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Full text of "Memorie"

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ATTI 


DELLA 


ACCADEMIA  DEI  LUCEI 


ANNO    GGXGI. 


1894 


SETRIE     Q,TJI3ÌTT^ 


CLASSE  DI  SCIENZE  MORALI,  STORICHE  E  FILOLOGICHE 

VOLUME    n. 

Parte  1*  —  Memorie 

Parte  2"  —  Notizie  degli  Scavi. 


V. 


ROMA 

TIPOGRAFIA   DELLA   R.    ACCADEMIA   DEI   LINCEI 


ntrsinX  biu.  oat.  t.  uititcoi 

1896 


ATTI 


DELLA 


E.  ACCADEMIA  DEI  LINCEI 


ANNO    GGXGI. 


1894: 


SEI5.IE]      Q^TIIITT^ 


GLASSE  DI  SCIENZE  MORALI,  STORICHE  E  FILOLOGICHE 

VOLUME    IL 

Parte  V  —  Memorie 

Partk  2^  —  Notizie  degli  Scavi. 


ROMA 

TIPOGRAFIA    DELLA    R.    ACCADEMIA    DEI    LINCEI 
rnorBtRTX  drl  cat.  t.  aALvrocoi 

1896 


1^ 


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N0V10  1964       )Ì 


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PARTE  PRIMA 


MEMORIE 


Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Mkmorib  —  Voi.  Il,  Serie  5",  p&rt*  1*  l 


RELAZIONE 

letta  dal  Socio  Ignazio  Guidi  a  iiouie  anche  del  Socio  Teza  uella  seduta 
del  15  aprile  1894  sulla  Memoria  del  dr.  C.  A.  Nallino  intitolata: 
Al-Huioàrìzml  e  il  suo  rifacimento  della  Geografia  di  Tolomeo. 


«  Nella  memoria  che  il  di-.  Nallino  presenta  all'Accademia,  l'A.  prende  in  esame 
il  libro  del  Huwàrizmì  sulla  «  figura  della  terra  »  J>;V\  ìs^^-o,  del  qual  libro,  noto 
fino  a  poco  tempo  solo  da  citazioni  di  altri  geografi,  è  stato  recentemente  ritrovato 
un  ms.  che  si  conserva  nella  biblioteca  di  Strassburgo.  Il  Nallino  tocca  brevemente 
degli  studii  geografici  presso  gli  Arabi,  specialmente  sotto  Mamùn,  e  quindi  ragiona 
della  vita  e  degli  scritti  del  Huwàrizmì.  Egli  mostra  che  non  ostante  il  divario  che 
COITO  fra  la  J»;Vi  i^y^  e  la  yswYQMpixi)  vcpì'ji^aig  di  Tolomeo,  quest'ultima,  e  non 
altra  opera  greca,  è  la  prima  fonte  del  libro  dell'Huwàrizmì,  sebbene  non  diretta  ed 
immediata.  Imperocché  la  J>j^  ij^-o  è,  innanzi  tutto,  l'illustrazione  di  una  carta,  e 
precisamente  di  quella  specie  di  atlante  (celeste  e)  terrestre  che  aveva  fatto  fare  Ma- 
mùn ;  atlante  per  la  cui  composizione  era  stata  messa  grandemente  a  profitto  la  geogi'afia 
di  Tolomeo.  L'opera  di  Huwàrizmì,  nella  quale  sono  copiose  notizie  e  determinazioni 
nuove,  può  avere  il  vanto  di  lavoro,  in  buona  parte,  originale,  siccome  certo  ha  quello 
di  essere  assai  rilevante  e  per  sé  stessa  e  per  l'infiuenza  avuta  sulle  posteriori  opere 
geografiche  degli  Arabi.  Il  Nallino  ragiona  in  seguito  sulla  critica  del  testo  dell'unico 
ms.  della  J>;V;  »)^-^,  ed  esamina  e  dichiara  ad  una  ad  una  le  grandi  divisioni  del- 
l'opera: l'Africa,  l'Asia  occidentale  e  centrale,  l'Asia  orientale  e  l'Europa. 

«  La  Commissione  che  loda  la  vasta  e  peregrina  erudizione  del  di'.  Nallino,  il 
suo  ottimo  metodo  critico,  e  l'importanza  che  i  risultamenti  da  lui  ottenuti  hanno 
per  la  storia  della  geografia,  non  può  non  proporro  all'Accademia  che  la  memoria 
sia  integralmente  inserita  nei  suoi  Atti  i . 


Al-Huwririzmì  e  il  suo  rifacimento  della  Geografia  di  Tolomeo. 
Memoria  di  C.  A.  NALLINO. 


AVVERTENZA. 


I  f^co^afi  arabi  il  cui  nome  ricorre  più  di  frequente  sono  citati  in  qaesto  modo: 

al-l?tal»rl.    Viae  regnorum.  Descriptio  ditionis  moilemicae  auctore   Abu  Ishdk  al-Fdrist 

al-  /stnkhrì.  Edidit  M.  J.  de  tìocje.  Lugduui  Batavorum  1870. 
Ibn   Hawqal.   Via  et  regna.  Descriptio  ditionis  moslemicae  auctore  Abu  'l-Kdsim   ibn   Ilau- 

ical,  Edidit  M.  J.  de  Goeje.  Lugd.  Batav.  1873. 
a1-Muqaddas!.    Descriptio  imperii  moslemici  auctore  al- 3/okaddas  i.  Edidit  M.  .T.  de  tiocje. 

Lugd.  Batav.  1876-77. 
Ibn   al-Faqih.  Compendium  libri  Kitnb  al-Bolddn  auctore  Ibn  al-Faklh   al-IIamadhdni. 

Edidit  M.  J.  de  Goeje.  Lugd.  Batav.  1885. 
Ibn   Hurdiidboh,   Qodàmah.   Kitàb  al-Masdlik  tra'l-mamdlik  auctore   Ibn   Khordddhbeh 

Accedunt  excerpta  e  Kitdb  al-Kìiarddj  auctore  Koddmah   ibn   Dja'far.  Una  cum  versione 

gallica  edidit  M.  J.  de  Goeje.  Lugd.  Batav.  1889. 
Ibn  Rosteh,   al-Ya'qùbi.    Kitdb  al-A'ldk  an-NafUa  VII  auctore  Ibn  Rosteh  et  Kitdb  <tl- 

Bolddn  auctore  al-Jakùbl.  Edidit  M.  J.  de  Goeje.  Lugd.  Bat.  1892. 
al-Edrìsi.    Géographie  d'Edrt'si  traduite  de  l'arabe  en   franfais   par  P.  Amédt'e  Jaubert. 

Paris  1836-40,  2  voli. 
Abfi  "I-fidà'  (Aboulf.).  Géographie  d'Aboulféda.  Textc  arabo  publie   par  M.  ReinauJ   et  M. 

le  Baron  Mac  Gnckin  de   Slane.  Paris  1840. 
ai-Mas' udì.  Mafoudi.  Les  prairies  d'or.  Teite  et  traduction  par  C.  Barbier  de  Meynard. 

Paris  18G1-77,  9  voli. 
Yàqùt   Jacut's  Geograpkisches  ÌVórterbuch  herausgegeben  von  F.  WQstenfeld.  Leipzig  1866- 

1873,  6  voli,  in  10  tomi. 
ad-Dimasq5.    Manuel  de  la  cosmographie  du  moyen  dge  traduit  de  l'arabe  de   Shems  ed  din 

Abou  'Abdallah  Mohammed  de  Damas,  par  A.  F.  Mcliren.  Copcnague  1874. 
Ibn   YCinns  (J.  Y.).  Ibn  Yùnus,  Kitdb  az-zlg  al-kabir  al-hnkimi.  Ms.  della  Bibl.  di  Leida.  Ms. 

Or.  143  (Catal.  DI,  p.  88,  n.  1057). 
Per  T  0 1  <i  m  e  0  mi  servo  dell'edizione  curata  da  C.  F.  A.  Nobbe,  2*  ristampa.  Lipsiae  1881-88,  3  voli. 

Sento  qui  il  dovere  di  render  vivissime  grazie  al  prof.  Th.  Noldeke  ed  al  Sig.  Bibliotecario 
Dr.  Harack  di  Strasburgo,  por  mezzo  dei  quali  ebbi  gentilmente  a  prestito  il  ms.  unico  d"al-Hu- 
wàrizmi  ;  al  Prof.  M.  ,T.  de  Goeje  di  Leida,  che  nella  sua  qualità  d'Intcrpres  legati  Warneriani 
m'inviò,  appena  lo  rìcliiesi,  il  codice  loidcnsc  d'Ibn  Yùnus;  infine  al  mio  Maestro  Prof.  G.  Cora, 
il  quale,  ponendo  generosamente  a  mia  disposizione  la  sua  riccliissima  biblioteca,  mi  diede  mezzo 
di  compiere  questo  lavoro. 


I. 

Prime  versioni  arabe  d'opere  di  Tolomeo. 

Mentre  a  Damasco  regnava  ancora  la  dinastia  ommiade,  che  sotto  certi  aspetti 
sembrava  far  rivivere  le  idee  della  ffilhiliyyah  o  t  barbarie  "  (come  Maometto  aveva 
qualiticato  la  vita  dell'Arabia  antoislàmica),  già  nel  primo  secolo  dell'egira  abbiamo 
tracce  di  commercio  intellettuale  fra  gli  arabi  conquistatori  ed  i  vinti  Bizantini  e 
Persiani.  Hàlid  ben  Yazìd,  lo  sfortunato  principe  di  stirpe  ommiade  che  mori  in  an- 
cor giovane  età  neir82  dell'Egira  (15  Febbraio  701 — 3  Febbr.  702),  si  era  dato  con 
passione  sovra  tutto  allo  studio  dell'Alchimia,  e  Stefano  l'antico  (Istifan  al-qadim) 
era  stato  da  lui  incaricato  appunto  di  tradurre  opere  greche  o  siriache  relative  a 
questa  e  ad  altre  scienze  (')• 

E  gì'  impulsi  a  tradurre  in  arabo  i  libri  più  notevoli  greci,  pehlevici,  siriaci  e 
persino  indiani,  crebbero  quando,  trasportata  dagli  'Abbàsidi  la  sede  del  calitfato  a 
Bagdad  u  la  posta  da  Dio  »  (come  significa  il  suo  nome  d'origine  iranica),  i  dotti 
musulmani  furono  attratti  in  quelle  regioni  medesime  ove  era  fiorita  rigogliosa  la  ci- 
viltà sàsànidica.  Ed  i  primi  califfi  'abbàsidi,  coadiuvati  dai  loro  ministri  della  casa 
di  Barmek,  favorirono  con  tutte  le  loro  forze  questo  febbrile  rivolgersi  dei  dotti  alla 
scienza  degli  antichi,  e  stipendiarono  apposite  persone  le  quali  doveano  colle  loro  tra- 
duzioni render  accessibili  a  tutti  i  tesori  dell'antichità. 

Ma  ben  presto  parvero  insufficienti  le  opere  conservate  nelle  biblioteche  di  Siria 
0  di  Mesopotamia  ;  ed  al-Ma'mùn  (-)  senfi  il  bisogno  di  rivolgersi  direttamente  al- 
l'imperatore bizantino,  e  di  inviare  nelle  terre  di  lui  uomini  dotti  per  ottenere  «  quanto 
v'era  di  scelto  fra  le  opere  scientifiche  antiche  conservate  e  tenute  in  gran  pregio 
nel  paese  di  Riìm  »  (^).  Né  sembra  che  al-Ma'mun  si  limitasse  a  chieder  libri,  poi- 
ché sappiamo  che  nell'anno  251  dell'era  di  Yezde^ird  III  (=883  d.  Cr.)  parecchi 
astronomi  osservarono  a  Damasco  l'obliquità  dell'  eclittica  con  uno  strumento  appo- 
sito che  al-Ma'mun  medesimo  avea  fatto  venire  dal  paese  dei  Rum  (*•).  Anche  i  pri- 
vati cercarono  d'imitare  l'esempio  del  califfo;  quindi  leggiamo  che  i  tre  famosi  fratelli 
figli  di  Miìsà  ben  Sàkir,  datisi  con  ardore  allo  studio  della  scienza  antica,  inviarono 
gente  nell'impero  bizantino  per  scoprire  ed  acquistare  opere  dell'  antichità  ellenica  (^). 

