroti,  non  sapendo  di  latino,  si  sottoscrisse  in  volgare  con  queste 
memorabili  parole: 

/b  Michelagnolo  schultore  il  medesitno  a  Vostra  Santità  sttpplico 
offerendomi  al  divin  poeta  fare  la  sepultura  stta  chondecente  in  locho 
onorevole  in  questa  Cictà.  —  Egli  è  facile  intendere  che  cosa  era  da  aspet- 
tarsi di  meraviglioso  da  un  monumento  innalzato  dal  più  grande  artista  al 
più  gran  poeta  d'Italia!  La  proposta,  scrive  il  Venturi,  se  n'andò  in 
fumo,  ma  ci  restano  quelle  parole  tanto  schiette,  quanto  dignitose ,  scritto 
di  sua  propria  mano;  e  noi  le  serbiamo  come  sacra  eredità  dell'amore  e 
•Iella  venerazione  che  al  divino  Dante  portava  il  divino  Michelangiolo.  —  Nel 
R.  Archivio  di  Stato,  da  pergamena  racchiusa  in  quadro  proveniente  dallo 
Spedale  di  S.  Maria  Nuova  del  1519  Ottobre  20.  Pubblicate  per  la  primi» 


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24  DOCUMENTI. 

volta  dal  Gori  nelle  aggiunte  alla  vita  del  Buonarroti,  scritta  dal  Condiri. 
p.  112;  dal  Martinetti  Cordoni,  Dante  in  Ravenna,  111-117;  dal  Conti 
p.  40;  dal  Gotti,  Vita  di  Michelangelo  Buonarroti,  n.  82-84. 

V.^  —  4  Maggio  1861.  —  Indirizzo  del  Consiglio  Generale  del  Comune 
di  Firenze  alla  Città  di  Ravenna  per  ottenere  da  essa,  come  firatemo  dono. 
quanto  più  doloroso,  tanto  più  nobile,  la  restituzione  delle  ossa  di  Dante. 
Giornale  del  Centen.,  88;  Martinetti  Cordoni,  121, 

Deliberaz.  del  Consìglio  Comunale  di  Ravenna  in  risposta  all' indirixz«) 
della  Comunità  di  Firenze.  Giornale  del  Cent.,  149;  Martinetti  Cordoni. 
121;  Man.  Dant.  ii.  61. 

VI.°  —  Della  scoperta  delle  ossa  di  Dante,  Relazione  con  DocHtnenii 
per  cura  del  Municipio  di  Ravenna.  Ravenna,  AngeletU,  1870. 

Il  Consiglio  Municipale  di  Ravenna,  convocato  per  deliberare  intorno 
alla  scope'  ta  delle  Ossa  di  Dante,  adottava  nel  di  31  Maggio  1865  la  se- 
guente risoluzione: 

«  Considerando  che  la  scoperta  delle  Ossa  di  Dante  è  fatto  che  non  la 
sola  città  Ji  Ravenna,  custode  di  cosi  prezioso  deposito,  interessa,  ma 
^  altresì  V  intera  nazione,  che  non  ha  guari  con  tanto  entusiasmo  si  asso- 
ciava al  Minicipio  fiorentino  nella  celebrazione  del  sesto  Centenario  di 
Dante:  Il  Consiglio  Municipale  delibera  —  Che  un'ufficiale  Relazion<* 
deir  importante  scoperta  sia  redatta  in  nome  del  Consiglio  a  cura  della 
Giunta  Municipale  e  diramata  a  S.  M.  il  Re,  e  ai  Membri  della  Real  fa- 
miglia, ai  duo  rami  del  Parlamento,  ai  superiori  Dicasteri  del  Governo,  ai 
principali  Istituti  ed  Accademie  dello  stato  ed  estere,  al  signor  conte  Pietro 
Scrego-Allighieri,  alle  R.'  Deputazioni  di  Storia  Patria,  a  tutte  le  Provincie 
e  Comuni  del  Regno,  nella  quale  Relazione  oltre  alla  compiuta  narrativa 
del  fatto,  saranno  consegnate  tutte  quelle  nozioni  storiche  sin  qui  raccolte 
o  da  raccogliersi,  le  quali  valgano  a  chiarire  le  ragioni  del  nascondimento 
delle  ossa,  e  a  sparger  lume  sulle  persone  e  fatti  attinenti  ali*  importante 
argomento.  > 

L'  opuscolo  pubblicato  abbraccia  :  ^  I.  Una  Relazione  dell*  ingegn.  Mti- 
nicipale  cav.  Romolo  Co»  ti  sulle  vicende  storiche  del  sepolcro  dantesco, 
sulle  probabili  ragioni  del  nascondimento  degli  avanzi  di  Dante  Alighieri  ; 

—  II.  La  Relazione  anatomico-fisiologica  del  cav.  prof.  Giovanni  Pugliolì: 

—  III.  La  Perizia  calligrafica,  avente  per  oggetto  di  dimostrare  V  autenticità 
della  mano  del  P.  Santi  che  tracciava  le  iscrizioni  nella  cassetta  contenente 
le  ossa;  —  IV.  Una  sommaria  descrizione  della ^festa  del  sesto  centenario 
dantesco  in  Ravenna;  —  V.  Rogito  folto  in  Ravenna,  nelle  ore  10  anti- 
meridiane del  giorno  27  Maggio  1865,  per  solennemente  certificare  lo  sco- 
primento delle  ossa  del  divino  Poeta;  —  ^^.  Verbale  della  ripoùzione;  — 
VII.  Quattro  tavole  a  corredo  della  perizia  calligrafica. 

m. 

Centenario  di  Dante  Alighieri, 

14  Nov.  1863.  —  Parte  presa  dal  Consiglio  Comunale  di  Firenze  di 
celebrare  solennemente  nel  mese  di  Maggio  1865  il  Centenario  di  Dante 
Alighieri.  Giornale  del  Cent.,  p.  2. 


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DOCUBfBNTI.  25 

IV. 

Casa  di  Dante,  (1) 

(V.  Man,  Dant.  IV.  8  e  ••g.). 


[y-ìIberasUme  del  Consiglio  del  di  4  Maggio  1864  —  Da:«tb  Alighieri  — 
Ih^tposiz ioni  per  lo  acquisto  della  casa  da  Lui  abitata  in  Firenze. 

Ripreso  il  Rapporto  del  Segretario  deUa  Commissione  Fiorentina  i>el 
Oateaarìo  di  Dante  Alighieri  del  14  Aprile  decorso  in  quella  parte  in  cui 
«ì  prt^Kme  1*  acquisto  e  restauro  di  quella  Gasa  che  fu  culla  di  Dante,  e  si 
I'!hiara^che  l' adempimento  di  questa  proposta,  esigendo  un  più  determi- 
sato  progetto  per  parte  della  Commissione,  si  domanda  soltanto  che  fin 
•i'  ora  sia  dcUberato  T  acquisto  e  restauro,  riserhandosi  la  Commissione  dì 
èscare  le  convenevoli  misure  ed  i  modi  migliori,  onde  sottoporli  all'appro- 
vaÀoike  di  questo  Consiglio. 

Aperta  la  discussione  sulla  domanda  della  suUodata  Commissione  alla 
<^le  hanno  presa  parte  più  specialmente  gli  onorevoli  Consiglieri  Signori 
tf.  di  GcmfaloDiere,  Professore  Santarelli,  Cav.  Avv.  FruUanì,  Cav.  Rubieri 
e  VUrcfaese  Senat.  Capponi,  è  stato  in  fln  formulato  dal  Sig.  Marchese 
S^nat.  Capponi  U  seguente  Progetto  di  Deliberazione. 

<  Qaando  la  Casa  attuabnente  creduta  Casa  di  Dante,  o  altra  si  possa , 
con  mfILcìente  certezza  credere  che  sia  stata  da  Lui  abitata,  il  Municipio 
ne  tratterà  1*  acquisto.  > 

Esperimentato  lo  squittinio  suUa  proposta  formula  di  Deliberazione,  è 
><Uta  approvata  con  voti  favorevoli  ventitre,  contrari  uno. 


Drliòerasione  del  Consiglio  del  dì  10  Maggio  186  i  —  Da.ntk  Alighibri  — 
Commissione  al  Consigliere  Frulloni  per  ricerche  sulla  Casa  abitata 
in  Firenze  dal  Divino  Poeta. 

Ripreso  il  Partito  del  Consiglio  Generale  del  di  -1  Maggio  corrente  col 
quale  fu  deliberato  sulla  proposta  dell'  onorevole  Consigliere  Sig.  Marchese 
Omo  Capponi  che  quando  la  Casa  attualmente  creduta  Casa  di  Dante  od 
altra  si  potesse  con  sufficiente  certezza  credere  che  fosse  stata  da  lui  abitata 
il  Monicipio  ne  avrebbe  trattato  V  acquisto. 

L'onorevole  Consigliere  Sig.  Cav.  Aw.  Nicolò  Nobili  proponeva  che 
le  ricerche  intomo  alla  vera  Casa  abitata  in  qu^ta  Città  da  Dante  Alighieri 
fossero  affidate  al  di  lui  onorevole  Collega  Sig.  Cav.  Aw.  Emilio  FruUani, 
che  ha  già  istituite  indagini,  e  che  fa  parte  della  Commissione  nominata 
dal  Consiglio  nella  sua  Adunanza  del  14  Novembre  1863  per  la  festa  del 
Centenario  della  Nascita  di  Dante. 


(1)  Bendo  pubbliche  graaie  al  SIff.  prof.  eav.  Isidoro  Dal  Lvngo,  che  al  adoparò 
con  rsim  eortcata  pere  h A  potetei  «nrlcchire  il  mio  volnoie  di  tutti  1  docomcati  ri|«ar* 
danti  l'acquieto  ed  U  laceflealTO  reatauro  della  Ccta  4i  Danto, 


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26  DOCUMENTI. 

L'onorevole  Consigliere  Sig.  Gav.  A.vy.  Emilio  Pmllani  aderisce  alla 
Commissione  d'intraprendere  ricerche  intorno  alla  rera  Casa  abitata  dal 
Divino  Poeta,  ma  chiede  di  associarsi  a  siffatte  investigazioni  il  Si^.  Oar> 
gano  Qargani  perito  e  paziento  investigatore  di  scritture  antiche. 

Girato  il  partito  sulla  proposizione  del  suUodato  Consigliere  Sig.  A  w. 
Nobili  con  dichiarazione  che  T  onorevole  Sig.  Cav.  Aw.  FruUani  potrA 
associarsi,  come  desidera,  per  le  ricerche  il  Sig.  Gargano  Gargani,  è  stata 
la  proposizione  approvata  con  voti  favorevoli  (Uciannove,  contrari  due. 


Deliberazione  del  Consiglio  del  di  4  Febbraio  I8B5  —  Damtb  Aughxbri  — 
Incarico  ai  Consiglieri  Signori  Marchese  Senat.  Capponi;  e  Inp. 
Francolini  per  trattare  col  Sig.  Luigi  Mannelli-CMilei  intorno  all'i 
Casa  abitata  in  Firenze  dal  Divino  Poeta. 

Visto  il  Partito  del  Consiglio  Generale  del  4  Maggio  18dt  col  quale  Ai 
deliberato  —  ivi  —  «  Che  quando  la  Casa  attualmente  creduta  Gasa  di  Dante 
o  altra,  si  possa  con  sufficiente  certezza  credere  che  sia  stata  da  Lui  abitata 
il  Municipio  ne  trattori  V  acquisto.  » 

Sentito  il  Rapporto  dell*  onorevole  Consigliere  Sig.  Cav.  Aw.  Emilio 
FruUani,  dal  quale  resulta  che  la  Casa  situata  presso  la  Piazza  di  S.  Martino, 
oggi  appartenente  al  Sig.  Cavaliere  Luigi  Mannelli  Galilei,  è  quella  dove 
ha  abitato  il  Divino  Poeta. 

Sentita  la  lettera  del  Sig.  Luigi  Mannelli  Galilei  diretta  al  Sig.  Gon- 
faloniere nel  di  29  Gennaio  ultimo  scorso  colla  quale  il  prelodato  proprie- 
tario desideroso  di  conservare  alla  sua  nobile  famiglia  la  Casa  che  fu  di 
Dante  Alighieri,  si  rifiuta  a  consentire  l'acquisto  che  ne  ha  domandato  il 
Municipio. 

Intrapresa  discussione,  è  stato  in  fine  generalmente  consentito  di  so- 
apendere  la  risoluzione  dell*  affare,  ed  è  stato  proposto  di  incaricare  gli 
onorevoli  Consiglieri  Signori  Marchese  Senat.  Gino  Capponi  e  Ing.  Felice 
Francolini  di  conferire  col  suUodato  Sig.  Cav.  Luigi  ManneUi  Galilei  per 
ottenere  possibilmente  che  ad  esso  appartenga  il  dominio  diretto  della  Ca%a, 
cedendo  al  Comune  l' utile  dominio,  o  per  sistemare  in  altro  modo  l' affare 
purché  conduca  all'effetto  di  restaurare  la  Casa  di  Dante,  riportandola 
all'  onore  del  tempo,  e  di  conservarla  in  perpetuo  come  Monumento  Na- 
zionale. 

Girato  il  Partito  sulla  proposizione  è  stata  approvata  con  voti  favore- 
voli 21,  contrari  uno,  momentaneamente  assenti  i  Consiglieri  Signori  Conte 
De  Cambray  Digny  e  Commend.  Peruzzì. 

Deliberazione  del  Consiglio  del  di  10  Marzo  1868  —  Alightbri  Dante  — 
Disposizioni  per  l'acquisto  delia  di  lui  Casa, 

IL  CONSIGLIO 

Considerando  esser  provato  che  le  due  Case,  una  posta  nel  popolo  di 
S.  Martino  in  faccia  alla  Torre  della  Castagna  ed  alla  via  in  antico  dei 
Sacchetti  ora  dei  Magazzini,  V  altra,  che  le  è  attigua  a  sinistra  proapicente 


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DOCUHBNTI.  27 

iB  parte  anlla  via  detta  Rìcdarda  e  in  iurte  su  quella  di  S.  Itiargherita 
Icrstasaero  l' abitazione  di  Dante  Alighieri. 

Gooaiderando  che  tatto  quanto  rìsguarda  al  Divino  Poeta  deve  esser 
iacTo  agr  Italiani  ed  a  Firenze  specialmente. 

DELIBERA 

La  Gianta  è  incaricata  di  trattare  lo  acquisto  delle  due  Case  per  resti- 
tuirle possibilmente  nel  loro  pristino  stato,  offrendo  agli  attuali  possessori , 
i&s  oonveniente  indenniti. 

Ed  avuto  riguardo  che  la  Torre  della  Castagna,  situata  in  faccia  alla 
prism  di  dette  Case,  è  monumento  singolarissimo  della  Storia  Patria  per 
*^aKT*i  stata,  ali*  epoca  di  Dante,  la  prima  sede  del  Governo  libero  della 
Cttà  di  Firenze,  la  Giunta  medesima  è  incaricata  di  procurare  che  detta 
Torre  venga  conservata  nella  sua  integrità  e  riparata  con  opportuni  ri- 
-tonri. 

n  Gonnglio  approva  alla  unanimità. 

Deliberazione  del  CofwgUo  del  di  7  Agosto  1868  —  Case  di  Dastb 
AuoHiERi  —  Acquisto  delle  medesime. 

Vista  la  propria  Deliberanone  del  10  Marzo  1868  vidimata  dalla  R.  Pre- 
clara li  20  detto  ; 

Vista  la  Deliberazione  della  Giunta  Municipale  del  di  8  Aprile  suc- 
cessivo; 

Vista  la  Perizia  e  Rapporto  dell*Ing.  Cav.  Orazio  Batelli  del  di  8 
Giugno  p.  p.; 

Visto  il  partito  della  Giunta  Municipale  del  di  13  detto  ; 

Vista  la  lettera  del  27  del  mese  stesso  con  la  quale  il  Sig.  Cesare 
Gasperì-Campani  accompagna  un  Rapporto  di  ugual  data  del  suo  perito 
Ing.  Augusto  Ghelardi; 

Vista  la  Deliberazione  della  Giunta  Municipale  del  di  1^  andante  ; 

Udita  la  lettura  del  Rapporto  dell'  on.  Peruzzi,  Relatore  a  nome  della 
Commissione  3.^ 

IL  CONSIGLIO  DELIBERA 

È  incaricato  il  Sindaco  di  concludere,  dopo  averne  riportata  autoriz- 
zszione  per  Decreto  Reale,  a  norma  della  Legge  5  Giugno  ÌS50;  V  acquisto 
rielle  seguenti  Case  che  già  fUrono  abitazione  di  Dante  Alighieri. 

l.o  Della  Casa  appartenente  al  Senatore  Comm.  Luigi  Mannelli-Galilei, 
posta  in  questa  Città  nella  via  Ricciarda  al  N.  2,  per  il  prezzo  di  L.  12,900, 
«*  inoltre  col  rimborso  al  predetto  proprietario  di  L.  225  per  spese  commesse 
durante  le  feste  del  Centenario  Dantesco  ;  concedendo  altresì  che  nella  Casa 
medesima  sia  apposta  una  memoria  lapidea,  dalla  quale  resulti  la  cessione 
(attane  dall'  attuai  proprietario  al  Comune. 

t/*  Delle  due  Case  di  proprietà  del  Sig.  Cesare  Gasperi-Campani,  situate 
parimente  in  questa  Città  in  via  Santa  Margherita  ai  Numeri  1  e  3  per  il 
complessivo  prezzo  di  Lire  150  mila  pagabile  in  quattro  rate,  che  una  di 


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28  DOCUMENTI. 

25  mila  Lire  nell'anno  1809,  una  uguale  nel  saccesslvo  anno  1970,  ana 
rata  di  Lire  cinquantamila  nel  1S71,  e  una  pure  di  Lire  50  mila  nell'aiioo 
1872  coli' interesse  del  6  p.  100  all'anno. 

Deliberazione  definitiva  del  Consiglio  del  di  S  Luglio  1875.  ItUomo  ari 
parziali  restauri  alla  Casa  di  Dantb  àliohib&i. 

Viste  le  proprie  Deliberazioni  del  10  Maggio  1864  e  del  17  Marao  1866. 
con  le  quali  si  dava  incarico  a  due  Commissioni  successivamente  nominata 
.  di  ricercare  le  vestigia  della   Casa  ove   nacque  ed  ebbe  dimora  Dante 
Alighieri  ; 

Viste  le  Relazioni  delle  prelodate  Commissioni  lette  al  Consiglio  ndl** 
adunanze  del  4  Febbraio  18(S  e  del  10  Marzo  186S,  dalle  quali  resU  prx»- 
vato  che  quelle  vestigia  si  trovano  incorporate  e  comprese  nelle  Case  giù 
Mannelli  e  Campani,  l' una  prospiciente  sulla  Piazza  S.  Martino  in  facciii 
alla  Torre  della  Castagna,  V  altra  sulla  via  Santa  Margherita  ; 

Visti  i  documenti  allegati  alle  predette  Relazioni,  e  più  specialmenti" 
visti  i  disegni  compilati  dall'Architetto  Cav.  Mariano  Falcini,  di  concert* > 
e  d' intelligenza  con  le  prefate  Commissioni  ; 

Viste  le  Deliberazioni  prese  dal  Consiglio  nelle  adunanze  predette  coti 
le  quali  si  ordina  che  le  surricordate  Case  vengano  in  proprietà  del  Mu- 
nicipio per  demolirle  in  parte  ed  in  parte  restituirle  possibilmente  nel  lon» 
pristino  stato; 

Vista  la  Relazione  dell' Uffizio  Tecnico  Comunale  del  10  Luglio  ISTI, 
corredata  degli  opportuni  disegni,  con  la  quale  il  restauro  della  Casa  g^iù 
Mannelli-Galilei  ed  i  lavori  affini  si  fanno  ascendere  a  Lire  6192.56.  ; 

Udita  la  Relazione  dell'Assessore  De  Fabris,  ed  udito  il  parere  della 
Commissione  3^; 

Considerando  come  sia  da  ritenere  che  le  ricerche  e  gli  studii  fatti 
intorno  alla  esistenza  ed  alla  ubicazione  delle  Case  dell'  Alighieri  per  opera 
delle  Commissioni  a  ciò  delegate  con  Deliberazione  del  Maggio  1861  e  del 
Marzo  1866,  restarono  con  ogni  plauso  accettati,  e  che  quindi  riuscirebb** 
oziosa  ed  inopportuna  ogni  altra  ricerca  su  quel  proposito; 

Considerando  che  lo  stato  di  deplorabile  abbandono  in  cui  tuttora  ri- 
mangono quelle  venerande  relìquie  non  potrebbe  esser  più  lungamcnt  ■ 
tollerato  senza  biasimo  della  Comunale  Rappresentanza  dappoiché  a  qtiesta 
non  parve  grave  lo  erogare  somma  ingentissima  onde  preparare  e  disporre, 
i  modi  di  ricondurle  in  onore; 

Considerando  che  il  progetto  di  restauro  proposto  dall'Uffizio  Tecnico 
Comunale,  quando  venisse  attuato  nella  sua  totalità,  non  riuscirebbe  con- 
sentaneo allo  spirito  delle  precedenti  Deliberazioni  Consigliarì  ed  allo  scopo 
di  non  pregiudicare  la  massima  di  ricondurre  possibilmente  nel  pristino 
stato  le  Case  che  furono  di  Dante  Alighieri; 

Vista  la  Deliberazione  della  Qiunta  Municipale  del  di  21  Giugno  de- 
corso; 

DELIBERA 

1.0  Che  in  base  ai  disegni  dell'Architetto  Falcini  ed  a  cura  dell'Uffizio 
Tecnico  Comunale  sia  posto  mano  al  restauro  di  quella  porzione  delle  Cas<* 


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DOCUMENTI.  20 

a  Dante  che  comprende  il  piano  terreno,  ed  il  primo  piano  del  modesto 
jbttnro  già  posseduto  dal  Nobile  Signore  Mannelli-Galilei,  lasciando  prov- 
riwfiamente  sassistere  nello  stato  e  coudizione  in  cui  di  presente  ritrovasi 
1  secondo  e  terzo  piano  della  Casa  predetta. 

2.<*  Che  venga  autorizzata  la  Giunta  ad  erogare  nei  sovra  indicati 
UTori  di  parziale  restauro  una  somma  non  maggiore  di  L.  4500  da  stare 
.  carico  delle  previsioni  poste  in  Bilancio  per  restauri  e  mantenimento  di 
UhlMriche  e  di  opere  d*arte  monumentali,  e  che  sia  autorizzata  la  esecu- 
di  tali  lavori  mediante  trattativa  privata. 


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30 


ELOGI 

CStmnuale  Damteteo,  IV.  6SJ. 

Fabroxi  a.  can.  in  S.  Maria  Transtevere  (m.  a  Pisa  li  f?0 
Sett.  1805,  d' anni  72).  Panna,  Stamp.  R.  1800. 

F.  L.  (Fossati  Luigi),  Elogio  di  Dante  Alighieri.  Negli  Elog-i 
Italiani  pubblicati  da  Andrea  Rabbi,  T.  xi,  p.  63.  Venezia,  Mar- 
cuzzi,  1783. 

L ASTRI  D.  Marco,  Elogio  di  Dante  Alighieri.  Negli  Elogi 
degr  illustri  Italiani,  Voi.  i.  a  pag.  21.  Lucca,  Benedini,  1771 . 

Éloge  du  Dante,  Bibliotbèque  des  Roraans,  T.  xxxvii,  par.  s?, 
p.  l  e  seg. 


PARALLELI 

CUmm.  Ikmt.  IV.  W  «  55/;. 

Dantb  e  Omero,  (Man.  Dani.  iv.  61).  —  Bagnoli  Pietro, 
Della  simigUanza  di  Omero  e  Dante  nel  magistero  poetico. 
Atti  della  R.  Accad.  della  Crusca,  m.  463.  —  La  Lumia  Isidoro, 
Omero  e  Dante.  Nel  giornale  palermitano  La  Concordia,  a.  i, 
n.  6,  20  maggio  1840.  —  BetH  Saltatore,  L'illustre  Italia, 
Dial.  VI,  251. 

Dante  e  Boezio.  —  Baur  G.  A.  L.  Boetius  und  Dante. 
Leipzig,  1874. 

Dante  e  S.  Agostino.  —  Franciosi  Giot>anni,  Scritti  Dan- 
teschi, 6  e  28. 

Dante  b  Ugo  da  S.  Vittore,  —  Lubin  A.,  Allegorìa  Mo- 
rale, Ecclesiastica,  Politica  nelle  due  prime  Cantiche.  Gratz, 
Kienreich,  1864. 

Dante  e  S.  Tommaso.  —  Conti  Augusto,  Storia  della  Filo- 
sofia, n,  132-241.  —  Palermo  Francesco,  S.  Tomaso,  A>tjr.*t>- 
tile  e  Dante.  Firenze,  Celiini,  18G0. 


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PARALLELI.  31 

Dantb  b  Obbgorio  vii.  —  Franciosi  Giovanni,  Grego^ 
rio  VII  giudicalo  da  Dante,  Scritti  Danteschi,  15. 

Dantb  e  Fh.  Petrarca,  (V.  voi.  iv,  62  e  551).  —  Botta 
Carlo,  Belandole  del  Petrarca,  paragonata  a  quella  dell  AH- 
ghieri.  Lettera  al  S.^  Gresne,  20  marzo  1835.  Archivio  storico 
'ìi  Firenze,  Serie  ii,  T.  i,  p.  76.  —  Cereseto  Giamb.,  Dante  e 
Petrarca.  Storia  della  poesia  Ital.  Milano,  Silvestri,  1857,  voi.  i, 
p.  168.  —  Agrati  Gio.,  Parallelo  fra  Dante  e  il  Petrarca  :  I.  in 
'guanto  al  concetto:  II.  in  quanto  allo  stile.  Petrarca,  Manuale 
di  Letteratura,  p.  78-91.  —  Paravia  Pier  Alessandro,  Diver- 
fila  d^indole  tra  lo  scrittore  della  Divina  Commedia  e  il  cantore 
di  Laura.  U  Baretti,  1874,  p.  96  e  102.  —  Cantii  Cesare, 
Parallelo  fra  Dante  e  Petrarca,  Storia  della  Letter.  Ital.  69-76. 
— -  De  Sanctis  Fr.,  Dante  e  Petrarca.  Saggio  critico  sul  Pe- 
trarca p.  5  e  75.  —  Bozzo  G.,  Id.  Proemio  al  suo  Cemento 
del  Canzoniere  i,  xxxiv  e  seg.  —  Lombardi  Eliodoro,  Id.  Elogio 
del  Petrarca,  p.  8.  —  Aleardi  A.,  Id,  Discorso  p.  39;  60-62. 
—  Carducci  Giosuè,  Id.  ;  Studi  Letterari,  p.  332.  —  Crespan 
G.,  DanU  e  Petrarca.  Petrarca  e  Venezia,  p.  116.  —  Mézierès 
A.,  Petrarque,  p.  xvii  e  275. 

DA2*rrE  B  Petrarca  riguardo  al  concetto  politico.  — 
MatscJieg  A.,  Petrarca  e  Venezia,  p.  U;  Diverse  condizioni  dei 
tempi  in  cui  vissero,  19-28;  Differenza  tra  Vuno  e  r altro 
nel  riguardo  del  concetto  e  del  fine  politico,  35.  —  Aleardi  A,, 
Politica  dei  due  poeti.  Discorso,  69  e  seg.  —  Mézierès  A.,  Con" 
cetto  politicò  dei  due  Poeti,  Pétrarque,  274;  Come  Dante  sen- 
tisse della  Francia,  306-12;  Come  il  Petrarca,  312-27. 

Dantb,  Petrarca  e  Boccaccio.  —  Carducci  Giosuè,  Stadi 
Letterari,  71-75;  Id.  ai  Parentali  di  Giovanni  Boccaccio,  4  e 
16.  —  Canini  Fabio,  Boccaccio  nel  suo  tempo,  20. 

Dahtb  b  Maoohu velli.  —  Gioberti  V.,  Gesuita  Moderno, 
T.  II,  586,  Ed.  di  Losanna.  —  De  Nin  Antonio,  Museo  di  Fa- 
miglia di  Milano,  1863,  a.  iv,  voi.  in,  8  e  15  marzo. 

Daiite  b  Vico,  (Man.  Dant.  iv,  64).  —  Cerritelli  Pietro,  Pen- 
sieri solla  Divina  Commedia,  p.  20. 

Dantb  e  Michelangelo,  (voi.  iv,  64).  —  Rubbi  Andrea, 
nel  voL  IL  della  Div.  Comm.  da  lui  pubblicata.  —  Fattori  Ettore, 


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32  PARALLELI. 

Firenze,  Cellini,  1875,  di  pag.  206.  —  Il  Fattori  li  considera 
rispetto  a'  secoli  in  cui  vissero,  alla  religione,  alla  patrìa,  all'a- 
more, all'arte.  È  giustissimo  il  confronto  ch'ei  fa  tra  la  ma- 
niera di  scrivere  dantesca,  e  quella  di  scolpire  micbelangelesca.  — 
Venturi  L.  Vita  di  Michel.  Buonarroti,  p.  57,  —  Amò  il  poema 
divino  e  lo  comprese  Michelangiolo  per  conformità  d'ingegno: 
e  r  amor  suo  parve  culto  di  venerazione.  Gran  dantista  lo 
chiama  Donato  Giannotti,  ed  afferma  «  non  conoscere  alcuno 
che  meglio  di  lui  Io  intenda  e  possegga.  »  Lo  sapeva  quasi 
tutto  a  memoria:  da  lui  trasse  il  vigor  delle  immagini;  ne 
istoriò  il  poema  con  disegni  marginali,  codice  prezioso  che  andò 
sommerso  in  un  naufragio  da  Livorno  a  Civitavecchia;  scrisse 
di  lui:  Se  par  non  ebbe  il  suo  esilio  indegno,  Similiwfn,  ««^ 
maggior,  non  naqque  niai;  e  ne  invidiò  la  sorte  eoa  quei 
bellissimi  versi:  Fuss'io  pur  lui!  e* a  tal  fortuna  nato.  Per 
V  aspro  esilio  suo,  con  la  virtù  te.  Dare*  del  mondo  il  piii  felice 
stato,  E  Dante  gP insegnò  a  cantar  degnamente  T amore,  la 
religione  e  la  patria.  L.  Venturi,  id.  p.  50  —  Gebhart  Émih\ 
Dante,  Savonarola,  Michel-Ange.  De  T Italie,  essais  de  cri- 
tìque  et  d'histoire.  Paris,  Hachette,  1876,  p.  72-107.  — 
Barlow  Hemy  Clark,  Dante  and  Michelangelo.  Printed  in 
Commemoration  of  the  fourt  Centenary  festival  of  the  Mighty 
Master,  March  6,  1875.  From  <  the  Builder  »  of  March  20. 
with  additions.  —  Il  prof.  Tondi  il  7  dee.  1873  lesse  all'univ. 
di  Roma  un  erudito  discorso  col  titolo  :  Dante  e  Michelangelo. 

Dante  e  Loo.  Ariosto  (Man.  Dant.  iv,  551).  —  Matniani 
Terenzio,  Il  Furioso  s'accosta  meglio  di  tutte  le  altre  compo- 
sizioni italiane  alla  Divina  Commedia.  Prose  Letter.  45. 

Dante  e  T.  Tasso  (Man.  Dant.  iv,  63).  —  Mamiani  Te- 
renzio, Prose  Letter.  40-44.  —  Carducci  G.  Studi  Letter.  132. 

Dante  e  Manzonl  —  Giuliani  Giambattista,  Gazzetta 
d'Italia,  28  Maggio,  1873. 

Dante  e  Shakspeare.  —  Mamiani  Terenzio,  Prose  Letter. 
p.  30.  —  Gar^iolli  Corrado,  Nel  suo  dirscorso  intitolato: 
Letteratura  e  Arte  Drammatica,  Piovano  Arlotto,  1860,  p.  231. 
—  Franciosi  Giovanni,  La  virtù  punitiva  della  coscienza  nel- 
r  Inferno  dantesco,  e  nei  Drammi  di  Shakspeare.  Rivista  Univ. 


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PARALLELI.  33 

ii  Firenze,  1875,  toI.  xxii,  602.  —  Koenig  Wihelm,  Shakspeare 
3l  Dichter  weltweiéer  und  Ghrist  Durch  Erlàuterung  von  vier 
^er  dramen  und  eine  vergleichung  mìt  Dante  dargestellt, 
Leipzig,  1873,  Lackhardt*8che  yerlagsbachhandlung,  8,  di  pag. 
m%  301.  —  Shakspeare  il  poeta  filosofo  e  cristiano.  Esposi- 
none di  quattro  suoi  drammi,  e  confronto  con 'Dante.  —  Pa- 
ytileio  fra  Dante  e  Shakspeare,  225-231. 

Dante  b  Klopstoch.  —  Topin  Hyp,  Livourne  Guillaume, 
1862,  Tol.  I.  —  V.  Leoni,  Dante,  Storia  e  Poesia,  173. 

Dante  e  Goethe.  —  Scherer  Edmond,  Etudes  critiques 
de  Littèrature,  Paris,  Levy,  1876. 

Da^te  e  Milton.  —  Franciosi  Giovi.,  Il  Satana  Dantesco 
t  il  Satana  del  Milton.  Studi  danteschi,  31.  —  Maculay , 
Saggi,  m,  218-28  (Torino,  Un.  Tip.,  1863).  V.  Leoni,  Dante, 
Storia  «  Poesia,  173. 

OxBBO,  Virgilio,  Shakspeare,  Klopstoch  e  Dante.  —  Spera 
prof.  Giuseppe,  Saggi  estetici-storici-critici,  Potenza,  Santa- 
ndlo,  1870,  p.  101-20  —  V.  Man.  Dani.  551. 

COMPONIMENTI   POETICI 

IN  ONORE  DI  DANTE. 
(T.  Man.  Demi.  JI,  4il;  TV,  USS). 

Amico  Ugo  Antonio,  Francesca  di  Rimini,  dipinto  di  Fran- 
cesco L.  lacoimo.  —  Amico,  Versi,  Palermo.  Amenta,  1873, 
p.  92. 

AlgarotH  Fr.,  Epistola  in  versi  a  D.  Salvagnini,  contro  i 
proscrittorì  di  Dante  e  di  Petrarca  :  Nelle  sue  opere.  Livorno, 
Coltelliiii,  1764. 

Anonimo,  (del  sec.  xvi).  Due  sonetti  in  laude  di  Dante 
pubblicati  da  Gaspare  Martinetti  Cardoni,  tratti  dalla  Biblio- 
teca Lanrenziana,  Dante  in  Ravenna,  p.  42,  e  nel  Giornale 
illustrato,  1865,  n.  19. 

Anonimo  Ravennate,  All'  immagine  di  Dante,  sonetto,  Gior- 
gie illustrato,  1865,  n.  19. 

Anonimo,  V  apparizione  di  Dante,  Sestine.  Nel  Veridico  di 

3 


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34  COMPONIMBMTI  POSTICI 

Roma,  27  Maggio  1865.  Venezia,  Giugno,  1865,  Tip.  Patro- 
nato pei  Ragazzi  in  Castello. 

Amaboldi  Alessandro,  Nel  sesto  Centenario  di  Dante.  Versi 
di  A.  Amaboldi.  Milano,  Carrara,  1873. 

Baffi  Vincenzo,  Dante,  versione  da  Uhland,  Frandi  sparte. 
Napoli,  Tip.  d*irAccad.  R.  1875,  p.  30-31. 

Benivieni  Girolimo,  Cantico  in  laude  di  Dante  Alighieri, 
in  terza  rima. 

Bettinelli  Saverio,  La  cetra  di  Dante,  Sonetto.  Dante  in 
Ravenna,  id. 

Bosone  a  ManoeUo  Critideo,  per  la  morte  di  Dante:  Due 
lumi  son  di  novo  al  mondo  spenti.  —  Risposta  di  ManoeUo 
a  messer  Bosone:  Io  che  trtissi  le  lagrime  dal  fimdo.  —  So- 
netto di  Cino  a  Bosone  per  la  morte  di  Dante  e  di  ManoeUo 
Giudeo:  Messer  Bosone.  —  Risposte  di  messer  Rosone  a  Cino: 
Manoel  che  mettete  in  quell'avello,  —  Mercuri,  Lezione  xi. 
Napoli,  NobUe,  1853,  p.  30.  —  F.  Land,  Breve  commentario 
ai  quattro  sonetti  di  messer  Bosone  d*  Agobbio,  di  messer  Cino 
da  Pistoia,  e  di  ManoeUo  Giudeo,  id.  p.  47-55. 

BossetU  Giovanni,  11  trionfo  di  Danto,  Poemetto.  Torino, 
Paravia,  1874,  in  8®  di  p.  36. 

Ne  sono  oggetto:  Firenze,  Santa  Croce,  il  Monumento. 

Capelli  Antonio,  S.  Tommaso  e  Dante,  Stanze,  lette  nella 
solenne  accademica  tornate  del  4  Marzo  1874  in  S.  Domenico 
Maggiore  di  Napoli  pel  IV  Centenario  di  S.  Tommaso  d* Aquino. 
Napoli,  Tip.  Accattoncelli,  1874. 

Carducci  Giosuè,  XIV  Maggio  1863,  tre  Sonetti.  Furono  pub- 
bUcati  in  pochi  esemplari  in  occasione  della  feste  celebrate  in 
onore  di  Dante  a  Ravenna,  ristampati  neUa  Riviste  Italiana, 
30  Ottobre  1865,  n.  250,  p.  444. 

Chileni  Neofìama,  (anagramma  di  un  giovine  piemontese). 
Una  visione  deUe  rovine  del  celebre  monastero  di  Montscorvo. 

Costa  Paolo,  Sonetto  a  Dante,  pubblicato  il  3  Gen.  1796,  ìq 
occas.  della  feste  fatte  alFAUghieri  dal  Circolo  Ravennate,  di 
cui  il  Coste  era  Moderatore. 

Dair  Ongaro  Francesco,  La  Lucchesina,  Stornello.  Il  Gior* 
naie  illustrato,  1865,  n.  22, 

De  Matteis  barone  Luigi,  Pel  monumento  a  Dante  in  Na- 
poli. Canzone. 


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IN  ONOBB  DI  DANTE.  35 

De  Marzo  Ani,  Oualberto,  Italia  e  Dante.  Firenze,  Graz- 
zioi-Giannini ,  1805. 

FaedoU  Dario  Napoleone,  La  Beatrice  di  Dante,  a  Jacopo 
Zanella,  Sonetto.  Brescia,  Appoloni,  1871.  —  Innanzi  ai  quattro 
monumeBli  in  S.  Croce  di  Firenze,  Dante,  Galileo,  Michelan- 
gelo fimoarroti,  Macchiavelli,  id.  id.  —  In  iftorte  di  S.  M.  il 
re  di  SaBsODÌa,  preclaro  Dantofilo,  e  traduttore  sublime  della 
D.  Conci,  in  classico  idioma  alemanno,  Sonetto,  1  Nov.  1873, 
lìp.  RoTetta  e  Roknlglia. 

FioH  can.  Geremia,  Il  sesto  Centenario  di  Dante,  Soliloquio 
d*un  Cnrìalista.  Il  Lampione  di  Firenze  18  Maggio  1865,  n.  37. 

Fontana  Criangiacomo ,  Centoni  danteschi.  Venezia,  Cec- 
chini, 1873. 

Franchini  F.,  Per  un  ritratto  di  Dante  dipinto  da  Giotto, 
Canzone.  Strenna  Fiorentina,  A.  ii,  1844. 

Forti  Luigi,  Il  viaggio  di  Dante  all'  Inferno,  poemetto  dia- 
logato diviso  in  cinque  parti.  Prato,  Vestri,  1829. 

Giusti  Gius,,  A  Dante,  Sonetto...  La  colpa  seguirà  la 
parte  offensa . . .  Giornale  illustrato,  1865,  n.  19. 

Lansfi  P,  Luigi  —  della  C.  d.  G.  —  di  Montolmo.  Le  lodi 
della  Sacra  Teologia  sotto  nome  di  Beatrice  cavata  dalla  Com" 
media  di  Dante  e  distribuita  in  cinque  sonetti.  Essi  furono 
da  Ini  composti,  quando  dopo  terminati  in  Roma  gli  studi 
teologici,  tenne  per  un  anno  il  magiitero  di  belle  lettere  in 
FuUgno  ;  e  si  trovano  stampata  in  im  rarissimo  libro  intitolato  : 
Coetus  solemnis  Reip.  Utterariae  Umbrorum  initus  in  Curia 
litteraria  FuJginaH,  VII  Kal,  Mart,  A.  R,  S,  MDCCLXXI, 
dal  qoale  li  trasse  il  tipografo  Giacinto  Marietti,  e  li  pubbHcò 
nuovamente  in  Torino  nel  1828.  — Son.  I.  Smato  nell'amore 
delle  creature,  Beatrice  lo  rimise  nel  buon  sentiero.  —  li.  Pur- 
gato dm*  visi,  gli  tranquillò  lo  spirito ,  e  gli  die  quelt  interne 
dokezze,  ch'egli  ci  figura  coir  allegoria  del  Paradiso  terre- 
sire.  —  in.  GU  beò  V  intelletto  colla  contemplazione  delle  celesti 
cose.  —  IV.  La  volontà  ancora  coW  amor  di  Dio,  —  V.  Lo 
trasformò  e  lo  divinizzò  in  certo  modo. 

Le  MoU  G.,  Sulla  tomba  di  Dante,  due  sonetti.  V  Universo 
illustraio,  1871,  p.  26. 

Lombardi  Eliodoro,  Dante  e  Beatrice,  Frammento.  Nel  voi. 
Melodie,  canti  italiani.  Milano,  1862. 


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36  COMPONIMENTI  POETICI 

Lomonaco  Vicenso,  Cantica  a  Dante.  PoUorama  pittoresco 
di  Napoli,  A.  IX,  n.  25,  20  Maggio  1860. 

Maccari  Giambattista,  Dante  moriente.  Dante  Alighieri, 
Strenna  del  Giornale  Arti  e  Lettere,  p.  61.  Roma,  Sinimberg-hì , 
1865. 

Mancini  L.,  Dante  a  Roma,  Sonetto.  Fano,  Lana,  1871. 

Mattò  Qiamb.,  Versione  latina  della  Canzone  di  G.  Leopardi 
sopra  il  Monumento  di  Dante.  Il  Baretti,  1874,  n.  17,  p.  133. 

Manucci  V.,  Inaugurandosi  in  Mantova  il  monumento  di 
Dante  Alighieri,  Ode.  Mantova,  Mondovì. 

(Messina)  Festa  liceale  del  14  Maggio  1865  in  Messina. 
Messina,  Ribera,  1865,  di  pag.  44,  in  8**. 

Morigi  Giulio,  (del  xvi  secolo).  Il  sepolcro  di  Dante,  Sonetto. 
Giornale  ittusti*ato,  1865,  n.  19. 

Monti  Yicenzo,  Per  le  quattro  tavole  rappresentanti  Beatrice 
con  Dante,  Laura  col  Petrarca,  Alessandra  coir  Ariosto,  Eleo- 
nora col  Tasso  mirabilmente  dipinte  da  Fil.  Agricola  per  com- 
missione di  S.  Ec.  la  Sy^  Duchessa  di  Sagan,  Canzone.  Milano,. 
Classici,  1822. 

Milchell  Riccardo,  Pel  VI  Centenario  di  Dante  Alighieri, 
p.  138.  —  Le  ceneri  del  divino  Poeta,  p.  185.  Canto  e  luce. 
Nuovi  versi.  Messina, 

Morpurgo  Carlo  A,,  Canto  funebre  sulla  tomba  di  Giov. 
Nepomuceno  di  Sassonia.  Firenze,  Barbera,  1873. 

Muzzarelli  Em,,  Ode  pel  monumento  di  Dante.  Giornale 
Arcadico,  xlv,  90. 

Navarro  Yicenzo,  da  Ribera,  Dante  Alighieri,  Sonetto.  — 
AUa  tomba  di  Dante,  Sonetto.  Palermo,  Muratori,  I85I. 

N.  N.,  Ultimo  colloquio  di  Beatrice  con  Dante.  Agli  amici 
deir  umanità  —  beneficio  di  un  ex  scrittore  cieco.  Poesia.  Ascoli 
Piceno,  Valenti,  1865. 

(Palermo)  Pel  Centenario  di  Dante,  Componimenti  recitati 
nella  solenne  Accademia  tenuta  in  Palermo  nel  R.  Liceo 
Vittorio  Emmanuele  il  di  14  Maggio  1865.  Palermo,  Lor- 
snaider,  1865.  —  Contiene  un  discorso  del  prof.  Villareaie; 
Terzine  del  prof.  Alfonso  Capra;  Elegia  del  prof.  G,  Sapio; 
La  Pace,  meditazione  di  Dante  al  Monastero  del  Corvo,  Ode 
del  prof.  avv.  Pietro  Nocito;  L'esilio  di  Dante,  Canzone  di 
Salvatore  Salamone  Marino;  Carme  di  Paolo  Sapio;  Dante 

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38  COHPONIBfBNTI  POBTia 

nistero  dell* Avellana ,  Sciolti.  Letture  di  fanUgUa  di  Trieste^ 
1861,  205. 

Sdalubba-Gallo  Giuseppe,  Dante  ed  Alfieri,  Carme,  a  Car- 
melo Pardi.  Palermo,  Favilla,  a.  iii,  n.  12el3,  lle21  Maggio 
1859. 

Salomone  Marino  Saldatore,  L*  esilio  di  Dante,  Canto.  Pa- 
lermo, Loranaider,  1865. 

Silvestri  Giuseppe,  Sull'amor  patrio  di  Dante,  Capitolo. 
Firenze,  Benelli,  1844. 

Strocchi'Loreta  Ginevra,  Nel  rinvenimento  delle  ossa  di 
Dante  Alighieri,  avvenuto  a  Ravenna  il  27  Maggio  1865,  Sonetti 
due  —  I.°  A  Dante  Alighieri  —  II.®  A  Ravenna. 

Taddei  Rosa,  Confronto  fra  Beatrice  e  Laura.  Taddei  Tersi, 
Trieste,  Maldini,  1835,  p.  9.  Il  lamento  di  UgoUno  vedendo 
spirare  l'ultimo  suo  figlio  —  id.  p.  14. 

Turrisi  Colonna  (xiuseppina,  A  Giovanni  Dupré  per  la  sua 
statuetta  la  Beatrice  di  Dante,  Ode.  Poesie  edite  ed  inedite^ 
Palermo,  Ruffino,  1854. 

Trivellato  Gius.,  Sopra  T esilio  di  Dante  Alighieri,  Ode« 
Carni,  lat  et  itala  p.  73  —  Trionfo  della  Div.  Commedia, 
Terze  Rime,  id.  81-88. 

Villareale  Mario,  U  arte  dantesca,  Canzone.  Versi,  Palermo» 
1873. 

Zappi  Giambattista,  Sul  Dante  dipinto  da  Raffaello,  Sonetto 
letto  nella  solenne  Accademia  del  disegno  nel  24  Aprile  1704. 
V.  la  Relazione  di  Giuseppe  Ghezzi,  pittore,  segretario  di  detta 
Accademia.  Roma,  Zanobi,  p.  53. 

JoJiannes  de  Certaldo,  Francisco  Petrarche  poeto  unico 
atque  illustri.  —  Carme  laudatorio  con  che  il  Boccaccio  ac— 
compagna  al  Petrarca  un  esemplare  della  divina  Commedia 
tradotto  e  comentato  dal  prof.  Carducci.  Studi  Letter.  326  e- 
363-71. 

Epitaphium  Dantis  Aligherii  compositum  per  quondam  re- 
colendae  memorìae  D,  Franciscum  Petrarca  (?).  Pubblicato 
dal  Valentinelli,  Petrarca  e  Venezia,  p.  128. 

Dominus  Franciscus  Petrarca  in  laudem  Dantis.  Da  uà 
codice  della  preziosa  raccolta  dell'illustre  co.  Carlo  Morbio.di 
Milano,  pubblicato  per  la  prima  volta  dal  dott.  Attilio  Hortis. 


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IN  ONORB  DI  DANTB.  39 

Dante  e  il  Petrarca,  Nuovi  studi.  Rivista  Europea,  Gen.  1875, 
p.  277-283. 

Ecloga  Joannis  de  Virgilio,  in  qua  auctor  loquens  intro- 
dudt  Daphnin  et  Moerin  loquentes.  Mercuri,  Lez.  xi,  p.  34. 

Fu  scritta  per  la  morte  di  Dante,  non  pubblicata  dallo 
Scolari,  preziosissima  per  le  allusioni,  e  notizie  che  contiene. 
È  diretta  al  padovano  Mussato. 

Cevap,  Tomaso,  milanese  (visse  dal  1648  al  1737).  —  Nel 
libro  del  suo  Poema  eroico-comico,  intitolato  Jesus  Puer  con- 
sacra un  graziosissimo  episodio  a  Dante. 

CufUch  Raimondo,  Epigrammata.  Ragusii,  typis  Ant.  Mar- 
tecchini,  1823,  —  Contiene  i  seguenti  epigrammi:  Ad  Floren- 
tiam.  De  Dante  AUgherio,  p.  158  (Cancellieri,  p.  98);  Ad  Lydam, 
DanUs  carmina  legentem  (p.  298).  Altro  epigramma  alla  stessa, 
sullo  stesso  soggetto,  inedito,  pubblicato  dal  P.  Melandri  — 
(Intorno  allo  studio  de'  PP.  della  Comp.  di  Gesù,  ecc.,  p.  48). 

Segardi  M.  Lodovico  (Quintino  Settano),  Nella  Satira  ix, 
216-223,  deride  gl'inetti  imitatori  di  Dante,  come  pure  il  p. 
CordaraDé  Grceculorum  sui  temporis  literatura,  Serm.  ii,  v.  157. 

Svegliato  Giamo.,  Dante,  Ode  Alcaica.  Ediz.  della  Minerva, 
voi.  V,  533. 

Byron  G.,  The  Prophecy  of  Dante.  London,  Creery,  1821. 

Parson  Thomas  William,  On  a  bust  of  Dante.  The  sha 
dow  of  the  obelisk  and  othr  poems.  Londres,  Hatchards,  1872. 

Uhland  Ludwig,  Dante  —  Gedichte,  p.  321.  Stuttgart  und 
Tubingen  J.  G.  Gotta'scher  Verlag,  1849. 

Potgieter  C,  J.,  Florence  den  XIV  Mèi  1265-1865.  — 
11  valentissimo  poeta  olandese  Potgieter,  trovavasi  nella 
piazza  di  S.  Croce  il  14  Maggio  1865.  L'imponente  solennità,  a 
cui  prendeva  parte  V  Italia  tutta,  e  il  fiore  dei  dotti  d' ogni  paese 
ivi  convenuto,  inspiravagli  un  poema,  in  terzine  rimate,  in 
onore  del  divino  Alighieri.  È  intitolato  al  suo  amico  Ed.  Busken 
Huet,  che  gli  fu  compagno  nel  devoto  peregrinaggio  ;  in  20 
canti,  che  abbracciano  3242  versi.  Eccone  i  titoli: 

L  Aankomst  (Amico).  —  II.  Eeen  gouden  Eevw  (Un  secolo 
d' oro.  —  III.  Kinderyke  Liefde  (Amor  figliale).  —  IV.  Hof 
der  Minne  (Corte  d'amore).  —  V.  Slag  by  Campaldino  (Bat- 


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40  COMP.  POBT.  IN  ONORB  DI  DANTE. 

taglia  di  Campaldino).  —  VI.  Beatrice's  Uitt'oart  (Funerali  di 
Beatrice).  —  VII.  Burgerdevgd  (Virtù  citUdine).  -—  Vili.  Di- 
chterlyke  Roeping  :  De  Hel  (Vocazione  di  poeta:  L' Inferno).  — 
IX.  Hétklooster  del  Corvo  (Il  Monastero  del  Corvo).  —  X.  Di- 
chterlyhe  Stadie:  De  Louteringsberg  (Studio  di  poeta:  Il  Pur- 
gatorio). —  XI.  Hendrtk  van  Lmcemburg  (Enrico  di  Lussem- 
burgo). —  XII.  Gehandhaafd  Eergevoel  (Sentimento  d'onore). 
—  XlU.Dtchte7^lyke  Triomf:  *t  Paradys  (Trionfo  del  poeta:  Il 
Paradiso).  —  XIV.  Dantes  Verscheiden  (Morte  di  Dante).  — 
XV.  Santa  Croce.  —  XVI.  De  Opthochi  (Il  Corteggio).  — 
XVII.  *s  Dichters  Invloed  (Sua  influenza).  —  XVIII.  AHosto  en 
Tasso.  —  XIX.  Typen van Lìefde (Tipo d'amore). — XX. Dantes 
Zegen  (La  benedizione  di  Dante).  ' 


EPIGRAFI  IN  ONORE  DELL'ALIGHIERI 

(V.  Man.  Dant.  li,  4t6;  IV,  83), 

Inscrizione  posta  a  Gubbio  nel  quftrtier  di  S.  Andrea,  presso 
la  porta  di  S.  Agostino,  nella  parete  laterale  della  casa  dei 
co.  Falcucci,  già  de' RaffiieUi.  Man.  Dant.  n,  56. 

Iscrizione  posta  d,al  can.  della  Metropolitana  di  Firenze, 
Pietro  Petrei  (m.  nel  1571),  nel  Monastero  deW  Ordine  Ca- 
maldolese di  S.  Croce  di  Fonte  Avellana,  e  nella  camera  ove 
si  tiene  eh'  egli  abitasse.  Man.  Dant.  ii,  57.  —  Su  queste  due 
iscrizioni  v.  U.  Foscolo,  Discorso  sul  Testo,  cxlv. 

Iscrizioni  a  Ravenna.  V.  Dionisi,  Indagini  intorno  al  se- 
polcro di  Dante  Alighieri.  Verona,  Merlo,  1799. 

Leoni  Carlo,  Iscrizioni  a  Dante.  Padova,  Prosperini,  1863. 
Pubblicate  da  F.  Fanzago,  per  le  Nozze  De  Lazzara  Sambo- 
nifacio. 

E  non  tornerà  disaccetto  il  conoscere  come  il  Leoni  si 
provasse  e  riprovasse  nelF  iscrizione  che  doveva  essere  scolpita 
a  Padova  sotto  la  statua  del  Vela! 

I.  Dante  Alighieri  —  Nel  secentennio  natale  —  Padova 
—  Al  Massimo  —  Memoria  riparatrice  —  P.  —  MDCCCLXV. 

IL  A  Dante  Alighieri  —  Di  patria  concordia  —  Austero 


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BPIORAFI  IN  ONORB  DI  DANTE.  41 

propugnatore  —  Nel  sesto  centenario  della  stia  nascita  —  / 
Padovani  —  Consacrano, 

ni.  Dante  —  Re  delT  altissimo  canto  —  L*  italo  genio  — 
In  novo  idioma  rivisse  —  L*  avvenire  svelando  —  //  passato 
terribilmente  Scolpp,  —  Al  patrio  Unificatore  —  Nel  secen- 
tennto  natale  —  Concorde  a  Italia  —  Padova  MDCCCLXV. 

IV.  A  —  Dante  —  Poeta  Massimo  —  Di  patria  concordia 
propugnatore  —  Festeggiando  Italia  —  //  sesto  centenario 
del  suo  natale  —  Padova  —  Gloriosa  di  sua  dimora  — 
P.  —  MDCCCLXV. 

V.  Ai  due  lati  —  Onorate  r  altissimo  Poeta  —  A  veder 
tanto  non  surse  il  secondo  —  Nel  mezzo  :  A  Dante  Alighieri 

—  IH  patria  concordia  austero  propi^gnatore  —  Nel  sesto 
centenario  della  nascita  —  /  Padovani. 

Iscrizione  del  Leoni  che  dOTOTa  essere  scolpita  a  pie'  della 
statua  di  Ugo  Zanzu)ni  a  Verona. 

A  —  Dante  Alighieri  —  Fatidico  Sole  —  Rigeneratore  — 
Nel  secentennio  natale  —  Lo  primo  suo  rifugio  —  Supremi 
voti  —  A  Italia  sacri  —  Unanime  —  Verona  —  MDCCCLXV. 
(Messaggiere  di  Rovereto,  4  Luglio  1865,  n.  150  —  V.  Man. 
Dani.  IV,  p.  84). 

MoRDANi  Filippo,  Nuove  Iscrizioni  aggiunte  alle  12  pub- 
blicate per  le  Feste  Ravegnane.  Forlì,  Bordandini,  1869.  V.  Man. 
Dani.  Il,  416;  iv,  83. 

L'iscrizioni  dettate  nel  1865  furono  elegantemente  volte  in 
latino  dal  can.  Lorenzo  Fantuzzi,  Savignanese. 

Iscrizione  murata  dal  Municipio  di  Castelnuovo  di  Magra. 

Al  divino  Poeta  Dante  Alighieri  —  Che  il  VI  Ottobre 
MCCCVI — Delegato  dal  marchese  Franceschino  Malaspina 
e  consorti  —  In  Castelnuovo  stabiliva  la  pace  —  Fra'  quei 
dinasti  ed  Antonio  di  Canulla  —  Vescovo  e  conte  di  Luni 

—  n  Municipio  di  Castelnuovo  Magra  —  Pose  —  Il  VI  Ot- 
tobre MDCCCLXX. 


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42 


COMPONIMENTI  DRAMMATICI 

(V.  Man.  DanU  11,  éi9  e  4S9;  tV,  8SJ. 

Marroochbsi  a.,  Dante  in  Ravenna,  Tragedia.  Firenze, 
Ciardetti,  1822. 

Cosenza  bar.  Gio.  Carlo,  Dante  a  Raryenna^  Commedia 
in  quattro  atti.  Venezia,  Tip.  del  Commercio,  1830. 

Ferrari  Paolo,  Framxhento  della  Commedia  in  5  atti.  Dante 
a  Verona.  Milano,  Ciotti,  1862.  — Porta  in  fronte  l'epigrafe: 
Air  Italia  a  Roma  —  Restituite  —  Ai  Filosofi  agli  Statisti  ai 
Guerrieri  —  Al  Monarca  —  Restitutori  —  Come  ricordanza 
e  voto  —  Consacro, 

Dante  a  Verona,  Commedia  in  5  atti.  Milano,  Sanvito. 

Gattinelli,  Dante  Alighieri,  Dramma,  rappresentato  per  la 
prima  volta  all'Arena  Nazionale  di  Firenze  il  3  Agosto  1873. 

ScHMiDT  Albert,  Dante  Alighieri,  Tragedia  in  ftinf  Acten 
nebst  vospiel.  Wismar,  1874,  12"  p.  114. 

Richard  Albert,  Le  Dante,  Scène  pour  voix  de  basse,  avec 
accompagnement  de  piano  par  G,  Grast.  Paris,  Richatdt,  1869. 

Baoatta  Francesco,  Bice  Alighieri,  Tragedia  lirica,  in 
quattro  atti.  Musica  del  maestro  Aless,  Sala,  Verona,  Daldò, 
18B5. 

«  Un  ricco  patrizio  Francese,  il  Duca  di  Massa,  eh' è  fìi- 
natico  per  la  musica,  ha  pur  composto  un'opera  che  ha  per 
soggetto  Dante  e  l' ha  &tta  cantare  a  sue  spese  in  casa.  I  fog^li 
Francesi  ne  dissero  gran  bene,  ma  aspettiamo  il  pubblico.  » 
L'  Universo  illustrato,  1871,  p.  482. 

RELIGIONE  E  CATTOLICISMO  DI  DANTE 

(Ma».  Dtaa.  II.  U  ttSit  /F,  97  «  Ki). 

Pasquini  Pier  Vicbnzo,  Del  CaUoUdsmo  di  Dante.  La  pria 
cipale  Allegoria,  15-28. 

Hardouin  P.  Giovanni,  d.  C.  di  G.,  Dubbi  intomo  al  vero 
Autore  della  Divina  Commedia  di  Dante.  Nelle  Mémoires  pour 


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44  R8LIGI0NB  E  CATTOLICISMO  DI  DANTB. 

e  Lutero  (Man.  Dant.  iv,  66).  Ed  ora  se  ne  £&  atleta  il  Lomo- 
naco;  ei  mette  in  raffronto  i  principii  professati  da  Lutero  e 
quelli  che  furono  propugnati  dall'  esule  ghibellino.  La  sua  dis- 
sertazione ò  divisa  ne'  seguenti  capitoli  :  —  L  Filosofia  e  Teo- 
logia scolastica  —  Diritto  canonico.  ^  II.  Libero  arbitrio.  — 
III.  Indulgenze  —  Confessione,  —  IV.  Purgatorio  —  Merito 
e  detnerito  delle  anime  purganti  —  Suffragi  de'  vivi.  —  V.  i 
FraU  nel  Tisch-Reden  e  nella  Divina  Commedia.  —  VI.  San- 
tità del  voto.  —  VII.  //  culto  a  Maria.  —  VIII.  Immacolato 
concepimento  di  Maria  —  Infallibilità  pontificia. 

Faubrlein  e.,  Dante  und  die  beiden  Confessionem.  (Dante 
e  le  due  confessioni).  Neir  Historische  Zeitschrift  di  Eorico 
Sybel,  1873,  Voi.  xxix,  p.  31-67. 

Svolge  il  tema  già  trattato  da  Mattia  Piaccio,  dal  Grani, 
e  ultimamente  dal  Dalton,  se  Dante  sia  da  annoverarsi  tra  i 
precursori  del  protestantismo.  Le  due  confessioni  sono  la  cat- 
tolica e  la  protestante. 

Lybll  Carlo,  On  the  antipapal  spirit  of  Dante  Alighieri. 
(Dello  spirito  cattolico  di  Dante  Alighieri).  Venne  tradotto  dal* 
r  inglese  da  Gaetano  Polidori.  Londra,  Molisi,  1844. 

INTENTO    CATTOLICO 

DELLA  DIVINA  COMMEDIA 
rifoM.  Dant.  tv,  99)- 

P.  Paolo  (Atta vanti),  fiorentino,  Servita,  Quadragesimale 
de  reditu  peccatoris  ad  Deum.  Milano,  U.  Scinzenceller  e  L . 
Pachel,  1749. 

Il  P.  Paolo  ch'ebbe  fema  di  grande  oratore  sacro  nel  140O, 
altamente  lodato  dal  Poliziano  e  dal  Ficino,  cita  ben  ispesso 
r  autorità  di  Dante  in  prova  e  conferma  degli  argomenti  da 
lui  trattati  nel  suo  Quaresimale.  E  nelle  sue  citazioni  lo  nomina 
ora  Divus,  ora  Divinus ,  ora  Christianissimus  poeta  noster 
decus  Theologorum,  (1)  e  nella  intitolazione  dell'opera  ad  In- 

(1)  Trovandomi  io  scrittore  a  Trapani  di  Cicilia,  et  avendo  vicitato 
uno  vecchio  uomo  pisano  perchè  avea  fama  per  tutta  Cidlia  d'intendere 
molto  bene  la  Comedia  di  Dante-,  e  con  lui  ramponando  e  praticando  sopra 
essa  Comedia  più  volte,  e  di  più  cose,  ouello  Ule  valente  uomo  m*  ebe  a 
dire  cosi  :  Io  mi  trovai  una  fiata  in  Lonuìardia,  e  vicitai  meaaer  Francesco 


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SBU6I0NB  B  CATTOLICISMO  DI  DANTE.  45 

nocenzo  Romano,  generale  deirOrdine,  lo  dice  poetarum  omnium 
decus  divinus  taies  noster,  imo  etiam  philosophus  et  theologus 
ambrosiani  et  nectar  undique  mira  cum  suavitate  distillans, 
n  Negri  nella  sua  Storia  degli  Scrittori  Fiorentini  vuole  che 
TAttavanti  comentasse  pure  la  Divina  Comedia.  —  V.  Sa^si, 
Hist.  Typ.  Med.,  p.  210.  —  Il  prof.  Federici,  dal  Quaresimale 
delFAttavanti,  trasse  1254  versi,  che  raffrontò  colla  lezione  di 
Nidebeato  (Milano,  Molina,  1836). 

LiBURNio  Nicolò,  La  spada  di  Dante.  Venezia,  Nicolini  da 
Sabbio,  1534. 

il  Liburnio-raccolse  tutti  i  passi  della  Divina  Commedia,  in 
che  il  Poeta  e  combatte  i  vizi  e  ci  offre  de' salutevoli  avvertimenti. 

Bianchini  Giuseppi,  Lettera  ad  un  religioso  suo  amico  nella 
quale  dimostra  che  la  lettura  di  Dante  è  molto  utile  ad  un 
predicatore,  Firenze,  Manni,  1718.  E  nel  voi.  iv  dell' ediz.  del 
De  Romanis,  Roma,  Fulgoni,  1815-17;  e  nel  voi.  v.  dell' ediz. 
padov.  della  Minerva,  1822. 

Anche  il  Cancellieri  nelle  sue  Osservasioni  sopra  V  origi-- 
naàtà  della  Divina  Comedia  (p.  42-44,  e  74),  mostra  la  pe- 
rìzia di  Danto  nella  Teologia,  e  come  venisse  studiato  e  imitato 
dai  sacrì  oratori. 

Petrarca  a  Milano;  il  quale  per  sua  cortesia,  mi  trattenne  seco  niù  di.  E 
Ktando  uno  di  con  lui  nel  suo  studio,  lo  domandai  se  aveva  il  libro  di 
Dante:  e  rispondendo  di  si,  si  rizo:  e,  cercato  fra' suoi  libri,  prese  il  so- 
pradetto libretto  chiaraato  Monarchia  e  gettoUomi  inanzi.  Di  che  io  veg- 
iriendolo  dissi  non  essere  quello  eh'  io  doinandava,  ma  che  io  domandava 
la  sua  Comedia.  Di  che  allora  messer  Francesco  mostrò  maravigliarsi,  che 
io  chiamassi  quella  Comedia  libro  di  Dante.  E  domandommi  s' io  tenea  che 
Dante  avesse  Tatto  «niello  libco;  e  dicendo  di  si,  onestamente  me  ne  riprese, 
«licendo  che  non  vedea  che  Jkr  umano  intelletto,  sanza  singulare  dono  di 
Spirito  Sancto,  si  dovesse  jwlere  componere  quella  opera  ;  concludendo  che 
a  lui  i>area  che  quello  libro  di  Monarchia  si  dovesse  e  potesse  bene  inti- 
tolare a  Dante,  ma  la  Commedia  pia  tosto  allo  Spirito  Sancto  che  a  Dante. 
Sogiugnendo  ancora  e  dicendomi:  Dimmi,  tu  pari  vago  e  intendente  di 
questa  sua  Comedia:  come  intendi  tu  tre  versi  che  jf)one  nel  Purgatorio, 
capitolo  xxiiij,  dove  pone  che  messer  Guido  Guinicelli  da  Lucca  domandi 
se  quivi  era  colui  che  disse  :  Donne  che  av^te  intellerto  d'amore;  e  Dante 
«lice:  J&V  io  a  lui:  Io  mi  sono  uno  che,  qt^ando  Amor  mitpira,  noto,  et 
in  qìiel  modo  che  dieta  dentro  vo  significnndoì  Dicendo  messer  Francesco: 
Non  vedi  tu  che  dice  qui  chiaro  che,  quando  V  amore  dello  Spirito  Sancto 
lo  spira  dentro  al  suo  intèllecto  che  nota  la  spirazione,  e  poi  la  signiflca 
secondo  che  esso  Spirito  gli  dieta  e  dimostra?  volendo  dimostrare  che  le 
cose  aotlili  e  profonde,  che  trattò  e  toccò  in  questo  libro,  non  si  potevano 
conoscere  sanza  singulare  grazia  e  dono  di  Spirito  Sancto.  Anonimo. 
Ottoneìli.  Discorso  sopra  V  abuso  del  dire  sua  SantitA,  p.  42  ;  Palermo  Fr. 
Mss.  Palatini,  ii,  6l9;  P.  Oiov.  Ponta.  Nuovo  esperimento,  ec.  p.  6; 
Cardticci  Oioguè,  Nuova  Antol.  Firenze,  1868,  fase.  Maggio,  p.  48*  Papanti 
Gior. ,  Dante  secondo  la  tradizione,  p.  85.  --  V.  Papanti,  id.  Altri  aned- 
doti, p.  49  e  seg. 


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46  RELIOIONB  B  CATTOLICISMO  DI  VkSTE, 

Silvestri  can.  Qiusbppb,  La  Comedia  di  Dante  è  poema 
sacro  e  morale.  Prato,  Vestii,  1831. 

Fanelli  Giamb.,  La  Divina  Comedia,  opera  patria  ecc.  Pi- 
stoia, Gino,  1837.  —  Nel  c^».  vii  il  Fanelli  prova  che  la  Divina 
Ck>media  è  poema  sacro  morale, 

ZiNBLLi  M.*"  Fedbrico,  Intomo  alio  spirito  religioso  di  Dante 
desunto  dalle  opere  di  lui,  Venezia,  Andreola,  1839. 

Gioberti  Vicbnzo,  //  dogma  ortodosso  signoreggia  nella 
Divina  Comedia,  Del  Primato  ecc.,  ii,  221*28.  Dante,  principe 
de' poeti  cristiani.  Bel  Bello,  570. 


TEOLOGIA   DI   DANTE 

CF.  Man.  Dani.,  IV,  tOtJ. 

Galbani  Napionb  Gianfrancbsco,  Discorso  intomo  al  C,  IV  \ 
deir Inferno.  Estratto  dall' ediz.  dell'Ancora,  1819. 

Si  argomenta  di  mostrare  che  la  dottrina  di  Dante,  spe- 
cialmente in  quanto  al  suo  sistema,  rispetto  ai  defunti  colla 
colpa  originale,  è  conforme  a  quella  dei  teologi  Scolastici,  ed  j 
in  ispecie  di  S.  Tommaso,  ed  a  quella  dei  piìi  celebri  contro-  ! 
versisti,  ed  a'  più  recenti  decreti  della  S.  Sede. 

Rosmini  A.,  Della  dottrina  Teologica  di  Dante.  Perez, 
Pensieri  trascelti  dalle  opere  di  A.  Rosmini  ordinati  e  annotati. 
Intra,  Bertolotti,  1873,  ii,  279-288. 

A.  Rosmini  si  era  proposto  di  dettare  una  serie  di  ragio- 
namenti intesi  a  dichiarar  la  dottrini  della  Divina  Commedia. 
Da  alcune  noterelle,  non  che  da  qualche  accenno  in  versi  qua 
e  là  citati,  si  raccoglie  che  il  primo  dovea  trattare  dell' ArcAi- 
ieUura  dell*  Universo  dantesco,  il  secondo  della  Politica  di 
Dante,  il  terzo  della  Morale  filosofia,  il  quarto  della  Teologia, 
il  quinto  dell'Arancio  oratorio  di  Dante.  Pare  ch'egli  recasse 
a  termine  solo  il  secondo,  e  questo  stesso  in  anni  maturi  egli 
non  giudicasse  degno  di  stampa.  Ecco  le  sue  parole  in  una 
risposta  scritta  l'anno  1852  al  signor  Teologo  Canonico  Gatti, 
che  lo  avea  richiesto  della  dichiarazione  di  un  passo  dantesco 
intorno  alla  Risurrezione,  e  insieme  invitandolo  a  mostrargli 
que"  lavori.  «  È  vero  quello  eh'  ella  dice,  eh'  io  già  feci  il  di- 


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TEOLOGIA  DE  DANTE.  47 

segno  di  esporre  in  alcuni  ragionamenti  la  dottrina  sparsa 
nella  Divina  Commedia,  dedicando  un  ragionamento  a  ciascuna 
scienza.  Ma  saranno  passati  30  anni  da  quel  tempo,  in  cui 
avea  più  agio  di  coltivare  le  a«ene  lettere  e  allora  di  quei 
ragionamenti  non  ne  stesi  che  uno:  La  Politica  Dantesca.  > 

Riguardano  la  dottrina  teologica:  I.  YesUgi  del  Dio  aristo- 
telico in  Dante,  dall'Aristotile  esposto  ed  esaminato:  II.  // 
Dogma  della  Risurrezione,  da  una  lettera  al  sig.  Teologo  ca- 
nonico Gatti:  III.  La  Voce  deiforme  usata  da  Dante  con  teolo- 
gica esattezza,  11  prof.  Perez  aggiunge  altre  sue  dotte  osserva- 
zioni a  conferma  dell'esposta  dottrina  dantesca  intorno  alla 
Risurrezione. 

Pardi  Carmelo,  Dante,  discepolo  di  S.  Bonaventura  e  di 
S.  Tomaso,  teologo  profondo.  Scritti  vaij,  ii,  181-192. 


POLITICA  DI  DANTE  (1) 

(Ma».  Dmd.  Il  88;  IV,  200  a  KS). 

RofiBiiNi  A.,  Della  dottrina  politica  di  Dante.  —  Perez, 
Pensieri  e  dottrine  trascelti  dalle  opere  di  A.  Rosmini  ordinati 
e  annotati.  Intra,  Bertolotti,  1873,  n,  251-263. 


(1)  «  Dante  Alighieri,  miai  tipo  d*aomo  politico,  matarato  fra  le  con- 
traddizioni della  ftatria,  e  le  torture  dell' eaiglio!  Egli  ha  scolpito  il  suo 
disprezzo  pei  continui  mutamenti  e  sperimenti  di  governo  in  tersine  di 
bronzo ,  ^  rimarranno  nroverbiali  dovunque  ^ri  per  ripetersi  qualche 
cosa  dì  somigliante  :  egli  na  indirizzato  alla  sua  patria  parole  tanto  orgo- 
0io«e  e  appassionate  ad  un  tempo,  che  il  cuore  dei  florentini  non  potè 
certo  non  esserne  scosso  potentemente.  Ma  i  suoi  pensieri  si  allargano  a 
tutta  Italia,  anzi  a  tutto  il  mondo,  e  quantunque  il  suo  entusiasmo  per 
l'Impero,  come  egli  lo  intendeva,  non  sia  stato  che  un* errore,  si  dovrà 
tuttavia  confessare  pur  sempre,  che  le  fantasie  giovanili  della  speculazione 
politica,  che  allora  era  in  sul  nascere,  hanno  in  lui  una  sublime  grandezza 
poetica.  Egli  va  superbo  di  essere  stato  il  primo  a  mettersi  per  questa  via, 
guidato  a  mano  senza  dubbio  da  Aristotele,  ma  pure  alla  sua  maniera  pa- 
drone di  sé  e  indipendente.  U  suo  imperatore  ideale  è  un  giudice  supremo, 
giusto,  benevolo  e  dipendente  solo  da  Dio,  l' erede  della  signoria  mondiale 
di  Roma,  voluta  dal  oiritto,  dalla  natura,  dal  senno  eterno  di  Dio.  I^  con- 
quista del  mondo  infatti  fu  legittima,  perchè  fu  il  giudizio  di  Dio  tra 
Roma  e  gli  altri  popoli,  e  Dio  stesso  ha  riconosciuto  il  suo  impero,  pren- 
dendo spoglie  umane  sotto  di  esso,  sottomettendosi  nella  sua  nascita  al 
censo  di  Augusto,  e  nella  sua  morte  al  giudizio  di  Ponzio  Pilato;  e  così 
via.  Che  se  anche  noi  non  possiamo  sempre  seguire  questo  suo  modo  di 
argomentare,  non  manca  però  mai  di  coromoverci  la  sua  passione ....  » 
Bnrckhmrdt,  La  Civiltà  del  secolo  del  Rinascimento  in  Italia,  Trad.  del 
dott.  Valbusa,  i,  103, 


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48  EMOLITICA  DI  DANTE. 

Noi  fummo  a  lungo  in  forse,  scrive  P.  Perez,  dì  pubblicare 
un  discorso  giovanile,  che  par  dal  suo  autore  fosse  conseg'Dato 
alla  dimenticanza:  ma  infine  la  vinse  T amore  a  uno  scritto 
che  ci  pare  notevolissimo  ia  un  giovane  ventiquatrenne,  e  nel- 
Tanno  1821  o  1822,  quando  appena  cominciavasi  a  bisbig-liar 
di  studii  civili  e  politici  intorno  a  Dante. 

Lamennais  F.,  Doctrines  politìques  de  Dante.  L&  Divine  Co- 
mèdie.  Paris,  Chevalier,  1855,  I,  xxxviii-lviii. 

Rendu  EnaENio,  La  politica  di  Dante.  L'Italie  et  t Empire 
d'Allemagne,  Paris,  Dentù,  1859,  p.  12-19,  e  p.  28-31. 

Mézibres  a.,  Dante  et  t Italie  nowoelle.  Paris,  1B65,  8^, 
di  p.  32 

Idéal  poUHqtie  de  Pétrarque.  En  guai  son  idéal  res- 

semole  à  celui  de  Dante,  Pótrarque,  Chap.  v.  —  V.  Paralleli, 
p.  31. 

Trevbrret,  Theorie  politique  de  Dante,  Revue  politiqae  et 
litteraire,  22,  Juin,  1872. 

Derichsweiter  D.^  Hermann,  Da^  poUtische  System  Dante" s 
(il  sistema  politico  di  Dante).  Gebweiler,  F.  Bolza,  1874,  ia  8^, 
di  pag.  80. 

FILOSOFIA 

(Sion.  Dani.  II.  199-902  t  68S;  IV.  ttl  e  S59J. 

Compendio  della  Commedia  di  Dante  Alighieri  per  fa  filo- 
sofia morale  di  C.  G.  P.  con  figure  e  geroglifici  consacrata 
ad  Alberto  ab.  di  S.  Paolo.  Venezia,  Albrizzi,  1669.  Libro  raris- 
simo e  sconosciuto  a  quanti  sono  i  bibliografi. 

Rosmini  A.,  Della  dottrina  ideologica  di  Dante  (1).  Perez, 
Pensieri  e  dottrine  trascelti  dalle  opere  di  A.  Rosmini ,  ordi- 
nati e  annotati.  Intra,  Bertolotti,  1873,  ii,  268-79. 

Questione  deW  origine  delle  idee.  Dal  Rinnovamento. 

(1)  Pr.  Pacchiani  prese  a  svolgere  nel  1818,  all'  Accademia  della  Craaca, 
in  una  lezione,  V  Ideologia  del  poema  sacro.  Mostrò  che  T  autore  di  esso 
conobbe  sì  profondamente  la  facoltà  dell'anima  umana,  che  non  toìo  pro- 
dusse opinioni  conformi  alle  tesi  dei  più  illustri  ideologi  moderni  ma  andò 
altresì  alla  radice  di  alcuni  veri,  la  aimostrasione  de'  quali  era  ptesso  che 
riserbata  ai  giorni  nostri.  Credo  sia  tuttavia  inedita. 


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FILOSOFIA.  49 

Il  Rosmini  commenta  i  versi  49-60  del  C.  xvni  del  Purgatorio 
sulle  prime  noitsie.  —  Uso  della  voce  verità.  —  Facoltà  della 
Riflessione.  —  Attensione  e  contemplazione  si  intensa  che 
k-fjlie  il  poter  riflettere,  o  anco  H^poter  tornare  colla  memoria 
mie  cose  contemplate.  Dal  Nuovo  Saggio. 

L' accennala  verità  esposta  in  altro  modo.  Dalla  Psico- 
lem. 

Tutti  questi  capitoli  sono  mano  mano  illustrati  dal  valen- 
tissimo Rosmioiano  P.  Perez  con  altre  ben  adatte  citazioni,  in 
mi  ad  on  tempo  mette  in  bel  rilievo  le  dottrine  del  suo  Maestro 
e  del  sao  Poeta. 

Ci  duole,  conchiude  il  Perez,  di  non  aver  potuto  recare  se 
non  pochi  accenni  del  filosofo  Roveretano  alla  dottrina  ideolo- 
gica del  poeta  Fiorentino,  accenni  quasi  scappatigli  dalla  penna 
in  mezzo  alla  grave  materia  che  lo  innalzava.  Di  quanta  luce 
egli,  cosi  profondo  nella  dottrina  degli  Scolastici  e  specialmente 
di  S.  Tommaso,  avrebbe  potuto  rischiarare!  i  passi  ideologici 
della  Divina  Comedia!  Quante  attinenze  col  proprio  sistema 
avrebbe  trovato,  per  esempio,  nella  terzina  del  secondo  canto 
del  Paradiso: 

Li  si  vedrà  ciò  che  tenem  per  fede, 
Non  dimostrato,  ma  fla  per  sé  noto, 
A  guisa  del  ver  primo,  che  Tuom  crede; 

0  nell'altra  del  canto  decimoterzo: 

Ciò  che  non  muore,  e  ciò  che  non  può  morire, 
Non  è  se  non  splendor  di  quella  idea, 
Che  partorisce  amando  il  nostro  Sire,  ecc. 

Quante  cose  potea  dirci  sul  primo  istante  in  cui  esiste  V  anima 
intellettiva,  esaminando  le  dottrine  che  intorno  all'umana  ge- 
nerazione sono  esposte  nel  canto  xxv  del  Purgatorio,  là  dove 
si  tocca  Terrore  di  Averroe,  che  fé  disgiunto  doUr anima  il 
possibile  intelletto:  errore  di  cui  non  andò  netta  nemmeno  la 
celebre  Università  degli  Studi  di  Padova,  come  fanno  fede  alcuni 
versi  del  Fracastoro,  citati  recentemente  dal  pisano  professore, 
P.  Paganini,  nel  commento  d'un  luogo  filosofico  della  Divina 
Commedia  : 

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50  FILOSOFIA. 

. . .  OUis  divina  super  mena 
Astat,  magna,  micans,  cujus  radiata  nitore, 
Quae  fueraut  obscura  prius  simulacra,  repente 
Fiuut  coram  anima,  claraque  in  luce  refulgent: 
Non  aliter  quam  qua*  coeca  sub  nocte  teuentur, 
Si  feriat  rutilum  solis  jubar,  omnia  late 
Splendescunt,  pulchraque  petuut  in  luce  Tidorì. 

Peres,  278. 

PiANCiANi  P.  Giambattista.  —  «  Nel  suo  Saggio  sul  Beilo 
(Roma,  Morini,  1855-56)  i  più  vaghi  esempi  sono  tratti  dalla 
Div.  Comedia  che  mostrano  quanto  egli  la  gustasse  a  fondo . . . 
Nell'opera  intorno  alla  Cosmogonia  na^tira^  e  nella  sua  Appen- 
dice, trentotto  e  forse  più  volte  intromette  i  versi  dell* Alighieri, 
e  ne  addita  nuove  spiegazioni,  o  se  ne  giova  ad  opportuni 
riscontri.  E  ne'  Saggi  Filosofici  sto  per  dire  che  voi  non  potete 
aprire  una  pagina  senza  che  v'  imbattiate  ne'  versi  del  suo 
Poema,  e  abbiatene  argomento  in  ciò  che  ben  quaranta  volte 
sono  riportati  ed  illustrati  nel  solo  Saggio  I,  Intorno  alle  verità 
prime.  >  P.  Melandri. 

Liberatore  P.  Matteo.  —  Nelle  sue  opere  che  hanno  per 
titolo  Della  Conoscenza  intellettuale  (Roma,  1857-58),  e  del 
Composto  umano  (Roma,  1862)  a  quando  a  quando  spiega  ed 
illustra  i  più  reconditi  concetti  filosofici  del  Poeta...  Al  capo 
vui,  n.  300  della  Conoscenza  intellettuale  discorre  di  quello, 
che  i  filosofi  chiamano  esemplarismo  rispetto  alla  creazione, 
mostrando  come  in  vari  luoghi  del  divino  Poema  sia  magni- 
ficamente espresso:  e  ragiona  nell'art.  5  del  capo  x  del  Com- 
posto umano,  dichiarando  la  gradazione  degli  esseri  secondo 
il  concepimento  degli  scolastici,  manifestata  pure  egregiamente 
da  parecchi  versi  del  sommo  Alighieri.  P.  Melandri.  V.  Man, 
Dani,  IV,  121. 

Franceschi  Ferrucci  Caterina,  Dante  filosofo,  I  primi 
quattro  Secoli  della  Lettor.  Ital.  Voi.  i,  106-146. 

Baldacchini  Saverio,  Ozanam,  o  della  filosofia  diDatUe.i 
Baldacchini,  Prose,  Napoli,  Tip.  del  Vaglio,  1874,  Voi.  nr,| 
117-22. 

Masuani  Terenzio,  Dante.  Prose  Letterarie,  Firenze,  Bar 
bòra,  1867,  p.  29-47. 

V.  //  Liuto.  —  VII.  Quello  che  vidi  in  Aloemia,  I 

d'un  sogno  meraviglioso  che  feci.  —  Vili.  Come  Dante  coì¥ 


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FILOSOFIA.  51 

dHssemi  in  Yallombrosa  ad  un  monaco,  e  del  mio  lungo  me- 
di' fare  in  filosofia  e  sopra  Aristotile,  p.  291-305. 

Pardi  Carmelo,  Dante  Filosofo.  Scritti  vari,  ii,  192. 

Conti  Augusto,  La  filosofia  di  Dante.  Cose  di  storia  e 
d'arte,  Firenze,  Sansoni,  1874,  p.  171-227.  —  V.  Man,  Dant. 
IV,  p.  120. 

Vassallo  Carlo  ,  Dante  Alighieri  filosofo  e  padre  della 
Letteratura  italiana,  Discorso  letto  il  21  Marzo  1872  nella 
festa  degli  illustri  Scrittori  e  Pensatori  italiani.  Asti,  Devec- 
chi, 1872. 

«  Dante  fu  filosofo,  ed  investigando  le  supreme  ragioni  delle 
cose,  ed  una  mirabile  varietà  in  istretta  unità  raccogliendo, 
.«[)ing'e  lo  sguardo  fino  agli  estremi  confini  della  scienza  e  dei 
fatti  che  ne  derivano  ;  e  fra  questi  a  quelli  principalmente  che 

M  collegano  cogli  affetti  e  colle  sorti  del  genere  umano 

Dal  suo  poema  si  raccoglie  un'  armonia  che  si  protende  dal 
primo  giorno  alla  notte  estrema,  dall'  origine  alla  finale  desti- 
nazione del  genere  umano.  E  poiché  Dante  nel  raccogliere 
ch*ei  fece,  e  condensare,  come  in  un  foco,  gli  sparsi  raggi 
della  scienza  de'  suoi  tempi,  nel  disposarla  agli  eterni  veri  della 
filosofia  cristiana ,  nel  consociarla  alle  vicende  dell'  umana 
schiatta,  e  soprattutto  nell' incarnarla  e  significarla  usò  quella 
vivacità  di  colori,  quella  finezza  xl'  arte,  e  quella  potenza  d' af- 
fetto eh'  è  propria  principalmente  di  noi  italiani,  i  quali  fummo 
perciò  chiamati  un  popolo  di  artisti  ;  ne  conseguita,  che,  stu- 
diandolo noi  come  filosofo,  dovremo  ad  un  tempo  considerarlo 
come  padre  e  maestro,  quale  esso  fu,  della  nostra  letteratura.  » 
—  A  svolgere  adeguatamente  questo  tema  importantissimo  ap- 
pena basterebbe  un  libro.  Ciò  non  ostante  ei  ne  trova  quanto 
basta  a  fornire  un  sufficiente  concetto  ai  suoi  uditori  dei  punti 
principali  della  dottrina  filosofica  di  Dante,  si  dal  lato  specu- 
lativo che  dal  lato  morale. 

Genovesi  Vincenzo,  Filosofia  della  Divina  Commedia  nella 
Cantica  dell'Inferno,  Sguardo  sintetico,  Firenze,  Cellini,  1876. 

11  libro,  che  ci  presenta,  «  non  è  che  una  sintesi  di  ciò  che 
principalmente  direbbe,  analizzando  e  svolgendo,  in  un  breve 
corso  di  lezioni  sull'essere  intrinseco  della  prima  cantica  del 
divino  poema.  Ed  un  lato  oscuro  lo  trattiene  a  voler  andar 
oltre  ;  sul  quale  convien  però  che  si  rifeccia  più  di  proposito 

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52  FILOSOFIA. 

coir  attenzione ,  affine  di  poterlo  tirare  in  luce  ed  esprimerlo 
acconciamente....  Ma  egli  è  sicuro  che  il  pensiero  filosofico^ 
come  ha  inteso  a  rilevarlo,  domina  nella  prima  cantica  con 
estensione  ed  indipendenza.  >  —  Il  prof.  Gubornatis,  a  cui  il 
Genovesi  ed  intitola  il  suo  lavoro,  e  ne  riserba  il  giudizio,  si 
duole  che  egli,  non  filosofo,  non  può  portarne  alcuno  che  possa 
presso  lui  avere  alcun  peso.  Ed  io  pure  non  m'arrisico  di  ri- 
stringere la  sua  sintesi.  Nelle  tre  Donne  del  secondo  canto  ei 
vede  figurata  la  Trinità. 

Lamennais  F.  ,  La  philosophie  de  Dante.  La  Divine  Co- 
médie,  Paris,  Chevalier,  1855,  I,  xxxv. 

Delff  H.  K.  Ugo,  Die  Weitanschaunng.  Dante's  Zugleidi 
als  neuer  Beitrag  zum  ticfsrn  Veì^stànctntss  der  Divina  Com- 
media. —  Internationale  Revue,  Wien,  Hilberz,  1868  —  fas.  3, 
n.  21,  p.  224-35;  fas.  4,  n.  22,  307-15.  —  11  sistema  filosofica 
teologico  di  Dante,  nello  stesso  tempo  una  nuova  contribuzione 
alla  più  profonda  intelligenza  della  Divina  Comcdia. 

Non  è  che  una  ripetizione  della  prima  parte  del  suo  opu- 
scolo Dante  Alighien  e  la  Divina  Comedia.  Lipsia,  1859. 


SCIENZA  DEL  DIRITTO 

E    GIURISPRUDENZA    PENALE 

CV.  Man.  Dant,  II,  iS9Ì.  687;  IV.  120). 

LoMONACO  VicENZO,  Dante  Giureconsulto.  Precede  lo  scritta 
la  seg.  epigrafe: 

A  —  Dante  Alighieri,  —  Che  diffiniva  la  vera  essenza] 
del  diHUo,  —  e  divisava  i  genuini  rapporti  —  ira  V  individuai 
e  lo  siato,  —  peixhà  il  primo  non  erompesse  in  anarchia^ 
—  ed  il  secondo  in  tirannide,  —  nel  di  solenne,  che  gli  «i 
eleva  un  monumento  —  in  una  delle  piazze  principali  d\ 
Napoli,  —  Vincenzo  Lomonaco  —  D.  D.  D. 

In  essa  si  fa  ad  esporre  ed  analizzare  la  definizione  chi 
Dante  ci  porge  del  diritto,  e  l'addentellato  ch'essa  ebbe  nel 
filosofemi  greci  e  nelle  teorie  scolastiche,  V  applicazione  che  il 
sommo  archimandrita  della  nuova  civiltà  europea  ne  fece  e  nel 
poema  immortale,  e  nelle  opere  morali,  sia  riguardo  all'  ordina 


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SCIENZA   DEI,  DIRITTO   E  GIURKPR.   PEN.  53 

morale  che  al  cosmico  ed  air  intellettuale.  —  In  tale  definizione 
ei  trova  la  chiave  della  volta  di  tutti  i  monumenti  scientifici 
e  letterani  innalzati  dal  massimo  Alighieri. 

Nella  seconda  indaga  il  concetto  ch'egli  ebbe  nel  definire 
r economia  ed  i  rapporti  tra  l'individuo  lo-Dìo  e  Dio  Stato. 

—  Premesse  ampie  ed  importantissime  ^nozioni  storiche  si 
dell'antiche  che  delle  nuove  scuole  politiche,  il  Lomonaco  ci 
rivela,  secondo  le  dottrine  del  Poeta,  la  genesi  e  la  destina- 
zione dell*  uomo,  e  la  sincera  scaturigine  de*  suoi  diritti,  il  suo 
(ìiòfrancamento  dopo  il  primo  fallo,  donde  il  bisogno  di  sob- 
barcarsi al  giogo  del  civile  consorzio,  e  di  una  forza  pubblica 
che  r  antichissima  sapienza  italiana  non  seppe  meglio  espri- 
mere che  col  fascio  delle  verghe,  e  coi  manìpoli,  primo  blasono 
e  prima  bandiera  delle  genti  latine.  Di  qui  Y  orìgine  ed  il  man- 
ciato  di  una  suprema  potestà,  di  qui  la  necessità  morale,  o  sia 
convenienza  di  tin  governo  e  di  una  legge,  .che  determinasse 
e  garantisse  i  diritti  degli  associati.  —  Il  Principato  non  è  che 
una  creazione  civile,  non  per  interesse  suo  proprio,  ma  per  lo 
bene  della  civile  comunanza  a  lui  confidata.  —  L*  idea  dei  se- 
dicenti progressisti  di  un  governo  protoplasta,  creatore  di  diritti, 
ripugna  al  buon  senso  ed  alla  storia  :  essi  non  sono  che  la  prov- 
tLsione  0  sia  dote  delle  nature  create  a  cagione  della  loro 
salute.  Mettere  un  freno  agli  abusi  dei  diritti,  non  vuol  dire 
crearli  o  fondarli,  ma  dirigerli  e  difenderli.  —  Ma  pur  troppo 
infelicemente  addivenne  che  spesso  la  podestà  civile  falsasse  il 
suo  mandato,  e  si  mutasse  in  istrumento  di  oppressione  e  di 
danno  il  governo  destinato  come  mezzo  fondamentale  di  sua 
salvezza,  e  che  i  popoli  divenissero  greggi  abbandonati  air  ar- 
bitrio di  lupi  rapaci.  —  Dante  ravvisa  nella  mala  direzione 
dei  governi  la  causa  prim^  e  principalissima  dei  malanni  so- 
ciali. —  11  Lomonaco  investiga  di  poi,  e  sempre  dietro  alle 
poste  delle  care  piante,  fin  dove  possa  spaziare  la  potestà  civile. 

—  La  necessità  (giustìzia)  è  la  madre,  l'arbitra,  la  custode  e 
la  vendicatrice  della  legge  —  la  buona  legge  è  quella  che  giova 
non  ai  pochi  ma  al  maggior  numero  dei  cittadini,  donde  Y  ira 
fulminea  del  poeta  contro  governi ,  che  rappresentavano  non 
r  intero  popolo,  ma  una  frazione  predominante  dello  stesso,  e 
che  abusavano  di  nomi  santissimi  per  satis&re  a  private  cupi- 
digie. —  Non  son  prole  legittima  della  giustizia  le  leggi  pub- 


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54  SCIENZA  DEL  DIRITTO 

blicate  nella  maggior  parte  di  Europa  da  un  secolo  in  qua,  la 
cui  mercè  per  false  vedute  economiche  e  politiche  la  condi- 
zione de'  plebei  urbani  e  rusticani  si  ò  miseramente  degradata 
a  segno  tale  da  compromettere  V  esistenza  medesima  della  ci  vii 
comunanza.  —  Una  siffatta  alterazione  di  cose  e  di  nomi  fa 
si,  che  i  governi  producano  non  susine  vere,  ma  bozzacchionì, 
e  per  V  inesorabile  legge  del  cader  della  pietra,  la  quale  do- 
mina tutte  le  sfere  della  creazione,  quanta  è  la  stoltezza  de*  go- 
vernanti, tanta  sarà  la  reazione  ed  il  ribollimento  dei  governati. 
Riguardo  al  tanto  disputato  problema  della  centralità ,  Dante 
vuole,  che  il  governo  con  saggia  direzione  informi  tutto  del 
suo  principio  vitale,  ma  non  invada  ogni  cosa,  che  in  somma 
siavi  unità  organica,  e  non  meccanica,  unità  vivificatrice,  non 
oppressiva  colla  cappa  di  piombo  dorata ,  cui  son  condannati 
i  veri  malvagi  neir inferno.  Come  il  governo  divino  in  ogni 
parte  impera  e  quivi  regge,  cosi  il  governo  umano  deve  per 
quanto  sia  possibile  lasciar  libero  T  esplicamento  delle  forze  a 
lui  subordinate.  —  Una  triste  esperienza  ci  ammaestra,  che  le 
pretese  uniformità  e  semplicità  non  sono  che  servilità  e  com- 
plicazioni, non  arti  ma  mine.  Il  governo  unificatore  è  un  go- 
verno di  violenza  e  di  gretto  meccanismo.  —  Giova,  conchiude 
il  Lomonaco,  Taver  interrogato  T  altissimo  Poeta  sui  punti  più 
salienti  per  veder  come  dalle  tenebre  egli  crea  la  luce,  mentre 
i  nostri  sofisti  dalla  luce  han  creato  le  tenebre.  In  tre  parole 
si  può  riassumere  tutto  il  concetto  Dantesco,  suum  ctiìque 
iribuere,  in  ciò  consistere  la  quiddità  (vis  et  potestas)  della 
giustizia,  il  cui  trionfo  si  celebra  nel  pianeta  di  Giove,  Il  Lo- 
monaco si  è  accostato,  scriv'egli  stesso,  com' Esiodo,  con  la 
mente  pura  e  col  cuore  casto  al  venerando  altare  :  fia  meglio 
per  noi  pascerci  del  salubre  frumento  dantesco  che  delle  mi- 
sere ghiande  dei  novelli  Maestri  Adami  falsatori  di  cose,  di 
concetti  e  di  parole. 

Tommaseo  Nicolò,  Dante  e  il  Diritto.  Lettera  al  Cons.  Lo- 
monaco.  Estratto  dalla  Gazzetta  dei  Tribunali  di  Napoli, 
A.  XXIV  (1872),  n.  2480. 

Ortolan  J.,  professeur  de  Lègislation  pénale  comparèe  a 
la  Facultè  de  droit  de  Paris,  Les  Pénalilés  de  F Ettfer  de 
Dante.  Paris,  Plon,  1873. 

Ei  non  si  potrebbe  credere  quanto  mi  venne  fatto  di  rac- 


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E  GIURISPRUDENZA   PENALE.  55 

cogliere  in  materia  di  diritto  penale  nel  Teatro  di  Lope  de 
Vega  e  de'  suoi  predecessori,  neir  inimitabile  don  Chisciotte  di 
Cervantes,  e  nei  tesori  drammatici  di  Shakespeare.  Ma,  scri- 
veva rOrtolan  a' 25  Marzo  del  1873  (a' 27  era  morto);  e  Leur 
maitre  à  tous,  par  le  temps,  car  il  les  a  précédés  de  pròs  de 
trois  cents  ans  et  nous  jette  en  plein  moyen  àge  ;  par  V  étran- 
geié,  par  la  vigoureuse  unito  jointe  à  V  intarissable  variété  de 
ses  conceptions,  e'  est  Dante  :  son  poeme,  qui  offre  dans  l' Enfer 
une  succession  de  cercles,  de  coupables  et  de  chàtiments,  se 
présente  à  noire  étude  comme  un  système  complet  de  péna- 
lités.  »  —  Prima  delFOrtolan,  «scrive  il  Tribolati,  e  il  prof. 
Carrara  esaminò  Dante  nel  giure  penale ...  A  concedergli  pre- 
stanza ed  intelletto  rivelatore  anche  in  questa  disciplina  ei  cita 
e  commenta  giuridicamente  quei  versi  famosi  del  C.  xxxiii 
deir Inferno:  Che  se  il  conte  Ugolino  aveva  voce  D'aver  tra" 
dita  te  delle  castella,  Non  dovei  tu  i  figliuoi  porre  a  tal  croce. 
Innocenti  facea  C  età  novella.  I  quali  versi  sono  un  anatema 
scagliato  contro  la  celebre  costituzione  di  Arcadio,  allora  vi- 
gente, che  conteneva  T  ingiustissima  teorica  àeW  abert^asione 
della  pena.  »  E  prima  del  Carrara,  il  Carmignani  ed  il  Nicolini 
avevano  riscontrate  nel  sacro  poema  alcune  altre  verità  della 
scienza  moderna,  o  dichiarate  quelle  mediante  la  filologia  dante- 
sca. Il  primo  citava  r  autorità  di  Dante  suir  origine  delle  leggi 
repressive,  sul  libero  arbitrio,  sull'azione  negativa,  sulla  forza 
morale  dell'offesa,  sull'amore  come  scusa  al  delitto  (Teoria  delle 
leggi  della  sicurezza  sociale,  §  i,  68;  ii,  30,  44,  59,  64,  281): 
il  secondo  ne  traeva  più  specialmente  bellissime  frasi  espri- 
menti ridea  ed  il  sentimento  giuridico  (1);  e  diceva  giusta- 
mente, dopo  d' aver  riferito  un  passo  del  giureconsulto  Saturnino, 
ov*  è  citato  Omero  :  «  Chi  più  potrà  rimproverarci  di  ùr  si  fre- 
quente uso  di  Dante  e  degli  altri  nostri  grandi  poeti  in  un'  opera 
legale?  »  Noi  abbiamo  voluto  dare  queste  notizie  onde  non  si 
creda  che  i  criminalisti  italiani  si  fossero  passati  di  studiare 
la  Divina  Commedia  sotto  questo  aspetto,  e  primo  ad  averne 
r  idea  fosse  stato  un  francese.  Ed  il  libro  dell'  Ortolan  gioverà 

(l)  Nicolini  nella  sua  Giurisprudenza  penale  illustra  con  Dante  una 
quantità  di  parole  usate  nella  procedura  torense,  come  parte,  discarico^ 
^fr'cusa,  decidere,  haiulo,  cassare,  difesa,  prescrivere,  prove,  parventi, 
casiìiglio,  referto,  ecc. 


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56  SCIENZA  DBL  DIRITTO  E  6IURISPR.   PEX. 

più  ai  francesi  che  agli  italiani,  cui  (anche  ai  meno  colti)  sono 
noti  i  luoghi  più  belli  della  nazionale  epopèa.  È  una  descri- 
zione fatta  con  molta  chiarezza  delle  pene  infernali  immaginate 
e  distribuite  dall' Alighieri  ai  dannati.  Vi  si  trovano  non  per- 
tanto delle  riflessioni  peregrine  e  strettamente  scientifiche. 

Non  si  poteva  per  esempio  confutare  meglio  coir  autorità 
dantesca  Tart.  326  del  Codice  penale  francese,  com'egli  ha 
fatto  a  pag.  49.  Eccovi  unito  al  nome  di  Francesca  da  Rimini 
quello  di  madama  Dubourg;  eccovi  il  divino  poeta  ch'entra  di 
mezzo  nella  disputa  del  giorno,  nell'  ultimo  fatto  di  Parigi,  tra 
Alessandro  Dumas  figlio  ed  Emilio  de  Oirardin.  Accanto  al 
tues^ìa  dei  romanzieri  di  moda,  il  verso  del  poeta  gran  giu- 
stiziere : 

Caino  attende  chi  'n  vita  ci  spf*nse. 

Finita  la  descrizione  delle  pene,  queste  législaHons  imagi- 
naires  d' outre  tombe y  V  emidi to  criminalista  si  domanda  :  Quale 
insegnamento  ricaveremo  noi  da  questo  studio?  Risponde:  Se 
consultiamo  le  leggi  ed  i  codici  delle  pene  delle  diverse  nazioni 
europee,  anche  arrivando  vicini  alla  nostra  rivoluzione  del  1789, 
e  più  vicini  ancora  per  alcune  di  queste  legislazioni,  vedremo, 
che  per  troppo  lungo  tempo,  l' idea  di  analogia,  la  quale  tro- 
vasi allo  stato  poetico  presso  Dante,  passando  allo  stato  reale 
negli  antichi  sistemi  penali  dei  tempi,  vi  apporta  le  più  grandi 
crudeltà,  spesso  l'indecenza  ed  il  ridicolo.  —  E  conclude  con 
queste  belle  parole  :  «  Atteignons,  autant  que  possible,  à  l' ana- 
logie immatérielle  entre  le  mal  moral  et  le  remède  moral,  et 
nous  pourrons  alors,-  sur  la  porte  des  établissements  consacrés 
à  la  peine,  inserire  les  paroles  quej'annon^is  à  mon  début: 
Prenez  espérance,  vous  qui  entrez!  > 


COGNIZIONI  SCIENTIFICHE  IN  GENERALE 


Mazzoni  Jacopo,  Delle  cognizioni  matematiche ^  astrologich'j, 
tnetereologiche ,  meccaniche,  ecc.  del  Poeìna  di  Dante,  Della 
difesa  della  Comedia  di  Dante,  Parte  ii,  libro  v,  cap.  xii,  xin, 

XIV,   XV,   XVIII. 


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COGNIZIONI  SCIENTIFICHE.  57 

Merian,  Science  du  Dante,  Dalla  Memoria  letta  all'Acca- 
demia di  Berlino  col  titolo  —  Poesie  italienne  du  XI Y  siede. 
Dante  —  e  inserita  nelle  sue  Nouveaux  Mémoires  (Berlino, 
Decker,  178G).  La  Dissertazione  del  Merian,  tradotta  dal  Po- 
lidori ,  fu  pubblicata  da  Romualdo  Zotti  nel  voi.  iv  dell'  ediz. 
della  Divina  Commedia.  Londra,  1807-1808,  p.  i,  ccxx. 

CoRNiANi  GiamBm  Cognizioni  scientifiche  sparse  nel  Poema 
di  Dante,  I  secoli  della  Letter.  Ital.  Brescia,  Bettoni,  1816, 
I,  IG3-70. 

Libri  Gug.,  Delle  cognizioni  scientificìie  di  Dante.  Estratto 
dalle  Hist.  des  sciences  mathém.  en  Italie.  Paris,  Renouard, 
1838,  i,  164-191.  —  L.  Toccagnì  ce  lo  diede  tradotto  ed  an- 
uotato nella  Rivista  Europea  di  Milano,  1842,  i,  134-142. 

Rambelli  Gianfrancesco,  Dante  percorrilore  ed  indovina- 
tore di  molte  intenzioni  riputate  moderne.  Cesena,  Biasi, 
1863. 

Cantìi  Ignazio,  Dante  considerato  come  uomo  di  scienza. 
Discorso  recitato  airAccademia  fisio-medico-statistica  il  1  Aprile 
1847.  Milano,  Redaelli,  1847. 

La3«bnnais  F.,  Docirines  de  Dante,  La  Divine  Comódie, 
Introd.  Chap.  iv,  xxix-xxxvii. 


SCIENZE   NATURALI   (1) 

(V.  Man.  Dani.  Il,  284;  IV.  i90-ie»). 

Abìbrosi  Francesco,  Dante  e  la  Natura,  ovvero  frammenti 
di  Filosofia  e  di  Storia  Naturale,  desunti  dalla  Divina  Com- 
media, Padova,  Prosperini,  1874.  (Dagli  Atti  della  Società  Ve- 


(1)  Non  senza  orgoglio  ì  naturalisti  italiani  additano  le  prove  e  gì' in- 
diri ,  pei  quali  non  ai  può  dubitare  dell'  empirismo  di  Dante  nello  studio 
delia  natura.  Intorno  a  certe  singole  scoperte  o  priorità  nella  menzione  di 
i>^K)cialt  fenomeni,  che  essi  gli  attribuiscono,  noi  non  arrischieremo  nessun 
giudizio;  ma  anche  l'uomo  il  più  profano  dovrà  restar  sorpreso  dinanzi  alla 
^ande  potenza  di  osservazione,  ohe  traluce  da  tutte  le  sue  immagini  e 
simili tadini.  Più  assai  che  in  qualsiasi-  altro  poeta  moderno,  esse  appari- 
scono in  lui  desunte  dalla  vita  reale  tanto  della  natura  che  dell'uomo,  ed 
egli  se  ne  serve  non  già  a  semplice  studio  di  ornamento,  ma  per  porger» 
un"  idea  quanto  più  sia  possibile  adeg^uata  di  ciò  che  vuol  dire.  Neil'  astro- 
nomia poi  egli  oà  prove  di  cognizioni  affatto  speciali .  .  .  Burckhardt,  La 
CìviltÀ  de!  secolo  del  Rinascimento,  Trad.  del  dott.  Valbusa,  ii,  14. 


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58  SCIENZE  NATURALI. 

neto-Trentina  di  Scienze  Naturali,  residente  in  Padova,  Voi.  iii, 
fase.  i). 

Dopo  averci  esposto  quello  che  Dante  ci  rileva  di  ^ande^ 
contemplando  la  Natura  coir  occhio  scrutatore  delle  sue  leg-g^i, 
r  Ambrosi  conchiude  :  La  filosofia  naturale  può  dirsi  creata  da 
lui;  e  come  fu  grande  filosofo,  non  fu  minore  storico  della 
Natura.  —  Sorprende  in  vero,  come  il  Poeta  fosse  riuscito  a 
tanto  in  &tto  di  filosofia  e  storia  naturale:  ma  avea  ingeg^no 
universale  e  sintetico,  era  italiano,  e  teneva  in  mano  una  nìis> 
sione  che  senza  lo  studio  delle  cose  naturali,  sarebbe  rimasta 
incompleta.  E  non  si  voglia  credere  eh'  io  esageri  cosi  dicendo  ; 
imperocché  la  Natura  è  tutto,  e  da  lei  dipendono  le  maggiori 
rivelazioni  dell'ingegno  umano.  —  Sulla  quale  dissertazione 
scriveva  il  critico  della  Nuova  Antologia,  e  Finché  l'Ambrosi 
ci  mostra  nel  Poeta  un  attento  osservatore  delle  proprietà  di 
natura,  e  quindi  un  descrittore  diligentissimo  delle  cose  più 
minute,  non  troverei  da  ridire;  finché  rileva  certe  quasi  divi- 
nazioni di  nuove  teorie  fisiche,  benché  molto  incerte  e  involute, 
gli  si  potrà  concedere,  ma  egli  nelle  parole  dantesche  vuole  scan- 
dagliare troppo,  e  trovarvi  un  senso  riposto  che  male  si  accorda 
col  contesto  del  poema,  mentre  il  senso  più  ovvio  non  differisce 
colle  opinioni  di  quei  filosofi  scolastici  che  Dante  studiò.  Ad 
ogni  modo  se  l'Autore  ha  speranza  di  convincere  il  lettore  dovrà 
ampliare  il  suo  scritto,  e  spiegare  piti  minutamente  quello  che 
afierma  con  pochi  cenni  Dante  e  la  Natura,  » 

Trezza  G.,  Del  sentimento  della  natura  nei  poeti  antichi 
e  moderni.  Conferenza  tenuta  dal  prof.  G.  Trezza  al  Circolo 
filologico  la  sera  del  21  feb.  1874. 

li  poema  di  Dante,  fu  detto,  ò  la  tomba  del  medio  evo.  Sì, 
ma  esso  ò  anche  la  cuna  della  rinascenza.  Larghe  e  molteplici 
sono  le  impronte  che  il  medio  evo  vi  ha  stampate;  ma  c'è 
una  parte,  una  grande  parte,  nella  quale  Dante  è  nuovo,  ori- 
ginale, creatore  ;  quella  dov'  egli  rivela  il  nuovo  modo  di  sentire 
la  natura.  E  in  questo  sentimento  egli  non  chiede  mai  l'ispi- 
razione al  modelli  antichi,  né  alle  dottrine  mistiche  dei  tempi 
suoi  e  dei  precedenti,  non  imita,  non  accatta,  ma  crea  sempre. 
Crea  descrivendo  le  pecorelle,  i  branchi  delle  colombe,  la  ron- 
dinella che  svolazza  e  cinguetta  ;  crea  ed  aggiunge  l' idealità 
vaga,  malinconica,  inquieta  in  quei  versi  divini  ed  inspirati: 


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SaENZB  NATURALI.  59 

<  Era  già  Torà  che  volge  il  disio >  La  natura  si  compe- 
netra con  r  anima  sua,  T  anima  sMmmedesima  con  la  natura, 
e  Dante  diviene  così  il  vero  creatora  del  sentimento  moderno. 
V.  Gazzetta  éT  Italia,  24  Febbraio  1875. 

Tabgioni-Tozzeto  Ottaviano,  Delle  cognizioni  botaniche 
di  Dante  espresse  nella  Divina  Commedia.  Lezione  detta 
Deir  adunanza  della  Crusca  il  9  Maggio  1820.  Atti  della  Crusca, 
u,  351-62.  V.  Zannoniy  Relazioni,  181. 

Paboi  Carmelo,  Dante  valente  fisico  e  diligentissimo  osser- 
catore  delle  leggi  eterne  della  natura.  Scritti  Vari,  ii,  195-216. 


SCIENZE  FISICHE  E  MATEMATICHE 

(Man.  Dani.  It,  UO;  IV,  iS9). 

Torelli  Giuseppe,  Lettera  intorno  a  due  passi  del  Ptir- 
fjatorio.  —  Verona,  Carattoni,  1760  —  (Purg.  xv,  16-24  — 
>ul  qua!  passo  vedi  Cavemi,  la  Scuola,  1872,  i,  326). 

BoTTAGisio  Giovanni,  Osservazioni  sopra  la  fisica  del  poema 
di  Dante.  Verona,  Merlo,  1807. 

Vaoolini  Domenico,  Di  alcune  cose  toccanti  la  fisica.  Giorn. 
Are.  xxvm,  120-136. 

Ferroni  Pietro,  Illustrazione  di  due  passi  della  Divina 
("rmmedia.  Lezione  letta  nelFÀccad.  della  Crusca  nell'adunanza 
«lei  19  Decembre  1872  e  8  Febbr.  1814,-  Atti  della  Crusca, 
I.  l-ll. 

Sull'incessante  ondeggiare  della  marina  (Par.  xiii,  82-84), 
e  sulla-  «  a  ben  ispiegarsi  difficilissima  attribuzione  di  tutti  gli 
Esseri  animati,  solita  appellarsi  dai  Metafisici  libertà  d*  equi- 
Hhrio.  »  (Par.  iv,  1-18).  —  Il  Ferroni,  neli' annunziata  disser- 
tazione, comunicava  alla  Crusca  di  aver  già  illustrati  alcuni 
passi  della  Divina  Commedia,  nei  quali  Dante  espose  le  molte 
e  peregrine  notizie  in  materia  di  scienze  esatte  e  naturali,  e 
concbiudeva:  €  Se  questa  illustre  Accademia,  ponderato  su 
crinsta  lance  colla  sua  saviezza  il  mio  scritto,  opinasse  conforme 
porta  il  mio  sentimento,  unirei  alle  molte  fisico-matematiche 
illustrazioni  da  me  raccolte  in  leggendo  e  rileggendo  nell'ore 
mie  men   distratte  dagli  altri  studi  ed  uffici,  e  sempre  col- 


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60  SCIENZE   FISICHE  E  MATEMATICHE. 

r  istesso  trasporto  d*  ammirazione  sin  dalla  mia  adolescenza,  la 
Divina  Commedia,  quelle  pochissime  ancora,  che  hanno  som- 
ministrata materìa  al  mio  presente  Ragionamento...  » 

MissiRiNi  Mblchiorb,  Filosofia  fisica  ed  astronomica  di 
Dante.  Vita  di  Dante.  Milano,  Tendler,  450-469. 

Antonblli  Giovanni,  D.  S.  P.  ;  Studi  particolari  sulla  Di- 
vina Commedia  dedicati  al  nobile  giovane  Giorgio  Fossi  in 
occasione  delle  site  nozze  con  la  nobil  donzella  Luisa  Votini. 
Firenze,  Tipogr.  Calasanziana,  1871.  —  Ripubblicati  nel  Vo- 
lumetto: Di  alami  studi  speciali  risguardanti  la  Meteorologia^ 
la  Geometria,  la  Geodesia  e  la  Divina  Commedia  per  Giovanni 
Antonelli  D.  S.  P.  Firenze,  Tip.  Calasanziana,  Settembre  1871. 

<  Dopo  la  compilazione  delle  illustrazioni  astronomiche  della 
Divina  Commedia,  le  quali  dal  chiariss.  sig.  Tommaseo  furono 
onorate  di  un  posto  nella  magnifica  edizione  del  suo  Commento 
a  quell'eccelso  lavoro;  ho  avuto  occasione  di  ritornare  suir ar- 
gomento nobilissima,  specialmente  a  richiesta  del  dotto  can. 
Brunone  Bianchi,  poco  prima  che  uscisse  di  questa  vita,  e 
mentre  dava  opera  alla  ristampa  delle  sue  annotazioni  al 
grande  Poema.  —  Nel  riportare  la  mia  attenzione  su  questo 
insigne  Libro  deir  Alighieri,  mi  è  avvenuto  di  scorgere  qualche 
altra  cosa  di  nuovo,  sia  in  difesa  e  in  conferma  di  ciò  che  fu 
visto  ed  espresso  a  dovere,  sia  per  correggere  o  per  variare 
qualche  interpretazione,  la  quale  non  possa  veramente  reggere 
agli  attacchi  di  una  critica  rigorosa:  e  la  esposizione  di  questa 
novità  forma  il  subietto  della  seguente  scrittura.  >  — 

Il  prof.  Caverni  dopo  aver  notato  alcuni  punti  ne' quali 
non  s'accorda  coli' Antonelli ,  soggiunge:  «  che  sono  questi 
piccoli  difetti,  verso  tanti  altri  pregi  che  hanno  le  illustrazioni 
astronomiche  di  lui?  Le  dimensioni  della  montagna  del  Pur- 
gatorio, e  il  Discorso  sull'anno  del  viaggio  dantesco,  e  T illu- 
strazione al  principio  del  C.  ix  del  Purgatorio,  e  T altre  che 
si  trovano  nel  Commento  e  negli  Opuscoli  di  hii,  sono  tali  che 
renderanno  riverito  sempre  a'  cultori  degli  studii  Danteschi  il 
nome  del  P.  Giovanni  Antonelli.  E  Dio  volesse  che  le  macchie 
leggiere,  se  pur  macchie  sono,  da  me  accennate,  come  ombra 
il  l'ilievo  dei  corpi  riuscissero  a  far  rilevare  i  pregi  di  quelle 
illustrazioni  troppo  a  torto  non  curate  dagl'  italiani  l  Alle  dotte 
dichiarazioni  del  Comento  si  aggiungevano  ora  come  gemma 


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SCIEXZE  FISICHE  E  MATEMATICHE.  61 

ìq  corona,   alcone  nuove  illustrazioni   pubblicate,  poco  prima 
della  morte  compianta.  »  La  Scuola,  i,  180. 

Ga VERNI  Raffaello  (1),  Alcune  note  sitila  Divina  Com-- 
media  concementi  le  Scienze  Naturali  —  La  Scuola,  1872, 
I,   175-182;  226-230.   —  Esercizi  e  Ricreazioni  scientifiche 

—  La  Scuola,  1872.  —  Conversazioni  Letterarie,  Cammilh 

—  La  Scuola,  1873;  L'Ateneo,  1874.  —  Astronomia  Dantesca, 
Problemi,  Illustrazioni  geometriche  sulla  Divina  Commedia 

—  L'Ateneo,  1874.  —  Giovanni  e  Francesco,  Dialoghi  Dan-- 
teschi  —  L'Ateneo,  1874. 

A  crescere  pregio  alla  splendida  edizione  della  Divina  Com- 
media, col  commento  di  N.  Tommaseo,  procurataci  nel  1865 
dal  milanese  Pagnoni,  veniano  pure  iu  luce  alcune  dotte  Os- 
servazioni astronomiche  deli'  insigne  Scolopio  P.  Giuseppe  An- 
tonelli.  Se  non  che  un  modesto  professore  di  Firenzuola,  non 
ancora  trentenne ,  non  ìsgomentato  dalla  luce  di  que'  nomi 
illustri,  dettò  quel  che  da  sé  ne  pensava'  segnò  alcuni  luoghi, 
dove  sentia  altrimenti  e  dal  Tommaseo  e  dall' Antonelli ,  nò 
tacque  quelli  che  gli  pareano  manifesti  errori,  e  con  franchezza 
riverente,  prima  di  renderlo  di  pubblica  ragione,  sottopose  il 
mss.  allo  stesso  Tommaseo.  E  il  Tommaseo,  per  solito  men 
sofferente  delle  censure,  dei  giovani  segnatamente,  non  solo* 
non  ne  fece  mal  viso,  ma  scrivendone  al  prof.  Emilio  Bechi, 
era  lieto  di  additargli  il  giovine  prete  toscano,  che  sente  il 
belio  deir  arte  e  ama  il  sodo  della  scienza,  e  compiace  vasi  col 
pievano  di  Sesto,  ab.  Ranieri  Calcinai  e  dell'  argute  osservazioni' 
in  che  pur  fe  prova  e  di  dottrina  e  di  acume,  e  non  peritavasi 
di  aggiungere  che  il  lavoro  del  sig.  ab.  Caverni,  piii  che  prò  - 
mettere,  annunzia  ingegno  che  onorerà  il  Sacerdozio  e  le 
Lettere  italiane.  Solo  inòresceva  al  Tommaseo  che  quelle  cen- 
sure, bendbè  cortesi,  potessero  dispiacere  dell'amico  suo,  ed 
il  Caverni,  non  volendo  far  cosa  disaccetta  al  venerabile  uomo, 
data  altra  forma  allo  scritto,  e  lasciato  addietro  tutto  quello 

(1)  In  quelle  Osservazioni,  come  apparìsce  da  una  lettera  del  Tommaseo 
al  prot  Bechi  e  da  altra  al  Prevosto  Calcinai ,  il  Caverni  pur  accennava 
ad  alenile  esperienze  da  fare  col  Fonvantocrafo  dello  Scott,  per  le  «juali 
ei  sperava  che  come  la  foto^afia  ferma  sulla  carta  le  immagini,  cosi  po- 
tesse la  fonografia  fermare  i  suoni  fuggevoli  delle  parole.  Ma  la  difficoltà, 
scrivevami  T amico,  dell'avere  un  Fonvantografo,  e  più  l'essere  io  sbalzato 
aUora  dal  gabinetto  di  una  Scuola  di  fisica  alla  sacrestia  di  una  parroc- 
chia   .  m  cagione  eh'  io  non  potessi  tentare   allora  la  pruova ,  né  di 

toitarla,  nelle  condizioni  mie  presenti,  ci  veggo  ancora  speranza. 


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•62  SCIENZE  FISICHE  E  MATEMATICHE. 

<:hd  riguardava  il  P.  Antonelli,  dopo  la  morte  compianta,  ne 
stampò  nella  Scuola  quel  tanto  che  concerne  le  Scienze  Na- 
turali. —  Certo  non  appena  io  lessi  quelle  Note,  non  appena 
m'abbattei  nelle  sue  Ricreazioni  scientifiche,  ne*  suoi  Consigli 
«opra  lo  studio  delle  lettere  a  un  giovine,  ne' quali  traluce 
tanto  amore  del  buono,  del  vero,  del  bello,  e  insieme  tanto 
pratico  senno;  in  quei  Dialoghi  cosi  limpidi  e  così  ricchi  di 
sapienza ,  io  che  non  V  avea  mai  veduto  da  presso ,  ne  inna— 
morai,  coirsi  a  ricercarlo  nella  solitudine  di  Quarata  Àntellese, 
dove  si  raccolse  pastore  di  anime ,  ed  egli ,  buono  e  gentile 
•com'è,  mi  mostrò  del  suo  affetto  ben  oltre  che  le  fronde.  — 
Delle  cose  fisiche  della  Divina  Commedia,  non  è  ne' libri  mo- 
derni a  cercare  il  cemento,  scrive  il  Ca verni,  ma  in  que'  soli 
ai  quali  Dante  poteva  aver  attinto  la  scienza,  scienza  da  lui 
appresa,  e  non,  come  pretenderebbero  alcuni,  indovinata.  E  la 
fìsica  dei  fulmine,  che  ricorre  cosi  frequente,  solo  potremo 
debitamente  interpretare  avendo  sott'  occhio  quanto  lasciò  scritto 
-Aristotile  nella  sua  Meteorologia.  E  bene  pur  dice  che  da  sem- 
plici filologi  e  letterati  non  si  potrebbe  attendere  un  accurato 
comento  rispetto  alle  scienze  naturali.  Ei  sarebbe  lungo  il  qui 
citare  tutte  le  nuove  interpretazioni  che  riguardano  l'Astro- 
nomia, la  Fisica,  l'Ottica^  la  Metereologia,  nelle  quali  non  sai 
«e  tu  debba  ammirar  meglio  l'abbondanza  della  dottrina  o  la 
nitida  chiarezza  dell'  esposizione.  —  Ma  già  altri  studi  su  questo 
importantissimo  argomento  egli  sta  maturando,  e,  tra  gli  altri, 
avrebbe  intenzione  ne'  nuovi  Problemi  danteschi,  <  di  mostrare 
rigorosamente  ciò  che  nell'Astronomia  dantesca  è  di  geometrico, 
e  secernerlo  da  tutto  quel  eh' è  poetica  fòntasia;  e  per  non  fare 
^i  Dante  un  astronomo  del  giorno,  vorrebbe  ricercare  ne'  libri 
■antichi  i  dati  scientifici  alla  soluzione  di  ciascun  problema, 
lavoro  che  potrebbe  forse  giovare  anco  alla  storia  dell*  astro- 
nomia. » 

Soluzione 

di  alcuni  problemi  danteschi  proposti  ed  illustrati 

dal  prof.  R.  Caverni. 

1.  (Inf.  XIV,  t.  42).  Misurare  la  lunghezza  della  via  fatta  dal 
Poeta  nel  discendere  all'  Inferno,  e  nel  risalire.  —  Viaggio  circo- 


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^lENZB  FISICHE  E  MATEMATICHE.  63 

iaggio  rettilineo  orizzontale  mig.  479;  viaggio 
le  mig.  6490.  In  tutto  mig.  11360,  o  undici 
l  numero  tondo.  (Ateneo,  Voi.  n,  pag.  384-88). 
t.  3).  Ritrovare  la  grandezza,  e  la  distanza 
dalebolge  dal  centro  terrestre.  —  La  traver- 
lebolge  è  mig.  16  l/^)  ^^  distanza  dal  centro 
aig.  730  5/22  la  profondità  del  Burrato  di  Oe- 
223-24). 

,  t.  10,  11).  Trovare  la  grandezza  delle  spe- 
ghiacce.  —  Tolomea  braccia  mille  ;  Antenora 
0.  (Ivi,  pag.  307). 

,  t.  38).  Trovare  la  misura  delle  relazioni  di 
*andezze  delle  regioni  infernali.  —  Traversata 
7  1/2;  del  gra4o  de' Lussuriosi  mig.  75;  deGo- 

Avari  50.  Della  palude  Stigia,  dei  Fossi,  della 
37  1/2»  P^r  ciascun  cerchio.  Del  grado  de'  Vio- 
ir  ciascuno  de*  tre  cerchi,  in  che  è  quel  girone 

136-38). 

t.  9).  Si  domanda  la  differenza  di  longitudine 
onte  del  Purgatorio.  —  Secondo  la  Geografia 
ti  raccolti,  dovea  esser  giudicata  dal  P.  150'*. 
,  Voi.  II,  pag.  362-63). 
t  5).  Posta  la  latitudine  australe  31''  40',  e 
ine,  si  domanda  l'altezza  meridiana  del  Sole, 
ridiana  non  poteva  esser  maggiore  di  47°  20'. 
el  Sole  accennata  dal  P.,  dov«a  essere  quella 
lo,  e  non  nel  verticale.  Da  quella  salita  del 
e  che  il  colloquio  con  Manfredi  dovette  durare 
iti.  Si  conferma  la  lezione  che  ammirando  è 
),  non  gerundio.  (Ivi,  Voi.  i,  pag.  484-86). 
[,  t.  19).  Quant'ò  la  misura  della  distanza  tra 
ire  ed  il  Purgatorio?  —  Fatto  il  computo  in 
remo  per  quella  distanza  mig.  9243;  compu- 
'/s  P^^  grado,  secondo  i  geografi  antichi,  sarà 
à  foce  del  Tevere  ed  il  Purgatorio  mig.  8728.26. 
r.  471-72). 

,  t.  6,  7).  Nella  prima  delle  terzine  citate  ac- 
ma  delle  due  leggi  ottiche  della  riflessione  :  che 
^gio  d'incidenza  che  il  riflesso  si  trovano  nel 


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64  SCIENZE  FISICHE  E  MATEMATICHE. 

medesimo  piano  perpendicolare  alla  superficie  di  riflessi  oiitl 
4^Scuola,  anno  1,  Voi.  i,  pag.  226). 

Nella  seconda  accenna  air  uguaglianza  degli  angoli  fat^ 
con  la  perpendicolare  da  due  raggi.  (Ivi,  Voi.  ii,  pag.  70). 

9.  (Purg.  xxxiii,  t.  35).  Trovare  gli  angoli  orarii,  che  V  orti 
bra  dello  stile  fa  nelle  ore  mattutine  e  vespertine  con  la  line^ 
meridiana  del  Purgatorio.  —  Quattr'  ore  avanti  e  dopo  il  mezzod 
r  ombra  fa  con  la  meridiana  un  angolo  di  A2°  17'  ;  tre  ore  avanti 
e  tre  ore  dopo,  l'angolo  è  di  27°  42';  due  ore  avanti  e  du| 
dopo,  quell'angolo  si  riduce  a  soli  8^.  Le  differenze  prime  à 
questa  serie  sono  14°  35',  10°  51',  8°  52';  differenze  le  q\iai 
dicono  che  i  movimenti  apparenti  del  sole  si  fenno ,  presso  ii 
meridiano,  via  via  più  lenti.  Di  qui  si  viene  a  proporre  iinj 
nuova  lezione,  secondo  la  qua||^  s'intenderebbe  il  v.  3  dell:] 
t^erzina  citata  cosi  :  che  il  Sole  e  qua  e  là,  ossia  prima  e  dop< 
il  fiuo  passaggio  al  meridiano,  si  fa  come  s*  egli  aspettasse  o  s{ 
trattenesse.  {Scuola,  Anno  2,  Voi.  i,  pag.  480-81). 

10.  (Par.  i,  t.  15).  Si  domanda  la  quantità  precisa  dell'  ani 
golo  dell'amplitudine  del  Sole,  accennata  coli' avverbio  quasi 
indeterminatamente  dal  Poeta.  —  Quell'angolo  dell' amplitud in 
è  12°  57*.  il  Sole  dunque,  a  tempo  della  narrazione  dantesca 
era  lontano  di  quasi  13°  dalla  foce  di  Oriente;  ragione  per  cui 
Dante  dice  che  il  Sole  usciva  quasi  da  quella  foce.  {Scuotili 
Anno  2,  Voi.  ii,  pag.  247-48). 

11.  (Par.  XXII,  t.  45,  51).  Sotto  quale  angolo  si  sarebber 
dovuti  vedere  dal  P.  i  diametri  apparenti  della  Luna,  delld 
Terra  e  del  Sole?  —  Il  diametro  della  Luna,  sotto  un  angolo 
di  3",  3;  quel  della  Terra,  di  20";  quello  del  Sole,  di  1'  54" j 
D'onde  si  concluse  che  qui  non  segue  Dante  le  leggi  geome^ 
triche  della  prospettiva,  ma  bada  solo  alle  Éintasie  poetiche. 
{Ateneo,  Voi.  i,  pag.  308). 

12.  (Par.  xxvii,  t.  48).  Dopo  quanti  anni  Gennaio  si  sarebbe 
tutto  svernato?  —  Ritenuta  la  centesima  di  14  minuti,  si  sa- 
rebbe svernato  dopo  7500  anni.  {Ivi,  pag.  148-51). 

Pescatore  Costantino,  Astronomia  della  Divina  Com 
media.  L'Ateneo,  Rivista  Ital.  1874,  L.  209-14. 

11  Pescatore  prometteva  di  pubblicare  nell'Ateneo  T Astro- 
nomia della  Divina  Commedia.  Ognuno  sa,  ei  dice,  che  Dante 

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:IENZE  FISICHE  B  MATEMATICHE.  65 

)1  1321  non  poteva  conoecere  che  il  sistema 
rolomeo,  com'è  spiegato  neW  Almagesto  ;  e 
'na  Commedia  tutte  le  nozioni  astronomiche 
sistema  Tolemaico  che  appartiene  all'astro- 
1  dunque  da  considerarsi  come  sinonimi  Astro^ 
stema  Tolemaico,  e  Astronomia  Dantesca;  e 
ione  di  uno  di  questi  tre  argomenti  contiene 
Qecessariamente  T  esplicazione  degli  altri  due. 
ovo  a  questi  studii,  credo  che  sia  più  utile 
)  in  due  parti  separate  e  distinte,  parlando 
oni  storiche  e  teoriche  déìY  Astronomia  antica, 
Emdole  alla  spiegazione  delle  idee,  delle  parole 
ni  astronomiche  della  Divina  Commedia. 
>rof.  Pescatore  rimane  tuttavia  un  desiderio. 
jUIOI,  Luoghi  astronomici  della  Divina  Coin^ 
k  Commedia  esposta  ad  un  giovinetto  studioso, 
,  1873.  —  Appendice  ii,  225-279. 
Of^  egli,  di  spiegare  nel  più  chiaro  modo  pos- 
Btronomici,  supponendo  che  il  giovinetto,  cui 
sia  digiuno  afihtto  d'ogni  più  elementare  no- 
ie che  vi  hanno  attinenza. 
SCO,  Dante  e  V  Astronomia,  Discorso  per  VinaU" 
nno  scolastico  1871-72  del  R.  Collegio  Carlo 
alien.  Torino,  Botter,  1873  (Estratto  dall' A- 
1873,  n.  1-4). 

fondo  e  versatissimo  astronomo,  com'era  ver- 
limo  in  tutto  che  l'umano  sapere  possedeva 
'enderlo  esimio  cultore  della  scienza  degli  astri, 
ilo  le  tre  precipue  condizioni  estrinseche,  ri- 
enire  eccellente  in  qualunque  nobile  disciplina, 
rgevagli  antica  tradizione  e  forte  eccitamento 
dei  cieli.  Più  efficace  e  generoso  impulso  ri- 
scolo  in  cui  nacque  e  visse;  conciossiacchè  il 
lustri  del  XIV  secolo  fui'ono,  oltre  ogni  pen- 
}ndi  di  contingenze  propizie  alla  coltura  delle 
imiche.  —  Nò  al  vastissimo  suo  ingegno  fecero 
osi  sussidi  che  sogliono  derivare  dagli  uomini, 
siamo,  e  ci  troviamo  nei  più  stretti  rapporti 
Però  di  tutti  i  potentissimi  aiuti,  quello  da 

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66  SCIHNZB  VI8SCHE  B  MATBMiLTICBK. 

cui  r  Alighieri  trasse  maggiore  partito  si  fu  V Almagesto  del- 
r  immortale  astronomo  alessandrioo,  Tolomeo,  la  più  cla&8ica| 
e  più  grandiosa  opera  che  ne  abbia  mai  trasmesso  ranticbitÀj 
in  fatto  di  astronomia.  Egli  fece  tutta  la  scienza  astronomica  di 
Tolomeo  tanto  sua,  fino  ad  essere  da  alcuni  stimato  più  va— | 
lente  astronomo  di  quell'eccelso  maestro;  e  Tolomeo  fu  por\ 
lui  in  astronomia,  ciò  che  in  molte  altre  cose  Virgilio.  Ma  benj 
altra  si  fu  F applicazione  che  ne  fece  il  sommo  Cantore:  eg^li 
meditò  di  descriverne  la  parte  che  nessuno  fino  allora  aveva 
mai  esplorata,  e  propose  di  elevarsi  da  un  nuovo  e  singolare 
orizzonte  air  altezza  del  firmamento,  mercè  dei  lumi  e  dell^  ar- 
cana dovizia  della  scienza  dei  cieli.  —  La  materia  puramente 
astronomica  difiusa  nella  Divina  Commedia  oltrepasserebbe  la 
misura  di  tre  canti.  Ma  essa  ur>n  vi  è  già  richiamata  per  eezn- 
plice  modo  poetico,  ne  in  maniera  indeterminata,  o  per  mera 
ostentazione  di  sapere  ;  bensì  vi  è  trattata  a  fondo  in  numerosi 
e  spesso  difficili  problemi.  E  a  larghi  tratti  viene  confermandoci 
quanto  egli  espose.  —  11  prof.  Denza,  coW Almagesto  Tolemaico 
alla  mano,  si  confida  farci  toccare  con  mano  come  si  possano 
approfondire  e  viemeglio  dilucidare  alcuni  luoghi  del  Poema, 
i  quali  lasciano  anch'  oggi  qualche  divergenza  di  opinioni  e 
qualche  incertezza.  Ed  io  calorosamente  pregai  lui,  maestro  di 
color  che  sanno,  a  volermi  essere  cortese  de'  suoi  studi  illu- 
strativi, e  già  n*ebbi  gradita  promessa,  ed  io  spero  di  poterne 
arricchire  il  mio  volume. 

SULL'EPOCA  DELLA  VISIONE 

ITINERARIO   DELLA   DIVINA    COMMEDIA 
CM<m.  Dant.  Il,  U  e  689;  17.  i6tj. 

Pasquini  Pier  Vincenzo,  Sul  tempo  del  viaggio  Dantesco. 
La  principale  Allegoria  ecc.  229-296. 

—  Itinerario  di  Dante  nel  Canto  I  deW  Inferno,  Id.  72. 

Il  Pasquini  vuole  che  Dante  si  smarrisse  nella  valle  del 
Giordano  (o  di  Aulon)  ed  entrasse  nella  Seha,  che  à  a  nord-est 
di  Gerusalemme,  su  quel  fiume  Giordano,  che  è  l'unico,  che 
non  mette  nel  mare,  ed  è  ^  fiumana,  o\>  il  mar  non  ha 


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BPOCA  DELLA  VISIONB.  07 

»mfo.  La  SéLwA  è  posta  verso  TArabia.  Aggiratosi  per  la  Selva 
uo' intera  notte,  ne  uscì,  e  venne  a  piò  del  Calvario,  dove  ter» 
mina  la  valle  del  Giordano,  e  alzando  gli  occhi  ne  vide  le  cime 
illuminate  dal  Sole  nascente  :  se  lo  lasciò  a  destra,  e  riprese  poi 
cammino  per  la  piaggia,  cioè  per  la  costiera  occidentale  di  dolce 
salita  tra  il  monte  degli  Ulivi,  e  il  torrente  Cedron,  avviandosi 
al  monte  Sion.  —  Respinto  dalla  Lupa,  dovette  scendere  natu- 
ralmente ad  est  nella  valle  del  Giordano  sotto  la  Selva,  e  là, 
9TÌI  confine  tra  U  Giordano,  e  il  gran  Deserto  di  Giudea,  vede 
Virgilio,  e  di  qui  risalendo  verso  il  monte  Sion,  trova  la  valle 
dMnfemo,  eh' è  rimboccatura  infernale.  —  Il  Pasquini,  e  con 
prove  tratte  dal  Poèma  e  con  prove  astronomiche  e  cronolo- 
giche s'argomenta  dimostrare  che  il  viaggio  ebbe  principio 
Della  notte  dal  sette  all'otto  d'aprile  1300,  venerdì  santo,  nel 
plenilunio,  e  combatte  gagliardamente  la  data  del  28  marzo 
posta  dal  Fraticelli  e  da  altri,  non  che  il  plenilunio  fittizio. 

Làbbitzzi  di  Nbxima  FRA.NCBSC0,  Intorno  ali*  epoca  della 
tisione  di  Dante,  Discorso.  Il  Buonarroti,  Gennaio,  1872,  1-14. 

€  Io  son  di  concetto,  che  non  al  plenilunio  di  marzo,  ma 
sì  bene  a  quello  di  aprile,  cioè  a  dire  al  terzo  giorno  di  maggio 
debba  esser  riferita  la  visione  dell' Alighieri.  > 

ToiMZSCHiNi  GicBBPPB,  Se  al  maggio  poetico  di  Dante  debba 
assegnarsi  Vanno  1300  ovvero  Vanno  1301,  Prima  lettera  al 
prof  Giovanni  Santini,  1  aprile  1854.  —  Santini  Giovanni, 
Prima  risposta,  26  aprile  1854.  —  Todbschini  Giuseppe,  Se- 
cenda  lettera,  7  luglio  1854.  —  Santini  Giov.,  Seconda  risposta, 
24  luglio  1854.  —  Todbschini  Gius.,  Teraa  lettera,  6  agosto 
1854.  Scritti  su  Dante,  ii,  325-342. 

Alcuni  di  dopo  il  plenilunio,  Dante,  compiuta  la  visita  del- 
rinfemo,  ed  uscito  a  riveder  le  stelle,  si  trova  alle  falde  del 
monte  del  Purgatorio  nell'ora  che  precede  il  sorgere  del  sole, 
ed  essendo  volto  all'oriente  vi  scorge  risplender  Venere  (Purg.  i, 
10-21).  Dunque  egli  ascrive  manifestamente  il  suo  mistico 
viaggio  ad  un  tale  anno,  in  cui  ne' giorni  prossimi  successivi 
al  plenilunio  della  luna  di  marzo,  Venere  prendeva  l'aspetto 
di  Lucifero,  ed  appariva  nel  segno  dei  Pesci.  Questa  comparsa 
e  posizione  di  Venere  in  tali  giorni  appartiene  essa  all'anno 
1300  o  al  1301?  Io  tengo  siccome  certo,  che  se  il  fette  si  ve- 
rificasse in  uno  degli  anni  ora  annunciati,  fosse  impossibile,  che 


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68  EPOCA  DELLA.  VISIONE. 

3Ì  avverasse  anco  nell'altro.  E  questa  la  questione  che  il  To- 
deschini  propone  al  prof.  Santini.  L'insigne  astronomo  prima 
di  entrare  nelF  arringo,  modestamente  confessa  di  non  aver  mai 
studiato  Dante,  se  non  qua  e  là  leggendone  alcuna  terzina  ,*  se 
non  che  appoggiai)  alle  tavole  comuni  di  De  Lambre  e  di  La 
Lande,  porta  opinione  che  il  risalir  del  Poeta  dalle  tenebre 
infernali  debba  attribuirsi  al  1301.  —  Ma  il  Todeschini,  cono- 
scendo come  rampolli  a  pie  del  dubbio  il  vero,  nella  tema  che 
un'espressione  equivoca  usata  avesse  fette  forviare  la  risposta, 
in  altri  termini,  replicò  la  dimanda.  —  La  notte  fra  il  7  e  1*  8 
aprile  del  1300,  Venere  splendeva  veramente  come  Lucifero,  e 
trova  vasi  veramente  nel  segno  dei  Pesci?  Se  la  risposta  é  afferma- 
tiva, il  discorso  parrebbe  finito,  e  potrebbe  tenersi  per  certo,  che 
Dante  ascrisse  il  suo  viaggio  poetico  al  1300.  Se  perla  notte 
testò  indicata  non  fosse  astronomicamente  vero  ciò  che  Dante 
asserì,  c'è  ancora  una  via  di  scampo.  Il  consigi .  Gregoretti 
con  qualche  ragione  non  affatto  spregevole  vorrebbe  ritardar 
di  tre  giorni  il  viaggio  di  Dante.  Or  dunque  sarebbe  forse  vero 
per  la  notte  fra  il  10  e  1'  1 1  aprii»  1300  quello  che  non  sarebbe 
vero  per  la  notte  fra  il  7  e  l'S?  Se  la  risposta  cadesse  per 
l'affermazione  a  questo  luogo,  bisognerebbe  dar  ragione  al 
Gregoretti  ;  e  ad  ogni  modo  reggerebbe  l' assunto,  che  il  viag^gio 
poetico  di  Dante  dovesse  ascriversi  al  1300.  Nell'uno  e  nell'altro 

caso  io  riterrei  come  assolutamente  escluso  l' anno  1301 

Ma  se  la  risposta  non  cade  affermativa  nò  sull'una  nò  sull'  altra 
delle  precedenti  domande,  allora  ad  onta  di  tutti  gli  argomenti 
che  combattono  in  £givore  dell'anno  1300, bisognerà  rinunziare 

all'ipotesi Al  7  aprile  1300,  risponde  il  Santini,  Venere 

nasceva  un'ora  circa  dopo  il  sole;  siccome  il  sole  si  trovava 
allora  negli  ultimi  gradi  di  Ariete,  mentre  l' equinozio  era  av- 
venuto il  12  marzo,  Venere,  che  rimaneva  posteriore  di  circa 
15  gradi  corrispondenti  al  ritardo  di  un'ora,  doveva  per  con- 
seguenza trovarsi  nel  segno  del  Toro,  onde  ei  trova  che  il  1301, 
se  non  risponde  affatto,  collima  meglio  colle  parole  del  Poeta. 
Bd  il  Todeschini,  scorato,  si  ristette  da  nuove  indagini.  — 
Chiestone  il  parere  al  prof.  Caverni,  in  tali  questioni  compe- 
tentissimo,  mi  scriveva  il  18  novembre  1875.  —  «  Dalle  terzine 
1*  e  2*  del  xxviii  del  Purgatorio  si  rileva  che  probabilmente 
la  scena  ivi  descritta  dee  riferirsi  al  di  14  di  marzo  1300;  ed 


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BPOCA   DELLA   VISIONE. 

he  dalle  terzine  27-29  del  xxvin  del  Par.  rile\ 
luì  riferire  quelle  circostanze  d*  astronomici 
ere,  con  molto  6)ndamento  di  verità,  il  dì  ! 
suddetto.  Ma  un  altro  dato  molto  preciso  i 
)  nella  terzina  27  del  xviii  del  Purgatorio,  da] 
sapesse  preciso  la  latitudine  assegnata  da  Dai 
dell*  isole  di  Corsica  e  di  Sardegna,  che  fan 
lifazis,  se  ne  inferirebbe  con  molta  precisio 
.  longitudine  della  Luna;  cosicchò  Scendo 
longitudine  e  la  latitudine  che  la  medesir 
tre  nelle  varie  ipotesi  de'  commentatori,  si  { 
te  concluderne  quale,  tra  le  tante,  meritasse 
vo*  mettermi  dietro  a  raccogliere  dagli  antic 
rafici,  e  forse  ne  uscirebbe  qualche  nuova  c( 
»  E  l'egregio  amico,  ritornando  sull'  argomen 

23  luglio  1876.  « A  dir  la  verità,  co 

el  che  scrivevo  allora,  sento  poco  animo  di 
'0  con  speranza  di  riuscita,  parendomi  che 
dea,  sia  più  spesso  che  non  si  crede,  trasf 
in  poetica  fantasia.  Questo  io  asserirei  ora 
rudere  di  ritrovare  in  tutto  il  poema  quel  rigc 
in  un  trattato  astronomico,  è  una  ubbìa  in< 
are  ne'  nostri  cervelli  da  pochi  anni  in  qi 
che  meditavano  piti  serio  di  noi,  non  la  pen 
mi  ricordo  di  aver  letto  in  quei  bei  dialof 
elicati  dal  Gigli,  che  benchò  Venere,  alla  qu 
7  del  e.  I.  del  Purgatorio,  fosse  astronomie 
l'Aquario,  nonostanie  il  Poeta  la  pone  ne'  Pei 
drava  cMa  sua  fantasia,  E  anche  la  luna, 
,  che  Dante  dice  essere  stata  piena  quando 
ilva,  non  era  piena  se  non  al  proposito  s 
se  accomoda  il  divino  cantore  al  suo  propof 
asia!  Ma  i  commentatori  moderni  vorrebb 
>  fame  un  Almagesto.  » 


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70 


DEL  SITO 

E  DELLA  FIGURA  DEI  TRE  REGNI 
(Mmm.  DmU.  II,  «M/  IV,  l&$). 

Dal  Rosso  Qiubbppb,  Brete  trattato  sopra  la  forma,  posi- 
none  e  misura  deW  Inferno.  Nel  Voi.  iv  dell*  edizione  firentina 
dell'Ancora. 

Castani  Michblangblo  (n.  20  marzo  1804),  La  materia 
della  Divina  Commedia  di  Dante  AlUghieri  dichiarata  in  VI 
tavole,  Roma,  M.  DCCG.  LV;  Seconda  edizione,  Roma,  Libr. 
Spith5ver,  1872. 

La  Divina  Commedia  è  Poema  Sacro  (Paradiso,  C.  xxv), 
(cosi  nel  Prolog^o,  con  efficace  brevità,  V  egregio  Autore),  il  quale 
ha  per  soggetto  Tuomo,  rappresentato  letteralmente  nei  tre 
stati  spirituali  della  vita  futura,  cioè  di  dannazione,  di  purga* 
zione,  e  di  salvazione,  ed  allegoricamente  significato  nei  tre  stati 
della  vita  presente,  cioè  di  colpa,  di  pentimento  e  di  grazia. 
Il  fine  dell*  opera  si  ò  di  rimuovere  V  umanità  dal  baratro  della 
miseria,  e  indirizzarla  al  sommo  della  beatitudine  (Epistola  a 
Can  Grande).  A  questo  fine  ha  Dante  immaginato  so  stesso, 
doò  Tuomo,  che  dallo  stato  prossimo  alla  perdizione  (Inferno 
C.  I),  di  gt*ado  in  grado  procedendo  per  la  contemplazione  delle 
colpe  (Inferno)  ai  pentimento  ed  alla  purgazione  (Purgatorio) 
giunga  analmente  al  conseguimento  del  sommo  Bene  (Paradiso). 
La  sua  peregrinazione  ò  un  trapasso  dalle  tenebre  alla  luce, 
dall'errore  alla  verità,  dalla  perdizione  alla  salvazione.  Questo 
grande  concetto  è  diviso  in  tre  parti,  quanti  sono  i  regni  della 
vita  futura,  e  tale  tripartizione  corrisponde  altresì  alla  Unità 
6  Trinità  divina:  conciossiachò  il  Fattore  dei  miracoli  per  so 
medesimo  è  tre,  cioè  Padre,  Figliuolo  e  Spirito  Santo,  i  quali 
sono  tre  ed  uno  (Vita  Nuova).  E  come  la  scienza  di  queste  cose 
è  rivelazione  divina,  cosi  per  questa  s*  intende  Beatrice  (Convito) 
la  quale  ò  numei*o  del  nove,  cioò  miracolo  della  Trinità,  sio- 
come  vedemo  manifestamente  che  tre  via  tre  fa  nove  (Vita 
Nuova).  Però  il  Poema  ò  diviso  in  tre  parti,  e  ciascuna  di  esse 


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SITO  B  DELLA  FIGI 

della  lateria  ra] 
i  il  Fattore,  e  1 
weto,  ^  le  mo]t< 
invengono  in  que 
egrinazione  di  I 
▼ere  tutti  gli  stj 
a  Dio,  egli  espo 
erso  :  perocché  il 
ite  alla  Causa  P 
rato  letterale,  qi 
lesto  poi  ò  intito 
scrìtto  in  volg 
iteria  per  essere 
rcbè  Inferno,  e  i 
Paradiso.  (Epistc 
)logo  segue  una 
la  descrìve  Tunì 
Ei,  tre  tavole  ci  ra 
irgatorìo,  e  una 
3  commentizia  d< 
ielle  singole  prìn 
brevità,  si  può  < 
izione  allo  studic 
arda  il  supremo 
'ito  deirinterpre 
prìncipale;  ma 
a  che  ha  disegnai 
rnatore  fu  il  Caeti 
segno.  Come  la 
a,  il  pennello  e 
i  Carlo  Troya,  ò 
to  sopra  rAlighi 
per  fiEur  compren 
*anti  la  gran  mac 
>  di  studiarle,  n< 
i  piani  ed  agevc 
V.  Literarisches 
Dani.  II,  7^1. 
Soluzione  di  alci 


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72 


COGNIZIONI  POLIGLOTTE 

fj/ow.  Dant,  ti,  9M  t  709;  JV,  ÌBO  e  6SéJ. 

Gradenioo  Giangirolimo,  Lettera  aW  Eminentiss,  e  U^t?.*" 
SJ  Card.  Angelo  Maria  Querini  intorno  agi  italiani  che  dal 
secolo  XI  insin  verso  alla  fine  del  sec.  XIV  seppero  di  Greco. 
Venezia,  Bettinelli,  1743.  —  Dante,  p.  97-104. 

DiONisi  GiANiACOPo,  Se  Dante  sia  stato  grecista.  —  Argo^ 
menti  per  la  greca  letteratura  di  Dante,  Aned.  V.  Verona , 
Carattoni,  1790,  p.  66-76. 

Arrivabenb  Ferdinando,  Se  Dante  si  conoscesse  di  greco. 
Il  Secolo  di  Dante,  Milano,  Corbetta,  1838,  p.  209. 

Scolari  Filippo,  Se  Dante  sapesse  di  Greco,  Vita  N.  ed. 
Torri.  Livorno,  Vannini,  1843,  p.  105-109. 

Cavedoni  Celestino,  Osservazioni  critiche  inforno  alia  que- 
stione se  Dante  sapesse  di  greco,  Modena,  Soliani,  1860.  (Estr. 
dal  Tomo  tiii  degli  Opusc.  Relig.  Letter.  e  Mora'i). 

ToDBSCHiNi  Gius.,  Se  Dante  si  sapesse  di  greco.  Scritti  su 
Dante,  i,  263^5. 

Il  Todeschini  tiene  per  certissimo  che  Dante  ne  fosse  affiitto 
ignaro. 

Oltre  le  vite  del  Manetti  e  del  Filelfo,  V.  Negri,  Storia  degli 
Scrittori  fiorentini,  p.  140.  —  Boesarde,  presso  il  Pope-Blount, 
censurae  celebriorum  auctorum,  139.  —  Dom.  Giorgi,  nelle  sue 
osservazioni  intorno  ad  Emanuele  Grìsolora,  T.  xxv^degli  opu- 
scoli del  Calogerà.  —  Fontanini,  Eloq.  Ital.,  e.  15  del  libro  xi. 
«—  Lami,  Novelle  Letter.  1762.  —  Maffei  Scip.,  V.  ii  delle  sue 
Osservaz.  letter.  —  Pelli,  Memorie,  85.  —  Man.  Dant,  ii,  304. 

<  Vuoisi  avvertire,  che  lasciando  così  alquanto  in  incerto,  se 
Dante  giungesse  negli  ultimi  anni  della  sua  vita  a  cognizione 
sufficiente  della  lingua  Greca,  non  si  viene  per  nulla  a  scemare 
la  &ma  di  quel  meraviglioso  ingegno.  Se  egli  conobbe  il  Greco, 
allor  che  dava  V  ultima  mano  al  suo  Poema,  avrassi  il  merito 
e  r  onore  di  avere  pel  primo  saputo  illustrare  il  volgar  nostro  j 
con  frasi  e  concetti  proprii  della  piii  splendida  letteratura  che 
mai  ci  fiorisse  in  questa  terra.  E  posto  eh*  egli  non  mai  gtun- 


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74  COGNIZIONI  POLKILOTTB. 

Se  mai  riesctromo,  cosi  il  Banilai,  a  trovare  qd  lingQagrgio 
atto/  a  fornirci  un  verso  identico  nel  suono  e  nella  forma  a 
quello  dantesco,  e  che  in  so  distintamente  comprenda  T  esalta* 
mento  del  poter  di  Pluto,  e  deliberata  volontà  in  esso  d*  opporsi 
air  ingresso  di  Dante,  ed  un  conato  di  ribellione  contro  V  av- 
versario di  ogni  moie,  chi  non  dirà  allora  risolto  il  difficile 
problema,  decifrato  il  misterioso  enigma?....  Questa  lingua  ò 
la  lingua  ebraica ,  e  questo  verso  con  leggerissime  varianti , 
rese  necessarie  dall'indole  del  volgare  idioma,  si  è  appunto 
quel  medesimo  che  T Alighieri  poneva  in  bocca  al  signore  delle 
ricchezze,  al  demone  dell'avarizia  Pape  saian,pape  satan  cUeppe. 
Abbiamo  detto  leggerissime  variantf,  dacché  il  verso  ebraico 
dovrebbe  suonare:  Po-po  satàn,  po^o  satòn  aleph,  il  quale 
letteralmente  tradotto  vale:    Qui  qui  saiàn,  qui  qui  satàn  è 

custode  (porta  sbarrata).  — Ogni  altro  potere,  ogni  altra 

volontà  deve  cedere  ed  infrangersi  innanzi  al  volere  di  Lui  ed 
alla  sua  onnipotenza  in  questo  cerchio.  Egli  vi  prdbisce  di 
più  oltre  procedere,  ed  ò  ben  risoluto  ad  impedirlo  ad  ogni 
eostOi  Ma  ▼'  ha  di  più  :  il  po-^o  satàn  aleph,  olU^chò  l' afièr- 
mazione  della  potenza  di  Pluto,  riconosciuta  dallo  stesso  Virgilio 
nelle  parole  che  poder  ch'egli  abbia,  implica  manifestamente 
un  conato  di  ribellione,  inquantochò  sia  inteso  a  contestarne 
la  suprema  autorità  suirinfei*no,  come  altra  volta  le  fli  disputato 
da  Lucifero  il  dominio  dei  cieli.  Nò  senza  ragione  fece  parlare 
ebraico  il  dio  dell*  avarizia,  chò  di  quei  giorni  usuraio  ed  ebreo 
erano  sinonimi.  E  T  appellativo  di  Satan  non  è  attributo  di 
Lucifero,  ma  di  Pluto  stesso,  dacchò  Satan,  voce  puramente 
ebraica,  vale  1*  avversario,  il  nemico  per  antonomasia,  colui  che 
&  il  male  per  la  semplice  voluttà  di  commetterlo.  Dunque  non 
un'  invocazione  al  suo  Signore,  ma  V  affermazione  della  propria 
assoluta  autorità  implicano  le  parole  di  Pluto:  Popò  Satàn 
aleph:  qui,  qui,  son  io  che  fyegUo  alT ingresso.' 

Tancredi  G.,  Intorno  r interpretazione  del  verso  dantesco; 
Pape  satan,  pape  satan  aleppe.  Il  Buonarotti,  serie  ii,  voi.  9, 
aprile  1874,  p.  113-26.  Roma,  Tip.  delle  Scienze  Matematiche 
e  Fisiche. 

Sostiene  l'interpretazione  del  prof.  Domenico  de  Grollis 
(1833,  ripubblicata  dal  Tancredi  nell'Antologia  di  Roma).  Se- 
condo il  De  Grollis  Pape  è  un'interiezione  greca  e  latina,  mutata 


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oooNiziora  pouglottb. 
iti:  satan,  parola  ebraica,  e  sigi 
1  linguaggio  franc&te,  Bcritto  a  i 
spada,  Pluto,  al  veder  Dante  ve 
a  carne,  lo  crede  uno  di  coloro 
^rfeo,  dì  Teseo,  di  Enea  e  di  alti 

0  ancor  morti:  vincono  i  custo 
ìo  le  anime  de'  dannati,  o  spiano  1 
*o  ingiuria.  Però  si  accende  egli 
doccia,  grida:  Ehi  un  nemico!  e 
redi  divide  la  sua  dissertazione 
»ne  pape,  e  sul  concetto  generale 
che  i  demoni  parlino  più  lingu 

1  francese  ne*  primordi  della  lingi 
erpretazione  con  altre  parole  desu 
>ne  r  interpretazione  del  Lanci  - 
si  prova  essere  ebraiche  le  sudd< 
^rno  l'espressione  aiti  che  il  La 
l  contesto,  il  SaXhan  vale  seropli< 
—  L'invocazione  di  Pluto  a  Lu 
0  del  Poema.  —  L'opprimer  Di 
0  dal  quarto  cerchio,  ripugna 

0  argomento,  lettera  del  R.®  P.  i 
li  UngtM  orientali  nel  collegio  di 

elude  che  Dante  fòsse  ignaro,  e 
epoca,  della  lingua  ebraica,  e  pe 
nella  stessa  favella  il  verso:  P 
l'interpretazione  che  ne  fa  il  Li 
re  una  non  mediocre  .cognizione 
neteci  quel  eh* egli  è:  Questo  m 
mo,  allorché  si  propone  cosa  ose 

1  quel  che  gli  è  il  bello,  si  dice 
I  il  Bargagli  racconta  che  fino  i 
ioco  degl'indovinelli,  dove  chi 
le  ale  indovinateti  quel  eh*  egli  è 
ìdo  materia  da  tante  contraddizic 
^ppe,  lo  abbia  accorciato  in  ale 
arne  il  significato  e  feceodo  giui 


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76  COGNIZIONI  POUaLOTTE. 

manda  ale  ale  indovina  quel  eh*  egli  è,  la  quale  poi  ] 
proverbio?  Non  mi  befiate  ve',  lettori,  rammentatevi  che  se  ne 
son  dette  delle  più  strane.  Fanfani,  Studi  ed  Osservazioni,  241. 

Il  Paggi  vorrebbe  che  tutte  le  parole  sieno  ebraiche,  essendo 
naturale  che  Fiuto  avesse  a  parlare  la  primitiya  lingua  ebraica. 
E  legge  il  verso  :  j)o  pò  Satan,  pò  pò  Satan  alef,  che  saona  : 
qui  qui  Satan,  qui  qui  Satan  impera.  Id.  242.  V.  Man,  JDant 
li,  307;  IV,  159  e  554. 

Bàrzilai  dott.  G»,  Rafel  mai  amec  zdbi  almi.  Disc€frso. 
Trieste,  Peternelli  e  Morterra,  1872. 

Rafel  mai  amech  Zabi  almi,  e  nella  sua  costruzione  e 
forma  originaria  Be  -  Amech  a  -  rafel  mai?  zabi  le  -  alma! 
Egli  ò  questo  un  verso  formato  di  parole  ebraiche  e  caldaiche 
alternativamente  disposte,  in  guisa  che  ad  ogni  parola  ebraica 
una  caldea  ne  succede ,  verso  che  tradotto  suona  :  Nel  pozzo 
tenebroso  a  che  ne  vieni  ì  Ritoma  al  mondo.  Confutatele  in- 
terpretazioni dei  dotti  orientalisti  P.  Lanci  e  del  veronese  ab. 
Gius.  Venturi,  mostra,  coir  autorità  di  Brunetto  Latini,  che 
r  ebreo  ed  il  caldaico  erano  le  lingue  promiscuamente  parlate 
ed  intese  da  Nembrott.  —  «  E  sappiate,  dice  Brunetto,  che 
nel  tempo  di  Salem,  che  fii  della  schiatta  di  Sem,  Nembrott 
edificò  la  torre  di  Babele,  ove  addivenne  la  diversità  del  par- 
lare, la  confusione  del  parlare,  o  vuogli  de'  linguaggi.  E  Nem- 
brott medesimo  mutò  la  sua  lingua  di  ebrea  in  caldea.  Tesoro, 
i,  e.  25.  Acute  ed  assennate  ci  parvero  le  molte  ragioni  con 
che  il  S.*^  Bàrzilai  si  argomenta  di  francheggiare  la  sua  nuova 
interpretazione. 

Voci  siciliane,  e  piene  tuttavia  di  vita 

adoperate  da  Dante. 

Accatlari  -  accattare.  —  Addumari  -  accendere,  ardere  -  allumare.  — 
Ammttceiari  -  mucciare.  —  Assummari  -  assummare.  —  Astutare  r  spe- 
gnere, amorzare,  dial.  ven.  atàare  -  attutare.  —  Cumpetgna  -  compagnia, 
voce  fresca  e  viva  nel  popolo  -  Compagna.  —  Dispittu  -  dispetto.  — >  JBaer- 
citu,  gran  quantità  di  persone  e  di  animali  educati  insieme  -  Esercito.  — 
FallaH  -  fallare.  —  Fazzani  -  faccia,  aspetto.  —  Oulari  e  guUari^y  far 
gola,  bramare  -  golare.  —  Grunna  e  grunnUca  -  broncio  e  ingrognato, 
e  deriva  da  quel  situarsi  dMle  palpebre  a  gronda  quando  si  è  tiistì  in 


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OOGNIZIO 

Gruppu  -  grò 
arai  in  drago, 
a  -  lumiera.  - 
tri  e  Amazza 
affogarlo  -  mi 
la  barba;  inijp 
Ranti  ranti  • 
polani  di  tutta 
•e.  —  Stipari, 
ìcia  -  vengiare 
-  Marino. 
ricorda  la  voci 
5  fresca  tuttav 


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78 


DANTE  E  LE  ARTI  BELLE 

CV.  Mmn.  Da$U.  H,  «S9  •  7«7;  IV,  iUt), 

Tancredi  6.,  Dante  e  gli  Artisti,  Lettera  ad  A,  Manti. 
Dante  Alighieri,  Strenna  del  Buonarroti,  p.  24-28. 

Pardi  Carmelo,  Dante  e  V Arte  Italiana,  Nel  giornale  VArte 
di  Palermo,  a.  i,  1  giugno  1869. 

Universalità  del  Genio  di  Dante.  —  Dante  pitiore 

incomparabile  di  caratteri  e  di  costumi,  maestro  ed  inspiratore 
degli  artisti.  VArte  di  Palermo,  a.  ii,  n.  21, 1  Nov.  1870;  Scritti 
Vari.  Palermo,  Tip.  del  Giornale,  1870-71,  ii,  216^7. 

Il  divino  poeta  abbraccia  tutto  lo  scibile  umano  de*  suoi 
tempi,  come  colui  che  descrìve  a  fondo  V  universo.  Egli  teolog^o 
poeta,  rimette  in  campo  ciò  che  l' immenso  ingegno  dell^Àqaì- 
nate  compendia  nella  Somma  teologica.  Filosofo,  ammiratore 
di  Aristotile  e  di  Platone,  seguace  delle  dottrine  di  Severino 
Boezio  e  di  Alberto  Magno,  approfondisce  i  più  ardui  problemi 
della  metafisica.  «  Astronomo ,  secondo  il  sistema  di  Tolomeo , 
svela  r  armonia  delle  rotanti  sfere  e  le  leggi  che  ne  governano 
il  moto  ;  valente  fisico,  e  diligentissimo  osservatore  delle  leggi 
eterne  della  natura,  e  ricco  d' ogni  maniera  di  cognizioni  zoo- 
logiche, e,  che  è  piii,  profondo  conoscitore  del  cuore  umano.  — 
Che  se  poi  si  guardi  air  arti  belle,  Dante  è  cosi  incomparabile 
pittore  dei  caratteri  e  dei  costumi,  e  scultore  dèi  suoi  perso- 
naggi, come  abile  maestro  e  ispiratore  degli  artisti  d'ogni 
secolo  e  d' ogni  nazione.  Il  Pardi  ce  lo  rappresenta  conoscitore 
delle  teorie  dell'arti  figurative  in  parecchi  canti  nei  quali  il 
Poeta,  scolare  di  Cimabue,  amico  di  Giotto,  di  Guido  e  di  Ca- 
sella, eleva  Tarte  ai  supremi  principi!  del  Bello  e  la  rende 
gloriosa  e  bella.  Da  ultimo  ci  viene  enumerando  quali  e  quanti 
lavori  pittorici,  scultori,  poetici,  musicali  siano  stati  inspirati 
dalla  Divina  Commedia,  rassegna  eruditissima,  e  ricca  di  pre- 
ziose notìzie. 

Inverso  questo  buono  e  desideratìssimo  amico  mia  ben- 
vogliensa  fu  quale  piii  stìHnse  mai  di  non  vista  persona.  Ei 
bastava  che  gli  esprimessi  una  voglia,  perchè  subito  la  facesse 


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D4NTB  B  U  ARTI  BBLLE.  79 

sua,  e  molte  volte  liberameDte  precorresse  al  dimandare.  Anche 
il  4  luglio,  pochi  giorni  prima  che  mancasse,  affidavami  alcuni 
suoi  appunti  su  quali  avea  divisato  di  stendere  ub  articolo  sui 
Commeniatori  siciliani  di  Dante,  perchè  me  ne  giovassi,  pre- 
sago pur  troppo  che  non  avrebbe  potuto  assomare  il  suo  cam- 
mino. Ecco  quanto  di  lui  mi  scriveva  il  24  settembre  1875 
r  ottimo  D.*"  Salv.  Salomone  Marino  j  <  Del  nostro  povero  e 
pregiato  Pardi  le  £u*ò  avere,  non  appena  stampato,  il  ricordo 
che  sta  dettando  il  mio  amico  Potrò  ;  per  ora  le  basti  il  sapere, 
che  il  Pardi  era  nato  a  Partinico  a'  6  aprile  1822,  eh*  era  frate 
sacerdote  de'  Minimi  di  S.  Francesco  di  Paola,  che  avea  lasciato 
l'abito  nel  1863,  col  permesso  del  suo  Provinciale,  essendo  stato 
chiamato  a  reggere  il  Convitto  Nazionale  Vittorio  Emanuele 
di  questa  Palermo.  Da  due  anni  la  sua  salute  deteriorava  sen- 
sibilmente; e  accortocene  noi  amici,  lo  consigliavamo  premu- 
rosi a  studiar  poco,  però  predicammo  al  deserto,  ch'egli  se- 
guitò logorarsi  ostinatamente  di  e  notte  ne' suoi  libri  e  sull'opera 
a  cui  ultimamente  con  alacrità  passionata  attendeva,  voglio  dire 
la  Storia  d^  Incisione  in  Italia.  Di  questa  opera  rimangono 
gran  numero  di  preziosissimi  materiali,  studi,  note,  osserva- 
zioni, e  una  collezione  di  10  a  12  mila  stampe  dal  secolo  XIV 
ai  dì  nostri,  collezione  per  la  quale  aveva  egli  speso  ingenti 
somme,  e  che  accoglie  le  più  pregiate  stampe  sì  italiane  che 
straniere.  Tutti  i  mmss.  del  Pardi,  e  non  eran  pochi,  sono 
passati  al  Pitrò,  a  cui,  come  scolare  e  amico  de'  più  antichi  e 
fedeli,  ben  di  ragione  si  doveano.  Nel  principio  di  questo  anno 
1875  (1)  ci  aocorgemmo  come  era  assolutamente  impossibile 
che  la  vita  del  diletto  amico  potesse  salvarsi,  che  de'  suoi  pol- 
moni la  più  gran  parte  era  consunta.  Passò  egli  nell'aprile 
fuori  di  dttÀ,  ma  inutilmente,  e  sempre  sperando  e  lusingan- 
dosi colla  salute  avvenire  e  designando  lavori  letterari  futuri, 
e  pur  sempre  scrivendo,  nella  mattina  del  24  luglio  esalava  lo 


(IJ  <  Questa  rìgidissima  stagione  invernale,  scrivevami  egli  il  20  aprilo 
iSVi,  ha  ccmì  indebolita  la  mia  salute,  che  mi  rende  quasi  inabile  ad  ogni 
lung-o  lavoro  intellettuale.  Dal  Natale  in  qua,  sono  alalo  come  confinato  in 
casa,  recandomi  solo,  nella  tarda  ora,  e  m  qualche  rara  buona  priornala 
ali"  ufficio  (era  Direttore  del  R.  Ginnasio  di  Sant'Anna),  o  a  dettare  con 
Ttia?g!Ìor  frequenza  le  lenoni  di  religione  e  morale  alle  scuoio  Normali 
IVoiminili.  Aggiunga  a  ciò  che,  per  ristorare  la  mal  ferma  salute,  ho 
'ioruto  cambiar  di  casa,  affittandone  una  in  campagna  fuori  Porta  Cuccia 
al  n.  65 > 


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80  DANTB  E  LE  ABTI  BELLE. 

spirito.  Prìma  di  morire,  avea  scrìtto  e  stampato  nelle  noetre 
Effemeridi  un  ricordo  dell' illustre  incisore  T.  Aloysio  Juvara, 
e  sbrigò  per  la  stampa,  ma  non  giunse  a  consegnare  ai  tipo- 
grafi, la  biografia  succinta  di  cento  scrittori  siciliani.  Morì 
onesto  e  fidente,  com'era  sempre  vissuto,  compianto  grande- 
mente da' buoni.  »  —  E  ancor  prima,  il  7  agosto,  dandomi 
r  acerba  ed  inattesa  notizia  della  sua  morte  :  «  Egli  è  passato 
il  24  del  p.  p.  luglio,  e  con  quale  angoscioso  dolore  mio  e  degli 
altri  amici  di  qui  lascio  di  dire.  Deh  gli  sia  lieve  la  terra  e 
.  pietoso  l'Eterno,  che  quaggiù  ha  sofferto  abbastanza! ...  E  pure, 
anche  morto,  giornalisti  pretofili  e  giornalisti  pretofobi,  tristi 
e  infami  del  paro,  ne  insultano  oggi  la  santa  memoria  e  la 
intemerata  coscienza  di  cattolico  e  d'italiano.  »  (1). 

Povero  amico  mìo!  La  razza  viperina  di  codesti  Farisei, 
dalla  pelle  benigna,  dalla  feccia  d' uom  giusto,  non  cesserà  mai 
di  addentare  i  più  buoni,  i  più  operosi,  e  che  infingere  non 
sanno.  Ma  io  mi  consolo  nel  pensiero  che  1  loro  strali  avvelenati 
più  non  ti  possono  tangere  colassù,  in  quel  miro  ed  angelico 
tempio  che  solo  amore  e  luce  ha  per  confini.  Ma  cantava  il 
nostro  divino:  Mal  camina  Qual  si  fa  danno  del  ben  fare 
altrui. 

Raffablli  march.  Filippo,  Panto-Pinacografia  artisticcH 
Dantesca,  Voi.  4,  (mss). 

Il  valentissimo  mio  amico,  march.  Filippo  Raffiielli,  biblio- 
tecario della  civica  di  Fermo,  avea  divisato  di  mostrare  la  somma 
influenza  dell'altissimo  poeta  sulla  poesìa  dell'arte  della  nazione. 
I  quattro  volumi  della  sua  Panto-Pinacografia  £acero  parte  del> 
Esposizione  Dantesca  nel  1865,  e,  benchò  non  sieuo  che  spogli 
ed  accenni,  fan  fede  della  rara  accuratezza  del  Raccoglitore, 
e  della  sua  vasta  corrispondenza  co'  più  illustri  Dantisti,  e  per 
appurar  fatti,  e  perchè  più  ordinato  e  più  compiuto  riuscisse 
il  lavoro,  sì  largamente  ideato.  Ed  è  ben  doloroso  che  si  ri- 
manesse da  ovra  si  onorata.  Forse  lo  trattenne  il  pensiero  che 
un  tale  argomento  era  stato  pur  svolto  nel  II  voi.  del  mio  Ma- 
nuale. Ad  ogni  modo,  io  ch'ebbi  lungamente  in  mano,  per 


(1)  <  Forse  non  poteva  piacere  a  cerU  arraffoni  ch'ei  fosse  tenero  so- 
\Taltutto  del  vero  projg^esso  della  gioventù,  cara  speranza  della  patria  risorta 
uir onore  di  nazione,  »  e  ch'essa  divenisse  <  gioventù  degna  del  nome 
italiano,  cioè  sapiente  e  morale,  virtuosa  e  gentile.  > 


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DÀNTB  B  LB  ARTI  BBLLB.  81 

lenza  del  nobile  amico,  i  suoi  appunti,  da*  quali 
>lare  per  qaesto  mio  lavoro  qualche  notizia 
posso  non  &me  grata  ricordanza,  e  non  dargli 
»o  concetto,  e  per  V  amore  operoso  ed  instan- 
si  era  posto. 

NFLUENZA  DI  DANTE 

►ESIA  DELL'ARTE  DELLA  SUA  NAZIONE 

rilbM.  Dant.  n.  9t»). 

Monaco,  //  Qiudino  universale,  a  Fabriano  (1). 
,  T.  IV,  350. 

fzo,  da  Monte  Rubbian^^ //  Giudizio  Univer^ 
in  più  parti  del  suo  dipinto  si  inspirò  nella 
&.  V.  jRtcct^  Memorie  degli  artisti  del  Piceno, 
ni,  1834,  II,  115. 

,  L'Inferno,  secondo  T invenzione  dantesca, 
itologica  ed  astronomica  del  R.  Palazzo  del  Te 
Descrizione  del  R,  Palazzo  del  Te  in  Mantova, 
S. 

.GiSTRis,  di  Caldarola.  Rappresentò  nella  Chiesa 
*ce  (1518)  il  concetto  scritturale  destre  regni 
ed  infernale  che  s*  inchinano  al  nome  di  Gesù, 
fantasia  dantesca.  V.  Arduini  Carlo,  Memorie 
ittà  di  Offida  nella  Marca  d*  Ancona.  Fermo, 
36. 

iNisio,  (a.  1601),  //  Paradiso,  dipinto  nella 
ferviti  di  Bologna.  V.  Gualandi  Michelangelo, 
di,  riguardanti  le  Belle  Arti,  Serie  I.  Bologna, 

.,  //  Giudizio  Universale  sull'orme  di  Dante, 
tf.  il  Re  di  Baviera,  per  una  nuova  chiesa  eretta 
335.  V.  Mbum  di  Roma,  a.  ii,  n.  19,  p.  151. 


i.  Oiovanni  Parrocchia  il  di  18  Luglio  1839,  leggeva  ai- 
Ardenti  di  Viterbo  una  sua  disseriazione  sopra  un'antica 
nte  il  Giudizio  Universale,  che  tuttavia  si  vede  nel  tempio 
ore  di  Toscanella.  Egli  è  d'avviso  che  Dante,  peregri- 
lo  ed  in  Orvieto  le  sculture  di  Nicolò  Pisano,  ed  in  To- 
che  toglie  a  descrivere,  e  se  ne  abbia  inspirato. 


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82 

TELE,  AFFRESCHI,  SCULTURE  E  DISEGNI 

IL  GUI  SOGGETTO  È  PRESO  DALLA  DIVINA  COMMEDIA 
CV.  Mam,  DaiU.  ti.  890;  IV,  HS). 

Cr«do  ararti  detto  pili  rolte,  che  «peMOt  posando  lo 
•calpclloi  Icffo  la  Divina  Commodla.  ih^rè. 

Cherid  Alfonso,  di  Reggio  di  Modena,  Dante  nella  selva 
oscura. 

Raffaello  cT  Urbino,  E  come  quei,  che  con  lena  afGuinata. 
(Inf.  1, 2g).  Nei  Diluvio.  V.  Pistoiesi,  Il  Vaticano  ;  Quatrèmere,  ecc. 

OemeUi  Luigi,  di^julilano,  Lo  giorno  se  n*  andava,  e  taer 
bruno,,,  (Inf.  ii,  1).  V.  Atti  dell'Accademia  di  Bologna,  1864. 

PodesH  Francesco,  Dante  nel  vestibolo  d'Inferno,  dove  aon 
puniti  i  pigri.  Disino. 

Minardi  Tommaso,  Il  Limbo  (Inf.  iv).  Questo  disegno  esiste 
nel  palazzo  Guidi  di  Faenza. 

I  grandi  filosofi  e  poeti  deir  antichità  (Inf.  iv).  Nell'Ac- 
cademia di  S.  Luca,  per  legato  del  Minardi. 

De  Antoni  Andrea,  Gli  Spiriti  Magni  (Inf.  tv).  Vi  lavorò 
per  tre  anni,  non  risparmiò  a  fatiche  ed  a  spese  per  condurre 
a  perfezione  questo  ammirabile  dipinto. 

Podesii  Francesco,  Gli  Spiriti  Magni  —  Ed  io  fui  sesto  tra 
cotanto  senno  (Inf.  iv,  129).  Disegno. 

Allori  Alessandro,  Id.  —  TmU  V  ammiran,  e  tutti  onor  gli 
fanno  (In£  iv,  133).  Imitazione,  V.  Vasari. 

Anonimo,  Dante  e  Virgilio  che  s'abbattono  nell'ombre  degli  I 
altri  poeti.  Nella  collezione  delle  stoviglie  dipinte,  presso  il 
sig.  cav.  Domenico  Mazza  in  Pesaro. 

BigioU  Filippo,  Minosse.  Stawi  Minos  orribilmente,  e  rin-  i 
ghia (Inf.  v,  4). 

ArienH  Carlo  (n.  in  Arcore,  paese  della  Brianza  a'  21  luglio  j 
1801,  m.  20  lugliir  1869),  Francesca  di  Rimini.  I 

BaUarini  Emesto,  di  Bologna,  Francesca  e  Paolo.  —  Poeta, 
volentieri  Parlerei  a  que^  duo,  che  insieme  vanno,  Epaion  si 
al  vento  esser  leggieri.  Dipinto  premiato  con  medaglia  dall' Ac- 
cademia di  Bologna.  V.  Atti  del  1864. 


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DANTB  B  LB  AUTI  BBLLB.  83 

ypo,  FranceBca  di  Rimini,  1823.  —  NaoTO  boz- 

come  corpo  morto  cade. 

ancesco,  Morte  di  Paolo  Malatesta  e  di  Fran- 

i.  BspoA.  di  Parigi,  1870. 

^etro.  Paolo  e  Francesca. 

Carlo,  Paolo  e  Francesca.  Inc.  Calamatta.  V. 

0,  a.  vin,  1846,  p.  130. 

,  Paolo  e  Francesca.  —  Chinai  il  viso,  e  tanto  7 
nchè*l  Poeta  mi  disse:  Che  pensef 

Vicenro,  calabrese,  E  caddi  come  corpo  morto 
id  acquerello,  ripetuto  tre  volte, 
del  quadro  d' Ingres. 

Francesco,  palermitano,  Francesca  di  Bimini. 
,  da  Bergamo,  Paolo  a  Francesca  di  Ri  mini, 

"/ò,  di  Bergamo,  Paolo  e  Francesca:  La  bocca 
emante,  Qmppo,  Epos,  del  1870;  Yienn.  1873. 
1  Andrea,  Id.  Quando  leggemmo  il  disiato  riso, 
1853. 

ncesco,  Id.  —  E  caddi  come  corpo  morto  cade, 
ilterra. 

iuliano,  Francesca  di  Rimini,  Bozzetto  a  matita, 
co.  Borgia  Combo. 
lo  e  Francesca.  Espòsiz.,  1872. 

1,  Nessun  maggior  dolore.  Che  ricordarsi  del 
Ila  miseria.  Bassorilievo  sepolcrale  eseguito  nel 
ignora  inglese. 

^ietro,  Ercole  doma  Cerbero.  La  fiera  trì&uce 
lo  il  concetto  Dantesco  (Inf.  vi,  12).  —  Afiresco 
di  Firenze.  V.  Nuovo  Giornale  di  Pisa,  Nistri, 

ristofano,  detto  il  I>oceno,  Il  Dio  Pluto  e  il  cane 
,  nicchia  della  gran  pittura  a  chiaroscuro,  nella 
izzo  di  M.  Sforza  Almeni,  nella  via  dei  Servi  a 
ari,  XI,  17. 

libale,  11  terribilissimo  Plutone  e  lo  spaventoso 
.  Inc.  Oliviero  Dolfin.  V.  De  Angelis,  ix,  162. 
Gardins,  di  Breda.   Nel  gran  monumento  che 
lica  de  la  Feuillade  eresse,  a  sue  spese,  nella 


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84  DANTB  B  LB  ARTI  BBLLB. 

piazsa  della  Vittoria  a  Parigi,  ad  onore  di  Luigi  il  Grande^ 
scolpi  il  Cerbero  di  Dante.  V.  Cicognara,  Storia  della  Scultura, 
L.  VI,  e.  5,  p.  28. 

Minardi  Tommaso,  Cerbero,  Disegno. 

Chierici  Alfonso,  Dante  che  a*  incontra  in  Ciacco  (lof.  ?i,  46). 
Bozzetto  a  olio. 

Ignoto,  Vid'io  gente  più  che  altrove  troppa,  E  d'una  parte 
e  d*  altra,  con  grand*  urli  Voltando  pesi  per  forza  di  poppa 
(Inf.  VII,  25). 

Thorwaidsen,  La  Fortuna.  —  Necessità  la  fa  esser  r)eloce . . . 
Volve  sua  spera^  e  beata  si  gode  (Inf.  vu,  89).  Bassorilievo  se- 
polcrale eseguito  nel  1814  per  la  Simiglia  Bethman  di  Fran- 
coforte. 

PodesH  Francesco,  F.  Argenti  :  Allora  stese  al  legno  ambo 
le  mani.  (Inf.  viii,  40). 

Bigioli  Filippo,  Filippo  Argenti:  TutU  gridawino:  A  Fi- 
lippo Argenti.  Lo  fiorentino  spirito  ìnszarro  In  sé  medesnw 
si  volgea  co*  denti  (Inf.  viii,  61). 

Comerio  Agostino,  milanese,  Dante,  Virgilio  e  Farinata 
degli  liberti.  Nella  Galleria  delle  pitture  moderne,  tra  i  quadri 
degli  alunnati  di  Roma. 

Bompiani  Roberto,  Dante  che  fugge  dopo  aver  veduto  il 
Minotauro  (Inf.  xii,  12).  Disegno. 

Servasere,  Lo  Duca  mio  eh'  era  salito  Già  sulla  groppa  del 
fiero  animale  (Inf.  xvii,  79). 

Bianchi  Giuseppe,  di  Cento,  Quel  confitto,  che  tu  miri.  Con- 
sigliò i  Farisei,  che  conventa  Porre  un  uom  per  lo  popolo 
a' martiri  (Inf.  xxiii,  115).  V.  Atti  dell' Accad.  di  Bologna, 
1866-67. 

Podesti  Fr,,  Dante  nella  bolgia  dei  falsari!  (Inf.  xxv).  Di- 
segno. 

Chierici  Alfonso,  Lo  stesso  soggetto. 

Di  Chirico,  Buoso  da  Duera  (Inf.  xx;^ii).  Espos.  perm.  mil. 
1875. 

BeteUni  Pietro,  La  morte  del  co.  Ugolino.  Esposto  nella 
sala  del  Campidoglio  nel  Concorso  del  1810. 

LeidÀ  Gius,,  da  Bergamo,  Morte  del  co.  Ugolino,  1857. 

Isola  com.  Gius.,  Prof,  di  pittui*a  nell'Accad.  ligustica.  La 
morte  del  co.  Ugolino,  gran  quadro  ad  olio. 


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D1Z«TB  I  LI  MtTI  BBLLB.  85 

Lu^,  di  Gasalmaggìore,  Copia  dell*  Ugoliiio  del 

co.  Ugolino.  V.  Diario  di  Roma,  Settembre,  1823. 
nmtuo.  Il  co.  Ug^no  brancolante  già  cieco  sol 

uncesco,  Il  co.  Ugolino  si  rode  il  teschio  del- 
luggieri  :  0  tu  che  mostri  per  si  bestiai  segno 
lui  che  tu  ti  mangi. 

Luigi,  Id.  OnéC  io  mi  diedi  già  cieco . . .  Bozzetto. 
f.  cav,  Pietro,  Gaddo  mi  si  gittò  disteso  a  piedi. 

ierre,  le  jeane,  Vue  de  TEnfer  avec  plusieurs 
I  cote  Yirgile  et  Dante.  In  Firenze  nella  prima 
favole  fiamminghe,  al  n.  41. 
>.  Vicenza,  Da  poppa  stava  il  celestial  nocchiero . . . 
l  insieme  ad  una  voce...  Poi  fece  il  segno  lor 

(Porg.  II,  43).  A  penna,  per  S.  A.  R.  il  prìncipe 

di  Spagna. 

en.  Come  le  pecorelle  ecc.  (Purg.  m,  79).  Nel 

leandro ,  ossia  il  sao  ingresso  in  Babilonia.  Ese- 

l  per  il  palazzo  Quirinale;  riprodotto  per  S.  M. 

larca  e  per  il  co.  di  Sommariva. 

tntino.  Re  Manfredi.  Biondo  era  e  bello  (Purg.  ni, 

illustrato  da  Fr.  Dall' Ongaro. 

Eduardo,  Re  Manfredi. 

"o.  Dante  e  Buonconte  (Purg.  v,  88).  Disegno. 

\rlo.  La  Pia  de*  Tolomei  (Purg.  v,  132). 

Frane,  paesista.  La  Pia.  —  Su  questo  dipinto 

nobiHssimi  il  valente  poeta  Ugo  Antonio  Amico, 
tuta,  1873,  p.  92. 
ro.  Dante  e  Sordello  (Purg.  yi,  58).  Disegno. 

Carlo,  di  Pesaro,  Cartone  tolto  dai  C.  vii  ed  vm 
[). 

Andrea,  Dante  entro  un'amena  valletta  posa  ki 
ino.  Un'eterea  forma  di  donna  scende  dairalto  e  si 
mente,  cui  Virgilio,  Sordello,  Nino-Qiudice  e  Cor* 
la  fisinno  gentile  corona.  La  bellissima  donna  ama- 
de,  e  pare  che  dica:  Ison  Lucia;  Lasciatemi  pigliar 
ne.  Si  F  agevolerò  per  la  sua  via  (Jhirg.  z,  52). 


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86  DANTI  B  LB  AETI  BBLLB. 

Oaìli  Pietro,  Dante  portato  dall'aquila  (Purg.  ne,  19).  Disegno. 

Obici  prof.  Qiìis.,  di  Modena,  BaBBorilievo  nel  quale  è  raf- 
figurato 1* Angelo  alla  soglia  del  Purgatorio,  avente  la  spada 
in  mano,  e  neir altra  due  chiavi,  Vuna  d^ oro  e  t altra  d'ar- 
gento. Oltre  r Angelo  vi  è  scolpita  una  donna  genuflessa  atteg- 
giata a  sommessione  a*  voleri  del  cielo  (Purg.  n).  —  Di  com- 
missione di  D.  Annibale  Simonetti  pel  monumento  di  sua  madre 
da  collocarsi  in  Ancona. 

Thorwaìdsen ,  L*Angel  che  venne  in  terra  col  decreto. . . . 

Come  figura  in  terra  si  suggella Umile  ed  alta  piii  che 

creatura.  Neil*  Annunxiazione  della  Vergine  —  Per  il  Principe 
di  Baviera,  1819.  —  V.  Opere  di  Thorwaldsen,  illustrate  da 
M.  Missirini. 

Orcagna,  Le  Cariatidi  (Purg.  x,  130). 

CassioH  Amos,  di  Asciano  in  quel  di  Siena»  Provenzano 
Salvani  (Purg.  xi,  121).  V.  Riv.  Eur.  Maggio  1874,  p.  515. 

Mondini  Giacomo,  di  Verolanuova,  Dante  e  Virgilio  che 
incontrano  Oderisi  da  Gubbio  (Purg.  xi,  79). 

RaffaeUe  Sanzio,  A  noi  venia  la  craatura  bella  (Pui^.  xii,  80). 
Negli  Angeli  che  si  presentano  ad  Abramo,  nella  misteriosa 
valle  di  Mambre,  per  annunciargli  la  miracolosa  fecondità  di 
Sara.  V.  Pistoiesi,  Il  Vaticano,  Quatrèmere,  ecc. 

Malaiesta  Adeodato,  Dante  e  Sapia  (Purg.  xiu,  109).  Di 
proprietà  del  marchese  Ala  Ponzoni. 

GaUi  Pietro,  Poi  piovve  déntro  ali*  alta  fantasia  Un  crocifisso 
dispettoso  e  fiero  Nella  sua  vista,  e  cotal  si  morìa.  Intorno  ad 
esso  era  il  grande  As8uei*o,  Ester  sua  sposa  e  il  giusto  Mar- 
docheo (Purg.  xvn,  29).  Disegno. 

GaUi  Pietro,  Ci  apparve  un'ombra,  e  dietro  a  noi  venia 
Dappiè  guardando  la  turba  che  giace,  Nò  ci  addemmo  di  lei, 
si  parlò  pria  (Purg.  xxi,  10). 

BigioH  Filippo,  Virgilio  e  Danto  che  s'incontrano  in  Stazio. 

SogUano,  Corradino  che  viene  a  reclamare  k  ceneri  di  suo 
figlio  (Purg.  xx). 

Tiskbein  Enrico  Guglielmo,  Corradino  quando  nella  prigione 
riceve  T  annunzio  della  sua  condanna.  V.  Gherardo  di  Rossi, 
Memorie  di  Belle  Arti. 

Beiwenuti  Pietro,  Parean  T occhiaie  anella  senza  gemme: 
Chi  nel  viso  d^li  uomini  legge  omo,  Ben  avrìa  quivi  cono- 


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DANTB  E  IX  ABTI  BBLLB.  87 

Purg.  xxin,  31).  Imitazione,  nel  dipinto  a  fresco 
la  Cappella  dei  sepolcri  Medicei  in  S.  Lorenzo 

file,  Corso  Donati  a  coda  d^una  bestia  tratto 
ove  mai  non  si  scolpa  (Purg.  xxiv,  83).  Esp. 

'ito,  di  Firenze,  Dante  che  s* incontra  in  Bea- 
l  olio. 

Antonio,  da  Esine,  Cartone  in  grande  per  afire- 
in  Casal  maggiore,  Id.  1851. 
j,  Lo  stesso  soggetto.  Dipinto  illustrato  da  Salv. 
rmo,   di  Cristina,  1867;  e  da  Gius.  Pitrè.  — 
dipinti  di  Dario  Quarci.  Palermo,  di  Cristina, 

ncesco.  Il  carro  di  Beatrice  corteggiato  dalle 
«I). 

!  Andrea,  Guardami  ben  :  ben  son,  ben  son  Bea- 
mi cadder  giù  nel  chiaro  fonte  (Purg.  xxx,  73). 
ilto  m.  1,  39,  largo  m.  1,  88,  eseguito  nel  1852. 
indrea,  La  Beatrice  velata.  —  V.  la  bella  De- 
•  &  il  Pardi,  Opere,  i,  284. . 
C  Vicenzo,  Piccarda  narra  la  sua  vita  e  quella 
itanza  (Par.  in).  Acquerello  nell* Album  della  ex 
li. 

»,  Statua  dell*  amor  divino  (Par.  v). 
Mterio,  Buondelmonte,  che  passando  dinanzi  casa 
àdonna  e  la  sua  figliuola  (Par.  xvi).  Esposiz. 

averto,  Buondelmonte. 

stesso  soggetto. 

pò,  Di  contro  a  Pietro  vedi  sedere  Anna,  Tanto 

ar  sua  figlia —  (Par.  xxxii,  133).  Bozzetto  pel 

ico  della  duchessa  di  Torlonia;  dipìnto  (km  a 

imera  del  palazzo  Torlonia. 


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88 


DISEGNI,    ILLUSTRAZIONI 

DEL  DIVINO  POEMA. 
(V.  Mmn.  ikuu.  Il  9tt  «  7<7;  IT,  M). 

BatUcelU  Sandro.  —  <  Alexander  Bottioellus  Pictor  Florent. 
—  Florentiam  rereraus  otio  porro  deflnebàt,  commeBtariuin  in 
Dantem  conacrìbens,  et  figìiraa  inferni  ejna  oonsardnaiu  qnod 
opus  editunu  erat  Gonsamtia  ig^tur  iia  qnae  Incratus  foerat, 
aenex  tandem  ad  futura  sua  incedens,  et  pauper  morìebatur 
anno  aet.  suae  78  Chr.  1515.  »  Iaconi  de  Sandrart  a  Stochaì?. 
Parte  ii,  1.  2,  e.  A,  107.  Del  Botticelli  e  de'  suoi  Disegni.  V.  Man, 
Dani.  II,  p.  370. 

Craribbo  Luigi,  L'Inferno,  il  Pai^torio,  e  il  Paradiso. 
Tocco  a  penna. 

Faruffini  Federico  e  Barbieri  Carlo,  Disegni  54,  inciai  dal 
Gandini.  Neli'ediz.  milanese  della  Dir.  Comm.  del  Pagnoni,  1865, 
col  comento  di  N.  Tommaseo. 

Ecco  come  ne  parla  lo  stesso  Tommaseo  :  Non  mi  sono  mai 
figurato  che  il  mio  editore  sig.  Francesco  Pagnoni,  tra  le  altre 
Budicierie  che  mi  fece,  feoesse  a  Dante  quella  di  quelle  sue 
malcreate  figure  per  meglio  corbellare  i  quattromila  e  pia  soscrit- 
tori  ch'egli  ha,  come  dicono,  raccattati.  B  io  potetti  a  gran 
pena  vietare  che  fosse  alle  cantonate  di  Firenze  affisso  il  ciar- 
latanesco cartellone  con  diavoli  e  versiere,  e  nel  bel  mezzo 
il  mio  nome  con  quel  di  Dante  ;  nò  so  se  mi  sia  stata  in  altre 
città  risparmiata  cotesta  gogna.  Ma  so  di  avere  indamo  pro- 
testato contro  uno  sproloquio  fiitto  da  esso  Editore,  nel  quale 
•sproloquio  Dante  presentasi  come  precursore  a  Lutero:  il  quale 
sproloquio  ritrovo  nella  ristampa  del  mio  libro  &tta  fiiori  dei 
termini  pattuiti  di  tempo,  con  la  calunnia  aggravandosi  la  la- 
dreria. Lettera  al  pietano  Calcinai, 

Scaramuzza  prof,  Francesco,  di  Parma  (1).  —  La  mia 

(i)  <  ImmaffiiìAtovi  oa  uomo  di  aUtora  rmgìonevole,  Urchitto  e  agile  : 
«n  tipo  fra  M&cEkoUngelo  e  Socrate;  che  tiene  d^*ano  e  dell* altro,  cosi 
Jiel  volto  come  nell'amnaa,  se  è  vero  che  Socrate  era  meaio  spiriticta 
<aingolar  finalità  dello  Scaramuaia  è  la  credensa  nello  spiritiamo)  :  un  aspetto 
«ostantemente  benevolo  e  che  inspira  confldensa,  ma  che  si  comprende 


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DANTE  B  LB  ASTI  BBLLB.  89 

ira,  scrìverami  egli  il  7  marzo  1875,  nella  quale 
anni  lavoro,  non  ò  ancora  al  suo  termine;  ma 
»  mi  manterrà  sano,  che  fra  un  anno  e  mezzo, 
moltissimo,  potrò  averla  finita,  giacché  non  mi 
rorare  ad  eflbtto  di  chiaroscuro,  che  18  quadri, 
i  complicata  composizione  e  quindi  di  non  im- 
di  un  mese  ciascuno.  —  E  nel  marzo  1876 
k  l'ultimo  tocco  all'  ultima  delle  sue  ducente 
HStrcmoni  dantesche,  disegni  a  penna,  nei  quali 
ano  dal  più  al  meno  venti  centimetri  di  altezza, 
foccia  parere  piii  grandi  quel  magistero  di  chia- 
del  Correggio  più  che  di  nessun  altro  artista, 
muzza  pare  che  abbia  ereditato,  con  altre  virtù, 
si  poco  conosciuto  fuori  di  Parma  e  di  Dresda.  — 
dell'Inferno  furono  esposte  la  prima  volta  a 
ocfaissimi  giorni,  nelle  feste  del  centenario  di 
r2  furono  espottte  a  Parma  quelle  deirinferno 
ielle  del  Purgatorio  (oentoeettantotto).  Neil'  aprile 
le  n'ò  (atta  la  mostra  di  tutte  a  Parma;  quindi  a 
m  Ridotto  del  gran  teatro  della  Scala),  in  occa- 
.  pel  centenarie  di  Legnano  ;  saranno  in  appresso 
Qze,  a  Roma  ed  a  Napoli.  —  Lo  Scaramuzza 
ì  egli  medesimo  che  le  si  dovesse  riprodurre 
ografia,  la  quale  die' egli,  ò  un  eccellente  artista 
e  di  cose.  <  B  pensare,  sono  le  sue  parole,  che  se 

eggiarsi  a  fierezza  grave  e  risoluta  :  un  parlare,  un  muo- 
are  aUa  buona,  come  ffli  ha  inseonato  mamma  natura: 
M  e  senza  cerimonie  che  a  ohi  gu  parla  dà  il  coraggio 

sue  opinioni,  e  anche  lo  scherzo  urbano,  mandando  al 
rie,  le  srenmìexaéj  le  scipite  simulazioni  oonvenzionali. 

parola  italiana  facile,  spedita,  precisa,  persuasiva  ;  ma 
»tto  :  quando  racconta  è  impossibile  non  stare  attenti  : 

suoi  racopnti  riguardano  casi  spiritìd.  Lettore  giudizioso 
celienti  libri,  amico  di  parecchi  aotti,  Scaramuzza  s'è  fatta 
i,  nella  tua  sincera  modestia,  non  sa  d*  avere.  L'inverno, 
»rta  certa  sua  veste  rossa  e  nera  che  alla  persona  grave^ 
ilva  e  alla  barba  grigia  dà  un  aria  antica  e  solenne:  si 
iella  specie  di  toga  debba  uscire  un  ^o  di  ganghe  cal- 
iquecento.  Camminatore  alpestre  instancabile  in  gioventù, 
{me  nggevé  al  tavolino  sedici  ore  il  giorno  per  mesi  e 

suo  Appennino,  ripiglia  le  sue  antiche  consuetudini  con 
Temperato  (ancne  troppo)  nei  desideri,  non  molestato  da 
\o  a  indolgmaa  e  a  rasseffBasioae  viriis  e  filosofica,  sente 
i  forti  e  segreti  :  non  si  lagna  mai ....  L*  infelice  fortuna 
tatttne  lo  «flisse  molto,  non  lo  avviM  mai  •  non  lo  fece 
.  »  A.  R&ndant  RivisU  Internaz.  i,  300.  •-  Fr.  Scara- 
11803. 


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90  DANTI  B  LB  ARTI  BBLLB. 

ne  possono  trarre  migliaia  di  copie  di  ogni  dimensione,  senza 
che  mainai  alteri  d*un  punto  il  disegno  naturale!  Ed  ora  che 
si  è  trovato  modo  di  fissarle  in  guisa  da  essere  durature  in 
etemo,  non  veggo  perchè  si  debba  usare  d'altro  mezzo  più 
costoso,  meno  esatto  e  di  più  lunga  lena.  »  —  L' editore  Giorgio 
Simona  di  Locamo,  ne  ha  già  impreso  la  riproduzione.  L' ese- 
cuzione fii  affidata  al  fotografo  Iginio  Calzolari,  a  Milano,  che  se 
ne  disimpegnò  in  modo  veramente  degno  deirarte  e  del  magnifico 
lavoro.  Ecco  come  ne  parla  la  Gazzetta  d' Italia  dell'  otto  agosto 
1876.  —  «  Abbiamo  visitata  V  Esposizione  Dantesca  in  via  dei 
Buoni,  palazzo  Orlandini  n.  2,  e  ne  siamo  usciti  non  solamente 
soddisMti  ma  quasi  entusiasmati  per  le  meraviglie  d' arte  che 

vi  si  ritrovano Il  pensiero  Dantesco  ò  rivestito  dal  valente 

autore  da  stupendi  concetti  di  disegno,  e  la  interpretazione  ne 
sembra  scrupolosamente  fedele  :  pare  impossibile  che  la  punta 
di  una  penna  abbia  potuto  tratteggiare  dei  lavori  cosi  fini,  cosi 
delicati,  cosi  eleganti  come  le  tavole  illustrative  del  proti  Sca- 
ramuzza. Ci  sono  cosi  potenti  creazioni  di  fimtasia  informate 
però  sempre  alla  verità  dell'interpretazione:  c'ò  tanta  grazia 
d'arte  squisita,  c'è  tanta  conoscenza  degli  efieiti  del  disegno, 
tanta  bellezza  di  parti,  tanta  armonia  d'insieme  che  noi  noa 
possiamo  £are  a  meno  di  dichiarare  le  illustrazioni  del  proC 
Scaramuzza  le  migliori  fra  quante  ne  abbiamo  vedute  della 
Divina  Commedia  di  Dante.  E  non  possiamo  neanche  scegliere 
fra  quelle  dell'  Inferno,  del  Purgatorio,  del  Paradiso,  perchè  in 
ciascuna  parte  del  divino  Poema  il  prof.  Scaramuzza  ha  saputo 
creare  delle  tavole  illustrative  di  artistica  bellezza.  Vediamo 
figure  terribili  che  spaventano;  volti  angosciosi  che  destano 
compassione  ;  angioli  che  innamorano.  Qilei  veli,  quegli  alberi, 
quella  superficie  di  acqua,  quegli  effetti  di  luce,  quelle  sfumature 
delicate  di  contomi,  quell'espressione  spiccata  di  oggetti  e  di 
figure  e  tante  altre  stupende  bellezze  bisogna  avelie  vedute, 
come  le  abbiamo  vedute  noi,  per  giudicarle  subito  tali.  Siamo 
lieti  di  poter  constatare  un  nuovo  trionfo  dell'  arte  italiana. ...» 
Il  prof.  Scartazzini  ben  lamenta,  a  ragione,  che  un'opera 
sì  splendida,  sì  monumentale  non  trovi  posto  in  ogni  biblioteca 
pubblica,  ed  il  piii  oncMrevole  in  ogni  collezione  dantesca  anche 
privata;  che  è  dovere. di  chiunque  ama  l'Italia  e  venera  Dante 
d' incoraggire  non  solo  con  parole  ma  anche  coir  opera  chi 


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DANTB  E  Ut  AETI  BBLLB.  9 

mente  8*affiitìcò  onde  onorarli.  —  Ogni  illa 
9,  è  un  capo  d' opera  d' arte  e  d*  intelligenza 
del  poema.  In  breve,  non  esita  a  didùararl 
più  eccellenti  che  sinora  abbiamo  avuto  sv 
.  11  Borghmi,  n,  62.  —  Dello  Scaramuzza,  \ 
i49;  IT,  183  e  436.  V.  più  sotto:  Articoli  critU 
Ki  artistici  Daniescìii, 

fDRBA,  (m.  improvviso  il  23  dee.  1868  a  Pa- 
Dantesco. 

pesta  non  ci  avesse  rapito  i  disegni  che  il  Bue 
u^bi  margini  della  prima  edizione  della  Divin 
amento  del  Landino,  T  Italia  avrebbe  avuto  l 
9r  Dante  illustrato  dal  genio  di  Michelangek 
s'ingegnò  di  riparare  a*  di  nostri  il  D'Antoni 
itigio  dell'arte,  volle  rendere  popolare  le  scen 
mmaginato  dairAlighieri ,  e  ci  lasciava,  quas 
ignifico  Atlante  Dantesco.  E  que'  disegni  son( 
>  non  temerei  di  affermare  che,  dopo  Miche 
ro  D'Antoni  sia  stato  l' artista  che  abbia  saput 
)do  interpretare  fra  noi  le  splendide  fintasi 
ntino.  >  Pardi,  Scritti  Vari,  i,  283.  —  Il  Fard 
ttuoso  elogio,  del  quale  ei  mi  scriveva  il  1' 
i  Senta,  e  veda  come  si  senta  da  taluni  l'ai 
8  degne.  —  Quando  io  scrissi  la  biografìa  de 
,  mi  credetti  in  dovere  di  richiedere  qualch 
re,  circa  a  talune  cose  che  la  Simiglia  dovev 
que  altro  conoscere,  al  fratel  suo  Benefìcial 
Il  crederebbe?  Mi  accolse  con  manifesti  segxi 
mi  rispose  che  non  ci  era  nulla  d'important 
de  iterate  istaìize,  mi  die' alcuni  appunti  eh 
0  a  niente.  Stampata  la  biografia,  credetti  mi 
me  IO  copie  alla  fìurniglia.  Dopo  qualche  temp 
le  a  trovarmi,  mi  ringrazia  freddamente,  e  poi 
un  calzolaio,  mi  chiese  quanto  mi  doveva.  M 
(degnato  e  rosso  in  viso  di  vergogna  per  lui . . . 
Mttò,  la  spesa  della  stampa.  Gli  feci  una  risat 
Antai  lì.  Che  gliene  pare?  Or  con  questi  esser 
nulla  al  mondo  di  bene.  —  Lasciamoli;  esi 
ndo  sol  per  fiur  letame.  Quello  che  mi  addo 


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02  DANTE  B  LB  ARTI  BBLLB. 

k>ra  8i  è  che  non  so  più  nnlla  di  quel  magnifico  Atlante  Dan- 
tesco, al  quale  il  D'Antoni  aveva  consacrato  tutta  una  vita  di 
studi,  e  che  ove  fossero  altri  i  parenti,  ricdii  come  sono,  lo 
avrebbero  &tto  conoscere  per  la  stampa.  E  sarà  intanto  pol- 
veroso e  dimenticato  in  qualche  angolo  delle  stanze.  Se  potessi 
e  volessi  avvicinare  questo  S.'  Beneficiale  vorrei  consigliarlo 
di  regalare  quest'Album  o  Atlante  Dantesco  al  Museo.  Vorrei 
pregarlo  percbò  mi  lasciasse  vedere,  studiare,  illustrare  le  stampe 
e  i  disegni  del  compianto  da  pochissimi  amici  Andrea  D' An- 
toni  » 

La  Raccolta  dantesca,  formante  parte  della  Biblioteca  cosi 
detta  del  ramo  secondogenito  della  casa  di  Sassonia,  va  certe 
annoverata  tra  le  piii  ricche  ch'io  conosca.  Ma  forse  non  trov£ 
paragone  Y  Album  Ikaniesco,  che  conta  da  ben  cento  disegni 
originali,  lavoro  de'  piii  valenti  artisti  alemanni.  Di  questi  6C 
illustrarono  l'Inferno,  20  il  Purgatorio,  18  il  Paradiso,  senza 
contare  gli  splendidi  disegni  di  Bonaventura  Emler  che  rap- 
presentano i  tre  regni  (Roma  1858-60)  e  che  vennero  nel  ld6€ 
riprodotti  in  fotografia  da  Haana  Hanfetaengel.  Il  famoso  pittore 
Koch,  tirolese,  ammiratore  dell'Alighieri  e  studiosissimo  de 
sacrato  poema  ne  condusse  a  penna,  39.  —  Gli  altri  vennen 
operati  dal  D'Andrea  (2)  ;  dall* Arrigoni,  dal  B&hr,  dal  Bary,  da 
Baur,  dal  Begas,  dal  Bendemann,  dal  Garus  (3),  dal  ComeHus 
dal  Deger,  dall'Eich,  dall' Ehrhardt,  dal  Faber,  dal  de  F&hrìch 
dal  Genelli,  dal  Gonne,  dal  Grosse,  dal  Bàhnel,  dal  Hennìg,  da 
Hensel,  dal  Hess,  dal  Huìmer  (2),  dal  JSger,  dall' Ittenbacfa 
dal  Kau^achy  dal  Lessing,  dal  Mntrop,  dal  Mucke,  dal  MuUer 
dai  Neher,  dal  Peschel  (3),  dal  Rethel,  dal  ReUseh  (4),  da 
Richter  (2),  dal  Rietschel,  dal  Kumobor,  dallo  Schnorr,  dalli 
Sch5nherr  (2),  dallo  Schraudolph,  dallo  SckuHff,  dal  de  Sefwnné 
dallo  Steinle,  dal  Yeit,  e  dal  VogeL 


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d3 


I,  STATUE  ED  ALTRI  DIPINTI 

5GU-VRDANTI  DANTE  ALIGHIERI. 
'Man.  DtmU  U,  9U  t  jm;  IV,  i98  «  ataj. 

Andrea,  di  Bartol.  di  Simone  (n.  1396).  Intera 
e.  Nel  palazzo  Carducci.  V.  Vasari,  toI.  it. 
(1426),  Mezza  figura.  Presso  il  S/  Domenico 
sevsrino.  Ne  trasse  una  copia  il  prof.  Filippo 
itessa  Borgia  Combò  (ora  a  Macerata  presso 
accialupi). 

rbìno,  di  Giovanni  Santi  (1483),  Figura  intera, 
ìT  la  scuola  di  Atene.  Nella  Collezione  di  di- 
Arciduca  Carlo  d'Austria.  Il  Cartone  originale 
ambrosiana  di  Milano.  V.  Quatrèmere, 
Cesco,  da  Spoleto,  Dipinto  in  tavola.  Per  la 
lU. 

'Hssimo  (deir)  Cristofano  o  Tofano  (di  Papi), 
>,  —  <  Suir  esempio  di  Paolo  Giovio,  Cosimo  I 
fascia  del  cornicione  de'  due  muri  laterali  dei 

della  Galleria,  fece  dipingere    da   Cristoforo 
imo  i  ritratti  degli   uomini  illustri ,   tra'  quali 

>  Zacchiroli,  p.  96. 

ippo,  Dante  e  Beatrice.  Per  lord  Clamvillion  di 
Lti  ine.  La  Beatrice  venne  ritratta  dalla  Costaza 

s..  Dante  e  Beatrice.  Nel  gran  finestrone  per 

Brasile,  e  del  Palazzo  R.  di  Torino. 
pò.  Nel  palazzo  Torlonia. 
fico.   Sul  volto  di  una  campata  della  nave  si- 
nica di  S.  Michele  Maggiore  di  Pavia  (1). 

nel  1865  fu  da  tutta  Italia  solennizzato  il  seoenUnino 
Alighieri,  la  Fabbricieria  della  Reale  Basilica  di  S.  Mi- 
Pavia,  desiderosa  di  partecipare  in  gualche  modo  alla 
naie,  ortlino  che  venisse  fatta  nel  S.  >rich*^le  tma  pittura 
sentato  il  Genio  rivivente  a  Dio.  La  fluirà  dell' Aliphiori 
a  Sapienza,  che,  com'egli  scrisse,  è  fonte  onde  opni  Ver 
astato  ad  esprimere  il  nobile  concetto,  ma  la  Fabbriceria 
a  lui  si  vedessero  S.  Severino  Boezio,   S.  Tommaso 


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94  DAMTB  B  LB  AETI  BBLLE. 

CoghetH  Francesco,  di  Bergamo.  Nel  Parnaso,  in  una  sala 
del  principe  Torlonia,  1839. 

Corot,  Dante.  Il  Corot  mai  non  volle  vendere  questo  suo 
dipinto.  Egli  legatalo  al  Museo  del  Louvre.  Il  Corot  mori  a 
Parigi  ne' suoi  79  anni,  T  undici  febbraio  1875. 

Peschiera  Federigo,  NeirApoteosi  di  Fr.  Ferrucci. 

Podesti  Francesco.  Nel  primo  Parnaso,  ossia  T incorona- 
zione del  Panni.  —  Nel  trionfo  della  Fama  del  Petrarca.  — 
Dante  e  Beatrice.  Disegno. 

Pietrasanta  Angelo,  Dante,  1876. 

Rosei  Fortunaio,  bolognese,  del  Sasso.  Mezza  figura,  dipinta 
nel  1832.  Nella  Pinacoteca  di  Bologna,  Sala  Curlandese  (l). 

Pisani,  Dante,  in  bronzo.  Nel  R.  Gabinetto  numismatico. 
Angelini  e  Solari,  Monumento  a  Dante  Alighieri. 

È  nel  mezzo  della  piazza  del  Mercatello,  detta  di  poi  Piazsa  Dante, 
senza  dubbio  una  delle  più  belle  di  Napoli.  Il  Consiglio  manicipale  di 
Napoli  deliberò  nel  1867  di  far  sorgere  un  monumento  a  Dante  ohe  nella 
sua  maestà  rappresentasse  la  grandezza  italiana,  dando  all'Angelini  ed  al 
Solari  r  incarico  di  scolpire  la  statua  colossale  del  gran  Poeta.  S*  aprirono 
sottoscrizioni,  e  soprattutto  l'illustre  prof.  Sottembrini  con  queir  ardore  che 
gli  è  proprio  In  tutto  ciò  che  formi  il  meglio  della  patria,  s'adoperò  perchè 
r  opera  andasse  innanzi.  Furono  intrapresi  in  effetto  ben -presto  i  lavori, 
ma  di  li  a  non  molto  dovettero  sospendersi,  cosicché  il  monumento  rimase 
pressoché  abbandonato  fino  al  1871.  In  quell'anno,  lo  stesso  prof.  Settem- 


d' Aquino,  e  il  giureconsulto  pavese  B.  Lanfranco,  morto  arcivescovo  a 
Cantorbery.  Intorno  a  Boezio,  in  atto  meditabondo,  leggonsi  queste  parole  : 
S.  Severinut  Boelhitts  mart.  Senator  ronuinus;  in  un  piccolo  soomparto 
a  destra  del  riguardante  è  delineata  l'antica  torre  di  Boezio,  in  quello  a 
sinistra  la  facciata  della  Basilica  di  S.  Pietro  in  ciel  d*  oro.  C.  DeìrAjequa, 
Sev.  Boesìo,  ProfitD  storico-biografico,  p.  31. 

(1)  L' efflffie  del  divin  Poeta  trovo  posto  perfino  ne'  biglietti  da  L.  una 
della  Banca  Nazionale.  G.  Procacci,  su  tale  argomento,  dettava  il  seguente 
sonetto  : 

Tempo  già  fa  che  nella  sua  sembianza 
Qli  esuli  nostri,  q  esule  cantore. 
Se  illanguidiva  il  fior  della  speranza 
Gonsolavan  di  sacra  ira  il  dolore. 
Poi  quando  Italia  nella  sua  possanza 
liuppe  de'  lacci  antichi  il  disonore. 
Al  simulacro  tuo  con  esultanza 
Venne  e  il  primo  recò  voto  del  core. 
Ma  con  più  savio  ed  utile  pensiero 
Firenze  la  sua  fama  oggi  rinfranca, 
E  ti  discrede  falso  e  baratliero. 
Or  la  pubblica  fede  a  te  non  manca, 
E  nraman  tutti  il  tuo  sembiante  vero 
Nereggiante  ne' bei  fogli  di  banca. 


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DA^NTS  B  LB  ARTI  BBLLB.  95 

t  premuro  ti  deve  tenui  dubbio  in  mtttimt  parte  il 
tt  beli*  opera ,  fece  qnant'  era  in  tuo  potere  pretto  di 
mento  foste  menato  a  termine.  A  lui  t'aggiunterò  il 
illuatri  italiani  con  viatote  tomme  all'opera,  ticchè  i 
nente  rioominciati.  Goti  finalmente  nel  18  luglio  dello 
Brti  compiuto  il  monumento  e  Ai  acorerta  la  ttatua. 
Il' è  più  grande  di  quelli  finora  eretti  in  Italia  a  Dante, 
Ite  ottagonale  di  pietra  con  doppio  gradino  alle  quattro 
ft  quale  poggia  un  ampio  batamento  in  forma  pritma- 
eotito  di  marmo  bianco  :  tu  d' etto  mediante  un  doppio 
marmo  aorge  un'altra  baae  tnperiore  più  alta  e  più 
)rìama  parallelepipedo  che  aoatiene  la  atatua  del  divino 
mento,  opera  del  Rtfga,  è  di  ttile  totcano,  e  toltanto 
della  bate  tuperiore  tono  tcolpiti  con  molta  accumezta 
»tici.  V*ha  però  nel  tutto  quella  nuda  aemplicità  che 
ho  ritponde  appieno  alla  aevera  maettà  del  toggetto; 
aamento,  tolo  quelle  linee  larghe,  tpiccate,  quati  aim* 
le  creazioni  danteache,  e  ti  danno  un'  armonica  unità, 
lelicateaza  unita  alla  maettà,  1*  eleganza  alla  templicità, 
l  terenità  greca  apoeata  alla  dignità  romana,  la  quale 
i  racchiude  in  te  steato  e  ti  richiama  a  contemplare  li 
gran  Poeta;  opera  degli  egregi  artitti  Angelini  e 
*  altri  belliaainù  lavori.  —  La  atatua  coloaaale  in  marmo 
.  50  e  peaa  circa  200  quintali.  Il  poeta  ata  dritto,  col 
A  avanti;  l'ampio  lucco  gli  ditcende  fino  ai  piedi,  e 
ii  alloro  gli  catca  tulle  tpalle  il  cappuccio.  Colla  deatra 
una  colonnina  apirale  che  gli  ata  di  lato  il  suo  volume. 
Ha  t tetta  colonna:  col  braccio  ainittro,  eh' è  il  tolo 
atera' matta,  è  in  atto  di  mostrare  agli  italiani  la  via 
apirata  unità  e  ridiventar  grandi,  ed  in  quell'  atto  ai 
se  che  fluttuano  confutamente  nell'animo  a  chi  guarda, 
el  volto  dignitoao  e  tevero  ti  legge  un  cotal  dolore, 
opagno  a  Dante  nella  vita  per  lo  atrazio  di  veder  la 
tutta  lacerata  dai  partiti;  ma  gli  traspare  la  ticurezza, 
o  del  trionfo.  C'è  in  quella  fitonomia  l'altero  ghibel- 
etso,  e  ad  un  tempo  il  genio  sublime  che  abbraccia  i 
colui  che  fu  fatto  per  pM  anni  macro  da  quel  poema 
,  e  col  quale  creando  un  intero  mondo,  che  tuttora  ai 
>iù  gran  poeta  del  Crittianetimo,  il  più  grande  genio 
trarre  di  tali  uomini,  il  cui  aolo  nome  a'etprime  un 
e  pentiero  vive  dopo  tecoli  tuttora  gigante,  l'artitta 
lucer  tè  ttetto  per  incarnar  l' eaprestione  del  suo  tipo 
Dgelini  e  il  Solari  ciò  hanno  ottenuto.  Certamente  V  oc- 
e  tcorgere  nella  loro  atatua  qualche  difetto  (e  quale 
iva?)  come  per  et.  quel  gestire  del  braccio  sinistro 
inerte;  ma  nell'  astieme  dell' etpressione  la  loro  statua 
le  t' ispira  rispetto  e  riverenza  perchè  rivela  la  potenza 
andezsa  del  pensiero  che  l'animò  per  tutta  la  vita . . . 
ustrazione  popolare  1873,  19  Ottobre,  p.  395. 


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96  PANTB  B  US  ARTI  BBLLB. 

Armstead,  Dante  di  tutta  la  persona.  Nel  monumeiito,  Me- 
moriale Alberto,  The  Aibens  Memorial,  eretto  dalla  regÌDi 
Vittoria  d'Inghilterra  al  defunto  principe  suo  marito.  —  I  li 
neamenti  sono  perfetti  nella  gentileaaa  severa  del  suo  nobiU 
volto,  nell*  attitudine  egregiamente  indovinata  e  resa. 

Baratta  E.,  Busto,  di  commissione  del  D.*"  J.  C.  Hacke  vai 
Mijnden,  di  Amsterdam,  insigne  traduttore  della  Divina  Commedia 

Benzoni  G.  M.,  Dante,  Statua,  per  il  principe  di  Campo- 
reale  a  Palermo,  1859. 

Buzzi  Giovanni  Luigi,  di  Milano.  Dante,  Statua.  Esposiz 
univ.  di  Filadelfia,  1876. 

CimletH  Andrea,  di  Palermo.  Dante  si  mostra  nello  sguard 
e  neir  attitudine  tutto  commosso  alla  prima  vista  al  primo  Bor 
riso  di  Beatrice.  Statua,  illustrata  da  Fr.  Dall' Ongaro.  Espos 
mil.  1872. 

Costali,  Statuetta. 

Dini  Emesto,  Dante  e  Beatrice  in  vicendevole  contempla 
zione.  —  Gruppetto. 

Dupró  G.,  Esposiz.  univ  di  Filadelfia,  1876.  —  È  il  Dani 
di  una  positura  semplice  e  grave,  austero  nel  giovanile  por 
lamento,  senza  accomodata  ricerca  di  pieghe,  quale  in  sommi 
poteva  essere  uno  sdegnoso  e  schietto  figlio  di  quel  secolo 
parco  di  parole  ma  profuso  di  magnanimi  fatti.  QueUa  fi-ont 
pensosa,  in  cui  forse  in  quel  momento  balena  Talto  concett 
della  Divina  Commedia,  ò' ferma,  come  l'anima,  è  sclu^ta 
sdegnosa  come  il  suo  cuore  —  1847.  -—  V.  Mondo  Illustrate 
27  marzo  1847,  p.  198. 

Nel  Trionfo  della  Croce. 

L'Alighieri  nel  mio  bassorilievo  non  doveva  mancare;  sì  perchè  cap 
de'  poeti  cristiani,  si  perchè  nella  Cantica  terza  del  suo  poema  ù  descriv 
il  trionfo  di  Cristo,  e  per  la  raccolta  di  questo  fratto  gira  (egli  dice)  og-i 

sfera  do'  cieli Credo  averti  detto  altre  volte,  che  spesso,  posando  g- 

scalpelli,  leffgo  la  Divina  Commedia.  Poni  mente;  l'Alighieri  sta  ivi,  no 
solo  invece  di  tutti  i  poeti  cristiani,  ma  di  tutta  la  cristiana  letteratura, 
meglio,  di  tutte  l' arti  cristiane  del  bello.  Li,  sotto  il  lacco  di  Dente  s' ascoi 
dono  i  poeti  e  gli  artisti;  sotto  l'ultimo  lembo  mi  ci  rimpiatto  anch'io.. 

Mi  piace  che  tu  abbia  elogiato  Dante  pensoso ,  non  arcigno  ; e  god 

altresì  tu  gli  abbia  mantenuto  le  fattezze  magre,  di  forte  rilievo,  semplic 
compunte,  quali  d'età  in  età  gli  sogliono  dare  pittori  e  scultori.  A.  Cont 
Giov.  Duprè  e  dell'Arte,  Dialogo  L  Cose  di  Storia  e  d'Arte,  p.  254. 

Ferravi  Luiffi,  Busto.  Nella  Pinacoteca  di  Vicenza,  1874 


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DANTE  E  LE  ARTI  BELLE.  97 

:ola,  da  Carrara,  Busto.  Espos.  mil.  1838. 
di  Bergamo,  Busto. 

di  Firenze,  Dante  Alighieri,  Statua.  Esposiz. 
a,  1876. 

io,  Medaglione  in  gesso,  donato  dall'Autore  al 
no.  Espos.  ven.  1865. 

'imo\  Dante,  Bassorilievo,  1810.  Di  commis- 
[ini  che  lo  collocò  nella  sua  villa  a  Mamoransi, 
sio. 

^ella  passeggiata  del  Pincio.  Fu  scolpito  nel 
irezione  del  Tadolini. 

)  circolare  del  diametro  di  9  1/2  sul  cui  centro 
con  ai  lati  due  togate  persone,  alle  tempia 
lonne,  coronate  di  peneia  fronda,  stanno  per 
Dna  che  hanno  nella  destra.  Son  essi  Dante  e 
facelle  dell'amor  loro  Beatrice  e  Laura.  »  — 
^useo  degli  awm  del  co.  Girolamo  Possenti  di 
437,  p.  20. 

bone  in  avorio,  rappresentante  in  tondo  Dante 
ce  con  la  Morte  che  li  congiunge.  Id,  al  n.  536. 
»antè  Alighieri,  busto  veduto  di  profilo,  piccola 
io  del  S.^  Angelo  Olivero,  cappellaio  in  Torino, 
Espos.  tor.  1844. 

jnì  con  l'effigie  di  Dante  e  di  Beatrice,  nel 
pollice  e  4  linee,  intagliati  nella  prima  metà 
castonati  in  un  cerchio  di  elegantissimo  lavoro 
Trovavasi  presso  il  co.  Rizzo  Pater ol  di  Ve- 
lara.  Memorie  sulla  Calcografia,  225. 
untissima  con  sopravi  i  ritratti  di  Dante  e  del 
^neva  al  card.  Bembo.  V.  Cicognara,  Memorie 
i,  84. 

idreperla.  Era  posseduto  dal  professor  Missirini. 
Roma.  Dal  suo  studio  uscirono  alcuni  episodi 
i  Divina  Commedia.  V.  Moroni,  Dizionario  di 
9. 

andrò,  Ritratto  di  Dante  in  Agata  onice  di 
I  il  rilievo  bianco.  —  Per  V  Elettore  Palatmo.  — 
^  le  Belle  Arti,  Roma,  Pagliarini,  i,  86. 

7 


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98  DANTB  B  LB  ARTI  BBLLB. 

MM*chant  Natale,  inglese,  Ritratto  di  Dante,  inciso  in  una 
gemma.  Per  Vittorio  Alfieri,  là.  50. 

Dupré  G.,  Beatrice,  Busto,  1847. 

Metti  Raimondo,  di  Firenze,  Beatrice,  Busto,  1876. 

Magni  Pietro,  Beatrice.  Statua. 

DIPINTI  E  DISEGNI 

RIGUARDANTI  LA  \1TA  DI  DANTE  ALIGHIERI 
CK.  Jfen.  Dant.  Il,  4M  «  75»/  tV,  IMJ. 

Morani  prof.  Yicenso,  dì  Napoli,  €  Accorgendomi  del  mio 
travagliare,  levai  gli  occhi  per  vedere  se  altri  mi  vedesse.  Allora 
vidi  una  gentil  donna,  giovane  e  bella  molto,  la  quale  da  una 
finestra  mi  riguardava  sì  pietosamente  quanto  alla  vista,  che 
tutta  la  pietà  pareva  in  lei  raccolta.  >  Vita  Nuova,  xxxvi.  — 
V.  Atti  deirAccad.  di  Bologna,  1863,  p.  5. 

ly Ancona  Vito,  Il  giovinetto  Dante  nel  di  che  Beatrice  lo 
saluta.  Ottenne  la  medaglia  d'oro  alla  Esposizione  Italiana  di 
Firenze  nel  1861  ;  è  posseduto  presentemente  dal  sig.  co.  Mi- 
chele Corinaldi  di  Padova. 

Bompiani  Roberto,  Dante  esule  sui  monti  appennini,  Scena 
verso  notte.  Schizzo  per  Album. 

De  Paris  Carlo,  Paesaggio  storico  rappresentante  T  esule 
Dante  Alighieri  che  dall'  alto  di  un  colle  guarda  Firenze  da  | 
lui  tanto  vilipesa  e  tanto  amata.  Espos.  1846.  | 

Podesti  Francesco,  U  incontro  di  Dante  con  jCastruodo  Ca- 
stracani negli  appennini.  Il  pensiero  fu  preso  dalla  cantica  di 
P.  Costa.  Bozzetto  ad  acquerello. 

Minardi  Tommaso,  Dante  ricoverato  noli'  ostello  di  Bosone. 
Bozzetto. 

Margarucci  prof,,  Dante  al  castello  di  ColmoUaro.  Di  prop, 
del  march.  Francesco  Raffiielli. 

Chialli  prof  Vicenzo,  Dante,  esule,  errante  nei  pacifici  chic-] 
stri  dell'Avellana,  in  cerca  dell'amico  Moncone.  Esposiz.  mil. 
1838.  V.  l'elogio  del  Pancrazi.  Pistoia,  Cino,  1842  e  la  Relaz* 
che  ne  fece  Giamb.  Brilli.  Pistoia,  Cino,  1838. 

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DANTB  E  LE  ABTI  BELLE.  99 

peregnrinando  entra  nel  convento  dei  monaci  Ago- 
3orvo  in  Lunigiana.  Frate  Ilario,  Priore,  che  solo 
conosceva,  dimandandogli  che  ricercasse,  e  da  quello 
ice,  gii  chiede  chi  sia  ;  Dante  si  nomina,  e  vedendo 
le  Frate  Ilario  scendere  a  luì  con  raro  affetto  e 
i  trae  dal  seno  un  libro  contenente  parte  della  Com- 
i  offre,  dicendogli  :  Frate,  ecco  parte  dell'  opera  mia, 
non  veduta.  Questa  ricordanza  ti  lascio,  non  ob- 
pittore  rappresenterà  il  gran  Poeta  sul  momento 
gd  Frate  il  libro.  >  —  Programma  di  concorso  ai 
li  di  pittm*a  dell'Accademia  di  Milano  per  il  1845. 
le,  napolitano.  Dante  a  Montecorvo. 
Tommaso,  Dante  nello  studio  di  Oderisi,  bozzetto. 

Dante  visitato  da  Giotto.  Dipinto  in  ta<rola.  Nel  pa- 

relli  di  Firenze. 

pittore  tedesco,  Dante  nello  studio  di  Giotto. 

it  Ercole,  Dante  ricevuto  dai  signori  Polentani  in 

W9. 

prof,  Andrea,  Dante,  in  casa  dei  Polenta,  legge  il 

ancesca. 

Vicenzo,  romano.  Dante  che  legge  a  Guido  Novello 

,   parte  dell'immortale  poema,  Bozzetto  a  colori. 

illa  co.  Borgia  Combo,  1857. 

Francesco,  Dante  allo  studio  di  Giotto,  in  una  sala 

ù  di  Ravenna.  Vien  ritratto  nel  punto  in  cui  Til- 

Bllino   avella  alla  domestica  con  Giotto,  e  gli  va 

a  narrazione  dei   fatti  descritti  nell*  Apocalisse.   Il 

<rendo  i  lumi  opportuni,  va  con  la  matita  segnando 
le  prime  linee  della  composizione  perchè  abbia  a 

pondente  ai  concetti  del  Poeta.   Le  pitture  furono 

)  da  Giotto  nella  chiesa  di  S.  Chiara  a  Napoli.  Il 

Podesti  è  in  Francia  presso  il  sig.  co.  de  Chateau- 

inciso  a  Milano  nell'Ape  italiana  T.  vin  dal  Met- 

disegno  del  Guglielmi:   fu  prima  inciso  a  tutts 

i  Fr.  Clerici.  V.  L' Ape  italiana  delle  Belle  Arti  di 

V,  p.  143. 

ich  Anselmo,  Dante  alla  corte  di  Guido  da  Polenta 

ione,  25  Marzo  1866,  n.  117. 


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100  DANTE  E   LE  ARTI  BELLE. 

Mazzia  Angelo  Maria,  prof,  di  disegno  neir Instituto  di 
Napoli,  Dante,  quadro  apocalittico.  —  «  Ei  scende  lieve  lieve 
dall'Eliso  dove  dimora,  non  sapresti  dire,  se  ombra  o  uomo 
certo,  illuminato  da  una  luce  spirituale  e  divina,  scende  tra  i 
bronchi  e  i  cardi  spinosi  di  questa  terra,  e  si  affisa  a  Roma, 
avvolta  ancora  nelle  tenebre  del  doppio  serraggio.  Ma  il  poeta 
che  lesse  nelle  pagine  del  destino  la  sorte  riserbata  all'Italia, 
guarda  codeste  ruine  collo  sguardo  sereno  e  fidente  di  chi 
prevede  un  più  bell'avvenire.  » 

TadoUni  Adamo,  bolognese.  «  Un  implacabile  destino,  di- 
cono i  biografi,  perseguitò  Dante  fin  nella  tomba.  Imperocché, 
avvenuta  la  cacciata  di  Guido  Novello  da  Ravenna,  i  suoi  ne- 
mici si  posero  in  animo  di  volerne  manomettere  e  profanare 
perfino  il  sepolcro.  E  diffatti  vi  fu  questione  se  il  corpo  del 
poeta  si  dovesse  disumare  e  consegnare  alle  fiamme,  mercè  il 
qual  misfatto  si  sarebbe  condotto  ad  effetto  l' odioso  decreto  di 
Firenze.  Ciò  fé'  nascere  al  Tadolini  il  pensiero  di  porre  in 
flcoltura  un  tal  fatto,  ma  compiutone  lo  schizzo  in  disegno,  si 
rimase  dall'  eseguirne  l' opera,  non  reggendogli  V  animo  di  rap- 
presentare un  tale  atto  sacrilego  che  disonora  T  Italia.  > 

Marianini  Annibale,  Francesco  da  Buti  che  legge  il  Dante 
nell'Ateneo  Pisano,  riaperto  per  cura  di  Bonifazio  Novello  della 
Gherardesca.  V.  Studi  inediti  di  Dante  Alighieri,  p.  125. 

ARTICOLI  CRITICI 

su  ALCUNI  SOGGETTI  ARTISTICI  DANTESCHI 
(V,  Man.  Dtmt,  IV,  a09J, 

Giotto.  Notizie  sopra  il  Ritratto  di  Dante  dipinto  da  Criotto. 
Strenna  Fiorentina,  a.  ii,  1844.  V.  Man.  Dant  ii,  388, 788;  iv,  47. 

Io  non  posso  non  pubblicare  la  lettera  che  sul  Ritratto  di 
Dante,  dipinto  da  Giotto,  indirizzava  ai  marchese  Capponi  T  in- 
signe Dantista  Michdangelo  Caetani,  Duca  di  Sermoneta. 

Pregiatiss,  Sig,  Marchese. 

Della  figura  di  Dante  AUighieri  ritratta  da  Giotto  nella 
Cappella  de' Priori  in  Firenze,  di  cui  Ella  si  è  compiaciuta 

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DANTE  E  LE  ARTI  BELLE.  101 

LO  che  io  vi  avessi  osservato,  debbo  narrarle  che 
ta  venne  discoperta  e  fu  pubblicata  in  stampa,  si 
con  un  fiore  nella  mano  destra  che  fu  cagione  di 
etazioni  che  da  molti  si  fecero  per  render  ragione 
ficato.  Il  professore  Pietro  Venturi,  mio  amicissimo 
più  diligenti  e  studiosi  delle  cose  dantesche,  cre- 
l  disegno  raffigurare  non  già  un  fiore  ma  bensì  le 
!be  tali  veramente  sembrano  que^due  pomi  appic- 

che  nella  stampa  pare  essere  in  mano  di  Dante. 

sottilmente  immaginare  che  tale  rappresentanza 
re  stata  &tta  dal  pittore  in  allusione  a  cosa  scrit- 
tica,  come  per  significare  la  teologia,  scienza  del- 
ìuantunque  più  conveniente  si  fosse  questa  inter- 
Ila  persona  di  Dante  ed  al  luogo  sagro  in  cui  ve- 
,  e  men  disdicevole  che  la  comune  spiegazione  che 
Duplice  fiore  come  postogli  in  mano  per  attributo 
»ri,  pure  non  seppi  confermarmi  a  credere  nulla 

a  che  io  visitato  non  avessi  T  originale  dipinto,  e 
*vata  la  cosa  sulla  foccia  del  luogo.  Ciò  non  mi 
che  nell'anno  1844,  e  che  avendo  potuto  per  pochi 
mi  in  Firenze  fui  tosto  a  visitare  con  grandissima 
»ta  preziosa  reliquia  dell'  arte,  nella  quale  ò  doppio 
osiderando  V  operante  e  T  operato  che  rappresenta, 
tto  dair  eruditissimo  mio  amico  S.'  Luigi  Passerini, 
vorirmi  di  sua  dotta  e  cara  compagnia.  Siccome 
o  nella  Cappella  de*  Priori,  e  a  rimpetto  dell'  ima- 
ighieri 

qfuasi  peregrio,  che  si  ricrea 

Nel  tempio  del  suo  voto  rigaardando, 
E  spera  già  ridir  com*  elio  atea. 

Kicorrenza  di  molta  osservazione  come  la  cosa  si 
la  destra  di  Dante  sparire  il  fiore  e  le  melegrane, 
che  male  veniva  espresso  in  quella  stampa  già  da 
DÒ  più  far  duopo  d'interpretazione  e  di  allegorie 
In  questo  dipinto  adimque  è  rappresentato  tra  le 
e  le  quali  si  approssimano  al  luogo  ov'  essef  dovea 
'imagine  a  cui  la  Cappella  era  dedicata,  compera 
ittnre  de'  sagri  luoghi  a'  que'  tempi.  Alla  diritta  poi 


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102  DANTB  B  LK  ARTI  BELLE. 

dell^Àlighieri,  un  poco  a  lui  innanzi,  vi  ò  ritratta  altra  persona, 
la  quale  è  ancor  meno  conservata,  e  su  questa  campe^ia  la 
mano  diritta  di  Dante  in  atto  raccolto  e  alquanto  socchiusa, 
e  precisamente  sulla  veste  rabescata  a  fiori  o  melagrane  che 
a  detta  seconda  figura  si  appartiene,  e  tale  ornato  di  veste 
e  tessuto  con  detti  fiori  di  bianco  sopra  fondo  rosso  che  og- 
gimai  è  quasi  svanito.  I  danni  del  tempo  hanno  alquanto  con- 
fuso i  vari  piani  in  cui  sono  espresse  le  figure  dal  pittore,  che 
in  quella  al  di  là  di  Dante  volle  far  mostra  di  più  vago  vesti- 
mento e  degno  di  gran  cittadino,  e  quale  forse  può  esser  stato 
messer  Corso  Donati,  di  cui  fa  menzione  il  Vasari,  se  mai 
piacesse  ad  alcuno  andar  indovinando  da  questi  leggeri  indizj. 
A  me  basta  Taver  osservato  come  stesse  l'opera  veramente, 
e  soprattuto  la  soavissima  espressione  del  viso  deirAllighierì, 
quale  era  stato  da  vivo  realmente  ritratto  dal  suo  Giotto,  e 
quale  esser  dovea  la  sembianza  del  cantore  della  celeste  Bea- 
trice, ben  diversa  da  quella  figura  accigliata  e  severa  che  si 
finse  di  lui  tanto  più  tardi  dall'arte  del  XVI  secolo. 

Ecco,  signor  Marchese  pregiatissimo,  quanto  io  posso  dirle 
intorno  a  questo  soggetto,  che  finché  durerà  a  dispetto  delle 
ingiurie  del  tempo  potrà  mostrarsi  a  ciascuno  per  testimoniare 
se  io  abbia  veduto  il  vero  in  ciò  che  le  ho  narrato. 

Con  questo  mi  abbia  sempre  con  tutta  stima  ed  ossequio 
per  suo 

Di  Roma,  ai  15  di  Maggio  1855. 

«  La  lettura  della  sua  lettera,  scrivevagli  Gaetano  Trevisani, 
(9  aprile  1859)  mi  è  riuscita  gustosissima,...  per  le  cose  os- 
servate intorno  alla  rosa  posta  in  mano  a  Dante  nel  ritratto 
di  Giotto.  Mi  paiono  cose  si  vere  che,  se  fosse  lecita  la  ma- 
raviglia, mi  maraviglierei  dell'ostinazione  di  chi,  non  ostante 
a  tali  osservazioni,  ha  voluto  ritener  quella  rosa,  e,  che  peggio 
è,  farne  argomento  di  commenti  ;  è  il  caso  del  dente  d' oro  ! ...  » 

Flaxman  Giovanni.  —  Delle  differenze  tra  le  arti  parlate  e  le 
rappresentative;  e  della  Divina  Commedia  figurata  dal  Flax^ 
man.  Lezione  di  Francesco  Ambrosoli.  (Scritti  letterari  editi 
ed  inediti,  voi.  i,  pag.  389-402).  V.  Man.  Dant  ii,  373;  iv,  86. 

In  questa  Lezione  l' Ambrosoli  non  prende  ad  esaminare  tutti 
i  disegni  del  Flaxman,  ma  tre  solamente.  Il  primo  corrisponde^ 


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DANTE  B  LE  ARTI  BELLE.  103 

dici  terzine  del  canto  xni  delT  Inferno  :  il  secondo 
)na  del  canto  xni  del  Purgatorio:  il  terzo  alle 
L  e  undecima  del  canto  vii  del  Purgatorio. 

primo  disegno  TAmbrosoli  disapprova  che  il 
Tonchi  degli  alberi  abbia  fatto  apparire  più  o 
ni  di  umane  figure,  e  che  in  quello  a  cui  Dante  e 

0  intomo  abbia  rappresentato  assai  chiaramente 
per  dolore  si  accoscia,  e  solleva  al  tempo  stesso 
n  tanto  tramutate  in  rami,  che  non  conservino 
imitiva  figura^  e  che  nel  mezzo  di  questi  rami, 
accia,  sia  evidente  la  testa  di  un  uomo  in  gran 
imente  osserva  che  ogni  forma  d'uomo  visibile 
$,  dovendo  apparire  visibile  anche  a  colui  che 
toglie  ogni  effetto  di  questa  poetica  imaginazione, 
ebbe  per  avventura  scusarsi  dicendo  che,  se  non 
ella  sua  invenzione,  gli  sarebbe  stato  impossibile 
rdanti  Tidea  di  un  albero  animato  e  parlante, 
ponde  TAmbrosoli  air  obiezione);  ma  sarà  vero 
poesia  è  qui  grande  e  di  grande  effetto,  benché 
di  essere  convertita  in  imagine  per  lo  sguardo. 

ebbe  potuto  accostarsi  un  po'  meglio  alla  poesia, 
si  fosse  attenuto  alle  due  terzine  seguenti.  Perchè 

1  del  sangue  fuor  delle  schegge;  Virgilio  in  atto 
parola  o  voce  qualunque  che  uscisse  dall'albero  ; 
il  pentimento  e  il  terrore  si  lascia  cader  di  mano 

lai  luogo  dove  il  sangue  prodigiosamente  ribolle: 
mestizia  che  un  buon  pittore  può  diffondere 
1  bosco  :  tutto  questo  potrebbe,  se  non  esprimere 
ilmeno  in  parte  accostarsi  all'idea  del  poeta, 
ili  biasima  poi  il  Flaxman  di  averci  messo  dinanzi 
)  a  viva  forza  schianta  un  ramo  picciolo  si,  ma 
cogliersi  o  troncarsi  con  una  mano;  mentre  nel 
:  AUor  porsi  la  mano  un  poco  avante  —  E  colsi 
da  un  gran  pruno  — ;  e  aggiunge  che  quella 
>ia  con  la  quale  si  vede  schiantare  il  ramo  è  con- 
enzione  dell'  autore. 

secondo  disegno,  sotto  del  quale  è  scritta  la  ter- 

<3^to  xui  del  Purgatorio,  ecco  le  riflessioni  del- 

rediamo  rappresentati  i  due  poeti  solinghi  in  un 


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104  DANTE  B  LB  ARTI  BBLLB. 

luogo  deserto,  e  sovr^essi  neiralto,  come  portati  dalle  nubi,  àui 
giovani  ignudi,  senz*ali,  che  attraTersano  Varia.  Virgilio  ts 
innanzi  pensoso:  Dante  8*è  fermato,  e  s* affissa  col  volto  ii 
que* giovani.  Io  dico:  si  affìssa  in  que' giovani;  è  così  direbbe 
chiunque  vedesse  il  disegno:  e  par  naturale  che  Tuomo  s 
fermi  attonito  a  tanto  prodigio  qual  è  quello  di  corpi  umani 
volanti  pel  vano  dell*  aere  senz*  avere  alcun  indizio  o  d*ale  i 
d'altro,  che  ci  &ccia  riconoscere  in  loro  esseri  non  soggett 
alle  leggi  della  materia.  Ma  sotto  al  disegno  sono  scrìtti  i  vers 
del  testo:  E  verso  noi  venir  furon  sentiti.  —  Non  però  visti 
spii  iti,  parlando  —  Alla  mensa  d' amor  cortesi  inviti.  —  ÀUon 
noi  ci  accorgiamo  che  Dante  non  guarda,  ma  ascolta;  e  rìcor 
dandoci  di  quella  stupenda  invenzione  deirAUighieri ,  il  qual^ 
iraaginò  che,  a  purgare  intieramente  le  anime  dair invidia 
volassero  per  V  aria  spiriti  non  rednti  che  proferivan  sentenzi 
e  consigli  di  carità  e  d* amore,  non  possiamo  trattenerci  da 
condannare  F  artista  che  volle  costrìngere  la  sua  arte  a  quelli 
che  non  le  ò  dato  di  &re.  Qui  veramente  sarebbe  a  propositi 
quel  verso  dell' Arìosto  nel  Negromante:  Come  si  può  veder 
se  va  invisibile  f 

Quanto  al  terzo  disegno,  TAmbrosoli  riconosce  che  sarebb 
difficile  imaginare  o  disporre  con  più  bel  garbo  di  quello  ch( 
abbia  &tto  il  Flaxman  una  moltitudine  di  bambini  graziosamenti 
atteggiati  e  aggruppati  amorevolmente  fra  loro;  i  quaU  tuli 
fendono  l'aere  quasi  volando.  Alcuni  dinanzi  e  già  molto  di 
Inngati  nel  vano,  coi  loro  gesti  in&ntili  mostrano  che  li  rall^^ 
e  li  alletti  la  vista  di  qualche  oggetto  che  non  apparisce  all< 
spettatore;  gli  ultimi  invece  si  stringono  fra  loro  come  coK 
da  gran  timore,  e  par  che  s*affirettino  di  raggiungere  gli  altri 
Ma  dietro  a  quegli  innocenti  il  Flaxman  effigiò  la  Morte  li 
tutta  quella  deformità  che  i  primi  artisti  crìstiani  le  hanno  dats 
La  persona  del  brutto  fentasima  è  coperta  e  tolta  allo  sguardi 
da  una  specie  di  nebbia;  ma  si  vedono  il  teschio  e  una  man< 
scarna  ed  unghiuta.  Le  occhiaie  son  vuote;  le  nari  sono  coi 
rose;  non  vi  è  pure  la  pelle  sulle  ossa:  ma  nella  bocca  spalancai 
è  una  doppia  fila  di  denti  con  singolare  apparenza  di  robustezzi 
e  significazione  ancor  più  evidente  di  rabbia.  E  ciò  è  riproTat 
dall' Ambrosoli.  All'aspetto  di  questo  mostro,  dinanzi  al  qual 
fugge  attonita  quella  moltitudine  di  pargoletti,  nò  tanto  pn 


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DANTB  E  IJB  ARTI  BBLLB.  105 

g^U  ultimi  non  abbiano  ancora  i  piccioli  piedi 

▼ano  dell'immensa  bocca;  a  tale  aspetto  (dice 
10  professore)  noi  domandiamo:  qual  colpa  ò 

punita  in  quelle  anime,  il  cui  soggiorno  nel 
ito  esser  si  bre?e?  Cercando  poi  nel  poema  i 
lenti  a  questo  disegno,  troviamo  che  Virgilio 
il  Purgatorio  dice  al  suo  concittadino  Sordello  : 
,  non  tristo  da  martiri,  —  Ma  di  tenebre  soloj 
~  Non  suonan  come  guai,  ma  son  sospiri.  — 
parroli  innocenti  —  Da*  denti  morsi  della  Morte, 
fosser  dall'umana  colpa  esenti.  —  E  quindi  ci 

il  Flazman  ò  caduto  nell'  errore  di  considerare 
ncipale  dell'idea  una  metafora,  della  quale  il 
1  esprimerla.  I  denti  della  Morte,  nel  linguaggio 
^no  altro  che  la  morte  stessa:  il  concetto  del- 
risguarda  il  modo  di  morire,  ma  la  condizione 
ino  nel  limbo;  e  questa  condizione  tutta  nega- 
I,  senza  martiri,  senza  guai)  non  poteva  esser 
arti  rappresentative. 

i  crede  che  l'opera  del  Flaxman  debba  essere 
le  una  traduzione;  e  stima  censurabile  il  divi- 
nata. Dai  grandi  poeti  (egli  scrive  sapientemente) 
ire  molte  belle  imaginazioni  per  le  arti  rappre- 
)ropor8Ì  di  trame  le  imagini  belle  e  fatte  è  un 
ì.  V  arte,  un  supporre  che  la  diversità  dei  mezzi 

quali  cotesti  mezzi  son  destinati  a  fare  impres- 
>ano  entrare  nelle  considerazioni  dell'artista. .... 
),  se  avesse  dovuto  disegnare  o  scolpire,  avrebbe 
:he  delle  idee  che  noi  ammiriamo  nel  suo  poema; 
o  di  trasformarle  in  imagini,  le  avrebbe  vedute 
e,  e  pigliar  tal  figura  da  produrre  un  effetto 
Ho  eh'  egli  desiderava  ;  e  qualche  volta  eziandio 
vata  l'idea,  e  rifiutati  alcuni  accessorii  che  andò 
arcando  ;  perchò  avrebbe  trovato  che,  sottoposto 

concetto  principale,  potea  diventare  efficace  di 
senza  il  corredo  o  il  soccorso  di  queste  parti 

>RÈ.  —  Róndani  Alberto,  Scritti  d'Arte.  Parma, 
141-148  (V.  Man,  DanU  ii,  383;  iv,  178,  185), 


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106  DiLNTB  E  LE  ARTI  BELLE. 

ScARABCUZZA  Fràngbsoo.  —  ScarabelU  Luciano,  Confron4 
critici  instiiuiti  alle  illustrazioni  figurative  della  Divina  Conu 
media  dagU  arHsti  Dorè  e  Scaramuzza,  Piacenza,  Tedeschi, 
1874,  in  8**,  di  p.  220.  —  Voi.  3  pubblicati  da  Giorgio  Simonai 
edit.  delle  Illustrazioni  sulla  Divina  Comedia  del  prof.  Sca^ 
ramuzza.  Locamo,  Svizzera,  1875-76. 

«  Lo  Scarabelli,  per  le  illustrazioni   date  al  solo  Inferno 
dantesco  dal  Dorò  e  dallo  Scaramuzza,  ha  fatto  i  confironti  cri- 
tici  in  un  voi.  forte  di  220  pag.  in  8^;  più  letterarìi  e  storici, 
è  vero,  che  tecnicamente  artistici;  tuttavia,  se  gli  artisti  li 
credono  un  lavoro  letterario  maggiore  che  non  sia,  e  i  letterati 
un  grandioso  lavoro  di  critica  artistica,  sono  sempre  una  nobile 
fatica,  e  scrittura  che  può  aprire  larghi  e  nuovi  orizzonti    ai 
cultori  della  pittura;  massime  per  le  parti  in  cui  V  autore  spazia 
nelle  regioni  della  filosofia  dell'arte;  e  per  ciò  che  riguarda 
i  fatti  storici  lascia  sfidati  coloro,  che,  dopo  lui,  volessero  ten- 
tare un  comento  storico-letterario  alle  illustrazioni  di  quei  due 
pittori.  »  A.  Róndani,  Scritti  d'arte  139.  —  Mentre  il  €  Dorè 
non  ci  dà  in  generale  che  i  passaggi,  quasi  direi  il  teatro  ma 
senza  azione,  lo  Scaramuzza  dipinge  invece  nella  forma  la  più 
eccellente  e  la  più  vera  le  scene,  traduce  fedelmente  il  linguaggio 
del  Poeta  nel  linguaggio  dell'Artista  in  modo  da  ra(4re  chiunque 
mira  i  suoi  disegni,  quand'  anche  non  perito  nel  giudicare  del- 
Teccellenza  di  opere  d'arte.  >  Prof.  Scartazzini,  il  Borghini,  iu,62. 

ScARABCUZZA  Francbsoo.  Róndani  A.  La  mostra  delle  illu- 
strazioni date  all'Inferno  e  al  Purgatorio  danteschi.  Scritti 
d'arte,  Parma,  Grazioli,  1874,  12^247.  —  I  tre  regni  danteschi 
nell'arte,  l'Inferno  e  il  Purgatorio,  Nuova  Antologia,  giugno, 
1876,  p.  276-291,  —  Il  Paradiso,  id.  Luglio,  517-653. 

Il  S.^  Róndani  è  innamoratissimo  del  suo  artista.  Ei  non 
si  rista  dal  vagheggiarne  i  lavori,  ed  una  fiata  ed  una  si  ritoma, 
e  sempre  vi  scuopre  nuove  bellezze,  nuove  psurticolarità,  nuove 
avvedutezze,  e  ne  fa  una  minutissima  anaUsi  con  fine  gusto, 
con  molta  dottrina  e  con  intelletto  di  amore.  !•  ne  lessi  e  ri- 
lessi quegli  scritti,  e  sempre  con  crescente  piacere.  «  È  visi- 
tando questa  mostra  meravigliosa,  scriv'  egli,  che  si  vede  come 
debbono  essere  rappresentati  i  r^ni  danteschi  nell'  arte,  perchè 
i  pensieri  del  poeta  sian  fatti  ancor  più  completi  e  sensibili, 
e  siano  dispiegate  alcune  delle  sue  possenti  sintesi,  dispiegate 


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DANTB  B  LE  ARTI  BELLE.  107 

rat  r  analisi,  eh* è  propria  dell*  arte  del  disegno,  in  modo  che 
il  esse  sia  csTato  tutto  o  gran  parte  del  sottinteso,  e  significato 
^  forme  che  siano  armoniche  con  quello  che  il  poeta  espresse 
ecn  brevità  oosl  comprensiva  e  cosi  indocile  k  esser  tradotta 
Del  ling:i]aggio  dell*  arte.  É  finalmente  con  qualche  osservazione 
e  considerazione  facilissime  che  si  può  vedere  quanto  è  andata 
crescendo  nell* artista  la  fecondità  della  fieintasia  e  la  perizia 
:€C3iica  durante  il  lavoro  del  comporre  e  del  finire,  cosi  che 
l'i  dove  altri  avrebbe  sentito  mancar  la  lena  e  si  sarebbe 
sr  aorato  per  la  crescente  sterilità  dell*  argomento,  là  invece  lo 
Scaramuzza  s*  è  levato  al  disopra  d*  ogni  difficoltà,  ha  fecondato 
jya  l'immaginazione  sua  e  la  sua  dottrina  il  soggetto  ribelle 
DeQ'arte,  ne  ha  cavato,  insomma,  quanto  e* era  di  artistico 
Tìvificandolo,  ampliandolo,  vestendolo  delle  piii  belle  forme  e 
«iéi  più  belli  efietti  che  abbia  data  la  sua  penna  taumaturgica. 
£  oggi  chi  vede  le  illustrazioni  del  Paradiso  può  anche  credere 
che  la  terza  cantica  la  sia  più  &cilmente  illustrabile.  Ma,  in 
tealtà  destre  regni,  il  men  difficile  a  essere  ritratto  nell'arte 
-  r Infirmo;  il  più  difficile  il  Paradiso.  A  trovare  e  scegliere 
argomenti  per  quadri  nella  terza  cantica  ci  vuol  più  studio, 
più  criterio,  più  intuizione  ;  a  rappresentarli  quali  sono  in  Dante, 
4  vuol  più  sforzo  e  intelletto  e  sentimento  sincero  della  prima 
arte  cristiana;  a  farli  piacere  ci  vuole  un  contemperamento 
5apientemente  misurato,  equilibrato  dell*  antica  arte  religiosa 
col  gusto  moderno  tutto  amore  pel  vero,  un  contemperamento 
che  pare  impoesibile  in  quadri  di  soggetto  religioso  e  illustra- 
tin  d*una  poesia  trecentista  e  cattolicissima.  Lo  Scaramuzza 
ha  &tto  il  miracolo  di  trovarlo  e  mostrarlo  con  un*  arte  che 
non  si  acopre.,...  Già  questi  disegni,  conchiude  il  Ròndani, 
restano  per  so  monumento  immortale:  sono  opera  unica  al 
mondo,  come  cosa  d*arte,  mentre  sono,  per  la  filosofia  e  il 
sentimento  che  li  anima,  altrettante  pagine  della  Divina  Com- 
media, perchè  qui  lo  Scaramuzza  ò  stato  veramente  il  medium 
del  poeta.  >  —  V.  Róndani,  Ariisies  Italiens,  UArt.  Revue 
hebdomadaireillustróe;  Bohnida  Eugenio,  F.  Scaramuzza,  nel 
Cittadino  di  Trieste. 

Seartazsini  G.  A.,  Illustrazioni  dello  Scaramuzza.  Nella 

AUgemeine  Zeitung  di  Augusta,  supplemento  n.  201  del  19 
logHo,  p.  3089-3091. 


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108 


DANTE   E   LA  MUSICA 

CV,  Man.  Dwt.  II,  M»  «  8t$;  IV.  tM). 


Baldacchini  Saverio,  Contenti  di  alcuni  luoghi  della  D 
vina  Comedia  che  si  riferiscono  alla  musica,  discorso  di  Elst^ 
tica  Musicale.  —  Società  Reale  di  Napoli,  Rendiconto  del) 
tornate  e  dei  lavori  deirAccademia  di  Scienze  Morali  e  Politiche 
a.  VII,  febbraio,  marzo  ed  aprile  1868.  Napoli,  Tip.  R.  Uni 
versità,  p.  21. 

Arrecati  testualmente  tutti  queMuoghi  della  Divina  Cozzi 
media  che  si  riferiscono  a  musica,  e  corredatili  di  opportua 
dichiarazioni ,  il  Baldacchini  s*  accinge  a  fermar  qua*  veri  e 
estetica  musicale  che  si  trovano  sparsi  per  entro.  E  prima 
mente.  Dante  vuole  che  T  accompagnamento  del  suono  seguii 
e  secondi  il  canto  per  guisa  che  questo  sempre  se  ne  vantaggi 
Di  poi  se  ne  raccoglie  anche  questo  bellissimo  documento,  eh 
il  magistero  per  lui  sovrano  dell'arte  stia  in  questo,  ch^ell^ 
Farte,  debba  nasconder  so  stessa:  precetto  che  il  Tasso,  for^ 
alquanto  meno  poeticamente,  espresse  nel  verso:  L'arte  che  tutti 
fa  nuUa  ci  scopre.  La  dottrina  soverchia,  col  suo  tecnicismo,  noi 
deve  troppo  occupare  il  lavoro;  né  deve  troppo  apparire,  o  megli* 
mostrarsi  con  le  sue  forme  scolastiche.  —  Una  melode  Ch 
mi  rapiva,  senza  intender  l'inno,  cantava  T Alighieri,  anch 
senza  intenderlo,  diletta  udirlo.  Questa  ò  la  parte  di  dottrini 
riposta  in  quel  verso.  Su  questo  autore,  dice  il  Baldacchini 
ogni  parola  è  da  meditai*e  che  ninna  vi  è  posta  a  caso.  M 
della  dolcezza  che  si  sente  nell'  anima,  per  virtù  della  musica 
ninno  meglio  di  Dante  e  più  poeticamente  seppe  parlare;  se- 
gnatamente nel  canto  di  Casella,  dove  se  per  avventura  è  minoi 
la  dottrina  racchiusa,  molto  maggiore  è  il  diietto  della  poesia 
Questi  sono  i  principii  di  estetica  musicale  esposti  nel  poems 
sacro:  brevi  di  numero,  ma  di  tale  utilità  ed  importanza  pei 
Tarte  che  non  ò  menomamente  da  rivocare  in  dubbio. 

Dante,  il  sublime  Dante,  estetico  profondo,  cerca  co\ 

suoni  rendere  F  effetto  della  luce  e  del  colore.  Esempi  tratti 


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^  DANTE  E  LA  MUSICA.  109 

iaSa  Dwina  Commedia.  Nel  suo  Discorso  la  Pittura  e  la  Mu- 
tn  poste  in  relazione  tra  loro.  Rendiconto  delle  tornate  e  dei 
brori  della  R.  Accad.  di  Scienze  Morali  e  Politiche  di  Napoli, 
t  V.  aprile  e  maggio  1866,  p.  51. 

Gioberti  Vicbnzo  ,  Mtisica  della  poesia  di  Dante,  Il  Pri- 
llato, p.  478. 


Maestro  Bozzato,  genovese,  Le  Illustrazioni  della  Divina 
Commedia,  eseguite  il  di  11  decembre  1875  nel  teatro  Castelli 
a  Milano, 

Applaudito  il  preludio  sinfònico:  la  prima  parte,  secondo 
u  Pungolo,  manda  tratto  tratto  spruzzi  di  luce,  ma  il  sistema, 
idottato  dal  Bozzano,  di  spargere  i  versi  e  di  &rne  una  specie 
li  dialogo  musicale,  di  dividere  e  suddividere  le  potenti  e  su- 
i^mi  descrizioni  dantesche  in  duetti,  in  terzetti,  in  cori  non 
\  certo  il  miglior  modo  di  rendere  in  tutta  la  sua  maestosa 
trandiosità  il  divino  poema.  Il  Pungolo  cita  al  proposito  ciò 
^he  scrisse  il  Rossini  al  maestro  Pedroni,  quando  seppe  che 
Donizzetti  aveva  tolto  a  musicare  il  canto  del  co.  Ugolino.  «  Ho 
adito  che  a  Donizzetti  è  venuta  la  malinconia  di  mettere  in 
CDusìca  un  canto  di  Dante.  Mi  pare  questo  troppo  orgoglio. 
In  un*  impresa  credo  simile  che  non  riuscirebbe  il  Padre  Eterno, 
ammesso  che  questi  fosse  maestro  di  musica.  » 


ARTISTI   DECLAMATORI 

DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 


«  Tutti  V  ammiran,  tutti  onor  gli  fanno,  scriveva  il  Leoni, 
ùccome  al  creatore  della  lingua,  air  iniziatore  del  pensier  na- 
zionale, al  Giano  bifronte,  che,  sintetizzato  il  medio-evo,  dischiuse 

h  via  ai  tempi  nuovi E  non  ultima  l'Arte  Drammatica 

porse  il  suo  tributo  alla  memoria  di  quel  sommo,  il  cui  Poema 
tripartito,  unico  nell'azione,  e  contesto  d'innumerevoli  scene, 
è  certo  il  più  grandioso  e  perfetto  dramma  che  mente  umana 
[iossa  immaginare.  > 


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110  ARTISTI  DBCLàMATORI 

Gustavo  Modena  (1),  imaginò  e  creò  primo  la  siupeoda 
tazione  del  Dante.  Da  che  la  nuova  potenza  ch'ei  trasfoi 
nel  verso  dantesco,  e  la  perspicuità  vocale  e  mimica  od 
fìicea  lucido  e  popolare,  e  chiari  ogni  concetto,  ogni  frase 
rerà  perenne  in  chi  Tudi.  Si  piangeva  quand'egli  con  ( 
sua  inspirata  avella  e  modi  e  voce  vi  trasportava  nei  dis] 
dolori  di  Francesca  e  di  Ugolino!  Nessun  ciglio  rimi 
asciutto.  E  quando  la  prima  volta  in  Venezia,  1840,  nel  1 
S.  Benedetto,  io  lo  udii,  chiesi  a  me  stesso  qual  mai  altr 
tenza  di  uomo  potesse  in  si  terribile  modo  risuscitare 
vivi  e  presenti  casi  e  parole,  che  per  esser  nella  memoi 
tutti,  pareano  per  antichità  fatti  volgari.  (Leoni,  Dell'Arie 
Teatro  di  Padova,  p,  56). 

E  il  Cleoni  :  —  Chi  ascoltò  Modena  sere  fa  nel  teatro  ( 
gennes  (8  sett.  1846)  non  meditò  ma  sentì  le  bellezze  dell 
vina  Commedia  (Inf.  in,  vi,  viii,  xxv):  ed  Alighieri  fu  nuov 
tutti  quelli  che  Taveano  letto  e  riletto  coi  commentatoi 
mano,  e  fu  direi  quasi  famigliare  a  quelle  vergini  menti 
per  virtìi  della  declamazione  s*  innalzarono  al  poeta  e  s' imi 
simarono  col  vero  delle  cose  eh'  egli  descrive.  La  difiìcoltà 
nel  mostrare  che  Dante  avea  sentito  e  parlato  un  vepo,  che 
posti  nella  condizione  di  lui  devono  sentira,  benché  sia  quel 
in  un  ordine  d'idee  strano  e  meraviglioso.  Il  Modena  : 
pienamente  a  vincere  quelle  difficoltà.  //  Mondo  lUus 
n.^  di  Saggio,  19  settembre  1846. 

E  da  ultimo  il  Dall'Ongaro:  —  L'insigne  attore,  Gu 
Modena,  fu  il  primo  a  declamare  la  Divina  Commedia  in 
e  fuori;  senza  l'esempio  del  quale  nessuno,  io  credo, 
attori  viventi  avrebbe  osato  tentarne  la  prova.  La  scelti 
portuna  dei  passi,  V  azione  pura  e  sapiente,  eh'  era  suo  p 
principalissimo ,  diedero  all'antico  poema  tanta  efficaci 
pubblico  italiano  e  straniero,  che  si  potè  di  fé  Dante  non 
mai  avuto  interprete  e  miglior  comento  di  quello Il 

(1)  E  C.  Leoni  in  onore  del  grande  artista  dettava  la  seguente  iscri 
—  Studio  e  natura  diedero  a  Italia  —  Gustavo  Modena  —  suprt 
vestire  e  trasfondere  —  gli  umani  affetti  —  inarrivabile  a  scolp 
l'ardua  nota  dantesca  —  e  dar  viva  la  vita  de' grandi  — immort, 
fattici  plausi  sdegnando  —  pari  in  amor  pi'oprio  ed  arte  —  con 
sudata  cura  —  sodando  il  suo  al  nome  di  Talma  —  la  corrotta 
civilmente  —  rialzò.  —  Se  l'opera  del  genio  pere  — dura  la  fama 
l'Arte  e  del  Teatro,  p.  61. 

Digitized  by  V^OOQlC 


DBLLA   DIVINA  COBOfBDIA.  Ili 

che  quello  che  non  sa  leggere,  intese  per  la 
>mmo  poeta,  e  seppe  la  storia  di  Bonifazio,  di 
lata,  e  pianse  e  fremette,  e  imprecò  col  poeta 
antiche  e  non  ancora  rimarginate  piaghe  dMtalia. 
iracolo,  e  chi  suole  indagare  le  cause  de'  &tti 
olmente  quanta  parte  avessero  le  rappresene 
»  del  Modena,  neir unanime  plauso,  onde  fu 
enze  la  festa  secolare  di  Dante.  Dal  Modena, 
commentatori,  apprese  molta  parte  del  nostro 
)  nel  poeta  de'  tre  regni  oltremondani,  il  primo 
)  della  nostra  unità  nazionale,  e  della  indi- 
:er  civile  dalle  usurpazioni  papali.  In  questo, 
»lle  sue  recite,  il  Modena  pose  veramente  V  arte 
iviltà,  il  bello  a  servizio  del  vero.  Gazz,  Uff, 
igUo  1865,  n.  170. 

occasione  delle  feste  del  Centenario,  udimmo 
istralmente  dalla  Ristori  la  Francesca  e  il 
)lla  Pia  e  della  beatitudine  di  Piccarda;  dal 
canto  deir Inferno  e  T Ugolino;  dal  Rossi  il 
a  trasformazione  di  uomini  in  serpi,  e  di  serpi 
e  tanto  si  piaceva  il  Modena;  dal  Gattinelli 
xiaguida  contro  1  suoi  concittadini  e  le  im- 
pietro contro  i  suoi  successori.  —  li  Rossi 
nirabilmente  la  Divina  Commedia  neirAmerica 
Salvini  in  Ispagna,  e  segnatamente  a  Bar- 


romei  SUI  tempi  di  dante 

(V,  Man,  Da$U.  U.  Né;  IV.  tiZ). 

Saverio,  Jyél  valore  storico  della  Divina  Com- 
ni  Prose,  Voi.  ii,  p.  79-109.  Napoli,  Tip.  del 

on  creò  il  nostro  linguaggio,  che  antico  era 
raneo  in  gran  parte  al  latino.  L'Alighieri,  e 
,  riconobbe  Tidea  altissima,  che  latente  era 
lo  e  da  esso  esprimere  si  doveva:  con  che  il 


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112  STUDI  STORia  SUI  TEMPI  DI  DANTE. 

sublimò,  facendolo  divenire  come  un*  intera  interpretazione,  a 
una  forma  fedelissima  di  quella  idea.  Per  lui  il  genio  etru 
e  il  latino  si  pacificarono,  e  la  poesia  divenne  non  più  ca^ 
laresca,  come  piaceva  ai  signori  de'  feudi,  ma  civile ,  quale 
conveniva  agli  uomini  de' municipi!  risorti.  E  T  amore  non 
più  cosa  solo  di  fantasia  o  di  sensi  :  ma  come  una  conciliazio 
secondo  la  sentenza  della  Diotima  del  Convivio  platonico, 
r  intelletto  che  illumina,  ed  il  cuore  che  a  que'  vivi  raggi  chi( 
scaldarsi.  Il  poema  fu,  ed  essere  dovea,  eminentemente  cattoli 
perchè  significare  dovea  i  convincimenti  profondi  della  nazic 
1  quali  nell'epica  poesia  necessariamente  si  debbono  congi 
gere  e  congiungonsi  col  vate.  —  Tutto  il  medio  evo  in  e 
infuturasi,  acquistato  avendo  coscienza  dell'esser  suo,  e  d< 
trasformazioni  che  ha  a  subire.  —  Oltreché  la  Divina  Comme< 
sendo  in  certa  guisa  la  latinità  sotto  nuove  forme  risorta 
vincitrice  del -germanismo  e  del  gotticismo,  come  quella 
tiene  del  genio  latino,  ha  ad  essere  storica.  Che  la  p04 
de'  prischi  Romani  fosse  storica  è  cosa  risaputa  da  chi  si  { 
fonda  nelle  antichità  più  lontane  dell'  eterna  città.  —  La  Di\ 
Commedia  è  moltisensa,  e  come  non  sarebbe  storica?  La  p£ 
storica,  la  quale  si  trova  in  essa,  necessariamente  vi  si  ha  i 
vare,  i  grandi  uomini  come  Dante  non  separandosi  dall' £ 
biente  in  cui  vivono,  senza  che  per  questo  si  tengano  dal  sa 
alla  più  sublime  e  pura  contemplazione,  desiderosi  d' un  p 
cipio  armonico  d' ordine.  —  Nel  nostro  Alighieri,  quando  an 
la  terra  è  veduta  dal  cielo,  cangiandosi  l'ordinaria  prospett 
r  uomo  persiste  accanto  al  divino,  e  il  tempo  accanto  all'etei 
Cosi  Dante  potè  fortemente  operare  sui  nostri  animi,  e  lasci 
un'  orma  durabile  non  solo  in  poesia,  ma  nella  prosa  del  A; 
chiavelli  e  del  Davanzati,  e  nelle  tele  e  ne'  marmi  di  Leona 
e  del  Buonarroti.  Cosi  ad  ogni  destarsi  del  nostro  pensii 
si  è  fatto  utilmente  ritorno  alla  Divina  Commedia  ;  cosi  i  v 
del  poema  nel  1527  sonosi  veduti  scritti  sulle  bandiere  d 
milizia  fiorentina.  —  Se  la  mitologia  apparisce  in  Dante,  < 
alla  storia  s'intreccia,  e  come  simbolo  vi  apparisce,  e  ce 
scoltura,  avendo  al  tutto  cessato  di  essere  una  religione; 
utilissima  è  all'  arte,  la  quale  non  può  e  non  dee  punto  disti 
gere  l' immagine  sensibile  per  mirar  eh'  ella  &ccia  all'  arche 
ideale.  —  L' idea  dell'  età  media  si  è  allargata  nel  poema, 


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rCDI  STORICI  SUI  TEMPI  DI  DANTE.  113 

Etncelli  esce  col  vaticiDio,  e  si  diversifica  fon- 
emi tolti  dal  NiebeluDgea  o  da  altri  cicli  che 
empi  in  onore,  i  quali  solo  ricantavano  cose 
nente  vaticinii  non  sono.  Il  Baldacchini  trova 
i  ghibellina  fosse  dair  Alighieri  alterata  o  mo- 
ante  che  alcuni  asseriscano  essere  quel  poema 
ne  e  T esternazione  di  quell'idea. 
AMBATTisTA,  Rogionaììiento  storico  suW  ItaUa 
per  servire  cC  introduzione  alla  lettura  della 
Ha.  Genova,  Sambolino,  1846. 
OLAMO,  Firenze  nel  secolo  di  Dante.  Milano, 

LN6EL0,  Tradizioni  Italiane,  Voi.  4,  Torino, 
850.  Vi  son  compresi  i  seguenti  studi.  —  Ce- 
,  Luni,  voi.  II,  1-20;  Giuria  P.,  Antica  città  di 
8.  —  Celbsia  e.,  Valdimagra;  i,  Qli  Apuani 
(alaspina^Dante  in  Lunigiana,  voi.  iii,  276-312. 
Giano  Bella  Bella,  iv,  73-84.  —  Verona  A., 
.  —  i,  Z/*  esilio  e  la  Maremma  ;  \i.  Il  tentativo  ; 
e  Bologna;  iv,  I Malaspina  e  Nino  di  Gallura; 

IV,  Eresie  e  gite  in  Francia.  —  Appendice. 
),  Carta  d^ Italia  illustrativa  della  Divina  Com- 

Alighieri  con  V  indice  di  tutti  i  luoghi  in  essa 

Genova,  Pellas,  1875. 

namente  eseguita  in  cromolitografìa,  ed  emen- 
consigli  del  Witte,  la  gran  Carta  illustrativa 
nmedia  (Man.  iv,  39).  Sono  in  essa  segnati  tutti 
ella  medioevali,  le  città,  i  campi  di  battaglia, 
'Italia,  alle  quali  Dante  accenna  nel  suo  Poema, 
edata  di  un  Indice,  com*  ei  lo  dice,  il  più,  pos- 
I  di  tutti  i  luoghi  in  essa  Carta  contenuti. 
BSARE,  r  Italia  nella  Divina  Commedia,  ii  ediz. 
Barbèra,  1872. 
a  col  divino  poeta  correre  città  per  città  il  bel 

suona,  e  con  molto  senno  illustra  e  luoghi  e 
she  nella  Divina  Commedia  all'Italia  si  riferi- 
,  com'ei  dice,  di  arrecar  luce  ad  alcune  voci 
iriamente  interpretate  dai  comentatori  del  gran 
fià  ne  femmo  cenno  a  pag.  217  del  voi.  xv. 

8 


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114  STUDI  STORICI  SUI  TEMPI  DI  DANTE. 

Questa  seconda  ediz.  riveduta  e  notevolmente  accresciuta  vem 
intitolata  Alla  Maestà  di  Vittorio  Emanitele.  —  V.  Nani  Ai 
gelo,  L* Italia  nella  Divina  Gomedia,  Saggi  di  crìtica,  stor. 
letter.  95.  —  Nuova  Antologia,  Luglio  1869,  661. 

Bocci  Donato,  Dizionai-io  StoricOy  Geografico^  Unit>ersa 
della  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  contenente  la  Bi 
grafia  dei  personaggi,  la  notizia  dei  paesi  e  la  spiegasioì 
delle  cose  più  notevoli  del  sacro  Poema,  Torino,  Paravia,  187^ 

Tutte  le  persone  nominate  nella  Divina  Commedia  vi  hani 
la  loro  biografia,  tutti  i  paesi  le  loro  notìzie  storica  e  geografìe 
tutti  i  passi  più  difficili  le  loro  spiegazioni.  Ei  si  è  attenu 
nello  interpretare  le  cose  sacre  ed  ecclesiastiche  alla  idea  p 
ramente  cristiana,  nelle  filosofiche  ha  seguito  le  opinioni  de^ 
Scolastici,  le  quali  dominavano  nel  trecento,  riserbandosi  se 
il  diritto,  come  ei  dice  nella  Prefazione,  di  accennare  le  moi 
ficazioni,  che  la  scienza  e  gli  studi  hanno  apportato  airid 
deirÀlighieri. 

Della  sconfitta  demo  a*  fiorentini  a  Monte  Aperto  pe7X 
indinansi  facemmo  menzione,  la  vera  sconfitta  fu  neWanno  12( 
—  V.  Croniche  Senesi  pubbl.  da  Giov.  Magoni,  c.  49,  Racco] 
di  Docum.  Stor.  i,  p.  2,  22-29. 

Lai  battaglia  di  Monteaperii,  Breve  narrazione  ined 
d^ autore  sanese,  scritta  nel  1441,  da  Giacomo  di  Mariano 
Checco  di  Mano,  pubblicata,  come  buon  testo  di  lingua.  P 
pugnatore,  a.  vi,  1873,  Disp.  i,  ii,  27-62.  —  Il  codice  si  conser 
nell'Ambrosiana  per  dono  fattone  dal  nob.  S.*"  Carlo  Casati 
Milano.  Non  ispregevole  per  molte  minute  particolarità. 

Politi  Lancilotto,  La  Sconfitta  di  Monte  Aperti.  Sie 
per  Simione  di  Nicolò  Cartolari,  1502. 

Boschi  D.'  Giov.  ,  La  Battaglia  di  Monteaperti,  Raccor 
Siena,  1843. 

V.  Saba  Malaspina,  Histor.,  L.  ii,  C.  iv;  Rer.  Ital.  seri 
T.  II,  VI.  Col.  702.  —  Ricordano  Malaspini,  Ist.  Fior.  e.  167. 
Giov.  Villani,  L.  vii,  c.  79.  —  Orlando  Malvolti,  L.  i,  par. 
p.  16.  —  Ammirato,  L.  ii,  al  1260.  —  Muratori,  Ani 
d'Italia,  XI,  33. 

Bartolini  Antonio,  La  battaglia  di  Campaldino,  Racco 
dedolio  dalle  Cronache  dell'ultimo  periodo  del  sec.  XIII  ( 
note  isteriche.  Firenze,  Tip.  del  Vocab.,  1876,  voi.  2. 


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réoi  STORia  sui  tsbipi  di  dante.  115 

LLE,  Dante  e  Roma  (Strenna  del  Giornale  Arti 
la,  Sinimberghi,  1865,  3-24. 
rece  a  raccogliere  amorosamente  le  memorie  che 
Ha  sua  Roma.  —  È  un  bel  lavoro  erudito  as- 
>o.  Delle  più  importanti  sue  osservazioni  ne  (arem 
ica  :  lUustrazioni  filologiche  e  storiche  di  pa- 
lla Divina  Commedia.  Lo  scritto  è  intitolato 
[>iacendogli  con  delicato  pensiere  di  unire  insieme 
poeta,  della  sua  terra  e  della  sua  donna. 
ANNI,  Dante  e  i  Pisani,  Studi  storici.  Pisa  Va- 

i  di  Dante  e  di  ragionevoli  induzioni,  trattasi 
toggiorno  di  Dante  a  Pisa,  quando  pur  v'era 
api  militari  e  politici  della  fazione  ghibellina, 
te  poi  rinovare  e  stringere  amicizia;  poi  di 
itti  buoni  0  rei  che  la  storia,  abbandonando  la 
a  lui  attribuire.  Un'accurata  appendice  racco- 
ìlla  Capuana  del  Donoratico,  moglie  del  Brigata, 
pitolo  è  consegrato  alla  famosa  controversia  sul 
dell'ultime  parole  poste  in  bocca  del  roditore 
uesto  volume,  arricchito  di  pregevoli  documenti 
i  in  bella  forma  disposto  tutto  ciò  che  la  critica 
mo  da  dire  intorno  ai  &tti  e  ai  personaggi  della 
a  le  città  ghibelline  di  Toscana  nel  secolo  di 

quando  ci  capita  innanzi  cosi  spigliata,  sicura 
accoglie  con  tutto  il  cuore,  e  parimenti  si  ha 
graziare  cordialmente  chi  sa  scrivere  un  libro 
con  tanto  giudizio  e  buon  gusto.  >  —  G.  Cre- 
Veneto  T.  vi,  p.  1,  150;  v.  Riv.  Eur.,  genn.  1874, 
matore,  a.  v,  disp.  5  e  6,  1872. 
LO,  D'un  nuovissimo  Comento  sopra  la  Di- 
per  ciò  che  rigimrda  la  storia  Novarese.  Vige- 
1833. 

3  Comenti  storici:  I.  Frate  Dolcino.  —  II.  Il 
—  III.  Pier  Lombardo. 

Nicolò,  Accenni  alla  Francia  nel  poema  di 
al  sig.  cav.  Bormio.  Archivio  storico  di  Firenze, 
,  I  disp.  1872,  p.  154-62. 


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116  STUDI  STORICT  SUI  TEMPI  DI  DANTE. 

Le  civiltà  francesi  Dante  sentiva  congiunte  con  quelle  di 
intimamente  nella  fede  comune  e  ne'  fraterni  idiomi.  Recai 
xiitazioni  che  proverebbero  che  il  Poeta  fii  in  Francia,  dice 
gli  pare  di  scorgere  pochi  cenni  nel  poema  che  provino  q 
impressione  neir  anima  e  neir  imaginazione  di  lui  lasciasse 


Mézières  a.,  Ce  que  Dante  et  Pétrarque  pensent  des  F, 
gais.  Pétrarque,  Ch.  vi,  p.  306. 

BussoN  Arnold,  Benut:njing  der  Istorie  Fiorentine 
Ricordano  und  Giacotto  Maiespini  in  Dante*  s  Gomme 
Dante^ahrbuch  ii,  233^9. 

Die  Fhrentische  Geschichte  der  Maiespini,  und  di 

Benutzung  dwxh  Dante.  Insbruck,  Wagner,  1869.  —  La  st 
di  Firenze  e  dei  Mahspini  e  Tuso  fattone  da  Dante.  (A 
Dant.  IV,  219). 

«  Non  è  senza  disonore  che  si  riconosca  per  genuina, 
alleghi  come  autorevole  e  si  riproduca  per  le  stampe  la 
detta  Storia  Fiorentina  di  Ricordano  Malispini.  Essa  n( 
altra  cosa  che  T  abbietta  sconciatura  di  un  ignorante  &lsi 
il  quale  poco  dopo  la  morte  di  Giovanni  Villani  fece  sua  bi 
parte  della  cronica  di  quello  scrittore  e  la  smozzicò  e  la 
terpolò  a  suo  capriccio,  e  vi  seminò  grossi  errori,  e  vi  mes 
ridicole  favole,  senza  avere  la  perizia  d'introdurre  tali  m 
menti  nel  dettato  del  Villani,  sia  riguardo  ai  concetti,  sii 
guardo  allo  stile,  che  v'  improntassero  la  forma  del  secolo 
cedente  al  quale  egli  attribuiva  T  opera  sua.  »  V.  Todesch 
Scritti  su  Dante  (prima  del  1857),  i,  364-72.  Anche  lo  Schi 
Boichorst,  ne  combatte  gagliardamente  l'autenticità  (V.  Pt 
Atch.  Stor.,  Serie  ii,  T.  xx).  Gli  Accademici  della  Crusca,  . 
Yannucd,  Gaetano  Milanesi,  Marco  Tabarrini,  Giuseppe 
guUni  sentenziarono  più  antiche  le  cronache  Malispinian< 
quelle  di  Giov.  Villani  (Aui  delCAccad  della  Crusca,  1875,  53- 
—  Gino  Capponi,  che  vi  sia  dell'intercalato  lo  crede,  eh 
nome  del  Malispini  sia  da  togliere  via  non  trova  motivo 
stante  (Storia  della  Rep,  di  Firenze,  Nota  intomo  ai  Jk 
spini,  i,  425402).  Da  quanto  ci  assicura  ilFanfìini,  un  va 
tissimo  scrittore  napolitano,  da  molto  tempo  lavora  per  pro^ 
che  le  storie  sono  apocrife. 


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117 


SULLA  DIVINA  COMMEDIA 

(V.  Man.  Data.  IV,  2Ì0). 

:dini  Dantesche.  —  Italiani  e  stranieri  pro- 
mpareggiabile  nelle  similitudini.  —  «  Omero, 
itiehi  dissero  specchio  dell*  umana  vita  e  im- 
*so,  trae  le  sue  similitudini  da  quell'aspetto 
ore  e  da  quelle  serie  d'oggetti,  onde  egli  e 
ipo  suo  avevano  piena  cognizione  e  con  focosa 
pi  li  pone  davanti  agli  occhi.  Virgilio,  tutto 
t,  tocca  per  lo  più  le  cose  generali,  e  le  riveste 
sa,  e  le  ingentilisce  di  maggior  delicatezza  di 
affetto.  Ma  se  al  greco  poeta  Tarte  fallisce 
no  r invenzione,  in  Dante  squisita  è  Tuna, 
K  lui  la  natura  tutta  dischiude  i  suoi  tesori, 
postulati,  la  vita  comune  i  suoi  costumi, 
isti  suoi  moti,  la  storia,  la  mitologia,  le  tra- 
nimenti;  ed  egli,  scorrendo  con  lo  sguardo 
coglie  i  particolari  dal  vero  nelle  pieghe  meno 
satto  disegno  li  contorna,  e  con  forte  rilievo 
isce.  Nei  particolari  sta  la  bellezza  e  la  vita. 
:ri  gli  ammassano,  e,  anzi  che  raccogliere, 
erdono.  Dante  li  sceglie  con  parsimonia,  li 
:rice  parola,  e  dove  più  spiccata  è  la  parvenza 
irisa  e  qu&si  di  getto  V  intiera  figura. . . .  Dante 
lorose  peregrinazioni,  dalla  santità  degli  affetti 
reti  della  natura,  dalle  meditazioni  del  pen- 
umano  attinge  le  sue  immagini,  e  con  arte 
m  quella  schiettezza  eh' è  poetica  più  d'ogni 
<isi  anima  parlante  ne'  suoi  lettori.  Egli  crea 
a  nuove  locuzioni,  e  quelle  dell'  uso,  nobili  o 
la  conveniente  signifìcazipne  dell'  idea,  sempre 
re  della  veste  più  propria,  non  della  più  ricca, 
^uidisce  con  la  soprabbondanza  il  vigore  delle 
lifìca  mai  ciò  che  alla  mente  è  agevole  d' in- 
ispecial  modo  laddove  ella  ha  potestà  di  spin- 


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118  STUDI  SULLA   DIVINA  COMMEDIA. 

gersi  a  intendere  o  divinare  assai  più  di  qneUo  che  parola 
umana  possa  far  manifesto.  »  L,  Yenturi,  — 

4L  Le  sue  similitudini  sono  T  ornamento  più  splendido  della 
sua  poesia,  vincono  di  varietà  e  di  numero  quelle  di  qualsivog^lia 
altro  antico  e  moderno,  e  giovano  spesso  a  meglio  chiarire  e 
determinare  T  immagine,  più  spesso  a  renderla  per  ogni  parte 
compiuta,  sempre  a  darle  atto  visibile,  calore  d* affetto,  luce 
di  verità,  bellezza  di  vita.  »  Yito  Pomari.  — 

«  Anche  V  uomo  il  più  profono  dovrà  restar  sorpreso  dinanzi 
alla  grande  potenza  di  osservazione,  che  tralnce  da  tutte  le  sue 
immagini  e  similitudini.  Più  assai  che  in  qualsiasi  altro  poeta 
moderno,  esse  appariscono  in  lui  desunte  dalla  vita  reale  tanto 

della  natura  che  dell'  uomo Le  prove  più  convincenti  della 

profonda  impressione  esercitata  dalla  natura  suU*  animo  del- 
l'uomo cominciano  con  Dante.  Egli  ci  ritrae  al  vivo  in  poche 
linee  non  solo  il  sorgere  dell*  auro  ra  e  il  tremolar  della  marina 
sotto  la  brezza  mattinale  e  la  tem  pesta  che  la  tremar  le  selre 
ed  i  pastori ,  ma  sale  altresì  sulle  cime  de*  monti  coli*  unico 
intento  di  goder  grandiose  prospettive,  uno  dei  primi  o  il  primo 
forse  dopo  i  poeti  antichi,  che  abbia  sentito  la  beUezza  di  tali 
spettacoli.  »  Burckhardt.  — 

Le  metafore  e  le  comparazioni  di  Dante  armonizzano  mirabile 
mente  con  quella  apparenza  di  grande  realtà  di  cui  ho  parlato  : 
esse  hanno  un  carattere  specialissimo.  Dante  è  forse  il  solo  poeta, 
i  cui  scritti  riescirebbero  assai  meno  intelligibili,  se  tutte  le  figure 
rettoriche  di  questa  specie  fossero  cancellate.  Le  sue  similitudini 
sono  di  frequente  piuttosto  quelle  di  un  viaggiatore  che  di  un 
poeta;  egli  non  le  adopera  soltanto  per  far  mostra  del  suo 
ingegno  con  analogie  fantastiche,  non  per  ricreare  il  lettore 
offirendogli  una  vista  lontana  e  passeggera  di  belle  immagini 
distanti  dal  sentiero  su  cui  egli  si  avanza,  ma  per  dare  un*  idea 
esatta  degli  oggetti  che  descrive,  comparandoli  con  altri  gene- 
ralmente conosciuti Le  comparazioni  di  Omero  e  di  Milton 

sono  digressioni  magnifiche,  e  non  si  nuoce  guari  al  loro  effetto 
nello  staccarle  dair  opera.  Quelle  di  Dante  sono  assai  differenti  : 
esse  traggono  la  loro  bellezza  dal  contesto,  e  la  bellezza  loro 
sopra  di  esso  riflettono;  il  suo  ricamo  non  può  esser  levato  via 
senza  guastare  tutto  il  tessuto.  Non  posso  lasciare  questa  parte 
dell'argomento  senza  consigliare  chiunque  comprenda  sufficien- 


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STUDI  SULLA.  DIVINA  COMMEDIA.  119 

»  a  leggere  la  similitudine  della  pecora  nel  terzo 
torio:  io  la  reputo  il  brano  il  più  perfetto  di 
le  si  trovi  al  mondo,  il  più  fantastico,  il  più 
i  soavemente   espresso  (1).   Macaulay,  Saggi 


RLO,  Le  Similitudini  della  Divina  Commedia 

ì  per  verso  in  lingua  latina,  Roma,  Komarek, 

^one. 

USEPPE,  Delle  Similitudini  dantesche  e  di  una 

no   Poema  dichiarata   barbara   dal  Biagioli, 

0  dott.  Amedeo  Panicucci,  Lucca,  Laudi,  1857. 

,  III  serie,  voi.  ix,  p.  106). 

LCLBTO,  Bocci  Ippolito,  Raccolta  di  sentente. 

Ut  sublimi,  similitudini  e  comparazioni  dei 

Dante  Alighieri,  Lodovico  Ariosto,  T,  Tasso, 

irca,  eseguita  ed  ordinata.  Firenze,  Toffani, 

V.  Giovanni,  Delt evidenza  dantesca  studiata 
nelle  similitudini  e  nei  simboli.  Modena,  Tip. 
mi,  1872;  in  4<^  di  pag.  140.  —  Estratta  dal 
morie  della  R.  Accad.  di  Scienze,  Lettere  ed 
—  Scrittì  Danteschi,  (1876)  167-301. 
fu  caro,  cosi  il  Franciosi,  dalle  cose  presenti 
B  cosa  di  sovrano:  dall'universo  alla  vita  ascosa 
dall'animo  a  Dio,  dalla  parola  al  pensiero  e 
questo  intendimento  mi  posi  a  ricercare  qua 
>  del  Poema  sacro  metafore,  comparazioni,  sim- 
limamente  consiste  il  visibile  parlare  del  Poeta; 


imilitadioe  icriveva  il  Lam«imai8:  «  Chi  ha  vedato  uscir 
,  le  rivede  ìb  questi  versi.  I  quali  offrono  un  esempio 
tà  delle  pitture  di  Dante,  che  nell* osservasione  della 
ifuggirsi  alcuna  particolarità,  e  la  rap[>resenta  con  la 
I  uno  specchio  riflette  gli  oggetti.  Mai  niente  di  falso  o 
lai  niente  d'inutile.  E  vuoisi  osservare  che  quiete  e  che 
tiffatte  immagini  campestri  si  spanda  su  luoghi  sacri  al 
inocenza  di  quei  semplici,  dolci  e  placidi  animali  renda 
,  le  quali  sofiVono  si,  ma  sono  oramai  sicure  di  avere 
\e  immutabile  nel  seno  di  eterna  pace.  Vedasi  ora  come 
ione  usò  il  nostro  poeta  nel  Convito  :  <  Che  se  una  pecora 
a  ripa  di  mille  passi,  tutte  V  altre  le  andrebbooo  dietro  ; 
per  alcuna  cagione  al  passare  d'una  strada,  salta,  tutte 
eziandio  nulla  veggenoo  da  saltare.  * 


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120  STUDI  SULLA.  DIVINA.  COMMEDIA. 

DÒ  solo  a  documento  di  bellezza,  ma  sì  anco  a  nuovo  testimonio 
della  monte  e  del  cuore  di  quel  Savio  gentil  che  tutto  seppe. 
—  Nelle  metafore  avverte  come  il  poeta  ne  usasse  parte  a  no- 
bilitare concetti  già  noti  e  volgari,  parte  a  far  meglio  evidenti 
i  veri  più  eletti,  e  a  darcene  una  prova  il  più  bel  fioije  ne  coglie. 
Accennando  alle  similitudini,  esamina  da  prima  quelle  tratte  da 
cose  inanimate  e  dai  bruti,  e  da  ultimo  quelle  tratte  dall*  uomo, 
e  delle  manifestazioni  dell'  umana  natura,  investigandone  sempre 
il  segreto  di  tanta  novità  e  leggiadria  di  parola,  come  ape  che 
8*  infiora  una  fiata,  ed  una  si  ritorna  là  dove  suo  lavoro  s' in- 
sapora. Tratta  da  ultimo  dei  simboli  stupendi,  e  mediante  i 
quali  l'ispirato  teologo  si  leva  dai  segni  sensibili  alla  visione 
della  luce  increata.  Io  non  posso  non  recare  la  conclusione  del 
nobilissimo  ragionamento,  come  pur  lo  dice  Pietro  Venturi.  — 
«  Intentamente  pensando  la  perfetta  limpidezza  delle  dantesche 
Metafore,  io  ne  veggo  il  segreto  nella  schietta  visione  del  vero 
e  nella  terribile  rapidità  dell'intelletto  del  Poeta:  giacché  per 
quella  visione  egli  acquistò  come  un'arcana  famigliarità  cogli 
esemplari  delle  cose,  si  che  ne  conoscesse,  quasi  direi,  il  volto 
e  i  movimenti  e  il  suono,  per  quella  rapidità  afiìssò  nella  fugace 
parola  le  più  intime  e  più  riposte  relazioni  delle  cose;  relazioni, 
da  cui  deriva  ogni  bontà  e  leggiadria  di  metafora.  Meditando 
poi  sulla  straordinaria  varietà  e  sull'incomparabile  vivezza  delle 
Similitudini,  io  ne  trovo  la  ragione  principalmente  nell*  acume 
del  giudizio  e  nell'  abito  dell'  osservare,  onde  quasi  non  ìsfnggi 
al  Nostro  alcuno  degli  aspetti  notevoli  delle  cose  ;  nello  squisito 
senso  dell'arte,  pel  quale  delle  osservate  cose  valse  a  cogliere 
la  parte  più  eletta  o  meglio  spiccata;  e  nella  profonda  genti- 
lezza dell'anima,  che,  quasi  cetra  ben  temprata,  rese  intera 
la  nota  delle  più  gentili  affezioni.  Tornando  per  ultimo  ai  Szfn- 
boli,  e' mi  paiono  figli  di  una  vigorosa  e  purissima  fantasia, 
levata  sempre  e  per  ispirazione  e  per  abito  al  di  sopra  delle 
sensibili  cose,  dal  segno  visìbile  all'invisibile  verità:  fantasia, 
onde  m' è  lieta  figura  quella  vergine  raffaellesca,  che  tien  rocchio 
e  l'animo  a  non  più  visti  sereni,  da  cui  vien  luce  e  armonia.  » 

Alla  Memoria  va  unita  un'appendice  contenente,  con  ordine 
razionale,  tutte  le  similitudini  che  occorrono  nella  Divina  Com- 
media. Ei  ne  trova  627;  109  tolte  dalle  cose  inanimate;  81  dai 
bruti;  103  dalle  arti,  cioè  27  dall'arte  dell'armi,  5  dall'arte 


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STUDI  SULLA  DIVINA  COMMEDIA.  121 

3  dalla  meccanica,  10  dall'arte  musicale,  9  dal- 
ro,  4  dall'  arte  del  falegname,  3  dall'  agricoltura, 
,  2  dall'  orificeria,  2  dall'  arte  del  tessere,  2  dal- 
^naio,  2  dall'arte  del  cucire,  1  da  quelle  del 
srivere,  della  caccia,  della  pastorizia,  della  dram- 

non  poste  sotto  rubrica  speciale;  6  dalle  scienze; 
ì;  147  dall'umana  natura,   cioè  75  dal  corpo, 

ed  in  fine  65  dalla  mitologia,  dalla  storia,  dalle 
laid,  ecc. 
IGI,  Le  similitudini  dantesche  ordinate,  illustrate 

Saggio   di  studi,  in  16**,  p.  xvi-412.   Firenze, 

1  libro,  buono  veramente  e  per  ogni  riguardo; 
spettare  altrimenti  dall'insigne  e  valoroso  poeta 
i  Canti  biblici  dell'  uomo.  11  tema  è  de'  più  ardui 
lUa.  mente  umana,  benché  a  tutta  prima  sembri 
concepirsi  non  meno  che  ad  esser  trattato.  Ma 

mentre  che  ci  discoprono  le  intime  e  sfuggevoli 
cose,  sono  anche  perciò  la  prova  della  vita  in- 
finissimo sentimento  del  suo  stesso  inventore, 
d  si  manifesta  nelle  similitudini,  di  che  Dante 
lezza  del  suo  poema  e  valse  ad  esercitare  il  buon 
lente  accortezza  di  quanti  vi  pongono  studio.  Di- 
Uo  dal  luogo  loro,  vi  sembrano  come  bellissime 
mpre  meglio  preziose,  quando  compariscono  nel 
iognava  dunque  una  grand' arte  a  comporre  una 
tinta,  sì  che,  nulla  perdendo  del  loro  pregio, 
nzi  nuova  bellezza  dal  ritrovarsi  insieme  raccolte 
icambievoli  splendori.  —  Or  questa  bellezza,  che 
lair  ordine  pensato  e  convenientissimo,  il  Venturi 
la  e  ritrarla  a  maraviglia.  Tanto  che  egli,  nel- 
ticiamente  le  Similitudini  dantesche,  vi  presenta 
i  e  quasi  in  immagine  più  viva  i  concetti  del 
anti  il  cielo,  l'aria,  il  fuoco,  T acqua,  la  terra, 
2e,  l'uomo,  i  bruti,  il  tempo,  lo  spazio,  la  bibbia, 
a  storia,  l'universo.  —  Cosi,  oltre  che  ci  vien 

quante  fogge  Dante  abbia  rafiìgurate  le  stesse 
'gè  puranco  modo  di  conoscere  e  ammirare  la 
mmagini  variate  cotanto.   Le  quali,  per  essere 


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122  STUDI  SULLA.  DIVINA   COMMEDIA. 

tuttavia  disgiunte  dalla  cosa  e  dall'idea  che  devono  chiarire, 
importava  che  fossero  illustrate  esse  medesime  e  con  sicuro 
metodo  d'interpretazione.  Al  che  pose  mente  T amoroso  rac- 
coglitore, che,  non  solo  s' ò  ingegnato  di  &r  suo  prò  di  quanto 
seppe  ad  ogni  miglior  uopo  attingere  dai  commentatori,  ma, 
potente  eh'  egli  è  d' intelletto  e  di  dottrina,  si  fece  libero  giudice 
dove  gli  parve  richiesto,  e  la  verità  gli  dovette  consigliare  nelle 
si  lunghe  e  faticose  meditazioni.  —  Certo  che  le  SimiUiudini 
della  Divina  Commedia  non  sortirono  fin  qui  un  interprete  più 
sincero,  né  più  accurato  e  modesto.  Tra  tutti  i  facitori  di  libri 
sui  libri,  ciò,  direi,  che  mi  sa  del  prodigio,  qualora  non  mi  fosse 
noto  a  più  prove  quanto  possa  la  venerazione  di  Dante  in  coloro 
che  sanno  intenderlo  ed  amarlo  davvero.  E  il  Venturi  è  since- 
ramente meritevole  d' esser  della  si  eletta  schiera,  dacché  basta 
perciò  a  parlarvi  del  suo  maestro,  rispettandone  per  effetto  la 
dottrina,  V  arte  e  la  favella.  Nelle  sue  note  (eh'  egli  neppur  osa 
chiamare  filosofiche  estetiche,  critiche)  si  contenta  invece  a  dirle 
usate  sobriamente  e  con  quello  studio  di  brevità  che  in  un  la- 
voro intorno  a  Dante  vuol  reputarsi,  anzi  che  pr^o,  dovere. 
Notabile  sentenza  e  tale,  eh'  è  pur  sufficiente  a  persuaderci  che 
la  non  si  poteva  concepire  se  non  da  chi  sentiva  già  in  suo 
cuore  d'averla  seguita  nel  fatto  e  dal  fatto  più  vivamente  ap- 
presa. Se  non  che  le  Similitudini  del  nostro  poeta  ch^  non  sono 
pur  dichiarazione,  ma  compimento  dei  concetti  v^^èuH  raccoman- 
dare agli  animi  altrui,  se  ricevono  così  un  singoiar  valore,  tanto 
più  lo  dimostrano  poste  al  confronto  di  quelle  onde  son  eziandio 
celebrati  gli  autorevoli  maestri  del  poetare,  antichi  e  moderai. 
Ponete  in  ciò  Dante  a  riscontro  d'Omero,  di  Virgilio,  non  dico 
di  Stazio,  di  Lucano  e  d'Ovidio,  e  voi  subito  ravvisate  il  disce- 
polo che,  tenendo  dietro  ai  nuovi  maestri,  giunge  a  sopravau- 
zarli,  e  sa  rendersi  originale,  imitando.  Ed  egli  poi  si  schiude 
una  sua  propria  via  e  la  percorre  animoso  e  da  solo,  per  quanti 
seguaci  s'attentino  d' accostarglisi  e  raggiungerlo.  —  Anche 
sifisitto  paragone,  merco  cui  le  Similitudini  dantesche  riescono 
di  più  in  più  splendide  nella  giustezza  e  novità  loro,  si  vede 
così  ben  preso  e  condotto  nell'  opera  del  Venturi ,  che  questa 
vuoisi  considerare  come  un  trattato  dell'  arte  per  fruttuosamente 
studiare  ne'  grandi  scrittori  e  di  Dante  sovrattutto.  —  Chiunque 
ne  desideri  testimonianza  e  chiarezza  d'esempi,  non  deve  far 


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STUDI  SULLA  DIVINA   COBfMBDIA.  123 

re  il  lodato  libro,  e  ad  ogni  pagina  troverà  di 
onesto  desiderio,  sentendosi  inoltre  eccitato  a 
:on  fiducia  di  ritrarne  crescente  diletto  e  gio- 
n  io  intanto  auguro  e  voglio  promettermi  che 
cui  penetra  e  si  onora  il  nome  di  Dante,  si 
ro  del  Venturi  come  un  libro,  dove  il  bello, 
»  si  trovano  congiunti  in  mirabile  armonia  e  si 
m  trìonfatrice  eloquenza.  Giuliani,  V  Opinione, 
n.  1875,  n.  16.  —  V.  Nuova  AntoL,  sett.  1874, 
iasc?ii,  L'Ateneo,  1874,  ii,  226-230  ecc.  ecc. 

caldissimi  voti  perchè  Taureo  libro  del  Venturi, 
ch'io  mi  conosca,  possa  esser  contióuo  nelle 
giovani  che  vogliono  acquistar  gentilezza  di 
cC italiano  pensiero,  e  dignitoso  sentire  come 
^U  studi  danteschi  e  come  specchio  purissimo 
gentile  dettato.  Certo  il  gusto  fine,  la  squisita 
Ile  ci  addita  le  fonti  da  cui  tolse  le  similitudini, 
I  nuova  leggiadria  e  nuova  vita,  non  che  i  poeti 
tarano;  le  profonde  osservazioni  onde  si  mette 
D  autore,  e  direi  s*inluia;  quelle  care  comici, 
e  oro  circoscrìve,  preposte  a  ciascuna  sene,  e 

mi  resero  caramente  diletto  il  hbro  e  il  suo 
m  potei  ristarmi  dallo  scrivergliene  ammirato, 
a  parlare  il  cuore.  Ed  egli  a  riscontro  il  15 
'  4L  Panni  d'aver  usato  la  mia  non  tenue  né 
}pera  che  possa  tornar  profittevole  alla  gioventù 
idi  nostri,  in  tempi  ne'  quali  il  nome  di  Dante 
le' più  ma  tace  nel  cuore,  e  la  classica  letteratura 
;gio  e  (se  non  m'inganno)  corre  giù  alla  china.  > 

'0,  Sulla  Genesi  della  Divina  Commedia,  Note 

ergamo,  Oafiurì  e  Gatti,  1875. 

I  raccogliere  i  ternari  danteschi  che  riguardano  : 

dei  componimenti:  II.®  Divisioni  ternarie  ri- 
po,  Spazio,  Materia,  Argomentazioni:  III.®  II 
Allegorie,  negli  Esempi,  nelle  Similitudini: 
)  nella  Ripetizione  delle  stesse  parole  o  frasi: 

nelle  Interrogazioni  ed  Esclamazioni:  VI.®  II 
Ipitetare. 


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124  STUDI  SULIA   DIVINA   COMMEDIA. 

E  ne  trae  le  seguenti  conclusioni: 

1^  11  tre  in  uno  nella  mente  di  Dante  è  il  simbolo  dell*  ar- 
monia, del  cosmo,  della  bellezza,  della  perfezione,  della  divinità, 
del  mistero  divino. 

29  La  finzione  del  nove,  potenza  del  tre,  come  simbolo  di 
Beatrice,  per  dare  ad  intendere  che  tutti  e  nove  li  mobili  cieli 
al  nascimento  di  lei  si  avevano  insieme,  e  per  significare  ad 
un  tempo  che  quella  divina  creatura  era  per  sé  stessa  una 
emanazione  della  Santissima  Triade,  a  cui  s'era  ricongiunta 
in  morte,  è  fondata  sulle  dottrine  cosmologiche  del  medi<r'evo 
e  sui  misteri  più  solenni  delle  religioni.  —  Il  nove,  formola 
di  Beatrice,  è  pertanto  la  maggiore  apoteosi  che  pi  potasse 
immaginare  da  un  poeta  laico  del  decimoterzo  secolo,  che  nei 
tempi  del  più  fervente  ascetismo  poteva  ben  dimostrare  che 
Iddio  non  vuole  religioso  di  noi  se  non  il  cuore  (Convito  iv,  28), 
ma  nel  campo  della  filosofia  positiva  non  poteva  precedere  né 
a  Copernico,  né  a  Galileo. 

3°  Se  il  disegno  architettonico  della  Divina  Commedia,  il 
più  meraviglioso  monumento  d'arte  medioevule/ha  la  sua  spie- 
gazione nel  libretto  dove  l'autore  ragiona  intomo  ai  numeri 
tre  e  nove,  ha  valido  fondamento  la  congettura  che  l'abbozzo 
della  Divina  Commedia  sia  contemporaneo  all'  opuscolo  della 
Vita  Nuova.  Ammesso  poi  che  il  nove  sia  simbolo  di  Beatrice, 
perché  quel  numero  corrisponde  al  Paradiso  cosmolcgico  e 
teologico,  poi  considerato  che  la  prima  parola  «ili*  ^"Vita  Nuova 
è  appunto  nove,  non  è  temeraria  l'asserzione  che  la  idea  del 
Paradiso,  in  onore  e  lode  di  Beatrice,  sia  stata  concepita  dal 
poeta  prima  d'ogni  altra  cantica,  anzi  prima  ancora  di  dar 
princìpio  alla  stessa  operetta  dei  suoi  amori  giovanili. 

4®  Se  le  tre  donne  gentili  della  Vita  Nuova  hanno  ispirato 
la  creazione  delle  tre  donne  benedette,  che  congiungono,  come 
anello  d' un  circolo,  le  ultime  scene  del  Paradiso  con  le  prime 
dell'  Inferno,  la  congettura  indicata  acquista  maggior  grado  di 
valore,  e  la  genesi  del  Poema  Sacro  ottiene  maggior  luce. 
Imperocché,  a  chi  ben  guarda,  il  mistero  della  rappresentazione 
dantesca  non  incomincia  né  col  primo  nò  col  secondo  dell' In- 
ferno, ma  cogli  ultimi  del  Paradiso,  dove  il  poeta  vede  le  tre 
donne  dell'amore  suo  triforme  :  l'amore  terreno  in  Beatrice,  l'a- 
more intellettuale  in  Lucia,  l' amore  teologico  o  divino  in  Maria. 


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8TDDI  SULLA  DIVINA  COMSIBOIA.  125 

[)  di  Lucia,  che  le  ò  vicina,  fa  conoscere  il  desi- 

trice,  che  si  muove  a  pietà  di  Dante,  peregrino 

Iva  selvaggia. 

j  vuol  essere  uno  de'criterii    da  prenderai  in 

lei  casi  di  contestata  autenticità,  come  avviene 

re  pubblicate  col  nome  dell' Alighieri. 

),  Dei  rapporti  di  alcuni  passi  della  Vita  Nuova 

ommedia.  Estratto   dai   Rendiconti  del  Regio 

io,  serie  n,  voi.  vni,  fase.  vn.  Milano,  Bernar- 

inde  a  svolgere  i  seguenti  punti: 
a  nove  della  Vita  Nuova  vuol  essere  presa  in 
io;  —  La  ptnma  idea  del  Paradiso  è  contem- 
ima  apparizione  di  Beatrice, 
di  Beatrice  corrisponde  alla  seconda  idea  del 
VI  primo  Atto  del  mistero  sacro,  che  ha  prin- 
iso  e  termina  alle  porte  infernali;  —  Al  pro- 
di uscir  fUori  della  volgare  schiera;  —  Alla 
W  suoi  primi  saggi  poetici,  di  cui  si  fissa  per 
state  del  1283. 

a  notizia  de/rinfemo  viene  data  nel  1289,  per 
pubbliche. 

irte  di  Beatrice ,  V  idea  del  Paradiso  si  fa  più, 
ura,  meglio  definita,  e  V  immagine  di  Beatrice 
dia  scienza  della  Filosofia, 
^uova  è  dunque  come  in  embrione  od  in  germe 
aradiso;  ma  poiché  i  nove  cieli  di  questa  cantica 
itesi  i  nove  cerchi  deìV Inferno  (già  enunciato 
va),  e  fra  l'uno  e  T altro  regno  stanno  le  nove 
Jon'a.si  può  conchiudere,  che  T  idea  delf  intero 
òt?&V'5lla  mente  di  Dante  come  un  punto  lumi- 
izione  di  Beatrice,  e  che  da  quel  giorno  nel- 
n  svolse,  si  ampliò,  prese  forme  proprie,  chiare, 
>bili8sime,  delle  quali  si  vede  T  immàgine  nella 
)n  già  in  uno  nò  in  due  passi,  ma  in  quasi  tutte 
i  prima  parola  nove,  air  ultima  jfrase  mirabile 

ro,   Sulla  composizione  di  alcuni  Canti  della 
fdia  prima  delV  esilio  di  Dante.  Nota  letta  nel- 


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126  STUDI  SULLA.  DIVINA.  GOlfMBDIA. 

radunanza  del  29  Aprilf  1875  del  R.  Istituto  Lombardo. 
Milano,  Bernardoni,  1875. 

L'Amati  sì  fa  richiedere:  Aveva  Dante,  prima  dell* esilio, 
concepita  Tidea  dei  Sacro  Poema?  Ne  aveva  egli  disegnato 
l'abbozzo?  E  incominciato  in  alcune  parti?  Nella  lingua  laUna 

0  nella  volgare  ?  Il  racconto  del  Boccaccio  e  di  Benvenuto  d'Imola 
sulla  composizione  della  Divina  Commedia,  ò  degno  di  fede 
in  tutto,  0  in  parte  soltanto,  o  punto? 

Dopo  un  diligente  esame  viene  alle  seguenti  conclusioni: 
I.  La  prima  idea  del  Paradiso  è  del  1274,  ventotto  anni  prima 
deir esilio.  L'idea  delle  altre  due  cantiche,  se  non  è  contem- 
poranea a  quella  del  Paradiso,  non  ha  una  data  posteriore  al 
1289.  —  lì.  Il  disegno  generale  o  l'architettura  del  Poema, 
è  anteriore  alia  composizione  del  primo  capitolo  della  Vita 

Nuova,  che  incomincia  colle  parole:  nove  fiate —  III.  Il 

racconto  del  Boccaccio  ha  carattere  perfettamente  storico  nel 
significato  piti  largo,  ad  indicare  cioè  che  una  parte  della  Divina 
Commedia  fu  scritta  dall'Alighieri  prima  dell'esilio.  —  IV,  Tutte 
le  scritture  deirAlighieri  ideate  e  incominciate  prima  dell' esilio 
sono  in  volgare,  quelle  posteriori  sono  in  latino.  —  V.  In  volgare 
erano  i  canti  composti  in  Firenze.  —  VI.  II  poema  ideato  alla 
vista  di  Beatrice  prosegue  senza  formale  interruzione  la  vita 
dell'Autore.  —  La  vita  intellettuale  di  Dante,  prima  dell'esilio 
si  svolge  in  quattro  novennj.  —  Primo  novennio,  1265-1274. 

1  primi  affetti.  —  Secondo  novennio,  1274-1283,  dai  9  ai  18 
anni  d' età.  Il  trivio.  —  Incomincia  la  vita  del  cuore.  —  TeriSb 
novennio,  1283-1292.  II  Quadrivio.  —  Quarto  novennio,  12i^2- 
1301.  Vita  contemplativa  (studi  super,  di  filosofia  e  tc'i^logia) 
e  vita  attiva  (pubblici  negozi).  L'Amati  vuol  concbùidere  che 
r  esilio  di  Dante  fu  un  danno  gravissimojier  laf?<9t1ere  italiane. 
—  Nel  ventennio  che  segui  di  vita  ramin^fa  e  povera,  V  autore 
continua  le  opere  in  volgare,  ideate  nella  gioventii  e  incomin* 
ciate  a  Firenze  ;  ma  i  lavori  d' invenzione  non  hanno  più  V  ori- 
ginalità, la  novità,  la  bellezza  del  concetto  e  della  forma  che 
distinguono  il  cantore  di  Beatrice. 

Borgognoni  Adolfo,  La  genesi  delia  Divina  Commèdia. 
Ravenna,  Tipogr.  Alighieri,  1872. 

Dante  s'avvisò,  giovine  ancora,  di  cantare  V Inferno  dei 
dannati,  ma  pare  se  ne  ristesse  per  la  difficoltà  di  trovare 


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STUDI  SULLA   DIVINA  COMMEDIA.  127 

rispondente,  una  topografia,  una  scena  tale  che 
are  il  suo  ingegno  matematico  e  ordinatore.  — 
ce,  ha  una  yisione,  e  si  propone  di  dire  di  lei 

non  fu  detto  d* alcuna,  nella  qual  visione  il 
le  il  germe  e  V  accenno  del  Paradiso.  E  il  cielo 
le  porge  V  architettura  ;  come  poi  lo  stesso  dovrà 
to  r  idea  della  macchina  dell'  Inferno ,  la  quale 
^,  chi  la  consideri,  che  il  disegno  medesimo 
ome  la  macchina  del  Purgatorio  non  diversifica 
inferno,  se  non  rovesciata.  Anche  il  Foscolo  ri- 
e  dettasse  alcuni  canti  del  Paradiso  prima  di 
Itre  Cantiche.  Oltrecchò  non  solo  il  Borgognoni 
onìe  e  le  rispondenze  materiali,  ma  pur  le  morali 

prima  e  più  spiccante  delle  quali  si  è  il  trovare 
iascuno  dei  tre  regni  una  corte. 

Iesarb,  Delle  ore  innanzi  V  orologio»  a  schiari- 

Hve  dizioni  e  di  passi  di  trecentisti,   Milano , 

(Estratto  dal  Programma  del  Civico  Ginnasio 

guilhon,  professore  e  Proveditore  nel  1857  alle 
),  pubblicando  il  programma  degli  studii  di  quelle 
écegli  antimessa  una  Dissertazione  delle  ore  in- 
io  a  schiarimento  di  relative  dizioni  e  di  passi 
modestamente  dirigendolo  agli  scolari  del  luogo, 
assico,  finissimo  di  critica,  importante  di  molta 
3  ristampato,  ma  perchè  lasciato  in  quel  pro- 
sorso  a  giovanetti  è  rimasto  ignorato  a  segno 
tantissime  diligenze  dell'abate  Ferrazzi,  avvi- 
detto  0  fatto  in  istudio  di  Dante.  Fa  la  storia 
del  giorno,  prendendola  sin  dai  Romani  e  dagli 
endo  sino  all'invenzione  dell'Orologio  e  dopo, 
ir  antico  della  Chiesa  cristiana  nelle  forme  delle 
Quest'  essa  avuto  distribuzione  di  preci  a  tempi 
mziava  al  Pubblico,  e  il  Pubblico  accomodava 
izi  il  suo  da  fare.  I  Benedettini  più  disciplinati 
^mo  che  cantavano  a  mezza  notte,  poi  Matta- 
ima,  Terza,  Sea$a  (il  mezzodì).  Nona,  Vespero  e 
terza  cadeva  tre  ore  prima  di  meriggio,  la  nona 


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128  STUDI  SULLA   DIVINA  OOSfMBDlA. 

dopo,  6  la  Campana  della  Chiesa  Matrice  dava  segno  d*  ognuDa. 
Rilassata  nel  clero  secolare  la  disciplina,  Notturni,  Mattutino 
e  Lodi  furono  uniti;  la  Prima  si  abbassò  e  prese  nome  di 
messa-tersaf  e  la  sesta  si  uni  alla  tersa  cominciando  al  punto 
in  che  quella  finiva  «  e  cosi  fu  della  nona  die  prese  il  posto 
della  sesia  e  soppressene  il  nome.  Ai  tempi  di  Dante  nessuno 
più  la  conosceva  che  per  mezzo-di,  e  se  egli  al  xxx  del  Pa- 
radiso ancor  la  nominava  per  l'ora  antica  era  per  Fuso  astratto; 
del  che  V  Aguìlhon  reca  citazioni  che  non  ne  lasciano  più  alcun 
dubbio.  E  questa  è  la  ragione  per  cui  scrisse  Dante  la  iers^a 
e  poi  la  no7ia  senza  nominare  la  sesta.  Indi  espone  la  storia 
deir  orologio  che  a'  suoi  tempi  non  era,  e  spiega  i  passi  del  x  e 
del  XXIV  del  Paradiso  perchè  si  sappia  che  specie  di  macchine 
ivi  citate.  Con  essa  spiegazione  e  coir  altra  che  quelle  ore  non 
erano  battute  da  martello,  ma  sonate  da  Sagrestani,  si  elimina 
la  credenza  data  da  chiosatori  che  orologio  fosse  alla  tori^ 
Badia  di  S.  Pietro  in  Scheraggio  o  sulle  mura....  »  Scara- 
belli,  Il  Lambertino,  iii,  xxvm  e  seg. 

Algarotti  Francesco,  Lettera  al  Marchese  Manara  a 
Parma,  Comparazione  di  alcuni  passi  della  Eneide  colla  Di- 
vina Comedia.  Porta  la  data  del  6  Ottobre  1759.  —  Algarotti, 
Lettere  filologiche,  pubblicate  per  cura  di  B.  Gamba,  Venezia, 
Tip.  Alvisopoli,  1826,  p.  146-56. 

Lettera  a  Mad,  du  Boccage  contro  le  lettere  Virgi- 
liane del  Bettinelli,  —  Algarotti,  Opere,  Livorno,  Coltellini, 
1764. 

Alizbri  Fedbrioo,  Nella  festa  Commemorativa  di  Dante 
Alighieri  celebrata  dal  Regio  Liceo  Cristoforo  Colombo  il 
XVn  Marzo  MDCCCLXXI,  Oraziane,  Genova,  costipi  del 
R.  I.  de' Sordo-muti,  1871.  (Estratto  dal  Giornale  La  Scuola 
e  la  famiglia), 

«  Hicorrrendo  ben  ispesso  coir  animo  ai  Canti  dell'  Alighieri, 
di  mezzo  a  queir  immenso  di  affetti,  di  pensieri,  di  sentenze 
e  d'imagini,  io  feci  prova  di  afferrare  un  concetto  che  tutte 
in  una  raccogliesse  ed  annodasse  le  parti  del  sacro  Poema.  > 
Ed  ei  crede,  e  si  argomenta  di  mostrare,  che  <  simili  alle 
corde  di  Anacreonte  tutte  quante  le  sillabe  del  gran  Poeta  non 
rendano  che  amore.  » 

Amalteo  Francesco,  Dialogo  tra  r  ombre  di  Omero  e  di 


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STUDI  SULLA.  DIVLNA  COMMEDIA.  129 

che  di  Dante,  Per  le  illustri  nozze  Gera-Bellati. 
fltion,  1849. 

ANCESCO,  Dante  Alighieri  e  la  Divina  Com" 
mento  staccato  da  una  storia  inedita  del  Medio 
Vieste,   HerrmaDstorfer,  1874.   (Per  le  Nozze 

brevi  tratti  e  con  bel  garbo  la  vita  del  Poeta, 
ivina  Commedia,  della  dottrina  che  s*  asconde 
dei  simboli,  degli  sforzi  da  lui  durati  a  com- 
minio papale,  insormontabile  ostacolo  al  risor- 
azioue,  in  breve  ci  addita  come  ogni  scienza 
^a  nel  sacrato  poema,  onde  possiamo  compren- 
ita  e  r  importanza  del  concetto  ond*  è  animato. 
ci  ha  pur  promesso:  La  Visione  di  Dante 
1*0  Esposizione  ragionata  della   Divina   Com- 

osi  nel  programma  d*  associazione,  tende  a  pò- 
tudio  del  Poema  sacro,  a  rilevarne  i  concetti, 
L  allegoria,  la  storia  e  la  filosofìa  in  esso  con- 
)manda  per  la  novità  degli  argomenti  e  delle 
uali  è  esposto.  »  Doveva  uscire  dalla  tipografia 

DO. 

ì'rancesco,  Di  una  dottrina  circa  l*  ideale  del 
ia  da  Dante  e  dal  Petrarca,  Lezione.  Scritti 
id  inediti,  Voi.  i,  p.  377-388.  Firenze,  Civelli, 

ne  è  un  commento  filosofico  ed  estetico  a  tredici 

0  decimo  terzo  del  Paradiso,  e  al  sonetto  del 
on  Memmi  pel  ritratto  di  Laura.  L'Ambrosoli 

1  quelle  terzine  di  Dante  si  trova  chiarissima 
lostri  Estetici,  che  i  fenomeni  non  corrispon- 
imente  a  quelC  ideale  che  noi  concepiamo,  guar^ 
fezione  ond*  è  improntato  V  universo.  La  natura 
na  rimagine  OaTidea;  e  ciò  appunto  (osserva 
rchè  quanto  essa  produce  in  questo  basso  mondo 
materia  contingente  e  peritura  come  i  fenomeni 
Qano  i  moderni.  Non  importa  se  per  venire  a 

r  Alighieri  ci  d^itrinse  ad  avvolgerci  in  quelle 
le  allora  correvano  intorno  alle  influenze  celesti: 

9 


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130  STUDI  SULLA   DIVINA   COMMEDIA. 

il  fatto  6Ì  è  che  egli  vide  essere  difettive  tutte  le  opere  della 
Natura  in  confronto  della  perfetta  potenza  del  Creatore,  e 
perciò  anche  in  confronto  di  queiV  ideale  che  noi  ci  foroiianio 
nella  nostra  mente.  E  questa  dottrina  che  ne'  moderni  ci  ai 
presenta  come  V  ultimo  termine  a  cui  la  scienza  abbia  potuto 
.condursi,  egli  per  lo  contrario  T adopera  come  cosa  general- 
mente saputa,  a  chiarire  una  questione  più  astrusa,  un  pro- 
blema di  filosofìa  teologica. 

Oltre  a  ciò  TAmbrosoli  nota  che  Dante,  mentre  da  una 
parte  concorda  con  gli  Estesici  moderni,  dall'altra  poi  si  divide 
aflatto  da  loro.  Concorda,  come  vedemmo,  col  dire  che  la  Na- 
tura dà  sempre  scemila  nelle  singole  sue  opero  la  luce  (come 
egli  la  chiama),  o  come  noi  diremmo.  Videa  della  pei'fezione 
assoluta.  Ma  gli  Estetici  poi  insegnano,  che  l'artista  sotto 
questo  rispetto  può  vincere  la  Natura,  perchè  il  suo  spirito 
libero  e  padrone  non  sog<2:iace  nelle  sue  opere  a  tutti  que'  casi 
che  nelle  produzioni  naturali  impediscono  o  guastano  la  per- 
fetta bellezza.  E  Dante  invece  non  ammette  in  ciò  differenzia 
alcuna  dalla  Natura  all'Artista,  anzi  dice  espressamente  che 
la  Natura  dà  sempre  scema  Videa  —  similemente  operando 
all'artista,  —  e  ha  r abito  delV arte  e  man  che  trema.  Se  gli 
Estetici  (proseguo  l'Ambrosoli)  intendono  di  significare  che 
l'artista,  operando  con  libera  volontà,  può  fuggire  alcuni  di 
quegli  sconci  o  di  quelle  imperfezioni  a  cui  soggiacciono  spesso 
le  produzioni  della  Natura,  dove  tutto  aaccede  per  semplice 
attività  istintiva,  nò  v'è  previdenza,  ne  cura  che  allontani  o 
rimova  gli  ostacoli  che  so  lo  posson  fraporre;  in  tal  caso  essi 
dicono  il  vero,  ma  non  insegnano  cosa  d'alcun  momento.  Se 
poi  voghono  dire  che  l'artista  non  abbia  egli  pure  dalla  ma- 
teria e  dagli  istrumcuti  che  adopera  qualche  impedimento  ad 
esprimere,  noti  ^o\oV  ideale  oV  assoluto,  ma  anche  un'iraagiue 
od  un  concetto  qualunque  che  tolga  a  rappresentare;  in  questo 
caso  ciascuno  sentirà  facilmente  che  l'Allighieri  vide  assai  meglio 
di  loro  la  verità.  ^ 

Commentato  quindi  il  sonetto  del  Petrarca  sovra  indicato, 
lo  traduce  mirabilmente  nel  linguaggio  di  Dante,  e  conchiude: 
Vediamo  pertanto  avere  il  Petrarca  avuta  opinione,  che  vi  sia 
un  ideale  del  Bello  a  cui  noojcorrisponde  mai  pienamente  nes- 
suna opera  nò  della  Natura  nò  dell'Arte:  primamente  percbL- 


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STUDI  SULLA   DIVINA   COMMEDIA.  131 

&0Q  latta  la  bellezza  archetìpa  traluco  dalia  materia  in  che  la 
Xàtora  è  costretta  di  chiuderla  per  renderla  percettibile:  poi 
perchè  non  può  mai  essere  tutta  veduta  dagli  occhi  né  ritratta 
ddUe  mani  dell' uomo,  che  sono  cose  (|)er  usare  una  bella  frase 
(li  Seneca)  tarda  ad  divina.  Vediamo  -inoltre  nei  nostri  due 
primi  poeti  una  stessa  dottrina  intorno  all'arte:  e  questa  con- 
formità di  due  grandi  scrittori  contemporanei  ci  conduce  a 
pensare  di  qualche  fondamento  comune  alla  loro  educazione 
intellettuale.  Dante  e  il  Petrarca  appartengono  ancora  a  quella 
era  che  fondò  per  tutta  Italia  Republiche  e  Principati,  senza 
molto  discorrei'e  di  teorie  politiche  e  civili;  a  quell'età  operosa 
che  visse  di  fatti,  non  di  parole,  e  in  ogni  parte  della  vita  po- 
blica  e  pl^ivata  attese  a  progredire,  non  a  parlar  di  progresso. 
Tuttavolta  non  è  da  credere  che  gli  uomini  operassero  allora 
p#T  non  so  quale  istinto  che  li  guidasse  al  grande  e  al  perfetto: 
laolto  meno  è  credibile  che  noi  riusciamo  da  meno  di  loro 
perr-hè  siamo  più  eruditi  e  più  culti.  Apparisce  dagli  esempi 
^ià  addotti  che  Dante  e  il  Petrarca  poetarono,  non  per  istinto 
ni  natura  soltanto,  ma  secondo  certo  massime  e  certi  princìpj 
in  tutti  e  due  conformi:  e  chi  cercasse  più  sottilmente  nelle 
loro  opere  di  verso  e  di  prosa,  potrebbe  forse  cavarne  com- 
piuta U  teoria  dell'Arte  da  loro  adottata.  Frattanto  a  me  basta 
per  ora  dedurre  da  quanto  abbiamo  veduto  fin  qui  che  all'Al- 
ligh'eri  e  al  Petrarca  non  furono  ignote  le  principali  dottrine, 
alle  quali  i  moderni  imposero  un  nuovo  nome,  ma  non  poterono 
niìgliorarne  gran  fatto  l'essenza:  e  questa  verità  io  propongo 
«ia  considerare,  non  già  per  vano  orgoglio  di  nazione,  ma  porchò 
.«erva  a  persuadere  ciascuno  che  l'ingegno  non  si  mostra  mai 
;rrande  ed  eccellente  a  caso,  ma  per  lunga  e  diligente  cultura; 
e  che  presso  i  popoli  saliti  al  sommo  nelle  arti  non  mancò 
mai  la  teoria,  benché  attendessero  più  a  praticarla  n  Ile  opere 
che  ad  ornarla  colle  parole. 

Baldacchini  Saverio,  Sulla  Lettei^a  di  Frate  Ilario  del 
Corvo.  Baldacchini  Prose,  il  |k  21-50.  Napoli,  Stamperia  del 
Vaglio,  1*^73. 

11  Baldacchini  è  convinto  che  la  scena  rappresentata  nella 
lett4;ra  italiana  fu  vera  ;  ma  se  fu  immaginata,  ei  convien  dire 
che  fu  immaginata  da  un'anima  pari  a  quella  dell'Alighieri, 
il  che  non  gii  sembra  probabile. 


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132  STUDI  SULLA  DIVINA  OOMMBDIA. 

P.  F.  Bonaventura  da  Sorrento,  Cappuccino,  Dante  e  ia 
Divina  Commedia,  A/^punti'. .  Napoli ,  Tipografia  degli  Accat^ 
toncelH,  1872. 

Premessa  per  sommi  capi  la  vita  del  Poeta,  discorre  del- 
1*  originalità  della  Divina  Comedia,  ci  espone  la  meccanica  del 
regno  della  wiorte  gente,  del  secondo,  ove  rumano  spirito  si 
purga,  di  quello,  deiforme;  la.  gloria  di  lui  che  mostrò  ciò  che 
potea  (a  lingua  nostra,  annovera  le  bellezze,  di  che  s*  ingemma 
r altissimo  Canto,  e  ne  espone  il  concetto  principale.  Secondo 
lui,  il  vero  concetto  di  Dante  è  il  concetto  cattolico,  racchiuso 
nelle  tre  parole  —  Dio,  Chiesa,  Uomo;  ovvero  Tuomo  che 
deve  giungere  a  Dio  a  mezzo  della  Chiesa,  Dio  che  vuole  la 
maggior  sua  gloria  nella  salvezza  dell'  uomo  mediante*  la  Chiesa. 
Il*  Cappuccino  si  mostra  di  parte,  torce  e  coarta  i  concetti  di 
Dante  come  meglio  gli  fa,  si  che  dal  fatto,  in  molti  luoghi, 
il  suo  dir  torna  diverso. 

Caetani  Michelangelo,  (n.  il  20  Marzo  1804)  Della  Dottrina 
che  si  asconde  nelC  ottavo  e  nono  canto  delC Inferno  della  Di- 
vina Commedia  di  Dante  AUighieri,  Esposizione  nuova.  — 
Venerabile  donum  fatalis  virgae.  —  Al  sapientissimo  —  Conte 
Carlo  Troya  —  delle  lettere  delle  storie  della  Italia  —  onore 
e  lume  chiarissimo  —  M.  Caetani  —  Ammiratore  riverente 
grato  —  Questo  libro  suo  —  Dona  e  raccomanda.  Roma,  1852, 
Tipografia  Menicauti. 

Matelda  nella  divina  foresta  della  Commedia  di  Dante 

Alighieri,  Dissertazione  Tusculana,  Roma,  Salviucci,  1857. 

Di  una  più,  precisa  dichiarazione  intomo  ad  un  passo 

della  Divina  Commedia  di  Dante   Alighieri  nel  C  xviii   del 
Paradiso.  Roma,  Menìcanti,  1852. 

Il  Salviucci  in  elegante  volumetto  di  pag.  70(1876)  ripubblicò 
tutti  e  tre  i  lavori  del  Caetani,  i  quali  quanto  erano  stati  am- 
mirati da  eminenti  Dantisti  quando  videro  primamente  la  luce^ 
tanto  erano  desiderati  invano  dai  nuovi  studiosi. 

«  Nel  primo  s'investiga  chi  sia  quel  messo  di  Dio,  che  colla 
verghetta  apre  a  Dante  l'accesso  alla  vietata  città  di  Dite; 
nel  secondo  si  ricerca  chi  sia  storicamente  Matelda,  che  il  Poeta 
trova  nella  divina  foresta  del  Purgatorio;   nel  terzo,  critica- 
mente e  anche  graficamente  si  determina  il   significato  del 
r  ingigliarsi  dell' emme  nel  xvni  canto  del  Paradiso.  Quest'uU 


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STUDI  SULLA   DIVINA   COMMEDIA.  133 

i  troverà  forse  niun  dissenziente,  tanto  bene 
I  r  espressione  dantesca  ;  quanto  alle  altre  due, 
)  accolga,  non  potrà  a  meno  di  far  la  debita 
I  deirAutore.  Che  il  messo  di  Dio  non  sia  un 
hiaro  dal  verso  del  Purgatono:  Ornai  vedrai 
Ui,  che  significa  come  Dante  non  ne  avesse 
i  nel  suo  mistico  viaggio  ;  oltreccbè  e  sarebbe 
iglio  far  discendere  entro  V  Inferno  alcuno  degli 
liso.  —  Ma  che  cotesto  messo  sia  Rnea,  e  la 
quale  è  aperto  Dite  sia  il  venerabile  donum 
to  dalla  sibilla  air  eroe  troiano,  non  forse  tutti 
ebbene  il  Caetani  esponga  con  poderosi  argo- 
erpretazione ,  e  abbia  dalla  sua  T  autorità  di 
desimamente,  ci  par  chiarissimo  che  la  Matelda 
on  possa,  per  le  ragioni  lucidamente  dichiarate 
;r  la  guelfii  Contessa  di  Toscana,  ma  non  tutti 
0  la  beata  Matelda  di  Germania,  madre  del- 

>one Ad  ogni  modo  sia  questa  o  quella  la 

a  fra  le  tante  che  vengono  proposte,  certo  è 
la  Gran  Contessa  appare  omai  quasi  perduta: 
la  colla  sua  dissertazione  tusculana  portato  un 
luova  Antologia,  Maggio, .1876,  200;  Rivista 
,  1876,  p.  376;  Renieri  Antonio,  La  Riforma, 
Xq.òì;  De  Gubematis,  Ricordi  Biografici,  300. 
il  1865,  perdette  per  intero  la  vista.  La  seconda 
ria  della  Dicina  Commedia  dichiarala  in  sei 
epigrafe  questa  terzina  di  Dante: 

)  abbondante  f^azia,  ond*io  presunsi 
;car  lo  viso  per  la  luce  eterna 
nto  che  la  veduta  vi  consunsi! 

0,  —  Dante  —  Storia  della  Repubblica  di  Fi- 
Barbéra  1875  —  Dante  Alighieri.  —  L.  lì, 
172  —  L.  Ili,  C.  IX,  p.  345,  353  e  360. 
i  certamente,  scrive  il  Capponi,  il  sommo  tra 
lostra  lingua,  perchè  fu  il  sommo  tra  quanti 
nai  la  nostra  gente.  —  €  La  stesura  del  sacro 
Ica  del  condensare  ivi  gli  affetti  ed  i  penaieri 
USL  comprendeva ,  lo  fecero  macro  tutto  il  ri- 


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IS^i  STUDI  SULLA  DIVINA  COMMEDIA. 

manente  della  vita:  ne  usciva  il  libro  più  intero  in  sé  stesso 
che  umano  ingegno  mai  pensasse.  Come  ni  una  opera  di  poesia 
si  spazia  su  tanta  ampiezza  di  cose,  dai  tramiti  angusti  della 
vita  materiale  fino  alle  più  alte  rivelazioni  della  coscienza; 
cosi  nessuna  riesce  a  comporre  tante  cose  in  un  concetto  unico. 
Bel  quale  Dio,  Tuomo  e  l'universo,  come  Tuno  air  altro  ne- 
cessario, si  offrono  insieme  air  intelletto  e  a  tutta  T  anima 
del  Poeta:  in  ciò  a  mio  credere  sta  la  preminenza  deirAlighieri 
tra  i  poeti  d*ogni  lingun.  Altri  ebbe  forse  dopo  lui  in  altra 
idioma  e  sotto  forma  drammatica,  una  vena  più  ricca  e  pos- 
sanza di  creare  in  maggior  copia  immagini  vive;  prodotti  di 
una  facoltà  inventiva  che  una  dopo  T  altra  e  ognuna  da  so 
le  fa  passare  incessantemente  dinanzi  al  pensiero,  come  obietti 
nei  quali  non  pare  che  egli  si  fermi  o  che  più  all'uno  che 
air  altro  consenta.  > 

«  Ebbe  il  maestro  di  Dante,  Virgilio,  più  di  lui  squisito  e 
fino  il  sentire  di  ciascuna  cosa,  e  dolce  e  armonica  sempre  la 
parola  nutrita  d'aJEfetti.  Ma  per  T  Alighieri  il  mondo  pare  che 
si  rifletta  insieme  tutto  dentro  a  lui  solo;  talchò  in  lui  sta 
r  unità  del  Poema  suo  e  sta  insieme  T  universalità,  perchè  il 
pensiero  di  lui  ambiva  come  da  un  centro  a  una  circonferenza 
volgere  il  sesto,  fino  ali*  estremo  dove  non  vanno  altro  che  le 
idee,  e  tutte  chiuderle  in  eà  stesso.  Cosi  nel  libro  ò  tutto  V  uomo, 
e  quindi  il  nome  di  lui  ha  quasi  un  culto  nel  mondo.  »  — 
Nel  capitolo  ix  dopo  di  aver  ragionato  del  Petrarca,  licondotta 
la  mente  dello  scrittore  a  pensare  di  Dante,  e  di  quel  secolo 
più  robusto,  più  virile,  dice  :  «  Ma  quanto^rande  sia  la  infe- 
riorità di  questo  secolo  del  Petrarca  messo  a  confronto  di 
quello  di  Dante,  si  fa  manifesto  per  la  di  Aderenza  che  tra  essi 
corre  sul  concetto  dell'amore.  Laura  è  una  donna  ed  il  Pe- 
trarca un  innamorato;  T amore  da  lui  portato  alla  somma 
altezza  sua  e  purità,  tuttavia  ò  amore  co'  suoi  affanni  e  le  sue 
dubbiezze,  che  «  sana  e  uccide  »  e  si  avvolge  per  isquisite 
^delicatezze  nelle  infinite  sue  varietà  di  casi,  per  cui  ralK^tto 
tra  quelle  anime  virtuose  pure  ebbe  una  istoria.  Laura  puris- 
«ima  riposa  sul  margine  delle  dolci  acque,  mentre  «  un  nembo 
<  di  fiori  cuopre  ad  essa  le  vesti  leggiadre,  e  il  grembo  e  le 
«  treccie  bionde:  >  ò  bella,  ma  tu  puoi  immaginare  quella 
bellezza,  puoi  ricordare  donna  veduta  o  donna  pensata,  e  nella 


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STUDI  SULLA  PIVINA  COMMEDIA.  135 

i  tuoi  fino  agli  affetti  del  grande  autore.  Ma 
'Alighieri  non  è  propriamente  donna,  ma  vi- 
tra  gli  uomini  altro  che  mostrarsi,  saluta  e 
»cchi  non  T ardiscono  guardare;  >  ma  egli  la 
cuore  ed  al  pensiero,  senza  che  amore  giammai 
rta  di  lui;  nò  prima  che  in  cielo,  fu  mai  tra 
me.  > 

losrÈ,  Dante.  Dello  svolgimento  della  Tiettera- 
-  Studi  Letterari.  Livorno,  Vigo,  1874,  p.  60-60. 
)presenta  il  popolo  vecchio  —  Dante  prese  dalla 
a  delFanterior  generazione  la  poesia  lirica,  la 
dottrine  scolastiche  per  sollevarli  a  un  i  leale 
meditazione  e  contemplazione  miì^tica.  Appresso 
i  di  giustizia  di  Giano  Della  Bella  diedesi  a 
di  filosofìa  e  di  arte  civile  sempre  negl'inten- 
lurazione  e  di  progresso  a  un  tempo,  del  comune, 
prima  opera  italiana,  ove  l'elemento  nazionale 
I  un  ben  determinato  concetto  si  della  scienza 
antiche,  e  con  la  trattazione  per  volgare  delle 
iche  che  segna  a  un'ora  il  primo  passo  alla 
della  scienza  e  alla  confermazione  classica 
.  E  il-  poeta  aveva  dalla  parte  sua  fatto  di  tutto 
rapido  corso  della  democrazia,  si  era  adoperato 
per  entrare  come  nella  civiltà  del  comune  cosi 
ca  del  popolo  nuovo.  Ma  dopo  il  colpo  di  stato 
i,  e  degli  oligarchi  guelfi,  senti  ch'ogni  riven- 
ca  e  legale  tornava  oramai  impossibile,  che  il 
Lveva  finito  :  in  lui  risorse  l' antico  aristocratico . . . 
nisurataroente,  nel  rimpicciolimento  de'  concetti 
lasfiioni  di  parte,  come  smisuratamente  si  svolse 
i  termini  nostri  quell'animo  e  quell'ingegno! 
vono  l'Italia  l'arte  ed  il  mondo  a  quell'esilio, 
fiorentino,  d' un  poeta  elegiaco,  d' un  trattatista 
Tuomo  fatale,  il  cui  severo  profilo,  nel  quale 
un'epoca  della  storia  umana,  domina  i  secoli, 
il  profeta  non  nazionale,  ma  europeo,  ma  cri- 
medio!  ...  E  air  idea  sociale  e  politica  risponde 
opera  di  Dante  il  concepimento  estetico:  egli 
\  a  raccogliere  in  sé  i  riverberi  delle  mille  e 


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136  STUDI  SULLA.  DIVINA.  OOMMBDIA. 

mille  visioni  del  medio  evo,  e  a  rispecchiarli  potentemente  uniti 
su*l  mondo:  giunse  a  tempo  a  chiudere  con  un  monuoaeoto 
gigantesco  V  età  delKallegoria . . .  Egli  nella  solitudine  dell*  esilio, 
in  una  notte  di  dolore,  imaginò,  disegnò,  distribuì,  adornò, 
dipinse,  finì  in  tutti  i  minimi  particolari,  il  suo  monumento 
gigantesco,  il  domo  e  la  tomba  del  medio  evo. . . .  Dante,  com'*  è 
natura  de*  poeti  veramente  grandi  di  rappresentare  e  conchiu- 
dere un  grande  passato,  Dante  fu  V  Omero  di  cotesto  momento 
di  civiltà.  Ma  son  momenti  che  presto  passano;  e  i  diversi 
clementi,  dopo  incontratisi  nelle  loro  correnti,  riprendono  ognun 
la  sua  via.  Per  ciò  avvenne  che  della  Divina  Commedia,  rima- 
nendo vìvo  tutto  quel  ch*ò  concezione  e  rappresentazione  ìq~ 
dividuale,  fosse  già  antica  fin  nel  trecento  la  forma  primigenia, 
la  visione  teologica;  per  ciò  Dante  non  ebbe  successori  in  in- 
tegro. Egli  discese  di  paradiso  portando  seco  le  chiavi  dell'altro 
mondo,  e  le  gittò  nelF  abisso  del  passato  :  niuno  le  ha  più  ri- 
trovate. > 

Dante,  Petrarca  e  Boccaccio*  Id.,  p.  71-75. 

DeUa  varia  foHuna  di  Dante.  Id.  p.  239-370.  —  V. 

Man.  Dant  iv,  50. 

Castiglia  Benedetto,  La  mia  dottrina  intomo  a  Dante, 
Estratto  dal  Courier  Frangais  italien,  ed  inser.  trad.  nella 
Favilla  di  Palermo,  A.  xiv,  n.  3,  11  die.  1857. 

Dante  Alighieri,  ossia  il  problema  dell'umanità  tiei 

Medio  Evo.  Favilla  di  Palermo. 

Ceochi  Leopoldo,  Dante.  V.  Rivista  Europea,  Giugno  1875, 
p.  91  e  seg. 

Cbrbsbto  Giambatista,  I.  La  Divina  Commedia  è  un  mo- 
numento storico.  —  IL  La  Divina  Commedia  è  un  monumento 
sdenUfico  e  dottrinale.  Della  Epopea  in  Italia,  ecc.  Torino, 
Pomba,  1853,  p.  32-50.  —  V.  Man.  Dani,  ii,  561,  574. 

Cbrritblli  av.  Pietro,  Pensieri  sulla  Divina  Commedia. 
Chieti,  Del  Vecchio  ed  Orlando,  1871,  p.  04. 

Dante  abbellì  la  scienza  con  la  poesia:  volle,  secondo  ^U 
stesso  dettava  nel  Convito,  un  accordo  indiatrattibile«  un  ma- 
trimonio etemo  fra  quelle  due  manifestazioni  del  pensiero 
umano.  —  Dante  adoperò  il  linguaggio  figurato,  imperoochò 
così  e  non  altrimenti  gli  era  d*uopo  mettere  iosterae  1*  antico 
ed  il  nuovo  sapere,  sotto  il  velame  degli  versi  strani.  —  La 


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STUDI  SULLA.  DIVINA  COMMEDIA.  137 

i  ò  il  medio  evo  realizzato,  come  vuole  il  De 
Qttosto  questo  e  tutto  il  tempo  anteriore  air  evo 
itto  r  avvenire  ;  poichò  quando  V  umanità  si  con- 
izzata,  non  ò  più  nei  limiti  del  tempo;  ò  la  vera 
>io;  è  quello  che  avrebbe  dovuto  essere,  e  quel 

dovrà  addivenire.  —  11  poema  di  Dante  ha, 
lei  didascalico  ;  si  accorda  col  bello,  col  buono, 
)  a  correggere  la  società  depravata,  rirondurla 
azione.  Una  tale  mescolanza  d'idea  e  di  forma, 
e  di  cristianesimo,  di  verità  a  priori   ed  a  pò- 

passata,  presente,  futura,  di  favola  e  di  vero, 
>  di  storia,  di  teologia  antica  ch'era  filosofia 
teologia  moderna  che  è  un  passo  a  cui  perviene 
De,  non  deve  riguainlarsi  a  guisa  di  una  com- 
&  e  grottesca;  ma  piuttosto  come  processo  scien- 
contiene  T analisi  e  la  sintesi,  la  scienza  e  Parte, 
ùrito  e  della  natura,  la  immaginazione  e  la  realtà, 
figurato.  —  Per  Dante  non  la  ci'edulità  ma  la 
ofica  è  messa  innanzi,  mentrechò  si  professa 
)  zelante  cristiano.  Egli  ben  pensò  come  Tapo- 
>8tra  religione  si  estende  ad  ogni  cittadino  che 
era  la  chiesa  terrestre  dalla  chiesa  celeste.  — 
i  di  tempo  e  la  diversità  di  costumi  distinguono 
>.  —  Non  basta  di  raffrontare  con  la  storia  il 
andio  richiedesi  che  T  elemento  filosofico  spazii 
*  ideale,  e  si  avrà  T  anima  di  quel  colosso  dei- 
italiana.  —  Il  bello  neiralta  idealità  dì  Dante 
rientifico  ad  un  tempo.  In  quanto  all'arte  è  in- 
ione  e  coordinamento,  armonia  del  fantastico  e 
lanto  alla  scienza  ò  chiarore  che  si  spande  in 
n'individuale  sapere,  e  pareggia  il  lume   della 

—  La  scienza  filosofica  e  la  scienza  estetica 
B  cidi  della  medesima  comprensione:  entrambe 
Denti  di  universalità,  e  con  la  veste  del  sensibile 
apparizione  dell'idea...  Degl* influssi  speculativi 
ras  £ftDta8Ìa  di  Dante,  egli  concepì  il  disegno 
li  congi unger»  il  passato  all'avvenire  coi  legami 

se  la  storia  è  verità  del  bene,  o  provvidenza* 
il  determinarsi  delia  pura  idealità,  manifestaa- 


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138  STUDI  SULLA.   DIVINA   COtBIEDlA. 

dosi  nei  fenomeni,  ò  istoriare  le  idee  ò  filosofare,  con  espres- 
sione artistica,  è  il  bello  considerato  nel  sno  più  alto  colloca- 
mento. In  ciò  io  credo  che  debba  rintracciarsi  l'allegoria  ge- 
nerale del  Poema,  e  che  ad  essa  si  pervenga  senza  confonder!»!. 

La  Commedia  non  è  un  sistema  fìlosofico ,  ma  il  tipo  di 
lutti  i  RÌ«»temi:  non  ò  solo  la  storia,  ma  ancora  la  ragione 
che  la  informa  :  non  è  astrattezza  che  non  rientri  nel  concreto  : 
è  invece  realizzazione  di  un  ideale  da  cui  prendono  colorito  T  in- 
terno e  re5*terno  dell'individuo,  della  società,  della  umanità, 
la  vita  intell**ttiva,  la  vita  pratica,  la  morale,  la  politica.  —  In 
breve  il  Fiorentino  intendeva  ad  una  meta  ove  scienza  e  bel- 
ifzza  formassero  un  medesimo  prin<*ipio,  meglio  dichiaralo  dal 
nostro  Viro,  il  quale  faceva  discendere  quel  duplice  concetto 
dall'idea  di  ordine.  —  K  la  Commedia  sacra  vale  sacj'a  rap- 
presentazione, e  nel  gran  Dramma  faceva  d'uopo  mettere  in 
movimento  tipi  ideali,  non  era  possibile  che  a  tanto  si  perve- 
nisse senza  adoperare  la  forma  allegorica  nella  quale  com- 
penetrarne la  idealità  e  la  realtà.  —  Sofocle  ed  Aristofane 
immortalarono  il  dramma  greco  e  so  stessi.  Dante  fece  uu 
dramma  che  riassume  tutti  gli  altri:  Milton  e  Klopstok  non 
possono  essere  termine  di  paragone  con  lui,  appunto  perchè 
mancanti  di  quella  idealità  onde  il  punto  di  partenza  simbolico 
ravvolge  dentro  un  mare  dt  luce  i  fotti  storici,  e  con  essi 
inalza  monumenti  di  nazionali  reminiscenze. 

D.  A.,  Florilegio  Dantesco,  o  Studi  della  Divina  Comedia 
di  Dante  Alighi*:ri,  Ancona,  Aureli,  1847. 

Db  Cosmi  Giov.  Agostino,  Elementi  di  filologia  italiana  e 
latina.  Palermo,  18U3. 

II  Can.  Giov.  Agostino  Do  Cosmi,  cui  la  Sicilia  deve  la 
scienza  pedagogica,  con  l'amoroso  zelo  <Ae  tutto  accendevalo 
per  il  bene  della  gioventù,  nei  ii  voi.  degli  Elementi  di  filologia 
inserì  un  lungo  giudizio  che  intitola  DeUa  lettutyx  di  Dante, 
nel  quale  ragiona  della  lingua  e  dello  stile  della  Commedia, 
ch'ò  come  modello  in  cui  si  ravvisano  i  vivi  colori  defo  elo- 
quenza e  della  poesia.  Commenta  le  panile  di  Dante  rolte  a 
Virgilio,  quando  appellandolo  suo  maestro  ed  autore  gli  dice  : 
Tu  se'  solo  colui,  da  cui  io  tolsi  lù  bello  stile,  che  m'ha  fatto 
onore,  e  prova  che ^ lo  stile  di  Dante  ò  perfetto,  perdio  ha 
originalità,  novità,  evidenza,  energia,  brevità,  e  dice  Dante  feli- 


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STUDI  SULLA   DIVINA   COMMEDIA.  139 

escrizione,  e  dipintore  mirabile  di  caratteri  e  di 

I  VicENZO,  Gli  Angeli  nella  Divina  Commedia. 
a  e  Critica.   Palermo,    Lauriel,    1874.   V.  Man. 

—  Sugli   Angeli   di    Dante   e   specialmente  su 
i^atorio,  V.  Alb.  Róndani,  I  tre  regni  Danteschi 
nt.  Giugno  1876,  p.  281;  Botta  Vinc.  The  An- 
13. 
lAMBATiSTA,    La  Dtcina  Comedia,  opera  patria^ 

storica,  poetica.  Pistoia,  Gino,   1837. 
seguenti   lavori:   I.  Vita   di    Dante   raccolta   da" 
:i   ed   illustrata   dal   Fanelli.   —  U.  Ginguenè , 

deir Opera.  — -  III.  V.  Monti,  Dello  stile  di  Dante 
aiglianza  al  Virgiliano.  —  IV.  Sirocrhi  Dionisio, 

alcuni  passi  di  Dante.  —  V.  Perticai^  Giulio, 
io  di  Dante.  —  VI.  Silvestri  G.,  Lezione  sopra 
media.  —  VII.  Fanelli  Giamb.,  Discoi*so  che  la 
dia  è  poema  sacro-morale  e  storico-politico.  — 
uarci  del  discorso  di  U.  Foscolo.  —  IX.  Origini 
ommedia  di  Osanam. 

LosA,  Dialogo  sulla  Divina  Commedia.  V.  Bal- 
8,  I,  200. 

Giusto,  Dell'Eloquenza  libri  tre.  —  Dante ^  p. 
muori  intomo  al  poema  di  Dante,  p.    333-54. 

una  nuova  edizione  di  Dante,  p.  355-57. 

II  Raffaello,  Disegno  storico  della  Lelter.  ital. 
>ni,  1875.  —  Lezione  ni.  Dante,  23-37.  —  Di- 
Esempi  in  appendice  al  Disegno  storico.  Firenze, 

27-67. 
Giovanni,  Sctntti  Danteschi  ora  per  la  prima 
?  notevolmente  ritoccati  daW Autore,  con  giunta 
.  Firenze,  Success.  Le  Mounier,  1876. 
i^  severo  investigatore  del  vero,  lo  cercò  con 
a  né'  libri  scritturali,  ne'  Padri,  ne'  filosofi,  ne'  poeti 
ante  fra  tutti,  perchè  stupendo  accoglitoi-e  del- 

e  del  nuovo.  Ed  ogni  concetto  de'  suoi  scritti 
ita,  che  gli  piacque  accogliere  in  un  volume,  fu 
sato  pel  solo  amore  del  vero.  Da  pertutto,  fin 
indiente,  traspare  la  schietta  bontà,  e  direi  letizia 


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140  STUDI  BULLA.  DIVINA  GOMBIEDIA.. 

dell* anima  sua  da  verità  condotta  a  bellezza:  e  gìk  ei  li  vede 
nella  sua  mente  questi  due  mirabili  aspetti  del  valore  infinito 
rìmandarsi  lume  quasi  come  due  volti  soavi,  onde  ride  umca 
letizia  d'amore.  —  Da  principio,  cei'cando  soprattutto  io  Dante 
il  pensatore  e  la  piii  luminosa  guida  della  vita,  scrìsse  Beile 
ragioni  supreme  deW  istoria  secondo  fa  mente  delC Alighieri, 
la  quale  opera  tiene  quasi  un  terzo  dell*  elegante  volume.  B 
impossibile,  scrive  il  critico  della  Nuova  Antologia.  Maggio  1876, 
p.  201 ,  dare  esatto  conto  in  un  Bollettino  bibliografico  del* 
r  importanza  di  essa,  e  basterà  accennare  che  vi  si  discorre 
fu  tre  parti  della  Umana  famiglia  nella  sua  storia,  degli 
Angeh  cooperatori  degli  uomini,  e  di  Dio  nella  vita  delT  umana 
famiglia;  in  una  Appendice  poi  sono  raccolti  alcuni  Pensieri 
Danteschi  intorno  alla  filosofia  della  storia,  considerata  come 
scienza.  Apparecchiatosi  al  grave  lavoro  con  severi  studi  di 
teologia  e  di  patristica,  egli  segue  nella  Divina  Commedia  il 
logico  svolgimento  del  concetto  di  Sant*  Agostino,  e  lo  espone 
in  forma  dommatica,  ma  sempre  così  lucida  e  piana  che  ricorda 
le  scritture  del  ti*ecento.  Ci  sembra  questa  la  migliore  intro- 
duzione che  possa  darsi  alla  piena  intelligenza  del  pensiero 
dantesco,  intorno  alle  relazioni  tra  Dio  e  Y  umanità.  Oltre  alle 
minori  dissertazioni  su  Gregorio  VII,  sul  Veltro,  sul  Satana, 
ingegnoso  rafironto  del  dantesco  col  miltoniano,  esuli* impor- 
tanza del  porre  studio  massimo  nella  Divina  Commedia,  il 
presente  volume  contiene  due  operette  estetiche  della  Evidenza 
Dantesca  e  della  Beatrice  (l>e\V  Evidenza  Dantesca  V.  p.  119). 
La  seconda  ricerca  qual  fosse  V  anima  del  Poeta,  rispetto  alla 
sua  Donna,  nelle  ascensioni  del  pensiero  e  dell'  affetto  spirìtuale, 
e  cosi  dopo  aver  ragionato  della  Beatrice  terrestre,  ce  la  mostra 
trasfigurata  in  visione  poetica  che  salva  dagli  errori  mondani 
il  trepido  amante,  e  beandolo  d'ineffabile  dolcezza,  lo  leva  a 
contemplare  i  sublimi  fulgori. 

Poeta  egli  stesso  spiritualissimo,  il  signor  Franciosi  ò  abile 
a  spiegare  con  acuti  avvedimenti  i  molteplici  ^ensi  della  parola 
dantesca  ed  il  magistero  di  quell'arte  unica  al  mondo  eh'' è 
nel  tempo  stesso  simbolica  e  divinamente  inspirata.  Il  solo  ap- 
punto che  può  muoversi  alla  sua  maniera  di  critica^  egli  ben 
lo  conosce ,  e  prevedendolo  vi  risponde  con  queste  parole  : 
<  Chi  poi  dicesse  che,  meditando  sulf  opera  altrui,  troppo  io 


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STUDI  SULLA   DIVINA  COMMEDIA.  141 

[  mio,  non  gli  vorrò  male  per  questo;  ma  libe- 
rò; che  suir  opera  altrui  (uè  poteva  fare  altri- 
meditai  con  amore,  e  che  V  amore  di  necessità 
....  » 

gì,  //  dialetto  di  Verona  nel  secolo  di  Dante. 
e.  Voi.  VI,  1873,  p.  281-324. 

NBMBRITI  DELLO  STUDIO   DI   DaNTE.    V.  MELANDRI. 

'iCENZO,  Come  Dante  usasse  la  mitologia.   Del 

,  Honamici,  1846,  p.  224. 

ER  Alessandro,  Del  sistema  mitologico  di  Dante, 

letto  nelC Ateneo  di  Venezia  li  13  Marzo  1837. 
0.   Venezia,  Andreola,  1839;  'Discorsi  ed  altre 

Fontana,  1843,  p.  152-169. 
oducendo  nel  suo  poema  gli  antichi  esseri  mi- 
gliò della  divina  lor  veste  per  mostrargli,  a  cosi 
la  diabolica  lor  nudità.  Ei  si  valse  dei  miti,  sì 
ioni,  di  memorie,  di  reliquie  dell* antica  poesia; 
9mi  e  le  forme,  ma  ne  cambiò  affatto  l'essenza; 
,  al  lume  del  cristianesimo,  che  tutte  folgorando 

i ,  tutta  ne  discopre  la  vanità Dante  fii  il 

nerare  colla  face  delle  cattol  icbe  verità  le  favole 
li  tutto  al  più  non  apparivano  ai  suoi  occhi  che 
I  o  contraffazioni  di  fatti  reali  e  di  popolari  trar 
)Oeti  avvolsero  nel  velo  mitologico,  per  acquistare 
ore  autorità  e  maggior  fede. 

Luciano,  La  Mitologia  e  la  prima  Cantica  della 
*dia,  Studio  comparativo.  Treviso,  Zoppelli,  1876. 
i  proposti  di  studiare  la  genesi  della  forma  sen- 
te ha  saputo  dare  alla  concezione  maravigliosa 
},  non  potemmo  esimerci  dal  procedere  secondo 
parati vo,  legando  cosi  il  concetto  cristiano,  pel 
illa  forma,  qoUe  tradizioni  favolose  d'Occidente, 
conoscono  di  fonte  indiana.  Dante ,  è  vero ,  non 
erno  :  lo  ti'ova  nel  catechismo  della  sua  fede  coi 
altri  misteri  ;  ma  dal  momento  che  in  quello  a 
nescolarvi  buona  parte  dell'  avemo  mitologico,  ci 
on  cosi  di  voler  saperne  il  perchè,  quanto,  cogli 
3za  e  delle  scoperte  odierne,  di  paragonare  il  suo 

mondo  di  oltre  tomba  con  quello  dogi'  indiani  iu 


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••• 


142  STUDI  SULLA   DIVINA  COMMEDIA. 

cui  e  l'uno  e  T altro  inconsapevolmente  si  rìQettono 

nendo  al  mito  d*  Inferno  ,  non  smentisce  ia  natura  e  l' u; 
suo  nella  paganità,  nemesi  inesorata  per  gli  scelerati  < 
empii:  domraa  di  fede  nel  nistianesimo ,  tale  signoreggia 
purgatorio  e  col  paradiso  nella  Divina  Commedia,  ove  si  pi 
qual  contenente  fanUistico  per  accogliervi  parte  dell' èrebo 
tico.  >  11  sig.  Si:*sa  ci  annunzia  d'imminente  pubblicaziot 
'  sua  Tetralogia  Dantesca,  studi  comparativi.  Abbraccerà  < 

La  Mitologia  e  C  Inferno  —  Le  Visioni  e  il  Purgatorio  - 
Deità  e  il  Paradiso  —  L'  Uomo  e  la  Poesia  nella  Divina  ( 
media. 

GiRGENTi  Gabtanina,  Le  donno  nella  Divina  Comm 
L'Arte  di  Palermo,  A.  il  n.  13,  1  Luglio  1871. 

Tommaseo  Nicolò,  Le  donne  del  Poema.  Discorso  agg 
•  al  Canto  ir  dell'Inferno. 

Lorenzi  Girolamo,   Le  donne  della  Divina  Commed 
Dante.  Racconti  e  Commenti. 

«  Presi  per  soggetto,  cosi  il  Lorenzi,  un  argomento  a 
alle  lettrici,  per  cui  feci  il  lavoro:  cioò  lo  Donne  di  cui 
Dante  nelle  tre  Cantiche.  Divisi  pertanto  il  lavoro  in  sei 
Nella  prima  do   una  breve  vita  di  Danto,  coH'esposizio 
tutto  il  piano,  o  congegno   artistico  del  poema,   ed  un  r 
na mento   sulla   bellezza   ideale   o  poetica  e  sui    pregi  e  < 
delle  donne  in  generale.   Nella  seconda  per  via  di  narr 
e  di  brevi  co  menti   parlo   di  tutte   le  donne   dell*  antico 
nuovo  Testamento,   citando  i  versi   di  Dunte;  e  così   fo 
parte  terza  per  quelle  della  Mitologia  o  dell*  epoca  Mi tolc 
nella  quarta    per  le  donne   della   storia  antica   profana; 
quinta  per  quelle   della  famiglia  di  Dante  e  per  le  sue 
«centi;  nella  sesta  per  quelle  in  cui  tratto  delle  donne  i 
ginarie  di  cui  abbonda  il  poema,  dove  avrò  agio  d'intrc 
alquanto  lo  lettrici    nei  più  elevati,  insegnamenti   dell' esi 
della  morale  e  della tìlosofia.  »  Dal  Programma.  Milano,  R.  S 
1876.  —  Il  Lorenzi  ce  ne  diede  un  Saggio  nel  suo  libr 
Firenze  nel  secolo  di  Dante,  che  ci  fa  dubitare  assai  de 
lltà  del  lavoro. 

Giuliani  Giambattista,  (n.  nel  Comune  astigiano  di  C 
il  1  Giugno  1818)  Dante  e  il  vioente  Linguaggio  Toscan 
scorso  letto  nelC  adunanza  solenne  della  R.  Accademia 


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BTUDI  SULLA.  DIVINA  COMMEDIA.  143 

Olisca  il  lodi  SeUembre  1872.  Firenze, Stamperia  Reale,  1872. 
-  Id.  Il  Propuguatore,  1872,  Voi.  v,  p.  157-79.  —  Id.  3/o- 
ralìtà  e  poesia  del  vioente  linguaggio  della  Toscana,  Firenze, 
Le  Monnier,   1873. 

Il  Giuliani  piglia  a  risolvere  la  celebre  questiono  che  da 
Uuto  tempo  ai  sta  agitando  in  Italia,  se,  cioè,  la  nostra  lingua 
hìa.  fiorentina,  toscana  o  italiana;  e,  per  venirne  a  capo,  ricorro 
a  Dante,  né  senza  ragione  :  che  la  lingua  di  Danto  ò  la  lingua 
d*  Italia,  e  però  quale  è  quella,  tale  è  ancora  questa.  Ora  egli 
toglie  a  dimostrare  che  la  lingua  della  Divina  Commedia  ò  io 
stesso  linguaggio  che  il  popolo  toscano,  privilegiato  di  gusto 
e  di  gentilezza,  ha  custodito  sino  al  presento»  Nò  ciò  egli  fa 
con  argomenti  astratti  e  con  briosi  argomenti,  ma  con  T  aluto 
Ci  semplici  tatù  appresi  alla  scuola  di  Dante  e  del  popolo; 
inétituisce  un  riscontro  tra  la  lingua  di  Dante  e  quella  che  si 
continua  ancora  sulle  labbra  di  toscani.  11  raffronto  ei  lo  fa 
as!»ai  chiaramente  vedere  nelle  parole,  no'  traslati,  nello  frasi, 
ne' costrutti,  negr idiotismi,  ne'  proverbi,  neir  armonia  imitatrice, 
in  quelle  scorciatoie,  o  tragetti,  come  li  dicono,  dove  maggior- 
mente pare  la  efficacia  e  la  vita  del  parlar  toscano,  in  somma 
in  tutte  quelle  cose  che  alla  materia,  alla  forma,  alla  vita  della 
lingua  si  attengono.  La  materia  de'  suoi  raffronti  ei  la  prende 
dalla  montagna  pistoiese,  da  Montamiata,  da  vai  di  Lima,  da 
vai  di  Nivole,  dove  la  vena  del  parlare  si  mantiene  più  pura 
e  più  incorrotta;  e  ne  inferisce  che  della  nostra  lingua  il  ger- 
moglio è  nel  dialetto  toscano,  ma  migliorato  per  virtù  d^inne&to, 
la  cui  marza  fu  l'ingegno  de' migliori  scrittori  italiani  e  par- 
ticolarmente di  D.inte.  11  quale  trovando  nel  parlare  toscano 
un  germe  rigoglioso  sì ,  ma  rude  e  selvatico ,  lo  fece  divenir 
pianta  buona  gentile,  illeggiadrendola  col  suo  ingegno  e  am- 
pliandolo coir  assimilargli  i  dialetti  della  rimanente  Italia.  Dante 
volse  l'animo  e  lo  studio  a  magnificare  i  dialetti  toscani,  rao- 
.strando  in  atto  e  palese  quella  bontà  che  aveva  in  podere  e 
occulto,  e  dalla  ricca  e  pur  dispregiata  miniera  di  esso,  seppe 
cavare  le  masse  informi  di  preziosi  metalli ,  che  setto  la  sua 
maestrevole  mano  si  rafSnano,  si  perfezionano,  e  di  perfetto 
e  incancellabile  conio  si  suggellano.  Le  quali  cose  tornano  al 
certo  a  gran  lode  di  Dante  e  del  linguaggio  toscano  ;  di  Dante 
che  seppe  cosi  bene  forbirlo,  dilargarlo  e  perfezionarlo,  e  di 


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144  STUDI  SULLA  DIVINA  COMMEDIA. 

quel  dialetto  che  tanto  docile  si  porse  airiotenzion  deirartc 
e  tanto  disposto  a  ricevere  la  impronta  di  quel  nobile  ìngegao 
F,  Linguitì,  Gazzetta  d'IUlia,  7  Marzo,  1873.  —  V,  RaffaeU^ 
Fornacciari,  Nuova  Antologia,  Decembre,  1872.  —  G,  Tigr-i 
Gazzetta  d'Italia,  7  Giugno,  1873,  n.  58. 

Grosso  Stefano,  Lettera  filologica  alC illustre  sig.  Ptet^\ 
Fanfani.  Il  Nuovo  Istitutore  di  Palermo,  18  Maggio  187-4 
p.  97-106. 

Questa  lettera,  oh*  è  un  vero  gioiello,  è  diretta  air  illustri 
filologo  Pietro  Fanfani,  in  lode  de' suoi  Studi  ed  Osservazioni 
sopra  il  testo  di  Dante.  In  essi  «  tutto  non  pure  elegantemeot^ 
ed  efficacemente  è  scritto,  come  appena  saprebbero  faro  po- 
chissimi, ma  dirittamente  ragionato.  >  Manifestatigli,  con  molte 
acume  di  critica,  tre  o  quattro  dubbi  intorno  a  lezioni,  difese 
dal  Fanfani,  ei  pone  questo  canone  di  ermeneutica  dantesca,  chv 
ci  pare  inoppugnabile.  Non  solo  ei  stima  ben  fiitto  scegliere 
da  molti  codici  il  verisimile,  ma  air  inverisimile,  che  talvolta 
è  dato  da  tutti  i  codici,  sostituire  il  verisimile  che  è  suggerito 
dal  contesto,  cioè  dalla  grammatica  e  dalia  logica,  secondo 
r  indole  dello  scrittore.  E  ciò  principalmente  ove  basti  il  mu- 
tare od  aggiungere  una  o  pochissime  lettere,  e  la  mutazione 
o  r  aggiunta,  si  offre,  direi  quasi  da  sé.  E  ce  lo  prova  eviden- 
temente con  parecchi  esempi.  Due  preziose  digressioni  la  ren- 
dono aB.Qai  più  interessante.  Nella  prima,  tutto  acceso  di  santa 
ira,  croscia  durissimi  colpi,  che  i  secondi  non  aspettan  li  tei*zi, 
sui  moderni  filologi  o  glottologi,  razza  di  matti,  che  pretendono 
lo  scettro  della  grecità  e  della  latinità,  convertendo  gli  ameni 
studi  della  lingua  classica  in  una  specie  di  analisi^chimica  ed 
anatomica  di  parole.  E  ben  può  il  prof.  Grosso  sedera  a  scranna, 
valentissimo  com'ò  nella  laàna  e  neir  italiana  fiivella  e  forse 
il  primo  ellenista  dell*  età  moderna.  Ci  parla  la  seconda  della 
soìsrana  eccellenza,  anzi  meglio  della  divinità  d'ingegno  dej 
massimo  poeta,  che  ei  chiama  mar  di  tutto  il  senno  con  piii 
ragione  che  Dante  non  abbia  chiamato  Virgilio.  Nella  parola 
senno  vuoisi  compresa  la  sanità  de*  concetti  e  la  energia  della: 
espressione.  Oltrecchò  nel  poema  di  Danto  ti'ova  argomenti! 
eziandio  del  senno  de*greci,  cioò  della  scienza  e  deirarte  di 
quel  popolo  che  fu  maestro  del  mondo.  In  breve,  V  epistola  del 
Grosso  ci  £gi  ghiotti  di  nuovi  suoi  lavori.  La  lettera  al  Fanfani, 


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STUDI  SULLA  DIVINA  OOMIOEDU.  145 

marzo  1874,  dovrebbe  ricomparire  rifatta  ed 
t  compagnia  di  quattro  altre  sorelle  ;  oio^  una 

0  del  Blanc;  ana  sulla  lezione  nove  Muse;  una 
t7*o  feci  e  non  innanzi  il  passo;  ed  una  sulle 

1  Dionisi  contro  gli  antichi  e  i  nuovi  suoi  de^ 

TANO,    Lettera   al  chiarissimo   prof.    Stefano 
Lti,  1874,  220-23;  238-40. 
ire,  bella  figlia.  Il  Zolese  con  bel  garbo  e  molto 
gli  argomenti  svolti  dal  prof  Grosso, 
.ippo,    Alcune    Prose  ed  Iscrizioni.   Faenza, 

un  discorso  intomo  al  fine  della  Divina  Com- 
trare  che  tal  fine  ò  morale  ed  universale,  noa 
*ziale. 

il  Bello,  Padova,  Sacchetto,  1873.  —  Secolo  di 
ante,  Salmo,  p.  49;  Dante,  Petrarca,  Barbieri, 
}  su  Dante,  p.  163.  —  Del  Leoni,  V.  Man, 
ir,  565. 