(')  Kitàb  al-Fihrist,  herausgegeben  von  G.  Fliigel,  J.  Rodiger  und  A.  Miiller.  Leipzig 
1872,  p.  244,  1.  2  e  anche  p.  242,  1.  8  segg. 

(«)  Regnò  dal  2G  niuliarram  198  al  18  ragab  218  (26  sett.  813—9  ag.  833). 

(5)  Kitiib  al-Fihrist,  p.  243;  vedi  anche  flaji  K  hai  fa  e  Lexicon  l/ibliogr.  et  encydopae- 
dicum,  arabice  et  latine  edidit  G.  Fliigel.  Lipsiae  1835-58,  voi.  I,  p.  81. 

(*)  Ibn   Yùnus,  cap.  XI,  p.  222  del  ins.  di  Leida:    c^r''"»^'   Uiliub  y,\  ^\S  ^\  iJ'ilb 

>y^>j^  roi  i-l*o  ,3  iJV^  sj^^  ^^«^1  O^i   f»^*  -^^  -il  <*^y  cx^-   —    H  risultato 

fu  23°  33' 52"  (nel  ms.  '-^  ^   ^). 

(5)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  243,  1.  15,  e  p.  271;  Ibn  Hallikàn,  Dizionario  biografico  s.  v.  Banù 
Musa  ben  Sàkir  (ed.  Cairo  1299/1882,  voi.  U,  p.  505).  Da  un  altro  passo  di  Ibn  Hallikàn  (I,  178,  s. 
V.  Tàbit  b.  Qorrah)  sembra  che  lo  stesso  Abù  'Abd  Allah  Muhaniinad,  uno  dei  tre  fratelli,  si  fosse 
recato  nell'impero  bizantino. 


—  6  — 

ii  naturale  che  non  venissero  frattanto  dimenticate  le  opere  del  famoso  astronomo 
alessandrino,  Claudio  Tolomeo:  ed  infatti  sappiamo  con  certezza  che  lo  seguenti  furono 
tradotte  prima  della  morte  di  al-Ma'mùn: 

1°.  La  ci'viithi  xìfi  lìarQuiouiui,  in  arabo  al-Ma^is(l,  tradotta  e  commentata 
per  la  prima  volta  da  Yaliyà  ben  Hàlid  ben  Barmak,  che  mori  nel  191  eg.  (17  Nov. 
806—5  Nov.  807)  (').  Sotto  al-Ma'mùn  l'opera  incontrò  molto  favore  e  diede  luogo 
a  studi  speciali:  Abù  Hayyàn  (o  Abiì  Hassan)  e  Salma  la  commentarono  di  nuovo  (-); 
al-Haggàji;  ben  Matar  insieme  con  Sergùn  ben  Hiliyyà  ar-Kùmì  nel  214  (11  Marzo 
829 — 27  Febbr.  830)  ne  diede  ima  seconda  e  miglior  traduzione  {^)  ;  e  da  ultimo 
Mul.iammad  ben  Katìr  al-Fariànì  ne  pubblicava  un  succoso  compendio  (^). 

2".  Il  trattato  astrologico  Tfrnù;ii;i).oc  ai  viarie  ^Kt^ijiutixi],  in  arabo  Kitàb 
al-arba'ah  tradotto  sotto  al-Man>ur  (9  Giugno  754—7  Ott.  775)  da  al-Batriq,  e  tosto 
commentato  sopra  questa  traduzione  da  'Omar  ben  al-Farrubàn  (^).  Kegnando  al-Ma'- 
mùn, Ibràhìm  ben  as-Salt  lo  tradusse  e  commentò  di  nuovo  (''). 

3°.  La  «  Tavola  [astronomica]  di  Tolomeo  "  [yid  BaUamyàs)  fu  commentata, 
probabilmente  sotto  Hàriìn  ar-Rasìd,  da  Ayyiìb  e  Sim'ùn  per  conto  di  Mubammad  ben 
Hàlid  ben  Yahyà  ben  Barmak  (").  La  medesima  opera  è  citata  in  al-Fargànì  (*)  ; 
ed  il  Golio,  annotando  questo  passo,  la  crede  eguale  al  xavùv  nQÓxfiQog,  che  Snida 
annovera  fra  le  opere  di  Tolomeo  ('')• 

Quanto  alla  ytmyQictfixi]  v(fijì,nic  »  Introduzione  alla  cartografia  "  non  abbiamo 
notizie  sicure;  ci  è  noto  che  essa  fu  tradotta  per  al-Kindi  ('"),  ma  poiché  questi  morì 
intorno  al  260  eg.  (874  d.  Cr.),   riesce  impossibile  stabilire  se  questa  versione  sia 

(>)  KUdb  al-Fihrist,  p.  2G7,  1.  ult.;  Casi  ri,  Bibliotheca  arabo-hispann  escurialensis.  Matriti 
1700-70,  voi.  I,  p.  349-350  (estratti  da  al-Qift1).  Cf.  pure  al-Mas'ùdi,  VUI,  291;  H.  H.  V,  38C, 
nr.  11J13. 

(«)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  268,  1.  1  ;  Casiri,  1.  c;  H.  H.  1.  e. 

P)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  244,  1.  4  e  208,  1.2;  Casiri,  1.  e;  Catal.  coda,  orient.  Bibl.  Acad. 
Lugduno-Batavae.  L"gd.  15at.  1851-77,  t.  IH,  p.  80.  n.  1044. 

(*)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  379.  Numerose  altre  versioni  e  commenti  posteriori  sono  indicati  nel 
Kitdb  al-Fihrist  p.  268,  e  nella  prefazione  al  Kitdb  el-Ubd'fi  sarh  as-sakl  al-qa{(d'  di  'Ali  ben 
.^hmad  an  Nasawi  (IV  o  V  sec.  cg.)  riportata  nel  Catal.  codd.  orient.  Lugd.  Batav.  t.  ITI, 
p.  90.  IV-i  rifacimenti  si  pu''i  consultare  M.  Steinsehncider,  Die  arabischcn  Bearbeiter  des  Al- 
maijest  {Bibliotheca  mathematica  lirsg.  von  G.  EnestrOni,  Neue  Folge,  VI.  Bd.  1892,  p.  52-62). 

(*)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  268,  1.  5  e  273,  1.  15. 

(6)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  208,  1.  5  e  7. 

C)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  244. 

(*)  Muliammadis  filli  Ketiri  Fergancnsis  qui  vulgo  Al  fraganus  dicitur,  Elementa 
astronomica,  arabicu  et  latine  cum  notis,  opera  J.  Golii.  Amstelodami  1069,  p.  6,  1.  13. 

(»)  Suìdae  Lexicon  recensuit  Bernhardy.  Halis  1834-53,  t.  II,  pars  II,  p.  526. 

(>")  Nel  Kitdb  al-Fihrist,  p.  268  è  detto  che  il  Kildh  l'/ijirdfiyd  Hi  To\omeo  fu  u  tradotto  per 
al  kindi  n  (nuqila  li-'l-kindi).  Invece  al-QiftS  (in  Casiri,  Bibl.  arab.  hisp.  I,  349)  scrive:  "Al- 
l' Kindì  tradusse  in  arabo  questo  libro  ».  —  Siccome  nel  Inngo  catalogo  delle  opere  di  al-Kindt  che 
trovasi  nel  Fihnst  (ji.  255-201)  ed  in  un  altro  luogo  d'al-Qifti,  non  è  ricurdata  questa  traduzione 
e  «iccomc  sappiamo  che  al-Kindi  si  fece  tradurre  ])er  suo  uso  altro  opere  greche,  cosi  la  notizia 
del  Fihrist  è  forso  più  esatta  dell'altra.  Ad  ogni  modo,  secondo  il  Kitdb  al-Fihrist.  questa  tradu- 
zione era  cattiva;  una  buona  fu  eseguita  da  labit  ben  Qorrah,  morto  nel  288  (26  Die.  900— 
15  Die.  901). 


—  7  — 
contemporanea  ovvero  postorioro  ad  al-Ma'mim  (').  Ibn  Hunlàilbeh,  al  principio  della 
sua  opera  geografica  (p.  3),  dice:   "  Ho  trovato  che  Tolomeo  in  una  lingua  straniera 
«  determinò  i  confini  e  rese  evidenti  le  argomentazioni  nel  descrivere  la  terra;   io 
«  tradussi  questa  descrizione  dalla  sua  lingua  in  lingua  chiara  (cioè  araba),  affinchè 

«  tu  possa  prenderne  conoscenza;   e   poi  ho  compilato quel  che  spero  abbraccerà 

«[ogni]  tua  richiesta  e  soddisferà  il  tuo  desiderio,  essendo  come  testimonianza  di 
B  ciò  che  è  lontano,  come  notizia  di  ciò  che  è  vicino.  Ne  ho  fatto  così  un  libro  ecc.  " . 
Da  questo  passo  risulta  che  Ibn  Hurdadbeh,  prima  di  redigere  la  sua  opera,  aveva 
voluto  ti'adurre  o  farsi  tradurre  la  geografia  di  Tolomeo.  Il  de  Goeje  ha  dimostrato 
che  Ibn  Hurdàdbeh  fece  due  edizioni  del  suo  libro,  una  verso  il  232  (846/847),  l'al- 
tra verso  il  272  (885/886);  se  dunque  il  passo  da  me  citato  si  trovava  già  nella 
prima,  dovremmo  couchiudere  che  questa  traduzione  della  geografia  di  Tolomeo  per 
opera  di  Ibn  Hurdàdbeh  fu  di  assai  poco  posteriore  alla  morte  di  ai-Ma' mùn.  Ma  era 
una  versione  per  uso  privato  ;  della  quale  forse  il  pubblico  non  potè  mai  approfittare. 
Tuttavia,  se  mancano  indizi  sicuri  d'una  versione  del  geografo  greco  durante  il 
regno  di  al-Ma'mùn,  nel  Kitdb  mrat  al-ard  o  «  Libro  della  figura  della  terra  "  di 
Muhammad  ben  Musa  al-Huwàrizmì  troviamo  in  compenso  un  ardito  tentativo  di 
rifare  l'opera  classica  di  Tolomeo. 

II. 

Vita  ed  opere  d' al-Huvv^àrizmì. 

Le  notizie  a  noi  giunte  intorno  alla  vita  di  Abù  Ga'far  Muhammad  ben  Miìsà 
al-Huwàrizmì  sono  scarsissime.  L'autore  del  Kltàb  ai-Flhrisl  (-)  ed  al-Qiftì  (■*)  atte- 
stano ch'egli  era  oriundo  del  Huwàrizm,  il  Hwàirizem  dell' Avestà,  l'Uwàrazmi  delle 
iscrizioni  cuneiformi  persiane,  vale  a  dire  di  quel  territorio  che  più  tai'di  costituì  il. 
hàuato  di  Hìwah;  ma  forse,  quand'egli  nacque,  la  sua  famiglia  s'era  già  stabilita  nella 
Mesopotamia.  Il  soprannome  d'al-Qotrobbolì,  datogli  da  at-Tabarì  in  un  passo  che 
riporterò  più  sotto,  potrebbe  anzi  indicare  che  egli  nacque  a  Qotrobbol,  borgata  posta 
sull'Eufrate  non  lungi  da  al-Anbàr  e  famosa  pel  suo  vino.  L'altro  titolo  d'al-Ma.^ùsi, 
datogli  pm-e  da  at-Tabari,  indica  verosimilmente  che  la  sua  famiglia  in  antico,  e  forse 
egli  stesso  nella  sua  giovinezza,  era  di  religione  zoroastriana. 

Ad  ogni  modo  in  ancor  giovane  età  lo  vediamo  onorato  da  al-Ma'mùn,  e  addetto 
alla  famosa  Dar  al-hikmah  ('')  o  Casa  della  sapienza,  a  Bagdad.  Era  questa  un'acca- 

(')  Hàggi  Haltfali  11,003,  nr.  4130  dice  della  Geografìa  di  Tolomeo:  «  fu  tradotta  in  arabo 
«  al  tempo  di  al-Ma'mùn,  ma  ora  è  irreperibile  ».  La  notizia  è  un  po' troppo  vaga  perchò  si  possa 
trarne  una  conclusione  sicura.  —  Una  versione  araba  della  Geografia  di  Tolomeo,  sfuggita  a  tutti 
i  bibliografi,  è  quella  fatta  eseguire  da  Maometto  II,  il  conquistatore  di  Costantinopoli.  Ne  esiste 
un  manoscritto  nella  biblioteca  di  S.  Sofia,  del  quale  potei  avere  alcuni  estratti  grazie  alla  cortesia 
del  prof.  Bonelli. 

(2)  Kitdb  al-Fihrist,  p.  274. 

(')  Al-C^iftt,  Tarih  al-ìiukamd',  Bibl.  di  Monaco,  cod.  arab.  4-10,  f.  108,v. 

(■•)  Detta  anche  «  Bcyt  al-hikmah,  Hizànat  al-l.iiknuili  ",  e  persino  u  Hizànah  kutub  .al-l.iikmah  •' 
(p.  OS.  al-Qiftì,  cod.  eit.  f.  108,v.). 


—  8  — 

demia  di  dotti,  istituita  a  quanto  pare  da  Hàri'in  ar-liasid  ('),  ma  ampliata  e  resa 
celebre  da  ai-Ma  luiiii;  lo  ora  annessa  una  ricca  biblioteca,  ove  speciali  ed  intelligenti 
copisti  orano  destinati  ad  aumentare  continuamente  la  suppellettile  dei  libri  (-).  Dotti 
di  gran  lama,  come  Salma  ('),  Abu  Hayyfin  ('),  Salii  ben  Hàrùn  (■),  avevano  la  di- 
rezione di  quel  vasto  stabilimento  sciontitico,  il  quale  fu  della  massima  importanza 
per  lo  svolgimento  della  coltura. 

In  quell'ambiente  favorevole  al-Huwàrizmì,  cbe  si  era  dato  in  modo  speciale 
agli  studi  matematici  ed  a.stronomici,  compose  per  ordine  dal-Ma'mun  un  compendio 
delle  tavole  astronomiche  dette  Sindhind,  ed  un  breve  trattato  d'algebra  elementare, 
che  contribuì  alla  diffusione  di  questa  scienza  fra  le  persone  colte  dell'  oriento  mu- 
sulmano. Immerso  negli  .^tiidi,  pare  che  abl)ia  passato  tian(iuillamente  la  vita  durante 
i  califfati  d'al-Ma'miin  e  d'al-Mutasim  ('•) ;  invoco  nel  primo  anno  di  regno  d'al-Wà- 
tiq  bi-'llah  (")  fu  da  questi  mandato,  probabibnonte  a  scopo  di  studio,  al  tarhàn  o 
re  dei  Hazar  (nella  Russia  meridionale  tino  al  versante  Nord  del  Caucaso)  (^).  Ma 
non  sappiamo  se  il  nostro  al-Huw;irizmì,  o  piuttosto  il  suo  noto  con'^emporaneo  Mu- 
i.iamniad  ben  Miì-sil  ben  »ùkir,  sia  il  viaggiatore  mandato  dallo  stesso  al-Wàtiq  reU'im- 
pero  bizantino,  coli' incarico  di  visitare  le  tombe  dei  Sette  Dormenti  d'Efe^J,^»,  come 
li  chiama  il  Corano,  della  Ahi  al-kahf  «  Gente  della  caverna  ».  Nella  relazione  di  questo 
viaggio  conservataci  da  Ibn  Hurdàdbeh  (p.  10(3-107),  e  da  Yàqùt  (■')  si  legge  che  Mu- 
hammad  ben  Musa  l'astronomo,  partito  da  SmTa-maii-ra'ìl  sul  Tigri,  a  monte  di  Ba- 
gdad, con  lettere  di  raccomandazione  pel  re  dei  Bizantini,  passò  a  Qorrah  nell'antica 
Cappadocia,  e  di  1;\  in  4  giornate  di  viaggio  (marlialah)  arrivò  ad  una  collina  dove 
appunto  stava  la  caverna  che  si  diceva  contener  i  corpi  ben  conservati  dei  Sette  Dor- 
menti. Il  guardiano  del  luogo  cercò  in  ogni  modo  di  dissuaderlo  dall'entrare,  desiderando 
che  non  venisse  scemata  la  credulità  dei  visitatori;  ma  il  nostro  viaggiatore  non  si 
lasciò  intimidire,  od  accompagnato  da  un  servo  munito  di  una  torcia,  entrò  nel  se- 
polcro. »  I  cadaveri  erano  avvolti  in  coperte  grossolane  che,  prese  in  mano,  si  stilac- 
»  ciavano;  i  corpi  erano  unti  di  aloe,  mirra  e  canfora  porche  si  conservassero;  la  pelle 

(')  Cosi  sembrerebbe  almeno  da  un  passo  del  Kildb  al-Fihrist,  p.  105,  1.  4. 

(*)  Fra  questi  copisti  il  fihrist,  p.  10.5,  ricorda  'AUaii  a'i-Su'ùbi,  autore  di  varie  opere  impor- 
tanti. —  Un  .Vbiì  'l-liaris  è  ricordato  {Fihrist,  p.  10,  1.  2)  come  un  fanii-so  legatore  di  libri  per  conto 
della  Dar  al-hikmah  ;  e  nel  Fihrist  medesimo  (p.  19,  1.  15  e  p.  21,  1.  26-27)  si  accenna  a  libri  appar- 
tenenti un  tempo  alla  biblioteca  d'al-Ma'mfìn. 

(5)  Fihrist,  p.268,  1.1,  e  305,  1.  19;  al-Qifti  in  Casiri  I,  349-350;  Haji  Khalfac,  Le- 
xicon, m,  95. 

{*)  Al-Qifti  in  Casiri,  1.  e. 

(5)  Fihrist,  p.  10,  1.  13. 

{•')  ricini.',  dal  18  ragab  218  al  18  rabS'  1°  227  (9  ag.  833— 5  gonn.  842). 

C)  Kcga!,  dal  18  rabi'  I»  227  al  23  dfl  'l-bilJfiab  232  (5  penn.  842—10  ag.  847). 

(')  Al-Muqaddasi,  p.  362.  La  data  si  liwcia  determinare  con  esattezza  percbò  al-Muqaddasi 
fa  questo  Tiajrpio  anteriore  all'altro  famoso  di  Sallnm  at-tur)iuman  cbe  cominciò  nel  228  cg. 

(»)  Yiiqùt  II,  p.  805-806.  Un  cenno  se  ne  trova  in  al-HSrùnS  {Albt'rùni's  Chronoloijie 
orientalitcher  Vùlker,  bmp.  von  K.  Sachau,  Leipzijr  1878,  p.  290),  che  però  sostituisce  qui,  come 
altrove,  al-Mu'tafira  ad  al-VVfitiq.  —  Un'altra  relazione  del  viaggio  fu  narrata  da  al-Huwàrizmi  ad 
Alimad  b.'n.  at-Tayyib  as-Sarahsi  (m.  280  =  17  genn.  899-6  genn  900);  al-Mas'iidS  li,  307-308, 
dioc  di  averla  riprodotta  nel  suo  al-Kitàb  al-ausa(. 


—  9  — 

•  era  attaccata  alle  ossa;  e  passando  la  mano  sul  petto  d'uno  di  loro  sentii  la  du- 
»  rezza  dei  peli  e  la  forza  con  cui  erano  piantati.  11  custode  avoa  preparato  intanto 
«  il  cibo  e  ci  invitiN  a  mangiarne;  ma  appena  lo  assaggiammo,  provammo  un  senso 
«  tale  di  disgusto  da  farci  vomitare.  Infatti  il  custode  voleva  ucciderci  aftinché  non 
1  venisse  smentito  ciò  che  avrebbe  narrato  poi  al  re  dei  Rum,  ossia  che  quelli  erano 
«  i  Sette  Dormenti.  Noi  gli  dicemmo:  Avevamo  creduto  che  tu  ci  mostreresti  dei 
«  morti  simili  ai  vivi;  ma  costoro  non  sono  cosi  »  (')■  Solo  in  un  cenno  fugace  conte- 
nuto nel  Kitàb  at-tanbih  {-) ,  il  nome  del  viaggiatore  è  Muhammad  ben  Musa  ben 
Sàkii-  l'astronomo  ;  e  benché  questo  passo  non  sia  forse  decisivo,  pure  le  probabilità 
maggiori  non  sono  per  al-Huwàrizmì,  tanto  piìi  se  si  considera  quanto  dissi  a  p.  5,  nota  ó. 

Al  nostro  al-Huw;irizmì  si  riferisce  una  scena  narrata  non  senza  una  punta  di 
ii-onia  da  at-Tabarì  (=*)  :  «  Quando  il  califfo  al-Watii  s'ammalò  della  malattia  che  lo 
»  condusse  a  morte,  comandò  di  condurgli  innanzi  gli  astronomi  ;  e  gli  furon  condotti. 
«  Tra  essi  v'era  al-Hasan  ben  Sahl  (fratello  d'al-Fadl  ben  Sahl),  al-Padl  ben  Isl.iàq 
«  al-Hàsimi ,  Ismà'il  ben  Nawbalit ,  Muhammad  ben  Musa  al-Huwàrizmì  al-Magiisi 
«  al-Qotrobboli,  Send  (compagno  di  Muhammad  ben  al-Haytam)  e  tutti  quelli  insomma 
»  che  guardavano  le  stelle.  Essi  osservarono  e  la  stella  di  lui  e  l'oroscopo  della  sua 
«  nascita,  poi  dissero:  Vivrà  lungo  tempo;  anzi  gli  assegnarono  50  anni  per  l'avvenire. 
«  Invece  non  durò  che  10  giorni,  dopo  i  quali  morì  ». 

Questa  é  l'ultima  notizia  che  io  conosca  intorno  ad  al-Huwàrizmì,  di  cui  per- 
tanto rimangono  ignoti  gli  anni  della  nascita  e  della  morte;  destino  comune  a  tutti 
gli  antichi  geografi  ed  a  molti  astronomi  e  matematici  musulmani.  Mi  rimane  solo 
di  citare  in  modo  sommario  gli  scritti  di  al-Huwàrizmì  di  cui  ci  hanno  lasciato  ri- 
cordo i  biografi  e  bibliografi  orientali. 