Augusto,  Dante  e  la  Divina  Commedia,  Iesi, 
1873. 

ftTo,  Teste  e  figure,  Studi,  Padova,  Sacchetto^ 
lei  1876.  Dante,  p.  1-27. 
Giuseppe,  Intorno  allo  studio  dei  Padri  della 
Gesù,  nelle  opere  di  Dante  Alighieri,  Lettera 
intonio  Donati,  Custode  della  Biblioteca  Ales^ 
na,  Gaddi,  1871.  —  Estratto-  dagli  Opusc.  Rei. 
^erìe  III,  fosc.  8-13. 

isegna  uno  per  uno  tutti  gli  Scrittori  Gesuiti, 
attato  di  Dante  o  di  proposito,  o  di  passaggio, 
i  speciali,  o  relative  air  intero  poema.  Di  ogna- 
nche  di  parecchi  afflitto  dimenticati,  dà  parti- 
ed  espone  quel  poco  o  molto  che  ne  hanno 
i  dice,  trovò  un  apologista  nel  Bellarmino,  un 
*  Aquino,  un  comentatore  nel  Venturi,  degli  sto- 
I,  nel  Tiraboschi,  e  neir Andrea. 

Roberto,  Cardinale,  Responsio  ad  Hbrum  anonymum, 
^iso  piacevole  dato  alla  bella  Italia  da  an  nobile  fraB- 

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146  STUDI  BULLA   DIVISA  OOMMBOU. 

^eee,  ecc.  Monaco,  Swarts,  1586,  di  Francesco  Perot  Signore  di  Megières. 
Nel  voi.  VII  dell'opere  del  celebre  Goniroversiata,  edite  in  Colonia  da  Ber- 
nardo'Walter,  1617,  p.  530-563,  (il  solo  esemplare  dell' infame  opera  del 
Perot  noto  in  Italia,  è  nella  Biblioteca  del  Collegio  romano,  e  forse  è  qoel 
medesimo  di  che  si  valse  il  card.  Bellarmino). 

Lo  scrittore  francese  avea  ordinato  in  cinque  capi  le  sue  sciocche 
accuse  contro  V  Alighieri,  argomentandosi  di  provare  cbe  Dante  non  era 
cattolico,  perchè  nel  suo  poema  :  i,^  propsla  i  visi  di  alcuni  Papi,  unti  dì 
tutto  il  clero;  2.°  appUcs  al  romano  Pontefice  il  famoso  luogo  dell'Apoca- 
lissi intorno  s  Bsbilonia  ;  3.**  ripruova,  come  fanno  i  Luterani,  il  Sacrificio 
della  Messa;  A.^  predice  e  divisa  con  profetico  spirito  la  venuta  e  la  dottrina 
di  Lutero;  5.®  riprende  le  indulgente  concedute  dai  Pontefici.  —  Il  Bel- 
larmino confuta  cspo  per  cspo  (e.  xix-xviii)  quelle  stolte  ed  empie  calun- 
nie, e  per  aggiunta,  in  un  nuovo  cspitolo  (xix)  raccoglie  e  dichiara  ven- 
tisette luoghi  del  sacra  Poema,  tutti  in  lode  ed  onore  della  Cattolica  Reli- 
gione, e  de*  suoi  riti,  e  del  Vicario  di  Oesù  Cristo. 

P.  Carlo  d'  Aquino  (napoletano,  visse  dal  1654  al  1740),  La  Divina 
Comedia  trasporttUa  in  verso  eroico,  ecc.  Napoli,  Mosca,  17?8,  col  testo 
ital.  L' edizione  fìi  veramente  eseguita  in  Roma  per  Rocco  Bernabò.  V. 
Man.  Dant.  ii,  501. 

BxRTOu  P.  Daniello.  —  Benché  non  abbia  lasciato  niun  libro  ch« 
proprio  e  tutto  sìa  volto  allo  studio  di  Dante,  pure  in  tutto  le  opere  mo- 
rali, e  ne'  due  trattati  di  ragione  grammaticale  ben  spesso  riporta  de'  versi 
della  Divina  Commedia,  e  se  ne  giova  a  dichiarazione  ed  abbellimento 
delle  sue  sentenze. 

Venturi  P.  Pompeo  (Sanese,  n.  1093,  m.  1752).  Contento  della  Di- 
vina Comedia. 

Il  Venturi  non  pubblicò  il  suo  Cemento,  ma  un  altro  Gesuita,  nativo 
anch'egli  di  Siena.  Il  P.  Giarob.  Placidi,  avuto  in  mano  lo  scritto  del  suo 
confratello  e  concittadino  lo  diede  alle  stampe  in  Lucca  nel  1732  co*  tipi 
del  Capurri.  E,  avutane  piena  facoltà  dal  Venturi,  soppresse  molte  osser- 
vazioni del  Comentario;  e  per  contrario  vi  aggiunse  egli  alcune  sue  poche 
note  ad  alcune  parole   dal  Venturi   medesimo  adoperate.   I^  stampa,    ta- 
ciuto il  nome  del  Goìnentatore,  porta  questo  titolo:   Dante  con  una  breve 
e  sHffieiente  dichiarazione  del  senso  letterale,  dixfersa  in  piti  luonhi  dai 
quella  degli  antichi  Comentatori.   A  quella  del  Capurri  tenne  dietro  lai 
stampa  del  Pasquali  del  1739.    Ma  chi  presiedè  ad  essa,  mise  del  suo  al-^ 
cune  contronote,  che,  secondo  ravviso  del  P.  Zaccaria,  anzicchè  abbellirla^ 
la  guastarono.   Ma  nel  1759  lo  stesso  P.  Zaccaria  divisò  di  pubblicare  ìm 
toro  il  Cemento,  e,  avutone  l'intatto  originale,  ne  procurò  una  bella  edisJ 
in  tre  voi.  co'  tipi  di  Gius.  Berne.  Ed  ei  volle  che  Tediz.  veronese,  di  pr<M 
gevoli  aggiunte  arricchita,  fosse  dedicata  all'insigne  ornamento  di  Veronaj 
al  marchese  Scipione  Maffei.  L'egregio  filologo  6.  Veratti  pubblicava  testi 
una  lettera  del  P.  Valerio  Baggi  (n.  a  Sassuolo  nel  721,  m.  in  Modena  n€ 
1702),  Gesuita,   ad  un  suo  nepote,  in  che  dà  alcune  partieolsrità  intere*» 
santi  su  questa  edizione,  alla  quale  ei  pure  ebbe  parte,  n  Melandri  noi 
nega  avere  trasmodato  il  Gesuita  commentatore;  né  gliene  dà^  néglitnu 
prega  intera  perdonanza.  —  Ei  conta  30  edizioni  di   questo  Comenld 
r ultima  delle  quali  si  è  quella  di  Parigi,  Trachj,  1811.  —  Sul  Gomenli 


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STUDI  SULLA   DIVINA  OOMMBDU.  14? 

m.  Dant.  n,  450.  —  Roéa  Morando  Filippo^  Osservaxioni 
della  Divimi  Comedia  di  Dante  Alighieri,  stainpato  a  V»- 
■ona,  Ramanzinl,  175f,  e  nell'ediz.  Zatta,  1757.  —  Ro9<t 
,  Lettera  al  P.  Giuseppe  Bianchini  a  quanto  Ai  scritto 
■aria  d'Italia  contro  le  Osservaxioni  al  Gomento  del  P. 
Andreoni,  1754.  —  Zaccaria  P.  Franc^  Antonio,  V. 
Uiay  T.  V,  1.  I,  e.  2,  g  XIII,  54  e  seg. 
àso,  milanese,  (n.  16-18,  m.  1737).  Cantò  dì  Dante  nel  suo 

RANCBSco  Saverio,  n.  in  Ponte  della  Valtellina  nel  1695, 

steso  nella  sua  opera  :   Della  Storia  e  della  Rajionfi  di 
uadrio  diede  pure  alla  luce  i  Sette  Salmi  Penitenziali 
i>lgar  poesia  dall*  Aiigbieri  (7),  ed  altre  sue  Rime  Spiri- 
doni,  ecc.  Bdogna,  Gottardi,  1753. 
'.  Girolamo,  Bergamasco. 
.  Storia  della  Lett.  Ital.  T.  v,  1.  3,  e.  2. 
lovANMi,  (n.  di  Planes  in  quello  di  Valenza), 
a  sua  opera:   Dell'  ori  jine  e  dei  progressi  d'ogni  eia- 
ip.  R.  1782-W  ;  Palermo,  Pedone,  1838-46,  ecc.  Nel  T.  il, 
z.  napoletana,  dove  si  parla  di  Dante,  il  P.  Narbone  ha 
),  due  critiche  ed  una  bibliografica. 
'.  Pr.  Savbrio,  n.  in  Mantova  nel  1718. 
non  nega  che  nell'opera  //  Risorgimento  d'Italia  negli 
e  neir  Elogio  del  Petrarca^  e  nei  Dialoghi  di  Amore  e 
esiy  e  segnatamente  nelle  Lettere  di  Virgilio,  e  da  ulti- 
isione  Accademica  il  Bettinelli  dica  scerpelloni  e  strafal- 
Dant3,  anzi  gli  vomiti  contro  bugie  ed  ingiurie  solenni. 
:he  vuol  discorrere  dei  colori. 

MB.  di  Palermo,    Voci  e  locuzioni  poetiche  di  Dante, 
ilermo,  Feoret,  1756. 
Gì,  di  Montjlmo. 

sacra  Teologia,  sotto  il  nome  di  Beatrice,  cavate  dalla 
>  e  distribuito  in  cinque  sonetti.  Trovansi  stampate  in  un 
ititolato  :  Coelus  solemnis  Reip.  litterariae  Umbrorum 
ttcì-aria  fulginati,  VII  Kal.  Mart.  A.  R.  S.  MDCCLXII; 
)  il  tip.  Giaciuto  Marietti  e  lo  ripubblico  in  Torino  nel  1828. 
P'RANCBSCO,  n.  a  Napoli  nel  1798.  —  Dal  1825  al  1830  fu 
ina  Commedia  neli'UniversitA  di  Torino. 
,  GiAMBATiSTA,  spoletiuo,  u.  U  27  ottobre  1784,  m.  nel 
•  il  23i  marzo  1862. 

nenti  intorno  alle  disquisizioni  di  Q.  Rossetti,  pubbl.  nel 
lali  deUe  Scienze  Religiose,  Roma,  1810,  p.  1-46,  265-99, 

' opera  deir  O^anam ,   intitolata:   Dante    on  la  Philoso- 
2U  treizième  siicle.  Nello  stesso  voi.  p.  402-32. 
l  Discorso  dell'  ab.  Zinelli  intorno  allo  Spirito  religioso 
jri  desttnto  dalle  opere  di  lui.  Nel  voi.  xi  degli  Annali 


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148  STUDI  SULLA  DIVINA  COMMBDU. 

PiANCiANi  P.  Giambattista,  Un  Ragionamento  col  tiU 
nttova  opinione  intmmo  all'anno  in  cui  Dante  finge  di  awn 
poetico  viaTiio,  col  quale  mostra  falsa  T  opinione  del  ZinelU 
discorso  aveva  sostenuto  1'  anno  del  mistico  viaggio  essere  il 
krc.  T.  Lxxxix,  Roma,  1811. 

Uu  nuovo  articolo  sopra  l'opera  dell*  O^anam.  Annali 

Rei.  Serio  ii,  Voi.  11,  1S16,  3-14. 

Intorno  all'opera  di  Carlo  LyeU,  ministro  anglicano 

nella  Scozia  :  Dello  Spirito  cattolico  di  Dante  Alijhieri.  Id.  ^ 
p.  337-71. 

Intorno  ai  libri  de  Vulgari  Eloquio  sive  idiomate  ( 

pubblicati  dal  dott.  Alessandro  Torri,  in  Livorno,  1850.  C 
Serie  i.  Voi.  vn,  1837,  206-21. 

Il  Melandri  riproduce  tutti  questi  Articoli  nella  seconda 

Osservazioni  intomo  ai  Bello,  Saggio,  Roma,  Moi 

La  discussione  dantesca  occupa  da  circa  trenta  pagine  di  ques 
può  riguardarsi  come  un'operetta  da  se.  In  essa  vuole  il  P.  I 
l'esempio  della  Divina  Commedia,  far  chiaro  come  sia  «  poss 
binazione  del  vero  bello  e  del  sublime  ne'  lavori  dell'arte.  » 

Il  P.  Secchi  nel  suo  Discorso  sul  Panciani  dice  ch'ei  i 
.  tutto  a  memoria,  e  lo  recitava  con  sapore  suo  proprio,  e  che 
occupo  ne'  suoi  scritti.  —  Nella  Cosmofjonia  naturale  compt 
nesi,  trentotto  e  forse  più  volte,  scrive  il  Melandri,  inlroi 
dell'Alighieri,  e  ne  addita  nuovo  spiegazioni,  e  se  ne  giova 
riscontri.  E  ne*  Saqii  filosofici  si  può  dire  che  voi  non  potei 
pagina  senza  che  v'  imbattiate  ne'  versi  della  Divina  Comi 
quaranta  volte  sono  riportati  ed  illustrati  nel  Saggio  P  inU 
rità  prime. 

Piccirillo  P.  Carlo.  Pubblicò  i  seg.  articoli  : 
Dell'  edizione  dell'  Opere  Minori  di  Dante,   procurata   d 
©viltà  Catlol.,  Serie  in,  voi.  ix,  1858,  p.  571. 

Sopra   un  lavoro  di  Fortunato  Lanci,  ossia  de' t 

regni  cantati  da  Dante  Alighieri,  analisi  per  tavole  sinot 
Cattol.  Serie  iii,  voi.  vii,  p.  610. 

Intorno  ai  Prolegomeni  del  nuovo  Coìnento  storico 

Neo  della  Divina  Commedia  di  Dotnenico  Dongiovanni.  Ci^ 
rie  III,  voi.  XI,  313.  —  Il  Dongiovanni  ne  fece  replica.  Forlì 
1858. 

Sopra  la  dimostrazione  del  P.  Francesco  Berardineli 

Il  Concetto  delta  Divina  Comtnedia.  Civ.  Catt.  Serie  iv,  voi. 

Bresciani  P.  Antonio,  Interpretazione  della  voce  Ru'jeca 
61).  Strenna  Nuziale,  Napoli,  Androsio,  1854;  Costumi  dell' 
degna,  P.  1,  e.  1  ;  riportata  dal  Melandri,  p.  130. 

Sull'opera  del  Barone  Drouilhet  de  Sigalas,   voi] 

P.  Marcellino  da  Civezza,  M.  O.  L'arte  in  Italia,  Dante  i 
Divina  Commedia.  Civ.  Catt.  Serie  il,  voi.  iv,  p.  20S,  1855. 

Paria  P.  Giuseppk,  Sopra  la  pubblicazione  fatta  da  Otti 
gli  Studi  della  Divina  Commedia  di  Galileo  Galilei,  Vincer 
ed  altri.  Civ.  Cali.  Serie  n,  voi.  x.  652. 


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STUDI  SULLA   DIVINA  COMMEDIA.  149 

Ciccom  P.  Tito,  n.  in  Loreto  nel  marzo  17TO,  morto  nella  Casa  di 
Modulato  in  Roma  nel  die.  1846. 

Nulla  diede  alle  slampe,  che  propriamente  ai  riferisca  all'  Alighieri, 
pare  ne  fa  stadiosissimo,  e  si  adoperò  spezialmente  a  chiarire  la  sip-nifl- 
ctzìoDe  ài  alcuni  vocaboli.  All'  Arcadia  diserto  sulla  vera  etimologia  delle 
voci  Ramoffna,  Piamo,  Converso^  e  il  Melandri  ne  pubblica  per  la  prima 
Tolta  l'interpretozione  (p.  133-38)  ;  diserto  inoltre  sulle  voci  Croio,  Cherci  e 
Chercuti,  e  lascio  pure  inedite  molte  note  ed  osservazioni  intorno  quaranta 
•  più  Toci^sate  dal  gran  Poeti,  delle  quali  egli  investiga  il  significato,  e  ne 
atodia  Tebmologìa,  e  dove  gli  sembro  errata,  ne  stebìlisce  la  vera  lezione. 

LcBBRATORB  P.  Mattso,  Strìla  Filosofia  di  Dante  di  Gius.  Frapparti. 
Qv.  Cali.  Serie  iii,  voi.  i,  68. 

La  Filosofia  della  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri.  Oroag- 

^  a  Dante  VlUgfaierì  offerto  dai  cattolici  italiani  nel  maggio  18«>,  Roma, 
MonaUi,  »&^6  (Man.  Dant  iv,  121). 

n  Lil>eratore  nelle  sue  opere  che  hanno  per  titolo  Della  conoscenza 
HteUettuaU,  Roma,  Tip.  Civ.  Catt.  1857-58,  e  Del  Composto  ttmano,  Ro- 
oa,  18K,  a  quando  a  quando  spiega  ed  illustra  i  più  reconditi  concetti 
filosofici  del  Poeta. 

Cima  P.  Carlo  Maria,  Dei  versi  di  Dante  circa  il  Pontificato  ed  i 
Pontefici  de*  suoi  tempi.  Nel  giornale  napolitano  La  Scienza  e  la  Fede, 
voi.  VI,  1844.  —  Il  P.  Curcì  pur  sopra weglio  Vedizioncina  leggiadra,  ni- 
tida e  corretta  quanto  desiderar  si  possa  della  Divina  Commedia,  Na- 
poli, Nobile,  1841,  e  vi  premise  una  prefazione  breve  assaij  ma  piena  di 
•uyo,  e  ben  saporito. 

Sarti  P.  GsN!fARo  Maria,  napolitano,  L'esiglio  di  Dante  per  un 
esule  detta  rivoluzione  del  1860,  Versi  sciolti.  Omaggio  a  Dante  Ali- 
^liìeri,  ecc.  p,  335. 

Bbrardxnblli  P.  Pr\ncbsco,  il  Concetto  della  Divina  Comedia  di 
Dante  Alighieri,  Dimostrazione.  V.  Man.  Dani,  ii,  609. 

Ragionamento  intorno  al  vero  senso  allegorico  della  Divina 

Commedia.  V.  Man.  Dani,  iv,  «67. 

Sul  metodo  di  commentare  la  Commedia  di  Dante,  proposto   da 

Giamb.  Giuliani.  Civ.  Cattol.  Serie  v,  voi.  |,'1862,  p.  454,  592,  704. 

Delle  benemerenze  dì  Danto  verso  Tltelia  e  verso  la  civiltà.  Pro- 
lusione di  Giamb.  Giuliani.  Civ.  Catt,  Serie  v,  voi.  i,  1868,  p.  718. 

Il  cemento  di  Francesco  da  Buti  sopra  la  Divina  Commedia  di 

Dante  Alighieri,  pubblicato  per  cura  di  Crescentino  Giannini  da'  fratelli 
Nistri  di  Pisa.  Civ.  Cattol.  Serie  v,  voi.  v,  1863,  p.  170  e  667. 

La  Divina  Commedia  di  Dante  AHihieri,  ricorretta  sopra  quat- 
tro de*  più  autorevoli  testi  a  penna  da  Carlo  Witle.  Berlino,  1862.  Civiltà 
Cattol.  Serie  v,  voi.  vni,  1863,  p.  19&  e  322. 

Giornale  del  Centenario  di  Dante  Alighieri,    prepara  la  solen- 

nlti  nazionale  della  nascita  di  Dante.  Civ.  Cattol.  Serie  v,  voi.  x,  1864, 
p.  706,  voi.  XI,  p.  73  e  505. 

L'AUejoria  delta  Divina  Commedia  di  Danto  Alighieri  esposta 

da  Vincenzo  Barelli.  Civ.  Cattol.  Serio  vi,  voi.  i,  1885,  p.  461. 

Canti  di  un  Cristiano,  Italia.  Il  Centenario  di  Danto.  Civ.  Catt. 

Serie  VI,  voi.  il,  1865,  p.  471. 


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150  STUDI  SCLLA   DIVINA   COXMBDIA. 

BxRAWMHKUJ  P.  Pka^ccbsco,  Omofjiio  a  DoHt»  AUihieri^  offerto 
da'  Cattolici  italiani  nel  maggio  1883.  Civ.  Cattol.  Serie  vi,  toI.  il,  1865, 
p.  717. 

— —  La  Beatrice  avelata,  Preparanone  aTinteUigensa  dì  tolta  le  op<*r« 
di  Dante  per  Francesco  Berez.  (Sv.  Cattol.  Serie  ti,  toL  m,  1865,  p.  593, 
yol.  nr,  p.  73. 

Morii  Luigi,  d.  C.  di  G.,   Dante  e  la  Libertà  moderna.  Civiltà 

Cattol.  Serie  vi,  voi.  iv,  1866,  p.  710. 

Il  Concetto  politico  di  Dante  e  a  Re^no  d'  Italia,  Civil.  Cattol. 

1865,  p.  S66. 

La  Monarchia  di  Dante  AUihieri  e  ii  dominio   temporale  éUn 

Romani  Pontefici.  Ctv.  Cattol.  Serie  vi,  vd.  n,  1865,  p.  72-88  ;  voi.  ni, 
p.  35-51  ;  271-^;  voi.  iv,  1(^23. 

La  Divina  Commedia   di  Dante  .\lighieri   col  commento  cnttolìro 

di  L.  Benasauti,  Àrcipr.  di  Cerea.  Civil.  Cattolica,  Serie  vn,  voi.  i,  1868, 
p.  330. 

Lettera  di  Aleu.  Manzoni  al  Bonghi  intorno  al   soggetto  del 

Trattato  di  Danto  Alighieri  De  Vulgari  Bloqnio.  Civ.  Catt  Serie  vn,  voi.  il, 
1868,  p.  396. 

Mahh  P.  Luigi,  napoletano,  Dante  e  la  Libertà  moderna,  Modena, 
Fibreno,  1865. 

SoLiMAm  P.  DoMB!cico,  di  Ponto  Lagoscuro  nel  Ferrarese,  m.  nel 
febbr.  dd  1869,  Massime  religiose  e  morali  di  Dante  Alighieri,  tratte 
dalla  Divina  Commedia.  Prato,  Contnicci,  1867. 

MeLA!fDRi  P.  OcsBPPB,  di  Bagnacavallo,  Maria  Santissima  nelle 
Opere  di  Dante.  V.  Man.  Dant.  iv,  96. 

Intorno  allo  studio  dei  P.  P.  della  Compagnia  di  Cresd  nelle 

opere  di  Dante  Alighieri.  Modena,  Gaddi,  1871. 


SAGGf  ACCADEMICI 

NEI  COLLEGI  DE'  R.  R.  P.   P.  GESUITI. 


Cakdblla  P.  Yaleuiaxo.  di  Fano,  Dante,  Saggio  aeeademieo  di  al- 
tuni  Umanisti  e  Rettorici  del  Collegio  della  Compamia  di  Chsrì  in  Or- 
vieto, V  anno  1845,  Orvieto,  Filippi.  —  V.  Melandri,  p.  53. 

Saqiio  Scolastico  stélla  Divina  Commedia  dato  nel  Collegio  di  Fermo. 
Fermo,  Pacassassi,  l&t3. 

Per  quanto  ricerche  ne  facessi,  anche  direttamente,  non  mi  venne 
fatto  di  trovare  T enunciato  Saggio.. 

La  Divinc^Commedia  di  Dante  Alighieri,  Saggio  e  Accademia  della 
rettola  di  Rettorica  della  Cjmpagnia  di  Oesù  in  Piacenza^  ÌO  Agosto. 
Tip.  vesc.  Tedeschi. 

Farono  svolti  i  segnanti  temi:  Preftizione  —  Il  Genio  di  Dante  kìU 
glneri:  1.  Ndla  Storia:  Dipintore,  —  Universale,  t.  NeUa  ftloooAa:  Moi' 
teplice,  —  Divinatore.  3.  Nella  teologia:  Profondo,  —  Estetico,  ^  Or  o- 
dosso.  4.  Nella  poesia:  Originale,  —  Eloquente,  —  Dispotico. 


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STUDI  SULLA   DIVINA  OOMMBDU.  151 

riAsagnunento  di  Retorict,  D,  OiutHno  SimonetU,  ben- 
L   Uad  deiU  CompagnU  nel  1850,  e  però  non  ricordato 

RLO,  Preside  del  R.  Liceo  Verri  di  Lodi,  La  Divina  Com- 
Hidemico  della  §cuola  di  retorica  del  Col.  d.  C.  d.  O.  di 
larmignani,  1S47. 

ancor  giovanissimo,  con  intelletto  d'amore  insegnava 
^o  gesuitico  parmigiano.  Questo  saggio,  ornai  divenuto 
irreperibile,  non  è  citato  dal  Melandri,  perchè  il  Maren- 
cio  r  abito  loiolesco.  Il  Marenghi  non  volle  addestrare  i 
arili  esercizi,  in  vana  pompa  di  poetici  componimenti, 
i,  da  cancellarne  le  native  sembianze,  e  che  fan  logorare 
npo  prezioso;  ma  gli  piacque  ch'entrassero  nello  spirito 

che  ne  apprendesser  l'architettura,  in  breve  ad  inter- 
>,  ed  a  gustarne  le  bellezze.  È  il  miglior  Saggio  di  quo* 

mi  conosca.  «  Vi  sono  gipvani,  cosi  egli,  divisi  in  tre 
le*  quali  toglierà  a  interpretare  tutto  l' Inferno,  1'  altra 
■gatorio,   la  terra,   di  pochi,    anche  il  Paradiso.   L'argo- 

de'  passi  trascelti  a  talento  de'  cortesi  interrogatori,  le 
ile  di  Storia,  di  Mitologia,  di  Precetti,  le  osservazioni  o 
»ate,  le  comparazioni  cogli  antichi  e  particolarmente  con 

che  serve  a  dilucidazione  del  senso  letterale  ed  in  parte 
ano  il  non  piccolo  arringo  in  cui  si  possono  chiamare  a 
de*  giovani.  » 


ALTRI  SAGGI  ACCADEMICI 

Llbssandro,  Delle  scuole  Pie,  Dante  Atighieri,  Soffgio 
li  teolari  del  Colleiio  dei  Nobili  d'  Urbino  danno  <Hl 
K>  10  aett.  1842.  Pesaro,  Nobili»  1812. 
iti  i  seguenti  argomenti:  Intorno  al  secolo  ed  al  poema 

-  Dante  e  il  suo  secolo,  Ottave  —  Ritratto  morale  di 
tratto  fisico  di  Dante,  dipinto  da  Giotto,  Sonetto  —  Bat- 
no.  Sestine  —  Morte  di  Beatrice  Portìnari,  Sonetto  — 
bonetto  —  Dante  creatore  della  lingua  e  poesia  italiana, 
>  di  Dante,  Ode  —  Incontro  di  Dante  con  un  solitario 

—  Lamento  di  Dante  per  la  venuta  in  Italia  di  Carlo  di 
—  Dante  all'Avellana,  Terzine. 

ilunni  di  Belle  Lettere  in  Fouombrone  sotto  la  dire" 
CHI.  Fossombrone,  Farina,  1845. 

ILO,  Novissimi  Studj  su  Brunetto  Latini,  su 
xa  e  sul  loro  soggiorno  in  Francia,  Branp 
nàa  ed  Italia,  Archivio  storico  italiano,  in  serie, 
,  Vieusseux,  1873,  187-206. 


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152  STUDI  SULLA  DIVINA  COHBIBDIA. 

MoRBLLi  Paolo,  DelC  Educazione  nazionals  soUo  il  magi-^ 
siero  di  Dante,  discorso  inatiffurale  aW Accademia  tenuta 
nel  Veneziano  per  la  festa  del  Centenario,  Palermo,  Axnenta, 
1865. 

Nannarelli  Fabio,  //  Paradiso  di  Dante.  II  Buonarroti, 
Giugno,  1872,  199-211. 

Nel  Paradiso  di  Dante  la  forma  dell*  universo  divino  e  deg^li 
abitatori  di  esso  ò  V  espi'essione  più  alta  dell*  idea  ;  onde  questa 
parte  del  gran  poema  può  dirsi  la  cantica  del  bello  assoluto. 
D  bello  è  quivi  levato  ali* ultima  potenza:  non  ò  piìi  il  bello 
del  tempo ,  è  il  bello  palingenesiaco.  L*  individuo  ha  raggiunto 
1* ultimo  grado  dell* ideale;  però  la  sua  bellezza  ba  il  suggello 
del  sublime.  Ma  non  è  un  sublime  momentaneo,  giaculatorio, 
come  direbbe  la  Sand  ;  ò  un  sublime  quieto,  immanente,  bello. 
—  Di  quelli  che  non  appczzano  il  Paradiso  di  Dante,  o  lo 
pospongono  ali* Inferno,  i  piti  non  1* hanno  letto,  gli  altri  noa 
Tanno  compreso.  Il  Paradiso  è  VtdHmo  del  sommo  artista;  il 
cantico  dei  cantici,  un  inno  degno  di  esser  cantato  dagli  Angeli, 
n  Nannarelli  non  vuole  penetrare  le  profondità  simboliche  di 
questa  cantica,  ma  si  di  toccarne  i  punti  salienti,  di  compren- 
derla nella  sua  armonia,  facendone  risaltare,  ravvicinate  1*  una 
ali*  altra,  le  bellezze  piti  evidenti,  senza  entrare  nelle  piii  riposte 
0  più  fine. 

Nardi  Luigi,  Arciprete,  Memoria  sopra  alcune  parole  itO' 
kane  antiche  ed  un  luogo  di  Dante,  Roma,  Boufzaler,  1824. 

Nbsti  G.  e.,  Sopra  Dante  Alighieri  e  sul  concetto  della 
Divina  Commedia,  aggiunto  un  contento  al  C.  xxxi  del  Pa-^ 
radiso  dal  v,  37  al  v.  93.  Dresda,  Meinhold  e  Sohne,  1866. 

Pagano  Vincbnzo,  Dante  e  la  Enciclopedia.  Primi  elementi 
di  Enciclopedia  Universale.  Napoli,  Tomese,  1876,  p.  652-658. 

Dante  nella  Vita  Nuova  è  storico,  nel  Convito  è  filosofo, 
nella  Monarchia  ò  giureconsulto,  nel  Vulgari  Eloquio  è  filologo, 
nella  Divina  Commedia  è  poeta,  artista,  enciclopedico.  Chi 
voglia  entrare  nell-ablMO  della  mente  di  Dante  e  studiarne 
tutto  il  contenuto,  deve  guardarlo  da  questi  Iati;  cioè,  come 
filologo,  filosofo,  poeta,  artista  II  che  vuol  dire,  essere  la  mente 
di  Dante  la  Enciclopedia  Universale.  E  sotto  questo  lato  egli 
imprende  a  considerarlo.  —  Secondo  il  Pagano,  la  Divina  Com^ 
media  è  il  prodotto  più  grande  dell*  ingegno,  cui  pose  mano 


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STODI  8ULL4   DIVISA  COMMBDU.  153 

cielo  e  terra,  avendo  rotti  i  confini  del  finito  per  slanciarsi  nei 
campo  dell* infinito;  è  1* epopea  piii  vasta  e  quasi  immensa, 
perchè  abbraccia  Dio«  V  uomo,  la  natura.  Essa  è  la  enciclopedia 
onivereale,  ò  lo  scibile  supremo.  La  prima  cantica  si  riferisce 
al  <a«ato«  la  seconda  air  uomo,  la  terza  air  infinito:  quindi  il 
tensibiie,  Y  intelUgiàiie,  il  sovrintelUgihite  ;  T  inferno,  il  purga- 
torio, il  paradiso  ;  V  universo,  Y  umanità.  Dio.  —  Dante  non  ò 
solo  il  poeta  dell*  Italia  e  dell*  Europa,  ma  di  tutto  il  mondo  e 
dì  tutta  la  cristianità;  egli  appartiene  a  tutt*i  tempi  a  tutt*i 
loogiù.  I  suoi  insegnamenti  e  i  suoi  precetti,  la  sua  morale  e 
la  aita  religione  sono  universali;  i  suoi  principii  sono  eterni 
ed  immutabili.  Il  vero,  il  bello,  il  buono  sono  depositati  in 
tutte  le  sue  opere.  L*  umanità  leggendo  in  que'  volumi  conosce 
sé  stceag  ed  impara  a  fonosrere  gli  altri  due  termini,  co*  quali 
è  iu  relazione,  Dio  cioò  e  la  natura,  la  teosofia  e  la  cosmosofia, 
siccome  ensa  forma  la  scienza  dell*  antroposofia.  -—  Così  può 
dirsi*  che  Dante  Alighieri  in  rapporto  con  lo  spirito  dell*  urna* 
lùtÀ  abbia  creato  le  scienze,  le  lettera  e  le  arti,  e  che  la  Z)t- 
tina  Commedia  ne  contenga  i  principii,  e  sia  la  Enciclopedia 
Vnioersale  ò  il  libro  più  sacro  e  più  venerando  dopo  la  Ribbia. 

Pabdi  Cabmblo,  Università  del  genio  di  Dante.  Scritti  vari, 
Voi.  II,  177-257.  (Palermo,  Tip.  del  Giornale  di  Sicilia,  1871). 
Hen  si  può  dire  dell*  Alighieri  che  nelCaUa  sua  mente  sì 
profondo  saver  fu  messo,,,  che  a  veder  tanto  non  surse  il 
secondo.  Diflbtti  nella  mirabile  sua  Trilogìa  volle  desorittfO 
a  fondo  r  universo,  e  in  essa  1*  altissimo  Poeta  abbracciò  tutto 
lo  scibile  de*  suoi  tempi.  —  Discepolo  di  S.  Bonaventura  e  di 
S.  Tommaso  d* Aquino,  fu  non  solo  uno  splendore  di  luce 
teolo^ca,  ma  colla  potente  viitù  della  sua  immaginazione,  ne 
sa  infiorare  ad  ogni  passo  le  spine.  —  Ammiratore  di  Arìstotile 
e  di  Platone,  seguace  delle  dottrine  di  Boezio  e  di  Alberto 
Magao,  approfondisce  i  più  ardui  problemi  della  metafisica; 
cultore  esimio  della  scienza  dei  cieli  svela  1*  armonìa  delle 
rotanti  sfere  e  delle  leggi  che  ne  governano  il  moto.  Egli  va- 
lente fisico,  delle  leggi  eteme  della  natura  osservatore  diligen- 
tissino,  ed  interprate  ledele,  egli  botanico,  egli  medico,  egli 
fornito  di  buon  corredo  di  cognizioni  zoologiche;  e,  ch*ò  più, 
profondo  conoscitore  del  cuore  umano,  in  breve  il  savio  gentil 
che  tuUo  seppe,  egliiV  mare  di  tulio  U  senno.  Nò  tutto  questo 


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154  STUDI  SULLA   MVISK  COMSfBDlA. 

ò  tanto.  Dante  è  altresì  pittore  incomparabile  di  caratteri  e 
costumi,  maestro  ed  inspiratore  d*  artisti.  Percorrendo  ii  poe 
sacrato,  noi  ci  troveremo  sparsi  per  entro  non  pure  i  v 
deir  arti  mute  del  disegno  (visibile  parlare)^  ma  quelli  del  bc 
musicale,  ed  egli  stesso  ci  apparirà  dinanzi  artista  sublime. 

Fasi  VATI  Stanislao  L.,  Lezioni  d'introduzione  clUo  stu 
della  Divina  Commedia.  Napoli,  Marchese,  1873. 

È  bello  il  vedere  con  quanto  passitmato  afletto,  e,  se  vno 
temperanza  il  can.  Fasi  nati,  giÀ  professore  nel  Liceo  Arci 
scovile  di  Napoli,  cerchi  innamorare  i  chierici,  suoi  discep 
dello  studio  del  sacrato  poema.  Ma  peirhò  essi  ne  conosca 
la  Bcuola  e  ne  veggano  la  dottrina,  crede  opportuno  di  \ 
mettere  air  interpretazione  alcune  lezioni,  che,  da  cibo  digei 
più  vitale  ne  viene  l' alimento  :  lieti  assai  prima  che  stane 
dal  lor  banco,  lo  seguiranno  dietro  pensando  a  ciò  che  sipreli 
Ecco  il  titolo  delle  Lezioni:  Lezione  I.  Proemiale  —  Lez. 
Biografia  di  Dante  —  Lez.  HI.  Le  opere  di  Dante  ed  osser 
zioni  generali  —  Lez.  IV  e  V.  La  Religione  cattolica  ispi 
trice  della  Divina  Commedia  —  Lez.  VI.  Originalità  e  splend 
flel  Divino  Poema  —  Lez.  VII.  Del  concetto  cristiano  d< 
Divina  Commedia  -*  Lez.  Vili  e  iX.  Disegno  generala  d< 
Divina  Commedia. 

PELLBaniNi  Avv.  Giovanni,   Cosmologia  Dantesca,  nu 
dialogo  dei  morii,  Firenze,  -Mariani,  1856. 
'    Pibrmartini   Luioi,    Beatrice  inspira  a  Dante  la  Div 
Commedia,  Cagli,  fìalìonì,  1873. 

Pibromaldi  Atbnaidb  Za  ira.  Dissertazione  sulle  tre  Cant 
di  Dante.  Costantinopoli,  1873.  ~  Fubblicaz.  della  Società 
Chark,  a.  i,  voi.  i,  pag.  103-157. 

Pizzi  Italo,  La  Divina  Commedia.  Anmiaestramenti 
Letteratura,  Torino,  Loescher,  1875,  p.  90*100. 

Polbtto  ab.  prof.  GiACOBfO,  Amore  e  Luce  nella  Div 
Commedia,  Ragionamento  critico.  Padova,  Tip.  del  Samin.  U 

Secondo  il  Poletto,  la  luce,  aimbolo  ed  effetto  di  amo 
va  crascendo  ed  applicandosi  nella  Divina  Commedia  a  m; 
a  mano  che  ii  Poeta  si  dilunga  dalla  selva  oscura  e  dall' 
femo,  e  procede  verso  la  luce  del  Paradiso.  Il  piìi  alto  gr 
ne  godono  Maria  Santissinaa  e  Beatrice,  coU*  aiuto  delle  qi 
ha  termine  la  miatìca  visione.  Non  è  ceitamente  nuovo, 


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8T0DI  SULLA   DIVINA  COMMBDIA.  155 

bbio  un  tale  assunto,  come  quello  che  si  collega 

alla  simbolica  di  Dante  e  del  Medio  Evo,  ma 
da  lui  &ttane.  che  attesta  una  profonda  cogni- 
na  e  un  senso  squisito  delle  più  recondite  bellezze 
,  assai  a  mostrare  sempre  meglio  V  armonia  stu- 
di questo  gran  lavoro:  armonia  che,  bene  studiata, 
liù  sicura  per  aprirne  gli  occulti  sensi.  Nuova 
pile,  1876,  91 1.  —  11  vostro  ragionamento  critico, 
Giuliani,  ò  un  argomento  sicuro  del  vostro  dotto 

vivo  e  accorto  amore  che  portate  a  Dante 

Vi  che  mi  piace,  e  mi  pronunzia  nnovamente  che 
porhissimi  a  intendere  e  chiarir  per  effetto  come 
icercarsi  in  Dante. 

iCOFO,  La  Chiesa  nel  concetto  di  Dante  Alighieri. 
icopo  Bernardi^  Padova  il  di  deirAnnunciazione 
no,  Speirani,  1876.  Estratto  óhW Ateneo. 
Tero  più  chiaramente  il  pensiero  di  Dante,  lo 
io  ragionamento  in  questa  forma:  I.  b  Chiesa 
ita;  11.  ntflla  sua  dottrina;  HI.  ne*  suoi  pastori; 
li  religiosi  ;  V.  negli  studi  ecclesiastici  ;  ed  avremo 
^uisa,  oltre  a  mettere  in  sodo  la  verace  credenza 
di  mostrare  i  suoi  generosi  e  savi  intendimenti 

trascorsivamente  certe  sentenze,  che  tengono 
del  pusillo  insieme,  che  un  certo  genere  di  chio- 
urato  air  Italia  mise  in  campo  ;  perchò  non  volle 
[>anone  di  ermeneutica  non  da  questa  o  da  quella 
nza  giudicare  un  autore,  sibbene  dal  confenmento 

varie  disvelare  e  dedurre  con  mente  serena  la 
[^chiuso  pensiero.  »  11  prof.  Foletto  trova  strania- 
le di  coloro  che  nella  Lupa  vorrebbeix)  vedervi 
la  corte  di  Roma.  Nella  mente  di  Dante  T  avarìzia 
universale,  ed  a  meglio  tener  desta  la  mente  dei 
intravedere  falsamente  la  chiamò  antica  (p.  43). 
eltro,  per  comprenderne  meglio  il  concetto,  trova 
costare  il  v.  15  del  C.  xx  del  Purgatorio  ed  il 
ieci  e  Cinque,  Messo  di  Dio  che  anciderà  la  fuia 
come  pure  T  altro  luogo  del  Paradiso  xxvii,  143. 
^ante,  conclude  il  Poletto,  con  istudio  d*  amore 
o,  non  già  per  balbettarne  a  vana  pompa  i  passi 


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156  STUDI  8ULL\   DIVINA.  COMMEDIA. 

più  comuni,  ma,  come  facevano  gli  antichi  nostri,  per  aaraniu 
nello  Rcrivere  e  neir ordina  della  vita;  lo  >i  studi  insomma  m 
dottrina  e  nella  parola. 

Prezzolisi  ab.  Pietro,  Polianfea  o  RaccoUa  di  massi 
e  sentente  le  une  dalie  sacre  carte,  le  affre  dai  cf€issici  am 
e  dal  divino  Poeta,  Firenze,  Tipografia  del  Vocabolario,  in 
Xii-239. 

Puccini  Tomaso,  Lettera  nella  quale  si  considera  ilpoe 
di  Dante  dal  punto  di  vista  letterario.  Neil*  Elogio  di  Da 
del  Fabroni. 

Quadrio  Francesco  Saverio.  Della  storia  e  della  rapii 
d*  ogni  poesia.  Milano  Agnelli,  1752.  —  Dante  Alighieri,  voi. 
p.  i,  248-262. 

Ricci  Tbodorico,  Discorso  in  lode  di  Alf.  Varano  qu 
restauratore  dello  studio  dantesco  e  della  sacra  poesia.  Si 
Renuzzi,  1874. 

Rossi  Raffaello,  Dante  onore  e  lume  d'ogni  scienza 
arte,  Udine,  Zavagna,  1872,  in  16®,  di  p.  20. 

Dante  dolce  pedagogo.   Mente  e  cuore,  periodico 

Trieste,  a.  i,  1874,  19  e  80.   Lavoro  rimasto  incompinto 
la  morte  dell'autore. 

N.  N.  (can.  Silvestri)  Quei  del  buon  tono  al  tribunale 
Dante.  Scherzo  satirico  moraUssimo,  Firenze,  a  spese  di 
Soc.  editr.,  1850 

Spera  prof.  Gius.,  Dante  e  il  suo  Secolo  ~  La  Divina 
media.  Spera,  Saggi  estetico-storico-critici.  Potenza,  Santanìe 
1870,  120-49. 

S.  B.,  Il  sacro  oratore  secondo  Dante  Alighieri  al  C.  "% 
del  Paradiso,  Osservazioni.  Lucca,  Canovetti,  1874. 

Talia  p.  Oiambatista,  Esempi  di  forza  e  di  dolcezza  tr 
dalla  Divina  Commedia.  Ne*  suoi  Princi|iii  di  Estetica.  Mila 
Fontana,  1832. 

ToDBSGHiNi  Giuseppe,  Scritti  su  Dante  raccolti  da  Bar 
lommeo  Bressan,  voi.  due.  Vicenza,  Buratto,  1872. 

Gli  scritti  postumi   su  Dante  del  pro£  Todeschini   venn 
raccolti  con  riverenza  di  discepolo,  con  affetto  di  amico 
prof.  cav.  Bressan,  preside  del  R.  Liceo  di  Vicenza,  che  pur 
prepose  la  vita.  Nacque  il  Todeschini  a  Vicenza  il  18  Genn 
1795,  vi  morì  il  6  Maggio  1869.  Questi  scritti  appartengc 


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STUDI  SUIXA   DIVINA  COMBfBDIA.  157 

vita  privata,  dal  1843  al  1859,  quando,  p«T  la 
agli,  gli  ili  foi-za  lasciare  la  cattedra  di  diritto 
tale  che  con  tanto  onore  tenne  nello  studio  pata- 
leschini  era  sì  schivo  delle  Iodi  che  non  si  brigò 
li  alla  luce,  tenendosi  per  contento  di  Carli  cnno- 
(lettissimi  amici  e  dì  averne  il  loro  parere.  Eppure 
Ite  mi  venne  &tto  d*  imbattermi  in  scritti  cosi 
iati,  e  come  li  dice  il  Morsolin,  mirabili,  non  sai 
semplicità,  T  eleganza  e  T  evidenza  della  dizione, 
e  r  acume  della  critica  (  1  ).  Ed  hanno  poi  questo 
che  si  rivelano  sempre  dandole  storica.  Io  non 
tarne  mano  mano  un  sunto  nelle  rubriche  rispet- 
ungono.  —  V.  r  assennato  articolo  del  prof.  Mor- 
ì  Storico  di  Firenze,  1875,  t.  xxi,  p.  499-507. 
OivsBPPB,  Deir  ordinamento  morale  delf  Inferno 
itti  su  Dante,  i,  1-114. 

1  quarto  secolo,  da  che  fu  dichiarato  acconcia- 
tura materiale  dell*  Inferno  (da  Antonio  Manetti), 
e  ancora  a  porgere  un*  idea  compiuta  deli* ordi- 
te di  esso,  niuno  espose  ancora  in  modo  sicuro 
complesso  dei  principii  seguiti  dall'Alighieri  nella 
e*  peccatori  rilegati  da  lui  nel  carcere  delle  eterne 
prof.  Minich  nella  sua  sintesi  della  Divina  Com- 
provare che  il  sistema  penale  dell*  Inferno  dan- 
ituiva  altrimenti  un  concetto  unico,  che  domini 
dal  principio  al  fine  della  cantica,  ma  sia  in  vece 
e  diversi  disegni  insieme  accoppiati.  Combattuto 


litro  stava  a  cuore  al  prof.  Todeschini  di  appurare  i  fatti 
tte  e  rintegrare  il  testo  noo  »olo  della  Divina  Commedia 
uova   e  dei  Convito.   Ecco  le  sue  parole:   <  C'è  tanto  da 

sulla  vita  di  Dante  e  su'  fatti  accennati  nel  suo  poema -e*  è 
re  per  avere  un  testo  della  Commedia,  di  cui  la  repubmica 
chiamarsi  paga  che  a  me  sembra  speso  meno  bene  quel 
cupa  in  sottili  investigarioni  intorno  a'  sensi  figurati  del 
)6ti  intendimenti  del  pu«ta.  >  Scritti  su  Dante  i,  125.  "  Ed 
ige:  «  Si  grida  fra  noi  Dante,  Dante;  ma  tuttavia  niuno 
?gio  di  addossarsi  il  peso  di  quel  lavoro  paziente,  indefesso, 
rinvenire,  per  quanto  si  possa,   in  ogni  minima  cosa  la 

non  potrà  mai  aversi  una  biografia  pienamente  lodevole 
i  un  testo  emendato  o  un  comeuto  compiuto  della  Divina 
aso,  che  si  possa  tellerar  molto  riguardo  alle  opinioni  sul 
>,  vai  convenevole  e  sullo  sconvenevole  ;  ma  che  sia  bene 
nessuna  negligenza  ^piando  si  tratta  di  stabilire  una  retta 
a^re  una  interpretazione  aggiustata  ed  intera.  » 


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158  STUDI  SULLA   DIVINA  OOBIMSDIA. 

direttamente,  e  noi  direm  Tolorosamente,  questo  assunto  nell 
prima  parte  della  sua  dissertazione,  ritiene  che  la  piena  e 
evidente  confutazione  di  esso  meglio  risulti  dalla  seconda.  In 
perocché,  trascriverò  le  sue  parole,  quivi  dimostrai,  come  tutf 
r  ordinamento  morale  dell*  Inferno  risalga  ad  una  somma  e  e 
pitale  idea,  che  consiste  nella  duplice  condizione  richiesta  p4 
r eterna  salute  delle  anime;  da  cui  deriva  la  divisione  prlnr 
pale  in  due  grandi  classi  di  tutti  i  peccati,  che  trascinano 
perdizione.  Ed  ho  pure  dimostrato,  come  da  sì  fiitta  prin/npa' 
divisione  regolatamente  procedano,  e  come  siano  con  essa  e  ti 
loro  strettamente  collegato  tutte  le  distinzioni  de*  peccati .  €\ 
il  poeta  ha  introdotto  nel  luogo  di  eterna  pena.  Di  che  appai 
manifesto,  che  il  sistema  penale  dell*  Inferno  dantesco,  per  r 
che  riguarda  la  distribuzione  di  tutta  la  serie  de*  peccatori  d 
vi  sono  rinchiusi,  non  è  altra  cosa  che  un  solo  concetto,  in 
turamente  e  compiutamente  formato  nelFanimo  delKautore  prin 
di  accingersi  a  rappresentarne  le  parti  speciali.  Che  se  egli 
giuocoforza  riconoscere,  che  T  ordinamento  morale  dell*  Inferi 
di  Dante  è  un  concetto  unico,  il  quale  sciogliendosi  in  mol 
parti  serba  in  tutto  costantemente  regola  ed  armonia,  egli 
non  meno  necessario  di  riconoscere,  che  esso  è  un  conrer 
grande  e  nobile,  atto  a  rendere  testimonianza  di  un  altissin 
ingegno,  in  cui  la  vasta  penetrazione  dell*  intelletto  pareggia^ 
lo  straordinario  vigore  della  fantasia.  Creare  colla  ragiona 
considerazione  della  mente  un  intero  sistema  dei  peccati  uman 
nel  quale,  poste  a  capo  le  verità  della  fede  cattolica,  fosse  ùlV 
luogo  alle  dottrine  della  filosofia  che  dominava  a  quei  tem( 
e  insieme  alle  richieste  della  pratica  conoscenza  delle  co 
umane;  e  poscia  saper  distendere  questo  sistema  in  manier 
che  ne  fosse  rimossa  1*  aridità  di  una  sposizione  scientifica,  < 
invece  vi  fosse  aperto  il  campo  agli  slanci  più  varii  e  più  pod 
rosi  di  un'immaginazione  feconda,  è  questo  tal  fatto,  di  ci 
non  so  se  la  storia  letteraria  ne  rappresenti  alcuno  più  mer 
viglioso.  Io  non  pretendo  che  i  moralisti  abbiano  a  considerai 
r  ordinamento  morale  dell*  Inferno  Dantesco,  siccome  una  eia 
sificazione  de*  peccati  umani,  nella  quale  nulla  vi  sia  da  aggiui 
gere  o  da  emendare  ;  mentre  il  nostro  poeta  non  si  propone^ 
già  di  servire  alle  rigide  dimostrazioni  della  scuola,  ma  tender 
in  cambio  ad  operare  un  salutare  effetto  sul  cuore  degli  uomio 


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STUDI  8UI.LA   DIVINA   COMMBDU.  159 

)reteDdo,  che  tengaDO  rigtiardo  al  sistema  penala 
itori    di  leggi  criminaii,   mentre  io  non   posso 

difierenza  corra  fra  peccato  e  dritto,  e  quale 
iza  separi  la  giustizia  assoluta,  di  cui  Dante  si 
dalla  giustizia  delle  ^ene  umane,  la  quale  non 
ie  ai  danni  dell' umano  consorzio.  E  nondimeno 
lente,  che  quando  si  giunga  a  comprendere,  con 

tutto,  e  con  quale  acconcia  distribuzione  delle 
»ia  condotto  il  disegno  della  prima  Cantica  in 
iatissima  condizione  de*  reprobi,  ch'essa  abbrac- 

riconoscere  in  lui  non  pure  il  sapiente  filosofo, 
^  anzi  sovrano  poeta. 

ine  opinioni  manifestate  dal  prof.  Serafino  Rai 
l  sensi  delia  Divina  Commedia,  Scritti  su  Dante, 

prof.  Minich  che  vuole  che  la  fra«e  senso  let^^ 
Qto  riguarda  Tesposizione  della  Divina  Gomme- 
stesso  che  V  altra  frase  senso  storico  ;  che  ii 
ogliam  dire  senso  figurato  del  poema,  sia  pu- 
),  e  che  non  siavi  quindi  nella  Commedia  un 
>  storico.  Meglio  è,  conchiude  il  Todeschini,  di 
\  modo  di  vedere  largo,  libero,  direi  quasi  su-* 
,tai*e  Tallegoria  morale  quando  essa  è' abbastanza 
irsi  air  allegoria  storica  quando  T  argomento  la 
inirle  tuttedue  quando  la  lettera  lo  comporta, 
tpo  pensiero  né  dell*  una  né  dell'  altra,  quando 
riuscirebbe  del  pari  faticosa.  Molti  e  diversi  sti- 

lanimo  dell' Alighieri  mentre  egli  era  dato  alla 
Commedia  :  quali  sarebbero,  per  indicarne  alcuni 
ibbra celarli  tutti,  il  desiderio  di  ricattarsi  delle 
oir  acquisto  di  un'  alta  ùima,  lo  scopo  di  far  ab* 
ed  amare  le  virtii,  la  mira  speciale  di  far  de- 
ito  di  parte  che  straziava  l'Italia,  la  voglia  di 
loi  benefattori,  e  quella,  diciamolo  pure,  di  ri- 
lia  le  ingiustizie  di  cui  egli  fu  vittima  ;  de'  quali 
e  varie  parti  del  lungo  poema  or  l'uno  or  l'altro 
redoroinio.  E  come  mai  vorremo  noi  persuaderci 
>orre  ad  un  sistema  da  noi  concepito  il  modo 
ne  procacciasse  il  soddisfacimento  ?  Sconsigliata 


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160  STUDI  SULLA   DIVINA  COMMEDIA. 

impresa  ella  è  di  voler  reggere  con  certe  briglie  da  noi  fah- 
bricate  la  fantasia  del  poeta;  e  non  può  riuscire  cbe  a  nostro 
scapito  r  imporre  a  noi  stessi  il  freno  di  certe  norme,  a  r.uì 
rimanere  costantemente  legati  nel  seguire  i  voli  di  Tjaella 
fantasia. 

Di  parecchie  mende  e  contt'oddizioni  che  si  riscontmtto 

nella  Divina  Commedia.  Scrii  ti  su  Dante,  i,  127-149. 

Dante,  facendosi  per  più  anni  macro,  riuscì  a  compiere  il 
primo  getto  del  sacro  poema;  ma  giunto  ad  una  età  che  sa- 
rebbe stata  assai  a  proposito  per  le  cure  seconde,  la  vita  af- 
Ainnosa  e  travagliata  si  chiuse,  il  lavoro  della  lima  mancò.  Di 
qui  alcune  dizioni  aspre  e  triviali,  stranamente  foggiate  o  stra- 
namente usate,  i  duri  costrutti,  le  locuzioni  tenebrose  od  ambì- 
gue, qualche  verso  duro,  faticoso,  zoppicante,  e  qualche  rima 
stentata  tirata  a  forza,  di  qui  le  contraddizioni  o  discordanze 
fra  le  varie  parti  del  poema.  E  di  queste  discordanze,  segna- 
tamente il  Todeschini  ne  reca  alcuni  esempi.  Ki  non  nega  gìk 
che  molti  luoghi  non  sieno  stati  emendati,  limati,  ripuliti  dal- 
Fautore.  Uno  scrittore  qualunque,  e  soprattutto  un  poeta,  che 
detta  una  grande  opera,  s'arresta  di  tratto  in  tratto  con  ispe- 
ciale  amore  su  qualche  parte  del  suo  lavoro,  e  s'adopera  in 
particolar  modo  alla  perfezione  di  quella,  quantunque  gli  stia  a 
cuore  il  proseguire  T  opera  sua  ed  il  recarla  a  intero  com- 
pimento. 

ToMMASBO  Nicolò,  Lettera  al  sig,  Pitrè  suWarticoio  dei 
Bergman  :  Delle  donne  che  voglionsi  amate  da  Dante,  Archivio 
Storico,  id.  146-54. 

Le  affermazioni  che  il  valente  uomo  mette  innanzi  al  suo 
ragionamento  son  dettate  con  chiarezza  francese  e  accoratezza 
germanica  e  senno  italico.  L' ermeneutica  amatoria  del  Ber- 
gman è  tutt'altro  ingenerosa  ed  irriverente  al  poeta.   Che  la  j 
consolazione  sia  tutt'uno  con  la  Pargola  non  lo  crede  per  ve-  j 
rità:  ritiene  quel  della  Moìitanina^  canto  politico,  sotto  sem« 
bianza  d'amore.  Montanina,  nel  senso  proprio,  non  avrebb'egli  ; 
chiamata  la  donna  del  suo  desiderio.  —  Sulle  prétendues  Mai--  1 
tresses  de  Dante  veggasi  J7.  A.  de  Kelleri,  Dante  und  die 
Frauen,  Beilage  zur  Angsburger  Allg.  Zeit.  1871,  n.  42,  ed 
il  giornale  T?ie  Acadetny,  1871,  n.  152. 

Quattro  lettere  al  Sig,  Ab,  Ranieri  Calcinai  Fies>ano 


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STUDI  SULLA  DIVINA  COBfMBDIA.  161 

di  Sesto.  —  Nicolò  Tommaseo,  Ricordo  di  Camillo  Tommasi. 
Firenze,  C^ini,  1874,  31-40. 

Queste  quattro  lettere  del  Tommaseo  air  ab.  Calcinai  (firette, 
%(mo  osservazioni  minute  a  quelle  che  il  dotto  Caverni  avea 
fatte  sui  Comento  di  Dante  dello  stesso  Tommaseo,  a  quella 
parte  specialmente  che  riguarda  l'astronomia  dantesca,  per  la 
^uale  il  Tommaseo  si  era  molto  giovato  deMumi  deir  illustre 
P.  Gìov.  Antonelli  delle  Scuole  Pie. 

ToBELLi  GiL-SBPPE,  Opere,  Pisa,  Nistri,  1833. 

Abbraccia  i  segmenti  lavpri  :  Air  Autore  delle  Lettere  Vir- 
fjiUane  —  Lettera  sopra  Dante  contro  il  sig.  Voltaire  —  7n- 
torno  a  due  passi  del  Purgatorio  —  Postille  alla  Divina  Com- 
.aedia,  tratte  daWedizione  padovana  deHa  Minerva,  1822,  se- 
ondo  t  originale  mss.  con  aggiunte  inedite.  Se  ne  debbe  la 
imbblicazione  al  sig.  Torri. 

Burckhardt  Jacopo,  Dante.  La  civiltà  del  secolo  del  Ri- 
nascimento in  Italia,  trad.  del  prof.  Valbusa,  Firenze,  San- 
soni, 1876. 

n  Burckhardt,  in  brevi  tratti,  peanelleggiò  maestrevolmente 
Firenze  ai  tempi  di  Dante.  —  «  La  più  elevata  coscienza  politica 
e  la  ma^fior  varietà  nello  sviluppo  delle  forme  di  Stato  trovavansi 
Hunite  nella  storia  di  Firenze,  la  quale  in  questo  rispetto  merita 
la  lode  di  primo  fra  gli  Stati  del  mondo  moderno.  Qui  è  un  popolo 
intero  che  s'occupa  di  ciò,  che  nei  principati  è  neir  arbitrio  di 
una  sola  &miglia.  La  mente  meravigliosa  del  fiorentino,  ragio- 
iiatrìce  acuta  e  al  tempo  stesso  creatrice  in  fetto  d*  arte,  muta 
e  rimuta  incessantemente  le  sue  condizioni  politiche  e  sociali,  e 
incessantemente  pure  le  giudica  e  le  descrive.  Per  tal  modo 
Firenze  divenne  la  patria  delle  dottrine  e  delle  teoriche ,  degli 
> 'esperimenti  e  dei  subiti  trapassi,  ma  anche  insieme  con  Ve- 
nezia la  patria  della  statistica,  e,  sola  e  prima  d'  ogni  altro 
Stato  del  mondo  la  patria  della  storia  intesa  nel  senso  mo- 
derno. . . .  Quando  Dante  a*  suoi  tempi  paragonava  Firenze  che 
non  cessa  di  correggere  la  propria  costituzione,  con  quelPin- 
ferma  che  sempre  muta  lato  per  sottrarsi  a*  suoi  dolori,  egli 
esprìmeva  con  questo  paragone  uno  dei  caratteri  più  stabili 

-di  questa  città Firenze,  senza  paragone  fu  la  sede  più 

importante  del  moderno  spirito  italiano,  anzi  europeo.  »  —  E 
ilell*altis8Ìmo  Poeta,  tra  molte  altre  cose,  ne  dice:  <  Se  una  serie 

11 


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162  STUDI  SULLA  DIVINA   OOMBIBDIA. 

di  genii  pari  a  quello  di  Dante  avesse,  dopo  di  lui,  potuto  con^ 
durre  sempre  più  innanzi  la  letteratura  italiana,  essa,  in  oota 
a  tutti  gli  elementi  antichi  che  s*  introdussero ,  non  avrebbe 
mai  mancato  di  serbare  un'impronta  a&tto  nazionale  e  sua 
propria.  Ma  nò  V  Italia,  nò  V  intero  occidente  hanno  poi  prodott<^ 
un  secondo  Dante,  e  cosi  egli  rimase  pur  sempre  il  primoi 
che  condusse  l'antichità  al  limitare  della  nuova  coltura  iuo« 
derna ...»  —  «  Qual  tesoro  di  pensieri  e  d'  affetti  non  ha  e^li  s 
piene  mani  versato  e  nel  sonetto  e  nella  canzone  !  E  qual  cornice 
non  ha  egli  saputo  lavorarvi  airintorno!  La  prosa  della  Vitt^ 
Nuova  nella  quale  egli  rende  conto  delle  cause  che  occasio^ 
narono  ciascuna  delle  sue  poesie,  non  ò  meno  meravigliosa 
dei  versi  stessi  e  forma  con  questi  un  tutto  armonico,  nel 
quale  regna  il  sentimento  più  delicato  e  profondo  (1).  Apertd 
e  sincero,  egli  mette  in  piena  evidenza  tutte  le  gradazionij 
per  le  quali  il  suo  spirito  passò  successivamente  dall'ebbi-ezza 
al  dolore,  e  fonde  poi  il  tutto  con  potente  energia  nella  piìj 
severa  forma  dell'arte.  Leggendo  attentamente  questi  sonetti  < 
queste  canzoni,  e  in  mezzo  ad  esse  quei  meravigliosi  frammenti 
del  giornale  della  sua  vita,  si  direbbe  quasi  che  per  tutto  i| 
medio-evo  gli  altri  poeti  abbiano  &tto  uno  studio  speciale  di 
non  interrogar  so  medesimi  ed  egli  solo,  pel  primo,  abbia  osate 
affrontare  il  testimonio  della  propria  coscienza.  Di  strofe  ar-^ 
tefatte  si  ha  copia  granitissima  anche  prima  di  lui;  ma  egli 
solo  è  il  primo  vero  artista  nel  pieno  senso  della  parola,  per^ 
chò  ò  il  primo  a  fondere  scientemente  un  grande  concetto  irì 
una  forma  perfetta.  Qui  si  ha  veramente  una  lirica  soggettiva 
impi*ontata  della  piii  schietta  verità. .  e  grandezza  obbiettiva] 
e  ciò  con  si  armonico  accordo,  che  tutti  i  popoli  e  tutti  i  sc^ 
coli  ponno  appropriarsi  una  tal  maniera  di  sentire  e  di  scri^ 

vere Anche  se  non  avesse  scritto  la  Divina  Commedia 

basterebbe  questa  storia  intima  della  sua  vita  giovanile  pei 
far  di  Dante  l'ultimo  uomo  del  medio-evo  e  il  primo  de) 
tempo  moderno.  É  la  vita  dello  spirito,  che  tutto  ad  un  trattò 
acquista  la  coscienza  di  so  medesimo  e  si  manifesta  quale  s^ 
sente.  — 

(1)  Si  direbbe  che  la  Vita  Nuova  di  Dante,  con  qaella  tìnta  di  schietta 
ing(%uuità  che  Tanima  da  capo  a  fondo,  abbia  additato  alla  naùono  la  via 
da  tenere.  Burckhardt^  n,  7». 


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STUDI  SULLA  DIVINA  COMMEDIA.  163 

rebbe  impresa  disperata  e  soverchia  il  voler 
simili  manifestazioni  s'incontrino  nella  Divina 
oi  dovremo  Heguire  canto  per  canto  l'Intero 
«imo  metterne  in  evidenza  i  pregi  in  questo 
rtunatamente  non  siamo  in  questa  necessità, 
nmedia  già  da  lungo  tempo  è  divenuta  il  libro 
ti  i  popoli  occidentali.  II  suo  organismo  e  il 
mtale  appartengono  ancora  al  medio-evo  e  non 
mostre  idee  se  non  per  un  nesso  di  continuità 
loema  è  essenzialmente  la  fonte  primitiva  d*o- 
sia  tanto  per  la  sua  ricchezza,  come  per  Talta 
stica  nella  rappresentazione  dell*  elemento  spi- 
le sue  gradazioni  e  trasformazioni.  » 
.,  Die  Wellanscìiauung  Dante  s.  Zugleich  ah 
rum  Uefem  Verstàndniss  der  Divina  Gomme- 
ile  Revue,  Wien,  Hilberg  1868. 
ed  i  suoi  maestri.  Sarà  inserito  nel  iv  voi.  del 

•■r.,  Grundidee  und  Charàkter  der  Góttlichen 
fondamentale  e  carattere  della  Divina  Comme- 
re. 

und  Papst  nach  Dante.  Nel  Der  Katolik  di 
;  Bonn,  1876,  p.  76. 

\  F.  J.,  Dantisehe  Reminiscenz  an  das  bihli" 
f  rom  ungerechten  HausJialter  in  der  Die. 
r.  VI,  V.  127.  Una  reminiscenza  alla  parabola 
3re  avveduto  nella  Divina  Commedia.   Lùbek, 

Dante,  Nei  suoi  Transalpinische  Studien, 
ttilmente  perchè  il  gran  poeta  non  sia  divenuto 
'mania  con  tutti  gli  sforzi  che  ha  per  ciò  du> 
le  fatiche  che  vi  hanno  speso  intorno  tanti  e 
'Uditi. 

.  F.,  (prof,  di  lingue  romanze  a  Berlino),  jBe- 
in  Dresden  am  14  september  d.j.  gegrùnde- 
Danteverein,  abgestattet  in  der  am  10  oktober 
'itzung  der  Berliner  Gesellschafì  fur  das  Stii- 
ren  Sprachen  von  einem  Mitgliede  derselhen. 
-  Rapporto  della  Società  Dantesca  alemanna, 


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164  STUDI  SULLA   DIVINA  COMBfEDIA. 

costituita  a  Dresda  li  14  settembre  1865,  letto  il  10  ottobre 
nella  sedata  della  società  berlinese  per  lo  studio  delle  lingue 
moderne  da  un  suo  socio. 

Paur  T.,  Discorso  nel  sesto  centenario  di  Dante.  Nell'opera 
Zur  LeUeratur  und  KuUurgeschichte.   Lipsia,  1876,  p.   1-17. 

PpLBiDERBR  RuD.,  Dante  s  Gótihche  Comódie  nach  Inhalf 
und  Gedarikengang  ùhersichtlich  dargestellt  Mit  biographi- 
scber  Einleitung.  Stuttg,  Kirn,  1871.  —  Considerazioni  e  pen- 
sieri sulla  Divina  Comedia  veduta  a  colpo  d'occhio.  Ne  scrisse 
il  Notter,  Gaz.  d'Augusta,  1871,  n.  290. 

Videa  della  Divina  Comedia.   Sarà  inserito   nel  iv 

voi.  del  Dante  Jahrhuch. 

RiCHTER  D.,  Dante  und  die  Góttliche  Comódie.  Nel  Teut- 
sche  Blàtter,  Ottobre,  1873. 

RiEGER  M.,  Dante.  Wiesbaden,  Nedner,  1873,  in  8®  pie.  di 
82  pag. 

Sander,  Dante  Alighieri,  der  Dichter  der  GóUlichen  Ivo- 
màdie.  Vortrag  im  evangelischen  Verein  zu  Hannover  gc- 
halten.  Annover,  Meyer,  1872. 

ScARTAZZiNi  G.  A.,  Dante  Alighieri  e  le  sue  Opere.  Nel 
voi.  V  della  grande  Opera:  Conversations —  Lexicon,  Lipsia, 
Brockhaus,  1876. 

Le  tre   fasi  dello  svolgimento  delC  animo  di  DanU: 

Uscirà  nel  iv  voi.  del  Dante-Jahrbuch. 

Schtìck,  Dante* s  classische  Studien  und  Brunetto  Latini 

Gli  studi  classici  di  Dante  e  Brunetto  Latini.  Negli  Annali  di 
filologia  e  pedagogia  dello  Jahn,  voi.  92,  a.  xxxv,  Lipsia, 
Teubner,  1875,  fase.  5  e  6,  pag.  253-290. 

Daniel  abbé  Edouard  (docteur  en  Theologie,  ancien  pro- 
fosseur  à  tìontpellier,  vicaire  d'Antibes),  Essai  sur  la  Divine 
Comédie  de  Dante;  ou:  La  plus  belle,  la  plus  inslructive,  la 
plus  morale,  la  plus  orthodoxe  et  la  plus  méconnue  des  épo- 
peés  mise  à  la  portée  de  toutes  les  intelligences  et  dédiée  d 
la  jeunesse  catholique  des  nos  écoles.  Paris,  Berche  et  Tralìn, 
libraires,  1873,  in  8®'  gr.  p.  314  (costa  F.  15).' 

Daniel  Eduardus,  De  Dante  Theologo,  Thesim  proponebat 
Facultati  Theologiae  Aquensi  (d' Aix)  Dante  et  ses  Doctrìnes 
théologiques  contenues  dans  la  Divine  Comédie.  Thèse  poti 
le  Doctorat.  Antibes,  Marchand,  1873. 


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STUDI  SULLA.  DIVINA   COMMEDIA.  165 

Dante.  Nella  sua  Histoire  de  la  Littér.  ital. 

1875. 
F.,  Jugement  sur  la  Divine  Comedie.  Nel  suo 
ure  ancieoDe  et  modenoe.  Paris,  Depolafol,  1824. 

Dante  et  les  Origines  de  la  lingue  italienne. 
1854,  V.  Man.  Dani,  ii,  661;  V.  E.  Camerini, 
erari,  Milano,  Battezzati,  1875,  Voi.  i,  288-302. 
Deux  vers  du  Dante  et  un  chapitre  du  Roman 
Uetin  du  Bibliopbile  et  du  Bibliotbécaire  pub. 

A.  XXXVI,  Mars-Avril,  1870,  Paris,  Tecbener. 
Vahleau  de  la  Liiterat.  au  moyen  dge.  Paris, 
Lre^on  V.-  —  Precurseurs  de  Dante  —  Quelques 

la  me  de  Dante' —  Ses  études  son  caractére 
r-321).  —  Le^on  XI.  —  Imagination  de  Dante, 
loca,  —  Considerations  sur  la  Divina  Con^ 
46).  —  Le^on  XI,  —  Unite  de  la  Divina  Com- 
quelques  rapports ,  elle  offre  le  caractére  des 
mciens  —  Elle  renferme  toute  Chistoire,  toute 

le  poesie  du  temps,  —  Situation  de  V Italie,  — 
lue  du  poéte,  —  Caractére  de  sa  theologie,  — 
Hété  de  sa  poesie,  —  Résumé  sur  le  genie  et 
mte  (346-368). 

Cours  de  Litter.  Frangaise,  Paris,  Didier,  1846. 
gè  nouveau  de  la  critique  après  le  Dante,  in, 
Oant.  Il,  675. 

loHN,  An  introduction  io  the  study  of  Dante, 
Elder,  1872,  vui,  271. 

Biographical  Guide  of  the  Divina  Commedia 
on,  Provost,  1873.     • 

BiNOTON  Tommaso,  Saggi   biografici   e  critici, 
jlese  di  C.  Rovighi,  Torino,  Un.  Tip.  ed.,  1863. 
73-96. 
SRY  Clark,  M.  D.  Opere  Dantesche.  London, 

acque  a  Londra,  Newington  Butta,  Surrey,  il 
6.  Dal  1850  in  poi  fu  tutto  in  Dante,  sicché 
la  sua  nazione  tiene  incontrastato  il  campo.  Non 
3lle  rime  o  del  sacrò  poema,  non  studio  sulla 


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166  STUDI  SULLA  DIVINA  OOMMBDIA. 

Divina  CJomedia  che  subito  con  critico  senno  non  ce  ne  desse 
ragguaglio.  USome  and  Foreign  Revieto,  il  Parthenon,  il 
Moming  Posi,  il  GaUgnanVs  Messenger,  e  sovra  tutti  YAthe- 
naeum  di  Londra  furon  lieti  d'accoglierne  i  suoi  articoli.  Il 
Barlow  non  risparmiò  nò  viaggi  nò  spese  per  consultare  i 
Codici  più  accreditati,  onde  larvi  raccolta  di  varianti,  e  sotto- 
metterle ai  vaglio  di  una  critica  illuminata.  La  stia  Opera 
Criticai  historical,  and  philosophical,  ecc.  fu  da  per  tutto  lo- 
datissima  (Man.  Dani,  iv,  232).  Porta  in  fronte  1* Epigrafe: 
Alia  —  Commemorazione  —  Del  sesto  Centenario  dalia  nascita 
—  Di  —  Dante  AUighieri,  —  Poeta,  teologo,  e  filosofo  — 
Sempre  sommo,  —  Questa  opera  è  dedicata  —  Vanno  del-- 
Vera  sua  —  D.  XC.  IX,  ~  11  Barlow  non  potea  non  assi- 
stere alle  feste,  o  a  meglio  dire,  all'apoteosi  del  suo  Poeta, 
e  com*ei  lo  chiama,  lt4ce  e  gloria  della  gente  umana;  ed  io 
ricordo  tuttavia,  non  senza  orgoglio,  le  care  dimostrazioni  di 
affetto,  che  in  queir  occasione  m*ebbi  da  lui.  Nò  contento  di 
dò,  volle  scriverne  i  &sti.  —  The  sisih  Centenary  Festivais 
of  Dante  AlUghieri  in  Florence  and  at  Ravenna,  preponen- 
dovi le  parole,  che  ne  rilevano  il  sentito  entusiasmo  dell'Autore  : 
A  —  Tutti  i  Dantofili  —  Sparsi  per  lo  mondo  —  Questo  opu^ 
scolo  —  È  dedicato  —  Nel  nome  del  Pctdre  loro  —  //  Grande 
AUighieri  —  Vanno  deWera  sua  —  D.  C.  L  —  Avendo  la 
dttÀ  di  Londra  nel  1871  occupato  un  teiTeno  che  la  finmiglia 
Barlow  da  novanta  anni  possedeva,  e  allineatavi  una  strada,  il 
Dantista  fece  petizione  al  Consiglio  metropolitano  de*  pubblici 
lavori,  perchò  la  si  nominasse  Strada  di  Dante  —  Dante 
RoAD  —  e  quel  ministero  municipale,  grato  al  suggerimento 
del  suo  dttadino,  subito  e  graziosamente  vi  annuì.  (JtaUa  Nuatxi, 
n.  383,  12  Ottobre  1871,  Builder,  di  Londra,  18  nov.  1871). 
E  perchò  si  vegga  con  quanto  amore  operoso  ed  instancato 
abbia  preso  ad  illustrare  la  nostra  maggior  musa,  anche  a 
dimostrazione  di  grato  animo  che  gli  debbe  1*  Italia,  credo  con- 
veniente di  ripubblicare  T  elenco  delle  sue  opere  dantesche» 
quale  egli  ce  lo  diede  nel  1872. 

La  Divina  Commedia,  Remarks  on  the  Reading  of  the 
59th  verse  of  the  Vth  Canto  of  the  Inibmo.  Newington  Batts»| 
Surrey,  June  20,  1850. 

Digitized  by  V^OOQlC 


STUDI  SULLA  DIVINA  OOXlfBDfA.  167 

Daniesca.  Remarks  on  the  Reading  of  the  1 14th 
th  Canto  of  the  Paradiso.  London,  1857. 
'a  Rimini ^  ber  Lament  and  Vìndication.  With  a 
the  Malatesti.  London,  1859,  David  Nutt,  (Tra- 
jiamb.  Ferrari  e  stampata  in  Venezia  per  cura 
lari). 

luto,  what  it  was,  who  noade  it,  and  how  fatai 
eri.  London,  1862,  Trfibner.  —  E  con  questo 
-  A  Dissertation  on  verses  fifty-eight  to  siztj- 
*d  canto  of  the  Inferno.  (Tradotta  in  lingua  ital. 
Imo  Guiscardi,  Napoli,  1864). 
King  and  Bertrand  de  Bom.  London,  Triibner, 
'tazione  sul  verso  135  del  C.  xxviii  dell' Inferno, 
ine  diede  i  mal  conforti. 
u)  e  r Arcivescovo  Ruggeri;  a  Sketch  firom  the 
les.  London,  Trùbner,  1862. 
torical,  and  pkilosophical  Contributions  to  the 
yivina  Commedia  (p.  607)  (con  fac  simili  di 
London,  Williams  et  Norgate,  1864. 
Oentenary  festivals  of  Dante  AUighieri  in  Flo- 
avenna.  London,  Williams  et  Norgate,  1866. 
lon  Dante,  with  other  Dissertaiions  —  Dante 
ona  and  in  the\al  Lagarina.  London,  Williams 
).  La  seconda  parte  fu  tradotta  in  lingua  italiana 
iscardi.  NapoU,  1871. 

Canti  della  Divina  Commedia,  tratti  dai  Co- 
nella  Biblioteca  del  Museo  Britannico,  Londra, 

a  Divina  Commedia,  dall*ediz.  di.  Napoli  1477. 
HoBiB  and  poreign  rbvibw. 

;olato:  Dante  and  hia  CommerUalors,  Nel  n.  6, 
p.  574-609. 

Neil' Athbnabl-m  di  Londra. 

r  at  Florence.  N.  1539,  25  Aprii  1857. 
trait  at  Florence.  N.  1549,  4  July  1857, 
of  Dante's  Vision.  N.  1570,  28  Nov.  1857. 
da,  n.  1601,  3  July  1858. 


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168  STUDI  SULLA  DIVINA  COMMBDIA. 

The  Dante  Festival  (come  fu  proposta  dall'Autore),  n.  1622, 
27  Nov.  1858. 

Altri  articoli  sopra  questa  Festa  Nazionale  si  trOTano  noi 
N.  1729,  15  Dee.  1860,  e  nel  N.  1894,  13  Fob.  1864. 

The  Slavina  di  Marco,  n.  1636,  5  March  1859. 

The  Casato  of  Dante,  n.  1639,  26  March,  1859. 

Review  of  Lord  Vemon*s  Reprint  of  the  first  four  Edt- 
Hons  of  the  Divina  Commedia,  n.  1643,  23  Aprii  1859. 

Od  the  reading  «  sugger  dette  a  Nino  e  fu  sua  spasa  > 
in  the  Antaldi  Codice,  purchased,  at  the  suggestion  of  the 
Author ,  for  the  Library  of  the  British  Museum ,  N.  1644,  30 
Aprii,  1859. 

Review  of  Thomas"  Trilogy;  Inferno,  n.  1654,  9  July,  1859. 

The  YeUro  of  Dante,  n.  1674,  26  Nov.  1859. 

Dante  The  Sailor,  n.  1704,  23  June  1860. 

The  Southern  Cross,  n.  1715,  8  Sept.  1860. 

Garibaldi,  il  Veltro  di  Dante,  n.  1738,  16  February  1861. 

Review  of  FraticellCs  Edition  of  the  Divina  Commedia, 
n.  1745,  6  Aprii  1861. 

The  Murder  of  PHnce  Henry  at  Viterbo,  n.  1749,  4  May 
1861. 

Proposed  Tempie  at  Florence  in  honour  of  Dante,  n.  1750, 

11  May  1861. 

Review  of  Fraticelli* s  Life  of  Dante,  n.  1758,  6  July  1861. 

Codici  of  the  Divina  Commedia  existing  in  European  Li- 
braries,  n.  1766,  13  August  1861. 

Pope  Clement  V,  n.  1780,  7  December  1861. 

Revifew  of  Theodore  Marti n's  translation  of  the  Vita  Nuotxi, 
n.  1789,  8  February  1862. 

Review  of  the  Early  lialian  Poets  by  Dante  Rossetti , 
n.  1791,  22  February  1862. 

A  Neyo  Page  in  the  history  of  Dante  AlUgheri,  n.  1798, 

12  Aprii  1862.  —  Questo  Articolo  è  una  dissertazione  sul 
V.  60  del  Canto  iii  dell'  Inferno  —  Che  fece,  per  viltate,  il  gran 
rifiuto. 

Review  of  Tomas*  Trilogy;  il  Purgatorio,  n.  1821,  20 
September  1862. 

Review  of  Thomas*  Trilogy;  il  Paradiso,  n.  2017,  23  June 
1866. 


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STUDI  SULLA   DlVlSk  COMMEDIA.  169 

-aphical  Accuracy  of  Dante  Alighieri,  n.  1835, 

1862. 

Mrs,  Ramsays  Translation  of  the  Dimna  Com- 

no  e  Purgatorio,  n.  1849,   4  Aprii  1863  —  // 

1897,  5  March.  1864. 

Verona,  n.  1899,  19  March  1864. 

mce  of  Beatrice,  n.  1939,  24  Dee.  1864. 

Rossette s  Translation  of  the  Inferno,  n.  1953, 

emains  at  Ravenna,  n.  1967,  8  July  1865.  —  Se- 
sopra  lo  stesso  soggetto,  n.  1976,  9  Sept.  1865. 
Botta' s  Dante  as  Philosopher,  Patriot,  and  Poet, 
Tords  Translation   of  the  Inferno,  n.  1983,  28 

Day  man' s  Dante,  n.  1997,  3  February  1866. 
of  Codici  at  Florence  in  honour  oi  Dante,  n.  1998, 
1866. 

Centenary  Festivals  of  Dante  at  Florence  and 
041,  8  Dee.  1866. 
;he  Divina  Commedia  at  Holkham,  n.  2056,  23 

Longfelloio's  Inferno,  n.  2064,  18  May  1867. 
Longfelloxcs  Purgatorio,  n.  2070,  29  June  1867. 
spade,  n.  2073,  20  July  1867. 
Longfelloios  Paradiso,  n.  2076,  10  August  1867. 
Parson's  Inferno,  n.  2104,  22  February,  1868. 
Dante  s  House,  n.  2110,  4  Aprii  18G8,  ed  anche 
ia  nel  n.  2104.  i 

ia  of  Dante,  n.  2128,  8  August  1868. 
Glasgow  of  the  Divina  Commedia,   n.  2150,  9 

David  Johnstons  Translation  of  the  Divina  Corn- 
eo, 10  July  1869. 
l  Codici  of  the  Divina  Commedia  in  the  Library 

Museum,  n.  2180,  7  August  1869. 
Bologna,  n.  2199,  18  Decomber  1869. 
on  Dante,  toith  Documents  and  Album;  a  Re- 
>,  5  March  1870. 
e  de'XX,  n.  2226,  25  June  1870. 


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170  STUDI  SULLA  DIVINA  COMMEDIA. 

Dante  at  the  Cosile  of  Lizzano,  n.  2230,  23  July  1870. 

A  Shadow  of  Dante,  by  Miss  Rossetti;  a  Review,  n.  229T, 
4  Nov.  1871. 

A  New  Commentari/  on  Dante,  m  2308,  20  January  1872. 

The  Dante  de' XX,  n.  2315,  9  March  1872. 

TranslatioD  of  the  Letter  by  the  Cav.  Seymcur  Kirkup  to 
the  Editor  of  the  Nazione,  of  March  5,  on  the  relics  o(  Dante 
stili  existing  in  Florence,  n.  2316,  16  March,  1872. 

Nel  Parthbnon  di  Londra. 

La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  rfcorretta  da 
Carlo  WiOe,  n.  4,  May  24,  1862.  Questo  articolo  è  segnato 
D.  T.  F.  L.  che  sono  le  prime  lettere  delle  quattro  sillabe  nella 
parola  Dantofilo. 

Dante  and  his  Worrks  at  Oxford,  n.  13,  July  26,  1862. 

Codici  of  the  Divina  Commedia  in  the  Cambridge  Univer- 
sity Library,  n.  29,  Nov.  15,  1862. 

Nel  Jahrbuch  der.  DBUTSCHECf  Dantb-Gesbllsohaft. 
The  Matilda  of  Dante,  Zweiter  Band,  1869»  p.  251. 
Nel  MoRNiNQ  Post  di  Londra. 

Letteratura  Dantesca ,  notizia  sopra  <  Cento  correzioni  alle 
Opere  Minori  di  Dante  Alighieri stampaie  dal  prof.  CarloWiOe;  » 
in  questa  notizia  si  ragiona  di  Beatrice.  August  31,  1854. 

The  Vemon  Dante;  a  Review,  Aprii  23,  1859. 

Itaìy  far  the  ItaUans,  May  13,  1859. 

The  Pope  and  the  Poet,  January  24,  1860. 

The  Wolf  of  Rome,  February  16,  1860. 

Dante* s  Prophecy  of  Piedmont,  March  21,  1860. 

Fulfilment  ofthe  Prophecy  of  Dante,  November  29,  1860, 

Proposed  Dante  Festival  ai  Florence,  January  8,  1861. 

The  King  and  the  Pope,  March  11,  1861. 

The  Last  Days  of  the  Papacy,  August  28,  1861. 

Rome  and  the  King  of  Itaìy,  May  21,  1863. 

Nel  GALiONANfs  Mbssenobr. 

Nel  n.  14257  di  Sett  14,  1860  si  trova  una  lettera  M.  Veltro 
di  Dante, 


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STDOI  SULLA.  DIVINA  OOMMBDIA.  171 

Nel  Lambbth  Maoazine. 

itobre  1871,  avvi  una  breve  vita  del  poeta,  scritta 
che  ad  una  contrada  vicina  alla  casa  delFAutore, 
lome  di  Dante  Road,  di  che  si  trova  pur  notizia 
rova,  n.  383,  12  ottobre  1871 ,  e  nel  Builder  di 
ov.  1871. 

Opere  bianoscritte. 
)  opere  Dantesche,  fin  qui  non  pubblicate,  le  prin- 

i&xn'o  delia  Divina  Commedia,  con  sua  fraseologia, 
iato,  venticinque  anni  or  sono,    e  compiuto  da 

ale  istorico  della  Divina  Commedia. 
ose  sopra  la  Divina  Commedia. 
lento  sopra  la  Divina  Commedia, 
lingua  inglese,  di  tutti  i  soggetti  trattati  o  toc- 
ina  Commedia. 

ssertazioni  intomo  alla  Divina  Commedia,  e  molte- 
una  nuova  edizione  delle  Contribuzioni  allo  studio 
commedia. 
Naples,  ecc.  ecc. 

DpBRB  stampate  POSTERIORBfENTB. 

Michelangelo.  Printed  in  commemocation  of  the 
iry  festival  of  the  Mightj  master,  March  6,  1875. 
Builder  »  of  March  20,  with  addltions). 
izioni  della  Divina  Commedia  tratte  dalC edizione 

M.CCCLXXYU  confrontate  alle  corrispondenti 
luattro  edizioni,  Londra,    Williams  e  Norgate,. 


',  Dante  e  il  suo  secolo.   Annali  dell'  Università 

w.  Dante,  suo  secolo,  e  sua  vita.  Annali  di  Pa- 

ULT  A.,  Dante  e  la  poesia  simbolica  del  oattoUdsmo^ 
li  Europa,  1866. 


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172  STUDI  SULLA.  DIVINA.  C03fMBDIA. 

PiNTO  M.,  Storia  della  letteratura  nazionale  in  Italia.  Dan 
SÌ40  poema  e  suo  secolo.  Mosca,  1866. 

Floto,  Dante.  Annali  di  Patria,  1859. 

Atkinson,  Dante.  Contempor.  Review,  Agosto,  1864. 

Dante  Alighieri,  Sua  vita  e  sue  opere.  Annali  di  Patr 
1859. 

Dante  Alighieri  (il  xiii  secolo  in  Italia).  Giornale  pei  £s 
ciuUi,  1865. 

Lafenbstre,  La  festa  di  Dante,  1864.  Messa^iere  st 
niero,  1866. 

PiNTO,  //  VI  Centenario  di  Dante  Alighieri.  Annali  di  1 
tria,  1865. 

BusLAjBW,  //  VI  Centenario  della  nascita  di  Dante.  Ade 
contemporanei,  1867. 

ORIGINALITÀ  DEL  POEMA  DI  DANTE 

LEGGENDE    E    VISIONI. 

^(V.  Man.  Data.  IV.  2*2). 

D'Ancona  Alessandro,  /  Precursori  di  Dante,  Letti 
fatta  al  Circolo  filologico  di  Firenze  il  18  maggio  1874,  " 
renze,  Sansoni,  1874. 

Di  queir  amplissimo  ciclo  di  leggende ,  che  ha  per  for 
la  Visione  e'  per  ai'gomento  il  gran  mistero  ch'ò  al  di  là  de 
tomba;  delle  controversie  sulle  maggiori  e  minori  relazioni 
le  monastiche  visioni  e  la  Divina  Commedia  se  ne  occupare 
con  cura  amorosa  il  Delepierre,  il  Wright,  il  Labitte  e  T  0 
nam,  e  degli  italiani,  meglio  di  tutti,  il  Villari,  ma  non 
dice  l'Ancona,  che  dopo  tante  e  diligenti  ricerche  non  vi  sic 
altri  datti  da  registrare,  e  soprattutto  non  resti,  per  gru[ 
di  categorie,  da  ordinare,  con  piìi  senno,  tutta  quanta  la  va 
materia.  E  a  ciò  s'  accinse  T  egregio  prof,  d'  Ancona ,  don 
doci  un  libro  dove  la  critica  diligente  e  imparziale  si  acce 
pagna  a  tale  ottima  disposizione  delle  parti,  a  tale  giudizi< 
scelta  da  congiungere  air  istruzione  il  diletto.  In  breve  ci  die 
un  lavoro  veramente  da  pari  suo. 


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»RIGIN.  DSL  POBMA   LEOG.   E  VISIONI.  173 

primieramente  delle  leggende  anteriori  al  Crì- 
rmandosi  su  quelle  greche-latine;  passa  quindi 
B*  primi  secoli  della  Chiesa,  e  segnatamente  del 
Ile  quali,  con  bellissimo  criterio,  distingue  tre 

contemplative,  politiche  e  poetiche, 
plative  o  monastiche,  vennero  inspirate  da  quel- 
religioso  che  popolava  gli  eremi  della  Tebaide  e 
ccidente,  d'indole  gretta  e  puerile,  indistmte  e 
mai  oltrepassarono  le  mura  dei  monasteri ,  o  i 
*ovincie  in  che  videro  la  luce.  Se  non  che  a  quei 
mner  dietro  altre  più  ampie  leggende  che  ci 
aluna  delle  eterne  regioni,  o  tutte  e  tre  insieme, 
3i  spandono  per  tutta  la  cristianità  ;  veri  abbozzi 
nti  del  poema  dantésco,  che  presso  i  credenti 
tanta  accoglienza,  quanta  presso  tutti  gli  uomini 
:o  dell'arte,  ottenne  più  tardi  la  Divina  Comme^ 
laggiori  leggende  sono  la  Visione  di  S.  Paolo, 
S,  Brandano,  la  Visione  di  Tundalo,  il  Pur- 
Patrisio,  e  la  Visione  di  Alberico  delle  quali 
irende  a  parlare. 

visioni  contemplative,  nate  da  allucinazione  sin- 
»  da  zelo  di  spirituale  perfezionamento,  altre  ne 
che,  sotto  r  involucro  religioso,  celano   fini   ben 

esse  opere  di  ecclesiastici,  involti  negli  umani 
i  se  ne  fanno  stromento  terribile  e  poderoso,  a 
premiare  i  dotatori  de'  monasteri,  a^  spaventare 
iella  religione  e  i  nemici  de'  loro  privilegi  e  delle 
;  a  stabilire  nelle  coscienze  il  predominio  di  opi- 
»si  mondani.  Da  ultimo  la  visione,  con  lo  scemar 
le  in  mano  de' laici,  si  rivolge  contro  gli  eccle- 
che  ne  avevano  usato,  vi  entra  l'allegoria  e  la 

a  rassegna  delle  tante  immagini  accumulate  da 
ie  di  generazioni  circa  il  soggetto  stesso  della 
dia,  eccoci  il  divino  poeta,  che  attingendo  diret- 
oscienza  popolare,  alle  opinioni  del  tempo,  piut- 
na  delle  visioni  precedenti  in  particolare,  riunisce 
i  lo  spirito  delle  tre  maniere,  e  col  suo  mera- 
10  ricongiungendo  il  Cielo  e  la  Terra,  la  fantasia 


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174  ORIGINALITÀ  DEL   POEMA 

colla  storia  fa  la  più  bella  e  T  ultima  delle  Vigiom  (l).  — I 
critica  pertanto,  partendo  da  cosi  basso  per  giungere  sì  alt 
conclude  il  d'Ancona,  fa  meglio  vedere  quanto  V  opera  medita 
del  genio  sovrasti  alle  incondite  creazioni  della  £sLntieisia.  Gioì 
vedere  T Alighieri  simile  agli  uomini  del  suo  secolo,  ma  maj 
giore  di  loro;  pensare  e  sentire  come  i  suoi  contemporanc 
ma  piti  altamente  eh* essi  non  potessero:  chò  i  grandi  geo 
non  sono,  come  taluno  malamente  se  li  raffigura,  né  solitari  i 
un  deserto,  nò  sonnambuli  fra'  dormienti,  ma  animi  ed  iute 
letti  nei  quali  potente  si  accoglie  tutto  il  sentimento  e  il  pensi  e 
dell*età  loro,  e  che  li  rendono  ai  loro  contemporanei  e  ai  vai 
turi,  segnati  dell'  interna  stampa,  e,  di  fuggevoli,  fatti  immo 
tali.  V.  Nuova  Ant  Voi.  xxvii,  nov.  1874,  p.  768. 

Il  libro  cU  Theodolo  o  vero  la  Visione  di  Tantalo  da  k 
Cod.  delXIVsec.  della  Capii,  Bibl.  di  Verona,  or  posto  in  lu 
per  Mons,  Gio.  Batt.  G.  Giuli  ari.  Bologna,  Romagnoli,  187 
(Dispensa  cxn  della  Scelta  di  Curiosità  Letterarie  inedite 
rare  dal  secolo  Xlll  al  XVII,  Ediz.  di  soli  202  esempi.). 

«  Confortavami ,  cosi  il  Giullari ,  alla  stampa  del  mss.,  e 
me  interessante  per  la  forma  del  volgare,  che  ci  rendeva 
tipo,  e  vetusto,  di  uno  speciale  dialetto  italiano.  Fin  dal  prin 
scorrere  che  feci  il  Codice,  meglio  che  non  alla  sostanza  i 
libro  (triviale  formisura  e  strano  mi  si  mostrava),  a  ques 
avea  pur  io  posto  mente,  di  poter  offerire  agli  studiosi  filolo 
un  altro  documento  delle  nostre  volgari  favelle.  »  —  Se  iMa  ci 
M.^  Giullari,  secondo  il  Corazzini,  fidandosi  troppo  al  suo  tri 
scrittore,  la  stampa  non  riesci  nò  tanto  corretta,  nò  tanto  f 
dele  al  Codice,  come  sarebbe  stato  desiderabile  trattandc 
specialmente  di  dialetto.  Chò  in  un  dialetto  veneto  misto 
scritta,  o  meglio  trasvestita,  se  nf  ò  lecito  esternare  un  dubbi 
una  più  antica  traduzione  toscana:  se  il  quasi  continuo  rip* 
tere  le  stesse  frasi,  e  le  meno  comuni,  e  il  commettere  le  stes 
ommissioni  e  gli  stessi  errori,  può  essere  sufficiente  ragioi 
a  crederla  tale. 

(1)  <  Ad  innalzare  a  Beatrice  un  monumento  imperituro  concorreran] 
tutte  le  cognizioni  dell*  intelletto  —  la  fisica,  la  filosofia,  la  teologia  - 
tutti  gli  elementi  della  vita  universale,  —  la  storia,  la  politica,  la  religi 
ne  — :  tutto  le  forme  dell'arte,  —  la  lirica,  l'Epopea,  il  Dramma  — :  tutti 
generi  della  versificazione,  —  l' inno,  la  satira,  la  tragedia,  la  commedi 
o  a  perfezionarlo  coopereranno  l' architettura  coli'  ordine,  la  scultura  < 
rilievo,  col  colore  la  pittura,  col  suono  la  poesfa.  >  p.  99. 


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LBOGBNDK  B  VISIONI.  175 

Tugdalo  volgarizzata  nel  secolo  XI V  ed  ora  per 
posta  in  huie  da  Francesco  Corazzini.  Bolo- 
i,  1872.  (Dispensa  cxxviii  della  Scelta  di  Curiosità 
lite  o  rare  dal  secolo  XIII  al  XVII,  Ediz.  di 
>lari). 

icazione  di  questo  nuovo  volgarizzamento  della 
ugdalo,  scrive  il  Corazzini,  sarà  soddisfatto  il 
lussafia  e  degli  altri  cultori  dell'antica  letterar- 
ido  esso  niente  da  invidiare  agli  scritti  migliori 
—  La  bellezza  della  elocuzione  ci  fa  dimenticare, 
e  parole  di  M.*^  Giullari,  le  grettezze  e  le  fan^ 
ivola;  le  quali  pure  non  sono  in  tutto  sprege- 
ino  parte  dello  spirito  dei  tempi  che  ispira- 
L  Commedia,   e  se  ci  danno   una  pagina  della 

0  umano  pieno  sempre  di  stravaganze,  di  errori, 
ai  e  d'illusioni  d'ogni  maniera.  La  diffusione 
ebbe  questa  leggenda  in  Europa,  e  Tesser  vòlta 
,  non  si  spiega  soltanto  con  Tidea  religiosa  do- 
essere  l'effetto  di  un  certo  valore  artistico  uni- 
^nosciuto   in  essa.   E  forse   nemmeno   oggi  si 

Autore  uno  spirito  inventivo,  una  forza  d'im- 
anto  comune,  e  le  idee  non  indegne  di  buon  poeta. 

Italia,  scrive  il  prof,  d'  Ancona,  pur  altre  ver- 

cognite,  ma  certo  è  che  questa  tutte  le  supera 
i  redazione,  e  per  bontà  di  dettato,  come  anche 

sulle  anteriori  si  avvantaggia  per  copia  di  pre- 
»  sulla  leggenda.»   {Nuova  Antol.  Nov.  1872, 

'  batter  Tuiglat  de  la  provincia  de  Irbemia. 
de  BosaruU  la  tolse  da  un  codice  di  S.  Cugat  del 
)  Miscellanea  Ascetica^  e  F  ha  pubblicata  assieme 

1  rey  de  Ungria,  —  Questa  leggenda  è  popò- 
Spagna.  Tutglat,  cavaliere,  di  rotti  costumi, 

[ei  tre  giorni  che  precedono  l'esequie,  guidato 
visita  il  tripudio  celeste,  il  paradiso  dei  beati; 
dorè  della  perduta  gente.  Nel  momento  appunto 
iterrarlo,  la  sua  anima  ritorna  al  corpo,  narra 
ose  da  lui  vedute,  e  compunto  di  sue  colpe,  ne 
nenda.  —  Popolarissima  è  pure  in  Ispagna,  e 


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176  ORIGINALIlA   DEL  POBMA 

segnatamente  nei  monti  della  Catalogna  la  leggenda  le  B 
Pelegri,  Al  principio  di  questo  secolo  si  leggeva  tuttavia  i 
scuole,  come  opera  pia  ed  esemplare.  A  significare  che 
fanciullo  era  di  molto  progredito,  correa  la  voce  proverbi 
ei  già  legge  le  Devot  Pelegri. 

Visione  di  S.  Paolo.  Pei  manoscritti  latini  di  questa  leggenda , 
il  CataL  dea  mss.  dea  Départem,  in,  171;  Wrioht,  and  Halliwelì^ 
antiq.  i,  276;  Du  Méril,  Poéa»  popul.  latin,  anter.  au.  xnsiécle,  l 
Brockhaus,  1813,  p.  293;  Bartsch,  Grundr,  z.  gesch.  d.  prov.  Hter.  j 
—  Per  le  versioni  francesi,  il  Db  La  Kub,  Esèai  sur  lea  Bardes  ecc 
139;  Il  Michel,  Rapporta  ecc.,  1837,  p.  93. —  Per  le  inglesi,  il  Wari 
Hi»t.  of  engi.  poetr.  i,  19,  e  Wriobt,  p.  8;  per  le  provenzali,  il  Faci 
Hùt.  litterai.  provenc.,  i,  360,  e  il  Bartsch,  Deukin.  4.  prov.  Uttor., 
il  ViLLARi,  ecc.  —  D'Ancona. 

Il  Viaggio  di  S.  Brandano.  Il  testo  latino  trovasi  nella  pubblica 
intitolata  :  Legende  latine  de  S.  Brandainea  avec  une  tradttctìon  inèdt 
prose  et  en  poiaie  romanea  pubi,  par  Ach.  Jobinal,  Paris,  Techener,  i 
non  che  nella  più  recente  :  Sanct  Brandan;  eine  lateiniache  u.  drei  deu 
texte^  heraus'jg.  v.  G.  Scbródbr  ,  Erlangen,  Besold,  1872.  Per  le 
versioni,  vedi  Douhet,  Dict.  dea  Lèjendea,  Paris,  Migne,  col.  277 
prefazione  dello  Schródbr.  Un  testo  italiano,  non  però  nella  sua  inlei 
a  causa  delle  sue  molte  lungaggini,  fìi  pubblicato  dal  Villari.  —  D'An 

Leggenda  del  Purgatorio  di  S.  Patrizio.  Le  maggiori  notiz 
questa  leggenda  nel  citato  libro  del  Wrioht,  nonché  nel  Diction.  dt 
gend.  col.  051,  e  nella  Appendice  di  Philomnbstb  Iunior  (Gust.  Bru: 
al  libro  Le  voyage  du  puya  aainct  Patrice,  Genève,  Gay,  1807.  Testi 
ne  sono  indicati  nel  Catal.  dea  Ma.  dea  Dèpart.  i.  189,  473.  ii,  777.  Il 
attribuito  a  Enrico  di  Sutrbt  (Hbnricus  Saltbribmsis)  moaM|J 
dettino  vissuto  circa  il  1150  (v.  Pabricius,  Biblioth.  ediz.  Galetfl^tt, 
è  stampato  nel  Massingbr,  Fiorii,  inaul.  aanctor.  Hibem.  Parigi^ 
La  leggenda  è  anche  riferita  nello  Spec.  di  Vincenzo  di  Beauvais, 
Matt.  Paris,  (a.  1153).  Pel  francese,  oltre  il  testo  pubbl.  del  Gay,  v 
uno  molto  più  ampliato  e  moderno  nel  Diet.  dea  Légend.,  col.  957. 
in  versi  trovansi  in  Tarbó,  Le  Purgatoire  de  S.  Patrice,  Reims,  IS 
in  Marie  db  Frange,  ediz.  Roquefort,  ii,  403:  vedi  anche  Db  La 
Eaaai,  ni,  245,  e  P.  Paris,  Maa.  Frane,  vi,  398.  Pel  provenzale, 
Du  MÀOE,  Voyage  au  Purgatoire  de  a.  P.  par  PerUhoa  et  lo  Ubi 
Tindalj  Toolose,  1832.  In  italiano,  trovasene  un  testo  assai  breve 
Vite  dei  SS.  PP.j  iv,  88.  Più  ampio  è  il  testo  pubbl.  dal  Villari,  o; 
51-76.  Una  lezione  veneziana  ne  ha  stampata  il  prof.  Grion  nel  Pi 
gnatore,  in,  116  (V.  Man.  Dani,  iv,  246).  Vedi  anche  il  Teatro  delle  C 
e  Purgatorio  di  a.  P.  di  G.  Falboni.  Bologna,  1657,  e  la  Vita  del  % 
gioao  a.  P.  con  la  relazione  del  rinomato  suo  Purgatorio  scritta  da  t 
Parisiensb  ,  e  la  veridica  atoria  di  Luigi  Ennio.  Venezia ,  1757.  É 
il  dramma  spagnuolo  El  Purgatorio  de  S.  Patrick)  di  Galdbron.  —  1 
cona. 


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LB0GB9n>B  B  VISIONI.  177 

FftATB  Albbuico.    CaHeeilieri^  Orione   della  Divina 

,  e  nel  voi.  v,  della  Divina  Goromedia  nelle  edizioni  del 
Minerva  e  del  Ciardetti,  con  a  pie*  di  pag.  paralleli  con- 

eschi. 

,  Le$  Poèles  Franei9C€tinM  en  Italie  au  XIII  siècle.    . . . 

\es  noutelles  sur  les  toureet  poéiiques  de  la  Divine 
complòtea  di  A.  P.  Ozanam,  V.  Edit.  Paris,  LecotTre, 

li  Salvatore,  Storia  di  Rabbi  Giosuè  figliuolo 
rida  Talmudica,  tradotta  daW  ebraico.  —  Gr- 
iso^ —  del  Giariino  di  Eden,  —  Chiusa  della 
e\V Annuario  Societ.  Ital.  Stud.  Orient.  i,  93. 
IPopera  di  Jellinek,  Bet  ha~Midrasch,  Samml. 
ém,  Lieipzig,  1853-57,  ii,  48-51. 
è  fu  dottore  misnico  illustre,  il  quale  vìsse  alla 
lolo  àAV  E.  V.  Da  alt-uni  passi  del  Talmud  si 
la  dimestichezza  cogli  Elsseai,  da  cui  derivano 
partizioni  del  Paradiso  e  dell*  Inferno,  imitate 
,  leggenda,  che  l'egregio  prof.  Benedetti  ci  offre 
per  riiipetto  al  suo  tòma  fu  chiamata  dair  illustre 
un* antica  Dimna  Commedia^  il  Rabbino  ci  si 
sroe  ad  un  tempo  ed  autore  del  viaggio  nelle 
mio  e  del  castigo. 

niere  sacro  di  Giuda  Levita,  tradotto  dalC  e- 
"rato,  con  Introduzione.  Pisa,  Nistri,  1871. 
etti  chiude  il  Proemio,  preposto  alla  versione, 
le:  Nel  leggere  attentamente  e  più  volte  TA.  cui 
studii,  e  che  visse  due  secoli  innanzi  a  Dante, 
senza  cercarli,  concetti,  e  immagini  e  vocaboli,  di 
>  nella  Divina  Commedia  corrispondenze.  Allora 
idenze  mi  posi  a  cercare  di  proposito,  e  con  amo- 
distrai . . .  Codesti  brani  della  vesta  dantesca,  che 
oli  si  fa  sempre  più  chiara,  coprendo  e  adornando 
paesani  di  cui  ò  qui  vestito  il  pellegrino  ebreo 
anno,  spero,  se  non  a  dargli  diritti  di  cittadino, 
oppo  pretendere,  a  procacciai*gli  almeno  come 
nal  visto,  accoglienze  oneste  e  liete. 
,  Elude  sur  Brunetto  Latini  apprécié  camme  le 
le,  Paris,  Plen,  1873.  (Les  Pénalités  de  l'Enfei- 
170). 

12 


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178  ORIGINALITÀ  DBL  POEMA 

Dante,  aggirandosi  per  V  Inferno  (Inf.  xv.),  tra  i  rei  d*  ia« 
fame  delitto  riconosce  il  suo  maestro  Brunetto  Latini,  si  trat- 
tiene con  lui  in  colloquio  afièttuoso,  e  gli  dimostra  la  sua 
gratitudine.  Prima  di  accomiatarsi.  Brunetto  raccomanda  cal- 
damente al  discepolo  il  suo  Tesoro,  nel  quale  ei  vive  anco- 
ra (1),  e  più  non  gli  chiede.  —  Dopo  la  rotta  di  MonteapeKi, 
condottosi  il  Latini  esule  a  Parigi,  vi  avea  trovato  oltre  Vlmage 
du  Monde  un  recente  lavoro  enciclopedico  del  domenicano 
Vincenzo  de  Beau  vaia,  scrìtto  in  latino,  col  titolo  Specuium 
majus,  meglio  conosciuto  col  nome  di  Quadruple  Miroir.  Ve- 
nuto in  vaghezza  di  mostrare,  egli  italiano,  la  vastità  delle 
sue  cognizioni  dettò  da  prìma  il  Tesoretto  in  versi  italiani, 
dipoi  il  Tesoro,  in  prosa  fraiiceae,  enciclopedia  di  quel  secoloj 
cominciatore  della  civiltà,  e  quasi  arnia  di  mele  tratta  da*  fiori 
diversi  e  come  un  composto  delle  più  preziose  gioie  deir  antico 
senno.  —  Trois  quali tés  éminentes  firappent  dans  cotte  oeuvre 
de  Brunetto  Latini:  e* est,  d*abord,  un  sens  pratique  qui  lui 
fait  diriger  toujours  vers  Temploi  utile  aux  besoins  et  à  la 
conduite  de  la  vie  Tenseignement  qu*  il  donne  ;  c*est,  en  second 


(1)  Nella  seconda  metà  del  secolo  XIII  ne  fece  una  versione  Bono  Oi  am- 
boni, ed  ebbe  quattro  edizioni.  La  prima  si  fu  di  Trevigi  nel  1474,  V  altra  di 
Venezia  nel  ìbià;  la  terza  ivi  stesso  nel  1553,  la  quarta  pur  di  Venezia  del 
1811.  Le  prime  tre  soorrettissiroe  e  mozze;  la  quarta,  curata  dall*  illustre 
Carrer,  parve  alcun  che  migliore  di  quelle:  ma  nemmeno  questa  rtusci  a 
porgere  quella  giusta  e  sincera  lezione  del  Tesoro  volgarizza to^h*  era  ai 
vivamente  desiderata,  perchè  egli  pure  tratto  in  errore  da  que^jtampe, 
non  aiutato  da  Codici,  che  sventuratamente  neglesse,  ned  avendo  "Visultato 
alcun  testo  dell* originale  francese,  col  quale  soltanto  gli  sarebbe  stato 
possibile  di  emendare  guello  della  versione,  dovette  lasciare  per  disperato 
andar  monchi  ed  errati  moltissimi  luoghi  del  libro  dottissimo^  che  si  era 
assunto  di  ripublicare.  —  Alla  stessa  malagevole  impresa  s*  accinse  poscia  a 
tutt'  uomo  un  erudito  e  laborioso  filologo  veronese,  il  p.  Bartolommeo  Sorio, 
cominciando,  come  doveasi,  dal  procacciarsi  copia  di  Codici  francesi  ed 
italiani,  onde  giovarsene  nella  correzione  del  volgarizzamento. ...  I  molti 
studii  da  lui  fatti  sull'originale  e  sulla  versione  ne*  vanì  Godici,  ed  altri 
ancora  di  cronologia,  di  storia  e  di  varia  erudizione,  per  confrontare  1  pasjù 
del  Tesoro  con  quelli  deffli  autori  latini,  da  cui  gli  trasse  il  Brunetto,  onde 
con  questi  correggerne  la  lezione,  gli  diedero  abilità  d*  intraprendere  una 
edizione  def  Tesoro  ben  più  sincera  dell*  altre,  e  di  questa  mando  innanzi 
un  saggio  col  titolo  :  //  primo  iibro  volffare  del  Teitoro  di  Ser  Brt^netto 
Latini  recato  alla  sua  vera  lezione  da  Bartolommeo  Sorio  P.  D,  O.  di 
Verona^  ma  senza  data  e  luogo.  Nò  si  potrebbe  lodare  abbastanza  questo 
lavoro,  arra  non  dubbia  di  una  edizione  dU  tutta  V  opera  per  più  risp<*tti 
compiuta,  se  la  morte  immatura  del  ralente  uomo  non  gliene  troncava  il 
disegno.  In  continuazione  di  questi  studii.  dopo  il  Primo  libro  pubblico  il 
Sorio  il  Trattato  della  Sfera,  dava  opera  alla  stampa  del  Libro  settimo, 
e  più  correzioni  proponeva  al  Tesoro  in  varii  scritti  da  lui  dati  in  luce 
negli  Atti  dell' Itttituto  Veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti.  Oltre  questi,  ne 
lasciò  ben  altri  tuttora  inediti,  che  volle  egli  legare  alla  R.  Commissione 


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LBOOENDB   B  VISIONI. 

et  douce   rooralité   qui  en   pé 
fÌD,  QD  soufflé  de  poesie  qui 
lettura  del  Tesoro  si   compn 
uoa  tal  scuola,  auspice  il  sut 
(tro: 

in  U  mente  in*è  fitta,  ed  or  m*ac4 
a  e  buona  imagine  paterna 
,  quando  nel  mondo  ad  ora  ad  ora 
Qsegnavate  come  Tuom  s'eterna  : 
ìV  io  Tabloo  in  grado,  roentr'  io  viv 
n  che  nella  mia  lingua  si  scerna. 

a  sua  storia  della  letteratura 
a  il  Tesoretto  e  la  Divina  Coi 
te  ne  togliesse  il  concetto  e 
prof.  Ortolan,  dopo  di  aver  fat 
Ito,  soggiunge:  €  Malgré  quei 
des  détails  accessoires  de  pe 
de  dire  que  ni  la  concepti< 


in  Bologna. . . .  Ma  pur  dalle  sole  ] 
orgere  quanto  sia  grande  il  nume 
sriori,  delle  lacune  supplite,  delle  oi 
3  chiari  i  luoghi  oscuri  od  errati, 
1  libro. .  . .  Stampato  quel  primo  lil 
ni  incontrasse  poco  dopo  act^uistarc 
[)ne  eccellente,  perchè  quasi  sempr 
nde  che  non  solo  corregge  spesso 
stampe  della  versione,  non  escluse 
io,  ma  otfre  pure  di  bello  e  molte  vi 
ne  di  quelle;  e  membri  di  periodi 
>  a  compierne  il  senso  o  il  discon 
onamenti,   e  narrazioni  che  in  qu< 

diversi.  Convinto  il  Visiani  che  a 
Oj  come  per  la  scrupt)lo9a  esnttezzi 
Tità  sopra  i  codici  italiani  più  nuti,  < 
saggio  di  tutto  il  Codice,  col  titolo 
no  Latini^  Libro  primo  edit  >  sul 
0  con  pili  altri  e  coi  testo  originale 
spensa  r.iv  della  Scelta  di  curiosità 
al  XVII).  Il  dotto  filologo  corredava  ( 

note  preziose,  e  delle  voci  e  modi  ] 

vide  solo  la  luco  nel  1863,  per  ci 
r  par  Brunetto  Latini  publié  poi 
•its  de  la  bihliolhéque  imperiale,  cU 
'irs  manuscrils  des  Departemens 
563-4  (di  p.  736,  Forma  parte  della 
liti  della  serie  di.  Francia). 

Gingueoé,    una  visione  del  poeta, 
antastici,  uno  smarrimento  in  una 
dei  vizii,  lo  scontro  d'un  antico  pò 
),  e  quello  d'un  antico  astronomo,  < 


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180  ORIGINALITÀ  DSL  POBM\ 

ni   le  bui  des  deux  poéraes ,  ne  soni  à  com parer G 

IVsprit  general  qui  a  péiiótré  dans  Tàme  du  jeune  Dante, 
lui  a  ouvert  rimmense  horizon  des  connaissanceB  humai 
et  Ta  poussé  à  en  parcourir  lui-méme  .plus  tard  les  prol 
deurs;  qui,  par  le  récit  de  Téxil,  du  séjour  et  des  travaus 
France,  lui  a  fait  connaltre  les  ceuvrea  de  savoir  et  de  pò 
alors  courantes,  le  préparant  lui-métne,  sans  qu'ils  s*ea  d 
tassent  ni  Tun  ni  Tautre,  à  un  exil  sembUble  et  à  des  1 
vaux  plus  fóconds  encore  ;  qui  Ta  mis  dans  la  socióté  des  gra 
philosophes  et  des  grands  poètes  de  Tanti quìté,  comrae  il 
est  mis  plus  tard  lui-méme  en  abordant  au  premier  cerei 
Bon  Erfer  ;  qui  lui  a  donne,  enfìn,  ce  coup  d^aiguillon  sci 
rain  par  lequel  on  se  sent  lance  dans  le  monde  des  ÌDt< 
gences  avec  Tardeur  de  s'óterniser. —  Brunetto  Latini  est, 
dessus  tout,  un  moraliste;  c'est  le  caractère  qui  domine  e 
Tensemble  de  ses  écrits.  Les  règles  de  la  conduite  de  Thora 
Tétude,  le  classement,  les  conséquences  funestes  des  vice 
des  passions;  en  y  joignant  ce  que  Brunetto  appelait  les  pe 


nomeni  celosli,  ed  ecco  per  avventura  il  primo  germe  del  componin 
del  poema  di  Dante,  o  al  meno  che  sia,  V  idea  generale,  nella  quale  j 
e  ftise  in  alcun  modo  le  sue  tre  idee  particolari  dell'Inferno,  del  Puri 
rio  e  del  Paradiso.  Avrà  una  visione  come  il  suo  maestro:  si  smarrii 
una  foresta,  in  un  luogo  deserto  e  selvaggio,  d'onde  si  troverà  trasp«) 
sulle  ali  del  pensiero  dove  lo  richiederà  il  suo  disegno,  o  lo  vorrà  il 
^enio.  Gli  è  necessaria  una  scorta  :  Ovidio  era  stalo  la  guida  di  Bran 
in  un  argomento  più  ^ande  sceglierà  un  più  gran  poeta,  qmUo  eh 
Toggetto  de'  suoi  studii,  e  che  avea  mai  sempre  tra  le  mani.  Eleg 
Virgilio,  al  qnale  la  discesa  di  Enea  all'  Inferno  dava  anche  una  mai 
convenienzfi  per  condur  lui.  Ma  esser  egli  pagano,  lo  esclude  dal  l 
della  ricompensa.  Un'altra  scorta  pertanto  condurrà  il  viaggiatore,  e  qi 
sarà  Beatrice,  oggetto  del  suo  pruno  amore ,  e  della  quale  avea  prou 
di  dire  cose  non  mai  dette  innanzi  di  veruna  donna.  —  Se  pero  questo  v 
pur  sospettarsi,  .dice  il  prof.  Zannoni,  nella  sua  prefazione  al  Tesoretto, 
msieme  tenersi  che  una  legg^iera  e  presso  ch*e  invisibile  favilla  suso 
abbia  grandissimo  incendio:  in  che  è  assai  più  da  considerare  la  ma 
atta  a  nen  ardere,  che  ciò  onde  mosso  la  prima  fiammella.  —  Certo 
può  dubitarsi  che  Dante  non  pur  vedesse  il  Tesoretto,  ma  lo  Eludi 
ed  in  alcuni  luoghi  ancor  lo  imitasse.  11  Nannucci  ne  allega  molti  p 
che  sarebbero  stati  pure  citati  dalPOrtolan.  Anche  V  Ubaldmi  pubblio 
il  Tesoretto  (1612),  il  Pelli  nell'Elogio  di  Brunetto  (Elogi  d'ili.  Tose.  1 
il  Corniani,  Stor.  della  Lett.  1,  66,  sostengono  che  Dante  togliesse  dal 
stro  l'idea  del  poema,  o  almeno  quello  dello  smarrimento  della  selv 
V.  Puccianti  Gius.  Introduzione  allo  studio  della  Letteratura,  Lcx. 
La  Visione  —  il  Tesoretto  di  Brunetto  Latini. 

Fra^'cesco  Fontani,  in  una  sua  lettura  all'  Accademia  della  Ci 
(1818)  combattè  l'opinione  che  il  Tesoretto  possa  esser  tenuto  il  fonte 
Divina  Commedia.  —  Skinnoni,  Storia  dell'Accad.  della  Crusca,  p.  15 

Nel  IV.  Voi.  del  Jahrbuch  der  Deutschen ,  Dante^Oesetlschaft,  ^ 
inserito  un  lavoro  del  Deliits  col  titolo:  La  Divina  Commedia  di  Da 
*4  Tesoretto  di  Brunetto  Latini. 


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LBOGBNDB  K  VISIONL  181 

1  Trésor^  c^esUà-dire  les  avis  et  les  sentenoes 
ce  que  Dante  a  lu  et  entendu  constaramcnt 

iciliare,   chiede  1*  Ortolan,  Dante  grato  al  buo 
con  Dante   che  tramanda  alla  posterità,   co- 
il  nome  di  colui,  dal  quale,  secondo  le  sue 
■eso  egli  avea  quelle  cose  per  cui  l'uomo  s*e- 
brunetto  h  nel  suo  libro  delle  Passioni  Figu» 
ro  (p.  139,  305,  379.  380,  464),  più  volte  fle- 
to  un   Hi   laido   vizio?   Non   scrìveva  egli  nel 
tra  questi  peccati  —  Son  via  più  condannati  — 
orniti:  —  Deh  !  come  son  periti  —  Quei  che  con^ 
igan  con  tal  lussuria!  Quoi  qu*il  en  soit,  coa- 
(et  coniment  serait-il  poASÌble,  à  pareille  di- 
re  ce  vilain  procès?),   le  jugenient  du  grand 
irìtó,  et  c'est  TéléVe  reconnaissant  qui  inflige  à 
ivers  les  siècles,  cette  tache  indelèbile! 

ORI  DEL  DIVINO  POEMA  (1) 

(T.  Man.  Dani.  IV,  956). 

MiANo,  /  Teologi  naturali,  Squarcio  del  Pa-- 
dall'ebraico  di  S.  De  Benedetti.  Pisa,  Nistri, 
sze  D*Ancona-NÌ9sim'. 

squarcio  tolto  dell'opera  dì  quel  Manoello  ro- 
}rto  fosse  amico  dì  Dante,  e  da  lui  abbia  tratto 
uo  Inferno  e  Paradiso,  che  però  svolse  a  modo 
tutta  ebraica.  Che  del  resto,  per  T  indole  dei- 
te  Dantesche  sono,  direi  quasi,  evidenti  nelle  numerose 
Jacopo  Boehme,  il  gran  teosofo  Lusaziese  (nato  a  Alt- 
lorlizia  nel  1575,  morto  il  97  nov.  lOSi).  Il  mondo  mi- 
ctirda  in  modo  maraviglioso  le  visioni  dantesche,  ed  in 
a  Beatrice  di  Dante  essere  il  suo  ideale  di  verginità, 
lomìna  mai  il  Cantor  di  Beatrice;  n6  è  cosa  lieve  Tin- 
iiezzo  e^li  potesse  essere  arrivato  ad  avere  cognizione 
«  lafHnità  non  è  anche  qui  che  meramente  casuale,  e 
ava  per  avventura  il  linguaggio  dantesco  senza  che  di 
idito  neppure  il  nome. . . .  Una  conoscenza  almeno  me- 
nvenianio  anche  nelle  opere  del  poeta  satirico  Giovanni 
h  ( nato  1601,  morto  1609).  L'opera  sua  principale,  le 
«  e  veridiche f  sono  in  parte  una  libera  traduzione  delle 
>  spagnuolo  Don  Francesco  de  Quevedo  Villegas,  che  é 
materia  sono  una  imitazione  di  Dante.  Il  Quevedo  dico 


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182  IMITATORI  DEL  DIVINO  POBMA. 

r  ingegno  più  arguto  che  grave  e  per  larghezza  d'  opinioni^ 
egli  somigliava  ben  più  che  al  Teologo  nutUus  dogmaiis  ez?^ 
pers  al  suo  commentatore  certaldese.  E  appunto,  per  larghezza 
d*opinioni,  il  presente  squarcio  mi  parve  degno  di  nota.  L.*Oh 
riginale  è  in  prosa  rimata,  forma  che  ì  tedeschi  ebbero  i] 
coraggio  di  riprodurre  nella  lingua  loro,  ma  io  non  T  avrei 
nella  nostra.  —  De  BenedeUÙ 

Emanuele  di  Salomone,  Inferno  e  Paradiso,  parafrasi  poe^ 
Hca,  date  ebraico,  di  S.  SepilU,  in  8®,  p.  65.  Ancona,  Civelli,  1  874; 

Falamonica  Bort.  Gentile,  poeta  del  secolo  XV,  C,  xi.m  irà 
terza  rima  inediti,  meno  quattro  o  cinque.  —  V.  Schiavi  a,b\ 
prof.  Lorenzo,  Manuale  della  Letteratura  italiana,  p.  195. 

M ASINI  Cesare,  La  profana  Comedia ,  C.  xxxiv,  in  terza 
rima.  Parodia  d<'irinferno  Dantesco. 

Monti  Vicenzo,  La  BorWìliiana,  che  gli  ottenne  il  tìtolo  di 
Dante  raggentilito.  II. Manzoni  sotto  il  suo  ritratto  scriveva  ì 
8«g.  versi:  —  Salce,  o  Divino,  a  cui  largì  natura  —  //  cor 
di  Dante  e  del  suo  Duca  il  canto  :  Questo  fia  grido  deiT  etd 
ventura.  Ma  Cetà  ehe  fu  tua  tei  dice  in  pianto, 

SOGGETTI 

INSPIRATI    DALLA    DIVINA    COMMEDIA 

(V.  Man.  Dmnt.  It,  4ÌS;  IV.  2U  e  B68J. 

Da  Prato  Cesare,  Dante  e  Bice^  Racconto  Storico.  Milano^ 
Barbini,  1873. 

BsNCi venni  prof.  Ildebrando,  Francesca  da  Rimini^  Rac-^ 
conto  storico.  Firenze,  Salani,  1873,  in  16**,  di  p.  136. 

nfìl  principio  del  suo  lavoro  di  avere  avuto  le  visioni  ch'egli  va  descrì^ 
vendu  dopo  letta  la  Divina  Commedia  (aviendo  Corrado  los  qjos  ooti  el 
Wtro  dfl  Datiffj.  Il  Moscherosch  non  fa  menEÌone  di  avere  attinto  alla  sw^rn 
gente  priroitiva.  Forse  ei  non  conosceva  Dante  che  pel  me/7o  del  Qut-vedo  1 
sebbene  non  sembri  probabile  che  e^li  abbia  voluto  contentarsi  della  paln 
lida  imitazione  del  poeta  spagnuolo  piuttosto  che  ricorrere  alPoriginale  ìtal 
liano.  E  si  osservi  che  lo  scopo  del  Moscherosch*  è  in  parte  il  ii)ed«<<iinQ 
di  quello  di  Dante,  cio^  di  favellare  i  costumi  corrotti  e  depravati  del  sua 
tempo.  Scartazzini,  Dante  in  G*>rmanìa.  Rivista  Internar.  I,  309. 

L'egregio  mìo  amico  dott.  Gaetano  Vidal.  professure  dell  Universi (^  <ii| 
Barcellona,  mi  la  cenno  d'un' operetta,  venutagli  alle  mani,  che  dovrebbe 
essere  dei  primi  anni  del  seceuto,  col  titolo:  Viatie  al  Infern  por-  />o^- 
Pnrfrr.  Ei  vi  trova  specchiate  molte  imìtarioni  della  Divina  Commedia  sì 
ripiiardo  alla  furma  che  al  concetto;  e  molto  ingegno  nell'Autore.  La  crede 
tuttavia  ined.ta,  ed  ha  in  animo  di  darla  alla  luce. 


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SOGGETTI  INSPIRATI  DALLA  DIVINA  COMMBDIA.  183 

}       RoBfA^i  Fblicr,  Francesca  da  Rimini^  Melodramma,  Vi- 
[  cecza,  Parise,  1823. 

Gbislavzovi  Antonio,  Francesca  da  Rimini,  Meiodrainma, 
Miisìra  del  Maestro  Cagnoni. 

Benvenuti  Matteo,   Francesca  da  Rimini,  Melodramma, 
Milano,  Rirordi. 

PoLA  FRANrESCo,  Francesca  da  Rimini.  Dramma  musicato 
dal  M.  Pietro  Generali.  Venezia,  Casali,  1829. 

BEi«iJiccfii  Luigi,  Francesca  da  Rimini,  Tragedia,  Siena, 
1824 

Casoretti  GiRor.AMO,  Lancilotto  Malatesta,  Tragedia.  Ve- 
nezia, Antnnelli,  1838. 

Posnrco  C  U-,  La  Francesca  da  Rimini  secondo  la  stona 
e  secondo  Carte,  Studio.  Fermo,  Barher,  1876. 

Fabbri  ro.  FìOoardo,  di  Cesena,  Francesca  di  Rimini,  Tror 
gedia.  —  Fu  com(>o$ta  nel  1802.  La  prima  edizione  è  di  Ri- 
mini, tip  Mai"sont»r,  1820:  ristampata  nel  periodico  il  Solerle, 
a.  rv.  18 il.  e  nella  Harrolta  delle  sue  nove  tragedie.  Monte- 
pulciano, Furai.  1844-45.  —  Veggasi  nel  periodico  il  Vaglio 
ài  Novi  Ligure  il  raffronto  che  il  prof.  Gazzino  ne  fece  con 
la  tragedia  posteriore  del  Pellico. 

Canale  Michele  Giuseppe,  Farinata  degli  Ubarti,  Genova. 

Vigano  Salvatorb,  Alessandro  neW  Indie ,  Ballo  eroico 
rappresentato  nel  gran  teatro  la  Fenice  nel  1829.  Venezia, 
Casali,  1829, 

Villa  REA  LE  Mario,  Fra  Dolcino  e  suor  Margherita,  Rac- 
conto poetico.  Palermo,  Marsala,  1872.  —  Fra  Dolcino  e  la 
bella  Margherita.  Milano,  Lombardi,  1872.  —  Dal  periodico, 
La  Riforma  àA  secolo  XIX. 

RoNZANi  Domenico,  Ugolino  della  Gherardesca,  Ballo  tra- 
gico in  6  atti,  composto  espressamente  e  diretto  da  Domenico 
Ronzani  per  ra|>ertura  del  nuovo  teatro  Comun.  di  Cesena 
nella  fiera  deiragosto  1846.  Cesena,  Bisazla. 

Gbrstenbbrg  (di)  Arrigo  Guglielmo,  (  n.  3  gen.  1737,  m. 
1  nov.  1823),  Ugolino,  Tragedia.  Amburgo,  1768.  Fu  rappre- 
presentata  dal  Dobbelin  a  Berlino:  voltata  in  italiano  dal  Ce- 
roni. Milano,  1843. 

11  Bodmer  scrisse  contro  il  Gerstenberg  la  sua  operetta:  La 
Torre  della  Fame  a  Pisa.  Coirà,  1769.  Scartazzini, 


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184  800GBm  INBPUUTI  DALLA  XìVflSk  OOMIfBOIA. 

Taddbi  Rosa,  Il  Commento  di  Ugolino,  vedendo  spirare 
Tiiltimo  suo  figlio.  TadJei,   Versi,  Trieste,  Maldini,  1839,  14. 

BoLHBNDOBP,  UgoUno  Gherardesca^  Tragedia,  Di-esda,  1807. 

ScBiFFiGNANi  Francbsco,  //  conte  Ugolino,  Tragedia.  Kl 
Cbark,  Costantinopoli,  1873,  p.  179. 

Rbcrb  e.  V.,  Bertram  de  Bom,  Dramma  lìrico.  Fu  assai 
applaudito  nelle  scene  di  Danimarca. 

CoséA  Pietro,  SordeUo^  Tragedia  in  5  cU'i, 

Colli  NI  Angelo,  Sordeilo.  Mantova,  Negrotti,  1847. 

Vii.larbalb  Mario,  Marzwxo  o  il  Perdono,  Ispirazione  sto- 
rica: Quel  di  Pisa  Che  fé  parer  lo  buon  Màrzucto  forte.  Forma 
palle  deiropuscolo:  Inspirazioni  e  Fantasie,  Palermo,  Roberti, 
1854. 

Marbnco  Carlo,  Corso  Donati,  Tragedia.  Torino,  Pomba, 
1820. 

Caraccio  Ant.,  di  Nardo,  Corradino,  Tragedia.  Roma,  Bua- 
gno,  1694. 

Db  Pasquali  Gaetano,  La  Piccarda,  Novella.  Palermo,  Pe- 
done, 1839,  di  pag.  33. 

Marbnco  C,  La  Pircarda,  Tragedia. 

Giom  Napolbonb,  Piccarda  Donati^  Cantica,  PoUmetro, 
Dalla  strenna  fiorentina,  a.  in.  1844. 

Carutti  Domenico,  Giano  Della  Bella,  Carme,  Roma,  Bot- 
ta, 1872. 

Galzerari  Giov.,  Buondelmonte^  Azione  mimica  in  6  atti. 
Venezia,  Casali,  1826. 

Valletta  Ignazio,  Le  Nozze  di  Buondelmonte,  Milano, 
Goglielmini,  1838. 

A  10  Feblvaio  1887,  al  ballo  dato  dalla  nobile  Accademia  delle  Dame 
e  Cavalieri  òì  Napoli,  vi  fu  una  Mascherata  rappresentante  i  quattro  grandi 
poeti  italiani.  —  Zkinte,  cav.  Rinaldo  Actoa,  —  Beatrice»  principessa  Zurlo, 
—  Francesca  di  Rtmini  co.  Fiqueknont,  —  Paolo  Malatesta  Principe  Ode- 
scalchi,  ~-  Guerriero  al  tempo  di  Dante,  Duca  di  Lieto.  Tutti  i  soggroitì 
vennero  poi  litografati  dal  Gaociniollo  e  Bianchi,  e  posti  in  colori  e  con 
abiti  di  costume. 


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185 


ALLEGORIA 

DELLA    DIVINA    COMMEDIA. 

rjran.  DatU.  II,  900;  IV,  96$). 

N.  N.,  Le  allegorie  morali  e  il  senso  storico.  Bibliothéque 
Unlreraelle  de  Genove,  d.  13,  I5feb.  1847. 

Accennata  brevemente  )a  storia  dei  mifttiVìsnio  presso  gli 
scrittori  sacri,  fa,  suo  argomento  speciale  Tallegorismo  di  Dante, 
e  dimostra,  dovervi  nelle  tre  cantiche  cercare  innanzi  a  tutto 
la  storia  del  Poeta  e  de*  suoi  tempi ,  e  niuna  cosa  essere  più 
iorerta  e  più  strana,  delle  allegorie  morali  che  or  si  vollero  a 
viva  forza  intravedere  dagli  sposirori  antichi  e  moderni.  Veg- 
gasene  Testratto  che  ne  diede  G,  Picei  nel  Gior.  Euganeo,  quad. 
Nov.  e  Die.  a.  iv. 

Vaccaro  ab.  Emanuele,  Sopra  un  contento  di  Dante  fatto 
da  Ugo  Foscolo,  Riflessioni  critiche,  Palermo,  Gab.  Tip.  alla 
inaegna  del  Meli,  1831. 

Frango  Antokio,  Esposizione  deW  Allegoria  della  Divina 
Commedia.  —  Scritti  Letterari  e  Filosofici  poi»tumi  pubblicati 
per  mra  di  Vicenzo  Di  Giovanni.  Palermo,  Virzl,  1875,  p.  1-73. 

Pel  Franco  è  cosa  evidentissima  che  sotto  Tallegoria  della 
selva  oscura  vi«n  designata  la  posizione  della  città  di  Firenze 
nel  1300;  allorché  Dante,  eletto  Priore,  dovè  ntrovarsi  in 
mezzo  a'  sospetti,  agli  odj,  alle  inimicizie,  alle  turbolenze,  ai 
tamtthi,  all'anarchia  prodotta  da' due  partiti  tutti  armati.  Questa 
prima  chiave,  dice  il  Franco,  apre  l'intelligenza  non  che  del 
resto  del  Canto,  ma  dell'intero  Poema,  riguardato  tuttora 
misterioso,  ad  onta  de'  sudori  versati  da'  Comentatori.  Il 
Colle,  al  pie  del  quale  giunse  Dante,  là  oìse  terminava  quella 
YalUn  designa  la  speranza  ch'egli  ebbe  di  rimettere  la  pubblica 
tranquillità;  dopo  che,  armato  il  popolo,  ebbe  confinali  gli 
uomini  più  perniciosi  delle  due  sette.  —  Il  Franco  nella  Lupa 
vede  la  cupidigia  de' Rivoluzionai j ,  ossia  la  parte  Nera,  nel 
Leone  l'orgoglio  de' Potenti,   ossìa  il  partito  de'  Bianchi,  e 


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186  ALLEGORIA   DBLLA   DIVINA   COMMEDIA. 

nella  Lonza  V  indocilità  del  popolo,  che  armato  da  Dante  per 
reprimere  le  due  fazioni,  non  lasciava  di  apportargli  imba^ 
razzo.  '  La  parte  Nera  sostenuta  dalle  forze  di  Roma  e  di 
Francia  fu  la  sola  bestia  che  diede  gravezza  assai,  e  gli  tolse 
ogni  S|)eranza;  fu  la  parte  Nera  che  lo  fece  senza  pace,  rin-- 
Dovando  le  turbolenze  che  aveva  egli  sedata;  fu  la  parte  Nera 
che  scoraggiandolo  di  ottener  gloria  nel  maneggio  de*  pubblici 
affiàH,  lo  deti^rminò  di  acquistarsi  rinomanza  eterna,  mediante 
Talto  suo  ingegno,  ed  il  suo  sapere  meraviglioso. 

Calvori  J.,  La  Selva,  le  Belve  e  le  Tre  Donne  della  Di~ 
vina  Commedia,  Idea  di  un  nuovo  Commento  esposto  m  due 
discorsi.  Torino,  Paravia,   1873. 

Chiamate   a  rassegna   tutte  le  interpretazioni  delia  princi- 
pale Allegoria  dantesca,   ei  si  fa  a  demolirle  iutle^  e  quasi  a 
cassarle^  non  per  inmdia^  nò  per  amor  di. gloria^  ma  animato 
da  un  sentimento  vivissimo  di  culto  a  Dante.  Gli  è  forza  adun- 
que, assevera  egli  con  rarinpima  modestia  (!),  di  riedifif*are. — 
Supremo   dei  desiderii   del   Poeta   era  di  raggiugnere  il  colle 
della  gloria,   sobbarcandosi    a*  comuni  incarichi,  e  con  questo 
entiavagli  speranza  di  poter  riwtelvare  nel  primiero  staio  la 
sua  Firenze,   e,  de'  figli   men    pietoso,   diradarne  le  maligne 
radici^  e  gli  sterpi  velenosi.    Ma  tre  fiere,   una  lonza  leggera 
e  pre-ta  molto  (Firenze,   città  partita,  specchio  di  parte);  un 
leone,  con  la  test'alta,  e  con  rabbiosa  fame  (La  Francia  guelfa); 
e  pe$>sima  di  tutte,  una  lupa,  carca  nella  sua  magrezza  di  tutte 
brame  (Roma  papale),  gliene  im|>e<iirono  il  cammina,  e  gli  fe- 
cero perdere  la  speranza  dell'altezza,  minandolo  in  basso  loco, 
dove  non  splende  luce  di  gloria.   Onde  se  vuole  salire   al  dt- 
lefioso  monte,  che  è  principio  e  camion  di  tutta  gioia,  gli  convien 
tenere  altro  viaggio:  dalla  politica  tramutarsi  alla  poesia.* Ma 
i  suoi  verpi  non  dovevano  più  essere  semplici  rime  di  amot*e, 
ma  da  più  ulto  assumere  concetto,  sentimento  e  forma.   Della 
ibrma  è  espressione    Virgilio  il  maestro,  l'autore  di  Dante,  il 
quale  dev'essere  considerato  altresì  nel  senso  proprio  di  altis- 
simo   poeta;  del  concetto,  la   Donna   Gentile,  significazione 
delia  filosofia,  e  Lucia  della  Religione  cristiana.  Beatrice  espri- 
merà il  sentimento,  quel  nobilissimo  sentimento  che  sorge  nel- 
l'anima p<*r  la  contemplazione  del  veit),  del  buono,  e  del  bello, 
espresso  e  concepito  nella  forma  più  santa,  più  sublime  e  più 


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ALLEGORIA    DELLA    DIVINA   COMMEDIA.  187 

'QetH.  pope  pur  »è  atps^o  a  sìgnifir^re  il  partito 
el  partito  p**l  quale  rominHa  a  splendere  il  lume 
il  pianeta  eh«  mena  dritto  altrui  per  ofrni  rolle.  — 
ante  n^n  inte«e  H^'jiiirnare  «  un  uomo  individuale 
i  un  essere  indeterminatamente  compreso,   ehe  la 

di  lui  e  r  anima  tutta  rivolta  alla  patria  gli  di- 
ìhile  in  mezzo  alle  calamità  d'Italia.  > 
DI  Np.tima  Fravcfsco,  Nfinvo  Commento  sopra 

Allegoria  d^l  Poema  di  Dante.  Roma,  Pallotta, 

•istnnfirere  in  più  hreve  e  del  tutto  piano  sermone, 
te  nell'anno  1^00.  trentacinquesimo  di  ana  vita, 
di  Priore  in  Firenze,  nel  momento  che  le  pubhli- 

andavan'^  s'^ompiirl'Hte  per  l'imperversare  delle 
r)rdie.  Phiò  l'Aliehieri,  r»er  la  sapienza  e  prudenza 
1  comporre  le  discordie  l'chè  jfli  animi  esacerbati 
[>  pativan*»  K  ma  farle  per  allora  tacere,  e  sovra- 
epotenza   di    pi-ivati    cittadini   con   la   rivendicata 

\e^fÒ'  r>a  questo  f^lce  risultato,  confortato  l'a- 
impie  speranze,  non  sì  tenne  dall' adoperarsi  con 
^zi  ch'ep-li  p»  teva  i  mi«rliori,  perchè  i  Fiorentini, 
fpse,  le  diffncptize  composte,  tornassero  all'antico 

ordini  repubblicani;  Vi  patria  libertà,  per  le  coq- 
icolante.  con  la  loro  unione  salvassero.  K  avve- 
i  che  con  lui  reg'olavan'^  le  cose  dello  Stato,  vuoi 
rìn  volenti,  non  lo  priovass^ro,  siccome  pure  do- 
si loro  con«ìprlio,  né  dell'opera  loro.  1'  uomo  ma- 
'  nulla  ispromenf itosene,  procedeva  animoso.  Ma 
no,  non  principale,  al  suo  proposito  ej^^li  trovò 
lertinaceraente  fé  oci  de'  suoi  stessi  concittadini  ; 
enza  di  Carlo  di  Valois,  tìnal-nente  nella  politica 

Rom-i.  QuMste  non  si  tenendo  dalle  celate  in»i- 
9  offese  manifeste,  ma  ora  le  une,  O'a  le  altre 
meglio  tornava  al  p'roposito  loro,  non  pure  im- 
Poeta  dare  effetto  al  suo  genei-oso  pensiero;  ma 
infocando,  ma  confortando  di  potenti  aiuti  le  ara- 
igie   de'  cittadini,   la  (Zfià   tanto   disordinata  città, 

scompig'i,  con  più  feroci  commovimenti,  minac- 
iltima  miserabilissima  sorte.  Si  fu  allora  ch'egli, 


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188  ALLEGORIA   DBLLA   DIVINA   COMMEDIA. 

forse  a  ciò  inspirato  dal  cielo,  siccome  egli  stesso  credeva, 
concepì  nella  niente  sublime,  concitata  a  cose  stupende  dal 
santo  amore  di  Patria,  Tidea  del  suo  veramente  divino  Poema, 
affinchè,  per  le  meravigliose  cose  che  sono  in  e5>so,  ridottisi  g>li 
italiani  a  vita  più  costumata,  assembratisi  attorno  quello  che 
solo  poteva  tornare  unita  la  Patria,  fosse  non  la  sola  Firenze, 
ma  Tuniversa  Italia  resa  libera,  forte,  indipendente. 

Canavbsio  prof.  Sebastiano,  Il  primo  canto  della  Dimna, 
Commedia  spiegato  colf  Ypsilon  di  Pitagora,  pubblica  lettura 
fatta  a  Mondovi  la  sera  del  28  di  Febbraio  1873.  Mondovl, 
Bianco,  1875. 

Dante  À  assai  grossamente  inteso,   scriveva  Matteo  Pal- 
mieri (n.  1400,  m.  1475),  nel  suo  Trattato  della  Vita  Civile^  da 
coloro  che  pensano  aver  egli  cominciato  a  narrare  di  so  dal 
trentacinquesimo  anno  della  sua  vita.  11  glorioso  poeta,  subito 
nel  principio,  allude  al  sit^tema  del  celeberiimo  filosofo  di  Sauio, 
il  quale,  nel  trattar  della  vita  dell'uomo,  con  eleviita  dottrina 
la  divide,  secondo  le  virtù  dell'animo,  in  due  sole  parti,  Tetà 
del r  Ignoranza,  che  si  chiude  ne*  25  anni,  e  Tetà  di  cognizione, 
raffigurate  nell'  Ypsilon  di  Pitagora.  Ed  è  ben  duopo  entrare 
subito   nel  sistema  del  filosofo:   altrimenti   non  se  ne  coglie- 
rebbe più  nulla.   Ma  foi*te  a  intendere   è  il  primo  verso  della 
Divina  Commedia.  Secondo  il  Canevesio,  s'appongono  in  &II0 
i  chiosatori  che  la  parola  nel  mezzo  vogliono  significhi  la  metà 
della  vita,  il   trentacinquesimo  anno.  Dante,    non  altrimenti 
lo  dinotò  che  colmo  del  nostro  arco,  punto  sommo  del  nostro 
arco^  colmo  della  naturai  vita;  nel  mezzo  equivale  invece, 
come  ce   ne  fan   fede  molti  esempi   della   Vita  Nuova,  tra, 
dentro.   Ove  si  voglia  seguire  la  comune  erronea  interpreta- 
zione,  toglierebbesi  via  di  netto  Tadoloscenza  con  la  puerizia 
e  r infanzia;  distruggerebbesi  tutta  la  sapienza  contenuta  nel 
primo  canto,  il  sovrano  concetto  del  poema,  di  assennarci  cioè 
della  bellezza  e  della  necessità  dell'educazione.  —  Ed  è  appunto 
ne'  suoi  venticinque  anni,  nel  bivio  di  Pitagora,  nella  sua  vita 
nuova,  nella  soglia  di  sua  seconda  etade,  che  Dante,  per  non 
essere  stato  a  tem  pò  e  debitamente  desto,  sperto  e  dottrinato, 
smarrìto  il  diritto  camino,  volge  i  passi  per  via  non  vera,  e 
perciò  an/Jchò  trovarsi  sull'aurea  ottim.<i,  illuminata  via  della 
cognizione  si  trova  di  bel  nuovo  nella  selva^  non  più  solo 


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ALLEGORIA   DBLLA   DIVINA   COMMEDIA.  189 

oscura,  ma  selvaggia  aspra  e  forte ^  dell'ignoranza  e  deirer- 
rore  ;  perchè  il  terreno,  se  mal  cólto,  quantunque  abbia  di  buon 
vigore,  non  porta  che  sterpi  velenosi,  e  piante  che  fiorir  non 
aanno.  Ogni  abito  virtualmente  destro,  non  può  far  pruova 
senza  il  pane  sacro  dell*  istruzione.  €  Ed  intanto  dolori  ed  or- 
rore, litiche  e  pensieri  incredibili,  »  per  rimettersi  nel  buon 
filo ,  ce  vivere  col  solo  pensiero  d' aver  sofferto  e  lavorato, 
benché  con  quel  dolce  poi,  che  dal  soffrire  e  dal  lavorare  può 
nascere,  punito  vedendosi  e  rigenerato  da  quel  Dio  che  affanna 
e  che  consola.  »  —  Tutto  il  nodo  sta  dunque  nella  retta  intel- 
ligenza del  primo  verso.  Pel  Canavesio  non  è  una  congettura 
speciosa,  ma  verità  inoppugnabile;  che  è  cieco  dell' intelletto, 
cui  non  approda  tanto  spl-nd<»re  di  luce.  —  Le  tre  belve  sim- 
boleggiano Tinvidia,  la  superbia,  Pavarizia,  che  al  dire  de'  filo- 
sofi antichi  e  moderni  maggiormente  dominano  V  uomo  sulla 
terra,  che  non  si  vincono  se  non  colla  educazione  della  mente  e 
del  cuore;  Virgilio,  Io  studio  della  lingua  latina,  lingua  delle 
scienze,  lingua  di  tutti  i  tempi  e  di  tutti  i  luoghi,  lingua  che 
apre  la  via  alle  più  grandi  meditazioni,  lingua  che  tiene  uniti 
e  amici  i  popoli  ;  il  YeltrOy  il  progresso  ne'  popoli  per  le  let- 
tere, per  le  scienze,  per  le  arti,  per  tutto  quel  che  v'  ha  di 
buono,  di  bello  e  di  vero,  e  meglio  la  ragione,  lo  spirito  della 
sua  opera  che  con  tanto  diritto  i  popoli  la  chiamarono  poi 
col  titolo  di  divina,  spirito  che  correrà  tutta  la  terra  e  ferma- 
mente se  ne  impadronirà. 

Da  questo  scritto  apprendiamo  che  il  prof.  Canavesio  fece 
un"  ampia  e  pienissima  spiegazione  di  tutto  il  canto  con  una 
Tavola  sinottica  dell'Ypsilon  e  di  tutta  la  Divina  Commedia, 
dove,  a  così  dire,  è  la  carta  topografica  del  tempo  e  delle  cose 
e  degli  spiriti  posti  in  scena  dal  Poeta  :  si  che  vedesi  d' ora 
in  ora  dov'egli  è,  e  con  chi  parla,  e  di  che  e  perchè.  Inedita 
tuttavia,  come  inedita  un'Appendice  di  questa  lettura.  —  Panie 
Felice,  Gazzetta  di  Mondovl,'  26  Ott.  1878,  n.  247;  Gazzetta  di 
Cuneo,  6sett.  1875;  Gaz.  Piemontese,  1  die.  1875;  l'Apo/b- 
ffista  Cattolico,  10  Febb.  1876. 

Grazi&ni  Giovanni,  di  Cotignola,  Interpretazione  della  Al" 
legoria  della  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri,  Opera 
poshima.  Bologna,  Tip.  Mareggianì,  1871. 

4L  Vuoisi  dapprima  avvertire,  cosi  nella  prefazione  il  signor 


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190  ALLEGORIA   DBLLA   DIVINA   COMMEDIA. 

D.  S.  Isani,  che  scopo  di  essa  opepa  è  :  trovare  il  soggetto,  e  I 
il  fine  vero  della  Divina  Commedia,  p^r  averne  poi  una  regola 
certa,  onde  si  spieghi  la  prima  e  principale  allegoria  acuì   si 
aggira  tutto  il  Foeoia.  Quindi  è  che  dimostrasi  Dante  fuoru- 
scito e  cattolico,   ma  uomo  di  parte  e  Ghibellino,   non  aver 
tolto  a  soggetto  e  fine  del  suo  cantare,  che  la  necessità,  con- 
cordia ed  equilibrio  dei  due  partiti  ecclesiastico  e  civile,  ossia 
della  Religione  e  della  Monarchia,  del  Sacerdozio  e  deirimpero. 
n  quale  ultimo  essendo  pressoché  venuto  meno  ali'  Italia  a  quei 
tempi,  però  vedest  il  Poeta  ora  intento  a  mettere  sott*  occhio, 
coi  più  foschi  colori,  i  disordini  e  i  mali  che  n'erano  la  eoa- 
seguenza  ;  ora  a  fiirne  ben  rilevare  e  sentire  il  bisogno  di  una 
restaurazione;  ora  a  mostrarne  Torigiue  e  U  bellezza,  ed  eanl^ 
tarne  ì  diritti.  —  Qui  si  fa  chiaro  essere  sistema  politico  di 
Dante:  Che  come  Tuomo  è  ordinato  al  doppio  fine  della  tem- 
porale ed  eterna  felicità,  così  a  conseguirlo,  uopo  ò  nel  mondo 
di  due  supremi  ed  universali  governi,  dei  quali  uno  diriga  e 
regoli  la  società  neir ordine  delle  cose  puramente  terrene,  e 
Tahro  Tammaestri  e  lo  guidi  in  quello  delle  spirituali  e  cele- 
sti: e  questo  compito  Dante  assegna  alla  Chiesa,  e  quello  al- 
r  Impero.  Il  quale,  come  di  gran  lunga  ad  essa  anteriore,  come 
quello  che  a  lei  preparò  la  via   per  istabilirsi  fra  gli  uomini, 
tutto   il  suo  essere,  tutta  la  sua  autorità  riceve  direttamente 
da  Dio,  senza  mezzo  di  alcun  suo  Vicario.  Oud'ò  che  eletto,  o 
meglio,  denunziato  T  Imperatore,  egli  è  tale  con  pieno  possesso 
de' suoi  diritti,    senza  che  ne  si  richieda  l'approvazione   del 
Papa;  nò  questo  a  quello  succede   Vacante  Imperio.  Tal  è 
Tordinamento  divino,  e  chi  il  distrugge,  distrugge  la  natura, 
e  si  rende  violento  contro  sé  stesso.   Male  adunque,  secondo 
r  Alighieri,   male  adoperavano  i  Papi  di  queir  età,  negando 
queste  prerogative  imperiali,  avversando  per  ambizione  di  tem- 
porale grandezza,  gì*  imperatori,  e  mettendosi  per  ciò  alla  balia 
degli  Angioini.  Di  che  quello  sconvolgimento,  e  queU'anai'chìa 
politica  e  civile,  che  turbavano  massimamente  le  città  del  re- 
gno italico,  appartenente  air  Impero  (1).  Or  cotale  confusione  e 


era 
feUcitù 


(1)  La  selva  simboleggia  il  disordine  civile  e  politico,  a  cui  tiene  poi 
pre  dietro  il  morale,  succeduto  al  tempo  bello  antico,  in  che  T  Impero 
in  flore:  il  monte  un  regno  ben  ordinato,  co' suoi  effetti,  pace,  gioia, 
jitù  ;  nel  tentativo  poi  di  salire,  è  significata  la  prova,  a  che  il  Poeta, 
si  accinge,  o  finge  di  accingersi,  per  togliersi  al  disordine  ed  infelicità,  e 


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ALLEGORIA   DBLLA    DIVINA   COMMEDIA.  191 

pessimo  stato  di  cose  canta  e  rappresenta  il  Poeta  nel  suo 
Inferno;  il  quale,  gìusU  la  sentenza  all«*gorica,  non  è  che 
quello  dei  vìvi,  per  la  mancan/.a  di  esso  Impero  in  Italia. 
Quindi  tutte  quelle  diverse  e  strane  invenzioni,  immagini  e 
pene,  ODd*è  quesf  inferno  costituito.  Le  quali  non  debbonsi  giÀ 
tenere  quasi  capricciose  creazioni  di  fantasia  poetica,  non  re- 
golate da  altra  legge,  nò  ordinate  ad  altro  fine  da  quello  in 
fuori  di  rendere  orribile  e  spaventevole  cotesta  abitazione  dei 
morti.  Ogni  cosa  nel  divino  Poema  vedrassi  anzi,  colla  scorta 
di  questo  libro,  assai  ben  misurata  e  ben  connessa  in  un  modo 
d^DO  dell*  alta  mente  di  Dante,  coir  idea  sua  generalissima  e 
'  fond&mentale  del  vagheggiato  Impero  :  e  dal  primo  sino  alful- 
timo  canto  non  s'incontrerà  alcun  più  notabile  tipo,  o  simbolo, 
0  fìg^i-a  che  il  nostro  valentissimo  interprete  non  provi  essere 

con    molta   pi-ofonda  filosofia  a  quello  accomodato Poco  ò 

nondimeno,  a  ritrarre  gli  uomini  dal  male,  il  fiirne  lor  veder 
la  bruttezza  e  le  conseguenze  funeste  :  vuoisi  di  più  lo  stimolo 
e  la  speranza  del  bene  che  si  può  conseguira  per  altra  via. 
Ed  in  conformitÀ  di  questo  bisogno  dell*  umana  natura,  e  in 
relazione  al  fine  della  Divina  Commedia,  ne  sarà  aperto  dal 
dotto  interprete,  come  il  Poeta  continuando  a  stabilire  per 
simboli  la  necessità  dell*  Impero,  vien  mettendo  innanzi  nel 
Purgatorio  la  viva  imagine  di  un  regno  ben  ordinato,  dove 
Tuomo  ritrova  la  maggior  felicità  che  gli  sia  dato  raggiungere 
quaggiù.  Ivi  una  simmetria  perfetta,  ivi  un*  esatta  e  perpetua 
destinazione  dei  due  poteri,   ai  quali  spetta  condurre  gli  uo- 


pervfloire,  f(#  ria  corta  e  pactAca,*  all'  ordine  e  felicità.  —  Nelle  tre  fiere 
che  gii  contendono  la  salita  la  discordia  civile  j  de*  semplici  uomini  di 
parte,  la  st^perbia  ambiziosa  e  V  avarizia  di  coloro  che  in  quel  disordine 
erano  inteai  a  saziare  la  cupidità  loro  di  comando  e  di  ricchezza,  sicchò 
trovatone  modo,  aveano  T ordine  e  la  pace  per  nemica.  —  Dante,  non  ò 
l'aaino  nel  suo  particolare,  ma  un  ente  collettivo,  e  rappresenta  in  so  l'uomo 
buono  in  genere^  che  col  seguito  di  tutti  gli  uomini  di  buona  volontà  in 
lui  tranauntìvamante  rappresentati,  è  inconsideratamente  caduto  nel  male 
deili  sttlvA,  e  tenta  poi  di  sottraraene,  salendo  il  monte,  in  che  è  ùgniAcato 
il  bene  ed  ordine  contrapposto.  —  Beatrice  è  la  Religione,  per  la  quale 
appunto,  pi  A  cae  per  la  ragione,  l'uomo  sovrasta  a  tutte  le  altre  cose  sub- 
lunari. —  Matilde,  la  celebre  contessa,  personifica  il  principio  monarchico 
e  la  Monarchia,  e  il  Oraziani  nella  Donna  gentile  che  si  compiagneva  de» 
eV  impedimenti  del  Poeta  a  guadagnare  la  cima  del  monte,  vedrebbe  adom- 
brata la  stessa  MatUde.  —  Lfécia,  secondo  Ta.legoria,  raAigura  la  donna 
cotanto  celebrata,  sotto  il  velo  allegorico,  nelle  Canzoni  del  Convito,  cioè 
la  Filosofia,  che  ei  dice  sua  danna  e  luce  virtuosissima.  —  Virgilio  è  tra- 
volto a  guida,  come  maestro  e  dottore  di  quella  imperiai  gloria  e  dottrina, 
U  quale  forse  non  andava  a  sangue  ad  esso  Guido,  il  quale  fu  Guelfo. 


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192  ALLEGORIA   DELLA  DIVINA  OOMXBDIA. 

mini  al  doppio  fine.  Onde  eccovi  sopra  un*  isoletta  io  mezze 
al  mare ,  un  monte  altissimo,  figura  deli*  Impero,  opposto  i 
Gerusalemme,  figura  della  Chiesa.  Appresso  trovate  due  sezion 
del  monte  medesimo  ra| (presentanti  ancora  quei  due  reggimenti 
E  Catone,  Cuomo  nato  non  a  se  ma  aita  patria  e  a  tutto  i 
mondo  (Conv.  Tratt.  iv,  e.  27),  modello  di  tutte  le  morali  virtù 
alla  base  e  custodia  della  prima  :  un  Angelo.  Vicario  di  Pietro 
colle  due  chiavi,  alla  base  e  alla  custodia  della  seconda.  Cosi 
li  due  fiumi  in  contrario  correnti:  cosi  Beatrice  e  Matilda 
(Religione  e  Monarchia,  la  destra  e  la  sinistra  cura);  così  il 
carro  tirato  dal  Grifone  ed  il  grand' albero ,  cosi  la  valle  bo- 
rita degr  Imperatori ,  e  cento  alti-i  simboli  di  tal  fatta ,  cui 
danno  una  chiara  rappresentanza  e  distinzione  del  sacerdozic 
e  deir  Impero  ;  giacché  lo  stesso  modo,  lo  stesso  pensiero  tiene 
ed  esprime  il  Poeta  in  tutto  il  girare  del  monte.  E  nella  salita 
di  questo  vedesi:  un  popolo  onesto,  con^rde,  ricreduto,  ed 
amante  del  Dualismo;  e  nella  cima  un'aura  dolce  senza  mu- 
tamento avere  in  sé,  in  antitesi  alla  bufera  infernale.  Insomma 
un  vet*o  Paradiso  terrestre,  ove  si  gode  piena  temporale  feli- 
cità, ultimo  scopo  della  universal  Monarchia.  —  Se  non  che  a 
più  alto  ed  infinitamente  piii  nobil  termine,  cioè  alleterna  bea- 
titudine, è  Tuom  destinato:  e  mentre  al  primo  vuol  esser  con- 
dotto dall'Imperiale  governo  (concordemente  però  ai  principii, 
e  alle  pratiche  della  Religione),  a  quest'ultimo  la  sola  Reli> 
gione  lo  può  innalzare;  e  però  da  questo  Paradiso  terrestre 
viene  a  quello  del  cielo  da  Beatrice  accompagnato.  AH*  uno 
perviene  Tuomo  colla  vita  attiva,  all'altro  colla  contemplativa; 
e  le  delizie  di  essa,  secondo  allegoria,  formano  l%«ltro  uman 
Paradiso  qui  in  terra,  al  modo  che  i  gaudi!  dal  Poeta  descritti 
costituiscono  la  felicità  superna.  Tutto  ciò  è  impossibile  nella 
condizione  ai  cui  rende  immagine  l' Inferno,  dove  V  uomo  iva 
correndo  alla  prima,  e  alla  seconda  morte.  Ed  eccovi  cosi  ma- 
nifesta la  ragione  della  Cantica  terza,  e  il  vincolo  che  alle  due 
anteriori  la  unisce.  Né  in  questa  pure  sono  rari  i  simboli  della 
dottrina  di  Dante  relativa  all'Impero.  Se  non  foss' altro,  abba- 
stanza ce  la  &n  manifesta  i  magnifici  versi  del  C.  vi,  laddove 
per  bocca  di  Giustiniano  vengono  al  lettore  narrate  le  impi*e8e 
ed  i  successi  dell'  Aquila  ;  e  quegli  altri  ancora  del  C.  xvni, 
pei  quali  altresì  sotto  la  figura  di  un*  aquila,  e  in  ciò  che  dal 


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LBGORU  DBLLA   DIVINA  COMBfEDIA.  193 

J  tale  8110  venerando  segno,  ci  vien  fatta,   a 
losi  deli*Impero  Romano.  Tale,  secondo  il  Gra- 
e  principalissima  allegoria  dell* Alighieri.  » 
}BSCO,   Discorso  suila  prima  Allegoria  e  sullo 
ina  Commedia.  Palermo,  Muratori,  1836. 
idamente  come  in  nn  quadro  le  opinioni   degli 
precedettero,  e  oppugnatele,  ove  conviene,  per 
I  ne  derivano,  il  Perez  tentò  una  novella  illu- 
sma,  desumendola  da  principi!  politici  morali  e 
fioreggiano  nelle  opere  tutte  del  poeta  ed  in 
tei  trattato  della  Monarchia.  E  mostra  come 
la  Gomedia,  si  rispondano  e  coincidano    nella 
)me  runa  appaia  spesso  traduzione  dell'altra, 
ava  doversi  intendere  per  la  Selva  gli  errori 
de,  pel  Monte  illuminato  dai  raggi  del  sole  un 
condo  i  dettami  di  Dio,   per  la  Lonza  T  Italia 
li,  pel  Leone  Filippo  il  Bello,  per  la   Lupa 
fitìni^  sullo  scopo  della  Divina  Comedia,  p.  20-57. 
«100,  Proposta  di  una  nuova  interpretazione 
Allegoria  del  Poema  di  Dante  Alighieri.   Ri- 
,  1861.  —  Inserita  nella  Raccolta  di  prose  e 
'  rare  di  Italiani  viventi,  diretta  dal  prof.  Pie- 
irata,  Dispensa  xii,  1861  ;  Pesaro,  Rossi,  1862, 
1  senso   deir  Allegoria,    lo  dimostrò   valorosa- 
9tti  ;  nò  il  Ricci  si  diparte  da  lui  nella  interpre- 
ire;  ma  nel  resto  sente  altrimenti.  —  In  mezzo 
ico   cotanto   disordinato    dei    suoi    concittadini 
are  (e  quanti  con  esso  lui  parteggiavano),   nel 
IO  anno  dell'età  sua,  smarrì  in  Firenze  (valle)  la 
r  cui  venne  sbalzato  nell'  esilio  (deserto).  —  La 
io  con  tanta  pietà,  fu  tutto  il  tempo  corso  dal- 
ia alle  concepite  speranze,  ossia  quello  impie- 
ì  da  Roma  a  Colle,  castello  de'  Sanesi,  in  Val- 
ite  col  territorio  della  Repubblica  fiorentina.  A 
monte),  seppe  egli  le  intelligenze  prese  cogli 
in  patria,   che  dovevano   ad  essi   aprire  certe 
à,  e  gli  aiuU  che  venivano  apparecchiando  i  loro 
aiuti  servirono  poi  all'assalto  del  Mugello  (raggi 
cionche  gli  vennero  le  speranze  dalla  potenza  e 

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194  ALLEGORIA   DBLLA  DIVINA  OOBfMBDU. 

vigilanza  dei  Neri  (lonza) ^  dal  superbo  figlio  della  superbissi- 
ma Casa  di  Francia,  Carlo  Senza  Terra  (leone) ^  dalla  Curia 
romana,  sempre  acerrima  nemica  dei  Ohibellini.  Ond'ei  meditò 
tener  altro  viaggio,  rìvolversi  da  ogni  impresa  arrischiata, 
fjEirsi  parte  per  so  stesso ,  fidente  di  poter  vincere  la  crudeltà 
de'  suoi  nemici,  solo  coli*  altezza  dell*  ingegno,  e  rientrare  nel 
bell'ovile  condottovi  dal  sacro  poema  cui  avea  posto  mano  e 
cielo  e  terra.  —  Il  Ricci  si  confida  di  aver  mostrato  ad  evi- 
denza, e  coir  autorità  stessa  di  Dante,  come  ìàselDa,  la  vaile 
ed  il  deserto,  che  si  credevano  tutte  e  tre  significare  V  esilio, 
abbiano  ciascuna  di  esse  un  senso  tutto  speciale.  —  E  di  questo 
lavoro  del  Ricci  cosi  ne  scriveva  il  Mordani  alla  Signora  Fran- 
ceschi Pignocchi  :  €  L' interpretazione  ò  cosi  semplice  co^  fa- 
cile, così  chiara,  ch'io  Tho  per  verissima  e  gliene  fo  di  cuore 
le  mie  congratulazioni.  »  Ed  allo  stesso  Ricci  :  «  Il  vostro  co- 
mento  piacerà  senza  fililo  a  que'  letterati  (ma  son  pochi),  che 
non  hanno  ancora  smarrita  la  dritta  via.  Questo  vi  basti ,  e 
sievi  di  conforto  a  proseguire  gli  studi.  » 

Franceschi  Pignocchi  Teodolinda,  k\C  eemào  sig.  Teodorico 
Ricci.  Ravenna,  Angeletti,  J861. 

Costantini  Giovanni,  Sullo  scopo  delia  Divina  Comedia, 
Discorso.  Palermo,  Pedone,  1839. 

L*  Alighieri  dimostrando  ^el  suo  poema  agli  altri  uomini 
qual  fosse  lo  scempio  de'  malvagi,  e  quale  la  venturosa  rioom- 
pensa  de'  buoni,  s' ingegnava  di  toglierli  dallo  stato  della  mi- 
seria e  di  ridurli  a  quello  della  felicità...  Né  si  creda  eh* egli 
pretendesse  di  portar  gli  uomini  ad  uno  stato  di  tblicità  per 
mezzo  di  una  politica  riforma;  imperciocché  allora  avrebbe 
dovuto  svelarlo  al  Signor  di  Verona,  il  quale  volentieri  avreb- 
be udito  esaltare  la  parte  ghibellina:  ma  inoltre  Dante  nella 
lettera  dedicatoria  del  Paradiso  indiritta  a  Can  Grande  £a  ve- 
dere ch'egli  trattasse  il  solo  punto  morale,  e  che  par  iatato 
di  miseria  comprendesse  quello  della,  sfrenatezza  delle  nostra 

passioni  e  per  stato  di  felicità  quello  del  loro  diritto  uso. 

Dando  il  poeta  giudizio  dei  tralignanti  costumi  del  secolo, 
talor  di  necessità  dovea  toccare  la  parte  politica,'  mentre  da 
questa  può  anche  dipendere  il  savio  contegno  dei  sudditi  ;  ma 
non  n'era  questo  il  suo  primo  obietto. 


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ALLEGORIA  DELLA  DIVINA  COMMEDIA.  195 

Pasquini  Pier  Vincenzo,  La  principale  Allegoria  della  Di- 
Tina  Commedia  secondo  la  ragione  poetica  e  secondo  i  ca- 
noni posti  da  Dante,  Studi,  con  un'' Appendice  sul  tempo  del 
Viaggio  Dantesco  e  note,  Milano,  Battezzati,  1875  (Tip.  Bietti 
e  Mioacca.  —  E  il  voL  vin  della  Bibl.  Contemporanea). 

Il  prof.  Pasqoini,  della  cui  benevoglienza  grandemente  mi 
onoro,  sin  dal  1865  ci  diede  un  Saggio  delle  Allegorie  del  I 
canto  deW  Inferno,  e  nel  1869  pnbblicava  un  nuovo  lavoro 
suUe  Lettera  e  C Allegoria  del  poema  di  Dante,  con  alcune  Os- 
servasioni  sulT  opera  di  Domenico  Mauro  (Man,  Dani,  iv,  269, 
275-78).  Da  questi  studi,  grandemente  lodati  da  giudici  auto- 
revoli, gliene  venne  concetto  di  Dantista  valente  ed  assennato. 
Ora  Bon  possiamo  non  esser  grati  all'egregio  Professore  che 
volle  fonderli  insieme  e  notevolmente  ampiarli ,  tanto  più  che 
affidati  a  giornali  (La  Gioventù,  di  Firenze),  o  raccolti  in  opu- 
scoli di  pochi  esemplari,  non  era  sì  agevole  agli  studiosi  di 
poterne  aver  copia.  €  Io  vi  ofiro,  ei  dice,  argomenti  nuovi, 
dedotti  dall*  essenza  del  poema,  dalle  inalterabili  leggi  della 
logica,  e  della  poetica,  nonché  dai  canoni  da  Dante  medesimo 
stabiliti  per  la  dichiarazione  dell*opera,  continuamente  dimen- 
ticati, e  violati  dagr  interpreti  della  scuola  moderna  ;  prove, 
con  Dante  alla  mano,  ch*ei  caddero  in  mille  errori  e  contraddi- 
zioni, che  sognano  ad  occhi  aperti,  e  che  se  T  allegoria  fon- 
damentale andasse  intesa  a  loi;  modo.  Dante  sarebbe  stato 
cattivo  poeta:  prove,  che  gli  antichi  commentatori,  ch'essi 
disprezzano,  sono  nel  vero.  > 

Di  Casanova  Alfonso,  VAUegoria  del  Poema, 

Quando  Dante  si  credette  a  buon  diritto  chiamato  dalla  Pre- 
videnza a  compiere  T  ufficio  di  apostolo,  di  rinnovatore  e  fecon- 
datore della  civiltà  nuova,...  il  pervei*timento  e  la  corruzione 
era  nell'animo,  nelle  volontà,  nelle  passioni;  lo  scompiglio  e 
il  guasto  negli  ordini  civili,  nei  principi  e  nel  clero.  11  mondo 
era  un*  aspra  selva,  paurosa  e  selvaggia,  e  Tuomo  vi  errava 
dentro  assonnato;  ci  si  trovava,  senza  sapere  ben  come. 

Cosi  a'  apre  il  Poenìa.  Dante  è  nel  vigore  de'  suoi  anni  ; 
amareggiato  fino  a  morte  dall'orrore  di  quella  selva,  pur  si 
conforta,  guardando  un  colle  già  rischiarato  dal  sole, 

Che  mena  dritto  altrui  per  ogni  colle; 


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196  ALLBOORIA  DBLLA.  DIVINA  COMBfEDIA. 

e  sperando  di  poter  salire  e  ritrovare  la  buona  via,  si  mette 
da  solo  a  montare  per  Terta.  —  Ma  che  cosa  è  la  selva,  se  non 
quel  ten-estre  paradiso  a  cui  Tuomo  era  sortito  da  Dio  (che 
Dante  poi  vede  nel  Purgatorio),  disordinato  e  guasto  e  diser- 
tato da*vizj  e  passioni  degli  uomini,  dalle  violenze  e  cupidi- 
gie e  rapine  de*  principi  e  de*  pastori  delle  anime?  Finché 
dureranno  quei  vizj  nelFuomo  singolo,  e  quei  disordini  nei 
poteri  che  lo  guidano,  si  potrà  mai  uscire  da  quella  selva 
mortale? — Al  primo  passo  verso  il  monte,  verso  il  bene,  vi 
incontrerete  in  ostacoli  difficili  o  impossìbili  a  superare,  e  ri- 
cascherete nella  oscura  valle.  E  cosi  accade  a  Dante.  Mentre 
ò  per  salire,  prima  una  lonza  leggiera,  poi  un  rabbioso  leone, 
e  una  bramosissima  lupa  gli  si  fanno  innanzi  ;  e  gli  sbarrano 
la  via.  —  Ora,  in  breve,  quelle  tre  fiere  non  sono  altro  che  Tuomo 
individuo  colle  sue  varie  passioni  e  i  suoi  vizj  ;  la  potestà 
civile  violenta  e  rabbiosa  ;  la  Curia  Romana  e  i  ministri  della 
Chiesa  cupidi,  avari,  rapaci.  Dante  è  l'uomo,  il  rappresentante 
d'ella  umanità  che  dee  rigenerare  il  suo  animo  contaminato, 
ma  che  di  continuo  si  vede  innanzi  i  vizj  che  ne  lo  distolgono. 
La  lonza  è  la  coscienza  delle  sue  colpe ,  che  non  gli  si  parte 
dinanzi  al  volto,  e,  prima  a  comparire  delle  tre  fiere,  perchè 
più  prossima  a  lui,  anzi  lui  stesso,  gV  impedisce  il  cammino. 
Se  la  lonza  sia  piuttosto  la  lussuria  o  l'invidia  si  è  disputato: 
ma  0  cotesta  fiera,'  che  di  pel  maculato  è  coverta,  non  significa 
in  generale  altro  che  l'anima  viziata  dalle  diverse  passioni 
che  l'agitano  e  la  macchiano  e  sviano  qua  e  là  (come  pare 
più  verisimile);  o  si  vuol  poi  concentrarla  in  un  vizio  predo- 
minante, da  cui  Dante  si  teneva  più  ofieso,  e  allora  quel  vizio 
non  è  altro  che  la  lussuria.  Ad  esso  accenna  Dante  nel  quinto 
dell'Inferno,  quando  i  casi  dell* illecito  amore  di  Francesca  e 
di  Paolo  lo  fanno  tramortire;  ad  esso  più  apertamente  allude 
Beatrice  nelle  sublimi  rampogne  verso  la  fine  del  Purgatorio; 
e  ad  esso  ti  fa  pensare  quel  gran  timore  che  assale  Dante  al* 
lorchò  in  Purgatorio  gli  si  dice  di  dover  traveraare  le  fiamme 
ove  si  purgano  i  lussuriosi.  Ma  quel  che  importa  è  di  veder 
che  la  lonza,  secondo  Dante,  pare  la  meno  temibile  delle  fiere, 
o  almeno  quella  che  dava  più  speranza  di  potersi  domare; 
che  è  uno  appunto  dei  caratteri  di  quelle  bestie  che  vuole  una 
spiegazione. 


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ALLEGORIA  DELLA   DIVINA  COMMEDIA.  197 

L*aomo  individuo,  benché  sviato,  se  soprattutto  è  giovane, 
se  r  occasione  gli  è  propizia,  può  purificarsi  e  correggersi. 
L'ora  del  tempo  e  la  dolce  stagione  J&icevano  a  Dante,  ancor 
giovane,  sperare  salute.  Ma  Dante  non  dovea  pensare  alla  sa-> 
Iute  sola  di  so,  si  a  quella  deiruman  genere,  e  della  società  civile 
tuttaquanta.  A  questa  rigenerazione  si  oppongono- due  altre 
fiere  sopraggiunte,  al  parere,  di  assai  più  ribelle  natura.  Un 
leone  violento  e  in  ispecie  una  lupa  magra,  avida,  che  dopo 
il  pasto  ha  più  fame  che  pria,  gli  fan  perdere  addirittura, 
Cffni  speranza  delTaltessa.  A  vincere  questo  triplice  ostacolo, 
di  coi  Tultimo  è  il  piii  potente,  perchè  la  corruzione  dei  ret- 
tori delle  anime  è  piii  difficile  a  emendare,  non  v'  essendo  altra 
potestà  superiore,  e  più  corrompe  gli  altri. 

Perchè  la  gento  che  sua  guida  vede 
Pure  a  quel  ben  ferire  ond'ella  è  ghiotta, 
Di  quel  si  pasce,  e  più  oltre  non  chiede;  Purg.  xvi. 

Dante  ha  bisogno  di  aiuti  superiori,  e  atti  a  ravviare  i  popoli, 
i  prìncipi  e  i  papi.  Però  gli  è  spedito  Virgilio,  e  gli  è  spedito 
da  Beatrice.  Virgilio  lo  ammonisce  che  a  lui  convien  tenere 
altro  viaggio,  e  non  può  difilato  salire  il  monte.  Dee  visitare 
r  Inferno,  il  Purgatorio  e  poi  il  Paradiso,  e  rivelare  alle  genti 
tutte  le  sue  visioni,  perchè  facciano  senno  e  si  mettano  cia- 
scuna sulla  buona  via.  Al  che  Dante,  cui  bastarono  poche  pa- 
role di  quel  savio  per  fargli  intendere  la  grandezza  del  ministero 
a  cui  era  chiamato,  in  via  di  dubbio  gli  domanda  perchè  egli 
debba  tenere  quel  viaggio,  che  già  fece  Enea  e  S.  Paolo,  Tuno 
per  fondare  l'alto  impero  di  Roma,  e  Taltro  per  recar  conforto 
alla  fede?  E  Virgilio  gli  risponde  che  questa  sua  andata  evo- 
luta in  Cielo,  che  Beatrice  lo  ha  mosso  ad  accompagnarlo; 
talché  Dante,  rinfrancato  da  quegli  annunzi,  e  non  più  cre- 
dendo folle  la  sua  venuta,  stimandola  anzi  a  un  tempo  reli- 
giosa e  civile,  compagna  (notate)  di  quella  di  Paolo  e  di  Enea, 
s*  incammina  pel  difficile  viaggio.  —  In  verità,  con  questa  inter- 
pretazione delle  tre  fiere,  tutto  il  poema  è  spiegato,  e  a  tutto 
il  poema  quella  visione  del  primo  canto  è  naturale  preambolo. 
I  viz)  degli  uomini,  dei  principi  e  rettori  di  Stato,  dei  capi 
e  pastori  della  Chiesa  sono  il  continuo  subbietto  delle  due 
prime  cantiche  soprattutto,  e  non  son  dimenticati  perfino  in 


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198  ALLEGORIA  DELLA   DIVINA   OOBfMBDiA. 

Paradiso,  dove  Giustiniano,  Benedetto,  e  S.  Pietro  dicono  quel 
maestose  e  terribili  parole  che  tutti  sanno.  Virgilio  non 
piuttosto  la  ragione  umana  o  la  Scienza  o  il  cantore  dellMa 
pero,  m&  tutto  questo  insieme  :  Beatrice  non  è  solo  la  teolog 
o  la  fede,  o  Tamor  puro  e  santo,  o  la  Chiesa,  ma  la  guida 
r  illuminatrice  celeste  di  'tutte  queste  cose. 

Cosi  spiegata  quella  rappresentazione  dantesca,  non  è  pi 
un'  allegoria,  ma  piuttosto  figura  e  fantasma  poetico,  storico 
morale,  come  usava  Dante  di  farne.  —  Non  è  un  astratto  coi 
cetto  di  vizj,  vestito  alla  meglio,  e  mascherato  sotto  una  forna 
presa  a  pigione;  ma  sono  quasi  metafore  viventi  e  personi^ 
cate.  L'uomo  passionato,  vizioso,  lussurioso,  è  uomo  imbestiat 
è  lonza;  principi  malvagi  e  fieri  e  violenti,  non  sono  princi] 
ma  leoni  rabbiosi  ;  papi,  vescovi,  chierici  avari,  simoniaci  soe 
rapaci,  insaziabili  lupe.  AH'  insipidezza  e  votaggine  delle  ali 
gorió  sottentra  la  vivacità  e  la  forza  della  metafora  che  dipin^ 
d'un  tratto. 

Che  con  la  figura  del  leone  Dante  usasse  di  significai 
la  violenza  de'  principi ,  specie  della  casa  di  Francia,  opp( 
sta  all'aquila   imperiale,  è  dimostrato  assai  chiaro  da  qu 


E  non  l'abbatta  esto  Carlo  novello 
Co'  Ouplfl  suoi,  ma  tema  degli  artigli 
Ch'  a  più  alto  leon  trasser  lo  vello.  Parati,  v 

Che  con  la  figura  della  lupa  volesse  esprimere  l'avarizia 
malvagità   dei    rettori   della    Chiesa   si   vede   anche    da   qu 
verso: 

Perocché  fatto  ha  lupo  del  pastore.  Parad.  i: 

e  dall'altro  notissimo: 

In  veste  di  paslor  lupi  rapaci.  Parad.  xxvi 

Della  lonza  poi,  come  figura  delle  passioni  di  Dante  (indi 
viduo  che  fosse,  o  rappresentante  dell'umanità),  una  prova 
quella  corda  ch'egli  avea  intorno  cinta  :  la  quale,  o  sia  la  cord 
di  frate  minore  di  S.  Francesco,  come  vogliono  alcuni,  e  com< 
pare  meglio,  giacché  Dante  se  ne  serve  materialmente  a  tira 
Gerione;  o  in  generale  sia  quella  preparazione  del  cuore  alli 


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ALLBaORIA  DBLLA.  DIVINA  COMMEDIA.  199 

Opere  di  virtù  e  quella  fortezza  dei  lombi,  ónde  si  combatte 
la  carne  e  i  suoi  stimoli,  è  certo  che  con  essa  Dante 

penso  alcuna  volta 
Prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta.  Inf.  xvi. 

Queste  tre  fiere  che  Dante  ci  rapp^eeenta,  aprendo  appunto 
il  suo  poema,  ricompariscono  e  se  ne  fa  ricordo  appresso? 

Si  può  dire,  come  già  accennai ,  che  ci  vengono  sempre 
innanzi,  massime  nelF Inferno,  e  anche  nel  Purgatorio.  Quei 
peccatori  d'ogni  sorte,  nominati  o  innominati,  quei  principi  e 
gran  regi,  quei  papi  e  chierici  e  pastori,  non  sono  che  lonze, 
e  leoni,  e  lupe,  individuate  e  storiche.  Quelle  tre  fiere  sono  le 
specie,  quei  dannati  sono  gì' individui. 'Quelle  tre  fiere  che  son 
li  sempre  vive,  nella  gran  selva  del  mondo,  direi  che  parto- 
rirono tutte  qtielle  anime  di  lonze,  di  leoncini,  di  lupi  grandi 
e  piccoli,  che  poi  Dante  riconosce  tra  i  dannati.  Le  fiere  sono 
la  figura,  l'immagine,  il  tipo,  quei  varj  dannati  sono  i  figurati, 
gli  esempi  vivi  e  veri.  Era  ben  naturale  che  Dante  mettesse  i 
tipi  nel  proemio,  e  gl'individui  per  entro  al  poema.  È  come 
se  dicesse  al  mondo  che  deve  udirlo  :  guardate  lì  quelle  fiere  ; 
voi  lor  somigliate  pili  che  non  credete  :  e  vi  fo  fede  io  che  ho 
veduto  i  loro  figliuoli  giù  in  Inferno,  e  la  stessa  sorte  toccherà 
a  voi  se  non  mettete  giudizio  a  tempo.  B  questo  di^orso  egU 
non  lo  vuol  fi&re  per  uso  del  solo  popolo  cristiano,  ma  per 
quello  dei  principi,  dei  papi,  e  di  qualunque  rettore  di  popoli. 
Questo  è  l'intendimento  alto,  sacro  e  civile  della  Commedia. 

Se  poi  8Ì  vuol  vedere  qualche  raffronto  con  quegli  animali, 
se  ne  avranno  de'  mirabili  per  via  di  contrapposti.  Nel  Purga- 
torio Dante  ha  la  visione  d'un  carro,  guidato  da  un  Grifone, 
animai  binato  in  cui  raffigura  Cristo,  il  quale,  attaccandosi  a 
un  arbore  robusto^  ma  vedovo  .di  foglie  e  di  fiorì^  che  è  il 
genere  umano  dopo  il  peccato,  a  un  tratto  fa  rinverdire  e 
rinnovare  la  pianta 

Che  prima  avea  lo  ramora  sì  sole.  Purg.  xxxii. 

Ed  ecco  calare  rapidamente  un'  aquila  a  disertare  e  ferire  quel 
carro,  si  che  questo  piegò,  come  nave  in  fortuna,  E  poi  que- 
$t* aquila,  calando  di  nuovo,  lascia  nel  carro  delle  sue  penne: 
che  sono  figm*e,  prima  delle  persecuzioni   dell'antico  Impero, 


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200  ALLBQORU.  DELLA  DIVINA  OOMMBDIA. 

6  poi  delle  perniciose  donazioni  di  dominio  &tte  alla  Chiesa; 
per  cui  una  voce  dal  cielo  prende  a  gridare  : 

O  navicella  mia  oom'mal  sei  cardi! 

Nella  quale  rappresentazione  è  chiaro  che  il  leone  è  antìschema 
del  Grifone.  La  quale  aquila  rivediamo  poi  in  Paradiso,  e  ce 
ne  vien  descritto  il  rapido  e  glorioso  volo  da  Giustiniano,  e 
la  miriamo  più  innanzi  effigiata  nel  pianeta  di  Giove,  com- 
posta d* innumerabili  luci;  e  poi  con  Vale  aperte^  sentiamo 
parlar  lo  rostro  e  dar  contezza  a  Dante  dei  principi  savii  e 
giusti. 

Quanto  alla  lupa,  ò  naturale  che  non  possiamo  ritrovarla 
in  paradiso;  ma  invece  vediamo  ì&^elva  selvaggia  trasformata 
in  candida  rosa ,  e  udiamo  S.  Pietro,  S.  Benedetto  ed  altri, 
accennando  alla  terra,  alla  selva,  parlare  dei  lupi  in  veste  da 
pastori. 

Ecco  rinterpretazione  che  Alfonso  proponeva,  con  una  sicu- 
rezza che  non  gli  era  solita,  al  primo  canto  del  poema,  agg-i  un- 
gendo che  questo  concotto  era  cosi  essenziale  e  adequato  che 
gli  pareva  il  centro  e  la  chiave  di  tutta  la  Commedia,  da  po- 
terla tutta  riannodare  ad  esso.  £  infatti  Beatrice,  quando  sono 
per  avvenire  quelle  visioni  dell'Aquila  e  del  caiTO  condotto  dal 
Grifone,  si  volge  a  Dante  e  gli  dice: 

Però  in  prò  del  mondo  che  mal  vive 
Al  carro  or  tieni  gli  occhi,  e  quel  che  vedi, 
Hitornato  di  là,  fa  che  ta  scrive.  Purg.  xxxii. 

Federico  Persico,  Alfonso  di  Casanova  e  la  Divina  Commedia. 
Estratto  dal  fase.  154  della  Rivista   Universale. 

FoRNACciARt  Raffaello,  Disegno  storico  della  Letteratura 
italiana.  Firenze,  Sansoni,  1875,  p.  31.  Dichiarazioni  ed  esempi 
in  Appendice  al  Disino  storico,  Firenze,  Sansoni,  1876,  p. 
32-53. 

La  Divina  Comedia,  presa  allegoricamente ,  è  V  immagine 
della  vita  umana  nei  tre  stati  del  vizio,  dell'emendazione  e 
della  pei*fezione.  I  dannati  rappresentano  gli  uomini  viziosi  in 
tutti  i  gradi  del  peccato.  Le  anime  purganti  rappresentano  gli 
uomini ,  che  con  la  penitenza  e  con  V  orazione  si  emendano 
gradatamente  dei  peccati,  finchò  rinnovano  in  so   in  qualche 


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ALUGOBIA   DBLLA  DIVINA  GOMBfBDIA.  201 

modo  la  prìmiera  innocenza  ed  esercitano  la  perfetta  vita  atu'va, 
àmbol^g^ata  nel  paradiso  terrestre.  I  beati  finalmente  rap- 
presentano gli  uomini,  che,  studiando  le  verità  rivelate  e  aman- 
do solo  Iddio,  esercitano  la  vita  contemplativa,  simboleggiata 
nei  paradiso  celeste.  Ai  primi  è  pena  il  vizio  stesso,  raffigu- 
rato nell'oecarità  e  nei  tormenti  infernali  ;  ai  secondi  è  dolce 
la  fiducia  in  Dio  e  la  pace  deiranima,  che  rende  loro  care  le 
penitenze  volontarie,  raffigurate  nelle  pene  che  soffrono.  Ai 
terzi  finalmente  è  premio  la  chiarezza  e  ampiezza  delle  cose 
contemplate  e  la  certezza  d'essere  amati  da  Dio,  simboleggiate 
nella  luce  e  nel  gaudio  eterno.  La  persona  poi  di  Dante,  è 
figura  deiruomo,  che  dallo  stato  infelice  della  vita  viziosa 
(selva  escara)  tenta  ascendere,  emendandosi  de' suoi  vizii,  alla 
beatitudine  della  vita  contemplatita  (luce  del  sole).  Gli  fanno 
inciampo  tre  vizi!  dominanti  nel  mondo  (1),  anzi  un  solo  ch'ò  la 
cupidigia  (lupa),  la  quale  non  ò  altro  che  il  desiderare  ciò  che 
non  è  giusto  ottenere.  Questo  vizio  per  conseguire  il  suo  scopo 
si  serve  o  della  violenza  (leone),  o  della  frode  (lonza),  e  occu- 
pando gli  animi  e  tenendo  disordinati  i  popoli,  impedisce  agli 
uomini  di  £arsi  virtuosi  e  felici.  Come  poteva  vincersi  questa 
rea  passione?  In  due  modi:  politicamente;  col  cangiare  il  go- 
verno di  quel  tempo,  abbattendo  la  fazione  guelfa  e  resti- 
tuendo cosi  i  diritti  dell'Imperatore  romano;  allora  cessereb- 
bero le  guerre,  si  frenerebbero  le  passioni,  e  Tuomo  potrebbe 
ascendere  al  colle  della  virtù  :  moralmente  (poiché  allora  que- 
sto cangiamento  politico  non  era  da  sperarsi);  con  una  rifor-% 
ma  degli  animi.  L' uomo  guidato  dalla  scienza  della  ragione,  o 
filosofia,  rivestita  del  velo  poetico  (Virgilio),  doveva  conside- 
rare i  vizi!  per  abborrìrìi  (viaggio  dell'Inferno),  emendarsene 
(viaggio  del  Purgatorio)  e  operar  bene  (Paradiso  terrestre); 
guidato  dalla  scienza  della  rivelazione  o  teologia,  nascosta 
sotto  le  sembianze  d'amore  (Beatrice),  dovea  levarsi  alla  con- 
templazione di  Dio  (Par.  celeste).  Ma  perchè  l' uomo  potesse 
ÙLV  tanto,  era  d' uopo  che  lo  volesse  Iddio  stesso,  cioò  che  si 

(1)  In  quanto  al  senso  allegorico  morale  delle  tre  fiere  il  Fomacciari 
si  tiene  alla  bella  e  ragionevolissima  spiegazione  datane  da  Giacinto  Ca- 
sella (V.  Man,  Dani,  iv,  267).  Niuno  non  ha  così  bene  e  lucidamente  dì- 
mostrato  U  senso  come  il  Casella,  scrìve  pure  il  Del  Lungo.  Quel  discorso 
da  pochi  conosciuto,  e  da  alcuni  forse  non  voluto  conoscere  ed  apprezzare, 
prosegue  il  Fornacciari,  di  la  chiave  della  vera  interpretazione  dantesca. 


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202  ALLEGORIA  DELLA   DIVINA  COMMEDIA. 

accordassero  a  volerlo  i  suoi  supremi  attributi,  misericordia  e 
giustizia  (Maria  e  Lucia).  Siccome  poi  Dante  attribuisce  lo 
sfrenamento  della  cupidigia  ai  governi  guelfi  di  quel  tempo 
(e  però  Par.  xxvii,  140,  dice:  Pensa  che  in  terra  non  è  chi 
governi,  Onde  si  svia  fumana  famiglia)  ;  cosi  raffigura  quei 
tre  vizii  nei  tre  principali  Stati  guelfi,  che  erano  Roma,  rea, 
secondo  Dante,  di  cupidigia,  perchè  voleva  usurpare  airimpe- 
ratore  i  diritti  sul  governo  universale;  la  casa  di  Francia,  si- 
gnora anche  del  napoletano,  che  serviva  i  Pontefici  in  questo 
loro  scopo  e  usava  violenza  contro  gV  Imperatori  germanio i  ; 
la  repubblica  di  Firenze  che  serviva  ugualmente  allo  stesso 
scopo,  ma  più  con  le  frodi  che  con  la  forza.  Ecco  perchè  Dante 
sospira  al  Veltro  salvatore,  che  doveva  venire  dall'Italia  sape- 
riore  o  transappenina  (tra  Feltro  e  Feltro)  quasi  tutta  g:hi- 
beDina,  e  salvare  la  bassa  Italia  cisappennina  e  specialmente 
Roma  (queir umile  Italia,  ecc.)  tutta  guelfa.  Dante  era  stato 
impedito  primieramente  dalle  frodi  della  sua  Firenze  (T  as- 
salto della  lonza);  ma  sperava  di  vincerle  col  suo  priorato  ; 
se  non  che  vede  già  venire  alla  sua  volta  la  violenza  di  Carlo 
di  Valois  (leone);  e  dietro  lui,  la  cupidigia  di  Roma  (lupa), 
che  manda  quel  principe  a  sottomettere  Firenze  e  rende  vane 
le  speranze  del  Poeta.  Aduaque  il  senso  allegorico  della  Di- 
vina Commedia  è,  come  ci  dice  il  Poeta  stesso,  morale  prin- 
cipalmente; ma  qua  e  là  è  divenuto  anche  politico,  perchè  la 
rea  politica  era  considerata  come  effetto  della  cattiva  morale, 
e,  alla  sua  volta,  come  causa  di  nuova  immoralità. 

Db  Marzo  Gualberto,  Del  velo  allegorico  della  Divina 
Commedia  nella  Simbologia.  Mente  e  Cuore,  Trieste,  1  lu- 
glio, 1875,  273-279. 

Sono  pur  sei  secoli  che  le  intelligenze  più  ardite  si  son 
volte  a  quel  monumento  misterioso,  qual  è  la  Divina  Comme- 
dia, per  iscrutarne  V  intimo  senso,  e  cavarne  il  prezioso  tesoro 
della  nascosta  dottrina.  E  nondimeno  ancora  è  a  meravigliare 
che  dopo  tanti  durati  studi,  dopo  tante  diuturne  investigazioni 
e  ripetute  ricerche,  non  siasi  giunto  a  sollevare  il  velame  di 
su  quel  libro  dei  sette  si'gilil ,  che  forma  V  ammirazione  delle 
nazioni.  —  Coloro  che  presumono  di  comprenderne  V  occulto 
vero,  senza  veruno  misticismo  d' allegoria,  non  sono  che  ciechi 


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ALLEGORIA   DELLA   DIVINA   COMMEDIA.  203 

della  TÌsta  della  mente.  Dante  si  designò  uno  scopo  eminente- 
mente umanitario,  di  combattere  il  vizio,  rialzare  la  virtù  op- 
pressa, fisu^ndo  guerra  ai  despoti,  al  guelfismo,  specialmente, 
capitanato  dal  Papato.  Per  questo  appunto  die  mano  al  gran 
Poema,  principio  e  compimento  di  rigenerazione  per  l' Italia, 
codice  di  civiltà  per  le  nazioni,  e  monumento  di  ammirazione 
pei  secoli.  Grandiosa  e  sublime  ne  scafuriva  V  idea  ;  se  non  che 
gli  stavano  schierati  d'intorno  potentissimi  nemici,  e  però  non 
poteva  egli  impunemente  presentarla  svelata  alla  vista  delle  genti. 
Gli  fa  d*aopo  pertanto  di  creare  un*  Epopea  tutta  propria,  nuova 
e  singolare,  nella  quale  facendo  servire  lo  scibile  universale, 
▼*  incarnava  il  concetto  di  risorgimento  dell' umanità  a  trista 
mina  disposta;  ma,  eome  Dante  direbbe,  sotto  benda,  e  come 
Toleano  le  condizioni  politiche  d'allora,  e  della  Scuola  Arcana 
di  quei  tempi  prevalente.  La  Divina  Comedia  è  sotto  il  velo 
dell'Allegorìa,  il  quale  non  può  essere  se  non  continuo  e  com- 
pleto dal  principio  al  fine;  e  senza  di  ciò  l'originalità  della 
Dantesca  epopea  sparirebbe  affatto.  Onde  coloro,  scrive  il  De 
Marzo,  che  asseriscono  di  poter  spiegare  Dante  con  Dante, 
sono  per  lo  meno  sonnolenti  per  non  comprendere  Vignotum 
per  iffnotum,  l'assurdo.  L'unica  via  di  verità  in  ogni  cosa  è 
quella  de'  fatti ,  della  dimostrazione ,  della  storia  ;  epperò  la 
chiave  per  penetrare  nel  gran  mistero  della  interpretazione 
della  Divina  Commedia  è  lo  studio  della  Simbologia. 

CoLTELU  DOTT.  G.,  Modo  nuovo  di  inteìtdere  Dante,  ovvero 
compendio  di  un  nuovo  Commento  da  pubblicarsi.  Bologna, 
Zanichelli,  1875. 

Poveri  Comeptatori  della  Divina  Commediai  Chi  v'ha  gui- 
dati, o  chi  vi  fu  lucerna?  Niuno  di  voi  per  mancanza  di  stu- 
diì  religiosi  ha  potuto  tracciarsi  una  via  indipendente  ed 
assoluta  z,  come  le  pecorelle  dantesche  ciò  che  fecer  i  primi  e 
fecer  gli  altri.  Voi  non  scriveste  che  a  danno  delle  carte:  agli 
orbi  non  approda  il  sole.  La  narrazione  del  sacr<^  poema  vi 
fu  buia  qual  Temi  o  Sfinge.  Ma  eccovi,  finalmente  chi  solverà 
l'enigma  forte;  chi  con  la  verga  &tale  viene  a  sciogliervene 
il  serrarne.  €  Grazie  eh'  a  pochi  il  ciel  largo  destina.  »  Quindi 
innanzi  voi  potrete  movere  i  piedi,  appresso  scorta  si  saputa  e 
fida,  ed  entrar  sicuri  nelle  negate  case.  —  Il  comento  vero 
che  tanto  si  desidera  ve  lo  dà  il  dott.  Coltelli:  a  lui  solo  fu 


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204  ALLEGORIA  DBLLA   DIVINA  COMÌIBDIA. 

dato  di  afferrarne  il  concetlo  vero.  Fin  qui  credettero  tutti  cb 
il  viaggio  deiraltissinio  poeta  si  debba  l'apportare  ai  mondi  di  U 
ma  bevvero  troppo  grosso.  La  sentenza  é  d'  altra  guisa  eli 
non  suona.  Ei  ci  conviene  invece  seguire  passo  passo  il  raming 
poeta  nelle  sue  peregrinazioni  per  V  Italia,  selva  inesiricabii 
di  reggitnenti  assurdi,  iniqui  calamitosi  (1).  Dante  Albigesi 
0  Valdese,  o  meglio  Evangelico,  imprende  a  visitare  tutti 
conventi  e  Cenobi,  e  gente  di  Chiesa,  e  guelfi  e  neri  di  Qgri 
genere,  per  tasteggiarli  e  scoprirne  le  mene  ed  i  segreti,  scn 
tarvi  i  difetti  che  recano  seco  le  politiche,  ed  il  culto  fuot 
viaH  ed  erronei;  in  breve,  per  rilevare *ciò  che  v'era  di  mai 
da  reprimere  e  di  bene  da  fecondare.  Salito  egli,  mercè  le  si 
eccelse  facoltà  intellettuali,  agli  ordini  e  gradi  della  Frate 
lanza  d'amore,  senza  attendere  i  tempi  voluti  dai  ca^Mtolat 
nel  Paradiso,  €  capo  per  capo  ci  viene  mostrando  quali  doyi^ 
bero  essere  i  tipi  modelli  delle  leggi,  degli  statuti,  ed  altre 
degli  uffiziali  superiori  che  stanno  a  capo  del  consorzio  deg 
adepti  impegnati   a  regger  le   nazioni  e  cuoprire   le  digni 

ecclesiastiche Gli  ultimi  canti  poi  vertono  sulV  organisn 

favorito  dal  Grand'  Ordine  Templario,  e  sulle  dottrine  altissin 
che  spettano  ai  veggenti  ed  ai  speculativi^  e  commessi  godoi 
della  intuizione  dell'Essere  primo,  della  sostanza  prima  d 
regge  il  Creato.  >!!! 

Venturini  Domenico,  Le  Allegorie  fondamentali  della  L 
vina  Commedia, 


(1)  Dante  è  Tuomo  a  sensi,  Virgilio  Tuoroo  spirito.  L*  nomo  spiri 
consiglia  Tuomo  ordinario  a  lasciare  le  orme  battute  e  di  torsi  dall'  aspe 
delle  belve,  e  soprattutto  della  lupa  papista  e  clericale,  per  tenere  altra  ^ 
quella  del  vangelismo,  rappresentato  daffli  Albi^^esi  e  dal  famoso  ordì 
dei  fratelli  Templari.  Il  Veltro  è  il  Gran  Maestro  di  esse.  Ei  si  sperava  e 
nella  sua  jmialitÀ  morale  di  grand*  Oriente  (aiutato  in  ciò  dalle  rispetti 
Scuole  e  Circoli  e  congreghe)  non  colle  armi  ma  colla  sapienza,  amc 
e  virtude  arriverebbe  un  giorno  a  ricacciare  la  lupa  negli  abissi  dond'  € 
partita.  Tale  Gran  Maestro  o  Grand'  Oriente,  secondo  Dante,  è  il  Pontifici 
vero,  e  non  fucilo  di  Roma,  il  quale  secondo  quesl'  idea  è  vacante  (Pj 
xxvii,  2;i).  —  La  donila  del  Cielo  (ii,  94)  è  la  religione  dell'amore,  della  c« 
tesia,  della  Gaia  Scienza  contrapposta  alla  triste,  dogliosa  ed  avara  di  Ron 
1  lucidi  di  essa  gaia  scienza,  o  Lticìa  mossero  Beatrice^  scuola  di  Fireni 
a  parlare  a  un  /V  Virgilio^  che  allora  era  capo  scaola  di  Bologna,  on 
tirare  a  sé  V  Esule  e  toglierlo  alle  zanne  della  potenza  nera  guelfa  o  napis 
Dopo  alquanto  esitare  il  poeta  si  risolve  a  tenero  col  De  Virgilio  le  pa 
dei  Bianchi,  dei  gaj  dissidenti  ed  ostili  a  Roma,  mettendo  in  aperto  le  pi 
tiche  degli  uni  e  degli  altri,  onde  farne  risultare  i  rispettivi  ditetti  e  le  a 


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ALLEGORIA  DELLA   DIVINA   COMMEDIA.  205 

lesto  lavoro,  promessoci  fìn  dal  1875,  dairillustre  Autore, 
sappia,  non  vide  ancora  la  tace. 

lSquaugo  Francesco,  Le  quattro  giornate  del  PiirgaioyHo 
mattro  età  delTuomo,  Saggio.  Vicenza,  Grimaldo,  1874. 
sesto  Saggio,  piuttosto  che  un  lavoro  critico,  è  da  riguar- 

come  un  ragionamento  morale  che  l'Autore  ha  tratto 
Cantica  seconda,  per  vantaggio  de'  suoi  figli,  ai  quali  lo 
I.  «11  viaggio  del  Purgatorio  (die' egli  a  pag.  31)  si  compie 
ittro  giorni  non  interi,  perchè  termina  appresso  al  merìggio 
uarto  giorno.  Onesti  quattro  giorni  sono  le  quattro  età 
lomo,  dal  Poeta  chiamate  ajiolescenza,  giorentule,  senettute 

nio 11  primo  giorno  comprende  T  Antipurgatorio,  e 

jo  ò  V  adolescenza.  Il  secondo  giorno  incomincia  col  Pur- 
■io  vero,  o  sia  colla  misteriosa  assunzione  di  Dante  dalla 
itta  de'  principi ,  e  si  estende  insino  al  quarto  cerchio  iu- 
re; e  quest'altro  giorno  è  la  giotentii.  Nel  terzo  giorno 
«ta  passa  al  quinto  cerchio,  e  perviene  al  settimo  ed  ul- 
;  e  questo  terzo  giorno  è  la  senettute  o  sia  vecchiezza. 
quarto  giorno   Danto  ascende  alla  vetta  del  Purgatorio, 

il  Paradiso  terrestre;  e  questo  è  il  senio  o  sia  decrepi- 
L.  »  Persuaso  adunque  l'Autore  che  questa  cantica  sia  un 

0  codice  di  sana  morale,  un  tesoro  di  regole  ordinate  e 
ucenti  alla  perfezione  dell'  uomo,  prende  in  questo  volume 
ipplicare  il  suo  sistema  alla  sola  adolescenza,  distiibuendo 
*attazione  in  tre  discorsi,  e  parlaudo  nel  primo  deWubbi- 
za,  nel  secondo  della  soavità  e  adornezza  corporale,  nel 
>  della  vergogna;  le  cose  appunto  che  Dante  nel  Convito 

esser  date  dalla  buona  natura  all'adolescenza  (Convito, 
L  IV,  cap.  24).  Seguono  due  altri  discorsi,  l'uno  sul  tra- 
to  dall'  adolescenza  alla  gioventù,  l' altro  sulle  tre  età  della 
entù,  vecchiezza  e  decrepitezza,  dove  la  materia  è  piuttosto 
innata  e  compendiate,  che  sciolte  distesamente.  «  L*  Inferno, 

1  il  Pasqualigo,  è  l'intelletto  applicato  alla  meditazione 
•errore  e  de'  tristi  suoi  effetti;  il  Paradiso  è  F intelletto  che 
la  BÒ  stesso  nella  contemplazione  della  verità,  ond'  è  l' uomo 
to;  il  Purgatorio  è  l'umana  volontà  che  guidata  dal  mi* 

>r  possibile  intelletto  combatte  per  la  perfezione Cosicché 

Purgatorio  che  sintetizza  la  lotte  dell'uomo  per  allontanarsi 


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206  ALLEGORIA  DELLA  DIVINA  COMMEDIA. 

dal  male  e  raggiungere  il  bene,  dovea  necessariamente  raochiu- 
dere  egli  solo  gì*  insegnamenti  per  la  condotta  pratica  della 
vita;  ed  è  appunto  nel  suo  nuovo  codice  di  sana  morale,  di 
tesoro  di  regole  conducenti  alla  perfezione  dell'  uomo,  che  ci  si 
rivela  col  nuovo  comento  la  seconda  cantica  del  grande  Poema. 

Hipetiamo,  conchtude  il  critico  della  Nuova  Antologia,  che 
quest'opera  ha  un  intendimento  più  morale  e  insegnativo  che 
critico;  ma  l'assunto  è  provato  con  molta  convenienza  e  &g^ 
giustatezza,  e  l'Autore  vi  si  mostra  profondamente  versato 
nelle  Opere  Minori  del  Poeta  che  adopera  sovente  a  sussidio 
delle  sue  interpretazioni:  e  gli  studiatori  di  Dante  non  deb- 
bono trascurare  alcune  cose  molto  acutamente  vedute,  forse 
pel  prìmo,  dal  Pasqualigo,  fra  le  quali  ci  sembra  che  possa 
avere  fondamento  di  verità  l' ingegnoso  confronto  dell'epistola 
dantesca  ai  Signori  d'Italia,  colla  descrizione  della  valletta  del 
Purgatorio,  e  del  sopravvenire  degli  angeli  in  Bocoorso  delle 
anime.  (Vedi  Disc.  cap.  3,  a  pag.  223  e  segg.). 

LE  TRE  DONNE  BENEDETTE  (1) 

(Man,  Dani.  Il,  64»;  lY.  S79J. 

Galanti  can.  Carmine,  La  Beatrice  è  simbolo  della  JRtoe- 
lazione.  Lettera  V  su  Dante  AUghieri,  al  chiariss.  D.  Luigi 
Benassuti,  Ripatransone,  laffei,  1875.  —  Lucia  è  simbolo  della 
Chiesa,  Lettera  VI,  1876,  —  La  Donna  Gentile  è  Maria, 
Leu.  VII,  1876. 


(1)  «  Vi  comanichereì  una  mia  idea  sulle  tre  donne  benedette  del  so. 
condo  canto,  nelle  quali  mi  sembra  aver  riscontrata  una  maggiore  analogia 
colle  tre  belve  del  primo.  Dico  analogia  in  senso  di  antagonismo.  Pres« 
la  lonza  come  simbolo  della  lussuria,  Maria  Vergine  eh* è,  come  voi  dite 
la  dolina  gentile,  risponde  a  auella  come  simbolo  di  purità.  La  Ltteia,  ne^ 
mica  di  ciascun  crudele ,  sarcnbe  l' avversaria  naturale  del  Leone  superbo 
e  rabbioso.  Beatrice  si  opporrebbe  alla  lupa,  la  quale  simboleg^a  tutto  ciò 
che  Dante  abborriva,  e  significherebbe  la  virttì  d'amore:  e  Raohete  chd 
siede  a  lei  da  presso,  sarebbe  immagine  della  perseveranza  e  della  longa- 
nimità, come  fu  la  Rachele  vera  nel  mondo.  Il  passo  del  xx%.  del  Pargatorio 
non  contraddice  a  c^uesta  interpretazione,  e  cosi  si  avrebbe  nei  due  primi 
canti  una  perfetta  simmetria,  della  quale  è  cosi  amico  il  Poeta.  Non  vi  fo 

Siù  lunghe  parole.  Ditemi  come  trovate  T  interoretazione  in  dò  che  contiene 
i  nuovo,  e  se  vai  la  pena  di  scriverla.  »  F.  Òall'Ongaro  a  JV.  Tommaseo, 
11  Marzo  1813. 


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LR  TBB  DONNB  BBNBDBTTB.  207 

>pra  Ogni  altro  essere  della  natura,  andò  fornita 
ft  attitudine  a  simboleggiare  la  Rivelazione.  Se 
kvesse  sentito  il  bisogno  o  gli  fosse  o£forta  Top- 
oettere  in  campo  questo  simbolo,  ei  lo  avrebbe 
ei,  e  lei  avrebbe  scelto,  trattando  cosi  più  de- 
li sua  Donna,  in  cui  mise  Dio  tanta  grazia, 
esiderio.  Ed  a  meglio  raffermare  il  propostosi 
unina  ben  19  passi. 

l'opinione  di  quelli  che,  in  Lucia  avvisano  la 
minante  o  preveniente  che  chiamar  la  si  voglia, 
a  vincitrice  d*ogni  battaglia  della  vergine  Sira- 
amore  devoto  singolarissimo  portatole,  e  dallo 
9,  e  dalla  sollecitudine  affettuosa  con  che  invoca 
di  Dio  vera,  affinchò  accorra  a  soccorso  dello 
amico,  e  dalla  Lucia  del  sogno,  e  dallo  scanno 
i  candida  'Rosa,  ne  deduce  che  la  Lucia  del 
essere  che  la  Chiesa. 

Ei  Luna  che  non  nocque  al  Poeta  nella  selva 
nome  di  gentile,  che  suona  nobilissima  tra  le 
\Setto  materno  che,  e  si  compiange  dell'  impedii 
e  lassù  il  duro  giudizio  divino,  ei  non  può  non 
rata  Maria ,  la  regina  della  misericordia.  —  In 
a  Cantica  ò  pure  espresso  il  concetto  che  Maria 
peccatori  e  che  però  non  fu  estranea  alla  sua 
Dal  grembo  di  lei  scendono  con  spade  infocate 
iti,  a  guardia  dei  giusti,  insidiati  dal  serpente 
*e.  Ed  anche  in  cielo,  per  veder  Cristo,  ò  me- 
rima  lo  sguardo  a  Maria,  detta  da  Bernardo, 
rice  di  grazia,  chò  quale  a  Lei  non  ricorre  sua 
volar  senz*  ali.  11  can.  Galanti  «  tra  le  donne 
e  al  Poema,  e  tra  Maria  Lucia  e  Beatrice  del 
una  mirabile  rispondenza.  Là  è  la  Donna  gentile 
prime  parti.  Lucia  le  seconde,  e  le  terze  Bea- 
-gio  più  nobile  è  occupato  da  Maria,  e  lo  scanno, 
1  nobile  di  quello  ove  Beatrice  si  asside. . . .  Oltre 
>  rispondenza,  e  forse  più  bella,  se  ne  può  scor- 
ie tenuto  da  Dante  nelle  parti  affidate  alle  tre 
),  e  Tordine  che  comunemente  suol  tenere  Iddio 
a  coscienza  i  peccatori.  La  misericordia  di  Dio 


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208  LB  TBB  DONNE  BBNBDBTTB. 

si  vale  della  Chiesa,  o  dei  suoi  ministri»  e  la  Chiesa  delle  ve- 
rità rivelate,  colle  quali  essa  illumina  la  ragione  dei  peccatori, 
e  si  studia  di  muoyerne  la  volontà.  Non  è  altro  l'ordine  con* 
cepito  da  Dante,  dove  si  conceda  che  la  Donna  gentile  è  Maria. 
Ecco  :  Maria  (  personificazione  della  misericordia  di  Dio ,  da 
cui  deriva  ogni  grazia),  mossa  a  pietà  di  Dante  (simiholo  del 
peccatore)  chiama  e  manda  Lucia  (simbolo  della  Chiesa,  o  dei 
suoi  ministri);  Lucia  manda  Beatrice  (la  rivelazione),  e  Bea- 
trice corife  a  Virgilio  (la  ragione),  e  gli  dice  ciò  che  è  da  fare 
per  salvar  Dante,  cioè  che  deve  indurìo  al  viaggio  pei  tre 
regni ,  o  in  altri  termini  alla  considerazione  seria  e  profonda 
dei  gastighì  riserbati  nella  vita  futura  ai  peccatori  e  alla  con* 
siderazione  de'  premi  riserbati  ai  giusti.  »• 

Baldacchini  Savbrio,  La  Beatrice  di  Dante.  Baldacchini, 
Prose,  II,  105  e  seg. 
.  L'Hegel,  fra  le  altre  figure  dantesche,  celebra  quella  sua 
Beatrice,  posta  con  tanto  fine  accoi^mento  a  spaziare  tra'  campi 
dell'allegoria  propriamente  dettra  e  quelli  della  realtà.  Come 
noi,  crediamo  che  l' Hegel  avrebbe  creduto  che  quella  Beatrice 
dantesca  è  snaturata  del  pari  e  da  quelli  che  come  tutta  reale 
la  considerano,  e  da  quelli  che  incompiutamente  ne  conside- 
rano il  'solo  lato  allegorico.  La  sola  Beatrice,  reale  ed  ideale  ad 
un  tempo,  come  l' Hegel  riconosce  co'  nostri,  adegua  quel  concetto 
grandissimo,  e  sintetica  e  dialettica  è  ad  un  tempo.  L'  allegt>ria 
della  selva  e  delle  fiere  e  del  veltro  è  il  dramma  umano;  la 
allegoria  di  Beatrice  è  l'epopea  divina  di  quel  dramma:  il 
contingente  è  nell'una,  l'eterno  nell'altra.  Considerando  la 
selva  e  le  fiere  ed  il  veltro,  tutto  intomo  a  Dante  è  vario,  è 
incomposto,  ed  un  continuo  conflitto  ed  un  incrudelire  di  tu- 
multuose  passioni.  Considerando  invece  la  patrizia  Beatrice 
Portinari,  trasfigurata  e  trasumanata  da  Dante,  tutto  intorno  a 
lei  diventa  unità,  ordine,  conciliazione  de'  contrari  ed  armonia 
di  soavissimi  afietti.  La  prima  allegoria  si  riscontra  col  libro 
di  Monarchia;  l'altra  co' libri  di  Vita  Nuova  e  del  Coavito. 
Ma  non  è  la  Vita  Nuova  e  il  Convito  che  illustrano  la  Bea- 
trice della  Divina  Commedia,  come  alcuni  erroneamente  si 
pensano:  per  l'opposto  la  Beatrice  del  poema  spiega  la  Bea- 
trice della  Vita  Nuova  e  del  Convito.  L'essere  intero  della 
Beatrice  non  è  altrove  che  nel  poema.  E  di  lei  si  compiacciono 


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LE  TRE  DONNE  BENEDETTE.  209 

o  la  verità  deUa  sintesi  ;  deiraltra,  che  imper- 
riace  ne'  due  Kbri  sopraddetti,  si  compiacciono 
ai  separati  fenomeni  si  arrestano,  ed  anzi  che 
70no.  Per  qaanto  spontanea  e  gentile  ed  inge- 
nna  forma  di  bellezza,  che  ne  apparisce  nei 
ni,  apparisce  nella  Vita  Nuova  Beatrice.  Per 
a^ve  e  severa  può  apparire  la  Scienza  nell'età 
lessione,  Beatrice  ci  apparisce  nel  Convito.  Ma 
i  ogni  opposizione  tra  le  due  Beatrici  :  e  questa 
osi,  ci  &  dair  Olimpo  omerico  salire  air  alto 
e,  ch'ò  liperuranio  di  Platone.  Mediatrice  ella 
ed  implorata  in  mezzo  al  poema  si  manifesta  : 
ite,  nel  Purgatorio,  dove  la  speranza  si  con- 
no, ella  si  mostra  per  aiutare  il  poeta  a  salire 
lore,  presentito  da  Platone,  trova  con  Beatrice 
sede  nella  donna.  Questo  amore,  che  diventa 
ontemplazione  del  divino  e  delle  cose  invisibili 
)  sole  rendono  ragione  delle  visibili  e  contin- 
un  altissimo  significato  con  Dante  ;  e  generò  i 
ostra  poesia,  eh' è  la  poesia  dell'età  moderne, 
*e  nazioni  si  hanno  da  inchinare,  se  ristorar  vo- 
laria  vita  del  concetto  poetico.  Non  ha  ad  essere 
ttazione  de'  sensi  la  vera  poesia  ;  ma  innalzare 
»  le  condizioni  della  realtà  presente.  Il  culto 
lale  è  in  Dante  e  da  lui  è  trasfuso  ne'  nostri, 
ime  e  profonde  nostre  credenze,  e  di  gran  lunga 
al  culto  che  le  offrono  le  altre  letterature  o  ger- 
iche  o  iberiche:  le  quali  muliebri  giustamente 
dominate,  intanto  che  la  nostra  poesia  e  lano- 
,,  esaltando  la  donna  con  la  nuova  Eva,  con- 
a  loro  virilità. 

Giuseppe  ,  La  Beatrice ,  delV  Alighieri  nel  tipo 
tisHco.  Roma,  Tip.  delle  scienze  naturali,  1873, 
,  Dicembre,  1872,  415-20. 
8  di  Cristo,  rinnovellando  la  femiglia  e  l'intera 
,  rinnovellò  ancor  1'  arte,  che  da  quindi  innanzi 
10  spiritualismo  e  d'una  grazia  che  mai  la  più 
iica.  Il  tipo  ideale  sul  quale  Dante  foggiò  la  sua 
fu  la  donna  greco-romana,  ma  la  donna  del 

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210  LB  TRE   DONNE  BBNBDBTTB. 

Vangelo  ;  dal  torrente  di  luce  e  di  virtii  che  circonda  la  Verone 
di  Nazaret,  trasse  i  raggi  per  cinger  la  fronte  della  bella  e  sven- 
turata fiorentina,  che  di  lei  fu  tenera  devota  e  imitatrice. 

Franciosi  Giovanni,  Beatrice  e  r anima  del  Poeta  nelle  ascen- 
sioni del  pensiero  e  delT  affetto,  —  Scritti  Danteschi,  301-336. 

«  Nella  Beatrice  dantesca  tutti  cercarono ,  o  la  beUisuma 
figlia  di  Folco  Portinari,  o  il  severo  concetto  del  filosofo;  ma 
io  vi  cerco  con  la  visione  intima  dell'artista,  quella  gentile 
creatura  d*  intelletto  e  d*amore,  che  del  mondo  &ntastico  del- 
FAlighieri  è  vita,  specchio  e  sorriso.  In  lei  sola,  seguita  nelle 
varie  forme  del  pensiero  e  delF  affetto  immaginoso,  io  veg^o 
rinnovellati  di  purissimo  lume  i  subiti  rapimenti,  i  dolori  fé-- 
condi,  le  afiannose  gioie  e  il  sospiro  potente  dell'  anima  crea- 
tince.  Ella  non  è,  come  la  Venere  di  Lucrezio,  fugace  parvenza, 
che  sveglia  improvviso  le  allegrezze  del  giorno  e  dilegua  ;  ma 
quasi  nettare  che  invisibile  stilla,  armonia  difihsa,  perenne, 
luce  schietta  e  veloce,  che  d*ogni  parte  del  Poema  aacro 
inonda,  ferve  e  s'avviva.  Se  non  che,  la  Beatrice  dei  cieli  è 
ancora,  sebbene  trasfigurata  dall'estro  animoso,  la  Beatrice  della 
terra;  ond'  io  prima  toccherò  di  questa,  poi  mi  sia  dato  di  av- 
visare la  seconda  beUessa,  che  in  lei  si  cela.  » 

Grion  Giusto,  La  Lucia  di  Dante.  Verona,  Franchini,  1871. 
(Nelle  Nozze  D'Ancona  Nissim). 

Una  leggenda  trovata  nel  convento  di  Gradi,  presso  Viterbo, 
certo  non  ignota  a  Dante ,  ci  apprende  come  un  frate  .Cister- 
ciense,  vedesse  in  estasi  l' Orazione  che  muove  la  Chiesa  a  pre* 
gare  la  Vergine,  d'onde  il  poeta  trasse  il  suo  concetto  delle 
tre  donne  benedette.  —  La  donna  Gentile,  la  Maria  dell'Ora-* 
zione  cristiana,  il  nome  del  bel  fiore  che  ei  sempre  invocava; 
Beatrice,  la  gloriosa  donna  della  sua  mente,  la  scienza  divina, 
anzi  la  Divinità,  Tento  causa  dell'esistente:  —  Maria,  la  divina 
clemenza  che  si  compiange;  Lucia,  la  divina  misericordia  ne* 
mica  di  crudeltà;  e  Beatrice,  la  pietà  divina,  che  soccorre  al 
pianto  umano.  Iddio,  mosso  da  Lucia,  è  mosso  da  so  stesso. 
Lucia  rappresenta  un  tributo  di  Dio.  Ora,  dimanda  il  Grion,  per- 
chè questa  personificazione,  questo  attributo  porta  il  nome  di 
Lucia?  La  storia  della  B.  Lucia  del  Monastero  di  S.  Cristina 
di  Bologna  gli  dà  la  chiave.  In  essa,  che  invocata  trasporta  il 
suo  fedele  assonnato,  riconosce  la  Lucia  di  Dante.  Anch' egli, 

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LE  TRB   DONNE  BENEDETTE.  211 

I  dopo  la  sfortunata  impresa  di  Monte  Accenico  nel  Marzo  1303, 
recatosi  a  Bologna,  al  sepolcro  di  lei,  sdegnato,  si  libera  total- 
mente dalla  compagnia  matta  e  scempia  ;  se  la  stacca  dal  cuore, 
dopo  essersela  levata  d'attorno.  Riconoscente  dell' ispirazione, 
più  tardi  confonderà,  quasi,  Lucia  Bolognese  con  la  sua  Bea- 
trice Firentina ,  con  la  Maiia  di  Nazaret ,  fiore  mistico  di  tutti 
i  cattolici  romani,  di  una  donna  formandone  tre,  e  per  tre  donne 
ioteodendo  ad  una,  alla  gloriosa  donna  del  suo  Virgilio,  che  il 
confortò  nella  settimana  santa  del  1301,  quando  il  religiosissimo 
priore,  per  aver  salvato  con  ufficio  non  commesso  la  vita  di 
un  fanciullo,  era  divenuto  —  al  dir  delle  Cianghelle  e  dei  Lapi 
Saltarelli  —  un  ateo.  Del  quale  si  prendono  cura  in  cielo  la 
Beata  Vergine  Maria,  alla  porta  del  Purgatorio  la  Beata  Lucia 
di  Stifonte,  al  limbo  dell* Inferno  la  Beatrice  speculazione  fio- 
rentina, perch*egli  che,  incorso  nella  scomunica  minore,  non 
può  salire  difilato  il  colle  della  fede,  dal  quale  chiaro  si  veg- 
gono le  proprie  e  le  altrui  creazioni,  colla  mente  sospesa 
tra  1  credere  e  U  sapere,  giunga  alla  fede  mediante  la  scienza, 
e  possa  dire  in  luogo  di  so  di  credere:  credo  di  sapere. 

FoRNAcciARi  PROF.  RAFFAELLO,  Sul  Significato  allegorico  della 
Lucia  di  Dante  AlUghierij  Discorso  letto  alla  R,  Accademia 
Lucchese,  la  sera  del  30  Giugno  1871.  Lucca,  Giusti,  1873. 

Ei  si  ripromette  che  dalla  nuova  sua  interpretazione  il  di- 
segno dantesco  si  avvantaggi  di  ampiezza  e  di  simmetria,  ed  offra 
più  argomenti  di  credibilità.  Lucia,  come  pensa  molto  acuta- 
mente il  Ruth,  è  il  secondo  grande  attributo  della  divinità,  la 
giustizia  di  Dio,  queir  attributo,  per  cui  egli  governa  le  ope- 
razioni tutte  degli  esseri  liberi,  punendo  e  premiando.  E  cosi 
è  chiaro  perchè  Maria  chieda  di  Lucia,  e  perchè  Dante  ne  abbia 
bisogno.  E  che  Lucia  nella  mente  di  Dante  simboleggi  la  Giu- 
stizia, e  però  un  attributo  che  stia  in  certa  opposizione  da 
quello  rappresentato  da  Maria,  ei  lo  prova  non  solo,  come 
direbbero  le  scuole,  a  priori,  ma  da  altri  argomenti  positivi, 
e  a  mio  avviso,  assai  stringenti,  tolti  segnatamente  dal  C.  ix 
del  Purgatorio  (1).  —  Lucia  sta  sopra  Virgilio  come  Maria 


(1)  L'argomento  preso  dal  C.  ix  del  Purg.  ei  lo  dice  necessario  e  ine- 
apugnabUe  e  risplendente  di  evidenza  matematica,  ^alora  si  voglia  tenere 
da  s^ono  la  regola  di  spiegare  Dante  con  Dante.  Dichiarazioni  ed  Esempi 
in  Appendice  ai  Disegno  Storico  della  Letter.  Ital.  p.  17. 


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212  LE  TRE  DONNE  BENEDETTE. 

sopra  Beatrice.  Il  simbolo  più  nobile  della  vita  contem 
tiva  comanda  al  simbolo  più  nobile  della  vita  attiva  (qt 
chiese  Lucia  in  suo  dimando).  Questo  poi,  per  effetta^ 
comandamenti  di  quello,  si  rivolge  a  Beatrice,  secondo  bìis 
della  vita  contemplativa;  il  quale  alla  sua  volta  coniane 
Virgilio  secondo  simbolo  della  vita  attiva.  Onde  il  procedlm 
ò  uguale  tanto  nel  grado  superiore  come  in  quello  infer 
perchè  la  vita  attiva  è  subordinata  alla  contemplativa,  ( 
la  filosofia  e  V  impero  alla  teologia  e  alla  Chiesa,  benché  s 
anch'  essi  neir  ordine  loro  santi  e  perfetti,  e  debbano  rìnas 
distinti  e  intatti  affinchè  si  conservi  la  giustizia  nel  m 
(Sì  si  -conserva  il  seme  d*  ogni  giusto.  Purg.  xxxii). 


VIRGILIO 

SECONDO  LE  CREDENZE  DEL  MEDIO  EVO 
CV.  Uan.  Dani.  U,  69S;  IV.  283J. 

CoMPARETTi  Domenico,  Il  Virgilio  nel  Medio  evo,  2. 
in  8^  p.  XIII,  313-310,  Livorno,  Vigo,  1872. 

A  questa  nuova  edizione,  veramente  splendida,  aggi  un 
pregio  tutti  i  principali  documenti  medievali,  relativi  al 
gilio  della  tradizione  popolare,  che  il  Comparetti  accolsi 
secondo  volume.  —  Il  lodatissirao  lavoro  del  Comparetti  \ 
voltato  in  tedesco  da  H.  Dutshke,  Lipsia,  1875.  —  Casteli 
Gazzetta  d'Italia,  15  Nov.  1872,  n.  320.;  Riv.  Europea,  1 
m;  r/i.  d«  l^i/mai^re,  Polybiblion,  1873,Febr.;  Scartazsini 
Virgil.  in  Mittelarter,  AUgemeine  Zeitung,  1873,  n.  217-18  ; 

Jacob.  Joh.,  Die  Bedeutung  der  Fuhrer  Dante* s  in 
Divina  Commedia  :  Yirgil,  BeatiHx,  St,  Bemìiard,  in  B 
auf  den  idealen  Zweck  des  Gedichtes  und  auf  Grund 
geisUgen  Lcbensentwichelung  des  Dichters,  —  Il  senso  alleg( 
delle  guide  di  Dante  nella  Divina  Commedia,  Virgilio, 
trice,  S.  Bernardo  in  rapporto  allo  scopo  ideale  del  pò 
Leipzig,  J.  C.  Hinrichs,  1874,  in  8'*,  di  p.  84. 


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213 


IL  VELTRO  (1) 

(V.  Man.  IkMt.  n,  S44,  199;  IV.  Uet). 


Giuseppe,  Di  una  Allegoria  della  Divina  Coni' 
ìpiegazione  di  questa  Allegoria  in  due  contenti 
pubblicati.   Il  Progresso  di  Napoli,  Nov.  e  Dee. 

vede  Nicolao  di  Trevigi,  promotor  di  pace,  ri- 
jsi,  il  probo  e  santo  Benedetto  XI. 
RICO,    Intorno   al  Veltro   allegorico    di  Dante  ^ 
(1857).    Filosofia  e  Diritto,  Discorsi  varii,  Na- 
87. 

ntro  i  difensori  dello  Scaligero  e  contro  i  di- 
giolano  che  né  V  uno  nò  Taltro  potrebbe  essere 
ìè  una  delle  condizioni  di  esso  si  è  il  cacciar 
ni  villa,  rimettendola  nelf  Inferno  là  onde  in- 
oartita.  Il  che  equivale  a  bandirla  dal  mondo 
terla  fuori  dal  consorzio  sociale.  E  un  tale  uffi- 
L  confini  angusti  delle  città  italiane,  non  potrebbe 
3  appartenere  ad  Uguccione ,  né  a  Cane  della 
uanti  altri  si  trovassero  nelle  loro  condizioni. 
l  Poeta  non  altro  Veltro  avrebbe  potuto  rappre- 
un  Pontefice  futuro,  di  nazione  latina,  che  sai- 
i  dair imperio  del  male,  purificando  la  Chiesa 
mondani,  ed  il  Papato  dalla  soma  del  potere 
Et  cadere  nel  fango. 

I  Saverio,  Del  Veltro  allegorico  dei  Ghibellini 
3hini  Prose,    Napoli,   Stamp.  del  Vaglio,    1873, 

pur  sempre  il  prode,  ferito  tanto  gloriosamente 
di  Cerone,   e  giovane   podestà  di  Arezzo  prima 


zetta  di  Venezia  del  24  Ottobre  1870  trovo  questo  cenno: 
ansi  diede  un  saggio  a  Bologna  di  un  nuovo  suo  me- 
etazione  della  Divina  Commedia;  ora  va  a  Verona  a  tener 


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214  IL  VELTRO. 

del  1292;  il  restitutore  decloro  castelli  ai  Pisani  neiranno  1314, 
i  quali  al  dire  di  Albertino  Mussato  il  salutarono  come  JUesso 
di  Dìo  con  grande  consenso  degli  ordini  tutti  della  città;  il 
vincitore  infine  di  Montecatini  nell'Agosto  dell'anno  1315.  Per 
la  quale  battaglia  furono  i  Ghibellini  cavati  dal  lago  della  mi- 
seria e  del  fango,  ed  oltre  i  mille  trecento  furono  1  prigionieri 
lasciati  da'  Guelfi,  undicimila  gli  uccisi  ;  e  tra  questi  il  prìncipe 
d'Eboli,  fratello  di  Re  Roberto,  e  Carlotto,  nato  dal  principe  di 
Taranto,  e  i  maggiori  personaggi  della  loro  parte.  Uguccione 
delle  Faggiuola  è  pel  Troya  sempre  il  Veltro  de'  Ghibellini  come 
dell'Alighieri.  E  tale  ò  per  noi,  che  tanta  connessione  ricono- 
sciamo nella  Divina  Commedia  e  nella  Eneide,  per  essere  egli 
sangue  latino,  e*  per  avere  ospitato  nel  suo  castello  Felti^io 
l'esule  Alighieri  a  lui  congiunto . . .  Uguccione  ò  anche  per  noi 
il  Veltro,  per  avergli  Dante  dedicato  l' Inferno  prima  di  partire 
per  la  Francia,  secondo  la  lettera  di  Frate  Ilario . . .  Morto 
Uguccione,  quando  il  poeta  componeva  gli  ultimi  canti  del 
Pai'adiso,  il  nuovo  Veltro,  il  prossimo  Soccorritore  non  altjrì 
essere  poteva  che  quel  Castr uccio  Castracani,  salutato  qual 
Veltro  nel  Dittamondo  di  Fazio  degli  Uberti,  e  collocato  presso 
Uguccione  in  quelle  nobili  pareti  del  Camposanto  pisano  dove 
tanta  parte  della  poesia  e  della  storia  italiana  fedelmente  è 
ritratta. 

ToDESCBiNi  Giuseppe,  Del  Veltro  Allegorico  della  Dicina 
Commedia,  e  del  tempo  in  cui  furono  scritti  i  versi  101-105 
del  Canto  i  deW  Inferno  che  vi  si  riferiscono.  Scritti  su  Dante,  r, 
151-169. 

Combattuta  V  opinione  del  Ti^ya  e  di  C.  Balbo  che  pel 
Veltro  debbasi  intendere  Uguccione  delle  Faggiuola,  potente 
venturiere  ghibellino  de'  primi  anni  del  secolo  XIV,  il  quale 
ebbe  per  alcun  tempo  la  signoria  di  Pisa  e  di  Lucca,  sostiene 
che  il  Veltro  allegorico  non  ò,  nò  può  essere  altri,  che  Cane 
della  Scala,  Signor  di  Verona.  —  Mentre  viveva  V  Imperatore 
AiTÌgo  VII,  e  percorreva  la  Lombardia,  la  Toscana,  la  terra  di 
Roma,  l'Alighieri  non  riponeva  le  speranze  del  suo  partito  e 
d' Italia  in  nessuna  altra  persona  che  in  lui.  ~  Morto  l' Im- 
peratore, nell'Agosto  del  1313,  ch'era  stato  l'oggetto  de'piìi 
solenni  augurii  e  della  più  viva  fiducia  dell'Alighieri,  l'animo 
del  poeta  rimase  in  estremo  turbamento  e  scompiglio.  Ma  dal  17 


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IL   V8LTR0.  215 

i  in  che  accadde  il  fatto  d*arroe  ricordato  nel 
8Ì  pel  rassodato  dominio,  e  sì  pel  dimostrato 
veramente  luminosa  la  riputazione  di  Cane  della 

0  dello  Scaligero  diflìisosi  di  mano  in  mano  lar- 
iicatoei  profondamente  negli  animi  dei  Signori  e 
ai  dell* Alta  Italia  fé*  sì,  che  quattro  mesi  appresso, 
ell*anno  ventottesimo  deir  età  sua,  venisse  eletto 
ale  della  Lega  Ghibellina  in  Lombardia.  Di  qui, 
come  futuro  salvatore  d' Italia.  Il  Todeschini  con- 
squarcio  del  Veltro  fu  scritto  negli  anni  poste- 
certamente  non  prima  del  declinare  di  quelFanno. 
F.,  Die  chrisUich-^ermanische  Wr/fanschaifung 
i  der  Dichterfursten  Wolfram  von  Eschenbachy 
ahespeare.  Miheinem,  Gnus  an  die  Landsleuta 
Lothringan . . .  Berlin,  Gebriicher-Paetel ,  1871, 

Il  sistema  cristiano  e  germanico   nelle  opere 
poeti  Wolfiramo  di  Eschenbach,  Dante  e  Shake- 

pirito  profetico  dotato,  nel  suo  Veltro  divinava 
Germania,  Guglielmo  I.  Risum  ieneatis  amici!! 
Giov.  Andrea  F.,   Il  cinquecento   dieci  e  cin» 

te.  La  Divina  Commedia,  il  Purgatorio,  Leipzig, 

joi-n. 

del  I  canto,  e  sul  Messo  di  Dio  vaticinato  da 
>ato  dair  Alighieri ,  si  è  disputato  variamente  e 
.  Chi  volesse  riferirne  le  diverse  opinioni,  forse 
non  basterebbe  a  raccoglierle.  11  prof.  Scartaz- 
tsantacinque  autori  che  ne  trattarono  di  propo- 
i  piace  dividere  in  due  schiere,  de'  comentatori 

1  1826  in  che  apparve  il  Veltro  allegorico  del 
ìWì  che  vennero  dipoi  sino  a*  giorni  nostri.  I  più 
arono  un  liberatore  venturo,  personaggio  inde- 
ì  un  capitano  d'esercito,  forse  un  Imperadore, 
rse  soltanto  un  benefico  influsso  delle  costella- 
lancò  chi  vi  scorgesse  Gesù  Cristo  venturo  al 
ude,  opinione  però  abbracciata  da  pochi.  Dal 
)i  si  cominciò  a  ravvisare  nel  Veltro  Cangrande 
ael  DXV  T  Imperadore  Arrigo  VII  di  Lussem- 
nte  i  comentatori  videro  adombrato  lo  Scaligero» 


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216  IL  muno. 

Unto  neir  uno  quanto  nell'  altro  simbolo,  e  questa  interpret 
zione  ne*  primi  cinque  lustri  divenne  tanto  generale  da  i 
quasi  porre  in  oblio  le  altre.  Accanto  a  queste  niterprefcazio] 
gli  antichi  conoscevano  altre  opinioni:  chi  diceva  il  TeAro 
il  DXV  essere  l'Anticristo,  chi  un  Papa  santo,  chi  uno  str 
niero  oriundo  della  Tartaria,  ma  esse  non  acquistarono  credìi 
Venne  dipoi,  come  la  chiama  lo  Scartazzini,  la  selva  oscu\ 
delle  interpretazioni  moderne,  e  ne  prende  a  disamina  • 
sedici,  ed  acutamente  le  combatte.  Ei  ritiene  che  si  il  \eU 
che  il  Dux  altri  non  sia  che  Gangrande,  che  dopo  la  moi 
di  Enrico  VII,  come  vicario  imperiale,  era  rappresentante  de] 
autorità  e  potenza  imperiale  in  Italia. 

PiccHiONi  L.,  La  Lupa  della  Divina  Commedia.  Il  Propi 
gnatore  di  Bologna,  a.  vi,  Disp.  I,  1873,  p.  5-21. 

LA    MATELDA   (1) 

(V-  Man,  Dani.  II.  $48;  IV,  SSSJ. 

Castani  Michblanoelo,  Matelda  nella  divina  foresta,  Ec 
zione  11^,  Roma,  Salviucci,  1875. 

LMllustre  patrizio,  nella  Matelda  dantesca,  vi  riconosce 
B.  Matilde,  progenitrice  della  stirpe  imperiale  Sassone,  mog 
di  Arrigo  V  Uccellatore,   madre  di   Ottone  il  Grande,    mor 
Tanno  968,   attiva   come  madre   d*  imperatori ,   contemplati 
come  santa ,  opinione  propugnata  dall*  amico  suo  aw.  Gaeta 


(1)  La  Matelda  del  Paradiao  terrestre  la  quale  canta  e  insegna,  al 
non  ò  che  un  compimento  di  Virgilio,  cioè  la  rappresentante  della  cristia 
filosofia  e  poesia,  la  quale  regge  la  vita  attiva  ma  solo  per  condurre  vei 
la  scienza  della  vita  contemplativa,  cioè  verso  Beatrice.  Dante  la  tre 
soltanto  dopo  che  si  è  parificato  delle  macchie  contratte,  e  tosto  che 
vede  si  abbandona  a  lei,  senza  pero  perdere  ancora  la  compagnia  di  y 
g[iUo.  Cosi  dunque  Matelda  (il  cui  nome  può ,  secondo  V uso  di  quell*  e 
significare  scienza  e  che  è  la  celebre  Contessa,  modello  delle,  principe 
giuste  e  benefiche),  sarebbe  la  scienza  sovrana  della  vita  attiva,  ossia 
Filosofia  perfetta  e  cristiana;  l'uso  amoroso  di  sapienza  del  Convito; 
antesignana  e  sorella  della  teologia;  e  quella  che  regolando  tutta  la  v 
politica  deve  essere  scorta  al  buono  imperatore  romano.  Le  quali  cose  ] 
trebberò  confermarsi  con  molti  passi  della  Divina  Commedia  e  delle  op< 
minori  dell'Alighieri,  come  forse  mostrerò  un  giorno.  Raffaello  Fotm 
eiari,  Dichiarazioni  ed  Esempi  in  appendice  al  Disegno  storico  della  \et 
ratura  italiana,  45. 


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LA  M&TBLOA.  217 

Banì  (1)  {Album  di  Roma,  a.  xxv,  disp.  31),  e  fieramente 
aitata  dal  Betti  (Giom,  Arcad.  vi,  1858).  —  V.  Aieune 
?  Dantesche  di  Gaetano  Trevisani  a  Michelangelo  Cae- 
La  Rivista  Europea,  1  Aprile,  1875. 
RANCiosi  Giovanni,  La  Malelda  Dantesca.  Giov.  Fioren* 
Ott.  e  Nov.  1866. 

La  Matelda  dantesca  ò  vivo  ritratto,  checché  altri  ne 
della  Grancontessa,  amore  d*ogni  anima  gentile  e  studio 
li  mente  innamorata  del  vero  e  del  bello  :  di  lei,  che  alla 
ezza  politica  e  al  gueiTesco  ardimento  seppe  congiungere 
uisito  senso  deli*  arte  e  la  delicata  umiltà  de*  pensieri  e 
aflfetti —  Dante,  nato  del  paese  dell^arte  e  della  gentilezza, 
di  quella  donna  il  mirabile  studio  del  bello  e  l'umile  ac- 
[nento  del  cuore:  Dante,  cittadino  e  ramingo,  ne  amò  la 
sa  larghezza  e  la  principesca  munificenza:  Dante,  cantore 
rettitudine,  ne  amò  V  ardente  afietto  della  giustizia  e  la 
nte  operazione  del  bene ...  Non  è  dunque  a  meravigliare, 
questa  donna  ei  fece  uno  de'  più  alti  simboli  della  Di- 
Commedia,  io  vo'  dire  il  simbolo  deir  amore  perfetto  . . . 
Orio  VII  giudicato  da  Dante,  Scritti  danteschi,  9-12, — 
Ida  o  r  amore  perfetto,  L' umana  famiglia  nella  sua  sto- 
J.  109. 

BBGBR  WiLH.,  Dante*  s  Matelda.  Miinchen,  K.  Akademie, 
(Aus  den  Sitzungsberichten  der  philos,  histor.  Classe  der 
lemie  der  Wialenschaften,  1873). 

I*  autore  vuole  che  la  Matelda  di  Dante  sia  suora  Matilde 
[agdeburgo  morta  nel  1310,  nella  cui  opera  vi  hanno  dei 
i  che  si  pareggiano  in  modo  proprio  sorprendente    colla 

i)  A  una  lettera  del  Trevisani,  Michelangelo  Caetani,  quando  egli 
B  ancora  rallegrarsi  del  lume  dpgli  occhi ,  tì  apponeva  di  proprio 
>  la  seguente  ricordevole  postilla  biografica  :  «  Gaetano  Trevisani, 
rato  napoletano,  dotto  letterato,  amico  e  discepolo  amantissimo  di  Carlo 
i,  essendo  infermo,  e  avendo  da  pochi  giorni  avuto  un  primo  tìglio 
sua  giovine  sposa  (Signora  Enrichetta  Lahonia  figlia  del  barone  di 
ana  e  ùx  Boccnigliano),  venne  improvvisamente,  senza  veruna  sua 
,  aggredito  in  casa  dagli  sgherri  borbonici  e  condotto  in  esìglio  ad 
ino,  ove  in  due  giorni  si  mori  d' infermità  e  di  crepacuore,  sul  finire 
inno  1859.  Ma  quelli 

che  fér  centra  lui 
Non  hanno  riso;  però  mal  camina, 
Chi  si  fa  danno  del  ben  fare  altrui. 

slangelo  Caetani,  Roma,  1839. 


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218  LA  HATBLDA. 

Divina  Commedia.  Il  Preger,  scrivevami  F  egregio  mio  amico 
prof.  Scartazzini,  non  mi  ha  potuto  persuadere;  ma  confesso 
però  che  i  suoi  argomenti  sono  molto  gravi,  ed  il  suo  lavox*o 
ò  degno  di  esser  preso  in  esame. 

NoTTER  F.,  Eoscurs  uber  Mathilde,  Nella  sua  traduz.  della 
Divina  Commedia,  Stuttgart,  Neff,  drnck  Miiller,  1872,  ir, 
369-370. 

Propugna  l'opinione  del  Gj^chel,  accettata  dal  Picchioni, 
e  in  parte  anche  dal  Witte,  che  nella  donna  soletta  vuole  raf- 
figurata la  donna  gentile  della  Vita  Nuova  e  del  Convito^  la 
quale  più  di  tutte,  a  giudizio  del  prof.  Scartazzini,  si  avvicina 
al  vero. 

ScART AZZINI  Giov.  Andrba,  La  Matelda  di  Dante^  JHgres^ 
sione  sopra  i  canti  xxviii  e  seg.  del  Purgatorio.  La  Divina 
Commedia,  il  Purgatorio,  Leipzig,  Brockhaus,  1875,  p.  595-617. 

È  un^accuratissìma  monografìa,  di  oltre  ben  20  fitte  pagine, 
che  abbraccia  quanto  fu  scritto  sulla  Matelda  Dantesca.  Il  prof. 
Scartazzìni,  ne  riporta  le  diverse  opinioni  si  sul  significato 
letterale  e  si  sulf allegorico:  ciascuna,  a  sua  volta,  gli  viene 
innanzi,  ed  egli,  conoscitore  profondo,  le  es||piina,  le  giudica. 
Non  nella  storia  generale,  non  nel  castello  di  Canossa,  non 
nel  palazzo  del  re  Enrico  I,  non  nei  conventi  deUa  Germania, 
non  nelle  leggende  dei  santi  e  delle  sante,  non  nel  secolo  X 
e  XI  ;  ma  a  Firenze,  sulla  fine  del  sec.  XIII.  e  nella  Vita  Nuova 
bisogna  iarne  ricerca.  «  Dite ,  conclude  egli ,  che  la  Matelda 
nella  divina  foresta  è  poeticamente  la  gentil  donna  che  fu  mesi 
ed  anni  schermo  alFamore  di  Dante,  —  dite  che  allegoricamente 
ella  figura  il  ministerio  ecclesiastico;  e  la  donna  soletta  non 
ò  più  un  personaggio  misterioso,  essa  è  la  Matelda  svelata. 

ALTRI   SIMBOLI 

DELLA    DIVINA    COMMEDIA 
(V.  JVan.  Decnt.  tV.  n\). 

BasHani  ab.  prof.  Sante  ,  Dante  Alighieri  nel  Pianeta  di 
Marte  e  V Apoteosi  della  Croce  Bianca  in  Campo  Rosso,  II* 
edizione.  Napoli,  Grande  Tipogr.,  Piazza  del  Municipio,  1873. 


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ALTRI   SIMBOLI  DBLLik  DIVINA   COMMEDIA.  219 

Sarà  materia,  ei  dice  di  una  prima  parte  lo  scudo  del- 
l' Impero,  di  una  seconda  Tapparizione  di  Gacciaguida.  In  quella 
rìcoQOsceremo  per  la  prima  volta  come  grande  ornamento  delle 
tre  Cantiche  la  Croce  Bianca  in  campo  rosso.  Vedremo  con 
esse  insieme  velate  di  poetica  allegorìa  le  tre  più  tristi  epoche 
della  travagliata  vita  dell'Alighieri,  cioè:  il  primo  passo  poli- 
tico per  rientrare  dal  recente  esiglio  in  patria  coir,  opera  di 
un  Ticario  d' Impero,  o  Veltro  ;  la  speranza  tanto  viva  quanto 
ben  augpirata  dal  cielo,  di  esservi  dal  Settimo  Arrigo  resti- 
tuito :  la  rassegnazione  cristiana  a  morire  onorato  in  bando 
dopo  r  ultima  conferma  della  prima  condanna.  Nel  colloquio 
col  trisavo  vedremo  la  protesta  in  nome  della  nobiltà  dome- 
stica e  personale,  da  cui  non  fu  degenere  mai,  e  la  giustizia, 
ch'egli  riprometteasi  di  conseguire  pienissima  nel  volgere  dei 
tempi.  —  Nelle  memorie  alla  perfine  ,  che  si  annodano  stori- 
camente e  aUo  Scudo  dell*  Impero  e  al  Personaggio  deir  appa- 
rizione, vedremo  ad  una  la  ferma  aspettazione  d' un  necessario 
trionfo,  sebben  contrastato,  di  quel  nazionale  concetto,  che  egli 
seguiva  col  pensiero  di  una  fede  invitta  di  generazione  in  ge- 
nerazione sulle  vie  ^eir  umano  progresso.  In  quella  lontananza 
ci  parrà  un  profeta,  che  avea  ben  ragione  di  dirci,  «  che^  molte 
cose  qtuisi  come  sognando  già  vedea,  » 

L*  Aquila   della   Vittoria   e-  del   diritto   nella  Divina 

Commedia,  Napoli,  Vico,  1874.  —  Estratto  dair  Aracne. 

Il  Bastiani,  riepilogando  il  suo  discorso,  e  le  sparse  (ila 
raccogliendo  a  una  sintesi ,  conchiude  :  «  1 .®  che  venne  meno 
air  Impero  la  sua  giurisdizione  per  Toccupazione  delie  Romagne, 
£itta  dalla  Curia;  per  lo  mercato  delle  imperiali  prerogative 
che  si  fece  pei  vicarii  mandati  di  Germania;  pel  costituirsi, 
che  fecero  i  nominati  di  grandi  nostre  schiatte,  delle  partico- 
lari signorie;  per  T inframmettenza  od  abusivo  vicariato  che 
usurparono  d' accordo  la  Curia  e  la  casa  d'Angiò.  2.°  —  Che  in 
tutto  ciò  fu  violazione  di  quel  giure  divino,  che  la  Vittoria  di 
cui  parla  Giustiniano,  conquistò  nel  mondo  al  santo  nome  di 
Roma,  e  di  cui  è  custode  V  Imperatore.  —  Qual  rimedio  rimane 
al  politico  male?  Giustiniano  con  un  osanna  supplica  al  Dio 
d^Ii  eserciti,  al  Dio  della  vittoria,  onde  venne  il  diiitto  ai 
regni  della  terra.  » 

Della  storia  delle  due  Aquile  a  spiegare  alcune  al-* 


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220  ALTRI  SIMBOLI  DELLA   DIVINA  OOBfMEDIA. 

kgorie  della  Divina  Commedia,  Napoli,  Vico,  1874.  (Estratti 
dall'Aracne). 

Il  Bastiani  chiude  il  suo  discorso  con  queste  parole  :  e  L'A- 
lighieri a  fugare,  a  suoi  tempi,  il  sinistro  augello  dell' Aqnih 
rossa,  esalta  e  richiama  la  imperiale  dal  cielo,  a  cui  volò  in- 
trisa i  vanni  del  sangue  di  Corradino  innocente:  ritorni  i 
vendicare  l'adulterio  d*  ogni  santa  cosa  e  T oltraggio  inferito  a 
laicato  e  sopra  tutto  alla  nazione  italiana.  L'Aquila  della  vit- 
toria ritorni  a  vincere! 


ILLUSTRAZIONI  DI  CODICI 

(V.  Man.  Dam.  IV,  295J. 

Catania.  —  Ca/pci  Giovanni,  Cassinese,  Illustrazione  d 
un  Dante  del  secolo  XY.  Nel  giornale  Gioenio  di  Catania,  1852 
T.  VII,  bim.  II,  e  T.  viii,  bim.  l 

Firenze.  —  Palermo  Francesco,  Il  Codice  (Palatino)  clxxj 
(Paradiso),  riconfermato  autografo  del  Petrarca,  Appendice 
al  Voi.  u,  Firenze,  Cellini.  —  V.  Carducci,  Studi  Letterari,  p.  350. 

Monreale.  —  Salom^one-Marino  Salvatore,  Di  un  codia 
membraneceo  inedito  della  Divina  Commedia,  appartenente 
alla  Biblioteca  di  S.  Maria  Nuova  di  Monreale  (già  dei  P.  P. 
Benedettini),  Lettera  alT  illustre  prof.  G,  B.  Giuliani;  Con  fac 
simile,  e  riproduzione  di  alcuni  brani  del  Codice.  —  Nuove 
Effemeridi  Siciliane,  1876,  Serie  iii,  v.  vili. 

«  È  un  bel  codice  membranaceo,  ottimamente  conservato,  di 
n.  109  membrane  non  numerate:  l'altezza  delle  membrane  è 
di  cent.  27  1/2  e  in  ciascuna  colonna  si  contengono  33  versi. 
La  prima  lettera  del  primo  verso  di  ciascuna  delle  tre  canti- 
che è  ad  oro,  con  disegni  a  miniature,  semplici  ma  eleganti: 
la  prima  lettera  del  primo  verso  d'ogni  terzina  è  maiuscola, 
mentre  sono  minuscole  quelle  degli  altri  versi ,  e  de'  nomi 
propri  che  occorrono  per  entro  il  testo:  queste  lettere  maiu- 
scole Sino  costantemente  una  a  inchiostro  rosso  ed  una  in 
nero.  La  prima  lettera  del  primo  verso  d'ogni  canto  è  fatta 
ben  grande,  e  quasi  costantemente  s'alternano  una  lettera  rossa 


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ILLrSTRAZIONI  DI   CODICI.  221 

}olla  prima  membrana,  colonna  1.",  comincia: 
clarissitni  Comoedia  —  prima  inferni  incipit 
la  membrana  37,  col.  2.",  finisce  V  Inferno  con 
frsi,  e  dopo  altri  13  righi  vuoti,  al  14  si  legge: 
clarissitni  comoedia  secunda  purgatorii  tnci^ 
Col  principio  della  membrana  74  al  1 .®  rigo, 
eia  il  Paradiso  :  alla  fine  della  col.  2.*  della  mem- 
0  si  legge  al  solito:  Dantis  poetae  clarissitni 
ia  paradisi  incipit  fe^liciier.  Le  lettere  di  questi 
e  in  inchiostro  rosso.  Finisce  il  codice  alla  mem- 
o,  col.  1 .",  contenendosi  in  questa  gli  ultimi  sette 
idono  il  poema.  Leggesi  nel  Codice  qua  e  là 
a  marginale,  di  carattere  dell'  epoca  stessa,  ma 
*sa:  queste  postille  sono  in  parte  varianti  del 
te  correzioni  o  note  dilucidative.  11  Codice  è  di 
ito  corretta;  fu  trascritto  certamente  da  un  Si- 
chiaro  si  vede  da  molti  sicilianismi  introdottivi, 
dice  par  seguisse  il  trascrittore  ;  che  il  Salomone 
i  ci  trova  nò  uniformità  di  dettato  nò  di  grafia, 
;anto  e  canto,  ma  eziandio  tra  terzina  e  terzina, 
arso. 

—  Gallo  Agostino,  Sopra  un  codice  di  Dante 
*alenno,  Effemer.  scient.  e  letter.  per  la  Sicilia, 
W-99. 

0,  del  secolo  XV,  in  carattere  tondo  semi-gotico: 

o  in  Sicilia,  sostituendovisi  spesso  Tw  alPo.  — 
posseduto  da  un  catanese,  nel  1578  da  altro, 
della  stessa  città.  Nella  prima  pagina  ò  tutto  in 

i  arabeschi  ad  oro  e  vari  colori  ;  le  prime  lettere 

son  dorate  e  miniate  intorno. 

—  Cappi  Alessandro,  La  Biblioteca  Classense 
nini.  Orfanelli  e  Grandi,  1847.  —  Dante,  la  Di- 
fia.  Codice  membranaceo  del  secolo  XI  Vy  p.  35-39. 

Carducci  Giosuè,  Del  codice  Vaticano  3199.  — 
ri,  p.  324. 

—  Scarabelli  Luciano^  Codice  di  Treviso,  Esem- 
ivina  Commedia,  Lambertini,  in,  xxxv-xxxvii.  Co- 
so. —  Differenze  notevoli  del  codice  Trevigiano 
no,  671-691. 


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222  ILLUSTRAZIONI  DI  CODICL 

Udine.  —  Trivulzio  Giangiacomo ,  Lettera  in  cui  è  de- 
scritta la  storia  del  codice  Bartoliniano,  con  tMrie  notisie  sulla 
Divina  Commedia  e  sugli  ultimi  giorni  di  Dante,  Udine,  Mat- 
tiuzzi,  1823. 

ScARABELLi  LUCIANO,  Elenchi  di  Codici  inediti  trascritti 
o  per  trainanti,  degli  inediti  citati  e  degli  editori  a  sostegno 
o  a  correzione  de'  testi  portati  nel  Lambertino,  Esempi,  della 
Div.  Com.  Lambertini,  ii,  669-712. 

Ai  codici  inediti,  citati  a  pag.  ci  del  primo  voi.  s'aggiun- 
sero i  codici  della  Nazionale  di  Cagliari,  della  Gambalunga  di 
Rimini,  dnlla  Bertoliniana  di  Vicenza  e  di  un  altro  codice  ve- 
duto dal  prof.  Valsecchi  di  Padova,  e  spogliato  dal  doti.  Ago- 
stino Palesa. 

Del  codice  Landiano  e  del  Triulziano  della  Divina 

Commedia.  Il  Codice  Lambertino,  ni,  xxxvii  e  seg. 


STUDI    SUL   TESTO 

Cr,  Uan.  Dani.  IV.  SM;. 

Attavanti  P.  Paolo.  —  V.  più  sotto  Federici  e  RaztoHni. 

Baldacchini  Saverio,  Zani  de  Ferranti,  Postille  sulla  Di- 
vina Commedia,  Baldacchini,  Opere,  Napoli,  Tip.  del  Vaglio, 
II,  301-304. 

Il  Baldacchini  loda  il  molto  studio  e  il  diligente  zelo  che 
mostra  il  Zani,  navigando,  per  cosi  dire,  nel  pelago  delle  le- 
zioni dantesche.  Però  si  duole  che  la  sua  parola  suoni  troppo 
irriverente  verso  il  testo  datoci  dagli  Accademici  ddla  Crusca. 
Rispettiamo,  ei  dice,  la  ragione  de*  singoli  uomini  ;  ma  ancor 
più  volentieri  e*  inchiniamo  dove  la  ragione  de'  dotti  in  una 
opinione  medesima  consente  ;  cosa  tanto  rara  quaggiù.  Il  Zani 
vale  senz^alcun  dubbio  più  di  chi  ora  scrive  di  lui,  ed  è  inu- 
tile eh' e' si  dica;  ma,  non  avendo  noi  il  testo  genuino  deirAIi- 
ghieri,  può  imaginarsi  chetigli  ed  uomo  al  mondo  possa,  senza 
alti*ui  ioccorso,  cosi  di  leggieri  sollevarsi  all'altezza  del  poeta 
di  Beatrice?  Or  solo  avendo  la  mente  di  Dante,  e  giovandosi 
della  mente  dell'intera  nazione,   il  che  non  è  facile,  da  un 


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STUDI  SUL  TESTO.  223 

nomo  si  può  dire  altrui:  Quento  e  non  altro  è  il  concetto,  e 
la  parola  dì  Dante;  accoglietela  riverenti! 

Barlow  Enrico  C,  Sei  cento  lezioni  della  Divina  Com^ 
media  tratte  daW  edizione  di  Napoli  del  M.CCCCLXXVII 
confrontate  colle  corrispondenti  lezioni  delle  prime  qtiattro 
edizioni.  Londra,  Williams  e  Norgate,  1875.  Dai  torchi  di  E. 
J.  Francis  tipografo  dell'Ateneo,  (di  pag.  54).  —  Porta  in  fronte 
la  dedica:  —  Al  più,  dotto  —  E  il  piti  divoto  Dantofilo  italia» 
no  —  Il  comendatore  Luciano  Scarabelli  —  In  segno  di  prO" 
fondo  rispetto  e  di  somma  stima  —  Questa  opera  dedica  — 
L'Autore. 

Delle  prime  quattro  edizioni  della  Divina  Commedia,  cioè 
di  quelle  di  Foligno,  di  Jesi,  di  Mantova,  non  che  della  na- 
poUtana  di  Sesto  Rossinger,  divenute  estremamente  rare,  nel 
1858,  ne  diede  la  ristampa  il  benemerito  dantofilo  inglese 
G.  G.  Warren  lord  Vernon.  La  cura  intelligente  che  vi  pose 
intomo  il  peritissimo  bibliofilo  cav.  A.  Panizzi  fu  tale  che  riuscì 
di  un*accuratezza  sorprendente,  e,  come  dice,  il  Barlow,  un 
vero  miracolò  (Man.  Dant.  n,  756).  Ma  della  stampa  pur  rara 
e  ricercatissima  di  Matteo  Moravo  (Napoli,  1477),  si  lodata 
dal  dotto  bibliofilo  dott.  Dibdin  non  se  n'  è  fatta  riproduzione 
alcuna.  Di  essa  v'hanno  due  esemplari  a  Napoli,  uno  nella  Bi- 
blioteca Nazionale,  l'altro,  e  il  più  bello,  nella  Biblioteca  della 
Università.  Al  Barlow,  trovandosi  a  Napoli  nell'  inverno  1870-71 
venne  in  pensiero  di  dame  la  ristampa  ;  ma  un  attento  esame  ben 
presto  lo  fece  accorto  che  benché  per  la  bellezza  de'  tipi  questa 
edizione  meriti  gran  lode,  nondimeno  è  tanto  ripiena  d' errori, 
di  lettere  a  rovescio ,  di  versi  trasposti ,  e  d'  altri  sbagli  che 
l'impresa  sarebbe  multata  più  tosto  una  curiosità  bibliografica 
che  uo*  opera  utile  agli  studiosi  di  Dante.  Onde  gli  fu  forza 
cangiar  avviso,  e  si  limitò  a  darci  alcune  centinaia  di  lezioni, 
colle  comspondenti  delle  altre  quattro  ediziohi. 

Barlow  Bbs.  Glabe,  Criticai,  and  philosopkical  Contribu- 
tions.  Supplement.  London,  Williams  and  Norgate,  1865. 

Bkrnardi  Iacopo,  Varianti  della  Divina  Commedia  tolte 
da  un  Codice  da  lui  posseduto. 

Usciranno  entro  Tanno  a  Milano,  coi  tipi  dell'Agnelli. 
Intanto  mi  tengo  ad  onore  di  pubblicare  la  lettera  che  verrà 
prepoeta  dell'ottimo  amico  mio. 


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224  STUDI  SUL   TESTO. 

A  Jacopo  Ferrazzi 
Amatissimo  mio 

Sciolgo  di  lieto  animo  una  promessa.  Da  lunghi  anni  con 
pazientissima  cura,  mi  accinsi  a  collazionare  con  parecchie 
delle  moderne  piii  accreditate  edizioni  della  Dinna  Commedia 
una  mia  antichissima  che  possedo  (l).  Appartiene  sicuramente! 
al  secolo  XV,  ma  priva  delle  due  ultime  pagine  manca  dei  ri* 
scontri  necessari  ad  accertarne  V  epoca  e  il  luogo  di  sua  pub- 
blicazione. É  in  foglio,  ornata  di  tre  grandi  incisioni,  una  cioè 
al  principio  di  ciascuna  cantica,  e  qua  e  là  sparsamente  al 
cominciamento  di  questo  o  quel  canto,  a  foggia  di  miniature, 
assai  quadrettini  incisi  di  singolarissime  rappresentazioni  giusta 
gli  argomenti  dei  canti  stessi,  cui  sono  preposti.  Ha  il  cemento 
di  Cristoforo  Landino,  per  cui  dev'  essere  compresa  nel  novero 
di  quelle  che  si  fecero  della  Divina  Commedia  col  comento  di 
lui  nel  decimo  quinto  secolo.  Dieci  sono  ì  fogli  non  numerati 
che  precedono  la  cantica  deirinferno  pregni  di  schiarimenti 
sulla  vita  del  sommo  scrittore,  sull'epoca  sua,  sui  personaggi 
in  essa  ricordati,  su  contemporanei  più  illustri  per  dottrina, 
per  eloquenza,  nella  musica,  nella  pittura  e  scultura,  nel  diritto 
civile  e  nella  mercatura.  Poscia  nel  mezzo  del  bianco  foglio, 
nel  cui  rovescio  sta  V  incisione  che  rappresenta  il  poeta  nella 
selva  oscura  con  le  fiere  e  Virgilio  che  gli  appare,  leggesi 

Danthb  Aleghieri  Fiorentino. 

Qui  comincia  la  numerazione  dei  fogli  segnati  da  una  parte 
solamente,  che  sommano  a  ccxcix.  L'ortografia,  cosi  del  testo 
come  del  comento,  nei  nessi  e  nella  unione  delle  parole  ritiene 
delle  condizioni  del  tempo,  il  carattere  però  ò  romano,  e  si 
legge  con  facilità.  Spesso  ho  dovuto  accorgermi  che  il  Lan- 
dino, comentando,  ebbe  sottocchio  un  testo  diverso  da  quello 
eh'  è  dato  dalla  edizione ,  di  cui  discorro,  e  che  mi  valse  a 
quelle  varianti,  di  che  ora,  circa  la  cantica  delio  Inferno,  mi 

(1)  Ebbi  sott'occhio  massimamente  quella  fatU  dal  Pasnj^U  ia  Firens? 
noi  18^17,  col  comento  del  Lombardi,  e  tenni  conio  delle  varianti  frequen- 
tissime che  pougonsi  nelle  note. 


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STUDI  SyL  TESTO.  f26 

modo  intrattener  te,  o.carìssimo  amico  mio, 
del  divino  poeta,  pubblicasti  nella  tua  Enei- 
i  le  moderne  opere  più  classiche  ed  utili  che 
3,  anzi  oserei  dire  la  prima  per  chiunque  bra- 
i  bibliografia  e  critica  dantesca, 
i  questo  mio  lavoro  fa  dato  nel  1862  in  una 
ita  al  valentissimo  chimico  e  letterato  Fran- 
i ,  che  stampavaai  in  appendice  alla  Gazzetta 
ritalia,  numero  288,  e  porgeva  le  varianti  al 
e  il  pietosissimo  caso  di  Francesca  da  Rimini, 
nto  nostro  Filippo  Scolari  stampava  nuova- 
in  capo  ad  un  volume  erudito  e  prezioso  che 
Proposta  e  saggio  per  una  edizione  al  testo 
mmedia,  cui  dovremo  pur  giungere,  affinchè 
glio  che  non  valse  TAIdina,  raffiizzonata  come 
bo,  a  norma  più  o  meno  di  quasi  tutte  Tedi- 
3ro  sino  ai  di  nostri.  Nella  aspettazione  per- 
avvenimento  letterario,  che  non  sarà  poi  cosi 
rsi,  ommesso  il  Canto  accennato,  e  in  forma 
rendo  voluto  in  quello  mostrare  fin  nelle  cose 
lodo  che  mi  parrebbe  opportuno  da  tenersi  in 
i  esemplare  edizione,  verrò  esponendoti  ciò 
di  più  segnalato,  e  io  lascio  alle  tue  medita- 
de*  nostri  dotti  e  infaticabili  amici,  che  con- 
re  dello  svegliato  ingegno  e  degli  anni,  come 
ivia  le  veglie  e  ciò  che  rimane  della  loro  ono- 
rilo stttéio  ed  alla  interpretazione  degli  scritti 
IO  fra  gli  italiani,  di  questa  ragione  civilizza- 
erna  società.  E  senza  più,  procedendo  canto 
uell'ordine  maggiore  che  per  me  sarà  possibile, 
E  tu? 

Si  quid  novisti  rectius  istis 

idas  imperii:  si  non,  bis  utero  mecam. 

ONATO,  In  replica  ad  alcune  osservazioni  fatte 
orrezioni  proposte  al  Testo  della  Divina  Com- 
e.  Nelle  sue  Prose  edite  ed  inedite,  Firenze, 
5. 

NCENZO,  Varie  Lezioni  cavate  da  antichi  codici 

15 


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226  STUDI  SUL  TESTO. 

della  Divina  Commedia,  con  osserr>a9Ìoni  sulla  loro  bontà 
scelta.  Studi  sulla  Divina  Commedia.  Firenze,  Le  Moonier,  185 
p.  269-287. 

Riscontro  e  scelta  delle  Varianti  di  sette  mss.  del 

Divina  Commedia,  Id.  321-361. 

€  Il  dover  vuole  che  agli  scrittori  sia  mantenuta  la  lingi 
tale  e  quale  ella  ò.  »  Con  questo  principio  di  sana  crìtica, 
Borghini  pose  le  sue  cure  amorevoli  sul  testo  della  Divina  Coi 
media.  Il  Gigli  trovò  che  sopra  cinque  codici  avea  egli  notf 
vari  errori,  o  miglioramenti  di  lezione:  e,  per  lo  studio  ci 
ne  fece,  veduto  che  molte  cose  importanti  vi  si  contenevan 
stimò  degno  renderle  di   pubblica  ragione. 

Bozzo  Giuseppe,  Considerazioni  sopra  alcune  Varianti  del 
Divina  Commedia  nel  testo  pubblicato  dal  chiaris,  sig,  Car 
Witie.  Il  Propugnatore,  a.  v,DÌ8p.  3,  Maggio-Giugno,  1872,  p.  38 

Legge  con  la  Nidobeatina  :  Raphegi  mai  amech  isabi  alni 
al  V.  Ili  del  C.  xxxiu  deir  Inferno  :  Tanto  che  data  v'è  VulHn 
posta,  vuole,  coirOttimo ,  si  ponga  una  virgola  dopo  il  tank 
sostiene  la  lezione  ahi  quanto  a  dir  (Inf.  x,  3)  in  luogo  di  i 
quanto  a  dir ,  e  la  francheggia  coi  sette  seg.  versi  di  Dant< 
Ab  quanto  mi  parea  (Inf.  ix,  88):  —  Ahi  quanto  cauti  (Inf.  xvi 
116):  —  Ahi  Costantin  (Inf.  xix,  115):  —  Ahi  dura  terra  (h 
xxxiii,  66):  —  Ahi  Pisa  vitupero  delle  genti  (Inf.  xxxiu,  79):  - 
Ahi  Genovesi,  uomini  diversi  (Inf.  xxxiii,  151  ):  —  Ahi  ser 
Italia  (Purg.  vi,  76).  —  E  legge  cogli  Accademici  :  E  tre  di 
chiamai  (Inf.  xxxiii,  74). 

De  Puppì  Raimondo,  Varianti  sulla  Divina  Commedia  < 
Dante  Alighieri  del  codice  Clarecini  in  confronto  del  BarU 
liniano.  Padova,  Cartalier,  1839.  —  Per  Nozze  Cittadella-P 
pafava  dei  Carraresi. 

Fanpani  Pietro,  Studj  ed  osservazioni  sopra  il  Testo  dei 
opere  di  Dante.  Firenze,  Tipografia  cooperativa,  1874. 

Ecco  quanto  ne  scriveva  al  Fan&ni  il  valentissimo  prc 
Grosso  :  Ho  letto,  riletto,  studiato  il  libro  che  Ella  ha  composi 
di  Studj  ed  Osservazioni  sopra  il. testo  di  Dante,  e  se  fòsse  mi 
ufficio  d'insegnare  lettentura  italiana,  potrei  e  vorrei  ree 
tarlo  tutto  dalla  cattedra.  Perchè  tutto  mi  sembra  non  pui 
©legantemente  ed  efficacemente  scritto,  come  appena  saprei 
bero   fare  pochissimi    ma  dirittamente   ragionato.  —  Letier 


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STUDI  SUL  TESTO.  227 

filologica  alTJUuslris.  Sig,  Pietro  Fanfani,  Il  nuovo  Istitutore 
di  Salerno  18  Maggio  1874.  —  V.  Lettera  di  Gaetano  Zotese 
a  prof.  Grosso,  11  Baretti,  1874,  p.  ^0;  V.  Cesare  Val.  Ber- 
locchi, il  Propugnatore,  1874,  p.  279-85. 

Osservazioni  critiche  sopra  le  Varianti  proposte  dal 

Sig.-Zani,  Studi  ed  Osservazioni^  p.  141-162. 

Il  libro  del  sig.  Zani  ha  molte  buone  parti,  e  non  poche 
rli  quelle  Yarie  Lezioni  son  proprio  belle,  e  sono  ingegnosa- 
mente dichiarate  e  difese.  Assai  cose  per  altro  sembrano  al 
Fanfani  contrarie  alla  diritta  critica  ;  ed  alcune  di  queste  gli 
piace  di  notare,  acciocché  non  prenda  luogo  Terrore  appresso 
f^r  inesperti.  E  gli  è  avviso  che  per  queste  sue  note  nessuno 
possa  prendere  in  mal  concetto  il  libro,  sol  che  pensi  quanto 
è  sottile  e  lubrica  la  materia  che  vi  si  tratta,  e  quante  sono 
dair  altra  parte  le  cose  veramente  buone  eh*  esso  contiene. 

Come  si  potrebbe  fare  una  edizione  veramente  critica 

della  Divina  Commedia,  Dialogo.  Studj  ed  Osserva2doni,  3*18. 

Io  la  prego,  scriveva  il  valentissimo  prof.  Grosso  al  Fanfani, 
a  por  mano  bìH^  edizione  veramente  critica  del  poema  sacro, 
^be  Ella  ha  disegnato  maestrevolmente  nel  dialogo  con  cui  ha 
principio  il  preziosissimo  suo  volume.  Delle  rare  qualità  enu- 
merate da  Lei  come  necessarie  alla  grande  impresa,  io  non 
veggo  quale  a  lei  manchi.  Deponga  per  ora  il  pensiero  d*ogni 
altro  lavoro  ;  o  almeno  almeno,  senza  indugio  formi  il  giornale 
n  preparare  la  desideratissima  edizione. 

FeDBRia  Fortunato,  Intorno  ad  alcune  "Varianti  nel  Te- 
sto della  Divina  Commedia  di  Dante  di  confronto  alla  lezione 
di  Nidobeato.  Lettera  al  Sig.  Pietro  Steffli,  Milano,  Molina, 
1836. 

Son  tolte  dal  Quaresimale  del  P.  Paolo  Fiorentino  (Atta" 
vanti).  Servita.  —  Quadragesimale  de  reditu  peccatoris  ad 
Deum.  Milano,  U.  Scinzenceller  e  L.  Pachel,  1479.  —  I  versi 
rìportati,  su  cui  cadono  le  Varianti,  sono  in  numero  di  1254. 
V.  Bibl.  ItaL,  t.  Lxxxii,  1836,  p.  282. 

Landoni  Teodorico,  Sopra  alcuni  luoghi  deW  Inferno  e 
uno  del  Purgatorio  di  Dante,  Chiome,  con  un'Appendicetta^ 
Bologna,  Fava  e  Oaragnanì,  1872.  (Estratto  dal  Periodico,  il 
Propagnatcfre,  Voi.  v.  —  L'Appendicetta  non  è  parte  del  Pro- 
pugnatore). 


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228  STUDI  SUL  TESTO. 

La  più  onorata  fatica  che  oggimai  avanzi  nella  critica  del 
letteratura  dantesca,  scrive  il  Landoni,  quella  si  è  di  ricci 
durre  per  quanto  ne  sia  concesso,  Y  immortale  Poema  a*  su 
principii,  e  nettarlo  della  scoria,  onde,  col  pretesto  di  agev 
lame  la  lettura,  fu  bruttato  anche  da  uomini  forse  dotti 
coscienziosi,  ma  certo  non  abbastanza  sagaci  nella  pratii 
deir  antica  favella.  E  nessuno  meglio  del  Landoni,  che  si  ebl 
tante  e  ben  meritate  lodi  dal  Parenti  e  dal  Sorio,  ha  studi  < 
ingegno  a  ciò.  E  ce  n'  è  prova  il  saggio  che  ci  presenta.  • 
La  più  parte  dèlie  chiose  consiste  in  una  più  ragionata  inte 
punzione;  ve  n*ò  anche  qualcheduna  più  veramente  interpr 
tativa  per  parte  della  lingua  e  dello  stile.  E  tutte  ques 
elegantemente  pensate  e  scritte,  e  che  ricordano  un  pò*  la  vai 
erudizione,  e  sobriamente  spesa  di  L.  Blanc.  Il  Landoni  cho 
casa  Alighieri,  è  più  che  la  granata,  come  argutamente  se 
vevagli  P.  Viani,  rivela  squisito  sentimento  dello  stile  e  de 
poesia  di  Dante,  conoscenza  profonda  della  lingua  dei  classi 
e  facoltà  critica  sicura  ed  esercitata  alle  migliori  scuole, 
quanto  ci  vien  detto,  il  Landoni  attende  a  una  novella  edizio 
della  Divina  Commedia,  ed  io  fo  voti  perchè  il  creder  r$ 
venga  intero. 

Squarcù  della  Divina  Commedia  con  alquante  Varia, 
che  si  trovano  nel  Quaresimale  latino  del  P.  Paolo  Attava! 
di  confronto  colla  lesione  adottata  dagli  Accademici  de 
Crusca.,,  per  cura  diL.  Razzolinl  Bologna,  Romagnoli,  18 
(Estratto  dal  Periodico  il  Propugnatore). 

Il  Federici  ne  fece  il  confronto  con  la  Nidobeatina;  il  R, 
zolini  col  testo  degli  Accademici  della  Crusca.  Le  Varianti  se 
riportate  a  pie  di  pagina. 

Romani  Matteo,   Lettera  air  oculista  Floriano  Ponti 
Parma,  relativa  a  tre  correzioni  di  tre  passi  del  Poema  . 
ero.  Reggio,  Davolio,  1870. 

Sopra  runico  luogo  guasto  del  xxvm  del  Purgatòr 

Lettera  a  Yicenzo  Petrali.  Reggio,  Davolio,  1870. 

Il  passo  del  co.  Ugolino  emendato  dalT  Arciprete 

Campégine.  Reggio,  Davolio,  1872  (V.  Man.  Dani.  i\,  309). 

Sul  modo  tutto  suo,  di  emendar  Dante,  del  Romani , 
non  so  tenermi  dal  riprodurre  la  saporitissima  lettera  di  Pi 
spero  Viani  al  suo  Landoni. 


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8TLDI   SUL  TESTO.  229 

€  Io  mi  penso  che,  se  per  volere  divino  rivivesse  Dante,  ei 
rimorirebbe  issofatto  di  crepacuore,  vedendo  come  trattarono 
6  trattano  l'opera  sua  gl'interpreti  e  gli  affannoni.  Non  so  se 
tn  conosca  la  Divina  Commedia  (finora  la  prima  cantica),  ad 
uso  delTarciprete  di  Campégine,  stampata  (arrosso  dalla  ver- 
gogna) a  Reggio  nell'Emilia  Fa.  1864;  dove  sono  cambiati  ad 
arbitrio  infiniti  versi  e  voci  e  forme  di  poesia.  Quivi  Yemen" 
datorCy  cosi  egli  si  denomina,  dice  nella  sua  prefazione  :  Certo, 
anzi  certissimo,  che  il  sacro  poema  sia  stato  miseramente  mal- 
menato dai  copisti,  e  che  giaccia  in  tutti  i  testi  e  in  tutte  le 
edizioni  ai  testi  conformate  più  o  meno  guasto;  e  certissimo 
ancora  che  i  signori  Dantisti  non  ricevono  alcuna  correzione 
che  non  sia  da  qualche  testo  sostenuta;  mi  sono  appigliato 
air  unico  partito  che  mi  rimaneva,  cioè  di  farmi  parte  per  me 
stesso,  stampandone  una  edizioncina  a  modo  mio,  e  ad  uso 
mio,  per  poterla  leggere  senz'irà  alla  rea  fortuna  del  gran 
poeta,  e  senza  commiserazione  a  lui.  E  qui  spero  che  nessuno 
vorrà  colparmi  di  audacia  o  di  temerità fne giudicheranno i savi); 
imperocché  non  pretendo  imporre  altrui  le  mie  correzioni  (non 
ci  mancherebbe  altro!);  solamente  chieggo  la  licenza  di  leg- 
gere il  sacro  poema  come  io  lo  credo  caduto  daUa  penna  del 
suo  autore.  >  Ti  dia  la  pesta,  prete  sconsacrato  !  Vatti  a  ripor 
tu,  Landoni  mio,  co'  tuoi  studj  Danteschi  :  Dante,  buon  cristiano, 
si  con&ssò  dall'arciprete  di  Caopégine,  che  lo  spoetò.  Ma  qui 
non  è  tollerabile  lo  scherzo.  Oh,  nome  di  Dio,  chi  gli  vietava 
di  leggerlo  a  modo  suo  senza  stampare  e  di  volgare  le  sue 
sacril^he  emendazioni,  falsar  le  menti  degl'inesperti,  e  com- 
mettere un  delitto  di  lesa  nazione?  Io  non  sono  giureconsulto, 
e  non  so  se  le  nostre  leggi  contemplino  queste  sceleraggini  enormi  ; 
ma  se  condannano  nell'  avere  e  nella  persona  chi  deteriora,  im- 
brutta,  distrugge  le  proprietà  dei  viventi,  io  non  so  capacitannì 
come  non  applichino  almeno  la  galera  a  chi  viola,  danneggia, 
deturpa  le  più  nobili  proprietà  intellettuali  dei  morti,  patrimoni 
e  monumenti  sacrosanti  dei  popoli,  che  ne  sono  i  legittimi 
eredi  e  conservatori.  Noi  ci  lamentiamo  delle  troppe  e  troppo 
ardite  mutazioni  fatte  talvolta  ne'  classici  latini  dai  dotti  Te- 
deschi, ma  poi  n'abbiamo  in  casa  esempi  molti  peggiori  !  Sentine 
solo  un  saggio  che  piglio  dal  canto  v^  senti  Dante  e  V  oltramira- 
biie  emendatore: 


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230  STUDI  SOL  TESTO. 

Dante:    E  come  gli  stornei  ne  poftan  Tali 
Nel  freddo  tempo. 

Bmend,:  E  come  gli  stornei  ne  porta*  n  Tali 
Il  fero  tempo. 

Dante:    Poi  è  Cleopatras  lussuriosa. 

Ernend.  :  Poi  è  Cleopatra  lassù  'mperiosa. 

Dante:    Motti  la  voce:  O  anime  affannate, 

Emend.:  M'uscì  la  voce:  O  anime  a  fé* amate  (cane!) 

Dante  :    Quali  colombe  dal  disio  chiamate 

Emend.:  Quali  colombe  e'  al  desìo  chiamate 

Dante:    Si  forte  fu  Taffettuoso  grido. 

Emend.:  Risposto  fu  all'affettuoso  grido: 

O  animai  (Si,  fon'altri,  al  grido  dell' Arciprete  ^  ri- 
donderà: O  animalf  ma  non  grazioso  e  benigno!) 

Dante:    ....  e  ciò  sa '1  tuo  dottore. 

Emend.:  ....  (o  tu  '1  sa',  e  '1  tuo  dottore). 

Ab  ungue  ìeonem!  Cosi  egli  procede  per  tutta  la  cantica  con 
insopportabile  sdegno  dello  studioso  e  giudizioso  lettore.  Ma, 
poiché  i  vicini  son  lenti  a  punirlo,  noi  raccomandiamolo  all'av- 
verf»iera.  —  Viani,  Lettere  filologiche  e  critiche,  Bologna,  Zani- 
chelli, 1874,  p.  316. 

Al  Purg.  xxvin,  v,  6i  :  dove  l' erbe  sono  bagnate  già^  ei  corregge  : 
sono  bagnate  qiìl.  —  Al  v.  139  :  ed  avvegna  eh'  essa  possa  esser  sazia  ;  ed 
egli  :  ed  avce^viactié  a  ciò  possa  esser  sazia.  —  Al  e.  xxxi,  v.  7  :  Kra  la 
mia  virtiì  tanto  confusa  Che  la  voce  ai  mosse  e  pria  si  spense;  vuol  si 
legira  :  Che  la  mia  virtù  tanto  confusa,  Che  la  voce  si  mossa  pria  si 
spense.  —  E  al  e.  xix,  v.  85:  E  volsi  gli  occhi  allora  al  signor  mio;  e  il 
Romani  :  E  volsi  gli  occhi  ghiotti  al  Signor  mio.  —  Al  e.  ix,  v.  39,  emcn* 
da  :  Jn  su  mi  volsi  attento  a  pio  tuonoj  E,  Te  Deum  laudamas,  mi  parea 
Udir  in  voco  mista  a  dolce  suono.  Tale  immagino  appunto  mi  rendea  Ciò, 
eh*  io  udiva,  qual  prender  chi  vuole^  L'oda  cantar  con  organo,  ed  i  sten. 
Ch'or  sì,  or  no  intenda  le  parole.  —  E  al  e.  xvi  dcl'Par.  v.  13  corregge  : 
Onde  Beatrice  s'era  un  poco  scevra  Ridendo,  per  quello  che  si  tossio . . . 
E  al  e  XXXI,  V.  115  :  Ma  guarda  i  cerchi  Fino  al  più  remoto ,  Tanto  che 
veggi  scender  la  Regina . . .  Nel  Canto  di  Ugolino  quale  ce  lo  dà  il  testo 
comune,  ei  ci  trova  bestemmie  controsensi  1 1 

ToDBSCHiNi  Giuseppe,  Chiose  ed  illustrazioni  della  Divina 
Commedia.  Scritti  su  Dante,  n,  313-438. 

Il  Todeschini  si  occupò  del  testo  con  molto  amore  e  molto 
senno.  V.  la  nota  a  pag.  157. 

Zani  de'  Ferranti.  —  V,  più  sopra  Baldacchini  e  Fanfani. 
V.  Man.  Dani,  ii,  564. 

Sei  correzioni  portate  nel  Testo  della  Commedia  di  Danto 


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STUDI  SUL  TESTO.  231 

deW  edizione  Raoegnafia,  1848.  Rivista  Ginnasiale  di  Milano, 
1836. 

Il  prof.  Scarabelli  nel  ni  voi.  del  suo  Lambertino  promet- 
tevaci  formalmente  di  mandare  a  solatìo  un'  altra  opera,  in 
coi  imprenderebbe  di  raccoffUere  quel  quantunque  gli  fosse 
rimasto  per  via,  come  appendice  agii  importantissimi  xx  co- 
dici eh*  egli  egregiamente  ha  confrontati  ed  illustrati.  Opera, 
cammei  la  dice,  di  maggior  critica  e  d* altro  fine  e  diverso 
lavoro/  Sovrattutto  occuperebbesi  delle  Varianti,  corrispettivi 
riscontri,  e  per  queste  sue  nuove  elucubrazioni  gli  ha  sommi- 
nistrato ricca  suppellettile  di  materiali  il  dotto  mio  amico  dot- 
>,  tor  Salomone-Marino ,  e  sovra  tutti  il  p.  Gregorio  Palmieri, 
monaco  benedettino  di  S.  Paolo  a  Roma,  che  dimorato  a  Lon- 
dra per  i-agione  di  lingua,  con  cortesia  impareggiabile,  lo  forni 
di  tali  sussidi  da  irglielo  obblìgatissimo. 

OSSERVAZIOiNI 

su  ALCUNE  VARIANTI  CONTROVERSE 
CV.  Man.  Dant.  tV.  8a) 

Infbbno,  I.  3.  —  Che  la  diritta  via  era  smarrita,  —  Il 
Todescbini  francheggia  la  lezione  avea  smarrita,  notata,  per 
emenda  dalla  lezione  aldina  e  comune,  da  Benedetto  Varchi  e 
da  quattro  suoi  compagni,  che  collazionarono  alquanti  testi 
della  D.  C.  alla  Pieve  di  San  Gavino  in  Mugello  Tanno  1546. 

I.  4.  —  Ahi  quanto  a  dir,  —  Il  Fanfani  approva  la  lezione: 
E  quanto  a  dir  qual  era  è  cosa  dura  ;  e  la  spiega  cosi  :  «  e  circa 
al  dire  com'era  cosa  dura  e  paurosa  quella  selva  ti  basti  il  sapere 
che  essa  era  poco  meno  ammira  della  morte.  »  Ma  non  si  potrebbe 
opporre  che  altro  è  durezza  e  paurosità^  ed  altro  è  amarezza  ? 
E  che  perciò  il  dire  quanto  la  selva  è  amara  non  è  parlare 
a  tono  dove  altri  si  aspetta  dMntendere  quanto  sia  dura  e 
paurosa?  Non  pare  probabile  che  Dante,  il  quale  è  sempre 
esatto  e  preciso,  abbia  voluto  cambiare  cosi  i  termini  della 
sua  proposizione.  —  St.  Grosso,  il  Nuovo  Instit.  di  Salerno, 
1874,  p.  97.  —  I  dubbi  da  lei  affacciati,  scrive  il  prof.  Zolese 
al  prof.  Grosso,   sono  di  profondo  logico  e  di  perfetto  cono- 


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232  VARIANTI. 

scitore  dei  sommo  poeta...  I  cementatori  generalmente  si  at- 
tengono alla  lezione  Ahi!  quanto  a  cUrqtuilera  é  cosa  dura, 
e  la  sentenza  è  chiarissima,  ed  il  verso  è  più  bello  e  molto 
pili  degno  dell' Alighieri.  Dura  qui  significa  diffìcile,  mala- 
gevole  e  la  spiegazione  naturale  della  terzina  non  può  esser 
diversa  dalla  seguente  :  Ahi!  quanto  è  mai  arduo,  difficile  il 
descrivere  convenientemente  lo  stato  orribile  di  questa  seira 
incolta,  densa,  intricata,  che  tremar  fa  t animo  di  paura, 
ogni  qualvolta  a  lei  rivolgo  il  pensiero,  —  Animw*  nieminisse 
horret  luctuque  refugit.  Chi  cosi  spiega  non  trova  poi  assurdo 
il  dir  che  la  selva  è  amara,  cìoò  cagion  d'amarezza,  quasi 
come  la  morte.  Il  Baretti,  1874,  220.  —  V.  Pasquini,  La  prima 
Allegoria,  103. 

I.  9.  —  Dirò  deir  aftr^  cose.  —  Il  Fanfani  riprova  come 
falsa  la  lezione  delCalte  cose,  e  spiega  cosi:  «  dirò  dell'altre 
cose  che  vi  scorsi,  di  quelle  cose,  cioè,  che  non  sono  propria- 
mente la  selva,  ma  son  estrinseche  ad  essa  ;  »  e  aggiunge  ohe 
la  lezione  delle  alte  «  è  contraddetta  da  piti  codici.  »  Ma  non 
si  potrebbe  opporre  che  le  cose  che  sono  propriamente  la 
selva  non  sono  cose  scorte  nella  selva  ì  se  già  non  vogliam 
dire  che  il  contenente  sia  parte  del  contenuto.  Dante  sin  qui 
ha  descritto  il  contenente,  cioè  la  selva  oscura  selvaggia  aspra 
e  forte  :  ora  prende  a  descrivere  il  contenuto,  cioè  le  cose  che 
tn  ha  scorie^  che  ha  scorte  in  quel  luogo;  alte,  cioè  arcane 
e  misteriose.  Non  mi  par  naturale  ch'egli  dica  delle  altre, 
non  avendo  ancora  detto  di  alcuna.  Grosso.  —  V.  Zolesc^  Il 
Baretti,  1874,  .221  ;  Pasquini,  La  Princ.  Alleg.  75-85;  Man. 
Dant,  Voi.  iv,  312. 

l.  116.  —  Ove  udirai  le  disperate  strida.  Vedrai  gli  anti- 
chi spiriti  dolenti.  Che  la  seconda  morte  ciascun  grida.  — 
L'Apocalisse,  al  e.  xxi,  v.  8,  parlando  della  dannazione  dice: 
quod  est  mors  secunda.  Il  Todeschini  accetta  ben  volentieri 
la  lezione  proposta  dallo  Zani  de'  Ferranti  :  Ove  udirai  le  di- 
sperate strida  Di  quegli  antichi  spiriti  dolenti,  Che  la  seconda 
morte  ciascuna  grida  ;  e  spone  :  €  ove  udirai  le  strida  disperate! 
di  quegli  antichi  spiriti  dolenti ,  ciascun  de'  quali  grida  (cioèj 
attesta,  pubblica,  bandisce,  fa  conoscere  ad  idta  voce),  la  se-| 
conda  morte.  >  Cinque  codici  parigini ,  e  i  due  testi  Guini-' 
forte  e  Landino  giustificano  la  lezione  proposta  dallo  Zani. 


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VARIANTI.  233 

ome  l^areoa  quando  il  turbo  spira:  il  P.  Sorio 
itieri  col  Witte  quando  (il  vento)  a  turbo  spira, 
{uesta  lezione  aggiunge  la  circostanza,  che  il 
1  in  direzione  retta  orizzontale,  nò  verticale,  nò 

su  in  giii  direttamente,  ma  a  turbine,  a  ruota, 
itesto,  e  sei've  benissimo  a  quell'inciso  il  qucU 
re  in  queWaria  senza  tempo  tinta. 
Ed  io  che  avea  d'  error  la  testa  cinta.  —  Il 
in  questo  passo  la  lezione  orrore,  come  ognuno 
a  ragion  d'occhio;  e  la  voce  errore  non  ò  di- 
ntesto  da  veruna  circostanza,  e  non  si  saprebbe 
l  potesse  essere  questo  errore  che  Dante  aveva 
gilio,  che  volle  aver  bene  inteso  la  dimanda  di 
iposta  non  confuta  alcun  errore  che  Dante  avesse 

cosa  ragionata,  ma  gli  spiega  ciò  che  Dante 
:>,  non  ciò  che  avesse  male  pensato  o  franteso. 
nt20. 

Gtuirdai  e  vidi  Tombra.  —  L'autorità  dei  co- 
mbedue  le  lezioni  :  Guardai  e  vidi,  —  Vidi  e 
are  a  me,  dice  il  Sorio,  che  il  merito  della  ra- 
ia  più  per  la  variata  lezione,  che  per  la  volgata, 
are  Dant.  23-25.  —  Anche  il  Todeschini  ritiene 
snobbi  sia  da  preferirsi  alla  comune.  Scritti  su 

-  E  più  d' onore  ancora  assai  mi  fenno  Ch*  essi 
loro  schiera.  —  11  Landoni  non  solo  ributta  del 
ettura  eh'  esser  me  fecer,  la  quale  deforma  al- 
i,  ma  si  ritien  certo  di  restituire  al  poeta  un 
ttimo,  leggendo  co'  vecchi  Accademici  del  1595: 
otersi  in  egual  modo  scrivere:  Che  si,  o  CK'e* 
j  parve  al  Tommaseo  consigliata  da  un  senso 
delicato  e  sicuro.  E  il  Landoni  ne  francheggia 
appoggio  di*  molti  codici ,  i  più  antichi  e  repu- 
jmpi  autorevolissimi  del  secolo  XIII,  che  com- 
ìììo  colla  frase  dantesca  che  nulla  più.  L*  esser 
irto  intrusa  da  iilculti  e  goffi  emanuensi,  non 
iere  l'efficacia  del  vezzoso  riempitivo,  tutta  pro- 
uiza. 
La  bufera  infernale  che  mai  non  resta,  Mena 


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234  VABIANTT. 

gli  spirti  con  la  sua  rapina.  Voltando  e  percotendo,  li  mo^ 
Igsta,  —  Il  LaDdoni  propone,  senza  toccare  un  minimo  che 
del  testo,  di  leggere  come  appresso:  La  bufera  inumai  che 
mai  non  resta.  Menagli  spirti:  con  la  sua  rapina.  Voltando 
e  percotendo,  li  molesta.  Pare  evidente  la  maggiore  efficacia 
e  la  colleganza  del  concetto  ;  si  che  il  terzo  verso  non  resta  più 
quasi  staccato  dal  suo  tutto:  ed  infatti,  è  con  la  sua  rapina^ 
cioè,  forsa  rapitrice  che  la  bufera  molesta  gli  spiriti  voltando 
e  percotendogli. 

V.  107.  —  Chi  in  vita  ci  spense.  —  Il  Landoni  leggerebbe 
meglio:  chi  vita  ci  spense,  essendo  nettamente  sottinteso  su 
nel  mondo ,  senza  che  bisogni  leggere  in  vita  ;  e  cita  i  co- 
dici che  avvalorano  la  lezione  preferita.  Accetta  però  anche 
Taltra  come  probabile,  ma  meno  efficace  Variante  dellViutore. 

V.  139.  —  Mentre  che  Cuno  spirto  questo  disse,  L*  altro 
piangeva  sì,  che  di  pietade  Io  venni  men  cosi,  com>*  io  morisse  ; 
E  caddi,  come  corpo  morto  cade,  —  Il  Landoni  propone  nuova 
interpunzione  :  Mentre  che  V  uno  spirto  questo  disse,  V  altro 
piangeva  :  si  che  di  pietade  Io  venni  men  cosi  com*io  morisse, 
E  caddi  come  corpo  morto  cade.  —  Leggendosi  :  Piangeva  sì 
che  di  pietade,  ecc.,  non  potrebbe  d'altra  guisa  intendersi  che: 
piangeva  talmente,  cioè  cosi  dirotto,  che,  ecc.  Pare  che  meglio 
giovi  al  decoro  un  pianto  non  diffuso,  e  quindi  più  conve- 
niente alla  virile  dignità  di  Paolo.  Né  la  commozione  vi  perde  ; 
poiché  maggiore  pietà  suol  destare,  in  anima  che  sia  gentile, 
la  vista  d'un  pianto  a  &tica  represso,  che  altro. 

VI.  80.  —  Jacopo  Rusticucì ,  Arrigo  e  il  Mosca.  —  I  più 
de*  Comentatori  vogliono  Arrigo  della  nobile  fisimiglia  de'  Pi- 
fanti.  Il  Critico  Bolognese  sostituisce  ad  Arrigo  Odrigo,  pur 
de'  Fifanti ,  osservazione ,  dice  il  Veratti ,  che  più  si  distingue 
per  buono  accorgimento  insieme  e  per  novità.  E  lo  fa  sopra 
il  fondamento  delle  Croniche  del  Malaspini  e  del  Villani  che 
lo  pongono  come  finale  esecutore  de*  tristi  suggerimenti  del 
Mosca.  Il  Boccacci  vuole  invece  sia  Arrigo  Giandonati. 

VIIL  7.  —  Poi  si  rivolse  a  cfieW  enfiate  labbia.  —  Gli  Ac- 
cademici del  37  tolsero  via  l' ottima  lezione  enfiata  labbia, 
accolta  da  que'  valentuomini  del  05,  e,  quel  eh' ò  più  notevole, 
seguendo  tre  soli  testi  a  penna,  de'  molti  che  avevano  da  con- 
sultare. Nel  suo  Poema  e  nelle  Rime,  Dante  non  usò  mai   le 

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VARUNTI.  235 

bra;  ma  sempre  labbia^  singolare,  in  significato 

ietto,  Landoni. 

Ahi  giustizia  di  Dio  tante  che  stipa,  ecc.  —  11 

legga  senza  mutar  verbo:  Ahi  giustizia  di  Dio 

Mi   Nuove   travaglie   e  pene    quante   i*  viddi,  E 

colpa  si  ne  scipa!  —  Lez.  Accad.  sopra  3  luoghi 

I.  Nella  Rivista  Crinnasiale. 

Qui  vid  io  gente  più,  che  altrove  troppa,  E  d'una 

i,  con  grand* urli.   Voltando  pesi  per  forza  di 

evansi  incontro^  e  poscia  pur  li  Si  rivolgea  cia^ 

a  retro ...  —  Il  Landoni  vorrebbe  che  s' inter- 
?ui  vid*io  gente  più,  che  altrove  troppa  :  E  d'una 
a  con  grand' urli  (Voltando  pesi  per  forza  di 
evansi  incontro ,  ecc.  —  Pare ,  ei  dice ,  che  ne 
»  non  dubbia  bellezza.  Infatti,  veggìamo  coloro 
muovere  grandi  pesi,  aiutarsi  con  le  grida  nel- 
iggiore  sforzo.  Così  fanno  qui  i  dannati,  appunto 

gli  uni  contro  gli  altri  i  pesi  che  mandano  in- 
si  rivolgono  e  non  si  sa  che  urlino  più  sino  al 
».  Del  resto,  colla  vecchia  interpunzione  non  è 
ho  di  quegli  urli  ;  del  quale  però  il  Poeta  as- 
Altrove:  Urlar  gli  fa  ìa  pioggia  come  cani  (Inf.  vi, 
luova  maniera,  cotesto  perchè  risulta  assai  ma- 
K)ra. 

Alby  Ren^,  Extrait  des  notes  de  la  Traduction 
)ais  de  T  Enfer  de  Dante.  —  Proposition  d' une 
^2  vers  du  ix  Chant  de  C  Enfer  du  Dante.  Gir- 
1871. 

ysition  d'une  Variante  au  72  vers  du  ix  Chant 
Dante,  extraite  des  Notes  de  la  Traduction  en 
ie  ce  Poéme.  Deuxiéme  Edition  corrigée  et  aug- 

Impr.  du  Journal  l'Italie,  1873. 
i*/a  d' una  Variante  ali 2  verso  del ix  Canto  del- 
mte  estratta  dalle  note  della  Traduzione  in  versi 
stesso  Poema  di  Renato  Aby,  11*  ediz.  riveduta 
Roma,  Tipografia  del  Giornale  L' Italie,  1873. 
ìsition  d*  une  Variante Extraite  des  Notes  de 

en  vers  frangais  de  ce  Poéme.  Milan,  Guigoni, 


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236  VARIANTI. 

Esclude  che  Dante  intendesse  di  parlare  di  belve  o  selvag- 
giume,  ma  di  animali  domestici.  Ei  si  {&  pertanto  a  indagare 
se  in  alcuno  dei  dialetti  d' Italia  o  dei  provenzale  esista  una 
parola  che  presenti  in  una  volta  e  a  rassomiglianza  grafica 
con  quella  di  fiere,  e  qualche  analogia  di  senso  accennante  ad 
animali  domestici.  Nel  Piemonte,  e  segnatamente  nei  dintorni 
di  Chieri,  i  contadini  chiamano  feie  le  pecore,  e  tal  voce  era 
di  certo  conosciuta  da  Dante.  Il  sig.  Alby  vuole  che  v'  abbia 
introdotto  la  pien>onte8e  feie^  e  che  i  copisti  ignari  di  tal  voce. 
Tabbiano  mutata  in  quella  di  fiere.  I  provenzali,  secoli  fa, 
chiamavano  fedo  l'agnello  e  la  pecora  ;  al  sud-est  della  Pro- 
venza si  usa  comunemente  e  feia  e  feie  come  nel  Piemoute.  Ci 
pare  molto  difficile  conchiude  il  sig.  Alby,  il  decidere  quale  dei 
due  dialetti  abbia  dato  quella  parola  air  altro.  Ma  è  fuori  di 
dubbio  eh*  essa  appartiene  ad  amendue.  —  E  a  pi^oposito  di 
questa  Variante  scrivevami  il  prof.  Scartazzini  :  €  in  tutta  la 
Bregagha  si  usa  feda,  invece  di  pecora  ^  dicendosi  la  fèda  in- 
vece di  la  pecora,  dunque  non  fedo  al  sing.,  come  vuole  TAlby, 
ma  proprio  feda,  donde  il  plurale  fede.  Ciò  servirebbe  a  con- 
fermare Topinione  dell* Alby,  che  del  resto  io  non  so  risolvermi 
ad  accettare.  » 

IX.  118.  —  Che  tra  gli  avelli  fiamme  erano  sparte É 

certo ,  che  dee  leggersi  :  Ch*  entro  gli  avelli.  Questa  lezione 
combina  perfettamente  con  ciò  che  il  poeta  aveva  detto  nel 
canto  antecedente  ai  versi  73-74:  //  foco  eterno,  Ch*  entro  le 
affoca  le  dimostra  rosse.  Todeschini. 

X.  92.  —  Dove  sofferto  Fu  per  ciascuno  di  tor  via  Firenze. 
—  Ottimamente,  scrive  il  Betti,  e  secondo  il  codice  Antaldino. 
//  Propugnatore  di  Bologna,  1874. 

XI.  72.  —  E  che  s*  incontran  con  si  aspre  lingue.  —  fi 
Todeschini  legge  collo  Zani  :  E  che  si  scontran  con  diver.^ 
lingue  :  il  si  scontran  è  assai  piii  energico  del  s*  incontran, 
e  rìcorda  meglio  V  intopparsi  e  percuotersi  T  un  V  altro  degb 
avari  e  dei  prodighi  ;  e  il  diverse  nel  suo  doppio  significa'U) 
di  varie  e  di  strane  è  preferibile  all'  aspre.  Todeschini,  V.  i', 
p.  361. 

XI.  114.  —  E  7  Caribo  tutto  sovra  il  Coro  giace.  —  F. 
Lanci  vorrebbe  sull'autorità  dei  codici  Riccardiano  1028  e  1037 
si  leggesse  :  Il  Como  tutto  sopra  il  Carro  giace ,  intendead*'* 


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VARIANTI.  237 

qui  per  Como  V  Orsa  Mioore.  L*  Àntonelli  con  argomenti 
astronomici  prova  che  non  si  può  concedere  questa  sostitu- 
zione, e  che  sta  a  capello  la  comune  lettura.  Al  Poeta  era 
assonato  il  tempo  di  24  ore  soltanto,  per  visitare  il  regno 
della  gente  eternamente  dannata.  Sapeva  il  maestro  che  par- 
lava ad  alunno  astronomo,  il  quale  però  da  quel  profondo  e 
coperto  abisso  non  poteva  speculare  il  Cielo,  come  farà  poi  al 
Purgatorio,  tornato  a  rivedere  le  sielle:  quindi  supplisce  di  sua 
certa  scienza,  e  gli  annunzia  il  sorgere  della  costellazione  zo- 
diacale dei  Pesci;  il  che,  sotto  quello  Zenit  e  in  quella  sta- 
gione, dovea  farlo  accorto  del  prossimo  rinnovarsi  del  di,  o 
della  imminente  fine  della  notte  sul  soprastante  orizzonte.  Ma 
tanta  era  la  premura  di  Virgilio  e  T  impeto  della  intimazione, 
che  gli  porge  un  altro  argomento  per  indicai^e  la  stessa  con- 
dizione di  tempo,  quasiché,  non  avendo  subito  capito  il  primo, 
dovesse  ri&rsi  sul  secondo,  ed  apprezzare  la  ragione  che  co- 
stringeva a  fretta  straordinaria.  P.  Àntonelli^  p.  12-19. 

XV.  4.  —  SI  che  del  fuoco  salva  C  acqua  e  gli  argini.  — 
Il  Todeschinì  legge  con  lo  Zani  e  col  P.  Sorio  saha  V  acqua 
gU argini^  ed  espone:  il  fumo  del  ruscello  occupa,  ingombra  lo 
spazio  di  sopra  per  modo,  che  Tacqua  (cioè  il  vapore  di  esso 
fumo)  salva  gli  argini  dal  fuoco. 

XV.  115.  —  Lor  corso  in  questa  valle  si  diroccia,  Fanno 
Acheronte,  Stige  e  Flegetonta:  Poi  sen  va  giù  per  questa 
stretta  doccia  In  sin  là,  dove  più  non  si  dismonta.  Fanno  Oo- 
cito ...  —  A  questa  comune  interpunzione  F.  Lanci  vorrebbe 
sostituita  la  seguente:  —  Lor  corso  in  questa  valle  si  diroc- 
cia, Fanno  Acheronte,  Stige  e  Flegetonta  :  Poi  sen  van  giù  per 
questa  stretta  doccia;  Infin,  là  dove  più  non  si  disraonta, 
Fanno  Oocito . . . 

Perciocché  TAlighieri  volle  dire  che  la  pioggia  delle  lacri- 
me, emananti  dal  colosso  di  Creta,  forata  la  grotta  su  cui 
posa,  penetrando  nella  valle  infernale  ;  primamente  vi  fanno 
Acheronte  Stige  e  Flegetonte;  secondamente  vanno  per  la 
stretta  doccia,  che  attraveraa  la  selva  e  il  sabbione  ;  finalmente 
(in fin) y  cadono  là  dove  più  non  si  dismonta,  e  vi  fanno  Oo- 
cito. —  F.  Lancia  il  Bulicame  e  la  Chiarentana,  16-18. 

XVL  131.  — .  Venir  notando  una  figura'  in  suso.  —  Dee  leg- 
gerei:  venir  rotando.   Lo  stesso  dicasi   al  v.  115  del  canto 


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238  VARIANTI. 

seguente.  La  dimostrazione  è  nei  versi  98  e  11 6  del  Canto  xvn. 
Todeschini, 

XVII.  16.  ^  Con  più  color  sommesse  e  soprapposte  Non 
fer  mai  in  drappo,  —  [leggerei  più  volentieri  non  fer  mai 
drappi^  e  ne  dà  le  ragioni.  Parenti,  Eser.  Fil.  12,  p.  96. 

XVII.  63.  — -  Un'oca  bianca  piii  che  burro.  —  Il  Muzzi 
legge  piti  eh*  eburroy  ovvero  non  parendogli  quella  del  burro 
una  bianchezza  come  il  poeta  volevala  esprimere,  con  il  più 
che,  grandissima.  Tre  Epistole  latine,  Ql-IQ. 

XIX.  95.  —  Quando  fu  sortito  Nel  luogo,  —  Al  Todeschini 
piace  di  leggere:  Al  luogo,  —  E  Oiov.  Villani:  Quando  ^li 
Apostoli  V  assortirono  al  collegio,  invece  di  Giuda  Scariotto. 

XXI.  46.  —  Tornò  su  convolto,  —  Domanderemo  noi  la 
ragione,  onde  ci  si  regala  tuttora  il  tornò  su  convolto ,  anzi 
che  con  volto;  il  qual  modo  spianerà  la  strada  ai  commenta* 
tori,  che  mal  si  capacitano  quanto  viene  aggiunto  appresso.  — > 
Qui  non  à  luogo  il  santo  Volto,  —  Creecentino  Giannini. 

XXVI.  14.  —  Che  n'avean  fatte  i  borni  a  scender  pria,  — 
Il  Todeschini  col  Bargigi  e  col  Buti  :  Che  il  bujor  n'avea  £atto 
scender  pria.  L'istessa  lezione  tenne  T Arcangeli:  V.  Man, 
Dant,  u,  568.  —  In  sostanza  il  poeta  ci  vuol  dimostrare  co- 
mmesso e  Virgilio  riascesero  per  lo  stesso  mezzo  ch*eran  di- 
scesi. £i  torna  evidente  come  in  quella  discesa  ed  ascesa,  i 
borni,  che  tanto  è  a  dire  li  rocchi  e  ronchioni,  insomma  li 
pezzi  di  sasso  sporgenti  a  guisa  degli  addentellati  di  muro 
imperfetto,  loro  avean  servito  di  scale.  Il  riscontro  de'  luoghi 
simili  è  il  miglior  comento  delle  scritture.  —  Parenti,  Eser^ 
citazioni  Filol.  n.  12,  p.  23-27. 

XXVIII.  135.  —  Che  diedi  al  re  Giovanni  ì  ma*  conforti. 
—  n  Muzzi  respinge  le  lezioni  di  re  Giovanni  e  re  giovane 
e  legge  al  regio  Vanni  (regio,  de' reali;  Vanni,  Giovanni  (?). 
Cosi,  ei  dice,  il  Poeta  non  ha  seguito  Terror  del  Villani;  cosi 
non  ha  egli  commesso  un  gran  fallo  ;  cosi  V  importante  altera- 
zion  del  testo  (alterato  davvero)  sparisce;  così  non  ha  loco  la 
tisica  struttura  d' un  verso,  che  Dante  comodamente  potea  fare 
G  fece  sanissima.  —  Tre  Epistole  Latine,  71-75. 

XXIX.  73.  —  r  vidi,  sedere  a  sé  poggiati  duo  Come  a  scaldar 
s"  appoggia —  —  Ne'  peggior  testi,  scrive  il  Qorghini,  leggesi 
appoggia  in  luogo  di  poggia,  che  ha  per  sostegno  e  Tuso  di 


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VARUNTI.  239 

r{uell*età;  oltrecchè  Dante  al  C.  xv,  25  aveala  pur  usata:  Certo 
io  pìangea  poggiato  ad  un  de' rocchi;  e  nel  Purg,  xxvn,  81: 
Poggialo  s' è,  e  lor  poggiato  serve. 

XXX.  114.  —  Là 've  del  ver  fosti  a  Troja  richiesto.  — 
L'autorità  di  cinque  codici  paxigìni,  del  codice  Poggiali  e  di 
(juiniforte  Bargigi,  citati  dal  Zani,  è  più  che  sufficiente  a  fard 
porre  nel  testo  il  Quando  del  ver,  che  potrebbe  accettarsi  anche 
se  nessun  codice  lo  autorizzasse,  avendo  per  sé  la  ragione. 
Todeschini, 

XXXI.  132.  —  Ond^  Ercole  senti  già  grande  stretta.  — 
Questa  lezione  è  guasta  e  falsa.  Onde  non  solamente  migliore 
ma  vera  e  genuina  dobbiamo  ritenere  la  lezione  riscontrata 
dallo  Zani  neA.  codice  Bartolini  e  in  alcuni  codici  parigini: 
L"  d'Ercole  sentì  la  grande  stretta.  —  U*  è  posto  per  ove,  e 
significa  ne'  fianchi,  che  fu  appunto  il  sito  ove  Anteo  fu  stretto 
da  Ercole,  per  alzarlo  da  terra  ed  ucciderlo.   Todeschini. 

XXXII.  122.  —  Con  Gannellone  e  TribaldeUo.  —  Mazzoni 
Toselli,  |all*iq[)poggio  di  molti  documenti  prova  che  si  deve' 
leggere  Tebaldello  e  non  Tribaldello,  e  che  fu  de'  Zambrasi  e 
non  dei  Manfredi. 

XXXIII.  10.  —  E  cortesia  fu  /ut  esser  villano.  —  Il  Lan- 
doni  non  intende  difendere  unicamente  la  lettera:  e  cortesia 
iu  in  lui  esser  villano,  preferita  dal  Witte  e  tanto  acremente 
(-ombattuta  del  prof.  Scarabelli.  —  Fu  alto  cortese,  esser  villano 
contro  un  si  malvagio  traditore,  mentre  quel  che  sarebbe  stato 
d'uomo  villano  contro  altri,  fu  di  gentile  contro  colui,  perchè 
nessun  uomo  onesto  debV  essere  benigno  ai  più  esecrabili 
sceleratì.  Questo  intendimento,  alquanto  aspro  a' nostri  giorni, 
si  potrebbe  chiarire  pure  assai,  e  dimostrarlo  al  tutto  dantesco, 
da  chi  avesse  voglia  con  lungo  discorso  ricercare  qual  fosse 
il  concetto  che  moralmente  prevaleva-  ne' secoli  XIII  e  XIV, 
rirca  l'amore,  l'odio,  la  cortesia,  la  vendetta  ed  altre  cotali 
buone  o  ree  affezioni.  L'altra  lezione  fu  lui  pargli  buona  al- 
trettanto, se  non  più. 

XXXIII.  41.  —  Pensando  ciò,  eh* al  mio  cuor  s'annun- 
ziava. —  Benedetto  Varchi  e  compagni  nel  1546  in  luogo  dell'o/ 
mio  cuor  dell'Aldina  notarono  el  mio  cuor;  e  Bastiano  de'  Rossi 
trovò  quattordici  codici,  concordi  in  questa  variante.  E  per  ciò, 
e  per  le  buone  ragioni  eh'  egli  ne  dico,  e  per  la  testimonianza 


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240  VARIANTI. 

di  molti  altri  m&s.  e  stampe  da  lui  allegati,  vuol  darai  causa 
vinta  allo  Zani  che  legge,  cAe  tV  cuor,  —  Todeschini. 

Purgatorio  I.  23.  —  Io  posi  mente  ali*  o/ero  polo.  —  Io  non 
mi  posso  persuadere,  dice  lo  Scarabelli,  che  Dante  nominasse 
altro  il  polo  meridionale,  non  avendo  in  principiar  della  cantica 
fatto  motto  del  settentrionale  per  poi  nominar  cUiro  questo.  Ei 
legge  invece  alto,  e  ne  dà  le  ragioni.  Il  Lamberiino  u,  vm. 

II.  26.  —  Mentre  che  i  primi  bianchi  apparser  ali.  —  Fin 
dal  21  Settembre  1816  il  prof.  Renzi,  ali* Ateneo  Italiano  di 
Firenze,  propugnò  questa  lezione. 

II.  49-51.  —  Fra  Lerici  e  Turbia  la  più  diserta.  La  più 
romita  via  è  una  scala.  -»  Questa  lezione  non  può  reggei^, 

a  meno  che  non  si  voglia  dare  al  poeta  dell*  imbecille A  oni 

non  piace  apporre  a  Dante  questa  taccia,  tengasi  al  Codke 
Antaldino,  sia  pure  unico,  e  legga  :  La  più,  rotta  rutna  è  una 
scala.  Todeschini. 

V.  116.  118.  —  Indi  la  valle —  coperse  Di  nebbia,  e  il 
del  di  sopra  fece  intento  SI,  che'l  pregno  aere  innacqua  si 
converse....  I  comentatori  stiracchiano  il  testo  a  fargli  dire 
ciò  che  non  dice,  e  che  pur  doveva:  ma  senza  dubbio  avreb- 
bero mostrato  un  po'piii  d* acume,  se  avessero  avvertito,  che 
La  luogo  di  del  era  da  leggersi  giel.  La  quale  parola  sì  ha  in 
questo  luogo  nel  testo  del  Buti  :  e  se  anche  non  fosse  in  alcun 
testo,  sarebbe  patentemente  additata  dalla  ragione,  e  dal  luogo 
del  canto  xxvra,  v.  122:  Cìie  ristori  vapor  che  giel  converto, 
—  V.  Todeschini,  n,  387;  Pica,  p.  246. 

V.  136.  —  Disposato  wC  avea  con  la  stia  gemma. ...  ^  La 
guasta  lettera  disposando  confUse  in  un  solo  tempo  ed  in  um 
sola  azione  due  tempi  e  due  azioni,  distinti  nel  concetto  e  nelle 
parole  dell* Alighieri.  Egli  non  intese  far  dire  soltanto  alla  Pia, 
eh* ella  era  stata  moglie  di  Nello,  ma  si,  che  questi  sposolla, 
già  vedova  d*  altro  marito.  —  Lo  sa  colui  che  me  (la  quale 
portava  prima  Fanello  datomi  da  un  altro)  avea  coU* anello 
proprio  disposata.  È  da  oltre  mezzo  secolo  che  il  Dionisi  io- 
trodusse  il  disposata  nel  testo  ;  ma  era  di  moda  il  derìdere  e 
trascurare  le  sue  correzioni.  —  B.  Bianchi  nell*ediz.  fior,  del  1849, 
espunse  il  disposando,  e  sostituì  disposato.  Ma  il  Parenti  insiste 
propriamente  nel  disposata  come  più  rispondente  alla  finezza 
della  grammatica  naturale.  —  Per  me  ripudio  questo  gerundio 


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VABIANTI. 

(disposando)  ch^  forale  un  avanzo  dì 
prendo  il  disposata,  o  il  dispensata  che 
solo  del  racconto  del  chiosatore  del  C 
citato  :  che  la  Pia  fosse  stata  prima  \ 
tore,  poi  sposata  solennemente  colla  g 
Scarabelii. 

VII.  66.  —  A  guisa  che  i  valloni 
rabelli  legge  si  sceman.  Qui  vallon 
mento,  e  il  sceman  vale  si  profonda^ 

Mi,  73.  —  Oro  ed  argento  fino  e 
vuole  si  ponga  la  virgola  dopo  argei 
fine  al  cocco,  e  ne  dà  le  ragioni. 

XV.  61.  —  Un  ben  distributo  I 
ricchi.  —  Leggasi  in  piti  posseditor; 
rìssimi  e  la  terzina  e  i  versi  successi 

XXI.  117-119.  —  Ond'io  sospiro, 
Maestro,  e  non  aver  paura,  Mi  disse,  d 
Leggasi  francamente,  senza  timore  di  ( 
sospiro,  e  sono  inteso   Dal  mio  Maei 

Mi  dice,  di  parlar ,  ma  parla Ch 

.\ntaldino  e  Chigiano,  citati  dall*edi1 
sussìdio  dì  questa  lezione  i  compagn 
mas.  veduti  da  Bastiano  de'  Rossi  :  e 
taggio,  vada  a  leggere  i  Reali  di  Fr 

XXII.  120.  —  Drizzando  pur  in 
Con  argomenti  astronomici  il  P.  Ant< 
proposta  dal  sig.  Lanci  drizzando  pur 
intendendo  per  corno  TOrsa  Minore,  ( 
radiso  ;  quasi  che  il  Poeta  avesse  volu 
ciiretta  in  quel  momento  verso  rOrsj 
\ìoeìx  (Virgilio,  Stazio  e  Dante)  in  cin: 
alla  sesta  cornice,  il  nostro  ci  avvisa 
ch'erano  presso  le  undici  della  mat 
mezzogiorno.  Se  le  quattro  ancelle  ( 
indietro,  e  la  quinta  era  al  timone  ài 
zando  pure  in  su  T ardente  corno,  ci 
metà  del  suo  corso,  per  volgersi  indi 
termine,  come  i  passi  della  notte  nel 
eludere,  che  in  quel  momento  erano 


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242  VARI/INTI. 

ti**  ore  e  mezzo  di  Sole,  e  però  non  remota  T  undecim' ora  della 
mattina.  L' ora  quinta  è  poi  detta  ardente  per  la  sua  vicinanza 
al  meriggio. 

XXVII.  1 .  —  Il  Sono  legge  :  Si  come  quando  i  primi  raggi 
vibra,  Là  dove  il  suo  Fattor  lo  sangue  sparse,  Cadendo  Ibero 
sotto  Talta  Libra  En  Tonde  in  Gange  da  nona  riarse;  5i 
stava  il  Sole  onde  il  giorno  sen  giva,  Quando  TÀngel  di  Dio 
lieto  ci  apparse.  —  E  ne  dà  brevi  postille  illustrative  di  luogbi, 
o  mal  letti,  o  male  inte.si,  o  bisognosi  d' illustrazione.  Le  parole 
distinte  in  corsivo  sono  le  lezioni  variate  dalla  stampa  volgata. 
Rivista  Ginnasiale. 

XXX.  15.  —  La  rivestita  luce  allelujando,  —  Fu  ilcan.  Dio- 
nisi  il  primo  che  a  fronte  di  tutte  le  stampe  che  leggevano  ia 
rivestita  carne  alleviando  propugnò  la  lezione  succennata,  che 
poi  venne  concordemente  accolta. 

XXX.  77.  —  Ma  veggendomi  in  esso  io  trassi  all'  erba.  — 
Il  Sorio  legge  i  trassi,  e  vale  li  trassi.  Anche  il  Fanfani  è 
dell' istes.so  avviso. 

XXXIII.  48.  —  Perché  a  hr  modo  lo  intelletto  aXtuia. 
R.  Ca verni  legge  col  Foscolo  abbuia.  La  Scuola,  1873,  ii,  204. 

XXXIII.  49.  —  Ma  tosto  fien  li  fatti  le  Naiada.  —  Il 
Sicca  propone  la  lezione  lo  Laiade,  cioè  il  figlio  di  Laio,  Edipo, 
che  sciolse  il  famoso  enigma  deUa  Sfinge,  e  che  si  sostituisca 
solverane^  cioè  solverà,  a  solveranno.  V.  Comentari  deW Ateneo 
di  Brescia,  1847,  p.  131-36. 

XXXIII.  74.  —  Fatto  di  pietra  ed  in  pietraio  tinto.  —  U 
Grosso,  e  con  lui  il  Zolese,  ritiene  grossolano  errore  dagli  ama- 
nuensi la  lezione  fatto  di  pietra  et  impietrato  e  tinto,  non  meno 
la  variante  ed  in  pietraio  tinto.  Né  piii  garba  al  aig.  Zolese 
la  correzione  ed  in  peccalo  Unto  ;  ei  vorrebbe  piuttosto  si  leg- 
gesse: Fatto  di  pietra  ed  impietrato  tìnto,  e  spiega:  Ma,per^hf' 
io  veggio  il  tuo  intelletto  divenuto  pietra  (indurato)  e  dopo 
essersi  trasformato  in  pietra  (e  quindi)  annerito  (oscurato),- 
ovvero  Ma,  perch*  io  veggio  it  tuo  intelletto  non  pur  irasfor^ 
malo  in  pietra,  ma  in  pietra  bruna  ed  oscura.  Il  Baretti, 
1874,  221. 

XXXIII.  114.  —  E  quasi  amici  dipartirsi  pigri.  —  La 
dizione  dantesca  dipartirsi  dimostra  che  da  im  sol  corso  d'acqua 
escano  que'  fiumi  separandosi  ossi  in  due,  ma  dopo  aver  cain- 


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VARIANTI. 

minato  uniti  tratto  non  breve;  la  dipa 
lento  cammino  d*  amendue,  il  che  non  ver 
migliore  quell'altra.  Scarabelli. 

Paradiso.  I.  44.  —  Tal  foce,  e  quasi  t 
Più  Tera,  e  ultima  lezione  dev'essere  stai 
questa:  Tal  foce,  e  quasi  tutto  era  già  1 

II.  170.  —  Riraan  nudo  il  su^getto  (e 
lare  —  —  Credo  che  colore  primamente 
j>oi,  e  tardo,  conoscendo  che  colore  non 
li  là,  candore  scrivesse  ;  onde  io  V  acco 
ScaraheUi. 

IX.  1 16.  —  Or  sappi  che  là  entro  si 
a  nostr' ordine  congiunta  Di  lei  nel  somn 
prof.  Scarabelli  col  Lambertino,  legge  di  l 
giuntiva  e  imisce  il  secondo  verbo  al 
.soggetto  :  Baab  si  tranquilla  là  entro  e 
ordine  si  sigilla  nel  sommo  grado  di 
cioè  finisce  per  prendere  in  esso  il  posto 
meraviglia  il  tempo  di  presente  eh'  è  il 
eternità.  H  Codice  Lambertino^  Prefazio; 

XI.  19-21.  —  Cosi  com'io  del  suo  rj 
i-iguardando  nella  luce  etema,  Li  tuoi  \ 
apprendo.  —  Risplendo  in  luogo  di  m*  ac 

.simi  codici e  chi  non  istà  con  quest 

Ma  quello  che  più  mi  preme,  è  notare,  e 
liano  leggesi  in  luogo  di  onde  cagioni  del 
lezione  nuova,  e  secondo  me  assai  lumini 

XII.  10.  —  Come  si  volgon  per  tenen 
legge  tenua.  Il  Ronto  tradusse  :  Per  tenu 
discolor  arcua  Vertitur  in  circum  paralle 

X\l.  104.  —  Sacchetti,  Giuochi,  Sì  fa 
ancor  si  stampi  Sifanti.  I  Tifanti  furo 
schiatto  ghibelline,  ed  Odorigo  Fifanti  fu 
fìuondelmonte,  secondo  il  Malespina  ed 
B.  Bianchi  cangiò  il  Sifanti  in  Fifanti  ne 
del  1868;  Fifanti  ha  puro  il  Camerini. 

X\T1.  80.  —  Che  pur  not?'  anni  Son 
<li  lui  torte.  —  Cangrande  nacque  a'  9  i 
f'ielo  di  Marte  girò  sino  al  30  Marzo  130 


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244  VARIANTI. 

parla  a  Dante,  non  nove,  ma  dieci  buone  volte,  se  le  rotazioni 
si  prendon  all' indigrosso  di  due  anni;  e  se  si  prendono  col 
dato  presunto  dal  Latini  (di  2  anni,  l  mese,  2  giorni)  altresì 
dieci  volte  intere  che  si  compiono  il  29  Marzo  1301.  Onde  il 
passo  dantesco  :  che  pur  not?'annt,  vuoisi  correggere  che  pvtr 
dieci  anni,  imaginando  che  il  primo  copista,  Jacopo  di  Dante, 
abbia  preso  per  T  unità  T  iniziale  filetto  della  x  corsiva  del 
padre.  G.  Grion. 

XIX.  57.  —  Molto  di  là,  da  quel  eh*  egli  é,  parvente.  —  Senza 
alcun  dubbio,  contro  tutte  le  stampe  e  tutti  gl'interpreti  di 
questo  mondo,  si  vuole  accettare  la  varia  lezione  de'  codici 
Vaticano  e  Chigìano,  citati  dall'editore  romano:  Molto  di  là, 
da  quel  che  V  è  parvente,  ossia  che  le  è  partente.  Indi  vuoisi 
sporre  tutto  il  passo  (v.  52,  57)  nel  seguente  modo  :  Nostra 
veduta,  cioè  il  nostro  intelletto,  ch'ò  un  tenue  raggio  della 
mente  divina,  non  può  essere  tanto  potente,  che  il  suo  prin- 
cipio (la  mente  divina)  non  discema  assai  più  in  là  di  quello, 
che  ad  essa  (nostra  veduta)  apparisce.  E  perciò  (dicesi  nei 
versi  appresso)  la  vita  degli  uomini  non  sempre  giugno  a  ri- 
conoscere ne'  decreti  divini  quella  giustizia,  che  in  essi  ravvisa 
la  mente  infinita . . .  Chi  non  s' acqueta  a  questa  lezione  e  spo- 
sizione, vada  a  studiare,  non  Dante,  ma  il  tagliere  de'  gnocchi. 
Todcschini. 

XX.  76-78.  —  Tal  mi  sembrò  C  imago  della  itnpì*enia . . .  — 
II  Fanfani  fu  il  primo,  che  vide  la  vera  lezione,  e  chiosò  il 
terzetto  a  meraviglia.  Lesse:  Tal  mi  sembrò  V imago  bella, 
imprenta  Dell'  eterao  piacere,  al  cui  disio  Ciascima  cosa,  quale 
EU'  è ,  diventa.  —  L' emenda  è  ingegnosissima  ed  inevitabile. 
Or  odasi  la  spiegazione  :  Quale  l' allodola,  ecc.,  tale  si  mostrò 
a  Dante  la  bella  imagine  (l' Aquila)  improntata  dall'  etemo 
piacere,  cioè  spirante  al  di  fuori  quel  disino  piacere,  che  la 
faceva  gioire  internamente;  secondo  il  cui  desiderio  ciascuna 
cosa  diventa  quale  essa  (Aquila)  è,  tripudiante  di  gioja  divina. 
Todeschiniy  Scritti  su  Dante,  ii,  430. 


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246  RIPRODUZIONE  DI  CODICI. 

di  studii  d'un  italiano  (per  disventura  defunto)^  che,  pubbli- 
catOf  accrescerà  decoro  alla  Patria  letteratura.  Certo  delia 
sollecitudine  accurata,  ond'ei  compiva  lo  studio  delle  Lezioni 
della  Divina  Commedia,  adunando  tanta  parte  di  riscontri  di 
codici  danteschi,  noi  non  possiamo  non  essergliene  grande- 
mente obbligati. 

Ljubic'  prof.  ab.  Simone,  Brani  inediti  della. Divina  Coìyi- 
media  tratti  da  un  Codice  deW  Archivio  Veneto.  Padova,  Pro- 
sperini,  1866. 

n  prof.  Ljubic*  ce  li  offre  nella  lor  forma  originale  con 
tutte  le  mende  e  mancanze:  di  fronte  v'ha  il  testo,  secondo 
l'edizione  padovana  del  1822,  per  i  rispettivi  raffronti.  Vennero 
essi  tolti  da  un  codice  del  veneto  Archivio  che  ha  per  titolo: 
Liber  Comunis  /,  detto  altrimenti  Soccius,  composizione  di 
leggi,  raccolte  tra  il  1283*1335.  «  Quello  che  potrà  forse  a 
taluno  sembrar  strano,  e  che  per  me  è  ora  di  massima  im- 
portanza, dice  l'Editore,  si  è  che  in  questo  codice  veneziano 
si  trovano  qua  e  là  frapposti  nel  testo,  o  aggiunti  in  fine 
delle  materie  ne'  spazi  vuoti . . .  alcuni  brani  di  poesia*  e  tra 
questi  primaggiano  per  importanza  alcune  terzine  della  Divina 
Commedia  alla  pag.  93  e  103.  Se  con  attenta  disamina  si  con- 
frontano le  varie  maniere  di  scritture  adoperate  nelle  aggiunte 
del,  nostro  codice  con  "quella  usata  nello  stendere  esse  terzine, 
di  leggieri  si  potrà  rilevare,  che  queste  furono  notate  dalla 
mano  che  scriveva  in  esso  codice  dall'anno  1299  all'anno  1319 
le  decisioni  del  Maggior  Consiglio.  Il  notaio,  presente  a'  di- 
battimenti per  l'uffizio  che  fungeva,  stanco,  forse  delle  Inng-lie 
discussioni,  avrà  cercato  di  farsi  men  grave  il  tedio  collo  scri- 
tere  sul  libro,  in  cui  doveva  recare  il  conchiuso,  i  versi  che  e 
come  la  memoria  gli  suggeriva,  tirandoli  però  a  quel  volgare, 
che  allora  ei*a  in  uso  a  Venezia;  ond'ò  che  anco  quelle  ter- 
2ine  ci  si  presentano  quasi  direi  in  sopravveste  veneziana.  >  I 
brani  riportati  sono  le  prime  sette  terzine  del  C.  in  dell'  Inferno, 
e  le  prime  otto  del  C.  xi  del  Purgatorio. 


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248  LETTOin  DELLA  DIVINA  OOBIBIEDIA. 

fortunosi  di  estrema  abbiezione  e  servitù,  si  voleva  che  questa 
povera  Italia  sminuzzata,  e  beffardamente  schernita,  non  che 
sentisse  suoi  guai,  non  alzasse  la  testa  dal  letargo  in  che  da 
secoli  era  caduta,  e,  ad  assodarle  meglio  il  letifero  sonno,  la 
si  ricingea  di  fiori,  di  canti,  di  armonie  eviratrìci.  Si  temeva;  e 
ben  a  diritto,  che  la  brusca  parola  del  sovrano  bardo  della 
nazione,  delle  cime  più  alte  percuotitrice,  trovasse  un  eco  fecondo 
rigeneratore  nei  giovani  nostri.  Né  senza  un  fremito  di  sdegno 
ricordo,  e  mi  par  già  di  vederlo,  T insolente  frego  dato  dal 
Ministero  aulico  di  Vienna,  alle  Canzoni  del  Petrarca  ItaHa  mia^ 
e  Spirto  gentil,,  che  Y  egregio  mio  amico  prof.  Carrara,  avea 
inserito  nell'Antologia  pei  Ginnasi  austro-italiani,  che  per  morte 
lasciò  incompiuta,  e  che  io  condussi  a  termine.  Tanto  era  lo 
sgomento  che  imprimevano  nello  straniero  i  patriottici  canti 
dei  nostri  Poeti! 

Non  si  tennero,  egli  è  ben  vero,  il  Monti,  il  Perticari,  il 
Giordani  e  V  Emiliani  Giudici  dal  propugnare,  e  calorosamente, 
r  instituzione  di  una  cattedra  dantesca;  ed  il  Giuliani  (1)  volle 
ed  ottenne  che  al  suo  maestro  al  suo  autore  fosse  dato  diritto 
di  cittadinanza  ne*  Congressi  scientifici  italiani.  Oltrecchè  non 
ci  mancarono  de'  magnanimi  pochi  che ,  in  pubbliche  confe- 
renze, ne  invogliassero  a  quello  studio  di  sapienza;  ma  la  spiata 
parola  doveva  essere  misurata,  e  guai  ove  si  fossero  attentati 
di  alzare  il  velo  agli  alti  invidiosi  veri.  Se  non  altro,  i  loro  ge- 
nerosi intendimenti  valsero  a  tener  ritto,  nel  suo  piedestallo  di 
granito,  il  grande  colosso,  in  che  si  appuntavano  le  speranze 
del  nostro  avvenire.  Ma  dacché  il  bel  paese,  rinnovellato  di 
novella  vita,  risurse  a  potenza  di  nazione;  dacché  Roma,  non 


(1)  Nel  resoconto  delle  Adunante  preparatorie  (1850)  deirAccadomia  di 
filosofìa  italica  io  leggo  :  <  Il  primo  tema  di  quelle  scientifiche  disputaxioni 
veniva  proposto  dal  P.  (Giuliani ,  il  quale  dicmarava  di  voler  parlare  dedU 
filosofia  di  Dante ,  soggetto  che  credeva  conforme  a  una  delle  intenzioni 
dell'Accademia,  di  ravvivare,  cioè^  e  di  illuminare  le  tradizioni  ed  i  pen- 
samenti dell'antica  scienza  italiana.  >  E  come  in  un'Accademia  italiana  Ai 
primo  il  Giuliani  a  promuovere  la  discussione  sopra  il  divino  poeta ,  cosi 
egli  era  stato  il  primo  nel  Settembre  del  1846  a  dare  diritto  di  cittadinanza 
in  un  congresso  di  scienziati  a  Dante,  ingoiandosi  originalmente  a  dimo- 
strare come  la  Divina  Commedia  fosse  il  più  antico  e  sicuro  monumento 
della  stona  d'Italia,  e  arrivando  fino  ad  osservare,  entrato  animosamente 
nell'arringo  politico,  che  i  tempi  erano  mutati,  e  che  nessun  italiano  avrebbe 
oramai  più  chiamato  Alberto  tedesco  ad  inforcare  gli  arcioni  d'Italia^ 
quando  ai  aveva  un  Alberto  italiano.  Il  discorso  fu  interrotto  da  vivi  ap- 
plausi. 


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LBTTORI  DELLA  DIVINA    OOmSBDlK.  249 

più  vedova  e  sola,  possedè  T  invocato  suo  Cesare,  che  non  si 
scompagnerà  più  da  lei,  potevamo,  e  debitamente,  sperare  che 
ci  fosse  consentita  la  desiderata  imbandigione.  Non  e'  è  verso  : 
con  le  tante  svariate  cognizioni  che  ci  proponiam  di  ammanire 
a  spUuzzico,  non  feuremo  che  uomini  di  spolvero,  e  degli  arro- 
gantellì;  che  non  fa  scienza^  sen^a  lo  ritenere  avere  inteso. 
Noi  abbiamo  più  che  mai  bisogno  di  studi  vùili,  che  a  forti 
Sentimenti  educhino  la  gioventù  nostra,  a  più  e  meglio  pensare 
ed  a  meno  parlare.  Ciò  nondimeno  ima  cattedra  della  Divina 
Commedia  è  tuttavia  un  desiderio.  Né  si  volle  che  quella,  so- 
litaria, tenuta  dal  Giuliani,  serbasse  la  primitiva  denominazione, 
quasiché  il  nome  di  Dante  fosse  pauroso.  Eppure  fin  dal  1865, 
debbo  confessarlo  non  senza  rossore,  a  Erlangen  (Baviera)  il 
Winterling;  a  Vurburgo  (Baviera)  il  prof.  Wegele;  a  Tubinga 
(Wurtamberg)  il  Pièvre;  a  Idelberga  (Baden)  il  Ruth;  a  Got- 
tinga (Annover)  il  Fittman  ;  a  Bonn  (Prussia)  i  professori  De- 
lius  e  Ruth;  a  Gratz  il  Lubin;  a  Vienna  il  Mussafìa  teneano 
rorsi  frequentatissimi  sulla  Divina  Commedia;  e  nel  1874-75 
teneaoli  parimenti  a  Idelberga  il  Bartsch,  a  Strasburgo  il  Berg- 
mann ,  e  a  Berlino ,  nell'  Accademia  per  la  Filologia  moderna, 
il  dott.  Schnàkenburg,  e  il  Buchholtz. 

Certo  non  è  da  tutti  gli  omeri  l'incarico  ponderoso  di  spo- 
sitore  della  Divina  Commedia.  Senza  un  vasto  corredo  di  varia 
•lottrina,  sarebbe  presunzione,  se  non  peggio,  accostarsi  a  quel 
Savio  gentil  che  tutto  seppe,  al  mare  di  tutto  il  senno,  —  A 
costoro  ben  si  potrebbe  dire  con  Dante  :  Com*  occhio  per  lo 
mare  entro  s' intema  :  Che,  benché  dalla  proda  veggia  il  fondo, 
In  pelago  noi  vede;  e  nondimeno  Egli  è;  ma  cela  lui  V esser 
profondo.  Io  mi  sono  travagliato,  potea  francamente  dire  il 
Giuliani  deUa  sua  cattedra,  di  attingere  gli  opportuni  aiuti  non 
meno  dai  Trovatori  provenzali,  che  dai  primitivi  Autori  della 
uostra  lingua  e  dal  popolo  toscano,  che  di  questa  lingua  ò  il 
più  sincero  custode  e  il  costante  maestro.  Le  scienze  che  il 
sovrano  Poeta  s'  acquistò  con  grande  studio  e  lungo  amore, 
la  storia,  quale  ei  conobbe  e  volle  a  noi  tramandata,  gU  scritti 
diversi  in  che  la  sua  mente  si  diffuse  e  risplende,  le  tradizioni 
del  Paganesimo,  gY  insigni  lavori  dell'  arte,  ogni  cosa  procurai 
di  mettere  in  opera  afi&ne  che  ne  prendessero  sicuro  valore  le 
'  interpretazioni,   e  la  maggiore  utilità   e  chiarezza   ne  venisse 


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250  LETTORI  DELLA  DIVINA  OOXBIBDU. 

all'esposizione  del  mistico  Poema. . .  Scienza,  arte,  stile,  favella. 
non  meno  che  religione,  storia  e  politica,  quali  Dante  acquistò 
con  assidue  fatiche  e  mise  in  opera  conforme  al  suo  oltrepo- 
tente ingegno,  troveranno  nelle  mie  lezioni  un  espositore  fedel'» 
e  impavido  amico  della  verità,  riverente  a  tutto  e  &  tutti*  o 
intento  colle  possibili  forze  a  promuovere  la  civile  sapienza  e 
la  dignità  delle  lettere,  T unità,  la  libertà  e  ogni  desiderabile 
onore  d' Italia.  —  Ecco  quanto  io  .vorrei  in  un  interprete  della 
Divina  Commedia. 

Se  non  altro  io  mi  confido  che  V  eminente  letterato,  V  inte- 
gerrimo uomo  che  siede  ora  a  capo  della  pubblica  istruzione. 
Ton.  Coppi  no,  vorrà  più  efficacemente  provedervi,  almeno  nelle 
più  cospicue  università  del  Ilegno. 

AccADEMia  Fiorentini  (1). 

Lenzoni  Carlo,  In  difesa  delia  Ungua  fiorentina  e  di  Dante. . . 
Firenze,  Toirentino,  1556. 

«  In  qupst*opora,  dice  il  Salvini,  il  Lensoni  tanto  si  esercito,  che  non  >>^ 
ne  saziando  mai  ne  mai  perciò  levandone  la  roano,  la  laacio  alla  sua  mort*' 
imperfetta,  >  (m.  nel  1551)  e  ne  diente  il  carico  al  GiambuUari,  come  a  carts- 
HÌmo  amico,  di  condurla  a  termine.  Ed  egli  con  tali  parole  no  facea  la  dedi^^j 
a  Michelangelo  Buonarroti.  Tanto  volt»*  mi  sono  conosciuto  debitore  al^j 
dolce  memoria  del  nostro  Carlo  Lenzoni,  primieramente»  dal  ridurre  in  «u 
corpo  solo  e  appresso  mandare  in  luce  queste  onorate  fatiche,  tanto  ani- 
mosamente prese  da  lui  per  la  giusta  e  vera  difesa  del  nostro  di\inissiino 
Dante  e  della  lingua  che  noi  parliamo;  e  secondariamente  dello  indirizzari- 
o  sacrarlo  a  voi,  come  aveva  deliberato  eiyli  stesso,  per  quanto  insieme  n^' 
ragionammo  infinita  volte.  Ma  neppure  il  GiambuUari  ne  venne  a  capo, 
ma  compi  la  pubblicazione  Cosimo  Bartoli. 

RoFPiA  Donato,  Discorso  in  difesa  della  Commedia  di  Dant^. 
Bologna,  Renaci,  1572. 

Mazzoni  Jacopo,  In  difesa  della  Commedia  di  Dante.  Cesena, 
Raverj,  1573.  —  Della  difesa  della  Comedia  di  Dante,  distinta 
in  sette  libn.  Cesena,  Raverj,  1587;  Cesena,  Verdoni,  1687; 

(1)  Nel  Novembre  1510  si  è  fondata  in  Firenze  un'Accademia  detta  deffli 
Umidi,  con  lo  scopo  di  far  tornare  in  onore  la  linj^a  toscana,  ed  il  Giam- 
buUari, il  Norchiati,  e  Cosimo  Bartoli  furono  de'  primi  Arroti  de'  Fondat^n'i. 
Quest'Accademia  fu  poi  detta  Fiorentina,  quando  il  Duca  Cosimo  la  volle 
onorare  quanto  potè,  o  per  astuzia  di  tirannide  o  per  animo  volto  a  fav<v 
rire  gli  studi.  Come  nell'Accademia  Platonica  si  dissertava  intorno  a  Platone 
ed  Aristotile,  cosi  in  ffuella  degli  Umidi,  e  nella  Firentina,  Dante  e  Petrarca 
furono  oggetto  di  studi.  Nel  1553,  per  deliberazione  del  supremo  magistrato, 
e  per  espresso  volere  del  Duca,  fu  scelto  il  Gelli  a  spiegare  la  Diviìia  Com- 
media. 


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LETTORI  DELLA  DIVINA  COMilEDIA.  251 

Parte  seconda  posthuma  che  contiene  gli  ultimi  quattro  libri 
non  piii  stampati.  Cesena,  Verdoni,  1688. 

Facilmente  da  questi  altri  amici,  scriveva,  alli  20  di  Giugno  1573,  Fi- 
lippo Sasaetti  a  Lorenzo  Giacomini  in  A.ncona,  avete  auto  novelle  del  flagello 
ir'l  povero  Dante  stato  censurato  sul  detto  del  Varchi  (Ercolano,  Ques.  ix) 
rìì'-  lo  prepone  ad  Omero.  —  Ecco  le  parole  del  Varchi  che  stuzzicarono  tanto 
r»  siaio.  «  E  neir eroico  avete  voi  nessuno^  non  dico  che  vinca,  ma  che 
p-! T'ergi  Omero  f  Uno,  il  quale  non  dico  il  pareggia,  ma  lo  vince.  —  E 
«-Ai  \ —  Dante.  —  Similemente  se  Omero  è  o  superiore  almeno  pari  a  Ver- 
'j'i'o.  e  Dante  è  pari  o  superiore  a  Omero,  vedete  quello  che  ne  viene. 
—  Voi  dite  pur  da  dovero  che  Dante  vantaggi  e  soverchi  Omero  f  —  D(t 
djrerissinw.  » 

E  fu  r ipercritico  Ridolfo  Gastravilla  ,  o  qual  si  è  l'uno  di  questi  tre 
che  fa  volle  nascondere  sott*  esso  nome,  H  Muzio  gìustinopolitano,  il  Landi 
[■la^-fKitino ,  il  Bulgarini  sancse ,  che  primo  si  fece  a  combattere  veleno- 
vdiiit^ale  il  Varchi.  Ma  a  viso  aperto  ne  propugnò  le  ragioni  il  cesenate 
Ja»-o|>o  Mazzoni,  non  ancora  quilustre,  <  dottissimo  uomo  e  non  inferiore 
a  chicchessia  nell'  apparecchiare  e  sostenere  la  difesa  di  Dante.  »  Gli  argo- 
bif^nti  che  il  Mazzoni  addusse ,  dice  il  Sassetti ,  hanno  tanto  di  probabile 
':hf  poco  meglio  poteasi  t^re  da  questi  sagrestani  della  ortografia.  L'  apo- 
h-'sv^  del  Mazzoni ,  sentenzia  il  Cantù  ,  si  eleva  alle  ragioni  generali  del 
inizio  e  all'analisi  filosofica  dell'eloquenza  e  della  poesia.  Ma  se  ne  fece 
n-jilir-atamente  oppositore  il  Bulgarini  nelle  sue  Considerazioni  (  Siena, 
Bonetti,  1583),  nelle  Repliche  alle  risposte  di  Orazio  Capponi  (id.  1585), 
rj^'ile  sue  Annotasioni  ovva-o  chiose  marginali  (id.  1608)  e  nel  suo  An- 
fid' scorso  (1616). 

Anche  il  Sassetti  non  si  tenne  dal  confutare  il  Gastravilla,  e  la  sua  ri- 
-sj^jsta  si  conserva  nella  Biblioteca  Magliubecchiana  cod.  125  della  ci.  ix,  e  in 
pia  ordinata  e  larga  forma  nel  cod.  1028  della  ci.  vn.  —  Dalla  lettera  xxv  del 
Sassettì  al  Giacomini  rilevo  che  anche  il  Giacomini  se  ne  fece  giudice,  anzi 
ahl)ia  mandato  a  leggere  il  suo  discorso  al  Sassetti.  —  Fralle  lettere  mss. 
•li  (^Viorgio  Bartoli  al  Giacomini ,  una  se  ne  legge  mandatagli  nel  1573  ad 
Ancona,  con  la  quale  gli  dà  questa  nuova;  Mons.  Arciv.  di  Firenze  (Antonio 
Alioviti)  dicono  che  ha  fatto  un  bel  trattato  di  poesia  per  difendere  Dante 
>\\  quello  che  lo  biasima  il  Gastravilla,  ma  non  1'  ho  ancor  veduto  (Salvini, 
Fasti  Cona.  p.  310).  Ed  il  28  Marzo  1588,  Giambattista  Strozzi,  il  giovane, 
nf  1  Consolato  di  Baccio  Valori,  lesse  all' .Accademia  sulle  Favole  degli  An- 
tichi come  debbono  usarsi  nella  nostra  religione  in  difesa  di  Dante. 
Assistevano  all'adunanza^  scriveva  nel  di  slesso  lo  Strozzi  al  Giacomini, 
il  Nunzio,  il  veneto  Ambasciatore,  molti  Signori  e  Monsignori  e  Fore- 

sfìf'ri in  fin  di  Padova^  e  di  Siena  parve  che  i  Sanesi  indovinandosi, 

rhje  e' s'avesse  a  ingcufgiare  battaglia  contro  loro,  volassero  quivi:  trO' 
Torrisi  il  Borghesi  e  il  Bulgarini;  considerate  se  a  farlo  a  posta  poteva 
f'ssn'e  caso  più  bello  poiché  lutto  quel  eh'  io  dissi  intorno  alle  Favole  degli 
antichi  in  difesa  di  Dante  s'indirizzò  contro  l'opinione  loro,  e partico- 
iorinente  contra  gli  scritti  del  Bulgarini;  ringraziommene  con  tutto  ciò. 
il  discorso  dello  Strozzi  ai  trova  inserito  tra  le  sue  opere. 

Nel  Diario  dell'Accademia  degli  Alterati  di  Firenze  trovo  che  il  Mesto 


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252  LSiTORi  imux  uvika.  oomiiidia* 

fOiacomini  Tebaìducei)  U  13  Agosto  1500  vi  leggesse  che  Vaxkme  imiiam 
da  Dante  era  verisimile;  che  venoe  contraddetto  dal  Temerò  (Gismh. 
Stroni),  e  che  il  Reggente  Giovanni  de' Medici  aentenàssse  in  favor* 
del  Mesto. 

Ometto  di  parlare  del  breve  et  ingenio$o  diteorto  di  M7  Aiettandrù 
Cariero  (Padova,  Meietto,  15S2);  àeM" Apologia  del  OarSero  conira  le  im- 
putazioni del  Buìgarini  (id.,  1583);  delle  Difese  del  Buiyarini  (Siena. 
Bonetti,  15S8);  dei  Ragionamenti  dello  ZÒppio  (Bologna,  Rossi,  1583);  Delb 
risposta  dello  stesso  alle  Oppositioni  Sanesi  di  Diomede  Borghesi  (Fermo. 
De*  Monti,  15S5);  Delle  risposte  del  Buìgarini  a'Bagionamenii deiio  Zttppio 
(Siena,  Bonetti,  1586)  ;  delle  Particelle  poetiche  sopra  Dante  disputate  da 
Jer.  Zoppio  (Bologna,  Denacci,  15S7);  della  Poetica  sopra  Dante  da  J*r. 
Zoppio  (id.,  1589)  ;  delle  Riprove  delle  Particelle  poetiche  sopra  DanW 
disputate  da  Jer.  Zoppio  per  Belisario  Buìgarini  (Siena,  Bonetti,  i6(£). 
opere  che  nessun  più  le^e,  e  che  si  può  dire  rimasero  a  danno  delle  carte. 

Salvisi  Anton  Maria,  Discorso  in  lode  di  Dante,  letto  nel 
1715,  nel  Consolato  di  Salvino  Salvìni.  Firenze,  Manni,  1735. 

Bianchini  Giuseppi,  Difesa  di  Dante  Alighieri^  detta  nel 
1715,  nel  Consolato  di  Salvino  Salvini.  Firenze,  Manni,  1716. 

Lesse  pure,  nello  stesso  Consolato,  1715,  il  P.  Angelo  Maria 
Ricci  un*  Orazione  in  che  esorta  la  gìoventii  allo  studio  di  Dante. 

LetUoni  d Accademici  Fiorentini  sopra  Dante.  Fiorenza,  Kp- 
presso  il  Doni,  xxviii  Giugno,  1547;  Firenze,  Tonrentino,  1451. 

Bbnivibni  Jeronimo,  Dialogo  di  Antonio  Manbtti  circa  al 
sito^  forma  et  misure  dello  Inferno  di  Dante  Alighieri  poèta 
eaxellentissimo.  Firenze,  Giunta,  1506;  Studi  sulla  Divina  Co- 
media,  per  cura  di  0.  Gigli,  Firenze,  Le  Mounier,  1855,  p.  57- 
134.  —  V.  Gigli,  x-xiv. 

Galilei  Galileo,  Lezioni  intomo  la  figura  lo  sito  e  gran- 
dezza deir  Inferno  di  Dante  Alighieri.  Studi  sulla  Divina  Com- 
media, 3-37. 

Il  Galilei,  ventiquattrenne,  indettato  dal  Gonaolo  Baccio  Valori,  UAae  in 
due  lezioni  (Gen.  158S)  a  difendere  il  Manetti  e  1* Accademia  contro  il  Vel- 
lutello,  il  quale  aveala,  userò  la  parola  del  Galilei  stesso,  calunniata.  Questo 
onore  fatto  al  giovine  geometra  gli  fruttò  la  cattedra  di  Pisa.  V.  Giglio  vi-n. 

GiAMBULLARi  PiER  FRANCESCO,  (n.  a  Firenze  nel  1495,  vi  m. 
il  24  Agosto  1554),  Del  sito  foma^  et  misure  deW  Inferno  dì 
Dante.  Fiorenza,  Dortellata,  1544;  nella  Raccolta  del  Doni,  1547; 
Firenze,  Tartini  e  Franchi,  1727. 

<  Pier  Francesco  Giambullari,  uomo  certamente  non  manco  d*  ottimo 
giudizio  che  di  buone  lettere ....  ha  con  maravigliosa  arto  trovato  il  sito  e 


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LETTORI  DBLLA  DIVINA  COBfME 
!e  misure  dell*  Inferno  di  Dante:  dove  essendogli  fo 
Anton  Manetti,  il  quale  ne  ha  scritto  ancor  egli,  ; 
mente,  dice  che,  se  a  le  oneste  fatiche  sue  non  fusso 
ch<;  non  arebbe  auto  a  prendere  questa  fatica,  esj 
oomo  d'  aver  condotto  a  perfeziono  molto  maggiore  e 
:  Capricci  del  Bottaio,  Ragionam.  viii. 

11  GiainbuUari,  secondo  il  Salvini,  avrebbe  con 
t^rpretazione  della  Divina  Commedia,  ma  quella  pa 
*  non  è  stata  mai  ritrovata  da  quanti  hanno  ricercai 
nare.  E  doveva  esser  bella  ed  importante,  imperc 
iodata.  Oltre  il  Doni,  nella  sua  Prima  Libreria^ 
quando,  inviandoli  un  sonetto,  gli  scrive  queste  pa 
<  Dateci  la  esposizione  del  divin  tema  di  Dante,  asp 
e'  Giudei  il  Messia ,  che  questo  non  saria  mai,  ma 
•lesiderio  che  aspettano  le  minute  erbicine,  gli  arbori 
pioggia  dopo  lungo  tempo  non  caduta.  >  —  Il  Sai' 
il  consolato  di  Bernardo  Segni  (1512)  venne  il  detl 
•lall 'Accademia  ;  ma  senza  forse  si  appone  al  vero 
che  a  quel  tempo  non  si  approvasse  altro  del  Giaml 
già  lette. 

n  Gelli,  fira  gli  altri,  nel  quarto  Ragionamento 
quando  parìa  di  Dante,  accenna  al  Giambullari,  d 
(rgli  ha  oggi  in  mano  la  penna,  che,  dimostrando  U 
•li  qu^to  poeta,  scoprirà  o  la  temerità  o  il  poco  sap 
—  V.  Norchiatì^  Trattato  do'  Dittonglii  toscani,  Fir 
il  Giambullari. 

Gelli  Giambattista,  (n.  in  Firenze  nel 
a'  12  Agosto  del  1498,  vi  mori  il  14  Lu<i 
leUioni  fatte  da  lui  nelC Accademia  Fiorer 
Tentino,   1551. 

LeUioni  fatte  nelf  Accademia  Fic 

luoghi  di  Dante  et  del  Petrarca.  Firenze, 

Lettura  (prima)  sopra  lo  Inferno 

Consolato  di  M.  Guido  Guidi  e  di  Agnolo  I 
1554,   appresso   Bartolommeo  Sermartelli: 

—  Contiene  un'Orazione  e  xii  Lezioni. 

Lettura  seconda,  nel  consolato 

Fiorenza,  Torrentino,  1555.  — "  Contiene  i 
zioni. 

Lettura  tersa,  nel  Consolato  d'Ant 

Torrentino,  1556.  —  Contiene  un'Oraziot 

Lettura  quarta,  nel  Consolato   < 

Tazmo  1567.  Fiorenza,  Toirentino,  1557; 

—  Contiene  x  Lezioni. 


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254  LETTORI  DELLA   DIVINA  COBUEDIA. 

Lettura  quinta,  nel  Consolato  del  Rev.  M.  Frances/*< 

Cattani  da  Diacceto,  can.  fior.  Tanno  1558.  Fiorenza,  Torren- 
tino,  1558.  —  C^ontiene  x  Lezioni. 

Lettura  sesta,  nel  Consolato  di  M.  Lionardo    Taiici 

Fiorenza,  Torrentino,  1561.  —  Contiene  x  Lezioni. 

Lettura  settima,  nel  Consolato  di  Maestro  Tommaso 

Ferrini.  Fiorenza,  Torrentino,  1561.  —  Contiene  xi  Lezioni. 

Nel  1553  per  deliberazione  del  sapremo  Magistrato  e  per  espresso  v*o 
lore  del  Duca  il  Gelli  Hi  scelto  a  spiegare  la  Divina  Commedia.  Al  qpial* 
utiicio  egli  attese  con  molto  suo  onore;  ma  non  pare  che  esponesse  più  <i 
26  canti,  perciocché  le  lezioni  che  ai  hanno  pubblicate  colle  stampe  do 
Sermatelli  e  del  Torrentino,  col  titolo  di  Letture  »opra  l'Inferno  di  Incinte 
e  le  altre  poche  che  rimangono  ancora  inedite  (L.ez.  xxi)  in  un  Codice  dfllj 
Magliabecchiana,  non  oltrepassano  il  xxxi  dell'  Inferno:  queste  pero,  so  ni 
togli  alcune  lungaggini  e  alcune  interpretazioni  un  po'  stiracchiaie,  mari- 
tano nella  massima  parte  di  esser  tenute  in  pregio,  perchè  rendono  testi- 
monianza del  molto  studio  e  del  grande  amore  con  che  cerco  il  volumo  d*:. 
suo  grande  concittadino.  A.Q.  OellL  —  E  nell'Orazione  premessa  alle  sur 
lezioni,  cosi  parla  di  Dante  :  <(  Lo  amore  eh'  io  porto,  et  ho  portato  sempre 
a  cosi  raro  et  ecceUeotissirao  huomo  si  per  la  molta  dottrina  et  TÌrtà  saa^ 
et  si  per  essere  stato  egli  la  prima  et  principal  cagione  che  io  sappia  qut») 
tanto  che  io  so  :  Conciosiacosàchè  solamente  il  desiderio  d' intendere  pìi  alti 
et  profondi  concetti  di  questa  sua  meravigliosissima  Comedia,  fliaae  qiieUo, 
che  mi  mosse  in  quell*  età ,  nella  quale .  V  uomo  è  più  dedito  et  inclinai», 
che  in  alcuni  altri,  a*  piaceri:  et  nella  professione  che  io  faceva,  et  fo  (cal- 
zaiuolo), tanto  diversa  dalle  lettere,  a  mettermi  a  imparare  la  lingua  latina, 
et  dipoi  a  spendere  tutto  quel  tèmpo,  che  io  poteva  torre  alle  mie  facce udoi 
famigliari,  negli  studj  delle  scienze  et  delle  buone  Arti.  »  Orazione  sopr^ 
l'esposiz.  di  Dante. 

BuoNMATTBi  BENEDETTO,  Quattro  lesioni  (dette  il  17  e  2-1 
Feb.,  il  3  e  10  Marzo  1632)  sopra  il  primo  canto  deU Inferno^ 
Prose  Fiorentine,  Firenze,  Tartini  e  Franchi.  Nel  Consolato  di 
Braccio  Alberti,  1632. 

Il  Buonmattei  dal  1632  al  1637  lesse  sulla  Divina  Commedia  air  Acca- 
demia Fiorentina.  Le  lezioni  date  alla  Cantica  deir  Inferno  aono  31S  ;  «juellc 
ai  primi  18  dnl  Purgatorio  154.  Meno  le  quattro  succennate  sono  tutte 
inedite  e  si  conservano  nella  Magliabecchiana.  Oltre  a  queste  lasciò  11 
liezioni  preliminari. 

Ale8aandii-o  Strozzi,  vescovo  d'Arezzo,  lesse  pure  all'Accad.  Fiorentina 
sul  I  Cauto  dell'  Inferno. 

RiNUCciNi  Annibale  (quattro  lezioni),  Lezione  prima  inter- 
jiretando  duoi  ternari  di  Dante  nel  iv  capiL  delt  Inferno^ 
Sull'onore.  Firenze,  Torrentino,  1561.  —  Nel  Consolato  di  M. 
Francesco  Cattaui  da  Diacceto,  1558. 


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LETTORI  DELLA   DIVLNA   COMI 

BoNSi  Lelio,  Lezione  detta  cUC  Accade 
iolaio  di  Fr.  Torelli  il  17  Ottobre  1551 , 
Dante  che  trattano  della  Fortuna.  (Inf.  C. 
sue  Lezioni.  Firenze,  Giunti,  1560;  Prose 
Firenze,  Tartini-Franchi,  1727,  p.  &1-120 

BcoN-ROMEi  Bbrnardetto,  da  S.  Miniato 
della  Fortuna  diviso  in  due  Lesioni  lett 
rAcrad.  Fiorentina  (6  e  13  Luglio  1572). 
1572.  -p-  Nel  Consolato  di  Giov.  Rondine 
dettò  pure  un  discorso  sopra  il  secondo  Cai 

Taxci  Mario,  Lezione  sopra  i  Sogni^ 
di  Dante  :  Ma  se  presso  al  matUn  il  ver 
Lezioni  sopra  Dante  di  Accad.  Fior,  racco 
1547,  p.  103-109.  —  Nel  Consolato  di  Filipf 

Da  Cerreto  Giovan  Battista,  Letti 
Fiorentina  sul  C  xxxiv  delC  Inferno.  —  1 
lino  Martelli.  Nella  Raccolta  del  Doni,  le 

Glambullari  Pier  Francesco,  Intorno  t 
Lezione  detta  all' Accad.  Fiorentina,  ai  di  L 
1547,  Ediz.  del  Doni;  Firenze,  Torrentin 
Firenze  Tartini  e  Franchi,  1727.  —  Nel  C 
Sti*ozzi. 

In  questa,  leàone  è  splendidezza  di  bel  parlari 
zioni  :  Cigli  corregge  coloro  che  pur  sempre  negi 
t^ade  poi  di  provare  come  cosa  nuova  e  che  merli 
alla  notizia  di  tutti,  che  sotto  T  equinoziale  e  nella 
4Ìi!mÌTna  copia  di  uomini.  A.  Gotti,  recataci  la  des 
dell'orizzonte,  soggiunge:  <  Tanta  lucidezza  di 
f^i  aggio,  atta  a  rendere  piacevole  ancora  la  scie 
d'ogni  eleganza,  doveva  essere  ammirata  da  tu 
«ssere  superata  che  da  Galileo!  > 

Talentoni  Gio.  di  Fivizzano,  primo  fi] 
Pavia,  Discorso  in  forma  di  Lezione  soj, 
tomo  al  C.  IV  del  Purgatorio  di  Dante. 
1597.  (Letto  nell'Accademia  degl'Inquieti 

Salvini  Anton  Maria,  Sopra  un  luot 
(Non  v'accorgete  voi...  Purg.  x,  124-125) 
renze,  Guiducci  e  Franchi,  1715,  363-72. 

Anche  Fr.  Redi  area  in  animo  di  scrivere  u 
mo'  di  commento  ad  un  passo  della  Div.  Gommedi 


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1^56  LETTORI  PBLLA  DIVINA  COBOfEDIA. 

none  ai  pare  da  una  apede  d'esordio  eh* egli  avea  preparato,  e  dicevi 
coai  :  <  L*  altissime  cantiche  del  nostro  divino  poeta  è  di  mio  intendiiiieiit<{ 
spiegare^  invitato  dall'  esempio  di  que*  valentissimi  nomini,  che  in  questa 
luogo  dalla  somma  loro  erudizione  e  sapienza  nobilissimi  saggi  sono  datij 
e  sebbene  io  so  che  cosi  fatta  impresa  pienamente  infin  ad  ora  e  con  lod<i 
grandissima  è  stata  compita ,  nulla  di  meno  io  spero  di  potere  inkitar^ 
que*  mendichi  e  più  poveri  contadinelli,  che  vanno  spigolando  li  dove  pii! 
doviziosa  è  stata  fatta  la  raccolta  ;  e  come  quegli  stessi  sfàgolatorì  appunto! 
andrò  senza  ordine  determinato  vagando,  e  delle  tralasciato  spighe  andri 
cogliendo  quelle  che  agli  occhi  miei  per  lo  mio  bisogno  più  belle  si  oxfrtj 
ranno.  Colà  dunque  nella  divina  cantica  del  Purgatorio  si  legge: 

Non  v'accorgete  voi,  che  noi  slam  vermi 
Nati  a  formar  1*  angelica  farfiilla, 
Che  vola  alla  £ri<isti2ia  senza  schermi? 

Di  che  r animo  vostro  in  alto  gallai 
Voi  siete  quasi  entomata  in  difetto. 
Sì  come  verme,  in  cui  formazion  falla. 

Per  intelligenza  di  questo  luogo,  in  cotal  guisa  della  natura  e  della  g«Dej 
razione  degl' insetti  a  favellare  imprendo.  > 

Sembra  però,  che  il  Redi,  venuto  a  maggiore  maturità  di  studi  amasvi 
meglio  cogliere  frutti  ne*  campi  di  storia  naturale,  che  fiori  in  que*  dell.i| 
rettorica,  e  dettò  quella  lettera  a  Carlo  Dati,  in  cui,  oltre  al  gettare  le| 
fondamenta  della  scienza  entomologica  moderna,  a  detta  de*  savi,  die  al-i 
l'Italia,  dopo  il  Saggiatore  del  Galileo,  il  libro  migliore  di  filosofia  na- 
turale. 

Il  Gbllo,  Accademico  Fiorentino  (Oiamb.  Gelli),  Sopra  itti 
luogo  di  Dante  del  xvi  del  Purgatorio  (v.  85-96),  Delia  crea- 
zione dell'anima  umana,  Lesioni  tre.  Firenze,  Torrentino^ 
1548.  —  La  prima  fu  detta  nel  Consolato  di  Fr.  Guidetti,  lo 
altre  due  nel  1543,  in  quello  di  Carlo  Lenzoni. 

Baccio  Gherardini  lesse  pur  sull'Anima  umana  (Purg.  xvi,  S5-96) 
nel  suo  Consolato,  1001,  seguitato  poi  colla  spiegazione  di  un  altro  teraetta 
di  Dante  da  Pietro  di  Vincenzo  Strozzi.  Sullo  stesso  subietto  lessero  inoltr«^ 
Oiambatlista  del  Milanese  ^  e  Jacopo  Mazzoni,  nel  consolato  di  Baccio 
Valori,  lezioni  che  rimasero  inedite. 

Baldini  Bacho,  protomedico  del  Granduca  Cosimo,  e  da 
lui  preposto  alla  correzione  del  Decamerone,  Discorso  delVes^ 
senza  del  Fato,  sopra  quel  luogo  del  e.  xvi  del  Purgatorio  che 
comincia  :  Lo  mondo  è  ben  cosi  tutto  deserto  (v.  58-84).  Fi- 
renze, Sermatelli,  1578. 

De'  Vieri  Francesco,  detto  il  Verino  primo ,  Lezioni  tre 
sopra  i  versi  di  Dante:  Né  Creator  né  creatura  mai.  Purg. 
XVII,  91-93.  -—  È  là  prima  lezione  detta  all'Accad.  fiorentina  pri- 


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1  LBTTOEU  DELLA  DIVINA  CX)MMBDIA.  257 

ma  dell'  ìnstituzione  del  Consolo ,  sedendovi  Luogotenente  Fi- 
lippo del  Migliore.  Nella  Raccolta  del  Doni  1547,  p.  9-24. 

Varchi  Benedetto,  (n.  a'  19  Marzo  1515,  m.  il  18  Die.  1566), 
Sopra  quei  versi  di  Dante  del  xvii  i  quaU  cominciano  Né 
CrecUor,  ne  creatura  mai.  Lezioni  dtie  sopra  F Amore,  dette 
nel  Consolato  di  Baccio  Valori,  1543.  Firenze,  Giunti,  1590; 
e  nell'edizione  dell' Aiazzi. 

n  Varchi  non  pur  confessa  ma  giara  d' aver  letto  il  Divino  Poema  più 
di  mille  volte  e  di  avervi  trovate  nuove  bellezze,  nuove  difficoltà,  nuove 
dottrine  ogni  volta.  Dicendo  Dante,  cosi  egli,  mi  pare  insieme  con  questo 
nome  dire  ogni  cosa.  —  Io  mi  risolvei,  (neU*  Orazione  detta  nel  pigliare  il 
Coniiolato  dell'Accademia  Fiorentina)  di  leggere  io  stesso  ogni  domenica 
pubblicamente  in  questo  luogo,  dopo  il  vespro  subito,  cominciando  il  Para- 
diso di  Danto,  e  ogni  giovedì  a  ore  ventuna,  nello  studio  di  Firenze  pri- 
vatamente il  Petrarca. 

Varchi  Benedetto,  Dichiarazione  sopra  la  seconda  parte 
del  XXV  Canto  del  Purgatorio  (v.  61-110),  nella  quale  si  tratta 
della  creazione  ed  infusione  delVanima  razionale.  Nel  Conso- 
lato di  Carlo  Lenzoni,  1543.  Firenze,  Giunti,  1590;  Firenze, 
Pezzati,  1841. 

Lesioni  ix  sopra  il  i  Canto  del  Paradiso,   dette  nel 

iuo   Consolato,  1545.  Firenze,  Pezzati,  1841,  I,  187-114. 

Verini  Francesco,  Lezioni  due  intomo  al  primo  terzetto 
del  Paradiso;  La  gloria  di  colui  che  tutto  move.  Nella  Rac- 
'-olta  del  Doni,  1547. 