1°.  Kitdò  al-gebr  iva  'l-miiqdbalah  (^),  il  famoso  trattato  d'algebra  elementare 
giungente  sino  alle  equazioni  di  2°.  grado,  composto  per  ordine  del  califfo  al-Ma'mùn, 
e  che  servì  per  due  o  tre  secoli  come  manuale  preparatorio  a  coloro  che  intendevano 
darsi  a  questi  studi  (^).  Anzi  nel  medio  evo  se  ne  fecero  varie  traduzioni  latine  ;  una 

(')  Yàqùt  invece  scrive:  "  Il  malvagio  voleva  uccider  noi  o  qualcuno  di  noi,  affinchè  gli  riu- 
u  scisse  di  dar  ad  intendere  al  re  che  gli  stessi  Sette  Dormienti  ci  avevano  fatto  perire.  Noi  gli 
u  dicemmo  :  Avevamo  creduto  che  essi  fossero  vivi  simili  ai  morti.  Poi  lo  lasciammo  e  ce  ne  andammo  >i . 

(2)  A'itdb  at-tanbih  iva  H-ischrdf  mctoie  al-Mas'ùdì,  ed.  M.  J.  de  Goeje.  Lugd.  Batav.  1894, 
p.  134.  Ivi  l'autore  dice  d'aver  già  riferito  i  particolari  della  spedizione  nel  suo  libro  A'itdb  al-islid- 
/ta>.  _  Cfr.  anche  i  detti  intorno  ad  alcune  chiese  bizantine  raccolti  da  un  Muhammad  ben  Musa, 
in  Ibn   Rosteh,    p.  8.3,    e  nel  passo  parallelo  di    Ibn   Hurdàdbeh  1C1-G2. 

(3)  Annales  quos  scripsit  Ahu  Djafar  Mohammed  ibn  Djarir  at-Tabari,  cum  aliis  edidit 
M.  J.  de  Goeje.  Lugduni  Batavorum  1879-90,  ser.  Ili,  t.  E,  p.  1363.  Ibn  al-.\tir  riferisce  la  stessa 
scena,  citando  solo  il  nome  di  al-Hasan  ben  Sahl  (Ibn  el-Athiri,  Chronicon  quod  perfertissimum 
inscribitur,  edidit  C.  J.  Tornberg,  Upsaliae  et  Lugd.  Batav.  1851-76,  t.  VII,  p.  21,  all'anno  232). 

(<)  Haji  Khalfae  Lexicon,  t.  V,  d.  67,  nr.  10012  e  II,  585,  nr.  3996;  al-Qiftì,  Bibl.  di 
Monaco,  cod.  arab.  440,  f.  108,v.  Il  A'itdb  al-Fihrist  non  cita  quest'opera  nel  suo  articolo  su  al-Hu- 
■wàrizml;  ricorda  perù  i  commonti  su  quest'algebra  composti  da  as-Saydanàni  (p.  280),  da  Sinàn  ben 
al-Fath  (p.  281)  e  da  Abù  'l-Weffi'  (p.  283).  Inoltre  nel  Fihrist  275,  si  fa  menzione  d'un  A'itdb  al-gebr 
wa  'l-murjdbalah  composto  da  Send   ben   'Alt,  illustre  astronomo  contemporaneo  d'al-Huwàrizmi. 

(5)  Il  libro,  conservatosi  in  un  codice  della  biblioteca  di  Oxford,  fu  pubblicato  jier  intero  dal 
Rosen:  The  Algebra  of  Mohammed  ben  Musa,  edited  and  translated  by  Fred,  liosen,  Lon- 

Classe  di  sciBNZK  MORALI  ecc.  —  Mbmobie  —  Vol.  II,  Serie  5»,  parte  1»  2 


—  10  — 

dello  quali,  intitolata  Liber  alchoarismi  de  iebra  et  almucabala,  ò  dovuta  al  famoso 
Gherardo  di  Cremona  (1114-1187)  (')•  Secondo  Hìì,;'lì  Halìfali  fu  questo  il  primo  libro 
d'al{,'el)ra  composto  in  arabo  (-);  e  comunemente  si  crude  che  sia  stato  tratto,  nelle 
suo  parti  foudameutali,  da  libri  indiani.  11  Kodet  invece  corcò  di  diuiostraro  che  esso 
ha  per  base  i  lavori  di  matematici  greci,  sopra  tutto  di  Diofanto;  e  che  quindi  al- 
Huwàrizmì  «  non  ha  punto  conservato  nel  suo  trattato  d'alf^ebra  il  principio  della 
»  .-ioienza  matematica  tinaie  la  possedevano  i  suoi  contemporanei  dell'India  i,  ma  che 
•  e^'li  è  puramente  e  seinplicemouto  discepolo  della  scuola  greca  ••  {^).  Io  lascio  vo- 
leutiori  risolverò  la  questiono  agli  storici  della  matematica. 

2°.  Kitàb  hisàb  al-'adad  ai-hindi  m  Trattato  di  calcolo  numerico  indiano  »  li- 
bro che  non  è  giunto  sino  a  noi,  e  di  cui  ci  è  conservata  qualche  notizia  solo  in  un 
passo  del  Ta'rìl.i  al-l.uikamà'  d'al-Qifti  {*).  L'opera  era  un  rifacimento,  con  molte  ag- 
giunte, d'un  analogo  trattato  indiano,  e  servì  a  diifondore  tra  i  musulmani  la  cono- 
scenza dell'aritmetica  come  si  ora  sviluppata  nell'india  grazie  al  sistema  decimale. 
Kra  posteriore  al  trattato  d'Algebra,  giacciiè  questo  vi  si  trova  citato.  L'opera  fu 
conosciuta  anche  in  occidente;  od  infatti  il  principe  Honcompagni  ebbe  la  fortuna  di 
scoprire  un  frammento  considerevole  d'una  versione  latina  medievale  del  libro  (■''). 

•i".  Kitiìh  as-SiiidIu'/id  (''•),  redatto  per  desiderio  d'al-Ma'mùn,  e  consistente  in  un 
compendio  dell'opera  che  Jluhammad  ben  Ibràhim  al-Fazàri  avea  composto  nel  l.Mj 
0  157  (773  0  774  d.  Cr.)  per  il  califfo  al-Mansùr.  col  titolo  di  «  Grande  Sindhind  » 
(Kitàb  OS- Sindhind  al-kabir).  Com'è  noto,  quest'opera  era  un  rifacimento  del  trattato 
astronomico  indiano  Brahmasiddhùnta,  scritto  nel  (528  d.  Cr.  da  Brahmagupta;  vi  si 
davano  regole  intorno  al  modo  di  calcolar  il  movimento  degli  astri,   e   vari  processi 

don  1831.  Una  piccola  parte  di  esso  tratta  delle  arce  e  dei  volumi  d'alcune  figure  geometriche;  di 
questa  parte  diede  una  versione  francese  con  note  .\.  Marre  {La  parlic  i/i.'ometri(]ue  de  Valgi  Ire 
de  Abou  Abdallah  Mohammed  ben  Mouisa,  nei  Nonvelles  an  lales  de  .ìfathématiques,  t.  V,  Paris  18-16, 
p.  5.57-581),  ed  una  rist.inipa  del  testo  ar.ibo  (r=  p.  50-64  dell'ediz.  Rosen)  H.  Sclia))ira  a  p.  36- 
42  della  sua  memoria:  rUTon  mU^O  Hàchnat  /fn-.ì/idoth  (Lchre  ro»  (/t-n  .lA/sscn)  als  crste  gco- 
metrische  Schrift  in  hebriiischer  Sprache  lirsg.  ecc.  (nelle  Abbondi,  zur  Gesch.  der  .ì/alhem.,  Sujv 
plcmcnt  zur  hist.-liter.  Abtheil.  der  Zeitschr.  f.  Mathera.  u.  Physik,  3  Heft,  Leipzig  1880). 

(')  Vedi  F.  Wu.st enfold,  Die  Uebersctsungi'tt  arabisch.  U'erke  in  das  Latein.  seit  dem  XI. 
Jahrh.,  p.  61  (nelle  Abhandl.  d.  k.  Geselhrh.  d.   Wissensch.  su  Gòttingen,  22  Bd.,  1877). 

(«)  Haji  Khalfae  Lexicon,  t.  V,  nr.  10012. 

(')  L.  Rodet,  L'Algfire  d'al-Khùrizml  et  les  nu'thodes  indienne  et  grecque  (nel  Journal  Asia- 
tique,  sex.  VII,  t.  XI,  1878,  p.  5-98). 

(♦)  Riportato  in  Casiri  I,  p.  427,  eil  in  Woepcke,  .ìf^moire  sur  la  propagation  des  chiff'res 
indient  (Journ.  Asial.,  sdr.  VI,  t.  I,  1863,  p.  479).  Il  Kitdb  aUFihriU  275,  cita  solo  un  trattato  ana- 
logo (Kitàb  al-hisnb  al-hindl)  di  Sciid  ben  '.Vii,  il  noto  astronomo  di  .Ma'miìn. 

(*)  Trattati  rf'aritOTcd'ca  pubblicati  da  Haldassarre  Buoncompagn  i.  Fasci:  Algoritmi 
de  numero  indorum.  Roma  1857.  11  Liber  Algorismi  de  practira  arismetricae  ài  Johannes  Hi- 
spalensis  (sec.  XII),  pubblicato  pure  dal  Buoncompagni  (Trattali  ecc.,  fase.  II.  Roma  18."i7),  sottj 
molti  riguardi  non  è  che  una  parafrasi  di  questo  scritto  d'al-Huwiirizmì  sul  calcolo  indiiino. 

(")  Il  Kitàb  al-Fihri.%t  274,  conio  pure  al-Qifti  (nis.  di  Monaco,  f.  108,v.)  ed  Abù  "1-Farag 
(l/istoria  compendiosa  dynastiarum  authure  Abul-Pharaj io,  ed.  et  verlit  Ed.  l'ocockio.  Oxo- 
niac  1763,  p.  248  del  testo,  161  della  vers.)  che  lo  copiano,  confondono  questo  libro  con  l'opera  se- 
guente nr.  4.  Cfr.  invece  un  altro  pa-sso  d'al-Qifti  in  W.iepcke,  Propagalion,  pag.  473  =  Ca- 
9iri,  L  429. 


—  11  — 

per   detorminare  gli  ecclissi  di  sole   e  di  luna,   i  coascendenti  dei  segni  doli' eclit- 
tica ecc.  ('). 

4°.  KUàh  a>zitj  *  Tavole  astronomiche  «  in  due  redazioni,  una  anteriore,  l'altra 
pojiteriore  (-).  Queste  tavole  ottennero  per  lungo  tempo  grande  rinomanza  in  oriente, 
sovra  tutto  presso  quegli  astronomi  che  seguivano  il  metodo  indiano  del  Sindhind; 
in  esse,  secondo  vien  riferito  nel  Ta'ri'i  al-'.iukamà  (^),  l'autore  «s'era  fondato  sui 
«  movimenti  medii  (al-awsàt)  del  Sindhind,  ma  se  ne  allontanò  per  quanto  riguarda 
«  le  equazioni  (at-ta'àdìl)  e  la  declinazione  del  sole  ;  accettando  per  le  prime  i  me- 
«  todi  persiani,  per  la  seconda  il  metodo  di  Tolomeo.  Inoltre  propose  in  questo  libro 
«  varie  regole  eleganti  inventate  da  lui  per  le  diverse  specie  d'approssimazione,  ma 
»  tuttavia  insufficienti  " .  —  Nel  suo  libro  sull'India,  al-Bìi-iinì  cita  le  tavole  di  al- 
Iluwàrizmì  a  proposito  del  computo  dei  diametri  solare  e  lunare  risolto  appunto  se- 
condo i  metodi  indiani  (');  ed  un'altra  volta  a  proposito  d'osservazioni  fatte  da  al- 
Huwàrizmi  sui  diversi  colori  degli  ecclissi  ('')•  L'astronomo  egiziano  Ibn  Yùnus,  morto 
nel  399  eg.  (5  Sett.  1008—24  Ag.  1009),  riferisce  secondo  il  Kitab  az-zìg  del  nostro 
autore  il  risultato  delle  osservazioni  eseguite  durante  il  calitì'ato  d'al-Ma'mùn  nella 
specola  d'as-Sammàsiyyah  in  Bagdad  per  determinare  l'obliquità  dell'eclittica  CO-  Que- 
ste tavole  erano  calcolate  secondo  gli  anni  dell'era  persiana  di  Yezdegird  III  ('),  che 
comincia  il  martedì  16  Giugno  632;  Maslamah  al-Magrìtì  di  Madrid,  morto  a  Cor- 
dova nel  398  eg.  (17  Sett.  1007—4  Sett.  1008),  curò  una  nuova  edizione  dell'opera, 
mutando  però  l'era  di  Yezde'ird  in  quella  dell'egira  C^),  e  questa  nuova  redazione 
d'ai  Magrìtì  venne  tradotta  in  latino  da  Rodolfo  di  Bruges,  che  vivea  a  Tolosa  nel 
1144(9).  Del  resto  le  tavole  d'al-Huvràrizmì  od  un  loro  rifacimento  vennero  tradotte 
pure  in  latino  da  Adelardo  di  Bath  (circa  1130). 