Sopra  lo  stesso  terzetto  lesse  pur  Jacopo  Mazzoni  nell'Aprile  1587, 
•^adendo  Ck>nsolo  Baccio  Valori.  La  lezione  è  inedita.  Pier  Segni  parlando 
dell'eloquenza  del  Mazzoni,  neir  Orazione  recitata  nell'Accademia  della 
Crusca,  dice:  <  di  ciò  facciane  testimonianza  molti  di  voi.  Ascoltatori,  i 
quali  sentiste,  trall'  altre,  nella  vostra  maggiore  Accademia  quelle  due  me- 
ravigliose Lezioni  nelle  quali  espose  due  celebri  luoghi  del  maggior  Poeta  : 
ì'una  dov'egli  descrive  Timaginativa  potenza  della  nostra  anima,  e  nel- 
r  altra  te  gloria  di  colui  che  tutto  muove.  » 

Bianchini  Giuseppe,  Lezione  sullo  stesso  soggetto,  detta  nel 
Consolato  di  Giambattista  Fantoni  1709.  Firenze,  Manni,  1710; 
Prose  Fiorentine,  Venezia,  Remondini,  1754. 

Varchi  Benedetto,  Lezioni  quattro  sul  Canto  ii  del  Paradiso, 
'lette  nel  suo  Consolato,  1545.  Firenze,  Pezzati,  1841,  p.  415^04. 

Mancini  Pouziano  Jacopo,  Nell'Accademia  degli  Aggirati 
detto  il  Confuso,  Sopra  alcuni  versi  di  Dante  intomo  alle 
.  Macchie  della  Luna  (Par.  ii,  25-59).  Genova,  Bartoli,  1690. 

17 


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258  LETTORI   DELLA  DIVINA.  GOHBfEDIA. 

GiAMBLXLàRi  Pkb  Fhancbsc»,  DcgV  Influssi  celesti  (Par.  \m 
97-105),  Lezione  detta  a'  27  di  Maggio  del  1548  nel  Consolata 
di  Carlo  Lenzoni.  Giambullari  Lezioni,  1551,  p.  85-125;  Firenze 
Tartini  e  Franchi,  1728. 

la  questa  lesione  egli  insegna  come  il  cielo  abbia  forsa  in  noi,  e  <j 
disponga  alle  cose  che  ei  influisce. 

Strozzi  Giovanni,  Accademico  Fiorentino,  Lettone  sopra 
due  primi  terzetti  del  e.  x  del  Paradiso,  avuta  pubblicamcìii 
a*  di  5  di  Agosto  1541.   Nella  Raccolta  del  Doni,  1547,  pag 
.  172-80. 

Della  Rena  Cosimo,  Consolo  nel  1673  (m.  nel  Dee.  1696  «1 
82  anni),  lUtisirazione  di  un  luogo  di  Dante,  ove  tesse  il  Oi 
talogo  di  nobili  Fiorentine  Casate  (Par.  xvi).  Nella  sua  Seri! 
degli  antichi  Duchi,  ecc.  Firenze,  Cocchini,  1690. 

Varchi  Benedetto,  Lezione  sopra  quei  versi  delxnu  d^ 
Paradiso  :  Col  viso  ritomai  per  tutte  quante . . .  Firenze,  Ptìi 
zati,  1841. 

Bartoli  Cosimo,  Proposito  di  S.  Giovanni,  Lezione  sopra  | 
versi  64-66  del  canto  xxrv  del  Paradiso.  Nella  Collezione  dJ 
Doni. 

Il  Bartoli  a' di  8  gen.  1581  lesse  pur  all'Accademia  degli  Umidi  i^ 
Firenze  una  sua  lezione  sui  versi  118-123  del  C  xxxi  del  Purgatorio 
Mille  desiri  pM  che  fiamma  ealdij  che  si  conserva  tuttavia  inedita  nelli 
Magliabechiana. 

Giambullari  Pier  Francesco  Lezione  seconda,  nella  quah 
esponendo  quella  terzina  del  xxvi  del  Paradiso  (v.  52),  eh 
incomincia:  Non  fu  latente  la  santa  intenzione,  parla  ddU 
Carità,  Detta  nel  Consolato  di  Bernardo  Segni,  1542.  —  Tri 
le  altre  sue  Lezioni,  Firenze,  Torrentino,  1551,  e  nella  Colle- 
zione  del  Doni  e  nelle  Prose  Fiorentine.  —  Su  questa  Lezione 
vegga.si  Aur,  Gelli,  di  Pier  Francesco  Giambullari,  xxiv. 

Gelli  Giovan  Batista,  La  prima  LetHone  fatta  da  lui  Vanm 
1541,  sopra  un  luogo  di  Dante  neluxn  capitolo  del  Para' 
diso  (La  lingua  eh*  io  parlai  fu  tutta  spenta).  Firenze,  Torreib 
tino,  1549.  Nel  Consolato  di  Lorenzo  Benivieni,  1541.  V.  2si 
sielli,  Proginasmi  Poetici  iv,  82  ;  Lombardelli,  Fonti  Toscani,  78 

Giambullari  Pier  Francesc»,  Lezione  delT ordine  delTuni 
verso  (Par.  xxix,  31-36).  Nel  Consolato  di  Giovan  BattìsM 
Gelli,  1548.  —  Giambullari^  Lezioni,  1541.  «  Quanto  di  filosofi.^ 


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LETTORI  USLLk  DIVINA  COMMEDIA.  1^59 

e  rinchiuso  in  qne' versi,  fu  dichiarato  ed  aperto  dal  nostro 
autore.  EgU  parlò  dell'ordine  di  quella  macchina,  e  come  da 
strumento  temperatissimo  ne  raccolse  nell'  animo  la  celeste  ar- 
monia. Nella  natura  delle  cose  addentrandosi  quanto  si  può 
{ter  umano  discorso,  tenne  accomodato  ragionamento  delia 
^reazione,  la  quale  cosi  nell'ordine  cosmico  è  causa  prima, 
come  in  quello  intellettuale  è  sovrana  ragione.  »  Aurelio  Gotti. 
Bianchini  Giuseppe,  Lezione  stil  primo  terzetto  dell'  ultimo 
'^anto:  Vergine  Madre,  figlia  del  tuo  figlio  (Par.  xxxiii,  1).  Nel 
Consolato  secondo  di  Salvino  Salvini,  1718.  Inedita. 

Dali/Ongabo  Francesco  (n.  a  Mansuè,  prov.  di  Treviso, 
m.  improwis.  a  Napoli  il  10  Giugno  1873). 

La  Favilla  di  Trieste  del  19  Luglio  1846  conteneva  il  se- 
LTiente  annuncio  :  €  Fr.  Dall'  Ongaro ,  costretto  da  prevalenti 
occupazioni  a  interrompere  le  private  lezioni  da  lui  date  per 
oltre  a  sei  anni  in  Trieste,  seguendo  e  cementando  il  testo  della 
Divina  Commedia,  si  propone  ora  di  raccogliere  il  frutto  dei 
.lon  brevi  studi  in  un  corso  di  pubblici  trattenimenti ,  eh'  ei 
disegna  di  dare  a  quell'  eletto  numero  di  uditori  che  vorranno 
onorario.  Dante  e  le  sue  opere,  studiate  e  interpretate  per 
tanti  secoli  e  da  tanti  chiari  ingegni,  ofirono  tuttora  materia 
<ii  nuove  ed  importanti  modificazioni  che  potrebbero  togliere  e 
f^onciliare  molte  questioni  attuali  concementi  l'arte  e  la  lette- 
ratura itahana.  »  —  Ei  diede  applauditissimi  corsi  di  lezioni  nel 
1846-47  a  Trieste;  nel  1851  a  Londra,  nelle  sale  del  signor 
Milner  Gibson  ;  poi  a  Bruxelles,  e  a  Parigi,  tet^eno  ingombro 
di  spine  e  bronchi,  nelle  nuova  sala  Bethoven;  nel  1859  nella 
sala  dello  Spettatore  itahano  a  Firenze,  e  più  tardi  presso  il 
signor  Pulszky  (attuale  Direttore  del  Museo  di  Pesth)  per  gli 
stranieri;  e  nel  1866  a  Venezia.  —  Ed  egli  l'undici  Marzo  1843, 
jtcriveva  al  Tommaseo:  «  D'ordinario  io  fo  il  cemento  a  voce 
j>erchè  vo'  addestrarmi  a  parlare  improvviso,  men  peggio  che  io 
possa.  Ma  va  però  più  tempo  ad  apparecchiarmivi,  che  non  me 
ne  vorrebbe  a  scrivere  il  comento  a  leggersi  poi.  L'esito  ch'ebbi 
finora  mi  conforta.  »  E  iL5  Nov.  1856  alla  dotta  e  gentile  Ba- 
ronessa sassone ,  Ida  Reinsberg  von  Dùringsfeld  :  «  In  esigUo 
pomentai  il  Dante  in  quaranta  conferenze,  che  pubblicherò  forse 
in  un  volume.  Ho  considerata  la  Ditnna  Commedia  e  le  que- 


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2d0  LBTTOai  DELLA.  DIVINA  COMMEDIA. 

sttoni  filosofiche,  teologiche  e  storiche  che  contiene  in  rappoH] 
colle  medesime  questioni  come  si  considerano  a*  nostri  giorni 
Ho  tentato  di  far  [Hresentire  quale  sarebbe  oggi  il  concetto  d 
Dante  dopo  Galileo,  Cuvier,  Humboldt.  —  Il  pensiero  è  nuov(j 
6  fecondo  se  fosse  stato  trattato  con  meno  fretta  e  dinanzi  aj 
un  altro  uditorio. 

MASCfflo  Antonio,  Il  Gondoliere  Dantofilo  (1),  (n.  il  12  Oli 
tobre  1825  nell'Isola  di  Murano,  presso  Venezia). 

Correva  Tanno  1848,  cosi  il  prof.  Errerà,  quando  il  harcè 
iuolo  Antonio  Maschio,  avido  di  avere  notizie  della  patria,  le^ 
geva  quanti  scritti  e  libri  gli  venivano  fra  mano.  Accadde  uj 
giorno  che  si  mettesse  a  leggere  un  pezzo  stracciato  della  Z)| 
vina  Commedia:  non  intendendone  il  senso,  si  diede  indefcd 
samente  allo  studio  di  quei  versi  finché  gli  rimasero  scolpi^ 
nella  mente.  Dal  1848  in  poi,  non  fece  che  studiare  la  Divini 
Commedia . . .  Fece  attenta  lettura  anche  dell'  altre  opei*e  dell 
l'Alighieri,  e  sacrificò  tutto  sé  stesso  allo  studio  del  dilettis.9im< 


(1)  Nel  1866  volle  recarsi  a  Firenze  per  le  feste  del  centenario,  e  nel 
desiderio  di  formarsi  un'  idea  compiuta  di  ciò  che  intese  dire  T  immortala 
poeta,  raccolse  innumerevoli  annotazioni ,  memorie ,  citazioni.  L'  occhiutJ 
Folizia  gli  disdisse  un  passaporto,  e  avendo  impreso  la  strada  di  l*adovi| 
•  Rovigo  y  dovette  ritornarsene ,  ner  tentare  ^ella  di  Ghìoggia.  A)  1^ 
Marzo  1865  egli  attraversava  Brondolo  e  Contarina,  e  munito  di  una  cart^ 
di  legittimazione  percorse  la  riviera  del  Po,  ingannando  le  molte  §runrjli'! 
che  gì*  impedivano  il  passaggio,  e  alle  {{uali  dava  a  credere  esser  egli  ut 
oste  di  Ctnoggia  che  andava  in  cerca  di  vino.  Ma  la  sera  si  avvicinuva| 
e  nessun  mezzo  si  presentava  al  Maschio  per  poter  traghettare  il  rapidd 
fiume  senza  prendere  un*  eroica  deliberazione.  —  Amico  dell*accnia  e  noi] 
temendola ,  oecise  di  abbandonarsi  ai  suoi  gorghi ,  tìdando  nella  pn^prij 
forza  muscolare.  Carico  di  due  grossi  fardelli  contenenti  le  proprie  vesti  | 
nonché  molte  carte  e  vari  libri  danteschi,  giunto  che  fu  alia  metà  del  cofid 
gli  parve  venir  meno,  perchè  le  sue  forze  non  erano  sufficienti  ai  nc^ 
che  sosteneva.  Spossato  dalla  fatica,  dopo  aversi  lasciato  trasportare  dall:! 
corrente,  abbanclono  il  fardello,  e  con  un  volumetto  di  Dante  in  mano! 
pensando  alla  salvezza  della  propria  vita,  cerco  di  arrivare  alla  sponda.  -i 
Privo  di  vesti  e  di  denaro,  nessuno  conoscendo,  è  ben  più  facile  inmii^ 
ginare  che  descrivere  l-  penosa  sua  condizione.  Per  buona  sorte  fu  aocolt<t 
e  ricoverato  per  quella  notte  da  alcuni  militari,  i  quali  lo  presentarono  M 
mattina  seguente  ai  loro  superiori^  che  a  forza  lo  consegnarono  al  sindaco 
di  (juel  luogo.  La  Mesola.  Quivi  riuscirono  vane  le  preghiere,  le  promesse^ 
i  giuramenti  del  povero  Maschio  perchè  gli  fosse  permesso  di  coutinuard 
il  vittggio.  Quel  sindaco  comando  eh*  egli  fosse  affidato  agli  austriaci  : 
questi  lo  respinsero  per  mancanza  di  ricapiti.  E  qui  rinnovo  le  supplichej 
ina  in  vano  ;  e  consegnatogli  un  foglio  di  via,  lo  si  rimandò  per  la  via  di 
Ferrara.  Arrivato  a  Ferrara,  il  questore  lo  imprigionò,  e  la  mattina  seguente 
fu  ricondotto  a  Venezia,  dojw  cioè  28  lunghissimi  giorni  di  patimenti,  di 
affanni  e  di  miserie,  carcerato  perfino  innocentement«.  Tali  furono  le  siitj 
sofferenze  per  il  desiderio  di  recarsi  alla  festa  dantesca  !  Prof.  Erret^.  >-« 
Intorno  ad  alcuni  scritti  sopra  Dante  del  gondoliere  A.  Maschio,  V.  Labruzzi 
di  Nexìnui  Fr.,  il  Buonarroti,  Voi.  vii,  p.  29^4. 


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LETTORI  DELLA  DIVINA.  COBOfBDU 

poeta.  Liberato  il  Veneto  dagli  Austriaci,  i 
m  una  sala  della  scuola  di  S.  Giovanni  Lat 
sua  prima  conferenza  dantesca,  a  cui  assista 
misto  di  curiosi  e  invidiosi,  il  quale  non  rifio 
il  bravo  gondoliere.  Egli  tenne  tre  o  quattro  é 
le  sue  lezioni  che  venivano  avidamente  ascoltj 
lavorare,  per  vivere,  fu  costretto  a  smetterne 
cimentò  ancora  a  Firenze  (nell^  elegante  sala  i 
delle  Loggie),  e  n'  ebbe  conforti  ed  applausi  ( 
attualmente  è  gondoliere  presso  la  Banca  ^ 
lo  ti'ovi  curvato,  carico  di  carbone  e  di  legi 
(grondante  di  sudore)  per  le  scale  di  quel  paJ 
avrersa  la  fortuna.  Nei  momenti  di  requie  legg( 
La  Rivista  Europea,  Voi.  ii,  fase,  i,  1.®  Marze 

Celentano  Luigi  di  Napoli.  —  Tenne  al 
(1875)  sidla  Divina  Commedia,  in  Firenze,  pi 
(x>nte  Magliani. 

De  Marzo  Gualberto.  —  Oltrecchè  a  Loi 
a  Roma,  ne  tenne  pure,  con  plauso,  a  Mila] 
Venezia,  a  Trieste,  a  Gorizia,  ed  a  Capodistr 

Firenze.  —  Centofanti  Silvestro  —  (n.  in 
bre  dell'anno  1794). 

Nel  1837  imprese  a  Firenze  un  corso  di 
sopra  la  Divina  Commedia,  facendogli  andare  a 
mirabile  per  varietà  di  affetti,  altezza  di  pe 
dotti'ina  e  poetica  eloquenza.  Alla  prima  lez 
ira.  gli  altri  intervenuti,  Gino  Capponi,  Nicoli: 
bieri,  Francesco  Puccinotti,  Lorenzo  Mancini,  i] 
gran  folla  di  giovani  eh'  erano  accorsi  a  racco 
parole  del  novo  oratore....  Le  lezioni  su  Da 
un'  alta  filosofia  letteraria  gli  diedero  credito 
De  GubemaUSy  Ricordi  Biografici,  294. 

Ciardi  Luigia  (di  Santacroce,  luog 

Valdamo  inferiore,  n.  nel  1820). 


(1)  Sostenne,  dilanganclosi  da  ciò  cho  hanno  aasei 
roentatorif   che  il  Pargatorio   non  è  agli  antipodi  di 
sotto  r  Inferno,  e  cho  1'  anime  che  si  trovano  al  di  fu 
non  sono  dannate  ma  a*  incamminano  al  Purgatorio. 


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2C2  LETTORI  DELLA  DIVINA  GOMMBDIA. 

Ecco  quanto  ne  scrisse  il  prof.  L.  Muzzi  :  €  Dante  è  il  suo 
idolo;  e  a  me  par  eh* egli  solo  valga  a  propagarne  il  culto 
e  r  intelligenza  più  che  tutte  T  edizioni  e  i  conienti  del  sacro 
poema.  Qual  canto  si  voglia  di  esso,  egli  senza  testo  né  schede 
dinanzi  vi  estempora  una  siiFatta  dichiarazione,  cui  possono 
ascoltare  con  piacer  sommo  gli  eruditi,  e  con  sommo  van- 
taggio i  discenti.  D'ogni  terzina  e,  ne'  casi  più  congrui,  an- 
cor d'ogni  verso  e  vocabolo  ei  notomizza  le  beltà  le  impor- 
tanze ;  spiega  il  senso  proprio  il  teologale  il  morale  il  politico 
e  ciò  ohe  pertiene  a  storia  ed  allegoria.  Dotato  di  pronta  im- 
maginazione, disegna  i  luoghi  creati  da  quella  di  Dante  sì,  che 
par  di  vedergli  toccargli  ed  esser  con  Virgilio,  Beatrice  e  tutti 
gli  spiriti  muti  o  parlanti  in  quel  sublimissimo  dranuna  ;  per 
la  qual  evidente  topografia  non  ismarriscesi  nulla  de'  concetti J 
che  più  sembrano  oscuri,  anzi  per  essa  risaltano  gradevol- 
mente. Il  tutto  con  la  erudizion  necessaria,  no  con  frondosa: 
sempre  con  eloquio  facile  adatto,  continuo  tranquillo  ;  e  favelli 
per  un'  ora  o  per  due,  nò  egli  si  stanca  né  stanca  veruno,  che 
tutti  rimarrebbero  altre  ore  ad  ascoltarlo.  Terminata  l'espo- 
sizione del  canto  lo  recita  a  mente,  e  il  modo  in  questo  ri- 
traccia si  bene  agli  animi  le  cose  da  sé  innanzi  detto,  che 
serve  ai  medesiiAi  quasi  sigillo  per  custodirle  nella  memoria. . . . 
Con  tutta  ragione  pertanto  T  unico  giovane  è  desiato  e  chia- 
mato per  le  case  e  le  ville  a  far  di  sé  cosi  caro  e  istmi  ti  vo 
spettacolo.  E  con  nobilissima  concordia  se  lo  sono  accapparrato 
gli  artisti,  acciò,  com'ei  fa  regolarmente,  dischiuda  quella  mi- 
niera inesausta  d' argomenti  e  concetti  pel  loro  pennello  e  scar- 
pello... »  Mu2si  L.  Di  uno  straordinario  espositore  di  Dante 
(Tre  epistole  Latine  di  Dante  Alighieri,  Prato,  Giacchetti,  1845. 
p.  87).  —  Del  suo  corso  tenuto  a  Macerata.  V.  Giorn.  del  Cen- 
tenario, 148. 

Giuliani  GiambatUsta.  —  V.  Man.  Dant.  427  e  seg. 

—  IV,  354. 

Napoli.  —  Di  Casanova  Alfonso  (1). 

(1)  Mi  pare  impossibile  che  ci  sia  ttn  i  Tedeschi ,  e  non  so  in  verità 
che  viva  in  Italia,  uno  che  avesse  rivòlto ,  come  Alfonso,  ^asi  senza  in- 
terruzione, r  amore  e  lo  studio  a  Dante  per  circa  treni'  anni  ;  raccogliendo 
ogni  cemento,  ogni  edizione,  ogni  opuscolo  ;  che  a  fUria  di  leggerla  avesse 


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LBTTOBI  DELLA  DIVINA   COMMEDIA.  263 

«  Correva  l'inverno  del  1872,  e  una  mano  di  amici  ci  riuni- 
vamo il  più  delle  sere  in  casa  di  Alfonso  di  Casanova.  Già  s' era 
inoltrata  in  lui  quella  lenta  infermità  che  poi,  pur  troppo,  nel- 
1  Agosto  di  queir  anno  lo  condusse  al  sepolcro  ;  ma  nelle  tregue 
del  male  egli  amava  di  conversare,  di  disputare  al  solito  d' arte, 
di  educazione,  d«i  &tti  del  giorno,  di  scherzare  con  questo  e  con 
quello,  con  la  sua  arguta  e  inocente  ironia.  A  uno  degli  amici 
che  mancasse  una  sera,  bisognava  sentire  le  graziose  rampogne  ; 
bisognava  vedere  la  festa  che  diceva,  quando  era  pieno  il  circolo 
de'  suoi  cari  !  —  Non  so  a  chi  di  noi  venne  in  pensiero  di  fare 
delle  letture  periodiche  :  il  partito  fu  subito  accolto,  e  la  lettura 
che  si  fissò  fu  la  Divina  Commedia.  Alfonso  saltò  dalla  sedia 
per  la  contentezza.  Dante  era  il  suo  libro,  il  suo  ideale,  il  suo 
amore,  lo  studio  di  tutta  la  vita.  Uno  di  noi  prese  a  leggere 
il  poeJAa,  naturalmente,  dal  principio,  e  se  ne  leggeva  da  tre 
a  quattro  canti  per  sera.  Gli  altri  attorno  a  notare  in  silenzio 
hvlÌA  carta  qualche  pensiero,  qualche  oscurità  da  dilucidare  poi 
a  canto  fiuto.  Di  tratto  in  tratto  un  bravo  y  un  bello^  un  di- 
cino,  e  subito  un  zitto,  perchè  non  si  rompesse  il  filo.  —  Mi 
ricordo  che  io,  a  qualche  punto  bellissimo,  davo  senza  parlare 
col  dito  medio  un  colpo  sul  ventre  a  uno  che  mi  sedeva  al* 
lato  ;  e  Alfonso  a  sorridere  e  compiacersi,  e  ammiccare  che 
ripetessi  a  una  prossima  occasione.  Terminata  la  lettura  d' un 
canto,  piovevano  i  commenti.  Uno  moveva  un  dubbio,  e  un 
altro  si  &ceva  a  scioglierlo.  Chi  notava  una  bellezza  di  espres- 
sione, chi  un  confronto,  chi  avventurava  una  spiegazione,  che 
era  accolta  o  respìnta  e  sostituita  da  un'  altra.  Alfonso  in  sulle 
prime  parlava  poco  ;  ma  stava  tutto  orecchi  alle  parole  di  eia* 
senno.  Approvava  qui  e  là  ;  correggeva  talvolta  il  testo  che  ci 
era  dinanzi  con  qualche  variante,  cosi  a  memoria,  e  godeva  di 
vederla  accettata.  Alla  fine  si  riscaldava,  pigliava  a  parlar  lui, 


mandato  letteralmente  a  memoria  tutta  la  Divina  Commedia,  e  che  per  un 
miracolo  dì  amore  e  di  memoria  ritenesse  tutte  le  lezioni  di  rilievo,  e  sa- 
pesse 8quad«rnarvi  al  bisogno,  sopra  un  luogo  controverso^  tutte  le  opinioni 
o  spiegazioni  de*  migliori  interpreti.  dafButi  airAndreoli.  Aggiungete  a 
Questo  un  Ingegno  de*  più  fini  e  coltivati ,  una  perizia  della  letteratura  e 
(iella  lingua  italiana  singolarissima,  una  fantasia  delle  più  animate  e  poe- 
tiche, un  sentimento  del  nello  e  del  grande  di  squisitezza  rara,  e  un  animo 
r^aldo,  nobile,  pio,  che  non  avea  bisogno  per  intendere  T  animo  di  Dante, 
se  non  di  guarnarsi  dentro  egli  stesso;  e  ditemi  poi  se  anche  Dante  avrebbe 
potuto  scegliersi  un  interprete  più  degno  e  adeguato!  Fed.  Persico, 


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264  LBrrORI  della,  divina.  OOlfBfEIHA. 

a  fare  un  pò*  la  sintesi  del  canto  e  a  ragguagliarne  qualche 
luogo  con  altri  del  poema,  trattenendosi  su  qualche  passo 
oscuro  o  dubbioso ,  citando  o  confutando  le  opinioni  de*  com- 
mentatori e  dando  insieme  la  sua.  Quando  s*  era  così  discusso 
e  chiarito  un  canto,  si  passava  ali* altro.  Per  non  perdere  le 
osservazioni  e  cogliere  al  volo  qualche  chiosa  felice,  si  pensò, 
di  fare  gli  atti  verbali  di  questa  che,  ridendo,  si  chiamò  Toc- 
cademta  dantesca.  Nella  sera  appresso  leggevamo  il  sunto  della 
tornata  precedente;  si  aggiungeva,  si  correggeva,  s'approvava 
il  processo  verbale,  e  s*  andava  innanzi.  Di  parecchi  dei  canti 
deli*  Inferno ,  ho  ancora  cotesti  sommarii ,  e  li  ho  scorsi  con 
mesto  piacere.  Che  serate,  che  allegria  onesta,  che  stimolo 
a  pensare,  che  scatto  d* ingegno  e  di  fantasia  in  tutti!  Al  quinto 
o  al  sesto  canto  ognun  di  noi,  con  la  guida  di  Alfonso,  era 
già  entrato,  si  può  dire,  nella  mente  di  Dante.  Se  a  volte  si 
'  consultava  un  cemento  qui  e  là,  a  coro  era  spesso  rigettato 
per  monco,  lan^ìdo  o  Cetlso.  D* ordinario  i  dubbi  che  ci  fa- 
cevamo, i  perché  che  nascevano,  non  e*  era  cementatore  che  vi 
rispondesse,  o  che  li  annusesse  neppure.  Si  continuò  così  per 
tutto  r  inverno  e  d  giunse  a  leggere  intero  fino  il  Purgatorio. 
Ma  la  malattia  di  Alfonso  infierì  ;  e  postosi  a  Ietto  essendo 
già  primavera,  i  modici  lo  mandarono  a  una  cua  villa  presso 
Nola.  —  Oh!  il  Paradiso  :  ci  diceva  il  povero  Alfonso,  non  ab- 
biamo potuto  leggere  il  Paradiso,  è  la  più  bella  delle  cantiche, 
che  che  se  ne  dica.  Il  poemi^  sale  sempre ,  chi  lo  gpuardi  pel 
suo  verso.  —  Non  andò  molto  e  quell*  anima  eletta  non  ebbe 
piti  a  desiderare  il  Paradiso  di  Dante!  —  Fed.  Persico,  Alfonso 
di  Casanova  e  la  Divina  Commedia. 

Padova.  —  Accademia  Dantesca  in  Padova. 

I  seguenti  due  squarci  di  Lettere  di  G.  Gennari  compen- 
diano in  ^  breve  le  fasi  della  Dantesca  Accademia,  e  ci  schierano 
innanzi  i  nomi  dei  migliori  degh  intervenienti  alla  stessa. 

A  Gaspare  Patriarchi,  •Venezia 

L«  Decembre  1753. 

....  A*  tre  del  corrente  s*incomincierà  la  lettura  del  Poema 
di  Dante.  Due  sere   abbiamo  già  scorse  nel  leggere   la  vita 

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266  LETTORI  DELLA.  DIVINA.  OOMMBDLk. 

scini,  1864),  si  tocca  la  trama  dell' insegnamento  Dantesco  che 
sostenne  nella  cattedra  univeraitaria  di  lettere  italiane ,  chia- 
matovi a  surrogare  il  vecchio  Michele  Leoni.  —  e  Noi  intanto, 
scrive  il  Marenghi,  a  più  sicurezza  de*  nostri  studi,  volgeremo 
la  mente  ai  piii  antichi,  e  principale  maestro  ed  autore  ne  fia 
il  nostro  principale  poeta.  E  a  qual  altra  fonte  ci  sarà  possi- 
bile attingere  più  puro  il  sapor  della  lingua,  ili  quale  scrittore 
più  scolpita  la  fisonomia  delle  lettere  nostre?  Non  fu  forse 
TAlighieri ,  che  nelle  nascoste  dovizie  deU'  errante  parola  d'  I- 
talia  penetrò,  e  con  successo  felicissimo  organatane  una  me- 
raviglia di  favella  comune  le  dio  spirito  ed  impulso?  Non  fa 
TAlighieri,  che  alle  forma  della  nuova  letteratura  maritò  Tallo 
sapere  e  V  italiano  sentire  ?  Scorreva  al  Ghibellino  magnammo 
nelle  vene  il  sangue  gentile  di  quei  Romani  che  nella  sua  pa- 
tria distrutta 

Rimaser  quando 
Fu  fatto  il  nidio  di  malizia  tanta. 

Il  sottile  ingegno  stimolavate  a  infinite  ricerche,  le  tristizie 
de*  suoi  tempi  colla  bontà  dei  passati  rafiì'ontando,  scoppiava- 
gli  il  cuore;  e  fatto  l'uomo  del  dolore  e  dello  sdegno  ora 
chiedeva  con  animo  assegnato  dalla  giustizia  e  pietà  di  Dio 
soccorso  ai  mali, 

Son  li  giusti  occhi  tuoi  rivolti  altrove? 

ora  dalla  saldezza  e  vastità  della  scienza  accumulata  traea 
consolazione  e  forza  a  rinfiammare  gli  estri  ricordevoli  delle 
glorie  passate,  presaghi  delle  avvenire 

Poca  favilla  gran  fiamma  seconda. 

Alla  lettura  di  Dante  Y  animo  si  rinnova.  Scolorati  nell*agonia 
di  lucri  repentini ,  percossi,  sfiduciati  al  turbinìo  rovinoso  di 
tante  nefandigie  e  calamità  ci  sentiremo  ingiovanire  la  £uitasia, 
addolcire  i  desideri  alla  giocondezza  ineffabile  dei  canti,  dei 
lumi,  dei  suoni  immaginati  nella  suprema  Casa  di  Dio;  rin- 
verdirà nel  cuore  la  speranza  ai  sospiri  che  da  ogni  parte 
traggono  i  relegati  nel  Santo  Monte;  e  il  tempestar  dei  mi- 
steriosi uragani,  il  saettar  delle  grida  disperate,  le  lande  ro- 
venti, le  raggelate  campagne,  le  tenebre  tratto  tratto  ct*escenti, 


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LETTORI  DELLA  DIVINA   COMMEDIA.  267 

tutta  la  paura  d' inferno  gioverà  a  rimetterci  nella  via  abban- 
donata del  valore,  a  ritemprarci  a  fortezza,  a  riconciliare  lo 
spirito  annoiato  col  soffio  vitale  della  poesia.  » 

Pabma.  —  Caprari  prof.  Achille. 

Ecco  quanto  me  ne  scriveva  del  suo  corso  V  istesso  prof. 
Caprari. 

^  «  Cominciai  quel  corso  di  lezioni  coiranno  scolastico  1872-73: 
e  il  concetto  generale,  onde  da  principio  intesi  a  coordinarvi 
tutti  1  parziali  risultamenti  di  parecchi  anni  di  ricerche  e  di 
studi,  fu  di  mostrare  neir  Alighieri  il  vero  fondatore  della  mo- 
derna civiltà  italiana,  e  nel  Divino  Poema  il  prototipo  della 
Italianità  psichica  ed  estetica.  Con  tale  concetto,  e  per  rendere 
r  insegnamento  dantesco ,  il  meglio  eh*  io  ne  fossi  in  grado , 
pieno  e  particolareggiato,  mi  adoperai  ad  innestare  opportu- 
namente nel  disegno  generale  delle  mie  lezioni  le  più  notevoli 
opinioni  degli  studiosi  ed  interpreti  del  Divino  Poema,  quali 
da  me  accettate,  quali  combattute,  quali  pure  allegate. 

Persuaso  col  Gozzi,  sia  d' uopo  mettersi  in  istato  di  essere 
contemporaneo  a  Dante,  se  vogliasi  daddovero  intenderlo  e 
gustarlo,  nel  1  .^  anno  del  Corso  non  posi  opera  che  a  lezioni 
di  apparecchio  e  meramente  storiche,  per  accertare  la  natura 
delle  tradizioni  e  delle  condizioni  civili,  artistiche,  religiose 
del  popolo,  a  cui  il  Poeta  apriva  i  tempi  nuovi;  onde  argo- 
menti principali  di  quella  1  .^  parte,  i  più  dei  quali  svolti  con 
parecchie  lezioni,  furono:  —  Lo  stato  degli  Italiani  durante  la 
dominazione  dei  Barbari.  —  Le  Leggende  dei  vincitori  e  dei 
vinti.  —  Le  istituzioni  e  la  coltura  dei  vinti  nei  vari  periodi 
deir  età  grossa  di  mezzo.  —  La  continuità  dell*  antica  stirpe  e 
delle  memorie  latine  nella  gente  che  tra  V  undecimo  e  il  duo- 
decimo secolo  cominciava  a  risvegliarsi  a  vita  nuova  in  Ita- 
lia. —  Oli  intendimenti  contrari  delle  due  stirpi,  straniera  e 
paesana,  rappresentati  dalla  opposizione  degli  ordini  feudali  e 
comunali.  —  Gli  insegnamenti  delle  scuole  laiche  ed  ecclesia- 
stiche durante  Y  età  di  mezzo.  —  La  imitazione  dei  simboli , 
dei  riti,  delle  feste  pagane,  condotta  dal  Cristianesimo  a  di- 
versa significazione.  —  L*  ardore  del  sentimento  religioso  nel 
secolo  XIII,  onde  le  Confraternite  votate  alla  edificazione  di 
monumenti  religiosi,  e  la  grandiosità  e  ricchezza  dei  templi^ 
dei  santuari  \  e  i  nuovi   Ordini  Monastici  ;   e  le   predicazioni 


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268  LETTOBI  DBLLA  DIVINA  OOftDfBMA. 

de*  Claustrali  per  la  pace  tra  le  città  e  tra  le  &miglie ,  e  le 
penitenze  e  le  processioni  de*  Flagellanti.  —  Le  leggende  sto- 
riche e  simboliche  che  nate  e  nutrite  di  entusiasmo  reUgioso 
rappresentano  un  primo  tentativo  dell*  arte  letteraria. 

Dichiarate  cosi ,  nelle  Lezioni  del  l .®  anno ,  la  vita  degli 
Italiani  lungo  V  età  di  mezzo,  e  le  tradizioni  e  condizioni  loro 
civili,  artistiche  e  religiose  in  sull'alba  della  nuova  civiltà, 
della  quale  la  Divina  Commedia  parve,  poco  appresso,  il  sole  : 
nell*  anno  seguente  svolgeva,  quale  2.^  parte,  una  serie  di  con* 
siderazioni  generali  sulla  grand*  opera  cui  pose  mano  e  cielo 
e  terra. 

E  perchè  viemeglio  s*  invogliassero  gli  uditori  di  penetrare 
nel  pensiero  dantesco,  e  s*  ingrandisse  nell*  animo  loro  la  im- 
portanza del  soggetto,  discorreva  avanti  tutto  nei  2.^  anno:  — 
Delle  Onoranze  di  cui  Dante  fu  segno  dal  di  della  sua  morte 
alla  festa  del  Centenario.  —  Degli  studi  Danteschi  in  Italia.  — 
Degli  studi  Danteschi  fuori  d*  Italia.  —  Delle  principali  illustra- 
zioni ,  colle  arti  del  disegno ,  nostrali  e  straniere ,  generali  e 
parziali  della  Divina  Commedia.  —  Delle  fantasìe  dantesche 
nella  storia  della  pittura  italiana,  e  specialmente  nei  capolavori 
di  Giotto,  di  Raffaello,  di  Michelangelo. 

Indi  passava  a  considerare  e  dichiarare  di  mano  in  mano: 
—  Il  Disegno  generale  del  Poema  e  1*  ordine  particolare  di 
ciascuna  delle  tre  Cantiche.  —  Il  Fine  principale  propostosi 
dair Alighieri  colla  composizione  del  gran  lavoro  —  Il  Concetto 
politico  —  Il  Concetto  religioso. 

E  ad  illustrazione  del  Concetto  religioso  e  politico  del 
Poeta  :  —  I  disegni  e  i  tentativi  di  Federico  11.^  per  rialzare 
1*  Impèro  di  fronte  alla  Chiesa  di  Roma.  —  Il  Pontificato  di 
Bonifazio  VIII.°  —  La  impresa  in  Italia  di  Arrigo  VII.® 

Chiudeva  questa  2.*  parte  colla  esposizione  e  dichiarazio- 
ne :  —  Delle  dottrine  filosofiche  dell*  Alighieri. 

Finalmente  nel  3.®  axmo  del  Corso  mi  accingeva  a  svolgere 
la  parte  più  particolareggiata  dell*  insegnamento,  cioè  la  illu- 
strazione storica  ed  estetica  di  tutti  i  noteToli  episodi  della 
Divina  Commedia.  Questa  è  la  parte  più  ampia  del  Corso  delle 
mie  lezioni  eh*  io  non  ho  per  anco  del  tutto  adempiuta,  man- 
cando nella  Biblioteca  parmense,  e  non  avendo  potuto  sin  qui 
procacciarmi  altronde,  alcune  opere  che  mi  è  d*uopo  cercare 

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LETTORI  DELLA  DIVINA  COMMEDIA.  269 

diligentemente  per  notizie  particolari  e  certe,  su  personaggi  e 
su  cose  de*  tempi  ricordati  da  Dante. 

Non  intimo  di  aver  messo  avanti,  nelle  cose  da  me  esposte 
a*  miei  uditori ,  che  nulla  o  assai  poco  di  novo  :  ma  se  mi 
iòflsero  concessi  e  agio  e  mezzi,  quali  mi  si  converrebbero  per 
dar  perfezione  a  codesto  Corso  d' insegnamento  dantesco  e  pub- 
blicarlo colla  stampa,  parmi,  se  vanità  non  m'iUude,  torne- 
rebbe a  non  pochi  di  qualche  utilità  col  fornire  tutte,  raccolte 
insieme  e  coordinate  in  un  concetto  generale,  le  cognizioni  più 
acconcie  per  ben  comprendere  e  gustare  il  Divino  Poema;  e, 
quel  eh* è  meglio,  confiderei  contribuisse  a  &r  si,  che  molti 
de*  nostri  giovani ,  sortiti  ad  essere  valorosi  nelle  lettere ,  sì 
vedessero  ritornare  una  volta  in  sulla  via  nostra  propria  e 
diritta  del  pensiero  e  dell'arte,  ora  al  mio  parere  smarrita, 
richiamativi  appunto  dal  grido  dell* Alighieri 

K  Tornate  a  riveder  li  vostri  lìti  ; 

«t  Non  vi  mettete  in  pelago,  che  forse 
«t  Perdendo  ine,  rimarrete  smarriti.  » 

Rondarti  Alberto,  Di  un  corso  di  Lezioni  sulla  Divina 
Commedia.  Parma,  Grazioli,  1876.  —  V.  Borghini,  A.  in, 
pag.  95. 

Ravenna.  —  Ciardi  Luigi, 

Fin  dal  Genn.  1866,  il  Consiglio  comunale  di  Ravenna, 
rinnovellando  l'esempio  della  fiorentina  repubblica,  sapiente- 
mente deliberava  1*  instituzione  di  un  pubblico  insegnamento 
della  Divina  Commedia  e  delle  dottrine  dantesche.  La  cattedra 
venne  aflSdata  al  prof.  Ciardi.  Il  coi^^o  dura  sei  mesi;  dal  De- 
cembre  a  tutto  Maggio,  due  volte  la  settimana,  il  giovedì  e 
la  domenica.  —  lo  spiego,  cosi  il  Ciardi,  la  metà  di  un  canto 
nel  senso  storico ,  estetico,  morale  ed  artistico  ;  duro  a  parlare 
un*  ora,  mi  giovo  più  che  altro  dei  comentatori  antichi,  perchè 
essi  più  vicini  a  Dante  hanno  meglio  compreso  il  concetto  del 
Poeta,  ed  i  moderni  sono  più  per  Tahalisi  e  per  le  parole. 
Cosi  vengo  a  spiegare  un  canto  per  settimana.  A  finire  tutto 
il  corso  della  Divina  Commedia  occorrono  sei  anni,  ed  io  sono 
già  nel  secondo  corso,  ed  il  6  Dee.  di  quest*anno  proseguo  le 
spiegazioni  pubbliche  seguitando  dal  e.  xx  deirinfemo,  ove  son 


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270  LETTORI  DELLA.  DIVINA.  CX)MMEDIA. 

rìmasto  alla  fine  del  Maggio  scorso.  Queste  lezioni  sono  ik*e- 
queatatissime ,  e  specialmente  dai  maestri  e  dalie  donae.  Le 
signore  si  fanno  un  pregio  di  venire  la  domenica  a  queste 
spiegazioni,  e  sono  d*  esempio  al  sesso  forte.  Il  metodo  che  io 
tengo  è.  analitico,  e  cerco  piii  che  altro  di  mettere  in  evidenza 
il  concetto  di  Dante  e  farne  rilevare  il  bello.  Le  Allegorie  che 
non  s*  intendono  piìi,  e  non  sono  più  di  moda,  ora  che  la  lette- 
ratura ha  assunto  un  carattere  nazionale,  io  le  lascio.  Il  poema 
ò  essenzialmente  storico  ;  e  se  troverò  i  mezzi  per  potere  un 
giorno  o  r  altro  stampare  il  mio  Commento  sopra  Dante,  spetto 
far  vedere  tante  escogitate  interpretazioni  dei  Commentatori, 
specialmente  moderni,  (?)  spero  restituire  a  Dante  la  sua  vera 
grandezza,  e  dopo  il  mio  cemento,  pochino  ma  pochino  ci  sarà 
da  dire  di  più  sopra  la  Divina  Commedia.  In  somma  io  voglio 
fiire  (e  qui  gli  svelo  un  poco  il  mio  secreto),  a  Dante  quello 
che  ha  &tto  il  Martini  alla  Bibbia,  che  ha  messo  a  sedere 
tutti  gli  intei'preti.  —  Ed  io  fo  voti  perchè  gli  giovi  ripetere  : 
S'io  dico  il  ver,  r effetto  noi  nasconde, 

Bertolucci  L,  La  cattedra  dantesca  di  Ravenna.  L*  Emula- 
zione, Luca  Benedini,  18  Apr.  1875. 

Roma.  —  Venturini  prof.  Domenico. 
t^;  Nel  1874  e  1875,  ogni  domenica,  tenne  le  sue  lezioni  nel 
locale  dell'Arcadia,  al  palazzo  Altemps. ' —  I  Ragionamenti 
recitati  r  undici  e  il  diciotto  Decembre  1 874  sopra  il  passo  di 
Dante  —  Colui  che  fece  per  viltate  il  gran  rifiuto  —  e  che 
furono  già  pubblicati  (Roma,  Tip.  alle  Terme,  1875)  sono  la 
XXXVII  e  la  xxxviii  delle  sue  letture  dantesche.  Il  cav.  Giancarlo 
Rossi  più  volte  ne  diede  conto  in  pubbliche  effemeridi,  com'è 
chiaro  dalla  premessa  lettera  di  dedica. 

Trieste.  —  Occioni  prof.  Onorato. 

Il  Tempo  di  Trieste  (10  Gen.,  24  Febbr.,  6  Apr.  1866)  ci 
dà  un  sunto  delle  lezioni  dette  nella  sala  della  Società  di  Mi- 
nerva che  furono  entusiasticamente  applaudite. 

Verona.  —  banchi  ab.  Giuseppe. 

Il  prof.  Zanchi  tenne  un  corso  di  lezioni  sulla  Divina  Com- 
media negli  anni  1872-73.  Venne  esso  iniziato  dalla  benemerita 


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LETTORI  DELLA.  DIVINA  COMMEDIA. 

Lega  d*  Insegnamento  (1),  e  pel  gentil  sesso.  Ds 
cinquanta  signore,  tutte  le  feste,  con  severo  racci 
traevano  a  disbramarsi  la  sete  a  quella  indefett 
della  vera  vita.  Nelle  vostre  conferenze,  scriveagU  V 
«  le  svariate  cognizioni  storiche  e  filologiche  e 
squisizioni  filosofiche  quasi  vi  dirompono  incessa 
mscello  che  alta  vena  preme,  senza  mestieri  di 
mezzo  il  camino,  senza  soccorso  di  note  scritte 
nella  tenacità  di  vostra  memoria  che  serba  tutto 
a  lei.  »  Comentò  pressocchò  tutto  V  Inferno.  È  ben 
cessasse  del  rimaso  arringo,  nel  quale  era  entrs 
onore. 

Smania  Michelangelo,  Alcune  parole  sul  C 
Divina  Commedia,  Lettera  al  prof.  ab.  Giuseppe 
rona,  Civelli,  18T3. 

(1)  La  Lega  Italiana  dell'  Insegnamento  dirìgeva  all'  eg 
ia  presente  lettera. 

X.  24.  Verona,  3  Die, 

Illustrissimo  Sig.  Prof.  Zanchi 

Il  Comitato  ringrazia  la  S.  V.  lUustris.  per  la  generos 
•  '[Mira  da  lei  professata  nel  passato  anno,  spiegando,  in  le 
Divina  Commedia  alle  nostre  concittadine. 

Qncll' insegnamento ,  accolto  con  sommo  favore  e  mo 
torno  senza  dubbio  di  ^ande  onore  alla  Società,  in  nome  ( 
a  consacrarlo  alla  Patria. 

Rinnovandole*  i  più  vivi  atti  di  grazia,  il  Gomitato  si  oi 
con  profonda  osservanza. 

Per  il  Comitato  del  Circolo  di  Verona 


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272 


COMENTI 

NUOVE   EDIZIONI   DI    COMENTI   (1) 

fJfM.  DtuU»  ir,  988) 

Camerini  Eugenio,  La  Dtnna  Commedia  di  Dante  Alighieri} 
con  Note  tratte  dai  migliori  commenti^  Edizione  stereotipa. 
Milano,  Sonzogno,  1875. 

Eug.  Camerìni,  Anconitano,  m.  in  Milano  il  1.^  Marzo  1875.  — 
<  Quanto  alla  esposizione  del  divino  poema,  cosi  egli,  altri  era 
tra  due  vie  e  brame  ;  o  si  voleva  rifondere  nella  propria  mente  i 
lavori  degli  ottimi  espositori  precorsi  ;  ma  a  ciò  si  richiedeva 
la  sapienza  e  la  forza  di  mente  del  Tommaseo;  o  si  poteva 
raccogliere  il  meglio  e  ordinarlo  convenevolmente,  ponendo  a 
ciascun  passo  il  nome  dell*  annotatore ,  che  avea  per  primo  o 
piti  argut£^mente  spiegato  questo  o  quel  passo.  A  questa  via 
m* attenni;  studiandomi  di  ricostituire  il  pensiero  dei  più  in- 
tendenti sul  senso  del  testo  della  Ck)mmedia Nei  punti  dubbi, 

e  controversi  allegai  spesso  i  diversi  pareri,  ma  brevemente 

Un  cementatore  recente  di  Virgilio  disse  :  Choùc  est  invention. 
La  parola  è  superba.  —  Diremo  :  Scelta  è  discrezione  —  non 
ò  già  il  brancolare  dell'orbo,  che  non  sa  ove  si  vada  e  pur 
si partCj  ma  Tappoggiarsi  del  fievole  al  robusto  ed  al  saggio.» 
—  11  Camerini  dichiara  di  aver  seguito  la  lezione,  fermata  con 
tanta  squisitezza  di  diligenza  e  di  giudizio  dal  Witte;  sebbene 
non  costantemente,  attenendosi  principalmente  per  le  varianti 
alle  due  edizioni  degli  Accademici  della  Crusca. 

Di  questo  suo  Cemento,  scriveva  egli  il  22  Maggio  1873 
al  prof.  Pennesi  ch*ei  chiama  suo  fratello  in  Dante:  — 
4L  Che  dura  impresa  è  lo  stampare,  massime  quando  gli  editori 
non  pensano  che  al  guadagno  >  ed  anche  del  grande  e  santo 
nome  di  Dante  fanno  mercato!  Dell*  Inferno,  dell* edizione  illu- 
strata, il  Sonzogno  vendè  sopra  diecimila  esemplari;  meno  del 
Purgatorio,  e  ancor  meno  del  Paradiso;  ma  sempre  tanto  da 


(1)  La  Divina  Commedia  con  note  del  Costa  e  d' altri  più  recenti  coiii- 
meu latori  venne  pubblicata  in  3  voi.  dal  Guigoni  di  Milano,  1873. 


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OOMBNTI.  273 

guadagnarne  assai  bene.  Il  Pagnoni  spacciò  anc)i'egli  parecchie 
mìgìiaìa  de*  suoi  Danti,  col  Cemento  di  quel  grand*  uomo  del 
Tommaseo:  ed  è  almeno  un  conforto  che  si  propaghi  sempre 
più  Tamore  e  io  studio  del  sommo  maestro  di  lingua,  di  poe- 
sia e  di  vera  italianità.  —  Io  . . .  conservo  sono  Teca ,  e  con 
gli  altri  ad  una  potestate.  —  Ed  il  primo  Luglio  del  73  gli 
rescriveva  :  ad  altri  sconci,  eh*  io  vado  appostando,  si  riparerà 
in  una  terza  edizione,  che  desidero  tarda  al  possibile  per  aver 
tempo  di  riviere  davvero.  —  Non  guadagnandone  nulla,  è 
forza  eh*  io  attenda  ad  altro.  —  Solo  in  qualche  ritaglio  di 
tempo  getto  rocchio  qua  e  là  sul  Dantino,  e  vedo  che  e*  ò  an- 
cor molto  da  ridire.  —  Ma  di  tante  fatiche  il  Camerini  fu  dal 
tipografo  men  che  convenientemente  retribuito.  »  Se  le  raccon- 
tassi, cosi  egli  allo  stesso  Pennesi,  tutte  le  pene  che  io  n*ebbi 
e  il  picciol  utile  che  ne  ho  ritratto,  ella  stupirebbe  ;  e  si  già  il 
Sonzogno  ha  in  poco  piti  d'un  mese  spacciato  quattromila 
copie,  ed  ora  ne  tira  altre  quattromila!! 

COMENTI  INEDITI  ANTICHI 

PER  LA  PRIMA  VOLTA  PUBBLICATI 

CV,  Mum.  IkaU.  IV.  8*0), 

Commento  alla  Divina  Commedia  d*  Anonimo  Fiore>tino 
del  secolo  XIV,  ora  per  la  prim,a  volta  stampato  a  cura  di 
Pietro  Fanpani,  T.  iir,  II. Paradiso,  Bologna,  Romagnoli  (Tipi 
Fava  e  Garagnani)  pubblicato  il  giorno  1  Giugno  1874. 

«  Tutto  il  Commento  dell*  Inferno,  scrive  il  Fanfani  nella  sua 
Prefazione  ai  lettori ,  è  dell'  Anonimo  Fiorentino  ;  ed  è  opera 
bellissima,  originale,  schietta  di  favella  e  di  stile,  ricchissima  di 
notizie  storiche,  biografiche  e  aneddote  :  una  vera  delizia,  da  in- 
vitare anche  il  più  ritroso  a  spendervi  attorno  ogni  cura  amorosa. 
Entrato  nel  Purgatorio,  mi  accorsi  che  qua  e  là,  e  piìi  spesso 
quanto  più  si  saliva  verso  il  Paradiso,  il  nostro  Anonimo  si 
trovava  conforme  al  Commento  che  si  dice  di  Jacopo  della 
Lana  ;  se  non  quanto  raddirizi^ava  parecchi  luoghi.  Nel  Para- 
diso poi  si  trovano  quasi  in  tutto  conformi,  salvo  le  solite 
addirizzature.  Come  va  questa  cosa  ?  Errò  dunque  il  De  Batines, 

18 


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274  CX)MENTI. 

che  il  codice  palatino  del  Paradiso  lo  diede  per  il  seguito  del 
nostro  Anonimo,  quando  invece  era  di  Jacopo.  Ma  questo  Com- 
mento di  Jacopo  della  Lana  è  proprio  un*  opera  condotta  tutta 
dal  valente  Bolognese,  e  da  lui  hanno  preso  tutti  ;  ovvero  egli 
si  è  giovato  di  altri  commenti  preesistenti?  Io  non  lo  accer- 
terei, perchè  tutti  i  ragionamenti  ùktiì  su  questo  argomento 
dal  signore  Luciano  Scarabelli,  non  mi  fanno  veder  netta  la 
cosa;  e  dair altra  parte  non  mi  so  dare  ad  intendere  come 
mai,  se  T  opera  del  Lana  fosse  originale,  e  tutta  quanta  di  lui, 
molti  luoghi  si  debbano  trovare  smozzicati  nel  suo  Commento, 
che  poi  si  trovano  interi,  o  in  quello  detto  V  Ottimo^  o  nel  no- 
stro Anonimo  ?  Non  porta  il  pregio  mettersi  qui  a  fax  lunghe 
dissertazioni  per  provare  o  riprovare  Tautorità  di  questo  o  di 
quel  Commentatore. ...»  L'Anonimo  dato  dal  Fanfsmi,  scrive  lo 
Scarabelli,  è  per  una  parte  certamente  originale,  di  particolar 
disegno,  di  propria  dicitura,  anche  dotto  ed  elegante,  ma  non 
arriva  che  a  tutto  il  x  del  Purgatorio,  con  qualche  piccoli 
tratti  qua  e  là  lungo  il  resto  e  sino  al  finir  della  Cantica.  // 
LambertinOy  u,  xlvu. 


NUOVI    COMENTI 

CV.  Man.  Data.  IV,  SiSJ. 

Db  MàBZo  Antonio  Gualberto,  Commento  delia  Divina 
Commedia  di  Dante  Alighieri,  V Inferno.  Firenze,  Grazzini 
Giannini,  1864-73.  Tip.  Pier  Capponi.  Un  voi.  in  4**  grande  di 
pag.  1120. 

€  Ardente  il  cuore  non  che  d'altro  di  patria  carità,  bramoso 
di  fruttar  prò  a  tutti  del  bel  paese,  mi  auguro  di  produrre  un 
Commento  di  nuovo  genere,  fiduciando  di  aver  dato  nel  segno 
nel  disvolgere  e  disvelare  su  la  lucentezza  della  verità  T  intimo 
mistico  senso  della  Divina  Commedia.  Del  che  mi  fo  malleva- 
dore, mercè  la  rassicuranza  e  la  certezza  con  cui  ha  progredito 
il  mio  spirito  nella  investigazione;  perciocché  quando  altri  si 
sarà  piaciuto  di  mirare  il  poema  dantesco  da  un  lato  o  da 
tar altro  esteriormente,  non  mai  di  fermo  si  sarà  studiato  di 
toccargli  il  cuore,  vederne  i  moti,  ricordare  i  tempi,  osservarne 


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cx)MENTr.  275 

le  circostanze,  rammemorarne  i  costumi,  le  vicissitudini,  le 
agitazioni,  le  turbolenze,  gli  odii  e  le  vendette.  Ciò  considerato, 
avrebbe  potuto  discender  con  Dante  neirinferno,  scorrere  il 
Purgatorio,  e  volare  al  Paradiso  ;  avrebbe  potuto ,  guidato  dalla 
fiaccola  della  Filosofia  e  della  Teologia,  inoltrarsi  nel  tempio 
della  dantesca  epopea  per  contemplare  quel  bello  sublime  orto- 
dosso, che  fa  grande  l'uomo  sulla  terra,  e  più  grande  il  suo 
spirito,  cb'  è  diretto  mai  sempre  a  volare  a  Dio.  —  Or  poiché 
mio  divisamente  si  è  di  dover  chiarire  come  Dante  sia  il  Prin- 
cipe de' poeti  cristiani  non  pure,  ma  altresì  quegli  che  abbia 
raccolto  intorno  a  sé  gli  elementi  tutti  della  grandezza  lette- 
raria della  italiana  penisola,  e  ne  abbia  quasi  formato  un  trofeo 
monumentale  per  le  età  venture,  perciò  mi  fo  pregio  di  chia- 
rire che  la  Divina  Commedia  sul  cennato  disegno  e  scopo  si 
ven'à  presentando  nei  Commenti  di  Allegoria  morale,  avvalorata 
io  tutto  dalla  Sacra  Bibbia  e  dai  Ss.  Padri  ;  nei  Commenti  di 
Storia,  sia  civile,  sia  letteraria,  sia  naturale  ;  nei  Commenti  di 
Esf elica  comparativa,  la  quale  dia  mano  all'Oratoria,  alla  Poe- 
tica, alle  scienze,  ed  alle  Arti;  ed  infine  nei  Commenti  di  Fi- 
lologia. E  poiché  dopò  la  Bibbia,  la  Divina  Commedia  si  è  il 
libro,  d'onde  l'uomo  italiano  può  toglier  cagione  di  elevarsi 
alla  dignità  e  grandezza  sua,  perciò  è  che  potrò  assai  bene 
sperare  che  sarà  fatto  buon  viso  al  desiderio  di  aver  mirato 
ad  un  fine  sommamente  utile  a  qualsivoglia,  quanto  si  è  V  im- 
megliamento  dello  spirito  sul  sentiero  della  virtù  sociale  ed 
eterna.  » 

Dai  premessi  prolegomeni  è  facile  a  rilevare  l' importanza  del 
lavoro.  Ben  si  può  dire  eh'  egli  il  gran  comento  feo.  Nessuno  nò 
degli  antichi  né  de'  moderni  lo  pareggia  di  mole.  Il  solo  Inferno, 
fin  qui  uscito,  in  4^  gr.,  abbraccia  1120  pagine.  Non  appena 
venne  dato  alla  luce  il  primo  Saggio,  si  ebbe  i  più  ampli  elogi 
e  dal  Fan&ni  (Man.  Dant.  ir,  493)  e  da  altri  critici  valenti.  — 
A  pie  dei  versi,  in  ogni  pagina,  per  agevolarne  l' intelligenza, 
vi  è  la  versione  in  prosa  ;  poi  il  comento  morale,  estetico,  storico- 
filolc^co,  dove  pur  sono  notati  e  chiariti  i  più  bei  modi  di 
dire.  Solo  mi  dorrebbe  che  le  illustrazioni,  o  meglio  trattati, 
benché  interessanti,  che  via  via  dichiarano,  direi,  ogni  verso, 
in  breve  tanta  materia  ponderosa,  trattenesse  i  lettori  a  farne 
lor  prò,  e  il  forte  prezzo  a  farne  acquisto.   Certo  in  si  vasto 


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276  COBfENTI. 

emporio  d'ogni  sorta  di  dottrina  vi  ò  molto  e  molto  da  rac- 
cogliere. Però  non  vorrei,  che  per  le  sottoposte  note,  si  dimen- 
ticasse la  divina  poesia  dell'Alighieri.  Ed  io  ho  sempre  a  mente 
1  canoni  posti  dallo  stesso  poeta  :  e  La  sposizione  dev'  esser  luce, 
la  quale  ogni  colore  della  sentenza  &ccia  parvente  (Conv,  u  1). 
—  Parlare  sponendo,  troppo  a  fondo,  pare  men  ragionevole 
(Conv,  I,  2).  —  I  lunghi  capitoli  sono  nemici  della  memoria 
(Conv.  IV,  4). 

ScART AZZINI  G.  A.,  La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri^ 
Riveduta  nel  Testo  e  commentata.  Voi.  i.  V  Inferno^  Leipzig, 
Brockhaus,  1874,  xii,  444  ;  Voi.  n.  Il  Purgatorio,  Leipzig,  Brock- 
haus,  1875,  xxii,  818. 

Il  prof.  Scartazzini  non  solo  volse  e  rivolse  tutti  i  comenti 
antichi  e  moderni,  italiani  e  stranieri,  tutte  le  monografie  e  gli 
studi  parziali  illustrativi  ;  in  breve,  tutto  quanto  si  scrisse  sulla 
Divina  Commedia  ;  ma  ne'  punti  più  gravi  ei  chiama  coscien- 
ziosamente a  rassegna  le  varie  opinioni  già  emesse,  le  vaglia  con 
critica  illuminata,  e,  andando  al  fondo,  non  di  rado,  si  divide 
da  tutti,  e  reca  la  sua  affatto  nuova,  alla  quale  non  si  può  non 
&re  accoglienza  amica.  —  Io  devo  percorrere,  scrivevami  egli  il 
29  Luglio  1874,  centinaia  di  volumi,  confrontare  ad  ogni  passo 
una  buona  cinquantina  di  comenti,  arrabbiarmi  le  tante  e  tante 
volte  vedendo  come  si  copiano  spensieratezze,  errori  già  da 
lungo  confutati,  si  disputa  a  lungo  di  futilità,  ecc.  ecc.  —  Né 
si  stette  egli  contento  di  cribrare  i  lavori  altrui,  ma  gli  piacque 
attingere  largamente  alle  fonti  a  cui  bevve  il  sovrano  Poeta. 
E  perciò  volle  approfondirsi  nello  studio  della  Somma  di 
S.  Tommaso ,  la  quale  per  ciò  che  concerne  le  dottrine  dom- 
matiche,  teologiche  e  filosofiche  fu  senza  alcun  dubbio  la  sor- 
gente prìncipale  alla  quale  l'Alighieri  attinse.  Inoltre  ha  inter- 
rogato quando  la  Bibbia,  quando  i  Santi  Padri,  quando  gli 
autori  classici,  quando  gli  storici  e  scrittori  contemporanei, 
aflSnchè  ne  prendessero  sicuro  valore  le  sue  interpretazioni,  e 
la  maggiore  utilità  e  chiarezza  ne  venisse  alla  esposizione  del 
mistico  Poema.  —  Ed  è  ben  assai  di  rado  ch'ei  citi  sulla 
fede  altrui  :  tutto  volle  vedere  coi  propri  occhi,  e  con  mirabile 
accuratezza  segnarne  le  citazioni.  Onde  il  lettore  che  desideri 
esaminare  se  i  passi  riferiti  sieno  più  o  meno  esatti  non  ha 
che  aprire 'il  volume,  trovarne  la  pagina,  e  chiarirsene  da  se 


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COMBNTI. 

stesso.  —  Né  poche  cure  vi  spese  riguard 
principali  lezioni  vi  si  trovano  non  solo 
iaiportanti  autorità,  che  stanno  per  Tun 
egli  trasceglie  quelle  che,  dopo  matura  rifl< 
preferibili.  Né  la  scelta  è  mai  arbitraria, 
messo  nel  testo,  die*  egli,  una  parola,  non 
abbia  il  sostegno  delle  più  accreditate  ediz 
i  migliori  testi  a  penna.  In  breve,  nel  Con 
tazzini,  unico  nel  suo  genere,  abbiam,  direi 
teca  dantesca,  ed  accumulatovi  un  immenso 
(nel  solo  Purgatorio  da  ben  oltre  30  mila 
eh* è  più,  disposto  in  guisa  che  tanta  m 
lettore,  ma  lo  meni  a  poco  a  poco  addenl 
r  intelligenza  del  Poema  e  nella  critica  es 
avvii  così  allo  studio  ognor  più  severo  e  ] 
immortale,,  eminentemente  degna  di  essere 
più  che  superficialmente.  Ei  può  ben  dire  :  l 
giammai  non  si  corse.  Da  quind'  innanzi 
con  vero  fintto  cercare  il  gran  volume,  p 
Comento  del  prof.  Scartazzini,  che  il  Fanfen 
degno  del  sajcro  Poema  e  dei 'progrediti  j 
il  migliore  di  tutti  gli  odierni  Commenti, 

In  una  seconda  edizione,  che  non  dee 
propone  di  rifar  intieramente  il  comento 
non  disaccordi  nel  disegno  da  quello  del 
tantissimo  sarà  poi  il  volume  dei  Prolegom 
la  stampa  del  Paradiso.  In  esso,  tra  le  al 
tende  consacrare  un  Ragionamento  sul  tei 
ragionato  dei  libri ,  de*  quali  ha  fatto  use 
alfabetico  dei  comentatori,  assieme  con 
vita  e  giudizi  sui  loro  relativi  lavoriv 

Io  non  posso  non  rendere  qui  le  più  sol 
di  grazie  al  dottissimo  e  carissimo  amico, 
mente,  e  contro  mio  merito,  intitolare  al 
sua  colossale  fatica,  onore  di  che  vado  sup 
iunque  più  alto  a  cui  potessi  mai  aspirar 

De  Biase  prof.  Luigi,  La  Divina  Com 
ghieri  esposta  in  prosa  e  corredata  di  testo 
temente  interpretata  nella  sua  Allegoria.  Na] 


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278  COMBNTI. 

€  Che  ci  fosse  bisogno  di  un  altro  Dante  in  prosa ,  dopo 
tanti  sfortunati  ed  inutili  tentativi,  di  opera  sìffiitta,  noi  vera- 
mente non  lo  crediamo  :  ma  il  sig.  prof.  De  Biase  pensa  altri- 
menti, e  secondo  lui  per  tal  modo  si  potrà  far  di  Dante  ttn 
libro  da  leggersi  come  un  romanzo  dal  gentil  sesso  pur  anco^ 
ed  invogliar  quindi  le  popolari  masse  eziandio  a  meditarlo 
e  comprenderlo.  In  tempi  di  preconizzato  sufiragio  universale 
ci  voleva  proprio  un  Dante  per  le  popolari  masse  e  pel  gentil 
sesso  !  e  se  ne  sappia  grado  al  sig.  De  Biase.  Il  quale  ama 
Dante,  conosce  Dante  e  così  lo  definisce:  «  Profondità,  genio, 
immaginazione,  gusto,  ragione,  sensibilità,  filosofia,  elevatezza, 
originalità,  naturalezza,  spirito,  flessibilità,  giustezza,  abbon- 
danza, finezza,  varietà,  fecondità,  calore,  venustà,  grazia,  forza, 
veemenza ,  colpo  d*  occhio  d'  aquila ,  retto  intendimento ,  ricca 
istruzione,  forte  sentire,  nobiltà  di  sentimenti,  vivacità*  delica- 
tezza, correzione,  purità,  chiarezza,  eleganza,  armonia,  splen- 
dore, rapidità,  patetico,  sublimità,  universalità,  perfezione  in- 
sieme . . .  ecco  Dante  Alighieri.  >  Che  ritratto,  qual  vigore  dì  pen- 
nello ! . . .  L' opera,  oltre  esser  corredata  di  testo ^  racchiude  molte 
figure,  delle  quali  diremo  soltanto  che  sono  degne  dell*  Inferno. 
^-  Nuova  Antologia,  Maggio,  1876.  —  Il  Fanfani  (  Borghi  ni. 
a.  II,  p.  268),  e  il  prof.  Zambrini  (Propugnatore,  1876,  T.  ii, 
p.  506),  trovano  invece  il  lavoro  del  De  Biase  buono  davvero: 
ed  il  Fanfani  le  figure,  se  non  un  miracolo  dell'arte,  as.^i 
espressive.  V.  De  Gubematis,  Rivista  Europea,  Maggio,  1876, 
p.  580. 

Anzelmi  Domenico,  La  Comedia  di  Dante  traslata  in  prosa. 
Napoli,  Nobile,  1875. 

Ambrosi  Francesco,  Breve  esposizione  della  Divina  Coni- 
media  di  Dante  Alighieri.  Mente  e  Cuore  di  Trieste,  1875  o 
1876.         ^ 

«  La  mia  esposizione,  scrìveva  l'Ambrosi  al  suo  Odoardo 
Weis,  non  è  fatta  per  dirvi  :  cosi  va  studiato  il  divino  poema^ 
e  cosi  va  inteso  ;  ma  è  fatta  piuttosto  per  significarvi  come  mi 
si  ò  presentato  un  libro,  che  lessi  con  grande  amore,  e  studiai 
con  mente  libera  da  gioghi  e  all'unico  intendimento  di  cavare 
istruzione  dalle  grandi  verità  in  esso  contenute.  lo'spero  bene 
che  non  mi  farete  carico,  se  mi  trovate  alcuna  volta  in  disac- 
cordo colle  idee  di  autorevoli  Dantisti,  e  se  ho  osato  troppo  in 

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OOBfENTI.  279 

rÌTereoza  di  quella  potenza  divinatrice,  di  cui  fu  investito  V  alto 
ingegno  del  Poeta.  > 

L'Ambrosi  nelle  tre  fiere,  vede  la  triplice  dominazione  che 
opprimeva  Tltalia,  chiamata  da  Tommaso  Campanella  trina 
bugia:  tirannide  (leone),  w/fomi  (lonza),  e  ipocrisia  (lupa),  di 
che  ai  vestono  i  tiranni  e  tutti  coloro  che  tendono  a  sovvertire 
r  ordine  sociale  cogF  insidiosi  apparati  dei  sofismi.  Ragioney 
Intelligenza,  e  Verità  (le  tre  donne  benedette),  secondo  lui, 
costituiscono  le  basi,  su  cui  poggia  Fumana  sapienza  e  tutta 
la  forza  morale  di  che  abbisogna  una  nazione  per  indirizzarsi 
ad  un  grande  rinovamento,  ed  insediarsi  negh  ordini  della 
scienza.  —  V.  pure  Ambrosi,  Dante  Alighieri  e  la  Divina  Com- 
media, p.  13. 

Mariani  ab.  Luigi,  La  Divina  Commedia  esposta  al  giova- 
netto studioso.  Firenze,  Tip.  Giuliani,  1873. 

Compito  del  Mariani  è  di  preparare  allo  studio  del  testo 
con  un  lavoro,  che  dia  un'idea  chiara  e  completa  di  tutta  la 
machina  dantesca,  di  tutte  le  sue  parti,  dei  modi  con  cui  sono 
congegnate,  degli  intendimenti  che  in  ciascuna  parte  ebbe  il 
poeta,  e  più  fornisca  agli  scolari  le  notizie  che  sono  necessarie,  ' 
affinchè  possano  poi  percorrere  il  testo  senza  che  inciampo 
alcuno  li  an*esti.  Ha  prescelto  di  fare  la  sua  esposizione  per 
domande  e  risposte,  convìnto,  dalla  propria  esperienza,  esser 
questo  il  meto  do  più  vantaggioso  neir  insegnamento.  Compiono 
il  lavoro  del  Mariani  due  appendici,  nella  prima  delle  quali 
riporta  i  luoghi  memorabili  del  Poema,  e  ne  dichiara  il  con- 
cetto ;  nella  seconda  tenta  di  spiegare  i  luoghi  astronomici  della 
Divina  Commedia ,  supponendo  che  il  giovinetto  sia  digiuno 
d^ogni  più  elementare  notizia  sulle  dottrine  che  vi  hanno  atti- 
nenza. L*  operetta  del  Mariani  fu  presentata  manos^ptta  al  nob. 
S.*"  Luigi  Vivarelli'^lonna  neiroccasione  che  il  4  Febbraio  1873 
dava  la  mano  di  sposo  alla  nob.  S.'*  Paolina  Forteguerri,  e  poi 
stampata  in  pochi  esemplari  a  spese  del  padre  dello  sposo. 
L'autore  soggiunge  che  fu  confortato  alla  ristampa  da  persone 
stimabili  per  dottrina  e  lunga  pratica  neir  insegnamento. 

Cabibogiovanni  F.,  Squarci  scelti  dallo  Inferno  di  Dante 
spiegati  e  commentati  ad  uso  delle  scuole  secondarie.  Torino, 
Favaie,  1873. 


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280  COMBNTI. 

Doppio  è  lo  scopo,  che  neUa  comfùlaziooe  di  questo  suo 
lavoro  81  è  proposto  :  I.*^  Avviare  i  giovani  allo  studio  della 
Divina  Commedia,  prima  ed  originaria  fonte  di  quanto  vi  ha 
di  pili  bello  e  di  piii  sublime  nella  italiana  letteratura:  11.^  Ap- 
plicare praticamente  a  questo  grande  esemplare  i  precetti  della 
Poetica  e  della  Estetica,  che  è  la  filosofia  del  bello  e  del  su- 
blime. ~  Avviare  la  gioventù  allo  studio  del  Dante  dando- 
glielo tutto  intero  alle  mani,  gli  par  impresa  impossibile,  onde 
ha  divisato  di  trasc^liere  dal  solo  Inferno  que*  canti  o  squarci 
che  hanno  piìi  del  descrittivo  e  dell*  immaginoso,  e  quelli  tri- 
tamente spiegare  volgendoli  a  verbo  a  verbo  in  &cile  prosa, 
e  corredandoli  di  tutti  gli  schiarimenti  storici  e  mitologici  che 
fiicean  uopo  alla  piena  intelligenza  del  testo,  e  di  tutte  le 
osservazioni  che  si  addicono  alla  filologia  ed  alla  parte  piii  nobile 
della  lingua.  Tralascia  quello  della  Frandaca  di  Arimino,  e 
spera  che  gli  educatori  non  gliene  &ran  rimprovero. 

Sqiuirci  della  Dimna  Commedia  con  alquante  Varianti 
che  si  trovano  nel  Quaresimale  latino  del  P.  Paolo  Attivanti 
di  confronto  alia  lezione  CLdotiata  dagli  Accademici  della  Cru- 
sca  con  la  tessitura  delle  tre  Cantiche  e  con  molte  chiose  del 
medesimo  volgarizzate  da  Luigi  Razzolini.  Bologna,  Romagnoli, 
1876.  (Estratto  dal  Propugnatore  di  Bologna,  voi.  xi). 

Il  P.  Attavanti  nel  suo  Quaresimale  latino,  tra  le  molte 
autorità  eh*  ei  porta  per  avvalorare  i  sacri  suoi  temi,  cita  molti 
passi  della  Divina  Commedia,  che  molte  volte  discordano  dalla 
volgata,  ed  a  quando  a  quando  con  bel  garbo  gli  commenta. 
Il  Federici,  già  fin  dal  1836,  tolse  a  metterne  in  rilievo  le 
Varianti,  di  confi*onto  con  la  lezione  del  Nidobeato,  ma  si  passò 
affatto  delle  Chiose,  alcune  delle  quali  veramente  importanti. 
E  il  Razzolini,  della  cui  benevoglienza  grandemente  mi  onoro, 
ce  le  dà  ora  volgarizzate  con  sì  squisito  sapore  di  lingua,  che 
meglio  non  se  ne  potrebbe  desiderare.  L* Attavanti  ci  assicura 
di  aver  interpretato,  ed  ampiamente,  il  divino  poema,  alla  let- 
tura del  qual  comento  rimanda  più  volte  il  suo  uditore.  Onde 
convien  ritenere  che  di  quei  giorni  fosse  divulgatissimo.  Ma 
siccome  andò  sventuratamente  perduto,  e  piii  prezioso  ci  toi*na 
il  dono  del  Priore  Razzolini.  —  L*  Attavanti  sortì  i  natali  a 
Firenze,  di  antichissimo  nobile  casato  ;  a  sette  anni  fu  accolto 
nell*Ordine  de*  Servi  di  Maria,  nel  quale  tenne  i  più  alti  uffici  ; 

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COMBNTI.  281 

ebbe  grido  di  orator  sacro  eloquentìssimo  ;  mori  ottantenne 
nel  Maggio  del  1499,  e  fu  sepolto  in  Firenze  nel  suo  Convento 
della  Nanziata.  —  V.  Tart.  del  Fanfani  nel  Borghini  15  No- 
vembre 1876. 

Zacheroni  G.,  Del  primo  canto  della  Divina  Commedia 
di  Dante,  Cemento,  Marsiglia,  Mossy,  1841. 

Pasquini  Vicenzo,  Interpretazione  del  i  Canto  delt  Inferno 
col  testo  a  fronte.  —  Passi  difficili  e  controversi.  La  prima 
Allegoria,  82-133. 

Galanti  Garminb,  al  chiaris.  D,  Luigi  BenassuU  Lettera  II 
(21  Luglio  1874)  su  Dante  Alighieri.  Brevi  osservazioni  su 
oleum  luoghi  del  i  Canto  delV  Inferno.  Ripatransone ,  Jaffei. 
—  Lettera  III,  id.  Ripatransone,  21  Aprile  1874.  —  Lettera  IV, 
id.  Ripatransone,  8  Maggio  1874. 

11  can.  Galanti ,  da  quanto  mi  si  scrive ,  ha  belle  e  pronte 
oltre  100  lettere  interpretative  sulla  Divina  Comedia.  Le  ottd 
già  pubblicate  sono  dirette  al  ben  noto  comentatore  arcip.  6e- 
nassnti.  Io  le  lessi  tutte,  e  con  vero  piacere ,  perchè  in  tutte 
vi  ci  trovai  e  chiarezza,  e  qualche  esposizione  peregrina,  det- 
tata con  garbo,  da  farmi  invogliare  di  vederle  presto  accom- 
pagnate da  altre  sorelle.  Il  cemento  è  in  senso  morale. 

Boschetti  dott.  Abibroqio,  Sposisione,  Parafrasi,  Glosse 
e  Bellezze  della  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  ad  uso 
della  studiosa  gioventii,  Trieste,  Appoloni  e  Caprin,  1870  di 
p.  xxv-124.  Per  Nozze  Janovitz-Formiggini. 

Saggio  di  Comenti  del  Canto  ni   dell'Inferno  della 

Divina  Commedia,  Programma  del  Ginnasio  Comun.  di  Trieste, 
1875-74,  p.  3^1. 

Ne*  Prolegomeni  ci  offre  un  importante»  discorso  sul  Con- 
cetto, Fine,  Sviluppo  e  Originalità  della  Divina  Commedia  :  ad 
ogni  canto  vi  precede  1*  argomento  ;  ed  ogni  terzina  tien  dietro 
la  sua  parafrasi,  appresso  le  disquisizioni  e  gli  schiarimenti  alla 
più  possibile  cognizione  e  intelligenza  delle  cose  contenute;  a 
pie  di  pagina  le  note  estetiche  per  farci  comprendere  gli  alti 
sensi  del  poeta,  e  per  guatarne  le  bellezze,  al  fine  del  canto 
un  giudizio  generale ,  ed  il  sunto  allegorico ,  ed  ove  il  destro 
gli  si  presenti,  vi  aggiunge  copiose  dissertazioni.  Dante  è  spesso 
richiamato  ad  illustrare  sé  medesimo.  —  È  un  lavoro,  ove  fosse 


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282  COMENTI. 

compiuto,  di  gran  lena,  e  che,  non  ne  dubito,  onoperebbe  as- 
sai 1* autore.  Ma  non  mi  par  adatto  alla  gioventù,  e  per  b 
spesa  e  per  la  stessa  sua  mole.  Se  i  tre  primi  canti  abbrac- 
ciano 176  pag.  in  4",  di  carattere  fitto,  l'intero  comento  no.- 

ne  può  dar  meno  di  1800 Ed  un  giovine,  anche  il  piii  ftd- 

dioso,  se  ne  ritrarrebbe  sgomento.  —  Il  Dott  Boschetti  ha  pu 
pubblicato  un  Avviamento  allo  studio  delia  Divina  Commedii, 
di  cui,  egli  dice,  ognuno  che  imprende  a  leggere  Dante  ùo- 
vrebbe  essere  dapprima  erudito. 

De  Crollis  Domenico  ,  Ragionamento  sopra  Dante,  —  C  - 
mento  al  vii  Canto  della  prima  Cantica  di  Dante.  Roma,  Boni- 
zaler,  1833. 

La.  Farina  Giuseppe,  Su  di  un  passo  del  Canto  xiv  dt'- 
l*  Inferno  dantesco.  Lezione  detta  aW  Accad.  Pelorùana.  Nel 
Faro  di  Messina,  i,  342-47. 

Bozzo  Gius.,  Ragionamento  critico  intomo  ad  un  htwj 
famoso  della  Divina  Comedia  (Inf.  xx,  20-30).  Palermo,  Tip 
II.  delia  Guerra,  1830. 

Intorno  al  Canto  trigesimo  primo  della  Divina  Cofn- 

media.  Osservazioni  filologiche,  Palermo,  Tipogr.  del  Giora. 
Letter.  1841. 

La  Farina  Giuseppe,  Lezione  sopra  un  passo  del  C.  xxxtv 
delC  Inferno^  letta  nelCAccad.  Peloritana,  Nel  Faro  di  Messina. 
1836,  i,  206-223. 

Grimaldi  Odo  ardo.  Saggio  di  una  nuova  esposizione  di- 
dattica della  Divina  Commedia,  (G.  i  del  Purg.).  Temi,  Stabii. 
Tipogi".  Ternario,  1870. 

Giuliani  Giambattista,  Dante  spiegato  con  Dante.  Il  C.  xxir 
del  Purgatorio.  11  Propugnatore,  a.  tv.  Dispensa  m,  Maggio 
e  Giugno,  1872,  p.  394-437. 

F.  B.  D.  S.  C,  (P,  F,  Bonaventura  da  Sorrento,  Cappuc- 
cino), Prolusione  del  Commento  sul  C,  xi  del  Paradiso  della 
Divina  Commedia,  —  Annali  Francescani,  Periodico  religioso 
dedicato  agli  associati  del  terzo  ordine.  Milano,  Maiochi,  1870. 
A.  I,  voi.  I,  p.  99.  —  S.  Francesco  d*  Assisi.  I.  //  secolo  di 
S.  Francesco,  p.  151.  —  La  patria  di  S,  Francesco,  p.  175. 

—  Lo  sposalizio  di  S,  Francesco,  p.  199.  —  La  paternità  di 
S,  Francesco,  p.  251.  —  /  primi  figli  di  S,  Francesco,  p.  347. 

—  S,  Francesco  a  Roma,  p.  391.  —  La  progenie  di  S.  Fran- 


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COMENT!.  283 

Cesco,  p  477.  —  S,  Francesco  in  Oriente.  Le  Missioni,  p.  487, 
555.  —  S,  Francesco  al  monte  delfAivemia.  Voi.  ii,  p.  200. 
—  S.  Francesco  sul  colle  delV  Inferno,  p.  221. 

Rocchi  Gino,  Note  al  xv  canto  del  Paradiso  di  Dante.  Bo- 
Ic^na,  Gamberini  e  Parmeggiani,  1874. 

BoRGHiM  VicENZO,  Errori  di  alcuni  Commentatori  di  Dante 
e  principalmente  di  un  falso  Vellutello.  Sensi  e  voci  dichia- 
rate  nella  loro  proprietà  e  valot^e.  Studi  sulla  Divina  Com^ 
media.  Firenze,  Le  Monnier,  227-269. 

Osservazioni  sopra  le  bellezze   notate  ne*  Canti  del- 

r  Inferno  xvii-xxii.  Id.  217-99. 

Degli  antichi,  il  Borghini  sopra  tutti,  a  giudizio  del  Giu- 
liani, indicò  le  veraci  norme  per  V  interpretazione  del  Poema 
sacro.  Nelle  sue  Note  sul  falso  Vellutello  traluce  sempre  T  in- 
gegno, lo  studio  de*  classici,  e  il  finissimo  ingegno.  Oltrecchè 
gli  piace  addentrarsi  nelle  finezze  delle  proprietà  per  le  quali 
Dante  apre  veramente  il  suo  concetto,  e  fa,  dirò  cosi,  leggere 
in  sé  stesso.  Le  osservazioni  alla  voce  discoscesa,  cupa,  scoppia, 
trapela,  insolla  ed  altre  molte,  sono  opera  di  consumati  studi 
e  mostrano  la  proprietà  in  Dante,  come  disse  il  Borghini,  essere 
miracolosa.  Lo  studio  costante  nel  Poema  lo  condusse  a  notarvi 
la  part«  estetica.  Le  osservazioni,  che  ne  fece,  parvero  al  Gigli 
pur  un  buon  saggio  da  darsi  ai  novelli  cementatori,  che  decla- 
mano il  bello,  ma  spesso  non  sanno  mostrarlo. 

Stroochi  Dionigi,  Parecchie  Osservazioni  sopra  alcuni 
luoghi  della  Divina  Commedia,  e  specialmente  sulle  rispettive 
lezioni  e  chiose  del  P.  Lombardi.  NeW  edizione  Romana  del 
1815,  IV,  176-184. 

Spiegazioni  di  alcuni  passi  della  Divina  Commedia. 

Fanelli,  La  D'JnafiiJoamedia  opera  patria.  Pistoia,  Gino,  1856- 
57,  li,  57-106. 

Fiacchi  Luigi,  Sopra  alcuni  passi  della  Divina  Commedia  di 
Dante,  Lezione  detta  alV  Accademia  della  Crusca  il  di  19  Giugno 
1818.  Torino,  Stamp.  Reale,  1819.  Atti  della  Crusca,  ii,  117-129. 

Ferrucci  Luigi  Gbisostomo,  Osservazioni  sopra  alcuni  luo- 
ghi della  Divina  Commedia.  Giorn.  Arcad.  xx-xxn  (1820). 

Osservazioni  sopra  il  i  canto  deW  Inferno.  Giornale 

Arcad,  xxm,  207-211. 


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284  COMENTI. 

PbrTicari-Monti  Costanza,  Pensieri  sopra  cUcuni  passi 
deir  Inferno,  Effemeridi  scientifiche  e  letterarie  per  la  Sicilia , 
T.  I,  1832,  p.  40-46. 

Riguardano  i  v.  55  del  C.  ii  ;  v.  25  del  C.  ni  ;  v.  39  e  97 
del  Canto  stesso  ;  v.  31  del  C.  iv  ;  v.  109  del  C.  v  ;  v.  13  del  e.  vi. 

Fabdella  GivsBPPE ^  Rischiaramenti  sopra  alcuni  passiì 
della  Divina  Commedia,  Giorn.  Lettor,  di  Sicilia,  1836,  uv, 
289-327. 

Montanari  Ignazio,  Dichiarazione  di  alcuni  luoghi  della 
Divina  Commedia,  Giornale  Arcadico  1839,  lxx,  206-222. 

Mezzanotte  Antonio,  Osservazioni  intomo  ad  alcuni  luo- 
ghi della  Divina  Commedia  comentata  dal  Biagioli  opportune 
a  rettificare  il  modo  con  cui  alcuni  di  essi  furono  interpretati^ 
e  a  proporre  di  piii  altri  una  nuova  interpretazione,  Neil*  Im- 
parziale di  Faenza,  1841. 

Venturi  Pietro  ^  Osservazioni  sopra  alcuni  luoghi  della 
Divina  Commedia  lette  nel  1841  neW Accademia  Tiberina  di 
Roma.  V.  Giorn.  Àrcad.,  xui,  200  ;  l'Antologia  di  Fossombrone, 
r,  128  ;  TAlbum  di  Roma,  1842,  86. 

Betti  Salvatore,  Lettere  Dantesche,  Scritti  vaij,  p/351- 
443,  Firenze,  Torelli,  1856. 

Son  dirette  a  letterati  diversi,  al  card.  Mai,  a  Pietro  Ode- 
scalchi,  a  Luigi  Biondi,  a  Giamb.  Zannoni,  a  Paolo  Costa,  a  Pier 
Al.  Paravia,  a  Carlo  Santacroce,  ed  al  prof.  Giamb.  Giuliani. 

ToDEscHiNi  Giuseppe,  Interpretazione  letterale  di  tre  luoghi, 
ecc.  (Inf.  IV,  69;  xi,  21;  xviii,  9).  —  Lettera  a  F.  Bellotti.  — 
Difesa  delV  interpretazione  proposta,  —  Commento  del  verso 
56  o  più  veramente  della  voce  Caorsa  nel  e.  xi  del  Paradiso 
—  Sulla  retta  intelligenza  del  terzo  e  quarto  ternario  dei  e.  xxi 
del  Paradiso  ~  Altre  chiose  ed  illustrazioni  della  Divina 
Commedia,  Scritti  su  Dante,  ii,  22ò-A4iia      .. 

Venturi  Luigi,  Le  Similitudini  Dantesche,  ordinate  illu- 
strale  e  comentate,  Firenze,  Sansoni,  1874.  —  V.  p.  121. 

Gamba  Bartolommeo,  Alcune  narrazioncelle  toUe  dai  più 
antichi  chiosatori  della  Commedia  di  Dante  Alighieri.  Wener 
zia,  Alvisopoli,  1840.  —  Per  Nozze  Revedin-Correr. 

Loria  Cesare,  V  Italia  nella  Divina  Commedia ^  IPediz,. 
2  voi.,  Firenze,  Barbèra,  1872.  —  V.  pag.  113. 


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COMENTI.  285 

Booa  Donato,  Dizionario  Storico,  Geografico,  Universale 
della  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri,  contenente  la 
Biografia  dei  personaggi,  la  notizia  dei  paesi  e  la  spiegazione 
delle  cose  piii  notevoli  del  sacro  Poema.  Torino,  Paravia,  1873. 
—  V.  p.  114. 

Mazzoni  Toselu  Ottavio,  Voci  e  Passi  di  Dante  chiariti 
ed  illustrati  con  documenti  a  lui  contemporanei,  raccolti  negli 
antichi  archivi  di  Bologna.  Bologna,  Chierici,  1871,  Edizione 
di  100  esemplari. 

Il  Mazzoni  Toselii  si  argomenta  d*  illustrare  alcune  parole 
usate  da  Dante  su  la  cui  significazione  rimasero  incerti  tutti  i 
Commentatori ,  aiutato  da  una  lunga  lettura  di  pergamene 
scritte,  vivente  il  Poeta  o  poco  dopo  la  morte  sua.  Dopo  matura 
considerazione  sul  modo  onde  vennero  usate  alcune  di  <][uelle 
voci  dai  nostri  antichi,  ei  potè  indagare  quasi  con  certezza  il 
vero  significato  di  esse.  Alla  cui  spiegazione  aggiunge  qualche 
schiarimento  storico  intorno  a  persone  o  famiglie  che  trovansi 
nominate  nella  Divina  Commedia  «  giacché  le  storie  antiche 
tratte  da  tradizioni  volgari  e  lontane,  ei  dice,  sono  sempre 
incerte  e  fallaci,  come  per  lo  contrario  irrefragabili  sono  i 
documenti  contemporanei. 

— —  Dizionario  Gallo-ItaUco,  ossia  Raccolta  di  tremila  e 
piti  veci  primitive  italiane,  ecc.  Bologna,  Tip.  della  Volpe,  1831. 

In  fine  dell*  opera  si  trova  un  Indice  degli  articoli  ne'  quali 
ti  danno  alcuni  schiarimenti  alla  Divina  Comedia,  che  sono 
dugento  incirca. 

Salomonb-Marino  Salvatore,  Di  alcuni  luoghi  difficili  e 
fontroversi  della  Divina  Commedia,  interpretati  col  volgare 
siciliano^  Lettera  al  eh.  prof.  Francesco  Corazzini.  Pubblicata 
per  la  prima  volta  nella  Rivista  Filologica  Letteraria  di  Ve- 
rona, 1872.  —  IP  ediz.  con  giunte,  Palermo,  Tip.  del  Giornale 
di  Sicilia,  1873. 

Togliendo  ad  investigare  quale  parte  avesse  nella  Comme- 
dia la  lingua  di  Sicilia,  Tegregio  mio  amico,  con  molto  senno 
^  acume,  pur  illustra  le  voci  siciliane  del  poema  neglette ,  o 
meglio  sconosciute  da  tutti  i  Comentatori.  E,  come  ben  notava 
lo  Scarabelli,  tanti  passi  difficili  e  controversi  ne  ricevono  lume 
inaspettato.  E  perciò  non  è  meraviglia  se  la  Scuola  Italica  di 
,  Napoli  (1  Marzo  1873),  la  Rivista  Europea  di  Firenze  (1  Marzo 


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286  COMBNTl. 

1873),  r Archivio  storico  siciliano  di  Palermo  (a.  i,  1873,  p.  119), 
il  BuUettino  bibliografico  di  Torino  (25  Ap.  1873),  la  Recuc 
critique  d'kistoire  et  de  littèrature  de  Paris  (17  Mai  1873),  la 
Nuora  Antologia  di  Firenze  (Agosto,  1873),  YEco  deUe  Alpi 
Cozie  di  Pinerolo  (Nov.  1873),  e  là  Dora  Baltea  di  Torino 
(27  Nov.  1873),  unanimi  ne  facessero  i  più  larghi  e  ben  me- 
ritati elogi. 

Ca VERNI  Raffaello,  Conversazioni  Letterarie^  La  Scuola, 
1873.  —  Consigli  sopra  lo  studio  delle  lettere  ad  un  giaci- 
netto,  —  Giovanni  e  Francesco  Dialoghi  Danteschi,  —  Iliu- 
strazioni  Geometriche  sulla  Divina  Commedia.  L'Ateneo,  1874. 
—  Voci  e  modi  di  dire  della  Divina  Commedia  deWtiSo  po- 
polare Toscano,  Il  Giusti,  1876. 

€  Se  io  dovessi  fare  un  commento  per  te,  Cammillo  mio,  un 
commento  accomodato  alla  tua  età  e  a*  tuoi  studi,  non  vorrei 
£sure  altro  per  ora  che  dichiarare  il  senso  letterale  in  que*  v«*si, 
che  0  per  qualche  notizia  un  po'  meno  comune  o  per  qualche 
costrutto  o  per  qualche  arcaismo  s*  appresentassero  dei  meno 
chiari.  Del  resto  poi  niente.  Niente  di  note  estetiche,  se  non 
forse  in  margine  segnati  con  asteristico  que^  versi ,  ehe  1*  Al- 
fieri e  il  Tommaseo  giudicaron  più  belli,  e  ciò  non  come  sen- 
tenza inappellabile,  ma  come  un  richiamo  a  fermare  la  tua 
attenzione  a  ricercare  il  perchè  paressero  a  loro  que'  versi  tali. 
Che  se  tu  senti  altrimenti,  alla  libera.  Le  molte  cose  che  tu 
non  puoi  intendere  ancora,  meglio  è  lasciarle,  che  T ingegno 
non  si  sgomenti.  ...  Io  vorrei  che  nel  mio  commento ,  più  e 
meglio  che  per  le  parole,  le  illustrazioni  ti  venissero  per  dise- 
gni con  ordine  diligente  pensati,  con  eleganza  d^arte  condotti 

Vorrei  che  a  ogni  cantica  precedessero  disegni  geometrici  della 
grande  conoide  dell'  Inferno  e  della  montagna  del  Purgatorio 
e  delle  sfei*e  del  cielo ,  secondo  le  misure  pensate  e  neir  alta 
mente  del  poeta  descritte  :  dico  geometrici  e  non  &tti  così  a 
casaccio,  come  in  molte  edizioni  si  vede,  ma  che  tu  stesso  po- 
tessi, sapendone  le  misure,  ricostruirle  precise  sopra  una  data 

scala  di  proporzione ,  studio  utilissimo,  esercizio  piacevole 

Le  vignette  quando  fossero  scelte  con  amore  diligente  e  quando 
al  bello  dell'arte  tenessero  congiunta  Te  spressione  del  vero, 
potrebbero  tanto  giovare,  risparmiare  tante  lunghe,  inefficaci 
parole.  —  Di  molte  voci  e  locuzioni  più  sicuro  e  più  pieno,   ti 


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coaiENTi.  287 

{Terrà  il  commento  dalla  lingua  del  popolo  viva,  che  non  da 
quella  dei  letterati  rimorta. . . .  Comentar  Dante  con  Dante  è 
ottimo  metodo,  anzi  non  solo  Dante,  ma  tatti  i  grandi  scrit- 
tori e  gli  uomini  onesti  si  dovrebbero  cementare  con  le  loro 

stesse  parole  e  azioni Un  altro  utile    metodo  e  un  bello 

esc^rciado  di  stile  è  commentare  Dante  con  gli  altri  scrittori. 

Ecco  come  ne  pensa  il  Caverni  riguardo  a*  cementi  pe'  gio- 
Tiaetti.  E,  a  mip  avviso,  assai  assennatamente.  Quelli,  ad  uso 
delle  scuole,  vorrebbe  banditi.  A  vincere  i  passi  fòrti  dee  bastare 
la  voce  viva  del  maestro.  Ora,  ei  dice,  non  si  comunica  la  scienza 
corrente  in  onda  piena  armoniosa,  ma  rifranta  in  spruzzoli 

crepitanti   attraverso   a'  bucolini   delle  lettere  deir  alfabeto 

La  voce  viva  dovrebbe  riescire  vie  piii  efficace,  e  da'  frutti  si 
vedrebbe  quella  differenza  che  è  tra  un  albero  cresciuto  in  una 
àtanza  chiusa,  a'  bagliori  di  ima  luce  elettrica,  e  un'  altro  edu- 
cato ne'  campi  aperti  alla  luce  del  sole. 

11  Caverni  nelle  sue  Conversazioni  Letterarie  e  ne'  suoi 
Dialoghi  danteschi,  con  critica  stringente,  prende  a  rivedere 
molte  chiose  che  corrono,  non  bene  intese,  e  dar  ad  esse  una 
piii  ragionevole  interpretazione.  E  nel  suo  Vocabolarietio  ci 
fd  toccar  con  mano  come  di  molte  voci  e  locuzioni  più  sicuro 
e  più  pieno  ci  viene  il  cemento  dalla  lingua  del  popolo  viva, 
che  non  da  quella  de'  letterati  rimorta. 

Gaddi  Hbrcolani  Ercolano,  Vocabolario  Enciclopedico-Dan- 
tesco.  Saggio  dell'Opera,  Bologna,  Società  Tipogr.  dei  Com- 
positori, 1876. 

«  Nuovo  cemento  in  forma  di  Vocabolario  ci  accingiamo  a 
pubblicare,  onde  espoiTe  con  ordine  alfisibetico  quanto  potevasi 
illustrare  filologicamente  e  storicamente,  sia  per  fraseologia  e 
mitologia,  sia  per  descrizioni  di  popoli,  di  città,  di  monti,  di 

valli   e  di  animali  noti   e  favolosi È  non  solo  di  teologia 

filosofia,  storia,  politica  e  filologia  abbiam  trattato,  ma  questa 
ultima  parte  spiegammo  nei  suoi  veri  significati.  Cosi  abbiam 
procurato  con  questo  sistema  di  cemento  di  spiegare  quanto 
mai  8Ì  potesse,  affinchè  l'opera  nostra  giustamente  meritasse 
il  titolo  di  Vocabolario  Endclcpedico-Daniesco ,  titolo  che  ri- 
tenepomo  il  più  atto  a  comprendere  nel  più  lato  senso  il  con- 
cetto del  nostro  ardito  pensiero.  —  E  ben  ardito  è  il  pensiero 
^dclco.  Hercolani!  Ma  il  dateci  saggio  ci  assicura  e  dell'utilità 


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288  COMBNTI. 

del  lavoro,  e  della  grande  &tica  sostenuta  nel  condurlo  a  fine. 
E  hmk  fece,  a  nostro  avviso,  nel  dargli  forma  di  Vocabolario, 
n  lettore,  ogni  volta  che  ne  sente  il  bisogno,  vi  può  ricorrere 
fidente;  che  la  vastità  della  materia  non  gli  sarà  dMngombro, 
ma  di  guida  nelle  sue  ricerche.  Nella  lettura  del  divin  poema 
è  buono  che  ciascuno  quantunque  può  s*  aiuti  mettersi  addentro 
ne'  luoghi,  foi*ti  a  intendere,  e,  dirò  con  Dante,  con  la  vela  € 
co'  remi  pinga  sua  barca.  E  il  frutto  ne  sarà  ben  maggiore, 
il  diletto  pure,  e  gli  gioverà  dicer:  io  vinsi. 

BosoNE  DA  Ugobbio,  (detto  il  Novello,  amico  ed  ospite  del- 
l'Alighieri),  Sopra  la  esposizione  e  divisione  della  Comm/^dia 
di  Dante  Alighieri.  Nella  Vindeliniana,  1477;  Nell'ediz.  del  de 
Romanis,  1817-18  ;  nella  Padovana  della  Minerva,  1822,  V.  269  • 
per  cura  del  marchese  di  Camelia,  Pasquale  Oarofiedo,  1829;  e 
da  ultimo  per  cura  di  Pasquale  Garofalo,  Duca  di  Bonito, 
con  Varianti  e  Comenti  precedute  da  una  lettera  del  cav.  Gio- 
vanni Rossi,  di  Napoli,  sulla  vita  di  Bosone  e  dì  Manuel  Giudeo. 
Napoli,  Ferrante,  1872. 

Jacopo  Alighieri,  Questo  Capitolo  fece  Jacopo,  figliuolo  di 
Dante  Alighieri  di  Firenze  il  quale  parla  sopra  tutta  la  Co- 
media.  Nelle  antiche  stampe  della  Div.  Gomedia;  nell'ediz.  del 
De  Romanis,  1817-18;  nella  Padovana  della  Minerva,  1822, 
V.  274  (sotto  il  nome  di  Pietro  di  Dante)  ;  nelle  Rime  di  Cine 
da  Pistoia,  p,  21 1.  —  Con  Varianti  e  Comento  di  Don  Pasquale 
Garofalo,  Duca  di  Bonito.  Napoli,  Ferrante,  1872. 

Sposisione  in  terza  rima  della  Divina  Commedia  di  Mino 
Vanni  d'  Arezzo.  — -  Degli  undici  Capitoli  che  la  compongono 
non  ne  vennero  pubblicati  che  nove  nel  1755  dal  Raffaellì,  col 
nome  di  Bosone.  Voi.  xvii  delle  Deliciae  eruditorum  del  Lami, 
con  note  dichiarative  del  prof.  Roni. 

Boccaccio  Giovanni,  Rubriche  della  Commedia  di  Dante 
Alighieri  scritte  in  prosa  e  breve  raccoglimento  in  terzino  dì 
quanto  si  contiene  nella  stessa.  Boccaccio,  Rime,  per  cura  del 
Baldelli,  Livorno,  1802,  p.  83-104;  Raccolta  di  Rime  Antiche. 
Palermo,  Assenzio,  1817,  rv,  101-119;  Boccaccio,  Opere,  Fi- 
renze, Moutier,  130-52;  Venezia,  Cecchini,  1843,  per  le  Nozze 
Milan  Massari -Comello.  La  prefazione  è  del  Cav.  Cicogna, 
le  Note  del  Cav.  Yeludo;  Id.  id.  per  le  Nozze  Padova-Levi, 


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COMBNTI.  289 

VeDezia,  Merlo,  1859.  Il  prof.  Pizzo  dichiara  di  aver  corretti 
Alquanti  passi,  onde  il  senso  venne  meglio  chiarito. 

Recita  di  Dante  cT  un  Frate  di  S.  Spirito.  —  Ristrinse  tutto 
il  cootenato  della  Divina  Commedia  in  una  Canzone,  la*  quale, 
quantunque  i*ozza,  è  assai  felice.  Nel  Crescimbeni  u,  276-78. 

Argomenti  in  prosa  dei  Capitoli  della  Divina  Commedia 
traiti  dai  Cod.  Triulsiano.  Nell'ediz.  Udinese  del  1825,  I,  lv- 
Lxix.  Si  leggono  pure  nelle  ediz.  della  Div.  Comedia  di  Fuligno, 
1472:  di  NapoU,  1474;  di  Venezia,  1477. 

Palazzi  Giovanni,  Compendio  della  Divina  Commedia.  Ve- 
nezia, 1696,  in  4^,  con  figure  in  legno.  Libro  raro. 

Gozzi  Gaspare,  Argomenti  in  prosa  a  ciascun  canto  del 
Poetna  di  Dante.  Venezia,  Zatta,  1757;  Gozzi  Opere,  Padova, 
Minerva,  1819,  voi.  v,  p.  121-156. 

Salvi  Lodovico  ,  Argomenti  per  ogni  canto  del  Poema  di 
Dante  Alighieri.  Al  sig.  Leone  de'  Leoni  nobile  Riminese,  Fi- 
losofo e  Medico.  Verona,  Ramanzini,  1744;  Venezia,  1749. 

Dalmistro  Angelo,  Sposizione  succinta  d'  ogni  canto  del- 
V  Inferno  e  de  primi  xx  del  Purgatorio  di  Dante  Alighieri 
letta  neir  Ateneo  Trevigiano^  Padova,  Crescini,  1828. 

Trissino  Francescx),  Esposizione  generale  per  indice  di 
tutti  i  luoghi  persone  e  Cose  menzionate  nella  Divina  Com- 
media di  Dante  Alighieri,  non  ommesse  tutte  le  sentenze, 
apostrofi  j  similitudini  ed  altre  figure  e  nomi  distinti  di  elo- 
cuzione che  si  riscontrano  in  esse.  Verona,  Antonelli,  1843. 

Non  uscì  che  il  primo  fascicolo  di  pag.  96  dalla  voce  Abate 
alla  voce  CieL 

Ambrosoli  Francesco,  Esposizione  analitica  della  Ditina 
Commedia.  Scritti  vari  intorno  alla  Divina  Comedia,  Venezia, 
Antonelli,  1836,  p.  65-119. 

Borghi  Giuseppe,  Esposizione  della  Divina  Commedia,  in 
foggia  di  argomenti.  Id.  p.  147-290. 

Marenghi  Carlo,  La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri, 
Parma,  Carmignani,  1847. 

Vaccaro  Emanuele,  Sopra  un  Comento  di  Dante  fatto  da 
Ugo. Foscolo,  Riflessioni  critiche.  Palermo,  Gab.  Tip.  allMnse- 
gna  del  Meli,  1831.  —  V.  Malvica  Ferdinando^  Effemeridi 
scient.  per  la  Sicilia,  T.  i,  1832,  p.  169-176. 

19 


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290  OOMBNTI. 

Orti  Giovanni  Gibolaho,  Lettere  sopra  un  inedito  »?iò\v; 
contenente  alcune  osservazioni  Dantesche  di  Filippo  Rosa  M<  *• 
BANDO.  Verona,  Libanti,  1833. 

Mbrcuri  prof.  Filippo,  Lezioni  sulla  Divina  Commedia , 
precedute  da  un  discorso  critico  sovra  tutti  i  mss.  t  ecUsiom 
e  i  commentatori  antichi  e  moderni  di  Dante  Alighieri,  e  da 
una  tavola  sincrona  di  tutti  gli  avvenimenti  principali  rela- 
tivi alla  Divina  Commedia  e  al  secolo  di  Dante  dal  31 CC  ai 
MCCCXXI  in  cui  egli  mori.  Programma  di  associazione. 

L'opera  doveva  esser  di  circa  fogli  40  in  8®.  Vi  doveano 
pure  essere  inseriti  €  alcuni  estratti  di  un  prezioso  manoscritto 
di  Dante  che  si  conserva  neir  insigne  raccolta  di  mss.  posse- 
duta dal  sig.  commend.  De  Rossi Il  codice  ha  resposizion^ 

in  latino  del  Purgatorio  e  del  Paradiso,  ed  è  scritto  nel    1412 
di  mano  di  Franceschino  di  Poggio  Romano  in  Faenza. 

Pachini  Serafino,  Esame  critico  sul  Comentario  del  Cesari 
alla  Divina  Commedia  del  Dante,  Teramo,  Scalpelli,  1871. 

Montanari  Ignazio,  Sul  Comento  deWArc,  Bbnassuti.  Gior- 
nale Arcadico,  Nuova  sei-ie,  Voi.  63,  1870,  p.  209-221.  —  Sul 
Comento  del  Benassuti  e  specialmente  sul  Discorso  Prelimi- 
nare, veggasi  r articolo  col  titolo:  Considerazioni  Prodromc\ 
alla  scoperta  delT Allegoria  della  Dimna  Commedia  nel  Perio- 
dico di  Bologna,  1871,  Il  Trionfo  della  Chiesa  e  la  Glorifi- 
cazione di  S.  Giuseppe,  —  XXI  Giudizi  sul  Comento  del  Be- 
nassuiij  raccolti  e  pubblichiti  dallo  stesso  interprete.  Verona, 
Civelli,  1868.  —  V.  Man,  Dant  iv,  344. 

Bruno  Condò,  Lettere  intomo  alle  note  di  Gregorio  di 
Siena  sopra  V  Inferno  di  Dante  Alighieri  edite  per  cura  di 
Giacinto  de  Pamphilis,  Marsiglia,  1873,  p.  22. 

Pardi  Carmelo,  /  Comentatori  di  Dante,  L'Arte,  A.  ii,  n.  20, 
15  Ottobre  1870. 

COMENTI   INEDITI 

Sercambi  Giovanni,  Comento  inedito  del  Paradiso. 

Giovanni  Sercambi  n.  a  Lucca  ai  18  Febbraio  del  1347, 
vi  morì  il  27  Mai-zo  1424.  —  Il  Sercambi  dettò  una  crouaca 
patria,  in  due  libri,  dal  1164  al  Luglio  del  1423,  che  il  Muratori 


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I 

OOMBNTI.  291 

inserì  nel  T.  xvin  degli  Scrittori  delle  cose  d' Italia.  Scrisse 
ÌQoltre  gU  Avvertimenti  ai  Ouinìgi,  signori  di  Lucca,  cbe  pub- 
blicò Mons.  Mansi  nel  1761.  Il  Sercambi  fu  pure  autore  di 
molte  novelle,  venti  delle  quali  diede  alla  luce  il  Gamba  nel 
1816,  in  cento  esemplari,  notevoli  per  aurea  semplicità  e  per 
r  ingenua  pittura  de'  vecchi  tempi  ed  usanze ,  aUe  quali  ne 
aggiunse  dodici  il  Minutoli. 

Fra  i  codici  della  Libreria  Laure nziana  di  Firenze,  di  cui 
il  can.  A.  M.  Bandini  dio  fuori  il  catalogo  in  più  volumi  in 
foglio,  impressi  dal  1764  al  1793,  uno  ne  registrò  sotto  il 
D.  Lxxiv  degr  italiani ,  contenente  un  commento  o  sposizione 
della  cantica  del  Paradiso  dell'  Allighieri  colla  seguente  intito- 
lazione: —  Tef'tia  Pars  comoedice  Dantis,  sciHcet  Paradisus, 
cura  eomentario  Joannts  Camini.  Prcecedit  index  rubricarum, 
si^e  argumentorum  utritisque  cantus,  tum  summarium  eorum 
quee  in  hac  terlia  parte  continentur,  —  Il  codice  è  in  parte 
membranaceo ,  e  in  parte  cartaceo,  della  fine  del  secolo  XIV, 
e  consta  di  fogli  382.  Ha  in  fine  la  seguente  protesta  dello 
sposibore.  —  €  La  soprascripta  expositione,  chiose,  o  vero  postille 
oe  scripto  io  Joanni  Ser  Cambi,  secondo  che  a  me  minimo 
intendente  p£tre  che  fusse  lo  intellecto  dell'Autore;  e  però  ogni 
esempio,  argomento,  oppinione,  conclusione,  allegoria,  sententia 
o  vero  alcuno  decto  che  in  essa  ho  scripto,  inteso  o  vero  asse- 
gnato, se  lo  si  conforma  e  assomiglia  al  senso  e  al  tenore 
della  S.  Madre  Ecclesia  catholica  Romana,  approvo,  affermo, 
et  00  per  bene  dicto:  se  deviasse,  discrepasse,  o  vero  contra- 
dìcesse  al  prelodato  senso,  sia  per  vano  et  non  bene  dicto  ;  et 
però  lo  casso  et  tcgno  per  da  nessuno  valore,  siccome  chri- 
stiano  puro,  fedele  e  verace.  » 

11  codice  è  ornato  in  principio  di  una  miniatura  in  cui  sono 
figurate  le  orbite  de'  pianeti ,  delle  stelle ,  e  il  cielo  empireo, 
in  mezzo  a  cui  sta  la  terra,  V  acqua  ed  il  fuoco.  Alti'e  minia- 
ture stanno  in  fronte  ai  respettivi  canti,  nelle  quali  è  rappre- 
sentato il  viaggio  del  Poeta  di  sfera  in  isfera  giddato  da  Bea- 
trice che  lo  presenta  ai  diversi  spiriti  beati,  che  divengono 
iDaestri  a  Dante  di  teologia,  di  storia,  di  fisica,  eco.  Dopo 
r  indice  delle  rubriche  o  de'  canti  col  quale  incomincia  il  co- 
dice, si  vede  tracciata  in  poche  terzine  di  fattura  dell'autore 
tutta  la  economia  di  questa  cantica  del  Poema  ;  e  ciò  si  ripete 


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292  CEMENTI. 

in  UD  discorso  filosofico  che  viene  appresso,  in  cui  combatte 
tatte  le  opinioni  intorno  la  filosofìa  morale  che  si  prefigge  la 
felicità  deir  uomo ,  e  conchiude  col  Poeta  esser  sola  felicità  la 
contemplazione  di  Dio;  e  quindi  la  teologia  esser  la  sola  che 
insegni  i  doveri,  le  vie,  onde  Tuomo  possa  esser  felice. 

Ci  è  ignoto  se  il  Sercambi  commentasse  anche  le  altre 
precedenti  due  cantiche  della  Di\ina  Commedia.  Egli  accenna 
in  più  luoghi  alle  altre  parti  del  Poema,  ma  in  modo  da  lasciar 
dubbio  se  voglia  riferirsi  al  testo  o  alla  sposizione.  Nel  proemio 
del  canto  x  parla  però  di  un  passo  del  Piu'gatorio  in  guisa 
che  il  dubbio  potrebbe  venir  meno.  Anche  nel  secondo  libro 
della  Cronica  il  Sercambi  cita  e  largamente  comenta  diversi 
passi  del  Purgatorio,  dal  che  il  Minutoli  deduce,  che  dal  suo 
cemento  venisse  levando  i  brani  che  gli  facevano  in  tagho,  acco- 
modandoli e  innestandoU  nella  cronaca,  come  il  simile  tieue 
eh'  e'  facesse  delle  Novelle.  Checché  ne  sia,  il  codice  della  Lau- 
renziana  non  contiene  che  la  sola  sposizione  del  Paradiso,  nò 
sappiamo  se  altrove  si  conser\i  quella  delle  altre  due  cantiche. 
Del  resto  questo  lavoro  del  Sercambi  fa  fede  di  sua  dottrina 
che  fu  molta  per  quell'età,  ed  anzi  meravigliosa  se  si  consi- 
deri che  poco  o  niun  sussidio  potò  aver  di  maèstri  e  d'inse- 
gnamenti. 

Il  Minutoli  (lv-lix)  ce  ne  offre  un  saggio,  onde  si  conosca 
il  dettato  semplice,  non  punto  differente  da  quello  delle  Novelle. 
Però  son  curiose  ^talvolta  le  allegorie  e  i  sensi  figurati  che 
s' imagina  di  scoprire  nel  testo,  e  no  riporta  alcuni.  —  Minu- 
toli, Alcune  Novelle  di  G.  Sercambi  colla  vita  dell'Autore,  Lucca, 
Fontana,  1855. 

Giovanni  di  Serra. valle,  Comento  inedito  deW  Inferno. 

«  Le  biblioteche  ungheresi  pubbliche  e  private  contengcuo 
qualche  Ubro  raro  e  manoscritti  molto  importanti  per  V  Italia. 
Cosi  la  biblioteca  arcivescovile  d'Eger  (AginarErlau)  rincliiude 
fra  altre  ricchezze  un  codice  manoscritto  dell'anno  1407  con- 
tenente la  ti'aduzione  latina  della  «  Divina  Commedia  »  di  Dante 
e  un  commento  del  suo  e  Inferno.  »  L'  autore  di  questa  tra- 
duzione e  conunento  non  è  aitilo  che  Giovanni  da  Serravaile, 
vescovo  di  Fermo,  come  lo  dicono  le  parole  seguenti  aggiunte 
alla  fine  del  «  Paradiso  :  »  Explicit  translatio  libri  Dantis,  edita 
a  Rndo  patre  et  Domino  fratre  Johanne   de  Serravaile  arri- 


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mimensi  Dno  episcopo  et  principe  firmano  de  ordine  minorum 
assumpto.  Principiata  de  mense  Januarii  anno  Domini  mUesimo 
qua/irìngentesimo  septimo  et  compieta  de  mense  maji  eiusdem 
anni  cÌTitate  Constantiensi  Provincìae  Magmitinae  in  partibua 
AJemaniae  vacante  sede  apostolica  et  tempore  concili!  Generalis 
ibi  constantiae  celebrati.  Quae  translatio  fuit  compilata  et  facta 
ad  instantiam  Reverendissimomm  in  Xto  patrum  et  Dnorum 
Dni  Amadei  miseracione  divina  ecclesiae  Sctae  Mariae  novae 
Sacro-Sanctae  ac  universalis  ecclesiae  Diaconi  Cardinalis  de 
Saluti»  vulgariter  nominati;  et  Dni  Nichelai  Bulowig,  (Buwith?) 
Dei  et  aplicae  Sedis  gratia  Bathoniensis  et  welensis  episcopi 
necron  et  Dni  Roberti  Halam  eiusdem  Sedis  aplicae  gratia  Sa- 
resburgensi  eppi,  qui  ambo  sunt  de  regno  Àngliae  in  quo  suaa 
sedes  habent.  Completo  libro  reddantur  gratiae  Xto.  Amen. 
Amen.  Amen.  > 

Un  anonimo  fu  il  primo  a  menzionare  questo  manoscritto 
nella  rivista  «  Tudomànyos  Gyiijtemény  »  (miscellanea  scientifica) 
dell'anno  1819.  Il  nostro  valente  dotto  Francesco  Toldy,  quando 
era  a  Eger  nell'anno  1853,  Tha  esaminato  scrupolosamente 
secondo  la  sua  abitudine,  e  di  ritomo  a  Pest  ne  ha  parlato 
al  nostro  egregio  traduttore  dì  Dante,  Francesco  di  Csàszàr. 
Csàszàr  si  recò  a  Eger  per  studiare  quel  prezioso  manoscritto 
e  r  ha  descritto  in  un  articolo  pubblicato  nell'  «  U  magyar 
muzeum  »  (nuovo  museo  ungherese). ...  —  Il  Tiraboschi  nella 
«ma  vita  di  Dante  menzionando  la  traduzione  latina  del  Gio- 
vanni da  Serravalle  dice:  «  L'opera  non  è  mai  stampata,  ed 
è  nota  a  pochissimi;  ed  è  forse  unico  l'esemplare  che  se  ne 
conserva  nella  Capponiana  ora  Vaticana,  da  cui  io  ho  avuto 
copia  della  lunga  prefazione.  »  Tiraboschi  e  gli  altri  critici,  che 
si  occuparono  delle  opere  di  Dante  non  hanno  pensato,  che  la 
biblioteca  arcivescovile  d'Eger  contenesse  un  esemplare  della 
traduzione  di  Serravalle.  €  Habent  sua  fata  libelli  >  e  qualche 
volta  troviamo,  dove  non  cerchiamo  neppure.  —  La  scrittura 
del  codice  è  bella,  e  non  ostante  le  abbreviature  si  può  leggerla 
bene.  Una  sola  mano  ha  scritto  il  tutto  e  verso  la  fine,  si  vede, 
che  si  affi*ettava.  Anche  questo  codice  ha  sofferto  dall'  umidità, 
ma  fortunatamente  i  soli  angoH  superiori  dei  margini  sono 
guastati. 

Il  codice  è  dedicato  al  re  ungherese  Sigismondo  e  principia 


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294  COMENTI. 

cosi  :  —  €  Sereniissime  et  invictissime  atq.  metuendisaime  Dne 
Sigismondè  Dei  gratia  Romanorum  Rex  et  Cesar  semper  au- 
guste  nec  non  et  Ungaine  rex  etc.  Vestre  clementissime    et 
Cesaree  maj estati  onmis  sic  virtus  et  omne  imperiam,  omnisq. 
salus  honor  et  gloria  per  cuncta  vasta  orbis  spatia  uti  est  bene 
congruum   atq.  decens.   Quoniam  liber  poeticus   trium  Conie- 
diarum  theologi  poete  Dantis  Aldigherii  de  Aldigheriis  de  Flo- 
rentia  valde  fortis  est  et  difficilis  nimium  ad  ipsum  intellii^en- 
dum,  tura  quia  est  editus  in  vdiomate  Yulgari  ytalico  rithniice 
percoiite   plurimum   et  ornate  tura  quia  est  de  materia  prò- 
fundìssima  ecc.   »   Dopo   la   dedica,   che   Tiraboscbi  chiama 
«  lunga  prefazione  »  seguono  le  cantiche  dell'  Inferno ,  Pur- 
gatorio e  Paradiso.  La  seconda  parte  del  manoscitto  principia 
colla  dedica   della  prima  parte  senza  nessuna  differenza  fra  i 
due   testi.   Poi  viene   il    €  praeamhulum  »   del  commento.    Il 
praeambulum  consiste  di  otto  parti,  cioè  vi  sono  otto  preamboli. 
Dopo  r ultimo  l'autore  discorre  della  nascita  e  della  famiglia 
di  Dante:  «  Dicitur  ergo  Dantes  auctor   noster,  Dantes  Akìi- 
guerii  de  Aldigueriis,  pater  suus  fuit  magnus   utriusque  iuris 
doctor.  Notandum,  quod  haec  agnatio  de  Aldigueriis  principa- 
litier  fiiit  de  Ferrarla.  De  qua  agnatione  ferrariensi  Dnus  Cac- 
ciaguida  de  Florentia  habuit  unam  uxorem,  quam  duxit  Fio- 
rentiam,  ex  qua  genuit  fìlium,  quem  vocavit  Aldigherium,  qui 
fuit  homo  magni  valoris  et  magnanimus  et  habuit  altas  cerviccs 
et  fastosas,  fuit  multum  superbus.  Iste  Dnus  Cacciaguida  fuit 
de  Frangipanis  vel  Frangipanibus.  Dominus  Frangipanis  fuit 
antiqua  domus  de  Roma,   bic  dnus  Cacciaguida  habuit  duos 
germanos,  quorum  unus  fuit  vocatus  Elyseus,  a  quo  mutatum 
fìiit  nomen  de  Frangipanis  in  nomen  Elyseorum.  Tandem  iste 
Aldigherius  fuit  tantae  voluntatis,  quod  ipse  voluerit  domum 
suam  vocari  domum  de  Ahgheriis,   sicut  adhuc  die  hodlerna 
vocatur.  » . . . .   Dopo  quel  discorso   intomo  ali*  oiigine  degli 
Alighieri  V  autore  del  manoscritto  intraprende  di  caratterizzare 
Dante  e  fra  la  altre  cose  dice:  €  Dantes  fuit  poeta  theologus. 
et  licet  Dantes  possit  variis  modis  interpretar!,  ad  praesens  suf- 
ficiat  dicere,  quod  Dantes  dicitur  quasi  dans  te  ada]iqua(!}; 
iste  auctor  Dantes  dedit  se  in  juventùte  omnibus  artibus  libera- 
libus  studens  eas  Paduae,  Bononiae,  demum  Ozoniis,  et  Parisiis, 
ubi  fecit  multo»  actus  mirabiles  intantum,  quod   ab  aliquibus 

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COMENTI.  295 

dicebatur  magniis  philosophus,  ab  aliquibus  magnus  theologus, 
ab  aliquibus  magnus  Poeta.  >  Dunque  vediamo,  che  la  fama  del 
soggiorno  di  Dante  ad  Oxford  non  si  può  dire  priva  di  fonda- 
mento. Dopo  di  ciò  viene  una  dissertazione  intorno  alla  «  causa 
effectiva  —  agens  et  materialis  »  della  «  Divina  Dommedia,  » 
dissertazione  filosofica  secondo  la  maniera  scolastica  di  que' tempi. 
Poi  viene  il  commento.  Il  Tiraboschi  non  avendo  veduto  il 
manoscritto  del  Vaticano,  non  ci  informa,  se  ci  sia  pure  com- 
mentario del  €  Purgatorio  »  e  del  «  Paradiso.  »  Nel  nostro 
manoscritto  d'Eger  non  si  trova  altro  comnaentario  eccetto 
quello  dell'  «Inferno.  »  Questi  sono  i  risultati  della  dotta  dis- 
sertazione di  Csàszàr —  Co.  Gesa  Kuun,  La  Rivista  Europea, 
1  Luglio  1874,  p.  406. 

ILLUSTRAZIONI  FILOLOGICHE  E  STORICHE 

DI  PARECCHI  PASSI  DELLA  DIVINA  COMMEDIA 

CV.  Man.  Dani.  IV.  SeSJ. 

Inferno.  I,  20.  —  Nel  lago  del  cor.  Il  prof.  Venturini ,  in 
una  sua  acroasi  fisiologica,  intitolata,  il  lago  del  cuore,  s*  ar^ 
gomenta  di  provare  che  Dante,  molti  secoli  prima  dell'inglese 
Harvey,  aveva  distintamente  determinato  le  varie  funzioni  del 
sangue  nel  corpo  umano.  Uscirà,  tra  breve,  in  un  Giornale 
medico  di  Roma. 

I.  36.  —  Si  che  il  pie  fermo  era  sempre  il  piii  basso. 

Pbtrucci  Giuseppe  ,  //  pie  fermo,  Studio.  Civitavecchia , 
Strambi,  1873. 

«  È  Dante,  tutto  Dante,  Dante  Cristiano,  Dante  poeta  cit- 
tadino, il  quale  ripensando  a  so  (forse  nella  occasione  del  Giu- 
bileo, 1300)  ed  alla  sua  vita  posteriore  alla  morte  di  Beatrice, 
riconosce  di  aver  dimenticato  il  suo  voto  amoroso  di  essersi 
tolto  a  lei,  e  dato  altrui,  e  di  aver  volti  i  passi  per  via  non 
vera.  La  coscienza  lo  rimorde  e  rendegli  amara,  quasi  come 
la  morie.,  quella  sciagurata  via,  la  quale,  svanite  le  fallaci  im- 
magini degli  inonesti  piaceri,  si  appalesa  in  tutto  l'orribile  suo 
aspetto  come  una  selva  paurosa.  Tenta  egli  di  sfuggirla,  dan- 
dosi ad  una  vita  operosa  ed.  al  culto  del  vero  e  della  virtù  ; 
ma  in  questo  Tardor  suo  è  manchevole,  Si  che  il  piò  fermo 


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296  COMBNTI. 

sempre  era  il  più  basso,  »  In  breve  il  Petruod  propugna  la 
opinione  dei  Buscaino  Campo.  —  Un  andare  per  dolce  acclivio, 
che  non  era  nò  per  erta,  nò  per  piano,  doò  salendo  in  ma- 
niera che  richiedeva  un  movimento  di  piedi  diverso  da  quello, 
che  si  fa  per  pianura.  V.  Pasquini,  La  principale  Allegt>ria, 
p.  106.  —  Il  tanto  disputato  del  primo  canto  —  Si  che  il  pie 
fermo  era  sempre  il  piit  basso ,  lo  spiega  bene  T  ab.  Cavemi 
notando  che  la  tema  fa  T  uomo  lento  al  muovere,  onde  sul  piede 
fermo  a  terra  pesa  più  a  lungo  il  corpo  tutto.  Tommaseo , 
Lettera  al  Pievano  Calcinai. 

I.  37-40.  —  Temp*  era  dai  principio  del  mattino,  ecc.  — 
Dante,  che  in  so  compendiò  il  saper  del  suo  secolo,  non  isde- 
gnò,  parmi,  di  fermar  l'occhio  sopra  un  volume  di  sacristi  a. 
e  quanto  ne  profitasse  pur  come  poeta  lo  dicano  i  versi  sue- 
cennati.  Essi  altro  non  sono  che  un  elegante  perafrasi  di  una 
postilla  che  gli  venne  trovata,  e  che  può  chiunque  trovare  ilei 
Calendari  (di  Beda)  sotto  il  18  Marzo  in  questi  termini.  Sol 
in  Arietem.  Prima  dies  saecuU;  secondo  un'opinione  sul  prin- 
cipio del  mondo  accolta  da  Beda  stesso  nel  suo  Trattato  dei 
tempi,  la  quale  facealo  cominciato  nell'equinozio  di  primavei*a. 
C.  Agtiilkon. 

I.  43.  —  L*  ora  del  tempo,  e  la  dolce  stagione. 

ViLLABi  Filippo,  Intorno  ad  un  luogo  della  Commedia  JW- 
tina  del  i  canto  deW  Inferno,  Discorso.  Palermo,  Roberti,  1842, 
di  pag.  23. 

I.  45.  —  La  msta,  che  mi  apparve,  d*un  leone.  —  Il  Ven- 
turini vuole  che  Corso  Donati  sia  la  personalità  istorica  sim- 
boleggiata nel  Leone. 

I.  85.  —  Tu  se'  lo  mio  maestro  e  il  mio  autore,  —  Verso 
che  risuona  in  quest'altri  di  Terenzio:  Qui  eum  hunc  accu- 
sant,  Naevium,  Plautum,  Ennium  Accusant,  quos  hic  noster 
Auctores  habet  (Andria,  Prol.).  La  voce  italiana  ha  in  radice 
il  significato  della  latina,  eh' è  da  augere,  perchè  autori  son 
propriamente  coloro  che  danno  con  l'opera  incremento  alle 
scenze  e  alle  arti.  Cavemi. 

I.  114-117.  —  Ov' udirai  le  disperate  strida,  Vedrai  gli 
anticki  spiriti  dolenti.   Che  la  seconda  mm*ts  ciascun  grida. 

Di  Sibna  Gregorio,  Dissertazione  sopra  F intelligenza  del 
passo  di  Dante  (lai  i,  1 14-1 17),  letta  aW Accademia  Ponianiana 

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OOMENTI.  297 

di  Napoii  nella  tornata  del  12  Dicem6re  1875.  Napoli,  Tip. 
dell' UmT.  1876  (V.  Man.  Dani.  Voi.  iv,  369). 

I  Comentatori  della  Divina  Commedia  intendono  questo  luogo 
come  se  Virgilio  dir  voglia  a  Dante:  io  ti  menerò  per  T Inferno; 
dove  udirai  le  disperate  strida,  vedrai  gli  antichi  spiriti  do- 
lenti, che  tutti  invocalo  ad  alte  grìda  la  seconda»morte:  cioò, 
come  spiegano,  la  morte  dell'anima  o  T annullamento  della 
spiritale  sussistenza.  Se  non  che  il  chiariss.  mio  amico  dimo- 
stra ad  evidenza,  se  mal  non  erro,  che  V  interpretazione  finora 
data  è  ^sdsa,  perchò  fraintende  il  senso  vero  della  parola,  con- 
traddice all'evidenza  dei  fatti,  ed  ò  contraria  all'idea  fonda- 
mentale del  sacro  Poema.  Percorrendo  egU,  quasi  palmo  a 
palmo,  i  cerchi,  i  gironi,  le  holge,  le  ghiaccie  del  carcere  tene- 
bi'oso  por  ci  chiarisce  come  dal  primo  lembo  all'imo  fondo 
dell'  Inferno  non  ci  sia  un'  anima  che  invochi  il  proprio  annulla- 
mento. —  La  morte  prima  non  è,  per  lui,  che  la  separazione 
dell'anima  dal  corpo;  la  morie,  che  si  chiama  seconda j  nel 
linguaggio  fermo  e  solenne  degli  ascetici  e  dei  sacri  scrittori 
(S.  Agostino,  S.  Ambrogio,  S.  Cipriano,  S.  Paohno,  S.  Ful- 
genzio), è  la  separazione  dell'anima  da  Dio,  quella  che  allon- 
tana lo  spirito  dal  Vero,  dal  Bene  e  dal  Bello  assoluto,  nella 
qual  misera  condizione  consiste  l' Inferno.  È  la  dannazione 
stessa,  la  natura  e  il  grado  della  pena  (seconda  morte)  a  voce 
alta,  e  a  chiare  note  proferisce  (grida)  i  nomi  dei-  rei,  massime 
di  quella  sorta  di  personaggi  famosi,  le  cui.  colpe,  come  non 
poterono  occultarsi  nel  mondo,  così  non  possono  essi  restare 
asoo.<»i  in  Inferno,  dove  al  reato  ò  misurata  la  pena;  grida 
anche  i  rei  dove  le  fiamme  vive  fiasciano  gli  spiriti  de'  malvagi 
consiglieri.  Questa  interpretazione  verrebbe  a  togliere  tutti  gl'in- 
convenienti; che  nella  sua  spontanea  facilità  restituisce  alle 
voci  il  proprio  significato,  ai  costrutti  il  nesso  logico,  proietta 
tale  una  luce  sulla  sentenza,  che  la  fa  veder  bella  in  so,  bella 
come  fiJb  aureo  che  s' intesse  nella  tela  del  grande  poema.  — 
V.  Bolognese  Domenico,  Il  Preludio,  Riv.  Scientif.  Lett.  di  Cre- 
mona, a.  I,  n.  7,  76,  Febr.,  1786. 

Nel  libro  di  Adamo,  sacro  ai  così  detti  Cristiani  di  S.  Gio- 
vanni le  anime  dell'  Inferno,  chiamano  a  gran  voce  la  seconda 
morte  j  e  la  seconda  marte  è  sorda  alle  lor  preghiere  (Dict, 
des  Apoer.  i,  22^. 


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298  OOMBNTI. 

II.  22.  —  La  qtmle  (Roma)  e  il  quale . . .  fur  siabiUii  per 
lo  loco  santo.  —  Roma  nel  secondo  è  Roma  ideale,  non  quella 
ond'  egli  si  chiamò  tradito  ;  V  Impero  deriva  da  essa  ed  insieme 
t ammanto  papale,  sotto  a  cui  non  guardava  ^li  per  anco 
agli  uomini  che  lo  portavano.  Questa  è  una  sorta  di  profes^ 
sione  di  feda  posta  in  principio  e  rimasta  ferma  per  tutto  il 
Poema;  se  non  che  essendosi  dopo  all'esilio  in  luì  destate 
nuove  passioni  che  pur  volevano  disfogarsi,  senti  egli  averei 
bisogno  di  scendere  ad  altro  hnguaggio  da  quello  che  avrebbe 
voluto  da  prima  serbare.  G.  Capponi,  Storia  della  Repub.  di 
Firenze,  L.  ir,  e.  8,  p.  170. 

II.  34.  —  Perchè,  se  del  venire  V  m'abbandono.  —  Vahhan^ 
donarsi  del  venire  altro  non  vale  che  abbandonarsi,  darsi  tutto 
al  venire ,  prendere  il  camino  senza  badare  ad  altro ,  modo 
eh' è  tutto  Provenzale.  Raimondo  di  Tolosa:  El  rossiti?iols 
s*  abandona  del  chantar  per  mieg  le  bruelh.  U  rossignolo  si 
abbandona  del  cantare  per  mezzo  il  bosco.  Nannucd.  —  V. 
Parenti,  Esercitaz.  Filologica,  n.  12,  p.  1,  4. 

II.  52.  —  Io  era  tra  color  che  son  sospesi.  —  Alla  parola 
sospesi  assegna  di  certo  un  valore  singolarissimo,  dacché  non 
vuole  già  indicarci,  che  coloro  non  siano  dannati  né  beati^  ma 
si  che  sostengono  solo  la  pena  del  danno  nell*  esser  privi  di  Dio, 
vivendone  in  desiderio  senza  speranza  di  vederlo  pìii  mai. 
Perciò  di  forte  meraviglia  ci  riesce  il  sentire  fra  il  popolo  re- 
cata a  un  pressoché  simile  uso  quella  parola  medesima,  quale 
a  me  venne  fatto  di  notarla  nel  discorso  d*una  giovine  fio- 
rentina, indispettita  con  chi  avea  promesso  di  sposarla:  Caro 
mio,  bisogna  finirla  una  volta,  non  posso  restare  cosi  sospesa 
come  un'anima  del  Limbo.  Se  volete  sposarmi,  bene;  se  no, 
ognuno  pigU  la  sua  via  e  amici  più  di  prima.  È  tanto  tempo 
che  vo  sospirando  !  non  voglio  struggermi  di  desiderio  :  a  den' 
tro,  o  fuori,  spicciatevi  che  sarà  meglio  per  tutti  e  due,  non 
mi  tenete  piti,  in  questa  bilancia!  Qiìdiani,  Dante  e  il  vivente 
linguaggio  Toscano,  Discorso,  p,  15. 

II.  62.  —  Il  V.  L'amico  mio,  e  non  della  ventura,  intorno 
al  quale  ò  qualche  controversia  fra  grintarpeiri,  ha  il  com- 
mento nel  proverbio  toscano:  Amico  di  ventura y  molto  briga 
e  poco  dura.  Cavemi» 

III.  4-6.  —  Giustizia  mosse  il  mio  alto  fattore:  Fecemi  la 


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COMENTI.  29^ 

divina  PoiesUUe  La  somma  Sapienza  e  il  primo  Amore,  — 
e  Dot'  è  mirabile  cominciarsi  dalla  Giustìzia^  e  terminarsi  al- 
l' amore,  mirabile  scritto  V  amore  sulla  porta  del  pianto  ;  signi- 
fica che  la  pena  stessa  viene  dall'  amore  del  bene  o  della  giu- 
stizia. >  A,  Conti. 

III.  28.  —  Facevano  un  tumulto,  —  Il  Fanfani  crede  che 
un  tal  luogo  non  sia  stato  inteso  per  poca  conoscenza  o  per 
poca  considerazione  di  lingua  antica.  A  prender  quell' un  per 
semplice  articolo  indeterminato,  la  proposizione  ha  monco  W 
costrutto  ;  il  pronome  un  appresso  gli  antichi  ebbe  il  valore  di 
un  grande^  un  certo  e  simili,  e  ce  ne  reca  molti  esempi. 

HI,  34-36.  —  Questo  misero  modo  Tengon  Vanime  triste  di 
coloro  Che  visser  senza  infàìnia  e  senza  lodo. 

Silvestri  Giuseppe,  Lezione  sopra  un  passo  della  Divina 
Commedia  letta  nella  solenne  adunanza  dell'Ateneo  italiano 
in  Firenze  il  1  d'Ottobre  1844.  Firenze,  Bonetti,  1844. 

L'uomo  debbo  esser  cive,  e  non  deve  riguardarsi  come 
nato  solo  per  sé  con  tutto  riferire  alle  proprie  comodità,  ed 
al  proprio  piacere ,  ma  si  considerarsi  membro  vivo  del  gran 
corpo  sociale,  non  rifiutando,  ove  uopo  ne  sia,  lo  comune  in- 
carto, che  altrimenti  adoperando,  verrebbe  per  morte  a  immi- 
schiarsi a  quel  caitivo  coro  Begli  Angeli  che  non  furon  ribèlli, 
Né  fiir  fedeU  a  Dio,  ma  per  sé  foro, 

n  Todeschini  prova  che  le  anime  rilegate  nel  vestibolo 
dell^  Inferno,  ossia  nello  spazio  collocato  al  di  fuori  della  riva 
d*  Acheronte,  non  sieno  ree  di  alcuna  grave  colpa  effettivamente 
comnoessa,  ma  perdute  soltanto  per  non  aver  operato  nulla  di 
bene,  e  quindi  per  mancamento  di  carità.  —  T.  Tasso  in  certe 
note  da  lui  apposte  ai  margini  della  Divina  Commedia,  giunto 
a'  versi ,  ove  si  parla  della  pena  sensibile  degli  sciaurati  che 
mai  non  fur  vini  (  v.  64  e  seg.  ),  scrisse  queste  parole  :  «  Se 
questo  è  il  Limbo,  dove  non  è  pena  di  senso,  ma  solamente 
di  danno,  in  che  modo  sentono  queste  molestie?  E  se  non  è 
Limbo,  com'è  innanzi  all'Inferno?  »  Anche  il  Todeschini  os- 
serva ch'era  forse  più  convenevole  che  nel  vestibolo  avesse 
collocato  coloro  ch'erano  perduti  pel  solo  mancamento  non 
malìàoBO  della  fede,  Limbo  dei  sospesi,  ed  avesse  riserbato  al 
primo  cerchio  del  vero  Inferno  coloro  ch'erano  imputabili  del 
mancamento  di  carità.  V.  Todeschini,  Scritti  su  Dante,  i,  79-92. 


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300  COMENTI. 

III.  50.  —  E  vidi  r  ombra  di  colui.  Che  fece  per  viliaie  il 
gran  rifiuto,  —  È  ben  vero  che  Pier  Celestino  venne  cano- 
nizzato da  Papa  Clemente  V  con  suo  decreto  pronunziato  nel 
1313 .. .  ma  quel  decreto  giacque  per  15  anni  negli  archivi 
papali,  non  conosciuto  nel  mondo  ;  e  la  venerazione  di  Pier  Ce- 
lestino non  fu  pubblicamente  imposta  ai  fedeli  se  non  dal  suc^ 
cessore  di  Clemente. . . .  Dunque  la  promulgazione  della  santità 
di  Pier  Celastino  non  avvenne,  e  non  costiinse  i  fedeli  a  rive- 
renza verso  luì,  se  non  alcuni  anni  dopo  la  morte  dell^ighieri  ; 
dunque  potè  rAlighieri,  mentr'  egli  visse,  giudicare  a  sua  posta 
Pier  Celestino,  senza  fare  oltraggio  air  autorità  della  chiesa: 
perlocchò  non  rimane  più  nessun  ragionevole  motivo  di  dubitare 
che  qui  non  abbia  veramente  colpito  il  predecessore  di  Boni- 
facio Vili.  —  Dobbiamo  poi  avere  siccome  certissimo  dal  vmrso 
59  che  Dante  vide  e  conobbe  anche  in  questa  vita^papa  Cele- 
stino :  che  se  egli  è  affatto  incredibile  che  lo  potesse  vedere 
e  conoscere  nella  romita  cella  degli  Abruzzi,  o  nella  rocca  di 
Fummone,  dobbiamo  tenere  per  indubitabile,  che  n*  ebbe  cono- 
scenza in  Napoli  sul  declinare  del  1294.  Todeschinì^  i,  202  e 
seg.;  II,  350. 

ViANi  P.  Bonaventura,  Bel  vero  senso  delia  ventesima  ter- 
zina del  III  Canto  dell'  Inferno.  Opus.  Rei.  Mor.  e  Letter.  di 
Modena,  Luglio  ed  Agosto,  1875,  p.  3-47. 

Sostiene  che  il  Poeta  alluda  al  rifiuto  di  Giano  Del  BeUo. 

Venturini  Domenico,  Colui  che  fece  per  viUaJte  il  gran  ri- 
fiuto. Ragionamenti.  Roma,  Tip.  nell'  Orfanotrofio  alle  Terme, 
1875. 

Nella  prima  parte  dimostra  che  Papa  Celestino  V  non  è, 
né  può  essere  colui  che  fece  per  vi/tate  il  gran  rifiuto  ;  nella 
seconda  che  questi  invece  fu  uno  della  casa  di  Vieri  de*  Cerchi. 
—  V.  Costantini,  Sullo  scopo  della  Divina  Commedia,  p.  62-70; 
Amari,  Guerra  del  Vespro  Siciliano,  361  ;  Man.  Dani,  iv,  370. 

III.  82.  —  Ed  ecco  verso  noi  venir  per  nave. 

Lumini  Apollo,  Studii  sulla  Divina  Commedia,  Caronte.  Vi- 
gevano, Spargella,  1874. 

III.  111.  —  Qualunque  s'adagia  —  Mettersi  in  positura 
più  comoda,  che  non  è  lo  starsene  ritto.  V.  Parenti,  Esercitaz. 
FUol.  n.  12,  p.9-11. 

IV.  1-2.  '—  Ruppemi  V  alio  sonno  neUa  testa    Un  greve 


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COMBNTI.  301 

tuono.  Non  il  tuono  d'infiniti  guai,  ma  il  tuono  grave  del 
terremoto.  Cavemù 

IV.  58.  —  Non  adorar  debitamente  Dio.  Non  credettero 
in  Cristo  venturo  (Par.  xxxu,  24).  Isidoro  Del  Lungo. 

IV.  86.  —  Mira  colui  con  quella  spada  in  mano.  —  Nel- 
r  insigne  bassorilievo  greco  dell'  Apoteosi  di  Omei  o,  V  Iliade, 
precipua  gloria  di  quel  Greco,  è  per  appunto  figurata  in  sem- 
bianza di  donna  tenente  una  spada  in  mano.  Visconti,  Museo 
Pio  Qem.  T.  i,  Tav.  d'agg.  B.  n.  1. 

IV.  98.  —  Yolsersi  a  me  con  salutevole  cenno:  EH  mio 
Maestro  sorrise  di  tanto.  -—  Le  anime  di  quegli  uomini  gra- 
vis.simi  fecero  non  più  che  un  cenno  di  salutazione  :  nondimeno 
Virgilio  se  ne  piacque,  e  solo  di  questo  sorrise.  Dante  se  ne 
appaga  per  modo,  che  si  ascrive  quel  cenno  ad  oiTevolozza. 
Landoni. 

IV.  109.  —  Questo  passammo  come  terra  dura.  —  Questo 
modo  fu  usato  da  altri  scrittori,  come  dall'  autore  del  Poema 
V  Intelligentia,  il  qual  disse  di  Cesare  quando  era  in  acqua  coi 
commentari  in  bocca,  E  notò  tanto  che  fu  in  terra  dura. 
Fanfani,  Studi  e  Osservazioni,  239. 

IV.  120.  —  Che  di  vederli  in  me  stesso  m*  esalto.  —  Esal- 
tarsi di  una  cosa  vaie  Jngioirsene,  rallegrarsene,  compiacer^» 
sene,  ed  è  modo  tolto  dai  Provenzali.  11  Nannucci  lo  prova 
con  esempj  di  Arnaldo  di  Marsiglia  e  di  Raimondo  Vidale  di 
Bezoduno. .—  V.  Parenti,  Baerc.  Fil.  n.  12,  p.  49-53. 

IV.  129.  —  E  solo  in  parte  vidi  il  Saladino.  —  Il  Saladino 
( Seiah-eddyn ) ,  sorti  i  natali  in  Tekrit  sul  Tigri,  negli  anni 
1137,  m.  in  Damasco  a'  4  Maggio  1193.  «Il  valore  del  qual 
fu  tanto  che  non  solamente  da  piccolo  uomo  il  fé  di  Babilonia 
Soldano,  ma  ancora  molte  vittorie  sopra  li  re  saracini  gli  fece 
avere  (Boc.  Gior.  i,  n.  3).  Le  sue  grandissime  magnificenze  e 
liberalità  (messioni)  vennero  non  pur  da  Dante  altamente  lo- 
date nel  Convito  (Trat.  iv,  e.  11),  ma  da  Giov.  Boccaccio  con 
le  note  novelle  del  Saladino  e  Melchisedec  giudeo  (  G.  i,  3  ), 
del  Saladino  e  del  pavese  Torello  (G.  ix,  9).  —  Anche  il  No- 
vellino lo  dice  nobilissimo  signore  prode  e  largo.  —  Campeggiò 
S.  Giovanni  d'Acri  (Inf.  xxvii,  89),  ed  a'  Cristiani  si  mostrò 
greneroso  nel  1187,  dopo  la  battaglia  di  Tiberiade.  T.  Tasso 
nei  X  canto  della  sua  Gerusalemme,  st.  22,  23,  introduce  Ismeno 


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302  COMENTI. 

a  vaticinarne  le  glorie.  —  E  solo  in  parte^  perchò  senza  pre- 
decessori né  successori  che  gli  somigliassero. 

Questo  grande  Sultano,  benché  vissuto  nel  sec  XII,  osserva 
il  Franciosi,  per  animo  e  per  vita  è  da  annumerare  tra  coloro, 
che  ci  rappresentano  il  meglio  di  una  civiltà  senza  Dio.  Scritti 
Danteschi,  86. 

IV.  134.  —  Quim  viàrio  e  Socrate  e  Platone.  —  Platone, 
uomo  eccellentissimo^  Conv.  ii  5.  —  Ripensando,  ora  a  Platone 
e  alle  poesie  di  quelle  altissime  speculazioni,  scrivevamì  il 
Caverni,  non  mi  pareva  vero  che  Dante  si  potesse  tener  così 
stretto  alla  prosa  fredda  di  Aristotile:  e  infatti  ripensandoci 
meglio ,  a  me  pare  il  Paradiso  tutto  platonico  :  platonico  non 
solo  nella  forma  di  tutta  insieme  la  speculazione,  e  quella  che 
può  chiamarsi  macchina  del  poema,  ma  anche,  a  coste  di  con- 
traddirsi, in  qualche  minima  parte,  come  quando,  per  esempio, 
lasciato  addietro  Aristotile  e  Tolomeo,  seguita  Filolao  e  Pita- 
gora e  Platone  e  gli  egiziani  in  far  che  Venere  e  Mercurio 
s*  aggirino  attorno  al  sole  (Par.  xxii,  t.  48).  Schiettamente  pla- 
tonica ò  la  terzina  che  leggesi  nel  xxviii  del  Purg.  Questi 
ordini  di  su  tutti  rimirano;  e  da  Platone  gli  venne  quella 
mirabile  intelligenza  della  fonoia  vera  della  terra,  e  del  trarre 
che  fanno  i  gravi  al  centro  di  essa;  intelligenza  ch'ò  in  Bru- 
netto non  meno  chiara,  e  alla  quale  non  pensano  quei  che 
magnificano  Dante  precursore  del  Neuton.  —  L'universale 
consenso  de*  dotti  principe  de'  ttosofi  V  ebbe  proclamato.  .  . . 
Qual  de'  poeti  Omero ,  tal  de'  filosofi  Platone  è  principe.  E 
Tullio  stesso  in  certo  luogo  delle  lettere  ad  Attico  non  chiamò 
Platone  suo  idolo?  Tutti,  o  in  modo  o  nell'altro,  dicon  divino 
l'ingegno  di  Platone,  e  sol  per  questo  a  lui  di  Omero,  o. 
quel  eh' è  più,  fin  di  Dio  danno  il  nome.  Petrarca,  Ep.  Fara. 
Lib.  IV,  lett.  15.  —  Di  Socrate,  di  Platone  e  di  Aristotile,  V. 
Conti,  Storia  della  Filosofia,  Voi.  i,  291-366;  e  La  Filosofia 
di  Dante  (ediz.  Sansoni),  p.  181. 

IV.  143.  —  Avicenna,  —  Avicenna  (Ibn  Sina),  filosofo 
Arabo,  d'Ispahan  (n.  nel  980,  m.  in  Hamadan  nel  1037),  uomo 
straordinario  tra  quanti  n'  abbia  prodotto  l'Oriente  sino  a'  suoi 
tempi;  si  mostrò  fornito  d'una  prodigiosa  memoria,  e  di  un 
genio  sorprendente  per  le  scienze.  Dettò  il  KeMbele^Chésd, 
ti*attato    di    Metafisica.   I  suoi   Canoni  in  medicina  vennero 


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COMENT!.  303 

Toltati  in  diverse  lingue  e  in  più  edizioni  riprodotti.  Dante  ne 
rer-a  più  volte  nel  Convito  le  sentenze  a  confoi'to  delle  proprie. 
Y.  CotiHy  Storia  della  Filosofia,  n,  lez.  iv. 

IV.  144.  —  Averì'oiSy  che  il  gran  commento  feo. 
Paganini  P.,  L*  Averroè  della  Divina  Commedia,  Estratto 

dalle  Letture  di  Famiglia  di  Firenze  3,  in,  Decade  ii,  1861 
(Averroia,  Ibn  Roschd,  Fil.  arabo,  sortì  i  natali  in  Cordova, 
ui.  in  Marocco  nel  1198). 

Dante  ebbe  in  grande  stima  Averroia  (Purg.  xxv,  63,  De 
Mon.  I,  3),  e  là  pure,  dove  per  amore  del  vero,  gli  è  forza  con- 
traddirgli, lo  fa  con  bella  libertà  di  filosofo,  ma  lo  fa  insieme 
con  tali  parole,  che  danno  a  vedere  com'  egli,  appuntò  perchè 
filosofo,  sa  accoppiare  nell'animo  suo  la  riprovazione  deirer- 
ix>re  di  cui  quell*  arabo  si  era  fatto  maestro  alla  venerazione 
ed  alla  gratitudine  che  si  era  meritata  illustrando  con  faticoso 
commento,  meglio  che  per  lui  si  fosse  potuto,  le  opere  dello 

Stampita E  chi  un  poco  conosce  la  storia  della  Filosofia, 

sa  che  questi  sentimenti  a  riguardo  di  Averroè,  come  commen- 
tatore delle  dottrine  aristoteliche,  non  furonp  di  Dante  solo, 
o  di  pochi;  ma  universali  posson  dirsi  nella  Europa  uscente 
dalla  bai'barie  dell*  età  di  mezzo.  Gli  scrittori  dei  secoli  XIII 
e  XIV,  come  solevano,  citando  Aristotele,  dire  il  filosofo,  cosi 
soleano  dire  il  Commentatore,  citando  Averroè  (Conv.  iv,  xiii). 
Lo  stesso  S.  Tommaso  di  Aquino  che  torse  le  armi  della  sua 
potente  dialettica  contro  il  d^nma  averroistico  delP  unicità  del- 
l' intelletto  negli  uomini,  come  contro  il  massimo  e  più  perni- 
cioso errore  del  suo  tempo,  in  altre  questioni  allega  i  detti  di 

Averroè,  non  escluse  le  questioni  della  piii  elevata  teologia 

Ma  ben  presto  la  stima  e  la  riverenza  verso  il  grande  comen- 

.  tatore  in  molti  si  mutò  in  una  specie  di  superstizione,  onde  si 
incominciò  non  solo  ad  apprezzar  più  del  giusto  1  lavori  del- 
l' arabo  filosofo,  ma  ben  anco  a  far  buon  viso  agli  stessi  errori 
in  materia  di  fede. 

Di  qui  la  grande  avversione  del  Petrarca  contro  l'arrogante 
incredulità  e  la  forma  ispida  ed  arrufiata  degli  averroisti  Y.  Ep. 
Fam,  V,  1 1,  13;  Var.  13  ;  Sen.  xv,  6.  —  De  sui  ipsius  et  aliorum 

.  ignoranUa.  —  De  vera  Sapientia.  —  V.  Rénany  Averoès  et 
l'Averoisme;  Di  Giovanni,  Scienza  e  critica,  242. 

V.  34.  —  Oliando  giungon  davanti  alla  ruina. 


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304  coMBjm. 

FoBSkccihSi  KhFFjJSLLE,  La  Ruina  di  Dante  secondo  V  api 
nione  di  un  ullimo  Comeniatore.  Estratto  dalla  Nuova  Art 
tologia,  Firenze,  Settembre,  1872. 

Ruina^  rovinamento,  scoscendimento  della  roccia,  pel  qiia^ 
i  due  poeti  hau  potuto  calare  dal  Limbo  nel  cerchio  dei  \a\\ 
sui'iosi.  In  tal  senso  l'adoperò  ripetutamente  il  Poeta  nel  C.  \i| 
e  sarebbe  un  preacenno  indubitabile ,  a  detta  d*  Isidoix)  D\ 
Lungo ,  a  cose  che  verran  dopo ,  come  più  volte  costuma.  -* 
Tra  il  Limbo  e  i  Lussuriosi  dovea  esservi  un  burrato ,  sup{>< 
posizione  non  solo  ragionevole,  ma  anche  necessaria,  penl^ 
altrimenti  non  s'intenderebbe  come  coloro  ch'ebbero  la  so^ 
colpa  involontaria  di  non  conoscer  la  verità  rilevata,  non  foi 
sero  ben  distinti  e  separati  dai  Lussuriosi,  co'  quali  comi  nei  a  n 
i  peccatori,  e  il  vero  Inferno,  e  lo  pix)va  il  tribunale  di  iMì 
nosse  che  quivi  sorge.  V  era  dunque  certamente  quel  burratt 
ma  il  tremito  dell'  Inferno  alla  morte  di  Cristo  vi  produssi 
una  )ruina,  tanto  maggiore  di  estensione,  e  tanto  meno  i-ipi(ì:^ 
quanto  i  peccati  d' incontinenza  sono  meno  gravi ,  e  tivìvan^ 
più  facilmente  misericordia  da  Dio.  Ma  perchè,  si  dimanda.  \\ 
anime  dei  Lussuriosi,  quando  giungono  davanti  alla  ruina  i 
aUo  scoscendimento  del  burrato  che  li  circonda,  urlano  e  pian 
gono  più  disperatamente,  e  bestemmiano  la  virili,  cioè  la  pd 
tenza  divina?  La  ragione  di  ciò,  dice  il  Fornacciari,  se  al  turni 
non  m' inganno,  è  ben  chiara.  Quella  ruina  rammenta  ai  dnn* 
nati  la  potenza  di  Cristo  vincitore  dell'  Inferno ,  la  grazia  ciiiJ 
egli  détte  a  tutti  gli  uomini,  e  di  cui  essi  non  si  seppero  pre- 
valere, la  sorte  diversa  di  coloro  che  per  essa  si  sono  astenuti, 
o  emendati  dal  peccato,  oggetto  della  loro  più  fiera  invidia 
E  poi,  non  siede  in  cima  a  quella  ruina  Minosse,  il  giudici 
delle  colpe,  e  quindi,  secondo  che  bene  spiegano  alcuni  com- 
mentatori, il  simbolo  del  rimorso  della  coscienza?  E  ben  ?i 
conviene  ai  Lussuriosi,  meno  depravati  degli  altri  peccatori ^ 
mentire  ancora  il  fiero  toi*mento  di  quel  rimorso.  Ognuno  vede^ 
se  non  eiTO ,  come  V  una  cosa  spieghi  T  altra ,  e  come  tutto 
si  accordi  a  mostrare  il  sublime  concepimento  del  Poeta  mo- 
rale. 

V.  49.  —  Che  sugger  dette  a  Nino  e  fu  sua  sposa.  —  Fu 
r  Atta  vanti  nel  suo  Quaresimale,  che  in  luogo  di  succedette,  ci 
diede  la  rivelantissima  variante  sugger  dette,  E  chiosa:  «  Quasi 


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OOMBNTI.  305 

dica  :  Qudla  Semiramide  lussuriosissima,  la  quale  ebbe  in  ma- 
rito Nino,  cui  aveva  allattato;- e  perchè  gli  uomini  non  ispar- 
la&sero  di  lei,  fece  una  legge  che  fosse  lecito  a  tutti  usar  donna 
a  piacere.  Questa  regina  di  Babilonia  denigrò  iutta  la  sua  fama 
col  prendere  il  figlio  Nino  in  mai4to,  e  quindi  il  figlio  del  fi- 
glio Ninia,  dal  quale  fu  uccisa.  »  P.  AUavanti,  versione  del  Raz- 
zolioi. 

V.  65.  —  WecU  il  grande  AchiUe^  Che  con  amore  al  fine 
rombatteo.  —  CummàMirt^  nell'uso  del  popolo  di  Sicilia,  non 
significa  solo  oppugnare  il  nemico ,  combattere ,  ma  quello 
eziandio  di  sollazzarsi,  ingannar  il  tempo,  attendere  a . . .  ba- 
dare a...  ar>er  che  fare,  impacciarsi.  E  Salomone-Marino, 
vuole  che  questo  verso,  interpretato  col  dialetto  del  suo  paese, 
acquisti  bella  evidenza.  Il  critico,  richiamando  le  imitazioni  di 
Petrarca,  di  T.  Tasso  e  segnatamente  del  sac.  Giuseppe  Salomone, 
che  cantò  nel  Filanto:  «  Fimmini,  comu  Achilli  eu  nun  su 
pazzu,  Ncucciau  cu  Amuri  e  coi  lassau  lu  strazzu  »  (s'impacciò, 
con  Amore  e  vi  lasciò  la  pelle),  interpreta  :  «  Il  grande  Achille, 
che  a  vizio  di  lussuria  fu  im  po'  rotto  in  sua  vita,  eziandio  al 
fine  di  questa  ebbe  che  far  con  Amore,  e  fu  mandato  per  ciò 
itll'  altro  mondo.  »  Il  Traina,  nel  suo  nuovo  vocabolario  siculo- 
italiano,  il  più  esatto,  il  più  giudizioso,  il  più  completo  di  tutti, 
accoglie  questo  nuovo  significato  di  Cummàttiri,  e  vi  pone  a 
lato  il  verso  di  Dante.  E  a  miglior  riprova  ei  cita  molti  passi 
tlei  migliori  poeti  siciliani,  e  sovrattutto  dell'  analfabeta  campa- 
g^nuolo  e  poeta  valente  Salvatore  D'Arrigo  da  Borgetto,  in  cui 
ha  trovato  tale  e  quale  la  forma  della  firase  dantesca,  com- 
battere con  amore:  Chi  focu,  chi  sdilliniu  e  crepacori!  Chi 
<lògghia  lu  cummàttiri  cu  Amuri!  E  nel  senso  di  spassarsi  e 
sollazzarsi  l' adoperarono  pure  i  latini ,  e  cita  passi  di  Ovidio, 
di  Orazio  e  di  Cicerone;  e  Dante  medesimo  l'usò  pure  parlando 
dell'agnello  che  semplice  e  lascivo  Seco  medesmo  a  suo  piacer 
combatte  (Par.  v,  82).  V.  Scarabelli,  il  Lambertino,  ni,  xv. 

V.  73-142.  —  r  cominciai  :  Poeta ,. ,  e  il  modo  ancor  m'of- 
fende. 

Muzzi  L.,  Epistola  contenente  la  nuova  esposizione  di  un 
luogo  del  Petrarca  e  di  alcuni  di  Dante,  Bologna ,  Nobili , 
1861. 

V.  104.  —  M  prese  del  costui  piacer  si  forte,  —  Piacere, 

20 

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306  COMENTI. 

vale  vaghezza,  bellezza  per  la  quale  si  piace  altrui,  che  g-lì 
Antichi  dissero  anche  piacenza  e  piacimento,  in  Provenzale 
plazer,  piacenza;  di  modo  che  mi  prese  del  costui  piacer  .y« 
forte,  significa:  m* innamorò  si  fortemente  della  vaghe: ^a. 
della  bellezza  di  costui,  cioè  di  Paolo.  Nannucd, 

V.  121.  —  Nessun  maggior  dolore  che  ricordarsi  del  teìnpo 
felice  nella  miòeria.  —  Anche  il  Floto  nella  sua  Vita  di  Dante, 
ammette  che  il  Rossini  udisse  cantare  qu^te  parole  in  Venezia, 
e  ne  re.stasse  sì  preso  che  si  senti  subito  tratto  ad  introdui*le 
nel  suo  Otello.  Baldacchini,  Studii  Danteschi  in  Germania, 
Prose,  II,  115. 

Roncaglia  prof.  Emilio,  Come  il  verso  (107)  Caina  attende 
chi  vita  ci  spense  debba  intendersi  in  bocca  di  Paolo  e  non  di 
Francesca,  secondochò  opinano  i  conientatori  di  Dante.  Dissei^ 
taxìone.  Bullettino  annuale  del  Liceo  Galvani  di  Bologna,  1875. 

Posocco  C.  U.,  La  Francesca  di  Rimini  secondo  la  storia 
e  Varie.  Fermo,  Bacher,  1876. 

Dopo  aver  riassunto  tutto  quello  che  le  vecchie  cronache 
e  le  più  recenti  monografìe  storiche  ci  hanno  appreso  su  la 
Francesca  da  Polenta,  esamina  quale  partito  ne  abbia  saputo 
tirare  la  nostra  letteratura  italiana,  ed  analizza  prima  i  versi 
immortali  di  Dante  e  poi  la  tragedia  del  Pellico  e  V  ultima 
fantasia  drammatica  del  catanese  RapisardL 

Venturini  Domenico,  Francesca  dCAHmino  e  Cunizza  da 
Romano.  Il  Bartolom.  Borghese  di  Milano,  a.  in,  46-62. 

Espone  i  motivi  che  indussero  Dante  a  porre  Francesca 
ali*  Inferno  e  Cunizza  in  Paradiso. 

VI.  10.  —  Grandine  grossa  e  acquatinta  e  neve.  —  I  Senesi 
dicono  tuttora  acquatinta  per  nevischio.  Uno  dirà  per  esempio: 
Guarda,  guarda,  nevica;  e  T altro  risponderà:  No,  sai,  non  è 
neve;  è  acquatinta.  E  di  tutti  i  comentatori  di  Dante  che  se 
ne  ha  egli  a  dire  i  quali  saltano  a  piò  pari  questo  verso, 
quando  potevano  &r  spiccare  la  bella  gradazione  che  fa  il  Poeta, 
mettendo  in  mezzo  alla  grandine  e  alla  neve  l'acquatinta?  Che 
se  ne  ha  a  dire?  Diciamo  che  li  tutti  quanti  ebber  gli  occhi 
tra'  peli.  Fanfani  e  Caverni, 

VI.  10-12.  —  Acqu^  Unta  e  neve . . .  PuUs  la  terra  che 
questo  riceve.  —  Salomone-Marino  ricon^e  alla  lingua  della 
sua  isola  per  ispiegarci  quest'acqua  Unta,  Tinta,  aggiunto  a 


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COMENTI.  307 

cosa,  tra'  siciliani  adoperasi  per  corrotto,  puzzolente,  schifoso; 
onde  femina  tinta  la  donna  corrotta  di  cuore  e  di  corpo,  la  me- 
rehnce:  sangu  lintu  o^mpistaiu,  un  sangue  corrotto,  eh' è  simile 
a  marcia:  febbre  Unta,  una  febbre  maligna,  da  infezione:  acqui 
tìnti^  un'acqua  che  ne'  gorghi  de'  fiumi  e  nelle  gore  moi'te  si 
stagna  e  impaluda  in  estate  ed  emana  miasmi  infettanti  e  fa 
malaria,  e  l'acqua  de'  fiumi  e  de' laghi,  dove,  a  fine  di  Agosto, 
si  mette  in  macerazione  il  lino  ed  il  canape,  e  ch'esala  ancor 
essa  insopportabile  fetore.  Il  prof.  Scarabelli  tiene  la  spiegazione 
data  dal  Salomone-Marino  di  tìnto,  corrotto  fetido,  per  certis- 
sima  n  Lambertino,  iii,  xvi. 

VI.  13  e  seg.  —  Cerbero,  fiera  crudele  e  diversa,  Con  tre 
gole  caninamente  latra.  —  Ben  pone  essi  (golosi)  ad  esser  pu- 
niti sotto  Cerbero,  cane  di  tre  fauci,  che  significa  il  vizio  della 
gola,  che  ha  sempre  tre  bocche,  colle  quaU  vorrebbe  divorare 
le  cose  passate,  le  presenti  e  le  future.  E  descrive  la  barbA 
unta  ed  atra,  cioè  scura,  per  esprimere  gli  stessi  golosi,  sic- 
come per  lo  più  unti  a  cagione  della  pinguedine,  ed  atri  per 
la  infermità;  che  ancora  hanno  per  lo  più  gli  occhi  rossi  pei 
fumi  del  vino,  il  ventre  largo,  in  cui  vorrebbero  tutto  ripon'e, 
l'unghie  lunghe  ed  uncinate  per  rapire  da  lungi  e  da  vicino 
e  per  ritenere;  e  siccome  essi  in  questo  mondo  discoiavano 
gli  animali  da  cima  a  fondo,  cosi  Cerbero  fa  ad  essi.  Le  tre 
gole  di  Cerbero  possono  significai'e  tre  cose  proprie  de' golosi: 
mangiar  troppo,  mangiar  lautamente,  mangiare  ardentemente. 
I  serpenti  poi  intorno  al  collo  di  Cerbero  sono  le  mordenti 
cure  dei  golosi,  ansiose  di  provedere  il  cibo  pel  domani;  poi- 
ché sono  come  il  bruco  ;  per  essi  non  v'  è  altro  che  il  ventre. 
P.  AUavanti. 

VI.  34.  —  Noi  passavam  su  per  V  ombre  che  adona  La 
greve  pioggia,  —  Adonare ,  provenzale ,  atterrare ,  vilmente 
conculcare,  e  come  tenersi  sotto.  —  Nostra  virtù  che  di  leggier 
s* adona,  Non  spermentar  con  V antico  avversaro.  (Purg.  xi, 
19)  ;  qui  facilmente  si  conosce  eh'  ei  nota  la  debolezza,  e  come 
parlavano  allora  la  fiebolezza  delle  forze  nostre  da  esser  leg- 
germente abbattute  e  vinte  senza  il  divino  aiuto.  Borghini, 

VI.  52.  —  Voi  cittadini  mi  chiamaste  Ciacco,  —  Ciacco,  cioè 
porco.  Ciacco  fiorentino,  che  mangiava  per  dieci,  essendo  in  un 
convito  ed  avendo  mangiato  come  un  lupo  quasi  fino  al  vomito, 

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308  COBfENTI. 

vedendo  esser  portate  alla  tavola  delle  rane  in  quantità  e  lau- 
tamente cotte,  di  cui  era  ghiotto,  inbizzito,  disse:  Se  dovessi 
morire,  voglio  la  mia  parte;  e  cosi  ne  mangiò  con  tanta  avi- 
dità, che  scoppiò.  Però  Dante  lo  ti*ovò  nell'Inferno  che  co^l 
parlava:   Voi,  ecc.  Attavanti.  V.  Boccaccio  G.  ix,  n.  8. 

VI.  64.  —  Ed  egli  a  me:  Dopò  lunga  tenzone.  —  Nel  testo 
dell'  Inferno  la  predizione  di  Ciacco  si  aggira  su'  guai  della 
dita  partita  dove  i  giusti  non  sono  intesi  :  dovea  pertanto  io 
patria  essere  egli  tuttavia.  Ma  ben  si  ode  stridere  il  dolore 
della  recente  ferita  in  quelle  furiose  parole  contro  a  Filippo 
Argenti,  le  quali  s' incalzano  per  piii  terzine  nel  Canto  ott;iv<> 
con  tanto  fino  compiacimento.  Scriveva  queste  dunque  già  es- 
sendo in  esilio;  ai  quale  si  accenna  chiaramente,  ma  in  modo 
assai  temperato  nel  decimo  Canto,  quando  oltre  a  due  anni 
dopo  la  prìma  cacciata  erano  scorsi,  ma  tuttavia  gli  balenava 
di  tratto  in  tratto  qualche  fiducia  del  ri  tomo.  Gino  Capponi 
Storia  della  Rep.  di  Firenze,  1.  ii,  e.  8,  p.  170. 

VI.  74.  —  Superbia,  invidia,  avarizia  sono  Le  tre  fiivHk. 
—  E  Giovanni  Villani,  L.  vin,  e.  68  :  E  questa  avversità  e  p.- 
ricolo  della  nostra  città  non  fu  senza  giudizio  di  Dio  pel  molti  I 
peccati  commessi  per  la  superbia,  invidia  ed  avarizia  dei  nosti*.  I 
allora  viventi  cittadini,  che  allora  guidavano  la  terra.  I 

VII.  1.  —  Pape  Satan,  pape  Satan  Aleppe.  Veggansi  i-  ' 
varie  interpretazioni  a  p.  73.  (V.  Man,  Dani,  ii,  786;  iv,  159i  ' 

VII.  2.  —  Con  la  voce  chioccia.  —  Rime  aspre  e  chiocci'.  I 
(Inf  XXXII,  1).  Chioccio,  spiega  la  Crusca,  roco,  propriamen'':  ' 
simile  al  suono  della  voce  della  Chioccia.  Similitudine  più  nobii-  ' 
e  vera,  sembrami  quella  del  suono  della  campana  rotta,  cb-  ' 
anticamente  si  disse  Clocha.  Mazzoni  Toselli.  \ 

VII.  12.  —  Superbo  strupo.  —  Sirupo  non  deriva  dallv  ' 
strup  de'  Piemontesi ,  ma  dal  latino  barbaix)  stropus,  che  si* 
gnificava  grex,  certus  ovium  numerus,  e  per  traslato,  mol^ 
indine  di  pecore,  truppa  di  gente.  La  radice,  come  ha  osse* 
vato  il  Grassi ,  è  neh'  antico  Teutonico  Troppe ,  trop ,  ed  il 
alcuni  di  quei  dialetti  slrop,  onde  il  troupeau  e  la  troupe  ci 
(rancesi,  e  la  truppa  degli  italiani.  Nannucd. 

VII.  16.  —  Cosi  scendemmo  nella  qualità  lacca.  —  L(«<\ 
non  valle,  fossa  profonda,  cavità,  ma  fianco,  o  coscia,  traspc-r» 
tata,  come  spalla  e  piede  e  simili  altre  voci ,  dalle  partì  dei 


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CO»!ENTI.  309 

l'animale  a  significare  le  parti  di  un  monte.  V.  Caverni,  La 
ScDola,  1873,  ii,  321,  che  ne  difende  T  interpretazione  anche 
dalla  stessa  costruzione  della  fabbrica  deirinfemo. 

VII.  60.  —  Qi4al  ella  sia ,  parole  non  apptdcro,  —  Bene- 
detto Menzìni,  toscanissimo  di  sangue,  e  buon  maestro  di  poesia 
e  di  costruzione,  a  quel  luogo  della  sua  poetica ,  lib.  4.  —  La 
tropp*  alta  inchiesta  Lascio^  ed  altre  cose  non  ci  accresco,  fece 
Fannotazione  seguente  :  Dante,  Inf.  e.  vii  disse  :  parole  non  ci 
appodero.  Il  disse  latinamente,  ma  con  una  forza  maravigliosa. 
Avrei  voluto  poterlo  dire  ancor  io,  e  me  ne  sarei  pregiato;  ma 
la  rima  noi  consenti.  Parenti.  V.  Fanfani,  Letture  di  fami- 
glia. Voi.  n. 

VII.  61-97.  —  Or  puoi,  figliuol,  veder  la  corta  buffa 

Paganini  P.,  Alcune  osservazioni  sulla  Fortuna  di  Dante, 
(R-^tratto  dall'Araldo  Cattolico,  1862,  Luca,  Landi). 

La  personificazione  che  Dante  fa  della  Fortuna,  è  uno  dei 
be'  passi  di  questa  Cantica,  nei  quali  più  debba  essere  ammi- 
rato il  nostro  grande  poeta.  Oli  elementi  di  questa  personifi- 
cazione son  tratti  da  lui  in  parte  dalla  religione,  in  parte  dalla 
storia,  e  in  parte  dalla  cosmologia,  ma  gli  elementi  religiosi 
principalmente ,  non  difettosi  come  gli  storici ,  né  falsi  come  i 
cosmologici,  di  cui  si  servi,  danno  pregio  all'opera  della  sua 
immaginativa.  —  Colui  lo  cui  saver  tutto  trascende:  verità  teolo- 
gica e  filosofica,  ed  è  il  medesimo  che  dire,  che  Dio  conosce, 
non  solamente  tutte  quelle  cose  che  hanno  ima  esistenza  reale, 
ma  eziandio  tutte  quelle  che  hanno  semplicemente  un'  esif<tenza 
ideale  e  possibile.  È  la  sentenza  stessa,  che  esprime  la  Bibbia 
con  potente  immagine ,  quando  dice  di  Dio  eh'  ei  chiama  del 
pari  le  cose  che  sono  e  le  cose  che  non  sono.  Tutto:  anche 
nel  Timeo  di  Platone  tu  pantòs  fisis  è  la  natura  del  mondo, 
mostrata  dal  Demiurgo  alle  anime  seminali  messe  negli  astri. 
E  Lucrezio  attribuisce  ad  Epicuro  la  gloria  di  aver  perlustrato 
coUa  mente  e  coli'  animo  omne  immensum ,  cioè  l'  università 
deUe  cose.  —  Fece  li  deli  e  die  lor  chi  conduce.  Allude  qui  alla 
simultanea  creazione  dei  deli  e  degli  angeli,  insegnata  dalla 
scuola  tomistica:  chi  conduce,  frase  atta  per  so  a  significare 
tanto  una  singolare  intelligenza  motrice  solamente,  quanto  tutte 
le  intelligenze  motrici  in  generale.  —  Si  che  d^ogni  parte  ad 
ogni  parte  splende.  Distribuendo  egtuHmente  la  luce,  specifica 


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310  COMENTI. 

appunto  il  moto  circolare  prodotto  ne*  cieli  dalle  intelligenze 
separate  —  Volge  sua  spera  e  beata  si  gode,  quasi  dica  la 
Fortuna,  non  ostanti  tutti  i  clamori  e  i  corrucci  dei  mortali, 
prosegue  a  rotare  la  sua  sfera,  come  fanno  rotare  la  loix>  le 
altre  prime  creature.  Quindi,  siccome  nella  protasi  è  detto  che 
Dio  ha  preposto  un* intelligenza  motrice,  o  delle  intelligenze 
motrici,  a  tutti  i  cieli,  colla  legge  di  muoverli  perpetuamente 
in  circolo,  cosi  nell^apodosi  deve  intendersi  che  similmente  egli 
abbia  dato' in  potere  di  una  intelligenza  i  vari  beni  di  quaggiù 
siffattamente,  che  distrìbuendoh  fra  le  genti  debba  far  loro  per- 
correre un  circolo  perpetuo  ;  cioè,  da  prima  farle  piii  e  più  pro- 
gredire nelFacquisto  di  quei  beni,  finché  arrivino  al  culmine 
della  terrena  prosperità,  e  poi  dar  volta,  e  di  infortunio  in 
infortunio  ritornare  alla  primitiva  miseria  e  scjuallore,  e  cosi 
sempre. . . .  Onde  de'  versi  di  Dante  diremo,  che  contengono  il 
germe  della  dottrina  dei  ricorsi  delle  cose  umane,  che  cam- 
peggia in  tutta  la  Scienza  Nuova  del  Vico,  e  ne  forma  il  ca- 
rattere più  luminoso.  —  V.  Franciosi ,  Scritti  Danteschi ,  74, 
e  126. 

VII.  118.  —  Sotto  V  acqua  ha  gente  che  sospira, , . .  Fitti  nei 
limo  dicon  :  Tristi  fummo.  —  Nello  Stige  non  si  puniscono  che 
gr Iracondi;  ma  perchè  v'ha  due  diverse  sorta  d'ira,  o  per 
meglio  dire,  due  diversi  procedimenti  di  essa,  l' uno  impetuoso 
e  r  altro  lento,  l' uno  potente  e  l' altro  celato,  poiché  in  somma 
altro  è  r  ira  che  scoppia,  altro  quella  che  cova  ;  quindi  viene, 
che  di  quegl'  iracondi  danteschi,  gli  uni  vengono  a  tristi  fatti, 
e  cozzano,  e  si  mordono,  e  si  sbranano  fra  loro;  gli  altri  in- 
vece nulla  fanno  di  tutto  ci6,  ma  chiudono  e  nutriscono  la  ira 
nel  fondo  del  proprio  cuore,  ira  tanto  più  terribile,  quanto 
più  rattenuta  ;  ecco  perchè  la  prima  divampa,  e  l'altra  fuma. 
Ed  è  poi  detto  accidioso  quel  fumo,  o  perchè  lento,  o  perchè 
tristo  e  affannoso,  entrambi  significati  di  acedia,  come  si  ha 
nel  Ducanole.  Paravia,  Lettera  al  prof.  Michelangelo  Lanci.-^ 
Con  la  frase  accidioso  fummo,  il  poeta  significò  vivamente  il 
dispetto,  che  covarono  nell'animo  i  tristi  d'ira  repressa  nel 
trattenersi  dallo  sfogo  della  loro  collera.  Todeschini, 

VII.  124. —  Or  ci  attristiam  nella  belletta  negra.  —  Quella 
propria  che  lascia  il  fiume  quando  vien  grosso.  Borghini. 

Del  Lungo  Isidoro  ,  Diporlo  Dantesco.    Gt  invidiosi  nello 


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COBCENTI.  31 1 

Sa^e  —  Le  tre  regioni  intimali  —  Gli  sconoscitori  della 
Divinità.  Estratto  della  Nuova  Antologia.  Firenze,  Aprile,  1873 
Non  si  può  oggimai  più  dubitare,  per  la  diligenza  de'  mi- 
gliori com^ntatori  che  ì  superbi  non  sieno  compresi  nella  prima 
regione  infernale,  in  quella  cioè  che  termina  con  la  palude 
stìgia,  appiè  delle  mura  di  Dite,  e  non  sieno  rappresentati  nel 
tipo  yiTiasimo  di  Filippo  Argenti:  se  non  che  il  Del  Lungo 
pone  il  quesito,  in  quale  cioè  degU  scompartimenti  del  suo 
Inferno  abbia  Dante  collocati  gì-  invidiosi.  —  Richiamata  alla 
meote  de*  suoi  lettori  la  nota  partizione  dell'  Inferno  dantesco, 
secondo  la  quale  (Inf.  xi)  i  peccati  distribuisconsi  sotto  tre 
grandi  generi,  ciascun  d^essi  allogato  in  una  distinta  regione, 
ci  dimostra  la  rispondenza  che  corre  tra  la  prima  regione  in- 
feiiiale  e  il  Purgatorio,  la  qual  rispondenza  fa  necessario  che 
la  detta  regione  dove  son  dannati  quelli  di  fuori,  cioè  fuori 
della  città  di  Dite,  contenga  tutte  e  compiutamente  le  mede- 
sime specie  di  peccatori  non  pentiti,  che  contiene,  ravveduti, 
il  Purgatorio,  senza  di  che  sarebbe  incompleto  il  riscontro  dei 
cerchi  infernali  della  prima  regione  coi  sette  balzi  del  Purgar 
torio.  Vi  devono  dunque  aver  posto  anche  gl'invidiosi.  Ed  essi 
sono  le  ultime  fangose  genti,  ultime  che  Dante,  prima  di  giun- 
gere nell*a/i^  fosse,  terza  circuizione,  che  vallano  la  città 
sconsolata  (Inf.  vin,  76-77)  vede  entro  la  palude,  e  che  si 
slanciano  addosso  all'Argenti.  Dagl'  iracondi,  die'  egli,  ci  siamo 
allontanati  ch'è  un  pezzo  :  lo  strano  è  improvviso  e  nuovo,  e 
diverso  da  que'  primi  azzuffamenti.  Non  sono  piii,  infatti,  ani- 
me che  si  percuotono  e  si  troncano  co*  denti  le  une  con  le 
altre  :  queste  vanno  tutte  d'accordo,  addosso  ad  un  solo,  a  quello 
ibridano,  a  quello  si  scagliano,  di  quello  fanno  strazio  :  ed  egli 
anche  laggiù,  nella  disperazione  infernale,  superbo,  non  le 
respinge ,  non  si  accapiglia  con  loro ,  ma  il  proprio  furore 
e  il  disprezzo  verso  gli  assalitori  sfoga  sopra  so  medesimo* 
Or  non  è  questo  precisamente  lo  spettacolo  che  di  so  presen-* 
tano  nel  mondo  i  superbi  e  gl'invidiosi?  —  Dante  nello  Stige 
incontra,  colpite  dalla  medesima  punizione  d'essere  immerse 
in  quell'onde,  le  anime  degli  iracondi  e  degli  accidiosi,  dei 
superbi  e  degl'  invidiosi.  Nella  prima  circuizione  gì'  iracondi  e 
gli  acddìoei:  di  sopra  quelli,  in  continua  guerra  tra  loro:  di 
sotto  questi  fitti  nel  limo,  e  perpetuamente  molestati,  essi  gli 

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312  COMBNTf. 

amatori  del  placido  Tiyere,  da  quella  orribile  e  sfrenata  lotta 
che  si  combatte  al  di  sopra  delle  lor  teste.  Nella  seconda  cir- 
cuizione i  superbi  e  gì* invidiosi:  di  sopra  i  superbi,  nel  me- 
desimo modo  che  gì*  iracondi,  e,  quanto  a  sé,  disdegnosi,  non 
che  d*  oflendersi  a  vicenda,  ma  pur  di  guardarsi  ;  perciò  T Ar- 
genti al  Poeta  si  presenta  tutto  solo,  né  è  disturbato  da  alcun 
assalto  durante   il  lor  breve  dialogo ,  il  che  parrebbe  difficile 
a  imaginarsi  d*un  iracondo  tra  gF  iracondi.  Se  non  che  essi 
pure  hanno  sotto  di  so  un  altro  ordine  di  dannati  ;  e  qui,   al 
contrario  di  ciò  che  segue  nella  prima  circuizione,  sono  quelli 
di  sotto  che  molestano  quelli  di  sopra.  Ql* invidiosi,  nascosti. 
com*ò  conveniente  alla  lor  cupa  e  qjmulata  natura,  entro  le 
acque  della  palude,  ogni  tanto  ne  sbucano  fuori  per  aggpredire 
i  superbi,  e  fanno  di  loro  tanto  più  fiero  strazio,  quanto  questi, 
divorati  dalla  loro  passione,  sdegnano  di  opporre  alcuna  resi- 
stenza. Cosi  ai  superbi  il  vantaggio  dello  stare  ali*  aria  aperta 
ò  bilanciato,  rispetto  agi*  invidiosi,  dall*  incomodo  d^li  assalti 
di  costoro  e  dallo  sti*azio   rabbioso   eh*  essi  medesimi   di  sé 
&nno  :  e  agi*  invidiosi  che,  come  gli  accidiosi,  si  aUrìstano  nella 
belletta  negra,  lo  uscirne  fuori  a  combattere  forzatamente,  non 
è,  se  si  pensi,  minor  pena  che  lo  starsene.  Del  resto  nello 
Stige,  più  forse  che  in  qualunque  altro  luogo  deirinfemo  dan- 
tesco, è  ciascun  vizio  pena  a  so  stesso;  un  bestiale  intermi- 
nabile impeto  d*  ira  sconvolge  e  fiacca  gì*  iracondi  ;  uno  starsi 
sozzo  e  turpissimo  afibga  gli  accidiosi;  i  superbi  si  consumano 
in  vano  furore  (cosi  è  r  ombra  qui  furiosa),  a  vedersi  etemo 
bersaglio  d*  altrui  o£fese;  gì*  invidiosi,  dal  &ngo  ove  si  mace- 
rano, sono  tratti  a  dare  addosso  senz*alcun  prò  a  chi  non  ha 
ormai  più  nulla  da  essergli  invidiato.  E  di  questa  nuova  sua 
interpretazione  enumera  vittoriosamente  le  ragioni,  la  quale  ha 
pure  il  vantaggio  di  compiere  la  topografia  dell*  Inferno  e  tutto 
il  morale  e  penai  sistema  del  divino  poema  e  di  rendere  più 
razionale  insieme  e  più  artistico  lo  svolgimento  di  quelle  tetre 
scene  dello  stige  dantesco. 

BoROHiNi  ViCBNZO,  Per  che  ragione  Dante  ne  V  Inferno, 
havendo  spedjficato  e  primi  cinque  peccati  mortali,  non  epe-- 
dficassi  la  superbia  etFinmdia,  V.  Fanfani,  Studi  ed  Ossero 
▼azioni  sopra  il  testo  delle  opere  di  Dante,  p.  274. 

Dante,  che  aveva  presa  per  base  del  suo  sistema  punitivo 

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OOMBNTI.  313 

la  considerazione,  non  già  de*  prìnctpii  moventi  a  peccare,  ma 
degrli  efifettivi  peccati,  trovò  bensì  ragione  di  contemplare  come 
oggetto  immediato  di  pena  la  lussuria,  la  gola,  ravarizia  e  1*  ira, 
ed  in  qualche  modo  anche  V  accidia  (non  come  gastigo  dei  vizi 
capitali,  ma  de*  peccati  d*  incontinenza  che  si  possono  consi- 
derare come  semplici  trascorsi  della  natura  umana  tratta  dal 
concupiscibile  p  dall*  irascibile  appetito,  e  non  tenuta  a  freno, 
compera  di  dovere,  giusta  la  norma  delle  leggi  divine)  ;  ma  non 
considerò  come  oggetto  di  speciale  e  proprio  gastigo  nò  la  in- 
vidia, nò  la  superbia,  mentre  gli  effetti  peccaminosi  da  esse 
prodotti  costituiscono  tali  colpe,  eh*  erano  da  lui 'sotto  altri 
rispetti  contemplate  e  punite.  Questa  osservazione  non  isfuggl 
a  quel  valentuomo  di  Girolamo  Benivieni. ...  V.  Todeschini^ 
Scritti  su  Dante,  38-40. 

Vin.  45.  —  Benedetta  colei  che  *n  te  s*  incinse.  — Nelle 
annotazioni  al  Boccaccio,  fanno  quei  signori  lungo  discorso  per 
ritrovare  1*  origine  della  voce  incinta  e  vanno  argumentando 
so  ella  derivasse  dalla  pregnezza  delle  pecore,  le  quali,  sendo 
pr^ne,  si  dicevano  latinamente  incientes.  Ora  dite  alla  Ag- 
ghiadato che  questa  voce  ò  castigliana  antica,  ma  non  tanto, 
che  ancora  oggi  la  gente  migliore  non  1*  intenda.  L*  autorità 
ci  ò  in  un  libro  di  begli  avvisi,  e,  come  noi  diremmo,  di  bel 
parlar  gentile ,  chiamato  il  conte  Lucanor  dove  si  raccontano 
molte  similiade,  et  in  una  cotal  novelletta  dice  così  :  El  conde 
partiòse  de  su  casa,  y  deooó  d  su  muger  endntay  y  vohiendo 
hallo  que  su  muger  la  cual  dexó  encirtto,  habia  pavido  un 
nino,  che  vuol  dire:  Il  conte  partissi,  e  lasciò  la  moglie  c«- 
cinta,  e  tornando  trovò  che  la  sua  moglie,  lasciata  incinta, 
avea  partorito  un  bambino.  FU.  Sassetti,  Lettera  liit.  —  Anche  il 
Tas.^ni  è  d*  avviso  che  tal  voce  siaci  venuta  dalla  Spagna.  •— 
L*annotazione  dei  Deputati  alla  correzione  del  Decamerone,  ò  la 
xc  nò  io  mi  sottoscrìverei  alla  loro  sentenza  di  tenersi  al  tutto  per 
una  baia  la  comunemente  creduta  origine  di  detta  voce,  dapoichè 
Remigio  Fiorentino  narra  che  le  donne  di  Firenze,  quando 
eran  gravide,  andavan  senza  cinture,  e  che  perdo  si  chia- 
mavano incinte;  e  il  Tasso  cantò  di  donna  Marfisa  d*Este 
gravida:  Velata  il  biondo  crine  e  scinto  il  seno  La  bella 
donna,  or  che  1*  ha  grave  e  pieno.  Ettore  Marcucd,  Nota  al 
Sassetti. 

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314  OOMKNTI. 

Vili.  56.  —  IV  sarai  sasio  :  Di  tal  desio ...  —  Posta  l' in- 
terpretazione del  Del  Lungo,  non  v*ha  dub1)io  che  aoqnistioo 
un  significato  morale  i  versi  tu  sarai  sazio  ;  di  tal  disio  con- 
verrà che  tu  goda  ;  e  più  V  altro  che  Dio  ancor  ne  lodo  e 
ne  ringrazio  :  i  quali  vengono  a  significare  una  giusta  compia- 
cenza del  vedere  come  la  mano  di  Dio  anche  a  quelle  due  som 
di  peccati  serba,  nelP Inferno,  condegno  gastigo,  ed  anzi  fa 
r  uno  gastigatore  dell'  altro.  Quando  invece,  nella  comune  inter* 
pretazione,  i  commentatori  sono  costretti  a  spiegarsi  queUa 
atroce  soddisfazione  con  ragioni  poco  onorevoli  al  Poeta  :  come 
sarebbe  «  che  uno  fratello  di  messer  Filippo  godo  i  beni  di 
Dante  »  esule  ;  alla  quale  ne  aggiungono  un*  altra  che  pece» 
d'anacronismo,  cioè  che  «  Filippo  fu  a  cacciar  di  Firenze  parte 
Bianca  e  Dante  »,  Filippo  cui  Dante  assai  innanzi  al  proprio 
esilio  e  de'  Bianchi  fa  morto.  Del  Lungo. 

Vili.  63.  —  In  sé  medesmo  si  volgea  co*  denti,  —  Pena  è 
certamente  convenientissima  ad  un  iracondo,  che  si  dilanii  e 
strazii  coi  denti.  Io  vidi  talvolta  uomini  presi  dall'ira  mor- 
dersi crudelmente  :  pena  degna  di  essi ,  che  insani ,  miseri  e 
crudeli  non  la  perdonino  a  loro  stessi.  P.  Atiavanti. 

VIII.  67.  —  Ornai,  figliuolo,  S'appressa  la  duà  e"  fui  notne 
Dite.  —  Queste  parole,  e  ciò  che 'segue  dimostrano  abbastanza, 
siccome  la  città  di  Dite  e  ciò  eh*  era  in  essa  compreso  formava 
un  luogo  notabilmente  distinto  da  quello,  che  i  poeti  visitato 
avevano  nell'  Inferno  fino  a  quel  punto  :  e  come  in  coos^ueoza 
le  mura  di  quella  città  divenivano  una  linea  di  separazione  tra  | 
r  inferno  superiore  e  V  inferno  profondo.  Anche  le  resistenze 
gravissime,  che  incontrano  i  due  poeti  prima  di  poter  entrare 
la  porta  della  città  infernale,  serve  a  mostrare,  come  ivi  fosse 
r  accesso  ad  un  più  intimo  e  riposto  luogo,  la  cui  condizione 
era  ben  diversa  e  distinta  dagli  altii  luoghi  di  pene  visitati 
da'  poeti  medesimi  più  sopra. ...  E  al  G.  xi,  v.  85  ben  sì  scorge, 
che  Dante  fa  solenne  distinzione  fra  i  peccatori  puniti  dentro 
della  città  infernale,  e  pochi  puniti  di  fuori.  Todeschini. 

Vili.  123.  —  Scritta  morta.  —  Io  vi  trovo  un' espressiood 
tale,  che  deesi  dire  dura  quanto  la  morte:  cioè  come  se  dicesse: 
€  Sopr'  essa  vedestù  la  sentenza  di  morte  :  »  tale  appunto  è  il 
vero  significato  di  quella  scritia  morta.  —  P.  Pania,  Interpretaz. 
di  alcune  parole  del  Petrarca  e  di  Dante,  p.  21. 


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COMBNTI.  315 

jy46.  —  E  tacque  e  tanto,  —  E  tacque  a  questo  sola-- 
-nigyB.  Landoni. 

iX.  67.  —  Non  aàrimenti  fatto  che  d*  un  vento  Impetuoso 
.^r  ffii  avversi  ardori.  —  Non  devesi  credere  che  Dante  dica 
i  calori  essere  avversi,  perchè  «  Taria  scaldata,  crescendo  in 
volume,  riversa,  per  equilibrarsi,  le  sue  più  alte  colonne  sulle 
più  finedde  :  quindi  i  gran  calori  dell'  una  parte  del  globo  danno 
venti  dall^aUra,  »  ch'òun  anacronismo  nell'ordine  storico  delle 
idee,  ma  perchè  secondo  Aris  totele,  i  calori  vengono  da  parte 
avversa  a  quella  dov^  è  la  materia  propria  de'  venti:  questa  di 
sotto,  quella  di  sopra.  Camillo  (R,  Caverni),  La  Scuola,  1873, 
n,  161. 

IX.  73.  —  Or  drizza  il  nerbo  Del  viso ...  —  È  dubbio  se 
il  nerbo  del  viso  si  debba  intendere  dell'atto  del  vedere,  o  del 
muscolo  locomotore  dell'occhio.  Ma  comparando  il  significato 
che  dà  il  Poeta  in  altii  luoghi  alla  parola  nerbo,  non  dubiterei 
di  dire,  che  nerbo  è  il  muscolo  o  V  affilatura  di  lui  tendinosa. 
Cavemi,  La  Scuola,  1873,  Voi.  ii,  360. 

IX.  79.  —  Fuggir . , .  dinanzi  ad  un  ...  —  Mercurio,  per 
r  ufficio  di  messaggiere,  sempre  in  volta  e  in  faccende  pel 
mondo  de'  vivi  e  de'  morti ,  secondo  lo  cantano  tutti  i  poeti. 
Betti,  Osserv.  sulla  Div.  Gomedia,  Il  Propugnatore,  1873. 

IX.  109.  —  Com*  io  fui  dentro,   V  occhio  intomo  invio.  — 

Mi  sembra  nobilissimo  e  sottile  concetto,  e  degno  come  di 
Dante  cosi  d'esseog  meglio  rilevato  e  chiarito  che  non  siasi 
latto  sin  qui,  queUo  d*  avere  lungo  le  mura  della  triste  città,  al 
di  dentro,  collocati  gh  epicurei,  cotesti  grandi  eresi  archi  del 
paganesimo,  e  gli  eretici  dell'  evo  cristiano.  —  Il  loro  spaven- 
toso sepolcreto  i*ovente  incorona  la  città  del  male,  senza  che 
eglino  appartengano  né  alla  prima  regione  che  è  finita  appiè 
delle  mura  di  quella,  né  alla  seconda  che  si  parte  dall'abisso 
scavato  nel  centro  della  città  medesima;  e  cosi,  nò  alla  cate- 
goria degr  incontinenti,  terminata,  nò  a  quella,  non  ancor  co* 
minciata,  de'  violenti.  Cosiffatto  rimaner  essi  interamente  fuori 
del  sistenm  penale  dantesco  non  può  non  avere  un  perchè:  il 
qual  ò  questo,  a  mio  avviso;  che  la  natura  del  loro  peccato 
li  sottrae  alla  comunicazione  diretta,  non  che  con  la  Grazia, 
secondo  e  di  tutti  i  dannati,  che  più  non  hanno  amico  il  re 
deif  universo,  ma  con  la  Giustizia  medesima,  di  quel  Dio  eh' e* 


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316  OOMBNTI. 

disconobbero  e  negarono;  e  perciò  li  pone,  tra  le  p^rcftì^^^^^^ 
quasi  fuori  di  schiera.  Tale  concetto  potrebbe  parere  ntiilimii 
che  ipotetico,  se  non  fosse  applicabile  altro  che  a  quella  i^ 
miglia  di  dannati,  la  cui  esclusione  fuor  delle  tre  grandi  c^^tc- 
gorie  infernali  da  un  qualche  concetto,  nella  mente  del  Poeta, 
dev*  esser  pure  stata  inspirata.  Ma  quando  noi  vediamo  die  , 
mercè  di  esso,  cotesta  fiimiglia  viene  a  coordinai-si  con  perfetta 
armonia,  si  morale  rome  artistica,  ad  altre  famiglie  di  spiriti 
della  valle  d abisso  dolorosa,  o  io  m* inganno,  o  dal  campo 
pericoloso  dell*  ipotesi  noi  passiamo  sul  fermo  terreno  de*  tadtx 
e  dell'evidenza  (V.  Del  Lungo,  Diporto  Dantesco,  Nuova  An- 
tologia, Aprile,  1873).  ^  Queste  classi,  cosi  dette  intermedie, 
le  intitola  degli  sconoscitori  della  Divinità,  ch*ei  ordinerebbe 
nel  modo  che  segue:  —  Meno  colpevoli,  —  Ignavi  e  Angeli 
neutrali  (nel  vestibolo  dell'  Inferno).  —  Non  battezzati  e  Pagani 
virtuosi  (nel  i  cerchio  o  Limbo).  —  Più  colpevoli.  —  Epicurei 
ed  Eresiarchi  (nel  vi  cerchio).  —  Giganti  (  tra  il  cerchio  tiii  e 

il  IX),. 

IX.  113.  —  Si  come  ad  ArU,  ove  7  Rodano  stagna,  Sì  come 
a  Pola  presso  del  Quamaro  Che  Italia  chiude  e  i  suoi  ter-^ 
mini  bagna,  —  Questa  terzina  vale  per  indicare  chiaramente 
i  confini  d'Italia  alle  falde  del  monte  Maggiore,  che  col  Ne* 
voso  ed  il  Tricorno  da  quella  parte  li  segna  meglio  che  non 
molti  trattati  di  geografia,  anche  italiani,  i  quali  confondono 
stranamente  ogni  cosa,  a  malgrado  della  storia,  della  lingua, 
della  civiltà,  della  natura  che  sono  con  Dante.  Poe,  Vàlussi, 
L'IUustraz.  Univ.  p.  16,  1864. 

Castiglu  Benedetto,  Legioni  sul  Canto  x  delT Inferno. 
Ruota  di  Palermo,  a.  i,  n.  14,  30  Giugno  1840;  a.  ii,  n.  19, 
10  Ottobre  1841. 

Introduzione  alle  Lezioni  sul  Canto  x  delt  Infèrno. 

Ruota  di  Palermo,  a.  m,  n.  6,  30  Marzo  1843;  n.  7,  15 
Aprile  1842. 

X.  63.  —  Forse  cui  Guido  vostro  ebbe  a  disdegno. 
Cesare  Beccaria,  sopra  un  verso  di  Dante.  Il  Baretti,  15 

Luglio,  1875,  p.  228.  —  Buroni  Gius,,  Beccaria  Cesare,  PoleUo 
Jacopo,  sullo  stesso  verso,  —  Id.  29  Luglio,  1876,  p.  242-44. 

Il  prof.  Ges.  Beccaria,  capovolgendo  la  sintassi,  cambia  in 
soggetto,  come  dicono,  V  obbietto  della  proposizione,  inieq^reta 


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*  -  OOMBNTI.  317 

rébbe  a  disdegno  nel  senso  di  pospose,  neglesse ^  trascurò  y  ed 
intaode  che  Virgilio  elesse  Dante,  e  non  elesse  Guido  al  grande 
viaggio,  perchè  cosi  a  lui  piacque  ed  all'alto  consiglio  che  lo 
mandava.  Tale  interpretazione  parve  acuta  ed  ingegnosa  al  prof. 
G.  Buroni,  ma  V  ingegnosità,  com'  ei  dice,  non  basta ,  ove  non 
le  vada  compagna  la  naturalezza  e  la  semplicità.  E  il  Buroni 
spiegherebbe  il  passo  contrastato  cosi:  Ba  me  stesso  non  vengo j 
cioè  non  è  solo  per  altezza  d' ingegno,  come  voi  dite  ,  che  io 
vado  per  questo  carcere  cieco  ;  questa  neppure  a  Guido  vostro 
avrebbe  fatto  difetto.  Ma  ecco  :  Colui,  che  attende  là,  per  qui  mi 
mena,  cioè  Virgilio  :  Egli  è  solo  colui,  da  cui  io  tolsi  Lo  bello 
stiie^  che  m' ha  fatto  onore,  e  forse  Guido  vostro  solo  per  questa 
rimasenù  addietro,  perchè  lion  V  ebbe  tanto  in  onore  e  studio, 
quant*  io  :  forse  lo  neglesse,  Io  trascurò  :  Forse  cui  Guido  vostro 
ebbe  a  disdegno.  •»—  E  il  Beccaria  non  esitò  acquetarvisi  ;  dicendo 
modestamente  al  suo  Maestro,  ciò  che  Dante  a  Virgilio:  Tu 
mi  contenti  si  quando  tu  solvi,  Che,  non  men  che  saver,  dubbiar 
m' agguata.  —  «  Il  verbo,  ebbe,  »  scriveva  al  Beccaria  il  conte 
Federico  Sclapis,  concorde  in  ciò  al  prof.  Laguzsi  ed  al  sig. 
L.  Gorcuxi,  €  vuol  riferirsi  a  Guido  come  a  soggetto,  percliè 
altrimenti  Cavalcante  non  avrebbe  potuto  da  esso  argomentare 
che  il  figliuol  suo  fosse  morto.  Questo  passato  ebbe  che  tanto 
inquieta  T  animo  del  padre,  sembra  che  debba  riferirsi  a  Guido, 
anziché,  a  Virgilio,  e  quindi  starebbe  il  senso  che  si  attribuisce 
generalmente  al  v.  63.  Cavalcante,  il  padre,  non  avrebbe  potuto 
arg'uire  che  suo  figlio  fosse  morto  dal  verbo  usato  dal  suo 
interlocutore,  quando  avesse  inteso  la  risposta  di  Dante  nel 
senso  della  mala  voglia  di  Virgilio  lispetto  a  Guido.  »  —  E  il 
prof.  Poletto  :  «  L' amor  soverchio  della  congettura  non  lasciò  al 
Beccaria  vedere  schietto  il  pensiero  di  Dante,  consacrato  anche 
(e  in  questo  luogo  assai  bene)  dal  quasi  unanime  consenso  dei 
diiosatorì,  che  cioè  Guido  Cavalcante  non  amasse  il  latino.  » 
(V.  §  31  Vita  Nuova). 

V.   Ugo  Foscolo,  Discorso  sul  Testo,  cxxxviii  e  seg. 

<  Quanto  al  &moso  disdegno  di  Guido  per  Virgilio  io  man- 
tengo sempre  T  interpretazione  che  proposi  tre  anni  sono  nel 
Propugnatore  (Man.  Dant.  iv).  Nondimeno  ammetto  che  qualche 
idea  di  disdegno  possa  essersi  accompagnata  nella  mente  di 
Dante  air  idea  cardinale  del  disdegno  filosofico-teologico  ;  poiché 


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318  COBIENTI. 

certamente  quel!* influsso  educativo  così  forte  ch'esercitò  su| 
Dante  V  arte  antica  e  Virgilio  In  ispecie,  non  lo  esperimenti^ 
il  Cavalcante,  il  quale  perciò  non  poteva  partecipare  a  tnttìi 
gli  entusiasmi  di  Dante  per  l'Eneide.  »  Fr.  IT  Oddio,  Archivila 
Glottologico,  voi.  II,  72. 

X.  47,  114.  —  Ck)me  dicesti  effU  ehhef 

Tommaseo  Nicolò,  Lettera  di  risposta  al  prof.  Poletto  sul- 
r ignoranza  del  presente  e  sulla  prescienza  dell'avvenire  dei 
dannati  ne'C.  vi  e  x  dell'Inferno.  Bassano,  Roberti,  1874.  Per 
Nozze  Pavan-Negrello. 

X.  119.  —  Qua  entro  è  lo  secondo  Federico.  —  Fede- 
rico II  di  Svevia ,  educato  da  uno  de'  piti  grandi  Papi ,  Inno- 
cenzo III ,    parea  che  ad  alte   cose  chiamasse  la  sua  dinastia, 
di  guisa  che  potesse  porre  nella  penisola  salde  radici.  Federico 
parea  dover  divenire  prìncipe  italiano  o  romano  ,^  come  Dante 
si  eàprìme  nel  suo  libro  di  Monarchia.  E  la  sua  legislazione^ 
bene  rappresentata  in  tutte  le  sue  parti,  e  compendiata  dal 
Raumer,  ben  mostra  quanto  quel  principe  desiderasse  dar  mano 
ai  comuni;  perchè,  senza  turbare  l'unità  dello  stato,  come  i 
guelfi  facevano,  al  bene  universale  cooperassero.   Ed  in  quel 
riordinamento  delle  leggi  (eh'  esser  debbono  filosofemi,  secondo 
la  mente  di  Dante  espressa  nel  libro  medesimo  di  Monarchia) 
Federico  di  un  uomo  latino,  di  Pier  delle  Vigne,  si  giovava: 
la  cui  ruina,  procurata  dagl'invidiosi  di  corte,  deplora  in  sublime 
poesia  l'Alighieri,  incendo  a  lui  dire  che  non  ruppe  fede  al  suo 
Augusto,  che  fu  di  onor  si  degno.  Pure,  non  ostante  i  costumi 
orientali  e  le  pompe  e  le  ambizioni  smodate  guastassero  Fede- 
rico ed  in  aperto  dissidio  il  ponessero  con  la  Chiesa,  non  si  può 
negare  che  gran  principe  ei  fosse  ;  e  non  senza  ragione  Dante 
r  onora  eziandio  nei  suoi  discendenti  e  fino  nel  bastardo  Man- 
fredi. Federico  è  posto  nell'  Inferno  ;  appunto  perchò  si  separò 
da  Pier  delle  Vigne,  l' uomo  latino,  dando  ascolto  alle  calun- 
niose voci.  Il  nota  di  crudeltà  il  poeta,  dove  parla  delle  cappe 
di  piombo;  e  parve  ad  alcuno  ch'egli  il  credesse  autore  del 
libro  de  tribus  impostoribus.  Saverio  Baldacchini,  Prose,  ii,  96. 

X,  1  iO-1 1 1.  —  Or  dunque  direte  a  quel  caduto  Che'l  suo 
nato  è  co' vivi  ancor  congiunto,  —  In  calce  al  Liuto  (specie 
di  romanzo  foggiato  sulla  Vita  Nuova  di  Dante,  e  scrìtto  da 
Guido  Cavalcanti  per  magnificare  le  glorie  di  madonna  Vanna) 


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COMBMTI.  319 

keggesi  il  seguente  ricordo,  tratto  dal  Priortsla  di  Attaviano 
Cavalcanti,  coetaneo  di  Guido  e  padre  di  Mai  nardo  :  €  Nell'anno 
1 302  morì  in  Febbraio  di  consunzione  Guido  di  messer 'Cavalcante 
fie'  Cavalcanti,  nobile  fiorentino  e  nostro  consorto  ;  tre  anni  dopo 
^-ssere  ritornato  dal  suo  confine  di  Serazzano,  ove  per  l'aria 
CDaremmana  infermò,  e  mai  non  potete  ricuperarsi.  Fu  uomo 
subito  ed  iracondo;  e  nell'ultimo  tempo  (sebbene  travagliato 
da  febbre  continua)  non  si  asteneva  d'infiammare  i  Bianchi 
contro  messer  Carlo  di  Francia,  e  messer  Carlo  Donati.  Nel- 
l' arte  del  dire  vinse  tutti  i  suoi  coetanei,  come  pure  di  senno 
e  di  filosofia;  ma  ebbe  il  nome  di  epicureo,  non  meno  che  il 
padre Oggi  2  di  Settembre  del  1312  cessò  di  vivere  ma- 
donna Vanna,  che  fu  molto  donna  di  messer  Guido  Cavalcanti. 
Fecesi  monaca  dopo  la  morte  di  lui  nelle  monache  di  S.  Do- 
menico; e  quelle  trascelsce  infra  tutte,  però  che  nella  chiesa 
loro  fu  seppellito  esso  messer  Guido.  >  —  Todeschini. 

XI.  36.  —  Collette  dannose.  —  Alcuni  leggono  toilette,  altri 
coUeUe.  Ma  Tuno  e  T altro  significa  tributo,  imposizione:  toilette 
proviene  dal  celtico  tolt,  imposizione,  aggravio:  collette,  pre- 
stanza, o  aggravio  che  doveasi  pagare  nelle  mani  dei  Collettori, 
specialmente  in  occasione  d    guerra.  Manzoni  ToselU. 

XL  44.  —  Biscazza  e  fonde  la  sua  faculfade,  —  Biscazza 
era  un  gioco  d*  azzardo,  come  quello  della  Zara  e  della  Busta 
e  di  altri  :  «  Retinuisse  ludos  Taxillorum  Azzardi  et  Biscaziae 
(maggio  1286)  —  Tenet  ludum  Biseazze  (7  agosto  1286)  —  Lu- 
debant  ad  hiscaziam  quanquam  habuissent  tabulas  supra  tabu- 
'  lei-io.  Interrc^atus  si  ipse  est  mutuator  ad  ludum  Biscazie  ecc. 
Mazzoni  ToselU, 

XI.  50.  —  SugeUa  del- segno  suo  Caorsa. 

ToDBBCHiNi  Giuseppe,  Commento  del  v.  50,  o  più  veramente 
della  voce  Caorsa  nel  C.  xi  dell'  Inferno.  Scritti  su  Dante^  n, 
301-13. 

Combatte  la  sentenza  del  Ducange  e  del  Carpentier,  e  ricerca 
*  d'onde  avvenisse  che  col  nome  di  Caorsa  stimasse  Dante  di 
notare  cosi  chiaramente  e  distintamente  l'usura. 

XI,  58.  —  Chi  affatura,  —  Mazzoni  Toselli  riporta  una 
.  denunzia  ed  accusa  del  15  Aprile  1286  a  carico  di  Tommaso 
medico  che  fu  d'Arezzo,  figliuolo  di  Guido  ed  abitante  a  Bo- 
logna nella  parrocchia  di  S  CSolomban^  per  aver  ammaliato 


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320  COMBNTI. 

6d  aflSikturato  certa  GiacomÌEia,  moglie  a  Tommaso  Ricco,  dan 
dole  confette,  e  facendo  altre  fatture  di  cera  a  similitudine  d  \ 
Dio,  in  modo  d* immagine  femminina....  per  le  quali  malie  i\ 
fatture  il  medico  privò  della  memoria  e  del  buon  senso  ess4i 
Giacomina. 

XI.  60.  —  Ruffian,  baratti.  —  Baratto,  giuocatore  d' az- 
zardo. —  Si  aliqui  baratti  inveniantur  ludere  ad  luduoà  Azai*di 
seu  taxillorum,  quod  non  condannantur  alio  modo,  nisi  quocl 
adaquantur . . . .  vidit  pluries  et  pluries  Baratos  inTentos  ludere,, 
adacquare  et  eos  vidit  libere  relaxai*e. 

XII,  4.  —  Qual  è  quella  mina  che  nel  fianco  Di  qua  €Ùi 
Trento.  —  C  è  vecchia  disputa  fx^a  gli  eruditi  qnal  sia  la  ruina 
di  cui  qui  parla  T Alighieri,  e  quale  il  tempo  in  cui  avvenne. 
Il  co.  Troja,  tanto  dotto  delle  cose  dantesche,  quanto  og^iiun 
sa,  contraddice  recisamente  l'opinione  che  il  poeta  alludesse 
allo  scoscendimento  nell'Adige  dei  monti  della  Chiusa^  che 
presso  Rivoli  rovinarono  il  20  giugno  1310:  Egli  prova  che 
la  comparazione  poetica  si  riferisca  ad  una  ruina  più  antica 

della  quale  sono  incerti  e  T  età  e  la  cagione poiché  Z)ante\ 

assicura  di  non  sapere  se  fu  prodotta  da  tremuoti  o  da  pcA 
chesza  di  sostegni.  Todeschini,  Scritti  su  Dante>  i,  442.  —  /^r. 
Ambrosi,  oltre  gli  Slavini  di  Marco,  nome  preso  dal  viila^^gio, 
eh'  è  alla  sinistra  dell'Adige,  tre  miglia  a  mezzodì  di  Rovereto,  j 
sulla  via  di   Verona,  ricorda  un  altro  dirupo,  dirimpetto   oli 
castello  della  Pietra,  a  poca  distax&a  di  Galliano,  sulla  vecchia 
via  da  Trento  a  Rovereto,  che  ritiensi  da  taluno  per  la  vera 
)^ina  indicata  dal  Poeta,  siccome  quella  eh* è  più  vicina  a 
Trento.  Il  Petrarca,  nella  terza  delle  sue  Epistole  Poetiche  la 
ricorda   pure  con   questi  versi:  Vidi  et  terrificam  solido   de 
monte  ruinam;  Atque  indignantes  praeduso  tramite  Nymphas, 
Vertere  iter,  dextramque  vadis  impellere  ripam,  —  Poesie 
Min.  del  Petrarca,  ii,  407.  —  V.  Man,  Dant,  ii,  554;  iv,  579. 

XII.  8.  —  Ch*  alcuna  via  darebbe  a  chi  su  fosse,  —  Per 
una  siffiitta  ripa  non  si  poteva  discendere  ad  arbitrio  da  qua* 
lunque  punto  senza  un  mezzo  straordinario;  quindi  i  poeti 
girano  lungo  tratto  sovra  quella  estremità  circolare,  finche 
pervengono  là  dove  il  balzo  si  distnonta,  ma  in  che  modo? 
per  una  discesa  accidentale  formata  da  una  porzione  di  quella 
ripa,  ossia  parete,  la  qual  è  scoscesa  e  smottata  per  una  frana 


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OOMBNTI.  321 

o  naina  già  prodotta  da  xm  terremoto.  La  qual  cosa,  perchè 
meglio  si  veda,  Dante  ai  fa  a  descrivere,  in  via  di  paragone^ 
ti  fianco  di  un  fiume  che  passa  fra  le  montagne,  pel  qual  fianco 
ripido,  od  anche  sporgente  nella  sommità,  non  si  potrebbe  di- 
scendere in  esso  fiume,  quando  lo  smovimento  del  terreno, 
cagionato  appunto  da  una  mina,  cangiando  la  superficie  ver- 
ticale in  inclinata,  non  venisse  a  presentare  un  qualche  mezzo 
dì  discesa  a  chi  fosse  di  sopra. . . .  Quella  scesa  era  dunque  come 
suol  dirsi  praticabile....  Alcuna  inteso  per  qualche-  esprime 
la  circostanza  più  essenziale  del  paragone,  cioè  il  mezzo  di 
discesa  ;  e  se  dovesse  altrimenti  significare,  presenterebbe  una 
superflua,  anzi  contraddittoria  comparazione.  G.  Boccaccio  co- 
menta:  di  quel  buratto,  cioè  trarupo  dove  venuH  erano  ipoetij 
era  Ut  scesa  cotale  qual  del  monte  trarupato  sopra  l'Adige, 
eh'  alcuna  via  darebbe  al  venir  giuso  al  piano.  Il  che  fu  poi 
dal  discepolo  ed  amico  di  lui  Benvenuto  da  Imola  ^  con  quel 
suo  semplice  ma  significante  latino,  esposto  ne*  termini  seguenti 
che  non  lasciano  altro  a  desiderare  :  Hic  auctor  describit  prae^ 
dictum  locum  per  comparationem  pulchram  et  proprissimam. 
Et  vuU  sustantialiter  dicere  quod  iUa  via  ruinosa  per  quam 
erant  descensuri,  eroi  talis  qualis  est  ripa  Aihesis  inter  Tri- 
dentum  et  Veronam.  Illa  enim  ripa ,  antequam  fieret  istud 
praecipitium  maximum,  erat  ita  recta  et  repens  in  modum 
muri,  quod  nullus  poiuisset  ire  a  summo  ripae  usque  ad 
fitndum  flumanae  inferioris;  sed  post  ruinam  factam  posset 
nunc  aUqualiter  iri,.,.  Et  nota  quod  istud  praecipitium  ro- 
catur  hodie  Slavinum  ab  incoUs.  Et  ibi  est  unum  castellum 
quod  vocatur  Marcum.  Parenti  Marcantonio,  Sopra  le  moderne 
interpretazioni  del  Poema  di  Dante,  Discorso  letto  ad  una  let- 
teraria adunanza  di  Modena,  la  sera  del  23  Febbraio  1820. 
Modena,  Soliani,  1844.  —  V.  Dionisi,  Àned.  v,  e.  15. 

XII.  34-45.  —  Or  vo*  che  sappi Qui  ed  altrove  tal 

fece  riverso.  —  Com'a  ciascuno  è  chiaro,  qui  si  accenna  al 
terremoto  che  accadde  alla  morte  di  Gesù  Cristo,  e  si  finge  che 
allora  anche  la  roccia  o  ripa  circolare  che  chiude  V  inferno 
rovinasse,  ossia  si  scoscendesse  nel  burraio  che  serve  di  pas- 
saggio dagr  Incontinenti  ai  Violenti  ed  anche  altrove.  Raffaello 
Fornacciari,  vuole  che  questo  altrove  accenni,  indubitabilmente, 
alla  mina  del  C.  V.,  che  è  un  altro  scoscendimento  della  vec- 

21 

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322  COHXNTI. 

chia  roccia  accaduto  anch^esso  per  la  medesima  ragione.  Ì 
più  dei  commentatori,  e  con  essi  il  Giuliani,  rìferìrebbero  qud 
sto  modo  altrove  alla  ruina  dei  ponti  che  coprono  la  bolg-ij 
degr  Ipocriti.  Se  non  che  il  Fornacciari  aggiunge  che  Virg;ili| 
non  poteva  alludere  ai  ponti  caduti  nella  bolgia  degripocri^ 
per  la  semplicissima  ragione  che  non  ne  sapeva  nulla.  G,  pei 
verità,  prosegue,  non  ci  confessa  ^li  medesimo  che  la  prinij 
volta  cb'ei  discese  nel  basso  Inferno,  quella  roccia  non  er\ 
ancor  cascata?  Come  dunque  potea  sapere,  innanzi  d*arrì\raz*c^ 
la  caduta  dei  ponti,  che  avvenne  precisamente  nel  tempo  stesso 
Che  anzi  anche  neirindicai^e  T  orìgine  della  ruina  non  si  ino 
stra  sicuro  delle  sue  parole,  ma  espone  una  congettura  :  certoi 
cioè  probabilmente  (come  l'usiamo  parlando  ogni  giorno),  sì 
ben  discernoy  cioè,  se  non  piglio  errore.  E  il  successo  conferma 
che  veramente  non  ne  sapeva  nulla,  perchè,  quando  i  poe^ 
son  giunti  sopra  la  bolgia  dei  Barattieri,  solamente  allora  ut 
Demonio  ne  avvisa  Virgilio ....  più,  oltre  andar  per  qucst<ì 
Scoglio  non  si  potrà,  perocché  giace  Tutto  speziato  al  fonde 
Varco  sesto  (  Inf.  xxi,  106  e  seg.).  E  appunto  perchè  Virgilic 
non  sapeva  dove  né  come  fosse  questa  ruina,  i  demoni  posson<i 
ingannarlo  facendogli  credere  che  ci  sia  uno  dei  ponti  noi^ 
rovinato,  mentre  che  invece  i  poeti  li  trovano  tutti  ugualmente 
caduti,  e  si  espongono  a  un  brutto  scherzo.  Or  dunque  se 
Virgilio  non  sapeva  nulla  della  terza  ruina,  egli,  quando  dice 
altrove,  o  parla  a  caso  (il  che  in  Dante  non  è  presumibile),  ò 
allude  necessariamente  allo  scoscendimento  della  roccia  nel 
C.  V,  ossia  alla  prima  ruina,  Oltredichè ,  se  vogliamo  anche 
un  poco  sottilizzare,  la  terza  ruina  non  è  uguale  in  tutto  alle 
altre  due,  imperciocché  il  riverso  della  vecchia  roccia,  deter^ 
minato  anche  meglio  dal  pronome  tal,  non  sarebbe  sinonimo 
della  caduta  d*un  arco  di  ponte,  il  quale  precipita  tutto  in 
basso,  non  si  scoscende  in  obliquo,  né  ùl  un  grembo  dì  sé 
stesso  come  la  roccia.  Nuova  ragione  per  credere  che  Virgilio 
con  quelle  parole  non  alluda  menomamente  alla  bolgia  degli 
Ipocriti.  Raffaello  Fornacciari. 

XII.  40.  —  Da  tutte  parti  fatta  valle  feda  Tremò  *i . . .  — 
«  Ignem  omnium  rerum  principium ,  seu  comune  elementum, 
Heraditus  esse  docuit.  Finitam  vero  esse  hanc  rerum  univer- 
sitatem  eamque  ex  igne  oriri,  ac  rursus,  per  quaedam  tempo- 


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COBIBNTI.  323 

{nm  intervalla,  in  ignem  redire  :  idque  fiato  fieri.  Ex  bis  autem 
quae  contraria  sint,  id  quidem  quod  generationem  efiiciat, 
Bellum  vocari  et  Contentionem  :  quod  contra  muadi  exustio- 
Bem  efficiat,  Concordiazn  et  Pacem  appellari.  Quam  Heracliti 
sententiam  Dantes ,  etruscus  poeta,  ut  illa  ferebant  tempora, 
dÌBciplinis  omnibus  eruditus,  bis  versibus  attigisse  vìdetur: 

Da  tatte  parti  1*  alta  vaUe  feda 
Tremò  si,  eh'  io  pensai  che  1*  Universo 
Sentisse  amor,  per  lo  quale,  è  chi  creda 

Più  volte  il  mondo  in  caos  converso.  * 

Io,  AnU  Yulpii,  Opusc.  Philos.,  120. 

Xn.  119.  —  Colui  fesse  in  grembo  a  Dio  Lo  cor  che  in  sul 
Tamigi  ancor  si  cola.  —  Alcuni  vogliono  accadesse  la  ucci- 
sione nella  cattedrale  in  tempo  della  messa  dello  scrutinio. 
Altri  affermano  fosse  nella  chiesa  di  san  Silvestro,  oggi  detta 
del  Gesù.  Le  cronache  noi  dicono.  Né  il  Malaspini,  nò  il  Vil- 
lani, né  altri  la  designano.  Il  Vellutello,  nel  commento  a  Dante, 
afferma  che  fosse  san  Silvestro.  La  cronaca  del  Montemarte 
dice,  errando  nella  nazione  dell'ucciso,  in  questo  modo  :  Domi- 
nus  Guido  de  Monte  forti  interfecii  Henrigum  de  Alemannia 
Viterlni  in  ecclesia  sancii  Silvestri.  Al  certo  il  delitto  fu  com- 
messo quasi  sugli  occhi  di  Filippo  re  di  Francia  e  di  Carlo 
d'Angiò  re  di  Sicilia  venuti  a  Viterbo  dopo  V  infelice  crociata 
di  Tunisi  per  sollecitare  i  discordi  cardinali  all'elezione  di  un 
nuovo  papa,  che  fu  poi  Oregorio  X.  È  da  notare  per  infamia 
di  Carlo,  detto  da  Dante  il  Nasuto,  che  Benvenuto  da  Imola 
nel  commento  sulla  Divina  Commedia,  al  verso  :  Mostrocci  un 
ombra,  ecc.,  riferisce  il  dilemma  che  allora  si  faceva:  Se  il 
sapea  fu  un  ribaldo;  se  no,  perche  noi  punì?  Eppure  v'ha 
chi  dice  aver  Carlo  fatto  vendetta  del  sacrìlego  misfatto  ras- 
segnandosi a  saziar  la  propria  avarizia  con  lo  staggire  le  ca- 
stella e  i  beni  feudali  de'  fratelli  Simone  e  Guidone  di  Mon- 
teforte.  Non  fu  ella  piacevole  vendetta?  {Diploma  del  23  Mar  so 
1271  nel  regio  archivio  di  Napoli,  Reg,  1268,  o,  fol.  99).  Nel 
1287  il  Monforte  fatto  prigione  nella  battaglia  navale  detta 
de'  Conti  combattuta  nel  golfo  di  Napoli  tra  gli  Angioini  e 
Giacomo  di  Sicilia,  moriva  poi  miseramente  nelle  carceri  di 
Messina  {Speciale,  Nicastro,  ecc.).  —  Ignazio  Ciampi.  Un  Mu- 
nicipio italiano  all'età  di  Dante  Alighieri  (Strenna  del  Giornale 


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324  OOBIENTL 

€  Arti  e  Lettere,  >  p.  54).  5k*  cola,  —  V.  Parenti^  Esercit.  FiL 
n.  12,  p.  34.  —  V.  Man.  Dani,  iv,  380. 

Xni.  25.  —  /'  credo  eh'  et  credette  eh'  io  credesse.  —  Verso, 
dice  il  Veratti,  che  parer  potrebbe  cosi  foggiato  sopra  T  ana- 
logo di  Esiodoro.  Op.  v.  382. 

Xin.  58.  —  r  son  colui,  che  tenni  ambo  le  chiavi.  —  Bel- 
lissimo modo,  tanto  caro  al  Petrarca,  e  venuto  a  noi  dai  Pro- 
venzali. Nannucei. 

Xni.  106.  —  Qui  le  strascineremo,  e  per  la  mesta  Selea 
saranno  i  nostri  corpi  appesi.  —  Ella  è  cosa  curiosa  Tos-ser- 
vare  come  alcune  di  quelle  pene  che  Dante  dà  ai  malvagi  siano 
quelle  medesime  che  loro  davano  gli  antichi  Germani.  Questi,  per 
testimonianza  di  Tacito,  seguendo  il  principio  disHnctio  poena- 
rum  ex  delieto,  proditores  et  trans fugas  arboribus  stispendunt; 
e  Dante  fa  dire  a  quelli  ch'ebbero  in  sé  man  violenta,  ed  ai 
quali  si  parte  V anima  feroce  Dal  corpo  ond'ella  stessa  s' è  dis- 
velta... per  la  mesta  Selva  saranno  i  nostri  corpi  appesi. 
Ciascuno  al  prun  dell'ombra  sua  molesta,  pensando,  come 
Platone  nella  Repubblica,  esser  un  traditore  ed  un  disertore, 
colui  che  uccide  il  suo  più  caro  amico,  cioè  sé  medesimo  od 
abbandona  quel  posto  in  cui  Provvidenza  Tavea  collocato.  Di 
nuovo  Tacito  :  ignavos,  ac  imbelles,  corpore  infames  caeno  at 
palude —  mergunt;  e  di  nuovo  Dante  pone  i  golosi  nel  fango, 
e  gli  adulatori  tuffa  in  uno  sterco  Che  dagli  uman  pritati 
parea  mosso.  Marco  Renieri,  L'Apatista  di  Venezia,  a.  i,  n.  37. 

XIII.  117.  —  Che  della  selva  rompieno  ogni  rosta.  — 
«  Ecco  gli  è  in  Dante  la  voce  rosta  usata  propriamente  e  po- 
chissimo intesa,  che  vuol  dire,  quando  s*  intrecciano  piit  ratni 
insieme,  per  far  come  siepe  a  riparare  e  svolger  V  acqua  dei 
fiumi.  Questa  voce  un  contadino,  che  abbia  le  sue  possessioni 
in  monte,  l'udirà  come  nuova,  dove  chi  le  avrà  nel  piano  di 
Firenze,  vicino  all'  Arno  od  al  Bisenzio  od  all'  Ombone ,  V  in- 
tenderà subito.  Così  risoluto  affermava  il  Borghi  ni,  esperto 
giudice  della  patria  lingua  ;  eppur  non  seppe  che  il  medesimo 
vocabolo  s'adopera  singolarmente  dai  montagnuoli  del  Senese, 
del  Casentino  e  di  Pistoia,  e  per  appunto  nel  significato  inteso 
dal  Poeta.  Roste,  mi  dicevano  essi,  noi  chiamiamo  certi  ripari 
di  fiuoni  e  rami  e  frondi,  soliti  a  farsi  qua  e  colà  per  le  selve. 
ad  impedire  che  le  castagne,  già  a  terra,  non  vengano  portate 


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OOMBNTI.  325 

via  dall'acque  correnti.  Giuliani,  sul  Vivente  Linguaggio  di 
Toscana,  Lettera  xli.  —  Propriamente  chiamiamo  roste  noi, 
quelli  che  per  riparo  de'  fiumi  che  rodono  le  ripe,  si  fanno^ 
fiixando  paU  e  intrecciando  rami  fra  Vuno  e  t  altro,  che  al- 
^^imenti  si  chiamono  pescaiuoU, . . .  Dice  adunque  propriissima- 
mente, che  dovunque  ì  rami  intrecciati  insieme  avesser  chiusa 
la  strada^  era  tanto  Y  empito  di  coloro ,  che  rompieno  quello 
viluppo  e  roste,  Borghini, 

XIII.  120.  —  Lano,  si  non  furo  accorte. 

M^cooNi  Giuseppe,  Intorno  a  Lano  de*  Maconi,  Documenti 
e  notine,  lette  nella  raccolta  (della  Società  Sanese),  del  di  12 
Settembre  1869.  Bullettino  della  Società  Senese,  Voi.  n,  p.  141, 
Siena,  Bargellini  1870.  —  Documenti  intomo  alla  famiglia  4 
alla  casa  di  Lano  de*  Maconi,  Adunanza  del  di  9  Maggio 
1870.  Atti  e  Memorie  della  Sez.  Letter.  e  di  storia  patiìa  mu- 
nicipale della  R.  Accademia  dei  Rozzi  di  Siena.  Siena,  Barge- 
lini,  1872;  Maconi,  Raccolta  di  Documenti  storici,  Livorno, 
1876,  91-114. 

Lano  Maconi  nacque  di  Squarcia  e  di  Scanna,  che  oltre 
Lano  (Arcolano)  ebbero  Sozzo,  Oddolino  e  Sapia:  gli  furono 
avi  Riccolfo  ed  Oddolina,  e  non  un  Mezzolombardo  di  Squarcia, 
come  vorrebbe  il  Carpellini.  A  documento,  oltre  a  molti  altri, 
dta  il  cod.  40  dell'Archivio  di  Bicherna  che  contiene  i  con- 
tratti dei  curatori  dei  pupilli.  Dal  codice  della  Curia  del  Piar 
cito  ei  rileva  che  menò  moglie  donna  Mina  de'  Malavolti  :  ne 
nacquero  Nicolò,  e  Lanuccia.  Ebbe  casa  in  sulla  piazza  del 
Campo,  che  propriamente  occupava  il  lato  estremo  del  pa- 
lazzo, oggi  Chigi-Zondadari ,  dal  chiasso  ora  de'  Pollaioli  fino 
al  palazzo,  al  presente  Sansedoni,  poche  braccia  pure  di  esso 
compresevi,  n  sig.  Maconi  non  può  concordare  col  Cartulario 
del  duomo  di  Siena  circa  V  anno  in  che  segui  la  battaglia  del 
Toppo,  che  la  vuole  avvenuta  nel  1287.  Da  un  documento  del 
1288  abbiamo  che  Lano  appartenesse  al  general  consiglio  della 
Campana,  e  precisamente  ai  consiglieri  del  terzo  di  S.  Matteo. 
Sulla  fede  dei  libri  di  Bicherna,  ne  assegna  la  data  del  1288, 
e  ne  cita  i  passi  relativi.  E  non  parrebbe  che  fosse  aSàiU)  di- 
struggitore delle  cose  sue,  se  a'  pupilli  rimase  di  che  vivere 
agiatamente.  E  i  parenti  conservarono  buona  memoria  del  loro 
caro,  sia  8a£&agandone  Tanima  con  funzioni  ecclesiastiche,  sia 


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326  OOMENTI. 

distribuendo  danaro  e  pane  a*  poverelli.  Il  Maconi  prova  con 
nuovi  documenti  che  Abbagliato  è  nome  proprio,  e  non  un 
aggettivo:  fu  figlio  di  Renieri  e  capitano  di  soldati.  Anche  i 
libri  di  Bicherna  ricordano  Cascia  di  Sciano,  Nella  relazione 
delle  cose  notabili  di  Siena  trovasi  il  seguente  ricordo  a  pag. 
158.  —  Casa  (ove  è  ora  la  cappella  di  S.  Crespino,  n.  1333) 
della  brigata  godereccia,  di  cui  parlò  Dante.  Lo  scritto  del 
Maconi  è  corredato  da  dieci  documenti,  ed  un*  appendice,  ov*è 
inserita  la  pianta  geometrica  di  quel  tratto  di  città  dove  i 
Maconi  possedettero  case,  terre  e  palazzo. 

XIV.  12.  —  A  randa  a  randa,  —  Bimbo,  vien  qui,  non 
andar  a  treppicare  là  (a  pisticciare  in  quel  podere)  che  non  ò 
nostro;  guarda,  non  e* entrare  nel  mezzo,  ma  passaci  randa 
randa.  Pontito,  sulla  Montagna  di  Pescia.  —  Giuliani^  Saggio 
di  un  Dizion.  del  Volgare  Toscano,  350. 

XIV.  30.  —  Come  di  neve  in  alpe  senza  vento.  —  Questa 
bella  immagine  il  poeta  la  prese  dall'amico  suo  Guido  Caval- 
canti, il  quale  in  un  sonetto,  pubblicato  dal  Ciampi,  avea  detto: 
Aere  sereno,  quando  appar  T albore,  E  bianca  neve  scender 
senza  vento.  E  sopra  Tuna  e  T altra,  il  Petrarca  magistral- 
mente affazzonò  poi  quella  sua  :  Pallida  no ,  ma  come  neve 
bianca  Che  senza  vento  in  un  bel  colle  fiocchi.  B.  Verattì. 

XIV.  79.  —  Quale  del  Bulicame  esce  il  ruscello^  Che  parton 
poi  tra  lor  le  peccatrici. 

L\Nci  F.,  Il  Bulicame  e  la  Chiarentana  nella  D.  Comme- 
dia di  Dante  Alighieri.  Roma,  Cuggiani,  1872  (Estratto  dal 
Giorn.  Arcad.  Serie  ii,  n.  67). 

ScAaA.BBLLi  LuaANO,  La  Chiarentana  e  il  Bulicame  nella 
Divina  Commedia  male  intesi  nelle  chiose  antiche  illustrati 
da  Fortunato  Lanci.  —  All'illustre  Ateneo  di  Bassano,  9 
Aprile  1872.  —  Estratto  dal  Periodico  il  Propugnatore  di  Bo- 
logna, Voi.  V.  —  V.  ScarabelU,  Esemplare  della  Divina  Com- 
media donato  da  Papa  Lambertini,  ecc.  Paradiso,  vii-xv. 

Ciampi  Ignazio,  Un  Municipio  italiano  nelV  età  di  Dante 
Alighieri^  (Strenna  del  Giornale  €  Arti  e  Lettere,  p.  58). 

In  luogo  di  peccatrici  il  Monti  ed  il  Mercuri  leggono  pe- 
scatriciy  e  con  quel  vocabolo  vuol  che  Dante  intenda  parlare 
delle  maceratrici  della  canapa,  le  quali,  facendo  solchi  nel  ter- 
reno, si  dtvidon  fra  loro  la  calda  acqua  per  compiere  il  lavorìo 

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COMBNTI.  327 

della  macerazione.  Il  che  era  pur  vero  allora  ed  adesso,  ben- 
ché gli  statati  parlino  più  spesso  del  lino,  che  da  Pio  li  ne'  Com- 
mentari (p.  378)  è  detto  fonte  pe'  Viterbesi  di  molta  ricchezza. 
Ma  anche  le  meretrici,  ossia  le  peccatrici  vi  si  bagnavano  o 
derivavano  queir  acqua  nelle  loro  stanze  da  bagno:  e  cosi  e 
non  altrimenti  bisogna  intender  Dante  senza  sforzar  tanto  la 
lingua  e  la  lezione.  Dappoiché  la  tradizione  e  gli  statuti  an- 
tichi s*accordano  con  lui,  e  fra  gli  altri  il  libro  delle  riforme 
del  pubblico  archivio  di  Viterbo,  ove  all'anno  1469,  11  Maggio, 
si  legge  :  Item  aUud  bandimenlum  che  nessuna  meretrice  ar- 
disca né  presuma  da  hora  nanze  bagnarse  in  alcun  bagno 
dove  sieno  consuete  bagnarse  le  cittadine  et  donne  viterbese^ 
ma  si  vogliono  bagnarse,  vadino  diete  meritrici  nel  bagno 
del  bulicame,  sotto  pena  d*un  ducato  d'oro  et  de  quadro  traete 
de  corde.  —  Ciampi,  —  Ma  il  sig.  Fortunato  Lanci  si  oppone 
e  discaccia  quelle  meretrici  e  sopprime  il  paragone,  allegando 
non  essere  il  bulicame  di  Viterbo  di  sangue,  non  aver  color 
rosso  da  muovere  a  raccapriccio,  non  isviluppar  calore,  non 
impietrar  fondo,  nò  pendici,  né  argini  ;  e  aggiunge  parergli  dif- 
fìcile congetturare  perchè  nominatosi  dal  Poeta  il  bulicame  due 
volte,  ei  debba  uscire  con  un  paragone  a  quello  di  Viterbo. 
Indi  ad  escludere  questa  intenzione  defenisce  «  che  Dante  per^ 
venato  là  dove  spicciava  il  ruscello  i  cui  argini  dovean  for- 
nirgli innocente  vahco  per  l'affocata  rena  lui  descrive  come 
raccapricciante  procedente ,  nel  modo  stesso  come  si  parHa 
dal  bulicame  o  Flegetonte,  d'onde  si  derivava'.  E  perchè 
quelle  peccatrici  non  trovavan  riscontro  nella  Commedia  ei 
dice  opinare  che  s' intendano  anime  o  genti  che  spesso  ri- 
corrono nel  poemc  «  e  lo  spartirsi  del  bulicame  quella  diversa 
misura  d'immersione  che  in  esso  patiscono  i  tiranni  e  i  pre- 
doni. >  E  trova  iperbato  anche  qui,  che  quelle  peccatrici  sono 
disgiunte  dal  suggetto  a  cui  rapportansi  dovendo  riferirsi 
al  bulicame  non  al  ruscello,  con  ciò  sia  che  era  nel  bo^ 
gliente  fossato  che  martoriavansi  le  anime  de"*  prepotenti  non 
nel  ruscello.  Né  Dante  fece  mai  allusione  a  Viterbo.  —  Il 
prof.  Scarabelli,  esaminate  le  ragioni  addotte  dal  Lanci,  con- 
chiude: in  verità  ch'io  ammiro  gli  studii  del  Lanci:  ma  sia 
che  non  mi  faccia  ia  suo  senso  chiara  costruzione  granmiati- 
cale   delle  due  terzine  dantesche,  e  finché  mi  nega  i   fatti 


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328  OOMBNTU 

storici  e  i  geologici  incontravertilrili  che  dieder  argomoaito  alla 
chiosa,  poniam  pure  copiata  alla  cieca,  ma  scesa  per  tanti 
(non  tutti  accidiosi  al  pensare)  sino  a  questi  di,  io  non  mi 
attenterò  di  mettermi  da  sua  parte  sebbene  riconosca  che  possa 
esserci  qualche  dubbiezza.  Non  tutto  si  è  consultato  di  quel 
eh*  esiste  commenti  danteschi  come  non  tutti  i  codici  stessi  del 
testo  della  Commedia,  forse  non  ò  inutile  sperare  miglior  luc^ 
dalle  chiose  istesse  per  sicura  lezione  dei  testi,  come  d*altro4 
cosi  di  questo  passo  singolare  e  strano.  V.  Jfan.  Dant  iv,  382. 

XIV.  123.  —  Perché  ci  appar  pur  a  qtiesto  vitxiffna.  — 
Come  il  maestro  mio  per  quel  vivagno  (Inf.  xxra,  49).  —  TV- 
vagno^  V  estremità  del  panno,  qui  per  quella  striscia  che  f>rese 
nel  calare,  —  All'un  de'  due  vivagni  (Purg.  xxiv,  127),  delle] 
due  estremità.  Dante  dbse  pure  in  su  F  estremità  d' un'  aita  j 
ripa  (Inf.  xi,  1). 

XV.  4.  —  Tra  Guzzante  e  Bruggia,  ^  Il  Lanci  prova  che 
Guzzante  nell'  originale  idioma  olandese  suona  e  scrivesi  Ka- 
dzant;  se  non  che  prima  di  lui  Taveano  asseverato  Filalete  e 
L.  Blanc.  —  Kadzant  non  è  piccola  villa,  ma  isola  e  convene- 
vole città,  che  il  nome  forniscegli.  È  situata  dicontro  le  molte 
isolette  della  Zelandia  verso  il  nord,  e  dirimpetto  a  Sluis, 
ossia  VEcluse  verso  Test,  la  città  circa  sette  leghe  diritta- 
mente  da  Bruges   distante.   11  Luytz   la  chiama   Cadsenda  o 
Cadsant  cum  munimento  ejusdem  nominis;  e  il  Moreri,  nel  suo 
dizionario,  Cassandt  e  Cassant,  ma  alcuni  la  confondono  poi  con 
Cassandrìa,  eh' è  altra  terra  neir isola  medesima:  imperdocchò 
oiti^  Kadzand,  aveanvi  in  essa  isola  altre  due  città,  Oostborg 
e  Ysendyck  con  tre  altre  più  piccole  terre,  Breskens  Willems- 
dop  e  Cassandrìa.  Misurava  un  tempo  sette  miglia  in  larghezza 
e  dodici  in  lunghezza  (da  60  al  grado),  ma  col  decorrer  degli 
anni  il  mare  per  gì'  incessanti  marosi,  più  che  metà  n'  ha  tran- 
ghiottita.    E  quantunque  tutte  le  isole  della  Zelandia  sieno  di 
dighe  e  ripari  munitissime,  nuUamanco  maggior  forza  d' ax^i- 
nature  inchiedono  Bruges  e  Kadzand,  sia  pel  loro  più  depresso 
livello,  rispetto  al  mare,  sia  per  alcuna  maggior  violenza  eh» 
in  que'  pileggi  l' Oceano  per  avventura  adoperi  :  e  questa  forse 
fu  cagione   perchè   l' Alighieri   que'  due  luoghi   speciali  alla 
Fiandra  per  termini  di  rafironto ,  assumesse.  —  F.  Land,  Il 
Bulicame  e  la  Chiarentana,  p.  29. 


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COMENTI.  329 

BrQge8,o  Bruffgia,  è  città  grande  e  forte  e  bella,  nella 
Fiandra  detta  Batavica,  capitale  del  territorìo  che  porta  un 
medeómo  nome.  É  situata  sopra  grande  canale,  in  cui  per- 
corre il  Liere,  e  in  amena  pianura,  oggi  dal  mare  distante 
intorno  a  tre  leghe,  probabilmente,  conforme  argomenta.  Al- 
berto Maglio ,  trattando  delle  maree ,  una  volta  sulla  proda 
dell'Oceano,  d*onde  le  assidue  dighe,  al  fiotto  del  mare  oppo- 
ste, r  hanno  allontanata.  F.  Lanci,  id.,  p.  28.  —  In  Bruggìa, 
di  Fiandra,  a'  tempi  del  Poeta,  i  mercanti  fiorentini  avevano 
emporio:  anche  Giovanni  Villani  vi  dimorò  assai  tempo.  V. 
Man.  Dani,  tv,  382. 

XV.  7.  —  E  quale  i  Padovan  lungo  la  Brenta,  Per  di- 
fender ìor  ville  e  lor  castelU,  Anzi  che  Chiarentana  il  caldo 
senta, 

L/kNCi  Fortunato,  Bel  Bulicame  e  della  Chiarentana.  Roma, 
1872.  Estratto  dal  Giornale  Arcadico,  Serie  n,  n.  67. 

ScARABBLU  LUCIANO,  La  Chiarentana  e  il  Bulicame  nella 
Divina  Commedia  male  intesi  nelle  chiose  antiche,  illustrati 
da  Fortunato  Land,  Air  illustre  Ateneo  di  Bassano,  9  aprile 
1872.  —  Estratto  dal  voi.  v  del  Propugnatore. 

Secondo  il  Lanci,  tuoI  Dante  significare  che  i  Padovani, 
argomentandosi  contro  le  alluvioni,  dallo  sciorsi  delle  nevi  ori- 
ginate, fanno  loro  argini  aUe  prode  della  Brenta,  prima  che  ar- 
rivino le  altezze  graduali  del  termt>metro,  le  quali  son  proprie 
allo  aprile  e  maggio,  e  talora  forse  giugno  ;  nel  qual  proposito 
pone  egVi  per  punto  di  raffronto  le  vicende  termometriche  della 
Chiarentana,  la  quale  più  del  Tirolo  si  risente  del  freddo,  e 
che  quando  perviene  alV  epoca  dei  forti  calori,  segna  il  termine 
in  cui  la  liquefinone  delle  nevi ,  sulle  tirolesi  montagne ,  è 
sopraggrande.  <—  I  Padovani,  dunque,  a  rifsire  lor  argini,  non 
aspettavano  di  vedere  spogliarsi  di  neve  la  Chiarentana,  ben 
sapendo  quali  men  alte  vaUi,  e  assai  prima  dieno  acqua  al 
Brenta^  valli  che  faccianla  gonfiare.  Chiarentana  non  è,  né  può 
essere  che  sinonimo  di  Carinzia,  Kamthen,  la  Clarentana  degli 
scrittori  latini.  —  Caraniani  diconsi  anche  gli  spezzati  del  fio- 
rino, perchè  si  originarono  di  Carinzia ,  ossia  di  Carentana  ; 
chiarentana  e  chirintana  un  ballo  popolare,  perchè  appunto 
di  colà  venutoci.  E  nelle  storie  boeme  del  Dubravio  i  Carinzi 
vengon  detti  Carentani:  Fazio  degli  liberti  (Ditt.  ni,  2;  iv,  14) 


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330  OOHVNTI. 

denominò  la  Carìnzia  Chiarentana,  e  ben  undici  volte  nella  sui 
Cronaca,  Giovanni  Villani.  —  Il  Land,  scrive  il  prof.  Scarabelli 
riuscì  felice  nella  sua  critica  per  la  Chiarentana^  nome  eh 
restituì  alla  regione  alpina  fral  Tirolo,  T  Umbria,  la  Stiria  « 
la  Carnia,  liberandola  dal  rendere  al  Padovano  il  fiume  Brenta 

Il  celebre  ab.  Gennari,  padovano,  trasse  da  documenti  del 
r  undecimo  secolo ,  che  ne'  monti  dell*  alto  Vicentino  o  de 
Trentino,  vicini  alla  Brenta,  visse  un  tempo  un  popolo  chia 
mato  de*  Clarentani  :  onde  la  Chiarentana  di  Dante  vuoisi  ixi 
tendere  non  per  la  Carinzia  (  come  suole  spesso  significar 
nella  lingua,  de*  trecentisti),  ma  per  T antica  sede  di  questa 
popolo  alpestre  (Vedi:  Filiasi  Mem.  Stor.  de'  Ven.  Tomo  i 
e.  7,  Bdiz.  Il,  p.  212).  Ma  c'è  forse  di  meglio.  Nella  storia  de 
P.  Macca  (T.  XIV,  p.  420),  trovasi  quanto  segue:  Il  fiume  Brenta 
scaturisce  da  una  sorgente  della  montagna  di  Chiarenzana 
ch'ò  appresso  Pergine,  borgo  situato  nella  giurisdizione  d 
Trento,  lontano  da  Bassano  45  miglia:  cosi  scrive  il  Memmc 
nella  vita  del  Ferracina  (p.  116).  Ciò  posto,  si  ha  una  imme- 
diata spiegazione  o  giustificazione  del  verso  di  Dante ,  e  nel 
tempo  stesso  il  nome  della  montagna  di  Chiarenzana  fornisce 
appoggio  all'esistenza  degli  antichi  Clarentani,  ed  indica  la 
loro  sede.  TodescHini^  Scritti  su  Dante,  ii,  363. 

Canzana  è  detto  il  monte  che  sopraggiudica  il  lago  di 
Levico  ond'esce  il  Brenta,  ed  io  son  dell'avviso  del  Gennari, 
che  anticamente  venisse  chiamato  Chiarentana.  Quale  corri- 
spondenza possa  avere  la  Carinzia,  col  rigonfiamento  del  Brenta, 
nessuno  mei  saprebbe  dire.  Ed  io  che  di  presente  ho  innandj 
agli  occhi  e  la  Canzana  e  le  due  riviere  eh'  escono  de'  laghi 
di  Levico  e  Caldonazzo,  quasi  amiche  riunirsi,  e  formare  u 
mio  Brenta ,  io  non  posso  non  convenire  col  Lunelli  e  coi 
quanti  stettero  con  lui. 

Scolari  Filippo,  La  Chiarentana  ossia  della  vera  e  giusU 
intelligenza  del  v,  9,  Canto  xv  della  Divina  Commedia.  LeUera 
Venezia,  Gattei,  1843.  I 

Dbmbshbr,  La  Chiarentana^  Gazzetta  priv.  di  Venezia,  ^ 
Ottobre  1843,  N.  243. 

Scolari  Fil.,  Lettera  seconda.  Estratto  dalla  Fenice,  1 1  No4 
1843.  Venezia,  Gattei. 

Lettera  terza,  31  Dee.  1843,  15.  id. 


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COMENTI.  331 

il,  Lettera  al  doti,  F.  Scolari^  Gaz.  priv.  di  Venezia, 
24  Febb.  1844,  n.  45. 

Soc»JkRi  FiL.,  Lettera  iv,  Gaz.  priviJ.  di  Venezia^  28  Febb. 
1844,  n.  48. 

Anonimo  (Lunblli  Francesco),  Lettera  sulfa  Chiarentana 
a  Nicolò  Filippi.  Padova,  Tip.  Liviana,  1846. 

XV.  10.  —  Tuttoché  né  si  alH  né  si  grossi^  Qual  che  si  fosse^ 
lo  maestro  felli.  «  —  Tutti  i  commentatori,  ninno  eccettuato , 
hanno  riferito  il  qual  che  si  fosse  al  maestro  che  i  detti  argini 
avea  materiati.  Nella  quale  sentenza,  secondo  eh* io  giudico, 
una  strana  e  inverisimigliante  dubitazione  s*1nchiuderebbe, 
conciossiachè  qual*  altri,  fuor  del  Conditore  di  tutte  le  cose, 
potrebbe  mai  esser  quegli  che  cotale  edificazione  avesse  susci- 
tata? ...»  Invece  mi  ò  avviso che  si  debba  interpretare  : 

Tuttoché  né  si  alti  né  si  grossi  ^  comunque  si  fòsse  la  cUffe^ 
rema,  il  Creatore  ordinati  avesseli.  F.  Lanci. 

XV.  30-84.  —  Siete  voi  qui,  set  Brunitoi,,,  Voi mi 

insegnavate. ...  —  Brunetto,  nella  relazione  con  Dante,  non  ta 
altro  che  un  uomo  di  età  provetta^  di  molta  scienza  e  di  chiara 
riputazione,  il  quale  abl^racciando  con  affetto  paterno  un  gio- 
vane di  alto  ingegno  e  di  molta  aspettazione,  che  ha  frequente 
pratica  con  lui,  gli  porge  di  tratto  in  tratto  suggerimenti 
utili  a*  suoi  studi,  e  non  lascia  d* instillargli  amore  ad  ogni 
nobUe  e  virtuoso  esercizio.  Questo,  e  non  altro  fu  T ufficio 
compiuto  da  Brunetto  Latini  verso  Dante  Alighieri  ;  ufficio  rile* 
Tantissimo  e  più  importante  forse  ed  efficace  che  quello  di  un 
ordinario  maestro.  E  ben*  a  ragione  per  tale  ufficio  dimostrò 
Dante  a  Brunetto  tutta  la  gratitudine;  quantunque  siagli  sem- 
brato, che  la  sentita  gratitudine  nulla  dovesse  menomare  a  quel 
ministero  di  giustizia,  eh*  egli,  con  ardito  consiglio,  si  era  posto 
ad  esercitare.  Todeschini,  Scritti  su  Dante,  i,  287-91.  —  V. 
Zannoni,  Storia  dell*Accad.  della  Crusca,  ecc.,  196-200. 

XV.  55.-50  tu  segui  tua  stella ...  —  Dante  derivò  la 
metafora  dalle  stelle  che  servon  di  guida  ai  nocchieri.  Se  tu,  o 
Dante,  seguirai  la  stella,  che  il  cielo  ti  mostra,  perchè  tu  T  ab- 
bia per  iscoi*ta  del  tuo  cammino,  non  può  mancare  che  tu  non 
giunga  prospero  al  porto.  Cioè,  se  coltiverai  con  lo  studio  e 
la  meditazióne  T  ingegno,  di  che  la  divina  Previdenza  t*ha  fatto 
dono,  te  ne  verrà  somma  gloria.  La  quale  interpretazione  fa- 

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332  ooioDnt. 

volita  ò  dal  verso  che  seguita:  Se  ben  m*aeeorn  nella  vUa 
bella;  giacché  valendo  il  verbo  accorgersi,  venire  al  conosci- 
mento duna  cosa  colla  conghiettura  cT un' altra,  bene  esso  si 
adopera  in  parlando  di  alcuno,  che  esaminata  V  indole  d'altrui, 
preveda  dover  egli  salire  in  fama;  e  male  si  userebbe  trat- 
tandosi di  astrologo,  il  quale  sdegna  congetturare,  ma  osa 
impudentemente  spacciar  per  vere  le  stolte  sue  predizioni. 
Zannoni,  p.  199. 

XV.  71.  —  Che  runa  parte  l'altra  amranno  fame  Dite.,. 
—  Filologia  e  storia  assegnano  indubbiamente  aUa  voce  fame 
un  senso  odioso  e  nemico ...  Il  buon  senso  comanda  che  il 
complesso  delle  due  terzine  sia  spiegato  così:  «  Ambedue  le 
parti  de'  tuoi  cittadini  ti  odieranno  a  morte,  ma  non  potranno 
riuscire  nel  loro  malo  intento  ;  si  strazino  fra  loro  quegli  uo- 
nùni  bestiali,  e  rispettino  chi  loro  non  somiglia.  >  Todeschini^ 

XV.  122.  —  Corrono  a  Verona  il  drappo  verde.  —  La 
strada  della  corsa  del  palio,  partiva  da  Tomba  (vìUag^o)  e 
lungo  la  sponda  deir  Adige  proseguiva  in  città  per  una  porta 
scaligera,  detta  di  S.  Croce,  nel  sito  ora  cosi  detto  il  tavolano 
(bersaglio  dei  Veneti);  continuava  la  corsa  lungo  gli  orti  di 
cui  si  formò  V  attuale  giardino  Gazzola,  e  per  il  ponte  e  porta 
dei  roiiioi  (rei  figlinoli)  giungeva  presso  S.  Fermo  Maggiore, 
tronco  ora  intercettato  da  fabbriche  posteriori.  Giuseppe  M. 
Rossi,  Guida  di  Verona.  —  Il  Cassinese,  sincrono  (1360?): 
drappo  verde,  hodie  est  rubeus  et  viridens  et  currunt  mulie- 
res.  Dante  era  quindi  bene  informato  che  la  corsa  avveniva 
lungo  il  fiume  in  campagna,  e  che  al  suo  tempo  correvano 
uomini.  ^  Anonimo,  Notizie  intomo  al  correre  ai  Palli  in  Ve- 
rona. Verona,  1T76.  —  V.  Man.  Dani,  iv,  385. 

XVI.  32.  —  Che  i  vivi  piedi  Cosi  sicuro  per  lo  inferno  fre- 
ghi. —  I  dannati  essendo  €  ombre  vane  fuorchò  nell'aspetto,  > 
corpo  fittizio,  tenean  solo  la  somiglianza  o  l'apparenza  de^  piedi 
come  quelli  ch'erano  veri  e  puri  spiriti.  Ma  Dante,  vìvo  in 
corpo ,  avea  t  piedi  vivi.  P.  Ponta ,  Interpretazione  di  alcune 
parole  del  Petrarca  e  di  Dante,  23. 

XVI.  40.  —  £  7  Unto  aspetto  e  brollo.  —  Brullo  nel  lin- 
guaggio popolare  toscano,  significa  spogliato,  ignudo,  e  lo  si  dice, 
per  lo  più,  degli  alberi  che  hanno  perduto  il  decoro  delle  foglie 
e  delle  fronde,  e  della  terra  non  rivestita  di  verde  alcuno  o  dì 


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OOMBNTI.  333 

erbe  o  di  piante.  —  Il  Unta  aspetto,  a  cui  accenna  Jacopo  Rn- 
sticucci,  potrebbe  intendersi  nero  dalle  scottature  del  fuoco.  Ma 
tinto^  nell'uso  toscano,  ha  un  altro  significato  morale  bellis- 
Simo,  e  sta  ad  esprìmere  quel  contraffarsi  e  disformarsi  i  linea- 
menti del  volto,  quando  T  animo  ò  vinto  dal  dolore  e  daUMra. 
Il  Bianciardi  nel  Dizionario  del  Tommaseo  dice  :  Tinto  per  in- 
collerito è  nell'uso,  ma  più  ancora  si  direbbe  nero;  io  ho 
udito,  parlando  d'uomo  arrabbiato:  come  gli  era  tinto!  Era 
proprio  nero!  E  il  Davanzati,  negli  Annali  (i,  12)  Galio  vedutol 
tiniOy  replicò.  Dando  ora  a  quel  Unto  di  Dante  questo  senso 
d*  irato  e  di  contraffato  e  sformato  da  quell'  ira  che  sentono 
tutti  i  dannati  contro  la  giustizia  di  Dio  che  gli  addolora;  si 
intende  quanto  sia  ben  detto  brullo  quell'aspetto  fatto  spoglio 
dell'  ornamento,  che  vi  pone  la  pace  e  la  tranquillità  della  co- 
scienza. Brulla  di  quel  divino  splendore  che  Tabbella,  diventa 
ogni  anima  da  dolore  e  da  peccato  rimorsa,  e  il  popolo  to- 
scano, di  persona  addolorata,  con  efficacia  ammirabile  suol  dire 
die  non  gli  si  fa  giorno  in  viso,  quasi  la  letizia  abbellisca  il 
volto  dell'  uomo,  com'  è  rallegrato  dal  sole  l'aspetto  del  mondo. 
Cavemi. 

XVI.  94-105.  —  Come  quel  fiume,  e*  ha  proprio  cammino. 
—  Il  Poeta  paragona  il  remore  fatto  da  Flegetonte,  che  si  ro- 
vina qui  nei  burrato  di  Gerìone,  al  rimbombare  dell' Acqua- 
cheta,  che,  là  sopra  S.  Benedetto  in  Alpe,  diroccia  impetuosa. 
La  ragione  di  quel  ribombare,  oltre  all'altezza  di  quella  ca- 
scata, reca  Dante  alla  grande  copia  dell'acque  costrette  a 
cadere  per  una  sola  discesa ,  dove  a  dar  loro  sfogo ,  che  non 
tumultuassero  cosi  fragorose  dovrebbero  per  mille  di  quelle 
scese  esser  ricette.  Camillo  (Cavemi),  La  Scuola,  1873,  ii,  27. 

XVII.  10. —  La  faccia  sua  era  faccia  d'uom  giusto.  —  In 
Gerione,  deUa  faccia  d' uom  giusto,  ho  io  creduto  doversi  rav- 
visare il  fraudolente  fiorentino  Geri  Spini  gran  nemico  di  Dante. 
Betti,  Osservaz.  sulla  Div.  Comedia,  Il  Propugnatore,  1873. 

XVn.  18.  —  Né  fur  mai  tele  per  Aragne  imposte.  E  il 
Vasari  :  «  Chi  non  volesse  far  cartone ,  disegni  con  gesso  da 
f^arto,  bianco,  sopra  la  mestica,  ovvero  con  carbone  di  salcio. 
Seccata  questa  mestica,  l' artefice  va  calcando  il  cartone,  o  con 
gesso  bianco  da  sarti  disegnando,  l'abbozzo^,  il  che  alcuni 
chiamano  imporre.  >  Imporre  dunque  un'opera,  vale  abbozzarla, 


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334  oosfSNTi. 

0  meglio  laBciarla  imperfetta  in  modo  che  la  atìa  in  sé,  ma  1* 
manchi  V  ultima  mano.  —  Delle  Sovrapposte,  V.  Parenti,  Gaei 
Filol.  n.  12»  p.  96. 

XVII.  87.  —  E  triema  tutto  pur  guardando  il  retso^  ^ 
EezzOfOYe  non  batte  il  sole.  Ed  ò  questo  bellissimo  ed  efiìcacissixnt 
luogo,  e  proprietà  meravigliosa  di  natura,  che  i  quariat^^n 
solamente  a  vedere  il  retgOj  ricordandosi  che  vi  si  ritirava] 
par  sentir  fresco,  la  immaginazione  sola  gli  fa  come  tremare 
Borghini.  , 

XVII.  102.  —  E  poi  cK  al  tutto  si  smU  a  giuoco.  —  Bsser* 
a  giuoco  o  far  giuoco  una  cosa,  nel  linguaggio  popolare,  si- 
gnifica far  comodo,  essere  opportuno;  ond'ò  che  s' interprete 
rebbe  il  luogo  citato  dicendo  che,  Gerione  quando  si  seni 
in  comodo,  o  vide  il  tempo  opportuno,  si  rivolse  a  quel  modi 
ch'ò  detto.  Cavemi, 

XVII.- 121.  —  Attor  fu*  io  più  timido  allo  scoscio.  —  S(x>sci<. 
viene  da  coscia;  ed  è  il  sostantivo  fatto  da  scosciarsi.  Presse 
quei  di  Sicilia,  scusciarisi  equivale  allMtaliano  scosciarsi;  ma 
scusdari  n.  as.  ha  tra  gli  altii  significati  quello  dì  usci?-  dt 
sella  allentando  le  cosde;  voce  bellissima,  sorella  carnale  se, 
non  madre,  dello  scoscio  dantesco.  NeU'uso  toscano,  di  una 
ballerìna  si  dice  che  ha  bello  scoscio  quando  allai^a  e  stende 
molto  le  gambe  nel  far  Tarte  sua.  Salvatore  Salomone  JMa- 
rino, 

XVIII.  28.  —  Come  i  Roman,  per  V  esercito  moUo^  Uanno 
del  Giubileo, 

«  E  al  tempo  del  detto  Potestii  (Guiglielmo  da  Fallerone),, 
el  Papa  Bonifazio  pose  el  perdono  di  colpa  e  pena  a  tutte 
quelle  persone  che  andaseno  a  Roma,  e  stesene  XV  dì,  e  an« 
daseno  col  modo  predetto  secondo  l'usanza  e  comandamento 
della  Chiesa  consueto,  cioò  Confessione,  Contrizione,  e  Sodisfa] 
zione.  El  detto  perdono  cominciò  a  di  primo  di  Gemù^»  ®  fi 
àX  ultimo  di  Dicembre  d*  anno  detto.  Ed  era  tanta  la  moltiti 
dine  della  gente  che  passava  per  Siena,  che  non  era  posaibii 
a  crederlo,  imperocché  i  Cristiani  avevano  in  quel  tempo 
comunale  pace,  ed  erano  assai  divoti  e  prudenti  nella  sauci 
Fede.  E  andavano  el  marito  e  la  moglie  e  figliuoli,  e  la: 
vano  le  case  serrate,  e  tutti  di  brigata  con  perfetta  divozioni 
andavano  al  detto  perdono  ;  e  molti  se  ne  moii  per  lo  sanctc 


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COBfBNTI.  335 

m^  per  la  morìa,  che  era.  »  Croniche  Senesi^  pubblicate  da 
G.  Maconi,  e.  92»  i,  p.  2,  55. 

X\1H.  28.  —  Come  i  Roman,  per  V esercito  molto.  L'anno 
del  Giubileo  su  per  lo  ponte,  ecc.  —  L' assito,  o  muro  eh*  era 
stato  posto  lungo  il  mezzo  del  detto  ponte,  affinchè  la  gran 
moltitudine  avesse  al  camminare  meno  d* impaccio,  e  andas- 
sero gli  uni  per  un  lato  a  San  Pietro,  e  tornassero  gli  altri 
per  r  altro  volgendo  il  viso  dalla  parte  del  monte.  Oltre  all'aver 
cosi  partito  il  ponte  per  mezzo,  v'eran  state  poste  le  guardie 
che  additassero  a*  viandanti  il  cammino ,  e  tutte  queste  cose 
erano  state  fatte  assai  provvedutamente,  poiché  per  la  gran 
calca  del  popolo  che  visitava  le  romane  basiliche  potevano  av- 
venire di  grandi  sconci,  come  poi  fu  nel  giubileo  nel  1450,  che 
in  quel  luogo  per  la  pressa  vi  morirono  schiacciate  intorno  a 
dugento  persone;  anzi  troviamo  fatto  ricordo  che  in  quello 
stesso  anno  1300  l'assito  che  partiva  il  ponte  al  riurtar  delle 
genti  si  ruppe.  Per  quel  monte  s'intende  il  piccolo  monte 
Giordano,  che  allora  era  ancor  più  elevato  dal  suolo,  e  che 
sorge  a  pochi  passi  lontano  da  esso  ponte.  Sopra  questo  iponi- 
ticello,  formato  verso  il  secolo  XII  dalle  mine  d'antichi  edi- 
fìcii,  è  ora  il  palagio  de'  Gabrielli  che  all'età  di  Dante  era 
posseduto  dagli  Orsini  detti  da  prima  de  filiis  Urei,  e  però  dal 
Poeta  i  figliuoli  deltOrsa,  e  che  testé  dal  lor  Papa  Nicolò  III 
eran  stati  condotti  a  grande  potenza,  e  il  monte  traeva  il  suo 
nome  da  un  Giordano  della  stessa  famiglia,  un  ramo  della 
quale'  perchò  avea  in  proprio  il  detto  palagio,  dimandavasi 
degli  Orsini  del  Monte,  Nò  alcuno  vada  pensando  esser  questo 
nome  surto  dopo  il  nostro  Poeta,  poiché  abbiamo  ìd  Giovanni 
Villani  che  papa  Clemente  V  fece  nel  1300  suo  legato  e  pa- 
ciaro  generale  in  Italia  il  cardinale  Napoleone  degli  Orsini  dal 
Monte,  a  cui  Dante  stesso  rivolge  la  parola  nella  famosa  sua 
lettera  a'  cardinali  italiani  adunati  in  conclave  alla  morte  del 
Guasco,  ossia  del  detto  Clemente.  Taluno ,  é  ben  vero ,  pensò 
che  pel  monte  qui  Dante  intendesse  tutta  la  parte  di  Roma 
opposta  al  Castello,  e  che  levandosi  in  più  luoghi  in  colline 
vien  denominata  li  monti;  o  che  volesse  dir  delGianicolo  ove 
^a  ed  è  l'altra  chiesa  di  Montorio  innalzata  sul  luogo  ove, 
secondo  la  volgar  tradizione,  il  maggior  degli  Apostoli  fu  cro- 
cifìsso. Ma  ognun  vede  quanto  piii  ragionevole  e  naturale  è  il 


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336  OOMBNTI. 

credere  che  Dante  volesse  dire  in  questo  luogo  del  monte 
Giordano  così  vicino  al  Castello,  e  allora  così  celebrato  da  dìir^ 
il  suo  nome  ad  una  delle  più  antiche  ed  illustri  casate  di  RomaJ 
Achille  Montiy  Dante  e  Roma  (Strenna  del  Oiomale,  e  Arti  d 
Lettere  »  p,  17). 

XVIII.  51.  —  Ma  chi  ti  mena  a  si  pungenti  salse.  —  Sais^ 
erano  dette  le  pietrucce  o  ciottoli  di  selce  poste  e  quasi  ger^ 
moglianti  in  un  terreno  sterile,  aspro  e  rovinoso,  cui  la  piog^rì^ 
quasi  lavandole  lascia  discoperte.  Anche  oggi  dicesi  in  Bologna 
salga  per  selciato,  e  dar  al  sdls  per  indicare  un  certo  intonaH 
col  selce  che  si  dà  al  pavimento.  Mazzoni  Toselli  ricorda  molti 
luoghi  del  Bolognese  ch'eran  detti  le  Salse,  cioè  nel  comune  dj 
Pragatto,  lungo  il  torrente  Ravone,  e  fuori  di  S.  Mammolo.  -^ 
Valle  di  Pietra,  o  valle  delle  Salse  eran  sinonimo.  Perciò,  dic^ 
Mazzoni  Toselli,  è  chiaro  che  quel  Sasso  tetro,  su  cui  camminava 
Venetico,  il  Poeta  lo  assomiglia  ad  un  monticello,  o  salita 
piena  di  queste  Salse^  cioè  di  piccoli  ciottoli  di  selce  versunent^ 
pungenti.  Simili  terreni  si  vedono  fuori  di  San  Mammolo  ^ 
lungo  TAposa. 

XVni.  61.  —  A  dicer  sipa  tra  Savena  e  *l  Reno.  —  Il  Sipa^ 
che  mi  dicono  sentirsi  ancora  nella  campagna,  in  città  diveH 
nuto  ornai  seppa,  è  il  congiuntivo  bolognese  del  verbo  essei^^ 
sia.  U  Ovidio,  Archìvio  Glottologico,  ii,  82. 

XVIII.  66.  —  Vìa ,  Ruffian  ;  qui  non  son  fémmine  d<i 
conio. 

Dbl  Lungo  IsrooRO,  Bella  interpretazione  d^  un  verso  di 
Dante  rispetto  alla  storia  e  della  lingua  e  de^  costumi.  Estratto 
dall'Archivio  Storico  italiano,  T.  xxn,  a.  1875.  Firenze,  Tipog, 
Galileiana  di  M.  CeUini  e  G. 

Tutti  i  Gomentatorì  moderni,  in  quel  conio,  che  a  noi  oggi 
rammenta  subito  T  impronta  della  moneta,  veggono  accennata 
r  idea  del  turpe  mercato  che  fa  dell'  onor  femminile  il  ruffiano^ 
e  pongono  che  conio  valga  ivi  la  moneta  stessa,  e  perciò  fèììi-^ 
mine  da  conio  spiegano,  da  farci  soprar  moneta  ruffianeggiando, 
femmine  da  vendere.  Ma  ì  commentatori  trecentisti  che  vi  si 
sono  fermati,  tutti  quanti  toscani,  non  in  altro  senso  credono 
adoperata  la  frase  femmina  da  conio  che  femmina  da  ingan- 
nare, da  sedurre,  da  condurre  a  far  la  voglia  altrui.  E  que- 
sta interpretazione  propugna  valorosamente  l'egregio  prof.  Del 


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COMBMTI.  337 

Lungo,  e  con  aperte  prove  dimostra  che  contro  la  moderna 
staiano,  filologicamente,  la  storia  di  nostra  lingua  e  V  autorità 
degli  antichi  commentatori  toscani,  e  per  ciò  che  risguarda  il 
concetto  del  poeta  le  ragioni  che  con  molto  acume  e  con  senno 
di  critica  vien  deducendo  dal  sistema  morale  e  penale  dell"  in- 
femo  dantesco.  Eccone  la  conclusione.  «  Se  a  peccatori  d' un 
peccato  essenzialmente  frodolento  meglio  convenga  che  il  de* 
monio  flagellatore  rammenti ,  percuotendoli,  la  frode  o  il  da- 
naro; se  pietoso  verso  le  vittime  di  quei  ribaldi  sia,  che  il 
ministro  della  punizione  divina  le  nomini  con  una  frase  che  le 
accomuna  con  le  meretrici,  anzi  le  rappresenta  esse  stesse  per 
tali;  se,  inoltre,  più  verosimile,  che  il  diavolo  affermi  non 
trovarsi  di  cotali  femmine  in  quella  orrevole  brigata,  nella 
quale  di  certo  la  coda  di  Minosse  dee  sentenziare  egualmente 
et  ienones  et  lenaSy  «  femmine  da  conio  »  secondo  la  comune 
interpretazione,  anche  queste,  e  delle  più  venderecce,  invece  di 
intonare  a  que*  malnati ,  essere  inutile  che  colaggiù  cerchino 
materia  e  occasione  di  nuovi  inganni  ;'  e  se  prudente,  per  affer- 
mar tuttociò,  porre  in  un  canto  l'antica  originale  interpreta- 
zione, ampiamente  giudicata  da  esempi  di  antica  lingua  toscana; 
il  mio  cortese  lettore  vegga  un  po'  lui,  e  giudichi.  —  E  ai  let- 
tori pure  rimetto  volentieri  il  giudizio,  se  o  io  travegga,  ovvero 
ne*  valenti  sostenitori  della  comune  interpretazione  faccia  di- 
fetto, questa  volta,  alcun  poco  il  dritto  sentimento  della  virtù 
di  nostra  lingua,  ammettendo  essi,  ed  io  contrastando,  che  a 
significare  «  femmina  da  cavarne  danari  »  sia  efScacemente 
detto ,  e  con  proprietà  logica  e  grammaticale ,  femmine  da 
t^onio;  e  se,  sostituendo  al  nome  il  verbo,  secondo  che  ve- 
demmo farsi  dagh  antichi  commentatori,  cioè  riducendo  la 
frase  ad  un  «  Femmine  da  esser  coniate  »  possa  poi  per  conio 
intendersi  non  «  inganno  »  che  d^  chiara  e  netta  la  locuzione 
<  femmine  da  essere  ingannate ,  »  ma  o  T  «  impronta  della 
moneta»  o,  con  senso  novissimo  e  non  confortato  da  nessun 
altro  eeempio,  la  €  moneta  »  stessa.  Sarà  ;  ma  io  non  me  ne 
PO  capacitare.  » 

L'egregio  filologo  B,  Verattìy  a  proposito  di  questo  di- 
scorso mi  scriveva  il  16  maggio  1876:  «Non  conoscendo  le 
ragioni  opposte  al  Del  Lungo  dal  Rigutini  io  non  posso  né 
debbo   aprir  bocca  in  questa  disputa.  E  posso  dire  soltanto, 

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338  OOMBNTI. 

che  desidero  sia  data  ragione  al  Del  Lungo:  perchè  essendo 
alquanto  stiracchiata  la  comune  interpretazione,  accolta  pur 
anche  nel  Vocabolario,  mi  pare  che  vi  sia  un  pericolo  gravis- 
simo dMntendere  che  Dante  in  quel  luogo  avesse  usato  un 
vocabolo  si  turpemente  osceno  che  disdirebbe  troppo  ancorché 
posto  in  bocca  ad  im  diavolo.  L*  osservazione  e  T  interpreta- 
zione del  Dal  Lungo  salva  molto:  e  mi  pare  lodevolissìma. 
Ma  se  conio  vuol  dire  inffannoy  non  mi  pare  si  possa  poi  per 
femmine  da  conio ^  intendere  femmine  da  ingannare,  sebbene 
femmine  che  già  sedotte  servono  ad  ingannare  altii.  » 

Fanfani  P.,  Le  Femmine  da  Conio  di  Dante,  Il  Borghìni, 
a.  II,  n.  15,  p.  239. 

Proposito  unico  dello  scritto  del  prof.  Del  Lungo  è  stato 
il  rimettere  in  onore  la  interpretazione  di  alami  cementatori 
antichi,  la  quale  ninno  de*  moderni ,  o  comentatori  o  vocabo- 
laristi, non  ha  conosciuto  o  volutaU  apprezzare.  Ma  il  Fanfani 
vuol  provare  che  sì  a  lui,  e  nella  IP  edizione  del  suo  vocabolario 
stampato  a  Firenze  nel  1865,  e  nel  Comento  Anonimo  pur  da  lui 
dato  fuori,  che  al  prof.  Scartazzini  non  fosse  sfuggito  tale  senso 
attribuito  dagli  antichi  alla  parola  conio. 

RiGUTiNi  Giuseppe,  Del  vero  senso  della  maniena  Dantesca 
Femmine  da  conio  nel  r.  67^  e.  xviii  delia  Commedia^  Studio 
letterario^  aggiuntavi  una  nota  Filologica  di  Giovanni  Tortoli. 
Firenze,  Tip.  dell' Associazione,  1876,  di  p.  32. 

Lettera  a  P.  Fanfani,  Il  Borghini,  a.  ii,  n.  17,  p.  274. 

Ancora  di  Conio  per  Moneta,  Il  Borghini,  a.ii,  n.  19. 

p.  311. 

Fanfani  P.,  Le  Femmine  di  Conio  di  Dante,  11  Borghini, 
a.  II,  n.  16,  264. 

Il  Uigutini,  appoggiato  anche  alla  concordia  e  lunga  e  co- 
stante degli  spositori  per  oltre  a  cinque  secoli,  dei  ti*e  antichi  in 
fuori  citati  dal  prof.  Del  Lungo,  sostiene  che  la  frase  femmine  da 
conio  altro  non  significhi  che  femmine  da  farci  su  guadagno,  da 
guadagnarne  danaro.  —  Vi  pare,  egli  conclude,  che  per  alcuni 
incerti  esempi  delle  voci  conio,  coniare,  coniatore,  coniello  e 
coniellatore ,  e  per  T autorità  di  tre  antichi  commentatori,  da 
me  per  poco  ridotti  a  un  solo ,  e  per  le  ragioni  che  il  mio 
valente  amico  vi  ha  esposte  sulla  frode,  che,  per  lui  secondo 
Dante,  e  per  me  secondo  tutti,  entra  come  principale  elemento 


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COMBNTI.  339 

nel  concetto  del  lenocinio ,  vi  pare ,  dico ,  si  debba  apiegare 
feinnùne  da  conio  per  femmine  da  ingannare;  oppure  consi- 
derando che  e  l'idea  della  frode  e  quella  del  lucro  ci  danno 
pieno  ed  intiero  il  concetto  di  questa  colpa,  intendere  quella 
frase  in  ordine  all'idea  del  lucro  stesso,  e  in  un  Poeta  terri- 
bilmente sarcastico  non  dovendosi  prescindere  dalle  parole  dì 
Venedico ,  considerare  la  mia ,  o  per  dir  meglio ,  la  comune 
spiegazione  come  più  vera,  più  efficace  e  più  calzante?  Tanto 
più  che  da  essa,  si  avverta  bene,  non  è  esclusa  Tidea  della 
frode;  perchè  dicendo  il  demonio  frustatore:  Via,  ruffiano^  qui 
non  son  femmine  da  farvi  guadagno,  si  capisce  che  non  vi 
son  femmine  da  guadagnare  sulla  loro  onestà  per  via  d' in- 
ganno, come  cosa  questa  che  necessariamente  si  sottintende, 
trattandosi  di  tal  peccato  e  di  tal  peccatore;  onde  la  inter- 
pretazione da  me  sostenuta  sarebbe  sempre  preferibile,  come 
più  comprensiva,  più  intiera  e  per  conseguenza  più  vera  e  più 
bella  ;  laddove  V  interpretazione  del  mio  amico  abbraccierebbe 
.soltanto  uno  solo  degli  elementi  della  colpa. 

A  rincalzo  delle  prove  addotte,  il  Rigutini  (Borghini,  a.  ii, 
n.  19)  cita  un  esempio  del  Gigli,  tolto  da  una  sua  bizzaris- 
sima  Balzana  poetica,  scrìtta  nel  1712,  in  che  conto  vien  usato 
per  Moneta,  cosi  chiaro,  ei  dice,  che  la  chiarezza  stessa  non 
potrebbe  esser  di  più. 

Il  Tortoli,  suirautorità  dello  Statuto  de*  Rigattieri  del  1357, 
prova  che  anticamente  conio  fosse  parola  propria,  esprimente 
un  modo  disonesto  e  illecito  di  procacciarsi  guadagno;  fosse 
in  somma  una  specie  di  estorsione,  di  truffa  o  angheria  che 
facevasi  alle  persone  private,  e  più  particolarmente  in  contratti. 

Le  22  pagine  del  prof.  Rigutini,  scrìve  il  Fanfani,  sono 
così  attrattive  per  la  loro  lucidezza  di  pensiero,  e  per  garbata 
speditezza  di  lingua,  che  rincresce  V  esservi  amvato  in  fondo. 
Egli  ha  assegnato  tali  e  tante  ragioni  per  provar  vera  la 
interpretazione  antica  della  Crusca,  cui  egli  difende  ;  ha  con- 
fortato le  sue  parole  con  tanta  dottrina  filologica;  ed  ha 
chiarìto  COSI  bene  il  concetto  del  Poeta  altissimo,  che  sarebbe 
piccosa  e  bambinesca  ostinazione  il  perfidiar  nell'errore  :  e  però 
i^euzsL  arrossirne  lo  confesso,  e  rìngrazio  assai  il  valente  acca- 
demico di  avermelo  fatto  conoscere. 

E  a  proposito  di  tal  questione  scrivevami  il  10  Maggio  1876 

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340  COMBNTI. 

r  egregio  Priore  cav.  Razzolini  :  €  Ha  veduta  nel  Borghini  la 
controversia  sulla  yoce  da  conio  f  Mi  sembra  che  non  solo 
siaosi  male  apposti  gli  antichi  commentatori,  ma  anche  i  mo- 
derni, non  esclusi  il  Fanfani,  il  Rigutini  ed  il  Del  Lun^o.  U 
conio  per  moneta  sembra  che  li  ci  abbia  che  faro  come  Pilato 
nel  Credo.  Quel  conio,  a  mio  credere,  viene  da  cuneus  metafori- 
camente preso.  U  verbo  cotr^  (e  gli  antichi  dicevano  anche  conirc. 
come  ci  accerta  Quintiliano  (  Inst.  Orat.  Lib.  i,  e.  6  ) ,  significa 
congressus  animalium  generationis  causa).  Scrissi  in  propo- 
sito al  Fanfani  una  lunga  lettera,  ed  egH  è  rimasto  capace 
delle  mie  ragioni.  Avrei  scritto  su  questa  parola  un  articolo, 
ma  non  sembrami  conveniente  alla  mia  professione.  Il  Fanfani 
però  mi  ha  promesso  di  ritornarvi  sopra,  e  vedremo  presto 
una  sua  scrittura  nel  Borghini.  Povero  Dante!  com'è  stato 
strapazzato  dai  Comentatori — » 

Chi  sente  tutti  i  giorni  chiamar  conio  il  nolo,  che  i  nostii 
contadini  pagano  al  padrone  per  Fuso  degli  arnesi  da  (are  il 
vino  e  r  oUo  o  de'  vasi  da  conservar  V  uno  e  Taltro,  non  du- 
bita del  significato  di  quella  stessa  voce  nel  xviii  dell*  Inferno, 
e  alle  tanto  strane  dichiai*azioni  de*  letterati  comentatori  sor- 
ride compassionando.  CammiUo  (R.  Caverni),  La  Scuola,  1873, 
II,  320. 

XVIII.  133-35.  —  Taide  è,  la  puttana,  che  rispose  Al  drudo 
suoy  quando  disse:  Ho  io  grazie  Grandi  appo  tei  Anzi  me- 
ravigliose. 

Non  ò  alla  scena  1*  dell'atto  III^  dell'Eunuco,  alla  quale 
dovette  riferirsi  l' Alighieri ,  come  vorrebbero  gì'  interpreti , 
dove,  contro  quello  ch^^egU  dice,  si  trova  lo  smargiasso  di 
Trasone^  drudo  di  Taide,  così  interrogare,  non  essa  Taide,  ma 
il  suo  parasito  Gnatone.  Magnas  vero  agere  gratias  Thais 
mihiì  a  cui  Gnatone,  non  Taide,  rispondere  Ingentes.  Il  sem- 
brar le  pai'ole  dantesche  come  una  traduzione  di  queste  di 
Terenzio  fece  sì  che  alivi  credesse  aver  TAUghieri  avuto  si  in 
mente  la  scena  sopraccitata,  ma  confusone  i  personaggi,  per 
essere  forse  sopra  fantasia ,  o  non  aver  alle  mani  il  testo  di 
Terenzio,  oppure  adoperatavi  la  catacresi.  Ma  il  prof.  Beccaria 
crede,  che,  non  già  alla  scena  1*^  dell'atto  111°,  Dante  avesse 
l'occhio,  si  piuttosto  alla  II"  dell'atto  medesimo,  in  cui  Trasone 
interroga  proprio  Taide  in  persona,   se  la  gli  sia  grata  del 

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GOMENTI.  341 

px-esente  fattole  della  ragazza  tanto  desiderata,  e  se  perciò 

gliene  voglia  bene:    0  Thais  mea  —  Meum  suamum,  quid 

^tQzturì  ecquid  nos  amasi  —  De  fididna  isthacf  Al  quale 

Xsude  con  palese  affettazione  di  subito  risponde:   Plurimum 

mirilo  tuo, . . .  Che  suona  come  dicesse  :  M*  ho  io  acquistata  la 

tua  grazia  o  il  tuo  amore  col  regalo  di  codesta  sonatricef 

La  risposta  :  Anzi  meravigliose,  la  quale  in  Dante  rileva  più, 

eome  quella  che  rappresenta  il  carattere  di  stomachevole  adula* 

zione,  se  può  convenire  aìVIngentes,  niuno  negherà  che  meglio 

non  calzi  all'altra  affettata  e  smanzerosa:  Plurimum  merito 

ttio....  Il  Borghini,  ii,  15  Aprile,  1876,  p  324. 

XIX.  8.  —  Luogo  de'  battezzatori 

Diomsi  Gian  Jacopo,  De*  fori  o  Pozzetti  del  sacro  fonte  di 
Firenze,  e  dell'uso  loro.  Aned.  v.  (Verona,  Cavattoni  1790), 
Capo  XX,  p.  120-27. 

Secondo  il  Qelli  erano  di  diametro  circa  un  braccio  e  un 
quarto,  e  avevano  il  fondo  ovato.  L' antico  Battisterìo  fiorentino, 
in  cui  Dante  fu  battezzato,  scrive  il  can.  Luroachi,  venne  de- 
molito nell'anno  1577,  con  dispiacere  universale,  in  occasione 
del  solenne  battesimo  che  seguì  a' 29  Settembre  del  principe 
D.  Filippo ,  primogenito  del  granduca  Francesco  I  de'  Medici, 
per  consiglio  di  un  certo  architetto  di  quei  tempi,  chiamato 
Bernardo  delle  Girandole.  Corre  però  tradizione  che  il  distrutto 
fosse  affatto  simile  al  sussistente  di  Pisa.  —  V.  Man.  Dani,  iv,  388. 
XIX.  49.  —  Io  stava  come  7  frate  che  confessa  Lo  perfido 
assassin  che  poi  eh' é  fitto. ...  —  Fitto,  in  terra,  a  capo  di  sotto. 
L' antico  e  buon  comentatore  sopra  questo  luogo  scrisse  :  L' as- 
sassino, per  legge  municipale  eli  Firenze,  cosi  si  pianta:  e  dice 
vero,  che  le  parole  dello  Statuto  sono  :  Assassinus  trahatur  ad 
caudam  muli  seu  asini  usque  ad  locum  justitiae  et  ibidem  plan^ 
tetur  capite  deorsum ,  ita  quod  moriatur.  E  del  propaginare 
nel  diario  o  giornale  che  '1  vogliamo  dire,  o  istorielle  del  Mo- 
naldi,  parlando  di  uno  che  avea  voluto  tradire  Prato,  si  truova: 
gli  furono  levate  le  carni,  poi  fu  propaginato.  V.  Villani,  L.  x. 
—  Borghini. 

XIX.  52.  —  Se*  tu  già  cosH  ritto,  Se*  tu  già  cosH  ritto,  Bo- 
nifazio ì  —  Dante  accusava  il  principe  francese  presente  e  com- 
plice, quando  egli  fa  bandito;  e  con  le  roventi  parole  ond'egli 
marchiò  Bonifimo,  gli  fece  peggio  che  non  gli  Scosse  in  Anagni 


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342  coaiBim. 

più  tardi  il  fratello  di  questo  Valois.  Quali  motivi  personali 
avesse  Dante  a  si  fiero  odio  contro  8  Bonifazio,  quel  che  av- 
venisse mentre  egli  rimase  a  Roma  ambasciatore,  o  nella  di- 
mora che  ivi  protrasse  fino  al  Gennaio  dell*  anno  segiieote,  noi 
non  sappiamo.  —  L*esiglio  non  venne  a  lui  dal  papa,  ma  in 
quel  tempo  tra  loro  due  qualcosa  d'oscuro  dovette  nascere, 
che  da  un  lato  accese  in  patria  contro  lui  tante  ire,  dall'*  altro 
gli  aveva  confitte  nel  cuore  di  quelle  offese  che  sono  dare  a 
ricordare,  ma  vendicarle  pai*eva  dolce  ali*  iroso  animo  del  poeta. 
Gino  Capponi,  Storia  della  Republ.  di  Firenze,  i,  123. 

Come  tranciasse  Celestino,  papa,  al  gran  rifiuto.  Amari, 
La  guerra  del  Vespro,  C.  xiv,  361.  —  V.  Man.  Dani,  ii,  707. 

XIX.  70.  —  E  veramente  fui  figiiuol  deWorsa.  —  «  Di 
grande  animo,  di  smisurati  pensieri  fu  Nicolò  ;  superbo,  sagace, 
chiuso  nei  disegni,  veemente  ali*  oprare,  non  curante  della  g:ìu- 
stizia  ne*  mezzi  purché  il  fine  conseguisse,  eh*  era  ingrandir  la 
Chiesa  per  ingrandire  gii  Orsini;  e  menava  a  nobile  effetto, 
sgombrare  1*  Italia  d*ogni  dominazione  straniera.  In  Italia  di- 
signava fondar  novelli  reami,  e  darli  ad  uomini  di  sua  schiatta  : 
vedeva  ostacoli  a  questo  1* imperatore  e  il  re;  battea  dunque 
Carlo  con  Ridolfo  ;  Ridolfo  con  Carlo  ;  ambo  con  1*  autorità  della 
Chiesa. . . .  Tenea  la  gente  Orsina  niente  inferiore  a  casa  d*Àng^ò, 
e  se  molto  di  sopra —  »  Amari,  La  guerra  del  Vespro  Sici- 
liano, C.  V,  75. 

Ruberto  Luigi,  Nicolò  III.  Il  Nuovo  Istitutore  di  Salerno, 
IO  Nov.  1876,  p.  217-225. 

N*esamina  la  scena  drammatica,  in  che  pensiero^  sentimento^ 
forma  sono  compenetrati.  In  essa  ei  vede  muoversi  uguale^  ser- 
rato V  animo  del  poeta.  E  conchiude  :  €  Oh  !  il  libro  che  più  mi 
rifa  e  eh*  io  voglio  meditare  ò  la  Divina  Commedia.  Dallo  studio 
di  questo  libro,  dove  vivono  le  più  svariate  armonie  della  natura 
e  dell*  anima,  non  s*  impara  solo  a  essere  artisti,  nui  a  essere 
uomini  di  carattere,  e  a  trion&re  nelle  lotte  della  vita.  » 

XIX.  82.  —  Di  ptu  laid"  opra.  ...Un  pastor —  —  La  voce 
popolare,  già  innanzi  al  racconto  di  Dante,  avea  anticipato  a 
Clemente  V  la  pena  che,  morto,  lo  attendeva.  Villani^  ix,  58. 

XIX.  98-99.  —  E  guarda  ben  la  mal  tolta  moneta,  CK  esser 
ti  fece  contra  Carlo  ardito.  —  «  Secondo  me,  vanno  errati  quei 
commentatori  i  quali,  seguendo  il  racconto  del  Malespini  e  del 


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COMBNTI.  343 

Villani,  veggono  ne'  versi  di  Dante  V  oro  bizantino  recato  da 
Oiovanni  di  Procida  a  papa  Nicolò  III  per  comperarne  V  asaen- 
timento  nella  congiura  contro  Carlo  I  d'Angiò.  Il  cenno  che 
nel  capo  v  ho  fatto  del  pontificato  di  Nicolò,  basta  a  mo- 
strare, eh'  ei  fu  bene  ardito  contro  Carlo  pria  del  1280,  epoca 
supposta  della  corruzione.  L' avea  spogliato  della  dignità  di  Se- 
natore di  Roma,  e  di  Vicario  in  Toscana;  battuto  ed  attra- 
T-ersato  in  mille  guise  fin  dal  primo  istante  che  pose  piede  nella 
cattedra  di  S.  Pietro:  onde  l'ardimento  conti'O  Carlo  piuttosto 
si  deve  intendere  di  questi  fatti  certi,  che  del  supposto  disegno 
della  congiura,  che  per  certo  non  ebbe  effetto  dalla  parte  di 
J>iicoIò,  morto  nel  1280.  E  le  parole,  mal  tolta  moneta,  meglio 
si  riferiscono  alla  non  dubbia  appropriazione  delle  decime  eò- 
desiastiche,  e  del  ritratto  degli  Stati  della  Chiesa,  che  alla  ba- 
ratteria di  cui  vogliono  accagionare  V  aito  animo  dell'Orsini.  » 
M.  Amari,  Appendice  della  sua  storia  del  Vespro  Siciliano, 
p.  538.  V.  Todeschini,  il,  370. 

XIX.  114.  —  Se  non  eh*  egli  uno  e  voi  n*  orate  cento. 
Cesati  Vicenzo,  Nuova  interpretazione  cTun  verso  di  Dante, 

Lettera  al  Direttore  del  Vessillo  Vercellese,  a.  vii,    1855,  24 
Maggio. 

«  A  mente  mia,  il  divino  Poeta  intendeva  dire:  voi  &te 
peggio,  o  pontefici  simoniaci  di  quanto  facesse  il  popolo  d'Israele 
quando  volse  ad  idolatria,  poich'  egli  si  accontentò  di  un  idolo 
d'oro  unico  (Esodo,  xxxn;  Sai.  105),  mentre  voi  fete  deità  d'ogni 
pezzo  d'oro  e  d'argento:  Iddio  è  per  voi  Mzmmon^  centupli- 
cato ;  sendo  Mammone  presso  i  Caldei  il  nume  delle  recondite 
ricche^e.  E  tanto  meno  sembrami  bistorta  l' interpretazione  da 
me  proposta  che,  oltre  all'essere  cosa  notoria  che  Dante  si 
riferisce  spesso  nel  suo  poema  alle  bibliche  carte,  appunto  pochi 
versi  addietro  del  contesto  ci  richiama  al  e.  xvii  dell'Apocalisse 
collo  scrivere:  Colei  che  siede  sovra  tacque  Puttaneggiar 
co*  regi  fU  vista,  » 

XX.  29.  —  Chi  è  piti  scellerato  di  colui 

Bozzo  Giuseppe,  Ragionamento  critico,  Palermo,  Tip.  R- 

della  Guerra,  1860,  di  p.  98. 

XX.  52-100.  — «  E  quella  che  ricopre  le  mammelle, 

È  indubitabile  la  contraddizione  tra  questo  passo  che  colloca 

Manto  nel  cerchio  di  Maiebolge,  e  quello  del  xxn,  v.  113  del 


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344  ooxBrn. 

Ptirg.  che  aasegna  aUa  figìia  di  Tiresia  la  sede  nel  limbo 
de*  sospesi.  Gli  Accademici  deUa  Crusca  vorrebbero  che  nel  xxn 
del  Purg.  parlasse  di  Dafne,  figlinola  parimenti  di  Tiresia,  della 
quale  Diodoro  Siculo.  Filippo  Rosa  Morando  mise  fuori  un*  altra 
Tiresia,  per  nome  Istoriade,  nominata  da  Pausania.  Ma  fl  To- 
descbioi  osserva  che  Dante,  privo  della  conoscenza  della  lingua 
greca  non  lesse  e  non  potè  leggere  nò  Diodoro  Siculo,  nò  Pau- 
sania, e  non  seppe  né  di  Dafiie,  nò  d*  Istoriade.  Oltrecchè  nel 
luogo  del  Purgatorio,  Dante  non  vuol  far  menzione  d* altre 
donne  che  di  tali  di  cui  sia  parlato  ne*  poemi  di  Stazio,  ma  in 
essi  non  è  che  una  figliuola  di  Tiresia ,  la  sola  Manto  (Theb.  iv). 

XX.  46.  —  Aronta  è  qUei  eh'  al  ventre  gU  e*  atterga  Che 
nei  monti  di  Luni, ...  —  L'antica  Luni  si  vuole  patria  del  &moso 
Aronta,  il  quale  venne  chiamato  a  Roma  poco  innanzi  alla 
morte  di  Giulio  Cesare  per  ottenere  da  lui  la  spiegazione  di 
alcuni  prodigi  che  ivi  si  dicevano  avvenuti.  Lucano  ne  fa  cenno 
e  aggiunge  :  Haec  propter  placuit  Tuscos  de  more  vetusto  Acdri 
vaies^  quorum  qui  vyiximus  aevo  Aruns  incoluit  deserta  moenia 
Lunae  ;  Fuiminis  edoctus  motus  venasque  calentes  Fibrarum 
et  monitus  voUtantis  in  aere  pennae.  Questi  versi  1*  Alighieri 
dovette  certo  aver  presenti  là  dove  parlò  di  queir  Indovino  e 
di  Luni.  G.  B,  Giuliani^  Lettera  i  sul  Vivente  Linguaggio  della 
Toscana,  p.  3. 

XX.  67.  —  Lì4ogo  è  nel  messo. 

TiBONi  PiBTRO  Emilio,  Qual  luogo  sul  lago  di  Garda  ac- 
cenna Dante  nei  versi  67-69  del  C,  xx  delt  Inferno,  Memoria 
letta  aU*  Ateneo  di  Brescia  il  giorno  5  Luglio  1868.  Brescia. 
Appolonio,  1868.  (V.  Man.  Dant  ni,  92;  iv,  31  e  389>. 

Tennero  per  Peschiera  il  Miniscalchi,  TAsquini  ;  per  V  isola 
dei  Frati,  ora  isola  Lecchi  (discosto  poco  piii  di* due  miglia, 
a  mezzodì  ed  oriente,  da  Salò,  e  dalla  parte  di  occidente  di- 
stante  da  terra  ferma,  cioè  dalla  punta  del  promontorio  di 
S.  Felice  e  Portesio,  il  tratto  di  un  archibugio)  Bosugianmi 
Grattarolo  nella  sua  Storia  della  riviera  di  Salò  (1587),  Fra>-> 
CBBCo  Gonzaga,  prima  frate  francescano ,  poscia  vescovo  di 
Parma,  il  Labus,  il  Viviani,  TArrivabenb,  il  Gambara,  il  Per- 
sico, il  Zom,  TOdorici,  il  Belviglieri,  il  KAifOLBR;  ricisamente 
per  Campione,  gli  EorroRi  dblla  Minerva,  ed  il  Cavattoni. 

Campione,  latinamente  Campilium,  che  suona  a  molti  pio 


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345 

cok)  campo,  troraai  dnqiie  miglia  circa  dopo  Oargnano;  è  ameno 
promoDtorìo,  o  piatioato  seno,  che  il  lago  circonda  e  rapì  al- 
tissìme  a  seCteatrìone:  ò  luogo  molto  vago,  tutto  una  bella 
prateria,  coperto  di  uUvi,  gelsi,  allori  e  mirti:  ed  il  fiume,  che, 
movendo  dai  monti  di  Tremoeine,  percorre  ìa  valle  di  S.  Mi- 
chele, e  che,  quando  pasaa  appiè  dei  monti  di  Tignale,  prende 
U  nome  di  Tignalga,  predpitondo  da  ecoscese  e  dirupate  roccie 
aopra  Campione  tutto  lo  attraversa,  prima  che  col  lago  ri  con- 
giunga.  Oltre  1*  autorità  di  Giorgio  Oiodoco,  bresciano,  citato 
pure  dal  CavaUoni  (V.  voi.  iv  p.  389),  il  Tiboni  ravvalora  la 
8ua  asserzione  con  qneUa  degli  eruditi  e  crìtici  rhe  nacquero, 
e  tutto  dimorarono  la  rito  sulle  sponde  del  lago  di  Garda, 
e  delle  cose  fìenaoenri  diligentomento  e  minutomente  scrìssero. 
Silvan  Cattoneo,  salodiano  (1533),  nella  VII  Giornata  scrìve: 
«  Campione  è  quel  luogo,  che  già  disse  Dante,  tre  vescovi  poter 
segnare,  stando  tatti  nel  suo  confino, ...  di  maniera  che,  dimo- 
rando tutti  nel  suo,  potrebbero  non  solamente  segnare,  come 
disse  Dante,  ma  toccarsi  eziandio  la  mano.  >  E  poco  dopo: 
«  Ritrovata  una  bell'ombra  presso  il  fiumicello,  confino  ditrt 
vescovati,  »  —  Millo  Voltolina,  pur  salodiano,  nel  bellissimo 
carme  Hercules  Benacensis,  posto  in  luce  nel  1575,  di  Cam- 
pione <hce:  Hieque  uhi  eonveniuni^  et  deeotris  jungere  dextras 
Haud  proprii  possunt  progressi  e  finihus  agri  Tres  popuH 
sancii  paires,  qui  sacra  minisirani,  Exiguus  vitreas  proeurrit 
campus  in  undas^  Quem  nauias  veieres,  kunc  qui  coluere, 
vocarunt  Campionum;  nomenque  vetus  nova  Utora  servant. 
—  E  Bartolommeo  Vitali  di  Desenzano,  celebre  giurìsperìto, 
molti  anni  giudice  in  Mademo,  nella  Vita  di  S.  ErcolanOy  ve- 
scovo di  Brescia,  morto  in  Campione,  edito  in  Verona  nel  1584, 
assevera  assolutamento:  Campione  erat  veluU  quidam  Hme» 
difimens  trium  episeopaiuum^  prò  cujusque  dioecesis  finibue^ 
teronensis  scUicet,  brixiensis,  et  tridentinae.  —  Oltrecchò  ri 
fa  forto  ddle  antiche  carte  topografiche  della  rìviera  di  Salò, 
e  segnatamente  di  quelle  del  padi«  Coronrili,  di  Leone  Palla- 
vicino, descrìtte  nel  1597,  di  Greg^orìo  Piccoli  del  1767,  le 
quali  additano  predsamento  Campione  pel  luogo  di  confine  dri 
tre  vescovati.  E  sono  drilo  stesso  avrino  il  Maffbi  ed  il  conte 
Luigi  Miniscalchi.  Aggiungam  che  lo  stesao  Grattarolo,  tenendo 
per  r itola,  non  s'appoggia  die  alla  dieeria  de'  lirati ;  onde  par 


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346  ooMKTm. 

non  vi  aggiustasse  fede  ;  giacché,  parlando  di  Campione,  lasciò 
scritto  :  «  nel  quale  ponno  legittimamente  benedire  e  darsi  mano 
tre  vescovi,  il  trentino,  il  bresciano  e  il  veronese,  e  pare  che 
le  giurisdizioni  loro  vi  si  sieno  volute  annodare —  >  Sicché 
Dante,  del  quale  con  poca  iperbole  si  può  dire  che  8£q)e88e  tutte 
le  cose,  sapendo  anche  questa,  dove  parla  di  questo  luog-oj 
cantò:  Luogo  è  nel  mezzo.  Ed  il  Labus,  che  scrisse  la  su^ 
lettera  al  co.  Lechì ,  per  assecondare  V  amico ,  non  manifesta 
che  un  semplice  e  debolissimo  dubbio,  mentre  scrive:  Non  ^ 
inverisimile  che  il  controverso  passo  di  Dante  Luogo  è  mi 
mezzo  si  debba  riferire  più  presto  a  questa  isola,  che,  cornei 
tutti  i  commentatori  pretendono ,  a  Campione.  —  Campione 
cessò  di  essere  il  luogo  accennato  dair  Alighieri,  allorquando 
nel  1785,  volendo  Giuseppe  II  rassettare  e  rotondare  i  con- 
fini della  monarchia,  Tignale  venne  staccato  dalla  trentina» 
ed  alla  bresciana  diocesi  aggiunto.  Allora  la  sponda  destra  del 
fiume  in  Campione,  pertinente  alla  parecchia  di  Tignale,  cessò 
di  essere  diocesi  di  Trento,  e  per  conseguenza  il  trentino  pa- 
store fini  allora  di  avere  autorità  in  Campione.  Oltre  a  questo, 
alla  caduta  della  Veneta  RepubbHca,  il  lago  cessava  di  tutto 
appartenere  al  territorio  e  cdla  diocesi  veronese;  mentreccbè 
diviso  nella  lunghezza,  una  metà  restò  a  Verona,  e  T altra 
venne  attiibuita  a  Brescia;  e  allora  cessò  anche  il  pastor  ve- 
ronese di  poter  segnare,  se  venisse  a  Campione  :  e  per  tal  modo 
tutto  Campione  da  quel  tempo  diventò  soggetto  al  vescovo  di 
Bi'esda.  Ai  quali  mutamenti  di  confini  territoriali  non  ponendo 
mente  i  commentatori,  ritengono  Campione  tuttora  parte  delle 
tre  diocesi,  come  gli  Editori  della  Minerva,  il  Costa,  il  Tom- 
maseo ed  anche  il  Persico.  Altro  grosso  errore  &nno  i  com- 
mentatori, lorchò  assegnano  la  destra  sponda  del  fiume  in 
Campione  alla  diocesi  di  Brescia,  e  la  sinistra  aUa  diocesi  di 
Trento,  perciocché  la  cosa  era  tutta  al  rovescio.  E  la  causa 
di  questo  geografico  sbaglio,  è  la  credenza  che  Tignale  confici 
col  Trentino,  dovecchè  confine  è  Ti^emosine,  e  Tignale  è  posto 
fra  Tremosine  e  Gargnano.  (V.  Man,  Dani,  iv,  389). 

Mafvei  Scipione,  Verona  idustrata^  P.  i,  libro  6. 

MiNiscÀLGHi  Luigi,  Osservazioni  sopra  la  scrittura  austriaca 
Benacus,  prodotta  nel  1756  al  Congresso  di  Mankma  sulle 
vertenze  del  lago  di  Garda.  -^ 


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COMBNTI.  347 

AsQUiNi  Girolamo,  SugH  anHc?ii  confini  del  territorio  della 
f^ommcia  Veronese  col  Trentino,  (V.  Giorn.  delle  Prov.  Ven. 
1826.  voi.  XV,  p.  161). 

MoscHiNi  Lorenzo,  Sopra  la  lettera  del  co,  Girolamo  As^iini 
(V.  lo  stesso  Giorn.  id.). 

Labus,  Lettera  al  co.  Luigi  Lechi  intomo  V  isoletta  del  lago 
di  Garda  e  gli  antichi  monumenti  che  quivi  tuttavia  si  tro^ 
vano,  letta  aW Ateneo  di  Brescia  nelTanno  1820. 

Persico  Giambattista,  Descrizione  di  Verona  e  sua  Pro-' 
rincia.  Verona,  1820-21. 

Abbìvabbne  Ferdinando,  Il  Secolo  di  Dante: 

Gambara  Francesco,  Nel  Ragionamento  XXI  di  cose  patrie, 
Brescia,  1840. 

Odorici  Federico,  Lettera  a  Paolo  Periancini,  Milano,  1846. 

Osservationi  di  un  Benacense  (dott.  Zane  di  Salò)  intomo 
ad  alcuni  comenU  sopra  i  versi  di  Dante,  in  cui  è  fatto  cenno 
del  Benaco  e  Lago  di  Garda,  Milano,  Pogliani,  1846. 

Ragionamento  apologetico  in  risposta  alle  censure  mosse 
dal  prof,  sig.  Gius,  Picei  contro  V osservazioni  di  un  Benacense 
intomo  ad  alcuni  comenU  sopra  i  versi  di  Dante  ^  in  cui  è 
fatto  cenno  del  Benaco  e  Lago  di  Garda,  Milano,  1847. 

Picei  Giuseppe,  Polemica  intomo  al  xx  delT  Infimo  sopra 
il  Benaco.  Della  Letteratui'a  Dantesca,  n.  iv.  Estr.  dal  Giorn. 
Euganeo,  Nov.,  Dee.  1848. 

XX.  79.  —  Non  molto  ha  corso  che  trova  una  lama.  — 
ZramOf^guna,  ò  voce  notissima,  usata  da  Orasio:  Viribus  uteris 
per  cli^B  flumioa  lamas  (1.  i,  epist.  13,  v.  10).  Sebastiano  Ciampi 
ce  ne  dà  T etimologia,  e  ne  cita  la  cronaca  di  Sigiberto ,  da 
cui  si  vede  che  lama  ò  luogo  fondo,  voragine.  Ciampi,  sopra 
un  anello  Longobardo,  e  sulF orìgine  del  titolo  di  Marchese, 
Bibl.  Ital.,  voi.  Lv,  1829.  p.  126. 

XX,  1 15.  —  Queir  altro  che  ne*  fianchi  è  cosi  poco.  — 
Poco,  suona  qui  piccolo,  usato  nello  stesso  significato  da*  Pro- 
venzali. Nannucci, 

XXI.  38.  —  Un  degli  anzian  di  santa  Zita. 
Monireuil  Sara,  Vie  de  Salute  Zita.  Paris,  1845.  V.  Man, 

Vani.  IV,  392. 

XXI.  41.  —  Ogniuom  v*è  baraUier  fuor  che  Bonturo, — 
Fuor  che,  oltre.  Spiegando  in  tal  guisa,  non  ò  più  necessario 


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348  COMENTI. 

il  ricorrere  a  queir  ironia,  che  reputo  quivi  inopportuna,  dis- 
conyeniente,  e  non  caduta  neir  animo  del  poeta.  L.  Muzsi,  — 
Di  Buonturo,  V.  Todeschini,  Scritti  su  Dante,  ii,  370;  Man. 
BanL  IV,  393. 

XXI.  89.  —  Tra  gii  scheggion  del  ponte  quatto  quatto.  — 
Quatto  quatto,  chinato  e  come  spianato  in  teira,  e  come  £i 
la  gatta  quando  uccella,  che  si  stiaccia  in  terra  per  non  e>'5er 
veduta,  e  lo  fa  talvolta  il  cane.  Borghini,  —  Alla  fine  aunn- 
saudo  su  tutti  i  buchi,  fece  vista  d'allontanarsi,  ma  invece  fì 
cacciò  quaito  quatto  m  un  fagiolaio.  Val  d*  E  vola.  —  Giuliani 
Saggio  d' un  Dizion.  del  volg.  Tose. 

XXn.  2.  —  E  cominciare  stormo,  —  Stormo ,  V  affronta- 
mento  e  queUo  andare  a  investire  il  nemico,  come  il  tradut- 
tore di  Livio:  <  abbiendo  le  legioni  ricominciato  il  grido  e 
rinforzato  lo  stormo .  »  Nel  Villani  ancora  si  trova  piii  d'  unn 
volta.  Di  qui  ò  stormire,  far  gi'an  romore  e  fracasso;  nel  e. 
xm,  eh*  ode  le  bestie  e  le  frasche  stormire.  Borghini. 

XXII.  59.  —  Ma  Barbariccia  il  chiuse  con  le  braccia ,  B 
disse:  State  *n  là,  mentr*  io  lo* nforco,  —  Inforco,  il  chiudo 
tra  le  braccia  :  e  questo  significato  ò  alla  detta  voce  conve^ 
nientissimo  ;  perocché  alla  forca  ben  si  assomigliano  le  braccia, 
allorché  in  avanti  si  stendono,  affine  di  stringere  altrui  e  inca- 
tenarlo. Fiacchiy  'Memoria  letta  alla  Crusca,  V.  Zannoni,  238. 

XXIII.  9,  ^  E  come  Vun  pensier  delT  altro  scoppia.  — 
Intese  di  que^  pensieri  che  straordinariamente,  e  air  improv- 
viso ,  e  quasi  fuor  di  proposito ,  pur  con  V  occasione  di  quel 
primo,  vengono  fuori;  il  che  propriamente  noi  diciaS)  scop- 
piare, come  d*una  fonta  che  rompendosi  il  condotto,  o  fen- 
dendosi in  qualche  parte,  V  acqua  che  n*  esce  si  dice  scoppiare 
e  non  nasceì^e.  Come  ancora  d*  un  albero  si  dirà  scoppiare  U 
messe,  quando  escon  fuore  del  gambo,  o  di  luoghi  insoliti  e 
non  aspettati,  né  procurati.  Borghini. 

XXIII.  88.  —  Costui  par  vivo  altaUo  della  gola.  —  «  Al 
moto  delT alitare,  scrive  uno  dei  comentatori  veduti  da  me;  a 
quel  moto  della  gola  che  V  uomo  fa  respirando,  chiosa  un'  altro. 
Ma  non  posero  mente  que*  valentuomini  che  la  gola  non  & 
respirando  alcun  moto  e  che  del  respiro  non  apparisce  altro 
segno  che  air  alenare  del  petto.  L'  atto  che  fece  Dante,  al 
vedersi  contro  la  sua  espettazione  guardar  bieco  a*  dannati,  fn. 


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COMBNTI.  349 

con  atto  di  deglutizione.  Se  tu  pensi  che  la  saliva  si  secerne 
in  copia  sotto  quelle  impressioni  morali  nelle  quali  si  trovava 
allora  il  Poeta,  e  ti  ridurrai  in  simili  casi  air  esperienza  tua 
propria,  vedrai  quanto  il  deglutire  dovesse  essere  a  Dante 
naturale.  Nel  deglutire  sì  che  la  gola  fa  un  atto  perchè  la  saliva 
passando  dalla  bocca  air  eso&go  fa  sollevare  e  portare  innanzi 
la  laringe  e  Tosso  ioide  (il  pomo  di  Adamo)  nella  gola  di 
Dante  rilevato.  A  questo  segno  riconoscono  le  anime  che  il 
sopravvenuto  era  vivo,  perchè  il  deglutire  è  atto  della  vita  or- 
ganica.  Camillo.  {Cavemt),  La  Scuola,  1873,  ii,  27. 

XXIII.  103.  —  Frati  Godenti  furono  e  bolognesi,  Io  Ca^ 
talano,  e  costui  Loderingo,  —  In  un'  accusa  del  1287  che  si 
conserva  negli  Archivi  di  Bologna,  si  parla  di  un  laudo  scritto 
manu  Jeromei  AngelelU  Not.  scriptum  manu  Caztanemicis 
contro  fomiam  statutorum  et  ordinamentorum  factorum  per 
Dominos  Loteringium  de  Andald  et  Cafelanum  domini  Gui- 
donis  de  hostiae  Fratres  Ordinis  Militiae  Beatae  Mariae  Vir- 
ginis  gloriosae —  Questi  militi  della  Beata  Vergine,  detti  poi 
Tolgaimente  sold^i  della  Madonna,  denominazione  che  si  estese 
a  denotare  un  soldato  poltrone,  abitarono  in  Ronzano  a  Bo-* 
logna,  ed  a  castello  de'  Britti  ov'  era  un  altro  Ronzano.  Essi 
furono  detti  anche  Templari ,  ed  ebbero  una  chiesa  sotto  il 
titolo  di  Nostra  Donna,  poi  di  S.  Bernardino  in  cappella  S.  Lu- 
ciac  in  via  pubblica,  per  quam  itur  de  burgo  Arienti  ad  Canv- 
pum  (cimitero)  Ecclesiae  Sanctae  Mariae  fratrum  Gaudeniium 
OrcU^ft  Beatae  Mariae,  Mazzoni  Toselli. 

XXIV  e  XXV.  —  Ci  par  degna  di  considerazione  la  pena 
inflitta  dall* Alighieri  nella  settima  bolgia  ai  ladri:  che  posti 
fi*a  innumerabili  serpi,  non  solo  ne  vengono  morsi,  annodati, 
arsi  in  mille  guise  spaventevoli,  ma  son  eziandio  astretti  a  can- 
giar le  spoglie  umane  in  •  serpentine,  e  le  serpentine  stesse  poi 
a  rimutar  fra  loro,  rubandosi,  barattandosi,  perdendo  i  propri 
corpi  senza  posa.  Poiché  essi  disconobbero  i  vincoli  di  quella 
proprietà  su  cui  si  regge  V  edifizio  sociale,  sembra  che  in  pena 
.sentano  venir  loro  sottraendosi  ogni  proprietà,  perfino  la  più 
ìntima  a  noi,  quella  del  nostro  corpo,  e  corrano  in  disperate 
fughe  con  la  paura  di  perdere  la  radice  stessa  della  proprietà, 
cioè  la  personalità  umana  eh' è  il  vero  fondamento  del  me  e 
del  sé,  del  mio  e  del  suo,   e  perciò  d'ogni  proprietà,  il  cui 

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350  OOMBNTI. 

diritto  non  bì  può  concepire  là  dove  non  è  individualità  e  pei"- 
sona  intelligente.  Perez^  499. 

XXIV.  3.  —  E  già  le  notti  ed  mezzo  di  sen  ranno.  —  Nel 
verbo  vanno  intende  il  P.  Antonelli  un  moto  in  declinazione  : 
al  Caverni  parrebbe  invece  doversi  intendere  in  quel  signifi- 
cato che  ha  quando  diciamo:  VAve  Maria  va  alle  cinque,  alle 
sette,  ecc.  che  significa:  il  tempo  posto  e  dedicato  a  quelle 
sacre  commemorazioni  dura  infìno  alle  cinque,  ecc.  Questo 
verso  niente  altro  significa  che  le  notti  durano  metà  del  giorno. 

XXIV.  4.  —  Quando  la  brina ...  —  Dice  la  causa  e  ac- 
cenna alle  forme  cristalline  della  brina.  Esperto  ossei*vator  di- 
ligente d*  ogni  fenomeno  naturale ,  avrà  osservato  che  i  cri- 
stallini aghiformi  raggianti  della  brina  si  drizzano  su  per  i 
fili  delle  erbe  e  delle  stoppie  da  una  parte  e  dall'altra  a  modo 
che  le  barbe  suir  astuccio  d*  una  penna,  immagine  facile  a  de- 
starsi in  lui,  e  con  questa  immagine  della  penna  descrive  la 
brina.  Seguitando  poi  in  su  quella  figura-,  a  significare  cht- 
que*  cristallini  penniformi  al  sopravvenire  del  sole  si  sfanno, 
dice  che  a  quella  penna  poco  dura  la  tempra.  Quello  che  al- 
cuni si  dicono  dello  scriver  la  brina  sopra  la  terra  o  altro, 
non  mi  par  cosa  vera,  e  perciò  né  poetica.  Caverni^  La  Scuola. 
I,  227.  —  Ingegnoso  il  vedere  nella  tempra,  che  poco  dura,  della 
penna  messa  in  mano  alla  brina ,  le  concrezioni  cristalline 
penniformi.  Tommaseo^  Lettera  al  Pievano  Calcinai. 

XXIV.  14.  —  La  speranza  ringavagna  :  Cavagna^  o  ga- 
vagnay  neir  uso  siciliano,  piccola  fiscella  per  uso  di  por||||a  ri- 
cotta: ed  i  siculi  hanno  lanche  il  verbo  rincavagnari  ^  e  di- 
conio  i  mandriani  quando  rimetton  in  cavagna  la  ricotta,  per 
tuffarla  nel  caldaro  del  siero  bollente  onde  evitare  che  ina- 
cidisca. Adoprasi  pure  figuratamente  per  rimettere  una  cosa 
al  posto  dove  pria  stava;  precisamente  come  Tha  adoperato 
Dante,  con  moltissima  convenienza  usando,  secondo  il  suo  co- 
stume, i  termini  tecnici  delle  varie  persone  che  introduce  nel 
suo  mirabile  dramma.  S.  Salomone  Marino.  V.  Man.  Dant  ih 
307,  nota. 

XXIV.  137.  —  Io  fui  Ladro  alla  sagrestia  de*  belli  arredi, 

Ciampi  Sebastiano,  Notìzie  inedite  della  Sagristia  pistoiese 
de' Belli  Arredi.  Firenze,  Molini,  1810. 

Lettera  sopra  V  inteìyreiazione  d'un  verso  di  Dante 


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OOMBNTI.  351 

nella  Cantica  xxiv  delC  Inferno.  Pisa,  Nìstrì,  1814  (In  risposta 
ad  UQ  discorso  di  Vicenzo  Follini,  letto  alla  Società  Colom- 
bai-ia  dì  Firenze  il  6  Luglio  1814). 

XXV.  2.  —  Ze  mani  ahó . . .  — >  F.  Sassetti  nella  sua  lettera 
a  Giamb.  Strozzi  (xxiviii,  p.  90),  redarguisce  il  torto  giudizio 
di  mons.  Della  Casa,  a  cui  parre  inonesta  l'espressione  qui 
usata  dal  poeta  (Galateo,  e.  xxii),  mostrando  come  ai  tempi  di 
Dante  non  avea  quel  si  strabocchevolmente  sporco  significato^ 
che  il  Della  Casa  vuole  ad  essa  attribuire,  ma  solo  quella  in- 
t^^rposizione  del  dito  grosso  tra  li  due  che  gli  sono  accanto 
inunediatamente. 

XXV.  49.  —  /'  vidi  un  fatto  a  guisa  di  liuto.  —  Il  liuto 
al  quale  paragonò  Dante  maestro  Adamo,  è  quello  strumento 
che  ci  vengon  qua  a  sonare  i  montanari  abruzzesi,  e  che  si 
chiama  la  pica  nel  sacco.  Troncate  le  cosce  nel  solco  angui- 
naie ;  la  ventraia  sarebbe  come  il  sacco  della  piva,  e  la  testa 
e  il  collo  r  imboccatura  e  la  canna  dello  strumento.  Cavemi. 

XXV.  81.  —  Folgore  pare,  se  la  via  attraversa,  —  Vidi 
Dna  serpe  acciambellata  (ridotta  in  forma  di  ciambella):  mi 
ha  fatto  tanta  paura,  avesse  veduto  come  Unguettava  (vibrava 
la  lingua)!  rimasi  11  piantata  a  mo'd'un  palo....  S'acdam- 
bella,  8*  attorce  (s*  avvoltola)  ma  quando  si  svoltola,  piglia  la  via, 
?he  manco  la  saetta  (folgore)  Varriva.  Nel  Volterano.  Giuliani^ 
Saggio  di  un  Diz.  del  Volg.  Toscano,  p.  133. 

XXVI.  13.  —  i9u  pet*  le  scalee.  Che  n'  avean  fatte  i  borni 
2  scendm  pria. 

Vum  Pbospbbo,  Di  Nicola  Villani^  (pistoiese,  più  noto  col 
lome  di  Accademico  Aideano,  di  Vincenzo  Foresi,  e  di  messer 
Plagiano,  secondochò  gli  piacque  di  capricciosamente  cognomi- 
narsi^ morto  verso  la  fine  del  1635),  e  di  una  sua  interpre- 
tazione dei  borni  di  Dante.  Lettere  Filologiche  e  critiche , 
Bologna,  Zanichelli,  1874,  p.  312-330. 

M' avvenni,  così  il  Viani  al  suo  Landoni,  a  carte  1 1 1  della 
sua  Uccellatura  all'  occhiale  dello  Stigliano  nell'  interpretazione 
l'.'i  borni  di  Dante ,  cjie  mi  pan-e  nuova ,  né  mai  vidi  negli 
mticbi  e  moderni  comentatori,  che  sopra  quel  luogo  stanca- 
rono un  tempo  le  penne L' interpretazione  ò  questa  :  «  Ora 

y^ìì  è  da  sapere  che  la  parola  bornio  non  solamente  è  fran- 
àosa,  e  importa  Uppo  o  losco,  ma  è  ancora  Toscana,  e  significa 


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352  OOMBMTI. 

quel  tumore  che  nasce  dalle  pereoase,  detto  altramente  b^ 
noccolo  e  bitorzolo  ;  e  il  diminutivo  suo  è  bomioio  e  bomioé 
che  si   prende  talora  in  senso  metaforico  per  oltraggio, 

billera,  o  bischenca,  o  malo  scherzo Stante  dò,  chial 

fiene  a  essere  il  sentimento  di  Dante;  non  volendo  egli  dii 
altro,  se  non  che  nello  scendere  per  quelle  scalee  Tonchiosa  I 
piene  di  schegge  ^  per  le  quali  Lo  pie  senza  la  man  non  i 
spediay  s'era  fatto  dei  bitorzoli,  e  dei  bernoccoli  per  le  maj 
e  per  li  piedi  e  per  altre  parti  del  corpo.»  j 

Io  direi  che  bornio  vale  qui  sporgenza,  rilievo  ;  e  che  u 
voce  abbia  tale  significato  il  popolo  lo  sa,  al  quale  è  rimast^ 
di  bornio,  il  diminutivo  bomioccolo  e  bernoccolo.  Dante,  gin 
sto  qui,  intende  de*  bernoccoli  o  rocchi  di  uno  scoglio.  Cavené 
V.  Man,  Dant.  ii,  568.  I 

XXVI.  04.  ^  Né  dolcezza  di  figlio,  ne  la  pietà  Del  vecchi 
padre,  né  il  debito  amore.  Lo  guai  dovea  Penelope  fxr  UeU\ 
—  Con  eleganza,  non  disgiunta  da  esattezza,  descrìve  ì  tr 
amorì  domestici,  paterno,  figliale  e  conjugale,  rattepiditi  1 
dove  prevale  il  talento  d' imprese  esterne  e  di  libera  attività 
descrìtti  in  quell*  ordine,  in  cui  soleva  vederti  T  antichità,  eh 
disse  doversi  attribuire  le  prime  partì  all'amor  che  discenda 
le  seconde  a  quello  che  ascende ,  le  terze  a  quel  che  si  prò 
paga  da  lato.  Perez,  720. 

XXVI.  117.  —  Diretro  al  sol.  —  1  Gomentatorì  interpre 
tano  seguendo  il  suo  corso  d'orìente  a  occidente.  Eppure 
chiaro  che  il  cammino  d'Ulisse,  secondo  eh* è  narrfl||  da  li 
medesimo  nella  terzina  appresso,  fu  volto  a  ostro-levante.  ^ 
cessare  la  confusione,  consiglierei  che  quelle  parole  dirietro  e 
sol,  tu  le  intendessi:  dalla  parte  di  dietro  del  sole.  Imagina  : 
sole  in  sembianza  di  Apollo  che  guardi  il  polo  nostro.  Tuti 
coloro  che  guardano  il  nostro  emisfero  lo  vedono  di  &ccia 
gli  abitanti  dell'altro  emisfero,  non  avendo  riguardo  alla  pa 
rallasse,  alle  spalle  o  diretro.  Ulisse  dunque  dice  aver  rivoli 
il  cammino  all'  emisfero  australe ,  luogo  d' onde  il  sole ,  eh 
qui  mostra  la  faccia,  di  là  mostra  il  dorso.  Camillo  (Ca-oemij 
La  Scuola,  1873,  ii,  60. 

XXVI.  127-29.  —  Tutte  le  stelle  già  delCaUro  polo.  —  ] 
P.  Antonelli  rìtiene  che  T  aspetto  della  sfera  si  presentasi 
retto  a  Ulisse,  quando  narra  a'  due  poeti  che  navigando,  tant 


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oouBMn.  353 

s'era  messo  per  T ampio  oceano,  che,  tutte  le  stelle  già  deW  altro 
polo  Vedea  la  notte,  e  il  nostro  tanto  basso,  Che  non  sorgeva 
fuor  del  marin  suolo.  Ma  se  vede  le  stelle  tuUe  del  polo  an- 
tartico, argutamente  osserva  il  Caverai,  dunque  tutte  le  cir- 
cumpolari; e,  se  le  circumpolari  tutte,  dunque  il  polo  era 
sull'orfezonte  elevato.  Questo  stesso  conferma  dicendo  che 
r  altro  polo,  cioè  1*  artico,  non  sorgeva  fuori  del  marin  suolo  ; 
cioè,  ch'egli  era  sotto  T orizzonte  coperto,  e  perciò  lo  aspetto 
della  sfera  non  doveva  apparire  a  Ulisse  retto,  ma  obliquo.  La 
Scuoia,  I,  179. 

XXVn.  43.  —  La  terra  che  fé*  già  la  lunga  prova,  E  di 
Franceschi  sanguinoso  mucchio,  —  Accenna  alla  distruzione 
completa  dell*  armata  francese  operata  dai  Forlivesi  insieme  a 
molti  prodi  di  altre  città  della  Romagna  nel  1282.  Queir  ar- 
mata, foi-te  di  ben  diciotto  mila  soldati  sotto  il  comando  del 
generale  francese,  D'Appia,  per  ordine  di  Papa  Martino  IV 
(esso  pure  francese),  assediava  Forlì  cospicua  città  ghibellina 
reggentesi  a  repubblica,  nello  scopo  di  assoggettarla  al  domi- 
nio della  Chiesa.  —  Poche  migliaia  di-valoi*osi,  combattenti  per 
la  libertà  deUa  patria  sotto  la  scorta  dell'illustre  Capitano 
Guido  da  Montefeltro,  riuscirono  col  valore,  e  mercè  d' un  fe- 
lice stratagemma  suggerito  dal  celebre  Guido  Bonatti  Forlivese, 
a  trion&re  d' un  esercito  si  poderoso  per  forma,  che  esso  venne 
intieramente  massacrato  ;  imperocché  i  pochi  che  non  mori- 
i*ono  sul  campo  di  battaglia,  trovavan  poi  sbandati  e  fuggia- 
schi, li^orabile  morte  nella  adiacenti  campagne.  V.  Fiani 
Bartohmmeo,  Voi.  iir. 

XXVII.  50.  —  Il  Lionese  dal  nido  bianco,  —  Maghinardo 
Pagani  di  Snsinana.  Ottavio  Mazzoni  ToselU. 

XX VII.  67.  —  r  fui  uom  d' arme,  e  poi  fU*  cordigliero.  — 
Perchè  Guido  di  Montefeltro  sommo  guerriero  rendutosi  frate 
sia  lodato  a  cielo  nel  Convito  e  infamato  nella  Divina  Com- 
media.  Ugo  Foscolo,  Discorso  sul  Testo,  cxiv-cxix. 

XXVII.  85.  —  Lo  principe  de'  nuovi  Farisei  Avendo 
guerra  presso  -Laterano, 

Con  la  famiglia  dei  Colonnesi,  cui  papa  Bonifacio  avea 
bandito  contro  la  crociata.  .Veramente  noi  non  abbiamo  memorie 
dalle  quali  apparisca  che  i  Colonnesi  abitassero  presso  Laterano, 
dacché  le  loro  case  far  sempre  ove  son  di  presente  nel  popolo 

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354  C(HiBNn. 

de' santi  Apostoli,  e  solo  sappiamo  ch'essi,  dopo  il  1000,  s'afTor* 
zarono  nel  mausoleo  di  Augusto,  nelle  terme  di  Costantino,  poste 
sul  Quirinale,  e  sul  monte  Accettorio,  ora  denominato  Citorio, 
luoghi  tutti  non  poco  dal  Laterano  discosti.  Ma  il  Poeta  deve 
aver  voluto  con  le  sue  parole  vie  più  far  notare  come  le  ìvts 
di  que'  miseri  tempi  fossero  ire  fraterne  esercitate  non  g-ià 
contro  genti  naturalmente  nemiche,  come  Saracini  e  Giudei, 
ma  si  con  cristiani  non  pure,  ma  con  tali  che  dimoravano  sin 
presso  la  chiesa  madre  delle  altre  tutte  del  mondo,  e  sede 
propria  del  capo  della  chiesa  cattolica,  e  vescovo  di  Roma  che 
è  il  papa. 

Nella  vita  di  Cola  di  Rienzo  leggiamo,  che  morto  il  Tri- 
buno a  furore  di  popolo  €  fu  strascinato  fino  a  san  Marcello, 
là  fu  subito  appeso  per  h  piedi  ad  un  menianello  »,  e  Matteo 
Villani  dice  «  tranaronlo  in  fino  a  casa  t  Cokmnesi,  »  Chiaro 
è  dunque  che  le  case  de'  Colonnesi  erano  da  san  Marcello  ;  e 
aggiunge  il  biografo  di  Cola  «  che  poi,  fu  trascinato  al  campo 
deir Austa  »,  cioè  alla  fortezza  fatta  da  quei  baroni  sul  sepol- 
cro d' Augusto.  Il  primo  palagio  dei  Colonnesi  era  ov'  è  di 
presente  quello  degli  Odescalchi ,  ed  avea  presso  .un  orto  an- 
nesso alla  Chiesa  di  San  Marcello,  che  allora  aveva  la  Ceciata 
volta  ad  oriente.  Achille  Monii^  Dante  e  Jloma,  (Strenna  del 
Giornale  «  Arti  e  Lettere  »). 

Nemico  suo  potentissimo,  inesorabile  (di  Stefano  Colonna, 
della  milizia  splendidissimo  onore)  fu  Bonifacio  Vili  Pontefice 
romano,  cui  difficilissima  cosa  era  vincer  coU'  anni,  imA|psibile 
con  somroessione  piegare  o  con  lusinghe,  tale  in  una  parola 
cui  domar  non  poteva  che  sola  la  morte.  Il  quale,  con  inumana 
sevizie,  fattosi  a  richiedere  per  ogni  dove  la  testa  dell' eside 
miserando ,  pose  in  opera  ogni  argomento  di  promesse ,  di 
minacele,  di  potere,  di  autorità,  di  ricchezze  per  averlo  nelle 
mani ,  con  lai^ghe  offerte  di  premi  a  chi  lo  inseguisse ,  e  di 
severi  supplizi  a  chi  gU  desse  favore. . . .  Petrarca j  Ep.  Pam. 
L.  II,  3. 

XXVII.  89.  —  E  nessuno  era  stato  a  vincer  Acri,  Nà  meì^ 
Catanie  in  terra  di  Soldano.  —  «  E  al  tempo  di  miser  Pino  da 
Cremona  (1291),  el  quale  tornò  un  altra  volta  Potestà,  e  fu 
fatto  Cavaliere  del  Comuno  di  Siena,  e  fii  confermo  da  l'uno 
Gieuaio  al  1'  altro  ;   e  al  suo  tempo  venne  Iettare  da  Venegia 


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355 

come  el  Soldano  di  Babilonia  aveva  preso  Acri,  el  quale  gli 
era  stato  tolto  dallo  onperadore:  e  quando  Tonperadore  lo 
prese,  el  prese  per  lo  consìglio  di  miser  Guido  del  Palagio  el 
quale  era  del  Casato  Bandinegli  da  Siena;  e  quando  tornò,  el 
quale  c^  era  ito  co*  novecento  uomini ,  e  fatta  la  rasegna  non 
troTÒ  ehe  el  suo  numero  fosse  menuito  se  non  di  quattro  ov- 
vero V.  E  per  questo  veduto  Tonperadore  che  la  bandiera  dei 
Sanesi  senpre  era  stata  dinazi  à  primi  feridorì,  e  avevano 
fatta  tanto  bella  pruova,  che  non  era  ninQO  nel  canpo  dello 
inperio,  che  non  si  maravigliasse,  e  quanti  pochi  dì  loro  spe- 
rano trovati  meno  per  le  battaglie ,  che  avevano  fatte  e  per 
questo  r  onperadore  donò  la  Palla  rossa  nello  scudo  giallo  a 
Miser  Guido  dal  Palagio,  della  quale  ne  fu  fatto  grande  stima 
nella  sua  tornata,  e  reconne  di  quel  paese  di  Turchia  molte 
gioie  e  cose  preziose,  che  lui  guadagnò,  e  anco  ne  gli  donò 
r  onperadore.  »  Croniche  Senesi,  pubb.  da  G.  Maconi,  e.  80,  i, 
p.  2,  49. 

XXVn.  94.  —  Ma  come  CostanUn  chiese  Silvestro  Dentro 
SiraUi,  —  Est  hinc  Soracte  mons,  Silvestro  clarus  incoia.  Pelr. 
Fara,  n,  12. 

XX Vn.  129.  —  E  si  vestito  andando  mi  rancuro.  —  Il  Di 
Giovanni  osserva  che  il  rancurare  dì  Dante  in  senso  di  afflig^ 
ffersi,  soffrire  omai  sfiatato,  ò  bello  e  fresco  tuttavia  nel  con- 
tado siculo,  e  sia  d'origine  provenzale  o  no,  come  crede  il 
Varchi,  che  lo  legge  nelle  canzoni  di  Folchetto  di  Genova  e 
di  Arnaldo  di  Mirail,  il  fatto  sta  che  ivi  è  antichissimo  e  di 
casa. 

XXVin.  H.-^E  là  da  TagUacozzo,  —  E  Rè  Curadino  fìi 
uno  Re  di  Napoli,  e  andò  a  Canpo  a  Tagliacozo,  e  per  la  mala 
guida  che  faceva  la  sua  giente,  una  notte  venero  tutti  e  gli  Amici 
de  Conti  da  Tagliacozo  col  aviso  di  quegli,  che  erano  dentro. 
E  veduto,  che  *1  canpo  de  Re  Curadino  stava  senza  alcuno 
riguardo  e  no'  temeva  nisuno ,  e  no'  facevano  stima  alcuna  di 
niuna  giente  che  venisse  in  aiuto  d'essi  Conti,  e  una  notte 
quando  fu  '1  tempo  che  '1  socorso  venne,  quegli  di  denti'O  uscirò 
fiiore  armata  mano,  e  quegli  eh'  avenivano  col  socorso  si  mo- 
stro dal  altro  lato,  e  asaltaro  el  Canpo  de  Re  Curadino  e 
funno  fatti  morti  dell'una  parte  e  dell'altra,  che  no' si  por- 
rebbe dire,  perchè  no'  conoscevano  1'  uno  Y  altro  per  la  schu- 

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356  ooMBtm. 

rità  della  notte,  e  no* valeva  adimandare,  &  qua  lume.  £  int 
fine  fu  tanta  la  giente  di  Tagliacozo,  e  del  soccorso,  che  ve— 
niva,  che  quella  de  Re  Curadino  fh  mesa  in  fuga,  e  i*  Re  con 
poca  giente  scanpò ,  e  ritornossi  a  Napoli  con  poco  onore ,  e 
con  poca  giente.  »  Croniche  Senesi,  puh.  da  G.  Maconi,  e.  62, 
I,  p.  2,  36.  —  V.  Amari,  La  Guerra  del  Vespro,  e.  m. 

XXVIII.  26.  —  //  tristo  sacco.  —  Lo  stomaco  o  ventrìcolo, 
e  non  T intestino,  come  vorrehbero  i  moderni  commentatori. 
Cosi  intese  il  Varchi  e  gli  altri  cinquecentisti,  che  paiono  og- 
gidì a  noi  parolai;  e  come  pur  V  intende  il  Mantegazza:  Igiene 
deUa  Cticina,  p.  125.  Cavemi, 

XXVIiL  30.  —  Dicendo:  or  vedi  compio  mi  dilaeco.  — 11 
Penta  vorrebbe  che  dilaeco  stesse  per  Dilacdo,  licenza  poe- 
tica :  Vedi  come  si  sbraccia  U  mio  petto  :  a  guisa  di  un  busto  da 
donna,  cui  vengono  tagliati  i  legacci.  Interpretazione  di  alcune 
parole  del  Petrarca  e  di  Dante,  p.  23-27. 

XXVllI.  bò.  Or  di  a  Fra  Dolcin, 

MoRBio  Carlo,  Proposta  di  un  nuovissimo  Commento  per 
dò  che  riguarda  la  storia  Novarese,  Vigevano,  Marzoni,  1833. 
Frate  Dolcino,  p.  9-20. 

Dolcino,  nacque  in  Trontano,  piccola  terra  dell*  Ossola  su- 
periore.  Cacciato  dalla  casa  degli  Umiliati  di  Trento,  prima 
ancora  di  essere  ammesso  alla  professione,  passò  al  servizio 
del  Cenobio  di  S.  Caterina,  ove  sedusse  e  rapi  una  delle  più 
vaghe  allieve  monacande,  chiamata  Margherita.  Dopo  la  morte 
del  Sagarello  da  Parma,  dichiarossi  capo  della  Società  Pseudo- 
Apostolica,  e  scrisse  immantinente  tre  lettere  ad  Universos 
Christi  Fideles,  onorando  il  suo  Maestro  col  titolo  di  Angiolo  di 
Smirncy  e  so  stesso  appellandosi  Angiolo  di  Tiatira  :  in  quelle» 
col  viziare  a  suo  modo  i  testi  delie  sacre  carte,  diede  prova  di 
qualche  ingegno  e  dottrina,  ma  più  ancora  di  somma  depravazione 
di  cuore.  Lasciate  le  Alpi  di  Trento,  ov*  erasi  ridotto  a  dogma- 
tizzare, Dolcino,  sotto  gli  auspicii  dei  conti  di  Biandrate,  nel- 
Tanno  1304  comparve  a  Gattinara,  e  passando  oltre  al  così 
detto  piano  di  Cordova,  v*  eresse  alcime  trabacche,  riparando 
al  bisogno  entro  al  castello  posto  sulla  sommità  del  monte;  di 
là  prorompeva  con  frequenti  scori^rie  nel  castello  di  Serravalle, 
ove  fece  alcuni  proseliti,  tra  i  quaU  il  Parroco  ed  i  Rettori  del 
comune.  Passata  di  poi  a  guado  la  Sesia,  ricoverossi  nella 


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OOMBNTI.  357 

rocca  di  Robiallo,  tenuta  allora  dai  conti  di  Biandrate;  cedendo 
agV  inviti  di  Milano  Sola  occupò  le  Alpi  del  Vallone  di  Val* 
nera,  e  dietro  a  queste  la  Parete  calva  che  fortificò,  intro- 
ducendovi la  numerosa  sna  squadra  di  oltre  a  5000  satelliti, 
tra*  quali  prìmeggiavaDO  la  bella  Margherita,  Longino  da  Ber- 
gamo, Federico  da  Novara,  Walderico  da  Brescia,  Alberto  Tar 
rentino.  Qui  Dante,  che  visse  a  que*  tempi,  ci  fa  conoscere  quante 
dovevano  essere  la  fòrze  di  Fra  Doicino,  e  quanto  vantaggiose 
le  posizioni  da  lui  scelte,  dicendoci,  che  sarebbe  stato  molto 
difficile  il  prenderlo  con  altro  mezzo,  se  non  se  colla  fame.  Il 
Morbio  d  racconta  i  fatti  successivi,  la  rotta  del  23  Marzo  1307 
nel  piano  di  Stavello,  V  avvenuta  cattura,  la  sentenza  pronun- 
ziata nella  chiesa  de'  Domenicani  di  Vercelli,  ed  il  supplizio 
eh'  ebbe  luogo  sulla  spiaggia  del  fiume  Cervo.  (V,  Mxn.  Dani,  n, 
796;  IV,  396). 

XXVIII.  74.  —  Lo  dolce  piano  Che  da  Vercello  a  Marcabò 
dickina.  —  Marcabò  fu  un  antico  castelletto,  posto  là  dove  il 
Po  mette  in  mare,  quindi  ali*  estremità  di  Lombardia.  Vercelli 
all'  incontro  n'  ò  il  principio.  Ottimamente  Dante  chiamò  lo  dolce 
piano  quello  che  da  Vercelli  si  protende  in  avanti.  Morbio,  — 
V.  T.  Tasso,  Alcune  illustri  prose,  Venezia,  1825,  p.  17. 

XXVIIL  90.  —  Non  farà  lor  mesUer  noto  né  preco.  — 
Quanto  al  vento  di  Focaia,  non  sarà  lor  bisogno  fai*e  preghi, 
perchò  di  già  saranno  annegati  innanzi  che  si  venga  a  quel 
vento.  Borghini, 

XXIX.  31  e  seg.  —  La  violenta  morte  Che  non  gli  è  ven^ 
dicaia  ancor,  disseto,  Per  alcun  che  deltonUi  sia  consorte.  •— 
Con  la  parola  consorti  si  designavano  i  membri  d'uno  stesso 
parentado ,  i  consorti  o  compartecipi  del  medesimo  sangue  : 
ma  poiché  la  consanguineità  fu  appunto  seme  di  egoismo  e 
inimicizia,  una  parola  destinata  all'amore  divenne  ministra 
dell'odio,  e  consorti  dell'offesa,  della  vendetta,  ecc.  si  dissero 
tutti  que'  membri  di  un  parentado,  che  sentivano  come  pro- 
pria r  ingiurìa  fatta  a  un  solo  di  loro,  e  tutti  insieme  s'erano 
stretti  e  giurati  a  vendetta  contro  qualunque  del  parentado 
avverso,  senza  eccezione  di  tempi  o  luoghi  o  persone.  Persino 
TAlighierì,  in  quella  stessa  bolgia  dove  punisce  le  discordie 
religiose  e  cittadine  e  domestiche,  trovando  uno  de'  suoi  rìs- 
sosi  e  vendicativi  parenti.  Gerì  del  Bello,  non  sa  tenersi  dal 


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358  GOMKNTI. 

dolore  pensando  che  la  morte  cruenta  di  quel  feroce  non  era 
stata  ancor  vendicata  da  nessuno  del  parentado.  Perete  783. 
XXIX.  121.  —  Or  fu  giammai  Gente  si  vana  come  la 
Sanesef  Certo  non  la  Francesca  si  (Tassai.  —  Purg.  xiii,  151. 
Tu  gU  vedrai  ira  quella  gente  vana  Che  spera  in  Talamone. 
—  L*  Alighieri  chiama  replicatamente  vani  i  sanesi ,  unendoli 
a  confronto  coi  Franceschi,  dai  quali,  e,  precisamente  dai  Galli 
Swoni,  l'opinione  di  alcuni  scrittori  dei  passati  secoli  e  la 
tradizione  cittadina  li  fa  derivare:  e  certamente  pregi  e  difetti 
comuni  ai  Francesi  i  Sanesi  ne  hanno  non  pochi:  Il  che  con- 
ferma anche  il  comeutatore  di  Dante  Benvenuto  da  Imola, 
appoggiandosi  air  autorità  del  poeta  e  a  quella  di  Giov.  Sali- 
sbmHense  :  «  quia  sanenses  in  lineamentis  membrorum,  et  for- 
mositate  facìei  et  gratia  coloris  et  morìbus  ipsis  videntur  ap- 
propinquare ad  Oallos!  D'Ancona,  Nuova  Antologia,  Geno. 
1874,  p.  48. 

I  Sanesi  erano  tenuti  per  gente  vana  anche  due  secoli  dopo 
Dante.  Al  tempo  dell*  incoronazione  dì  Leone  X  venne  a  Roma 
a  congratularsene  una  deputazione  di  Sanesi ,  i  quali  fecero 
attendere  lungo  tempo  il  Papa  ed  i  Cardinali  prima  di  com- 
parire. Si  scusarono  del  loro  ritardo  con  dire  :  se  esse  Satten- 
ses  et  more  senensi  fecisse:  di  che  molti  degli  astanti  fecero 
tale  parodia:  Se  esse  fatuos  et  more  fatuo  fecisse.  Vita  di 
Leone  X  del  Fabroni ,  nota  24.  —  Marco  Eenieri,  V  Apatista 
di  Venezia,  15  Sett.  1844,  n.  37. 

II  Todeschini  tiene  per  certo  che  ci  si  continui  il  discorso 
dì  Dante,  ed  espone:  certo  non  la  francese  si  a  gran  pessa: 
ovvero  più  pienamente  :  certo  la  francese  non  è  cosi  vatia  a 
gran  pezza. 

XXIX.  127.  —  ^  Nicolò,  che  la  costuma  ricca.  —  Nicolò 
de'  Salimbeni.  I  Salimbeni  erano  ricchissimi.  Nelle  Cronache 
senesi ,  pubbUcate  dal  Maconi ,  trovo  che  :  '«  veneno  i  Fioren- 
tini per  fornire  Monte  Alcino,  e  fornito  che  Tebeno  con  tutti 
i  loro  collegati  s'acamparo  a  Monte  Aperto  tra  la  Malena  e 
la-  Biena ,  e  feceno  si  gran  campo  eh*  erano  più  di  vinti  mi- 
gliaia di  persone;  e  mandoro  ambasciatori  a  Siena,  e  mandoro 
a  dire  che  li  davano  tenpo  tre  di  a  rendersi,  e  se  non  s*ar«i- 
devano  gli  metarebono  a  stermino  ,  e  volevano  rompare  ìe 
mura  per  none  entrare  per  li  porti.   E  venuti  gì*  inbasdadorì 


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COMBNTI.  359 

a  Siena,  a  sonato  a  consegUo,  si  raunò  el  Consiglio  de*  Vin- 
tiquattro ,  e  veduto  che  '1  cornano  non  aveva  denari ,  misser 
^alinbene  Salinbeni  profferse  cento  miglia  di  fiorini  al  comune 
e  alla  difesa  della  città,  e  che  si  mandasse  per  essi.  E  subito 
andoro  a  casa  Salinbeni,  e  misono  questi  cento  miglia  di  fio- 
rini sur  un  carro  coperto  di  scarlacto,  e  molti  ulivi  in  mano 
([negli  6  quali  guidavano  el  carro,  e  venero  su  la  piazza  To- 
lomei,  e  tutti  questi  denari  misero  nel  mezo  della  chiesa  di 
Saneto  Crìstofano.  E  misere  Salinbene  si  levò  suso  e  disse 
a'  suoi  compagni  Vintiqnattro,  che  si  solcfasse  giente,  e  che  non 
si  mirasse  a  danari ,  che  quando  quegli  saranno  logri ,  ne 
prestarebbe  altrettanti.  »  —  V.  Man.  Dani,  iv,  397. 

XXX.  28.  —  In  sul  nodo  Del  collo.  —  L' espressione  del 
nodo  del  colio  ò  vivissima  sulla  bocca  del  popolo  toscano,  in 
significato  di  nuca.  E  qui  intendesi  la  colonna  vertebrale  dei- 
Tasse  cerebro-spinale.  Il  nodo  del  collo  è  una  parte  della  nuca, 
ed  è  quella  dove  l'atlante  s'articola  colla  epistrofea.  La  lus- 
sazione di  quelle  vertebre  sappiamo  essere  mortale,  perchè 
corrisponde  ivi  il  punto  vitale  di  Flourens  nel  midollo  spinale: 
perciò  rompasi  il  collo  è  lo  stesso  che  cadere  di  morte  istan- 
tanea per  quella  cagione.  Dante  adunque  e  il  popolo  toscano 
sapevano  bene  per  esperienza  quanta  squisitezza  di  vita  fosse 
nel  nodo  del  collo,  e  apparisce  dalla  pena  degV  indovini  i  quali 
sono  in  una  continuata  lussazione  dell'  atlante  e  perciò  in  pena 
di  morte  continua.  Apparisce  dal  tormento  dell'Arcivescovo  al 
quale  Ugolino  rode  là  've  il  cen>el  s'ctgggiunge  colla  nuca,  cioè 
fra  r  atlante  e  l' occipitale  e  arriva  col  dente  insino  al  midollo 
nel  punto  vitale:  pena  atroce  di  morte .^  Caverni,  La  Scuola, 
1,  229. 

XXX.  49.  e  s€^.  —  l'vidi  un  fatto  a  guisa  di  Unto.  — 
Il  valore  di  un  vocabolo  non  sancito  ilall'  uso ...  è  un  valore 
nullo,  come  di  moneta  che  non  ha  corso.  Rosmini.  —  Per  ciò, 
cementa  assennatamente  il  Perez,  forse  l' Alighieri  pone  nell'  ul- 
tima delle  bolge  i  folsatori  di  parola  presso  i  falsatori  di  moneta, 
e  quelli  ancor  più  bassi  di  questi,  considerando  la  parola  come 
spirituale  moneta,  come  stromento  prìncipalissimo  al  commercio 
delle  intelligenze  e  de' cuori  umani.  Né  a  caso  tra  l'ignobile 
rissa  del  breeciano  monetiere  Adamo  e  il  greco  traditore  Sinone, 
questi  dice  all'altro:  iS'to  dissi  falso j  e  tu  falsasti  il  conio 


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360  OOMBNTI. 

(▼.  115).  Nò  a  caso  il  monetiere,  scfaernito  per  la  sete  onde 
lo  cruccia  il  tormento  dell'  idropisia^  nota,  a  vendetta  e  strazio, 
nello  schernitore  una  sete  ancor  piii  affannosa  eccitata  in  lai  dkl 
tormento  della  febbre,  e  i  fumosi  vapori  in  cui  la  febbre  lo 
avvolge  (ivi,  124-129).  Perocché  se  air  inoaiabile  avarizia  di  chi 
fiUseggia  la  moneta  ben  s*  accomoda  T  oraziana  similitudine 
dell'  idropico  (Od.  L.  ii,  2) ,  ai  &ticoei  raggiri  e  alle  vane  in- 
venzioni di  chi  falsifica  la  parola  ben  s*  addice  il  brucior  dolo- 
roso e  r  inquieto  vaneggiar  del  febbricitante  :  pene  suggerite 
forse  dal  Profeta ,  cAe  de'  bugiardi  e  de'  calunniatori  grida  : 
Caput  circuitus  eorum;  labor  labiorum  ipsoruan  operiet  eos^ 
cadent  super  eos  carbones  (Ps.  cxxxix,  10,  11).  Peret,  111. 

XXX.  76.  —  Ma  s' io  vedessi  qui  Vanima  trista  Di  Guido, 
d Alessandro.  —  Il  Troja  per  aprirsi  il  campo  ad  ofirìrci  un 
Alessandro  da  Romena  legato  con  istretti  vincoli  alFAlighieri, 
e  diverso  dall'Alessandro  I  ch'ebbe  parte  alla  falsificazione 
del  fiorino  f  scoperta  nel  1281,  prese  a  mostrarci  due  diversi 
Aghinolfi  fratelli  de'  due  diversi  Alessandri ,  V  uno  de'  quali 
morisse  nel  1300,  l'altro  vivesse  fino  al  1338  e  fosse  padre 
di  Uberto  e  di  Guido.  Ma  invece  il  Todeschini  pienamente  di- 
mostra colla  scorta  di  solenni  difdomi,  che  i  due  pretesi  Aghi- 
nolfi non  sono  che  un  Aghinolfo  solo,  fratello  di  Guido  e  di 
Alessandro,  ifalsatori  del  fiorino,  vissuto  fino  a  tarda  età,  padre 
di  Guido  e  d' Uberto  premorti  a  lui,  e  d' altri  parecchi  figliuoli 
nominati  nel  suo  testamento  del  1338.  V.  Todeschini,  Rela- 
zione di  Dante  con  Alessandro  da  Romena,  i,  211-59. 

XXX.  78.  —  Per  fonte  Branda  non  darei  la  vista, 

Tancredi  pbop.  Giusjeeppb,  Di  una  nuova  interprelasiane 
sulla  fonte  Branda  nominala  da  Dante.  Il  Buonarotti,  1872, 
Quad.  xii,  p.  421. 

Nel  Casentino  vi  h^  una  contrada  denominata  V  Uomo 
morto,  a  mezz'ora  di  canunino  dal  castello.  Poco  sopra  alla 
via  provinciale  anche  og^dl  si  vede  sorger  alto  un  cumulo 
di  sassi,  il  quale  dicesi  tuttora  la  macia  dell'uomo  morto, 
la  quale  denominazione,  secondo  la  tradizione  che  vi  corre, 
riguarda  il  tragico  fine  di  maestro  Adamo,  cui  giustizia  in- 
corrotta e  sapientissima  consegnava  alle  fiamme,  lasciando  negli 
agi  e  nelle  feudali  prepotenze  i  conti  di  Romena  corruttori 
dell'artista  bresciano.  Sopra  questa  tradizione  il  P.  Antonio 


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ooìunti.  361 

Bartolmi  (Cecchino  e  Nunzia,  ovvero  Ancora  e'  é  che  ire,  Fi- 
renze, PolTerini,  1872),  stabilisce  che  in  quell'altura,  suOa 
pubblica  via,  innanzi  al  castello,  ad  esempio  e  terrore  di  tutta 
la  provincia,  fosse  messo  a  morte  lo  sciagurato  maestro.  Sono 
però  preziose  notìzie  che  dà  il  Bartolini  sulle  odierne  condi- 
zioni del  castello,  e  su  la  vera  fonte  Branda  alla  quale  allude 
i'  assetato  maestro  Adamo.  Ecco  Romena ,  scriv*  egli,  ecco  le 
torri,  in  cui  riponevano  la  loro  sicurtà  e  dentro  alle  quali 
pronunziavano  gli  spietati  giudizi,  e  compivano  le  sanguinose 
vendette  i  crudeli  feudatari.  Avvi  tuttora'  il  cassero,  nelle  cui 
mure  massiccie  si  può  vedere  V  incastro  del  ponte  levatoio,  e 
i  fori  per  cui  scorrevano  le  catene  che  servivano  a  sollevarlo 
e  abbassarlo.  Nel  fondo  poi  della  seconda  torre  situata  ad 
ostro-scirocco  della  prima,  rimane  tuttora  un'orrenda  stanza 
a  cui  si  aveva  accesso  soltanto  da  un'  angusta  bòttola  situata 
nel  centro  della  sovrapposta  volta,  d'onde  vuoisi  inferire  che 
ella  fosse  un  carcere  spaventoso.  Alla  distanza  di  circa  cento 
cinquanta  metri  da  quella  torre,  nella  direzione  stessa  di  ostro- 
scirocco,  si  vedono  gli  avanzi  di  una  fonte  ora  inaridita,  e 
detta  dagl'indigeni  fonte  Branda,  nome  che  non  può  ornai 
porsi  in  dubbio  dopo  un  ricordo  del  cinquecento  trovato  nel- 
r archivio  di  S.  Pietro  a  Romena.  In  un  libretto,  o  meglio  in 
un  fascicolo  di  poche  pagine  manoscritte  si  leggeva  l' elenco 
degli  ascritti  ad  una  pia  confraternita  fondata  in  quella  pieve. 
Oltre  la  serie  de'  cosi  detti  fratelli,  eranvì  pure  alcuni  ricordi 
deUe  cose  memorabili  avvenute  nella  parecchia,  tra  le  quali:  (16 
Nov.  1599),  si ammenta  che  neWanno,..  avvenne  un  grande 
ierremuoto ...  il  tempio  di  S,  Pietro  si  spacho  (sic),  e  V  ospi- 
(ale  di  S.  Maria  Maddalena  fu  gitasto  dalla  parte  che  guarda 
fonie  Branda, 

XXX.  102.  —  Epa  croia.  —  Croio ,  vuol  dire  duro  e  che 
non  consente,  grosso  e  rigonfiato.  Fazio  degli  liberti  chiamò 
gli  oltramontani  gente  croia;  e  il  Bonichi  nelle  sue  canzoni 
morali:  Quel  che  parli  per  la  croia  gente,  cioè  tonda;  ma  piti 
aperto  nella  Tavola  Ritonda:  Certo,  Sire,  disse  lo  scudiere, 
questi  ò  un  cavalier  duro  e  croio,  il  quale  è  in  grande  pec- 
cato; e  il  Passavanti:  come  i  Tedeschi,  Ungheri  e  Inghilesi, 
i  quali  col  volgare  bazzesco  e  croto  lo  incrudiscono.  Borghini. 

La  pancia  dell'  idropico,  che  pel  troppo  umore  s'ò  indurata 


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362  eomNTi. 

e  tesa^  e  non  è  più  cedevole,  ma  si  è  nella  propria  tensione 
irrigidita  sicccome  cuoio.  Croia,  in  Provenzale  croi,  deriva  da 
corìum.  Nannucci. 

XXXI.  24.  —  Nel  maginare  abborri,  —  Nel  verbo  abbor-^ 
rire  ò  in  radice  Y  horror,  voce  che,  cori  nel  latino  come  anco 
neir  italiano ,  significa  quel  disordine  e  quello  scompìglio  e 
quaci  rabbuffo,  che  induce  nelle  membra  e  specialmente  nella 
pelle  e  ne'  peU  V  interiore  turbamento  dell^  animo  ;  donde  se  ne 
fece  il  verbo  horripilare.  —  Immaginazione  che  abborra  è  ima- 
ginazione che  si  disordini  e  si  scompigli.  Nelxxv  dell'Inferno 
e  nel  xxvi  del  Paradiso  il  verbo  abborrire  ha  la  significazione 
comune  di  riprovare  con  atto  passionato  una  cosa,   Cai>emi. 

XXXI.  49.  —  ... .  Quando  lasciò  V  arte  IH  si  fatH  animali, 
—  Animali  chiama  Dante  i  Giganti,  che  stanno  all^orlo  del 
pozzo,  sopra  le  ghiaccie  infernali.  Anche  il  popolo  chiama  ani- 
male e  animaìaccio  uzta  persona  stupida  e  immonda.  Stupidi 
infatti,  in  pena  del  loro  orgoglio,  descrive  Dante  i  Giganti; 
ed  essi  che  vollero  fermare  i  piedi  sulla  stabihtà  de'  monti  a 
dar  la  scalata  a'  celesti ,  debbono  ora  contentarsi  di  posargli 
a  disagio,  con  timore  continuo  di  sdrucciolare,  senza  potersi 
aiutare,  assendo  legati  sulle  sporgenze  ronchiose  de*  massi, 
che  escono  intorno  dal  muro  del  pozzo.  Per  queste  sporgenze 
scese  giù  Anteo,  come  per  scala,  a  posare  sidle  ghiacce  i  Poeti. 
E  questo  vo*  che  sia  detto  a  que'  comentatori,  che  non  ba- 
dando alle  misure  geometriche  dell' edifizio  infernale,  credono 
che  i  Giganti  posino ,  sopra  le  ghiacce ,  la  fermezza  de*  piedL 
Cavemù 

XXXI.  58.  —  La  faccia  sua  mi  parea  lunga  e  grassa^ 
Come  la  pina  di  San  Pietro  a  Roma.  —  Valicato  il  ponte 
Sant'  Angelo,  entravasi  nel  portico  da  Leone  IV  già  fabbricato, 
il  quale  dal  ponte  metteva  alla  basiUca  di  S.  Pietro,  e  che, 
tuttoché  guasto  dalla  vecchiezza  e  dalla  mano  degli  uomini. 
sappiamo  che  durava  tuttavia  in  piedi,  poiché  se  ne  fa  ricordo  in 
una  bolla  di  Clemente  V  del  131 1.  Da  questo  portico  che  correva 
lungo  la  via,  l'Alighieri  giugneva  all'  altro  portico  quadrato  che 
serbava  l' antico  nome  di  Paradisus,  il  quale  si  apriva  innanzi 
il  tempio  vaticano  di  Costantino,  prima  che  tutto  si  rinnovel- 

lasse  per  opera  di  Giulio  II  e  de'  succeduti  pontefici E  sotto 

il  portico    di  Vaticano   Dante   ammirava   la   grande  pina  di 


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couam,  363 

bronzo  posta  per  antico  ad  adornare  la  cima  del  mausoleo  di 
Adriano,  e  da  papa  Simmaco  sul  principiare  del  secolo  VI  col- 
locata colà  ad  ornamento  d' una  fontana  che  sorgeva  all'  in- 
;n*esso  del  celebratissimo  tempo.  Questa  pina,  insieme  con  due 
pavoni,  pure  di  bronzo,  è  ora  nella  sala  del  nicchione  di  Bra- 
mante nel  giardino  che  sta  in  mezzo  a*  musei,  e  che  da  quella 
ha  nome  di  gtardin  delia  pigna,  —  Achille  Monti,  Dante  e 
Roma,  Strenna  del  Giornale  «  Arti  e  Lettere  »  18  e  seg. 

XXXI.  67.  —  Rafél  mai  améch  zabi  almi,  —  Veggasi  T  in- 
terpretazione a  p.  76.  (V.  Man,  Dani,  ii,  306;  iv,  162). 

XXXI.  77.  —  QuesU  è  Nembrotto,  per  lo  cui  mal  coto, , , . 
Nannucci  Vincenzo,  Sopra  la  parola  Coio  usata  da  Dante 

nel  e.  XXXI  delT  Inferno  e  nel  e,  m  del  Paradiso,  Osservazioni. 
Fii*enze,  Le  Monnier. 

«  Bene  adoperarono  tutti  gì'  interpreti  che  diedero  alla  vocov 
coto  il  significato  di  pensiero,  se  non* che  errarono  nell'asse* 
gname  la  discendenza  ;  non  essendo,  come-  mi  sembra,  una  sin- 
cope nò  di  cogito  nò  di  cogitata.  Se  io  dicessi  coto  ò  sincope 
(ii  cotato,  ossia  cogitato,  preso  come  participio  sostantivo,  cioò 
per  colamento,  o  cogitamento  o  pensiero,  non  direi  cosa  nò 
c-ontro  regola,  nò  contro  ragione. . . .  Ora,  che  coto,  se  pur  non 
si  voglia  una  sincope  di  cotato,  non  sia  il  citt  dei  Provenzali 
nessuno  me  lo  leverà  del  capo.  » 

XXXII.  30.  —  Non  arma  pur  daltorlo  fatto  cricch.  —  Nel 
cioncarli,  i  pani  della  neve,  a  volte  fanno  cri  cri  come  cri- 
stalli :  anco  iscagliano  (schizzano)  come  il  marmo.  —  E  non  ò 
questo  il  cricch  usato  da  Dante?  E  più  al  proposito,  altrove 
intesi  dire  :  Il  castagno,  quando  ha  fatto  cricch  (che  un  po'  si 
è  pinato  alla  forza  del  vento),  é  in  terra:  guai  se  comincia 
a  criccare  (il  castagno) ...  La  voce  cricch,  donde  n'  ò  derivato 
criccare,  che  ò  di  un  uso  assai  frequente  nella  Versilia,  T Ali- 
ghieri deve  forse  averla  intesa,  passando  per  que'  luoghi.  Di- 
fatti ricorda  Pieirapana  con  dire,  che  se  quel  monte  fosse 
caduto  sopra  il  ghiacciato  lago  di  Oocito,  questo  non  avria 
pur  daW  orlo  fatto  cricch,  -^  Giuliani,  sul  Vivente  Linguaggio 
di  Toscana,  LeU.  89. 

XXXII.  88.  —  Antenora,  —  Vi  son  puniti  non  pure  i  tra- 
ditori della  patria  che  quelli  che  tradirono  la  parte,  a  cui  erano 
attaccati.  Ai  tempi  di  Dante  era  opinione  che  Antenore  si 


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364  ooiOBiTi. 

tenesse  co'  Greci  a  danno  de*  suoi  cittadini.  Il  vecchio  Villasi, 
in  una  sua  tirata  contro  i  Veneziani,  ch*egU  accusava  di  aver 
tradito  il  comune  di  Firenze,  li  disse  stratH  del  sangue  di  An-- 
tenore,  traditore  della  sua  patria  Troia.  —  Todesdùni,  i,  104. 

XXXII.  122.  —  Tribaldello,  CK  apri  Faenza  quando  a 
dormia, 

VALGiMiaLi  G.  M.,  TebaldeUo  Zambrasi.  —  Memoria  ietta  il 
20  Marzo  1866  alla  Società  Scientifica  e  Letteraria  di  Faenza 
e  pubblicata  negli  Atti  della  medesima. 

Il  Mazzoni  Toselli  prova  con  incontestati  documenti  che 
TebaldeUo  e  non  Tribaldello  fosse  il  nome,  e  Zambrasi  e  non 
Manfredi  il  cognome.  Anche  il  Valgimigli  lo  dice  Tebaldeilo. 
diminutivo  di  Tebaldo,  trovandolo  cosi  appellato  in  molte  carte 
originali.  Egli  poi  ci  narra  per  disteso  della  beffa  accoccatagli 
da  alcuni  dei  Lambertazzi;  di  che  il  desiderio  di  ricattarsi  della 
patita  onta,  e  la  simulata  pazzia  per  venire  a  capo  della  sua 
vendetta,  e  le  pratiche  avviate  per  togliere  ai  Lambertazzi  e 
recare  in  mano  de'  Geremei  la  signoria  di  Faenza.  €  Appres- 
satosi l'esercito  bolognese  alla  parte  di  Faenza,  TebaldeUo 
(fractis  ferramenOs  etjanuis  porte  Emilie  sive  Imoìensis,  guani 
prae  ceteris  conservabat,  in  dmtatem  Faventiacintroduscit.  ..par- 
tem  Oeremiorum  de  Bononia,  cum  omnibus  et  singulis  eorum 
sequacibus)j  si  conduce  difilato  alla  maggior  pia^a,  ove  si 
pone  in  ordinanza  di  battaglia,  mentre  il  Zambrasi,  secondo 
r  usato,  prende  co'  chiavistelli  non  più  a  destare  un  vano  ru- 
more, si  a  chiudere,  quante  può,  case  dei  Lambertazzi,  ed  io 
tal  modo  impedire  l' uscita  a  coloro^  eh'  erano  fatti  segno  della 
sua  vendetta.  Tre  guelfi  introdotti  da  TebaldeUo  a  Faenza,  ci 
viene  il  Gantinelli  additando,  siccome  de'  principali,  Fantolinvm 
et  Tinum  fiUum  D.  Ugolini  de  Fantolino,  caianeos  de  Sa- 
xadeUoy  comitem  Bemardinum  de  Cunio,  fixUrem  Albericum 
et  Manfredum  de  Manfredis,  D.  Guidonem  de  Polenta  de 
Ravenna,  Nordiglos  de  Imola.  —  Entrati  in  Faenza  i  Gere- 
mei, tamquam  leones  avidi  et  intenti  ad  praedam,  ò  il  ghibel- 
lino Gantinelli  che  cosi  ce  li  vien  ritraendo,  ipsam  dxntatent  ir^ 
ruentes ,  quotquot  potuerunt  gladio  occiderunt ,  alios  vulne- 
rantes ,  alios  carceribus  reducentes ,  refectis,  eaopulsis  atque 
fUgatis  omnibus  de  parte  Acharianorum  et  Lambertaodorum, 
quibusdam  em  eis  armatis,  aìiquibus  inermibus^  et  multis  ex 


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couBsm,  365 

ipsis  absque  pannis  et  ealceamentis  pròpriis  ;  e  poco  stante  a 
dir  prosegue,  tamquam  canes  famelici  domos  intrantes  depre- 
daverunt  ecdesicis  insuper  et  loca  religiosa^  et  spedaliter  do^ 
mos  et  eeclesiam  S,  lohannis  evangeUstae  fratrum  eremita-^ 
norum,  €Uqtte  etìam  eeclesiam  S.  Francisci  fratrum  minorum, 
omnibus  rebus  et  bonis  tam  iUorum^  qui  in  ipsis  domibus 
scappaverant ,  quam  etiam  ipsarum  domorum  et  fratrum 
inaudita  immanitate,  et  videte  inhumanitatem  crudelissimo^ 
rum  et  impiorum  christianorum,  qui  non  contenti  bonis  et  re- 
bus  et  substantiis  eorumdem,  ipsos  sacerdotes  et  clericos  et  reli" 
ffiosos  oc  etiam  plurimos  laicos,  qui  timentes  eos  ad  ecclesias 
confuperant,  et  exclamaveruni  in  eisdem,  sicut  homicide  et  omnes 
malefici  possunt  exdamare  et  refìigium  habere  de  jure,  alios 
occiderunt,  alios  mortis  articulo  vulneraverunt ,  alios  duris 
carceribus  intruserunt;  illi  vero,  qui  ex  ipsa  cimiate  Far>entie 
ecaserunt,  reducentes  se  personaUter  ad  Livensium  civitatem, 
ibi  benigne  traclati  fuerunt,  et  tamquam  mater  filios  proprio» 
sunt  recepii,  —  Chiude  infine  la  mesta  narrazione,  ricordando 
ancora,  come  gì'  inveleniti  guelfi  cum  gladiis  et  fUstibus  ecck' 
Siam  et  domos  fratrum  minorum  de  S.  Francisco  circumdantes, 
irrepserunt  quotquot  invenerunt  infanies  ultra  x  (e  dopo  una 
breve  lacuna)....  infra,  qui  confugerunt  ad  eeclesiam,  in  ea 
tam  nequiter  occiderunt,  quorum  innocentium  puerorum  san- 
guis  et  ad  omnipoteniiam  Dei  elevatis  in  altum  vocibus  coti- 
die  damanHum:  adveniat  sanctus  sanctus  sanctus  Domtnus 
Deus  Sabaoth,'  postmodum  vero pHorem  et  fratres  heremitanos 
commorantes  apud  locum  et  eeclesiam  S.  lohannis  Evang eliste 
de  porta  Montanaria  de  ipsis  loco  civitatis  Faventie  nequiter 
expuierunt,  et  etiam  guardianum  (et  fratres  aggiungono  gli 
antichi  annali  di  Forlì),  loci  S.  Francisci.  De  qua  re  magna 
fuit  abominano  cantra  eos  et  inimicos  eorum.  Il  fatto  è  indubita- 
tamente accaduto  il  13  Nov.  del  1280.  —  Anno  M.CCLXXX 
indictione  Vili,  così  il  Cantinelli ....  ex  abundantia  cordis  os 
loquitur,  et  nefandissimam  injuriam  et  offensam  crudelissimi 
ThebaMelU  de  Zambraxiis  civis  faventini  narrare  cupiens,  quod 
post  Judam  Schariothe  mercatorem  pessimum  nec  auris  au- 
dive,  oculus  non  vidit,  in  cor  hominis  non  ascendit ,  nec  fuit 
aUquoUens  perpetratum,  Dum  enim  esset  dominus  civitatis 
Faventie,  sicut  et  ceteri  catanei  et  magnates,  qui  fovebantpar^ 


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366  COBONTI. 

lem  Acharixiorumy  et  Lambertacciorum  de  Bononia  common 
rantium  in  eadem^  de  quo  etiam  omnes  ^fopulares  et  amiri 
sui  tamquam  de  ipsorum  personis  propriis  confidebani^  facUx 
strage  viventium  amicorum  suorum^  deliberato  consìUo  et  as^ 
sensu  cum  illis ,  qui  suam  patemam  et  fraternafn  earnem 
manducaverant  (intendi  i  guelfi,  da*  quali  erano  stati  morti 
il  genitore  ed  un  fratello  di  lui),  tractatuque  habito  cum  part^ 
Geremiorum  de  Bononia  et  eorum  sequaàbus  de  Romandiola^ 
tamquam  Herodes  et  Pilatus  facti  sunt  amici,  E  lo  stesso 
Cantinelli  dopo  aver  riferito^  cbe  de  mense  novembri^  in  tnane 
summo  Tebaldello  introdusse  i  guelfi  in  Faenza,  soggiunge  : 
Ante  horam  tertiam  (cioò  innanzi  alle  ore  nove  aotim.)  Herodes 
et  Pilaius  facti  sunt  amici  in  die  mercurii  XI JI  novembi-is. 
Se  ò  a  credersi  al  Rambaldl,  Tebaldello,  Hcet  nobiUs,  tamen 
spurius  erat,  unde,  continua  a  dire  quelFesiinio  comentatore, 
adhuc  diciiur  in  partibus  meis  (nella  bassa  Romagna)  quando 
tidctur  unìiSy  qui  habeat  malum  aspectum:  Iste  videtur  ilU\ 
qui  Faventìam  prodidit.  Non  è  punto  a  dubitare  che  in  guider- 
done del  suo  tradimento  Tebaldello  conseguì  d*.essere  con  tutta 
laBua&miglia  e  con  quella  dell' amico  Gberardone,  condotto  a 
Bologna,  ed  aver  ivi  avuto  cittadinanza  e  beni. 

Il  Mazzoni  Toselli  accenna  che  in  un  indice  delle  Rubriche 
degli  statuti  e  privilegi  fatti  anteriormente  al  1288  si  legano 
due  partite  risguardanti  ai  Zambrasi  di  Faenza: 

Rub.  Quod  frater  ZambraoDius  et  ahi  de  ZambraxUs  de 
Faventia  sint  cives.  Fol.  3. 

Rub.  Quod  Zambraxina  TebcUdelli  de  Faventia  intelUgatur 
in  protectione  Comunis.  Fol.  3. 

Ma  sembra  che  Tebaldello,  soggiunge  il  Valgimigli,  godesse 
breve  pezza  de'  conferitigli  civili  onori ,  trovandosi  nei  libri 
dell'Archivio,  che  fu,  de'  frati  domenicani  di  Faenza  menu>- 
vato  a' 21  dicembre  1286,  il  Testamento  d'Imeldina  vedova 
di  Tebaldello  Zambrasiy  siccome  esìstente  presso  que'  cenobiti, 
ammirarsi,  atteso  il  ricordo,  ivi  fatto  dipoi  li  18  Giugno  1311. 
del  che  non  è  punto  da  di  Fr,  Tommaso  da  Reggio  priore  di 
S.  Andrea  di  Faenza  e  commissario  del  q.  Tebaldello  q.  Ga- 
ratone  Zambrasi;  donde  s'apprende  il  nome,  da  cui  si  domandava 
la  cotestui  moglie  rimastasi  sin  qui  ignota. 

La  Dissertazione,  del  Valgimigli  è  dettata  con  molta  dili- 


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coiflBrri.  367 

^nza  e  saviezza  di  critica.  Mettendo  egli  a  confronto  cronisti 
:  storici  antichi  e  moderni  riduce,  per  quanto  è  possibile  alla 
itoHca  verità  la  mala  opera  di  Tebaldello,  spoglia  quindi  le 
dtrui  narrazioni  di  quanto  oontengono  in  so  d' imaginario  e  di 
ìBsolutamente  falso:  toglie  dubbietà  ed  equivoci. 

XXXII.  136.  —  Non  eUtrimenU  Tideo  si  rose. ...  —  Non 
regg^o  come  Dante  potesse  esprimere  T  orribile  passo  del  co. 
LJprolino  con  reticenza  piii  efOicace  e  insieme  più  decente,  che 
2olle  parole:  il  teschio  e  r altre  cose;  dove  coli* ultima  voce 
?gli  fa  immaginare  e  pensare  più  ancora  che  non  faccia  Stazio 
colla  tabe  del  capo  di  Menalippo  roso  da  Tideo.  Perez,  183. 

XXXIU.  75.  —  Poscia,  più  che  7  dolor,  potè  il  digiuno. 

Dall' AcquuK  Giusti  Antonio^  Se  Ugolino  abbia  mangiato 
ì  figli.  Dialogo,  Strenna  Veneziana,  a.  xu  (  1874),  Venezia, 
Comm^xào. 

Ne'  versi  stessi  di  Dante  ci  ò  il  comento.  Tu  divino,  con- 
chiude il  Retore  dopo  aver  invocato  ad  ascoltare  il  responso 
di  Dante,  osasti  ciò  che  non  avrebbe  mai  osato  verun  altro, 
di  porre  in  scena  un  padre,  che  narra  egli  stesso  di  avere 
cacciato  i  denti  nelle  salme  dei  propin  figli.  Certo,  questo  pa- 
dre non  poteva  dire  con  aperte  parole  una  tal  cosa;  ma  tu 
la  andasti  insinuando  nella  mente  del  lettore,  mostrando  il 
genere  di  castigo  dell'arcivescovo,  e  insistendo  sempre  sul 
Yìxangiare  e  sul  rodere  e  aprendo  il  nuovo  canto  col  fiero 
pasiOy  e  facendo  che  Ugolino  sognasse  di  cagne,  le  quali  negli 
antichi  poeti  sono  nominate  di  spesso  a  proposito  di  corpi 
umani  fatti  lor  pasto^  e  dicendo  che  gli  parve  di  vedere  queste 
cagne  con  le  loro  acute  scane  addentare  i  fianchi  dei  figli. 
Ma  più  che  mai  stupendo  e  singolare  ò  il  passo,  nel  quale  i 
figli  dicono  al  padre  mangia  di  noi,  con  quelle  parole  che 
seguono,  quasi  anticipata  giustificazione  dell'  orrendissimo  fatto. 
Dopo  tutto  ciò,  quando  si  arriva  al  famoso  verso,  esso  è  chiaro 
come  la  luce  del  fulmine,  ed  è  pieno  di  significazione  tremenda 
nella  desolata  ambiguità  della  frase ,  poscia  piii  che  7  dolor, 
potè  7  digiuno^  e  nel  furore,  con  cui  Ugolino,  finito  il  parlare, 
riprese  il  teschio  co'  denti,  cJie  furo  ali*  osso,  come  d*  un  can, 
forti.  Non  si  poteva  dire  di  più.  Vi  è  inoltre  una  parola  che 
doveva  bastar  essa  sola  spiegare  tutto.  Novella  Tebe,  che 
accenna  a  quel  banchetto  che  fece  retrocedere  per  orrore  il  carro 


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368  ooacBEm. 

del  sole,  a  quell'atroce  bandietto,  nd  quale  Tìeste  mangiò  1 

membra  e  bevve  il  sangue  dei  figli. 

ZoBi  Antonio,  Considerazioni  storiah<ritiche  sulla  cati 
strofe  di  Ugolino  della  Qkerardesca  conte  di  Donoratico.  F 
renze,  Le  Mounier,  1840,  in  4^  di  pag.  34. 

•  Monti  Vicbnzo,  Lettere  due,  sulla  vera  interpretazione  d 
famoso  verso  di  Dante  nel  canto  sulla  morte  di  UgoUn 
L'Omnibus  di  Venezia,  1858,  Fase.  41,  p.  283. 

Dopo  alcune  osservazioni  tratte  dal  fondo  vero  d^a  fisi( 
e  della  morale,  «  ecco,  ei  dice,  T  interpretazione,  che  di  videi 
domi  da  tutti  gli  espositori  (e  credo  non  ingannarmi),  io  dò 
verso  in  questione.  Dopo  esser  io  sopravvissuto  tre  giorni 
miei  figli,  dopo  averli  chiamati,  brancolando  già  cieco  sovra 
loro  cadaveri,  finalmente,  più  che  la  forza  del  dolore  e  d 
furore  a  tenermi  vivo,  ti  potente  la  forza  della  fìune  a  dare 
morte.  »  V.  Man.  Dant,^  iv,  401. 

XXXIII.  118.  —  /•  8on  frate  Alberigo,  Io  san  quel  dal 
frutta  del  mal  orto.  Che  qui  riprendo  dattero  per  figo. 

Delia  seguente  illustrazione  storica,  e  di  quelle  altresì  ci 
riguardano  i  Faentini  ricordati  nella  Divina  Commedia,  n 
professo  debitore  al  valente  prof.  Yalgimigli,  Bibliotecario' del 
Civica  di  Faenza,  nelle  patrie  storie  consumatissimo,  ed  insien 
raccoglitore  paziente  ed  assennato,  che  da  me  richiesto,  ce 
gentile  condiscendenza,  fece  sua  vogUa  della  voglia  mia.  D 
che  gliene  rendo  pubbliche  e  sentite  azioni  di  grazie.  Cosi 
nobile  esempio  suo  trovasse  degni  imitatori,  che  ne  verrebi 
agevolata  T  intelligenza  di  tanti  passi  storici  controversi  d 
sacro  Poema  1 

«  È  filma  che  fidate  Alberico  de'  Manfi:«di,  cavaliere  gaudeni 
ardentìssimo  partigiano  di  chiesa,  ed  uno  de'  più  spettabili 
sua  famiglia,  venuto  a  contesa  per  gara  di  dominio  col  coi 
sanguineo  Manfredo,  nel  calore  di  quella  riportasse  dal  cost 
figliuolo,  nomato  Alberghetto,  una  solenne  ceffiaita  (I).  Conce 


(1)  Nulla  di  ciò  ricorda  il  Can tinelli,  tuttavia  l'unanime  sentire  tki 
scrittori,  che  da  codesta  ingiuria  traesse  origine  il  tradimento  ordito  dapì 
per  Alberico,  ci  ha  indotti  a  non  doverla  passare  sotto  silenzio,  avverteno 
rome  intorno  alle  cagioni,  per  cui  suscitossi  la  mentovata  contesa,  avr 
gnaochè  talun  moderno  storico  asserisca  restarsi  ella  del  tatto  ignob 
Benvenuto  da  Imola  però  ci  assicura  che  Manfredi^  cupiditate  re^juan 
strweit  insidiai  Fratri  Alberico.  Et  quttm  devenisset  ad  graves  verbon 


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COMBNTI.  369 

Aiberico  per  queir  onta  odio  si  mortale  contro  Y  offensore,  che, 
laalgrado  degli  uffici  adoperati  dagli  amici  giammai  s'indusse 
in  cuor  suo  a  perdonargli,  e  solo  scorso  alcun  tempo  fè  mo<- 
stra  di  arrendersi  e  di  piegarsi  a'  consigli  di  pace,  mentre  a 
meglio  colorire  l'iniquo  disegno,  che  andavagli  per  la  mente, 
invitò  Manfredo  e  Alberghetto   ad  un    pranzo  che  segui  a'  2" 
Maggio  del  1285  nella  villa  o  castello  di  Francesco  Manfredi, 
posto  nella  pieve  di  Cesato,  e  detto  la  Castellina,  ove,  seccmdocbò 
Alberico  erasi  indettato  con  alcuni  sicari,  quando  il  convito  fu 
in  sul  terminare,  disse  ;  vengano  le  frutta  ;  ad  ecco  in  un  subito 
Ugolino  figliuolo  di  lui  e  il  prenominato   Francesco,  ad  una 
coi  nascosi  scherani,  scagliarsi  co*  pugnali  addosso  a  que''due 
miseri  e  barbaramente  ucciderli.  E  ben  a  ragione  diceva  egli 
Tab.  Maccolini  che  tradimenio  più  atroce  ed  abbominoso  per 
quelle  eia  di  sanguinose  vendette  e  di  rabbia  civile  non  con- 
fantina  per  fermo  le  Faentine  storie,  sicché  la  vituperosa  me- 
moria  di  tanto  misfatto .  stette  di  generazione  in  generazione 
rome  in  popolesco  proverbio  per  tutta  Romagna ,  cioè  a  dire 
ì-'  frutta  di  Frate  Alberico,  o  veramente  le  frutta  del  mal  orto 
a  significare  V  empissimo  dei  tradii^enti  e  il  pessimo  dei  tra- 
ditori.    Il  perchè  codesto  nuovo  Assalone  vien  dall'  Alighieri 
locato  nell'Inferno  tra  uomini  crudeli,  che  tradirono  coloro,  i 
*iuali  in  essi  fidavansi.   A  chiarire  il  grado  di  parentela  che 
passava  infra  gli  uccisi  e  gli  uccisóri,  non  fia  vano  l'accennare, 
«ome  frate  Alberico  (il  quale  non  è  punto  vero,  giusta  l'av- 
viso di  alcuni,  che  nella  sua  ultima  età  diventò  Cavaliere  Gau- 
fìente  j  trovandosi  egli  presente  nel  1267  ai  generali   comizi 
dell'ordine,   siccome  ne  fanno  fede  gli  atti   tramandatici   pel 
Federici  ) ,  era  figliuolo  di  Ugolino  di  Alberico ,   e  vuoisi  che 
menato  avesse  Beatrice  Colonna.   Francesco  nacque  di  quel- 


''yntentionea ,  Manfredus  dttctua  intpetu  iran  dedit  FVcuri  alapam  ma- 
nuam,  scilicet  Fratri  Alberico,  ove  è  a  notarsi  che  V  esimio  coinentatore 
dell*  Alighieri  scambia  Manfredo  con  Alberghetto,  nel  cui  genitore  d  ritrae 
un  ardimentoso  garzone ,  il  quale  poco  stante  volendo  rappatumarsi  col. 
r  offeso,  mostra  doversi  di  leggieri  condonare  tale  onta,  siccome  effetto  d» 
fresca  e  calda  età  :  Manfredus  diant,  qw>d  parcendum  erat  calori  Jwre- 
uili;  ma  ei  s*  inganna,  che  Manfredo  era  uomo  cotanto  maturo  d*anni  da 
avere  oggigiorno  i&  Alberghetto  un  figlio  già  ammogliato,  il  quale  a  detta 
altresì  deir  Azzurìni  diede  alapam  Fratri  Alberico  cupiditate  dominii.  E 
(la  questo  cronista  almeno  apprender  avea  il  Righi  volersi  ad  Alberghetto 
ascrivere  T  ingiuria,  cui,  suUe  orme  del  Tonduoci,  imputa  al  padre. 

21 


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370  OOXBSITI. 

TAlberghetto  d'Alberico,  che  in  una  battaglia  combattuta  firn 
guelfi  e  ghibellini  nel  1275  al  ponte  di  S.  Procolo ,  terrìtorio 
di  Faenza,  caduto  di  sella  e  dai  destrieri  miaerameote  calpe»! 
stato,  a  poco  andare  fini  la  vita.  Riguardo  a  Manfredo  se  la 
mancanza  di  carie  sincroney  ed  il  troncarlo  nei  documenti  sem^ 
pre  rammentalo  senza  il  nome  del  padre ,  ci  tolgono  poter 
con  certezza  additar  V  origine  del  medesimo ,  non  coeì  però 
intravviene  de*  figliuoli  di  lui ,  i  quali  si  furono  Ugolino ,  die 
nel  memorando  fatto  d'arme  seguito  in  Forlì  nel  1282  cadde 
astinto,  e  Alberghetto,  ossia  Albergaccio,  anunogliato  con  Chiara 
di  Niccolò  degli  Algeri.  E  dopo  ciò,  a  maggiore  schiarioiento 
del  fatto,  mette  bene  venir  recando  quanto  su  di  esso  lasciava  me» 
moria  il  Cantinelli  :  Anno  M.CCLXXX  V,  die  mercurii  secundo 
intrante  medio  ocdsus  ftiit  gladio  Manfredus  deManfredis  et 
Albergutius  ejus  filius  cum  eo  simUiter^  et  ipsos  oodderuni 
Frandscus  q.  Albergati  de  Mànfredis  et  Ugolinus  fiUua  fratris 
Alberici  de  Mànfredis  in  presentia  dicH  fratris  Alberici  in\ 
castro  Sezate  supra  Faventiam  in  prandio,  quod  ibidem  fa^ 
debant  in  domo  et  in  castro  D,  Francisci^  dum  ipsi  09nnes 
veniebant  a  confinibus  defivitate  Ravenne  de  UcenUa  D,  Gui- 
lielmi  DuranOs,  comitis  Romanàiole,  ecc.  Secondo  il  patrio 
cronista  adunque  due  soli  fnrono  gli  uccisi ,  né  dietro  V  Az- 
zurini  riputiamo  averne  ad  accrescere  il  numero,  quantunque 
egli  narri  che  de  ordine  fratria  Alberici  ocdsi  fUerunt  Man- 
fradtts  et  Alberghettus  ejua  filius  cum  mulUs  aliis  praeter 
quam  uno^  qui  se  reparatit  subtus  tabulam  conviva  prope 
vestes  fratris  Alberici  ^  quem  jussit  non  interfici,  sed  voluit 
eum  venire-  Faventiam  ad  redtandum  Faventinis  factum.  lu 
sentenza  del  Litta,  era  Manfredo  congiunto  a  frate  Alberico 
con  tai  vincoli  di  ssCngue  da  esserne  fratello,  però  che  al  i-e- 
care  di  lui,  alcuni  hanno  voluto  scusare  il  deliUo  (di  frate 
Alberico),  dicendolo  cugino  non  fratello  a  Manfredo;  ma  la 
cronaca  del  Cantinelli,  scrittore  contemporaneo,  toglie  di  mezzo 
ogni  dubbio.  Se  ciò  sia  consentaneo  a  verità,  lo  giudichi  il 
lettore  dalle  parole  di  esso  cronista  or  ora  riportate,  nelle 
quali  intera  si  chiude  la  narrazione  di  quel  luttuoso  avveni- 
mento: a  noi  intanto  sembra  aversi  ad  andare  in  opposto 
parere.  La  villa,  in  cui  venne  commesso  l'atroce  misfatto,  da 
una  costante  ti-adizione  si  addita  posta  sulla  via  di  Gobba- 


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COMBNTI.  371 

dtno,  al  destro  lato  di  chi  va  alla  pieve  di  Cesato  dalla  strada 
provinciale,  ove  tuttora  mirasi  un  vecchio  e'pressochò  rovinoso 
palagio,  nel  quale  vuoisi  che  seguisse  la  narrata  tragica  scena, 
e  in  coi  ewi  perciò  una  marmoi*ea  epigrafe,  concepita  cosi: 
Qui  —  Alberico.  Manfredi  —  Porse  le  fruita  del  mal  orto.  » 

XXXIIL  124.  —  Tohmea,  —  Io  non  ho  nessun  dubbio  che 
il  nome  della  terza  spera  del  nono  cerchio  derivi  da  quel  To- 
lomeo, figlinolo  di  Abobi,  governatore  della  pianura  di  Gerico, 
il  quale  avendo  tratto  ad  un  grande  convito  Simone  Maccabeo, 
sommo  sacerdote,  e  due  figliuoli  di  lui,  quivi  gli  assassinò, 
c-om^è  narrato  neir  ultimo  capo  dei  Maccabei.  Questa  derivazione 
ilei  nome  della  Tolommea  è  risolutamente  asserita  da  Pietro 
Alighieri . . .  ma  più  ancora  che  Fautorità  di  Pietro,  vale  in  que- 
sto caso  a  risolvermi  il  carattere  dei  due  peccatori,  che  il  poeta 
nomina  fra  i  sepolti  nella  Tolommea,  vale  a  dire  d'  Alberigo 
Manfredi  e  di  Branca  d' Oria,  il  misfatto  dei  quali  combacia  a 
capello  col  tradimento  operato  da  Tolommeo  figliuolo  di  Abobi; 
avendo  dascuno  di  essi  posto  in  opera  il  convito ,  siccome 
mezzo  di  assassinio.  E  da  ciò  prende  lume  non  meno  Torigine 
del  nome  di  questo  luogo,  che  la. qualità  dei  traditori  collo- 
cativi dal  poeta,  i  quali  appaiono  esser  quegli  scellerati,  che 
tradirono  coloro  che  sotto  specie  di  pace  e  d'amicizia  avevano 
accolti  alla  propria  mensa....  Non  è  disdetto  il  credere  che 
rAlighierì  intendesse  qui  relegati  tutti  coloro,  i  quali  violarono 
lier  tradimento  le  ragioni  dell'  ospitalità  da  essi  medesimi  con- 
ceduta. —  Todeschini^  i,  104. 

XXXIII.  110,  150.  —  0  anime  crudeli....  Levatemi  dal 
viso  i  duri  wU ....  s*io  non  ti  disbrigo,  Al  fondo  della  ghiaccia 
ir  mi  convegna..».  Aprimi  gli  occhi:  ed  io  non  glieli  apersi, 
E  cortesia  fu  lui  esser  rnllano. 

Mavbr  Zaccaria,  Dante  accusato  di  mala  fede^  Lettera  Apo- 
logetica. Inserita  nei  Cittadino  di  Trieste,  n.  37,  38,  40,  42. 

Ei  vuol  provare  che  non  pure  T  artifizio  e  la  ripulsa  di 
Dante  tornano  a  completa  sua  discolpa  e  a  suo  onore,  ma,  che 
lungi  dal  risolversi  in  una  befia  e  una  punizione,  furono  anzi  per 
lo  meglio  di  Alberigo.  —  Promettere,  ma  perchè  non  si  potesse 
dire  a  buon  diritto  mentitore,  annullare  tosto  la  promessa,  trar 
partito  dalla  cecità,  del  dolore,  della  precipitazione,  della  falsa 
f'i^enza  di  Alberigo  e  confermamelo  in  questa  col  proprio 

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372  COMBNTI. 

contegno,  fu  lo  stratagemma,  la  gherminella  salutare  e  neces- 
saria che  lo  preservò  da  peggiore  trattamento.  E  questa  fu 
cortesia^  sebbene  i  modi  considerati  in  so  stessi  portino  l'im- 
pronta del  villano  che  giuoca  di  parole.  E  qualora  Tatto  vil- 
lano si  ponga  in  diretta  relazione  col  non  aprire  degli  occhi, 
ansiosamente  aspettato,  fors*anco  meritato  da  Alberigo,  non 
però  promesso  da  Dante,  allora  oltre  a  ciò  fu  cortesia  (non 
odio  o  vendetta)^  T avergli  risparmiata  la  conoscenza  dì  colai 
al  quale  si  era  palesato  e  confessato  :  conoscenza  atta  a  farlo 
imprecai^e  air  istante  in  che  aveva  implorato  quel  fuggevole 
ristoro. 

«  Quanto  a  frate  Alberigo,  dico  che  fu  vera  cortesia  quella 
di  non  mantenergti  la  promessa,  e  nella  inevitabile  alternativa 
di  due  mali,  fai*  che  patisse  il  minore.  Perocché  Frate  Alberigo, 
acciecato  dal  ghiaccio,  non  vide  che  Dante  era  vivo,  né  pensò 
quindi  eh'  ei  poteva  ripoi*tare  sue  novelle  nel  mondo.  Ond*  è  che 
se  Dante,  giusta  la  promessa^  lo  avesse  liberato  dall' impedimento 
che  gli  toglieva  la  vista,  gli  avrebbe  anche  ad  un  tempo  levato 
r  eiTore,  in  cui  era,  da  Dante  fosse  ombra  dannata  ;  e  così  la 
conoscenza  del  vero  gli  avrebbe  arrecata  assai  più  pena  che  il  noa 

potere  sfogare  il  cuore  con  le  lagrime La  promessa  di  levare 

d' in  su  gli  occhi  di  frate  Alberigo  il  ghiaccio,  fu  uno  spedienie 
necessario  a  risapere  chi  egU  era.  Il  non  mantenerla  poi  fu  una 
cortesia  vera  ;  dappoiché  il  conforto  di  potere,  tolta  dal  viso  la 
crosta  gelata,  per  pochi  istanti  lagrimare,  era  un  nulla  verso 
il  cordoglio  che  dato  gli  avrebbe  il  sapere  di  essersi  palesato  a  chi 
dovea  tornare  tra' viventi.  Bensì  a  frate  Alberigo,  cieco  com'era, 
doveva  parere  fraudolento  e  villano  l'atto  di  Dante. . . .  Aggiungo 
che  Dante  non  fu  nemmeno  mancator  di  parola  per  fin  di  bene  ; 
perchè  il  suo  sacramento  fu  veramente:  Dimmi  cfU se\  e  s'io 
non  ti  disbrigo  Al  fondo  della  ghiaccia  ir  mi  convegna,  E 
Dante  in  fatti  va  poscia  al  fondo  della  ghiaccia  ;  perchè  passa 
pel  centro  della  terra,  cioè  per  quel  punto  Al  qual  si  iraggon 
d' ogni  parte  i  pesi.  E,  memore  della  sua  promessa,  dice  al 
maestro  :  ov*  è  la  ghiacciai  E  la  ghiaccia  gli  era  sopra  il  capo.  » 
Pasqualigo,  Le  quattro  giornate  del  Purgatorio,  ecc.  Venezia, 
Grimaldo,  1874,  p.  10-15. 

XXXllI.  151.  —  Ahi  Genovesi  uomini  dit>ersi,  —  A  to- 
ghere  una  lezione  inverisimile  talora  basta  una  virgola.  lu 


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COMENTI.  373 

questa  terzina  tutti  leggono  diversi  d*  offni  costume  :  frase  che 
certamente  ha  dell*  insneto.  Chi  ricordi  i  lamenti  diversi  uditi 
in  Malebolge,  e  il  nuovo  pensiero  dal  quale  più  altri  nacquero 
e  diversi,  e  soprattutto  quel  Cerbero  fiera  crudele  e  diversa, 
uon  ricuserà  di  porre  una  virgola  tra  il  primo  verso  e  il  se- 
<'ondo  della  terzina,  leggendo  :  Ahi  Genovesi,  uomini  diversi, 
D^  ogni  costume,  e  pien  eT  ogni  magagna, ...  E  benché  serva  ad 
accrescere  il  numero  dei  vituperi  scagliati  dal  poeta  fiorentino 
addosso  a'  Genovesi  ;  io  non  ripugno  ad  accettarla  siccome 
vera  :  io  nato  nella  Liguria,  non  molto  lungi  da  Genova  ;  della 
<)ual  città  scrisse  a  ragione  il  Giordani  :  «  che  sino  agli  estremi 
tempi  raccese  alcuna  face  di  virtù  italiana.  »  Prof.  Grosso. 

Verso  da  molti  franteso  e  da  alcuni  non  a  sufficienza 

chiarito Diverso,  non  vuol  essere  preso  per  aggettivo,  ma 

per  participio  alla  latina  dal  verbo  diverto,  e  devesi  dire  :  Ahi 
Genovesi  che  vi  siete  usciti,  vi  siete  allontanati  da  ogni  costume, 
avete  abbandonato  la  via  regia  e  maestra,  dandola  per  tragetti, 
e  per  le  vie  traverse  che  dai  latini  erano  precisamente  chia- 
mate diverticula.  —  C,  Beccaria,  Il  Borghini,  ii,  n.  14,  15  gen. 
1876,  p.  232-34. 

XXXIV.  25-27.  —  Io ^ non  morii,  e  non  rimasi  t?ti?o...  — 
«  Pntari  non  potest  eum  sententiam  hanc  ab  Euripide  accepisse, 
sed  naturaa  suae  divinitate,  idem  quod  antea  tragicus  ille  ma- 
gnus  viderat,  et  ipsum  vi  disse:  locus  autem  hic  est,  cum  expri- 
mere  vellet  subitum  qnendam  ingentem  metum,  qui  animum 
ejns  oocupavit,  visa  horribili  re,  vel  potius  audito  sermone 
doctoris  sui,  qui  timore  ipsum  impleverat.  »  Pier  Vettori,  Var. 
Lect  XXXI,  21. 

XXXI V.  94.  —  Levati  su,  disse  il  maestro,  in  piede:  La 
via  è  lunga ,  e  7  camino  è  malvagio ,  E  già  il  sole  a  meiza 
terza  rieds,  —  Quando  Virgilio  cosi  parlava ,  avean  passato  il 
centro,  e  dato  volta  neir  emisfero  del  Purgatorio,  ove  giunsero 
assai  prima  che  il  sole  si  levasse  su  quel  nuovo  orizzonte  ;  per 
lo  che  è  dimostrato  che  mezza  terza  vale  anche  assolutamente 
la  prim*ora  diurna,  o  il  principio  del  di.' — AguUhon, 

XXXIV.  97.  —  Non  era  camminata  dipcUagio,  La  v^era" 
tam —  —  E  a  pensare  alla  condizion  dei  luogo  ivi  descrìtto, 
non  può  non  tornare  alla  mente  la  cappa  e  la  gola  di  un  cammino, 
per  la  quale  dovette  Dante  arrampicarsi  per  uscir  di  laggiù 

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374  OOMBMTI. 

dall*  inferno,  riportandone  il  viso,  come  gli  spazzacamini,  fulig- 
ginoso. Quella  cappa  e  gola  poi  di  cammino  non  era  neanco 
così  comoda  e  larga,  come  nelle  camminate  che  si  vedono 
ancora  ai  palagi,  ma  più  che  a  camminata  era  simile,  dice,  a 
burella,  non  costruita  di  materiali  ad  aiie,  ma  fiiUta  cosi  da 
natura.  —  E  il  proverbio  :  Nuowi  camminata  è  presto  affu^ 
micata.  —  Cavemù 

XXXIV.  110,  111.  —  Quando  mi  volsi,  tu  passasti  il  punto: 
Al  guai  si  traggon  d  ogni  parie  i  pesi. 

Della  V/illb  prof.  Giovanni,  Sopra  due  luoghi  delia  Di» 
vina  Commedia f  spiegati  coUa  fisica  moderna.  Faenza,  No- 
velli, 1874. 

Dante  conobbe  la  tendenza  dei  corpi,  e  da  qualunque  parte 
verso  il  centro  della  terra;  ma  non  la  conobbe  nel  senso,  in 
cui  fu  conosciuta  dal  Newton  e  da*  suoi  successori  ;  vale  a  dire 
non  la  conobbe,  in  quanto  questa  tendenza  procedesse  dalla 
attrazione  reciproca  dei  corpi  fra  loro.  Bd  ò  questa  la  causa 
vera  della  tendenza  di  cui  si  parla.  LMdea  che  n*ebbe  il  no- 
stro poeta  sovrano,  fu  comune  a  parecchi  filosofi  antichi,  come 
Democrito,  Epicuro,  ecc.  che  ammisero  questa  tendenza  dei 
corpi  verso  il  centro  terrestre,  ma  ignoravano  la  causa  di 
questo  fatto  generale,  la  quale  fu  riservata  soltanto  al  Newton, 
quantunque  per  altro  non  si  possa  negare  che  un*  attraziohe 
in  generale  fu  riconosciuta  anche  da  Keplero,  da  Galileo  e  da 
qualche  altro  filosofo  modei*no,  ma  non  supero  donde  proce- 
desse, o  per  dir  meglio  in  che  consistesse.  Imperocchò  procede 
dalla  tendenza  scambievole  di  tutti  i  corpi  gli  uni  verso  gli 
altri ,  o  piuttosto  delle  parti  materiali ,  o  molecole  dei*  corpi , 
le  une  verso  le  altre.'  Questo  è  il  vero  aspetto,  ò  il  vero  senso, 
in  cui  secondo  il  Newton  e  i  suoi  successori  si  dee  prendere 
r  attrazione  universale,  e  di  cui  la  tendenza  dei  corpi  verso  il 
centro  della  terra,  è  come  un  effètto  particolare  di  cotal  forza: 
quel  grande  Geometra  e  filosofo  scoperse  la  legge  generale, 
cioè  della  ragione  composta  della  diretta  della  massa  e  dd- 
Vin'oersa  del  quadrato  della  distanza.  Non  si  può  negare  tut- 
tavia,  che  in  questa  grande  scoperta  non  fosse  aiutato  da  Galileo 
e  da  Keplero,  soiza  dei  quali  probabilmente  non  T avrebbe 
fatta.  Veggasi  pertanto  quale  distanza  ò  dalla  tendenza  dei 
corpi  verso  il  centro  della  terra  ali*  attrazione  Newtoniana. 


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COMBNTI.  375 

XXXIV.  117. —  Giudecca,  —  Io  stimo  doversi  affermare 
ricìsamente,  insieme  coir  antico  chiosatore  appellato  il  falso 
Boccaccio,  che  V  ultima  spera  fu  destinata  dal  poeta  alla  pu- 
nizione de*  sog^getti  che  tradirono  i  loro  signori  ;  nò  altri. 
Todeschini, 

Purgatorio  I.  7.  —  Ma  qui  la  morta  poesia  risurga.  — 
Morta  non  significa  lugubre,  flebile,  mesta. ...  A  mio  credere 
quel  morta  nuli'  altro  significa  che  la  poesia,  la  quale  ha  cantato 
la  gfflite  morta  dell*  inferno,  risorge  a  cantare  la  gente  che  va 
risorgendo  alla  vita  eterna  nel  purgatorio. . . .  Dante  volle  dare 
allo  sue  tre  cantiche  degli  epiteti  caratteristici  ;  chiamò  poesia 
morta  quella  dello  Inferno:  mor^^nte  quella  del  Purgatorio:  e 
quella  del  Paradiso,  dedicata  alla  sua  Beatrice,  la  decorò  col- 
r  epiteto  di  Beata,  P,  Ponta,  Interpretazione  di  alcune  parole 
del  Petrarca  e  di  Dante,  p.  21. 

I.  14.  —  Nel  sereno  aspetto  Dell' aer  puro  infino  al  primo 
giro.  —  Il  primo  giro  significa  il  primo  fra  i  Cerchi  della  sfera» 
r orizzonte,  siccome  quello  che  solo  è  parvente,  e  che  serve 
alla  determinazione  di  tutti  gli  altri.  *-  Quell'aere  sereno,  in 
cui  si  accoglieva  il  dolce  colore  di  orientale  zaffiro,  era  puro, 
cioè  scevro  d' ogni  nebbia  e  d*  ogni  caligine,  fino  air  orizzonte, 
ove  un  poco  più,  o  un  poco  meno,  è  raro  che  non  iscorgasi 
traccia  di  materie  vaporose.  Ciò  aggiunge  molti  gradi  alla 
purezza  del  cielo  apparente,  e  ]&  fa,  massima.  Dopo  aer,  il  P. 
Àntonelli  ywAe  si  segni  una  virgola.  Antonelli,  Studi  particolari 
sulla  Divina  Commedia,  p.  41. 

I.  17.  —  Tosto  ch'io  usci*  fuor  delT  aura  moria,  Che  m^avea 
contristato  gU  occhi  e  il  petto.  —  Bellissima  è  V  osservazione 
in  quel  contristargli  del  petto  eh' e' dice  avergli  fatta  Taura 
morta  d'inferno,  copiata  dal  Boccaccio,  che  della  fi^ase  dantesca 
non  ritrae  bene  spesso  altro  che  la  scorza  ;  in  quel  verso  e  in 
quella  frase  ò  inclusa  un'  osservazione  filologica  bellissima,  clte 
doò  al  buio  si  respira  peggio  che  all'  aria  aperta.  Cavemi,  da 
lettera. 

I.  19.  —  Lo  bel  pianeta. ...  —  Iodica  maestrevolmente  l' ora 
che  scoccava  in  quel  momento,  la  diciassettesima  siderale  al 
merìdiano  del  Purgatorio.  —  Densa, 

«  Seguendo  ciò  che  mi  riférisoe  il  Prof.  Santini  in  una  lettera 


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376  OOBCENTI. 

del  24  Luglio  1854,  al  7  Aprile  1300  Venere  nasceva  un*  ora 
circa  dopo  il  sole.  Siccome  il  sole  si  trovava  allora  negli  ultimi 
gradi  di  Arìete,  mentre  T  equinozio  era  avvenuto  il  12  Manto. 
Venere,  che  rimaneva  posteriore  di  circa  15  gradi  corrispon- 
denti al  ritardo  di  un'ora,  doveva  per  conseguenza  ritrovarsi 
nel  segno  de\  Toro.  »  Todeschini,  ScriUì  su  Dante,  n,  380. 

I.  23.  —  QuaUro  stelle  Non  viste  mai.  —  Le  quattro  stelle, 
in  quella  che  accennano  alle  quattro  virtù  cardinali,  deteroai- 
nano  gli  estremi  confini  delle  circumpolari  per  P  orizzonte  del 
Purgatorio,  perchò  appartenenti  alla  costellazione  del  Centauro. 
Denza. 

1.  29.  —  Un  poco  me  volgendo  alt  altro  polo^  Là  onde  il 
Carro  già  era  sparito.  —  Dichiara  nettamente  la  direzione  di 
maestro,  in  che  vede  ali*  improvviso  presso  di  sé  il  venerando 
Usticense,  con  un  tratto  da  par  suo  espresso  in  qu^  verso  là 
onde  il  Carro  già  era  sparito,  additando  nel  tempo  istesso  con 
lineamenti  precisi  i  limiti  della  stelle  boreali,  che  poteano 
essere  vedute  in  quella  regione  novissima.  Denta, 

1.  31.  —  Vidi  presso  di  me  un  veglio  solo —  «  Credo 

che  la  cagione,  per  cui  V  Alighieri  prese  un  partito,  che  a  noi 
riesce  stranissimo,  di  collocare  Catone  a  guardiano  del  Purga- 
torio,  sia  stato  il  verso  670  del  libro  Tni  dell'Eneide,  dove 
Virgilio  descrivendo  lo  scudo  di  Enea  &bbricato  da  Vulcano, 
fra  molte  altre  cose  pone:  Seeretosque  pios;  his  dantem  jura 
Catonem.  »  Piacerai  di  addurre  su  questo  verso  il  comento  di 
Servio:  €  Seeretosque  pios  ;  aut  in  secreto  moraqtas;  aut  pria- 
dpaliter,  ab  iUis,  (sceleratis,  inter  quos  Catilina)  secretos.  Sis 
dantem  jura  Catonem;  quomodo  enim  piis  jura  redderet  qui 
in  se  impius  fuit?  Et  supergressus  est  hoc  loco  Homerì  dispo- 
sitionem  :  siquidem  ille  Minoen,  Rhadamantum,  Aeacum  de  impiis 
Judicare  dieit;  hic  romannm  ducem  innocentibus  dare  Jura  oom- 
memorat.  >  Ora  io  discorro  cosi:  Dante  avea  preso  consiglio 
di  far  che  Virgilio  fosse  sua  guida  non  solo  per  Y  Inferno,  ma 
eziandio  pel  Purgatorio.  Il  Purgatorio  poteva  in  qualche  modo 
essere  considerato  come  la  sede  di  qtké'secretorum  piorum,  sopra 
i  quali  Virgilio  avea  collocato  dantem  jura  Catonem.  Adunque 
la  coerenza  colla  propria  idea  del  magistero  di  Virgilio  e  la 
necessità  di  non  porre  in  discredito  le  parole  di  qud  perso- 
naggio, eh*  egli  s*era  scelto  per  condottiero,  trassero  Dante  al 


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COMENTI.  377 

IMirtito  di  collocare  per  guardiano  del  Purgatorio  quel  Catone, 
che  Yii^ilio  aveva  messo  a  presiedere  secretìs  piis.  —  Tode- 
schini. 

I.  115.  —  Ualba  vinceva  già  V  ora  maUuHnay  Che  fuggia 
innanzi.  —  L'ora  mattutina  precedeva  Talba,  ed  era  buio. 
«  È  compiuto  ch'ebbero  l'ufficio  del  mattutino  imperocché  (il 
vescovo  S.  Eleno)  giunse  di  notte.  »  Cavalca,  iu  S.  Eugenia,  onde 

r origine  storica  di  quest'ora.  —  «  11  Falcone ogni  notte 

all'ora  del  mattutino,  anzi  che  (S.  Francesco)  si  levasse,  sì  gli 
venia  alla  cella,  e  cantava.  »  Vita  di  S,  Francesco,  —  «  Era  una 
notte,  vicino  a  quell'ora  che  noi  chiamiamo  mattutino,  venuto 
a  casa  sua  il  predetto  Jacopo.  »  Boccaccio,  Vita  di  Dante.  — 
«  Aveva  costui  una  moglie  la  quale  ogni  notte  di  verno  si  levava 
in  sol  mattutino  a  vegliare  e  fìlare  lo  stame  a  filatoio.  »  Sae- 
Ghetti^  Nov.jCC.  —  E  per  finirla  €  Si  proprie  dioamus,  matutinum 
est  quarta  sive  ultima  vigilia  noctis  >  registrò  Bartolomeo  di 
S.  Concordia  nella  sua  Somma  che  fu  quasi  il  catechismo  del 
trecento,  volgata  sotto  il  nome  di  Maestruzzo,  a  noi  non  nota 
che  nel  ms.  latino.  I  cinquecentisti  non  si  attennero  al  primo 
ed  originai  significato  della  voce.  C.  AguilKon, 

II.  1.  —  Cria  era  il  Sole  alT  orizzonte  giunto^  Lo  cui  meri" 
dian  cerchio  soverchia^.*.  —  Il  loco  eletto  pel  secondo  regno, 
ò  antipodo  alla  Sacra  Sionne,  riguardata  allora  come  centro 
della  superficie  terrestre  conosciuta  in  que'  tempi.  Per  tal  modo 
egli  ne  descrive  una  regione,  di  cui  nessun  aveva  allora  con- 
tezza ;  perchè  nessuno  fino  a  quei  di  aveva  pur  tentato  di  esplorare 
paesi  ai  nostri  direttamente  opposti,  e  forse  ne  anco  si  sperava 
in  peregrinazioni  siffatte.  Denza, 

IL  46.  j^  E  la  notte  che  apposita  a  lui  (il  sole)  cerchia, . . . 
—  Se  Dante  avesse  avuto  tempo  di  limare  il  poema,  si  sarebbe 
certamente  avveduto  di  avere  qui  preso  un  abbaglio....  Al  mo- 
mento che  il  sole  tramontava,  non  poteva  già  più  trovarsi  sul- 
r  orizzoate  orientale  il  25''  di  Libra,  che  sarebbe  stato  il  punto 
diametralmente  opposto  nell'eclittica  a  quello,  in  cui  si  trovava 
il  sole  ;  ma  doveva  già  la  Libra  essere  sorta  per  intero,  ed  essere 
sorti  eziandio  dieci  gradi,  o  poco  meno,  del  segno  seguente. 
Dunque  la  notte  non  usda  di  Gange  fUor  colle  bilance,  bensì 
collo  Soorpione.  Todesehini, 

n.  56.  —  Lo  9ol^  che  atea  colle  saette  eonte,  —  Intendendo 


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378  OOMBMTI. 

il  conte  nei  senso  medesimo  che  Tusò  Dante  nell^  Inferno  (luf. 
XXXIII,  31),  dove  il  Buti 'spiegò  Cagne  conte,  cagne  ammaestrate; 
le  saette  conte  del  sole  vorranno  dire  ammaestrate  già  o  esperte 
del  gittare,  e  sarà  posta  la  differenza 'che  ò  fra  il  primo  levar 
del  sole,  quando  i  raggi  di  lui  incerti  sorgono  a  illuminare  le 
prime  vette  de*  monti,  e  il  giorno  già  £fttto,  che  spande  sicura 
per  tutto  la  letizia  della  sua  luce.  Carnmillo,  (B,  Cavemi)y  La 
Scuola,  1873.  n,  205. 

II.  91.  —  CaseUa  mio, pertornare  altra  voka...,  —  IIP. 
Antonelli  cosi  chiosa  questa  terzina:  Casella  mio,  vado  in  per- 
sona per  questi  regni  della  seconda  vita,  affinchè  la  conoscenza 
dei  gastighi  e  dei  premj,  serbati  agli  uomini,  mi  aiuti  ad  essere 
giusto  nel  cospetto  di  Dio,  e  quindi  a  riformare  i  miei  costumi, 
prima  che  morte  mi  colga.  Per  conseguenza  non  sono  qua  per 
rimanervi:  s*io  Degno  non  rimango:  torno  sulla  gran  secca, 
coperchiata  delT  emisperio  eh*  è  opposUò  a  questo  :  rivedrò  Tltalia, 
la  gran  terra,  che  questo  Spirito,  (il  quale  mi  sta  dappresso, 
ed  è  mio  maestro  e  duce)  chiamava  magna  parens  firugum, 
Magna  virum,  Hesperia  magna.  Ma  a  te  oom*  era  tanta  terra 
tolta?  Perchè  non  la  rivedrai  più?  Gom*  è  avvenuto  che  di  tanto 
si  abbreviasse  la  tua^  carriera? 

II.  96.  —  M*  ha  negato  esto  passaggio.  —  U  Caverni  è 
d*  avviso  col  P.  Antonelli  che  la  parola  passaggio  non  debba 
<  riferìrsi  al  solo  trasferimento  dell'  anime  suUa  navicella  da 
Ostia  air  isoletta  del  Purgatorio,  ma  a  tutto  il  fatto  complessivo 
del  transito  dalla  prima  alla  seconda  vita.  Ma  forse,  aggiunge 
il  Caverni,  in  questa  ipotesi  è  meglio  lasciare  il  verso  nella  piii 
comune  lezione  leggendo  óra,  aura  cioè  vitale;  gìacdiò  pochi 
versi  avanti  avea  detto  che  le  anime  riconobbero  lui  medesimo 
esser  vivo  dallo  spirare;  e  forse  dice  tanta  quell'ora  vitale  di 
Casella  o  pel  vigore,  o  per  la  dignità  dell'  ancor  giovane  vita.  > 
Però  con  questa  interpretazione  non  gli  pare  i  versi  95-99  si 
possano  riferire  all'Angelo;  imperocché  solo  Dio  è  Quei  che 
leva  e  quando  e  età  gli  piace. 

IL  106.  —  Se  nuova  legge  non  ti  toglie  Memoria  o  uso 
air  amoroso  canto.  —  In  un  codice  vaticano  è  una  baUatetta 
d'un  tal  Lemme  posta  in  musica  da  CaseUa.  Essa  inco- 
mincia :  Lontana  dimoransa  In  gran  dolor  m*  ha  miso.  So- 
pravi  è  questo  vezzosissimo  titoletto  :  Lemmo  fece^  Casella  diede 


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COMBNTI.  379 

la  titfia.  —  A.  Monti,  Dante  e  Roma.  (Strenna  del  Giornale 
<  Arti  e  Lettere  »,  p.  4). 

n.  132.  '—  Come  turni  che  wi^  né  sa  dote  riesca,  —  E 
nel  §  xin  delia  yita  Nuova  :  «  Come  coiai  che  non  sa  per  qual 
via  pìgli  il  suo  cammino  che  vuole  andare.  » 

ni.  11.  —  Che  ronestade  a  ogni  atto  dismaga.  —  Scevera, 
guasta  disforma.  —  Che  i  marinari ,  in  mezzo  U  mar  dismago 
(Purg.  XIX,  20),  disp^do  e  smarrisco.  —  Mia  suora  Rachel  mai 
non  si  smaga  Bai  suo  miraglio. . . .  (Purg.  xxvii,  104)  non  separa 
mai  da  sua  imagine.  —  L'animo  smagato  (Inf.  xxv,  146),  tratto 
fuori  di  suo  essere.  Borghini. 

in.  16.  —  Lo  soli  che  dietro  fiammeggiava  roggio.  —  Roggio 
eh*  è  del  fuoco  rovente  e  che  tende  al  colore  della  ruggine.  — 
Per  Y affocato  riso  della  stella.  Che  mi  parea  più  roggio  che 
l'usato.  Par.  XIV,  86. 

III.  25.  —  Vespero  è  già  colà,  dov'è  sepolto  Lo  corpo^ 
dentro  al  qwzle  C  facev' ombra.  —  Avendo  già  il  soie  una  de- 
clinazione boreale  di  undici  gradi,  le  ore  del  giorno  al  Pur- 
gatorio, a  una  latitudine  di  3P  40\  erano  come  col  calcolo  si 
troverebbe.  Posto  ora,  con  Tolomeo  e  anche  con  Dante,  che 
Napoli  avesse  una  latitudine  boreale  di  40°  36'  e  che  V  ora  di 
Vespero  sia  quella  nella  quale  manca  poco  pili  di  un'ora  al 
tramonto,  si  dimanda  la  differenza  di  longitudine  tra  Napoli 
e  il  Monte  del  Purgatorio.  —  E  il  Caverni,  scioglie  il  problema 
da  lui  proposto:  A  Napoli,  essendo  in  quella  stagione  13  ore 
e  17  minuti  di  sole,  si  può  intendere  che  il  tempo  del  Vespero 
accennato  dal  Poeta  fosse  alle  cinque  ore  e  trenta  minuti.  Al 
Purgatorio  pone  die  sia  già  un'  ora  di  sole  e  in  tutto  essendone 
undici,  com'  è  detto,  sarebbero  mancate  al  suo  mezzodì  quat* 
tr'ore  ò  trenta  minuti  e  correva  perciò  Torà  xix  e  mezzo. 
Mentre  dunque  a  Napoli  era  il  10  d' Aprile  ore  5  e  minuti  30, 
al  Purgatorio  era  il  di  9,  ore  diciannove  e  mezzo.  Si  conclude 
di  qui  che  la  differenza  di  longitudine,  fra  Napoli  e  la  mon- 
tagna del  Purgatorio  dovea  essere  stimata  da  Dante,  dieci 
ore,  ossia  gradi  cento  cinquanta.  R.  Cavemi,  La  Scuola^  1873,  ii, 
325,  362. 

IH.  49.  -^  Tre  Levici  e  Turbia,  —  Come  all'estremità  occi» 
dentale  del  meraviglioso  Golfo  ligure,  dirimpetto  all'isola  Pai* 
maria,  fabbricato  aveano  i  Romani  un  tempietto  aUa  dea  Venere, 


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380  CODIENTI. 

e  da  Venere  prese  poi  il  nome  il  vicin  porto  e  la  colonia 
piantatavi  nel  1 1 13  dai  Genovesi  ;  cosi  dalla  parte  opposta,  a 
oriente,  edificarono  un  altro  tempio  alla  medesima  dea,  fors^ 
a  somiglianza  di  quello,  che  dedicato  le  aveano  sul  monte  Srict 
nella  Sicilia  ;  quindi  il  nome  di  Lerice  o  Lerici  al  castello,  sa 
cui  Andrea  Dori  a  inalberò  il  vessillo  spagnuolo,  quando,  per 
sottrar  Genova,  sua  patria,  al  giogo  francese,  passò  dal  servizio 
di  Francesco  I  a  quello  di  Carlo  V.  Il  nome  è  di  latina  origine; 
pili  tardi  italianizzato  pigliò  T articolo,  e  da  prima  si  scrìsse 
r  EìHce ,  indi  Lerice  senza  apostrofo ,  e  da  ultimo  Lerici.  — 
Zolese.  Il  Baretti,  1874,  239. 

IIL  55.  —  J?  ìTientre  che^  tenendo  il  viso  bassOy  Esaminava 
del  camin  la  mente.  i 

Corrispondenza  letteraria  inedita  di  G.  Gozzi,  G.  Gsknabi 
e  G.  Patriarchi  intomo  un  passo  della  Divina  Commedia,  | 
Padova,  Prosperini,  1863.  Per  Nozze  Giusti-Cittadella. 

Quanto  a  me  fui  sempre  del  parere  di  chi  dice  che  Virgilio  1 
con  gli  occhi  bassi,  in  atto  di  considerasdone  esaminava  il  suo 
pensiero  intomo  il  cammino.  Questa  è  la  più  {ùasa  e  più  na- 1 
turale  spiegazione.   Esaminare  di  un  segreto ,  di  una  colpa  è  ' 
forma  usitatissima;  e  cosi  si  può  dire  del  cammino,  Esamiear  i 
la  mente  quando  si  prende  per  fÌBtntasia,  o  per  pensiero,  non  | 
ha  difficoltà  :  né  io  avrei  difficoltà  a  prenderìa  in  tale  sigaifi- 
cato,  poiché  in  quasi  tutti  i  tempi  gli  esempi  del  Vocabolario, 
anche  dove  esso  la  chiama  intelletto,  si  può  intendere  pensiero; 
ed  ella  se  ne  può  chiarire  cogli  occhi  suoi,  ed  ella  vedrà  che 
esaminare  il  pensiero  del  camino,  è  modo  che  può  osarsi,  ed 
è  quanto  dire,    pensava  da  qual  parte  si  dovea  comiadare  a 
salire,  ed  esaminare  la  sua  mente  il  suo  pensiero  intorno  al 
cammino.  G.  Gozzi  air  ab.  Gennari,  19  Gen.  1754. 

Stane  pede  in  uno  interpretai  la  voce  mente  per  intenzione 
o  pensiero,  senza  sapere  cosa  il  Co.  v'avesse  risposto,  paren- 
domi che  il  senso  più  naturale  fosse  quel  desso.  G.  Patriarchi 
air  ab.  Gennari,  9  Feb.  1754. 

Non  par  strana  maniera  di  dire  esaminare  la  meniUf,  di- 
stinguendosi virtualmente  anche  in  sentenza  di  Dante  raaima 
nostra  dalle  sue  potenze  eziandio  inoiigaiiiche  ;  *&ò  impropria 
locuzione  esaminare  del  cammi^^  cioò  sopra  il  camiiio  da 
tenersL  Si  aggiunge  che  questa  interpretazione  par  più  con- 


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COMBNTI.  381 

orme  ali*  allegoria ,  secondo  la  quale  Virgilio  ò  simbolo  della 
Bgione,  e  Dante  de*  sensi;  anzi  Tuno  e  Taltro  si  devono  pren- 
lere  sovente  per  una  sola  persona  come  apparisce  chiaro  da 
noi  ti  luoghi  della  Divina  Commedia,  che  senza  questa  allego* 
ica  chiave  non  si  possono  ben  capire  ed  intendere.  Laonde  la 
■agione  ed  i  sensi  nel  tempo  stesso  esercitando  il  loro  m  im- 
iterò, quella  pensa  ed  esamina,  e  cerca  partito,  questi  guardano 
io  torno  ilp  materiale  e  il  sensibile.  Nò  a  caso,  il  Poeta  ha  posto 
the  le  due  azioni  d'esaminare  adi  guardare  sieno  state,  come 
dicono  i  filosofi,  simultanee,  nò  che  gli  occhi  di  Dante,  cioè  i 
sensi  aiutassero  in  questo  incontro  Virgilio ,  cioè  la  ragione  ; 
perchè  cosi  in  &tti  esser  doveva,  trattandosi  di  una  cosa  egual- 
mente soggetta  alla  speculazione  della  mente,  e  al  ministero 
dei  sensi —  G.  Gennari,  al  co.  Gasparo  Gozzi,  18  Gen.  1754. 
III.  79.  —  Come  le  pecorelle  escon  del  chiuso.  —  €  Sono 
curiose  queste  pecore:  più  ò  caldo  e  piii  s'adunano,  tutte  ag- 
gruppate. Se  una  va  al  danno,  e  tutte  dietro  di  posta.  Quando 
si  lavano,  si  fanno  saliare  nel  fiume,  e  V  una  va  dietro  V  altra. 
Se  non  vogliono,  se  ne  tira  giti  una  e,  non,  si  dubiti,  V  altre 
saiiando  subito  a  furia,  quasi  tutte  in  un  branco.  »  Versilia. 
Queste  semplici  parole  sono  pure  una  vivace  descrizione  del 
fatto,  e  quasi  cel  rendono  visibile.  Ma  poiché  Tun  pensiero  sorge 
dall'altro,  indi  subito  ci  viene  in  mente  la  bella  similitudine 
che  Dante  seppe  a  meraviglia  tratteggiare  in  poesia  e  in  prosa. 
—  Conv.  I,  11.  —  Giuliani,  Saggio  di  un  Dizionario  del  Volgare 
Toscano,  434. 

III.  103,  e  seg.  —  //  Re  Manfredi.  —  V.  C.  Morbio,  Pro- 
posta di  un  nuovissimo  Comento  sopra  la  Div.  Com.  per  ciò 
che  riguarda  la  storia  Novarese,  p.  21-34.  —  V.  Amari,  Guerra 
del  Vespro  siciliano,  C.  ir. 

III.  115.  —  Vadi  a  mia  bella  figlia,  genitrice  Deir  onor  di 
Cicilia  e  cT  Aragona.  —  Spicca  per  una  candidissima  fama  la 
regina  Costanza,  avvenente  della  persona,  bellissima  d*  animo,  per 
le  care  virtti  di  donna,  e  madre,  e  credente  nel  Vangelo.  La  fine 
di  Manfredi  avvelenò  il  fior  degli  anni  suoi  ;  poi,  se  vide  punito 
lo  sterminator  del  sangue  svevo  e  libera  la  Sicilia,  ebbe  a  tre- 
mare ad  ogni  -  istante  pe'  suoi  piti  cari ,  pianger  la  morte  di 
due  figliuoli,  la  nimistà  degli  altri  due;  né  troppo  la  poteano 
£ur  lieta  le  nozze  della  figlia  neir  abbonita  casa  d*Àngiò.  Nacque 


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382  ooMEMn. 

e  fu  educata  in  Palermo:  tornata  in  Sicilia  per  si  strane  tì- 
oende,  la  governò  dolcemente  dopo  la  partenza  di  Pietro  ;  dettò 
alcuna  legge  che  infine  a  noi  non  è  pervenuta;  fu  -amorevoli^ 
coi  sudditi,  benigna  fino  con  la  insopportabile  Macalda.  Non 
ebbe  ambizione,  lasciando  prima  a  Pietro,  poi  a'  fi^uoli ,  U 
corona  di  Sicilia,  eh* era  sua  per  dritto  di  sangue;  né  tal  mo- 
derazione nacque  da  pochezza  d*  animo  in  costei,  che  ben  sepp-fi 
in  pericolosissimi  tempi  provedere  alla  difesa  della  Sicilia,  e 
due  fiate  con  assai  destrezza  salvar  Federigo  dalla  faùone  ni- 
mica a*  siciliani  interessi.  Quotata  la  coscienza  con  la  benedi- 
zione papale,  posata  poco  appresso  la  tempesta  di  Sicilia,  F  anno 
medesimo  1302  fini  i  suoi  giorni  in  Barcellona,  ove  attendeva 
a  fabbricar  munisteri  ed  altre  opere  che  nella  vecchiezza  le 
suggeriva  la  cristiana  pietà.  M,  Amari,  La  Gueira  del  Vespro 
siciliano.  C.  xv,  396. 

11  Todeschini  inclina  a  ritenere  che  la  6*860  genUrice  del- 
tonor  di  Cicilia  e  d^  Aragona  significhi  semplicemente,  nella 
intenzione  del  poeta,  genitrice  de*  reali  di  Cicilia  e  d'Aragona: 
in  quella  guisa  medesima,  che  noi  adoperiamo  le  frasi  Vostra 
Grazia,  Vostra  Maestà,  Vostro  Onore,  rivolgendosi  ai  Prìncipi 
ed  ai  Ae,  per  significare  la  suprema  autorità  che  loro  compete 
sopra  di  noi.  Ad  ogni  modo  quegl'  interpreti,  che  intesero  onor 
di  Cicilia  e  d Aragona,  Federico  e  Jacopo,  bevettero  assai 
grosso,  non  badando  qual  concetto  avesse  Dante  di  questi 
due  re. 

Di  Giovanni  Vincenzo,  Di  alcuni  luoghi  di  Dante  sopra 
Federico  Aragonese  di  Sicilia  (Purg.  in,  116;  e.  vn,  v.  119-20, 
Par.  XIX,  V.  13-35;  e.  xx,  v.  63).  Di  Giovanni,  Scuola,  Scienza 
e  Critica,  192-203. 

L' Alighieri  porta  giudizio  di  re  Federico  nel  G.  in  del  Pur- 
gatorio ,  opposto  air  altro  di  biasimo  del  C.  vii  della  stessa 
Cantica,  e  del  diciannovesimo  e  ventesimo  del  Paradiso.  Questi 
due  opposti  giudizi,  dice  il  Di  Giovanni,  si  spiegano  bene  ricor- 
rendo alla  storia  del  tempo  quando  da  Dante  fiu*ono  scrìtti  : 
e  se  il  Poeta  mutò  opinione,  significò  nella  lode  e  nel  biasimo 
r  opinione  della  parte  Ghibellina  sulla  persona  di  re  Federico, 
in  cui  per  qualche  tempo  si  raccolsero  tutte  le  speranze  di 
detta  parte,  prestamente  deluse,  o  a  cagione  de' turbamenti 
intemi  di  Sicilia,  o  per  la  mutazione  avvenuta  in  Italia  colla 


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OOMBNTI.  383 

improvvisa  morte  dell'Imperatore  Arrigo  a  BuoDconvento.  U 
canto  terzo,  ove  è  detto  di  Costanza  genitrice  delConor  di 
Cicilia  e  cP  Aragona,  fu  scrìtto  senza  dubbio  alcuno  fra  le  spe- 
ranze di  Dante  nella  discesa  d'Arrigo  e  neir  amicizia  e  negli 
aiuti  del  re  siciliano;  speranze  svanite  colla  morte  dell'Impe- 
ratore e  col  ritorno  di  re  Federico  in  Sicilia,  perchè  ,1  a  difen- 
desse o  gtiardasse  dalle  armate,  con  le  quali  la  invadeva 
Roberto  di  Napoli.  Il  qual  ritorno  Dante  giudicò  come  abban- 
dono del  partito  Ghibellino,  che  a  Federico  si  confidava  in 
Pisa,  dove  si  crede  essersi  trovato  anche  Dante,  e  mosso  nell'a- 
nimo  del  re  Siciliano  da  avarizia  e  da  villa  ;  quando  e  gli 
ftjQti  di  danaro  e  di  armi  fomiti  o  che  stava  fornendo  ad  Ar- 
rigo, e  la  guerra  bandita  in  Palermo  contro  Roberto,  avrebbero 
dovuto  iar  giudicare  altrimenti  del  nipote  di  Manfredi,  già 
qualche  anno  innanzi  celebrato  come  onor  di  Cicilia  e  d^ Ara- 
gona. ...  —  Meglio  di  tutti  r Amari  spiega,  scrive  il  Di  Giovanni 
la  mutata  opinione  di  Dante  sopra  Federico ,  dal  canto  lu  al 
VII  del  Purgatorio,  per  pubbliche  cagioni  :  il  ritomo  in  Sicilia, 
forse  necessario  per  Federigo,  tolse  ogni  riparo  al  precipizio 
dei  Ghibellini;  e  perciò  lor  parve  perfidia,  viltà,  scelleratezza, 
come  dicano  le  fazioni  oppresse,  agU  stranieri  che  fan  sem^ 
biante  di  ajutarle  e  poi  si  stanno. 

III.  124.  —  Alla  caccia  Di  me  fu  messo  per  Clemente.  — 
Clemente  IV  mori  il  ^  novembre  del  1268.  La  sua  salma  fu 
riposta  nella  chiesa  di  S.  Maria  in  Gradi  fuori  di  porta  romana. 
L'antica  iscrizione  sopra  la  statua  giacente  del  pontefice,  fu 
restaurata  nel  1840  (come  quivi  si  legge)  da  Settimio  de  Fay 
conte  De  La  Tour  Maubourg,  ambasciatore  di  Francia  presso 
la  S.  Sede. 

III.  129.  —  Sotto  la  guardia  della  grave  mora.  —  Mora  è 
in  uso  ancora  de'  nostri  lavoratori  che  una  massa  di  frasconi 
chiamano  Mora,  e  di  qui  Moriccia,  che  vale  que'  monti  di  sassi 
che  da'  lavoratori  si  fanno  per  nettare  i  campi  d' intomo,  o  in 
uoa  parte  più  comoda.  Troverassi  la  voce  mora  in  Giov.  Villani 
al  IX  Gap.  del  vii  libro  raccontante  il  fatto  medesimo  della 
sepoltura  di  Manfredi:  Onde  vi  si  fece  una  grande  mora  di 
sassi;  cosi  in  Matteo  Villani  al  ni  C.  del  iii  libro:  che  bene  due 
braccia  si  alzò  la  mora  delle  pietre  sopra  il  corpo  morto  del 
loro  senatore.  —  Borghini. 

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384  ooMcrn. 

La  supertiziosa  coetomanza  di  gettar  de*  sassà  sopra  il  laago 
dove  altri  è  stato  ucciso,  ancor  viva  e  rerde  in  molte  terre  della 

provincia  romana,  era  comunissima  nei  tempi  di  mezzo Per 

mora  da  alcmii  si  crede  essere  con  piccola  alterazione  di  let- 
tera lo  stesso  che  mora,  ossia  mnrìcria;  e,  dal  Muratori  e 
interpretajta  col  latino  mora  nel  senso  à' ùnpedimentum^  obsla- 
culum;  e  che  io  invece  spiegherà  per  T  indugio  o  trattenimento 
che  facevano  i  passaggerì  per  gittare  il  pio  sasso.  E  questa 
costumanza,  chi  ben  vi  guardi,  è  derivata  dagli  antichissimi 
popoli,  che  conservando  viva  la  tradizione  del  risorgimento  dei 
corpi,  ponevano  grandissimo  studio  nel  custodirne  le  ossa.  Senza 
entrare  in  esempi  più  antichi  di  queste  amorevoli  cure  dei 
sepolcri ,  ricordiamoci  di  quei  luoghi  di  Virgilio  :  Et  tumulun* 
facite,  et  tumulo  superaddiie  Carmen.  —  Ergo  inHoMtramus 
Polidoro  frenus  et  ingens  aggerivur  tum,ulo  tellus.  Prof.  Tan- 
credi, Il  Buonarotti,  1872,  Quad.  xii,  421. 

IV.  14.  —  Udendo  quello  Spirito,  ed  ammirando;  Che  ben 
cinquanta  gradi  salito  era  Lo  sole. ...  —  Posto  che  il  luogo 
avesse  una  latitudine  australe  di  31°  40'  e  il  Sole  1 1®  di  decli»~i^- 
zione  boreale  si  domanda  per  quel  luogo  e  quel  tempo,  V  aitt^jca 
meridiana  del  sole?  La  massima  altezza,  risponde  il  Caverni. 
alla  (juale  poteva  aggiungere  quel  giorno  il  Sole,  era  di  47'*  20*, 
Ora,  come  dice  il  Poeta  che  il  Sole  era  salito  più  di  50  gi-adi  ? 
È  rhiaro,  egli  soggiunge,  peiriò  che  Dante  non  poteva  intendere 
della  salita  del  sole  nel  circolo  verticale,  ma  della  salita  di  lui 
nel  pareilelo —  E  ove  si  voglia  sapere  il  tempo  corrispondente, 
ei  trova,  che  se  al  cominciar  della  scena  il  sole  era  ali*  orizzonte 
(Purg.  Ili,  v.  16),  tre  ore  e  24  minuti  sarebbe  durato  il  colloquio 
de'  poeti  con  Manfredi.  Il  Caverni  vuole  che  la  parola  ammi- 
rando si  debba  prendere  quale  attributo  di  spirito,  e  non  ge- 
rundio. 

IV.  37.  —  Nessun  tuo  passo  caggia  ;  Pur  suso  al  monte 
dietro  a  me  acquista.  —  Quella  notte  era  nera  nera,  buio  pesto, 
e  non  si  sapeva  dove  metter  piede.  Mi  tirai  su  per  que*  sassi, 
ma  per  uno  avanti ,  ne  davo  cento  de*  passi  addietro.  Basta, 
arrocciandomi  mi  trovai  sulla  cima  ai  primi  albóri.  Queste 
evidenti  parole  mi  giovano  anche  a  meglio  chiarir  due  notabili 
passi  della  Divina  Commedia.  Dante  rimirando  r  alta  ripa  del 
Purgatorio  era  desideroso  di  sapere  qual  via  dovesse  prendere 


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COMXNTI.  385 

per  salirla,  e  quindi  ne  richiese  al  suo  Maestro,  il  quale  subito 
rispose:  Nessun  tuo  passo  caggia^  ecc.  —  L* arrocdarsi  poi 
imprime  appieno  Y  andar  carpone  o  il  pigliare  la  roccia  con 
fe  mani  e  co*  piedi:  Inf.  xxvi,  18;  Purg.  iv,  33.  —  Giuliani, 
Saggio  di  un  Diz.  del  Volgare  toscano,  329. 

IV.  61-75.  —  Se  Castore  e  Polluce,..  —  Le  parole  che  qui 
pone  in  bocca  al  suo  maestro  poeta  per  delineare  astronomi- 
finente  la  posizione  della  nuova  regione  che  intraprendevano  ad 
«plorare  se  il  nostro  intelletto  ben  chiaro  bada,  ofiVono  tale 
ina  verità  scientifica  ed  una  geometrica  esattezza,  che  formano 
ma  specialissima  lezione  di  cosmografia,  di  cui  ogni  dotto 
Btronomo  d'oggidì  andrebbe  superbo.  Densa. 

IV.  64.  —  Tu  vedresti  il  Zodiaco  rtibecchio.  —  Rtibecrkio, 
lon  è  punto  addiettivo  che  signifìr^hi  rosseggiante,  ma  è  sustan- 
ivo,  e  vale  quel  gran  trave  delle  macchine  ad  acqua,  il  quale 
a  un  capo  ha  la  ruota  a  denti;  quindi  il  zodiaco,  che  gira 
itorno  air  asse  come  un  rubecchio.  P.  Bresciani,  Dei  costumi 
eir  ìnoÌA  di  Sardegna,  par.  I*,  e.  i.  ^-  Lo  zodiaco  rubecchio  va 
i^'Tpretato:  lo  zodiaco  come  trave  od  asse  con  in  capo  la  ruota 

denti;  o  meglio,  come  la  ruota  a  denti  di  un  molino.  E  di 
3ro  ò  manifesto  che  V  aggiunto  di  rosseggiante  non  ci  ha  pro- 
rio  che  fare  nulla,  non  essendovi  buona  ragione  ohe  mostri 
i  convenienza  di  quell'epiteto  al  zodiaco  cosi  in  generale,  o, 
I  [)articolare  quando  si  volge  più  vicino  al  polo  artico:  e  pare 
le  una  tale  interpretazione  sia  data  cosi  un  poco  a  maniera 

chi  tira  ad  indovinare.  Ma  ben  si  attaglia  a  tutto  il  contesto 

metafora  o  similitudine  della  ruota,  compiendo  appunto  lo 
Hliaco  a  maniera  di  grande  ruota  le  sue  rivoluzioni.  E  come 
bella  in  sé  stessa,  cosi  non  discorda  dallo  stile  usato  dal 
istro  Poeta.  Che  se  egli  rassomiglia  il  volgersi  intorno  a  sé 
edesimo  di  un  santo  spirito  air  aggirarsi  di  una  mola  in  quei 
mosi  versi  :  Del  suo  messo  fece  il  lume  centro  Girando  sé 
me  veloce  mola.  Par.  xxi,  80  ;  anzi  se  volendo  nominare  la 
rona  di  piìi  Fulgor  vivi  e  lucenti,  cioè  di  dieci  spiriti  beati, 

esprìmere  il  volgersi  ch'essa  fece  intomo  a  lui,  ha  scritto: 
rotar  cominciò  la  santa  mola,  Par.  xii,  3  ;  con  maggior  pro- 
feta e^li  ha  potuto  scoprire  somiglianza  tra  la  circonferenza 
Ilo  zodiaco  e  il  suo  rotarsi  intomo  all'Orse,  col  giro  e  col 
igersi  della  ruota.  E  chi  sa  che  la  periferia  della  ruota,  va- 

95 

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386  COMBNTI. 

riata  ed  interrotta  dai  denti,  non  raffigurasse  il  Poeta  nella 
fascia  dello  zodiaco  divisa  dai  segni  delle  costellazioni?  Oltre 
di  ciò  la  Toce  rubeccìiio  non  incontrandosi  se  non  in  questo 
luogo  di  Dante,  a  non  fallare  nella  interpretazione  egli  ò  me- 
stieri interrogare  e  gli  antichi  espositori,  e  quel  popolo  che 
nella  sua  parlata  conserva  il  più  e  il  meglio  delle  voci  nella 
loro  proprietà  vivace.  Ora  presso  quattro  almeno  de'  più  ve- 
tusti ed  autorevoli  interpreti  io  trovo  dichiarata  la  voce  ru- 
becchio  come  ruota  di  molino.  B  le  dichiarazioni  del  Postillatore 
Cassinese  e  di  Jacopo  deUa  Lana  furono  già  iprite  dal  De 
Romanis  nella  nota  aggiunta  al  commento  del  Lombardi  in 
queste  parole  :  <  Presso  alla  parola  rubecchio  il  Postili.  Caasin. 
nota  quae  est  rota  moìendini  dentata,  e  Jac.  della  Lana  inter- 
preta egualmente  dicendo  che  rubecchio  in  lingua  tosca  vuol 
dire  rota  dentata  di  molino»  »  Di  più  nel  comento  attribuito 
a  Pietro  figliuolo  di  Dante  si  legge:  zodiacus  robecchius^  idest 
rota  zodiaci,  nam  robecchius  in  Thusda  didtur  rota  deniaia 
moìendini.  E  in  un  commento  inedito  dì  un  bellissimo  codice 
della  Biblioteca  Barberiniana,  segnato  dal  Manzi  col  n.  1452, 
la  voce  rubecc?uo  ò  interpretata  alla  pag.  156  con  queste  pa- 
role: Tu  cederesti  il  zodiaco  robecchio  cioè  losteUo  (sic)  de/ 
zodiaco  girarsi  più  stretto  alla  costellazione  chiamata  Orsa, 
Se  mal  non  m' appongo,  lostelh  è  lo  stelo  del  zodiaco,  cioè  il 
perno  o  Tasse;  e  però  secondo  quel  comentatore  la  voce  ru- 
becchio indica,  paragonarsi  dal  Poeta  lo  zodiaoo  ad  una  ruota 
col  suo  stelo  che  si  volge  intorno.  Giuseppe  Melandri^  Intorno 
allo  studio  dei  P.  P.  della  Compagnia  di  Gesù  nelle  opere  di 
Dante,  p.  130. 

IV.  106.  —  Edundilor  che  mi  sembrava  lasso.  —  Belacqua 
ò  la  creatura  più  umana,  più  vera  di  tutto  il  Purgatorio,  come 
è  la  più  comica.  Belacqua  scherza  in  modo  si  amichevole  e 
sincero,  che  Dante  è  il  primo  a  riderne,  ò  lo  scherzo  propino 
dell'indole  di  Belacqua  che  non  ha  voglia  che  di  uccidere  il 
tempo  col  dolce  far  niente.  A.  Ròndani. 

V.  18.  —  Poiché  la  foga  Cun  delT  altro  insoUa.  —  Foga, 
vuol  dire  quel  moto  ed  empito  che  &  cosa  inviata  e  riscal- 
data in  una  operazione,  onde  ò  poi  formato  il  verbo  sfogare 
quando  ella  è  quietata.  SoUo  poi  è  il  contrario  e  vuole  dire 
leggieri^  o  per  me'  dire  non  pigiato,  ma  soUecato  e  come  cosa 


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COMBNTI.  387 

3he  sta  sempre  in  su  Tale:  così  chiamò  il  Villani  una  città 
nsolUta  —  sollevata  e  pronta  a  £EU*e  tumulto  o  novità:  —  Il 
movo  pensiero  che  sopravviene,  come  soHentrando  e  soUetmndo 
'['  altro ,  se  Io  leva  come  dire  in  capo  e  facilmente  lo  caccia 
l'ia.  —  CoH  la  mia  durezza  fatta  solla  (Purg.  xxvii,  40),  leg- 
orera,  intenerita;  e,  se  cosi  si  può  dire,  sdurata,  — Borghini. 

V.  109.  —  Ben  sai  come  nelCaer  si  raccoglie,,,  —  È  un 
ubbìa  il  pretendere  che  disvisi  la  ragione  fisica  del  precipitarsi 
i  vapori  acquosi  dell'aria,  per  diminuzione  di  temperatura. 
Secondo  l'Alighieri  il  freddo,  come  piii  denso,  spreme  i  vapori, 
o  come  altrove  dice  gli  sHpa^  parola  e  ragione  che  del  fatto 
rende  anche  il  Magalotti  a'  tempi  dell'Accademia  del  Cimento: 
ohe  la  fisica  vera  della  pioggia  fu  data  dal  Quericke  pochi 
anni  dopo.  Caverni,  da  una  sua  lettera. 

VI.  44.  —  Se  quella  noi  ti  dice ,  C/w  lume  fia  tra  *l  vero 
e  r  intelletto.  —  Notisi:  lume  tra  *l  vero  e  C intelletto:  perchò 
ha  detto  V  Alighieri  :  €  Come  il  cielo  illustra  le  cose  visibili , 
così  le  scienze  le  intelligibili.  »  (Conv.  ii,  14).  A.  Conti. 

VL  74.  -^Fson  Sordello, 

Fanfani  Pibtro,  Lettera  alla  gentil  Signora  Silvia  Baroni 
ro.  Semitecoh,  Per  le  Nozze  Pasolini  ZaneUi-Baroni  Semitecolo. 
Hassano,  Roberti,  1874,  p.  29-33. 

U  Fanfsni  ci  reca  un  racconto  di  Battista  Fulgoso  (o  Fre- 
goso)  scrittore  gravissimo  del  sec.  XV  che,  dopo  essere  stato 
Doge  di  Venezia,  ritornò  allo  studio  delle  lettere,  e  compose 
un  libro  Dei  Detti  e  Fatti  memorabili  y  con  che  ne  mostra 
({uanta  ragione  ebbe  Dante  di  rappresentarci  il  poeta  man- 
tovano in  quella  grave  e  dignitosa  maniera  eh'  e'  fa.  «  Sordello 
<\ei  Visconti,  mantovano,  dei  dintorni  di  Coito,  che  nacque 
liei  1189,  si  trova  che  in  diverse  regioni  di  Europa,  avendo 
combattuto  a  corpo  a  corpo  con  ventitré  fortissimi  cavalieri, 
(li  tutti  e  ventitré  rimase  vincitore.  La  sua  prodezza  per  altro 
rifulse  mirabilmente  quando  a  Parigi  nel  giorno  medesimo 
'-ombattè  contro  tre,  con  Giachelino,  e  Leopardo  inglesi,  e  con 
Frassato  borgognone;  dacché  di  tanto  superò  nella  forza  di 
animo  e  di  corpo  Assillo  Torquato  Corvino,  o  qual  altro  si 
voglia  cittadino  romano,  di  quanto  Tuno  ò  minore  del  ventitré, 
e  di  quanto  la  gloria  e  la  fatica  di  un  triplice  combattimento 
lee  preferirsi  alla  lode  di  uno  solo.  »  Qui  veggiamo  recata  alia 


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388  OOUENTI. 

sua  giusta  misura  la  prodezza  di  Sordello,  e  sappiamo  dì  piii 
ch'egli  era  dei  dintorni  di  Goito  e  nato  nel  1189:  cose  ignoto  ri 
Tiraboschi.  Altrove  ei  racconta  la  qualità  vera  dell'amor  di  Sor- 
delio  con  la  sorella  di  Ezzelino,  che  ò  da  lui  chiamata  Beatrici 
dalla  qual  cosa  si  raccoglie  che  Cunizza  era  un  soprannomt'.| 
Egli  dice  adunque  come  questa  Beatrice,  abbagliata  dalla  pix)^ 
dezza  e  dalla  gloria  poetica  di  Sordello,  se  ne  innamorò  fiera^ 
mente,  e  lo  richiese  d'amore;  ma  ch'egli  rimase  sordo  ad  o^:d^ 
pregliiera  di  lei ,  dicendo  di  non  volersi  mosti^are  ingrato  a  i 
Ezzehno  e  al  suo  fratello,  che  amorevolmente  lo  aveano  accolto 
in  Verona;  ed  anche  quando^  accecata  dalla  passione,  ^ugpi 
da'  fi^atelli  vestita  da  uomo,  per  seguirlo  fino  a  Mantova,  nuu 
volle  udirla  parlar  di  amore,  se  prima  Ezzelino  non  gli  avesse 
dato  il  consenso  di  sposarla,  ricordandole  sempre  che  la  onc>stà| 
doveva  curaci  piìi  dell'amore  e  delia  bellezza.  E  couchìude  che 
egh  meritò  più  vera  lode  per  la  vittoria  di  tal  pericolosa  bat- 
taglia, elle  dai  veutitrè  combattimenti,  de'  quali  in  varii  luog^hi 
era  rìmasto  vittorioso. 

VI.  112.  —  Ykni  a  veder  la  tua  Roma  che  piagne,  "W-| 
dova,  sola^  e  di  e  notte  chiama  :  Cesare  mio,  perchè  non  m  ac- 
compagne ì  —  E  il  Petrarca,  Carolo  IV,  Aug.  Irap.  (Pam.  xxiii,  2]. 
Si  qua  in  terris  patria  est  tua  propria,  Csesarum  domus,  ac  vera 
patria  Roma  est ... .  vidua,  inops,  captiva,  serva,  misera  quat.* 
uuUum  jam  nisi  es.  te  poscit  ac  sperat  auxilium. . . .  Exper- 
giscere,  imperatori  bora  est,  immo  vero  jam  transiit.  —  \". 
Dante,  Epist.  v,  vi  e  vii.  —  Romam  solam  sedenlem  ci  vi- 
duam.  Epist  xii,  §  IO. 

VI.  143.  —  A  mezzo  novembre  Non  giugne  quel  che  tu 
d'  ottobre  fili  —  «  Tutto  giorno  si  faceva  nuove  leggi  e  si  cor- 
l'eggevano  le  vecchie;  e  molto  spesso  si  guastavano,  ad  ogni 
piccolo  caso  che  nasceva,  dava  occasione  ad  innovare  previsioni. 
Della  quale  varietà  credo  che  sia  nato  quello  che  vulgarment<\ 
con  vitupei'O  della  Città,  si  dice:  Legge  Governativa,  fatta  la 
sera  e  guasta  la  mattina.  Donato  GiannoUi,  Della  Rep.  Fior. 
L.  II,  e,  18.  Ed.  Le  Mounier,  i,  147. 

VII.  73-81.  —  Oro  ed  argento  fino.. .  —  Or  non  ti  sembra 
egli,  o  lettore,  che  Ariosto  abbia  attinto  a  questa  descrizione 
quando  dipingeva  il  giogo  della  montagna  su  cjì  perviene 
Astolfo  col  cavallo  alato?  Molti  hanno  levato  a  cielo  l'Ai'iosto 


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OOMENTI.  389 

por  qnel  passo,  non  sapendo  che  quel  che  vi  avea  di  più  bello 
era  tolto  a  Dante.  3/arro  Renieri,  L'Apatista  dì  Venezia,  15 
Sett.  1834,  n.  37. 

VII.  103.  —  ^  quel  Nasetto . . .  Mori  fuggendo  e  disfiorando 
a  giglio,  —  Di  Filippo  III,  re  di  Francia,  e  della  grande  vittoria 
navale  riportata  presso  Roses,  da  Ruggero  Loria,  e  della  morte 
di  Filippo  a  Perpignano,  V.  Amaria  La  Guerra  del  Vespro, 
C.  XII. 

^^I.  1 12.  —  Quel  che  par  sì  membruto,  e  che  s' accorda 
Cantando  con  colui  dal  maschio  naso.  —  Veggasi  il  ritratto 
che  di  Carlo  I  d'Angiò  e  di  Pietro  III  d'Aragona  fa  T Amari, 
GueiTa  del  Vespro,  C.  v,  64,  e  C.  xii,  298. 

VIII.  56.  —  Quanfè  che  tu  venisti  Appiè  del  monte  per 
le  lontane  acque?  —  Posto,  che  la  differenza  de'  meridiani,  tra 
le  foce  del  Tevere  e  la.  montagna  del  Purgatorio,  sia  di  dieci 
ore;  che  la  latitudine  boreale  di  quella  foce  sia  41**  53',  e  la 
latitudine  australe  della  Montagna  sia  31®  40',  si  dimanda 
quant'ò  la  misura  della  distanza  itineraria  tra  la  detta  foce 
del  Tevere  e  il  Purgatorio  ?  Dalla  soluzione  del  problema  da 
lui  proposto,  ecco  la  risposta  del  Cavemi.  —  Computata  la 
lunghezza  di  quest'arco  in  miglia  italiane  di  60  per  grado, 
troveremo  che  le  acque  della  foce  del  Tevere  sarebbero  lontane 
dalla  montagna  del  Purgatorio  miglia  9243.  Computata  poi  quella 
distanza  a  56  miglia  e  due  terzi  per  grado,  secondo  le  misure 
de'  geografi  antichi  seguiti  anche  da  Dante ,  come  vedesi  in 
piti  luoghi  del  suo  Convito,  troveremo  miglia  8728,46. 

IX.  1-9.  —  La  concubina  di  Titone  antico.... 

Bianchi  ab.  Gius.,  La  Concubina  di  Titone  antico  (1814). 
Atti  dell'Ateneo  di  Brescia,  Bottoni,  1818,  p.  67. 

Il  Bianchi  combatte  la  opinione  di  Jacopo  della  Lana,  risu- 
scitata dal  prof.  Poptirelli,  che  qui  Dante  intenda  per  la  conr 
cubina  di  Titone,  l'Aurora  della  Luna  ;  sì  perchè  presso  gli  an- 
tichi mai  non  ne  fu  fatta  menzione  ;  e  vie  più  perchè  ta^attandosi 
d'una  notte  successiva  al  plenilunio  dell'equinozio  di  primavera, 
in  qualsiasi  modo  vogliansi  interpretare  i  passi  con  che  sale 
la  notte,  o  per  le  sette  parti  in  cui  la  divise  S.  Isidoro  (il  che 
pare  più  arrida  al  prof.  Portirelli),  o  per  le  quattro  vigilie  in 
che  la  divisero  i  Qred  ed  i  Latini,  o  per  le  dodici  ore  ch'essa 
ha  nell'equinozio;  sempre  la  Luna,  all'epoca  di  eoi  parla  Dante, 

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300  COMENTI. 

esser  doveva  ella  stessa  levata ,  non  che  la  sua  supposta  A 
rora  ;  quando  cioè  il  terzo  passo  della  notte  chtnawi  in  gh 

V  ale.  Egli  poi  sostiene  che  pei  tre  passi  che  Dante  suppc 
avesse  fetti  la  notte,  devonsi  intendere  le  tre  prime  vigilie 
che  la  divisero  Greci  e  Romani  ;  poiché  appunto  al  finire  dtf 
terza  vigilia  comincia  il  cielo  ad  albeggiare,  che  Dante  e^prii 
col  s' imbianca  al  balzo  d*  Oriente;  in  tre  parti  la  atessa  / 
rora  dividendo,  cioè  alba,  vermiglia  e  rancia  dai  vari  coli 
che  appariscono  in  Oriente  al  successivo  appressarsi  dei  ?( 
ali* orizzonte  (Purg.  ii,  4).  Circa  le  stelle  che  ornavano  la  fror 
dell'  aurora  suir  ultima  vigìlia  della  notte,  con  vari  passi  {; 
ralleli  dello  stesso  Poeta,  dimostra  eh*  esser  doveano  quelle  o 
formano  la  costellazione  de*  Pesci. 

MossoTTi  Ottaviano,  lUustrasione  di  un  passo  della  l 
vina  Commedia,  Inaugurazione  del  lyionumento  ad  Ottavia 
Fabrizio  Mossotti,  Pisa,  Nistri,  1867,  p.  31-37. 

IX.*  1-9.  —  La  concubina  di  Titone  anfcco ...  r— Nel  \S 
il  P.  Àntonelli  ritenne  che  la  celebre  Concubina  di  Titone  anij 
non  potesse  essere,  che  T Aurora  lunare;  se  non  che,  me£ 
studiato  r  argomento,  entrò  davvero  in  sospetto  che  tutti, 
egli  pure,  quanto  al  significato  di  quei  due  personaggi  ibsse 
fuori  di  strada.  Titone  ò  Titano,  Titan,  il  Sole:  la  sua  Co 
cubina  è  la  gran  Teti,  Tethys,  moglie  dell'Oceano,  TOo 
marina.  Se  il  Sole  pernotta  con  Teti,  e  questa  è  moglie  à. 
r Oceano,  risulta  ad  evidenza,  che  la  medesima  è  ConcuMi 
rispetto  a  Titano.  Se  Titone  di  Dante  è  il  Sole,  il  nobile  f] 
teto  di  antico  gli  conviene  molto  meglio  che  al  figliuolo 
Laomedonte.  Ma  Teti  è  opaca  per  sua  natura  :  quindi  se  Teui 
investita  da  raggi  lucidi,  è  benissimo  detto  che  s'imbianca  p 
efietto  di  quelh.  Inoltre  per  la  grandissima  estensione  che  1 
la  superficie  del  mare,  può  Teti  essere  imbiancata  in  molti^sii 
luoghi  :  quindi  se  voglia  notarsi,  eh*  ella  s*  imbianca  pel  sorgie 
di  qualche  astro,  sarà  indispensabile  volgere  l'attenzione  ai 
sue  orientali  regioni,  siccome  appunto  ha  fatto  il  Poeta,  dicem 
che  s*  imbiancava  al  balzo  di  oriente,  cioè  al  lembo  orientale  à 

V  orizzonte.  —  Che  se  l'Astro  sorgente  non  è  il  Sole,  allora  T< 
8*  imbianca  fuori  delle  braccia  di  lui ,  le  quali  sono  evideiiu 
mente  ì  raggi,  che  da  lui  stesso  procedono.  E,  viceversa,  volenJ 
indicare  il  sorgere  di  un  astro  diverso  del  Sole,  e  capace  ( 


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GOBIENTI.  391 

illiuninare  e  render  parvente  Tonda  marina,  sarebbe  egregia- 
mente detto,  che  questa  s' imbianca  fuor  delle  braccia  del  suo 
dUilce  amicOy  precisamente  come  ha  detto  il  grande  Alighieri. 
Si,  dolce  amico  può  ben  dirsi  Titano,  rispetto  alia  gran  mole 
d^e  acque  che  vengono  da  lui  e  illuminate,  e  riscaldate,  e  in 
qualche  modo  fecondate  coi  dolcissimi  e  non  meno  delicati 
amplessi  delle  prodigiose  sue  braccia.  Finabnente,  se  con  atten- 
zione si  rifletta,  vedremo  che  dicendo  imbiancarsi  la  Concubina 
fìeor  delie  braccia  del  suo  dolce  amico,  viene  anche  ad  insinuare 
il  Poeta,  che  questo  fatto  fosse  una  specie  d'eccezione,  e  che 
^neralmente  e  ordinariamente  e  megUo  s'imbiancasse  fra  le 
braccia  dell'  amico  medesimo  :  il  che  torna  a  meraviglia  con 
Teti  Mare  e  Titano  Sole  ;  e  non  può  stare  con  Titone  nipóte 
d*Ilo  e  con  una  Aurora. 

E  questa  corrispondenza  di  tutti  i  caratteri  della  descrizione 
del  Poeta  co'  due  nuovi  personaggi,  si  precisa  e  sì  completa, 
trova  un  appoggio  e  negli  scrittori  che  in  questo  paiiicolare 
possono  rìputarsi  Maestri,  e  dei  quali  a  lui  erano  familiari  le 
dottrine  e  le  maniere  di  porgerle,  e  nell'Alighieri  stesso.  — 
Studi  Particolari  sulla  Divina  Commedia,  p.  57-74. 

ScARTAZZiNi  Giovanni  A,,  La  concubina  di  Titone  antico. 
Cemento  del  Purg*  p.  148-162;  TodescJuni,  ii,  391. 

Il  prof.  Scartazzini,  dopo  di  aver  riferito  tutte  le  opinioni 
8U  questo  passo  tanto  disputato  della  Divina  Commedia,  e  dopo 
di  averle  sottoposte  a  critica  rigorosa,  e  recata  pur  la  sua, 
conchiude:  «  Invano  desideriamo  sapere  con  certezza  assoluta, 
quale  sia  il  vero  concetto  di  Dante  in  questo  passo  ;  nessuna 
delle  diverse  interpretazioni  può  vantarsi  di  aver  sciolto  ogni 
dubbio,  ed  anche  la  migliore  non  può  aspirare  a  maggior  vanto 
che  di  essere  la  piii  probabile.  Questo  risultato  è  doloroso  si, 
ma  per  intanto  non  ci  sembra  possibile  ottenerne  uno  più  lieto. 
Ed  alla  fine  de'  conti  il  riconoscere  e  confessare  ingenuamente 
la  propria  ignoranza  sarà  preferibile  alla  millanteria,  che  si 
vanta  di  sapere  ciò  che  non  è  possibile  a  nessun  uomo  di  porre 
fuor  di  dubbio.  —  V.  Man.  Dani,  iv,  147. 

IX.  4.  -*  Di  gemme, . . .  Poste  in  figura  del  freddo  animale 
Che  con  la  coda  percuote  la  gente.  —  Accenna  in  modo 
grazioso  e  pi'eciso  alle  quattro  stelle  più  brillanti  dello  Scor- 
pione, che  hanno  appunto  figura  del  freddo  animale,  cioè  del 


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392  coMEam. 

Serpente,  il  quale  trovavasi  in  quell'ora  presso  alla  luna  in  sui 
suo  sorgere,  ed  immei'so  perciò  nella  sua  luce  aurorale.  Densa, 
IX.  100.  —  Lo  terzo  che  di  sopra  s'ammassiccia.  —  E  \i>a 
la  parola  massicciata,  eh'  è  quello  strato  di  sassi  che  s^anitìias- 
sieda  sulle  strade,  per  farle  più  resistenti  alla  cai*i*^giata. 
Cavemi. 

IX.  118.  —  Trasse  duo  chiaìyiy  V  una  era  d"  oro,  e  faìtra 
era  d'argento,  —  Dante  esprime  brevemente,  gravemente  ed 
utilmente  tutta  la  foi'za  delle  due  chiavi  di  Pietro.  Due  sodo 
le  chiavi  che  i  sacerdoti  debbono  avere,  cioè  l'autorità  e  Is 
scienza.  Più  cara  certamente  è  l' autorità  a  cagione  del  sacra- 
mento; ma  la  scienza  di  discernere  è  quella  che  scioglie  il 
peccatore.  E  dice  l'autore  che  se  alcuna  di  queste  chiavi  er- 
rerà, non  si  apre  la  porta  del  Purgatorio.  I  teologi  poi  e  i 
canonisti  asseriscono  che  soltanto  proprio  il  sacerdote  ha  questa 
seconda  chiave.  —  P.  Atiavanti. 

X.  65.  —  Trescando  alsato,  —  Alzato y  importa  aver  i  {>anni 
tirati  suso,  e  accomodati  in  modo  che  non  possano  dar  noia 
a  chi  salta  o  si  esercita  col  corpo  con  atti  gagliardi  e  di  gran 
movimento.  Borghini, 

X,  128.  —  Yoi  siete  quasi  entomata  in  difetto,  —  Ento- 
mata,  per  insetti,  quando  dovea  dire  entoma,  che  tale  è  la  voce 
greca  a  cui  risponde  a  capello  la  latina  insecta.  Ma  perche 
ne^  Lessici  ai  nomi  ai  mette  appresso  immediate  V  articolo,  ov- 
vero contrassegno  del  genere,  dopo  entoma  venendo  l' aiiicolo 
neutro  plurale  to,  venne  questo  articolo  dai  poco  pratici  a 
congiungersi  col  nome  medesimo  e  fare  tutt'  una  voce  entomata 
quello  eh' è  ta  entoma,  —  Francesco  da  San  Gallo,  fiorentino 
Fidia,  in  un  piccolo  Dante  eh'  io  tengo  di  suoi  disegni  insieme 
e  di  sue  postille,  a  otta  a  otta  segnato,  notava  nel  semplice 
linguaggio  de'  suoi  tempi,  comparazione  meravigliosa  poicK  ella 
è  tale,  —  Salviniy  Lezione  xxi  delle  Accademiche,  242-302.  — 
n  Fiacchi,  in  una  sua  Memoria  letta  aH'Acc.  della  Crusca,  pro- 
pende a  credere  che  Dante  scrivesse  entoma,  parola  die  non 
reca  danno  né  alla  misura  né  all'  armonia  del  verso,  e  che  poi 
r  imperizia  dei  copiatori  recassevi  il  guasto  che  or  vi  si  trova. 
V.  Zannoni,  Relazioni,  240. 

XI.  10.  —  GU  Angeli  tuoi  Fan  sacrificio  a  te,  cantarido 
Osanna.  —  È  tanto  congiunta  V  idea  del  sacrificio  con  quella 


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OOMENTI.  393 

«Iella  giustizia,  che  talora  la  saci*a  Scrittura  fa  V  una  attributo 
deir  altra,  dicendo  agli  uomini  :  sacrificate  sacri ficium  justitiae. 
Indi  il  Poeta  pone  il  sacrificio  perfino  in  cielo,  a  pregare  che 
in  terra  sia  operata  perfettamente  la  giustizia  come  viene  ope- 
rata lassù;  e  altrove  egli  chiama  sacrificio  la  preghiera  eh'  è 
r  atto  più  frequente  della  Religione  (Par.  xiv,  92);  e  sacrifizio  il 
voto  (Par.  V,  44),  che  a  giudizio  di  lui  è  il  dono  più  generoso  che 
la  creatura  possa  offrire  al  Creatore  (Ivi,  19-31),  Perez,  371. 

XI.  66.  —  E  sallo  in  Campagnatico  ogni  fante,  —  «  E  al 
tempo  di  Bolgano  da  Post  eiella  di  Milano  Potestà  (1259),  si 
prese  Gampagniatico  per  lo  Comune  dì  Siena,  el  quale  teneva 
lo  Conte  Uberto,  ed  era  nimico  della  nostra  città,  e  sempre 
t<>neva  in  tribulazione  tutta  la  Marema,  e  quanti  \icini,  che 
lui  aveva.  E  fu  el  Campo  della  nostra  Città  tanto  forte,  che 
per  batagha  v'entraro  dentro,  e  uciseno  lo  conte  Uberto,  per- 
chè mai  non  si  volse  arendare  per  sospetto  di  none  essare  * 
menato  a  Siena.  E  inazi,  che  lui  morisse  amazò  di  molta  gientc, 
inperocche,  Lui  s' armò  lui,  e  '1  Cavallo,  e  corriva  per  la  Piazza 
di  Gampagniatico  come  un  Drago.  E  se  non  fusse  uno,  che 
lanciò  un  spiedo,  e  gionse  al  Cavallo  insulla  testa,  che  non 
potò  scampare,  e  fu  {erito  con  una  maza  di  ferro  in  sulla  testa, 
e  Maranesi  e  Falconi  gli  furo  adesso  per  tal  modo,  che  gli 
fecero  lassare  questo  Mondo.  E  veduta  la  Giente  di  Cortona, 
i  quai  erano  stati  cacciati  per  Io  disfacimento  lofo,  e  non  sa- 
pendo dove  andarsi,  si  ritomoro  a  Cortona  loro,  e  tutti  e  ribel- 
lati di  Cortona ,  e  sì  la  rifeceno  per  lo  meglio  che  poterono  ; 
e  visone  per  molti  anni  in  santa  pace,  e  in  unione,  e  rìtoraò 
nel  primo  stato,  tanto  la  benificoro,  e  tenevano  in  Signoria 
per  loro.  Ma  i  Fiorentini  ne  furo  malcontenti,  e  pentirsi,  che 
r  avevano  lassata  rifare,  per  sospetto  di  loro.  »  Croniche  Se-- 
nesi,  pub.  da  G,  Maconi,  e.  48,  i,  p.  2,  22. 

XI.  91-117.  —  O  vanagloria  delle  umane  posse.  —  Ma  a 
che  vi  esorta  egli  ad  acquistar  rinomanza,  se  la  fama  non  è 
altro  che  un  fiato  che  muta  nome,  perchè  muta  lato,  se  la  rino- 
manza è  color  éC  erba  che  mene  e  vaf  Sembra  ch^  egli  si  con- 
traddica, ma  pur  non  ò,  ove  si  voglia  riflettere  alle  persone 
coi  egU  fa  uscire  in  si  contrarie  sentenze.  Contro  la  fama  parla 
Oderiai  cristiano,  in  favor  della  fama  parla  Virgilio  pagano. 
Or  dà  non  sa  come  i  Pagani  fosser  in  tutte  le  loro  azioni 

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394  OOMBNTI. 

spronati  dairamor  della  gloria?  Cicerone,  parlando  ai  solda 
della  legione  Marzia  morti  a  Modena,  non  ha  detto  :  «  bre^ 
nobis  vita  data  est,  at  memoria  bene  reddit»  vitse  sem[ 
terna;  quae  si  non  eeset  longior  quam  luec  vita,  quia  &ks 
tam  amens  qui  summis  laboribus  ac  perle  ulis  ad  eumma 
laudem  gloriamque  contenderet?  >  Ed  Orazio  :  €  Paalam  sepuli 
distat  inerti»  Celata  virtus  »  (od.  9, 1,  4).  Anche  Tacito:  €  Una 
est  insatiabiliter  parandum,  prospera  tui  memoria;  nam  coi 
tempta  fama  contemnuntur  virtutes  >  (Ann.  lib.  iv).  «  Si  cu 
hac  exceptione  detor  sapientia  ut  illam  inclusam  teaeam  a 
enuntiem,  rejiciam  (Seneca  ep.  6).  p  —  Marco  Genieri,  L'Ap 
tista  di  Venezia,  15  Sett.  1834,  n.  37. 

XI.  94.  —  Credette  Cimabue  neUa  pintura  Tener  lo  camp 
—  Sul  sepolcro  di  Cimabue  in  S.  Maria  del  Fiore  furono  scrii 
da  uno  de*  Nini  i  seguenti  versi:  Credidit  ut  Cimabosptic&er 
castra  tenere;  Sic  tenuit  vivens:  nunc  tenet  astra  poli.  — 
Vasari  dice  che  i  vei-si  di  Dante  alludono  al  concetto  dell* 
scrizione.  Ma  pare  che  T  epitaffio  fosse  stato  scritto  dopo 
pubblicazione  del  poema  ;  e  se  ò  cosi  veramente,  come  da  mo 
si  crede ,  nella  iscinzione  latina  la  locuzione  è  tolta  da*  \v\ 
danteschi.  C.  Pardi. 

XI.  118-119.  —  Lo  tuo  ver  dir  m'incuora  Buona  umih 
e  gran  tumor  nC  appiani.  —  S.  Paolo  alle  snp^bie  dà  il  not 
di  gonfiamenti  (u,  Cor.  xii,  20),  e  la  superbia  di  Amano  è  de: 
tumore  d  arroganza  nel  libro  di  Ester  (xvi,  12):  passi  ci 
forse  ebbe  a  mente  TAlighieri.  Perez^  46. 

XI.  140-141.  — ^  Ma  poco  tempo  andrà  che  i  tuoi  ria 
Faranno  sì...  —  Mi  pare  indubitato,  che  per  vidm  scabbia 
intendere  i  Donati,  mentre  il  punir  di  lor  perfidie  aUude  s^s 
altro  alla  tragica  morte  di  Corso  Donati,  avvenuta  nel  1308, 
di  cui  parla  il  canto  xxiv  del  Purg.  v.  82-87.  Todeschini, 

XIII.  68-72.  —  Di  vii  cilicio  mi  parean  coverti. ...  —  Dai 
mostra  qui  gl'invidiosi  che  si  purgano.  Ora  si  stringono 
vicenda,  mentre  nel  mondo  si  respingevano.  —  Hanno  g:li  oc* 
chiusi  da  un  filo  di  ferro,  mentre  troppo  gli  avevano  ape: 
in  danno  e  rovina  del  prossimo.  E  sono  in  luogo  privo  de*  rag 
del  sole,  perchè  erano  accecati  dallo  splendore  delle  Tirtù  d 
prossimo,  mentre  avrebbero  dovuto  piuttosto  essere  iUamina 
Dice  dunque:  Di  vii  cilicio y  ecc.   L'invidia  rende  gli  uomi 

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coafBNTi.  305 

TÌlissimi.  Con  quanto  senno  chiude  gli  occhi  agi*  invidiosi,  che 
gli  ebbero  troppo  aperti  ad  invidiare  i  fatti  altrui.  E  pone 
nelle  tenebre  coloro,  che  vollero  essere  accecati  dal  lume  della 
vii-tù.  E  gli  pone  stretti  fra  loro,  mentre  non  vollero  mai  avere 
alcun  superiore,  o  eguale.  —  P.  Attavanii, 

Xin.  115.  —  Erano  i  ciUadin  miei  presso  a  Colle.  —  «  E  al 
tempo  di  Ranieri  del  Festa  da  Modena  Potestà  di  Siena  (1268) 
furo  esconfìtti  e  Sanesi  quando  andaro  a  Canpo  a  Colle,  e  la 
cagione  della  sconfitta  fu  el  tradimento  ordinato  da  misere 
Provenzano ,  el  quale  s*  intese  co'  Franceschi.  E  veduto ,  che 
misere  Provenzano  era  traditore,  Miser  Cavolino  ebe  lo  coman- 
damento da  XXIIII  se  lui  potesse  per  ninno  modo  pigliare  Mi- 
sere Provenzano  Salvani,  che  lui,  el  pigliasse.  E  Misere  Cavo- 
lino,  co'  tutto  el  suo  igenio  ordinò  che  Misere  Provenzano  fusse 
preso,  e  qualunque  persona  el  rapresentasse  a  lui,  gli  darebbe 
providigione  di  cento  fiorini,  e  farebelo  cittadino  di  Siena.  E 
uno  dì  uscendo  fuore  Misere  Provenzano,  el  quale  era  confiigito 
in  Colle,  e  Collegiani  el  tradiro,  e  miserlo  nelle  mani  di  Misere 
Cavolino  de  Tolomei,  el  quale  era  ancora  colla  giente  de  Sa- 
nesi in  Valdistrove ,  e  ine  era  fortificato  lui ,  e  '1  Potestà  di 
Siena.  E  quando  videno  Miser  Provenzano,  che  Tera  stato 
menato  preso,  e  fecegli  Citadini,  e  poi  prosino  Miser  Proven- 
zano Salvani,  e  tagliarongli  la  testa  per  comisione  de  XXIIII, 
e  poi  ne  venne  a  Siena.  E  Miser  Cavolino  de  Tolomei  fece 
pore  la  testa  di  Misere  Provenzano  sur'  una  asta  di  Lanza,  e 
arecolla  a  Siena  per  dare  terore  a*  Traditori,  che  se  non  fusse 
lui,  che  rivelò  a  Collegiani  uno  trattato^  el  quale  avevamo  in 
Colle ,  in  quella  volta  Colle  sarebbe  stata  de*  Sanesi.  E  anco 
per  più  amaestramento  degU  altri,  si  guastò  el  suo  Palazo  e 
per  questo  si  stava  in  grande  sospetto,  e  paura,  inperochò  e 
Contadini,  e  le  Masse  d'intorno  erano  grandi  suoi  Amici.  E 
in  questo  modo  quando  andava  o  veniva  ogni  uomo  l' ubidiva 
per  paura  di  lui.  »  Croniche  Senesi,  pubbl.  da  G,  Maconiy 
e  63, 1,  p.  2,  37. 

XIII.  151.  —  Quella  gente  vana  Che  spera  in  Talamone, 
—  <  E  nel  tempo  del  Potestà  sopradetto  (Blinamonte  da  Gobio) 
si  conprò  el  porto  di  Talamone  dall'Abate  dell'Abadia  di  San 
Salvadore,  e  costò  otto  migliaia  di  fiorini  d'oro,  e  cosi  ci  fU 
confermato,  e  cavatone  le  carte  come  si  contiene  colla  licenzia 

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396  OOUBNTI. 

del  loro  superiore  e  del  Papa  Benedetto.  >  Croniche  Senesi, 
pubb.  da  G.  Maconi,  e.  101 ,  i,  p.  60.  —  Sul  porto  di  Tala- 
mone,  V.  ScarabelU,  Il  Lambertino,  xix;  Man,  Dani,  iv,  409. 

XIV,  34.  —  In  fin  là,  *ve  si  rende  per  ristoro —  —  Notabile 
è  che  Dante  riconoscesse  fin  d'  aUoi*a  V  origine  vera  delle  fonti 
(Purg.  XXVIII,  121;  Par.  xx,.19),  intorno  alla  quale  tanto  s'agi- 
tarono nel  secolo  scorso  le  dispute  di  celebri  naturalisti.  Ca- 
vemi,  La  Scuola,  1872,  i,  228. 

XIV.  54.  —  E  non  temono  indegno  che  le  occupi,  —  In^ 
gno  è  qui  in  significato  di  artificio,  o  naacchina,  o  ordigno,  in 
quel  significato  stesso  che  di  cesi  ingegno  della  chiave.  Uno 
degli  ingegni  da  occupare  o  chiappare  le  volpi,  sarebbero  per 
esempio  le  tagliole. . . .  Occupare  poi,  ch'io  traduco  popolarmente 
chiappare,  ò  latino  schietto,  e  di  Proteo  tlifficile  a  chiappai-o 
cosi  disse  Virgilio:  €  Cum  clamore  ruit  magno,  manicisque 
iacentem  Occupat.  >   Cavemi, 

XIV.  86.  —  Perché  poni  il  core  Là  *v  è  mestier  di  consorto 
divieto  f  -^  Ognun  sa  quante  fole  siansi  scritte  dai  chiosatorì 
di  Dante  sulla  parola  consorto  divieto,  senza  comprendere  che 
la  caratteristica  principale  del  dominio,  secondo  Aristotile  eù 
i  giureconsulti  romani,  sia  il  divieto  del  consorzio,  cioè  l'esclu- 
sione degli  altri,  di  modo  che  difesa  (defensa)  fii  deità  nn 
mezzi  tempi  un  luogo  difeso,  cioè  sottratto  dall'altrui  comu- 
nione. V.  Lomonaoo,  Dante  Giureconsulto,  85. 

XIV.  100.  —  Quando  in  Bologna  un  Fabbro  si  rallignai 
—  Il  Postillatore  del  codice  Oassinese  espone:  Is  fUit  Dorn. 
Faber  de  Lambertaccis  de  Bononia.  Quel  Dom.  (dominus) 
trasse  in  errore  parecchi  Comentatori  che  lessero  Domenico 
Fabri.  Costui  fu  il  famoso  Fabro,  che  per  vezzo  era  detto  Fa- 
bruzzo  dei  Lambertazzi,  figliuolo  di  Tomasino,  e  fratello  del 
dottor  Azzo,  canonico  di  S.  Pietro.  Questo  Fabro,  o  Fabrazzo, 
celebre  poeta  al  tempo  di  Dante,  ebbe  in  moglie  Bartolommea 
dei  Marzalogli,  del  borgo  del  Pradello.  Il  Mazzoni  Toselli  ri- 
porta due  documenti  da' quali  è  certo  che  nel  1293  non  èva 
più  vivo.  Il  già  palazzo  apostolico  fu  fabbricato  sulle  case  dei 
Lambertazzi,  nella  cui  torre  oggi  è  collocato  il  pubblico  orologio. 

XIV.  103.  —  Non  ti  maravigliar,  s*io  piango.  Tosco,  Quando 
rimembro  con  Quido  da*  Praia  UgoUn  d^  Atzo  che  viwtte 
nosco.  —  €  Ugolino  d'Azzo  Ubaldini  fu  al  dire  di  Benvenuto 


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COMENTI.  397 

da  Imola  vir  nobilis  et  curiaiis,  ciarissima  stirpe  in  Roman- 
<ldola,  il  quale  ad  iatniirci,  prosegue  il  Tonducci,  benché  fosse 
I*^aentino  di  patria^  dimoraoa  per  lo  piti  in  Toscana^  e  forse 
per  sfuggire  i  tumulti  militari  e  sediUoni  civili^  come  persona 
piti  tosto  dedita  alle  lettere  che  alC  arine,  E  da'  giorni  del  nostro 
patrio  storico  fino  per  poco  a  mezzo   il  presente  secolo  ripu- 
tossi  Ugolino  non  pur  poeta,  ma  cosi  gentile  e  netto  di  quella 
ì'tiggine  che  per  lo  più,  è  sparsa  stille  poesie  del  primo  secolo 
<ia  sembrare  ad  alcuni  assai  meno  antico  di  quello  chiaverà- 
inente^  e  gli  venne  attribuito  il  leggiadro  ditirambo  Le  Ricogli- 
frici  dei  Fiori;  laonde  appresso  essersi  riconosciuto  vero  autore 
(lei  medesimo  Franco  Sacchetti,  a  questo  dirittamente  conceder 
si  vogliono  le  singolari  lodi  soprattutto  dal  Perticari  tributate 
ali*  Ubaldini,  di  cui  si  rimane  per  anche  ignoto  avervi  di  esso 
alcun  poetico  componimento,  se  pure   fu  uomo  fornito  di  tali 
lettere  da  rendersi  atto  a  scriverne:  donde  si  pare  il  torto  avviso 
di  coloro,  i  quali  ebbwo  per  fermo  che  il  molto  valore  del  nostro 
Ugolino  neir  italiana  poesia  procacciasse  al  nome  di  lui  venir 
celebrato  nella  Divina   Commedia,   quando  a  ben  considerare 
r  allegato  terzetto  ci  sembra  accennarsi  in  esso  senza  più  alle 
egregie  parti  dell'animo,  non  dello  ingegno,  ond'era  dotato  Ugo- 
lino, per  le  quali  dal  poeta  reputavasi  degno  di  essere  aggiunto 
alia  eletta  schiera  di  quei  cavalieri.  Che  ne  invogliava  amore  e 
cortesia.  Dal  Crescimbeni>  e  poscia  da  altri  dietro  di  lui,  si  asse- 
risce aver  Ugolino  fiorito  nel  1250,  ed  a  ragione,  che  il  Can- 
Tinelli,  cronista  vivente  a  quei  giorni,  ci  accerta  eh*  egli  moriva 
mi  Gennaio  del  1293.   E  siccome  ricorda  il  Tonducci  avervi 
avuto  tra  gli  oratori  della  città  di  Faenza  inviati  air  assemblea 
Ui  Costanza  un  Ugolino  di  Àzzo,  cui  opina  fosse  avolo  del  pre- 
sente, cosi  il  Zambrini  nella  prima  edizione  delle  Rim^  antiche 
d'AtUori  Faentini y   riferendo  il  detto  del  nostro   storico,   ne 
ripeteva  altresì  il  brutto  paracronismo  di  attribuire  la  celebre 
pace  di  Costanza  ai  1283,  del  quale  però  tutto  il  carico  dar 
^i  dee  alla  stampa,  potendo  noi  entrare  mallevadori  che  il  ms. 
autografo  del  Tonducci  legge  chiaramente  1 183.  —  Oli  storici, 
;id  una  coi  comentatori,  sono  concordi  nel  riconoscere  Praia 
una  villa  del  Faentino  contado,  meglio  nota  sotto  la  vulgare 
«lenominazione  di  Prada.  Di  contrario  sentire  però  si  palesa 
Benvenuto  da  Imola,  il  quale  sostiene  accennarsi  dal  poeta  ad 

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398  COMBNTI. 

una  villa  non  già  di  Romagna,  si  ben  di  Toscana,  poicfaà  a[y 
presso  averci  il  suddetto  comentatore  assicurati  che  gli  Ubai 
dini  fueruni  cÙu  potentes  in  Alpibus,  citra  Apenninum,  et  ultra 
prope  Florentiam,  entrando  poscia  in  Guido,  racconta  di  costui 
come  iste  fiat  aiius  vir  probus  de  una  Yiila  quae  dicitui 
Praia  in  eisdem  partibus,  homo  magni  valoris,  qui  fanùUa 
riter  vixerai  cum  iste  de  Vbaldinis,  Est  etìam  aiìa  mila  t> 
Romandioìa  inter  Faventiam  et  Ravennam,  unde  quidan 
volunt  fiiisse  istum  Quidonem,  e  tra  questi  principalmente  1^ 
storico  di  Lugo,  a  detta  di  cui  da  Guido,  die  di  maestro  por 
tava  il  titolo  (il  quale  allora  non  si  conferiva  se  non  a  valoros 
professori),  nacque  un  cotal  Nìdo,  e  di  vero  tra'  testimoni  ac 
un  rogito  de'  14  Dicembre  1322,  che  originale  tuttora  si  con 
serva,  havvi  Nino  q.  magistri  Guidonis  de  Praia  ;  nondimenc 
a  dii»  prosegue  V  esimio  imolese,  prior  expositio  est  magìs  con 
sona,  quia  Prata  colUgavit  istum  Guidonem  cum  ilio  de  Uba> 
dinis,  laonde  secondo  il  Rambaldi  vuolaiàntendere  Prata  e 
Maremma,  posta  nella  diocesi  di  Volterra.  »  —  Valgimigii. 

XIV.  106.  —  Federigo  Tignoso... 

Brigidi  Adamo,  Federigo  Tignoso  e  la  siui  brigata.  Rimin 
1854. 

Sostiene  che  fu  il  Tignoso  di  Longino,  e  non  di  Montefeltr 
o  di  Rimini,  come  vogliono  i  Cementatori. 

XIV.  121.  —  O  Ugolin  de'  Fantoli,  sicuro  È  il  nome  tui 
da  chepiv^  non  s'aspetta  Chi  far  lo  possa  tralignando  oscuri 
—  UgoliDO,  podestà  di  Faenza  nel  1523,  da  Benvenuto  à'imdi 
ritrattoci,  siccome  vir  singularis  bonitatis  et  prudentiae,  fu, 
detta  degli  altri  commentatori ,  uomo  nobile  e  virtuoso,  àz 
quale  non  avendovi  argomento  di  attendere  successione,  preod 
perciò  il  poeta  ad  assicurarlo  che  il  nome  e  la  buona  fam 
di  lui  non  sono  per  venire  oscurati,  dappoiché  non  vi  avrà  d 
possa  recargli  tal  onta.  Tuttavia  e'  non  si  vuol  conteudei 
aver  Ugolino  avuto  figliuoli,  cioè  a  dire  due  maschi,  i  qua 
chiamavansi  Fantolino  e  Tano  (contrazione  di  Ottaviano)  gìust 
ne  rendono  fede  gli  storici,  specialmente  contemporanei,  e  i 
toglie  qualunque  dubbio  un  atto  pubblico  presso  il  Gherardii 
{Hist.  Bonon.  p.  i,  pag.  245),  per  lo  quale  nel  1279  vien  ricc«j 
dato  Benincasa  d'Amatolo,  notaio  fiorentino,  procurator  nob 
Uum  virorum  Fantolini  et  Octaviani  fratrum  etfiUorum  oUi 


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COMENTI.  399 

)-  XJgoUni  de  Cerfugnano  (castello  posto  nella  valle  di  Sintria, 
ontado  di  Faenza),  dei  quali  Fantolino  rimase  morto  in  Forlì 
tei  1282,  mentre,  sebben  dell'altro  appresso  a  quei  giorni  non 
"  abbia  memoria,  certo  egli  era  passato  di  vita,  quando  TÀli- 
^liieri  scrìveva  il  suo  poema,  poiché  oltre  ai  predetti  figliuoli 
Lvendo  avuto  Ugolino  altresì  due  femmine  nomate  Caterina  ed 
VgneBina,  queste  sui  primordi  del  secolo  quartodecimo  fanno 
contratti  circa  l'eredità  loro  scaduta  per  morte  dei  fratelli, 
ie'  quali  Ottaviano  è  ricordato  in  un  rogito  delli  18  Marzo 
1312  siccome  allora  già  estinto.  Di  Ugolino  inoltre  abbiamo 
ial  cronista  Ubertelli  ch*ei  fu  di  Faenza,  della  famiglia  dei 
VantoUni^  già  nobile  e  principale  nella  ciuà^  nato  di  Alberino 
tnttor  vivente  nel  1230.  Si  chiamò  comunemente  di  Cerfognano, 
poiché  questa  era  una  sua  villa  posta  nel  contado  di  Faenza, 
biella  valle  di  Sintria,  dov*egli  la  piii  parte  deW anno  era 
tolito  di  haJntare  per  attendere  ad  una  vita  quieta  e  sfuggire 
V  horrenda  peste  dej/ti  faHone  Guelfa  e  Ghibellina ,  le  quali 
d*  suoi  giorni  erano  grandemente  in  colmo  in  Faenza  e  per 
tutta  Romagna,  e  tuttavia  non  potè  star  tanto  ritirato  che  per 
la  condition  de*  tempi  non  fosse  necessitato  adherire  alla 
parte  Guelfa  insieme  con  i  Manfredi,  Rogati,  et  altri  nobili 
cittadini.  Fu  Conte  di  alcuni  castelli  e  fortezze  in  valle  di 
Lamone,  cioè  di  Calamelh,  Gavina,  Mentemaore,  Gualdifuso 
e  Femazzano,  intomo  a'  quali  possedeva  ancora  molte  pos- 
sessioni  e  ville.  Mori  Ugolino  l'anno  1278  a  di  IO  Febraro, 
prosegue  a  ragguagliarci  T  Ubertelli,  et  il  su^  corpo  fu  sepellito 
nella  chiesa  di  S,  Domenico  detta  di  S.  Andrea  de*  Frati  Pre- 
dicatori nel  sepolcro  de*  suoi  maggiori  posto  nella  muraglia 
sopra  terra  di  pietra  viva  col  suo  epitafio,  il  quale  si  vedeva 
ancora  Fanno  1461,  ma  hora  è  distrutto,  dopo  che  i  Frati 
hanno  innanzi  slongata  la  Chiesa,  —  Valgimigli, 

XV.  1-3.  —  Qtiandotra  r  ultimar  deW  ora  terza,  E^lprin^ 
cipio  del  di  par  della  spera,  -—  Quando  sì  parla  dell'  ora  terza, 
(leirora  sesta,  dell'ora  nona,  non  si  parla  di  ore  uguali,  ma 
sì  temporali.  La  terza  si  compie  alla  metà»  del  mattino,  la  sesta 
al  mezzodì,  la  nona  alia  metà  dell'ore  diurne  pomeridiane... 
Spera,  vuol  dire  il  giro  dim*no  del  sole,  che  non  istà  mai  allo 
stesso  segno,  ma  si  cangia  ogni  giorno,  ora  accostandosi  all'  e- 
quatore,  ed  ora  disoostandosene.  Todeschini. 


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400  COMENTI. 

XV.  16-21.  —  Come  quando  da  V  acqua  o  dallo  spr 
chio,  eoe.  —  Non  altro  vuol  dir  Dante,  se  non  che  venendi» 
incontro  il  celeste  Messo,  la  luce,  onde  quegli  era  cinto,  e  \t 
niva  immediatamente  da  Dio,  lo  percosse,  riflettendo,  nel  volt 
in  quella  guisa  a  punto  che  il  raggio  scende  contro  Tacùii 
o  con  tra  lo  specchio,  indi  sale  allo  stesso  modo,  con  cui  àìsces 

cioè,  formando  quinci  e  quindi  due  angoli  eguali Salendo  .< 

per  lo  modo  parecchio  a  quel  che  scende.  Cioè,  torcendosi  d 
suo  camino,  e  risalendo  con  Tistessa  legge,  con  cui  dk-e- 
E  tanto  si  diparte  dal  cader  de  la  pietra  in  igual  tratta.  Q 
spiega  il  poeta  qual  sia  questa  legge;  e  dice,  che  quanto 
raggio  scendendo  si  allontana  dalla  perpendicolare,  altre! tan 
se  n'  allontana  salendo ,  scorso  eh'  egli  abbia  un  tratto  egual 
//  cader  della  pietra^  con  tal  nome  la  chiama  Alberto  Magn 
Sì  come  mostra  esperienza  ed  arte:  come  dimostra  artificio 
esperienza:  con  che  si  dinota  qualche  istrumento,  o  sia  ma 
china,  per  conoscer  la  legge  della  riflesalime,  £01*86  non  mo] 
dissimile  da  quelle,  che  si  sogliono  a  tal  fine  usare  ogui 
Invece  di  luce  rifratta  pare  dovesse  dirsi  riflessa.  Lettera  ( 
Sig,  Giuseppe  Torelli,  veronese,  intomo  a  due  passi  del  P^ 
gatorio.  Verona,  Carattoni,  1760. 

XV.  16.  —  Come  quando  daW  acqua  o  dallo  specchio^  e 
—  Notabile  ò  il  descrivere  che  qui  fa  Dante  le  due  leggi  ti» 
riflessione  della  luce.  Dico  le  due  leggi  e  non  la  sola  risp^u 
dante  gli  angoli,  come  hanno  ripetuto  tutti  i  comentatori 
qui,  non  eccettuato  il  P.  Antonelli.  —  Dicendo  in&tti  il  Poi 
che  il  raggio  incidente  salta  dall'  opposita  parte ,  salendo  : 
modo  parecchio  a  quel  che  scende,  vuol  significare  che  il  r^s^ 
riflesso  non  piega  più  da  una  parte  che  dall'altra  rispetto 
piano,  ma  sta  in  pari  con  esso;  o  in  altre  pai*ole,  che  tai 
il  raggio  incidente  come  il  raggio  riflesso  si  trovano  in 
medesimo  piano  perpendicolare  alla  superfìcie  riflettente 
questa  è  la  prima  legge.  Dicendo  poi  che,  in  egual  tratti 
due  raggi  si  partono  egualmente  dal  piede  della  perpen  li 
lare,  significa  che  T  angolo  d' incidenza  è  u  guale  all'  angolo 
•  riflessione,  e  questa  è  la  seconda  legg-e.  —  Cacemi,  La  Sou 
I,  226. 

XV.  20.  —  Cader  della  pietra.  —  Colla  proporzione 
cader  della  pietra  spiega  le  leggi  ed  i  fenomeni  della  i 


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OOMENTI.  401 

anapiastica,  che  i  recenti  fisici  distinguono  in  diottrica  e  catot- 
trica. —  V.  LomonacOy  Dante  giureconsulto. 

XV.  94-105.  —  Indi  m'apparve  un' altra  con  quelle  acque. 

—  Un  esempio  di  mansuetudine  eguale  a  quello  di  Pisistrato 
diede  T  imperati'ice  di  Russia  Elisabetta.  Kohl,  professore  a 
Pietroburgo,  si  prese  dell'  amore  di  Lei  ;  e  un  giorno  eh'  essa 
in  tutto  lo  splendore  della  pompa  imperiale  andava  alla  chiesa, 
Kohl,  rotta  la  folla  che  la  circondava,  come  lo  menava  la  sua 
forsennata  passione,  si  gettò  alle  sue  ginocchia  e  le  dichiarò 
il  suo  amore.  Già  mille  spade  erano  alzate  a  far  in  pezzi  V  audace 
andante,  quando  essa,  frenando  l'ardore  dei  suoi  cortigiani,  gridò 
come  PiMstrato  «  se  facciamo  morire  quelli  che  ci  amano,  che 
cosa  faremo  a  quelli  che  ci  odiano?  Kohl  venne  mandato  ad 
Amburgo  con  uà  annua  pensione  di  200  rubli  che  gli  fu  sempre 
esattamente  pagata.  »  Blog.  Univ.  art.  Hagedom.  —  Marco 
Renieri,  L'Apatista  di  Venezia,  15  Seti  1834,  n.  37. 

XVI.  1.  —  Bufo  d^ inferno,  e  di  notte  privata,  B* ogni 
pianeta  sotto  pover  cielo,  Quant' esser  può  di  nuvol  tenebrata. 

—  Né  credo  che  Dante  intendesse  per  povero  cielo  un  emisfero 
scarso  di  stelle  di  primo  ordine,  come  il  P.  Antonelli  dice,  ciò 
che  riuscirebbe  inutile  pleonasmo  avendolo  detto  ;  privato  d' ogni 
pianeta  ma  ;  povero  cielo  niente  altro  vale  a  me  se  non  ristretto 
orizzonte.  Caverni,  La  Scuola,  1872,  i,  179.  —  Io  recherei 
il  povero  a  quel  che  segue,  cioè  notte  intenebrata  di  nuvoli; 
giacché  potrebbesi  non  vedere  astri,  e  pur  tuttavia  l'aria  not- 
turna non  essere  mestamente  cupa.  Nel  sotto  è  l' idea  dal  Pro- 
fessore voluta,  ma  indirettamente  la  c'è:  e  quo  sub  coelo, 
leggiamo  in  Virgilio  là  dove  non  s' intende  d' angustia  cagionata 
allo  sguardo  dalle  tenebre.  Lasciamo  a  povero  V  indeterminata 
fsua  ampiezza;  perchè  l'indeterminato  è  bellezza  poetica  e  anco 
filosofica  quando  non  sia  vago  e  vano.  Tommaseo,  Lettera  al 
Pievano  Calcinai,  p.  40. 

XVI.  67.  —  Voi  che  vivete  ogni  cagion  recate  Pur  suso 
al  Cielo,  si  come  se  tutto  Movesse  seco  di  necessitate.  — 
Questa  sentenza  ha  grande  analogia  con  quella  che  Omero 
pone  in  bocca  al  sommo  Giove  :  Oh  !  come  sì  gli  uomini  m,ortali 
incolpano  gli  Dei!  perocché  da  noi  dicono  venire  i  mali, 
mentr*  eglino  vanno  soggetti  ad  affanni,  non  per  destino,  ma 
per  le  proprie  loro  stoltezze.  Odiss.  A,  33.  —  C.  Cavedoni. 

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402  coMom. 

XVI.  85-90.  —  Esce  di  mano  a  iui,  che  la  vagheggia 
Prima  che  sia^  a  guisa  di  fanciulla,  —  Sublime  in  vero  e 
Boavissimo  ai  è  questo  tratto,  ove  il  Poeta  deecrìve  la  creazione, 
e  la  discesa  dell'  anima  umana  ad  informare  il  corpo  a  lei 
destinato.  L' espressione  convenientissima,  a  guisa  di  fiindulht, 
non  80  donde  fosse  dal  Poeta  ritratta,  se  non  forse  da  un  luogu 
del  Platonico  Olimpiodoro ,  che  dice  a  guisa  di  fanciulla 
discende  raniìna  alla  generazione,  —  V.  Ckthani  e  C  Ca- 
vedoni. 

XVI.  94.  —  Onde  convenne  legge  per  fren  porre 

Ravina  J.  a.,  Esposizione  di  una  terzina  di  Dante ,  Ri^ 
sposta  ad  un  amico.  Firenze,  Mariani,  Estratto  dalla  Rivista 
di  Firenze,  n.  31  e  32,  iii  Serie. 

XVI.  106.  —  Soleva  Roma,  che  il  buon  mondo  /èo,  Due 
Soli  aver^  che  runa  e  l altra  strada  Facèn  ve^ferCy  e  del  mondo 
e  di  Dea,  —  V.  Petrarca,  Libro  vn  delle  SeniM,  lettera  unica. 

XVL  140.  —  Gaia,  —  V.  Todeschin^t,  Scritti  su  Dante, 
II,  399. 

XVII.  31.  —  E  come  questa  immergine  rompeo  ^  perse 
stessa^  a  guisa  d  una  bulla  Cui  manca  r  acqua  sotto  qual  si 
feo,  —  Se  qualcuno  avesse  voluto  del  vero  far  rilevare  la  scienza 
fìsica  di  Dante  noa  dovea  lasciar  indietro  questa  terzina  nella 
quale  si  vede  che  T  osservazione  diligente  fece  al  Poeta  indo- 
vinare la  vera  ragion  fisica  dello  scoppiare  la  bolla  deU"  aria 
nel  giungere  alla  superfìcie  dell'acqua;  ragione  cfa* e* mostra 
non  intendere  il  Segretario  stesso  dell'Accademia  del  Cimento, 
dove  dice  che  si  rompe  la  bolla  alla  superficie  del  liquido,  per 
il  repentino  urto  neiraria.  Cavemi,  da  lettera. 

XVII.  62.  —  Pria  che  s'abbui.  —  Come  s*  abbuia  (si  ti 
buio,  notte)  mi  tocca  andar  tastoni.  —  Sanese.  —  Camminai 
di  giorno,  ma  s'abbuiò  (si  fece  notte),  e  io  mi  trovai  spex'so. 
Versilia.  Or  per  significare  appunto  il  venire  della  sera,  quando 
già  raer  comincia  ad  annerarsi,  Dante  usa  la  parola  dei 
volgo:  Pria  che  s'abbui.  Giuliani,  Saggio  di  un  Dizion.  del 
Volgare  Toscano. 

XVII.  104.  —  Amor  sementa  d^ogni  vvrtude,  —  Tutte  le 
passioni  umane  non  sono  che  ramificazioni  dell*^ amore.  Se  questo 
è  proporzionato  con  Dio  e  colle  creature,  è  virtìt:  se  non  è 
proporzionato,  ò  vizio  e  delitto:  si  rompe  ciò  che  S.  Agostmo 

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CX)MENTI.  403 

appella  ordine  delCamore^  e  Platone  nel  suo  nobile  dialogo 
il  Simposio y  amore  simmetrico,  evarmos{os.  Secondo  questo 
filosofo,  il  vizio  non  è  che  un  amore  sproporzionato,  anarmosto». 
V.  Lomonaco,  Dante  Giureconsulto,  28. 

XVII.  139.  —  Tacciolo,  acciocché  tu  per  te  ne  cerchi,  — 
Non  si  tratta  di  far  leggere,  ma  di  far  pensare,  dice  MoUtes* 
quiev,  lib.  ii,  19.  —  R.  Renieri,  L'Apatista,  1834,  n.  39. 

XVIIL  19.  —  L'animo,  eh* è  creato  ad  amar  presto —* 

V.   ConH^  Storia  della  filosofia,  ii,  Lez.  xi,  p.  224. 

XVIII.  34-39.  Or  ti  puote  apparer —  Cioè  V  amore  in 

genere,  quanto  alia  sua  natura  forse  è  buono;  forse,  perchè 
non  ha  moralmente  né  bontà  nò  malizia  :  riceve  bensì  V  una  o 
l'altra  dalF arbitrio  che  lo  determina  in  atti  speciali,  come  la 
cera  è  configurata  dal  suggello.  A.  Conti, 

XVm.  43-46  e  v.  73-75.  —  Che  s*  amore  è  difitorianoi 

offerto -*-  Virgilio,  che  rappresenta  nella  Divina  Commedia 

la  ragione  umana,  mttteva  innanzi  alcune  idee  di  ragione  intorno 
al  grande  argomento  della  libertà  e  moralità  dell'uomo,  che 
poi  doveano  ^essere  ampiamente  illustrate  nella  cantica  del  Pa^ 
radiso  da  Beatrice  rappresentante  la  teologia,  la  qua^  nel 
parlare  del  libero  arbitrio  V  avrebbe  appellato  col  nome  di  nobile 
virtìc.  Ora,  dimanda  il  Todeschini,  troviamo  noi  nel  Paradiso 
quella  dimostrazione  teologica  del  lìbero  arbitrio,  che  Dante 
ci  avea  promessa  nel  Purgatorio?  6r interpreti  ci  mandano 
per  r  adempimento  di  quella  promessa  ai  canti  iv  e  v  del  Pa-* 
radiso;  ma  ei  non  la  trova,  che  la  cantica  del  Paradiso  non 
s"  accorda  col  discorso  di  Virgilio  nel  xviii  del  Purgatorio.  Ed 
ei  viene  in  questa  sentenza:  che  Dante  accintosi  alia  cantica 
del  Paradiso  mutò  il  pensiero,  e  deliberò  seco  stesso  di  astenersi 
dalla  divisata  discussione  teologica  intorno  al  libero  arbitrio, 
alla  quale  per  avventura  sarebbe  stato  necessario  che  fosse  dato 
compimento,  ed  imposto  a  così  dire  il  fastigio,  colla  dottrma 
della  grazia.  -•  E  questa  è  una  delle  contraddizioni  notate  dal 
Todeschini  nella  Divina  Commedia. 

XVIII.  56.  —  Prim£  notizie.  —  I  greci  le  appellavano  an** 
ticipaiioni,  e  Cicerone  prima  seminoy  et  igniculos. 

XVIII.  49-60.  —  Ogni  forma  sostanziai ,  che  setta,  ecc. 
—  Dante  non  fu  discepolo  ligio  a  S.  Tommaso,  ma  in  più  cose' 
scostossi  da  lui.   Egli  apprese  la  dottrina  scolastica  in  tutta 

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404  COBONTI. 

r  ampiezza  sua,  Don  dandosi  alla  disciplina  d*  un  solo  maestro  : 
parte  scelse  fra  le  opinioni  udite,  e  qualche  volta  pensò  da  :i«ò 
atesso....  Io  ho  dichiarato  altrove  la  mia  opinione  su  questo 
luogo  dell'Alighieri  (Nuovo  Saggio,  Sez.  V*,  C.  xxv,  art  2). 
Ivi  ho  detto,  la  dottrina  aristotelica  essere  stata  intesa  in  vaii 
modi,  perchè  oscura,  e  non  precisa;  ed  uno  di  questi  modi 
esser  quello  di  Dante.  Qui  due  cose  manifestamente  dice  il 
filosofo  poeta.  La  prima  :  che  la  virtù  propria  dell'  anima,  come 
di  ogni  altra  forma  sostanziale  che  ha  sussistenza  propria  e 
setta  (cioè  separata)  da  materia  (sebhen  trovisi  anco  unita  a 
materia),  è  occulta  ed  incognita  fino  a  tanto  che  non  opera,  e 
non  si  dimostra  fuori  nei  suoi  atti  ed  effetti.  Oosi,  a  ragion  di 
esempio,  non  si  saprebbe  mai  dire  se  la  pianta  avesse  in  su 
virtù  che  chiamasi  vita,  quando  non  si  vedesse  il  viver  suo 
al  di  fuori  nelle  frondi  verdi  e  rigogliose.  Medesimamente 
r  anima  ha  in  sé  colletta ,  o  sia  accolta ,  una  virtù,  che  le  dà 
notizia  de'  primi  principj  ;  ma  questa  virtù  innata  non  apparisce, 
e  non  si  sa  ciò  eh'  ella  sia  in  noi,  se  non  allora  che  noi  facciamo 
uso  di  essa,  mediante  gli  atti  della  nostra  mente. 

La  seconda  cosa  è  conseguente  alla  prima.  Egli  si  continua 
ragionando  cosi:  quando  adunque  la  mente  nostra  fa  gli  atti 
suoi  d' intendere,  di  giudicare,  ecc.,  ella  trova  già  d' aver  belli  e 
pronti  alla  mano  i  primi  principii.  Onde  le  sono  venuti  questi  t 
L'uomo  non  lo  sa,  dice  Dante;  non  può  sapere  il  quando,  e 
il  come  gli  sono  venuti.  £  perchè  ?  Perchè  non  sono  a  lui  venuti 
onde  che  sia^  non  sono  in  lui  acquisiti;  cioè  li  ha  sempi'e  avuti 
con  so  ;  sebbene  occulti  si  stessero,  prima  che  apparissero  nei 
loro  effetti.  La  quale  occulta  esistenza  de'  primi  principj  in  noi., 
non  dee  recarci  maraviglia;  perocché  ogni  forza  e  virtù  nello 
interiore  delle  cose  si  asconde,  fino  a  tanto  che  operando  non  ci 
si  dà  a  conoscere  negli  atti  suoi.  Non  si  può  dunque  allegaiv 
nell'  uomo  un'  orìgine  fattizia  de'  primi  principj  :  questo  è  il 
senso  delle  parole  là  onde  vegna  lo  intelletto  delle  prime  nch- 
tizie,  uomo  non  sape.  Ma  che  perciò?  Se  Dante  dice  irrepe- 
ribile la  formazione  delle  prime  notizie  nell'uomo,  nega  per 
questo  assolutamente,  che  non  si  possa  assegnare  ad  esse  qual- 
fiiasi  origine?  Certo  no;  in  una  parola,  l'intelletto  delle  prime 
notizie  Dante  lo  pone  innato  ;  e  però  dopo  aver  detto  che  non 
si  dee  cercare  la  spiegazione  di  esse  nelle  operazioni  della 


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COMENTI.  405 

mente ,  come  quelle  che  suppongono  quelle  notizie  prime  e  le 
adoperano  quasi  istrumenti,  aiferma  senza  dubitazione  alcuna, 
ihe  queW inteiletto  delle  notizie  prime  è  nell'uomo,  come  è 
nell'ape  lo  studio  di  far  lo  mele,  cioè  come  sono  gP istinti,  i 
quali  sono  innati,  ed  elementi  costitutivi  della  natura  animale. 
Cosi  quell*  intelletto  è  congenito  a  noi,  e  posto  in  noi  da  na- 
tura. 

Dante  adunque  esclude  T  opinione  di  quelli  che  vogliono 
spiegare  i  primi  principj  pel  mezzo  de'  sensi  e  dell'  induzione, 
afTerinando  che  questi  non  sanno  trovar  mai  nulla  ;  ma  poscia 
egli  assegna  in  altro  modo  l'origine  di  tali  notizie,  facendole 
divenire  da  natura.  Or  di  quello  che  è  dato  da  natura,  non 
cade  cercar  T origine;  non  avendone  altra,  che  quella  della 
natura  medesima:  T  autore  della  natura  è  pur  V  autore  di  tutto 
ciò  che  è. nella  natura,  e  però  delle  prime  notizie.  Rosmini^ 
Rinnovamento,  p.  17-19.  —  Si  come  studio  in  ape  Di  far  lo 
inele.  —  La  similitudine  dell'  ape  è  tolta  da  Aristotile.  Metap.  i, 
10.  —  Rosmini^  Nuovo  Saggio. 

XVIII.  49-66.  —  Ogni  forma   sustanzial  che  setlay  ecc. 

P.  Paganini,  Di  un  luogo  del  Purgatorio  di  Dante  che  non 
sembra  esser  stato  ancora  dichiarato  pienamente.  Dall' Ara  Wo 
di  Lucca,  n.  14,  1857. 

Il  Poeta  nel  C.  xvii  avea  fatto  dire  a  Virgilio,  che  amore 
i^  sementa  in  noi  d'ogni  virtù  e  d'ogni  vizio:  nel  xviii  vuol 
fargli  provare  la  verità  di  questo  dettato,  comune  alla  pagana 
e  alla  cristiana  sapienza.  A  tale  uopo  egli,  in  persona  del  suo 
duce  e  maestro,  lisale  col  pensiero  alla  costituzione  primitiva 
«leir  essere  umano:  in  esso,  egli  dice,  oltre  la  materia  v'è  una 
forma  immateriale,  fornita  di  una  virtii  o  potenza  specifica^ 
la  quale  non  si  dimostra  che  nei  suoi  effetti,  cioè  nelle  sne 
operazioni  come  per  verdi  fronde  in  pianta  mia.  Questa  po- 
tenza specifica  può  considerarsi  di  due  lati,  in  quanto  è  passiva 
e  in  quanto  è  attiva  :  in  quanto  è  pa.ssiva  è  T  intelletto  delle 
prime  notizie,  in  quanto  è  attiva  è  T  affetto  dei  primi  appetì,^ 
UH  (V.  S.  Tommaso  Contra  geni,  lib.  ii,  cap.  60  e  lib.  iv,  e.  19). 
Quindi  non  è  meraviglia  che  Tuomo  non  sappia  donde  gli 
vengono  siffatte  cose,  non  essendone  mai  stato  privo  e  appar- 
tenendo alla  sua  natura  in  quel  modo  medesimo,  che  all'ape 
per  esempio  appartiene  lo  studio  ossia  l'istinto  di  fiir  lo  méU^ 


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406  COMBNTI. 

Ora  quell'aflfetto  dei  primi  appetibili  è  senz* alcun  merito,  p»*- 
chò  non  dipende  dal  libero  arbitrio,  il  quale  soltanto  è  prin- 
cipio là  onde  si  piglia  Cagion  di  meritare.  Non  per  tanto 
esso,  non  avendo  per  oggetto  altro  che  il  bene  conveniente  alla 
umana  natura,  è  un  affetto  sotto  ogni  aspetto  irreprensibile. 
Non  si  può  concepire  non  solo  una  creatura,  ma  né  meno  il 
Creatore  senz'  amore  alcuno  ;  sebbene  nella  creatm^a  ragionevole 
ne  possano  essere  di  due  sorte,  uno  naturale  o  istintivo,  Talrro 
à^ animo  o  deliberato:  il  primo  dei  quali  è  sempre  senza  er- 
rore, perchè  è  T  opera  della  stessa  sapienza  divina,  mentre  il 
secondo  puoie  errar  per  malo  abbietto  o  per  troppo  o  per  poco 
di  vigore^  secondo  che  dalla  libera  volontà  o  è  volto  a  ciò  che 
è  intrinsecamente  male,  oppure  anco  a  ciò  che  è  bene  ma 
senza  quella  misura  che  risponda  al  suo  vero  pregio.  Come 
accade  dunque  che  sia  Amor  semente  in  noi  d*  ogni  mrtude 
E  d'ogni  operazion  che  merta pene f  Ciò  accade:  l.  perchè  dal 
primo  amore,  che  Dio  medesimo  ha  posto  nell'uomo  si  svol- 
gono altri  amori,  come  dalla  foraa  vegetativa  delle  piante  na- 
scono i  ramoscelli  e  le  foglie,  che  le  adornano,  e  dair istinto 
dell'ape  i  vari  morimentì,  coi  quali  essa  sugge  Tumor  de'  fiori, 
lo  converte  in  miele,  e  lo  deposita  nell'  alveare  :  2.  perchè  qucf^ti 
secondi  amori  possono  esser  conformi  a  quel  primo  easenzialt^ 
air  uomo  e  rettissimo ,  ovvero  anche  difformi,  siccome  avviene 
ogni  volta  che  finiscono  in  oggetto  per  se  malo,  o  non  serbino 
il  debito  modo  ed  ordine  nei  beni  :  3.  perchè  la  ragion  pratica, 
o  assecondando  o  promovendo  colla  sua  Ubera  efficacia  cotesti 
amori,  fa  che  la  rettitudine  loro  o  la  loro  malvagità  sia  im- 
putabile all'uomo,  e  divenuti  abituali  diano  carattere  alia  sua 
condotta,  in  altre  parole,  originino  le  rirtù  e  i  vizi.  E  da  tutto 
questo  si  fa  manifesto,  che  quel  primo  amore,  si  rispetto  agli 
amori  secondi,  come  rispetto  alla  ragion  pratica  (convenien- 
tissimamente diiamata  da  Dante  la  virtit,  che  consiglia  E  del- 
t assenso  de  tener  la  soglia  dall'ufficio  a  cui  è  stata  destinata), 
è  come  una  cotal  regola  od  esemplare,  cioè  rispetto  agli  amori 
secondi  perchè  non  possono  esser  ragionevoli  o  onesti  se  non 
seguendolo  e  imitandolo,  e  rispetto  alla  ragion  pratica  perchè 
deve  procurare  ch'essi  nel  fatto  lo  seguano  e  lo  imitino.  E 
diciamo  una  cotal  regola  od  esemplare,  concìossiachò  la  naturai 
tendenza  a  quel  bene  che  conviene  all'  esser  nostro,  per  sé  non 


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COMENTI.  407 

è  che  un  fatto,  e  un  fatto,  ia  quanto  tale,  non  ha  la  ragion 
di  regola  o  di  esemplare,  ma  solamente  può  pai'tecipare  in 
quanto  è  segno  di  un  idea  (V.  S.  Tommaso  Somma  I.  ii,  quest. 
94  della  legge  naturale,  e  altrove).  Se  si  vuol  dunque  commen- 
tando questo  luogo  di  Dante  andare  al  fondo,  non  bisogna  con- 
tentarsi di  rendere  il  raccogliersi  per  concentrarsi,  ma  bisogna 
(li  pili  ridurre  lo  stesso  concentrarsi  al  suo  senso  filosofico, 
il  quale  non  ci  sembra  poter  esser  diverao  da  quello  che  ab- 
biamo indicato,  cavandolo  dal  valor  logico  dei  concetti,  che 
Dante  ha  espressi  nel  C.  xvii  e  xviii  del  Purgatorio.  Che  se  il 
nostro  raccogliere  è  dal  latino  colligere,  e  lex  è  detta,  come 
pensò  Cicerone,  da  eligere,  ognun  vede  la  profon^ìa  conveni  'nza 
che  quel  si  raccoglia  ha  coir  ufficio,  che  giusta  la  mente  di 
Dante  noi  crediamo  di  dovere  attribuire  al  primitivo  e  imma- 
nente atto  della  parte  affettiva  deir  anima  umana. 

XVIII.  55-59.  —  Però^  là  onde  vegna  lo  intelletto  Delle 
prime  notine» . . . 

Della  Vali£  prof.  Giovanni,  Interpretazione  di  un  passo 
della  Divina  Cotnmedia  che  si  trova  in  rapporto  colla  teoria 
delV origine  dell'  idee  di  S,  Tommaso,  nell'occasione  del  VI  Cen' 
tenario  dalla  morte  deW Angelico  Dottore  solennizzato  in  Roma 
il  di  7  Marzo  1874.  Faenza,  Novelli,  1874. 

Dante  non  converrebbe  con  S.  Tommaso,  se  ne'  versi  sue- 
cennati  avesse  inteso  di  dire  che  le  prime  notizie,  o  i  primi 
principii  deir  umana  ragione  sono  innati,  mentre  S.  Tommaso 
non  ne  ammette  nessuno  per  tale,  come  si  raccoglie  dalla  se- 
conda divisione  della  prima  parte  della  sua  Somma.  Ma  se  il 
Poeta  volle  dire,  che  Tuomo  non  sa,  come  gli  vennero  quei 
primi  veri  o  quelle  prime  notizie,  o  come  le  apprese,  è  chiaro 
allora,  che  non  si  può  affermare  che  le  riguardasse,  come  innate, 
perchè  possono  essere  acquisite,  ma  senza  saper  dire  in  qual 
modo  poi  lo  furono  dal  nostro  intelletto.  E  per  verità  molti  atti 
hanno  luogo  nell'animo  nostro,  ma  ignoriamo  se  dal  tuie  o 
tale  altro  principio  interiore  immediatamente  derivino  ;  sia  ciò 
perchè  non  ne  abbiamo  più  memoria,  sia  perchè  quando  vi 
nacquero,  non  ne  avvertimmo  con  bastante  attenzione  la  pre- 
senza. £  in  questo  senso  (che  probabilmente  è  il  vero  senso,  in 
cui  Dante  intese  quelle  parole),  egli  converrebbe  con  S.  Tom- 
maso su  questo  punto  delle  dottrine  ideologiche.  —  Dalle  parole 


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408  COMBNTI. 

di  Dante  V  animo  nostro  apparisce  tanto  naturalmente  portato 
alla  cognizione  delle  prime  notizie^  quanto  lo  è  air  affetto  dei 
primi  appetibili,  e  quanto  1<?  è  T  ape  allo  studio  di  fare  ilmét; 
il  quale  affetto  e  il  quale  studio  sono  facoltà  istintive  ed  ine- 
renti air  animo  e  all'  ape.  Questo  paragone,  sebbene  non  sia  vero 
a  rigore,  scientificamente  parlando,  perchè  la  cognizione  delie 
prime  notizie  non  è  ingenita  e  inerente  all'  animo  nostro,  nondi- 
meno in  poesia  per  figura  d' iperbole  sta  benis^mo  per  mostrare, 
quanto  sia  grande  la  disposizione,  che  dalla  natura  ha  T  animo, 
ad  apprendere  i  primi  e  supremi  principii  dell'  umana  ragiona. 
In  questo  senso  si  deve  intendere  la  parità  Dantesca,  ond*' 
metterla  d' accordo  colle  parole  ...là  onde  vegna  lo  intelletto 
delle  prime  notizie,  uomo  non  sape.  —  V.  Man.  Dani,  iv,  570. 

XVIll.  66.  —  Che  buoni  e  rei  umori  accoglie  e  nigUa.  — 
Cerne  e  separa.  Vigliare  è  altra  cosa  che  vagliare,  e  si  £a 
con  altri  strumenti  e  in  altri  modi  :  che  quan  do  il  girano  è  bat- 
tuto in  su  l'aia,  e  n'è  levata  con  forche  e  rastregli  la  paglia, 
e  vi  rimangono  alcune  spighe  di  grano  e  baccegli  di  veccit 
salvatiche,  e  altri  cota'  semi  nocivi,  che  i  correggiati  non  han  beo 
potuto  trebbiare,  nò  pigliare  i  rastregli,  egli  hanno  certe  com€ 
granate  piatte,  o  di  ginestre,  o  di  alcune  erbe,  che  si  chiamano 
dove  Ruscie,  e  dove  Gallinacee,  e  con  vincastri  di  olmi  e  di 
altri  alberi  legati  insieme  secondo  le  comodità  dei  paesi,  e  k 
vanno  leggermente  fregando  sopra  la  massa,  o  come  dicoM 
Vaiata,  e  separandoli  dal  grano.  E  questa  figliatura  ridoitJ 
insieme  in  un  monte  alla  fine  della  battitura  si  ribatte,  e  quel 
che  se  ne  cava  si  chiama  il  grano  del  vigliuolo.  Borghini, 

XVIII.  76.  —  La  luna  quasi  a  mezza  notte  tarda.  —  La 
luna  splendente  Fatta  corrC  un  secchion  che  tutto  arda  è  lumi 
di  primavera.  Questo  sorger  la  luna  per  più  sere  di  seguito 
quasi  alla  stess'  ora,  fu  ragione  perchò  Dante  V  appelli  iarda 
quasi  rimprovero  del  ritardare  il  viaggio  suo  proprio  nell'or 
bita  come  stanca.  L'epiteto  dunque  di  tarda  si  dee  dare  aìL 
Luna  e  non  alla  notte,  come  alcuni  hanno  &tto,  e  anco  il  P 
Antonelli,  il  quale  pure  accortamente  osserva  che  per  essen 
la  Luna  australe  in  regione  australe,  da  una  sera  all'  alti'a  v 
ritardava  poco  l'ora  del  suo  nascere.  Cavemi,  La  Scuola,  i 
178.  V.  La  spiegazione  che  ne  dà  il  Todeschini,  Scritti  si 
Dante,  ii,  403. 


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COMENTI.  409 

XIX.  45.  —  Qual  non  si  sente  in  questa  mortai  marca.  — 
Dell' origiue  della  parola  Marca,  V.  Sebastiano  Ciampi,  Del 
titolo  di  Marchese,  Bibl.  Ital.  t.  lv,  1829,  p.  115-18. 

XIX.  100  e  seg.  —  Intra  Siestri  e  Chiaveri, ...  —  Ottolino 
Fieschi  de' conti  di  Lavagna,  assunto  nel  1276  al  pontificato 
9\  chiamò  Adriano  V.  Visse  pontefice,  secondo  anche  la  lapide 
sulla  sua  tomba,  39  di.  E  il  sepolcro  non  è  in  S.  Lorenzo,  come 
vorrebbe  la  cronaca  di  Nicolò  della  Tuccia,  ma  a  S.  Francesco, 
restaurata  nel  1715  dai  superstiti  dell'illustre  ^simiglia.  Già  si 
intende  che  gli  artisti  del  settecento  vollero  adornare  di  alcune 
loro  eleganzucce  cascanti  la  rozza  ma  pur  preziosa  architettura 
di  un  monumento,  più  italiano  che* gotico,  del  mille  ducento. 
/.  Ciampi^  Un  Municipio  Italiano,  ecc.  (Strenna  del  Giornale 
«  Arti  e  -Lettere,  >  p.  55). 

XIX.  103  e  seg.  —  Un  mese  e  poco  più  prova^io  come  Pesa 
il  gran  manto  a  chi  dal  fango  il  guarda^  C?ie  piuma  sembran 
tutte  r  altre  some. . . .  Yidi  che ....  nèpiii  salir  potiesi  in  questa 
vita.  Adriano  V.  —  «  Adrianum  Romanum  Pontificem  saepe  di- 
centem  audivisse,  Polycrates  refert,  qui  sibi  praefamiliaris  fuit, 
nullum  se  ab  hoste  suo  quolibet  majus  supplicium  optare  quam 
ut  Papa  fieret.  Et  profecto,  nisi  fallor,  summi  Pontificatus  sar- 
cinam  quae  vulgo  felix  et  invidiosa  vìdetur,  humeris  subiisse 
difficilimum  et  gloriosum  miseriae  genus  est  his  dico  qui  eam 
seque  ab  omni  contagio  praecipitioque  praeservare  decreverunt, 
reliquìsque  enim  quanto  levior  videtur,  tanto  funestior  status  est, 
vìdetur  itaque  apud  utrosque  formidabilis,  quod  si  ille  fatebatur, 
qui  id  onus  paucis  diebus  pertulit  quid  iilis  videri  debeat  qui 
sub  fìtóce  senuerunt.  »  Petrarca,  Rer.  Memor.  L.  ni. 

XX.  52.  —  Figliuol  fui  d*un  beccaio  di  Parigi.  —  Fran- 
cesco I  di  Francia  che  chiamava  mon  ami  il  Cellini  amava 
grandemente  T  Italia  i  suoi  poeti  i  suoi  artisti.  Nò  solo  gF  i- 
lustri  italiani  suoi  coetanei,  ma  eziandio  i  nostri  antichi.  Solo 
Dante  gli  cadde  di  grazia  quando,  leggendogli  V  Alamanni  quel 
l^asso  di  Ugo  Capeto,  non  appena  udì  il  verso  Figliuol  fui 
d'un  beccaio  di  Parigi  gli  ruppe  la  lettura  dicendo:  Que  Je 
n*  entende  plus  parler  de  ce  ridicule  auteur. 

XX.  52.  —  Figliuol  fui  d*  un  beccaio  di  Parigi.  —  Il  celebre 
Sig.  Com.  prof.  Witte  nel  1868  che  venne  in  Roma,  m'assicurò 
che  in  Francia,  un  secolo  prima  di  Dante,  correva  una  leg- 


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410  OOUBNTI. 

genda  tradotta  pure  in  tedesco,  nella  quale  è  detto  che  Ugo 
Gapeto  era  nato  d'un  venditore  dicami.  Certo  il  nostro  Ali- 
ghieri ebbe  di  questo  libro  notizia  a  Parigi,  do?' egli  dinuunò, 
come  tutti  sanno.  Betti  ^  Osservazioni  sulla  Divina  Commedia, 
Il  Propugnatore,  1873.  —  Beccaio^  deve  leggersi  Beccai.  Sorio^ 
Lett.  Dantesche,  Roma,  Belle  Arti,  1864,  12. 

XX.  60.  —  Le  sacrate  ossa.  —  Benché  prima  che  usurpasse 
il  regno  Ugo  Capeto,  alcuni  monarchi  francesi,  ad  imitazione 
di  Clodoveo,  si  erano  sottoposti  alla  sacra,  nondimeno  la  cerì- 
monia  della  sacra  divenne  comune  e  obbligatoria  ai  re  Cape- 
tingi.  Cosi  vogUono  spiegarsi  le  sacrate  ossa, 

XX.  68.  —  E  poi  Ripinse  al  del  Tommaso  per  ammenda, 
—  Giov.  Villani,  di  grande  autorità  come  guelfo,  e  il  commento 
di  Benvenuto  da  Imola  ne  accrebbe  il  sospetto  dell'avvelena- 
mento. Io  r  ho  posto  in  dubbio,  scrive  \  Amari,  non  trovandolo 
noverato  tra  i  misfatti  di  Carlo  dagU  Scrittori  che  non  gliene 
avrebbero  perdonato  punto,  come  sono  il  Neocastro,  lo  Speciale, 
Montaner,  d^Esclot.  Ma  dall'altro  canto,  la  innocenza  non  mi 
par  dimostrata  si  netta,  come  crede  il  Cav.  Froussard  nella 
dissertazione  su  Pietro  Qiannone  e  il  regno  di  Carlo  I. 

XX.  86.  —  Veggio  in  Alagna  entrar  lo  fiordalisio,  — 
«  L' ultimo  periodo  del  regno  di  P.  Bonifazio  Vili,  i  cui  tra- 
gici &tti  vennero  scolpiti  in  due  terzine  che  si  contano  tra  le 
più  nobili  della  Divina  Commedia,  ha  prestato  argomento  mo- 
dernamente a  varie  ricerche,  per  le  quali  maggior  lume  va 
diffondendosi  sopra  avvenimenti,  in  vario  modo  giudicati,  e  ai 
di  nostri  ancora  di  maggior  interesse,  perchè  toccano  alla  que- 
stione non  mai  risoluta  delle  relazioni  tra  l'autorità  ecclesiastica 
e  la  civile.  Il  Barone  Kervyn  de  Lettenhove,  sommamente  be- 
nemerito della  storia  delle  Fiandre,  sua  patria,  cui  dobbiamo 
r  edizione  critica  delle  opere  del  Froissart,  e  la  raccolta  delle 
lettere  e  dei  negoziati  di  FiUppo  di  Comines,  stampò  nel  1853 
le  sue  Recherches  sur  la  parò  que  Vordre  de  Citeaux  et  (e 
comte  de  Fiandre  prirent  à  la  luUe  de  Boniface  Vili  et  de 
Philippe  le  Bel  (nelle  Memorie  della  R.  Accademia  delle  Scienze 
del  Belgio,  Voi.  xxviii,  Bruxelles,  1853).  U  medesimo  continuò 
poi  le  sue  indagini  sullo  stesso  periodo  nella  Memoria  Les 
Argentiers  Florentins,  inserita  nei  BuUettini  della  suddetta  Ac- 
cademia dell'anno  1861.  Ora  eano  ha  pubblicato  nella  lUoue  des 


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COMENTI.  41 1 

quesHons  historiques^  Voi.  xi,  p.  511-20,  una  Relazione  da  lui 
riputata  inedita  dell' attentato  di  Anagni,  contenuta  nei  mas. 
del  Muaeo  Britannico,  Eeg.  xiv,  voi.  i.  Siffatta  relazione  non  è 
veramente  inedita,  ma  essa  venne  stampata  in  un  volume  dove 
non  se  ne  &rebbe  ricerca,  e  di  cui  devo  T  indicazione  alla  gen- 
tilezza del  benemerito  Antonio  Panizzi,  cioò  nel  lu  Tomo  della 
Chronica  Monasierii  S.  Albani  pubblicata  da  H.  Th.  Riley  a 
spese  della  Commissione  degli  Archivi  inglesi  (Record  Commis- 
Sion)  liegli  anni  1863-69.  La  narrazione  de  horribUi  insulta- 
tìone  et  depredatione  Bonifacii  papae,  trovasi  inserita  nel  fram- 
mento di  una  storia  di  Re  Odoardo  I  d*  Inghilterra,  attribuita 
a  Guglielmo  Rishanger,  monaco  di  S.  Albano,  morto,  secondo 
si  crede  nei  primordi  del  trecento.  L'istesso  la  compendiò  di 
poi  nella  sua  crcmaca  d'Inghilterra,  1259-1306,  edita  nell' an- 
zidetto volume.  Benché  dunque  la  stampa  procurata  dal  Kervyn 
non  abbia  il  pregio  di  un  documento  proprio  sconosciuto,  noi 
r  accogliamo  di  buon  grado,  essendo  poco  diffusa  fuori  d' Inghil- 
terra r  edizione  fattane  a  Londra. 

La  relazione  è  di  un  testimone  oculare.  —  Ille  qui  vidit  prae- 
missa,  in  hunc  modum  scripsit.  Tertio  die  se  contulit  ad  B.  Pe- 
trum,  ubi  modo  stat  valde  tristis,  eo  quod  ut  videtur  non  potest 
eeipsum  salvai*e  in  aliquo  loco  nisi  in  urbe  romana.  Tot  enim 
habet  inimicos  quod  vix  ìnvenìatur  aliqua  civitas  in  tota  Tuscia 
vel  Campania  quae  posset  eum  defendere  centra  Colupmnenses. 
Dalla  medesima  non  rileviam  nulla  sul  modo  con  cui  venne 
condotta  la  spedizione,  e,  ciò  che  deve  sorprendere,  non  vien 
nemanco  nominato  il  Nogaret,  attore  principale,  secondo  la 
detta  reljBzione,  essendo  Sciara  Colonna,  e  dopo  lui  Rinaldo  da 
Supino  e  Adenolfo  Papareschi,  homo  poteniissitmis  inter  omnes 
de  Campania  et  preter  hoc  capitalis  inimicus  papae,  in  quel 
frangente  dal  popolo  anagnaino  eletto  a  suo  capitano,  e  con  loro 
trovavansi  i  figli  domini  Johannis  de  Ckitau  ?  quorum  patrem 
papa  tune  tenebat  in  carcere.  —  Dei  cardinali  diconsi  tre  ri- 
masti presso  Bonifacio  dominus  Gentilispoeniienliarius,  dominus 
Franciscus  nepos  papae,  et  dominus  Petrus  hispanus,  cioè  Gen- 
tile di  Montefiore  del  Piceno  e  Fr.  Caetani  e  il  vescovo  di  Sabina, 
cardinale  sin  dal  8  decembre  del  1302.  11  Bocasìni,  Benedetto  XI 
non  vien  nominato.  Di  oltraggi  fatti  al  papa  non  si  parla» 
sibbene  delle  condizioni  messe  avanti  da  Sciarra,  cioò  la  resti- 


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412  COMENTI. 

tuzione  dei  Cardinali  Colonnesi ,  la  renunzia  e  la  prigiania  di 
Bonifazio,  condizioni  in  verità  non  conciliabili  runa  coU^altra. 
Et  cum  papa  positus  esset  ad  rogationem  an  vellet  papatum 
renuntiare,  dixit  constanter  quod  non,  imo  citìus  vellet  perdere 
caput.  Et  dixit  in  suo  vulgari:  Ec  le  col,  ec  lecapCy  quod  est 
dicere:  ecce  collum,  ecce  caput,  et  statim  protestatu»  est  co- 
rani omnibus  quod  papatui  uunquam  renuntiaret  quamdiu 
vivere  posset.  Dell'  invito  fatto  di  levarsi  in  aiuto  al  papa  non 
vi  fa  menzione.  Intorno  alle  ruberie  fatte  dagl'  iniqui  satelliti 
del  Cristianesimo,  leggiamo  le  seguenti  parole:  Non  preter- 
mittam  quod  ipse  exercitus  in  primo  sui  ingressu  derubaruot 
papam,  caraeram  suam  et  thesauriam  suam,  de  vasis  et  vesti- 
mentis,  de  ornamentis  auro  et  argento,  et  omnibus  aliis  rebus  ibi 
inventis,  in  tantum  quod  papa  reraansit  ita^auper  sicut  fuit 
Job  post  tristissima  nova  sibi  nuntiata.  Item  papa  aspiciens  et 
videns  utique  qualiter  viri  soelerati  dimiserunt  vestimenta  sua 
et  omnia  bona  nobilia  abstulerunt  statuentes  quidem  quis  tol- 
'  leret  boc  vel  illud,  nihil  alìud  alieni  dixit:  dopinus  dedit,  dominus 
abstulit.  Et  quicumque  rapere  quicquam  potuit,  abstulit,  rapuit, 
asportavit  Yerum  non  creditur  quod  omnes  reges  de  mundo 
possent  tantum  de  thesauro  infra  unum  annum  quantum  fìiit 
asportatum  de  palatio  pape  et  de  palati  o  marcbionis  et  trium 
cardinalium  et  hoc  quasi  in  brevi  bora.  Insuper  Symon  Gè- 
rardus  mercator  domini  pape  totaliter  fuit  derubatus  qui  vis 
evasit  cum  vita.  Nos  qui  sumus  de  civitate  Cesane ...»  A.  Reu- 
montj  Archivio  Storico,  Serie  iii,  T.  xvii,  1873,  Disp.  i,  p.  208. 

V.  Emesto  Renan  ^  Un  ministre  du  Roi  Philippe  le  Bel, 
Guillaume  de  Nogaret ,  Revue  des  deux  Mondes ,  Voi.  xcvni, 
Mara  1872.  —  Reumonl  Alfredo,  Storia  di  Roma,  Voi.  n,  p. 
657-70,  e  p.  1196-98.  —  Gregorovùis,  Voi.  v  della  sua  storia 
di  Roma.  —  Boiitaric,  La  France  sous  Philippe  le  Bel,  1861.  — 
Clement  V,  Philippe  le  Bel,  et  Les  Templiers,  Revue  des  que- 
stions  hisioriques. 

XX.  86.  —  "Veggio  in  Alagna  entrar  lo  fiordaliso — 

«  E  nel  tempo  (1303)  di  misere  Blinamonte  da  Gobio  potestà 
di  Siena  venne  una  letara  a'  e  Signori  Nove  come  Papa  Bo- 
nifazio era  stato  preso  ad  Anagni  e  combattendo  da*  Colonnesi 
e  da  uno  Siniscalco  del  Re  di  Francia ,  e  colla  loro  gente  el 
menaro  in  Roma ,  e  misello  nella  Chiesa  di  sancto  Pietro,  e 


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COMBNTI.  413 

stè  cosi  intomo  al  Papa,  el  Papa  vedendosi  steccato,  e  per  lo 
dolore  percosse  tanto  la  testa,  che  s'amazò  lui  stesso  per  do- 
lore in  Venerdì  a  di  XI  d'Ottobre,  e  messo  11  si  soppellì.  E 
gli  Orsini  furo  cagione  di  detta  morte  di  Papa  Bonifazio.  > 
Croniche  Senesi,  pub.  da  G.  Maconi,  e.  100,  i,  p.  2,  60. 

XX.  92.  —  Senza  decreto  Porla  nel  tempio  le  citpide  vele, 
—  <  Senz^ addurre  T opinione  di  molti  fra  i  contemporanei  che 
dMinavono  persecuzione  e  non  giudizio,  calunnie  e  non  accuse 
quanto  «i  operò  in  Francia  contro  i  Tempieri,  non  è  da  tacere, 
per  chi  vale  per  molti,  l'autorità  di  Dante.*  Ecco  come  l'alta 
mente  del  poeta  prontamente  e  lucidamente  avvisasse  ciò  che 
v'era  di  più  mostruoso,  ed  è  d'aver  pigliato  e  torturato  i 
Tempieri,  di  averne  occupato  i  beni  senza  cognizione  di  causa 
e  senza  comandamento  di  giudice  sensa  decreto.  Il  che  fu  car 
gione  che  la  bolla  di  soppressione,  data  nel  Concilio  di  Vienna 
ai  2  Maggio  1312,  fosse  fatta  non  de  iure  sed  per  viam  pre- 
visionis,  come  vi  si  dice  specificamente,  scorgendosi  V  impos- 
sibilità dì  affermare  <;Ji©  per  questo  giudizio  foss  e  appurata  la 
colpa  dei  Tempieri,  e  fondandosi  perciò  l'abolizione  sul  motivo 
di  cessare  gli  scandali  nati  per  universal  diffamazione  dell'or- 
dine, e  sulla  privata  opinione  che  poteva  averne  il  papa  per 
le  confessioni  di  alcuni  Tempieri  da  lui  udite.  »  L.  Cibrario , 
De' Tempieri,  Torino,  Bo'tta,  1868,  p.  209.  —La  frase  J^n^a 
decreto  trova  una  giustificazione  in  ciò,  che  mentre  il  papa 
con  lettera  del  24  Agosto  1307  diretta  al  re  aveva  dicliiarato 
di  voler  assumere  informazioni  intorno  alle  accuse,  e  quindi 
riservare  a  so  la  deliberazione  dell*  affare,  Filippo  di  suo  arbitrio 
fece  arrestare  il  13  Ottobre  successivo  tutti  i  Templarii  del. 
regno  di  Francia  e  porre  il  sequestro  su  tutti  i  lor  beni.  To- 
deschini, 

XXI.  43-45.  —  Libero  è  qui  da  ogni  alterazione. . . .  —Nel 
V.  43  il  poeta  afferma ,  secondo  eh'  io  intendo,  che  il  luogo  è 
libero  da  qualsiasi  alterazione,  che  venga  da  cagione  terrestre. 
Quindi  ne'  versi  44-45  il  senso  dev'  esser  questo,  che  tutte  le 
alterazioni  che  accadono  nella  religiosa  montagna  non  possono 
essere  effetto  che  d' immediate  cagioni  celesti.  —  Le  alterazioni 
di  questo  luogo  (Purgatorio)  non  possono  avere  cagione  da 
altro,  se  non  da  quello  che  in  cielo  si  dispone,  perchè  in  cielo 
si  effettui.  —  //  Ciely  la  montagna  del  Purgatorio,  perchè  come 


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414  COMBNTI. 

luogo  noprannaturale ,  stanza  di  anime  elette,  e  scala  a  più 
sublime  sede,  credo,  che  la  detta  montagna  possa  comprendersi 
bene  nell'  appellazione  di  Cielo,  —  Todeschinù 

XXI.  109.  —  Io  pur  sorrisi  come  Vuom  che  ammicca.  — 
11  Varchi  n'  avvisa  che  V  ammiecare  in  significazione  di  /&r  d*  oc- 
chio ovvero  far  rocchiolino,  che  è  Taccennar  con  gli  occhi  8Ì  usa 
dal  popolo  toscano  nel  modo  stesso  che  V  usò  Dante.  —  Io  pur 
sorrisi  come  C  uom  che  ammicca.  Ed  io  pure  udii 
Borgo  a  Buggiano:  lo  ti  ho  ammiccato  che  tu  la 
perchè  non  si  potfia  averne  meglio  guadagno.  Giuliani^  Ri- 
creazione vili,  71. 

XXII.  49.  —  E  sappia  che  la  colpa  che  rimbecca.  —  Rim- 
beccare^ traportato  da  galletti  e  galiine  che  quando  si  atzuf 
fano  insieme^  propriamente  si  dicono  rimbeccare^  e  dal  becco 
che  è  proprio  degli  uccelli  è.  formata  la  voce.  Borghini, 

XXII.  71.  —  Torna  giustizia,  e  primo  tempo  umano.  — 
Nella  GitiStizia  8^  indica  il  fondamento  della  vera  civiltà,  e  nel 
priìno  tempo  umano  tutta  quella  civiltà,  e  quel  progresso,  di 
cui  è  capace  Vuomo  preso  nel  più  bel  senso  della  parola  « 
quale  egli  usciva  dalle  mani  di  Dio.  Perei,  298. 

XXII.  101.  —  Quel  Greco  Che  le  Muse  lattar  prù  cKaUri 
mai.  —  Fra  gU  epigrammi  dell'Antologia  greca  Planudea  ve 
ne  ha  pur  un  dt^^tco  di  un  anonimo  sopra  la  statua  di  Cal- 
liope, che  voltato  così  suona:  Calliope  son  io;  e  la  mia  mam- 
mella porsi  a  Ciro;  quella  che  nudri  il  divino  Omero,  e 
donde  bebbe  il  soccoe  Orfeo.  E  vuoisi  avvertire»  che  Dante  ripetf^ 
altrove  (Par.  xxui.  85)  la  stessa  locuzione  figurata  delle  Muso 
lattanti  i  buoni  poeti.  C.  Cavedoni. 

XXIII.  43-48.  —  Mai  non  C  avrei  riconosduio  al  viso.  Ma 

nella  voce  sua  mi  fu  palese —  Dante  non  riconosce  alla 

prima  Forese  per  l'estenuazione  del  volto  ov' erano  del  tutto 
smarrite  le  antiche  sembianze.  Forese  fa  sentir  Ut  sua  voce, 
ed  ecco  il  segno,  il  sensibile,  a  cui  tosto  nella  mente  del  poeta 
si  annoda  il  riconoscimento.  Il  far  che  nella  voce  subitamente 
ricompaia,  e  cosi  venga  quasi  riconquistata  Tantica  sembianza 
0  idea  dell'  amico,  la  quale  dalla  macilenza  del  volto  era  stata 
rapita  alla  mente  e  al  cuore  di  Dante  ;  il  chiamar  queiUa  voce 
famlla  che  raccende  una  conoscenza  già  spenta,  congiunge  all'af- 
fetto del  Poeta  V  esattezza  del  filosofo  che  descrive  gli  atti 


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coMR?rn.  415 

iella  remìnisoenza.  Potrebbe  notarsi  la  stessa  esattezza  nel 
iconoscimento  di  Ciacx;o  neir  Inferno  (vi,  4(M6  ;  52,  58,  59), 
s  in  quello  di  Piccarda  nel  Paradiso  (iii,  58-63).  Perez.  482. 

XXII I.  58.  —  Però  mi  di,  per  Dio ,  che  si  vi  sfoglia,  — 
Pier  Vettori  si  av?isava,  che  Dante  pel  singolare  suo  ingegno, 
venisse  a  combinarai  con  la  frase  figurata  d*Buripide  (Orest 
373>  afiOcn  stoma  Var.  LecL  xxxv,  7. 

XXIII.  58.  —  Però  mi  di ,  per  Dio ,  che  si  vi  sfoglia,  — 
Prendono  i  commentatori  Timagine  dello  sfogliare  dall'albero, 
ima  gì  ne  poco  conveniente  come  tu  vedi.  Ma,  invece  che  dal- 
l' albero,  prendila  dagli  strati  muscolari  e  adiposi  che  si  com- 
partouo  nel  volume  del  corpo  dell'uomo  :  vedrai  quanto  la 
immagine  sarà  piii  conveniente  e  perciò  anche  più  bella.  L' as- 
somigliare ti'  fogli  di  un  volume  gli  strati  muscolari  ne'  corpi 
animali  e  U  dimagrare  di  questi  al  diminuire  di  quelli  per  lo 
sfagliarsi,  poteva  essere  suggerito  al  Poeta  dagli  antichi  me- 
todi anatoniici,  secondo  i  quali  dividevansi  i  muscoli  in  strati. 
Cammino  (R,  Cavemi),  La  Scuola,  1873,  ii,  204. 

XXIII.  119.  —  Di  quella  vita  mi  tolse  costui  Che  mi  va 
innanzi^  tattr'ier,  »^  L'altr'ier  significa  non  ieri  CalirOy  ma 
novellamente,  ultimamente,  di  recente.  E  nella  Vita  Nuova: 
Cavalcando  V  altr'ier. . . .  (Son.  §  9). 

XXIV.  10»  -^  Ma  dimmi,  se  tu  sai,  dov'è  Piccarda, ...  —  Da 
si  fatta  domanda  e  risposta,  s'io  non  m'inganno  a  partito, 
scatuiisce  evidentemente  la  conseguenza,  che  Dante  aveva  cap 
gione  di  dubitare,  se  Piccarda  si  trovasse  ancora  in  luogo  di 
pena  :  d' onde  viene,  eh'  egli  la  considerava  bensì  come  vittima 
deir altrui  violenza,  ma  pure  non  iscema  afi&tto  di  colpa,  nò 
certamente  di  virtù  straordinarie  dotata,  o  per  grazie  segnalate 
distinta.   Todeschini,  Scritti  su  Dante,  i,  337. 

XXIV.  23,  —  Purga  per  digiuno  V  anguille  di  Bolsena  e 
la  vernaccia,  —  «  Furono  una  volta  mandate  in  dono  a  Bene- 
detto XTI  certe  anguille  pescate  nel  lago  di  Bolsena  di  stupenda 
grandezza  e  di  squisito  sapore,  ed  egli  maravigliato  della  bel- 
lezza loro,  serbatene  poche  per  sé,  comandò  che  le  altre  fossero 
distribuite  ai  cardinali,  i  quali  venuti  un  giorno,  secondo  che 
solevano  a  visitarlo,  mossero  intorno  a  quelle  il  discorso,  ed 
egli  faceto  com'era,  se  prima  disse,  le  avassi  assaggiata,  men 
liberale  ne  sarei  stato  con  voi:   ma  veramente  non  avrei  mai 

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416  OOHBNTI. 

creduto  che  tanto  di  buono  ci  potesse  venir  dallltalia.  »  Pet*ar^ 
Le  Senili,  L.  7,  Lettera  unica.  —  Vernazza  è  una  delle  CiuJ 
Terre  (de'  villaggi  posti  in  quel  seno  di  mare  die  corre  d 
Mesco  al  capo  di  Montenero),  e  dal  di  lei  nome  si  dissero  ri 
naccie  que'  vini  a'  quali  allude  Dante  Celesta,  Petrarca  in  Ligin 
p.  25.  —  V.  Amari",  La  Guerra  del  Vespro  Siciliano,  C.  xi,2( 
XXIV.  30.  —  Che  pasturò  col  rocco  molte  genti.  — 
Municipio  di  Ravenna  mandò  air  Esposizione  fiorentina 
antico  bastone  pastorale  degli  Arcivescovi  di  questa  Metro{-( 
È  in  rame,  smaltato  con  piccole  croci,  ed  altri  oniam«.'nri 
istile  bizantino;  alle  sommità,  porta  un  prisma  e«Lroi. 
terminante  da  ambo  le  parti  in  piramide  (su  quella  sup-ri 
doveva  esservi  la  croce),  e  che  in  complesso  ha  quasi  la  for 
di  una  torre,  di  un  piccolo  fortilizio  o  rocca. 

Vuoisi  che  siffatto  bastone  abbia  appartenuto  a 

Bonifasio 

Che  pasturò  col  rocco  molte  genti. 

Eugenio  Camerini  nel  commentare  quel  passo  del  poeta, 
ai  esprime:  <  E  usanza  di  quelli  Arcivescovi  (di  Ravenna 
non  portare  lo  pastorale  ritorto  come  fanno  li  altri,  ma  di 
di  sopra  a  modo  di  quello  scacco  che  si  chiama  rocco.  ' 
personaggio  al  quale  accenna  il  Poeta  sarebbe  Bonifazio 
Fieschi,  Conti  di  Lavagna,  dell'  ordine  dei  Predicatori,  Ai^ 
scovo  di  Ravenna  dal  1274  al  1294  (l).  «  Non  desujat,  qui  li 
Bonifacii  Archiepiscopi  meminisse,  cum  de  abdominis  voia 
tibus  addictis,  verba  facit,  in  altera  sui  operis  parte,  DaL 
putent.  »  Dal  predetto  istorico  rileviamo  aver  quel  potente  prc 
guerreggiato  contro  gli  Estensi,  ed  essere  stato  da  Papa  Od: 
mandato  in  Francia  a  trattar  la  pace  fra  Re  Filippo  ed 
fonso  di  Aragona.  Il  Rossi  loda  Bonifacio  per  la  sua  gr^ 
liberalità  vei-so  i  poveri,  da  lui  ben  provata  distribuendo 
le  popolazioni  tribolate  dalla  carestia  il  finimento  dei  suoi  gra 
Fu  Bonifacio  1*88.**  fra  gli  Arcivescovi  di  Ravenna,  e  ; 
r87.^  successore  di  S.  Apollinare,  mandato  da  S.  Pietro 
r  anno  44  dell*  era  volgare  a  fondare  e  reggere  questa  Ch 
con  potestà  e  dignità  di  Patriarca.  —  Ceramica  antica  e 

(1)  HieroDymi  Ruher.  Ilistorìarum  Ravennoitum,  lib.  vi. 

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OOMBNTI.  417 

dema  air  Esposizione  di  Faenza  del  1875.  Ravenna,  Tip.  Nnz. 
1875,  p.  35. 

XXJV.  37.  —  Ei  mormorava;  e  non  so  che  Gentucca. 
Raffaelli  Pietro,  Dante  e  la  Gentucca,  Letture  di  Fa- 
miglia di  Trieste,  1858,  p.  154.  —  Sulla  Gentucca,  v.  Scara- 
belli,  il  Lambertino,  ii,  xxii;  Minutali  Carlo,  Gentucca  e  gli 
altri  Lucchesi  nella  Divina  Commedia.  Dante  e  il  suo  secolo, 
p.  208. 

XXrV.  82.  —  Quei  che  piii  n*  ha  colpa  Vegg*  io  a  coda 
tf  una  bestia  tratto —  —  Corso  Donati  soprastava  (nobiltà 
nuova)  per  alto  animo,  per  grandi  fatti  e  grande  seguito,  più 
ambizioso  che  partigiano,  male  soffriva  consorteria,  ed  era  egli 
uno  di  quegli  uomini  che  fanno  il  male  tutt'  ad  un  tratto,  ma 
poi  sdegnano  le  basse  ai*ti  ed  i  raggii'i  delle  fazioni.  La  schiatta 
e  r indole  e  i  costumi  lo  inclinavano  verso  i  grandi;  «  pratico 
e  domestico  di  nobili  uomini  e  famoso  per  tutta  Italia  ;  »  amato 
era  anche  dall'  infima  plebe,  usata  vivere  nella  dipendenza  dei 
grandi  signori,  e  che  più  ha  in  odio  la  mezzanità.  V.  Capponi, 
Storia  della  Rep.  di  Fir.  L.  ii,  e.  Ó,  p.  134-142. 

XXV.  7.  —  Cosi  entrammo  noi  per  la  callaia.  —  Callaia 
significa  passo  stretto ,  dico  passo  o  valico  e  non  via ,  donde 
si  paissa  da  un  luogo  a  un  altro,  come  sarebbe  da  una  via  in 
un  campo.  Borghini. 

XXV.  77.  —  Guarda  il  calor  del  Sol  che  si  fa  vino,  Giunto 
air  umor  che  dulia  vite  cola,  —  Tiniriazefi"  leggendo  un  Sunto 
degli  studii  da  lui  fatti  sullMnfiuenza  della  luce  sulla  vegeta- 
zione, spiega  i  metodi  da  lui  impiegati  collo  spettroscopio, 
quali  raggi  di  luce  sieno  assorbiti  dalla  Clarofilla,  e  qual  rela- 
zione passi  fra  questo  assorbimento  e  lo  svilippo  dell'acido 
carbonico.  Deduce  dalle  sue  osservazioni  che  i  raggi  maggior- 
mente assorbiti  dalla  Clarofilla  sono  quelli  che  hanno  maggior 
intensità  calorifica,  e  che  dove  avvien  maggior  assorbimento 
di  luce  avvi  anche  più  lavoro  chimico  e  cioè  più  decompo- 
sizione di  acido  carbonico,  più  esalazione  di  ossigeno,  più  for- 
mazione d' umido.  La  formazione  dei  tessuti  e  le  manifestazioni 
tutte  della  vita  vegetale  sono  T  effetto  della  forza  calorifica 
.  trasformata  in  lavoro  meccanico,  e  la  scienza  serve  cosi  di 
comento  alla  bella  imagine  del  poeta  italiano.  —  Seduta  del 
P  Maggio  del  Congresso  botanico  di  Firenze. 

27 

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418  GOMENTI. 

XXV.  91.  —  E  come  Caere,  quandi  è  benpiomo.  Per 
trui  raggio  che  in  sé  si  riflette,  Di  diversi  color  si  nn 
adomo,  —  Recati  dal  Caverni  tutti  i  passi  dove  Dante  acc 
alla  riflessione  della  luce,  e  quelli  segnatamente,  ne"  qual 
condo  i  commentatori  usa  a  indicare  la  riflessione,  la  p^ 
rifrazione,  mostra  come  Dante  scambiasse  Tuna  con  Va 
perchè  a  suoi  tempi  fi*a  la  diottrica  e  la  catottrica  non  i 
noscevano  le  differenze,  sicché  le  due  parole  riflessione  e  : 
zione  per  lui  erano  sinonimi  (Purg.  xv,  22;  Par.  ii,  91  ;  xi 
Ma  chiede  il  Caverni:  si  trova  egli  mai  nella  Commedi 
verso  nel  quale  egli  accenni  alla  luce  che  si  rifrange,  o 
dice  il  Varchi,  che  si  perfrange?  —  E  come  l'aere.  Qui  i 
mentatori,  non  so  con  quanta  buona  grammatica,  riferLs 
il  pronome  se  air  aria;  io  credo  si  debba  riferire  al  ragg 
il  raggio  che  in  sé  si  riflette  è  il  raggio,  secondo  il  Va 
perfratto.  11  raggio  riflesso  o  rifratto  è  quello  che  da 
riflette:  ma  quello  che  in  sé  si  riflette  dee  essere  il  n 
perfratto.  Nella  riflessione  Dante  considera  i  due  raggi, 
dente  e  riflesso,  come  distinti  Tuno  dair altro,  e  infatt 
canto  I  del  Par.  chiama  Tuno  raggio  primo,  T altro  n 
secondo;  ma  nella  perfrazione  il  raggio  rimane  lo  stesso 
con  altra  differenza  che  della  flessione.  —  Caiferni,  L^At 
II,  375-384;  404-420. 

XXV.  91.  —  E  come  Vaere  quand'  è  ben  piorno.  —  Pi 
carico,  disposto  alla  pioggia,  è  tuttavia  vivo  in  Val  di  Nie 
Ma  il  tempo  ò  piovorno ....  già  cominciano  certi  lagrii 
Giuliani,  Lett.  xl,  Sul  vivente  linguaggio  toscano. 

XXVI.  7.  —  Ed  io  facea,  con  V  ombra,  più  rovente  F 
la  fiamma,  e  pur  a  tanto  indisio  Vidi  moW  ombre,  cutda 
poner  mente.  —  I  chiosatori  antichi  non  dicono  cosa  che  gi 
noccia  alla  mia  ricerca.  De' moderni  poi,  nessuno  colse  nel  seg 
L' esimio  Tommaseo  interpretò  sanamente  il  pure  per  solo 
tacque  dell'  arduo  a  tanto.  Il  Laudoni  interpreta  :  solo  a  q^ 
indisio.  Dante  si  trova  fra  la  maggior  luce  del  sole  e  la 
minore  della  fiamma.  Per  la  opacità  del  suo  corpo,  che  t 
ombra,  appare  in  quella  una  lista  più  rosseggiante  che 
resto.  Tanto  basta,  perchè  quegli  spiriti  si  accorgano  che 
passa  di  là  un'anima,  ma  sì  un  corpo  che  impedisce  i  r 
solari.  È  un  effetto  che  muove  da  cagione  semplicissima. 


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COlfENTt.  419 

turalissìma,  e  che  già  nel  Pargatorio  medesimo  finse  il  Poeta 
altre  volte  accaduto.  Cosi  là  ove  si  legge  :  Quando  s*accorser 
cK  io  non  dava  loco,  Per  lo  mio  corpo,  al  trapassar  de'  raggi, 
Mutar  lor  canto  in  un  oh!  lungo  e  roco;  quelle  anime  pren- 
dono giusta  meraviglia  non  già  del  fatto  naturale  dell'ombra 
che  veggono  in  terra,  ma  ben  del  soprannaturale,  che  ad  un 
\ivo  sia  dato  passeggiare  nel  regno  della  gente  morta.  Adun- 
que, il  fisico  indizio  non  può  essere  mai  per  sé  stesso  avuto 
in  conto  di  cosa  che  feccia  grandemente  stupire  altrui;  ed  il 
Poeta,  avrebbe  fatto  mal  ragionevoli  quelle  anime  che  più  si 
meravigliassero  di  quanto  si  pertiene  air  indole  naturale,  che 
al  soprannaturale.  —  Ed  io  facea  V  ombra  più  rovente.  Bel- 
lissima è  r osservazione  fotometrica. 

XXVI.  8.  —  E  pure  a  tanto  indisio.  —  Lombardi  prende 
quel  pure  per  ancora,  altresì;  Torelli  pel  quidem  dei  Latini. 
A  me  sembra  che  pure  valga  qui  solamente  ;  imperocché  quando 
i  tre  poeti  salirono  sull'ultimo  girone  e  cominciarono  ad  av- 
viarsi per  lo  stremo  di  esso,  ritrovarono  le  anime  che  canta- 
vano nell'ardore,  le  quali  seguitarono  a  cantare  senza  por 
mente  ad  essi  (canto  preced.  121  e  seg.).  Ora  Dante  vuol  dire 
qui  che  le  anime  solamente  all'indizio  dell'ombra  che  egli 
gettava,  posero  mente  ed  interruppero  il  canto  per  dire  :  colui 
non  par  corpo  fittizio.  M.  Renieri,  L'Apatista,  1824,  n.  39. 

XXVI.  67-72.  —  ì^on  altrimenti  stupido  si  turba.  —  Con 
molta  esattezza  Dante  attribuisce  il  semplice  stupore  a  quelle 
anime  del  settimo  centro ,  che  s' accorgono  che  il  corpo  di 
Dante  gettava  l'ombra;  nò  lascia  di  notare  che  tale  stupore 
dura  breve  tempo  (non  ò  cosi  della  vera  ammirazione  che  ri- 
mane sempre)  in  alti  spiriti,  che  pi*esto  rinvengono  la  ragione 
della  novità  che  li  faceva  stupire  :  poichò  dice  che  quelle  anime, 
udito  che  il  corpo  di  Dante  era  ancor  vivo,  furon  di  stupore 
scarche,  lo  qual  negli  alti  cor  tosto  s'attuta;  dove  la  parola 
scarche  ben  indica  il  peso  onde  l'anima  vien  sopraffatta  dallo 
rtupore,  di  che  nasce  il  turbamento  più  sopra  accennato  :  e  la 
voce  attuta  ben  esprìme  la  punta  onde  ci  stimola  il  desiderio 
di  veder  la  causa  ignorata.  Perez,  304. 

XXVI.  70.  —  E  come  al  lume  acuto  si  dissonna.  —  Non 
mi  dissonnate  cotesto  bambino  ! . . .  Valdinievole.  —  Quando  mi 
si  dissonna  (o  si  scionna),  questo  male,  non  son  più  vivo  io. 

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420  COMENTI. 

Moni,  Pistoiese.  Giuliani,  Saggio  di  un  Diz.  del  Volgare  To- 
scano, 163. 

XX VI.  92.  —  Son  Guido  Quinicelii,  —  Mazzoni  Toselli  sul- 
l'appoggio  d'incontestati  documenti  prova  che  Guido  Guinì- 
celli  non  fa  de'  Principi  ma  dei  Magnani.  —  Guinizelli  Mag^nani 
de  Cappella  Sancti  Marini  de  Porta  nova  qui  est  de  nobilibns 
et  potentibus  (forse  ove  ò  ora  il  palazzo  Beccadelli).  Avevano 
possessioni  in  Casalecchio  di  Reno  ed  in  Galenica. 

XXVI.  121.  —  A  voce  ptu  eh'  al  ver  drizzati  U  volti.  — 
Dante  qui  distingue  in  modo  degno  di  lui  il  senso  comune  da 
errori  popolari  che  non  hanno  mai  universalità  per  modo  as- 
soluto, né  cadono  su  verità  prime  od  evidenti,  ma  sopr*  oggetti 
particolari.  Nel  Convito  chiama  il  grido  popolare  senza  discre- 
zione. (Tr.  I,  eli).  A.  Conti. 

XXVI.  140-147.  —  Tan  m'abeUis.... 

ScARTAzziNi  Giov.  A. ,  Ycrsi  di  Arnaldo  Daniello  secondo 
alle  diverse  lezioni. 

Ci  dà  prima  i  versi  secondo  la  lezione  della  Crusca  del 
1595,  alla  quale  è  conforme  quella  della  Cominiana  del  1726. 
Questa  lezione  rappresenta  la  volgata  antica,  é  fu  accettata  con 
poche  variazioni  di  nessun  rilievo  da  tutti  gli  editori  sino  al 
principio  del  nostro  secolo.  Segue  quindi  la  lezione  dei  quattro 
Fiorentini  del  1837,  che  rappresenta  in  certo  modo  la  volgata 
moderna.  La  lezione  del  WiUe  mostra  il  miglior  testo  fondato 
esclusivamente  suU'  autorità  di  ottimi  codici.  £d  aggiunge  pur 
quella  dell'  Ozanam^  che  gli  sembra  pur  degno  da  essere  udito. 
Da  ultimo  reca  i  versi  medesimi,  quali  li  corressero  quatti^o 
profondi  conoscitori  della  lingua  provenzale.  Il  prof.  Scartazzini 
si  attiene  fedelmente  alla  rifazione  di  Federico  Diéz,  autore- 
volissimo, di  gran  lunga  sopra  tutti,  in  tal  argomento.  Com. 
del  Purgatorio,  p.  545. 

XXVII.  49.  —  Come  fui  dentro,  in  un  dogliente  vetro  Git- 
tato  mi  sarei  per  rinfrescarmi. ...  —  Dai  versi  provenzali  che 
r  Alighieri  mette  in  bocca  ad  Arnaldo  Daniello  ne  viene  che 
al  poeta  avrebbe  toccato  il  sommo  della  montagna  senza  pro- 
vare tormento  di  caldo.  Quivi  invece  ò  costretto  passare  per 
entro  ad  un  grosso  muro  di  fiamme,  e  vi  prova  tale  tormento 
di  caldo,  ch'ali  ne  scrive:  <  In  un  bogUente  vetro  Gittato  mi 
sarei  ecc.  Convien  dire,  dice  il  Todeschini,  che  T Alighieri 


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COBOSNTI.  421 

mentre  scrìveva  il  zxvi  divisasse  di  pervenire  al  sommo  del 
monte  del  Purgatorio  senza  soffrir  dolore;  e  che  nelPinter- 
Tallo  posto  fra  il  compiere  quel  canto  e  1*  accignerai  al  seguente, 
egli  deliberasse  d'assoggettarsi  alla  pena  del  passaggio  di  un 
muro  di  fiamme,  a  fine,  per  quello  che  si  può  credere,  di  pu- 
rificarsi alquanto  col  fuoco  dalle  colpe  d*  infedeltà  da  lui  com- 
messe contro  Beatrice,  dinanzi  alla  quale  egli  stava  per  com- 
parire, e  dalla  quale  egli  dovea  udire  le  agre  riprensioni  di 
quelle  colpe.  E  la  nuova  idea  del  poeta  mi  sembra  cho  non 
fosse  se  non  lodevole;  ma  essa  rendeva  necessario  un  mu- 
tamento nelle  parole  di  Arnaldo  Daniello.  Dante  non  voleva 
scemare  la  foga  del  suo  cammino  per  guardarsi  addietro  ;  egli 
sarebbe  tornato  sulle  sue  pedate,  quando  avesse  una  volta 
compiuta  la  strada  ;  ma  compiuta  la  strada,  gli  fu  tronca  la 
vita. 

XX Vn.  88.  —  Poco  potea  parer  li  del  di  fUori;  Ma  pei^ 
quel  poco,  vedev*  io  le  stelle  Li  lor  solere  e  più  chiare  e  maff- 
giori.  —  All'Ottica  appartiene  il  renderci  ragione  perchè  le 
stelle  vedute  attraverso  alla  fessura  del  monte  paressero  a 
Dante  del  lor  solere  e  più  chiare  e  maggiori.  Alcuni  hanno 
trovato  quella  ragione  nella  maggiore  purezza  dell*  aria.  Ma 
r  esperienza  poteva,  come  a  Saussure,  avere  mostrato  a  Dante 
che  nelle  regioni  molto  elevate  avviene  bene  spesso  il  con- 
trario. ...  La  ragione  di  quel  fenomeno  vedeva ,  secondo  me, 
in  quel  principio  di  ottica  a  lui  e  a  tutti  noto  che  un  corpo 
Imuinoso  tanto  appare  piti  vivo  e  più  grande  quanto  più  fosco 
è  il  campo  che  lo  riceve  e  il  mezzo  attraverso  al  quale  ri- 
splende. E  r  applicazione  di  quel  principio  a'  fenomeni  celesti 
poteva  aver  letta  in  Galeno,  il  quale  insegnava  il  modo  di 
vedere  le  stelle  di  giorno  risguardandole  da  un  pozzo  profondo. 
Guardando  Dante  le  stelle  attraverso  a  quella  profonda  fessura 
doveva  dunque  vederle  più  lucenti  e  maggiori,  perchè  attraverso 
a  un  mezzo  e  in  un  campo  più  fosco  che  non  all'  aperto  illumi- 
nato da  riflessi  circostanti.  Cavemi^  La  Scuola,  i,  226. 

XXVII.  115.  —  Quel  dolce  pome,  che  per  tanti  rami  Cer- 
cando ta  la  cura  de*  mortali.  —  Pome,  in  senso  traslato,  nel 
significato  di  sommo  bene,  felicità,  beatitudine,  cosa  bramata, 
cosa  tfinta  combattendo,  e  simili  concetti.  Pome  si  può  usare 
del  pari  in  verso  che  in  prosa,  ma  in  questa  fonie  meglio  pomo 

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422  OOMBNTI. 

SI  frutto  pi*opriament6,  e,  quando   parlasi  metaforicamente,  1 
drebbe  preferito  pome.  Torri. 
XXVIII.  7-9.  —  Un  aura  dolce,  senza  mutamento,  —  La 
imaginazione  di  Dante,  conforme  a  quella  de'  primi  pittori  delle 
memorie  antiche,  V  avrà  pure  portato  a  combinarsi  con  Esiodo, 
nel  dettar  eh' et  fece  questi  soavissimi   versi,   verameate  cosa 
di  Paradiso,  i  qnali  direbbonsi  fìitti  ad  imita7Ìone  di  quelli  di 
Esiodo.  Op,  et  Dies  V.  294-95.  —  Il  dotto  Lanzi  nelle  annou- 
zioni  alla  sua  versione  d' Esiodo,  avverte  più  volte  come  alcuni 
concetti  di  Dante,  confrontano  con  quelli  dell'  antico  poeta  greco 
(V.  annot.  ai  v.  27,  107,  142,  323,  345,  382,  548).  C.  Cavedani. 
XXVIII.  27.  —  L*  erba  che  in  sua  ripa  usdo.  —  <  I  fa- 
giuoli   non  e'  era  verso   che  volessero  mettere  il  capo  fuori  ; 
manco  è  uscita  l'erba;  i  prati  sou  puliti.  Mugello.   Giuliani^ 
Saggio  di  un  Dizion.  del  Volgare  Toscano,  427. 

XXVIII.  1 12.  —  £  C altra  terra,  secondo  cK  è  degna,  —  Non 
lo  gittare  questo  seme,  credi  a  me,  non  ò  terra  degna^  non  lo 
merita.  Versilia.  —  Non  posso  se  non  compiacermi  che  il  lin- 
guaggio di  Dante  e  del  Boccaccio  ricorra  si  frequente  sulle 
labbra  di  questo  popolo.  Ed  ò  ben  da  attendere,  che  terra 
degna,  proprio  giusta  la  significazione  che  riceve  nelle  parole 
sopraccitate,  s'incontra  per  ben  due  volte  nella  Divina  Com- 
media. Purg.  xxvui,  112;  Par.  xiii,  82.  GiuUani^  Saggio  di  un 
Dizionario  del  Volgare  Toscano,  151. 

XXIX.  26.  -*  Femmina  sola, . . .  Non  sofferse  di  star  solio 
alcun  velo,  —  Con  questo  verso,  più  ancora  che  al  sacrificio 
dell'  appetito  sensuale,  allude  al  sacrifìcio  dell'  appetito  intellet- 
tuale, onde  Iddio  chiedeva  alla  sua  creatura,  non  gittasse  da  sé 
il  benefico  velo  che  le  ascondeva  la  sperimentata  notizia  del 
bene  e  del  male,  mortificasse  il  seducente  stimolo  della  curiosità, 
privandosi  d'un  frutto  amabile,  senza  vedere  di  ciò  altra  ra- 
gione che  il  divino  volere.  Il  velo  accennato  dal  poeta  fa  potente 
contrasto  con  ciò  che  avvenne  allorché,  secondo  il  divino  libro, 
gli  occhi  di  ambedue  si  furono  aperti  y  e  pur  si  sentirono 
gravati  di  un  velo  tanto  più  fitto  e  più  molesto  del  primo. 
Perez,  405. 

XXIX.  49.  —La  t7tWù,  eh* a  ragion  discorso  amnamna. 
—  L' apprensiva  de'  sensi,  ossia  proprio  la  materia  su  cui  oixLiie 
la  tela  dell'  intelletto.  A.  Conti. 


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OOMBNTI.  423 

XXIX.  75.  —  E  di  tratti  pennelli  atean  sembiante.  —  Il 
sig.  Del  Furia,  nel  1826,  di  questo  verso  fece  soggetto  d' una 
sua  lezione  air  Accadenùa  della  Crusca.  Confutata  Y  interpre- 
tazione, non  nuova,  dataci  dal  Monti  e  del  Biondi  (bandiere, 
stendardi),  la  cui  priorità  si  dovrebbe  al  Daniello  (1568),  ei  con- 
ferma la  definizione  dei  Vocabolaristi.  Le  sette  fiammelle  dei 
sette  candelabri  si  muovono  seguendo  lor  via,  e  precedendo, 
come  duci,  i  ventiquattro  seniori  incoronati,  di  che  innanzi  si 
parla.  Andando  poi  esse,  lasciano  dopo  so  tinto  V  aere  di  lumi- 
nose Uste,  e  si  rassomigliano  a  tratti  pennelli.  Ora,  in  un  di- 
scorso, nel  quale  si  succedon  per  ordine  le  idee  di  pittura,  di 
colori,  di  pennelli,  di  liste,  di  luce  ;  idee  che  tutte  aver  debbono 
relazione  tra  loro,  come  potrà  dirsi,  che  i  tratti  pennelli  altra 
cosa  siano  che  i  pennelli  de'  pittori,  condotti  da  loro  in  tavole, 
in  tele,  ed  in  pareti,  che  lascian  su  queste  il  colore,  come  le 
fiammelle  lasciavano  dietro  a  so  luminose  strisele  nell'aria?  E 
pennelli  tratti  è  modo  che  questo  senso  conferma.  Un  tratto 
di  pennello^  il  tratteggiare,  e  simiglianti,  sono  voci  e  maniere 
proprie  della  pittura,  alle  quali  dà  origine  il  verbo  trarre,  — 
Giamb.  Zannoni,  Storia  dell' Accademia  della  Crusca,  296. — 
L'Arcangeli  ne  fece  tema  d'una  nuova  lezione  all'Accademia 
della  Crusca,  propugnando  con  calzanti  argomenti  l' interpre- 
tazione del  Dal  Furia.  V.  Scarabelli,  Lambertino,  ii,  xxv;  Man. 
Dani.  II,  567. 

XXX.  15.  —  La  rivestita  carne  alleviando.  —  S.  Tommaso 
anch'esso  afferma  questa  tendenza,  e  accenna  a  un  sublime 
ideale  onde  potrebbe  giovarsi  l'artista,  là  dove  dice,  che  il 
nostro  corpo  ha  la  disposizione  ad  essere  spirituale,  e  che  corpo 
spirituale  vuol  dh^e  corpo  venuto  in  perfetta  signoria  e  age- 
volezza dello  spirito  (Sum.  iii,  q.  54,  a.  1).  E  quando  l'Alighieri, 
per  dire  che  Beatrice  era  oramai  beata ,  usa  '  della  potente 
espressione  di  carne  a  spirto  era  salita  (Purg.  xxx.  127) ,  egli 
indica  ottimamente  il  trasmutarsi  in  tal  condizione,  che  lo  spi- 
rito, divenuto  ormai  perfetto  «goore,  possa  a  sua  posta  volgere 
e  trattar  la  soggetta  materia  che  gU  ò  o  sarà  istrumento  e 
compagna.  Perez,  38. 

XXX.  42.  —  L*  alta  virtit,  che  già  m*  avea  trafitto  Prima 
ch'io  fuor  di  puerizia  fosse.  •—  E  nella  Vita  Nuova,  §  12: 
Come  tu  fosti  suo  tostamente  dalla  sua  puerizia. 


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424  OOMBNTI. 

XXX.  88.  —  Poi  liquefatta  in  sé  stessa  trapela.  —  Questo 
verso  contiene  un'osservazione  delicatissima  e  degna  di  Galileo, 
che  cioè  r  acqua,  trasformandosi  in  neve  o  in  ghiaccio,  ricresce 
di  volume.  Cavemi,  da  lettera.  — -  Peli  si  chiamano,  a  simili- 
tudine de'  peli  o  degli  uomini  o  delle  bestie,  alcune  sottilissime 
fessure  de'  muri ,  onde  si  dice  un  muro  aver  fatto  un  pelo . 
donde  l'acqua  per  simil  fessure  e  spiragli  si  dice  trapeiare, 
cioò  passare  e  penetrare  per  questi  tra*  peli,  Borghini. 

XXX.  134.  —  Ss . . .  tal  vivanda  Fosse  gtistaia  senz*aicuno 
scotto.  —  Scotto,  nota  la  Crusca,  il  desinare  e  la  cena  che  si 
mangia  per  lo  piii  nelle  taverne,  e  per  lo  pagamento  che  si 
fa  della  cena,  o  altro  mangiamento.  —  Mons.  della  Casa  diede 
carico  a  Dante  per  aver  usato  il  basso  vocabolo  della  tavensa. 

XXXI.  64.  —  Quale  i  fanciulli  vergognando  muti.  Con  gli 
occhi  a  terra,  stannosi  ascoltando,  E  sé  riconoscendo ...  —  La 
voce  riconoscere  si  prende  più  volte,  quasi  con  senso  istintivo 
nella  nostra  lingua  per  atto  dì  completa  giustizia,  specialmente 
se  trattisi  di  penitenza  ossia  di  ritorno  dall*  ingiustizia.  Quindi 
r  Alighieri,  dopo  i  rimproveri  delie  sue  colpe  uditi  da  Beatrice, 
dipinge  sé  stesso.  Quale  i  fanciuUi  vergognando  muti.  Con 
gli  occhi  a  terra,  stannosi  ascoltando,  E  sé  riconoscendo  e  ri- 
pentuti,  e  dipoi  soggiunge  :  Tanta  riconoscenza  il  cuor  mi  motose 

CK  io  caddi  vinto . . .  (Id.  v.  88).  L' atto  poi  di  perfetta  giustizia 
con  cui  gli  Angeli  buoni  aderirono  a  Dio,  atto  di  riconoscimento  di 
tutti  i  pregi  di  natura  e  grazia  ch'ebbero  da  Lui,  è  significato 
del  teologo  Poeta  con  questa  frase  elegantemente  esatta:  QuelU. 
che  vedi  qui,  furon  modesti  A  riconoscer  sé  della  hontate.  Che 
gli  avea  fatti  a  tanto  intender  presti.  Par.  xxix,  58.  Perez,  364. 
XXXIL  109.  —  Non  scese  mai  con  sì  veloce  moto  Fuoco 
di  spessa  nube,  quando  piove  Da  quel  confine  che  piii  è  remoto. 
—  Non  è  bisogno  qui  ricorrere  alla  teoria  di  Anassagora^  che 
insegnava  il  lampo  esser  preso  dalla  nube  alla  sfera  del  ftioco, 
alla  quale  sfera  parve  ad  alcuni  che  accenni  questa  terzina 
nell'ultimo  verso.  Perchè  se  tu  pensi  che  Dante  tratta  della 
velocità  del  moto  e  che,  secondo  Aristotile,  deve  la  folgore  ve- 
nire tanto  più  impetuosa  quanto  la  nube  è  più  fredda  e  che 
la  nube  è  tanto  più  spessa  e  più  fredda  quanto  più  sale  in 
alto,  vedrai  la  ragione  perchè  Dante  accenni  al  confine  più 
remoto.  CammiUo  {R.  Cavemi),  La  Scuola,  1873,  n,  160. 


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COMENTI.  425 

Paradiso  I.  18.  —  ì£è  uopo  entrar  neW  aringo  rimaso.  — 
Aringo^  risponde  assai  bene,  cosi  propriamente  presa  come 
traslata,  ai  cursus  ìatino.  Borghini. 

I.  37-42.  —  Sorge  a'  mortali  per  diverse  foci.  «^  La  regione 
celeste,  cioè  il  ponto  specialissimo,  costituito  in  triplice  nodo 
per  rintersezione  dei  quattro  cerchi  della  sfera,  Orizzonte,  Equa- 
tore, Eclittica  e  Coluro  degli  equinozi,  e  ne  ricava  inaudita 
indicazione  del  punto  cardinale  di  Levante.  Berna, 

I.  43.  —  Fatto  avea  di  là  mane  e  di  qua  sera  Tal  foce 
quasi.  —  Emisperio,  non  intende  il  terrestre,  ma  quello  appa- 
rento del  cielo.  Dante  suppone,  poeticamente  parlando,  che  TO- 
rizzonte  serbi  in  tutta  la  sua  estensione  la  proprietà  d' inter- 
cettare i  raggi  solari,  come  V  ha  nel  suo  centro,  cioè  per  quel 
luogo  della  superficie  terrestre  da  cui  è  determinato.  Per  questo 
dà  il  nome  di  foce  ai  vari  luoghi  dell'  orizzonte  medesimo,  per 
i  quali  nel  corso  dell'  anno  fa  tragitto  il  Sole ,  quasi  fiume  di 
luce,  da  uno  ad  altro  emisfero.  In  questa  maniera  s' intende, 
com*  essendo  tutto  bianco  Temisperìo  celeste  del  Purgatorio 
(il  terrestre  non  avrebbe  potuto  esserlo  neppur  a  mezzogiorno), 
r  altra  parte ,  cioè  Y  emisperio  opposto ,  il  cui  colmo  è  sopra 
Gerusalemme,  fosse  tutta  nera,  dovendosi  riferire  a  tal  foce 
r  avverbio  quasi  ^  come  attesta  il  fatto  che  il  Sole  aveva  già 
una  declinazione  boreale  di  parecchi  gradi,  il  perchè  non  sor- 
geva in  quel  di  per  tal  foce,  che  è  il  punto  cardinale  di  levante. 
Quanto  al  momento,  in  cui  ha  luogo  il  distacco  dalla  sommità 
del  sacro  >f onte,  è  chiaro  corrispondere  alla  mattina,  sorto  ivi 
il  sole  appena.  P.  AntoneUi,  Studi  particolari  sulla  D.  G.  p.  21. 

Esempio  dell'  esattezza  mirabile  del  poeta  astronomo  è  nel 
primo  del  Paradiso,  in  cui  descrive  i  punti  dell'orizzonte  di- 
versi d'onde  a  noi  sorge  il  sole  nelle  diverse  stagioni,  e  fra 
questi,  quello  particolarmente  d'onde  sorgeva  quando  Dante 
dall'Eden  prendeva  il  volo  su  al  Paradiso.  Ponendo,  col  P. 
Anionelli,  che  il  sole  avesse  a  coteat' epoca  una  declinazione 
boreale  di  undici  gradi  e  il  monte  del  Purgatorio  una  latitu- 
dine australe  di  31®  40'  si  trova  che  per  quel  giorno  usciva 
il  sole  al  Purgatorio  con  un  azimut  di  77**  3',  e  perciò  12**  67', 
distante  dalla  foce  che  quattro  cerchi  giunge  con  tre  croci.  È 
per  questo  che  Y  esatto  astronomo  non  dice  che  il  sole  usciva 
precisamente  da  quella  foce,  ma  da  qiuxsi  quella  foce,  essen- 

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426  ooxKfn. 

done  distante  per  quasi  13  gradi.  Caoemi^  La  Scaola,  1873. 

I,  178;  li,  205  e  247. 

I.  88-00.  —  Tu  stesso  ti  fiù  grosso  Col  fiUso  imnuìginar, 
si  che  non  vedi  Ciò  che  vedresti,  se  F  avessi  scosso  —  L*  ima- 
ginazione,  scrive  il  Rosmini,  è  utile  soltanto  quand*è  dooiinata 
dalla  forza  del  pensiero  stesso;  ella  è  la  serva  di  questo,  e 
ogni  qual  volta  ne  scuote  il  giogo,  nuoce  gravemente  alla 
scienza,  a  cui  sostituisce  T illusione  e  Terrore.  B  il  Perez  sog- 
giunge :  Dante,  che,  poeta  e  insieme  filosofo,  voleva  essere  dalla 
immaginazione  aiutato  e  obbedito,  non  vinto  e  gabbato,  tosto 
che  accorgevasi  delle  insidie  di  quella  capricciosa,  faoaasi  dire 
da  Beatrice:  Tu  stesso  ti  fai  grosso  Col  falso  immaginar^  sì 
che  non  vedi  Ciò  che  vedresti^  se  V  avessi  scosso,  Perez,  568. 

I.  113.  — >  Gran  mare  delt essere. ^—ÌAeàitfi  bene  il  sublime 
di  questa  espressione,  e  vedrai  spettacolo  meraviglioso:  vedrai 
tutte  le  esìs  tenze,  tutte  le  vite  incessantemente  partire  da  questo 
gran  mare,  e  incessantemente  a  lui  rìtornarsi  come  rapidi  fiumi 
da  tutte  le  parti  della  creazione,  un  mare  di  cui  V  occhio  della 
mente  indamo  cerca  le  rive,  un  mare  di  cui  ninna  forza  d' im- 
maginazione può  abbracciare  V  immensità.  —  C.  Pardi,  Scritti 
Vari,  n,  190. 

I.  125.  —  La  virtù^  di  quella  corda.  Che  ciò  che  scoaxi 
drizza  in  segno  lieto.  —  «LÀ  dove  alcuna  cosa  non  può  per- 
venire in  virtù  di  sua  natura  conviene  che  sia  da  altri  drizzata 
nel  segno  dell'  arciere.  »  S.  Tommaso,  Nella  Somma  Teologica, 
I,  par.  ques.  xxui,  art.  1.  —  Ognun  vede  come  qui  Dante  si  sia 
vabo  con  molto  accorgimento  dell'  imagine  dell' Aquinate.  Fran- 
ciosi, Studi  danteschi,  137. 

IL  20.  —  Del  deiforme  regno.  —  Con  ogni  proprietà  chiama 
deiforme  regno  il  regno  dei  beati,  poicbò  in  quel  regno  la  forma 
de'  beati  ò  veramente  Iddio.  Il  che  apparirà  tanto  più  coerente 
alla  tradizione  cristiana,  quando  si  noti  che  fu  comune  a  molti 
Padri  antichi  l' interpretare  il  Regno  di  Dio  per  lo  stesso  Spi- 
rito Santo  che  regna  colla  grazia  nelle  anime ,  come  si  può 
vedere  in  S.  Cirillo,  in  S.  Oragorio  Nisseno,  e  altri  ancora.  A. 
Rosmini,  Antropologia  Soprannaturale. 

II.  78.  —  Cosi  questo  Nel  suo  volume  cangerebbe  earte.  — 
Nò  ti  debbono  parer  strane  le  carte  del  volume  delia  luna  e 
la  compagine  dell'aria  (Par.  xur,  6),  perchè  se  la  superficie 


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GOMBNTI.  427 

lunare  piuttosto  che  T opera  del  fuoco,  come  pare,  avesse 
patita  quella  dell'acqua  evi  sì  alternassero,  \20111e  nella  terra, 
sedimenti  aUuviali,  si  concederebbe  a'  selenologi  poter  parlare 
di  strati  e  di  stratificazioni,  come  gli  strati,  in  che  si  comparte 
r  aria,  son  conceduti  al  linguaggio  de'  fisici  moderni.  Ma  quello 
oh'  è  strato  nel  volume  de*  corpi  sulla  bocca  de'  nostri  scien- 
ziati, è,  seguitando  V  immagine  tolta  da'  libri,  una  cai*ta  o  una 
pagina  nel  linguaggio  dell'Alighieri.  Cammiilo  (R.  Cavemi), 
La  Scuola,  1873,  u,  205. 

111.  10.  —  Quali  per  vetri  trasparenti  e  tersi,  Ower  per 
acque  nitide  e  tratt^uille.  Non  si  profonde  che  i  fondi  sièn 
persi. ...  —  Il  Caverni  prova  che  la  voce  persi  si  debba  inten- 
dere del  color  bruno  del  fondo.  Mi  pare,  ei  conchiude,  che 
intesa  del  colore  quella  voce,  l' idea  venga  diretta  e  abbia  per 
ciò  Doaggiore  efficacia.  La  Scuola^  1872,  A.  i,-  Voi.  11,  p.  169, 
e  2^4-26. 

III.  46,  56,  63.  —  Io  fui  nel  mondo  vergine  sorella  :  E  se 
la  mente  tua  ben  mi  riguarda,  Non  mi  ti  celerà  V  esser  più, 
bella,  — -  Nel  Paradiso  dantesco  le  sembianze  umane,  fatte  ce- 
lesti, son  divenute  così  spirituali  in  loro  purissimo  splendore, 
che  in  sul  primo  il  poeta  pena  a  raffigurar  le  persone;  ma 
tornando  a  loro  lo  sguardo,  e  aiutandosi  dell'  associazione  delle 
idee  che  si  ridestano  nel  parlare  con  loro,  viene  poi  a  rico- 
noscere anco  di  mezzo  alla  nova  bellezza  i  tratti  individui  che 
le  distinguevano  una  volta.  Era  dottrina  che  il  Poeta  avea 
attinta  da  S.  Tommaso,  il  quale  di  Cristo  risorto,  al  cui  adempio 
si  conformano  tutti  i  Santi,  dice:  Nemo  putet  Christum  sua 
resurreciione  sui  vultus  effigiem  commutasse . . .  Sed  mutatur 
effigies,  dum  efftdtur  ex  mortali  immortalis,  ut  hoc  sit  acqui-- 
sivisse  vultus  gloriam,  non  vuUus  substantiam,  (Sum.  ni.  P.  Q. 
54,  a.  l,  ad  3,  et  ib.,  dove  parla  di  tutti  i  risorgenti  ad  2). 
Perez,  39. 

III.  49  e  seg.  —  Ma  riconoscerai  eh*  io  son  Piccarda,  — 
Chi  legge  attentamente  il  iii  ed  il  iv  canto  del  Paradiso  scorge 
zuaDÌfesto,  essere  stata  ferma  persuasione  di  Dante,  che  Pie» 
carda  non  mai  si  acconciasse  con  animo  volenteroso  alla  con» 
dizione  violentemente  impostale  dal  fratto,  ma  pure  non  osasse 
di  sciogliersene  per  timore  di  nuovi  danni  ;  eh'  ella  conservasse 
l'amore  della  sua  professione  religiosa,   ma  pure  non  avesse- 


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428  COMBNTI. 

il  coraggio  di  rompere  risolutamente  gli  ostacoli,  che  il  mondo 
aveva  frapposti  all'  osservanza  de'  suoi  voti.  Le  parole  di  Dante 
ci  lasciano  credere  che  fosse  abbreviata  la  vita  di  Piocarda 
dal  vivo  contrasto  sorto  nell'animo  di  lei.  Todeschini^  Scritti 
su  Dante,  i,  337. 

III.  63.  —  Si  che  il  raffigurar  nC  è  più,  latino.  —  Latino, 
ove  tal  voce  si  riferisca  ad  eloquio  ed  a  cognizione  in  gene- 
rale, equivale  a  cosa  piana  ed  agevole:  tanto  n'era  comune  la 
intelligenza  e  l' uso  fra  le  persone  di  qualche  levatura.  —  «E 
perchò  tutto  ciò  eh' è  ornato  e  facile,  e  anzi  è  la  &cilità  una 
condizione  essenziale  alla  grazia,  latino  venne  a  Bignificare 
anche  facile,  agevole.  »  Caverni. 

IV.  6.  —  Intra  duo  cibi  distantì  e  moventi,  —  Il  Bianchi 
commenta  :  «  Proposizione  verissima,  che  la  nostra  volontà  per 
risolversi  tra  più  cose  alla  scelta  di  una,  ha  bisogno  di  un 
motivo  preponderante  qual  che  siasi:  diversamente  ella  ai  ri- 
mane inerte.  Ognuno  può  aver  ciò  provato  nelle  piii  comuni 
cose  della  vita.  »  Io  tengo,  scrive  il  prof.  Zanchi,  tutto  l' opposto  ; 
e  credo  che  per  quel  modo  si  venga  a  distruggere  il  libero 
arbitrio  del  merito  e  del  demerito.  —  Or  come,  aggiugn^  egli. 
sono  usciti  que' versi  dalla  penna  dell'Alighieri?  A  fine  dì  non 
commettere  ingiustizia  verso  il  più  grande  poeta,  e  per  non 
offendere  d'altronde  la  verità,  credo  che  si  convenga:  I.® Esporre 
esattamente  la  dottrina  di  Dante  sul  Ubero  arbitrio,  e  vedere 
quanto  è  profonda  ;  II.°  Ragguagliando  con  quella  i  pochi  versi 
sumentovati  e  tenendo  conto  di  tutti  gli  accessorii,  notare  Y  ab- 
baglio del  Poeta,  senza  studio  dì  scemarne  o  crescerne  la  mi- 
sura,  assegnandone  in  pari  tempo  la  causa  prossima  e  acci- 
dentale ;  III.^  Cercar  di  rilevarne  la  ragione  rimota  e  ultima, 
mettendo  in  luce  quella  difficoltà,  somma  che  si  presenta  din- 
nanzi a  chi  vuole  contemplai*e  l'essenza  dell'umana  Hbertà.  — 
Lo  che  egli  fa  con  logica  stringente  e  molta  dottrina.  Il  prof. 
Zanchi  ricerca  pur  l' origine  della  similitudine  dantesca,  e  crede 
forse  gli  sovvenisse  in  proposito  il  sofisma  delT  asino  del  Bu- 
ridan,  rettore  dell'università  di  Parigi,  famoso  dialettico,  sofi- 
sma che  avea  fatto  grande  rumore  nel  mondo  filosofico  del  suo 
tempo.  Anche  S.  Tommaso  avea  accennato  alla  medesima  cosa, 
—  si  habet  dbum  aequaliter  appetihilem  in  ditersis  partibus 
et  secundum  aequalem  distantiam, . . .  Somma,  i,  II*®,  xm,  vi. 


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COMENTI.  429 

Alcune  Armonie  nelF ordine  naturale  coir  ordine  sopranna- 
florale.  Verona,  Zanchi,  1863,  154-181. 

IV.  40.  —  Cosi  parlar  conviensi  al  tostro  ingegno.  Pe- 
rocché solo  da  sensato  apprende  Ciò  che  fa  poscia  d!  intelletto 
degno.  —  Il  senso  ritrae  i  sensibili  particolari,  ma  l' intelletto 
ri  scopre  la  natura,  come  il  significato  in  una  scrittura,  o  come 
nel  marmo  informe  vedeva  Michelangelo  la  figura  d*  intorno  a 
cui  levare  il  soverchio.  L'Alighieri  qui  distingue  benissimo 
l'uno  e  l'altro  ufficio.  A.  Conti. 

IV.  125.  —  Se  il  Yer  non  r  illustra.  —  Il  vero,  di  cui  qui 
favella  il  poeta,  è  il  conoscimento  del  Primo  Vero,  cioè  Dio, 
senza  cui  l'anima  è  sempre  irrequieta.  Ciò  si  fe  apertissimo 
anche  da  un  frammento  del  Convito  ben  a  proposito  allegato 
dal  Tommaseo,  ove  Dante  pone  Dio  come  base  e  fastigio  della 
piramide  scientifica.  A  tal  fastigio  non  si  ascende,  che  di  grado 
in  grado,  cioè  di  collo  in  collo,  cominciandosi  dal  dubbio,  che 
è  rampollo ,  cioè  seme  e  germe  del  Vero  (  per  valermi  delle 
parole  Ciceroniane).  Ma  la  conoscenza  di  Dio  però  non  importa, 
che  Tuomo  possa  ingolfarsi  nelle  investigazioni  superiori  alla 
sua  ragione  finita.  Scrutator  majestatis  opprimetur  a  gloria, 
giusta  le  sacre  pagine.  V.  Lomonaco,  Dante  Giureconsulto,  33. 

IV.  127-132.  —  Io  veggo  ben  che  giammai  non  si  sazia. . . . 
—  Qui  dice  r  Alighieri,  che  la  prima  verità  solamente  può  sa- 
ziare r  uomo,  perchè  ogni  altra  verità  dipende  da  essa  ;  e  che 
l'uomo  può  giungere  alla  cognizione  di  tal  verità  prima,  so 
no  nessuna  verità  s' intenderebbe  nella  ragione  somma  che  sola 
può  quietar  l'intelletto;  e  allora  tutt'i  nostri  desideri,  che 
tendono  al  vero  sarebbero  vani.  Però  la  tendenza  nostra  verso 
la  ragione  di  tutte  le  ragioni,  fa  sì  che,  conosciuta  una  verità, 
nasice  un  dubbio,  cioè  nuovo  quesito,  cosi  per  togliere  appa- 
renti contrarietà  come  per  trovare  nel  noto  V  ignoto,  finché  di 
quesito  in  quesito,  e  di  scoperta  in  iscoperta  non  siam  giunti, 
come  da  ramo  a  ramo  su  cima  d'albero,  alla  sommità  del 
primo  principio  che  risolve  ogni  dubbiezza.  A.  Conti,  Del  dub- 
bio considerato  come  rampollo  del  vero.  —  V.  Franciosi,  Studi 
Danteschi,  101. 

V.  98.  —  Io  che  pur  di  mia  natura  Trasmutabile  son  per 
tutte  guise.  —  Chi  pur  mira  nel  concetto  dantesco,  il  quale  è 
visibile  in  tutta  la  sua  nuda  ed  inesorabile  austerità  nel  libro 


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430  OOMEMll. 

<ti  Monarchia,  facilmente  si  persuade  in  che  modo  si  debba 
intendere  che  Dante  trasmutabile  fosse  per  tutte  guise.  Con- 
cetto è  il  suo  che  nulla  ha  della  generalità  astratta,  che  tanto 
piace  a  taluni  moderni;  ma  ò  un  universale,  e  tenendo  della 
natura  degli  uomini,  fecondo.  Egli  ora  pare  accostarsi  ad  una 
parte  ora  air  altra.  Il  suo  Veltro  ora  può  avere  un  nome  per 
eeso,  ora  un  altro.  Ma  il  suo  sistema  ideale  non  ò  un  compro- 
messo mai  tra  le  diverse  fazioni,  una  transazione  fra  opposte 
dottrine.  Egli  a  quella  parte  e  a  quegli  uomini  costantemente? 
inclina  che  mostrano  voler  essere  strumento  della  sua  idea.  I 
Ouelfi  erano  senza  un  dubbio  delle  due  parti  quella  che  più 
nazionale  poteva  dirsi.  Seguitavano  il  gran  moto  di  Legnano, 
preparavano  l' età  meravigliosa  dell'  arti  nostre.  Ma  Dante,  leg- 
gendo col  senno  piii  oltre,  e  per  dirla  a  suo  modo,  infuturan- 
dosi, bene  si  accorse  che  una  grande  debolezza  era  negli  ordini 
di  quella  parte,  e  che  solo  una  forte  monarchia  ci  poteva  sal- 
vare. Nato  guelfo,  o  in  un  modo  o  in  un  altro  da  quella  &- 
zione  si  dovea  necessariamente  distaccare.  E,  dopo  aver  scritto 
il  libro  di  Monarchia,  più  non  si  poteva  con  quella  parte  con- 
ciliare, la  quale  tuttavia  avealo  educato  a  potere  fondamental- 
mente alterare  Topinìone  imperiale  e  ghibellina.  G.  Baldaccfunù 
Prose  II,  120  e  seg. 

VI.  10.  ^  Cesare  fui,  e  son  Giustiniano,  Che,  per  voler 
del  primo  Amor  eh*  io  senio,  D*  entro  alle  leggi  trassi  il  troppo 
e  il  vano.  —  Giustiniano  enucleando  il  diritto,  bene  ossei'va  il 
Vico,  trasse  il  nucleo,  cioè  il  gius  naturale  dal  malia,  o  sia 
dalla  buccia  del  gius  civile,  ei  spogliandolo  del  municipalismo 
romano,  lo  fece  cosmopolita.  È  celebre  abbastanza  il  titolo  del 
Codice  (I,  xvii).  De  veteri  jure  enucleando.  Dante  lo  chiamò 
ispirato  da  Dk)  quando  tolse  dalle  leggi  gì*  involucri  ond'era 
avvolto.  Quindi  a  lui  solo  largì  nel  paradiso  la  gloria  di  cele- 
brare i  viaggi,  i  combattimenti  e  le  vittorie  deir  aquila  latina. 
V.  Lomonaco,  Dante  Giureconsulto,  23. 

VI.  58.  —  E  quel  che  fé  da  Varo —  «  Ti  fu  forza  restare 

a  Nizza  un  mese  intero,  aspettando  Vanivo  di  una  nave  che 
ti  portasse  in  Italia.  Ma  mentre  di  andare  in  Italia  eri  sma- 
nioso, tu  già  stavi  in  Italia:  che  secondo  i  poeti  ed  i  cosmo- 
grafi confine  ad  essa  è  il  Varo,  oltre  il  quale  sta  Nizza  sulla 
terra  d' Italia.  »  Petrarca ,  Lett.  Fam.  ir,  7.  —  €  Nizza  prima 

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COMBNTI.  431 

ita  che  8*ÌDC0Dtri  dell*  Italia  occidentale.  >  Id.  V.  3.  —  A  Italia 
izza  le  man  stende.  Fazio  degli  liberti^  Dittamondo,  in,  11. 
VI.  118.  —  Nel  commensurar  de'  nostri  gaggi.  —  Sono  ri- 
asti  al  popolo  i  gaggi  militari,  d'onde  8*ò  fatto  il  verbo  ingag- 
'arsi,  che  voleva  dire,  sotto  T altro  Governo,  sottoscriversi 
>loDtario  alla  milizia  in  luogo  di  im  altro,  prendendo  per  tal 
irvigio  i  gaggi  convenuti.  Cavemi, 

VI.  125.  (PuRG.).  —  Un  Marcel  diventa  Ogni  villan  che 
arieggiando  viene,  —  Gli  nomini  sono  stati  sempre  gP  istessi, 
in  tutti  i  tempi,  nelle  congiunture  simili,  sono  occorse  simili 
»ntingenze.  Noi  abbiamo  veduto  co'  propri  occhi,  e  toccatolo  con 
ano,  in  questi  ultimi  tempi  di  commozioni  civili  come  sieno 
inuti  a  galla,  e  abbiano  invaso  i  più  alti  seggi,  e  siensi  cele- 
sti per  Catoni  e  per  Achilli  certi  figuri  che  meglio  sarebbero 
ati  0  per  le  galere,  o  per  i  postriboli,  o  chi  a  vangare,  o 
li  a  tirar  lo  spago.  Dante  a'  suoi  tempi  si  lamentava  del 
edesimo,  con  gli  sdegnosi  versi  recati  qui  sopra;  i  quali 
ovano  riscontro  in  un  verso  greco  antichissimo  che  suona: 
ìditione  orta,  dux  est  etiam  AudrocUdes,  come  lo  videro  i 
orentini  del  secolo  XIV  in  Michele  di  Landò,  e  i  Napoletani 
\  XVII  in  Maso  Anieilo  e  gU  Italiani  del  XIX....  11  qual 
rso  greco  è  illustrato  eccellentemente  dal  Manuzio  che  reca 
la  sentenza,  anche  più  calzante  al  proposito  nostro  la  quale 
nta:  Rebus  turbatis,  vel  pessimus  est  in  honore.  Chi  poi 
ol  avere  un  ritratto  vivo  e  parlante  di  alcuni  cialtroni  odierni 
nuti  in  jEama  di  eroi,  vegga  la  Commedia  di  Aristofane:  I 
ivaUeri,  —  P.  Fanfani. 

KuNHARDT  P.  F.  I.,  DanHsche  Reminiscenz  an  das  biblische 
leichniss  vom  ungerechten  HaushaUer  in  der  Div,  Commedia 
%r,  vr,  V.  127.  Lubeck  Grantoflf,  1870,  p.  20.  —  Una  remini- 
enza  alla  parabola  biblica  nella  Divina  Commedia  di  Dante, 
iol  mostrare  che  Dante  abbia  imitato  la  parabola  di  S.  Luca 
•I,  1-8. 

Nel  VI  del  Paradiso,  si  alza  il  Poeta  alla  più  alta  filosofia 
Ha  storia  che  per  lui  non  era  un  cieco  succedersi  di  fatti 
screpanti  ed  insieme  lottanti. 

VII.  83.  —  Ed  in  sua  dignità  mai  non  riviene  y  Se  non 
?mpie  dove  colpa  vota,  Conira  mal  dilettar  con  giuste  pene, 
'  L^  sola  pena  può  restaurare  i  rapporti  di   equilibrio  tra 

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432  ONfBsrn. 

r  ordine  morale  e  Tuomo;  e  la  pena  esser  deve  propon 
al  mai  diletto  della  colpa,  frase  felice  tolta  da  Virg:tlio, 
gaudia  mentis.  V.  Lomonao),  Dante,  Giureconsolto.  27. 

VII.  112.  —  Né  tra  CuUima  noUe  e  il  primo  die  ; 
e  si  magnifico  processo,  O  per  Vuna  o  per  teatro  fue 
—  L' ultimo  verso  a  molti  può  sembrare  sulle  prime 
duro,  e  prosaico,  ma  recitato  con  la  posa  chiesta  e  dall' a 
e  dalla  gravità  del  concetto,  può  ritrarre,  a  chi  è  cai 
sentirla,  T  ammirazione  meditativa  del  poeta  assorto  ne 
mistero.  Perez,  618. 

Vili.  2.  —  Ciprigna . . .  volta  nel  terzo  epiciclo,  —  GÌ 
preti  intendono  quella  parola  epiciclo  in  senso  proprio  tole 
.  e  con  ciò  farebbero  dire  a  Dante  uno  sproposito.  T( 
«  in  cambio  di  far  girare  il  pianeta  (parole  del  Cagno 
Forbita  sua  circolare  cui  pose  il  nome  di  deferente, 
andar  per  un  altro  cerchio  appellato  epiciclo  che  avea  : 
il  centi'O  nella  circonferenza  del  primo ,  >  e  cosi  architet 
per  ispiegare  le  stazioni  de'  pianeti  e  il  variar  che  fa> 
lor  dove.  Ma  al  sole  e  alla  luna  che  non  fanno  stazic 
retrogradazioni,  bastava,  senza  epiciclo,  il  deferente.  Se  < 
la  luna  non  ha  epiciclo,  quel  di  Venere  non  è  il  terze 
secondo.  Debbesi  adunque  intendere  questa  parola  non  ne 
ficato  astronomico,  ma  nel  senso  di  orbe  o  di  giro.  Ca 
(Caverni),  La  Scuola,  1873,  Voi.  ii,  60. 

Vili.  22.  —  Di  fredda  nube  non  disceser  venti,  O 
o  no ,  tanto  festini.  —  Questi  venti  non  sono  altro  che 
tricità  della  nube,  la  quale  è  visibile  nel  lampo  ma  in 
(juando ,  avventandosi  a'  corpi ,  si  rovina  attraverso  j 
fìiriosa  per  andare  a  disperdersi  poi  nel  suolo,  prodncen 
gli  effetti  della  folgore  tremendi  ;  folgore  che  gli  anticfa 
mavano  vento,  come  noi  la  chiamiamo  ora  aura  elettrica. 
millo  (R.  Cavemi).  La  Scuola,  1873,  n,  160. 

Vili.  49.  —  Il  mondo  m' ebbe  Già  poco  tempo.  — 
tempo  del  Potestà  e  Capitano  sopra  detto  (Miser  Bemardc 
da  Como,  1294),  venne  el  Re  Carlo  Martello,  e'I  suo 
in  Siena,  el  quale  s*  era  botato  d*  andare  a  Roma  lui  elfi 
per  certa  infermità  che  lui  aveva,  e  andò  a  Roma  e  te 
nell'andare  e  nel  tornare  a  Siena  gli  fu  fiitto  grande 
dal  Comune,  e  anco  da  nobili  di  Siena,  e  nella  sua  partit 


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OOMBNTL  433 

^li  i*ingraziò  de  la  benivoglìenza  e  del  onore  gli  era  stato  fatto 
la  Mobili  e  dal  Comuno  e  donò  la  sua  arme,  e  fece  di  casa  di 
''randa  X  de'  nobili  di  Siena,  e  fegli  Cavalieri.  Croniche  Senesi, 
kubb.  da  G.  Maconi,  e.  88,  i,  p.  2,  55. 

Vili.  55.  —  Assai  m'amasti,  ed  avesti. ben  onde, 
ToDBSCHiNi  Giuseppe,  Di  Carlo  Martello,  re  titolare  cT  Un- 
jheriay  e  della  corrispondenza  fra  questo  principe  e  Dante 
A,ltffhieri.  Scritti  su  Dante,  i,  171-211. 

Si  £eì  a  raccogliere  alcune  notizie  intomo  a  Carlo  Martello, 
[)er  emendare  certe  cose  scrittene  da  Giov.  Villani,  i—  Non  nel 
L289,  come  vorrebbe  il  Villani,  ma  il  di  8  Settembre  1290, 
ei  fu  coronato  in  Napoli ,  re  d' Ungheria.  Neil'  anno  appresso 
coiiilusae  a  moglie  Clemenza  d'Absburgo,  figliuola  dell' impe- 
radore  Adolfo.  E  fu  nei  primi  mesi  del  1294  ch'ei  venne  a 
Firenze,  e  vi  stette,  secondo  un  vecchio  cronista,  oltre  20  giorni, 
attendendovi  il  re  suo  padre,  che  tornava  di  Francia,  e  dai 
F^iorentini  gli  fu  fatto  grande  onore,  ed  elli  mostrò  grande 
amore  a'  Fiorentini ,  ond*  elli  ebbe  molto  la  grazia  di  tutti. 
Bellissima  occasione  fu  questa,  perchò  un  giovane  fiorentino 
riuomato  fra'  concittadini  pei  suoi  sonetti  e  per  le  sue  canzoni, 
che  oscuravano  la  fama  dei  rimatori  fino  allora  più  lodati,  si 
avvicinasse  ad  un  giovane  principe,. che  quantunque  circondato 
da  splendido  militare  corteggio,  era  tuttavia,  come  ricordano 
le  storie  napoletane,  d'indole  mansueta,  ed  amico  perciò  più 
dello  arti  della  pace  che  di  quelle  della  guerra.  Oltre  di  che 
il  Todeschini  vuole  che  nella  seconda  metà  del  1294  Dante 
dimorasse  alcun  tempo  a  Napoli,  e  ne  reca  le  prove.  Carlo 
Martello  sarebbe  morto  a  trentacinque  anni,  nel  1295,  come 
ne  fa  fede  la  lettera  diretta  dal  papa  Bonifacio  Vili  alla  moglie 
del  re.  Maria  d'Ungheria,  e  nel  1301  sarebbe  pur  morta  Cle- 
menza d'Absburgo. 

Vili.  67.  —  E  la  bella  Trinacì*ia,  che  caliga. . . .  Non  per 
Tifeo,  ma  per  nascente  solfo.  —  Ossia  per  quello  che  chiamano, 
nel  linguaggio  moderno,  acido  solforoso  il  quale  eruttato  insieme 
a  altre  sostanze  e  decomposte,  fa  che  poi  nasca  lo  solfo.  Cammillo 
(R.  Cavemi),  La  Scuola,  1873,  n,  160. 

Vili.  73.  —  Se  mala  signoria,  che  sempre  accora.  — 
«  A'  lettori  italiani,  o  nati  in  qualunque  altra  terra  ove  s'estenda 
la  presente  civiltà  europea,  io  non  ricorderò  la  rigorosa  esattezza 

28 

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434  OOMBNTI. 

istorica  della  Divina  Commedia  intorno  i  fìitti  d*  Italia  ;  h 
sanza  dì  quella  mente  a  scrutar  le  cagioni  delle  cose  e  stam 
ne*  pochi  tratti  coi  quali  suol  delineai'e  un  gran  quadro,  8 
nulla  vi  resti  a  desiderare,  V  autorità  infine  dell'Alighieri, 
contemporaneo  al  Vespro.  E  chi  noi  sente  con  evidenza 
dimostrerò  io,  che  quelle  parole,  messe  in  bocca  di  Carlo 
tello,  tolgano  affiitto  il  supposto  di  congiura  baronale.  N 
bene  che  Dante  qui  non  solo  tratteggiò  la  causa,  ma  a 
una  delle  circostanze  piìi  segnalate  del  tumulto,  che  fu  i 
petuo  grido:  <  Muoiano  i  Francesi,  muoiano  i  Francesi!  > 
que'  tre  versi  resteranno  per  sempre  come  la  più  forte,  pi 
e  fedele  dipintura,  che  ingegno  d' uomo  ùlt  potesse  del  V 
Siciliano.  »  —  M.  Amari,  La  guerra  del  Vespro  Sidliano 
pendice,  538. 

Vili.  112.  —  Vuo*  tu  che  questo  ver  più  ti  s'imbianch 
Ti  divenga  intelligibile ,  piìi  visibile  all'intelletto,  pili  evii 
come  corpo  eh'  è  più  visibile  all'  occhio  quant'  ha  più  in 
candore  o  nitore  di  luce.  E  per  opposto,  l' errore,  il  dut 
l'ignoranza  son  chiamati  nebbia,  quasi  offuscamento  d'evie 
(Purg.  xxvin  v.  87,  e  v.  90).  —  A.  Conti. 

Vili.  147.  —  E  fate  re  di  tal  cK  è  da  sermone.  — 
gasi  quanto  diverso  giudizio  portasse  il  Petrarca  di  re  Kc 
nella  sua  lettera  ni  del  libro  iv  delle  Familiari  ;  e  veggasi 
la  nota  del  Fracassetti. 

IX.  1.  —  Da  poi  che  Carlo  tuo^  bella  Clemenza.  — 
mensa,  figlila  di  Rodolfo  d'Absburgo,  vedova  di  Carlo  Marti 
L'appellativo  Carlo  tuo,  dimanda  il  prof.  Todeschini,  { 
forse  esser  diretto  alla  figlia,  anziché  alla  moglie  di  Car 
Potea  forse  Dante  rivolgersi  con  quel!' aposti'ofe  ad  una 
ciulletta  di  pochi  anni  ?  Dante  che  godette  dell'  affezione  di 
Martello,  e  che  dovette  conoscerne  la  moglie,  fu  tratto  da 
e  da  compassione  a  far  menzione  di  essa  in  questo  luog 
Paradiso.  —  Eugenio  Camerini  ò  dell' istesso  avviso. 

IX.  32.  —  Cunizsa  fui  chiamata.  —  V.  p.  387  di  e 
volume. 

IX.  37.  —  Di  questa  luculenta  e  cara  gioia.  —  Il  I 
tonelli  ti*ova  la  spiegazione  comune  contraria  al  conceti 
Poeta  che  è  visibilmente  d'immortalare  Folchetto;  pei" 
sebbene  essa  accordi  alla  fama  di  lui  cinque  o  più  sec 


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GOMBim.  435 

vita.,  in  questo  modo  di  locuzione  resta  sempre  Tidea  fonda- 
mentale, che  tal  fama,  sia  pur  grande,  debba  venir  meno,  debba 
morire  e  dentro  assai  ristretti  confini  di  tempo.  —  Ei  vuole  si 
legga:  Di  questa  luculenta  e  cara  gioia  Del  nostro  cielo,  che 
piit  rrC  è  propinqua.  Grande  fama  rimase;  e,  pria  che  muoia 
Questo  centesim* anno ,  ancor  s'incinqua:  e  verrebbe  a  dirsi, 
che  la  fama  di  Folchetto,  rimasta  in  terra,  fu  grande;  ma  si 
sarebbe  quintuplicata,  prima  che  finisse  V  anno,  che  allora  cor- 
reva. —  Dante  riferisce  la  sua  Visione  al  1300,  chiamando 
centesimo  Tanno  in  che  suppone  di  trovarsi  ad  udire  in  cielo 
parole  di  alto  encomio  ad  un  Poeta  agli  scritti  del  quale  si 
era  forse  inspirato.  Il  Caverni  trova  ingegnosa  V  interpretazione 
dell' ÀntoBelli,  essendo  anch' egli  dell'avviso  che  si  debba  inten* 
dere  piuttosto  dell'  Intensità  che  non  della  lunghezza  della  fama. 
Ma  egli  lascierebbe  il  testo  nella  comune  e  vulgata  sua  puntatura, 
intendendo  per  centesimo  anno  quel  centesimo  che  allora  cor- 
reva, cioè  il  terzo,  il  quale  incinquato,  farebbe  1500,  lunghezza 
sufficiente,  specialmente  nelle  idee  che  avevano  allora  della  sol- 
lecita fine  del  mondo,  a  significar  duratura,  quanto  il  mondo 
medesimo,  la  fama  di  Folchetto. 

Mercuri  Filippo,  Nuovissima  spiegazione  del  Terzetto  del 
C.  n  del  Paradiso:  Ma  tosto  fia  .che  Padova  al  palude.  Roma, 
Tip.  Belle  Arti,  1853. 

Padova  cangerà  al  palude  o  in  palude  l'acqua  che  Vicenza 
bagna,  non  significa,  come  spiegano  i  commentatori,  cangerà 
(intendi  di  colore,  facendola  col  suo  sangue  rosseggiare)  racqua 
che  Vicenza  bagna  (l'acqua  del  BacchigUone).  Ma  come  il  luogo, 
in  cui  si  veniva  piii  frequentemente  a  battaglia  fì*a  i  padovani 
e  i  vicentini,  era  quello  in  cui  il  Bacchiglione  si  divide  in  due 
i*anii,  l'uno  bagnando  le  campagne  di  Este,  l'altro  quelle  di 
Padova;  e  il  modo  di  combattersi  a  vicenda  era  quello  di 
attaccare,  rovesciare  e  rialzare  più  volte  le  dighe,  onde  deviare 
il  corso  del  fiume  e  restringerlo  in  palude  ;  la  spiegazione  più 
naturale,  più  vera  del  terzetto  è  questa:  Padova  volgerà  al 
palude  V acqua  che  Vicenza  bagna,  rompendo  le  dighe  e  de- 
viandone il  corso  del  fiume  Bacchiglione.  E  cosi  sparirà  la 
quantità  de'  morti,  che,  secondo  i  comentatori,  fece  rosseggiare 
quelle  acque.  Il  che  è  contrarissimo  alla  verità  della  storia, 
giacché  una  delle  cose  più  straordinarie  di  tali  guerre  era  quella 

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436  OQMBNTK. 

di  eisere  senza  sangue,  e  il  poco  numero  de* morti  indica  il 
principio  di  quelle  guerre  incruente  che  avvilivano  il  coraggrio 
delle  truppe  italiane  (7).  H  Mercuri,  premesso  un  sunto  storico, 
interpreta  :  i  padovani  devieranno  V  acque  del  fìacchiglione  rom- 
pendo le  dighe,  come  fecero,  per  inondare  Vicenza  a  motivo 
che  le  genti,  cioè  i  guelfi  padovani,  sono  crudi  e  restii  al  dovere^ 
cioè  alla  soggezione  di  Arrigo  VII  e  del  suo  vicario  Cune 
della  Scala. 

IX.  46.  —  Ma  tosto  fia  che  Padova  al  palude —  —  Anche 
il  Todeschini  ritiene  ohe  il  fatto  d'arme  segnalato  in  questa 
terzina  non  possa  essere  che  quello  del  18  Settembre  1314. 
Il  Castellini  (t.  xi,  p.  21)  dopo  aver  narrato  diffusamente  la 
battaglia  del  17  Settembre  1314,  soggiunge:  Fu  questa  bat- 
taglia cosi  sanguinosa,  che  il  Bacchiglione  scorse  a  Padova  tinto 
di  sangue  ;  onde  diede  occasione  a  Dante  nel  C.  ix  del  Paradiso 
di  farne  menzione  in  questi  versi:  Ma  tosto  fia  che  Padova  al 
palude  ecc.  In  mezzo  agli  strafalcioni  del  Marzari,  possiamo 
cavar  questo  che  la  battaglia  del  1314,  ebbe  il  suo  centro  al 
Ritolo  {oggidì  Riello  mezzo  miglio  fuori  di  Vicenza)  e  che  la 
denominazione  di  Rivolo  del  Merdaruolo^  della  quale  si  danno 
altri  indizi,  ebbe  la  sua  origine  da  quella  battaglia.  —  Tode- 
schÀni,  I,  167. 

IX.  46.  —  Ma  tosto  fia  che  Padova  al  palude 

Tommaseo  N.,  Sopra  un  passo  della  Divina  Commedia, 
Lettera  al  prof.  Gloria,  Rivista  Filologica  Letteraria  di  Verona 
1871,  Voi.  I,  fas.  2,  p.  81.  —  V.  Man,  Dant.  iv,  415. 

IX.  49.  —  E  dove  Sile  e  Cagnan  s' accompagna.  —  Barloìc 
Henry  Clarh,  Crìtical,  historical,  and  philosophical  contiibu- 
tions,  p.  399.  —  €  Il  poeta  nell' osservai'e  la  confluenza  del 
Cagnano,  ora  Botteniga,  nel  Sile,  colpita  la  fantasia  di  lui  da 
quel  tranquillo  connubio  ne  segnò  topograficamente  il  sito  con 
quel  verso  :  dove  Sile  e  Cagnan  s' accompagna,  ricordato  op- 
portunamente da  Mons.  Rambaldi  de'  conti  Azzoni  Avogaro. 
(Considerazioni  sulle  prime  Notizie  di  Treviso.  Treviso,  An- 
dreola,  1840,  p.  246).  —  U  Burchelati  nel  suo  Canalis  regius 
Tarvisinus  vulgo  dictus  il  Cagnan  Grande.  Tarvisii,  Tip.  Re- 
gechini  1628,  p.  29.  —  Pons  igitur  sequitur,  qui  dictus.  Della 
Dogana.  —  Est  ibi  Thelonium,  exigitur  vectigal,  ibique  De 
rebus  venetis,  in  eundo,  sic  redeundo  :  Atque  ibi  Cagnano,  et 


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GOBfBNTI.  437 

Butinicae  nomea  adexnptnm:  Àtque  hic  est  proprie  Dantìs 
iocuB  ìlle  Celebris.  Là  dove  Sile  e  Cannati  s'accompagna, 
Namque,  Silis  sequitur  transversus,  Flumen  ameenum  ecc.  »  — 
Ed  il  Ferreto  sin  dal  1329  o  poco  dopo  cantava:  Flumina 
magna  duo  decorant  nitidissima  limphis.  Fontibns  innumerìs 
Cagnantis  cresdt  ab  Arcto,  Non  procul  a  muris,  qnos  iubens 
molliter  intrat.  Maxima  pars  flnvii  multos  suscepta  per  arcus 
Scinditur  in  rivos,  et  cunctas  urbis  in  oras,  Unde  molitorum 
pota  plnrìma  volTitur  amni:  Pars  tamen  bino  illinc  fossas  in- 
terfluit  urbis.  Inferiora  Silus,  Casacorba  missus,  ab  axe  Occiduo 
yeniens,  urbis  secat  arane  profondo;  Et  subito  cursu  flumen 
se  jongit  utrumque,  Adriacoque  mari  socio  vehit  arane  carinas, 
Fertque  suum  nomen  Silus ,  faaud  Cagnanus  in  aequor.  —  Il 
SUxa,  V Emiliani  Giudici,  il  GregoretH,  il  Rambaldi  leggono: 
E  dove  Sile  a  Cagnan  s'  accompagna.  —  V.  Apostolo  Zeno, 
Epist  V,  143,  150,  162,  180. 

IX.  52.  —  Piangerà  Feltro  ancora  la  diffaUa  DelT  empio 
suo  pastor 

Bagatta  00.  Francesco,  Interpretazione  di  un  documento 
e  di  un  passo  di  Dante,  Venezia,  Merlo,  1873. 

Il  Bagatta  vuole  scagionare  Alessandro  Novello,  vescovo  di 
Feltre,  della  gran  di  falla,  appostagli  da  Dante.  Perchè,  ei  dice, 
accusare  il  vescovo  Alessandro,  mentre  se  egli  teneva  la  giu- 
risdizione di  Feltre,  il  Podestà  ne  amministrava  la  pubblica 
cosa,  e  il  documento  dice  che  i  ghibellini  Ferraresi  erano  stati 
arrestati  e  detenuti  per  ordine  di  questo  e  del  Comune?  Il  po- 
tere giurisdizionale  si  confondeva  nell'alto  potere  sovrano  che 
serviva  a  convalidare  gli  Atti  delle  autorità  autonome,  quaU 
erano  il  Comune  e  il  Podestà,  non  ad  occuparsi  dei  singoli 
casi;  al  giusdicente  era  riservata  al  più  T appellazione. 

Ecco  il  documento,  registrato  dal  Verci  sotto  il  n.  681. 

Die  Lune,  quindecimo  JuHi. 

Curiis  Antionorum  et  Consubim  in  Palatio  minori  Comm. 
Taro,  coram  nobili  viro  dom.  Albertino  de  Canoxa  Potestate 
Taro,  ad  sonum  campane  more  solito  congregalis,  proposuit, 
idem  dom,  Potestas  et  petiit  sibi  Consilium  exhiberi,  quid 
fadendum  sit  super  litteris  et  ambaxata  exposita  per  dom, 
Pignatonum  de  Pignatonibus  prò  se  et  sociis  suis  ambcuca-' 
toribus  dom.  Pini  de  la  Tosa  Yicarii  in  dvitate  Ferrarle  et 


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438  OOMENTI. 

districtus  ex  parte  dcm.  Pini  predieH,  Cansiiii^  comunis  et 
hominum  Ferraris  dicto  dom,  Potestati  et  comuni  Tarv, 

Fu  rimessa  a*  Consigli  de'  40  e  de' 300  colle  solite  formalità. 

Die  Lunsy  XV  Julii,  Consilium  ece,  —  Asevolus  de  Aide- 
mario  notaritis  antianus  com.  Taro,  prò  se  et  sociis  suis  con- 
suluit  super  dieta  proposta^  quod  ad  insianiiam  et  peHtionent 
ambaxatorum  dicH  dom.  Pini  in  cimiate  Ferrarie^  et  comunis  et 
hominum  Ferrarie^etipsi  domini  Pini,  et  comunis  et  hominum 
Ferrarie  ipsis  ambaooatoribus  dentur  per  comune  Tarv,  amàor 
asatores  solemnes,  qui  vadant  Feltrum  ad  dom,  Episcopum^  Po- 
testatemi  et  comune  Feltri  in  ea  quantitate,  secundum  quod  dom. 
Potestati  Tarv.,  et  ejus  curie  videbitur  convenire,  qui  dicant  et 
exponant  dicto  dom.  Episcopo  et  Potestati  et  comuni  Feltri 
illa  verba  pulchra  et  decentia  de  habendo  quosdam  honUnes 
Civitatis  Ferrarie,  qui  capti  et  detempti  sunt  in  Feltre  per 
dom.  Potestatem  et  comune  Feltri,  qui  asseruntur  voltasse 
perdere  Civitatem  Ferrarie  su^pradictam  in  damnum  non 
modicum  et  gravamen  Civitatis  Ferrarie  supradicte. 

Fu  presa,  e  furono  eletti  Gualperto  Calza,  Guglielmo  Rava- 
gnini,  Francesco  da  Pranza,  ed  un  altro  eh'  ò  lasciato  in  bianco. 
Yerci,  Storia  della  Marca  Trevigiana,  Venezia,  Curti,  1787, 
voi.  VII,  Documenti,  pag.  32,  33.  —  Vedi  Man.  Dant,  voi.  iv, 
p.  419. 

IX.  52.  —  La  diffaUa  Delt  empio  suo  pastor,  che  sarà 
sconcia  Si,  che  per  simil  non  sventrò  in  Malta.  —  ci  Vi- 
terbesi fecero  una  prigione  oscurissima  in  un  fondo  di  torre, 
allato  alla  porta  di  ponte  Tremoli,  la  quale  era  chiamata  la 
Malta,  ove  il  papa  metteva  i  suoi  prigioni.  »  —  Nicolò  della 
Tuccia,  Cronaca  inedita  di  Viterbo,  all'anno  1255.  —  Spero 
che  i  commentatori,  dopo  letto  questo  passo,  muteranno  parere, 
e  non  diranno  più  che  Dante  col  nome  di  Malta  volesse  desi- 
gnare un  ergastolo,  in  riva  al  lago  di  Bolsena,  ove  si  rinser- 
ravano i  cherici  rei  di  capitali  delitti.. . .  Sulle  rive  dell'ameno 
lago  di  Bolsena  non  è  traccia  di  questo  ergastolo.  Solamente 
v'ha  il  fiume  Marta,  il  paesello  Marta,  e  in  mezzo  all'acqua 
r  isola  Mariana,  la  quale  con  la  sua  forma  scogliosa  e  con  le 
bieche  memorie  della  vergine  Cristina,  ivi  rilegata  dal  padre 
e  dalla  regina  Amalassunta,  &tta  strozzare  dal  suo  figlio  Teodato 
nel  bagno,  secondo  che  suona  la  fama. . . .  Ben  a  ragione  l*  ut- 


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COIfBNTI.  439 

S^me  scoglio  a  eò  trasse  la  mente  di  coloro,  che-TÌdero  nel- 
r  Alighieri  segnata  col  nome  di  Malta  una  triste  prigione.  Ma 
forse  non  pensarono  che  storpiando  la  voce  di  Malta  e  mutan- 
dola in  Marta  per  ìsforzarla  alla  vera  denominazione  di  quel 
luogo  faoeano  ingiuria  a  Dante,  il  quale  (e  oramai  è  cosa  voi- 
g-are)  non  si  fece  mai  signoreggiare  dalla  prepotenza  della 
rima.  Con  questa  nuova  interpretazione  fondata  sul  passo  della 
citata  cronaca,  vengono  rifiutate  tutte  le  altre,  cioè  della  Malta 
sul  lago  di  Bolsena,  come  voleano  il  Vellutello  e  il  Landino  e 
gli  altri  che  li  seguirono;  della  Malta  sul  lago  di  santa  Cristina, 
sfondo  Benvenuto  da  Imola;  e  della  Malta  di  Padova,  et  tunc 
fixctus  futi  mortalis  career  in  Cittadella,  nominatus  la  Malta 
fChronic,  patav.  apud  Muratori,  An,  ItaL  iv,  p.  1139,  Ad  ann. 
1251).  Alla  più  comune  chiesa  si  oppone  il  nome  di  Marta 
anziché  di  Malta:  a  quella  della  torre  di  Padova  il  tempo  in 
che  vìveva  Dante,  perchè  la  repubblica  di  Padova,  sterminati 
gii  Ezzellini,  avea  &tto  per  certo  dimenticare  air  Italia  la  crudel 
prigione  del  tiranno.  Eppure  chi  pensi  che  in  que'  versi  parla 
Cunizza  sorella  di  Ezzellino,  quasi  quasi  inclinerebbe  a  sospettare 
di  quella  torre  di  Padova,  se  Nicolò  della  Tuccia  non  recidesse 
ogni  questione.  •—  Ciampi  Ignazio,  Un  Municipio  nell*età  di 
Dante  Alighieri  (Strenna  del  Giornale  <  Arti  e  Lettere  »  p.  52). 
—  Il  Ciampi  cade  poi  nell*en*ore  che  il  V?ocovo  di  Feltre 
fosse  Gorza  di  Lussia,  anzicchè  Alessandro  Novello.  Alessandro 
successe  nel  1299  al  vescovo  Aldagerio,  e  nel  1314  vi  era  tut- 
tavia ;  da  Ceneda  vi  fu  poscia  tramutato  Manfredi  di  Collalto, 
che  ne  prese  possesso  il  5  Feb.  1321  ;  ma  aspramente  combattuto 
dalla  parte  che  studiava  p^r  Gorza  di  Lussia,  Canonico  ed 
Arcidiacono  di  Feltre,  gli  fu  forza  lasciare  il  posto.  Quantunque 
da  prima  si  opponesse  il  Pontefice  alla  nonùna  del  Lussia,  più 
tardi  ottenne  il  suo  intento,  e  da  incontestati  documenti  m'ò 
noto  eh*  era  vivo  nel  1347. 

IX  70.  —  Per  letiziar  fulgor  s*  acquista  Si  come  riso  qui, 
ma  giti  s*  abbuia.  —  Giù  in  questa  terra,  e  non  come  vorreb- 
besi  da  molti  cementatori  all'inferno.  Todeschini. 

IX.  73.  —  jDio  vede  tutto,  e  tuo  veder  s^  inluia,  -«  In  cielo, 
là  dove  è  la  massima  comunione  delle  intelligenze  che  tutte  si 
vedono,  s* intendono,  sdamano  nella  intelligenza  suprema  da 
loro  contemplata  e  goduta,  è  chiaro  come  1* inoggettivazione 


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440  OOMBNTI. 

tanto  dell'  uno  neir  altro  beato,  quanto  di  tutti  i  beati  in  Cri 
e  in  Dio,  dee  toccare  un  grado  che  eccede  ogni  immaginazi< 
terrena.  Non  isfuggl  si  intima  e  alta  partecipanza  di  pensi 
e  affetti  gaudiosi  al  teologo  poeta,  che  ad  esprimere  il  trasp 
tarsi  d*un  Io  nel  te,  nel  me,  nel  sé  degli  altri,  creò  nu 
parole,  i  verbi  intuarsi,  immiarsi,  inluiarsi,  inleìarsi,  itu 
larsiy  imparadisarsi,  indiarsi,  inverarsi,  riflettere  i  pens 
in  altrui,  panderli,  rifonderli  come  raggio,  ecc.;  verbi 
signifìcano  altrettanti  atti  speciali  dell*  inoggettivazione,  e  j. 
babilmente  al  Rosmini  furon  richiamo  a  creare  il  verbo  gè 
rale  inoggettivarsi,  inalirarsi,  che  significa  tutta  intera  qa< 
fecoltà.  Par.  ix,  73  e  81  ;  ecc.  Perez,  507. 

IX.  82.  —  La  maggior  valle,  ecc.  —  Il  poeta,  immaginai 
come  di  vedere  formarsi  la  più  grande  fessura  della  snperf 
terrestre,  in  cui  spandasi  T acqua  fuori  dell* Oceano,  ch% 
mare  da  cui  è  circondata  la  terra;  dice  che  quella  vallea 
discordanti  Uti,  fra  lidi  affatto  diversi,  quali  sono,  per  m 
riguardi,  le  coste  di  Europa,  di  Africa  e  d*  Asia,  bagnate  dj 
detta  acqua,  centra  7  sole  tanto  sen  va,  tanto  s*  inoltra  da 
nente  a  levante,  in  opposizione  al  moto  apparente  diurno 
sole,  procedente  da  orto  ad  occaso,  che  fa  meridiano  che 
la  sua  estremità  orientale  determina  un  meridiano,  perchè 
ogni  luogo  della  superfìcie  teirestre  corrisponde  un  meridia 
là  dùce  V orizzonte  pria  far  suole  là  ad  oriente,  dove  prii 
o  in  principio,  o  rispetto  all'origine  della  gran  valle  nell' 
ceano,  suol  fare  l'orizzonte.  —  Premessa  questa  traduzi< 
letterale  della  splendida  pittura  del  mediten*aneo,  il  P.  Ad 
nelli  vuole  che  Dante  intendesse  di  prolungare  la  distesa 
nostro  Mediterraneo  in  fino  al  mare  di  Arai,  perchè  si  aggii 
il  computo  de'  novanta  gradi  di  latitudine  assegnati  dal  Po 
fra'  due  lidi  opposti  di  quella  valle.  Due  sono  gli  argomei 
delle  prove  di  lui  :  uno  fermato  suH'  opinione  di  alcuni  anti 
geografi ,  fra'  quali  Arriano ,  e  l' altro  sopra  alcune  modei 
osservazioni  geognostiche.  Ma  il  chiar.  sig.  Caverni,  con  ape 
ragioni ,  combatte  le  dimostrazioni  del  P.  Antonelli ,  e  riti< 
che  il  poeta  graficamente  cadesse  in  errore,  da  compatire, 
si  pensi  quanto  fosse  arduo  problema  agli  antichi  queUo  di 
longitudini.  Ma  l'errore  di  Dante  e  la  differenza  deU'opini( 
sua  con  quella  di  Tolomeo  venne  forse  dall' ammettere  ch< 


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COMENTI.  441 

meridiano  centrale  passasse  per  Gerusalemme  e  non  per  mezzo 
il  JPersicus  sintis,  come  Tolomeo  credeva.  Cosi  facendo  Geru- 
salemme centro  della  terra  abitabile  e  ammettendo  co*  geografi 
de*  suoi  tempi  che  la  si  stendesse  da  una  parte  e  dall'altra 
del  meridiano  principale  per  novanta  gradi  e  che  avesse  ì  ter- 
mini suoi  nello  stretto  di  Cadice  e  nei  lidi  della  Spagna,  veniva 
necessariamente  ad  assegnare  novanta  gradi  di  differenza  fra 
i  due  lidi  opposti  della  valle  nostra  mediterranea.  P.  Antonelli, 
p.  29;  Cavemi,  La  Scuola,  Voi.  i,  p.  176. 

IX.  94.  —  Folco  mi  disse  quella  gente.  —  Folco,  o  FolchettOy 
della  nobile  schiatta  dei  Cappello,  fu  figliuolo  di  un  Alfonso  che 
avea  stanza  in  Marsiglia.  Si  piati  lungamente  intorno  al  luogo 
del  nascimento  del  padre  della  gaia  scienza,  il  nome  e  le  ser- 
ventesi  del  quale  correan  di  quei  di  sulle  bocche  di  ognuno. 
Come  qui  Dante  anche  il  Petrarca  scioglie  ogni  dubbiezza: 
Folehetto  che  a  Marsiglia  il  nome  ha  dato  Ed  a  Genova  tolto. 
Di  Folehetto,  v.  Celesta^  Petrarca  in  Liguria,  p.  57. 

X.  4.  —  Quanto  per  mente  o  per  occhio  si  gira.  —  Delle 
cose  tutte  sia  ch'esse  cadano  o  non  cadano  sotto  i  sensi;  T  oc- 
chio, come  il  più  vivo  dei  sensi,  abbraccia  pur  nella  sua  signi- 
ficazione tutti  gli  altri.  Perez ^  183. 

X.  19.  —  E  se  dal  dritto  piit  o  men  lontano  Fosse  il 
partire^  assai  sarebbe  manco  E  giù  e  su  dell'ordine  mondano. 
—  Per  ordine  mondano  è  inteso  Y  ordine  di  sola  la  terra  e 
non  di  tutto  l'universo;  e  ohe  il  senso  della  parola  mondo  sia 
ristretto  alla  terra  appar  dal  contesto.  Negli  avverbi  su  e  gii^ 
intendonsi  accennati  i  due  emisferi  terrestri,  tra  i  quali  il  sole 
continuamente  sale  e  discende.  Camillo,  (Caverai),  La  Scuola, 
1873,  n,  61. 

X.  98.  —  Ed  esso  Alberto  È  di  Cologna....  -—  Alberto 
Magno  di  Svevia,  nato  il  1193,  morto  il  1280  a  Colonia.  Fu 
a  studio  in  Pavia.  Egli  ebbe,  per  que'  t^mpi,  scienza  prodigiosa, 
e  intravide  molte  verità  superióri  a'  tempi ,  neir  osservazione 
della  natura,  benché  mescolate  a  ipotesi  vane.  L' Haureau  mo- 
stra che  già  in  Alberto  v'ò  la  sostanza  di  tutto  ciò  eh' è  in 
S.  Tommaso. ...  V.  A.  Conti,  Storia  della  Filosofia,  ii,  Lez.  vi, 
p.  117  e  seg. 

X.  106.  —  V  altro  eh*  appresso  adoma  il  nostro  coro^  Quel 
Pietro  fu,...  — Nacque  a  Lumellogno,  sul  Novarese.  A'  tempi  del 

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442  COMENTI. 

Cotta,  ancora  ivi  mostravasi  con  venerazione  a'  forestieri  un'm 
cameretta  a  pian  di  terra,  situata  nel  maschio  del  castello 
avea  servito  di  abitazione  ai  poveri  genitori  di  Pier  Lomba 
Jacopo  da  Acqui  ci  fa  sapere  nella  sua  cronica,  che  qii€ 
fiiit  filitis  pauperrimi  viri  et  mulieris,  et  vadens  ad  sch 
serviebat  schoUxribus,  et  mater  ejus  tarxibat  schoìaribus 
misias ,  et  ipsi  pascebant  et  docebant  fiUum  suum.  —  1 
Lombardo  nella  sua  prima  giovinezza  fu  di  cosi  tardo  e  r 
ingegno,  che  non  poche  volte  ebbe  ad  essere  il  tema  « 
mordaci  burle  de'  suoi  condiscepoli.  Già  grandicello  si  recò 
studio  di  Novara,  poi  a  Bologna;  di  là  a  Parigi,  ove  v 
festevolmente  accolto  da  Gilduino,  abate  di  S.  Vittore,  al  <] 
era  stato  raccomandato  da  S.  Bernardo.  Datosi  a  frequei 
le  scuole  di  quella  metropoli,  tutti  gli  altri  sorpassò  col 
ingegno;  ed  una  tesi  pubblicamente  sostenuta,  intorno 
virginità  di  Nostra  Donna,  gli  procurò  il  titolo  di  Lettoi 
Teologia,  indi  di  Presidente  della  Sorbona.  Mentre  di  gi 
esercitava  in  mezzo  alla  universale  ammirazione  un  cosi 
vole  incarico,  nel  silenzio  delle  tenebre  commentava  i  Sa 
di  Davide,  le  Epistole  di  S.  Paolo  e  dava  mano  al  fEunoso 
delle  Sentenze,  a  trattati  di  fisica,  di  metafisica  e  di  medi 
gettando  cosi  lampi  di  vivissima  luce  nella  notte  profond 
Medio  Evo.  Notevoli  sono  nel  proemio  le  modeste  parole, 
quali  il  nostro  Pietro  ofire  alla  Chiesa  il  suo  libro  delle  Sente 
cupienies  aliquid  de  tenuitate  nostra  cum  paupercula  in 
zophilacium  domini  mittere,  eie.  Alle  quali  parole  allu 
verso:  Offerse  a  Santa  Chiesa  il  suo  tesoro,  —  Nel  Ile 
promosso  al  vescovato  di  Parigi;  vi  mori  nel  1161.  —  V 
sepolto,  siccome  aveva  desiderato  nel  coro  della  chiesa  e< 
murana  di  S.  Marcello,  e  sul  suo  tumulo  leggesi  :  Hicjacet  Pt 
Lombardus  Parisiensis  Episcopus  qui  composuit  librum 
tentiarum,  Glossai  psalmorum  et  Epistolarum,  cujus  o 
dies  est  XIII  Kal.  Augusti^  nel  qual  giorno,  al  dire  del  ' 
boschi,  tuttora  se  ne  celebra  T  anniversario,  a  cui  degg 
intervenire  i  Baccellieri  dell'  Università.  —  C.  Morbio. 

L'opportunità  del  libro  di  Pietro  Lombardo,  il  Maestro 
Sentenze,  scrive  A.  Conti,  spiega  la  celebrità  si  generale 
durevole:  tanto  durevole,  che  i  soldati  francesi  del  1793  s 
dendo  in  Italia,  con  tanta  nausea  di  cose  passate,  con  t 


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COMBNTI.  443 

Qsofiferenza  di  religione  e  di  preti,  voller  visitare  la  casa  del- 
' antico  lor  vescovo....  Pier  Lombardo  diede  l'opera  sua  in 
[uattro  libri;  e  parla  nel  primo  di  Dio  uno  e  trino;  della  crea- 
ione  nel  secondo;  nel  terzo  della  redenzione;  del  regolato 
'ivere  o  della  Chiesa  neir  ultimo. . . .  Abbiamo  perciò  la  teologia, 
*  antropologia  e  la  morale,  distinte  nella  parte^filosofica  e  nella 
*ivelata,  ma  unite  in  un  sistema,  perchè  unico  è  l'autore  della 
'ede  e  della  ragione.  Ecco  T  opera  di  Pier  Lombardo  ;  ecco 
altresì  la  Sonmia  di  Alessandro  d'  Hales,  d' Alberto  Magno,  di 
)an  Tommaso  ;  ecco  pure  la  Divina  Commedia  di  Dante.  A . 
Contty  Storia  della  Filosofìa,  P.  ii,  Lez.  vi. 

X.  99.  —  Ed  io  Tomas  d'Aquino.  —  Di  S.  Tommaso.  V. 
Conti,  Storia  della  Filosofia,  ii,  Lez.  vii,  Srui,  ix,  x,  xi;  e  il  Cente- 
aario  di  S.  Tommaso  d'Aquino;  Cose  di  storia  ed  arte,  409; 
Bautnann  /.  /.  prof.  nelF  Univ.  di  Gottinga,  La  dottrina  politica 
[li  S.  Tommaso  d'Aquino  il  Magno  teologo  e  filosofo  della  Chiesa 
Cattolica  tratta  dalle  di  lui  opere,  ecc.  Lipsia,  1870;  Id.  Divi 
Thomae  aquinatis  opera  et  praecepta  quid  valeant  ad  res  ec~ 
clesiasticas  politicas,  Commentatio  literaria  et  critica,  Berlino, 
1875,  ecc. 

X.  120.  —  Del  cui  latino  Agosiin  si  provide.  —  Dante  cercò 
(d'Agostino,  aquila  dei  teologi),  il  suo  maggior  volume  con 
grande  studio,  e  ne  trasse,  non  ch'altro,  il  principio  sommo 
della  sua  Commedia,  la  partizione  delle  due  città  terrestre  e 
divina ,  secondo  che  l' amore  s' appunti  neir  uomo  o  in  Dio. 
Franciosi,  Gregorio,  vii,  giudicato  da  Danie^  Scritti  Dante- 
schi, 14.;  Y.  Id.,  Le  ragioni  supreme  delV Istoria,  secondo  la 
mente  di  Dante  Alighieri,  Scritti  Danteschi,  54  e  seg. 

X.  127.  —  Lo  corpo  ond*  ella  fu  cacciata  giace  Giuso  in 
Cieldauro. ...  —  Severino  Boezio  (  Anicio  Manlio  Torquato  ) , 
scrive  A.  Conti,  congiunse  la  tradizione  dei  filosofi  antichi  a 
quella  de*  Padri,  divenne  l'esemplare  de'  Dottori,  che  trovarono 
in  luì  e  le  forme  sillogistiche  sev^e  e  V  andamento  platonico , 
e  la  sentenza  delle  dottrine  greche  e  latine,  purificata  da  San- 
t*  Agostino,  e  il* procedere  per  molte  distinzioni,  e  il  magistero 
continuo  dell'autorità,  caratteri  della  scolastica. ...  (1).  Però 

(1]  <  Per  te,  acrìvea  a  Boezio  Gassiodoro,  si  leggono  dai  Romani  nella 
natia  loro  lingua  la  musica  di  Pitagora,  l'astronomìa  di  Tolomeo,  l'aritme- 
tica di  Nioomaco,  la  geometria  di  Euclide,  la  logica  di  Aristotile,  la  meo- 


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444  OOMENTl. 

Dante  fra'  Dottori  che  gli  sono  mostrati  nel  cielo  da  S. 
maao  e  poi  da  San  Bonaventura,  si  ferma  con  più  am< 
Boezio. ...  II  nome  di  Boezio  fu  tale  per  sé  da  prooa< 
grande  autorità.  Teodorico,  re  ostrogoto,  per  barbaro  a,v 
civile  assai;  e,  la  romana  civiltà  emulando,  temevane  ic 
la  memoria  ed  il  nome  ;  tanto  più  che,  Ariano,  col  der 
s'affiatava.  Boezio,  de*  primi  di  Roma,  tenne  le  sonune  d 
di  Console  e  di  Prefetto;  ma  caduto  in  disgrazia,  perchè 
salo  di  rivolere  l'antica  libertÀ,  andò  in  esilio,  poscia 
nella  ton^e  che  di  lui  ebbe  nome  (1),  strozzato  (525)  nel 
Calvenzano  di  Pavia,  ossia  in  quello  spazio  di  terreno  s 
bano  ov*era  l'acquedotto  di  Calvenza.  Sepolto  nella  B 
di  S.  Pietro,  in  Cieldauro,  si  tenne  celato  il  sito  per  ten 
fossero  sottratte  le  spoglie  riverite.  Ne  scopri  il  deposi! 
722,  il  re  Luitprando,  che  gli  eresse  un  modesto  monui 
Quivi  pure  lo  stesso  re,  nell*  anno  successivo,  trasportò  il 
del  grande  dottore  S.  Agostino,  riscattato  a  prezzo  d'ore 
mani  dei  Saraceni  in  Sardegna  (2).  Profanata  nel  1799 
silica  di  S.  Pietro,  i  preziosi  avanzi  dell'  eminente  filoso^ 
stiano  vennero  trasmutati  nella  cattedrale,  e  nel  1844 
in  un  elegante  urna,  munita  di  cristalli,  sotta  la  mens 
l'altare  mrggiore.  —  L'egregio  Prevosto  cav.  Giov.  1 
pubblicò  lodatissime  memorie  intorno  a  Boezio,  tra  le 
mi  piace  ricordare  quella  sul  Cattolicismo  dì  Boezio  ( 
Fusi,  1867);  e  T  altra  sult  autenticità  delle  sue  opere  ti 


canica  di  Archimedei  e  tutto  ciò  che  intorno  alle  scienae  ed  alle  a 
scritto  da  molti  Greci,  tu  solo  hai  donato  a  Roma,  recato  in  lingula 
e  con  tal  eleganza,  e  con  tal  proprietà  di  parole  hai  tradotti  '  tai  lili 
i  loro  stessi  autori,  se  Tuna  e  1  altra  lingua  avessero  saputo,  avi 
avuto  in  pregio  il  tuo  lavoro.  » 

(1)  Sorgeva  essa  nel  largo  della  breve  contrada  di  Porta  Palaci 
dalla  Piazza  del  Castello  metteva  alla  Basilica,  ora  soppressa,  di  S, 
in  del  d*oro.  Rovinò  il  18  Maggio  15Si. 

(2)  Avresti  veduto^  «  scrive  il  Petrarca  a  G.  Boccaccio,  dolendo 
raboia  visitato  a  Pavia,»  dove  sortisse  Agostino  la  tomba,  e  fi- 
prima  r  esilio  indi  la  morte  :  i  quali  ora  in  due  urne  sotto  uno  stes: 
riposano  con  re  Luitprando,  che  il  corpo  di  Agostino  dalla  Sardeg 
oui  trasportare.  Pietoso  e  devoto  consorzio  d*  uomini  grandi,  per  1 
airesti  aver  voluto  Severino  farsi  ad  Agostino  seguace,  e  compagi 
membra  dopo  la  morte,  come  in  vita  seguirlo  si  piacque  collo  ing 
colle  opere,  e  con  quella  spezialmente  che  dopo  lui  scrisse  intorno  la  ' 
E  chi  non  bramerebbe  accanto  a  que*  santi  e  dottissimi  uomini 
r ultimo  suo  riposo?  Sen,  v,  1.  —  Anche  il  corpo]  di  S.  Agostine 
dalla  Basilica  di  S.  Pietro  trasportato  alla  cattedrale  di  Pavia,  sicch< 
oggidì  le  ceneri  di  Agostino  e  di  Boezio  riposano  sotto  uno  stesso 


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CX)BIBNTI.  445 

?  (Pavia,  Fusi,  1869).  Ed  è  notevole,  come  celebrandosi  a 
ivenna,  il  24  Giugno  1865,  V  incoronazione  delle  reliquie  di 
inte  Alighieri,  il  clero  di  Pavia,  rappresentato  dal  degnissimo 
3  Vicario  capitolare,  mons.  Vincenzo  Gandini ,  memore  del* 
»nore  reso  da  Dante  al  grande  filosofo  Boezio ,  fece  tenere 
Sindaco  di  Ravenna  il  seguente  telegramma:  //  Clero  di 
wia  dalVuma  di  S,  Severino  Boezio  filosofo^  Senatore  ro- 
zno  e  martire  del  dogma  cattolico  ^  manda  alla  tomba  del 

lui  encomiasta  Dante  Alighieri^  sublime  assertore  della 
Uolica  verità^  un  riverente  affettuoso  saluto,  —  La  Basilica 

S.  Pietro  in  Ciel  d'oro  venne  pure  ricordata  dal  Boccaccio 
He  sue  Novelle  (Gior.  x,  n.  9).  —  Barberini^  Crìtico-storica 
posizione  della  vita  di  Severino  Boezio,  Pavia,  1782.  —  Comi 
ro^  Memoria  storica  sopra  Severino  Boezio,  Venezia,  1812. 
•  Reale  Agostino,  Ricordanze  della  vita  e  delle  opere  del  pro- 
adif^simo  in  dottrina,  patrizio  e  consolo  romano,  onorato  col 
olo  di  Santo,  Pavia,  1841.  —  PuccinotH  prof.  Francesco,  il 
>ezio  ed  altri  scritti  storici  e  filosofici,  Firenze,  1864.  — 
Hlanesi  Carlo,  il  Boezio  e  TArrighetto  da  esso  pubblicati, 
reiize.  Barbèra,  1864.  —  Conti  Augusto,  Severino  Boezio,  Storia 
(Ha  Filosofia,  Voi.  ii,  Lez.  v.  —  Biragki,  Boezio,  filosofo,  teo- 
g^  e  martire.  Milano,  1865.  —Dell'Acqua  Carlo,  Severino 
>ezio.  Profilo  storico-biografico.  Pavia,  Fujii,  1873.  —  Baur 
ustat)  Adolf  Ludwig,  Boetius  ifhd  Dante,  Leipzig,  Edelmann, 

n3. 

X.  131 .  —  D*  Isidoro,  di  Seda.  —  Il  venerabile  Beda,  edu- 
ito  ne'  chiostri  de'  missionari  di  Gregorio,  potè  comprendere 
i'  suoi  libri  e  grammatica  e  fìsica  e  astronomia  e  filosofia  e 
ografia  e  lettere  e  commentarii  e  omelie.  A.  Conti,  Storia  della 
ilosofìa  n,  Lez.  ii,  p.  31. 

X.  136-8.  —  Essa  è  la  luce  eterna  di  Sigieri,  Che  leggendo 
jl  Vico  degli  Strami,  Sillogizzò  invidiosi  veri.  —  Siger  de 
Durtray,  che  fu  uno  dei  primi  discepoli  di  Roberto  Sorbon, 
di  cui  rimanevano  parecchi  trattati  filosofici  manoscritti  nel- 
antica  biblioteca  della  Sorbona.  Egli  fu  decano  delia  chiesa 
)llegiata  di  Notre-Dame.  Questo  Sigieri  del  Brabante  è  nomi- 
ito  dallo  storico  dell'  Università  di  Parigi,  Egasse  de  BouUay 
fli  anni  1271-75.  Testimonianze  assai  vantaggiose  alla  ripu- 
alone  di  lui  rinvenne  il  Le  Clero  in  uno  scritto  anonimo, 


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446  COMBNTI. 

compreso  nella  raccolta  degli  storici  latini  delle  crociate ,  ^ 
blicata  dal  Bongars  col  titolo:  Gesta  Dei  per  Franeos.  L^anton 
che  sembra  aver  scritto  intorno  al  1306,  nomina  Sigeri  a  caos 
a  S.  Tommaso  ;  «  item  ezpediret,  quod  quaestione 
baberent  estractas  ex  libris  tam  fratria  Thomae,  qoam 
et  aliorum  doctonim.  »  E  qui  nota  lo  stesso  Le  Clerc,  che  ne' 
noscritti  della  Sorbona  si  legge  precisamente  il  titolo  di  Qua 
sHones  Naturales,  a  capo  di  una  delle  opere  di  Sigieri.  In 
altro  luogo  il  suddetto  anonimo  cita  il  nostro  professore 
queste  parole  :  €  praecellentissimus  doctor  philosophiae,  cuj 
eram  tum  discipulus,  magister  Sigerus  de  fìrabanbia.  >  V 
circostanza  notabilissima,  che  il  Le  Clerc  ha  tratto  dagli  stonici 
domenicani  Quétif  ed  Echard  è,  che  Sigerò  di  Brabante  fa 
accusato  di  eresia  nel  1278  dinanzi  al  tribunale  del  domenicana 
Simone  du  Val,  inquisitore  nel  regno  di  Francia,  reaidecti 
allora  a  S.  Quintino,  e  eh*  egli  fu  assolto. ...  Le  parole  siilo^hsò 
invidiosi  veri,  ci  additano  abbastanza,  che  Sigieri  era  beo^ 
cattolico  sincero,  ma  di  franche  e  ardite  sentenze  contro  ^lì 
errori  e  gli  abusi:  ragione  questa,  s*io  non  isbaglio,  della  lode 
particolare  tributatagli  dell'  Alighieri.  —  Todeschini. 

X.  137.  —  Vtco  degli  strami.  —  Fr.  Petrarca  nella  lettert 
prima  del  libro  ix  delle  Senili  lo  chiama:  Fragosus  straminup* 
vicus.  —  11  postillatore  cassinense  nota:  locus  Parisiis  ubi  suni 
scholae  philosophantium.  Glfiamavasi  quella  strada  n€e  de 
Fouarrcy  vicino  alla  piazza  Maubert,  e  corrispondeva  a  età  rf<rfe 
Paglia^  «  denominazione  presa  dalla  consumazione  che  ne  faceana 
i  discepoli  della  Università,  posta  una  volta  in  quella  contrada, 
i  quali  vi  sedevan  sopra  nelle  loro  scuole,  non  usandosi  in 
quei  tempi  sedie  o  banchi  nemmen  nelle  chiese,  che  s' ingiun- 
cavano air  uopo  di  paglia  e  di  erbe  odorose.  »  Saint-Fois. 
Essais  historisques  sur  Paris.  —  Il  Signor  Amedeo  Berger 
(Journal  des  Dóbat,  25  Maggio  1858),  vuole  che  in  quella  strada 
appunto  abitasse  Dante  Alighieri,  quando  nel  1308  dimorò  io 
Parigi. 

X.  139-44.  —  Indi,  còme  orologio,  che  ne  chiami  NelTora 
che  la  sposa  di  Dio  surge,  ecc.  —  XIV.  13.  —  E  come  cerchi  iti 
tempra  d* orinoli,. .  —  €  Dante,  entrato  nel  Sole,  è  tolto  in  mezzo 
da  una  corona  di  beati,  che  dopo  tre  giri  con  canto  d'ineffabile 
dolcezza  si  arrestano  per  intrattenersi  con  lui  :  indi  fatto  pausa  al 


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COMENTI.  447 

*£Lgìoiìare,  e  come  richiamati  Ha  segreto  invito  a  quel  lor  rito  di 
it.ernal  tripudio,  a  quel  carolar  osamiando,  muovon  di  nuovo 
il  quanti  armoniosi  g^ri  per  tosto  fermarsi  a  riprendere  il  ragio- 
1  Amento  al  luogo  che  ciascuno  primamente  occupava.  Ed  è  questo 
Lzistantaneo  torneare  del  coro  celestiale,  e  fermarsi  sui  compiuti 
jiri,  che  suggerisce  al  poeta  il  giuoco  del  terrestre  orologio; 
d  (lice  che  vide  que'  beati  muoversi  circolarmente  accordando  lor 
^oci,  come  (si  vede  muoversi)  orologio,  che  ne  desti  ed  inviti  al 
Mattutino,  Tuna  parte  del  quale  tira  e  spinge  T  altra  producendo 
tàntinno  di  soavissima  nota  :  con  che  rischiara  per  immagine  due 
203e,  Tatto  e  la  circolar  figura  delle  beate  danze,  e  l'armo.- 
qìoso  ritmo  del  canto  onde  quelle  avean  tenore  e  misura;  la 
prima  colia  sola  menzione  dell' orologio ,  la  seconda  con  tutto 
quel  che  segue.  Ma  è  del  nostro,  o  di  siffiitto  orologio,   che 
Dante  avrebbe  affermato   quel  muoversi  visibilmente  in  giro  ? 
è  ne*  suoi  complicati  e  perpetui  circoli  che  avrebbe  riscontrato 
i  pochi  e  risoluti  della  celeste  carola?    e  come  poi  troverebbe 
pareggio  o  riscontro  nel  nostro  quell'  armonia  inseparabile  dal 
moto,  la  quale  unione  fece  Dante  sentir  nel  suo?  No,  Toro- 
Loglio  nella  comune  accettazione  qui  punto  non  quadra  ;  e  benché 
non  sia  da  noi  determinar  la  struttura  e  la  forma  delT  orologio 
di  Dante,  siam  costretti  a  vedervi,  almen  per  la  parte  ch'era 
scoperto  ed  a  vista,  un  composto  di  alquanti  cerchi,  tra  quali 
uno  principalissimo  che  rotean«io  a  tempo  dato  produceva  ar- 
monioso tintinno,  e  che  era  precipuamente  chiamato  orologio, 
perchè  con  quel  suono  segnava  un'  ora  della  giornata,  e  perchè 
il   dare   alla  parte   principale  e  visibile  il   nome  del  tutto  è 
sineddoche  popolare.  Quest'idea  è  suggerita  da  quella ^/on'o^a 
ruota,  che  cosi  chiama  Dante  il  circolo  de'  beati  con  metafora 
tratta  dalle  viscere  della  similitudine,  posta  di  contro  all'oro- 
logio, il  quale  però,  a  dover  stare  il  paralello,  non  può  qui 
essere  quel  collettivo  farraginoso  di  ruote,  d' ingegni  e  di  leve 
che  noi  sappiamo;  quel  coro,  che  era  uno,  non  poteva  essere 
agguagliato  che  a  cosa  semplice. ...  I  suoni  di  (jUelT  orologio 
erano  musicali  :  perocché  né  Dante,  né  altri  sul  grave,  avrebbe 
tratto  esempio    di  dilettosa  armonia  dai  monotoni  tocchi  del 
mai^tello   cronometrico    sul  bronzo   sonoro ,   nò   de'  medesimi 

asserite  quella  tanta  efficacia Il  perché  dobbiamo  riconoscere 

nell'orologio  di  Dante  un  carigUone,  adii*  con  termine  usato, 


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448 

un  oonoerto  musicale  loniiato  A  rampaiwlle  temprata  ao  di^ 
rene  note,  che  scosse  per  gioooo  di  quelle  mote  rendevaik 
armonioso  ritmo.  Anzi  immagìniamori  mia  rwita  temala  ài 
circoli  concentrici,  cogli  archetti  del  circolo  eaiemo  rag^giat^ 
a  stella:  e  circoli,  e  raggi  che  nel  girare  mostrano  cacciarsi 
e  inseguirsi  Vun  T  altro,  gnemiti  di  campanelli  ne,  ed  avremq 
il  senso  e  la  lettera  de*  citati  passi  di  Dante. . . .  Dovendo  po| 
la  similitudine  serrire  alia  dignità  del  soggetto,  e  somma  esn 
sendo  la  difficoltà  di  rinvenire  in  terra  con  che  dar  riaaltd 
alle  merat'igiie  del  cielo,  il  poeta  si  consigUa  colla  Religione^ 
musa  che  non  fece  mai  difetto  a  chi  le  fu  come  Dante  devoto  : 
appresenta  al  lettore  que*  cerchi  sonori,  che  movendosi  a  dato 
tempo  da  sé  pareano  aver  senso  e  vita:  gli  adduce  aU'oreccliìoi 
un  eco  di  quel  mattutinal  concento  a  cui  si  accordava  T  inneggiai! 
della  mistica  sposa  ;  e  colla  rimembranza  e  quasi  col  senso  dì 
quel  sacro  tripudio  di  suoni  e  di  canti  raccosta  sì,  che  più 
Wcino  non  si  potrebbe,  agli  inefiabili  osannari  delle  celestiali 
carole.  E  però  di  quel  che  abbiam  detto  su  cotesto  orologio 
si  accetti  pur  soltanto  quello  che  par  più  vero,  che  necessa- 
riamente si  deduce  dai  suoi  dichiarati  effetti,  sempre  aarà  an- 
che di  soverchio  per  finalmente  conchiudere  che  es60  altro  non 
era  che  una  Sveglia  con  cariglione^  la  quale  rimontata  a  tempo 
faceva  udire  ad  ora  previamente  determinata  un  dilettevole 
concerto  di  campanelle:  tornava  acconcio  a  segnar  con  essa 
r  ora  della  mattu tinaie  salmodia,  di  più  non  era  capace.  —  G. 
Affuilhon,  Delle  ore  innanzi  Torologio,  p.  52-59. 

XII.  10-15.  —  Come  si  volgon  per  tenera  nube..,. 

Della  Vali^  Gio.,  Memorie  sopra  due  luoghi  della  Divina 
Commedia  spiegati  colla  fisica  moderna.  Faenza,  Novelli,  1874. 

Rispetto  all*arco  baleno  interno  ed  esterno,  Dante  si  espresse 
come  al  suo  tempo  s*  insegnava  nella  fisica.  Non  ò  vero  per- 
tanto che  da  quel  d*  entro  nasca  quel  di  fuori,  comd  dal  suono 
diretto  nasce  il  riflesso,  come  V  eco.  Ma  il  poeta  parla  al  senso, 
ed  è  bellissimo  il  paragone,  che  egli  fa  tra  i  due  archi  baleni, 
e  i  due  suoni  diretto  e  riflesso,  perchè  al  senso  nostro  pare 
proprio  cosi  com'egli  dice. 

XII.  49.  — Non  molto  lungi  al  percuoter  delC  onde  Dietro 
alle  quali,  per  la  lunga  foga.  Lo  Sol  tal  volta  ad  ogni  uom 
s*  asconde,  —  Il  Caverni  combatte  le  interpretazioni  dateci  dal 


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OOBOSNTI.  449 

P.  Ponte  e  dal  P.  Antonelli.  Il  primo  tiene  che  per  la  lunga 
fiìffa  s*  abbia  a  intendere  V  arco  di  parallelo  descritto  dal  Sole 
sul  nostro  emisfero  nel  solstizio  d'estate,  e  lo  chiama  lungo 
rispetto  agli  altri  due  paralleli  più  brevi  descritti  neirequinozio 
e  nel  solstizio  invernale.  L*  avverbio  talvolta  lo  riferisce  all'  oc- 
cultarsi che  fa  il  Sole  ad  ogni  uomo  quando  tramonti  a'  lidi  di 
Spagna,  ciò  ch'avviene,  die' egli,  nel  solstizio  di  estate.  —  H 
P.  Anton^li  tiene,  che  per  la  lunga  foga  debba  intenderai  la 
superficie  dell'Oceano  e  Taw.  to/t70^  riferisce  all' occultarsi  il 
Sole  sotto  alcuni  punti  di  un  particolare  orizzonte ,  come  sa- 
rebbe giusto,  il  golfo  di  Guascogna,  ciò  che  avviene,  die' egli, 
in  tempo  del  solstizio  estivo.  Il  Gaveml  invece  interpreta:  Non 
molto  lungi  al  percuoter  dell'onde,  dietro  alle  quaU,  per  la 
lunga  foga,  ossia  a  cagione  della  loro  ampia  distesa,  incur- 
vandosi il  Sole  si  nasconde.  Talvolta  si  debbe  riferìre  a  una 
particolare  circostanza  del  nascere  di  lui  là  nell'  estate,  quando 
suole  talvolta  sorgere  piii  limpido  e  folgor&nte,  ciò  eh' è  poten- 
temente dichiarato  dal  Tommaseo  in  queste  brevi  parole  :  Raro 
è  che  sia  tutto  puro,  in  cielo  puro,  alle  quali  il  Cavemi  vor- 
rebbe si  aggiungesse:  di  estate  quando  talvolta  è  tutto  puro 
iti  alcuna  delle  piii  serene  mattine, 

Xfl.  99.  —  Qtiasi  torrente  ch'alta  vena  preme.  —  In  questo 
verso  intendono  alcuni  delle  pressioni  idrauliche.  La  rivelazione 
non  sarebbe  avvenuta  se  avesse  detto  spreme.  Ma  è  una  com- 
passione a  pensare  che  la  forma  di  un  verbo  possa  inchiudere 
una  notizia,  cbe  non  si  rìvelò  chiara  al  Galileo^  né  al  discepolo 
di  lui,  r idraulico  Mìchelini,  a  cui  l'ignorare  quel  principio 
delie  pressioni  idrauhche  viziò  il  trattato  celebre  della  Dire- 
zione de  fiumi,  Caverni. 

XII.  99-101.  —  Torrente,,,  pei^osse  V impeto  suo,  più 
vivamente  quiviy  Dove  le  resistenze  eran  più,  grosse.  —  Nota- 
bile, dice  il  Caverni,  è  questo  luogo^  nel  quale  accennasi  a  una 
legge  idraulica,  che  trova  il  commento  suo  nel  libro  celebre 
del  Guglielmini  (Della  natura  dei  fiumi,  C.  iv). 

XII.  127.  —  Io  son  la  vita  di  Bonaventura.  —  Può  con- 
siderarsi come  il  Platone  degli 'scolastici.  Nacque  da  Giovanni 
Fidanza  e  da  Ritella  il  1221  in  Bagnarea,  cittaduzza  toscana 
tra  Viterbo  a  occidente,  e  Civitavecchia  a  levante.  A  21  anno 
si  rese  Francescano;  fu  generale   dell'Ordine  suo;  non  volle 

29 

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450  OOMBNTt. 

r  Arciv68cov»to  dilork;  acoettò  il  cardinalato  per  obbedì 
Moli  nell'anno  del  Concilio  di  Lione,  quando  moii  San 
maso,  più  giovine  di  lai  tre  anni.  Non  intende  a  piano  i 
di  Bonaventura ,  chi  non  ù  £a  T  idea  d*  un  animo  tatto 
rezza  e  purità  ;  per  tale  V  ebbero  a*  suoi  tempi.  San  Tomma» 
r  amò,  entrava  un  giorno  nella  cella  di  lui  che  dettava  h 
di  Francesco  poverello  ;  Bonaventura  non  udì,  e  Tommaso 
rente  si  ritrasse ,  dicendo  a'  compagni  :  lasciate  che  un 
scriva  d' un  altro  s  auto.  E  queste  amicizie  di  cuore,  di  sa 
di  dottrine,  d*  istituti,  rappresentava  Dante  in  Paradiso, 
che  Tommaso  canta  di  Francesco,  e  Bonaventura  can 
Domenico:  i  due  Patriarchi  che  Tarte  italiana  effigiò  si  s 
abbracciati.  In  queste  memorie  de'  tempi  è  il  comento  pit 
de*  libri  d'allora;  più  vero  quanto  più  poetico;  più  p 
quanto  più  amoroso.  A.  Conti,  Storia  della  Filosofia,  n, 
127  ;  Id.  //  Centenario  di  San  BonaventurOj  Cose  di  Stc 
d'arte  415.  —  11  Prof.  A.  Rossi  ci  diede  tradotto  Vltim 
della  mente  di  Dio,  che  il  Gerson  diceva  non  un  opuscoli 
un*  opera  immensa,  superiore  ad  ogni  umana  lode. 

XII.  133.  —  Ugo  da  S.  Vittore  è  qui,  —  Lubin  A.,  Aa 
che  corrono  tra  il  Sermone  28  de  Babylone  fUffiendOj  il  \ 
Civitate  Sancta  EierueaUm,  ed  altri  opuscoli  di  Ugo  da  S.  V 
e  le  due  Prime  Cantiche.  -*  Allegoria  Morale  EcdeMas. 
tica  nelle  due  prime  Cantiche,  ecc.  Gratz,  Kienreich,  ISò' 

XII.  137.  —  Anselmo.  ->-  Di  Sanf  Anselmo  e  della  sui 
trina,  veggasi  Augusto  Conti,  Storia  della  Filosofia,  u,  L 
quinta,  p.  102-107.  Il  prof.  A.  Rossi  ci  diede  tradotti  il  J 
logio,  il  Proslogio  con  la  sua  Apologia,  preceduta  dal 
di  Gaunilone  monaco,  suo  rispettoso  oppositore,  e  il  JD 
intomo  alla  Verità,  Firenze,  Le  Mounier,  1864. 

XIII.  1 .  —  Immagini  chi  bene  intender  cupe —  Le 

disegnanti  il  Carro,  guida  a'  naviganti,  sovvengono  a  Da 
nobilissimo  uso.  Volendo  egli  comporre  una  corona  a 
una  immagine  benché  languida  de'  vivi  splendori  de'  ventiqi 
spiriti  beati,  che  gli  menavano  una  danza  di  luce  all'  in 
a  quindici  le  più  belle  stelle  che  si  potessero  raccogli 
tutto  il  cielo  vorrebbe  si  aggiungessero  tutte  quelle  del  C 
alcune  delle  più  lucenti  dell'Orsa  minore.  Il  P.  Antonelli  voi 
che  delle  nove,  che  mancano  alle  quindici  per  fornire  il  ni 


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COBABNTI.  451 

delle  yentiqnattro,  a^te  si  prendessero  dal  Carro  e  T  altre  due 
dalle  due  più  brillanti  dell'Orsa  Minore,  le  quali  restano  alla 
bocca  del  corno  effigiato  da  questa  costellazione.  Al  Caverni 
sembra  nulladimeno  che  non  si  facesse  buona  scelta  a  .quel 
modo,  né  secondo  V  intenzione  di  Dante.  Osserva,  in  primo  luogo, 
come  non  sia  vero  che  le  due  più  brillanti  dell*  Orsa  Minore 
sieno  alla  bocca  del  corno;  perchè  la  seconda  ò  segnata  d  nel 
sistema  di  Bayer,  e  la  ò  non  è  già  alla  bocca  del  corno,  ma 
al  padiglione.  Osserva  inoltre  come  quella  scelta  consigliata 
dall'  Antonelli  sia  contro  V  intenzione  di  J)ante,  il  quale  del 
Como  non  vuole  se  non  la  bocca,  che  è  una  stella  sola,  la  polare. 
E  con  ragione,  gli  sembra,  essendo  Va  della  costellazione.  Ai 
sette  Trioni,  poi,  se  aggiungasi  Arturo,  la  lucidissima  di  Boote, 
che  pure  poteva  essere  da  Dante  compresa  nel  Carro  trovan- 
dosi giusto  air  estremità  del  timone,  avremo  otto  stelle,  alle 
quali  aggiunta  la  bocca  del  Corno  faranno  nove  e  colle  altre 
quindici  ventiquattro,  quanti  erano  i  Beati  nel  Sole  coronanti 
Beatrice  e  Dante.  — •  Caverni,  La  Scuola,  1872,  i,  180. 

Vni.  1.  —  Immagini  chi  bene —  Il  parlare  figurato, 

quando  si  usi  opportunamente,  non  inganna  o  sturba  colle 
inoagini-  eh'  esso  offi^,  V  intelligenza,  ma  air  intelligenza  stessa 
fa  servire  le  immagini,  incatenandola,  dirò  così,  ad  esse,  come 
a  riparo  saldissimo,  perch'ella  non  trascorra  e  si  smarrisca. 
Dante  significa  questo  uffizio  del  parlare  traslato  o  imaginativo 
ne*  succitati  versi  che  valgono  un  trattato  dell'  uso  dell'  ima- 
ginazione. Perez,  156. 

Xni.  6.  —  C?ie  soverchia  deW  aere  ogni  compage.  —  V.  la 
nota.  Par.  n,  78. 

XIV.  1 12.  —  Cosi  si  veggion  qui  diritte  e  torte.  Veloci  e 
iarde,  rinnovando  vista,  Le  minuzie  de*  corpi,  lunghe  e  corte, . . . 
—  Osservando  il  raggio  onde  si  lista  l' ombra  &tta  da  una 
finestra  o  da  una  stoia  o  da  una  persiana  o  da  altro  che,  per 
difesa,  l'arte  e  l'ingegno  opponga  al  Sole,  dentro  alla  camera 
divenuta  oscura,  ai  presentano  allo  spettatore  molti  fenomeni; 
e  di  tutti  questi  rende  scientificamente  ragione  il  Caverni.  La 
Scuola,  1873,  V.  i,  p.  29  e  63. 

XV.  74.  —  Dante  disse  Dio  prima  EguaUlà  a  somiglianza 
di  Platone  che  lo  chiama  nel  Fedone  avtò  to  isu.  —  Ciò  che  i 
Greci  e  segnatamente  Omero  dicea  uguaglianza  (ise,  isotes). 


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452  coMsm. 

cioò  sufficienza  delle  cose,  frase  che  Dante  mutuò  chiamando 
Dio  prima  egualità  ^  doò  perfettissimo  e  sufficientisaizno  a  sé 
medesimo  secondo  V  infinita  sua  natura.  V.  Lcmonaco,  Dante 
Giureconsulto,  p.  12  e  73. 

XV.  14.  —  Discorre  ad  ora  ad  or  subito  flMCo —  E  pare 
stella  che  tramuti  loco.  —  Que'  fuochi  accesi  nell'  aria  (  fatui  ) 
noi  diciamo  stelle  che  si  tramutano.  Mont.  di  Siena.  —  Oiuìiant\ 
Saggio  di  un  Diz.  di  Volgare  Toscano,  412. 

XV.  97.  —  Fiorenza^  dentro  dalla  cerchia  antica,  Ond'e/kt 
toglie  ancora  e  terza  e  nona.  —  In  interiori  circalo  est  ab- 
batia  monacorum  S.  Benedicti,  cuius  ecclesia  didtur  S.  Stepha- 
nus,  ubi  certius  et  ordinatius  pulsabantur  horae  quam  in  aliqua 
alia  ecclesia  civitatis.  Bent>enuto  da  Imola.  —  Ab  Eccles?ia 
Sanctae  Mariae  Ughi,  cujus  campanae  sono  aliae  ecdeaìae 
Florentinae  pulsantur  ad  horas.  —  Annotatore  Anonimo  ad 
antico  e  sincrono  codice  della  Divina  Commedia  conservato 
neW Ambrosiana  (C.  198).  —  'L'onde  non  si  deve  rappiccare 
ali* an&'ca  cerchia,  ma  al  d.ntro,  od  all'abitato  che  la  cerchia 
abbracciava.  L'Aguilhon  non  ritiene  il  poeta  voglia  alludere  alla 
chiesa  de'  Benedettini  chiamata  Badia  di  que*  tempi  €  piccola  e 
disorrevole,  >  che  trova  vasi  dentro  e  rasente  T  antico  ridnto  di 
Firenze.  Se  si  può  aggiustar  fede  a  G.  Villani  essa  non  ebbi* 
campanile  prima  del  1330,  nel  qual  anno  s*alsò  e  compiè  a 
spese  del  comune.  —  La  pretesa  esattezza  dell'  ore  inchiude  la 
regolarità  esemplare  negli  ecclesiastici  uffici,  e  che  a  Badia  non 
ci  fosse,  avvi  l'autorità  di  Matteo  Villani  (1.  8.  e.  6)  e  di  Ben- 
venuto da  Imola.  Egl'  inclina  a  ritenere  che  il  poeta  qui  accen- 
nasse alla  chiesa  metropolitana  che  di  certo  suonava  le  ore, 
aloLzi  dovea  essere  indice  e  norma  dell'  altre,  e  perchè  decorata 
ab  antico  di  un  insigne  collegio  di  canonici,  e  perchè  provve- 
duta di  un  antico  gnomone.  A  me,  dice  l' Aguilhon,  par  certo, 
che  Dante  non  avrebbe  mai  tolto  altronde  un'indicazione  che 
gli  potesse  esser  fornita  dal  suo  caro  S.  Giovanni.  Dimostra 
anzi  egli  stesso  intendere  individuato  il  Duomo  nella  perifrasi. 
€  Ond'  ella  toglie  ancora  e  teraa  e  nona  ;  »  poiché  prendendo 
la  parola  e  riferendosi  all'  onde,  rattacca  «  ditemi  dell'  Ovil  di 
S.  Giovanni,  »  frase  tradizionale  e  solenne  adoperata  anche  da 
G.  Villani  (1.  4,  e.  10). 

XV.  101.  —  Non  donne  conUgiate.  —  Le  donne  conti^ 


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COMBNTI.  453 

gicUe  sono  donne  addobbate  di  seta  con  eleganza  e  colori  varìi  ; 
e  il  vocabolo  venuto  colla  moda  sontuosa  da  Francia  che  lo  com- 
pose da  comptus  participio  del  vecchio  còmerey  pingere,  colo- 
rire, ornare.  Matteo  Paris,  autore  che  vai  per  cento,  nella  vita 
di  Enrico  HI,  scrive;  vestes  festivas  quas  vulgus  conUses  vocat; 
e  ivi  stesso  poi  :  mille  milites  et  amplius  vestiti  serico  ut  vul- 
garìter  loquamur  conUse  in  nuptiis  ex  parte  regis  Anglorum 
apparuere.   ScarabelU,  Prefazione  al  Voi.  nr,   del  Lambertini, 

XXXII.- 

XVl.  64.  —  Sariensi  i  Cerchi,  —  Sui  Cerchi  veggasi  il  To- 
descfaini,  Scritti  su  Dante,  i,  338-44. 

XVL  72.  —  Più  e  meglio  una  che  le  cinque  spade,  — 
Volendo  fare  V  elogio  dell'  antica  popolazione  di  Firenze,  e  dire, 
che  il  quinto  di  allora  valeva  più  e  meglio  dello  intero  di  poi, 
sorgevagli  ovvia  la  ragione  di  paragonare  Tuna  spada  alle 
cinque.  Todeschini. 

XVl.  73.  -^  Se  tu  riguardi  Luni.  — *  Dalla  figura  appunto 
di  falcata  luna,  ebbesi  in  antico  il  nome  di  porto  lunese  e  da 
esso  il  nome  di  Luna  o  Luni  la  città  etnisca  presso  la  Magna. 

XVI.  94.  —  Sovra  la  porta  eh*  al  presente  è  carca,  —  Sovra 
la  porta  di  S.  Pietro,  nella  quale  di  presente  (anno  1300)  abita. 
la  &miglia  de'  Cerchi ,  gente  selvaggia,  e  cqsì  facile  a  mutar 
&zione  (fellone),  che  presto  con  l'assecondare  il  partito  dei 
bianchi  Pistoiesi  sarà  cagione,  che  la  repubblica  Fiorentina 
(barca)  si  abbia  a  patire  gravissima  iattura,  abitavano  i  Rave- 
gnani,  ecc.  Todeschini, 

XVI.  96.  —  /  Eavegnani,  ond'  è  disceso  II  conte  Guido,  e 
qualunque  del  nome. ...  —  I  co.  Guidi  non  presero  il  nome  di 
Berti,  0  di  Guidi  Berti. . . .  Dante  altro  non  disse,  se  non  che 
de'  Ravegnani  scesero  (per  donne,  s' intende),  i  Conti  Guidi,  e 
i  Belliadoni  de'  Donati,  e  i  Bellincioni  degli  Adimarì.  —  To- 
deschini, 

XVI.  109.  —  O  quaU  vidi  quei  che  son  disfatti.  —  V.  quanto 
scrive  il  Todeschini  degli  liberti,  ti,  421-27. 

XV.  109.  —  Non  era  vinto  ancora  Montemalo, ...  —  Chi 
partendosi  di  Firenze,  e  passando  per  Viterbo,  giugneva  di 
que'  tempi  a  Roma,  saliva  per  lo  più  sul  monte  Mario,  allora 
diiamato  Montemalo,  o  per  corruzione  dell*  antico  vocabolo,  o 
forse  per  qualche  rotta  toccata  in  que'  luoghi  nell'  età  di  mezzo 


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454  coMBKn. 

ai  romani  nelle  loro  dttadineBche  iSuuonì.  Che  se  ci  piaccia 
aggioatar  fede  a  un  moderno  romanzatore  (Bolgarìnì,  La  doooa 
del  medio  evo,  p.  306),  il  detto  colle  tolse  dai  romani  il  nome 
di  mons  Mahus  da*  tedeschi  di  Ottone  III,  quello  di  mons  Gat€dit\ 
allorché  costoro  Tanno  998  di  Cristo,  preso  nella  mole  Adriana 
il  famoso  console  e  governator  di  Roma  Crescemdo,  rapper 
la  data  fede,  e  lo  uccisero  ignominiosamento  sa  questa  coUiiia. 
il  Moroni,  ali*  articolo  Monti  dt  Roma,  vorrebbe  che  il  nome  di 
Mario  venisse  al  colle  per  esservisi  egli  accampato  sopra  nelle 
guerre  civili,  e  che  i  nomi  di  Gaudiì  e  di  Màltis  da  eei*te 
feste  e  baccanali  che  colassù  si  fàceano ,  e  eh*  eran  fonti  di 
allegrezza  e  insieme  di  peccato.  —  Gianto  il  viandante  sulla 
vetta  di  quel  monto,  tutto  al  guardo  gli  si  spiegava  la  maestà 
dei  romani  edificii,  e  di  tanti  mirabili  monumenti  fra  i  quali 
torreggiavano  maestosamente  le  Basiliche,  il  Colosseo,  il  Pan- 
theon, il  Campidoglio,  il  Mausoleo  d'Adriano,  il  palagio  d*0- 
norio  IV  a  Santa  Sabina,  il  settizonio  di  Severo,  la  torre  delle 
Milizie  e  quelle  delle  mura  della  città,  e  le  altre  molto  inalzate 
ne*  tempi  bassi  da*  romani  baroni,  le  quali  cose  certo  dovetter 
colpire  di  maraviglia  1*  occhio  di  Dante.  —  Ach.  Monti  osserra 
che  lo  stesso  Monte  Mario  fa  un  tempo  adomo  di  splendide 
ville,  di  mura,  di  torri  e  di  sontuosi  edifici,  tanto  che  vi  potò  al» 
bergare  Timperator  Arrigo  V,  allorché  Tanno  1111  v^me  a  Roma 
ad  incoronarsi,  sedente  Pasquale  II.  —  Monti  Achille^  Dante  e 
Roma  (Strenna  del  Oiomale  «  Arti  e  Lettere  >  p.  4  e  seg.). 

XXI.  121.  —  InqueliocofUUo  Pier  Damiano.  —  V.  Fiun- 
GIOSI,  Gregorio  VII  giudicato  da  Dante,  Scritti  Danteschi,  p.  12. 
—  Nbdkirich  F.,  Dos  Leben  dee  Petrus  Damiani,  Gottinga  ^ 
1875. 

XVI.  127.  —  Ciascun  che  della  bella  insegna  porta.  —  Olti^ 
i  Pulci,  i  Nerli,  i  Gangalandi,  i  Giandonati,  i  Della  Bella,  il 
Todeschini  vuole  che  pure  i  Ciuffiigni  fossero  stati  onorati  della 
cavalleria  del  gran  barone  Ugo,  e  prendessero  Tarme  di  lui. 
V.  Todeschini,  Scritti  su  Dante  i,  361. 

XVI.  131.  —  Col  popol  si  rauni  Oggi  colui  che  la  fascia 
col  fregio,  —  Giano  Della  Bella,  antico  e  nobile  cittadino,  ricco 
e  possente,  di  grande  autorità  presso  i  Guelfi.  Si  trovò  egli 
dei  Signori,  i  quali  entrarono  in  ufficio  ai  15  di  Febbraio 
1293,  e  cogliendo  T opportunità  dell* arbitrato  càmera  consueto 


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ooMBNn.  455 

fare  per  la  correzione  delle  leggi ,  formarono  quelli  statuti 
contro  a*  nobili  che  furono  chiamati  Ordinamenti  della  giustizia 
Per  questi  erano  decretati  gastìghi  ai  grandi  che  oltraggias- 
sero i  popolani,  raddoppiando  contro  loro  le  pene  comuni; 
prescrivendo  che  Tun  congiunto  fosse  tenuto  per  T altro;  che 
i  malefidi  si  potessero  provare  per  due  testimoni  di  pubblica 
fauaoa;  pena  barbara  e  dettata  da  feroci  odii  cittadineschi  era 
il  diflfiEure  le  case.  Il  prof.  Bonaini  pubblicava  gli  Ordinamenti 
di  Giustina  del  1293  (Nuova  Serie  dell*Arch.  Stor.  Ital.  Vol.I, 
1855),  con  le  successive  provisioni  per  cui  vennero  afforzati. 
Giano,  perseguitato  da' grandi,  si  partì  esule  volontario  il  3 
Marzo  1295:  subito  fu  sbandito,  e  condannato  negli  averi  e 
nella  persona,  e  la  sua  casa  rubata  e  mezzo  disotta.. Si  ag- 
giunse ai  suoi  danni  anche  il  papa  Bonifazio  Vili,  come  si 
rileva  da  un  breve  assai  violento  contro  a  Giano,  fino  a  ban- 
dire la  scomunica  contro  a  chiunque  lo  favorisse;  in  essa, 
involvendo  tutta  la  città,  nel  caso  che  Giano  vi  fosse  tornato, 
e  ordinando  sotto  le  censure  stesse  il  bando  anche  di  un  suo 
nepote.  V.  Ck.  Capponi^  Storia  deUa  Rep.  di  Firenze,  i,  89-102. 
Giano  moriva  esule  in  Francia.  G.  Villani  lo  dice  «  il  piii  leale 
e  diritto  popolano,  e  amatore  del  bene  comune,  che  uomo  di 
Firenze,  e  quegli  che  mettea  del  suo  in  comune  e  non  ne 
traeva.  > 

XVn.  43.  —  Avwgna  che  io  mi  senta  Ben  tetragono  ai 
colpi  di  ventura,  —  I  Greci  denominarono  tetragono  il  cubo,  ' 
ed  un  solido  di  tal  figura  ebbero  pel  piti  formo  e  stabile.  — 
Dante  derivò  questo  parlare  da  Aristotile  (Rett.  lu,  2),  questi 
lo  prese  da  un  poeta,  e  ciò  mostra  V  accorgimento  grande  e 
l'ingegno  di  Dante  medesimo,  che  riconobbe  per  adatta  aUa 
poesia  codesta  maniera  di  dir  figurata  ;  e  probabilmente  non 
seppe  che  fosse  da  prima  stata  usata  da  un  poeta  greco,  cioè 
da  Simmiide.  V.  Calcedoni,  Postille  di  G.  Galvani,  81-90. 

XVII.  37-42,  —  La  contingenta  che  fuor  del  quaderno.  — 
Sporrò  la  sentenza  di  Dante  con  parole  mie:  «  La  serie  degli 
avvenimenti  contingenti,  che  accadono  nel  vostro  mondo  mate- 
^riale,  tutta  è  manifesta  a  Dio  :  nò  però  da  questa  scienza  divina 
piglia  carattere  di  necessità,  come  non  lo  piglia  il  moto  di 
una  nave,  che  discende  pel  fiume,  dall'  occhio  di  chi  sta  osser- 
vandola. Todeschini. 


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45d  OOMBNTI. 

XML  46*142.  —  Qual  si  parH  Ippolito.,..  —  Si  nel  x  del- 
l'Inferno V.  130,  che  nel  xv,  v.  88  Dante  ci  fa  sapere  che  i 
casi  futuri  della  sua  vita  gli  sarebbero  nella  cantica  del  Para- 
diso dichiarati  da  Beatrice.  Ma  Toscaro  testo  di  Farinata  e  di 
Brunetto  gli  è  invece  chiosato  dall'arcavolo  suo  Cacciagnida. 
E  del  mutato  divisamento  mentre  il  Tode  schini  ne  dà  la  ra- 
gioni, ne  deduce  pure  che  se  al  poeta  fosse  bastata  la  vita 
gli  era  mestieri  di  cangiar  parecchi  versi  de' canti  suocttati. 

XVII.  61.  —  J?  quel  che  più  H  graverà  le  spaile  Sarà  la 
compagnia, ...  —  Egli  è  indubitabile  che  n'  erano  capi  i  Cerchi 
di  Porta  S.  Piero  ;  ondechò  le  ingiorie  di  Dante  cadono  prin- 
cipalmente sopra  questi  Cerchi.  —  Todeschmi, 

XVII.  70.  —  Lo  primo  tuo  rifUgio.  —  Il  primo  ospite  di 
Dante  neìV  esilio  fu  Guido  d^  Roberti  da  Castello  ;  il  Inogt)  dove 
fu  ricevuto,  Reggio  in  Lombardia;  Y  insegna  di  Guido,  taquilaj 
comune  anche  agli  Estensi,  de'  quali  era  parente  ;  T  epoca  del 
pnmo  ricevimento,  il  1302.  Nelle  parole  di  Gacciaguida  vi  è 
ancora  implicitamente  la  predizione  dell'  esigilo  di  Onido,  e  la 
futura  sua  compagnia  nell'  ospiÉio  secondo,  che  avrà  Dante  con 
esso  presso  Cane  delia  Scala,  e  1'  epoca  di  questo  secondo  ri- 
fugio che  fu  comune  ai  due  poeti  nell'anno  1308.  — Mercuri 
Filippo,  Quale  sia  stato  il  primo  rifugio  e  il  primo  ostello  dì 
Dante,  Lez.  x  sulla  Divina  Commedia.  Roma,  Pucdnelli,  1854. 

XVII.  80.  —  Che  pur  now  anni  Son  queste  ruote  intomo 
di  lui  torte,  —  Oli  è  sull'orme  dello  Btori<)0  poeta  Vicentino, 
Ferreto,  che  il  Grion  ci  ricompone  cronologicamente  le  gesta 
di  Can  Grande.  Questi,  castaido  dei  notai  di  Vicenza,  fino  dal- 
l'anno  1320,  e  che  testò  il  4  Aprile  1337,  nella  prima  metà 
del  1329  intitolò  a  Can  Grande,  vivente,  il  suo  poemetto:  De 
origine  gentis  Scaligerae,  Fu  pubblicato  là  prima  volta  dal 
Muratori,  e  poi  dall'Orti  Manara:  conta  1534  versi,  ed  è  diviso 
in  quattro  libri.  Un  contemporaneo  che  tratteggi  la  vita  di  un 
eroe  per  dedicarla  all'eroe  stesso,  suo  sovrano,  dice  il  Grion, 
merita  nelle  determinazioni  cronologiche,  la  massima  fede.  — 
Il  sole  avea  fuggito  Cancro  ed  era  entrato  in  Leone,  quando 
Cangrande  fu  concetto  (in  principio  d'Agosto).  La  madre  Verde, 
marchesa  di  Saluzzo,  lo  partorì  dopo  note  lune,  in  principio 
del  mese  di  Dione  (Diana  o  Maja),  doò  di  Maggio  (8^  Maggio). 
Cangrande  vagiva  tuttavia  nella  culla,  quando  fu  conchiosa  la 


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OOMBNTI.  457 

pace  di  Villanova:  Tanno  delia  Bua  nascita  è  accertatamente 
il  1280.  — Ma  86  Gangrande  nacque  il  8-9  Maggio  1280,  come 
potò  Dante  asserire  dàe  il  30  Marzo  1301  per  uov'anni  fossero 
le  ruote  celesti  in  cui  si  trovava  Cacci  aguida  intorno  di  lui 
(di  Cane),  torte  f  Egli  ò  indubitato  che  qui  non  si  può  pensare 
a.  9  anni  solari,  ma  che  si  tratta  di  rivoluzioni  martino.  Marte 
compie  la  sua  rivduzione  siderale  in  giorni  686^  979  6186  se- 
condo Keplero ,  secondo  Vitruvio  (  ix,  4  )  àrciter  683°  die.  Ma 
Dante  non  conosceva  nò  T  esattezza  nostra,  nò  probabilissima- 
mente il  dato  di  Vitruvio  ;  conosceva  V  autore  de^  mundo  (e.  2), 
e  TAhnagesto  di  Tolomeo  (9,  1),  e  gli  astronomi  ai^abi,  FAI- 
fergano  p.  e.,  e  dietro  ad  essi  scrisse  nel  Convìvio  (ii,  15),  che 

Marte  passa  pel  Zodiaco  in  due  anni  qttasi Ora  intomo  a 

Cangrande,  nato  a  di  9  Maggio  1280,  il  cielo  di  Marte  girò 
fino  al  30  Marzo  1301,  in  cui  Caociaguida  parla  a  Dante,  non 
nove,  ma  dieci  buone  volte,  se  le  rotazioni  si  prendono  all' in- 
digrosso di  due  anni;  e  se  si  prendono  col  dato  presunto  del 
Latini  (di  2  anni,  1  mese,  2  giorni),  altresì  dieci  volte  intere 
che  si  compiono  il  29  Marzo  1301.  Onde  il  passo  Dantesco: 
che  pur  mov  anni  vuoisi  correggere  in  c?ie  pur  dieci  anni^ 
imaginando  che,  il  primo  copista,  Jacopo  di  Dante,  abbia  preso 
per  r  unità  T  iniziale  filetto  della  of  corsiva  del  padre.  —  Grion 
Giusto  y  Cangrande  amico  di  Dante.  Il  Propugnatore  di  Bo- 
logna, a.  IV,  Diap.  4,  1871,  p.  395. 

Greon  Giusto,  Cangrande  amico  di  Dante.  —  Il  Propugna- 
tore di  Bologna,  a.  iv,  Disp.  4,  1871,  p.  395-427. 

«  Dante  alla  fine  del  Settembre  1302  si  avvia  per  Verona 
a  cercarvi  e  trovarvi  lo  primo  st$o  rifugio  e  7  primo  ostello; 
gìacchò  nulla  egli  avea  chiesto  nò  ottenuto  sin  qui  nò  da  Ugo 
ad  Arezzo,  né  da  Scarpetta  a  Forlì;  e  a  Verona  egli  é  ospitato 
per  tre  mesi  in  casa,  come  dice  il  Della  Corte,  di  Cangrande, 
per  avventura  in  quella  stessa  casa  che  vediamo  più  tardi  de- 
stinata ad  albergare  gli  ambasciatori  a  spese  pubbliche,  oggi, 
divenuta  albergo  privato  «  aUe  due  torri  »  —  Non  ò  piccolo 
merito  di  Cane,  allora  di  22  anni,  s'egli  fece  ospitare  T  am- 
basciatore Dante  a  spese  pubbliche ,  cioè  riconoscere  gli  emi- 
grati fiorentini  come  parte  belligerante ,  e  s'  egli  persuase  il 
fratello  tutore  di  affidargli  una  mano  di  fanti  e  di  cavalli, 
coi  quali,  per  Faenza  e  la  valle  del  Lamone,  come  portato  da 


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458  GcyMEmrk 

Euro,  (Ferreto)  sali  e  scendette  le  falde  d' Apeonino,  per  pren- 
dere parte  il  12  Marzo  1303  alla  zuffa  di  Falciano,  e  consi- 
gliare la  ritirata  qìiando  temette  d^essere  investito.  Ciò  risponde 
allieta  sua,  a  quanto  sappiamo  della  som  indole,  al  passo  di 
Dante,  alla  testimonianza  del  Biondo.  »  —  Il  Corte  scrive  cbe 
Dante  siasi  trovato  a  Verona  anche  nel  1310,  ma  siccome  egli 
confonde  tempi  e  cose,  cosi  dice  il  Grìon,  non  do  troppo  peso 
a  questa  osservazione,  sebbene  esser  possa  vera,  se  si  rif^^isoe 
ali*  autunno  1310.  Di  beila  importanza  g^  sembra  invece  il  passo 
del  Biondo  che  assicura  esser  stato  Dante  nel  1311  in  corri- 
spondenza politica  con  Cangrande,  quando  i  fiorentini  conge- 
darono bruscamente,  con  risposta  del  10  Luglio,  gli  ambasciar 
tori  dell'imperatore.  E  per  via  d'induzioni  argomenta  che 
Cangrande  abbia  regalato  al  divino  amico  una  tenuta  a  Gai^ga- 
gnago  in  Valpulicella,  ricordata  la  più  antica  tra  le  tenute  degli 
Aligeri,  e  tuttora  posseduta  dai  Serego,  suoi  discendenti  in 
linea  femminina. 

XIX.  40.  -—  Colui  che  volse  il  sesto  Allo  stremo  del  mondo. 
—  Dura  ancora  oggi  la  nostra  ammirazione,  dice  il  Monti, 
sopra  V  etemo  Geometra  di  Platone,  il  filosofo  di  tutta  T  anti- 
chità, e  anche  Dante  mirò  a  questo  grande  conoetto,  rappre- 
sentandoci Dio  che  gira  il  compasso,  e  circoscrìve  il  creato. 

XIX.  52-66.  —  Dunque  nostra  veduta.,..  —  È  noto  che 
Alfieri  aveva  cominciato  ad  estrarre  dalla  Divina  Commedia 
tutti  i  versi  notabili  per  T armonia,  per  espressione,  o  pel 
concetto  ;  che  un  tale  estratto,  tutto  di  sua  mano,  ha  200  pa- 
gine in  4^  di  piccolo  carattere,  senza  che  sia  ancor  tenninato; 
che  rimase  al  canto  tox  del  Paradiso,  e  che  notò  alla  prima 
pagina  queste  memorabili  parole:  Se  avessi  il  coraggio  di  rifare 
questa  fatica^  tutto  ricopierei  senza  lasdame  un  jota,  convinto 
per  esperienza  che  piU  s'impara  negU  errori  di  costui  che 
nelle  beUezse  degli  altri.  Ma  non  è  noto  quali  fo69ero  gli  ultimi 
versi  che  trascrìvesse,  e  gli  facesser  quasi  cadere  la  penna  di 
mano.  Eccoli  questi  versi,  come  mi  viene  assicurato  da  un  amico 
che  ne  vide  il  manoscritto  a  Firenze.  É  il  buon  Caociagnida 
che  parla  al  suo  pronipote. 

Dunque  nostra  veduta,  che  conviene 
Essere  alcun  de*  raggri  della  mente 
Di  che  tutte  lo  cose  son  ripiene. 


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OOMBNTI.  459 

Non  può  di  sua  natorm  esser  possente 
Tanto,  che  suo  principio  non  discerna 
Molto  di  l&j  da  quel  eh*  egli  è,  parvente. 

Però  nella  giustìzia  sempiterna 
La  vista  che  riceve  il  vostro  mondo, 
Gom* occhio  per  lo  mare,  entro  s'interna; 

Che,  benché  dalla  proda  veggia  il  fondo, 
In  pelago  noi  vede  ;  e  nondimeno 
Egli  è  ;  ma  cela  lui  1*  esser  profondo. 

Lume  non  è,  se  non  vien  dal  sereno 
Che  non  si  turba  mai,  ansi  è  tenebra, 
Od  ombra  della  carne,  o  suo  veneno. 

E  qui  indubitatamente  nascerà  desiderio  di  sapere  perchè 
mai  TAstigiano  si  fermasse  a  qaesti  versi.  È  agevole  il  pre- 
vedere che  io  non  mancai  di  fame  ricerca  a  quel  mio  amico. 
La  risposta  die  ne  ottenni  fa  a  un  dipresso  in  questi  termini. 
—  Tu  sai  che  Vittorio  Alfieri  negli  ultimi  anni  di  sua  vita, 
ne^li  anni  del  disinganno,  voile  scrivere  egli  stesso  le  vicende 
delle  sue  azioni  e  de'  suoi  pensieri.  Or  non  trovi  in  quella  sua 
Yita  scritta  da  esso  la  soluzione  d*ogni  dubbio?  Ne'  primi  anni 
di  sua  gioventù  egli  era  impaziente  di  correre  qua  e  là  per 
tutta  quanta  1*  Europa:  in  età  matura  non  si  dipartiva  quasi 
dal  suo  rimoto  albergo  di  Firenze,  e  divenne  solitario.  In  gio- 
ventù non  parlava,  non  iscriveva  se  non  in  francese  e  alla  fran- 
cese: in  vecchiezza  divenne  MisogaUo.  Nell'età  del  bollore 
delle  passioni  e  della  intemperanza  delle  famtasie,  quantunque 
d' illustre  fiuniglia,  e  per  talenti  e  per  buon  cuore  destinato  a 
soprastare  fra  gli  ottimi,  pur  volle  in£uigarsi  nel  lezzo  dema- 
gogico: nella  età  della  prudenza  e  della  ragione  distenebrata 
dall'ombra  della  carne  e  dal  suo  veleno  pose  in  derisione 
i  Gracchi  e  tradusse  la  Catilinaria.  Non  ti  sembra  or  chia- 
rito il  perehò  si  arrestasse  l' Alfieri  a  que'  versi  sopra  re* 
citati?...  Gazzetta  di  Venezia,  3  Settembre  1823,  n.  199. 

XIX.  134.  —  La  sua  scrittura  fien  lettere  mozze,  Che  no- 
teranno  molto  in  parvo  loco,  —  Feroce  biasimo,  quasi  Federico 
fosse  tanto  -dispregevole  da  essere  notati  i  suoi  fatti  in  scrit- 
tura abbreviata,  si  perehò  molto  desse  a  notare,  si  perehò  cose 
di  poco  conto  ;  ovvero  dispettoso  ricordo ,  come  meglio  credo, 
del  patto  di  Caltabellotta,  pel  quale  restava  a  Federico  il  solo 
tìtolo  Fridericus  Terttus  Lei  gratta  Rex,  senza  più  raggiunta 
di  re  di  Sicilia ,  Duca  di  Puglia ,  e  Principe  di  Capua.  —  Dì 


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460  OOMBNTI. 

GiotHinni.  V.  Amaria  La  Guerra  del  Vespro  Siciliano ,  C.  xx, 
p.  505  e  seg. 

XIX.  138.  —  Due  corone  han  fatto  bozze.  —  Il  popolo  to- 
scano usa  bozza  per  cosa  vieta  e  vana  ;  e  anche  trattandosi  dì 
discorso,  per  fandonia  o  bugìa,  e  io  credo  che  sia  un  adiettivi^ 
sostantivato ,  e  eh'  e*  ci  si  sottintenda ,  al  solito ,  cosa ,  come 
in  nuova  per  cosa  nuova  o  novità,  e  altre  simili.  Sicdiè  Te- 
mistichio  e  due  corone  han  fatte  bozze  si  dovrebbe  intender» 
secondo  quest'uso,  che  quelle  due  corone,  per  le  sozze  opere 
di  que'  due  principi ,  non  vennero  a  perfezione  di  frutto  ma- 
turo, ma  imbozacchirono  e  rimasero  vane,  come  pomo  intristito 
neir  allegare.  Cavemù 

XX.  62.  -—  Cui  quella  terra  plora  Che  piange  Carlo  e 
Federico  vivo.  -—  Accenna,  a  quanto  pare,  alle  due  battaglie 
della  Falconaria  e  di  Ponza  (12dd-1300),  nelle  quali  cadde  li 
fiore  della  nobiltà  napolitana  e  siciliana,  sia  da  parte  di  Cario  II. 
sia  da  parte  del  nostro  Federico.  Di  CHovanni. 

XIX.  140.  —  Quel  di  Rascia,  Che  mal  aggiustò  il  conio  di 
Yinegia,  —  Mazzoni  Toselli  ricorda  il  processo  che  nel  1305 
si  fece  contro  i  Cambiatori,  prestatori  ed  altri  che  introdussero 
la  moneta  di  Rascia  in  Bologna.  I  grossi  di  Rascia  scapitavano 
due  o  tre  danari  da  quelli  della  zecea  di  Venezia,  ma  essendo 
banditi  quasi  per  tutta  Italia,  i  banchieri  bolognesi,  li  compra- 
vano per  vilissimo  prezzo,  cioè  per  sessanta  lire  di  grossi  bo- 
lognesi, ottenevano  lire  cento  di  grossi  veneti  rasdensi Fot- 

chinus  testis  dixit  quod  pubHca  vox,  et  fama  est  quod  supra- 
dicti  campsores  et  mercatores  portaverunt  et  portare  ficerunt 
extra  Bononiam  duas  boUesellas  plenas  de  bononinis  grossis 
dicendo  quod  erat  blaca,  et  de  ipsis  habuerunt  de  secoaginta 
librarum,  centum  Ubrarum  rasciensium,  expendendo  dietos 
rascienses  prò  bonis  venetis  per  dvita.  Bonon,  Onde  in  somen- 
zaverunt  praedidam  dvitatem^  quod  fUit  magnum  peccaium, 

Fbbrari  Cdpilli,  Lettera  al  Sig,  Angelo  Aant,  Sul  regno 
di  Rascia,  e  sui  grossi  o  matapani  d^ argento  alterati.  Nani, 
Saggi  di  crìtica  storica  e  letteraria,  Zara,  Artale,  1875,  p.  96. 
—  V.  DioNiBi,  Aoed.  viit.  —  C.  xvi.  Che  siasi  o  che  vogUa  dire 
Matapane.  —  C.  xvii.  Spiegazione  o  intelligenza  della  detta 
moneta,  perché  siasi  detta  Matapane,  e  come  adottata  dai  re 
ài  Rascia.  ~  V.  Man.  Dant.  iv,  424. 


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OOMBNTI.  461 

XX.  27.  —  Su  per  lo  collo,  come  fòsse  bugio,  —  Biagio,  per 
Moto,  detto  di  cosa  in  forma  cilindrica  usata  fino  da  Dante, 
{  data  dalla  Crusca  per  voce  antiquata,  è  vìva  vivissima  in 
^astiglioD  fiorentino.  —  €  Da  giovinotto  m' avea  pigliato  V  estro 
li  -voler  suonare  il  violino:  ma  vattelo  pesca  dove  trovarlo! 
mi  son  messo  a  farne  uno  di  canna:  incollai  tre  cannoni 
grosse  canne),  due  più  corti  che  facesser  il  bugio  (la parte 
fuota)  e  uno  piii  avanzato  da  reggerlo  colla  mano.  >  Giuliani^ 
•^ul  vivente  linguaggio  di  Toscana,  Lettera  lxxxix,  440. 

XXIII.  11.  —  Inver  la  plaga  Sotto  la  quale  il  Sol  mostra 
nen  fretta,  —  11  Caverai  chiama  inconsiderati  quei  commen- 
jitori  i  quali  per  la  plaga  sotto  la  quale  il  Sol  mostra  men 
^etla,  e  alla  quale  era  Beatrice  rivolta,  intendono  il  meridiano 
0  per  quella  parte  ove  il  mondo  è  piic  vivo  (Par.  v,  87),  piut- 
tosto che  il  Zodiaco,  intendono  il  cerchio  dell* equinozio  ;  non 
ripensando  punto  che  meridiano  e  equinozio  sono  relativi  solo 
a'  riguardanti  dalla  terra  e  non  dal  cielo.  Cammillo ,  La  Scuola, 
I,   127. 

XXIII.  19-21.  —  Ecco  le  schiere  Bel  trionfo  di  Cristo^  e 
lutto  il  frutto.  —  «  Ecco  la  moltitudine  de'  salvati  pel  trionfo 
della  morte  riportato  da  Gesù  Cristo  ;  ed  ecco  raccolti  insieme 
tutti  que*  frutti  (quegli  spiriti  beati),  di  cui  vedemmo  feconde 
le  giranti  sfere  che  abbiamo  oltrepassate.  »  Che  il  frutto  ri- 
colto  si  riferisca  a  Dante,  come  vorrebbero  il  Venturi  e  il  Tom- 
maseo, è  idea  £silsi9sima.  Se  Dante  a  questo  punto  avesse  ri- 
colto tutto  il  frutto  del  suo  viaggio,  la  cantica  del  Paradiso 
sarebbe  finita  qui.  Ma  il  sommo  frutto  del  suo  viaggio  celeste 
il  poeta  lo  raccoglie  nell'empireo  colla  Visione  di  Dio,  di  cui 
al  canto  xxxiii.  —  Todeschini^  Scritti  su  Dante,  ii,  432. 

XXIV.  16.  —  Cosi  quelle  carole  differente-mente  danzando y 
della  sua  ricchezza,  —  Cosi  que'  danzanti  circoli,  aggirandosi 
fon  diversità  di  moto,  mi  facevano  giudicare  della  loro  mag- 
giore o  minore  beatitudine  (ossia  della  ricchezza  della  lor  gloria) 
secondo  ch'erano  veloci  o  lenti.  —  Carole,  \  festosi  circoli  for- 
mati dall'unione  di  parecchie  anime  beate.  Par.  xxv,  99.  — 
Della  sua  ricchezza,  modo  elittico,  e  vale  in  ragione  della 
«tea  ricchezza.  Todeschini,  Scrìtti  su  Dante,  ii,  433. 

XXIV.  89-114.  —  Questa  cara  gioia,  Sovra  la  quale  ogni 
ditit  si  fonda,  Onde  ti  venne. . . . 


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402  ooBfBNn. 

Paganini  P.,  Sopra  un  luogo  del  C.  XXIV  del  Paradm, 
Lucca,  Landi,  1862. 

Il  Paganini  ritiene  che  Dante  Alighieri  si  dehba  annoverare 
fra  quei  pochi,  certo  da  onorarsi  assai,  come  precoraori  delio 
immortale  autore  del  Discot'so  sulla  storia  universale ^  ei 
mettere  in  chiaro  questo  diritto,  ei  prova  come  nel  passo  sle- 
gato si  trovi  sottintesa  una  dottrina  storica,  secondo  la  qaù 
la  gran  tela  degli  umani  avvenimenti  dividesi  in  tre  para 
Nella  prima  di  esse,  all'  umana  feuniglia,  scaduta  della  primidn 
sua  nobiltà  e  grandezza,  ò  pronunziato  un  divino  Riparatoiv 
nella  seconda  questo  ccMnparisce  sulla  terra  e  compie  in  sc 
tutte  le  cose  predette  da*  profeti  :  nella  terza  V  umanità  cai&> 
minando  nella  fede  di  lui  si  santifica  e  raggiunge  il  suo  ali 
destino. 

XXIV.  101.  --  A  c?ie  natura  Non  scaldò  ferro  mai^  né  òa«! 
ancude^  —  Verso  aspro  al  suono,  ma  che  par  voglia  esprìma^ 
quasi  lo  sforzo  di  queUa  infaticabile  e  sublime  figlia  di  Dio 
imitarlo,  rimanendo   pur  sempre  un  intervallo  infinito  tra  ^ 
opere  naturali  e  le  soprannaturali.  Peres^  623. 

XXIV.  138.—  Voi  che  scriveste,  Poiché  Cardenie  spirto  ^ 
fece  almi,  —  e  Almus  ab  alendo  dicitur  et  accomodatur  c3 
et  rebus  quee  vel  ad  generationem.  Sii  ad  procreationem  ^ 
minis  pertinent  Sic  alma  Venus  et  alma  Ceree  dictur,  ikc 
Clima  Pallas  atque  Bellona.  »  Cosi  ò  scritto  a  face.  365  ùl 
1.^  voi.  del  Marziale  di  Lemaire.  P^ciò  qui  ha  bene  m^ 
Dante  la  voce  almi,  volendo  dire:  e  voi  che  scriveste  perche k 
Spirito  Santo  vi  fece  capaci  di  generare  la  fede  coi  vo^;:: 
scritti.  »  Marco  Renieri,  L'Apatista,  1834,  n.  30. 

XXV.  6.  —  Nimico  a*  lupi,, . ^—  V.  Donato  Gianotti,  Delli 
Repubblica  Fiorentina,  L.  ii,  e.  xi.  —  Che  i  dtiadini  grand 
della  duà  di  Firenze  sono  lupi. 

XXV.  7-12.  —  Con  altra  voce  ornai,  con  altro  teUo,... 

ToDESCHiNi  Giuseppe  ,  SuUa  retta  inteUigensa  del  terso  < 
quarto  ternario  del  e,  XXV  del  Paradiso,  Scrìtti  su  Dan*.. 
II,  313-25.  I 

Si  potrebbe  dare  un  concetto  piii  miserabile  di  questo:  k 
prenderò  la  corona  poetica  sul  fonte  del  mio  battesimo,  pert^j 
quivi  io  entrai  nella  fede  cristiana,  e  perchè  S.  Pietro  in  cUl 
approvò  la  mia  fede!  Si  debbe  ammettere  senza  dubbio,  die  ^s 


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463 

>  Toce  cappello  significhi  la  ioBegna  del  dottorato,  giaochò  si 
i  bene,  che  ne*  tempi  del  poeta  impcmevasi  un  cappello  o  una 
3rretta  a  coloro,  eh*  erano  consentati  in  qualche  scienza  ;  ma 
ante  non  poteva  intendere  qui  d*  esser  conventato  o  creato 
ottore  se  non  in  quella  dottrina,  di  cui  ricorda  la  professione 
nticamente  fiitta,  e  1*  approvazione  recentemente  ottenutane, 
^oi  non  si  tratta  che  di  fede  e  di  scienza  teologica;  dunque 
1  laurea,  di  cui  qui  si  parla,  essere  non  può  che  la  laurea  in 
ivinità  o  vogliam  dire  in  teologia.  Né  il  fonte  battesimale  era 
ià  luogo  opportuno  a  conseguim  una  laurea  d*  ijidole  diversa. 
-  Con  altra  voce,  si  riferisce  al  mutato  suona  dei  carnii  ;  con 
Uro  vello,  ali*  invecchiato  aspetto  della  persona. 

XXV.  8.  —  In  sul  fimte  Del  mio  baUesmo  prenderà  il 
appello.  —  <  E  il  verso  di  Dante  ritorna  frequente  al  fonte 
attesimale  dov*egli  era  rinato  al  delo;  con  che  s*  intende, 
armi,  come  nell* esigilo  la  più  cara  della  sue  imaginazioni 

speranze  fosse  quella  di  poter  vincere  colla  gloria  del  sacro 
oema  la  crudezza  de*  suoi  nemici,  e  tornare  un  giorno  a  Fi- 
3nze  ed  esservi  incoronato  poeta  presso  al  battistero  del  suo 
el  S.  Giovanni,  in  sul  fonte,  com*  egli  dice,  del  mio  baUesmo  : 
3n  la  parola  fimte,  nome  così  umile  insieme  e  cosi  alto,  desir 
Dando  il  principio  d*una  nuova  vena  d*  ispirazione,  una  sor- 
ente  ben  altra  dall*  Ippocrene  :  fonte  di  veri  e  di  bellezze 
ertinenti  a  regni  soprannaturali  :  fonte,  che  lui  rigenerando  dal 
occhio  Adamo,  1*  avea  ispirato  a  rigenerar  la  poesia  del  vecchio 
•aganesimo,  Perez,  624. 

Cappello,  franoescamente ,  per  ghirlanda ,  come  dichiarò  il 
toccacelo:  credendo  che  cappello,  cioè  ghirlanda,  secondo  il 
>r  volgare  a  dir  venisse.  Oior.  vu'i,  n.  1.  —  D^namente  convien 
he  s*  incappelli.  Par.  xxu,  72.  —  Q  uesta  (la  rosa)  convien  che 
'  incappelli,  Poliziano,  Stanze  i,  78.  E  il  Caro,  parlando  d*  un 
lente,  disse:  Di  neve  alteramente  s'incappella  (En.  xii).  —  E 
.  Botta  deUo  Spinga:  Monte  eternamente  incappellato  di  neve. 
iannucd, 

XXVI.  70.  —  E  come  al  lume  acuto^  si  disonna  Per  lo 
pirto  visivo  che  ricorre  Allo  splendor,  che  va  di  gonna  in 
lonna,  ^~  Spirto  visivo,  Quegli  spiriti  rispondono  per  1*  ap- 
punto a  queUo  eh*  è  detto  fluido  da*  moderni,  ossia  a  quell*  aura 
tlettrica  o  altro  che  scorre  su  e  giù  per  i  nervi  sensori!  dal- 


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464  CC»fENTI. 

r  Oliano  al  cervello,  e  che  Alberto  Magno  dioeya  essere  p 
nerato  dalla  parte   vaporosa  più   sottile  del   nutriznento.  - 
Va  di  gonna  in  gonna,  Platone  diceva  die  il  vedere  n 
col  mandar  fuori  dagli  occhi  ;  Aristotile  col  ricevere  dea; 
agli,  occhi;   Dante   teneva   in   ciò   con   Platone.  -^  La  h>. 
non  ò  veramente  in  so,  ma  nell* occhio,  e  dal  di  fuori  ccc 
viene  altro  che  l'eccitamento   e  la  condizione,  ma  il  modo 
deir occhio;  ond'è  che  il  Pomari,  in  quei  suoi  dialoghi  mers: 
vigliosi  deir  Armonia,  vuole  che  il  calore  e  la  luce  non  sìeL 
dette  proprietà  dei  corpi  ma  nostre,  e  propone  che  si  chiì- 
mino  proprietà  fisiologiche.  Veggasi  dunque  con  quanta  veni. 
sia  detto  che  il  raggio  va  e  non  viene.   Anche  Galileo  x^ 
simile  frase,  dicendo  che  i  raggi  visuali  escono^  come  si  le^zt 
nelle  Lettere  sul  Candore  lunare,  e  ne'  Massimi  sistemi,  l 
dialogo  terzo.  Caverni,  V  Ateneo,  1874,  ii,  288. 

XXVI.  78.  — .  Piii  di  mille  milia.  —  Un  milione.  Così 
Fanfani,  seguito  poi  dal  Tiraboschi  e  da  E.  Camerini. 

XXVI.  130.  —  Opera  naturale  è  cKuom  fiiwlla.  —  Qurs 
versi,  che  debbonsi  riferira  all'uomo  lasciato  alle  sue  for: 
naturali,  furono  tolti  da  Max  Mulier  ad  epigrafe  delle  sue  ti 
ture  Sulla  Scienza  del  linguaggio,  ove  afferma  frutto  di  mec-. 
istinto  ciò  che  nella  lingua  è  materiak,  di  libero  ragìonames 
ogni  formale  varietà.  Franciosi,  Scritti  Danteschi,  82. 

XXVI.  133.  —  Pria  eh'  io  scendessi  aW  infernale  ambasr' 
I  scappellava  in  terra  il  sommo  Bene, 

Garofalo  Pasquale  Duca  di  Bonito  ,   Spiegazione  di 
luogo  oscuro  del  Paradiso  di  Dante,  Letteratura  e  Filesofi 
Opuscoli.  Napoli,  Ferrante,  1872,  127-138. 

Opinò  il  De  Cesare  che  V  Un  leggersi  dovesse  per  i'^ 
perchè  questo,  secondo  che  stima  Court  de  Geblin,  signi^ 
Elevatezza,  sublimità,  ecc. —  L' ab.  Lampredi,  appoggiatosi- 
autorità  di  un  ms.  esistente  nella  Biblioteca  Nazionale  Ji  N - 
poli ,  il  quale  ha  la  I  tra  due  punti.  .J.,  e  su  di  altri  ii  « 
asseriti ,  sostiene  doversi  la  j  stimarsi  una  iniziale  del  uoc 
Jehoav,  conchiudendo  :  «  E  quale  altra  antichissima  voce  vi  :- 
per  invocare  ed  appellare  Dio?  »  Il  Garofalo,  dimostrate  inamm'^ 
sibili  le  opinioni  del  De  Cesare  e  del  Lampredi,  modestaice-' 
si  fa  ad  esporre  la  sua.  Niuuo,  ei  dice,  vorrà  disconvenine  i 
la  lezione  Un  sia  da  rigettarsi;  si  perclie  non  indica  il  dcb.- 


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COMENTL  465 

iell* Altissimo  in  alcuna  lingua;  si  perchè  ove  si  pretendesse 
esprima  un  attributo  della  Divinità,  non  sarebbe  certamente  il 
proprio  per  indicarlo  esclusivamente  ai  Cristiani  ;  e  poi,  facendo 
Dante  parlare  Adamo ,  anco  che  ciò  avesse  voluto  dire ,  V  a- 
k-rebbe  detto  col  proprio  ebraico  nome.  Per  qual  ragione  V  a- 
vrebbe  detto  in  estranea  lingua?  Ed  altra  lingua,  oltre  Tebraica, 
esisteva  al  tempo  di  Adamo?  Perlocchè,  resta  ferma  T altra 
maniera  di  leggere  cioè  .  J .  come  la  vera  ;  ed  a  ben  riflettere, 
sì  riconosce  subito  aver  dato  a  ciò  .causa  uno  sbaglio,  nel  quale 
facilmente  incorsero  i  copisti,  i  quali  trovando  la  .  J.  cosi  scritta 
e  non  intendendone  il  significato,  crederono  indicasse  f  unità, 
e  correggendo  .al  loro  solito  questo  lu<^o,  per  renderlo  più 
chiaro  lo  guastarono,  trascrìvendo  Un  in  cambio  della  .  J.  Que- 
sta lettura  fu  poscia  seguita  in  molte  edizioni,   e  quindi  resa 
comune.  —  Ciò  posto,  la  lezione  del  Codice  Napolitano  è  pre- 
feribile ,  il  quale  ha  cosi  :   Pria  eh*  io  scendessi  air  infernale 
ambascia,  .J,  s* appellava  in  terra  il  sommo  Bene,  e  che  legger 
si  deve:  Pria  ch'io  scendessi,   air  infernale  ambascia,  Jod  si 
appellava  ifi  terra  il  sommo  Bene.  »  Invano  si  tenterebbe  spie- 
gare questo  luogo  senza  il  soccorso  della  Cabalistica.  In  questa 
scienza  occulta  l'Altissimo  avea  settantadue   nomi  digerenti, 
uuo  di  questi  era  Jod  che  i  Cabalisti  estimavano  il  primitivo, 
poiché  il  più  semplice,  ed  esprimente  le  sue  principali  essenze. . . . 
Misteriosi  ancora  sono  i  due  punti  posti  d*  ambo  i  lati  àeìYJod,  • 
Questi  dinotano  l'immensità  ed  eternità  di  Dio  presso  i  Caba- 
listi, siccome  presso  gli  antichi  Cristiani  si  usava  nelle  iscri- 
zioni per  ciò  esprimere  V  Alfa  ed  Omega,  perchè  come  Iddio  è 
il  principio  ed  il  fine  di  tutte  le  cose ,  cosi  queste  due  lettere 
sono  il  principio  ed  il  fine  del  greco  alfabeto.  Infatti,  i  Caba- 
listi esprimevano  questo  nome  dell'Altissimo  e  coUVoc2  tra  due 
punti,  0  con  tre  Jod  in  triangolo.  —  Cose  tutte  che  perfetta- 
mente si  accordano  con  la  definizione  che  dell Voc2  ci  dà  Agrìppa; 
cosicché  completa  par  che  riesca  la  spiegazione  di  questo  oscuro 
luogo  di  Dante,  tanto  guasto  da'  copisti,  che  quasi  impossibile 
sai*ebbe  riuscito  il  rintraccìamento  senza  l' aiuto  del  Codice 
Napolitano.  / 

XXVII.  115.  —  Non  è  suo  moto  per  altro  distinto;  Magli 
altri  son  misurati  da  ques0,  Sì  come  diece  da  mezzo  e  da 
quinto. 

30 

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466  COMBNTI. 

Galanti  can.  Carmine,  Brevi  osservanoni  su  i  deli  rh' 
girano  intomo  alia  terra  e  su  i  cerchi  che  girano  intorno  rJ 
punto  luminoso.  Leti,  i  su  Dante  Alighieri,  al  chiarie.  D.  Lui^ 
Benassuti.  Ripatransone,  Jaffei,  1S73. 

Il  Galanti  vuol  farci  conoscere  i  rapporti  che  passano  in 
la  velocità  del  primo  e  quella  degli  altri  cieli. 

XXVII.  136-38.  —  Così  si  fa  la  peUe  bianca  nera.  —  Rifiu- 
tata recisamente  V  interpretazione  di  B.  Bianchi,  perchè  pecc^ 
contro  la  Grammatica,  contro  la  Storia  Naturale,  e  contro  U 
Filosofìa  e  la  Teologia  insieme,  il  P.  Antonelli  cosi  coroentj  : 
€  La  superfice  (pelle)  della  Luna,  che  ci  si  mostra  bianca  geiie- 
ralmente,  e  in  particolar  modo  allorché  nel  suo  perìodico  gire 
è  più  remota  dal  sole  per  la  opposizione  con  esso,  si  fa  nt^rà 
nel  primo  aspetto,  doò  nel  Novilunio  o  nella  sua  CongionzioDc. 
quando  appunto  per  la  sua  maggiore  vicinanza  alla  sorgeste 
della  luce,  ne  attinge  in  maggior  copia,  e  quindi  più  largamenit" 
sarebbe  in  grado  di  farne  dispensa.  »  P.  Antonelli,  p.  35. 

XX VII.  142.  ^~  Ma  prima  che  gennaio  tutto  sverni^  Per  Iz 
centesma  eh*  è  iaggiii  negletta,  ^  Se  si  fosse  seguitato  a  ne^b- 
gere  la  centesima,  sulV  andare  della  riforma  giuliana,  chiede. 
Caverni ,  dopo  quanti  anni ,  incominciando  a  contar  dall*  anrà 
della  visione  dantesca  (1300)  gennaio  si  sarebbe  tutto  svernalo! 
Dal  dì  13  Marzo,  equinozio  del  1300,  (risulta  dalla  soIuzìol' 
del  problema)  all'ultimo  di  Dicembre,  computando  Gennaio  L 
31  e  Febbraio  di  29,  sono  giorni  73  ossia  minuti  105120.  ; 
quali  divisi  per  14  (la  centesima  negletta),  daranno  in  quoK 
il  numero  degli  anni,  che  negletta  la  centesima,  sarebbero  ò^- 
vuti  scorrere  perchè  Gennaio  tutto  si'  sverni.  Fatto  il  conto.  >: 
troverà  essere  oltre  a  7500  anni.  Parla  qui  Dante  per  modo  ùi 
dire,  come  noi  a  fare  intendere  che  una  cosa  non  tarderà  moUo 
a  venire,  diciamo  :  la  non  vorrà  stare  mica  cento  anni.  Si  con- 
frontino,  conchiude  il  Caverni,  questi  modi  popolari  co'  rigori 
scientifici  di  Dante,  e  vedasi  dove  la  scienza  sia  alla  poe>ii 
scatto,  dove  peso.  —  L'Ateneo,  1874,  i,  110  e  118. 

XX Vili.  81.  —  Borea  da  quella  guancia,  oncTè  più,  kno^ 
— ^Pare  al  Pelli  che  invece  di  più  leno  avesse  dovuto  dire;>ii 
fòrte,  e  tira  quella  voce  dallo  spagnuolo,  e  il  Bianchi  gli  ù  ì 
ragione.   Vuole  il  Biagioli   che  sia  detto   tale   il  vento  ibd 
effetti,  n  Caverni  illustra  questa  terzina  dalla  metereologi.i  (^  1 


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OOMENTI.  467 

qaei  tempi,  intendendo  la  voce  letto  in  senso  di  temperato  o 
men  freddo,  e  I  principali  venti  boreali,  dice  Aristotile  (Meter. 
lib.  II.),  sono  Aparetia  (N)  e  Trascia  (N.N.O.),  e  Mese  (N.N.E.). 
Fanno  impeto  questi  su  tutti  gli  altri  e  perchè,  spirandoci  più 
dappresso,  sono  e  piii  spessi  e  più  gagliardi,  fanno  tacere  gli 
filtri.  Per  questo  sono  i  più  sereni  di  tutti  i  venti,  purché  però 
non  sieno  soverchio  freddi:  allora  più  presto  che  dissipare, 
oongrelano  le  nubi.  »  Fanno  sereno  adunque  i  venti  boreali  più 
l«ni,  ossia  meno  freddi.  Ora,  seguita  Aristotile,  più  freddi  sono 
i  venti  boreali  Aparetia  e  Mese,  ossia  quelli  che  mette  Borea 
dalla  guancia  sinistra  ;  dunque  quei  della  destra  o  di  ponente 
saranno  più  leni.  E  perchè  ad  essi  dà  Aristotile  la  proprietà 
di  cacciare  le  nubi,  resta  che  per  il  vento,  che  sofSa  Borea 
dalla  guancia  più  lene,  si  debba  intendere  il  Tramontana- 
Maestro,  nel  verso  di  Dante.  Cavemi,  La  Scuola,  i,  227. 

'  XXVIII.  93.  —  Piii  che  il  doppiar  degli  scacchi  s*  immilla, 
—  Quanto  s'immilla  il  doppiar  degli  scacchi,  chiede  il  Cavemi? 
A  risolvere  questo  problema,  dovete  rammentarvi  che  un  indiano 
(raccontano)  inventore  degli  scacchi,  presentato  ch'ebbe  il  nuovo 
giuoco  al  re  di  Persia,  e  offertogli  chiedesse  a  talento,  e 
avrebbe;  chiese  im  chicco  di  grano  duplicato,  e  sempre  mol- 
tiplicato per  tante  volte  quanti  erano  gli  scacchi  nella  scac- 
chiera (Tommaseo,  Commento).  Altri  dicono  che  non  un  chicco 
solo  chiedesse  duplicato,  ma  64  (V.  il  bel  Trattatello  sul  giuoco 
degli  Scacchi  tradotto  dall'inglese  dall' ab.  Michele  Colombo, 
Milano,  Sanvito,  1857,  pag.  11-14).  —E  &tto  il  conto  dell' im- 
millarsi di  quel  numero,  tanto  nel  caso  che  si  dovesse  doppiare 
un  chicco  solo,  quanto  nell'  altro  che  se  ne  dovessero  doppiare 
64,  ottiene  —  18446744073709551615  —  Diminuite  questo  nu- 
mero di  un'  unità,  e  saprete  quanto  s' immilla  il  doppiar  degli 
scacchi  nel  primo  caso.  Moltiplicate  quel  numero  cosi  dimi- 
nuito per  64,  e  il  prodotto  suo  sarà 

1,  180,  591,  620,  717,  411,  303,  360 
MsL  più  erano  le  scintille  angeliche  del  Paradiso!  La  Scuola ^ 
1872,  a.  I,  Voi.  ir,  p.  113  e  167. 

XXVIIL  105.  —  Perché  il  primo  tsrnaro  terminonno,  — 
Pisanismo  :  Dante  lo  ebbe  ad  adoperare  nella  Commedia,  però 
ove  era  più  andante,  e  per  bisogno  della  rima.  D'  Ovidio^  Arch. 
Glot.  ir,  101. 


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468  OOBfBNTi; 

XXIX.  49-51.  —  Non  giungeriesi^  numerando^  ai  trenti  $1 
tosto,  come  degli  Angeli  parte  Turbò  il  soggetto  de* vostri 
elementi.  ^~  Altro  non  s' intende  aver  voluto  Dante  esprimere, 
se  non  che  alcuni  degli  angeli,  partitisi  dal  divino  volere,  colla 
naturale  loro  potenza  indussero  disordine  neUa  materia  degli 
elementi,  de*  (|uali  è  composta  questa  parte  a^  noi  destinata 
deir  Univei-so.  E  il  poeta  parla  qui  da  teologo ,  e  da  filosofo, 
secondo  le  dottrine  cosmologiche  degli  scolastici.  Ciò  che  qui 
Dante  chiama  il  subietto  de*  vostri  elementi  corrisponde  a  ca- 
pello a  ciò  che  Aristotile  nel  lib.  it,  cap.  1  della  generazione  e 
della  condizione  con  pai*ole  affatto  equivalenti  ipocimenen 
ilin.  —  Coir  assegnare  per  termine  air  azione  degli  spiriti  an- 
gelici ciò  che  di  primo  si  concepisce  ne'  corpi  come  corpi,  non 
si  attribuisce  ali*  Alighieri  un  pensiero  frivolo  e  da  sbertarsi. 
ma  degno  delle  più  serie  considerazioni  del  filosofo.  II  dominio 
degli  spiriti  puri  sulle  cose  materiali,  e  T  origine  di  certe  forze 
che  su  esse  si  manifestano  sono  due  grandi  misteri;  i  quali 
forse  si  compenetrano  in  uno,  e  quesfuno  è  rLserbato  di  ve- 
dere svelato,  quanto  ali*  intelligenza  nostra  è  possibile,  aUorchc 
i  metafìsici  s*  intenderanno  un  pò*  più  di  fisica ,  e  i  fisici  ài 
metafìsica,  e  tutt*e  due  di  teologia.  P.  Paganini ,  Sopra  un 
luogo  della  cantica  del  Paradiso.  L*  Istitutore ,  1861,  n.  32, 
pag.  497. 

XXIX.  115.  —  Or  si  va  con  motti  e  con  iscede.'^Iscetìc. 
cose  scipite,  e  che  direip  noi  oggi  lezii  e  svenevolezze:  e  certe 
piacevolezze  fredde  e  fastidiose,  se  piacevolezze  si  posson  chia- 
mare queste  tali,  ma  come  si  credon  coloro  eh* elle  sieno.  t' 
que*  che  i  Latini  direbbono  freddo.  Borghini. 

XXX.  88.  —  E  si  come  di  lei  bevve  la  gronda  Delle  pal- 
pebre mie,  —  Per  gronda  delle  palpebre  dee  qui  intendersi  la 
gronda  degli  occhi,  e  la  gronda  degli  occhi  sono  le  ciglia,  Je 
quali,  al  sudore  calante  giù  dalla  fronte,  fanno  ufficio  di  gronda. 
Gronda  poi  in  questo  significato  è  vivo  nell*  Aretino  con  la 
frase  :  Fare  la  gronda,  che  vale,  fare  il  broncio,  fare  il  cipiglio. 
Notisi  qui  la  proprietà  di  quel  bere  che  i  fisici  moderai  direb- 
bero  più  volentieri  assorbire.  E  i  cigli  propriamente  assorbi- 
scono la  luce,  e  ne  limano  il  soverchio  visibile.  Sorte  che  questa 
osservazione  è  sfuggita  a*  fimatici  ammiratori,  perchè  altrimenti 
non  avrebbero   lasciato  di  dire  fra  le  altre,  che  1'  Alighieri 


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GOMBNTI.  469 

prevenne  il  Newton  e  il  Melloni  nelle  dottrine  de*  colori  e  del 
calorico  raggiante.  Cavemi. 

XXXI.  7.  —  Si  come  schiera  éC api  che  s'infiora  —  S'ini- 
fìora,  cioè  entra  nei  calici  dei  fiori,  intendo  io,  e  non,  come 
Lombardi,  si  carica  del  pulviscolo  dei  fiori.  M,  Renieriy  L'A- 
patista, 1835,  n.  89. 

XXXI.  34.  —  Yeggendo  Roma  e  V  ardua  sua  opra  Stu^ 
pefacensi,  quando  Laterano  Alle  cose  mortali  andò  di  sopra. 
—  L' ardua  opra  di  Roma^  le  meravigliose  sue  febbriche ,  e 
il  Laterano  che  wi  di  sopra,  ossia  vince  le  cose  mortali,  vuol 
si^ificare  che  Roma,  designata  pel  Laterano,  famosa  parte  di 
lei  e  adoma  d' infinite  ricchezze,  vinse  sempre  in  magnificenza 
tutti  gli  edifizi  che  gli  uomini  fecero  altrove,  o  piuttosto  (e 
questo  ci  pare  più  sottile  e  più  nobil  pensiero)  che  Roma  da 
signora  del  mondo  nel  tempo,  era  fatta  capo  di  lui  nell'  eterno, 
quando  Laterano  da  palagio  imperiale  divenne  abitazione  del 
pontefice.  —  Ac.  Monti.  Dante  e  Roma,  (  Strenna  del  Giornale 
«  Arti  e  Lettere,  >  p.  7). 

XXXI.  102.  —  Io  sono  il  suo  fedel  Bernardo.  ^~  San  Ber- 
nardo una  delle  migliori  glorie  di  Francia,  anzi  di  tutta  Cri- 
stianità.,, eloquenza  potente,  armonia  di  contemplazioni  e  di 
affetto,  colui  che  pacificò  la  Cristianità,  facendo  riconoscere, 
in  virtù  d'epistole  o  di  vive  parole,  Innocenzo  II;  che  mise 
concordia  ne'  Comuni  d' Italia,  da  lui  amati  molto  ;  che  scrisse 
amorose  verità  liberissime  a  papa  Eugenio  III  ;  che  propagò  i 
chiostri  de'  Benedettini,  focolari  di  scienza  e  d' arti  belle  ;  uomo 
di  cella  e  uomo  di  conciono,  uomo  di  scienza  e  uomo  d'operfi^ 
eremita,  missionario,  parola  eccitatrice  de'  popoli  ;  il  Santo  che 
ne'  fulgori  dell*  Empireo  succede  a  Beatrice  per  guida  di  Dante 
e  intercede  a  lui  da  Maria  che  gì'  interceda  la  visione  di  Dio. 
A.  Conti,  Storia  della  Filosofia  ii,  Lez.  v,  p.  107, 

XXXn.  85-87.  —  Riguarda  ornai  nella  faccia  che  a  Cristo. 
Più  s*  assomiglia. ., .  —  Concetto  di  perfetta  bellezza  e  verità, 
che  più  d' una  volta  fa  desiderar  di  vedere  in  tele  ed  in  marmi 
qualche  maggior  rispondenza  tra  le  umane  sembianze  del  divin 
Redentore  e  quella  della  Vergine  Maria.  Perez,  42. 

XXXIII.  22.  —  Or  questi  che  dalT  infima  lacuna.  —  Il 
Monti  Prop.  voi.  3,  p.  1,  fase.  9  garrisce  alla  Crusca,  perchè  per 
lacuna  abbia  inteso  concavità,  e  vuole  per  lacuna  che  s^ntenda 


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470  COMENT!. 

la  gran  lacuna  di  ghiaccio  ove  sta  immerso  Lucifero.  A  me 
però  sembra  che  la  Crusca  interpreti  qui  bene  hcuna  per  Tuoto, 
concavità  e  che  per  lacuna  qui  si  debba  intendere  il  gran  Tuoto 
dell'  Inferno.  Giacchò  a  intenderla  come  vuole  il  Monti,  S.  Ber 
nardo  verrebbe  a  dire  che  Dante  vide  le  vite  spiritali  oomin- 
ciando  dall'ultimo  girone  dell'Inferno,  e  quindi  esduderebbe 
tutti  gli  altri  gironi  posti  fra  la  porta  dell^  Inferno  e  quello. 
M.  Reniéri,  L'A^Mtista,  1824,  n.  39. 

XXXIII.  48.  —  Uardor  del  desiderio  in  me  finii.  — Finii 
sta  qui  per  compiei,  e  vale:  portai  all'  ultimo  compimeDto,*allV 
stremo  suo  termine;  cioò:  l'ardore  del  desiderio  giunse  in  mt 
al  massimo  grado,  a  cui  potesse  arrivare.  Ed  ò  ciò  secondo 
natura;  perciocché  l'avvicinarsi  di  un  oggetto  desiderato  non 
acqueta  o  consuma  la  brama,  sì  la  rende  più  viva  ed  ardente. 
I  terzetti,  che  seguono,  lo  dimostrano  chiaramente.  TodeschinL 

XXXIII.  54.  —  L*  alta  lucey  che  da  sé  è  vera,  —  Cioè  che 
non  è  vera  a  quel  modo  che  son  vere  le  altre  cose,  dette  cer- 
perchè  partecipano  della  verità;  ma  vera  per  essenza,  ami 
verità  assoluta  e  sussistente,  esemplare  supremo  e  unico,  cbs 
di  sé  &  partecipi  tutte  le  cose  vere.  E  questo  concetto  steesv 
facea  creare  all'  Alighieri  il  verbo  inverarsiy  doò  farsi  partecipe 
del  vero,  accostarsi  alla  prima  Verità  coli'  intelletto  e  con  tu:t. 
sé  stesso,  e  quindi  prender  dell'  Essere  quanto  ò  più  possìbD.. 
toccar  la  pecfezione  possibile  alla  creatura.  Quindi  de'sc<^. 
cerchi  lucenti,  simbolo  delle  nove  gerarchie  angeliche,  volgo- 
tisi  intorno  al  punto  di  luce  ineffabile  che  simboleggia  Di- 
stesso,  il  Poeta  segna  il  più  rapido,  il  più  vicino  e  perfetta, 
quello  de'  Serafini,  con  questi  versi: 

E  quello  avea  la  fiamma  più  sincera, 
Cui  men  distava  la  favilla  pura; 
Credo,  però  che  più  di  lei  s'invera. 

Par.  xxviii,  37-39.  —  Peres,  272. 

XXXIII.  64.  —  Cosi  la  neve  al  sol  si  dissigilla.  —  Noe 
strano,  come  parve  a  qualcuno,  il  dissigillarsi  della  neve  i 
sole,  se  tu  pensi  che  le  forme  cristalline  di  lei  sembrano  (x'd 
da  sigillo  esservi  impresse.  Camillo  (R.  Caverai) ,  La  Scuoì^ 
1873,  n,  205. 


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I 


471 


TRADUTTORI. 
I.  —  TRADUZIONI  IN  DIALETTO 

(V.  Muli.  Dani.  11,  «8:  IV.  428). 

» 

Calabrese.  —  Gallo  Vincenzo,  di  Rogliano,  calabrese,  Il 
e.  m  deit  Inferno.  Nel  Pitagora,  1846.  —  Neil'  Unità  della  Lin- 
gua, Firenze  15  Luglio,  1873,  n.  14. 