(')  Che  vi  fossero  differenze  notevoli,  almeno  in  certe  parti,  fra  il  Grande  Sindhind  di  al-Fa- 
zarì  ed  il  compendio  d'al-Hinvarizmì,  sembra  risultare  dall'articolo  di  al-Qiftì  sull" astronomo 
Habas  stampato  dal  Flligel  nel  Fthrist  {Anmerkunffen,  voi.  II,  p.  130). 

(2)  Fihrist  274;  al-Qifti,  ms.  di  Monaco  f.  108,v.;  Abù  '1-Faraé  (nist.  camp,  dinast., 
p.  248  del  testo,  161  della  vers.) 

P)  Stampato  in  Casiri,  I,  429,  e  Woopcke,  Propagation,  473-474. 

(*)  Albèrùnl's  India  edited  by  Ed.  Sachau.  London  1887,  p.  241  (=t.  II,  p.  70  della  vcrs. 
inglese  pubbl.  nel  1888). 

(5)  Albérùnì's  India,  257  (vers.  Il,  114).  Sembra  pure  tolta  dal  Kitdb  az-sig  la  citazione 
intorno  alle  dimensioni  della  terra,  che  si  trova  in  Ibn  al-Faqih  4,  e  Yàqùt  I,  IG  (cf.  anche 
ad-Dimasqi  p.  7  e  8).  Infine  altre  citaz.  in  al-Mas'ùdjì,  Kitàb  at-tanbth,  p.  4-5,  186,  222. 

(")  Ibn  Yùuus,  ms.  di  Leida,  cap.  XI,  p.  222.  Questa  prima  osservazione  avea  dato  per  risul- 
tato 23°  33';  per  la  seconda  v.  nota  4,  pag.  .5. 

P)  Infatti  in  un  pa.sso  dello  Speculum  astroncmicim  d'Alberto  Magno  (1193-1280),  ripor- 
tato casualmente  dal  Reinaud  (La  Géogr.  d'Aboulfcda  Iraduite  etc,  t.  I,  Introduction  generale. 
Paris  1848,  p.  CCXLII),  si  legge  :  «  Postquara  coniposuit  canones  Mahometus  .\lchocharithmi  super 
u  annos  Persarum  qui  dicuntur  Gerdagred  (=  Yezdegird)  "  ecc. 

(8)  Ciri  attesta  Ibn  Ahi  Usaybi'ah,  'Oijùn  el-anbu'  ed.  A.  MuUer.  Cairo  1884,  voi.  II,  p.  39: 
«Egli  [al-Magritì]  si  occupò  pure  del  zig  di  Muh.  b.  Musa  al-Huwàrizmì;  ne  mutò  la  cronologia 
«  persiana  in  cronologia  araba,  ponendo  i  movimenti  medii  delle  stelle  secondo  il  principio  dell'Ora 
"  islàmica  e  vi  aggiunse  belle  tavole.  Però  mantenne  gli  sbagli  [dell'originale]  senza  additare  i  luoghi 
0  errati;  cosa  che  invece  già  aveva  fatto  nei  suoi  due  altri  libri  Corresione  dei  movimenti  delle  stelle 
"  ed  Esposizione  degli  sbagli  commessi  dagli  osservatori  «. 

P)  Vedi  in  proposito  Wiistcnfeld,   Uebersetzungen,  p.  53. 


5".  Kitàb  ar-roì}àmah  •  Trattato  doUorologio  solare  », 

6°.  Kilàb  al-' amai  hi  'l-astarlàb  .  Sul  modo  di  operare  mediante  l'astrolabio  » . 

7".  Kitùb  'amai  al-astarlùb  •  Sul  modo  di  costruire  l'astrohibio  •. 

8».  Kitàb  al-ta'rif}  (')•  Il  titolo  ambiguo  potrebbe  lasciar  supporrò  che  il  lil)ro 
trattasse  dei  vari  sistemi  cronologici  in  uso  presso  i  diversi  popoli  ;  e  ciò  tanto  più 
in  quanto  die  l'autore  era  matematico  ed  astronomo.  11  Wiisteiifeld  sembra  esser 
stato  di  questa  opinione,  giacché  non  ricorda  all'atto  al-Huw;iri/.mi  nella  sua  diligen- 
tissima  rassegna  degli  storici  arabi  (-).  Ma  che  si  tratti  di  un  libro  di  storia  appare 
dal  fatto  che  al-Mas'ùdì  cita  Mul.iammad  ben  llùsà  al-Huwàrizmi  fra  gli  storici  da 
lui  consultati  jier  le  sue  •  Praterie  d'oro  •  (^).  Si  può  anche  notare  che  at-Tabarì  (*), 
parlando  d'un  avvenimento  relativo  ad  al-Mamim  nel  2lo  og.  (24  Apr.  S2^> — 12  Apr. 
826),  dice  di  narrarlo  secondo  quel  che  riferisce  Muljammad  ben  Musa  al-Huwarizmì. 

Qui  finisce  la  serie  delle  opere  di  cui  i  bibliografi  arabi  hanno  lasciato  notizia. 
Tuttavia  dopo  una  felice  congettura  del  Friihn.  i  dotti  europei  sono  d'accordo  nell'attri- 
buire  ad  al-Huwdrizmi  una  traduzione  od  un  rifacimento  della  geografia  di  Tolomeo 
rimontante  al  tempo  del  califfo  al-Ma'mùn. 

Nella  Geografia  d'Abù  '1-fidà'  è  citata  spesso  un'opera  col  titolo  di  liasm  ar- 
rob'  al-ma'mur  >■  Descrizione  del  quarto  abitato  [della  terra]  »  (•>),  Rasm  al-ma'miir 
•  Descrizione  della  [terra]  abitata  «  ("),  rasm  al-ard  «  Descrizione  della  terra  •  ("), 
ed  anche  semplicemente  ar-rasm  {-).  Il  nome  dell'autore  non  viene  riferito;  solo  a 
pag.  22  si  legge:  «  Ciò  è  ricordato  nel  Kitàb  rasm  ar-rob'  ai-ma' mitr,  libro  attri- 
>  buito  a  Tolomeo  (mansiìb  ila  Hatlamyus)  e  tradotto  in  arabo  per  al-ira'mun  i.  Piìi 
sotto  (pag.  74)  scrive  d'aver  tratto  le  indicazioni  delle  latitudini  e  longitudini  da  pa- 
recchie opere,  tra  lo  quali  -  il  Kitàb  rasm  ar-rob'  ai-ma' mar,  libro  che  fu  tradotto 
dal  greco  in  arabo  per  uso  di  al-Ma'mùn  ». 

Questi  due  passi  d'Abù  l-fidà'  dovettero  esser  già  noti  nel  1G97  al  d'Herbolot, 
perchè  nella  sua  fìibliothique  Orientale,  sotto  la  voce  resm,  egli  dice  che  il  rasm 
al-artl  è  una  traduzione  araba  della  geografia  di  Tolomeo,  eseguita  durante  il  calif- 
fato d' al-Ma'mùn.  E  ciò  viene  ammesso  dai  dotti  posteriori,  compresi  il  Reiske  e  il 

de  Sacy  (■'). 

Tuttavia  il  Michaelis  aveva  osservato  che  le  cifre  riportate  da  Abù  'l-fid;V  se- 
condo il  rasm,  non  s'accordavano  con   quello  di  Tolomeo,   concludendo  così  che  si 

(')  I  nr.  5,  G,  8  sono  menzionati  nel  Kitdb  al-Fihrist,  274,  ed  in  al-Qift!  ms.  di  Monaco 
f.  108,v.;  il  nr.  7  6  ricordato  solo  nel  Fihrist. 

(•)  F.  WOstcnfcld,  Die  Geschichtsschreiber  der  Araber  und  ihre  H'crkt  (.\bhan(l.  d.  k. 
Gcscllnch.  d.  Wiss.  EU  Gnttint'en,  1882,  XXVIII  e  XXIX  Bd.). 

(»)  Al-Mas'ùdì  I,  11. 

(«)  Annoles  quos  scripsit at-T abari,  cum  aliis  edidit  M.  .1.  de  (.ioeje,  Lugd.  Bat.  1879-90, 

Bcr.  ni.  t.  II.  p.  108.5. 

(i)  P.  22  e  74. 

(•)  P.  38,  43.  44,  50  (tre  volte),  53,  62  (due  Tolte),  215. 

n  P.  44,  59,  68,  71. 

(•)  P.  69,  72  e  cosi  sempre  nelle  tavole  di  lonj^tndini  e  latitudini. 

(•)  V.  la  sua  nota  a  p,  3.13  della  Relation  de  VÈgypte  par  Abdallatif  ecc.  Paris  1810,  nella 
quale  sono  citati  gli  scritti  anteriori. 


—  13  — 

trattava  di  due  opere  ben  distinte  (');  e  quest'asserzione  ottenne  il  suffragio,  prima 
di  H.  A.  Schultcns,  poi  del  Frillin,  il  quale  richiamò  l'attenzione  dei  dotti  sopra  un  al- 
tro passo  della  Geografia  d'Abù  '1-fìdà':  »  In  oceano  septentrionali  est  insula  Tuli,  in 
«  ultimo  qui  habitabilis  est  orbe  septentrionali  ad  longitudinem  10  graduum  et  5 
«  minutorum,  et  latitudinem  58,  seeuiidum  al  chawarezniiciim,  auctorem  libri  rasin 
«  el  ardili  »  (-).  Facendo  ancora  un  passo  innanzi,  il  Friihn  suppose  che  questo  huwà- 
rizmiano  fosse  appunto  il  i'amoso  matematico  ed  astronomo  Mul.iammcd  ben  Musa 
al-Huwàrizmì  {^)  ;  e  questa  congettura  fortunata,  accolta  senza  discussione  dal  Kei- 
naud  e  dal  Lelewel,  rimase  definitivamente  acquisita  alla  scienza,  trovando  piena 
conferma  nella  scoperta  che  lo  Spitta  fece  piti  tardi  d'un  manoscritto  dell'opera. 

Anche  altri  autori  arabi  parlano  d'una  geografìa  composta  per  il  califtb  al-Ma'- 
mùu;  notevole  specialmente  è  un  passo  del  Kilàb  at-tanbih  wa  'l-iéràf  d'al-Mas'ùdì, 
ove  questi  dice  d'aver  veduto  parecchie  carte  geografiche,  e  che  le  migliori  sono  quelle 
contenute  nel  trattato  di  Geografia  di  Marino,  »  e  nella  figura  al-ma'mùniana  eseguita 
«  per  al-Ma'mùn,  intorno  alla  quale  avean  lavorato  insieme  molti  dotti  del  tempo.  Ivi 
»  era  stato  rappresentato  il  mondo  colle  sue  sfere  celesti,  i  suoi  astri,  il  continente, 
»  il  mare,  le  terre  abitate,  le  terre  deserte,  le  regioni  occupate  da  ciascun  popolo,  le 
«  grandi  città  ecc.  Questa  figura  è  migliore  delle  precedenti  che  si  trovano  nella  Geo- 
«  grafia  di  Tolomeo,  in  quella  di  Marino  ed  altre  "  (^). 

Ibn  'Abd  Allah  Muliammad  ben  Abì  Bekr  az-Zohrì(5),  dopo  la  solita  invoca- 
zione a  Dio  ed  a  Maometto,  comincia  il  suo  Kitàb  al-ijujrufnjah  con  queste  parole  : 
»  Ho  tratto  questa  Geografia  da  un  esemplare  della  Geografia  d'al-Qomàrì  ('■),  che 
«  a  sua  volta  la  copiò  dalla  Geografìa  del  Signor  dei  credenti,  'Abd  Allah  al-Ma'- 
«  mùn  figlio  di  Hàrùn  ar-Rasid.  Per  comporre  quest'ultima  s'eran  radunati  70  per- 
«  sonaggi  tra  i  filosofi  del  'Iraq,  i  quali  scrissero  intorno  alla  descrizione  della  terra  "  (''). 

(')  Abulfedae  Descriptio  Aegypti,  arabico  et  latine  edidit  Job.  D.  Micbaelis.  Goet- 
tinjae  1776,  nota  122. 

(2)  Abilfedae  Opus  geographicum,  latine  vertit  J.  J.  Reiske.Uamhnrg  mo  (nel  Busching^s 
Magazin  fùr  neue  ffistorie  und  Geographie,  parti  IV  e  V),  p.  232.  Questo  passo,  essendo  stato  sop- 
presso da  Abù'1-fidà'  nella  terza  e  deiìnitiva  redazione  del  suo  libro,  manca  nel  testo  arabo  pub- 
blicato dal  Reinaud  col  de  Siano. 

(5)  Ibn  Foszlan's  und  anderer  Araber  Berichte  ùber  die  Russen  àlterer  Zeit.  Test  u. 
Uebers.  von  C.  Fraehn.  St.  Petersburg  1823,  p.  XVI-XVm. 

(■•)  Questo  passo  è  riportato  in  francese  dal  de  Sacy  a  p.  147  della  sua  memoria  sul  Kittib 
at-tanbih  [Notices  et  extraits  des  mss.  de  la  Bibl.  Impér.  t.  Vili.  Paris  1810;  ristampato  in  appen- 
dice ad  al-Mas'ùdì  IX,  314).  Il  testo  è  a  p.  33  della  recentis.  ediz.  del  Tanbih  fatta  dal  De  Goeje. 

(5)  Viveva  a  Granata  nel  532  (19  sett.  1137  -7  seti  1138).  Su  lui  e  sulla  sua  opera  vedi  Amari, 
Biblioteca  arabo-sicula  trad.  ital.  (Torino  1880-81),  voi.  I,  p.  XXXVI-XXXVII;  e  più  ancora  0.  Hou- 
das  e  K.  Basset  a  pa<^.  192-198  della  loro  Afission  scientifique  en  Tunisie  (nel  Bulletin  de  cor- 
respondance  africaine,  t.  II,  Alger  1884).  L'opera  esiste  ms.  a  Parigi  (Ancien  fonds  arabe,  nr.  596^ 
Catal.  des  mss.  arabes  nr.  2220),  alla  Bibl.  Universitaria  d'Algeri  (nr.  401  e  2016)  e  in  al-Qayrwàn. 
Io  mi  servo  d'un  codice  della  Bibl.  di  Monaco  (cod.  arab.  456",  nr.  1016  del  Supjil.  al  Catal.  dell'Au- 
mcr),  il  quale  contiene  lunghi  estratti  d'az-Zohrì  copiati  da  M.  J.  Jfiiller  sul  codice  jiarigino. 

(")  Da  quanto  scrivono  l'IIoudas  e  il  Basset  si  ricava  che  dei  3  mss.  algerini  e  tunisini,  due 
leggono  i^jIjiJl  e  l'altro  o'*;-ftJI. 

C)  Bibl.  di  Monaco,  cod.  ar.  456",  p.  4  (=  f.  l,v.  del  ms.  parigino):  iS — a  CJ:^.^  i_j— ''^ 
(sic)  À^\ycs^  ^^  (1.  l4jii_i*J)  àJs^^  ^JJl  j_5_^U-iiJI  (sic)  rf-^l_jj>^  ^^  iàx.*J  j-^  (sic)  <k>w»\-«iì.l 


—  14  — 
lufiuo  dove  riferirsi  all'opera  tl'al-Huwàrizml  quel  che  al-Battàni  scrive  verso  la 
tine  ilei  sesto  capitolo  delle  sue    *  Tavole  astronomiche»    (Kitàb  assi;})  {*):    «La 
-  loii'/itndine  delle  città  e  la  loro  latitudine  sono  secondo  quel  che   fu  indicato  nel 

.  Libro  della  fijjura  della  terra  (Kidib  xnrat  al-anl) Noi  al)biamo  sta- 

.  bilito  ciò  secondo  liudicazione  {ar-rasm)  che  trovammo  nel  libro  della  tigura  della 
.  terra,  noto  col  nome  di  (/iyfdfii/d:  ed  abbiamo  indicato  separatamente  i  punti  di 
.  mezzo  delle  regioni  e  delle  province,  in  numero  di  '.M,  come  avea  fatto  Tolomeo  (-). 
.  In  questo  libro  (cioò  nel  Libro  della  figura  della  Terra)  si  trovano  errori  nelle 
■  lon<:itudiui  e  nelle  latitudini  -. 

111. 

Il   uìs.  di  Strasburgo  del  Kiliìb  sùral  al-ard. 

Ciò  premesso,  possiamo  senz'altro  esaminare  il  testo  d'al-Huwàrizmì  quale  ci  ò 
pervenuto  nel  manoscritto  della  K.  Uuiversitats-  uud  Landesbibliothek  di  Strasburgo, 
segnato   •  L.  arab.  Cod.  Spitta  18  ". 

Acquistato  al  Cairo  neirOttol)re  1878  dallo  Spitta  (■•).  ed  alla  morto  di  questi 
venuto  alla  biblioteca  di  Strasburgo  ('),  il  codice  comprende  45  fogli,  alti  32, ó  era., 
larghi  20,5  cm.,  su  carta  bombicina  di  colore  tendente  al  bruno;  ogni  pagina  cousta 
in  generale  di  23  linee,  talvolta  anche  d'un  numero  maggiore.  Come  ri.sulta  da  una 
nota  finale  (f.  45  v.),  fu  scritto  nel  ramailàn  428  eg.  (18  Giugno— 17  Luglio  1(J37), 
non  si  sa  da  chi;  il  carattere  è  quel  grosso  nasi.ii  comune  noi  manoscritti  così  an- 
tichi. Le  vocali  mancano  interamente,  e  v'è  grande  scarsità  anche  di  punti  diacritici. 
In  non  pochi  luoghi  il  tempo  e  le  tignuole  hanno  guastato  i  fogli,  sovra  tutto  in  prin- 
cipio ed  in  fino;  tuttavia  il  contesto  permette  in  molti  casi  di  ricostituire  lo  lacune, 
e  si  può  dire  anzi  che  il  danno  è  irreparabile  solo  quando  si  tratta  di  cifre.  Lo  scrit- 
tore del  codice  dovette  avere  innanzi  a  sé  un  esemplare  di  lettura  incerta,  giacché 
non  è  raro  il  caso  che  sopra  una  cifra  o  sopra  un  nome  proprio  se  ne  veda  scritto 
dalla  stessa  mano  un  altro  poco  diverso,  lasciando  così  al  lettore  di  scegliere  fra  le 
due  varianti.  Una  mano  posteriore,  ma  tuttavia  assai  antica  a  giudicai-ne  dalla  scrit- 

U,^ii  jtj  \4^  ^:^\  (1.  ^\)  ^iJi  ■^/  o;^^  cj".  or°^'  '^'^  -^  o-^r^'  ^ 

(')  ^a  Géoqraphie  d'Aboulféda  Iraduite  par  Reinaud.  Puris  1848-83,  t.  I:  Introduetion 
qfn^raU,  paj;.  CDI-XIV.  Il  Roinaud  dii  il  testo  arabo  di  circa  metà  del  M  capitolo  secondo  il  ins. 
dell'  Escuriale. 

(')  Si  alludo  alla  'IxHfatt:  /uiquiv  tiji  oixoi'fi{vi;i  o  tavola  delle  94  cparchie  (regioni)  in  cui  è 
divina  la  terra,  .-lic  si  tn.va  in  Tolonie')  Vili,  29.  Al-Batt;'iii5  riprodusse  tutta  questa  tavola  con  leg- 
gerissime modificazioni  ed  a),'giungendo  la  latitudine  e  la  lon^'ìtudine  del  centro  di  ciascuna  regione; 
essa  si  può  vedere  stampaU  in  Lelewel,  Oéographie  du  moyen  àge.  Bruxelles  1852,  t.  IV,  Épi- 
loguc,  p.  64  sgg. 

(')  Il  quale  ne  dii'de  una  descrizione  sommaria  prima  nella  Zeitsrhr.  d.  deutich.  morgenl.  Gè- 
telUrh.  XXX.  1870,  |).  21^>4-2;t7;  poi  nelle  Verhand.  dcs  ,>"*  internai.  Orienlal.-Congr.  Semit.  Soction. 
Berlin  1882,  p.  19-28   (col  titolo  Die  Geogr.  dcs  Ptolomaeus  bei  den  Araber),  ma  cn  alcuni  errori. 

(♦)  Vedi  Zeitichr.  d.  deutsch.  morgenl.  OetelUch.  XL,  1886,  p.  306. 


—  15  — 

tura  0  dal  coloro  sbiadito  dell'inchiostro,  ha  fatto  qua  e  là  eccellenti  correzioni,  e 
riparata  qiialclie  dimenticanza  del  primo  copista.  Evidentemente  per  ciò  ebbe  innanzi 
a  sé  un  altro  buon  esemplare  dell'opera  (')•  —  Come  sempre  avviene  nelle  tavole 
astronomiche,  le  cifre  sono  espresse  mediante  le  lettere  dell'alfabeto  e  non  secondo 
il  sistema  decimale;  lo  zero  è  rappresentato  da  un  cerchio  sormontato  da  una  lineetta 
tangente  (o),  onde  somiglia  molto  alla  s  dell'alfabeto  arabo  ('^). 

Quattro  carte  miniate  trovansi  nel  codice;  una,  al  f.  10,  v.,  rappresenta  «l'isola 
delle  pietre  preziose  »  gazìrat  al-gawahir  ;  la  seconda,  su  un  pezzo  di  carta  inserito 
tra  i  f.  10  e  20,  rappresenta  le  varie  configurazioni  delle  coste  marine,  coi  relativi 
termini  tecnici  ;  la  terza,  occupante  parte  dei  f.  24,v.  e  25,r.,  ci  dà  l'immagine  del 
Nilo  dallo  sorgenti  alla  foce;  l'ultima  è  al  f.  45,r.  e  raffigura  la  palude  Meotide 
(al-batìl.iah)  coi  fiumi  che  vi  si  scaricano. 