Vicenzo  Gallo,  nato  di  bassa  condizione,  fu  prima  artigiano, 
poi  custode  di  carcere,  infine  maestro  elementare  nella  sua 
patria.  Benché  di  pochissime  lettere,  e  il  suo  ikigegno  fosse 
incolto,  nondimeno  il  suo  animo  fu  veramente  dotato  dell'estro 
poetico,  e  però  a  forza  di  perseveranti  letture  giunse  a  tanto 
di  gustare  le  b^lezze  de'  nostri  più  grandi  scrittori  e  scrivere 
graziose  e  facili  composizioni  poetiche.  Si  provò  a  voltare  in 
calabrese  il  ni  canto  dell'  Inferao  :  il  saggio  piacque,  e  n'  ebbe 
incoraggiamenti.  Ma  se  egli  continuasse  la  versione,  o  a  che 
punto  la  lasciasse,  (quando  morì,  ignorasi.  Si  ha  però  la  notizia  * 
di  un  altro  canto  tradotto.  Fanfani. 

Gallucci  Luigi,  da  Cosenza,  Calabria  Citeriore,  //  e.  xxxni 
delt  Inferno. 

Il  Gallucci  fu  medico,  poeta  nel  dialetto  natio,  ma  non  di 
rado  i  suoi  versi  eran  bersi,  come  diceva  il  Baretti.  Volle 
tradurre  il  e.  xxxin  della  Commedia,  guardate  a  che  bega  volle 
mettersi,  ma  quando  lo  pose  al  palio,  dice  che  gl'intendenti 
sentenziassero  se  Dante  avrebbe  potuto  dirgli  :  perché  cosi  mi 
scerpi?  Fanfani,  L' Unità  della  Lingua,  1873,  p.  219. 

LiMARZi  Francozsoo,  Il  Paradiso  di  Dante  Alighieri,  Ver- 
sione in  dialetto  calabrese  e  cemento.  Castellamare,  Tip.  Sta- 
biana,  1874. 

Fatica  lodevole,  in  quanto  possa  recare  al  popolo  calabrese 
una  notizia  generale  e  quasi  ^migliare  del  massimo  de'  nostri 
poemi,  opera  considerevole  per  la  ricchezza  di  vivaci  vocaboli 
calabresi  che  ci  mette  sotto  occhio  l' egregio  traduttore ,  pa- 
recchi de'  quali  meriteranno  di  passar  nella  lingua  nazionale. 


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472  TRADUZIONI  IN  DIALETTO. 

S*  aggiunga  che  in  alcuni  casi ,  la  buona  traduzione  diviene 
commento  quasi  domestico  ;  ma  diciamo  soltanto  in  alcuni . 
perchè  in  parecchi  altri,  il  signor  Limarzi,  per  rendere  Dante 
popolare,  ha  sciupato  interamente  il  carattere  del  divino  poema. 
V.  Rivista  Europea,  Maggio  1875,  p.  670. 

Mapolltano.  —  Jaccarino  Domenico,  Il  Dante  popolare  e  la 
Divina  Commedia  in  Dialetto  Napolitano  ('Nfi^mo),  li*  Ediz. 
Napoli,  1872,  cui  vanno  uniti  —  Giudizii,  esami  crìtici,  pole- 
miche, ecc. 

//  Dante  popolare  o  la  Divina  Commedia  in  DicUetfo 

Napolitano  col  testo  italiano  a  fronte  e  con  note,  allegorie  e 
dichiarazioni  scritte  dallo  stesso  traduttore  in  italiano  e  napo- 
litanoy  III  edizione  illustrata  da  fotografie,  tratte  da  incisioni 
del  XV  secolo.  Napoli,  De  Angelis,  1876. 

Di  questa  versione  ò  già  in  corso  di  stampa  la  terza  edi- 
zione,  prova  della  bontà  del  lavoro.  Diffatti  per  essa  TAutore 
ebbe  onorificenze  ed  articoli  laudativi  a  iosa,  che,  riprodotti, 
tapezzano  le  coperte  dei  fascicoli.  La  nuova  edizione  si  avvan- 
taggia suir  altre  e  per  bellezza  de*  tipi,  e  per  le  note  illustrative 
si  in  italiano  che  in  dialetto,  e  per  le  fotografìe  tratte  da 
incisioni  del  secolo  XV.  —  Il  comend.  prof.  Jaccarino  fondò  pm* 
una  Scuola  Dantesca,  nell'  intento  di  propagarne  il  culto  e  di 
raccogliere  in  un  sodalizio  quanti  più  può  ammiratori  del  Poeta 
della  nazione. 

Siciliano.  —  Salomone  Marino  Salvatore,  Saggio  di  una 
versione  della  Divina  Commedia  nelC  idioma  Siciliano.  Preghiera 
di  S.  Bernardo,  Par.  xxxm.  Di  alcuni  luoghi  difficili  e  contro- 
versi, Palermo,  Tip.  del  Gior.  di  Sicilia,  1873,  p.  43. 

Veneslano.  —  Cappelli  G.  di  Padova,  Saggio  di  tradu^ 
zione  della  Divina  Commedia  in  dialetto  Veneziano.  Venezia, 
Merlo,  1873. 

(  L*  Episodio  di  Francesca  di  Rimini  ;  L' ingresso  del  poeta 
nel  Paradiso  terrestre;  il  suo  incontro  con  Matelda;  e  un  brano 
della  Cantica  del  Paradiso ,  e  precisamente  del  e.  v,  là  dove 
Beatrice  scioglie  la  questione  del  voto). 

La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri,  tradotta  in 

versi  veneziani  e  annotata.  Padova,  Tip.  del  Seminario,  1875. 

La  traduzione  della  Divina  Commedia  in  dialetto  veoeziano. 
fatta  dal  signor  Cappelli,  scrìve  il  Fanfani,  pare  anche  a  me 

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TRADUZIONI  IN  DIALETTO.  473 

xnolto  bella,  abbenchò  a  me  non  paia  che  il  sacro  poema  sia 
troppo  agconcio  a  ridursi  in  dialetto.  Come  noi  riputiamo  tutti 
i  dialetti,  tanti  vernacoli  adatti  solo  a  trattare  argomenti  fami- 
liari, e  non  mai  materie  gravi  e  solenni,  così  non  saremo  di- 
sposti a  credere  che  si  possa  acconciamente,  o  senza  derogare 
alla  solennità  e  gravità,  tradurre  in  dialetto  né  orazioni  civili 
né  scritture  nobilissime,  nò  poemi  eroici,  e  molto  meno  la  Di- 
vina Commedia.  Riputiamo  per  altro  cosa  utile  anche  le  tra- 
duzioni in  dialetto  di  poemi  siffatti ,  ed  anche  della  Divina 
Commedia,  quando  il  fine  di  essa  sia  quello  solamente  col  quale 
lia  condotto  la  sua  traduzione  il  Cappelli.  Fanfani,  L'Unità 
della  Lingua,  1873.  —  E  il  15  Febbraio  1875:  «  Ora  che 
questo  ponderoso  lavoro  è  condotto  a  fine  e  stampato,  non 
posso  fare  che  non  lo  annunzii  ai  lettori  del  Borghini,  e  lo 
raccomandi  efiBicacemente.  È  opera  degna  d'ogni  encomio,  nò 
ci  può  essere  studioso  che  non  pregi  l'ingegno  e  il  lavoro 
del  bravo  Cappelli.  »  —  <  Il  verso  del  Sig.  Cappelli  ha  molta 
spontaneità  ed  è  spesso  pieno  di  grazia,  ma  non  sempre  tra- 
duce  fedelmente  il  verso  dantesco.  Certe  difficoltà,  per  quanto 
sia  forte  il  traduttore,  sono  invincibili.  ...  Ed  egli  con  molta 
disinvoltura  le  salta  di  piò  pari,  dandoci  in  cambio  un  suo 
pensiero,  un  tratto  di  penna  che  s' avvicina  beasi  a  quello  del- 
r originale,  ma  non  ò  più  quello....  Le  annotazioni  poi  onde 
r  autore  voUe  fregiare  la  sua  traduzione,  quantunque  brevi,  sono 
molto  adatte.  »  —  B.  Ferro,  Giom.  della  Prov.  di  Vicenza,  22 
Aprile,  1876,  n.  49. 

¥«roBes«.  —  A.  G.  P.  (Gaspari  Antonio),  Il  Canto  xxxiii, 
delC Inferno  tradotto  in  dialetto  veronese^  col  testo  a  fronte. 
Verona,  1873. 

II.  —  TRADUZIONI  LATINE 

(V.  Man.  Dani.  77,  498;  IV,  4M), 

M.  A.  C.  (ìiaXté  J.  B,  ArcMp,  CastrimonUs) ,  Dantis  Ali" 
ghiera  Cantica  de  Inferis,  laUnis  versibus.  Eporediae,  ex  tvp. 
Seminarii,  1873.  —  In  occasione  del  Giubileo  sacerdotale  di 
M.*"  Luigi  Moreno,  Vescovo  d* Ivrea,  celebrato  il  dì  8  Giugno 
1873. 


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474  TRADUZIONI  LATINE. 

Matte  J.  B.,  Dantis  AUghierii  Cantica  de  Inferis,  lathm 
versibus,  Edilio  attera  castigatior,  Eporediae,  1874. 

Purgaiorium,  Bporediae,  1874. 

//  e.  I  delC  Inferno  messo  a  riscontro  con  queìio  tra- 
dotto dal  doU,  Miglio.  Il  Baretti,  1873,  n.  38,  p.  2d8. 

NU  praestare  magOi  in  Utiam  qium  rertera  caram 

Ipse  reor;  duplex  bine  veait  atilitas; 
Sic  studiuin  excitur  serroonis  namque  latini, 

Et  simul  Hetruscus  discitur  intimias. 
Non  polis  eat  Dantia  latte  tradncere  verba 

Ante  horum  aenaum  quam  bene  percipiaa. 
Inauper  externia  aie  notum  reddimua  illum, 

Quo8  penea  ooUtur  lingua  latina  magia. 
Hoc  tentabo:  mela  quamvia  ait  viribus  impar, 

Attainen  in  caaaum  non  erit  late  labor 

La  Tersìone  dell*arcip.  cav.  Matte,  a  mio  arnao,  non  è 
punto  inferiore  a  yerun* altra  delle  latine,  vuoi  per  fedeltà, 
vuoi  per  eleganza,  e  più  die  altro  per  lo  spirito  serbato  del- 
r  originale.  Ben  fece  il  prof.  Peroaino  noiettere  a  rincontro  il 
1  canto  della  versione  del  Mattò  a  quella  del  doti.  MigfUo,  affin- 
chè del  merito  rispettivo  fossero  giudici  i  lettori.  Ed  io  pure 
volli  fame  il  raffronto  con  parecchie  altre  latine,  e  con  molto 
piacere,  perchè  mi  raffermai  ancor  più  nel  mio  primiero  gia- 
dizio.  ^  Della  spontaneità,  direi  prodigiosa  del  Matte,  abbiamo 
luminose  prove  ne'  tanti  sperimenti  di  versione  che  tutto  di  ci 
vien  donando,  nel  Baretti  segnatamente.  Egli  ha  pur  voltato 
in  carmi  elegiaci  l'Iliade  ed  il  Canzoniere  di  Fr.  Petrarca, 
inediti  tuttavia.  —  La  stampa  della  versione  del  Paradiso  è  già 
compiuta,  e  quanto  prima  verrà  pubblicata. 

Martinelli  Jos.  Pascalis,  Dantis  AUgherU  Divina  Coni- 
moedia  laUnis  versibus  reddita.  Anconae,  Balnffi,  1874.  —  N. 
a  Camerano  d'Ancona  il  20  Aprile  1793,  vi  mori  il  9  Luglio 
1875. 

€  Io  ho  letto,  così  il  valentiss.  traduttore  di  Dante,  Are.  Matte, 
tutte  le  opere  già  stampate,  (del  Martinelli)  in  cui  spicca  tutta 
la  bellezza,  l'eleganza  e  la  naturalezza  dei  classici  latini,  e  mas- 
simamente di  Virgilio,  le  cui  frasi  occorrono  quasi  per  ogni  verso. 
Egli  prese  in  gran  parte  a  rifare  le  traduzioni  di  altri,  e  li 
ha  superati  di  gran  lunga  nell*  esattezza,  nella  precisione  e  nella 


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TRADUZIONI  LATINE.  475 

forbitezza  dello  stile  classici).  Per  esempio,  nella  traduzione 
dell'Iliade  e  dell* Odissea  ha  rifatto  e  superato  di  gran  lunga 
il  Cunicchio  ed  il  Zamagna  (1).  Nella  Messiade,  ha  imitato  ed 
emulato  la  Cristiade  del  Vida;  nei  Salmi  e  negli  altri  libri 
scritturali,  il  Lirano  ed  altri,  aggiungendovi  nuove  bellezze. 
U  InsHlutiones  Juris  civiUs  ò  fatta  ad  imitazione  di  Lucrezio, 
e  ne  ha  lo  stile.  Il  De  Sacrameniis  ò  opera  affatto  originale, 
tutto  spira  grazia  e  semplicità  che  rapisce,  ed  io  la  chiamerei 
la  Georgica  Cristiana,  »  —  Ad  ottanta  anni,  ei  mise  mano  alla 
versione  della  Divina  Commedia,  e,  in  men  d*un  anno,  cosa 
pressoochè  incredibile,  la  condusse  a  compimento,  e  felicemente. 

In  nameros  Dantis  Comoedia  versa  lat'mos! 

Oh  lepidam,  dices,  lector,  amice,  caput  ! 
Tune  id  vis  faoere,  a  quo  Dantes  ipse  recessit, 

Qui  prìus  est  latiis  versibus  orsus  opus  ? . . . 
Italico  acrìpsit  Dantes,  ut  tempore  iniquo 

FlagiUa  ac  mores  carperet  Italiae  ; 
Non  tantum  Italiae,  toti  nos  scribimus  orbi, 

Ut  Vatis  tanti  tot  decora  alta  sciat; 
Et,  quod  lingua  nequit  gentilis  tradere,  tradat 

Doctorum  sermo  quae  sibi  nomen  habet. . . . 

Sacchi  Giusbppe,  di  Guastalla,  Versione  del  e.  v,  v.  70-142. 
—  Par,  XVI,  85-123.  —  Purg.  viir,  1-6;  Purg.  xxvii,  1-80.  — 
Scarabelli,  Il  Codice  Lambertino,  Voi.  m,  Bologna,  Tip.  R. 
1873,  p.  xn-xxvii. 

I  Signori  professori  napolitani  Antonio  Mirabelli  e  Giulio 
Minervini,  latinisti  valentissimi,  a'  quali  fu  sottoposto  il  giudizio 
di  questa  versione,  ebbero  a  notarvi  una  grande  cognizione 
dei  due  idiomi,  notabile  bravura  ed  eleganza  nel  verseggiare 
latino,  un'attenta  cura  di  colpire  i  concetti  del  grande  italiano 
e  di  esprimerli  colia  maggior  chiarezza.  Il  Sacchi  ha  dottrina, 
perizia  del  metro,  assidua  e  diligente  pazienza.  Certo  qualche 
luogo  vi  ha  meritevole  di  lima,  e  che  lo  scrittore  avrebbe  cer^ 
tamente  emendato  se  non  fosse  stato  prevenuto  dalla  morte, 
ma  anche  nel  modo  con  cui  si  trova  il  ms.  è  degnissimo  di 


(i)  Al  Montanari  era  d'avviso  dì  leggere  nella  versione  del  Martinelli, 
Omero  in  Omero.  —  Traalató  parimenti  m  esametri  latini  i  Profeti,  1  Salmi, 
1  Cantici,  il  libro  di  Giobbe,  r  Apocalisse,  lasciando  inedite  la  Sapienza,  i 
libri  di  Ruth,  di  Ester,  di  Tobia  e  più  altri. 


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476  TRADUZIONI  LATINE. 

considerazione.  Ed  ove  si  consideri  che  una  nuova  versione. 
aegnatamente  in  latino,  del  gran  poema,  equivale  ad  un  per- 
petuo co  mento,  ei  non  v*à  dubbio  che  la  pubblicazione  torne- 
rebbe di  grande  utilità  agli  studiosi  deir  Alighieri ,  di  gloria 
air  autore,  e  di  novello  decoro  di  Italia.  —  Ed  il  prof.  Luciano 
Scarabelli,  che  pur  Tebbe  tra  le  mani  non  si  peritò  di  sen- 
tenziare ,  <  che  questa  Versione ,  oltre  V  eleganza ,  porta  seco 
anche  una  certa  maestà  continua  di  dire  che  non  s' incontra 
neir  altre,  di  cui  abbiamo  saggi  dal  Tommaseo  e  dal  Witte,  o 
intero  il  lavoro,  sia  pure  il  Piazza  o  T  Aquino.  Ha  poi  nel 
Purgatorio  e  nell'  Inferno  una  singolare,  e  sto  per  dire,  prodi- 
giosa economia  di  parole  tanto  da  guadagnare  1365  versi  sui 
«  trentaquattro  Canti  di  questo,  e  296  sui  primi  dieci  di  quello, 
senza  che  il  pensiero  dell'  Autore  sia  monco  o  tradito.  Ciò  ri- 
vela una  felice  baldanza  di  esibitore  maestro  di  due  metodi 
diversi;  de' quali  Tuno  è  il  comune,  pedissequo  alle  orme  del 
poeta;  T altro  di  darci  i  pensieri  di  quello,  e  lasciar  credere 
allo  studioso  di  leggere  Dante  quale  avrebbe  scritto  latino,  se 
Dante  il  bel  latino  del  Sacchi  avesse  avuto.  » 

I  primi  Canti  del  Purgatorio  di  Dante  recati  in  esametri 
latini.  Estratti  dai  Tomi  xi  e  xii  della  Serie  IIP  degli  Opuscoli 
Religiosi  Letterari  e  Morali  di  Modena.  Società  Tipografica, 
1875. 

I,  II,  m,  VI,  VII,  vili,  Dantis  AUgherii  Carm,  De  Igne  Pia- 
culari,  Versio  Eugenii  Bononcini,  Mutinensis  adolescentis  an- 
nos  nati  XJV,^'  Qtiai*ti  et  Quinti  Carminis  Versio  pRANCisa 
Ghibellini,  Mutinensis  (Panilo),  Adolescentis  annos  nati  XV. 

Della  versione  del  Bononcini  scriveva  Marcant.  Parenti  al 
Gesuita  F.  M.  che  gli  fu  maestro:  «  Per  quanto  mi  abbiate 
assicurato  che  in  questo  lavoro  non  vi  è  stata  per  nulla  la 
vostra  mano,  io  non  mi  sono  potuto  persuadere,  che  fosse  opera 
tutta  di  Bononcini.  Perciò,  vi  confesso,  ho  cercato  nella  librerìa 
estense  quanti  mai  sapea,  che  o  in  tutto,  o  in  parte  avesser 
tradotto  Dante,  e  nulla  ho  veduto,  che  potesse  stare  a  fronte 
di  questo  ragazzo.  Egli  non  isfugge  le  difficoltà  colla  circolo- 
cuzione, come  fanno  gli  altri  ;  ma  la  investe,  e  la  supera  cosi 
bene,  che  talora  in  un  solo  esametro  comprende  un  terzetto 
deir  autore,  senza  che  ne  scemi  punto  di  forza  e  di  chiarezza. 
A  me  questo  lavoro  sa  di  prodigioso.  >  Anche  il  Veratti,  che 


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TRADUZIONI  LATINE.  477 

si  trovò  presente  alla  lettura  che  ne  fecero  i  due  giovani  autori^ 
scrive  di  averne  conservato  sempre  grata  e  viva  memoria.  — 
11  Bononcini,  nel  1844,  vesti  a  Roma  T  abito  della  Compagnia 
dì  Gesù  :  nel  noviziato  apparve  affetto  di  tisi  ;  rimandato  all'aria 
nativa,  giunto  a  Forlì,  non  potè  proseguire  il  viaggio  ;  vi  mori 
a  soli  18  anni.  Anche  il  Ghibellini  mod  giovanissimo,  ne*  suoi 
17  anni. 

Dolci  Francesco,  prof,  del  gin.  di  Bergamo,  Saggio  di  tra- 
duzioni poetiche  latine  di  alcuni  tratti  della  Divina  Commedia^ 
pubblicato  in  occasione  della  festa  centenaria  di  Dante.  Ber- 
gamo, Cresci  ni,  1865. 

1  brani  tradotti  sono  i  seguenti:  C.  i  dell'  Inferno.  —  Fran- 
cesca da  Rimini ,  dal  v.  70  del  e.  v  al  fine.  —  Il  co.  Ugolino , 
dal  principio  del  e.  xxxiii  al  v.  71.  —  Bordello,  dal  v.  25  del 
e.  VI  del  Purgatorio  al  fine. 

Miglio  Giovanni,  di  Pizzighettone,  già  medico-condotto  in 
Covo,  La  Divina  Commedia  interpretata  e  tradotta  in  versi 
esametri  latini.  Il  i  Canto  deW  Inferno,  Saggio.  Crema,  Cam- 
panini, 1867. 

//  canto  i  deW  Inferno  messo  a  confronto  con  quello 

tradotto  dalV  Arcip.  Matte.  Il  Baretti,  1873,  n.  78,  p.  298. 

Simone  Francesco,  prof  emerito  nel  vescovile  Seminario  di 
Albenga,  DelC  Inferno  e.  ii  (in  carme  elegiaco).  Albenga,  Cra- 
viotto,  1872.  —  Deir  Inferno  e.  xxxiii.  —  Albenga,  Craviotto, 
1872. 

Galanti  Carmelus,  Inf  xxvi,  118-121  ;  Purg.  xi,  100-103; 
Par.  i.  39;  Par.  xxxiii,  115-120;  Ripatransonis,  Jaffei,  1874. 
—  Purg.  iir,  34-39;  Par.  v,  73-78;  Par.  xix,  106-38.  Ripa- 
transonis, Jaflei,  1875. 

Perosino  Gian  Severino,  Traduzione  latina  dei  trecento 
Temi  Italiani.  —  Dantis  Purgatorii,  L,  v  ;  (jusdem,  L.  vi  ;  Co* 
mes  Ugolinus.  Torino,  Tarizzo,  1873,  p.  144-152. 

Petricctoli  Giuseppe,  di  Spezia,  Capitano  dei  Bersaglieri, 
Episodio  di  Ugolino,  traduzione  verso  per  verso  in  esametri 
latini.  Nel  Miglioramento  di  Eboli,  10  Die.  1872;  nel  Baretti, 
1875,  p.  395;  e  ne*  suoi  Carmi  latini.  Parma,  Adomi,  1875. 

Mazzoleni  Severo,  Saggio  di  traduzioni  poetiche  latine 
di  alcuni  tratti  della  Divina  Commedia,  Camerino,  Savini, 
1876. 


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478 


III.  —  TRADUZIONI  FRANCESI 

CV'  M9m.  Aurf.  n,  90è;  tV,  tf»> 

Fiorentino  Pier  Angelo,  La  Divine  Comédie  de  Ikinie  AU- 
ghieri,  m  edit.  Paris,  Hachette,   1872,    18.**  cvii,  478. 

U  Enfer  de  Dante  Alighieri^  atee  le  dessins  de  Gu- 
stave Dorè,  ecc.  5  Tirage,  Paris,  Hachette,  1872. 

La  Divine  Comédie,  accompagnée  de  notes,  10*  edit  pag. 
cviii,  478,  Paris,  Lahure,  1874. 

Pier  Angelo  Fiorentino,  scrittore  vivace  e  brioso,  critico 
sapiente,  incisivo  fra  quanti  mai  ve  ne  furono.  Nacque  in  Na- 
poli nel  1809.  Fu  giornalista  da  prima  in  patria,  poi  a  Torìuo. 
Nel  1835  recatosi  a  Parigi,  vi  campò  dando  lezioni  di  lingua 
italiana.  Chiamato  nel  1846  a  far  parte  del  CorscUre,  si  fectì 
distinguere  per  il  suo  spirito  mordace  e  la  sua  critica  piccante. 
Tre  anni  dopo  divenne  scrittore  politico,  entrò  al  Costituitone^, 
e  vi  sali  in  gran  grido.  Quantunque  italiano,  era  de*  pili  eleganti 
scrittori  francesi  :  il  suo  stile  leggero  e  fascinante  avea  tutta  la 
grazia  de*  migliori  prosatori  di  quel  paese  :  al  loro  attico  ag- 
giungeva la  forza,  T energia  e  la  chiarezza  che  teneva  dalla 
patria  italiana.  Lasciò  un  capitale  di  800  mila  h're  a'  figli  che 
avea  avuto  da  un* attrice  del  teatro  della  Porta  S.Martin,  la 
Signora  Nely.  —  La  sua  versione  della  Divina  Comedia  viene 
tenuta  la  prima  tra  le  francesi.  Onde  avvenne  che  le  magni- 
fiche illustrazioni  del  Dorò  non  si  credessero  meglio  accompa- 
gnate che  alla  versione  del  nostro  italiano.  (V.  Man.  Dani,  n, 
513). 

Ratisbonne  Louis,  La  Divine  Comédie  di  Dante^  traduite 
en  vers,  tercet  par  tercet,  avec  le  texte  en  regard,  IV  Bdition. 
revue  et  ameliorée.  Paris,  Lévy  frères,  1870  (Bibliothèqne  Con- 
temporaine).  V.  Man.  Dani,  ii,  520. 

OzANAM  A.  F.,  Le  Ptirgaioire  de  Dante,  TraducHon  M 
Commentaire  avec  texte  en  regard,  Paris,  Lecoffire,  1874  (Oeu- 
vres  complètes,  T."  ix). 

Della  Versione  deli'  Ozanam,  vedi  il  bellissimo  aiiicolo  del 
prof.  Mussafia  inserito  nella  Gazzetta  Uffic.  di  Vienna  del  2 
Agosto  1862  (V.  Man,  Dgnt,  ii,  523). 


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TRADUZIONI  FRANOBST.  479 

Db  Monois  J.  A.,  La  Divine  Comédie  de  Dante  Alighieri, 
^nfer,  Purgatoire^  Paradis,  III  Édition,  irèssoigneusement 
-evue  eicorrigée.  Paris,  Delagrave,  1875.  (V.  Man.  Dant.  ii,  512). 

JuBBBT  Amédée,  L'  Enfer  de  Dante  Iraduit  en  vers  frangais. 
i*ari3,  Berger-Levrault,  1874. 

Casati  Charles  ,  Fragments  d*  une  ancienne  traductìon 
'rangaise  de  Dante.  Bibliothèque  de  V  Ecole  dea  Chartes  :  Re- 
me d'Erudit.  Serie  VI  (Marzo  ed  Aprile),  Paris,  Frank,  1865, 

Traductìon  en  vers^  inèdite,  de  la  Divine  Comédie  de  Dante, 
Taprès  un  manuscrit  du  XY^  siécle,  de  la  BibUothèque  de 
"  Unioersité  de  Turin  par  M.  Charles  Casati,  Juge  au  Tri^ 
bunal  civil  de  Lille,  et  Memore  Utulaire  de  la  Società  des 
ìciences  de  Lille  (Extrait  des  Mémoires  de  la  Société  des  Scien- 
ces, de  r  Agriculture  et  des  Arts,  de  Lille,  année  1872,  3®  Sèrie, 
K  Tolume).  Lille,  Danel,  1873. 

La  traduction  de  la  Dirine  Comédie,  cosi  il  Casati,*  dont  je 
rais  donner  des  extraits,  est  inèdite,  et  e*  est  la  plus  ancienne 
ies  ti'aductions  frangaises  de  Dante.  —  Diffórents  indices  pour- 
raient  faire  attribuer  ce  travail  à  Christine  de  Pisan  ;  mais  pour 
§mettre  cette  opinion  d*une  manière  positive,  il  faudrait  des 
preuves  que  je  n'  ai  pas  et  que  j' aurai,  je  crois,  de  la  peine  à 
noe  procurer.  Cette  traduction  a  le  rare  mérite  de  reproduire 
le  texte  de  Dante  avec  plus  de  fidólité  qu'aucune  autre;  elle 
suit  r  originai  mot  à  mot,  et  reproduit  méme  Ies  paroles  ita- 
liennes  avec  le  facilité  que  lui  donne  la  langue  du  temps.  Ce 
langage,  persque  contemporain  de  Toriginal,  en  rend  bien  mieux 
que  la  langue  moderne  la  forme  et  la  couleur.  —  Pour  bien 
apprécier  cette  traduction,  il  faut  la  suivre  vers  par  vei*s  sur 
le  texte  de  Dante  et  piacer  Ies  vers  italiens  en  regard  des  vers 
frangais.  —  La  plus  ancienne  traduction  de  Dante,  jusqu'  ici  con- 
bue,  est  celle  de  Grangier  ;  elle  remonte  aux  dernières  années 
du  XVI  siècle  (1597),  et,  à  mon  avis,  elle  est  inférieure  à  celle 
dont  je  publie  des  fragments.  Le  fran^is  de  cetts  epoque  n*  a 
déjà  plus  còtte  tournure  ferme,  concise,  un  peu  latine  du  vieux 
fpanyais,  qui  s'adapte  très-bien  à  Titalien  archaique  de  Dante. 
—  J' ai  déjà  fait  connaitre  cette  ancienne  traduction  par  de 
courts  fragments  insérés  dans  la  Bibliothèque  de  TÉcole  des 
Chartes  (V.  EncicL  iv,  p.  434);  je  publie  aujourd*hui  le  deuxiòme 
et  le  quatrième  chant  de  T  Enfer. 


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480  TiUDUZio?n  francesi. 

TopiN  HiPPOLYTE,  Fables  de  dìvers  Auteurs  Espa^nols  d 
liaUens  traduites  pour  la  prètniere  fbis  en  vers  franfois,  sui- 
vies  d*un  choix  de  fables  en  prose,  et  du  4.*,  6.*  ?.•  31.'  32." 
33.*  34.*  chants  de  f  Enfer  de  Dante  el  du  6.®  du  Purgaioirt. 
Livorno,  Vigo,  1872. 

Alby  René,  /  primi  cinque  canti  delC  Infeì-no  con  intrt> 
dusione  e  note,  Neil'  appendice  del  Giornale  di  Nizza  La  terrti 
promessa  j  1858. 

L'Enfer,  Poéme  de  Dante  Alighieri,  TraducUon  en 

vers  frangais,  avec  une  introduciion  et  des  notes  à  c?ìaqvx 
chant,  Chant  v.  Turin,  impr.  de  T  Union  typographique  —  editr. 
1873  (Ne  se  vend  pas). 

Chant  IV.  Turin,  id.  1874. 

Chants  i,  ii,  et  ni.  Id.  1874. 

Chant  VI.  Milan,  Guigoni,  1874. 

<  Parrai  les  nombreux  défauts  de  notre  version,  un  di-s 
plus  saillants  est  de  n*  avoir  pas  respecté  1*  admirable  uuitè  d^ 
forme  du  texte.  Placés  dans  l'alternative  de  violer  la  symétn^ 
du  rythme  ou  le  mouvement  de  la  phraae  dantesque,  nous  avons 
opté  pour  le  premier  des  ces  inconvénients,  qui  nous  sembJt' 
le  moiudre.  Voilà  pourquoi  nous  nous  sommea  servis  tanu'»t 
des  rimes  platea,  tantòt  du  tercet,  ou  plutòt  du  sixaiu.  Parfoi' 
nous  nous  sommea  mème  permis  de  croiser  in'égulièremeD: 
les  rimes ,  mais  e'  est  seulement  pour  un  assez  petit  nombre 
de  passages.  —  A  chaque  chant  nous  avons  joint  les  éclair- 
cissements  les  plus  indispensables ,  afin  d'épargner  au  leotur 
la  peine  de  les  chereber  aìUeurs.  Il  ne  pouvait  nous  veuir  i 
r  esprit  de  donner  un  commentaire  compiei.  Ce  travail  aurait 
trop  dopasse  nos  forces.  Parmi  les  annotations,  les  unes  ré- 
sument  celles  qui  se  trouvent  dais  les  éditions  les  plus  estimée?, 
les  autres  nous  appartiennent ,  eu  tout  ou  en  partie.  Nous 
avons  essayó  d'expliquer,  dans  ces  dernières,  des  toots,  dt?s 
phrases,  des  sttuations,  qui  n'avaient  encore  soulevé  aucuiie 
discussion,  ou  dont  le  véritable  sena  a,  selon  nous,  échappé  à 
tous  nos  devanciers.  —  Les  personnes  qui  veulent  faire  uae 
étude  approfondie  des  oeuvres  de  Dante,  doivient  consultar 
r  excellent  Manuale  Dantesco  que  le  savant  professeur  de  lit* 
tórature,  M.  le  chevalier  abbé  Jacopo  Ferrazzi  a  publié,  de  1S65| 
à  1871,  à  Bassano,  et  où,  en  passant  en  revue  la  plupart  des 


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TRADUZIONI  PRANCSESr.  481 

innombrables  travaux  doni  le  grand  poète  toscan  a  été  V  objet, 
il  analyde  aassi  judicìeusetnent  que  succinctetnent  tous  les  com- 
mentaires  de  quelque  importance.  > 

Mblzi  B.,  U  Enfer  de  Dante.  Chant  i.  Nouvelle  éditìon^ 
puhliée  avec  une  notice,  un  argument  de  tout  le  poéme  et  des 
notes  en  frangais.  Premiere  chant  de  V  Enfer  de  Dante,  Paris, 
Hachette,  1875.  —  Nouvelle  edition  de  Classiques. 

n  Sig.  Melzi  tiene  da  più  anni  in  onore  la  letteratura  ita- 
liana a  Parigi,  non  solamente  con  V  insegnarla,  ma  professan- 
dola valorosamente.  Altri  lavori  egli  ha  fatto  per  render  fami- 
liare a'  Francesi  la  Divina  Commedia  ;  e  questo  è  ordinato  a 
farla  bene  intendere  a*  giovani  scolari,  al  qual  fine  egli  usa  nuovo 
modo.  DaD'  una  pagina  pone  il  testo,  diligentemente  curato,  con 
la  parafrasi  a^  piedi ,  in  buona  prosa  francese  :  e  questo  è  il 
più  adattato  conmiento:  dall'altra  pagina  ci  sono  le  frasi  ita- 
liane di  Dante,  colle  frasi  corrispondenti  francesi;  e  ciò  serve 
mirabilmente  a  far  comprendere  ai  giovani  la  ragione  della 
frase  italiana.  In  fine  ci  sono  delle  note  o  storiche  o  filologi- 
che; ed  al  Canto  va  innanzi  un  limpido  argomento  analitico. 
Fanfani,  Il  Borghini,  15  Gen.  1876,  p.  235. 

Il  eh.  dantista  can.  Carmine  Galanti  mi  dà  la  notizia  di  una 
nuova  versione  letteraria  dell*  Inferno  del  S**.  Langlais  e  del  non 
meno  valente  Travalloni  di  Fermo,  assai  lodata  dal  celebre 
Littrè,  che  forse  presto  verrà  in  luce.  Intanto  i  traduttori  dan 
opera  a  quella  deir  altre  due  cantiche.  ^~  La  Rivista  Italiana 
di  Palermo  (30  Dee.  1876),  annunzia  una  nuova  traduzione  del- 
l' Inferno  di  Dante,  in  versi  francesi,  del  prof.  Eugenio  Mars, 
che  fra  breve  sarà  pur  pubblicata. 


IV.  —  TRADUZIONI  CASTIGLIANE  E  CATALANE 

(V.  Man.  Dant.  II,  MT;  IV.  i94). 

Aranda  y  Sanjuan,  La  Divina  Comedia  de  Dante  Alighieri^ 
con  Notas  de  Paolo  Costa  adicionadas,  iradùcida  al  castel- 
lano. Fa  paiate  della  Collezione  :  Los  grandes  poemas,  Joyas 
de  la  literatura  universal  que  bajo  la  direccion  de  D.  Fran- 
cisco José  Orellana  publica  la  sociedad  editorial  «  La  Ilustra- 

^  31 


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482  TRADUZIONI  CASTIGUANB  E  CATALANE. 

cion,  »  Calle  de   Mendijabal  n.  4,  Impronta  de  Jùme  Jepk. 
1873  (V.  Man,  Dani,  iv,  438). 

De  la  Pbzl'ela  D.  Juan,  Canto  xxv  de  el  Infiemo  de  Dante 
traduddo  en  verso  Castellano.  Madrid»  Tmpr.  de  Manuel  Tdla 
1868  (V.  Man.  Dant.  iv,  437). 

V.  —  TRADUZIONI  PORTOGHESI 

(V,  Man.  2>ant.  IV.  4M). 

• 

Viale  Antonio  José,  prof,  di  letter.  greca  e  latina  nel  corso 
super,  di  Lett.  a  Lisbona,  Os  dous  primeiros  cantos. ...  Li- 
sboa, Tjpogr.  da  Academia  Real  daa  Sciencias,  1854. 

C.  V.  —  En  los  Annaes  das  Sciencias  e  Lettras,  Li- 
sboa, Typographia  da  Acad.  1857,  p.  185. 

C.  ni.  —  En  la  Revista  €  0  Instituto  >  de  Coimbra  T. 

vili,  p.  297;  riprod.  a  p.  367. 

Los  V  primeiros  cantos  y   el  xxxin.   En  un  Ubro 

titulado  Miscellanea  ffelenico^Litteraria,  Lisboa,  1867. 

De  Deus  Juan,  El  Episodio  de  Francesca^  in  terze  lime. 
En  la  Revista  €  0  Instituto  »  de  Coimbra,  T.  viii. 

De  Simoni  dott.  Luis,  Vigente  medico  italiano  in  Rio  Ja- 
neiro, El  Episodio  de  Francesca,  ed  altri  brani  tolti  dall' lo- 
femo.  Nella  sua  opera  intitolata:  Ramalkete  poetico  do  Par- 
naso italiano  offreddo  d  S.  S.  M.  M.  o  senhor  D,  Fedro  11 
imperador  do  Brasil,  e  a  senhora  D.  Theresa  Christina  Maria 
imperatriz  sua  augusta  esposa  na  occasiao  do  sen  faustis- 
simo connubio.  Rio  Janeiro,  Typ.  Imp.  e  Constitutional  de  J. 
Villeneuve  et  C.*,  1843. 

È  notevole  che  la  Divina  Comedia  non  abbia  iin  qui  tro- 
vato interpreti  nella  patria  di  Camoens.  Meno  i  pochi  saggi 
surriferiti,  nessuno  vi  si  è  cimentato.  Però  ci  è  noto  che  ii 
prof.  Viale  ha  già  condotto  a  termine  la  versione  dell'  Inferno. 

VL  —  TRADUZIONI  INGLESI 

\(V.  Man.  Dani.  ZI,  Bt€;  IV,  440J 

Caby  Henry,  Danie*s  Vision  of  Purgatori/  and  Paradise, 
and  iUustrated  unth  the  Designs  of  Cruslave  Dorè,  with  criticai 
and  eocplanatory  Notes.  London,  Cassel,  1868. 


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TRADUZIONI  LNGLESI.  483 

Dante* s  Vision;  or  Hell,  Purgatory,  and  Paradise, 

New  Edition];  London,  Crocker,  1869. 

The  Vision:  or  Edi,   Purgatori/,  and  Paradise  of 

Dante  Alighieri,  London,  Warne,  1871. 

Delle  traduzioni  inglesi  della  Divina  Commedia  il  Ma- 
culay  porta  il  seguente  giudizio:  —  La  traduzione  di  Boyd 
è  tanto  noiosa  e*  languida  come  V  originale  è  incalzante  e 
TÌgoroso.  Lo  strano  metro  ch'egli  ha  scelto,  e  secondo  me 
inventato,  è  as^  disadatto  a  tale  opera.  Le  traduzioni  non 
debbono  essere  scritte  in  un  verso  che  richieda  molto  incep- 
pamento di  rima.  La  stanza  diviene  un  letto  di  Procusta;  ed 
i  pensieri  deirinfelice  autore  sono  alternativamente  storpiati 
e  mutilati  per  adattarli  al  nuovo  ricettacolo.  Lo  stile  di  Dante, 
secco,  e  tuttavia  conseguente,  soffre  più  di  quello  di  qualsiasi 
altro  poeta  in  una  versione  fatta  in  istile  diffuso,  e  diviso 
in  paragrafi  (perchè  assi  non  meritano  altro  nome)  di  uguale 
lunghezza.  —  Nulla  può  dirsi  in  favore  del  tentativo  di  Hayley, 
ma  è  migliore  di  quello  di  Boyd.  La  sua  mente  era  un  mo- 
dello mediocre  d' un  lavoro  in  filigrana ,  piuttosto  elegante  ed 
assai  debole.  Tutto  quanto  può  dirsi  di  meglio  delle  sue  opere, 
si  è  che  sono  forbite;  tutto  quanto  può  dirsi  di  peggio  si  è 
che  sono  stupide.  Poteva  tradurre  passabilmente  Metastasio  ; 
ma  era  assolutamente  inetto  a  rendere  giustizia  alle  rime  aspre 
e  chioccie  Come  si  converrebbe  al  tristo  buco.  —  Passo  con 
piacere  da  queste  opere  meschine  alla  traduzione  di  Gary.  Essa 
è  un  lavoro  che  merita  un  esame  separato,  e  su  cui  mi  sarei 
di  buon  grado  fermato  se  questo  articolo  non  fosse  già  troppo 
lungo.  Per  ora  dirò  soltanto  che  non  àwi  al  mondo,  per  quanto 
io  sappia,  una  versione  tanto  fedele,  come  anco  che  non  àvvene 
altra  la  quale  provi  più  pienamente  che  il  traduttore  è  egli 
pure  un  uomo  di  genio  poetico.  Coloro  che  non  conoscono  la 
lingua  italiana  debbono  leggerla  per  conoscere  la  Divina  Com- 
media ;  quelli  che  hanno  pratica  delV'  italiana  letteratura  debbono 
leggerla  pe'  suoi  meriti  originali  ;  e  credo  che  troveranno  diffì- 
cile il  determinare  se  V  autore  meriti  maggior  lode  per  la  sua 
profonda  conoscenza  della  lingua  di  Dante,  o  per  la  padronanza 
straordinaria  della  sua.  Saggi  Biografici,  Dante. 

LoNGFELLOw  Wadsworth  Henry,  The  Divine   Comedy  of 
Dante  Alighièri,  Voi.  i-iii.  Boston,  1870. 


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484  TRADUZIONI  INGLESI. 

T?ie  Divine  Commedy  of  Dante  Alighieri,  Comprising 

the  Inferno^  the  Purgatorio,  and  the  Paradiso,  With  ali  the 
Originai  Notes  and  lUustrations^  New  stereotipe  Edition.  Bo 
ston,  Osgood,  1871  (V.  Man.  Dant.  iv,  144). 

RiDSDALB  Ellaby  Ernest,  The  Inferno  ofDante^  Transla- 
ted  into  Engìish  Verse ^  xoith  notes,  Cantos  i-x.  London,  Bì- 
ckers,  1871. 

CoTTBRiLL  H.  B.,  Selections  front  the  Inferno  of  Dante,  With 
IntroducUon  and  Notes.  New  York,  Macmillan,  (Clarendon 
Press  Series),  1874. 

Nel  fase,  del  1.°  Aprile  1874,  p.  400  della  Rivista  Europea 
trovo  questo  annunzio  :  «  I  giornali  americani  lodano  molto 
una  nuova  traduzione  in  versi  delia  Divina  Commedia  condotta 
dal  dott.  Parsons  ;  >  ma  non  mi  venne  fatto  di  trovarne  il 
titolo. 

VHI.  —  TRADUZIONI  OLANDESI 

(V.  Man.  Dmt.  FF.  4i8), 

Hacke  van  Mijndsn  D.''  J.  C,  De  Komedie  van  Dante  Ali- 
ghieri. —  In  dichtmaat  overgebracth,  Het  Paradifs.  —  Haarlem^ 
A.  C.  Kruseman,  1873.  —  (Niet  in  den  Kandel).  Porta  in  fronte 
la  dedica  :  Al  Dottore  *-  /.  7.  Kreenen  —  Questo  ultimo  vo- 
lume —  È  —  Dedicato  —  Con  stima ,  affetto  e  gratitudine  — 
Dal  suo  fedele  —  Hacke  van  Mijnden  (1). 

11  dott.  G.  Corrado  Hacke  van  Mijnden  nacque  il  di  11  No- 

(1)  Mia  benevoglienxa  inf>er80  lui  fti  quale  più  strìnse  mai  di  tion 
vi9ta  persona.  E  così  com'  io  amai  in  vita  oueU'  anima  schietta  ed  altamente 
virtaosa,  cosi  V  amerò  sciolta,  finché  mi  sia  dato  di  oongiangermele,  e  per 
sempre,  in  quel  mirabile  tempio  che  solo  luce  e  amore  ha  per  confini.  ~  E 
ch'egli  pure  mi  tenesse  rìncniuso  nel  suo  cuore,  lo  provano,  tra  i  molti 
che  potrei  riferire,  i  seguenti  brani  di  lettere.  —  «  Dès  votre  première  lettre 
il  y  avait  dans  mon  coeur,  je  ne  saie  quelle  sympathie  qui  m*  entrainait  vers 
vous:  je  sentais  en  vous  un  ami,  un  fìròre:  je  sentala  que  mes  sentiments 
et  mes  pensèes  trouveraient  un  ócho  dans  votre  coeur.  J'ai  tant  besoin 
d'aimer  et  d*6tre  aimé,  et  vous  me  montriez  tant  de  bontè^  tant  de  com- 
nassion  que  je  vous  aimais  et  que  j'étais  sur  de  votre  amitié  pour  moi. 
Je  me  sentais  le  besoin  de  vous  dire  ce  que  j*  avais  sur  le  coeur,  de  voas 
faire  ma  confession.  Je  Tal  fait,  j'  ai  obéi  à  une  voix  intérieure  et  à  pré- 
sent  ie  suis  fier  et  heureux  de  vous  nommer  mon  ami ,  mon  bien  cher 
ami.  Le  temps  vìendra,  je  le  sens,  que  ma  bouche  vous  exprimera  et  vous 
expUquera  ce  sentiment,  et  qtie  je  presserai  votre  benne  et  loyale  main. 
Que  Dieu  me  fasse  celte  jqje  ! . . .  Je  vous  dìsais  qu'  un  de  mes  voeux  les 


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TRADUZIONI  OLANDESI.  485 

vembre  1814  ad  Harlem:  suo  padre  vi  era  pastore  evangelico. 
Invaghitosi  del  ministero  paterno,  nel  1832  si  recò  ad  Utrecht 
a  studiarvi  in  divinità,  ma  ben  presto  lasciò  da  canto  le  teo- 
logiche discipline,  e  si  pose  di  grande  amore  alle  lettere  belle. 
Fu  tntto  in  Platone.  Si  provò  in  poesia ,  e  n'  ebbe  lode  di  va- 
lente; imparò  di  canto  e  di  suono;  nelle  lingue  straniere 
divenne  pentissimo.  Nel  1835,  col  suo  amico  De  Bois,  visitò  la 
Germania,  la  Svizzera  e  V  Italia  Settentrionale,  che  vinse  ogni 
suo  più  ardito  immaginare.  Al  suo  ritorno,  colto  da  lunga  e 
dolorosa  malattia ,  gli  fu  forza  di  dare  un  addio  a'  prediletti 
suoi  studi,  onde  solo  nel  1845  potè  conseguire  1*  ambita  laurea 
dottorale.  La  sua  prolusione  sul  card.  Bessarione  rivelò  ad  un 
punto  e  la  potenza  del  suo  ingegno  e  il  suo  amore  per  T  Italia. 
Sdegnoso  degli  ozii,  con  animo  fervente  e  determinato,  si 
mise  di  gran  lena  nelle  letterature  straniere,  e  specialmente  in 
quelle  del  medio  evo,  fece  assaggiare  a'  suoi  connazionali  quanto 
di  meglio  usciva  in  altri  paesi  ;  tenne  pubbliche  letture,  ne  f^- 
precipuo  snbbietto  Dante  e  il  saci'ato  poema.  —  Nel  1845  die 
fede  e  mano  di  sposo  alla  gentile  Signorina  J.  C.  S.  Elias,  e  si 
ridusse  con  la  donna  del  suo  cuore  a  Loosdrecht,  nella  sua 
villa  Ekenrode.  Rivide  nel  1860  T  Italia,  e  passò  T  inverno,  con 
la  sua  famiglia,  nella  villa  Spinola,  presso  Sestri  di  Ponente. 
Qiuvi  si  legò  in  istretta  amicizia  col  generale  Candido  Augusto 
De  Vecchi.  Reduce  in  Olanda,  la  versione  della  Divina  Com- 
media 86  lo  ebbe  tutto.  Nel  1867  potò  dar  alla  luce  Tlnferno, 
e  con  fraterno  amore  lo  volle  intitolato  al  suo  De  Vecchi,  sol- 
datOj  poeta,  istorico;  nel  1870  il  Purgatorio,  e  il  pio  marito 


plus  chers  est  celui  de  vous  voir,  de  vous  parler,  de  vous  ontendre.  J' é- 
spère,  si  Dieu  ino  prète  vie,  que  ce  sera  pour  1'  année  prochaine  ;  j'  aurais 
achevé  alors  le  Paradis  et  après  cepéuibfe  travail  je  veux  aller  me  reposer 
en  Italie,  alors  je  passerai  quelque  temps  aupròs  de  vous;  le  coeur  m'y 
appelle!...  Que  ce  peu  sufBse  pour  le  moment;  je  serais  encore  tenté,  de 
déchirer  cette  lettre ,  mais  il  iaut  q»ie  quelques  lignea  vous  prouvent  la 
profonde  admiratton  que  j'  ai  pour  vos  études ,  et  votre  érudition  ,  et  la 
reconaissance  que  je  ressens  pour  votre  affection  pur  moi.  >  (11  Dee.  1871). 
—  «  J*ai  l>eaucoup  pensé  à  vous  et  aux  douces  et  affectueuses  paroles  que 
vous  m' avez  écrites  au  jour  de  V  an  ;  il  y  a  une  douceur  dans  le  sentiment 
que  je  vous  porte  quo  je  ne  sais  expnmer  par  paroles.  D' où  me  vient 
cette  syropatiel  je  1  ignorel  mais  souvent  mes  pensòes  me  portent  vers 
toi,  je  te  serre  le  main,  je  voudrais  te  confessor  tout  ce  que  Vai  dans  le 
coeur  et  dans  le  tòte -je  vous  aiipe  comme  une  des  mes  plus  chères  affec- 
fions.  Comment  et  pourquoi  je  ne  le  sais ,  mais  cela  est.  Que  Dieu  me 
fasse  la  joje  de  te  rencontrer  un  jour;  nous  nous  embrasserons  comme 
deux  fréres  (1  Feb.  1872). 


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480  TRADIZIONI  OLANDESI. 

offri  vaio  alla  memoria  della  beatissima  e  santissima  Sìia  Sposa 
Quanti  dolci  pensieri,  quanto  desio  in  queste  due  dediche! 
Neiristesso  anno  entrò  con  ardore  febbrile  neir  aringo  rima- 
sogli,  quasi  presago  che  poco  di  vita  ancora  gii  rimaneva.  Ed 
ei  pure  sbigottiva  al  pensiero  di  cadere  in  via  con  la  tersa 
soma!  Ma  nel  Giugno  del  1872  fu  heto  di  poter  segnare  sotto 
r ultima  pagina  della  sua  versione  il  motto:  eoopUdt  fsUdter; 
cominciò  le  note  marginali  della  terza  cantica  che  non  potè 
condurre  oltre  il  canto  vigesimo  terzo.  Una  fiera  carcinoma 
alla  gola,  ribelle  a  tutti  i  tentativi  dell*  arte,  lo  condusse  negli 
estremi.  Con  l'anelito  e  il  pallor  della  morte,  parlava  tuttavia 
con  entusiasmo  del  Cantore  dei  tre  regni,  volea  caramente  rao 
comandata  al  dott.  Kreenen,  ed  al  suo  genero,  il  dott.  O.  vas 
Tienhoven,  T edizione  del  Paradiso.  Religioso  com'era,  fece 
sacrificio  del  suo  volere  al  voler  divino,  e  il  mattino  del  dì 
8  Gennaio  1873,  a  Loosdrecht,  puro  e  disposto  mutawi  mondo 
•a  miglior  vita. 

Della  versione  delle  prime  due  cantiche  abbiam  già  parlato 
a  pag.  450  del  iv  volume.  Essa  fu  tenuta  in  grandissimo  pregio 
da  quanti  sono  profondi  conoscitori  delle  due  lingue  e  del  di- 
vino poema;  essa  non  resta  impari,  secondo  lo  Scarabelli,  a 
nessun  pa^so  gentile  della  Commedia  (il  LamberHno  in,  xxiv.  — 
A.  Reumont,  nell'  elogio  di  Filalete,  (il  Re  Giovanni,  di  Sassonia) 
ci  narra  che  nella  malattia  che  lo  condusse  al  sepolcro,  alter- 
nava la  lettura  dei  canti  xtii  e  xix  dell'  Odissea,  con  la  versione 
del  dott.  Hacke  che  si  piaceva  di  rafirontare  coir  originale. 

Ma  come  a  fidanza  del  suo  Poeta  entrò  nel  regno  santo, 
tutto  luce,  amore  ed  armonia,  che  meglio  consuonava  con  la 
sua  anima  bella,  (1)  ei  si  senti  ricrescere  le  ali  al  piti  arduo 
volo;  ei  potò  ben  dire  al  suo  maestro  e  suo  autore^  voi  mi 
levate  si  cKo  son  piii  ch'io —  Gl'intoppi  e  gli  attraversati 


(1)  Anche  Filalete  amava,  e  più  intensamente  studiava  il  Paradiso.  Egli 
soleva  dire:  «  toccare  ad  esso  la  sorte  della  parte  seconda  del  Fausto  Mi 
Goethe;  i  più  non  essere  capaci  di  apprezzarlo,  e  voler  piuttosto  starsene 
in  terra.  >  —  Lo  Schlosser  esalta  il  Paradiso  come  il  santissimo  dell'eccelso 
tempio  poetico  eretto  da  Dante.  «  Qui,  die'  egli,  troviamo  tutta  quanta  la  (nrza 
degli  ottimi  mistici  insieme  con  tutte  le  veritA  ;  qui  il  succo  gustoso  dalia 
filosofia  scolastica  ed  aristotelica  *  qui  la  pompa  e  lo  splendore  del  culto  nella 
sua  floridezza;  qui  la  teoria  degli  angioU  e  delle  loro  gerarchie  dell'Àrco- 
pagita  ;  qui  la  eminente  descriaone  della  visione  di  Dio,  qui  V  essere  in  Dio 
ed  il  vivere  in  Dio,  scevra  da  falso  entusiasmo,  fanatismo  o  quietismo.  > 


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TRADUZIONI  OLANDESI.  487 

sbarri,  anzicchò  sconfortarlo,  parea  gì*  infondessero  baldezza  e 
nuova  vigorìa.  Ed  egli  stesso  è  lieto  di  confessarne  V  impetrata 
spiratone.  —  €  J' ai  quitte  la  ville,  cosi  scrìvevami  egli  il  25 
Giugno  1870,  et  pendant  deus  semaines  je  suis  à  la  campagne. . . . 
Je  lis  et  je  medito  le  Paradis.  Mais  quelle  difSculté!  quelle  peine 
à  traduire  ces  vers  divins  dans  un  idiome  si  différent  de  V  orìgi- 
nal  !  Mais  en  méme  temps  quelle  joie,  quel  bonheur  de  vaincre 
dans  cette  lutto  !  Quelle  *profondeur  !  Que  de  beautés  qu*  on  ne 
peut  jamais  goùter  que  quand  on  doit  analyser  et  méditer  mot 
par  mot  cette  apocalypse  pleìne  des  plus  sublimes  mystéres. 
Travaillons!  Le  travait  est  le  pain  de  V  àme.  >  —  E  il  21  Febr. 
1872. —  cJ'en  suia  au  vingt-troisième  chant  du  Paradis,  mais 
quelles  difficultés  à  vaincx'e   pour  rendre  dans  ma  lingue,  si 
differente  de  votre  douce  langue  italienne,  lee  nobles  et  belles 
pensées  du  poéte!  Quelle  torture  bien  souvent!  Mais  j' avance, 
et  j*  ai  la  convinction  que  cette  partie  de  ma  version  laisse 
bien  derrière  elle  les  deux  premières  parties  tant  pourTaccu- 
ratesse  que  pour  la  beauté  de  mes  vers.  Jusqu*ici  j*étais  tou- 
jours  un  peu  bontetix  des  éloges  qu*  on  me  donnait  -  à  présent 
j'ai  la  convinction  d' en  devenir  digne.  Mais  aussi  que  de  jours, 
que  de  nuits  passóes  dans  la  méditation  et  dans  les  étuàes! ». . .— 
Nò  senza  un  sentimento  di  profonda  commozione  e  d' ineffabile 
mestizia,  mi  è  dato  rileggere  le  dubitose  espressioni  della  sua 
del  23  Ottobre  1872,  T  ultima  pur  troppo  che  mi  scrisse.  Ed  io 
non  posso  non  riprodurle,  ben  certo,  che  troveranno  un  eco  dolo- 
roso in  ogni  anima  gentile.  —  «  J' ai,  cosi  egli,  voulu  vous  écrire 
moi  inéme  ces  deux  mots-je  vois  Tinterét  que  vous  me  por- 
tez  -  je  sens  que  vos  priòres  se  sont  jointes  à  celles  de  beau- 
coup  de  nobles  coeurs  qui  m'aiment.  Merci!  Peut-étre  le  bon 
Dieu  aiva-t-ll  pitie  de  moi;  j^ai  encore  tant  de  devoirs  à  rem- 
plir  sur  terre -j' ai  tant  à  aimer  !  Oh!  que  je  vive,  que  je  vive! 
Mais  .si  Dieu  en  avait  résolu  autrement...  que  sa  volontò  se 
&Bse-je  m'abbandonne  à  lui...  L^impression  de  mon  Paradiso 
avance  toujours  nous  sommes  presque  à  moitié.  Quel  bonheur 
pour  moi  de  corriger  ces  épreuves,   de  relire  mes  poesies  où 
j' ai  mis  tout  mon  àme  ;  que  je  serai  heureux  -  que  Dieu  me 
laisse  au  moins  jusque  là  la  vie  -  quand  je  verrai  là  avant  moi 
le  volume  entier.  11  est  vrai  que  ce  travail,  ce  travail  incessant 
et  pénible,   qui  ne  me  laissant  plus  dormir,   m'a  prìt  ma 

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488  TRADUZIONI  OLANDESI. 

sante...  mais  je  ne  m*en  plains  pas.  J'ai  donne  ainsi  (eL 
doublé  sens  ),  ma  vie  au  Dante  !  -  Embrasae  moi  et  aìme-moi 
comme  Je  t' aime.  Piiez  pour-moi,  conmie  je  le  prie  pour  Tom 
et  croyez  moi  toujours  tout  à  voua.  > 

Povero  amico  mio!  Non  ti  consentiva  il  cielo  il  tanto  de- 
siderato conforto  di  rimettere  a'  tuoi  piti  cari  V  ultimo  lavoro: 
non  di  riceverne  le  congratulazioni  della  patria  e  degli  amidi 
Non  appena  deducesti  Vardua  materia  terminando^  e  ti  fu  pre- 
ciso il  cammino  della  vita  :  la  tua  anima  sen  volò  a  vedere  la 
gloria  del  pii^  che  padre  tuo^  ed  ora  fiammeggiandovi  luce 
con  luce  vi  godete  in  Dio  vita  intera  di  amore  e  di  pace,  tra 
quelle  molte  gioie  care  e  belle  che  anche  da*  supremi  intelletti 
non  si  possono  trarre  dal  deiforme  regno. 

Lie  de  Levenschets  van  dott,  J.  C  Hache  ìxat  Jéifnden 
opgenomen  in  de  «  Levensberichten  van  de  Matschappij  der 
Nederlandsche  Letterkunde  1873:  »  —  Kok  A.  G.,  Ben  toUooid, 
Dant-Monument.  Nel  Kunt  Kronick,  1874,  p.  34.  —  Woltbbs 
M.  W.,  Naar  aanleìding  van  Potgieter-Florencie,  —  Nel  Va- 
derlandsche  Litter.,  Mai  1874,  n.  5.  —  G.  van  Thibnovsn,  Un 
Dantista  Olendese,  Cenni  biografici,  Firenze,  Tip.  editr.  del- 
IMssoda^i^,  1873.  Estratto  della  Rivista  Europea.  —  Wjrns 
Karl,  Bott.  Hache  van  Mijnden.  Illustr.  Zeitang,  28  Juni  1872, 
n.  1565.  —  Alcune  lettere  del  doU.  Giov.  Corrado  Hackb  van 
MiJNDEN,  insigne  traduttore  Olandese  della  Divina  Commedia 
al  prof.  cav.  Giuseppe  Jacopo  Ferragli.  Bassano,  Pezzato, 
1874.  —  V.  Archivio  stor,  di  Firenze,  1873,  voi.  xxnr.  —  Man. 
Dant  IV.  488. 

KoK  A.  S.,  De  Hell'De  Louteringsberg^Set  Parados  van 
Dante  Alighie^H.  Metrische  vertaling  mei  ophelderende  aante- 
keningen  en  eene  studie  over  Dante,  zijn  tijt  en  zijne  toerken. 
Amsterdam,  Funke,  1870.  »  Con  ritratto  di  Dante  e  tavole 
litografiche. 

'  Thoden  V.  Velzen  U.  W.,  Dante' s  Beli,  met  schets  van 
den  inhoud,  verhlaring  en  aantekeningen^  naar  het  originel 
bewerht,  Leeuwarden,  Akkeringa,  1870. 

De  Goddelijke  Comedie  van  Dante  Alighieri.  De  HclL 

hei  Vagevuur,  het  Paradijs.  Met  schets  van  den  inhoud,  ver- 
hlaring en  aanteekeningen,  Naar  het  origineel  Imoerht.  Leeu- 
warden, Jongbloed,  1874-75. 


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TRADUZIONI  OLANDESI.  489 

BoBL  JoAN,  advocat  te  Amsterdam,  Dante  Alighieri:  De 
goddelifke  Komedie  in  nederlandsche  terzinen  tertaald  mei 
verklaringen  en  gesckiedkundige  aanteekeningen  nopens  den 
dichter;  eerste  Lied:  De  HelL  Haarlem  Graaf,  1876. 

Il  dott.  Bohl  conserva  nella  sua  versione  lo  stesso  metro 
lo  stesso  numero  di  terzine  delF  originale.  Il  De  Gubernatis  la 
dice  fedelissima,  ed  ei  vi  trova  de*  versi  che  anche  ad  orecchio 
straniero,  ad  orecchio  italiano  suonano  felici  e  potenti.  Nei 
commenti  che  accompagnano  la  versione,  F  egregio  traduttore 
segue  un  pò*  troppo  la  critica  congetturale  di  buon  numero 
de'  suoi  predecessori  ;  non  di  rado,  con  miglior  consiglio,  egli 
ricorre  ali* autorità  delle  autorità;  a  Dante  stesso,  che  il  più 
sicuro  dei  nostri  comentatori,  il  Giuliani,  ha  ben  dimostrato 
sempre  essere  il  modo  ottimo  di  commentare  la  Divina  Com- 
media e  r  altre  opere  dell*  Alighieri. 

BiLDERDYK  WiLLEM,  Versione  olandese,  in  versi  alessandrini, 
dell*  Ugolino.  Nel  voi.  xiv  delle  sue  opere.  Leiden ,  by  Her- 
ding,  1824. 

GouvERNEiTR,  Lo  stesso  episodio.  Nelle  sue  Yerstrooide  Ry- 
men  (Rime  disperse),  p.  1 14  (In  terzine,  rime  croisée),  Wolters 
ne  loda  molto  e  il  metro  e  la  versione.  Vanderlaritkche  Lei- 
teroefeningen^  Mei,  1874,  n.  5. 

PoTGiETBR  E.  J. ,  Francesca  di  Rimini ,  in  terzine ,  con  la 
rima  femminina.  Nel  De  Gids  (La  Guida),  1837,  ii,  p.  123. 

Vili.  --  TRADUZIONI  TEDESCHE  (1). 

CV.  Man.  Dmnt.  li.  «80  ;JV,  éOJ 

Philalbtes,  Dante  AUghierCs  OóttUche  ComÓdie  metf'isch 
ùbertragen  und  mit  kritischen  und  Mstorischen  erlàuterun- 
gen  wrschen.  Leipzig,  Teubner,  1871.  — ■  Erster  Theil.  Die 
Halle.  —  Zweiter  Theil,  Das  Fegfeuer.  —  Dritter  Theil,  Das 
Paradies. 


(1)  <  La  lingua  tedesca  è  U  Bola  fra  le  lingue  viventi  che  abbia  U 
capacità  di  roncare  la  poesia  dei  diversi 'popoli  antichi  a  moderni  secondo 

il  loro  tipo  originale Nei  tedeschi,   aopo  eh'  ebbero  aperto  la  strada 

Woss  per  Omero  e  Schlegel  per  Shakspeare  e  Calderon ,  possiam  leggere 
quanlA  dal  Gange  al  Tago  si  è  da  tre  mila  anni  in  poesia  prodotto  me- 
diante tradunoni  che  rendono  sensibile,  oltre  lo  spirito,  le  forme  della 


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490  TRADUZIONI  TBDBSCHE. 

Il  Re  Giovanni  di  Sassonia,  figlio  del  principe  Ma^imi- 
liano  e  della  principessa  Carolina  di  Parma,  n.  il  12  Die  180!, 
m.  il  20  Ottobre  1872. 

€  Per  lo  spazio  di  cinquant'  anni  lo  stadio  della  Divitui 
Commedia,  e  di  tutto  ciò  che  nelle  lettere  e  neUe  sdenze  vi  si 
rannoda,  può  dirsi  essere  stato  in  cima  dei  pensieri  del  Prin- 
cipe tedesco  nelle  ore  di  libertà;  prova  anche  questa  della 
quasi  magica  forza  d*  azione  del  sublime  Poeta  toscano  eser- 
citata su  i  secoli  tardi  e  sulle  straniere  nazioni. . . .  Non  prima 
del  1767  la  Divina  Commedia  venne  voltata  in  prosa  tedesca, 
e  passarono  otto  lustri  prima  che  Carlo  Lodovico  Kanneg^esser 
si  accingesse  alla  versione  in  terza  rima.  Non  erano  comparsi 
in  quel  lungo  tratto  di  tempo,  se  non  i  saggi  dello  Schi^el 
6  dell*Jagemann,  Tuno  in  terzine  incomplete,  T altro  in  versi 
giambici  sciolti.  Allorquando  il  principe  Giovanni  si  mise  a 
studiare  il  grande  Poema,  scarsi  erano  in  Germania  i  lavori, 
poi  quasi  a  dismisura  cresciuti,  ad  illustrazione  del  medesimo, 
e  ci  vollero  coraggio  e  costanza  a  ideare  e  principiare  le  inda- 
gini produttrici  di  così  ricca  messe.  Tra  coloro  i  cui  consigb' 
gìovarongli,  si  nominano  il  Carus,  medico^filosofo ,  il  quale 
liberamedié ,  e  con  occhio  sempre  acutissimo ,  spaziava  per  i 
vasti  campi  delle  scienze  e  delle  lettere;  e  Carlo  Forster,  nel- 
r  italiana  letteratura  versatissimo,  a  cui  dobbiamo  belle  tradu- 
zioni della  Vita  Nuova,  e  delle  Rime  del  Petrarca  e  del  Tasso. 
Maggiormente  però  1*  illustre  studioso  trovò  nella  propria  in- 
dole la  guida  al  vero  e  al  buono.  Rimasto  convinto,  che,  a  co- 
noscere appieno  V  Italia,  più  di  qualsiasi  cosa  ci  voleva  pratica 
quanto  più  si  potesse  intima  dello  scrittore  da  cui  in  certo 
modo  prende  le  mosse  l'italiana  letteratura;  egli  subito  rico- 
nobbe il  bisogno  di  studii  preparatorii  affine  di  vincere  le 
difficoltà  di  vario  genere  che  gli  si  affacciavano.  Non  ò  a  dire 
con  quanto  amore,  pari  air  ardore,  egli  intraprese  tali  lavori , 
sì  molto  prima  di  aver  concepita  Tidea  di  farsi  agli  altri  in- 


lingua  e  del  metro  nelle  loro  pieghe  più  delicate.  Questa  qualità  delle  no 
atra  lingua,  ed  i  servigi  resi  dall'arte  tedesca  del  tradurre,  han  (atto  ai 
vogliosi  d'apprendere,  possibile  l'allargare  la  sfera  delie  proprie  idee  e 
de^proprii  sentimenti  al  di  là  dei  nazionali  confini  :  vantaggio  cne  non  può 
calcolarsi  abbastanza,  e  che  è  tornato  pure  a  bene  de*  nostri  grandi  poeti 
e  delle  loro  produzioni.  »  Strauss  Feder.  Fede  Vecchia  e  Fede  I^ova, 
traduz.  dal  tedesco  dell'  aw.  Saiv.  Piszi.  Napoli,  De  Angelis,  p.  19Ì; 


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TRADUZIONI  TEDESCHB.  491 

tei^ireti  del  Poeta,  si  dopo  di  essersi  confermato  in  siffatto 
proposito  ;  persuaso  che  le  traduzioni  in  terza  rima  (quella  di 
Carlo  Streckfuss,  più  libera  delle  precedenti,  era  cominciata  a 
pubblicarsi  nel  1824),  inceppate  dalle  tremende  difficoltà  della 
forma,  male  prestavansi  a  rendere  compiutamente  il  pensiero 
dell'  originale.  —  Non  gli  si  affacciò  alla  mente  se  non  a  poco  a 
poco  r  idea  del  Commento,  al  cui  fondamento  servii'ono  le  in- 
dagini dapprima  servite  ai  propri  stndii.  Si  sa  quanto  allora 
rimaneva  da  farsi  e  per  V  illustrazione  storica  e  per  la  filoso- 
fica. . . .  EgH  riconobbe  che,  per  addentrarsi  nel  senso  del  poema, 
in  certo  modo  rappresentante  la  sapienza  del  medio  evo,  ci 
voleva  lo  studio  delle  fonti  del  medesimo.  Con  quanto  sapere 
ed  acume,  con  quanta  diligenza  ed  assiduità  egli  ottenesse 
r  intento,  lo  dimostra  il  commento  aggiunto  alla  sua  versione. 
Nella  prima  stampa  deir  opera  compiuta  disse^  essersi  limitato 
alle  note  necessarie  per  l'intelligenza  del  testo.  Pure  queste 
note  ci  porgono  T  illustrazione  più  ampia  e  più  sicura  che  ci 
sia.  Mentre  in  quelle  alla  prima  Cantica  prevale  la  materia 
storica  locale,  nelle  altre  il  commento  cresce  d'ampiezza,  ab- 
bracciando in  qualche  modo  non  solo  la  storia  mondiale,  ma  le 
credenze  e  la  scienza  al  secolo  dello  scrittore  tramtfidate  dal 
passato.  Nel  preambolo  al  PurgatoriOy  il  traduttore  dice  espres- 
samente, la  vera  ed  accurata  interpretazione  tanto  morale 
quanto  storico-filosofica  del  poema  non  essere  possibile,  se  non 
mercè  il  confi*onto  di  esso  colla  filosofìa  del  secolo,  e  massime 
coirAquinate,  dal  quale  egli  crede  aver  avuta  risposta  soddisfa- 
cente ad  ogni  sua  domanda.  Con  questo  commento  alla  mano, 
il  lettore  cammina  sicnro,  si  per  le  vie  spesso  intricate  dei 
fatti  storici,  si  per  i  campi  quasi  interminati  delle  dottrine 
fìlosofìche  e  teologiche.  Non  meno  del  profondo  quanto  esteso 
sapere  del  traduttore,  ne  colpisce  la  giusta  e  savia  misura  da 
lui  serbata,  e  nella  spiegazione  deir  allegoria  (per  taluni  labe- 
rinto  inestricabile),  e  nello  svolgere  le  questioni  ecclesiastico- 
polìtiche;  spiegazione  e  svolgimento  tendenti  a  dimostrare  in 
Dante  l'essenza  cattolica  e  l'idea  imperiale,  senza  confondersi 
coi  fantasmi  dei  Rossetti  e  Rossi  dei  nostri  giorni. ...  —  La 
versione  risente  anzi  che  no  della  troppa  fedeltà,  e  difetta  un 
po'  di  quella  spontaneità  e  grazia  di  forma  che  si  desidererebbe 
in  latoro  di  tal  genere.  Il  Re  era  poeta  nell'animo.  Non  solo 

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492  TRADUZIONI  TBDBSCUB. 

sentiva  profondamente  la  poetica  bellezza,  ma  fiicilmente  e  ù^- 
oemente  esprimeva  i  propri  sentimenti  in  bei  versi.  Pure  lacda 
a  faccia  con  quell*  ingegno  tanto  affettuoso  qnanto  potente  asm 
tremendo,  spesso  ne  pare  soggiogato.  La  versione  sua  rende 
perfettamente  il  pensiero  dell'archetipo;  sicché,  se  maio  del 
Kannegiesser  e  dello  Streckfuss  ne  riproduce  Y  effetto  poetico, 
molto  più  d'ambidue,  e  specialmente  del  secondo,  ci  capacita 

ad  intendere  il  senso Egli  si  era  tanto  immedesimato  col- 

r autor  suo,,  a  lui  talmente  noto  che,  essendogli  un  gìcniìo 
andato  smarrito  il  manoscritto  di  parecchi  canti  della  versione, 
egli,  con  r originale  in  mano,  li  dettò  senza  quasi  fermarsi, 
aggiungendo  di  memoria  vari  passi  della  Summa  Theloffìae 
di  San  Tomaso  mancanti  alle  note.  EgU  aveva  un  vero  culto  per 
Dante.  Nel  secondo  viaggio  in  Italia,  oltre  a  varie  parti  della 
Toscana  nominate  e  descritte  nella  Divina  Commedia,  visitò  la 
Romagna.  »  A  Ravenna ,  cosi  scrisse ,  mi  fermai  davanti  alla 
tomba  del  mio  amico  Dante,  posso  dire  con  animo  commossa). 
Il  sepolcro  rimane  solitario  presso  una  cantonata,  in  quella 
città  solitaria  anch*  essa,  in  cui  esule  mori. . . .  Visitai  la  mae- 
stosa pineta  della  marina  dal  Poeta  rammentata;  poi  tornato 
al'sepolcw)  di  lui,  scrissi  sul  muro  col  mio  nOme  le  seguenti 
righe:  Pace  alle  tue  ceneri I  Ora  tu  sei  cittadino  della  vera 
città,  dell'esilio  dimenticato  il  crudo  dolore  nello  splendore 
della  luce  che  non  conosce  ombra.... 

Ne\l' esemplare  della  sua  traduzione  del  re  Giovanni  data 
al  figlio  Alberto,  suo  degno  successore,  egli  scrisse  dei  versi, 
dei  quali  le  seguenti  righe  non  possono  dare  se  non  un  debole 
concetto.  <  Quando  suonata  sarà  r  ultima  ora  mùty  e  lo 
sguardo  tuo  un  giorno  si  fermerà  sopra  queste  carte,  deh 
peftsa  che  il  contenuto  di  esse  ha  servito  a  rischiarare  molte 
ore  della  mia  vita!  Tu  diverrai  uomo  e  principe,  intento  a 
raggiungere  la  meta  che  ti  prefisse  Iddio:  ah  possa  allora^ 
fra  tentazioni  e  pene  ;  T  animo  tuo  fortificarsi  nelt  animo  di 
Dante,  Allora  avvamperà  in  te  ira  santa  al  cospetto  del  nude  : 
allora  chiederai  la  mercede  dovuta  pel  buono  daW  invidia 
calpestato  ;  allora  non  li  falliranno  volontà  e  forza ,  qtiando 
avrai  conosciuto  il  vero  e  il  giusto;  allora  la  mente  tua,  per 
quanto  alta ,  s*  abbasserà  davanti  alla  possanza  Divina ,  e  ti 
solleverà  al  cielo  un  pietoso  desio,  anelante  alla  luce  in  messo 

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TRADUZIONI  TEDESCHE.  493 

alla  notte  della  terra.  Allora  nel  sacro  tempio  della  Chiesa 
€  illuminerà  la  luce  della  rivelazione,  e  nella  grande  fiumana 
della  storia  del  mondo  ravviserai  il  divino  giudizio.  Giacché 
dalle  zone  del  Paradiso  la  schiera  degli  eletti  spiriti  ci  porge 
la  mano,  mostrando  le  corone  ai  pellegrini  della  terra,  e  al- 
zandoli vittoriosi  alla  patria  celeste.  —  (Rkumont  Alfredo, 
Elogio  di  Giovanni  Re  di  Sassonia,  Atti  della  R.  Accademia 
della  Crusca,  Adunanza  pubblica  del  di  6  Sett  1874,  Firenze, 
Cellini). 

Ed  il  prof.  Scartazzini:  La  traduzione,  in  versi  giambici 
sciolti,  si  distingue  da  tutte  le  altre  per  due  pregi  speciali: 
fedeltà  scrupolosissima  nel  riprodurre  con  la  massima  esattezza 
i  concetti  del  poeta,  e  maestria  insuperabile  nel  maneggiare  la 
lingua  tedesca.  Il  commento,  breve,  sulle  prime,  va  man  mano 
allargandosi  e  diventa  vastissimo  nell*  ultima  cantica.  Non  è  un 
commento  filologico,  ma  storico^  filosofico  e  teologico,  frutto 
di  studi  non  meno  profondi  che  vasti  sulle  opere  degli  scolastici 
e  dei  cronisti  del  medio  evo.  Vi  si  rinvengono  molte  e  molte 
notizie  che  si  cercherebbero  invano  altrove.  Insomma  questo 
del  re  di  Sassonia  è  anche  oggigiorno  uno  dei  migliori  lavori 
su  Dante  fatti  in  Germania. 

Di  questa  edizione,  come  prezioso  gioiello,  tengo  un  esem- 
plare, che  lo  stesso  Filalete,  con  suprema  degnazione  compia- 
cevasi  rimettermi  in  dono,  con  la  dedica  di  sua  propria  mano. 

M.  Tabarrini,  Giovanni  Re  di  Sassonia,  Commemora- 
ne.  Archivio  Storico,  1874,  Disp.  i,  p.  205.  —  Sforza  Giovanni, 
Ricordi  del  re  Giovanni  di  Sassonia  nel  primo  anniversario 
della  sua  morte,  Lucca,  Cheli,  1874.  —  Miagostovioh,  prof,  di 
Lingua  e  lett.  ital.  Filalete ,  Commemoraz,  letta  il  giorno  4 
Nov.  agli  studenti  deW  ottavo  corso.  Progi*.  di  Trieste  8  e^ 
Nov.  1873,  n.  281  e  282.  —  V.  Man.  Dant.  n,  536;  iv,  452.  — 
Dante*s  Geist  an  Philaletes,  von  Julius  Schanz.  Ein  Gedenk- 
hlaU  zum  IO  Nov.  1872,  Dresden,  am  Ende,  1872;  in  Das 
Neue  Blatt.  Ein  illustrirtes  Familien-Journal,  1873,  n.  8.  pag. 
113.  —  Strauss  Victor,  Ein  Nachgesang  Dante* s  zur  góUlichen 
KomÓdie.  Dem  hohen  Uebersetzer  derselben,  1851.  In  Fùrs's 
deutsche  Reich.  I.  Jahrb.  1873,  Berlin,  Heinersdorfl".  —  J^ur 
Charakteristìk  Kdnig  Johannes  von  Sachsen  in  seinem  Ver- 
ìiàUniss  zu  Wissenschaft  und  Kunst.    Gedàchtnissrede  auf 

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494  TRADUZIONI  TEDESCHE. 

\eranlassung  der  Kònìgl.  Sachs.  Geselbchaftder  Wtssenschaf- 
ten  gehalten  voti  Johann  Paul  voti  Falkenstein.  Leipzig',  HineL 
1874;  Dresden,  Zahn,  1874.  —  Dolunger  J.,  Gedàchtatias-IUdi 
auf  Kónig  Johann  ton  Sachsen  in  der  ÓffentUchen  SiUung 
der  k.  Akademie  der  Wissenschaflen  am  28  Màrz  1874.  Mùiì- 
chen  K.  K.  Akademie,  1874. 

KiuoAR  Wilhelm,  DarUe*s  GóUiiche  Komòdie  Uebersetsl 
JUustrirt  von  Gustav  Dorè,  Mit  einem  Vorwort  von  Karl  VTiik 
(44  Lieferungen).  Berlin,  Moeser,  1870-71.  P.  I,  Ini  xvi,  168: 
P.  II,  Purg.  vili,  176;  P.  IH,  Par.  4  ff.  171. 

NoTTBB  Friedrich,  Dante  AUghierfs  GòtUiche  Komódii 
ùberseU  und  erlàutert,  —  Die  Bólle,  Stuttgart,  Neff;  1S71 
(Druch  von  Emil.  Mailer).  —  Stoeiter  Band:  Dos  Fegefeuer. 
—  Dos  Paradies,  Stuttgart,  Neff,  1873. 

Kànnegiesser  Karl  Ludwig,  Die  GóttUche  Komadie  des 
Dante  Alighieri,  Aus  dem  Italienischen  ùberseUt  T.  umge- 
arbeitete  Auflage^  herausgegehen  von  Karl  Witie.  Th.  un. 
Mit  Dante*  s  Bildniss^  den  Plànen  der  HóUey  des  Fegefeuers. 
des  Paradieses  und  einer  Karte  von  Ober-und  Unter^ItaUen. 
Leipzig,  Brockhaus,  1873. 

Carlo  Lod.  Kànnegiesser  nacque  a  Wendemark ,  presso 
Werben  nel  1781,  mori  a  Berlino  nel  1861. 

Il  primo  volume  contenente  V  Inferno  si  stampò  ad  Àmster* 
dam  nel  1809;  nel  1814  se  ne  fece  a  Lipsia  una  seconda  edi- 
zione, si  pubblicò  pure  il  Purgatorio;  il  Paradiso  nel  1821.  La 
traduzione  è  fedelissima  tanto  a  riguardo  al  concetto  quanto 
in  merito  alla  forma.  Circa  alla  forma  si  direbbe  difessa  è 
troppo  fedele,  almen  quella  dell* Inferno....  La  sua  traduzione 
fu  accolta  con  applauso  universale,  ed  è  sino  al  giorno  d' oggi 
d«Ue  più  diffuse  in  Germania.  Scartazzini.  Y.  Man.  Dant  ii,  535. 

Questa  nuova  edizione  venne  curata  dal  Witte  sull*  esem- 
plare legato  dall'autore  al  dilettissimo  amico. 

Witte  Karl,  Dante  AlighierCs  GóttUche  Komódie^  Berlin. 
Decker,  1876. 

Carlo  Witte  nacque  a  Lochau  presso  Halle  sulla  Sala  il  1 
Luglio  1800. 

<  È  questa  la  terza  edizione  della  fedelissima  e  bella  tra- 
duzione in  versi  del  capolavoro  della  nostra  letteratura  che 
merita  il  seggio  d' onore  fra  tutte  le  versioni  tedesche  che  son 


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TRADUZIONI  TEDESCHE.  405 

state  ùkiie  fin  qui.  L'Autore,  in  una  critica  che  fece  nel  1821 
lopra  due  lavori  di  questo  genere  (sulla  versione  dello  Streck- 
luss  e  del  Kaonegiesser),  quando  non  pensava  ancora  a  sotto- 
porsì  anch'  egli  alla  crìtica  disse,  che  quattro  erano  le  qualità 
aecessarie  ad  una  buona  versione.  La  prima,  l'esattezza  della 
traduzione,  la  seconda,  la  chiarezza  del  concetto,  la  terza  un 
Linguaggio  dignitoso  ed  elevato,  la  quarta  serbare  la  forma 
artistica  delle  terzine.  D  Witte,  dopo  circa  cinquanta  anni  di 
pazienti  ed  accurati  studi  su  Dante,  fedele  alle  sue  idee  gio- 
vanili, ha  adempito  quanto  richiedeva  da  altri,  ed -ha  volto  in 
terzine  tedesche  il  grandioso  poema  del  Divin  Fiorentino  con 
una  fedeltà  e  chiarezza  di  concetto  unica,  servendosi  di  una 
lingua  pura,  ricca  ed  elegante,  ed  è  riuscito  a  rendere  nella 
sua  favella,  se  non  tutte,  almeno  molte  delle  bellezze  che  l'a- 
dornano nell'  idioma  originale.'  Questa  versione  tedesca  ò  corra» 
data  di  un  volume  di  note  compilate  con  una  cura  veramente 
degna  di  chi,  animato  dal  desiderio  di  render  chiaro  il  senso 
dell'  immortale  poema  cerca  di  spianare  a'  suoi  connazionali , 
la  via  per  giungere  a  gustare  tutte  le  sublimi  bellezze  che 
contiene.»  Rivista  Internai,  Britan,  Germ,  Slava,  1876,  i, 
671.  —  Ali.  Zeitung,  1876,  n.  255.  —  Scartazzini  Q,  A.,  Studi 
Danteschi  in  Germania,  e  la  traduzione  di  Carlo  Witte.  Nella 
Rivista  Berlinese,  Deutsche  Rundschau,  1876. 

Strbckfuss  Karl,  Dante  AUghierCs  Góttliche  Komódie 
Uebersetzt  und  erlàutert,  Braunschwerg,  Schwetscke  a  Sohn, 
1871. 

Dante  AlighierCs  GottUche  Komódie,  Uebersetzt  und 

erìàutert,  Mit  herichtigler  Uebertragung  und  vòllig  umgear^ 
heiteter  Erklàrung  neu  herausgegeben  von  Dott,  Rudolf  Pflei- 
derer,  Leipzig,  Phil.  Reclam,  1876,  in  \2f^,  di  p.  622.  Ecjjz. 
economica. 

Alfonso  Federico  Carlo  Streckfuss  nacque  a  Gera  il  20  Set- 
tembre 1779;  morì  a  Berlino  il  26  Luglio  1844. 

Della  sua  traduzione  della  Divina  Conunedìa  ne  furono  fatte 
non  meno  che  undici  edizioni.  Tal  successo  non  è  dovuto  alla 
fedeltà  della  sua  traduzione,  che  invece  prende  sovente  il  carat- 
tere di  pallida  imitazione  o  di  parafrasi;  nemmeno  al  valore 
scientifico  del  commento  e  dell'introduzione,  che  non  contiene 
H6  non  le  cose  più  ovvie  e  più  superficiali,  né  può  vantare  grande 


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496  TRADUZIONI  TBIS8CHB. 

esattezza:  ma  ò  piuttosto  doyuto  alla  &cilità  e  direi  quasi  snxper- 
fidalità  della  traduzione.  Lo  Streckfuss  tradusse  tutto  il  poema 
in  terza  rima,  alternando*  la  rima  mascJiile  con  la  fèmmimU. 
Ma  ei  tradusse  da  poeta,  curandosi  cioè  più  dell*eleganza  poetica 
della  sua  traduzione  che  non  di  riprodurre  rigorosamente  i  con- 
cetti deir  originale.  Il  poema  dantesco,  neir  originale  oscuro  e 
difficilissimo,  si  ò  trasformato  in  questa  traduzione  in  un  poema 
pei  SalonSj  che  anche  il  mondo  elegante  può  leggere  senza 
incontrarvi  grandi  difficoltà.  ScariaziinL 

Babtsch  Karl,  Dante  AUgherCs  GóUUche  Komddie,  Veber- 
setzt  und  erlàutert,  Leipzig,  Verlag  von  F.  C.  W.  Vogel,  ISTI. 
In  3  voi.  in  S""  di  xxxiv,  207;  xii,  212;  x,  215  pag.  Elegante 
edizione.  La  traduzione  è  in  terze  rime. 


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497 


PROSPETTO 

delle  ▼ersioni  tedesche  della  Divina  Commedia. 


Anno 

1 

in  che 

TRADUTTORE 

Parte  tradotte 

Metro 

apparve 

o 

I7e7-e9 

BACHBNBCH\rANZ  L.  . 

La  Divina  Commedia 

Prosa 

1 

1780-82 

Jagrmans  Cr.  L.  .  . 

L' Inferno 

Giambi  sciolti 

1 

1795 

Schlegel  Oust.  Auo. 

L' Inferno  e  brani  del- 

l'altre  Cantiche 

Terze  rime  e  prosa 

2 

1807-16 

FóBSTER  Carlo  Aug. 

L'Inferno 

Rime  femin. 

1 

1809-21 

Kannbgibbser  G.  L. 

La  Divina  Commedia 

Terzine 

5 

1824 

Strbckpuss   Alfon- 

Rime roasch.  e 

so  Federico  Carlo 

Id. 

fem.  alternate 

11 

1828 

PiLALBTB  Giov.,  re  di 

Sassonia 

Id. 

Giambi  sciolti 

5 

1830-32 

IIor'WARTer  F.  B.  e 

K.  V.  EUK 

Inferno  e  Purgatorio 

Prosa 

2 

1S3(V.37 

HsiOBLiN  Giov.  Pbd. 

La  Divina  Commedia 

Giambi  sciolti 

1 

isti 

Di  Bemeck  Carlo  G. 
(pseud.  Bernardo 

von  Guseck).  .  .  . 

Id. 

Terze  rime 

2 

18 12 

KopiscH  Aug 

Id. 

Sciolti 

1812-13 

Graul  Carlo  .... 

L*  Inferno 

Terze  rime 

1861 

WiTTB  Carlo  .... 

La  Divina  Commedia 

Giambi  sciolti 

1863 

Braun  Giulio  .... 

L' Inferno 

Sciolti 

1867 

BiiANC  LoD.  Goffredo 

La  Divina  Commedia 

Sciolti 

1R65 

IIopfinoer  Giusepp.* 

Id. 

Terzine  rimate 

1S63 

Eitner  Carlo  .... 

Id. 

Terzine  sciolte 

1S^Ì5 

TAN'NER  Ales 

Id. 

Giambi  sciolti 

1868-71 

Krigar  Gugliel.  .  . 

Id. 

Terze  rime 

1S70 

Baron  R 

L' Inferno 

Esametri  tedesche 

1871 

NoTTER  Federico  .  . 

La  Divina  Commedia 

Terzine  rimate 

IsTT 

BARTscn  Carlo  .  .  . 

Id. 

Terzine  rimate 

46 

31 


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498  TRADUZIONI  TBDB8CHB. 

Oltre  i  succennati  traduttori,  se  ne  contano  oltre  a  res' 
che  voltarono  in  tedesco  ano  o  più  Canti  della  Divina  Gom^Hi 
Noi  li  abbiamo  già  mano  mano  ricordati. 

Tolgo  dall'  accuratissimo  lavoro  <  Dante  in  Germania  >  d-. 
prof.  Scartazzini  le  s^^enti  notizie  sui  traduttori  della  Di^ii-. 
Commedia.  —  Il  Bachbnschvanz,  n.  a  Zerbst  il  16  Luglio  17^^ 
m.  a  Dresda  nel  Maggio  del  1812.  Nel  1767  pubblicò  a  Lipr. 
la  traduzione  deirinferno;  nel  1768  quella  del  Purgatorio,  n-- 
1769  quella  del  Paradiso.  Ebbe  tal  successo  che  fu  oecessar^ 
fare  una  ristampa  del  primo  volume.  Il  prof.  Sartazzini  la  pu- 
dica nò  fedele  nò  elegante.  —  Cbistiano  Giuseppe  Jagexav? 
n.  nel  1735,  m.  a  Weimar  nel  1804.  Pubblicò  la  verdone  à^ 
r  Inferno  dal  1780  al  1782  nel  Magazzino  della  UUeratura' 
delle  arti  italiane.  È  di  poco  pregio.  —  Augusto  Guguel»: 
Schlegel,  n.  nel  1767  ad  Annover,  m.  a  Bonna  nel  1845.  Iom* 
i  primi  saggi  della  sua  versione  nel  i.  voi.  dell*  Accademia  d^S 
arti  oratorie  del  Burger  (1791,  p.  239-292  e  seg.  voi).  Nel  17^ 
pubblicò  nel  TaschenhucJi  zum  geselligen  Vergnùgen  di  y 
G.  Becker  la  traduzione  deir episodio  di  Ugolino;  nel  17'' 
nelle  Horen  dello  Schiller  T  intiero  InfemOy  parte  tradotto  :: 
terza  rima,  parte  epilogato  in  prosa;  nel  1796  nelle  Ricr'i' 
zioni  (i,  177-93)  de'  frammenti  del  Paradiso.  La  traduzione  del^ 
Schelling  secondo  il  Witte  ò  tuttavia  inarrivabile.  E  veramcs» 
essa  non  teme  il  paragone  con  le  più  famose  che  la  Germaca 
vanti  sino  al  giorno  d*oggi.  Tutti  questi  lavori  danteschi  dù 
Schlegel  furono  ristampati  nella  collezione  delle  sue  oper  • 
curata  da  Odorico  Boerking,  voi.  m,  pag.  199-381. —  Mesc^ 
nissima  è  la  traduzione  in  prosa  dell'  Horwabtbr.  — Gio.  Fed. 
Heigelin,  n.  a  Stoccarda  il  16  Novembre  1764,  m.  parroci 
protestante  nel  regno  di  Virtemberg  il  9  Novembre  1845.  I*, 
Scartazzini  la  dice  una  mal  riuscita  parafrasi  anzi  cheocj 
traduzione.  —  Nò  miglior  viso  ei  fa  a  queUa  dello  Stbbckfts.^  I 
La  prima  dispensa  della  sua  versione  usciva  in  luce  neIlS3^ 
presso  il  Mueller  di  Berlino.  Nelle  dissertazioni  in  fise  ^1 
volimie ,  ci  parla  a  lungo  della  storia  del  secolo  e  della  ^'^ 
di  Dante,  del  concetto  fondamentale  e  della  prima  e  prìacif^ 
allegoria  della  Divina  Commedia.  Ad  ogni  canto  è  preme* 
un  lungo  sommario ,  che  non  di  rado  diventa  un  ampio  ^'^ 
mento.  Le  annotazioni  sotto  al  testo  sono  invece  bx*evi,  e  poni» 


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TRADUZIONI   TEDESCHE.  499 

a  pena  dirsi  un  commento; ...  Il  lavoro  del  Kopisch  è  per  ogni 
verso  meschinissimo.  Nella  sua  traduzione  sono  incorsi  strafal- 
cioni che  sembrano  incredibili  in  un  uomo  vissuto  lungo  tempo 
ìa  Italia....  Inoltre  egli  maltratta  e  la  grammatica,  e  la  sin- 
tassi e  il  genio  della  lingua  nella  quale  ebbe  la  temerità  di  tra- 
durre il  Poema  sacro.  Le  sue  dissertazioni  sono  scritte  senza 
critica  e  senza  esattezza,  il  suo  concetto  non  è  che  un  giuoco 
di  fantasia.  Egli  trova  ovunque  allegorie,  secondi  sensi,  misteri, 
enigmi  e  cose  simili,  eppure  questo  tristo  lavoro,  che  Giulio 
Braun  chiamava  a  ragione  un  attentato  contro  Dante,  ebbe 
una  seconda  edizione!  —  Carlo  Graul,  n.  a  Woerlitz  il  6  Feb- 
braio 1814,  m.  a  Erlanga  nel  1864.  La  versione  del  Graul  ò 
molto  coscienziosa  e  va  annoverata  fra  le  buone.  —  Carlo 
Gustavo  di  Bbmbck  nacque  a  Kìrchkain  nella  Lusazia  il  28 
Ottobre  1808,  m.  a  Berlino  Totto  Luglio  1S71.  La  sua  versione 
non  è  fedele,  nò  chiara,  nò  elegante,  ma  un  lavoro  dozzinale,  e 
/nulla  piii.  —  Il  prof.  Scartazzini  ritoma  con  affetto  riverente 
alla  versione  di  Filalete,  ed  io  non  posso  non  riportare  per  intero 
le  sue  parole.  «  Essa  ò  una  delle  migliori,  delle  più  fedeli  ed 
eleganti  traduzioni  della  Divina  Commedia  che  sino  al  di 
d'oggi  vanti  la  letteratura  dantesca  alemanna.  Se  ne  eccettui 
la  rima,  tu  hai  qui  una  fotografia  dell'originale.  E  la  facilità, 
la  purezza  ed  eleganza  della  lingua  ti  fanno  quasi  credere  che 
non  una  traduzione,  ma  sì  un  lavoro  originale  tedesco  sia 
quello  che  tu  leggi.  Ma  forse  e  senza  forse  più  importante  che 
non  la  traduzione  ò  il  commento  che  occupa  in  questa  terza 
Cantica  la  maggior  parte  del  volume.  Non  ridonda  certo  a  glo- 
ria delle  lettere  italiane  che  di  questo  eruditissimo  commento 
nessun  italiano  illustratore  di  Dante  sapesse  sin  ad  ora  farne 
tesoro,  ^n  vi  si  parla  delle  bellezze  del  poema  come  nel  po- 
vero comiento  del  Biagioli,  non  vi  si  ripete  semplicemente 
quanto  si  legge  nei  commenti  più  ovvii,  come  fecero  e  fanno 
certi  cotali  che  non  vo'  nominare.  Anche  le  difficoltà  gramma- 
ticali e  le  questioni  relative  alle  varianti  della  Divina  Com- 
media non  hanno  naturalmente  luogo  in  un  commento  che 
accompagna  una  traduzione  del  Poema  sacro.  Ciò  che  distingue 
il  commento  del  Filalete  da  tutti  i  lavori  di  tal  genere  scritti 
in  qualsiasi  lingua,  ò  la  sua  vasta  e  profonda  cognizione  della 
storia,  della  teologia,  della  filosofia  o  in  generale  di  tutte  le 

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500  TRADUZIONI  TEDESCHE. 

scienze  ai  tempi  di  Dante.  Tutti  i  volumi  pubblicati  dal  Ma- 
ratori ,  tutti  1  cronisti  antichi ,  tutti  gli  storici  piti  recenti  d 
qualche  importanza,  la  Bibbia,  i  Padri  della  chiesa,  gli  Scol> 
stici  —  quanto  insomma  può  servire  alia  intelligenza  di  Dante, 
del  suo  sistema,  delle  sue  dottriue,  venne  studiato  confer^c^ 
ed  assiduità  singolare,  ed  i  frutti  di  tali  studi  non  meno  vasti 
che  profondi  sono  deposti  in  questo  commento.  Io  non  codosu:u 
in  tutta  quanta  la  letteratura  dantesca  —  e  questa  letteratura 
credo  di  conoscerla  un  poco  —  un  unico  lavoro  che,  in  ciò  cht? 
concerne  la  erudizione  storica,  teologica  e  filosofica,  possa  met- 
tersi a  canto  al  commento  del  Filalete  al  Paradiso,  Era  ben 
naturale  che  un  lavoro  tale,  e  per  la  sua  bontà  intrinseca,  e 
per  la  qualità  dell'autore  venisse  accolto  dal  pubblico  col 
grande  applauso.  Infatti  vedremo  che  essa  ebbe  quattro  edi- 
zioni. —  Fatevi  dire  che  Dante  non  è  divenuto  popolare  in  Ger- 
mania? Della  traduzione  dello  Streckfuss  se  ne  fecero  undici  ^ 
dodici  edizioni,  cinque  di  quella  del  Kannegiesser ,  quattro  d. 
quella  del  Filalete,  tre  di  quella  del  Witte,  due  di  quelle  d& 
Kopisch  e  del  Guseok,  e  cosi  via;  —  e  Dante  non  è  popolai: 
la  Germania?  Oltre  cinquantamila  esemplari  della  Divini 
Commedia  tradotta  in  lingua  tedesca  sono  diffusi  in  Germaoia 
e  vanno  per  le  mani  del  popolo  tedesco;  e  Dante  non  è  po}>- 
lare  in  Germania?  In  ogni  storia  universale,  ecclesia.stif». 
della  filosofia,  della  letteratura,  della  civilizzazione,  ecc.,  si  r> 
giona  pili  0  meno  a  lungo  di  Dante;  e  Dante  non  è  popolar. 
in  Germania?  Ogni  anno  si  stampano  libri,  opuscoli,  disseru- 
zioni,  articoli  di  periodici,  il  cui  soggètto  è  Dante  ;'  e  Dante  doo 
è  popolare  in  Germania?  Ma  dunque;  cosa  ci  vuole  per  rama- 
dei  cielo  per  ottenere  il  vanto  di  popolarità? 

Delle  altre  versioni  non  posso  riportare  i  giudizi*  percfe 
r  egregio  lavoro  del  prof.  Scatazzini  è  in  corso   di   staiup>- 

IX.  —  TRADUZIONI  IN  BOEMO 

Kvélny  vybor  z  Bozské  Komédie,  Sdeluje  Frantiscr  Docckì 
V.  Praze,  1854. 

Brani  scelti  dalla  Divina  Gomedia  per  cura  di  Frances-. 
Doucha.  —  Anthologiam  hanc,  scrivevami  il  dotto  e  cortesi- 

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TRADUZIONI  IN  BOEMO.  501 

simo  Bibliotecario  di  Praga  D/Zeiler,  interpres  in  Ephemeri- 
dibns  Casopis  ceskéko  Museum  lectoribus  obtulit,  metro  utens 
auctoris;  ut  vero  lectores  integrum  Carmen  Danteannm  quasi 
uno  in  conspecta  cernerent,  addidìt  prosaìcam  enarrationem 
omnium  quae  Dipina  Comoedta  continet.  Franciscus  Doucha, 
clericiis  Archidioceseos  Pragenae,  magnam  sibi  laudem  com- 
paravit  versionibus  bohemicis  Thomsonii^  Shakespearei,  Yictoris 
Hugo^  ecc.  Natus  1810  Pragae,  indefesso  fervore  ad  curandam 
l'ani  Bohemorum  literariam  incumbit. 


X.  —  TRADUZIONI  SLAVE 

(V.  Man.  Dani.  IV,  4M) 

Zakrajaski  Fr.,  Odlomek  ù  3.  sperma  Dante-ovega  «  Pekla  » 
Gorici,  1867.  —  Frammento  del  3  Canto  deir  Inferno.  Il  Zakra- 
jaski  diede  questo  saggio  di  versione,  in  Slavo-Illirico  nel  Pe- 
riodico Domovina, 

Molti  sono  quelli  che  tentarono  di  tradurre  la  Divina  Com- 
media in  Sloveno.  Gli  episòdi  di  Francesca  di  Rimini  e  di  Ugo- 
lino furono  dati  ripetute  volte,  come  saggio,  ne*  diversi  giornali 
letterari  della  Croazia  e  della  Serbia.  Condussero  a  termine  la 
versione  dell'Inferno  Stefano  Makaranin,  (Svicevic?)  di  Makar- 
ska,  ed  il  P.  Carlo  Pareic,  del  terz' ordine  de' Francescani; 
vivente,  e  runa  e  T altra  rimangono  tuttavia  inedite. 

Nel  periodico  sloveno  Soca,  1874,  si  leggono  alcuni  brani 
della  Divina  Commedia  voltati  in  sloveno  da  Francesco  Za- 
RRAJSCRi;  nello  stesso  periodico  è  annunziato  che  Kosesri  la 
tradusse  g^r  intero  e  che  verrà  pubblicata  nel  1876. 

XI.  —  TRADUZIONI  UNGHERESI 

CV.  3Ìan.  Dant,  IV,  486) 

SzÀsz  Carlo,  (Transilvano,  già  prete  protestante,  attual- 
mente Consigliere  al  Ministero  della  pubblica  istruzione). 

Traduzione  del  i  canto  deir  Inferno.  Nel  Giornale  Reform, 
1873. 


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502  TIUDUZIONI  UNOHERESr. 

Traduzione  del  iii  canto.  Nella  Rivista  ebdoisadarj 

Athenaeum,  Pest,  1872. 

Il  Szàsz  è  uno  de'  migliori  poeti  ungheresi.  Nessuno,  {r. 
di  lui,  ha  aiTÌcchìto  la  patria  letteratura  di  tante  lodatissÌTì:- 
versioni. 

XII.  —  TRADUZIONI  RUSSE. 

Petrow,  Vei'sione  della  prima  Cantica.  Pietroburgo,  1871. 

MiNAiBW,  Versione  della  Divina  Comedia,  con  illnstrazioc: 
del  Dorè.  Lipsia,  1873. 

Belchtkowski  Adamo,  L'  Episodio  di  Francesca  da  Rimki 
Nella  BibUoteka  Warsaioska, 

XIII.  —  TRADUZIONI  IN  GRECO  MODERNO. 

Vkrgotin  P.,  Cefaleno,  Versione  dei  primi  cinque  esnrì 
delC  Inferno,  Cefalonia,  1865.  —  In  versi  alessandrini  scici: 
ed  in  lingua  popolare. 

Ignoro  chi  abbia  vinto  la  prova  nel  concorso  0ecoD0ffi>- 
che  assegnava  mille  dramme  al  miglior  traduttore  della  DÌTÌa 
Commedia.  Il  dott.  Giulio  Tipaldo,  nella  patina  letteratura  Tr^ 
satissimo,  scrive  di  averne  letto  alcuni  Saggi  ne*giornali  elknr- 
e  non  ricordame  egli  pure  il  nome.  Però  la  versione  gli  pani 
men  comendevole,  e  giudica  esser  superiore  quella  del  Vergoc.: 
che,  nel  concorso,  non  potè  esser  presa  ad  esame,  perdiè  pr^ 
sentata  oltre  il  termine  segnato. 

XIV.  —  TRADUZIONI  IN  ARMENO.  (IJ^ 

Nell'isola  di  S.  Lazaro,  a  poche  remate  da  Venezia,  vigr- 
reggia  una  Congregazione  di  Cenobiti,  trapiantatasi  dairOriect-- 
che  in  sé  raccoglie  tutto  il  pensiero  e  gli  affetti  della  patrii 
Armena.  Que'  buoni  e  valenti  Padri,  che  da  tanti  anni  appres 
a  riverire  ed  insieme  ad  amare,  cresciuti  nelle  dure  prove  del- 

(1)  Ristampo  questo  accenno  sulle  Traduzioni  in  Armeno,  anche  ?t 
retliftca  di  alcuni  errori  corsi  alla  p.  483  del  voi.  IV. 

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TRADUZIONI  IN  ARMENO.  •  503 

*  abnegazione,  non  perdonano  a  fatiche  pel  bene  e  la  prosperità 
Iella  loro  bene  amata  nazione.  Essi  ne  vengono  educando  nobil- 
xiente  e  sapientemente  i  figli  ;  hanno  in  casa  una  tipografìa,  vi 
pubblicano  un  lodato  giornale  e  de*  buoni  libri,  che  spacciano 
in  Oriente  a  diffondervi  la  luce  della  civiltà  ;  nulla  vogliono  per 
3 è,  tutti  lieti  come  sappiano  d'aver  giovato  alla  patria  loro.  — 
All'Italia,  che  ospitale  li  accoglie,  sono  strettamente  legati  e 
per  grato  animo  e  per  affetto.  —  E  la  Divina  Commedia  trovò 
pure  tra  essi  de'  cultori  intelligenti ,  ed  io  mi  compiaccio  di 
registrare  alcuni  saggi  di  versione  della  Divina  Commedia  che 
da  giudici  competenti  vennero  lodati  per  fedeltà  ed  accuratezza. 

Hbkin  Serapionk,  L'Episodio  di  Ugolino.  —  Polistore,  (Ri- 
vista Armena),  Venezia,  1866,  p.  330-335. 

HuRMUZ  MoNS.  Edoardo,  Arcivescovo  di  Sirace,  L'Episodio 
di  Ugolino.  —  Polistore,  Novembre,  1866,  p.  330-335. 

JsAiAN  P.Barnaba,  L'Episodio  di  Ugolino.  Polistore,  Marzo, 
1869. 

Bagratuni  P.  Arsenio,  di  Costantinopoli,  Le  tre  prime  tei^ 
zine  del  Canto  iii  dell'  Inferno.  —  Polistore,  Giugno,  1868  p.  190. 
—  È  ben  a  dolersi  che  il  P.  Bagratuni ,  il  classico  traduttore 
di  Omero,  di  Milton,  della  Georgica  di  Virgilio,  non  abbia 
potuto  offrire  alla  sua  nazione  che  questo  piccolissimo  saggio. 
Egli  aveva  in  animo  di  consacrarsi  tutto  al  nostro  Poeta  e  di 
spingere  avanti  la  versione,  per  quanto  le  forze  e  la  grande 
età  glielo  consentissero.  Ma  la  morte  che  lo  colse  ottantenne, 
il  24  Dicembre  1866,  venne  a  turbarne  la  tela  ordita. 

Kantarian  P.  Samuele,  11  Canto  iii  dell'Inferno.  Nel  Poli- 
store, Febbraio,  1871,  p.  43-45. 

Eremiaiy  P.  Athanaoine,  di  Trebisonda,  ex-direttore  della 
stamperia  armena  di  S.  Lazaro.  —  Sappiamo  che  condusse  an- 
ch'egli  in  armeno  parecchi  Canti  dell'Inferno,  inediti  tuttavia. 

Nazareth  P.  dott.  Davide,  de'  P.  P.  Mechitaristi  in  S.  La- 
zaro di  Venezia,  Terzine  scelte  della  Divina  Commedia  di  Dante 
Alighieri,  traduzione  Armena,  col  testo  a  fronte,  Venezia,  tip. 
Arra,  di  S.  Lazaro,  1875,  in  16^  di  p.  198. 

Fu  dapprima  pubblicata  nel  Polistore  (  1875,  p.  149-60  ). 
Il  P.  Nazareth  ha  pur  voltato  e  felicemente,  nella  materna  sua 

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504  •  TRADUZIONI  IN  ARMBNO. 

lingua  le  Stagioni  del  mio  concittadino  G.  Barbieri.  —  Da'  gs- 
noscitori  esperti  delle  due  lingue  il  Saggio  che  annundam? 
venne  tenuto  in  conto  di  fedele  ed  elegante.  Egli  prosegne  infa- 
ticato neir  opera  cominciata,  desideroso  che  la  sublime  TrìlogL: 
non  sia  più  straniera  alla  sua  nazione.  La  prima  Cantica  dtr 
r  Inferno  uscirà  nel  18T7. 

Zabpanalian  P.  Karkino.  —  Nella  sua  Storia  della  lettera- 
tura europea  del  Medio  evo,  e  dei  tempi  moderni. (1874),  cb 
venne  poi  recata  in  francese  dal  sig.  Mennechet^  oltre  la  tìc. 
del  sommo  poeta,  ci  diede  pure  tradotti  molti  brani  ddla  Di- 
vina Commedia. 


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505 


OPERE    MINORI 


PoLETTO  AB.  GIACOMO,  Le  Opere  Minori  di  Dante  Alighieri^ 
rispetto  aita  Divina  Commedia,  Ricerche  (Memoria  letta  alla 
R.  Accademia  di  Padova,  il  di  20  Febbraro  1876),  Trento, 
Seiser,  1876.  Estratto  della  Voce  Cattolica  di  Trento. 

Ei  ci  fisi  daopo  accostarci  all'  altissimo  Poeta,  scevri  di  pre- 
venzioni, percli*egli  ci  si  abbia  a  rivelare   nelle  sue  veraci  e 
schiette  sembianze.    UnMdoleggiato  sistema  falsa  nel  parere 
anche  le  cose  più  evidenti.   Se  non  che  è  vezzo  di  molti  Co- 
mentatorì,  a  sostegno  e  difesa  delle  scaltre  insinuazioni  dell'a- 
mor proprio  e  dei  facili  sofismi  dell'affetto,   di  coartarne  il 
testo ^  perchè  abbia  loro  a  rispondere  d'altra  guisa  che  non 
suona.  Di  qui  le  dispute  irose  e  i  troppi  frequenti  deliramenti. 
—  E  tutto  questo  perchè  si  discostano  i  più  da  quel  principio 
elementare  di  ermeneutica  che  stabilisce  il  miglior  interprete 
di  un* opera  essere  l'autore  istesso;  perchè  le  Opere  Minori 
nou  vengono  chiamate  in  sussidio  e  a  schiarimento  del  Poema. 
E  che  ne  sieno  esse  il  germe,  T  apparecchio  ed  il  commento, 
ei  ce  lo  vien  mostrando  e  con  la  Vita  Nuova,  col  Canzoniere, 
e  più  largamente  con  l'Epistole  latine  e  con  la  Monarchia. 
Siccome  son  moltissimi  i  luoghi,  dice  il  Poletto,  ne'  quali  l'Au- 
tore anziché  esporre  il  suo  dottrinale,  a  questo  tacitamente  si 
appella  come  a  cosa  nota  e  dimostrata,  ognun  vede  di  per  sé 
stesso  come  sia  mestieri  di  mettere  in  chiaro  la  nascosta  sen- 
tenza, d'illuminare  il  concetto,  di  svolgere  in  forma  di  dimo- 
strazione,  dò  che  il  Poeta  annuncia  come  l'ultimo  risultato: 
e  se  l'Alighieri  nelle  varie  sue  opere  ci  somministra  larga- 
mente i  mezzi  a  poterlo  fare  comodamente,  non  sarebb'egli  un 
improvvido  consiglio  trascurare  cotal  guida  o  cercare  ad  altra 

32 

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506  OPSU  MINORI 

fonte  r  indùpenBabile  dottrina?  Chi  meglio  di  Ini  interpreta  s* 
stesso  ?  E  senza  questi  soccorsi  potrassi  ben  giungere  alli 
buccia,  ma  al  midollo  non  mai;  si  avrà  bagliore,  die  ferendc 
abbarbaglia,  non  luce  serena  che  illuminando  fisconda. 

Fanfani  P.,  Cento  e  più  correzioni  al  testo  deile  opere  à 
Dante  Alighieri  proposte  da  Carlo  WiUe.  Halle,  1854.  Stiu£ 
ed  Osservazioni,  ecc.  p.  315-339. 

LE  RIME  DI  DANTE 

(V.  Mam.  Damt.  tV,  é»). 

CARDUca  Giosuè,  LeUe  Bime  di  Dante  Alighieri.  Studi  Let- 
terari, Livorno,  Vigo,  1874,  p.  139-237. 

A  questo  discorso,  che  fu  pubblicato  per  la  prima  voi:; 
del  1865  in  un  volume  di  varii  scritti  raccolti  da  O.  Ghivizzaci 
e  edito  da  M.  Gellini  di  Firenze  con  Y  intitolazione  Dante  e  >' 
ma  secolo  (p.  715-60),  ha  il  Carducci  nella  presente  rista2i]|.i 
fatte  moltissime  giunte,  sicché  Tha  accresciuto  d'oltre  an  terr. 
ma  più,  com*  ei  dice,  di  svolgimento  e  dichiarazione,  di  (dtazioL 
e  di  esempi  che  d*  altro.  Del  resto  non  ebbe  a  mutare  o  c> 
dificare  nulla  delle  sue  idee  circa  la  lirica  di  Dante.  —  Ridt:' 
autentici  i  tre  sonetti:  Bicci,  noi>el  figliuol'^  Chi  udisse  tos-- 
—  Perché  tjitando;  nò  gli  pare  di  ricacciar  fira  gli  apc^-r-i 
l'apologo  della  cornacchia:  Qìiando  il  consiglio  degU  augei:  \ 
tiene;  non  è  lungi  dall*  accettare  il  sonetto  recato  dal  Vt'm 
Deh  piangi  meco  <w,  dogliosa  pietra;  nò  vorrebbe  pur  sii- 
bitasse  suir autenticità  della  Canzone:    Tre  donne  benedetti 
ed  ha  invece  qualche  dubbio,  non  senza  appoggi  ai  oodid,  5>  1 
quella  che  comincia:   Morte  poi  eh* io  non  truova,   Avrtb^j 
invece  desiderato  che  il  Giuliani  fosse  più  franco  ne'  suoi  dui  : 
intomo  l'altra:  0  patria  degna  di  trionfai  fama  ;  la  quale, 
per  lo  stile  soverchiamente  retorico  e  dissoluto,  e  per  oen 
nomi  simbolici  desunti  dalla  stessa  Commedia,  che  Dante  d'i 
avrebbe  fatto,  egli  inclina  a  creder  fattura  d'un  rimatore  (k!j 
seconda  metà  del  trecento.  —  E  poichò  Carlo  Witte,  dimaoii 
egli ,  ha  intralasciato  il  pensiero  di  ripubblicare  le  Rime  i 
Dante,  quando  la  faremo  noi  in  Italia  questa  edizione  enti.'. 


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UB&DIB.  507 

crìtica  meramente  ed  in  tutto,  nel  tetto,  nella  elezione,  nella 
distrìbozione,  nelle  dichiaraziom  e  od  confronti?  E  sarebbe 
par  necessaria,  certo  più  che  nna  ristampa  della  Divina  Con^ 
inedia,  a  intendere  adeguatamente  lo  svolgimento  e  le  fasi 
dell'ingegno  e  della  poesia  di  Dante.  —  Al  che  io  rispondo: 
Nessuno  m^lio  del  Carducci  siq;>rebbe  cimentarsi  a  quest'ardua 
prova,  e  desideratissima  da  quanti  amano  Tenore  del  gran 
Padre  della  nostra  letteratura.  E  eh'  egli  sia  uomo  da  dò,  ben 
ce  lo  fece  luminosamente  vedere  nel  suo  nobilissimo  Saggio 
di  un  testo  e  Commento  nuovo  alle  Rime  di  Fr,  Petrarca 
sopra  argomenti  storici  morali  e  diversi.  ^  Y.  Man,  Dant. 
IV,  470. 


NUOVE  EDIZIONI 

RIME  INEDITE  E  RIME  ATTRIBUITE  A.  DANTE. 

Cr.  Man.  Dani.  JV,  475). 

Le  Poesie  liriche  illustrate  da  Giovanni  Fornari.  Roma, 
Menicantì,  1843. 

"^  De  Léonard»  G.,  Saggio  di  studi  critici  su  Dante,  Cans, 
XIX.  Palestra,  1868,  Fase.  4,  6,  8. 

BiNDi  Enrioo,  Sonetto  di  Dante  a  Mess.  Cino  :  Io  mi  credea 
del  tutto  esser  partito,  e  fUsposta  di  Cino  a  Dante^  ridotti  a 
buona  lezione  ed  annotati.  Letture  di  Famiglia,  1876,  p.  443. 

SoRio  P.  Bartolomeo,  Lettera  al  sig.  P.  Fanfani  sopra  al- 
cune rime  di  Dante,  Fanfani,  Studi  ed  Osservazioni,  p.  345. 
—  De  Batines  Colomba  Sul  Saggio  di  rime  levato  da  un  codice 
delsec.  XIV  custodito  nella  Capitolare  di  Verona.  Jd.p.  351. 

Il  P,  Sorio  pubblica  alcune  rime  inedite,  levate  da  un  co- 
dice del  sec.  XIY  custodito  nella  Capitolare  di  Verona.  Ei  le 
dice  bazzecole  a  petto  del  troppo  più  e  meglio  di  sonetti,  di 
canzoni,  di  madrigali  non  più  stampati,  che  vi  si  trova,  ma 
che  non  gli  venne  consentito  di  trarne  copia. 

Manzoni  L.,  Il  Canzoniere  Vaticano^  3214.  Rivista  di  Fi- 
lologia Romanza,  Imola,  Galeati,  i,  71-82. 

Il  Canzoniere  Vaticano  contiene  le  seguenti  Rime  di  Dante, 


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508  OPRRB  BflNORI 

o  attribuite  a  Dante.  Fresca  rosa  novella  —  Per  una  ghirlan- 
deUa  k'  io  vidi  —  Io  nU  son  pargolecta  bella  e  nova.  -^  Qaesto 
mandò  Dante  a  Guido  GaTalcanti  di  Firenze:  Guido  t  Tomi 
ke  tu  Lapo  ed  io:  Questa  è  la  risposta  ke  mandò  Gtiìdo  a 
Dante  :  5'  io  fòsse  quelli  che  cT  amor  fu  degno.  —  Volgete  gli 
occhi  a  veder  hi  nù  tira  —  Né  le  man  vostre  gentil  dona 
mia,  —  Chi  guarderà  giamai  senza  paura,  —  DaU  oehi  de  la 
mia  dona  si  move,  —  Questo  mandò  Dante  a  Lippo  in  questo 
modo:  5^  Lippo  amico  mio,  se  tu  che  mi  legga.  —  Guido 
Cavalchanti  e  Guido  Orlandi  dice  V  axempro,  ma  chi  lo  fece  fìi 
Dante  Alighieri  :  Vòt  he  per  H  occhi  mi  passaste  il  core  (Guido 
Cavalcanti).  —  Come  Guido  Orlandi  rispose  a  uno  sonetto  ke 
li  mandò  Dante  Alighieri  :  Poiché  traeste  m  sino  al  ferro  C  ar- 
che. —  Questo  sonetto  mandò  Dante  Alighieri  a  mess.  Cino  da 
Pistoia:  Perch'io  non  trovo  chi  meco  ragioni.  Questa  è  la 
risposta  ke  fece  messer  Cino  da  Pistoia  a  Dante  Alighieri: 
Dante,  io  non  so  di  qual  allegro  suono  —  Sonar  brachetti  e 
chi  cacciator  aissare.  ^  De  ragioniam  un  poco  insieme  amore 
—  Madonna  quel  signor  che  voi  portate.  —  Questo  mandò 
Dante  a  messer  betto  Bruneleschi  di  Firenze:  Messer  Bru» 
necto  questa  pulzelecta.  —  Il  Manzoni  ci  prometteva  la  pubbli- 
cazione di  questo  Codice  importante. 

D'Ancona.  Alessandro.  Su  alcuni  Sonetti  di  Cecco  Angio- 
lieri  a  Dante.  Nuova  Antologia,  a.  ix,  1874. 

Rime  inedite  di  quattro  poeti  italiani.  Roma,  Barbera,  1872. 
Furono  pubblicate  da  Dobienico  Carbone  per  le  nozze  Gameri- 
Bertoldi  (Nov.  1872).  Tra  le  altre  vi  ò  un  sonetto  che  sotto 
il  nome  di  Dante,  leggesi  in  un  codice  della  Casanatense,  e 
comincia  :  Era  ne  V  ora  che  la  dolce  stella.  È  profumatissimo, 
ma  che  sia  proprio  del  sommo  poeta,  neppur  questo  il  Car- 
bone  garantisce.  A  Dante  venne  pure  attribuito  il  sonetto: 
Questa  è  una  giovinetta  —  e  la  Ballata:  Standomi  in  mezzo 
d*  un  oscura  vaUe.  Vennero  riprodotti  neir  Illustrazione  popo^ 
lare,  voi.  viii,  1 1  Maggio  1873,  n.  2.  Se  tutte  sieno  veramente 
di  quelli,  e  in  parte  d'altri,  e  non  più  stampate,  conclude  il 
Carbone ,  mancandomi  tempo  a'  riscontri  e  dottrina  a'  giudizi, 
gli  eruditi  sentenzieranno. 

Catechismo  cattolico  in  terza  rima  per  Dante  Alighieri. 
Roma,  Tip.  di  Roma,  in  16*  di  p.  22. 


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hs  Rinv.  509 

n  padre  Comoldi^  della  Compagnia  di  Gesti,  dedica  a  Giu- 
seppe Nicolò  dei  conti  Bianchini,  veneziano,  questa  corretta 
edizione  della  breve  cantica  in  cui  Dante  espoàe  in  247  terzine 
il  Credo*  i  Sacramenti,  i  Comandamenti,  i  Vizi,  e  le  Virtii,  il 
Pater  e  1*  Ave.  Egli  dice  di  aver  trascritto  dal  Codice  Vaticano 
Urbinate  687,  che  trovasi  nella  Biblioteca  Vaticana,  questa 
Cantica  di  Qante  che  intitola  il  suo  Catechismo  CcUtolicOf  che 
raramente  si  trova  tra  le  opere  sue  stampate,  nò  può  aversi 
altrimenti  che  guasta.  In  quanto  a  noi,  non  esitiamo  a  rite- 
nerla apocrifa. 

Rime  sacre  cU  Dante  Alighieri.  Palermo,  1832,  in  24^  Edi- 
zione procurata  dal  P.  Albssio  Narbonb  della  C.  di  G.  conte- 
nente il  Credo  e  le  altre  parti  del  Catechismo  e  i  .Salmi 
penitenziali. 

.—  Con  annotazioni  del  P.  don  Giovanni  Cafici  ,  cassi- 
nese.  Nella  Tromba  della  Religione,  Giornale  sacro  di  Catania, 
1844. 


STUDI  SUL  TESTO  DELLE  RIME. 

CV.  Man.  Data.  IT,  Mi;. 

VrTALi  Pietro,  Lettera  al  sig.  ab.  Michele  Colombo  intomo 
ad  alcune  emendazioni  che  sono  da  fare  alle  rime  stampate 
di  Dante  e  del  Petrarca, . . .  Parma,  Rossi-Ubaldi,  1820. 

Mozzi  Luigi,  Sopra  un  passo  di  Dante  nella  stia  Vita  Nuova. 
Tre  Epistole,  76-83. 

Il  Muzzi,  contro  F autorità  del  Torri,  dello  Scolari,  del  Pa- 
renti, del  Fraticelli,  del  Giuliani,  del  Witte,  e  del  D'Ancona 
che  nel  secondo  sonetto  leggono,  €  Guastando  ciò  che  al  mondo 
è  da  lodare  In  gentil  donna,  fuora  dell'  onore,  vorrebbe  si  leg- 
gesse col  Biscioni  sowa  dell'  onore.  »  Certo  annota  il  Carducci, 
V  onore  non  sta;  ma  non  trova  pure  opportuna  queUa  ecce- 
sùone  dell'onore. 

PicnuLLO  P.  Carlo,  Opere  Minori  di  Dante  Alighieri  con 
illustrazioni  e  note  di  Pietro  Fraticelli.  Firenze,  1857.  Civ. 
Cattol.  Serie  ui,  voi.  ix,  1858,  p.  571. 


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510  OPBBI  MINOBI 

n  P.  Picirìllo  propone  una  differente  lettura  di  otto  Tersi, 
0  come  più  conforme  al  sistema  ortografico  ammesso  ed  acceir 
tato  molto  opportonamente  dai  Fraticelli,  o  più  acconcia  s 
condo  qualche  variante,  o  la  guida  del  buon  senso  {ly 

Fanpani  Pietro,  Di  un  frammento  antico  contenente  Rime 
ài  Dante,  Lettera  ad  un  amico.  Studi  ed  Ossorazioiii ,  pag. 
339-345. 

Dà  varie  lezioni,  tolte  da  certi  straodafogU  di  pergamena, 
posseduti  dal  cav.  Scappucci  di  Pistoia,  sembrandogli  che  pos- 
sano riuscire  di  qualche  profitto  a  chi  dovesse  &re  una  novèlla 
edizione  delle  Rime  di  Dante. 

ToDBacHiNi  GrasEPPB,  DeUa  prima  Canzone  àeUa  Vtftì 
JVuoea.  —  Donne  che  avete  intelletto  d*  amore  —  e  dell  epoca 
che  scrisse  la  seconda  stanza.  Scritti  su  Dante,  i,  275-286. 

(}ontro  r  opinione  del  Balbo,  che  non  la  vorrebbe  posteriore 
ali*  anno  1289,  il  Todeschini  pensa  che  la  seconda  stanza  sia 
stata  composta  solamente  alquanto  tempo  dopo  la  morte  di 
Beatrice,  e  ne  dà  le  -ragioni. 

VERSIONI. 

RossBTTi  Dante  Qabribl,  Dante  and  his  Circle;  v>ith  the 
ItaUan  Poets  preceding  Mm  (1100,  1200,  1300):  a  CoUection 
of  Lyrics,  Edited  and  translated,  in  ^ie  originai  metres  (Il 
edit.).  London,  Ellis,  1870.  —  III edit.  Boston,  Roberts  bros, 
1875. 

ToBfLiNSON  Charles,  The  Sonnet:  its  Origin,  l^ructurey  and 
Piace  in  Poetry,  With  originai  Translations  fiwn  the  5dn- 
nets  of  Dante  t  Petrarch,  etc,,  and  Remarks  on  the  Art  of 
Translating.  London,  Murray,  1874. 

(1)  L*  emendaxìone  cadrebbe  sa  veni  se^.  :  Ben  eonote'  foche  va  la 
neve  al  sole  ;  ed  il  Picirìllo  :  Ben  conotcA'  io  che  va  la  neve  al  sole  (Canx. 
viii^  st.  3,  V.  7).  — >  Rodermi  cosi  il  core  scorza  a  scorza,  ed  egli  :  Rodermi 
cosi  il  core  a  9cwsa  a  scorsa  (Gans.  ne,  st  2).  ^  La  noviU  che  per  tna 

{'erma  luce,  da  scriversi  con  miglior  lettura  :  La  novità  che  per  tua  forma 
uce  (Canz.  x,  st.  pen.).  —  Noi  sofferia^  perocch*  ella  6  finita;  e  il  Picirìllo 
le«ge:  Noi  toffreria,  perocch'eUa  ò  finita  (Gans.  xixi,  st  1).  —  B  priego 
sol.  eh*  audir  mi  sofferiate,  che  cangia  :  E  priego  sol,  eh'  a  udir  mi  sof- 
feriate { BaL  I  ).  —  E  al  verso  penultimo  della  Bai.  tv.  C^roAia  U  mente 
mia>  propone  di  leggere  Cerchiò;  ed  all'ultimo  del  Son.  vn:  Oli  guai  dei 
ditcaeciati  tormentosi  —  OH  gasi  degìi  scacciati  tormentosi. 


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511 


RIME   MUSICATE. 


SiEBER  Fbrd.,  Due  Poesie  Dantesche  composte  per  la  festa  del 
27  Maggio  1865  e  dedicate  agli  onorati  membri  della  Società 
italiana  a  BeroUco  (sic).  —  Zioei  Dichiungen  von  Dante  —-  A. 
Paierunser  —  B.  Sonett  fur  cine  Uefe  SUmme  mit  Begleitung 
des  Pianoforte.  Potsdam,  Liebner. 

—  Oltre  le  terzine  del  Purg.  xi,  v.  1-25,  0  Padre  nostro 
che  ne*  deli  stai,  il  Sieber  ci  diede  intonato  adoìmato  di  soave 
melodia  il  Sonetto:  Tanto  gentile  tanto  onesta  pare.  —  Il  Padre 
nostro  venne  pur  intonato  dal  maestro  Sinico  di  Trieste,  e  dal 
prof.  Alessandro  Biagi  di  Firenze;  ed  il  Sonetto  Tanto  gentile^ 
da  Adimari  Moretti  di  Treviso. 

BiJLow  H.,  Sonett  von  Dante,  fur  Stimme  mit  Pianoforte, 
Berlin,  Schlesinger,  1875.  — -  V.  Man.  Dant  iv,  556. 

.   Dante^s  Sonett  von  BiJLOW,  fUr  Pianoforte  ùbertragen  von 
Fr.  Liszt.  Berlin,  Schlesinger,  1875. 


LE  PROSE  VOLGARI 


Fbrrazzi  Jacopo,  La  Prosa  di  Dante  comparata  a  quella 
degli  altri  Prosatori  del  suo  tempo.  Estratta  dall*  Opera  Monu- 
mentale Dante  e  il  suo  Secolo,  per  cura  del  prof.  Gaet.  Qhir 
vUzani.  Firenze,  Cellini,  1866,  p.  775-792.     • 

Siccome  al  subito  apparire  di  nuova  e  mirabil  cosa  ci  avviene 
che,  tolti  ad  ogni  altro  intento,  tutto  ristrìngiamo  V  animo  e  il 
volto  a  più  e  più  avvisarla;  cosi  ci  accadde  al  primo  apparire 
della  Divina  Commedia,  tenuta  più  presto  prodigio  che  umana 
creazione.  E  di  fatti,  il  trovare  in  un  volume  legato  con  amore 
e  a  fondo  descritto  tutto  dò  che  per  1*  universo  si  squaderna, 
in  un  volume,  cui  cielo  e  terra  ebber  posto  mano,  ci  era 
impossibile  non  andarne  altamente  ammirati,  non  fermarvici 
la  mente,  non  fÌEime  continuo  subietto  de*  nostri  studi  e  delle 


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512  OPBBB  M1N0BI 

nostre  investigazioni.  Lo  che  se  da  una  parte  giovò  mirabil- 
mente a  rendere  universale  F altissimo  canto,  non  potò  noo 
nuocere  alle  Opere  Minori  dell*  Alighieri,  ma  sovrattutto  alk 
sue  prose  italiane,  che  caddero  ben  presto  neglette,  e  per  poco 
furono  lasciate  in  oblio.  Sicché  un  egregio  scrittore  (1),  con 
enfatica  ma  pur  vera  espressione,  sentenziava:  che  Fuomo 
disparve  dinanzi  al  fUlgòre  del  poeta,  il  parlatore  inspirato 
lasciò  nell'ombra  il  pensatore,  la  cupola  distolse  T attenzione 
dal  sottoposto  edifizio.  Di  qui  ne  venne  che  pochi  giungessa^ 
a  noi  i  codici,  e  guasti  i  pivi,  che  per  cons^uenza  anc^e  nelle 
poche  edizioni  se  ne  facesse  strazio  disonesto;  che  i  critici, 
percossi  allo  splendore  della  sublime  trilogia,  non  serbassero 
al  poeta  un  seggio  onorato  tra*  prosatori  del  suo  secolo  ;  e  cba 
solo  da  non  molti  anni,  alcuni  benemeriti,  raccogliendo  con 
riverente  religione  le  disgiunte  frandi,  ponessero  tutti  gF  in- 
gegni a  darci  quelle  prose  piìi  corrette  e  più  avvantaggiate.  E 
certamente  non  ci  sarà  chi  non  istimi,  pur  che  vi  ponga  ben 
mente,  che  T  Alighieri  non  abbia  un  solenne  diritto  alla  rico- 
noscenza della  nazione,  non  solo  come  la  maggiore  sua  musa, 
ma  anche  come  il  prìmo  nobilissimo  &bbro  della  prosa  italiana. 
Ma  per  maglio  far  conoscere  e  chiarire  il  merito  dì  lui,  è 
mestieri  sulle  stesse  orme  di  Dante  ricercarvi  i  principi!  delia 
nostra  favella. 

E,  innanzi  tratto,  egli  è  certo  che  a*  giorni  suoi  la  lingos 
volgare  non  era  che  da  piccolo  tempo  usata:  cose  dette  in 
lingua  del  si  avanti  di  lui,  per  cento  cinquanta  anni  non  si 
trovavano  (Vita  Nuova ^  §  25).  D  volgare  corruttibile  e  non 
istabile  dì  leggieri  tramutavasì  a  piacimento  artificiato,  poiché 
il  solo  piacimento  era  ad  esso  norma  e  legge  (Canv.  i,  5). 
Laonde  se  bene  ci  facciamo  a  guardare,  nel  torno  di  ònquan- 
t*  anni  molti  vocaboli  erano  spenti  nati  e  variati  :  il  bello  vol- 
gare seguitava  Y  uso  e  non  l'arte  (Conv,  i,  5).  Ed  ò  ben  vero  che 
legando  so  con  numero  e  con  rima  aveasi  non  solo  acconciato  a 
più  stabilità  (Conv,  i,  13),  ma  pur  preso  abito  più  gentile;  nò 
aveano  plebeiamente  cantato  Guido  delle  Colonne,  Guido  Orlandi, 
Lappo  Gianni,  Lappo  degli  liberti,  Dino  Frescobaldi,  Onesto  Bolo- 


(1)  G.  Mazzini^  Scritti  Minori  di  Dante.  Scritti  Letterari  di  un  lU- 
taliano  vivente,  Lugano,  Tip.  della  Svinerà  italiana,  1847,  m,  381. 


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LB  PROSE  VOLGARI.  513 

^ese;  ed  il  Guinioelli  potea  venire  dallo  stesso  Dante  salutato 
maestro  suo  e  di  quanti  migliori  usarono  dolci  e  leggiadre  rime 
d*  amore  (Purg,  xxvi,  97).  Né  di  ciò  è  meraviglia:  che  ognuno 
sa  come  a'  poeti  non  solo  sia  conceduta  maggior  licenza  di 
parlare  che  alU  prosaici  dettatori  {YUa  Nuova^  §  25 ),  ma  come 
il  loro  linguaggio  non  sìa  che  una  restrizione  nella  lingua,  e  più 
segnatamente  ne*  poeti  del  primo  secolo,  non  aggirandosi  essi 
che  sopra  argomenti  d*  amore.  Il  perchè  fU  notato  come  i  poeti, 
veri  trovatori  del  dire  illustre,  in  tutte  le  lingue  precedessero 
sempre  i  prosatori;  e  Dante  medesimo  attestava  che  questi 
ultimi  pigliarono  da'  poeti  i  sottili  numeri  della  sciolta  orazione 
e  le  diritte  leggi  dell*  arte  grammaticale,  onde  venne  che  quello 
cVè  in  versi  rimanesse  fermo  esempio  alla  prosa  (De  Yulg  ir, 
2).  Ma  a' più  era  avviso  che  a  lingua,  e  lingua  veramente 
volgare  (Cono,  iv,  4),  che  chiamava  tuttavia  mamma  e  hahbo 
{Inf.  XXXII,  9;  De  Yulg.  EL  n),  e  in  che  comunicavano  le  fem- 
minelle {Ep,  a  Cangrande,  §  IO),  non  si  potessero  manifestare 
molte  cose  concepite  nella  mente  {Conv.  i,  5),  e  davasene  colpa 
allo  stromento  e  alla  sorda  materia  (Conv,  i,  11)  meno  riepon^ 
dente  all'intenzione  dell'arte.  Così  mentre  dall'Alpi  a  Sicilia 
echeggiava  nella  moderna  &vella  il  canto 

De*  buon  testor  degli  amorosi  detti, 

nessuno  s'osava  ancora  ad  iscrivere  pensatamente  in  isciolta 
parola.  Che  se  pur  alcuno  nella  dolce  terra  latina  arrischi avasi 
a  qualche  cosa  di  più,  ciò  solo  accadeva  per  traslatarvi  prose 
di  romanzi,  o  per  rendere  più  comuni,  a  servigio  del  popolo, 
quei  precetti  creduti  più  utili  al  ben  vivere,  come  ne  fan  fede 
i  volgarizzamenti  del  Giudice  Albertano,  del  libro  di  Cato  e 
quelli  di  Frate  Guidotto  di  Bologna  o  di  Bono  Giamboni.  Senza 
che,  raccesasi  con  l' instttuzione  dei  comuni  la  carità  del  loco 
natio,  ne  venne  il  bisogno  di  registrare  i  costumi,  i  dolori,  le 
feste,  le  sconfitte,  le  vittorie,  in  breve  tutti  i  patri  avvenimenti, 
ma  per  sola  memoria,  ad  esempio  degli  avvenire,  senza  però 
che   vi  si   ponesse   né  ingegno   nò   arte.    Matteo  Spinello  (1) 


(4)  n  Bernhard  (  Berlino ,  1868  )  impugnò  1*  autenticità  della  cronaca 
dello  Spinelli.  <  Dopo  alle  cose  che  ne  scrìsse  il  Bernhard,  scrive  il  Gai>* 
poni,  pare  a  me  essere  dimostrato  che  nella  Cronaca  del  Pugliese,  avesse 
un  uomo  del  500  levigato  V  antico  idioma,  e  forse  in  parte  corretto  lo  stile, 


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514  0P8U  MINOBI 

■crìtM  i  BUOI  Dinniali  a  caso  (De  Vm^.  EL  ii),  e  come  parìan, 
e  in  quel  dialetto  pugliese  che  T  Alighieri  nel  Volgare  Eloquio 
chiama  laida  fiivella.  U  primo  a  metter  orme  meo  incerte  nella 
prosa  si  fu  Ricordano  Malaspini,  che  favoleggiò  d$*  Trqfame 
di  Fissole  e  di  Roma,  ma  con  rarissima  diligenEa  foce  scrittura 
e  memoria  de*  fatti  dell'età  sua  sino  al  1282.  Se  bou  che  U 
prisco  aspetto  de*  vocaboli,  il  racconto  dissanguato,  senza  ancora 
uno  stile,  intralciato  spesso  e  sgrammaticato,  abbondante  <ìi 
ripetizioni  frequenti  e  di  costruzioni  viziose  ti  appalesa  ima 
man  che  trema,  senza  avere  ancora  T abito  dell^ai-te.  Di  Fra 
Ouittone  abbiamo  alcune  lettere  aspre  per  duri  modi,  per  rio- 
forme  stile  e  per  Firte  voci  {De  Vulg.  El.  n,  6),  quantunque 
vi  lumeggi  sotto  povero  cielo  qualche  raro  solco  di  luce  (1). 
Onde  per  quanto  ci  facciamo  a  cercare  i  primi  scrittori  ci 
avverrà  solo  di  trovarvi  alcuni  deboli  lineamenti  d*una  lingua 
ancor  fresca  e  recente,  e  per  servirmi  d*una  frase  del  nostro 
poeta,  qtéosi  entomata  in  difetto  in  ad  fbrmasian  fiUla, 

Non  si  deve  adunque  in  tutto  appor  colpa  a  Brunetto  Latini, 
se,  egli  italiano,  toglieva  a  scrìvere  in  lingua  francese  la  saa 
più  fiamosa  opera,  il  Tesoro,  nel  quale  inoe  ancora^  enciclo- 
pedia di  quel  secolo  cominciatore  di  civiltà,  e  quasi  amia  di 
mèle  tratta  da  fiorì  diversi,  e  come  un  composto  delle  piò 
preziose  gioie  dell'antico  senno  {Tes,  i).  B  allo  stesso  Latioi 
parve  bello  il  dislegarsene,  apertamente  confessando,  come  la 
parlatura  francese  fosse  di  quel  tempo  la  piii  dilettevole  e  più 
comune  di  tutti  gli  altri  linguaggi  Ciò  non  pertanto  a  Dante 
sapeva  reo  e  per  poco  impossibile  che  un  cittadino  del  bel 
paese  ove  il  A  suona  spregiasse  le  ricchezze  natie,  e 


perehò  io  non  so  bene  indonni  a  credera  che  fono  tntU  fidaifleita,  e  che 
r  editore  1*  avesse  a  disegno  spruszata  di  antiche  voci  e  desioense  napo- 
litano *  {Qino  Capponi  t  Storia  della  Rep.  di  Pir.  Libro  t,  c.  8,  p.  4^}- 
—  K  il  dotto  alemanno  Scheffer-Boichorst  ritiene  pare  apocrife  le  storie 
del  Malespini  non  che  la  cronaca  del  Compagni  (sul  Màlespini,  V.  p- 
116)  Sa  questa  ultima  si  è  dispatato  gagliardamente  e  psaaioaataxnente  : 
armati  d*  ogni  ragione,  scesero  in  campo  valenti  battaglieri,  italiani  e  stra- 
nieri ;  oppositore,  tra  tutti  instancato  e  flerisstmo,  il  nnftni,  che  la  grida 
apocrifa.  Veramente  i  ragionamenti  da  lai  addotti  mi  son  si  certi,  eprendos 
Si  mia  fede,  che  inverso  di  elU  gli  altri  mi  paiono  sillogismi  difettivi.  Pertanto 
fo  voti  perchè  esca  presto  la  deslderatissima  pobblicaaione  della  Cronaca  a 
cui  da  gran  tempo  attende  1'  egregio  mio  amico  prof.  Del  Lungo ,  anche 
per  valutare  le  prove  eh*  ei  ci  verrà  recando  della  propugnata  autenticità. 

(1)  «  Non  SI  sa  in  che  lingua  siano  scritte  (le  lettere  dì  Fra  Qnittone}i 
e  sono  chiaro  esempio  della  più  passa  affettaxione  e  della  più  svenevole 
smanceria.  »  Manfani,  Letture  di  Famiglia,  1876,  p.  40». 


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LB  PBOSB  VOLGARI.  515     • 

oraxnenta  che  a  dispetto  del  proprio  volgare,  altri,  diparten- 
OBÌ  dalla  verità,  commendasse  le  lingue  strane  come  più  belle 
migliori  (Conv,  i,  10).  Onde  pieno  di  nobile  disdegno  scaglia- 
asi  contro  gli  abbominevoli  cattivi  d'Italia  che  tenevano  a  vile 
[aesto  prezioso  volgare,  il  qnale,  se  pur  era  vile  in  alcuna 
'Osa,  non  lo  era  se  non  in  quanto  suonava  nella  bocca  meri- 
rice  di  siffatti  adulteri  (Conv.  i,  1).  Nò  poteva  essere  altrimenti, 
;faò  ben  acceso  amante  non  vede  più  in  là  della  persona  bene 
imata,  e  n*è  fieram^te  geloso,  presto  a  difenderne  a  viso 
iperto  r oltraggiato  onore  (Coni?,  i,  10).  Questa  lingua,  cosi 
igli,  usata  fu  dalle  persone  a  noi  più  prossime;  questa  con* 
punse  i  nostri  genitori;  questa  per  prima  prese  posto  nella 
loatra  mente;  questa  ne  introdusse  nella  vita  della  scienza, 
:h*  è  r ultima  perfezione;  con  questa  dal  principio  della  nostra 
rita  abbiamo  usato  deliberando,  interpretando,  questionando 
Canv.  I,  13).  Il  perchè  a  perpetuale  infamia  ed  a  depressione 
li  cotali  malvagi  uomini  d'Italia  (  Coni?,  i,  11),  non  che  pel 
latnrale  amore  della  propria  loquela  {Cono,  i,  10),  prendeva  a 
Iettare  neUa  grande  bontà  del  suo  volgare  (td.)  due  prose,  per 
cnostrare  quanto. esso  potea,  anche  senza  le  accidentali  ador- 
nezze  del  ritmo  e  della  rima,  e  come  altissimi  e  novissimi 
lìoncetti  convenevolmente  come  per  esso  latino  si  potessero 
esprimere,  volendo  specialmente  che  col  suo  commento  si  vo- 
lesse r agevolezza  delle  sue  sillabe,  e  la  proprietà  delle  sue 
condizioni,  e  le  soavi  orazioni  che  di  lui  si  fanno,  le  quali  chi 
bene  voglia  agguardare,  vedrà  essere  piene  di  dolcissima  ed  ama> 
bilissima  bellezza  (Conv.  i,  10). 

E  a  tanta  altezza  d' intendimento  bastavagli  1* animo  e  l'in- 
gegno !  n  grande  italiano  non  ubbidiva  che  a  quel  sentimento 
che  gli  ragionava  potente  nel  cuore;  ed  egli  solo  sentiasi  forte 
di  accreditare  il  pregio  e  T  esempio  della  nuova  lingua,  egli  di 
inalzarla  di  magistero  e  di  potenza,  gìttando  via  dall'italica 
selva  gli  arbori  attraversati,  e  di  tanti  rozzi  vocaboli,  di  tante 
perplesse  costruzioni,  di  tante  difettive  pronunzie,  di  tanti  con- 
tadineschi accenti  cosi  egregio  riducendolo,  cosi  districato,  cosi 
perfetto  e  cosi  civile,  per  esserne  poi  egU  stesso  alzato  di  onore 
e  di  gloria  {De  Vulg,  EL  i,  17).  In  breve,  ei  sperava  di  poter 
rendere  la  natia  sua  favella,  quasi  rinnoveUafa  di  noveiie  pronai^ 
imperatrice  di  tutte  le  italiche  &velle,  e  di  poter  pur  dire  con 

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516  OPERB  MINORI 

orgoglio  :  r  idioma  eh*  usai  e  eh*  io  fei.  Sicché  veo^dogli  a 
vista  le  splendide  glorie  di  questo  volgare  che  prendea  ad  edu- 
care a  più  nobili  fati,  con  occhio  divino  esdamava:  «  Qoesio 
sarà  quel  Pane  orzato,  del  quale  si  satolleranno  migliaia,  e 
a  me  ne  soverchieranno  le  sporte  piene.  Questo  sarà  Luce 
nuova.  Sole  nuovo,  il  quale  sorgerà  ove  V  usato  tramonterà,  e 
darà  luce  a  coloro  che  sono  in  tenebre  e  in  oscurità  per  lo 
usato  Sole  che  a  loro  non  luce  »  {Conv.  i,  13). 

Per  le  quali  considerazioni,  non  che  per  la  testimonianza 
deiris  tesso  Alighieri,  è  dunque  chiaro  come  prima  di  lui  spe- 
rimenti di  prosa  più  che  vera  prosa  ci  fosse,  e  ch^^li  neon- 
fortato  dal  più  dolce  de'  suoi  amici ,  Guido  Calvalcanti  (  Vt£s 
Nuova  y  §  31),  con  ispeciale  intendimento  rivestisse  il  primo 
in  forme  volgari,  soggetti  più  alti  e  non  più  tentati. 

Due  prose  ci  lasciò  Dante,  la  Vita  Nuova  e  il  Concito,  di 
indole  diversa;  fervida  e  appassionata  Tuna,  come  gli  piacque 
intitolarla,  virile  e  temperata  l'altra  (Conv,  i,  1). 

La  Vita  Nuova  è  il  primo  monumento  di  gloria  che  voile 
innalzato  a  quel  nuovo  miracolo  gentile  della  sua  Beatrice, 
che  il  Delècluze  disse  il  primo  e  il  più  spirituale  de'  romano 
intimi ,  il  De  Sigalas  il  più  caro  librìccino  del  cuore ,  il  ver» 
principio  rigeneratore  di  tutto  ciò  che  v'  ha  di  bello  e  di  huoao 
nell'opere  dell'arte  moderna.  E  ben  a  dritto  ebbe  a  cantare 
il  nostro  poeta  che  Amor  e  cor  gentil  sono  una  cosa  {Son.  10), 
e  che  Amore  è  il  fonte  del  gentil  parlare  {Son.  42),  se  di 
tanta  squisita  armonia  e  inimitabile  semplicità,  di  tanto  pro- 
fumo d' ineffabile  mestizia  gli  seppe  avvivare  quelle  brevi  pagine 
narratrici  di  tutto  il  suo  stato  (  Yita  Nuova^  §  31),  e  gli  valse 
a  colorire  con  la  più  soave  favella  il  più  paro,  il  più  gentile 
degli  amori  !  E  che  leggiadro  candore,  che  delicata  soavità  nei 
primo  apparire  di  quell'  angiola  giovanissima  (§  2),  nel  prim^ 
dolcissimo  salutare  che  gli  &cea  vedere  ì  termini  della  beati- 
tudine e  quasi  inebbriato  partire  daUe  genti  (§3)!  Quanta  ve- 
rità e  quanta  passione  d'affetto  in  que'  tremori  improvvisi  che 
gli  appariano  negli  occhi  (§  11),  in  tutte  le  parti  del  corpo 
(§14),  e  fin  ne'  menomi  polsi  (§2);  in  quelle  frequenti  tras- 
figurazioni che  gli  dipingeano  sul  volto  il  color  del  cuore;  in 
quel  timido  e  vergine  amore  che  pur  non  s'attenta  di  appa- 
lesarsi e  cerca  di  altre  gentili  che  gli  facdan  velo  del  vero 


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LE  PROSE  VOLGARI.  517 

g  5)  !  Con  che  semplicità  quasi  in&ntile  non  ci  rivela  V  azione, 
\  processo,  l'analisi  del  suo  amore,  d'ogni  più  svariata  sen- 
sazione, d'ogni  pena,  d'ogni  più  picciola  gioia,  e  come  intanta 
teniasi  svolgendo  il  suo  ingegno,  quasi  fiore  al  raggi  d'un 
candido  e  fervente  affetto  !  Ma  là  dove  ci  narra  della  sua  donna 
morta,  e'  mi  pare  meraviglioso  ;  tanta  pietà  ci  è  in  essa  rac- 
colta, sì  che  ci  pare  di  piangere  e  di  sognare  con  lui  (§  23). 
Sicché  mi  sembra  non  apporrai  al  vero,  se  dico  che  nella 
rivelazione  della  storia  intima  del  cuore,  nella  pittura  di  quanto 
vi  ha  di  più  puro  e  di  più  delicato  abbia  egli  raggiunto  l' ul- 
timo deir  arte  senza  che  mai  l' arte  si  manifesti.  Nò  io  mi  dorrò 
di  alcuni  mistici  modi  ed  iperbolici,  di  alcune  ardite  figure^ 
di  alcune  forme  scolastiche,  se  a  mano  a  mano  vi  rilucono  a 
diletto  le  bellezze  più  '  schiette ,  se  le  parole  son  sempre  gio-^ 
conde  ed  amorose  ad  udire ,  le  frasi  scolpite  e  di  grande 
affetto  impresse,  i  costrutti  leggiadri,  l' andamento  facile  e  gra- 
zioso, come  parlasse  sempre  la  lingua,  quasi  per  so  stessa 
mossa  (Vita  Nuova,  §  19),  o  meglio  ancora  con  la  lingua  del 
cuore  (§24).  La  Beatrice  della  Vita  Nuova  è  una  creazione 
che  tiene  della  terra  e  del  cielo  :  vi  ci  trovi  un  non  so  che  di 
aereo  e  di  sovrumano  :  a  poco  a  poco  la  ti  diviene  T  ideale 
del  vero,  del  bello  e  del  bene  ;  egli,  per  cosi  dire,  te  la  trasfigura 
in  nn  angelo  puro  e  santificatore.  E  basta  che  ella  passi  per  la 
via,  coronata  e  vestita  d'  umiltà,  perchè  incuori  puri  ed  onesti 
affetti  in  chi  la  vede,  che  quasi  cosa  di  cielo  in  terra  venuta 
pur  non  la  s' ardisce  di  guardare  :  e'  basta  eh'  ella  apparisca, 
perchè  all'anima  del  poeta  giunga  tosto  una  fiamma  dì  carità 
che  gU  fa  perdonar  chiunque  l' avesse  offeso  (  Vita  Nuovay 
§  11).  Io  mi  son  fatto  a  rileggere  più  e  più  volte  quel  piccolo 
graziosissimo  dramma,  e  sempre  mi  è  avvenuto  di  scorgervi  per 
entro  di  nuove  ed  ineffabili  bellezze,  e  sempre  me  ne  venne 
una  dolcezza  onesta  e  soave  tanto  che  ridire  non  lo  saprei. 

Eppiu*e  a  soli  ventisei  anni  Dante  traeva  fuori  la  Vita 
Nuova,  quando  non  era  ancora  negli  studi  adulto,  ed  eragli 
per  infino  duro  entrare  nella  sentenza  di  Tullio  e  di  Boezio 
(Vite  Nuova,  §  Il  ;  Conv,  ii,  13),  ed  era  si  tenue  e  fuggevole 
nella  sua  mente  il  lume  delle  gi'andi  cognizioni,  che  l' ingegno 
suo  vedea  di  molte  cose  quasi  sognando  (Con.  ii,  13).  Ma  egli 
è  da  avvertire  che  Dante  notò  solo  quando  spiravagli  amore , 

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518  OPXBB  MOfORI 

e  che  solo  a  quel  modo  che  dettavagli  entro  lo  Tenia  signl 
cando  ;  di  qui  il  dolce  suo  stile  nuooOy  di  qui  tutto  il  segni 
deirarte.  Onde  il  Giordani  non  si  peritava  di  chiamar  peifd 
la  prosa  della  Vita  Nuova ,  e  il  Foscolo  lamentava  cbe  aùa 
fosse  ammirata  quanto  pur  valea,  nò  attentamente  stadiitel 
avendo  essa  dato  l'impulso  e  il  progresso  non  solo  alla  poes^ 
ma,  quel  eh'  è  più  difficile  in  ogni  lingua,  alla  prosa  iUliad 
Il  Convito  poi,  come  suona  il  nome,  ò  un' imbandigiofle  d 
scienza,  è  la  beata  mensa  a  cui  seggono  pochi,  ed  ove  si  mmft 
il  pane  degli  angeli  del  quale  mvesi  quitti  ma  non  sen  ri^j 
satollo  j  è  il  fonte  vivo  delle  cui  acque  si  refrigera  )a  naturai 
sete  che  mai  non  sazia  (Conv.  i,  1).  Che  se  egli,  a  avo  rìmeM 
avviso,  non  è  avventurato  di  assidersi  tra'  pochi  die  ne  soi 
degni,  si  tiene  per  contento  d' adagiarsi  loro  a'  piedi,  di  racoa 
glieme  quello  che  cade,  e  della  ricolta  ricchezza  chiamare i 
parte  li  veri  poveri,  da  ogni  macola  liberalmente  mondarne  J 
pane,  pria  di  ministrarlo,  sicché  ognuno  solo  che  il  voglia,  ^^i 
possa  gustare  e  patire  (Conv,  i).  E  perchè  la  sua  cena  tì^ 
più  splendida,  e  quale  conviene  alla  sua  guida,  pone  appuc:^ 
tutto  r animo  ad  inalzare  la  materia,  a  rincalzarla  con  {a 
arte  e  con  più  alto  stile  {Conv,  i,  4),  ed  entra  in  pelago  cj. 
isperanza  di  dolce  cammino  e  di  salutevole  porto  {Conv.  ii.  1. 
È  adunque  aperto  quanto  alto  fosse  V  intendimento  suo  » 
dettare  questo  commento  che  mai  non  fu  domandato  da  p<^ 
sona  {Conv,  i,  9);  indurre  cioò  gli  uomini  a  scienza  e  a  t::c 
{id.)  ;  gridare  alle  genti  che  per  mal  cammino  andavano,  accioe> 
che  per  dritto  calle  si  dirizzassero  {Conv,  iv,  1);  allumare  ik^ 
pure  so ,  ma  gli  altri ,  aprendosi  egli  come  una  rosa  che  ^ 
chiusa  stare  non  può,  ma  1*  odore  ch'ò  dentro  generato  reaìt 
a  qualunque  appresso  le  va  {Conv,  iv,  27).  Nel  Convito  ejli  « 
un  nuovo  poderoso  pensiero  che  gli  vince  V  anima  tutta ,  cU 
gli  &  mirare  una  nuova  donna  gentile,  che  gli  dice  parole  «ii 
lusinghe,  gli  ragiona  dinanzi  agii  occhi  del  suo  intelligi'*^ 
affetto,  egli  è  un  nuovo  pensiero  che,  accompagnato  da  amor?. 
il  fa  disposare  ad  esso  lei  piena  di  dolcezza,  ornata  d'oi^r- 
stade,  mirabile  di  savere,  gloriosa  di  libertade  (Conv,  ih  I'^ 
Esso  è  il  libro ,  come  osserva  egregiamente  il  Centofanti.  '^ 
nuovi  amori,  dei  nuovi  studi  del  poeta,  quando  la  sua  Beatiiee 
è  già  morta,  quando  il  fiore  dell'  età  prinia  è  passato,  quai-^o 


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LB  PROSE  VOLOARI.  519 

l  frutto  ddi^età  Tirile  debbe  matararsi  col  senno;  il  libro  che 
ftppreBenta,  anzi  costitoisce  quella  filosofica  disciplina  dell*uo- 
Qo,  che  illustra  quella  nuova  poesia  della  vita,  come  la  prosa 
Leila  Vita  Nuova  illustra  quella  della  prima  età. 

E  difatti  il  suo  Convito  ò  1*  encìdopedia  della  scienza  intera 
lei  suo  secolo.  Sotto  colore  di  aprire  la  verità  nascosa  entro 
le  sne  canzoni,  coglie  il  destro  di  far  conoscere  la  vastità  della 
iottrìna  di  che  avea  piena  la  mente,  di  sfoggiar  le  ricchezze 
lei  suo  intelletto,  eh*  erano  per  quei  giorni  diverse,  vastissime 
3  meravigliose.  Se  non  che  il  cimento  non  potea  non  esser 
aspro  e  forte:  nessuno  si  era  mai  ardito  di  vestire  la  scienza 
delle  forme  volgari.  Tutto  quel  poco  di  sapere  eh*  era  campato 
dal  gran  naufragio  dell*  umana  civiltà  non  si  dimostrava  vera- 
mente che  nelle  scuole  dei  religiosi  e  nelle  disputazioni  dei 
filosofanti  (  Conv,  n,  13),  alle  quali  egli  pure  per  trenta  mesi 
con  grande  amore  fu  continuo.  Ma  quivi  tenea  campo  il  lin- 
guaggio scolastico,  un  bai*baro  latino,  ma  assai  opportuno, 
come  osserva  T  Emiliani  Giudici,  a  significare  le  astruserie  più 
ardue  dell'intelletto.  Oltre  di  che,  la  scienza,  povera  tuttavia, 
dilettavasi  a  frondoso  rigoglio  di  prolisse  dissertazioni,  di  sottili 
distinzioni,  e  di  sillogismi  difettivi  che  riducono  a  meccanismo 
la  ragione  e  il  pensiero,  e  come  da  ogni  lato  la  stringesse  lo 
stremo,  fedele  ormeggiava  Aristotile,  tenuto  nelle  scuole  il  mae- 
stro dell'umana  ragione,  e  degnissimo  di  tanta  fede  e  di  tanta 
obbedienza,  che  ove  la  divina  sentenza  di  lui  aperto  avesse  la 
bocca,  doveasi  senz'altro  lasciar  ogni  sentenza  (Ceno,  iv,  13). 
Mettendosi  adunque  per  questo  silvestre  ed  intentato  cammino, 
toglieva  un' altra  volta,  e  più  efficacemente,  a  mostrare  aleno 
bel  paese,  quanto  queir  idioma  che  in  ciascuna  città  appare  e 
che  in  ninna  riposa,  quello  eh'  ò  di  tutte  le  città  italiane  e  non 
pare  sia  di  nessuna  {De  Yulg,  EL  i,  16),  avesse  di  boutade  in 
podere  ed  in  occulto  (  Cont;.  i,  10),  e  come  potesse  degnamente 
trattare  sopra  altre  materie  che  amorose  (^ita  Nuova,  §,  25), 
e,  con  mirabile  ardimento,  sforzavalo  dirò  cosi  a  sdonneare  e 
vestire  il  nobile  saio  della  filosofia. 

Ed  è  veramente  sventura  che  il  sommo  ingegno  dell'Ali- 
ghieri fosse  costretto  ad  avvolgersi  tra  le  sottigliezze  della 
scuola,  tra  le  scienze  del  trivio  e  del  quadrivio,  sicché  T  ordito 
ti  paia  talora  scompigliato  e  che  la  lingua  non  sia  compiuta- 

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520  OPBRE  MINORI 

mente  segtiace  di  quel  che  vede  V  intelletto,  e  lo  acrittore  pr»* 
ceda  tremorosamente  non  aicuro,  quasi  irretito  da  un  nodo 
che  inviluppi  la  sentenxa  eh*  è  per  esporre.  Ma  quando  la  paroU 
obbedisce  alP affetto  e  al  sentimento  che  la  governa,  qnaoio 
non  è  più  impigliata  dal  peripatetico  paludamento,  e  d  àrrsi 
la  moralità  e  bellezza  della  filosofìa  (Conr.  m,  15),  eh' è  amo- 
roso uso  di  sapienza,  e  la  sovrana  eccellenza  dell*  uomo,  di  questa 
mirabile  creatura ,  di  cui  non  pur  colie  parole  è  da  temer  a 
trattare,  ma  eziandio  col  pensiero  (Cono,  ni,  2);  quando  a 
accende  dell*  amore  della  virtù,  di  quell*  amore  che  ore  sple&ìe 
fa  scuri  e  quasi  spenti  tutti  gli  altri,  imperocchò  il  suo  oggettt 
etemo  improporzionairaente  gli  altri  oggetti  vince  e  soperchii 
{Cont>.  Ili,  14);  quando  dal  fango  della  nostra  stoltezza  d  sfora 
a  levar  gli  occhi  al  cielo,  perchò  nulla  fa  tanto  grande,  quanta 
la  grandezza  della  propria  bontà,  la  quale  è  conservatrice  àét 
altre  grandezze  {Conv.  i,  10);  o  quando  si  scaglia  adegua 
contro  r  avaro  maledetto ,  che  non  s*  accorge  che  desidera  ì^ 
sempre  desiderare,  andando  dietro  al  numero  impossibile! 
giugnere  (Cont>.  ni,  15);  nelle  cui  mani  il  tesoro  è  in  più  basss 
luogo,  che  non  è  la  terra  ov*ò  nascoso  (Cono,  i,  9);  in  breve. 
quando,  pieno  di  filosofia  la  lingua  e  il  petto,  e*  insegna  coo^ 
Tuomo  si  etemi,  e  perpetuale  sia  1*  anima  nostra  (Conv.  ih9ii 
allora  anche  nel  Convito  eì  fa  scoppiare  infiniti  e  bellissimi  l<ii< 
del  suo  intelletto  ;  il  suo  stile  si  colora  della  gravità  dei  ss- 
pienti,  la  sua  parola  e* inonda  e  scalda,  diviene  quasi  hiCì 
intellettuale  piena  d*  amore.  Nò  più  splendido  esempio  di  m^ 
gniloquenza  saprebbemi  altri  additare  di  quello  in  che  il  Nostro 
esalta  Roma  e  il  gentil  seme  de*  Romani,  la  sua  Roma,  di  cui 
egli  è  €  certo  di  ferma  opinione  che  le  pietre  che  nelle  mura 
stanno  sieno  degne  di  riverenza  ;  e  il  suolo  dov*  ella  siede  sia 
degno  oltre  a  quello  che  per  gli  uomini  è  predicato  e  provato  » 
(Conr.  IV,  5).  Laonde  il  Salvini  non  si  perita  chiamare  il  Con- 
vito la  più  antica  e  la  principale  di  tutte  le  illustri  prose  ns-i 
liane;  il  Monti  altissima  e  sapientissima;  e  1* Emiliani  Giudicij 
non  che  bella,  meravigliosa. 

Dair impulso  pertanto  e  dall* esempio  di  Dante,  dall* espe- 
rienza ,  fonte  costante  ai  rivi  dell*  ai'te,  la  prosa  italiana  uscìa 
del  tetro  uso  volgarer,  e  cresceva  mano  a  mano  in  gentilezza 
e  in  maestà.  La  forma  e  1*  idea  dell*  arte,  se  mal  non  m*avviso, 


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I^  PROSE  VOLGARI.  521 

eco  quasi  T  eccellenza  ;  si  che  tanto  bella  non  sapemmo  ri- 
•earla  di  poi.  Tutti  gli  scritti  del  beato  trecento  ti  ai  racco* 
Aadano  caldamente^  non  tanto  per  la  nativa  purezza,  la  schietta 
l  invidiabile  eleganza  di  una  lingua  ancor  vergine,  quanto 
er  la  loro  fisionomia  tutta  originale  ed  italiana.  Ma  perchè 
i  venga  piii  certo  il  merito  grandissimo  che  si  debbo  a  Dante, 
[ccooie  prosatore,  mi  giova  toccare  anche  de*  piii  illustri  della 
ella  scuola^  nella  quale  non  v*  ha  dubbio  tengono  onoratissimo 
^SS^o  i  <lue  cronisti  Giovanni  Villani  e  Dino  Compagni  ;  degli 
scetici,  U  Passavanti  ed  il  Cavalca  ;  e  il  più  sommo  de*  novel- 
ieri,  Giovanni  Boccaccio. 

Il  Villani,  fra  i  ducentomila  forestieri,  condottisi  in  bene- 
letto  peregrinaggio.  Tanno  del  giubbileo,  nella  santa  città  di 
tloma,  alla  vista  di  que*  grandi  ed  antichi  monumenti,  alla 
n emoria  delle  gesta  di  quel  popolo  re,  levato  al  cielo  per 
tanti  nobili  scrittori,  si  pose  in  animo  di  prendere  da  loro  lo 
stile  e  la  forma,  e  narrare  stesamente  non  solo  le  mutazioni 
avvei^se  e  felici  della  sua  Fiorenza,  figliuola  e  fattura  di  Roma, 
ma  tutti  i  più  notevoU  fatti  dell*  universo  che  di  quei  giorni 
accadessero.  Ed  ei  volea  dettata  la  sua  Cronaca  in  piano  voi* 
gare,  acciocché,  secondo  ei  scrive,  i  laici  siccome  gì*  iUetterati 
ne  potessero  trar  frutto  e  diletto.  Ed  è  pur  notevole  che  quei 
generali  perdoni  banditi  dalla  Chiesa  a  tutta  la  cristianità, 
come  inspirarono  al  sovrano  poeta  la  prima  idea  della  sacra 
epopeia,  cosi  originassero  la  Cronaca  del  Villani,  ed  i  fatti 
avvenuti  più  speciahnente  nel  tempo  del  giubbileo  togliesse  ad 
iscrivere  il  Compagni.  U  Villani  racconta  candido  ed  ingenuo, 
in  guisa  che  non  si  può  non  leggerlo  anche  quando  ci  narra 
cose  incredibili.  In  quella  bontà  di  racconto,  chi  osservi  mten- 
tivamente,  ci  trovi  una  eleganza,  una  ricchezza  di  lingua, 
ignoti  a*  suoi  contemporanei  ;  gì*  idiotismi  stessi  sotto  la  sua 
penna  ingentiliscono.  Ciò  non  ostante  ei  pecca  non  di  rado 
nella  sintassi;  ed,  a  giudizio  del  Perticari,  studiò  troppo  nei 
francesi,  e  troppe  voci  ne  tolse,  che  suonarono  cosi  straniere 
all'  orecchio  de*  posteri  che  mai  più  non  le  vollero  né  adope- 
rare né  udire  (1). 

(1)  Ed  anobe  U  Fanfani  di  Giovanni  VUlani:  <  O  per  yaffhesza  o  per 
poco  senno  la  sua  scliietta  fovella  nativa  egli  inzaccherò  di  quel  loto  francese, 
onde  egU  si  era  imhrattato  in  Francia.  »  Letture  di  Fàmlgha^  1876,  p.  403. 


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522  OPBRB  MmoRi  « 

Dioo  Compagni,  anima  alteramente  sdegnosa,  amò  quanto 
altri  mai  la  patria  sua  di  nobilissimo  affetto.  Flor^itizio,  és 
dentro  nell'anima,  non  vedea  più. in  là  della  soa  terra  natak. 
eh*  era  per  lui  la  più  nobile  città  del  mondo.  Giovine  aaeorx 
tenne  i  primi  uffizi  della  repubblica,  ma  al  tristo  spettacolo j 
degli  odii  intestini  e  del  rio  parteggiare  gliene  pianse  il  cuore 
deplorò  fieramente  le  fraterne  pugne,  della  cui  vittoria  non  ^i 
coglie  alti*o  che  pianto,  e  volea  che  sul  sacrato  fonte,  in  c^- 
i  suoi  concittadini  trassero  il  santo  battesimo,  giurassero  baoaa 
e  perfetta  pace  e  di  amarsi  come  fratelli.  E  Dino,  cosi  interC' 
al  dire  e  sd  fare,  dopo  di  aver  giovato  alla  patria  col  seiuao 
e  con  la  roano,  volle  pur  iscrìverne  i  perìc<^osi  awenìnaenti 
non  prosperevoli,  e  il  vero  delle  cose  certe  eh*  egli  vide  ed  udì 
Leggendo  la  sua  storia,  noi  vi  leggiamo  specchiata  raninu 
sua:  egli  sempre  generoso  di  lodi  alla  virtù,  di  conforti  a. 
valore,  egli  severo  alle  ingiustizie^  pietoso  sempre  alle  a  venture- 
Ma  come  gli  avviene  di  narrare  le  discordie  cittadine,  cixat 
s' abbatte  in  quegli  uomini  rei,  pieni  di  scandali,  ricchi  di  proi- 
biti guadagni,  che  per  gara  di  uffizii  hanno  vituperate  le  leggi. 
barattati  gli  onori,  dis&tta  la  sua  patria,  allora  Dino  di  viene 
facondo,  eloquente:  con  T impeto  della  sua  parola,  dove  pin 
grosse  le  resistenze,  più  vivamente  percuote  ;  noi  lo  vegetarne 
parlare  e  lagrìmare  ittsietiAe.  Dino  è  grandissimo  eseoiplare  ci 
modi  forti  e  rilevati,  il  suo  stile,  non  solo  è  elegante  ma  Ò*A  I 
più  caldi  e  più  colorati  che  Italia  s'abbia:  nella  prosa  tiene 
del  &re  dantesco.  Ma  non  pertanto  egli  non  iscrìsse  più  che 
una  cronaca:  il  Villani  presenti  meglio  gli  uffici  della  storia, 
che  nel  narrare  i  fatti  ne  cercò  spesso  le  raffioni  e  perchè. 
Nel  mercadante  fiorentino  ci  trovi  più  presto  il  prìndpio  di 
quella  scienza  che  si  chiama  statistica,  e  eh* è  il  fondamento 
della  pubblica  economia,  e,  al  dire  di  Viliemain,  molto  apparato 
di  sapienza  civile  e  politica. 

Iacopo  Passavanti  nel  1^55  scrisse  il  suo  Specchio  delia 
vera  penitenza  alla  quale  conviene  che  accortamente  si  appigli 
e  pei'severantemente  tenga  qualunque  vuole  dopo  la  rotta  inno 
cenza  scampare.  Ed  anch' egli  ci  fa  fede,  come  a*  di  suoi  la 
materna  favella,  difettosa  tuttavia  de*  propri  vocaboli,  insudi- 
ciasse meglio  ed  imbrunisse  gli  alti  subietti ,  sicché  a  bello 
studio  volle  scrivere  il  suo  Trattato  della  scienza  in  Ialino  per 


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LE  PROBB  VOLGARI.  523 

g^li  uomini  di  lettere,  e  solamente,  provocato  dal  priego  affet- 
tuoso di  molte  persone  spirituali  e  divote,  si  pose  in  cuore  di 
ridurlo  a  certo  ordine  per  iscrittura  volgare.  Ma  il  suo  Specchio 
ed  ò  di  solenniasima  prova  del  contrario;  che  il  suo  prezioso 
▼ulg-are^fece  dimenticare  ben  presto   il  suo  povero  latino.  Nò 
io  tacerò  come  il  Passavanti  indulga  alla  forma  ed  alle  scola- 
stiche sottigliezze  ;  ne*  passaggi  e  nelle  distinzioni  sia  più  spesso 
uniforme;  strano  per  avventura  e  soverchio  negli  esempi.  Ma 
con  tutto  questo  la  sua  prosa  corre  limpida,  evidente  :  ei  pare 
che  in  sulla  dma  del  rigido  pruno   ti  faccia  spuntar  la  rosa; 
un  calore  dolcemente  fecondo  ti  riscalda  V  anima  anche  quando 
ti  ammaestra;  semplice,  copioso,  leggiadro,  efScacissimo  sem- 
pre, ma  neUe  narrazioni  pittoresco,  inarrivabile.  La  sua  leg- 
genda è  la  leggenda  religiosa  italiana,  vale  a  dire  la  fede 
vestita  d*  affetto,  di  superstizione,  d' ignoranza.  Ma  egli,  maestro 
di  stile,  con  un  semplice  tratto,  con  una  tinta  risentita  ti  pone 
sott* occhio  un  demonio,  una  donna  scarmigliata:  le  piii  terri- 
bili fantasie  di  Dante  trovano  un  riscontro  nella  leggenda  del 
Passavanti. 

Fra  Domenico  Cavalca  prese  ad  iscrivere  non  sottile,  né  per 
grammatica,  ma  volgare,  e,  com*egli  dice,  per  gli  uomini  idioti, 
ad  induttivo  di  devozione,  curandosi  più  di  dire  utile  che  dire 
bello;  gli  basta  che  la  midolla  sia  buona,  la  sentenza  vera, 
non  si  dà  pensiero  della  scorza  di  fuori  e  del  parlar  dipinto. 
Ma  pochi,  a  mio  avviso,  vinsero  il  Cavalca  nel  vigore  delle 
frasi,  nella  grande  efficacia  e  proprietà  del  dire.  Il  Giordani  lo 
tiene  per  primo,  il  migliore  e  l'ottimo  prosatore  della  nostra 
lingua.  Ma  il  Cavalca,  ne*  volgarizzamenti  più  che  nelle  scritture 
(li  suo,  è  rarissimo,  stupendo.  Nelle  Vite  de'  SS.  Padri  vi  hanno 
raccolti  tutti  i  tesori  della  toscana  favella,  e  ivi  più  scolpite 
che  narrate  le  cose.  La  confessione  di  S.  Maria  Egiziaca  air  ab. 
Zosimo,  il  dialogo  di  S.  Eufrosina  con  suo  padre,  i  sospiri  della 
Maddalena  a  piò  della  croce,  e,  per  tacermi  dell'  altro,  il  com- 
pianto nella  famiglia  di  S.  Eugenia,  sono  gioielli  de'  più  preziosi 
che  si  abbia  la  nostra  lingua  nella  loro  affettuosa  e  sublimìs- 
sima  semplicità.  Nò  so  vedere  come  il  Perticari  trovasse  poco 
sangue  e  niun  calore  nel  Cavalca,  se  per  lo  contrario  in  lui 
più  che  in  altri,  se  male  non  discemo,  mi  par  di  trovarci  per 
entro  una  varietà,  una  rivezza  di  cose,  di  descrizioni,  di  parlate 


yGoògle 


524  OPBRB  MINORI 

elcxjuenti,  di  belle  pitture ,  di  luoghi ,  di  uomini ,  di  passion  , 
una  patetica  e  dolcissima  unzione,  un  candidissimo  affetto  cb^ 
innamora.  Ma  né  anche  il  Cavalca  andò  scevro  di  mende  ;  olio 
vi  desideri  quel  segreto  sottilissimo  filo  che  legar  dovreblie  i 
diversi  membri  dell*  orazione ,  e  t' offendono  spesso  i  vocaboli 
vieti  e  storpiati  in  che  t'incontri,  e,  eh' è  più,  la  puerile  cre- 
dulità dello  scrittore,  che  toglie  fede  e  scema  di  pregio  a'  suoi 
racconti. 

Al  nome  del  Boccaccio  ognuno  apre  il  ciglio  a  rivf»rir.- 
questo  splendidissimo  lume  dell'italica  favella,  questo  padie 
della  nostra  prosa.  Il  Boccaccio  fu  tenuto  per  tanti  anni  il  ditta- 
tore e  r  oracolo  unico  della  lingua,  il  modello  infallibile  d'  ogni 
eleganza  e  d' ogni  eloquenza.  Di  che  ne  venne  che  la  favella  si 
stringesse  nell'autorità  di  pressoché  lui  solo,  e  non  d'altri 
esempi  si  armassero  i  granamatici,  per  giustificare  tutti  i  precetti, 
che  di  quelU  tolti  al  Decamerone.  Ma  il  cinquecento  segnata- 
mente, con  grave  danno  delle  lettere  nostre,  senza  mirare  alla 
convenienza  dello  stile,  se  ne  fece  una  perpetua  norma,  e  senza 
esso  non  formò  peso  di  dramma.  E  non  si  può  negare  ohe  il 
Boccaccio  non  abbia  tentato  nuove  leggiadrie ,  dato  pr^o  a 
moltissimi  idiotismi,  a  più  delicato  e  gentil  modo  e  a  più  oerra 
regola  ridotta  la  Ungua  nostra.  Oltre  a  ciò,  conoscitore  pro- 
fondo degU  umani  affetti,  nel  ritrarli,  si  rese  inimitabile  mae- 
stro. Se  non  che  il  Boccaccio,  per  vaghezza  di  meglio  inleg- 
giadrire  la  locuzione,  cadde  nel  soverchio,  accumulò  ioutili 
aggiunti,  trasmodò  nelle  particelle,  inlascivl  di  vezzi,  di  periodi 
troppo  musicali  si  compiacque,  e,  eh' è  peggio,  non  poneodo 
ben  mente  all'indole  diversa  della  lingua,  ralla rgò  il  periodo 
italiano  fino  all'ampiezza  del  latino,  allontanandosi  cosi  dalla 
primitiva  ed  aurea  semplicità  (1). 


(1)  Ecco  il  giudizio  del  Capponi  sugli  scrittori  da  me  ricordati  :  —  Gior. 
Villani  supera  Dino  neW  universalità  dell*  argomento  e  nella  sdenm  dei 
fatti.  Quella  cronaca  o  storia  è  la  maggiore  alla  quale  uomo  avesse  posto 
mano  da  molti  secoli.  —  Vino,  che  ha  tanto  viva  ed  efficace  la  parob,  non 
riesce  però  a  nascondere  un  qualche  sforzo  nella  composizione;  sincera- 
mente appassionato,  ma  pare  ambinoso  di  dare  al  racconto  la  forma  di 
storia,  secondo  forse  potè  averne  V  esempio  in  Sallustio. . . .  L*  arguta  spe- 
ditezza dello  stile. ...  —  Domenico  Cavalcanti ,  maggiore  fhrae  d*  ogni 
altro  che  avesse  mai  V  idioma  nostro,  quanto  alla  proprietà  delle  parole  e 
alla  disinvoltura  dell'  andamento  e  alla  naturalezza  delP  armonie  :  ascetico, 
narratore  impareggiabile  in  quelle  vite  o  leggende  dei  Cenobiti  che  vanno 
sotto  il  nome  de'  Ss.  Padri. . . .  Cavalca  si  appaga  d'  un  andare  piano  senza 


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LE  PROSE  VOLGARI.  525 

Dopo  di  che  io  non  amsicherò  di  dire  che  la  prosa  di  Dante 
vada  di  sopra  a  tutte  le  altre  del  suo  secolo.  Ad  ogni  modo 
mi  sarà,  sempre  di  grande  peso  l'autorità  del  Tommaseo,  il 
quale  sentenziò,  che  a  stimar  Dante  il  primo  prosatore  del  suo 
tempo  sarebbe  titolo  la  Vita  Nuova,  e  alcnni  tratti  del  Convito, 
se  non  fossero  le  storie  di  Dino  Compagni  e  di  Giovanni  Vil- 
lani. Certo,  ei  segue,  se  quelle  storie  non  fossero,  ben  si  po- 
trebbe dire  che  insegnasse  alla  prosa  e  il  numero  e  V  evidenza 
e  la  semplicità  e  la  snellezza,  e  tanto  dal  Boccaccio  a  lui  essere 
la  distanza,  quanto  dall'arte  gentile  la  schietta  natura. 

Ma  egli  è  ben  anco  da  osservare  che  quegli  scrittori  non 
ebbero  mestieri  che  secondare  la  traccia  già  segnata.  Ma  chi 
primo,  per  sua  industria,  cioè  per  accorgimento  e  per  bontà 
d'ingegno,  s'apre  il  cammino  per  un  campo  trafoglioso,  che 
rende  una  figura  in  ogni  parte,  senza  orma  di  sentiero  alcuno, 
e  ciò  nondimeno  solo  e  da  so  guidato  va  diritto  là  dove  in- 
tende ,  lasciando'  le  vestigio  de'  suoi  passi  dietro  a  so ,  questi 
nii  sembra  sovra  gli  altri  valente,  e  degnissimo  d' ogni  onore 
(Conv.  IV,  7).  E  questa  gloria  si  debbe  intera  a  Dante.  Con  lui 
cominciò  l'arte  della  prosa,  con  lui  non  solo  gli  esempi,  ma 
anche  le  grandi  ed  efficaci  teorie,  i  principii  più  luminosi  e 
sicuri  sui  quali  si  governa  tuttavia  l' italica  lingua.  Senza  ciò, 
egli  non  si  può  non  disconoscere  le  difficoltà  più  ardue  e  forti 
che  dovette  superare  a  rispetto  degli  altri  prosa  tori.  Dino  e  il 
Villani  non  avean  ^he  a  far  menzione  degli  avvenimenti  di  cui 


ombra  di  ambizione. ...  —  Il  Paasavanli  non  ha  egli  forse  chi  lo  pareggi 
quanto  alla  limpida  semplicità  del  dettato,  alla  costante  dolcezza  de*  suoni 
ed  alla  facile  egualità  di  uno  stile  da  porre  a  modello  senza  che  alcun  vizio 
vi  sia  da  notare. ...  Lo  scrivere  inappuntabile  del  Passavantl  non  è  però 
sempre  del  pari  efficace;  io  direi  auella  sua  tanta  purezza  un  po' dilavata, 
e  in  me  nasce  il  dubbio  che  fosse  a  disegno. . . .  ••  G.  Boccaccio  non  ha  scrit- 
tore che  lo  pareggi  quanto  alla  ricchezza  e  alla  proprietà  costante  delle 
voci,  all'  aggiustatezza  sempre  evidente  della  frase,  alla  briosa  vivacità  del 
dettato  ed  alla  possente  abbondanza  d*  una  vena  che  in  mille  rivi  sa  divi- 
dersi e  pronta  e  facile  appropriarsi  a  molti  generi  de*  più  svariati.  Bene  1 
vocabolaristi  lui  fecero  il  primo  esemplare  della  lingua,  quanto  alle  parole 
e  alla  soavità,  e  quanto  alla  scienza  dell'  uso  congiunta  con  un  gusto  squi- 
sito. Narra  e  descrive  mirabilmente  più  che  non  dipinga;  sa  esser  parco 
semplice  e  piano.  . . .  Potò  il  Boccaccio  sciupare  la  lingua  dei  letterati  e 
degli  Accademici  col  periodo  latineggiante  e  con  i  suoni  cantati  e  falsi  e 
ridondanti ,   come  i  suoni  di  chi  parla  o  scrive  fuori  dell*  affetto  ;    perchò 


scoppiettanti,  o  un  vuoto  rimbombo  in  fine  al  periodo.  Storta  della  Repub, 
di  Firenze^  L.  n,  172,  e  seg.  ;  L.  m,  362  e  seg. 


V  affetto  è  sempre  armonico  nell'  esprimersi  ;  ma  l*  armonia  del  Boccaccio 

e  dei  Retori  è  tutt*  altro  ;  non  è  un  armonia,  ma  un  saltellare  di  cadenze 

"  ■  '      ~     '    -eOaBepub. 

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526  OPERE  MINORI 

erano  insieme  parte  e  spettatori;  la  teologia  soohtstica  en  h 
fonte  a  cui  attingeva  il  Passavanti,  e  nel  suo  Specchio  di  pe- 
nitenza voleva  raccolti  quegli  ammaestramenti  che  nella  qni- 
resiroa  volgarmente  avea  predicati  al  popolo  ;  il  Cavalca,  come 
vedemmo ,  piii  bellamente  scrisse  quando  vesti  delle  forme 
volgari  i  concetti  altrui;  il  Boccaccio,  piacevoleggiando,  ebbe 
grido;  onde  la  materia  si  porgea  loro  facile,  non  ritrosa  la 
parola  a  bene  manifestare  il  concetto.  Ma  il  nostro,  non  solo 
colla  Vita  Nuova  con  intelletto  d*  amore  davaci  una  prosa  /?t- 
vida  e  passionata  ;  ma  col  Convito,  introducendoci  nel  aanluarìo 
della  dottrina,  ci  apprendeva  altissimi  veri,  e  mai  più  intesi 
a  suonare  nella  lingua  del  popolo,  e  traeala  ad  onorare  ogni 
scienza  ed  arte.  Cosi  i  nostri  maggiori,  com'  ebbero  in  grande 
riverenza  la  Divina  Commedia,  avessero  con  più  amoro  cercato, 
né  troppo  presto  obliato  Je  prose  di  lui!  Certo  la  lin^a  ds 
queir  ampia  giro  che  per  lui  ebbe  fin  da  principio  non  sarebbesi 
ridotta  a  minor  spazio,  né  la  letteratura  divenuta  si  tosto  di 
donna,  meretrice  (Conv,  m,  11).  Che  non  basta  a  tenere  in  onore 
gli  studi  della  nazione  il  parlar  bello  e  leggiadro,  senza  il 
sodalizio  delle  scienze,  che  sono  tutte  membra  di  sapienza 
(Coni).  Ili,  11).  Lo  studio  della  favella  è  studio'^  di  pensieri;  che 
pensieri  e  parole,  a  detta  del  Giasti,  sono  veri  gemelli  della 
mente  umana  e  si  aiutano  di  luce  scambievole.  E  da  questo 
intendimento  non  declinò  mai  Tuomo  dimestico  della  filosofia 
e  che  tutto  seppe  ;  onde  la  sua  scrittura  è  stella  piena  di  luce 
(Conv,  II,  16)«  non  solamente  per  T  ornamento  delle  parole,  ma. 
eh*  é  massimamente  dilettoso ,  per  la  bontà  della  sentenza 
(Conw.  II,  12).  >-> 

Dal  fin  qui  detto  ei  mi  sembra  più  che  aperto  quanto  debba 
r  Italia  a  Dante  anche  come  a  prosatore.  Che  se  noi  ci  faremo 
a  ricercare  il  candore  della  narrazione  nel  Villani,  la  nervosa 
rapidità  nel  Compagni,  1* efficace  evidenza  nel  Passavanti,  la 
armoniosa  dolcezza  nel  Cavalca,  una  squisita  e  meravigliosa 
ricchezza  di  lingua  nel  Boccaccio,  la  Vita  Nuova  ci  sarà  sempre 
un  inestimabile  gioiello  di  grazia  delicata  ed  affettuosa,  come 
il  Convito  r  esempio  di  uno  stile  dignitoso  e  maschiamente 
severo. 

Sia  gloria  dunque  a  quel  divino,  il  quale  col  suo  genio 
sterminato  ed  universale  e  si  fece  accrescitore  e  maestro  delia 


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LE  PROSE  VOLGARI.  527 

lellissima  delle  divelle,  rannobilì  nella  sua  prosa,  la  condusse 
d  sommo  dell*  eccellenza  nel  poema  immortale.  Spetta  ora  a 
loi  serbarla  gelosamente  intatta  e  pura.  Ch' egli  sarebbe  gra- 
dissimo disdoro  che  questo  mirabile  idioma,  che  gareggia  colla 
u-monia,  con  la  luce,  col  sorrìso  del  nostro  cielo;  questo  idioma 
che  suonò  tanto  bello  sul  labbro  de'  nostri  padri,  quando  più 
rei  e  fortunosi  volgeano  i  tempi,  avesse  ad  ismarrire  le  caste 
e  virili  sembianze,  ora  che  i  cieli  ne  furono  di  tanto  cortesi 
di  veder  pieno  il  sublime  pensiero  che  agitava  quel  sovrano 
intelletto,  ora,  cioè,  che  risorti  ad  insperata  grandezza,  sediamo 
anche  noi  al  convito  delle  nazioni.  Oh  certo,  il  di  della  festa 
cbe  il  disio  di  tutta  Italia  apparecchia  al  glorioso  nome  del 
primo  de*  suoi  benefattori ,  del  gran  padre  d*  ogni  eloquenza , 
oh  certo,  non  potrem  depor  noi  più  cara  ghirlanda  a  piò  del 
suo  simulacro  che  la  solenne  promessa  di  mantenere  sempre 
onorato  quel  linguaggio  eh*  egh  uè  tramandò  si  bello,  e  eh*  è 
il  più  splendido  patrimonio  della  nazione. 


LA  VITA  NUOVA  (1). 

(Y.  Man.  ÙaM.  IV.  Ì34J. 

DioNisi  Gian  Iacopo,  Deir  utile  che  si  tragge  dalla  Vita 
Nuova.  Aned.  ii.  Verona,  Merlo,  1786,  p.  54. 

PuociANTi  Giuseppe,  La  Donna  della  Vita  Nuova  di  Dante 
e  nel  Canzoniere  del  Petrarca,  Lettura  fatta  al  Circolo  Filo- 
logico di  Pisa  il  di  15  Marzo  1875.  Pisa,  Nistri,  4875. 

Dante  e  il  Petrarca:  ecco  i  due  veri  poeti  d*amore,  primi 
cosi  di  tempo  come  di  glorìa  ;  la  Vita  Nuova  e  il  Canzoniere, 
ecco  i  due  più  grandi  e  gentili  nionumenti  della  musa  erotica 
cristiana;  Beatrice  e  Laura,  ecco  due  nomi,  due  ideali,  che 
V  ombra  dei  secoli  non  potrà  mai  coprire ,   perchè  essi  vivono 

dell*  etema  giovinezza  dell*  arte Chi  nella  Vita  Nuova  nega 

la  donna  per  non  vedervi  che  il  simbolo,  non  può  in  alcun 
modo  farsi  capace  dell*  efficacia  grande  che  la  lettura  di  quel 
libro  fervido   e  passionato  ha  sulla  &ntasia  e  sul  cuore.  Il 

(1)  y.  a  p«g.  i6i  qaanto  scrive  il  Burckhardt  «alla  Vita  Nuova. 

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528  OPBRE  MNORI 

simbolo  e'  è  ma  vien  poi  :  esso  non  è  il  fondamento  ma  la  co- 
rona (Icir edifìzio. . . .  Beatrice  e  Laura,  queste  due  creazioni 
splendide  e  gentili ,  rappresentano  appunto  in  sé  stesse  due 
periodi  dell'  arte ,  il  divino  e  V  umano.  La  Beatrice ,  sebbene 
sublimata  dall'  arte ,  è  donna  vera  ;  e  la  parte  che  può  dirsi 
fondamentale  dal  racconto  dantesco,  così  nel  verso  come  nella 
prosa,  è  quindi  una  poesia  di  vari  fatti  e  di  veri  sentimenti. 
—  L'imagine  di  Beatrice,  per. quanto  s'inalzi,  non  cessa  di 
es5iere  quella  di  una  donna  amata  spiritualmente.  —  N^la  Vita 
Nuova,  però,  dice  il  Puccianti,  ci  sono  due  parti,  o  meglio, 
due  azioni  che  procedono,  come  parallele,  il  testo  e  il  cemento. 
la  storia  e  le  considerazioni  che  ci  fa  sopra  via  via  lo  storico 
medesimo,  la  poesia  e  la  critica  che  l'analizza,  la  disfà,  p.r 
trovarci  non  quello  che  c'è  veramente,  ma  quello  che  ci  lio- 
vrebb' essere  secondo  quel  benedetto  sistema  (preconcetto): 
infine  la  donna  della  vita,  o  certo,  quella  della  poesia,  e  iì 
freddo  simbolo  della  Scuola. ...  Si,  1*  alito  scolastico  del  me«iio 
evo  appanna  a  quando  a  quando  questo  cristallo  tersissiii;  • 
della  Vita  Nuova.  E  allora  la  cara  immagine  di  Beatrice  co- 
mincia a  perdere  la  nettezza  de'  suoi  contorni,  finché  si  dilt^ 
guerà,  doventando  un  vuoto  nome  nel  Convito,  e  diverrà  y  i 
un  idolo  raggiante  di  luce  splendidissima  ma  fredda  nella  IH- 
vina  Commedia. 

Mamiani  Terenzio,  Paragone  che  si  può  insUtuire  del  Liub. 
del  Cavalcanti  con  la  Vita  Nuova  di  Dante  Alighieri.  Pro*- 
Letterarie,  Firenze,  Barbèra,  1867,  p.  360.  —  V.  Mamiani^  il 
p.291. 

ToDEScuiNi  Giuseppe,  Cronologia  della  Vita  Atiova,  Scritti 
su  Dante,  i,  323-331. 

Era  intento  del  Todeschini  di  compiere  e  chiarire  certi  fatti 
di  questa  aurea  operetta  che  abbraccia  la  storia  degli  anni 
primi  dell'Alighieri,  specialmento  perciò  che  riguarda  la  ragione 
de'  tempi.  La  grande  mutazione  di  pensieri  e  di  sentimenti . 
che  recò  questo  amoi*6  sulla  vita  di  Dante  fu,  secondo  il  To- 
deschini, la  ragione  che  lo  mosse  ad  imporre  a  questo  libro 
il  titolo  di  Vita  Nuova,  Forse  nessun' altra  donna  al  mondo,  «i 
dice,  fu  celebrata  sì  a  lungo  e  si  altamente  daverun  amantt». 
come  quella  di  cui  giovinetto  s'accese  l'Alighieri:  tattavoita 
egli  non  ne  manifesto  mai  se  non  che  il  proprio  nome,  ck 


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LA  VITA  NUOVA.  529 

fu  Beatrice.  —  Al  primo  di  Maggio  del  1274,  doveva  ella  avere 
di  età  la  duodicesima  parte  di  un  secolo  (quasi  dal  principiò 
del  suo  nono  anno)^  cioè  anni  otto  e  quattro  mesi  circa,  onde 
si  può  ritenere  fosse  nata  nel  Gennaio  del  1266.  Il  Todeschini 
sostiene  che  niuna  corrispondenza,  da  indi  in  poi,  vi  ebbe  tra  i 
due  giovani,  nemmeno  di  saluti-,  benché  vicine  le  loro  abita- 
zioni, e  che  nò  anche  si  presentò  a  Dante  veruna  occasione 
di  udire  la  voce  di  Beatrice.  Solo,  il  primo  Maggio  del  1273, 
il  giorno  appiinto  in  cui  erano  compiuti  li  nove  anni  appresso 
il  primo  apparimento,  gli  accadde  di  vederla  per  via,  accom- 
pagnata da  due  donne  più  attempate,  e  ricevette  da  lei  un 
cortesissimo  salato  che  lo  riempì  di  dolcezza,  e  quella  fu  la 
prima  volta  che  le  parole  della  Beatrice  si  mossero  per  venire 
agU  orecchi  di  lui.  Il  Todeschini  ritiene  risolutamente  che  la 
giovine  donna,  da  cui  Dante  ricevette  quel  saluto,  che  fu  si 
potente  sul  cuore  di  lui,  avesse  già  mutata  la  condizione  di 
zitella  in  quella  di  sposa. 

Todeschini  Giuseppe,  Epoca  deW  innamoramento  di  Dante 
con  la  gentildonna  consolatrice.  Vita  Nuova,  §  xxxv  e  xxxvi; 
Convito,  Tratt.  ii,  e.  2.  So-itti  su  Dante,  i,  311-321;  332. 

Vuole  il  Balbo  che  scorsi  due  anni  e  mezzo  appresso  lo 
irapassamento  di  Beatrice  rimanesse  Dante  invaghito  della  gen- 
tHdonna,  giovane  e  bella  molto ,  la  quale  da  una  finestra  lo 
guardava  si  pietosamente,  quanto  alla  vista,  che  tutta  la  pietà 
pareva  in  lei  raccolta.  Ma  il  poeta  ci  fa  sapere  che  la  stella 
di  Venere  due  fiate  era  rivolta  nei  suo  cerchio  (  Conv.  ii,  2), 
donde  avviene  ch^  essendo  Beatrice  mancata  a'  vivi  il  9  Giugno 
1290,  la  nuova  donna  apparve  primamente  agli  occhi  di  lui 
a'  primi  giorni  di  Settembre  del  1291.  —  Il  Todeschini  non  è 
poi  d'avviso  che  la  donna  pietosa  della  Vita  Nuova  fosse  la 
Gemma  che  fu  sposa  di  Dante. 

NUOVE    EDIZIONI 

(V.  Man.  Dani.  II,  7T7;  IV.  488). 

WiTTE  Carlo,  La  Vita  Nuova  di  Dante  Alighieri,  ricor- 
retta  coir  aiuto  di  testi  a  penna  ed  illustrata.  Leipzig,  F.  A. 
Bi-ockhaus,  1876. 


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590  OPBRB  fiANORt 

Centoyenti  pagine  di  nitidissima  stampa  oompreDdono  k 
Vita  Nuova,  perpetuamente  annotata  con  doppio  genere  di 
iSnstrazioni  fra  loro  distinte:  le  une  in  servizio  della  crìtica 
del  testOf  le  altre  interpretative  dei  passi  dubbiosi.  Quaranta- 
sette  pagine  precedono  il  testo,  e  contengono  una  bdla  Pre- 
fazione, r  indice  dei  manoscritti  della  Vita  Nuova  y  adoperati 
per  varianti,  quello  delle  edizioni,  più  una  tavola  della  novella 
divisione  in  Parti,  Periodi,  Sezioni  e  GapitoU,  propoata  dal 
chiaro  Professore  di  Halle  all'operetta  dantesca.  Le  annota- 
zioni critiche  racchiudono  un  corrèdo  abbastanza  rìoco  di  varia 
lezioni,  succosamente  discusse  quando  ne  sia  il  caso:  le  anno- 
tazioni interpretative  chiaramente  determinano  il  pensiero  Dan- 
tesco e  r  uso  di  certe  forme  lontane  dal  significato  comune,  e 
porgono  utih  raffronti  con  altri  passi  delle  varie  opere  del- 
l'Autore.  Quel  che  più  ammiriamo  nell'uno  e  nell'altro  ordine 
d'illustrazione  è  la  chiarezza  e  la  parsimonia  congiunta  alla 
maggior  ricchezza  di  materiali  e  di  dottrina,  cosicché  la  nuova 
edizione  Wittiana  sarà  utilmente  adoperata  da  chiunque  si  ponga 
allo  studio,  e  anche  alla  semplice  lettura  della  Vita  Nuova. 

La  stampa  del  testo  della  Vita  Nuova  di  questa  edizione, 
benché  porti  la  data  del  1876,  fu  compiuta  nell'Aprile  del  1873. 
Il  Witte  conta  30  edizioni  della  Vita  Nuova.  —  Scartazsini, 
Il  Borgbini,  15  Maggio  1876,  p.  363;  Nuova  Antologia,  Maggio 
1876,  p.  198. 

D'  Ancona  Alessandro,  La  Vita  Nuova  di  Dante  Alighieri 
riscontrata  su  codici  e  stampe ,  preceduta  da  uno  studio  su 
Beatrice  e  seguita  da  illustrazioni,  Pisa,  Nistrì,  1872.  Edizione 
di  soli  211  esemplari. 

A  fermare  il  testo,  gì' illustri.  Editori  han  spogliato  otto 
delle  più  pregiate  edizioni,  e  raffrontati  inoltre  sei  codici,  tra  i 
quali,  per  bontà  di  lezione  primeggia  il  fiorentino  Magtiabec- 
chiano.  Nò  con  tante  cure  amorose  pretendono  averci  dato  una 
edizione  crìtica;  solo  modestamente  si  confidano  di  fornire 
qualche  materiale  non  ìspregevole  a  chi  vorrà  raccogliere  e 
ragguagliare  tutte  le  varie  lezioni  de' Codici  delia  Vita  Nuova^ 
La  fatica  della  recensione  e  della  scelta  fu  tutta  quanta  soste- 
nuta dal  valentissimo  prof.  Pio  Rigna.  Quantunque  ei  si  di- 
chiarasse dipoi  non  sempre  soddisfatto,  e  chiedesse  gli  fosse 
consentito  il  diritto  di  qualche  pentimento  ;  nondimeno  il  Witte 


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LA  VITA  NUOVA.  531 

g^iudica  r  apparato  crìtico  che  accompagna  il  testo,  migliore  di 
gran  lunga  di  quanto  per  V  innanzi  fu  intrapreso  dagli  altri 
Editori  ;  e  il  prof.  Del  Lungo  lo  dice  cosa  da  potersi  proporre 
ad  esempio.  —  Con  ottimo  avvedimento  consigUavasi  il  D'An- 
cona disporre  i  comenti  o  divisioni  in  margine,  intomo  alle 
Rime,  in  modo  di  rubriche,  e  con  caratteri  impressi  in  rosso. 
Ritenuta  arbitraria  la  partizione  in  capi  versi  proposta  dal  Torri, 
e  seguita  dal  Fraticelli,  dal  Pizzo  e  dal  Giuliani,  ei  divise  la 
Vita  Nuova  per  materia,  secondo  che  avvisarono  il  Witte  e 
r  Orlandini.  Ma  le  portatevi  modificazioni  ci  parvero  più  ragio- 
nevoli e  più  consentanee  allo  svolgimento  e  dell*  ingegno,  e  in 
parì  tempo  del  dramma  de*  giovanili  amori  del  Poeta.  Però  non 
volle  togliere  interamente  queir  aiuto  che  Y  uso  ha  ormai  con- 
sacrato ;  e  per  &cilitare  al  lettore  i  riscontri  dai  libri  al  testo 
e  i  ragguagli  colle  altre  edizioni,  pose  in  margine,  fra  paren- 
tesi e  in  caratteri  rossi,  la  numerazione  per  paragrafi.  Precede 
il  testo  la  bellissima  dissertazione  sulhi  Beatrice ,  già  da  lui 
edita  nel  1865,  in  che  prende  a  dimostrare  come  una  sola  ò 
la  Beatrice  a  cui  il  poeta  consacrò  l'^afietto  e  il  verso  :  e  come 
essa,  nelle  varie  opere  di  lui,  è  donna,  personificazione  e  sim- 
bolo, per  successivo  innalzamento  e  progrediente  purificazione 
dell*  amore. 

n  Prof.  Witte  ne'  Prolegomeni  alla  sua  edizione  della  Vita 
Nuova  si  duole  che  1*  importantissimo  lavoro  del  D'Ancona  gli 
sia  solo  pervenuto  alle  mani,  quando  il  testo  già  era  stampato. 
Senza  fallo,  ei  dice,  qneste  mie  &tiche,  quali  che  si  siano,  sar 
rebbero  riuscite  meglio,  se  avessero  potuto  profittare  del  ricco 
materiale  della  vasta  erudizione  e  dei  profondi  accorgimenti 

riuniti  in  quest'opera Le  Annotazioni,  (1)  tanto  quelle  del 

D'Ancona,  che  le  altre  contribuite  dal  Carducci,^&nno  prova  di 
ben  vasta  e  rara  erudizione.  Nelle  note  del  primo  si  ammira 
r  intrinseca  domestichezza  coi  relativi  lavori  non  solamente  ita- 
liani, ma  non  meno  di  letterature  estere,  ed  in  particolar  grado, 


(1)  Veggansi  specialmente  le  Annotanoni  sugli  spiriti  della  vita; 
sulla  leggenda  del  cuore  dato  in  pasto  nell'età  medievale;  aalla  forma 
metrica,  propria  del  aerventese;  sul  vario  periodo  di  tempo  a  che  spettano 
le  rime,  ti  sotto  T aspetto  dell'  arte  che  della  storia  dell'amore,  e  fino  al 
punto  che  la  Musa  di  Dante  s'erge  da  sé  a  volo  subirne  a  intentato, 
sten  z'  altra  guida  che  l'ardore  del  genio,  e  senz'altro  impulso  che  la  prò- 
fonda  intensità  della  passione  amoirosa. 


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532  OPBBE  IflNORI 

dell'alemanna.  Il  Carducci,  Tersatissimo  nelle  poesie  dei  Ter- 
seggiatorì  del  duecento  e  del  trecento,  illustra  gran  numero  dì 
passi  della  Vita  Nuova,  mettendo  a  riguardo  di  essi  iac^* 
consimili,  estratti  dalle  Rime  antiche.  E  concfaiude:  Podie 
veramente  saranno  le  opere  degli  autori  classici,  a  cui  toccò 
la  sorte  di  essere  comentati  in  un  modo  così  distinto. 

L'edizione,  veramente  magnifica,  e  per  la  v^te  elettìssiraa 
onde  piacque  al  tipografo  adornarla,  e  segnatamente  per  la  raris- 
sima correzione,  di  gran  lunga  avanza  tutte,  anche  la  sfdendida 
dell' Antonelli  del  1865.  Basti  il  dire  che  il  testo  deUa  Vita 
Nuova  anche  dopo  una  diligentisaima  revisione  è  riuscito  sena 
altra  menda  che  uno  scrivere  invece  di  scriverne,  ohe  d*  altra 
parte  non  altera  punto  il  senso.  E  fu  gentile  pensiero  del  prof. 
D' Ancona  d' intitolare  (]uesto  soave  e  castissimo  libretto,  scritto 
con  la  lingiuL  d Amore  alla  dilettissima  sua  Donna,  nell^azi- 
novale  di  lei  :  —  XII  Decembre  MDCC  CLXXII  —  //  nome  — 
Di  -^  Adele  —  Compagna  dolcissima  della  vita  —  in  fronte 
a  questo  libro  éT  Amore  —  Scriveva  —  Il  dU  Nataie  di  Lei  — 
Alessandro  D*  Ancona.  —  V.  Isidoro  Del  Lungo ,  Arch.  Stor^ 
1874,  V.  XX;  Afussafia,  Centralblat;  Scartazzini^  Allgem.,  ecc. 

PiccHiONi  Luigi,  La  Vita  Nuova  e  il  Canzoniere  di  DanU 
Alighieri,  ridotti  a  miglior  lezione  e  comentati  da  Giambat- 
tista Giuliani.  Il  Propugn.  di  Bologna,  a.  vi,  voi.  vi,  1873, 
p.  63-90. 

11  Picchioni  avea  trasmesso  questo  suo  lavoro  ad  un  amico 
veneto,  perchè  ne  curasse  la  pubblicazione.  Ma  poco  dopo  0 
Picchioni  mori  (9  Feb.  1869),  onde  rimase  lungo  tempo  inedito. 

STUDI  SUL  TESTO. 

CV.  Man,  Dant.  tV,  486J 

ToDESCHiNi  GiusBPPB,  Osservazioni  critiche  sul  testo  della 
Vita  Nuova  pubblicato  in  Livorno  nel  1843  da  Alessandro 
Torri.  Scritti  su  Dante,  ii,  1-101. 

Lettera  di  G.  Toisschini  al  prof.  Carlo  Witte,  18, 

101-109.  • 

AUra  lettera  dello  stesso  al  prof.  C.  Wàle,  d.,  103*105. 


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LA  VITA  Nl'OVA.  533 

Breve  Analisi  delie    Correzioni  Wittiane  alla  Vita 

Tuova  di  Dante,  d.,  105-108. 

«  Io  compiei,  così  egli,  la  crìtica  del  testo  livornese  ;  lavoro, 
linuto,  pesante,  inameno,  che  domanderebbe  forse  il  paziente 
Baine  di  qualche  sodo  e  purgato  ingegno,  ma  che  forse  riuscir 
otrebbe  di  qualche  vantaggio  a  chi  tentasse  di  ridurre  fìnal- 
aenie  la  Vita  Nuova  alla  sua  vera  lezione.  E  poichò  sarebbe 
»oca  cosa  la  retta  lezione  di  un  testo  senza  la  retta  intelli* 
^nza  di  esso,  non  mi  trattenni  di  passare  alcune  volte  dalla 
»ai*te  filologica  alla  parte  ermeneutica,  nella  quale  il  Torri  di 
ratto  in  tratto  si  dimostra  vacillante,  e  se  non  interamente 
(edotto  dalle  strane  opinioni  di  certi  spiriti  intemperanti,  poco 
òaoluto  almeno  a  resistere  ai  loro  attacchi.  Io  credo,  che  qual- 
che mia  breve  osservazione,  volta  a  diradare  certe  nuvole  ohe 
adcuni  si  argomentano  di  render  fosche  e  tempestose,  potrebbe 
riuscir  grata  a*  partigiani  del  savio  pensare  ed  agli  amici  della 
iiritta  fama  di  Dante,  cui  V  età  giovanile  e  la  scarsissima  col- 
tura del  secolo  condussero  talora  a  concetti  ed  a  forme  di  dire, 
de'  quali  e'  è  chi  tenta  valersi  per  dare  forma  e  corpo  a*  suoi 
ROgni  «  Trattando  l'ombre  come  cosa  salda.  >  —  Il  prof.  Morsolin 
lo  dice  lavora  acuto  giudizioso  e  di  cui  potranno  valersi  con 
sommo  profitto  gli  studiosi  delle  opere  di  Dante.  Le  osserva- 
zioni non  si  circoscrìvono  unnicamente  nel  campo  della  filologia, 
ma  entrano  talvolta  in  quello  dell'ermeneutica,  ed  agevolano 
con  la  vera  lezione  anche  la  retta  intelligenza  del  testo. 

Dio:<isi  Gian  Iacopo,  Delle  voci  di  nuovo  significato  nella 
Vita  Nuova.  —  Altri  vocaboli  di  nuovo  significato  nella  prima 
opericciuola  di  Dante.  Aned.  v,  e,  xxii  e  xxiii,  p.  137-146. 

Casello  U.  A.,  A  proposito  di  un  luogo  deUa  "Vita  Nuova 
(Molti  non  sapevano  che  si  chiamare).  Nota  Filologica.  Rivista 
di  Filologia  Romanza.  Imola,  Galeati,  1872,  Voi.  i,  p.  46-51. 
Il  Canello  crede  di  vedere  sotto  la  forma  di  chiamare  non 
già  quella  di  un  infinito,  ma  si  una  sporadica  forma  verbale, 
derivata  dal  perfetto  del  soggiuntivo,  e  procedente  quindi  fone-  . 
Ucamenta  da  clamarint  (clamaverint).  In  appoggio  della  qual 
Opinione  egli  cita  più  luoghi  della  cronaca  mantovana  di  Ali- 
arando  Bonamente,  in  cui  veramente  s'incontrano  molte  forme 
rispondenti  a  quelle  dell'  infinito,  ma  che  hanno  manifestamente 
valore  ben  altro  che  d' infinito.  Queste  forme  pel  Canello  rappre- 

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534  OPERE  MINORI 

sentano  tante  alterazioni  del  tipo  del  perf.  del  soggiiiDtìfo, 
sicché,  per  esempio,  dominare  per  dominava  Terrebbe  ài 
dominarit,  ecc.  E  perciò  egli  considera  queir  ultinsa  parte  àà 
citato  luogo  della  Vita  Nuooa  come  rispondente  letterafanecte 
a  qui  nesdebant^  quid  sic  damarint,  non  sapeano  che  co» 
cosi  chiamavano,  avessero  chiamato,  avessero  significato. 

Ma  il  prof.  Flbchia  crede  che  il  chiamare  sia  ima  rm 
forma  d'infinito,  quale  si  usa  con  valore  onnipersonale  ih 
soggiuntivo,  come  per  esempio,*  non  so  che  man^ictre  (nesd. 
quid  edam)  ;  e  interpretando'  perciò  analogicamente  il  contro- 
verso luogo ,  vede  in  quel  chiamare  un  infinito  con  senso  e- 
soggiuntivo  :  i  quali  non  sapeano  che  si  chiaynare^  chiamane. 
Beatrice,  cioè  con  quale  e  con  quanto  nome  chiàmasseroy  doè 
ignoravano  quanto  dirittamente  appropriassero  alla  foncinlU 
questo  nome  significativo,  che  le  davano  senza  pesame  il  valore 
Rivista  di  Filol.  e  d*  Istruz,  classica,  Torino,  Loescher,  i,  401 
V.  Vita  Nuova,  edis.  D'Ancona,  p.  60  e  127. 

Il  Muzzi  ritiene  che  Beatrice  non  fu  il  nome  natalizio  ddl- 
sua  donna,  la  quale  adunque  non  fu  né  anche  la  figlia  à^- 
Portinarì ,  come  venne  scritto  dal  Boccaccio ,  e  ne'  tempi  se- 
guenti creduto.  Beatrice  è  nome  antonomastico,  quale  era  daso 
a  lei  da  molti,  che,  non  conoscendola  nò  meno  di  vista  (perchè 
Dante  non  lasciava  conoscer  chi  fosse)  non  sapeano  come  chia- 
marla: nome  o  meglio  soprannome  piaciutissimo  a  Dante  « 
con  cui  sempre  la  intitolò  ne'  suoi  scritti ,  quando  in  eeoso 
reale  e  quando  ali^orico.  —  Muzzi  Luigi,  Nuova  opinione 
della  Beatrice  di  Dtmie.  Tre  Epist.  lat  di  Dante  Alighieri. 
Prato,  Giacchetti,  1845,  5t5-66. 

Fu  chiamata  da  molti  Beatrice,  i  quali  non  sapevano  con  | 
tal  nome  che  cosa  da  loro  si  chiamava.  Cioè,  costoro  non  sa- 
pevano ,  chiamandola  Beatrice ,  che  con  tal  nome  chiamavano  I 
quella  eh'  esser  doveva  più  tardi,  per  arcana  intenzione  di  Dante, 
il  significato  della  scienza  beatificante.  La  riputazione  che  l'a- 
more infiammato  dell'Alighieri  generò  nella  giovinetta  Bice. 
fece  il  nome  di  Beatrice,  da  lui  preferito,  che  fosse  ugualmente 
dagli  altri  accolto. . . .  Mich,  Caetani. 

Lo  strettissimo  valsente  di  questa  parte  di  Dante  gettalo 
in  moneta  di  piazza  suona  così:  «la  quale,  come  che  fosi^ 
detta  per  proprio  nome  Beatrice,  era  tuttavia  chiamata  con 

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LA  VITA  NUOVA.  535 

[ixesto  stesso  nome  da  molti,  i  quali  non  sapevano  com'ella 
(i    chiamasse.  TodesMni,  ii,  8. 

Fanfani  PiBTRo,  Circa  ad  una  nuòva  interpretazione  di 
4,r%  passo  dubbio  della  Vita  Nuota  di  Dante:  Molti  la  cMa- 
mcLVOino  Beatrice^  ecc.  Studj  ed  Osservazioni,  eoe.  289-297. 

Io,  fin  dalla  prima  volta  che  lessi  la  Vita  Nuova  senza  co- 
tnenti,  intesi  subito  che  Dante  ci  volesse,  come  doveva,  dire 
lì  nome  proprio  della  donna  sua,  che  fii  Beatrice,  e  che  ci  ag^ 
giungesse  con  nobilissimo  pensiero  ch^  molti  «  chiamandola  per 
QOEXke  non  sapessero  qual  gran  cosa  si  oomprendea  in  tal 
nome,  non  sapessero  cioè  che,  credendo  essi  di  chiamare  un 
semplice  nome  di  donna,  ondavano  a  quella  donna  l'attributo 
che  piti  se  le  conveniva,  essendo  veramente  Beatrice  di  nome 
e  di  fatti;»  e  la  cosa  mi  parve  jiaturaUssima,  e  il  pensiero 
mi  parve  nobilissimo  e  d^no  di  Dante  e  della  sua  donna.  Vidi 
poscia  quanto  avessero  tartassato  questo  luogo  i  commentatori: 
stupii,  ma  non  mutai  pensiero. . . .  Tale  interpretazione  mi  sem- 
bra Tunica  accettabile,  come  quella  eh' è  chiaramente  signifi- 
cativa della  riverenza  che  s'indonnava  di  tutto  Dante  pur  per 
B.  e  per  Ice,  e  che  ritrae  il  modo  tenuto  altrove  da  lui  di 
passare  dal  nome  proprio  air  attributo  conveniente  alla  pei*sona 
che  il  porta,  come  quando  disse  della  madre  e  del  padre  di 
S.  Domenico  che  Tuna  Giovanna  e  l'altro  Felice  si  nominarono: 

O  padre  suo  veramente  Felice 
O  madre  sua  veramente  Giovanna, 

cioè  Felice  e  Giovanna,  proprio  di  nome -e  di  fatto. 
IL  CONVITO 

Cr.  Man.  I>ami.  II.  780;  IV.  490) 

Giuliani  GiABiBATTiSTA,  (1)  //  Convito  di  Dante  Alighieri, 
Discorso,  Estratto  dalla  Nuova  Antologia,  a.  ix,  voi.  xxv,  Fase. 
4  Aprile  1874. 


(1)  Pregato  il  Qiuliani  da  me,  scrive  il  De  Gubernatis,  affinchè  volesse 
darmi  di  sé  alcun  cenno  scritto,  ecco  le  preziose  note  che  ottenni  dalla  saa 
gentilezza:  ^  Ne*  miei  libri,  come  nelle  mie  lezioni,  fti  sempre  uno  l' inten- 
dimento, di  far  cioè  che  la  letteratura  sia  un  ministerìo  di  civiltà,  che  le 


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536  OPERE  MINORI 

//  Conrnto  di  Dante  Alighieri,  rinteffrato   nel  <«t 

con  nuovo  Commento.  Firenze,  Le  Monnier,  1875,  xl,  878. 

Fra  le  Opere  di  Dante,  il  Convito  è  quella  che  ci  vene- 
piU  malconcia  e  scompigliata  di  tutte.  Sia  che  astretto  dall- 
angustie  e  dai  dLsagi  dell' esiirlio  (1)  ne  smettesse  il  pensien'^: 
sia  che  il  Poema  sacro  lo  facesse  tutto  a  sé  atteso;  il  litr 
rì  è  che  delle  quattordici  Canzoni,  si  d'amore  come  di  xìrix 
materiate,  che  avea  divisato  di  ampiamente  comentare  a  gene- 
rale convito  di  scienza,  sole  tre  ne  condusse  a  cotnpiniem^ 
€  Ne  è  perciò  sopraranzato  V  unico  esemplare  con  le  can«I- 
lat  re,  giunte  e  correzioni  d'ogni  fatta,  e  con  que'  tanti  se^mi 
informi,  accennati  tra  V  impeto  del  sentimento  e  del  diacorsv 
non  meno  che  in  quella  come  febbre  intellettuale,  onde  al  pronrc  . 
e  fervido  pensiero  mal  si  consente  intera  la  parola.  »  Siccb-l  | 
questo  libro  scienziale,  rimasto  a  discrezione  d'improvidì  ami* 
nuensi,  inetti  a  comprenderne  T  alta  dottrina,  e  gli  arcani  giri 
e  rigiri  dell'  arte,  dovea  di  necessità  riuscire  orribilmente  gu^ 
sto  e  contraffatto.   I  primi   che  con  forze  unite  ed  instanc^te 

arti  del  Bello  servano  al  miglior  bene  della  nostra  Italia,  ed  a  vantag^arb 
sopra  le  altre  naxioni  per  la  nobile  virtù  del  sentimeolo.  >-  Pra  le  motlr« 
diverse  contraddizioni  degli  uomini  mi  raccolsi  in  me  stesso  fìrancheggìandci.j 
nella  dignitA  del  silenzio  e  della  vita.  Sta  come  torre  ferma,  che  nan  rr^'' 
Giammai  la  cima  per  ioffiar  de'  venti ,  Che  tempre  l' uomo  m  c«w  y-»- 
sier  rampolla  Sovra  pensier  da  àè  dJUvnya  in  segno:  Questi  versi  :i-: 
Airono  ognor  presenti  all'  animo  e  guida  sicura.  Na^It  studi  «spimi  pwrk; 
sempre  al  meglio,  e  del  resto  fu  contiìiua  mia  cura  di  poter  rendermi  degtu 
sacerdote ,  cattolico  e  cittadino  italiano.  >-  Dell*  amicisìa  feci  sostegno  ^^ 
consolazione  alla  mia  vita  :  e  dagli  amici  riconosco  mn  parte  della  felid* 
condizione  in  che  mi  ritrovo.  ^-  Fui  nemico  ognora  d'  accattar  brighe  eti- 
che letterarie  con  chichessia  :  e  tenni  ferma  la  mia  dignità,  edaiMlio  aUor« 
che  mi  si  voleva  imporre  inaebitamonte  V  altrui  volere.  Imparai  pidi  a  ta- 
cere che  a  parlare:  e  con  soavità  di  modi  e  con  prontezza  di  prestanti 
agli  onesti  aesideri  degli  altri,  se  non  vissi  sempre  libero  da  gni-«t  dispia- 
ceri, non  ho  perduto  mai  la  aolce  serenità  di  mente.  Quando  mi  si  diceva 
che  io  aveva  dei  nemici ,  noi  credetti  mai ,  perchè  sapevo  e  sento  di  uno 
aver  mai  offeso  e  invidiato  alcuno,  se  non  in  ^anto  aesideravo  di  pareg* 
giarlo  nel  fare  il  bene  e  farlo  il  meglio  possibile.  > 

Evidentemente,  le  virtù  dello  scrittore  si  conpenetrano  qui  talmente 
con  quelle  deir  uomo,  che  le  une  lasciano  argomentar  le  altre  ;  V  ingegno 
dello  scrittore  pifflia  lame  dal  carattere  dell'  nomo  che  è  virilmente  buono. 
Neir  interprete  ai  Dante  si  accolgono  le  opinioni  nette,  sicure,  aggiustate; 
dell'  uomo,  amante  ed  amabile  compagno  della  vita ,  si  pregia  T  amicizia 
benefica.  Hicordi  Biografieiy  322. 

(1)  Il  Giuliani,  contro  1'  autorità  dello  Scolari,  del  Fraticelli  e  del  Solnù, 
sostiene  valorosamente ,  e  nella  Prefazione  ,  e  mano  mano  nel  Comento , 
che  Dante  dovette  avere  composto  il  Convito ,  già  trapassata  la  pienezza 
della  sua  vita ,  vale  a  dire ,  ancor  declinante  la  Gioventù  stessa ,  se  non 
appena  Unita ,  e  perciò  sempre  durante  V  esilio,  prima  del  1310,  o  poco 
appresso.  £  questa  materia  ben  definita  dall'Autore  st^so;  e  chi  ragiona 
in  contrario  non  riuscirebbe  ehe  a  ùr  ambiziosa  mostra  di  congetture. 


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IL  CONVITO.  537 

.  mettessero  di  proposito,  e  con  intelletto  d' amore,  a  disbri- 
arne  la  selva  di  errori,  di  glossemi,  di  spostati  incisi,  di 
ostrutti  intralciati,  a  riempirne  le  grandi  lacune,  furono  gli 
ìditori  Milanesi,  i  quali,  come  ben  dice  il  Giuliani,  si  resero 
benemeriti  sostenitori  dell'italico  senno.  Ne  ritentò  la  prova 
l  Cavazzoni  Pederzini,  e  n'acquistò  lode  non  contrastabile  e 
ing-olarissima ;  vi  attese  anche  il  Fraticelli,  ma  diede  troppa 
éde  e  privilegio  di  autorità  al  codice  Riccardiano,  e  rimase  ad- 
lietro  a  coloro  che  lo  precedettero.  —  Nò  si  potrebbe  non 
^aper  grado  airimaginoso  arcipr.  di  Campegine,  Matteo  Ro- 
3aani,  il  quale  fra  la  meditazione  e  le  faticose  raffazzonature 
ù  è  pur  adoperato,  con  utile  effetto,  a  riordinarne  il  testo,  e  a 
racconciarne  alcuna  parte  o  sentenza. 

Ma  con  tutto  ciò  il  volume  raccomandato  pur  tanto  ci  si 
presentava  inestricabile  in  moltissimi  luoghi;  tante  erano  le 
difficoltà,  0,  a  meglio  dire,  i  gruppi  di  difficoltà  tuttavia  per- 
sistenti. Onde  non  potea  non  dolere  al  Giuliani  che  il  Convito 
del  più  che  padre  suo,  in  che  traspare  non  fallibile  l'impronta 
del  genio  italiano,  pregiabile  anco  nella  luce  del  moderno  sa- 
pere, il  Convito,  detto  dal  Balbo  il  Manuale  dei  Comentatori 
della  Divina  Commedia,  corresse  sì  arruiiato,  e  per  conseguenza 
trovasse  si  pochi  studiosi  che  togliessero  a  meditarlo.  Ed  egli 
i^accolse  tutto  so  stesso,   e  si  accinse  all'ardua  e  pericolosa 
impresa.  Certo  nessuno  meglio  di  lui,  informato  anzi  trasfor- 
mato com'  è  nello  spirito  di  Dante,  potea  entrare  nel  girevole 
labirinto,  nessuno  meglio  di  lui  trovarne  le  fila,  raggrupparne 
strettamente   i  nodi,   ed  uscirne   con  onore.   E  a  tal    fine  ei 
chiama  a  rassegna  i  codici,  i  quali  gli  sembrano  tento  più 
autorevoli,  quanto  più  appariscono  scorretti  e  malamente  trap 
scritti  ;  vaglia,  con  senno  illuminato,  le  varianti  ;  cerne,  tra  la 
impacciosa  fìtrragine,  le  voci  che  gli  paion  legittime;  e,  perchè 
il  vero  più  gli  s'imbianchi,  ricerca  tutto  le  opere  di  Dante, 
egli  che  le  sa  tutte  quante,  le  considera  in  sé,  e  le  une  ri- 
spetto all'altre,  fa  ricorso  in  ogni  uopo   alle  vive  fonti  cui 
il  suo  Autore  attinse  la  scienza;  in  breve,  con  la  critica  che 
Dante  stesso  ne  porge  con  rìgide  norme  e  per  moltiplicati 
esempi,  si  aiute  a  raccoglierne  ed  accertarne  la  mente,  dispic- 
cando dalle  tenebre  vera  luce.  Che  se  a  taluni  potessero  parer 
soverchie  le  allegate  correzioni,  ei  confessa  che  gli  furono 

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538  OPBRB  MINORI 

prescritte  dal  Maestro,  alla  cui  guida  si  è  abbandonato  con 
attenta  e  inviolabile  fiducia;  cbò  sola  sua  cura  fd  dì  rendert 
a  Dante  ciò  che  gli  appai'tiene  per  sicura  e  vendicata  ragìcme. 
—  Ma  sovra  tutto  il  Comento  a'  passi  fòrti  a  intendere,  m 
par  meraviglioso.  Nò  facile  compito  era  questo,  ore  ben  i^ 
agguardi  che  l'Alighieri  avea  &tta  sua  tutta  la  scienza  di 
di  quei  tempi.  Onde  quanto  corredo  di  tesoreggiata  dottriiu 
si  richiegga  in  chi  se  ne  vuol  fare  V  interprete,  non  è  chi  noi 
conosca.  Ma  egli,  preparatovisi  con  istudi  poderoei,  non  se  n$ 
sgomenta,  segue  la  stessa  norma  che  nella  reintegrazione  de. 
testo,  e  per  usare  una  frase  di  Dante,  suo  veder  s'inluia,  - 
cosi  la  sua  sposizione  diventa  luce  la  quale  ogni  colore  di  sen- 
tenza fa  parvente.  • 

In  questo  lavoro  il  più  arduo  e  pertinace  che  gli  abbii 
occupato  Tanimo,  esempio  insigne  di  longanime  pazienza,  ^'li 
toccò  r  ultimo  suo.  Ed  io  credo  che  la  nostra  letteratura,  non 
che  le  altre  moderne,  ci  offrano  maggior  esempio  di  un  libro 
rinnovato  e  illustrato  a  questa  maniera.  Laonde  non  mi  ia 
meraviglia  se  il  Witte,  negli  studi  danteschi  maestro  di  color 
che  sanno,  appena  vide  e  rilesse  i  primi  fogli,  scrìvesse  al 
Giuliani  di  non  volere  omai  senz'  essi  fermare  peso  di  dramma. 
Il  prof.  Zambrini  la  disse  pubblicazione  superiore  ad  ogni  lod^ 
che  le  si  potesse  profondere.  —  «  Ella  ha  messo  il  colmo, 
«crivevagli  E.  Camerini^  a'  suoi  menti  verso  Dante  con  la  belb 
edizione  del  Convito^  recato  alla  nativa  purità  e  cementato  con 
un  valore  che  non  lascia  luogo  ad  altri  miglioramenti.  A  veder 
tanto  non  surse  il  secondo.  Il  proemio  è  così  sensato  e  quasi 
direi  affettuoso  che  fa  amare  lo  scrittore,  quanto  il  comento  lo 
fe  stimare.  Io  mi  ripropongo  di  rituffarmi  in  Dante  twn  si 
fatta  guida,  e  verrò  confortando  con  la  dottrina  di  lei  i  miei 
ultimi  giorni.  Intanto  la  ringrazio  dell*  onore,  e  me  leproflfero 
e  raccomando.  >  Povero  Camerini  !  Questa  lèttera  ei  la  dettava 
il  28  Febbraio  1875,  e  il  giorno  dopo  non  era  più! 

Ma  il  compenso  più  invidiabile  e  più  bello  il  Giuliani  lo 
ebbe  nel  giudizio  portato  dair  Accademia  della  Cmsca,  Nella 
adunanza  del  13  Giugno  1875  dehberò  essa  unanimem^i^ 
che  nella  Tavola  dei  Citati  fosse  registrato  anche  il  Convito 
pubbUcato  dal  Giuliani  nel  1875,  avvisando  in  ciò  gli  Acca- 
demici di  p7^owedere  non  solo  atVuHUtà  del  Vocabolario,  nia 

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IL  CONVITO.  539 

^1  di  rendere  onore  ctd  un  Collega  tanto  benemerito  della 
lingua  e  letteratura  cT  Italia.  —  V.  Carlo  Vessallo,  il  Convito  di 
Dante  Alighieri,  Discorso.  jRir.  Eur,  a.  vii,  Gen.  1876,  p.  328, 
344.  —  Riv,  Europea  j  1  Marzo  1875.  —  Nuova  Antologia^ 
MsLTZfì  1875.  —  Il  Propugn.,  a.  viii,  1875,  p.  361 ,  Ctv.  Catt, 
1875,  voi.  VI,  serie  ix,  p.  330. 

ToDESCHiNi  Giuseppe,  PosUUe  al  Convito  deir Alighieri  pub- 
hlicaio  in  Modena  nel  1831 ,  con  Note  critiche  e  dichiarative 
da  Fortunato  Cavazzoni  Pedersini.  Scritti  su  Dante,  i,  108-87. 
Appendice.  Lettera  di  A.  Torri  al  prof.  G.  Todeschini.  Id. 
p.  187.  —  Osservazioni  di  F.  Cavazzoni  Pedbrzini,  sopra  al- 
cune Postille  fatte  dal  Prof.  Todeschini  contro  alcune  Note 
al  Convito  di  Dante,  stampato  in  Modena  nel  1831,  p.  188.  — 
Lettera  di  G.  Todeschini  al  sig.  A.  Torri,  p.  192.  —  Risposta 
di  G.  Todeschini  alle  Osservazioni  di  F.  Cavazzoni  Peder- 
sini, p.  194.  —  Lettera  di  G.  Todeschini  al  sig.  Cavazzoni  Pe- 
derzini,  p.  196.  —  Lettera  di  F.  Cavazzoni  Pederzini  al  prof. 
G.  Todeschini,  p.  204.  —  Lettera  di  G.  Todeschini  al  prof.  C 
Witte,  p.  205.  —  Lettera  di  C.  Witte  al  prof  G.  Todeschini^ 
p.  207.  —  Osservazioni  critiche  del  prof  G.  Todeschini  sulla 
nuova  centuria  di  correzioni  ai  testo  del  Convito ,  stampate 
in  Lipsia  nel  1854,  p.  209.  —  Lettera  di  C.  Witte  al  prof  G. 
Todeschini,  p.  223. 

Le  scrisse  nel  1833,  e  le  rimise  al  Torri  perchè  se  ne  gio- 
vasse nella  stampa  da  lui  promessa  ed  invano  desiderata  del 
Convito.  Il  Pederzini  ed  il  Witte  ne  fecero  gran  stima.  €  Sono 
contentissimo,  scrivevagli  il  Witte,  di  vedere  che  non  poche 
delle  mie  congetture  concordano  colle  sue  emendazioni,  e  credo 
che  non  vi  sia  miglior  pietra  di  paragone  per  farle  riconoscere 
giuste.  Ho  notato  nel  mio  esemplare  tutti  i  passi,  dov'ElIa 
crede  ch'io  abbia  sbagliato,  e  non  mancherò  di  pensarci  e  di 
ripensarci  senza  parzialità.  Confesso,  che  fin  d' ora  mi  sembra 
(li  riconoscere  più  di  un  mio  errore,  da  lei  ottimamente  rile- 
vato.... »  E  il  Pederzini:  €  Ho  esaminato  con  tutta  diligenza 
le  nuove  di  Lei  correzioni  al  Convito,  e  per  verità  mi  sono 
parate  assai  buone  e  comendevoli.  » 

DiONisi  Gian  Jacopo,  Deir  utilità  del  Convito  per  la  Com- 

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540  OPERE  MINORI 

media,  Ànned.  n,  49-54.  —  Nuovi  significati  e  vocaboii  nella 
opeì'a  detta  il  Convito.  —  D' altri  ntiovi  significati  e  vocaboà 
nel  Convito,  Aned.  v,  C.  xxiv  e  xzv. 

Semoli  Farinello,  fiorentino,  Lettera  nella  quaie  si  esa- 
mina il  libretto  del  cav.  Vincenzo  Monti,  intitolato:  Saggio 
dei  molti  e  gravi  errori  trascorsi  in  tutte  V  edizioni  del  Con- 
vito di  Dante,  Firenze,  1823. 

N.  N.,  Saggio  critico  intomo  ad  un  oscuro  passo  di  Dante, 
concernente  V  immortalità  deW  anima  (Tratt.  ii,  e  9).  Giorc. 
Eiig.  Fase,  xxiii,  p.  920. 

Vedovati  Filippo  ,  Intorno  ad  un  passo  del  Convito  di 
Dante  che  vorrehbesi  oscuro  (Tratt.  ii,  e.  9).  Gazz.  di  Venezia, 
13  Agosto  1846,  n.  182. 

Fanfani  Pietro,  Emendazioni  di  alcuni  luoghi  dei  Con- 
vito. Studi  ed  Osservazioni,  303-313. 


DE  VULGARI  ELOQUIO  (1). 

Cr,  Man,  Ikmt.  IV.  4M), 

D'  Ovidio  Francesco,  Sul  trattato  de  Vulgari  doquentìa  di 
Dante,  Studio. — Archivio  Glottologico  italiano,  diretto  da  Giov. 
D'Ascoli,  Roma,  Loescher,  1873,  ii,  59-110. 

L' intento  mio,  cosi  il  D' Ovidio,  è  di  determinare  U  preciso 
significato  delle  dottrine  comprese  nel  Trattato  di  Dante,  e  dì 
ricercare  com'  esse  siensi  generate  nella  sua  mente,  in  ispec2€ 
quella  sul  Volgare  illustre,  divenuta  davvero  illustre.  Procuro 
di  mostrare  come  Dante,  pur  intuendo  assai  felicemente  quanto 
di  letterario  vi  dovesse  essere  nella  lingua  colta,  non  riuscisse 
dall'  altro  lato  a  ben  misurare  quanto  ella  dovesse  al  dialetto, 
in  particolare  toscano,  ingannato  com'era  dalla  falsa  luce  con 
che  gli  si  presentavano  i  fasti  letterari  del  tempo  suo,  dai  prc- 


(1)  Scrisse  il  libro  De  Vulgari  Eloquio,  non  a  vendetta  contro  a  Fireny<^. 
ma  come  colui  che  le  incertezze  o  insufficienze  quanto  all'  uso  della  Ungca 
tentava  risolvere,  ad  essa  guardando  come  di  fuori  e  per  dottrina  <»  spe- 
«Tulazione:  vagante  italiano,  cercava  un  volgare  che  «in  nessun  Inopa 
riposasse  *  tuttavia  ritenendo  nello  scrivere  quello  medesimo  eh'  era  stati 
1  congiugnitore  de'  suoi  parenti.  *  Gino  Capponi ,  Storia  della  Repub.  di 
Fir.  1.  n,  e.  8,  p.  168. 


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DE  VUL6ARI  ELOQUIO.  541 

giudìzi  della  sua  mente,  dalla  preoccupazione  del  suo  animo, 
dar   una  catena  d'illusioni,  inevitabili  certo  a  quei  tempi,  il 
clie  scusa  Dante,  ma  sempre  illusioni;  e  ciò  giova  a  notare 
per  togliere  ogni  pericolosa  autorità  alla  parte  erronea  della 
sua   dottrina.    Il  D*  Ovidio   divide   il  suo  lavoro  ne*  capitoli 
seguenti.  —  I.  Autenticità  del  Trattato:   II.   Titolo  di  esso: 
III.  Età  e  luogo  in  che  fu  composto  :  IV.  Numero  de'  libri  dei 
quali  sarebbe  dovuto  constare  se  Dante  lo  avesse  compiuto: 
V.  Se  nel  tentativo  di  comporre  una  Poetica  del  Volgare,  Dante 
avesse  alcun  precursore  in  Italia  e  fuori  :  VI.  Quali  fossero  le 
idee  di  Dante  rispetto  al  valor  relativo  del  volgare  e  del  latino. 
—  Come  le  sue  opinioni  e  dottrine  letterarie  si  venissero  for- 
mando via  via:  VII.  Quali  fossero  le  idee  di  Dante  circa  il 
merito  relativo  dell'  italiano  e  degli  altri  idiomi  romanzi  :  Vili. 
Dottrina  di  Dante  sull'origine,  unità   primitiva   e  posteriore 
frazionamento  dei  linguaggi  e  sulla  distribuzione  àelle  lingue 
in  Europa:   IX.  Dottrina  di  Dante  del  continuo  e  progressivo 
dividersi  e  suddividersi  dei  linguaggi  in  Europa:  X.  Dottrina 
di  Dante  sul  volgare  illustre.  —  Doppia  specie  di  comuni  pre- 
g-iudizii  circa  i  dialetti:   XI.  Che  l'una  e  l'altra  specie  si  do- 
vessero trovare  in  Dante.  Stato  della  lingua  poetica  italiana  ai 
tempi  di  Dante.  —  Metodo  suo  di  valutare  i  dialetti  e  la  lingua 
colta:   XII.  Sulle  minute  applicazioni  che  Dante  fa  di  un  tal 
metodo  a  tutti  i  dialetti  d'Italia,  compreso  il  fiorentino:  XIII. 
Qual  è  il  volgare  illustre:  XIV.  Il  libro  li. 

Il  D'Ovidio  ritiene  che  Dante  dettasse  il  primo  libro,  sul 
declinare  del  1304,  a  Bologna;  e  che  nel  Febbraio  1308  fosse 
giunto  al  e.  VI  del  secondo  libro.  Quattro  dovevano  essere  i 
libri.  L'autenticità  non  può  neppure  esser  posta  in  dubbio.  Il 
D'Ovidio  nel  De  Yulgari  Eloquio  vi  nota  precocità  ed  originalità. 
É  questa  la  prima  volta  che  ci  vien  data  una  critica  schietta 
e  profonda,  del  libro  di  Dante  de  Yulgari  eloquio^  un  po'  spie- 
tata qua  e  là,  nò  troppo  riguardosa  del  tempo  in  cui  Dante 
scriveva,  ma  per  la  bontà  dell'osservazioni  e  pel  garbo  inge- 
gnoso con  cui  queste  ci  son  presentate  degnissima  di  venire 
considerata.  V.  U.  A.  Cartelli.  Riv.  di  Filol.,  Rom.,  1874,  p. 
275;  Archivio  Ven.  vi,  146. 

Capponi  Gino,  Sul  libro  De  Yulgari  eloquio.  Storia  della 
Repubblica  di  Firenze,  1.  ur,  e.  9,  p.  348  e  seg. 


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542 


DE    MONARCHIA   (1) 

(V.  Man.  Dani.  IV,  »«) 


BoBHMER  Eduard,  Ueber  Dante*s  Monarchie,  Halle,  Teri^e 
der  Buchhandlung  des  Waisenhauses,  1866.  (p.  24). 

Derichs^'eiler  Herm.  Coliegium  in  Gebweiler.  lahres-Bericht 
Nr.  2  mit  welchem  zu  der  Sffentlichen  Prùfung  und  Schluss- 

feìerlichkeit   den    10  August   geziemend  eiiiladet Inhalf. 

I.  Dante  Alighieri' s  Monarchia Mùnch  et  Cie.,  Schabel's 

Buchdruck,  1873,  p.  46. 

Berardinelli  P.  Francescjo  ,  La  Monarchia  di  Dante  Ali- 
ghieri e  il  dominio  temporale  dei  Romani  Pontefici.  Civ.  Catt. 
Voi.  II,  Serie  vi,  1975,  p.  72^9;  Voi.  lu,  35-51;  274-93;  iv, 
405-23. 


(1)  Nel  libro  della  Monat'chìa  egli  intende  chiarire  e  svolgere  quel 
principio  d*  uniti  imperiale  che,  uscita  da  Roma,  aveva  mille  anni  tenut" 
miDlicato  il  mondo  cristiano,  come  in  un  nodo  che  i  due  capi  striDg«ss«ni 
anelando  per  lo  contrario  verso.  Qui  Dante  parrebbe  fatto  straniero  «S^ 
citt;ì  sua  ;  ma  come  alle  ire  che  lui  consumavano  sta  in  fondo  l' amon*. 
cosi  nel  concetto  ideale  affatto  di  questo  libro  si  accolgono  dottrine  ch^ 
non  contrastavano  né  al  sentire  di  uomo  italiano  né  a  quel  diritto  di  citta- 
dina indipendenza  che  Dante  avrebbe  in  patria  voluto  a  ogni  costo  mau- 
tenere.  —  Nel  libro  pertanto  della  Monarchia  abbiamo  T  esposizione  del 
sistema  cui  Dante^  è  vero,  s' ingegnava  allora  di  dare  coerenza  per  via  di 
sofistiche  argomentazioni  *  ma  noi  crediamo  da  gran  tempo  tutto  queir  or- 
dine di  concetti,  stesse  nel  fondo  del  suo  pensiero.  L'avere  egli  posto  neli.i 
nittà  e  nel  popolo  di  Roma  la  fonte  di  quel  diritto  dal  quale  uscisse  il 
sommo  impero  e<l  universale,  non  era  dottrina  che  Dante  si  fabbrica;^ 
allora  a  comodo  della  sua  tesi,  ma  era  italiana,  era  cattolica,  era  ^nde: 
era  dottrina  ^i|^nibiva  con  l'ordine  assicurare  la  libertà.  neU*  unità  am- 
mettere e  caiì|«M^dere  la  varietà  ;  farsi  attuazione  dei  voleri  di  Dio  sulla 
terra,  fondando  tra  gli  uomini ,  col  regno  della  virtù,  perpetua  pace  uni- 
versale: la  Monarchia  dell* Alighieri ,  T impero ,  il  veltro,  non  potevano 
pssere  a  questo  modo  altro  che  ideale  cosa.  Quindi  a  noi  pare  che  roenli^ 
i  libri  del  Convito  e  del  Volgare  Kloquio  nuli' altro  ci  mostrano  che  studi 
interrotti:  la  Vita  Nuota  e  la  Monarchia  ne  dìeno  ragione,  quello  del- 
l' anima  del  Poeta,  questo  del  pensiero  civile  o  politico  quali  si  vennero  a 
trasfondere  nella  grande  opera  del  poema.  G.  Cajppont^  Storia  della  Rep- 
dì  Firenze,  1.  n,  e.  8.  p.  108. 

Il  Panciatichi  nelle  isue  lettere  (1676),  fa  le  meraviglie  che  un  ms.  della 
Monarchia  di  Dante  in  volgare  siasi  pagato  sette  lire,  qtHindo  si  ha  jVj* 
poche  crasie  quella  stampata  in  lingtta  latina ^  come  l'ha  scritta  jf'awlotv. 


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543 


NUOVE   EDIZIONI 

(V.  Man.  DatU,  II,  78t;  IV,  619J 

Dantis  AUgherii  De  Monarchia  libri  tres  Codicum  manu- 
sciriptorum  ope  emendati  per  Carolum  Witte  ,  Editio  altera. 
Viadobonae  BraumuUer,  1874  (Lipsiae,  Typ.  J.  B.  Hirschfeldi), 
Lxxxiv,  144. 

I  copiosi  Prolegomeni,  preposti  dal  Witte,  ci  parlano  degli 
studi  degli  editori  che  lo  precedettero,  delle  cure  eh'  ei  vi  pose  ; 
r  occasione  e  lo  scopo  che  indussero  T  Alighieri  a  dettare  la 
MonarcJiia,  il  tempo  in  che  fu  scritto  (1296-1299),  le  vicende 
subite,  oltrecchè  ci  danno  T elenco  dei  Codici  delle  stampe  e 
delie  traduzioni.  I  codici  enumerati  sono  T  Ambrosiano  del 
sec.  XV;  quello  dì  Middlehill,  ora  Gheltenham  (Phillips)  del 
sec.  XIV;  il  Feliniano  di  Lucca  del  sec.  XV;  quello  del  Museo 
Nazionale  ungherese  di  Buda-Pest,  del  medesimo  secolo;  il 
bellissimo  Mediceo-Laurenziano  deiristessa  età;  il  Magliabec- 
chiano  del  sec.  XVI ,  il  Palatino- Vaticano  della  fine  del  300  ; 
il  Marciano  del  trecento.  Un  aggiunta  desideratissima  ai  Pro- 
legomeni si  è  la  nota  dei  Loci  auctorum  in  libris  de  Mo- 
narchia citati.  La  Yarietas  Leclionum  trovasi  sotto  al  testo. 
Fanfani  P.,  Emendazioni  di  alcuni  luoghi  de  Monarchia. 
Studi  ed  Osservazioni  ecc.  p.  323. 

TRADUZIONI 

Cr,  Man.  Dant.  II.  794;  IV.  SM) 

HuBATSCu  D.*"  Oskar  ,  Dante  Alighieri ,  Ueber  die  Monar- 
chie. Uebersetzt  und  mit  einer  Einleitung  versehen.  Berlin, 
Heimann,  1872  (Erich  Koschny).  xxx,  61.  —  Forma  parte  della 
Biblioteca  storica  politica,  o  riunione  di  capolavori  della  storia 
politica  antica  e  moderna.  —  XIV,  Dante  Alighieri,  Ueber  die 
Monarchie.  —  €  In  omnibus,  in  iis  etiam  quae  modum  loquendi 
et  doctrinam  scholaaticorum  respiciunt,  consideratissimum,  et 
inter  paucos  peritum  se  exhibet.  »   Witte,  De  Mon.  lxxiv. 


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544 


EPISTOLE 


Cr.  Man.  Data.  lY,    MJ 


È  da  cinquant' anni  che  il  Witte  si  valorosamente,  (xi 
memorabile  esempio,  si  travaglia  sui  volumi  dell'  Alighieri.  X« 
ci  è  opera  del  divin  Poeta  eh'  egli  non  abbia  cercata  con  lun^ 
studio  e  grande  amore,  ed  a  cui  non  abbia  recato  le  sue  fati 
cose  indagini  e  le  sue  pregiate  illustrazioni.  Fin  dal  182 
davaci  egli  il  primo  la  stampa  delle  lettere  Dantesche  txk\ 
allora  conosciute;  né  si  rimase  da  ricerche  per  ci-eacerDe  i 
numero ,  ed  interpretarle  degnamente.  Certo ,  quando  nel  ti 
volume  del  mio  Manuale  (p.  522)  riferivo  dello  scritto  del  Toh] 
maseo  Le  leUere  di  Dante  scoperte  dal  signor  Bey  se  ^  era  }^\ 
lungi  dal  credere  che  quel  sunto  potesse  increscere  al  grand 
uomo  che  io  venero,  e  che  si  è  reso  altamente  benemerito  d 
Dante  e  delFItaUa.  Ecco  quanto  mi  scrìveva  il  1  Agosto  ISTI 
dai  Bagni  di  Bormio. 

«  È  una  accusa  contro  a  me  assolutamente  priva  di  fonJsi 
mento.  È  una  calunnia  con  cui  il  Palermo  voUe  vendicarsi 
del  non  aver  io  voluto  riconoscere  quel  suo  Quinterno  per  au^ 
tografo  del  Petrarca.  Il  signor  Heyse  registrò  e  confrontò  cooh 
mio  incaricato,  ed  a  spese  mie  i  codici  Danteschi  della  Yati^ 
cana.  V.  S.  desumerà  dalla  pagina  pen.  delle  Forschunge^i^ 
come  registrando  fra  le  altre  cose  le  intitolazioni  delle  lettere^ 
non  sospettò  nemmeno  che  vi  possa  esser  dell'  inedito.  Nam^ 
ralmente  me  ne  accorsi  subito,  e  V  incarìcai  col  prossimo  cor^ 
riero  di  trascrivermi,  sotto  i  patti  fin  allora  tra  noi  osservati, 
e  con  ogni  accuratezza  possibile,  quelle  preziosissime  lettere^ 
Lo  fece,  e  lo  pagai,  come  per  tutti  gli  altri  lavori  da  lui  peii 
me  fatti,  a  bei  contanti.  Non  vi  fu  dunque  mai  questione  n^ 
dì  generosità  né  di  dono.  Se  V.  S.  lo  giudicasse  opportuno  non 
mi  opporrei  di  certo  che  queste  mie  asserzioni  si  pubblicassero, 
e  sono  persuasissimo  che  il  sig.  Heyse  non  avrebbe  la  fronte 
di  contraddirvi.  Ed  io  son  lietissimo  di  farne  pubblicamente' 
ammenda.  Che  in  me,  non  v'  ha  dubbio,  fu  colpa  di  non  aver 


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EPISTOLE.  «     545 

rettificato  Terrore  in  che  cadde  il  Tommaseo.  E  questo  fia 
ruggel  eh*  ogni  uomo  sganni,  —  V.  Scartazsini,  Dante  in  Ger- 
nania.  Riv.  Internaz.  i,  584. 

Epistola  I  e  II.  —  Il  Todeschini  sostiene  con  fermezza  e  con 
aperte  prove  che  la  Epistola  ai  fratelli  da  Romena  Oberto  et 
Guidoni  comitibus  de  Romena,  post  mortem  Alexandri  patrui 
eorumj  ò  un  documento  apocrifo,  e  perciò  non  si  merita  alcuna 
fede,    né  per  gli  estrinseci  caratteri  co'  quali  ò  comparsa  nel 
mondo,  nò  per  V  intrinseco  suo  contenuto,  ed  è  solo  uno  scritto 
tardamente  in&ntato  dalla  frode  o  dal  capriccio.  Onde  la  con- 
traddizione aperta  fra  le  lodi  tributate  ad  Alessandro  da  Ro- 
mena nell'Epistola,  ed  il  biasimo  contenuto  nella  Commedia, 
non  dee  porsi  altrimenti  a  carico  dell'Alighieri,  ma  dee  con- 
siderarsi piuttosto  come  un  nuovo  argomento    della  falsità  di 
quella  ;  imperciocché ,   s*  egli  era  inevitabile   di  attribuire  un 
grave  carico  al  poeta,  finchò  durava  intera  fede  del  supposto 
documento,  tostocchò  questa  fede  è  crollata,    T animo  aperto, 
leale,  generoso  d|  lui  ci  diviene  una  nuova   guarentigia,  che 
non  siamo  illusi  dalla  menzogna  di  un  falsatore.  —  Oltrecchè 
il  Todeschini  combatte  valorosamente  le  supposizioni  che  Dante, 
allontanatosi  già  buon  tratto  di  tempo  innanzi  da' suoi  com- 
pagni di  esilio,  sia  stato  lo  scrittore  della  lettera  al  cardinale 
Ostiense,  supposizione  non  soltanto  gratuita  ed  arbitraria,  bensì 
riprovata  ed  assolutamente  &llace.  —  Todeschini  G.,  Relazione 
di  Dante  con  Alessandro  da  Romena.  Scritti  su  Dante,  r, 
222-50. 

n  voi.  del  Torri  che  racchiude  Y  Epistole  di  Dante  Alighieri 
edite  ed  inedite  (Livorno,  Vannini,  1842),  abbraccia  tutte  le 
prefazioni  Wittiane ,  quelle  del  Fraticelli ,  ed  un  accurata  Bi- 
bliografia dell'Epistole.  —  Vi  si  legge  pure  il  volgarizzamento 
antico  dell'  Epistola  ai  Principi  e  Signori  d' Italia  dato  in  luce 
la  prima  volta  dal  Lazzeri  nel  1754;  e  quello  dell' Epistola  ad 
Arrigo  VII,  edito  dal  Doni  nelle  Prose  Antiche,  Fh-enze,  1547, 
p.9. 

L'Epistola  ai  Card.  Italiani,  fu  pur  tradotta  dal  Muzzt  e 
dal  Torri;  e  pur  dal  Torri  quelle  ai  co.  di  Romena  e  ad  Ar- 
rigo VII:  il  Dionisi  (  Aned.  v,  p.  177),  il  Balbo  (Vite  di  Dante, 


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546  OPBBS  MINORI 

c.  xiv),  ed  il  Muzzi  voltarono  quella  ali*  amico  fiorentino.  Ug\ 
Foscolo  la  avea  già  resa  in  inglese  ne*  suoi  Saggi   sopra  i 
Petrarca,  dai  quali  la  fece  italiana  Camillo  Ugoni,  Il  Missiriid  1 
volgarizzò  quelle  a  Gino  ed  a  Cane  ;  quest*  ultima ,   con  nn  i 
valentia,  il  Giuliani. 

Kannbgibsser  Karl  Ludwig,  ProsaiscJie  Schriften  ùbcr- 
setu,  Leipzig,  Brockaus,  1845. 


QU^STIO  DE  AQUA  ET  TERRA 

(V.  Man.  Data.  IV.  US) 

ScHMiDT  Wilhelm,  Ueber  Dante*  s  Stellung  in  der  Gescht- 
chte  der  Kosmographie.  Erster  Theil:  Die  schrift  De  acqua 
et  Terra.  (Sul  posto  di  Dante  nella  storia  della  Cosmo^afia). 
Nel  Siebenter  lahresbericht  des  K.  K.  zweiten  Gymnaainm  in 
Gratz  vom  director  Philipp  Pauschitz  (Programma  del  secondi* 
i.  r.  Ginnasio  in  Gratz. 

Dissertazione  per  ottenere  la  laurea  in  filosofia.  —  L*  es^ame 
dello  scritto  di  Dante  è  fatto  con  molta  accuratezza  ed  illu- 
strato con  molta  erudizione.  Ne  attendiamo  la  fine. 

Dante  Alighieri  e  le  dottrine  cosmologiche  del  stto  tempo. 
AH.  Zeitung,  1876,  n.  163. 

EGLOGHE 

Cr.   Man,  DnHt.  tV,  Bt») 

Scolari  Filippo,  1  versi  latini  di  Giovanni  del  Virgilio  e 
di  Dante  Alighieri  recati  in  versi  italiani  ed  illustrati  col  testo 
a  fronte  e  con  note.  Venezia,  per  V  Agenzia  libraria  di  Firenze 
(Tip.  Cecchini),  1845,  di  p.  228. 

Appendice  alC  edizione  di  Venezia  dei  versi  latini  di 

Giovanni  di  Virgilio  e  Dante  Alighieri,  Venezia,  Fracasso, 
1847. 


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547 


BIBLIOGRAFIA 

(V.  Man.  Dant.  IV,  686) 

Petzholdt  Jul.,  Bibliographia  Dantea  ab  anno  MD  CCCLX  V 
nchoata.  Accedit  Conspectus  Tahuiarum  Dtvinam  Comoediam 
?e/  stilo  vel  calamo  vel  peniciUo  adhibiHs  illusirantium.  Dre- 
sdae,  sumtibua  G.  Schoenfeld  (C.  A.  Werner),  1872. 

Supplemenlum    Bibliographiae    Banteae    ab   anno 

MDCCCLXY  inchoatae.  Dresdae,  Shoenfeld  (Typ.  Poessleri), 
1876. 

Lang  W.,  Banteliteratur  in  Deuischland,  In:  Im  neuen 
Reich....  Leipzig,  Hirzel,  1872,  321-332. 

ScARTAZziNi  O.  A.,  Umschau  im  Gebiele  der  gesammten 
netiesten  Banteliteratur.  In:  Ma^azìn  fur  die  Literatur  des 
Auslandes  begr.  von  J.  Lehmann,  brsg.  von  Lehfeldt  xliii. 
Jahrg.  1874,  Berlin,  n.  1,2  e  3. 

La  Letteratura  Italiana  in  Germania  nel  1869.  Riv. 

Europea,  voi.  n,  1870,  p.  114-21. 

/  recenti  'studi  Banteschi  in  Germania.  Nuova  An- 
tologia, a.  VI,  voi.  XVI,  fase.  7,  1871,  511-35. 

Supplemento   alla   Bibliografia  Bantesca   del  Pet- 

gholdl.  Nella  Neuer  Anseiger  fur  Bibliographie  und  Biblio- 
thekwissenschafì  hrsg.  von  J.  Petzholdt,  Nov.  1876. 

Bante  in  Germania.  —  Di  questo   importantissimo 

lavoro,  eh' è  tuttavia  in  corso  di  stampa,  parleremo  nel  Sup- 
plemento. 

LE  FESTE  DI  DANTE. 

(V.  Man.  Dani»  IV,  S40J 

N.  N.  (Palermo  Francesco),  Le  feste  del  Centenario  di 
Bante.  Firenze,  Tip.  Fiorent.  diretta  da  G.  Natali. 

Catalogo  delle  Bandiere  e  Stendardi,  depositati  nel  Reg, 
Museo  di  S.  Marco  dal  Municipio  di  Firenze,  e  donati  dalle 


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548  LE  FESTE  DI  DANTE. 

Rappresentanze  delle  Provincie  italiane  y  Accademie, 
sitày  Institutij  Società  operaie,  ecc.,  che  intervennero  ai 
tenne  festa  del   Centenario  della  nascita  del  Divino 
Dante  Alighieri  celebrate  in  Firenze  nel  7  Maggio  1887 
Firenze,  Chiari,  1869,  p.  16,  24. 

Secondo  V  Opinione ,  le  feste  del  Centenario  costarono  i 
Comune  di  Firenze  lire  352,000. 


ONORANZE  A  DANTE  ALIGHIERI 

CV.  Man.  Dmt.  IV,  544) 

Napoli.  —  Piazza  Dante  (già  Largo  Mercatello).  V.  p.  &4, 

Ravenna.  —  Piazza  e  Teatro  Dante. 

€  Mons.  Stefano  Rossi,  Delegato  Apostolico,  il  di  15  Mag. 
1852,  facea  alla  Magistratura  di  Ravenna  la  seguente  proposta. 
«  Quel  Teatro  che  fìa  in  questa  sera  la  vosti*a  gloria  noveU^ 
divenga  mercè  vostra  altro  monumento  più  preclaro  dì  pub- 
blica e  perpetua  onoranza  che  Ravenna  tributi  alla  grandma- 
nima  dell' Alig;hiero.  Onoranza  che  tutta  rivolgerassi  a  vostri> 
vantaggio  :  imperocché  non  Dante,  ma  voi  avrete  perciò  da  tutti 
incremento  di  gloria  immortale.  Decretate  adunque  che  la  le- 
tizia di  questa  sera  incominci  dalla  intitolazione  solenne  del 
Vostro  Teatro  in  Teatro  Alighiero,  e  tutti  i  popoli  colti  faran 
plauso  alla  vostra  squisita  e  generosa  sapienza,  » 

E  la  Magistratura  convenendo  in  tanta  onorifica  proposta 
ad  unanime  acclamazione  determinava: 

«  D' intitolare,  siccome  nonùna  il  nuovo  Teatro  Comunale, 
Teatro  Alighiero,  ed  ordina^ che  tale  denominazione  sia  ecritta 
a  grandi  caratteri  d'oro  sulla  fronte  del  detto  Teatro,  e  die 
la  presente  deliberazione,  insieme  alla  mozione,  sia  pul4>licata 
colla  stampa  per  rendere  una  tale  inaugurazione  di  pubblica 
ragione,  porgendo  sempre  alla  lodata  Sua  Eccellenza  Reve- 
rendissima ogni  azione  di  grazia  pel  suddetto  pensiero  chi« 
onora  questa  città ^  e  rammenta  Tospitalità  resa  air  Altissimo 
Vate  da  nostri  Padri.  —  E  per  secondai  con  islando  mag- 
giore l'onoranza  al  sullodato  Poeta,  la  Magistratura  decreta 
ugualmente  '  che  la  Piazza  posta  fra  il  palazzo  Apoatotico  e 


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ONORANZE   A  DANTE  ALIGHIFRI.  549 

Teatrale  sìa  ancVessa  fregiata  del  nome  dì  quel- 
|LE,  e  s'appelli  Piazza  Alighieri.  —  Atto  fatto»  letto, 
Residenza  di  Sua  Eccellenza  Reverendissima  Mon- 
fregato  Apostolico  nel  suddetto  giorno,  mese  ed  anno, 
f'iti.  Il  Gonfaloniere  Bonifacio  Spreti,  —  Francesco  Do- 
ledetto  BaroniOy  Bonaventura  Rasponi,  Pietro  Grossi, 
^rchiari,  Giovanni  Morigi,  Giacomo  Modi.  —  Pel  Segre- 
■'-  Municipale,  T,  Venturi, 
Roma.  —  Piazza  Dante,  1873.  —  Sala  Dante. 
Anche  Campi  Bisenzio ,  nominò  Dante  il  suo  Teatro  ; 
Statuto  della  Società  Accad.  per  il  Teatro  Dante,  Firenze, 
Vlarìani,  1873);  da  Dante  Messina,  e  S,  Martino  d'Albaro  i  loro 
!!^ollegi  Convitti  (Regolamento  del  Collegio  Convitto  Dante, 
in  S.  Martino  d'Albaro,  Genova,  Tip.  Sordi-Muti,  1869;  Pro- 
^amma,  id.  1872). 

Nel  Fabrianese  vi  ha  la  Valle  di  Dante. 


COLLEZIONI 

(Y.  Man.  Dtmt.  TV,  Sà7). 

Collesione  roponni,  —  Pur  troppo  i  miei  timori  si 
Bono  avverati.  La  Collezione  Fapanni,  amica  aiutatrice  de*  miei 
studii,  che  contava  230  edizioni  della  Divina  Commedia,  cioè 
7  del  secolo  XV,  con  la  rarissima  del  Vindelin  Da  Spira  del 
1477;  27  del  XVI;  3  del  XVII;  24  del  XVIII;  169  del  XIX; 
che  pur  contava  pressocchò  tutte  V  edizioni  delle  Opere  Minori, 
compresavi  la  principe  del  Convivio,  1490;  ricchissima  di  opere 
illustrative  la  Divina  Commedia,  di  Versioni  ecc.,  fu  acquistata 
fin  dal  Decembre  1871  da  un  libraio  fiorentino.  Qual  fine  abbia 
avuto,  ignoro;  ma  temo  abbia  esulato  fuori  d'Italia.  —  V.  Man, 
Dant,  IV,  547. 

Collesione  Poiesot  ora  nel  Civico  Museo  di  Padova, 
Col  testamento  6  Settembre  1871,  il  dott.  Agostino  Palesa 
legava  al  comune  di  Padova,  la  sua  Raccolta  Dantesca  imita- 
mente  alla  Cominiana  e  Petrarchesca,  a  tutta  la  sua  libreria, 
non  che  ad  una  magnifica  collezione  di  stampe,  imponendo  al 
legatario  V  onere  di  5  vitalizii,  pel  complessivo  importo  di  an- 


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550  COLLEZIONI 

nue  L.  3000.  Col  codicillo  poi  del  28  Agosto  1872,  soatitii 
il  comune  di  Venezia,  con  pari  obbligo,  ove  quello  di  Padi 
non  accettasse  il  legato.  —  II  Sindaco   annunciala  il  dcoii 
Consiglio  Comunale  con  queste  parole  :  Il  compUnUo  Apasé 
doti.  Palesa  dopo  avere  offerto  colla  sua  vita  nobiU  esempi 
virtù  civili^  lasciò y  morendo,  ai  suoi  conciUadim  (ale  mot 
mento  di  generosità,  di  patriotismo^  di  coltura,  che  gU 
la  gratitudine  ossequente  di  quanti  amano  il  loro 
professano  il  culto  dovuto  alle  scienze,  alle  lettere  ed  alle 
—  Riguardo  al  valore,  ecco  quanto  ne  scrisse  la  Comi 
scelta  dal  Municipio,  composta  del  prof,  oav,- Pietro  Cana\ 
cav.  prof.  Andrea  Gloria,  del  sig.  Marco  Girardi  Vice-Bi1 
della  R.  Università. ...  «  I  libri  ammontano  a  100,000  cÌFca»| 
tra  essi  si  notano  principalmente:  1.  La  collezione  harUcsÀ 
ricca  non  solo  delle  edizioni  della  Divina  Commedia,  comprtJ 
parecchie  delle  più*rare  e  talune  di  queste  anche  in  più  ese^ 
plari   diversi  tra  loro,  ma  ricca  delle  opere  illustranti  ^{i 
sacro  Poenoa  e  il  suo  Autore:  2,  La  collezione  Petrarchct^ 
anch'  essa  unita  con  pari  intendimento  dal  dott.  Palesa,  sia  ^ 
le  edizioni  varie  delle  opere  del  Petrarca,  sia  per  gli  seni 
che  le  risguardano:  3.  La  collezione  Cominiana,  Taltra  £.1 
viriana  e  quella  Aldina,  molto  stimabili  anche  queste  per 
quantità  delle  opere  che  le  compongono.  Codeste  raccolte  fiuvj 
tenute  dall'  egregio  loro  collettore  e  stanno  ancora  in  appi^ii 
stanze  ed  appositi  scaffali.  Il  grande  emporio  degU  altri  ìi^f 
che  rimangono,  non  è  circoscritto  né  a  qualità  di  edizioai.  s 
a  qualità  di  argomenti,  ma  spazia  sopra  le  lettere,  le  arci.  \ 
scienze  in  generale.  In  esso,  e  sovra  tutto  in  quella  parte,  ca 
sta  nella  casa  già  abitata  dal  defunto,  si-  noverano  non  poc! 
volumi  di  grande  rarità  e  d' alto  prezzo  ed  anche  parecchi  - 
dici  manoscritti,  taluno  di  qualche  rilevanza.  —  Le  inctsin 
sono  parimenti  in  numero   assai   considerevole ,   racchiuse  : 
cartelle  e  queste  spartite  secondo  i  nomi  degli  autori,  nostn 
e  forestieri.  »  —  Il  valore  venale  del  legato  fu  ritenuto  n^ 
minore  di  300,000  lire. 

Il  Consiglio  Comunale  di  Padova  nella  sua  tornata  del  3 
Dee.  1873,  con  voto  unanime,  ne  accettava  riconoscente  il  to 
e  a  perennarne  la  memoria  decretava,  che  nel  civico  Mus-^^ 
venisse  posto  un  busto  in  marmo  che  rappresenti  ìeffij^ 


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COLLEZIONI.  551 

?/  donatore^  argomento  di  sprone  pei  cittadini  a  raccogliere 
loro   simpatie  sopra  un  Instiiuto,   che  Padova  apprezzò 
xìTtpre  e  coltiva  con  vero  amore.  Il  busto  ò  lavoro  egregio  dello 
rultore  Sanavio.  —  V.  Man,  Dant  iv,  549. 

Collexloae  an.  Alberto  Piftelll.  •»  Ne  fece  acquisto 
comune  di  Forlì  (1875).  Conta  216  edizioni;  due  sole  del 
uattrocento  (1491,  Venezia,  Bernardino  Benato  et  Matthio  da 
^arma;  1497,  Venetia  per  Piero  de  Zuanne  di  Quarengii  da 
^alazago  bergamasco);  23  del  cinquecento  (l'Aldina  del  1502, 
on  due  contraffazioni ,  una  delle  quali  non  ricordata  da*  Bi- 
Aìografì);  una  del  seicento  (1609,  Venezia  Misserini);  16  del 
rOO,  e  125  di  questo  secolo.  Possedè  inoltre  48  edizioni  delle 
Opere  Minori,  ed  una  buona  suppellettile  di  libri  illustrativi 
a  Divina  Commedia. 

Colleaione  Barlow.  -<«-  Il  dott.  Bario w,  che  a  buon  di- 
letto tiene  il  campo  tra'  Dantisti  inglesi,  donava  testé  (1876), 
a  preziosa  sua  Collezione  Dantesca,  unitamente  a  tutti  gli  altri 
libri  che  riguardano  la  storia  e  la  letteratura  d'Italia  al  Col^ 
ìegio  delV  Università  di  Londra.  A  si  cospicuo  dono  aggiun- 
geva la  somma  di  lire  mille  sterline  y  in  consolidato,  affinchè 
in  perpetuo  vi  fosse  tenuto  un  Corso  annuale  di  Conferenze 
sulla  Divina  Commedia. 

Collexiooe  Carlo  Witte.  —  Il  prof.  Scartazzini  le  dà  il 
primo  posto  fra  le  germaniche.  Il  Witte  la  ha  già  venduta 
alla  Biblioteca  universitaria  e  territoriale  di  Strasburgo  in 
Alsazia.  Rimarrà  presso  il  Witte  fino  alla  sua  morte. 

Collexlooe  della  Biblioteca  Reale  di  Dresda.  — 
Il  dott.  Giulio  Petzholdt,  regio  Bibliotecario  di  Dresda  sino  dal 
1844  pubblicava  il  Catalogus  BibUothecae  Danteae^  nel  quale,  e 
nei  successivi,  si  trovano  accuratissimamente  registrate  tutte 
le  opere  dantesche  che  fan  parte  della  Biblioteca  del  re  di 
Sassonia. 

Colleaione  della  Società  Dantesca  Alemanna  a 
Dresda.  —  È  ancora  ne'  suoi  primordi.  Il  benemerito  Petz- 
holdt, che  n'  è  il  custode,  si  adopera  alacremente  pel  suo  mag- 
giore incremento.  Nel  Jahrbuch  der  Deutschen  Dante-Gesel^ 
hchafì,  prosegue  a  darci  il  Catalogo. 

Collesione  Sear  tassi  ni.  —  Pregevolissima  per  magni- 
fìcenza  degli  esemplari ,  e  lusso  delle  legature.   La  raccolta 

Digitized  by  V^OOQlC 


552  ooLLBaoNi. 

comprende  120  diverse  edìzìom  della  Divina  Oomineda;  ]  ^ 
•dizioni  delle  Opere  Minori,  ed  una  notevole  quantità  di  smr^  1 
d'opuscoli  illustrativi  antichi  e  moderni.  Di  quanto  ai  Bcrise 
su  Dante,  dal  Boccaccio  in  qua ,  in  iingui^  italiana ,  fraii»^. 
tedesca,  inglese,  ecc.,  gli  manca  ben  poca  cosa,  di  qnakbì 
rilievo.  La  letteratura  dantesca  degli  ultimi  25  anni  ei  TU 
*  raccolta  quasi  completamente.  La  bella  collezione  del  compiasi* 
mio  amico  prof.  Vogel  de'  Vogelstein ,  di  Monaco ,  di  coi  :^ 
libraio  C.  H.  fìeck  a  Noerdlingen  diede  il  catalogo  (1869)  £ 
grandissima  parte  passò  nelle  sue  mani.  Il  prol  Scartasiiù. 
con  infaticato  amore  e  con  grave  dispendio,  s*  adopera  di  ren- 
derla completa  ogni  giorno  piii,  ed  a  tal  uopo  è  in  istrerj 
relazione  coi  principali  librai-antiquari!  di  Europa. 

La  bella  Collezione  dantesca  del  chiarìs.  Blanc  ad  Halk. 
di  cui  il  libraio  Haupt  (Druck  d.  Waisenhaus-Buchdrack,  Ha& 
1869)  ci  diede  il  catalogo,  coUa  sua  morte,  andò  dispersa. 


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BIBLIOGRAFIA   • 

PETRARCHESCA 


35 

,y  Google 


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BIOGRAFI 


De  vita  et  moribtts  domini  Frandsd  Petrarchae  secun^ 

dum  IOANNBM  BOCHAGI  DB   CSRTALDO. 

Fu  scritta  tra  Tanno  1342  ed  il  1345.  Vide  la  luce  prima- 
mente nel  1828,  per  cura  dell' avv.  Domenico  Rossetti,  che  la 
inserì  nell'opera  Petrarca^  Giulio  Celso  e  Boccaccio  (Trieste, 
Marenigh,  p.  280-337),  e  la  recò  in  volgare,  e  T  illustrò  di 
note.  Ei  la  tolse  da  un  codice  che  fìi  dell'  ab.  Morelli,  e  da  lui 
legato  alla  Biblioteca  di  S.  Marco  di  Venezia.  Riguardo  a  questo 
codice,  veggasi  quanto  ne  scrisse  il  Valentinelli  (Petrarca  e 
Venezia,  p.  130).  Successivamente  il  marchese  di  Valory,  d'A- 
vignone, ne  diede  un'  edizione  a  parte ,  mettendo  a  fronte  del 
testo  il  volgarizzamento  francese  e  corredandola  di  copiose  an- 
notazioni (Docum^nt  \istorique  de  Boccace  sur  Petrarque, 
Avignon,  1851). 

Frandsd  Petrarcae  de  Florentia  incipit  vita  ab  excellente 
cjus  disdpulo  Johanne  Boccado  de  Certaldo  inchoata  ac  post 
ejus  obitum  perfecta  et  correda  a  magisiro  Pbtro  de  Castel- 
letto ordinis  Jieremitarum  S.  Augustini  qui  dicti  oratoris 
atque  poetae  mores  atque  gesta  ex  longa  ejus  familiaritate 
cognovit. 

La  pubblicò  la  prima  volta  il  Rossetti  (op.  cit.  pag.  337-350), 
trattala  dal  cod.  M.  iv,  F.  61  in  fogl,  dalla  Biblioteca  di  Bre- 
slavia.  Ma  egli  ben  osserva  che  la  parte  maggiore  non  è  che 
una  copia  fedele  del  testo  del  Boccaccio;  e  che  il  Castelletto 


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556  BIOGRAFI. 

tolse  il  resto  dalla  funebre  orazione  del  P.  BonaTentura  <k 
Peraga.     , 

Maestro  Domenico  fiouo  di  Bandino,  d' Arezzo,  contempo- 
raneo e  conoscente  del  Poeta  (n.  1340). 

La  vita,  eh*  egli  ne  dettò,  trovasi  inserita  nel  suo  libro  De 
viris  claris  virtute  aut  vitto .  La  pubblicò  primamente  il  Mehfis 
nella  sua  vita  di  Ambrogio  Traversar)  (a  p.  98),  e  non  abbraccia 
che  sole  69  linee.  Di  Domenico  d'Arezzo,  scrisse  il  Targioni 
Tozzetti  nelle  sue  postume  Notizie  delle  scienze  fisiche  in  Tcr 
scana^  Firenze,  1852,  p.  183  (1). 

Vttae  Dantis,  Petrarchae  et  Boccaccii  a  Philippo  Villamo 
(n.  1325,  m.  nel  1405)  scriptae^  ex  codice  inedito  Barbenniano, 
Florentiae,  typis  Magherianis,  1826. 

La  vita  del  Petrarca  fu  pubblicata  la  prima  volta  dal  Mehtis 
in  quella  del  Traversai'i,  p.  195,  e  dall' ab.  De  Sade,  Pièces 
Just.  II,  9. 

Vita  divini  ingenti  Francisci  Petrarcae  per  Pbtrim  Paulim 
Vergbrium  de  JustinopoU  incipit  (N.  in  Capo  d'Istria  a' 23 
Luglio  1370,  mori  a  Buda  nel  1444). 

Il  Tommasini  la  inserì  nel  suo  Petrarca  redivivus^  traeu- 
dola  da  un  codice  della  Marciana  (ex  Biblioth.  S.  Joannis  de 
Yiridario,  Patavii).  In  viiarum  numero,  cosi  il  Tommasini. 
latina  dictione  primam  laudem  meretur  Petrus  Paulus  Xer- 
gerius  a  poetae  obitu  non  adeo  remotus,  quin  pluritna  de 
ipso  ex  fide  consignare  potuerit.  La  tolse  il  De  Sade  dal  Tom- 
masini, Pièces  justif.  II,  13-19.  Di  Pietro  Paolo  Vergerlo,  il 
Vecchio,  V.  la  bella  memoria  che  ne  scrisse  Mons.  Jacopo  Ber- 
nardi, inserita  nel  fase.  156  della  Rivisfa  Universale,  1874. 

Leonardo  d'Arezzo  (Leonardo  Bruni,  n.  in  Arezzo  il  1370, 
mori  a  Firenze  il  1444). 

La  vita  del  Bruni  apparve  dapprima  nell'  edizione  del  Can- 
zoniere di  Martino  De  septem  arboribus,  Padova,  1472;  in 
Venezia,  Filippo  Veneto,  1482,  e  nell'ediz.  dei  soli  Trionfi  pel 


(1)  CoLUcio  Salutati  ,  da  Stignano ,  famoso  segretario  florenlino , 
forando  istorico,  politico  ed  Anche  poeta,  scrisse  pure  la  vita  dell'amico 
(Ep.  Sen.  lib.  xi,  lei.  4;  Fracassetti,  ivi);  ma  fatalmente  andò  smarrita.  Hunc 
autctn  ColHccii  libeìlum,  cosi  il  Mehns,  nondnm  editum.,  atiatsqHe  in  oras 
cìnif/rantem,  septem  ab  hin^  annU  versavi,  deploravique.  Il  Rossetti  ri- 
corda un'altra  vita  di  Rodolfo  Anricola.  che  morì  professore  a  Heidelberg', 
nel  1485.  I       J  ^  f 


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BIOGRAFI.  557 

Zoppino,  1524;  T inserì  dapoi  il  Tomasini  nel  suo  Petrarca 
vedivimis  (pag.  207-212).  —  Nel  1621  ne  fece  una  ristampa  il 
Cinelli  da  un  suo  mss.  antico,  Perugia,  Zecchini;  enei  1672  il 
Redi,  togliendola  da  un  codice  della  sua  libreria,  e  confron- 
tandola con  altri  testi  a  penna  (Firenze,  air  insegna  della  Stella). 
In  essa  si  legge:  Finita  la  vita  di  Dante  e  di  messer  Frane. 
Petrarca  per  messer  Leonardo  Aretino  Tanno  MCCCCXXVI 
nella  città  di  Firenze  del  mese  di  Maggio.  —  Venezia,  Pasquali, 
1739  e  1754,  Napoli,  Ricciardo,  1722;  Padova,  Cornino,  1727, 
ecc.  ecc. 

Ricordi  sulla  vita  di  messer  Francesco  Petrarca  e  di  ma- 
donna Laura  scritta  da  Luigi  Pbruzzi  loro  contemporaneo, 
Bologna,  Romagnoli,  1866  (Scelta  di  Curiosità  Letter.  ined.  o 
rare,  Disp.  69). 

Il  dotto  inglese,  signor  Bruce-Whyte,  die  fuori  per  la  prima 
volta  questo  prezioso  documento,  nel  voi.  ni,  p.  372  e  seg.  del- 
l' Histoire  des  langues  romaines  et  de  leur  Htterature,  Paris, 
Treuttel  et  Wurtz,  1841,  conforme  alla  lezione  di  un  cod.  mss. 
che  sta  negli  Archivi  della  nob.  famiglia  Peruzzi  di  Firenze. 
Il  celebre  Gio.  Gherardini  lo  ristampò  nel  t.  xii,  p.  207  e  seg. 
del  Giornale  delC  I,  R,  Instituto  Lombardo  di  scienze  lettale 
ed  arti,  Milano,  1845,  aggiungendovi  del  suo  molte  erudite 
Osservazioni,  Sopra  questa  ultima  stampa  ha  esemplato  la  sua 
il  Romagnoli,  nuli*  altro  modificando  che  lievemente  la  disusata 
grafia  e  T  interpunzione. 

Mannetti  Giannozzo  (n.  5  Giugno  1396,  m.  26  Ott  1459), 
Clarissimi  poetae  atque  laureati  Frandsci  Petrarcae,  Vita  fé- 
liciter  incipit. 

Fu  pubblicata  dal  Tomasini  nel  suo  Petrarcha  redivivus 
(p.  197),  e  dal  Mebus  tanto  neir edizione  del  1747  (Firenze, 
Giovanelli),  coir  altre  deli*  Alighieri  e  del  Certaldese,  quanto  nel 
libro  intorno  il  camaldolese  Ambrogio,  servendosi  di  un  mss. 
della  Laurenzìana. 

Sicoo  Polentone,  padovano  (fu  notaio  e  cancelliere  di  quel 
Senato;  m.  nel  1463).  —  Vita  clarissimi  poetae  Fr,  Petrarcae 
de  FlorenUa.  ' 

Fu  scritta  verso  il  1433,  stampata  scorrettamente,  a  ca- 
ratteri rotondi,  senza  nome  d*  autore,  e  senza  alcuna  data  nel 
sec.  XV.  Dal  mss.  di  Jac.  Ga&relli  pubblicolla  autore  incerto 


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558  BIOGRAFI. 

Jac.  Filippo  Tomaaini  {Petr.  Red.  p.  184-194),  e  dopo  htì  Lo- 
renzo Mehus,  che,  ricopiatala  da  uà  codice  della  Riocardian:) 
di  Firenze,  la  impresse  sotto  nome  del  suo  autore  (Atnbr,  Tra- 
versaria ecc.  1759,  II,  p.  cxcviii-oc). 

Da  Tempo  Antonio,  Vita  di  Fr.  Petrarca.  Roaia,  IO  Lu- 
glio 1471,  Giorgio  Laver,  in  fogl.;  Venezia,  Jenson,  1473;  Ve- 
nezia, Saliprando,  1477;  id..  De  Zanni  da  Porteae,  1501,  *- 
in  7  altre  ediz.  yen.  del  Canz.,  e  nella  milanese  Sdnzenzeler. 
1507.  —  Il  Marsand,  che  certo  non  fece  i  raffronti  con  h 
stampe  anteriori,  ce  la  dà  per  inedita,  d^anUco  autore  (BiW. 
Petr.  1819-20).  La  ripubblicarono  ultimamente  il  RomaffnoU, 
quale  lavoro  d'incerto  trecentista.  Scelta  di  curiosila  Letter. 
ecc.  Dispensa  v..  Romagnoli,  1865;  il  RanxoUni^  Le  Vite  degli 
Uomini  iUustri  di  Fr.  Petrarca,  Bologna,  Romagnoli,  1874,  1. 1, 

p.   XXVII. 

Di  questa  Vita  discorre  acutamente  il  chiar.  prof.  Grion,  e 
dimostra  con  buone  ragioni  e  soda  critica  che  si  il  cemento 
al  Canzoniere  che  la  vita  di  Fr.  Petraix»,  che  corre  sotto  il 
nome  di  A.  Da  Tempo,  non  è,  né  potrebbe  essere  di  lai,  nato 
verso  il  1275,  e  morto  nel  principio  del  1336,  ma  bensì  di 
Domenico  Saliprandi,  mantovano,  sicché  if  supposto  Ant  Da 
Tempo,  iuniore,  nipote  dell'altro  Antonio,  autore  del  trattato 
delle  Rime  Volgari,  non  è  che  un  pseudonimo.  —  (Jeronimo 
Squarciafìco,  Alessandrino,  Anagramma  di  Domenico  Sali- 
prandi  fiolo  Gasparis,  11  Saliprandi  prendea  nome  ora  di  A. 
Da  Tempo,  ed  ora  di  Jer.  Squarciafico).  V.  Grion,  DeUe  Rime 
Volgari,  Trattato  di  Antonio  Da  Tempo,  Bologna,  1869,  pag. 

XXXIV-LVII. 

Vita  del  Petrarca  (d*  ignoto  autore). 

Fu  inserita  la  prima  volta,  nel  1865,  negli  Opusc.  Rei. 
Letter.  e  Mor.  che  si  stampano  a  Modena.  -»  Se  ne  debbe  la 
pubblicazione  all'egregio  dott.  Veratti.  Pai'e  si  possa  conget- 
turare, dallo  stile  e  dalla  lingua,  ch'essa  sia  stata  scrìtta  dopo 
il  principio  del  sec.  XV.  La  tolse  da  un  cod.  estense ,  segnato 
GCLXxxviii,  scritto  di  mano  di  Francesco  di  Qoro  Massaioi  di 
Siena,  cominciato  a  di  11  di  Febraio  1452,  et  finito  a  di 6  di 
Marzo  anno  detto  nel  Cassaro  di  Lucignano  di  Val  di  Chiana 
di  sopra.  Fu  trovata  identica  a  quella  di  altro  codice  posseduto 
dal  prof.  Betti,  trascritto  da  Nicolò  di  Volterra,  nella  ciptà 


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BIOGRAFI.  559 

di  Siena  nel  MCCCCLXVII,  nel  mese  di  Maggio,  Secondo 
l""  Horiis,  sarebbe  la  stessa,  però  con  molte  varianti,  che  viene 
attribuita  ad  A.  Da  Tempo. 

Vita  di  Fr,  Petrarca  pubblicata  per  la  prima  volta ,  per 
cura  di  Domenico  Carbone.  Torino,  Beuf,  1871. 

È  la  stessa  vita,  con  piccole  varianti,  cavata  da  un  testo 
a,  penna  della  R.  Bibl.  di  Torino ,  membranaceo  del  1466,  e 
segnato  iv,  iv,  52.  —  11  Carbone  la  reputa  scritta  da  autore  non 
toscano,  sulla  fine  del  sec.  XIV,  o  sul  principio  del  XV.  Erro- 
neamente il  catalogo  torinese  Tattribuisce  a  Nicolò  da  Volterra, 
che  fu  soltanto  lo  scrittore  del  Canzoniere:  la  vita  che  sotto 
il  nome  di  Ant.  Da  Tempo  fu  stampata  la  prima  volta  a  Roma, 
nel  1471,  e  più  volte  ristampata  nelle  seguenti  edizioni  non  è 
che  un  compendio  di  questa,  la  quale  è  assai  più  intera  e 
compita,  e  in  massima  parte  volgarizza  la  lettera  ai  Posteri 
ed  altri  luoghi  dell'Epistolario  Petrarchesco. 

Lapini  Bbrnardo.  —  Fu  stampata  col  comento  la  prima 
volta  in  Bologna  nel  1475,  senza  nome  di  stampatore.  Dal 
1475  al  1497  il  Rossetti  novera  li  edizioni.  Anziché  im  ente 
allegorico,  come  vollero  tutti  gli  antichi  biografi,  il  Lapini  ri- 
tiene mad.  Laura  una  femmina  in  carne  ed  ossa,  senza  però 
indicare  chi  veramente  fosse. 

Vbllutbllo  'Alessandro,  Vita  e  costumi  del  Petrarca. 
La  vita  ch*ei  scrisse,  fu  pubblicata  la  prima  volta  in  Ve- 
nezia nel  1525  dai  Fratelli  da  Sabbio,  unitamente  al  suo  ce- 
mento al  Canzoniere.  11  Vellutello  non  risparmiò  &tiche,  viaggi 
e  spese  per  aver  notizie  segnatamente  sulla  persona  di  Laura, 
recandosi  a  tal  fine  per  due  volte  in  Avignone.  Ebbe  altre  1 1 
ristampe.  Con  poche  mutazioni  al  principio,  e  senza  che  ne 
fosse  indicato  T Autore,  fu  ripubblicata  in  Lione,  dal  Rovilio 
nel  1551,  e  poi  seguèntemente  altre  18  volte. 

È  veramente  cosa  affatto  meschina  la  vita  lasciataci  da 
Fausto  Lonqiano  e  ch^ei  prepose  al  Canzoniere  da  lui  ce- 
mentato, Venezia,  Bindoni,  1532. 

Gesualdo  Giov.  Andrea,  nacque  a  Trajetto,  in  su  quel  di 
Napoli. 

Tra'  biografi  antichi  tiene  il  campo.  La  vita,  eh'  ei  scrisse, 
usci  la  prima  volta  a  Venezia  nel  1533  dalla  tip.  Da  Sabbio, 
e  conta  altre  5  ristampe. 


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560  BIOGRAFI. 

Daniello  Bernardino,  lucchese,  dettò  pure  una  breve  bit»- 
grafia  che  sta  in  iì*onte  al  suo  Gomento,  Venezia,  Da  Sabino. 
1549. 

Begcadelli  Luigi  (n.  in  Bologna  nel  1502),  Preposto  di 
Prato,  poi  arcivescoYO  di  Ragusa.  Vite  del  Petrarca  al  sig. 
Antonio  Gigante  da  Fossombrone,  — •  Fu  pubblicata  dal  To- 
masini  nel  suo  Petrarca  redivivus,  p.  213-32,  Padova,  Cominci. 
1732;  Venezia,  Zatta,  1756;  Dresda,  Walther,  1774;  Parma. 
Bodoni,  1799;  Verona,  Giuliari,  1799,  e  più  compiutami t«^. 
con  la  giunta  di  un  capitolo  ined.  sulle  fortune  e  qttalUà  e 
diversi  accidenti  che  in  lui  concorsero^  dal  Morelli,  neU'ediz. 
del  1789,  p.  1-99. 

<  Più  d*ogni  altra  di  quel  secolo  vien  pregiata  la  vita  scrìtt*» 
dal  Beccadelli,  e  mercè  de*  suoi  viaggi  nel  contado  Venosìno, 
mercè  le  diligenze  usate,  le  notizie  raccolte,  un  perfetto  studio 
delle  opere  latine  del  poeta,  ed  una  sagace  critica  combatta 
non  pochi  errori  degli  antecedenti  scrittori,  e  meglio  di  loro, 
benché  rapidamente,  tutte  del  Petrarca  annoverò  le  doti.  Pu''> 
a  ragione  chiamarsi  il  BeocadeUi  il  piii  vero,  il  piti  candido 
dipintore  dell'  animo,  de'  costumi  del  Poeta,  e  con  tanto  amore. 
con  tanta  ammirazione  dei  suoi  straordinari  pregi  favella,  eh'* 
nel  lodatore  del  lodato  le  morali  virtù  si  ravvisano.  »  Baidelli. 

ToMASiNi  Jac.  Philippi,  Episcopi  Aemoniensìs,  (n.  in  Padovii, 
1597,  m.  1654).  Petrarca  redivivus,  inUgram  poetae  celeber- 
rimi tniam  iconibus  aere  celaiis  exhibens^  accessit  Laurac 
brems  historia^  addita  poetae  vita,  Paolo  Vergerio  (pag.  175). 
Anonymo  (185),  Janozzo  Manetto  (197),  Leonardo  Aretino 
(207),  et  Ludovico  Beccadello,  auctoribus  (213),  item  V.  C 
Fortumi  Liceti  ad  Episc,  Tomasini^  de  Petrarchae  cognomin. 
ortographia,  responsum.  Patavii,  Frambotti,  1650,  1651  ;  Pa- 
tavii,  Pasquati-Bortoli,  1635. 

Non  trascurò  il  Tommasini  né  ricerche,  né  fatiche,  nò  cure  per 
pubblicarne  una  vita  esatta  e  compiuta,  ma  poco  sagace  crìtico, 
anzi  credulo  di  soverchio,  diffuso  in  cose  lievi,  trascurato  nelle 
importanti,  cadde  in  frequenti  abbagli,  talché  non  è  oomenda- 
bile  il  suo  Petrarca  Redivivo^  che  per  una  ricca  messe  di  sco- 
nosciute notizie.  BaldelU. 

Ferrari  Ottavio,  di  Milano,  professore  fin  dal  1634  di  elo- 
quenza e  di  lingua  greca  nell' Unirersità  di  Padova,  Elogia 


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BIOGRAFI.  561 

loclorum  virorum,  —  Il  Valentinelli  diede  la  prima  volta  alla 
uce  quello  del  Petrarca.  Petrarca  e  Venezia^  p.  141. 

ZiLiOLO  Alessandro,  Veneziano.  Francesco  Petrarca.  Nei 
-odici  Marcianì  i.  x,  118,  e.  33-35;  i,  59-61. 

n  benemerito  ab  Valantìnelli  la  pubblicò  il  primo  nel  Pe- 
trarca e  y^neziay  pag.  143.  —  Lo  stile  grave  e  maturo,  dice  il 
Valentinelli,  il  criterio  usato  nel  giudicare  de*  soggetti  poetici,  la 
varietà  e  piacevolezza  della  narrazione  accattarono  all'Autore 
la  stima  dei  migliori ,  benché  non  sempre  mantenga  ne'  fatti 
la  verità.  Quantunque  alcune  poche  di  queste  vite  siensi  pub- 
blicate in  alcune  occasioni,  ò  inedita  la  più  parte.  Fra  queste 
è  quella  di  Fr.  Petrarca  che  stimo  perciò  opportuno  di  fer  co- 
noscere nella  sua  interezza. 

MURATORI  Lodovico  Antonio.  —  Vita  di  Francesco  Pe- 
trarca, Premessa  alle  Rime  nell'edizione  del  Canzoniere,  Mo- 
dena, Soliani,  1711.  Ebbe  5  ristampe.  L'estratto  che  ne  fecero 
i  Giornalisti  italiani  (il  Boschini),  conta  da  11  edizioni. 

La  vita  del  Muratori,  lungi  dall'essere  scevra  di  errori, 
breve,  confusa,  piena  d' anacronismi,  vien  con  ragione  reputata 
la  sua  opera  piii  infelice.  BaldelU. 

Serassi  Pier  Antonio  (n.  in  Bergamo  nel  1721,  m.  in  Roma 
nel  1791).  —  Nell'edizione  delle  rime  del  Petrarca  fatta  dal 
Lancellotti,  Bergamo,  1746,  e  1752,  colla  data  di  Parigi. 

Bandini  Luigi,  fiorentino.  —  Fu  premessa  all'  edizione  fior, 
del  Canzoniere,  all'  insegna  dell'Apollo,  1748,  ed  ebbe  pur  sette 
ristampe.' 

Diligentissimo  ricercatore  degli  antenati  del  Petrarca,  L. 
Bandini,  ce  ne  diede  molte  ignorate  notizie  tratte  da  originali 
fonti,  per  lo  che  la  sua  vita  può  essere  dai  dotti  reputata  un 
acquisto;  ma  quasi  lo  abbandonasse  poscia  quell'amore  di  ri- 
cerca ,  apparisce  nelle  gesta  e  nei  pregi  del  lodato ,  magro , 
trascurato  e  confuso  scrittore.  BaldelU, 

Fabroni  a.,  Fr,  Petrarcae^  Vita,  Parmae,  Aed.  Palat.,  1790. 
Baldblu  Boni  Giambattista,  (n.  in  Cortona  nel  1766,  m. 
in  Siena  nel  1831),  Del  Petrarca  e  delle  sue  opere,  libri  quattro. 
—  Firenze,  Cambiagi,  1797;  Id.  tip.  Fiesolana,  1837. 

Non  abbiamo  niente  di  più  classico  intorno  alle  notisie  bi- 
bliografiche del  nostro  Poeta.  Marsand,  —  Il  Mezières  lo  chiama 
uno  de*  migliori  biografi  del  Petrarca  ;  il  miglior  biografo  it»- 


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562  BtOORAPI. 

liano  il  Carducci  (p.  43);  però  chiama  la  yita  assai  lonUss 
dair  essere  un  bel  libro  (xli). 

Neumayr,  Illustrazione  del  Prato  della  Valle  ovvero  deUe 
piazza  delle  Statue  di  Padova,  Semin.  1808.  —  Dovendo  par- 
lar della  statua  del  Petrarca  vi  prepone  la  vita. 

RosiNi  Giovanni.  Nella  splendida  edizione  di  Pisa  del  1810. 
e  nelle  venete  del  ViUrelli,  1811;  del  Molinari,  1820. 

Cavriani  00.  Fbdbrigo  (n.  in  Mantova  nel  1762,  vi  mon 
nel  1833).  Mantova,  Pazzoni,  1816;  Milano,  Bettoni,   1820. 

Marsand  a.,  Memorie  della  vita  di  Francesco  Petrarca. 
raccolte  dalle  opere  latine  del  Poeta.  Padova,  Sem.,  1819.  — 
Se  ne  contano  17  ristampe. 

Levati  Ambrogio,  Viaggi  di  Fr.  Petrarca  in  Francia  ir, 
Germania,  in  Italia  descritti,  Milano,  Tip.  Classici,  1820,  in 
5  volumi.  —  Lettera  di  A.  M.  (Gavazzeni),  al  suo  amico  F.  S. 
con  cui  si  fanno  alcune  osservazioni  sul  primo  Tomo  de*  Viaggi 
del  Petrarca  del  prof.  Levati.  Bergamo,  Mazzoleni,  1820. — Il 
Levati  si  può  chiamare  il  riduttore  del  De  Sade. 

Gironi  Robustiano,  Vtto  del  Petrarca  (Raccolta  de'  Lirifi 
italiani).  Milano,  Classici,  1808. 

LoMONAOO  Francesco,  Vita  di  Fr.  Petrarca,  Lugano,  Rujr- 
gia,  1836  (Lomonaco,  Opere,  voi.  vii,  38-95). 

Barozzi  Benedetto  Francbsoo,  Petrarca.  Gesmorama  Pit- 
torico, a.  V,  1839,  p.  234-39. 

Reina  Gorini  Petronilla,  Ricordo  dì  trenta  illustri  Italiani. 
Brescia,  Minerva,  1839.  U  secondo  dei  Ricordi  è  del  Petrarca. 

Leoni  Carlo,  Vita  del  Petrarca,  Padova,  Crescini,  1843; 
Opere  Storiche,  Padova,  Minerva,  1844,  t.  ii,  175-249. 

BozoLi  Giuseppe  Maria,  Petrarca,  dall'inglese  (die.  13  in 
inchiostro  bleu).  Per  Nozze  Perdisa-Scutellari ,  la  primavera 
1845,  FeiTara,  Taddei,  —  None  Giulio  (Cittadella  Luigi  Na- 
poleone), Lettera,  15  Maggio  1845,  intorno  ad  una  Biografìa 
di  Fr.  Petrarca.  Padova,  Sicca,  1845. 

N.  N.,  Petrarca.  Nuova  Enciclopedia  popolare,  Torino^  Pomba, 
1848,  voi.  X,  698-703. 

Ugolini  Filippo  ,  Brevi  cenni  sulla  vita  di  Fr.  Pstrarca, 
Firenze,  Barbèra-Bianchi,  1857,  ediz.  diam. 

Gazzino  Giuseppe,  Biografia  di  Fr.  Petrarca.  La  Scuola  e 
la  Famiglia  di  Genova,  1865,  n.  8-11. 


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BIOGRAFI.  563 

Muzn  L.,  ViUz  dì  Fr.  Petrarca.  Vita  d*  Italiani  illustri  in 
[>gni  ramo  dello  scibile  da  Pitagora  al  Rossini.  Bologna.  Za- 
Qichelli,  1870. 

Db  Nardi  Pio,  Petrarca  e  Laura,  Storia  della  loro  vita  e 
dei  loro  amori.  Milano,  Barbini,  1873. 

RizziNi  GiusEPPB,  In  occasione  del  V  Centen,  del  Petrarca, 
Suoi  onori  e  trionfi,  suo  amore  per  Laura,  suo  soggiorno  a 
ITalchiusa  ed  Arquà,  sue  opere  latine  e  italiane,  colVaggiunta 
del  suo  ritratto  fisico  e  morale.  Milano,  Treves,  1874. 

Giannini  Crbscbntino.  —  Preposta  alla  sua  ediz.  dei  Trionfi, 
Fanfara,  Bresciani.  1874. 

N.  N.,  Brem  ricordi  sopra  Fr.  Petrarca.  Padova,  Crescini, 
1874. 

Da  Ponte  Claudio,  Vita  di  Fr.  Petrarca.  Padova,  Tipog. 
Seminario,  1874. 

McGNA  Pietro,  Ricordo  del  V  Centenario  dalla  morte  del 
Petrarca.  Padova,  Prosperini,  1874. 

Costerò  Francesco.  Nella  Prefazione  alle  Rime  del  Pe« 
trarca.  Milano,  Sonzogno,  1875. 

Massonii  Papirii,  Vfto^  triump.  Hetruriae  procerum,  Dantis, 
Peti*arcae  et  Bocoaccii.  Parisiis,  A.  Prato,  1587. 

Db  Maldeohen  PmL.  Bruxelles,  Veipius,  1600;  Douai,  Fa- 
bris,  1608.  La  prepose  alla  sua  versione  del  Canzoniere:  la 
tolse  al  Vellutello. 

Catandsi  Placide,  Les  ceutres  amour euses  de  Pètrarque 
traduites.  Paris,  Loyson,  1669;  id.  Charpentier,  1709. 

Di  Bimard  Ios.  Bar.  de  la  Bastie,  di  Carpentrasso  (m.  il 
6  Agosto  1742).  —  Nel  Luglio  del  1740  lesse  nell*  Accademia 
delle  Iscrizioni  e  di  Belle  Lettere  in  Parigi  una  sua  prima  me> 
moria  che  comprende  la  vita  del  Petrarca  dalla  nascita  fino 
air  incoronazione  in  Campidoglio,  poscia  offri  allo  stesso  Insti- 
tuto  altre  tre  memorie,  le  quali  contengono  il  seguito  della 
vita,  dall*  incoronazione  fino  alla  morte,  e  furono  stampate  negli 
Atti  di  queir  Accademia,  voi.  xviii,  p.  590.  —  Il  la  Sade  vor- 
rebbe che  il  bar.  de  la  Bastie  siasi  ingannato  in  quasi  tutti  gli 
avvenimenti  della  vita  del  Poeta.  —  Fra  gli  scritti  affidati  al- 
Famico  Falconet,  eravi  una  quarta  memoria  col  titolo,  BibliO' 
teca  Petrarchesca,  che  non  vide  mai  la  luce. 


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564  BIOGRAFI. 

Dk  Sade,  abbé,  Mémoires  pour  la  vie  de  Frtnwsoit  Pt^ 
trarque,  iirés  de  ses  ceuvres  et  des  auteurs  contemporains. 
Amsterdam,  Arskee  et  Marcus,  1764.  —  Nachrichten  tu  def^ 
Leben  Fr,  Petrarca*s  aus  seinen  Werken  und  gleichseUig€n 
SchriftsteUern,  Lemgo,  1774-79. 

Importantissima  per  ì  preziosi  documenti  di  che  va  cmre- 
data.  Il  Tiraboschi  ne  parla  ampiamente,  e  con  molta  lode  neìb 
Prefazione  al  voi.  v  della  sua  Storia  della  Letteratura  ItaKam 
vii-xLV.  —  Zefìrino  Re  lo  dice  il  corifeo  della  petrarchesca  bk>- 
grafia.  —  /  Mémoires  pour  la  vie  de  F.  P.  deir  ab.  De  Sade  sodo 
pieni  di  un  erudizione  cosi  fondamentale  intorno  alla  vita  e  agH 
scritti  del  P.,  che  da  essi  veramente  move  e  s' instaura  la  cri- 
tica petrarchesca.  Senza  il  De  Sade ,  non  avrebbe  il  Baldelii 
scritta  la  vita  del  P.,  che  è  poi  lontana  dall'essere  un  bei  libro: 
senza  la  guida  del  De  Sade,  non  avrebbe  Tavv.  Giuseppe  Fra- 
cassetti  compiuti  i  suoi  lavori  utilissimi  intorno  alle  lettere 
familiari  e  senili  del  poeta.  Se  i  comentatori  poi  del  nostro 
secolo  fossero  ricorsi  al  De  Sade,  avrebbero  evitato  la  incurio^ 
e  indolente  fatica  di  coltivare  tutti  gli  errori  dei  comentatorì 
antichi  con  molti  annesti  di  nuovi  e  propri.  L*  opera  del  De 
Sade  è  un  commento  perpetuo  e  sagace  anche  del  Canzonierp, 
per  la  parte  storica  in  specie.  Peccato  che  Tab.  provenzale  si 
lasciasse  di  quando  in  quando  vincere  alla  tentazione  di  tra- 
durre in  versi,  e  scrivesse,  come  non  sogliono  i  Francesi,  male, 
e,  come  sogliono  parecchi  dei  Francesi,  con  quelle  gvtasconate 
che  non  dispongono  a  bene  i  lettori  stranieri.  Carducà^^^S. 
Baldelii,  Pre£Eiz.  xiii-xv. 

Arnaud,  Tabbé  (n.  a  Garpentras,  1721,  m.  a  Parigi  nel 
1784).  Le  Genie  de  Pétrarque  eoe,  précedee  de  la  Vie  de  cet 
homme  célèbre,  Paris,  Bastien,  1778.  Non  è  che  V  abbreviatore 
del  De  Sade,  che  anche  negli  errori  ricopiò  fedelmente. 

Delon^  Les  vies  de  Pétrarque  et  de  Laure,  et  description 
de  la  Pontaine  de  Vaucluse.  A  Nismes,  chez  Bouchet»  1787. 

GiNauBNÉ,  Notice  sur  sa  vie Paris,  Michaud,  1811. 

'     RoMAiN,  abbé.  La  vie  de  Pétrarque,  Avignon,  Seguin,  1804. 

CouRTBT  Victor,  NoUce  sur  Pétrarque  avec  une  pièce  ine- 
dite de  Mirabeau  sur  la  Fontaine  de  Vaucluse.  Paris,  Oos- 
selin,  1835. 

Fbllbr  Xav.,  Pétrarque,  Diction.  hist  Paris,  1839,'  t  iv. 


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BIOGRAFI.  565 

Db  Laurbi^s,  Essai  sur  la  vie  de  Pélrarque.  Avignon,  1859. 
Vie  de  Pétrarque,  traduite  de  V  Jtalien,  par  Ernest  Gbr- 
TENS.  Aix,  veuve  Remondet-Aubin,  1874. 

FiCHARD  JoH.,  Vitae  virorum  erudii,  et  doctrina  illustrium. 
Prancfort,  1536.  —  Dalla  pag.  1  alla  59  vi  ha  una  biografia 
lei  Petrarca. 

ScBROBDERN  A,,  giureconsulto  alemanno,  Vita  Fr.  Petrar-  . 
zhae,  liUerarum  phoenicis  ac  ParentiSy  1622,  sine  loco. . . .  Segui 
lo  Squarciafico,  ed  aggiunse  pòco  del  suo. 

AcKERii  J,  H.,  Vita  ac  Teslamenium  Fr»  Petrarchae  illa  ab 
ipso  poeta  et  Hier.  Squarza  Ficho  (Squarciafico)  profecta ,  hoc 
vero  a  Paulo  Manutio  et  J,  Graevio  conservatum,  Emend. 
notisqite  auxit  /.  E.  Acker,  Rudolstadii,  Gollneri,  1711,  8. 

Meutschen,  I.  J.,  Vitae  erudit,  virorum,  Coburg.  1741,  t.  iv. 

MfiRiAN  JoH.  Bbrn.  (Parroco  protes.  pres.  del  Concistoro  a 
Berlino,  n.  a  Basilea,  1720,  m.  1807).  Origine  de  la  poesie 
italienne.  Poesie  italienne  du  qiuitorziéme  siècle  —  Disserta- 
zione che  forma  parte  di  una  serie  di  Memorie  accademiche 
aventi  per  titolo:  Comment  les  sciences  infiuent  dans  le  poesie. 
Inserita  nei  Nouveaux  Mémoires  de  V  Académie  de  Berlin, 
1784,  p.  479-448;  1786,  p.  312-76.  —  L'Artaud  nella  sua  ^ ita 
di  Dante  cita  spesso  questo  lavoro  del  Merian,  il  quale,  con  le 
memorie  deli' ab.  De  Sade  e  di  A.  Frazer  Tytler  (lord  Woold- 
houselee)  sul  Petrarca,  conta  tra  le  migliori  illustrazioni  della 
storia  letteraria  italiana,  dovute  a  scrittori  stranieri  dello  scorso 
secolo. 

Meinert  J.  G.,  Franz  Petrarka*s  Biografie.  Prag,  und  Lei- 
pzig, Abrecht  und  Comp.  1794. 

BuHLB,  Geschichte  d.  neu.  Phil.  Bd,  II,  p.  35-69.  Fr.  Peir. 
Biog.  Leipsig,  1794.  Storia  della  nuova  Filosofia:  al  voi.  u 
dalla  pag.  35  a  59  vi  ha  una  Biografia  del  Petrarca. 

BuTENSCHON  Fried.  ,  Petrarca.  Lipsia,  1796.  (Storia  degli 
amori  e  degli  studi  di  Fr.  Petrarca).  —  Per  l'eleganza  dello 
stile,  per  le  grazie  dell'  imaginazione  e  per  la  robustezza  de'  ra- 
gionamenti ben  merita  un  applauso  generale.  Marsand, 

BouTBRWECK  Fr.  (n.  1705,  m.  1828),  Geschichte  der  Poesie 
und  Beredsamkeit  seit  dem  Ende  des  XIII  Jahrhunderts,  Got- 
tingen,  1800.  11  voi.  i  e  ii  di  quest'opera  contengono  la  storia 


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566  BIOGRAFI. 

Clelia  letteratura  italiana  fino  al  secolo  XVIII.  Vi  si  pazU  i 
lungo  del  Petrarca. 

Ideler  Cris.  Lod.  (n.  1766,  prof,  a  Berlino,  m.  20  Agteto 
1846) ,  Handbuch  der  italieniscken  Sprache  und  LUeraùtr. 
Berlino,  1800-1802;  2*  ediz.  1820-22.  Nel  primo  Volnine  vi 
hanno  notizie  biografico-critiche  sul  Petrarca;  e  peszi  scdti 
delle  sue  opere. 

Schlegel  Fbd.  (n.  ad  Annover  19  Marzo  1772^  m.  a  Dresda 
r  1 1  Genn.  1829),  GesMchte  der  alien  und  neuen  Liieratar, 
Vienna  1815.  Nel  voi.  n,  a  pag.  17  e  seg.  si  leggono  alcune 
superficiali  osservazioni  sul  Petrarca. 

WisMAYR  Joseph,  Pantheon  ItaUens.  Salzburg,  1815-18. 

Fernow  C.  L.  (n.  19  Nov.  1763,  m.  a  Weimar,  4  Decemfc 
1868),  Fr,  Petrarca,  nehst  dem  Lehen  des  Dichlers,  herausgi- 
geben  von  L,  Hain.  Altenburg  und  Leipzig  Brockhaus,  1818.  , 
lavoro  postumo,  pubblicato  da  L.  Haln:  non  è  che  una  Ter- 1 
sìone  della  Memoria  del  Merian  sul  Petrarca. 

Wagner  Amadeo  Enrico  Adolfo  (n.  a  Lipsia  nel  1774,  m. 
nella  villa  del  co.  Altavalle  presso  Lipsia,  1  Agosto  1833} 
Saggio  sopra  il  Petrarca,  Nel  suo  Parnaso  italiano,  voL  i. 
Lipsia,  1826. 

Rosenkranz  Karl,  Handbuch  eines  allg'emeinen  GesckicAk 
der  Poesie.  Halle,  1832.  Si  legge  un  breve  Saggio  sul  Petrarca, 
a  pag.  230  e  seg.  del  ii  volume. 

Genthe  Fed.  W.  (n,  a  Magdeburgo  nel  1805),  Sàndbuck 
der  Oeschichte  der  italienischen  Literaiur,  Magdeburgo,  1832, 
1834.  Nel  voi.  ii  a  pag.  134-35  vi  ha  una  lunga  e  buona  bio- 
grafia del  Petrarca;  e  a  pag.  136-46  alcuni  pezzi  scelti  dalle 
sue  opere  voltati  in  tedesco. 

Blanc  Lod.  G.  (n.  il  19  Sett.  1871,  m.  Parroco  della  Cat- 
tedrale di  Halle  il  18  Aprile  1866),  Petrarca,  Articolo  inserii* 
nell'Enciclopedia  univeraale  di  Ersch  e  Gruber,  Sez.  iii,  voi.  xix, 
pag.  204-54.  Lipsia,  1844.  —  È  il  miglior  lavoro  che  siasi  mai 
stampato  in  Germania  sul  Petrarca. 

Ruth  E.  (n.  il  14  Febb.  1809  a  Hannavia),  Geschichte  d^r 
italienischen  Poesie,  Lipsia,  1844.  —  Sul  Petrarca;  Biografia, 
voLi,  p.  528-71. 

Henschbl,  Francesco  Petrarca,  Articolo  inserito  nell'Allge- 
meineMonatschriftfùr  WissenschaftundLiteratur,  1853,  fcsoTi. 


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BiooRAPi.  567 

Ebbrt  a.,  Handbuch  der  itaUenischen  National  Literatur, 

rancf.  s.  M.  1854.  A  pag.  14-19  vi  ha  una  Biografia  del  Pe- 

rarca ,  ed  a  pag.  68-82  alcuni  pezzi  scelti  delle  sue  Poesie , 

oliati  in  tedesco. 

DiESTEL  G.,  Fr.  Petrarca.  Ein  Lebensbild.  Articolo  biogra- 
ico  sul  Petrarca.  Nel  giornale:  Teutsches  Museum,  1858,  n. 
n    e  32. 

WoLFP  Ad.,  Die  itaUeniscfie  National  dreizehnten  Literatur 
n  ihrer  geschichtlichen  Eniwicklung  vom  ìns  zum  19  Jahrhun» 
ie7%  nebst  den  Lebens  —  und  Karakterbildem  ihrer  hlas- 
nschen  SchrifìsteUer  undausgetoàhlten  Proben  aus  den  Werken 
derselben  in  teutschen  Uebersetzungen.  Berlino,  .1860.  ^  Vita 
del  Petrarca,  69-87. 

ORRUJac  lujA,  Slavlje  pestoljetnice  Pfitrarkovoe.  —  Nel  pe- 
riodico croato  di  Agram  Yienae^  a.  vi,  n.  36-45.  Contiene  una 
biografia  del  Petrarca,  ed  una  critica  succinta  delle  sue  opere. 

DoBSON  Sds.,  The  Life  ofPetrarch.  CoUected  front  Mémoires 
pour  le  vie  de  Petrarch.  London,  Dosdiey,  1776,  voi.  2. 

PetrarcKs  of  human  Life,  London  Associated  Bock- 

seller,  1797;  London,  Maiden,  1805j(The  sixt  edition),  London, 
WUson,  1807. 

WooDHOusBLES,  lord  (A,  Frazer  Tyller),  An  Historical,  and 
criticai  essay  on  the  life  and  character  of  Petrarch.  Edin- 
burgh, James  Bellanthyne  and  C.  1810  e  1812.  —  Fu  tradotta 
in  italiano,  London,  Bulmer,  1811,  nell'ediz.  del  Canzoniere 
curato  dal  Zotti. 

Campbbll  Th.,  The  Life  and  times  Petrarch.  London,  1822. 

The  Life  of  Petrarch  vnt  notices  of  Boccaccio.  Lond. 

1841,  1843;  H.  Bohn,  1859. 

Il  Petrarca  in  molte  sue  lettere,  e  sovrattutto  in  quella  ai 
Posteri,  e  nella  Ep.  II  del  libro  X  delle  Senili  a  Guido  Secten 
ci  diede  la  sua  Autobiografia.  Leggete  le  lettere  Senili,  scrive 
r Aleardi:  ivi  egli  fu  il  più  accurato  Plutarco  di  so  stesso; 
giacché  quando  offeso  alla  vista  delle  umane  tristizie  si  ripa- 
rava nella  solitudine,  là  soletto  in  faccia  alla  propria  anima 
imprendeva  a  raccontare  sinceramente  ogni  fallo  suo,  sino  ai 
più  fugaci  pensieri,  sino  ai  più  lievi  sospiri,  volgendosi  ora  alla 


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568  noGRAn. 

sua  generazione  che  amava  e  sprezzava  ad  un  tempo;  ora  si 
grandi  dell* antichità ,  ora  ai  santi  del  cielo,  ora  agli  amici. 
ora  alla  posterità  che  accarezzava.  —  Il  Comiani,  il  Salfì^  : 
Ma/fety  il  Cereseto,  la  Ferrucci^  VEmiiiant  Giudici^  il  Cattfv  \ 
il  De  Sanctts,  il  Settembrini  nelle  loro  Storie  della  LetteratorA 
italiana  ne  scrissero  pure  le  Vite.  —  Quantunque  il  JFVooai- 
setti  non  ci  abbia  dato  una  vera  vita  del  Petrarca,  pure  mi 
si  può  non  annoverarlo  tra  i  più  benemeriti  biografi.  Baste- 
rebbe il  sommario  cronologico,  .veramente  ammirabilo,  e  oh 
può  proporsi  per  modello  a  chi  voglia  fare  di  simiglìanti  la- 
vori, per  dai'gli  un  primissimo  seggio  tra*  quanti  scrissero  és. 
qui  del  Petrarca.  —  Però  non  posso  dissimulare,  che,  in  numerc 
sì  stragrande  di  biografi,  una  Vita,  pienamente  compiala,  ad 
principe  de*  nostri  lirici,  è  tuttavia  un  desiderio.  €  Oltreccb-j. 
.scrive  il  Celesia,  manca  una  storia  de*  suoi  amori  con  la  beli- , 
Avignonese,  storia  com'ebbe  pure  ad  osservare  il  Leopardi,  nar- 
rata bensì  dal  poeta  nelle  sue  rime,  ma  fin  qui  non  intesa,  e- 
conosciuta  da  alcuno,  come  ella  si  può  intendere  e  conoscer-, 
adoperando  a  questo  «fietto  non  altra  scienza  che  quella  delle 
passioni  e  dei  costumi  degli  uomini.  Senonchè  questa  istoria, 
la  materia  della  quale  e*  avea  da  più  anni  in  serbo,  e  che  sti> 
mava  sarebbe  non  manco  piacevole  a  leggere  e  più  utile  assai  ohe 
un  romanzo,  si  mori  sventuratamente  con  lui.  —  Quanto  alla 
narrazione  della  vita,  egli  è  mestieri,  a  intesserla  intera,  tener 
dietro  al  Petrarca  ne'  divem  luoghi  per  esso  percorsi,  studiare 
la  ragione  de*  tempi  suoi,  e  i  diversi  personaggi  che  gli  furono 
di  speciale  amicizia  legati,  porre  in  sodo  il  potentissimo  impulso 
ch'ei  diede  alle  lettere,  salutare  l'azione  ch'esercitò  sul  suo 
secolo,  mostrare  infine  1*  amore  vivissimo  che  professò  alle  belle 
contrade,  » 


SOMMARI  CRONOLOGICI. 


Baldeu.i  Boni  Giamb.,  Sommario  cronologico  della  Vita  del 
Petrarca  299-319.  — Ediz.  Canz.  Remondini,  1798-1814;  Roma, 
de  Romanis,  1813,  Swickau,  Schumann,  1818;  Prato,  Vannini, 
1821  ;  Firenze,  Ciardetti,  1832. 


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SOMMARI  CRONOLOGICI.  569 

Boni  Mauro,  Epoche  degli  studi  del  Petrarca  epilogati.  Ediz. 
Ven.  Picotti,  voi,  i,  vii-xvi. 

Fracassetti  Giuseppe,  Cronologia  comparata  sulla  Vita  di 
Francesco  Petrarca^  Epist.  i,  163-200. 

FsRRAZZi  Jacopo,  Specchio  cronologico  della  Vita  di  Frane, 
Petrarca,  Man.  Dant.  iii,  191-204. 

BIBLIOGRAFIA  BIOGRAFICA. 

Baldelli  Boni  Giamb.,  Brem  notizie  intomo  agli  Scrittori 
ed  alle  edizioni  delle  Vite  del  Petrarca.  Del  Petrarca,  1837, 

XXI-XXIV. 

Marsand  a.,  Scrittoio  intorno  alle  Vite  ed  al  Canzonicele 
del  Petrarca,  Biblioteca  Petraschesca,  Milano,  Giusti,  1826,  p. 
147-166. 

Rossetti  Domenico,  Serie  cronologica  delle  Vite  già  note 
del  Petrarca.  Petrarca,  Giulio  Celso  e  Boccaccio,  1820,  pag. 
285-312. 

Re  Zefirino,  I  Biografi  del  Petrarca^  Ragionamento,  Fermo, 
Ciferri,  1859. 

MONOGRAFIE  BIOGRAFICHE. 

Battaini  Pietro,  La  giovinezza  di  Fr,  Petrarca.  Buon  capo 
(V  anno,  Strenna  pei  ^ciulli ,  compilata  da  L.  Saìler ,  Milano, 
Treves,  1874,  p.  127-40. 

D'Ancona  Alessandro,  Convenevole  da  Prato,  maestro  del 
Petrarca.  Rivista  ital.  Milano,  1874,  fase.  2,  p.  145-77.  —  Sul 
Convenevole  V.  Tiraboschi,  voi.  v,  1.  3,  ix.  —  FracasseUi,  Epist. 
T.  223;  11,370. 

(Documento)  Bolla  di  Benedetto  XII  del  25  Genn.  1331,  — 
Literae  Canonie.  Lomboriensis  prò  Francisco  Petrarca  —  che 
(  onferisce  a  Fr.  Petrarca  un  canonicato  nella  Chiesa  di  Lom- 
Ix'z.  Reg.  Ben,  XII.  T.  i,  p.  274;  De  Sade,  i,  i,  47;  ii,  39. 

Petrarque  au  Vaiicluse  et  hisloire  de  cette  Fontaine  par 
un  ancien  habitant  de  Vaucluse  (Guerin).  Paris,  Le  Normant, 
a.  xiii,  1804. 

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570  MONOGRAFXB  BIOGRAFICHE. 

OuBBiN  J.,  Description  de  la  FovUaine  de  VoMicitue.  Avi- 

gnon,  Seguili,  1813. 

M.  B.  (T.  T.  F.  Brachet),  Mon  demier  vcyage  a  Tiw 
eluse.  Avignon,  Seguin,  1823. 

FuzET,  cure  à  Fouzilhac,  Petrarque  au  Vauduse.  Reme  tie 
Marseille,  Laforet,  1874. 

Bianchetti  Giuseppe,  Una  visita  a  Valchiusa,  Dei  Lettori 
e  Parlatori  (Ed.  Le  Monnier),  291-99. 

Descrizione  di  Valchiusa,  V.  Fascoloj  Saggi  sopra  Tamone 
del  Petrarca  (z,  19  e  seg.,  Ediz.  Le  Mounier).  —  E.  CeUsia, 
Petrarca  in  Liguria,  p.  11.  —  Aleardi  Aleardo,  Discorso  sa 
Fr.  Petrarca,  p.  26.  —  Pindemonti  IppoL,  A  Valchiusa,  Canne. 
~-  Due  donne  francesi  la  Verdier  e  la  DeshouUers  (Epitre  sur 
Yancluse)  ;  due  poeti  De  Lille  e  Roucher  descrissero  pure  Val- 
chiusa.  Voltaire  le  consacrò  alcuni  versi  nel  libro  ix  della 
Eniichiade. 

Anche  il  prof.  Al.  Paravia  ci  lasciò  la  descrizione  del  viag- 
gio che  imprese  a  Valchiusa,  a  solo  fine  di  visitare  i  luoghi 
fatti  celebri  dagli  amori  e  dai  canti  del  sommo  lirico  nostro. 
È  tuttavia  inedita,  presso  il  commend.  Jacopo  Bernardi. 

Carta  topografica  d  Avignone,  di  Valchiusa  e  delle  lerrt 
circostanti.  Venezia,  Da  Sabbio,  1525. 

Di  Valchiusa,  V.  Epist  Fam.  L,  viii,  lett.  3  e  8;  xn,  8: 
xm,  8;  XVII,  5;  Var.  xlii;  Ep,  Sen,  x,  2.  —  Ep.  Mar.  n,  190: 
III,  190,  223.  —  Difese  eseguite  alle  sponde  del  Sorga.  Ep. 
Metr.  ni,  47.  —  A  Valchiusa  compose  la  maggior  parte  delle 
sue  opere.  Epist.  Fam.  viii,  3. 

(1337)  Monti  Achille,  H  Petrarca  visita  Roma.  Estratto 
dal  Periodico  il  Propugnatore  di  Bologna,  voi.  iv,  1876,  pag. 
128-64. 

Tre  possenti  affetti,  .scrive  il  Monti,  facevano  da  gran  tempo 
caldo  invito  al  Petraix»  di  visitare  la  regina  delle  città.  Vene- 
razione profonda  del  nome  e  della  gloria  romana  ;  desiderio  di 
riabbracciare  Giacomo  Colonna,  vescovo  di  Lombez,  coi  il  poeta 
portava  «more  dolcissimo;  brama  infine  di  allontanarsi  da  quella 
bellissima  Laura  che  lo  avea  preso  agli  amorosi  suoi  lacci,  e 
che  non  potendo  esser  sua,  mai  non  gli  venne  fatto  di  porre 
in  dimenticanza.  E  da  prima,  con  vivi  colori  e  con  puresza  di 


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MONOGRAPOB  BIOGRAFICHE.  571 

ettato,  ci  dipinge  il  miserevole  stato  delle  campagne  circo- 
tanti  la  città  eterna,  tutte  piene  di  armati  audacissimi,  sgherri 
ei  Colonna  e  degli  Orsini,  per  i  lunghi  odii  civili ,  meglio  rese 
)eluuche  di  ladroni,  onde  serrato  il  camino  ai  luoghi  santi. 
lè  ben  si  assicura  il  Petrarca,  chò  si  trattiene  a  Capranica, 
ncbò  Jacopo  e  Stefano  Colonna  non  gli  muovano  incontro 
3  Genn.  1337),  e  lo  accompagnino  a  Roma.  Il  Monti  ci  de- 
;rive  inoltre  le  accoglienze  oneste  e  liete  ch'ebbe  da  tutti  i 
olonneei;  come  al  Poeta  piagnesse  il  cuore  nel  visitare  con 
tefiMio  e  Giovanni  Colonna,  e  con  Paolo  Annibaldi  le  mine  e 
diserto  della  città  venerata,  i  lor  dotti  ed  amichevoli  colloqui 
i  cose  antiche  d*  arti  o  di  filosofia,  sulle  condiziom*,  e  sui  co- 
umi  di  quel  popolo  che  disceso  da  padri  si  illustri,  era  pur 
oppo  allora  tralignato  e  scaduto  miseramente  dalla  prisca 
rtù.  In  tale  congiuntura  volle  farsi  pacificatore  fra  il  gran 
Dlonnese  e  i  suoi  figliuoli,  e  prima  eh'  ei  si  pai*tisse  da  Roma, 
>tè  veder  coronati  i  pietosi  suoi  sforzi  di  buon.efietto. 

(1341)  Epistola  di  Sennucio  Del  Bene,  suW  incoronazione 
l  Petrarca,  ridotta  a  miglior  lezione.  A  Francesco  Petrarca  — 
'/  VI  Centenario  —  DeUa  sua  Coronazione  —  Roma  —  Ro- 
»,  Salvinoci,  1874,  Edizione  di  soli  54  esempi,  numerati.  — 
Ldova,  Fabriano,  1549;  Firenze,  Torriani,  20  Febb.  1553.  — 

coronnement  de  mess,  Frangoys  Petrarque,  Paris,  Buon, 
65,  edizione  dedicata  a  Francesco  Del  Bene.  —  La  corona- 
ne, ecc.,  Firenze,  Marescotti,  1577;  Perugia,  Bresciano,  1579; 
nezia,  Griffio,  1588;  Barezzi,  1592;  Angelieri,  1595;  Farri, 
37;  Londra,  Polidori,  1796,  ecc.  Nel  1623  trovò  il  suo  luogo 
quella  bizzarra  accozzaglia  dei  due  Petrarchisti  di  Nicolò 
unco  e  di  Ercole  Giovannini. 

4L  L' imaginazione  poetica  del  seicento,  scrìve  V  Hortis,  volle 
Kzarrirsi  sopra  la  laurea  del  Petrarca,  e  un  canonico  pado- 
IO  (Girolamo  Marcatelli) ,  si  concedette  il  capriccio  d'ima- 
are  il  trionfo  del  Petrarca  a  suo  modo,  spacciandolo  per 
jTo  d' un  Trecentista,  e  precisamente  di  Sennucio  Del  Bene, 
[fidente  ed  intimo  del  Petrarca.  Scritti  inedili,  37.  $ 

He  Zbfibino,  L'  incoroncuione  del  Petrarca,  Racconto  sto- 
>.  Letture  di  Famiglia,  Trieste,  voi.  v,  141. 
Assegna  il  giorno  di  Pasqua,  e  ne  reca  le  ragioni.  Ultima 


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572  UONOGBAFtB  KOORAFICHB. 

dies  aderat  nec  posterà  temptts  Lux  dabat,  urgehat  consum^^ 
termintis  anni. 

Labrczzi  di  Nbximx  Francesco,  //  Petrarca  in  Campìdty 
gìio.  Estratto  dal  giornale  il  Buonarroti,  Serie  it,  voi.  x.  StftT 
1875. 

È  una  bella  elegante  ed  accurata  monografia,  in  cbe  \^ 
tratteggiò  vivamente  il  secolo,  la  società  e  gli  uomini  c> 
furono  i  primi  giudici  di  Dante  e  di  Petrarca.  Dello  e  giust 
insieme  ci  parve  il  parallelo  tra  que*due  Poeti.  Il  Labruzzi- 
Nexima  ritiene  che  la  coronazione  accadesse  air  aperto,  ^^ 
Campidoglio,  presente  il  popolo,  e  non  in  un'aula,  come  alrri 
vorrebbero;  e  vuole  che  Stefano  il  vecchio  fosse  qu^U  ci* 
celebrasse  in  Campidoglio  le  lodi  del  poeta. 

HoRTis  Attilio,  La  laurea  del  Petrarca.  Scritti  inediti  à< 
Petrarca,  43. 

Collatio  edita  per  clarissimum  poetam  Franccsccm  Pbtr.4Bh 
CAM  Florentinum  rome  in  capitolio  tempore  laureationis  sui 
(Dal  codice  Magliabecchiano ,  a.  re,  n.  133).  Hortis,  Scrir. 
ined.  p.  311-328. 

(Prìvilegium)  Exemplum  PriviUgii  Laureae  ÀppoUnar. 
Fr.  Petrarcae ,  qua  insignis  Poeta  Romae  in  Capitolio ,  fl>= 
MCCCXLl  V  id.  Apì\  honorifice  donatus  est  legisse  jttvak 
Veneiiis,  X  Cai,  Sept.  1531  (V.  alcune  emendazioni  per  cir* 
del  prof.  Corradini,  Africa,  469-470). 

Documento  notevolissimo  da'  più  tenuto  autentico ,  da  po- 
chissimi apocrifo,  ma  senza  ragione,  poiché  oltre  alia  vero- 
simiglianza della  forma,  delle  frasi  e  de*  concetti ,  abbiamo  ^ 
testimonio  del  Boccaccio  ed  un  altro  di  Zanobi  da  Strada,  che 
parlano  del  Privilegio  comò  di  cosa  veduta,  e  que*  pensiVri 
furono  poscia  tante  volte  ripetuti  in  occasione  di  privilegi  i»j 
laurea,  da  non  lasciar  dubbio  che  su  queirantico  si  modellarono 
Prezioso  monumento  dell* epoca,  come  lo  chiama  il  Gr»^goro- 
vius,  compilato  nel  linguaggio  officiale  della  romana  repubblica, 
con  retorica  magnjloquenza,  ripieno  dell*  antico  spirito  romano 
e  notevole  pur  anco,  per  alcune  giustissime  definizioni  della 
indole  (Jplla  poesia  (Hortis,  Scritti  ined.  p.  8).  Il  Privilegio  óAìcl 
Laurea  si  legge  nell'  ediz.  Ven.  dell'  opere  latine  del  Petrarca, 
del  Bevilacqua,  nella  Basileese  del  1554,  nel  Peirarcha  redi- 
vivus  del  Tomasini,  e  nel  De  Sade.  Si  trova  puro  neireiiiz. 


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MONOGRAFIB  BIOORAPICHB.  573 

net  a  del  Canzoniere  di  Giolito  de  Ferrari  del  1550,  1559, 
^60;  del  Bevilacqua,  1568;  del  Bertano,  1573;  dell' Angelieri, 
•85;  del  Griffio,  1588;  del  Barezzi,  1592;  dell' Imberti,  1612  e 
i27;  del  Milocco,  ì%\6.  — 11  Franco,  il  Giovanninì,  ed  il  Doni 
"  suoi  Marmi  (I,  318,  ediz.  Barbèra),  ce  lo  diedero  tradotto. 
Faufani  accuratissimo  editore  deWIarrai  del  Doni  annota: 
Questo  Privilegio  ho  in  mente  di  averlo  veduto  stampato  do- 
Kichessia,  oltre  che  qui;  ma  ò  apocrifo.  » 

V,  Petrarca,  Ep.  Fam.  Libro  iv,  lett.  4,  5,  6,  7,  8.  Ep. 
^in,  del  Petr,  i,  55;  ii,  96;  FracasseUi  EpisU  i,  519. 

MoNALDESCHi  BuoNCONTE,  Muratori,  Rerum  ital.  Script,  xw, 
IO.  —  De  Sade,  Sur  le  couronnement  de  Petrarque,  t  ii, 
ote  XIV,  p.  1  ;  t.  Ili,  Note  xx,  53.  —  Couronnement  du  Pe- 
arque  au  Capitole,  Relation,  id.  p.  5.  —  Gregorovius,  Ge- 
jhichte  der  Stadt  Rom  im,  Mittelalter,  i,  21 1  e  seg.  —  A.  Reu- 
^onL  neUa  sua  Storia  di  Roma,  ii,  828.  —  LancetH,  De*  Poeti 
aureati,  p.  101. 

(1341)  Affò  P.  Ireneo,  Su  la  dimora  del  Petrarca  in  Par- 
va.  Discorso  premesso  al  t.  ii  delle  Memorie  degli  Scrittori  e 
etterati  Parmigiani. 

RoNCHiNi  PROF.  A.,  La  dimora  del  Petrarca  in  Parma. 
[emoria  recitata  alla  R.  Deputazione  Parmense  sopra  gli  studii 
i  Storia  patria  in  occasione  del  V.  Centen.  dalla  morte  del 
oeta.  Modena,  Vincenzi,  1874  (di  p.  52). 

Le  notizie  sono  raccolte  con  amorosa  diligenza,  forma 
emplice  ed  elegante.  Il  prof.  Ronchini  ci  parla  dell' acco- 
lienze  amiche  che  v*ebbe  da*  Corregeschi,  degli  onorevoli  inca- 
ichi  sostenuti,  del  vecchio  cieco  di  Perugia,  insegnante  di 
rammatica  in  Pontremoli,  che  imprese  lunghi  e  disagevoli 
iaggi,  sol  per  vedere  il  Petrarca,  che  finalmente  potè  abbrac- 
Lare  a  Parma,  dell'  ardore  intenso  con  che  si  diede  nella  sua 
ifrica.  Ei  non  ritiene  che  il  Poeta  avesse  casa  a  Selvapiana 
i  Ciano.  Passando  TEnza,  e  portandosi  ai  confini  reggiani, 
lon  potò  che  far  capo  a  Rossena,  castello  de'  Correggeschi,  il 
[Uale  ofirivagli  tutti  gli  agi  di  una  signorile  dimora*  E  mal 
'appose  il  Marsand  che  ne  accreditò  la  tradizióne,  ed  il  Mi- 
trali che  v'  inalzò  un  nobile  monumento ,  a  memore  ricordo 
lei  preteso  soggiorno.  Oltrecchò  il  Ronchini  troverebbe  che  il 


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574  MONOGRAFIB  BIOGIUnCHB. 

luogo  ov'esso  fa  posto,  aUe  Pendici^  mal  risponde  alla  descri- 
zione che  ne  fa  il  Poeta  nell'Epistola  a  Mai*co  Barbato  (Ep. 
Met.  Il,  18).  Nella  seconda  parte  espone  le  minute  ricerche 
insti  tuìte  per  accertare  quale  veramente  «fosse  la  casa  arddla- 
conale,  e  le  varie  vicende  cui  soggiacque.  Della  casa  piccola. 
tranquilla,  salubre,  rimota  dal  centro,  con  aderente  un  giar- 
dino, comprata  dal  poeta,  se  ne  ignora  la  posizione,  ma  egli 
inclina  a  credere  che  giacesse  air  estrema  linea  meridionale  di 
Parma,  alla  destra  del  torrente,  la  qual  parte  è  tuttora  la  più 
sana  della  città.  (V.  Ep.  Guillelmo  Pastrengo ,  Poem.  Min.  ii. 
184;  FracassetH,  Ep.  i,  525-33;  ii,  317;  m,  333). 

RoxNDANi  A.,  Selvapiana,  Milano,  Ricordi,  1874  ;  Dalla  Ri- 
vista Minima,  n.  14,  19  Luglio  1874.  —  E  nelle  Serate  italiane, 
n.  88,  5  Sett.  1875,  Torino,  Tip.  C.  Favale. 

—  Francesco  Petrarca,  sua  casa  in  Selvapiana  ed  a'< 
cusa  fattagli  di  magia.  Nuova  Antol.,  a.  ix,  voi.  27,  Dee.  1874. 
p.  854-77. 

Il  Róndani  è  del  contrario  avviso  del  prof.  Ronchini,  e  n-^ 
adduce  le  ragioni.  Il  prof.  Ferrari,  a 'proposito  del  primo  opu- 
scolo del  Róndani,  scriveva  (Corriere  di  Reggio  cT Emilia): 
Ho  da  bonissima  fonte  che,  fino  a  trenta  e  quarantanni  fa. 
quella  casa  era  chiamata  dai  piti  la  cà  del  sterion  (la  casa  ò'. 
mago,  dello  stregone).  Proprio  il  sacra  nome  del  vate  si  en> 
mutato  pei  rozzi  montanini  in  quello  d*uno  che  avea  cois- 
mercio  col  diavolo.  Questa  nota  di  mago  apposta  al  Peti^arca- 
fu  la  vera  causa  per  cui  egli  non  rito  masse  a  quei  colli,  pnr 
sempre  memorati  e  sospirati,  cotanto  propizi  a*  suoi  gentili  e 
possenti  estri,  alla  città  di  Parma,  ov*ebbe  case,  ove  tonto 
amò  e  da  tanti  fu  amato,  ove  scrisse  la  Canzone  per  la  via- 
toria de'  suoi  Corregeschi,  da  dove  lanciò,  come  fiero  rimpro- 
vero ai  Signori  d'Italia,  la  più  sublime  sua  Canzone,  dove 
copriva  alte  dignità  ecclesiastiche,  ove  s'augnava  di  produrr*^ 
gli  operosi  suoi  ozii  senili  e  di  chiudere  placidamente  la  glo^ 
riosa  sua  vita.  Contrariamente  al  Fracassetti,  opina  coli' ab.  Df 
Sade,  che  il  card.  Bertrando  dal  Poggetto  fosse  il  dissemina- 
tore dell'accusa  di  negromanzia  che  si  voleva  professata  dai 
Poeta.  V.  Fracass,  Ep.  n,  396.  —  Di  Selvapiana,  V.  EpisL  ad 
Posteros;  Frac.  Epist.  i,  232;  Poem.  Min,  ii,  p.  18. 

Proposta  di  un  edifizio  da  costruirsi  alla  memoria  di  F. 


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MONOGRAFIE  BIOGRAPICHB.  575 

F^etrarca  in  Selvapiana  di  Ciano.  Senz'accenno  di  data»  di 
luogo,  di  tipografia. 

Pbzz&na.  Angelo,  Prospetto  di  un  edifizio  a  Selvapiana, 
l'arma,  1838,  in  4^,  con  4  incisioni. 

Bellini  Filippo,  Di  un  nuovo  monumento  che  si  inalza 
nel  Parmigiano  al  Petrarca.  Strenua  Parmense,  1843;  Tea- 
tro UniY.  1843,  p.  135. 

{Docum.)  Bolla  del  29  Ottobre  1346,  con  cui  Clemente  M 
nomina  il  Petrarca  a  Canonico  di  Parma.  —  A/75,  Scrittori 
Parmensi,  t.  ii,  Pref.  ^  Allodi,  Serie  cronoi.  dei  Vescovi  di 
Parma,  i,  638,  654. 

(1342)  Bernardi  mons.  Jacopo,  La  Certosa  di  Monlerivo 
(Montrieux),  e  Gerardo  Petrarca.  Rivista  Univ.  Nuova  Serie, 
a.  vni,  1874,  Nov.  p.  478496. 

Mons.  Bernardi  con  pienezza  di  cuore  e  con  elegante  det- 
tato ci  parla  di  Gerardo,  del  suo  Cenobio,  dell'intima  e  cor- 
diale e  commoventissima  espressione  di  libero  affetto  che  passò 
di  continuo  tra'  due  fratelli.  Dalla  scuola  di  Bologna,  ei  con- 
chiude, alla  vetta  di  Monteventoso,  da  questa- alla  grotta  della- 
Maddalena  e  alla  Certosa  di  Monterivo,  da  quest'anno  1342 
al  1374,  che  serie  di  fatti  non  si  raccoglie  intorno  alle  vite  di 
questi  due  allora  teneri  fanciulli  che  pigliavano  con  Petrarca 
il  camino  dell' esigilo  (1)1  Di  Gerardo  e  della  Certosa.  V.  Ep. 


(1)  La  brochure  que  voua  avez  puhliée  en  Janvier  1874,  scrivevagli 
L.  de  Berluc-Peracis ,  a,  pour  ainsi  dire,  ouvert  la  vie  aux  monographies 
écloses  à  Padoue,  Milan,  Génes,  Veniae,  etc.,  à  roccasion  du  Gentenaire 
petrarqaesque.  Votre  étude  sur  Montrieux  est  d' un  haut  intérét  par  nous, 
provengaux,  et  iustifie  notre  prétentìon  de  regarder  comme  nous  apparte- 
nant,  autant  qu  à  V  Italie ,  le  grand  poète  dont  le  nom  est  Uè  non  seule- 
inent  à  Vaucluse,  où  il  cbanta,  mais  encore  à  Montrieux,  où  il  voulut  de 
perpétaeller  prières  pour  son  ame.  C  est  avec  bonheur  que  j'  ai  lu  cetto 
brochure  plAine  de  cfétail  peu  connus  et  dignes  d*Atre  sauvès  de  Toubli. 
Je  regrette  seulement  que  vous  ayez  demandò .  à  un  écrivain  de  Paris  de 
vous  renseigner  sur  T  nistoire  de  cette  Chartreuse;  les  parisicns  ne  se 
doutent  pas  qu*  il  existe  autre  chose  ({ue  leur  capitale.  Ce  n*  est  pas  &  la 


reur,  archiviste  dòpartement^J.  Get  honorable  écrivain  se  serait  fait  un 
plaisir  de  répondre  è  vos  questiona ,  et  je  crois  que ,  si  voua  publiez  un 
jour  une  nouvelle  ódition  de  votre  travail ,  vous  ne  sauriex  mieux  faire 
que  de  vous  adresser  à  lui.  le  me  permets,  en  attendant,  de  vous  signaler 
une  erreur  des  auteurs  que  vous  aves  consultés.  Montrieux  qui  était  situé 
dans  le  diocèse  de  Marseille  n'  était  pas  dans  le  comtat-VenaLssin  mais 
dans  la  Provence  proprement  dite. 


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576  MONOORAFIB  BIOGRilFICBE. 

ad  Post,  nota,  i,  p.  226;  Fana.  Ep.  x,  3;  x,  5,  e  nota;  iti,  2, 
8  e  9. 

(Doc.,  6  Ottobre  1341).  Bolla  di  Clemente  VI,  Literae  prò 
Prioratu  S.  Nicolai  de  Miliarino ,  con  cui  viene  conferito  al 
Petrarca  il  Priorato  di  S.  Nicola  di  Miliarino,  nella  Diocesi  di 
Pisa.  Reg,  Clem.  V/.  1. 1,  f.  285.  —  De  Sade,  iv,  54,  ap. 

Il  Priorato  di  S.  Nicolò  di  Migliarino  è  forse  V  unico  frutto 
che  ottenne  allorquando  fu  spedito  ambasciatore  del  popolo 
Romano  a  Clemente  VI.  V.  Epist,  ad  Clementem  YI,  Op.  Min.  ni,  4. 

{Boc,  1348).  Breve  con  cui  Clemente  VI  in  data  dei  9  Sett. 
1348  legittimò  Giovanni  Petrarca,  scolaro  fiorentino,  d«  «o/wfó 
genitum  et  soluta,  -—  Literae  legiUtnationis  Johannis  Petrarcae, 
De  Sade  iii.  Note  xvm,  49.  —  Regest.  Clementis  VI,  voi.  xuv, 
p.  200.  —  Di  Giovanni,  V.  Fracas.  ii,  286;  Epist.  Fam.  xvil 
7,  9,  12.  Var.  235. 

(1349).  Malmignati  A.,  Petrarca  a  Padova  a  Venezia  e  ad 
Arquàj  con  documento  inedito.  Padova,  Sacchetto,  1874. 

Espone  il  quando  e  il  perchè  Fr.  Petrarca  venisse  a  Padova, 
come  Giacomo  II  di  Carrara,  per  legarlo  più  strettamente  non 
tanto  a  sé,  quanto  alla  città  di  Padova,  gli  conferisse  una 
prebenda  canonicale,  di  cui  prese  possesso  il  sabato  dopo  Pa- 
squa, presiedendo  alla  solenne  ceremonia  il  vescovo  Ildebran- 
dino  Conti,  e  il  legato  pontifìcio  Guido  cardinale  di  Boulogne. 
Per  via  di  probabili  induzioni,  ci  addita  la  sna  abitazione  nella 
via  dietro  duomo,  e  precisamente  dove  ora  soi^e  la  cappella 
laterale  del  Sacramento.  —  Narrataci  la  fine  funestissima  di 
Jacopo  II,  vivamente  lagrimata  dal  Poeta  (Peir,  Ep,  Pam.  xi. 
2  e  nota  del  Frac.),  ci  dice  di  Francesco  da  Carrara ,  princif)^ 
splendidissimo  e  ne  tesse  le  Iodi,  discorre  delle^condùdoni  di 
Padova,  come  ci  venne  anche  tratteggiata  dal  Poeta  (Sen.  xiv,  1), 
e  dell'intima  amicizia  che  avvinse  il  Signore  di  Padova  al 
solitario  di  Arquà.  Parlando  poi  del  suo  soggiorno  in  Venezia, 
ricorda  le  amicizie,  le  onoranze  e  i  fastidii  che  vi  ebbe ,  e  da 
ultimo  ci  conduce  ad  Arquà  dove  il  Petrarca  chiuse  improvviso 
i  suoi  giorni. 

CrrTÀDBLLA  Giovanni,  Petrarca  a  Padova  e  ad  Arquà, 
Studio.  Padova,  a  Fr.  Petrarca,  15-76. 


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MONOGRAFIB  BIOGRAFTCHB.  577 

Con  sodezza  di  erudizione  ed  eleganza  di  dettato,  ci  espone 
'affetto,  la  stima,  la  gratitudine,  le  benemerenze  del  Poeta 
rerso  Padova  e  i  da  Carrara,  non  meno  che  l'avutone  con- 
raccambio.  Da  ultimo  d  dice  deUa  stanza  che  pose  nel  1370 
a  Arquà,  della  sua  morte,  delle  sontuose  esequie  celebrategli, 
ì  delle  vicende  della  tomba.  Questa  bella  Monografia  va  pur 
orredata  d' interessantissimi  documenti.  —  V.  Dondi  Orologio, 
)ue  Lettere  sopra  la  fabbrica  della  Cattedrale.  Padova ,  Pe- 
ada,  1794. 

Dondi  Orologio  Franc,  Can.  Vie.  Cap.  Serie  cronologica 
dorica  dei  Canonici  di  Padova.  Padova,  Tip.  Sem.,  1805.  — 
V.  Petrarca,  p.  148-155. 

Menbghelli  a.,  Bel  Canonicato  di  mess.  Fr.  Petrarca, 
'adova,  Tip.  Sem.,  1818;  Meneghelli,  Opere,  voi.  vi,  p.  135-51. 

ScARABELLi  MONS.  DOTT.  NicoLÒ,  Bella  Biblioteca  del  Rev. 
'apitolo  di  Padova.  Padova,  Sem.,  1839. 

Dalla  pag.  9  alla  13  ci  parla'  del  Breviarium  magnum  del 
etrarca,  comperato  a  Venezia  per  lire  cento,  e  da  lui  legato 
D.  Giov.  Bocchetta,  custode  ed  amministratore  della  sua  pre- 
inda, coir  obbligo  che  dopo  la  sua  morte  restar  dovesse  ad 
10  della  Sagristia  di  Padova.  Di  questo  prezioso  cimelio  non 

né  avea  più  notizia.  Ma  da  una  lettera  di  mons.  Bernardi, 
diretta  nel  1874  al  Senat.  co.  Giov.  Cittadella,  veniamo  accer- 
ti che  di  presenta  si  trova  presso  la  famiglia  Borghese.  Fu 
indato  da  Padova  a  Paolo  III  per  desiderio  che  n'  ebbe.  — 

Cittadella,  67  ;  FraccassetH,  nota  alla  let.  XI  delle  Varie. 


Nel  decretato  ampliamento  della  Cattedrale  non  si  poiea  non  atterrare 
case,  antiche  residenze  de*  Canonici.  Quantunque  una  tale  demcdizione 
se  ritenuta  necessaria,  pure  doleva  duramente  ai  Padovani  veder  cadere 
to  il  martello  demolitore  quella  casa  che  ricordava  loro  una  gloria  pa- 
1 ,  venerata  sempre  con  tanto  culto  ed  affetto.  —  Aomolo  Ruzzaktb 
talco,  bifolco,  vicentino  m.  a  Padova  a  40  anni  il  17  Marzo  1542),  sotto 
ig^ura  di  un  vecchio  contadino  di  Arquà,  e  pronipote  di  quei  eh*  esano 
arvigio  del  poeta  in  quella  solitudine,  indirizzava  al  vescovo  Pisani  un 
rione  ,  scritta  in  lingua  rustica  padovana  ,  nella  quale  animosamente 
ade  le  difese  del  soo  antico  padrone,  rimprovera  ai  Cardinale,  come  ille- 
,  il  suo  divisamente  di  abbattere  quella  casa,  lo  minaccia  a  nome  stesso 
suo  padrone,  che  finge  essergli  comparso  a  tal  fine ,  e  adopera  ogni 
liera  di  argomenti  per  distoglierlo  da  quella  malugurata  impresa  {Ruz- 
tej,  Opere y  Vicenza,  1581  ).  —  Anche  U  dottissimo  Sperone  Speroni 


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578  MONOGRAFIE  BI0GRAF1CHB. 

dettò  nn  oranone  in  difesa  della  caga  del  Petrarca  affine  d' imfeiirt 

fosse  demolita.  —  Speroni,  Opere,  Venezia,  Occhi,  17-10,  Voi.  ▼,  p.* 

SuU'  abitazione  canonicale  del  Petrarca  mi  piace  di  riportare  il  «ga^ 
documento  : 

<  Anno  domini  milleaimo  tercenteaimo  nonagesimo  quarto ,  ^  ani 
nica,  quarta  mensia  octobrìa.  Paduae  in  Sacrìstia  Ecdedae  Padoaaae.  *c 
—  Convocato  et  more  solito  congregato  Capitulo  Dominorum  caaooicet^^ 
Ecdeaiae  Majoris  Paduanae.  —  Omissis.  —  Tractatu  hablto  inter  se  s^^ 
venditione  faciunda  unì  ex  Canonicis,  de  domo  vacante  per  roortesa  is 
Francisci  Petrarchae ,   oUm  canonici  Paduani ,   in  qua  nunc  habitat  dL 
Henricus  Galettus,  etc.,  unanimi  ter  aaaignarunt  ipsam  domum  tìtolo  r.^^ 
ditionis  juxta  modum  et  consuetudinem  dictae  Ecdesiae  Paduanae  Jk^ 
lohanni  de  Henzegneratis  Canonico  Paduano.  —  Ex  qìu>dam  eoi.  Ch^' 
Episcop.  Patavinae  cui  liti^lus  Dìf>ersorum,  a.  159 1^  fot.  9  et  ii-i''- 

Al  Canonicato  del  Petrarca  appartiene  pure  il  seg.   docamento: 

In  Christi  nomine  amen.   Anno  ejaadem  NatÌTitatis   miUesùno  trec^' 
tesimo  quinquagesimo  octavo,  Indictione  undecima,  die  rigesimo  quarto  l" 
cerabris ,  Paduae  in  Contrada  Sancii  Nicolai ,   in  Curia  Magnifici  Doi.! 
Francisci  de  Carraria  Paduae  ec.  Praesentibus  domino  Presbytero  Jchv^ 
a  Bocetta  Custode  Ecdesiae  Maioris  Paduanae,  ecc.  Venerabilis  et  sapi' 
Tir  Dominus  Franciscus  Petrarchcf  Poeta  et  OanonicHs  SeeìeHae  Mai* 
Paduanae  sponte  libera  et  exdamavit  sibi  solutionem  in  se  habere  ^: 
a  Jacobo  qm.  Aldrigeti  de  Villararo  foris,  nunc  habitante  Paduae  in  en- 
trata Domi  suo   nomine  et  nomine  et  vice  haeredum  presbjtert  Aliirif'« 
olim  custodia  dictae  Ecdesiae  Maioris  Paduanae  de  omni  et  toto  eo  q*:-- 
ipso  Jacobus  et  dicti  bnredes  eiden^  dom.  Prandaco  Petrarchae  deb«t<^' 
occaxione  administrationis  per  ipsos  Jacobum  et  dictum  presbjteraui  -^'  ' 
drigetum  factae  de  frugibus  reditibus  et  proventibus  cuiuscumque  co^i 
tionis  per  utrumque  ipsorum  perceptis  de  Canonica  et  praebenda    canoLi"^ 
ipsius  Dom.  Francisci  et  fecit  eidem  Jacobo  suo  nomine ,  etc.    Ex  i*^- 
primo  instrumentorum  Peiri  Saraceni,  notarti  patavini^  foì.  138  te^- 

Da  un  altro  documento  dd  4  Marzo  1372,  rogato  in  Pernumia,  r'ììf" 
che  al  canonicato  del  Petrarca  apparteneva  pure  un  appezzamento  di  t^ 
reno ,  di  mezzo  campo  circa ,  situato  in  Campanea  ville  Pemumìiif  * 
contrata  S.  Friderici ,  che  egli  dà  a  fitto  per  cinque  anni,  a  un  o^f"** 
Bartolomeo  dicto  Borgogno  q.m  SimeoniSj  pd  quale  il  flttaiudo  obbligava^ 
di  corrispondergli  starla  dt*o  doni  frumenti  et  dictum  affìctum  pori'"'* 
omnibus  suis  expensis. 

(Doc.  1351).  Lettera  del  Priore  d^Ue  arti  e  del  Gonfalonieri 
della  Giustizia  del  popolo  e  del  comune  di  Firenze  consegna- 
tagli dal  Boccaccio^  come^  oratore  di  Firenze,  con  che  viene 
richiamato  dalt  esigUo,  e  gli  si  restituiscono  i  beni  confiscati  (^ 
danno  di  Petrucco  suo  padre.  —  De  Sade  ii,  Pièc,  Just  xxi:?. 
Frac.  Epist.  ni,  40-43.  —  V,  Epist.  Metr.  in,  82. 

Meneghelli  a.,  Osserì>azioni  sopra  una  lettera  dei  Fioren- 
tini'al  Petrarca.  Opere,  voi.  iv.  129^153. 


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H0N06RAFIB  BIOGRAFICHE.  579 

(1353).  HoRTis  Attilio,  Petrarca  alla  corte  di  Francia. 
Scritti  ined.  187-221. 

(1351-54).  Gelbsia  Emanuele,  Petrarca  in  Liguria,  Ge- 
nova, Tip.  dei  Sordi  Muti,  1874. 

Qual  senso  di  meraviglia  ingenerasse  nell'  animo  del  Poeta 
la  vista  di  Genova,  della  sua  riviera  orientale,  ci  è  fatto  aperto 
dallo  stesso  color  delle  imagini  con  cui  la  dipinge  e  nelle  let- 
tere ad  Olimpio  (Parma,  19  Maggio  1349),  ed  a  Filippo  di 
Vitry  (Padova,  15  Febr.  1350),  neW  Itinerario  Siriaco,  e  nel 
VI  libro  deir  Africa,  calore  d*  imagini  eh*  egli  non  adopera  mai 
per  vemna  altra  città.  Ma  le  fiere  battaglie  combattutesi  fra 
le  rivali  repubbliche  di  Venezia  e  di  Genova  non  poteano  non 
amareggiare  grandemente  V  animo  del  gentile  Poeta.  Con  tutte 
le  sue  forze,  e  T  autorità  del  suo  nome,  ei  si  adoperò  ad  attu- 
tirne gli  odi  ardenti;  ne  scrisse  al  Doge  Dandolo,  al  Valente 
e  al  Consiglio  di  Genova,  si  recò  delegato  del  Visconti  a  Ve- 
nezia, gridò  pace,  pace;  tardandogli  che  que*  due  popoli,  che 
si  disputavano  V  impero  de'  mari ,  si  stringessero  in  nodo  di 
amistà,  non  d'altro  più  gareggiando  che  di  quel  primato  di 
potenza  e  di  gloria  a  cui  aspirano  tutti  i  valorosi.  Ma  la  voce 
del  Petrarca  suonò  nel  deserto  ;  né  potò  impedire  le  tremende 
rotte  di  Alghero  e  di  Modone.  —  Il  Celesia,  man  mano  ci 
viene  a  parlare,  con  istile  spigliato  e  vivace,  di  Franceschino 
degli  Albizzi,  morto  a  Savona,  di  Guido  Scetten,  di  Sarzana, 
poi  vescovo  di  Genova,  che  alcuno  malamente  volgarizza  Set- 
timo, amicissimi  del  Petrarca,  di  Folchetto,  e  degli  scrittori 
genovesi  che  ne  mantennero  viva  Timitazione  e  Tamore. 

HoRTis  Attilio,  Petrarca  e  le  guerre  tra  Genova  e  Ve- 
nezia. Scritti  ined.,  85-155. 

L'Hortis,  dice  la  lettera  indirizzata  dal  Petrarca  al  Doge 
e  al  Consiglio  di  Genova,  «  tra  le  più  belle  che  scrivesse  mai,  » 
e  quella  a  Guido  Scetten  in  che  descrive  T  ultima  radunata 
degli  ambasciatori  presso  il  Visconti  «  un  vero  documento 
istorìco  per  i  particolari  che  nessun  altro  cronista  racconta 
cosi  minutamente,  e  dimostra  una  volta  di  più,  che  ebbe  torto 
chi  disse  le  lettere  del  Petrarca  non  racchiudere  per  la  storia 
de'  suoi  tempi  nessuna  notizia  che  non  si  sapesse  già  senza  lui.  » 

(Doc,)  Arengua  facta  Veneciis  1353,  octaco  die  Novembris^ 


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580  MONOGRAFIE  BIOGRAFICHE. 

super  pace  tracianda  Inter'  commune  Janue  et  dominum  Arckie- 
piscopum  Mediolanensem  ex  una  parte,  et  commune  venedarum 
ex  altera  parte  per  dominum  Franciscum  Pbtrarcham  poetam 
et  ambasìatorem  supradictum,  (Dal  cod.  4498  della  Palatina  dì 
Vienna).  HorUs,  Scr.  ined.  di  Fr.  Petrarca,  329.  —  Peb^arcae 
Venezia,  306. 

(Delle  guerre  combattute  fra  le  due  potenti  rivali  Repub- 
bliche y  V.  Ep.  Fam,  1.  xi,  8  e  nota  alla  stessa  ;  1.  xin,  4,  e 
nota;  xiv,  5;  xvii,  3  e  4;  xvni,  16  e  nota). 

(1353-68).  RoMussi  Carlo,  Petrarca  a  Milano,  Studi  sUh 
vici.  Milano,  Pio  Insti tuto  Tipog.  1675. 

É  una  diligente  narrazione  della  dimora  fatta  dal  Petrarca 
a  Milano  e  ne'  suoi  dintorni.  Vi  sono  descritti  minutamente  i 
luoghi  che  abitò,  la  vita  che  vi  condusse,  la  parte  che  prese 
nei  negozii  politici  de'  Visconti,  gli  scritti  che  compose,  i  di- 
spiaceri che  vi  soffrì.  Il  Romussi  scrive  con  el^anza  e  narra 
con  brio,  e  quindi  leggesi  questo  tratto  della  vita  del  Petrarca 
con  molto  gusto.  V.  Frac,  iv,  226;  v,  394. 

Belani  can.  Angelo,  Del  vero  sito  della  villa  del  Petrarca 
presso  Milano.  Rivista  Europea,  Nov.  e  Dee  1845. 

Argoménto  assennatamente  pur  svolto  dal  Romussi  (62-72l. 
—  Non  è  a  Linterno,  a  quattro  miglia  fuori  di  porta  Magenti. 
e  posta  sulla  riva  destra  del  fiumicello  Olona,  detto  da^  coit- 
tadini  Cascina  interna,  Jnfema,  corruzione  di  Linterno,  come 
vorrebbero  il  De  Sade  e  Tab.  Marsand,  che  il  Petrarca  ave^ 
la  sua  villa.  Il  vero  sito  non  può  essere  che,  dove  sorge  h 
Certosa ,  nella  villa  di  Oargnano ,  come  ne  chiarisce  lo  stes«? 
poeta. 

Per  quali  ragioni  si  credesse  obbligato  a  por  stanza  d 
Milano.  Fam.  xvi,  11  e  12;  vii,  10.  —  Gasa  del  Petrarca  ^| 
S.  Ambrogio,  Petr.  Fam.  1.  xvi,  lett.  11;  Romussi  ^  22.  -h 
S.  Colombano,  Frac,  iv,  43.  —  S.  Simpliciano,  Fam.  xxi,  Lett.  I-i 
e  14  ;  Romussi,  79.  —  Gargnano,  Fam.  I.  xix,  1.  16;  Varie  xlti; 
C.  Cantii,  Illustrazione  del  Lomb.  Ven.  i,  462. 

HoRTis  Attilio,  Petrarca  e  i  Visconti.  —  Petrarca  aS:s 
corte  di  Galeazzo  Visconti.  Scritti  ined.  di  Fr.  Pet,  43-85.  — 
V.  Mézières,  Pétrarque,  387-95. 

(Doc.)  Arringa  facta  Mediolani  in  Millesimo,  1354  dfetri 


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MONOGRAFIE  BIOGRAFICHE.  581 

Octobris  de  morte  Domini  Archiepiscopi  Mediolanensis  :  qui 
fuit  Dominus  quasi  totìtis  Lombardiae,  qui  obijt  die  quinta 
dicti  mensis.  Per  Dominum  Franciscum  Peirarcam  Poetam 
Laureatum.  Hortìs,  Scr.  ined.  di  Fr.  Petrarca,  335-358. 

(1362).  Barozzi  Nicolò,  Petrarca  a  Venezia .  —  Dono  dei 
Codici  del  Petrarca  a  Venezia  e  concessione  attagli  dalla  Re- 
pubblica di  una  casa  per  sua  abitazione.  Petrarca  e  Venezia, 
281-293. 

LMdea  che  da  gran  tempo  nudriva  di  lasciare  a  Venezia 
la  preziosa  suppellettile  de'  suoi  libri ,  nella  speranza  che  ne 
fosse  seguito  T esempio,  più  che  altro  lo  indusse  a  porre  sua 
dimora  a  Venezia.  E  a  tal  uopo  gli  venne  assegnata,  non  do- 
nata, la  casa  di  Arrigo  Molin,  posta  sulla  riva  degli  Schiavoni, 
dove  fu  poi  il  monastero,  ora  Caserma  del  Sepolcro,  fornita 
di  due  torri  agli  angoli,  e  dalla  quale  gli  si  offriva  occasione 
fli  ammu*are  le  navi  che  svernavano,  e  quelle  che  venivano  di 
partire  o  di  arrivare.  V.  Frac,  nota  alla  let.  xuu  della  Varie, 
Ep.  V,  375-83,  e  Prefaz.  alla  versione  del  Trattato  della  prò- 
2yria  e  deW  altrui  ignoranza, 

(Doc).  Offerta  che  fa  il  Petrarca  de'  suoi  libri  al  Senato 
Veneto,  (1362)  perchè  fosse  insinuila  una  pubblica  Biblioteca, 
e   decreto  adesivo.  Petrarca  e  Venezia,  285-6. 

(1353  e  1373).  Fulin  Rinaldo,  //  Petrarca  dinanzi  alla 
Signoria  di  Venezia,  Dubbìi  e  Ricerche,  Petrarca  e  Venezia, 
295-327. 

Il  Fulin  dubita,  forte  dell'  autenticità  dell*  Arringa,  detta  in 
Senato,  allorché  venne  ambasciatore  dell' arcivescovo  Visconti 
a  Venezia,  e  sospetta  che  Y Arengua  sia  meglio  un'esercita- 
zione rettorica,  nella  quale,  pighando  le  mosse  dalla  lettera  del 
I>andolo,  e  inserendovi  il  passo  di  Cicerone,  a  cui  allude  essa 
lettera,  e  qualche  altra  citazione  a  cui  poteva  bastare  un'eru- 
dizione molto  minore  di  quella  che  distingueva  il  Petrarca,  si 
fosse  cercato  di  ricostruire  il  discorso  che  il  famoso  italiano 
avrebbe  recitato  a  Venezia.  —  E  al  Fulin  risorso  pure  un  altro 
<1  ubbie:  È  vero  che  il  Petrarca,  venuto  col  Carrarese  a  Venezia 
(27  Sett.  1373),  si  smarrisse  innanzi  al  Senato  (2  Ottobre),  e 
dovesse  rimandare  il  discorso  al  giorno  seguente?  Dopo  aver 
citato  e  vagliato  quanto  riferiscono  gli  antichi  cronisti,  termina 


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582  MONOQRAFIB  BIOQRAPICilB. 

esponendo  una  sua  congettura,  e  Abbiamo  veduto  che  il  Cit- 
tadella (Storia  della  dominazione  Carrarese  i,  337)  appoggia 
la  sua  narrazione  air  autorità  della  cronaca  anonima  del  fra- 
telli  Papa&va,  del  Darù,  dei  Gatari,  del  Muratori  e  del  Yerci. 
Ora  nò  il  Darù,  nò  i  Catari  ricordano  lo  smarrimento  del 
Poeta;  e  lo  ricordano  il  Muratori  ed  il  Vercì  sulla  fede  del 
Redusio.  Rimane  la  sola  cronaca  anonima,  che  non  ho  potuto 
vedere.  0  questa  cronaca  tace,  e  allora  abbiamo  unica  fonte 
il  Redusio;  o  la  cronaca  anonima  incorda  la  circostanza,  e 
questa  potrebb' essere  un'altra  penna  che  la  cornacchia  dovrebbe 
restituire  al  padrone  legittimo.  »  —  V.  Fracass.  Epist.  in,  27. 

(1365,  Doc.).  Istruzione  de*  Fiorentini  a  Maestro  Rinaido 
da  Romena,  prof,  in  sacra  teologia,  perchè  in  corte  del  papa 
vedesse  modo  di  sciogliere  gli  sponsali  d' un  principe  éT  Au- 
stria ,  e  s' adoperasse  presso  al  Pontefice  che  a  mess.  Fran- 
cesco Petrarca  fòsse  conferito  il  primo  canonicato  vacante  in 
Firenze  —  die  penultimo  Martii,  III  india.  1365.  —  JJbrCiff, 
Scritti  ined.  di  Fr.  Petr.  305. 

Da LL^ Acqua  dott.  Carlo,  Il  palazzo  ducale  Visconti  in 
Pavia  e  Fr.  Petrarca,  coir  aggiunta  di  una  lettera  del  mede- 
simo in  lode  del  soggiorno  di  Pavia,  Cenni  storici,  Pavia, 
.success.  Bizzoni,  1874. 

Questa  pregiata  monografia  porta  in  fronte  V epigrafe:  A 
Francesco  Petrarca  —  Che  abitò  questo  palazzo  —  Splendida 
e  temuta  residenza  dei  Visconti  —  Le  notizie  che  ne  ricordano 
r antico  fasto  —  Dedico  riverente  —  Nell'anno  MDCCCLXXIV 
—  V  Centenario  della  sua  morte.  —  Sembra  che  il  Petrarca 
vi  tenesse  ufficio  di  Bibliotecario  presso  Galeazzo  li.  Nel  13§8 
mori  a  Pavia  V  unico  nepotino,  conforto  della  sua  vita,  che  fu 
sepolto  nella  piccola  chiesa  parrocchiale  di  S.  Zeno.  LMscri- 
zione,  posta  sul  tumulo,  dettata  dal  Petrarca,  si  legge  tuttavia 
nel  vestibolo  del  palazzo  Malaspina  di  Sannazai*o. 

(1370).  CriTADELLA  LuiGi  NAPOLEONE,  //  Petrarca  in  Fer- 
rara (MCCCXLVIII'MCCCLyiX),  Studio.  Estratto  dall'Ar- 
chivio Veneto,  t.  x,  p.  Il,  1875. 

Non  solo  ci  parla  della  gravissima  malattia  che  incoke  il 
Petrarca  a  Ferrara ,  mentre ,  dietro  invito  di  Urbano  V,  con- 
ducevasi  a  Roma  ;  della  generosa  ospitalità  che  v^ebbe  da  quei 
Signori;  dell* assidua  e  cordiale  assistenza,   prodigatagli  dal 


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MONOGRAFIB  BtOGRAFICHB.  583 

iOTane  Ugo,  fratello  del  marchese  Nicolò,  ma  pur  de*  suoi 
mici  ferraresi,  Tommaso  Bambasi,  il  Rosdo  di  que*  tempi, 
ui  il  Petrarca  legò  il  suo  liuto,  Tiberio  Brandolìni^  ed  il  poeta 
intonio  Beccavi ,  detto  anche  del  Beccajo,  Neil*  Appendice  ei 
Dcca  de*  codici  e  delle  migliori  edizioni  Petrarchesche  di  che 
a  ricca  la  Ferrarese,  non  che  de*  suoi  concittadini  e  eh*  ebbero 
d  imitare  nella  lirica  il  grande  poeta,  che  scrissero  qualche 
osa  intorno  ai  di  lui  lavori,  o  di  qualsiasi  altro  che  al  me- 
esimo  autore  si  rapporti.  » 

Z ABORRA  Giambattista,  Petrarca  in  Arquà,  (1)  Dissertazione 
torico-scientifica,  opera  postuma.  Padova,  Bettinelli,  1791. — 
^anno  unite  le  seguenti  tavole  :  Lago^  -^  Veduta  d'Arquà,  — 
^onumeniumy  Fons^  ^-  Nobile  domicilium  —  RusUcum^  — 
Irmarium^  Sella. 

Foscolo  Ugo,  Visita  al  sepolcro  di  Arquà,  Jacopo  Ortis, 
'oscolo.  Opere,  i,  16. 

Barbieri  Gius.,  Invito  ad  Arquà ,  Epistola,  Padova,  Mi- 
erva,  1824. 

Bocchi  Arrigo,  Alcuni  giorni  nei  colli  Euganei,  Venezia, 
.IvisopoH,  1831.  Vi  hanno  i  seguenti  capitoli  riguardanti  il 
etrarca:  Storia  di  Arquà,  —  Fonte  del  Petrarca  ^'^  Somma- 
lo della  vita,  — •Madonna  Laura,  —  La  casa  di  Frane,  Pe- 
'arca,  —  //  Sepolcro,  —  La  Gatta,  p.  58-61. 

Chbvalibr,  Una  visita  ad  Arquà,  Padova,  Gamba,  1831, 
jn  vignette.  —  Il  paese,  —  Il  Lago,  —  La  casa,  —  La  tomba, 
-  //  Pretorio, 

CiTTADSLLA  VxGODARZERB  Anorea,  Arquà,  Guida  di  Padova, 
i  ).  'Sem.  1842. 


(1)  Un  solitario  ed  ameno  recesso  fra  i  colli  Euganei  in  deliziosa  e 
ilubre  postura ,  ove  aasai  di  frequente ,  tratto  dalla  bellezza  del  luopo  e 
lU'  amor  che  mi  porta,  viene  e  con  tutta  dimestichezza  trattenersi  alcun 
K»  sì  piace  il  magnifico  Signor  di  Padova.  Var.  xxxi  e  Sen.  xiii,  9. 
.  Mi  sono  fabbricato  una  casa  modesta  e  insieme  decente  fra  i  colli  Eu- 
inoi,  ove  vado  passando  in  pace  questo  poco  che  mi  resta  di  vita;  e  qui 

fida  memoria  mi  fa  presenti  i  dolci  amici  cui  morte  m' ebbe  rapito,  o  da 
e  divide  la  lontananza.  Sen.  xiii,  7.  —  Per  non  dilungarmi  di  troppo  dalla 
ia  chiesa,  <mi  fra  i  colli  Euganei,  non  più  lontano  che  10  migha  da  Pa- 
»va,  mi  fabbricai  una  piccola  ma  graziosa  casina,  cinta  da  un  olivato  e 
I  una  vigna  che  dan  quanto  basta  ad  una  non  numerosa  e  modesta  fa- 
iglia.  Sen.  xv,  5.  —Oh  s' io  potessi  farti  vedere  V  altro  Elicona  che  per 

e  per  le  Muse  tra  i  coUi  Euganei  io  bellamente  mi  sono  procacciato, 
Iti  certo  che  tu  non  te  ne  vorresti  più  dipartire  I   Var.  xlvi. 