Il  titolo,  per  metà  coperto  dai  pezzetti  di  carta  incollati  onde  impedire  la  ro- 
vina totale  del  foglio,  è  (f.  l,r.):  ^J/i-'^i  j^'^}  J'-^4-'5  o->-»-''  cj^  Jp^^  '^)y°  (_>U^ 

^iyjUl  ^^>-JJ^  »  Libro  della  figura  della  terra  riguardo  alle  città,  ai  monti,  ai 
^  mari,  alle  isole  ed  ai  fiumi.  Lo  trasse  Abù  Gafar  Mul.iammad  ben  Musa  al-Hu- 
«  wàrizmì  dal  Trattato  di  Geografia  composto  da  Tolomeo  al-Qalawdì  »   (■*). 

Il  libro  non  ha  introduzione  :  dopo  la  solita  formola  "  In  nome  di  Dio  clemente 
«  e  misericordioso  »  cominciano  le  tabelle  scritte  su  due  colonne  per  pagina  ed  in- 
dicanti la  posizione  geografica  delle  località  principali  (f.  l,v.-9,v.)  (^).  Queste  sono 
disposte  clima  per  clima  ;  inoltre  in  ciascun  clima  esse  vengon  enumerate  secondo  la 
loro  progressiva  longitudine  dal  meridiano  iniziale  (-''),  la  quale  disposizione  permette 
di  stabilire  spesso  la  lettiu-a  esatta  delle  cifre  di  longitudine,  in  molti  luoghi  ove 
la  mancanza  dei  punti  diacritici  lascierebbe  campo  a  varie  interpretazioni.  Sono  537  (^) 
località  così  distribuite: 

8  a  sud  dell'equatore  54  nel  II»  clima  (16<'27'-24»  N.) 

64  nel  I»  clima  (0"-16''27'  N.)  59  nel  IIP  clima  (24''-30°22'  N.) 

(1)  Dalla  scrittura  sembra  che  questo  correttore  sia  il  medesimo  'Ali  ben  Alimad  ben  Ibràhìm 
^J\  at-Taràbulusì  al-As'ari  a'^-Siifi'i,  che  notò  al  f.  45,v.  la  data  (nel  codice  abrasa)  dell'  acquisto 
fatto  del  libro. 

e)  Lo  Spitta  infatti  confuse  i  due  segni  tra  loro  e  lesse  5  invece  di  0.  Nel  nostro  ms.,  come 
in  venerale  nelle  tavole  matematiche  ed  astronomiche,  il  5  è  rappresentato  dalla  lettera  ha'  scritta 
in  forma  di  piccolo  cerchio  o.  Molto  probabilmente  il  segno  S  per  indicare  lo  zero,  viene  da  «,  la 
nota  sigla  greca  per  ov,  che  è  abbreviazione  di  oDVfV  (=•  nulla);  v.  Woepcke,  Essai  sur  la  prò- 
pagation  des  chi/fres  indiens  (Journ.  Asiatique,  S(?v.  VI,  t.  I,  1863,  p.  46C  e  468-69). 

(3)  Cioè  discendente  di  Claudio  imperatore.  Vedi  in  proposito  quanto  scrive  il  de  Sacy  nelle 
Notices  et  Extraits  des  mss.,  t.  Vili,  1810,  p.  169  sg.  =  al-Jras'ùdi  I.\,  33.>o36.  Cf.  pure  Yà- 
qùt,  IV,  167  e  Catal.  codd.  orient.  Bibl.  Acad.  Lugduno-Batavae.  Lugdun.  Batav.  1851-77,  t.  Ili, 
p.  80  al  nr.  1045. 

(*)  Per  inavvertenza  del  copista,  i  f.  8,v.  e  !),r.  son  rimasti  in  bianco,  benché  non  vi  sia  nes- 
suna lacuna  nel  testo. 

(S)  Le  eccezioni  a  questa  regola  sono  rarissime  e  subito  riconoscibili. 

(«)  Per  9  località  il  copista  non  ha  segnato  le  cifre  relative.  Inoltre  si  hanno  5  o  6  posizioni 
ripetute. 


—  It)  — 

14G  nel  IV  clima  (30"22'-3G"  N.)  03  noi  VI"  clima  (41°-45<'  N.) 

78  nel  V»  clima  (3(5"-41<'  N.)  25  nel  VII"  clima  (45M8»  N.) 

40  oltre  il  VII"  clima  tino  a  63"  N.   »  limito  estremo  della  terra  abitata  «. 

Alle  tabelle  delle  città  segue  (f.  9,v.-15,v.)  quella  dei  monti,  dei  quali  è  indi- 
cato il  nome,  la  longitudine  e  la  latitudine  di  ciascuno  dei  punti  estremi,  il  colore 
e  la  direziono.  Sono  distribuiti  per  climi,  ed  in  ciascun  clima  secondo  la  longitudine 
progressiva  dal  meridiano  iniziale;   cosi  abbiamo  209  monti  (')  nel  modo  seguente: 

10  a  sud  dell'equatore  23  nel  IV"  (SO^-SG») 

10  nel  r  clima  ((("-IG")  28  nel  V  (SGMP) 

27  nel  IP  clima  (lG°-24»)  24  nel  VP  (4P-45<') 

33  nel  IIP  clima  (24»-30°)  7  nel  VIP  (45»-48») 

38  al  di  là  del  VIP,  tino  a  63°. 

Dopo  i  monti  viene  la  descrizione  dei  mari  (f.  15,v.-20r.)  cioè:  al-ba'ir  al-ma- 
•iTibì  al-!  arig  wa's-samàlì  al-l.iàriC'  "  il  mare  esterno  di  N.  0.  -  (cioè  l'Atlantico),  il 
Mediterraneo  (•-'),  l'Oceano  Indiano  {^),  il  Caspio,  ed  infine  al-bahr  al-rau/,lim  «il 
Mar  Tenebroso  -  (cioè  il  Grande  Oceano).  L'autore  riferisce  le  coordinate  geoi^ratìcbe 
dei  punti  principali  della  costa,  e  per  indicare  le  forme  più  salienti  di  quest'ultima 
adopera  la  seguente  nomenclatura: 

taylasàn  (velo  inamidato,  di  mussolina,  cbe  i  professori  di  teologia  e  di 
giurisprudenza  ponevano  sul  turbante  e  sulle  spalle,  lasciandolo  ricadere  sul  dorso  (*)  ) 
per  indicare  una  insenatura  lunga  e  regolare,  ma  non  molto  profonda; 

qowàrah,  per  una  sporgenza  considerevole  della  costa  nel  mare,  cosi  da  for- 
mare spesso  una  penisola  semicircolare; 

sàbùrah,  per  una  profonda  insenatura  in  forma  di  triangolo  (•''). 
La  descrizione  del  Caspio  (f.  19,v.)  mostrerà  meglio  il  metodo  dell'autore:   "  Esso 
.comincia,  toccando  il  monte  oy.  C^)-   a  74<'40'  long,  e  43»5'  lat.  ("):  —  si  volge 

(')  Parecchi  sono  senza  nome,  leggendosi  solo  gebel  «  monte  »;  qualche  altro  anonimo  è  deter- 
minato secondo  il  territorio  in  cui  si  trova,  p.  es.  «  Monte  che  s'estende  fra  Istahr  e  Gùr  •.. 

(«)  Non  ha  un  nome  collettivo,  quindi  il  ins.  dice:  "  Mare  di  Tan);ah  (Tangeri),  di  Maritàniyah, 
u  di  Ifriqiyah,  di   lìarqah,  d'Egitto,  di  Siria,  tutti  contigui  gli  uni  agli  altri  ". 

(')  Al-bahr  al-kabir  u  il  mar  grande  n  ;  secondo  le  sue  varie  sezioni  è  detto  Ba\ir  al-Qolzuin 
(Mar  RoBso).  al-bal.ir  al-ahdar  «Mar  Verde  »  CF.QveQil  eàXaaait  degli  antichi),  balir  as-Sind,  balir 
al-Hind,  bal.ir  tL-fi^in,  e  bahr  al-Ba^rah  (il  T.olfo  Persico  lU^atxòs  xo'inof).  —  Il  Mar  Caspio  è  detto 
mare  del  Huwiirizm,  di  Gor^'àn,  del  Tabarisfàn,  del  Daylom. 

(«)  Dozy,  Dirtionnaire  détaillé  des  noms  des  vétcmcnts  cha  lex  arahes.  Amsterdam  1845. 
p.  278-280.  Circa  il  significato  geografico  del  vocabolo  cfr.  anche  de  Goeje,  Glossarium  m  geo- 
graphoi  (voi.  IV  della  liibl.  Gcogr.  Arab.)  p.  201. 

(S)  La  cartina  inserita  tra  i  f.  19  e  20  dii  anche  la  forma  del  tasnim,  del  quale  per.',  non  si 
fa  cenno  nel  corso  dell'opera.  Per  queste  varie  denominazioni  si  confronti  Abii   'l-fidfi  10   e   al- 

Has'fidi  I,  18.5. 

(•)  Alla  fine  della  descrizione  del  Caspio  ò  scritto  oy  ;  il  nome  manca  nella  lista  dei  monti. 

C)  Invece  di  o  ^  il  iii.s.  jiorta  o  --  (•18°5').  La  mia  lettura  e  evidente  quando  si  consideri 
l'ultima  parte  della  descrizione  del  Caspio. 


—  17  — 

«  a  Te'O'  long.  ST-bO'  lat:  —  continua  a  77030',  SS^O'  (var.  5');  —  poi  a  78°40', 
«  38040'  (var.  0');  —  quindi  a  79''0',  39^30';  —  si  dirige  verso  SPO',  39045';  poi  a 
»  87<'0',  42»30'  ;  —  (julndi  a  87°40'  (var.  86040'),  48°20';  —  in  seguito  a  90o0',  42o20'; 
,  _  a  90"40'  ('),  44"U';  —  90°20',  45°0'  (var.  5').  —  90o30',  46°5'  (var.  47o5').  —  In 
u  forma  di  taylasàn  prosegue  tino  ad  SO^O' (ms.  ki  109")  (-),  48o30';  —prende  l'aspetto 
«  di  qowàrah  toccando  88''20'  (ms.  ^  ^)  long.,  ed  arriva  a  89o20'  (ms.  er  ki),  5U°0' 
»  (var.  5').  —  Poi  continua  in  forma  di  (aylasàn  per  la  long.  89o30'  (ms.  J  ks),  e 
«  giunge-  alla  long.  88030'  (ms.  senza  punti)  ;  —  tocca  87°0'  (ms.  senza  punti)  long., 
.  50020'  lat.;  —  poi  86o30'  (ms.  J  y),  SOMO'  ;  —  in  forma  di  qowàrah  passa  per 
«la  lat.  50"20';  arriva  ad  Só^òO'  long.  (ms.  senza  punti),  51°30'  lat.  (ms.  sonza 
«  punti);  —  continua  a  guisa  di  taylasàn  fino  a  84o30'  (ms.  senza  punti),  50o20';  — 
u  poi  ad  83"0'  (ms.  senza  punti),  SPIO';  —  in  forma  di  taylasàn  va  ad  82o0'  (var.  5'), 
«  49020';  —  passa  per  8I0O',  49o20' ;  —  78o0',  48oi0'.  —  Incontrata  l'imboccatura  di 
«  due  fiumi,  prosegue  per  77o4o',  4tì"0'  (var.  47o0')  ;  —  7GnO',  45"20';  in  forma  di  qo- 
«  wàrah  tocca  la  lat.  di  4403O'  (  J  j^,  colla  variante  erronea  J  ^  47"30'),  e  giunge 
«  a  7600',  4400'  :  poi  tocca  il  monte  presso  il  quale  abbiamo  cominciato,  ossia  il 
"  monte  oy.  presso  74o40',  43o50'  » . 