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584  MONOQRAPIB  BIOOIUFI(»B. 

Tommaseo  Nicolò,  Arqttà.  Ricordo  dei  colli  Euganei,  Strs^ 
del  giornale  di  Padova.  Padova,  Cresclni,  1846,  p.  11-19. 

Malmignati  a.,  Petrarca  a  Padova,  a  Venezia  e  ad  A- 
qua,  Padova,  Sacchetto,  1874.  V.  pag.  82. 

Cittadella  Giovanni,  Petrarca  a  Padova  e  ad  Arjf  . 
Padova,  Tip.  Sem.  1874,  V.  p.  53. 

//  Codice  d' Arquà,  Padova,  Bettoni,  1810,  di  p.  13. 

Riferisce  le  memorie  di  prose  e  poesie  che  italiani  e  fì::^ 
nieri  scrissero  visitando  la  casa  del  Poeta  dal  1787  al  181 
Un  codice  piìi  antico  andò  perduto. 

/  Codici  di  Xrquà  dal  1788  alV  Ottobre  1873,  Raccoìta  .^. 
Poesie  y  Pensieri  y  Memorie,  Sottoscrizioni,  Amenità  y  Manif" 
stazioni  del  sentimento  nazionale.  Componimenti  e  Ricordi  '' 
Donne  italiane  e  straniere ,  per  cura  di  Ettore  Ck).  Macol*. 
Padova,  Prosperini,  1874. 

È  tutto  un  periodo  storico  che  vi  passa  davanti  agli  occl 
dal  soldato  francese   della  Repubblica  al  soldato  italiano,  ar- 
cadi e  frementi,  gaudenti  e  sentimentali,  oppressi  e  oppressmn. 
neoghibellini  e  neoguelfì.   Anche  lo  strazio   che  troppo  spe^s*^ 
vi  si  fa   della  grammatica  e  dell'ortografia  e  del  buon  sec< 
e  il  contrasto  del  grave  e  del  comico  giova  all'evidenza. 

Manzini  Giov.,  della  Motta,  Lettera  in  data  1  Luglio  13?^'. 
diretta  Andriolo  De  Ochis  Brixiensi,  che  comincia:  Emine*- 
tium  verborum ,  e  termina  deinceps  ut  filio  me  polire.  NeL.i 
opera  Miscellaneorum  ex  Mss,  libris  BibUoih.  Col.  rotn.  ^- 
Jesu  (Romae,  1754),  pubblicata  dal  P.  Lazzeri,  t.  i,  p.  189-9V'. 
A  pag.  119  dello  stesso  volume  scrive  di  questa  lettera:  S^ 
praecipuus  fruclus  hujus  epistolae  Jiabetur  in  tMirrofto». 
mortis  Fr.  Petrarchae.  V.  pure  sul  Manzini,  Fracassetti,  Eh. 
Il,  348. 

Lo  splendido  codice  cartaceo  (L.  xiv,  223)  della  Marciam. 
contiene  a  pag.  223  una  lettera  di  Giovanni  Dondi  Dell'Or^*- 
LOGio,  medico  Joanni  ab  Aquila,  Patavii,  19  Julii  1374,  con 
che  gli  partecipa  la  morte  di  Fr.  Petrarca,  avvenuta  la  notte 
precedente,  e  gliela  annunzia  con  queste  parole  :  obiti  vir  prò- 
fecto  omni  aetate  unus  e  paucis  atque  spectabiUs,  at  nost)\:, 
me  iudice,  unus  toto  quaerendus  nune  orbe,  nec  uno  repc-ì 
ricndus  anguloy  cunctis  memorandus  saeculis  atque  colendus. 


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HONOORAPIB  BIOGRAFICHE.  585 

Lombardo  dalla  Seta,  Annotasione  intomo  alla  morte  di 
Francesco  Petrarca.  Nell'ediz.  veron.  del  Canzoniere,  1799, 
pag.  100. 

Sberti  ab.  Anton.  Bonaventura,  Degli  spettacoli  e  delle 
£efite  che  si  Scavano  in  Padova.  Padova,  Cesare,  1818.  —  A 
pag.  72,  73  riporta  ciò  che  Andrea  Oataro  racconta  intorno 
<illa  morte  ed  a'  funerali  di  Fr.  Petrarca. 

Ala  STEFANUca  Ales.,  La  morie  di  Fr.  Petrarca,  Cenni 
Koma.  1839. 

Non  ap][)ena  si  diffuse  la  notizia  della  morte  di  Fr.  Petrarca  il  Sommo 
roiàtefice  Gregorio  XI,  non  solo  ne  provo  dispiacere  vivissimo,  ma  scrisse 
al  card.  Nuvolelti,  perchè  si  adoperasse  a  tutto  potere  a  raccogliere  quante 
più  opere  poteva  del  venerato  uomo ,  e  le  facesse  esemplare  da  persone 
intelligenti,  e  per  messi  fidati  gliele  spedisse.  —  Il  documento  che  pubbli- 
chiamo venne  comunicato  dal  card.  Borgia  al  Baldelli  fV.  del  Petrarca, 
p.  105);  edito  dal  dottis.  Mons.  Marini  (At'ch.  Pont,  n,  4);  e  pur  dal  Me- 
iiejrhelli  {Opere^  vr,  195).  —  Del  Ponloflce  Gregorio  XI.  V.  Frac,  v,  115. 

OregoriM  P.  P.  XI  dilccto  /Ilio  Quillelmo  (Sìivoìettl)  s.  Angeli  Dine, 
rard.  innonnullis terris  ItaUae^  nostro  et  Rom.  eccl.  in  temporalibus  ri- 
cario  generali  salutem,  ecc. 

Satis  displicenter  acccpimus  dilectum  fillura  Franciscum  Petrarcham, 
faia  praeclarum  moralis  scientiae  lumen  noviter  ab  hac  luce  subtractum. 
Verum  quia  hoc  est  omnibus  naturale,  postquam  ilio  caromus,  libros  ejus 
hahere  nimium  affectamus.  Circumspectioncm  itaque  tuam  hortamur  attente, 
quatenus  de  librìs  ejus  per  fidelem  investigatorem  inquiri  facias  diligenter, 
IKjtissime  de  Africa ,  Eglogis ,  Epistolis ,  Invectivis ,  libris  de  Vita  Soli- 
taria et  aliis,  quae  ipsum  ex  praecipuo  Dei  dono,  miro  lepore  audivimus 
t  »xuisse,  illosque  prò  nobis  per  scriptores  intelligentes  facias  exemplari,  et 
cxeinplatos  cures  ad  nos  per  fidos  delatores  ilUoD  destinar!.  Datum  Novis 
Avenionensis  Dioec.  3,  Id.  Aug.  Pontiàcatus  nostri  anno  quarto  (11  Agosto 
1371).  (Ex  Registro  litcr.  Apost.  Secr.  A.  iv,  Febr.). 

Un  Documbnt  I.NèoiT  sur  Pétrarqcb.  —  Fu  pubblicato  da  M.*"  3//- 
renr  Archivista  del  Varo  (Aix,  Remondet-Aubin,  1S74). 

«  Le  31  Dócembre  1377  (?)  Jacques  Lombard,  avocat  d'Hyères,  agis- 
ca ni  au  nom  de  la  Chartreuse  de  Montrieux,  achète  de  Jacques  Veran  un 
rena  annuel  de  20  sous  aisigné  sur  une  terre  sise  au  Pian  de  Notre-Dame 
à  1  ly ères ,  ainsi  que  la  directe  de  cette  terre ,  moyennant  le  prix  de  20 
flortns  d*  or  payés  comptant  »  de  peamia  legata  oblata  et  transmissa  dicto 
uvonasterio  prò  anima  venerabili^  domini  Francisci  Petroquoli ,  poete 
facundissimi  condam,  in  loto  loco  convertendo  prò  anniversariis  et  sub- 
n'HtionibiM  conventi4s  dicti  monasterii  statuendis.  —  On  Ut  sur  la  cote: 
C'trta  viginti  soUdortim  solvendos  (sic)  in  festo  sancti  Michaelis  prò  an- 
niversario domini  Francisci  Petracchi  (ècriture  de  la  mème  epoque)  è 
Fouds  de  la  Chartr.  de  Montrieux.  —  Archives  du  département  du  Var.  — 

37 


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586  MONOGRAFIE  BIOGaAFICHB.  ] 

Une  note ,  sana  signature  ni  date,  qui  parali  ètre  du  sieda  demier ,  io^* 
tulèe  :  <  Remarques  sur  Gerard  Pètrarque ,  religieux  de  la  Chartreuse  i 
Montrieu  »  et  appartenant  au  mème  fonds,  mentionne  divers  «  eodnht?  - 
d*  un  livre  inanuscrit  dont  la  coaverture  est  de  parchemin ....  où  il  r>' 
question,  soit  de  Gerard  Petrarque,  moine  de  Monterieux,  soit  de  <  2^- 
FrancUcus  Petrarcha  de  Arcis  qui  legua  550  sols  en  1370.  » 

Canestrini  Giuseppe  (prof,  nella  Reg.  Univ.  di  Padova),  L 
.  Ossa  di  Francesco  Petrarca,  Studio  antropologico,   Padova. 
Prosperini,  1874;  Atti  della  Soc.  Ven.  Trentina  di  Scienze  Na-| 
turali,  1874,  p.  05-142.  ' 

Premessa  la  storia  delle  vicende  del  sepolcro,  e  corredatab 
di  preziosi  documenti  inediti  che  riguardano  segnatamente  h 
violazione  del  medesimo,  offerteci  le  misure  prese  stili*  ossa  ci 
ripresenta,  direi,  vivo  il  ritratto  fisico  del  Petrarca.  Ei  creiel 
di  non  andar  errato  dal  vero,  asserendo  che  la  statura  fc^>« 
di  metri  1,83  a  m.  1,84.  Ebbe  la  fronte  non  molto  alta  e  legl 
germente  fu^^gente,  le  dimensioni  del  frontale  indubbiametit.^ 
grandi  ;  la  faccia  corta  e  larga,  d' un  bel  colore  tra  il  biacco 
e  il  bruno,  il  naso  ben  prominente  e  largo  alla  base.  La  testa 
suol  dipingersi  con  espressione  volgente  allo  stampo  femmiiiH;'. 
Io  che  proverebbe,  come  ritiene,  che  il  teschio  appartenesse  al 
tipo  etrusco  antico,  quantunque  le  arcate  sopracciglia  ben  rii- 
zate  e  gli  zigomi  notevolmente  sporgenti  gli  dessero  usììb- 
pronta  virile,  che  contrastava  colla  generale  delicat^za  *ì^^ 
lineamenti.  Maggior  sviluppo  si  ebbero  gli  arti  posteriori  Li 
confronto  degli  anterìori  ;  fu  fortemente  muscoloso.  Nò  a  questo 
si  tiene  contento  il  prof.  Canestrini ,  ma  instituisce  confrocQ 
tra  le  dimensioni  che  si  riferiscono  a  quattro  teschi  di  uomini 
celebri,  Peti'arca,  Dante,  U.  Foscolo,  S.  Ambrogio.  —  La  lar- 
ghezza del  cranio  del  Petrarca  (mil.  140;  considerevolissima  la 
lunghezza,  cioè  di  187  mil.),  accenna  ad  un  cerebro  voluminoso 
(1666  grammi),  ed  in  tutte  lo  sue  parti  sviluppato,  e  quindi 
a  facoltà  psicologiche  di  potenza  superiore.  Se  non  che,  quan- 
tunque di  poco,  predominando  le  parti  posteriori  del  cerebi-o 
sulle  anteriori,  fatto  riflesso  alle  estensioni  della  regione  pa- 
rietale, egli  ammette  che  neh  Petrarca  i  sentimenti  e  gì*  in- 
stinti prevalessero  suir  intelligenza  che  pure  era  elevatissima. 
Lo  studio  del  valentissimo  professore  va  corredato  de*  relativi 
disegni  silogi^aiici  condotti  con  rara  precisione. 


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HONOORAPIB  mOGRAFICBE.  587 

Diomsi  Gian  Jacopo,  Del  focale  usato  dal  Petrarca,  dal 
Boccaccio  e  da  Dante,  quando  da  loro  usato,  e  come  fosse 
fatto.  Aned.  viu,  p.  11. 

Parolari  Giulio  Cbsarb,  Bella  reUgiosiià  di  Fr,  Petraìxa. 
Bassano,  Baseggio,  1847;  Milano,  Pirotta,  1857. 

HoRTis  Attilio,  Della  Vita  religiosa  di  Fr,  Petrarca.  Scritti 
inediti  di  Fr.  Petrarca,  Trieste,  Lloyd,  1874,  p.  277-305. 

V.  Mézières,  Pétrarque,  p.  410.  —  FracassetU,  Epist.  Fam. 
L.  V,  lett.  13;  xiv,  4. 

TI  soaTÌssimo  poeta  dell*  amore  Ai  quanto  mai  devoto  della  gran  Ver- 
frìne:  Amor  lo  spinte  a  dir  di  lei  parola^  e  gli  spirò  qaell^inno  elio  il 
Maculaj  disse  il  più  bello  del  mondo.  E  sempre  con  sé,  ne*  suoi  peregri- 
na(^gi;  come  cosa  cara  e  santissima ,  teneasi  V  ima^ne  venerata,  egregio 
dipinto  di  Giotto,  che  poi  morendo  legava  al  Signor  di  Carrara  con  queste 
memorabili  p«role:  —  <  Magnifico  domino  meo  Paduano,  quia  ipse  per  Dei 
graliam  non  eget,  et  ego  nihil  haboo  dignura  se,  dimitto  tabulam  meam 
sive  iconam  Beatae  Virginia  Mariae  opus  lotti  pictoris  egregii,  quae  mihi  ' 
ah  amico  meo  Michaele  Vannis  de  Florentia  missa  est,  cuius  pulchritudi- 
nem  ignorantes  non  intelligunt,  magistri  autem  artis  stupent.  Hanc  iconam 
ipsi  magnifico  domino  lego,  ut  ipsa  Virgo  Benedicta  sit  sibi  propitia  ad  fliium 
suum  Jesum  Christum.  »  —  Dono ,  dice  il  Tommaseo,  da  poeta  e  più  che 
da  re.  —  E  sin  da  quando  vivea  in  Valchiusa,  scriveva:  <  Ubi,  oro,  di- 
frnius  arae  Aieri nt  ?  Quas  ego  jam  pridem  Christum  tester ,  si  qua  voto 
facultate  affulserit,  illic  in  hortulo  meo,  qui  fontibus  imminet,  ac  rupibua 
subiacet  erigere  meditor,  non  Nymphis,  ut  Seneca  sentiebat,  neque  ullis 
fonlium  fluminumque  numinibus ,  sed  Mariae,  cuius  partus  ineffabilis  et 
foecunda  virginilas ,  omnesque  Deonim  aras  ac  tempia  subvertìt;  aderit 
ipsa  fortassis  ut  quod  diu  iam,  et  nisi  fallor  pie  cupie,  aliquando  perflciam. 
«e  De  Vita  solitaria ,  L,  n.  Ed.  Bas.  15&4.  p.  325.  —  E  nell'  Epist.  xv 
(Ielle  Varie,  da  Arqui,  1372,  a  Francesco  Bruni  :  «  Cupio  praeterea  et  di- 
spono,  Deo  dante  ^  non  templum  Marti  quantum  nusquam  esset  ut  Julius 
Caesar,  sed  unum  hic  parvum  oratorium  Beatae  Virgiui  extruere;  iamque 
opus  aggredior  :  etsi  deberem  libellos  meos  pignorare  vel  vendere.  »  —  E 
il  supremo  suo  voto  era  di  esser  sepolto  in  quella  chiesina,  sotto  la  fidata 
tutela  del  bel  /lore,  che,  come  il  fiero  ghibellino,  invocava  sempre  e  mane 
sera.  <  Si  autem  Arquadae,  ubi  ruralis  habitatio  mea  est  diem  clausero,  et 
Deus  tantum  mihi  concesserit,  quod  valde  cupio,  cappellam  ibi  exiguam 
ad  honorem  Beatissimae  Mariae  Virginis  extruere,  illic  sepeliri  rogo.  * 

Rossetti  Gabriele  ,  Dello  spirito  antipapale  die  produsse 
la  Riforma^  sulla  segreta  influenza^  cK  esercitò  sulla  lettera- 
tura di  Europa^  e  specialmente  d' Italia^  come  risulta  da  molti 
suoi  classici^  massime  da  Dante,  Petrarca  e  Boccaccio,  Lon- 
dra, Rolandi,  1832. 


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588  MONOGIUFIE  BIOGRAPICBS. 

De  Lk  Tour  M.  A.,  Laure  BeabHx  et  Piaìnmeita  Rcvl 
(le  Paris,  Maggio,  1834. 

//  mistero  delC  amoì'  platonico  del  Medio  Eco   dz\  • 

vato  dai  misteri  antichi,  Londra,  1842.  —  L^  entusiastico  ao:  . 
di  Dante  e  del  Petrarca  non  è  pei  Rossetti  che  un  simboU>::. 
d*  innovazioni  pericolose. 

Schlegel  \Vilhe>i,  Dante,  Pélrarque  et  Boccace^  d  p\- 
pos  de  r  ouvrage  de  M.  Rossetti.  Revue  des  deux  Mondes,  18^)' 
VII,  400-18.  —  Ristampata  negli  Essais  histonques  et  h'eu. 
dello  Schlegel,  Bonn,  Weber,  1842,  p.  407-437. 

Le  Dante,  Pétrarque  et  Boccace  jttstifiés  de  t  impr- 
ia iion  de  riurrésie.  Leipzig,  Weidmann,  1846. 

Mendelssohn  J.,  Bericht  ùber  Rossetti  s  Ideen  su  einer  erhi- 
ierungen  des  Dante  und  der  dichter  seiner  zeit:  in  sìcei  r.  - 
stelungen.  Berlino,  1844.  -«-  Idee  del  Rossetti  sopra  una  Due\ 
intei^retazione  di  Dante  e  de'  poeti  del  suo  secolo. 

De  Sade,  Sur  lejugemens  opposes  que  quelques  auteurs  gi*av.  - 
ont porte  sur  la  vie  et  les  moeursde  Pétrarque.  Note  premiere,  i.'J 

Mézières  a..  Le  caractère  de  Pétrarque,  Chap.  vui.  376-431 

Leroux  Pierre,  Rapport  entre  le  caractère  de  Pétran^ti. 
et  do  Rousseau.  Revue  Independant,  iv,  1842. 

Foscolo  Ugo,  Saggio,  sopra  il  cai*attere  del  Petrarca.  Fo- 
scolo, Opere,  Ed.  Le  Monnier,  x,  74-104. 

Aleardi  AleardOy  Discorso  su  F.  Petrarca,  9-16.  —  Cair- 
poni  Gino,  Storia  della  Rep.  Fr.,  T.  ni,  1.  ni,  e.  9,  p.  359.  — 
Rieppi  Ant.,  Discorso,  p.  64. 

Fuzet  J.  .  Pétrarque  ses  voyages,  ses  amis,  son  repenti^ 
Ile  Saint  Honorate,  Impr.  des  Moines  des  Lerins,  près  CaIlu^ '^ 
(Var.),  1874,  di  p.  326. 

Mézières  A.,  La  famille  et  Ics  amis  de  Pétrarque,  Pétrar- 
que, Chap.  IV,  147-220. 

Fracassetti  Gils.  ,  Trattato  suW  amicizia  del  Petrarca  co^ 
Boccaccio,  Epist.  voi.  in,  5-21.  —  Métières  A.  Pétrarque  et 
Boccace.  Pétì-arque,  199-220.  —  Bozzo  Gius.  Il  Peti-arca  e  i! 
Decamerone.  Estratto  dal  Propugn.  a.  viii,  1875. 

Lizio  Bruno  h.,  Il  Petrarca  e  Tomtnaso  da  Messina.  Estr.  I 
del  Propugnatore,  a.  ix,  1876. 


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MONOGRAFIE  BIOORAFICBB.  589 

Celbsia  Em..  Il  Petrarca  e  Guido  Scetten,  Il  Petrarca  in 
T^iguria,  p.  7  e  60. 

Il  Baldelli  consacra  un  articolo  per  darci  le  notizie  degli 
uomini  illustri,  più  caramente  diletti  dal  Petrarca  (241-299). 
Aiiohe  il  Tiraboschi  ce  ne  parla  alquanto  stesamente.  Ma  nes- 
suno meglio  del  Fracassetti.  Non  v'ha  persona  con  la  quale 
il  Petrarca  tenesse  corrispondenza  che  non  ce  ne  dia  esatto 
ragguaglio,  che  non  ne  esamini  le  corse  relazioni,  e  le  illustri 
(^on  critico  senno,  sicché  a  mano  che  tu  leggi  le  Lettere,  nelle 
note  che  seguono,  ei  ti  presenta  Tuno  dopo  T altro  e  cono- 
.^ccnti  e  amici  del  Poeta,  e,  direi,  ce  li  fa  redivivi. 


CASA  DEL  PETRARCA. 


La  più  antica  memoria  che  ne  abbiamo  è  del  1552,  anno 
in  cui  Paolo  Yaldezoco  dichiarò  di  possederla  per  acquisto 
dio  ne  fece  dai  Frati  di  S.  Giorgio  Maggiore  di  Venezia.  Nel 
1 556  n*  era  'al  possesso  Andrea  Barbarigo  che  ne  cesse  la  pro- 
prietà a  Francesco  Zen.  Questi  nel  1603  ha  venduto  la  rasa 
ed  il  podere  a  Girolamo  Gabrielli,  ed  i  nipoti  di  esso  nel  1677 
ne  passarono  il  dominio  a  Gio.  Antonio  ed.  Angelo  Cassici.  La 
famiglia  Gabrielli  acquistò  nuovamente  lo  stabile  nel  1695,  ed 
avendo  Fiordispina  Gabrielli  (figlia  ed  erede  di  Pietro),  con- 
tratto matrimonio  con  Alessandro  Dottori,  pose  il  marito  ed  i 
figli  al  possedimento  di  quel  podere.  Pietro  Dottori,  discen- 
dente di  Alessandro,  ebbe  due  figlie,  V  una  delle  quali  divenne 
moglie  di  Cai*lo  dei  co.  Silvestri,  padre  del  Cardinale. 

Dair  Istrumento  conservato  nella  Raccolta  del  dott.  A.  Piazza 
(proprietà  ades.^0  del  comune  di  Padova),  stipulato  addi  22 
Giugno  1370,  si  raccoglie  che  il  Petrarca,  col  mezzo  del  suo 
procuratore  e  rappresentante  Lombardo  Asserico,  venisse  a 
possésso  di  altro  terreno,  attiguo  all'acquistato  vigneto:  — 
«  Predo  librarum  trecentarum  denariorum  parvorum  bone 
et  usualis  monete  paduane  quos  omnes  denarios  et  precium 
integrum  Magister  Lingua  solator  (Calzolaio),  quondam  ser  hen- 


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590  CASA  DEL  PETRARCA. 

nei  de  placiola....  confessus  fuit  recepisse  ac  re  vera  haboìt 
et  recepii  a  Lombardo  a  serico  filio  quondun  sor  Jaoobi  de 
contracta  straziarìarum  de  padua  ibidem  presente  ac  empite 
solvente  et  numerante  de  proprìis  denariis  et  pecunia  Venera- 
bilis  et  sapienUs  viri  domini  Franciad  petrarce  Canone'  pa- 
duani  et  fili  quondam  domini  petri  de  Lanchisa   àffocesìs 

fiorentine  ad  presens  padue  haìntaniis  in  contrata  2>omi 

dedit,  vendidit,  cessit,  tradidit  et  mandavit....  imam  paciaci 
terre  vineate  da  vineis  garganicis  (uva  garganega),  piantate 
arbonbus  fructiferis  unius  campi  cum  dimidio  vel  circa  ìacentis 
in  Villa  et  pertinenciis  Arquade  paduani  districtus  in  contracta 
Yentoloni,  cui  coherent  ab  una  parte  dictus  dominus  Frandscxis 
Petrarca,  ab  alia  Albertus  bonus  de  ovetario  de  cittadella,  ab 
alia  dominus  padue,  et  ab  alia  quedam  via  consortiva  et  forte 
alie  sunt  coherenciae.  »  Ne  fu  notaio:  ego  Nicolaus  fiUits 
quondam  Ser  Banholomei  Dominici  civis  paduanus  qui  haàii^j 
padue  in  centenario  sancti  ihomaxii  quartierio  et  contrata 

Domi —  n  documento   è  per  intero  riportato  da  A.  Mal- 

mignati  nel  suo  Petrarca  a  Padova^  a  Venezia  e  ad  Arquà, 
p.  91-96.  Esso  ricorda  pure  il  decreto  del  principe  da  Carrara, 
in  data  14  Aprile  1370,  che  accordava  a  Fran.  Petrarca  facoltà 
di  comperare  beni  immobili,  facoltà,  come  osserva  il  pro£  Giona, 
non  concessa  ordinariamente  ai  forestieri. 


DOCUMENTI. 

I. 

Atto  di  donazione  da  parte  di  S,  Em.  il  Cardinal  Sihestri 
della  casa  del  Petrarca  in  Arqità  al  Comune  di  Padova  (1). 

Nel  nome  di  Dio,  Possiede  il  sottoscritto  Cardinale  la  casa 
già  di  proprietà  ed  ove  rese  T  anima  al  Creatore  il  sommo 
Poeta  e  Pensatore  messer  Francesco  Petrarca  con  annesso  tei^ 
reno,  il  tutto  situato  in  Arquà  padovana  con  il  seg^olone  e 
la  credenza,  oggetti  già  d'uso  del  pre&to  Cantor  di  Laura, 

(1)  Donazione  sancita  dal  R.  Decreto  28  Nov..  1875. 


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CASA  DEL   PETHARCA.  591 

oonservati  sotto  apposita  custodia  con  cristallo,  la  gatta,  (1)  i 
erodici  così  detti  Petrai'cheschi,  alcune  mobilie  ed  una  copia  di 
tutte  le  opere  del  Petrarca  pubblicate  per  cura  del  prof.  Mar- 
s^nd,  lascito  fatto  dal  medesimo  alla  Casa  del  grande  Poeta 
elle  si  custodisce  dal  rev.  Arciprete  prò  tempore  di  Arquà. 

Nel  desiderio  di  perpetuarne  la  conservazione,  il  sottoscritto 
proprietario  Cardinale,  ò  venuto  nella  determinazione  di  donare 
il  tutto  al  Municipio  .di  Padova,  riservandosene  per  altro  l'u- 
sufrutto e  possesso   vita  naturale  durante.   E  volendo  che  il 
tutto  risulti  da  pubblico  istrumento,  perciò  col  presente  chiro- 
g'rafo  mandato  di  procura  da  valere,  ecc.  ecc.,  lo  scrivente, 
cieputato  in  suo  speciale  Procuratore  il  sig.   can.  D.  Pietro 
Failetti,  suo  segretario,  figlio  del  fu  Antonio,  romano,  domi- 
ciliato in  Roma,  via  Luchesi,  Palazzo  Potenziani,  n.  31,  a  poter 
a  nome  e  vece  di  esso  Mandante,  donare  al  Municipio  di  Pa- 
dova tanto  la  casa  ove  rese  a  Dio  la  sua  grande  anima  il 
sommo  poeta  e  filosofo,  posta  in  Arquà  padovana,  con  le 
reliquie  delle  modeste   mobilie,  tra  le  quali  il  Petrarca  pensò 
le  sue  sublimi  ed  ultime  sue  meditazioni,  quanto  il  terreno 
annesso  e  la  copia  di  tutte  le  sue  opere,  ecc.  ecc.,  come  si 
disse  di  sopra,  coir  obbligo  al  Donatario  di  non  permettere 
a  chicbessia  per  rispetto  e  venerazione  al  Sommo  che  Tabitò 
di  prendere  stanza  ne*  due  piani    che  costituiscono  la  casa  di 
Petrarca,  e  di  continuare  a  tenere  una  persona  civile,  che  non 
sia  analfabeta  col  titolo  di  Custode  della  casa,  il  quale  dovrà 
abitare  nel  paese  di  Arquà,  per  potersi  prestare  a  tutte  le  ri- 


(1)  <  stetti  tre  giorni  sono  a  Padova*  e  di  là  mi  portai  a  visitare  le 
ossa  onorate  del  nostro  divino  Petrarca,  cne  si  conservano  ad  Arquà,  dove 
ancera  si  vede  la  sua  casa,  la  sua  sedia ,  e  la  sua  gatta  famosa.  »  —  ZrO' 
renso  Pandatìchi,  ad  Antonio  Magliabecchi,  21  Luglio  1663.  —  Il  Pan- 
ciatichi  avrà  in  quell'occasione  ricordati  que*  versi  del  Tassoni: 

E*l  bel  colle  d' Arquà  poco  in  disparte, 

Che  quini  il  monte  e  quindi  il  pian  vagheg^a; 

Dove  giace  colui,  nelle  cui  carte 

L' alma  fronda  del  sol  lieta  verdeggia  ; 

E  dove  la  sua  gatta  in  secca  spoglia 

Guarda  dai  topi  ancor  la  dotta  soglia. 
A  questa  Apollo  già  fé'  privilegi, 

Che  rimanesse  incontro  al  tempo  intatta, 

E  che  la  fama  sua  con  vari  fregi 

Eterna  fosse  in  mille  carmi  fatta  : 

Onde  i  sepolcri  de'  superbi  regi 

Vince  di  gloria  un'  insepolta  gatta. . . . 


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592  CASA  DEL  PETRARCA.  ' 

cerche  dei  nostrani  ed  esteri  che  si  recano  da  tutte  le  pani 
del  mondo  a  visitare  si  cara  memoria. 

Qualora  poi  in  progresso  di  tempo  il  donatario  mettesse?  in 
non  cale  o  lasciasse  andare  in  fatiscenza  la  Casa  di  messer 
Francesco  Petrarca  con  disdoro  nazionale,  in  questo  caso  lo 
scrivente  intende  e  vuole  che  al  Municipio  di  PadovA  si  sosti- 
tuisca la  Regia  Università  Patavina  (1),  intendendo  e  volendo 
adesso  per  allora  come  non  avvenuta  la  preiata  donazione. 
perchè,  cosi  ecc.,  non  altrimenti  ecc. 

II  sottoscrìtto  conferìsce  le  più  ampie  facoltà  al  sig'.  Pro- 
curatore costituito  di  meglio  precisare  tanto  gK  immobili  con 
i  numeri  di  Mappa  e  confini,  quanto  gli  effetti  mobili,  perchè 
possa  in  ogni  futuro  tempo  essere  constatata  V  identità.  E 
questa  donazione  fare  ed  eseguire  per  il  principale  scopo  di 
provedere  alia  conservazione  relativa  per  la  memoria  dell*  in- 
signe Poeta ,  riservando  per  altro  al  donatore  Y  usufrutto  •/ 
possesso  vita  sua  naturale  durante,  stipulare  in  oggetto  pub- 
blico istrumento  con  le  relative  clausole,  dando  perciò  al  sì  ir. 
Procuratore  come  sopra  costituito  tutte  le  più  ampie  facolti-. 
e  poteri  quantunque  meritevoli  di  speciale  menzione,  dovendo 
per  r  oggetto  essere  considerato  come  la  Persona  stessa  de! 
Mandante,  che  promette  fin  da  ora  di  avere  il  suo  operato 
sempre  valido  e  fermo,  rilevandolo  non  solo  in  questo  ina  in 
ogni  altro  modo  migliore. 

Roma,  venti  Giugno  mille  ottocento  settantacinque. 

Firm.  Pietro  card.  Silvestri^  deputa  come  sopra. 
Firra.  Antonio  can.  Quadrini^  testimonio. 
Firm.  Cesare  Diaciainti,  testimonio. 

NEL   NOME   DI   DIO. 

Regnando  Sua  Maestà  Vittorio  Emanuele,  per  grazia  di  Dio 
e  per  volontà  della  Nazione  Re  d'Italia. 

Il  giorno  20  del  mese  di  Giugno  deir  anno  mille  ottocento 
settantacinque,  1875.  Indizione  romana  terza. 


(1)  Co\  R.  Decreto  2  Aprile  1876  la  R.  Università  di  Padova,  <  a  fomu 
deir  atto  di  donazione  venne  a  sottentrare  opiale  dcmataria  sostituita  al  co- 
mune di  Padova  qualora  esso  Comune  venisse  a  decadere  dal  diritti  eh** 
gli  risultano  dalla  presenta  donazione.  > 


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CASA  DEL  PETRARCA.  593 

Certifico  io  dottor  Erasmo  Cicco] in*,  Notare  pubblico  di  Roma, 
i  studio  in  via  degli  ufficii  dell' Eminentissimo  Vicario,  nu- 
lero  quarantaquattro,  qualmente  sua  Eminenza  Reverendi»- 
ma  il  signor  Cardinale  Pietro  de'  Conti  de  Silvestri,  nato  in 
,ovigo,  figlio  del  fu  co.  Carlo,  che  io  Notare  ho  Tenore  di 
:>n  conoscef e,  di  sua  spontanea  volontà,  neir  attuale  residenza 
l  palazzo  già  Stampa,  ora  Pedicini,  ha  firmato  alla  mia  pre- 
3nza  il  retroscritto  Mandato  di  Procura  unitamente  al  Revc- 
»ndo  Signor  Canonico  Don  Antonio  del  Signor  Pietro  Qua- 
rini.  Romano,  domiciliato  in  piazza  dell*  Oratorio  di  San  Mar- 
silo  n.  74  ed  al  Signor  Cesare  del  fu  Marco  Diaciainti  da 
esterla,  Provincia  di  Massa  e  Carrara,  impiegato,  domiciliato 
)  Roma,  via  del  Monte  Giordano,  n.  34,  come  testimoni  a  me 
iotaro  egualmente  noti.  In  fede. 

Fìrra.  Erasmo  CiccoUni^  Notaio  pubblico  a  Roma. 
L.  S. 
Visto  per  la  leggilizzazione  della  firma  del  Notare  Ciccolini. 
Il  Presidente  del  Trib.  Civ.  e  Correzionale 
Firm.  R.  Cozzi 
Roma,  20  Giugno  1875. 


Accettazione  del  Legato, 

Consiglio  Comunale  di  Padova 

essione  straordinaria.  —  Seduta  pubblica  del  14  Luglio  1874, 

presenti  Consiglieri  33. 

Ommissis 

Lieti  di  questo  avvenimento  e  superbi,  che  la  Città  nostra 
a  stata  scelta  a  custode  della  Casa  in  cui  rese  a  Dio  la 
rande  anima  il  sommo  poeta  e  filosofo  e  delle  modeste  me- 
]ìe,  fra  le  quali  esso  pensò  le  sublimi  ed  ultime  meditazioni, 
^  possiamo,  ricordando  il  passato,  non  esprimere  vivi  sensi 
i  riconoscenza  a  Colui   che  ci  conservò  le  preziose  reliquie 


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594  CASA  DEL  PBTRARCA. 

con  affetto  di  cittadino  —  noQ  possiamo  oggi  non  ringraziarla 
per  r  alto  onore  impartito  a  Padova,  ov'  è  una  religione  il  cnlt. 
delle  gloriose  memorie. 

Vi  proponiamo  adunque: 

1.^  Di  accettare  il  dono  della  casa  in  Àrquà,  ore  mori  M-^- 
ser  Francesco  Petrarca,  della  mobilia  e  terreno  annesso,  fatt> 
da  S.  Em.  il  Card.  Pietro  dei  Co.  De  Silvestin  : 

2.°  di  autorizzare  il  Sindaco  a  stipulare,  salve  le  approTa- 
zioni  di  legge,  il  contratto  relativo,  accettando  gli  oneri  e  1- 
condizioni  poste  dal  donatore,  e  ritenendo  a  carico  del  Comua- 
le  spese  inerenti  al  contratto  medesimo  che  saranno  paga> 
sul  fondo  di  riserva: 

3.**  di  esprimere  a  Sua  Eminenza  il  Cardinale  Pietro  «ir; 
Conti  De  Silvestri  i  sentimenti  di  riconoscenza  del  Consiglk 
per  Tatto  generoso. 

Dopo  alcuni  schiarimenti  offerti  dal  Preside  all'onoreva- 
Pertile  relativi  alla  donazione,  il  prof.  Callegari  palesa  lapn:- 
pria  soddis&zione  per  tale  avvenimento,  e  soggiimge,  e  intere^s 
vivamente  la  Giunta,  che  nello  esprimere  la  riconoscenza  à-. 
Consiglio  all'  illustre  donatore  rilevi  sopra  tutto  la  nostra  gicè 
per  vedere  compiuto  un  atto  tanto  generoso  per  parte  di  '- 
Principe  della  Chiesa.  —  In  questi  tempi  è  consolante  il  reà^ 
il  Cardinale  Silvestri  tenere  in  cosi  alta  considerazione  la  àr 
mora  in  cui  visse  e  mori  il  poeta,  il  filosofo  del  sec.  XH: 
pensare  a  confidarne  la  custodia  al  comune  di  Padova  ;  a  nd 
che  nel  culto  delle  patrie  memorie,  e  nell*  onore  a  quel  Gnis:- 
riconosciamo  accresciuto  quel  patrimonio  di  glorìa,  eh*  è  pr^ 
cipuo  impulso  alla  felicità  ed  al  progresso  di  questa  cara  ItaLi 
che  benedici  amo  redenta.  » 

Nessun  altro  chiese  la  parola,  e  le  tre  proposte  della  Giuiiti 
vengono  successivamente  approvate  per  alzata  e  seduta  ce. 
voti  favorevoli  33,  contrario  nessuno. 

Il  Preside  proclama  il  risultato  delle  votazioni. 

IL  PRESIDE 

Firm.  PICCOLI 

//  Cons.  Anziano  II  Segretario 

Firm.  Maluta  G.  B.  Firm.  P.  Bassi 


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ÌCASA  DEL  PETRARCA.  595 


III. 


Indirizzo  del  Sindaco  di  Padova  Com,  Piccoli 
a  S,  Em,  il  Card.  Silvestri. 


Eminenza! 

Stipulato  ristrumento,  mediante  il  quale,  per  la  splendida 
liberalità  deirEm.  V.  passa  in  proprietà  del  Comune  la  casa 
ili  Arquà,  ove  mori  messer  Fr.  Petrarca,  e  la  mobiglia  e  il 
terreno  annesso,  non  posso  non  farmi  interprete  dei  sentimenti 
di  riconoscenza  espressi  dai  cittadini  a  mezzo  del  Consiglio 
Comunale  verso  Colui  che  conservò  le  preziose  reliquie  con 
riverente  affetto,  ed  impartì  l'onore  di  custodirle  a  Padova, 
ov*  è  una  religione  il  culto  delle  grandi  memorie. 

Nel  compiere  questo  atto  doveroso,  aggiungo  essere  in  noi 
tutti  viva  la  compiacenza  pensando  che  TEm.  V.  abbia  concepito 
ed  attuato  la  patriotica,  generosa  e  gentile  idea  di  tramandare 
intatte  alla  posterità  quelle  sante  memorie,  affidandole  a  questo 
Comune.  Quanti  poi  sono  i  cultori  degli  studi!  ricorderanno 
sempre  con  grato  animo  il  nome  di  V.  Em.  nei  loro  tradizio- 
nali pellegrinaggi  alla  venerata  memoria  del  Poeta,  del  Filo- 
sofo, del  Cittadino. 

Aggradisca  TEm.  V.  in  pari  tempo  l'attestato  della  mia 
distinta  considerazione  e  del  mio  profondo  ossequio. 

Padova,  H  31  Luglio  1875. 

Il  Sindaco 
Piccoli 


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590  CASA   DEL  PETRARCA. 


IV. 

Posi  sione  di  una  lapide  nel  cortile  pensile  del  Palar  xo  Mu- 
nicipale per  ricordare  il  dono  della  casa  di  Petmrva  in 
Arqità  fatto  da  S.  Em.  il  Card,  Pietro  dei  Conti  De  Sil- 
vestri al  Comune  di  Padova. 

Consiglio  Comunale  di  Padova 

Sessione  sti'aordinaria.  —  Seduta  pubblica  del  4  Agosto  1875, 

presenti  Consiglieri  26. 

Il  Sindaco  annuncia  che  la  Giunta  comunicò  a]  Cardinale 
Pietro  dei  Conti  De  Silvestri  le  dichiarazioni  di  riconoecoosi 
del  Consiglio  pel  dono  della  Casa  in  Arquà  ore  mori  Messaer 
Francesco  Petrarca,  e  che  il  Cardinale  rispose  subito  espri- 
mendo sentimenti  di  viva  soddisfazione.  —  Avverte  quindi,  che 
nel  31  Luglio  venne  stipulato  nelle  forme  solenni  il  regolare 
istrumento,  e  dice,  che  la  Giunta  per  non  mancare  alla  «w>- 
suetudine  di  rendere  perenne  il  ricordo  di  coloro  che  donaoo 
al  Comune  preziose  raccolto  d'arte  o  di  storia,  propone  ch« 
una  lapide  sia  posta  nel  cortile  pensile  del  Palazzo  Municipale 
a  memoria  dell'atto  libéralissimo  compiuto  dal  Cardinale  Sil- 
vestri. Di  tal  modo,  egli  conchiude,  addimostreremo  di  ricono- 
scere il  valore  morale,  ohe  viene  da  noi  attribuito  a  queir  atto 
tanto  gradito  a  Padova  non  solo  ma  a  tutta  Italia. 

La  spesa  della  lapide  sarà  sostenuta  con  le  spese  assegnata 
al  fondo  di  riserva. 

Marcon  è  d'avAÌso  che  la  lapide  sia  meglio  collocata  nella 
Casa  in  Arquà,  poiché,  in  guisa  diversa,  si  stabilirebbe  un  pre- 
cedente, che  altri  forse  invocherebbero. 

Il  Preside  osserva,  che  per  ora  quella  lapide  non  sì  può 
porre  nella  casa  in  Arquà,  la  quale  rimane  in  usufrutto  al 
Cardinale,  che  d' altrond  e  per  modestia  non  ne  permetterebbe 
la  collocazione.  Riconosce  che  si  tratta  di  una  deliberazione 
straordinaria,  ma  rìleva  che  pure  straordinario  è  il  dono,  e 
prega  l'onorevole  Marcon  a  desistere  dalia  sua  proposta. 

Marcon  non  insiste. 


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CASA.  DSL  PETRARCA.  597 

Pertile  desidera  che  il  Consìglio  stabilisca  fin  d'ora  la  col- 
locazione di  una  lapide  nella  Casa  d' Arquà  dopo  la  morte  del 
Card.  Silvestri. 

II  Preside  ritiene  che  basti  una  raccomandazione  nel  senso 
espresso  dair  onorevole  Pertile,  —  raccomandazione,  che  regi- 
strata nel  verbale,  sarebbe  come  un  legato  ai  nostri  successori. 

Pertile  si  associa  alle  idee  del  Preside. 

Callegari  raccomanda  che  la  iscrizione  sia  fatta  in  italiano, 
e  chiede  per  quale  motivo  non  sia  unita  colla  proposta  della 
Giunta. 

Il  Preside  risponde  che  non  furono  mai  votate  dal  Consiglio 
le  iscrizioni,  ed  assicura  che  quella  di  cui  trattasi  sarà  scritta 
in  italiano. 

Callegari  accorda  volentieri  la  sua  fiducia  alla  Giunta  per 
la  redazione  della  iscrizione,  raccomanda  solo  si  rimarchino  in 
essa  l'importanza  del  dono,  e  T epoca  in  cui  fu  fatto. 

Nessun  altro  ciiiede  la  parola  e  la  proposta  della  Giunta 
con  la  raccomandazione  Pertile  viene  approvata  da  voti  favo- 
revoli 26,  contrain  nessuno. 

Il  Preside  proclama  il  risultato  della  votazione. 

IL  PRESIDE 

Firra.  PICCOLI 

//  Cons,  Anziano  II  Segretario 

Finn.  Maluta  G.  B.  Firn.  P.  Bassi 


Onorevole  Signor  Sindaco 

Albano  Laziale^  5  Ag.  1875. 

Il  dispaccio  della  S.  V.  datato  5  Agosto  mi  ha  recato  la 
gradita  notizia  che  codesto  Consiglio  Comunale  ad  unanimità 
ha  decretato  di  collocare  in  luogo  cospicuo  di  codesto  palazzo 
Municipale  una  lapide  a  perenne  ricordo  del  dono  da  me  fatto 
alla  nobilissima  città  di  Padova. 

Digitized  by  V^OOQlC 


508  CASA   DEL  FBTRABCA. 

Ritengo  \ìeTÒ  che  la  decretata  la^de,  più  che  a  tntnua- 
dare  ai  po&teri  la  donazione  della  Casa,  ove  rese  l'ultiino  k- 
spiro  il  sommo  Poeta,  Filosofo  e  Cittadino,  Mesaer  Franoeseo 
Petrarca,  servirà,  come  spero,  di  sprone  agli  altri  a  ben  me-  ^ 
ritare  della  patria. 

Ed  in  questa  persuasione,  prego  Lei,  onorevole  Signor  Sin- 
daco, a  farsi  interprete  presso  l'intero  Consiglio  dei  sensi  à 
gratitudine,   dai  quali  è  intimamente  compreso  T animo  mio. 
mentre  con  distinta  stima  e  profondo  ossequio  mi  dichiaro 
Di  Vostra  Signoria 

Obbligatissimo 
PiBTRo  Cahd.  Db  SiLVRsnti 

Sua  Eminenza  il  Cardinale  Pietro  Silvestin  mori  il  19  No- 
vembre 1875.  —  Ma  le  lapidi  commemorative,  decretate  dal 
Consiglio  Comunale,  non  furono  ancor  collocate,  né  nel  cortile 
pensile  del  palazzo  civico,  né  in  Àrquà  ;  e  per  quanto  mi  consta, 
non  fu  dettata  tuttavia  veruna  iscrizione  su  tale  argomentol'' 
(19  Febbraio  1877). 


VICENDE  DELLA  TOMBA  DI  FR.  PETRARCA. 

DOCUMENTI  RELATIVI  AL  FURTO  DEL  1630. 

I. 

Brano  di  documento  tolto  dalC Archivio  comunale  in  Arywd 
che  narra  i  particolari  del  caso,  pubblicato  la  prima  volta 
dair  illustre  Carlo  Leoni, 

4L  Da  parte  da  drio  de  la  tomba  che  guarda  mezzodì  e  po- 
nente, dove  è  ora  un  pezo  de  marmo  de  Verona  in  profilo 
messo  con  arte  che  sera  la  dita  tomba  con  arpioni  fermai  de 
piombo,  Tarpion  più  grande  al  tramontar  del  sole  ga  nel  piombo 
el  segilo  de  S.  Marco,  stema  de  la  rep.  veneta,  nell'  altro  alla 
senistra  el  segilo  de  la  cita  de  Padoa  che  in  grande  è  pur 
r  inziso  sul  dito  arpion  *  e  si  vedono  indicai  T  anno  con  V  ini- 
ziali de  la  cita  come  segue  C.  1630.  P.  che  voi   dir   Civitas 


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VICENDE  DELLA.  TOMBA  DI  FR.  PETRARCA.  599 

E^atavina.  De  sto  sacrilego  rubamento  fìiit  causa  un  certo  ira- 
tazio  regulare  de  nome  Tomaso  Martinelli  de  Portogruaro  qua 
spedito  aposito  da*  Fiorenzini  con  ordene  d*  esportar  qualche 
particola  de  quel  corpo  benedeto;  e  questo  per  invidia  che  i 
inostri  padovani  i  gavesse  quel  caro  corpo;   a  seconda  de  sti 
ordeni  el  deto  frate  el  tentò  de  aver  qualche  cosa  de  uso  de 
c^uel  gran  poeta  ma  in  vano;  el  pensò  con  dinari  de  guada- 
g^nar  el  degano  del  paese  batista  polito,  un  Stefano  fabro,  un 
zulìo  gaio,  zaneto  bono  e  un  fioleto  de  dodese  anni  fiolo  de  dito 
zulio  e  insieme  con  questi  dopo  la  mezanote  del  27  magio  1630, 
siccome  era  note  oscura  e  forte  burasca  con  gran  majo  a  roto 
r  angolo  de  ponente,  poi  le  casse  in  cui  era  sera  quel  corpo  (1) 
e  fato  pasar  el  brazio  del  puto  cavò  non  senza  gran  resistenzia 
el   brazio  destro  e  questo  fato  quel  ladro  frate  scapò  co'  tutti 
i  so  complici  ;  alla  matina  visto  el  caso  T  atual  degnissimo  Vi- 
cario diede  segno  al  comun  facendo  sonare  campane  a  martello, 
e  poi  informò  el  rap.  de  Padoa  e  con  ducale  1 1  setembre  sotto 
el  gran  dose  Nicola  Contarin  ordina  che  sia  chiusa  V  urna  pre- 
ciosa  fazendose  severa  inquisizion  su  i  rei   e  se  non  invenudi 
isso  fato  i  gabìa  bando.  »  —  Leoni,  Opere  Storiche,  ii,  41; 
Padova  a  Francesco  Petrarca,  70;  Canestrini,  L'ossa  di  Fr. 
Petrarca,  85,  ed  Atti  della  Soc,  Yen,  Trentina  di  Scienze  Na- 
turali, voi.  Ili,  1874,  p.  133. 

II.  (2) 

1630  a  11  di  Settembre  —  in  Pregadi. 

Ai  Rettori  di  Padova. 

Per  una  stampa  di  costi  restiamo  con  grande  ammirazione, 
e  con  egual  displicenza  avvisati  déiresacrabile  arditezza  di  chi 
sia  andato   ad  aprir  l'arca   del  famoso  Petrarca,   et  con  lo 

(1)  Annota  giustamente  il  Leoni  :  <  È  inesplicabile  come  questo  scritto, 
coevo  air  epoca  della  rottura  della  tomba ,  ripeta  V  errore  essere  stato  il 
poeta  sepolto  in  due  casse,  »  anziché  sopra  una  nuda  tavola  di  larice,  come 
si  ebbe  a  rilevare  in  occasione  del  restauro.  Il  Leoni  trascrisse  verbo  a 
verbo  questo  documento  dall'Archivio  di  Arquà,  che  sebbene,  ei  dice,  in 
barbara  dicitura,  è  a  tutti  intelligibile,  e  spifa  una  fidente  ingenuità. 

(2)  I  Documenti  dal  ii  all'  vni  vennero  tratti  dair  Archivio  Generalo  di 
Venezia,  e  pubblicati  la  prima  volta  dal  prof.  Canestrini. 


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600  VICENDE  DELLA  TOMBA  DI  FR.  PETRARCA. 

smembrare  il  suo  corpo  q'  habbia  tratta  alcuna  parte,  cootv 
venendo  empiamente  alle  leggi  delia  pietà ,  e  dell*  humaiiit^ 
stessa,  e  per  prezzo  di  denaro,  come  può  supporsi,  veoden' . 
quello,  cbe  non  poteva  haver  prezzo  e  dispensando  con  baldaiiij 
inescusabile  ciò  che  senza  licenza  del  Principe,  che  a  ragio:i- 
gode,  che  siano  nello  stato  suo,  e  vi  riposino  V  ossa  di  buon.- 
cosi  insigne,  non  poteva  toccarsi  né  ardirsi  di  separare  ^r. 
modo  alcuno.  Volemo  però  col  Senato  che  dobbiate  formar  c- 
lìgentissimo  processo  sopra  il  caso  di  questa  temerità,  e  ter- 
minato che  sia  mandarci  il  contenuto  d' esso  sotto  vostro  giu- 
ramento per  quelle  risolutioni  che  stimeremo  bene  di  &re  L 
occasione,  reputata  da  noi  di  grande  momento  per  tutti  li  rispetti 

Lecta  Serenissima  Si^oria 
Aff ostino  ViannoloSegreUxi . 

(Senato  Delìb.  Terra  1630  Sett.'  f.*  N.  317). 


IH. 

Seraiìssimo  Principe, 

Ricevemo  questa  mattina  le  lettere  di  V.  Serenità  di  XI  dei- 
r instante  con  l'ordine  di  formare  diligentissimo  processo  sopn* 
il  caso  della  gravissima  temerità  commessa  da  quelli ,  che  li 
mesi  passati  ardirono  empiamente  di  aprire  con  violenza  c<^' 
luoco  di  Arquà  l'Arca  del  famoso  Petrarca,  et  di  asportarti^ 
gli  ossi  di  un  braccio,  con  sprezzo  d'ogni  legge,  et  contxj 
rhumanità  stessa,  aggiongendoci  di  dorernele  dare  con  giu- 
l'amento  il  dovuto  conto  :  11  che  ci  vien  fatto  di  potere  esequire 
anco  immediate,  perchè  habbiamo  ritrovato  che  Tlllus-**  Sig' 
Podestà  precessore  fece  formare  con  diligenza  questo  processe, 
et  farne  anco  la  visione  da  uno  de'  suoi  giudici  ;  Dal  qual 
processo  appare,  che  sin  la  notte  delli  27  maggio  pass.®  fu 
commesso  il  detto  essecrabile  eccesso,  et  11  rei  furono  un  frat^ 
Domenicano  nominato  Fra  Tomaso  Martinelli,  che  predicò  U 
quaresima  passata  nella  chiesa  di  Arquà,  et  che  per  la  morte 
dell'Arciprete  di  detta  chiesa,-  haveva  all' bora  anco  la  cura 
in  luoco  di  esso  Arciprete,  et  fu  accompagnato  da  un  Bastiaii 


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VICENDE  DELLA   TOBCBA  DI  FR.  PETRARCA.  601 

Politi  Degan  del  luoco,  da  un  Steffano  favro,  et  da  altri  cin- 
que che  quella  sera  andati  tutti  a  cena  con  detto  predicatore, 
commisero  unitamente  il  &tto,  levando  a  viva  forza  un  tassello 
di  pietra  da  detta  Arca,  con  scalpelli,  et  seghette,  et  da  quel 
foro  il  frate  con  un  Ronchetto  tirò  fuori  due  ossi  di  un  braccio 
di  quel  huomo  venerando,  et  li  portò  via.  Fu  da  questa  Mag.^ 
Città  &tta  accomodare  et  assicurare  quell*Arca;  con  tutto  ciò 
alli  19  di  agosto  pass.^  da  genti  incognite  fu  di  nuovo  tentato 
di  romperla  pur  di  notte,  ma  in  vano,  et  ò  stata  con  nuova 
diligenza  dall' istessa  città  maggiormente  assicurata;  Del  qual 
secondo  tentativo  ne  fece  parimente  formar  processo  esso  ill.'^ 
Sig/  Podestà  precessore  con  reiterata  missione  di  un  Nodaro  sul  ' 
luoco  ;  Et  essendosi  maggionnente  detta  Mag.'^  Città  risentita 
di  questo  replicato  eccesso,  comparvero  li  Signori  Deputati, 
davanti  esso  111.^  Podestà  precessore ,  et  fecero  instanza  che 
tutto  il  presente  negotio  fosse  rappresentato  alla  Serenità  Vo- 
stra per  ottenere  accrescimento  di  autorità  a  dovuto  castigo 
dei  Rei,  che  non  essendo  seguito,  hanno  pur  essi  Sig.'^  De- 
putati ultimamente  presentata  una  scrittura,  perchè  fosse  man- 
ciata alla  Serenità  Vostra,  la  qual  dopo  ricevuta,  mentre  pen- 
savimo  d' inviarla  con  T  informatione  suddetta  al  Eccelso  Cons.® 
de  X.«*  ci  sono  sopragionte  le  sopradette  lettere,  in  obbedienza 
de  quali  portiamo  a  V.  Serenità  la  serie  intiera  di  questo  fatto 
per  sua  compita  informatione  del  seguito  con  la  scrittura  me- 
desima. Gratie. 

Di  Padova  li  xv  di  Sett.  1630. 

Vincenzo  Capello  Podestà  di  man  propria  con  giuramento. 
Pietro  Sagredo  Capitano  con  giuramento  di  man  propria. 

IV. 

lU.  et  Ecc.  Signori  Rettori, 

Non  vi  è  delitto  che  maggiormente  detesti  la  lego,  et  abo- 
risdbó  la  natura,  quanto  il  violar  i  sepolchri,  et  mquietar  le 
ceneri  de  morti,  che  perciò  nominando  gli  antichi  legislatori 
oon  titolo  dì  sacril^io  volsero  che  fosse  punito  con  severis- 
sime pene  di  morte,  et  anco  di  confiscatione  dei  beni. 


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602  VICBHDB  DELLA  TQBCBil  DI  FR.  KCHUBCA. 

Questo  delitto  m  ò  grande  nei  casi  ordioar^,  et  di  prirsu  ' 
persone,  ti  fa  molto  più  grave,  quando  n  ^edoDo  TÌoUle  l- 
ceneri  d*  hìiomìni  grandi  con  detrimento  et  ingìnnA  del  pob-  i 
blico,  come  i^nto  è  avenuto  li  mesi  passati  aeli*Aita  r.  \ 
sepolcro  del  Dottssimo  non  mai  a  bastanza  lodato  Francesce  . 
Petrarca  Canonico  della  Cathedral  di  Padova  netti  anni  à  \ 
Nostro  Sig.'*  1364.  Qual  ritroyandosi  nel  loco  d' Ài^uà  spet^^  1 
colo  celebratiasimo  visitato  continiiamente,  et  eoo  molta  cario-  J 
sita  da  tatte  le  nacioni,  si  sono  trovate  persone  cosi  aoeleratc  I 
che  hanno  ardito  li  mesi  passati  salendo  con  scale  rompe: 
quell'Arca  belissima  et  di  grosissimo  marmo,  rubando  sacri-  I 
legamento  parte  de  un  Inraccio  di  quell*huomo  venerabile.        | 

Fu  formato  a  giusta  indoghenza  nella  moderna  Città  dili- 
gente processo,  et  mentre  si  erodeva  doppo  ben  serato  et  f&rm< 
con  qualche  spesa  il  sepolcro,  dovessero  quelle  ceneri,  et  €g«s 
riposare  in  pace,  si  è  trovato  da  novo  con  temeraria  et  arditi 
prosontione  che  ò  stato  rotto  il  sepolcro  medemo  levandoar 
ferri  grociisimi  tutto  che  strettamente  et  con  diligenza  gran- 
dissima incastrati  da  novo  con  manifesto  vilipendio  deOa  me- 
desma  città. 

Et  perchè  non  ò  conveniente  che  delitto  sì  grave  resti  senu 
esempio  di  grave  et  condegna  poniUone,  Ricoriamo  perciò  sa 
Deputati  attuaU  alle  SS.  VV.  111.®  et  Ecc.®  aodò  si  degnmo 
datta  parte  al  Serenissimo  Prìncipe  nostro  fsra  dar  qneil^  au- 
torità che  ai  ricerca  per  castigare  come  si  deve  quelli  óèù 
sarano  trovati  colpevoli. 

(Lettere  Rettori.  Padova  e  Padovano  1630). 

V. 

1630  12  Ottobre. 
AUi  Rettori  di  Padova, 

Dalle  vostre  lettere  intendessimo  li  eccessi  della  grande  ar- 
ditezza di  chi  furono  a  romper  il  sepolcro  del  Petrarca,  et  a 
cavarne  dell'ossa  sue  con  empia  e  scelerata  temerità.  Y||iemo 
però  col  Senato,  che  usando  1* autorità  d'esso  passiate  subito 
a  ritentione  o  proclama  dei  rei,  et  alla  espeditione  loro  per 
modo  che  corrisponda  al  delitto,  dimostri  a  cotesta  dttà  il 


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TICBNDB  DELLA  TOMBA  DI  FR.  PBTRARCA.  603 

desiderìo,  che  havemo  delle  sue  giuste  so&fattioni,  e  testi- 
fichi la  stima,  che  ben  a  ragione  facemo  àeììe  giuste  instanze 
sue,  et  della  memoria  et  delle  ceneri  di  huomo  cosi  celebre 
e  d^^o. 

L.  S.  S. 
Viannolo  Seg.** 

(Da  e.  350  del  Reg.""  JSenato  Terra  N.''  104  an.  1630). 

VI. 

1630,  2  gennaro 
AIU  Rettori  di  Padova. 

Non  credemo  che  siate  divenuti  ancora  alla  speditioné  del 
processo  commessovi  contro  quelli  che  ardirono  di  violare  il 
sepolcro  del  Petrarca  con  empia  scelleratezza,  mentre  non  ne 
havemo  da  voi  notizia  alcuna;  e  perchò  nel  castigo  de  colpe* 
voli  di  eccesso  si  bruto  si  contiene  la  nostra  et  la  sodis&ttione 
di  cotesti  fidelissimi,  a  ragione  discontenti  della  rottura  di 
queir  arca,  e  della  diminutione  di  cosa  sì  pregiata  e  degna 
oltre  al  debito  verso  la  giustitia  per  la  sicurezza  in  tutti  i 
tempi  da  tutti  procarata,  et  religiosamente  volutassi  de  se- 
polcri, vi  rinoviamo  col  Senato  le  commissioni  di  venir  quanto 
prima  air  espeditione  del  medesimo  processo  per  tanti  rispetti 
desiderata  et  della  risolutione  ci  darete  avviso. 

L.  S.  S. 
Zon  Segretario 
(Da  e.  514  del  Reg.«  N.«  104  5en.«  Terra  1630). 

VII. 

Serenissimo  Principe, 

Saressimo  fin  bora  venuti  alF  espeditione  del  processo  da 
noi  foimato  contro  quelli  che  ardirono  di  violar  il  sepolcro 
del  Petrarca  quando  non  vi  fosse  stato  T  impedimento  de  let- 
tere dell'Ili.^  Magbtrato  dell* Avogaria  presentate  sotto  li  9 


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604  VICENDB  DELLA  TOMBA  DI  FR.  PBTIURCA. 

decembre  p.  p.  con  termine  de  mese  uno  alli  proclamati,  2I 
quale  Tiene  a  finire  a  9  del  corrente  et  subito  spii*ato  de^eoi- 
remo  air  espeditione ,  quando  altro  impedimento  dal  saddetto 
Magistrato  deirAvogaria  non  ci  venga  interposto,  quando  da 
rei  proclamati  non  venisse  a  sostituirsi  nelle  forze  per  escol- 
parsi dalla  imputatione,  essendo  stato  sempre  a  cuore  questo 
negotio  per  gli  ordini  già  ricevuti  dalla  Serenità  Vostra,  et 
per  il  debito  che  tenemo  di  ben  essequirli.  Gratie,  etc. 

Di  Padova  li  4  gennaro  1631. 

(Codici  mss.  olim  Brera  N.*»  166). 

Vili. 

Sentenza  contro  1  violatori  del  sepolcro  del  Petrarca 
in  Arquà. 

La  Republica  fece  tosto  riattare  V  urna,  suggellarne  con  ai'- 
pioni  le  fenditure,  porvi  lo  stemma  di  Padova  e  T epoca  del 
mis&tto,  bandire  il  reo  monaco  ch'era  fuggito,  e  punire  di 
galera  i  complici  di  esso.  La  sentenza  relativa,  che  si  con- 
serva nel  Museo  di  Padova,  è  la  seguente: 

Noi  Rettori  sopradetti  (Vincenzo  Cappello  Podestà,  Aldse 
Valaresso  Capitano)  giudici  dellegatti  dell'Eco.^  Senato,  Ser- 
vatis  servandis  in  Ducali  di  XII  Novembre  1630  venendo  alla 
cspeditione  delli  infrascritti,  cosi  dioemo 

Fra  Tomaso  Martinelli  da  Porto  Gruaro  Frate  dell^oi*dine 
di  S.  Dominico  —  Battista  Politto,  Dogan  de  Arquà  —  Stefano 
Favero  —  Zanetto  Dal  Bon  —  Francesco  Dal  Gallo  —  Pcrin 
Bianco  —  Francesco  Leziero  detto  Pollitto  —  Gierolamo  LovOy 
Tutti  della  villa  d' Arquà. 

Processati  per  l'officio  della  Cancelleria  Pretoria  con  TAu- 
tonta  sudetta  per  quello  che  tutti  unitamente  a  persuasione 
del  sud.  Fra  Tomaso  si  siano  condotti  la  notte  di  27  Maggio 
1630  sopra  il  sagrato  di  detto  loco  di  Arquà  ove  è  riposta  la 
sepoltura  nella  quale  riposano  le  ossa  del  celebre  et  iisui|Oso 
poeta  Francesco  Petrai»ca,  Canonico  in  questa  Cattedrale  Fanno 
1364,  essendo  stati  cosi  arditi  et  temerarii  che  havendo  rotta 
la  predetta  sepoltura  di  grossissimo  marmo  costrutta  habbi 


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VICENDE  DELLA  TOMBA  DI  PR.  PETRARCA.  605 

esso  Fra  Tomaso  da  quel  Venerabii  Corpo  rubbatto  parte  del 
braccio  destro  et  quello  asportato  per  trarne  forsi  inlecita 
utilità,  dispensando  con  baldanza  innescusabile  ciò  che  senza 
licenza  del  Prencipe,  che  con  raggione  gode  che  siano  nello 
Stato  suo,  et  ivi  riposino  Fossa  d'huomo  cosi  insigne,  non 
poteva  toccarsi  né  ardirsi  di  separare  per  modo  alcuno.  Ciò 
commettendo  respetivamente  scientemente  dolosamente  con  ese- 
crabile arditezza  contra&cendo  empiamente  alle  leggi,  et  con 
tutti  quelli  mali  modi  et  pessime  qualità  de'  quali  in  processo. 
—  Ploclamati  però  alle  pregioni  tutti  li  sudetti  Fra  Tomaso, 
Batista  Degan  et  Stefano  Favero  conscii  del  gravissimo  delitto 
da  essi  commesso,  non  hanno  ardito  presentarsi,  benché  habbino 
ottenuti  diversi  termini  dopo  il  Ploclama.  Zanetto,  Francesco 
dal  Gallo,  Perin,  Francesco  Leziero  et  Gierolamo  presentatisi 
et  costituiti,  hanno  introdotto  le  loro  difese,  le  quali  vedute  et 
considerate  assai  di  loro  escolpacione ,  dicemo  che 

Fra  Tomaso,  Battista,  Stefano 
siano  perpetuamente  banditi  di  Padoa  et  di  tutte  le  altre  Città 
Terre  e  luoghi  del  Serenissimo  Dominio,  Terrestri  e  Maritimi 
Navilii  armati  e  disarmati  et  delF  Inclita  Città  di  Venetia  e 
Dogado.  Et  se  alcun  di  loro  rotti  li  confini  veniran  nelle  forze, 
Fra  Tomaso  star  debba  in  una  pregion  serrata  per  anni  dieci 
continui,  dalla  qual  fuggendo,  sia  et  s'intenda  bandito  come 
di  sopra  con  taglia  de  lire  mille  delli  suoi  beni  se  ne  saranno, 
se  non  delli  denarì  deputati  alle  taglie. 
Batista,  —  Stefano 
siano  mandati  a  servir  sopra  le  galere  de'  condannati  per  huo- 
meni  dà  Remo  con  ferri  ai  piedi  per  anni  dieci  per  cadauno, 
et  in  caso  d' inabilità  star  debbano  in  pregion  serrata  per  anni 
doi  et  poi  tornino  al  Bando  che  air  bora  debba  principiare.  Con 
taglia  de  lire  mille  come  di  sopra  per  cadauno,  et  questo  quante 
volte  contrafstrano.  Per  violatione  di  sepolcro  insigne  ed  ogni 
altro  eccesso,  come  in  pi'ocesso,  ecc.,  arbitrio  et  nelle  spese. 

Zanetto,  —  Francesco  Dal  Gallo,  -ì—  Perin  Bianco,  —  Fran- 
cesco Leziero  et  Gierolamo  stante  le  loro  difese  siano  rilasciati 
di  prigione. 

Nota,  1643.  Addi  5  Novembre  fu  per  me  Francesco  Pa- 
glietta V.  Coadjutor  a  d.°  Pretorio  abolito  et  cancellato  il  nome 


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606  VICENDE  DELIA  TOUBk  DI  FR.  PEnUBCA. 

et  cognome  del  detto  Stefimo  Favero  in  esseeatìon  de  DocsL 
Patenti  de  di  4  Novembre  instante  degli  lU.  et  Ecc.  Signori 
sopra  la  liberation  de  banditi,  et  pubblicato  in  forma. 

(Cittadetla  co.  Oicvanni,  Padova  a  Fr.  Petrarca,  p.  71.  — 
Da  Ponte  Claudio,  Vita  di  Fr.  Petrarca,  187-90. 

Non  vi  fu  cuore  gentile  in  Italia,  anzi  in  tutta  Europa,  dfe 
non  sentisse  un  generoso  fremito  d*  indignazione  dia  Tcoe  del 
sacrìlego  misfatto.  Costantino  Huygens^  valentissimo  uomo  di 
Stato,  che  fu  segretario  deir  ambasciatore  Aerseens  in  Vene- 
zia, poeta  de*  più  illustri  cbe  vanti  V  Olanda,  rìvolgeasi  non  solo 
agli  amici,  ma  a  quanti  letterati  noverava  la  sua  patria,  perchè 
si  unissero  a  lui  a  suggellar  di  perpetuo  anatema  il  frate  Marti- 
nelli. L' Elegia  che  scrìsse  in  un  latino,  forte  a  intendere,  rì?eU 
il  gran  dispetto  che  rìbolli vagli  nell'anima  (1).  Il  suo  amico 
Pieter  Comeliszoon  Hoofì  più  volte  nelle  sue  lettere  (2),  park 
con  lode  di  questo  componimento;  né  contento  di  averlo  reso 
nella  materna  lingua  (3)  dettò,  sullo  stesso  subietto,  un  poema 
originale.  Siccome  V  Elegia  deir  Huygens  non  è  guarì  in  ItaUa 
conosciuta,  cosi  son  lieto  di  ripubblicarla,  professandomi  rìccw 
noscente  del  bel  dono  all'egregio  amico  mio  6.  van  Tienhoven. 

LAURA  LATRONI 

Thomae  MartinelUo  Monaco  Domimcano,  qui  effosso  Pc 
trarchae  cadaveri  ferebaiur  bracTiium  dexterum  abripuisse. 

Seu  furor  invidile  est,  seu  spes  insana  nooendi. 

Qua  sacra  Petrarchae  diripis  ossa  mei  ; 
Scilicet  ut  sparsi  nusquam  vestigia,  nuaquam 

Reliqua  discerpU  perstet  imago  viri  ; 

(1)  HuTOBifs,  Momenta  desultoria,  editio  altera  multo  nriore  aurtior, 
procurante  Ludovico  Uu^enio,  cum  praefalione   Cwtparis  Burlaci,  1655^ 

S.  181-99  —  Costantino  Huygens  n.  ali*  Aja  il  4  Sett.  1596;  m.  nella  viUv 
i  Hofwyck,  asilo  delia  corte,  nel  1697  —  Pietro  Cornelisxoon  Hooft  n.  in 
Amstertlam  il  13  Mano  1531  ;  m.  nella  medesima  villa  il  25  Maggio  15 f?. 
La  versione,  che  ne  fece  T Hooft,  è  ritenuta  elegante,  e  vien  preferita 
dagli  stessi  olandesi  all'originale,  i  quali,  mentre  ne  ammirano  il  Bobile 
entusiasmo  e  le  parole  generose,  non  possono  pur  non  dire;  Maestro,  il 
senso  lor  m'é  duro. 

(2)  P.  C.  HooPT'  s  Brìeven  por  van  Vloten.  Levden,  by  E.  J.  BriD,  1856. 
•(3J  7.  Loot  van  den  Diamant  des  Heeren  Uujfgens  genaami  Laurn 

Latrami. 


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VICSNDB  DELLA  TOMBA  DI  FR.  PETRARCA.  607 

Impie  quam  nihili  es  !  quam  quo  contendis,  aberras 

Galle,  miser,  quam  se  destrait  iste  labor! 
Illatam  decuit  memorea  tot  crimen  in  annos, 

Et  praedatrices  in  tria  saecla  manus; 
Ereptam  terris  aetarni  vatis  amorem, 

Ereptum  Laurae  nomen  utriqae  Polo; 
Te  tibi;  quem  par  est  memorem  venerabilis  umbrae 

Credere  ad  infandum  diriguisse  nefas; 
Utque  animae  ìngentis  sceleri  occuraayit  imago, 

%c  aliqaa  doro  displicuisse  scelus  ; 
Eradenda  fuit,  quam  nec  Jovis  ira,  nec  ulli 

Eradent  ulla  posteritate  dies, 
Gloria,  qua  stellas,  jam  noa  novus  incoia  coeli, 

Attigit  aetema  fronde  decorus  apex, 
Tarn  quoque  cum  fragili  nondum  resolutus  amictu 

Sospes  et  hac  terris  parte  superatea  erat, 
Et  poterai  Petrarcha  mori.  Quo  mortua  demeus 

Exanimi  longùm  corpore  membra  rapis? 
Te  ne  immortali,  qiioties  tria  verba  locuto, 

Tantilla  speres  dade  nocere  viro  I 
Ten*  coelos  turbare  gravem  terrestribus  urobris, 

Ut  superum  jubeas  ora  quod  ossa  pati  ? 
Tota  Cani  fuerit  facilis  jactura  sepulcri  ; 

Diogenem  laedat  parva  rapina  meum? 
Impie,  jam  nihili  es  :  sedes  terrena  beatas 

Non  tangit  minimo  coelite  cura  minor. 
Quod  magia  invideas,  minor  est  jam  coelite  Laura, 

Nec  patimur  damni  quod  peperisse  velis. 
Illa  meis  olim,  fateor,  confusa  lacertis 

Bracchia  in  amplexus  incaluere  pares. 
Illa  meas  ardens  bederas,  mea  vincula  dixi, 

Nec  semel  erratum  est  utrius  utra  forent; 
Illa  meae  fateor,  coltura  in  foedera  dextrae, 

Dextera,  ni  fato  displicuisset,  erat; 
Dextera  non  fleti  toties  non  parca  furoris. 

Incensi  toties  prodiga  testis  beri  : 
Sed  brevis  baec  secum  discussit  inania  vitae. 

Fabula  ;  par  fumo,  qualis  amabar,  eram, 
Qualis  amor,  flammae  ;  quam  non  delebilis  arder 

Educat,  aeterni  sanctus  amoris  amor. 
Hic  ego  nec  proprii  temeratu  lege  sepulcri, 

Nec  moyeor  vatis  quo  ruat  urna  mei. 
Putrea  reliquiae,  seu  jam  cinis  estis,  amantum 

Non  moror  effosae  qua  pereatia  humo. 
Ossa  toris  quondam,  quorum  non  degener  usus, 

Brachia  turgidulia  saepe  revincta  meis, 
Non  egeo  vostri,  melioribus  ambior  ulnis  ; 

Ambior  assidui  luce  beata  viri  • 


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608  yiCENDB  DELLA  TOMBA.  DI  FR.  PETRARCA. 

Petrarcha  potiore  fruor,  mortalis  utrique 

Sarcina,  si  redeat,  sit  reditura  gravis. 
Divulsura  duos  Cloto  socia vlt  amantes; 

Vi  denata  pari  vita  renata  fide  est. 
I  nunc,  et,  modicae  spatio  bellator  arenae 

Nobilis,  egregiae  praeroia  caedis  habe. 
Quos  rapis,  in  cinerea  ibunt  aetate  lacerti, 

Decipietque  manus  arida  praeda  toas; 
Decipiet.  Sparsaeque  vago  per  inane  rotatu 

Omnes  reliquias  ora  vel  aura  feret. 
Haec  Keph3rri  mites,  haec  te  clementior  Auster, 

Pulveri  honorato  solvere  justa  parant. 
Quem  voluit  livor  non  esse,  fnturus  ubique  est; 

Participes  populos  jam  facit  urna  sui, 
Una  capax  Ovidii  tellus  fUit,  una  Maronis, 
Petrarcham  toto  condier  orbe  decet. 

Aggiungo,  come  curìosità  letteraria,  i  seguenti  Sonetti  «L 
si  leggono  neir ultima  edizione  dell'opere  dell*  olandese  Eo>: 
(Supplement  des  Leth^es  XII).  €  Essi  mi  vennero  spediti 
scriveva  Huygens  al  suo  amico  Hooft,  dalla  Frisia,  e  merìtaL! 
d'esser  letti  (!!!),  perchè  io  non  mi  riprometteva  tanto  'i 
aere  crasso. 

Dunque  trovi  piacer,  insano  frate 
A  far  dell'  aride  ossa  mie  scaccio, 
Ossa  che  giA  per  tanto  e  tanto  spaccio 
Poco  men  che  reliquie  sono  state! 

Ossa  già  dalla  beltà  stessa  amate, 

Ch'or,  a  tua  crudeltà,  diventa  ghiaccio, 
Barbaro  petto,  tronchi  tu  m'un  braccio, 
O  cuor  crudele  I  o  voglie  spietate  ! 

Un  braccio  che  suona  tal  hor  la  lira 
D'Apollo,  braccio  che  si  spesso  cinse 
La  beltà  che  tutta  in  fiamma  hor  ti  mira. 

Misero,  non  sai,  che  chi  ì^  nome  spinse 
Oltre  le  nubi,  mette  in  non  cai  V  ira 
Vii,  come  quel  che  tutto,  tutto  vinse. 
Leowardiaej,  ii  VlJIbris 

W.   S   (NABBLirs» 

A  MoNS.'  Le  Chi/  HUYGENS. 

Esprit  vamqueur  de  tant  d' annèes 
Qui  s' opposent  à  vos  travaux 
Là  où  vous  dressex  vos  trophées 
Par  dessus  les  Dieux  infernaux; 


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VICBNDB    DELLA  TOMBA  DI  FR.  PETRARCA.  609 

Voyant  celle  nouvelle  vìe 

El  une  poudre,  doni  les  venia, 

Après  r  efTort  d' une  furie 

Onl  desja  prìs  leur  passe- tomps. 
Je  le  trouve  très  vérilable, 

Qu*  en  despil  mesme  de  la  mort, 

Bien  qu'on  le  lient  lousjours  pour  fable. 

Le  Phoenix  de  sa  cendre  sort. 

P.  Rntpp 
iloeteur  en  drolt  et  Avocai  de  le  Cour  de  U  Frise. 

LAURA  LATRONI 

Ladro  cortese  chi  rubando  l'ossa 

Del  mio  amante  fedel  doni  la  vita 

A  chi  senza  tua  non  fosse  uscita 

Di  questa  scura  e  taciturna  fossa: 
Ladro  Hon  sei,  perchè  il  mio  ben  s'ingrossa 

Di  quel  che  mi  togliesti,  e  la  perdita 

Della  destra  mi  giova,  eh'  impedita 

Era  per  m' abbracciar,  innanzi  mossa 
Che  de  te  fosse  la  corporea  salma 

Di  quel  Torco  immortai,  a  chi  V  era  1*  alma 

Ilor  che  la  feda  man  mi  sveglia  e  tocca 
Lascio  la  tomba  a  non  lasciar  più  morte 

Quelle  membra  gentil,  che  T  atra  sorte 

Perde  1  suoi  stami  al  dolce  di  mia  bocca. 

J.  V.  (an  der)  B  (tirgb) 

Dove  8Ì  trovi  il  braccio  destro  rapito,  ignorasi  affatto.  Il 
Leoni  nelle  sue  Memorie  Petrarchesche,  riteneva  fosse  gelo- 
samente custodito  in  un'  urna  marmorea,  nel  R.  Museo  di  Ma- 
drid. Ma  con  una  saa  lettera,  indirizzata  il  26  Febb.  1873  al 
Bacchigìione,  disdiceva  la  data  notizia.  Proseguia  con  amore 
operoso  le  rìcercbe  l'egregio  prof.  Canestrini,  ma  da  quanto 
n'ebbe  da  Madrid  dall'illustre  Artista  padovano  A.  Selva  (12 
Febb.  1874),  e  dal  Direttore  del  Museo  nazionale  di  pittura  e 
di  scoltura  sig.  Fr.  Sanz  (7  Febb.  1874),  non  solo  non  esiste 
la  preziosa  reliquia,  ma  non  v'  ha  notizia  che  abbiavi  mai 
esistito. 

Reumont  Alfred  (n.  ad  Aquisgrana,  15  Agosto  1808), 
Dichtergràber,  Ravenna,  Arquày  Certaldo.  I  sepolcri  dei  poeti. 
Berlino,  1846. 


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610  VICENDE  DELLA  TOMBA  DI  FR.  PETRARCA. 

Mbneghelli  Antonio,  Brevi  Cenni  intomo  alla  restaura- 
zione della  tomba  di  Fr,  Petra7''ca,  Opere  scelte ,  voi.  n,  Pa- 
dova, Sicca,  1843,  p.  260-65. 

Leoni  C,  Ménorie  Petrarchesche,  con  Appendice.  Padova, 
1843. 

Canestrini  Giovanni,  Prima,  seconda  e  terza  apertura 
della  tomba,  Cenni  storici. 

Fu  aperta  U  prìma  volta  il  21  Maggio  1843  in  occasione  del  reatauro, 
per  cara  ed  a  spese  dell*  illustre  patrìsio  Carlo  Leoni.  Ei  ne  levò  noa  costa 
la  quale  nel  1844  dal  Consiglio  di  Àrquà  Ai  donata  al  comune  di  PadoTa. 
Nel  1856,  il  Governo  Austriaco  volle  fosse  rimessa  nella  tomba,  il  che  fu 
eseguito  il  10  Luglio.  Il  Canestrini  pubblica  una  lettera  del  dottor  Ferdi- 
nando Moroni ,  medico-chirurgo  di  Monselice ,  in  che  dà  raggaagfio  di 
questa  seconda  apertura,  e  ci  dà  pure  il  verbale,  a  prova  dei  ripostivi  pre- 
ziosi avanzi.  Ebbe  luogo  la  terza  il  6  Dee.  1S73,  a  merito  dell'  Accademia 
dei  Concordi  di  Bovolenta.  Fu  in  tale  occasione  che  il  valentissimo  Cane^ 
strini  ebbe  l' incarico  di  farvi  uno  stadio  antropologico,  già  più  sopra  ricor- 
dato (pag.  585). 

Io  non  posso  tenermi  dal  non  riferire  le  parole  dello  stesso  Canestrini 
con  che  egli  ce  ne  dà  conto.  —  Sapendo  come  nel  1813  e  nel  1855  il  cranio 
fosse  stato  trovato  non  solo  intero,  ma  anche  benissimo  conservato,  mi  era 
assicurata  1*  opera  di  parecchi  artisti,  e  mi  era  recato  in  Arquà  con  tutti 
quegli  strumenti  che  stimai  necessari  od  utili  in  uno  studio  profondo  di 
questo  genere.  Nel  suddetto  giorno  vennero  con  me  in  .Arquà  il  mio  assi- 
stente dott.  Filippo  Fanzago,  il  disegnatore  ing.  Bolzoni  dott.  Bartolomeo, 
il  modellatore  signor  Luigi  Sanavio,  e  vi  si  trovò  il  fotografo  signor  Breda 
venuto  da  Este.  Era  mio  progetto  prendere  sul  cranio  tutta  quelle  misure 
che  oggi  r  antropologia  considera  come  interessanti,  illustrare  il  cranio  con 
figure  fotografiche  e  con  disegni,  e  farne  eseguire  il  modello  in  gesso.  Aveva 
portato  meco  dell'acqua  distillata  e  del  miglio,  per  determinare,  secondo 
le  circostanze  con  quella  o  con  questo,  U  capacità  del  cranio;  del  mercurio 
per  rilevare  la  capacità  dell'orbita;  dell'argilla  e  del  gesso  per  calcolare 
r  area  del  grande  foro  occipitale  ;  e  tutti  gli  strumenti  neoeaaarl  per  mi- 
surare esattamente  gli  angoli  facciali  e  craniali  più  iiajportanti.  Ma  le  mie 
speranze  furono  deluse.  Il  cranio,  che  per  cinque  secoli  avea  resistito  al- 
l' azione  demolitrice  del  tempo,  fra  il  1^5  ed  il  1873,  si  era  reso  talmente 
debole,  che  il  6  Dicembre  1873,  esposto  all'  aria,  spontaneamente  si  disagi 
gregava.  Quel  cranio,  che  all'aprirsi  della  tomba  io  vidi  intagro,  dopo 
pochi  minuti  era  ridotto  in  una  moltitudine  di  frammenti  maggiori  e  minori 
che  offrivano  ben  poca  messe  all'  esame  antropologico.  In  tali  condizioiii 
fui  costretto  di  abbandonare  l' idea  di  far  eseguire  la  fotografia  ed  il  'mo- 
dello in  gesso  del  cranio,  e  mi  limitai  a  prendere  su  di  esso  qu^e  misure 
che  si  potevano.  Dapprima  si  ruppe  1*  osso  occipitale  in  direzione  trasver- 
sale al  disotto  del  tubercolo  occipitale  estemo  e  dietro  i  condili;  poi  si  stac- 
carono dal  cranio  il  temporale  sinistro ,  il  parietale  sinistro  ed  U  frontale, 
scomponendosi  essi  pure  in  più  pezzi.  Anche  le  ossa  della  fiiccia  si  disag- 


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VICBNDE  DBLLA  TOMBA.  DI  PR.  PBTRA.RCA.  611 

gregarono  in  parte,  e  la  mandibola  si  divise  in  due  metà  in  corrispondenza 
della  saa  sinfisi.  L*  impressione  che  gli  astanti  riportarono  di  questa  dis- 
aggregazione può  essere  espressa  colle  parole  che  da  alcuni  udii  :  Sembrava 
che  il  cranio  fosse  composto  di  calce  viva,  e  gli  venisse  gettata  sopra 
deir  acqua.  Le  parti  del  cranio,  che  rimasero  illese,  furono  le  interne  ;  pro- 
habilmente  perchè  protette  contro  gli  agenti  atmosferici  dalle  ossa  che 
formano  la  volta.  Può  farsi  la  domanda,  come  mai  il  cranio  che  nel  1855 
era  ancora  bene  conservato,  in  soli  diciotto  anni  sia  stato  ridotto  allo  stato 
suddescritto?  Innanzi  tutto  devo  constatare  che  noi  trovammo  il  cranio, 
entro  quella  vasta  tomba,  collocato  sopra  una  semplice  tavola  di  larice,  su 
cui  era  staio  osservato  anche  nel  1843  e  nel  1855.  Devo  poi  soggiungere 
che  il  cranio  medesimo  e  tutte  le  altre  ossa  si  rinvennero  inquinate  di 
nroiditA,  da  che  si  vede  che  1*  aria  vi  aveva  largo  accesso.  In  fine  dobbiamo 
ricordarci,  ciò  che  più  volte  venne  osservato,  che  cioè  un  organismo  in 
via  di  decomposizione  riceve  da  ogni  libera  esposizione  all'  aria  un  potente 
impulso  a  precipitare  verso  lo  sfacelo.  Non  si  può,  io  credo,  negare  che 
r  apertura  della  tomba  fattasi  nel  1843,  e  V  altra  seguita  nel  1855,  abbiano 
molto  contribuito  a  questo  esito  Anale.  Non  ostante  la  decomposizione  del 
cranio,  che  rapidamente  si  compiva,  potei  prendere  le  misure  che  darò  in 
appresso,  validamente  aiutato  dal  dott.  Filippo  Fanzago  e  dal  dott.  Ferdi- 
nando Moroni.  In  pari  tempo  V  ingegnere  dott.  B.  Belzoni  eseguiva  alcuni 
disegni,  che  mi  furono  poi  utilissimi  nei  tentativi  di  ricostruzione  scien- 
tìfica del  teschio. 

Datoci  Telenco  delle  ossa  che  il  6  Dicembre  1873  si  trovarono  nella  tomba 
del  Petrarca,  il  Canestrini  conchiude:  A  torto  le  cronache  asseriscono, 
essere  stata  asportata  la  scapola  destra,  giacché  il  6  Dicembre  1873  essa 
fu  trovata  nella  tomba.  A  torto  ancora  sostennero  il  Meneghelli  ed  il  Leoni, 
essere  stato  rubato  tutto  il  braccio  destro,  giacché  il  radio  destro  Ai  rinvenuto 
entro  il  sarcofago.  Il  furto  si  è  dunque  esteso  indubbiamente  all'omero 
deatro  ed  al  cubito  destro,  e  forse,  ma  non  probabilmente,  anche  alle  ofl»a 
della  mano  destra.  Dico  non  probabilmente^  perchè  queste  ossa  nel  1630, 
ossia  quasi  trecento  anni  dopo  la  morte  del  poeta,  erano  al  certo  isolate, 
non  tenute  al  loro  posto  dai  ligamenti,  e  non  è  supponibile  che  un  ladro, 
il  quale  commetta  il  fVirto  di  notte,  in  fretta,  e  senza  il  sussidio  della  vista, 
perda  il  tempo  raccogliendo  delle  ossa  minute,  dove  facilmente  può  impa- 
dronirsi di  ossa  più  voluminose.  È  vero  che  mancano  molte  ossa  tra  quelle 
delle  mani  e  dei  piedi ,  ma  è  possibile  eh'  esse  sieno  state  consumate  dal 
tempo. 

lo  non  cesso  di  esj^imere  un  voto,  cosi  T  ottimo  mio  amico  Gommend. 
prof.  Bernardi ,  ed  è  che  una  edicola  sorga  protettrice  sovra  il  tumulo  del 
gran  Cantore  e  Filosofo  e  Cittadino,  perchè  i  resti  mortali,  quasi  distrutti 
affatto  dagli  anni ,  dalle  intemperie  cui  furono  abbandonati ,  poscia  dalle 
improvide  cure,  non  patiscano  davvantaggio;  e  il  riverente  visitatore  abbia 
la  coscienza  che  se  io  spirito  immortale  vive  con  Dio  e  si  bea  nella  fonte 
d*  ogni  bellezza  e  verità,  qualche  cosa  rimane  a  noi  del  congiunto  a  quel- 
r anima  grande,  cioè  delle  membra  che  per  settant*  anni  di  terrestre 
operoaisuma  vita  lo  vestirono.  —  Il  Bernardi  ci  offre  il  disegno  di  un  gentile 
tempietto  in  istUe  bizantino ,  fatto  dall'  insigne  architetto  Giuseppe  Segu- 


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612  VICBNDB  DELIA  TOMBA.  DI  FR.  PETRARCA. 

sìni  di  Belluno,  altamente  plaudito,  e  eh*  ei  sarebbe  lieto  di  veder  e 
(La  Scena  di  Venezia,  20  Aprile  1883). 

E  a  questo  proposito  scriveva  al  Bernardi  il  de  Berlac-Pemssls,  Aix 
12  Juillet  1874  :  <  Je  regrette  que  le  remarquable  pian  de  Soguàni  n'  ait 
pas  ótè  fxécutó  à  Arquà.  C  eùt  6tè  un  excellent  mojen  du  oonaerver 
l*088uaire  de  Pétrarque,  et  son  oeuvre  est  en  parfaite  haraumie  avec  1^ 
monumens  déja  existant  qite  Ton  aveait  òté  tentè  de  rattriba«r  au  méme 
architccte.  Kspérons  qu'  en  1904  on  sera  mieux  avisè,  et  V  on  rèparer» 
rinjustice  de  1874.  » 

Né  questo  pensiero  è  nuovo.  ^  Antonfrancesco  Doni»  a  nona  della 
Accademia  Pellegrina,  si  diede  attorno  per  innalaare  un  monumento,  quasi 
a  foggia  di  tempio  e  di  teatro,  per  ooUocarvi  Tarca  sepolcrale  del  Petrarca, 
attorniata  dalle  statue  dei  più  illustri  letterati  antichi  e  moderai.  Il  pro- 
gramma di  tale  impresa  può  leggersi  stampato  nel  CaneeUiere  detèt  Me- 
twyrie^  col  titolo  La  fama  al  mondo  (p.  17).  S*  invitarono  diversi  princìpi 
e  signori  a  concorrere  alla  spesa  della  fabbrica ,  che  dovea  nascile  una 
cosa  mirabile  e  splendidissima  ;  e  si  hanno  tuttora  in  propoaito  dae  lettere 
del  27  e  28  Aprile  1563,  dirette  ai  duchi  di  Ferrara  e  di  Firenze.  A  questa 
impresa  deve  aver  relazione  anche  un  rarissimo  libriccino  coi  ritratti  e  le 
vite  di  Dante,  Petrarca  e  Boccaccio,  pubblicato  a  nome  degli  Accademie^ 
Pellegrini,  colle  seguenti  parole  sul  frontispizio  :  «e  Dato  in  Arquà  per  me- 
moria di  M.  F.  P.  1563.  *  Ma  quale  ne  fosse  la  ragione,  il  disegno ,  benché 
annunziato  con  tanta  pompa,  non  ebbe  effetto  nisauno.  5.  Bongi,  I  Marmi, 
Ed.  Barbèra,  1863,  i,  xl. 

• 

ELOGI. 

Sermo  habitus  in  exequiis  D,  Francisci  Petratxhae,  Poetae 
laureati  a  Rev.  Magistro  Bonaventura  de  Padua,  Ordinis 
Fralrum  Eremttarum  S.  Augustini,  qui  postea  ex  Generaìi 
Ordinis  S,  Augustini  factus  est  Patriarca  AquilefensiSy  A.  2). 
1374.  Mai'sand,  Bibl.  Petr.  xxxi-xxxvin.       -  " 

Di  questo  P.  Bonaventura  da  Peraga  veggasi  quanto  ne  scrive 
il  Torelli  ne'  suoi  Secoli  Agostiniani,  Bologim^  1680,  a.  1386; 
il  Rossetti,  Petrarca,  Giulio  Cesare  e  Boccaccio,  p.  375;  il  Ti- 
raboschi,  Storia  della  Letter.  Ital.  t  v,  p.  i,  1.  ii  ;  ed  il  Fracassettì, 
Senili  n,  184. 

lovii  P.,  Elogia  virorum  literis  ìllustrium.  Yenetiis,  1756. 
EL  XXXIV.  Petrarca, 

Bettinelli  Saverio,  Delle  lodi  del  Petrarca.  Bassano,  Re- 
mondini,  1 786.  —  Id.  con  lettera  al  co.  Marcantonio  Trìssino, 
Principe  dell'  Accademia  Olimpica  di  Vicenza,  Bettinelli,  Opei^e, 
Venezia,  Cesare,  1799,  voi.  vi,  p.  183-327. 


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ELOOI.  613 

Pelu  G.,  Elogio  di  Fr,  Petrarca,  Elogi  degl' illustri  Scrit- 
tori Toscani,  Lucca,  1771.  Voi.  i,  p.  142. 

RuBBi  Andrea,  Elogio  di  Fr.  Petrarca.  Alla  nob.  Signora 
Elena  Albani,  principessa  di  Teano.  Rubbi  Opere,  Venezia, 
Marcuzzi,  1782,  nel  voi.  xi. 

PEftou  Luigi,  (n.  19  Dee.  1772,  m.  a  Venezia  il  18  Marzo 
1834).  Elogio  del  Petrarca,  s.  1.  e.  a. 

4C  Se  le  osservazioni  non  giungono  a  quell'ampiezza  e  pro- 
fondità che  non  possa  esser  conseguita  salvo  da  diligenti  ri- 
cerche e  da  lunghe  meditazioni,  bastante  indizio  si  trova  di 
un  ingegno  che  presentiva  più  ancora  di  quello  che  gli  era 
dato  conoscere  distintamente.  »  Carrer,  Elogio  del  Pezzoli. 

Martini  Francesco,  Orazione  d* inaugurazione  dei  busti 
del  Petrarca  e  del  Poggio  detta  nelV  Accademia  Valdamese  di 
Montevarchi  il  7  Seti.  1829.  Firenze,  Pezzati,  1829. 

Rezza  Eugenio  Federico,  Nella  commemorazione  di  Fr. 
Petrarca,  Discorso.  Genova,  Tip.  de'  Sordo-Muti,  1869. 

Malmignati  a.,  Parole  sulla  tomba  di  Fr,  Petrarca.  Pa- 
dova, Sacchetto,  1870. 

RiEPPi  Antonio  ,  Discorso  sopra  Fr.  Petrarca ,  letto  nella 
Festa  letteraria  del  liceo  Gargallo  il  14  Marzo  1874.  Siracusa, 
Norcia,  un  op.  in  8^  gr.  di  pag.  96.  —  V.  Riv.  Eur.  Agosto 
1874;  il  Baretti,  1874,  p.  243. 

Lombardi  dott.  Eliodoro,  Francesco  Petrarca,  Orazione 
letta  nell'aula  del  R.  Liceo  Paolo  Sarpi  per  la  festa  letteraria 
del  17  Marzo  1874.  Bergamo,  Gaffuri  e  Gatti,  1874. 

Studia  il  Petrarca  come  uomo,  come  artista  e  come  cit- 
tadino. 

De  Campello  Paolo,  Pel  V  Centenario  di  Francesco  Pe- 
trarca, Discorso  letto  il  17  Decembre  1874  in  Roma  nella 
solenne  tornata  degli  Arcadi  per  celebrarne  il  Centenario, 
Napoli,  Tip.  degli  Accattoncelli,   1875. 

«  A  me  spetta  il  compito  di  narrare  per  quali  miracoli 
dell'  ingegno  e'  giungesse  in  vita  ad  essere  l' uomo  piìi  cele- 
brato non  pur  d'Italia  ma  di  tutto  il  mondo  civile;  per  quali 
cagioni  quindi  sopravvivesse  sua  gloria  al  sepolcro;  si  accre- 
scesse anzi  col  volger  de'  secoli ,  e  riuscisse  in  questo  quinto 
anniversario  di  sua  morte,  a  commovere  ogni  anima  colta  e 
gentile.  » 


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614  BLOOI. 

CARDuoa  Giostà,  Presso  la  tomba  di  Fr,  Petrarca  in  Arptà. 
Livorno,  Vigo,  1874. 

Albabdi  Aleardo,  Discorso  su  Fr.  Petrarca^  UUo  a  Badate 
il  19  Luglio  1874.  Padova,  Sacchetto,  1874. 

Discorei  tutti  e  due  stupendi,  tutti  e  due  accompagnati  da 
frenetici  applausi.  —  Con  rapide  pennellate  il  Carducci  <^  ritrae 
il  poeta  e  insieme  il  padre  del  rinascimento.  Poeta»  da  nes- 
suno ne  tolse  F esempio;  egli  il  primo  a  denudare  eatetica- 
camente  la  sua  coscienza,  a  interrogarla  ad  analizzarla;  egli 
idealizza  il  sensibile,  rìbenedice  la  natura,  accosta  a  noi  il  di- 
vino e  lo  mette  a  parte  de'  nostri  sentimenti.  Come  scrittore 
latino,  egli,  padre  del  Rinascimento,  guerreggia  apertamene 
il  Medio  Evo,  e  reso  laico  il  latino,  di  sacerdotale  ch*era,  fondò 
tra  le  nazioni  occidentali  la  repubblica  delle  lettere.  Ammira- 
tore  del  passato  classicismo,  non  vi  si  adagia,  ma  riguarda 
airavvenii^e.  Tra  tutti  i  suoi  concetti  ed  affetti  spicca  quello 
dell'  Italia,  della  nazione  latina  che  ha  per  capo  Roma,  e  per  fine 
la  cacciata  dello  straniero.  Neil'  oratore,  il  crìtico  ed  il  poeta  si 
mescono;  la  sua  parola  eloquente,  piena  di  foco,  t'inonda,  ti 
scalda,  e  via  ti  tt*aacina.  —  Più  sereno  è  il  discorso  d^*A- 
leardi:  l'anima  del  cantor  di  Maria  ci  parve  piii  all^ unìsono 
con  quella  del  cantor  di  Laura.  Come  in  un'acqua  limpidis- 
sima, e  direi  splendente,  che  nulla  nasconde,  vi  leggiamo  spec- 
chiata la  vita  del  Petrarca,  il  suo  carattere,  che  non  sapremmo 
si  potesse  coglier  meglio,  i  conflitti  appassionati  di  quel  caow 
amante  e  mal  corrisposto.  Bellissima  la  parte  che  tratta  del 
Canzoniere:  la  ti  par  scritta  con  la  lingua  d'amore.  Ima^i, 
concetti,  colori  d' un  fare  BelUniano.  Ma  quando  parla  del  Pe- 
trarca politico,  che  parve  sognatore  e  fu  profeta,  rAfeardi, 
che  col  canto  inspirato,  coi  dolori  del  cartere  e  delPesiglio, 
mostrò  di  essere  patriotta  daddovero,  rincalza  con  più  arte  il 
suo  dire,  ti  diviene  per  infino  incisivo  sarcastico,  e  par  ti  di- 
stenda innanzi  il  lenzuolo  funerario,  entro  a  cui  avvolge,  e  per 
sempre,  tutti,  quanti  furono,  i  secolari  nemici  del  bel  paese. 

Massonii  Papirii,  Elogia  Varia,  Eloffium  Fr,  Petrarcae.  Pa- 
risiis,  Huré,  1638. 

BuLLART,  Eloges  hist.  des  hommes  illustres.  Paris,  Bilaine, 
1862.  —  Petrarca,  n,  311-318. 


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BLOOI.  615 

LiOTABD  L.  J.,  président  du  Tribunal  d' Aix  (n.  a  lale,  1772; 
m.  in  Aix,  1836).  —  L'Accademia  di  Valchiusa,  fin  dal  1815, 
decretava  un  premio  air  Autore  del  miglior  elogio  del  Petrarca. 
Solamente  nella  seduta  dd  30  Nov.  1820  venne  esso  aggiudi- 
cato al  sig,  Liotard.  Però  l'elogio  non  vide  mai  la  luce.  L' Ac- 
cademia oe  ne  ha  dato  un  sunto,  non  senza  citarne  qualche 
brano  interessante  nel  libro  divenuto  assai  raro:  <  Seance 
publique  de  l'Acadómie  de  Vaucluse,  tenue  le  30  Novembre 
1820  à  l'occasion  du  prìx  d'éloquence  décernée  a  Af.  Liotard, 
auteur  du  miileur  Ehge  de  Pétrarque  au  jugemen  de  cotte 
Société.  »  Avignon,  Seguin,  1821. 

«  Quando  ebbe  comindamento  l'Accademia  di  Padova  (1781) 
il  primo  programma  che  si  diede  a  trattai*e  fu  l'elogio  del 
Petrarca  con  l'assegno  di  un  generoso  premio  a  chi  meglio 
riuscisse  in  si  laborioso  e  nobile  lavoro  »  (MenegheUi,  Della 
stima  ecc.  p.  18).  €  Doveva  egli  esser  considerato  sotto  triplice 
aspetto:  I.  Di  ristora tor  principale  della  latinità  e  della  lette- 
ratura: II.  Di  poeta  originale  e  di  sentimento:  III.  Di  amatore 
entusiastico  del  Bello  Morale,  e  promotore  zelante  del  bene 
universale,  e  dell'  onore  d' Italia.  »  Esigevasi  un  componimento 
oratorio  di  prima  sfera  (!).  Se  non  che  improvisamente,  nel 
17S3,  il  più  nobile  argomento  che  dar  si  possa,  scrive  il  Bet- 
tinelli (Delle  lodi  di  F,  Petrarca),  fu  cambiato  in  altro,  e  mori 
la  seconda  volta  colà  il  Petrah;a. 


ICONOGRAFIA. 

Marsand  ab,  Antonio,  Dichiarazioni  ed  illustrazioni  sto- 
rico-critiche del  ritratto  di  Fr.  Petrarca ,  tratte  dalla  edizione 
delle  rime  fatta  per  cura  dello  stesso.  Padova,  Tipog.  Semin. 
1819.  —  E  nell'opera:  Padova  a  Fr.  Petrarca.  Tip.  Semin. 
1874,  1-14. 

Peruzzi  V.,  Notizie  sopra  due  piccoK  ritratti  in  bassori- 
lievo rappresentanti  il  Petrarca  e  Madonna  Laura  che  esistono 
in  casa  Peruzzi  di  Firenze,  con  delle  iscrizioni  del  XIV  secolo. 
Parigi,  Dondey-Dupró,  1821.  —  V.  De  Sade,  i,  note  xii;  An- 
tologia di  Firenze,  Agosto,  1822. 


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616  ICONOGRAFIA. 

Cicognara  Leopoldo^  Lettera  al  cav.  GiOTanni  Lazan  s-l 
vero  ritratto  di  Madonna  Laura.  Roma,  Salviucd,  1821,- 
Estratto  dal  Giom,  Arcad.  XII  Novembre.  ^ 

Lettera  al  suo  amico   il  marchese  Gino  Capponi  si:  \ 

ritratto  di  Laura.  j 

Sui  ritratti  di  M.  Laura.  Storia  della  Scuitura^  Prato.  1 

1823,  voi.  111,321. 

Meneghelli  Antonio,  Lettera  al  cav.  Piccolomini  BéUaiiti  di 
Siena,  sul  presunto  ritratto  di  M.  Laura.  Padova,  Minerva,  1821 
—  Meneghelli,  Opere,  Padova,  1831,  voi.  vi,  p.  151-169. 

Barbieri  Giuseppe,  Intorno  a' varii  ritratti  che  o  scolpi:; 
o  intagliati  o  dipinti  vedonsi  del  Petrarca.  A  FioriUa.  Barbieri 
Opere,  Padova,  Crescini,  1824,  voi.  rv,  197-207. 

Re  Zefirino,  I  ritratti  di  Madonna  Laura.  Fermo,  Giferri, 
1857;  e  nelV  Album  di  Roma. 

Urbani  Domenico,  Opere  d*arte  relative  a  Fr,  Petrarca  di- 
si oonservano  a  Venezia.  Petrard  e  Venezia,  253.  —  Dipinti. 
261.  —  Miniature,  264-72. 

Horiis  doti.  Attilio,  Iconografia  della  Petrarchesca  Ross^t> 
tiana.  Ritratti  del  Petrarca  e  di  M.  Laura,  Catohgo  deW  Opere 
di  Fr.  Petrarca,  ecc.,  p.  199.  —  Vedute  dei  luoghi  abitati  Jj 
Petrarca,  209.  —  Rappresentazioni  dei  Trionfi,  211.  —  Acqih- 
relli  relativi  al  Canzoniere  e  ai  Trionfi,  217. 

Del  ritratto  del  Petrarca,  V.  Fracassetii,  Epist  Faxn.  v,  4  IT. 
Méziéres ,  Pétrarque,  52;  e  di 'quello  di  Mad.  Laura,  vegg- 
io stesso  FracassetU,  Ep.  Fam.  i,  383. 

RITRATTI,  STATUE,  DIPINTI. 

Giotto  Stefano,  —  <  In  S.  Pietro  di  Roma,  -rovinandosi  U 
mure  vecchie  di  quella  Chiesa  per  rifar  le  nuove  della  fìtbbrica. 
pervennero  i  muratori  a  una  parìete  dove  era  una  nostra  Donni 
ed  altre  pitture  di  man  di  Giotto,  il  che  veduto  Perino  (Del 
Vaga),  ch'era  in  compagnia  di  messer  Niccolò  Acciainoli,  doti, 
fiorentino  e  suo  amicissimo,  mosso  V  uno  e  T  altro  a  pietà  di 
quella  pittura,  non  la  lasciarono  rovinare  ,  anzi  fiitto  ti^Haiv 
attorno  il  muro,  la  fecero  allacciare  con  ferri  e  travi,  e  collo- 
carla sotto  Porgano  di  San  Pietro,  in  un  luogo  dove  non  era 


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RITRATTT,   8TATUE,  DIPINTT.  617 

né  altare  nò  cosa  ordinata;  ed  innanzi  che  fiisse  rovinato  il 
muro,  eh*  era  intomo  alla  Madonna,  Ferino  ritrasse  Orso  del- 
l' Angnillara  senator  romano ,  il  qnale  coronò  in  Campidoglio 
mcsser  Francesco  Petrarca,  che  era  a*  piedi  della  Madonna . . . 
Vasari,  Vita  di  Ferino  del  Yaga,  x,  168.  »  —  Queste  pitture 
di  Giotto  sappiamo  che  furono  salvate  dall'  Acciaioli  nel  1543, 
quando  fu  buttata  a  terra  la  vecchia  Basilica  Vaticana.  Nel 
rifare  l'andito  di  S.  Andrea  nel  1628,  queste  pitture  si  scolle- 
garono di  maniera,  che  non  fu  possibile  di  rimetterle  insieme, 
e  DOn  rimase  in  piedi  altro  che  la  iscrizione  dell'Acciainoli. 
Ma  finalmente,  nel  1728,  quest'opera  fu  interamente  restau- 
rata per  ordine  di  papa  Benedetto  XIII.  Oggi  tanto  il  lavoro 
di  Giotto  quanto  quello  di  Ferino  non  sono  più  in  essere.  — 
Annotatori  del  Vasari.  Id. 

Memmi  Simeone^  di  Martino.  Nella  parete  meridionale  del 
Capitolo  dei  R.  R.  F.  F.  Domenicani  in  S.  Maria  Novella.  — 
Accanto  a  un  cavalier  di  Rodi,  messer  Francesco  Fetra^ca, 
ritratto  pur  (Ji  naturale,  il  che  fece  Simone  per  rinfrescar  nelle 
opere  sue  la  fama  di  colui  che  l'avea  fatto  immortale.  Va- 
sari,  II,  90.  —  €  Quella  iaccia  di  Satiro,  dice  il  Cicognara,  non 
è  certamente  il  ritratto  del  Fetrarca.  »  —  Il  Vasari  vuole  che 
Pandolfo  Malatesta  mandasse  Simon  Menuni  insino  ad  Avi- 
gnone per  ritrarvi  il  Fetrarca  (n,  98).  Ma  gli  Annotatori  del 
Vasari  sono  di  contrario  avviso,  mentre  il  Memmi,  come  si  ha 
da  un  documento  contemporaneo,  non  vi  fu  che  nel  Febbraio 
del  1339,  chiamato  alla  corte  del  papa  con  grandissima  in- 
stanza. Vasari^  ii,  88;  Mecatti  Gius,  ilf,  Notizie  isteriche  ri- 
guardanti il  Capitolo  ecc.  Firenze,  Faperino,  1737;  Cicognara ^ 
Storia  della  Scoltura  (Ediz.  di  Frato,  1833)  m,  322;  Storia 
della  Fittura  italiana  di  Crowe  e  Cavalcasene,  ii,  e.  xn,  nota  86. 

N.  N.  (creduto  del  Guariento,  o  della  sua  scuola).  Ritratto? 
tolto  a  lui  vivo,  e  il  piii  antico  di  tutti,  che  già  esisteva  nella 
casa  canonicale  del  Fetrarca  in  Fadova,  e  l'anno  1816  donato 
da'  marchesi  Selvatico  alla  casa  vescovile,  dove  tuttora  si  con- 
serva. Gandolfi  ine. 

Aldigieri  o  Altichieri  da  Zevio,  e  Ottaviano  Prandina  bre- 
sciano (dipingevano  in  Fadova  nel  1376).  Il  ritratto  del  Fetrarca, 
insieme  con  quello  di  Lombardo  dalla  Seta,  dipinto  nella  Sala 
dei  Giganti  (ora  Biblioteca).  Nel  palazzo  del  Capitano  in  Fadova. 

30 

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618  MT&ÀTTI,  STÀTUE,  DIPB4TL 

Non  ne  ree^  che  un  miaero  avanzo,  ma  afigurato  dal  ntoooo. 
—  Anonimo  MoreUiano,  —  V.  Vcisari,  vi,  90,  nota  2. 

Aldigieri  o  AÙichieri  da  Zeoio^  veronese.  Nella  guerra  d. 
Gerusalemme,  dipinta  nella  gran  sala  degli  Scaligeri  in  Verona. 

«  Nell*omamento  che  la  ricigne  a  tomo  a  torno  pose  dalla 

parte  di  aopra  quasi  per  fine  un  paramento  di  medaglie  io 
che  ritrasse  di  naturale  molti  uomini  segnalati  di  que^  tempL 
Fra  molti  ritraiti  di  grandi  uomini  e  litterati  vi  à  conosce 
quello  di  mesaer  Francesco  Petrarca.  »  —  Vasari^  Yiia  di  Yitton 
Scarpacda,  vi,  90. 

Giusto  di  Giovanni  Menabuoi  di  Firenze.  (Del  popolo  San 
Simone,  registrato  Tanno  1387  nd  vecchio  libro  deUa  compa- 
gnia dei  pittori  di  Firenze,  detto  anche  Giusto  padovano).  Nel 
Battisterio  del  Duomo  di  Padova. 

La  Tempo  Antonio,  Nel  1397,  nella  Chiesetta  di  S.  Michele 
di  Padova. 

D,  Lorenzo ,  pittore ,  monaco  camaìdoiese  degli  Angeii  dt 
Firenze»  —  In  S.  Trinità  di  Fii^nze  dipinse  a  ireaco  la  Gap- 
pella  e  la  tavola  degli  Àrdinghelli,  che  in  quel  tendpo  ùi  molto 
lodata,  dove  fece  di  naturale  il  ritratta  di  Dante  e  del  Petrarca 
(opera  che  più  non  ai  vede).  — •  Vasari  ii,  211. 

Dal  Castagno  Andrea  di  Mugello,  -«  Dipinse  a  Liognaia  s 
Pandolfo  Pandolfini  in  una  sala  molti  uomini  illustri  (ogr. 
ridotta  a  casa  colonica,  di  proprietà  del  Marchese  Rinuccini) 
Di  costa  a  Dante  ò  effigiato  il  Petrarca,  col  motto:  Dominui 
Franciscus  Petrarcha, 

Benozso  Gozzoli^  in  una  Cappella  laterale  della  GhieBa  di 
S.  Francesco,  nella  piccola  città  di  Montèfìdco,  non  lungi  da 
Fuligno  nell*  Umbria.  —  V.  Vasari^  Commentario  alla  vita  dì 
Benozzo  GozzoU^  iv,  194. 

Bellini  Gentile,  Ritratto  del  Petrarca  con  cappa.  Netta  Gal- 
leria Manlrin  di  Venezia.  —  Rosadìs.;  CrineUari  ine. 

Leonardo  dayinci,  o  sua  Scuola^  Ritratto  del  Petrarca, 
con  laurea. 

Raffaello  Sanzio,  —  Nel  monte  Parnaso.  —  «  Ewi  la  dotta 
Saffo  et  il  divinissimo  Dante,  il  leggiadro  Petrarca  e  lo  amo- 
roso Boccaccio,  che  vivi  vivi  sono.  Vasari,  vm,  18.  —  Qoivi 
Diogene  è  dipinto  tutto  solo  e  sdraiato  per  li  gradini  del  portico, 
proprio  come  lo  descrive  il  Petrarca  nel  RI  della  Fama:  Assai 


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RITRATTI,  STATUE,  DIPINTI.  619 

pii4.  che  non  %mol  nergogna^  aperto.  Id,  366.  —  Agricola  ine* 
— -  <  Noi  pensiamo  che  le  rime  del  Petrarca,  come  quello  che 
più  al  suo  animo  gentile  si  confaceva,  anct»*  più  del  poema 
sacro,  dovettero  esser  cercate  e  studiate  dal  Sanzio,  e  dal 
Trionlb  della  Fama  ricevette  la  principale  inspirazione  ed  al- 
tresì la  principale  erudizione  per  questa  seconda  storia  di  filo- 
sofia. »  JRanaUi,  Storia  delle  belle  arti  in  ItaUa^  i,  363.  —  E  il 
CrotHf  parlando  di  Raffaello:  si  può  credere  che  il  Petrarca  gli 
g'uidasse  il  pennello,  col  suo  Trionfo  della  Fama,  nella  Scuola 
dì  Atene,  e  con  quello  d*  Amore,  nel  Parnaso.  Vita  di  Michel. 
Bucnarotti,  ì,  118.  —  Neir affresco  della  Poesia....  tre  poeti 
tengono  il  più  alto  luogo  fra  gli  altri.  Omero,  poeta  sovrano, 
e  pi*esso  a  lui- è  Virgilio  che,  tutto  dolcezza  si  volge  a  Dante, 
con  gli  sguardi  fissi  nel  suo  Duca  e  in  atto  di  seguirlo,  men- 
trechè  il  Petrarca,  che  molti  allora  e  poi  preferivano  al  Canto^e 
della  Divina  Commedia  è  più  sotto,  e,  appoggiato  ad  un  alloro, 
mostra  solamente  la  faccia,  ascoltando  immobile  dò  che  antidii 
l)Oeti  parlano  intomo  lui;  nò  meglio  si  poteva  significare  il 
cantore  di  Laura,  leggiadro,  dottissimo  per  quell'età,  e  con- 
templatore sereno.  Conti ,  Dell'arte  sapiente  di  Raffaello. 

Bel  Vaga  Pierino,  Orso  dell' Anguillara,  Senator  Romano 
incorona  in  Campidoglio  mes.  Fr.  Petrarca,  ch'era  a  piò  della 
Madonna.  V.  Valori,  Vite  dei  Pittori,  voi.  x,  pag.  169,  Ediz. 
I^e  Mounier. 

Angiolo  di  Cosimo,  detto  il  Bronzino,  —  A  Bartolommeo  . 
Bellini,  per  riempiere  alcune  lunette  di  una  sua  camera,  fece 
il  ritratto  di  Dante,  Petrarca....  figure  dal  mezzo  in  su  bel- 
lissime. Vasari,  vm,  161.  —  BenagUa,  ine. 

N.  N.  Petrarca,  dipinto  del  XIV  secolo.  Nel  Museo  d'Avi- 
i^none.  —  Mayen,  fot.  —  Souvenir  du  dnquìéme  Centenaire 
«le  Pétrarque. 

Vasari  Giorgio,  —  «  Fra  gli  altri  feci  un. quadro  in  cui  era 
Dante,  Petrarca,  Guido  Cavalcanti,  il  Boccaccio,  Cino  da  Pi- 
stoia e  Guittone  d'Arezzo,  il  quale  fu  poi  di  Luca  Martini, 
cavato  dalle  teste  antiche  loro  accuratamente,  del  quale  ne  sono 
state  fatte  molte  copie.  Vasari,  Le  Vite,  i,  23.  —  Una  di  queste 
resiste  nella  Galleria  del  Duca  d'  Orleans. 

Alti-a  tavola  rappresentante  Zanobi,  Guido  d'Arezzo, 

il  Petrarca,   Cino  da  Pistoia,  Dante  e  il  Boccacdo.  Esisteva 


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620  RinUTTI,  STATUS,  DIPINTI. 

nella  GaUeria  Giovio.  — •  Dì  questo  dipinto  la  Roesettìana  à 
Trieste  possiede  una  copia  (Disegno  a  contorno). 

N.  N.  Nella  Biblioteca  Marciana.  Apparteneva  a  Tomaso 
Farsetti.  V.  Petrarca  e  Venezia,  261. 

N.  N.  I  Ritratti  del  Petrarca  e  di  M.  Laura,  di  manien 
Tizianesca.  Presso  la  nob.  famiglia  Porto  di  Vicenaa. 

N,  N.  Scuola  Toscana.  Nelle  Gallerie  degli  Uffizi  di  Firenze^ 
nella  prima  sala  della  Scuola  Toscana.  (  Corridore  a  ponente, 
e  Sez.  XI,  primo  spazio). 

iV.  N.  In  casa  Baldovinetti  di  Firenze. 

Refini  Francesco,  da  Spoleto,  Fr.  Petrarca.  Per  la  Biblio- 
teca Ra&elli. 

Naldini,.,  Palazzo  Corsini,  prima  camera. 

Bergerety  Petrarca.  Inc.  Noél  e  Massaie ,  sotto  la  dìrez.  di 
AugìASto  Desnoyers  (1). 

Memmi  Simeone,  Bassirilievi  in  marmo  del  Petrarca  e  di 
Laura,  scolpiti  nel  1344.  —  In  casa  Peruzzi,  Firenze.  — «  Non 
mette  ben  parlare  qui  di  quei  due  ritratti  del  Petrarca  e  (li 
Laura  in  un  marmo  di  casa  Peruzzi ,  perchè  chi  ha  qualche 
giudizio  non  può  averli  che  per  una  goffa  impostura.  »  Anno- 
tatori del  Vasari,  »,  99. 

N.  N.  Statua  nel  palazzo  degli  Aitovi  ti,  borgo  degli  Albìzzi 
,  in  Firenze.  Filippo  di  Baccio  Valori  che  illustrò  que*  simulacri, 
non  indica  chi  ne  sia  l'autore. 

N,  N.  Statua,  presso  la  porta  di  S.  Nicolò  di  Firenze.  V. 
Osservazioni  sugU  edifizi  di  Firenze,  ii,  185.  Questa  -atatua 
fu  tolta  dall'  incompiuta  facciata  del  Duomo ,  allorché  per  h 
nozze  del  gran  principe  di  Baviera  fu  demolita,  per  dar  luogo 
ad  altra  che  non  ebbe  poi  effetto. 

Danieletti  Pietro,  Statua,  nel  Prato  della 'Valle  in  Padova. 
V.  Neumayer,  Illustrazione  del  Prato  della  Valle ,  oesia  della 
Piazza  delle  Statue,  Padova,  Seminario,  1806. 


(1)  Sappiamo  che  nel  Palazzo  ducale  Visconti  in  Pavia,  fa  ritratta  al 
vero  in  inttura  a  (Vosco ,  V  elRgie  di  Fr.  Petrarca.  In  un  convocato  del 
Consiglio  generale  di  Pavia,  In  data  5  Gennaio  loS3,  trovasi  deliberato  che 
ad  istanza  delP istoriografo  Aldo  Manuzio,  si  dovesse  mandargli  a  spese 
della  città  il  disegno  a  penna  di  Messer  Francesco  Petrarca,  con  i  colorì, 
secondo  Timagine  sua  eh' è  nel  castello.  Dell'Acqua,  Ti  Palazzo  Ducale  in 
Pavia  e  Fr.  P^arca,  p.  15. 


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BITRATTI,  STATUE,  DIPINTI.  621 

Leoni  Andrea,  Statua  nella  Galleria  degli  Uffizi  in  Firenze. 
V.  Inaugurazione  delle  XXVIII  Statue  d'Illustri  Italiani  nel 
Portico  degli  Uffizi.  Firenze,  Tip.  Calasanziana,  1856. 

Ceccon  Luigi,  Statua.  Sul  rotolo  mezzo  svolto  che  tiene 
in  mano,  appariscono  scolpiti  i  Tersi:  Vitalico  valore  Negtitalici 
cor  non  è  ancor  morto.  A  Padova,  in  piazza  dei  Carmini,  ora 
piazza  Petrarca.  —V.  Nuova  Illustraz,  Universale,  1874,  ii,  p.  72. 

Bastanti,  Busto.  Casa  Batelli,  via  S.  Egidio,  Firenze. 

N,  N,  Busto,  nel  Boschetto  Strozzi,  sul  colle  di  Monte  Oli- 
veto,  a  cavaliere  di  Firenze. 

N,  iV.  Busto,  nell'Accademia  Yaldamese  in  Montevarchi.  Fu 
inaugurato  il  7  Sett.  1829. 

Dupré  Gius.,  Busto.  È  uno  de'  suoi  primi  lavori. 

MoìH  Benedetto,  di  Arezzo,  Busto,  nel  vestibolo  del  teatro 
di  Arezzo. 

Monti  Gaetano,  di  Ravenna,  Busto  air  ingresso  del  palazzo 
Malasptna  in  Pavia. 

Bandini,  Busto,  nel  tempietto  di  Selvapiana. 

FinelU  Carlo,  Busto,  nella  Protomoteca  Capitolina. 

Sanavio  Natale,  Francesco  Petrarca  nell'atto  di  recitare  il 
sonetto  Levommi  il  mio  pensier 1874. 

Chardigny,  Busto  del  Petrarca.  Riprodotto  nel  1874  in 
Fotografia  dalla  Casa  Delafosse  di  Parigi. 

Consonove ,  d' Alx ,  Busto.  <  Le  bronzo  de  Pétrarque  que 
nous  devons  au  Gouvemement,  sera  inauguré  à  Vaucluse  après 
soD  couronnement  officiel  à  Avignon.  —  Il  Comitato  é^Aias  alla 
Accademia  della  Crusca.  »  Il  busto  venne  collocato  sopra  una 
colonna  di  Yalchiusa.  Monti, 

Monsonove,  Petrarca  e  Laura,  bassorilievo.  Nel  Museo  di 
Avignone. 

Giuliano  e  Francesco  di  Giovanni,  detto  il  Francione, 
Petrarca,  in  tarsia.  Nel  battente  della  porta  della  sala  dell'O- 
i*ologio,  Palazzo  della  Signoria. 

Gerbi,  Elegante  cuscino  in  che,  tra  ujia  ghirlanda  di  fiori, 
(3  rappresentato  il  soavissimo  Poeta  d'amore  (1874).  • 

MichieU,  Fonderia.  —  Riproduzione  in  bronzo  del  Calamaio 
del  Petrarca,  1874. 


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622  RITRATTI,  STATUS,  DiPCm. 

Agricola  FiUppOy  Petrarca  e  Laura. 

Yibert  GiuHOy  Petrarca  e  Laura,  nella  Biblioteca  del  CasteSi 
di  Nozet  Esposìz.  Univ.  di  Parigi. 

Mongeri  Oiuf,,  Petrarca  e  Laura.  Espoe.  mil.  1845. 

GhMna  G.,  di  Ampezzo,  Petrarca  e  Laura. 

Ghedina  G.,  Petrarca  che  vede  la  prima  volta  Laura.  E5f>. 
mil.  1845. 

Gamba  Enrico ,  di  Casalmonferrato ,  Incontro  di  Fr.  Pe- 
trarca con  mad.  Laura.  Espoeiz.  tor. 

Pagliano  Eleulerio,  Lo  stesso  soggetto.  Esposix.  mO.  1818. 
Gandini  ine. 

Conti  Cosimo^  Lo  stesso  soggetto.  Espos.  fior.  1855. 

Induno  Domenico^  Petrarca  in  Avignone,  dove  scoi^ge  MaJ 
Laura  che  sta  conversando  con  una  contadina.  Eeposiz.  mil.. 
1844.  Di  proprietà  del  co.  Domenico  Greppi. 

Beniamino  Fr,,  napolitano,  Petrarca  alla  fonte  del  Sorga 
Espos.  mil.  1839. 

Paoletti  Pietro,  Laura  ch'esce  dalla  fonte  dove  solea  ba- 
gnarsi. —  V.  Meneghellì  A.,  Sopra  un  dipinto,  ecc.  Pado^x 
Crescini,  1829. 

Appiani  Andrea,  Petrarca  mostra  al  pittor  Simeone  Memmì 
Laura  di  Sade  eh*  esce  dalla  chiesa,  e  gli  chiede  il  suo  ritratto. 
Espos.  mil.  1854;  univ.  di  Parigi,  1855.  Di  proprietà  del  or 
Litta. 

Ruhio  cav.  Luigi,  Petrarca  che  fa  ritrarre  Madonna  Laun. 

Gatteri  Gius.,  Il  corteo  trionfale  del  Petrarca  ohe  aale  la 
Campidoglio.  Acquerello. 

Pierini  Andrea,  11  Petrarca  coronato  di  alloro  in  Campi- 
doglio. Dipinto  illustrato  dal  prof.  A.  Zoncada.  Gemme  d'Arti 
ital.  1846. 

Masini  Cesare,  Il  Petrarca  nella  Certosa  di  Monterivo. 
Proprietà  dell' architetto  Morandi  di  Odessa. 

Podesti  Francesco,  Corte  papale  di  Avignone,  presente  il 
Petrarca,  e  S.  Caterina  di  Siena,  venuta  innanzi  a  Gregorio  XI 
per  indurlo  a  riportare  la  S.  Sede  in  Roma. 

Brini  prof.  Carlo,  di  Poggibonsì,  Francesco  Petrarca  a 
Bologna.  Prima  espos.  ital.  1861. 

Melehe  Luigi,  Petrarca  che  legge  le  sue  opere  al  Doge 
Loi*enzo  Celai.  Esposiz.  ven.  1850. 


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RITRATTI,  STATUE,   DIPINTI.  623 

Voltati  Gitiseppe,  Presentazione  del  Petrarca  nella  Sala  del 
Collegio,  nel  palazzo  ducale  di  Venezia.  Espos.  ven.  1861. 

Mantefffta  Andrea,  Miniature  del  Canzoniere. 

N,  N,  Forse  Paolo  Uccello  o  Matteo  Pasti,  Veronese.  I 
Trionfi  d* Amore,  della  Morte,  della  Fama  e  della  Divinità. 
Nella  Galleria  degli  Uffizi  di  Firenze.  —  Peraccini  Fr,  disegnò. 
Nella  Rossettiana. 

Yanni  Francesco,  I  Trionfi  della  Castità,  della  Morte  e  della 
Fama.  Neil*  Accademia  di  Belle  Arti  in  Siena.  €  Son  molto  no- 
tevoli per  i  costami  dell^ epoca,  e  se  ne  valsero  il  Bonnard  e 
il  Fen'ari.  »  Hortis. 

IHziano  YecelUo  (?),  Il  Trionfo  della  Morte,  della  Fama, 
del  Tempo,  della  Divinità.  —  Si  diceano  conservati  presso  il 
Big'.  Giov.  Michilli  di  Roma.  Furono  disegnati  da  Gtov.  Ant, 
Buti,  incisi  da  Silt>,  Pomarede. 

Due  Tavole,  dipinte  a  tempera,  già  pareti  di  cassapanche, 
ognuna  di  esse  divisa  in  tre  parti,  di  scuola  fiorentina,  della 
prima  metà  del  mille  quattrocento.  —  Altre  due  tavole,  d^ignoto 
autore,  con  la  data  del  1468,  e  pur  di  scuola  fiorentina.  Ap- 
partengono alla  Rossettiana  di  Trieste.  —  Vi  si  veggono  isto- 
riati i  Trionfi  del  Petrarca.  —  Il  pittore  delle  tavole  più  antico 
non  fece  prova  di  rioca  immaginativa,  ma,  nell' indovinare 
queir  insuperata  gentilezza  del  Petrarca,  riuscì  a  meraviglia, 
laddove  goffo  e  volgare  ò  quello  delle  tavole  del  1468.  Se  non 
che,  non  potendo  essere  convenientemente  ritratte  dall'arte  fo- 
tografica, perchè  guaste  assai,  se  ne  fece  un  lucido  accurato 
dal  bravo  ed  intelligente  sig.  Gatterì,  poscia  riprodotte  in 
Albertina  dal  premiato  stabilimento  Sebastianutti  di  Trieste. 
Dalle  più  antiche  di  tempo  si  scelse  il  Trionfo  d' Amore  e  della 
Castità,*  dair  altre  quello  della  Fama,  e  furono  poste  a  beir  or- 
namento delia  magnifica  illustrazione  dataci  dall*  Hortis  dell'  o- 
pere  del  Petrarca  della  Rossettiana.  V.  Hortis,  Elenco,  «ce.,  p.  214. 

I  sei  Trionfi  del  Petrarca,  incisi  da  Giorgio  Pena  di  No- 
rimberga. 

Paoietti  P.  Il  Trionfo  deUa  Castità.  V.  MeneghelH,  Opere 
scelte,  Padova,  Sicca,  236-43. 

Podesti  Andrea,  anconitano.  Condusse  in  disegno  tutti  i 
Trionfi. 


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624  RITRATTI,  STiLTUE,   DIPI!«TI. 

Barbieri^  Il  Trionfo  d'Amore,  in  Mosaico.  V.  Morontj  Dii 

di  erudizione,  voi  XLVii,  79. 

'   Ruo  Gennaro  y  Fiera  tempesta  che  distrusse  il  porto  di 
Napoli/ descritta  dal  Petrarca  che  vi  si  trovò  presente. 

Martini  Simeone,  detto  Memmo^  Memmi  di  Stena^  Laura, 
nella  Cappella  degli  Spagnuoli  in  S.  Maria  Novella  dì  Firenze. 
—  A  dinotare  i  piaceri ,  scrive  il  P.  Marchese ,  e  le  voluttà 
onde  sono  adescati  e  sedotti  i  mortali^  ritrasse  pure  una  schiera 
di  giovani  danzatrici ,  e  fra  esse  al<iuni  credettero  vedere  la 
bella  Laura  per  la  quale  tanto  vaneggiò  Francesco  Petrarca: 
Memorie  dei  piii  insigni  Pittori,  i,  126.  —  Nella  facciata  dd 
Capitolo  di  S.  Maria  Novella  furono  pure  ritratti  di  mano  di 
Simone  il  Petrarca  e  Madonna  Laura  (  Vasari,  n,  98  ).  —  Ma- 
donna Laura  del  Petrarca,  ritratta  di  naturale,  vestita  di  verde, 
con  una  piccola  fiammetta  di  fuoco  tra  il  petto  e  la  gola. 
{Vasari,  u,  90).  —  Conte  dis.  ed  incise.  —  Rispetto  al  ritratte 
di  Laura,  è  stato  un  gran  dire  ai  giorni  nostrL  Volevano  al- 
cuni che  nella  casa  dei  Bollanti  di  Siena  se  ne  trovasse  une 
di  mano  di  Simone,  dipinto  in  grossa  tavola  di  legno  (ora  d 
proprietà  della  nobile  Donna  Isabella  Bellanti  in  Firenze),  du 
agr  intendenti  non  pareva,  perchè  in  esso  trovavano  le  foggia 
del  vestire,  T  acconciamento  del  capo,  e  (quello  che  è  piii)  h 
maniera  del  ^ipiogere  propria  del  secolo  XV.  Il  Cicoffnara. 
attenendosi  a  quel  verso  del  poeta,  it»  la  ioide  e  la  ritrasse  » 
carte,  propende  a  credere  .che  il  ritratto  di  Madonna  Laurj 
fosse  in  miniatura  sopra  pergamena:  e  noi  siamo  della  sui 
opinione.  —  Annotatori  del  Vasari,  n,  98.-11  Frocassdt 
dalle  parole  stesse  del  Petrarca:  aJiam  fictam  iUustris  arti  fidi 
ingenio  quaesimsse  quam  tecum  uìrique  drcumferens  habem 
è  indotto  a  credere  che  fosse  di  piccolissima  dimeoaione. 

N.  N,  Laura,  basso  rilievo  della  £unìg]ia  Peruzzi.  — -  Esìm: 
è  scolpito  sopra  due  pezzi  di  marmo,  larghi  ciascuno  4  pollki 
e  mezzo,  alti  un  mezzo  piede  e  profondi  otto  linee. 

N.  N,  Miniatura  esistente  in  un  codice  del  Canzoniere  ddU 
Biblioteca  Laurenziana  di  Firenze,  ove  dipinti  si  veggono  i  dur 
amanti  uno  accanto  T  altro. 

N.  N,.  Ritratto  di  Laura,  di  Scuola  Belliniana.  Appartieor 


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RITRATTI,  STATUE,  DIPINTI.  625 

alla  raccolta  del  cav.  Michele  Wicovich  Lazari  Comneno  di  Ve- 
nezia, che  a  lui  pervenne  dalla  famiglia  Kosta,  nella  quale  si 
hanno  memorie  che  fosse  conservato  da  oltre  due  secoli.  —  Fu 
messo  in  fronte  al  voi.  Petrarca  e  Venezia,  stampato  dal  legno, 
cgregìRmenìe  intagliato  da  Giov.  Lavezzari,  sul  disegno  di  An- 
gelo Alessandri, 

Bellini  GenHley  Ritratto  di  Laura.  Nella  Gallerìa  Manfrin. 

Nella  Pinacoteca  Brera  a  Milano.  Fa  parte  della  Rac- 
colta Oggiono. 

Palma  Jacopo  (?),  Laura. 

Raffaelle  Sanzio,  Laura.  Gop.  da  Agrìcola,  ine.  da  A.  Regona. 

Bronzino  Angelo,  Laura,  Nella  Galleria  Arese  Lucini,  Be- 
nagUa,  ine. 

N.  N.  Laura.  Nel  Museo  d'Avignone,  Tavola  del  XIV  secolo. 
Gayen,  fot.  —  Souvenir  du  cinquiéme  Centenaire  de  Pétrarque. 

Bergeret,  Laura.  Mossole  ine.  sotto  la  direzione  di  Augusto 
Vesnoyers, 

N.  N.  Ritratto  antico  posseduto  da  Sir  Alessandro  Muir 
Mackenzie  di  Delvin. 

SciaUero,  Laura.  Espos.  Gen.  1858. 

Agricola  Filippo,  Laura.  Nella  villa  Sommarivft. 

Canowi  A.,  Laura.  Busto  per  il  Duca  di  Devonshire,  1819. 

Papi  prof .  Clemente,  di  Firenze,  Laura,  Busto  in  bronzo, 
prima  espos.  ìtal. 

Scaramuzza  prof.  Francesco,  Il  ritratto  di  Laura,  inondata 
di  putti  od  angioletti  che  ne  rappresentano  le  virtìi.  Nella  Cap- 
l)ell6tta  di  Selvapiana. 

I  marchesi  Malaspina  di  Pavia  possedevano  un  bellissimo 
niello  con  i  ritratti  del  Petrarca  e  di  Laura.  Venne  anche  in- 
ciso in  bulino.  —  V.  Tavola  xuii  della  storia  della  Scoltura 
del  Cicognara. 

INCISIONI 

PidniJac,  incise.  Ediz.  Ven.  GuerigU,  1631.  —  Beylbrouck 
ine.  ex  eleganti  tabula  apud  Vulpioa.  Padova.  Gomino,  1732. 
—  N.  N.  €  Da  quello  che  tuttora  insieme  con  T  effigie  di  M. 


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626  INCISIONI. 

Laura  dipinto  si  vede  nella  cappella  della  nazione  spagnnoL 
situata  nel  chiostro  di  S.  Maria  Novella,  per  mano  di  Simot 
Memmi.  Firenze,  air  insegna  di  Apollo,  1748.  —^  Magnimi 
inv.,  Fonlebasso  ine.  dai  marmi  pertizztani.  Ndredùione  M 
Zatta,  1756.  —  LiOret  ìncy  Parigi,  Pranlt,  1768:  Parigi,  De- 
lalain,  1789.  —  Tofanelli  Suf.  del.,  Morghen  ine.  Pavia,  Tip- 
Soc.  Lett.,  1805.  —  BenagUa  ine.  Milano,  Classici  itaL  1805.— 
ZuUani  ine.  Venezia,  Vitarelli,  1811.  —  Schiavonetii  ine  sopra 
quello  di  R.  Morghen^  delineato  da  5.  Tofanelli.  —  Ritratto  dì 
Laura,  Minasi  A.  S.  ine.  sopra  un  antico  ritratto  posseduta 
da  Sir  Alessandro  Muir  Mackenzie,  di  Delvin.  Londra,  £di£.  di 
Romualdo  Zotti,  1811.  —  Pompeo  Lapi,  scoi.  Libar.:  Laun 
dello  stesso  Lapi.  Livorno,  Masi,  1815.  —  Petrarca  e  Laura: 
Uguccioni  dis.  Verico  ine.  Pisa,  Nistri,  1817.  Petrarca:  Ros- 
màsler  ine;  Laura:  Zschoch  ine.  Zwickau,  Schumaon,  1818. 
Scodo  ine.  sotto  la  direzione  di  R.  Morghen.  Firenze,  Libr.  di 
Pallade,  1818.  —  Laura,  Simon  Memmi  pinxit,  Raphael Morgkth 
sculpsit,  e  sottovi  :  Beatigli  occhi  che  la  mder  viva.  —  ArchetT- 
pum  est  Senis  penes  eq.  Antonium  Piccolomini  Belanti.- ^0«u:- 
nento  dip.  Qaet.  Bozza  dis.,  Mauro  (xandolfi  ine.  EdizioD< 
Marsand,  Padova,  Sem.,  19-20.  —  Wagner  L.  ine.  Livomc 
Masi,  1820.  —  Peti*arca  e  Laura,  secondo  T  archetipo  Laur^ 
ziano>  Zuliani  ine.  Venezia,  Orlandelli,  1820.  —  Petrarca: 
Morghen  ine.:  Laura:  Conte  dis.  ed  ine.  Brescia,  Bettooi,  1821 
—  Petrarca  e  Laura  :  Agricola  dip.,  Mainardi  die. ,  Chigi  ine. 
Roma,  Romani»,  1821.  —  Petrarca  e  Laura:  GoztiniàìB.,  TrV 
vico  inc^  Firenze,  Ciardetti-,  1821,  1824  e  1832.  —  SeoUo  dis. 
ed  ine.  sotto  la  direzione  del  Morghen,  Firenze,  air  insegna  di 
Pallade,  1821.  —  Petrarca  e  Laura:  Agricola  dip.,  dis.  àSnardi. 
ine.  Chigi.  Roma,  De  Romanis,  1822.  —  Petrarca  dormente  e 
Laura  che  gli  apparisce  porgendogli  due  fronde.  —  Il  carro 
d*  amore  tirato  da  quattro  bianchi  destiùeri,  Nenci  ideò,  Le- 
sinio  incise.  Firenze,  Molini,  1822.  —  Petrarca  e  Laura: 
Nasi  ine.  Firenze,  Ciardetti,  1822.  —  R.  Grave  ine.  secondo 
r  intaglio  di  Morghen.  Londra,  Pickering,  1822,  —  Boggi  ine. 
Milano,  Silvestri,  1823.  —  Pezzoli  dis.,  MelUni  ine.  1823.  — 
O.  Bossi  dis. ,  P,  Bettoni'Beceni  ine.,  G.  Longhi  dir.  Milano , 
Bettoni,  1824.  —  Petrarca  eLaura  dairediz.  Marsandese,  Fi- 
renze, Pagni,  1826.  —  I  quattro  poeti,  secondo   R.  Morghen 


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INCISIONI  627 

<7.  A.  ;  Schtoerdgeburth  ine.  Lipsia,  Fleischer,  1826.  —  Palagi 
ideò.  Bramati  àis.,  Cattaneo  ine.  Milano,  Bettoni,  1828. — 
Inaura  a  pie  d*  un  albero  seduta  sull'  erba  che  bagna  i  piedi  in 
un  ruscelletto.  Stanno  tra  i  rami  dell*  albero  amorini  che  su 
Laura  versano  una  pioggia  di  fiori,  e  più  in  là,  nel  fondo,  il 
Petrarca  e  Amore,  questi  in  atto  di  additar  Laura  al  Poeta. 
Sotto  r  incisione  i  versi  :  Da*  bei  rami  scendea  Una  pioggia  di 
-fior  sopra 'l  suo  grembo.  Firenze,  Passigli,  Borghi,  1830.  — 
Gaiti  dis.,  Hoptoood  ine.  Parigi,  Baudry,  1830;  Parigi,  But- 
tura,  1832.  —  Cateni  dis.,  Lasinio  figlio  ine.  Firenze,  Borghi, 
1832.  ^^  Lauro  ine.  dalla  litografia  del  celebre  Oravedon.  Fi- 
renze, Passigli,  1841.  — Migliavacca  0.  incise  dall*  acciaio  dal 
celebre  codice  Laurenziano,  per  opera  dell*  egregio  pittore  Raf- 
faele Bonaiuti,  Firenze,  Barbèra-Bianchi,  1857. 

Petrarca,  Mellini  ine.  Bologna,  1827.  —  Laura,  secondo 
r  archetipo  di  casa  Piccolomini-Bellanti ,  Memmi  dip.,  Conte 
ine;  Formichi  Giov.  dis.  a  matita,  1816.  —  Petrarca  e  Laura, 
in  casa  Nanni  di  Venezia,  Bosa  dis.,  Crivellari  ine.  —  Pe- 
trarca e  Laura  di  casa  Poi*to,  Busaio  dis.  —  Petrarca,  PiV- 
zolo  dis.,  Mellini  ine.  da  Af.  Beylbrouck.  —  Petrarca  e  Laura» 
Raffaello  dip.,  L.  Agricola  del.,  A.  Regona  ine.  —  Allori  dip. 
Bernardi  ine.  —  Bemardoni  ine. 

Veduta  di  Valchiusa.  Epinate  di  Ljone  dis.  ;  Fed.  Lose  ine. 
—  Selwtpiana.  —  Liuzzì  dis.;  Lose  Fed.  ine.  — Lintemo,  — 
Migliara  dis.  ;  Bigatti  ine.  —  Arquà,  —  Zabeo^dis.  ;  Lose  ine.  — 
Monumento  in  Arquà,  Zabeo  dis:;  Lose  ine.  —  Monumento 
in  Padova.  Zabeo  dis.;  Castellini  ine.  Nell*ediz.  del  Marssmd 
e  del  Ciardetti. 


MEDAGLIE  IN  ONORE  DI  FR.  PETRARCA. 


L  Medaglia  del  diametro  di  pollici  2,  l/ji  ^^*^^  ^^  tempo 
coperta  di  rofiia:  nel  diritto,  busto  di  Madonna  Laura,  cor., 
e  in  giro:  Amata  et  cotonata  fUil  Laura  Noves.  Al  rovescio: 
—  AUorus  a  Francisco  Petrarca  prò  sua  tfirtute. 


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628  BIBDiLOLIB  IN  OnOBE  DI  FR.  PBTRABCA. 

n.  Altra  •consimile:  nel  diritto,  busto  del  Petrarca  cor.  colli 
inscrizione:  Frandsc.  Petrarca  Poeta  caronand.  Al  rovescio;  Pro 
sua  eximia  virtute :  intorno:  Deàit  oc  amatam  suam  JLaurem, 

III.  Altra  consimile  :  nel  diritto,  busto  a  des.  del  Petrarca: 
in  giro:  Franàscus  Petrarca:  —  Al  rovescio:  In.  Arquat. 
Eugan.  mont.  solitariam  vilam  elexit.  Anno  MCCCLXX. 

IV.  Altra  consimile:  nel  diritto,  busto  di  Mad.  Laura:  in 
giro:  Laura  Noves^  al  rovescio:  Cum  Ugo  de  Sade  connu- 
bium  contraxit. 

y.  Altra  medaglia  piccola:  nel  diritto,  busto  del  Petrarca: 
intomo:  Franciscus  Petrarca:  al  rovescio:  Anno  MCCCXL  VII 
Patavii  arvo  suam  vìctoram  feàt, 

VI.  Altra  piccola:  Busto  del  Petrarca  ;  intomo:  Francucus 
Petrarca:  al  rovescio:  Poeta  declaratus, 

VII.  Altra  medaglia  grande:  Busto  dì  Laura;  intorno:  Fran- 
ciscus Petrarca:  al  rovescio:  Expeditus  Venetiis  a  Francisco 
de  Carrara  anno  MCCCLXXIIL 

VIII.  Altra  piccola  unilat.;  Busto  di  Laura;  intorno:  Laura 
Noves  nubilis,  —  (Il  Rossetti  ritiene  queste  6  ultime  medag^tie 
false  ed  una  solenne  impostura). 

IX.  (Av.)  Franciscus  Petrarca  Florentinus,  Busto  a  des. 
(Rov.)  Vi  ha  un  allegoria  ohe  ad  istento  si  può  rile- 
vare :  Pare  vi  sia  una  selva  di  lauri,  ed  una  donna  in  atto  di 
spiccamo  un  ramoscello.  Nel  Museo  di  Vienna. 

•    X.  (Unilat.)  in  metallo,  fusa,  di  piccolo  diametro — jP«fr-> 
arca  —  Busto  cor.  —  Nel  Museo  di  Vienna. 

XI.  (Unilat.)  Frane,  Petrar,  Busto  cor.  a  des.  —  Nel  Museo 
della  Marciana. 

XII.  (Av.)  Franciscus  Petrarca,  Busto  ine.  a  d.  — >  Es. 
Jeuffroy  f. 

(Rov.)  Natus  —  Aretii  — in  ItaUa  —  an.  m.  oco.  iv.  — 
obiit  —  an.  m.  ecc.  lxxiv  —  Series  numismcUica  universaUs  vi- 
rorum  iUustrium  —  h.  dooc.  xix.  Inc.  Jeuffroy^  Durand  edùht, 
—  Serie  di  Monaco. 

Xin.  (Av.)  Franciscus  Petrarca.  Busto  ine.  a  sin.^E6er. 
d.  CHrometU  f, 

(Rov.)  Mentihus  —  eruditione  excukis  —  ludorum  ani- 
tnis -^  Carmine  suavissimo  —  deUnitis  —  (entro  ghirianda)  Se- 
rie di  Roma.  Incisa  sotto  il  Pontificato  di  Gregorio  XVI. 


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MEDAGLIE  IN  ONORE  DI  FR.  PETRARCA.  629 

XIV.  (Av.)  Mtisis,  artibus,  arvis  1811  —  La  fontana  di 
Valchiusa  —  Es.  Andrien  f. 

(Rov.)  G.  de  Stassart  President  de  VAihenee  de  Val- 
eluse  à  Petrarque  —  Una  corona  d'alloro. 

XV.  (Av.)  Ritratto  del  Poeta.  Eser.  A.  Putinati  F.  Firenze. 
(Rov.)  A  —  Francesco  Petrarca  —  Nel  V  suo  Gente- 

nario.  —  Venne  commessa  T  incisione  dal  Ministero  della  pub- 
blica Istruzione. 


ISCRIZIONI  MONUMENTALI  ONORARIE. 

I.  In  Aresso  nella  casa  ox>*  ei  nacque. 

L' Accademia  Aretina  murava  una  lapide  accanto  alla  porta, 
in  cui  si  legge  scolpito: 

FRANaSCUS  PETRARCA  PETRACCHI  ET  ELECTAE  CANIOIANI  F. 

A  questo  nome  seguono  tre  testimonianze  di  lui  medesimo 
intomo  alla  sua  nascita  ;  e  sono  :  quella  della  lettera  ai  posteri, 
quella  deir epistola  a  Giovanni  Aretino  {Sen.  xiii,  3),  e  la  se- 
guente tratta  dalla  lettera  1  del  lib.  viii  delle  Senili  al  Boc- 
caccio: Scito  me  anno  millesimo  trecentesimo  quarto,  die  lunae 
vigesima  lulii,  illucescente  nondum  aw'vra,  in  Aretina  urbe^ 
in  vico  qui  didtur  hortus,  natum  esse.  E  dopo  questi  tre 
passi  tolti  dalle  sue  lettere  continua  Y  iscrizione  per  tal  modo  : 
Veritati  monumentum  Accademia  Aretina  xin  kal.  aug.  mdcccx. 
rurantibus  Julio  Anastasio  Angelucci  Alberto  de  Lippi  et  Petro 
Guadagnoli  hortante  publica  potestate  sponsore  prò  titulo  sarto 
tectoque  servando  Nicolao  GamuiTini  qui  locum  dedit  testibus 
Angelo  Guillichini  Praef.  Mil.  et  Filippo  Nerio  Tortelli  '  archi- 
presbytero  Franciscus  Fabronus  not.  imp.  rog. 

II.  In  Incisa,  nella  Chiesa  mairice  di  S.  Alessandro. 

M.  C.  F.  —  FRANCISCO  PBTRARCHAE  —  Ob  pareutes  Florentia 
pulsos  Aretii  orto  —  Patris  vero  proavorumque  omnium  ori- 
gine Ancisano  —  Et  Ancis^e  ad  vi  anos  per  infantiam  commo- 
rato—  Viro  aetatis  suae  longe  doctissimo  —  Philosopho  historico 
oratori  poetae  maximo  —  Quod  saeculi  barbarie  devicta  —  Afri- 


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630  ISCRIZIONI  MONVMBNTALI  ONORàBIB. 

caxn  suam  procerum  reg^umque  deliciaa  —  Egregiis  at  ea  tes 
pestate  versibus  exegìsset  —  S.  P.  Q.  R,  plaudentibns  —  \i 
Capitolio  delpbica  lauro  donato  —  Discipliaaruin  fere  omoiun 
instauratori  —  Etruecae  linguae  patri  —  Romaaae  sedia  de&o 
Bori  acerrimo  —  Pontificum  Caeaarum  iotiaaqtte  Italiae  Prìs- 
cipum  —  Rebus  in  dubìis  consiliario  et  amico  —  Camìlloi 
Claramellus  Ancisanus  —  Ne  in  patria  tanti  nominis  —  Publki 
memoria  abeaset  —  M.  P.  C. 

III.  In  Incisa^  neiia  cctsa  per  lui  abitata^ 

Perchè  della  casa  patema  —  Di  Francesco  Petrarca — Colpa 
de  secoli  ingrati  —  Meglio  che  dalle  cure  degli  uomini  — 
Rispettata  dal  tempo  —  Una  memoria  restasse  —  axfq^oo 
brucàlassi  incisano  —  Correndo  il  giorno  vi  di  aprile —  MDomui 
—  Fra  le  antiche  ruine  —  Consacrò  questa  memoria. 

*  Queste  venerande  pareti  segno  a  nobile  invidia  aocoberc 
prime  i  prìmi  accenti  del  parlare  materno  in  che  il  labbro  si 
sciolse  del  cantore  divino  dacché  pargoletto  di  vii  mesi  lo  a\ai 
la  madre  dalla  terra  di  proscrizione  ov*ei  nacque  trasfenu> 
seco  all'Incisa  de'  maggiori  di  lui  antichissima  sede  e  madr 
affettuosa  qui  lo  educò  fino  al  vii  anno  calcando  il  genitor; 
le  amare  vie  dell'  esilio  e  qui  pure  di  Gherardo  e  d'altro  figii) 
la  donna  egregia  l'esule  illustre  fea  lieto  il  quale  mosso  d>' 
tenerezza  di  marito  e  di  padre  potò  talora  ritornare  furtivo  | 
nella  terra  degli  avi  a  dolci  amplessi  della  cara  famiglia.      i 

IV.  In  Parma,  presso  la  Chiesa  di  S.  Stefano  ì 

nel  borgo  S,  Giovanni,  al  n.  6. 

Francesco  Petrarca  —  Possedette  ed  abitò  questa  casa  «^ 

Che  Pepino  Casteliinard  di  Nizza  ^  Ha  ristaurato  MDOOcnTm 

(Del  Giordani). 

V.  In  Sehapiana,  sui  colli  Parmigiani, 

Per  visibil  segno  dell'  onore  dato  a  questo  luogo  —  Dal  Pi 
trarca  —  mdcccxxxvhi. 
(Del  Giordani). 


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ISCRIZIONI  MONUIIENTAU  ONOBA&IB.  631 

VI.  In  Milano^  sulla  casa  di  fianco  alla  piccola  Chiesa 
dedicata  a  S,  Michele  sul  dosso. 

Qui  era  la  casa—  abitata  da  Francesco  Petrarca  —  Dal- 
l' anno  MOOCLin  al  mooclv. 

VÌI.  A  lÀnUmOf  fuori  di  Milano,  Ira  porta  Magenta  e  quella 
del  Sempionet  Iscriz,  votcUa  daUa  Società  ital,  di  Archeo- 
logia e  di  belle  arti  dietro  proposta  del  sig.  Matteo  Ben^ 
ventUi, 

A  ricordanza  di  mess.  Frane.  Petrarca —  Che  dal  1355  per 
due  lustri  —  In  questo  albergo  campestre  —  Fra  mesti  pensieri 
e  profondi  studi  —  Da  cure  gravissime  riposavasi  —  La  Società 
Italiana  d'archeologia  e  belle  arti  — Pose  Tanno  1864. 

Vili.  In  Venezia,  alla  Riva  degli  Scfiiavoni,  sulla  casa  vicina 
al  ponte  del  Sepolcro ,  posta  per  cura  privata  del  Reve>\ 
Magnano^  Pievano  di  S.  Maria  Zobenigo. 

Quiete  .  H  .  Fruens  .  honesta  .  Y  .  CI.  Fr.  Petrarcha  .  Otii . 
IMu  .  Gom  .  Par  .  Job  .  Boccaccio  .  E  .  Domo  .S.C.  Adepta  — 
Aequor  .  Adr  .  01 .  Dom  .  Divitias  .  Invalescentes  —  Merce  qua- 
lib  .  Ext .  Appellente  Aspectabat(l). 

IX.  A  Paviay  nella  decorazione  architettonica,  che  fiancheggia 
il  palazzo  Malaspina  sotto  il  busto  del  Poeta. 

Boni  doctique  —  Succedite  hospites  —  Domus  fui  Francisci 
Petrarchae  —  Poetae  magni  —  Cui  latinae  italaeq.  litterae  — 
Plurimum  debent  —  Heic  ille  cum  Brossano  genero  —  Et  filia 
autumnum  agitabat  —  Hinc  anno  mccclxviii  nepotem  —  Cogno- 
minem  Bimulum  extulit  —  Et  proxime  —  In  aede  Zenoniana 
rondi  iussit. 

(Del  MorceUi), 

(1)  Chiesta  ad  un  eradito  veneziano  la  spiegazione  di  questa  semibar- 
bara iscrizione ,  n'  ebbi  la  seguente  :  Quiete  hac  fruens  honesta  vir  da- 
ì'issimus  Prancitcut  Petrarcfta  otii  diu  eomite  pariter  Jokanne  Boccacio 
e  doìno  senatus  consulto  adepta  aeqttcris  Adriaci  olim  dominae  divitias 
invalescentes  merce  qtialibet  extern  appellente  aspectabat.  Fracassetti , 
Kp.  V.  381. 


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632  ISGIUZIONI  MOmnOENTALI  onoràrib. 

X.  In  Padova,  Sotto  il  ritratto^  dipinto  a  fresco,  ch'era  neìk 
demolita  casa  del  Petrarca,  ed  ora  nel  muro  della  grandi: 
sala  del  Vescovado,  detta  la  sala  dei  Vescovi,  sopra  k 
porta  eh*  è  a  dritta  deW  ingresso  maggiore, 

Hanc  —  Francisd  Petrarchae  —  Imaginem  —  Quae  ex  ejus 
domus  ruinis  —  In  aedes  SiWaticae  gentis  olim  translata  — 
Nunc  Petri  March,  de  Silvaticis  liberalità^  —  Anno  mdcccxti 

—  Pontifex  Patavinus  —  H.  P.  C. 

XI.  Nel  Prato  della  Valle  di  Padova,  a  pie  della  statua 

scolpita  dal  Danieletti, 

Francisco  Petrarcae  —  Fiorentino  —  Ut  cujus  domicilio 
nrbs  claruit  ^  Circus  imagine  honestaretur  —  Leopoldus  An- 
Btriacua  —  Magnus  Hetniriae  Dux  —  Genio  loci  indnlgens  — 
P.  C.  —  Anno  mdoclxxx. 

XII.  Sotto  il  cenotafio  erettogli  nella  Cattedrale  di  PcuUwa, 

Francisco  Petrarchae  —  Antonius  Barbò  de  Soncino  —  Ca- 
nonicus  Canonico  —  Ann.  BfDcccxvin  —  P  —  L.  M.  D.  C.  D. 

XIII.  Alla  ba^e  del  Monumento  erettogli  in  Padova 

nella  piazza  Petrarca  in  occasione  della  festa  secolare 

del  MDCCCLXXIV 

A  —  Petrarca  —  Cinque  secoli  dopo  la  sna  morte  —  Padova 

—  P.  XVIII  Luglio. 

XrV.  Nella  cella  dove  morì, 

Francesco  Petrarca  —  Nacque  in  Arezzo  il  xx  Luglio 
Mocciv  —  Spirò  in  questa  cella  il  xviii  Luglio  —  mccclxxiv  — 
Anno  e  giorno  per  tutte  età  —  Memorabili  —  Qius^pe  Mo- 
cellini  —  Questa  memoria  —  Pose, 

(Di  Carlo  Leoni). 

XV.  Inscrizioni  scolpite  in  Arquà,  nel  sarcofago  di  marmo 
in  che  furono  deposte  le  ceneri  del  Petrarca, 

Frigida  Franciéci  lapis  hic  tegit  ossa  Petrarcae: 
Suscipe,  Virgo  Parens,  animam  ;  Sate  Virgine,  parco, 
Fessaque  iam  terris  caeli  requiescat  in  arce. 


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ISCRIZIONI  MONUMENTALI  ONORARIE.  633 

Versi  composti  dal  Petrarca  stesso  a  proprio  epitafio. 

E  più  sotto: 

Viro  insigni  Francisco  Petrarchae  Laureato  Franciscolus  de 
Brossano  Mediolanensis  Gener  individua  conversatione  amore 
propìnqui  tate  et  successione  memor. 

Sul  gradino  della  base  leggevasi: 

Jo.  Bapta  Rota  Patavinus  amore  benevolentia  observantia- 
qtie  devinctus,  ac  tanti  celeber.  Vatis  yirtutum  admirator  ad 
Posteros  H.  M.  B.  M.  P.  C. 

Sopra  una  delle  quattro  colonne  predette  ^  aggiunge  il 
Gloria,  ch£  sostengono  queir  arca,  fu  inciso  il  seguente  distico 
cOtribuito  al  Petrarca  stesso, 

Inveni  requiem;  spes  et  fortuna,  valete: 
Nil  mihi  vobiscum  est;  Indite  nunc  alios. 

Vanno  1547  Pietro  Paolo  Valdezoco,  padovano,  infisse 
su  qtiella  tomba  la  testa  in  bronzo  del  Petrarca.  Sotto  la 
.stessa  si  ha: 

Fr.  Petrar.  Paulus  Valdezocus  Pat.  poematum  ejus  admirator, 
aedium  agrorumque  possessor,  hanc  efSgiem  pos.  an.  mdxlvii 
Idib.  Sept.  Manfredino  Comite  Vicario  (1). 

Iscrizione  murata  dal  comune  di  Arquà  in  onore  del  co, 
Carlo  Leoni  di  Padova,  che,  con  munificenza  rara  in  privato 
cittadino,  a  tutte  sue  spese  ne  restaurò  il  monumento. 

Poiché  —  Cinque  secoli  atterravano  —  la  tomba  del  grande 

—  A  cui  deve  tanto  la  umana  civiltà  —  E  la  italica  gloria  — 
Conte  Carlo  Leoni  di  Padova  —  Perchè  non  patisse  —  La  sua 
restaurazione  più  lungo  ritardo  —  Né  Italia  paresse  irriverente 

—  Verso  tal  padre  —  L'eseguì  di  tutto  suo  censo  —  Nel 
MDCCCXLm.  —  In  memoria  del  generoso  —  Così  adoperante  la 
nobiltà  dei  natali  —  E  l'istinto  dell'amor  patrio  —  Il  comune 
Arquatense  —  Questa  memoria  pose. 

(Di  Luigi  Muzzi). 

E  P.  Giordani  avea  dettato  la  seguente: 

Il  Comune  —  Ai  viventi  e  ai  futuri  —  Pone  conoscente  me- 
luorìa  —  Della  liberalità  del  conte  Carlo  Leoni  —  Patrizio 
padovano  —  Che  a  sue  spese  non  piccole  —  Salvò  da  ruina 

(1)  neggonte  amministrativo  e  politico  di  Arqaà. 

40 


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634  ISCRIZIONI  M0NUKBNT4U  ONOBABIB. 

yergognosa  questo  sepolcro  —  Per  ooocLxa  anni  venerato  dal 
mondo  — •  mdcocxliii. 

O.  Boccaccio,  nel  nov.  del  1374,  scrìveva  a  Francesco  di  Broasano, 
genero  ed  erede  dì  Pr.  Petrarca  :  —  Porto  invidia  ad  Arqoi ,  prÌTÌlegiato 
della  spoglia  di  nn  uomo,  il  cui  petto  era  V  oat^o  dello  Muse,  il  ynitnario 
delia  filosofia,  dell*  eloquenza  e  di  ogni  arte  buona.  Cotesto  villaggio,  a  pena 
noto  in  Padova,  sorgerà  famoso  nel  mondo  tutto.  Lo  riveriranno  i  futuri 
come  noi  il  monte  Posilipo,  che  accoglie  le  ceneri  di  Marone  :  Tomi  e  le 
rive  dell'  Bussino,  dov*  è  il  sepolcro  d*  Ovidio  :  Smime,  perchè  li  ti  crede 
esser  morto  e  tumulato  Omero.  Il  navigante,  che,  ricco  di  merci,  rèduce 
da  mari  lontani,  solcherà  l' Adriatico,  al  primo  apparire  de*  Colli  Euganei, 
piegherà  il  capo  davanti  a  loro.  Quo*  poggi  (così  dirà  egli)  rinserranno  in 
grembo  il  magnanimo  vate  che  il  Mondo  tiensi  ad  onore.  Ahi,  patria  sver- 
gognata !  Tu  non  pigliasti  a  cuore  di  richiamare  nel  tuo  seno  quel  de*  taci 
figli  che  più  ti  fé*  chiara.  Però  non  meritavi  la  gloria  di  possederne  il 
corpo.  Ma  ben  lo  avresti  richiamato  a  te  se  queli*  animo  fosse  stato  infetto 
di  tradigione,  di  avarixia,  d'invidia,  d'ingratitudine  e  d'ogni  misfatto 
più  laido.  Cosi  fu  vero  il  proverbio  :  —  Nemo  propheta  in  patria. 

Tu  mi  scrivi  di  voler  innalzare  un  monumento  alla  sua  memoria  :  e 
sta  bene.  Ma  non  ti  cada  nell*  animo,  dover  la  tomba  de'  grandi  o  riaAnero 
oscura,  o  con  la  sua  magnificenza  rispondere  al  grido  che  levaron  di  sé. 
—  Qualora  egli  avesse  lasciato  la  vita  in  Roma  gloriosissimo ,  non  saprei 
bene  se  il  Mausoleo  di  Artemisia  fosse  alla  sua  fama  stato  splendido  a 
bastanza. 

C,  Leonia  valentissimo  epigrafista,  dettò  di  molte  belle  iscrizioni 
in  onore  del  suo  Poeta;  ne  dettò  pure  il  Contnuxi^  ed  il  Pepati, 

L'Accademia  Valdarnese  del  Poggio  in  Montevarchi  volle 
fregiare  il  suo  Diploma  dei  ritratti  del  Poggio  e  del  Petrarca: 
e  quella  di  Arezzo  insigniva  il  suo  del  busto  dell'immortale 
cantore  di  Laura,  che  spirava  le  prime  aure  di  vita  nel  suo 
seno,  con  la  legenda:  —  Aretii  —  in  easilio  noUus  satusque-^ 
Frandscus  Petrarcha  —  Die  lunae  ad  auroram  —  xiu  hai, 
Aug,  oiooociv. 

I 

COMPONIMENTI   POETICI 

IN  ONORE  DEL  PETRARCA. 

La  Pietosa  fonte  ^  Poema  di  Zbnonb  da  Pistoia  in  morte 
di  messer  Francesco  Petrarca,  Testo  di  tingua,  messo  novel- 
lamente in  luce  con  giunte  e  correzioni  da  Francesco  Zam-  j 


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OOMPONIMBNTl  POETICI  IN  ONOBB  DSL  PBTRARCA.  635 

brini.  Bologna,  Romagnoli ,  1874,  Dispensa  czzxvii  della  Scelta 
di  Curiosità  letterarie  inedite  o  rare,  dal  secolo  XIII  al  XVII. 

Il  Zaxnbrini  segtd  V  anica  edizione,  già  rarissima  divenuta, 
del  celebre  erudito  Gio.  Lami,  ch^  lo  inserì  nel  voi.  xiv  Deli^ 
ciae  Eruditorum  (Firenze,  Stamp.  della  SS.  Nunziata,  1743, 
in  8^).  Ed  ei  vi  aggiunse  le  Varianti  di  un  buon  codice  che 
conservasi  nella  Nazionale  di  Firenze,  ignoto  al  Lami,  le  quali 
aumentano  di  molto  il  pregio  al  testo,  racconciandovi  parecchi 
luoghi  guasti,  e  riempiendovi  qualche  lacuna.  Oltreché,  per 
avvantaggiare  vie  più  la  sua  ristampa,  ai  quattro  Sonetti  indi- 
ritti' al  Petrarca  da  alcuni  suoi  contemporanei,  prodotti  dal 
Lami  dopo  la  Pietosa  Fónte,  altri  ne  aggiunse,  a  queUi  e  a 
questi  ponendo  opportune  noterelle  del  suo:  e  alla  Cannone  di 
Frane,  Sacchetti,  in  morte  del  Petrarca,  gremita  di  spropositi 
e  mutila  di  quasi  due  strofe,  ma  rettificata  sul  cod.  Palat.  di 
Firenze,  voUe  che  andasse  innanzi  un  Sonetto,  sullo  stesso  argo- 
mento, di  Giovanni  Boccaccio  (Manni,  Istoria  del  Decamerone, 
Firenze,  1742,  p.  66;  Sonetti  scelti  di  poeti  italiani,  Parigi, 
Didot,  1822),  ed  altresì  fosse  seguitata  da  un'altra  di  Maestro 
Antonio  db*  Bbocari  da  Ferrara,  composta  quando  erasi  sparsa 
la  £alsa  novella  della  morte  sua.  (Saggio  di  rime  di  diversi 
autori  che  fiorirono  dal  XIV  al  XVIII  secolo,  Firenze,  Ronchi, 
1825).  E  finalmente  dette  termine  con  un  bel  Sonetto  di  Gio- 
vanni db'  Dondi,  Padovano,  inspiratogli  dalla  visita  ch'ei  fece 
alla  tomba  di  lui  in  Arquà. 

Gli  altri  sonetti  riportati  sono  i  seguenti: 

Sonetto  di  Maestro  Antonio  da  Ferrara  mandato  a  Messer 
Francesco  Petrarca  —  Comes  Ricciardi  a  Domino  Francisco 
Petrarca  P.  —  Risposta  di  Ser  Minghino  Mezani,  di  Ravenna, 
a  messer  Francesco  Petrarca  —  di  Matteo  di  Landozzo  degli 
Albizzi  a  Messer  Francesco  Petrarca  —  Di  Stramazzo  da  Pe- 
rugia a  Francesco  Petrarca  —  Di  Giovanni  de*  Dondi  a  Fran- 
cesco Petrarca  —  Di  Jacopo  Colonna  a  Francesco  Petrarca  — 
Di  Sennttccio  del  Bene  a  Messer  Francesco  Petrarca  —  Di 
Geri  Gianfigliazzi  a  Messer  Francesco  Petrarca  —  Di  Ser 
Diolisalm  Petri  di  Siena  a  Messer  Francesco  Petrarca. 

Alfieri  Vittofio,  Sonetto,  scritto  nella  casa  del  Petrarca  in 
Arquà. 

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036  oQMPOifiiiBMTi  posnoi 

.  Antonelli  Curzio,  Canzone. 

BandetUni  Landucci  Teresa  (AmarilU  Etnuca),  L' inoontro 
del  Petrarca  e  di  Madonna  Laura  agli  ElisL 

Barbieri  Giuseppe^  Invito  ad  Arquà,  Epistola.  Padova,  Mi- 
nerva, 1824.  —  La  solitudine,  a  Francesco  Petrarca.  Sermoni^ 
Epistole,  Milano,  SUvestrì,  1827.  p.  158. 

Benassuti  Montanari,  Versi  scrìtti  daìl*  Aut<»^  saHe  mura 
della  casa  del  Petrarca.  Strenna  Triestina,  Marenigh,  1B46. 

Bertela  de  Giorgi  Aurelio,  Sonetti  in  lode  di  Fr.  Petrarca. 
Bertola,  Sonetti,  Ancona,  Sartori,  1815. 

B.  L.  (Borghi  Luigi),  Versi  sciolti  al  sepoloro  di  Pr.  Pe- 
trarca. Padova,  Sem.  1822. 

Biagi  Zaccaria,  Intorno  al  monumento  di  Frane.  Petrarca 
eretto  in  Selvapiana,  SonettL  Nella  Strenna  TutH  FV'utti.  Mi- 
lano e  Venezia,  1846. 

Gagnoli  Agostino,  Selvapiana  nell'  antico  contado  di  Raggio 
dove  dimorò  e  scrìsse  Fr.  Petrarca,  Canzone. 

Carcano  Giulio,  Roma,  Valchiusa,  Arquà,tre  Canz(Hii(1837), 
Milano,  Guglielmini-Redaelli,  1841,  17d-20l.  —  Firenze,  Le 
Mounier,  1861. 

Carminati  ab,  Giambattista,  Sonetto  al  sepolcro  del  Pe- 
trarca. Neil*  ediz.  bergamasca  del  Lancellotti,  1746. 

Celesta  Emanuele,  Petrarca,  Canzone.  Ricordi  sui  colli 
Euganei.  Padova,  Crescini,  1846. 

Chiarii  Achille,  Al  Petrarca,  Stanze.  Beliamo,  Mazzoleni, 
1847. 

BaW  Ongaro  Francesco,  La  tomba  d*  Arqoà,  Sonetto.  Ri- 
cordi dei  colli  Euganei,  Padova,  Crescini,  1846. 

Dalmazsone,  Petrarca  in  Milano.  Cuneo,  Galimberti,  1840. 

Di  Carlo  Nicolò,  Il  Petrarca  fra  le  rovine  del  Campidoglio, 
o  la  rigenerazione  di  Roma  e  la  moderna  civiltà.  Palermo, 
Oretea,  1840. 

Di  Guglielmi  Ortensia,  Sonetto.  Scelta  di  poesie  italiane, 
Parigi,  Didot,  1822. 

D* Omerville  Carlo,  Arquà,  Versi  ad  Aleardo  Aleai^di. 
Strenna  Veneta,  a*  xiii,  Venezia,  Tip.  Commercio. 

Doni  Francesco,  Capitolo  in  lode  del  Petrarca.  Nel  ni  voL 
delle  Rime  piacevoli  di  diversi  autori.  Venezia,  1609  e  1615. 
—  Si  tiene  apocrifo  e  dell*  Anguillara. 


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IN  ONORB  DEL  PSTRARCA.  637 

Gisiaco  Crenippo,  La  patria  gratitudine,  ad  Euganea.  Pa- 
dova, Crescini,  1818. 

Lamberti  Luigi,  Sonetto.  Poligrafo,  a.  in,  n.  33. 

Lantana  Giamo,,  Peate  pel  ricupero  di  Gandia  ed  onori 
al  Petcarca;  Petrarca  al  cospetto  del  Senato;  Sonetti.  Lantana 
Poesie,  Venezia,  tip.  Emiliana,  21  e  22. 

Lazarìni  ab,  Domenico,  Sonetto  al  sepolcro  del  Petrarca. 
In  parecchie  ediz.  del  Canzoniere. 

Lem  PerotH  GittsHna,  Sonetto  al  Petrarca.  Storia  del  So- 
netto italiano,  Prato,  Guasti,  1839. 

Ir.  A.,  Comparazione  fra  Dante  e  Petrarca,  Ode.  Album 
della  giovinezza,  Venezia,  Merlo,  1844. 

Maffei  Andrea,  A  Fr.  Petrarca,  Sonetto.  Poesie  scelte,  Fi- 
renze, Le  Mounier,  1869,  p.  57.  —  Versi  editi  ed  ined.  i,  54. 
—  Arte,  affetti  e  fiantasie,  p.  75. 

Maraghini  Francesco,  Canzone.  Arezzo,  Cagliani,  1865. 

MilU  Giannina,  Petrarca  che  vede  per  la  prima  volta  Laura, 
Ode  improvvisata  a  Foggia  il  7  Marzo  1854  (i,  228).  —  Fr. 
Petrarca  reduce  dal  suo  ultimo  viaggio  si  ferma  sull'Alpi  (ir, 
188).  —  Ultime  ore  del  Petrarca  e  suo  incontro  con  Laura  in 
cielo  (li,  294,  E<Mz.  Le  Mounier). 

Momco  Jacopo,  Petrarca,  Canzone.  Venezia,  Cecchini,  1856. 

Mwfzone,  Fr.  Petrarca,  Sonetto.  L'Istit.  di  Torino,  1868,  n.  7. 

ParoUni  Gaetano,  V  incontro  di  Petrarca  e  Laura  in  Pa- 
radiso, Canti  sei.  Piacenza,  Del  Majno,  1816. 

PiccoUmini  AL,  Alla  tomba  del  Petrarca,  Sonetto.  In  molte 
ediz.  del  Canzoniere. 

Pieri  Mario,  corcireee,  Canzone  indiritta  al  Petrarca  per 
le  imprese  di  Napoleone.  Padova,  Penada,  1806. 

Pindemonte  IppoUto,  Sul  sepolcro  di  Laura  in  Avignone, 
Sonetto.  —  Valchiusa,  mdcoxc.  Terze  Rime.  —  Sul  sepolcro  del 
Petrarca  in  Arqnà,  Sonetto.  Pindemonte  Poesie,  Milano,  Fon- 
tana, 1833,  p.  250  e  seg. 

Raffaela  Pietro,  Canzone.  Festa  letter.  del  Liceo  d* Arezzo, 
p.  8.  Arezzo,  Cagliani,  1865. 

Rainieri  Antonio  Fr,,  Alla  casa  del  Petrarca,  Sonetto.  In 
molte  ediz.  del  Canzoniere, 

J?.  M.,  D  Petrarca^  Ottave  dedicate  a'  suoi  oondiscepoli  dal 
giovine  autore.  Verona,  Bisesti,  1839. 

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638  COMPONIBCEHTI  POBTia 

Rosini  Giov.j  Canto  al  Petrarca.  Rosioì  Opere,  Pisa,  Ca> 
purro,  1842,  voi.  viit,  29-41. 

TognetH  Fr.,  Il  nascimento  del  Petrarca,  Canzone.  Bolo- 
gna, Della  Volpe,  1840,  e  Nobili,  1857. 

Varchi  Benedetto^  Sonetto  al  sepolcro  di  Arqnà.  In  parec- 
chie ediz.  del  Canzoniere. 

Yeùchi  Oiovanniy  Canzone  al  Petrarca.  Modena,  Cappelli, 
1864. 

Van'i  —  V.  Ediz..  del  Canzoniere  di  Cornino,  Padova,  1732, 
Lxxiv-Lxxvii  —  V.  Toma<9Ìni,  Petrarca  Reditntus,  80-102. 

Varii  —  La  casa  ed  il  Sepolcro  di  Arquà.  Venezia,  1827. 

Vi  si  notano  i  nomi:  AlbarM^Ycrdoni  Teresa;  Alfieri 
Vittorio;  Barbieri  Giuseppe;  Bertela  Aurelio;  Cesarotti  Mei- 
chiore;  Costa  Paolo;  Paravia  Pier- Alessandro  ;  Pindemonte 
Ippolito;  SalvioU  Lodovico, 

Poesie  per  t  inatigurasione  del  busto  in  marmo  delT  im- 
mortale Fr.  Petrarca,  eretto  nel  Duomo  di  Padova,  Padova, 
Tip.  della  Minerva,  1818.  —  Fiori  Poetici  al  Petrarca.  Padova, 
Crescini,  1819.  > 

Contiene  poesie  di  A.  Paravia ,  di  Lor.  Dudan,  di  Aglaia 
Anassalide,  di  L.  Pezzoli,  di  G.  Bombardini,  di  A.  Barbaro, 
deirab.  Gias.  Lazzeri,  dell*  ab.  Pier  Luigi  de  Pavero,  di  A.  de 
Rosmini,  di  Ste&no  Cavalli,  di  L.  Corniani  d*Algarotti,  de1I*ab. 
Carlo  Adoli,  di  Fr.  Marzari,  di  Lor.  Crieo,  di  Gisiaco  Crenippo. 

Sonetti  per  Fediz,  delle  rime  del  Petrarca,  pubbliaxte  nel 
di  6  Aprile  1820.  Padova,  Tip.  Sem.  1820. 

Omaggio  poetico  al  chiaris,  prof,  ab.  Marsand  ddle  Rime 
del  Petrarca  uscite  per  opera  e  studio  di  lui  nel  giamo  6 
Aprile  1820.  Padova,  Tip.  Sem.  1820. 

BocchacU  JoK  de  Certaldoj  Versns  prò  AMca  c^ebris  Po- 
trarcae  poetarum  eximii  (219  esam.).  Rossetti,  Poem.  Min.  m, 
47-77.  —  Pingaud,  Fr.  Petrarcae,  Africa  363-70.  —  N*  è  assai 
dubbia  T  autenticità. 

Francisco  Petrarche  poete  unico  aique  illusiri.  Sono  i 

versi  con  che  il  Boccaccio  accompagna  al  Petrarca  un  esemplare 
della  Divina  Commedia  da  lui  trascritto.  Neil*  ediz.  della  D.  C. 
Rovetta,  1820;  V.  Carducci,  Stadi  Letterari,  363. 


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IN  ONORE  DSL  PBTIURCA.  639 

Ferrucci  Aloys,  Chrisos,,  Laura  Fr.  Petrarcae,  Carmen. 

Pimbiolo  de  Egenfeldis  com,  Francisci,  Imagini  Fr.  Pe- 
trarcae  ab  eximio  Renaldo  Rinaldi,  patavino,  afiabre  exculptae, 
Elegia.  Patavii,  Grescini,  1819. 

Apotheosia  divini  Fr.  Petrarcae  in  colle  Arquati  ab 

egregio  et  erudito  viro  de  Miollis,  gallicorum  armorum  duce 
designato  et  ob  repentinum  ejus  disceesum  interrupta,  Elegia. 
Patavii,  Typ.  Sem.  1823. 

SavioU  Joh.,  Imagini  Fr.  Petrarcae  ab  eximio  Renaldo  Ri- 
naldi, patavino,  afiabre  exculptae,  et  in  tempio  maximo  collo- 
catae,  Ode  alcaica.  Patavii,  Grescini,  1858. 

Trivellato  Jos. ,  Fr.  Petrarca  in  Gapìtolio  laurea  donatus , 
Ode  ale,  Trivellati  Garmina,  Patavii,  Typ.  Sem.,  1856,  p.  1-5. 

Zabeo  Joh,  Prosd,,  De  Laudibus  Fr.  Petrarcae,  Carmen. 
Venetiis,  Ferletti,  1808. 

Pìn  Fortunatus ,  Vallis  clausae  fons.  Vertebat  de  Dellile. 
Aix,  Remondet-Aubin,  1874. 

Chas  Pierre^  Pétrarque,  Poeme  suivi  des  poesies  diverses. 
Montpellier,  Tournel,  1819. 

Sassemo  M  A,  S.,  Petrarca,  Ode.  Paris,  Charpentier,  1859. 

Anche  Vondel,  il  più  grande  poeta  d*  Olanda  (n.  nel  1583), 
e  tenuto  come  la  più  eminente  personificazione  del  genio  na- 
zionale, volle  visitare  Arquà ,  ed  inspiratosi  ai  ritratti  de*  due 
amanti,  parla  della  grande  influenza  che,  per  la  sua  Laura, 
ebbe  il  Petrarca  su  tutti  i  poeti  del  mondo.  —  I  versi  ch'ei 
dettò  in  italiano,  pare  siano  andati  smarriti:  quelli  che  noi 
rechiamo  fm*ono  tradotti  dal  sig.  Laten  (1). 

Of  (f  afbeelding  van  Petrarcha ,  staande  by  Laura,  te 
Arquada  te  tien, 

0  Hemelscbe  Petrarch,  door  uw  gezang  in  *tendt, 
Wert  Laura  Oost  en  West  al  *t  aardtryck  door  bekent, 


(1)  Al  de  Dichtwerken  van  Joost  van  Vondel  met  inleidinff  en  aante- 
keoin^  van  DoU,  J.  von  Vloten,  Schiedam ,  H.  A.  M.  RoeUnts ,  1806 
(Tatti  1  poemi  del  Vondel,  con  prefazione  ed  annotazioni  del  Doti.  Yloten,  u» 
p.d96). 


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640  OOMPONIMBNXl  PQSTia 

Zj  broght  te  weege  door  haar  schoonheit  dai  uw  dièhten. 
Den  Heiligen  tot  lof  gezongen,  yedei*  s'tichten, 
Yolhai^dt  ìd  liefde  tot  de  dichters  groot  van  naem, 
Hanthavers  van  de  lang  gesleten  helden&em. 


COMPONIMENTI  POETICI 

PUBBLICATI  IN  OCCASIONE  DEL  CENTENARIO. 

Bassi  C.y  Un  Sonetto;  Sonetto  acrostico  ed  una  Canzone, 
Milano,  Tip.  del  Commercio.  —  Biondi  prof.  Marco  ^  Sonetto, 
Arezzo,  Cagliani:  Item  latine  redditum,  dal  prepos.  di  Laterina, 
Luigi  Goracci,  Il  Baretti,  p.  264.  —  BrunelU  Geremìa ,  Pe- 
trarca e  Laura,  Versi.  Altro  Sonetto,  10  Sett.  1874,  Perugia, 
Santucci.  —  BuH  Adele,  Carme,  Venezia,  Visentini.  —  CastelU 
Tommaso,  Sonetto,  Padova,  Prosperini.  ^  Calura  Cesare^ 
Son.  I,  Valchiusa;  ii,  Ad  alcune  Viole  spargendone  il  Canzo- 
niere; III,  Arquà;  iv.  Apoteosi  amorosa,  Vicenza,  Longo.  — 
Celesia  Emanuele ,  Sonetto,  Rivista  Europea,  p.  174.  —  Cor- 
radi  ah,  BartoL,  Versi,  Padova,  Semin.  —  Dalla  Vecchia  mons. 
Luigiy  Sonetto,  Vicenza,  Staider;  Op.  Rei.  Letter.  e  Mor.  di 
Modena,  voi.  x,  ser.  m,  p.  272.  —  De  Beaumont  Fran,<,  Ode, 
Precursore  di  Salerno,  8  Ag.,  n,  217.  —  Ducei  dotL  Pietro, 
Sonetto,  Arezzo.  —  Falcone  Gius,,  Canto,  Senese,  Basilicata, 
Santanello.  —  FaccioU  Dario  Napoleone,  Sonetto,  Brescia,  Co- 
dignola.  —  Fantoni  dott.  Gabriele,  Sonetto,  Venezia,  GrimiHl, 
^Fara  Music  Giovanni,  Carme,  Cagliari.— JFVnc^A'o  Odoar- 
do.  Canzone,  Studio  imitativo,  Padova,  Sacchetto.  —  Florindo 
G.  B.,  Sonetto,  Benevento,  De  Martini.  —  Fontebasso  G.,  So- 
netto, Giom.  di  Padova,  21  Luglio.  —  Franceschini  Licurgo, 
Sonetto.  —  Fusinato  Fuà  Erminia,  Sonetti,  Riv.  Europea, 
Ag.,  p.  588;  Vei'sione  del  sonetto:  Forse  qui  farridea,  il 
Baretti,  n.  33,  p.  264.  —  Gaddi  Dario^  Sermone,  Imola,  Ga- 
leati.  —  Galeano  Martino,  Carme,  S.  Pier  d'Arena,  Vemeogo. 
^  Ghivizzani  Gaetano,  Canzone,  Padova,  Sacchetto.  —  Gru 
Betti  ing.  Antonio,  Sonetto  e  Carme,  Arezzo,  Sgricd.  —  Gui- 
dantoni  Rosa,  Sonetto,  Riv.  Eur.,  Ag.  p«  477.  —  L.  4.^  So- 
netto, Padova,  Minerva.  -«  Lonza  Marco,  Versi,  Venezia,  Ton- 


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PUBBLICA.TI  IN  OOCÀSiONS  DSL  GBNTENARIO.  641 

delli.  —  GaierotU  Giovanni j  Sonetto,  Treviso.  <—  liainardi. 
Sonetti  e  Versione»  Venezia,  Grimaldi.  -«  Malmignati  Anf., 
Sonetti,  Padova,  Sacchetto  ;  sei  Sonetti,  Monselice,  —  Mzndni 
Abele  y  Ode,  Venezia,  Oriouddo.  -^  Maraghini  Fr„  Canzone, 
Arezzo,  Cagliani.  —  Miglia  Gioo,,  Sonetto,  Cuneo,  Riba.  — 
Minto  A.,  Versi,  Padova,  Randi-  —  Miotti  Alfonso,  Sonetto, 
Modena,  Moneti.  —  MonU  Achille ,  Alla  ccMa  natale  del  Pe- 
trarca, Arezzo,  19  Lug.,  Giorn.  di  Padova,  21  Lug.;  Féte  Séc. 
p.  ni.  —  Morra  Gius,,  Canzone  e  Sonetto,  Genova,  Schenone; 
Sonetto,  Fété  Séc.  p.  172.  —  Nerini  Giancarlo^  Son.  id.  p.  172. 
—  Novelli  Ettore  j  Versi,  Roma,  Barbèra.  —  JPardi  Carmelo, 
Petrarca  e  il  genio  latino ,  carme.  Nel  Giorn.  dell'  instituto 
Randazzo,  a.  n,  16.  Ag.  a.  15.  —  Panelli  Fr.,  Ode,  Corr. 
Ven.  19  Luglio.  — '  Pastorello  Domenico,  Canto  popol.  Padova, 
Longo.  —  Pierini  Carlotta,  Ode,  Gior.  di  Padova,  17  Lug.— 
Pizzo  Gius»,  Versi,  Padova,  Prosperini.  —  Pizzomo  Frane,, 
Canto,  Genova,  Tip.  Sordo^nuti.  V.  Riv.  Eur.  Sett.  1874,  pag. 
171.  -^  Ponziani  Gius,,  Un  mirto  sulla  tomba  di  Fr.  Petrarca, 
Ode,  Corriere  Ven.  19  Lug.  —  Regaldi  Gius,,  Ode  recitata  in 
Arquà  il  18  Luglio.  Il  Baretti,  n.  33,  p.  263.  —  Rezzentì  dott. 
Gio>,  Versi,  Adria,  Guamieri.  —  Rossi  av,  Giov.,  Armonie,  di 
p.  36,  Padova,  Minerva.  —  Ròndani  A.,  da  Selvapiana,  Canzone, 
dalla  Rivista  Minima  (Milano,  Ricordi).  —  Salomoni  Filippo, 
Sonetti,  Padova,  Prosperini.  — -  Simonetti.AnL,  Anagrammi,  Ve- 
nezia, Nacatovich,  —  Svidercoski-Gru  Gius,  di  Verona,  Epi* 
granoni,  Està,  Longo.  —  Tecce  Salvatore  Benigno,  Canzone, 
Napc^,  Pascala.  —  Tiberto  Fausto,  Cantica,  Padova,  Giammar- 
tini.  —  Urbani  Domenicbr  Ode,  Venezia,  Cecchini.  -«  .^am- 
bì4si  Dal  féogo  F,,  Sonetto,  Verona.  —  Zincon  Reffaelle,  So- 
netto, Santa  Maria,  Capua  Vetere.  <—  Zerbino  av.  Luigi,  So- 
netto, Genova,  Schenone.  ^^  Zucchetti  Licurgo,  Canzone,  Pei*ugia, 
SantuccL 

Ricordi  del  V.  Centenario  di  Fr.  Petrarca.  Monselice,  Za^ 
nibon,  1874.  -«*•  Racchiude  componimenti  di  G.  A.  de'  Concini 
di  A.  Malmignati,  di  A.  AC,  C.  M.,  dell'  ab.  Sartori,  di  Salda, 
e  di  G.  dott.  V. 

L' ab.  Geremia  BrunelU,  valentissimo  profess.  di  Rettorica 
nel  scftttiaario  di  Perugia,  nel  1865,  VI  Centen.  delia  nascita 
del  divino  Alighieri,  con  un'accademia  poetica,  ne  voUe  ono^ 


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642  oonpoNOiBNTi  posna 

rata  la  memoria.  Nel  1874  rendeTa  lo  stesso  tributo  a  Fran- 
cesco Petrarca.  Eccone  il  programma  (Perugia,  Santucci, 
1874): 

L' incoronazione  di  Fr.  Petrarca  al  Campidoglio,  Coro  con 
accompagnamento  di  Piano-forte,  posto  in  musica  dal  maestro 
F.  Frengnelli.  —  Prolusione.  —  Petrarca  e  Laura,  Quartine.  — 
Petrarca  e  Virgilio,  Elegia.  —  Petrarca  e  Dante,  SocmUo.  — 
La  Madonna  di  Giotto  del  Petrarca,  Settennarì.  —  L^inooro- 
nazione  del  Petrarca  al  Campidoglio,  SaflSca  latina.  —  n  Giu- 
bileo del  1350  a  Roma,  Terzine.  ~  1118  Lug^o  1374,  OtUTe. 
—  Ringraziamento,  Dialogo,  Polimetro. 

Il  Governo  Francese  decretava  medaglie  d*  onore  alle  mi- 
gliori poesie  italiane,  nell* occasione  déQe  feste  secolari  Avi- 
gnonesi.  Cento  settantatre  componimenti,  da  una  settantina  di 
autori,  furono  presentati  a  concorso.  Dal  Gomitato  d'Aiz  tra- 
scelta giudice  la  Crusca.  —  Eccone  il  giudizio,  e  Per  adempire  \ 
all'onorevole  commissione  gli  Accademici  della  Cmaca  si  sono  I 
adunati  più  volto,  e  fiitto  da  prima  un  grande  scarto  (grande  ! 
pur  troppo!)  ne  han  preso  in  esame  alcuni  pochi,  i  quali  o  per 
la  forma  o  per  il  pensiero  uscivano  dalla  adderà  volgare;  ma 
anche  in  questi  il  merito  non  era  assoluto  :  erano  buone  eser 
citazioni  di  verseggiatori,  piuttosto  che  vere  creazioni  di  poeta. 
E  il  poeta  solamente  doveva  esser  premiato  in  un  conocNriso  sul 
quale  due  nazioni  tengon  gli  ocdù,  in  una  festa  lettsruria  con 
che  vuoisi  onorare  il  Poeta  che  cantò  nobilmente  la  Donn^,  la 
Patria,  la  Religione.  Onde  T Accademia  credette:  che  4lnn 
dei  concorrenti  meritasse  il  premio;  'severità  di  giudizio  neces* 
saria  per  mantenere  Y  onore  d' Italia,  che  altrimenti  avrebbero 
creduto  là  b^o  e  onorabile  a  noi  dò  eh*  è  mediocre  e  cattivo. 
In  molto  poesie  mancava  V  ardore  del  sentimento  vivo,  e  cAi  non 
arde  non  risplende;  mancava  in  altre  Tidea  chiara  e  conve- 
niente; mancava  in  parecchie  ogni  cosa;  in  tutte,  più  o  meno,  la 
condotta  e  lo  stile.  Ma  gli  uomini  di  nome  più  femoeo  non  ave- 
vano concorso  ;  e  ciò,  in  parte,  scusava  e  consolava  l'austerità 
del  giudizio;  approvata  poi  da  ragguardevoli  penonaggi  che 
avevano  letto  gran  parte  de'  componimenti,  e  che  verrebbe 
confermata  da  tutta  Italia,  quando  i  maloonteoti  pubblièaaaaro 
i  loro  versi.  » 


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PUBBLICATI  IN  OCCASIONE  DEL  CENTENARIO.  C^3 

Le  Accademie  di  Gard,  di  Apt,  T  Associazione  Normana, 
quelle  di  Provenza  ad  Arles,  a  Marsiglia,  il  Maire  d' Avignone, 
ecc.,  la  Società  de'  Giochi  FhreaU^  decretarono  premi  (Médaill. 
d' or,  de  vermeil,  d'argent,  de  bronze,  violette  d'argent,  Couronne 
d*olivier  in  argent,  vase  de  Sèvres.  Statue  de  la  Vénus  d*  Arie, 
Statue  enbronze,  ecc.),  a  chi  meglio  cantasse  in  versi  di  Fr. 
Petrarca  e  della  bella  Avignonese.  A  tutto  il  22  Giugno  1874 
niente  meno  che  608  componimenti,  tra  francesi  e  provenzali, 
furono  presentati  a  concorso.  Io  rimando  il  lettore  a*  due  volu- 
metti coltitelo:  Féte  séculaire  et  intemationale  de  Pétrarque,  ecc, 
Aix,  Yeuve  Remondet-Aubin  ;  Fétes  Httératres  et  intemationales^ 
ecc.  Avignon,  Gres,  che  ve  ne  troverà  accolta  una  buona  parte. 

Giron  A.,  Poésies  couronnés  au  V.®  centenaire.  Puy  Mar- 
chessou. 

DesHébrides  P.,  Pétrarque  (odecouronnée).Carpentras,Prière. 

Hipp  G.,  Vaucluse,  Sonnets  inédits,  recueillis.  Aix,  Re- 
mondet-Aubin. ^ 

Yidal  F,y  Lou  nvie-milenàri  de  mes.  Francés  Petrarco  (pièce 
couronnée).  Aix,  Remondet-Aubin. 

GautJ.  B.^  Sounet,  Souneto  e  Sounaio,  em*uno  soun^disso 
de  jP.  MistrcU  (nombreux  Sonnets  sur  Pétraxque).  Aix,  Remondet- 
Aubin. 

Ach.  A.  (d^  E,),  Les  amours  de  Pétrarque  (en  vers  Fran^ais, 
et  proven^aux).  Avignon,  Roux. 

A  Pétrarque^  poésies  inédites  de  cent  auteurs  contempo^ 
raxns,  franpais,  itaiiens,  procengaua.  Estratta  dal  libro:  Féte 
sécuL  et  intemat,,  Aix,  Remondei-AuMn. 

Chabert  Theoph.^  Les  CanUddes,  —  La  Bienvenue  des 
Poétes  a  la  Féte  de  Pétrarque^  Musique,  Chambéry,  Foudraz. 
—  Je  dédie  ceci  :  aux  ChevalÌM*s  de  Pétrarque  et  de  Laure  : 
titre  académique  d*  un  ordre  littéraire  que  je  propose  de  créer 
entre  la  France  et  V  Italie  en  V  honnenr  de  la  poesie  et  en 
mémoire  de  Pétrarque.  Avignon,  le  18  Juillet  de  Tannée  mil 
huit  cent  soixante  quatòrze. 

Aubanel  Theod.,  Caniadisso  à  Petrarco.  Avignon,  Aubap* 
nel  Fròres,  avec  musique  d' Imbert.  Paris,  G.  Avocat  (Medaglia 
d*  argento). 


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644  coMPON.  PosTia  pubbl.  im  oocas.  dbl  cent. 

Borei  j  prof.  d'Aix,  Apothéose  de  Pétrarque,  —  Ltntre 
et  Pétrarque,  Rétraite  militaire  (Medaglia  d* argento )l  Atk 
musique  à'Imberi,  auteur  -de  la  musique  de  la  rimtata  e& 
r  honneur  de  Pétrarque  exécutóe  à  T  Hotel  de  Ville,  le  18  JooL 

Z.  von  Claudio,  (Ida  von  Cuioz,  de  Gratz),  Zur  Pigtrarea 
Jubelfeier.  Veaedig,  Viaentini,  1874. 


COMPONIMENTI  DRAMMATICI. 

BaveUi  Giacinto  ^  Il  Petrarca,  dramma.  Lugano,  Veladini, 
1815. 

G,  R,  U»  P.,  Petrarca,  commedia  di  5  atti,  in  TersL  Torìao^ 
Favale,  1817.  Nella  Galleria  teatrale  ined.,  con  appendìee,  n.  4. 

Nota  Alberto,  Petrarca  e  Laura,  commedia.  Nel  suo  Tea- 
tro, 1832. 

Corday  Charlotte^  Petrarca.  Ein  drammatiadies  Oedidlit  in 
5  Akten.  Hamburg,  Hoffmann,  1806. 

Eckschlager  Attgust,  Petrarca.  Eine  drammatiache  Diktong. 
Baden,  UUrich,  1814. 

HaUrsch  Ludwig,  -Petrarcha,  drammatisches  Gedicht  in  3 
Akten.  Leipzig,  Windrack,  X^S^,- 

Baie  Ongaro  Francesco,  Petrarca  alla  corte  d*  amore.  Me- 
lodramaia^  Musica  del  maestro  Giulio  Roberti,  1859. 

Duprat,  de  Toulon,  poeta  e  maeetro  dell*  opera  nmaiflle. 
Fu  rappresentata  ad  Avignone  nell* occasione  del  Centenario, 
1874  ;  poi  a  Tolosa,  a  Tolone,  al  grande  teatro  di  Marsiglia, 
ed  a  Milano,  al  Del  Verme.  I  oritici  vi  trovano  pagine  caMe  e 
colorite.  —  Deir  opera  del  Duprat  il  Ricordi  di  Milano  pubblicava 
i  seg.  pezzi  :  Romanza  :  Amor  amor  guidommi  a  te,  per  tenore, 
con  accompagnamento  di  pianoforte.  — -  Redtalivo  ed  aria: 
Deliziosa  valle,  Incanto  di  natura,  per  soprano,  oon  aooom^ 
pagnamento  di  pianoforte.  —  Strofa:  La  colomba  vezzosa,  per 
tenore,  con  accompagnamento  di  pianoforte.  —  Scena  ed  aria: 
La  calma  alfin  succede,  per  mezzo  soprano,  con  accompagna- 
mtòto  di  pianoforte. 


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645 


IL     CANZONIEI^^E 


MADONNA  LAURA  (1). 


PsROzzi  Luigi,  contemporaneo  del  Petrarca,  Ricordi  sulla 
vita  di  mesa.  Fr,  Petrarca  e  di  Madonna  Laura.  Bologna , 
Romagnoli,  1866. 

Vellutello  Alessandro,  Origine  di  Madonna  Laura  con 
la  descrizione  di  Valchiusa  e  del  luogo  ove  il  Poeta  da  prin- 
cipio di  lei  s*  innamorò.  Nel  Comento  al  Canzoniere. 

Mbnabd,  Mémoire  sur  F origine  de  Laure,   célébrée  par 

Pétrargue,  Nel  t.  xxx,  Mémoires  de  Littérature de  F  Aca- 

démie  Royal.  Paris,  1764. 

Db  Sade,  Mémoires  pour  la  vie  de  P,  P.  Amsterdam,  Arske 
e  Marcus,  1764-67. 

L^ab.  De  Sade  ebbe  posto  Usuo  beli*  ingegno  e  molta  dot- 
trims  ®  lunghe  e  diligenti  ricerche  a  procurare  ad  una  prò* 
pria  arcavola  1* onore  d'aver  inspirato  e  coltivato  1* amore  di 
Fr.  Petrarca.  Egli  illustra  le  proprie  deduzioni  coi  seguenti 
documenti  :  — -  Sur  Tétat  de  Laure.  —  Si  elle  etoit  fille  ou  femme. 
—  Sur  le  nom  de  famille  de  Laure.  —  Sur  la  maison  de  Noves 
et  la  famille  de  Laure.  —  Sur  le  lieu  de  la  naissance  de  Laure.  -— 
Sur  Hugues  De  Sade,  mari  de  Laure  et  sa  famille.  —  Sur  la 
note  qu'  on  trottve  à  la  téte  de  Virgile  de  Pótrarque.  —  Con- 

(i)  Alla  Laura  del  Petrarca ,  copia  ingegnosa ,  benché  pallida  della 
donna  di  Dante,  ma  j^iù  popolare,  perché  più  acceaaibile  aUa  comune  ian- 
tasia  degli  uomini ,  si  possono  in  porte  attribuire  e  il  concetto  dell'  amor 
platonico  introdotto  neir  arte ,  e  quelle  celesti  e  grasieae  arie  di  fanciulle 
e  di  donne  che  respirano  dai  dipinti  fiorentini  fino  al  sec.  XIV  e  noi  marmi 
del  Donatello.  Gioberti,  Del  Bello,  570. 


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646  IL   CANZONIBBB 

tractom  matrimonii  inter  Hugonem  de  Sade  et  Lauram  è* 
•Novea.  —  Teatamentum  Pauli  de  Sade.  —  Testameatam  Be- 
gonia de  Sade.  —  Teatameat  de  Laure  de  Noves,  femme  d'tla- 
guea  de  Sade.  —  Sur  le  dòcouverte  du  tombeau  de  Laure.  — 
Examen  dea  doutes  de  'hU  de  la  Baatie.  —  A  non  men  tìt^ 
tuoao  ecc.  —  Soret  trouve  dans  le  Tombeau  de  Laure  daiis 
une  boète  de  plomb. 

Lea  yiea  dea  hommea  et  dea  femmea  illuatrea  d'Italie  par 
une  Societó  dea  gena  dea  Lettrea.  La  Vie  de  Laure^  Paris. 
Vicent,  1767. 

WooDBOusELEB  lord,  Afi  historicakhypoihesis  of  the  àbb^ 
de  Sade,  Nel  voi.  iv  delle  tranaazioni  della  R.  aocietà  di  Edim- 
burgo, 1874.  Nella  vita  del  Petrarca,  Edimburgo,  1812;  Londra. 
Bulmer,  1811.  Nell'edizione  del  Canzoniere,  per  cura  di  Carlo 
Albertini,  Firenze,  Ciardettì,  1832,  col  titolo:  Riflessioni  in- 
torno a  Madonna  Laura  ossia  Dissertazione  sopra  un^  ipot£s 
storica  delTab,  De  Sade, 

Baldblu  Giamb.,  Notizie  di  Laura,  Del  Petrarca,  p.  17 1-1  SS 

Levati  Abibbooio,  Biografìa  delle  donne  illuatrì.  —  Laur:  i 
Milano,  Bottoni,  1822. 

Marsand  a.  ,  Bret!>e  ragionamento  intorno  il  ceUbalo  l 
Laura.  Biblioteca  Petrarcheaca,  191-195. 

CosTAiNO  DB  PusiGNAN,  La  Muse  de  Pétrargue  dans  ì 
coUines  de  Vaucluse,  ou  Laure  des  Beaux  (Adhemar)^  sa  se- 
litude  et  son  tombe  dans  le  valions  de  Galas.  Paria  chez,  R^ 
pet,  1819. 

De  Genlis  M."*  la  Conteaae,  Pétrarque  et  Laure.  Paris. 
Smith,  1819.  —  Recata  in  italiano  da  Carlo  Gherai*dini,  Milaco 
Batelli  e  Fanfani,  1820. 

D' Olivibr-Vitalis  Hyac,  Bibl.  di  Carpentraa,  U  Uhistr 
Chaielaine  des  environs  de  Vaucluse,  la  Laure  de  Péùrarqw. 
Dissertation  et  examen  criUque  des  diverses  opinion  ecc.  Paris. 
Teachner,  1842. 

Abbraccia  i  aeguenti  capitoli:  —  I.  Avant-propoe.  —  II.  0]* 
nion  de  Vellutello.  —  III.  Laure  d'Avignon  d'aprea  Vasqm: 
Phileul.  —  IV.  Extrait  de  cea  conaiderationa  de  Taaaoni.  —  V 
Dea  Memoirea  de  M.  Tabbé  De  Sade.  —  VI.  Deductions  d^ 
Ègloguea.  —  VII.  Extrait  dea  Triomphea.  —  Vili.  Opinion  ' 
ayateme  de  M.  Tabbó  Costaing.  —  IX.  Du  pretendu  autogn- 


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MADONNiL  LAURA.  647 

[>he  de  Pétrarque  sur  son  Virgile.  —  X.  De  la  dissemblance 
des  portraita  de  Laure  et  de  la  conclusion  qui  en  resuite.  — 
XJ.  Du  cólibat  de  Laure,  cólebrée  par  Pétrarque.  —  XII.  Du 
tombeau  de  la  Laure  de  Sade.  -«  XIII.  Du  domìcile  de  la  Cha- 
telaiue  des  environs  de  Vaucluse.  —  XIV,  De  habitations  de 
Pétrarque. 

Blaze  de  Burruy  Henri,  Laure  de  Noves,  à  V  occasion 
du  dnquieme  centenaire  de  Pétrarque,  —  Appropinquante  die- 
ruzn  festorum  solemnitate ,  haec  divae  in  memoriam  Laurae 
scripsit,  Àvenioni^  patriae  suae,  dicavit  Auctor.  Revue  des  deux 
Mondes  xuv,  15  Juillet  1874,  p.  241-83. 

N.  N,,  Cure  actuel  de  Vaucluse  y  Vaucluse  ^  Pétrarque  et 
Laure,  1864.  V.  Mézières,  42. 

Mézières  a.,  Pétrarque  et  Laure,  p.  40-147. 

Fracassbtti  Gius.,  Della  Laura  del  Petrarca,  Epist.  Pam. 
I,  379-491. 

Beiti  Salvatore,  La  Laura  del  Petrarca,  Giom.  Are.  T.  viii, 
267.  E  nel  voi.  xxxvi  della  Nuova  Serie,  con  molte  aggiunte. 
—  Dial.  Il,  Terza  ediz,  corretta  ed  accresciuta  dall'Autore, 
Modena,  Soliani,  1866. 

Re  Zefquno,  Risposta  ai  Dialoghi  del  Betti.  I  Biografi  del 
Petrarca,  p.  60-76.  —  V.  Letture  di  Famiglia  di  Trieste,  1859, 
pag.  125. 

Veratti  Bartolomeo,  Della  Laura  del  Petrarca,  Op.  Rei. 
Letter.  e  Morali  di  Modena,  1865,  voi.  vi,  p.  399. 

Grion  Giusto,  Madonna  Laura  chi  fosse.  Atti  del  R.  Inst. 
Vtìn.  Disp.  V,  t.  Ili,  ser.  iv,  p.  999. 

Gobtero  Francesco,  Prefaz.  alle  Rime  del  Petrarca.  Milano, 
Sonzogno,  1875. 

DucLAUx  F.,  Pétrarque  et  Laure,  Avignon,  Roumanille, 
1874,  in  16«  di  p.  77. 

Pbrrin  ,  Humour  à  Vaucluse ,  précède  et  suivi  c2*  un  mot 
sur  la  Laure  de  Pétrarque,  Avignon,  Seguin,  1874. 

Il  Yellutello  tenne  cbe  la  donna  amata  dal  Petrarca  fosse 
Laura  figlia  di  Enrico  di  Chiabeaud ,  signore  di  Cabriórea  ;  il 
De  Sade  la  volle  figUa  di  Audeberto  e  di  Ermessenda  di  Noves, 
e  si  maritasse  nel  1325  ad  Ugo  De  Sade;  Tab.  Costaing  de 
Pusignan,  attenendosi  al  Bimard,  fosse  invece  la  nobilissima 
Laura  des  Beaux  Adhemar  di  Cavaillon,  figliuola  per  padre 


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648  It.  CAN20NIBRB 

del  Signor  di  Valchiusa,  e  per  madro  di  una  dama  della  c^ 
di  Grange,  e  che  dimorasse  continuamente  colla  sordla  e  «sa 
altri  parenti  nelle  sue  terre  di  Oalas,  nel  castello  di  Somara 
sni  colli  che  signoreggiano  la  valle,  e  vi  morisse,  non  di  m- 
tagio,  ma  di  lenta  consunzione.  Ne  propugnano  gagtìardamentf; 
le  ragioni  lord  Woodhouselee,  il  Betti,  51  Veratti,  il  Perra 
e  L.  Berluc  de  Perussis  (1);  le  combatte  con  molto  valore  Zefi- 
1^0  Re.  Il  prof.  Grion  conchiude  che  madonna  Laura  nacqcf 
De  Sade  nella  terra  di  Toro,  a  due  leghe  da  Avignone,  dt 
ivi  si  accasò  impalmando  il  barone  di  Toro ,  e  dopo  una  Tia 
umile  e  queta  mori  nel  suo  luogo  natale  e  vi  fu  sepolta. - 
Il  Costerò  ritiene  che  la  donna  cantata  dal  Petrarca  nel  Can- 
zoniere sia  un  essere  affittto  immaginario  (!!)  (2). 

Zendrini  Bernardino,  Petrarca  e  Laura,  Studio.  —  Rìrót 
Ital.  di  MiUno,  1874,  voi.  i,  574-594;  61946;  voi.  n,  113^ 
—  Estr.  dalla  Riv.  Ital.  Milano,  Lombardi,  1875. 

(1)  M.  Perrin,  in»tituteur  dana  le  dèparteiaent  do  Vaacliue,  dans  sa 
opuscule  humouristique  ou  fantasUque  sur  Vaucluao  a'  «st  o«»pe  ài  « 
legende  de  Pèlrarque;  et  cornine  moi ,  il  repousse  (avec  Witt©-Bra« 
r  idée,  caressée  par  V  abbé  De  Sade,  que  Laure  était  mariéo.  J' ai  soutec- 
pour  r  honneur  de  la  vérité  et  de  Pótrarque,  la  méme  thèae,  dans  a:- 
tocture  falte  ,  en  1875,  à  la  Sorbonne ,  et  doni  la  Hetme  dèi  Soeietèf  S- 
vantes  a  donno  un  résumé.  JU  Berluc-Peruuii ,  da  una  aoa  lettera  a*- 
87  Dee.  1876.  ,  „      .      .    ^ 

(2)  Chi  ha  negato  l'esistenza  dì  Beatrice,  scrivo  il  PuccianU,  ba  p- 
tuto  trarre  qualche  ai-gomento  dalle  parole  atesse  dell'  Alighieri  :  da  i; 
negato  quella  di  Laura  ha  dovuto  chiudere  ^li  occhi  all'  evideoaa  de'  &*: 
per  fabbricare  un  sistema  allegorico  e  settario  che  si  ricorda  soltanto  «a* 
una  delle  tante  forme  di  traTÌamento  dell'  ingegno  umano.  Afa  a  pnn-- 
luminosamente  la  incontrastabile  realtà  dell'  ente  idoleggiato,  credo  più  rh' 
sufficienti  i  passi  seguenti: 

^  Quid  ergo  ais,  finxisse  me  mihi  speciosum  Laureae  nomeUt  ut  ^s*- 
et  de  qua  ego  loquerer,  et  propter  quain  de  me  multi  loquerentur;  rea.* 
tem  vera  in  animo  meo  Lauream  nihil  esse,  nìsi  illam  poetìcam,  ad  qina 
aspirare  me,  longum  et  indefessum  studium  testa  tur;  de  hac  autem^f" 
rante  Laurea ,  cuius  forma  captus  videor ,  manu  facta  esse  omnia ,  cci 
carmina,  simulata  suspiria?  In  hoc  uno  vere  utinam  iocara4s!  simo]^' 
esset  utinam  et  non  furor  !  sed,  crede  mihi,  nemo  sine  magno  labore  éJ 
simulai  :  laborare  autem  gratis  ,  ut  insanus  videaris  ,  insania  sumiua  '^• 
A.dde,  quod  aegritudinem  gestibus  imitarì  benevaleates  possomos,  r^nt 
pallorem  simulare  non  possumus.  Tibi  pallor,  tibi  labor  meus  notus  est .  • 
Fam.  II,  1.  9.  —  E  nella  lettera  al  P.  Francesco  Dionisi  dal  Borgo  »  • 
Sepolcro  (iv,  1).  «  Quod  amare  solebam,  iam  non  amo:  meatior:  amo:  y 
verecundius,  sed  tristius.  Jam  tandem  verum  disi.  Sic  est  enim  :  amo.  » 
quod  non  amare  ameni,  quod  odisse  cupiam.  A.mo  tamen,  sed  invitu«,  *'• 
coactus ,  sed  moestus  et  lugens . . .  Nondum  mihi  tertìua  annus  efliGC 
ex  quo  voluntas  illa  pervM'sa  et  nequam ,  quae  me  totam  habebat .  ei 
aula  cordis  mei  sola  sino  contradictore  regnabat,  coepit  aliaro  habere  ^* 
bellem,  et  reluctantem  sibi  :  inter  quas  ianodudum  in  campis  oogitatioci- 
mearum  de  utriusque  hominis  imperio  laboriosissima  et  aaceps  etiam  s^^*- 
pugna  conseritur.  >  —  E  nella  lettera  a  Luca  Cristiano ,  iVeposito  L  ^ 
Antonio  di  Piacenza  (Fracassettij  Append.  Ep.  vi,  p.  583).  —  «  Juvetil? 


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BCADONNA  LADRA.  649 

Nel  Petrarca  bisogna  distinguere  dne  Laure,  la  vera  e  la 
poetioa,  che  non  sono  una  stessa  cosa,  né  van  punto  confuse. 
E  cbe  c'entra  Laura  l)e  Sade  nella  stona  della  poesia,  accanto 
alla  sua  bella  omonima  che  sola  ha  diritto  di  campeggiarvi? 
Nò  marito,  ei  dice,  nò  figliuoli,  nò  tenerezza  di  madre,  nò  ri- 
serbo di  sposa;  e  di  Laura  di  Nores,  baronessa  de  Sade,  non 
rimane  che  il  nome.  Laura,  cioò  Taria.  Ma  dal  non  esser 
Laura  quella  donna  che  han, voluto  farla,  non  ne  segue  che 
ella  sia  un  ente  imaginario,  un  mito,  un* ombra.  In  questa 
ombra,  a  quando  a  quando  si  concreta  la  donna.  Laura,  se 
non  ò  un  personaggio  storico  ò  personaggio  reale;  sebbene 

aestum  qui  me  maltos  annos  torrnit,  ut  nosti,  sperane  illis  ambraculis  (di 
Vaichiusa)  laoire.  ao  iam  inde  ab  adoleaoentia  aaepe  confùgere,  velut  in  arcem 
inunitissimam  solebam.  Sed  heu  !  mihi  incauto  :  ipsa  nempc  reniedia  in 
cxitiom  Tertebantur.  Nam  et  bis  quas  mecum  adduxeram  curia  inceuden- 
tibus,  et  in  tanta  solitudine ,  nullo  prorsus  ad  incendium  occurrente ,  do- 
pperà tius  urebar*  itaque  per  os  meum  flarama  cordi»  erumpens,  miserabili, 
sed,  ut  quidam  dixerunt,  dolci  murmure  valles  coelumque  complebat.  Uinc 
illa  vulvaria  invenilium  laborum  meorum  cantica,  quorum  hoaie  pudet  ac 

poenitet,  sed  eodem  morbo  affectis,  ut  videmus,  aoceptissima Est  iffitur 

eritque  dum  vixero,  aedes  illa  mihi  gratissima,  commemoratione  iuvenilium 
curarum,  quarum  usque  ad  hanc  aetatem  in  reliquiis  elaboro.  Veruntamen 
nisi  nosmetipsos  fallimus,  alia  quaedam  sunt  viro  tractanda  quam  puero: 
et  ego  aliud  illa  aetate  non  videram.  Obstabat  enim  recto  iodicio  ccecua 
amor  ;  obstabat  aetatia  imbecìllitas  paupertasqae  consilii  :  obstabat  reve- 
rentia  ducis  nostri,  sub  quo  esse  pluris  erat  qaam  libertas  :  imo  sine  quo 
nec  libertas,  nec  vitae  jucunditas  piena  erat.  Nunc  et  illum  et  quidquid 
dulce  su{)ererat  uno  pene  naufragio  amisimus  ;  quodque  sine  suspirio  dici 
nequit,  yirentissima  olim  laurus  mea,  vi  repentinae  pestis  exaruit  (V.  la 
famosa  nota  in  margine  al  ano  Virgilio^;  quae  una  mihi  non  Sorgiara 
modo,  sed  Druentiam  Ticino  fecerat  cariorem  :  velumque,  quo  oculi  mei 
tegebantur ,  ablatum  est ,  ut  videam  quid  inter  Vallemclausam  Venusini, 
et  apertas  Italiae  vallea  ooUesque  nulcherriraos  et  urbe»  amoenissimas  ao 
florentissimas  intersit.  *  ^  m.  Est  mihi . . .  molier  clarissima.  . .  et  virtute. . . . 
et  sanguine  nota*vetusto,  Carminibusque  ornata  meis,  audìtaque  longe.  » 
V.  Poem.  Min. ,  Epiatola  Jacobo  de  Columna^  in,  202.  ■—  Epistola  ad  Ami' 
cum  Transalpinum,  ii,  138.  —  Ecloga  iii,  Stupeua-Daphne.  —  Ecl.  x, 
Laurea  Oceidene.  —  Ecl.  xi,  Oalatea-De  Contem.  Mundio  Dial.  ni,  passim. 
Il  Comitato  di  Provenza,  nel  suo  Rendiconto  ufficialo,  scriveva  su  Laura: 
—  <  Tous  les  historiens  de  Provence,  tous  les  biographes  de  Pòtrarque, 
totts  les  g^néalogistes  de  la  maison  de  Sade  sont  unanimes  à  nous  dire  que 
Pétrarqoe  fut  amoureux  non  de  la  forame ,  mais-  de  la  jeune  fiUe.  Cette 
constante  tradition  a  étè  contestée jponr  la  première  fois,  au  dernier  siede 
par  r  abbó  do  Sade,  à  qui  il  ne  sufnsait  point  d*  étre  1*  arrière-neveu  de  la 
belle  Laure  et  qui  voulait  descendre  d*  elle.  Ce  nouveau  système  n'  a  pu 
a'  étayer  sur  aucune  preuve  convaincante.  La  seule  prèsomption  sórieuse 
à  aon  appui  résulterait  de  ce  que  Laure  de  Noves  parait  étre  morte  de  la 
peate  en  IdIS,  année  de  le  mort  de  la  Laure  chentée  par  Pètrarque.  Or, 
tottt  permet  de  supposer  que  ce  fléau  qui  détruisit  des  familles  entières  à 
Avtgnon,  emporta  en  méme  tempa  les  deux  belles-sceurs.  Aioutons  encore, 
avec  la  legende,  que  Laure  était  la  nièce  de  Phanette  de  Gantelmi,  l' une 
des  dames  de  la  cour  d*  amour  de  Romanil,  et  qu*  a  cette  poétique  ècde 
elle  apprit  A  aimer  les  vera  et  à  a'  appliquer  rile-méme  aux  nobles  exercices 
du  gai  aavoir.  C  ótait  bien  la  femme  qui  convenait  au  naissant  genie  du 
jeune  Toscan.  »  Pe^.  en  Provence, 

41 

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050  IL  CANZO!«IBiUI 

comiMwta  (li  sostanza  cosi  tenue  che  ukolti  hanno  daìàtato  e 
dubitano,  ch'ella  non  abbia  mai  eaiatito  fìiorchò  neU^'acc^i 
fantasia  del  poeta.  Chi  sia  poi  questa  doftia  egli  non  ha  voloto 
dircelo,  e  rinijuieta  curiosità  di  tutti  gli  ei*uditi  non  veni 
mai  a  capo  di  accertarlo. 

Secondo  il  prof.  Zendi*ini ,  Laura- fu  una  donna  ambizi£»a, 
non  d'altro  curante  che  della  propria  lode,  e  del  resto  dora 
verso  il  Petrarca,  non  per  onestà,  ma  per  insensibilità,  luu 
specie  di  nobil  civetta,  piuttosto  nociva  che  utile  all'ingegno 
e  all'  animo  del  Poeta,  il  quale,  se,  ciò  non  ostante  seppe  eoo- 
servarsi  operoso  e  non  cadere  nell'avvilimento,  lo  dovette  alla 
grandezza  dell'animo  suo,  non  a  Laura.  Certo  se  fosse  stato 
riamato,  avrebbe  dato  all'  Italia  un  vero  e  compiuto  Canzonieiv 
d'amore,  mentre  cosi  non  diede  altro  che  il  Canzoniere  dell'a- 
mor platonico,  o  meglio  dell'amor  non  soddis&dto.  —  Andie 
il  Macauiay  chiama  Laura  civetta  e  senza  cuore  (1). 

A  non  men  virtuoso  che  dotto  M,  Maurizio  Scaeva,  Giouax 
DI  TouRNES  suo  afpBzionatissimo, 

È  questa  la  ben  nota  lettera  sulla  pretesa  scoperta  delia  tomba  | 

(1)  La  dissertazione  del  orof.  Zendrìni  è  ricca  di  fine  ed  acute  ossa^ 
vazioni  *  ed  io  la  lesai  d' un  flato  con  moltìBSimo  piacere.  Però  mi  par  poc« 
verosimile  che  Laura  fosse  t4itt*al  più  un  appiglio,  un  prestanome;  cy 
ben  allrimenti  si  chiamasse  qitella  eh'  ei  più  amawi  ;  che  a  bello  stud.8 
mutato  ne  avesse  U  nome,  in  modo  che  al  mondo  non  ne  giungesse»  cL? 
il  dolce  profumo  ;  che  Amore  nel  tenesse  anni  venntno  ardendo  sena  ci"* 
altri  potesse  mai  avvedersi  qual  fosse  la  gloriosa  Donna  della  sua  menie- 
Nò  men  in  verisimile  mi  pare  che  la  gente  perseverasse  ad  anpioppanriì 
un'  amante  mai  amata  ;  che  la  vera  Laura ,  moglie  ad  Ugo  de  Sade ,  non 
respingesse  sdegnosa  quo'  simulati  amori ,  che  le  avreMbioa  data  voce  di 
men  che  onesta.  —  Oltrecchò  mi  ripugna  imaginar  Laura  donna  eit^Pt 
e  senza  cuore»  anzi  di  marmorea  durezza  e  rigidità ,  quantunque  volt^  | 
mi  viene  di  leggere  ciò  che  ne  scriveva  il  Petrarca  nà  suo  Dialogo  tu  de 
Contemntu  Mufhdi.  —  <  Quid  enim  aliud  egit,  cum  nuUis  mota  precibns, 
nullis  vieta  blanditiis  muliebrmn  tenuit  decorem  et  adversua  saam  aimul 
et  meam  aetatem,  adversus  multa  et  varia  quae  llectere  adamantinom  lìcet 
spiritum  debuissent,  inexpuffnabilis  et  Arma  permansit.  Profectò  animus 
iste,  foemininus  quod  virum  decuit  admonebat,  praestabatque  ne  ittsectando 
pudlcitiae  studio  (ut  verbis  utar  Senecae)  vai  ezemplam  deesaet  vri  con- 
vìtium,  postremo  cum  lorifiraf^m  ac  praecìpitem  videret,  deaererà  maluit 
quam  sequi.  »  — >  E  più  avanti  :  <  Illa  iuveniiem  animum  ab  omni  torpitu- 
uine  revocavit,  uncoque,  ut  aiunt^  retrazit,  atque  alta  oompulit  spoetare — 
Nemo  unquam  tam  mordax  convitiator  inventus  est,  qui  huiua  famam  canino 
dente  contingeret,  qui  dicere  auderet  (ne  dicam  in  ambua  eiua,  sed  in  ^tu 
verborum)  reprebensibile  aliquid  se  vidìsse;  ita  qui  nihil  intactum  lique- 
rant,  hanc  mirantes  veneranteaque  reliquerunt.  »  —  <  Neque  enim  mortali 
rei  animum  addixi ,  nec  me  tam  corpus  novena  amasse ,  quam  animam 
morìbus  humana  trascendentibus  delectatum,  quorum  esemplo,  qualiter 
Inter  coelicolas  vivatur  admoneo.  »  -~  Artibus  haec  nullis,  sed  aimptìcitate 
placendi  Goeperat  olim  animum,  et  rarae  dulcedine  formae.  Poem.  Min. 
II,  807. 


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BUDONNA  LAURA.  651 

di  M.  Laura.  È  datata  da  Lione  il  25  Agosto  1545,  e  leggesi 
per  la  prima  volta  impressa  nel  Canzoniere ,  ivi  edito  dal  Tour- 
nes.  Alla  fine  della  lettera  si  reca  il  sonetto  che  vuoisi  tro- 
vato neir avello,  e  vedesi  T effigie  di  un  albero  diviso  a  metÀ 
da  una  linea  simile  ad  un  S.  —  Alla  pag.  8  si  trovano  effi- 
giate le  arme  con  gran  cura  cavate  dalla  pietrài  e  sono  una 
rosa  araldica  a  quattro  foglie,  e  di  sotto  uno  scudo  che  porta 
una  croce  nel  cuore,  e  due. rami  in  croce  di  S.  Andrea  che 
partono  dagli  angoli  della  croce  suddetta.  Y.  Horiis,  Catal.  p.  46; 
Scritti  inediti,  268.  ^  Rastoul,  Tombeau  de  Laure  ii,  203-19. 
MÀLviOA  Ferdinand,  Lettre  sur  Avignon,  le  Tombeau  de 
Laure,  et  lafontaine  de  Vattc/M^«— A  l'illustre  dame  Constance 
Monti  veuve  comtesse  Perticari.  —  A  Bologne  chez  Turchi- 
Veroli  et  comp. ,  1824.  —  Volgarizzata  dal  Francese  per  Gio- 
vanni Monti,  con  note  del  traduttore,  e  pubblicata  nel  V  Cente- 
nario del  Petrarca.  Roma,  Tip.  deUe  scienze  Matem.  e  Fisiche, 
1874.  -^  Estratto  dal  Buonarroti,  serie  ir,  voi.  ix,  Agosto  e  Set- 
tembre 1874. 

<  Francois  I.  voolut  qu*  an  roonament  digne  de  Laura  rempla^Atcette 
modeste  tombe  ;  il  ordonna  de  compier  à  cei  effet  une  somme  de  mille 
écas  aux  Fréres-mineurs,  gardiens  de  ce  dépdt.  Ce  tombeau  devait  porter 
pour  épitapbe  :  Vietrix  easta  fides.  Mais  ce  projet  ne  foX  jnmais  réalizè. . . . 
Une  loi  révolutionnaire  ajant  ordonnó  le  transfert  dans  les  dmetièrea  de 
tona  les  oasementa  qui  se  trouvaient  dana  les  caveaux  des  ógUaea,  lea  de- 
bris  exhumés  devant  Francois  I  le  ftirent  de  nouveau  (1790).  Agricol 
Moureau ,   procureur  de  la  commune  les  recueillit  pour  en  faire  don  à  la 

Bibliothèque  nationale Féte  sècuì.  et  intermU.,  Le  eulte  de  Pétr.  en 

Proveneej  49.  —  L' inglese  Kelsall  perchò  rimanesse  memoria  del  sito  ove 
sorgeva  l' avello  di  Laura,  fece  scolpire  la  seguente  iscrisione  :  —  Ut  me' 
UìM  noteaeat  locus  —  Tarn  indigenis  qiMm  peregrìnis  —  Ubi  requiescit 
—  Laura  illa  Petrarchae  amor  —  Hunc  cippum  posuit  CaroliM  Kelsall^ 
knglicua  —  Per  Avenionem  iter  faeiens  —  Anno  Sai.  MDCCCXXIIL  — 
Nil  amplius  adaere  opUme  monent  —  Nota  haee  regii  poetae  carmina. 

Ed  è  pur  notevole  quanto  ci  lasdó  scritto  M.  Corsini,  contemporaneo  del 
Petrarca,  nel  Rosaio  della  Vita  : 

«(  Mescer  Fr.  Petrarca,  cb*  è  oggi  vivo,  ebbe  una  manza  spirituale,  la 
cpiole  ebbe  nome  Laura,  la  quale  sempre  nomina  nei  suoi  sonetti  e  can- 
zoni che  egli  Sk  ;  et  ha  avuto  a  dire  egli,  che  ella  è  stata  cagione  di  tutto 
l'onore  che  egli  ha  ricevuto  nel  mondo.  Ora,  non  sarei  io  troppo  ingrato, 
dico  egli,  se  io  non  magniflcassi  lei,  come  ella  me  ?  Cosi  ha  fatto  non  so- 
lamente nella  vita,  ma  dopo  la  morte  :  però  che ,  poi  eh'  ella  mori,  gli  fti 
più  fedele  che  mai  ;  et  bagli  data  tanta  fama,  che  ella  sarà  sempre  nomi- 
nata, e  non  morrà  mai.  E  questo  è  quanto  al  corpo.  Poi,  gli  ha  fatto  tante 


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652  IL  CANZONIBBB 

limonne,  e  fatto  dira  tento  mesM,  e  detto  •  fatto  dire  tonto  omioBi,  m 
si  fatto  divozione,  che  s' ella  Ause  stoto  la  più  cattiva  fenuniaa  del  iBacdd. 
r  avrebbe  tratta  dalle  mani  del  diavolo  :  bene  che  si  rag^iona  eh*  elU  d  r-  1 
pur  santa.  >  Matteo  dei  Corsini  (piovano  di  Pog^gibonsì,  quivi  morto  i:  ; 
Dicembre  del  1394)  Rosaio  della  Vito;  Firenze,  Soc.  Poligr.  ItaL  ISG,  p.*. 

Il  Comitato  d'Avignone  (Concorso  Storico)  neli^occasiorti: 
delle  feste  Àvignonesi,  decretava  premi  alia  miglior  disaerUzk»h? 
inedita,  che  venisse  presentata  a  concorso;  su  Madonna  Linu 
La  medaglia  d' argento  tx  vinta  da  Giudo  Getiiiard,  qtella  lii 
bronzo  da  Carlo  SoulUer  d'Avignone.  Sono  inedite  tuttam.  ^ 
da  quanto  mi  si  scrive,  non  recano  nulla  di  nuovo. 


DELL'AMORE  DI  FR.  PETRARCA. 


Capriano  Giov.  Pibtro,  bresciano,  Della  vera  poesia.  .\1 
fine  del  volume  vi  ha  un  discorso  sopra  /*  amore  et  sopra  1 
comparaiioni  poetiche  òì  Fr.  Petrarca^  Vineffia,  ZaUieri,  IjX 

Lettere  di  Alfonso  Cambi  Importuni,  di  Luigi  Antonio  R> 
DOLFi  e  di  Francesco  Giuntini,  Sul  vero  giorno  e  fora  dò- 
r  innamoramento  di  Fr.  Petrarca ,  Edizione  del  CanzoDinr- 
Lyone,  Rovilio,  1574. 

RiDOLPi  Lue' Antonio,  Arte  fila,  Dialogo.  OH  amori  del  Pe- 
trarca e  di  Laura  ne  formano  il  principale  subietto.  Lìoih. 
Rovilio,  1560. 

Gandino  Lodovico,  Lesione  sopra  un  dubbio  come  il  Pe- 
trarca non  lodasse  Laura  espressamente  dal  naso.  Venezij. 
Dussinellì,  1581. 

Vieri  Francesco,  detto  il  Verino  secondo,  Discorso  drJ 
grandezza  et  felice  fortuna  d*  una  gentilissima  e  graziosi^ 
sima  dama  qual  fu  M.  Laura.  Fiorenze,  Marescotti,  1581. 

Cresci  Pietro,  Sopra  la  qualità  delf  amoj;e  del  Pctrtxni 
Nel  Canzoniere  del  Petrarca,  Venezia,  Angelieri,  1585  e  li^-: 
id.  Griffio,  1586;  Barezzi,  1592;  Zanetti  et  Cornino,  1505;  Hìr 
succio,  1606;  Farri,  1607;  Imberti,  i612  e  1627;  Miloc-x\ 
1616.  —  11  Cresci  inclina  a  credere  che  V  amoro  del  reL-^rxi 
fosse  tutto  altro  che  platonico. 

Tre  discorsi  volgari,  Y  uno  di  quel  eh*  è  col  mezzo  di  An^^rc 


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DBLL*  ABfORB  DI  FR.  PETRARCA.  653 

r  altro  deir  amore  del  Petrarca  y  eh*  è  F  amore  propriamente 
detto,  il  terzo  della  compassione,  tenuti  nel!'  Accademia  Ferra- 
rese. Ferrara,  Baldini,  1585  (1).  —  Il  secondo  discorso  della  na- 
tura e  degU  effetti  delT  amore  del  Petrarca ,  abbraccia  dalla 
pag.  39  alla  73.  Non  se  ne  conosce  Fautore.  II  Marsand  li  at- 
tribuisce al  Baldini  che  non  ne  fa  che  lo  stampatore. 

ToBCMASi  Anton  Francesoo,  GH  affetti  ed  effetti  di  amore. 
Virtuosi  discorsi  d*  amore  sopra  il  Petrarca.  Milano ,  Stamp. 
Archiepiscop.,  1622. 

G06T0  Tommaso,  cittadino  napolitano^  Discorso  per  lo  quale 
st  mostra  a  che  fine  il  Petrarca  indirizzasse  le  ette  rime^  e 
che  i  suoi  trionfi  sieno  poèma  eroico.  Venezia,  Barezzi,  1592. 

ZuoooLO  Antonio,  il  Carrara,  Dialogo  delT  amor  Platonico 
r  del  Petrarca.  Nei  Dialoghi  dello  Zuccolo,  pag.  83,  Perugia, 
1615;  Venezia,  Ginammi,  1625. 

Schiavo  Biagio,  n.  ii>  Este  V  11  Gennaio  1675,  m.  in  Ve- 
nezia nel  1750,  Pietra  del  paragone  amoroso,  owe9*o  delta^ 
more  platonico  del  poeta  Fr,  Petrarca ,  Dissertazione  critica 
deir  autore  del  noto  Dialogo  stampato  in  Venezia,  presso  Au- 
g-elo  Geremia,  1737,  colla  risposta  della  novella  letteraria  che 
inferisce  T  estratto  del  detto  dialogo  nel  nuovo  giornale  veneto 
sotto  la  direzione  di  M.  R.  A.  Este,  Orlandi,  stampat.  della 
magnifica  Comunità,  1740. 

Gaglurdi  can.  Paolo,  n.  a  Brescia  il  15  Agosto  1675,  vi 
m.  il  15  Agosto  1742,  Lettera  postuma  al  can.  Pietro  Silio, 
1719.  —  Neir  ediz.  del  Canzoniere  del  Zatta,  Venezia,  1756, 
voi.  Il,  p.  6;  Brescia,  nizzardi,  1757. 

Il  fino  giudizio  con  cui  si  svolgono,  e  si  appianano  le  diffi- 
c*oltà  che  oscurano  una  si  fatta  questione»  e  la  purezza  ed 
eleganza  dello  stile  fanno  di  questa  lettera  un  opuscolo  molto 
(gradevole,   tigoni. 

Gravina  Vicenzo,  Della  lirica  del  Petrarca  —  DelT  amore 
razionale  ovvero  platonico.  Della  Ragion  poetica,  1. 1,  e.  xxvr, 
XXVII.  —  Neir  ediz.  del  Canz.  del  Zatta,  i,  39. 


(1)  Annibale  Romei j  ferrarese,  nel  sacondo  de*  suoi  ditewrti,  che  tratta 
«Ielle  (Realità  del  cuore  umano  (Pavia,  Vioni,  1501;  Veneàa,  MaMora, 
1604),  foD<U  1  suoi  ragionamenti  sul  Canxoaiere  del  Petrarca.  —  Girolamo 
SorboH ,  di  Bagnacavallo ,  teologo  e  medico-flmco  in  Breacello ,  riportaai 
pure  alle  autoritA  del  Petrarca  nelle  sue  Lettioni  aofra  ia  dafinitiomv  di 
amore,  stampate  in  Modena  dal  Gadaldino,  1590. 


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654  IL  OàMZONBBB 

Db  Sadb,  Sur  kt  nature  de  C  amour  de  iVcrar^ue,  Noce 
XXI,  V.  II,  p.  76. 

Bettinelli  Saverio,  Amore  e  Petrarca,  Dialoghi  vhl  Ro- 
vereto. Marchesani,  1796  (1).  Nei  voi.  vi  delle  sue  Opere,  p. 
40-183,  Venezia,  Cesare,  1709.  --  Esame  deU amar  del  Pe- 
trarca, voi.  XIII,  p.  57. 

DiONisi  GiANGlAOOMO,  Dei  tncendevoH  amori  di  tnets.  Ft\ 
Petrarca  e  della  celebratissima  Donna  Laura»  Verona,  Merla 
1802,  1804,  1812  (V.  Meneghetìi,  Esame  critioo  dei  vioende- 
voli  amori  di  mesa.  Fr.  Petrarca.  Estratto  dal  Giom.  di  Letter. 
del  prof.  Da  Rio.  Padova,  Minerva,  1822). 

Foscolo  Ugo,  Saggio  sopra  r  amere  del  Petrarca,  Foscolo 
Opere,  Ediz.  Le  Mounier,  x,  5-35. 

Sacchi  Dbfbkdb!«tb,  Petrarca,  Novelle  e  Racconti.  Milano, 
Maninì,  1838,  p.  203-17. 

Saint-Marc  Oourdin,  Sur  la  nature  particuUère  dessen- 
Uments  de  Pétrarque  et  sur  F  amour  pkOonique  en  generai 
Le^n.  Coars  de  Litter.  dramatique,  it,  xxxvi. 

Ronzi  A.,  Comparazione  delV  amore  di  Fr,  Petrarca  e  ài 
(?.  Leopardi.  Belluno,  Guarnii,  1874. 

PiTcciANTi  G.,  La  Donna  nella  Vita  Nuova  di  Dante  e  nd 
Canzoniere  del  Petrarca,  Lettura  fìttta  al  Circolo  filologico  ài 
Pisa,  il  di  15  Marzo  1874.  Pisa,  Nistri,  1874. 


DELLA  LIRICA  DEL  PETRARCA. 


Valionani  CiPAGATTt  MARCH.  FEDERIGO,  DMogo  Sopra  lo 
etile  del  Petrarca  e  del  Marino.  Chieti,  Terzane,  1720. 

Bettinelli  Saverio,  Petrarca.  Il  Risorgimento  d'Italia, 
(Opere,  voi.  ix).  p.  127-134. 

Foscolo  Ugo,  Essags  on  Petrarch,  London,  Afarav,  1823. 
—  Dedicati  alla  molto  onoranda  Barbarina  Lady  Dacre. — Saggi 


(1)  DoTeasi  piantare  solenneineiite  un  alloro  in  ÀrquA  nell'occasios^ 
che  il  cav.  Zuliani  prese  a  rl&torare  la  casa  del  Poeta,  con  intervento  di 
molti  letterati,  tra' quali  Tab.  StbiliAto.  Per  questa  feeta,  che  pare  aoo 
abbia  avuto  luogo,  il  Bettinelli,  com*  egli  stesso  ne  assicura,  scrisse  i  soci 
Dialoghi  Petrarca  e  Amoife. 


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DELLA  %jaaCk  DBL  PBTRARCA.  655 

sopra  il  Petrarca  tradotti  in  italiano  da  Camillo  Ugoni,  Lu- 
gano, Vanelli,  1824;  Firenze,  Gaietti,  1825;  Lugano,  Ruggia, 
1833;  Napoli,  Rossi,  1854;  Firenze,  Le  Mounier,  1859  (vol.x 
delle  Opere).  Sagg^  L  Sopra  T  amore  del  Petrarca  ;  IL  Sopra 
ia  poesia  del  Petrarca;  III.  Sopra  il  carattere  del  Petrarca; 
IV.  Parallelo  fra  Dante  e  Petrarca, 

Il  Foscolo  avea  pubblicato  un  articolo  sul  Petrarca,  che 
comparve  in  inglese  nella  Rivista  Quadrimestrale,  1821,  e  che 
fu  volto  in  italiano  nell'Antologìa  italiana,  1823.  Venne  esso  poi 
ampliato  ed  abbellito  nei  quattro  Saggi  enunciati.  Il  Pecchie, 
non  senza  ragione,  lo  chiama  il  più  bel  libro  scritto  dal  Fo- 
scolo durante  il  suo  soggiorno  in  Inghilterra.  Esso  può  aversi, 
soggiunge  L.  Garrer,  a  modeUo  di  critica  letteraiìa ,  condotta 
sino  a  queir  ultimo  punto  in  cui  è  possibile  parlare  alla  fan- 
tasia ed  al  cuore  de*  lettori  non  meno  che  al  loro  intelletto,  e 
oltre  il  quale  non  puossi  a  meno  di  trascorrere  nelle  pitture 
romanzesche  e  nelle  declamazioni  rettoriche. 

GiBRARio  Luigi,  DelV  ingegno  e  del  cuore  di  Fr.  Petrarca, 
Neirediz.  Torinese  del  Canz.  Alliana  e  Paravia,  1825. 

Bozzi  Ferdinando,  Della  poesia  lirica  e  di  Petrarca.  Nella 
ediz.  del  Canzon.  Vienna,  Schrftmbl,  182&. 

BoRGMO  6.  F.,  Intorno  aUa  diversità  tra  la  lirica  del  Pe- 
trarca e  la  lirica  greca  e  latina  (1).  Dissertazione  premessa  alla 
sua  traduzione  in  esametri  latini  dei  Sepolcri  di  Ugo  Foscolo. 

Agrati  Giovanni,  Petrarca,  Milano  e  Lodi,  Wilmant,  1854. 

B.,  Petrarca,  Rivista  Gontemporanea  di  Torino,  Marzo, 
1866. 

Pantano  Edoardo*,  Sulla  lirica  di  Dante  e  di  Petrarca, 
Palermo,  Polizzì,  1865. 


(1)  <  Rimane  tra  lirici  di  tutti  i  tempi  e  di  totti  i  paesi  primo  e  sommo 
il  poèta  della  gloria  Pindaro  :  e  dopo  lui  viene  il  poeta  delr  amore,  Fran" 
Cesco  Petrarca  :  e  dopo  lui  il  poeta  del  dolore  :  o  di  un  certo  dolore  tenero 
e  particolare  e  più  estemo  allo  spirito,  come  lo  cantò  Tibullo:  o  di  un 
dolore  più  intimo,  universale,  disperato,  come  lo  cantò  Giacomo  Leopardi  : 

e  finalmente  il  poeta  de*  piaceri    (Anacreonte) Laonde  se  Pindaro  è 

unico,  ed  unico  u  Petrarca ,  e  quasi  unico  il  Leopardi ,  non  è  parò  unico 
Anacreonte  ;  imperciocché,  senza  contare  q[uelli  tra  gli  antichi,  ai  cui  sap- 

Siamo  poco  più  che  il  nome,  e  senza  contare  tra  più  moderni  coloro,  che 
i  poco  stanno  indietro  da'  sommi  ;  Catullo  ed  Orazio  sono  tali,  che  possono 
ben  contendere  al  greco  la  palma  della  poesia  vezzosa  ed  amena.  Pindaro 
dunque,  il  Petrarca,  il  Leopardi,  Tibullo,  Anacreonte,  Catullo,  Orazio  sono 
i  più  gran  lirici  del  mondo.  Vito  Fomari,  Del  Bello  e  della  Poesia,  I^e- 
fioni,  Napoli,  Tip.  dell'Industria,  1M8,  p.  366-377;  Napoli,  Marghieri,  1872. 


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656  IL  cAMCONun^ 

Fbrbazzi  Jacopo,  Del  Petrarca  e  del  suo  Canutmiere.  ila. 

Dant.  Ili,  204-227. 

Bozn)  GrosBpPB,  Del  Cantoniere.  Petrarca,  Rine»  L  il 
XXXIV.  —  Petrarca  con  carattere  originale  potè  mostrarti  caro 
poeta  delV  amore,  i,  359-83.  —  E  in  pari  tempo  il  earitùmo 
poeta  del  dolore,  w,  171-80. 

Fantoni  Oabsielb»  Sulla  originalità  delU  rime  jPgtrar(Ae' 
eehe,  Venezia,  Qrimaldo,  1874. 

Nani  Anoblo,  Petrarca  e  il  Cantoniere,  Saggi  di  critici 
storica  e  letter.  Zara,  Àrtale,  1875. 

Mamiani  Tbiu:nzio,  Del  Petrarca  e  de ff  arte  moderna. 
Nuova  Antologia,  a.  ix,  voi.  26,  Agosto  1874,  p.  833-68. 

Date  le  condizioni  singolari  de'  tempi ,  maggior  Poota  del 
Petrarca  non  vi  potò  comparire,  e,  dopo  scorsi  cinque  secoli, 
nessun  ancora  gli  contende  il  primato  della  nosttra  lirica.  Né  la 
nuova  ragion  poetica  addestrava  alcuno  fra  noi  a  toocar  quella 
cima,  sebbene  lo  abbia  scaduto  di  audacia  e  posto  m  aontim 
troppo  diversi  dagli  antichi.  Ohe  se  T armonia,  T eleganza  eia 
squisitezza  dello  stile  non  sono  sufSicienti  per  se  medesimi  a 
creare  una  gran  poesia^  tuttavia,  laddove  mandù,  è  troppo 
difficile  che  si  rinvenga  ogni  rimanente,  o  per  lo  meno  t^e  gli 
uomini  se  ne  soddisfkociano.  Tornì  dunque  Tarte  moderna  & 
studiar  nel  Petrarca  lungamente  ed  incessantemente  se  vuole 
altresì  tornar  maestra  di  locuzione  e  di  stilè.  Nò  dobìti  per 
questo  di  tarpar  le  ali  alla  propria  originalità,  dove  la  posseda 
ed  abbia  forza  da  dò. 

Db  Sanctis  Francesco,  Saggio  critico  sul  Petrarca,  NapdL 
Morano,  1869. 

Ci  ò  ancora  un  monumento  durevole  da  innalzare  a  Fr. 
Petrarca,  scrive  il  De, Sanctis,  c*ò  ancora  dopo- tanti  altri  la- 
vori un  altro  lavoro  a  &re.  Ed  ò  la  crìtica  del  Canzoniere  ;  è 
determinare  ciò  che  in  esso  ò  vivo  e  dò  ch^  ò  morto.  Nel  Pe- 
trarca ò  morto  tutto  ciò  ch*ò  imitato  ed  imitabile,  il  doppio 
petrarchismo,  il  rettorico  ed  il  platonico.  Ed  egli  ai  accinse  a 
darci  il  Petrarca  vero,  come  lo  desiderava  Méziòres,  e  senza 
guardare  se  la  sua  immagine  ne  esca  ingrandita  o  impiodolita. 
Così  com*ò,la  ò  grande  abbastanza,  perchè  rimanga  ne*  secoli. 
—  Ei  vuol  mostrarci  «  che  là  dove  il  Petrarca  d  appare  ne- 
gletto e  rozzo,  vi  sono  tesori  di  poesia  più  schietti  di  tutte  le 

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DELLA  LQUOA  DBL  PBTRÀRCA.  657 

sue  registrate  eleganze;  e  là  dove  gitta  a  mare  il  suo  platonismo, 
e  dà  libero  volo  alla  sua  immaginazione  e  alle  sue  impressioni, 
raggiunge  il  più  alto  segno  dell*  arte.  Piii  nella  sua  forma  ci 
è  di  spirito  e  di  pensiero  e  di  concetto,  e  piti  ci  discostiamo 
dalla  poesia;  più  ci  è  là  dentro  passione,  calore  d'immagina- 
zione, impressione,  voluttà,  malinconia,  e  più  ci  sentiamo  nel 
vero  cunpo  dell'arte. 

Carducci  Giosuè,  Petrarca.  Dello  svolgimento  della  Lette- 
ratura italiana,  Studi  Letterari,  p.  66-69.  —  Danie,  Petrarca, 
Boccaccio,  71-75.  —  Il  Petrarca,  come  poeta  italiano.  Presso 
la  tomba  di  Fr.  Petrarca  in  Arquà,  p.  5. 

Albabdi  Albardo,  Il  Canzoniere.  Discorso  sul  Petrarca, 
46  e  seg.,  57  e  seg. 

Capponi  Qino,  Petrarca.  Storia  della  Repubblica  di  Firenze, 
L  IH,  e.  9,  p.  367-361. 

Fr.  Petrai*oa  alla  forma  diede  ultima  e  non  mai  superabile 
squisitezza.  Quanto  alla  parlata  espressione  della  poesia,  egli 
dice,  esser  nel  nostro  idioma  scrittore  perfetto;  in  lui  non 
appare  mai  V  eccessivo  assottigliarsi  per  esser  arguto,  né  studio 
faticoso  di  pienezza  nò  di  brevità;  ma  neanche  tu  scorgi  nei 
suoi  migliori  componimenti,  che  sono  in  gran  numero,  mai 
nulla  di- troppo:  una  mirabile  temperanza  a  lui  era  maestra  di 
non  alzarsi  verso  dove  non  potesse  la  dolce  sua  tempra,  senza 
però  abbassarsi  mai  da  quella  serena  elevatezza  che  a  lui  man- 
tennero l'amore  e. gli  affètti  virtuosi  dell* animo  ed  una  vita 
nutrita  sempre  di  nobili  studi  e  naturalmente  dignitosa. 

Dbtti  Fftop.  Francbsoo,  Petrarca  e  il  suo  Canzoniere.  Ra- 
gionamento recitato  in  occasione  della  festa  letteraria  del  R. 
Liceo  Andrea  Doria,  Novi  Ligure,  Tip.  Raimondi,  1874. 

FoRNARi  Vito,  DelC  essenza  della  poesia  Urica  —  DeUa  pro- 
prietà lirica.  —  Ne'  cap.  xxvii  e  xxviii  della  segnalata  sua  opera 
Del  Belio  e  della  Poesia,  Napoli,  Tip.  dell'Industria,  1868,  p. 
358-378.  —  V.  Lombardi  Eliodoro,  Coazione  su  F.  Petrarca, 
p.  22  e  seg.  —  Rieppi  Ani.,  Discorso  su  Fr.  Petrarca,  p.  12  e 
seg.  —  Zendrini  Bernardino,  Petrarca  e  L  aura,  ecc.  ecc. 

Fiorentino  Francesco,  DeW  amore  covrC  è  concepito  dal 
Petrarca  ^—  Perfezionamento  delC  amore  ideale  —  Della  Urica 
provenzale,  e  perché  non  allignasse  in  Italia.  —  U  allarga- 
mento delV  ideale  lirico  nel  Petrarca  fu  effètto  delle  proprie 

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658  HL  GàraONOBB 

riflestioni  fiiosofiehe.  —  Del  concetto  poUUeo  nel  Petrarca,  fa 
eonereio  in  hit  che  non  fòsse  nello  stesso  Dante  AUgierù  —  U 
Filosofia  di  Fr.  Petrarca,  Napoli,  PeroUi,  1875,  p.  25  e  ae^.  (1). 

La  Vista  Luigi  ,  Petrarca,  Memorie  e  scritti ,  Fireame,  U 
MoDDÌer,  1863,  p.  322-324.  —  Id.  I  Petrarchisti.  Id.  359-363. 

Garrbr  Luigi,  /  Peùrarchisti.  Prose,  voL  ii,  ed.  La  Mounier, 
p.  500-505. 

Grbspan  Giovanni,  Del  Petrarchismo  e  de^prineipaU  Pe- 
trarchisti Veneti,  Petrarca  e  Venezia,  p.  187-262. 

Il  Crespan  non  trova  affatto  giusto  T  ostracismo  die  & 
vorrebbe  bandito  contro  il  Petrarchismo.  —  Sul  GaBSoniere, 
poema  del  cuore  umano,  detta  pagine  veramente  belle;  ci  parU 
di  quell^aura  di  vereconda  malinconia  che  lo  governa,  ddh 
squisitissima  perfezione  del  lavoro,  della  lingua,  dopo  dnqoe 
secoli,  ù^eacA  e  viva  sk  che  par  nata  ieri,  e  dello  atìle  ch'à 
dice  per  eccellenza  venusto.  Dal  che  ne  venne  che  il  Patrsita 
divenisse  T  autore  prediletto,  il  Canzoniere  il  libro  di  moda.  E 
la  tradizione  rimasta  a  Venezia  del  Petrarca  non  poteva  ir. 
non  influire  sul  Petrarchismo.  Con  critico  senno  discorre  deir 
Rime  del  Bembo,  del  Navagero,  di  Alvise  Priuli,  di  Viacenze 
Quirìai,  di  Trifone  Gabriello,  di  Giacomo  Zane,  di  Bernardo 
Cappello,  di  Gaspara  Stampa,  di  Celio  Magno,  di  Orsatto  Giu- 
stiniano, di  Domenico,  Lorenzo  e  Marco  Venier,  di  Pietro  Grt- 
denigo,  di  Jacopo  Tiepolo,  del  Fiamma,  di  Alvise  Pasqoaligo. 
di  Girolamo  da  Molino,  patrizii  tutti,  che  dsl  gran  lirico  tol- 
sero il  beUo  stile  che  lor  ha  &tto  onore.  B  a  prova  del  leg- 
giadro poetare,  perchò  ognuno  da  so  possa  portarae  gindizio^ 
ci  reca  alcuni  brani  trascelti,  senz*  idea  preconcetta,  dalle  Rime 
di  P.  Bembo,  di  Bernardo  Cappello,  di  P.  Qradenigo,  di  Giro- 


(1)  La  Marciana  possiede  un  Discorso  inedito  intomo  alla  Roeaia  Li- 
rica di  messer  Fr.  Petrarca ,  detto  il  di  12  Mano  i735  nell*  Kccmàeam 
(Hrivata  de'  Ricoverati  in  Padova  dal  sifir.  OìHteppe  Aìaleoni,  prof,  di  Giu- 
risprudenza  in  quella  Università.  L*  Alaìeoni,  n.  in  Macerata  nd  1689.  e 
a  Padova  nel  1749.  V.  Petrarca  e  Venezia ,  p.  72.  —  <  Il  ParaTM  aiUe 
sette  Lezioni,  che  recitò  sulla  Lirica  nella  Università  di  Torino  con  facto 

Dte  d«l 


sette  Lezioni,  che  recitò  sulla  Lirica  nella  Università  di  Tonno  con  ts 

flauso  e  profitto,  discorre ,  da  quel  maestro  eh*  egli  o-a ,  langamente 
Petrarca,  massime  nella  seconda,  tersa  e  sesta.  Queste  sette  LecioBi  .^ 
mano  direi  cosi   corpo  con  le  altre   ch'eì  lesse  intorno   a*diver»  generi 
di  Poesia  :  suU'  Epica,  Satirica,  Romantica,  Drammatica,  fi  tm  lavoro  sta- 

*itore.  »  Da  1« 
7  feb.  18T7. 

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pendo,  ordinato,  cui  non  mancherebbe  che  un  editore.  >  Da  lettera  diret- 
iami  dall'amicissimo  mio  M.'  Ja<^opo  Bernardi,  27  feb.  1877. 


DELLA  LIBICA   DBL  PBTRARCA.  650 

lamo  Molino,  dalle  stanze  di  M.  N.  Qmrìnì.  —  L'ab.  Rabbi  nd 
suo  Parnaso  scriveTa  che  si  potrebbe  fare  una  scelta  e  racco- 
^Kere  da  ben  dodici  Canzonieri  di  veneziani  poeti  nel  sec.  XVL 
Il  Crespan  si  duole  che  non  sia  bastata  la  vita  a  Marco  Fo^ 
scarini,  uomo  di  quel  gusto  che  tutti  sanno,  che,  ci  avrebbe 
dato  la  Raccolta  adunata  da  lui  di  oltre  sessanta  poeti  vene- 
ziani. ^-  (Del  Petrarchismo,  V.  Aleardi  Aleardo,  su  Francesco 
Petrarca.  Discorso,  pag.  63;  De  ScmcHSy  Saggi,  14-37;  Canlù, 
Storia  Letteraria,  e.  viii,  p.  205;  Mamiani,  Prose  Letterarie, 
p.  39). 

E  ne  parlarono:  Crescimbeni  Mario,  Fr.  Petrarca.  L*  Istoria 
e  i  Gomentari  della  volgar  poesia,  Venezia,  Baseggio,  1730,  ii, 
290-315.  —  Quadrio  Francesco  Saverio,  Della  storia  e  della 
ragione  d*  ogni  poesia.  Milano,  Agnelli,  1741,  voi.  u,  1&2-87.  — 
Fontanini  Giusto,  Biblioteca  dell*  eloquenza  italiana,  Venezia, 
Pasquali,  1753,  p.  5^.  —  Con  note  di  Apostolo  Zeno.  — »  TtVo- 
boschip,  QiroUmo,  Storia  della  Letter.  ital.  t.  v,  1. 3 — Andres 
Giov.,  Dell'origine  progresso  e  stato  attuale  d*  ogni  lettera- 
tura. Venezia,  Antonelli,  pag.  457-64;  478-486.  —  Comiani 
Francesco,  I  Secoli  della  Letteratura  Italiana,  Torino,  Pomba, 
1854,  voi.  I,  194-247.  —  Solfi  Fr.  Stona  della  Letterat.  Ital. 
Milano,  Silvestri,  1834,  i,  55-75.  ~  Maffei  Gius.  Id.,  Milano, 
Classici  ital.  1834,  i,  94-157.  —  EmiUani'-Giudici  Paolo,  Id., 
Firenze,  Le  Mondier,  1855,  i,  250-93.  —  Franceschi  Ferrucci 
Caterina,  l  primi  quattro  secoli  della  Letter.  Ital.,  Firenze, 
BarbèrarBianehi,  1856,  i,  31^^.  —  Cereseto  Giamb.  Storia 
della  Poesia  in  Italia,  Milano,  Silvestri,  1857,  i,  131-92.  — 
CantU  Cesare,  Storia  della  Letter.  Ital.  Firenze,  Le-Monnier, 
1865,  59-73.  -^  Settembrini  L.,  Lezioi^i  di  Lett.  Ital.  Napoli, 
Ghio,  1869,  I,  191-218.  —  De  Sanctis  Fr.,  Storia  della  Letter. 
Ital.  Napoli,  Morano,  1870,  i,  255-280.  —  Fomacciari  Raffaello, 
Petrarca,  Disegno  storico  della  Letteratura  Italiana  Firenze,  San- 
soni, 1875,  p.  37;  Id.  Dichiarazioni  ed  Esempi  in  appendice  al 
Disegno,  69. 

MeinhardJ.,  N.  Versuche  ùber  den  Karaktér  und  die  Werke 
der  besten  italienischen  Dicter.  Brunsv.,  1774.  —  Boutencech 
Fr.,  Geschichte  der  Poesie  und  Beredsamkeit  seit  dem  Ende  des 


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d60  IL  CAMZONlBaB 

XIII  JahrhQDderU.  Gottingen,  1800.  —  Schlegel  Fed^  Geodiichte 
der  alien  und  neuen  literatur.  Vieniui,  1815,  voi.  ii,  p.  17.  — 
Wagner  Adolfo,  Saggio  sopra  il  Petrarca.  Nel  voi  i,  dal  Parnaso 
Ital.,  Lipsia,  1826.  —  Rosenkrans  Kotrl,  Handbuch  eioer  ali- 
gemeineo  Gescbicbte  der  Poesie,  Halle,  1832.  Nei  toI.  ii,  pag. 
230.  —  Genthe  F,  W.,  Handbuch  der  Geschichte  der  italieiù- 
achen  Literatur.  Magdeburgo,  1832-34,  v.  ii,  114-46.  — Ruth 
E.,  Geschicbte  der  italieoiscben  Poesie,  Leipzig,  1844.  Nel  voi.  i, 
528-71.  —  Henschel^  Francesco  Petraixsa.  Nell'AUgeaetne  Mo- 
natscbrift  f iir  Wissenscbaft  uod  Literatur,  1 853,  fase  vai — Eben 
A.,  Handbuch  der  italienischen  literatur,  Francforte,  s.  M.,  1854, 
p.  14-19;  68-82.  —  Carrière  Moris,  Die  Kunst  in  Zusaoioien- 
bang  der  Culturentwickelung,  Leipzig,  1868.  Petrarea^  voi.  lu, 
493,  508.  IL  Carriere  riguarda  segnatamente  il  Petrarca  dal  lato 
estetico.  Vi  si  leggono  di  molte  belle  e  finissime  oaserTazioni 
—  Wo^  Adolf,  Die  italienische  National-Literatur  in  ihrer  gè»- 
chichtlichen  Entwicklung  vom  dreizebnten  bis  zum  neunzehnten 
Jahrhundert,  nebst  dea  Lebens-und  Kariakierbildarn  ihrer  klas- 
sischen  Schriftsteller  und  ausgewahUen  Proben  aus  den  Werkea 
derselben  in  teutschen  Uebersetzungen.  Berlino,  1860,  pa^«  69, 
101.  —  Weber  G.,  Allgemeine  Weltgeachichte,  voL  vn,  871  e 
seg.  Leipzig,  1868.  —  Schlosser  C.  F,  Weltgeschicbte,  u,  id., 
Leipzig,  1872,  voi.  vm,  46  e  seg. 

II  Burckhardt,  nel  suo  Saggio  sulla  Civiltà  del  Seo(4a  di 
Rinascimento  in  Italia,  scrìve  del  Petrarca:  «  Noi  amnùriaffio 
nel  Petrarca  una  copia  straordinaria  di  concetti  e  d*  imagini, 
che  s'aggirano  tutte  nel  campo  della  ^[ùritualità,  descnzìom 
di  momenti  di  ebbrezza-  o  di  abbandono,  che  debbono  rìgaar> 
darsi  come  al  tutto  proprio  di  lui  solo,  perchè  in  nessuno  prima 
di  lui  ci  accadde  d'incontrarli,  e  che  costituiscono  appunto  il  suo 
merito  principale  dinanzi  alla  sua  nazione  e  al  mondo  intero.  > 
(Ediz.  Fir.  Sansoni,  1876,  con  la  versione  del  Valbusa,  a,  53). 

Sismondi  S,,  De  la  Littérature  du  Midi  de  1*  Europe,  Paris. 
Treuttel,  Wurtz,  1813.  —  Ginguenè,  Hist  Littérat  d' Italie, 
Paris,  Michaud,  1811.  —  Villemain,  Tableau  de  la  Litter.  au 
Moyen  age.  Paris,  1846,  Lù^on  miu  "^  Perrens,  Hiatoira  de  la 
Littér.  Ital.  Paris,  Delagrave,  1867.  -^Etienne,  Hìatoire  de  la 
LiUér.  Ital.  Paris,  Hacheite,  1875.,  ecc. 


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DELLA  LIRICA  DBL  PETRARCA.  661 

Babhtffton  ÌSacaulay  Tomaso^  Saggi  Biografici  e  Critici 
(Versione  di  C.  Rovìghi,  Torino,  Unione  Tip.  Editr.,  1863),  Pe- 
trarca, voi.  IH,  97-115. 

Meseghelli  a.,  Saggio  sopra  il  Canzoniere  del  Petrarca, 
Memorie  lette  alia  Ven.  Accad.  di  Belle  lettere  nel  1809.  Ve- 
nezia, VitarelH,  1812;  Opere,  Padova,  1831. 

n  Canzoniere  potrebbe  dirsi  il  diario  ove  il  poeta  registra 
i  movimenti  più  fuggevoli  delF  animo  suo,  mo$?trando8Ì  cronista 
esatto  del  suo  amore,  rappresentato  ne*  suoi  momenti  più  me- 
morabili, con  indicazione  dell'anno  e,  qua  e  là,  fin  del  mese, 
del  giorno  e  dell'  ora.  E  il  Meneghelli  si  accinse  a  ricostruirne 
la  storia,  aggiungendovi  in  fine  il  prospetto  del  Canzoniere, 
secondo  l'ordine  da  lui  tenuto  ne' suoi  discorai  (p.  81-104). 

MiNiCH  A.,  Sur  les  amour s  de  Pétrarque  eospliques  par 
rapprochement  de  sa  vie  avec  ses  écrits^  Féte  Séc.  p.  238-245. 

Annunzio  di  nuovi  studi  intorno  al  Canzoniere  ed 

alla  vita  della  celebre  Laura.  Venezia,  Grimaldo,  1875. 

Il  Minich  cosi  conclude:  L'induzione  di  quanto  si  può  co- 
noscere intorno  la  vita,  di  Laura  e  la  sua  corrispondenza  colle 
rime  del  Canzoniere,  «verrà  da  me  esposta  in  due  successive 
memorie.  Ma  invece  di  seguire  T  ordine  stesso  delle  mie  inda- 
gini, che  da  una  nuova,  e  se  non  erro,  più  esatta  spiegazione 
di  alcune  rime  del  Petrarca,  mi  condussero  alla  ricerca  della 
persona  di  Laura ,  terrò  la  via  diretta ,  seguendo  il  metodo 
storico,  e  comincerò  in  una  prima  Memoria  dallo  stabilire  la 
identità  di  Laura,  e  le  circostanze  principali  della  sua  vita. 
Poscia  in  altra  memoria,  mostrerò  come  le  notizie  di  quei 
fatti  si  attemperino  ad  una  piena  interpretazione  de'  compo- 
nimenti predetti  e  dell'altre  rime  del  Canzoniere  che  si  riferi- 
scono alla  celebre  donna.  Chiariti  i  soggetti  delle  due  Memorie, 
se  ne  può  dedurre  agevolmente  l'ordinamento  progressivo,  e 
quasi  cronologico  della  prima  parte  del  Canzoniere,  ed  anche 
di  alcune  rime  della  parte  seconda.  Tutto  ciò  potrà  dare  argo- 
mento ad  una  terza  memoria,  e  servire  di  guida  ad  uno  studio 
più  completo  ed  esatto  della  vita,  e  delle  opere  del  grande 
scrittore.  —  Frattanto  colla  guida  delle  avvertenze  da  me  espo- 
ste intorno  i  diversi  periodi  dell'amore  del  Poeta  per  Laura, 
ho  potuto  distribuire  tutte  le  rime  del  Canzoniere  spettanti  alla 
vita  di  Laura:   1.*"  dal  6  aprile  1327  all'epoca  del  suo  primo 

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662  IL  càmofwsm 

viaggio  a  Roma  nel  1335;  2.""  dal  questa  epoca  fino  a  qBeb 
del  suo  ritiro  inValchiosa  nel  1337;  3.^  pel  quadriennio  de&i 
sua  vita  solitaria  di  Valchiusa  fino  air  Aprile  13^1,  ooè  óa 
alla  sua  coronazione  io  Campidoglio;  4.°  da  questo  stw- 
mento  sino  al  suo  ritorno  in  Avignone  nel  1342  ;  5.®  dai  1;^ 
fino  alla  morte  di  Laura.  A  queste  cinque  divisioni  conneK 
aggiungerne  una  sesta,  che  contiene  i  quattro  sonetti  seriìti 
evidentemente  dopo  la  morte  di  Laura,  ma  che  si  rifariacono 
alla  sua  vita,  e  fiirono  sempre  compresi  nella  prima  parta  dei 
Canzoniere,  giacchò  esprìmono  il  presentimento  e  il  presa&id 
della  sua  morte.  Cosi  tutta  la  parte  del  Canzoniere  in  viudi 
Laura,  venne  da  me  divisa  in  sei  manipoli  o  sezioni,  lasdan- 
dovi  per  ora  i  componimenti  compresi  in  ciascano  di  ^ìi  ma- 
nipoli, nell'ordine  in  cui  si  trovano,  rupettivamente  dbposd 
secondo  le  consuete  edizioni.  Solo  il  primo  Sonetto  non  teoiu 
da  me  inserito  in  veruna  delle  sezioni  della  prima  parte,  g^ 
chò  sebbene  serva  di  prefezione  al  Canzoniere  mostra  evides- 
temente  di  essere  stato  scrìtto  dopo  gli  altri,  aUorehò  VmUs^ 
raccoglieva  e  riduceva  alla  maggior  perfezione  i  suoi  compo* 
nimenti  in  vita  e  in  morte  di  Laura,  e  le  altre  rime  del  Ci> 
zoniere.  Mi  sembra  conveniente  di  collocarlo  alla  fine  di  quelle 
rime,  non  solo  per  ordine  di  tempo,  ma  perchò  esprime  i  s» 
timenti  del  poeta  allorché  rivedeva  le  sparse  sue  rime,  e  ikot^ 
dava  le  sventure  del  suo  amore,  e  perchè  collocato  al  prìvàpi 
del  Canzoniere  esso  intiepidisce  T animo  del  suo  lettore,  e  se 
scema  le  vive  impressioni  che  dee  ricevere  da  si  soavi  e  t(K> 
canti  componimenti.  Posto  invece  alla  fine,  sparg»  un  lenitiTo 
sugli  sconforti  del  cuore  umano,  ne  calma  e  scusa  le  passioDl 
e  chiude  la  storia  di  si  lunghe  vicende  colla  grave  sentoia: 

Che  quanto  piace  al  mondo  è  breve  sogno. 

Questi  esempi,  ed  altri  molti,  che  sono  nel  suo  Canzoniere, 
sono  una  prova  di  quel  sentimento  profondo,  del  quale  era  il 
Poeta  compreso,  e  che  rispondeva  a  una  donna  reale,  cfa*eglì 
vedea  spesso,  e  colla  quale  s'intratteneva  a  parlare. 

Come  il  Petrarca  dicesse  di  sentire  delle  sue  Poesie  volgari, 
lo  provano  i  seguenti  brani  che  ci  piace  di  rifeinre.  —  €?er 
le  mani  di  questo  messo  riceverai  i  meschini  miei  scritti  vol- 


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DELLA  LIBICA  DSL  PETRARCA.  663 

^ai-i  :   e  cosi  potess'  io  stimarli  degni  de*  tuoi  sguardi  e  del 
^udizio  tuo,  come  son  certo  che  lieto  ed  avidamente  li  acco- 
glierai, e  collocarli  vorrai  in  un  cantuccio,  fosse  anche  il  piii 
>scuro,  della  tua  biblioteca.  Molte  sono  in  essi  le  cose  che  ab- 
log^oan  di  scusa;  ma  non  disperano   ottenerla  da  un  censore 
benigno  quale  tu  sei.  Alla  diversità  degli  affetti  serva  di  scusa 
a  volubilità  di  un  cuore  infiammato  d' amore,  siccome  ò  scritto 
iul  bel  principio.  Se  rozzo  è  lo  etile ,  e  tu  accagionane   T  età 
mia:  perocchò  la  più  parte  di  quelli  io  dettai  negli  anni  miei 
2^ovanili.. . .  A  malincuore,  te  lo  confesso,  or  che  fatto  son  vec- 
chio, io  v^go  divulgarsi  queste  inezie  composte  nella  mia  giovi- 
aezza,  le  quali,  non  che  agli  altri,  vorrei  che  fossero  ignote  an- 
cora a  me:  perchè  sebbene  lo  stile  non  disdica  all'ingegno  di 
quella  ét&,  troppo  per  lo  subbietto  si  disconvengono  alla  gravità 
senile.  Ma  come  impedirlo  ?  Girano  già  da  gran  tempo  per  le  mani 
di  tutti,  e  sono  lette  assai  più  volentieri  delle  cose  che  scrissi 
più  tardi,  maturo  degli  anni  e  del  senno.  >  LeU,  sen.  Lib,  xiii, 
iet,  10  a  Pàndolfo  Malatesta.  V.  LeU.  ix  del  libro  unico  delle 
Yarief  allo  stesso  Pàndolfo;  nel  poscritto  della  quale  pur  ag- 
giungeva: €  Restanmi  ancora  molte  altre  di  queste  cose  vol- 
gari in  schede  lacere  e  consunte  per  modo  che  non  si  ieggon 
che  a  stento,  e  se  di  quando  in  quando  ho  qualche  giorno  di 
ozio,  mi  vado  divertendo  a  raccozzarle.  Ma  ben  di  rado  è  che 
io    il   possa.  Per  questo  ordinai  che  alla  fine  di  ambedue  i 
volumi  si  lasciasse   delia  carta  in  bianco:  e  se  m'averrà  di 
mettere  insieme  qualche  altra  cosa,  la  manderò  chiusa  in  fogli 
separati  al  mio  dolcissimo  e  magnifico  Signore  Pàndolfo  di 
Kfalatesta.  »  —  Ed  ei  dice  le  sue  poesie  vulgari  nulla  più  che 
«  un  passatempo  e  un  solano  e  quasi  un  dirossamenio  del- 
l' ingegno  >  Ep.  Fam,  xxi,  15.  —  (V.  Epìst,  Barbato  Sulmo- 
nensi.  Poeta,  Min.  u,  6.  —  V.  Carducci,  Studi  letterari,  341). 
Ma  pur  ricorda,  con  soddisfazione  manifesta,  quanto  esse  pia- 
cessero a  Re  Roberto,  e  se  le  £&  lodare  perfino  da  quel  severo 
riprenditore,  eh*  ò  sani*  Agostino^  che  non  può  a  meno  di  chia- 
marle dulcisonum  Carmen^ 

€  I  posteri,  scrive  T  Aleardi,  lo  coronan  re  dei  lirici  per  le 
sue  rime;  delle  quali  ei  sente  rossore,  e  pensa  gittar  sul  foco, 
e  molte,  dicono  distruggesse  ;  e  poscia  in  vecchiezza  lima,  cor- 
regge, ritocca  con  amore  d*  artista,  che  vede  là  entro  luccicare 


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664  IL  CANZONIB&B 

il  SUO  nome  immortale.  ».  —  Le  date  a*  buoi  yersi,  registrate  à 
Bua  mano  ne'  suoi  autografi,  ci  sono  una  riprova  del  InaghisisHi 
tempo,  delle  cure  infinite,  della  pazienza  incredibile  n^^  emeub- 
zione,  e  direi,  perfezionamento  della  lingua  delle  aoe  {Moaie  amo- 
rose. Ogni  stanza,  ogni  verso  ed  ogni  parola  furono  rìcorreci 
piii  volte  in  diversi  intervalli  di  tempo.  <  Ciò  che  seguìu  « 
traduzione  letterale  di  una  sequela  di  memorie  in  latioo,  po»tr 
in  principio  di  uno  de'  suoi  sonetti.  »  ^-  Cominciai  questo  pe: 
impulso  del  Signore  (Domino  iubenie),  il  10  Sett.  airalba  dà 
giorno,  dopo  le  mie  preci  mattutine,  —  Converrà  eh'  io  rì£iccb 
da  capo  questi  due  versi,  cantandoli  (cantando) ,  e  èbMo  & 
in  verta  V  ordine  :  3  ore  a,  m.  19  Ottobre.  »  ^-  €  Questo  mi  piace 
(hoc placet):  30  Ottobre,  10  ore  del  mattino.  »  —  «  No;  questo 
non  mi  piace  :  20  Dicembre  a  sera.  »  —  E  di  mezzo  aiUe  corr& 
zioni  scrive,  deponendo  la  penna:  €  tornerò  sopra  questo;  soik< 
chiamato  a  cena.  »  —  18  Febbraio,  verso  nona:  ora  questori 
bene  ;  nondimeno  tornavi  su  un'  altra  volta  (vide  tamen  ad" 
huc).  »  —  Talvolta  nota  la  città  dove  sMmbatte.  —  1364,  T^- 
neris  mane,  19  Jan,  dum  invitus  Pataeii  ferior,  >  Potrebbe 
sembrare  osservazione  più  curiosa  che  rilevante.  Tessere  sUic 
generalmente  in  venerdì  ch'ei  davasi  alla  tediosa  briga  deki 
correzione,  se  non  sapessimo  ancora  eh*  era  per  lui  giorno  ài 
digiuno  e  di  penitenza.  —  Quando  alcun  pensiero  gli  occorrevi 
alla  mente,  ei  lo  notava  in  mezzo  a'  suoi  vaiasi  cosi  :  «  Bada . 
ciò.  —  Io  aveva  qualche  intenzione  dì  trasporre  qu^^ti  ver?., 
e  di  fare  che  il  primo  divenisse  V  ultimo  ;  ma  noi  feci  in  grjxi 
deir  armonia:  —  il  primo  allora  sarebbe  stato  più  sonoro,  « 
r  ultimo  meno ,  che  ò  contro  regola  ;  perchè  la  fine  dovre!>b« 
essere  più  armoniosa  che  il  principio.  >  Talora  ei  dice  :  «  Il  co- 
minciamento  è  buono,  ma  non  è  patetico  abbastanza.  »  In  alcsii 
luoghi  ci  suggerisce  di  ripetere  le  stesse  parole,  piuttosto  riy 
gli  stessi  concetti.  In  altri  giudica  meglio  di  non  moltiplicarT> 
i  concetti,  ma  di  amplificarli  con  altre  parole.  CiasciiQ  vere-:' 
è  rivoltato  in  più  modi;  sopra  ogni  fi*ase  e  ogni  parola  cu- 
loca  spesso  modi  equivalenti,  per  poi  esaminarli  di  duovo;  ;f 
vuoisi  conoscenza  profonda  dell'italiano,  per  accorg«rsi  che. 
dopo  tale  perplessità  scrupolosa,  elegge  sempre  quelle  pareli 
che  hanoo  insieme  più  armonia,  eleganza  e  forza. 

Non  son  al  sommo  ancor  giunte  le  rime:  In  me  '/  cono^^^ 


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DBLLA  URICH  DBL  PETRARCA.  6d5 

Son.  41,  p.  2.  —  S'io  avessi  pensato  che  si  care  Fossin  le  voci 
de'sospir  miei  in  rima,  Fatte  P  aerei  dal  sospirar  mio  prima 
In,  numero  più  spesse,  in  stil  piti  rare.  So*.  25,  p.  2.  —  Ipse 
per  urbes  Jam,  populo  plaudente,  legor,,,.  Nugae  placuere 
tneae.  Poem.  Min.  ii,  12.  —  Pieriarcomites,  etplectra  sonantia 
Phaebi,  Haemoniamque  cUio  laurum  procul  ore  reisctam  No» 
veris;  antiqui  preOum  praeduJce  laboris,  Poem.  Min.  Ep.  ad 
Brunum  Florentinum,  ii,  338. 

Il  Petrarca  ricorda  non  senza  dolore  di  essersi  dato  in  sua 
prima  età  alCarte  Di  vender  parolette  anzi  menzogne,  e  si 
compiace  che  la  sua  Laura  alzasse  il  suo  intelletto  Ov^  alzato 
per  se  non  fora  mai.  Eppure  è  curioso  il  vedere  con  quanta 
forza  r  amoroso  Cino,  il  cantore  di  Selvaggia,  cercasse  disto- 
gliere il  Nostro  dal  culto  della  poesia,  volendone  fare  un  sa- 
cerdote di  Temi.  Se  vi  ci  avesse  dato  retta,  Fiorenza,  e  meglio 
r  Italia,  non  avria  oggi  il  suo  poeta,  che  rime  éTamor  usò  dolci 
e  leggiadre. 

Ecco  la  lettera  di  Gino  da  Pistoia  a  Fr.  Petrarca  (Di  Bo- 
lo^a  a*  di  20  di  Febbraio  deM328). 

Poi  che  nel  mìo  frequentissimo  aaditorio  io  vi  cominciai  a  conoscere, 
et  ebbi  notitla  nelle  concorrenze  pubbliche  e  nelle  dispaio  private,  del  vo- 
stro bello  ingegno,  io  fUi  sforzato  a  porvi  quello  amore  che  meritava  il 
valor  vostro  e  che  richiedeva  V  ufScio  mio.  Et  è  passata  tanto  innanzi  questa 
paterna  benivolenza  insieme  con  gli  studi  vostri,  che  io,  non  più  come  uno 
degr  infiniti  discepoli  miei,  ma  a  guisa  di  proprio  et  amato  figliuolo  vi  ho 
poi  sempre  tenuto  caro,  aspettando  di  voi  que*  frutti  piaturi  che  mi  have- 
vano  promesso  i  fiori  acerbi  dell*  intelletto  vostro.  Nò  mi  posso  dolere  di 
non  essere  stato  da  voi  continuamente  osservato  come  padre  e  riverito  come 
precettore  :  che  V  uno  e  V  altro  ufficio  e  di  disoepolo  e  di  figliuolo  havete 
voi  ognora  copiosamente  adempiuto.  Onde,  non  pure  appresso  di  me,  che 
teneramente  vi  amava,  ma  con  tutto  lo  studio  che  virtuosamente  vi  co- 
nosceva, vi  havete  acquistato  fama  di  valoroso  e  prudente  sopra  tutti  gli 
altri.  Perchè  non  voglio  ragionare  del  fhitto  che  in  quattro  anni  faceste; 
chò  U  dotta  Bologna,  madre  degli  studi,  bavere  sempre  da  ricordare  la 
vostra  profondissima  memoria:  poi  che  in  manco  di  quattro  anni  tutto  il 
corpo  delle  scabrosissime  leggi  civili  apparaste  a  mente  come  alcuno  altro 
havrebbe  fatto  i  piacevoli  romanzi  di  Lancilotto  e  di  Ginevra.  Ma  voi  non- 
dim'sno,  tratto  piixttosto  da  giovenil  leggerezza  che  guidato  da  maturo  con- 
siglio, tosto  che  oonùnoiastea.pratlcare  le  splendidezze  delle  corti,  alienan- 
dovi dal  vostro  borioso  institnto,  havete  tronche  le  ali  al  più  spedito  volo 
che  facesse  già  mai  professore  di  ragione.  Tal  che  sperandosi  di  vedere 
un  giorno  e  sulle  cattedre  e  pei  tribunali  un  nuovo  Ulpiano  instruire  la 
gioventù  desiderosa  d' imparare  le  leggi,  e  giustamente  ministrare  giustizia 

42 


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666  IL  CANZ0N1BBB 

dando  il  sao  a  dascnno,  aspettiamo  ora  Toderri,  ann  fin  bora  vi  ▼ffggiaffx^ 
fatto  un  solenne  e  ridicolo  giuocolare  in  capo  della  tarola  del  Vesom} 
Colonna ,  con  la  lira  in  braccio ,  movere  a  riso  la  turba  degli  adulatori  e 
dei  parasiti  che  vi  si  riparano.  B  lasciandovi  ingannare  dalla  vanagUma 
che  a'  suoi  seguaci  promette  la  misera  e  mendica  Poesia ,  haTCte  abbaa- 
donato  quei  veri  e  perpetui  honosi  che  vi  poteva  dare  la  rìochisaàiBa  sòeatù 
jegale.  E  T  ho  chiamata  ricchissima,  perchè  ella  dona  agli  maùà  sud  £à- 
cultA,  magistrati  e  grandezze  :  e  li  fa  non  meno  temere  che  riverire.  B  cb* 
non  avviene  della  professione  di  far  versi,  che  piti  oltra  non  vi  potreb^ 
dare  che  *1  superbo  triompho  di  una  frasca  d'  alloro. 

M.  Francesco,  io  ho  più  volte  pianta  la  misera  conditictt  vostra:  e  he 
più  volte  pregato  Iddio  o  che  vi  ritomi  a  più  lodata  vita ,  o,  a'  esser  2ms 
può,  mi  levi  almeno  dell'  animo  la  memoria  di  voi  :  perchè  quante  volte  £ 
voi  mi  sovviene  (che  fra  la  notte  e  *1  di  sono  più  di  mille),  tante  mi  pento  u. 
essere  proceduto  si  oltra  con  1*  amore  che  io  vi  porto.  B  finalmente  cmr 
verrà  che  voi  ritorniate  in  voi  stesso,  consolando  i  parenti  a  gii  amici;  e 
che  io  mai  più  non  vorrò  sentire  ragionare  di  voi,  huomo  indegno  di  essere 
stato  sotto  la  disciplina  mia.  Io  haveva  apparecchiato  per  la  promotkc 
vostra  al  grado  del  dottorato  una  solenissima  oratione;  e  m*  era  apparec- 
chiato a  farvi  quell*  honore  che  forse  ad  alcuno  altro  non  feci  già  mai.  Ma. 
oh  vostri  e  miei  infelici  studi  I  Oh  in  vano  tolte  fatiche,  e  —  J^uUi  erv-^ 
dita  Deorum  vota  preceaque  meael  —  Non  meritavano  andar  perdati  tani 
vostri  e  sì  bene  impiegati  sudori  :  e  non  dovevate  voi  sì  miseramente  b- 
sciarvi  abbagliare  da  i  falsi  e  torbidi  splendori  gli  occhi  dell*  intelletìo 
Che  vi  potrà  mai  dare  quella  famiglia,  ancora  che  nobilissima  e  faxnoia 
che  di  ^ù  non  habbiate  perduto  voi  ?  E  forse  che  con  la  dignità  del  giano»:'- 
sulto  non  potevate  anco  honoratissimamente  frequentare  le  corti  dei  Papi 
e  visitare  Avignone?  Ma  io  ho  forse  detto  troppo:  e  dubito,  che,  trasportate 
dal  bene  che  io  vi  voglio,  io  non  abbia  trascorso  a  dir  cosa  che  vi  pan». 
Ma  io  vi  prego  bene,  se  punto  dell'  osservanza  antica  è  rimasa  in  voi,  ek 
quel  loco  doniate  nel  petto  a  miei  consigli,  che  ha  meritato  V  aJTesiooe  ce» 
io  vi  porto.  E  senza-  altro  dire  suppUoo  Iddio  che  consoli  voi  e  me  col  ri- 
ritornarvi  a  gli  abbandonati  s^udi.  Versione  di  Michele  Leoni. 


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6«7 


VERSIONI. 


....  Qaod  si  non  enmdom  sai^orem  In  latino  sermone 
«utodit,  qnom  in  tohmcuIo  ■«rrat;  selto  dlfBcUlimnm 
«•«e  alienai  linea*  inseqaentem  non  alicabi  exbidere. 
Qnemadmodum  anim  aemlna  In  allenam  terram  tran- 
alata,  natnra  se  Ysrtente,  degenerant,  ita  quae  in  eoa 
linsua  bene  dieta  sant,  patisslmnm  nltorem  In  transla* 
tione  deperdont.  Tamen  prò  mea  mediocrltate  connixns 
•um  ab  intcìprstls  ofBdo  non  raoedera,  et  aensnm  ex- 
pUoari  de  aensv.  Ham  ad  yarbam  intarpretari,  et  syl- 
labatim,  singula  explicare,  absurdnm  est. 

Pha.  Béroéddu»,  In  Epistola  snae  interpretationi  praeposita. 


IN  LATINO. 

Beboaldi  Filippo,  il  Seniore,  bolognese  (n.  1440,  m.  1505). 
Versione  della  Canzone:  Vergine  bella  (viti,  p.  2)  in  esametri. 
Nella  Raccolta  de' suoi  opuscoli  latini,  Brìxiae,  1498;  Bologna, 
1502.  Posta  a  lato  di  quella  di  M.'  Dalla  Vecchia,  Vicenza, 
Paroni,  1866,  — //-Barrt&',  giorn.  scoi,  letter.,  1873,  p.  175  e  186. 

Cantilena  ad  Yirginem  ex  ital.  latine  fisicta  a  Marco  Marulo 
(In  Maruli,  Evangelistar,),  Ven.  1516. 

Barozzi  Pietro,  nob.  Veneto,  fu  Vescovo  di  Belluno  nel  1470 
e  nel  1488  di  Padova,  m.  settantenne  nel  1507.  Traduzione  in 
faleucci  della  Canzone  Vergine  bella.  Fu  la  prima  volta  im- 
pressa in  una  collezione  di  poesie  e  prose,  col  titolo  :  Anedocta 
Veneta  nunc  primum  coUecta  ac  noiis  illustrata  studio  Fr, 
Joan,  Bapt,  Mariae  Contareni  Ordinis  Praed,  Venetiis,  1757. 
—  E  sotto  alla  versione  che  ne  fece  M.'  Piegadi,  Venezia, 
Gajsparì,  1861. 

Amato  Pietro,  spagnuoIo>  —  Versio  cantici  ad  Virginem, 
Pelro  Amato  interprete^  In  ode  Saffica.  Voltò  pure  in  versi 
latini  la  Canzone  ItaUa  mia  (iv,  p.  4)  ed  il  Sonetto  :  Quandi  io 
veggio  dal  del  scender  V  aurora  (xxiii,  p.  2).  Nelle  Annotazioni 
sovra  le  rime  di  Fr .  Petrarca  di  Maria  Mantova  Be^avides,  Padova. 


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608  IL 

Poema  Laura  eoo  Hai.  Graece  factum  a  Mabuho  Ciedsio, 
et  fatino  Carmine  redditum  ab  Erhardo  Gellio  (in  OrusH, 
Poematum  graecor,  Basileae  s.  a.). 

BoRBONU  NiooiAi,  Vandoperani,  Nugae,  Baaileae^  apnd  Cr»- 
tandrum,  1533.  —  Verso  la  fine  del  voi.  si  legge  tradotto  in 
versi  latini  il  sonetto:  Pace  non  trofoo  (xc). 

CiCALAB  Hi£RONTMi,  Carmina.  —  La  versione  dei  sonetti: 
Pace  non  trovo  (xo);  Se  il  dolce  sguardo  (cxxi). 

Flaminio  Marcantonio,  Versione  delia  Cansone:  Chiare 
fresche  e  dolci  acque  (O  fons  MeUoli  sacer).  Flaminìi  Carmina, 
L.  I,  Carmen  vi,  Patavii,  Comini,  1727,  p.  12.  —  Ediz.  del  Can- 
zoniere procarato  dal  Volpi,  Padova,  Cornino,  1732,  p.  386  — 
dal  Zotti,  Londra,  Bnlmer,  1811,  dal  Carrer,  Padova,  Minerva, 
1837,  p.  723,  e  in  molte  altre  edizioni. 

VuLPn  M.  A.,  Versione  del  Madrigale  lv  :  Or  vedi  Amor 
che  giannetta  donna,  Vulpii  Carmina,  p.  308. 

QuiNOJORUM  Jaoobi,  Joannis,  Andreas  bt  Hdoonis  fbatruv. 
Opera  Varia,  Divione,  Chavance,  1658.  —  A  pag.  395  vi  à  la 
versione  in  versi  elegiaci  latini  del  sonetto  :  Passa  la  nave  mia 
(czxxvii). 

MiNiscALCHi,.  DE,  Alotsii,  ComiOs,  Mororum  libri  tres.  Ve- 
ronae,  Cavattoni,  1768.  —  A  pag.  158  leggesi  tradotto  il  so- 
netto: Voi  cK ascoltate  in  rime  sparse;  ed  a  pag.  35:  Era  il 
giorno  ch'ai  sol  si  seohraro, 

Jassbo  Nicandro  (Emanuele  Azzeredo),  Raccolta  di  sonetti 
tradotti  in  versi  esametri,  Venezia,  Zatta,  1780.  —  A  pag.  14 
e  15  vi  à  la  versione  in  versi  esametri  dei  sonetti  :  LeDommi 
il  mio  pensier  (xxxiv,  p.  2)  —  F  vo*  piangendo  (lxxzv,  p«  2). 

Trento  Gii^lio,  Versione  della  Canzone:  Poiché  la  vita  è 
breve  (Canz.  vi,  p.  1),  Trevigi,  Trento,  1784  e  1797. 

Fanti  Domenico  Eugenio  ,  Scelti  sonetti  e  due  cannoni  di 
Francesco  Petrarca,  Versione  in  due  metri  latini  col  testo 
originale  di  fronte,  Bologna,  Sassi,  1853.  —  Fra  nàsci  Pètrarcae 
selectiora  carmina  fere  omnia  de  sua  quam  deperiit  ptdcher- 
rima  Laura.  —  Voi  eh*  ascoltate  (i),  in  esametri  —  Era  il  giorno 
che  al  sol  si  scoloraro  { in),  in  versi  elegìaci  —  Solo  e  pensoso 
(xxii),  in  esametri  —  Padre  del  Ciel  (xl),  id.  —  In  quai  parte 
del  del  (cvm),  id.  —  Chi  vuol  veder  (cxv),  id.  —  Levommi  il 
mio  pensier  (xxxiv,  p.  2),  in  versi  elegiaci  —  //  Trionfi)  della 


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TRADOTTORI.  660 

3£orte,  Gap.  i,  in  versi  elegiaci  —  Italia  mia  (Ganz.  iv,  p.  4),  in 
esametri. 

PiBGADi  Alessandro,  A  Maria  Vergine  e  Madrey  Canzone 
di  messer  Francesco  Petrarca^  tradotta  latinamente  (in  esa- 
metri), si  aggitmge  tin'  antica  interpretatione  fatta  in  faleitcci 
da  Pietro  Barozsi^  Venezia,  Oasparì,  1861. 

Dalla.  Vboohta  can.  Luigi,  A  Maria  Vergine,  Canzone  di 
messer  Francesco  Petrarca  tradotta  in  esametri  latini^  con 
saggio  di  cinque  altre  traduzioni  latine  della  medesima,  Vi- 
cenza, Paroni,  1866.  —  I  saggi  delle  traduzioni  riportate  sono 
del  Barozzij  dell'Amato,  del  PiegOdi,  dell*  ab.  Pietro  Zero,  fu 
parroco  di  S.  Paolo  in  Monselice,  in  giambi  dimetri,  tuttora 
inedita,  e  per  intero  quella  del  Beroaldi,  —  Riprodotta  dal 
BaretU,  1873,  175  e  186. 

Traduz.  del  Sonetto:  Sento  V aura  mia  antica,  e  i  dolci 

colU  (Lii,  p.  2).  Il  Baretti,  30  Ottobre  1873,  n.  49. 

Pbrosino  pbof.  G.  S.,  Traduzione  dello  stesso  sonetto.  Il 
Faretti,  1873,  n.  41. 

Matte  Giamb.,  arciprete  di  Castellamonte  :  Versione  dei 
sonetti:  Cesare,  poi  eh  7  iraditor  d^ Egitto  (lxx,  p.  1),  Il  BaretH, 
1873,  p.  111.  —  Se  lamentar  augelH  o  verdi  fronde  (xi,  p.  2), 
id.  p.  301.  —  Gnocchi  di  eh*  io  parlai  si  caldamente  (xxiv,  p.  2), 
id.  p.  347.  —  Né  per  sereno  del  ir  vagite  stelle  (xliv,  p.  2),  id. 
p.  347.  —  Sento  Paura  mia  antica  (ui,  p.  2),  id.  320.  —  È  questo 
il  nido  in  che  la  mia  fenice  (vm,  p.  2),  id.  p.  328.  —  Or  hai 
fatto  t  estremo  di  tua  possa  (nv,  p.  2),  Baretti,  1874,  p.  8.  — 
Ite  rime  dolenti  al  duro  sasso  (ux),  id.  1874,  p.  64.  —  Gli 
Angeli  eletti  (lxxiv,  p.  2),  id.  p.  134.  —  Dolci  durezze  e  piar 
cide  repulse  (lxxxvi,  p.  2),  id.  p.  87.  —  Spirto  felice^  che  si  dolce- 
mente (lxxxvii,  p.  2),  id.  —  E  la  Canzone  xi,  p.  i  ;  Chiare,  fresche 
e  dold  acque.  Id.  p.  276. 

II  valoroso  Mattò  ha  compiuto  per  intero  la  Tersione  del 
Canzoniere.  I  bellissimi  Saggi  pubblicati  ci  fanno  ben  deside- 
rare il  resto.  Sarebbe  questa  la  prima  versione  latina  che 
avrebbe  F  Italia. 

ZoLESB  Gabtano,  VcTsions  in  esametri  delia  Cctnzone:  Ver- 
gine bella.  Il  Baretti^  1873,  p.  271.  ^-  Versione  in  versi  ele- 
gìaci della  Canzone:  0  aspettata  in  del  beata  e  beila^  (i,  p.  4), 
id.  p.  314. 


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670  IL  càmomauE 

Marunni  G.  B.,  lomeUino,  Veraioiie,  in  carme  elegiaco  del 
sonetto:  Io  vo* piangendo  i  miei  passati  tempi  (lxxx,  p.  4).  Il 
BaretH,  1876,  350. 

Il  Greacinibeiii  fa  mensioiie  d*  anft  variione  del  C«iisoiiiere  di  Carta 
Sinibaldi»  da  S.  Elpidio  (Marca  d*  Ancooa),  in  versi  elegiaoi,  e  Tuole  che 
pur  voltasse  molti  sonetti  in  grasiosi  epigrammi  latini.  Sventuratameat*', 
ei  dice,  dopo  la  morte  del  Sinibaldi,  che  accadde  nel  Marso  del  1099,  non 
se  ne  riseppe  più.  —  Il  sonetto  Rapido  fiume,  fti  tradotto  in  ▼eni  latini 
da  M/  Fenolliét,  vescovo  di  MompeUieri,  come  ci  fk  frda  il  Henagio  iieUe 
sue  Mesoolanxe,  p.  88.  ~  Lo  stesso  Mensgio  in  una  soa  lettera  a  Cario 
Sigonio  ricorda  un'  altra  versione  in  versi  eleganti  latini  di  mescer  Albe- 
rigo Longo,  Salentino,  ed  aggiunge  che  fìi  inviata  al  Caro,  perchè  la  mo- 
strasse al  Casa,  e  ne  avesse  il  ano  parere.  —  Nella  Marciana  si  conserva 
nn  volgarinamento  inedito  de*  quattro  capitoli  del  TrUmfé  drAmorm  e  del 
Trionfo  delia  Castità^  in  quattro  elegìe  latine  d' autore  anonimo  (V.  /V- 
trarca  e  Venezia,  p.  72).  —  Il  codice  Vaticano  174,  Reg.  29,  da  car.  259-64, 
contiene  la  traduzione  della  canzone  Vergine  bella,  col  titolo  :  Peanes  bea- 
tiàfimae  M.  Virginia  ex  Franeitci  Petrarchae  poomaie,  e  comincia: 
Virgo  deeem,  quam  sol  vesHt  iUllaoque  coronane  ...  —  Questa  canzone 
fti  pur  voltata  in  versi  latini  dal  card.  Egidio  da  Viterbo  con  tanta  fedelti 
ed  eleganza,  scrive  Lucilio  Filalteo  in  una  delle  sue  lettere  al  med.  card. 
(Ep.  Fam.,  Papiae  1564,  p.  38),  ut  non  potuerit  ad  verbum  eadevn  rrs 
traduci  nielius.  Quotiea  confero  cecinisti  tu  melius  «e/  oéquasti.  !  1 1  — 
U  mio  ottimo  e  valentissimo  '«■dco,  prof.  Giuseppe  Oazs&no  ni  oonnnicava 
la  seguente  notizia  :  «  Vi  trascrivo  un  brsno  di  lettera  scrittami  il  3  gena. 
1871  dal  mio  amicissimo  Galli  (morto  a  82  anni  il  16  maggio  1872),  il  quale 
dice  cosi:  Giovanni  da  Salvo  mi  ha  mostrato  tradotte  in  elegantisàmi  versi 
latini  tutte  le  Rime  del  Petrarca,  come  pure  molte  canzonette  del  Meli  e 
alcuni  miei  componimenti  italiani.  Io  li  ammirai  anche  per  ragione  del  flaoolo 
nostro,  in  cui  pochi  masticano  il  latino.  Presentai  TAutore»  ool  suo  Petrarca , 
ed  alcuni  altri  componimenti,  al  dotto  principe  di  Oalati,  insigne  ellenista, 
poeta  originale  e  traduttore  celebratissimo.  Questi  non  lasciò  di  ammirare 
il  valoroso  de  Salvo.  »  —  E  lo  stesso  Barone  De  Spaches,  principe  di  Oa- 
lati, scriveva  al  BeUuci:  Rispetto  alla  tradudone  del  Salvo  aoa  conosco  che 
siasi  mai  stampata,  ma  è  completa,  a  l«tta  scritta  di  mano  dell'  autore.  Io 
ne  ho  letto  gran  parte,  e  mi  par  cosa  degna  di  molta  lode.  Il  Baretii,  1S73, 
p.  316.  —  Pier  Angelo  Spera,  nel  libro  iv  De  nobilitate  prof,  gram.,  ci  dà 
pur  notizia  di  un*  altra  tradazione  latina  dd  Canzoniere  del  Petrarca,  la- 
vogo  del  meaaiiieae  Mario  Bonafedt. 

IN  DIALETTO. 


Calmo  Andrba,  Le  bizzarre  fiioonde  et  ingegnose . . .  et  «/ 
comenio  di  due  sonetti  del  Petrarca  in  antiqua  materna  Ungtta, 
Vinegia,  Bertacagni,  1553. 


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TBADUTTORI.  671 

Il  Gommato  non  ò  che  una  versione  in  dialetto  veneziano 
de*  due  sonetti  Benedetto  sia  'l  giorno  (xxzix).  —  Giunto 
Alessandro  (cxxxv).  Nello  stesso  volume  si  leggono  molte  poesie 
nel  medesimo  dialetto,  imitate  dal  Petrarca. 

FiGABO  Ttoqno,  da  Grespaoro,  e  no  sa  que  altri  Buoni 
Zugolari  dei  Pavan  e  VisenUnj  Smissiagia  de  Sonagitti  Gan- 
zon  e  Smaregiale  in  lingua  pavana.  Padova,  Gantoni,  1586. 

Yi  si  legge  la  versione  del  sonetto:  Amor  m" Imposto  come 
segno  a  strcUe  (Lxxza). 

FiSTULARio  Paolo,  Sonetti  di  Fr.  Petrarca,  tradotti  in  friu^ 
lano  nel  seicento,  Udine,  Seitz,  1874. 

Alcozèr  Giovanni,  Poesie  Siciliane,  Palermo,  1816.  —  A 
pag.  82, 84  vi  ò  bellamente  parafrasato,  in  un*  ode  siciliana,  il 
sonetto:  Solo  e  pensoso;  ed  apag.  85«87,  pur  in  un* ode  sici- 
liana, il  sonetto  :  Levommi  il  'mio  pensier. 

Nel  ms.  della  comunale  di  Palermo,  segnato  2  Qq.,  G.  18, 
a  pag.  154,  si  legge  un  sonetto  di  Argistq  Oiuffré  o  Giuffredi 
(m.  1593),  palermitano,  eh*  è  traduzione  libera  siciliana  del  so- 
netto: Yoi  cK ascoltate  in  rime  aspre  il  suono,  cortesemente 
comuvicatami  dal  valente  mio  amico  dott.  S.  Salomone  Marino, 
che  mi  piace  riportare: 

Yui»  che  cu  «ttentioiii  e  cu  0tapuri 

Lijti  quanta  nn  tempu  sbariai 

Mentri  la  mia  Signura  celebrai 

Serva  di  chiddu  Din,  chiamatu  Àraari: 
Pregavi  si  mai  fli  vostra  Signari, 

Campaaaioni  hùjaii  à  li  miei  guai, 

K  bench'in  tarda  vija  quanta  errai, 

Scusati  in  parti  un  giuvinili  erruri. 
Non  sarrà  forsi  vana  dal'  intuttu 

Leijri  quanti  sorti  di  martiri 

Si  pati  mentri  nn  nenti  si  diaija; 
Sta  mia  vergogna  servavi  di  frutta, 

Fati  a  la  mancu  chi  puzzati  diri, 

Beata  cui  per  autru  si  castija. 

IN  PRANCESB. 

Les  triumphes  messire  Francoys  Pelracque  (sic)  traduyctz 
de  langaige  tuscan  en  Francoyse  NowoeUement  imprimez  a 
Paris  Lan  mil  cinq  cene  et  quatorze  le  ximf  tour  de  maif 


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672  IL  Ó^20HIBilB 

—  Amor  vincU  mundum:  Le  triumphe  damour  —  PHàkiìiA 
vindt  amorem:  Le  triumphe  de  Casteh^ — Mors  oincit  |mdì* 
diiam:  Le  triumpJie  de  la  Mori  —  Fa¥na  vineU  vnortem:  Le 
triumphe  de  Renommée  —  Tempus  vinai  fàmam:  Le  triutnpkt 
du  Temps  —  .^^emitas,  seu  divinitas  omnia  wncUz  Triumphn 
de  Divinité.  Imprime  a  Paris  pour  berthelemy  yerard  mar- 
chant  libraire  demurant  a  lenseigne  sainct  Jahan  levazig^liats 
deuant  la  rue  ueufe  nostre  dame.  9  Juin,  1519. 

Les  six  triumphes  excellenU  et  magnifique»  du  trè^-éUgwtX 
poéte  Fr,  Petrarcque  trad,  du  langaige  UaUen  en  kinfftte  franr 
foyse.  Lyon,  Denis  de  Harsy,  pour  Romain  Morìn»  1531. 

Les  triumphes  Petracque  (sic).  —  Cj  finissent  les  Triunir 
phes  de  messire  Fraocoys  Petracque  nonTellement  redigex  de 
son  langaige  vnlgaire  tuscan  en  nostre  diserte  langne  fraacojse 
et  imprìmez  nouvellement  a  Paris,  Denis  Johannot,  1538. 

Les  triumphes  de  Petrarque  transL  de  langue  tusoane  en 
rhime  francoyse  par  le  baron  d  Oppéde  (Jban  Matmoeb).  Paris, 
es  boutiques  des  Angelìer,  1538;  Paris,  Lenormant^  1804. 

Les  triumphes  Petracqtie  (sic).  Amor  wùnq  le  mende.  Pa* 
ris,  leanne  de  Mamef,  1545. 

Le  triumphe  d  Amour;  le  triumphe  de  Chasteté^  le  trium- 
phe de  la  Mort;  le  triumphe  de  Renommée;  le  triuntphe  du 
Tems;  le  triumphe  de  JDininitè  —  Amor  Doinq  le  mende, 
Paris,  GrouUean,  1554. 

Toutes  les  oeuores  tmlgaires  de  Franooys  Petrarque^  con- 
tenants  quatre  livì^es  de  Mad,  Laure  d>AvÌ£fnon^  sa  maitresse, 
jadis  par  lui  composez  en  langaige  thuscan^  et  miees  en  franr 
Cois  par  Vasquin  Philisul  db  Gàiipbntiìa.s,  dodeur  es  droids, 
avec  brieft  sommaires.  Avignon,  Barthelemy  BonhonuiM,  1555 
(En  vers).  —  Ne  avea  pubblicato  £|trte  nel  1548,  Paris,  Qaaeau. 
La  versione  è  dedicata  alla  regina  Caterina  de  Medici, 

Les  oeuvres  vulgaires,  trcui,  en  firangoie  par  Jban  Char* 
TiBB.  (s.  L  et  a.). 

Essais  de  Hibbosme  d'Avost  dr  Laval  sur  les  Sonets  du 
divin  Petrarque,  avec  quelques  poésies  de  son  inveniion.  Pa- 
ris, Abel  TAngelier,  1584. 

Septante  sonnets  trad.  en  frangoie  par  E.  du  TBONOffiT. 
Paris,  Breyer,  1584,  in  32. 

Les  triomphes  de  Petrarque,  mis  en  vers  frangois^  par 


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TRàmmoRi.  673 

t^rme  de  diaiogue»  avec  autres  melanges  de  diverses  inven- 
t€>n  par  J.  Rutb.  Troyes,  Garaier,  1588. 

Le  PéirarqiM  en  rime  frca^ì^oise^  avec  ses  comentaireSy  par 
=^HiL.  DB  MàLDBOBBM,  8digD6ttr  dd  Leyschot.  Bruxelles,  Rutger 
/'elpius,  1600;  Dooay,  1606. —  Por  tradurre  Petrarca,  scrive 
*  ab.  De  Sade,  non  gli  mancava  se  non  di  saper  T  italiano,  il 
r^noeae,  e  di  esser  poeta. 

Les  Oeuvres  amoureuses  de  Pétrarque,  traduites  en  Fran- 

TC^iSy  aiòec  CiiaHen  à  coté  par  le  sieur  Plagidb  Gatanusi 

Paria,  Eetienne  Loyaon,  1669  e  1672;  Paris,  Charpentier,  1709. 

Db  Monsau)  Pibrrb  Obntilhombos  Vandosmois,  Le  oeuvres 
''&t4euss  et  augmentées  et  iUustrées  de  Commentaires  et  re- 
T^arques.  Paris,  BnoD,  1623.  —  Vi  hanno  vari  sonetti  ad  imi- 
tazione del  Petrarca. 

Le  Géme  de  Petrarque,  ou  imitation  en  vers  frangois  de 
fes  phts  beiles  poésies,  préc.  de  ia  vie  de  cet  Somme  célèbre 
'ycLT  Vahbe  Roman  Arnaud.  Parme  et  Paris,  Bastien,  1778. — 
E<.i prodotto  sotto  un  nuovo  titolo:  Yie  de  Fr»  Petrarque  sui- 
^e  cTune  tmtftieion,  ecc.  Vaudnse  et  Paris,  Oussac,  1781. — 
AA^gmentée  cT  une  lettre  adressée  à  la  Postéritè  par  ce  poète 
'Célèbre  par  Fr.  Tissot.  Avignon,  V.  Seguin,  a.  xrii,  1804. 

Lbvbbqitb  M.  P.  C,  Chùix  dee  poésies  de  Petrarque,  tra- 
dtcttes  de  titaUen.  A  Venise,  et  se  troave  a  Paris  chez  Har- 
douin  et  Gattey,  1774,  1787.  —  In  prosa. 

De  Saint-Gbniés  LAoncb,  Poésies  de  Petrarque,  traduites 
ett  vers  franfois.-  Paris,  chez  Delaunnay,  1816. 

É  una  anUrfogia  petrarchesca,  col  testo  italiano  di  fronte  alla 
tradazione  franeese.  Sono  in  tutto  lxxvi  sonetti  e  xxvi  canzoni. 

Petrarque,  traduetion  complete  en  prose  par  le  comte  F.  L.  db 
GRAiofONT,  Sonnets,  Canzons,  THumphes.  Paris,  Mosgana,  1842. 

Poésies  de  Petrarque,  traduites  en  vers  par  Caballb  EbuÉt 
NARD  DU  Mazbt.  Ck>mon,  1840,  1848. 

SonnetSy  Canzones,  BaUades,  SextineSy  Epitres,  Eglogues 
et  Triumphes  de  Petrarque  traduits  en  vers  par  le  comte 
Anatolb  db  Montesquiou  (1),  Paris,  Leroy,  1843. 

Cent  Cinquante  Sonnets  et  ?u*it  morceaux  complemen- 

(1)  Oénénl  oomto  Anatoto  de  lionteaoaioa,  doyen  toajoura  Jeane  dM 
pétrarqwisanU ,  cpì  malgrA  le  poids  des  mvers  a  ètd  un  dee  prémidn  à 
•acoarager  de  son  adhèsion  V  oeuvre  da  Gentanaire.  Fits  Sée. 


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674  IL 

taires  iraduUs  des  Sonnets  de  Péùrarqttet  teoCff  <n  regerd, 
par  Madame  E.  D.  M.  (Emma  Majbui.  dbs  oomtss  Dbjb&s).-* 
Paris,  Didot,  1847.  —  Chow  de  Sonnets  du  Pétrarque^  tn- 
duite  par  mad.  Esaù  Mìlbul  dbs  omctbs  Dbjb^n  (l),  Seca^ 
óditìon  revuò  oorrigée  et  angmentée  de  la  traduction  de  differefr 
tea  poesie»  du  Pétrarqne.  Firense,  Eredi  Botta,  1867.  —  Noa 
è  in  commercio.  •—  Troisiòme  édit.  Noutfeau  SécHteU  re» 
corrige  et  augmeniéy  eoe.  Paris,  Didot,  1869. 

Rimee  de  Pétrarque  traduites  en  vers^  tesate  en  regarà, 
par  JosBPH  PouLBNO,  Paris,  Lilnrairìe  iotemationale ,  Boole- 
yard  Montmartre,  1865.  —  A  questa  versiotìe,  dal  Gomitato  di 
Provenza,  venne  aggiudicata  una  Menzione  Onorevole. 

Lb  Duo  Phiubbrt,  Insp.  des  F<»^  à  liOns-le-Sonlnier.  Les 
Sonnets  de  Pétrarque  ^  iraducUon  complète  en  sonnets  régu- 
Uers,  Paris,  Willem,  1875.  —  Alla  versione  del  Le  I>ttc  venne  ' 
aggiudicata  la  MédaiUe  Sor  de  rAcadémie  de  Bordeaux. 

OiNGUBNÒ ,  Nella  sua  Hisioire  Uter.  d  Italie ,  t.  n,  p.  509, 
tradusse  in  vend  francesi  il  sonetto  Solo  e  pensoso  (X3ai),  eia 
Canzone  xni  Di  pensier  in  pensier.  —  Molti  sonetti  tradusse 
pure  in  prosa  il  Méziàres  nel  suo  Pétrarque, 

Obbabd,  Madame  la  Baronne,  Parte  del  Trionfo  della  MorUv 
come  Saggio  di  una  traduzione,  che  promise  di  tutto  il  Cao- 
zoniere.  Nel  Journal  des  Debats,  \ 

Frank,  Versione  della  Canzone:  Chiare^  fresche  e  dola 
acque,  Ferrara,  Taddei,  1843.  ! 

ViENNBT ,  (La  Cane,  iv)  tout  entiére  a  été  imitée  en  vers. 
Pétrarque  et  son  Siede,  Revue  Contemp.  1852. 

MiSTRAL  Frbd.,  Tradttction  provencale  de  la  Caaz.  xi  Chiare, 
fresche  e  dolci  acque,  Fétea  lìtéll^jit  intemation.  e  246;  Armana 
Provencau^  78;  e  del  son.  Mai  non  fu  m  parte  (n,  2),  Fòie  aéc 

(1)  La  oont«i8a  Emma  Mahdl  Dsjsan  profeaui  vn  ealto,  e  ^lasi  dirà 
un*  adorazione  pel  Petrarca.  Noi  la  udimmo,  nelle  feste  secolari  di  Àr<iai, 
fotta  commossa,  con  versi  inspirati,  cantar  1'  apoteod  del  suo  Poèta,  e  h 
vedem  dipoi  deporre,  sulla  tomoa,  come  un  amante,  un  raisoaeeUo  di  Uaro, 
eh*  ella  medesima,  a  bello  studio,  avea  colto  in  Valchiusa.  In  tale  occasioDe 
miMilioava  «a  opuscolo  col  titola:  YoMeluee  et  Arqud,  PoéHee^  Rome, 
Botta,  1874,  che  abbraccia  i  aeg.  componimenti  :  Sonet  rieilé  à  Arqud  it- 
vant  la  tombe  de  Pétrarque  —  Sounet^  présente  au  Concor^  «l*A{±^efi' 
Provenne,  Nioe,  Jìmm»«  i«74  ~  A  M  viUe  d'Avign<m,  Nice  —  Off^vnif 
d'un  rameau  du  Laurier  de  Pétrarque,  cueiUi  à  Va\tclU9e et dènoaè  *i*r 
ìa  tombe  à  Arqud, 


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ntADOTTOBI.  675 

RouBC^NiLLs  M.%  Uaura  gentil  (6on.  OfZLU),   Traduciiùn 

rovengale  de  Pétrarquej  couronnée.  Avignon,  Segnin,  1874, 

'éte  See.  ecc.  p.  276;  Arnuma  P^uvencau,  p.  36.  —  Lo  stesso 

onetto  vemie  pur  tradotto  dal  PoÉ^  Id.  Id. 

D*  ANiMvnxB,  80US  Préfet  de  Villafranca,  Trad.  dei  Sonetti: 
Keìt  etóL  ^a  (x,  p.  2),  Quanta  inìndia  (xxxii),  Zefiro  toma 
xL.li),  lie  rime  dolenti  (ux).  Médoille  de  Vermeil  —  Féte  sé- 
lulaire.  —  Tavan  Anfo3,  Trad.  del  Son.  La  vita  fugge  (iv,  2), 
d.  p.  178.  —  Marc  A.,  Trad.  dd  Son.  Ite  rime  dolenti  (ux, 
>),  Id.  p.  183.  —  LisuTAND  V.,  Trad.  del  Son.  Or  che  il  del 
cxiit),  Id.  p.  177.  —  BoDRBLLY  Marius,  Trad.  del  Son.  Rapido 
^zùtne  (cuv),  Id.,  p.  180.  —  Mm  db  Garcassoun,  Trad.  del  Son. 
Levommi  il  mio  pensier  (xxxiv,  p.  2),  ecc. 

SouLART  JofiBPHiNB,  ImitatiQn  de  deux  Sonnets  qae  Fé- 
trarqne  dot  composer  a  Lyon  a  son  retour  d*une  excursions 
[lana  lea  Ardennes  —  Mille  piagge  (Son.  cxxv);  Rapido  fiume 
[cLiv),  Fétes  séc.  ecc.  p.  191. 

Dft  UB  brano  di  lettera  di  Nicolò  Binato  (Nioolaos  Heinains),  inéirisaata 
air  inaigne  uomo  di  lettere  e  mecenate  de'  più  dotti  oontemporanei,  Gas- 
siano  Dal  Pozzo,  il  iuniore,  acritta  da  Padova  il  14  Novembre  del  1&17, 
raccoglierebbesi  che  il  Mervede  voltasse  in  lingua  belga  qualche  compo- 
nimento del  Petrarca  :  Beco  le  ane  parole  :  «  Gognatum  meam  Mathiam 
Clotriciam  de  Mervede  officio  ano  meoque  gr«viter  apud  te  fUnotam  vehe- 
menter  gaudeo.  Nepoa  est  primarii  in  Repubblica  nostra  viri  et  imprimia 
litteratl,  cui  sua  de  mutuo  dissertationem  sororius  meus  inscripsit.  Poeai 
Belgica  multum  delectatur,  quod  ex  versibus  venustis  sane  elegantihnsque, 
qnibua  hkterdam  me  oompeUat ,  aatis  deprehMido.  Petraroham  tamen ,  et 
Vtrgilii  Uhvnm  qoartam  ab  eo  tranalatum ,  oiiaa  ignjkviaaìBBlt  hactenus 
ignoravi.  >  —  Notìzia  comunicatami  da  Mons.  Bernardi. 

IN  GASTWLIANO. 

Da  Obrbgon  Antonio,  capellan  del  Rey  (Carlos  V),  Fran-- 
cieco  Petrarca  con  los  seye  tnumfòe  de  toscano  eacados  en 
castellano  con  el  cometUo  que  aobreUos  se  hito,  —  Fue  ym- 
pressa  la  psente  ot^ra  delos  seys  triumphos  del  petrarca  enla 
muy  noble  y  lea>.cibdad  d*  logrono  per  Arnao  guillen  de  bro- 
car  acabose  Innes  a  veynte  dias  del  mes  de  deziembre  anno  del 
nascimento  de  nuestro  Salvador  Jesu  cristo  de  mil  y  qainyentoa 
y  doce  annos  (1512),  di  pag.  clxii^. 


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676  IL  CkHOBOmSBBR 

Tinuladon  cT  los  seys  friumfòs  de  Francisco  Petrvrs 

de  toscano  en  castellano:  fecha  por  AmoNio  db  Obbboon  cs- 
pelkm  d  i  rey,  Dirigida  ai  lUustrissimo  senor  Abniranls  éi 
CasUlla  (D.  Fadriqne  finriquea  de  Cabrerà).  A^ora  de  Ihut^ 
emendada,  —  Fue  impressa  exia  excelente  y  artificiosa  olnt 
delos  seys  trìamphos  de  raicer  Francisco  petnurca  en  casteilaoo 
enla . . .  dbdad  de  SeuìUa  e»  casa  de  Juan  Tarella  de  Sab- 
manca  corregida  y  emendada  de  algunos  deflectoe  quo  ante  tenii 
Acabose  a.  xzz  dias  del  mea  de  Agosto  d*  l'anno  de  nn^tn 
reparaoion  de  mill  y  quìnientos  y  veyute  y  seys  annos  (1526). 

Fne  impressa  està  ezoelleate  y  aitifidoaa  obra.. 

enla . . .  dbdad  de  SeniUa  en  casa  del  jnrado  Juan  varela . . 
Acabo  se  a  cinco  dias  dei  mes  de  settembre:  del  anno ...  de 
mili  y  qainìentos  y  treynta  y  dos  annos  (1582). 

Translacion  de  los  seys  triumphos  de  Frandseo  Pe- 
trarca: de  toscano  en  castellano:  fecha  por  Antonio  db  Qbse- 
OON,  dirigida . . .  Agora  de  nueuo  emendada.  mdztxxj.  —  Fee 
impressa  està .  . .  obra . . .  en  la  villa  de  Valladolid  en  casa  dr 
Jnan  de  vilaquiran,  a  costa  de  Cosme  Damian,  mercader  d; 

libros,  corregida . . .  Acabose  el  postrero  de  Mayo anno  d- 

nuestra  reparacion  de  mil  e  qninientoa  e  quaranta  e  un  anaoL 
(1541). 

Db  Hózas  Hbbnando  (crtado  del  Dnqne  de  Medina  Gdi), 
Los  Triumphos  de  Sancisco  Petrarcha,  ahora  nueuamemk 
traduridos  en  lengua  Castellana^  en  la  medida  y  numero  de 
versos,  qt*e  Uenen  en  el  Toscano^  y  con  nueua  glosa.  En  Me- 
dina del  Campo  en  casa  de  GuiUermo  de  MiUis,  ItfDLV  (.\1 
fin:  M.  D.  Lini,  di  pag.  189).  —  Salamanca,  en  caaa  de  Juan 
Perier,  158L,  e  con  16  pagine  preliminari,  nelle  quali  si  trort 
la  vita  del  Petrarca.  —  Nella  medesima  misura,  cosi  il  De  H> 
xes  nella  Prefazione,  e  numero  dei  versi  die  ha  rorìgìnaie. 

Triumpho  de  Amor  de  petrarcha  saeado  y  tr6b€sào  en 
romanse  castellano  por  Castillo^  mdxxx. 

De  los  sonetos  candones  mandriales  y  sextinas  del  gre» 
poeta  y  orador  Fr,  Petrarca  traduzidos  de  toscano  por  Si- 
LU9QUB  Lusitano  (Salomon  ttsque  Hebreo  f),  con  breves  sumara 
ò  argumentos  en  todos  con  dos  tablas  una  rasteììkma  y  L* 
otra  Toscana  y  Castellana  con  PrivUegios.  Bn  VeDedLaeo  casi 
de  Nicola  Bevilacqua,  1567;  Id.  1568. 


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TUàjmrra&u  677 

Los  Soneloe  y  candones  dei  poeta  Fr,  Petrarca  que  tra^ 
\€Z%a  Hembiqub  Qarcbs  de  lingua  thoscana  en  casteilana,  Di^ 
'gido  a  PhiUppo  segundo  desto  nomhre  monarcha  primero 
s  las  Espanas  è  Indùts  Orientai  y  OcddentaL  En  Madrid , 
Qpresso  en  casa  de  GuiUermo  Droy,  1591. 

Las  ritnas  (Sonetos  y  canciones)  traduàdas  por  FRANCiaoo 
[brnando  Ayllon.  Nicolas  Antonio. 

Il  Cardoso  nella  sua  Biblioteca  Lusitana  ricorda  una  ver» 
ione  dei  Trionfi  di  Juan  Pinto  Delg€tdo  portoghese,  che  tra- 
lusse  pure  le  Lamentazioni  di  Geremia,  ed  autore  di  un  poe- 
aetto  Ruth  e  la  r^;ina  Esther.  Ma  nò  egli,  né  il  Nicolas  videro 
a  versione,  anzi  tutti  e  due  sono  in  forse ^  se  sia  scritta  in 
asitano  o  castellano.  Ritiensi  che  rabbia  pubblicata  in  Francia 
>v*egli  risiedeva.  U  De  Nicolas  fa  pur  cenno  d*un  altra  tra- 
luzione  de'  Trionfi,  di  Alvar  Crómes  de  CiudareaL 

IN  PORTOGHESE. 

Il  Gommend.  Antonio  Giuseppe  Viale,  prof,  di  Letteratura 
greca  e  latina  nell*  Instituto  Sup.  di  Lettere  in  Lisbona ,  ed 
uno  de*  Conservatori  di  quella  Biblioteca  nazionale,  valentissimo 
cultore  della  ital.  letteratura,  tra  dotto  e  cortese  non  so  qual 
più,  mi  dà  la  seguente  notizia:  <  I  Trionfi,  fino  a  quello 
della  Fama,  mancante  però  degli  ultimi  versi  del  iii  Capitolo, 
tradotti  in  egual  metro  si  trovano  nell'  ultima  grande  edizione 
delle  Opere  del  Camoens,  &tta  a  spese  del  Governo.  Il  valente 
6  benemerito  editore  sig.  Visconte  di  Jeromenha  attribuisce  la 
versione  al  principe  degli  epici  portoghesi,  ma  io  non  posso 
in  verun  conto  sottoscrivere  ad  un  simile  giudizio.  La  trovo 
non  solo  imperfettissima,  ma  indegna  di  essere  letta  da  chiun- 
que abbia  fiore  di  senno  non  che  di  buon  gusto.  » 

IN  INGLESE. 

The  triumphes  of  Fr.  Petrarche^  translated  into  engìish 
by  Hbnricb  Parokkr  Kntoht  lord  Morlby.  London,  Cawod. 

The  Triumphs  of  Loì?e  ChasHtie,  Death  translated  oni  of 
Petrarch  by  M.  Anne  Hubìb,  Edimburgo,  1644. 


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678  IL  CAMBONinB 

Sonneti  amd  Ode»  translaud  firom  the  iiaìian  afPMram 
with  the  originai  TeoBt  and  some  acoomnl  ofhis  lÀfe.  Lo- 
4oD,  1777. 

TrantlaUm  ckiefy  front  ihs  iiaìian  of  I^rtrareh  and  JC^ 
tasiasio  by, .. .  London,  1796. 

Peirarchal  Sonnsts.  fìath,  R.  Grattw«U,  1800. 

Petrarcay  Sonnats  and  Odes,  London,  1801. 

Petrarca»  A  Seiection  of  Sonnets  from  variane  auAor: 
London,  C.  and.  R.  Baldwin,  1803. 

The  Triumphe  of  Petrarch:  traneiated  inlo  engUsh  vera 
by  the  Reo.  Hbnrt  Boto,  Chaplain  to  hie  Royal  Hàghmt. 
thè  duhe  of  SusseXy  ^mih  an  introductiùn  and  notes.  LondcE. 
Longman,  Horst,  Rees,  and  Horme,  1807. 

Sonnets  and  Odes  translatéd  front  the  iialitm  ofFetrarcK 
With  the  originai  text  and  some  account  of  his  L4fè»  Londoc 
T.  Miller,  1808. 

Petrarch  translated^  in  a  seiection  ofhis  Sonnets^  and  Odi^ 
accompanied  loiih  notes,  and  the  originai  italian  bg  the  trart.*- 
lator  of  CatuOus  (Qbo.  Fr.  Nott.).  London,  MiU«r,  1808. 

Laura:  or  an  Anthalogy  of  Sonnets  (on  the  Petrarca' 
model)  by  Capbl  LoFrr.  London,  A.  Taylor,  1814. 

A  feuv  Sonnets  attempted^  from  Petrarch  by  F.  WRà> 
GHAM.  Kent,  Lee  Priory,  1817. 

Select  Sonnets  of  Petrarch  translated  by  James  ijobd  Ciàz- 
uofONT.  Dublino,  1822. 

TuH)  Cantone  of  Petrarch  translated  by  Babbabina  Wii- 
MOT  LADY  Daghe  Prìnted  by  J.  Mathias.  Quart.  Rot.  xltq 
^  Bulmer  and  G.  —  Nella  stagion  che  il  del  rapido  ùuhine 
(Canz.  ir).  Di  pensier  in  pensier  (Canz.  xiii). 

Translation  from  the  italian  ( Petrarch' s  Sonnets  icuà 
the  italian  on  the  opposite  page)  by  Babbarin^  Lady  Dacbe. 
London,  Whittìngham,  1836. 

Lady  Dacre  tradusse  molti  componimenti  del  Petrarca: 
€  Ho  letto  la  Chiare^  fresche  e  dolci  acg[ue^  e  la  trovai  di  U 
della  mia  speranza —  La  lettura  che  il  signor  Young  mi  fec; 
della  Canzone  —  ItaUa  mia  •—  mi  rapi  T  anima  in  un  entnsur 
amo  che  da  gran  tempo  non  avea  più  provato  :  Vissi  in  udirk 
ne'  miei  fervidi  anni.  —  Poi  l'ho  letta  e  riletta  da  me:  e 
senza  adulazione  di  autore,  ed  anche  senza  cortigianerìa  ver^) 


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TRADOTTOBI.  679 

xna  Dama,  vi  dico  con  verità  pura  e  schietta,  che  son  rimasto 
□aeravigliato  delle  di£9coltà  che  avete  superate,  ed  anzitutto 
dell'anima  che  avete  inspirata  alla  vostra  traduzione.  K  la 
i^ostra  è  un*  anima  piena  di  fuoco  che  illumina  i  luoghi  stessi 
lasciati  oscuri  dall'autore,  talvolta  a  disegno,  e  talvolta  per 
aver  voluto  dir  troppe  cose  in  poche  parole:  eppure  non  avete 
avuto  bisogno  di  stemperare  le  idee  in  lunghe  frasi  e  colla 
stessa  brevità  vi  siete  espressa  con  maggior  chiarezza....  Voi 
avete  raggiunta  la  melodia  e  la  musica  delle  stanze  del  Pe- 
trarca. —  Foscolo,  LetL  586.  —  L' liaìia  mia  riletta  ed  esami- 
nata, direi  quasi  sillaba  per  sillaba,  sempre  piti  mi  persuade 
non  esservi  nulla  da  cambiare.  Non  ardirei  dire  lo  stesso  delle 
Chiare y  fresche  e  dola  acque;  ma  neppure  saprei  indicarvi 
correzione  alcuna.  Quattro  versioni  me  ne  furono  inviate,  e  la 
vostra  è  infinitamente  superiore  alle  altre. . . .  iFoscolo,  Lett.  587. 
—  Voi  avete  ne*  vostri  versi  trasfuso  intero  lo  s^rito  del  Pe- 
trarca e  con  una  fedeltà  di  espressione  sperabile  appena,  e 
certo  non  mai  raggiunta  da  quanti  prima  di  voi  trattaron  la 
prova.  —  Foscolo,  Lett,  596.  —  A  una  voce,  e  animata  da  nar 
zioDale  orgoglio,  tutti  proclamano ,  che  i  vostri  versi  serbano 
^li  spiriti  medesimi  del  Petrarca  con  tal  fedeltà,  da  sperarsi 
appena,  e  certo  non  conseguita  da  verun*  altra  versione.  —  Fo- 
scolOy  Lettera  di  Dedica  dei  Saggi  sopra  il  Petrarca. 

One  hundred  Sonnets  ttanslated  hy  Susana  Wollastqn,  %oi1h 
Ole  originai  teast  notes  and  life  of  Petrarca,  London,  Ball,  1845. 

Odes  of  Petrarch  translated  into  english  by  Capi.  R.  G. 
Macorbqor.  London,  Smith  et  Elder  1851-58.  Edizione  non 
posta  in  commercio. 

The  Sonneis  Triumps  and  other  Poems  of  Petrarch  now 
first  compieteli/,  translated  into  english  verse,  by  varions 
hand-^ioit  a  life  of  the  Poet  by  Th.  Campbell,  illustre  uni  16 
eu  gravings  on  steel,  London,  1859. 

ToMLiNSON  Charles,  The  Sonnet:its  Origin,  Structure,  and 
Place  in  Poetry.  With  originai  TranslaUons  from  the  Son-- 
nets  of  Dante,  Petrarch,  ecc,,  and  Remarhs  on  the  Art  of 
TranslaHng.  London,  Murray,  1874. 

Wyat  Tommaso,  I  Sonetti  12,  16,20,21,40,  46  tradotti 
in  antico  inglese.  —  Nugae  anOqne,  Harrington. 


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660  IL  CAMaONIBSB 

Drufntnond  of  Bàìothùrndeh,  I  Sonetti:  Sol  primevo  (ui 
La  bella  donna  (xc,  p.  2). 

Woodhouselee ,  lord.  Nella  sua  vita  del  Petrarca  An  ^- 
stancai  and  criticai  essay,  ecc.,  tì  ha  la  tradunoBe  di  sem 
Sonetti. 

N.  N.,  Due  canzoni  tradotte  in  verao  inglese.  Napofi,  1819 

Pincherle  JameSy  I  sonetti  :  Io  vidi  in  terra  —  Amor  fiìrtwui 
Trieste,  Uoyd,  1865.  (Dante*  s  Memoria^, 

IN  TEDESCO. 

Sechs  Triumphe  Fr,  Petrarche  eie,  sanpt  einer  nottoend^ 
Auslegung, . . .  vormais  in  Teutsch  nie  aìAsgangen  durch  D&- 
NiBL  Fbdbbmìuin  von  MBMMiNasN  (nella  Sverà).  Baael,  Pena, 
1578,  8^ 

Sechs  Triumphe  oder  Siegesprachten^  ùbersetst  tnii  Bebé- 
bung  der  frucìubringenden  Gesellschaft  Kdthen,  1643,  4^ 
Sei  trionfi  tradotti  con  gradimento  dalla  Società  ùuttì§&n^ 

Siegesprànge  du  Zeit,  Htbersetst  tnit  von  H.  MdBUvoBT. 
Leipzig,  1659,  4"^.  —  Trionfo  del  Tempo. 

Petrarcà's  Qedichte  Uòersetst  von  Carl  Fridbicb  Hbsmaig;. 
Leipzig,  Schwickert,  1796.  —  Poesie  volgari  del  Petrarca  tra- 
dotte. 

Petrarchische  Chrestomathie,  oder  Ai4S%oahl  der  vorsAgHeh- 
sten  Sonette  und  Canzonen,  aus  Ft^awcesco  Petrarea^s  HaUe- 
nischen  Qedichten,  mit  deutscher  treuen  Ueòersetsung  und 
sowo?U  erìUàrenden,  ale  grammaHschen  Anmerhungen^  unier 
Himoeisung  aufC,  I.  JàGBaiANNS  itaUànische  Sjpraehlehrey  stoeOe 
Auflage.  Von  DJ  Fribdrich  Eocard.  Durchgesehen  und  mie  An- 
merkungen  vermehrt  von  C.  1.  Jagemann.  Hamburg,  Vollmer, 
1805. 

Ausvoahl  von  Petrarcà's  Gesàngen  von  F.  Laubb.  Ale  Probe 
einer  vollstànd  Uber  des  Dichtet^s,  Glogàu,  Qunther,  1808.  — 
(Scelta  delle  poesie  del  Petrarca,  quale  saggio  di  una  tradu- 
zione completa). 

Petrarcà's  itaUenische  Gedichie,  itberselst  und  mit  erlàu- 
temden  Anmerkungen  begleiiet  pon  Karl  Fòrsteb.  Leipzig, 
Brockhaus,  1818.  —  (Poesìe  italiane  di  Fr.  Petrarca  tradotte 
e  riccamente  annotate  col  testo  italiano).  Neue  durchans  um 


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.  TRàDUTTOBI.  681 

gearbeìtete  Ansgabe  (nuova  edizione  corretta).  Leipzig,  Brock- 
haus,  1833;  Leipzig,  1851. 

i<V.  Petrarca's  sàmmiUche  GedichU  ùberseUi  non  Fried. 
WiLH.  Bbockbbau.  Monchen,  Lindauer,  1827.  In  prosa  (Rac- 
colta completa  delle  poesie,  ecc.). 

Petrarca* s  F.y  Dm  Reime  uberseUt  und  erlSutert  yon  K. 
Kbrulb  und  L.  von  Bisgblbbbn.  Stultg.,  Gotta,  1844.  —  Con 
iatroduzione  storica. 

Rbinbold  WiLHEUf,  Bichterìscher  nacklass.  (Ricordi  poetici). 
Enthait  Petrarcha^s  f^ecUehte  VeberseUU  Leipzig,  1853. 

Petrarca's  QecUehte,  ubersetgt  von  Wilhblm  Krigab.  Berlin^ 
Ambw  BAmpbr,  1865. 

ffundert  ausgmoàhUe  JSoHette  Francesco  Pstrarka's  ubér-- 
setzt  V09  ivL,  HfìBNBR.  Berlin,  Nicolaisclie  Verlagsbaclihand- 
lung  (A.  Effert  und  L.  Lindtner),  1868. 

BuTERSciiON  Frhìdrio,  Eìd  Deokmal  edler  Liebe  und  Hu- 
mani^  1796.  —  Vi  si  trovano  tradotti  i  seguenti  componi- 
menti: Chiare  y  fresche  e  dolci  acque  (Canz.  xi);  Se  AfAornon 
è  (Son.  LzxxvHi);  La  gola  (Son.  i,  pag.  4). 

Mbd«bard  J.  N.,  La  traduzione  della  Canzone  :  Chiare,  fre- 
sche e  dolci  acqtie  (Canz.  xi).  Nel  Versuche  iiber  den  Karakter 
und  die  Werke  der  besten  italienischen  Dichter  (Saggi  sul  ca- 
rattere  e  sulle  opere  dei  migliori  poeti  italiani).  Brunsv.,  1774. 
Molti  componimenti  poetici  si  trovano  pure  voltati  in  tedesco 
dairiratiBR,  voi.  I,  Berlino,  180-4)2;  dal  Gbnthb,  Magdeburgo, 
1832-34)  II,  p.  136-46;  daU'BsBRT,  Fraacolòrte,  1854,  p.  6&82; 
dal  WoLFP)  Berlino,  1860,  p.  89-101  ;  e  dal  Cabribrb,  Leipzig^ 
1868,  li,  493. 

IN  BOEMO. 

Z,  Petrarkovych  znelek  vybor,  Prelorìl  P.  P.  Vagek.  V 
Praze,  1838.  —  Scelta  di  sonetti  di  Pr.  Petrarca.  Questi  sonetti 
vennero  alla  luce  nel  CasopU  ceského  Museum  di  Praga. 

Z.  Petrarkovych  Sonettu ,  Prelozil  Pr.  Lad.  Cblakovskt, 
V  Praze,  1^7.  Sonetti  del  Petrarca  vdtati  in  boemo  dal  ce- 
lebre poeta  Celakovsky.  —  Morì  a  Praga  nel  1852. 

43 

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688 

IN  POLACCO. 

Tryumf  umlotci.  Poema  FranoMìka  PetnaM  Przez  Jakì 
GROCKOwsEiBao.  Il  Trionfo  d' Amora.  —  Il  Grotkowaki  fiort 
circa  il  1465.  Questa  bella  ed  aocmata  vecuone  ixadi  par  la 
prima  volta  alla  lace  arila  BMicMa  OuaUnskkh^  t.  Tm, 
p.  131-155,  1866.  Gbotkonwbki,  cosi  aerivanmi  il  ilotto  e 
oorteae  bibliotecario  della  R.  Univerntà  di  Praga ,  eUam  ama- 
toria Petrarchoé  poemala  Sonetti  €q>petìtua  poiotUee  raddiià, 
quaé  tamen  versio,  quamquam  degans^  nondum  juris  pubUà 
/oda  esty  excepto  iUo  pareo  specimine  quod  anno  1864  Bt- 
bUoteka  OssoUnskieh  in  t.  tv,  p.  66*58  dedit 

I  poeti  Adamo  Micriiwicz,  Giovanni  NiBnwKBm  Jasbo- 
W8KI,  BoLDANo  Zalbski  e  loNAZio  FLOTo^nNSKi  nel  1840  e 
1842,  tradussero  ciascuno  alcuni  sonetti  del  Petrarca;  ne 
tradusse  pure  3  un  Anonimo  nel  Giornale  delle  mode  di  Leopoli 
(1841).  T.  DoBKiBwuz  nel  1838  pubblicò  in  Vilna  il  IVianfb 
dP  Amore.  Fkuciano  Falinski,  poeta  lirico  di  Vaiìsavia,  e  il 
WiLCZBWSKi,  archeologo,  bibliografo,  da  quanto  mi  yien  scritto, 
voltarono  pura  il  Cansmnere  in  rime  polaeche* 

IN  OLANDESE. 

HooFT  Pbtir  Cobnelibson,  OédftcAl^,  ecc.,  edit  P.  Leendertv. 
«-  La  traduzione  de^ sonetti:  Se  la  mia  fyita  dalC aspro  tormento 
(xi,  p.  1).  —  Quel  rosignuol  che  sì  soave  piagne,  (xlh,  p.  2). 

Belderoto  Willbm  (m.  18  Dec«  1831),  Batsgaimen,  Leiden 
by  Herdingh  in  Zoon,  1824.  —  La  traduzione  dei  svaetti:  Le- 
vommi  ilmiopensier  (xxxiv,  p.  2)  —  •Ttw  piangendo  {fjjoiy^ 
pag.  2).  voi.  I,  p.  114. 

Hackb  van  Mijndbn  J.  C,  La  versione  dei  sonetti:  Erano  t 
capei  cP  oro  (lxi).  Levommi  il  mio  pensier  (xxxiv,  p.  2). 

IN  RaMENO. 

BftASOviN  (Kronstadt,  nella  Siiva&ia),  nel  Giomak  Romeno 
Orientalui  latmu  (1874),  ci  diede  un  bell'artìcolo  criticò  sul 
Petrarca,  eoi  fece  seguire  una  stupenda  traduzione,  imitandone 
il  ritmo,  della  Canzone:  Itaiia  mia. 


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TIUDOTTOBI.  683 

IN  GRECO  MODERNO. 

Il  poeta  Mataranoas,  a  quanto  mi  vìen  détto,  avrebbe  vol- 
tato in  greco  moderno,  alcnni  sonetti  e  canzoni  che  sarebbero 
stati  pubblicati  ne*  Periodici  BUenid.  Però  il  doti  Giulio  Ti- 
paldo,  conoscentissimo  della  letteratura  d^  suo  paese,  mi  facea 
scrìvere:  €  La  sola  traduzione  in  greco  ch'io  conosca  di  questo 
poeta,  poco  traducibile,  è  queUa  beUissima  del  Solovos  della 
Canzone:  Chiart^  fresche  e  doloi  aeque,  > 

IN  ^RAICO.  ^ 

ÀLAMAim  GtusBPK,  Ahufie  rime  di  Fr.  Petrarca  voUate 
in  ebraico.  Vienna,  Edlen,  1839. 

COMENTATORI. 


1474.  Lapino  M.'  Bbrnardo,  medieo,  filosofo,  lettor  pub- 
blico neiruniv.  di  Siena  (1407).  —  GUcino  Bernardo^  da  monte 
Alano,  da  Siena  —  da  monte  UHeinio  da  Siena,  —  (messer 
Bernardo  da  Sena ,  eruditissimo  lunnico  et  ezcellentissimo 
interprete).  Li  Triwmphi  e  suo  eomento.  Bologna,  Azsoguidi^ 

1470.  Philblpbo  Franobboo  <n.  in  Tolentino  nel  1398;  m. 
a*  24  Luglio  1476).  Bologna,  de  Liteìs 

1478.  PoiLBLPflo  Francesco,  Antonio  da  Tbmpo,  Isbonimo 
ÀUBBSAMinto  Squabciafkx),  De  P  interpretatone  sopra  U  Sonetti 
et  cannone  di  mese,  Franeeseo  Petrarca  —  li  quali  sonetti  inco- 
.  mindando  dal  principio  insino  al  sonetto  FÙJunma  del  del  su 
le  tue  tresze  piota  (Son.  106),  sono  exposti  per  el  degno  poeta 
misser  Francesco  Phelelpho  et  dal  indrio  infino  qui  sono  ex- 
posti per  lo  spetabile  homo  misser  Hieronymo  Squarciafico 
Alexandrìno.  Venexia,  Theod.  Rejnsburch. 

1  Gementi  apparvero  riuniti,  Venexia,  Wild  de  Ratisbona, 
1481;  Venexia,  Veronese  (Triumphi,  a  di  ultimo  de  marzo, 
Canzoniere,  18  augusto  1484);  Venisia,  de  Pasquali  e  Bertocho 
(Li  Triumphi  8  aprile  1488,  Sonetti  e  Canzoni  7  zugno  1486); 


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684  IL 

Venezia,  Bernardino  de  Novara  (Triumphi  18  apr.,  gii  sonetti 
12  zngno  1484);  Venetia,  Zani  de  Portese,  15  Febr.  1508;  20 
marzo  1515;  Milano,  Scinzenzeler ,  8  marzo  1512;  Venem, 
Stanino,  zugno  1519.  —  L*edi»Qni  Venezia,  Zanni,  6  mazo 
1500;  Alberto  da  Lissona,  26septembre;  Milano,  Scìosenzekr, 
28  ag.  1607;  Venezia,  DdX}reg:orio,  1508;  Stagnino,  8  marzo 
1522,  in  luogo  dei  conienti  ai  Trionfi  del  Lapino  portano  queUi 
di  Nicolò  Peranzone  altramente  Riceio  Marchésiano  del  wiumU 
de  aaneta  Maria  in  Castano, 

<  Chi  latinamente  si  ehtama  iUeifme  si  volgarùoa  per  Mon- 
talcinese.  Cosi  Bernardo  Ilicino,  uno  degli  antichi  comeatatorì 
del  Petrarca,  vivente  dopo  la  metà  del  secolo  XV,  era  cittadino 
di  Siena,  ma  oriundo  da  Montalcino.  La  sua  casata  era  dei 
Lagrini,  e  suo  padre  diiam«vi»i  Pietro.  Intorno  a  questo  Ber- 
nardo micino,  comentatore  del  Petrarca,  tengo  Catte  alcune  os- 
servazioni da  pochi  avvertite.  »  Ap.  Zeno^  Lett.  953,  voi.  v,  p.  238. 
—  Il  Filelfo,  secondo  il  Orion,  dettò  il  suo  comento  a  Afilano 
dopo  la  morte  di  Nicolò  Picinino  (15  Ottobre  1444),  ramtfieih 
tata  nella  Canzone  Italia  mia,  e  dopo  la  moKe  di  Lionardo 
Aretino  (9  Marzo  1445),  pur  ricordata  all'ottavo  sonetto  A  pie 
de'  colli,  ma  prima  della  morte  di  Filippo  BAarìa,  duca  di  do- 
lano (13  Agosto  1475),  cui  lo  dedicò.  •—  Nel  Filelfo  non  si 
deve  rìcercara  nò  il  gusto  deMo  scrivere,  nò  Tarte  di  rilevare 
i  pregi  ed  i  difetti  del  grande  lirico  che  avea  preso  ad  ìHo- 
strare.  Egli  vi  aduna  delle  tenebre,  anziechò  spargervi  ddU 
luoe.  Ha  ritrovato  il  secreto  di -far  diventare  osceno  il  PétraKs 
che  fu  castigatissimo.  Comianù  •—  Il  Filelfo  faceva  a  braccia, 
inventando  lepidamente  e  motteggiando.  Carducci.  —  All'in- 
compiuto comento  del  Filelfo  si  aggiunse  certa  conti«Bairionc 
assai  magra  e  men  lepidamente  spropositata  di  un  Girolamo 
Squarciafico  alessandrino. 

«  Il  prof.  Orion  nella  pre&zione  al  Trattato  deUe  Mime  Vef- 
ffari  di  A.  da  Tempo  (Bologna,  Romagnoli,  1869),  sostiene 
che  TA.  da  Tempo,  cementatore  del  Canzoniere  non  ò  mai 
esistito,  che  il  comento  sotto  il  nome  di  lai  ò  una  cosa*  sol» 
con  qu^o  dello  Squaroiafico,  ma  che  anche  Girolamo  Squar- 
dafico  alessandrino,  poi  non  ò  mai  esistito^  né  meno  egli,  e 
cotesto  nome  altro  non  rappresentava  che  ranagranuna  di 
2>omenico  Siliprandi  fyUitolo   di  (raspare^  deU* editore   doè 

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ooBORrrAioRi.  t^5 

del  Canzoniere  neir  anno  1477  (Orion,  Trattato  delle  Rkne 
Volgari,  xxxiv-LVn),  e  seguita  provando  e  riprovando  altre  cose. 
11  Grion,  erudito  e  ingegnoso  com'è,  ha  il  torto  di  voler  pro- 
var troppo-,  e  di  scoprire  nn  pò*  troppo  facilmente  ad  ogni 
passo  anagranuni.  Secondo  me,  gli  anacronismi  e  le  confusioni 
tn*onologicbe  che  s' incontrano  nel  cemento  del  Da  Tempo,  siasi 
un  po'  chi  si  vuole,  ma  antico,  si  possono  spiegare  con  le  al- 
cune addiswni  «T  uno  ahro,  che  il  SìHprandi  confessa  avervi 
interpolato.  »  Carducci. 

1585.  VfiLLnTBLLO  ÀLBSBANimo,  Le  voì^ri  opere  del  Pe- 
trarcha,  con  F  e»positione,  Venezia,  Da  Sabbio.  —  Per  lo  stesso 
Da  Sabbio  1541  ;  Id.  Vidali  1528, 1532;  Id.  Zanetti  Gastersagénse 
1538;  Id.  Comin  da  Trino  de  Monferrato,  1541,  1547;  Id. 
Gabriel  Giolito  de' Ferrari,  1544, 1545, 1547  IPediz.,  1550, 1552, 
1558,  1560;  Id.  Al  segno  della  Speranza,  1550;  Id.  Giglio, 
1552;  Id.  Grifio,  1564,  1568;  Id.  Valgrisi,  1560;  Id.  Nic.  Be- 
vilacqua, 1563,  1568;  Id.  Bertano  Giov.  Ant.  1573,  1579,  1584. 

I^  Vellutollo  divise  per  primo  il  Canzoniere  in  tre  parti, 
ponendo  nella  terza  quelle  rime  che  in  diversi  tempi  e  sopra 
vani  argomenti  ftnrono  scritte.  M/  Beccadelli  gli  dà  nota  di 
temerario,  per  aver  messo  tutto  sossopra  il  Canzoniere,  onde 
parere  più-  savio  degU  aUri,  forse  intendendolo  meno.  Il  Mar- 
sand,  invece,  a  proposito  di  questa  edizione,  dice:  É  ionio 
ragionevole  quesf  ordine  che  mi  meravigUo  non  sia  stato  adot- 
tato moka  prima*  Al  Pasqualigo  par  meglio  ragionevole  il 
biasimo  del  BeooadeHi.  Anche  il  Settembrini  nelle  sue  Letiom 
di  leti.  ital.  voi.  i,  p.  194,  si  duole  che  sia  statp  alterato  l'or- 
dine in  che  il  Petrarca  avea  disposto  il  «no  Canaoniere,  ma  è 
strano  ch'egli  ne  dia  colpa  ai  Leopardi,  che  fece  la  sua  inter- 
pretazione sul  testo  disordinato  del  Marsand,  del  1819.  il  Vel- 
iutelk)  però  ebbe  miglior  senno  ponendo  la  terza  parte  delle 
Rime  prima  dei  Trionfi,  mentre  il  Marsand  la  pose  dopo,  in 
fine  del  Volume  (PasquaUgo^  I  Trionfi,  4).  ^  Il  Rucellai  dice 
che  il  Vellutello  fu  il  primo  che  così  in  quanto  all'istoria,  che 
alla  dic^ùarazione  cavasse  il  poeta  dalle  tenebre,  aprisse  la  via 
a  tutti  gli  altri  che  dappoi  haa  seguitato.  AUa  quale  sentenza 
fa  eco  Apostolo  Zeno. 

1532.  li  Petrarcha  col  contento  di  M.  SssBAsnkHo  FàUSTO 
Dk  LoNOUNO  (castello  tra  Cesena  e.  Rimiiii),  con  rimario  et 

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eee  il 

4p«Mt  in  ordme  à^aipk/àhetù.  VmesiA,  BiiidiMii  e  PmìbL  Aib 
fllnatr.  et  Eoeel.  Signor  il  S.  Conte  Guido  Raagona,  ecc. 

È  la  prima  e  rnnioa  edizione,  die  ai  conosca  col  oomiwtp  * 
dei  Panato,  così  poco  conoadato,  scrive  THortis,  e  a  torto 
Titaperato.  Ei  tenne  nn  ordine  diveiso  degli  a^  neUa  diapo- 
aizione  del  Gansoniera,  separandovi  i  Sonetti  dalle  Ogimwì. 
L*ab.  MarBond  vi  trova  molte  sauBsime  lesioni  di    nkoni 
passi,  i  quali  sono  corrotti  o  guasti  nella  maggior  paria  dette 
edizioni  del  secolo  stesso;  e  il  CardMoei  n^B&tmti  ood  toI- 
gali  fra  alcuni  passi  del  Canz<»iere  e  altri  degli  aoritti  la- 
tini del  poeta.  Aveva  in  animo  di  acrìvere  V  Anatomia  del 
Petrarca^  ma  non  ne  fu  nulla.  €  Neil*  Aprile  del  1533,  cobA  egli 
ad  un  suo  amico,  giunto  che  fui  a  Ferrara,  da  parte  di  quei 
giovani  signori  sono  stato  invitato  s'io  voglio  guidare  rAcca- 
demia  che  voglion  drizzare  adesso  de  la  lii^fua  volgaro,  et  ogni 
gfiomo  leggere  una  lezione  del  Petrarca  et  una  de  le  regole 
volgari.  Adesso  sono  in  hioco  solitario,  lontano  da  Ferrara  35 
miglia,  et  attendo  la  risoluzione  di  questi  Accademici  noonrL» 
n  Fausto  professò  belle  lettere  ad  Udine;  volto  in  italiaiio  Dio- 
aoorìde  (1542),  e  il  trattatello  de*  pesi  e  deUe  nùsura  di  Paolo 
Egtneta^  le' Tusculane  (1544),  rBpistde  (1555),  e  tutte  le 
Orazioni  di  Cicerone  (1666);  detto  un  dialogo  del  modo  di  tra- 
durre in  altra  lingua  secondo  le  regole  di  Cicerone  (1656),  e 
ristitozione  del  figlhudo  di  un  prindpe  dai  dieci  fino  ag^  anni 
della  discrezione  (1543).  —  Fu  combattuto  aspramente  dal  Ida- 
zio  che  scrisse  contro  lui  la  Faustina^  a  cui  rispose.  U  Fansto 
non  è  tale,  dice  Ap.  Zeno,  che  mandii  di  mento,  e  akune 
delle  tanto  sue  opere  si  sostengono  ancora  in  riputaBone,  nò 
giacdono  come  tanto  altre  nelle  botteghe  corrose  da*  vermini 
e  dalle  polvere. 

1533.  SvLVANO  DA  VcNàrRo,  //  Petrarca  dooe  son  da 
quaUroeenio  luoghi  dichiarati  dif^ersamenie  da§U  akti  sposi' 
tori,  nel  hèro  col  vero  eenso  notati,  Napoli,  Jovino  e  Matthio 
Canzer. 

Non  se  ne  conosce  che  questa  sola  edizione.  U  Greadmbeni 
Io  dice  quanto  barbaro  nella  locuzione,  altrattaato.  curiooo  per 
le  strane  intorpretazioni  che  vi  si  leggono.  Il  prof.  Paaqualigo 
vi  trova  invece  migUor  giudicio  che  in  tetnti  altri  edUori  e 
comeniatori,  e  il  Garducd  disquisizioni  su  U  tempo  in  die  al- 


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ofmnrskTOKL  687 

caùB  poesie  iuron  oomposte  e  quaidie  saggio  d*  interpretaàona 
acato  e  nuovo  fra  molti  Btraiiissimi.  Silvano  parlando  dol  Co» 
monto  del  Vellntello,  ooel  ai  esprimo:  «  E  per  dire  il  vero  io 
ho  gran  paura  die  il  VellnteUo  un  di  non  venga  a  trovarmi 
per  carminarmi^  a  guisa  di  Martinello:  perchè  ho  trovato  in 
molti  di  quei  nodi  faticosi  del  Poeta,  quali  ha  persuaso  altrui 
di  aver  discì<dti  che  g^  ha  raddoppiati  ed  inviìuppati  si  eh'  io 
sono  costretto  a  dirlo.»  L*edÌ2Ìone,  riguardo  aJla  correzione 
del  testo,  riuscì  pregevolissima. 

1533.  QiaiJAUìo  M.  Qiov.  Andkba,  Il  Petrarcha  colla  Espo^ 
s^oncj  eoe.  Venezia,  4  Lflglio,  per  Giovanni  di  Nicolini  e  fratèlli 
da  Sabbio.  Fu  riprodotto  dallo  stesso  nel  1541  ;  s.  1.  e  st.  1540; 
dal  Gkdito  1553;  dal  Giglio  1553  e  1557;  dal  VidaU  nel  1574; 
Venezia,  s.  st,  1574;  dal  Grìffio  nel  1581. 

Il  Tmnaami  nel  suo  Petrarca  redmtms  assegnavagli , 
tra  gli  antichi  il  primo  posto;  il  Muratori  lo  dice  uno  dei 
migliorì  espositori  che  s'abbia  avuto  il  Petrarca;  ottimo  il 
BaldeUi.  —  «  Ampio  espositore  discuto  e  confuta  o  infirma  gli 
interpreti  anteriori,  e  reca  in  mezzo  le  questioni  che  intomo 
a  certi  passi  si  agitarono  nell*  Accademia  del  Minturno  «  il  ve» 
scovo  autore  dell'Arto  poetica:  chi  vinca  la  noia  di  tanta  pro- 
lissità, che  pur  in  quel  secolo  non  impedì  a  ootesta  esposizione 
la  popolarità  di-  nove  edizioni  dal  1533  al  1682,  dovrà  pur 
confessare  che  il  Gesualdo  è  de'  migliori  e  più  utili  fra  i  co- 
montatori  petrarcfaiani.  Cardiueci, 

1539.  Aldnno  (Dbl  Bailo)  M.  Prancbsco  (1),  Ferrarese  (m. 
a  Venezia  nella  contrada  di  S.  Severo  li  10  nov.  1556).  Osser- 
vazioniy  ecc.  —  Id.  Le  ùssenMnoni  sopra  il  Petrarca  nucwjb^ 
mente  rietampa^  et  con  dUigetua  ricorrette  et  maUo  €nnplia4é 
con  tutte  le  sue  autorità  ei  dichiarationi  delle  vod  e  de*  luoghi 
diffidU^  con  le  regole  et  osserwmoni  delle  particelle  et  delle 
aure  voci  ai  luoghi  loro  per  ordine  di  aìphabeto  collocate.  — 
L'arbor,  eh' a  maggior  frutti  ha  gran  radice.  Venezia,  Maiv 
colini  da  Forli;  Id.,  Gherardo,  1550.  -—  Le  Osservazioni  del-^ 


(1)  L*  Almmo  si  penonifloa  aerittort  unico,  e  tibachista  rariuimo,  DI 
latti  ei  8i  rese  celebre  segnatamente  per  la  sua  eleffansa  nel  formar  caraW 
ieri  di  ebe  fti  maestro,  onde  venne  provisionato  dalla  Signoria  di  Venezia. 


S.Oiovaniii. 


Ei  jgiunse  a  scrivere  si  minatamente  ohe  nello  spaido  di  un  denaio  potè 

scrivere  senza  abbreviature    il  Credo  ed  il  primo  capo  dell'Evangelio  di 

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688  IL  OANXOHnUB 

r  Allumo  noa  sono  cbe  un  poro  lessico  deUa  liogfua  dei  F^trarea^ 
del  resto  utilissimo.  Carducci, 

1541.  Sonetti^  Canzoni  e  Triumphi  di  messer  Francesco 
Petrarcha  con  la  sposiUone  di  Bernardino  Daniello,  da  Lucea^ 
In  Vinezia,  Da  Sabbio,  1541,  e  1549.  , 

n  Daniello  confessa  lealmente  che  qussts  sue  fatiche  sono 
in  gran  parte  di  Trifon  Gabriello,  uomo  non  meno  di  somma 
bontà  che  di  profonda  dottrina,  e  di  ottimo  e  raro  giudisii) 
dotato.  Trifon  Oabrìello,  nella  sua  lunga  vita  di  ottant»  anni, 
così  il  prof.  Crespan ,  io  non  so  a  qual  maniera  di  studi  non 
siasi  applicato,  con  tanta  lode  che  gli  valse  il  soprannome  di 
Socrate  del  suo  tempo.  Avea  nella  vicina  Murano  una  villa, 
quanto  splendida,  lUtrettanto  ospitale,  e  qua  attirava  i  migliori 
ingegni  della  città  —  pieno  di  filosofia  la  mente  e  il  petto, 
spandeva  la  sua  facile  e  giudiziosa  parc^  or  temperando  la 
soverchia  vivacità  delle  giovani  menti,  or  entrando  sicuro  nelle 
più  difficili  ed  astruse  questioni  della  scolastica:  dalle  quali 
cercava  un  riposo,  quasi  a  respirare  aura  più  confiaoente,  nei 
misteri  del  bello,  e  ne  ragionava  così  da  eccitare  T ammira- 
zione di  tutti.  Ornavano  più  T  ingegno  vario  e  fecondo  F  inte- 
grità della  vita  e  la  soavità  del  costume,  le  quali  riverheravano 
a  così  dire  nelle  sue  rime  volgari.  E  dal  conversare  con  lui 
Bernardino  Daniello  attinse  il  buono  e  il  meglio  di  ciò  che 
pubblicò  nel  commento  del  Petrarca,  e  le  annotaeioni  apposte 
al  Canzoniere  da  Antonio  Brocardo  si  riconoscono  come  inse- 
gnate  dal  meraviglioso  Trifone  (Zilioli).  Petrarca  e  Venezia. 
203.  —  Il  Marsand  trova  ottimo  i)  testo.  —  €  Non  di  rado  e 
non  disutilmente  raffrontò  Bernardino  Daniello  il  poeta  nostro 
coi  latini  e  con  Dante.  »   Carducci, 

1548.  Sonetti,  Canzoni  e  Triumphi  di  M,  Francesco  Pe- 
trarca con  breve  dichiaratione  et  annotatione  di  Ant.  Bru- 
aoLi.  Venezia,  Aless.  Bruddi.  ^-  Alla  Illustrissima  et  excel- 
lentissima  Signora,  La  Signora  Lucretia  da  Este.  —  Lyone, 
Guglielmo  Rovilio,  1550;  id.  1551. 

Il  Brucioli  scrisse  alcuni  Dialoghi  della  morale  filoeofia  (Ve- 
nezia, Zanetti,  1537),  voltò  in  italiane  la  Retorica  di  Aristotile, 
il  Vecchio  ed  il  Nuovo  Testamento»  che  venne  posto  air  indice 
tra'  libri  dannati  di  prima  classe.  €  È  da  notare,  dice  il  Qu^rio, 
che  nell'edizione  del  Rovilio,  1550,  le  Annotazioni  del  BmcioU 


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OOMSNTATOBI.  689 

Turono  aceordate)  forse  da  Luca  Antonio  Rldolfi,  che  in. quel 
jevaipo  dimorava  a  Lione,  e  vi  furono  in  iscambio  aggiunte 
quelle  poche  che  andavano  disperse  per  le  prose  e  per  le  let- 
tere del  BembOy  nominandone  poi  esso  Bembo  autore,  e  tacendo 
il  Brucioli,  perchè  l'edizione  fosse  più  riputata.  >  Ma  il  Ro- 
viliOf  dedicandole  al  Ridolfi,  dice  che  le  Dichiarazioni  dal  dòtto 
Af.  Anàmio  BrudoH  furono  cominciate,  e  poi  (non  sa  per 
quale  giusto  impedimento)  non  finite.  Nell'edizione  del  1551 
ne  venne  a£B!ktto  soppresso  il  nome,  perchè  V  autore  ritenuto 
pestifero  eretico,  — •  «  11  Bruciolit  come  fiorentino,  ha  il  pregio 
di  rilevare  e  dichiarare  con  acconcie  eleganze  certe  proprietà 
dalla  lingua.  >  Carducci, 

1566.  AmMlazioni  breeissime  eopra  le  rime  di  M,  F.  P. 
le  quaU  contengono  moke  cose  a  proposito  di  ragion  civile, 
sendo  stata  la  di  lui  prima  professione  a  beneficio  de  li  stu* 
dioei^  eco.  Padova,  Lorenzo  Pasquale,  1566,  di  p.  276,  in  4^. 
N'  ò  autore  Marco  Mantova  Bbnavidbs,  detto  al  suo  tempo 
jurisperiterum  princeps,  prof,  di  diritto  neir  Univ.  di  Padova, 
e  che  mori  a  93  anni  nel  1582.  Ei  ne  dichiarò  la  parte  che 
ora.direbbesi  filologica,  raccolse  quantità  di  luoghi  paralleli 
tolti  da  scrittori  sacri  e  profani  antichi  e  del  suo  tempo  ;  greci, 
latini,  italiani;  non  colorò  che  in  parte,  e  solo  al  principio,  il 
concetto  di  trattare  il  soggetto  nei  ra{^rti  della  ragion  civile, 
allegando  i  luoghi  paralleli  dei  piii  celebri  giureconsulti.  Si 
conserva  T  autografo  nella  Marciana. 

1582.  Muzio  Jbbonimo  Giustinopolitano,  (Oriondo  di  Capo- 
distrìa;  (n.  a  Padova  il  12  Marzo  1496,  m.  nel  1576  alla  Fa- 
naretta,  in  Valdelsa,  tra  Firenze  e  Siena,  nella  villa  deiramico 
suo  Lodovico  Capponi.  — -  Egli  era  de'  Nuzii,  ma  lo  cangiò  in 
Muzio,  all'usanza  deMetterati  d'allora,  air  oggetto  di  roma- 
nizzare il  suo  nome).  —  Le  Battaglie  con  le  Note  sopra  il  Pe- 
trarca, Venezia,  Duainelli.  —  Le  annotazioni  ristrette,  Modena, 
Casaiani,  1609;  Venezia,  Colleti,  1727;  Modena,  Soliani,  1762; 
Roma,  De  Romania,  1822. 

Le  annotazioni  del  Muzio,  cosi  Apostolo  Zeno,  che  sono  in 
fondo  alle  Considerazioni  del  Tassoni,  non  sono  che  un  estratto 
delle  note  eh'  egli  ha  fatto  sopra  quel  poeta,  e  che  si  leggono 
impresse  nelle  sue  Battaglie.  Sopra  di  che  noto  di  passaggio 
che  Giakinantonio  Gallarati,  milanese,  e  parroco  di  S.  Vito,  m. 


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e90  IL 

nel  1GQ3,  fece  un  apologia  del  Petraroa  ocnlro  la  oppoabiofii 
del  Muzio,  che  però  mai  non  si  videro  alle  stampe»  confonne 
ricavo  dal  Morìgia  neir  Istoria  dsUe  Antichità  <M  IÌìIbbo,  L  i, 
e.  59,  p.  285,  e  dal  PicciDeUi  neir  Ateneo  de*  Letterati,  Afitano, 
p.  166  (Leu,  178).  —  Apostolo  Zeno  avea  in  animo  di  scrìverne 
distesamente  la  vita,  con  die  pur  proponenisi  d'iUosferare  in 
molte  cose  la  storia  letteraria  del  secolo  in  cui  il  Mvzio  visse. 
A  tal  uopo'ei  si  era  procurato  di  avere  quante  opers  ha  potato 
sapere,  uscite  del  suo  felicissimo  ingegno.  BpisL  810,  811,  814. 

1582.  Castblvbtro  Lodovico  (n.  a  Castel  Modenese  \50^ 
m.  a  Chiavenna,  il  21  Feb.  1571),  Le  Rune  del  Petrarca  bre- 
vemente sposte,  Basilea,  DeSedabonis;  Venesia,  Zatta,  1756. 

Degli  antichi  il  più  applaudito,  -quantunque  non  potesse  dar 
al  suo  comento  V  ultima  mano»  Il  Menagio  lo  chiama  aoeoratis* 
Simo  ed  acutissimo,  ma  la  mole  di  citanoni  d^ogni  specie  di 
soverchio  V  ingombra.  Il  Carrer  confiossa  d*  averne  spigolato  il 
meglio,  con  che  arricchì  la  sua  edizione.  Fu  posto  ali*  indice 
da  Sisto  V  e  da  Clemente  VUI.  €  Il  Caatdvetro  avanza  U  Ge- 
sualdo tanto  forse  di  concisione  quanto  di  acutesza  e  di  in- 
dizione classica  e  filosofica:  ma  avea  da  &r  meno.  »  Cardueà^ 

1609.  Tassoni  Albssandbo,  Coneideraeiom  sepra  le  rime 
del  Petrarca,  col  confronto  da'  luoghi^  dei  Poeti  anUcKi  di 
varie  lingue  (1),  Modena,  CassianL 


(1)  Da  un  Codice  Cartaceo  della  VallioeUiana  a«g««teM.  0,  «d  ha  p» 

titolo  :  Carteggio  del  Sig.  Giuseppe  Malatesta  concernente  per  la  maggie? 
parte  affari  pubblici  e  materie  ai  Stato.  T.  i,  p.  ir,  pag.  wl,  ewi  la  se- 
guente lettera,  tuttavia  inedita. 

Signor  mio  oBorandlaa. 

Sonovi  atami^ate  (^i  in  Modena  le  mie  OonHéberazioni  aopra  il  Pe- 
trarca, e  ne  ho  inviati  alcuni  libri  costi  in  mano  del  Sig.  Franoeeoo  Foi^ 
ciruoli,  che  abita  nella  piazzetta  de*  Cappellarì  nd  Pellegrino.  Uno  ne  t- 
per'  y.  S.  Però  ae  il  Sig.  Franoesoo  non  glieie  inandaaae  omI  tosto,  forsp 
per  non  saper  la  sua  casa,  V.  S.  ai  compiaccia  di  mandarla  a  pigliar  una 
a  casa  di  lui.  B  di  grazia  me  ne  avvisi  il  suo  parere,  e  di  qwUehe  aftn 
amico  ancora,  con  quella  sincerità  eh'  io  spero  da  Xé». 

Qui  non  abbiamo  cosa  nuova,  se  non  che  domani  o  V  altro  aspettiarjo 

rei  Duca  di  Ni  vera,  che  in  Roma  dicono  «bbU  fatte  ootante  afrondatnreL 
Si^.  Ettore  Loria  della  Si>ec)e ,  che  V.  S.  conosce ,  ha  vestiti  quAttr^i' 
paggi  a  livrea  'per  andargli  incontro  sino  alla  porta  in  maschera.  Lalivri» 
è  di  carta  Unisaima  aaaurra  ricamata  di  conforme  ricamo^  JSd  m  V.  8.  oos 
tal  fine  bacìo  le  mani. 

Di  Modena  U  4  P«i>bralo  1609. 
Di  V.  S.  molto  Illus. 

Servo  A/f. 

ALBSSAKlmO  '^4SSO!a 


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691 

«  n  TaMoait  ÌDgegao  fino  e  BV^liato,  nente  capace,  e  arrio» 
chita  di  eogiuzKmi  di  ogni  ordine  in  nomerò  prodigioso,  eoi  che 
si  leggano  i  and  Peiuimi^  atìle  agerola  e  pieno  di  brio,  giudizio 
gitiatOtgiuto  proMOCobA  aempre  corretto,  neeenna  preoccupazione 
di  animo:  eooo  i  pregi  che  assai  di  rado  a*incontrano  in  chi 
comenta.  Poeta  anch'agli  di  prima  riga. . .  nessuno  ha  maggior 
diritto  a  teattre  T  abito  di  giudice  in  questa  materia.  Quelle 
frasi  bislaoche,  quelle  maniere  o  insipide  o  strane,  que*  versi 
cascanti,  a  cui  la  re?erenda  coorte  dei  pedanti  avrebbe  fatto  di 
cappello,  egli  te  le  battetza  per  quelle  pazze  cose  che  sono.  E 
se  il  Poeta  eh*  egli  comenta  si  perde  ne'  labirinti  delle  dottrine 
platoniche,  dà  1*  animo  a  costui  di  ac^guitarlo;  e  voglia  o  non 
voglia^  tirarlo  a  casa,  perdìo  si  v^ga  quel  che  è  oro,  e  quello 
che  non  ò.  In  somma  se  il  Tassoni  ha  menato  la  sferza  con 
un  pooo  di  severità,  direm  anoO)  e  ci  sappiano  grado  i  pedanti, 
con  un  poco  di  petulanza,  non  ci  voleva  di  meno  sul  conto  di 
un  poeta  che  ha  fatto  impazzire  due  eeooli,  qnal  per  un  verso, 
qual  per  un  altro.  Le  citazioni  de*  poeti  provenzali ,  dai  quali 
prese  il  Petrarca  buona  parte,  lasdam  stare  se  il  meglio  o  il 
peggio  del  suo  Canzoniere,  dove  le  hai  si  copiose  ed  esatte 
come  nel  oomento  del  Tassoni?  >  -^  Correr,  —  €  Le  Conside- 
rasioni  sopra  le  rime  del  Petrarca  furono  giudicate  un  sacrì- 
lego scandalo  in  quel  secolo  storto  e  pettegolo,  onde  egli  fu 
assalito  di  fronte  e  da  tergo,  con  nome  e  senza  nome:  ma  a 
tutti  intrepidamente  rispoae  A  che  rende  imagine  di  un  atleta 
il  quale,  menando  a  dritta  e  sinistra  la  poderosa  mano,  schiaf- 
feggi un*  oste  di  £uiciulli,  e  gli  rimandi  a  casa  mettendo  dolo- 
rose grida.  Senza  timore  di  dire  troppo,  oaiamo  afiermare  che 
36  egli  in  cotesto  osservazioni  dettate  con  gran,  senno  e  molto 
brio  e  non  poca  eleganza  di  stile  avesse  tenuto  un  contegno  più 
serio,  se  avesse  meditato  con  iscopo  di  meditare  davvero  sulla 
letteratura,  se  avesse  saputo  afirenare  quel  bisbetico  umore 
:;he  di  leggieri  gli  infiammava  il  cervello  e  lo  conduceva  ad 
ingiuste  esagerazioni,  la  critica  italiana  avrebbe  fino  d'allora 
ivuto  il  suo  più  grande  pensatore.  I  suoi  giudizii,  nondimeno, 
formolati  in  quel  modo  bizzarro,  sono  superiori  alle  idee  del- 
*  epoca  sua;  il  Tassoni  grandeggia  sopra  i  suoi  contemporanei 
la  rendersi  visibile  e  farsi  venerare  anche  nella  nostra.  »  — 
Emiliani  QiucUci,  —  Q,  Carducci  lo  dice  €  sottilissimo,  e  anche 


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692  IL  CAnaoNiBBB 

troppo  sottile,  e  non  sempre  del  miglior  ipiaio.  —  Le  sue  eoe- 
siderazioni  ci  rappreseutano  la  reazione  contro  il  petrarefaisafj 
assomnoata  nelF  opera  di  un  finissimo  e  dotto  scrittore. . . .  Per 
anzi  che  un  lavoro  filologico,  un  comento  propriameiite  detL. 
è  un'  opera  lettei*aria  troppo  informata  di  bizzarra  indÌTÌd&jr 
lità.  »  —  Queste  considerazioni  stuzzicarono  malanieoie  il  ve- 
spaio, eccitando  varie  contese  tra  eeso  e  Giusé!/^  d^UArc- 
maiari  (Venezia,  Jadra,  1610).  In  questa  congiuntura  nsciroL-^ 
pure  alla  luce  :  GU  awertìmenU  di  Crescenzio  Pepe  al  Siytw 
Aromatari^  Modena,  Qasaiani,  1611.  —  /  dialoghi  di  Falcia 
Mclampodio  in  risposta^  agli  awertìmetUi  ridetti^   Yea&u, 
Deur^hino,  1612.  —-  La  tenda  rossa  di  Girolamo NatmsenHi^ 
risposta  ai  dialoghi  di  Falcidio  MeUanpodio^  Franco&wta. 
1613,  ecc. 

1711.  Muratori  Lodovico,  Le  rime  del  Petrarca^  rùcon- 
trate  coi  testi  a  penna^  aggiuntevi  le  considerazioni  del  TeLS- 
-soni^  e  del  Muzio ^  Modena,  Soliani;  riprodotte  dallo  stesao 
nel  1762;  in  Venezia  dal  Coletti,  1727;  dal  Viezzarì»  1741; 
1759. 

Se  il  Tassoni,  dice  il  Correr^  vide  talvolta  bieco,  a  questo 
difetto  sopperì  il  Muratori,  che  con  T animo  riposato  riveda 
le  buccie  al  lavoro  del  suo  concittadino.  Se  togli  lo  stile  dinaesso. 
«enteazia  Emiliani  Giudici^  è  nel  Muratori  tale  tesoro  di  buona 
dottrina  da  sbaldanzire  qualunque  degli  odierni  scrittori  tli 
estetica.  —  Ben  altrimenti  ne  giudicò  il  Carducci:  «  Io  per  me 
ammiro  e  rispetto,  come  niuno  più,  il  gran  padre  della  storia 
italiana  ;  amo  queir  ingegno  alto,  vario,  sereno,  poderoso,  eguale 
a  molte  cose,  quel!* indole  onesta,  libera,  buona;  ma  ciò  non 
m^  impedisce  di  dire  che  il  Muratori  nelle  Osservazioni  al  P. 
e  nella  Perfetta  Poesia  è  il  rappresentante  dell'  Àix^ia,  e  non 
di*  queir  Arcadia  che  conservò  certe  buone  tradizioni  di  stile, 
ma  di  quella  vera  degli  abbati  pastori.  » 

1753.  N,  N,  (PageuìO  Sebastiano),  Le  Rùne^  con  note 
date  la  prima  volta  in  luce^  ad  utiliià  dei  giovani  die  amano  la 
poesia,  Feltre,  Foglietta  — .;  Id.  ^  ediz.  1753;  Id,  Id^  1754; 
Venezia,  Orlandelli,  1820;  Firenze,  Molini,  1822;  Torino,  Alliana 
e  Paravia,  1825;  Palermo,  Anello,  1840. 

N.  a  Bassano  nel  1717;  vi  mori,  can.  della  Ck)ll^ata  bas* 
nese  nel  1795. 


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OOUSNTATORI.  693 

B.  Gamba  chiama  V  edizioDe  del  Pagello,  pregevole  per  ao- 
cnrateoa  di  testo,  buon  gusto  e  sobrietà  dì  note.  Quantunque 
volte  abbattasi  in  alcune  frasi  e  sentenze  usate  anteriormente 
(la  poeti  e  scrittori  latini,  ei  senz* altro  cita  i  passi  onde  si 
giovò  il  Petrarca,  senza  fard  più  sopra  inutili  conienti.  11 
prof.  Renzi  consigliavalo  al  dillgentissimo  tipografo  Molini  per 
la  sua  edizione  del  Petrarca.  Non  saprei,  scrive  il  Marsand, 
in  verità  come  facilmente  Io  si  possa  imitare  nel  dir  tanto 
(•on  tante  poche  parole  com*ei  fece.  E  il  Carducci:  «  più  ori» 
ginale  degli  annotatori  del  sec.  XVIII  offre  il  Pagello  qualche 
rosa  di  nuovo  e  di  meditato.  »  L.  Carrer  si  valse  talora  delle 
illustrazioni  del  Pagello  nell*  accurata  edizione  ch'ei  fece  coi 
tipi  della  Minerva  a.  1826. 

1776.  Studi  cU  VrrTORio  Alfieri  sul  testo,  ~  V.  Alfieri  nei 
8Uoi  studi  di  lingua  e  di  poesia  italiana,  andava  trascrivendo  in 
certi  quaderni  quel  che  gli  piaceva  del  J^etrarca  con  molto 
gusto  e  con  qualche  annotazione  acuta.  Ei  ne  fé'  dono  al  sig. 
Thiébaut  de  Berneaud,  gi&  uno  de'  Bibliotecari  della  Mazzarì* 
niana,  e  questi  al  sig.  Biagioli,  che  le  inserì  a'  lor  luoghi  nel 
suo  comento.  Non  vanno  oltre  il  sonetto  :  Pien  cT  un  vago 
pensier  che  mi  desvia  (cxvii.  Ediz.  Le  Mounier). 

BaocADBLLi  Lodovico,  lUustranoni  inedite.  Verona,  Oiuliari. 

1805.  Soave  Francesco,  Le  Rime  illustrate  con  noie.  Min- 
iano, SoG.  Tip.  di  Classici  italiani. 

Ho  preso  il  partito,  cosi  il  Soave,  di  stendere  io  medesimo 
M)pra  ogni  componimento  delle  brevi  annotazioni,  valendomi 
delie  considerazioni  del  Tassoni  e  del  Muratori,  e  quelle  ag- 
giungendo che  la  riflessione  a  me  stesso  ha  suggerito.  —  «  Ma 
si  raccolse,  compilando  e  compendiando,  dice  il  Carducci,  con 
critica  gretta  e  con  presunzione  estetica.  » 

1811.  Zom  RoBfUALDO,  Le  rime  del  Petrarca  con  note, 
Londra,  Bhimer. 

1819.  Mbneghblu  Antonio,  Le  Rime  di  Francesco  Pe~ 
traroa^  Padova,  Crescili.  (La  prima  edizione  del  Meneghelli 
uscì  alla  luce  nel  1814). 

«  Il  Meneghelli,  che  molti  studi  fece  intorno  al  Petrarca, 
ritentò  primo  la  prova  del  Veilutello  con  molto  maggior  co- 
noscenza della  vita  e  dei  tempi  del  Poeta,  ma  con  effetti  non 
dissimili,  ritessendo  anche  quasi  una  storia  dell'  amore  di  lui,  » 

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694  n.  càfaowttBi 

ed  assegnando  a  tutte  le  rime  del  Petrarca  il  loro  poeto,  pr 
guisa  che  eeria  ne  fòsse  tepooa^  e  per  lo  metw  non  ef&taen. 
Tutte  e  due  le  parti  del  Ganzonìere  nm  precedute  da  im  dh 
soorso  critico  e  da  un  prospetto  cronologìoo  delle  rimeL  Ndk 
note  si  giovò  soprattutto  delle  osservaaoni  del  Tinsoiit,  àà 
Muratori  e  dri  Soave,  e  in  esse  s*  argomenta  di  porre  ù  rìUeve 
le  bellezze  ed  i  difetti  del  Ganzoniere. 

1821.  Buoiou  OiosAFATTi,  U  ConunJtoj  Parigi,  Donde^ 
Duprò. 

Di  questo  cemento  scriveva  27.  Fotcoio  aUo  steaso  Bis» 
gioii:  <  Nelle  rime  del  Petrarca  non  era  da  lei,  né  da  uomo 
veruno  di  latrare  contro  il  Tassoni,  scrittore  che,  par  qnaiiso 
talvolta  andasse  in  bizzarrie,  era  gigante  verso  di  noi,  uè  co» 
tro  al  Muratori,  forse  un  po'  parolaio  e  di  stile  taato  quanto 
acorretto,  ma  di  tante  si^re,  di  tanta  mente  e  di  tanta  lon- 
ganimità e  generosità  nel  lavoro,  die  a  petto  a  Ini  andie  i 
giganti  son  pigmei.  Non  sentiva  naolto  addentro  nella  poesia; 
tuttavia,  la  mi  creda,  v*  ha  taluno  che  sentiva  molto  nseno  di 
hii  e  che  affetta  più  di  lui.  Il  critico  che  manda  giacmlatone 
ad  ogni  verso  e  sillaba  dei  suo  testo,  non  à  né  poeta  nò  crì- 
tico, ed  ha  sbagliato  vocazione  e  mestiere  (16  Mario,  1827, 
FoscUo^  EfisL  lu,  257).  — •  Con  tutte  le  armi  del  suo  ingegno. 
scrive  X.  Correr^  il  signor  Biagioli,  si  scaglia  contro  il  Tas- 
soni, e  mena  tanti  calci  e  cefikte  all'ombra  del  buon  crìtico 
modenese,  che  sarebbe  una  compassione  se  all'ombre  potessero 
punto  far  male  i  calci  e  le  ceffate  de*  vivi. . . .  Pure  talvolta  e 
r  ingegno  che  ha,  e  lo  studio  da  esso  fatto  sui  nostri  eletti 
Bcrìttorì,  gli  furono  scorta  a  proferire  delle  interpretazioni 
qualche  volta  nuove,  e  le  molte  volte  giuste.  —  D  Biagioli, 
che  pure  portò  primo  maggior  luce  in  certe  interpretazioni  ed 
è  ricco  di  raffh)nti  utili  del  P.  a  Dante,  fh  biasimato  oltre  il 
giusto  e  ora  ò  obliato.  Carduod,  — -  V.  Parenti^  Annotazioni 
al  Dizionario  della  Lingua  italiana,  stampato  a  Bologna. 

1826.  Lbopardi  Giacomo,  Interpretazione,  Milano,  Stella;  Id. 
1836;  Firenze,  Passigli,  1839;  Le  Monnier,  1845;  1847;  1851; 
1854;  1864;  Firenze,  Fraticelli,  1846;  Firenze,  Bottini,  1858; 
Napoli,  Rondinella,  1851  ;  1855. 

«  Io  la  chiamo  interpretazione,  cosi  il  Lw^pardi  nella  prefa- 
zione premessa  alla  stampa  del  1826,  perchò  ella  non  ò  un 


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006 

(Omento  come  gM  altari  »  ma  qmtt  ni»  tradazioiie  dai  Ttni  e 
Ielle  pttrole  del  poeta  in  «na  proea  aemi^oe  e  chiara^  quanto 
IO  sapato  fiurla....  Non  entro  mai  a  dispatare:  ma  dove  i 
!k>ment8torì  aon  discordi,  reco  solamente  queir  interpretazione 
ha  mi  par  Tera;  o  che  io  la  tolga  da  qoalchedono  di  loro,  o 
he  io  la  imagtni  da  me.  Quando  due  o  più  interpretaxionì  6 
r altri  0  mie  proprie,  o  pur  Tuna  mia,  Fnna  altrui,  mi  pa- 
ono  esser  parimenti  verìeimili  in  un  medesimo  luogo,  le  reco 
trevemente  totte.  Talvolta  seguo  un  comentatore,  talvolta  un 
litro,  spesso  nessuno,  sempre  T  opinione  mia.  Non  salto  a  piò 
»ari  nessuna  dìflleoHà,  quando  aadie  tutti  i  oomentatori  la 
aitino.  Pongo  in  ristretto  ma  chiaramente,  tutte  le  notizie 
Btoricfae  necessarie  a  intender  bene  il  testo.  »  —  €  Più  ristampe, 
igginnge  egli  nella  prefazione  all'edizione  del  1896,  ne  sono 
tate  fttte  in  questi  dìed  anni:  nessuna  con  saputa  mia. . . . 
}nesto  Comento,  che  io  chiamo  più  volentierì  Interpretazione^ 
i  diversifica  tanto  dagli  altri  conienti  che  ablnamo  sopra  il 
Petrarca,  quanto  si  assomiglia  a  quelli  che  gli  antichi  Ored 

I  Latini  fecero  sopra  gli  autori  loro Quanto  al  testo,  ho 

egnitato  alia  deca  quello  del  profiMSore  Marsand,  oggi  usato 
miversalmente . . . ,  ma  io  me  ne  diseostai  nella  punteggiatura, 
a  quale  io  medesimo,  colla  maggiore  diligenza  che  mi  fu  pos- 
ibile^  ToDi  fiur  del  tutto  nuova.  Opera  assai  tediosa  a  fare, 
aa  che  può  essere  quasi  un  altro  comento  :  perchè  infiniti  sono 
luoghi  del  Petrarca  e  degli  altri  antichi,  che  punteggiati 
oarsamente  o  soverchiamente  o  male,  appena  si  possono  in*- 
endere,  e  punteggiati  avvedutamente  e  con  misura,  diventano 
hiarissimi.  »  Le  noterelle  cosi  succinte  del  Leopardi,  sentenzia 
j.  CarreTy  ci  hanno  spesse  volte  fatte  sembrar  noiose  le  em- 
lite  prolissità  di  molti  altri.  ^  Il  Oamka  le  chiama  brevi,  suc- 
ose  ed  utilissime:  la  punteggiatura  n*è  tutta  nuova,  perchè 
osi  rinnovata  può  dirsi  parte  dell'interpretazione  medesima, 
lè  si  saprebbe  di  certo  imaginare  la  più  breve  e  la  più  as- 
ennata.  —  Il  Leopardi  perchè  ti  aiuta  a  sentire,  e  non  discute 
lè  dottoreggia,  ha  fatto  il  comento  migliore,  come  che  paia 
l  più  semplice  e  il  più  modesto.  Settembrini,  i,  200.  —  Il 
leopardi  fa  lodato  sopra  il  merito,  e  si  ristampa  tuttavia.  E 
mre  il  concetto  del  comento  leopardiano  è  sbagliato —  È  uno 
coliaste,  secco  e  inutile  in  più  d*un  luogo. . . .  Egli  spiega  quel 

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696  IL  ckfWxnnM 

eh»  tatti  hanno  spiegata»,  se  bene  molto  m«gfio  degli  aitii  e: 
ne*  luoghi  oseurì  e  dubbi,  tituba  e  fneespiea,  e  cade  anebs  n 
certe  interpretaiiooi  che  non  paion  da  lai.  Carducci. 

1827.  Carrbr  Luigi,  Le  rime  di  /«V.  P^irarca  cott  ie  n^ 
UtteraU  e  critiche  del  Casteivetro,  Tassoni,  Armatori,  Aifitr. 
ViagioHy  Leopardi  ed  aitri  per  iui  raccolte  ^  ordinate  ed  »'- 
cresciute^  Padova,  Tip.  della  Afinenra. 

«  Ogni  qual  volta,  dice  il  Carrer,  ci  ò  sembrato  di  apporre 
alcuna  nostra  noterella,  o  dichiarando  qualche  luQjgo  o^tcìr 
del  Canzoniere  dimenticato  dai  comentatori,  o  confàtando  oi. 
nioni  che  ci  parvero  cozzare  colla  ragione,  abbiamo  fatto  ii«c 
della  seg.  indicazione,  Edit;  non  tanto  perchè  Cacciamo  grfts 
caso  di  queste  nostre  postille,  quanto  per  non  versare  in  cape 
agli  altri  le  nostre  ignoranze.  Quanto  alla  lezione  noa  abbiamt 
saputo  scostarci  da  quella  del  eh.  profess.  Marsand,  omai  avus 
per  canonica  da  tutta  T  Italia.  Essendone  sembrato  in  due 
tre  luoghi  d* alterare  la  punteggiatura,  ne  abbiamo  fatto  ac^ 
corto  il  lettore  per  via  di  nota.  Queste  poche  e  temiteae» 
mutazioni  faranno  certo  il  chiaris.  professore  che  noa  et  sias? 
contentati  di  copiare  la  sua  edizione,  ma  eh*  essa  ne  parre  o^a 
degna  di  essere  diligentemente  studiata.  > 

Non  acerbo  come  il  Tassoni,  né  leggero  come  il  fagioli, 
nò  semplice  grammatico,  come  secondo  il  suo  scopo  fo  xl  Leo- 
leardi,  infuse  nel  suo  cemento  tale  squisitezza  di  gusto  e  finezza 
di  sentimento,  che,  quanto  è  possibile,  introduce  quasi  p^r 
mano  a  gustare  il  gentile  poeta,  entrando  nell*  animo  del  Pe- 
trarca, studiandone  le  condizioni  e  mostrando  come  no  acaturìscs 
naturale  e  spontanea  la  divina  poesia.  6r.  Crespane  Petrarca  a 
Venezia,  p.  214. 

1829.  Rime  di  Mescer  Ff*ancesco  Petrarca  con  breoissimé 
illustrazioni  di  G.  B.  (Qiusbppb  Bombi).  Nel  i  toI.  delU 
Biblioteca  popolare  del  Viaggiatore,  Firenze,  Paasigii^Borghì. 
Le  illustrazioni  stanno  in  fine  delle  Rime  (347"378).  !d.  Id. 
1832. 

1832.  Le  Rime  del  Petrarca  con  note  letteraH  e  criHché 
del  Castelvetro,  Tassoni^  Muratori, , .  scelte  coTnpUeUe  ed  aecre^ 
sdute  da  Cablo  Albbrtini  da  Verona,  Firenze,  CiaMettì»  1832, 
2  voi.  in  8''.  Ediz.  cominciata  il  1  Feb.  1832  e  terminata  il  15 
dicembre  delio  stesso  anno. 


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COMBNTATORI.  697 

Nel  compilare  questo  nuovo  comento,  cosi  rAlberiini,  non 
ho  mancato  di  venir  consultando  tutti  i  più  rinomati  inter- 
preti del  poeta,  cominciando  dal  Daniello,  dal  Vellutello,  dal 
Gesualdo  :  e  da  essi  discendendo  al  Gastelvetro,  al  Tassoni,  al 
Muratori,  fino  ai  più  recenti,  il  Pagello,  il  Soave,  il  Femow, 
lo  Zotti,  il  Ginguenò,  T Alfieri,  il  Biagioli  e  il  Leopardi;  non 
tralasciati  quelli  ancora  che  ban  ragionato  sopra  d' alcune  sue 
poesie  solamente,  come  il  Buonarroti,  il  Varchi,  il  Bembo,  il 
Salvini  ed  altri.  Quanto  al  testo  mi  sono  prevalso  deir  applau- 
ditissima  edizione  Marsand,  a  cui  mi  sono  religiosamente  at- 
tenuto. Però  in  ciascuno  dei  volumi  si  leggono  molte  delle 
Lezioni  Marsand  rifiutate  dall'  Albertini.  —  «  Nò  senza  qualche 
novità  fece  V  Albertini  questa  nuova  spigolatura.  >   Carducci, 

1846.  Le  Rime  di  Frane,  Petrarca  cogli  argomenti  di  A. 
Marsand^  col  comento  di  G.  Leopardi  e  ntume  note  di  P.  Fra- 
ticelli. Firenze,  Fraticelli. 

1858.  Il  Canzoniere  di  Fr»  Petrarca  riordinato  da  Luigi 
DoMBNico  Spadi,  con  le  interpretazioni  di  Giacomo  Leopardi. 
Firenze,  Bellini. 

Luigi  Domenico  Spadi  prese  a  colorare,  non  senza  ingegno, 
ma  con  troppo  arbitrio,  un  disegno  e  pena  accennato  da 
Giacomo  Leopai*di,  la  storia  cioè  dell*  amore  del  Petrarca,  nar- 
rata dal  Poeta  nelle  sue  rime,  e  eh*  egli  riteneva  sarebbe  non 
meno  piacevole  a  leggere  e  più  utile  che  un  romanzo. 

1870.  Rime  scelte  ed  annotate  dal  doti,  Giov.  Fbancbsia. 
Torino,  Tip.  dell'  Orat.  di  S.  Francesco  di  Salee. 

Spero,  cosi  il  buon  Francesia,  che  questa  scelta  verrà  ben 
accolta  anche  da  quelli,  che  finora  si  tennero  lontani  dal  Pe- 
trarca, temendone  giustamente  la  funesta  impressione.  Che  la 
materia  è  scabrosa  assai  e  tanto  più  pericolosa,  quanto  meglio 
fu  trattata.  Troppo  però  ci  rincresceva  lasciar  la  nostra  Bi" 
bUoteca  priva  affatto  del  gran  poeta;  molto  meglio  pensando 
come  fosse  difficile  cosa  ritogliere  il  volume  fatale  dalle  mani 
della  gioventù;  e  come  questa  avidamente  T avrebbe  letto,  e 
gustato,  si  sarebbe  imbevuta  di  quelle  idee  tutte  sensibili. 

1870.  Le  Rime  di  Francesco  Petrarca,  col  comento  di 
Gius.  Bozzo.  Palermo,  Amenta,  1870,  voi.  2. 

Ecco  il  giudizio  che  ne  diede  il  Propugnatore:  €  Le  chiose 
sono  molteplici,  ma  con  brevità  e  chiarezza.  La  sobrietà  ò  una 

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696  ih  oKViasasBs 

delle  migliori  doti  di  un  comentatore,  da  che  la  prolissità  sac'^ 
ingenerare  noia,  e  non  di  rado  confusione.  Gli  studi(»i  dd 
Petrarca  qui  troveranno  raccolte  le  osservazioni  più  conses- 
tanee  alla  intelligenza  vera  delle  rime.  Le  più  recondite  beUeue 
vi  si  mostrano,  e  si  feuino  gustare  con  precise  minate  e  £i<£ 
note;  sicchò  il  comentatore  entrato,  quasi  diremmo,  nella  mesue 
del  Poeta,  di  lui  t'informa  per  guisa  che  poco  lascia  a  desi- 
derare. Dotte  ed  opportune  digressioni  conseguitano,  comje  uà 
appendice,  a  ciascuna  parte,  dove  il  Comentatore  va  spazian- 
dosi e  mostrando  con  molta  dottrina  ciò  ch'egli  pensa  suIU 
materia  trattata,  singolarmente  laddove  ragiona  di  qualche 
luogo  oscuro,  dubbio  e  contrastato.  »  L'illustre  Accademia 
Palermitana  di  Scienze,  Lettere  ed  Arti,  per  gli  egregi  suoi  soci 
PtHncipe  di  GcdaU^  Ab.  D,  B.  Gravina,  Prof  M.  Viilareaie, 
Prof.  V.  cU  Giowinni,  e  prof  U.  A.  Amico  V  ha  letto  e  giudi- 
cato utile  e  comendevole.  (Seduta  di  Marzo,  1870,  Sezioc^ 
terza). 

1870.  Rime  di  Fr.  Petrarca  con  V  interpretazione  di  Gia- 
como Leopardi,  e  con  note  inedite  di  Frangbsco  Ahbrosoli, 
per  cura  di  D.  Carbone.  Ediz.  Stereotipa,  Firenze,  Barbèra. 
II»  ediz.  Id.  1872. 

Le  note  che  V  Ambrosoli  lasciò  inedite  e  scritte  di  sua  mano 
in  un  esemplare  della  prima  stampa  (Stella,  1826),  sono  di  ti*e 
maniere:  letterali,  grammaticali  ed  estetiche.  Le  prìme  che,  o 
spiegano  qualche  passo  sfuggito  alla  dUigenza  del  Recanatese, 
0  rispettosamente  dissentono  da  lui,  cosi  il  Carbone,  accolsi 
tutte  o  pressocchò  tutte;  delle  grammaticali  assai  poche;  po- 
chissime, e  le  più  notevoli  solo,  delle  estetiche.  È  troppo  chiaro 
che,  introducendo  a  più  larga  mano  le  seconde  o  le  terze,  avrei 
guastato  l'armonia  e  l'indole  del  comento  Leopardiano.  Dal 
quale  per  contrario  mi  fii  avviso  di  non  allontanarmi  punto, 
citando  passi  di  autori,  e  versi  di  poeti  manifestamente  e  con 
arte  somma  dal  Petrarca  imitati.  A  parecchie  lezioni  del  testo, 
eh' è  quello  del  Marsand,  confortato  da  stampe  e  da  codici 
autorevolissimi,  io  non  mi  peiitai  di  dare  il  bando  e  d*  intro- 
durre la  miglior  lezione  o  nel  testo,  quando  la  lezione  mi  parve 
certa,  o  nelle  annotazioni,  se  disputabile.  Oltrecchò  il  Carbone 
si  è  animosamente  accinto  ad  un'altra  riforma,  di  rendere  cioò 
tutte  quante  le  rime  all'ortografia  petrarchesca. 


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OOUBNTATOBI,  699 

1876.  Rime  di  Fr.  Petrarca  con  V  interpretazione  di  Gia- 
como Leopardi  e  con  note  inedite  di  Eugenio  Camerini.  Milano, 
Sonzogno. 

Il  povero  Cameriai  non  ebbe  spazio  di  por  fine  al  suo  lar 
voro.  Le  sue  note  brevi,  snccoee,  e  da  lui,  giungono  fino  ai 
Trionfi. 

1876.  CARDuca  Giosuè,  Rime  di  Fr,  Petrarca  sopra  argo- 
menti  morali  e  diversi.  Saggio  di  un  testo  e  commento  nuovo 
col  raffronto  dei  migliori  testi  e  di  tutti  i  Commenti.  Livorno, 
Vigo. 

Nel  comento  si  è  lasciato  guidare  dai  seguenti  intendimenti, 
o  meglio,  com*ei  lì  dice,  doveri:  I.®,  Ricei'care  e  determinare 
il  tempo,  l'occasione,  l'argomento  di  ciascuna  poesia:  11.^,  chiar 
rìre  più  specialmente   gli  accenni  e  le  allusioni   che  il  poeta 
abbia  fatto  qua  e  là  ad  avvenimenti  della  sua  vita  o  del  secolo, 
ai  costumi,  alle  credenze,  alla  scienza  dell'  età  sua:  III.*^,  inter- 
pretare il  senso  :  IV.^,  illustrare  brevemente  le  erudizioni  clas- 
siche:  V.^,  ricercare^  i  molti  pensieri  e  locuzioni  e  colori  e 
passi  intieri  che  il  Petrarca,  padre  del  rinascimento,  derivò  non 
pur  da'  poeti  ma  da'  prosatori  latini  e  dagli  scrittori  ecclesia- 
stici, appropriandoseli  e  assimilandoli  alla  sua  opera  originale 
con  arte  ammirabile  (pochissime  prese  dai  trovatori,  cose  insi- 
gnificanti e  formole)  :  Vi.®,  raffrontare  in  certe  proprietà  e  usi 
la  lingua  del  lirico  del  trecento  a  quella  massimamente  di  Dante 
e  del  Boccaccio  e  poi  anche  degli  altri  di  quel  secolo. ,-—  Le 
numerose  varianti,  i  diligenti  sommari  preposti  alle  poesie  piii 
lunghe,  l'abbondanza  dei  rafironti  di  passi  del  Petrarca  cogli 
scrittori  antichi,  la  sapiente  scelta  dall'enorme  farragine  dei 
Cementi  anteriori,  e  le  acute  profonde  disquisizioni  sui  punti 
pili  controversi  ;  in  breve,  tutto  questo  lavoro  è  tale  una  mera- 
viglia da  farlo  proclamare  a  ragione  colossale,  e  come  un  mo- 
dello di  erudizione,  di  critica  ed  anche  di  gusto  squisito.  V. 
Felice  Tribolati,  Gazz.  d' Italia  7  Aprile  1876,  n.  98  ;  Archivio 
Stor.  lial,  1876,  t.  xxiii,  p.  192;  //  Propugnatore,  a.  ix,  1876, 
p.  277  ;  Nuova  Antologia,  ecc.  ecc. 

Castiglione  Gio,  Battista,  I  luoghi  difficili  del  Petrarcha 
nuovamente  dichiarati.  Venezia,  Nicolini  e  fratelli  Da  Sabbio, 
1832. 


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700  IL  CANZONIBBB 

n  Da  Castigliooe,  come  fiorentino,  ha  il  pregio  di  rile?ar^ 
e  dichiarare  con  acconcia  el^anza  certe  proprietà  di  lingua. 
Carducci. 

Sansatino  Fr.  (n.  a  Roma  nel  1521 ,  m.  a  Venezia  nei 
1586),  Dichiarazioni  de*  luoghi  difficili  accomodati  allo  stik  ed 
alla  lingua.  Venezia,  Ravano,  1546. 

Del  Minio  Camillo  Giulio.  —  Originario  da  Dehninìo,  b 
Dalmazia,  onde  gli  venne  il  cognome  ;  n.  a  Portogruaro  nel  148(1  ^ 
m.  improvviso  a  65  anni,  a  Milano,  in  casa  del  Signor  Domeoiec 
Ouali  nel  1544;  fu  sepolto  nella  chiesa  delle  Grazie,  luogo  dri 
Frati  di  S.  Domenico,  con  sopnm  scolpito  il  titolo.  —  (xhthc 
Camillo  Delminio.  V.  Apostolo  Zeno.  Leti  828,  902,  9^.  - 
Avvertimenti  dottissimi....  Non  vanno  oltre  la  Canzone:  Ta- 
cer non  posso.  Venezia,  Giolito,  1554,  1557,  1560,  1562;  Farri, 
1579;  Zoppino,  1584. 

Lettera  ove  interpreta  e  cementa  vari  passi  del  Petrarca. 

S.  L.  ed  A. 

Ruscelli  Girolamo,  Il  Petrarca  nuovamente  corretto,  eoa 
alcune  annotazioni  e  un  pienissimo  vocabolario  del  znedesimo 
sopra  tutte  le  voci  che  nel  libro  si  contengono  bisognose  di 
dichiarazioni  d*  awertiroenti  e  di  regola.  Venezia,  Pietrasanta, 
1554. 

Bembo  Pietro,  Alcune  belle  annotazioni  tratte  dalle  dottis- 
sime sue  prose,  cose  sommamente  utili  a  chi  di  rìmare  leg- 
giadramente et  volere  i  segni  del  Petrarca  si  prende  cara. 
Lyone,  RoviUio,  1558,  1564,  1566.  Venezia,  Bevilacqua,  1550, 
1562,  1564,  1568;  Id.  NicoUni  da  Sabbio,  1573. 

Ragionamento  havuto  in  Lione  da  Claudio  de  Herherd  (Lue* 
Antonio  Ridolfi),  gentil'  huomo  lionese  e  da  Alessandro  de  Gli 
liberti,  gentil*  huomo  fiorentino,  sopra  la  dichiaratione  d' alcuni 
luoghi  di  Dante,  del  Petrarca,  del  Boccaccio ,  non  stati  infino 
a  qui  dagli  spositori  bene  intesi.  Lione,  Rovillio,  1560. 

Bartoli  Cosimo,  gentiluomo  et  accademico  Fiorentino,  sopra 
alcuni  luoghi  difficili  di  Dante  e  Petrarca.  Venezia,  France- 
schi, 1567. 


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701 


COMENTI  PARZIALI. 


>  .  .  .  VasBa  queir  Inllaits  copi*  di  Ie«ioiii,  di  splcg*» 
■iool,  di  di«B«rtftBlonl  su  qualche  trattatu  del  PetrarcSf 
opnaeoll  pieni  per  lo  piò  d'Inutili  apeoalaaloml  a  ab* 
baadonati  alta  polvere  a  alla  tlgnaola.  Thrabotehi. 


Talentoni  Giovanni,  da  Fivizzano,  Lettor  di  Medicina  or- 
ili n.  nello  studio  di  Pisa,  Letione  fiitta  oeir  Accademia  fioren- 
tina il  di  13  di  Settembre  1587,  nel  Consolato  di  Baccio  Valori, 
sopra  il  principio ,  la  narrazione  e  V  epilogo  del  Canzoniere 
del  Petrarca.  Fiorenza,  Giunti,  1587. 

Corso  Rinaldo^  Espositione  del  Sonetto  :  Voi  eh* ascoltate. . . . 
Fondamento  del  parlar  toscano,  Venezia,  1550.  —  DalT  Arme 
M,  Tommaso,  Riflessioni  sopra  il  primo  Sonetto,  lette  all'Ac- 
cad.  dei  Filorgiti.  Forlì,  1699. 

Esposizione  di  M.  Giulio  Camillo  Delminio  «opra  il  prìmo 
et  secondo  sonetto  del  Petrarca.  Nelle  sue  Opere,  Venezia,  Gio- 
lito, II,  145  e  169;  Farri,  1579,  1584,  1589.  —  Sui  terzetti 
del  II  Sonetto,  V.  Rosmini,  Pensieri  e  dottrine  trascelti,  Intra, 
Bertolotti,  1875,  «,  590. 

Lezione  di  Regnier  Desmarais,  (1)  Aocad.  della  Crusca  sul 
nonetto:  Era  il  giorno  che  al  sol  si  scolorar o  (Son.  ni).  Nelle 
sue  Poesie  toscane.  Parigi,  Cellier,  1708. 

Molti  si  sono  affaticati  intorno  a  quei  veni  del  Petrarca:  —  Era  il 
giorno j  ch'ai  Sol  èi  teolorttro  Per  la  pietà  deleuo  Fattore  i  rai,  dov'è 
ricordata  l'origine  del  suo  innamoramento  (6  Aprile  13S7),  confermata  al- 
trove, cantando  :  L'ora  prim'  era  e  il  di  sesto  d'aprile  Che  già  mi  strinee. 
—  Milletrecento  ventisette  appunto  Sull'ora  prima  il  di  sesto  d'aprile 
Nel  labirinto  entrai Nel  Sonetto  Palinodico  :   Padre  del'  cielj  dopo  i 


(1)  «n  si^^nor  abate  R(*^nier  Desmarais,  gran  letterato  del  nostro  se- 
colo, segretario  della  nobilissima  accademia  francese,  e  accademico  della 
Crusca,  scrive  prose  e  versi  toscani  con  tanta  proprietà,  purità  e  flnesza, 
che  qualsiasi  più  oculatissimo  critico  non  potrà  credere  eh'  egli  sia  nato 
e  nutrito  nel  cuore  della  Toscana.  Con  la  stessa  felicità  scrive  ancora  nella 
materna  sua  lingua  e  nella  spagnuola  e  nella  latina  e  nella  greca,  e  dalla 
f^reca  ha  trasportato  mirabilmente  nella  toscana  tatto  le  poeaie  d'  Ana- 
oreonte,  senza  scostarsi  punto  dal  testo.  »  HetU ,  nelle  Annotazioni  al  Di- 
tirambo. 


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702  IL  CANZONIERE 

perduti  giorni ,  ci  fa  sapore  che  correTa  V  anno  1338  quando  lo  «crìss^  : 
Or  volge^  Signor  mio,  l' undecim' anno  Che  fui  aommesao  al  tiispieta^ 
giogo ...  e  il  giorno  medesimo  :  Rammenta  (o  Signore)  lor  (a*  miei  pen- 
sieri vaghi),  com'  oggi  fosti  in  croce.  —  Tutti  ì  Comentatori  almanacca- 
rono per  vedere  d*  accordare  insieme  queste  date,  e  non  vi  riuscirono  :  la 
mi  confido  di  essere  più  fortunato  di  loro.  Francesco  Oiuntiiio ,  celebre 
astronomo ,  che  viveva  ai  tempi  del  Tassoni ,  avea  già  mostrato  che  U  ò 
d'Aprile  citato  dal  Poeta  non  potè  essere  il  venerdì  Santo  ricorrente  nel 
13?7,  il  quale  in  queir  anno  venne  al  10,  essendo  slata  la  Pasqua  al  12. 
S*  ingannarono  il  Maczoni  e  il  Tassoni ,  nello  spiegare  que*  due  sonetti . 
che  sono  il  ii  e  il  XLvn ,  interpretando  i7  giorno  che  al  eoi»  n  aeolora- 
rono  i  rai ,  di  quello ,  e  V  oggi  fosti  in  eroee,  di  questo,  pel  xv  giorno 
mobile  della  Luna  di  Marxo.  Errò  lo  stesso  Muratori  sentenziando  chr  il 
Petrarca  non  ai  regolasse  con  altro ,  né  ad  altro  avesse  riguardo  eh^ 
alia  quintadecima  luna  (intende  xv  giorno  della  Luna),  del  mese  éti  mnrzo 
e  reputando  certissimo  che  sia  stato  quello,  nel  quale  Cristo  Salrator 
nostro  fu  crocifisso;  e  che  il  quindicesimo  giorno  nel  1327  sia  tenuto  a 
cadere  nel  6  Aprile.  —  Tanto  V  uno  quanto  1'  altro  dei  due  sonetti  ram- 
mentano la  medesima  epoca  invariabile  ,  il  6  d' Aprile ,  in  cui  il  Petrarca 
fissava  la  mprte  di  Cristo  secondo  un'  antica  opinione  riferita  dal  Maratad. 
Di  fatti  Tanno  1327  porta  la  Lettera  Dominieale  D;  dunqae  comincio  in 
Qiovedi  :  V  Epatta  è  XX  VI  :  il  numero  d'oro  17  :  il  novilunio  di  Marzo  6i 
il  27  :  il  termine  Pascale  il  9.  Dunque  il  venerdì  Santo  fu  il  10,  la  Pasqua 
il  12,  il  6  d'Aprile  1327,  come  non  fu  il  venerdì  Santo,  non  fu  neppun? 
il  XV  giorno  della  Luna  Pascale  ;  e  lo  stesso  dicasi  del  1338.  —  Nel  133^ 
la  lettera  Domenicale  è  ancora  p  :  1*  Epatta  XXYIII,  il  numero  d*  oro  19: 
il  termine  Pascale  il  7  d'Aprile  (in  martedì),  perchè  il  novilunio  di  Mar» 
fu  al  25,  e  quindi  la  Pasqua  fU  il  12,  e  il  venerdì  Santo  il  10.  Il  6  d'Aprile 
tanto  nel  1327,  quanto  nel  1338  cadde  in  un  lunedì.  Dunqpie  il  Petrarca 
adottò  un  anniversario  immobile.  —  Forse  egli  segui  una  tradisiooe  che 
attribuiva  al  Salvatore  33  anni,  3  mesi  e  7  giorni  di  vita  dalla  natività. 

Siccome  poi  la  Pasqua  veniva  ordinariamente  nel  xv  giorno  ddUa  Luna 
di  Nisan ,  e  ammesso  anche  che  il  Petrarca  la  stimasse  queir  anno  pro- 
tratta al  XVI,  avendo  assegnata  la  morte  di  Cristo  al  6  d'  Aprile ,  jare 
che  non  abbia  tenuto  conto  della  oircoatansa ,  che  fosse  seguita  net  T.f 
giorno  della  detta  Luna.  Perchè  si  possa  affermare  che  il  Petrarca  la  po- 
nesse come  avvenuta  al  xv  giorno,  era  necessario ,  che  o  la  facesse  suc- 
cessa il  giorno  vero  della  Pasqua  Ebraica  (Venerdì,  xv),  o  che  credesse  la 
Pasqua  Ebraica  protratta  al  x  vi  e  Cristo  crocifisso  il  dì  prima  :  o  se  cdbi 
morte  del  Redentore  al  6,  suppose  la  Pasqua  degli  El>rei  all'  8,  allora  ne^ 
ipotesi  che  sapesse  che  questa  doveva  ricorrere  al  xv  giorno  della  Luna, 
non  reputò  nello  stesso  giorno  xv  avvenuta  la  morte  :  oppure  tenne  la 
morte  avvenuta  nel  xv  giorno ,  ma  non  fé'  caso  di  questo  che  la  Pasqiui 
Ebraica  veniva  così  ad  essere  stata  nel  xvii.  Ma  chi  ne  assicura,  che 
avendo  egli  ammessa  la  morte  al  6,  abbia  anche  ammessa  la  Pasqoa 
Ebraica  all'  8 1  È  probabile  ;  ma  può  darsi  anche  il  contrario  ;  laonde  ri- 
mane in  dubbio,  se  facesse  coincidere  V  anniversario  storico  e  stabile  della 
morte  di  Cristo  col  giorno  xv  della  Luna  Pascale.  Pasquini^  La  Principale 
Allegoria  della  Div.  Com.  Milano,  Batteziati,  1875,  p.  265  e  seg. 


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COBfXNTI  PARZIALI.  703 

Giacomini ^Tebalducci  Lorenzo,  Lezione  sopra  il  sonetto 
del  Petrarca  che  comincia  :  QuancT  io  son  tutto  voUo  (Son.  xiv). 
Lezioni  degli  Accad.  della  Crusca,  ii,  113-130. 

Ragionamento  di  M.  Anton  Maria  Amadi  intorno  a  quel 
sonetto  del  Petrarca  che  inoomincia:  Quel  eh*  infinita  provi" 
denza  ed  arie  (Son.  rv).  Padova,  Percacdno,  1563.  —  Il  discorso 
è  tutto  teologico.  -—  Dieci  Lezioni  sullo  stesso  sonetto  di  Be^ 
nedetto  Averani  (n.  a  Firenze  il  19  Luglio  1645  m.  a  Pisa  ai 
28  Decembre  del  1707),  prof,  di  Letteratura  nello  studio  di 
Pisa,  recitate  air  Accademia  della  Crusca,  ed  intitolate  al  sig. 
Enrico  Newton^  inviato  di  S.  M.  della  Gran  Brettagna  al  Gran- 
duca. Ravenna,  Laudi,  1707.  —  Sorio  p.  Bartolommeo,  Sopra 
il  Son.  iv,  Lezione  Accademica.  Rivista  Ginnasiale,  Aprile  1855. 

Dolce  Lodovico  (n.  in  Venezia  1508,  m.  1568).  Esposizione 
del  Sonetto  :  A  pie  de*  colli  ove  la  bella  vesta  (vii).  Nel  Dia- 
logo sui  Colori  (1),  p.  46»  Venezia,  Giolito,  1557;  Sessa,  1563; 
Firenze,  Nestenuse  e  Moucke,  1735;  Milano,  Daelli,  voi.  x  della 
Biblioteca  rara.  —  ^orto  p.  Bartolommeo ,  Lezione  Accadem. 
sopra  lo  stesso  Sonetto,  recitata  in  Firenze  alla  Società  Co- 
lombaria. Rivista  Ginnasiale,  a.  ii,  p.  475-85. 

Cervoni  Giovanni,  da  Colle,  Esposiz.  del  Sonetto  :  Quando 
il  pianeta  che  distingue  fore  (vm).  Accad.  Colle  Bellunese, 
Venezia,  Deuchino,  1621. 

Camerini  S.,  Esposizione  delle  due  prime  Ballate:  Lassare 
il  velo  —  Perché  quel  che  mi  trasse  —  e  del  Son.  xii  :  Quando 
fra  r altre  donne  (x  ediz.  Le  Mounier).  Pisa,  Prosperi,  1837. 

Ponta  P.  Marco,  Interpretazione  di  alcune  parole  del  Petrarca 
e  di  Dante.  Roma,  Tip.  Belle  Arti,  1845.  ~  roctto  vo;  che  le 
parole  morte  (xiv).  —  Parole  morte  debbesi  intendere  per  pa- 


(1)  «  Lodovico  Dolce,  dice  il  Tiraboschi,  Ai  storico,  oratore,  gramma- 
tico, retore,  filosofo,  fisico  ed  etico,  poeta  tragico,  comico,  epico,  lirico, 
e<litore,  traduttore,  raccoglitore,  cementatore*  scrisse  insomma  d'ogni 
cosa,  ma  di  ninna  scrisse  con  eccellenza.  —  L*  Haym  contava  settantatrè 
opere  del  Dolce ,  e  tuttavia  Girolamo  Huscelli  lo  spacciò  per  ignorante,  e 
quanto  a  lingua  italiana  ne  diede  buone  prove  ;  e  il  Dolce  la  pretendeva 
a  grammatico  I . . .  Fu  un  abboracciatore;  un  uomo  che  non  ebbe  il  pudoro 
del  vero  scienziato*  e  mise  le  mani  violente  ed  impure  su  tutto. . .  Vera- 
mente è  intollerabile  la  sua  prosa ,  e  degni  di  miten  i  suoi  versi  ;  né 
sappiamo  come  aia  riuscito  a  questo  dialogo,  che  sebbene  spiaccia  al  Mon- 
geri,  piacoue  a  giudici  valenti ,  e  Leasing  lo  cita  e  ne  tien  conto  —  né  6 
scrìtto  male  :  forse  traeva  dalla  conversazione  degli  artisti  qualche  spirito^ 
che  i  libri,  che  metteva  a  sacco,  non  potevano  dargli.  —  Camerini j  Muovi 
Profili  Letterari,  iv,  08. 


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704  IL  GANSONIBBB 

role  che  suonano  nel  mezzo  del  mio  core,  ma  non  le  esprimo 
col  suono  della  voce  per  sentimenti  dell*  anima  mia,  non  ester* 
nati  colle  parole  sonore.  Quasi  dicesse  il  poeta:  Ve  tacendo, 
perchò  se  parlassi ,  farei  piangere  la  gente.  Io  vo'  senza  par- 
lare, perchò  se  dicessi  le  parole  del  mìo  cuore,  ùirei  piangere. 
—  Parole  vive  —  vive  voci  (Canz.  i,  5),  pensieri  parlati,  parole 
manifestate  col  suono  della  voce:  parole  morte,  parole  non 
esternate  e  non  parlate  col  suono  della  voce. 

Crùicomini  Tebalduoci  Malespini  Lorenzo  (m.  14  Ottobre 
1598),  Esposizione  del  Sonetto:  QuancCio  son  tuUo  voùo  (xvi). 
Prose  Fiorentine,  t.  ii,  Firenze,  Tartini,  1691.  —  Del  Giacomini 
Tebalducci,  Y.  Sahini,  Fasti  Consolari,  289-74.  —  Alla  Lezione 
del  Giacomini  il  Fiacchi  uni  una  storia  concisa  degU  AMeraH, 
cui  il  Giacomini  appartenne,  compilata  sul  Diario  di  eesa,  che 
manoscritto  serbavasi  nella  Pucciana.  Zannoni,  Storia  della 
Crusca,  1827.  -^  Recuperati  Pietro,  Lezione  sopra  lo  stesso 
sonetto.  Prose  fiorentine,  t.  2. 

Sorio  p.  Bartolommeo ,  Vero  amore  degli  sposi ,  Lezione 
Accademica  sopra  la  Canzone  :  Yerdi  panni,  sanguigni,  oscuri 
persi  (Canz.  n). 

Casteloetro  Lodov,,  Esposizione,  ovvero  sulla  prima  canzone 
del  Petrarca  la  quale  comincia:  Nel  doke  tempo  della  prima 
etade.  Venezia,  Zatta,  1756. 

Mancini  Poliziano  Jacopo,  Accad.  Svegliato  (Montepul- 
ciano), nell'Accademia  degli  Aerati  (Lendinara)  il  Coofoso, 
Tre  Lezioni  sopra  il  Sonetto  :  Quesi*  anima  gentil  (xvm),  Ge- 
nova., 1591.  Senza  nome  di  stampatore,  ma  dallo  stemma  dei 
frontespizio  ne  fu  tipografo  il  Bartoli.  —  Passi  Giuseppe, 
l'Ardito,  Discorso  sopra  i  primi  versi  dello  stesso  sonetto.  Ve- 
nezia, Somasco,  1616.  —  Merlini  co.  Giovanni,  Censura  sopra 
lo  stesso  sonetto.  Forlì,  1699. 

Giuntini  Francesco,  di  Firenze,  astronomo.  Discorso  sopra 
il  tempo  deir  innamoramento  del  Petrarca,  con  la  sposizione 
del  Sonetto  :  Già  fiammeggiava  V  amorosa  stella  (xx) ,  Lione, 
Rovilio,  1567.  —  Lettera  del  Dubbioso  Accademico  a  Frane. 
Giuntini  con  la  risposta  del  medesimo.  Senz'anno,  nò  luogo. 

Cebà  Alessandro,  Genovese,  (n.  nel  1565,  m.  1623),  Lezione  sul 
Sonetto  Solo  e  pensoso  (xxii).  Esercizi!  Accademici,  Genova,  Pa- 
voni, 1621.  —  V.  De  SancHs^  Saggio  critico  sul  Petrarca,  p.  36. 


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GOBONTI  PARZIAU.  705 

Jdamgnoniy  Crìtica  del  prìncipio  della  Canzone:  Si  debole  è 
l  filo  (hi).  Del  gusto  in  ogni  maniera  di  amene  lettere,  Como, 
>s  tinelli,  1790,  p.  165. 

Yarchi  BenedeUo,  (n.  19  Marzo  1503,  m.  il  18  Decembré 

566),  Frammento   di   una  lezione:    Orso,  e' non  furon 

xxiv),  Prose  varie,  Firenze,  Pezzati,  1841,  p.  3.  —  Id.  Lezione 
opra  i  Son.  33,  34,  35  (zxvi,  xxvii,  xxvm).  Ietta  all'Accad. 
i*lorent3na  il  20  Aprile  1543.  —  V.  Opnsc.  ined.  e  rari,  Fi- 
enze,  Società  poligraf.  ital.  1845,  p.  261-81. 

OrcuUni  Lttcio,  Perugino,  Due  lezioni  lette  pubblicamente 
iéìT  Accademia  Fiorentina  (1550),  sopra  i  Sonetti  :  Se  mai  foco 
ìer  foco  —  PercK  io  f  abbia  guardato  di  menzogna  (  xxxiii, 
:xxiv).  Nel  consolato  di  Lorenzo  Malegonnelle.  Firenze,  Tor- 
•entino,  1550. 

Pensieroso  Accademico  Inquieto  ^  Esposizione  sopra  il  So- 
tetto:  Padre  del  Ciel  (xl),  Milano,  Pozzo,  1566.  —  Cervoni 
xiov,^  da  Colle,  Id.  Nella  sua  Accademia,  Venezia,  Deuchino, 
621.  —  Porri  Alessio,  Lezione  spirituale  sopra  lo  stesso 
nonetto.  Parma,  Viotti,  1594.  •—  SaMni  Salvino,  Lezione  re* 
dtata  nella  Settimana  di  Passione  dell'anno  1703,  a*  20  Marzo, 
^rose  e  Rime  ined.  Firenze,  Margheri,  1821.— V.  De  Sanctis, 
>a^gio,  ecc.,  p.  61. 

LocatelU  Agostino,  di  Sacile,  Libro  contro  gli  oratori  ita- 
iani,  Venezia,  Bettinelli,  1749.  —  A  pag.  253  fa  una  severis- 
;iroa  analisi 'della  Canzone:  Poiché  la  vita  è  breve  (Canz.  vi). 

Esposizione  di  M.  Sebastiano  Erizzo  delle  tre  Canzoni  di 
ness.  Francesco  Petrarca,  chiamato  le  tre  sorelle  (vi,  vii,  viii), 
Venezia,  Arrìvabene,  1561  e  1562.  —  Varchi  Benedetto,  Otto 
liezioni  (dalla  xvi  alla  xxiv)  sulle  Canzoni  degli  Occhi,  letto 
lello  studio  Fiorentino  nel  1565,  Consolo  Bastiano  Antinori. 
fi*ìrenze,  1590.  —  Difesa  delle  tre  Canzoni  degli  Occhi,  e  dì 
Ucuni  sonetti  e  vari  passi  delle  Rime  di  Fr.  Petrarca  dalle 
>ppoaizioni  di  Lodovico  Ant.  Muratori,  composto  da  Giovanni 
Tomaso  Canevari,  e  A.  Tommasi.  Lucca,  Frediani,  1709.  — 
V.  De  Sanctis,  Saggio,  143-165. 

Muzzi  Luigia  Epistola  contenento  la  nuova  esposizione  di 
un  luogo  del  Petrarca:  Quando  agli  ardenti  rai  neve  divegno 
Canz.  vi,  st.  2,  v.  9).  Bologna,  Nobili,  1823. 

Oelli  Giovan  Balista  (n.  1498,  m.  1563),  Sopra  quei  due 

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706  IL  CANZONIERB 

sonetti  del  Petrarca  che  lodano  il  ritratto  della  sua  Lsca 
(l,  li),  Firenze,  Torrentino,  1549,  e  nella  parte  ii,  voi.  m  d«Be 
Prose  Fiorentine.  Firenze,  1728.  —  Nel  Consolato  di  Giovam 
6' Ambra,  1549.  —  De  Sade,  Sur  Simon  de  Sienne  et  les  òaa 
sonncts  qui  lui  sont  adressès.  Note,  zìi,  voi.  i,  p.  71. 

GelH  Qiovan  Batista ,  Lezione  sopra  il  Sonetto:  Io  fcn 
deir  aspettar  ornai  sì  vinto  (lxv)  ,  detta  n^  Consolato  di  Gio?. 
Strozzi.  Firenze,  1551. 

Salviati  Leonardo  (n.  in  Firenze  nel  1540,  m.  nel  1589). 
Cinque  Lezioni,  cioò  due  della  Speranza,  una  della  PeKcità.  <" 
le  altre  due  sopra  varie  materie,  e  tutte  lette  nell^  Accademis 
fiorentina,  con  T occasione  del  sonetto:  Poi  che  voi  ed  io  ab- 
biam  provato  (i.xvii).  Firenze,  Giunti,  1575.  —  Orsi  CHooanni. 
Censura  al  med.  Sonetto,  letta  all'Àccad.  dei  Filoi^ti,  Forlì 
1699. 

Cemento  utilissimo  di  Stefano  Moresino  sopra  la  CsLoffxtt 
dei  Petrarca:  Mai  non  vo*  cantar  eom*  C  soleva  (Canz.  oc),  Mi- 
lano, Da  Borgo,  1559.  —  De  Domo  Ubaldo^  Discorso  nel  quale 
si  espone  la  xxn  Canzone  del  Petrarca  (fx).  Perugia,  Coloni- 
bara,  1604. 

Mussi  Luigi,  Espos.  del  Sonetto:  La  donna  che  7  snio  cor 
nel  viso  porta  (lxxv).  Bologna,  Nobili,  1823. 

Bembo  Pietro,  Sul  verso:  Ch^ altro  non  vedo,  e  dò  che 
non  è  lei  (lxxx).  Prose,  Napoli,  Railard,  voi.  n,  1M4.  —  Ga- 
gUardi  can.  Paolo,  sullo  stesso  verso.  Cento  ossérvasHNii  di 
lingua,  Bologna,  Volpe,  1770,  p.  23.  —  Bottari  Giov,  Lettere 
di  Fra  Guittone  d* Arezzo,  con  note,  Roma,  De  Rossi,  1746, 
p.  97.  —  Manni  Domenico  Maria ,  Lezioni  di  lingua  toscana, 
Firenze,  Vivìani;  1737,  p.  115;  Yenesia,  Pietro  Vahrasense, 
1758,  p.  84.  —  Furia  Francesco,  Sulla  necessità  di  confrontare 
i  testi  a  penna.  Atti  deirimp.  e  R.  Accademia  della  Crusca, 
Firenze,  Piatti,  1819,  voi.  i,  p.  24.  —  Fiacchi  Luigi,  LeeioDe 
sullo  stesso  verso.  Atti  della  Crusca,  f,  69.  —  Monti  Vineenso, 
Lettera  al  sig.  marcii.  Gian  Giacomo  Trivulzto.  Nella  sua  Pro- 
posta, e  nel  Comento  del  Biagioli.  Milano,  Silvestri,  1803,  t.  n, 
170-183.  —  Rosini  Giov,,  Risposta  ad  una  lettera  del  cav.  Monti, 
Pisa.  Dopo  esempi  si  splendidi,  conchiude  il  Monti,  dopo  il  già- 
dicato  di  uomini  cosi  consumati  nella  cognizione  e  nell*arte  della 
fiivella,  non  è  più  lecito,  non  è  più  da  uomo  di  sano  intel- 

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COMBNTI   PARZIALI.  707 

.etto  il  negare  che  in  virtù  della  regola  stabilita  sul  verbo 
E!ssere,  situato  fra  due  sostantivi,  quel  Lei  del  Petrarca  sia 
an  rnanifestissimo  accusativo. 

De  Sanciis  Frane.,  Sulla  Canzone:  Chiare,  fresche  e  dolci 
^cque  (xi),' Saggio,  207-220;  Stor.  deUa  Lett.  ital.  i,  269. 

Frangipane  Com.,  Spiegazione  della  Canzone:  Dtpensier  in 
pensier  (xiii).  Nell'operetta,  Il  Parlar  Senatorio,  Venezia, 
Ciotti,  1619. —  V.  De  Sanctis,  Saggio,  p.  194-207;  Id.  Storia 
della  Lett.  i,  268. 

Cervoni  Qiov.,  Lezione  sopra  il  sonetto:  Amor,  fortuna  e 
la,  mia  mente  schiva  (lxxxt),  detta  airAccad.  Fiorentina  nel 
Consolato  di  Bernardo  Segni,  1542.  Firenze,  Torrentino,  1550. 

Segni  Agnolo,  Ragionamento  sopra  le  cose  pertinenti  alla 
poetica,  dove  in  quattro  lezioni,  lette  da  lui  all'Àccad.  Fio- 
rentina, si  tratta  dell*  imitazione  poetica —  Firenze,  Marescotti, 
1581.  —  Sopra  la  Canzone:  In  quella  parte  (xii). 

Andreini  Anton  Francesco,  Lezione  sopra  il  sonetto:  Se 
amor  non  è  (lxxxvih),  letta  ali* Accademia  Fiorentina  Tanno 
1617.  Prose  Fiorentine,  Firenze,  Tartini  Franchi,  voi.  iv.  — 
Varchi  Benedetto ,  Lez.  Accad.  sullo  stesso  sonetto ,  detta  nel 
1533.  —  V.  De  Sanctis,  Saggio,  p.  137. 

DaW Armi  Tomaso,  Riflessioni  sopra  il  Sonetto:  Poiché 
il  camin  m'é  chniso  (lxxxvi),  dette  ali*  Accad.  dei  Filorgiti. 
Forlì,  1699. 

Belli  Luca,  Argentese,  Sopra  il  Sonetto:  Pace  non  trovo, 
e  non  ho  da  fiir  guerra  (xc).  Nel  suo  comento  al  Convito  di 
Platone.  Macerata,  Carboni,  1614. 

Buonarroti  Michelangelo,  il  giovane,  detto  l'Impastato  (n. 
nel  1568,  m.  il  di  11  Gen.  1646),  Lezione  sopra  il  sonetto  che 
comincia:  Amor  che  nel  pensier  mio  vive  e  regna  (xci).  Prose 
Fiorentine,  ed  Opere  varie  in  verso  e  in  prosa,  Firenze,  Le 
Monnier,  1867,  p.  497-518. 

Bonsi  Lelio,  Lezione  I^  sopra  quel  Sonetto  del  Petrarca 
che  comincia:  Pommi  ove  il  sol  (xcv),  detta  ali*  Accad.  Fio- 
rentina il  5  Nov.  1550;  Consolo  Aless.  Malegonnelle.  Prose 
Fiorent.,  t.  ii,  p.  1,  Firenze,  Tartini  Franchi,  p.  32-47.  —  Le- 
none II",  detta  il  di  13  Nov.  1550,  id.  p.  47-60.  -~  Lezione  IIP, 
detU  il  di  20  Nov.  1550,  id.,  p.  60-90. 

Magnanini  Ottavio,  Lezioni  otto  sugli  occhi  della  donna, 

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708  IL  CANZOIflBRB 

in  cui  dice  di  prendere  a  scorta  il  cento  venianeaimo  soaà» 
della  prima  pai*te  del  graziosiseimo  Canzoniere  del  Petrarca, 
intraprendendolo  a  dichiarare:  Le  sMe  il  cielo  e  gii  eiement 
a  prova  (cni).  —  Dovea  esser  recitata  nel  1580  nel  Coobo^ 
di  M.  Federigo  Strozzi.  Ferrara,  Suzzi,  1639.  —  V.  //  Conecio, 
ovvero  il  Gttalengo,  nel  quale  al  capitolo  xxnr  viene  a  spie- 
gare che  cosa  intenda  il  Petrarca  per  gemino  valore  (Son.  a). 
Ferrara,  Suzzi,  1641.  —  Lezioni  Accademiche,  Ferrara,  Sum 
1631. 

Vieri  Francesco,  detto  il  Vierino  secondo.  Lesione  sopra  il 
Sonetto:  In  guai  parte  del  del  in  quale  idea  (cviii),  dove  « 
ragiona  delle  idee  e  delle  bellezze.  Firenze,  Marescotti,  1581; 
Prose  Fior.,  1. 1,  par.  2,  p.  84-103.  -r-  Cresdmbeni  Gio,  Marie, 
Sullo  stesso  Sonetto.  Le  bellezze  della  volgar  poesia  spiegata 
in  dialoghi.  Roma,  Buagni,  1700. 

AmbrosoU  Francesco,  Di  un^  dottrina  circa  T ideale  del 
Bello  già  esposte  da  Dante  e  dal  Petrarca,  Lezione.  Scrìtti 
lett.  ed.  ed  inediti,  Firenze,  Civelli,  1871,  p.  377-388.  V.  Ifaic 
Dani.  V,  p.  129. 

Quattromani  Sertorio,  Esposizione  del  Sonetto:  Come  (' 
candido  pie  (cxiv).  Lettere  a  Fabrizio  Marotta,  Ni^li,  Soorìg- 
gio,  1624;  id.  Mosca,  1714. 

La  settima  Lezione  di  M.  Pietro  Orsilago,  da  Pisa»  (eccel- 
lente medico  e  buon  poeta),  letta  all'Accademia  Piorentìoa 
sopra  il  Sonetto:  Passa  la  nave  mia  colma  d'oblio  (cxxxvii). 
Firenze,  1549.  —  Dell* Orsilago,  V.  Salvini,  Fasti  Consolari, 
86-92.  —  Bonifacio  Giovanni,  Sullo  stesso  sonetto.  Rovigo, 
Bissuccio,  1625. 

Bianchini  Oitiseppe ,  Lezione  sopra  il  sonetto  :  Sioooime 
etema  vita  (cxxxix).  Firenze,  Manni,  1710. 

Franceschi  Lorenzo,  l'Infocato,  Lezione  detta  all'Accade- 
mia della  Crusca  sopra  il  sonetto:  Lasso  ch'io  ardo  [cu), 
Prose  Fior.,  t.  n. 

Menagio  Egidio  (n.  in  Angers,  1613,  m.  1692),  Sposìsione 
del  verso  del  Petrarca:  Forse  (o  che  spero)  il  mio  tardar  le 
dole  (cLiv),  Nelle  Mescolanze  del  Menagio  Rotterdamo^  Leers, 
1692;  Venezia,  Pasquali,  1736,  dalla  pag.  3  alla  48.  —  Due 
letterati  Francesi  venuti  a  contesa  suir  interpretazione  di  questo 
verso,  ne  rimettevano  alla  Crusca  il  giudizio.  Egidio  Menagio 


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COBfBNTI  PARZIALI.  709 

(Menade)  affermava  esseme  il  senso  :  Forse  (  o  che  gran  cosa 
spero)  il  mio  tardar  le  dole.  Ma  Giovanni  Cappellano  (Cha- 
pelairiy  francescamente,  n.  nel  1595  m.  nel  1674),  eh' era  l'altro 
contendente,  voleva  che  le  parole  o  che  spero y  equivalessero 
a  —  ovvero  cosi  almeno  lo  voglio  sperare.  —  L' Arciconsolo, 
a'  3  Agosto  del  1654  fece  leggere  dal  Segretario  degli  Acca- 
demici, lo  Smunto  (Simone  Berti),  quelle  scritture:  fu  nomi- 
nata una  deputazione  di  sei  accademici  il  12,  ma  la  risposta 
non  fu  fatta  prima  del  dì  8  Ottobre,  nella  quale  tennero  per 
Menagio  (1). 

Nuova  sposizione  del  sonetto  che  comincia  :  Jn  nobtl  sangue 
vita  umile  e  queta  (clx)  sopra  la  vera  nobiltà  di  M.  Laura  per 
M,  Simone  De  la  Barba,  da  Pisa,  medico  illustre.  Nel  Conso- 
lato di  Girol.  Baccelli,  1552.  — Firenze,  Torrentino,  1554. — 
Cervoni  Giov.  Sullo  stesso  sonetto.  Nella  sua  Accademia,  Ve- 
nezia, 1621.  —  V.  De  Sanctis  Fr.  Saggio,  ecc.  201. 

Lettura  di  Bartolommeo  A^migio^  il  Solingo,  Accad.  In- 
sensato 3i  Perugia,  sopra  il  sonetto:  Liete  e  pensose  (clxviii), 
intitolata  alla  nobil  Donna  Claudia  Martinengo.  Brescia,  Mar- 
chetti, 1565. 

Le  Sade,  Le  sonnet:  Dodici  donne  (cLXx),  et  les  Cours 
d*  amour,  Note  xts,  p.  44. 

Le  Sade,  sur  le  sonnet:  Real  natura  (clxxxi).  Note  xviii, 
voL  n,  p.  37. 

Bonifacio  Giovanni^  Lezione  sopra  i^  sonetto:  Cercato  ho 
sempre  solitaria  vita  (coi).  Rovigo,  Bissuccio,  1624. 

Bosso  Giuseppe,  Sulle  Rime  in  morte  di  Madonna  Laurar 

Digressione  sopra  la  11*^  parte.  Nel  suo  Cemento,   it,  171-189. 

Salvini  Anton  Maria  (n.  in  Firenze,  1667,  m.  1751),  Le- 


(1)  n  Bianchetti  chiama  il  Menagio  autor  grifagno,  vivente  di  rapina, 
solennisaimo  compilatore ,  e  per  consegaenza  pedante.  (Dei  Lettori  e  dei 
Parlatori ,  con  alcune  Lettere ,  Ediz.  Le  Mounier ,  1858,  p.  332  ).  Ma  ben 
altrimenti  ne  sentiva  il  Camerini:  «Quanto  al  Menagio,  esso  non  è  da 
spregiare.  Egidio  Menagio^  V  autore  delle  Amenità  del  diritto  civile,  an- 
cora pregiate ,  delle  origini  della  lingua  italiana ,  e  di  ({uelle  della  lìngua 
francese,  aia  stato  cure  un  pedante,  sia  stato  pure  il  Vadius  di  Molière,  era 
pero  un  pedante  culto  e  gentile;  uno  scita,  se  si  vuole,  ma  come  Ànacarsi, 
a  cui  la  bella  Gleobulina,  secondo  la  tradizione  di  Plutarco,  faceva  vezzi  e 
.spartiva  i  cappelli.  U  Ghapelain  avrà  fatto  un  cattivo  poema ,  ed  oggi  vi 
trovan,  del  buono,  ma  era  un  valente  erudito.  »  yiwvi  Profili,  Milano» 
BattozzaU  1875,  l,  310. 


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710  IL  CANZONIBBB 

zione  sul  sonetto:  La  tita  fugge^e  non  s'arresta  un* ora  p, 
p.  2).  Lezioni  Accademiche,  Venezia,  Pasinelli,  1734,  p.  276^1. 

Salvini  Anton  Maria,  Sopra  la  Canzone  del  Petrarca  c^ 
comincia  :  Amor  se  vuoi  eh*  io  tomi  (n,  p.  2),  Otto  lezioni  A> 
cademiche,  dalla  xni  alla  xx.  Venezia,  Pasinelli,  1734. 

Bonsi  Lelio,  Lezione  sul  Sonetto:  Che  fin,  che  pensi  (t, 
p.  2).  —  Prose  Fiorentine,  Firenze,  Giunti,  1560. 

Chiabrera  Gabriele  (n.  in  Savona,  1552,  m.  1637).  Lezioiié 
sopra  il  sonetto:  Se  lamentar  augelli  (xu.  p.  2).  Alessaadiù. 
Soto,  1626.  —  V.  De  Sanctis,  Saggio,  257. 

Gradini  Ludo,  Lezione  sopra  il  sonetto:  Quanta  mnià 
ti  porto  (xxxii,  p.  2),  detta  all^Accad.  Fior,  nel  1550,  aedeadt 
Consolo  Fabio  Segni.  Fiorenza,  Torrentino,  1550. 

Cervoni  Giov.,  Sposizione  del  sonetto:  Levommi  il  mi6 
pensier  (xxxiv,  p.  2),  Accademia  Colle  Bellunese.  Venezia,  Dev- 
chino,  1621. 

Salvini  Anton  Maria,  Lezione  xxiu  e  xxi?  sopra  il  aoaetto  : 
Mentre  che  7  cor  dagli  amorosi  vermi  (xxxvi,  p.  2).  Veoezist 
Pasinelli,  1734,  p.  245-55. 

«Sono  Bartolommeo ,  Lezione  critica  sopra  due  passi  ddla 
Canzone:  Standomi  un  giorno  solo  aUa  finestra  (m,  p.  2). 
Rivista  Ginnas.,  p.  37-43. 

Cehà  Alessandro ,  Esercitazione  accademica  sul  sonetto: 
Vidi  fra  mille  donne  (lxi,  p.  2).  Esercizi  Accadem.,  Genova, 
Pavoni,  1621,  p.  67. 

GelU  GiaMbatista  (n.  12  Agosto  1498,  m.  14  Lug.  1563), 
Sopra  un  sonetto  di  M.  Francesco  Petrarca  che  comincia  :  0 
tempo,  o  del  volubil  che  fuggendo  (lxiv,  p.  2) ,  Lezione  detta 
air  Accademia  Fiorent.  nel  1547,  divisa  in  tre  parti.  Firenze, 
Torrentino,  1549. 

Lezione  di  M,  Prosino  Lapini  nella  quale  si  ragiona  in  uni- 
versale del  fine  della  Poesia,  sopra  il  sonetto:  Lasciato  hai 
Morte,  senza  sole  il  mondo  (lxvi,  p.  2),  letta  privatamente 
all'  Accad.  Fior,  nel  Consolato  del  Magnifico  M.  Jacopo  Pitti. 
Fiorenza,  Panizzi,  1567. 

Livini  Gregorio,  Lezione  sopra  il  sonetto:  Conobbi  quanto 
il  del  gli  occhi  aperse  (lxvii,  p.  2),  per  la  prìma  volta  pub- 
blicata da  un  autografo  della  Mamana.  Venezia,  AntoneUi, 
1830. 


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OOMBNTI  PARZUU.  711 

Cresdmbeni  Giov.  Maria  (a.  a  Macerata,  1663  ;  morto  nel 
23),  Esposizione  del  sonetto  :  Fu  forse  un  tempo  (lxxii,  p.  2). 
ì  Bellezze  della  Volgare  Poesia,  Roma,  Buagni,  1700. 

£>olce  Lodovico j  Esposizione  del  sonetto:  Dicemi  spesso  il 
io  /idaio  speglio  (lxxxi,  p.  2).  Dialogo  sui  colorì,  p.  77,  Ve- 
^'zia.  Sessa,  1565. 

GelU  GtambaUstay  Lezione  letta  all'Aocad.  di  Firenze  il 
>  Dee.  1547  sopra  la  Canzone:  Vergine  beila  (tui,  p.  2).  È 
nona  delle  sue  Lezioni.  Firenze,  Torrentino,  1549.  ^  Tarsia^ 
*ete  fiorentino,  Discorsi  sulla  Canzone  Tergine  bella.  Nell'opera 
titolata  Corona  delie  dodici  stelle^  ristampata  nella  Monar- 
ua  della  Vergine^  e  della  sua  corona  di  dodici  stelle.  Venezia, 
iolito  de'  Ferrarì,  1582.  È  dedicata  a  Bianca  Capello.  Non  son 
nasi  credibili  le  stranezze  de'  concetti,  e  le  bizzarre  interpre- 
izioni  che  vi  s'incontrano.  —  Discorso  intorno  alla  Canzone 
^ergine  bella  di  M.  Pietro  Caponsacchi  Pantaneti,  aretino, 
ioi^nza,  Marescotti,  1567  e  1589.  -^  Esposizione  del  R,  P.  T. 
rio.  Agnolo  LotJUni^  fiorentino.  Servita,  intomo  alla  Canzone 
/ergine  bella.  È  divisa  in  xxxvui  discorsi,  e  dedicata  al  suo 
tener  ale  P.  Agnolo  Baglioni.  Venezia,  Franceschi^  1595.  — 
^artenodoxa^  ovvero  esposizione  della  Canzone  del  Petrarca 
Ila  Vergin  Madre  di  Dio  per  Celso  Cittadini  (n.  in  Siena,  1553, 
n.  1627),  Siena,  Marchetti,  1604  e  1607.  —  Ap.  Zeno  la  dice 
ti  a,  non  meno  che  dotta.  —  Ceva  P.  Teobaldo,  Osservazioni 
uUa  Canzone  Vergine  bella.  Scelta  di  Canzoni,  Venezia,  1756, 
presso  il  Bassanese.  —  Sopra  un  luogo  del  Petrarca  nella  Can- 
one a  Nostra  Donna  (CoUe  ginocchia  della  mente  inchine), 
ietterà  di  L.  Mussi.  Bologna,  Nobili,  1823.  —  Marsand  A. 
[panzone  di  Fr.  Petrarca  a  laude  di  Nostra  Signora,  con  alcune 
(posizioni  e  considerazioni.  Milano,  Ronchetti,  1841;  Parìgi, 
[841.  Splendida  edizione.  -^  Cavedoni  Celestino,  La  Canzone 
li  Fr.  Petrarca  alla  Beatissima  Vergine,  illustrata  co'  riscontri 
ielle  Ss.  Scritture,  de'  Ss.  Padri  e  della  Liturgìa  della  Chiesa. 
Dpus.  Rei.  Letter.  Mor.  di  Modena,  x,  3-20;  Modena,  Tipog. 
ieii'  immacohita,  1864,  di  p.  62. 

Anchd  VAttendoh  avea  dettato  dodici  lezioni  su  questa 
Doirabile  Canzone,  ma  non  se  ne  trova  impressa  che  una  bozza. 
J^apoli,  1604. 

Ad  ogni  stanza  dì  questa  Canzone,  scrìve  il  Tommaseo^  è 


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712  I 

ripetuto  con  instrate  fervore  e  eoo  eoATÌtà  peoeU— te  fi  àz- 
nome  di  Vergine.  H  Marsand  Im  dice  U  pia  beiU  di  tmil 
andie  il  Foecolo  «na  deUe  (Ma  belle:  tì  ci  trova  sabbiu  4 
tale  un  alletto  die  nemui  poeta  mai  superò;  0  Puedtuul^  ib?^ 
colo  dì  Canzone;  il  Mnraulatf,  il  più  beli*  inno  del  moado;  i 
ed  elegia,  il  Cardued,  E  nell*  inno,  proaegue,  tutto  che  U 
logia  disputò  sa  la  Vergine,  tatto  che  i  padri  da  A^tiEtiBc 
Bernardo  imaginarono  a  gloria  di  lei,  tatti  i  titoli  oode 
chiesa  dei  fedeli  la  invoca,  sono  resi  in  versi  alti,  aol^ 
gentili,  classicamente  perfetti:  nell'elegia  on'onda  di  pìsr 
trascorre  davanti  a  quel  tempio  cosi  elegantaaiente  insilsatr.  t 
travolge  a  pie  della  Vergine  tatto  ciò  <^e  Tartefioe  ha  amfi: 
e  desiderato  e  patito,  tatto  dò  cfa*^li  ricorda  e  teme.  ' 
<  Ce  in  qaesta  stupenda  canione,  por  fira  i  oonfiorti  deL 
fede,  nna  sconsolata  mestizia,  che  richiama  al  penaisro  qoan: 
ha  di  più  amaro  e  di  più  desolato  la  lirica  moderna  :  nna  neri 
flebile  s*  ìnsinna  fra  il  timido  sommesso  concerto  degli  angio^ 
lontani,  e  lo  vince;  ci  si  sente,  ancor  più  che  la  speranza 
etema  beatitudine,  uno  stanco  desiderio  d* etemo  riposo,  qafl 
desiderio  che  Bjron  ammirò  espresso  in  breve  iscrizione  se^ 
Certosa  di  Bologna  e  condensò  in  quelle  sue  ultime  profo^- 
parole:  Ora  devo  dormire.  È  la  voce  dell'anima  umana  à», 
anche  variando  i  tempi  e  i  simboli,  non  cangia  suono.  E  ^ 
sogni  di  beatitudine  celeste  si  mesce  furtivo  andie  un  'so^ 
di  felicità  terrena,  un  inconscio  accenno  a  dome8ti<die  gùss 
sperate  e,  ahimè,  non  trovate:  ire  dolci  e  cari  nomi  ha  in 
te  raccolti:  liadre,  figliuola  e  sposa.  —  ZendrinL  —  Solo  il 
De  Sanctis  si  argomenta  attenuarne  le  bellezze  :  «  Invano  é 
ci  mette  la  Vergine  ;  invano  la  gratifica  de'  più  gentili  e  csri 
epiteti  che  la  pietà  de'  devoti  abbia  saputo  inventare.  Qu^ 
sua  litania,  che  ha  nome  di  canzone,  abbondante  di  contrap- 
posti e  di  pensieri  ingegnosi,  ma  povera  di  immagini  e  d*a^ 
fetto,  voiTebbe  essere  un  inno  e  casca  nella  elegia;  vorrebbe 
spaziare  ne'  cieli,  e  rimane  fitta  nella  terra. ...  In  quéU'  ultiina 
parte  dell'età  il  poeta  non  ha  le  ale,  e  quantunque  sei  creda, 
non  ha  le  ale  per  levarsi  al  cielo,  e  dopo  vana  ostentaziODe 
di  forze  cede  al  feto,  voglio  dire  alla  sua  natura,  e  s'inte- 
nerisce, e  solo  nel  suo  intenerirsi  racqubta  un  pò*  l'antica 
vena.  » 


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OQBfBNTl  PARZIAU.  713 

O.  Vasari^  nel  dipìngere  la  VergÌDe,  tolse  il  concetto  da 
lesta  famosa  Canzone:  Feci,.,  la  gloriosa  Vergine.,,  vestita 
r  soie  e  coronata  di  dodici  stelle;  la  qual  Vergine...  è  so^ 
ertuta  in  aria  dentro  uno  splendore  di  molti  angeletH  nudi, 
Ittminati  dai  raggi  che  vengono  da  lei.  Vasari,  sua  vita. 

Corso  Tomaso  t  Disoorso  intomo  ai  Trionfi.  Venezia»  Ba- 
Bzzi,  1592. 

De  Sanctis  Francesco,  Sui  Trionfi  di  Francesco  Petrarca, 
«iggio,  2BU 

De  Steinbuchel  A.,  Die  Reliquienschreine  der  Kathedrale  zu 
^ratz  Arbeiten  von  Niccola  nnd  Oiovanni  Pisano  die  merkwiir- 
lig^en  Vorbilder  zu  Petrarca^s  Trionfi.  Wien  aus  de  kaiserl. 
^onigl.  Hof  und  Staatsdruckerei  MDCCCLVIII.  —  Due  arche 
.'he  si  conservano  nella  Cattedrale  di  Gratz,  con  intagli  di 
Nicola  e  Giovanni  Pisano,  dai  quali  il  Petrarca  tolse  Y  idea  dei 
moi  Trionfi.  Vienna,  dair  Imp.  R.  Stamp.  di  Corte  e  Stato.  — 
3p6ra  splendidamente  impressa,  ed  adoma  di  11  tavole,  rap- 
presentanti in  fotografia  le  Arche  di  Gratz.  —  Giamo.  Bolsa, 
che  voltò  in  italiano  il  lavoro  del  sig.  de  Steinbiichel,  in  una 
Bua  lettera  al  cons.  de  Auer,  combatte  la  congettura  che  il 
Petrarca  avesse  tolto  dai  succennati  lavori  V  idea  de'  suoi  ' 
Trionfi. 

Varchi  Benedetto,  Lezione  sopra  quei  versi  del  Trionfo 
(V  Amore  del  Petrarca:  Quattro  destrier  (i,  v.  22).  Prose  varie, 
Firenze,  Pezzati,  1841,  u,  17-39. 

Jacopo  di  messer  Poggio,  a  Lorenzo  di  Piero  di  Cosimo 
de'  Medici,  Sopra  al  triompho  della  Fama  di  messer  Francesco 
Petrarca.  Firenze,  Bonaa»«i,  1485.  L'Autografo  si  conserva 
nella  Vaticana. 

Patrizio  Francesco,  da  Chers  (n.  1529,  m.  nel  Feb.  1597), 
Lettura  sopra  il  Sonetto  del  Petrarca:  La  gola  e  il  sonno  e 
rosiose  piume  (son.  i,  p.  4).  Nella  Città  Felice,  Venezia,  Grìffio, 
1553.  »  Rinuccini  Annibale,  Lezione  sopra  il  medesimo  sonetto 
detta  air  Accad.  Fior.  U  5  Aprile  1543,  Consolo  Piero  Covoni, 
Firenze,  Torrentino,  1561.  —  VarcW  Benedetto,  Lezione  detto 
all' Accad.  Fior,  il  15  Aprile  1543.  NeUe  Prose  Fior,  u,  p.  2, 
e  negli  Opuscoli  ined.  o  rari,  Firenze,  Poligrafia  ital.  184^ 

45 

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714  IL  CANZONIERE  * 

I,  203-25.  —  Giacomini  Tebalduccì  McUespini  Lorenzo,  Sp- 
aizione  del  Sonetto  :  La  gola, . . .  Tratta  da  un  mas.  del  a> 
avv.  Luigi  Bollini,  Vice-segr.  dell'  Archivio  Generale  di  FlreEJi 
Firenze,  Stamp.  Borgo  Ognissanti,  1808;  Opere  ined.  dì  cekir 
autori  Toscani,  Firenze,  1837,  i,  145.  —  Discorso  sof»^  . 
settimo  Sonetto  del  Petrarca:  La  gola,.,  di  Alessio  Porri.  ^c\ 
nezia,  Nicolini  Da  Sabbio,  1596.  —  Menagii  Mgìdiì  historìa  m 
lierum  philosopharum,  accedit  ejusdem  commentarius  itali  . 
in  VII  Son.  Fr.  Petrarcae.  Lugduni,  apud  Ànissonios,  1(^>- 
nelle  sue  Mescolanze^  Rotterdam,  Leers,  1690;  Ven^ia,  P^^ 
squali,  1730.  —  Sorio  Bartolommeo,  Lezione  Accademica.  Ri 
vista  Ginnasiale,  Maggio-Giugno,  1853,  p.  313-23.  —  V  Alfit-r^ 
lo  nota  tutto. 

Rinuccini  Annibale,  Lezione  sopra  il  sonetto:  Gloriiys\ 
Colonna  (ii),  detta  all'  Accad.  Fiorentina,  Consolo  Piero  Covorij 
1559.  Firenze,  Torrentino,  1561. 

De  Sade,  sur  la  Ghanson:  O  aspettata  in  del  (i),  et  /i 
sonet  :  Il  successor  di  Carlo  (vi).  Note  ix,  v.  i,  p.  58.  —  Il  Ma^ 
ratori  dice  che  in  questa  Canzone,  gravissima  e  insieme  rjn 
ghissima,  ci  è  dentro  il  poeta:  ci  è  leggiadria,  estro  e  un  certd 
finito  da  per  tutto.  Per  il  Sismondi  è  la  più  splendida  e  k  p-'i^ 
entusiastica  ;  ed  è  pur  quella  che  più  si  avvicina  all'  ode  antica-j 
Anche  il  Macaulay  la  ripone  tra  le  più  belle.  Fu  imitata,  o  pìn 
tosto  copiata,  dal  Transillo  in  quella  sua  che  comincia  AU-- 
reale  e  di  maggiore  impero,  indirizzata  a  Carlo  V  per  la  gueiri 
del  1557  contro  Solimano.  11  Carducci  la  vuole  diretta  a  Gia- 
como Colonna,  vescovo  di  Lombès. 

Canz.  li.  Spirto  gentil  che  quelle  membra  reggi.  Sull'  ini^-- 
rizzo  di  questa  Canzone  si  è  disputato  assai.  Il  Yellutello  n 
il  primo  che  la  tenesse  intitolata  a  Cola  di  Rienzo,  seguito  p> 
scia  dal  Gesualdo  e  dal  Minturno.  Il  tribuno  conservò  ÌQ<^' 
sputato  il  possesso  della  canzone  fino  al  1764  ;  nel  qual  an-'*? 
il  De  Sade  fece  prova  di  ritorglielo  e  di  assegnarlo  in  vece  ^ 
Stefano  Colonna. 

Tennero  pel  Cola:  Gabrini p.  Tommaso,  Commento  sopra 
il  poemetto  Spirto  gentil  che  il  P.  indirizzò  a  Niccola  di  Lo- 
renzo, tribuno,  Roma,  Fulgoni,  1808.  —  Zefirino  Re,  ConiiB- 
sulla  Canzone  del  P.  Spirto  gentil,  in  appendice  alla  vita  di  Coh 
di  Rienzo  scritta  da  incerto  autore  del  sec.  XIV,  Forlì,  Bordali- 


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COMENTI  PARZIALI.  715 

dini,  1828,  e  Firenze,  Le  Monnier,  1854,  p.  303;  F,  Papen- 
cordty  Cola  di  Rienzo  e  il  suo  tempo,  traduz.  di  Gar,  Torino. 
Pomba,  1844,  p.  329.  Ad  essi  fecero  eco  il  Bulioer,  Rienzo  e 
r  ultimo  dei  Tribuni  ;  il  Reumonty  Romische  Brìefe  von  einem 
Florentiner  ;  il  Gregorovius,  Gesch.  d.  Stadt  Rom  im.  m.  a  vi, 
—  Solo  fra  i  moderni  a  rimettere  in  campo  1'  opinione  del  De 
Sade,  contro  tanti  favoreggiatori  del  tribuno,  fu  il  prof.  S.  Betti 
(Lettera  a  Fer.  Ranalli,  Giom.  Arcad.  voi.  cxxxv,  1854;  ripro- 
dotta con  emendamenti  ne'  suoi  Scritti  vari ,  p.  67,  Firenze , 
Torelli,  1856).  Gli  risposero,  contraddicendo,  il  Re  (Sulla  can- 
zone del  P.  che  incomincia  :  Spirto  gentil.  Nuove  osservazioni, 
Fermo,  Ciferri,  1855,  e  I  Biografi  del  P.  RagionamentOy  Fer- 
mo, Ciferri  1859),  e  Gius.  Fracassetti  (Sulla  canzone  del  P. 
che  incomincia  Spirto  gentil,  nello  Spettatore  di  Firenze,  a.  i, 
n,  16  e  17,  Maggio  1855,  e  Lett.  Fam,  di  Fr.  Petrarca  voi- 
garizz.  vii,  7,  in  nota  ;  ii,  197,  e  anche  nella  nota  alla  xlviii, 
Yarie,  v,  413).  —  Non  si  perse  d' animo  il  Betti,  e  Topinion  sua 
e  del  De  Sade  confortò  d'altre  prove  in  un  Dialogo  pubbl.  nel 
1859  {Criom.  Arcad.  t.  xxxvi  della  nuova  serie),  e  ristampato 
(Roma,  Tip.  delle  Belle  Arti)  nel  1864,  con  molte  aggiunte. 
Anche  C.  Gantù  crede  che  cosi  facilmente  non  si  possano  met- 
tere da  banda  le  ragioni  del  Betti  (Archiv.  Stor,  Lomb.,  1874, 
fase.  ih).  —  Il  Carducci,  da  ultimo,  se  ne  fece  validissimo  pro- 
pugnatore, assegnando  questa  canzone  air  a.  1335,  e  dandola, 
anch'  egli,  indirizzata  a  Stefano  Colonna  il  giovine  (Rime  del  Petr. 
34-61).  —  Quelle  venti  pagine  in  cui  il  Carducci  dimostra  che 
questa  Canzone  è  diretta  a  Stefano  Colonna,  il  giovine,  sono  un 
modello  di  erudizione,  di  critica  e  anche  di  gusto.  —  Io  ne  ho 
animirato,  scrive  al  Fracassetti  T  egregio  prof.  D' Ancona,  V  in- 
gegno sottile   e  la  molta  facondia  nel  sostenere   la  causa  del 
suo  Stefon uccio  Colonna  :  tale  invero,  che  la  maggior  parte  dei 
lettori  avrà  certamente  concluso,  dopo  si  eloquente  difesa,  che 
non  ad  altri  è  diretta  la  Canzone  Petrai'chesca.  Se  non  che  al 
D'  Ancona  cotesti  ragionamenti  non  hanno  scossa  una  fede, 
raccomandata  a  troppi  e  troppo  validi  argomenti,  e  si  mantien 
sempre  fermo  nell'  opinione  che  il  Petrarca  parlasse  in  questa 
Canzone  a  Cola,  non  ad  un  Colonna.  E  Cola,  conchiud' egli , 
effettivamente  sali  il  monte  Tarpeo,  effettivamente  prese  in 
mano  r  onorata  verga,  effettivamente  esercitò  F  alto  ufficio  nel 

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716  IL  cArfzoNnRB 

47;  da  lai  veramente  si  poteva  sperare  quella  restaurazioB* 
della  romana  fortuna  e  sin  dell'universale  dominio,  che  fos^- 
descritte  nella  canzone;  laddove  Stefanuccio,  se  fu  Senatore  :vw 
35,  fu  tale  soltanto  In  mente  pontificis;  e  di  questa  bob  ^ 
resta  niun  autorevole  interprete.  Resta  da  sapere  se  ai  fìtmc?-. 
di  Stefanuccio  accomoderebbe  di  porre  la  Canzone  aJ  1342  as- 
zichè  al  35;  ma  in  tal  caso  perdono  di  valore  la  maggior  psrt- 
delle  loro  argomentazioni,  nelle  quali  strettamente  si  coUegas; 
il  personaggio  e  Tanno:  come  rimarrebbe  sempre  la  sconr?- 
nienza  di  volgersi  ad  uno  dei  rettori  di  Roma,  mentre  due  er^z** 
essi,  e  Tuno  spingere  contro  T altro.  Aless,  D^ Ancona^  I>r. 
personaggio  al  quale  ò  diretta  la  Canzone  del  Petrarca  :  Spir^- 
gentil^  Ste&nuccio  Colonna  o  Cola  di  Rienzo?  al  chiarìss.  c:.t. 
Giuseppe  Fracassetti  a  Fermo,  Pisa,  12  Maggio  1876  (1).        1 

Sperò  nel  Colonna,  sperò  nel  Rìenzi,  e  quella  sua  Canzoc- 
ch'è  tra  le  sue  più  belle  a  quale  dei  due  fosse  indiretta  dol 
è  ben  chiaro ,  tanto  son  validi  gli  argomenti  da  entrambe  k 
parti,  quasi  da  credere  che  V  avesse  prima  ideata  per  anìmart 
a  prò  d*  Italia  il  Colonna,  e  poi  finita  quando  il  Tribuno  tes- 
tava un  impi*esa  troppo  rispondente  ai  voti  ed  ai  sogni  cari 
deir  anima  del  Petrarca  (G.  Capponi,  Storia  della  Rep.  di  Fir. 
ni,  9,  359). 

La  canzone  ha  tutta  Farla  dMndirìzzarsi  ali* esecutore  àA 
suo  ideale,  al  futuro  ristoratore  della  grandezza  di  Roma.  Casi 
questa  Canzone,  che,  a  giudizio  del  Voltaire  (Essaìs  sur  les 
moeurs,  Chap.  lxviii),  è  la  più  bella  poesia  del  Petrarca,  avrebbe 
cantato  un  pei*sonaggio  ideale,  più  che  storico;  o  se  un  per- 
sonaggio vero  e  reale,  tanto  controverso,  come  il  famoso  veltro 
dell*  Alighieri.  E  per  vaticinio  fu  interpretata,  se  vogliamo  ci*e- 
dere  al  Macchiavelli,  da  quello  Stefano  Porcari,  il  quale. appli- 
cando a  sé  la  profezia  del  poeta,  ritentò,  un  secolo  dopo,  con 

(1)  Francesco  Baron celli,  ambasciatore  del  popolo  e  del  tribuno  romano 
alla  repubblica  di  Firenxo ,  recitava  nel  Consiglio  di  quel  comune  una 
orazione  tutta  infiorata  di  concetti  e  di  parole  tolte  in  prestito  a  <{U(ìsta 
Canzone.  Al  Fracassetti  questa  orasione  offre  ar^niento  a  favore  £  Cola, 
e  al  Carducci  contr'  esso.  Il  prof.  D*  Ancona  la  ritiene  un  documento  apo- 
crifo, da  non  doversi  perciò  citare  né  prò  né  contro.  Esso  mi  ha,  egli  dio?, 
tutta  r  aria  di  uqa  esercitazione  retorica  di  età  posteriore ,  come  ve  n*  ha 
tante  altre  tratte  da  avvenimenti  storici,  nel  roraio  evo  e  nei  primi  tempi 
del  rinascimento.  Non  T  inventò  certo  quell'impostore  del  Doni,  che  primo 
la  pubblicò;  ma  opinerei  ohe  fosse  opera  di  un  conoscitore  deUe  rime  del 
Petrarca  e  dei  fatti  di  Rienzi,  vissuto  forse  alquanto  più  tardi. 


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COMBNTI   PARZIALI.  717 

a.rd  infortunio,  T impresa  fallita  di  Cola  di  Rienzi.  —  Prof. 
^zorentino.  La  Filosofìa  di  Fr.  Petrarca,  p.  47. 

AvcUle  C,  Comento  alla  Canzone  .Spirto  gentil.  V  Insti tu- 
or-e  di  Torino,  1873.  —  V.  De  SanctiSy  Saggio  critico,  167 
t   172;  Fomacdari  L.,  Esempi  di  bello  scrivere  in  poesia,  ecc. 

Borisi  Lelio,  Sposizione  sopra  il  Sonetto:  L* aspettata  virtù 

xTi),  letta  da  lui  pubblicamente  neir  Accad.  Fior,  il  di  6  Luglio 

o49,  Consolo  Frane.  D'Ambra,  Firenze,  Giunti,  1560.  — Ge//i 

Criambatista,  Sposizione  dello  stesso  Sonetto,  Consolo  M.  Bar- 

:oli,  1548.  Fra  le  lezioni  del  Qelli. 

Be  Marsili  Luigi,  Comento  a  una  Canzone  di  Frane.  Pe- 
tx-arca  (Italia  mia,  iv),  Bologna,  Romagnoli,  1863.  Scelta  di 
curiosità  lettor,  o  rare,  Disp.  36;  Ediz.  di  soli  200  esempi. — 
La  Gioventù,  1864,  p.  179. 

Luigi  de  Marsili  di   Firenze,  fu  frate  conventuale  dell* or- 
dine di  S.  Agostino ,  dottissimo   nella  filosofia  e  nelle  buone 
lettere,  maestro  celebrato  di  scienze  sacre,  amico  a  quanti  sa- 
pienti aveva  V  Italia,  amicissimo  al  Petrarca.  A  lui  morto,  nel 
1 394,  furono  fisitti  solenni  funerali  per  deliberazione  de'  consoli 
deir  arte  della  lana,  e  sepoltura  onorevole  in  S.  Maria  del  Fiore, 
dove  lo  dipinse  giacente  sulla  tomba  Neri  di  Bicci.  €  Questo 
commento  noi  togliemmo,  scrive  il  benemerito  edit.  prof.  Carlo 
GargioUi,  da  un  codice  Strozziano  della  Magliabechiana ,  che 
^  il  n.  40  del  Palch.  ii.  E  siamo  certi  che  quanti  amano  la 
letteratura  del  sec.  XIV,  e  ne  studiano  con  accurata  critica  la 
storia  ed  i  monumenti,  faranno  buon  viso  a  questa  nuova  scrit- 
tura, eh* è  loro  offerta;  perchè  in  essa  troveranno,   oltre  ai 
pregi  soliti  della  lingua,  un  documento  curioso,  spiegata  cioè 
nel  concetto  cirile  e  comentata   storicamente  questa  celebre 
canzone  del  Petrarca,  da  uomo  autorevole  come  il  Marsili;  il 
quale  dopo  di  aver   nelle  Lettere,  alzato   una  voce  contro  la 
corruzione  della  Corte  romana,  raccomanda  in  questo  breve 
lavoro  a  tutti  gì'  Italiani  la  concordia  affine  di  essere  indipen-t 
denti,  e  grida  loro  col  Petrarca  ciò  ohe  noi  dopo  quasi  cinque 
secoli  vorremmo  gridar^  ai  figli  deir  Italia  nuova  :  Pace,  pace, 
pace.  >  —  Di  Lud.  Marsili  V.  Petrarca,  Sen.  L.  xv,  lett.  6  e  7  ; 
FracassetU,  Sen.  n,  p.  427.  —  Tosini  ab.,  bolognese.  La  libertà 
d'Italia  dimostrata  a'  suoi  Principi  e  Popoli.  Amsterdam,  Josuè 
Steenhouwer  e  Germano  Uytwarf,  1720.  —  Nel  a  voi.  a  p.  439, 

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718  IL  GAMZONIBBB 

Ti  ha  la  canzone  Italia  mia,  preceduta  da  un  proemio,  e  se- 
guita da  alcune  brevi  note.  •—  Salvini  Anton  Maria^  Espa» 
zione,  ecc.,  nelle  Prose  Fiorentine,  Firenze,  Mannì,  1735.* 
De  Sade,  eur  la  Chanson  Italia  mia,  Note  xi,  volume  i,  p.  Oà 
—  Bustelli  Giuseppe,  Su  la  Canzone  del  Petrarca  allMulU. 
Considerazioni  lette  nel  R.  Liceo  Spedalieri  di  Catania  per  la 
conferenza  del  giovedì  1.°  d* Aprile  1869.   Catania,  Caronda, 
1869  (1).  —  Fazio  GiroUmo,  forìere  dei  Bersaglieri,  Le  due 
piti  famose  Canzoni  air  Italia  di  Fr.  Petrarca  e  di  G.  Leopardi, 
confrontate  ed  illustrate,  Esercitazione  letteraria.  Modena,  M- 
cenzi,  1873. 

.  «  Tutti  i  comentatori  sono  d'  accordo  nell'  esaltare  questi 
canzone,  da  cui  versi  pieni  dei  gemiti,  e  dei  fremiti  di  ta&n 
secoli  cosi  acceso  prorompe  T  amore  alla  patria   e  Todio  agii 
oppressori  stranieri,  che  ebbe  virtù    di  scuotere  sin    le  fibre 
coriacee  de*  vecchi  interpreti  :    qualche   cosa  che  somiglia  un 
brivido  guizza  per  quella  lenta    lor  prosa:  ognuno  ha   il  suo 
accento  di  sdegno  contro  i  tedeschi,    contro  i  barbari,  e  il 
Filelfo  grida:   Se  gì' Italiani  vogliono    essere  insieme,  tutto  ì 
mondo  non  gli  potrebbe  nuocere.  >    —    Carducci.  —  «  Da 
questo  canto  cominciano  le  imprecazioni    degl'italiani  contro 
gli  stranieri^  contro  i  tedeschi  specialmente,   dai  quali  natura 
providamente  ci  avea  diviso  con   lo  schermo    delle  Alpi;  e 
mentre  Dante  impreca   contro  Albeilo  tedesco   perchè  ha  la- 
sciato deserto  il  giardin  dell'impero,  il  Petrarca,  dopo  aver 
invocato  Carlo  IV,  in  quanto  gli  pareva  più  romano  che  boemo, 
ora  vuole   ad  ogni   patto   sequestrare  il  popolo  italiano  dalla 
tedesca  rabbia.   Questo  canto  visse  nella  coscienza  del  nostro 
popolo  durante  i  lunghi  secoli  di  schiavitù,  e  i  nostri  giovani 
impararono  a  detestare  lo  straniero  con  la  più  dolce  delle  can- 


(1)  Non  vuole  imitare  la  bravura  di  certi  suoi  oonosoenii ,  abilissimi , 
cicalo^giando  e  sottili ssando ,  a  oscurar  le  cose  chiare.  In  iscambio ,  ei 
dice,  10  verrò  scegliendo  alcuni  luoghi  notabili  dal  lato  filologico  e  a  (mesti 
apporrò  qualche  noterella  :  alcuni  altri  che ,  i>er  essere  meno  agevodi  del 
mmanente,  domandano  chiosa  letteraria  o  istorica .  chioserò  :  e  fiaalmenie 
noterò  alcune  tra  le  più  osservabili  finesse  e  bellezze  di  senUmeoU  e  di 
elocuzione  :  e  perchò  venero  1  Santi,  ma  non  mi  curvo  a  neuun  idolo,  se 
in  qualche  luogo  io  non  sia  contento  del  poeta,  riverentemente  lo  confes- 
serò. —  Le  son  Cofuiderajtioni  dettate  con  molto  brio  e  moàto  acume  di 
critica:  i  sali  samosatensi,  onde  son  condite,  non  poterono  non  renderle 
gradite  a*  suoi  discepoli  ;  di  tal  guisa  Non  lor  /te  gtrtw ,  ma  fta  ìor  di- 
letto, Qttanto  natura  a  sentir  li  dispone. 


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COMENTI  PARZIALI.  *  719 

zoni.  TvitV  i  canti  del  Petrarca  non  valgono  questo  solo,  se  si 
g'uarda  air  utilità  politica  che  se  n'è  cavata;  e  fu  il  più  mo- 
derno, che  avesse  scritto  il  poeta,  e  quello,  pur  troppo,  che 
per  le  non  mutate  nostre  condizioni  pa  rve  sempre  più  a  pro- 
posito. Quale  lezione  non  era  a  noi  la  rimembranza  di  Mario, 
quando  i  tedeschi  si  accampavano  ancora  fra  il  Mincio  eTA- 
dige?  »  F.  Fiorentino.  —  Nella  Canzone  air  Italia,  fresca,  ani- 
mosa, alata,  dove  il  cuore  palpita,  le  idee  splendono,  T  entusiasmo 
manda  scintille,  egli  sorge,  e  s*  inalza  interprete  di  un  popolo 
intero,  pon  la  mano  nei  capelli  della  patria,  la  scuote,  ne  desta 
le  fibre  più  dolorose  e  vitali,  e  sente  anche  lui  V  aria  che  spira 
dalle  ragioni  dell'avvenire.  Aleardi.  —  Cette  cannone  est  une 
des  plus  belles  productions  de  la  Ijre  italienne.  La  gravitò  du 
stjle  y  répond  à  celle  de  la  matière.  Tout  y  est  noble  et  revétu 
d' une  sorte  de  majesté.  Àu  lieu  de  figures  vives  et  brillantes , 
ce  soni  des  images  et  des  pensées  pleines  de  magnificence  et 
de  dignitó. . . .  Voilà  de  ces  traits  natignaux  que  tout  un  peuple 
répète  avec  orgueil,  et  qui  V  attachent  au  nom  d*  un  poete  par 
d' autres  sentiments  que  ceux  qu'  on  a  pour  de  beaux  vers.  — 
Ginguené,  Hist.  litt.  d' Ital.  i,  p.  eh.  xiv.  —  Il  Méziòres  la  chiama 
le  véritable  chant  national,  la  Marseillaise  de  l'Italie.  —  Ce  poèta 
de  la  tendresse  a  été ,  en  méme  temps ,  le  primier  lyrique  de 
1* Europe  moderne;  le  primier,  il  a  trouvé  des  sons  qui,  pour 
les  contemporains,  avaient  tonte  la  force  du  plus  généreux  pa- 
triotisme;  et,  je  le  répète,  lorsque  tant  de  sièdes  ont  passò,  cette 
poesie  est  tellement  naturelle  aux  Italiens,  a  gardé  tant  de  sym- 
pathie  avec  leurs  àmes,  que  la  conquéte  et  le  pouvoir  craignent 
encore  de  Tentendre,  et  ne  la.laissent  pas  réciter  impunément. 
C*est  une  réponse  au  reproche  vulgaire  de  fEuleur  et  de  moU 
lesse.  Villemain,  Tabi.  d.  la  litter.  au  moyen  àge,  ii  lec.  13. 

E  ben  sei  sapeano  i  reggitori  austriaci  che  per  tanti  anni 
ci  stettero  sopra  capo.  S.  E.  il  Ministro  del  culto  e  della  pub. 
Istruzione  co.  di  Thun,  con  sua  nota  dell'  undici  Lugl.  1853, 
n.  '^  partecipava  al  prof.  Carrara,  che  dal  ms.  del  1®  volume 
della  sua  Antologia  italiana,  proposta  alle  classi  de'  Ginnasi  Li- 
ceali (Vienna,  Ueberreuter,  1853),  erano  state  tolte  le  Canzoni 
politiche  del  Petrarca,  e  segnatamente  quella  all'  Italia,  nò  per 
quanto  vi  si  adoperasse,  non  fu  verso  che  venissero  accolte!! 
Io  tengo  copia  del  Dispaccio  Ministeriale  austriaco. 

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720  IL  OANZONIBRB 

n  Carducci  con  ricchezza  di  prove  storiche  rafforza  e  recm 
alla  suprema  evidenza  V  opinione  del  De  Sade  che  la  Canzoi»: 
fosse  composta  dal  Poeta  nel  tempo  della  sua  seconda  dim<»« 
in  Parma,  neU*  inverno  dei  1344-45.  , 

V.  De  Sanctis,  Saggio  Critico,  172-181.  ! 

Viani  Prospero,  sul  verso:  Alzando  il  dito  con  la  moff^\ 
scherza,  Dizion.  dei  pretesi  Francesismi,  voi.  P,  Firenze,  .Le  Mou- 
nier, 1858,  p.  464-467.  I 

€  Gli  antichi  espositori  del  Petrarca  notano  concordeaiest€ 
che  alzare  il  dito  significa  prometter  la  fede,  però  V  esposizioii^ 
de*  più  moderni  circa  questa  forma  di  dire  ò  discorde,  confuss, 
coihe  di  chi  va  tentone,  stiracchiata.  Ei  prova  con  molti  esempi 
che  alzare  il  dito  significhi  giurare.  —  Alzando  la  manOy  qual- 
mente quest'atto  fosse  forma  di  giuramento  tutta  propria  dei 
Ghibellini.  >  Panni  molto  più  che  probabile  ch'arancio  ildifo 
non  significhi  provocar  la  morte  come  si  usa  con  certe  bestiolinp. 
0  far  come  i  ragazzi  che  accostano  il  dito  al  fuoco  e  poi  Io 
ritraggono,  ma  sia  il  (oliere  digitum  che  i  latini  dicevano  per 
confessarsi  vinto,  per  rendersi;  tratto  dai  gladiatori,  i  quali 
vinti,  con  T alzare  del  dito,  domandavano  grazia  al  popol>x 
Carducci,  —  E  air  interpretazione  del  Carducci  consuona  qoelis 
del  Bustelli. 

Sonetti  sulla  Babilonia  papale.  —  Ferrucci  L.  Qrisostomo. 
La  Babilonia  del  Petrarca,  Opusc.  Relig.  Lettor.  Mor.  ùì 
Modena,  IP  Serie,  x,  264.  —  La  dissertazione  del  Ferrucci  è 
ìntessuta  di  tratti  delle  Epistole  del  Petrarca,  da*  quali  risulta 
ch'egli  applicava  ad  Avignone  la  denominazione  di  Babilonia. 
ed  era  pieno  di  riverenza  ed  amore  per  Roma.  —  Montanini 
Giusto,  Dell'Eloquenza  libri  tre,  con  note  di  Apostolo  Zeno. 
Ne  parla  a  lungo.  -—  Carducci  Giosuè,  Saggio,  p.  138-159. 
—  Frate  Paolo  Angeli,  nel  suo  libro  sulla  riforma  della  Chiesa 
(s.  1.  ed  a.),  a  Papa  Clemente,  vi  inseriva  i  quattro  sonetti 
contro  la  corte  di  Roma. 

Quatiromani  Sertorio,  Lettere  a  Fabritio  Marotta,  Napoli. 
Scoriggio,  1624.  —  <  Intorno  alla  contenenza  che  V.  S.  desidera 
di  sapere  del  sonetto  del  Petrarca  die  incomincia  :  Ahi  che  fu 
quel  eh*  io  vidi  entro  un  bel  viso,  è  questa.  Essendo  Laura  in 
campagna  in  compagnia  di  altre  Donne,  si  pose  a  passare  uo 


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COMKNTI  PARZIALI.  '  721 

lumicello  8tt  le  pietre,  e  cavandosi  i  pianelli,  mostrò  le  scar- 
lette,  che  erano  di  color  bianco,  e  le  calzette  che  erano  ver- 
oi^lìe,  e  il  Petrarca,  che  era  nascoso  in  una  fratta  vide  da- 
»resso  o^i  cosa.  Trasse  poi  questo  sonetto  dal  suo  canzoniero, 
t  perchè  non  gli  paresse  simile  a  gli  altri  suoi,  o  perchè  il 
c^^etto  non  fosse  molto  lodevole  e  degno  di  esser  posto  in 
crittura.  »  M.  p.  7.  —  La  lettera  porta  la  data  di  Cosenza  a 
tS  di  Agosto  1599. 

Gelli  Giambatista y  Lezione  sopra  il  sonetto:  Donne  mi 
\tene  spesso  alla  mente,  È  V  undecima  delle  Lezioni  dette  al- 
•  Accad.  Fior,  sopra  vari  laoghi  di  Dante  e  del  Petrarca.  Fi- 
•enze,  Torrentino,  1549. 

Carrari  Vicenso,  di  Ravenna,  Accademico  Animoso  di  Pa- 
lova,  Esposizione  della  Canzone  del  Petrarca:  Quel  e' ha 
lastra  natura  in  sé  più,  degno,  Macerata,  Martellini,  1577. 
>er  Azzo  da  Coreggio  e  pe*  suoi  fratelli  Guido,  Simone  e  Gio- 
vanni, quando,  cacciate  da  Parma  le  milizie  di  Mastino  della 
;cala,  furono  gridati  dal  popolo  signori  della  patria.  —  Il  dott. 
jortia  chiama  questa  espositione  notevole  per  molti  coment! 
torici  dichiarativi  di  una  Canzone  che  allude  cosi  spesso  alla 
itoria  del  tempo.  >  —  Parma  liberata  dal  giogo  di  Mastino 
Iella  Scala,  addì  21  Maggio  1341,  Canzone  politica  di  Frane. 
Petrarca  nuovamente  esposta  e  ridotta  a  miglior  lezione  dal 
>rof.  Francesco  Berlan,  Bologna,  Romagnoli,  1870  (Disp.  av. 
Iella  Scelta  di  Curios.  Lettor,  ined.  o  rare).  Lavoro  notevole, 
>  pei  cenni  storico-critici,  e  per  la  ricca  esposizione,  e  pei  raf- 
fronti con  altre  rime  del  Petrarca,  e  di  Dante. 

La  cementò  pure  nel  sec.  XVI,  Francesco  Vedova ,  pado- 
vano, (n.  1563,  m.  1608).  —  Il  mss.  conservasi  in  aulographo 
TieditaUùnum  etrtuscarum  aticloris.  —  Questa  canzone  non  è 
"ra  le  altre  rime  che  il  P.  approvò,  corresse  e  raccolse  e  che 
>utte  insieme,  quali  egli  le  lasciò,  sono  quel  che  oggi  dicesi  il 
Canzoniere. . . .  Potrebbesi  credere  ch*ei  la  lasciasse  in  disparte, 
perchè  Y  impresa  dei  Correggi  si  chiarì  pur  troppo  diversa  da 
[quella  eh*  egli  1*  avea  predicata,  perchè  il  lor  principio  cascò  a 
:roppo  vii  fine —  Forse  è  da  credere  che  il  P.  non  rifiutasse, 
xia  obliasse,  questa  canzone:  forse  non  la  giudicò  degna  di  so 
in  ogni  parte. ...  La  quale  io  non  oserei  riporre  nel  canzo- 
niere; ma  dììedo  perdono  alia  memoria  di  Fr.  Petrarca  dd 

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722  IL  CANZOmBRB 

renderle  qui ,  in  un  edizione  a  parte ,  un  pò*  del  suo  Itu^  : 
un  po'  d' aria  e  di  luce  fra  le  altre  rime  dì  vtzrio  argomat 
Ella  è  certo  creatura  del  P,  meno  fortunata  di  altre  80t^ 
sue,  ma  non  di  tutte  men  degna  e  m  en  bella.  Bla  non  ebbe. 
la  povera  obliata  natagli  nel  tumulto,  ella  non  ebbe  le  cans' 
delle  altre;  e  a  punto  per  questo  può  riuscire  a  qualcuno  d«£ 
incuriosa.  A  ogni  modo  non  mi  è  dato  T  animo  di  lasciar? 
nella  oscurità  una  canzone  che  di  libertà  tratta  cosi  altamede 
simili  accenti,  e  così  di  cuore,  non  abbandonano  di  troppo  u^U 
lirica  italiana.  »  Carducci,  V.  id.,  Rime  di  Fr.  Petrarca,79-^ 

VeraiH  Bartolommeo^  Di  due  neglette  poesie  del  Petrara. 
Opusc.  Rei.  Letter.  e  Mor.  di  Modena,  Serie  II*,  t.  vii,  S^t  e- 
Ottobre  1868,  p.  286-295. 

È  runa  la  ballata  che  comincia  Donney  mi  viene  spes^ 
alla  mente,  di  genere  allegorico,  che  trovasi  In  codici  otṭ- 
e  stimatissimi  del  Canzoniere ,  c?ie  non  dee  punto  fior  parti 
delle  Rime  rifiutate ,  a  torto  negletta  dal  Marsand  e  da^  sud 
copiatori  e  seguaci,  quasi  lavoro  rifiutato  e  rifiutabile  dal  P<^ 
trarca.  L' altro  componimento,  di  che  discorre  il  chiar.  Veraià 
è  la  Canzone  Quel  (fha  nostra  natura  in  se  più  d^no,  in 
lode  di  Azzo  da  Correggio:  €  se  non  perfetta  da  principio, 
piena  per  altro  di  fulgentissime  bellezze  ;  e  solo  non  assc^gel- 
tata  alla  paziente  lima  del  poeta,  e  però  rimasta  quale  di  primo 
getto  gli  era  venuta  fatta.  Azzo  non  rispose  alle  belle  speranze 
di  lui  concepitesi,  onde  il  Poeta  avvedutosi  che  le  lodi  poste 
nella  sua  Canzone  divenivan  si  opposte  a  fatti  pubblici  e  no- 
torii,  da  dover  apparire  un'  adulazione  vilissima,  non  si  curò 
più  di  pulirla,  anzi,  per  quanto  era  da  lui,  la  volle  nell*  obli- 
vione, non  come  lavoro  immeritevole  e  non  suscettivo  di  lima, 
ma  per  riguardo  air  amico  le  cui  lodi,  per  colpa  di  lui  mede- 
simo, si  erano  tramutati  in  biasimi.  » 

Gualtieri  Pietro  Paolo,  La  corona  di  gramigne,  e  una  tej> 
Zina  del  Petrarca.  Venezia,  Alvisopoli,  1821. 

Martirani  Corioìano,  Amore  fa  gli  uomini  balordi,  Co- 
mento  a  una  terzina  del  Petrarca.  Venezia,  Alvisopoli,  1821. 

Esercizio  bellissimo  sai*ebbe  quello,  non  v*  à  dubbio,  di  met- 
tere a  un  sincero  e  diligente  paragone  quei  luoghi   die  nel 

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OOMBNTI  PARZIALI.  723 

Canzoniere  sMlIustrano,  e  sono  Tuno  all'altro  compimento  di 
verità  e  di  bellezza.  Ma  non  solo  nel  Canzoniere  ci  è  dato  di 
trovare  il  Petrarca  il  migliore  interprete  di  sé  medesimo  :  con- 
cetti e  imagini  delle  rime,  osserva  bene  il  Carducci,  si  ritro- 
vano nelle  Famigliari,  nel  Secreto,  nelle  Bcloghe  e  nelle  Senili. 
Certi  tratti  dell'epistola  metrica  ad  Enea  senese,  scritta  nel  1330 
durante  V  impresa  di  Giovanni  di  Boemia,  son  ripresi  della  Canz. 
Italia  mia  scritta  nel  1345:  neir /iortotoria  stessa  v'ò  un  pen- 
siero della  canz.  per  la  liberazione  di  Parma  (Carducci,  Saggio, 
35  e  128).  —  Anche  il  prof.  Fiorentino  dice  le  opere  latine  il  più 
fedele  commento  del  Canzoniere.  —  Come  il  Petrarca  illustrasse 
sé  medesimo  nelle  Rime  è  agevole  il  vederlo  nella  mia  Fra- 
seologia (Manuale  Dant  voi.  i).  —  Potrei  citare  moltissimi  raf- 
[i'onti,  che  ne  ho  raccolto  una  buona  messe,  tra  le  Rime  e  le 
Dpere  latine;  ma  ne  darò  solo  un -piccolo  saggio. 

Ma  ben  veggi*  or  ai  come  al  popol  tutto  Favola  fui  gran  tempo:  onde 
sovente  Di  me  medesmo  meco  mi  vergogno.  Son,  i.  —  Un  tempo  fli . . . . 
Volgare  esempio  air  amoroso  coro.  Sem.  lxit.  —  Suntqne  Illa  pudori  Fa- 
bula quod  populo  fìierim,  digitoque  notatua,  Poem.  Min.y  n,  138.  Jamqae 
irsisse  pudet.  Id.  id.,  10.  •—  Hìnc  Illa  vulgaria  iuvenilium  laborum  meo- 
•um  cantica,  quorum  hodie  pudet  ac  poenitet.  Ep.  Fam.»  ni,  5S3. 

Gli  amorosi  rai,  che  di  e  notte  nella  mente  stanno,  Risplendon  si,  eh'  al 
[uintodecim*  anno  M*  abbaglian  più  che  il  primo  giorno  assai.  Son.  lxxi. 

—  Ah  demens,  ita  ne  flammas  animi  in  aextum  decimum  annum  aluisti. . . . 
lìe  Cont.  M.,  Dial.  m. 

Dall'  un  si  scioglie  e  lega  all'  altro  nodo  :  Cotale  ha  questa  malattia 
•imedio,  Come  d' asse  si  trac  chiodo  con  chiodo.  Trionfo  d'Amore^  ni,  64. 

—  Victus  amore  amor.  A/V.,  vi,  202.  —  Primum  igitur,  quod  ait  Cicero, 
lonuulli  veterem  amorem,  novo  amore,  tamquam  clavum  davo  excutiendum 
putant.  De  Cont.  M.,  Dial.  ni. 

Non  ho  midolla  in  osso,  o  sangue  in  fibra.  Ch'io  non  senta  tremar. 
STon.  cxLvi.  —  Jam  fomite  molli  Ignis  ad  extremaa  penetraverat  usque  me- 
lullas.  Poem.  Min.,  Ep.  Jacobo  de  Golumna,  in,  200. 

Una  donna  assai  più  bella  che'l  sole.  Canx.,  ni,  pag.  4,  st.  2.  — 
»iec  Phoebea  foret  veritus  certaminii  vultus   Judioe   aab  justo.  Aff'*  ▼> 

il.  —  O  delle  donne  altero  mostro Son.  lxxv,  p.  2.  —  Quae  tibi  «ww- 

r/ra  videre  Contigit.  A/V.,  v,  655  —  Forma  par  non  fu  mai . . .  Son,  Lxxxvin, 
).  2.  —  Formam . . .  parem  non  ulla  vid6bunt  Saecula.  Afr.,  v,  666.  —  Che 
ioìa  a  me  par  donna.  Canz.,  xi,  1.  —  Hoc  igitur  unum  scito,  me  aliud 
imare  non  posse,  assuevit  animus  illam  adamare,  assueveruni  oculi  illam 
ntueri,  et  quidquid  non  illa  est  inamoenom  et  tenebrosum  (Ucant.  ...De 
'Jontemptu  Mundio  Dial.  in. 

Onde  i  messi  d*Amor  armati  uscirò  Di  saette  e  di  foco.  Canz.  iv,  2. 
^  L'arme  tue  furon  gli  occhi  onde  l'accese,  Saette  oscivan  d'invisibijL 


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724  IL  CANZONfflRB 

foco.  Caiix.  n,  p.  2,  st  6.  ~  Oculis Unde  jacit  flamxnas  et  tiad»  W 

aagittas  lUe  puer.  Poem.  Min.^  in,  S28.  —  E  i  sooi  begli  oocbi  ond*«caBé 
£kvUle.  Canz.  ix,  6.  ^  Dulcia  sydereas  jactabant  Ofra  faviOas.  Potm. 
Min,,  I,  38.  Dulcibus  undantes  oculos  arsisse  faviliis.  Afr.  v,  188. 

Erano  i  capei  d' oro  a  l' aura  sparsi ,  Che*  n  miUe  dolci  nodi  g£  sr- 
volgea.  Son.  lxl  —  Le  chiome ...  Le  quali  ella  spargea  a  doioeDies^ 
E  raccogliea  con  si  leggiadri  nodi.  Son.  cxtxv.  —  Ardentesque  osa» 
bumeris  disperserat  aura.  Poem.  Min.,  i,  38.  Coma  densa  per  armos  Pto> 
tinus  ad  solem  ventìs  ferientibus  auram  Explicat  impexum.  Afr.,  ir,  3» 
e  ▼,  «5. 

Quella  e*  ha  neve  il  yolto,  oro  i  capelli.  Son.  clxit.  —  Candore  nìnL 
frons. . . .  Fulgentior  auro  Gaesarìes.  Afr.,  v,  32.  —  Le  bionde  trecce  sopa' 
collo  sciolte,  Ov' ogni  latte  perderia  sua  prova.  Cans.,7iu,t, — GaesarìesL. 
Colla  super  lactea.  Afr..  v,  Tt. 

Purpurea  vesta,  d*  un  ceruleo  lembo  Sparso  di  rose  i  belli  omeri  Tck 
&>n.  c^xxni.  —  Vedi  quant'arte  dora  e*mperla,  e'nnostra  L.*  abito  c^^stiOL 
Son.  CXL.  —  Aurea  sic  rutilo  fulgebat  murice  palla.  Poem,  Min.,  i,  ^ 

In  qual  parte  del  Ciel,  in  quale  idea  Era  V  esempio  onde  Natora  tols^... 
Son.  cvm.  —  Fa  de'  celesti  spirti  fede.  Son.  clxxv.  —  n  suo  bel  ns«k 
Che  solea  far  del  cielo,  E  dal  ben  di  lassA  fede  fra  noi.  Canx,  i,  p.  1 
st.  4.  *-  Syderei  exemplum  specimenque  decoris,  Quae  fmcet^a  ooosporta 
fldem,  super  astra  quìs  ipsis  Splendor  inest  superis,  qualts  quamque  alma 
venustat  Forma  deas.  Afr.,  v,  G31.  —  Con  quel  celeste  portamento  in  U*m. 
Canx.,  I,  6,  p.  2.  —  Noveris  amasse  animam,  rooribus  humana  trascsH 
dentibus  delectatum  quorum  exemplo  qualiter  inter  coelìcolas  vìvator  ad- 
moneo.  De  Coni,  jlf.,  Dial.  m.  In  cuius  adspectu,  si  quid  usquam  veri  e5^ 
divini  specimen  decoris  effulget,  cujus  mores  consumatae  bonesatìs  exem- 
plar  sunt.  Id. 

Non  era  l'andar  suo  cosa  mortale.  Ma  d'angelica  forma;  e  le  parole 
Sonavan  altro  che  pur  voce  umana.  Son.  Lxi.  —  L*  andar  celeste.  Son.  cux. 

—  Cujus  nec  vox,  nec  oculorum  rigor,  nec  incessus  hominem  repra^eatat. 
De  Coni.  M.,  Dial.  m.  —  Pedes  . . .  moveri  Mortali  de  more  neges.  Afr.,  v,  50- 

A  cui  del  ciel,  non  d' altro,  calse.  Son.  xLi,  p.  2.  —  Cujus  mens,  terre- 
narum  nescia  curarum,  coelestibus  desideriis  ardet.  De  Coni.  M.,  Dial.  m. 

—  Fior  di  virtù ...  eh*  ogni  basso  penaier  dal  cor  m*  avulse.  Son.  lxxxti. 

—  Illa  juvenilem  animum  ab  omni  turpitudine  revocavit,  uncoque,  ut  aiunt, 
retraxlt.  atque  alta  oompulit  spoetare.  De  Coni.  M.,  Dial.  in. 

Questa  sola  dal-  volgo  m'  allontana.  Canz.,  vii,  1.  ^  Me  a  vulgi  con- 
sortio  segrega vit.  De  Coni.  M.,  Dial.  ni.  —  Acerbo  ancor,  mi  trasse  alla 
sua  schiera.  Canz.,  in,  p.  4, 1.  —  Iroplomem  tepido ...  me  gloria  nido  Expolit. 
Poem.  Min.,  ii,  8.  —>  S' alcun  buon  fhitto  Nasce  di  me,  da  voi  vien  prima 
il  seme.  Canz.,  vi,  7.  -^  Salito  in  qualche  fama  Solo  per  me,  che  il  suo  in- 
telletto alzai  Ov' alzato  per  sé  non 'fora  mai.  Canz.,  vn,  p.  2,  6.  —  Noo 
sileo  me,  quantulumcumque  conspicis,  per  Ulam  esse,  nec  unquam  ad  hoc, 
si  quid  nominis  ant  gloriae,  fìiisse  venturum  nisi  virtutum  tenaisaimam 
sementem,  quam  pectore  in  hoc  natura  collocaverat  nobilissimis  bis  affec- 
tibus   coluisset.   De  Cont.  M.,  Dial.  m. 

Giunto  Alessandro  alla  famosa  tomba  Del  fero  Achille,  sospirando 
disse  :  O  fortunato,  che  si  chiara  tromba  Trovasti  e  chi  di  te  «I  alto  scrisse! 


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COMBNTI  PARZIALI.  725 

Son.  cxxxv.  —  Macetam  rex  magnus  aviti  Forte  videns  saxum  ifiacidae 
titulosqae  sepulcrì:  Fortanate,  inquit,  juvenis,  cui  nominis  illum  Prae- 
^onem  reperire  fuitl  Afr.^  L.  ix,  51.  Quiqne  quod  de  Achille  dixisse  fertur 
AJe^cander  Macedo,  suspirantesdicant:  O  fortunata,  quae  talora  praeconem 
tuae  TÌrtutis  invanisti!  Ep.  Fam.y  iv,  3.  —  Ti  scopre  le  sue  piaghe  a 
millo  a  mille,  Gh'  Annibale,  non  eh*  altri,  farian  pio.  Canz.,  ii,  p.  4,  st.  5. 
—  Potentem  Àusoniam  ducibus  poenis,  flendaroque  severo  Hannibali.  Poetn. 
JUtt^.j  n,  38.  —  E  Dante  neU*  epistola  ai  Cardinali  italiani.  Romam . . .  nunc 
I^Iannibali  ne  dum  aliis  miserandam. 

Yinae  Annibal,  e  non  seppe  usar  poi  Ben  la  vittoriosa  sua  ventura. 
San.  XI,  p.  4.  —  Potuisti  vir  fortissime  vincere:  scito,  sapientissime  vir, 
uti  Victoria.  Bp.  Fam.,  ni,  3. 

Ben  provide  Natura  al  nostro  stato  Quando  deU*Alpi  schermo  Pose 
fira  noi  e  la  tedesca  rabbia. . . .  Canz.^  iv,  p.  4,  st.  3.  —  A  quibus  nos  bene, 
quod  semper  in  ore  habeo,  ipsarum  jugis  Alpium  solerà  natura  secreverat. 
Ep.  al  Doge  Daridolo.  —  Àlpes  aérias  barbarico  oppositas  furori.  Sen.^ 
VII,  lett.  un. 

Arbor  vittoriosa  trionfkle,  Onor  d'imperatori  e  di  poeti.  Son.  ccv.  ~ 
O  fronde  onor  delle  famose  fironti,  O  sola  insegna  al  gemino  valore.  Son. 
ex.  —  Sont  laurea  serta  poetis,  Gaesaribusque  simul,  paArque  est  ea  gloria 
Qtrìsque.  Poem.  Min.,  n,  216.  —  Virenti  Fronde  duces  vatesque  simul  sacra 
tempora  dngunt.  Africa,  ix,  110. 

E  se,  nascendo,  a  Roma  non  fé' grazia,  A  Giudea  si....  jSSon.  iv.  — 
Poterai  non  in  Bethleem  vico  exiguo,  sed  Romae,  cui  Judaea  Inter  ceteras 
serviebat,  et  in  thalamo  aureo  nasci,  non  in  stabulo. . . .  Ep.  Fam.y  in,  2. 

Frutto  senile  in  sul  giovenil  fiore.  Tr.  Castità^  v.  8S.  ~  Sotto  biondi 
capei  canuta  mente.  Son.  clix.  —  Spoetate  senem  juvenilibus  annis. 
Africa,  IV,  386. 

Onde  meglio  è  tacer  che  dicer  poco.  Canz.  Quel  e*  ha  nostra  natura, 
st.  5.  —  Melius  tacere  quam  dicere  parum.  Epiat.  de  Reb.  Fam.,  m  ; 
Appen.,  Bp.,  vi. 

Ben  vedi  ornai  siccome  a  morte  corre  Ogni  cosa  creata.  Son.  xc,  p.  2. 
—  Veramente  slam  noi  polvere  ed  ombra.  Son.  xxvi,  p.  2.  —  Ad  mortem 
curritis,  umbra  Ipàì  estis,  pulvisque  levis.  Afr.,  n,  348.  —  Nihil  est  aliud 
tcmpua  intae  hujus  quam  cursus  ad  mortem.   Ep.  Fam.  —  O  ciechi,  il 

tanto  affaticar  che  giovai  Tutti  tornate Tr.  Mor.,  i,  v.  8S.  —  Quo 

sanguine  parta  Gloria?  quo  tanti,  mundo  fùgiente,  labores?  Afr.,  n,  860. 

Tanto  vince  e  ritoglie  il  Tempo  avaro;  Chiamasi  Fama,  ed  6  morir 
secondo.  Tr.  Tempo,  142.  —  Tilulusque  in  marmore  sectus  Occidet:  hinc 
mortem  patieris,  nate,  secundam.  A/r.,  ii,  431.  —  Stamane  era  un  fan- 
dullo  ed  or  son  vecchio.  Trionfo  Tempo,  60.  —  Hic  puer,  hic  juvenis, 
noe  longo  tempora  tracta  Albus.  Afr.,  in,  157. 


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726  IL  CANZONIBRB 


COMENTI  INEDITI. 


Nella  Biblioteca  dell*  Università  di  Bologna,  Tenuto  da  qneLI 
dei  Canonici  Regolari  di  S.  Salvatore,  è  un  mas.  di  carte  1 
di  coment!  di  un  Gregorio  Anastagi,  perugino,  intomo  a  S^ 
passi  delle  poesie  del  Petrarca.  Il  volume  è  segnato  Aula  llfl 
mss.  1108,  e  num.  n.  2451.  —  A  capo  di  esso  leggasi:  <  MuU: 
consiglio  per  nuova  occasione  dicesi  esser  ufficio  di  prudente 
però  havendo  à  gli  anni  passati  fatto  pensiero  scrivere  sopr. 
il  Petrarca  in  maniera  di  Qellio  et  di  Macrobio,  introducenia 
terze  persone  a  parlare,  e  trovandomi  oggi  per  mala  sorti 
abbandonato  dalla  luce  degli  occhi,  cosa  carissima  ali*  huoiDo. 
mi  credo  esser  bene  per  minor  fatica  di  procedere  scrivenii 
in  maniera  di  Servio  et  di  Tiberio  Donato ,  ponendo  sotto  il 
testo  la  sua  annotatione  da  principio  a  fine  semplicemente.  E: 
perchè  diamo  cominciamento  al  nostro  lavoro  del  mese  dì  Luglio. 
per  questo  rispetto  daremo  per  titolo  ai  presenti  commenii 
/  Giorni  estivd,  dal  contrario  delle  Note  Attiche  di  Gellio,  et 
per  non  diffondermi  in  molte  paix>le  vengo  di  fatto  al  cafo 
dell'  opera  così  dicendo.  ...*  —  «  Le  prime  carte  del  codice  Bo- 
lognese,  scrivevami  il  prof,  commend.  Luciano  Scarabelli,  sono 
macchiate  da  umidità,  e  un  po'  consunte,  ma  ancor  si  leggono. 
A  passi  del  Petrarca  TAnastagi  oppone  spesso  passi  di  autori 
greci,  latini  e  italiani  (Dante  compreso)  cui  il  Petrarca  imitò. 
—  Per  es.  al  —  Povera  e  nuda  vai  filosofia  —  pone  i  detti  di 
Cicerone,*  3  TuscuL,  e  un  passo  di  Xenofonte  in  nome  di  An- 
tifo  Sofista  (De  fact.  et  dict.  Socratis).  —  E  a  —  gli  occhi  in 
terra  vergognando  abbasso  —  jjone  tutti  i  significati  di  qXiesio 
abbassar  gli  occhi,  recando  a  ciascuno  i  passi  degli  autori.  Cosi 
dei  significati  mestizia  —  timore  —  onestà  —  adorazione  —  ver- 
gogna —  modestia  —  stupore,  —  E  cita  Judit  —  l'Eneide;  Dantts 
Purg.  ;  III  dei  Re  ;  T  evangelio  di  S.  Luca  ;  Terenzio  Eun.  e  Cice- 
rone. —  Al  —  Sopra* l  monte  tarpeo  Canzon  vedrai  nella  Canzone 
Spirto  ^en/iV contrappone  dell'Eneide  di  Virgilio  i  passi:  Bine 
ad  tarpeiam  sedem,  e  l' in  summo  custos  ecc.  È  un  libro  per 


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GOMBNn  INBDITI.  727 

n  professore  di  belle  lettere.  Peccato  che  sìa  inedito,  e  nessuno 
ensi  stamparlo.  »  —  Il  Narducci  lo  dice  notevole  per  i  raffronti 
-a  i  diversi  luoghi  del  Petrarca  con  passi  classici  greci,  ita- 
ani  e  latini.  —  Anche  la  civica  di  Perugia,  tra'  suoi  codici,  ha 
mss.  dello  stesso  Comento. 

La  Marciana  di  Venezia  possiede  un  comento  inedito  del 
anzoniere  di  Antonio  da  Canal  (1.  ix,  n.  285-286).  Scopo 
el  comentatore  è  di  sostenere  la  purità  dell'amore  del  Pe* 
*arca  per  Laura  contro  il  Filelfo  e  lo  Squarciafico  che  Tac- 
usarono  di  corrupia  concupiscentia.  La  trattazione  porta  piut- 
>sto  r  impronta  dell'  uomo  religioso  ed  interprete  della  filosofia 
el  suo  tempo,  che  quella  di  scrittore  ingegnoso  e  forbito. 
lene  è  in  lui  singolare  lo  spirito  di  avversione  allo  straniero, 
infocolato  dai  Mti  incessanti  di  guerra  che  desolavano  a'  suoi 
3nipi  r  Italia.  Così  nel  commento  alla  Canzone  Italia  mia,  una 
mga  mano  da  lui  disegnata  accenna  a  versi  :  Ben  provvide  na- 
tra  ecc.  ed  espone  :  €  Veramente  pare  a  noi  che  questa  stancia 
on  ha  bisogno  di  commento  :  et  maxime  a  questi  presenti  tempi  : 
erohè  i  todeschì  fanno  el  suo  usato  et  naturai  malefìcio  ga- 
irdamente  assa  più  chel  solito  suo  (vostra  mercè,  signori  de 
:alia).  Questa  canaglia  son  chiamati  da  voi. . . .  0  poveri  signori 
^liani  (piuttosto  che  podete)  fsite  fare  sopra  le  vostre  piace, 
ci  più  bel  loco  che  sia,  appresso  la  vostra  insegna,  uno  mag- 
iore  epitafio  et  più  eminente  :  sopra  el  quale  di  lettere  d' oro 
en  legìbile  et  grande  sia  scolpiti  i  primi  tre  versi  de  questa 
3rtia  stantia,  ove  è  quella  man  depenta.  »  11  comentq  fu  com- 
iuto  nel  1516,  die  prima  iulii,  Venetiis, 

La  Barberina  (HHH.  V,  8  e  Credenz.  n.  14)  possiede  un 
somplare  dell' ediz.  di  Pietro  de  Sedabonis,  Basilea,  1582, 
3)1  postille  mss.  di  Torquato  Tasso  che  t  ebbe  dal  suo  amico 
^iero  de  Nores,  e  poi  fu  di  Orazio  Falconieri.  —  Il  codice 
00,  Col.  44,  G.  7  della  Corainiana  contiene:  Rime  del  Petrarca, 
olle  Postille  marginali  mss.  di  Girolamo  Amelonghi  cavate 
alle  Annotazioni  di  Giulio  Camillo,  —  Il  Ruscelli  (ediz.  ven. 
i  Pietrasanta,  1554)  ricorda  le  compendiose  ed  utilissime 
sposizioni  di  Rinaldo  Corso,  che  non  apparvero  mai  alla  luce. 
-  SuW  Attendolo  riporta  il  Crescimbeni  i  versi  seguenti:  Le 
ime  espone  del  soprano  Orfeo,  In  modo  che  di  lui  dire  po^ 
-assi:  L* Attendolo  che  il  gran  comento  feo.  Ma  par  sia  andato 

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728  IL  CANZONIERB 

perduto.  —  La  Rìccardiana  di  Firenze  conserva  un  eeempUre 
del  Canzoniere  di  antica  edizione  Veneziana,  1473,  senza  nome  i 
d"  impressore,  ne*  coi  margini  si  leggono  molte  chiose  inedite 
di  mano  di  Anton  Maria  Salvini,  ma  non  di  molto  valore.  I 
—  VAUavantiy  che  chiosò  la  Divina  Comedia,  chiosò  pure 
il  Petrarca,  come  ce  ne  assicura  egli  stesso  :  Abbiamo  oomefi- 
tato,  cosi  egli  nel  suo  Quaresimale,  tutte  queste  cose  breve- 
mente, chiaramente,  sentenziosamente  assieme  con  le  opere  òsi 
Petrarca. 

«  Fra  le  stranezze  di  Urbano  Vili  (Barberini),  racconta  l 
Botta,  si  osseiTava  anche  questa,  che  si  credeva  poeta,  ed  amava 
che  altri  credesse  eh'  era  buon  poeta.  Veramente,  come  si  fa. 
molti  glielo  dicevano. . . .  Immersi  tutto  il  giorno  a  leggere» 
leggevano  spesso  insieme  il  Petrarca;  e  quanto  il  Papa  diceva. 
sempre  il  Farnese  il  trovava  ben  detto.  Tanto  si  strmae  la 
cosa,  che  vennero  sul  tema  di  correggere  ed  interpretare  11 
Petrarca.  Certo  ei  sarebbe  stato  un  bel  lavoro  tra  Urbano  ed 
Odoardo!  (Farnese).  »  —  BoUa^  Storia  d'Italia  in  continuazione 
del  Guicciardini,  1.  xxni,  a.  1642,  ediz.  Capolago,  vi,  271. 

Mona.  Bernardi  possedè  alcuni  fascicoli  mss.  de'  coment!  al 
Canzoniere  del  prof.  Paravia,  €  Più  che  alla  parte  eretico-filo- 
sofica, o  storico-politica,  secondo  la  diversa  natura  de'  componi- 
menti, le  chiose  riguardano  le  condizioni  filologiche  delle  parole 
usate,  sia  rispetto  al  senso  intimo,  sia  alle  relazioni  in  coi  si  ' 
trovano  con  le  altre,  per  ciò  segnatamente  che  tocca  alle  re- 
gole della  grammatica,  e  della  estetica  letteraria  :  ò  lavoro  dotto,  | 
paziente,  utile.  Non  ò  di  quelli  che  brillano;  è  di  quelli  che 
giovano.  Quando  ne' mss.  che  restano  vediamo  tanta  diligenza 
studiosissima  e  tanto  amorevole  interessamento  per  educare  la 
gioventù  al  bello,  al  vero,  al  buono,  allora  non  ci  £a  meravi* 
viglia  come  il  Paravia  riesdsse  a  lasciare  di  so  monoria  ^ 
cara  e  venerata,  tranne  pochissime  e  riprovate  eccezioni,  ne' suoi 
discepoli,  e  come  si  vada  ripetendo:  Che  non  si  è  potato  sup- 
plirlo  ancora.  » 


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729 


LEZIONI  INEDITE 

DETTE  ALL'  ACCADEMIA  FIORENTINA  (1). 

Lezione  di  Aless.  di  Lorenzo  Palmieri  sopra  il  sonetto: 
I^er  far  una  leggiadra  sua  vendetta  (ii).  Consolo  Manfredi 
Madgni,  1609.  —  Lezione  di  Fr,  Buonamici,  lettore  dì  filosofia 
all*univ.  di  Pisa,  detta  il  30  Ottobre  1569,  sopra  il  sonetto: 
Cuando  7  Pianeta  che  distingue  f  ore  (vni).  Consolo  Tommaso 
Del  Nero  (Cod.  59  de*  mss.  Strozziani).  —  Lezione  di  Lapidio 
Serrettari,  di  Pescia,  med.  e  filos.  celebratissimo,  sopra  il  so- 
netto: Piowmmi  amare  lagrime  dal  viso  (xiii).  U  Salvini  la 
disse  piena  di  nobilissimi  sentimenti.  Consolo  G.  B.  Strozzi, 
1582.  (Fra'  mss.  Strozz.  Cod.  465).  -*  Lezione  di  Carlo  d^ An- 
tonio Macigni,  sulla  miseria  umana,  sponendo  il  sonetto  :  Quanto 
più  m' avvicino  al  giorno  esiremo  (xix),  Consolo  Manfredi  Ma- 
cigni, 1607.  —  Lezioni  due  di  Pietro  Accolti  d*  Arezzo,  sopra 
il  sonetto  :  Quando  dal  proprio  sito  si  rimove  (xxvi),  Consolo 
Pietro  Venturi,  1603.  —  Lezioni  due  di  Jacopo  Meletto  sopra 
il  sonetto:  Lasso,  che  mal  accorto  fui  da  prima  (xliii),  Consolo 
Lorenzo  Arrighettì,  1704.  Altre  due  Lezioni  sullo  stesso.  Con- 
solo Giambattista  Fantoni,  1708.  —  Lezione  di  Francesco  For- 


(1)  Nei  primi  anni  del  prindpftto  di  Cosimo,  Giovanni  Manmoli  detto 
lo  Stradino,  che  per  le  qualità  dell'  animo  e  della  mente  era  tenuto  in  molta 
reputazione,  quando  fUrono  quietati  tutti  1  rumori  e  avanl  ogni  speranza 
di  ricuperare  la  liberti,  cominciò  a  riunire  in  casa  sna  alcuni  letterati,  i 
quali  con  piacevoli  conversazioni  e  con  dotti  ragionamenti  cercavano  di 
consolarsi  della  miseria  dei  tempi.  Piacque  allo  Stradino  ed  agli  altri  di 
dare  a  queste  loro  raunanze  forma  d'  accademia,  e  ne  furono  fatti  gli  statuti. 
Ogni  Accademico  dovea  di  quando  in  quando  disputare  intorno  qualche 
passo  di  Dante  e  del  Petrarca*  e  scopo  fireoipuo  loro  esser  dovea  1  incre- 
mento della  lingua  materna.  Cosimo  ne  incoraggiò  l  fondatori  dell'  Acca- 
demia :  questa  volle  grandemente  onorata,  e  decorata*  del  nome  di  Saera  : 
dispose  che  le  sue  raunanze  si  facessero  in  Palazzo  Vecchio  nel  salone  detto 
dei  Dugento;  dove  innanzi  per  ben  più  gravi  e  più  importanti  faccende 
avevano  echeggiato  le  libere  voci,  dei  cittadini  :  il  consolo  di  essa  volle 
innalzato  a  dignità  dello  Stato;  e  di  pubblico  stipendio  volle  che  godessero 
due  destinati  a  dichiarare  pubblicamente  la  Divina  Commedia  e  il  Canzo- 
niere del  Petrarca.  Da  una  lettera  di  Baccio  Valori  al  Granduca  di  Toscana 
trovo  che  il  salario  di  un  anno  stanziato  a  due  lettori  sopra  Dante  e  Pe- 
trarca era  di  48  ducati  (V.  Man.  Dant.  n,  422).  —  Nel  1556  per  delibera- 
zione del  supremo  Magistrato  e  per  espresso  volere  del  duca,  fu  chiamato 
il  Varchi  a  cementare  il  Petrarca. 


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730  IL  CANZONIBBB 

goni  Accolti  sopra  il  sonetto:  Quando  venne  a  Simon  raka 
concedo  (l),  Consolo  Orazio  Mazzei,  1701.  —  Lenone  dell*  ab. 
Giuseppe  Maria  Qherardini  sopra  il  sonetto  :  Cesare  poi  che  V 
traditor  d^  Egitto  {uà),  Consolo  Salvino  Salvini,  1710.  — Le- 
zione di  Paolo  Antonio  de  Frescobaldi  sopra  il  sonetto  :  Pace 
non  trovo  y  e  non  ho  da  far  guerra  (xc),  Consolo  FVaDoesco 
Frescobaldi,  1702.  —  Lezione  di  Alessandro  Sbrozit^  già,  vesc. 
di  S.  Miniato,  sopra  il  sonetto:  Amor,  che  nelpensisr  mio  vive 
e  regna  (xa).  Consolo  Guido  Ricci,  1604.  —  Lezione  di  Michei- 
angelo  Buonarroti  sopra  lo  stesso.  Consolo  MicfaaL  Baonairoti, 
1591.  V.  Salvini,  Fasti  Consol.  345.  —  Lezione  di  Vioenso  Vet- 
tori sul  sonetto:  Le  stelle  e'I  delo  (cin).  Consolo  Alessandro 
Vettori,  1615.  —  Lezione  di  Fr.  Rovai  sopra  il  sonetto:  Fera 
stella  (cxxn),  Lorenzo  Franceschi,  Consolo,  1626.  —  Lesione 
dell*  ab.  Giambattisia  Casotti  sopra  il  sonetto:  Passa  ia  nave 
mia  (cxxxvii),  Consolo  Salvino  Salvini,  1710.  —  LeadODe  di 
Michele  Grifoni  sopra  il  sonetto:  Giunto  Alessandro  (oxxxv). 
Consolo  Aless.  Sertini,  1602.  —  Lezione  di  Lorenzo  Franceschi 
sopra  il  sonetto:  Lasso  cK  €  ardo  (cu),  in  che  doUanìente  e 
leggiadramente  tratta  dei  segni  di  amore.  Consolo  G.  B.  Strozzi; 
Abs.  Strozzi,  Cod.  1152.  —  Lezione  di  Giov,  Massei^  Consolo, 
1589,  sopra  il  sonetto:  Onde  tolse  Amor  (clxv).  V.  Salvini, 
Fasti  Cons.  317.  —  Lezione  di  Antonmaria  Pitti  sopra  il  so- 
netto: Liete  e  pensose  (clxyii).  Consolo  Francesco  Frescobaldi, 
1702.  —  Lezione  di  Filippo  d^  Antonio  Salviati  sopra  il  so- 
netto: Cara  la  vita  (ociv),  Consolo  Piero  Yentorì,  1608.  — 
Lezione  del  capitano  Neri  Dragomanni  sopra  il  sonetto:  La 
vita  fugge  (iv,  p.  2),  Consolo  Lorenzo  Arrìghetti,  1704.  — 
Due  lezioni  di  Lorenzo  Criacomini  sul  sonetto:  Come  va  U 
mondo  (xxu,  p.  2) ,  detta  neU'  Accademia  de*  Lucidi  sopra  la 
gloria  che  dalla  virtù  risulta.  —  MinerhetH  Alessandro  y  Le- 
zione sul  sonetto  :  Levommi  il  mio  pensier  (xxxnr,  p.  2),  Con- 
solo Camillo  Rinuccini,  1614.  —  Lezione  di  Francesco  de'  Fre- 
scobaldi sopra  il  sonetto:  Anima  bella  (xxxvii,  p.  2),  Consolo 
Orazio  Mazzei,  1702.  —  Lezione  di  Pietro  Velluti  sopra  il 
sonetto:  Donna^  che  lieta  (lxxv,  p.  2),  Consolo  Alessandro 
Vettori,  1615.  Il  Salvini  la  dice  dotta  e  sublime.  —  Lezione 
di  Giov,  Ciampoli  sopra  il  sonetto:  Conobbi  qiumto  il  del 
(lxvii,  p.  2),  Consolo  Pietro  Dini,  1607.  —  Lezione  di  Verini 


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LBZIONI  INBDnB.  731 

F'rancesco  sopra  il  sonetto:  La  gola,  il  sonno  (i,  p.  4),  Con- 
solo Selvaggio  Ohettini.  —  Iiezione  di  Pietro  Orsilago  sopra 
il  sonetto:  S'io  fossi  stato  fermo  alla  spelunca  (xvni,  p.  4), 
Consolo  Nicolò  Martelli,  1543.  Su  questa  lettura  veggasi  la 
lettera  del  Martelli  ali*  Orsilago ,  riferita  dal  Salvini  ne' suoi 
Fasti  Consolari,  p.  89. 

S^ni  Bernardo^  Fine  deUa  sposizione  della  Canzone:  Si  è 
debile  Ufih  (Cans.  ni),  che  altri  Accademici  avevano  incomin- 
ciato a  spiegare.  Nel  suo  Consolato,  1542.  —  Segni  Angelo^ 
Sei  lezioni  sopra  la  Canzone:  In  quella  parte  dove  Amor  mi 
sprona  (xn),  lette  all*Accad.  Fior,  nel  1573.  —  Nella  stampa 
vennero  ridotte  a  quattro.  —  Verini  Frane.  Lezione  sopra  la 
Canzone:  Vergine  Mia  (vin,  p.  2),  Consolo  Selvaggio  Ohettini, 
1547.  —  Davansati  Bernardo ^  Lezione  sopra  la  Canzone: 
ItaUa  mia  (iv,  p.  4),  Consolo  Antonio  Alberti,  1553. 

Secondo  il  Salvini,  il  Consolo  Nicolò  Maì^telHy  1540,  lesse 
sei  volte  sopra  tre  sonetti  ed  una  canzone  del  Petrarca.  Ed 
ei  ci  ricorda  una  lezione  di  Francesco  Bondani  (1581),  ed 
un*  altra  del  Sanese  LeUo  Benucci  (1593),  sopra  due  sonetti 
del  Petrarca.  A  quanto  ne  assicura  il  Crescimbeni,  anche  Fr. 
Guidetti  avrebbe  dettato  di  molte  e  belle  lezioni  sul  Can- 
zoniere. 

Dalla  Biografia  che  di  Ottaviano  Aureli,  lo  Svogliato,  fece 
il  prof.  Vermiglioli,  rilevo  che  ei  pure  nell'  Accademia  di  Pe- 
rugia, sponesse  alcuni  sonetti,  e  tra  gli  altri:  Benedetto  sia  *l 
giorno  (xxxEc);  Padre  del  del  (xl);  Io  non  fU'  et  amar  voi 
(un);  Fuggendo  la  prigione  (lx);  Dodici  donne  (clxx);  Qual 
ventura  mi  fU  (clxxvii);  Laura,  che  'l  verde  lauro  (clxxxviii); 
L'alma  mia  fiamma  (xxi,  p.  2).  —  E  lo  stesso  Vermiglioli, 
nella  vita  di  Oregorio  Anastagi,  cita  un  suo  Discorso  sopra  la 
canzone  Nella  stagione  che  il  del  rapido  inchina  (Canz.  iv); 
e  due  altre  sopra  i  sonetti:  5!^  Virgilio  ed  Omero  (cxxiv).  — 
Passa  la  nave  mia  color  d*  oblio  (cxxxvii),  —  ed  un  Dialogo  sul 
primo  sonetto  :  Voi  eh*  ascoltate.  Si  delle  lezioni  dell'Aureli,  che 
di  quelle  dell' Anastagi,  il  Vermiglioli  ne  avrebbe  fatto  dono  al 
dott.  Rossetti  di  Trieste,  in£aticatis8Ìmo  raccoglitore  di  cose 
Petrarchesche. 


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732  IL  CA24ZON1EBB 


PETRARCA  E  LA  MUSICA. 


L*  inglese  dott.  Burney,  nel  voi.  I.°  della  saa  Storia  deGs 
Musica,  adduce  il  sonetto:  Quando  amor  i  begli  occhi  a  terre 
inchina^  con  altri  passi  del  Canzoniere,  a  prora  die  Madonna 
Laura  aveva  già  studiato  e  conosceva  a  fondo  la  musica. 

Il  Carducci,  nel  suo  Discorso,  Musica  e  Poesia  del  sec.  XM 
(p.  390),  ci  dice  che  Ser  Jacopo  Bolognese  ha  intonato  3  Ma- 
«Irigale  del  Petrarca:  Non  al  suo  amante  piti  Diana  piacque. 
—  Lo  stesso  fu  pur  posto  in  musica  da  (Giovanni  Fiorentini. 
'-^  Ser  Lorenzo  (Masini),  intonò  quello:  Come  in  sul  fimie 
fU  preso  Narciso.  —  R.  Boucheron ,  vestiva  di  musiche  note 
(per  voce  di  basso  e  contralto  in  chiave  di  sol)  il  sonetto: 
Cfie  fai?  che  pensi?  che  pur  dietro  guardi.  (Milano,  Ricordi). 

GiambaUsta  Doni  (n.  in  Firenze  nel  1594),  imaginò  uno 
stromento,  con  cui  gli  venne  fatto  di  moltiplicare  le  armonie. 
Lo  nominò  anfieordo,  perchò  d*ambo  le  parti  armato  di  corde, 
le  une  di  metallo,  le  altre  di  nervo.  Divisò  con  esso  di  porre 
sotto  le  note  il  sonetto  Passa  la  nave  mia  cohna  d'ohUo. 

Il  Petrarca  era  af^assionatissimo  della  musica:  ei  componea 
i  suoi  versi  al  suono  del  liuto,  che  legò  nel  testamento  a  mae> 
stro  Tommaso  Bambasi  da  Ferrara  (riguardato  come  un 
tempo  Roscio  fU  m  Roma,  ed  è  a  me  caro  ed  amico.  Sen.  iv,  31), 
e  li  rifaceva  cantandoli  (cantando),  come  abbiamo  da  lui  stesso. 


POESIE  INEDITE  DEL  PETRARCA 

OD  ATTRIBUITEGLI. 

Sonetto  inedito  di  mes.  Fr.  Petrarca  ad  Antonio  Beccaria 
Ferrarese,  ora  per  la  prima  volta  pubblicato  dal  marchese 
Gius.  MEixmoRi,  presidente  del  Museo  Capitolino.  Roma,  Puc- 
cinelii,  1841.  —  n  sonetto  era  già  stato  pubblicato  dal  Carrer 
fin  dal  1827  nelle  Giunte  al  Canzoniere  del  Petrarca,  Padova^ 
Minerva,  ii,  709  (V.  Ferrato,  54). 


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POESIE  INEDITE  OD  ATTRIBUITEGLI.  733 

Per  le  nobilissime  nozze  Mocenigo  Soranzo  —  De  Soresina 
Yidoni,  SonetU  inediti  tratti  da  due  antichi  Codici  del  Petrarca^ 
esistenti  nel  Civico  Museo  Correr  di  Venezia  per  cura  di  àgo- 
st:p<o  Sagredo.  Venezia,  Gasparì,  1852. 

Di  questi  Sonetti  ne  ripubblicò  quattro  il  prol  Pasqualigo 
che  più  meritavano  d'essere  conosciuti.  /  Trionfi^  p.  27. 

Nelle  fauste  nozze  del  co.  Fr.  Zauli  Naidi  di  Faenza  colla 
marchesa  Maria  Cattaui  di  Brisighella,  seguite  nel  Gennaio 
del  1856  la  famiglia  Gessi  volle  £u*  segno  di  sua  viva  esul- 
tanza coir  offerta  della  presente  Frottola  inedita  di  mes.  Fri 
Petrarca.  Firenze,  Logge  del  Grano,  1856. 

Ne  fu  editore  il  prof.  Giovanni  Chinassi.  V.  Ferrato,  62. 
Frandsd  Petrarcae  Aretini  carmina  incognita.  Ex  codi- 
cibus  italicis  Bibliothecae  monacensis  in  lucem  protraxit,  ipso- 
rumque  ad  instar  manu  scriptorum  edidit  Gboroius  Martinus 
Thomas.  Aus  den  Monumenta  saecularia  der  k.  k.  Akademie 
der  Wissenschaften.  I  Classe.  '—  Monachi!,  M.  D.  CCC.  LIX.  in 
commissis  habet  G.  Franz.  (Ueber  neuau  fgefnndene  Dichtun- 
gen  Francesco  Petrarca' s  Vortrag  in  der  offentlichen  Sitzung- 
der  k.  Akademie  der  Wissenschaften . . .  gehalten  von  prof,  d.' 
Georg  Martin  Thomas,  1858.  —  Beytràge  zum  Verstandniss 
neu  aufgefundener  Sonette  Petrarca' s  von  Karl  MachL  Hof. 
Druck*  der  Mintzel'schen  Buchdruckerei,  1859. 

L'annunzio  di  questa  pubblicazione  fu  dato  solennemente 
al  mondo  letterato  dalla  R.  Accademia  delle  Scienze  di  Monaco, 
la  quale  anzi  lo  elesse  a  festeggiare  il  nonantesimo  nono  anni- 
versario di  sua  fondazione,  nel  27  Marzo  1858,  e  poi  nell'  anno 
successivo,  e  nella  medesima  ricorrenza,  fiirono  pubblicate 
quelle  poesie,  e  dottamente  illustrate  dall'  egregio  d.""  Thomas. 
L' edizione,  com'  è  magnifica  nelle  forme  sue  tipografiche,  così 
è  condotta  con  una  esattezza  ed  un  giudizio  squisito,  sicché 
quei  Codici  italiani  antichi,  onde  son  tratte  quelle  poesie,  non 
potevano  di  certo  venire  in  mani  migliori  e  più  amorevoli. 

Le  Rime  di  Francesco  Petrarca^  con  V  aggiunta  di  cento 
quattordici  sonetti  e  una  Canzone  inedita*  Torino,  Unione, 
Tipog.  edit-  1859. 

Lo  StraforeUo^  nella  pre&zione,  li  dice  incontrastabilmente 
lavoro  del  Petrarca.  Sono  i  primi  getti,  cosi  egli,  della  sua 
penna,  nel  boiler  giovanile  della  sua  passione  per  Laura,  de- 

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734  IL  CAMSONIBBB 

bmacati,  limati  ed  ìnneBUti  dipoi  nel  Ganiooiere,  secODdo  il 
costume  deU*  incontentabile  poeta. 

Vbratti  Bartoloìoibo,  Di  alcune  Rime  aUrilntiie  ai  iV- 
Irarca.  Opusc.  Rei.  Lett  e  Morali  di  Modena,  serie  n,  t.  x. 
Luglio  e  Agosto  1867,  p.  71-M  (Memoria  letta  all*Accad.  di 
Scienze  Lettere  ed  Arti  di  Modena  nell*adunan2a  d^  19  Maggio 
1864,  Mem.  della  R.  Aocad.  t.  iv,  p.  xm). 

Instituito  un  accurato  esame  dei  sonetti  pubblicati  dal  Tho- 
mas, e  riguardo  la  lingua  e  lo  stile,  ei  n^a  recisamente  cfae 
sieno  del  Petrarca,  ma  1*  opera  d*un  imitatore.  Ed  invero.  Tao- 
tore  de'  sonetti,  come  ha  preso  al  Petrarca  il  nome  stesso  delU 
sua  donna,  ha  tolto  da  ini  non  solo  parole,  frasi  e  pensieri, 
ma  talora  pressocchè  interi  versi.  E  perchè   è  ben  più  facilr 
imitare  i  difetti  de*  grandi  scrittori,  che  emularne  le  b^lezzé, 
soprabbondano  in  questo  imitatore  del  Petrarca  i  giuochi  L 
parole  sopra  Vaura  e  Lauray  e  le  antitesi,  e  perfino  i  bisticci. 
Ma  a  combatterne  la  genuità,  ei  prova  che  molti  di  essi  sono 
stati  composti  dopo  la  morte  del  Petrarca,  specialmente  quali 
che  hanno  per  ai^gomento  lo  scisma  d* occidente,  venuto  afe- 
nestare  la  Chiesa  poco  dopo  reiezione  del  Papa  Urbano  M 
che  avvenne   il  20  Settembre  1378.  Il  Veratti  inclina  a  credere 
che  r  autore  de*  sonetti  sia  stato  contemporaneo  del  Petrairi 
e  di  patria  romano,  e  ritiene,  col  eh.  Zambrini,  che  la  Cauzoc? 
tenebrosa^  crudeley  avara^  lorda  debba  ascriversi  a  Francesco 
Accolti  d*  Arezzo.  Siano  o  non  siano,  in  tutto  o  in  parte,  dirC' 
io  pur  col  Veratti,  di  Fr.  Petrarca  que*  versi,  sono  certo  àit- 
tichi,  e  come  tali  la  loro  scoperta  è  importante,  e  la  loro 
pubblicazione  è  un  vero  beneficio  recato  all'italiana  lettenh 
tura.  -^  V.  Méziéres,  Pétrarque,  vi»;  Eartis,  Catalogo  dé^^ 
Rossettiana,  185.  1 

Sonetti  di  Fr.  Petrarca,  T.  Tasso  ed  Angelo  di  Costani»! 
mancanti  nelle  stampe  dei  loro  Canzonieri,  pubblicati  da  Gioàj 
VANNI  Chinassi.  Firenze,  Conti,  1863. 

Wbssblofscki  Alessandro,  Il  Paradiso  degli  Alberti,  Rai 
manzo  di  Ser  Giovanni  da  Prato.  Bologna,  Romagnoli,  1861 
Ci  dà  per  inedito  il  sonetto:  O  monti  alpestri,  V.  FerratOj  5i 

Sonetti  di  Fr.  Petrarca,  ora  scoperti  e  pubblicati.  Vene22| 
Tip.  S.  Giorgio,  1870. 

Sono  6  sonetti,  scoperti  dal  pro£  VfiLUDO,  Prefetto  deSi 


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POESIE  INEDITE  OD  ATTRIBUITEGLI.  735 

Marciana,  che  li  pubblicò  in  occasione  deUe  nozze  Grassini* 
Levi.  Ei  li  trasse  da  un  mss.  della  Marciana,  intitolato:  Rao- 
colta  S  antichi  poeti  Toscani  di  Antonio  Isidoro  Mezzabarha 
veneziano.  —  V.  Hortis,  Catal.  135. 

Carbone  Domenico,  Bime  inedite  dei  quattro  poeti.  —  Per 
nozze  Rizzi-Gella,  Milano,  1872. 

Rime  inedite  ^  ogni  secolo,  Milano,  1870. 

Una  corona  sulla  tomba  d  Arquà.  Rime  di  Fr.  Pe- 
trarca^ pubblicate  per  la  pròna  volta.  Torino,  Beuf,  1874. 

La  raiccoltina  del  Carbone  è  composta  di  una  Canzone  e  di 
29  sonetti,  che  reputa  non  per  anco  pubblicati,  toltine  cinque, 
che  ei  stampò  primo  per  nozze  in  piccolissimo  numero  di  esem* 
pian  non  venali.  I  più  dei  sonetti  fiirono  tratti  da  un  mss.  della 
Biblioteca  di  Bologna,  tutto  scritto  di  mano  di  Antonio  Gi- 
gante da  Fossombrone,  che  fa  segretario  ed  amico  di  Mons. 
Lodovico  BeccadeUi,  Arcivescovo  di  Ragusa,  e  delle  cose  del 
Petrarca  studiosissimo.  Però  ei  si  guarda  bene  dell'affermare 
che  tutti  siano  del  nostro  maggior  Lirico,  onde  gli  piacque 
compartirli  in  quattro  classi  :  negli  autentici ,  e  sai^ebbero  4  ; 
in  quelli,  tuttoché  sfuggiti  alla  lima  ricreatrice  dell'autore,  o 
guasti  nella  lezione,  pur  spirano  un'  aura  petrarchesca,  che  li 
fa  tosto  ravvisare  dagl'intendenti,  e  sarebbero  14;  in  quelli 
che  lascian  dubbio  della  paternità,  e  sarebbero  4,  con  la  Can- 
zone intitolata  la  Casa  del  Sonno;  e  da  ultimo  in  quelli  che 
sentono  il  far  del  Boccaccio  (due),  o  che  arieggiano  la  maniera 
e  rammentano  gli  spiritelli  di  Guido  Cavalcanti  (tre). 

Ferrato  Pietro,  Raccolta  di  Rime  attribuite  a  Francesco 
Petrarca  che  non  si  leggono  nel  suo  Canzoniere^  colla  giunta 
di  alcune  sin  qui  inedite.  Padova,  Prosperini,  1874. 

Eìu  gentil  pensiero  del  Ferrato  di  raccogb'ere  tutte  quelle 
poesie  che  sotto  il  nome  del  Petrarca  furono  alla  spicciolata, 
ed  in  varie  occasioni  speciali  date  fuori  alla  luce,  e  che  assai 
diffìcilmente  si  potrebbero  trovare  in  commercio,  perchè  dal 
più  al  meno  irreperibili.  Nò  contento  a  ciò,  volle  aggiunger- 
cene un  nuovo  manipolo  d'inedite  afiatto,  ch'ei  tolse  da  vari 
codici,  e  segnatamente  da  due  preziosi,  che  si  conservano  nel 
Museo  Correr.  —  Quarantuno  sono  i  sonetti,  oltre  a  .6  che  si 
trovano  nelle  note,  un  salmo,  un  madrigale,  il  principio  di 
una  Canzone,  e  due  Frottole.  Certo,  non  poche  furono  le  cure 

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73e  IL 

e  le  fiattche  che  dovette  spendere  neUa  ricerca  di  libri  antìcki 
e  moderni  t  dlarii,  raccolte  ed  opuscoli  onde  la  aua  coUezÌ4»e 
rìesdeae  il  più  possibile  completa.  E  a  buon  diritto  eà  porta 
fidanza  che'i  cultori  degli  stodii  gliene  doTranno  saper  grado 
di  aver  loro  procacciato  come  una  specie  di  sn^emanto  al 
Canzoniere  Petrarchesco,  trovando  raccolte  in  un  Tolumetto 
tutte  quelle  poesie,  che  da  uomini  ornati  di  fino  criterio <,  di 
gusto  squisito,  di  perfetta  conoscenza  dei  padri  del  dolcissime 
idioma  nostro,  furono  giudicate  di  Francesco  Petrarca.  Nò  senza 
molto  interesse  si  leggeranno  alla  fine  le  notizie  bibliogrsfidie 
che  riguardano,  direi,  la  storia  delle  rime  da  lui  pubblicate, 
non  che  le  note  filologiche,  dalle  quali  ò  chiaro  il  buon,  gveta 
filologico  del  chiosatore. 

D*Anoona  Albssìlndso,  Un  sonetto  inedito  di  Francesco  Pe- 
trarca ed  una  Canzone  a  kti  tUtriàuitay  premesso  un  soneOo 
di  Tommaso  da  Messina  al  Petrarca  indiretto.  BoiognjL,  Fava 
Gara^ni,  1874,  Estrat  dal  voi.  in  del  Propugnatore. 

Al  D'Ancona  il  sonetto  II  mio  desire  ha  si  firma  rmdìce 
sembra  indubitabilmente  del  Petrarca,  ritenendo  esso  tutti  i 
segni  maggiormente  desiderabiH  dell'  autenticità  Non  però 
crede  uscita  dalla  penna  del  Petrarca  la  Canzone.  La  forma 
delle  rime  sdrucciole^  i  crudi  latinismi  e  T architettura  gene- 
rale del  componimento  gliela  &  ritenere  opera  di  qualche  ri- 
matore dei  tempi  successivi,  e  più  presso  al  quattrocento  che 
al  trecento. 

BiL^NaoNi  ÀW.  Pietro,  Dieci  sonetti  inediti  attribuiti  a 
Fr,  Petrarca  da  piii  testi  a  penna.  Ravenna,  Calderini,  1876. 
Per  nozze  Rasponi  delle  Teste-Pasdini. 

Cappabozzo  AndrKa,  Rime  del  Petrarca,  Codice  Cartaceo 
della  Biblioteca  BertoUana  di  Vicenza  (a.  o,  287  Lo,  184 
di  cart.  156,  segn.  0.  2,  9,  8  ).  Per  le  nobilissime  nozze  Man- 
gilli-Lampertico,  Vicenza,  24  Aprile  1876,  Tip.  Paroni. —  Tre 
sonetti  inediti  del  codice  BertoHano  attribuiti  al  Petrarca^  p. 
20-22. 

Altri  sonetti  inediti  ci  diede  Douamco  Tuluo  Fausto  ndU  ma  /»- 
irodiUHone  alla  lingua  volgare  (senza  note  tipognflche)  ;  il  Cornino  n«Ua 
Giunta  di  alcune  eompceixioni  del  Betrarca  che  ai  dicono  da  lui  H/SU" 
tate  (PadoTs,  17SS)  ;  U  Tauocm  neU*  opera  Poetie  itaUané  ii^edite  di  du- 
genio  autori^  cavate  dai  codice  Vaticano,  n.  SSM3;  il  Gumpi,  ael  Giornale 


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POESIE  INEDITE  OD  ATTRIBUITEGLI.  737 

t  ciclopeàico,  (Firenze»  Molini  e  Landi ,  1809)  ;  il  Fiacchi  nella  sua  Scelta 
'  J^inte  antiche ,  e  nella  Collezione  d'  Opuscoli  sdebiti fici  e  letterari 
♦"'irenzc,  1812)  ;  il  Zambrini,  nelle  Prose  e  Rime  edite  ed  inedite  d' autori 
fxotesi  del  see.  XFV  (Imola,  Galeati,  1846);  il  Carducci  nelle  Cantilene, 
filiate.  Strambotti  *  Madrigali  dei  SecXIIIe  XIY  (Pisa,  Nistri,  1871). 


STUDI  SUL  TESTO  (1). 

Sonetd,  Canzoni  e  Triomphi  di  mess.  Francesco  Peirar- 
zhxJL  con  la  spositione  di  Bernardino  Daniello,  da  Lucca.  Ve- 
nezia, Da  Sabio,  1541. 

In  questa  stampa  si  trovano  raccolte  le  varie  lezioni  che 
Bernardino  Daniello  trasse  dagli  Autografi,  e  sparse  per  entro 
la.  sposizione.  In  quella  poi  del  1549,  sono  tutte  riunite  in 
principio  del  volume,  e  sono  le  varie  lezioni  di  quattro  Canzoni, 
sedici  sonetti  e  sette  capitoli  dei  Trionfi.  Pasqualino, 

Varie  lezioni  piti  degne  di  osservazione  estraite  da  Giamb. 

Parisotti,  da  Castelfranco,  da  un  codice  del  Canzoniere  del 

principio  delsecXV,  Edizione  di  Cornino  del  1732,  p.  441-45. 

Bbocabelu  Lodovico,  bolognese,  Notìzie  sugli  Autografi 

del  Petrarca. 

Videro  per  la  prima  volta  la  luce  nell'  edizione,  curata  dal 
Morelli,  (Verona,  GiuUari,  1799),  ed  ultimamente  le  inserì  il 
Pasqualigo  neUa  prefazione  de'  suoi  Trionfi  (Venezia,  Grimaldo, 
1874).  I  Frammenti  del  Vaticano,  sull'originale  del  Petrarca,^ 
raccolti  dair Ubaldini ,  apparvero  primieramente  nell'edizione 
romana  del  Grignani,  1642.  —  A  nessuno  può  sfuggire,  scrive 
il  Pasqualigo,  la  somma  importanza  delle  preziose  Notizie  del 
Beccadelli,  in  tutto  quanto  concerne  una  si  grande  e  straor- 
dinaria diversità  di  lezioni.  Si  rimarrebbe,  senz'esse,  quasi 
a£&tto  al  buio. 

Morelli  Jacopo,  Prefazione  alla  stampa  del  Canzoniere, 
(Verona,  GiuUari,  1799). 

Si  discorre  dell'edizioni  dello  stesso  ritratte  dall'autografo 
del  Petrarca,  che  sarebbero   quella  di  Valdizocco,  quella  di 

(1)  <  Tutta  la  state  del  1607  fii  dagli  Accademici  della  Crusca  im- 
piegata in  vari  studi  che  la  ristampa  dei  Petrarca  riguardavano.  >  Zannoni^ 
Storia  dall'  Accademia  della  Crusca,  p.  77. 


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738  'il  OàNSOHIBIUI 

Aldo,  e  i  frammenti  dell* Ubaldini,  non  die  de* codici 
e  di  altri   fogli  autografi  del  Poeta  che  il  Beccadelfi 
presso  Baldassare  Turinì  di  Poscia. 

Appo  P.  Irbnbo.  —  Nel  suo  Saggio  di  Memorie  sulla  Sta» 
pena  Reale,  Parma,  1741,  institaisce  im  lungo  esame  etiti» 
delle  varie  lezioni  che  s*  incontrano  nei  Trionfi  del  Petoffo. 
col  comento  di  Fr.  Filelfo,  e  vi  si  fiume  pur  utili  e  dotti  o» 
fi*onti  tra  le  dette  lezioni,  e  le  lezioni  comuni. 

ViTiiLi  Pietro,  Lettera  intomo  ad  alcune  emendcuiom  is 
fare  nelle  Rime  stampate  di  Dante,  del  Petrarca  e  dei  Boc- 
caccio. Parma,  Rossi-Uhaldi,  1820. 

FsDERia  Fortunato,  Varianti  dei  Trionfi  del  PeùroxaH 
confronto  al  testo  Cominiano  del  1732.  Milano,  Molina,  1836= 

Son  tratte  dal  Quaresimale  del  P.  Paolo  (Atavanti),  fiono- 
tino.  Servita.  Milano,  Scinzenceller-Pachel,  1479. 

Le  Rime  del  Petrarca ,  Edizione  pubblicata  per  opera  e 
studio  deWab,  Antonio  Marsand...  Padova,  Tip.  Seminario, 
1819.  (A.  Marsand  n.  a  Venezia  nel  1765,  m.  a  Milano  il  3 
Agosto  1842). 

11  Marsand  condusse  la  sua  edizione  sul  raffinonto  ddla 
Padovana  del  1472,  deir.aldina  del  1501,  della  stagoSniana  del 
1513,  che  hanno  il  pregio  sommo  di  essera  tratte  dagli  auto- 
grafi del  poeta  o  dagli  scrìtti  dal  poeta  medesimo  riveduti. 
<  Ed  io,  scrive  il  Carducci,  dopo  esaminati  parecchi  manoscritti 
e  molte  o  tutte  forse  le  stampe  del  Petrarca  più  in  £Buna,  finii 
con  persuadermi  che  mi  hisoguava  ritornare  al  Marsand,  che  il 
Marsand,  cosi  dotto  conoscitore  e  ndnuto  espositore  della  biblio- 
grafia petrarchesca,  aveva  posto  bene  la  base  del  testo,  e  ohe 
una  nuova  edizione  crìtica  del  Canzoniere  altro  non  poteva  essere 
che  una  recensione  accm*ata  della  edizione  marsandiana  sq  1 
rafironto  delle  tre  antiche  e  dei  frammenti  originali  del  poeta, 
al  quale  raffronto  potevasi  aggiungere,  come  instrumento  cri- 
tico e  comprova  alla  legittimità  del  testo  in  generale  e  alla 
ragione  delle  correzioni  in  particolare,  come  apparato  di  eru- 
dizione filologica,  la  collazione  di  qualche  manoscritto  e  delie 
stampe  più  nominate.  »  Cardttcci. 

Non  è  senza  importanza  la  seguente  lettera  del  Marsand  a 
Canova,  e  perchè  ci  dà  ragguagli  della  sua  vita,  e  perchò  ci 
parla  dell'edizione  del  Canzoniere  a  cui  era  tutto  atteso,  eh* io 


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8Tin>l  SUL  TBSTO.  739 

:*as8i  dalla  Ck>rrì8pond6nza  epistolare  dell'  insigne  Scultore,  che 
L  xi^  volumi  ai  conserva  nella  nostra  Biblioteca. 

Padova^  6  Marzo  Ì8I8, 

Non  perch*  io  possa  lusingarmene  in  forza  dei  miei  meriti ,  che  sono 
t  riconoaoo  nulli,  ma  la  bontà  somma  del  di  Lei  cuore  verso  tutti,  e  spe> 
;ialmei][te  verso  di  me ,  anckte  all'  occasione  eh*  io  sostenni  lo  mie  fatiche 
[uaresinaali  in  codesta  chiesa  del  Gesù  nell*  anno  1804,  mi  fa  sperare  che 
i  questo  primo  annunzio  Ella  forse  si  rlsowerrà  subito  di  chi  scrive. 
Secomi  dunque  a  confermarle  in  iscritto  quei  vivi  sentimenti  di  stima, 
;h6  ho  già  sempre  nodrìti  nel  mio  animo ,  a  gloria  di  Dio ,  <d  in  unione 
con  tutto  il  mondo ,  verso  la  di  Lei  persona.  Io  da  una  parte  non  vorrei 
mnoiarla,  ma  dall'  altra  ho  bisogno  eh'  Ella  senta  tutta  la  storia  della  mia 
irlta  da  queir  epoca.  Lo  farò  dunque  in  poche  parole. 

Nel  1806,  a  cagione  d'infermità  di  petto,  che  cominciava  molto  ad 
ndebolirsi,  ho  dovuto  lasciare  Tesercino  del  ministero  apostolico,  e  la  ul- 
tima Chiesa  fti  per  me  Sant'  Ambrogio  in  Milano.  Non  volendo  poi ,  né 
potendo,  né  dovendo  rimanermi  in  ozio,  domandai  la  Cattedra  di  Economia 
Politica  e  di  Statistica  nella  Università  di  Padova,  cattedra  che  in  allora 
erasi  resa  vacante.  Per  la  benignità  di  quel  Governo  la  ottenni,  e  per  sola 
clemenza  dell'  attuale  vi  fui  confermato  definitivamente.  Sono  già  presso 
a  dieci  anni  che  mi  trovo  in  Padova,  ma  non  ho,  nò  cerco  altro  diverti- 
mento, dopo  di  aver  supplito  ai  miei  doveri,  che  il  trattenermi  con  qualche 
studio  di  mio  genio  particolare. 

Cinque  o  sei  anni  sono,  ideai  di  voler  dare  al  pubblico  una  nuova 
Edizione  del  Canzoniere  di  Francesco  Petrarca,  rivedu^  e  colazionato  tutto 
da  capo  a  fondo  sopra  codici  ed  edizibni  preziose,  onde  una  volte  preseO" 
tarlo  nella  sua  originale  integrità,  e  specialmente  in  quo'  passi  che  mosser 
di  quando  in  quando  varie  questioni  tra  1  critici  e  gli  spositori  del  nostro 
Poeta.  À  fronte ,  che  a  tale  impresa  io  non  potei  dedicare  che  circa  un' 
ora  e  mezzo  al  giorno ,  pur  non  avendovi  mai  mancato ,  1*  ho  condotta  al 
suo  termine,  e  spero  sarà  per  riesdre  di  comune  soddis&zione. 

Altri  lavori  ho  fatti,  e  sto  facendo  nel  proposito  onde,  per  ciò  che 
concerne  la  parte  letteraria ,  illustrare  possibilmente  la  mia  edizione  che 
vorrei  offerire  alla  Repubblica  delle  lettere  come  superiore  a  tutte  1'  edi- 
zioni che  sin  adesso  furono  pubblicate ,  le  quali  certo  non  sono  meno  di 
trecento. 

Quanto  alla  parte  dell'  ornamento  \  oltrecchè  gli  esemplari  (al  numero 
di  soU  quattrocento,  in  due  volumi,  in  forma  di  bel  quarto  reale)  saranno 
tutu  in  carta  velina,  fina,  cilindrata,  vi  si  aggiungeranno  alcuni  che  cer- 
tamente dovranno  interessare  il  pubblico ,  e  per  ciò  che  rappresentano,  e 
per  la  bellezza  dell'  incisione.  Oltre  le  quattro  vedute  delle  solitudini  del 
Poeta,  cioè  Valchiusa,  Arquà,  Linterno  e  Selvapiana ,  le  due  ultime  dello 
quali  non  ftuono  mai  incise  ;  oltre  al  fae  simile  di  quelle  famose  otto  righe 
da  esso  scritte  sul  suo  innamoramento  nel  Virgilio  dell'  Ambrosiana  ;  oltre 
ai  due  più  (kmosi  monumenti  che  gli  furono  inalzati,  il  primo  doò  in  Arquà 
e  r  ultimo  che  si  sta  erigendo  nolla  nostra  Cattedrale  con  grande  spesa 


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740  IL  CiLNZONIBEB 

del  Sig.  Canoaico  Soocin ,  aopr'  a  tutto  vi  sarà  il  ritratto  del  P«lnBa  i 
quello  di  Laura,  tutti  due  uon  più  incisi,  ed  amendue  i  piA  gìu^ftnU  a 
tutti  gli  altri  quanto  alla  raasomiglianaa ,  come  gii  farò  vedere  aeBa  ■■ 
prefasìone.  Quello  del  Poeta  lo  incide  attualmente  a  Sig.  Oandolfi  £  Bf 
logna,  e  quello  di  Laura  Rafaele  Morghen.  Lascio  di  anaorerare  altri  frer 
che  per  la  parte  tipografica  avrà  questa  edisione ,  onde  non  faila  perir 
troppo  tempo  nel  leggere  tante  chiacchere. 

Ma  uno  ancor  di  questi  fregi  mi  manca  che  certamente 
massimo.  Vorrei  che  sul  prìncipto  d«U'  opera,  cioè  di  cootro  •! 
vi  fosse  un  rame  allusivo  al  Poeta ,  o  alla  sua  Laura ,  o  al 
ma  che  il  pensiero  ossia  il  disegno  fosse  del  cav.  Canova,  reateado  pà  < 
me  la  cura  di  farlo  incidere  da  bulino  valente.  Allora  si  eh*  io  noa  sapee 
desiderar  di  piA  alla  mia  edizione,  la  quale  certo  anderebbe  aaperÌMt  a&ehs 
eon  questo  solo  omamonto.  Beco,  Signor  Cavaliere,  l'onesto  nie  ili  nidi  iiw 
e  quindi  la  devotàssima  mia  preghiera. 

L' immensità  delle  di  lei  occupanoni ,  ed  il  nessun  mio  merito  ver» 
di  Lei  sono  i  due  soli  nemici  che  possono  render  vana  la  mia  pre^'faien 
e  senza  effetto  il  mio  desiderio.  Ma  quando  penso  alla  dolcezza  del  di  LÀ 
animo  inchinato  sempre  a  far  bene,  non  ho  più  paura  di  niente.  Kob  haé 
dunque  a  chi  scrive,  né  ali*  arditezza  di  chi  scrìve,  ma  rifletta  a  ^«1  pia- 
cere infinito  ch'Ella  inspirerà  a  tutti  gli  amatori  del  ^vino  Petrarca,  « 
niente  meno  alla  solenne  conferma ,  che  in  tale  occasione  darà  delle  aJjte 
virtù  della  sua  Inaura ,  giacché  so ,  che  di  recente  Ella  si  occopò  a  accì- 
pirne  il  ritratto.  Ieri  appunto  il  suo  buon  amico ,  SIg.  Cav.  CScognara,  ei 
diede  tal  grata  notizia;  anzi  mi  aggiunse  che  presto  ne  avrebbe  da  Ls 
avuto  un  bel  gesso,  e  che  mi  terrà  avvisato  dell'arrivo,  oade  poter  &r 
subito  la  mia  scappata  in  Venezia.  In  somma ,  signor  Cavaliere ,  |nenAi 
la  cosa  da  quel  lata  eh'  Ella  vuole ,  ma  si  arrenda  pietoso  alle  mie  pr^ 
ghiere.  Io  sarò  contento  di  tatto,  purché  aia  vero,  che  il  Gaaova  prese  in 
mano  la  matita  per  la  mia  edizione  del  Canzoniere.  Sia  poi  il  diaegoo  i3- 
luaivo  al  Poeta,  o  alla  Laura,  o  al  Canzoniere,  o  al  Canova  steaao  (qood 
erat  in  votis)  comunque  sia ,  io  sono  beato  da  questo  punto  d^a  so^ta 
che  Ella  avrà  fatta.  E  questo  pensiero  sia  poi  espresso  con  pochi  segisi, 
o  con  molti ,  ciò  non  deve  far  nascere  difficoltà.  Nel  primo  caso ,  so  ben 
io  a  qual  artista  rivolgermi ,  che  fino  oonoadtore  del  di  Lei  genio  e  ap- 
passionato conoscitore  de'  suoi  andamenti ,  saprà  spiarli  tatti,  e  ridurre  il 
disegno  a  quel  punto  eh'  é  necessario  per  1*  incisore,  ma  in  questa  suppo- 
sizione Ella  lo  vedrà  per  averne  la  di  Lei  approvazione ,  prima  che  sia 
consegnato  all'  intagliatore.  Se  poi  quella  supposizione  dovesse  aver  luogo, 
tanto  meglio  per  me  e  per  tutti. 

Le  occludo  la  forma  e  la  grandezza  precisa  di  tutti  gii  altri  rami  a  di 
Lei  norma  ;  e  siooome  alle  grandi  vacanze  me  ne  passerò  a  Milaoo  (il  che 
earà  aUa  fine  di  agosto)  cosi  bramerei  a  quell'  epoca  aver  ricevuta  la  grazia, 
onde  affidare  personalmente  il  disegno  a  chi  dovrà  inciderlo,  la  quale  ul- 
tima operazione  esige  anche  molto  tempo.  Non  ag^ungo  di  più. 

La  prego  soltanto  a  perdonarmi  1*  ardire  e  a  comandarmi  con  tutta 
libertà  in  tutto  quello  che  posso,  ed  a  credermi  costantomente  con  vera 
pienezza  di  ossequio,  di  stima,  di  amicizia,  e  di^  gratitudine. 


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8T0OI  SUL  TESTO.  741 

SoRio  P.  Bartolommbo,  Corresioni  da  farsi  al  testo  del  Can- 
oliere  di  mess,  Fr.  Petrarca  pubblicato  dal  prof.  A.  Marsand, 
'erona.  Libanti,  1844-45. 

//  Canzoniere  del  Petrarca  nelC  edizione  del  prof.  A. 

f€irsandy   Lezione  Accademica,  Rivista  GinDasiale,  Milano» 
lentenarì,  a.  n,  1855,  p.  32. 

«  U  Serio,  che  fu  certo  a*  nostri  giorni  de*  migliori  editori 
rìtici  di  scritture  antiche  italiane,  vide  acutamente  perchè 
potesse  ancora  essere  emendato  il  testo  del  Marsand;*ma  al- 
a.rgò  troppo  i  casi  delle  emendazioni,  e  della  bontà  o  sincerità 
le^li  aaiogi*afi  o  degli  esemplari  onde  furono  tratte  le  tre 
xlizioni  tipiche  giudicò  dai  Trionfi;  i  quali  il  poeta  non  lasciò 
[corretti  e  ordinati  come  le  altre  rime,  e  per  ciò  abbondano 
lei  manoscritti  le  varie  lezioni,  e  alcune  si  vantaggiano  di 
bontà  su  quelle  del  testo  Marsand.  Dove  il  Sono  volle  emen> 
dare  certe  cose  dei  sonetti  e  delle  canzoni,  non  fu  egualmente 
felice.  Carducci. 

Galvani  Giovanni,  Poche  parole  su  la  lezione  della  Can^ 
zone  Italia  mia,  secondo  spogli  eh* ei  fece  di  codici  datigli 
a  vedere  da  Carlo  Ludovico  di  Borbone,  quandi  era  duca  di 
Lucca.  Strenna  Filolog.  modenese,  1863,  Modena,  Tip.  della 
Immac.  Concezione. 

Bozzo  Giuseppe,  Tavola  delle  Varianti  che  si  sono  adoi^ 
tate  (Le  lezioni  rifiutate  sono  quelle  del  Marsand),  Petrarca, 
Rime,  Palermo,  Amenta,  1870.  —  Voi.  r,  pag.  355-59;  voi.  ir, 
p.  389-91.  —  V.  pure  voi.  ii,  341. 

Pasqualiqo  Cristoforo,  Saggio  di  alcune  Varianti  tratte 
dai  migliori  Codici  a  penna  delle  Rime  di  Fr.  Petrarca  esi-^ 
stenti  nelle  Biblioteche  Mediceo-Laurenziana  e  Riccardiana 
di  Firenze.  Savona,  Miralla,  1862. 

Varianti  e  correzioni  ai  Trionfi  di  Frane.  Petrarca 

tratte  dai  migliori  codici  a  penna  e  dalle  più,  antiche  stampe. 
Venezia,  Grimaldo,  1867. 

I  Trionfi  di  Francesco  Petrarca,  corretti  nel  Testo 

e  riordinati  con  le  Varie  Lezioni  degli  Autografi  e  di  XXX 
manose,  con  appendice  di  Varie  Lezioni  al  Canzoniere.  Ve- 
nezia, Grimaldo,  1874  (3  Giugno),  Edizione  di  soli  trecento 
esemplari. 

€  Nelli  Trionfi  autogr.,  scrive  il  Beccadelli,  sono  un  mondo 

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742  IL  CANZONllRB 

dì  mutazioni,  »  e  poi  <  la  scrìttnra  era  tanto  confusa  d»  zsi. 
si  può  giudicare  qual  più  gli  piacesse.  »  E  ci  aggiunge,  ebe  : 
Trionfi  non  erano  ordinati  in  libro,  ma  involti  in  jpSk  roto£ 
e  i  fogli  in  gran  confusione.  Di  qui  Y  impresa  malagevole  ed 
aspra  de*  primi  copisti  a  dichiararne  una  cosi  arrafiàta  nur 
teria,  di  qui  la  diversità  e  poca  correzione  d^e  stampe.  Qoaadr 
il  Pasqualigo  si  pose  a  questo  lavoro,  ebbe  unicamente  in  pea- 
siero  (Ù  correggere  il  testo  dei  Trionfi,  ma  poi  man  xnano  k 
incuorò  a  ricostruire,  per  quanto  era  possibile,  TAutognC 
perduto,  e  studiare  con  che  sapienza  e  finezza  di  gusto  il  P^ 
trarca  lavorava  i  suoi  versi  e  con  che  dolce  Urna  egli  sapere 
fitr  soavi  e  chiare  le  sue  rime.  Con  iscrupolosa  e  mirabile  ps- 
2ienza,  e  con  rara  accuratezza,  consultò  30  codici,  ed  alcoe 
per  infino  a  tre  vo^te,  ne  raccolse  tutte  la  Varianti,  trasce^ 
quelle  che  gli  parvero  più  importanti  a  fermare  la  vera  leziosa 
e  ricostruirne  l'autografo.  Nella  correzione  del  testo  andò  a< 
piò  di  piombo,  preferì  di  esser  tacciato  di  soverchia  modera- 
zione che  di  audacia.  Quanto  air  ordine  de'  Trionfi  non  fece 
che  due  sole  mutazioni.  Il  cap.  II  del  Trionfo  d*  Amore  di-l 
venne  IV,  e  il  capitolo  che  comincia  nel  cor  pien  éPamarissvm 
dolcezza^  che  manca  nella  Volgata,  ei  lo  ripose  al  suo  posto, 
dopo  il  II  della  Morte,  e  ne  dà  le  ragioni.  —  È  questa,  scrìved 
a  ragione  Att.  Hortis,  la  più  diligente  tra  tutte  V  edizioni  àà 
Trionfi,  r  unica  che  riposi  aopra  1  riscontri  di  autorevoli  mss., 
ed  il  lavoro  vi  ò  condotto  con  tal  diligenza  da  poterlo  y&c%^ 
mente  proporre  come  modello.  —  Dalla  pag.  116  alla  127  vi 
ha  un  Appendice  di  Varie  Leziofii  al  Canzoniere  traUe  dogi 
Autografi,  —  Il  Pasqualigo  dùude  la  sua  Prefazione  augurando 
a  Fr.  Petrarca  un  editore  riverente  ed  onesto,  che  ridia  il  sud 
Canzoniere  nell'ordine  in  che  egli  lo  avea  disposto  si^ente^ 
mente,  perchè  fosse  imagìne  vera  del  grande  animo  suo,  ardente 
di  un  amore  universale  per  Laura,  per  Y  Italia,  per  gU  amicLj 
per  la  gloria,  per  l'arte,  per  la  religione  e  la  scienza,  per 
ogni  cosa  bella  e  santa:  Che  non  pur  sotto  bende  Alberga 
Amor,  per  cui  si  ride  e  piagne.  E  fa  voti  che,  o  si  toIgano| 
dai  Sonetti  e  dalle  Canzoni  quegl'  inutili  argomenti,  die  vi  fu- 
rono posti  dal  1819  in  poi,  o  se  pur  vi  si  vogliono,  sien  rifiuti 
da  chi  sappia  capire  e  sentire  il  Cantore  di  Laura.  | 

/  Trionfi  di  mess.  Francesco  Petrarca  riscontrati  con  al- 


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STUDI  SUL  TB8T0.  743 

cuni  codici  e  stampe  del  secolo  ZV,  pubblicati  per  cura  di 
Crescsntino  Giannini.  Ferrara,  Bresciani,  1874.  —  Alla  Città 
di  Padova,  T  Accademia  Aretina  nella  ricorrenza  del  quinto 
centenario  dalla  morte  del  Petrarca. 

Ck)ndu88e  la  stampa  su  un  codicetto  del  sec.  XV,  di  buona 
lezione,  da  lui  accuratamente  collazionato  col  codice  Redi,  e 
iallo  stesso  Redi  tenuto  in  gran  conto;  giovandosi  inoltre  di 
Eiltro  manoscritto  in  pergamena ,  esistente  nella  pubblica  Bi- 
blioteca di  Ferrara  e  d'un  frammento  faTOritogli  da  Mon^ig. 
Antonelli,  non  che  delle  stampe  del  quattrocento.  Avrò  io, 
chiede,  il  Giannini,  somministrato  un  testo  scevro  in  tutto  da 
mende?  Non  presumo  io  già;  ma  intanto  ne  ò  cacciati  alcuni 
scerpelloni,  tra'  quali  il  buon  Sire;  Sanson  guasto y  vittor  di 
ogni  cerebrOy  sostituendovi  Siro,  perchò  riferisce  i^^r^^  (1), 
Sanson  vasto,  e  vittor  d*  ogni  celebro. 

Illustrazione  di  un  Codice  dei  Trionfi  di  Fr,  Petrarca , 
esistente  nella  Comunale  Biblioteca  di  Fermo  e  Saggio  di 
Varianti  per  il  Bibliotecario  Marchese  Filippo  Raffaelli  —  A 
Fermo  —  nella  Tipografia  —  degli  eredi  Paccasassi  —  diretta  — 
da  Gaetano  Properzi  —  terminata  la  stampa  —  oggi  XVIII 
Luglio  CICICCGCLXXIV  —  in  che  Italia  e  Francia  celebrano 
<—  il  V  Centenario  •—  dall  a  morte  —  di  —  messer  Francesco 
Petrarca. 

L'erudito  bibliografo  incomincia  con  una  dissertazione  di- 
lìgentissima  sulle  36  edizioni  del  Canzoniere  che  possedè  la 
Civica  di  Fermo  alle  sue  cure  affidata;  descrive  quindi  il  Co- 
dice de'  Trionfi,  che  fu  già  degli  Spinelli  di  Firenze,  e  poi  di 
Romolo  Spezioli  di  Fermo,  ci  offre  quindi  le  principali  Va- 
rianti che  office  il  Codice,  con  l'edizioni  a  stampa,  completan- 
dosi  cosi  il  ricchissimo   lavoro   compiuto  sopra  il  testo   dei 

(1)  La  lezione  Siro  era  gii  stata  propugnata  dal  Qesualdo ,  dal  Tas- 
soni e  dal  Muratori.  ^  L' illustre  co.  Giov.  Galvani,  fece  una  nota,  pubbli- 
cate nella  III  Esercitazione  filologica  del  Parenti  sotto  la  voce  Sire,  dove 
Erova  coir  autorità  dei  Codici  (  a^  quali  sen  debbo  aggiungere  uno  assai 
uono  della  Biblioteca  della  Missione  Urbana  di  Genova),  e  con  un  passo 
di  Cicerone  nel  libro  primo  delle  Tusculane,  che  irrepugnabilmente  la  vera 
lezione  è  Contra  il  buon  Siro,  Il  luogo  di  Cicerone  è  questo:  <  Credo 
equidem  etìam  alios  tot  seculis  disputasse  de  aninùs,  sed,  quod  literis  ex.tet, 
Pnerecides  Syrus  primum  dixit  animos  hominura  esse  sempiternos.  >  Sono 
dieci  anni  che  la  nota  del  Galvani  À  divulgata,  e  contuttociò  si  stampano 
in  Firense  Petrarchi  e  Petrarchini  coli'  antica  lezione  falsa,  falsissima.  — 
p.  Victni,  Dizionario  de*  protei  firancesismi ,  Firenze,  Le  Mounier,  1858, 
1,466. 


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744  IL  GANZOiriBSE 

Trionfi  dal  professor  Pasqualigo.  All'iUnstrazione  ddRa&i: 
venne  decretata  una  Medaglia  di  bronso,  a  titolo  di  ja^' 
nelle  feste  secolari  celebratesi  in  Provenza. 

Valentinelli  Oicseppb,  Saggi  delle  più  noteoaH  differii: 
che  corrono  tra  alcuni  codici  da  lui  descritti  e  le  lettoni à'i 
stampe,  Petrarca  e  Venezia,  50,  52,  68  e  69. 

SoARABBLLi  LucuNO,  Trionfi  del  Petrarca  secondo  il  C^i"^^ 
del  Redi  coUasionato  con  due  altri  senza  nome  (Estratto  à 
Propugnatore^  voi.  viir,  Disp.  !.■).  Bologna,  Fava  e  Garagiiii- 
1875. 

Trionfi  e  Sonetti  del  Petrarca  secondo   il  Cod'' 

Landiano  di  Piacenza  collazionato  con  f  Aretino  dal  1^' 
(Estratto  dal  Propugnatore^  anno  vm,  Disp.  4*  e  5*).  B> 
logna,  Fava  e  Garagnani,  1875. 

Il  prof  Carducci ,  nella  Prefa2Ìone  del  suo  Saggio  di  i^ 
Testo  e  Comento  nuovo,  sulle  Rime  del  Petrarca,  ci  ha  dfi' 
una  breve  ma  interessantissima  storia  del  testo  del  Caziziy 
niere,  e  dove  pur  ci  parla  degli  autografi,  deiredizioni  orkr- 
nali  e  fondamentali,  dei  codici,  e  delle  quattro  età  in  coi  egli 
divide  gli  stampati. 


IL  CANZONIERE  SPIRITUALIZZATO. 

1536.  Malipikro  Frate  Hieronimo,  Il  Petrareka  Spiri- 
tualcy  e  più  precisamente  intitolato  (e.  9)  :  Sonetti  et  CanzoH 
di  messer  Francesco  Petrarc?ui  divenuto  Tkeologo  et  ^ri- 
tuale per  grcOia  di  Dio  et  studio  di  Frate  HiBROPraio  Maki 
PIETRO  Minoritano.  In  fine:  stampato  in  Venetia  appresso  li 
.  chiesa  de  la  Trinità.  Ne  gli  anni  del  Signore  MDXXXVI,  d^ 
mese  di  Novembre  in  4.  Vi  precede  un  dialogo  introduttivo 
11  Canzoniere  ha  questa  intitolazione  <  —  À  sacri  piedi  di  Jesi 
Christo  Redentore  del  mondo  dedica,  et  consacra  U  suo  Theo 
logo  et  Spirituale  Petrarca  Fra  Hieronimo  Maripietro,  Mino^ 
ritano.  —  I  Sonetti  son  parodiati  e  seguono  T  ordine  del  Canza 
niere.  Dopo  questi  vengono  (a  e.  98)  le  canzoni,  pur  preceduti 
(e.  89)  da  una  Ammonitione  di  Frate  Hieronimo  JUaripictn 


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SPIBITUALIZZ4T0.  745 

in^odnCtìTa  alle  canzoni  del  suo  iheologo  et  spirituale  Pe- 
trarca. Chiude  il  libro  un  Repertorio  dei  Sonetti  e  delle  Canzoni. 

Nel  solo  cinquecento  ebbe  dieci  ristampe. 

1547.  Salvatorino  Gioan  Giacomo,  Thesoro  di  sacra  Scrit- 
tura sopra  le  Rime  del  Petrarcha.  Stampato  in  Vinegia  per 
Gomin  de  Trino  di  Monferrato.  Con  gratie  et  privileggi  de 
molti  Prencipi,  et  specialmente  della  Illustrissima  Signoria  di 
Vinegia  et  con  Brevfe  Apostolico,  in  8°. 

I  Sonetti  non  contengono  già  una  pcuHxlia  di  quelli  del 
Petrarca,  ma  sono  meglio  un  centone  di  passi  biblici,  colle 
rispettive  citazioni  in  margine.  I  Sonetti  sono  430.  Di  Canzoni, 
non  ve  n'  ha  che  una  Invocation  a  Dio  et  tutti  i  Santi,  se- 
condo la  Canzone:  g^ueW antico  mio  dolce  empio  Signore. 

1576.  CoLuoci  Avv.  Ippolito,  da  Jesi,  Rime  spirituali.  Pe- 
rugia, Salviani,  1576.  La  più  parte  contiene  de'  Centoni  del 
Petrarca,  in  lode  della  Vergine. 

1590.  Sagliano  M.  Pietro  Vincenzo,  d'Anversa,  Esposizione 
spirituale  sopra  il  Petrarca.  Napoli,  Caccly,  1590. 

1699.  Petrignani  Ottaviano,  accad.  Filergito  di  Forlì,  So- 
netti del  Petrarca,  ridotti  al  morale.  Forlì,  Selva.  Nel  Saggio 
de"  Letterari  esercizi  di  quell'Accademia,  p.  109.  — Forlì,  Selva, 
1716.  Sono  107  i  Sonetti:  non  vi  fece  alcun  motto  di  prefa- 
zione :  solo  stampò  da  una  faccia  quelli  del  Petrarca,  dall'altra 
i  propri,  abborracciati  sempre  con  l'aiuto  delle  Rime  e  di  qualche 
verso  del  Petrarca.  Eccone  un  saggio: 

Voi,  ch'ascoltate  in  rime  sparse  il  suono 

Di  quei  sospir,  che  va  esalando  il  cote. 

Per  detestar  quel  giovenile  errore, 

Che  mi  fé  in  parteyaltr* uom  da  quel  ch'or  sono; 
*  Del  vario  stile,  in  eh'  io  piango,  e  ragiono 

Fra  le  vere  speranse  e  il  pio  dolore; 

Date,  eh' è  giusto,  al  gran  Poeta  onore; 

E  de  la  folle  audacia  a  me  perdono. 
Ben  conosco  1'  ardire  :  onde  sovente 

Di  me  medesmo  meco  mi  vergogno, 

E  del  vana  pensier  agrido  la  mente. 
Ma  sol  fhitto  a  noi  sia  di  ciò  che  agogno, 

E  il  mostrarvi,  e  il  conoscer  chiaramente. 

Che  quanto  piace  al  mondo  è  breve  sogno. 

n  mio  carissimo  Mons.  Bernardi  mi  dà  notizia  di  un 
mss.   da  lui  posseduto,  col  titolo:  Raccolta  di  varie  Poesie 

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746  IL  CANZONIBBB  8PIBITUàUZZATO. 

di  sei  Rimatori  da   Oderzo  che  fiorirono  nel  secolo  JTI 
tratte  da  manoscritti  originali.  Ne  sono  autori  :  Frane  Mekki&\.  * 
IppoL  Melchiori^  Gir.  Casoni^  Gioo.  Criunio  Parisio,  Ottsrv'  é 
Mekhiori^  Lucia  Colao.  E  della  Colao  vi  hanno  ae9santc>r.«  i 
sonetti  con  la  indicazione:   Sonetti  di  messer  Francesco  Ft-  ^ 
trarca  trasportati  in  sacro.  Ciascuno  ha  per  epigrafe  il  pri^  ' 
verso  d'  uno  dei  sonetti  del  Petrarca,  giusta  il  quale  infermai  ; 
quello  della  illustre  scrittrice.  Non  alti*imenti  delle  dodici  Cai-  ' 
zoni  della  stessa,  che  vi  si  aggiungono,  e  che  non    mancM:- 
di  vigore  e  di  afetto.  E  perchè  si  conosca  come  T  egregia  C^    ' 
tergina  sapesse  volgere  in  onore  di  Dio  e  della  Vei^gioe  i 
metro  onde  si  cantarono  e  furono  noti  al  mondo  gli  amoiidi 
Laura,  addurrò  a  saggio  il  primo  sonetto: 

Voi  che  in  queste  mie  rime  udite  il  suono 

Del  sublime  Toscano  in  altro  amore, 

Fuggir  v'esorto  il  giovanile  errore 

Mentre  sperar  si  può  dal  ciel  perdono. 
In  debil  voce  e  stil  piango  e  ragiono, 

E  profonda  ragione  ha  il  mio  dolore, 

Che  in  vana  speme  ho  già  nudrìto  il  core 

E  fatto  abuso  del  celeste  dono. 
E  ben  si  vede  come  al  popol  tatto 

Favola  sìa  col  tempo  (onde  sovoite 

Meco  sola  pensando  mi  vergogno) 
Chi  dal  suo  vaneggiar  spera  buon  flutto  : 

Però  ù  de'  conoscer  chiaramente 

Che  quanto  {àace  al  mondo  è  breve  sogno. 

1544.  Umbruno  FfiLiaANO  (frate  da  Givitella),  Dialogo  d^l 
dolce  morire  di  Giesii  Christo  sopra  le  sei  visioni  di  Mess. 
Francesco  Petrarca.  Venezia,  Nicolini  Da  Sabbio.  Opera  j^sta 
dal  Concilio  di  Trento  nel  numero  dei  libri  proibiti  di  prima 
classe. 

1765.  RiGAMONTi  Giuseppe,  Rime  di  pentimento  spirituale, 
tratta  dal  Petratta,  Bergamo,  Locatelli.  Il  Marsand  la  dice 
collezione  preziosa. 


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747 


IMITATORI  E  CENTONISTI  (1) 

Sannazaro  Jacopo,  Roma,  1530.  È  il  più  antico  centone, 
tutto  tessuto  dì  versi  del  Petrarca,  e  comincia:  V alma  mia 
fiamma  oltre  le  belle  bella. 

Capitolo  della  Madonna  di  Loreto^  tutto  di  eersi  del  Pe^ 
trarca,  raccoUi  per  Bbusario  da  Cingoli,  Alla  Vergine  delle 
Vergini.  Nell'edizione  del  Canzoniere,  Venezia,  Zoppino,  1536. 

Accolti  Fabrizio,  Sonetto  composto  di  14  versi  del  Petrarca, 
Poesie  Toscane  e  Latine  di  diversi  eccellenti  ingegni.  Firenze, 
Torrentino,  1563. 

Centoni  di  versi  del  Petrarca  di  M.  Giulio  Bidelli,  sanese. 
Venezia,  1544.  —  Ad  istantia  di  Alberto  Grazia,  1551. 

Dugento  stanze^  con  dcfi  capitoli ^  tutte  di  versi  del  Pe- 
trarxa^  raccolti  da  Giulio  Bidelli.  Venezia,  al  segno  della 
Salapaandra,  1563;  Verona,  Discepolo,  1588;  Ceneda,  De  Ca- 
gnani,  1736. 

Ridolpi  Lue'  Antonio^  Centone  tessuto  di  versi  del  Petrarca 
in  lode  di  Artefila.  Preposto  al  Canzoniere  nelFediz.  di  Lione. 

ToMiTANo  Bernardino,  Sonetto  fatto  tutto  di  versi  del  Pe- 
trarca, Nel  Fiore  delle  Rime  raccolte  dal  Ruscelli,  1558,  p.  105. 
—  Il  Cresci mbeni  ne  riporta  uno  nel  VP  libro  del  1°  voi.  dei 
suoi  Comentari  intomo  aW  istoria  della  Volgar  Poesia. 

Paoluoci  M.*"  Sigismondo,  soprannominato  Filogenio y  da 
Spello.  Dettò  parecchi  Centoni  in  lode  di  Carlo  V. 

Andrbini  Isabella,  Due  Centoni.  Rime,  Milano,  .1601. 

Massini  Filippo,  perugino.  Canzone.  È  V  ultima  che  si  legge 
nell'ediz.  delle  sue  Rime.  Pavia,  Viani,   1609. 

E.  A.  C. ,  Centone  Petrarchesco.  Per  le  Nozze  Masiero- 
Frolli.  Venezia,  Merlo,  1857. 


(1)  Anche  il  Petrarca  si  compiacque  dei  Centoni  :  —  «e  Eidem  Ubi  Car- 
men ex  meo  alienoque  contexui ,  ea  lege ,  ut  primus  meus ,  secundus  ali- 
cuius  probati  poetae  versus  esset  :  atque  ita  ut  legentem  non  sententiarum 
modo  artificiosa  oonnexio,  sed  verborum  quoque  consonantia  delectaret.  Qua 
in  re ,  ceu  novi  poematis  ,  tenui  licet,  inventione  gloriabar  ;  donec,  roisso 
jam  carmina,  deprehcndi,  alios  ante  me  hoc  genus  attigisse.  >  Ep.  Fam. 
ni,  4.  —  V.  FrcicasseUi,  Epist.  i,  415  ;  Carditcciy  Saggio,  p.  i7. 


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748  IL   CANZONIERB  1 

Cavofigti  Fabio,  di  Bttonto  (m.  1570).  —  Ogni  sUnta  del  sao  Popitì 
r  Espjlio,  in  sei  canti  (Ven.  1M2) ,  termina  con  un  verso  del  Petrarca  - 
Della  Valle  Camillo,  Fillide,  Egloga  pastorale  in  tersa  rima.  —  Ogni  irr- 
letto  termina  con  un  verso  del  Petrarca,  nel  che  Ai  pure  segruito  óa  h^ 
bella  AMdreini,  nel  capitolo  che  incomincia:*  Invidioio  Amor  (MUaDf>. 
1007).  —  Ne  avea  prima  tentata  la  prova  Pietro  Aretino  in  un  sao  Ca^.- 
tolo  piacevole.  —  Primo  Donato  Porfido,  da  Venezia,  id.  nella  sua  Eglip 
intitolata  U  Gittdizio  di  Parie,  Napoli,  1602.  Il  Quadrio  ne  ricorda  di  Lr.'  ' 
Capilupi,  di  Ercole  Cavalletti,  di  Oiatnb.  Vitali,  di  Panfilio  Gimfme-ir 
il  Crescimbenif  di  Angelo  di  Coetanza  Pichini, 

Thomàsio  Zacharu,  Le  lagrime  nella  immatura  morie  di 
M.  Bartolomeo  Thomctsio,  suo  unico  fratello^  sopra  le  rime 
del  Petrarca  in  morte  di  M,  Laura,  Vineggia,  1552. 

Paterno  Lodovico,  napolitano,  Il  Nuovo  Petrarca^  Vwiezia. 
Valvasori-Guadagnino,  1560.  -^  Nuove  Fiamme,  Venezia,  1561; 
Lione,  Rovilìo,  1568.  —  La  Mirzia,  Parte  L*  e  II.*;  Napob, 
Scotto,  1564;  Parte  III*,  Palermo,  Maida,  1568,  —  Volle  imi- 
tare, dice  il  Quadrio»  od  emulare  il  Petrarca  ;  e  e  come  quesd 
un  volume  di  Rime  composto  aveva  sopra  Laura,  cosi  egli 
un  volume  anche  maggiore  far  ne  volle  sopra  Mirzia.  » 

Lalli  Giamb.  (n.  in  Norcia  il  P  Luglio  1572),  Rime  del 
Petrarca  mutate  in  stile  e  concetti  burleschi  e  Centone.  RomÀ, 
Cavalli,  1638. 

Giustiniani  Pier  Giuseppe,  (m.  a  Genova  nel  1651),  Poesie 
alla  maniera  del  Petrarca,  Genova,  1639.  —  Venezia,  1620. 

Colonna  Stefano,  I  Sonetti,  Le  Canzoni,  e  i  Trionfi  di 
M.  Laura  in  risposta  di  M.  Francesco  Petrarca  per  le  sue 
Rime  in  vita  e  in  morte  di  Lei  pervenuti  alle  mani  del  fna^ 
gnifico  M,  Stefano  Colonna,  Gentiluomo  romano,  non  p^r 
r  addietro  dati  alla  luce.  Vinezia,  Comin  da  Trino  di  Mon- 
ferrato, 1552;  Venezia,  Bassaglia,  1740. 

BoNOiovANNi  Pellegrina  (Ei*BÌlia  Oortinia  Arcade),  JRispo^ 
sta  a  nome  di  M,  Laura  alle  rime  di  M,  Francesco  Peirarra. 
Roma,  Franzesi  e  P^)erì,  1762;  Milano,  Galeazzi,  1763. 

Trionfi  di  Amore  di  M.  Francesco  Petrarca  trasportaci  di 
terza  in  ottava  rime.  Senza  nota  di  luogo  o  di  stampatore  o 
d*  autore. 


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749 


GRAMMATICI,  RETORI,  RACCOGLITORI, 


Libumio  mess,  Nicolò^  Pievano  di  S.  Fosca  in  Venezia,  can. 
della  ducale  basii,  di  S.  Marco  (n.  a  Venezia  1474,  yì  mori  il 
22  Sett.  1567),  Le  tre  Fontane,  in  tre  libri  divise,  sopra  la 
Grammatica  et  Eloquenza  di  Dante  Petrarcha  et  Boccaccio. 
Venezia,  De  Gregoriis,  1516;  Marchio  Sessa,  1531  ;  De  Sabbio, 
1534;  Sessa,  1554. 

Luna  Fabrizio,  Vocabolario  di  cinque  mila  vocaboli  toschi 
non  men  oscuri,  che  utili  e  necessari  del  Furioso,  Boccaccio, 
Petrarcha  e  Dante  ,  novamente  dichiarati,  e  raccolti  per  alfa- 
beto. Napoh,  Sultzbach,  27  Ottobre  1536. 

È  pieno  di  voci  cotanto  strane  che  ci  vorrebbe  un  altro 
vocabolario  per  intendere  il  suo.  Apostolo  Zeno. 

Ateneo  Nicolò,  La  Grammatica  Volgare  trovata  ne  le  opere 
di  Dante,  di  Fr.  Petrarca,  di  Giovan  Boccaccio.  Napoli,  Sultz- 
bach, 1538. 

L*  Ateneo  conferma  i  suoi  precetti  cogli  esempi  tolti  segna- 
tamente dal  Canzoniere  del  Petrarca. 

Alunno  M.  F,y  da  Ferrara  (Del  Bailo).  —  Le  Ricchezze  della 
lingua  volgare  sopra  il  Boccaccio  con  le  dichiarazioni  regole 
osservazioni  cadenze  e  desinenze  di  tutte  le  voci  del  Boccaccio 
e  del  Petrarca  per  ordine  d'alfabeto.  Venezia,  Aldo,  1543  e 
1551;  id.  Gherardo,  1557;  id.  Bonelli,  1555. 

La  Fabbrica  del  Mondo  nella  quale  si  contengono  le  voci 

di  Dante,  Petrarcha —  Venezia,  De  Bassarini,  bresciano,  1546; 
id.  Sansovino,  1558,  1560,  1562,  1568,  1570,  1575;  Id.  Comm 
da  Trino,  1555;  Id.  Rampazzetto,  1562;  Id.  Giamb.  Porta, 
1584;  id.  Uscio,  1588;  id.  Ugolino,  1593,  1600. 

n  Tassoni,  forse  troppo  severamente,  la  chiama  fabbrica 
di  mattoni  mal  cotti. 

Acharisio  Alberto,  da  Cento,  Vocabolario,  grammatica  et 
ortografia  de  la  lingua  volgare,  con  esposizione  di  molti  luoghi 
di  Dante,  del  Petrarca,  ecc.  Cento,  in  casa  dell'  autore,  Zugno, 
1543;  Venezia,  Valgrìsio,  1550. 


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750  IL  CANZONIBRB 

Scrive  di  avei'la  compilata  per  sé,  per  i  suoi  figli  e  a  be- 
neficio del  prossimo. 

Dolce  L.y  II  Petrarca  corretto.  Venezia,  Giolito,  1557.  — 
Ha  non  solo  gli  Avvertimenti  del  Camillo,  ma  di  più  gV  ladks 
dei  concetti^  delle  parole,  degli  epiteti,  fisitiche  tutte  del  Dok«, 
col  raccoglimento  infine  delle  desinenze  e  delle  rime, 

Modi  affigurati  e  voci  scelte  ed  eleganti  àéUsk,  Tolgar 

lingua.  Venezia,  Marchiò  Sessa,  1564. 

Dal  principio  alla  pag.  263  si  trovano  le  cose  degne  da 
esser  notate  nel  Canzoniere. 

De  la  Barba  Simone,  da  Pescia,  La  Topica  di  Cicerone 
col  comento  di  Pompeo  De  la  Barba,  nel  quale  si  moslrand 
gli  esempi  di  tutti  i  luogiii  cavati  da  Dante,  da  Petrarca  e 
dal  Boccaccio.  Venezia,  Gabriel  Giolito  de'  Ferrari,  1566.  Mi- 
lano, Silvestri,  1847. 

Sossi  Gir.,  Ragioni  che  la  volgar  lingua  abbia  avuto  dal  Pe- 
trarca e  dal  Boccaccio  il  compimento  suo.  Padova,  Pasquali,  1570. 

Buonamici  Francesco,  Discorsi  poetici.  Firenze,  Marescotti. 
1597.  —  Nel  discorso  secondo,  si  parla  della  veste  del  Pe- 
trarca, su  cui  egli  soleva  scrivere  le  cosi  dette  chiavi  de*  suoi 
Sonetti  e  delle  sue  Canzoni. 

The  principal  Rules  of  the  italian  Grammar  and  Dictio- 
nary,  for  the  better  understanding  of  Boccace,  Petrarch,  and 
Dante.  London,  1550,  1561,  1567. 

L*Arte  Poetica  del  signor  Antonio  JUBntumo  da  Truetto 
(Sebastiani  da  Minturno,  Vescovo  di  Ugento  e  poi  di  Gotrone), 
nella  quale  con  la  dottrina  dei  Sonetti,  Canzoni  ed  ogm  sorta 
di  rime  toscane  s*  insegna  il  modo  che  tenne  il  Petrarca  ndie 
sue  opere.  Venezia,  Valvasori,  1564;  Napoli,  Muzio,  1725.  H 
Carducci  dice  il  Minturno  critico,  secondo  i  tempi,  dottissimo. 

Atiendolo  G.,  (m.  nel  1584,  fiaccato  dalle  ruote  di  ira  carro), 
L*  unità  della  materia  poetica  sotto  dieci  predicamene  esami- 
nata nei  due  principi  della  toscana  e  latina  poesia  Petrarca  e 
Vigilio.  Napoli,  1724. 

Bisso  Giambatista,  (della  e.  di  G.),  Voci  e  locuzioni  poe- 
tiche di  Dante,  Petrarca.  —  Palermo,  Ferrer,  1756.  —  Intro- 
duzione della  volgar  Poesia.  Venezia,  1778.  Leggoasi  degli 
Avvertimenti  sul  modo  di  ben  comporrre  il  Sonetto,  allegando 
e  spiegando  i  più  bei  passi  del  Petrarca.  Marsand» 

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GRABfMATICl,  RSTOBI,  RACOOOLITORI.  751 

Raccolta  di  tutte  le  voa  scoperte  sul  Vocabolario  ultimo 
della  Crusca,  e  aggiunta  di  altre  che  ci  mancano  di  Dante, 
Petrarca,  Boccaccio,  compilata  da  Domenico  Bergamini.  Ve- 
nezia, stamp.  Radiciana,  1760. 

Due  opuscoli  del  sig.  Gtoo.  Agostino  Zeviani,  il  primo  inti- 
tolato Metastasdo  maestro,  T altro  del  Canto  ed  ornamento 
poetico  lirico  italiano  con  T  indicazione  delle  piti  eccellenti  bel- 
lezze del  Petrarca.  Verona,  Moroni,  1787. 

Francheggiarono ,  più  che  altro,  ie  lor  regole  ed  i  lor  awertimentt 
coli'  autorità  e  cogli  esempi  del  Petrarca  i  seguenti  autori  :  Pranceaeo 
Fortunio^  Regole  grammaticali  della  Volgar  lingua,  Venezia,  Aldo, 
1515;  Venesia,  1558.  —  Gir.  Ruscelli,  Tre  discorsi  a  Lodovico  Dolce, 
Venezia,  Pietrasanta,  1563;  Le  Regole  OrammaticaU,  Venezia,  Griffio, 
1558.  — >  Dolce  Lodovico,  Quattro  libri  delle  osservazioni  sulla  lingua  vol- 
gare ,  Venezia ,  Giolito ,  1551.  —  Matteo  co.  di  S.  Martino ,  Osservazioni 
grammaticali  e  poetiche  della  lingua  Italiana,  Roma,  Dorico,  1555.  —  San- 
sorino  Francesco.  Le  osservazioni  della  lingua  volgare.  Venezia,  1502.  Jd., 
L' arte  oratoria,  1516.  —  Cittadini  Ceìto^  Le  orìgini  della  volgar  toscana 
favella.  Siena,  1604,  e  nelle  Rime  Platoniche.  Cittadini,  Opere.  Roma,  Roffi, 
1731.  — >  Osano  Giovanni,  Tesoro  di  concetti  poetici  scelti  da  più  illustri 
poeti  toscani,  Venezia,  Deuchino,  1610.  —  Menagio  Egidio,  nelle  sue  Mesco- 
lanze, Parigi,  Bilaine,  1678;  Venezia,  Pasquali,  1736;  Origine  della  lingua 
italiana  con  la  giunta  di  modi  di  dire  italiani ,  Ginevra ,  Chouet ,  1665.  -*^ 
Creècivnbeni  Mario,  Bellesze  della  volgar  Poesia,  Roma,  De  Rossi,  1708. 

Rimario  di  tutte  le  cadente  di  Dante  e  Petrarca  retecohe 
da  PiELLEGRiNO  MoRBTTO,  mantovano,  (Fulmo  Pellegrino  Mo- 
rati^ padre  della  celebre  Olimpia).  Venezia,  Zoppino,  1508; 
Ugnarne,  1532;  Bindoni  et  Mapheo  Pasini,  1533,  1541,  1546, 
1544;  FrataUi  da  Sabbio  1550;  Rampazzetto,  1558  e  1565. 

Rimario  nuotDO  di  tutte  le  concordanze  del  Petrarcha  per 
Giovanni  Maria  Lanfranoo,  parmesano.  Brescia,  Jac.  Philippo 
da  Cigoli,  1531.  <-— Neil*  edizione  del  Canzoniere,  Venezia,  Pie- 
trasanta,  1556. 

Rimario  di  Benbdbtto  Del  Falco,  contenente  oltre  le  voci 
usate  da  Dante  e  dal  Petrarca....  Napoli,  Mathio  Canze, 
1535. 

RiDOLFi  Lue'  Antonio,  Tavola  di  tutte  le  rime  de  i  sonetti 
e  canzoni  del  Petrarca,  ridotti  coi  versi  interi  sotto  le  cinque 
lettere  vocali,  Venetàa,  Bevilacqua,  1563  ;  Nicolinì,  1573  ;  Lione, 
Rovilk),  1574 


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752  IL  CANZOMBRB 

Rimario  lirico  o  sia  tavola  di  tutte  le  rime  de"  cm^ve 
prinàpali  poeti  Urici  ^  Petrarca  ^  eoe.  Bei^g^amo,  Lanoeloto), 
1746,  1760;  Venezia,  NoveUi,  1764. 

«  Nella  biblioteca  Ferrarese  vi  è  un  cod.  mss.  del  sec,  XVI,  di  e  tifi 
namerate ,  ed  S  aeasa  numeri ,  contenente  un  Rimario  deUe  cadenHe  di 
Fr.  Petrarca  delle  quali  non  si  conoBce  V  autore,  che  ali'  olttaio  ÓA  fibra 
annoto  conlenervisi  in  numero  di  10,141,  i  rersi  da  lui  riportati  per  in- 
tero. »  Cittadella  N.^  Il  Petrarca  in  Ferrara ,  p.  90.  —  La  Moreìaiia  pos- 
«iede  pure  un  Rimario  inedito  del  Canzoniere  (Cod.  cart.  L.  ix,  S14,  e.  9' 
del  sec.  XVI,  già  appartenente  ad  Apostolo  Zeno),  di  mano  dd  Bi«^i£«e 
signor  Paolo  Alvarotlo.  Il  Rimario  è  intitolato  :  ChmrvatiotU  di  rime  trass  I 
dal  micantiésimo  lume  dei  poeti  moderni  messer  Fr.  Pisirttrea, 

Versi  morali  et  senientiosi  di  Dante  j  del  Petrwrca^  ecc^ 
per  utilità  comune  insieme  raccolti,  la  Venetia  ne  la  oonirads 
di  S.  Marìa  Formosa,  1553,  di  pag.  204. 

Sentenze  e  Praterbi  del  Petraca^  ridotti  per  ordine  di 
alfabeto.  Nell*Ediz.  del  Canzoniere,  Venetia,  Barezzi,  1592. 

Miniati  Giovanni,  da  Prato,  Comparaziom  sentenze  e  dati 
piii  notabili  del  Petrarca,  Firenze,  Volemar  Timan,  1607. 

Sentenze  tratte  dalle  principali  opere  dei  quattro  po^ 
italiani,  cioè  dalla  Divina  Commedia,  dal  Canzoniere  di  Fr. 
Petrarca,  eoe.  Milano,  Schiepatti,  1831. 

FsHRAEn  Jacopo,  Sentenze  del  Canzoniere.  <—  Proverbi.  — 
Altri  detti  memorabili  e  sentenziosi,  —  SimiUiudini  tolte  da^ 
umani  costumi  e  dal  cuore  umano.  Man.  Dant  m ,  22d-260. 

Raccolta  di  sentenze,  mttssùne,  concetti  suhUmi,  sùmUtu^ 
dmi  e  comparazioni  dei  quattro  classici  italiani  Dante  Ali- 
ghieri, Fr.  Petreu^ca,  Lodovico  Ariosto,  T.  Tasso,  eseguita  ed 
ordinata  dal  dott.  Anacleto  Bizzarri  e  da  Ippouto  Booa.  Fi- 
renze, Tofani,  1872. 

Indice  di  tutti  i  nomi  propri  della  Storia  e  della  Geo^ 
grafia  che  s*  incontrano  nelle  Rime  del  Petrarca.  N^*edìz. 
del  Canzoniere' della  Minerva,  Padova,  1827. 


APOLOGIE  E  CENSURE. 

Il  Petrarchista,  Dialogo  di  Nicolò  Franco  da  Benevento, 
(m.  nel  1570,  sedendo  Pontefice  Pio  V,  impeeo  Mila  forca), 
nel  quale  si  scuoprono  nuovi  segreti  aopra  il  Rrtrarca  •  ai 


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APOLOGIE  E.  CENSURE.  753 

taxino  e  si  leggono  molte  lettere  che  il  medemo  Petrarca  in' 
Lngiia  toscana  scrisse  a  diverse  persone.  Cose  rare  nò  mai 
>iii  vedute  poste  in  luce.  Venezia,  Gabriel  Giolito  deTerrari,  1539, 
Lo41,  1543.  —  V.  Fracassetti,  Epist.  del  Petrarca,  toI.  i,  p.  382. 
Li  due  Petrarchisti,  Dialoghi  di  Nicolò  Franco  e  di  Ercole 
Giowinmniy  e  si  danno  a  leggere  molte  lettere  missive  e  re- 
sponsive che  lo  stesso  Petrarca  in  lingua  toscana  scrisse.  Ve- 
[lesda,  Barezzi,  1633. 

doppio  Eteronimo,  Ragionamento  in  difesa  di  Dante  et  del 
Petrarca.  Bologna,  Rossi,  1585. 

Massini  Filippo^  Estatico,  Insensato,  Lezioni  recitate  da  lui 
pubblicamente  nell'Accademia  degl'Insensati  di  Perugia.  Pe- 
rugia, Petrucci,  1588. 

La  prima  lezione  è  in  difesa  del  Petrarca  contro  le  oppo- 
sizioni del  Castelvetro,  recitata  dall'Autore  nel  reggimento  di 
Pietro  Antonio  Gliiberti,  detto  lo  Spensierato.  Questa  difesa  si 
trova  pur  inserita  neir  edizione  delio  Zatta,  voi.  ii,  p.  594. 

Risposta  di  Gioseffe  degU  Aromatari,  d*  Assisi,  alle  Consi- 
derazioni di  Alessandro  Tassoni  sopra  le  Rime  del  Petrarca. 
Padova,  ladra,  1611. 

Le  scrisse  ne'  suoi  venti  anni,  studiando  in  Padova  filosofia 
sotto  il  Cremonioi.  Dell'  Aromatari  scrisse  la  vita  Giamb.  Fabri, 
Venezia,  Milocco,  1661. 

Avvertimenti  di  Crescenzio  Pepe  (Al.  Tassoni),  da  Susa>  al 
sig.  Gioseffo  d^li  Aromatari.  Modena,  Cassiani,  161 L 

Dialoghi  di  Falcidio  Melampodio  (losef  Aromatari),  in  ri- 
sposta agli  Avvertimenti  dati  sotto  il  nome  di  Crescenzio  Pepe. . . . 
Venezia,  Deuchino,  1613;  id.  1623. 

La  Tenda  Rossa,  risposta  di  Gir,  NomisenU  (Al.  Tassoni), 
ai  Dialoghi  di  Falcidio  Melampodio.  Ignem  gladio  ne  fodias. 
Franfort  (Modena),  1613  e  1702. 

Diede  il  Tassoni  il  titolo  di  Tenda  Rossa  a  quest*  opera, 
mosso  dall'esempio  di  Tamerlano,  che  nelle  sue  guerre  ed 
assedj  esponeva  prima  una  Tenda  Bianca,  in  segno  di  gen^ 
rale  perdono  ;  nel  giorno  vegnente  una  Tenda  RossOy  per  in- 
dizio di  morte,  a  chi  avesse  prese  le  armi  ;  e  nel  terzo  giorno 
una  Tenda  Nera  per  segno  di  totale  esterminio  d'ogni  sesso 
ed  età.  L*  Assisate  avrebbe  di  certo  repUcato,  se  non  si  fossero 
frammewi  gli  amici  di  entrambi. 


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754  IL  CANZONIBRB 

Aristotile,  Rettorìea  fiitta  in  lingua  toscana  dal  com.  A. 
Caro,  accresciuta  di  ima  Pre&zione  del  dott.  Biagio  Sdiiopo. 
Venezia,  Bassaglia,  1732.  La  Pre&zione  ò  quasi  tutta  contro 
il  Muratori  in  difesa  del  Petrarca. 

Lettera  di  M.  Fa.  Pstrarga.,  all'Autore  della  Pre£uìO£€ 
premessa  alla  Rettorìea  di  Aristotile,  ecc.  Venezia,  G«nDÙa. 
1733. 

«  È  la  difesa  di  un  Petrar^ista,  intrapresa  col  nome  stesse 
del  Petrarca,  contro  le  Osservazioni  crìtiche  del  Muratori,  cbe 
nell*  opera  della  perfetta  Poesia  non  rìsparmiò  gran  fatto  qu4 
principe  de*  lirìd  italiani.  Il  nome  di  questo  contro  crìtico  mi 
è  ftiggito.  »  —  Lancetd^  Pseudomini,  318.  —  Il  Marsand  ritieiH 
pur  questo  lavoro  del  dott.  Biagio  Schiavi  à*  Este. 

Quirini,  intomo  a  varì  passi  del  Petrarca  criticati  dal  Mc- 
ratorì,  Lettera  ali*  ab;  Giovanni  QuirìnL  Venezia,  Ocdd,  1751. 

Risposta  di  Jacopo  MarUnenghi  al  libretto  intitolato.  Lettere 
di  M.  Francesco  Petrarca  alF  Autore  della  Prefazione,  ecc.  Ve> 
nezia,  Baseggio,  1733. 

Rispoeta  di  V.  Cavallucci  (perugino,  n.  1700,  m.  1784),  alle 
Lettere  scrìtte  a  nome  del  Petrarca  ali*  Autore  della  Preù- 
zione Perugia,  Costantini  e  Maurìzi,  1761. 

Il  Filalete^  Dialogo  in  difesa  del  Petrarca,  considerato  come 
poeta  e  contro  le  accuse  date  sullo  stile  de^  sum  compooimenti 
e  sulla  qualità  del  suo  amore.  Venezia,  Tabacco,  1738. 

Belli  Anima  TranquiUino,  Lettera  sopra  una  nota  del  Ti- 
boschi  intorno  Fr.  Petrarca.  Arezzo,  1786. 

Prende  la  difesa  del  Poeta  contro  un  Frate  Maestro  dei 
sacro  Palazzo.  La  data  di  questo  spiritoso  opuscf^^  come  lo 
chiama  il  Comianì  ne*  suoi  Secoli  della  Letteratura  italiana,  è 
falsa,  essendo 'stato  stampato  a  Milano. 

Pietropoli  dott,  Giampietro,  Il  Petrarca  impugnato  dal  Pe- 
trarca, ecc.  Venezia,  Alrìsopoli,  1818. 

I.  Saggio  sui  pensierì  del  Gantor  di  Laura.  —  II.  Buon  g}ss,to 
del  Petrarca.  —  III.  Sulla  buona  memoria  del  Poeta.  —  IV.  Lin- 
gua e  r  elezione  di  Messere.  —  V.  Sul  crìterìo  delF  incoronato 
prìncipe  dei  Vati.  —  VI.  Moralità  dell*  Arcidiacono  di  Parma. 
—  VII.  Carattere,  e  sulla  sorte  poHtìca  dei  eanon^d*An}uà.  — 
Vili.  Riepilogo  per  dare  V  ultimo  saggio  sulla  stabilità  degli 
argomenti  del  nostro  Lirico.  —  V.  FracasseUi,  Epist  ii,  Wò, 


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755 


ILLUSTRAZIONI  DI  CODICI. 


Absighi  Ltnoi,  Illustrazione  cU  codice  autografi)  di  mess, 
'V.  Petrarca  occulto  alla  repubblica  letteraria  fin  dall'anno 
501.  PMtrobmrgo,  Stamp.  del  Dipartimento  deiristruzione  pub- 
dica,  1825. 

lilustraHoni  e  dichiarazioni  intorno  ad  un  codice  auto^ 
frafb  delle  poesie  volgari  di  Fr,  Petrarca  scoperto  e  posseduto 
lai  sig.  Luigi  Arrighi  in  Pietroburgo.  Milano,  Silvestri,  1826. 

Valentinelli  Oii/SBPPB,  /  codici  mss.  di  Opere  di  Fran^ 
•ieseo  Petrarca  ed  a  lui  riferentesi  posseduti  dalla  Biblioteca 
Marciana  di  Venezia.  Petrarca  e  Venezia,  p.  41-147. 

Lavoro  mirabile  di  erudizione  e  dì  diligenza.  I  codici  illu- 
strati B<HìO  101  ch*ei  divise:  1.  Opere  italiane,  1-36  dalla  pag. 
47  alla  74.  —  IL  Opere  latine,  A.  Prose,  Lettere,  37-58,  p.  75, 
96.  b.  Prose  Varie,  59^0,  p.  97-1 18.  —  B.  Poesie,  81-90,  p. 
119-130.  —  III.  Opere  su  Prancesco  Petrarca,  91-101.  p.  131- 
147.  —  n  Valentinelli  ne  indica  i  caratteri,  ch'ei  dice  estemi 
del  libro,  occupandosi  i»ù  specialmente  del  contenuto,  della 
correzione  o  meno  del  testo,  dell'  importanza  delle  varie  lezioni, 
delle  note,  delle  giunte,  delle  collazioni  tra 'loro  o  di  questi 
colle  stampe,  delle  parti  inedite,  del  nome  de'  possessori,  del- 
l' uso  fattone ,  del  vantaggio  che  se  ne  può  ritrarre.  Come  il 
destro  gli  si  pronenta,  non  trascura  di  darci  dei  saggi  delle 
differenxe  che  con'ono  tra  i  codici  descrìtti  e  le  lezioni  delle 
stampe.  —  Q  Nardueci,  giudice  competentissimo,  chiama  vera- 
mente magistrale  1*  illustrazione  del  Valentinelli.  Non  solo  vi  è 
illustrata  la  bibliografia  del  sonrnio  filosofo  e  poeta,  ma  eziandio 
la  storia  delle  varie  sue  opere.  Cod.  Gov.  p.  174. 

Ubbani  Dombncoo,  Due  Codici  delle  cose  volgari  di  Fr. 
Petrarca  conservati  nella  Biblioteca  del  Museo  civico  di  Ve^ 
nezia.  Petrarca  e  Venezia,  149-175. 

Tutti  e  due  abbracciano  il  Canzoniere  ed  i  Trionfi;  tutti 
e  due  appartennero  alla  raccolta  di  Teodoro  Correr,  derivanti 
dalla  librerìa  del  Senatore  Giacomo  Soranzo.  Nò  solo  ce  no 
offi«  un'accurata  descrizione,  ma  pure  un  saggio  di  Varianti > 


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756  IL  CANZOmBRE 

e  del  Cod.  membr.  Libr.  B  S  e:  5  N.  7  ci  dà  TcMnlme  eoB  cai 
80Q  posti  ì  componimanti. 

Malvezzi  0.  M. ,  Codice  Petrarchesco  posseduto  dai  noè, 
com.  Emilio  de  Tipaldo.  Petrarca  e  Venezia,  177-186. 

Questo  Codice,  tuttavia  inesplorato,  appartenne  -a  Bernard 
dino  Barbo.  Il  Malvezzi  riporta  la  nota  che  vi  si  leggi»:  P<^ 
trarcei  Carminis  dukedine  captus  Bemardinus  Baràus  Frm¥ 
asci  Petti  fiUus  miisarum  emulcOor  YoUtmen  hoc  Déoaru^li 
auribus  non  indignum.  Siìn  posterisque  et  optitnitrutn  tantum 
amicorum  gratuito  usui.  Peculiari  sumpiu  studitit  campa" 
randum:  ne  computetur  in  Assem.  —  Il  mas.  forse  oootoD- 
poraneo,  o  quasi,  al  Petrarca.  Bello  sarebbe,  dice  fl  Malvezzi, 
ma  di  lunga  lena  uno  studio  sulle  varianti.  £i  non  potè  re- 
sistere al  desiderio  di  dame  un  Saggio,  riportando  il  Sonetto 
Spinse  Amor  (lxxhi,  p.  2),  e  concbiude  «eh* è  Heto  di  avéa- 
additato,  od  almeno  ricordato,  agli  eruditi  un*  altra  fonte,  die. 
studiata  a  dovere,  specialmente  riguardo  alle  varianti,  potrebbe. 
per  avventura,  giovare,  non  che  altro,  agi*  interessi  della  lingua 
nostra  nei  rapporti  filologici.  » 

Naadloci  Enrico,  /  Codici  Petrarcheschi  delle  BibSotechc 
Governative  del  Regno  indicati  per  cura  del  Ministero  della 
pubblica  Istruzione.  Roma,  Tip.  Romana,  1874. 

Catalogo  dei  Codici  Petrarcheschi  delie  biblioteche 

Barberina^  Chigiana,  Corsiniana^  Vallicelliana  e  VaOcana^  e 
delle  edizioni  Petrarchesche  esistenti  nelle  Biblioteche  pubbU- 
che  di  Roma,  Roma,  Tip.  Romana,  1874. 

Fu  lodevoUssimo  intendimento  del  Ministero  della  pubblica 
Istruzione  di  volere  cbe  per  le  solenni  secolari  onoranze  a  Fr. 
Petrarca^  venisse  in  luce  una  descrizione  di  tutti  i  codici  Pe- 
trarcbesdii  conservati  nelle  Biblioteche  governative  d^  regno. 
Sono  419  mss.  che  pongon  in  chiaro  quanta  ricchezza  lette- 
raria posseggano  in  proposito  le  librerie  italiane.  Il  non  facile 
compito  di  ordinara  le  notizie  alPuopo  fomite  dai  rispettivi' 
Bibliotecari,  venne  affidato  al  valoroso  preside  dell* Alessan- 
drina, il  quale  se  ne  sdebitò  da  par  suo.  «  La  distribuzione 
dei  lavori  petrarcheschi  ò  stata  fatta  per  dascuna  Biblioteca 
in  ordine  al&betico  delle  singole  città,  ponendo  innanzi  gVi- 
taliani,  fra  i  quali  in  primo  luogo  le  Rime,  gloria  immortale 
e  popolarissima  del  cantore  di  Laura  e  di  Gola  di  Bàsazo; 


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ILLUSTRAZIONI  DI  CODICI.  757 

uindi  i  latim,  con  quell'approssimativo  ordine  cronologico  di 
om posizione  seguito  anche  dal  eh.  Fraticelli  ;  da  ultimo  le 
ersioni,  le  opere  suppositizie  ed  apocrife,  le  biografìe  ed  altri 
critti  riguardanti  il  Petrarca.  >  Né  a  tanto  si  tenne  contento 
L  Narducd.  Ei  ci  fò  dono  di  un  altro  catalogo  dei  codici  Pe- 
rarcfaescfai  conservati  nelle  Biblioteche  pubbliche  di  Roma, 
he  non  sono  in  potestà  del  Governo,  cioè  la  Barberina,  la 
3hi^iana,  la  Gorsiniana,  la  Valh'celliana  e  kr  Vaticana,  e  ne 
ibbe  il  bel  rìsult amento  di  altri  184  codici.  A  rendere  più  in- 
ereasante  e  insieme  più  proficuo  il  suo  lavoro  volealo  corre- 
lato di  tre  indici;  delle  Biblioteche  cioè,  delle  opere  illustrate, 
t  dei  nomi  ricordati.  Degnissimo  poi  d'ogni  lode,  e  per  la 
QOTÌtà,  e  come  esercizio  del  modo  semplicissimo  col  quale  si 
può  dare  in  un  solo  corpo  il  catalogo  di  quante  biblioteche  si 
rog-liano,  in  modo  che  non  ne  scapiti  l'ordinata  serie  di  ciascuna, 
mi  parve  il  catalogo  di  tutti  gli  esemplari  esistenti  nelle  Bi- 
blioteche pubbliche  romane  di  edizioni  di  opere  del  Petrarca. 
In  breve,  il  lavoro  dell'  egregio  sig.  Narducci  e  per  la  postavi 
diligenza,  e  per  l' ordine  con  che  venne  distribuita  la  materia, 
non  può  non  tornare  di  grande  soccorso  agii  studi  Petrarcheschi. 

Capparozzo  Andrea  ,  Rime  del  Petrarca ,  Codice  cartaceo 
della  Biblioteca  BertoUana  di  Vicenza.  Paroni,  1876. 

Ci  descrive  accuratamente  il  Codice  vicentino,  e  ci  dà  conto 
delle  rime  in  esso  interpolate,  edite  ed  inedite,  aggiungendovi 
un  buon  corredo  di  notizie  bibliografiche. 

Nella  Libreria  di  Santa  Maria  Nuova  di  Monreale  (Sicilia)  si  conserva 
un  codice  memljranaceo  dei  Trionfi  del  Petrarca.  Consta  di  e.  46  non  nume- 
rate, è  in  16°:  la  scrittura  tennina  a  pag.  91,  dopo  l'ultimo  verso  dei 
Trionfi,  con  queste  parole  :  Francisci  Petrarcae  poetae  clarissimi  ethernitatis 
triumphus  sestus  et  ultimus  feliciter  explicitur,  Laus  Deo.  A.  D.  O  MCDXXXII 
Die  XV  Aprilis.  —  Ogni  pagina  contiene  otto  tersine  :  la  iniziale  del  primo 
verso  d*ogni  capitolo  è  ad  oro  e  miniata  :  nella  prima  pagina  la  miniatura 
è  più  bella  e  più  grande ,  ed  una  cornice ,  più  miniata ,  chiude  i  versi  di 
tutta  la  pagina  :  in  basso  lo  stemma ,  in  miniatura ,  della  nobile  famiglia 
siciliana  de'  Termini ,  cioè  :  scudo  di  azzurro ,  con  una  fascia  d'  oro ,  ac- 
compagnata da  tre  stdle,  poste  due  al  capo  e  una  in  punta.  Nel  principio 
della  pag.  1  ai  legge  :  ClarisHmi  poetae  FrancUci  Petrarce  triphunpho* 
rum  (sic)  VI  liber  unicua  incipit  feliciter  imprimis  ut  amor  umett  (sic) 
M.  V.  N.  D.  V.  M.  —  Il  Codice  è  probabilmente  scritto  in  Sicilia  e  da  Si- 
ciliano, e  sarebbe  importante  uno  studio  su  esso.  —  Di  questa  illustrazione 
mi  professo  debitore  ali*  egregio  mio  amico  Salvatore  Salomone  Marino. 


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758  IL  CàNIONISRB 


EDIZIONI  —  BIBUOORAFIA. 


PnzàNà  Angilo,  Notizie  bibUcffrafiche  inionu>  a  éme  n- 
rissime  edizioni  del  secolo  XIV,  Parma,  Bodoni,  1806. 

MsNifiiiELU  A.  (n.  a  Parma  il  6  Agosto  1785.  —  V.  La  sJ 
vita.  Memoria  postuma,  Padova,  Sioca,  1845),  DeiTedis,  ddk 
Rime  del  Petrarca  per  opera  e  studio  del  prof,  àùareamd. 
Padova,  Minerva,  1820. 

Edizione  singolarissima  del  Canzoniere  del  Peùnaroa  6t^ 
scritta  dalTavv,  Domjsnioo  RoaBvrn,  Tnaate,  Maraiùgh,  18^^ 
—  Di  una  antica  ediòone  ssoia  data,  ritenuta  la  pi«  ìàzzMm 
di  quante  esistono.  Ei  conclude  ch'era  stata  impressa  da  ose 
stampatore  alemanno  tra  il  1473  ed  il  1475,  con  oaratten 
mobili,  ovvero  su  piastre  intere  di  legno  o  di  metallo  dietro 
una  maniera  stereotipa.  Il  testo^  a  quanto  ne  pensa,  è  il  aa- 
desimo  dell'edizione  di  Jenson. 

ScoLABi  Filippo,  Lettera  sulle  edizioni  del  Petrurea,  IS2Ù 
e  1829.  Treviso,  AndreoU,  1830. 

Volpi  0.,  Catalogo  di  molte  delle  principali  edizioni  che  so9c 
state  fatte  del  Canzoniere  di  messer  Francesco  Petrarca  di- 
sposto per  ordine  di  cronologia  e  arricchito  di  qualche  ossa-- 
vazione,  —  Neil*  edizione  del  Canzoniere,  Padova,  Cornino,  1722, 
LXiv-civ.  —  Ora  in  vari  luoghi  corretto  e  accresciuto,  Padova. 
Cornino,  1732,  p.  391-440.  —  Venezia,  Zatta,  1756,  p.  540^74. 
Parigi,  Prault,  1768.  —Milano,  Classici,  1805,  p.  272-337.- 
Londra,  Bnlwer,  1811,  Ediz.  del  Zotti.  — Lipsia,  Altenbnrgo, 
Brochkaus,  1818,  ed.  Fernow. 

Gamba  Bantolombo,  Serie  dei  Testi  di  lingua.  Venezia, 
Alvisopoli,  1820.  —  Petrarca,  150-161. 

Zambrini  F.,  Le  opere  volgari  a  stampa  del  secolo  XIJI  e 
XIV  indicate  e  descritte,  Bologna,  Romagnoli,  1866.  —  Pe- 
trarca, 340-356. 

Raffaelli  fifARCHBSE  Fiuppo ,  Edizioni  esistenti  nella  Co- 
munale Biblioteca  di  Fermo^  descritte.  Illustrazione  di  un  co- 
dice de'  Trionfi,  Fermo,  Paccasassi,  1874,  p.  xiv-xxvm. 


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BDizima  —  BiBLioeRAFu.  759 

Nmiduoci  Enrico  ,  Catalogo  delie  Edizioni  Petrarchesche 
esistenti  nelle  Biblioteche  pubbliche  di  Roma.  Catalogo  dei 
Z^odiei  Petrarcheschi  della  Bapberìna^  ecc.,  p.  71-96. 

Le  pubbliche  Biblioteche  di  Rime  contano  102  edizioni  del 
Canzoniere,  19  del  quattrocento;  59  del  seicento;  4  del  600;  12 
del  settecento,  ed  8  deir  ottocento:  gli  esemplari  sommano  a  168. 

Biblioteca  Petrarchesca  fbrmaia,  posseduta  y  descritta  ed 
iUustraia  dal  prof .  A.  Massand.  Milano,  Giusti,  1826.  — Ediz. 
di  soli  150  Esemplari. 

P.  I.*^  Edizioni  del  Canzoniere  e  dei  Trionfi  di  Francesco 
Petrarca,  Sez.  unica,  p.  3-147.  —  P.  IL*  Scrittori  intorno  alla 
vita  ed  al  Canzoniere  del  Petrarca,  147-149.  —  Scrittori  della 
TÌta  di  Fr.  Petì*arca  e  di  ciò  die  alla  vita  di  lui  appartiene, 
149.  Spositorì  ed  illustratori  in  tutto  o  in  parte  del  Canzo- 
niere e  dei  Trionfi  del  Petrarca ,  p.  166.  —  Traduttori,  imita- 
tori e  scrittori  per  qualsivoglia  maniera  di  cose  o  che  lo  ri- 
guardano, 191.  —  Breve  ragionamento  intorno  il  Celibato  di 
Laura,  231.  —  P.  III.*  Codici  mss.  del  Canzonieri  e  de'  Tionfi, 
237.  —  Codici  mss.  del  Canzoniere  e  de*  Trionfi  del  Petrarca, 
senza  nota  d'anno,  239.  —  Con  nota  d'anno,  249.  —  Codici 
mas.  che  alla  detta  poesia  volgare  o  alla  vita  di  lui  appar- 
tengono, 255.  —  Tavola  I.*  nella  quale  si  contengono  disposti 
per  ordine  alfabetico  i  principii  di  alcuni  Sonetti  o  di  alcune 
Canzoni  di  Francesco  Petrarca . . .  intomo  a'  quali  son  stati  fatti 
dei  speciali  commenti^  261.  —  Tav.  IL*  nella  quale  si  notano 
i  libri  a  stampa  più  preziosi  che  sono  in  questa  Biblioteca  o 
per  la  loro  rarità,  o  per  la  loro  forma  o  per  la  qualità  della 
carta  o  d'altra  materia,  263.  Id.  Le  Rime  del  Petrarca,  Pa- 
dova, Sem.  1820,  p.  293-427;  Id.  Ediz.  Ciardetti,  1821,  p.  293- 
427;  Fir.  Ediz.  Pagni,  1826. 

Rossetti  Domenico,  Raccolta  di  edizioni  di  tutte  le  opere 
del  Petrarca.,.,  Venezia,  Picotti,  1822. 

Catalogo  della  Raccolta  che  per  la  Bibliografia  del 

Petrarca  e  di  Pio  II  è  già  posseduta  e  si  va  continuando. 
Trieste,  Marenigh,  1834. 

Continuazione  del  Catalogo  di  pag.  8. 

HoBTis  Attilio,  Catalogo  delle  Opere  di  Francesco  Pe- 
trarca esistenti  nella  Petrarchesca  RosetHana  di  Trieste,  ag- 


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760  IL  Q^MZONIBBB 

giuntavi  V  iconografia  della  medesima,  Trieste ,  Af^Mlonis  $ 
Capria,  1874. 

Dopo  gli  accuratissimi  cataloghi  del  Marsand  e  dell' Hortiss 
qualunque  altro  lavoro  illustrativo  delle  edizioni  del  Canin- 
niere,  tornerebbe  affiitto  inutile,  ed  io  pur  dubiterà  si  pote^^ 
far  meglio.  —  Percorrendo  qu^o  dell'  Hortis ,  in  cai  hai  sc> 
t' occhio  non  solo  i  titoli  precisi  d'ogni  edizione,  ma  diliga:- 
temente  notata  ogni  più  minuta  partìcolaiità  bibliografica,  dc^ 
solo  ti  par  quasi  d'aver  tra  le  mani  1* edizione  che  desiden. 
ma  ci  trovi  ammanite  tante  interessanti  notizie  che  ti  agevo- 
lano la  via  alle  ricerche.  -*>  Nò  T  Hortis  si  ristrinse  al  sc4; 
Canzoniere,  ma  ci  aggiunse  T illustrazione  dell'Opere  lati^ 
Petrarchesche  che  possedè  la  Rossettiana;  illustrazione  a&nc 
nuova,  trattandosi  di  opere  da  pochissimi  e  talora  da  nessuno 
rammentate,  o  accennate  troppo  brevemente.  A  dir  corco,  L 
lavoro  dell'  Hortis  non  è  di  giovine,  ma  di  bibliografo  conss- 
matissimo. 

SPECCHIO  CRONOLOGICO  COMPARATIVO 
delle  edlalonl  del  quattro  grandi  Poeti  Itftltaal. 


DA.NTB 

PETRAHCA 

ARIOSTO 

1 

T-    TASSO 

SECOLO 

La 
Div.  Comm. 

u 

Canzoniere 

Orlando 
Furioso 

Gertisalocami  . 
Ubera  ia 

XV 

15 

34 

— . 

_          1 

XVI 

30 

167 

176 

33       1 

XVII 

3 

17 

38 

101       1 

XVIII 

.      31 

46 

64 

115 

XIX 

216 

128 

151 

«55       ! 

295 

392 

429 

504       i 

II 

L^  edizione  principe  della  Divina  Comedia  è  quella  di  Fo- 
ligno per  Giov.  Numeister  ed  Evang.  Mei  del  1472;  del  Can- 
zoniere quella  di  Vindelin  da  Spira  del  1470:  del  Furioso  h 
Ferrarese  di  Giov.  Mazzocco  del  1516,  22  Àpr.  elegantemente 


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EDIZIONI  —  BIBLIOGRAFIA.  761 

riprodotta,  per  cura  del  prof.  GiauDini,  dal  Taddei  a  di  XXIV 
Maggio  MDCCCLXXV  ;  della  Gerusalemme  Liberata  la  veneta 
del  Cayalcalupo,  1580. 

Lo  stadio  del  Fapanni  sulle  edizioni  della  Divina  Comedia 
non  va  oltre  il  1864.  Ne'  13  anni  seguenti  se  ne  contano  di 
presso  a  30  :  il  Sonzogno,  dal  1873,  fece  cinque  tirature  della 
sua  ediz.  stereotipa  col  cemento  del  Camerini.  Il  Catalogo  del- 
l' Hortis  giunge  sino  al  principio  del  1874.  Di  edizioni  poste- 
riori non  conosco  che  la  minutissima  edizione  del  Cavegnari 
di  Este,  1874,  e  quella  economica  del  Sonzogno,  con  T  inter- 
pretazione del  Leopardi  e  con  note  ined.  di  B.  Camerini,  1875. 
L'ultima  ediz.  del  Furioso  citata  dal  Guidi  è  del  1858;  della 
Gerusalemme  è  del  1864. 

Secondo  le  indicazioni  dello  stesso  Guidi,  si  conterebbero 
altre  50  edizioni  del  Furioso  e  della  Gerusalemme,  nelle  varie 
stampe  che  si  fecero  del  Parnaso  classico  italiano. 

n  Dante,  nel  600,  ebbe  sole  3  edizioni;  nessuna  dal  1665 
al  1700:  il  Canzoniere  n'ebbe  invece  17;  nessuna  dal  1670  al 
1710.  Il  Furioso  dell'Ariosto  non  fu  ristampato  dal  1668  al 
1713;  per  lo  contrario  continuaronsi  l'edizioni  della  Gerusa- 
lenune  di  T.  Tasso  :  il  maggiore  intervallo  c^^e  corse  da  una 
stampa  all'altra  fu  di  5  anni. 

La  città  che  dal  1477  al  1859,  secondo  il  diligentissimo 

Fapanni,  ha  pubblicato  più  edizioni  della  Divina  Commedia  è 

'  Venezia  che  ne  fece  57;  Firenze  ha  seconda  il  vanto  di  48 

edizioni  ;  Milano  di  31  ;  Parigi  di  28  ;  Napoli  di  27  ;  Londra 

di  8;  Roma  di  7,  ecc. 

Oltre  200  edizioni  avrebbe  avuto  il  Canzoniere  nella  sola 
Venezia:  ne  novera  38  Firenze;  18  Milano  e  Parigi;  12  Lione; 
11  Napoli;  10  Padova;  6  Londra;  5  Roma;  4  Torino.  La 
prima  edizione  di  Torino  non  ò  che  del  1825,  uscita  da'  tipi 
di  Alliana  e  Paravia. 

11  Furioso,  secondo  il  Guidi,  avrebbe  avuto  da  220  ediz. 
nella  sola  Venezia;  40  a  Firenze;  27  a  Milano;  25  a  Parigi, 
10  a  Prato;  8  a  Londra  ed  8  a  Bassano,  ecc.  —  È  notevole 
che  la  prima  edizione  di  Milano  non  dati  che  dal  1806. 

Della  Gerusalemme,  Venezia  conta  oltre  a  120  ediz.;  47 
Firenze;  41  Parigi;  32  Napoli;  31  Milano;  21  Torino;  Bas- 
sano 9;  Como  e  Prato  8,  ecc. 

48 

Digitized  by  V^OOQlC 


762  IL  CANZONISBB 

Più  traduttori,  e  in  più  lin^e,  ebbe  la  Divina  Commedia  : 
r  Ariosto  nella  sola  Francia  ne  conta  20,  come  vuole  il  GmùL 
e  con  90  edizioni;  26  la  Gerusalemme,  con  136  edizioni.  Ma 
il  Guidi  non  mi  è  di  grande  autorità,  giacché  troppo  spesso 
non  si  appoggia  che  ai  cataloghi,  spesso  d  dà  ì  tit(^  monda 
affittto;  nella  citazione  delle  versioni  non  di  rado  ci  tace  il 
nome  del  traduttore:  oltreochò  le  lacune  da  me  notate  soc 
molte,  segnatamente  riguardo  le  nazioni  la  cui  letteratura  noD 
è  guari  in  Italia  conosciuta. 


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763 


OPEI^E   LATINE 


AFRICA   (1). 


O  mea ,  non  parrò  wllil  eonsnmmaU  labore, 
AMca,  dam  creacis,  dnmte  relegenaqne,  comenaqnOy 
Mnlceo...  Àfrica,  tx,  4tl. 


Fr,  Petrarchae  Africa  quam  recensutt,  praefatione,  noiis 
et  appendicibus  illustrami  L.  Pinoaud,  Scholae  Normalis  olim 
alumnus.  Parisiis,  apud  Ernest.  T-horin,  editorem,  via  dieta 
de  Medicis,  1872  (Typ.  Jacquin,  Beaan^on).  Dopo  la  dedica  a 
C.  Benoit  facuUatis  Litterarum  in  Accademia  Nanciensi  De- 
cano^ leggesi  una  pre&zione  col  titolo:  De  Poemate  Petrar^ 
chae  cui  Htulus  est  Africa.  Segue  la  dedica  ad  A.  Mézieres 
egregio  Petrarchae  interpreti.  —  Alla  pag.  seg.  Index  codicum 


(1)  Pétrarqne  n*  est  pas  tont  entier  dans  le  Canzoniere.  Ceux  qui  ne 
le  jueenl  que  par  ses  poéaLes  amoareuaes  connatsaent  ses  plus  beaux  vera 
SADS  le  oonnaitre  luiomèine.  On  ne  le  connait  qu'après  avoir  sui  vi  sa  pensée, 
noo-seulexnent  dans  le  premier  feu  de  la  jeunesse,  mais  dans  la  maturité 
de  Tàge,  à  traverà  un  grand  ponine,  dea  églogues,  des  épitres  en  vers 
latins,  des  traités  philosophiques  et  sourtout  cette  vaste  corrispondance 

?[u'  il  entretenait  avec  les  principaax  personnages  de  aon  temps.  Méziéres, 
ntr.,  ni. 

Déìl*  Opera  Omnia  del  Petrarca  al  citano  le  seguenti  edizioni.  —  Da- 
ventier ,  1494.  —  M.  F.  A.  G.  Campbeìl ,  Bibliotecario  della  Reale  del- 
l' Aja ,  ne'  suoi  Annales  de  la  Typographie  Neerlandaiae  au  XV  Siede 
(La  Haye,  Martinus  Nyhoff,  1874),  cita  gli  scrittori  che  ricordano  questa 
edizione  :  —  Maittaire  V.  544  ;  Panzer,  I,  362,  83;  Jansen,  319  ;  Hain,  Ì2747, 
ma  ei  confessa  di  non  averla  mai  veduta ,  ed  ignora  dove  se  ne  trovi  un 
esemplare.  —  Baaileae,  de  Amerbach,  1490:  Venetiis,  Sim.  De  Luere,  impr. 


per  Henr.  Petri ,  Mense  Martio ,  1553  ;  Basileae ,  per  Sebastianum  Ilenr. 
Petrì,  1581. 

Secondo  il  Rossetti  il  poema  dell'Afìrìca  non  ebbe  che  sei  edizioni;  le 
venete  del  Luere,  1501,  e  del  Bevilacqua,  1503;  le  Basileesi  del  Petri,  1553 
fi  1581,  che  abbracciano  pure  le  opere  tutte  del  Petrarca,  e  le  Basileesi 
fieli'  Opporino,  1541  e  1558. 


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764  OPERI  LATINB 

in  quibus  extat  Africa,  Dalla  pag.  61  alla  962  leggosi  il  Poemi; 
quindi  cinque  Appendici.  La  prima  contiene  :  Versus  Johannis 
Boccata  de  Cerialdo  prò  Africa  Petrarehae  in  vuigus  edenda; 
la  seconda:  Metra  CoUutii  Pyerii  ad  Petrarcham  tndiatoTÌa 
ad  Africae  editionem;  la  terza:  Ad  Coliuttum  Pterium  d 
Stiffnano,  CanceUarium  florentinorum^  quod  Africa  titm.  era 
edenda  vivente  Fr,  Petrarcha,  Laureato  Poeia,  efusdem  Afri- 
cae auctore,  Refragatoria, , . ,  Epistola;  la  quarta:  C.  StUutaxi 
ad  Franciscolum  (de  Brossano)  Epistola;  la  quinta:  N<ytitìa 
variorum  Codicum  et  editionum  quibtts  inscrilritur  Africa.  — 
Il  testo  venne  collazionato  sui  codici  della  Biblioteca  Lauren- 
ziana  di  Firenze  e  della  Nazionale  di  Parigi.  »  Di  questo 
lavoro  il^ dottissimo  prof.  Goiradini  ha  portato  il  seguente  giudìzio: 

—  «  Hanc  sibi  provinciam  nuperrime  depoposcit  L.  Pingaudos 
ac  sponte  suscepit:  quid  autem  illa  sua  Pariaiensi  recensioot 
administranda  praestiterìt^  equidem  neado.  Ut  enim  maiora 
illa  mittam,  in  ea  ne  vestigium  quidem  crìticae  artis  apparerà 
nullamque  habitam  esse  rationem  geographiae  et  historiae, 
nullam  rei  metricae,  ipsiu^  grainmaticae  nuUam:  qood  satis 
mirati  non  queo,  tanta  Gallicus  homo  vel  iuscitia  Tel  temen- 
tate  opus  interpunxit;  ita  incisa,  membra,  periodos,  omnia  de- 
nique  miscuit  ao  perturbavit;  et  iis  etiam,  quae  meridiana  Iuc« 
ciarlerà  sunt,  tantas  offudit  tenebras,  ut  Poeta  ingenio,  pm- 
dentia,  eruditione  praestantissimus,  nonnisi  absona,  monstruosa 
et  a  Sybillinis  poene  dixerìm  oraculis  parum  discrepantìa,  per 
maximum  dedecus,  effutire  cogatur.  »  Corradini,  Africa,  4>.  70. 

—  V.  ValentineUi,  Peti'arca  e  Venezia,  p.  121  ;  Nuova  Anto^ 
logia,  1873,  voi.  xxin;  p.  984. 

Padova  a  Francesco  Petrarca  il  xviii  Luglio  mdccclxxiv. 

—  Africa  Frandsci  Petrarcae  nunc  pnmum  emendata,  cu- 
rante Francisco  Corradini,  p.  77-474.  Padova,  Tip.  deA  S^ni- 
nario,  1874. 

«  Ut  recens  haec  turpissimae  inertiae  nota,  —  dell*  edizione 
del  Pingaud  —  summo  inusta  Viro ,  cuius  gloria  nobis  et  di- 
guitas  carissima  est,  deleretur,  simulque  Africae  poema  tandem 
aliqua  excuteretur  diligentia,  et  in  Italia,  quod  sane  decebat, 
ante  quam  alibi  emendaretur.  Patavini  xxx  viri,  saecularibns 
Francisco  Petrarehae  parentalibns  honoribusque  constituendìs 
habendis,  editionem  hanc  £aciendam  censuerunt.  >  Così  il  Gon*a- 


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AFRICA.  765 

dini.  -^  Quanta  diligenza,  quanta  crìtica,  quanto  amore  si  può 
oggi  desiderare  per  rifare  un  testo  antico,  non  sulle  congetture 
della  propria  mente,  ma  sul  fatto  della  verità  storica,  tanta  ne 
fu  dal  chiaris.  professore  posta  in  questa  edizione.  L'esame 
delle  stampe  precedute.  Tesarne  dei  codici  esistenti,  la  loro 
storia  particolare  o  figliazione  che  dicasi,  la  loro  classificazione, 
r autorità  che  meritano,  le  mende  che  son  dovute  ai  copisti, 
tutto  ha  ^lì  indagato,  esaminato,  discusso.  Egh  ofiì'e  cosi  al 
pubblico  la  prima  volta  un  testo  fedele  di  questo  poema  del 
Petrarca:  ce  ne  dà  a  piò  di  pagina  le  varianti  per  dir  così 
storiche  e  quelle  congetturali:  ogni  canto  chiarìsce  con  note 
storiche  e  filologiche  assai  opportune.  La  Comissione  padovana 
per  le  feste  del  Centenarìo  gliene  dio  T  incarico,  egli  Teseguì 
con  cura  somma  e  con  esito  felice.  Il  prof.  Corradini  si  pro- 
fessa assai  obbligato  al  Canal  :  «  Meam  hanc  emendationum  et 
notarum  congeriem  darissimo  Archigrmnasii  nostri  Professori 
Petro  Canali  diiudicandam  permisi  et  credidi.  Qui  quoniam, 
ea  qua  praestat  sapientia  et  humanitate,  omnes  viri  boni  et 
prudentis  ab  Horatio  laudati  partes  egit  atque  implevit;  et 
arctius  tanta  meritorura  accessione  me  sibi  devioxit,  et  in 
causa  fuit,  cnr  haec  audentius  publicam  in  lucem  prodirent.  > 
Sull'atto -di  deporre  la  penna  che  aveva  compiuto  quel 
poema,  il  grande  nomo  scriveva:  <  0  mia  Africa^  ricordati  di 
rinnovare  il  mio  nome  in  tempi  migliori  :  ora  stattene  al  volgo 
sconosciuta;  ma  quando  questo  diventerà  un  popolo,  quando 
esso  rìnascerà,  allora  rinasci  anche  tu.  >  E  T  Aleardi  avea 
ben  d' onde  di  poter  apostrofare  il  suo  lodato  nel  giorno  delle 
solenni  onoranze  patavine:  0  divino  Cantore,  vedi.  Interra  che 
ti  ospitò  negli  estremi  anni  della  vita,  oggi  memore  e  cortese 
ri  presenta  alle  genti  il  tuo  poema  con  sapiente  e  divota  cura 
rimondo.  Vedi,  quel  volgo  senza  nome,  al  quale  volevi  ignoto 
il  tuo  carme,  ora  è  diventato  il  concorde,  il  generoso,  il  ri- 
spettato popolo  italiano....  Ora  è  degno  di  te.  I  tuoi  voti,  o 
Poeta,  sono  adempiti. 

Marbtti  Fabio,  gentiluomo  sanese,  V  AftHca  del  Petrarca 
in  oUava  rima  assieme  col  testo  latino  fedelissimamente  tra^ 
dotto.  Alla  molto  illustre  e  valorosa  Signora  Aloisa  Ridolfi  Dal 
Nero,  Venezia,  Domenico  FaiTÌ,  1570. 


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766  OPBBB  L4TINB 

«  Questi  nella  prima  stanza  &  dire  al  Petrarca  rolgaiù- 
zato  un  grosso  sproposito,  appUcando  raggiunta  di  «soai» 
al  fonte  di  Elicona,  in  luogo  di  applicarlo  a  sé  stesso  die  u 
queir  acque  poetiche  era  digiuno  e  assetato.  »  Aposioio  Zeno. 
Disertaz.  Voasiane,  i,  p.  5.  —  Italica  haec  versio  parvi  sane  1.- 
cienda,  annota  il  Corradini:  sed  in  eo  loco,  de  quo  agitnr. 
bona  ci.  Zeni  venia,  recte  se  habet;  Petrardia  eoìai  ait,  ani- 
lam,  nisi  hanc,  heroici  carminìs  materiam  sikn  praesto  ess^- 
(▼.  50-52),  in  quibus  epicos  Latinorum  poetas,  praeter  anum 
Silium  Italicum,  omnes  reoenset. 

Eglb  EuoAifBJL  (Francesca  Roberti  Franco,  bassanese),  Ikt- 
V  Africa  di  Francesco  Petrarca^  libro  primo  voìff€uvwuto*  AIU 
co.  Camilla  Martinelli  Giovanelli.  Padova,  Gonzatti»  1T76. — 
Riprodotto  dal  Levati  ne*  suoi  Viaggi  del  JPetrarca,  voL  lu 
pag.66. 

Ignorava  il  Petrarca,  cosi  la  Franco,  quando  attese  atta  sua 
Africa  che  un  tale  soggette  fosse  pur  stato  cantato  da  Silio 
Italico.  Il  poema  di  Silio  fu  scoperto  da  Poggio 'Bracciolini  sul 
principio  del  secolo  XV,  come  si  raccoglie  da  una  lettera  ns.^. 
di  Francesco  Barbaro  de*  6  Luglio  1417  allo  stesso  Braccio- 
lini :  il  Petrarca  non  conoscea  per  cantor  di  Scipione  che  Ennio, 
come  si  ha  dai  Son.  136:  Ennio  di  quel  eanlò  ruvido  car»u\ 
e  dair  epistole  fsuniliari:  M%nium  de  Scipione  mnUa  scr^psiss': 
non  estdubium  rudi  et  impoUio,  ut  ait  Valerius^  stylo,  —  Elia 
ricorda  un  inedita  dissertazione  col  titolo  »-  Senno  de  puÒli- 
catione  Africae,  compositus  per  venerabUem  doctorem  D.  Pe- 
irum  Paulum  de  Yergeriis  in  civili  jure  peritum  cutn  efusdeni 
in  Africahi  argumentis  exametro  cannine  eomprehensiSf  ve- 
duta dal  Bettinelli ,  ed  a  lei  promessa.  Anche  il  P.  Zaccaria 
ne  fa  menzione  nella  sua  Descrizione  di  alcuni  Codici  àeàLi 
Biblioteca  de*  Gesuiti  di  Mantova. 

CoNTOBNO  GiuNio,  V  Africa  ridotta  a  miglior  lesione  e  tra- 
dotta, Saggi  (in  versi  sciolti). 

Ultima  Petrarcae  verba  ad  Africam  suam.  Ex  libro  a.  — 
P,  Cornelio  Scipioni,  cui  postea  Africano  cognomen  additum 
apparet  in  swnniis  pater  ~  Ex  libro  t.  Il  Baretti ,  a.  ui,  24 
Agosto  1871,  n.  36.  —  L,  .MmiUi  PauU  caedes  ad  Cannas  — 
Ex  Ubro  I.  —  Il  Baretti,  a.  ili,  19  Ottobre  .1871,  n.  43.  — 
Monita    Scipionis  patris  ad  filium  et  somnU  finis,  «•>  Ex 


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AFRICA.  767 

libro  n.  —  11  Baretti ,  a.  iv,  4  Aprile  1872^  n.  15  e  16.  —  «  In 
versìozie  multa  sont  quae  laudes.  >  Corradmù 

V  Africa,  Poema  epico  in  esametri  latini  disiribuito  in  IX 
libri  di  Pr,  Petrarca^  Versione  con  note  di  Gio.  Batta  Qaudo 
dair  edizione  Parigina  in  ottavo  deW  anno  1872  illustrata  con 
Prefazione^  Note  critiche  ed  appendici  in  idioma  latino.  One- 
gtia,  Ghìlitu,  1874. 

G.  B.  Gaudo,  il  benemerito  traduttore  di  Glaudiano,  mode- 
stamente si  tien  pago  di  porgere  nella  centenaria  solennità  un 
tributo  rispettoso  di  alta  venerazione  alla  ricordanza  gloriosa 
dello  intemerato  cantore  della  grande  epopeia  Latino-Punica, 
desideroso  che  sorgano  ingegni,  ben  altramenti  vaienti,  i  quali 
interpretando  a  capello  la  lettera,  e,  eh* è  più,  lo  spirito  del 
poema,  sappiano  dar  vesta  più  decorosa  ad  un  ornamento  co- 
tanto insigne  deir  ingegno  portentoso  di  Fr.  Petrarca.  V.  Nuova 
AntoL,  1874,  voi.  xxvii,  p.  234. 

Francesco  Petrarca ,  L'Africa  recata  in  versi  italiani  del 
dott.  Agostino  Palbsa.  Padova,  Sacchetto,  1874. 

Questa  traduzione  dell'Africa  di  Petrarca,  fatta  dal  dottor 
Agostino  Palesa,  scrìve  il  prof.  Zardo,  credo  sarà  Y  unica  com- 
pleta che  r  Italia  possegga.  L'erudito  traduttore  V  ha  non  solo 
condotta  a  termine,  ma  vi  ha  aggiunto  qualche  cosa  del  suo, 
e  fa  meraviglia  come  gli  sia  bastato  il  tempo,  quando  si  pensa 
che  rha  incominciata  a'  19  Aprile  dell'anno  scorso,  e  che  ai 
25  Ottobre  ei  non  viveva  più, 

Pbrticari  Giulio,  Frammento  dal  poema  delF  Africa^  1. 1, 
v.  179-185.  —  Parlata  di  Scipione  a'  soldati,  i,  285-31 1.  —  Al 
figlio  Sezione  il  morto  padre  da  lui  richiesto  se  Roma  ca- 
drebbe spenta,  risponde,  ii,  282-326.  Fine  del  poema,  ix,  449. 
In  prosa.  Parigi  (Bologna),  1857. 

Montanari  Gius.  Ignazio,  Saggio  di  traduzione  della  Sci- 
piade  di  Fr.  Petrarca,  offèrto  agU  amatori  delle  lettere,  Pesaro, 
Nobili,  1835,  di  p.  17. 

È  il  volgarizzamento  di  un  brano  del  Y  libro,  e  fu  ripro- 
dotto in  Bologna  nella  Raccolta  di  Prose,  Poesie  inedite  e  rare 
d'italiani  viventi,  &8C  xviii. 

Nuovo  saggio  di  traduzione  della  Scipiade  di  Fr. 

Petrarca^  ecc.  Pesaro,  NobiU,  1840,  di  p.  15. 


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768  OPERE  LATINE 

Reca  un  secondo  brano  del  V  libro  dell^Afi-ica. 

Volgarizgamento  del  V  libro  ddf  Afi'ioa  di  Hotct 

Francesco  Petrarca,  Roma,  Tipog.  delle  Belle  Arti,  1845,  ia 
8.^  di  pag.  39  (Estratto  dal  t  cin  del  Giom.  Araadioo;  Uac^ 
Maggio  1815).     - 

Lord  Bjfron,  pregato  dal  Foscolo,  tradusse  in  ingleae  Fepi- 
pisodio  di  Magone  (1.  vi,  899).  In  esso  ei  trovava  tre  nobilisBÌmi 
versi,  e  furono  i  primi  eh*  ei  traducesse.  Il  Foscolo  ne  pose  due 
in  testa  a*  suoi  Saggi, 

Jrrequieiv»  homOs  p^rque  ùtnnes  tmxim  annot 
Ad  mortem  featinat  iter:  mort  optima  rertun. 

Petrarca,  Foscolo  e  Byron  tutti  e  tre  sono  rappresentati  in 
questi  versi,  chi  voglia  guardare  alla  travagliosa  e  ranùnga 
lor  vita,  e  al  mesto  desiderio  con  cai  mirarono  continuameiite 
al  proprio  fine. 

Rossetti  Domenico,  Dell'Africa  (Discorso  Prelimiiiare  alle 
Poesie  Minori  di  Fr.  Petrarca,  1.  xni-xxvi).  —  «  Le  travail  le 
plus  complet  et  le  meilleur  qui  ait  óté'  &it  sur  le  poème  de 
1*  Afrique  est  le  discours  préliminaire  que  D.  Rossetti  a  mìs 
en  téte  de  son  édttion  des  épltres  et  des  ógiogues  de  Pétrar- 
que.  >  Mézières^  Pétrarque,  p.  350.  —  Settembrini  Luigi,  Ana- 
lisi dell'Africa,  Suoi  pregi.  Lez.  di  Letteratura,  i,  208*218. — 
Rieppi  A.,  Esame  dell'Africa.  Discorso  su  Fr.  Petrarca,  3&63. 

—  Lombardi  Eliodoro,  Id.  Fr.  Petrarca,  38-40.  —  Aleardo 
Aleardi,  Id.  Discorso  su  Fr.  Petrarca,  28-33.  —  Occioni  Ono^ 
rato,  L'accusa  del  LeiEébvre  de  Villebrune.  —  L'Africa;  orìgine 
del  poema,  suo  disegno;  invenzione,  ai*te,  verità  stoiica. — 

—  Analisi  del  Poema.  —  Raffironto  generale  coUe  Puniche  di 
Silio  Italico;  riscontri  particolari;  opintone  che  ne  deriva. .. . 
Gajo  Silio  Italico  e  il  suo  Poema,  Studi.  Firenze,  Svccea.  Le 
Mounier,  1871,  p.  91-109.  —  Pingaud  £,.,  De  Po«nate  Pe- 
trarchae  cui  titulus  Africa  est:  Abbraccia  i  seguenti  capitoli: 
I.  Quomodo  Africam  Petrarcha  composuerìt:  IL  Qnae  sit  in 
Africa  rerum  distributio:  III.  Quibus  ex  fontibus  materìam 
Africae  hauserit  Petrarcha:  lY.  Conferuntur  Africa  et  Silii  Ita- 
lici Punica:  V.  Quae  sint  in  Africa  reprhendenda ,  quae  lau- 


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APRICA.  769 

anda:  VI.  Quid  nos  Africa  de  ingenio  et  natura  Petrarchae 
oceat:  VII.  Quomodo  cum  posteria  Petrarcha  ipse  in  unum 
e  Africa  judiciuni  convenerit:  Vili.  Quae  fuerit,  Petrard^a 
iiortuo,  Africae  fortuna.  Parìsiis,  Tborìn,  1872.  —  Patin^  Sul 
og^no  di  Ennio  nell*  Africa  del  Peti'arca.  Journal  des  Savants, 
uÌD,  1856,  p.  185.  ^  Burckhardt,  La  Civiltà  del  secolo  del 
linaacimento,  i,  344;  Geiger  (Trad.  Gosailla),  119. 

Rivendicarono  il  Petrarca  dalla  nota  di  plagio  appostagli 
lai  Lefebvre  Villebrune  (1),  La  Bastie:  Mémoires  de  T Accademie 
les  iscriptions,  t.  xv.  788.  Yossius,  De  hist  latinis,  (1.  i,  e.  29), 
A.txnal.  Liner. y  Ooetting,  1782,  Additam.  p.  261.  —  CHnguené, 
^ist.  Lit.  voi.  ir.  —  Lemaire  N.  E.,  Paris,  1813,  voi.  ii,  458.  — 
BaldeìU  Giamo.,  Calunnia  apposta  al  Petrarca  e  confutazione 
Iella  medesima.  Del  Petrarca,  209-19.  — i^o^co/o,  Saggi  (Ediz. 
Ìjq  Monnier),  x,  64.  —  FracasseUiy  Annotazione  alla  lett.  xxii, 
delle  Varie.  —  Corradini,  Adnot  ad  1.  vi,  p.  454,  e  piii  diate- 
Bamente  V  Occioni. 

Deir Africa,  V.  Petrarca,  Epistoia  alia  Posterità;  Ep.  Fam. 
VII,  18  a  Lancilotto  di  Anguissola;  xii,  7  a  Barbato  di  Sul- 
mona; xni,  11  tàVab.  di  Corvara;  Sen.  ii,  a  Giov,  Boccaccio; 
Poem,  Min.  i,  14,  56;  ii,  102,  184,  222,  240,  338;  De  Con-- 
tempta  Mundi,  Dial.  in  ;  Africa,  1.  ix,  216  e  aeg. 


POEMATA  MINORA. 

Francisci  PitTRABGHAB,  Poentota  minora  quae  exiant  omnia 
nunc  primo  ad  truUnam  revocata  ac  recensita.  Voi.  i,  Mediolani 
excudebat  Societas  typograpbica  Classicorum  Italiae  Scriptorum, 
1824.  —  Voi.  II,  1831.  —  Voi.  iii,  1834.  —  Poesie  Minori  del 
Petrarca  sul  testo  latino  ora  corretto,  volgarizzate  da  poeti 
viventi  0  da  poco  defunti.  —  Napoli,  Tip.  della  Sibilla,  1835. 

(1)  <  Habe  itfitur  Siliam  caltiorem,  et  lib.  xvi,  v.  2S,  egregio  auctam 
fragmento,  qaod  sibì  roinos  verecund«,  nonnuUis  mutatis  ,  vindicaverat , 
suoque  poemati  AfHcae  VI  adsuefe  non  est  verUus  Fr.  Petrarca.  Tantum 
autem  ae  se  eueruat  inter  ejus  voraos  hi  SUiani, 

Quaniuiii  lenta  aolent'  inter  viburna  oopreasL  » 

Digitized  by  V^OOQlC 


770  OPISB  LATINE 

Il  Roeaetti  che  <  lo  Tolea  onorare  a  modo  divervo  da^. 
altri  e  fiu*  risorgere  qnello  che  altri  aflàtlcavaDsi  a  seppellire.  » 
coi  tipi  milanesi  dei  Classici  Ita!,  li  diede  in  luce.  Vi  aniepo« 
UB  discorso  preliminare  ore  ragiona  del  poema  deirAfrica  gin- 
stifleandoDe  Y  assenza  ndla  raccolta  ;  delle  Egloghe  <^  si  ox}- 
tengono  nel  primo,  e  dell'  Epistole  comprese  ne*  due  segnect. 
volnmi.  Gli  argomenti  che  precedono  e  le  moltnaìme  note  eh 
accompagnano  i  singoli  settantanove  poemi  son  presso  che  tur 
del  Rossetti.  Questa  è  V  unica  traduzione  italiana  in  verso  cb~ 
si  possegga  delle  poesìe  minori  del  Petrarca.  A  dime  del  pregi 
basti,  fra  i  trenta  traduttori,  rammentare  i  nomi  di  Tomma-: 
Gargallo ,  Cesare  Arici ,  Gius.  Barbieri,  L.  Cannar,  Oìot.  Mar- 
chetti, A.  Mezzanotte,  Benassù  Montanari,  Pier  Alessandr:' 
Paravia,  Giulio  Perticari,  Angelo  Maria  Ricci,  Francese.' 
OairOogaro,  Teresa  Albarelli- Vordoni  e  Caterina  Franceschi 
Ferrucci.  —  L*  Epistole  vennero  diatriboite  in  altrettante  seziois. 
a  norma  dei  personaggi  cui  furono  dirette,  modo  pia  logico  t 
più  agevole  per  il  traduttore  e  per  il  lettore.  »  Miagosìotkk. 
prof,  Ytc,  Domenico  Rossetti,  p.  9. 

Epyihomata  domini  Franoisci  Petrarcb  super  suis  buù> 
h'cis.  Hortis,  Scritti  inediti  di  Fr.  Petrarca,  359^. 

HoRTis  Attiuo,  Delie  Egloghe  del  Petrarca.  Id.  p.  221-277 
Che  gli  argomenti  dell*  Egloghe  siano  del  Petrarca,  lo  provi 
indubbiamente  la  lettera  di  Giovanni  «  Raynirolo  de  Pensanro.  > 
tolta  dal  cod.  Estense  (V.  D.  4.  Mss.  lat,  n.  232),  e  pubblicata 
dair Hortis.  E  lo  stesso  Hortis,  col  confronto  delle  ù^rpreta- 
zioni,  spesso  erratissime,  che  furono  fatte  dagli  altri,  ne  di- 
mostra pur  luminosamente  V  importanza,  per  V  int^ligeoza  dt4 
testo.  Nò  certo  sarebbe  stato  agevole  il  dinudare  i  fi^ico&i 
costrutti,  chò  r€ulo  sotto  benda  parola  oscura  giunge  alt  in- 
telletto,  E  ben  se  lo  sapeva  il  Petrarca,  che  qualunque  voha 
mandava  una  delle  Egloghe  a  qualche  persona  di  riguardo,  u 
a  qualche  amico  intimo,  aggiungea  anche  T int^pretazioise. 
affinchè  ne  potessero  cogliere  sicuramente  il  vero  senso.  — 
Onde  scriveva  a  Cola  di  Rienzo:  «  Sed  quia  natura  bitjns  ce- 
neris  scriptorum  haec  est  ut,  nisi  ab  ilio  ipso  qui  edidit  t^i- 
ponente,  divinarì  possit  sensus  eorum  fbrsitan,  sed  omnìno  mi 
possit  intelligi,  ne  te  summis  ReilMiblicae  &cti8  intentunu  ci> 


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POBBUTA  MINORA.  771 

^am  uoius  pastoris  scilioet  verbis  intendere,  ac  ne  nugia  meìs 
vel  momento  temporia  divinum  illud  occnpetur  ìngenium,  pancia 
libi  pate£eiciam  propoaiti  mei  aummam.  >  Var,  xlii.  — '  Il  primo 
ad  avere  V  intera  Bucolica  ai  fu  Giovamii,  veaoovo  di  Olmùtz  : 
«  Accedi t  et  Bucolicum  Carmen  quodMntegram  ante  nulli  per- 
roiaeram  habere,  videro  autem  mnltia,  cujus  expositionem,  vel 
potiua  expoaitorem  ut  aimul  habeas  velìm . . .  >  Ep.  Fam.  xxni, 
6  (Milano,  21  Marzo  1361).  —  E  che  il  aenso  foase  a  quel  Pre- 
lato aasai  duro,  ci  è  manifesto  dalla  lettera  pubblicata  dal- 
V  Hortis,  con  che  prega  caldamente  il  Petrarca,  andìe  a  nome 
dell*  imperatore  Carlo  IV,  a  volergli  dichiarare,  e  sollecitamente^ 
la  dottrina  entro  nascosta:  «  Rogo  vos  instantia  majore,  quanta 
possum,  ut  mihi  exposìtionem  Edogarum,  quam  poteritis,  ve- 
lociter  dirigatis.  Nam  vehementi  melancholia  et  dolore  cordis 
coatringor  legende  tantae  sonoritatis  dictamina,  et  rerum  sub- 
tilium  metaphoras,  dum  non  intelligo,  in  quos  fines  sermo 
oultus  sua  venuatate  peroret.  >  (SorHs,  228).  —  Il  Petrarca, 
nella  lettera  al  fratello  Gerardo  (E^,  Fam.,^^  4),  disasconde 
ampiamente  il  senso  della  prima  Bcloga  Parihenias  a  lui  di- 
retta, e  nella  xlix  della  Var,  a  Barbato,  deW  Argus. 

Il  Petrarca  compose  la  sua  Bucolica  nella  state  del  1346, 
presso  il  fonte  Sorga,  nel  solitario  riUro  della  sìm  Valchiusa 
(Var.  Tdjx).  Ed  egli,  con  grande  amore,  più  e  più  spesso  vi 
tornava  sopra  con  la  lima.  11  cod.  cart.  Mediceo  Laurenziano, 
n.  128,  in  fine  dell* ecloghe,  ha  questa  annotazione:  Bucolicum 
Carmen  meum  eoopHdi,  quod  ipse,  qui  ante  annos  dictave^ 
ratn^  scripsi  manu  propria  apud  Mediolanum  anno  hujus 
aelatìs  uìtimae  MCCCL  VII.  —  E  da  Linterno,  presso  TAdda, 
ueir Ottobre  del  1359,  scriveva  a  G.  Boccaccio  (Fam,  xxn,  2): 
in  Bucolico  cannine  animadverti  aliquot  verbula  crebrius 
repeUia  quam  nellem ,  et  nesdo  quid  praeterea  nunc  eOarn 
iimae  indigum..,.  hic  ad  revidendum  Carmen  illud  recol- 
legi  animum,  E  da  altra  sua  lettera  (ad  Ignotum,  lxv  Var.) 
del  1363,  datata  da  Pavia,  nel  rimettergli  un  verso  da  aggiun- 
gersi dopo  il  267  dell*Ecloga  x,  scrive,  che  avea  già  dettato 
anno  altero  additationes  in  bucolico  Carmine  super  litus  sinus 
Eadnad, 

Bucolicum  Carmen  in  duodedm  eglogas  disHnct^m  cum 
comento  BBNVBNirri  Iuolbnsis  otn  clatissimi,  —  Negl'Opera 


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772  OPSBB  LÀIINB 

Omnia  del  Petrarca,  edite  in  Venezia  dal  Be?ìl«cqpin,  1505. 
e  Venezia,  typis  Horìgoni,  1516  (1). 

Nell'edizione  del  Cemento  del  Fausto  (Venezia,  Bindani- 
Pasini,  1532),  abbiamo  una  lettera  latina  di  Benvenato  ai 
Petrarca,  nella  quale  scrìve  di  aver  compiuto  il  comeoio  ddk 
Divina  Comedia  e  delle  eclogbe  del  Petrarca,  indotto  a  dò  dal 
Boccaccio,  la  cui  Bucolica  avea  pur  preso  a  comentaiv  «  ut 
nostri  tempori»  tres  poetarum  principes^  tria  clariss^tia  et 
latinae  et  grecae,  pariter  et  vulgaris  Unguae  lumina^  DaniemL 
te  ipsum  et  J.  Booccudum^  clainora^  (abeit  jaeiantia)  reddidiss^ 
posteris  videary  si  ei  quae  scripsi,  scribamque  viva  (véetura 
(amen  spero)  ad  posteros  pervenerinL  >  —  V.  Fr.  Petrarca  La 
lettera  diretta  a  Benvenuto ,  di  Padova,  dal  letto  de*  suoi  do- 
loriy  a*  9  di  Febbraio  1373.  —  <  0  che  il  Benvenuto  non  fosse 
abbastanza  intimo  del  Petrarca  per  conoscere  esattameate  o^i 
più  riposta  idea  di  quei  carmi,  o  non  giungesse  in  tempo  dì 
rivolgersi  al  poeta  stesso  ne*  dubbi,  il  suo  comento  si  scosta 
più  d' una  volta  dal  vero  significato  delle  Egloghe.  »  ffortis. 
—  «  Benvenuto  ò  irriconoscibile  nel  testo  scorrettissinao  che 
abbiamo  e  stampa.  »  Id. 

Anche  Donato  degli  Albanzani,  di  Pratovecchio  nel  Gasea- 
tino,  cementò  la  Bucolica,  (Cod.  della  Laurenziana  33  del  pi. 
55).  —  Quantunque  ei  non  possa  gareggiare  per  dottrina  eoa 
Benvenuto,  tuttavia  le  sue  chiose  meritano  più  fede  di  quelle 
dell*  Imolese ,  per  le  speciali  sue  attinenze  col  Petrarca.  —  A 
Donato  vuoisi  aggiungere  anche  Fautore  anonimo  di  altro  co- 
mento che  conservasi  nella  Laurenziana,  più  completo,  ma  che 
riporta  le  postille  di  alcune  egloghe  soltanto.  Però  il  codice 
dell'Anonimo  è  più  corretto  del  codice  corrottissimo  di  Do- 
nato ,  e  poi^ta  qualche  rara  volta  un'  opinione  diversa  dal  co- 
mento deir  Albanzani.  Di  solito  T  Anonimo  è  più  esatto  e  più 


(1)  La  Bucolica,  oUrecchè  noli'  Opera  omnia,  ebbe  le  seguenti  edi- 
sioni  :  Petrarcha  (Franciscus)  Bueolfea,  Daventriae,  senza  nome  di  tAnm- 
Datore,  (Riccardo  Paffroet)  1499,  die  iv  lan.  —  In  BueoUcorum  Auctores, 
Florentiac,  impensa  Phil.  De  Giunta,  1501,  p.  43-75;  Basìleae,  1526;  Ba- 
sileae  (Oporinua,  1541),  pag.  11-01;  Basileae,  1558  con  commento  B9nvf^ 
nuti  Imoiensis ,  Ven.  per  M.  Horigooo ,  1516.  —  Il  Panzer  ci  rì^sxisco 
(voi.  VII,  p.  502),  un  altro  comento  ed  edizione  dell*  Egloghe,  cioè:  Ffrm- 
cisci  Petrarchae  DtMdecim  eglogae  cum  Buddi  cjcplanatione.  Jehan  Pedi. 
Impresa.  Parrhisii»  opera  Andrene  Boccardi  ad  vi  J.  J.  Aprii,  MDU,  i. 
Maia.  p.  15S.  mu9d.  Jnd.  ii^  p.  135. 


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POEMATA  MINORA.  773 

copioso  di  Donato.  V^Hortìs,  230  e  seg.  —  Dell*  Albanzani , 
V.  FracasseiH  Ep.  Fam.  V.  238;  *S^.  i,  305;  Tirabosehi,  voi.  v, 
Ub.  II. 

Biondi  L.,  Volgarizzamento  delie  Egloghe  di  Fr,  Petrarca, 
Roma,  tip.  Delle  Belle  Arti,  1841. 

Terzo  Benedetto  Saverio,  Egloghe  di  Frane.  Petrarca 
tradoUe,  Nei  t.  lui  del  Giornale  di  Scienze  e  Lettere  di  Pa- 
lermo. 

li  Levati  ci  diede  tradotte  il  Divortium  e  la  Pietas  Pa^ 
storalis,  e  molte  dell*  epistole  poetiche  latine. 

Snir  Egloghe  e  T Epistole  veggansi:  Rossetti  Domenico, 
Preliminare  alle  Poesie  Minori;  Tiraboschi,  St.  della  Letter. 
Ital.  lì;  Settembrini,  Lez.  di  Lett.  i,  206.  —  Ginguené,  Hist. 
Lett.  d'Italia  lì;  Mésières,  Pétrarque,  chap.  vi;  Geiger,  115, 
e  seg. 

L'epistole  metriche  latine  furotio  dal  Petrarca  intitolate  al 
Barbato  ut  prosa  tibi  (Socrate)  carmen  Barbato  nostro  cederei 
(Prefazione),  e  gliele  rimette  diffatti  nel  1363  (Fam.  xxii,  3)  — 
juvenile  opus,  epistolaris  liber,  lege  carminis  adsirtctus  sibi 
(a  Barbato),  iotus  adscribitur  (Sen.  ni,  4).  Con  la  lvii  delle  Varie 
mandava  al  Barili  l'Epistola:  Quid  mea  fata  mihi  (Lib.  ii,  l). 

DE  CONTEMPTU  MUNDI 

SIVE  DE  SECRETO  CURARUM  GONFLIGTU  (1). 

El  secreto  di  messer  Francesco  Petrarca  in  prosa  volgare. 

—  La  versione  ò  di  Francbsoo  Orlanoini,  di  Siena,  e  da  lui 
dedicata  al  cav.  Francesco  Passerini  di  Cortona.  Impresso  in 
Siena,  per  Simone  di  Nicolò,  stampatore,  addi  17  di  Sep.  1517. 

—  Secreto  de  Francisco  Petrarcha  che  in  dialoghi  di  latino 


(1}  S.  1.  n.  d.  1472;  Liber  de  secreto  conflicta  cnramm  suanim;  J«- 
«)bi  Ganter  Epistola.  la  mercuriali  oppido  aatverpieosi ,  Gerardus  Leeu , 
1189,  XIV,  Mar;  fol.  42,  carati,  got. ,  di  due  grandezze;  Impr.  in  mercu- 
riali oppido  Daventrìensi ,  lac.  De  Breda  ,  14tf8  12  lan. ,  42,  f.  car.  got.  ; 
Rcgii  lapidi,  Pr.  Mazalis,  1501  ;  Bernae,  Le  Preux,  1000  e  1601  :  Genevae, 
Stoer,  1019  ;  Roterd.  Arn.  Leers,  1649  ;  Viennae,  Austriae,  Voigt,  1689. 


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774  OPBRB  LATINB 

in  fMÌgar  et  in  hngtta  0tosca  tradodo ,  nuovamenàe  carm 
exatìUssima  diUgenHa  stampato  et  corredo,  Venetia,  Zoppino, 
1520,  9  Mano,  in  8.*  —  Il  Secreto  e  le  Rime  él  Framcexo 
Pdrarca,  con  Prefànone  di  Paolo  Emiliani-Giudiei,  Kreme, 
Società  editrice  fiorentina,  1847. 

Lbvati  Ambrogio,  //  segreto  del  Petrarca,  ocvero  U  sue 
confessioni.  Nei  suoi  Viaggi  del  Petrarca^  voi.  n,  p.  185-314. 
Milano,  Classici,  1820. 

L* opera  che  qui  imprendo  ora  a  tradurre,  ora  a  com- 
pendiare ò  divisa  in  tre  dialoghi:  gV  interlocutori  sono  il  Pe- 
trarca e  S.  Agostino;  il  metodo  con  cui  fu  scritta  è  quello 
stesso  che  da  Cicerone  è  seguito  e  lodato;  d* introdurre  cioè 
i  personaggi  stessi  a  favellare  per  non  ripetere  ad  ogni  linea 
quel  noioso  disse  e  T altro  rispose:  Il  dialogo  primo  è  men 
c\^rì080  ed  importante  del  secondo;  il  secondo  del  terso  che 
contiene  la  vera  istoria  amorosa  del  Petrarca  narrata  da  lui 
con  quél  candore  eh*  è  proprio  soltanto  delle  anime  grancfi.  — 
La  stessa ,  nell*  Opere  filosofiche  di  Fr,  Petrarca ,  pubblicata 
dal  Silvestri,  1824,  daUa  pag.  167  alla  317. 

Bel  dispresso  del  mondo^  Dialoghi  ire,  recati  in  Oaìianó 
dal  prof,  Giulio  Cbsaiib  Parolari.  Venezia,  Andreola,  1839. 
—  È  il  voL  XI  della  Collesione  di  opere  di  religione^  diretta 
dal  prof.  Zinelli.  —  Del  dispresso  del  mondo.  Dialoghi  tre  di 
Francesco  Petrarca,  prima  versione  iUMUana  (?)  del  Reo.  prof 
Giulio  Cesarb  Parolari.  Milano,  Battezzati  (tip:  Pirola),  1857. 
Forma  parte  della  Serie  ii.  Anno  vi,  n.  8  della  Poltantea  Cat- 
tolica. Neir Avvertenza  preposta  scrive  il  Parolari:  Ricompa- 
mcono  ora  alla  luce  in  miglior  vesta  ed  emendati  dal  traduttore, 
il  quale  stimò  non  disdicevole  cosa  il  premettere  un  suo  di- 
scorso che  tratta  della  religiosità  del  Petrarca. 

La  versione  del  compianto  mio  amico  Giulio  Ces.  Parolari 
è  fedele,  accurata  ed  elegante. 

MuLLER  I.  G.,  nelle  Bekenntnisse  BerUhmter  Mànner  Winte 
thur.  i,  25  e  59. 

Clarus  Lud.  Franc.  Petrarchs  Bekenntnisse  —  Le  Confes- 
sioni di  Francesco  Petrarca.  Magonza,  1846. 

La  Biblioteca  Estense,  possedè  un  codice  cartaceo,  in  4^ 
piccolo,  di  cai-te  96,  del  secolo  XV,  in  cui  vi  ha  una  versioni» 
italiana  dei  dialoghi  del  Petrarca  de  Contemptu  mundi.  Avanti 


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DE  OONTBIIPTU  MUNDI.  775 

il  proemio  trovasi  il  titolo  scritto  con  inchiostro  rosso:  Dia^ 
logo  de  messer  Francesco  Petrcarca  poeta  laureato  dove  di^ 
9puta  con  Sancto  AugusUno  de  la  condicUon  e  miseria  s%ui. 
E  chiama  questo  libro  el  Secreto  suo,  e  dialogo  non  è  a  dir 
altro  che  parlar  de  due.  Questa  versione  italiana  è  diversa 
da  quella  di  Francesco  Orlandini,  ed  inedita  tuttavia.  —  V.  / 
Codici  Petrarcheschi  delle  Biblioteche  govemaUvej  n.  244. 

Maggiolo,  Essai  sur  la  philosophie  morale  de  Pétrarque, 
et  particuliérement  sur  son  fy-aité  intituìé  de  Contemptu  Mundi, 
Nancy,  Raybors,  1863. 

11  libro  delle  Confessioni^  che  va  inteso  ora  col  titolo  Del 
Disprezzo  del  Mondo,  ora  Del  suo  Secreto,  •—  «  Secretum  enim 
meus  es  et  dicerìa,  »  Praef.,  —  ò  una  lontana  imitazione  nella 
forma  della  Consolazione  della  Filosofia  di  Boezio,  come  ò  vi- 
cina nella  materia  al  libro  delle  Cofessioni  di  S.  Agostino ,  e 
ricorda  nel  titolo  quasi  alla  lettera  l'opuscolo  di  S.  Bonaven-» 
tur%  De  Contemptu  saeculi,  —  Di  questo  libro  ne  parlarono  : 
Comianij  I  Secoli  della  Letter.  ital.  (Tonno,  Pomba,  1854),  i, 
439;  Majfei  G.,  St.  della  Lett.  ital.  (Milano,  Classici,  1834), 
p.  131;  Emiliani  Giudici,  St.  della  Lett.  ital.  i,  265;  Parolari 
G.  Cesare,  Pref.  premessa  al  suo  volgarizzamento  ;  Fiorentino 
Fr,,  La  Filosofia  del  Petrarca,  15-19;  Di  Giovanni  V.,  Le 
prose  morali  e  filosofiche  di  Fr.  Petrarca,  Scuola,  Scienza  e 
Critica,  p.  283.  —  Ginguené,  EìbL  Litter.  d'Ital.  ii,  411-420; 
Mésières  A.,  Pétrarque,  67,  101,  139  e  412;  Geiger  Lud.,  Pe- 
trarca (Trad.  Cossilla),  p.  50  e  219.  —  Il  Biihle,  nella  sua  Stona 
della  moderna  filosofia  (voi.  iv,  e.  3),  afferma  che  questo  trattato 
sostiene  il  paragone  colle  migliori  opere  ascetiche  moderne. 

DE  VITA  SOLITARIA  (1). 

Tratado  del  clarissimo  Orador  y  Poeta  Francisco  Pb- 
TiUBCHA  q  trota  de  la  eoscelencia  de  la  Yida  Solitaria.  Donde 
se  tratan  muy  akas  y  excelentes  doctrinas  y  vidas  de  muc?u>s 

(1)  S.  1.  1472  ;  Mediolani,  Ulder.  ScÌMenzelor,  4498  in  fol.  :  Regii  L»- 
pidi  Fr.  Mazalis,  1501;  Lugdiini ,  1517;  Id.  Grisplnus ,  1601;  Bernae,  Le 
Preux,  1600  e  1605;  Qeoevao,  Stoer,  1619. 


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776  OPBRB  LATINE 

sanctus  q  amaron  ìa  soMad,  En  Medina  del  campo  por  6il - 
lermo  de  Millia  anno  1^3,  8,  p.  cxvij.  Lo  yoltò  in  castigìiazio  e. 
certo  Pbnna,  licenziato,  ad  istanza  di  nn  suo  amico  Anonim:, 
a  cui  essa  versione  è  intitolata.  Alla  fine  vi  è  un  canne  in  merr. 
reale  in  lode  del  traduttore. 

Nell'Ambrosiana  di  Milano  si  conserva  un  volgarisEames- 
inedito ,  di  Tito  Strozzi  €  ad  instanciam  et  a  nome  del  si-- 
gnifico  conte  Lorenzo  suo  firatelo.  Li  tuoi  continui  ricordi  is. 
anno  inducto  o  Lorenzo  conte  Magnifico  et  honorevole  fratél 
che  fuori  della  mia  consuetudine  io  abbia  presa  nuova  fatica  • . 
tradurre  in  stilo  volgare  el  libro  intitolato  della  Vita  solitan 
composto  in  parlare  latino  dal  nobile  Poeta  et  grave  PbD^:- 
sopho  Frane.  Petrarca.  »  —  La  Marucelliana  di  Firenze  pc^ 
siede  un  codice  cartaceo  in  2  voi.  in  fog.  del  sec.  XVn  C 
carte  219  e  260  col  titolo  :  Delia  Vita  solitaria ,  libri  quattri* 
€  de'  quali  i  primi  due  sono  di  Fr.  Petrarca ,  volgarizzati  dJ 
compilatore  degli  altri  due  Fb&ncssco  Marccellt.  »  —  Di  man 
dello  stesso  Maruoelii  con  molte  postille  e  correzioni. 

Il  Petrarca  tenne  fi*a  gli  altri  carissimo  questo  ano  libro, 
ne  parla  con  affetto,  spesso  vi  ritoma  sopra  con  la  lima,  ■' 
come  Protoffene  che  non  sa  staccare  il  pennello  daUa  tele 
ei  lo  chiama  libei"  maximus  rertun  mearum.  Ne  ieoe  la  de- 
dica a  Filippo  di  Cabassoles,  figlio  d'Isnardo  milite,  nativo  di 
Cavaillon,  card,  vescovo  di  Sabina,  tiomo  eccellente,  ed  a  hù 
ospite  e  padre  amorosissimo,  £i  già  lo  avea  letto  quando  lo 
stava  dettando  presso  il  fonte  di  Sorga ,  e  fin  d*  allora  vi 
avea  posto  grandissimo  amore.  Quantunque  cominciato  nel 
1346,  e  compiuto  nel  1356,  non  Tebbe  che  a  6  Giugno  136C. 
Fin  dal  1362  il  Petrarca  avea  pr^:ato  Medio  di  Parma  a  fai- 
glielo  copiare^  raccomandandogli  che  maestro  Benedetto  lo  al- 
luminasse e  riccamente  lo  rilegasse.  A'  14  del  1365  scriveva  al 
Boccaccio  da  Pavia  :  Pare  incredibile  a  dirlo  :  un'  opera  in  pochi 
mesi  composta,  non  potè  in  tanti  anni  aversi  copiata.  Fatti 
ragione  delle  pene,  della  disperazione  che  si  prova  per  opere 
più  grandi.  Or  finalmente,  dopo  tante  premure  riuscite  a  vuoto, 
nel  partirmi  di  casa  mia  lo  lasciai,  perchè  fosse  trascritto,  fni 
le  mani  di  un  prete,  le  quali  non  so  se  mi  si  porgeranno  saae 
come  quelle  di  un  sacerdote,  o  ingannatrici  come  quelle  di  un 


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DB  VITA  SOLITABIA.  777 

copista  (1).   Scrivonmi  gli  amici  esser  già  compiuto  il  voler 
mio:   ma  del  modo  non  so  sinché  noi  vegga:  e  il  conosciuto 
costume  di  coloro  mi  tiene  in  gran  dubbio.  Perocché  (mira- 
bile a  dirsi)  soglion  costoro  non  copiare,  ma  scrivere  tutt*altro 
da  quel  che  loro  si  mette  innanzi  :  tanta  è  in  loro  vuoi  Y  i- 
g^noranza,  vuoi  la  trascuraggine,  o  la  inerzia.  —  Senili,  v.  1 . 
— •  L'  ottimo  Prelato  fece  si  lieta  e  si  onorevole  accoglienza 
air  offerta  che,  messo  da  parte  ogni  altro  libro,   quello  ebbe 
sempre  sott'  occhio  e  fuor  del  comune  costume  volle  che  gli 
si  leggesse  durante  il  pranzo.  (SeniU,  xui,  11).  —  E  a  Fran- 
cesco Casini  da  Siena,  medico,  scriveva  il  Petrarca  il  1  Maggio 
1 373   da  Arquà  :  tu  dici  d*  esserti  sentito  commuovere  fino 
alle   lagrime  leggendo   le  mie  coserelle  e  specialmente  quel 
luogo  della  vita  solitarìa. . . .  Vero  è  che  quel  libro  della  Yita 
Solitaria  tanta  lode  riscosse  da  quel  sapientissimo  a  cui  lo  de- 
dicai... che  volle  quel  libro  gli  si  leggesse  quando  con  altri 
pei-sonaggi  sedevasi  a  mensa,  mentre  in  quel  tempo  usata  let- 
tura è  solo  quella  de*  libri  santi.  E  gliene  dolea  che  lo  avesse 
trascritto,  perchè  meditava  di  farvi  alcune  aggiunte.  Sen,  xvi,  3. 
—   In  che  tempo  lo  componesse,  trattò  ampiamente  il  Fra- 
cassetti  (Epist.  V,  244). 

Presso  i  devoti  Olandesi  del  secolo  XV  questo  trattato  fu  te- 
nuto in  tanto  pregio  che  divenne  nell'universale  fiamigUarissimo. 

Natura  mi  fece  non  pel  foro,  ma  per  la  solitudine  (Ep, 
Fam.  IV,  9, 16).  Ed  ei  cantava:  Cercato  ho  sempre  solitaria  vita. 
Le  rive  il  sanno  le  campagne  ed  i  boschi. . . .  Son,  cci.  —  Chiesto 
da  Carlo  IV  qual  fosse  la  vita  che  più  gii  piacerebbe  seguire 
al  mondo,  pronto  e  intrepidamente  rispose:  La  vita  solitaria, 
più  d*ogni  altra  tranquilla,  più  di  tutte  felice,  e  tale  ch'io  per 

(1)  Ut  ad  plenum  auctorum  constet  inlegritas,  quis  scriptorum  inscìtìae 
inertiaeque  medebìtur  corrumpenti  omnia  miscentique  ?  Quisquis  Pungere 
aliquid  in  membranis  manuque  calamum  versare  didicent  scnptor  haDe- 
hitur,  doctrinae  omnia  ignarus,  expers  ìngenii ,  artis  egens.  Non  quaero 
iara.  nec  queror  ortographiam  quae  pridem  periit.  Qualitercumque  utinam 
scriberent,  quod  iubentur,  apparerei  scriptoris  infantia  ;  rerum  substaniia 
non  lateret.  Nunc,  confusis  exemplaribus  et  exempUs,  unum  scnbere  poi- 
liciti ,  sic  aliud  scribunt,  ut  quod  ipse  dictaveris,  non  agnoacas.  An  si 
redeat  Cicero ,  aut  Liviua  multìque  alii  veterum  illustnum ,  ante  oranes 
Pliniua  secundus,  sua  scripta  relegontes.  intelligent,  et  non,  passim  hae- 
silantes,  nunc  aliena  credent  esse,  nunc  barbara  I  De  Jiemedtts  utrtusqt^e 
fortimae,  1. 1,  dial.  xiAii, 

49 

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778  OPBBB  LàTlNS 

me  tie  disgrado  la  gloria  ancora  e  la  maestà  del  tuo  troaft 
(Fam.  xn,  3).  Nella  prima  Ecloga  ei  prende  il  nome  di  Siim. 
nella  decima  di  Silvano.  Molte  delle  sue  lettere  sognano  il  luogo 
colla  sola  parola:  In  solitudine,  E  riandando»  con  memore  e 
devoto  affetto,  i  giorni  passati  nella  solitudine  d^  Gertosiai. 
scrìveva:  Yeni  ego  in  Paradisum,  vidi  Angehs  Dei  in  terra, 
et  in  terrenis  corporibus  habitantes,  E  nelle  Fam.  ni,  5;  ix,  11 
ce  ne  tesse  le  lodi.  Ma  la  Solitudine  non  è  per  tutti,  percb^ 
ci  sia  feconda  di  bene  e  insieme  di  diletto,  ci  vuole  un''  aniica 
di  virtù  vestita.  Fam,  xvi,  14. 

Yeggasi  quanto  ne  scrissero  G.  Maffei^  Storia  ddla  Leti 
ital.  1,  128;  Di  Giovanni  nel  suo  Discorso,  Le  prose  morali  t 
filosofiche  di  Fr.  Petrarca,  Scuola,  Scienza  e  Critica ^  p.  249: 
Ginguenè,  Hist  Litter.  d'Ital.  ii,  409;  Méziéres^  Pétrarqne; 
425  e  seg. 

Dante  fu  saiutato,  e  a  diritto,  cornee  poeta  della  natura,  la 
lui  difatti  squisitissimo  il  gusto  della  natura,  primo  sentimaito 
dell'arte,  squisitissimo  pure  lo  spirito  di  osservazione  e  di  ana- 
lisi che  gli  fa,  dirò  cosi,  notomizzare  i  fenomeni  fisici,  cercare 
le  ragioni  donde  ha  vita  la  poesia  della  scienza.  —  Ed  il  Pe- 
trarca, in  questo,  non  gli  fu  punto  inferiore.  Nel  leggere  le 
stupende  descrizioni  di  Valchiusa,  di  Selvapiana,  della  sua  salita 
al  Ventoso ,  del  maestoso  spettacolo  dell'  Alpi ,  de'  paesaggi . 
quando  delicati,  quando  grandiosi,  in  cui  son  riti^atte  le  piii 
minute  graduazioni,  nel  vederne  rilevate,  con  occhio  d^arUsta, 
le  bellezze  estetiche,  io  non  posso  tante  volte  non  tornare  a 
capo,  di  non  prender  nuovo  diletto  da  quella  varietà  di  colorì, 
da  quella  musica  di  suoni.  La  solitudine,  a'  suoi  pensieri  amica, 
gli  è  una  sorgente  continua  di  poesia  e  d' ispirazioni.  Nel  libro 
in  che  prende  a  tesserne  le  lodi,  non  è  la  placidezza  del  chio- 
stro eh'  ei  presenta  a'  suoi  lettori  come  il  suo  ideale,  ma  sono 
le  gioie  dell'  uomo  di  studio  che  vive  co'  suoi  libri  di  faccia 
alla  natura.  —  <  Leve,  cosi-  il  Mézières ,  an  point  du  jour ,  il 
se  promenait  dans  la  montagne  aride,  sur  les  bords  aimables 
de  la  Sorgue  ;  il  jouissait  de  la  beauté  des  lieux  qui  V  entou- 
raient,  de  la  pureté  de  l' air,  des  frais  ombrages,  du  calme  des 
grottes  siiencieuses  ;  mais  partout,  hors  de  la  maison  comme 
à  la  maison,  qu'  il  marchàt  à  travers  les  rochers,  qu**  il  e''  asÀÌt 


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DE  VITA  SOLITARIA.  T79 

à  l'ombre  dea  saules  sur  T herbe  humìde,  cu  qu'il  rentràt 
dans  sa  bìbliotbèque ,  son  ardent  esprit  persuivait  sana  re- 
l&cbe  les  travaux  commencés;  il  pensait,  il  lisait,  il  écrìvait. 
Penserl  lire!  ócrire!  »  (p.  425).  —  Il  Mézières,  p.  406;  il  Burck- 
ardt,  II,  28  ;  il  Geiger,  47-49,  e  73,  hanno  "messo  bellamente  in 
rilievo  quanto  fosse  yivo  nel  Petrarca  il  sentimento  della  natura. 

Liber  Domini  Fr.  Petrarchae,  panormitani,  oratoris  cele- 
herrimi  De  Vita  solitaria.  S.  1.  et  a.  —  V.  Gasserà  Costanzo, 
Osservazioni  letterarie  intorno  ad  un  operetta  falsamente  ascritta 
al  Petrarca.  Memorie  della  R.  Accademia  di  Torino,  1824, 
(  Scienze  Morali  ),  t.  28^  p.  331 .  Rip.  Bregbot  du  Lut.  Lettres 
Ivonnaises,  Lyon,  Barret,  1826. 

De  bono  Soiitudinis,  Dialogus  auctore  Lombardo  Sbrigo, 
patavino,  Fr,  Petrarchae,  Poetae  Laureati,  morum  et  studio- 
rum  collega;  ejusdemque  vatis  sententia  de  ipso  Dialogo.  Pa- 
tavii,  apud  Paulum  Mejellum.  Ne  fu  editore  Livio  Ferri. 

ZuocALA  Giovanni,  Della  Solitudine  secondo  iprincipii  del 
Petrarca  e  del  Zimermann,  Lettere.  Milano,  Giusti,  1818; 
Pavia,  Bizzoni,  1822. 

PSALMI  POENITENTIALES  (1). 

/  ScUmi  di  Penitenza  volgarizzati  da  un  Canonico  Rego- 
lare di  S,  Pietro  in  Vincoli  (Anselmo  Puccinelli).  Roma,  De 
Romani,  1814. 

/  sette  Salmi  Penitenziali  di  Dante  Alighieri  e  di  Frane. 
Petrarca.  Bergamo,  Mazzoleni,  1821. 

€  Noi  presentiamo,  cosi  V  editore,  il  testo  latino,  ridotto  a 
miglior  lezione  dal  prof.  Ambrogio  Levati,  col  volgarizzamento 
del  quale  ci  fu  cortese  Tistesso  Professore. 

Id.  Id.  Firenze,  Società  tipografica,  1827. 

(1)  Psalmos  septem  misi,  quos  in  miseriis  dudam  meis  ipso  mihi  com- 
posui ,  tam  efflcaciter  utìuam  quam  ìnculte ,  utrumque  enira  praestare 
stadui  :  leges  eos  qualescuinque  sunt,  idque  patientius  facies,  si  hos  quì- 
dem  ipsius  et  te  petiisse  et  me  multos  ante  annos,  luce  una  nec  integra, 
dictasse  meminerfs.  —  Lettera  i  del  libro  x  delle  Senili,  a  Sacramaro  de 
Pommiers.  ,.  ,  v  j-   x. 

Conosco  le  seguenti  edizioni:  Senza  indicazione  di  luogo,  ne  ai  ti- 
pografo, né  di  anno  (Bruges,  Colard  Maming)  •  Venetiis,  Alb.  Stendal  de 
sSonia,  1473;  Reissinger,  1176;  Scoti,  1521;  Bcrnae  Le  Preux,  100*. -- 
Vennero  pare  inseriti  in  Exposit.  Psalterii  Lvdolphi  Chartusiensis,  1191. 


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780  OPERB  LATINB 

/  sette  Salmi  Penitenziali  di  Fr,  Petrarca  tradotti  in  Hn- 
ffua  italiana  dal  prof.  D.  Oiovanni  Antonio  Scazzola,  eUess^Tn- 
drino,  Alessandrìa,  Capriolo,  1825.  In  terza  rìma. 

DàUiiSTRO  AB.  Angelo^  /  sette  Salmi  Penitenziali  di  mt^. 
Petrarca,  recati  in  versi  italiani,  Trevigi,  Andreola,  1S26.— 
La  versione  ò  intitolata  a  mona.  Sebastiano  SoidatL 

Parolari  Giulio  Cesare,  La  versione  del  Salmo  t.  —  iVrlLi 
religiosità  di  Fr.  Petrarca,  Bassano,  Baseggio,  1847,  p.  20.  — 
/  sette  Salmi  Penitenziali  di  Fr.  Petrarca ,  Del  Disprezzo  <kl 
mondo,  Milano,  Tip.  Pirola,  1857,  p.  245-58. 

Racheu  Antonio,  di  Casalmaggiore,  /  Salmi  di  FranctstL 
Petrarca,  Raccolta  di  prose  e  poesie  in  morte  di  Marìanniiu 
Rabò,  Guastalla,  Lucchini,  1852,  p.  67-128. 

Son  tradotti  in  altrettante  Canzoni.  Il  testo  latino,  così  il 
Racheli,  corressi  sulle  antiche  edizioni  di  Basilea,  di  Venezia, 
e  su  quella  fatta  di  recente  dal  prof.  Ambrogio  Levati  a  Pavia, 
tutte  e  tre  erratissime. 

A  Boohe  called  Petrarkes  seauen  penitentiall  Psalmes  in 
Verse  paraphrasticaUy  translated  toith  other  poems  philaso- 
phicall  and  a  Rymne  to  Christ  upon  the  Crasse  òy  Gb.  Chap- 
MAN.  London,  1612. 

Furono  pure  voltati  in  tedesco  :  Dtispsalmen  mei  ùbersctzt, 
Augs.  1839. 

DE  REBUS  MEMORANDIS  (U. 


SI  Tlta  manebit 

Lo&fior  et  Bullo   praerertet  tnrblnc  coeptan 
Iaa}>ettt«  alter  Iter,  tnse  «apie  rolamlna  c«rat« 
Bb^nanim  rerum  rario  dietlnet»  calore 
la  tcmpiu  perdocta  aattm.  Africa,  IX,  IM. 

Le  paragon  de  Nouvelles  honestcs  et  delectables  a  tous 
ceulx  qui  dcsideret  veoir  et  ouyr  chescs  nouvelles  et  Recrea- 
tives.  Les  paroles  joyeuses  et  diete  memora  bles  des  nobU's  et 

(1)  A  esopus  Graeous.  —  F.aceliae  moralea,  Laureo tii  Vaìlcnsìs,  alias 
Aesopus  Graecus  per  dictum  Laurentiura  trauslatus.  —  Franciscus  Petrarca 
de  aalibus  virorum  illustriuin  ac  facetiis  tractatus.  —  Seuza  ÌDdìcazioa»?  nò 


Stoer,  1619,  e  chtìz  L.  O.  Mailer,  Bekeoutnisse  merfcv.  Manner,  i,  p.  1-21  ; 
In  Vltae  vir.  Illua.  llerin.  NVitekiodo  coUectoro,  Basii,  lleur.  Tetri,  1003. 


di  luogo,  né  di  tipografo,  né  dì  anno.  (Fol.  «1,  con  25  Uno©  per  pag.).  — 
Louvain,   A.  Loetfs   de   Dri«l,    1185;    Boruao,   Lo  Preux,  iflOl;  Geuevae, 

Tkvr,  Manner 
Basii,  llenr.  1 

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DE  REBUS  MSMORANDIS.  781 

saiges  homes  anciens  redigez  par  le  gracieux  et  honeste  Poete 
messire  Francoys  Petrarque  (feuil,  lxv,  lxxx).  Imprimez  a 
Lyon  par  Denis  de  harsy,  pour  Romain  Moiin  libraire  demou- 
rent  en  la  rue  Mercierre,  1532;  1551. 

Gedenkbuch  alter  der  Handlungen,  die  sich  von  Anbei- 
ginn  der  Welt  zugetragen  haben,  verdeutscht  durch  SL  Vir~ 
gilium,  Aug,  H.  Stayner,  1541,  con  fig.  del  Burgknaair,  1610. 
Senza  ind.  di  1.  n,  d.  stamp. 

De  Rebus  Memorandis.  Franciscus  Pe&archa  der  hoch" 
gelehrte  und  loeiiherumpt  orator  und  Poet.  Frankfurt,  Chrìst. 
Egenolffs,  1550;  Erben,  1566. 

È  tradazione  di  Stefano  Virgilio  Pactmontano. 

Il  Fracassetti  chiama  questo  libro  ammirabile  per  la  gran- 
dissima erudizione,  li,  40.  —  Veggasi  il  Geiger,  80. 


DE  VERA  SAPIENTIA  (1) 


Bella  t>era  sapienza,  Dialogo.  D' ignoto  autore.  Fu  pubbli- 
cato per  la  prima  volta  dal  Silvestri  nel  voi.  33  delia  sua  Bi- 
blioteca greco-latina,  col  titolo,  Opere  filosofiche  di  Francesco 
Petrarca,  Milano,  1824,  p.  139i-161. 

Frantiska  Petrarchy  rozmlùvani  mezi  mudrcem  a  nedou- 
kém  0  prave  mudì'osti.  V.  Prostiejove,  1551.  —  Francisci  Pe- 
trarchae  dialogi  inter  philosopbum  et  indoctum  de  vera  sa- 
pientia.  Prostana,  bohem.  Prostiejov,  germ.  Prosznitz,  in  Mora- 
via, presso  Olmiitz.  Ne  fu  traduttore  Gregorio  cav.  Hrubt  di 
Gelenio.  11  Gelenio  morì  nel  1514. 

€  Il  Buhle  ha  notato  V  imitazione  che  fece  Nicolò  di  Cusa 
de*  dialoghi  della  vera  Sapienza  del  Petrarca ,  sino  a'  nomi 
degr  interlocutori,  V  Oratore  e  il  Poeta,  e  alia  scena  in  Roma, 
e  alla  divisione  dell'opera  in  tre  dialoghi.  Solamente,  segue 
ad  avvertire  il  dotto  storico,  la  parte  dell'Idiota  del  Petrarca 


(1)  Senxa  indicazione  né  di  luogo,  né  di  tipografo,  né  di  anno  (  Zwollae, 
Pietro  De  Os,  verso  il  1485),  in  14  fogli;  Beroae,  Le  Preux,  1604,  e  ri- 
prodotta con  ìe  PlutarchtM,  Dicteriae.  Ultraj.  N.  Ketalaer  et  G.  de  Leempt, 
fi73. 


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782  OPEBB  LATINB 

ò  sostenuta  in  Nicolò  di  Cusa  daU* Oratore,  e  uà  terzo  ìntei- 
locutore  nota  le  circostanze  del  dialogo,  e  un  quarto  pecsv 
naggio  incontrato  per  caso  comparisce  nel  terzo  dialog^ou  L. 
attrative  intanto  del  dialogo  petrarchesco  mancano  io  qurìio 
deir  illustre  Cusano,  di  difficile  intendimento,  perchò  tì  si  espoik: 
il  sistema  metafisico  de* numeri,  applicato  a  Dio»  al  mondo, 
all'anima.  E  manca  eziandio  ne* cinque  libri  de  Sapientia  ù 
Girolamo  Cardano  quell*  alito  divino  che  penetra  e  spira  il 
cuore  e  il  pensiero  del  Nostro  in  questo  mirabile  libro,  sena: 
nell*  ultimo  tempo  della  vita  del  Peti*arca,  quando  non  di  altn 
sapienza  si  pasceva  che  della  divina,  somministrata  dalla  fede,  t 
raccolta  nella  serena  pace  della  vite  solitaria.  »  Di  Gwoanni,  2^4 
Veggasi  quanto  ne  scrive  lo  stessoDi  órtbwcnmnel  suoLK- 
scorso,  Le  prose  morali  e  filosofiche  di  Fr.  Petrarca  —  ScucL\ 
Scienza  e  Critica,  p.  261-267. 

DE  REMEDIIS  UTRIUSQUE  FORTUNAE  (D 

Tm^naloBl  iiallaii«.  —  Fioretti  de'  Bimedii  contro  For- 
tuna di  messer  Fr,  Petrarca  voìgariezati  per  D.  Giovanni  Das- 
SAMMiNUTo,  ed  un'  Epistola  di  Coiucdo  Salutati  al  medcsùn^ 
D.  Gioìxinni  tradotta  dal  latino  da  Nicolò  CastMxni,  (Per  cura 
di  D.  Casimiro  Stolfi,  de*  Monaci  Camaldolesi).  Bologna»  Roma- 
gnoli, 1867,  tip.  Fava  e  Garagnani,  di  pag.  278:  È  la  dispensa 
80  della  Scelta  di  Curiosità  Letterarie  inedite  o  rare  dal  se- 
colo XIII  al  XVII. 

Erano  in  moda  nel  secolo  XI Y  le  Fiorite^  ì  Notabili,  h 
Somme,  estratte  dalle  più  interessanti  ed  utili  scritture  gu 
volgarizzate,  ma  non  per  anco  bastevolmente  divulgate,  e  peri' 
Upn  leggibili  da  tutti,  veglisi  per  la  rarità  e  vastità,  ed  anche 


(1)  Oltre  la  stampa  del  trattato  De  Remediis,  che  si  trova  nell*  edizìr^i. 
dell'  opere  tutte,  si  contano  le  seguenti:  una  di  Colonia,  1471;  una  di  Ri- 
poli, 1474;  una  di  Cremona,  De  Mìsintis,  1492;  una  di  Praga,  Hruj,  ir<H: 
le  venete  dal  Paganini,  1515,  dello  Stagnino,  1536;  le  parigine  àé.  L^r.- 
bert.  1506,  del  Boucher,  1546  e  1517,  di  Martino  il  giovane,  1557.  d^. 
Niueilio,  1557  (che  ai  ritengono  una  sola,  cambiatovi  solo  il  prin&o  ibgiìoì  : 
le  lionesi  del  Baudin  1577,  del  Pesnot  1581  e  1585  (queste  pure  ai  ritenffocc 
una  sola,  mutatavi  la  data);  le  bernesi  del  Le  Preux.  1595,  1000,  iÙCO, 
1610, 1616;  due  di  Ginevra  dello  Stoer  1628, 1645;  una  di  Rotterdam.  l<eer«. 
16-49,  e  r  oltiroa  di  Buda  del  Landerer,  1756.  La  Cremonese  del  1492  ^n-iU 
in  fronte  il  titolo:  Opu9  ditinwaa  de  Remediis  itlriusqi*e  foriunae. 


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DB  RBUDEDOS  DTREUSQGE  FORTUNAE.  783 

per  il  prezzo  dell*  opera  stessa.  G.  Dassamminiàto,  dalla  sua  veiv 
sìone  de'Remediy  come  avea  fatto  da  quella  de*  Morali  di  S. 
Oregorio,  colse  i  fioretti  per  ispargerli  tra  il  popolo,  e  famelo 
bello,  nutrendolo  del  meglio  che  contenesse  quella  ben  estesa 
opera  che  non  era  alle  mani  di  tutti.  È  ben  a  dolersi  che  il 
<*orrettore  della  stampa,  o  poco  pratico  o  poco  diligente,  vi 
abbia  lasciato  per  entro  mende  assai,  singolarmente  nella  terza 
parte >  che  offendono  la  nitidezza  del  testo,  e  ne  guastano  la 
beltà. 

De  Remedii  deWuna  e  deiT  altra  fortuna^  di  messer  Fran- 
cesco Petrarca  volgarizzati  nel  buon  secolo  della  lingua  per 
D.  GiovANNT  Dassabdìiniato,  monaco  degli  Angeli,  pubblicati  da 
don  Casimiro  Stol/i,  voi.  i,  Bologna,  Romagnoli,  1867.  —  Voi.  ii, 
1868.  —  Fa  parte  della  Collezione  di  Opere  inedite  e  rare  dei 
primi  tre  secoli  della  lingua. 

Giovanni  Dassamminlato  n.  nel  1363;  fu  monaco  benedettino 
camaldolense ,  e  sotto  Priore  nel  monastero  degli  Angeli,  ce- 
lebre per  r  amicizia  e  carteggio  con  Coluccio  Salutati,  di  cui 
era  stato  pur  discepolo,  e  per  altre  morali  e  religione  versioni, 
sebbene  rimaste  fin  qui  inedite,  tranne  la  continuazione  della 
versione  àe*  Morali,  Questa  edizione  venne  dallo  stesso  Stolfi 
esemplata  su  un  codice  deirAmbrosiana ,  autografo  forse,  se- 
condo il  Mehus,  ma  per  lo  meno  originale  di  pregio,  scritto 
nel  1427,  ed  appunto  nell'anno  in  che  D.  Giovanni  fece  la  ver- 
sione, n  P.  Casimiro  Stolfi  mori  a'  5  Agosto  1868  ;  sicché  non 
potè  rivedere  che  una  parte  del  primo  volume;  il  secondo  fu 
riveduto  per  intero  dal  S"^.  Giansante  Varrini.  — >  V.  nella  Rivista 
Bolognese,  Luglio  1868,  p.  634,  V  articolo  che  ne  scrisse  Sai- 
rotore  Mussi. 

Remigio  Fiorentino,  De'  Remedi  de  r  una  e  deW  altra  for^ 
tuna,  ad  Aszone,  Venezia,  Gabriel  Giolito  de  Ferrari,  1543  e 
1549;  Venezia,  Farri,  1584,  con  dedica  di  Polidoro  Rali  a  mons. 
Cesare  De  Norie,  vescovo  di  Parenzo;  Venezia^  Cornetti,  1584, 
1589  e  1595;  Venezia,  Spineda,  1607. 

€  Non  è  che  la  versione  di  D.  Giovanni  Dassamminiato. 
Remigio  Fiorentino  ne  deturpò  solo  il  lavoro,  rafiazzonando  al 
gusto  del  suo  secolo.  »  Stolfi. 

Perticari  Qwuo,  Versione  del  Dialogo  lxxxix  del  libro  i. 
—  Frammenti  di  Fr.  Petrarca  volgarizzati.  Parigi,  1836. 

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784  OPERE  LATDIB 

Parolari  ab.  Giulio,  Versione  del  Dialogo  xiu,  p.  i.  —  Defii 
Religiosità  di  Francesco  Petrarca,  Bassano,  Baaegg^o,  1847,  p.  ^. 

TraduBlonl  ffraMcc«l«  —  Des  JUmèdes  de  rune  ei  di 
tautre  fortune  prospere  et  adverse^  trad,  de  Fr,  JPetrarqite 
par  Nic.  Orbsmb,  revu  par  Galliol  Dupré,  Paris,  Dupirè,  1523  : 
Paris,  Janot,  1534. 

Nicola  Orosme,  nativo  di  Gaen,  dottore  in  teok)g:ia,  gran 
maestro  del  collegio  di  Navarra,  precettore  4^  re  (Carlo  V) 
quando  era  Delfino,  e  piii  tardi  aixùvescovo  di  Bayeux,  deca&c 
del  capitolo  di  Hohan,  e  tesoriere  della  Sacra  Cappella  di  Pa- 
rigi. —  E  fu  questo  stesso  Oresme  che  venne  mandato  oratore 
da  Carlo  il  Saggio  al  Pontefice  Urbano  V  per  dÈssuad^o  s 
ritornare  la  Santa  Sede  a  Roma.  L'arringa  ch*«  fcmine.  is 
pieno  concistoro,  il  24  Decembre  1863,  dice  il  Méziòree,  ai  eoo- 
serva  tuttavia.  Se  ne  commose  altamente  il  Petrarca,  ed  a  con- 
futarne le  calunnie  e  gli  errori  dettava  la  famosa  lettera  ad 
Urbano  V.  —  (Sen.  L.  ix,  lett.  i,)  V.  Mézières,  Péti^rqua,  p,  301 
e  313;  Fracassetiì,  Senili,  ii,  36. 

Crenaile  (db)  M/ Escuter  (le  sieur  de  Chàteaunliw ),  L* 
Sage  resolu  cortire  le  bonne  et  mauwiise  fortune,  ou  le  Pe- 
trarque  mise  en  frangois.  Paris,  1644;  Bruxelles,  Frappeos. 
1601,  1668;  Rouan,  Cardin  Besoigne,  1662;  Paris,  Besoigne. 
1607;  Ljon,  De  VUle,  1673. 

Entretiens  de  Pet)*arque  sur  la  bonne  et  maìweùse  fijrtune. 
Paris,  Le  Graa,  1673. 

Entretiens  du  sage  sur  les  plus  beaux  sujets  de  la  morale. 
ou  il  est  enseigné  rari  de  viwe  heurewp.  Pam,  Bwoigne, 
1678;  Paris,  Le  Gras,  1673,  1678. 

È  ristessa  traduzione  del  de  Grenaille,  solamente  yi  è^  can- 
giato il  tìtolo.  —  L'Hortis  ricorda  un'altra  versione  di  6rio- 
vanni  Doudin,  canonico  e  baccelliere  in  teologia,  ch'ei  &ce 
d' ordine  di  Carlo  V.  Il  mss.  trovasi  nella  Nazionale  di  Parigi. 
Il  De  Sade  vuole  che  anche  Giacomo  Baìichant^  che  tradusse 
il  libro  De'  Remedii  di  Seneca,  voltasse  pur  quello  del  Petrarca. 
—  Il  codice  membranaceo  n.  41  de' Mediceo-Palatini  di  Firenze, 
del  secolo  XV,  di  carte  numerate  da  ambo  i  lati  324,  contiene 
una  traduzione  francese  d' ignoto  autore  col  titolo  :  Le  septante 
sept  Dyalogues ...  de  la  fortune  adt)erse. 

Tradnsione  apai;naola*  —  Francisco  Petrarchoj  Dehs 


y  Google 


DB  REBfBDIIS  DTRIUSQUB  PORTUNAE.  785 

remedioslpontra  prospera  y  adversa  fortuna.  Con  previlegio. 
Es  iaiprimido...  en  la  muy  noble  villa  d' Valladolid  por  Diego 
da  Oumiel...  xvió  dias  del  lues  de  mar^o  del  anno  MDX.  — 
Es  imprimido ...  en  la  muj  noble  y  muy  leal  cibdad  de  Seuilla 
per  Jacobo  cromberger —  Acabose  à  tres  dias  del  rnes  de  Fé- 
brero  anno  de  mill  y  quinientps  y  treze  (1513),  in  fol.  —  Es  im- 
primido ...  en  la  mny  noble  y  muy  leal  cibdad  de  Seuilla  por 
Joan  varela  de  Salamanca.  Acabose  a.  xx  dias  del  mes  de 
Setienbre.  Anno  de  mill  y  qninientosT  xvj  (1516)  annos,  in  fol. 

—  Fue  imprimido ...  en  la  muy  noble  y  muy  leal  ciudad  de 
Zaragoza,  por^George  Coci  aleman.  Acabose  a.  xxiìj  dias  del  mes 
de  octubre.  Anno  de  mil  y  quinientos  y  deziocho  annos  (1518). 

—  (Magnìfica  edizione);  Zaragoza,  Coci,  1523;  Seuilla,  en  casa 
de  Joan  varela  de  Salamanca (26  Aprile)  1524. 

Da  quanto  ai  rileva  nell'avvertenza  preliminare  ne  fu  tra- 
duttore Fbàncbsoo  di  MADRm,  Arcidiacono  di  Alcor,  e  canonico 
della  cattedrale  di  Valenza  che  volle  intitolata  la  sua  versione 
a  Gonzalo  Femandez  de  Cordoba,  il  gran  Capitano.  Anteriore 
alle  accennate,  dev'esserci  un'altra  edizione  di  Barcellona  fra 
1502  ed  il  1509  dello  stesso  Gunniel,  quando  ivi  teneva  tipo- 
grafìa. Il  traduttore  si  lamenta  assai  del  testo  guasto  da  non 
uscirne,  sicché  tante  volte  gli  fu  forza  porre  e  levare.  Voltando 
questo  libro  lettera  per  lettera,  com'  è  nel  latino,  ne  verrebbe, 
ei  dice,  una  cosa  tanto  strana  ed  oscura  da  non  potersi  leggere, 
e  letta  la  non  «i  potrebbe  cogliere.  Lo  Stolfi  mal  s'appone 
facendone  autore  l'Obregon. 

Tradasionl  tedesche.  —  Franciscus  Pbtrarca.  Voti  der 
Arzeney  bayder  Gluch  des  guten  und  toiderwertigen,  Aug. 
Steyner,  1532.  Della  medicina  —  de  remediis  —  nella  fortuna 
lieta  ed  avversa. 

B  la  più  bella  e  grandiosa  stampa  che  sia  mai  stata  &tta 
de'  Eirnediiy  tanto  per  i  caratteri  ed  il  sesto  quanto  per  le 
incisioni  in  legno  che  ad  ogni  capitolo  sono  apposte.  Le  quali 
incisioni  (come  si  legge  nella  Prefazione  dello  stampatore) 
furono  comprate  a  caro  prezzo  :  i  soggetti  poi  dei  disegni  fu- 
rono studiati  su  r  opera ,  e  suggeriti  all'  incisore  dal  famoso 
Sebastiano  Brandi,  poeta,  storico  e  giureconsulto,  morto  nel 
1520,  e  che  a  quest'opera  premesse  pure  una  prefazione  in 
versi  tedeschi  che  si  leggono  in  principio.  L' opera  Ò  intitolata 

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786  OPBU  LkrnfE 

a  Sigismondo  Orymmen  e  Massimiliano  Vìrsiog,  dottori  in  ib<^ 
dici  n  a,  che  aveano  consigliato  questa  versione.  Il  primo  fibro 
fu  tradotto  da  Pietro  Stohel,  di  Norìnaberga;  il  seeoado  ha  in 
fine  il  nome  di  Giorgio  Spalatinus,  celebre  teologo,  caaceJliere 
aulico  ed  amicissimo  di  Lutero.  —  L'edizione  del  \S3St  pan^ 
una  contraffazione  della  precedente:  in  questa  la  veiwme  é 
attribuita  esclusivamente  allo  Spalatinus.  —  Id.  Id.  1539,  de- 
dicata a  Martino  Weisg,  cittadino  di  Augusta,  e  parrebbe 
tradotta  da  Stefano  yirgiHo  che  sottoscrive  la  vita  del  Pe- 
trarca, premessa  alla  stampa. 

Httlffy  Trosi  und  Rath  in  allem  anUegen  der  Mgns^^ien. 
Frano.  Petra  rchab,  ecc.  Francfort,  Engelnoffs  Erben,  1^0.  — 
Aiuto,  consolazione  e  consiglio  in  ogni  occorrenza  deH**  uomo 
di  Francesco  Petrarca. 

Trosi  spiegel  in  Glùck  und  Ungl&ek  des  toeitberùmàiem, 
ecc.  Fr.  Petrarchab.  Pranckfùrt  am  Mayn,  EgenoM^;  Erben. 
1584,  id.  1596;  ed  Johann  Saum,  1604.  -^  Specchio  di  consola- 
zione delia  buona  e  mala  ventura  del  celeberrimo  Frane.  Petraiva. 

Trosi  spiegel  FRANCisa  Petrarche  des  kochberumòten  Poe- 
ten  und  Oratom,  Von  Arzeney  und  Rath  in  gutem  und 
underwertigen  Qlùck.  Franchfurt  am  Mayn,  Johann  Sprì^er, 
1620.  —  Specchio  di  consolazione  di  Fr.  Petrarca,  poeta,  ora- 
tore celeberrimo  :  della  medicina  e  consiglio  nella  buona  e  ndla 
contraria  fortuna. 

In  ogni  capitolo  o  dialogo  vi  ha  un  dislieo  latino  e  due 
tedeschi  che  illustrano  i  versi  latini,  e  servono  di  argomenta 
n  distico  latino  è  poi  quello  stesso  che  si  trova  nelle  e^àoni 
posteriori  a  questa,  poiché  da  essa  T  hanno  presa. 

Tradnsloiie  boema.  —  Frantìsha  Petrarchy  kniehy  dooìe 
0  lekarstvi  proti  sHestl  a  nestiesU,  Kteréz  Jesi  pan  Rbbqr  Hrih^* 
z  Geleni  preioziL  V.  Praze,  1501.  —  Libri  due  di  Francesco 
Petrarca  de  Remediis  uttHusque  fortune  che  voltò  in  boemo 
Gregorio  cav.  Hruby  de  Jelioge. 

Traduslone  ang^herese.  —  Nagy  emìékezetù  \  Petrar 
\  cha  I  Ferenczneh  \  ajó.ésgonosz  \  szerencséneh  orvosldsdrol 
iroU  két  I  Konyryeeshéje  \  Jó  és  Bai  Szerencsék  kózSU  fbr  \  gók 
nak  vigaszialdsdra  \  Dedkbol  Magyarrd  \  fbrdUtatott  |  LàszlÓ- 
Pal  I  RtmiENio  praepostj  és  vdradi  |  canók  élnU  \  Kaas^  Az 
Akademiai,  Bet&kkel  1720.  I  due  libri  de  Remediis  nù^iusgue 

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DE   REMBDII8  UTRIUSQLB  FORTUNAE.  787 

furtunae,  del  celebre  Francesco  Petrarca  tradotti  da  Paolo 
Làszló  canonico  di  Nagy  Yàrad  (Grosa-Wardein)  per  consolare 
c|ueili  che  si  trovano  nella  fortuna  o  nella  sventura.  Kaschau, 
nella  tipografia  accademica,  1720. 

Edizione  divenuta  rarissima;  il  dotto  Toldy  nonne  fa  pur 
menzione;  l'erudito  Hardtiyi  nella  sua  Memoria  Hungarorum 
et  protincìcUiUfn  scriptis  editù  notorum  la  ricorda  con  tali 
parole:  Làszló  Paulus,  canonicus  vai*adiensis,  eleganter  in  pa- 
triam  transtulit  linguam  Francisci  Petrarcae  De  Remediis 
utriusque  fortunae  Ubros  duos  qui  in  liicem  prodìverunt  Cas- 
soviae  MDOCXX,  (pars,  u,  pag.  471,  Viennae,  1776).  —  È  in 
duodicesimo,  ed  ha  244  pagine.  Paolo  Làszló  di  Ris  Kàszon 
ha  intitolato  la  sua  versione  al  co.  Michele  Mikes  di  Zabola, 
consigliere  del  Governo  di  Transilvania.  11  Museo  nazionale  di 
Pesi  ne  possiede  un  esemplare. 

TradnsioMe  InKleae.  —  PMsicke,  against  Fortune  as 
u?eU  prosperous  as  adoerse,  coniegned  in  tico  Bookes  noiM  first 
englished  by  Th.  Twtnb.  London,  Richard^  Wathyns,  1579. 

L*  Olandese  Hadrianus  de  Karthduses,  olandese,  (nel  1460, 
frate  in  un  chiostro  presso  Geertruidenberg),  scrisse  sull'orme  del 
Petrarca:  Liber  de  Remediis  utriusque  fortunae^  Colonia,  1470; 
Louvain,  1485.  —  Andrea  Vaierius  gli  dà  colpa  di  manifestis- 
simo plagio  verso  il  Petrarca. 

In  uno  scritto,  tuttavia  inedito  di  Arnoldo  Geiihoven,  di 
Rotterdam,  morto  (1442),  nel  chiostro  di  Groenendaal,  presso 
BruxeUes,  e  che  avea  studiato  diritto  e  teologia  a  Padova  ed 
a  Bologna,  si  trova  spesso  ricordato  Franciscus  Petrarca  poeta 
laureatus  dignissimus.  I  passi  ^tati  son  presi  dal  Trattato 
/>e  Yiia  solitaria,  e  segnatamente  da  quello  De  Remediis.  Ne 
possiede  T  autografo  V  illustre  prof.  G.  Moli  di  Amsterdam,  co- 
nosciutissimo  pe'  dotti  ed  accurati  suoi  lavori  sulla  Chiesa, 
soprattutto  del  Medio  Evo. 

Sul  libro  De  Remediis  veggansi  :  Comiani,  Il  Secolo  della 
Letter.  I,  239;  G.Maffei,  Storia  lett.  d'Italia,  f,  127;  Stolfi, 
Pre&z.  alla  Versione  del  Dassamminiato  ;  Di  Criovanni,  Scuola^ 
Scienza  e  Critica,  234-242;  Fr.  Fiorentino,  La  Filosofia  di 
Fr.  Petrarca,  11;  Ginguenè,  Hist  Liter.  Ital.  ii,  405-12. 

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788  OPBRB  LATINE. 

DE  SUI  IPSIUS  ET  ALIORUM  IGNORANTIA  {»). 

Della  propria  ed  altrui  igtioremzaj  Trattato  di  Francssco 
Petrarca,  con  tre  lettere  dello  stesso  a  Giovanni  Boccaccia, 
traduzione  di  Giuseppe  Fracassbtti.  Venezia,  Orimaldo,  Ì85S. 

Intorno  a  questo  trattato,  ed  a*  quattro  giovani  che  sì  fe- 
cero giudici  del  Petrarca  in  Venezia,  veggansi:  Maffei,  Stor. 
Letter.  d'Italia,  i,  136;  Fracassettì,  Lett.  di  Fr.  Petrarca,  ii, 
56,  60-67;  Di  Giovanni  V.  Scuola,  Scienza  e  Critica,  242; 
Valentinelli  6r.,  Petrarca  e  Venezia,  107.  —  Dal  Codice  delia 
Marciana,  n.  lxxxvi,  ci.  vi  dei  Latini  si  rileva  che:  Hii  erant 
dominus  leonardus  Dandulo  (ita  tamen  ut  prìmus  literaa  nullas 
sciat),  thomas  talentus  (paucas)  ;  dominus  zacharìaa  contarenns 
(non  luultas)  ;  omnes  de  venedis  ;  quartua  magister  guido  de  ba- 
gnolo de  regio  (vero  non  paucas);  prìmus  miles,  secundua  simplex 
roercator,  tertius  simplex  nobilis,  quartus  medicus  phisicus. 

DE  VIRIS  ILLUSTRIBUS  (2). 

//  Libro  degli  huomini  famosi  compillato  per  lo  inefyto 
poeta  Mser  Francesco  Petrarca, 

Kepertorio  :  del  presente  libro  ove  serano  signati  i  capitoli 
di:  XXXVI :  capitani  li  facti  de' quah  sono  diflhisamente  daserìpti 


I 


(1)  <  Hanc  Ubellum  ante  bieantum  dictatum  (1387),  et  alibi  acriptom.    | 
perduxi  ad  exitam   Arquadae  intai^  coUaa  Eaganeoe  (1370),  ian.  19,  ver- 
gente ad  occasum  die.  > 

(2)  Hic  quM^e  magnoram  laudes  atudioaua  avoram  Digarai,  extrena 
relcgens  ab  origine  Sortes  BomuUdas,  vestruinqne  genua,  aermone  soluto 
Hisloricus,  titulosque  viris  et  nomina  reddet.  Africa ^  ix,  267.  —  Go^ta- 
tionca  tuas  in  longinquum  transmitiens ,  &roain  inter  poatoroa  oonoepistì, 
ìdeoque  roanaro  ad  maiora  jam  porrigens,  librum  historìarum  a  Rege  Ro- 
mulo  ad  Tituin  Caeaarem ,  opus  immenaum ,  teroporiaque  et  laboria  csapt» 
cissimum  agresaus  ea.  De  Contemptu  Mundi,  Dia),  in.  —  Scribo  de  Viri* 
Illustribus,   quale  non  auaìm  dicere;   iadicent  qui  legant,  de  quaotiute 

J^rouuntio,  haud  dubio  maffnum  opua,  multanunque  vigiUanUD.  Mftectifw 
n  Medicum.  (Edi  e.  Bas.  1581,  p.  1095).  —  Ilio  (Ubro)  valdfl-egeo,  in  viro- 
rum  illuatrium  congerie,  cui  hoa  humeroa  qualèacumoue  anbeo.  Bp.  Fam. 
IX,  15.  ^  Ed  il  Mézièrea  :  <  Peraonne  n'  a  piua  travatllè  que  lui  au  moyen 
Age  à  retrouver  lea  principeaux  traila  de  1*  hiatoire  rimiaine  à  aourent 
altèrée  par  dea  légendea  rouianeaquea.  Il  a  oompulaó  les  annalea  de  Rome 
avec  la  doublé  passion  d*  un  savant  ed  d'  un  patriote ,  avec  le  dòsir  g^ 
néral  da  a'  inatruire  aiguillonnè  par  le  déair  partico^ier  de  rètablir  dana  leur 


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DE  VIRIS  ILLUSTRIBUS.  789 

per  lo  inclito  poeta  miser  Francisco  Petrarca  et  primo  co- 
micziando  come  qua  di  sotto  appare. 

Splendida  edizione  di  p.  243,  con  &ccie  bianche  intorniate 
di  un  fregio  che  dovea  accogliere  1*  effigie  incisa  o  miniata  di 
ciascuno  uomo  illustre,  de'  quali  seguitava  la  vita.  Fu  procu- 
rata ad  istancia  di  miser  Ftxincisco  da  Carrara ,  signore  di 
Padua.  Ne  vegliò  la  stampa  il  veronese  Felice  Feliciano,  uomo 
assai  perito  in  fatto  d' antichità,  secondo  le  pàtrie  memorie,  e 
come  lo  dimostra  quella  preziosa  sua  Raccolta  di  Romane 
Iscrizioni,  dedicata  ad  Andrea  Mantegna,  che  in  bel  codice 
autografo  si  conserva  nella  Biblioteca  Capitolare  veronese.  Asso- 
riavasi  airimpresa  Innocente  Zileto  da  Creinovi,  come  ci  avvisano 
i  seguenti  versi.  lUustres  opere  hoc  viros  perire  —  Francisci 
ingenium  t>ctat  Petrarchae  —  Aon  scripio  calamo  anserisve 
penna  —  Antiquarius  istud  aere  Felix  —  Impressile  fuit  Inno^ 
rens  Ziletus  —  Adjuior  sociusque  ìntre  Polliano  —  Verona 
ad  lapidem  tacente  quartum:  M.C.C.C.C.LXXVI.KL.  Octobris. 
V.  Fossi,  Catalogo  dei  libri  a  stampa  del  sec.  XV,  t.  ii,  p.  318. 

Le  Vite  degli  uomini  illustri  di  Messer  Franc.  Petrarca. 
MDXXVII.  Stampate  in  Vineggia  per  Gregorio  de  Gregorii, 
TAnno  del  Signore.  MDXXVII  del  mese  de  Genaio. 

FRANCisa  Petrarchae,  Historia  Julii  Caesaris  (1).  Auctori 

m 

intégrìtò  les  titres  do  i^loire  de  su  patrie.  Ce  fut  un  des  d)us  grands  aoucia 
do  aa  vie. ...  Là  (nell  opera  de  Viris) ,  1*  enaembie  de  V  histoire  romaine 
reparalt  ^ur  la  première  fola,  non  pas  dans  une  oeuvre  méthodique,  corn- 
ine r  avait  d'  abord  voulu  lo  poéte,  mais  en  dètail ,  &  propos  de  la  vie  de 
chaque  grand  citoyen  de  Rome,  et  avec  une  merveilleuse  abondance  d*ia- 
formationa  et  de  citatious  précises.  G^  est  corame  la  quintessence  de  tout 
ce  que  Pótrarque  avait  appris  sur  Rome  en  lisa  ut  les  écrivains  latina,  et 
comme  le  première  révélation  de  1*  histoire  romaine  qu'  ait  regue  le  mondo 

moderne Mèzières,  Pétrarque,  351.  —  Il  Petrarca  potea  ben  dire  di  so 

medesimo:  Tu,  e' bai,  per  arricchir  d'un  bel  tesauro,  Volte  l'antiche  e  lo 
moderne  carte,  Volando  al  ciel  con  la  terrena  soma  -^  Sai,  dair  imperio  del 
flgliuol  di  Marte  Al  grande  Augusto. . . .  Neil*  altrui  ingiurie  del  suo  san- 
gue Roma  Spesse  fiate  quanto  fu  cortese. . . . 

(1)  De  Vita  et  rebus  geatis  G.  Julii  Gesaris  (s  d.  nò  di  1.  né  di  st.  ), 
Argentorati,  amid  Eggestein?  1473.  —  Julii  Gesans  quae  extant  omnia  cum 
notis  et  animadversionibus  Dionysii  Vossii,  ut  et  qui  vocatur  Julius  Celsus 
de  vita,  ecc.  Amsteldami,  ex  Tvp.  Blaer,  1607.  —  Julius  Celsus.  de  vita  et 
rebus  gestis  G.  Julii  Caesaris.  Londini,  Smith  et  Beni,  1097;  C.  Julii  Cae- 
saris quae  extant  omnia,  ecc.  —  Lugduni  Batavoriim,  Boutensteyn  et  Lucht- 
mans,  1713  ;  Londini ,  curante  J.  J.  Valpy,  1819-20  '^  Gajus  Julius  Caesar 
ad  codices  parisinos  reccnsitus.,  cum  notis  N.  L.  Achainlre  et  N.  E.  Lcmaire, 
l.  ni,  Parisiia,  1820,  p.  7-201. 

Nella  Biblioteca  Riccardiana  di  Firenze  (Cod.  R.  ii,  N.  xxix,  e  col 
N.  1601  della  nuova  numeraz.  ) ,  trovasi  un  volgarizzamento  inedito  della 
vita  di  O.  Cesare  del  Petrarca  di  Bitonaccorso  di  Filippo  Adimari  di 
Firenze,  1452. 


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790  aPERB  LATIN* 

tnncUeavit  secundutn  codicem  hamhurffensem  correaoU  am 
intet-pretatione  Italica  contuiit  G.  E.  Ghr.  Schnbdkbb,  Liner. 
Ani.  Prof,  VratisL  Upsiae  apud  Gherardum-Fleiacbaram,  18^. 

Rossetti  Domsnioo,  di  Scandsr,  Petrarca,  GiuUo  Celso  t 
Boccaccio  Illustrazione  bibUologica  delle  Vite  degli  uomini 
illustri  del  primo,  di  Caio  OtuUo  Cesare  CLtJtrihmia  ai  secando, 
e  del  Petrarca  scritta  dal  terzo.  Tiieeta,  Marenigh,  1828. 

Diem  Natalem  regia  potenUasimi  et  dementiaBimi  FHderici 
Guilelmi  III  die  ni  Aug.  Hora  xit  Med.  Oratione  et  renuntia- 
tione  victorum  in  certaminibua  litterariis  aolemni  oeslebranduBi 
mandato  UniverBÌtatig  litterarum  Vratialavìenaia  indìcit  C.  E. 
Ce.  ScHNEiDBR,  Phil.  D.  et  P.  P.  0.  —  Praemissa  est  Franósa 
Petrarchae  de  viris  illustribus  libri  nondum  editi  pars.  — 
P.  I.  Vratislaviae,  MDCCCXXVIII.  —  P.  II.  MDCCCXXXI.  — 
P.  III.  MDCCCXXXIII.  —  P.  IV.  MDCCCXXXIIII. 

La  Vita  di  Romolo  composta  in  lesino  da  Fr,  Petrarca, 

col  volgarizzamento  citato  dagli  Accademici  della  Crusca  di 

.  Maestro  Donato  da  Pratovbgchio  ,  edizione  procurata  da  L. 

Barbieri,  Scelta  di  Curiosità  letter.  ined.  o  rare  dal  sec  XIII 

al  XIV,  n.  18.  Bologna,  Romagnoli,  1862,  di  pag.  54. 

La  -Vita  di  Numa  e  T.  Ostilio ,  testo  latino  dì  FRk3Ksaco 
Petrarca,  e  toscano  di  M,  Donato  da  Pratoyecchio,  per  cura 
e  studio  di  L.  Barbieri.  Dispensa  II."  Bologna,  1862,  di  p.  38. 

—  Scelta  di  curiosità,  ecc.  n.  29. 

Le  Vite  di  F.  C,  Dentato  e  di  Fabricio  Ludnio  composte 
in  latino  da  Fr.  Petrarca  col  volgarizzamento  citato  dagli 
Accademici  della  Crusca  di  M.  Donato  da  Pratovbochio.  Pa- 
dova, Tip.  del  Seminario,  1870.  —  Ne  fu  editore  il  benemerito 
prof.  Pietro  Ferrato,  che  le  volle  corredate  ddle ' Varianti  del 
Codice  Dona  dalle  Rose.  ' 

Sol  RosHltif  V.  >riagostoyic  Vincenzo,  Di  Domenico  Rossetti,  p.  5-8. 

—  Sul  prof.  Schneider t  V.  Rossetti,  Petrarca,  Giulio  Celso  e  Boccaccio, 
passim,  e  segnatamente  104>08.  —  Su  Lomhardo  Serico^  V.  Rossetti.  Op. 
cit.  passim,  Fracassetti,  Ep.  Pam.  n,  350.  —  Su  DovMtodegl'Atbansanh 
Appennigena,  V.  Rossetti,  Op.  cit.  «7;  Fracassetti,  Ep.  Pam.  v,  838. 

FRANasci  Petrarchae,   De  Viris  Illustribus   Vitae  nunc    | 
primo  ex  Codd,  Vra^laviensi,  Vaticano  ac  Patavino  in  iucctn 
editae  cura  Aloysii  Razzolini.  —  Le  Vite  degli  uomini  illustri 


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DB  VIBI8  ILLUST8IBUS.  791 

ii  Francesco  Petrarca,  volgarizzate  da  Donato  degli  Albanzaoi 
àsL  Pratovecchio,  ora  per  la  prima  volta  messe  ia  luce  secondo 
un  codice  Laui^enzìano  citato  dagli  Accademici  della  Crusca 
per  cara  dì  L.  Razzolini.  Bologna,  Romagnoli,  1874.  —  Disp. 
I*  e  li». 

Collezione  di  Opere  inedite  e  rare  dei  prinù  tre  se- 
coli della  Lingua. 

«  Un'opera  tanto  dall'autore  prediletta  non  solo  fu  lasciata 
da  parte  con  inesplicabile  non  curanza,  ma  fu  anche  dimenti - 
rata  dai  posteri.  I  piii  accurati  bibliografi  o  non  ne  parlarono, 
o  ne  trattarono  confusamente  scambiandola  coir^itom^  di 
queste  Vite,  che  dettata  negli  ultimi  anni  del  Petrarca,  e  la- 
sciata da  lui  incompiuta  per  morte,  fu  proseguita  e  condotta 
a  termine  da  Lombardo  dalla  Seta  suo  amico  e  discepolo,  lì 
primo  a  diradarne  le  tenebre  fu  il  benemerito  dott.  Domenico 
Rossetti  di  Scander,  che  coi  lumi  della  più  sana  critica  mise 
in  voce  quest'opera  affatto  dimenticata,  ne  discopri  i  Codici, 
e  provò  con  invincibili  argomenti  che  tutte  le  Vite  degli  Uomini 
niustri,  in  numero  di  trentuna,  da  Romolo  a  Cesare  inclusive 
per  la  imiformità  dello  stile  appartengono  indubbiamente  al 
Petrarca  ;  assicurò  che  nello  scriverle  si  attenne  all'  ordine  cro- 
nologico, e  fece  toccar  con  mano  che  mal  s'appongono  coloro 
che  la  dicono  opera  lasciata  incompiuta,  e  condotta  a  termine 
da  altra  penna.  Dopo  i  più  accurati  e  laboriosi  studi  egli  avea 
divisato  di  metterla  per  la  prima  volta  alla  luce  ;  ma  la  morte 
gr impedi  d'incarnarne  il  concepito  disegno,  e  lasciò  ad  altri 
l'eredità  de'  suoi  affetti  in  onoranza  del  suo  Autore.  Ed  11  primo 
a  profittarne  fu  C.  E.  Cristiano  Schneider  prof,  di  filologia  e  di 
letteratura  antica  nella  Università  di  Breslavia,  che  rivendicò 
al  Petrarca  e  rimise  in  luce  la  Vita  di  Cesare,  sino  allora  at- 
tribuita a  G.  Celso  (1)  e  già  impressa  nel  secolo  XV,  col  corredo 

(1)  n  prof.  Schneider,  suir  edizione  di  Basilea  del  1D81,  confrontò  con 
tutte  le  opere  latine  del  Petrarca  que'  pensieri ,  quelle  sentenze ,  que*  vo- 
caboli, quelle  frasi,  quegl*  idiotismi  e  c[uelIo  singolarità  tutte,  che  potevano 
0  ripetersi  od  avere  qualche  conformità  od  analogia  con  altrettali  che  tro- 
vava nella  vita  di  Cesare,  attribuita  a  Gelso.  Compilò  un  lessico  alfabetico 
che  abbraccia  366  articoli,  ciascuno  dei  quali  presenta  il  vocabolo  il  quale, 
tratto  dalla  vita  di  Cesare ,  trova  il  suo  confronto  in  altre  opere  del  Pe- 
trarca. Ripassa  poi  i  xxvi  capitoli  del  suo  testo  latino  di  quella  vita ,  e 
porgendone  546  esempi  ^  vi  contrappone  il  loro  volgarizzamento  tratto  dal 
testo  Rhedingeriano  (esistente  nella  Biblioteca  di  Breslavìa)  nel  quale  tro- 


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792  OPBBB  LATINA 

di  molte  varianti  desuate  da  un  preasioso  codice  di  Ambargo. 
Vedute  le  buone  accoglienze  fatte  dai  dotti  al  suo  aocoratb- 
Simo  lavoro,  ai  decise  di  dare  per  la  prima  volta,  a  più  riprese- 
le altre  Vite  originali,  da  Romolo  a  Porcio  Catone  incla;?ÌTe 
che  tante  si  contengono  in  un  prezioso  Codice  di  quella  Uci- 
Torsità,  nella  occasione  in  cui  festeggia  vasi  il  giorno  itataliàH< 
del  suo  re  Federigo  Guglielmo  III:  ma  in  questa  pabblicaziocr 
si  attenne  scrupolosamente  alla  grafia  dei  Codice,  conservdn- 
done  i  nessi  e  le  abbreviature;  cosiccbò  può  dirsi  aoa^  prepa- 
razione per  chi  poi  8*accingnesse  a  mettere  in  pubblico  tutu 
le  vite.  » 

Ed  era  ben  diritto  che  qualche  italiano  si  desse  tutto  aà 
onorata  impresa.  Nò  certo  avrebbesi  potuto  più  degnamentt 
onorare  la  memoria  del  Petrarca,  neir  occasione  delle  sue  feste 
secolari,  che  donando  alla  nazione  quelle  Vite  di  ch^^U  si 
compiaceva  pur  tanto;  quelle  Vite  che  avea  promesso  d^no- 
tolare  air  imperatore,  ma  solo  ove  se  ne  fosse  reso  degno,  non 
pel  vano  splendore  del  nome  e  del  diadema,  .ma  per  le  gloriose 
sue  gesta  se  potranno  essere  agguagliate  a  quelle  degli  antichi.  (  1) 
e  che  poi  dedicava  al  Carrarese  non  tanto  a  gratificarsi  Ta- 
nimo  di  un  principe  giovine  e  bellicoso,  ma  più  a  mettergli 
inanzi  splendidi  modeHi  di  virtù  politiche  e  di  valentia  batta- 


vansi  pure  le  altre  vite  degli  uomiai  illustri,  tutte  attrìboitevi  al  r<>- 
trarca.  In  questo  secondo  confronto  dà  e^lì  un  sags:fo  eziandio  delle  md- 
tissinie  ommissiooi  e  storpiature  del  volgamcatore  ;  cosi  che  qa^to  «ic 
lavoro  diventa  utile  anche  per  la  correzione  del  testo  italiano.  Con  questi 
scarsi  mezzi  estrinseci  giunse  egli  pertanto  a  ristabilire  assai  bene  la  gua- 
sta lezione  del  suo  testo  ed  a  convincersi  ad  un  tero{K>  che  1'  opera  nou 
possa  essere  di  altri  che  del  nostro  Petrarca.  —  Dicamisi  adesso,  ooQchiad< 
il  Rossetti ,  chi  di  noi  italiani  ha  fatto  un'  illustrazione  de'  nostri  priiui 
classici,  uno  studio  si  grande,  si  faticoso  e  si  felice ,  quale  lo  fece  questo 
egregio  oltremontano?...  Petrarca^  Giulio  Celso  e  Boccaccio,  p.  197. 

(1)  «  Dum  enim  ad  id  forte  meum  sermo  caesareus  desceudìsset ,  ut 
aliqua  sibi  de  opusculis  roeis  exposceret ,  atque  in  primis  librum  cui  /v 
Viris  iUmtribU9  nomen  dedi,  illum  inexpletum  esse  respondi,  et  temporìs 
atque  otii  ergentero  :  duraque  ille  pacisci  vellet  in  postenira,  occurri  liber- 
iate illa  mea ,  qua  cum  majoribus  ma^is  uti  propoaitum  est^  ^am  miti 
quidam  contulit  natura ,  auxit  vero  vicina  jam  senectus ,  m  iimnensura 
auctura  cum  venerit  ;  et  ita ,  in<juam ,  id  tiDÌ  promissum  credito,  si  tibi 
virlus  adfuerit,  vita  inihi.  Mirantiquc  et  dicti  causam  requirenti  :  quod  a<{ 
me,  incpam,  attinet  tanto  operi  justum  jure  spatìum  debetur  ;  aegre  enin 
magna  in  augustiis  explicantur  :  quod  autem  ad  te,  Caesar,  ita  demum  hoc 
te  rounere  et  ejus  libri  titulo  dignuin  scito,  si  non  flilgore  nominis  tantum, 
aut  inani  diademate,  sed  rebus  gestis  et  virtute  animi  illustribas  te  te  vìri^ 
adscripseris .  et  sic  vixeris  ut  cum  veteres  legeris ,  ut  legerìs  a  posleris. 
Quod  dictum  serenis  oculorum  radiis  et  augustae  frontis  laeto  proravit 
asseusu.  >  Ep.  Pam.  xix,  3. 


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DE  VmiS  ILLUSTRIBUS.  793 

oliera.  ^-  Aggiungasi  che  il  testo  del  volgarizzamento  nelle 
<3ne  succitate  edizioni  ci  pervenne  oltremodo  scorretto.  A  lavoro 
di  tanta  lena  si  diede  il  Priore  Razzolini,  nello  studio  dei 
olassid  antichi  consumatissimo.  Ei  fece  diligentissime  indagini 
dei  Codici  contenenti  sì  il  testo  latino,  che  quello  della  ver- 
sione ,  e  dopo  mature  considerazioni ,  pel  latino  prescelse  il 
Breslaviense,  il  Vaticano  e  il  Padovano;  per  l'italiano  il  Lau- 
renziano  di  n.  9,  Plut.  61.  Oltrécchò  si  giovò  assai  di  un  codice 
veneto  di  appartenenza  dei  co.  Dona  Delle  Rose,  di  ottima  e 
sicura  lezione:  per  la  vita  di  Giulio  Cesare  dell' accuratissima 
edizione  del  prof.  Schneider.  Con  queste  norme  condusse  la  sua 
il  prof.  Razzolini ,  tenendo  sempre  a  confronto  il  volgarizza- 
mento coli'  originale  latino.  Cosi  ha  potuto  discoprire  ed  emen- 
dare moltissimi  Mi  in  cui  caddero,  nelle  citazioni^  i  passati 
Accademici  della  Crusoa,  come  agevolmente  può  riscontrarsi 
dalla  Tavola  degli  Esempi  che  trovasi  a  piò  dei  volumi,  alla 
quale  va  dietro  un'  altra  delle  Voci  e  Maniere  di  dire  non  re- 
gistrate finora  nel  Vocabolario  o  mancanti  di  dovuti  esempi.  — 
L'opera,  cosi  il  benemerito  prof.  Zambrini  preside  della  R. 
Commissione  deputata  alla  pubblicazione  dei  testi  di  lingua, 
fu  allestita  con  si  fatta  perizia,  con  tanta  diligenza  e  con  si 
grande  assennatezza,  che  molto  guadagno  tornar  ne  debbe  alle 
nostre  lettere  ed  assai  onoranza  al  valentissimo  illustratore — 
Quante  cure  usasse,  quanto  zelo  e  quante  sollecitudini  noi  non 
imprendiamo  ora  a  descrivere  stante  che  parrebbeci  intem- 
pestivo :  chi  voglia,  potrà  agevolmente  convincersene  di  per  so 
stesso. 

«  L'opera  De  Viris  illustribuSy  venne  tenuta  dal  Carra- 
rese in  tal  pregio,  da  pregarne  l'autore  di  farne  anche  un 
compendio  perchè  servisse  quasi  di  guida,  di  riscontro  e  d' il- 
lustrazione alle  imagini  degli  antichi  eroi  già  commemorati 
dalla  penna  del  Petrarca,  e  fatti  dipingere  dal  signore  di  Pa- 
dova in  una  sala  della  sua  reggia,  in  quella  stessa  che  ora 
appartiene  alla  R.  Biblioteca.  »  G.  Cittadella.  —  Ma  il  Petrarca, 
impedito  da  morte,  non  ne  potò  comporre  che  soli  13  capitoli. 
Il  Supplementum  EpitomaUs  illusirium  mrorum  posi  celeber- 
rimi viri  Fr,  Petrarchae  mortem  è  di  Lombardo  Serico,  ami- 
cissimo del  Petrarca,  che  ne  fu  il  continuatore,  per  comando 
di  Francesco  di  Carrara. 

50 

Digitized  by  V^OOQlC 


794  OPBRB  LATINB 


EPISTOLAE  (1). 


Mbnbohblu  Ant.,  Indeoe  F.  Petrarchae  epistoiarum  qua^ 
edUae  mnt  et  quae  adhuc  ineditae.  PaUYÌif  Tjp.  Seminarn,  1818 

Francisci  Pbtrabohab,  Epistola  quae  inter  editai  est  prime 
XII  Libri  SeniUum  ea>  atUographo,  annoiatianibus  et  varian- 
tibu9  Uctionibus  locupletata,  Patavii,  .Typ*  Sem.  1808,  xii,  56 
Illustrissimo  atque  Reverendissimo  Francisco  Scipioni  De  Dondii 
ab  Horologio  Episcopo  Patavino  Praeoeptoree  Seminarìi  Patavìai. 

(1)  Dell'  Epistole  del  Petrarca  abbiamo  le  sesuenti  edizioai  :  —  Frsa- 
ciac!  Petrarchae  Epistolae  Familiares  Libri  viii.  venetiis  per  Joh.  et  Gr^^r 

De  Oregoriia,  Fratres,  Idibua  Sepl.  1498 —  Nelle  Opera  omnia,  Ras.- 

ìeae  jper  Joh.  de  AinerbaCi  1495  ;  Venetiis ,  per  Siroonem  de  Luere,  1  jl'I 
Per  Simonein  Papiensem ,  dictum  Bevilacqua ,  1503  *  Basileae,  aihe  nosi 
typ.  1541'  Basileae,  per  Henr.  Petri,  1544.  —  Praa.  Peto^arcbae,  Bacoiìca 
Africa  et  Epistolae,  Basileae,  sìne  nom.  typ.  1558.  —  Fr.  Petrarchae,  Opiiri 
Omnia,  Basileae  per  Seb.  Henr.  Petri,  IdSi. —  Frane.  Petrarchae,  Epàsfcai 
1.  XVII,  ex  Cod.  J.  Chalasii,  per  Petrum  Roverianum,  S.  1.  IdiH.  —  Il  Bj»- 
setti  a  ragione  ritiene  che  V  edisioni,  Lugdani  per  Samuelem  Criapinu:». 
1601  ;  Coloniae  Allobrogum  ,  apud  Crispinum ,  1001  ;  Lagduni ,  apud  S^ 
muelem  Crispinum,  1601,  sieno  una  sola  edizione  con  la  Roveriaoa. 

Poaiariormente,  secondo  il  Fracasaetti,  ne  uscirono  altra  10  lettere  i&^ 
dite  :  5  ne  pubblico  il  De  Sade;  3  il  Bandinieìi  Pepencordi;  2  il  Mrh^^y 
ed  una  il  Posaevinio,  il  Lazzari  ed  il  MeneghelH.  —  Ignoro  se  tra  quelle^  sj 
compresa  Francia,  Petrarchae  Epistola  ad  Fratrem  e  vetusto  codice  aiut* 
nrimum  edita.  Bononiae,  Lei.  a  vulpe,  1772.  —  «  Trovansi  inserite  an-rà*^ 
in  Raccolte  :  Epistolae  duo  de  praelatione  Hteronlmi  an  Augrustini.  i  la 
Philologicarum  Epistoiarum  Centuria,  Francfort,  1610).  —  Epistola  de  junÌ4ì5 
Imperli  Rom.  et  Papae  Roro.  ejusque  assedarum  (  in  Monarchia  GoUast. 
voi.  2,  Francff.,  1614).  —Epistola  Carolo  IV  Imperatori  (in  Comm^nt  4« 
Aug.  Bibl.  Caes.  Vindob.  ;  Vindobouae,  1666).  —  Epistolae  varìae  ad  Carvi 
Phiì.  Gabassolam  (in  Hìat.  dea  Cardinaux  de  Fr.  Du  Chesne,  Par.  n,  ParX 
1680).  —  Epistolae  duo  <  Urget  bine  animum  »  e  <  Reverendiss.  Pater  (  bi 
Lazzari,  Misceli.  Bibl.  GoUegii  Romani,  t.  i,  Romae,  1754).  »  En,  Caràtteri 
II  catal.  de'  Codici,  p.  85. 

Franeisci  Petrarchae  Fiorentini  Canonici  Patavini^  et  Archidktc  »•:' 
Parmensia,  viri  omnium  eui  tempori*  doctieeimi,  Epistotae  xvi«  quièta 
piane  testatum  reliquit  quid  de  Pontificatu  et  de  Romana  curia  sertserù. 
Excerptum  ex  ejus  libris,  qui  in  manibus  hominum  versantur,  Argfa- 
torati,  apud  Ghristianum  Mylium,  Anno  MDLV.  (E  in  GiUcciardini  Frxi- 1 
mentis t  s.  1.  1602|.  Ne  fu  eaitore  l'Apostata  Pietro  Paolo  Vergerio.  L" «di- 
zione fìi  messa  all^  indice  dal  S.  Ufficio,  d'ordine  di  Paolo  IV.  —  Alenili  ìA" 
§  orlanti  luoghi  tradotti  ftior  dell'  Epistole  latine  di  Fr.  Petrarca,  ecc.  (s.  ì:ìÌ 
i  1.  né  di  stamp.).   Ronigsberg,  baubmann,  1557?  —  V.  Ediz.   Comics:! 
432  ;  e  M.*^  Fontanini,  con  note  di  Ap.  Zeno.  —  Ben  fece  il  Fracassetti  e  ! 
non  occuparsi  delle  Lettere  sine  Titufo.  Il  Petrarca  era  si  indignato  de'sjsr 
costumi  della  Babilonia  Avignonese  che  con  troppo  vivi  colori ,  e  tr^pa 
particolarmente,  ne  ritrasse  quelle  laide  tresche ,  e  ciò  che  in  camer^I  H  i 
potesse.  Egli,  piissimo  come  era,  le  dettò   meglio  a  sfogo  dell'  anima  alta- 
mente rattristata,  né  permise  mai  che  altri  ne  prendesse  copia.  Ci  è  troffo 
putridume  per  entro,  si  che  anche  oggidì  infin  lassìl  fa  spiacer  tuo  ft- .'* 
(V.  Epist.  Sen.  L.  ix,  lett.  2). 


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EPI9T0LAB.  705 

Fb.  Pbtrarchak  nondum  edita  Epistola ,  ad  Philipum  de 
Yitriaco  factum  Episc.  Meldensem;  Praeclaro  Antistiti  Jos.  Joh. 
Cappellari  Ecclesiam  Vicentinam  adeuuti  hanc  Fr.  Petrarchae 
Epistolam  pubblici  juris  Antonius  MeneghelU  faciebat.  Patavii, 
Typ.  Minervae,  1832. 

FiL  P8TBAB€HAE  Epìstola  nunc  primum  in  lucem  edita 
(L.  XIV,  ep.  1  ).  Per  laurea  in  Medicina  di  Annibale  Biancfaesi. 
Padova,  Bianchi,  1858. 

Franeisci  Petrarcae  Epistolae  de  Rebus  Familiaribus  et 
Variae  tum  quae  adhuc  tum  qnae  nondum  editae,  Familia- 
rium  sctUcet  libri  xziv,  Yariarum  liber  unicus^  nunc  primum 
integri  et  ad  fidem  Codicum  opUmorum  vulgati  studio  et  cura 
JosEPHi  FiucASSRTTi.  Floreutiae,  Typis  Felicis  Le  Mounier, 
voi.  I,  1859;  TOl.  ii,  1862;  voi.  ni,  1863. 

1547.  Prose  Antiche.  Alcune  Lettere  di  Dante,  Boccaccio  e 
di  molti  altri  virtuosi  ingegni  nuovamente  raccolte  da  A.  F. 
Doni,  Firenze. 

1548.  —  Epistole  di  Plinio  del  Petrarca  e  del  signor  Pico 
della  Mirandola  ed  altri  eccellentissimi  uomini  ti^adotte  per 
Lodovico  Dolcb,  Venezia,  Gabriel  Giolito  de'  Ferrari. 

Sono  48  l'Epistole  del  Petrarca  tradotte,  ed  abbracciano 
dalla  p.  31  alla  111.  Quindici  dirette  a  M.  Tommaso  da  Mes- 
sina; 12  a  Giovanniy  3  a  Stefano juiàore^  1  a.  Jacopo  eduna 
ad  Agapito  Colonna;  una  ad  Annibaldi^  vescovo  Tusculano, 
a  Barbato,  a  Giov,  Boccaccio,  a  Clemente  VI,  a  Dionigi  Ro^ 
berto  da  Borgo  S.  Sepolcro,  a  Giac.  da  Messina,  a  Giovanni 
Aretino,  al  suo  Lelio,  al  suo  Marco,  a  Roberto,  re  di  Sicilia, 
a  Raimondo  Soranzo,  a  Tomaso  da  Messina,  e  a  Marco, 
Mantovano  e  due  a  Socrate. 

Erizzo  Sebastiano.  —  Nel  11  Avvenimento  della  prima  delle 
Sei  sue  Giornate  traduce  per  intera,  dalla  terza  lettera  del 
Libro  I.  delle  Fam.,  l' avventura  di  Carlo  Magno,  che  ei  dice 
non  ingioconda  istoria» 

Di  Costanzo  Angelo,  Versione  della  lettera  V  del  libro  V 
in  che  il  Petrarca  descrìve  una  grai^dissima  tempesta  avve- 
nuta in  Napoli.  Nel  libro  VI  della  sua  Storia  di  Napoli.  Gamba 
Lettere  descrìttive,  p.  6-13;  Foscolo,  Opere  (Ediz.  Le  Mounier, 

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796  OPERB  LATINB. 

X,  68.  —  Versione  della  ìeU,  III  del  Ubro  V  al  card,  Giom.  Co- 
lonna,  in  che  descrìve  il  sno  yiagg:io  per  infino  a  Napcdi.  e 
fa  brutto  ritratto  di  quella  corte.  Storia  dì  Napoli ,  Libro  vi  ; 
Levati,  II,  148. 

Volffarizzamenio  deit  Epistola  di  Francesco  Petrarca  a 
Giovanni  di  Certaldo  (Pam.  xxi,  15,  e  nell'edtz.  di  Crepino 
del  1601,  la  sola,  tra  quelle  degli  Scrìtti  latini  di  Fr.  Petrarca, 
che  rabbia,  la  xii  del  libro  xii);  DioNisi,  Preparatone  istorìca 
e  critica  a  una  nuova  edizione  di  Dante,  n,  33,  riprodotta  da 
Ambrogio  Lev.iti,  Viaggi  di  Francesco  Petrarca,  v.  86;  Pa- 
ixsA  Agostino,  Dante,  Trieste,  Lloyd  aust.  1865,  p.  81  ;  Car- 
Duoa  Giosuè,  Versione  e  Comento,  Studj  letterari,  p.  3^.  V. 
Pracassetti,  Ep,  rv,  171-192. 

Lettre  de  Pétrarqne  à  Boccace  traduite  par  ie  deci. 

P.  Mabille  (8®  di  p.  26),  Angers,  imp.  Lai  né  frères. 

Perticari  Giulio,  Frammenti  di  lettere  di  Fr.  Petrarca, 
r>olgarizzati.  Parigi,  Bologna,  1837. 

Il , Perticari ,  con  quella  purezza  di  dettato  che  gli  è  prò* 
pria,  ci  diede  tradotti  8  frammenti  dalFEp.  Familiari,  1  dal}«* 
Varie;  4  dalle  Senili;  3  dalle  Epistole  Sìne  titulo. 

1820.— Levati  Ambrogio,  Viaggi  di  Fr.  Petrarca.  Milano, 
Classici. 

In  questa  sua  opera  il  Levati  ci  diede  tradotte  oltre  70 
lettere  del  Petrarca. 

1823.  —  Epistola  di  Francesco  Petrarca  a  PuUce.  poeta 
Vicentino,  Vicenza,  Parise. 

Ha  il  testo  latino  di  fronte  alla  versione.  Ne  fu  traduttore 
Giacomo  Massari,  che  la  intitolava  all*aw.  Gaetano  Stardelà, 
nel  giorno  delle  sue  nozze. 

1827.  —  CoRNiANi  Malvezzi  Teresa,  AUa  Maestà  di  Carlo 
IV  imperatore,  Esortazione  di  Frane.  Petrarca,  volgarizzata. 
Firenze,  Magheri. 

1829.  —  Tre  lettere  di  Fr.  Petrarca  tradotte  in  italiano. 
Parma,  Stamperia  Ducale.  —  A  Tommaso  Messanese,  Non  do- 
versi appetir  fama  innanzi  morte;  a  Tavalardo,  vescovo  di 
Albano  e  Cardinale,  Ricusa  i  proferti  onori.  Al  suo  LeUo^  Del 
silenzio  utile  e  dannoso. —  Il  ti-aduttore,  che  fu  Michele  LeOfu\ 
non  vi  prepose  il  suo  nome. 

1829-36.  —  Leoni  Michele,  Versione  della  lettera  di  Fr. 

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BPISTOLAB.  797 

Petrarcft  ad  Andrea  Dandolo,  18  Marzo  1352.  L^Ecclettieo  di 
Parma,  Tip.  GarmìgDani,  29  Novembre  1829.  —  Fr.  Petrarca, 
a  Nicolò  di  Rienzo,  V  Ecclettico,  27  Apr.  1830.  —  A  Luchino 
VisconH  di  Milano,  di  Parma,  13  Marzo  1348,  T  Ecclettico,  18 
Maggio  1830.  —  A  Oiotxinni  Colonna,  in  che  detesta  i  giochi 
dei  gladiatori,  di  Napoli,  1  Dee.  1343;  Epistola  alla  Posterità^ 
V  EcdetUco,  15  Sett.  1830. 

1846.  Saggio  di  Epistole  di  Fr,  Petrarca,  volgariz- 
zate. Guastalla,  Fortunati. — I.  AUa  Posterità,  ^  li.  Sine  Utulo,  ^ 
Uh  a  Giov,  Colonna,  1  Dee.  1643.  —  IV.  A  Barbato  di  Sulmona, 
1  Log.  1346.  —  V.' A  Luchino  Viscontiy  13  Marzo  1348.  —VI. 
Ai  Priori  delle  arti,  al  Gonfhhniere  della  Giustizia  e  al  po- 
polo di  Firenze,  11  Giugno  1349.  — VII.  Ad  Andrea  Dandolo, 
doge  di  Venezia,  18  Marzo  1351.  —  Vili.  Risposta  di  Andrea 
Dandolo.  —  IX.  Al  Senato  di  Genova,  13  Marzo  1353.  —  A 
Cola  di  Rienzo,  —  XI.  Al  Card.  Giovanni  Colonna,  20  Apr. 
1355,  —  XII.  Gino  da  Pistoia  a  Fr.  Petrarca,  20  Feb.  1328.— 

XIII.  Giovanni  Boccaccio  a  Frane.  Petrarca,  1  Luglio  1368.  — 

XIV.  Giovanni  Boccaccio  a  Francesco  di  Brossano,  nel  Novem* 
bre  1874. 

1834.  —  Epistola  di  messer  Francesco  Petrarca  a  messer 
Nicola  Acciainoli  (Fam.  xxii,  2),  volgarizzata.  Verona,  Raman- 
zina —  Ripetuta  in  parecchi  codici  antichi  ed  in  libri  a  stampa, 
fu  pubblicata*  come  inedita  da  un  codice  della  Gapitolare  per 
cura  di  Giovanni  Girolamo  Orti.  Riprodotta  con  molte  corre- 
zioni per  G.  Montanari.  Giornale  Arcadico  >  Marzo  1835.  — 
Fu  pubblicata  anche  dal  Doni,  Prose  antiche,  ecc.  ;  Levati,  iv, 
105;  Roma,  Boulzaler,  1835.  V.  Zamhrini,  Gatal.,  p.  268. 

1836.  —  Ranalli  Ferdina^ndo,  Epistole  di  Frane,  Petrarca 
recate  in  italiano,  Milano,  Silvestri. 

Prose,  con  f  Epistole  di  Fr.  Petrarca  da  lui  recate 

in  italiano.  Firenze,  Pagni,  1838  (Tip.  Daddi).  —  (Gori  Gre- 
gorio.  Del  Petrarca  e  delle  sue  Epistole,  e  di  un  Saggio  di 
traduzione ,  datone  dal  Signor  Ferdinando  Ranalli.  (Montal- 
boli,  a.  a.). 

1845,  —  Sassoli  Enbioo,  Tre  lettere  di  Fr.  Petrarca  recate 
in  italiano.  Al  nob.  giovine  co.  Angelo  Tattini.  Bol(^na,  SassL 
*-  (Lett.  IV,  del  1.  ii  a  Giovanni  Colonna;  lett.  x  del  1.  ii, 
ad  Agapito  Colonna;  lett  xiv  del  1.  n,  a  Giov,  Colonna). 

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798  OPERE  LATINB 

1846.  Lettere  di  Fr.  Petrarca  voUcOb  in  itaHano,  ed 

offerte  al  nobil  giovane  marchese  Annibale  GuidoOi.  Bologna, 
Sassi,  1846.  (Leti,  xv,  xvr,  xvii  del  1.  in  a  Tommaso  di  Mes- 
sina ;  Lett.  n  del  1.  iv  al  suo  Dionigi). 

1847.  —  Paroiari  Giulio  Gasare,  Versione  della  leti,  n 
del  libro  nr  Fam.  al  re  Roberto  di  Napoli ,  e  ddla  lett.  vi  del 
1.  viti,  Sen.  a  Donato  Albanzani  Appennigena,  grammatico^ 
e  di  parte  della  lett.  vn  del  libro  v,  Sen.  a  Qiot).  Boccaccio. 
Nel  suo  Discorso  :  Della  Religiosità  di  Fr.  Petrarca,  Bassano, 
Baseggio;  Milano,  Pirola,  1857. 

1856.  —  Negri  Francesco,  Lettera  di  Fr.  Petrarca  a  M€u^ 
quarol,  vescovo  di  Augusta ,  volgarizzata.  Con  Prefiuiane  di 
Emanuele  Cicogna.  Venezia,  Antonelli,  1856.  Per  Nozze  Roc- 
chi-De  Leiss. 

1857.  —  Palesa  Agostino,  Lettera  inedita  di  Fr.  Petrarca 
a  Marquarol,  vescovo  di  Augusta  e  Vicario  imper̀Ue  in  Lom- 
bardia, tradotta  dal  Negri,  e  dal  Palesa  comentata  e  difèscL 
Padova,  Tip.  Sem.,  1857  (  V.  Palesa,  Lettera  al  prof.  Andrea 
Gloria,  nell'opusc.  suoeennato;  Fracassetti,  Enciclopedia  Con- 
temporanea di  Fano,  voi.  V,  1857,  p.  340;  Id.  Epist.  Fam.  v, 
464-469;  Hortis,  Scritti  inediti,  163). 

1869.  —  Paganini  Pagano,  Due  Lettere  di  Fr.  Petrarca  a 
Niccolosio  Bartolomei  da  Lucca,  Lucca,  Canovetti.  Per  Nozze 
Sforza-Pierantoni . 

Per  ciò  che  riguarda  T  amico  di  cui  si  &  parola  nella 
prima  lettera,  come  di  conciliatore  deir  amicizia  fra  il  Petrarca 
e  Niccolosio  Bartolomei,  e  così  pure  per  dò  che  rigxwrda 
il  Bartolomei,  confessa  il  sig.  Fracassetti  che,  ad  onta  delle 
ricerche  fatte,  non  ha  nulla  di  dire.  Le  memorie  e  congettare 
del  Paganini  non  hanno  altro  scopo  che  di  riempire  questa 
lamentata  lacuna,  e  ben  vi  riesce  con  copia  di  erudizione,  e 
critica  sapiente.  La  versione  delle  due  lettere  è  del  FracassettL 

1874.  —  Ferrai  Alberto,  studente  del  n  corso  liceale, 
Versione  in  prosa  deir  Epistola  a  Omero,  Fam.  xxiv,  12.  Pel 
V  Centen.  di  Fr.  Petrarca.  —  Polacco  VrrròRio,  studente  del 
II  corso  liceale,  Versione  in  sciolti  dell*  Epist.  ad  Orazio,  Fam. 
XXIV,  10.  Pel  V  Centenario  di  Fr.  Petrarca,  Padova,  Seminario. 

1876.  —  Tre  lettere  recate  in  italiano  dal  marchese  Lo- 
dovico Pallaviono  Rossi.  Torino,  Speirani,  1870. 

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BPISTOLAB.  ^  799 

1874.  —  RoNCHiNi  A.,  Versione  della  let.  xvii  del  Hbro  vii, 
Fam.  a  QUberto  Baiardi  Crrammattco  di  Parma,  La  dimora 
del  Petrarca  in  Parma,  Modena,  Vincenzi  1874,  p.  21. 

1874.  —  Gelesia  Emanublb,  Versione  della  lettera  del  1 
noY.  1352  al  Doge  Giovanni  di  Valente  e  al  Consiglio  di  Qe- 
nova,  Petrarca  in  Liguria,  Genova,  Tip.  Sordo-Mnti  1874,  p.  35. 

Lettere  di  Fr.  Petrarca,  Delle  Cose  Familiari  libri  venti- 
quattro. Lettere  Yarie  libro  unico,  ora  per  la  prima  volta 
raccolte,  volgarisizate  e  dichiarate  con  Note  da  Giuseppe  Fra.- 
CASSBTTi.  Voi.  I,  Firenze,  Le  Mounier,  1863;  voi.  ii,  1864;  voi. 
UT,  1865;  voi.  iv,  1866;  voi.  v,  1867. 

Lettere  Senili  di  Francesco  Petrarca,  volgarizzate  e  dichia- 
rate con  Note  da  Giuseppe  FltACASSETn.  Firenze,  Successori 
Le  Mounier,  voi.  t,  1869;  voi.  n,  1870. 

L' edizione  principe  dell'  Epistole  Famigliari  di  Fr.  Petrarca 
è  la  veneta  del  1492,  procurataci  da  Sebastiano  Manili  sul  co- 
dice Belano.  Non  abbraccia  che  soli  8  libri.  Ma  lo  stesso  Ma- 
nili confessa  nella  PrefEusione  che  una  gran  parte  delle  lettere, 
nel  suo  codice,  mancava  d'indirizzo,  che  ne  fu  ammanuense 
un  francese*  di  poca  levatura,  che  il  testo  era  scorrettissimo, 
da  disperarne  le  molte  volte,  e  che  quantunque  vi  avesse  atteso 
quanta  fieri  potuit  diligentia,  ei  temea  da  questa  sua  fatica, 
anziché  lode^  gliene  venisse  biasimo.  Ed  è  ben  notevole  che  gli 
editori  successivi,  dopo  sì  aperta  dichiarazione^  non  si  dessero 
alcun  pensiero  di  sanarne  le  pieghe,  col  confronto  di  altri  co- 
dici, nò  cercassero  di  arricchirne  la  suppellettile,  tanto  più  che 
non  poteva  essere  ignoto  che  ventiquattro  doveano  essere  i  libri. 
Ma  gli  otto  libri  continuarono  ad  essere  pubblicati,  come  ce  lì 
diede  il  Manili,  fino  al  1601.  In  quest'anno  appunto  il  tipografo 
Samuele  Crispino,  da  un  codice  di  G.  Chalas,  giureconsulto  di 
Nimes,  ce  ne  diede  altre  72.  Se  non  che  tutte  queste  stampe 
«  tanto  ingrate  agli  occhi  per  i  caratteri  e  per  le  abbreviature, 
tanto  alla  mente  fìistidiose  per  i  miUe  e  mille  errori,  e  per  lo 
difetto  di  ortografia  e  d' interpunzione  che  tutto  ne  deturpano 
e  spesso  rendono  non  intelligibile  il  testo,  »  distoglieano  anche 
i  più  volonterosi  dal  cercarne  con  amore  i  preziosi  volumi. 

La  necessità  di  una  quova  e  più  completa  edizione  era  da 
tutti  altamente  sentita.  li  P.  Monfau^n  fu  il  primo  che  si  pro- 


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800  OPBSX  LATINE 

poneste  colorirne  il  disegno.  L*  ab.  De  Sade  facea  1»  meiaTiglie 
perchò  nessun  italiano  si  fosse  ancor  posto  a  si  onorata  im- 
presa. Fra  noi  la  meditò  primo  il  P.  Ansimo  Bandure»  poseit  il 
Bandini  ed  il  Mehas,  più  tardi,  con  energia  di  volere,  il  Bal- 
delli,  il  quale  non  perdonando  nò  a  cure  né  a  spesa,  rwccohe 
da  Parigi,  da  Firenze,  da  Roma,  da  Venezia,  da  Padova,  du 
Torino  quante  più  potè  lettere  inedite,  e  formò  tal  raccolta 
da  menar  vanto  «  di  possedere  il  più  abbondante  e  più  com- 
pleto Epistolario  del  Petrarca  che  si  conosoesse  in  Europa.  > 
Se  non  che,  per  le  molte  e  gravi  occttpazioni  de*  pubblici  uffid, 
e  sovrattutto  per  la  morte  del  celebre  Angelo  Fabronio  che 
8*avea  preso  a  compagno,  gli  fu  forza  smetterne  il  pensiero; 
fé'  generoso  dono  di  tutto  il  materiale  ammannito  all'  ab.  prof 
Meneghelli,  ammiratore  grandissimo  del  Petrarca.  Questi  ben- 
ché in  assai  grave  età,  vi  si  aodnae  con  ardor  giovauiie,  «* 
nel  proposito  di  accertarsi  che  altre  lettere  del  Petrarca  non 
esistessero,  oltre  quelle  che  possedeva,  nel  1818  pubblicò  il 
suo  Indice,  lo  diresse  ai  custodi  delle  pi4>hiiche  biblioteelie. 
ed  ai  più  famosi  letterati  italiani  e  stranieri,  pregandoli  del 
loro  amorevole  concorso  onde  T  opera  sua  riuscisse  il  più  pos- 
sibile completa.  Ma  il  Meneghelli  mori  prima  che  potesse  porri 
mano,  e  mori  pure  Gius.  Vedova  di  Padova,  che  con  suo  ma- 
nifesto del  1853  ne  annunziava  la  stampa  per  associazione  (1). 
Il  monumento  pia  splendido  alla  memoria  del  Petrarca  do- 
veva essere  inalzato  dal  valoi*080  ed  in&ticabile  avvocato  Fra- 
cassetti  di  Fermo.  —  e  Difatti  intorno  ali*  Epistolario,  a  questo 
tesoro  Petrarchesco  (2),  ha  posto  egli  tutte  le  sue  cure  con  tanto 
amore,  che  più  o  meglio  ci  sembra  non  potarsi  desiderare.. .. 

(1)  In  questo  Indice  d«l  Meneghelli  mano&no  oltre  le  4  dell'  Appendice 
\  uUiroamente  ficoperte  ne'  codici  di  Roma  ) ,  ventitré  lettere  del  Petrarca 
che  noi  abbiamo  date  nella  nostra  edizione ,  e  debbono  togliersene  venti- 
quattro  che  non  sono  lettere  del  Petrarca.  J^'rocoweMi.  —  La  Raccolta  Bai- 
dellì  consta  di  cinque  volumi  :  I  voi.  pog.  802;  II,  pag.  191  -in,  paff.  5T3: 
IV,  pag.  702  ;  V  pag.  «38.  —  Ne  fece  acquisto  dagli  eredi  Vedova  V  Uni- 
versitaria di  Paaova  (segn.  al  n.  1907),  pei  presso  di  Aust.  L.  1000.  Anche 
dopo  la  pubblicazione  de!  Praeassetti  questa  importante  Raccolta  conserra 
un  pregio,  segnatamente  i»el  ratfh>nto  della  lesione  dei  diversi  Codici. 

(8)  Tutti  sono  unanimi  nel  proclamare  1*  importanza  dell'  B{Àstobrìo 
Petrarchesco,  tesoro  di  vera  sapienza  cristiana,  civile  e  letteraria.  Notabili, 
scrive  il  De  Saoctis,  soprattutto  sono  V  Epistole  Famigliari  che  si  possono 
considerare  come  le  sue  Memorie.  Sono  uno  specchio  fedele  del  suo  carat- 
tere e  delia  sua  vita  ne*  tratti  più  cx>nfidenziah,  e  dove  non  di  rade  trovi 
un  accento  che  gli  viene  dair  anima.  Talvolta  vi  esprime  con  effbaione  del 
sentimenti  che  hai  letti  oondeosati  in  qualcuno  de*  raoi  veni  ìtailaBi.  — 


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BPISTOIAE.  801 

S^Dza  perdonare  nò  a  fatica  nò  a  spase  nò  a  molestie  <ii  ninna 
sorte,  con  aocuratissìme  rìcercbe  fstte  nei  codici  delle  piii  co- 
piose biblioteche  d'Italia  e  in  quella  di  Parigi,  ha  potuto  ag- 
fungere  ben  cento  e  ventotio  lettere  del  tutto  inedite  a  quelle 
tra  le  famigliari  che  prima  erano  divulgate  ;  e  alle  varie,  tren- 
tadoque,  anzi  trentanove,  avendone,  dopo  pubblicato  il  testo 
latino,  scoperte  altre  quattro.  Per  tal  modo  T edizione  del 
Fracassetti  comprende  347  lettere  umiliar i  e  69  varie;  e  può 
risguardarsi  come  edizione  compiuta.  Alla  diligenza  nel  racco*- 
gliere  ò  succeduta  T  altra  nel  distribuire,  secondo  T  ordine  del 
tempo  in  cui  furono  scritte ,  le  familiari  u  il  che  non  potendo 
fai-e  nelle  varie  ha  nel  disporle  seguito  T ordine  alfabetico, 
secondo  la  parola  iniziale  di  ciascuna  lettera;  nella  quale  opera 
ha  il  Fracassetti  con  sollecito  studio  data  ragione  dell*  avere 
i*ecato  ad  altro  anno  alcune  lettere,  che  nelle  edizioni  anteriori 
erano  poste  sotto  un  anno  determinato  ;  e  mostrato  a  chi  ve- 
ramente sieno  scritte,  rettificando  le  intitolazioni  malamente 
apposte  ad  alcune.  ^  in  ciò  egli  ha  dato  prova  di  così  accurata 
e  severa  critica,  ed  ha  confortata  la  sua  sentenza  con  argo- 
menti cosi  sodi  presi  dalla  storia,  dalla  cronologia,  dalla  con- 
fi mi  daole  che  il  Settembrini  ne  porti  ben  differente  giudizio.  <  Dicono, 
così  egli ,  che  le  molte  sue  Lettere  possano  giovare  alia  storia  del  suo 
tempo  :  io  per  contrario  intendo,  che  bisogna  J}en  conoscere  la  storia  del 
BQO  tempo  per  iatendere  <peUe  lettere,  e  appena  si  può  iatenderle; 
perchè  il  Poeta  trasfigura  i  tatti,  gli  uomini,  le  cose  per  vestirli  alla  latina, 
lascia  1  particolari  che  sarebbero  importanti  e  sta  sempre  sa  i  generali 
che  si  possono  esprimere  in  una  lingua  morta. .  ■ .  Egli  le  scrisse  per  imitar 
Cicerone ,  e  vi  messe  molta  declamazione  e  chiacchere  e  vanità  erudite  : 
le  faceva  leggere  e  pubbUcare  pnma  che  giun  gesserò  al  loro  indiriuo^ 
Sono  dissertazioni  più  che  lettere,  sermoni  da  canonico  che  ha  poche  fac- 
cende, molti  libri,  e  moltissima  vanità  :  sono  consigli  di  pace  e  di  amcordia 
che  i  contemporanei  pregiavano  perchò  scritti  in  latino  e  in  nuovo  stile, 
ina  che  in  fatto  non  eseguivano,  e  talvolta  anche  se  ne  ridevano.  >  Lesioni 
di  LetUr,  Uai.  i,  805.  —  Checché  ne  dica  il  Settembrini  io  confesso  che 
quante  volte  mi  vien  dato  di  aprire  V  Epistolario  del  Petrarca,  e  mi  accade 
spessissimo ,   nel  vedervi  la  rettitudine  di  queir  anima  sinoeramente  reli- 

fiosa,  queir  ideale  ddla  vita  a  cui  di  continuo  aspira,  ouella  tanta  energia 
i  volere  sovra  sé  stesso,  la  sua  fede  provatissima  nelr  amicizie,  l' acce- 
sissimo suo  amore  per  i'  Italia,  la  parte  pift  bella  del  mondo,  nel  trovarvi 
ivi  entro  raccolti ,  quando  precetti  e  indirizzi  per  gli  studi  delle  lettere , 
quando  ammaestramenti  sapientissimi  intorno  agli  umci  della  vita  civile  e 
domestica,  in  breve  il  tiore  della  sapienza  antica ,  della  Bibbia,  de*  Padri 
della  Chiesa,  del  suo  Agostino  segnatamente,  e  eh*  ò  più  tanta  franchezza 
di  linguaggio  cogl'  Imperatori  e  co*  Papi ,  in  quella  tanta  varietà  d*  argo- 
menti, ci  provo  diletto  ed  indicibile  conforto  ;  io  mi  sento ,  direi ,  dopo  la 
lettura,  entro  me  stesso  fatto  migliore.  Ci  sarà  del  prolisso ,  del  retorico , 
non  niego  ;  ma  ò  pur  necessario  risalire  al  tempo  ìa  che  scrisse  il  Petrarca, 
e  contrapporre  alle  poche  mende  del  secolo ,  il  moltissimo  di  bene  che 
1'  Epiatokrio  racchiude.  —  V.  Mésiàrea,  Pótrarque,  350. 

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802  QPSRB  LàTINB 

dizione  e  dall*  indole  di  quelli  a  cui  Bono  dirette  le  varie  epiatofe, 
che  il  lavoro  del  Fracafisetti  può  per  ciò  solo  considerarsi 
come  nn  ottimo  esemplare  dd  retto  oso  della  crìtica.  —  A 
questa  lode  del  Fracassetti  si  vuole  aggiungere  1*  altra  die  si 
merita  amplissima  per  le  note  storìche  di  svariatÌBaìiiia  ma- 
niera, onde  ha  congedato  e  nobilitato  il  suo  lavoro.  Viene  prima 
la  prefazione  ;  nella  quale  da  principio  con  brevi  ma  savie  pa- 
role discorre  delle  lettere  petrarchesche:  della  stima  in  che 
erano  tenute,  pure  vivente  il  Petrarca,  co^  che  i  pia  <diiarì 
uomini  dell' etÀ  sua  avidamente  ne  facevano  raccolta;  e  d^ 
differenti  classi  in  che  le  distribuì  lo  stesso  Petrarca. . . .  Alia 
Prefiuione  fa  seguito  T  Indice  delle  lettere  ^migliali  e  delie 
varie  secondo  T  ordine  dell' edizione,  cogli  argomenti  delle  let- 
tere e  i  sommari!  delle  note;  e  l'indice  dei  nomi  di  tutti  co- 
loro cui'  il  Petrarca  scrisse  delle  lettere  in  prosa  ed  in  versi: 
e  questo  secondo  indice  si  stende  a  tutte  le  lettere  petrarche- 
sche: Familiari^  SeniUy  Sine  Titulo,  PoeUchs  e  Vtnrie.  Quindi 
viene  la  Cronologìa  comparata  sulla  vita  di  Francesco  Petrarcs 
accompagnata  dal  suo  indice...  cronologia  veramente  ammi- 
rabile, e  degna  di  esser  proposta  p«r  modello  a  dù  voglia  £ue 
di  somiglianti  lavori....  E  simile  a  so  medesimo  si  mostra  il 
valoroso  Fracassetti  nelle  note  che  appose  copiosissime  alia 
lettera  ai  Posteri,  premessa  a  tutte  le  familiari,  coUe  qnali 
dichiarò  i  punti  prindpali  della  vita  del  suo  Autore,  inseren- 
dovi per  ciò  un  albero  genealogico  compitissimo  della  Simiglia 
del  Petrarca:  e  in  quelle  altre  dettate  con  più  sobrietà,  ma 
non  minore  dottrina  e  critica,  colie  quali  ha  accompagnato 
pressochò  ogni  lettera  del  lungo  Epistolario. . . .  Nelle  sue  note 
sempre  lo  vedi  accurato  e  severo  nella  storia,  forte  e  strìn- 
gente nella  critica,  ricco  e  vario  nell'erudizione,  urbano  e  gen- 
tile nei  modi  che  adopera,  eziandio  nel  dipartirsi  dalle  sentenze 
altrui  e  nel  confutarle  dove  &ccia  d'uopo.  Chi  consideri,  tutte 
le  lettere  essere  ben  416,  e  sappia  come  pressochò  a  tutte 
abbia  il  Fracassetti  unito  qualche  nota,  intenderà  lungo  e  ùl- 

ticoso  lavoro  ch'egli  ha  dovuto  per  dò  imprendtt*e (Cmkà 

CaUoUca,  Serie  v,  voi.  9,  p.  335343). 

Pel  volgarizzamento  intero  dell'Epistolario,  credo,  scri- 
veva il  Rossetti,  non  potersi  venire  a  capo  per  opera  di  un 
solo  volgarizzatore,  perciocché  questi  dovrebbe  dedicarsi  poco 

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BPISTOLAB.  803 

meno  che  tutta  la  vita.  —  E  più  avanti:  Non  credo  pertanto 
trovarsi  si  di  leggieri  nn  prode  e  perfetto  traduttore  che  sólo 
assumasi  T  erculea  fatica  di  volgarizzare  tutto  intero  il  corpo 
dell'Epistole  in  prosa  del  Petrarca  compresovi  il  grosso  nu- 
mero dell'  inedite.  *•  Eppure  a  tanta  mole  di  lavoro  è  bastato 
r  animo  e  Y  ingegno  aJr  insigne  Fracassetti.  Nella  traduzione 
8Ì  studiò,  come  dice  ei  medesimo,  di  serbare  alle  lettere  il  loro 
carattere  e  di  presentarci  un  ritratto  dello  stile  del  Petrarca, 
e  fedelmente,  e  con  lode,  attenne  la  sua  promessa,  in  modo 
che  leggendolo  tu  lo  giudichi  scrittore  originale,  non  volga- 
rizzatore. 

E  può  ben  compiacersi  che  T  opera  sua  non  sia  rimasta 
infeconda,  che  il  suo  nome  non  possa  più  andar  scompagnato 
da  quello  del  Petrarca,  che  agli  studiosi  del  suo  Autore  abbia 
dischiuso  mezzi  più  utili  e  più  sicuri  d'investigazioni,  e  più 
ch'altro  di  aver  egli  inspirato  il  bellissimo  lavoro  del  Me- 
zières  e  quello  del  Geiger.  Onde  il  Mézières  non  si  peritava  di 
scrivere:  <  La  pubblication  de  M.  Fracassetti  justifie  Topportu- 
nité  d' une  nouvelle  étude  sur  Pétrarque,  qui  rectifierait  en  plus 
d'un  point  le  conscìencieux  travail  de  l'abbé  de  Sade,  déjà 
revu  par  Baldelli  ;  où  se  dessinerait,  sous  tous  ses  aspects,  une 
des  fìgures  les  plus  attachantes  du  mojen  àge,  où  reparaltrait 
sui*tout ,  d' après  les  confessions  mémes  du  poete,  ce  qui  con- 
stitue  l'individualité  et  l' originalité  de  son  caractère.  »...  «  M. 
Fracassetti  a  bien  mérité  du  mond,  lettre. ...»  E  l' Accademia 
della  Crusca  scriveva  ali'  illustre  Comitato  letterario  per  le 
feste  del  quinto  Centenario  di  Francesco  Petrarca  (Aix-en- 
Provence)  :  Voi  avete  destinato  un  premio  a  queU'  italiano  che 
in  questi  ultimi  quindici  anni  ha  dato  alle  stampe  un'  opera 
sul  Petrarca.  E  poiché  di  questo  v'ò  piaciuto  far  giudice  la 
Crusca,  gli  Accademici  con  voto  unanime  e  con  animo  lieto 
designano  al  premio  (la  grande  Medaglia  d'oro  offerta  dalla 
città  d*  Avignone),  le  Lettere  di  Francesco  Petrarca^  volgariz- 
zate e  illustrate  dall' avv.  Gius.  Fracassetti  di  Fermo:  fatica 
grande  condotta  con  grande  amore,  e  che  mentre  serve  a  in- 
tendere la  mente  e  a  conoscere  la  vita  del  Petrarca,  apre  a  tutti 
un  tesoro  di  cognizioni  intorno  al  secolo  XIV.  »  —  Se  fossi  an- 
ch'io  chiamato  ad  assegnare  un  titolo  d'onore  a  chi  si  fosse 
reso  più  benemerito  del  Petrarca ,   dalla  sua  morte    a'  nostri 

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804  OPKBB  LATINB 

giorni,  io  non  esiterei  a  proclamarne  degnissimo,  sovra  tati 
GiusBPPB  FiucAsarm. 

Il  De  Sade  recò  injrancese  molte  lettere  del  Petrara- 
altre  versioni  straniere  non  conosco.  —  L*  1.  R.  Università  e 
Pi*aga  possedè  un  codice  con  questo  titolo  :  Franiisha  Petrar- 
chy  psan(  rosUcnyck  sesinaciero.  —  PsatU  na  Eanibaley  òìskup- 
Tushulanského,  o  lahomstoi.  Psan(  o  bidè  a  zdvisti\  Prelaz 
Rehor  Hruby  z  G eleni,  —  Francisci  Petrarchae  Epistolae  \k 
riae  sexdecìm.  Epistola  ad  Uannibalem  Episcopum  tnacul.  ^ 
avaritia.  —  Epistola  de  miaeria  et  invidia.  Le  voltò  in  boenaq 
qutìir  istesso  Hruby  che  arricchì  la  sua  nazione  della  versioo^ 
De  Remediis  uvrìusque  fortunae. 

Il  Pelzel^  (Kaiser  Karl  dar  vierte,  1780),  pubblicava  pa- 
recchie lettere  dell'  Imperatore  Carlo  V,  e  del  vescovo  Cancel- 
liere dell*  Impero  al  Petrarca,  tratte  da  una  Sumnui  costodiu 
dal  Capitolo  del  Duomo  di  Praga. 

La  lettera  ix  del  1.  viu  era  conosciuta  in  Olanda  quando  f. 
colta,  come  T  Europa  tutta,  dalla  peste  nera.  Essa  ò  citata  ia 
gran  parte  in  uno  studio  istorico  e  patologico  de*  giorni  nostri 
—  Ttoee  Epidemién  in  Nederlandy  —  del  dott.  A.  H.  Israrf*. 
prof,  nell'università  di  Amsterdam,  inserito  nel  Nederiandsck 
Wekblad  voor  Geneezckundigen ,  1854,  p;  474.  —  Anche  H 
pi*of.  Moli  la  cita  nella  sua  interessante  opera.  —  Kerkgesdi» 
denis  van  Nederland  raoor  de  HejnDomdng.  —  Storia  deìu 
Chiesa  ne'  Paesi  Bassi  avanti  k  Riforma,  1869,  t.  iv,  75. 

DE  OFFICIO  ET  VIRTUTE  IMPERATORIS. 

IN    ITALIANO. 

Libro  degli  uffici  e  delle  virtù  di  un  Capitano  y  indirìm 
a  LuccMno  del  Verme j  veronese,  personaggio  magnanimo, 
peritissimo  delle  cose  militari  e  capitano  del  veneto  esera^ 
D' ignoto  autore.  Questo  volgarizzamento  venne  per  la  priau 
volta  pubblicato  dal  Silvestri,  tra  le  Opere  Filosofiche  di  Fran- 
cesco Petrarca,  Milano,  1824,  p.  93*137  (voi.  xxxiu  deJla  & 
blioteca  greco-latina).  —  Non  ò  che  la  lettera  I^  del  libro  ir 
delle  Senili. 


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805 

DE  REPUBLICA  OPTIME 

Jministranda  ad  imaginibus  virtutibusque  ornatìssimum  virum 

FR.  GARRA.RIENSBM  PRING.  PATAVINin^f. 

Del  modo  di  governare  ottimamente  uno  stato ,  a  Fran^ 
esco  di  Carrara^  Principe  di  Padova^  omatissimo  d*  imagini 
di  mrtit.  Volgarizzamento  à!* ignoto  autore:  il  mss.,  onde  fu 
»resa  la  stampa,  porta  la  data  del  1740,  e  sembra  dettato  a 
[uell'  età  in  cui  s' incominciava  a  tenere  il  mezzo  tra  lo  stil  dei 
nodemi  e  il  sermon  prisco.  (Ne  fu  traduttore  il  Levati.  V. 
Viaggi  del  Petrarca,  p.  352).  Fu  pubblicato  la  prima  volta 
lai  Silvestri  di  Milano,  1824,  nel  voi.  33  della  sua  Biblioteca 
jreco-latina,  a  p.  1-92.  —  Questo  trattatello  non  è  che  la  let- 
era  I*  del  Libro  xiv  delle  Senili.  Vedi  quanto  ne  scrive  il  co. 
Giovanni  Cittadella  neir  accurato  suo  studio  Petrarca  a  Pa- 
lova  e  ad  Arqud,  p.  47. 

EPISTOLA  III  DEL  LIBRO  XIV  DELLE  SENILI 
VERSIONE  DELLA  GRISELDA  (1). 

PsTRARCA  F.,  La  Giselda  volgarizzata,  Novella  inedita 
tratta  da  un  codice  Riccardiano  del  sec.  XI V  con  note  e  Ta- 
vola di  alcune  voci  mancanti  nel  Vocabolario.  Firenze,  Nicola 

(1)  Francesco  Petrarca  Cicea  precedere  la  sua  versione  della  Griselda 
(Vi  G.  Boccaccio  da  queste  parole  :  «  Historiain  ultimam  et  niultis  praece- 
dentium  longe  dissiniilem  posuisti.  Quae  ita  mihi  placuit  me^ue  detinuit , 
ut  inter  curas  quae  paene  mei  ipsius  immemorem  mefecere;  illam  memo- 
riae  mandare  voluerim ,  ut  et  ipse  eam  animo  quoties  vellem  non  sino 
voliiptate  repeterem  ,  et  amicis  ,  ut  flt ,  coufabulanlibus  renarrarem  ,  si 
quando  aliquid  tale  incidisset;  quod  cum  brevi  postmodum  fecis^em,  gra- 
Inmque  audientibus  cognovissem ,  subito  talis  inter  loquendum  co^itatio 
^upervenit,  fieri  posse  ut  nostri  etiam  sermoois  ignaros  tam  dulcis  historla 
delectaret . . .  Uistoriam  ipsara  tuara  scribere  sum  agressus,  te  haud  dubie 
gavlsurum  sperans ,  ultro  rerum  interprotem  me  tuarum  foro:  quod  non 
facile  alteri  ctiiciumquo  praestiterim . . .  Historiam  tuam  meis  verbìs  ex- 
plìcui;  imo  alicubi  autpaucis  in  ipsa^arralione  mutatis  verbis  aut  additis, 
quod  te  non  ferente  modo  sed  favente  fieri  credidi,  quae  licet  a  multia  et 
laudata  et  expetita  fuerit,  ego  rem  tuam  tibi  non  altx^ri  dedicandam  oensui. 
Quam  quidem  an    mutata  veste  deforraaverim  au  furtassis  ornaverim ,  tu 


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806  OPERS  LATINI 

Fabbrìoi,  1851»  in  ^p  di  pag.  32.  La  pubblicazìoiie  di  questi 
Tenione,  d'Anonimo  trecentista,  è  dovuta  a  L.  BendnL 

Intorno  ait  obbedienza  ed  aUa  fedeltà  della  mogUe*  Ko- 
velia  tratta  dalia  x  delia  Giornata  x  del  Decamerome  di  G. 
BoccaociOj  dalla  latina  nella  italiana  fitoella,  tradotta  da  G»- 
TANNI  PAOLEm.  Veneùa,  Tip.  del  Commercio,  1860.  —  Per  k 
Nozze  Giuriati-Bigaglia. 

STBiNBdTXL  H.,  Bise  ist  atn  qnstel  Frandsd  petrarehej  t<m 
grosser  st&tihayt  ainer  firowen  Griael  gehaissen.  Augabni^gi 
Zainer,  1471,  in  fol.;  Augaburg,  B&mler,  1472  e  1482,  come 
appendice  alla  versione  dell*  opera  de  praeelaris  muUeribus  dfl 
Boocaccio  fatta  dallo  Steinh&wel,  Ulm,  Zainer,  1473;  Strasburg, 
1478;  Angsburg,  Sorg,  1480;  Strasburg,  Knoblochzer,  1482; 
Strasborg,  1520;  Strasburgo  FrSlìch,  1538, 1540, 1544;  Niirnberg, 
Wachter,  s.  a.;  Magdeburg,  Francke,  s.  a.;  Erffi>rd, Singe,  1670. 

Marggraf  Walther  diss  ist:  Bine  tounderUche  und  histige 
Historia  Vom  Weiblichem  (sic)  Gehorsam  und  Treue^  Yar  drey 
hundert  Jahren  von  dem  (sic)  damale  noeyen  furnehtnsten 
und  gelehriesten  Jdànnem  Johan  Boocatio  Welsch  und  ^m 
Francisco  Pstrabcha  Lateinisch  beschneben,  Anietzo  aber  ins 
Deutsche  versetzt  von  Johann  Fisdlbbn  von  Rsigbbnbach,  P. 
Laur,  Caes.  Dresden,  1653. 

Von  der  wunderUchen  Gedult  der  Gràfin  Griseldìs.  Della 
mirabile  pazienza  della  contessa  Griselda.  Venne  inserita  nelU 

judica  :  illinc  enim  orU  illuc  redit  :  notus  iadex  :  nota  doiniu  :  notum  itor,  ut 
unum  et  tu  noria  et  quisquis  haec  leget  Ubi,  non  mihi,  tuarum  raliaiieiu 
rerum  esse  reddendam.  Quis  ouis  ex  me  quaeret  :  an  haec  vera  sint  :  hoc 
est  an  historiam  scripserim,  an  fabulam,  respondebo  Ulud  Crìspì  :  Fides  penes 
auctorem  meum,  scilicet  Joannem,  sit  >  Petrarca,  Epist.  m  del  L.  xvn 
delle  Senili.  ^  <  Lorsque  je  vois  Pétrarque,  à  la  fin  de  sa  carrière,  apprendre 
par  coeur  le  dernier  conte  da  Decameron ,  T  histoire  do  Orisélidis ,  le  ré- 
citer  toat  ému  à  ses  amis  et  se  donner  la  peine  de  la  traduire  en  latin , 

Soar  le  faire  connaitre  davantage  et  le  faire  godter  par  les  beaax  esprìts 
u  teraps,  je  ne  pais  m*  erapftcher  de  penser  à  la  sollicitude  avec  laquelle 
Goethe  suivait  les  pro^rès  de  la  trilogie  de  Walletut^in,  en  prèparaìt  li 
représentation  et  travaiUait  à  Ist  couleur  locale  de  OuUlaume  Teli,  en  met- 


,! 


&c^Lc<s<ruMAuuu    ck    ktavcuiiuik    a   <u  v;vLuouf    A\/v.a4D  u^  vri»*««(4<*'no    ^  cm>  cu   Ilici* 

tant  soua  les  yeux  de  Schiller,  par  ses  notes  de  vovage,  la  grande  poesie 
"i  paysages  alpestres.  »  Méziàrei,  Pétrarque,  p.  216. 

Epistola  domini  Francisci  Petrarche De  nistorìa  Griseldis  mulicrì^ 


maxime  constantie  et  patientie . . .  sino  anno  (Colonia,  Zdl,  1470?).  —  De 
insigni  obedientia  et  Ade  uxoria . . .  Ulmae,  Zeiner  do  Reotlingen,  1473.  ~ 
Epistola  de  Historia  Griseldis,  s.  a.  I.  (Deventer  Rich.  Paffhiet.  1498),  io 
6  fogl.  ;  col  titolo  olandese.  Deventer,  lacob  Breda,  verso  il  1500»  in  10  io^. 
caratt.  gotico.  —  Historia  Joh.  Boccatii  de  Valterio  et  Griselide  in  Germa- 
norum  gratiam  ab  eodem  Petrarcha  exactissime  ornata  et  descrìpta  (Loai« 
bardi  Serici,  De  Bono  Solitudinis).  Patavìi ,  Meielli ,  1581.  —  Beraae,  Le 
Preux,  1601;  Genevae,  Stoer,  1619. 


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EPISTOLA,  in  DBL  LIBBO  IV  DELLE  S&NILI.  807 

3pera:  Libro  eccellente  di  storia,  ovvero:  Esatta  dilettevole 
aarrazione  di  storielle  spirituali,  dalla  pag.  297  alla  945.  Dil- 
Lingen,  1687.  —  Il  P.  Martino  Cochbn,  cappuccino,  che  ne  fu 
il  traduttore,  nota  alla  fine  della  sua  versione  :  Hànc  historiam 
ex  Pbtrarchb  desumptam  fìise  inscribit  Engelgrave  in  suo 
coelo  Empyreo  (Coloniae  Agripp.,  1618)^  in  festo  Conversùmis 
S.  Paulif  §  8,  ex  quo  ego  eamdem  desumpsi.  —  La  Griselda 
di  Fr.  Martin  Ck)cbeD  venne  riprodotta  con  titoli  diversi  e  lievi 
modificazioni  nel  1680;  Koln  a  Rb.,  bei  Cristian  Everaerts, 
senza  data;  Stutt.,  4836,  Reutlingen,  1847. 

Chaugeb,  The  clerke  of  Oxenfordes  Tale.  —  Nel  Prologo  io 
the  Clerke* s  Tale^  cb'ò  la  novella  della  Griselda,  egli  canta  cosi: 
I  yr<À  yoa  teli  a  talle,  yrìàch  that  I. 

Lerned  at  Padove  a  of  worthy  clerk . . . 
Fraunceis  Petrark,  the  laareat  poete. 

È  ne*  versi  7933-9052  de' Canterbury  Tales  nelF  edizione  del 
Tyrowitt,  London,  1832.  È  meglio  un*  imitazione  cbe  una  ver- 
sione: ebbe  molte  edizioni,  Londra,  1545, 1568, 1611, 1682, 1703. 

Sarebbe  troppo  lungo,  nò  forse  troppo  utile,  se  volessi  qui, 
per  intero,  riferire  la  Bibliografia  della  Griselda,  come  ne  avevo 
il  pensiero.  La  fece  in  piccolissima  parte,  il  Manni  nella  sua 
Istoria  del  Decamerone  (Firenze,  1742,  p.  603-627)  ;  con  raris- 
sima accuratezza  il  KóUer^  col  titolo  Griseldis,  nell*  Enciclo- 
pedia dell'  Ersch  e  Gruber.  —  La  novella  della  Griselda,  venne 
riprodotta  in  pressoché  tutte  le  lingue  ;  in  francese,  in  tedesco, 
in  boemmo,  in  ungherese  (1),  in  svedese,  in  irlandese  ed  in 

(1)  Istvanfi  fu  il  traduttore,  padre  dello  storico  Nicolò.  Attese  allo  studio 
del  greco  e  del  latino,  non  che  a  quello  del  diritto  e  dell*  astronomia  nel- 
TAteneo  patavino,  come  è  chiaro  dal  seguente  epicedio  di  Gabriele  Zeni- 
gewrgio  (in  morlem  Pauli  Istvanfi  singulari  pietate  et  doctrina  viri). 
Quo  sol  bis  senos  orhìs  convertere  cursus 
Assolet,  et  captum  carperò  rursus  iter, 
Hoc  gpacìo  IstvaniìJ  Patavina  dici  tur  urbe 

Ingenium  studijs  excoluisse  bonis, 
Ao  didicisse  prius  famulas  industri us  artes, 
Fervidus,  et  linguas  consociasse  duas  ecc. 
E  fu  nel  1539  che  voltò  in  versi  nella  materna  lingua  la  novella  della 
Qriselide,  come  ce  ne  fa  fede  egli  stesso: 

Ezer  òtsz&z  harmiuc  kilenc  esztendóben 
£z  kisded  kronikat  szerze  egy  énekben 
Istvànfl  Pai ...  —  (Nell'anno  1539  Paolo  Istwanfl  scrisse 
questa  novella  in  un  canto,  ecc.  —Mori  nel  1557).  Mi  professo  debitore  di 
questa  notizia  al  co.  Oéza  Kuuny  di  Pesth. 


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808  OPBRB  LATtNB 

spagnuoìo  (!).  Oltreechè  porse  snbietCo  a  ballate,  a  romanze.  ^ 
coxnedie,  tragìoomedie,  drammi,  melodrammi,  e  perfino  a  rap* 
presentazioni  con  le  ntarionetie.  Ho  solo  ricordato  te  tradi- 
zioni o  imitazioni  tedesche  dello  Sieinhoven  e  del  eapncdoo 
Cocken,  e  1*  inglese  del  Chaticer  perchè  è  chiaro  che  foroeo 
prese  dal  Petrarca.  Nò  accenno  i  moHi  oomponimenti  italiaui 
d'ogni  sorte,  avendone  gli  autori  tolto  f  argomento  dal  Boc> 
caccio.  —  Carh  Sehróder  ritiene  questo  racconto  volgarìssimo 
ai  giorni  del  Certaldese,  e  ch*ei  T  avesse  appreso  dal  popolo, 
giacché  si  trova  n^  racconti  dei  popoti  antichi  del  nord,  b«ichè 
con  altri  nomi. 


EPISTOLA  AD  POSTEROS. 

Stlvano  db  Venafro.  La  prepose  al  suo  Comento  del  Cai»- 
zoniera,  (Napoli,  Ganzar,  1533);  ma  vi  aggiunse  molto  del  suo. 
La  si  trova  pur  tradotta  neirediz.  del  Canzoniere  (Londra, 
Bulmer,  1811),  curata  dal  Zotti. 

Leoni  Michele,  Francesco  Petrarca  ai  Posteri  y  Saggio  di 
Epistole  volgarizzate.  Guastalla,  Fortunati,  1846,  p,  13-27. 

Parolari  Giulio  Cesare,  Francesco  Petrarca  ai  PosteH, 
salute.  Nel  suo  volgarizzamento  Del  dispresso  del  mondo.  Mi- 
lano, Battezzati,  1857,  p.  67-79. 

Fracassbtti  Gidseppb,  Francesco  Petrarca  ai  Posteri,  con 
note  copiose  ed  interessanti.  Lettere  di  Fr.  Petrarca  volgariz- 
zate I,  201-235.  Versione  pur  inserita  dal  Carbone  nella  sua 
ediz.  del  Canzoniere,  Firenze,  Barbèra,  1872,  p.  vii-xvi. 

Zambrini  Francesco,  Francesco  Petrarca  ai  Posteri  Salute. 
La  Pietosa  Fonte,  poema  di  Zenone  da  Pistoia.  Bologna,  Ro- 
magnoli, 1874,  xxxv-Lix. 

TissoT  DE  MoRNAS,  Trad.  in  frane  Mémoires  de  T  Athénée 
de  Vaucluse,  Avignon,  Offray,  1806. 


(1)  La  tradusse  in  spaguolo  Love  de  Vega  (Fior  de  las  Comedias  de 
Espana  de  differents  aatores,  Barcelona,  1636),  ma  ne  mutò  i  nomi  :  Lau- 
reutia,  figlia  del  contadino  Lauro,  ne*  monU  ai  Miraflor,  prende  in  marito 
don  Enrico  de  Moncada,  conte  di  Ruysellon  e  Gerdanna.  Però,  ne*  parti- 
colari ,  va  a  paro  a  paro  col  Boccaccio.  Anche  Giovanni  De  I^-imondJ 
Patranuelo ,  che  ha  tolto  la  più  parte  delle  sue  aoTeUe  da*  nostri  poeti 
(Golecionada  de  22  Novelas,  Nov.  n) ,  ha  recato  la  Griselda  del  Boccaccio 
in  CastigUano  (Alcali,  de  Ueuarea,  1576). 


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EPISTOLA  AD  P08TER0S.  809 

Clarus  Lud.  ,  Fr,  Petrarchs  Bekenntnisse,  Le  Confeesioni 
li  Fr.  Peti-arca,  Magonza,  1846.  Alla  versione  alemanna  del 
ibro  De  Coniemptu  Mundi,  premise  quella  dell'Epistola  alla 
Posterità. 

Geiger  Ludwig,  Petrarca,  Leipzig,  Duncker,  Humblot. 

Nella  prima  parte  del  suo  lavoro  sul  Petrarca  il  Geiger 
diede  voltata  in  tedesco  la  lettera  autobiografica  alla  Poste- 
rità. E  il  CossUla  nella  versione  del  Geiger,  la  rifece  italiana, 
p.  9-20. 

La  versione  di  questa  lettera  fu  pur  inserita  nel  volumetto 
di  Autobiografie  (ediz.  diam.),  pubblicato  dal  Barbèra,  ma  non 
potendolo  avere  sott'  occhio,  non  posso  ricordarne  il  traduttore. 


LETTERE  APOCRIFE. 

Foscolo  Ugo,  due  lettere  volgari  di  Frane.  Petrarca  tratte 
dagli  autografi  posseduti  da  lord  Holland.  Essays  on  Pe- 
trarch,  London,  1823;  Foscolo,  Opere  (Edizione  Le  Mounier), 
X,  p.  75. 

Il  Fracassetti,  ed  a  ragione,  le  ritiene  apocrife.  Ep,  Fam., 
1,9. 

Lettera  volgare  di  messer  Francesco  Petrarca  a  Leonardo 
Beccamugi  (4  Genn.  1362),  tratta  da  un  cod,  della  Mar^ 
ciana  (già  Zeniano),  col  raffronto  della  Lezione  nel  Petrar- 
chista di  Nicolo  Franco  (  Venezia,  <3iolito,  1539,  41-47).  Ve- 
nezia, Merlo,  1858.  —  Pubblicata  dal  sig.  Tessibr  per  le  Nozze 
Marcello-Zon.  (Trovasi  nel  Petrarchista  del  Franco,  Giolito, 
1539,  1541,  1543.  Gli  Aldi  la  ristamparono  quattordici  volte 
dal  1542  al  1567.  Indi  si  ha  presso  il  Doni  (1547);  nella  edi- 
zione del  Giglio  del  1558,  in  quella  di  Basilea  del  1554  e  del 
1581  ;  nelle  Lett.  volg,  di  diversi,  libro  i  ;  ed  in  Nuova  Scelta  di 
lettere,  ecc.  La  riprodusse  finalmente  in  Udine  il  Turchetto  nel 
1851).  Fracassetti,  Prefazione,  7.  —  V.  Hortis,  Catalogo  della 
Rossettiana,  185. 

Meneghelu  a.,  Lettera  al  sig.  ab.  Criov.  TaUa^  sopra  due 
lettere  italiane  attribuite  al  Petrarca.  Padova,  1824;  Mene-- 
ghelli,  Opere,  voi.  vi,  179-201. 

51 


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810  onaE  lATtm 

Lettere  di  FYanceKo  Petreuva  a  Madonna  Laura  e  di  in- 
donna Laura  a  Francesco  Petrarca.  Imola  Galeati,  1876.  Ediz  1 
di  soli  60  Esempi.  —  Porta  in  fronte  la  dedica:  Per  -le  iUnstii 
Nozze  —  Della  nobile  donzella  —  Sig.  Elena  Mazsarìnì  —  Col- 
r  onorevole  signore  —  Conunend.  Nicola  Mirag^  —  Avrenutó 
nel  Gennaio  —  Del  M.D.CCG.LXXVI  —  La  lamìglia  Zambrici 
—  Congratttlando  offriva. 

Son  otto  lettere  in  volgare:  4  del  Petrarca,  e  4  di  Ma*i 
Laura.  Queste  ultime  hanno  per  argomento  :  L  Lettera  di  Laura 
ove  parla  del  suo  maritarsi:  li.  Lettera  di  Laura,  et  scrìre 
che  fuggi,  vedendola  nella  Fiera:  HI.  Dimanda  Laura  un  suo 
fazzoletto  al  Petrarca:  IV.  Laura  parìa  del  caso  avvenuto  al 
Petrarca  tra  Scandiano  et  Reggio. 


TESTAMENTUM  (1). 

Testamento  del  Pbtrabca  ,  tradotto  per  quelli  che  non 
sanno  di  lettere.  D' ignoto  tradmtore.  Neil*  ediz.  del  Canzoniere, 
curata  da  Lod.  Dolce,  Venezia,  Giolito-Ferrarì ,  1559  e  1560. 
pag.  36-52;  Venezia,  Bevilacqua,  1568;  Bertano,  1573;  Zatta. 
1756  e  1785. 

Testamento  di  Fb.  Petrarca,  poeta  coronato,  D.  O.  3/. 
Versione  di  Cablo  Lboni.  Opere  Storidie,  ii,  223-234. 

Testamento  di  Fr.  Petrarca,  Versione  di  G.  Fracassetti. 
È  in  appendice  alla  nota  della  lettera  ottava  del  libro  vni. 
Lettere  di  Fr.  Petrarca,  ii,  353^. 

Da  Pontb  Claudio,  Il  Testamento.  Vita  di  Fr.  Petrarca, 
p.  177-186. 

Nel  Codice  L.  x,  263  della  Marciana  si  conserva  una  ver- 
sione italiana  di  Bernardino  Gatto,  di  Ravenna,  giureconsulto 
e  verseggiatore  al  principio  del  secolo  XVI,  col  titolo:  Tras- 

(1)  Testamentum  iUastris  Poctae  Francisci  Petrardiae,  ab  eo  iusu 
inulto  ante,  quam  e  vita  decederet,  conscriptum . . .  Men.  Àug.  An.  M.D.XXX1. 
8.  1.  né  nome  di  8t.  —  Ed  in  Fui.  Ferretti,  Consiliia,  1538.  ~  Ackerii  J.. 
}I.  Vita  ac  Testamébtum  Fr.  Petrarchae ...  a  Paulo  Manutto  et  J.  G rav- 
vio conservatum.  Emend.  noUamie  auxit  J.  H.  Acker.  Rudolstadii ,  Geli- 
nerii^  1711.  —  Nei  Goinentan  a' Aldo  il  Giovane  sopra  il  zìi  libro  de^li 
OiBci  di  Cicerone,  ex.  —  Nel  Canzoniere  ed.  dal  Cornino,  Padova,  17:^ 
e  1732.  Nel  voi.  m  delle  Lettere  latine  ed.  dal  Fracasaetti,  587-&15. 


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TBBTAfifBNTUM.  811 

(caio  Testamenti  Laureati  poeiae  domini  Francisci  Patrarcae, 
per  Lydium  Cattum  raoennatem,  —  L'autore  rivelò  il  con- 
cetto ordinativo  seguito  dal  poeta  nella  redazione  del  suo  testa- 
niento,  dividendo  quest'  atto  in  quattro  parti,  e  volgarizzandolo 
in  quattro  capitoli:  a.  De  modo  et  loco  sepelliendi  ^us  cor-» 
poris  —  b.  De  legatis  ad  pias  causas  — >  e.  De  legaUs  ad 
privatas  persona^  —  d.  De  haeredis  institutione. 
Comincia  : 

Spesse  volte  pensando  tra  me  stesso 

Di  quel  che  niun  o  pochi  assai  men  cura 
Mentre  ch'in  ciò  dovrebbe  esser  defesso. 
Dico  dil  fin  di  vita. . . . 

e  finisce: 

Io  Framcbsgo  Pbtkarca  scrissi:  el  quale 
Haveria  fatto  altro  testamento 
Se  fosse  richo  come  el  stulto  e  frale 
Vulgo  ben  pensa  di  maggior  talento. 

Valentinelli,  Petrarca  e  Venezia,  p.  114. 

Sulle  altre  opere  del  Petrarca  non  conosco  né  studii  nò 
versioni.  In  un  codice  de*  Mediceo-Laurenziani  (Qaddiani  Primi, 
Plut.  LxxxEx,  segn.  n.  63),  si  trovano  volgarizzate  le  Invectivae 
in  Medicum.  Il  Macaulay,  benché  non  troppo  tenero  del  Pe- 
trarca, vi  trova  molto  spirito.  «  li  Petrarca ,  ei  dice ,  parlava 
da  senno  su  questo  argomento ,  e  T  amarezza  de'  suoi  senti- 
menti crea  di  quando  in  quando,  in  mezzo  alla  sua  pedanteria 
classica  e  scolastica,  periodi  degni  della  seconda  Filippica  (1). 
Swift  stesso  avrebbe  potuto  invidiare  il  capitolo  sulle  cause 
del  pallore  dei  medici.  »  —  Del  resto ,  il  Petrarca  avea  una 
grande  disistima  dei  medici,  e  più  volte  ne'  suoi  scritti  la  fece 
manifesta,  nò  si  rimase  dal  combatterli  fieramente,  a  visiera 
alzata,  quante  volte  gli  si  presentava  il  destro  (Fam,  v,  19; 

XV,  5,  6;  XII,  12;  Sen.  iii,  5,  7;  v,  1,  3,  4;  xiii,  8;  xv,  8,  14; 

XVI,  3).  Del  che  ebbe  a  sofinrne  molti  e  gravissimi  fastidi. 
Non  è  però  volesse  condannarli  tutti  alla  rinfusa   in  fascio. 


(1)  Anche  il  Salutati,  contemporaneo  del  Petrarca,  ne  avea  portato  lo 
stesso  ^udizio  :  quas  qui  diligenter  inspexerit,  pace  Àrpinatia  nostri  dictnm 
velila,  illius  Vcrrinas  Philippicasque  accedere,  ac  ipsas  etiam  Gatilinarias 
facile  conaenserit. 


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812  OPBBB  LATINB 

—  Àvvene  pure  de*  buoni  >  ei  scrive ,  e  molti  ne  conobbi ,  ed 
ebbi  amideaimi  (Albertino  da  Canobbio,  Marco  da  Hànioca^ 
Francesco  da  Siena,  Giovanni  Dondi),  eloquenti,  lettogli,  in 
molte  scienze  dotUssimif  ma  solo  nella  medicina  dappoco.  Cosa 
veramente  mirabile:  saper  di  tutto,  da  quello  in  fuori  che  si 
Tuole  e  che  si  deve  (Sen,  y,  4).  —  Ma  indignavalo  soprattutto 
il  fax  pretenzioso*,  ed  il  portamento  cerretanesco  oon  che  si 
presentavano  al  letto  degli  ammalati  per  abbagliare  i  creden- 
zoni :  «  Sfoggio  indegno  di  usurpate  vestimenta,  porpora  scre- 
ziata a  diversi  colori,  fulgor  di  anella,  sproni  dorati.  >  —  Né 
si  tratta,  scrive  un  distinto  storico  delle  scienze  mediche,  di 
un  giudizio  leggiero,  e  quasi  ab  irato  del  Petrarca,  intomo  ai 
medici  ed  alla  medicina  del  sec.  XIV,  ma  ben^  dell'espressione 
di  un  convincimento  profondo,  frutto  di  riflessione,  non  che 
delle  osservazioni  fìitte  sopra  sé  stesso,  e  sul  suo  tenoi-e  di 
vita.  Imperocché,  pervenuto  appena  nelF  età  matura,  non  cessò 
il  Petrarca  di  volgere  la  sua  attenzione  alla  medicina,  e  di 
£sirne  oggetto  de'  suoi  studii.  Osservò  attentamente  ed  in  silenzio 
il  contegno  dei  medici  suoi  contemporanei ,  ne  sottopose  a  di- 
samina i  vantaggi  ed  i  difetti,  e  per  mezzo  dell* analisi,  per- 
venne lentamente,  a  grado  a  grado,  a  formarsi  idea  sfavorevole 
della  medicina  de*  suoi  tempi  e  di  quelli  che  la  professavano. 

—  Intorno  al  Petrarca  e  ai  medici,  vedi  lo  scritto  di  Henscbbl, 
Janus  Zeitschrift  fur  Geschichte  und  Liter.  Medie.  Breslavia, 
1846,  I,  183.  —  In  maggior  conto  teneva  i  cerusici,  de*  quali, 
benché  trattati  dai  medici  con  disprezzo,  ai  dee  preg^iare  la 
sperimentata  efficacia  della  loro  destrezza  di  mano  e  la  loro 
abilità  nella  cura  specialmente  delle  ferite. 

SCRITTI  INEDITI  DI  FR.  PETRARCA. 

Aringa  del  Petrarca  a  Giovanni  il  Buono  a  nome  di 
Galeazzo  Visconti ,  signore  di  Milano,  dopo  la  durata  cai-- 
Uvità. 

Questa  orazione  fu  pubblicata  la  prima  volta  nel  1854,  nel 
voi.  in,  p.  214-225  della  seconda  Serie  delle  Mémoires  presentés 
par  divers  Savants  à  l'Accadèmie  des  Iscriptions  et  Belles 
Lettres  de  Vlnstitut  de  France  dal  sig.  Bariieu  du  Rocheb; 


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SCRITTI  INBDITI  DI  FR.  PETRARCA.  813 

che  la  ridusse  all'  ortografìa  moderna,  correggendo  i  molti  er- 
rori che  si  trovano  nel  codice,  e  premettendovi  un  dotto  discorso 
corredato  di  documenti  inediti,  ffortìs^  Scritti  ined.  di  Frane. 
Petrarca,  208. 

HoRTis  Attilio,  i&ri«i  inediti  di  Fr,  Petrarca ,  pubblicati 
^d  illustrati,  Trieste,  Lloyd,  1874. 

Gli  scritti  inediti  pubblicati  sono  i  seguenti: 
'     I.  Collatio  edita  per  clarissimum  poetam   francìscum  pe* 
trarcum  floreniinum  rome  in  capitolio  tempore  laureationis  sue 
(Dal.'cod.  magliabechiano,  CI.  ix,  n.  133). 

n.  Arengna  fecta  venecijs  1353,  octavo  die  Novembris  super 
pace  tractanda  inter  commune  Janue  et  dominum  Archiepi* 
ecopnm  Mediolanensem  ex  una  parte,  et  commune  veneciarum 
ex  altera  per  dominum  franciscum  petrarcham  poetam  et  am- 
basiatorem  supradictum.  (Dal  cod.  4498  della  Palatina  di  Vienna). 
—  Il  Romussi ,  che  cita  V  Arringa  del  Petrarca ,  detta  nella 
morte  dell'Arcivescovo  Visconti  (Petrarca  a  Milano,  41),  .la  dà 
per  inedita,  ed  aggiunge:  perché  nessuno  si  curò  di  pubbli- 
caria. {p.  36).  —  Eppure  davala  in  luce  prima  Yffortis,  e  poco 
tempo  appresso  il  prof.  Fulin,  Petrarca  e  Venezia^  306^9. 

III.  Arringa  facta  Mediolani  in  Millesimo  1354,  Die  vii  octo- 
bris  de  morte  Domini  Archiepiscopi  Mediolanensis  :  qui  fuit 
Dominus  quasi  totius  Lombardiae,  qui  obijt  die  quinta  dicti 
mensis.  Per  Dominum  Franciscum  Petrarcam  Poetam  Laurea- 
tum  (in  italiano).  Dal  Codice  Magliabec.  n.  123,  xxiv.  —  Il 
Romussi  la  riterrebbe,  anzicchè  originale,  una  versione  fatta 
nel  cinquecento  (p.  42). 

IV.  Arengna  facta  per  dominum  franciscum  petrarcham 
poetam  laureatum  in  Civitate  Novarie  coram  populo  ejusdem 
civitatis  et  presente  Magnifico  domino  galeaz  de  vicecomitibus 
de  mediolano  dum  dieta  civitas  fuisset  rebellis  ipsi  domino  re- 
ducta  ad  obedienciam  dicti  domini  Qaleaz  mccclvi,  xvnii  Junii 
(Dal  Codice  4498  della  Palatina  di  Vienna). 

V.  In  Kristi  nomine  amen  Incipiunt  Epjtomata  domini  fran- 
cisci  petrarce  super  suis  bucolicis.  (Dal  cod.  ccxxxn  de'  latini 
della  Biblioteca  Estense  di  Modena). 

VI.  Orationes  contra  tempestates  aereas.  —  Oratio  ad  bea- 
tam  Agatbam.  —  Oratio  quotidiana.  —  Oratio  contra  tempestates. 
(Dal  cod.  Laui'enziano  n.  17  del  Pluteo  90  inf.). 


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814  SCRITTI  INEDITI  DI  FR.  PBTRARCA. 

Lo  lessi,  cosi  il  Fanfani,  con  avidità  e  con  diletto  ;  uè  poUi 
non  sentirmene  confortato...  Lasciamo  andare  la  dottrina  che 
campeggia  per  tutto  il  libro,  ma  il  sig.  Hortis,  dando  fiacri 
alcune  cose  inedite  del  Petrarca,  ha  usato  una  temperanza  ed 
una  riserva  cosi  prudente,  benché  ogni  suo  ragionamento  si 
fondi  sopra  la  più  savia  critica,  che  vorrei  potesse  servir  di 
esempio  a  tutti  coloro  che  si  pongono  a  simili  imprese.  Né  le 
cose  che  dà  fuori  le  dà  fuori  crude  crude  o  per  voglia  di  far? 
un  pò*  di  chiasso,  ma  si  piglia  argomento  a  trattare  e  a  chia- 
rire molti  punti  dubbi  e  controversi ,  illustrando  cosi  il  nobil 
soggetto  ch*ei  tratta  con  vera  utilità  degli  amanti  de*  buoià 
studi.  //  Borghini.  —  Nò  dico  solamente  che  V  Hortis  pubblicò 
quegli  scritti,  dico  che  T illustrò,  e  T illustrò  veramente  con 
molto  amore  e  con  eguale  dottrina.  R.  Fu(in.  —  L*  erudizione* 
storica  e  T  erudizione  petrarchesca  in  particolare,  vi  sono  ver- 
sate a  piene  mani;  e  ciò  che  più  importa,  sono  adoperate  con 
giusto  criterio.  C,  Negroni.  —  V.  Ritnsla  Europea,  Agosto 
1874,  p.  380;  Nuotxt  Antologia,  Agosto  1874,  1049.  —  I  più 
riputati  periodici  alemanni  ne  scrissero,  come  ben  era  giusto, 
parole  di  larghissimo  encomio. 

Nboroni  Carlo,  Ftxtncesco  Petrarca  a  Novara,  e  ìa  sua 
Aringa  ai  Novaresi  fatla  in  italiano,  Novara,  fratelli  Miglio, 
1876. 

Versione  fedele  ed  elegante.  Nella  prefazione  discorre  con 
molto  garbo  di  dicitura  e  giustezza  d'idee  de' fatti  che  diedero 
occasione  al  Petrarca  di  «recarsi  a  Novara.  Parlando  di  Alber- 
tino (o  Albino)  da  Ganobbio,  medico  insigne  e  poeta,  contro 
r  opinione  del  Fracassetti,  sostiene  che  il  luogo  della  sua  na- 
scita è  Ganobbio  Novarese,  sul  lago  Maggiore^  e  non  Ganobbio 
Svizzero,*  snl  lago  di  Lugano.  Le  note  filologiche  a  pie  di  pa- 
gina, allo  scopo  di  migliorarne  il  testo,  ci  fan  conoscere,  oltre 
che  la  perizia  in  latinità,  il  critico  senno  del  dott.  Negroni. 

Fr,  Peirarchae,  Gratto  in  b,  Hieronymun,  Son  24  esa- 
metri. Vennero  stampati  a  Fermo  (24  Luglio  1504)  dal  Soncino. 
Li  ripubblicò  il  Valenti  nelli,  perchè  sconosciuti  alla  più  parte 
dei  bibliografi.  Petrarca  e  Venezia,  127. 


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815 


SCRITTI  ATTRIBUITI  AL  PETRARCA. 


Pbtrarca.  Francesco,  Chiose^  Correzioni  e  Osservazioni  a 
JDante.  Manoscritti  Palatini  di  Firenze,  ordinati  da  Francesco 
JPalermOy  voi.  n.  Firenze,  Cellini,  1861. 

Son  tratte  dal  Codice  Palatino  clxxx,  che  il  Palermo  dal 
carattere  eguale,  rotondo,  minutissimo  ed  esilissimo,  non  solo 
ritiene  autografo  del  Peti*arca,  ma  per  di  più  scritto  da  lui 
neiretà  matura,  cioè  nel  torno  del  1360.  Ma  la  scoperta  del 
Palermo  fu  fieramente  contraddetta  e  negata  da  due  de'  più 
riputati  dantisti,  il  Fraticelli  e  il  Witte,  e  iriÉimamente  dal  sig. 
Fracassetti  (1),  che  oggigiorno  ha  pochi  pari  nella  conoscenza  di 
ogni  cosa  che  spetti  al  Petrarca.  Il  Palermo  non  se  ne  sgo- 
menta, e  forte  dell'autorità  dei  più  riputati  paleografi  d' Italia, 
armato  di  nuovi  argomenti,  toma  in  campo,  ed  a  fronte  aperta 
sostiene  T  autenticità  del  suo  Codice.  <  E  .tanto  è  saldò  il  con- 
vincimento del  bibliotecario  discopritore,  che  gli  fa  tenere  per 
i^uisitissima  e  di  gran  lunga  preferibile  alla  vulgata  la  le- 
zione che  dà  quel  codice  di  certi  versi  di  esso  Petrarca  :  nella 
qual  opinione  non  andrà  certo  con  lui  chi  abbia  assuefatto 
r orecchio  e  T animo  alla  melodia  del  gran  poeta  d'amore.» 
Ma,  a  mio  avviso,  le  ragioni  degU  avversari  sono  si  aperte  e 
ai  gravi,  che  ne  rimane  distrutta  T autenticità  del  codice  Pa- 
latino, che  si  voleva  del  Petrarca.  % 

Gasi  d^  Amore,  prosa  volgare  attribuita  a  Francesco  Pe- 
trarca. Firenze,  Tip.  Nazionale,  1865. 

Il  prof.  Bazzi  la  tolse  da  un  codicetto  magliabechiano,  già 
strozziano,  a.  iv,  n.  169,  cartac.  in  fol.  dei  sec.  XV  e  XVII,  sotto 
il  titolo  Itefrigerio  dei  miseri.  Il  terzo  di  questi  racconti,  cosi 
egli,  spedii  in  luce  per  le  illustri  nozze  Clelia  Zambrini  col 


(1)  Fraticelli,  Passatempo,  1858,  n.  41-43;  Witte,  Prolegomeni  alla 
«disione  berlinese  della  Divina  Commedia;  Fracassetti ^  Nota  alla  lettera 
XV  del  libro  xxi,  Epist.  iv,  399  ;  Cardttcciy  Studi  Letterari,  319  ;  Palermo^ 
Discorso  premesso  alla  stampa  delle  Liriche  e  parte  del  Paradiso;  Id. 
Delle  Varianti  della  Divina  Commedia  ,  Discorso ,  Dante  e  il  suo  secolo  ; 
Id.  Appendice  al  voi.  ii,  al  Codice  clxxx  riconfermato  autografo  del  Pe- 
trarca. 


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816  SCRITTI   ATTRIBUITI  AL  PETRARCA. 

8ig.  CO.  dottor  Carlo  della  Volpe,  ed  ora  pubblico  il  pnino. 
come  poi  pubblicherò  gli  altri  due,  peosaudo  che  una  pfrosa 
attribuita,  fosse  pur  fÌEdsamente  ad  un  tanto  autore,  la  non  sia 
da  lasciarsi  sconosciuta  in  un  fondo  di  Biblioteca,  perchè  in 
ogni  modo  dovrà  restar  sempre  come  una  curiosità  letteraiia. 
Aggiungasi  poi  la  circostanza  di  trovarsi  scritto  da  Bernardo 
micino  nel  prologo  ai  suo  cemento  ai  Trionfi  che  tra  i  libri 
volgari  del  Petrarca  ce  n*era  uno  in  prosa  chiamato  ^  Refri- 
gerio dei  miseri  el  quale. recita  quattro  casi  amorosi  di  degna 
commiserazione.  Y.  Il  Propt^natore  di  Bologna,  toL  i,  1868, 
p.  465-89. 

Tra  le  Opere  ascritte  al  Petrarca  non  accenno  né  il  Dya- 
logus  Piladis;  né  la  Cronaca  degC  Imperatori  e  Pontefici^ 
peix:bò  universalmente  ritenute  apocrife. 


STUDI  SUL  PETRARCA. 


ViLLEMAiN,  Sur  Pétrarque,  Tableau  de  la  Literatnre  au 
moyen  àge.  Le^n  xiii,  t.  ii,  1,  Paris,  Didier,  1846. 

Rastoul  de  Mongest,  Pétrarque  et  son  HèUe,  2  voi.  Bru- 
xelles, Meline,  1846. 

ViENNBT  Fr.,  Pétrarque  et  son  siede,  Revue  Coni.  Avril  et 
Mai,  T.  II,  1852. 

PiNGAUD  L.,  Pétrarque  et  les  Professeurs  aUemands.  Revue 
Gontemporaine,  Nov.  187% 

GiDBL  A.,  Pétrarque  et  les  Troubadours,  These  presentée 
à  la  FacuUè  des  LeUres  de  Paris.  Angers,  Ck)8nier  et  Lachese. 
1857,  di  p.  178, 

Barbt  Euoènb,  Les  Troubadours,  et  leur  influente  sur  la 
LiUérature  du  Midi  de  r  Europe.  Paris,  Didier,  1867. 

MéziBBBS  A.,  Pétrarque,  Ètude  d^aprèsde  nouneaux  do- 
cuments^  Ouvrage  couronné  par  V  Académie  Franose.  Paris, 
Didier,  1868,  deuxióme  ódit. 

È  un  libro,  cosi  il  De  Sanctis,  scritto  senza  enfasi,  con 
semplicità  e  vivacità,  e  che  tu  leggi  intero  d' un  tratto  come  un 
romanzo.  E  lo  diresti  quasi  un  romanzo  psicologico,  dove  sono 
indovinati  e  presentiti  molti  misteri  dell'  animo,  che  danno  la 


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STUDI   SUL  PETRARCA.  817 

Spiegazione  di  parecchi  fatti —  Non  ò  quasi  sorta  di  studii 
che  il  Méziòres  non  abbia  creduto  suo  debito  di  fare  per  sor- 
prendere i  secreti  di  quella  nobile  vita. ...  La  sua  speranza 
era   di  potere  con  questo  recente  studio,  offrire  ai  mondo  il 
vero  Petrarca.  Il  vero  Petrarca,  dice  il  Mézières,  non  è  solo 
scrittore  di  sonetti  e  canzoni;  ma  ò  la  piti  grande  figura  del 
quattordicesimo  secolo,  il  rappresentante  delle  idee  più  ardite 
che  vi  si  sieno  discusse,  il  ristoratore  delle  lettere,  e  il  capo  am- 
mirato di  una  generazione  di  poeti ,  di  latinisti ,  di  dotti.  Nel 
vero  Petrarca  egli  scopre  cinque  passioni,  la  religione,  l'amore, 
r amicizia,  il  culto  delle  lettere  e  il  patriotismo,  le  quali  se 
disputent  sa  vie,  et  échanffent  son  style  de  feu  qu*  eUes  allu- 
meni  au  fond  de  son  dme.  Il  Petrarca  del  volgo  è  T  autore 
del   Canzoniere;  ma  il  Petrarca,  osserva  il  Mézières  non  è 
tutto  nel  Canzoniere.   Quelli  che  lo  giudicano   solo  dalle  sue 
poesie  amorose,  conoscono  i  suoi  piii  bei  versi,  senza  conoscere 
lui.  E  non  lo  si  conosce  che  dopo  di  aver  seguito  il  suo  pen- 
siero non  solo  nel  primo  caldo  di  gioventii,  ma    nell'età  ma- 
tura, a  traverso  di  un  gran  poema,  dell'egloghe,  dell'epistole 
in  versi  latini,  de'  trattati  filosofici,  e  specialmente  della  vasta 
corrispondenza  eh'  egli  teneva  co'  prìncipali  personaggi  del  suo 
tempo.  E  questo  ha  voluto  egli  fare  per  l'appunto —  Con 
tale  intendimento  ha  fatto  un  magnifico  libro,  dove  ha  con 
molta  diligenza   e  con  grand' arte  raccolto  e  riassunto  tutto 
ciò  che  di  più   interessante  è  stato  scritto  sulla  vita  del  Pe- 
trarca, rettificando  o  chiarendo  alcuni  particolari  o  alcuni  punti 
di  vista,  libro  che  si  legg^e  con  piacer»  e  può  essere  consultato 
con  frutto. ...  È  una  elegante  biografia  dove  non  mancano  fine 
osservazioni  e  fatti  interessanti  che  valgono  a  illustrare  il  Can- 
zoniere. Notabili  son  soprattutto  le  belle  pagine  ch'egli  con- 
sacra all'esame  di  questo  capolavoro,   con  giudizii  e  criterìi 
sani  e  con  giusto  concetto  dell'arte.  Ma  il  De  Sanctis  non  se  ne 
contenta:  il  Mézières  è  il  lodatore  non  il  critico  del  Petrarca. 
(Petrarca  e  la  Critica  francese j  N.  Ant.  Sett.  1868,  e  Saggio 
critico  y  Napoli,  Morano,  1869).  —  Il  Fracassetti  chiama  stu- 
pendo il  lavoro  del  Méziòres.  Chiunque  ne  legga  il  libro  pare 
di  aver  conosciuto  di  persona  il  Petrarca,  di  aver  conversato 
con  luì ,  e  di  essere  entrato  a  parte  de'  suoi  più  riposti  pen- 
sieri (Prefaz.  alle  Senili),  —  V.  Amedeo  de  Margeries,  Contem- 


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818  STtDI  SUL   PETRARCA. 

porain»  Livr.  29,  Février,  1860;  Ai.  D'Ancona,  Nuova  Antol 
Marzo  1868,  v,  584. 

Babington  Macaulat  Tommaso,  Petrarca,  Saggi  Biogr.  e 
CriUci,  ToriDO,  1862,  in,  97-114. 

SiMPSON  A.  F.,  Petrarch.  Contemporany  Revie'w,  LugHo. 
1874. 

Qhivizzani  Gaetano,  Francesco  Petrarca  e  il  suo  Secoic. 
0\ìera,  Monumentale  da  pubblicarsi  pel  V  secolare  Aonìversah? 
della  sua  morte.  Il  manifesto  venne  stampato  a  Napoli  dalb 
Tip.  De  Angelis,  e  porta  la  data  del  5  Sett.   1873. 

A  celebrare  il  quinto  Centenario  dalla  morte  di  Frane.  Pe- 
trarca,  il  eh.  slg.  prof.  Ghivizzani,  come  aveva  egregiamente 
fatto  per  la  festa  secolare  di  Dante,  si  era  proposto  di  mettere 
insieme  e  pubblicare  un  volume  dove  si  avesse  a  trattar? 
compiutamente  e  sotto  ogni  rispetto,  la  grande  figura  del  no- 
stro maggior  lirico.  Che  dovesse  riuscire  un*  opera  iaiportai;- 
tissima,  e  di  grande  onore  alla  nazione  ed  a  chi  la  divisò,  ne 
dan  certezza  e  gli  argomenti  che  vi  doveano  essere  svolti,  ed 
i  nomi  illustii  che  n'avean  tenuto  T  invito.  Sventuratamente, 
o  che  gli  fallissero  gli  associati,  o  che  la  mole  dell*  opera  gli 
fosse  cresciuta  di  troppo,  e  perciò  troppo  ingente  lo  spendio, 
la  stampa  non  ebbe  luogo.  Ma  perchè  resti  memoria  del  no- 
bile intendimento,  ne  pubblico  il  Manifesto,  segnando  con  aste- 
risco le  Memorie  che  poscia  videro  la  luce  ne*  Periodici  nostri. 

I.  Della  stirpe  di  Francesco  Petrarca,  co.  Luigi  Passerini. 

—  II.  La  giovinezza  di  Francesco  Petrarca,  prof.  Uffa  Antonio 
Amico.  —  *  III.  Convenevole  da  Prato,  maestro  del  Petrarca, 
prof.  Ales,  d^  Ancona.  —  IV.  Laura ,  Erminia  Fnà  Fusinaio. 

—  V.  Condizioni  politiche  e  commerciali  nel  secolo  del  Petrarca, 
e  dei  suoi  viaggi ,  Michele  Giuseppe  Canale.  —  *  VI.  Il  Pe- 
trarca visita  Roma  nel  1337,  Achille  Monti.  —  VII.  Il  Petrarca 
e  il  Re  Roberto  di  Napoli,  Bruto  Fabbricatore.  —  *  VIII.  Il 
Petrarca  in  Campidoglio,    Francesco  Labruszi   di  Neasima. 

—  IX.  La  famiglia  Colonna  protettrice  del  Petrarca,  e  spe- 
cialmente di  Stefano  e  di  Giovanni,  Oreste  Raggi.  —  X.  Il 
Petrarca  in  Parma  e  in  Selvapiana,  Amadio  Ronchini.  — 
XI.  Il  Petrarca  in  Verona,  Michelangelo  Smania.  —  XII.  Il 
Petrarca  in  Carpi,  Achille  Caprari,  —  XIII.  Il  Petrarca  in 
Mantova,  Cesare  Loria.  —  *  XI V.  Il  Petrarca  in  Ferrara,  Luigi 


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STUDI  SUL  PETRARCA.  819 

Napoleone  Cittadella.  —  XV.  Il  Petrarca  in  Vicenza,  Jacopo 
Cabianca.  —  *  XVI.  La  Certosa  di  Montrieu  e  Gerardo  Petrarca, 
Jacopo  Bernardi,  —  XVII.  Il  Petrarca  in  Milano,  Cesare  Do- 
-nati.  —  XVIII.  II  Petrarca  in  Bologna  all'esequie  di  Papa 
"Urbano  V,  Francesco  Bertolini.  —  *  XIX.  Il  Petrarca  a  Padova 
e  a  Venezia,  non  che  di  Jacopo  e  Francesco  da  Carrara,  An- 
tonio MalmignaU.  —  XX.  La  vita  e  le  memorie  del  Petrarca  in 
^rquà,  Carlo  Leoni,  XXI.  Le  memorie  del  Petrarca  in  Arezzo, 
Corrado  GargioUi.  —  XXII.  Onori  al  Petrarca  in  vita  e  in 
xnorte,  F.  Ramognini,  —  XXIII.  Il  Petrarca  nelle  sue  epistole, 
«  degli  amici  suoi  principali,  (Jius.  Fracassetti,  —  XXIV.  Il  Pe- 
trarca e  il  Boccaccio,  Isidoro  del  Lungo,  —  *  XXV.  Il  Petrarca 
e  Tommaso  Caloria  di  Messina,    Litterio   Lizio  Bruno.   — 

XXVI.  Le  ambascierle  dì  Fr.  Petrarca,    Carlo  BehigUeri.  — 

XXVII.  Il  Petrarca  e  Cola  di  Rienzi,  Marco  Taharrini.  — 
XXVni.  Il  Petrarca  e  la  Indipendenza  italiana.  Cesare  Cantù. 
XXIX.  Il  Petrarca,  gli  astrologi  e  i  medici  del  suo  tempo, 
Giovanni  Prati.  —  XXX.  La  mente  di  Fr.  Petrarca  e  compa- 
razione di  lui  con  Dante,  Vito  Fomari,  —  XXXI.  La  Religio- 
sità del  Petrarca,  Terenzio  Mamiani  della  Rot>ere,  —  *  XXXII. 
La  Filosofia  del  Petrarca,  Francesco  Fiorentino. -^XXWU.  Pa- 
rallelo tra  le  dottrine  platoniche  e  petrarchesche  sull'amore, 
Carlo  Passaglia.  —  *  XXXIV.  La  Donna  nel  Canzoniere  del 
Petrarca,  O.  Puccianli.  —  XXXV.  Il  Petrarca  poeta  lirico, 
P,  E.  Castagnola.  —  *  XXXVI.  Saggio  critico  sulle  canzoni  sto- 
riche e  politiche  del  Petrarca,  Giosuè  Carducci.  —  XXXVII.  I 
Trionfi  del  Petrarca,  Raffaele  Fomacciari.  —  XXXVIII.  Il 
Petrarca  e  i  suoi  predecessori  nella  lirica  amorosa,  Fabio 
NànnarelU.  —  XXXIX.  Dov'è  più  originale  il  Petrarca,  N, 
Tommaseo.  —  XL.  Come  il  Petrarca  operasse  sulla  lingua 
italiana,  Pietro  Lazzi,  —  XLI.  La  lìngua  italiana  secondo  la 
mente  del  Petrarca,  Bom,  GnoU.  —  *  XLII.  11  Petrarca  e  il  De- 
camerone,  G,  Bozzo,  —  XLIII.  I  Commentatori  di  Fr.  Petrarca, 
C  Correnti.  —  XLIV.  I  Petrarchisti,  Gius.  Aurelio  di  Co- 
stanzo. —  XLV.  Il  Petrarca  e  lo  studio  dell'Antichità,  Eugenio 
Ferrai.  —  XLVI.  La  Prosodia  del  Petrarca,  Y.  Imbriani.  ^ 
XLVII.  La  latinità  di  Frane.  Petrarca,  Michele  Ferrucci.  — 
XLVni.  De  Africa,  L.  Settembrini.  —  XLVIX.  V  Afj-ica  del 
Petrarca,  e  le  Puniche  di  Silio  Italico,  Onorato  Occioni,  — 


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820  STUDI  SUL  PBTIUBCA. 

L.  Le  prose  latine  [Mitiche  del  Petrarca,  Ignazio  Ciampi.— 
*  LI.  Le  prose  morali  e  filosofiche  del  Petrarca,  Vincenzo  Di 
GioìMnni.  —  LII.  Iconografia  del  Petrarca,  Francesco  CerrotL 

—  LUI.  Del  ritratto  di  Mad.  Laura  asserito  ia  santa  Maria 
Novella  di  Firenze,  Luciano  Scarabelli.  —  LIV.  Dello  stadio 
del  Petrarca  in  Germania  e  nelle  altre  parti  d*  Europa,  Jaeopù 
Ferrazsi,  —  LV.  Bibliografia  della  vita  e  degli  scrittori  ohe 
parlarono  del  Petrarca,  Gaetano  Ghieizzani, 

PARALLELI.  —  llattte  e  Petrarea.  —  Parole  di  M.  Leo- 
nardo d'Arezzo  nel  far  comparazione  fì*a  Dante  e  il  P^ran^ 
Lavoro  inedito  secondo  il  Lami. 

Dante,  Petrarca  e  il  Boccaccio  tre  principali  scrittori  pa- 
reggiati. Manetti  Giovanozzo^  Vita  di  Dante,  9;  Jeronitno 
Muzio,  Battaglie,  4>.  80-71. 

Dante  scrisse  piii  fiorentinamente  del  Petrarca,  ma  non 
ebbe  come  lui  elocuzione  codl  poetica  e  pellegrina.  T.  Tetsso, 
Apol.  della  Gerusalemme  Liberata.  —  ScUoini  Anton  Maì-ia, 
Se  la  lingua  toscana  sia  piii  obbligata  a  Dante  o  al  Petrarca, 
Lezione  detta  all*Accad.  della  Crusca  il  3  Marzo  1707.  Disc. 
Accad.  Firenze,  Manììi,  1716,  27-33.  -—  Petrarca  e  Dante  bi- 
lanciati nella  purità  elocutoria.  Proginasmi  poetici  di  Udeno 
Nisielli  (Benedetto  Fioretti),  Firenze,  Martini,  1691,  iv,  264. 
Crespan  G.,  Lingua  di  Dante.  V.  Petrarca  e  Venezia,  p.  196. 
^  Dante  e  Petrarca  paragonati.  L,  Saldati,  Risposta  dello 
Infarinato.  —  Comparazione  di  Dante,  Petrarca  ed  Ariosto.  L, 
Salviatif  Risposta  al  libro  intitolato  Replica  di  Camillo  Pelle- 
gnni,  Firenze,  Padovani,  1588,  p.  30-32.  Varchi,  Brcolano,  392. 

—  Dante,  Petrarca  paragonati.  ^  Dante  preposto  al  Cosmico. 
Bembo,  Prose,  Ediz.  di  Napoli,  i,  182-84. 

Comparazione  fra  Petrarca  lirico,  e  Dante  epico  divino. 
Dialogo  di  don  Nicolò  degli  Oddi,  padovano,  in  difesa  di  Ca- 
millo Pellegrini.  Venezia,  Guerra,  1587,  p.  15-16. 

Dante  e  Petrarca  paragonati  da  Paolo  Beni.  Il  Cavalcanti, 
ovvero  la  Difesa  dell*  Anticrusca.  Padova,  Bolzetta,  1614. 

Borghini  Vincenzo,  Comparazione  fì'a  Dante  e  Petrarca. 
Studi  sulla  Div.  Commedia,  306-13. 

Bettinelli  Saverio,  Dante  e  il  Petrarca.  Nel  suo  elogio  del 
Petrarca. 


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8TDDI  SUL  PETRARCA.  821 

Botia  Carlo,  Dell'indole  del  Petrarca  paragonata  a  quella 
dell'Alighieri)  Lettera  al  sig.  G.  Gresne,  20  Marzo  1835.  Àr- 
ddv.  Stor.  di  Firenze,  Serie  ii,  1. 1,  p.  76.  V.  Fracassetti,  Pre- 
&z.  68,  Ep.  Ili,  482;  Dante  e  il  suo  Secolo,  623-39. 

Paravia  Pier  Aless.y  Diversità  d'indole  tra  lo  scrittore 
della  Div.  Com.  e  il  cantore  di  Laura.  Il  Baretti,  1874,  p.  96 
e   102. 

Leoni  Carlo ,  Paragone  di  Dante  col  Petrarca.  Vita  del 
Petrarca,  Padova,  Crescini,  1843,  e.  ix. 

Cereseto  Giamb.,  Dante  e  Petrarca.  Storia  della  Poesia 
itol.  Milano,  Silvestri,  1857,  voi.  i,  168. 

Agrati  Giovanni,  Parallelo  fra  Dante  e  il  Petrarca.  P  In 
quanto  al  concetto;  U9  In  quanto  allo  stile.  Manuale  di  Lett. 
Petrarca,  p.  78-91. 

Tommaseo  Nicolò,  Dante  e  il  Petrarca.  ]grolegomeni  al  suo 
Comento,  p.  40. 

Cantit,  Cesare,  Parallelo  fra  Dante  e  Petrarca.  Storia  della 
Letter.  ital.  p.  69-76. 

Ferrucci  Franceschi  Caterina,  Comparazione  tra  le  poesie 
di  Dante  e  di  Petrarca.  I  primi  quattro  secoli  della  Lett.  ital. 
I,  325. 

FracassetH  Gii^eppe,  Dante  e  il  Petrarca.  Dante  e  il  suo 
Secolo,  p.  625-639. 

Carducci  Giosuè,  Dante  e  Petrarca.  Studi  Letter.  332.  — 
Dante,  Petrarca  e  Boccaccio.  Id.  71-75.  —  De  Sanctis  Fran^ 
Cesco,  Dante  e  Petrarca.  Saggio  critico  sul  Petr.  p.  5-78  e  seg, 
—  Bozzo  G.,  Proemio  al  suo  Comento  del  Canzoniere  I,  xxiv 
e  seg.  —  Lombardi  Eliodoro,  Discorso,  p.  8.  -^  Aleardi  A., 
Discorso,  p.  39  e  60-62.  —  Crespan  G,,  V.  Petrarca  e  Venezia, 
p.  166.  —  Nani  Ang.,  Saggi  di  critica  storica  e  letter.  78.  — 
Mézières  A.;  Pétrarque,  xvii  e  274. 

OtonelU  Giulio,  Dante  lodato  altamente  dal  Petrarca.  Fer- 
rara, Vassalini,  1586,  a  p.  40,  70,  104. 

Carducci  Giosuè,  Se  il  Petrarca  fosse  invidioso  di  Dante. 
Studi  Better.  322-62. 

Quando  la  parola  d'invidia  è  stata  pronunziata,  il  lavare 
dalla  memoria  del  Petrarca  questa  macchia,  il  ridurre  al  giusto 
valore  certe  prove  e  certi  argomenti,  è  un  debito  di  qualunque 


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822  STUDI  SOL  PSTRABCA. 

ami  la  crìtica  e  la  verità.  —  Tradotto  e  comentato  il  carme 
laudatorio  con  che  piacque  al  Boccaccio  accompagnare  al  Pe- 
trarca un  esemplare  della  Divina  Commedia,  recata  pore  i& 
volgare  ed  interpretata  la  risposta  del  Petrarca,  che  ad  una 
crìtica  imilaterale  potè  apparire  ambigua  e  bassa  a  on  tempo 
e  superba,  al  Carducci  chiara,  nobile  e  dignitosa,  ne  deduce: 
Il  Petrarca,  tacitamente,  è  vero,  ma  in  guisa  che  ognun  se  oe 
accorge,  asserìsce  a  so  il  primato  nelle  lettere  latine,  e  di  (ib 
ha  ragione:  il  primato  della  poesia  volgare  lo  assegna  fran- 
camente airAlighierì,  proseguendone  con  lodi  tutt' altro  clie 
mezzane  V  ingegno,  se  non  che  si  riserva  V  originalità  del  suo 
Canzoniere. 

Dianisi  Giangiacomo,  Petrarca  e  Lamra,  Preparazione  sto- 
rica. Esame  della  Lettera  di  Fr.  Petrarca  su  Dante  (Leit.  15 
del  libro  xxi).  —  gu  questa  stessa  lettera,  V.  Tiraboschi,  Si. 
Lett.  v,  661.  —  Fracfisseiii^  Epist.  voi.  i.  Prefazione,  171  ;  nr, 
399-411  ;  Lett.  Sen.  i,  283.  —  Ugo  Foscolo,  Discorso  sul  Testo, 
Lxxi-Lxxiii.  —  Camillo  Ugoni^  Nota  al  Foscolo,  voi.  x,  91.  Il 
De  Sade  la  tradusse  nelle  sue  Mémoires  pour  la  vie  de  Pé- 
trarque,  ii,  507-16. 

Ponta  P.  Marco,  Qual  sia  il  giudizio  di  m^ss.  Fr.  Petrarca 
intorno  alla  Divina  Commedia  di  Dante,  Pensierì.  Giornale 
Arcadico,  1848,  voi.  cxvi,  166. 

Cipolla  doU,  Carlo,  Quale  opinione  Petrarca  avesse  sul  va« 
lore  letterario  di  Dante.  Padova,  17  Giugno  1874,  Àrch.  Ve- 
neto, 1874,  VII,  p.  2. 

Petrarca  concesse  sempre  a  Dante  il  primo  posto  tra  i  poeti 
volgari,  ma  lo  reputò,  specialmente  dal  Iato  dello  stile,  di  gran 
lunga  inferiore  ai  latini,  e  fece  si  alta  stima  di  sé  da  credere 
di  poter  superarli.  Il  Cipolla  ritiene  il  Petrarca  non  netto  di 
invidia. 

Hortis  AUiUOf  Dante  e  il  Petrarca,  Nuovi  studii.  Estratto 
dalla  Biv.  Europea.  Firenze,  Tip.  editr.  dell' Assoc  1875. 

Nel  libro  Delie  Cose  Memorabili  (1.  ii,  e.  4),  il  Petrarra 
riferisce  due  aneddoti  che  riguardano  T  Alighieri  (Papanti, 
Dante  secondo  la  tradizione,  31).  —  Dal  primo  di  essi  ei  non 
apparirebbe  troppo  parziale  a  Dante.  Ma  V  Hortis,  francheggiato 
dall'autorità  di  nuovi  codici,  e  segnatamente  del  Laureuziauo, 
9  del  Pluteo  xxvi  sinistro,  scritto  interamente  di  mano  di 


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STUDI  SUL  PBTRABGA.  823 

Tedaldo  della  Gasa,  frate  minore,  poi  ministro  provinciale  del- 
'  ordine,  ne  accerta  la  corrotta  lezione  vulgata,  per  cui  vengono 
t  cadere  tutti  i  giudizi^ che  da  essa  traevasi  argomento  da  ac- 
cusare il  Petrarca.  (V.  Foscolo,  Discorso  sai  Testo,  lxxiv). 

Il  Yalentinelli  pubblicava,  come  lavoro  del  Petrarca:  Epi-- 
aphium  Daniis  Aligherii  composiium  per  quondam  recolendae 
rncmoriae  D.  Franciscum  Petrarcha,  qui  dixiU  Omnia  fere 
lemptavi  requies  nusquam  est,  eh*  ei  trovò  inserito  a  e.  63  del 
2od.  cart.  (l.  xiv,  245  del  sec.  XV  dal  fondo  di  Girolamo  Con- 
tar ini  della  Bibl.  Marciana.  Petrarca  e  Venezia,  p.  12).  —  E 
THortis;  Dominus  Fr.  Petrarca  in  laudem  Daniis. 

Laura  b  Beatricb.  Baldacchini  Sav.,  Prose,  i,  186  e  seg. 
—  De  Sanctis  Frane, ,  flaggio  critico  sul  Petrarca ,  66-79.  — 
Crespan  G.,  Petrarca  e  Venezia,  193.  -^  JJeardi  A  leardo. 
Discorso,  p.  42  e  seg.  —  Capponi  (?.,  Storia  della  Rep.  di  Fr. 
L.  ni,  e.  9,  p.  360.  — Mézières^  142.  —  Amori  di  Dante  e  di 
Petrarca  giudicati  da  Gius.  Barbieri,  Leoni,  Dante,  Storia  e 
Poesia. 

Petrarca  e  G.  della  Casa.  —  Marta  Orazio,  Parallelo 
fra  xness.  Fr.  Petrarca,  e  mons.  G.  Della  Gasa.  Opere,  Venezia, 
PasineUo,  1728,  i,  393. 

POLITICA    DEL  PETRARCA.   :-  Hante  e  Petrarca, 

vomlBl  politici.  —  Matscheg  A.,  Petrarca  come  uomo  po- 
litico. Petrarca  e  Venezia,  69.  —  Diverse  condizioni  in  cui 
vissero  i  due  poeti,  19-20.  —  Differenza  tra  Tuno  e  l'altro  si 
riguardo  al  concetto  che  al  fine  politico,  38.  —  Aleardi  A., 
Politica  de'  due  poeti.  Discorso,  69  e  seg.  —  Fiorentino  Fr,, 
Id.  La  Filosofia  di  Frane.  Petrarca,  54.  —  Labruzzi  di  Neosima, 
Id.,  11  Petrarca  in  Campidoglio,  10-19.  —  Mézières  A.,  Concetto 
politico  dei  due  poeti,  Pétrarque,  274.  —  Come  Dante  sentisse 
della  Francia,  306-12.  —  Come  ne  sentisse  il  Petrarca,  312-27. 

Fbrràeu  Giuseppe,  Corso  sugli  studi  politici,  Milano,  Ma- 
nini,  1862. 

Le  lezioni  V  e  VI  hanno  per  titolo  il  Petrarca  (pag.  103, 
148),  ed  ecco  le  materie  che  vi  si  trattano.  —  Lezione  V.  — 


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824  STUDI  SUL  FSTRARCA. 

Dottrina  episodica  di  Egidio  Colonna  —  per  la  prima  ToHa 
occupato  della  persona  del  prìncipe  —  prelude  air  imparzialità 
dei  Signori  — Petrarca  scrittore  politico — rappresentante  d^Ua 
politica  signorile  — >  Maestro  delle  forme  classiche  —  nemico 
del  medio  Evo,  delle  sette  e  dei  tiranni  —  Loda  sempre  la  Si- 
gnoria —  celebra  gli  Angioini  di  Napoli  —  i  Visconti  di  Milano 

—  Cola  di  Rienzi,  Signore  di  Roma  —  ed  avversa  le  repub- 
bliche diventate  centri  di  anarchia  —  sua  meraviglicBa  inno- 
c«nza.  Lesione  VI.  —  Il  Petrarca  sottoposto  alla  tortura  di  cn 
interrogatorio  scolastico  —  risponde  che  il  Papa  e  1*  Impera- 
tore sono  capi  italiani  —  che  convien  rif<H*marli  italianameme 

—  che  urge  di  reintegrarli  a  Roma  e  di  rendere  cosi  Ronu 
air  Italia  —  Inspirazione  dell'Amore  nel  Canzoniere  —  Nel 
trattato  de  RepubUca  optime  adminish'anda  —  nelle  diverse 
Lettere  del  Poeta*  «—  La  Frauda  del  sec.  XIV  giudicata  dagli 
Italiani  —  e  T  Italia  dai  Francesi.  —  L*  ultimo  sguardo  di  Laura 
al  poeta  involatole  dal  destino. 

Rendu  Eugènb,  Pétrarque  homme  poUtìque.  L*  Italie  et 
l'Empire  d'Alemagne.  Paris,  Dentìi,  1859,  p.  31-32;  51^60; 
73-84.  Note  A.  B.  12338.  —  Pétrarque,  scr*Ve  il  Rendù,  pose 
hardiment  la  doctrine  d*  une  politique  nationcUe,  cotte  doctriae 
que  les  publicistes  de  V  Italie  appelleraient  le  doctrine  de  Y  tn- 
dépendance;  et  e' est  ùnsi  que  V  ami  de  Charles  IV  et  de  Rienzi 
mèrito  d'étre  appeló  dans  le  sens  moderne  et  tout  à  ^t  exact 
de  cet  mot,  le  premier  patriote  italien,  p.  73-74. 

MÉziàRES  A.,  La  Politique  de  Pétrarque.  Pétrarque^  xvn- 
xxxix,  e  Chap.  v,  220-284. 

Rapports  de  Pétrarque  avec  les  souverains  PonUfes. 

Chap.  VI,  285-328.  —  «  Le  premier  pix>fesseur  de  V  unite  ita- 
henne  s' appelait  Dante,  le  second  Pétrarque,  le  troisiòme  Ma- 
ehiavel,  »  p.  268. 

Contini  Etisio,  Pétrarqt4e  homme  poUtique.  L*  Italie,  20, 
81  JuiUet,  1874. 

Non  ò  che  un  sunto  di  un  lungo  e  ragionato  lavoro  che 
il  l>ravo  Contini  ci  promette,  e  che  noi  attendiamo  impazienti. 
Eccone  le  conclusioni:  «Pétrarque  n'eut  doue  qu^une  préo- 
cupation  en  politique,  celle  du  bonheur  et  de  la  grandeur  de 
r  Italie^  soit  en  chercant  à  rótablir  la  paix  entre  les  prìnees 
et  les  rópubliques,  soit  en  appelant  le  pape  à  Rome,  soit  adhè- 


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8TDD1  SUL  PETRARCA.  825 

rant  à  la  revolution  de  Cola  di  Rienzo,  soit  enfin  en  appelant 
Tempereur.  Toutes  chosÀ,  cependant,  qui  si  eurent  qu' une 
issue  défeivorable,  hormis  le  retour  d' Urbain  V  à  Rome,  qu'  il 
eut  presque  aussitòt  la  douleur  de  Toir  reprendre  le  cbemin 
d'Avignon.  Quant  à  Grégoire  XI,  la  mort  ne  lui  permit  pas 
de  la  voir  et  lui  épargne  cette  autre  doleur  d*  ètre  témoìn  du 
schisma.  Mais,  une  fois  dans  la  tombe,  tous  ses  désirs  furent 
accompiis  par  une  famille  dont  le  nom  ne  saurait  étre  séparé 
de  celui  de  V  Italie.  Amedeo  VI  parvint  à  conclure  cette  paix 
tant  désiderée  entro  Gènes  et  Venise;  Amedeo  YIII,  par  sa 
prudence  et  sa  générosité  fise  de  nouveaa  le  pape  à  Rome, 
et  Yictor>EmmanueI  a  ftàt  pour  V  Italie  ce  que  Pétrarque  avait 
en  vaia  domande  à  Gole  et  à  Tòmpereur. 

CARDCca  Giosrà,  Studi  Lettor,  p.  66  ;  Presso  la  tomba  di 
Fr.  Petrarca,  14-20.  —  Aleardi  A.,  Discorso  su  Fr.  Petrarca, 
69.  —  Capponi  G.,  Storia  della  Rep.  di  Fr.  1.  ui,  e.  9,  p.  398.  — 
Fiorentino,  La  Filosofia  del  Petrarca,  38  e  seg.  —  D'Ancona,  Il 
concetto  dell' unità  politica  nei  poeti  italiani,  pag.  18  e  seg.  — 
Geiger,  123-201. 

Fr.  Berlan  nelF  Avvertenza  preposta  air  esposizione  della 
Canzone  :  Quel  e*  ha  nostra  natura  in  sé  più  degno,  scriveva  : 
«  Questo  volumetto  è  parte  di  un'  opera  comprendente  le  poesie 
politiche  volgari  e  latine  del  Petrarca.  —  A  far  conoscere  il 
quale  come  uomo  pratico  delie  cose  di  Stato  ed  eminentemente 
italiano,  si  raccoglieranno  in  un  discorso  preliminare  i  passi 
molteplici  di  lui  che  alla  politica  s*  attengono.  » 

Cardona  Luigi,  Il  Petrarca  e  la  corte  Pontificia  in  tre 
lettere  rarissime.  Gazzetta  di  Padova,  Luglio  1874. 

Fr.  Petrarea  Filosofo  (1).  — Cornuni  Giamb.,  Pensieri 
filosofici  estratti  dalle  sue  opere  latine.  I  Secoli  della  Lettor. 
Ital.  i,  243-47. 

Fracassetti  Giuseppe,  Delle  dottrine  filosofiche  di  Fr.  Pe- 
trarca. Ep.  Fam.  i,  lett.  6,  p.  295. 

Conti  Augusto,  Petrarca  filosofo  schernì  la  falsa  dottrina 
degli  Averroisti.  Cose  di  Storia  e  d'Arte,  473-78. 

(1)  Ingenio  ftii  aequo  potins  quam  acato,  ad  omno  bonum  et  salubre 
studium  apto ,  8©d  ad  moralem  praedpue  pMl08Ophiam  et  ad  poelicam 
prono.  Eptst.  ad  Posteros. 

52 

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826  STUDI  SUL  PJBTRARCA. 

Di  Giovanni  Vincenzo,  Le  prose  morali  e  filosofiche  di  Fr. 
Petrarca,  Scuola,  Scienza  e  Critica,  Palermo,  Lauriel,  1^4 
p.  225-269. 

«  Poeta  e  Filosofo ,  il  Petrarca  annoda  nell*  assoluto  Bello 
e  neir  assoluto  Vero  la  scienza  e  Tarte  appuntandole  entrambe 
nell'assoluto  Bene  (1).  La  bellezza  reale  fu  a  Ini  simulacro 
della  bellezza  ideale,  e  nel  bello  per  so  stesso^ altro  non  vide 
che  lo  splendore  del  vero.  >  ^  Il  Di  Giovanni,  filosofo  pur  egU 
insigne,  ci  addita  come  le  opere  Filosofiche  del  Petrarca  sien 
di  natura  diversa:  le  une  rappresentano  il  contrasto  e  ì! 
dramma  che  hau  fine  nell'accordo  e  nella  risoluzione  finale 
dialettica;  le  altre  suppongono  la  risoluzione,  mancano  del 
dramma,  e  respirano  tranquillità  di  anima  e  serenità  di  ragio- 
namenti, queir  inveni  requiem  eh'  ò  inciso  sopra  una  delk 
quattro  colonne  che  sostengono  in  Arquà  il  mausoleo  del  Poeta. 
^  Deir  Opere  morali  e  filosofiche  ce  ne  dà  come  il  midolk), 
e  da  par  suo.  Chiunque  poi  voglia  conoscere  daddovero  il  Pe- 
trarca, anche  in  questa  parte  del  sapere,  in  che  riluce  pur  tanto, 
debbe  leggere  attentamente  questo  studio  importantissimo,  e 
son  certo  che  ne  rimarrà  innamorato. 

Fiorentino  Francesco,  La  filosofia  di  Fr.  Petrarca,  stu^o 
(Estratto  dal  Giornale  Napolitano  di  Filosofia  e  Lettere,  opus, 
di  p.  56).  Napoli,  Perrotti,  1875. 

«Mente  speculativa,  come  oggidì  sogliamo  dai  filosofi  ri- 
cliiederla,  il  Petrai^ca  non  ebbe,  o  forse  non  volle  avere;  ma 
sottile  indagatrice  dei  contrasti  della  vita  più  potente  però  a 
svelarli  che  a  comporli  in  armonia....   In  Petrarca   non  c'è 


(1)  Il  Petrarca  era  filosofo,  ma  soprattutto  cristiano^  ed  ei  molte  vQ!t» 
sì  compiace  di  farne  dichiarazione  solenne.  —  Si  mirari  Ciceronem  hoc  e>: 
ciceronianum  esse,  ciceronianus  sum.  Àt  ubi  de  religione,  de  samma  vt^ 
ritate ,  de  vera  felicitate  deque  aeterna  salate  agitur ,  non  ciceroniana^ 
certe  aut  plotonicus,  sed  chrtstianus  sum  (De  sui  ipsitts  et  multortàm  17*40- 
rantiaj.  —  Vis  esse  sapiens,  esto  pius:  amator  scìentiae,  sed  virtutis  màffi*: 
ainicus  Aristotelis.  sed  amicitior  Christi ,  sine  mio  fìindamento  quìdifa^ 
aediflcas  procul  dunio  ruiturum  est  fSen.  xin,  5).  Vera  Dei  sapientia  Christ.:> 
est  ;  ut  vere  philosophemur  ^  ille  imprimis  amandus  nobis  atque  eden  J3s 
est.  Ante  omnia  chnstiani  simus  ;   ad  Evan^eiium  velut  ad  summam  ver. 

arcem  referenda   sunt  omnia Verus   phUosophus  verse  sapientiac  fsi 

amator,  vera  autem  Dei  sapientia  Christas  est  fòe  f^era  sapieneiaj.  —  Oc: 

glura  contra  Christi  fidem  dicere  audio,  eo  Christum  magis  amem  *'t  i 
Ihristi  fide  sim  firmior.  Ita  mihi  nerope  aocidit  ut  ai  quia  in  patria  amer? 
tepentior  de  ilio  audiat  obloquentes ,  amorque  qui  aopitus  videbatar  iko: 
mardescit,  ita  enim  eveniat  necesse  est  si  verus  est  filius  fDe  sui  /»«•  '^ 
et  multorum  ignorantia). 


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STUDI  SUL  PETRARCA.  827 

una  filosofia,  ma  c'ò,  se  mi  si  permette  la  frase,  un  contenuto 
filosofico.  E  c'è  anche  dippiù;  c'è  il  contrasto,  c'è  il  dubbio, 
e* è  la  nessuna  fiducia  nell'autorità;  e  quindi  tutte  le  condi- 
zioni del  fi[lo80iare.  —  Nel  Petrarca  c'era  quella  disposizione 
di  animo  ad  accogliere  il  vero,  senza  guardare  ad  autorità  di 
uomo^  né  piegatasi  ad  accettare  un'  opinione ,  anche  general- 
mente invalsa,  senza  discuterla.  —  Il  Prof.  Fiorentino,  ragio- 
nando^ va  al  fondo,  e  ci  diede  un  lavoro  veramente  bellissimo, 
ch'io  lessi  e  rilessi,  e  sempre  con  nuovo  piacere. 

Maggiolo,  Essai  sur  la  philosophie  morale  de  Pétrarque^ 
et  parHculérement  sur  son  Tratte  intitulé  de  Contemptu  Mundi. 
Mémoìres  de  l'Accad.  de  Stanlas,  Nancy,  Raybors,  1863. 

BoNiFAS  Fr,  ,  De  Petrarca  Philosopho ,  Thése  présentée  d 
la  Faculté  des  Lettres  de  Paris.  Paris,  Durand,  1863. 

Burle,  Geschichte  d.  neu  Phil.  1794,  Bd.  n,  35-59.  — 
Hist.  Philosoph.  moderne,  Paris,  1816. 

4L  n  Buhle  consacra  un  bel  capitolo  alla  Filosofia  del  Pe- 
trarca, e  nota  come  mentre  le  scuole  tuttavia  romoreggiavano 
d' inutili  questioni,  «  Pétrarque  introduisait  sa  philosophie  mo- 
deste, qui  enseignait  des  vérités  utiles,  en  méme  temps  que  la 
vérìtable  vertu.  Nul  écrivain,  pendant  tout  le  mojen  àge  et 
jusqu'à  lui,  n'eut  égard^  d'une  maniere  aussi  immediate  aux 
vrais  besoins  théorétiques  et  pratiques  de  genre  humain,  ne 
porta  une  attention  aussi  sevère  sur  soi-méme  et  sur  les  autres, 
ne  porta  autant  d'esprit  et  de  connaissances  de  la  philosophie 
des  anciens,  enfìen,  ne  s' exprima  avec  autant  d' art  et  dans  un 
style  aussi  ólégant  (I®""  Par.  eh.  in,  p.  98).  —  Il  Brucherò  giu- 
dicò delle  opere  morali  del  Petrarca  che  non  sono:  aridi  de- 
serti di  controversie  inutili  per  la  emendazione  deli'  animo,  ma 
orti  fiorenti  di  eleganti  ed  utili  osservazioni  prese  da  ogni 
letteratura  ;  e  i  medesimi  suoi  libri  poetici  ed  istorici,  e  quelli 
singolarmente  delle  Cose  Memorande^  palesano  il  suo  ingegno 
sempre  pieno  di  vera  filosofia.  »  (De  primo  Conatu  restii.  Phi^ 
losophiae,  e.  i,  §  viii).  Di  Giovanni. 

Frane.  I^etrarca,   Precursore  della  RlnaMcensa. 

—  Pa^li  Alessandro,  Il  Petrarca  precursore  della  Rinascenza. 
(Nuova  AntoL,  voi.  xix,  Mai-zo  1873,  p.  510-53). 

Giani  Giulio  Francesco,  Petrarca  precursore  e  iniziatore 


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828  8TDDI  SUL  PBHUBCA. 

del  rinascimento^  Discoreo.  Perugia,  Boncompagni ,  1874,  <ii 
pag.  62. 

Si  propone  di  moetrare  nel  Petrarca  «  il  re  del  rinasci- 
mento,  le  lotte  che  per  queato  dovè  aostenere,  le  ùÀicbe  a  che 
dovè  andare  incontro,  i  risultati  cbe  contribuì  a  dare  «1  genera 
umano.  ». 

Conti  Augusto,  Prove  storiche  del  Discorso  del  Ceniena- 
ìHo.  Cose  di  Storia  e  d'Arte,  470-482. 

Frane.  Petrarca  fu  scrìttore  di  latinità  elegante:  FìIoso^k 
schernì  la  falsa  Scolastica  degli  Averroistì;  conobbe  ehe  biso- 
gna interrogare  la  natura,  e  raccomandò  sempre,  per  la  scienza 
de'  fatti  sensibili  e  delle  cause  loro,  l'osservazione  di  quella  e 
i  metodi  speri^^entali ;  quanto  alla  scienza  dell'animo  racco- 
mandò la  meditazione  dell'uomo  e  della  storia:  in  secolo  di 
sanguinose  discordie  che  preparavano  più  secoli  di  servitù, 
egli,  buon  cittadino,  gridò  pac^,  pace^  pace,  e  ricordò  V  antica 
disciplina  dell'armi  nostrali.  Fu  cattolico  sincero,  favorito  da 
Papi,  volle  il  ritomo  della  Santa  Sede  a  Roma.  Scrìttore  in 
lingua  volgare,  pressoché  tutte  le  parole  di  lui  pressoché  tutti 
i  modi  son  vivi  ancora;  Poeta,  cantò  un  amore  che  da  vecchio 
potò  chiamare  verecondo.  —  E  di  questo  il  Conti  ci  parla  con 
grazia  e  purezza  di  lingua,  come  sempre,  e  con  soda  dottrina. 
Mézières  a.,  Pétrarque  restaurateur  des  Letires.  Pétrarque 
Chap.  VI,  328-76. 

ZiNOSBi^  A.,  Kleine philologische  Abhandlungel,  Insbruck, 
1871.  Piccole  dissertazioni  filologiche,  l  Helf.  —  Dalla  pag.  I 
alla  24  parla  della  relazione  che  corre  fra  il  Petrarca  ed  i  poeti 
romani. 

Gbiobr  Ludwig,  Petrarka.  Leipzig,  Ducker-Humblot,  1874. 
Traduzione  dal  tedesco  di  Angusto  di  Cossilla^  Milano,  Ma- 
nini,  1877. 

Nella  prima  parte,  V  umanismo^  è  ben  istudiato  1*  interno 
dell'  animo  del  Petrarca,  eh'  è  considerato  non  solo  come  poeta 
ed  umanista,  ma  anche  ne' suoi  sforzi  pel  rinnovamento  della 
scienza.  Nel  Petrarca  e  ritalia,  egli  vede  in  lui  il  primo  che 
estraneo  alle  passioni  ed  alle  lotte  inteme ,  si  levasse  al  in- 
cetto della  nazione,  e  nelle  sue  relazioni  coi  principi  dln^ostra 
come  a  'lui  mancasse  il  senso  pratico  delle  cose  pubblidie,  ma 
ch'ebbe  animo  ben  altro  che  servile.  Nell'ultima  parte  Pe- 


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STUDI  SUL  PETRARCA.  829 

irarca  e  Laura,  egli  crede  che  Laura  non  fosse  la  De  Sade, 
né  che  fosse  maritata.  La  traduzione  dei  brani  a  prova  recati, 
è  sempre  fedele.  Il  Geiger  cercò  con  lungo  studio  e  grande 
amore -«tutte  le  opere  del  Petrarca,  e  perciò  ci  ha  dato  un 
lavoro  assai  interessante,  specialmente  la  parte  che  riguarda 
r  Umanismo,  È  pur  \*  autore  del  Petrarca  in  Germania,  V. 
Nuowi  Antologia,  xxvii,  230;  HiUebrand  Karl,  Wàlsches  und 
Deutsches,  Berlino. 

Oeiobr  Ludwig,  Neue  Schriften  zur  Gesckichte  des  Hu- 
tnanismits.  Nel  Historische  Zeitschrift,  xxxiii; 

Hettner,  Del  Petrarca  e  del  Boccaccio,  considerati  come 
fondatori  della  coltura  del  Rinascimento  in  Italia,  Rivista 
Intemaz.  Britt.  Germ.  Slava,  1876,  44-52. 

L' Hettner  considera  questi  due  sovrani  ingegni,  che  con 
Dante  formarono  l'immortale  triade  dei  pensiero  italiano,  non 
come  scrittori,  ma  come  eruditi,  e  come  gli  arditi  pionieri  del 
risorgimento  italiano.  Ma  ei  vuol  pur  provare,  e  lo  prova  in 
fatti,  come  sìa  erroneo  scindere  in  essi  l'erudito  e  il  poeta; 
come  r  anima  di  questi  grandi  mentre  estrinsecava  sé  stessa 
nelle  diverse  creaùoni ,  nutrisse  la  mente  nel  bello  classico, 
polenddo  dalla  polvere  ehe  la  caligine  medioevale  aveavi  am- 
montata. E  rapidamente  ci  fa  assistere  T  Hettner  a  questo 
grande  trapasso  di  un  secolo,  che  vale  per  dieci,  e  ci  mostra 
la  lotta  delle  tenebra,  colla  luce,  e  V  arte  sorella  alla  poesia,  e 
ad  entrambe  madre  la  scienza,  la  quale  allora  non  era,  no,  la 
fredda  scolastica ,  ma  voce  solenne  di  redenzione  e  d'  affetto  ; 
cosi  come  la  poesia  si  elevava  alle  supreme  regioni,  e  T  arte 
insegnava  dipingendo. 

Capelu  àloizbgo,  prof.  nell'Università  di  Vilna,  Petrarck 
ntuazany  jaho  Poeta,  Filolog,,  Moralista,  Wilnie,  Josef  Zawa-* 
dazky,  1817.  —  Petrarca  considerato  come  poeta,  filologo  e 
moralista. 

P.  VAN  Walrjbe,  Oì>er  den  inoloed  txin  Petrarca  op  de 
Klassiehe  Letterkunde,  Dell'  influenza  del  Petrarca  sulla  lette- 
ratura classica.  Nel  periodico  il  Magazzino  per  le  scienze,  arti 
e  lettere,  1826,  p.  34. 

Van  Gk)iiD0BVER,  Oratio  de  Francisco  Petrarca,  Hterarum 
humaniorum  saeculo  XI  VinstauratQrepraedpuo,  Annal.  Accad. 
Rheno-Traiectanae,  1827-28. 


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830  snmi  slx  PETSABCà. 

Làbiebs  C.  H.  W.,  Dispuiatio  hittorica  UUrcuria  de  Fr.  Pc- 
trarcae  vita,  moribtiSy  ei  in  bonas  literas  mentis.  Nel  Periodico 
De  Gids  (U  Guida),  1842. 

È  divisa  la  quattro  parti:  L  De  UDiveraa  literamm  jnedio 
aevo  cooditiooe:  II.  Francisci  Petrarcae  vita:  III.  Peirarcae 
characterbmus:  IV.  De  Petrarcae  in  bonas  literas  merìtis. — 
Su  questa  dissertazione  il  valente  prof.  /.  C.  G.  Bloot,  allora 
giovanissimo,  dettò  un  articolo  assai  interessante. 

De  Profifei  van  het  Humanisme  cene  voorleùng  doar  dJ 
W.  DooRBNBOs,  1860,  bj  £.  Verwer  te  Winschoten.  Petrarca 
vaticinatore  e  precursore  dell'Umanismo. 

GiAMPifiTRi  M.  J.,  Péirarque  écricain  saiirique.  Constanti- 
nople,  Impr.  du  ^Courier  d*  Orient,  1874. 

Giuliani  ca.n.  Giamb.  Carlo,  Fr,  Petrarca  e  la  sita  sco- 
perla  deW  Epistole,  Ai*chivio  storico  italiano,  voL  xxui,  187(), 
p.  348-63. 

Nessuno  cU  me ,  fln  dai  primi  anni  deDji  mia  vita  ta  amato  tanto  «d 
ammirato,  quanto  è  Cicerone  (Ep»  Fcsm,  xxj,  10).  —  Io  lo  venero  ed  ammiro 
come  mente  per  divino  ingegno  preclara  (Ep.  Pam.  xvin,  i4).  —  Di  qoegB 
nomini ,  di  quegl'  ingegni ,  di  quelle  voci  non  se  ne  trova  che  una  (Ep. 
Fam.  XVIII,  12).  —  O  della  romana  eloquenza  padre  e  signore,  a  te  non  io 
solo,  ma  tutti  immortali  grasie  rendiamo,  noi  che  ad  irrigare  i  nostri  prati 
della  fonte  toa  deriviamo  le  acque,  a  te  seguendo  dnoa  e  maastro,  ae  ci 
vien  fatto  in  qualche  modo  di  acrivaro ,  sol  tua  mercè  d'avario  ottemto 
facciam  solenne  professione  (Ep.  Fam,  xxiv,  4)1  —  Né  gli  avviene  mai  dì 
ricordarlo  che  non  ne  parli  con  entusiasmo.  Né  mai  più  lieti  e  sereni  gli 
parvero  i  giorni,  né  più  rallegrata  la  solitudine  del  suo  Elicona  transalpino, 
che  quando  potè  bearsi  a  tutto  suo  ball' agio  della  léllnra  del  suo  Gicaroae. 
Bd  egU  ne  disaeppelli  molte  opere;  trascrisse  di  sua  mano  molle  orajnonì, 
r  Epistole,  quelle  ad  Attico  (l'autografo  è  nella  Laur.  Cod.  vit,  pi.  49;  God. 
XXXV,  plut.  53),  e  fu  coDtinuo  in  quel  supremo  luminare  delle  lettere  latine. 
01  trecche  pregato  da  Giovanni ,  vescovo  Trìcastrino  (Colo) ,  bibliotecario 
di  Clemente  VI,  a  nome  anche  del  ponisAoe ,  aveasi  tolto  1*  incarico  non 
pur  dispome  in  ordine  l' opere,  ma  di  oomentarie.  —  De  ip»tu  Cietvonis 
Hbris  in  ordinem  digerendù,  et  quaruméann  veliUi  eeintUiarum  lumine 
declarandis  (Ep.  Fam.  vii,  4).  —  Petrarca  e  Cicerone,  Geiger^  9fi;  Afe- 
zUre%  xxni  e  238  ;  Cicerone,  maestro  di  Filosofia  al  Petrarca.  Mèxièrea^  414. 

Della  latinità  di  Fr.  Petrarca,  FracassetU^  Ep.  Fam.  lu,  381. 
—  Rossetti,  Poem.  Min.  i,  xxvi.  —  Mézières,  Pétrarque,  343. 
Schneider,  Fr.  Petrarchaa  Hietoria  Jul.  Caesaris,  Bi'eelaviae» 


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STUDI  SUL  PETRARCA.  831 

1827,  xxxvii-Lzxx.  —  Petrarca,  autore  di  latinità  elegante, 
Comi,  CJoee  di  storia  e  d*arte,  479.  —  V.  Lo  Schoppenhaurer, 
Parerga  e  Parolipomena,  ii,  550.  •—  E  il  YaUauri:  «  doctis* 
simì  literamm  elegantiaruni  arbitri  juxta  meum  opinaatur, 
Petrarcam  in  epistolis  infra  multorum  laudes  substitisse,  qui 
saecnlo  sexto  decimo  apud  italos  floruerunt.  »  Opus.  Yaria, 
Aug.  Taur.  Fodratti,  1876,  p.  546. 

Gradenioo  Giangirolimo  ,  Lettera  aW  Em,  Siff.  Card.  An- 
gelo M.  Querini  intorno  agli  italiani  che  alia  fine  del  sec,  XIV 
seppero. di  greco.  Venezia,  Bettinelli,  1743.  —  Petrarca,  pag. 
116-123.  —  Ephbm.  Florbnt.  t.  iii,  art.  v.  —  Baldelli,  Vita 
(li  G.  Boccaccio,  Illustr.  i,  252.  —  Fracassetti  G.  Epist.  iv,  92. 
—  Giani  Giulio,  Pel  V  Cent.  38-46.  —  Geiger,  Petrarca^  102, 
104.  —  Pellegrino  D.  Arsenio,  monaco  basiliano  a  Grottafer- 
rata,  Frane.  Petrarca  e  O.  Boccaccio  e  lo  studio  del  greco  in 
Italia.  Roma,  Ghìapperino,  1875. 

Foscolo  Ugo,  Petrarca  ristoratore  delle  Classiche  lettere. 
Opere,  Ediz.  Le  Monnier  x,  62.  —  Capponi  Gino,  Storia  della 
Rep.  di  Firenze,  1.  iv,  e.  9,  p.  228. 

Yoigt  Georg.,  prof,  nel!' Univ.  di  Rostock,  Die  Wiederbe- 
lebung  des  klassischen  Alterthums  oder  das  erste  Jahrhundert 
des  Humanismus.  —  La  restaurazione  dell' anticbitÀ  classica, 
ossia  il  primo  secolo  dell* umanismo.  Berlino,  1859.  I  meriti 
del  Petrarca  a  vantaggio  dell' umanismo ,  secondo  il  Mézières 
ed  il  Geiger,  vi  sono  apprezzati  maestrevolmente,  e  da  un 
punto  di  vista  affatto  nuovo.  ^  Raumer  Cari,  Geschichte  der 
E^agogik  von  Wiederaufbliihn  klassiscfaer  Studìen  bis  auf 
unsere  Zeit  Storia  della  Pedagogia  al  rinascimento  degli  studi 
classici  sino  dal  tempo  nostro.  Stuttgar,  1843.  -—  SchùckJul. 
Zur  Karakteiistik  der  italieniscben  Humanisten  des  vierzehnten 
und  fun&ehnten  Jahrhunderts  :  Saggio  sugli  umanisti  italiani 
dei  secoli  XIV  e  XV.  Eresia  via,  1857.  —  Burckhardt  Jac. 
Die  Cultur  der  Renaissance  in  Italien.  Le  civiltà  del  secolo  del 
rinascimento  in  Italia.  Breslavia,  1860. 

Per  noi  e  per  T  Europa,  il  Petrarca  è  anzi  tutto  il  ristaura- 
tore  della  gloriosa  antichità,  e  il  duce  che  pel  deserto  del  medio 

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832  STum  SUL  Petrarca. 
evo  incominciò  il  nostro  esodo  dalla  servitù  dei  popoli  barbari 
Carducci^  Studi  Lett.  342.  —  Egli  merita  il  primo  poeto  fra  gli 
uomini  grandi  a  cui  dobbiamo  il  risorgimento  della  scienza; 
e  il  suo  amore  entusiastico  a  questa  nobile  causa  costituisce 
il  suo  titolo  più  giusto  e  più  splendido  alla  gratitudine  della 
posterità.  Egli  fu  l'adoratore  della  letteratura,  Famò  d* amore 
perfetto;  T adorò  con  culto  quasi  ematico;  fu  il  miasionario 
che  proclamò  le  rivelazioni  di  essa  in  remote  contrade  ;  il  pel- 
legrino ohe  viaggiò  da  ogni  banda  per  raccoglierne  le  reliquie; 
r  eremita  che  si  ritirò  in  solitudine  per  meditare  sulle  sue 
bellezze;  il  campione  che  combattè  le  sue  battaglie;  il  TÌnci- 
tore  che  in  senso  più  che  metaforico  condusse  in  trionfo  dietro 
a  so  la  barbarla  e  T ignoranza,  e  ricevè  in  Campidoglio  1* al- 
loro che  la  sua  magnifica  vittoria  aveagli  preparato Vìsse 

apostolo  della  letteratura,  mori  suo  martire:  ^li  fu  trovato 
estinto  col  capo  appoggiato  sopra  un  libro.  Motcauìay,  Petrarca. 
—  Ma  io  non  posso  tenermi  dal  riferire  per  intero  lo  splendido 
brano  con  che  il  prof.  Domenico  Berti,  ornamento  insigne  dello 
Studio  di  Roma,  e  della  cui  benevoglienza  grandemente  mi 
onoro,  preludendo  al  suo  corso  della  Storia  della  Filosofia,  ci 
presentava  eloquentemente  condensati  i  meriti  del  Petrarca  nella 
restaurazione  delle  lettere.  ^  «  Ne*  primordi  di  questo  risor- 
gimento 8*  estolle  gigante  sui  coetanei  un  uomo  di*  ò  ad  un 
tempo  poeta,  storico,  filosofo,  erudito  e  cultore  delle  belle  artL 
Esso  è  latino  per  sangue  e  per  sentire,  latino  per  V  amore  cha 
porta  alla  classica  antichità  e  per  avversione  a  quanto  è 
grossolano  ed  impuro  negli  scritti  del  tempo.  Ogni  cosa  bella 
e  grande  si  conviene  al  suo  ingegno  fino,  squisito,  ampio  ga- 
gliardo, ed  al  suo  animo  nobilissimo.  Comprende  ne*  suoi  affetti 
e  ne*  suoi  studii  Platone  e  S.  Agostino,  Cicerone  e  S.  Gerolamo, 
Seneca  e  Boezio,  Davide  e  Virgilio.  Ha  gusto,  e  tempo  per 
tutto.  Corre  per  tutta  1* Europa  visitando  scuole,  templi,  mo- 
numenti, studiando  uomini  e  cose.  È  in  commercio  di  lettere 
con  Cardinali  con  Principi  con  Re  con  Imperatori  con  quanti  sono 
i  dotti  che  primeggiano  in  Italia  e  fuori.  Sostiene  ambasciate 
e  legazioni,  dà  opera  a  raccogliere  parte  ddle  opere  di  Cicerone, 
talune  di  Quintiliano  e  di  Varrone  e  parte  di  quelle  di  Platone. 
Instaura  lo  studio  del  greco^  e  vi  attende  egli  stesso  sotto  il 
Barlaamo  al  quale  paga  del  suo  la  versione  dell*  Diade*  Pieno  di 


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STUDI  SUL  PBTItARCA.  833 

lobile  ira  e  di  nobili  concetti  si  leva  contra  i  grossolani  dia- 
ettid  del  suo  tempo,  che  viziando  i*  educazione  della  gioventù^ 
mantenevano  la  barbarie  nella  scuola  e  nei  libri  col  loro  modo 
strano  di  argomentare  e  di  scrivere.  Rivendica  contro  i  medici, 
L  quali  non  ammettevano  che  V  utile  e  le  cose  palpabili,  i  pia- 
ceri spirituali  ed  i  sentimenti  umani  che  procedono  dalle  lettere, 
3   ne  tratteggia  con  rara  chiarezza  e  pellegrini tà  di  concetti 
^11  uffici  civih  e  cristiani.  E  reputando  e  non  a  torto  Taver* 
roiamo  come  un  nemico  principale  dei  buoni  studi,  delle  dot- 
trine tnorali  platoniche  e  cristiane  e  del  bello  nella  poesia  nelle 
arti  e  nelle  lettere,  lo  combatte  con  lena  istancabile  con  grande 
coraggio  valendosi  ora  del  ragionamento  filosofico  ora  del  sar- 
casmo ora  degU  altri  argomenti  che  le  condizioni  delle  scienze 
d*  allora  gli  consentivano.  —  Nella  sua  autobiografia  descrive  e 
g^iudica  con  tanta  imparzialità  le  sue  passioni,  le  sue  inclinazioni, 
le  sue  colpo,  il  suo  soverchio  desiderio  di  gloria  che  ben  si  può 
dire,  per  usare  di  sua  espressione,  eh'  egli  è  pittore  sincero  di 
sé  atesso.  I  suoi  scritti  rifulgono  di  sentenze,  di  considerazioni 
pellegrine  e  sono  oltre  modo  ricchi  di  fatti  e  di  osservazioni 
psicologiche.  Anticipa  sugli  scrittori  del  suo  tempo  in  molti 
de*  suoi  giudici  e  sentimenti,  ed  è  affatto  moderno  nella  fede 
che  ha  vivissima  negli  avanzamenti  di  ogni  sorta  ed  in  quel 
suo  affermare  che  gli  uomini  sono  piuttosto  pei*  venir  meno 
alle  indagini  di  nuove  cose  che  non  le  nuove  cose  agli  uomini." 
Ma  è  moderno  ed  antico  ;  uomo  dell*  oggi  e  dei  migliori  tempi 
nel  suo  amore  per  T  Italia  e  per  Roma.  Egli  riunisce  in  im 
solo  e  medesimo  affetto  e  V  una  e  V  altra  e  come  non  sa  che 
altri  lo  avanzi  nell*  amor  della  patria  e  del  sentimento  italiano, 
cosi  non  vuole  che  ninno  gli  stia  a  pari  in  quello  di  Roma. 
E  tanto  gli  ò  cara  la  Roma  antica  di  cui  a  suo  giudizio  non 
vi  fu  e  non  vi  sarà  mai  la  eguale,  la  Roma  che  fu  detta  dagli 
stessi  nemici  la  città  dei  Re,  quanto  la  Roma  cristiana  semi- 
nata delle  ossa  dei  martiri.  ÀÙ*  Italia,  ed  ali*  una  ed  ali*  altra 
di  queste  due  Rome,  sempre  anela  co'  suoi  desiderii  e  volendosi 
rendere  meritevole  della  corona  poetica  credette  solo  degno  di 
canto  un  italiano,  le  cui  gesta  tornano  a  tanta  lode  della  patria 
e  massime  di  Roma.  —  L*  opera  del  Petrarca  per  rispetto  al 
grande  rivolgimento  intellettuale  italiano  che  porta  il  nome  di 
Rinasdmento  fu  adunque  di  tanto  valore  che  questo  solo  ba- 

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834  8T0DI  SOL  PKTRARCA. 

sterebbe  ad  acquistargli  il  titolo  di  grande  promotore  della  ^À 
tura  86  già  con  quello  grandiasimo  non  lo  avesse  &tto  degno . 
Canzoniere.  —  E  per  fermo  nella  storia  del  Risorgimento  il  nona: 
del  Petrarca  andrà  avanti  a  qu^o  stesso  di  Cosimo  dei  Mediri,  ii 
Nicolò  IV,  di  Lorenzo  il  Magnifico  e  degli  altri  non  meno  inskn 
ed  efficaci  instauratori  delle  lettere,  delle  arti,  della  filosofia  J 
delle  scienze.  Prolunane  al  Corso  della  storia  della  JFUosofia, 

Ben  potsitm  noi  salutar»  il  Petrarca  il  Savio  gentii  che  tutto  srff^ 
e  che  ha  onorato  veramente  ofjni  scienza  ed  arte. 

Benché  ei  confessi  più  volte  che,  seguendo  il  fondamento  che  na^rs. 
pone,  anzicchò  il  foro,  presce^rlieme  la  solitudine  (Pam.  iv,  9  e  10),  per» 
negli  anni  che  stadio  diritto,  wverchlò  tatti.  Io,  scriveTagIt  CSbo  da  P:- 
stoia,  non  più  come  uno  degl*  infiniti  discepoli  miei,  ma  a  guisa  dì  pr^rir:: 
ed  amato  figliuolo  vi  ho  sempre  poi  tenuto  caro. . . .  Non  pare  appr^^» 
di  me  che  teneramente  vi  amava,  ma  cou  tutto  Io  Studio  che  virtaosame:.'- 
vi  conosceva,  acquistato  avete  &ma  di  valoroso  e  prudente  sopra  tutti  pi 
altri.  Perchè  non  voglio  ragionare  del  fVatto  che  in  quattro  anni  &ceM^ 
che  la  dotta  Bologna,  madre  degli  stodii,  avrà  sempre  a  ricordare  la  v^tri 
profondissima  memoria:  poi  che  in  meno  di  quattro  anni  tutto  il  00*7- = 
delle  scabrosissime  leg^  civili  apparaste  a  mente,  come  alcuno  avreb^i'' 
fatto  i  piacevdi  romanzi  di  Lancilotto  er  Ginevra.  ->-  Ma  della  pre»  éd'-'l 
beraxione  non  gliene  increbbe  mai  ;  se  non  la  più  saggia,  la  aolea  ^irt  h 
più  felice  (Ep.  Fam,  iv,  6).  Non  ch'ei  diffidasse  delle  proprie  forze  «  d:^ 
anzi  ben  sapea  quanto  nella  professione  di  le^sta  avrebbe  potato  e  vojaic. 
ma  ripugnavaglì  V  animo  darsi  all'  arte  di  vender  pardette  anzi  menrosTì* 
e  far  mercato  del  proprio  ingegno  (Ep.  Fam.  xxiv,  1).  E  com'egli,  aciir: 
mite  e  rettissima ,  egli  che  gridava  paee,  pace,  pace;  egli  che  rictiriaTi 
con  piacere  anche  ne'  tardi  anni,  di  esser  campato  da  quel  to»  i  »»te  «'£> 
Fam.  XVIII,  11)  ;  e  cui  il  tempestar  delle  liti  bastava  a  rendergli  abborrit» 
non  che  la  curia,  il  mondo  intero  (Ep.  Fam.  x,  3),  come,  iodico,  avp!*kS- 
potuto  indrappellarsi  tra  una  mandra  di  curiali  che  in  piati  e  cavilli  .ìLs- 
lettid  tutta  consomano  la  vita ,  e  per  Aitili  questioni  tutto  di  s*  arrabhav 
tano?  (Ep.  Fam.  i,  1).  Oltrecchè  gli  dolca,  e  grandemente,  che  i  più.  Ije* 
di  sapere,  pigliassero  a  gabbo  questa  disciplina,  ad  apprender  bene  la  qua<-: 
appena  era  bastante  una  vita  intera  consumata  nello  studio  dell' inestricahil'* 
viluppo  delle  leggi  {Ep.  Fam.  xiv,  2).  —  Solo  ei  pregiava  quelli  che  alla  dct- 
trlna  del  giure  l'amore  congiungono  e  Tosservanza  della  giustizia...  che  pin- 
reconsulto  è  soltanto  chi  alla  scienza  accompagna  la  rettitudine.  (Sen..  xiv,  1 1 

La  lettera  iv  del  libro  xx,  dice  il  Pracassetti,  è  degna  di  ammirazioe? 
per  la  dottrina  che  mostra  il  Petrarca,  fatta  ragione  de'  tempi,  intorno  b 
storia  dell'antica  Giurisprudenza. 

Negli  ultimi  anni  della  sua  vita  si  consacrò  tutto  agli  studi  sacri.  Ora- 
tori a  me  prediletti,  scriveva  egli,  sono  al  presente  Ambrogio,  Agostjs?. 
Girolamo,  Gregorio:  poeta  mio  Davidde .  . .  tanto  più  bello  quanto  pi) 
sapiente  e  discreto  quanto  più  paro  :  il  cui  salterio  sempre  TogUo  arere 


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STUDI  SUL  PBTRABGA.  835 

otto  gli  occhi  e  per  le  mani,  seveglio,  e  quando  donno,  e  quando  aarò 
icino  a  morire,  bramo  che  posto  mi  sia  a  capezzale  sotto  la  testa  (Ep. 
^am.  xxii,  10).  —  E  nel  trattato  de  Ocio  Religiosoì-umy  ii  :  La  grazia  di- 
ina  in  prima  mi  trasse  della  mia  via.  E  allora  mi  si  accostò  Ambrogio, 
enerando  nomel  e  mi  foron  presso  Geronimo  e  Gregorio,  e  quel  CKovannl 
he  ha  bocca  d*  <nk>,  e  Lattanzio.  In  siiTaita  bellissima  compagnia ,  entrai 
evotamente  i  confini  della  Scrittura,  la  quale  innanzi  avea  trascurato  ;  e 
gni  cosa  trovai  secondo  che  mi  attendeva.  —  Fra  tutti  però  aveva  carissimi 
agostino  {Ep.  Fara,  n,  0),  ed  Ambrogio,  anime  elette  ed  api  operosissime, 
ubbricatrìci  di  favi  immortali  e  di  mele  celeste  ;  ma  più  caramente  diletto 
agostino ,  fra  tutti  i  dotti  dottissimo,  eh*  ei  chiamava  suo.  Del  Libro  poi 
elle  Confessioni  n'  era  grandemente  innamorato.  L'  ebbe  in  dono  dal  P. 
>ionigio  di  Borgo  di  S.  Sepolcro ,  egregio  modello  d'  ogni  virtù ,  lettore 
nLsigne  di  sacre  lettere,  splendore  dell'  ordine  suo  {Ep.  Fam.  xv,  4),  pic- 
elo e  manesco  volume  ma  di  valore  e  di  soavità  infinita  {Ep.  Pam.  iv,  1), 
\  eh'  ei  recava  sempre  seco  in  giro  per  tutta  Italia  e  Lamagna ,  talché 
tareva  inseparabile  da  lui  e  come  attaccato  alle  sue  mani.  Il  Petrarca 
onfessa  di  aver  fatto  per  esso  il  primo  passo  nello  studio  della  sacra  lette- 
atura.  E  però  non  si  rista  dal  consigliarne  a*  suoi  amici  la  lettura  attenta  e 
ivota,  che  non  verranno  lor  meno  pie  lagrime  e  salutari  {Sen.  viti,  6),  e  la 
accomanda  a  Donato  Appennigena  (id!.),  e  ne  manda  un  esemplare  al  fratello 
ìerardo  {Fam.  xviii,  5),  e  cede  il  suo  al  P.  Marsili.  E  tanto  era  preso  del 
uo  Agostino  da  reputar  false  le  opinioni  discordi  a*  dettati  di  questo  Santo 
De  Coni.  Mundi,  dial.  i).  Cosi  che  sempre,  e  parlando  e  scrivendo,  solea 
ipeierne  1  detti  :  e  queste  cose ,  diceva ,  ho  preso  qua  e  li  di  Agostino , 
!  ne  lascio  molte  altre,  acciocché  non  sia  tutta  l'opera  sua  {De  Ocio  Eelig. 
ib.  I  ).  £  poi  com'  è  noto ,  i  dialoghi  sul  disprezzo  del  mondo,  sono  fra 
"  autore  e  lo  stesso  Santo.  Onde  l*  amicissimo  suo  Giov.  Boccaccio  credeva 
lon  potergli  far  dono  più  caro  del  trattato  sui  Salmi,  che  il  Petrarca  poi 
lisse  magnifico,  insigne  dono  (Fam»  xvui).  — >I1  Foscolo  trovava  le  più 
>eUe  imitazioni  del  Canzoniere  tolte  dalla  Scrittura,  ed  1  pensieri  tutti  pro- 
òndamente  ispirati  dalla  religione  {Saggi,  ii).  Gli  scrittori  più  antichi  della 
uà  vita,  concordemente,  fanno  le  meraviglie  del  suo  sapere  in  divinità. 

Dalla  lettera  iii  del  libro  xix  apprendiamo  eh'  ei  avesse  ragunato  e 
aesse  in  serbo  <  molte  monete  d'  oro  e  d'  argento  coli'  effigie  di  antichi 
mperatori ,  e  la  leggenda  loro  a  minutissime  lettere  scritta ,  tra  le  quali 
ira  pure  viva  e  spirante  l' imagine  di  Cesare  Augusto  >  eh'  egli  .offri  in 
lono  a  Carlo  IV.  Dal  che  Petrarca  venne  riguardato,  come  uno  de'  primi 
•estauratori  della  scienza  numismatica.  V.  /  Fiedlander ,  nelle  Memorie 
leir  .Accad.  di  Berlino,  1S73,  p.  25  e  seg. 

Il  Petrarca  scrisse  pure  una  Commedia  che  intitolò  Filologia,  dedicata 
d  suo  mecenate  Giovanni  Colonna,  ut  curas  Ubi  iocis  excuterem  (Fam.  ii,  7). 

—  Comcediam  qUampeiis,  me  admodum  tenera  celate  dictasse  non  infieior 
ìub  Philologiae  nomine.  Illa  quidem  procul  abest,  et  si  adesset,  qiutnti 
fam  modo  faciam,  quamve  tuis  oc  doctorum  hominum  auribus  dignam 
•ear,  ex  comuni  hoc  intelliges  amico,  Ep.  Fam.  vii,  16,  Jacobo  Fiorentino. 

—  V.  Klein  J.  L.  Geschichte  der  italianischen  Drama's,  Leipzig,  1866-09. 


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836 


LE  CITTÀ  ITALIANE  E  L'ITALIA. 


AresBo.  —  Non  solum  ego  Aretii  sed  in  vico  intìmae  civi- 
tatis  illius,  qui  Hortus  vulgo  dicitur,  heu  flos  arìdus  et  frncta^ 
insipidus,  naius  aatuaque  etiam  fui.  Sen.  xni,  3.  —  Honestì? 
parentibuB,  Florenttnis  orìgine,  fortuna  mediocri  et  (ut  vemm 
fatear)  ad  inopiam  vergente,  sed  patria  pulais,  Àretìi  in  esilio 
natus  8um,  anno  huius  aetatis  ultimae,  quae  a  Christo  incipit. 
M.CCC.IIII.  die  Lunae,  ad  auroram  xiii  ,Ga].  AugostL  Ep.  ad 
PosteriUUem.  -—  Omnes  comuniter  cives  urbis  iUìua,  Talde  d9ìgo, 
meorum  civium  graUa,  qui  me  antequam  nascerer  exceperum. 
Vat\  XLI.  —  Dilectum  mihi  primi  exilii  atque  originis  meae  k>- 
cum  Aretium.  Sen»  2. 

Festosissime  accoglianze  che  Vebbe.  Sen.,  xni,  3. 

Bolofiaa.  —  Studiosa  Bononia,  Ep.  Fam.^  ix,  13;  Poem. 
Min,  II,  274.  —  Studiorum  nuti'ix.  Ep,  Fam,  vui,  3  ;  Appendix 
LiUerarum^  vi.  —  Studiorum  hospes  amplissima.  Ep,  Fanu,  rxiv 
12.  —  Docta  fìononia  legum.  Poem,  Min,  ni,  84.  —  Stadionuu 
omnium  sed  praesertim  juris  roater  ac  nutrìx.  Sen,,  vn.  Leti. 
un.  —  Omnibus  fere  studiis  par  est.  Fam.  vui.  11.  —  Nostra 
saecula  Parisios  (l)  aut  Bononiam  petunt.  Ep.  Fam.  xn,  1.  — 
Bonis  redimita  Bononia  tantis.  Poem,  Min.,  m,  132.  —  Booo> 
nia,  qua  nil  puto  jucundius,  nilque  liberins  toto  esset  orbe  ier- 
rarum.  Meministi  piane,  qui  studiosorum  conventus,  quia  ordof 
quae  vigilantia?  quae  praeceptorum?  Jurisoonsultos  veteres  re 
divinos  crederes...  quae  ubertas  rerum  omnium,  quseve  forti- 
litas,  ut  jam  praescripto  cognomino,  per  omnes  terras  pingui» 
Bononia  diceretur —  Sen,,  x,  2. 

Civltaveeckla.  —  Urbem  vet«rem  praerupti  «axi  in  ver- 
tice sedentem.  Ep.  Fam.  ix,  13. 

Pirenstt.  —  Genetrix  mea  cara. . . .  Florentìa,  Poem^  Min. 
Il,  274.  —  Mea  pulchrior  illia  (urbibus),  Florìbos  et  vario  reniteos 
Florentìa  cultu.  Id.  in,  132.  —  Ubi  nobiiea  ingeoioram  scato- 

(1)  Parisius  nutrìx  nostri  temporìs  «tudionun.  Ep,  Fam,  tv,  6.  •—  Ed 
altrove  denomina  Parigi:  ruralis  calathus,  quo  poma  nndique  nobilia  et 
peregrina  deferuntor. 


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US  OTTI.  ITAUAZn  B  l' ITALIA.  837 

rigines  erumpunt  Ep,  Fam,,  xxiv,  12.  —  Urbs  quod  verbum 
Ronut  florentissìma.  Sen,,  ix,  1.  —  Quid  quod  nec  aperta  volenti 
Janua  ?  in  exilium  cives  egere  superbi.  Claudit  iniquam  urbem, 

qui  jus  sibi  supprimit  aequum Quid  loquar  hesperias  urbes 

atque  oppida  nostrum  Inter  honoratos  numerantia  nomen  alu- 
mnos,  Vostra  quod  una  suis  abolet  Florentia  fastis.  Poem.  Min., 
ni,  82.  —  Plusque  advenae  praestat  Aretlum  quam  Florentia 
eivi  suo.  Sen,^  vìi,  3.  —  Mercatrix,  et  lanìiìca  nostra.  Ep. 
Fum.,  XIII,  9.  —  Patria  lucro  dedita,  /i.,  xxiv,  12. 

CScaova.  —  Marìtimarum  decus  urbium ...  hic  aequor  un- 
disonuiD,  tumidum,  velivolum.  Ep,  Fam.,  viri,  5;  Appendix 
Liter,,  VI.  —  Nulla  enim  animosior,  nulla  hodie  verius  regum 
civitafl  dici  potest,  si  civilia  cmicordia  non  abesset.  Ita  per  li- 
gusticum  sinuxn,  quo  nullus  amoenior,  per  cedrino»  ac  palmi- 

feros  saltus,  per  odoriferum  atque  undisonum  litus Id.,  ix, 

13.  —  Videbis  imperiosam  urbem,  lapidosi  Collis  in  latere,  vi- 
risque  et  moenibus  superbam,  quam  dominam  maria  aspectus 
ipso  pronunciat.  lUn.  Syriacum.  —  Tu  nunc  et  populi  habitum 
et  locorum  situm  et  aedificiomm  decus,  atque  in  primis  clas- 
sem...  cunctis  terrìbilem  tremendamque  litorìbus,  tu  molem 
pelago  objectam,  portumque  mirabere  manufactum,  inextima- 
bilis  sumptua  infinitae  operse,  quem  quotitiane  ne  quicquam 
ferìunt  procellae. . . .  Multa  enim  occurrunt  quod  multo  facilins 
libi  sit  mirari  quam  cuiquam  hominum  stilo  complecti,  valles 
amenissimas,  interlabentes  rìvnlos,  colles  asperitate  gratissima 
et  mira  fértilitate  conspicuos,  atque  auratas  domos,  quocumque 
te  verteris  videbis  sparsas  in  litore,  et  stupebis  urbem  talem 
decori  suorum  mrium. . . .  Hoc  quidam  litus  omne  palmiferum 
et  cedriferum,  ut  adversum  Cereri,  sic  Bachi  gratissimum  ac 
Minervae,  nulli  usquam  terrarum  cedere  certum  est.  Itinerar, 
Syriacum.  —  V.  Africa,  vi,  839  e  seg. 

Mantova.  —  Mantua  sider»  ac  nutrìx  longeva  poesis. 
Poem.  Min.,  ni,  82.  —  Qua  clara  Maronis  origo  Mantua,  Pie- 
rìdum  quondam  domus  alma  sacrarum,  Nunc  sedes  invicta 
ducum,  quae  classica  plectris  Miscuit,  et  vincto  veneratur  Apol- 
lino Martem.  Poem.  Min.,  ii,  126. 

Hilano.  —  Mediolanum . . .  terrestrium  decus  urbium.  Ep. 
yam.,  vni,  5;  Appmdix  LiUer.,  vi.  —  Mediolanum,  quam  ante 
mille  quingentos  annos  florentissimam  lego,  et  quae,  ut  puto, 

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838  LE  arrÀ  italiànc  b  l*itaua. 

,  Dunquam  magìs,  quam  nostra  florait  aetate,  none  non  lloret 
ut  solita  est,  quamTÌs  adfauc  magnitudine  et  poteotia,  atq«{ 
ut  dicitur,  pondero  suo  stet . . .  Sen.^  x,  2.  —  Roa  inihi  tnn- 
quillum  media  contingit  in  urbe.  Rare  Tel  urbs  medie;  à**! 
prompta  frequentia  soli,  Promptns  et  in  latebras  redftns,  doa  / 
taedia  turbae  Offendunt:  bos  altemos   urbs  una   regre^scs.  | 

Hos  dedit  una  domus Pom,  3fin.,  ii ,  24.  —  Mediolanaa  \ 

urbem,  Ligurum  caput  ac  Metropolim . . .  coeli  salubritate  ac  ck- 
mentia  et  populi  frequentia  glorìantem.  Sen.,  in,  1.  \ 

Napoli.  (1)  —  Parthenopea  mihi  quondam  dulcissìnsa  8ed«. 
Poem.  Min,,  il,  280.  —Regina  urbinm  Parthenope,  JFam,  rii,  1. 

—  Dintorni  di  Napoli,  Ep,  Fam.  v,  4;  Poem.  Min,  n,  16. 
Padova.  —  Urbs  Antenoridum  quantos  celebraTÌt  alum*  , 

nos —  Poem.  Min.,  n,  220.  —  Patavium  trofei  opus  Ante-  1 
noris.  Ep.  Fam.,  ix,    13.  —  Historìaeque  parena   Patapum. 
Poem.  Min.,  ili,  84.  —  Patavum . . .  potens.  /rf.,  n,  274.  —  Alia 
uobis  Patavii,  nec  minns  tranquilla,   nee  minus   idonea  sede^ 
est  (2).  Ep.  Fam.,  vin,  5.  —  Nobìlis  Padoa,  felix  terrae  sitn  ' 
coelique  dementia,  proxima  pelago,  fluminìbqsqne  cìrcimiflua,  | 
dives  agro  ubere,  accolarum  ingenio  insignis,  et  vetusti  nomina 
clan  tate  peroelebrìs.  Ep.  Fam.,  xt,  14.  —  V.  Sen.  xnr,  1. 

Parala.  —  Parma  vel  imperii  dypeus  (scudo  delimitale  i 
contrade).  Poem.  Min.,  in,  84.  —•  Parma  dulds.  Id.,  n,  72.  —  ! 
Parma  aevo  coUapsa  sui  monumenta  Macrobi  Ostentai.  Id.  ii. 
220.  —  Nunc  ubi  sim?  Parmae.  Quae  sit  mea  tota  diaeta  f 
Hortulus,  aut  templum,  nisi  me  nemus  extrahat  urbe.  Id.  n,  184.  I 

—  Est  mihi . . .  domus  parva  quidem,  sed  dnobns  unum  animnm 
habentibus  nulla  domus  angusta  est. . . .  Quid  tibi  praeter  hanc 
offeram,  non  habeo.  Ep.  Fam.,  vii,  1.  I 

Pavia.  —  Vidissos  urbem  saluberrimi  aeris,  ecce  jam  tr^  i 
hic  aestates  egi,  ita  nu.<iquam  quod  meminerìm,  tam  crebris  et  1 
tam  largis  imbribus,  tam  parvis  rarisque  tonitruis,  tam  nullis 

pene  aestibus ,  taraque  perpetuis  tamque  suavibus  auris | 

Veggasi  tutta  là  bella  descrizione  che  ne  fii.  <Sm.,  ▼,  1.  | 

Peroirla.  —  Perusiam  praevalidam  urbem.  Ep.  Fam,  tx,  13.  ' 


(1)  Il  Petrarca  abitava  nel  Convento  di  S.  Lorenzo,  ov* erano  ì  Frali 
Minori.  V.  Fraeasaetti,  Nota  alla  leltera  5  del  libro  v. 

^    (2)  Oltreché  nella  sua  casa  canonicale,  abitava  nel  Cenobio  di  S.  Giu- 
aUna,  di  faccia  alla  Chiosa.  V.  Fracaisetti,  v,  1(5. 


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LB  CITTÀ  ITALIANI  E  l'iTALU.  839 

—  Civitatem  pervetustam,  «od  decenti  et  decora  spe- 
ie,  et  licet  inter  plana  sitam,  non  tamen,  ut  magna  pars  ur^ 
ium  paucis  turrìbua,  sed  totam  scilicet  emenentissimis  appa- 
3Dtem.  Itinerarium  Syriacum, 

Roma*  —  Urbs . . .  regina.  Ep,  Fam.^  ii,  9.  —  Mundi  caput 
b  urbium  regina.  Id.,  iv,  6.  —  Rerum  caput  et  domina.  Id.y 
iy  13.  —  Gomunis  patria  materque  nostra.  Id.,  xv,  2.  —  Re» 
am  ci^nt,  orbis  atque  urbium  regina.  Id.  xxiu,  2.  —  Italiae 
aput,  nec  Italiae  tantum  sed  totius  orbis....  Infinita  res  est 
sicra  miracula  almae  urbis  amplecti. . .  ^  Roma ,  puicherrima 
3rum,  ut  Virgilius  ait,  qua  nihil  majus  sol  vidìt . . .  ista  urbs 
e  et  amids  semper  et  hostibo»  venerata,  atque  ante  omnes 
Liaa  in  honore  habita.  Sen. ,  ix,  1.  —  Validoque  ingens  stat 
oplite  Roma  Cuncta  movens,  rerumque  caput,  domus  alma 
maiitis  Ac  sedes  terrena  Dei,  terrorque  subacti  Orbis,  et 
mumeris  coelo  exequata  triumphis.  Poem,  Min.,  ii,  274.  — 
.orna,  regina  urbium,  de  qua  si  tam  parvo  spatio  loqui  velim 
Ltollerandae  nimis  audaciae  sim,  cuius  gestis  atque  gloriae 
>tus  orbis  angustus  est,  cuius  nomini  libri  linguaeque  omnes 
on  sUffidunt.  lUner.  Syriacum.  —  Cui  nulla  similia  fuit,  nulla 
itura  est;  quae  dvitas  regum  etiam  ab  hoste  dieta  est;  de 
ai  US  populo  scriptum  legimus  :  magna  est  fortuna  popuU  ro- 
lani,  magnum  et  terribile  nomen;  cuius  sine  exemplo  magnitu- 
inem,  atque  incomparabilem  monarchiam  futui*am  praesentem 
uè  divini  ceduerunt  vates.  Neque  ego  nunc  romanas  prosequar 
ludes:  major  res  est,  quam  ut  possit  a  transcurrente  tractarì. 
Ip.  Fam.  II,  9.  —  Miraculo  rerum  tantarum  ac  stuporis  mole 
brutus...  Illa  vero  (mirum  dictu!)  nihil  imminuit,  sed  auxit 
mnia.  Vere  major  fuit  Roma,  majoresque  sunt  reliquiae  quam 
3bar.  Jam  non  orbem  ab  hac  urbe  domitum,  sed  tam  sero 
oraitum  miror.  Id.^  ii,  14.  —  Qui  enim  bodie  magis  ignari 
3rum  Romanarum  sunt,  quam  Romani  cives?  Invitus  dico, 
lusquam  minus  Roma  cognosdtur,  quam  Romae.  Id.<f  vi,  2.  — 
.mplexa  et  gremio  nos  aurea  Roma,  Et  civem  dignata  suum. 
^oem.Min.  iii,  82.  —  Romam,  tuam  propriam  et  comuuem 
mnium,  mihi  vero  anta  omnes  semper,  tnnc  autem  et  propter  se 
3aani,  et  propter  te  gemino  desiderio  exoptatam.  Ep.  Fam.^vf,  6. 

Roma  Cristiana,  Ep.  Fam.,  ii,  9;  vi,  2;  ix,  13.  —  Roma 
ntica,  Id.,  vi,  2;  ix,  13. 


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840  LB  cirrÀ  muAini  e  l'itaua.. 

BeS0i«  M  CalafcrlA.  —  Rhegìum  Calabriae  metrofMÌi. 
Ilin.  Syriacuin, 

Sorrcai».  —  Sorrentum,  et  ipsum  meDiflao  palmite  e^ 
nerosum,  Itin,  Syriacum. 

Treata.  —  Alpinum  Tridentuin.  Poem,  Mtn^  ìl,  3w 

Hrcvlaa.  —  Tarvìsium,  fontibus  flominibuaque  circninfiiiaiL 
domila  emporiamque  laetitiae.  Ep,  Fam.,  thi,  5.  —  (XnctGc 
fiuminibus  et  aestivis  deliciia  amoenum,  parviunqne  TarrisiaiL 
Id,y  IX,  13.  —  Tarvisium  aestivis  deliciia  et  fiamìxiibaa  ctfitii 
insignis  et  fontibus  unde  omnis  tristi  tia  quam  longisaÌEiie  iv- 
legata  est.  Appendix  LUter.  n,  p.  529. 

Trieste.  —  Tergestum,  onde  mibi  fideUbua  litena  Totin 
temperìes  nunciator.  Sen,.,  iii,  1. 

¥eaesla*  —  Adrìae  imperitans,  alterqne  Venetia  mniidis- 
Poem,  Min.  in,  84.  —  Venetonim  urbem  maximam,  imo  ri- 
gnum  ingens,  cui  magna  oUm  regna  subiecta  sont,  nrbeiu 
longe  dissimilem  caeteris,  utque  ego  dicere  soleo,  orbem  ake 
rum.  Sen.^  ix,  1.  —  Miraculosisaima  Venetiarum  urbs.  Appenài^-^ 
LiteTy  111,  529.  *—  Nobilissima  illa  Yenetorum  urbe.»,  nnktin 
libertatis  ac  juatitiae  templum.  Ep,  Fam.  xv,  7.  —  VeDetianii£ 
Inter  cunctas  litoreas  mirahilem  atque  permaximam  orbe».  Ep. 
Fam.y  IX,  13.  —  Augustissima  Yenetorum  urbs,  qoae  una  bodie 
libertatis  ac  pacis,  et  juatitiae  domus  est,  unum  bonorum  re- 
fìigium,  unus  portus,  quem  bene  vivere  cupientes  t^rannids 
undique,  ac  beilicia  tempestatibua  quassae  ratea  petant,  u^b^ 
auri  dives,  sed  ditior  famae,  potens  opibus,  sed  virtute  poten^ 
tior,  solidis  fundata  maimotibus,  sed  solidiore  etiam  fiuidamento 
civilis  concordiae  stabilita,  salsis  cincta  fluctibus  aed  aalsioribus 
tuta  consiliis. . . .  Sen.^  iv,  3.  —  Basilica  sancti  Marci  Evange- 
listae,  qua  nulla,  ut  reor,  usquam  pulcbrior  factum  est.  Id.  ^ 
Domus  saluberrima . . . ,  adest  optìma  et  neacio  an  melior  op- 
tanda  societas,  nomen  ab  effectu  nactua,  Beneintendiua  prae^ 
ciarissimae  urbis  Cancellarius ,  et  atatui  publico,  et  privatici 
amicitiis  et  bonestis  studiis  bene  intendens,  cq>ua  yespertioi 
congressus,  dum  diurnis  relaxatus  curis,  laeta  fronte,  pio  animOv 
instructo  navigio  ad  nos  venit,  et  navigationes  conlabulatio- 
nesque  sub  noctem  quam  suaves  sunt.  Sen.  in,  1.  — -  Yenetorum 
urbs  et  Consilio  civium,  et  locorum  situ,  inter  omnes  aliaci 
nostri  orbis  prospero  ac  tranquillo ...  in  statu.   Sen. ,  x.  2.  — 


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LB  cittì  ttèuanb  E  l'xtalu.  841 

Aliqnot  nayes . . .  Domiuxi . . .  quam  meis  nsibus  dedìcaWt  libera,. 
et  liberalis  haec  ciTÌtas,  ingentem  domimi,  mole  aequantes  ac 
^emìnas  angulares  tuires,  nimis  insigmter  velifari  mali  yertice 
supergressae.  Sen,,  n,  3. 

Weroaa.  —  Fortemque  Veronam.  Poem.  Min,,  n,  274.  — 
Vidi . . .  Caeraleumque  Àthesìm  subeuntem  gnrgite  blando.  Fle- 
ctìtur  ille  volens  alpini  conscius  ortus,  Et  aupplex  meliorìs  adit 
confinia  mundi;  Naturaeqne  humiles   grates  agii;  alta  Vero- 

nae  moenia,  frondoaos  colles,  pulcberrima  Martis  Pascua 

roem.  Min.  ii,  202. 

¥iceasa.  —  Magnorum  aliquot  virorum,  quoa  abimde  parrà 
illa  dvitas  tnlit  Ep.  Fam.,  xxiv,  2. 

¥ltcrho«  —  Gelidis  ac  tepentibns  circumflaum  fontibus 
Viterbum.  £^.  Fam.  a,  13. 

Itttlfai*  —  Dirigo  dehinc  oculomm  radios  ad  partea  Italiae 
quo  magis  inclinai  animna . . .  snspiravi,  &teor,  ad  ìtalicum  aerem 
animo  potiiu  quam  ocolis  apparentem,  atqne  inextimabilis  me 
ardor  invasit  et  amicwn  et  patriam  revidendi  (Dal  Ventoso). 
Ep.  Fam,  iv,  1.  —  Potui  interdiim,  sed  jam  fateor,  non  poasum 
aequanimiter  esse  din  procul  ab.  Italia,  sive  ea  natalis  óoli 
sola  dolcedo  est,  sive  rerum  aestimatìo,  nesdo  quam  vera,  sed 
constans  et  immobilis  et  a  prima  setate  pectori  meo  insita,  nihil 
omnino  terramm  sub  ooelo  esse  quod  Italiae  comparar!  queat, 
sen  natarae  sen  hominum  consideres  ornamenta.  Fam.  xxm,  2. 
Nil  omnino  sub  astris  Italiae  comparandum,  pace  omnium 
gentium  dixerim  a&terrarum.  Sen.  vn,  leti  un. 

Esse  hic  lacus  piscosissimos ,  qnot  qualesque  nulla  regio, 
tam  parvo  habet  spatio,  esse  et  flumina,  et  opportunissimis 
flexibus,  naturae  oonsilio,  sic  diversis  lods  errantia,  ut  Italiae 
magna  pars,  Liguria  et  Venetia  et  ^Emilia,  atque  Flaminia 
vix  insignem  locum  habeant,  qui  non  a  quiescente  aquis  obse- 
qnentibus  adeatur  ;  esse  in  circuitu  geminum  mare,  crebris  por- 
tubos  et  nobilium  urbium  corona,  et  in  utrumque  decurrentium 
flttviorum  faudbus  insigne  (1),  ita  ut  undis  bine  salsis,  bine 

(1)  L'Adda.  —  Lateque  secana  palcherrima  rura  Abdua  caeraleus. 
Poem.  Min.  ii,  157.  —  WAdige^  V.  Verona.  —  Il  Latnbro.  —  Ourgite 
I..a]nber  Innocuo.  Poem.  Min.  ii,  156.  —  Il  Mincio.  —  Pulcher  Minciua 
Formoso  do  palre  oriens.  Ecl.  x.  —  W  Oglio.  —  Volucerque  sonantibus 
iindia  OUius.  —  11  Psirma.  —  Id.  —  Parma  pontifhigas  n,  90.  Eziguis'* 
Parma  vadis,  n,  158.  —  Il  Po.  —  Padaa  qoem  flumina  regem  Nostra  vo- 
cant.  Id.  —  Pluviorum  regem  Erìdanum.  Pam.  ix,  13.  —  Regia  ripa  Padi 

53 

Digitized  by  V^OOQlC 


842  '  ut  CITTÀ  ITALUNB  K  L*ITALUL 

dulcibut  Italia  ferme  omiiis,  sine  labore  permealMlja  atq«e  | 
amoena  sit;  esse,  ubi  decunt  maria,  alpes  aerias  (1),  barbarie»  | 
oppositas  furori  ;  esse  per  medium  colles  virentìssimos  et  apricas  ' 
valles  et  campos  uberrimos . . .  Italiam^  ante  omnes,  rerum  bo-  I 
narum  abundantissimam  affirmabo....  Sen,  vii,  lett.  un, 

Licet  multa  utrobique  magnifica  Tiderim,  me  tam^i  italica^  | 
originis  non  poenitet;  imo,  ut  verum  fatear,  quo  lathis  pere- 
grinor,  eo  maior  Itali  soli  subit  admiratio.  Ep.  Ecan.  i,  3u 

Si  quid  amabile  est,  nisi  amor  fiiUit,  in  Italia  est,  coi  nitro, 
si  loqui  possint,  omnia  cUmata  cesserint —  De  hxQua  landibos 
multa  aaepe  diximus,  et  si  vita  manserìt,  dicemus.  Font,  xix,  14. 

Italiam  igitur  suadeo,  quod  moribus  iacolamm,  ooeloqne. 
et  circumfusi  maris  ambitu  et  intersecantis  oraa  Appentai 
collibus,  et  omnium  locorum  sita  nulla  usquam  statio  csrb 
tuis  opportunior  futura  sit De  Contemptu  JlhMdi,  Disi,  ul 

Felidus  omni  Es  Latium  tellure,  quidem  praefertìfis  ora 
Italiae,  quam  fulva  Geres,  viridisque  Minerva,  Purpurena  quara 

Baccbus  alit Poem,  Min.  ii,  270.  **  Contra  autam  bona 

vera  animi,  imperiumque  supremom,  Aoniamque  Ijram,  quam 
Gfaeda  vieta  Latinis  Tradidit,  innumerasque  libens  praeter^ 
vehor  artes.  Italiae  quid'obest,  nisi  Mara  violentus  obesset? 
Quidve  deest  Italiae,  nisi  pax  non  deferet  una.  Pùein.  Min,  n,  74. 

—  Ab!  pudeat  mundi  domlnam,  Fortuna,  maligni  Servitii  dam- 
nare  jugo,  manibusque,  revinctas  Quas  toties-post  taiga  dedit; 
tentare  potentem  Ausoniam  ducìbus  poenis,  flendamque  severo 

Hannibali Poem.  Min.  n,  38.  —  Discordia  nostra  Hostibos 

boc  animi  trìbuit...  Sublimis  ab  Alpe  file  minax  animo  iam 
praemetitur  avaro  Ditia  rura  procul,  qua  se  pulcherrima  rerum 
Porrigit  Hesperia  armipotens;  circumspicit  urbas  Instar  re- 
gnorum,  quarum  vìx  nomina  quisquam  Sdre  queat,  castella 
manu  tot  structa  magistra...  ecc.  ecc.  Epistola  ad  jEneam 
senensem.  Poem.  Min.  ii. 

Il,  80  —  II  Taro.  —  Duras  rapido  torrens  de  vortice  Taron.  —  n  Benaeo 
(Garda).  —  Ubi  Benacus  vitreo  palcherrìmus  alvo  Persimilem  natam  funcÙt 
8ibi.  Poem.  Min.  i,  4.  —  Benacus  Venetiae  lacus  nobilìssiintis.  Sen.  vn,  i. 

—  II  Lario.  -^  Larium  uberem  lacuna,  cui  Comum  adiacet,  uiido  Abdiu 
amnls  egredilur.  Ep.  Fam.  vin,  5. 

(1)  Alpi.  —  Videbimufi  impendentes  lacubus  Alpw  aarìas  ac  nivosas. 
aestate  gratissimum  spectaculum ,  et  silvaa  astra  tangentes,  atque  ibter 
concava  ruplum  queruloa  rivos,  summisque  de  montibua  magno  ciub  sonito 
cadentia  flumina  ;  et  quocumque  te  verteris,  avium  murmur  ac  fonUum. . . . 
Ep.  Fam.  viii,  5. 


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LB  aTTA.  ITALIANB  B  L*ITALU...  843 

Versi  ch'ebbe  oerto  in  mente  il  Manzoni  quando  scrìsse  il 
i^no  celebratissimo  coro  del  Carmagnola: 

Giù  dal  cerchio  dell'  Alpi  frattanto 

Lo  straniero  gli  sgaardi  rìTolve; 

Vede  i  forti  che  mordon  la  polve, 

E  li  conta  con  gioia  crudel. 
Affrettatevi,  empite  le  schiere, 

Sospendete  i  trionfi  ed  i  giuochi, 

Ritornate  alle  vostre  bandiere; 

Lo  straniero  discende,  egli  è  qui. 

Vincitori  siete  deboli  e  pochi? 

Ma  per  questo  a  sfidarci  ei  discende. . . . 

Veggasi  il  saluto  che  manda  all'Italia,  quando  dall' alto  del 
Adonginevra  (Poem.  Min.  ir,  266)  €  rivide  tutta  verdeggiante  nel 
lusso  della  primavera,  rigata  da'  suoi  fiumi  superbi,  gremita  di 
oittà  e  di  ville,  la  gran  distesa  del  piano  lombardo,  rivide  su 
le  città  romane,  su  le  medievali  castella,  su  le  campagne 
sorridere  carrezzevole  il  sole  di  maggio.  »  Quel  saluto,  o  meglio 
quell'inno  inspirato,  serviva  di  magnifico  esordio  al  Carducci 
al  suo  discorso  presso  la  tomba  di  Francesco  Petrarca. 

Bellezze  d' Italia  e  delle  sue  città.  Poem,  Min,  n,  270  e  seg. 

Italiani  e  Tedeschi,  Parallelo.  Sen,  ii,  1. 

Italia  e  Francia.  Sen.  ix,  1. 

Italiani  imitatori  degli  stranieri.  Sen,  xvii,  2. 


ONORANZE  AL  PETRARCA. 

La  Commissione  instituita  all'  uopo  di  preparare  pel  giorno 
18  Luglio  la  commemorazione  del  V  centenario  della  morte 
di  Francesco  Petrarca  sollecitava  il  concorso  e  del  Comune  e 
del  Consiglio  Provinciale  di  Padova  onde  la  commemorazione 
venisse  celebrata  in  modo  degno  e  della  fama  del  Grande  Uomo 
e  della  tradizionale  benemerenza  di  Padova  verso  ogni  maniera 
di  buoni  studL  A  triplice  intento  mirammo,  cosi  l' egregio  suo 
Preside  Senat.  Com.  Giov.  Cittadella,  cioè  alla  degna  onoranza 
verso  il  Petrarca,  al  giusto  decoro  del  paese,  anche  rimpetto 
gr  illustri  nazionali  e  stranieri,  che  qui  allora  concorreranno, 
ed  infine  alla  durata  di  questa  ossequiosa  memoria  nella  tras- 


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844  •         OffORANKK  AL  PBTBABCA. 

missione  degli  anni.  Toma  inutile,  aggiunge  egìi^  fìirri  pre-  ] 
sente,  o  Signori,  come  altre  Città  ed  altre  Ptx>vxncte  t^yt^ì 
mostrate  sollecite  nella  commemorazione  di  uomini  certamente 
rinomati,  ma  da  non  potersi  di  fermo  porre  a  paréggio  di  Ini,  la  ^ 
cui  ceneri,  custodite  in  Arquà,  sono  un  deposito   verameat^  | 
prezioso  per  la  Città  nostra  e  per  la  nostra  PrOTÌncia.  Ooc>  l 
rande  il  Petrarca,  che  volle  finire  fra  noi,  non  solo  onoriaiDO 
un  grande  della  grande  triade  italiana,  non  solo  il  poeta,  nu  ; 
il  filosofo,  il  politico,  il  patriota.  Il  presente  nostro  trìbnio  f  | 
tributo  di  civiltà,  di  queUa  civiltà,  che  il  nostro   paese  dco 
mancò  mai  di  sentire.  E  il  Comune  di  Padova  (1)  votava  la 
conspicua  somma  di  L.  20  mila,  e  25  mila  ne  consentiva  il 
Consiglio  Provinciale.  | 

Le  feste  di  Arquà,  dirette  dair  instancabile  prof.  Lefffuusì. 
non  che  quelle  di  Padova  riuscirono  veramente  splendide.  La 
Commissione  non  potea  sdebitarsene  con  più  onore.  E  Padoviì, 
in  tale  occasione,  si  mostrò  signorilmente  ospitale.  Dei  diacorai 
del  Carducci  e  dell' Aleainli  tenemmo  parola.  Bella  ed  ìmpor* 
tante  V  EsposbJone  delP  opere  petrarchesche,  e  degli  scrìtti  che  \ 
le  illustrano.  Da  essa  venne  prima  il  seme  di  questo  qualsiasi 
mio  lavoro. 

Gorizia  ne  onorò  la  memoria  il  18  Luglio;  T onorò  pure 
r  Accademia  di  Palermo;  il  9  Agosto  T  Aretina.  Il  benemerito 
preside  cav.  àvv.  Marco  Biondi  vi  dio  conto  delle  feste  di  Pa^ 
dova  e  di  Arquà,  e  deUe  accoglienze  oneste  e  liete  ricoTuteri,  I 
e  proclamava  solennemente  che  nel  1904  il  Municipio,  auspice 
r Accademia,  ripromettevasi  di  festeggiare  degnamente  il  VI 
Centenario  della  nascita  del  più  grande  de*  suoi  figli. 

Il  6  Agosto  il  compianto  mio  amico  prof.  A.  Alessandri, 
prefetto  della  civica  di  Bergamo,  intratteneva  il  patrio  Ateneo 


(1)  Il  prof.  Senat.  Otusto  Bella vitis  nella  seduta  del  96  ÀprUe  1873  fa 
oppositore  ferissimo.  Teme  in  tanto  lusso  di  feste  commemorative  e  di  mo- 
numenti non  si  dica  :  quanto  meglio  sarebbe  che  avessimo  un  minor  numero 
d*  uomini  ^andi  morti,  ed  un  maggior  numero  di  viventi. . . .  Perchè  mai 
non  venne  in  mente  di  solenniszare  V  anniversario  della  morte  del  Petrarca 
con  un'  opera  di  beneficenza  anziché  con  una  apesa  di  lusso?  Egli  ò  sicuro 
che  tutti  applaudirebbero  se  si  portasse  in  quel  giorno  sulla  tomba  dì  Pe- 
trarca una  carUcella  che  dicesse:  «  il  Comune  di  Padova  solennizza  (I 
Centenario  del  Cantore  di  Laura  mandando  L.  SO  mila  agi' incmàatt,  » 
Combattè  valorosamente  gli  argomenti  del  Bellavitis  il  prof.  Goletti  :  la 
parte  Ai  vinta  con  un  solo  voto  di  maggioranza. 


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ONORANZE  AL  PETRARCA.    •  845 

;  xii  codici  petrarcheschi  possedtiti  da  quella  biblioteca,  non  che 
3  vii  culto  tradizionale  che  professò  sempre  Bergamo  alla  me- 
rv^oria  del  lirico  sovrano.  —  Ed  un  bell'elogio,  sul  Petrarca, 
il  17  Marzo  nell'aula  del  R.  Liceo  Sarpi,  avea  pur  letto  il 
irniente  prof.  Eliodoro  Lombardi. 

Anche  T  Arcadia  a'  17  Decembre  1874  raccoglieasi  nel  pa- 
lazzo Altemps  a  celebrarne  il  centenario.  Ne  disse  le  lodi  il 
:^o.  Pompeo  di  Gampello  della  Spina.  Vi  tenner  dietro  compo- 
rkimenti  poetici,  cantate,  musiche.  E  il  di  sesto  cP Aprile  univasi 
eli  nuovo  a  commemorare  T anniversario  dell'innamoramento 
riel  Poeta,  innamoramento  che  diede  all'  Italia  i  versi  piii  dolci 
&  leggiadri  che  suonassero  mai  su  labbro  umano. 

La  Città  di  Trieste  che  nell'  onoranza  de'  nostri  più  sommi 
non  volle  mai  esser  seconda  ad  alcuna,  decretava  la  pubblica- 
zione della  Petrarchesca  Rossettiana,  egregio  lavoro  del- 
l' Jfforiis:  il  Veneto  Ateneo  metteva  in  luce  l'importantissima 
opera  Petrarca  e  Venezia  :  Y Accademia  Aretina  ofiriva  a  Pa- 
fk>va  1  Trionfi  del  Petrarca  riscontrati  con  alcuni  codici  del 
sec-  XVI  per  cura  del  prof.  Giannini,  ed  al  Municipio  di  ArqUà 
una  bella  Canzone  del  prof.  Marenghi,  Padova  ci  dava  mae- 
strevolmente riprodotto,  a  merito  del  Corradini^  il  Poema 
dell'  Africa. 

Forse,  non  a  torto,  doleasi  il  Petrarca  che  le  città  straniere 
fossero  più  generose  verso  lui  che  la  sua  terra.  Invano  io  cerco 
in  S.  Croce  una  pietra  che  ne  segni  il  nome  :  invano  un  ricordo 
che  mi  additi  le  case  abitate  da  Petracco,  prima  dell' esiglio; 
invano  una  dimostrazione  di  affetto  riverente  nell'occasione 
del  Centenario.  I  Priori  della  Repubblica  fiorentina,  il  22  Dee. 
1396,  presero  bensì  la  parte  d'innalzare  alla  memoi^ia  di  Dante 
e  del  Petrarca  in  S.  Maria  del  Fiore  un  condegno  monumento, 
ma  essa  non  sorti  effetto.  —  La  sua  Statua  sorge,  è  vero,  nel 
Portico  degli  Uffici  >  ma  delle  28  nicchie  era  impossibile  non 
assegnarne  una  a  Francesco  Petrarca.  Aggiungasi  che  le  statue 
\ì  furono  erette  per  soscrizione  volontaria,  promossa  nel  1835 
dal  tipografo  BatelU.  . 

La  Provenza,  anzi  dirò  meglio  la  Francia,  si  mostrò  sempre 
tenera  della  memoria  del  Petrarca.  A  Valchiusa,  come  ad  Arquà, 
trassero  in  divoto  pellegrinaggio  tutte  V  anime  bennate  e  gentili  : 


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846  *     ONORàmsB  al  pstrasca. 

ed  i  poeti  tì  cercarono  T  ispirazione.  —  Pélot  de  la  Laseps. 
nel  1801,  insti tuiva  a  Valchinsa  un  Ateneo:  nel  sigillo  aveaii 
inciso  ad  emblema  le  rocker  de  Vattcluse  tfomissant  un  iorrefU 
éTeau.  — -  Nella  tornata  del  22  Ottobre  1803,  a  proposta  d^ 
Sig.  Plot  d*  Avignone,  decretavaai  al  Petrarca  un  monumento 
che  doveva  esser  solennemente  inaugnrato  il  20  Luglio  180i 
V  cent,  della  sua  nascita.  —  La  fDi*me  adoptée  fnt  oeUe  d*ime 
colonne  grandiose,  il  est  vrai,  puisqa'^e  étalt  dans  lea  pr»- 
portions  de  celle  de  Trajan,  mais  écrasée  naturdlemeot  par 
les  rochers  élevés  qui  dooìinent  la  vallèe.  Ce  dèfaut  fut  rendo 
plus  saillant  encore  par  1*  emplaoement  choisi,  aa  bori  métae 
de  la  source.  Aussi  foUaut-il  plus  tard  (1826)  la  déplaoer  et 
la  transporter  sur  la  place  pubblique  où  on  la  voit  aujourd^fauL 

Né  la  Provenza  volle  essere  inferiore  ali*  Italia  nelle  onoranse 
secolari  del  1874.  E  ben  a  ragione:  anch'essa  ritiene  Fr.  Pe- 
trarca per  suo,  che  a  lui  vennero  le  più  graziose  ispìrasiooi  dal 
gentilissimo  luogo  di  Valchiusa,  e  dall'oneste  bellezze  d'una 
gentildonna  provenzale.  Ne  fu  promotore  il  sig.  de  fìerluc- 
Perussis,  amante  d'Italia  e  delle  nostre  lettere,  perehò  d* origine 
italiana,  e  se  ne  rese  benemerito  in  modo  particolare.  -»  Dal  bel- 
lissimo ed  elegante  rapporto  dell'  Àrciconsolo  della  Crusca  tolgo 
i  cenni  seguenti:  —  «  A  Valchiusa  il  Nigra  fece  quel  discorso 
eh' è  si  giustamente  celebrato  da  tutti,  e  die  lo  manifesta  poi 
uomo  di  lettere;  il  prof.  Minich  ragionò  sugli  amori  del  Pe- 
trarca^ spiegati  con  dotto  raffronto  della  vita  e  degli  scrìtti 

Ad  Avignone,  il  20,  il  bravo  e  buono  professore  Bonafous 
lesse  un  saluto  che  mandava  il  Comitato  italiano,  come  di  na- 
zione amica  ad  altra  nazione  amica,  e  gli  applausi  lunghi  e 
fragorosi  scoppiarono  sotto  quel  cielo  scintillante  di  Provaiza, 
somigliante  al  cielo  d'Italia,  da  quel  popolo  che  nelL  parlare, 
nel  sentire,  ne' moti  della  persona  e  nel  v<4to,  somiglia  tutto 
al  popolo  d'Italia.  Il  Nigra,  elegantissimo  scrittore,  tradnceva 
e  leggeva  ciò  che  il  Petrarca  scrisse  de'  suoi  amori  neU'  opere 
latine;  parlarono  il  Wallon  e  il  Mézières,  applauditi,  sopra  i 
meriti  del  Petrarca;  Teodoro  Aubanel  e  Felice  Gra8« discorsero 
sulle  memorie  del  poeta  e  riferirono  il  giudizio  sopra  i  laureati 
con  la  lingua  melodiosa  de' Trovatori,  con  l'abbondanza  mae- 
stosa del  Rodano,  con  la  luce  di  quel  sole;  parto  il  vostro 


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OMORANflB  AL  PBTRABOA.    *  847 

Arciconsolo  e  godo  per  toì  e  per  la  patria  sua  vedendoBÌ  bene 
accetto  ;  terminò  in  lingua  spagnaola  don  Alberto  de  Quintana, 
presidente  de  Giuochi  floreali  di  Barcellona,  e  raccomandò 
l**  amicizia  delle  tre  schiatte  latine  con  tal  fuoco  di  parola  e  di 
sentimento,  che  si  levò  un  grido  come  una  voce  sola  da  tutte 
le  parti.  Si  udirono  là  quattro  lingue,  la  francese,  la  provenzale, 
r  italiana  e  la  spagnuola. . . .  Il  Nigra,  ministro  dMtalia  in 
Francia^  e  che  venne  a  stringermi  la  mano,  e  un  francese  che 
mi  disse  continuate  ad  amare  la  Francia,  mi  resteranno  più 
eh*  altro  impressi  neUa  memoria  ;  e  ho  voluto  dirvelo  con  forse 
non  biasimevole  compiacenza,  pari  al  non  dicibile  battimento 
di  cuore  avanti  di  parlare.  »  —  Chi  fosse  desideroso  di  co- 
uosoere  gli  spettacoli  che  vi  ebber  luogo,  tra'  quali  la  Cavalcata 
storica  (1),  cioè  il  Trionfò  dei  Petrarca,  non  ha  che  prendere 
in  mano  una  delle  molte  Relazioni  di  quelle  Feste. 

HenegheUi  A.,  Della  stiioa  dei  Padovani  verso  11  Petrarca  e  sopra  il 
monumento  a  lai  nuovamente  eretto  nella  Cattedrale  di  Padova.  Padova, 
Minerva,  1818.  —  Leoni  Carlo ,  Stima  de'  Padovani  in  ogni  tempo  a  Pe- 
trarca. Opere  Storiche,  n,  208.  —  Gloria  prof.  Andrea^  Id.  Padova  a  Fr. 
Petrarca,  p.  73. 

Pétrarque  en  Provence  —  Le  eulte  de  Pétrarque  en  Provence.  —  La 
Féte  séculaire  de  1804  a  Yaucluse.  Pète  sec.  et  inter.  p.  15  e  seg. 

Q^nW  Centenario  diFr.  Petrarca  celebrato  in  Provenza.  Memorie  . 
della  R.  Acead.   della  Crusca.   Pirense ,  Tip.  della  Gazz.  d' Italia ,  1874. 
Conti  Auffusto,  Cose  di  Storia  e  d' Arte ,  Firenze,  Sansoni,  1874,  457-482. 

Fétes  littérairea  et  internationaleSj  Cinquiéme  Centenaire  de  la  mort 
de  Pétrarque  cèlébrée  à  Vaucluse  et  à  Avignon  le  18^  19  et  SO  Juil. 
1874,  Discours  et  toast  prononeéa.  Avignon,  Gres,  di  p.  294. 

Féie  séculaire  et  intemationale  de  Pétrarque  célèbre  en  Provence, 
1874.  Procés^oerbaua  et  vers  inédits.  Aix-en-Provence,  Veuve  Remondet- 
Aubin,  1875,  di  p.  2^4. 

Sicard  Adrien,  Ètude  sur  le  cinquiéme  centenaire  de  la  mort  de  Pé- 
trarque. Marseille,  Gamoins,  p.  39. 

Boy  Charles ,  Note  sur  le  cinquiéme  cent,  de  Pétranpie ,  Rapport  4 
la  Sodété  littér  de  Lyon.  Lyon.  Yingtriniér  (Revue  du  Lyonnais,  n.  105, 
Livr.  Sept.  242-46). 


(i)  In  Torino  a*  2  Marzo  del  1862  aveva  pur  luogo  una  grandiosa  ma- 
scherata: L' Incoronazione  del  Petrarca.  I  carri  per  1*  incoronazione,  e 
i  costami  furono  giudicati  esatti  a  bella  lode  del  cav.  Genin,  eh*  ebbe  dalla 
Commissione  delle  feste  V  inearico  dei  disegni.  Il  corso,  frequentato  da  stra- 
ordinario numero  di  carrozze  d' ogni  sorte,  era  avvivato  da  varii  carri  pieni 
di  graziosissime  maschere. 


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848  ONORANZE  AL  PVntAACA. 

Oiaize  Paul  >  Le  Genteaaire  de  Pèirarqoe.   Hevue  des  liangnm  n-  > 

raanea  de  Montpellier,  t.  vi,  278.  i 

Trrrh  Paul,  Roulleaux  E.,  Ferrei  Xr..  Rapporta.  Dans  les  Mèmórfe    ' 

de  la  Societé  littér.  d' Apt,  de  la  Societé  archeol.  de  Aix,  et  dans  V  Aue^*    \ 

aire  de  1'  Auoeiation  norrnande. 

V.  Reeue  hortieole,  Aoat,  1874,  MaraeUle,  Gayer,  p.  i50-i6i.  —  U    i 

petit  Journal,  n.  4228,   4227,  4228;   Le  Mèmoriai  d' Aix ,    n.  30-»;  Lt    1 

Voleur  de  Paria,  21  Juil.  n.  891,  ecc.  eec. 

AresBo.  —  L*  AocADBatiA  il  R.  Liceo,  il  Tbatro,  la  nuora 
Via  che  mette  nella  Piazza  Quido  Monaco^  portano  il  non» 
Petrarca. 

Avlfpnoiie.  —  €  Petrarca  dopo  cinquecento  -  anni  rìaoii^ 
fra  noi,  attrayereo  ì  secoli,  e  perchè  la  memoria  di  un  tal 
ritorno  resti  inestinguibile  nelle  nostre  mura,  sarà  battezzata 
col  nome  del  grande  uomo  la  strada  trionfale  che  fìi  seguita 
dal  corteggio  e  dal  busto  del  Petrarca.  >  Co,  Demaine^  Maire 
d' Avignone. 

Flrense.  —  De*  nuovi  viali  che  cingono  la  città  ebbe  il 
nome  Viale  Petrarca  quello  che  da  Porta  Romana  mette  a 
Porta  S.  Frediano. 

Padova.  —  La  piazza  dei  Carmini,  in  che  surge  il  mo- 
numento del  Petrarca,  venne  intitolata:  Piazza  Petrarca. 

TIenna.  —  Il  Consiglio  civico  di  Vienna,  il  di  10  Luglio 
1874,  con  voto  unanime,  denominava  una  delle  nuove  vie  di 
quella  capitale  Petrarcagasse. 


COLLEZIONI. 


Collezione  MarsIlnd.  —  Il  prof.  Marsand,  con  perseveranza 
quasi  piii  che  umana,  si  diede  a  tutto  raccogliere  ciò  che  di 
manoscritto  o  di  edito  gli  avveniva  di  scoprire  intomo  alle 
poesie  volgari  del  suo  prediletto  Poeta,  alle  illustrazioni  che 
in  ogni  tempo  se  ne  fecero,  ed  alle  memorie  letterarie,  che, 
com'  egli  stesso  esprimesi,  la  beata  copia  degli  amanti  rìsguar- 
davano.  Con  tali  sue  indagini,  continuate  per  ben  35  anni, 
potè  unii*e  una  raccolta  pressocchò  completa  delle  edizioni  delle 
Rime  del  Petrarca,  e  d' altre  opere  ad  esse  relative  delle  quali 
ci  diede  un'  accurata  descrizione  con  la  sua  Biblioteca  Petrar- 


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coLumoNi.  849 

zhesca  (Milano,  QìQsti,  1826).  —  La  Raccolta  del  Marsand,  unica 
al  mondo,  come  la  chiama  il  Mózières,  di&tiuguevasi  per  copia 
di  esemplari  sceltissimi ,  tra*  quali  parecchi  in  pergamena , 
esemplari  di  dedica  appartenuti  a  pontefici,  a  principi,  a  car- 
dinali. Se  non  che  avvisavasi  egli  che  la  sua  Collezione,  come 
che  preziosa  e  rara,  sfuggito  non  avrebbe  la  sorte  delle  private 
suppellettili,  e  collo  scorrere  del  tempo  sarebbe  andata  sgra- 
ziatamente perduta.  Bramoso  perciò  di  procurarle  possibilmente 
la  perpetuità,  Hvolse  i  suoi  pensieri  alla  Francia,  a  quella 
Francia,  cosi  egli  scrive,  ove  nacque  colei  che  colle  sue  virtù 
e  le  sue  grazie  inspirò  nella  mente  e  nel  cuore  di  Francesco 
Petrarca  i  versi  più  soavi  e  leggiadri  che  abbia  X  italiano  Par- 
naso. E  Carlo  X  nel  1821  ne  fece  acquisto,  mediante  un*annua 
pensione  di  L.  1200.  La  Marsandiana ,  conservata  nel  Louvre, 
comprendeva  862  voi.  e  736  opere,  e  si  era  quindi  notevolmente 
accresciuta  di  giunte  importanti.  Sventura  voUe  che  nelF  in- 
cendio di  quel  sontuoso  edificio,  andasse  pur  essa  miseramente 
distrutta  (1). 

Collezione  Rossetti.  Nella  Biblioteca  civica  di  Trieste.  — 
Senza  dubbio  la  Petrarchesca  Rossettiana  può  dirsi  oggi  la 
più  completa  Raccolta  che  si  conosca  delle  Opere  del  gran' 
poeta.  Se  non  potea  venir  a  «confronto  colla  Marsandiana  per 
bellezza  degli  esemplari  avanzavala  però  e  per  numero,  e 
per  alcuni  esemplari  o  unici,  o  divenuti  rarissimi  afiatto.  Il 
Marsand  avea  per  unico  intento  di  radunare  quante  più  poteva 
edizioni  del  Canzoniere,  ed  opere  che  prendevano,  comechessia, 
ad  illustrarlo;  mentre  il  Rossetti  estese  le  pazienti  sue  inda- 
gini alle  opere  tutte  del  Poeta,  versioni,  memorie,  elogi,  bio- 
grafie, illustrazioni,  censure,  medaglie,  ritratti,  ecc.  Cosi  la  sua 
Raccolta  più  riccamente  rappresenta  la  bibliografia  del  poeta, 
e  la  storia,  per  cosi  dire,  del  pensiero  petrarchesco.  —  Dall' ac- 
curatissimo c&talogo  dell'  Hortis  apprendiamo,  che  la  Rosset- 
tiana possedè  5  delle  6  edizioni  che  si  fecero  dell'Opera  Omnia; 
330  ediz.  del  Canzoniere,  63  di  opere  latine.  L' Hortis  ci  diede 

(1)  Perteè  éprouvéea  par  les  Bibliothèqueé  de  Paris  pendant  le  8i6ge 
par  lèi  PriMsiens  en  1870«  et  pendant  la  domìnation  de  la  Commune 
révolutionnaire  en  1871.  Rapport  à  M.  le  MhiUtre  de  V  Instruction  pu- 
bliqtte  par  M.  Baitdrillart ,  membre  de  V  InstUut ,  In^^teur  general 
des  Bibliothéquea.  Deux.  idit  revue  et  corrigie.  Paris,  Techener,  1872, 
in  8vo,  p.  85^. 


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850 

pure  il  catalogo  à<àl^  lamografia,  la  più  copiosa,  ami  V\ 

eh*  esista. 

CoLLBZioNB  Palbsa.  Nel  Museo  di  Padova.  —  H  dottor 
A ff astino  Palesa  ^  con  suo  testamento  6  Ottobre  1871,  legan 
al  comune  di  Padova,  oltre  la  sua  riochisaima  CoUezione  Dan- 
tesca, anche  la  Petrarchesca^  pregevole  assai  e  per  le  mdte 
edizioni  del  Gan»Hiiere,  alcune  'delle  quali  rarissime,  e  per  una 
buona  suppellettile  dell'opere  latine,  e  di  scritti  illustrativi.  D 
cospicuo  legato  venne  accettato  dal  Consiglio  Gom.  di  PiadoTB 
il  30  Dicembi^e  1873. 


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851 


SUPPLEMENTO 


Amici  del  Fetrairefli  (p.  588).  —  Riocabdo  db  Bubt, 
Fam.,  1.  lu,  1.  Vedi  ff,  Cocheris  PhUohiUion  eoxellent  tratte 
sur  r  amour  des  Uvres  par  Richard  de  Bury,  Paris,  1856. 
Trattato,  traduzione,  edizione  eccellenti.  —  Socrate.  Y.  Geiger^ 
nel  Zeitochr.  fur  deutache  Colturgesch,  1874,  p.  220. 

Vicende  dellai  tomlia  di  Fr.  retrnrefli  (p.  606).  — 
Il  Codice  Ottobon.  2418  (della  Vaticana),  ritei^uto  del  aec.  XVI. 
ha  per  titolo:  In  effroctorem  et  vioiatorem  eepukhri  Francisci 
I^etrarche, 

Llrlen  del  Petrnreai  (p.  654).  —  Gnoli  Dobibnioo,  La 
Rima  e  ]a  Poesia  italiana.  Petrarca  riguardo  alia  Rima,  Nuova 
Antologia,  Decembre  1876,  711-726. 

Vereioal.  t-  Vereloal  port  oiplieel.  —  A  pagina  676 
abbiamo  ricordato  tra  le  versioni  spagnuole  quella  di  Saìusque 
6  Seleuco  Lusitano  (Veneza  por  Nicolau  Bevilacque).  Sì  egli 
che  il  Oarcós  erano  portoghesi.  Neil'  edizione  dell*  opere  di  Ca- 
moens,  che  nel  1860  pubblicò  il  visconte  di  Joromenha  (en  el 
Tomo  Y  de  las  Obras  de  Louis  Camoens),  si  trova  l'appostagli 
versione,  in  terze  rime,  dei  Trionfi.  È  certo  però  che  il  Camoens 
tradusse  alcuni  sonetti  del  Petrarca,  e  tra  gli  altri  il  primo, 
che  è  il  101  de  suoi,  Vos  que  escutaes  em  rimas  derramados,  — 
Anche  il  D/  Vincenzo  db  Simo  ni,  medico  italiano  in  Rio  Janeiro» 
nella  sua  opera  Mamaihete  poetico  do  Parnaso  itaiiano  ci 
diede  parecchi  sonetti  e  canzoni  voltati  in  portoghese. 

Comenti  pAralall  (p.  714).  -—  Marsili  P.  Luigi,  Comenia 
della  Cantone:  O  aspettata  in  del  beata  e  bella»  Lucca,  Leo- 
nardi, 1868. 


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852  SUPPLBMENTa 

«•■lenti  paralaai  (p.  762).  ~  Dslul  Valle  Giovanni. 
Del  giorno  in  cui  il  Petrarca  mette  il  plenilunio  Pasquale 
del  1327;  e  di  quelh,  in  cui  fissa  il  principio  del  suo  inna- 
moramento. -*  Di  un  luogo  del  Petrarca  sul  principio  dd 
Cap.  II  del  Trionfo  delia  Morte  relativa  alt  Aurora  del  Sole 
o  air  amica  di  Titone  ;  e  prima  di  una  delle  ragioni  dei  difensori 
deit  Aurora  lunare  del  e.  ix  del  Purgatorio.  —  Del  giamo, 
in  cui  il  Petrarca  pone  r  Equinozio  di  Primaf>era  (Trìonfo 
d'Amore  i,  1).  Nuoto  iUustrazioni  sulla  Divina  Gommedùu 

€  Dante  col  mettere  nel  di  8  Aprile  del  1300  V  anniversario 
luni-80lare  della  morte  di  G.  C.  ne  fissava  il  giorno  dietro  la 
regola  del  cido  lunare;  per  contrario  il  Peti^arca  nel  1327, 
col  metterlo  nel  di  6  Aprile  si  allontanava  4  giorni  da  quello 
che  ne  porgeva  lo  stesso  ciclo,  li  primo  stava  colla  regola  di 
questo  ciclo,  e  di  più  ebbe  il  vantaggio  di  convenire  colla 
Chiesa  nel  dì,  ch'essa  fece  solenne  memoria  d^la  morte  del 
Salvatore,  essendo  il  venerdì  santo  caduto  nel  dì  8  Aprile: 
il  secondo  si  governò  colla  legge  astronomica.  Ma  11  anni 
dopo,  cioè  nel  1338  ci  sembra,  che  il  Petrarca  seguisse  il 
metodo  del  ciclo  Metonico.  Onde  in  quest'  anno  nel  fissare  il 
di  del  plenilunio  si  troverebbe  ne' suoi  computi  d'accordo  con 
Dante,  che  fece  lo  stesso.  Vi  ha  anche  di  più,  perchè  sarebbe 
vero,  che  nel  1338  il  di  6  Aprile  fa  il  giorno  che  il  Petrarca 
scrìsse  il  sonetto  Padre  del  del,  come  lo  era  stato  nel  1327. 
quando  compose  l'altro  sonetto  Era  U  giorno,  che  al  sol  si 
scolorare ,  colla  diflèrenza  soltanto  die  nel  1327  la  quintade- 
cima di  Marzo  cadde  nel  di  6  Aprile,  e  nel  1338  cadeva  nel 
di  8.  Ma  il  giorno  che  scrisse  que'  due  sonetti  fu  sempre 
il  di  6,  cioè  il  lunedi  santo.  Bella  corrispondenza!  Per  la  quale 
però  bisogna  che  il  poeta  nel  1338  facesse  uso  del  ciclo  lu- 
nare. »  —  li  Petrarca  nel  passo  dtato  del  Trionfo  della  Morte 
parla  chiaramente  anch' egli  deUa  vera  aurora  o  della  aurora 
del  sole.  *r-  Dante ,  mette  la  sede  deli'  Equinozio  a'  21  Marzo, 
il  Petrarca  lo  mette  invece  drca  8  giorni  prima,  conforme  al 
fatto  astronomico.  Dante  segui  la  regola  dell'anno  Giuliano; 
e  il  Petrarca  stette  coli'  osservazione  del  fenomeno.  Per  recare 
stabilmente,  almeno  per  lunghissimo  tempo,  dal  dì  13  al  21  di 
Marzo  l'Equinozio  di  primavera  si  dovette  aspettare  la  corre- 
zione Gregoriana  dd  1582. 


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SUPPLBBfBNTO.  853 

M.  F.  A.  G.  Cabipbbll,  prefetto  della  Biblioteca  reale  del- 
l'Aja,  ne' suoi  Annales  de  la  Typographie  Neerlandatse  au 
XV  Siede  (Haye,  Nihoff,  1874),  al  n.*»  1393,  cita  la  presente 
opera:  Petrarcha,  Teghen  diestrael  der  minnen  (Contro  gli 
strali  d*  amore),  senza  indicazione  nò  di  luogo,  nò  di  tipografo, 
uè  d'anno  (Gouda,  verso  il  1484^  in  20  foglietti,  e  in  grosso 
carattere  gotico).  Dal  titolo  riferito  ben  non  rilevo  quale  sia 
r  opera  citata. 


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854 


SUPPLEMENTO 

ALLA  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA. 


Paralleli  (p.  30).  »  FRANaoBi  Giovanni,  Quanto  v'itbbia 
di  vero  neiT  antico  paragone  fra  Jltìchelangeio  e  Dante,  Con- 
siderationi.  Genova,  1876. 

In  questo  breve,  ma  bea  pensato  ed  elegantisaimo  ragio- 
namento, piglia  ad  esame  T  antica  sentenza  che  fa,  aomìgìianti 
il  Buonarroti  e  T Alighieri,  e  dimostra  con  nuovo  arguto  ed 
ingegnoso  paragone  fra  quei  due  Grandissimi  che  le  simiglianze 
vi  sono  e  non  poche ,  nò  lievi ,  come  universalità  d*  ingiegno , 
evidenza  mirabile  di  stile  e  ardimentosa  fantasia,  par  nondi- 
meno le  differenze  sono  gravi  e  notevoli.  £  la  prima  e  più 
sostanziale  ò  questa  che  Michelangelo  tra  le  forme  supreme 
deli'  Essere,  V  onnipotenza  la  sapienza  e  T  amore,  predilesse  la 
prima  in  quanto  si  rivela  nella  fona  delt  uomo,  mentre  Dante 
seppe  accoglierle  e  specchiarle,  neU*  opera  fra  tutte  e  tre.  Da 
questa  si  deriva  una  seconda  diffnrenza  ed  ò  che  MichelBiig«Jo 
et  7'itrae  Vuomo  disgiunto  dal  mondo  esteriore^  solitario  e 
come  raccolto  in  sé  stesso,  Dante,  ce  ne  porge,  vivamente  rap- 
presentate, le  religioni  con  V  universo  e  con  Dio,  Anche  una 
terza  differenza  avvisa  il  Franciosi  ed  ò  nello  stile,  che  Miche- 
langelo, dipingendo,  scolpendo,  architettando,  non  muta  stile 
mai  0  quasi  mai;  Dante  invece  neW  opera  delTarte  fu  davvero 
trctsmutabile  in  tutte  guise,  e  seppe  secondare  la  generazione 
infinitamente  varia  del  suo  secando  concetto.  Per  le  quali 
considerazioni,  il  prof.  Franciosi  conchiude  con  questa  che  a 
noi  pare  giustissima  sentenza:  il  sovrano  Poeta,  per  univer- 
salità di  sintesi,  e  per  sapiente  varietà  d^  arte  vince  FeurUsta 
sovrano,  G.  R,  Rivista  Univ.  voi.  xxv,  p.  22A,  Nuova  Antol. 
Agosto  1866,  V.  Il,  890. 

Paur  Trbooor,  Dante,  Milton  e  Klopstoch,  Nella  Zur  Lit- 
teratur  und  Kulturgeschichte,  Lip.  1876,  403-479. 


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SUPPLBBiBNTO  ALLil  BIBUOGRAFIA  DANTESCA.  855 

ScHLBGBL  W.,  Dante,  Shakespeare  e  Goethe,  (Nell'Athe- 
aàum,  1798-1800))  che  lo  Schlegel  chiama  il  gran  trifoglio 
diella  poesia  moderna,  e  Dante  il  gran  profeta  del  cattoUcismo. 
Raur  Gustavo  Adolfo  Lod.  (n.  14  Giugno  1816,  conaigl. 
Concistoriale  e  prof,  di  Teologia  a  Lipsia),  Il  libro  di  Criobbe 
e  la  Divina  Comedia,  Parallelo,  1856. 

OoBBCBEL,  Daniele  e  Dante,  ovvero  V  aquila  e  T  allodola  ed 
il  riposo  finale,  Lezione  tenuta  a  Berlino  nel  1859. 

Daniele  Stern-Mabia  d' Aooult  Flavignt  (di  madre  ted.  e 
di  padre  francese,  n.  a  Francofort  1  Gen.  1816)  Dante  et  Goethe, 
Daniele  Stem  elesse  la  compagnia  di  Dante  per  gtuKrdare  in 
alto  e  rimagine  di  Dante  le  suscitò  ndla  mente  quello  dì  un 
altro  grande  colosso,  T  autore  del  Fausto.  Contemplando  queste 
due  figure  immense,  Daniele  Stem  compose  il  più  bello  de' suoi 
lavori  che  apparve  prima  nella  Re&ue  Germanique  e  nella  Eetme 
Moderne,  e  quindi  in  un  elegante  voL  separato  del  Didier  (1866) 
sotto  il  titolo  Dame  et  Goethe,  Dialoguee,  —  La  cont  Maria 
avea  visto  una  volta  Groethe  a  Francoforte,  e  ci  racconta  essa 
stessa  il  suo  ritrovo  col  Giove  della  poesia  tedesca.  Quanto  a 
Dante,  Damele  Stem  ce  lo  risuscita  nel  pensiero  come  se  ella 
lo  avesse  conosciuto  ed  amato,  e  non  solo  ce  lo  fa  ammirare, 
ma,  quello  eh*  ò  più  difficile,  ce  ne  innamora.  Daniele  Stem  è 
nata  per  le  regioni  elevate,  in  quelle  essa  procede  con  quel- 
la incesso  che  sente  e  fa  sentire  1* alito  divino;  in  questa  opera 
per  lo  meno  su  Dante  e  Goethe  F  anima  del  lettore  si  riposa 
ed  il  suo  pensiero  si  innalza.  Ed  ò  in  queste  pagine  piene 
d' alta  e  vera  poesia  che  un  grande  italiano  G.  Mazzini  fu  preso 
d'entusiasmo  per  D.  Stem.  La  prima  lettera  del  grande  pro- 
scrìtto del  13  Feb.  1864  da  Londra  diceva  così:  «  Madame, 
je  viens  de  lire  votre  beau  travail  sur  Dante  et  Goethe.  Et 
veuillez  le  croire,  ce  n'est  que  mon  admiration  pour  les  bonnes 
et  noUes  choses  que  tous  y  dites  qui  me  donne  le  courage  de 
vous  adresser  un  court  ecrìt  que  j' ai  publió  il  y  a  quelques 
années  et  qui  résumé  le  peu  que  je  sais  sur  lui.  Yotre  travail 
est  trop  serieux,  trop  cosciencieux,  pour  que  tous  n*  accordiez 
pas  une  demì-heure  aux  vues  d*  un  italien  qui  a  étudié  Dante  avec 
amsur  et  vénération,  et  qui  a  vouó  sa  vie  à  une  nationalitè 
qu'il  révait,  il  y  a  cinq  siòcles,  lui  le  premier.  »  —  Mazzini 
la  chiamava  sua  sorella  in  Dante.  Riv.  Eur,  Marzo  1873. 


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85« 

GonponliBeatI  poetici  (p.  33).  —  Dandolo  A.,  DaxÈi\ 

Aligbieri,  Versi.  Padova,  Seminàrio,  1874.  —  Gaussinei  Juh^A 
Une  Vision  du  Dante.  Montpellier,  OroUier»  1871.  —  VoUoB^Ì 
nedetto,  Sul  Monumento  di  Dante;  L*e8)glio,  Sonetti.  Lettore 
di  Famiglia,  Firenze,  Oeliini,  Marzo-Aprile  1875,  n.  9-10.  Gvcr. 
Giovanni,  Dante  rìfùgiatOfii  presso  Bosone  Rafiàelli  da  Oubbid. 
Sonetto,  Lago,  Meandri,  1847.  —  Per  Nozze  Raffaellì  — Gessa 

Hans  Sachs,  Historia  Dantes  der  Poet  Ton  Florentz.  Ne& 
II*  parte  del  v  ed  ottimo  libro  delle  sue  Poesie,  Norì]irt>em. 
Heussler-Lochner,  1579,  pag.  ooLXxzvni. 

«  Questi  ò  il  celebre  Hans  Sadis  (nato  a  Norimberga  il  3 
Novembre  1494,  morto  ivi  il  19  Gen.  1576),  il  calzolaio-poeta, 
il  quale  racconta  in  un  poemetto  come  Dante  fo  accasato  izh  i 
giustamente  «  bandito,  com'egli  ricoverò  a  Parigi,  e  poscb  ^ 
presso  Gan  Grande  a  Verona,  e  com'  egli  scrisse  un  poema  ia 
cui  discorre  delle  cose  celesti  infernali  e  terrestri,  e  ch'ò  sti-  ^ 
mato  moltissimo  dai  dotti.  >  Prof,  Soartatgim,  i 

€3oasponlas«ntl  draaiasatiel  (p.  42).  —  Ma]I1k»u  Tftd,  i 
Dante  AiUghieri  aW  ultimo  asilOj  Tragicomedia  in  5  atti.  Ca- 
stellamare,  Tip.  Di  Martino,  1876.  I 

Luigi  Tieck,  n.  a  Berlino  il  31  Maggio  1773,  m.^  28  | 
Aprile  1853,  nella  sua  comedia  Prìnz  Zerbino  oder  die  Reise  | 
nach  dem  guten  Geschmaek,  Iena,  17^,  &  eBtrftre  in  isceBA  < 
le  ombre  di  Dante,  Gerrantee  e  Shakespeare  ditegli  diiama  ' 
i  tre  santi  maestri  dell'  arte  moderna,  ai  quali  il  solo  Goethe  tra  | 
i  viventi  merita  d' essere  paragonato.  Scartarzini ,  Dante  in 
Germania,  391.  i 

Teologia  e  Cattollelamo  41  Sante  (pag.  42-47).  —  I 
Baumgarten-Grusius  Luigi  Fedbbico  Otto,  celebre  teologo  prò-  1 
testante  (n.  a  Merseburgo  31  Luglio  1788,  prof,  di  teolog»  a  i 
Jena,  ove  mori  il  31  Maggio  1843).  —  De  doctrina  Dantis  Ali-  ! 
gerii  Thelogica,  1836.  i 

FisoBBR  Antonio,  prof,  al  R.  Ginnasio  di  Monaco  in  Ba-  | 
viera,  Die  Theiogie  der  Divina  Comedia,  ài&ncheny  1857.  -— 
L'autore  è  cattolico,  ma  scevro  da  qualunque  passione  o  spirito 
di  parte.  Egli  esamina  pacatamente  quali  sieno  le  dottrine  I 
dell'Alighieri,  esponendole  coi  propri  suoi  versL  La  materia  è  I 


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ALLA  BIBUOOEAFfA  DANTESCA.  857 

livisa  in  nove  paragrafi  che  trattano,  della  fode,  di  Dio,  della 
'reazione  e  della  providensa,  della  creazione  e  caduta  degli 
lYtffioU,  della  creazione  e  caduta  dell'  uomo,  del  Redentore  e 
ieita  Redenzione,  della  grazia  e  giustificazione,  della  vita 
ryentura,  e  finalmente  della  risurrezione  e  del  giudizio.  Le 
note  iilnstrativd  in  fondo  al  voi.  (  p.  143-177),  provano  che 
f  autore  ha  fatto  stndi  vasti  e  profondi^  tanto  sugli  autori  sco- 
lastici, quanto  sulla  letteratura  italiana,  tedesca  e  francese. 
Questo  libro  ò  un  ottimo  compendio  della  teologia  dantesca, 
scritto  imparzialmente,  e  nell'unico  scopo  d'investigare  ed 
esporre  la  verità  obiettiva  del  sistema  di  Dante.  Peccato  che 
r  esagerata  sua  modestia  non  abbia  concesso  all'autore  di  dare 
maggfiore  pubblicità  al  suo  lavoro  l  Essendo  esso  stato  pubbli- 
cato nella  forma  di  programma  scolastico  non  potò  diffondersi 
molto.  Scartazzini, 

A  pag.  93  del  volume  iv,  ed  a  pag.  43  di  questo,  feci 
cenno  degli  autori  che,  torcendo  e  coartando  le  parole  del  cat- 
tolicissimo de'  poeti,  sciaguratamente,  ne  vollero  fare  un  pre- 
corsore  della  Bifornuu  A  maggior  compimento  di  quanto  riferii 
tolgo  dallo  studio  accurato  del  prof.  Scartazzini  i  seguenti 
particolari. 

La  prima  volta  ohe  e'  imbattiamo  nel  nome  di  Dante  nella  letteratura 
germanica  ai  è  in  on  libro  pubblicato  neU*  anno  156G.  Un  terribile  fanatico 
luterano  fu  il  primo  a  nominarlo.   Giova  apendere  due  parole  suir  uomo 
che  primo  parlò  di  Dante  Alighieri  al  popolo  tedesco.  —  Mattia  Flacius 
nacque  V  anno  1520  a  Albona  nell'  Illiria ,  e  si  chiamava  perciò  lUyrictis. 
Nella  sua  gioventù  voleva  farai  monaco  ;  ma  il  provinciale  Lupetino ,  il 
quale  aderiva  segretamente  alle  dottrine  luterane,  lo  indusse  nel  1530  a 
r€>car8i  a  Vittemberga  per  udirvi  il  famoso  riformatore.   Nel  1545  vi  fu 
eletto  professore  di  lingue  semitiche  ;  ma  abdicò  già  nel  1510  a  motivo  del 
coai  detto  Interim,  e  si  ritirò  a  Magdeburgo  ove  incominciò  la  pubblica- 
sione  dette  famose  Cèt^ttsrie  Magieburghesl.  Nel  1557  fu  nominato  prof e8> 
sore  a  Jena  ;  ma,  a  motivo  dall'  ostinato  suo  &natismo,  depoato  nel  1561, 
andò  errando  per  diverse  città  e  mori  poverissimo  V  anno  1575  nell'ospe- 
dale di  Francoforte   sul  Meno.   Essendo  a  Magdeburgo ,  Flacius  pubblicò 
uu'  opera  che  egli  intitolava  Catalogua  testium  veritatis  (  Basilea  1556  ) , 
nella  quale  egli  registra  tutti  coloro  ohe  combatterono  contro  la  chiesa  di 
Roma.  Anche  Danto  eocapa  un  posto  onorevole  in  queato  catalogo.  Né  vi 
si  legge  il  solo  nome.  Tutti  i  passi  della  Divina  Commedia  e  della  Monar- 
chia, che  sono  o  sembrano  diretti  contro  la  corto  di  Roma,  vi  si  riproducono 
fedelmente  nell*  originale.  Cosa  singolare  !  la  prima  volta  che  udiamo  parlare 
di  Dante  in  Oermania,  lo  troviamo  annoverato  tra  i  precursori  di  Lutero. 

54 


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858 

N«Ua  Btena  cttU  in  cui  Ai  sUmpato  il  libro  dd  Flftcias,  si  pobfafinTi 
tre  anni  dopo  (1559)  neU'  officina  di  Giovanni  Oporino,  per  cura  di  Awlr^- 
Alciati,  la  prima  edizione  del  libro  De  Monarchia,  come  pare  nna  tr^' 
none  dello  atesso  in  Ungila  tedesca  per  cura  di  Basilio  Qiovannì  Uerdr: 
(Monareheyy  ecc.  Basilea,  1560).  Non  e*  è  dubbio  che  lo  spìrito  di  Flaciti 
diade  V  impulso  anche  a  qiMSts  due  pubMicaiioni.  In  esse  pure,  Gome  c> 
CatalOffUi  tetUufn  veritatU,  V  Alighieri  è  invocato  a  testiinonio  contro  -i 
corte  Romana.  Notevole  ci  sembra  la  circostanza ,  che  la  prima  edizk^i 
del  De  Monarchia  non  si  fece  in  Italia  ma  in  Germania.  — >  Dal  punto  -^1 
vista  del  luteranismo  i)  piò  rigido  ed  esclusivo  si  ragionò  pure  £  Daiti<  | 
delle  opere  sue  in  alcuni  artiooU  stampati  nella  Gauelta  Evangelica  EcdM 
siastica  (1811,  n.  40-51,  57-00,  68-70),  diretU  del  troppo  famoso  professori 
Hengstenberg  a  Berlino.  Lo  stesso  giornale  tornava  a  vendicare  a  Ds^-i 
l'onore  di  essere  precursore  del  Luteranismo  (1842,  n.  11  e  IS). 

n  GoBSCBBL ,  (n.  a  Langelsalia  il  6  Ottobre  1784,  m.  a  Nnumborp  I 
SS  Settembre  180S),  innamoratissimo  di  Dante,  come  bella  fiuiciiilla  del  <«| 
vago,  ne  scriveva  la  vita  neiriSHctWopMba  dei  Protestanti  (voi.  m,  2S&^j 
e  il  23  Agosto  1853  faceva  le  sue  Comunicazioni  sulla  Divina  Commeé 
ai  devoti  della  Società  Evangelica  ad  edificazione  e  salute  ddle  lor  anim»  -) 
Il  prof.  Pbrd.  Pipbb,  berlinese,  nell'A/munoMO  EvangeUeo  (18116)  puiaTi 
di  Dante  e  della  sua  teologia  {Man.  DanL  iv,  M).  —  H  Oraoi.,  quantusq^l 
nel  Veltro  vi  trovi  V  anagramma  dà  Lutero,  però  riconosce  che  Dante  fu  na 
solo  esternamente  ma  anche  per  convinzione  membro  fedele  della  chiesa  r:' 
tolica.  <  Dante,  die'  egli,  vuole  una  riforma  del  Capo  e  delle  membra  del! 
chiesa,  el  la  spera  tra  breve  con  fiducia  veramente  profislica.  Il  papa,  rùsa 
Bendo  il  supremo  pastore,  tornerebbe  alla  povertà  dei  pnmi  vescovi,  xìbik 
ciando  al  potere  temporale.  Dante  non  ieprezza  dunque  T  istituto  del  paja.: 
ma  deplora  soltanto  eh'  esso  sia  divenuto  tutto  mondano.  Ei  riconosce  ra"> 
rità  del  sommo  pontefice,  ed  in  ciò  è  direttamente  in  opposizione  ool  protesta 
tismo  che  non  ammette  altra  autorità  in  cose  di  fede,  fìiorcbè  la  Scritturi 
sacra.  Dante  va  -bensì  gravido  di  idee  riformatrìoi,  ma  egli  è  tattaTi^ 
molto  lontano  dai  riformatori;  se  s'inganna  chi  lo  vuole  ottimo  catk^<v 
s'ingannano  molto  più  quei  protestanti  che  pretendono  che  egli  sia  ^ 
loro.  > 

Carlo  Habr,  teologo  celeberrimo  (n.  25  Agosto  IdOO,  dal  1829  sa?  i 
questo  giorno  professore  a  Jena),  uno  dei  più  forbiti  scrittori  tedeadù,  sersi 
nella  sua  Storia  della  Chiesa  :  «  Daute  Alighieri  dipinse  nella  sua  Di^.U 
Commedia  con  colori  allegorici,  come  in  un  giudizio  universale  dcHa  pcs^^i 
sacra,  il  suo  secolo,  la  storia  universale  e  lo  stato  morale  ddlo  s^.'l 
umano,  conciliando  l'amore  con  la  Religione;  con  1* ardire  di  an  ghibd.^ 
lino  che  scorge  la  salute  del  mondo  nella  signoria  universale  dell' impen^ri 
la  cui  origine  come  quella  del  papato  è  divina ,  egli  inveisce  cootru  ri 
abusi  della  gerarchia,  canonizzando  e  dannando  di  propria  mano;  an-^^^J 
di  Virgilio  e  nello  stesso  tempo  pieno  di  reverenza  per  San  Toounaso  f  •! 
entusiasmo  per  la  fede  della  Chiesa,  è  egli  il  primogenito  figlio  della  Cl\^ì 
tra  i  poeti.  »  Alcuni  scrittori  posteriori  avrebbero  fatto  bene  a  poodtTkrl 
seriamente  queste  parole  del  gran  teologo.  Più  in  là  1'  Hase  chidir^  .1 
Divina  Commedia  «  1'  orgoglio  e  la  speranza  di  Italia,  »  uu*  opera  da  r-=  j 
tersi  a  lato  alle  migliori  dell'  antichità. 


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ALLA  BIBLIOGRAFU  DANTESCA.  859 

LstL  è  una  grande  sventura,  scrive  sapientemente  il  prof.  Scartazzini, 
quando  gente  che  di  Dante  non  conosce  che  le  cose  più  ovvie,  s'ingerisce 
a  discorrerne  dinanzi  al  gran  foro  del  pubblico  ;  la  è  una  sventura  ancora 
ma^^ore,  quando  dotti,  del  reato  benemeriti,  si  affaticano  di  appropriare 
a  Dante  le  fantasie,  le  opinioni  e  credenze  de*  secoli  posteriori.  L' ho  detto 
e  lo  ripeto  :  la  questione  se  Dante  si  avvicini  più  al  Protestantismo  che  al 
Cattolicismo  è  tanto  inutile  quanto  è  oziosa.  Dante  visse  nel  secolo  deci- 
moterxo,  non  già  nel  decimosesto.  11  suo  sistema  è  eminentemente  gerai> 
chioo,  sta  in  opposizione  diretta  col  sistema  del  Protestantismo,  nonostante 
lo  zelo  oon  coi  biasima  gli  abusi  de*  suoi  tempi ,  massimamente  gli  abusi 
della  Corte  di  Roma.  , 

MiCBBLAMQBLo  DI  VoLTBHRA,  trombetta  del  comune  dì  Pisa  nel  1488, 
in  quel  curiooo  catalogo  dei  libri  da  lui  letti ,  che  il  Bandini  ha  stampato 
nel  Catal.  LaurenM.  f  Suppl.  m,  238,  pone  Dante  AldigfUeri  fra  i  libri 
dall'  anima  da  leggere  di  quaresima.  E  nelle  costituzioni  deirAccademia 
senese  dei  Rozzi  era  stabilito  che  in  quaresima  si  avesse  a  legger  Dante  : 
vedi  Fabiani,  Mem.  sull'Accad.  di  Siena  nella  Nttova  Raccolta  del  Callo- 
gerà^  ni,  89.  —  D'Akcona,  /  Precursori  di  Dante,  112. 

rolKlea  di  Dante  (p.  47).  —  D'  Ancona  prof.  Alessan- 
dro, Il  concetto  della  unità  politica  nei  poeti  italiani^  Discorso. 
Pisa,  Nistrì,  1876.  —  Il  vecchio  concetto  medioevale  del  Papa 
e  dell'Imperatore  ò  dall' Alighieri  professato  non  solo,  ma  per- 
fezionato e  compiuto  colla  pratica  applicazione  .ai  casi  della 
penisola.  Dante  eguaglia  le  due  prime  autorità  del  mondo,  e 
le  paragona  a  due  soli,  autorità  eh'  ei  volea  assolutamente  se- 
parate, indipendenti  e  concordi.  Ed  ei  vinceva  i  suoi  avversari 
nella  bontà  del  metodo  almeno,  ad  una  mistica  argomentazione 
sostituendo  una  prova  di  natura  storica.   Tutto  ciò,  dice  il 
D' Ancona,  se  si  mutino  i  termini  e  in  luogo  di  Cesare  e  Pietro 
dicasi  autorità  laica  e  sacerdotale,  Stato  e  Chiesa,  sembrerebbe 
pensato  e  scritto  pui*  oggi,  dappoiché  Dante  professa  quella 
medesima  dottrina  della  distinzione  fra  i  due  poteri,  che  anche 
gli  statisti  moderni  van  propugnando,  ma  eh' è  più  facile  ad 
esprimere,  che  a  definirne  i  precisi  confini.   Do v' egli  ritorna 
uomo  dei  suoi  tempi,  è  quando  «immedesima  quasi  fra  loro  i 
concetti  di  Roma,. d'Italia  e  d'Impero —  —  L'unità  d'Italia 
era  per  Dante  nell'  unità  dell'  Impero  restaurato  :  unità  di  giu- 
risdizione suprema,  più  che  materiale  e  di  unico  Stato.  Se  tal 
concetto  poteva  mai  avverarsi,  e  avvallandosi  giovare  all'  Italia, 
segue  egh,   non  cercheremo;  ben  diremo  come  Dante  ebbe  a 
credere  un  momento  che  dall'altezza  della  filosofica  dispuCa- 


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860  SCJPPUEMBNTO 

zione  potesse  esser  recato  in  atto,  quando  Anigo  di  Lussera- 
burgo  scese  giù  dalle  Alpi ...  Se  fiXTvì  mai  Cesare  germanico 
che  avesse  alto  e  generoso  concetto  dell'autorità  impmaie, 
certo  ei  fu  Arrigo  ;  e  se  F  Italia  poteva  sperar  salate  da  uco 
straniero,  certo  non  da  altri  poterà  attenderla  che  dal  monarca 
idoleggiato. 

Flloaofla  (p.  48).  —  Zancbi  Qiubrppb,  Doitrifte  di  Dante 
Alighieri  sul  libero  arbitrio  delfuomo  e  kt  predestinazione 
divina  (segnatamente  sulla  dottrina  e  sul  vero  senso  delle  prime 
terzine  del  e.  iv  del  Paradiso:  Intra  duo  cibi).  Alcune  Armonie 
deir  ordine  naturale  coli*  ordine  sovrannaturale.  Verona,  Zanchi, 
1863,  p.  182-192. 

Sciense  flalelie  e  matematielie  (  p.  59  ).  —  DfXJ^ 
Valle  Giovanni,  Nuove  Ilhistraziom  sulla  Divina  Commedia 
divise  in  ire  parti,  ad  uso  delle  scuole.  Faenza,  Novelli,  1877. 

Era  già  consegnato  al  tipografo  V  ultimo  foglio  di  stampa, 
quando  mi  giunse  il  desideratissimo  volumetto   dell'egregio  e 
dotto  mio  amico,  prof.  Della  Valle.  Ei  soprattutto  prende  ad 
osarne   que*  pass!  del  poema ,  i  quali  hanno  o  possono  avere 
stretta  relazione   colle  scienze  esatte  di  cui  appunto  sì  giova 
per  illustrarli.    E  non  solo  tratta  di  quelli,  dove  può  stabilire 
con  certezza  le  sue  note,   ma  anche  di  qu^li  altri,   dove  se 
non  può  con  certezza,  spera  di  stabiKrle  con  grande  probabi- 
lità. Del  rimanente,  ei  divide  queste  sue  Nuove  Itiusiranoni  In 
tre  parti.   Nella  prima  ragiona  di  tre  Riscontri  che  trova  fra 
Dante   e  il  Petrarca  relativamente  a  certi  punti  della  Divina 
Commedia  e  del  Canzoniere,  dove  gli  pare  che  i  due  poeti  sono 
concordi  e  dove  noi  sono.  Perchè,  ei  dice,  dove  son  concordi, 
ciò  aggiunge  lume  e  foi*za  a  quello  chMo  dico:  dove  poi  non 
sono  concordi,  convien  vedere,  da  quale  principio  essi  mossero, 
per  venire  a  quanto  essi  affermano,  e  in  cui  differiscono  Tuno 
dair  altro.  —  Nella  seconda  parte  esamina  e  confuta  varie 
nuove  interpretazioni  di  varii  Comentatorì  moderni,  di  cui  taluni 
ancora  vivono.  —  Racchiude  la  terza  la  Hsolunone  di  alquanti 
problemi  importanti,  che  il  poeta  propone  da  risolvere  a*  suoi 
lettori,  ai  quali  nessun  intei^prete  non  pensò  mai,  o  di  cui  non 
fece  né  andie  una  parola,  ma  che  dagF interpreti  merìta^'ano 


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ALLA  BIBUOORAFIA  DANTESCA.  861 

<U  venire  proposti  e  risoluti.  —  Nelle  varie  appexulici  illustra 
varii  altri  passi  del  Poema,  i  quali  o  non  furono  dichiarati,  o 
a  parer  suo  noi  furono  abbastanza,  onde  formarsene  un'idea 
chiara.  —  Quantunque  io  non  abbia  percorso  che  di  volo  le 
Illustrazioni  del  Della  Valle,  esse  mi  parvero  si  concludenti,  e 
presero  si  mia  fede,  che  certo,- Maestro  mio,  dissUo,  unquanco 
j^on  vicP  io  chiaro  si,  com*  io  cUscemo,  Là  dove  mio  ingegno 
parea  manco. 

Riprendo  la  penna  grandemente  addolorato.  Il  povero  amico 
xdìo  si  pose  giù  il  12  Aprile:  le  affettuose  parole  d'indicizzo, 
vergate  dal  letto  con  mal  ferma  mano  portano  la  data  del  14: 
alle  5  ore  del  mattino  del  16  egli  non  era  più.  — -  Fra  pochi 
veri  Dantisti  (non  parlo  de*  numerosi  scribaccfaiatori  su  Dante) 
terrà  sempre  un  posto  conspicuo.  Se  non  altro  mi  conforta 
alquanto  il  pensiero  ohe  potò  veder  compiuta  la  stampa  del- 
r  ultimo  suo  lavoro,  ohe  forse  affrettò  pei  ripetuti  ed  amorosi 
miei  incitamenti. 

Frobleail  Importaatl  ehe  Daate  propose  al  eao 
l.ettore  e  riaolaalone  deupli  etcMl.  —  I.  In  qual  modo  il 
poeta  potea  dalla  sfera  stellata  vedere  i  sette  pianeti  e  la  Terra. 
—  II.  In  qual  modo  potea  giudicare  deUa  loro  gi*andezza.  — 
Osservazione  sopra  una  parte  di  questo  Problema.  —  III.  Se 
un  emisfero  d^la  Terra,  dove  il  Sole  è  nato  da  un'  ora  o  an- 
che da  un*ora  e  mezzo  possa  apparire  tutto  bianco  o  illumi- 
nato, o  sok)  una  parte  (Par.  i,  44-45).  —  IV.  Perchè  Dante 
nella  sua  salita  al  Cielo  finge  di  passare  da  una  sfera  alFaltra 
in  un  istante  indivisibile  di  tempo?  —  Perchè  nelle  sue  salite 
volle  moversi  col  moto  delle  sfere  celesti?  —  Nuote  Illustra" 
zioni,  p.  86-101. 

Dblla  Yallb  Giovanni,  Illustrazione  dei  versi  97-105  del 
o.  II  del  Paradiso  ;  Tre  specchi  prenderai,  —  Questi  versi  fu- 
rono interpretati  fin  dal  1865  dal  chiar.  profl  Mosso  tti  {Man, 
Dani,  w,  136),  ma  secondo  il  Della  Valle  non  con  bastante 
chiarezza  pei  lettori.  Ond*egli  ne  parla  in  una  nota  a  p.  120, 
che  divide  in  due  teoremi,  uno  di  Ottica  propriamente  detta,  e 
r altro  di  Fisica,  nella  notizia  dei  quali  consiste  la  più  ordi- 
nata intelUgeiiza  di  questi  versi.  —  Teorema  I.  Le  superficie 
dei  corpi  appaiono  alT  occhio  di  iaU  grandezze,  che  sono  nella 
ragione  inversa  del  quadrato  delle  distanze.  —  Teorema  II. 


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862  StTPPLRMBNTO 

—  Le  superficie  piane  egualmente  himinose  o  iUuminate,  te- 
dute  da  qualsxì)ogUa  distansa,  che  sia  fuori  dette  ordùutrie^ 
appariscono  egualmente  chiare  o  splendenti. 


Sall*C|ioca  della  Tlalone  •  Itinerario  della  Btviaa 
Commedia  (p.  66).  —  Della.  Valli  Giotìlnni,  Dei  giamo  in 
cui  Dante  mette  il  plenilunio  pasqwUe  del  1300;  e  di  queUo, 
nel  quale  pone  il  principio  del  suo  viaggio,  —  Premesse  al- 
cune parole  snl  modo  col  quale  al  tempo  di  Dante  si  stabilÌTa 
il  giorno  di  Pasqua,  il  plenilunio,  attesa  la  r^^  d^  ctdo 
Metonico  seguita  dalla  Chiesa  e  da  Dante,  cadde  nel  di  7  (se- 
condo la  legge  astronomica,  avvenne  il  4  Aprile),  e  per  conse- 
g^ente  al  principio  della  notte  del  di  6  intraprese  il  suo  Tiaggio 
per  lo  regno  de*  morti. 

Se  Dante  ablria  messo  la  sua  Visione  nei  Maggio 

1300.  —  Se  Dante  abbia  posto  la  sua  Visione  o  il  suo  Viaggio 
neWanno  1300  o  nel  1301.  —  Nuove  Illustrazioni,  p.  41-57. 
—  Combatte  gli  argomenti  del  Lebmzzi  che  vorrebbe  a-venuta 
la  Visione  ai  primi  di  Maggio  del  1301;  e  ritiene  inoppBgna- 
bili  quelli  che  la  fissano  nel  1300,  anziché  nel  1301.  —  Rigfoardo 
poi,  al  vero  tempo  dal  poeta  impiegato  nel  viaggio  dei  tre  re- 
gni^ ci  mostra  che  in  quello  dell'  Inferno  vi  consumò  un  giorno 
intero;  3  giorni  e  nove  ore  in  quello  del  Purgatorio;  92  ore 
e  mezzo  nel  Paradiso  fino  al  primo  mobile,  in  tatto  5  giorni 
7  ore  e  mezzo.  —  Nel  passaggio  dair  Inferno  al  Pui^torìo  vi 
spese  21  ore  e  10;  dal  Purgatorio  al  Paradiso  19  <m«  in  drca; 
in  tutto  40  ore,  talchò  aggiunto  questo  tempo  ai  5  giorni,  7 
ore  Y2  sì  ^A  1^  somma  di  6  giorni  23  i/g  ore  (p.  146). 

CosbIsIobI  Polliplotte  (p.  72).  —  Se  Dante  sapesse  di 
greco,  V.  Comparbttc  Dombnico  ,  Il  Virgilio  nel  Medio  Evo,  l 
260;  Giuliani  Giamb.,  Il  Convito,  223;  Sckuck,  Dante  *s  ìAm^ 
sicher  Studien,  Lipsia,  1865,  p.  2724ÌS\, 

llaate  e  le  Belle  Arti  (p.78).  — >  Da  alcuni  documenti  pub- 
blicati da  A.  Bertoiotti  nel  suo  scritto  su  Geandomknìoo  Anoblim, 
pittore  perugino,  e  suoi  scolari  (Perugia,  BaoBoempsgiiI  e  C. 
1876),  rilevo  che  F Angelini  avea  fìitto  un  ritratto  di  Dani»  (1591) 
e  che  gli  fu  rubato  da  un  Orlando  Landi  suo  procttratore. 


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ALLA.  BIBU0GB4FJA  DANTESCA.  863 

Boba  Fbancbsgo,  Dante  Alighieri^  Medaglione  in  marmo, 
con  r  effigie  in  rilievo.  Oli  fan  corteo  Tiziano,  Palladio,  Canova, 
Rossini,  scolpiti  aopra  altrettanti  medaglioni,  e  rappresentano 
il  c<mvegno  delibarti  soi*elle.  / 

Troubbtti  Ottone,  Beatrice^  buato.  —  Pazzi  E.,  La  Ra- 
chele che  soavemente  medita  il  pensiero  dantesco.  —  Pazzi 
Knr.,  La  Lia  che  canta  e  raccoglie  fiori. 

Santarelli,  Dante  inciso  in  gemma,  —  Neir  ultime  volontà 
di  VtUorio  Alfieri  esposte  e  raccomandate  alla  contessa  di  Al- 
bany,  si  legge:  Air  ab.  Tommaso  Calttso  il  mio  anello  del 
JDantCy  in  mio  nome,  e  per  mia  memoria,  —  Ci  spiace  dover 
fare  una  congettura,  scrìve  il  prof.  Teza,  ed  è  che  la  volontà 
deir  Alfieri  che  lasciava  questo  prezioso  ricordo  al  diletto  suo 
amico  Abate  di  Caluso,  non  sia  stato  adempiuto,  poiché  questo 
si  trova  nel  Museo  Fabre  in  Monpellieri.  Vita,  Giornali  e  Let- 
tere di  Vittorio  Alfieri,  Firenze,  Le  Mounier,  1861,  p.  474. 

$t«dl  storici  sai  tempi  di  Dante  (p.  111).  —  Fumi 
L.,  Trattato  fra  il  comune jii  Firenze  e  il  co,  Aldobrandini 
per  il  porto  di  Talamone.  Archivio  Stor.  ital.  1876,  v.  xxiii. 

Labruzzi  di  Nexima  Francesco,  Di  una  falsa  opinione  di 
Carlo  Troya,  Estratto  dal  Oiomale  il  Buonarroti,  Serie  ii,  v.  xi, 
Febbraro  1876. 

Il  Troya,  avversissimo  ai  popoli  germanici  stabilitisi  in  terra 
latina,  sentenzia  assoluto  che  la  voce  latino  presso  V  Alighieri 
«  significa  gli  uomini  della  penìsola  non  usciti  dal  sangue  lon- 
gobardo ma  si  dal  romano,  e  terra  latina  vuol  dire  una  terra 
suddita  dell'impero  romano  che  non  fu  mai  conquistata  dai 
longobardi.  E  il  sig.  Labruzzi  di  Nexima  gli  si  oppone  vaio* 
resamente,  e  prova  ad  evidenza  che  per  Dante  latino  non  suona 
altro  che  italico,  e  che  nel  giudizio  del  Poeta  V  elemento  latino 
e  quello  barbarico  s'erano  già  afiratellati,  già  confusi,  già 
scambievolmente  fecondati,  e  già  n*era  uscita  bella  di  promet- 
tente giovinezza  e  già  capace  di  splendide  prove  la  novella 
gente  italiana. 

Stadi  svilii  IM%lBMi  OoiBHiedla  (p.  117).  ^  Obntile 
L.,  Il  realismo  delta  Divina  Commedia,  I  nuovi  Gagliardi, 
a.  I,  Febbraro,  Marzo,  Fase.  U2,  1877.  —  GnoU  Domenico, 


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864  8UPPLBIIBMT0 

La  Rima  e  la  poesia  italiana.  -^  Demi»  e  Petrarca,  —  F^tvro  i 
latine  usate  da  Dante  nella  Rima,  Nuova  Aotdogìa,  Decem- 
bre  1876,  p.  711-726.  —  Gravisi  Fcdbbioo,  Dei  Cerchi  infer- 
nali di  Dante,  Studio  filolofico  e  critico  sulla  graduazione  òe, 
peccali  e  delle  peoe,  cioè  nella  corrispondenxa  di  queste  a  quelli 
neir  Inferno  Dantesco.  Napob*,  Fibreno,  1876,  di  pag.  142.  V 
Nuova  Antologia^  Marzo  1877,  voi.  iv,  p.  695.  —  Teipbpi  AIons. 
Luigi,  Direttore  del  Papato,  Dante.  Nel  voi.  de* suoi  acrìtt: 
Roma,  1876.  —  Poaocoo  Uoo  Gksaks,  Lezione  su  Dante^  dett: 
nel  R.  Liceo  Annibal  Caro  di  Fermo  il  di  8  Dee.  1876.  —  k- 
troduzione  —  Condizioni  dell*  epoca  dantesca  ^  Daate  poeu 
lirico  religioso  e  civile  —  La  Commedia  ò  un  monumento  sto^ 
rico,  dottrinale  artistico  <—  Bisogna  studiarla  in  so  e  in  reU- 
zione  ali*  epoca  (dantesca)  —  Un  desiderio. 

Ferrerò  Pio  e  Giovaochino  Db  Agostini,  Sulle  nuornssirn- 
interpretasioni  e  iUustrazioni  del  P.  Giowinni  Pomta  tntontc 
alla  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  (Articoli  inseriti  iin 
Messaggiero,  n.  44).  Torino,  Fontana,  1844,  op.  di  p.  18. 

Ricordo  questo  librìccino  solo  per  una  nota  del  P.  Gìov.  òri 
Agostini  che  vi  trovai  a  pag.  16,  che  riguarda  un  nostro  emi- 
nente ed  integerrimo  uomo  di  stato,  cui  tanto  debbe  ritalii. 
ed  insieme  letterato,  matematico,  naturalista  insigne,  il  cornei. 
Quintino  Sella,  attuale  Preside  dei  Lincei.  —  e  Io  rìcorden> 
sempre  con  piacere,  così  il  De  Agostini,  che  nel  1840,  troTan- 
domi  allora  maestro  di  rettorica  in  Biella,  un  giovinetto  a  14 
anni  (Quintino  Sella)  mi  recitava  in  iscuola  a  memoria  eoa 
indicibile  precisione  da  40  e  più  canti  della  Divina  Commedia, 
e  li  interpretava  in  modo  che  era  una  meravi^ia  a  udirlo.  — 
Questo  giovane  studia  <Mra  in  Torino  le  matematiche  con  molto 
successo,  ed  io  ne  fo  questa  menzione  perch*egli  vegga  quaotr. 
memona  ed  affetto  gli  consacri  tuttora  il  suo  maestro  di  qq 
giorno.  » 

PiPEB  Carix)  Qugliblmo  Ferdinando  (n.  n  Stralsunda,  1811) 
—  Nel  I  voi.  della  sua  Mitologia  deWarte  cristiana  (p.  244  e 
seg.  ) ,  parla  dell*  uso  della  rappresentazione  mii(dogksa  nella 
Divina  Commedia  (v.^p.  141). 

Ottingen  Co.  M.,  Dante  Alighieri  poèt  itaUen  du  premier 
ordre.  Nella  sua  BibUographie  biographique  stampata  dal- 
TEngelmann  a  Lipsia.  Lavoruzzo  di  poca  importanza. 


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ALLA  BraLlOCOUVlA  DANTESCA.  865 

Frenzbl  Carlo  Guglielmo  Teodoro,  Dante  Alighieri,  — 
'^elle  Unterhaltungen  am  haeuslichen  Herd  (Ricreazioni  dome- 
stiche) dirette  dal  Gutzkow,  1865,  n.  51-52. 

Tolgo  dal  pr9f.  Scartasadm  i  seguenti  giudizi  che  su  la  Divina  Goni- 
nedia  portarono  tre  illustri  alemanni,  il  Goethe,  lo  Schlegel  e  Io  Schlosser. 
—  In  una  lettera  del  Maggio  del  1787,  scriveva  il  Goethe:  A  me  V Inferno 
ni  sembra  orribilissimo,  il  Purgatorio  ambiguo  ed  il  Paradiso  noioso.  Ma 
lel  1801  rettificava  cosi  il  suo  giudiào.  Egli  è  un  genio  straordinario;  la 
Divina  Commedia  degna  dell*  ammirazione  universale.  E  parlando  partico- 
larmente deir  episodio  di  Ugolino  cosi  si  esprìme  :  Quelle  poche  tersine 
vanno  annoverate  fra  le  cose  più  sublimi  che  l'arte  poetica  abbia  mai 
prodotto.  In  un'  altra  occasione  ei  chiama  Dante  «  uno  spirito  sublime,  un 
genio  eminente,  un  degno  cittadino.  »  —  Lo  Schlegel  nella  Storia  della 
letteratura  antica  e  moderna,  chiama  Dante  <  il  santo  fondatore  e  padre 
della  poesia  moderna  »  che  congiunse  la  poesia  alla  religione  ed  <  abbracciò 
con  mano  forte  in  un  immenso  poema  la  sua  nazione  ed  il  suo  secolo,  la 
Chiesa  e  l'Impero,  la  Scienza  e  la  Rivelazione,  la  Natura  ed  il  regno  di 
Dio.  »  —  E  nei  suoi  JDiaìoghi  sulla  poesia  lo  Schlegel  celebra  Dante  come 
r  unico  poeta  cristiano  che  «  in  circostanze,  poche  dallo  quali  erano  favore* 
voli,  moltissime  all'incontro  indicibilmente  difficoltose,  tutto  solo  con  la  gi- 
gantesca sua  forza  inventò  e  diede  forma  ad  una  specie  di  mitologia  quale 
era  possibile  nel  secol  suo.  >  Altrove  egli  dice  che  <  il  poema  profetico  di 
Dante  è  1* unico  sistema  di  poesia  trascendentale.  >  —  E  lo  Schlosser:  <  Chi, 
come  Dante,  accanto  a  cui  T  autore  osa  appena  nominarsi,  sopportò  il  peso 
e  r  arsura  del  giorno  né  potè  saziare  la  sete  sua  interna  negli  studi  eruditi 
della  filosofia,  sia  nella  teologia,  né  dall'altro  canto  si  sente  disposto  a 
prendere  sopra  di  sé  il  giogo  della  cieca  credenza  che  si  vorrebbe  di  nuovo 
imporre  per  forza  alla  umanità  —  un  tale  uomo  cercherà  conforto  nello  opere 
di  Dante. . . .  L' autore  continuò  a  credere  in  un  duplice  mondo,  un  mondo 
esterno  ed  un  mondo  interno.  Dante  gli  sembrò  ognora  grande  appunto  in 
ciò  ch'egli  mira  alle  due  vite  interna  ed  esterna.  Egli  è  dall'un  canto  pratico, 
storico  e  crìtico;  dall'altro  canto  tutto  assorto  in  un  ideale  di  sapienza, 
amore,  grazia  e  verità  divina  ed  umana.  Ciò  rende  possibile  le  diverse 
interpretazioni  del  suo  poenui,  avendo  egli  trattato  delle  scienze  le  più  «va- 
riate^  della  storia  dei  suoi  tempi  e  della  sua  propria.  Ogni  sistematico  può 
conseguentemente  adattare  Dante  con  facilità  al  suo  sistema,  come  Sha- 
kespeare e  la  Bibbia.  E  veramente  noi  troviamo  che  già  i  suoi  contempo- 
ranei incominciarono  a  interpretarlo  ognuno  a  loro  modo.  »  Sono  queste, 
per  quanto  io  mi  sappia ,  le  ultime  parole  che  lo  Schlosser  lasciò  scritte 
sul  suo  poeta  prediletto. 

Imitatori  del  IMviiio  Poema  (p.  181).  —  À  pag.  176 
abbiamo  ricordato  la  leggenda  le  Beoot  Pelegri,  popolarissima 
nei  monti  della  Catalogna,  e  in  una  nota  a  p.  182,  abbiamo 
fatto  cenno  d' un*  operetta  venuta  alle  mani  dell'  egregio  nostro 
amico  dott.  Gaetano  Vidal,  prof.  delF  Università  di  Barcellona, 


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866  SUFPUDIBNTO 

col  titolo  Via^e  al  Infem  por  Pere  Porter^  die  crede  iiiedì& 
tuttavia.  Ei  vi  trova  specchiate  molte  imitazioiii  della  Dhizs: 
Commedia ,  si  riguardo  alla  forma  che  al  concetto ,  e  mo^  | 
ingegno  neir  autore.  E  siccome  ei  si  mostrò  sempre  meco  d"  nm  ' 
bontà  unica  più  che  rara,  fece  i  prieghi  miei  esser  conienti^  ed 
io  son  lieto  di  pubblicarne  il  primo  un  largo  accenno,  pro^ 
sandomi  pur  riconoscente  per  la  versione  air  antico  mìo  collega 
e  buon  amico,  l'ab.  prof.  Trivellini,  Prefetto  della  nostra  )ii- 
blioteca,  già  conosciuto  per  molti  eleganti  saggi  di  verdose 
che  ci  diede  dell*  insigne  poeta  spagnuolo    Ant.  Tmebla. 

LIBRE  DKL  ROHIATOB  DEL  VKNTURÒ3  PBLEGRÌ. 

'  ARGOMENTO, 

Fermato  di  raggiungere  la  gloria  del  paradiso,  imprende  il  Pdlegni» 
an  viaggio  per  a  Roma  a  gnadagnare  U  Giubileo  e  a  ciò  solo  infanto  ia- 
piega  camminando  i  giorni  aeuza  riposare  |hù  clie  le  notti  ne^lì  alhergLì. 
che  incontra  per  via,  giangendo  all'  estremo  di  smenticarn  di  porgere  l. 
corpo  r  indispensabile  sostentamento.  In  tale  stato  viene  assalito  nei  pévB: 
di  Pavia  da  violenta  e  sformata  procella ,  e  temendo  di  non  restersi  vii- 
lima,  e  scorgendo  la  sua  cosdenta  carica  del  paso  di  tanti  e  tanto  enonc' 
peccati,  fuorviato  e  veggendosi  addentrato  in  un  folto  pineto 

«E  Tant*  alto  e  fosco  che  del  mirare 
Restò  sbigottito.  > 

diresse  una  fervld  a  invocazione  ali*  Avvocata  sfia  la  SS.  Vergine,  affinchè 
non  Io  abbandonasse  in  emergenza  tanto  terribile. 

Calmato  alquanto  V  animo  suo  giunge  a  conciliare  il  sonno  ;  tranquil> 
lasi  la  bufera  e  cominciava  già  a  rinascergli  in  cuore  la  fiducia,  quando  ia 
sulla  mesKanotte  ode  da  un  lato  i  prolungati  abbaiamenti  di  un  cane,  ai 
quali  succedono  ivi  a  poco  tristissimi,  e  laceranti  gemiti.  Raccomandasi  di 
bel  nuovo  a  tutti  i  Santi,  e  alla  Madre  de'  peccatori,  a  che  non  lo  al^n- 
donino  neli'  angustiosa  sua  situazione ,  e ,  sentendosi  nuove  forze,  rìscdve 
d*  avviarsi  verso  il  sito,  donde  s' udiano  i  lamenti  ognora  più  intensi. 

Scongiura  la  voce  a  manifestargli  chi  sia,  e  che  cosa  si  voglia ,  —  e 
la  voce  lo  assicura,  manifestandogli  di  non  temere,  esser  dessa  on*  anims 
in  pena,  che  soffire  nel  Purgatorio  l'orribile. tormento  di  vedersi  legata  a 
un  tornio ,  al  rotar  del  quale  ora  tra  fiamme ,  ora  tra  cumuli  di  gelata 
grandine,  qui  ne  sbranan  le  carni  ritorti  chiodi  nascosi  in  un  mare  di  pece, 
là  ne  la  martirizzano  fiamme  di  puzzolente  liquefatto  lolfo ,  e  da  attimo 
passa  per  luoghi  pieni  di  succidame  e  d*  immondeiae  :  di  ciò  tutto  ne  la 
consola  la  speranza  di  conseguire  un  di  la  gloria  celeste.  La  colpa  »  se- 
condo egli  stesso  palesa ,  è  d'  essere  erede  di  chi  si  fece  poderoso  per  la 
usura,  e  d*  esser  morto  senza  restituire  i  beni  ereditati,  giusta  le  prescri- 


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ALLA   BTBU06RAFIA  DANTESCA.  867 

ioni  del  confessore.  Aggiunge,  troyarsi  suo  padre  ali*  inferno,  dove  sarebbe 
!g-U  stosso  senta  il  soccorso  della  Vergine ,  e  supplica  il  pellegrino  ad 
pplicargli  i  perdoni,  eh'  ei  guadagni  nel  Giubileo,  e  al  trovarsi  in  paradiso 
pregherà  incessantemente  per  lui.  Ciò  gli  concede  il  pellegrino,  a  cui  mo- 
;trnsi  profondamente  grato  colui,  che  patisce  nei  Purgatorio,  e  alla  domanda 
'«lati va  a*  latrati  del  cane ,  che  durante  la  conversazione  non  erano  mai 
:essati ,  manifestagli ,  essere  lanciati  dal  padre  suo ,  che  patisce  nel- 
'  Inferno. 

Appiccasi  poscia  tra  il  Pellegrino  e  l'anima  in  pena  un  dialogo  vera- 
cemente teologi  co-catechetico,  in  cui  si  chiarisce,  quali  peccati  sono  i  più 
arrendi ,  che  V  nomo  possa  cfMtnmettere  ;  quali  le  azioni  più  accettevoli  a 
Dio  ;  come  si  separi  V  anima  dal  corpo  nell'  alto  di  morire  ;  e  per  soddi- 
sfare a  quest'ultima  domanda  gli  narra  gli  orribili  dolori  morali  e  fisici 
i?he  patì  in  quegl' istanti  supremi,  in  cui  tutto  lasciava,  gli  agi  della  vita, 
un'amata  sposa,  cominciando  la  narrazione  con  questo  verso 

«E  Non  v'  ha  nel  mondo  pena  maggiore  > 

che  riduce  alla  memoria  il  Nesstm  maggior  dolore ,  ecc. . . .  Continuando 
il  suo  racconto ,  riferisce ,  che  d' improvviso  ferinne  gli  occhi  un'  abba- 
gliante luce ,  in  mezzo  alla  quale  distinse  V  Etemo  attorniato  da  risplen- 
dente corteggio.  Dinanzi  al  solenne  di  Lui  tribunale  si  vedo  il  processo 
delle  sue  colpe,  avendo  per  accusatore  il  demonio,  e  per  difensore  l'Angelo 
Custode.  Quegli  in  un  allegato ,  che  riunisce  tutte  le  formolo  giuridiche 
dell*  epoca,  espone  il  capitolo  di  colpe,  che  per  identico  procedimento  stu- 
diasi r  Angelo  di  distruggere ,  adducendo  ragioni  morali  e  teologiche  di 
gran  momento,  che  danno  luogo  a  una  calda  discussione  tra  1*  uno  e  Tal- 
tre  relativamente  alle  condizioni,  che  accompagnar  debbono  la  confessione 
ad  ottenere  i  suoi  effetti.  Udite  le  ragioni  d' ambe  le  parti  esposte,  e  quando 
il  Giudice  Supremo  si  dispone  a  proferire  la  sentenza,  comparisce 

«  Quella  eh*  ò  la  fulgida  stella 
Senza  peccato  > 

la  quale  intercede  in  fìivore  del  peccatore ,  che  di  Lei  era  gran  divoto  ; 
aderisce  alla  supplica  della  Vergine,  ne  lo  invia  al  Purgatorio,  dond'esce; 
in  quanto  il  Pellegrino,  compiuto  il  suo  viaggio,  gli  applica  le  Indulgenze 
del  Giubileo ,  e  termina  1*  opera  col  pregare  Iddio  e  la  Vergine  a  conce- 
derci la  pratica  delle  cristiano  virtù  in  questa  vita  ,  e  la  gloria  eterna 
neU*  altra. 

GIUDIZIO   CRITICO. 

È  una  dell'  opere  più  compiute  nel  suo  genere  :  la  lingua  elegante 
quanto  semplice ,  la  fluida  sua  versificazione ,  il  brio  del  dialogo ,  la  pro- 
prietà nelle  descrizioni,  1*  argomento  svolto  maestrevolmente,  tutta  infiuisce 
neir  animo  del  lettore  a  che ,  dato  di  piglio  al  libro ,  non  lo  lasci  sAiggir 
della  mano.  A  dò  probabilmente  si  doro ,  che  di  quante  opere  esistono 
nella  poesia  popolare  Catalana,  sia  questa  la  più  conosciuta ,  e  che  siasi 
stampata  più  volte.  Fuvvi  tempo  in  che  la  si  leggeva  nelle  scuole  come 
testo  per  la  classe  più  avanzata  e  di  qui  la  flrase  proverbiale,  che  ancora 


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868 

■QHitte  In  Catelogaa,  ad  Mprimer»,  ok»  una  penona  ha  Mutarti  gxaail 

trav««li,  m'ha  fai  pamd  'l  Peiegri  {m"  Im  latto  paaaare  U  PellegriM^ 

Ultimamente  lo  ha  dato  in  luce  il  diligente  bildiofilo  D.  Marinno  Jk^m^ 
nel  ano  canaoniere,  col  titolo  oeguente:  «  Libre  del  romiatye  dei  Venntm  | 
Petegri,  ables  CobUt  ób  ia  morty  eoe. 


Relació  y  memoria  y  espantós  viatge  que  feu  Pere  Porltr 
pajés,  naturai  de  la  Vtia  de  la  Tarderà,  t?escomptat  df 
Bas  y  Bisbat  de  Girotta  als  23  d'Affasi  de  i608. 

ARQOMBirro. 

Un  povero  contadino  di  Tordera  vede  ataggiti  gindióalmentB  i  boi 
suoi,  che  dati  aTova  a  ipoteca  in  forca  di  certo  debito  ^  canoeQato.  Pi«> 
testa  dell*  atto ,  manifestando  di  aTere  redenta  V  obbligasiane  ;  ma  acfis 
impossibilità  di  produrre  l'autentica  ricevuta  (1*  scrittura  di  rice^nta),  à 
conferma  V  esecasione ,  sospendendone  nullameno  gli  effetti  in  grana  £ 
sicura  malleveria,  P  mediante  giuramento,  eoi  quale  si  obbliga  di  aod£* 
sfSuns  il  debito ,  cbf  ingiustamente  da  lui  ai  reclama ,  a  patto ,  die  gK  si 
oonceda  il  tempo  indispensabile  p«r  andarsene  a  Maasanet,  dorè  potr*  lì- 
scuotere  alcuni  crediti.  Concessagli  la  licenza  dal  Tribunale ,  ai  pone  ia 
cammino,  e  in  esso  si  aooompsgna  con  un  aitante  giovane,  che,  iafonuala 
da  Porter  della  diresione  (del  suo  viaggio), 'gii  offre  una  delle  cnvn&catare, 
onde  dispone,  e  che  il  contadino  ricusa  con  beUe  maniere.  Vinto  contai  dai 
prieghi  del  cavaliere,  gli  rende  conto  de'  motivi,  che  V  hanno  costretta  a 
imprendere  il  viaggio,  il  perchè ,  sentendo  alquanto  sollevato  il  cuore  dal 
peso  che  V  opprimeva ,  e  accettando  finalmente  le  di  lai  offerte ,  riaolvesa 
di  montar  la  giovane  cavalcatura ,  che  il  donzello  per  ripetute  fiate ,  gti 
aveva  esibito.  D*  improvviao  vedesi  rapito  a  veloce  carriera,  e  traversando 
valli  e  monti,  laghi  e  mari  penetra  in  fine  in  una  profonda  mvema,  aDa 
estremità  della  quaìe  ferisce  V  occhio  suo  un*  estesa  pianura  di  fuoco,  dov<» 
patiscono  terribili  tormenti  i  peccatori  e  i  delinquenti.  Ivi  scorge  il  gastipo 
inflitto  a  varie  persone,  che  conobbe  in  vita,  ed  ivi  si  abbatte  finalmente 
nel  Notaio,  nella  cui  autorità  erasi  rogata  la  teriUura  di  jMjai#»lo,  eoa 
ohe  estinguevasi  il  delnto,  cagione  delle  sue  angustio  e  de*  suoi  trmvagri, 
e  di  bocca  dello  stesso  acquista  le  notizie  relative  al  sito ,  dov*  esista  il 
protocollo ,  in  cui  qnell*  atto  ai  trova  disteso.  ->  Continua  a  percomxe  i 
luoghi  deir  inferno,  che  non  ha  visitati  ancora,  e  finalmente  acoc^rrai  li- 
bero dagli  orrori  di  easo^  mercè  l' intervensione  di  un  gentil  giovane, 
vestito  da  pellegrino ,  il  quale  oflregli  il  bordone ,  perchè  ad  esso  appog- 
giandosi possa  più  agevolmente  tenergli  dietro.  Dopo  brevi  istanti  sparisce 
la  sua  guida,  vede  a  aè  dinanzi  un  paese,  che  immagina  esser  diverso  da 
quelli  della  sua  provincia  ;  con  grande  sorpresa  e  dispiacere  viene  a  chia- 
rirsi essere  Murviedro  :  quivi  lo  assale  una  tarribiln  malattia,  che  lo  pro- 
stra per  moUl  giorni  nel  letto  del  dolore,  finché  riavutosi  da  essa  imprende  il 
ritorno  al  suo  paese,  giungendovi  il  di  1  del  Novembre.  Nel  seguente,  in  coi 
celebra  la  Chiesa  la  Conunétnorasion*  de*  Defunti  si  trasferiaeea  Boatalricb, 


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ALLA   BIBUOQSAFIA  DANTESCA.  869 

iove  stato  ani  Notaio  1*  aatoro  del  tao  danno,  a  presenlandom  nella  cava*, 
eh*  eaao  aiutava  vivendo,  nella  q[uale  dimoravano  ancora  la  di  lui  mogUe, 
ì  i  fiorii)  pone  in  pratica  le  istruzioni  da  esso  avute,  non  curando  le  beffe, 
:;he  di  lui  facevansi  quelli,  che  veggendolo  in  tale  stato ,  pigliavanlo  per 
pazzo ,  —  ritrova  il  documento  con  grande  sorpresa  e  meravigfìa  degli 
istanti  ;  chiede  testimonianza  formale  per  neutralizzare  gli  effetti  della 
esecuzione,  e  porgendo  grane  al  Signore  pe'  benefizi ,  che  gì'  impartiva , 
termina  raccomandando  a'  presenti  la  rettitudine,  ed  il  buon  procedere  in 
tutte  le  azioni  della  vita. 

GIUDIZIO   CRITICO. 

L41  detta  opericciuola  dovuta  alla  penna  di  persona  non  affatto  indotta, 
rivela  da  un  canto  un  certo  istinto  poetico,  e  racchiude  alcune  remini- 
i^cenze,  che  non  vacillo  in  chiamarle  dantesche.  Colui  che  in  vita  prevaricò, 
presentasi  all'  inferno  col  processo  che  gli  cuoce  eternamente  la  mano  :  il 
dedito  a*  piaceri  sensuali  giace  fra  due  donne  in  un  Ietto  di  fuoco  :  un 
Rvvocato  azzeccagarbugli  sta  seduto  sur  un  seggiolone  d' acute  spine  e 
infocate,  e  soffrir  deve  gli  scherni  de'  demoni,  che  de'  suoi  clienti  pigliava  : 
-^  un  padre  e  un  figlio  posti  in  un  tormento,  come  i  tubi  (o  vaselli)  in 
una  noria  (atromento  a  ruota  per  attinger  acqua ,  che  attorno  attorno  ha 
le*  boccaletti  a  quest'  uso  ) ,  si  vituperano  terribilmente  ogni  volta  che  si 
veggono  V  uno  dinanzi  all'  altro ,  come  accade  a'  prodighi ,  e  agli  avari 
aeil*  inferno  di  Dante,  ecc.  ecc.  Il  linguaggio,  senza  mancare  di  sublimità, 
b  semplice,  quale  si  avviene  a  tal  classe  di  laggends,  destinata  special- 
inenta  al  popolo.  Non  sappiamo  dire  per  altro  se  1*  autore  siasi  proposto 
i*  indirizzare  un'  omelia  a*  suoi  simili,  atfinchè  si  dilunghino  dalla  via  dal 
male ,  o  se  con  tal  mezzo  abbia  mirato  di  pigliarsi  vendetta  di  qualche 
torto,  collo  scrivere  una  specie  d*  infamante  libello  contro  determinate  per- 
sone, che  di  a  conoscere  00*  loro  nomi  e  cognomi.  Costituisce  un  tratto 
poetico  di  grand*  effetto  il  collocare  lo  sdoglimento  nel  giorno  2  di  No> 
rembre^  in  cui  la  Chiesa  celebra  la  ComtnemoraxioiM  de'  Defunti. 

NOTIZIA   BIBLIOGRAFICA. 

Ignoro  sa  siasi  mai  impressa  detta  scnttnra  ;  ma  puc^  affermare,  che 
ottenne  grandissima  popolaritA ,  perché  in  capo  di  oltre  a  due  secoli  e 
inexzOf  senz'  alcuno  sforzo  sono  giunte  a  mio  mani  tre  copie  della  stessa , 
provenienti  tutte  da  differenti  paesi  e  provincie,  —  e  alcuna  trovata  in 
case  feudali,  0  borgate  di  certissimo  circondario.  V*  ha  di  più  ancora  :  nel 
volgare  linguoggio  dicesi  in  Catalogna  Las  caideras  de  Pera  Boterò  — 
riferendosi  ali*  inferno.  —  Cotesto  Pera  Boterò  sarebbe  forse  corruzione  dei 
fere  Porter  ì  Fra  poco  penso  di  darlo  in  luce  nella  Revista  Catalana 
«  L.a  Renaiscenza.  > 

no%^ettl  Inspirati  dalla  Hitriiia  Commedia  (p.  182). 
—  Bartoli  Filelleno  (prof.  Bartolommbo  Ferreri,  doti,  in 
Belle  Lettere),  La  Commedia  umana,  poema  Dantesco.  E  in 


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870  SUPPLBMBNTO 

corso  di  stampa,  Oenora,  tip.  degli  ArtìgiaiiaUL  II  prot  Ferrari 
ha  cominciato  a  leggere  questo  suo  poema,  con  plauso,  all'U»- 
Tersità  di  Torino.  È  diyiso  in  tre  Cantiche,  nelle  quali  prende 
a  svolgere. 

Cantica  I.  Cantica  II.  Cantica  HL 

L'Olimpo  moderno  II  naovo  Mondo  La  città  d^  aeUe  collL 


Lo  scopo 

n  vero                    colle  arti  beQe 

Il  mezzo 

La  storta                col  racconto  verìdico 

n  fine 

n  bene                   col  dUetto  lecito  e  onesta 

Sita  estensione 

Suo  intendimento 

L'evo  moderno 

L'evo  medio 

Coir  istruzione  della  menta 

L'evo  antico 

e  coli' educazione  del  cuore. 

Senso  religioso 

Senso  morale                    Senso  polìtico 

La  Sinagoga 

La  scienza                        La  nazionalità 

La  Chiesa  cristiana 

La  coscienza                     La  fraternità 

La  Chiesa  cattolica 

La  moda                           L' nguagiianxs. 

Allegoria  e  fUmbeli  della  Divisa  Caimedlm  (p. 

185  e  529).  —  Ronzi  prop.  Akoklo,  ìhuma  espasùùme  deiU 
Divina  Commedia,  Saggi.  —  Teoria  psicologica.  —  Dante  e  ìa 
Selva.  —  Virgilio.  —  Beatrice.  — .  H  Veltro.  —  La  Città  ddenie 
e  Caronte.  Venezia,  Tip.  della  Soc.  di  M.  S.  fra  Comp.  Tip., 
1877. 

Il  Big.  Ronzi  ci  dice,  che  le  sue  opinioni  o  ipotesi  son 
fratto  di  Innghi  studi  e  meditazioni,  opinioni  che  per  avrentura 
potran  parer  ardite  o  retrograde  ali*  ignoranza  o  ali*  oi^poglio. 
Ma  pur  troppo,  son  io  pure  della  schiera  deUe  crealore  scioc- 
che cui  molta  ignorafìza  offende.  E  si  lessi  e  rilessi  i  soioì 
Saggi  nella  speranza  che  il  suo  parlar  discendesse  in  ver  lo 
segno  del  mio  intelletto.  Ma  T  ingegno  dorme:  e  la  sua  parola 
tanto  sovra  mìa  veduta  vola,  che  più  la  perdo,  quanto  più 
m*  aiuto. 


Beatrice  (p.  206).  —  Ds  Guidobaldi  D(»ìemco,  La  Bea- 
trice di  Dante  è  la  Rivelazione  ovvero  la  Teoìogiaì  £stcatto 
dalla  Rivista  religiosa  la  Scienza  e  la  Fede,  a.  xxxvi,  serie  iv, 
voi.  IV,  1876,  Napoli,  Tip.  Manfredi. 


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ALLk  BIBLIOQRAFU.  DANTESCA.  871 

«  B«atrìoe  ha  fìitto  penetrar  Dante  per  via  delle  teologiche 
ottrìne  neir  Inferno,  ove  soffri  Beatrice  laedar  le  sue  vesUge, 
Illa  oondosselo  nel  Purgatorio,  per  vedere  quanta  purezza 
.eceasaria  sia  ad  entrare  nel  celeste  regno.  Solo  la  sua  guida 
u  capace  di  fargli  penetrare  gli  arcani  della  piii  alta  sapienza 
eologica,  insegnandogli  i  dommi  più  ardui  di  Dio,  del  mondo 
dell^uomo  in  rapporto  alla  natura  del  sommo  Vero,  alla 
reasùone  e  alla  redenzione  pel  Verbo.  Il  quale,  ab  etemo 
Lmando  le  creature  tutte  con  amore  immenso,  e  tale  che  noi 
romprenderlo  non  possiamo  ;  e  che  per  riabilitar  V  uomo  e  per 
adiarlo,  abbassandosi  senza  nulla  perdere  dell* essere  di  Dio, 
iberamente  assunse  V  anima  e  il  corpo  umano  con  che  venne 
kd  elevare  tre  nature,  T angelica,  Fumana,  e  la  materiale,  far 
pendole  partecipi  della  verità  e  della  bontà  infinita  con  dono 
lingolarissimo  di  grazia  sovrannaturale.  Or,  Dante  che  vedea 
1  disviamento  umano  e  T  affogamento  nella  falsa  filosofìa,  im- 
prende il  suo  divino  Poema  ordinato  a  collocare  l'umanità  e 
r  Italia  massimamente  entro  que*  veri  dettati  da  sana  ed  assen- 
aata  filosofia  armonicamente  avvinta  ad  una  teologia  nudrita 
dd  alimentata  dalla  Fede,  e  dalla  Rivelazione,  sostenuta  e  depo- 
sitata nel  Magistero  divino  della  Chiesa.  Egli,  il  sommo  Poeta 
B  gran  Teologo  del  secol  suo,  facevasene  espositore  e  difensore, 
servendosi  della  simbolica  figura  di  Beatrice.  >  V.  Galanti^  La 
Beatrice  ò  simbolo  della  Rivelazione,  p.  206.  —  Il  Galanti  si 
propone  nella  prossima  sua  lettera  IX  di  rispondere  al  Guido» 
baldi.  Delle  lettere  del  Galanti  parlai*ono  con  molta  lode  il  Pa- 
pato di  Roma,  V Araldico  di  Pisa,  e  la  Scienza  e  la  Fede  di  Napoli. 

I^ettorl  dell»  IHviaa  Commedia  (p.  247).  —  Il  prof 
Mario  Bapisardi  tenne  parecchie  conferenze  air  Ateneo  Veneto. 
Nelle  due  prime  (26  e  31  Dee.  1876),  disertò  su  Dante  Giure- 
consulto  e  C  Italia  de'  suoi  tempi.  —  11  prof.  Alberto  Agresti 
ne  tenne  pure  all'Università  di  Napoli.  Trattò  deipn'mt  anni 
delT  esilio  di  Dante,  soggetto  che  svolse,  secondo  ne  scrissero  i 
giornali,  con  originalità  di  concetto  e  con  perizia  non  comune. 

Cementi  (p.  272).  —  La  Divina  Commedia  di  Dante  Ali- 
ghieri con  note  tratte  dai  migliori  Commenti  per  cura  di 
Eugenio  Camerini.  Edizione  stereotipa,  quinta  tiratura.  Milano, 


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I 


872 

SoDZOgno»  1876.  ^  Il  Danto  (edìs.  ctel  Sonzogno),  ò  tra  tatti  a 
prodigio  vero  di  rìodiezzft  interiore,  neil*  esteriore  povertà.  Ma/-  4 
tarani,  -^  (V.  Man,  Dani,  v,  272).  Salomone  (Rogenio)  Bacq«  | 
in  Ancona  d' Isacco  Camerini  e  di  Fortunata  Levi  a*  13  Lngfr  ( 
1811.  Tullio  Massaraoi  dettò  uno  studio  ìiteFes8aiitÌ8nmo  e  . 
ricco  d* affetto.  •—  Sul  monolito,  posto  in  sua  memoria  od 
Campo  santo  di  Milano,  si  legge  la  seg.  iscriàoDe:   Buf^k  < 
Catnerini  —  Segretario  deit  Accademia  MUanese  —  2X  Saen:: 
e  Lettere  —  Per  varia  erudizione  -*•  E  efitigorio  di  ttUe  -> 
Critico  in  Italia  non  superato  -~^  Da  ia  felice  giovinezza  —  A  ' 
la  sconsolala  canizie  —  Onestuomo  '—  Durò  stcscamemie  enkù 
povertà  ingratitudine  —  Mori  a  LXIII  anni  —  R  IdiMarr^ 
del  1875  —  NepcH  amici  oonditadini  —  Auspice  liaHa  P.  — 
Michele  Boninsegna  ne  &oe  il  ritratto:  Tidea  e  il  mod^ 
accuratissimo  di  tutto  lo  stele  sono  dell' archi totto  Anguto 
Colle,  un'artista  secondo  il  nostro  cuore,  dice  il  Maasarasi, 
che  pensa  e  senta  ogni  linea  che  segna. 

Comeatl  (p.  281  ).  —  Galanti  can.  Cabicnb,  Altre  Osstr- 
vasùmi  sul  I  Canto  delP  Inferno,  Lettora  vm.  Ripatranaone . 
laffei,  1876.  —  Da  molti  passi,  segnatamento  del  Purgatorìo, 
ci  prova  che  il  Sole,  che  mena  dritto  altrui  per  ogni  calle  è 
simbolo  della  Grazia,  e  le  addotte  ragioni  mi  parviero  strin- 
genti. —  Riguardo  al  passo  ohe  Danto  si  volse  indietro  a  ri- 
mirare e  che  non  lasciò  giammai  persona  riva  ei  ritiene  che 
sia  il  passo  delC  ingresso  della  selva,  che  reputa  il  medesimo 
che  il  passo  dell'uscita.  Considerando  qnéL  passo,  come  pasvo 
d'ingresso  e  non  d'uscita,  l'Alighieri  lo  dice:  che  non  lasciò 
giammai  persona  mea,  perchò  chi  s' involge  nelle  vinose  abi- 
tudini, rappresentate  dalla  selva,  ò  morto  alla  grazia.  —  Ore 
si  consideri  Virgilio  come  simbolo  della  ragione,  egli  era  fioco 
per  lungo  silenzio,  percbò  nei  tempi  barbari  non  si  coltivarono 
che  da  pochi  le  scienze,  e  la  ragione  si  tacque  e  fa  come 
spenta.  —  Il  Galanti  ritiene  la  porta  di  S.  Pietro  per  la  porta 
del  Paradiso,  e  non  come  vorrebbono  molti  interpreti,  e  tra  gli 
altri  il  Bonassuti,  per  la  porta  del  Purgatorio. 

€3oaieBtl  j^ivlall.  (295)  —  iRFBaNO  XI.  7.  —  Vidi  una 
scritta  Che  diceva:  Anastasio  papa  guardo  (p.  319).  Vujri  P. 


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ALLà  BIBLIOGRAINa  DANTESCA.  873 

BoNAvfiMTimA,  AgOBtltikDO  scaIzo  dì  Mootalto  ligure,  Sopra  papa 
Atiastasio,  Memoria  letta  in  Roma  air  Accademia  dei  Quiriti, 
il  20  Aprile  1859.  Sopra  il  Rendiconto  pubblicato  dal  P.  Gio- 
ì>antu  Giordano  { Oiorn.  Are. ,  1860 ,  Evin  )  abbiam  dato  un 
sunto  a  ^stg.  378  del  ^.  iv.  Ora  la  Memoria  venne  pubblicata 
in   OnegUa,  daUa  Tipogr.  Ghilim,  1875. 

Xn.  4(M4  (p.  322).  —  Da  tutte  parti  ratta  valle  feda,  — 
V.  Della  Valle  G.  Nuove  Illustrazioni,  101-104.  —  Ho  volato 
dilungarmi  alquanto,  ei  dice,  ndla  presente  nota,  non  solo  per 
dichiarare  un  pò*  meglio  che  non  fanno  i  Comentatori  questo 
passo  di  Daikte^  ma  anche  per  mostrare  quanto  addentro  egli 
vedesse  ki  questa  materia,  e  in  un  certo  modo  precorresse 
alle  dottrine  e  acoperte  de*  moderni  Geologi. 

XVIII.  66.  -—  Sul  significato  della  voce  Conio  (p.  336-340). 
Gittdiiio  delV Accademia  della  Crusca.  —  Nello  stesso  nostro 
collegio  vi  fu  chi  prese  a  sostenei^e  con  opposti  argomenti  la 
volgare  interpretazione,  mentre  un  altro  Accademico  ne  coglieva 
il  destro  per  ricercare  il  piii  probabile  significato  delle  voci 
Conio,  Coniare  e  Coniatore  presso  gli  antichi:  e  ambedue 
stamparono  i  loro  scritti  eruditi.  L'Accademia,  sentite  le  parti, 
deliberò,  e  la  spiegasione  data  già  dall'  antica  Crusca  a  Conio 
in  quel  luogo  della  Divina  Commedia  confermò  per  la  quinta 
edizione  del  Vocabolario.  Atti  della  Regia  Accademia  d^lla 
Crusca,  1875-76,  Firenze,  Gellini,  1876,  Rapporto  dell'anno 
a^ocad.,  1875-76  del  Segretario  Cesare  Guasti,  p.  53-55. 

XXVI.  124-134.  —  E,  volta  nostra  pqppa  nel  mattino. . . . 
Il  Della  Valle  ci  vuol  provare  come  dalle  parole  di  Ulisse  non 
s»ia  chiaro  abbastanza,  nò  si  possa  dedurre  senza  un  qualche 
esame  che  giunto  all'  Equatore  terminasse  ivi  il  suo  viaggio , 
e  facesse  naufragio,  come  chiosò  nelle  sue  note  Geografiche 
astronomiche.  Ed  ei  non  solo  s'  argomenta  di  confermare  la 
sua  chiosa,  ma  assieme  di  ribattere  V  opinione  dello  Scartazzini 
che  vorrebbe. Ulisse  si  fosse  avvicinato  alia  montagna  del  Pur- 
gatorio, e  per  conseguenza  naufragasse  molto  di  là  dall'  Equa- 
tore, da  dove  gli  apparve  quella  montagna.  Nuove  Illustrai, 
72-78. 

Purgatorio  II.  6.  —  Che  le  caggion  di  man  quando  so- 
verchia, Parmi  il  senso  sia  molto  piano  e  chiaro  in  sé  stesso. 
Il  poeta  dice,  che  le  bilance  cadono  di  mano  alla  Notte  quando 

55 

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874  SUPPUMBdO 

soverdiia;  il  che  significa,  ch'esaa  lascia  il  aegao  deUm  LRira. 
allorché  si  fa  più  lunga  del  giorno.  Delia  Valle, 

IX.  1-9  (p.  389391).  —  Drua  Valle  GiorANin,  DeU*  Au- 
rora Solare  del  a  ix  del  Purgatorio ,  ossia  la  concubina  di 
Titone  non  ò  V  aurora  della  Luna  ma  del  Sole.  —  Di  un  luogo 
del  Petrarca  sul  principio  del  cap.  n  del  Trionfi)  della  Morte 
relativo  ali*  Aurora  del  Sole  o  alTcunica  di  TiUme,  e  prima 
di  una  delle  ragioni  dei  difensori  dell'Aurora  Lunare  dA  e.  a 
del  Purgatorio.  Nuove  lUuHrawmi,  20-28.  —  Nuovo  argODEienta 
col  quale  ai  dichiara  in  un  modo  irrepugnabile,  che  1*  Aurora 
descritta  sul  principio  del  e.  ix  del  Purgatorio  imuT  è  Y  Aurora 
della  Luna.  Id,  62-71.  >—  Nuovo  argomento  contro  F  Aurora 
della  Luna.  Id,^  111.  — Sopra  una  nuora  interpretaàoiie  dà 
primi  versi  del  e.  a  del  Purgatorio  (del  P.  Antonellì,  p.  390). 
Id.,  p.  78. 

XI.  108.  —  Al  cerchio  che  pii(  tardi  in  odo  è  torlo,  —  Il 
poeta  con  questo  verso  vuole  alludere  alla  processione  dell'e- 
quinozio, la  quale  scoperta  già  da  Ipparoo  fu  da  Tolomeo 
computata  im  grado  ogni  100  anni;  A  che  il  cielo  stellato 
compirebbe  la  sua  rivoluzione  da  occidente  in  oriente  in  36,000 
anni.  Questo  moto  però  non  è  un  moto  reale,  come  lo  sup- 
ponea  Tolomeo  e  Dante,  ma  apparente,  e  dipende  dal  moto  dd 
punto  d'intersezione  dell' eclittica  e  dell'equatore  p^  verso 
contrario.  Questo  punto  ò  quello ,  dove  quando  arriva  il  sole 
col  suo  moto  apparente,  produce  T  eguaglianza  del  giorno  alla 
notte.  Un  tal  moto  però  non  è  tanto,  quanto  lo  fece  Tolomeo, 
ma  secondo  i  moderni  astronomi  ò  di  un  grado  s(dtanto  ogni 
72  anni,  si  che  le  stelle  del  Zodiaco  e  tutte  le  altre  stelle  com- 
pirebbero la  loro  rivoluzione  nello  spazio  di  25,920  anni.  Il 
prof.  Della  Valle  vi  aggiunge  a  maggior  dichiarazione,  la  vera 
causa  fisica  di  un  tal  fenomeno,  che  chiamasi  prooessi(Mìe  del- 
l'equinozio,  che  non  potea  conoscersi  prima  che  fosse  scoperta 
l'attrazione  universale  o  la  gravitazione,  e  la  figura  sferoidale 
della  Terra,  le  quali  due  cose  abbisognavano,  lanche  potesse 
aver  luogo  la  suddetta  processione.  Della  Valle,  Nuove  lUu^ 
strazioniy  p.  1 12. 

XVIII.  79^1.  —  E  correa  (la  Luna)  contra  7  del  per  quelle 
strade.,,  Y.  Della  Valle,  Nuove  JUustrationi,  p.  110. 

XVIII.  76.  —  La  luna,  quasi  a  messa  notte  tarda  (p.  408). 


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ALLA  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA.  875 

—  Dico  non  essere  probabile  che  mancasse  più  di  mezz*  ora  ; 

r avverbio  quasi  ha  qui  nna  certa  latitudine  di  tempo,  ma 

non  credo  che  potesse  oltrepassare  una  mezz'  ora«  Se  la  Luna 

tardava  piti  di  una  mezz*  ora  a  nascere  avanti  la  mezza  notte, 

non  parmi  espressione  esatta  il  dire,  ch'era  qtutsi  la  mezza 

notte  quando  ifiisceva.  Stabiliamo  adunque  che  i  due  limiti,  fra 

i  quali    è  ristretta  T  estensione  del  tempo  di  questo  avverbio 

sono   le  11  1/2  e  la  mezza  notte.  Il  Della  Valle  ci  determina 

appresso  il  tempo  che  trascorse  dal  principio  del  pleniluno  sino 

air  ora  accennata  in  questo  luogo.  Nuove  Illustrazioni,  114. 

XXV.  f-3.  —  Ora  era  che  7  saUr  non  f>olea  storpio. . . . 

Quantunque  da'  versi  del  Poeta  rimanga  alquanto  incerta  la 

ora  precisa  dopo  il  mezzodì  che  Dante  vuole  denotare,  al  prof. 

Della  Valle  par  molto  probabile,  che  partendosi  il  Sole  dal 

meridiano,  e  lasciandolo  al  Toro,  voglia  significare  lo  spazio 

di  7  o  8  gradi,  di  cui  il  Sole  era  allora  lontano  dal  I  grado 

del  Toro;  con  che  si  farebbe  la  mezza  pomeridiana.   Nuove 

Illustrazioni^  116. 

XXV.  77-78.  —  Guarda  il  calor  del  Sol  che  si  fa  vino. 
V.  Della  Vane,  118. 

Paradiso  X.  136-38.  —  Essa  è  la  luce  etema  di  Sigieri 
(p.  445).  —  Un  corrispondente  dell' Accademia  reale  di  Brusselle, 
il  sig.  Kervyn  de  Lettenhow,  ha  indirizzato  a  quella  classe  di 
letteratura  (classe  des  Lettres  —  tornata  del  7  febb.  1853), 
alcune  notìzie  che  compiono  quelle  date  del  Le  Clero  sopra 
Sigieri.  Il  suo  vero  nome,  egli  dioe,  era  Siger  de  Galleghen,  e 
senza  dubbio  egli  dev'esser  nato  nel  villaggio  di  Galleghen, 
posto  ad  una  lega  da  Gourtray.  Egli  fu  il  nono  decano  del 
capitolo  di  N.  D.  de  Gourtray,  fondato  nel  1 199  da  Balduino  di 
Costantinopoli  e  Maria  di  Champagne.  Non  si  sa  in  qual  anno 
ottenesse  tal  dignità;  ma  ò  certo  che  nel  1^8  aveva  a  suc- 
cessore Gilles  de  Gand.  Il  sig.  Kervyn  de  Lettnehow  crede  che 
doveva  essersi  condotto  a  Parigi  dopo  il  1255.  Anch' egli  pensa 
che  gV  invidiosi  veri  si  riferissero  alle  sue  lezioni  sopra  la 
Politica  d' Aristotele  ed  al  suo  principio  del  doversi  preferir  le 
leggi  alla  incerta  e  corruttibile  volontà  dei  rettori,  tanto  più, 
egli  dice,  se  si  nota  che  il  prìncipe  allora  regnante  era  Filippo 
il  Bello,  che  il  primo  usò  negli  atti  la  formula:  par  la  pièni- 
tiide  de  notre  puissance  rogale,  formula  svolta  da  suoi  legisti 


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876  SUPPLCBfBNTO 

coti  contro  Bonifkcio  Vm  coma  contro  i  csralierì  àe\  Tempia . . . 
Siger  de  Oalleghen,  conchivde  il  citato  erudito,  associé  à  h 
protestation  de  1292,  8*ét«it  de  jèsans  doute  illustrò  par  ime 
résistanoe  ansBi  eloquente  qae  cooragenee  dans  cea  ooiirs  de  la 
me  de  Fouarre,  où  plus  d*un  bonrgeoìs  de  la  Cité  pnt  se 
znéler  à  la  fbnle  dee  étadiants  poHr  Y  entendre.  ^oai  expliqne 
les  impressione  que  regni  Y  imagination  ardente  et  forte  da 
poéte,  et  Ton  comprend  alséroent  qne  Dante  ait  entouré  de 
quelqnee  rayona  d*mie  himière  immortetle  (luce  etema)  les 
graves  pensées  (pensieri  gravi)  et  lee  vérìtéa  hardies  fmvidiosì 
r>eri)  de  ce  vieillard  qui,  en  présence  de  Philppe-fe-Bel ,  des 
Plassian  et  dea  Nagaret,  s'ottrìstait  de  snrrivre  au  siede  de 
Saint  Louis  et  de  Saint  Thomas  d*  Aquin ,  a  morire  H  parte 
esser  tardo.  —  Il  vico  degli  Strami,  o  la  rue  de  Feurre  o  du 
Fouarre,  raccoglieva  le  diverse  scuole  di  filosofia  aperte  dalle 
quattro  nazioni  delia  Facoltà  delle  arti,  e  che  si  tenevano  U 
soltanto. . . .  Quando  i  candidati  alla  licenza  prestavano  giura- 
mento prima  dell'esame,  giuravano  di  non  aver  dato  nulla  al 
cancelliere  di  Santa  Genoveffa,  nò  al  vice-cancelliere,  né  a 
nessuno  dei  loro  addetti,  se  non  due  soldi,  una  vòlta  sola,  per 
Torba  e  la  paglia.  Eugenio  Camerini^  Nuovi  Profili  letterari, 
voi.  IV,  i  Poligrafi,  p.  222-229. 

XI  e  XII.  —  Dbixa.  Vallb  Giovanni,  Riscontri  di  due  luo- 
ghi ai  Canti  xi  e  xii,  dove  il  Poeta  introduce  a  parlare  San 
Tommaso  e  S,  Bonaventura.  V.  Nuove  Illustrazioni,  p.  32. 

Di  altri  due  luoghi  del  Paradiso.  C.  xm,  127-128; 

XXXII,  139-140;  Id.  p.  38. 

XVI.  82-83.  ~  E  come  il  volger  del  del  della  Luna  Copre 
ed  iscuopre  i  UH  senza  posa.  —  Sebbene  il  Poeta  non  abbia 
detto  se  non  quello  cfae  si  legge  ne*  due- versi  citati ,  tuttavia 
disse  abbastanza  per  conoscere,  quanto  il  suo  intelletto  fosse 
penetrante,  e  vedesse  molto  lontano  nei  &tti  della  natura.  V. 
Bella  Valle,  125-127. 

XXVI.  85-87.  —  Come  la  fronda  che  flette  la  dma.  —  II 
Della  Vaile  da  questi  versi  ci  prova  come  Dante  conosceva 
Y elaterio  dei  corpi,  o  ciò,  ch'ora  generalmente  dai  fisici  sì 
chiama  elasticità.  V.  p.  128. 

XX VI.  115^117.  —  Non  é  suo  molo  per  altro  distinto,  — 
V.  DeUa  Valle,  p.  130. 


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ALLA  BIBLIOORàFIA  DANTESCA.  877 

Venturini  Dombnic».  —  li  Venturini  ci  avea  annunziato  di 
inaminente  pubblicazione:  Farinaia  degli  liberti  e  Sordello 
Mantovano  (Inf.  x,  Purg.  vi).  «  Ragionamento,  in  cui  si  prova 
quale  atto  deUa  vita  di  Farinata  e  Sordello  avesse  Dant^  in 
vista  nel  fare  la  prosopografia  de*  medesimi.  —  Quegli  che 
usurpa  in  terra  il  loco  mio  (Par.  xxvn,  22),  Ragionamenti  due, 
nel  primo  de'  quali  si  dimostra  essere  erronea  la  comune  in- 
terpretaaione,  data  a  questo  verso,  relativamente  alla  persona, 
cui  a* allude;  e  nel  secondo  si  prova,  a  chi  nel  medesimo  fac- 
ciasi allusione.  E  si  nell'  uno,  come  nell*  altro  ogni  affermazione 
è  sostenuta  dall'istoria  e  dalle  più  esplicate  dichiarazioni  di 
Dante.  —  Le  Allegorie  fondamentali  della  Divina  Commedia,  » 
So  che  aveva  pur  pronto  per  le  stampe  un  Catechismo  Catto- 
lico di  Dante.  Ignoro  se  nessuno  dei  detti  Ragionamenti  sia 
stato  pubblicato.  — •  Domenico  Venturini  nacque  in  Morlupo 
(Diocesi  di  Nepi  e  Sutri) ,  il  15  Marzo  1808,  mori  a  Roma  il 
28  Ottobre  1876.  ^  V.  Man,  Dani,  iv,  357;  voi.  v,  204,  270, 
295,  300^  306. 

Tradat«orl«  —  Tradnzloal  latiae  (p.  473).  —  Dantis 
Aligherii  per  J.  Baptistam  Matte  Archipr.  Castrimontis.  Epo- 
redise,  ex  Typographia  Seminarii  1876.  (V.  p.  473). 

Mi  ò  noto  che  il  sig.  Emilio  Albani,  prof,  di  Letter.  greca 
e  latina  nel  R.  Liceo  Perticari  di  Sinigaglia,  tradusse  in  esa- 
metri latini  r  Inferno,  e  che  prosegue  alacremente  la  versione 
dell'altre  due  cantiche. 

Tradottorl  portoghesi  (p.  482).  E  mi  è  pur  noto  che 
Francisco  Ferreira  Serra  voltò  in  portoghese  i  primi  sei  canti 
deir  Inferno,  che  sono  inediti  tuttavia. 

Traduttori  polacehi.  —  À  pag.  464  del  voi.  iv  abbiamo 
accennato  che  il  poeta  Adamo  ìdichiewicz  voltò  nella  lingua 
della  sua  nazione  l'episodio  di  Ugolino,  ed  a  pag.  682  che 
ti*adusBe  pure  alcuni  sonetti  del  Petrarca.  A  perennare  la  me- 
moria di  questo  insigne  patriota,  e  benemerito  tanto  dell' Italia, 
il  Municipio  di  Roma,  il  29  Marzo  1877  con  grande  solennità 
scopriva  nella  casa  da  lui  abitata,  in  via  del  Pozzetto,  la  lapide 


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878 

aeguente:  Adamo  Mickibwicz  —  Poeta  di  altissima  fiuna  — 
In  questa  casa  ordinava  —  Per  le  guerre  dM  indipendeniit 
—  Un  drappello  di  prodi  Polacchi  —  Nel  M.B.CCC.XL  TIIL 
-^  S.  P,  Q.  R.  —  XXIX  Morso  M.D.CCCXXXYIL 

Tradlvitorl  tedeschi.  —  Ba^rtsch  Kahl  (p.  496).  —  lì 
Bartsch  è  profess.  neli*  Università  di  Heidelberg,  e  direttore 
della  Rivista  scientifica  la  Germania,  Egli  è  noto  non  meno 
per  varii  pregevoli  lavori  acientifici  originali,  che  per  aknne 
ottime  traduzioni,  fra  le  quaU  per  precisione,  fedeltà,  natura- 
lezza e  felicità  di  espressione  ò  singolarmente  comendata  la 
versione  in  tedesco  moderno  del  poema  di  NibelungliL  H  Hartadi 
nella  prefazione  di  un  suo  libro  di  poesie,  pubblicato,  or  £umo 
due  anni,  col  titolo  di  Viaggio  e  ritomo  (Wendemng  und 
Heinkehr),  parlava  delle  grandi  difficoltà  di  ben  tradurre  Dante 
in  tedesco,  che  secondo  lui ,  non  potevano  esser  vinte  che  con 
numerosi  e  successivi  tentativi  e  saggi.  —  Il  Bartsch,  oome  k> 
Streckfuss,  volle  riprodurre  la  terza  rima  dell' originale,  cosa 
non  certamente  facile  nella  lingua  tiedesca. 

A  pag.  401  abbiamo  recato  il  coscienzioso  giudiaio  critico  del  profeto. 
Scartazaini  sulle  versioni  alemanne  della  Divina  Commedia  ,  eh*  eacirono 
alla  lace  fino  al  1842.  Coi  fksciooli  della  RiTista,  pubblicati  dipoi,  lo  stadio 
dell*  egregio  mio  amioo  giunge  al  Centenario  dell*  altissimo  Poeta.  E  perciò 
son  lieto  di  riferire  anche  sugli  altri  traduttori  il  suo  parere  che  riteniamo 
autorevole,  perito  com*  è  nelle  due  lingue. 

Il  Braun  volle  tenere  un'  altra  via.  Persuaso  che  Dante  non  fosse  per 
anco  popolare  in  Germania ,  e  che  una  buona  parte  della  colpa  fosse  da 
ascriversi  al  traduttm  e  Dantofili  che  lo  precedettero ,  il  Brsun  volle  far 
egli  il  Dante  veramente  nazionale  e  popolare  della  Germania.  Pertaato  già 
il  titolo  del  suo  libro  è  :  La  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  elabo- 
rata per  il  popolo  tedesco.  Onde  conseguire  il  suo  intento  egli  mantenne 
nella  sua  versione  la  rima ,  abbandonando  però  la  forma  della  terzina. 
Inoltre  egli  traduce  in  una  lingua  tutta  moderna,  evitando  e  tfsnnini  e 
modi  di  parlare  più  o  meno  fuor  d*  uso.  La  sua  traduzione  riuscì  non  s(^ 
metrica  ma  veramente  poetica,  e  molti  brani  sono  di  bellezza  proprio  impa- 
reggiabile. In  generale  la  traduzione  può  anche  dirsi  fedele  ;  leggendola, 
ognuno  si  accorge  che  il  traduttore  si  aflaticò  assai  per  riprodurre  !  propri 
concetti  del  poeta.  Insomma  si  può  dire  che  al  Braun  è  riuscito  ciò  che 
egli  volle.  Se  non  che  il  suo  sistema  di  traduzione  sembra  a  me,  e  sembrò 

universalmente,  falso Eppure  il  suo  lavoro  ha  grandissimi  pregi.  La  prima 

parto  di  esso  che  serve  d' introduzione  all'  opera,  dove  si  ragiona  de*  tempi 
e  della  vita  di  Dante  e  si  dà  una  caratteristica  della  Divina  Commedia,  è  un 
lavoro  elegante  e  magistrale,  quantunque,  a  dire  il  vero,  non  contenga  cose 


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ALLA  KBL10ORAFTA   DANTESCA.  879 

nuove.  I  lunghi  sommari  che  precedono  ogni  canto  sono  un  eccellente  com- 
mento estetico  popolare,  che  agevola  molto  V  intelligenza  del  poema.  L*  edi- 
fizio  è  elegante  e  buono,  ma  le  sue  fondamenta  sono  false  ;  con  altri  termini, 
il  Braun  ha  fatto  nn  gran  bel  lavoro,  seguendo  però  un  cattivo  sistema  di 
traduzione.  Sarebbe  ciò  non  ostante  da  desiderare  che  il  Braun  avesse  com- 
piuta r  opera  sua,  e  che  essa  fosse  stata  accolta  con  maggior  favore  che  non 
ebbe.  —  Carlo  Eitrier  Iradusse  tutta  la  Commedia  in  versi  giambid  sciolti, 
aggiungendovi  una  lunga  introduzione  sulla  vita  e  sulle  opere  di  Dante  e 
corredando  la  sua  traduzione  di  brevi  note.  È  questa  una  delle  più  mediocri 
traduzioni  moderne  del  poema  sacro  ;  un  lavoro  ordinario  e  dozzinale,  fatto 
più  per  speculazione  libraria  che  per  servire  alla  scienza  o  per  promuovere 
i  buoni  studi.  Il  lavoro  si  pubblicò  nell'  Istituto  Bibliografico  del  Meyer,  a 
Hildburgausen,  in  tre  volumetti  che  formano  i  volumi  ottavo,  nono  e  decimo 
della  Biblioteca  dei  classici  stranieri  in  traduzioni  tedesche  pubblicata 
dall*  editore  Meyer.  — <•  Non  molto  migliore  è  il  libro  di  Alessandro  Tanner 
intitolato  :  La  Commedia  di  Dante  Alighieri  tradotta  ed  accompagnata 
da  un  commento.  Cantica  prima  :  V  Inferno.  Anche  questa  traduzione, 
la  quale  non  abbraccia  che  il  solo  Inferno,  è  in  giambi  sciolti.  Pochi  passi 
vi  si  vedono  tradotti  con  un  pò*  di  eleganza  e  dì  fedeltà  ;  1  più  sono  tra- 
dotti alla  leggiera,  senza  badare  troppo  al  senso  dell'originale,  ed  in  un 
linguaggio,  che  non  ò  nò  poetico,  né  elegante,  né  corretto,  né  intelligibile. 
Il  breve  commento  in  fondo  al  volume  non  contiene  che  le  cose  pi^  ovvie, 
e  merita  appena  il  nome  a  lui  «dato  dall'  autore.  Il  tutto  ò  un  lavoro  assai 
mediocre  che  sarebbe  stato  meglio  di  non  dare  alle  stampe. ...  —  La  versione 
della  HofUnger  (Man.  Dant.  iv,  454) ,  è  un  lavoro  donnesco,  e  ne  ha  tutti 
i  pregi  ed  i  difètti  ;  è  un  lavoro  fatto  in  furia,  non  un  lavoro  lungamente 
pensato  e  profondamente  meditato  ;  è  una  traduzione  passabile ,  ma  non  da 
annoverarsi  tra  le  migliori  né  per  fedeltà ,  né  per  eleganza  ;  é  un  com- 
mento sterile  e  superficiale.  Conviene  pur  far  le  meraviglie  che  una  donna 
abbia  osato  imprendere  un  lavoro  di  tal  natura;  conviene  ammirare  e  le 
conoscenze  e  la  costanza  della  traduttrice  ;  ma  le  lodi  che  ella  ottenne 
fUrono  in  gran  parte  non  meritate;  furono  un  fboco  di  paglia,  che  presto 
si  spense.  Oggigiorno  vi  sarà  forse  in  tutta  la  Germania  appena  chi  parli 
ancora  di  questa  traduzione.  —  Il  lavoro  del  Witte  é  molto  superiore  alle 
mie  lodi.  Il  solo  nome  dell*  illustre  traduttore  basta  a  raccomandarlo  ed  é 
argomento  solido  della  sua  eccellenza. . . .  Nella  Introduzione  V  illustre  autore 
parla  con  profondità  di  dottrina  e  con  quel  senno  critico  che  lo  eleva  si 
alto  al  dissopra  degli  altri  collaboratori  su  questo  campo,  della  condizione 
dei  tempi  in  cui  visse  il  poeta,  della  sua  vita,  della  sua  idea  fondamentale 
della  Commedia  e  della  sua  relazione  colle  altre  opere  dell'  Alighieri.  Questa 
introduzione  é  la  migliore  di  quante  introdunoni  allo  studio  della  Divina 
Commedia  io  mi  conosca.  Il  darne  un  sunto  é  cosa  pressoché  impossibile. 
Bisognerebbe  tradurla  tutta.  11  Witte  scrive  con  uno  stile  si  conciso,  che 
ogni  periodo  contiene  un  nuovo  concetto.  Non  riproduce  né  ripete  le  cose 
già  dette  da  altri ,  non  racconta  a  lungo  la  storia  della  vita  di  Dante  né 
quelle  tante  cose  divenute  ormai  triviali  che  &iamo  usi  a  trovare  in  tutte 
quasi  le  introduzioni  al  poema  dantesco.  Naturalmente  egli  vi  ripete  per 
cosi  dire  quanto  aveva  scritto  sino  dal  1831  nel  suo  opuscolo  sopra  Dante, 
in  quanto  cioè  è  ancor  sempre  l' antico  suo  sistema  che  ei  svolge  e  difende. 


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880  supMiBfftfre 

Ma  egli  noa  copia  sé  «tano.  È  V  ebììob  nateina  si  ;  n 
nuova  forma  e  con  argomenti  naovì.  Quando  il  Witte  non  avesse  scritto  chr 
quelle  quaranta  pagine,  esse  basterebbero  ad  aasicurargli  un  posto  onore 
Tolissimo  tra  i  principali  iUustratorì  della  recondita  dottrina  di  Dante. 

Veniamo  alla  traduaiona.  Ho  detto,  e  lo  ripeto:  questa  non  è  «oos^ 
cernente  una,  ma  si  la  traduidone  tedesca  della  Divina  GommodU.  Vogii» 
dire  con  ciò  che  essa  è  per  tutti  i  versi,  e  sotto  ogni  aspetto  nna  fedeli^ 
sima,  coscienziosa,  esatta  ed  elegante  riproduzione  del  testo  originale.  Unj 
sola  delle  tante  che  abbiamo  pu^  contrastarle  il  primato:  quelia  cioè  dÀ 
Filalete.  È  difficile  dire  quale  delle  dae  meriti  la  pre&reiu»  ssfihita  Ot- 
time, fedeli  ed  eleganti  ambedue,  ha  però  ognuna  i  suoi  pregi  partìooiari. 
Il  giudizio  avrà  qui  sempre  un  po'  del  subiettivo.  Si  tratta  esseaztaìmenti' 
d*  una  questione  di  gusto.  Io ,  V  ho  già  detto  che  è  un  pezzo ,  noa  rturré. 
fare  a  meno  né  dell'  una  né  dell*  altra,  ma  se  dovessi  proprio  oonteatanL 
di  una  sola ,  darei  la  prefereosa  a  quella  del  Witie.  Che  mm  ci  pcesaati 
non  solo  una  imitazione  ^  ma  il  vero  Dante  adorno  di  veste  germanica.  £ 
fedele  :  ma  la  fedeltà  non  é  qui  schiavitù ,  non  é  fedeltà  della  lettera  ma 
del  senso.  11  traduttore  riproduce  perfettamente  ogni  concetto  dd  tes^ 
originale,  e  non  soltanto  in  parte  ma  nel  suo  tutto.  1^  non  maltntia  per5 
la  lingua  nella  quale  traduce,  ma  si  oon£irma  al  gemo  di  essa,  Mpsimmi' 
dosi  in  quel  modo  che  un  lungo  studio  e  matura  riflessione  lo  peraoasece 
fosse  stato  usato  da  Dante  medesimo  qnando  questo  avesse  dettato  il  si^ 
poema  in  lingua  germanica.  La  traduzione  del  Witte  ha  inoltre  il  van- 
taggio di  grande  chiarezza  ed  intelligibilità.  Il  tradattore  é  nello  stesse 
tempo  interprete  dei  versi  non  di  rado  oscuri  dell*  originalie.  So  obe  noe 
dico  troppo  se  affermo  che  per  il  principiante  la  traduzione  del  Witte  rìeser 
ben  sovente  asaai  più  chiara  ed  intelligibile  che  non  V  originale ,  quando 
anche  e'  conosca  ottimamente  la  lingua  del  trecento.  Ma  questa  chìnrezza 
il  Witte  non  la  introduce  che  dove  il  senso  non  pnò  in  veran  modo  essere 
disputabile.  In  tutti  quei  luoghi  ove  esso  é  ambiguo  il  traduttars  ò  bea 
lungi  dal  voler  far  valere  le  sue  opinioni  personali.  Con  una  maestria  ve- 
ramente stupenda  egli  imita  in  tali  casi  nella  traduzione  T  ambiguità 
dell*  originale  in  modo  che  dalla  prima  si  possono  ricavare  quei  medesimi 
diversi  sensi  che  dsl  secondo.  Per  questo  verso  il  lavoro  del  Witle  bob 
ha  pari  ed  é  un  vero  capo  d*  opera  dell'  arte.  Altro  pregio  non  comune  ^ 
esso  consiste  nella  dignitosità,  bellezza  e  correttezza  deJla  Ungna  deUa 
quale  il  traduttore  si  serve.  Non  iscorgiamo  mai  in  questa  tradazione  la 
menoma  ineleganza  o  trivialità,  ma  ovunque  un  linguaggio  propondonato 
e  adeguato,  ora  maestoso ,  forte  e  robusto  quale  il  mare  che  mngge  per 
tempesta ,  ora  placido  e  sereno  quale  il  seffiro  che  in  su  Is  sera  soave  e 
dolce  spira.  Soltanto  da  una  qualità  dell'  originale  credette  il  Witto  di  dover 
prescindere.  La  sua  traduzione  é  in  giambi  sciolti. 

Opere  latlae.  —  Il  mio  amicissimo  prof.  Giuliani  ò  tutto 
atteso  alla  pubblicazione  dell'  Opere  latine  reintegrate  nei 
testo  con  nuovo  Cemento,  Spero  che  la  stampa  del  v(d.  poesa 
essere  compiuta  entro  Y  anno.  Cosi  per  la  dotta  ed  autorevole 
opera  sua  avremmo  magistralmente  emendate  nel  testo  ed  in- 


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ALLA  BIBUOmUVU  DANTESCA.  881 

terpretale  tette  le  ùj^e  àSnori.  Chi  conosce  quanto  sieno 
importanti  per  mettersi  dentro  alla  mente  di  Dante  e  per  la 
retta  intelligenza  di  tanti  passi  della  Divina  Commedia  non 
potrà  non  esserf  li  vivamente  rìconoseente. 

Ssl«f|lie  (p.  540).  —  Giovanni  di  Viroiuo.  Nella  Biblio- 
teca dei  Girolamini  di  Napoli,  vi  ha  un  codice  segnato  Pilone  X, 
n.  XYI,  ohe  oltre  molte  opere  latine  del  Petrarca  accoglie  due 
egloghe  latine  di  Giovanni  Virgiliano  a  Dante,  ed  altre  due  di 
Dante  al  Virgifiano.  Una  nota  scrìtta  immediatamente  dopo  il 
testo  dice:  est  Egloga  Joannis  Virgiliani  ad  Dantem  repre- 
henóLentiB  j<iftcm  €t  vulgarem  sermonem  eomediae  ipsitis  quae 
scribitur  metro  fterdioo  (sic)  exegetico^  etc.  e  finisce  con  queste 
parole:  Fuit  namque  hic  Joannes  yirgilianus  natione  bono- 
nienais,  habitans  in  porta  nova  ante  ecclesiam  sa  noti  salvatoris  : 
quQoi  ut  ipse  in  alia  Eglega  testatur  maiores  sui  fuerint  pa-/ 
duani;  legit  qaippe  bonooiae  padue  et  fsientiae  tempore  quo  de 
bononia  exulavit  pars  gSdbelHna;  fuit  namque  perfectus  ghibel- 
linus  et  Dantis  ipse.  -«•  /  Codici  Petrarcheschi  delle  BibUo- 
teche  gonematì^e  del  Regno,  p.  149. 

BiMl4»ifr«fl*  (p.  547).  —  Sgartazzini  Giov.  Andrea,  Dante 
in  Germania»  Il  prof.  Scartazzini  ci  ha  dato  progrio  un  bel- 
lissimo lavoro  e  da  pari  suo  ;  un  ragguaglio^  cioè,  il  più  esteso, 
il  più  esatto,  il  più  completo,  di  quanti  n*  abbiamo,  degli  studi 
tedeschi  su  Dante.  E  in  questo  suo  lavoro  s'attenne  stretta- 
mente all'ordine  cronologico  o  annalistice,  affinchè  si  vegga 
come  andasse  mano  mano  svolgendosi  la  letteratura  Dantesca 
in  Germania,  e  con  quanta  operositÀ  e  grande  amore  vi  si 
venissero  cercando  ed  illustrando  le  opere  dell'  altissimo  Poeta. 
In  quattro  età  divide  il  suo  studio:  la  prima  corre  dal  se- 
colo XIV  al  1824,  che  denomina  dell'infanzia,  <  poiché  il 
lavorìo  dei  Dantisti  alemanni  consiste  essenzialmente  Dell'in- 
trodurre in  Germania  la  cognizione  superficiale  della  persona 
e  deUe  opere  del  padre  della  poesia  italiana,  neU' adunare,  per 
oorà  dire,  i  materìali  rozzi,  per  costruire  più  tardi  un  edifìcio 
di  scienza  dantesca. .  *^.  A  tutto  che  concerne  il  massimo  poeta, 
manca  il  fondamento  solido  di  studi  vasti  e  profondi  sulle  sue 
opere,  sulle  loro  fonti,  sulla  sua  vita  e  sulla  stona  del  secol 


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882  SUPPLBMBNTO 

SUO.  n  secondo  ò  il  periodo  estetico  ed  ormeiiftiitioo  (1824- 
1849).  I  tedeschi  non  si  contentan  più  di  giungere  al  possess 
della  cruda  materia,  ma  vogliono  ormai  traduzioni  fedeli  dall'  m. 
canto,  e  dall* altro  adomate  di  vaga  veste  poetica.  Essi  doq 
vogliono  più  leggere  semplioemente  il  Poeta,  ma  coaipre]ider&€ 
le  bellezze,  i  concetti,  le  idee,  tutto  il  sistema,  e,  rapitamii 
dal  Wittej  dal  Biaus^  dallo  Schlosser,  dal  Filalete,  ai  quali  s! 
aggiunge  una  bella  schiera  di  cooperatori  studiosi  ed  assidai, 
essi  penetrano  ben  addentro  nella  intelligenza  deUe  recon- 
dite dottrine  di  Dante....  Il  terzo  periodo  (1849-1865)  si  poò 
chiamare  storico-critico,  perchè  sovratutto  siffiitti  studi  tì 
tengono  il  campo.  Negli  storici  occupa  il  primo  posto  il  Wt- 
gele^  la  cui  opera  importantissima  ò,  durante  tutto  il  periodo, 
fondamento  e  non  di  rado  sorgente  unica  dalla  quale  derivai») 
molti  altri  lavori  biografici  e  storici.  —  Negli  stndu  /Uoiogki 
ottiene  la  signorìa  il  Blaus,  le  cui  opere  formano  una  base  so- 
lida per  la  interpretazione  letterale  della  Divina  Commedia.  La 
critica  dantesca  poi  è  capitanata  dal  WiUe  la  cui  non  mai  baste- 
volmente  lodata  edizione  crìtica  della  Divina  Commedia  segna  il 
principio  di  una  nuova  èra  per  la  crìtica  del  testo  delle  opere  di 
Dante.  Il  1865  segna  un  nuovo  periodo  per  gli  studii  Danteschi 
Ognuno  potrà  di  leggerì  convincersi  a  quanta  mole  di  eti- 
che siasi  sobbarcato  il  prof.  Scartazzini  sol  che  pensi  che  iji 
questo  suo  studio  niente  meno  che  350  lavori  furono  chiamati 
a  rassegna;  nò  solo  opere  già  conosciute,  ma  per  infino  arti- 
coli inserìti  ne'  periodici,  alcuni  de*  quali  divenuti  ignoti  pres- 
socchò  a  tutti,  tentativi  di  versioni,  memorie,  dissertazioni,  ecc. 
Ed  egli  discorre  di  tutti  assennatamente,  e  con  crìtiGa  stria- 
gente  ne  rileva  l'importanza,  cerne  Toro  dall'orpello,  degli 
autori  più  rinomati  ci  dà  le  notizie  biografiche;  quantunque, 
pel  suo  ufficio  di  cronista,  sia  astretto  a  tornare  sur  uno  stesso 
lavoro  più  volte,  secondo  T  edizioni  che  ne  venner  &tte,  lo  & 
con  tal  maestria  e  garbo  che  non  istanca  maL  In  somma  è 
un  viaggio  dilettevole  ed  instruttivo  insieme,  in  cui  se  talora 
t' abbatti  in  male  piante  che  fiorir  non  sanno,  più  spesso  ti  al- 
lieta l'occhio  e  t'allarga  il  cuore  la  vista  di  tante  bellissime 
produzioni  che  onorano  ad  un  tempo  la  Germania  e  V  Italia, 
che  vede  fatto  segno  di  tanti  nobili  studi  il  più  sommo  dei  suoi 
figli. 


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ALLA   BIBLIOGRAFIA  DANTESCA.  883 

Coarto,  e  la  modestia  dell*  amico  consenta  che  il  dica  firan- 
lamenta ,  certo  tra'  più  beneme^ti  della  letteratura  dantesca 
n  Oermania,  se  pur  non  subito  dopo  il  Witto,  va  amioverato 
1  profL  Scartazzini^  benché  giovane  d'anni;  che  la  sua  Vita  di 
3aQte»  il  suo  Contento  della  Divina  €k>mmedia,  i  molti  suol 
avori  criptici  e  bibUograficiy  gli  hanno  assicurato  un  seggio  emi- 
lente  tra'  Dantisti,  quantunque,  e  per  più  ragioni,  l'Italia  vor- 
rebbe ccmtrastargtielo  alla  Germania. 


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885 


DICHIARAZIONE, 


Io  m' era  proposto  di  aggiungere  una  Biblio- 
grafia suir Ariosto  ed  una  sul  Tasso,  tanto  più 
he  quelle  dateci  dal  Guidi  mi  parvero  manchevoli 
.ssai^  segnatamente  in  ciò  che  riguarda  gli  studi 
!  le  versioni  straniere.  E  a  tal  uopo  io  avevo  riunito 
Qolte  notizie  dalla  Spagna,  dal  Portogallo,  dal- 
*  Olanda,  dalla  Boemia,  dalla  Polonia,  dall' ITw- 
heria,  dalla  Grecia,  ecc.,  fino  a' nostri  giorni, 
ifBnchè  il  lavoro  riescisse  più  completo  che  fosse 
lossibile.  Ma  il  volume  crebbe  oltre  l'avviso,  e  il 
ipografo  m' avverte  che  piene  son  tutte  le  carte  ; 
nde  mi  veggo  astretto  por  fine,  che  non  mi  lascia 
nù  ir  lo  fren  della....  borsa.  —  Se  mi  vedrò  in- 
oraggito,  si  che,  oltre  le  ingenti  fatiche,  non  ci 
inietta  del  mio,  darò  forse  alla  luce  un  supplemento, 
1  che  gli  studiosi  e  trovino  agevolate  le  lor  ricer- 
he,  ed  insieme  raccolto  quanto  si  scrisse  in  Italia 
fuori  anche  dei  due  maggiori  Epici  della  nazione. 


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887 


INDICE 

DELLE    PERSONE   RICORDATE 

NELLA  BIBUOGRAPIA  DANTESCA. 


Ademollo  Agostino  5  -  Addington  Giov.  165  -  Agrati  Giov. 
n  -  Agresti  Alberto  881  -  Agricola  Fil.  93  -  Aguilhon  Cesare 
L^7,  296,  373,  377,  448,  452  -  Aicard  J.  9  -  Aleardi  Aleardo 
il  -  Albani  Emilio  877  -  Alfieri  Vittorio  863  -  Algarotti 
Fr.  33,  128  -  Alighieri  Jacopo  288  -  Alizeri  Fed.  128  -  Allori 
Mess.  82  -  Altamura  Sav.  87  -  Amalteo  Fr.  128  -  Amati 
ornato  123,  125  -  Amari  M.  300,  342,  343,  356,  381,  382, 
383,  389,  410,  434  -  Ambrogio,  il  Monaco  81  -  Ambrosi  Fr. 
57,  129,  278  -  AmbrosoU  Fr.  5,  102,  129,  289  -  Amico  Ugo 
A.  33  -  Andres  P.  Giov.  147  -  Angelini  scult.  94  -  Angelini 
Giandomenico  262  -  Anonimo  fior.  273  -  Antonelli  P.  Giov. 
60,  236,  375,  378,  425,  434,  441,  466  -  Anzeìmi  Dora.  278  - 
Aranda  y  Saz\)aan  481  -  Ardizzone  G.  413  -  Arici  Cesare  5  - 
Arienti  Carlo  82,  85  -  Amaboldi  Aless.  34  -  Arrìvabene  Ferd. 
12,  72,  347  -  Artale  Basilio  37  -  Asquini  Gir.  347  -  Atkinson 
172  -  Attavanti  P.  Paolo  44,  222,  280,  305,  307,  308,  314, 
392,  395. 

Bachenschwanz  498  -  Baffi  Vinc.  34  -  Bagatta  Fr.  42  - 
Bagatta  co.  Fr.  437  -  BagnoU  P.  30  -  Bagratuni  P.  Arsenio  503 
-  Balbo  Cesare  5  -  Baldachini  Sav.  9,  50,  108,  111,  131,  208, 
213,  222,  306,  430  -  Baldini  Baccio  256  -  Ballarini  Emesto 
82  -  Baratta  E.  96  -  Barbieri  ine.  97  -  Barbieri  Carlo  88  - 
Barlow  En.  32,  165,  223  -  BartoU  Daniele  146  -  Battoli  Co- 


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888  CONGK. 

Simo  258  -  Bartolini  A.  114  -  Bartodi  Carlo  496,  878  -  Banìk 
0.  76  -  Bastianì  Sante  218,  219  -  Baumgarten-CnBÙB  L 
Fed.  856  -  Saar  0.  A.  L.  30  -  Beccaria  Geaare  316,  m 
373  -  Bechi  Fort.  225  -^  BeUachi  L.  183  -  Bekfaikowskì  Ad.  50: 

-  Bellannino  Rob.  145  -  Bellotno   BonaY.  20  -  Beitraiiie  Fr. 
20  -  Bonamie  L.  87  •  Beaci  veni  Ildebr.  182  -  Beniirìeai  Jeroc 
252  -  Benvenuti  Matteo  183  -  Benvenuti  Pietro  83,  86  -  Bce- 
zoni  G.  M.  96  -  Berardinelli  p.  Fr.  149,  150,  542  -  Beraani 
Jacopo  223  -  Bertini  G.  94   -  Betti  Salvatore  30,  236,  2^ 
315,  333,  410  -  Bianchi  Brnnone  7  -  Bianchi  Giuseppe  ^. 
389  -  Bianchini  Gius.  45,  252,  257,  259  -  BigioU  FUippo  Si.  ^ 
84,  86,  87,  93  -  Bilderdyk  Gugl.  489  -  Bindi  Enr.  507  -  Bisse  i 
P.  Giam.  147  -  Bizzarì  Anacleto  119  -  Boccaccio  Gior.  1,3^. 
288  -  Bocci  Donato  1 14,  385  -  Boheme  Jac.  181  -  Bohemer 
Ed.  542  -  Bohl  Giovanni  489  -  Bolhendorf  184  -   Bompiaa  | 
Rob.  84,  98  -  Bonaventura  fra  da  Sorrento  132,  282  -  Bo- 
noncini  Eugenio  476  -  Bonsi  LeUo  255  -  Borghi  Gius.  289  - 
Borghini  Vie.  225,  283,  307,  312,  325,  334,  341,  348,  357.  ' 
361,  379,  383,  387,  392,  408,  425  -  Borgognoni  Adolfo  125 

-  Bosa  Francesco  863  -  Boschi  Giovanni  1 14  -  Bosdb^ti  Am- 
brogio 281  -  Bosone  da  Gubbio  34,  288,  417,  468  -  Bosetti 
Giovanni  34  -  Botta  Carlo  31  -  Bottagisio  G.  59  -  Botticefii 
Sandro  88  -  Bozzo  G.  31,  226,  282,  343  -  Sozzano,  maitre 
di  mus.  109  -  Brann  878  -  Bresciani  P.  Ant.  148,  385  -  Brigida 
Ad.  398  -  Brot  Alf.  16  -  Brughel  Pietro  84  -  Brani  Leon.  3  - 
Bruno  Condò  290  -  Bùlow  51 1  --  Buonmattei  Benedetto  254  - 
Buonromei  Ben.  255  -  Burchelati  436  -  Buslajew  172  -  Bus- 
son  Arn.  1 16  -  Buzzi  Giov.  L.  96  -  Buzzio  Pacifico  93. 

Cabanet  Fr.  83  -  Cades  Aless.  97  -  Caffici  Gio.  220,  509 

-  Calvart  Dion.  81  -  Calvori  J.  86  -  Cammarda  Nic.  37  - 
Camerini  Eug.  272,  871,  876  -  Canale  Mich.  Gius.  183  -  Cana- 
vesio  Seb.  188  -  CanceUieri  Fr.  45  -  Canelli  U.  A.  533,  541  - 
Canini  Fabio  31  -  Canova  Giovanni  7  -  Canta  Cesare  il,  31 

-  Cantù  Ignazio  57  -  Capelli  Ant.  34  -  Capelli  G.  472  -  Ca- 
pissani  Pietro  83  -  Cappi  Aless.  221  -  Capponi  Gino  29)  133, 
298,  308,  341,  417,  541,  542  -  Caprari  AchiUe  267  -  Ca- 
racci  Annibale  83  -  Caraccio  Ani.  184  -  Cardella  P.  Valeriana 
150  -  Carducci  Giosuè  31,  32,  34,  135,  221,  506,  531  -  Cary 


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INDICB.  889 

Enr.  482  -  Carrara  Fr.  11  -  Gartalario  A.  11  -  Carutti  Dom. 
184  -  Casanova  Alfonso  195,  262  -  Casati  C.  479  -  Casoretti 
Gir.  183  -  CassioU  Amos  86  -  Castiglla  Benedetto  136,  316  - 
Castravilla  Ridolfo  251  -  Castrogiovanni  G.  279  -  Cavara  Ces. 
17  -  Cavedoni  Celest.  72,  401,  402,  414,  422,  455  -  Cavami 
Raf.  60,  61,  71,  242,  280,  296,  298,  306,  308,  315,  333,  334, 
340,  349,  350,  351,  352,  356,  359,  362,  374,  375,  378,  379, 
384,  387,  389,  396,  400,  402,  408,  414,  418,  424,  426,  427, 
428,  431,  432,  433,  441,  448,  451,  461,  464,  466,  467,  470  - 
Cacchi  Xieop.  136  -  Celentano  Lnigi  261  -  Celesia  Em.  416, 
441  -  Centofenti  Silv.  287  -  Cereseto  G.  B.  11,  31  -  Cerritelli 
P.  31,  136  -  Cesati  Vino.  343  -  Ceva  P.  Tomaso  39,  147  - 
Checucci  P.  Aless.  151  -  Cherici  Alf.  82  -  Chialli  Vie.  98  - 
Chìleni  Neoftama  34  -  Ciampi  Sebastiano  350,  409  -  Ciampi 
Igrnazio  323,  326,  347,  409,  436  -  Ciardi  L.  261,  269  -  Ciasca 
P.  Agostino  75  -  Cicconi  P.  Tito  149  -  Cìviletti  Andrea  96  - 
Ck)cchiara  Salv.  37  -  Coghetti  Fr.  94  -  CoUini  Ang.  184  -  Co- 
merio  Agos.  84  -  Comparetti  Dom.  212,  862  -  Conti  Aug. 
30,  51,  96,  299,  303,  403,  422,  429,  434,  441,  442,  443,  445, 
446,  450,  469  -  Corazzini  Fr.  175  -  Corlari  Andrea  20  -  Cor- 
nìani  G.  B.  11,  57  -  Cornoldi  P.  509  -  Corot  94  -  Correnti 
Cesare  7  -  Corte  Costantino  84  -  Cosenza  Giov.  Carlo  42  - 
Cossa  Pietro  184  -  Costa  Paolo  8,  34  -  Costantini  Giov.  194, 
300  -  Costoli  96  -  Cotteril  H.  B.  484  -  Cresdmanno  Andrea 
37  -  Crespan  G.  31  -  Cristoforo  Altissimo  93  -  Croce  Enrico 
16  -  Crusca  Accademia  873  -  Cunich  Raimondo  39  -  Curci 
Carlo  43,  149. 

Da  Corretto  Giamb.  255  -  Daita  Gaet  265  -  D'Aquino 
Carlo  129,  146  -  DaU' Acqua  Giusti  A.  367  -  DaU' Acqua  Carlo 
445  -  Dal  Bosco  Edoardo  85  -  Dalmistro  Angelo  289  -  Dal- 
rOngaro  Fr.  34,  111,  259  -  D'Ancona  Aless.  172,  358,  508, 
539,  859  -  D'Ancona  Vito  87,  98  -  Daniel  Ed.  164  -  Dandolo 
A.  856  -  Da  Prato  Ces.  182  -  Dal  Rosso  Gius.  70  -  De  Ago- 
stini Giovanni  864  -  De  Antoni  Andr.  82,  85,  87  -  De  Be- 
nedetti Salv.  177  -  De  Biase  L.  277  -  De  Cosmi  Gio.  Agost. 
138  -  De  Crollis  Domen.  282  -  De  Deus  Giov.  482  -  De  Gardins 
Martino  82  -  De  Guidobaldi  march.  Domenico  870  -  De  Leo- 
nardis  G.  507  -  De  Marzo  Gualberto  35,  202,  261,  274  336, 

66 


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890  INDICB. 

•  De  MoDgis  J.  A.  479  -  Dembsher  330  -  De  Matteis  Lise 

34  -  De  Nin  Ant  31  -  Denza  P.  Fr.  54,  375,  376,  377,  ^ 
392,  425  -  De  Paris  Carlo  98  -  De  Pnppi  Raimondo  226  - 
Dericfasweiier  Enn.  48,  542  -  De  Simoni  L.  482  -  De  M^r 
Fr.  255  •  De  Vix^ilio  Giov.  39  -  Del  Castagno  Andrea  97  • 
DeUa  Rena  Cosimo  258  -  Della  Valle  Qiov.  374,  407,  448, 86^ 
861,  862,  873,  874,  875,  876  -  Dellf  H.  K.  52,  163  -  Dt 
Furia  Fr.  423  -  Del  Lungo  Isidoro  261,  274,  301,  310,  3U 
316,  336  -  De  la  Pezuela  D.  Juan  482  -  Delaroche  Cario  ^ 

-  De  Pasquali  Gaetano  84  -  Di  Cesare  Gius.  8,  73,  213  > 
Di  Chierico  84  -  Di  Giovanni  Vicenzo  139,  303,  363,  3^ 
460  -  Dini  Emesto  96  «-  Dionisì  Gian  Jac  12,  18,  72,  341. 
527,  533,  539  -  Di  Ovidio  Fr.  318,  336,  467, 540  -  Di  Feràco 
Fed.  263  -  Di  Siena  Gregorio  296  -  Di  Virgilio  Giov.  879  - 
Dolce  Lod.  8  -  Dolci  Fr.  477  -  Domeaioo  di  maestro  BandinQ5 

-  Dorò  Gustavo  105  *  Doucha  Fr.  500  -  Duprò  G.  96. 

Eitner  Carlo  879  -  Emanuele  di  Salomone  182  -  Emilisd 
Giudici  Paolo  71  -  Eremian  P.  Atanagine  503  -  Etienne  L.  16a 

Fabri  Edoardo  183  -  Fabroni  A.  30  -  Faccìoli  Dario  Ns- 
poleone  35  -  Falamonica  Bart  Gentile  182  -  Fanelli  G.  B.  4d. 
139  •  Fanfimi  Pietro  226,  231,  232,  273,  299,  301,  338,  387. 
431,  510,  585,  540,  543  -  Fantuzzi  Lor.  41  -  Fardella  Gius 
284  -  Faraffini  Fed.  88  -  Fattori  Ettore  31  -  Fauerìein  E.  44  - 
Fauriel  A.  165  -  Federici  Fort  227  -  Ferrari  Gupilli  460  - 
Ferrari  Jac.  Paolo  42  -  Ferrari  Luigi  96  -  Ferreri  Bartolomt>o 
869  -  Ferrerò  Pio  864  -  Ferrazzi  Jacopo  20,  509  -  Ferreira 
Serra  Fr.  877  -  Ferretti  Giov.  Pietro  5  -  Ferroni  Pienro  59  - 
Ferrucci  Rosa  139  -  Ferrucci  Caterina  11,  50  -  Ferrucci  L. 
Grìsos.  283  -  Feuerbach  Anselmo  99  -  Fiacchi  L.  283,  348, 
392  -  Fiani  Bart  353  -  Filalete  (Giovanni  re  di  Sassonia)  489. 
499  -  Fiorentino  Frane  478  -  Fiori  can  Geremia  35  -  Fischer 
Ant.  856  -  Flacius  Matteo  857'  -  Flaxman  Giov.  102  -  Eie- 
chia  534  -  Flotto  Hartwig  9,  172  -  Fontana  Gian  Ciac  33  - 
Fontanini  Giusto  139  -  Fomacciari  Ra£  139,  200,  211,  216, 
304,  322  -  Pomari  Vito  418  -  Foraari  Giov.  507  -  Forti  Luigi 

35  -  Foscolo  Ugo  20,  353  -  Fossati  Luigi  30  -  Frandoai  Gio- 
vanni 30,  31,  32,  33,  119,  139,210,  217,302,  310,426,  429, 


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INDICE.  891 

t43,  464,  854  -  Franchini  F.  35  -  Franco  Ant.  185  -  Fraticelli 
*ietro  8  -  Frenzel  Carlo  865  -  Fumi  L.  863. 

Gaddi  Hercolani  Ercolauo  287  -  Gaiassi  Vinc.  99  -  Gaiter 
a.  141  -  Galanti  can.  Carmine  206,  281,  466,  477,  871  -  Ga- 
eani  Napione  Fr.  46  -  Gallo  Ag.  221  -  Galli  Pietro  83,  85, 
)6  -  Qallucci  L.  471  -  Gakerari  Giov.  184  -  Gamba  Bartol. 
>84  -  Gambara  Fr.  347  -  GargioUi  Corado  32  -  Garibbo 
Liuig^  88  -  Garofolo  Pasquale  duca  di  Bonito  464  -  Gaspari 
K.  473  -  GaUinelli.42  -  Gausednel  Giulio  856  -  Gavardini 
Carlo  85  -  Gebhart  Emilio  32  -   Gelli  Giamb.  253,  256,  258 

-  Gemelli  Luigi  82  -  Gennari  G.  264,  381   -  Genovesi  A.  51 

-  Gentile  L.  863  -  Gerstemberg  Arrigo  Gius.  183  -  Gherardi 
Crist.  83  -  Ghibellini  Fr.  476  -  Ghislanzoni  A.  183  -  Giam- 
bellini  93  -  GiambuUari  Pier  Fr.  252,  255,  258  -  Giannini 
Crescentino  238  -  Giannoti  Donato  388,  462  -  Ginguenò  9  - 
Gioberti  Vie.  31,  46,  109,  141  -  Giotto  100  -  Giotti  Napoleone 
184  -  Girgenti  Gaetanina  142  -  Giuliani  Giamb.  32,  142,  248, 
262,  282,  298,  326,  344,  348,  351,  363,  381,  385,  402,  414, 
419,  420,  422,  452,  461,  535,  862,  880  -  Giullari  Carlo  174  - 
Giusti  G.  35  -  Gnoli  Dom.  863  -  Goeschel  K.  F.  858  -  Goethe 
865  -  Gouverneur  484  -  Gozzi  Gaspare  289,  381  -  Gradenigo 
Giangìr.  72  -  Graul  Carlo  499,  852  -  Gravisi  Federico  864 

-  Oraziani  Giov.  189  -  Gregoretti  Fr.  8  -  Grimaldi  Odoardo 
282  -  Grìon  Giusto  16,  19,  210,  244,  457  -  Grosso  Stefano 
144,  231,  232,  242,  373  -  Guadagnini  A.  87  -  Guod  G.  856. 

Isola  Giuseppe  84  -laccarino  Dom.  172  -  lacob  Giov.  212 

-  lageman  Crist  Gius.  498  -  Isaian  P.  Barnaba  502  -  lubert 
Amedeo  479. 

Hacke  van  Mijnden  484  -  Hans  Sachs  856  -  Hardouìn  P. 
Giov.  41  -  Hase  Carlo  858  -  Hekin  Serapione  503  -  Heigehn 
G.  Fed.  498^-  Hettinger  Fr.  163  -  Hoffinger  G.  879  -  Horwarter 
498  -  Hubatsch  Oscare  543  -  Hurmuz  mons.  Edoardo  503. 

Kannegiesser  Carlo  494,  546  -  Kantarian  P.  Sam.  503  -• 
Kakrajscki  Fr.  10  -  Keyser  97  -  Kervyn  de  Lettehnow  875 
-  Koenig  Gugl.  33  -  Koke  A.  S.  488  -  Kospich  Augusto  499 


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892  INDICE. 

-  KoBsedci  501    •  ^Krigar  Guglielmo  494  -  KudriaTzew  IT 
.  Kunhardt  P.  F.  J.  163,  481. 

Labruzà  di  Nexima  Fr.  67,  187,  863  -  Labus  347  -  L* 
Farina  282  -  Lafenestre  172  -  Laharpe  J.  F.  165  -  La  Lnm:-' 
Isidoro  30  -  Lamennais  F.  48,  52,  57  -  Lanci  F.  236,  & 
326,  328,  129  -  Landino  Cristotbro  5  -  Landoni  Teod.  22? 
233,  234,  235,  239,  301,  315  -  Lang  Gngl.  163  -  Lanzi  P 
Luigi  35,  147  -  Lanzoni  Fil.  145  -  Lastri  Marco  30  -  Leii 
Gius.  83,  84  -  Le  Moli  G.  35  -  Lemoyne  Paolo  20  -  Lenr<^ 
Carlo  250  -  Leoni  Carlo  33,  40,  110,  111,  145  -  Libri  Gud 
57  -  Liburnio  Nic.  44  -  Limarzi  Fr.  471  -  Ljubic*  Simone  24^ 

-  Livizzani  Ercole  99  -  Lyell  Carlo  44  -  Locock  Pr.  165  - 
Lo  lacomo  Fr.  83,  85  -  Lombardi  Eliodoro  32,  35  -  Lorna 
naco  Vicenzo  36,  52,  396,  401,  403,  429,  430,  432,  454  -  Lo- 
monaco  Giov.  43  -  Lorenzi  Gir.  142  -  Loria  Ces.  284  -  Lubis 
A.  31,  450  -  Lucchini  L.  37  -  Lumini  Apollo  300  -  Lunafi 
Fr.  331. 

Maccari  Giamb.  36  -  Macaulay  33  -  Maconi  Giuseppe  325 

-  Maffei  G.  11  -  Magni  Pietro  96  -  Mahn  K.  A.  F.  163  - 
Makaranin  Stefano  501  -  Malatesta  Adeodato  86  -  MamìazJ 
Terenzio  32,  50,  528  -  Mammoli  Tito  856  -  Mancini  L.  36 

-  Mancini  Poliziano  Jacopo  257  -  Manera  P.  Francesco  147  - 
Manetti  Giannozzo  4  -  Manetti  Ant|  23  -  Manoello  Romano 
181  -  Manucci  V.  36  -  Manzoni  L.  507  -  Marchand  Natale 
98  -  Marchetti  Nicolò  97  -  Marchione  di  Coppo  Stefano  19  - 
Margarucci  98  -  Marenghi  Carlo  151,  265,  289  -  Mani  P.  L. 
150  -  Mario  Alberto  145  -  Mariani  L.  65,  279  -  Marìannini 
Annib.  100  -  Marocchesi  A.  42  -  Maraigli  85  -  Martinelli  G. 
Pasq.  474  -  Martinetti  Cardoni  Gasp.  20  -  Maschio  A.  260  - 
Massaccesi  Aug.  145  -  Masini  Cesare  182  -  Massonii  Papirii  9 

-  Matscheg  A.  31  -  Matte  Giamb.  36,  417,  877  -  Maver  Zaoc. 
371  -  Mazzia  Angelo  Maria  100  -  Mazzoleni  Severo  477  - 
Mazzoni  Jacopo  56,  250  -  Mazzoni  ToseUi  239,  285,  308,  319. 
336,  349,  353,  366,  396  -  Melandri  P.  G.  145,  151  -  Meli 
Giosuè  97  -  Melzi  B.  481  -  Mercuri  Fil.  290,  433,  456  -  Me- 
rìan  57  -  Metti  Raim.  98  -  Mezzanotte  A.  284  -  Mézières  A. 
31,  48,   116  -  Michelangelo  di  Volterra  859  -  Mickiewios 


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INDICE.  893 

.damo  877  -  Miglio  Giovanni  477  -  Minajew  502  -  Minardi 
'omaso  82,  84,  85,  98,  99  -  Minich  Raf.  13,  15  -  Miniscalchi 
.uig-i  346  -  Mino  Vanni  d'Arezzo  288  -  Minzloff  R.  165  - 
fissìrini  Melch.  8,  13,  60  -  Mittchel  Riccardo  36  -  Modena 
ìustavo  HO  -  Mòndini  Giac.  86  -  Montanari  Ignazio  284  - 
rlonti  Vicenzo  36,  182,  368  -  Monti  Achille  115,  336,  354, 
J63,  379,  454,  469  -  Montrueil  Sara  347  -  Morani  Vinc.  83, 
»,  95  -  Morbio  Carlo  17,  115,  151,  356,  357,  381,  442  - 
tfordani  Filippo  41  -  Morelli  Paolo  152  -  Morigi  Giulio  36  - 
ilorpurgo  Carlo  A.  36  -  Moschini  Lorenzo  347  -  Mossotti 
[Ottaviano  390  -  Mnzzarelli  Em.  36  -  Mozzi  L.  238,  239,  262, 
i06,  509,  534. 

Nanarelli  Fabio  152  -  Nannucci  Vinc.  298,  306,  308,  324, 
i47,  362,  363,  463  -  Narbone  P.  Alessio  509  -  Nardi  Pietro 
15  -  Nardi  Luigi  151  -  Navarro  Vie.  36  -  Nazareth  P.  David 
503  -  Nesti  G.  E.  152  -  Neukirich  F.  454  -  Nocito  Pieiro  36 

-  Notter  F.  218,  494. 

Obici  Gius.  86  -  Occioni  Gnor.  278  -  Odorici  Fed.  16,  347 

-  Oliviero  Augusto  97  -  Orcagna  86  -  Ortolan  J.  54,  177  - 
Orti  Giovanni  Girolamo  290  -'Ottingen  Od.  864  -  Ozanam 
A.  F.  478. 

Pachini  Serafino  290  -  Pagani  Vie.  81  -  Paganini  P.  303, 
309,  405,  462,  468  -  Pagano  Vinc.  752  -  Pagliano  Eleuterio 
87  -  Palazzi  Giov.  289  -  Palermo  Fr.  30,  220,  548  -  Pandini 
Fr.  37  -  Pappalardo  Vito  37  -  Paravia  Pier  Aless.  31,  141  - 
Pardi  Carmelo  37,  47,  51, 59,  78,  153,  290,  394,  426  -  Pareic 
Carlo  501  -  Parenti  Marcantonio  236,  298,  300,  301,  309,  321, 
334  -  Paria  P.  Gius.  148  -  Parsons  F.  39  -  Pasinati  Stanislao 
154  -  Pasqualigo  Fr.  205,  372  -  Pasquini  Pier  Vincenzo  42, 
06,  195,  232,  281  -  Paur  Teod.  164,  854  •  Pazzi  Enrico  863  - 
Pellegrini  Giov.  154  -  Pelli  Gius.  8  -  Peretti  Ant.  37  -  Perez 
Fr.  193  -  Perez  Paolo  352,  358,  360,  367,  393,  394,  414,  415, 
419,  422,  423,  424,  426,  427,  432,  440,  441,  451,  452,  463, 
469  -  Perosino  Gian  Severino  477  -  Perticari  Monti  Co- 
stanza 284  -  Pescatore  Costantino  64  -  Pesaina  Carlo  83  - 
Pessina  Enrico  213  -  Petrarca  Francesco  38,  302,  303,  320, 


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804  INDIGB. 

364,  355,  388,  402,  409,  430  -  Petricckrii  Oius.  477  -  P^zw 
502  -  Petzholdt  547  -  Petruccì  G.  295  -  Pfleiderer  Rod.  164  - 
Pianciani  P.  Giamb.  50,  147,  148  -  Picirilio  P.  Carlo  148,  159 

-  Picei  Gius.  347  -  Picchionì  L.  216,  632  -  Pierìni  And,  831 
87,  89  -  Piermartini  L.  154  -  Pieromaldi  Atenaide  Zaira  154 

-  Pietrasanta  Ang.  94  -  Pioto  M.  172  -  Piper  Carlo  858, 854 

-  Pippi  GiroL  81  -  Pisani  94  -  Pizzi  Italo  154  -  PoccEantì  M- 
ohele  8  -  Podesti  Fr.  82,  84,  85,  86,  95,  98,  99  -  Poerìo  Akss. 
47  -  PoU  Fr.  183  -  Poletto  Jacopo  154,  155,  316,  505  -  Pe^ 
litti  Lancilotto  114  -  Polizzi  Giam.  37  -  Ponsalene  99  -  Ponti 
M.  314,  356,  375  -  Ptìsocco  Ugo  Ces.  183,  306.  864  -  Potgiete- 
E.  J.  39,  489  -  Pregel  Gugl.  217  -  Prezzolini  Pietro  156  - 
Prunai  Gaetano  37  -  Puccianti  Gina.  119,  527  -  Puccini  Toffi- 
niaso  156. 

Quadrio  P.  Sav.  147,  156  -»  Quarenghi  Luigi  85  -  Quercì 
Dario  ^7  -  Quinto  Gherardo  37. 

Raffaelli  march.  Filippo  80  -  Raffaelli  Pietro  417  -  RafTaelio 
d'Urbino  86,  93  -  Rajna  Pio  530  -  Rambeili  Gianfr.  57  -  Ra- 
tisbonne  L.  478  -  Rapisardi  Mario  871  -  Raur  Gust.  Adolib 
856  -  Ravina  J.  A.  402  -  Razzolini  L.  280,  340  -  Recke 
E.  184  -  Redi  Fr.  255  -  Refini  Fr.  93  -  Rendu  Eb^.  48  - 
Renieri  Marco  324,  358,  389,  394,  401,  403,  419,  462,  469, 
470  -  Renzi  240  -  Reumont  Alfredo  13;  412  -  Ricd  Paolo  97 

-  Ricci  Teodorico  156,  193  -  Richard  Alb.  42  -  Richter  D.  164 
.  Ridolfi  83,  87  -  Ridsdale  Ellaby  Ernesto  484  -  Rieger  M.  164 
"  Rigutini  G.  338  -  Rinoldi  Tomaso  37  -  Rinuccini  Annibale 
254  -  Rocchi  Gino  283  -  Roffia  Donato  250  -  Romani  Felice 
183  -  Romani  Matteo  228  -  Romano  fìaldaasare  265  -  Ron- 
dani  A.  89,  106,  269,  386  -  Ronzani  Dom.  183  -  Ronzi  Angelo 
870  -  Roeciate  da  Alber.  19  -  Roseburghe  Lothian  14  -  Rosei 
Fortun.  94  -  Rosmini  A.  46,  47,  48,  405,  426  -  Rossetti  Gabr. 
8  -  Rossetti  Dante  Gabriele  510  -  Rossi  Raff.  156  -  Rosa 
Scotti  Giamb.  37  -  Rossi  Gius.  M.  332  -  Rossi  mons.  Ste&no 
548  -  Rttbbl  A.  8,  31  -  Ruberti  Luigi  342. 

Sabbatelli  L.  85  -  Sacchi  Defend.  8,  13  -  Sacchi  Gius.  475 
-  Salomone  Marino  Salv.  36,  38,  76,  220,  231,  285,  305,  306, 


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WDIC8.  895 

«4,  350,  372  -  Salvi  Lod.  289  -  Salvini  Antoninaria  252,  255 
Sander  11,  204  -  SantareUi  863  -  Sapio  Paolo  36  -  Sarti  P. 
leu.  M.  149  -  SassetU  Filippo  257,  313,  351  -  ScarabelU  Lu- 
ciano 12,  18,  102,  221,  222,  231,  240,  241,  243,  245,  307, 
i^e,  329,  396, 453  •  Scarampi  Gius.  43  -  Scaramuzza  Fr.  86« 
lOO  •  Scartazàni  Giov.  Andrea  15,  107,  164,  215,  218,  276, 
501 ,  420,  547,  551,  857,  881  -  Scherer  Edm.  33  -  Schlegel  Aug. 
3^11^1.  498,  865  -  Schlosser  865  -  Schmidt  Gius.  546  -  Schiick 
ie4,  862  -Scriffignini  F.  184  -  Segardi  Lod.  39  -  Segusi  Ang. 
D7  -  Sella  Quintino  864  -  Semoli  Farinello  540  -  Serassi  Pier 
A.-  9  -  Sercambi  Giovanni  290  -  Sennini  Gentile  18  -  Ser- 
ra,valle  di  Giov.  292  -  Servazere  84  -  Sforza  Giovanni  115  - 
Sliewyrew  171  -  Sicca  Angelo  242  -  Siccone  Polentano  12  - 
Sieber  Ferd.  509  -  SUvestri  Gius.  38,  46,  299  -  Silvestri  can. 
156  -  Simone  Fr.  477  -  Simone  de  Magistris  81-  -  Siragusa 
O.  B.  37  -  Sissa  Luciano  141  -  Smania  Michel.  271  -  Sogliano 
86  -  Solari  scult.  94  -  Sorbi  Raf.  87  -  Sorio  Bart.  233,  255, 
242,  257  -  Spera  Gius.  33,  156  -  Stefeld  G.  F.'215  -  Streckfuss 
Carlo  495,  498  -  Strocchì  Dionigi  283  -^  Strocchi  Loreta  Gi- 
nevra 38  -  Strozzi  Aless.  254  -  Strozzi  Giov.  258  -  Svegliato 
Giamb.  39. 

Taddei  Rosa  38,  184  -  Tadolini  Adamo  97,  100  -  Talen- 
toni Giov.  255  -  Talia  P.  Giamb.  156  -  Tanci  Mario  255  - 
Tancredi  G.  74,  78,  209,  360,  384  -  Targioni  Tozzetti  Ottaviano 
59  -  Thodea  v.  Velzen  U.  W.  488  -  Thorwaldsen  83,  85,  86 

-  Tiboni  can.  Pietro  344  -  Tieck  Luigi  856  -  Tiraboschi  Gir. 
9,  147  -  Tishbein  Enr.  86  -  Todeschini  Gius.  5,  67,  72,  156, 
157,  159,  160,  214,  230,  244,  284,  299,  300,  310,  313,  314, 
319,  320,  330,  331,  344,  360,  364,  371,  375,  376,  377,  382, 
394,  399,  403,  413,  415,  421,  433,  436,  446,  453,  461,  462, 
470,  510,  528,  532,  539,  545  -  Tommaseo  Nicolò  9,  13,  54, 
115,  142,  160,  233,  296,  318,  401,  436  -  TomJinson  Carlo  510 

-  Tondi  prof.  32  -  Topin  Ippol.  33,  480  -  Torelli  Gius.  59, 
161,  400  -  Torri  Aless.  422,  545  -  Tortoli  Giov.  339  -  Trezza 
G.  58  -  Treverret  48  -  Trevisani  Gaetano  217  -  Tripepi  mons. 
Luigi  864  -  Trissino  Fr.  289  -  Trivellato  Gius.  38  -  Trivellini 
Fr.  866  -  Trivulzio  Giangiac.  221  -  Trombetti  Ottone  863  - 
Tunisi  Colonna  Gius.  38. 


y  Google 


896  IMDICB. 

Ugolini  Fil.  9  -  Uhland  Lud.  39. 

Vaocaro  Eman.  185,  289  -  Yacolini  Domenico  59  -  Val- 
^migU  G.  M.  364,  368,  396,  399  -  Vallati  Pietro  85  -  VjUletu 
Ignazio  184  -  Valnssi  Pacifico  316  -  Varchi  Benedetto  25". 
258  -  Vassallo  Carlo  51  -  Vedovati  Fil.  540  -  Vdutello  Al». 
5  -  Venturi  Luigi  32,  118,  121,  284  -  Venturi  Pompeo  146 
-  Venturi  Pietro  284  -  Venturini  Domen.  204,  270,  295,  300, 
306,  877  -  Veratti  Bar.  324,  326,  337  •  Vergotin  P.  502  - 
Verini  Fr.  257  -  Vernon  Lord.  20  -  Vettori  P.  373,  415  - 
Viale  A.  José  482  -  Viani  Prospero  228,  351  -  Viani  P.  Bo^ 
naventura  300,  871  -  Vichi  151  -  Vidal  GaeUno  865  -  Vi- 
gano Saly.  184  -  Villani  Giovanni  1  -  Villani  Filippo  3  - 
Villani  Nicola  351  -  Villareale  Mario  36.  37,  38,  183,  184  - 
Villari  FiUppo  269  -  Villémain  165  -  Vitali  Pietro  509  -  VolL> 
Benedetto  856  -  Volpi  Giov.  Ant.  323  -  Voltaire  Fr.  M.  9. 

Wesselovsky  A.  171  -  Witte  Carlo  15,  494,  529,  531.  539, 
543,  544,  551,  879  -  Wolters  W.  C.  14. 

Zaccaria  Fr.  Ant.  9  -  Zacheroni  G.  281  -  Zanchi  Gius.  270. 
428,  879  -  Zaknjaski  Fr.  50  *  Zani  de  Ferranti  A.  222,  230, 
232  -  Zannoni  332,  348,  392  -  Zappi  Giamb.  38  -  Zarpanalian 
p.  Karkino  504  -  Zeiler  501  -  Zinelli  Fed.  9,  46  -  Zobi  A. 
368  -  Zolese  Gaet.  145,  231,  232. 


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S97 


INDICE    GENERALE 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA. 

Studi  biografici pag.       1 

Monografie  biografiche 12 

Accenni  cronologici 20 

Documenti  -  Riguardanti  la  vita,  21.  -  Le 
ceneri,  22.  -  La  casa  di  Dante,  25. 

Elogi 30 

Paralleli 30,  854 

Componimenti  poetici  in  onore  di  Dante  33,  856 

Epigrafi 40 

Componimenti  drammatici.    ...       42,  856 

Religione  e  Cattolicismo  di  Dante  ...      42 
Intento  cattolico  della  Divina  Commedia        44 

Teologia  di  Dante 46,  856 

Politica  di  Dante 47,  859 

Filosofia 48,  860 

Scienza  del  diritto  e  giurisprudenza  penale      52 
Cognizioni  scientifiche  in  generale  ...      56 

Scienze  Naturali 57 

Scienze  fisiche  e  matematiche    .     .       59,  860 
SuU*  epoca  della  Visione.  -  Itinerario  della 
Divina  Commedia 66,  862 


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ì  INDICE  OBNBRALB 

Del  sito  e  della  figura  dei  tre  regni    pag.  70 

Cognizioni  poliglotte 72,  862 

Dante  e  le  Arti  Belle 78,  862 

Influenza  di  Dante  sulla  poesia  dell'arto 

della  sua  nazione 81 

Tele,  afireschi,  sculture  il  cui  soggetto  è 

preso  dalla  Divina  Commedia      ...  82 

Disegni,  illustrazioni  del  Divino  Poema  .  88 
Ritratti,  statue  ed  altri  dipinti  riguardanti 

Dante  Alighieri 93,  862 

Dipinti  e  disegni  riguardanti  la  vita  di  Dante 

Alighieri 98 

Articoli  critici  su  alcuni  soggetti  artìstici 

danteschi 100 

Dante  e  la  Musica 108 

Artisti  declamatori  della  Divina  Commedia  109 

Studi  storici  sui  tempi  di  Dante     .      Ili,  863 
Studi  sulla  Divina  Commedia     .     .      117,  863 
Originalità  del   Poema  di  Dante.  -  Leg- 
gende e  Visioni 172 

Imitatori  del  divino  Poema    .     .    .      181,  865 

Soggetti  inspirati  dalla  Div.  Commedia  182,  869 

Allegoria  della  Divina  Commedia    .      185,  870 

Le  tre  Donne  Benedette    ....     206,  870 

Virgilio  secondo  le  credenze  del  Medio  Evo  212. 

Il  Veltro 213 

La  Matelda 216 

Altri  simboli  della  Divina  Commedia  .     .  218 

Illustrazioni  di  Codici 220 

Studi  sul  Testo 222 


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INDICE  QENBRALB  999 

Osservazioni   su   alcune   Varianti   contro- 
verse       pag.  231 

Riproduzione  di  Codici 245 

Lettori  della  Divina  Commedia  .     .     247,  871 

Comenti 272 

!NuoYe  edizioni  di  Comenti.  272,  871.  -  Comeoti  inediti  an- 
tichi per  la  prima  volta  pubblicati.  273.  -  Nuovi  Comenti. 
2T4.  -  Comenti  nuovi  parziali.  279,  871.  -  Rubriche,  esposi- 
zioni analitiche,  compendi,  argomenti.  288.  -  Articoli  critici 
su  comenti.  289.  -  Comenti  inediti.  290.   • 

Illustrazioni  filologiche  e  storiche  di  pa- 
recchi passi  della  Divina  Commedia  295,  872 

Traduttori 471 

I.  Traduzioni  in  dialetto.  471.  -  II.  Latine.  473,  877.  - 
III.  Francesi.  478.  -  IV.  Castigliane  e  Catalane.  481.  - 
V.  Portoghesi.  482,  877.  -  VI.  Inglesi.  482.  -  VII.  Olan- 
desi. 484.  -  Vili,  "tedesche.  489,  878.  -  Prospetto  delle 
versioni  tedesche  della  Divina  Commedia.  497.  -  IX.  In 
Boemo.  500.  -  X.  In  Polacco.  877.  -  XI.  Trad.  Slave.  501, 
-  XII.  Ungheresi.  501.  -  XHI.  Russe.  502.  -  XIV.  In  Greco 
moderno.  502.  -  XV.  Armene.  502. 

Opere  Minori .     .     .     .     505 

Le  Rime  di  Dante 
Le  Rime  di  Dante.  506.  -  Nuove  edizioni.  -  Rime  inedite 
e  Rime  attribuite  a  Dante.  507.  -  Studi  sul  testo  delle 
Rime.  509.  -  Versioni.  510.  -  Rime  Musicate.  511. 

Le  Prose  Volgari 511 

La  Vita  Nuova 
La  Vita  Nuova.  527.  -  Nuove  edizioni.  529.  -  Studi  sul 
Testo.  532. 

Il  Convito 535 

De  Vulgari  Eloquio 540 


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900  INDICB  GBNBRAUB 

De  Monarchia 

De  Monarchia.  542.  -  Nuove  edizioni.  543.  -  Trada- 

zioni.  543. 

Epistole pag.  544 

Quaestio  de  Aqua  et  Terra 546 

Egloghe 546,  881 

Bibliografia 547,  881 

Le  feste  di  Dante 547 

Onoranze  a  Dante  Alighieri 548 

Collezioni 549 

BIBLIOGRAFIA  PETRARCHESCA. 

Parte  Biografica. 

Biografi pag.  555 

Sommari  cronologici 568 

Bibliografia  biografica 569 

•Monografie  biografiche 569 

La  Casa  del  Petrarca,  e  relativi  Documenti  589 
Vicende  della  tomba  di  Fr.  Petrarca.  Do- 

^     cumenti  relativi  al  furto  del  1630  .     .  598 

Elogi ' 612 

Iconografia 615 

Ritratti,  Statue,  Dipinti 616 

Incisioni 625 

Medaglie 627 

Iscrizioni  monumentali  onorarie.     .     .     .  629 

Componimenti  poetici  in  onore  del  Petrarca  634 
Componimenti  poetici  pubblicati  in  occasione 

del  Centenario 640 

Componimenti  drammatici 644 


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moIOB  OBNBBALB  901 

Il  Canzoniere. 

Madonna  Laura pag.  645 

Dell'amore  di  Fr.  Petrarca 652 

Della  lirica  di  Fr.  Petrarca 654 

Versioni 667 

I.   Latine.  667.  -  II.  In  dialetto.  670.  -  III.  Francesi.  671. 

-  IV.  In  CastigUano.  675.  -  V.  Portoghesi.  677.  -  VI.  In- 
glesi. 677.  -  VII.  Tedesche.  680.  -  Vllf.  In  Boemo.  681. 

-  IX.  In  Polacco.  682.  -  X.  In  Olandese.  682.  -  XI.  In 
Rumeno.  682.  -  XII.  In  Greco  moderno.  683.  -  XIII.  In 
Ebraico.  683. 

Comentatori 683 

-Conienti  parziali 701 

Comenti  inediti 726 

Lezioni  inedite  dette  all'Accademia  fio- 
rentina      729 

Petrarca  e  la  Musica 732 

Poesie  inedite  del  Petrarca  od  attribuitegli  732 

Studi  sul  Testo 737 

Il  Canzoniere  spiritualizzato 744 

Imitatori  e  Centonisti .  747 

Grammatici,  Retori,  Raccoglitori    .     .     .  749 

Apologie  e  Censure.     .     .     .  ^.    .     .     .  752 

Illustrazioni  di  Codici -  755 

Edizioni  -  Bibliografia 758 

Opere  Latine. 

Africa 763 

Poemata  Minora 769 

De  Contemptu  Mundi   .......  773 

De  Vita  solitaria 775 

Psalmi  Pcenitentiales 779 

De  Rebus  Memorandis 780 


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902  IMDICB  GBNSSàLB 

De  vera  Sapientia pag.  781 

De  Remediis  utriusque  Fortunae    ...  782 
De  sui  ìpsius  et  aliorum  ignorantia    .    .788 

De  Viris  iliustribus 788 

Epistolae    .     .    .    • 794 

De  OflBcio  et  virtute  Imperatoris    ...  804 

De  Republica  optime  administranda    .    .  805 
Epistola  III  del  libro  XVII  delle   Senili 

(Versione  della  Griselda) 803 

Epistola  ad  Posteros 808 

Lettere  apocrife 809 

Testameutum 810 

Scritti  inediti  di  Fr.  Petrarca    ....  812 

Scritti  attribuiti  al  Petrarca      ....  815 

Studi  sul  Petrarca 816 

Paralleli.  820.  -  La  Politica  del  Petrarca.  823.  -  Fr.  Pe- 
ti^arca  filosofo.  825.  -  Fr.  Petrarca  precursore  della  Ri- 
nascenza. 827. 

Le  Città  italiane  e  l'Italia  nel  Petrarca  83C 

Onoranze  al  Petrarca 843 

Collezioni  Petrarchesche 848 

Supplemento 851 

Supplemento  alla  Bibliografia  dantesca    .  854 

Dichiarazione 884 

Indice  delle  persone  ricordate    ....  887 

Indice  generale 897 


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