Terminati  i  mari,  viene  la  descrizione  delle  isole  (f.  20,r.-2G,r.).  I  nomi  man- 
cano in  grandissima  parte  ;  delle  minori  è  indicata  la  posizione  del  centro ,  la  lun- 
ghezza e  la  larghezza  (■^);  delle  maggiori  viene  seguito  minutamente  il  contorno 
della  costa. 

Ai  f.  26,r.-27,v.  una  tabella  espone  le  coordinate  geografiche  del  punto  centrale 
delle  vario  regioni  ;  subito  dopo  (f.  28,r.-45,v.)  viene  la  parte  più  lunga  ed  ultima 
del  libro,  che  descrive  i  fiumi  contenuti  nei  singoli  climi.  Di  ciascun  fiume  sono  fis- 
sate matematicamente  le  curve  principali  e  le  città  più  importanti  toccate;  però,  come 
pei  monti  e  per  le  isole,  molti  fiumi  sono  anonimi. 

Questi  pochi  cenni  mostrano  a  suÉBcieuza  che  la  disposizione  materiale  dell'opera 
araba  non  ha  più  nulla  di  comune  colla  ytitìyQaqixì)  vcfrj'yrjaK.  11  primo  libro  di  To- 
lomeo, che  espone  i  principii  fondamentali  della  cartografia  e  che  contiene  una  cri- 
tica minuta  dell'opera  composta  da  Marino  di  Tiro,  è  scomparso  del  tutto  nel  rifa- 
cimento arabo;  così  pure  è  scomparso  l'ottavo  libro,  il  quale  indica  la  durata  del 
giorno  più  lungo  nelle  località  più  ragguardevoli,  e  dà  una  tavola  delle  94  province 
{ìnaQyua)  in  cui  si  divide  la  terra  abitata.  Il  materiale  contenuto  nei  libri  Il-VII 
fu  dall'arabo  ordinato  in  modo  affatto  diverso;  Tolomeo  esamina  in  ciascuna  regione 


(')  Il  ms.  per  errore  di  scrittura  lui  ^    r^  (,97"40')  invece  che  ^   ^j>- 

(*)  Il  semplice  esame  delle  cifre  che  seguoiio  mostra  chiiiramente  la  necessità  di  sostituire  qui 
e  più  sotto  la  ^  (80)  alla  Jl  (100).  Si  può  inoltre  considerare  che  al  f.  7,v.  la  città  di  Huwàrizm 
è  posta  a  Dl^SO',  42oi0',  e  la  città  dei  Hazar  a  93°0',  450O';  cosi  al  f.  •(2,v.  è  detto  che  un  lungo 
fiume  (il  nostro  Slr  daryà)  terminante  nel  la^o  ora  detto  Arai  passa  per  107°r>',  5O03O',  poi  per 
lOCSO',  51°n',  traversa  la  città  dei  Hazar,  riceve  affluenti  a  107"-20',  51"20',  a  IO403O'  long.,  a  lOOoSO', 
5105',  a94»5',  46°5'  ed  a  92''5',  45°5'.  Se  non  si  ammettesse  la  correzione  ch'io  propongo,  tutte  queste 
posizioni  rimarrebbero  dentro  il  Mar  Caspio. 

(3)  Queste  due  dimensioni  sono  espresse  sempre  in  gradi  (nel  testo  (^«i');  p.  es.  "  isola  estesa 
l»i  per  1»;  centro  a  .^'O'  long.,  gSMO'  lat.». 

Classk  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorik        V(j1.  II.  Serie  T)",  parte  1»  3 


I.     clima, 

,  tino  a  1(3° 

{l{i°27' 

)  e) 

climi 

I-IV 

II.       - 

"     «   24° 

n 

V-VI 

III.     - 

-     -   30° 

(30"22 

') 

m 

VII-VIII 

IV.      - 

'     -   3G° 

n 

IX-X 

V. 

..     »   41° 

n 

XI-XII 

VI.      ' 

»     »   45° 

^ 

XIU-XIV 

VII.    » 

»     "   48° 

n 

XV 

Ài  di  là 

del  VII.  clima  fino 

a  63°. 

n 

XVI-XXI 

—   18  — 

i  monti,  i  fiumi,  le  città  più  importanti;  al-Huwàri/,mi  separa  queste  accidentalità 
geograficlie  in  tre  categorie  distinte,  e  studia  ogni  categoria  zona  (iqlìm,  clima)  per 
zona  invece  che  provincia  per  provincia  (').  Anzi,  mentre  lo  zone  di  Tolomeo,  fondate 
sulla  lunghezza  rispettiva  del  giorno  e  della  notte,  sono  21  (Ptol.  I,  23),  le  zone 
dello  scrittore  arabo  sono  7,  come  presso  alcuni  autori  più  antichi  di  Tolomeo  (-). 
Volendo  quindi  stabilire  un  accordo  fra  le  due  divisioni  greca  ed  araba,  si  avrebbe: 

Al-^uwàrizmi  Tolomeo 

Regione  a  sud  dell'equatore  Regione  a  sud  dell'equat.  fino  a  &°25'  S. 

fino  a  16°2ó' 
"  .  23°ó0' 
»     .   30-20' 

n    »  yo'o' 

"  «  40"55' 

-  »  45°U' 

-  -  48°30' 
"  w  G3°0' 

Esaminando  più  innanzi  il  contenuto  del  libro,  vedremo  che  alla  discordanza  com- 
pleta nella  disposizione  della  materia  corrisponde  una  discordanza  pure  completa  fra 
i  dati  del  Kildb  xiiral  al-ard  e  quelli  di  Tolomeo  ;  tanto  che  non  v'è  quasi  nessuna 
cifra  identica  in  ambedue.  Come  si  spiega  un  mutamento  così  radicale  per  parte  del 
geografo  arabo? 


IV. 

Origine  del  Kitàb  sùrat  al-ard. 

Il  Lelewel,  che  pel  primo  rivolse  la  dovuta  attenzione  al  rasm,  quale  appariva 
dalle  citazioni  di  Abù  'l-tìdà',  fu  anche  il  primo  ed  il  solo  studioso  che  cercasse  di 
spiegarne  l'origine.  Considerando  che  nessuna  delle  92  posizioni  di  città  riferite  da 
Abù  '1-fidà'  secondo  il  rasm,  lascia  scorgere  una  vera  parentela  con  Tolomeo  o  con 

(').La  preferenza  data  alla  divisione  dei  hinphi  secondo  le  zone  o  climi  (iqltm,  xXi'/in)  ha  un 
motivo  d'ordine  pratico.  Siccome  le  5  prepliiere  musulmane  devono  farsi  in  certe  ore  stabilite  secondo 
la  lunghezza  massima  del  siorno,  cosi  la  distribuzione  dei  paesi  per  climi  che  si  fondano  appunto 
sulla  durata  del  giorno  più  lungo,  permette  di  determinar  facilmente  le  ore  canoniche  della  preghiera 
in  qualsia-^!  località. 

(•)  I'.  es.  Plinio,  Hist.  Noi.  VI,  39.  La  divisione  in  7  climi  non  fu  scelta  dagli  Arabi  solo 
per  uno  scopo  pratico;  essa  ricorda  troppo  bene  i  7  karsvari  dell'A vesta  (kéivar  del  jielilyS,  kisirar 
del  persiano  moderno)  e  i  7  drtpa  indiani,  nonché  i  7  cieli,  le  7  terre,  i  7  mari  del  Corano.  Del 
resto  sul  numero  7  presso  i  Semiti,  vedi  I.  (i  nidi,  Della  sede  primitiva  dei  popoli  semitici  (Me- 
morie della  K.  Accad.  dei  Lincei,  CI.  Scienze  Morali,  ser.  Ili",  voi.  3",  1879)  pag.  Gli,  ed  anche 
de    Sacy,    Chrestom.  arabe,  l'ari»  1806,  t.  II,  p.  382  sgg. 

O  Le  cifre  tra  parentesi  sono  quelle  diverse  indicate  nella  tavola  delle  città;  v.  sopra. 


—   10  — 

alcuno  dei  suoi  antecessori;  considerando  d'altra  parte  che  Abù  l-fidà'  sembra  rite- 
nere il  rasm  come  una  versione  dui  i;reoo,  egli  concluse  che  al-Huwàrizniì  aveva  tra- 
dotto per  al-Ma'niiin  un'opera  greca  intitolata  òoiai.iòg  xtiqàòoc  i l'g  DÌxoi'utrr^g  t  De- 
finizione del  quarto  terrestre  abitato  ".  Ma  quest'opera,  continua  il  Lelewel,  non  è 
ricordata  dagli  scrittori  bizantini  e  non  lascia  alcuna  traccia  di  so  nei  libri  del  me- 
dio evo  occidentale;  dunque  essa  fu  composta  nelle  provincic  asiatiche  dell' impuro 
bizantino  che  la  conquista  araba  avea  staccate  dalla  signoria  di  Costantinopoli.  In- 
fatti nel  ?-asm  venne  rifusa  appunto  quella  parte  della  geografia  di  Tolomeo  che 
abbracciava  i  territori  corrispondenti  all'impero  dei  primi  califfi.  Rispetto  al  bacino 
dell'Indo,  la  carta  del  rasm  mostra  di  non  avere  alcuna  informazione  precisa;  ciò 
significa  ch'essa  è  anteriore  allo  stabilimento  definitivo  degli  Aralii  nell'India.  Da  tutte 
queste  considerazioni  risulta  che  un  ÒQiai,iòg  TSTQcióog  Trjg  olxovixs'vrjg  fu  composto 
verso  il  750  da  un  greco  che  abitava  nell'impero  dei  califfi  e  che  potè  servirsi  anche 
di  materiali  musulmani.  Al-Huwàrizmì  tradusse  più  tardi  per  al-Ma'mùn  il  libro  greco, 
conservando  il  titolo  dell'originale:  Easm  ar-roh'  ai-ma' mùr  {}). 

Non  è  difficile  accorgersi  che  il  Lelewel  si  lasciò  trascinare  un  po'troppo  dalla 
fantasia  ;  tanto  più  che  era  molto  pericoloso  voler  trarre  tante  deduzioni  sull'origine 
del  libro  da  una  lista  d'un  centinaio  di  posizioni,  che  non  sappiamo  neppure  perchè 
siano  state  scelte  da  Abù  'l-fidà'  a  preferenza  di  tante  altre.  L'analisi  del  testo  com- 
pleto d'al-Huwàrizmì  ci  mosti'erà  che  la  geografia  di  Tolomeo  vi  è  modificata  anche 
p.T  quelle  regioni  che  non  entrano  nel  dominio  dei  califfi  ;  inoltre  ci  fornirà  notizie 
su  paesi  che  non  potevano  esser  noti  ad  un  suddito  arabo  o  bizantino  del  750  d.  C. 
Invece  le  regioni  che  non  erano  entrate  in  rapporti  diretti  cogli  Arabi  portano  nel- 
l'opera d'al-Huwàrizmì  una  nomenclatura  ed  una  posizione  spiegabili  solo  col  testo 
di  Tolomeo.  Come  mai  uno  scrittore  bizantino  avrebbe  dato  notizie  cosi  scarse  in- 
torno alla  penisola  balcanica'?  Il  Kitàb  mrat  al-ard,  dopo  l'analisi  che  ne  faremo, 
apparirà  come  una  rifusione  della  y£U)yqa(pixri  vtprjyiqttig  e  non  d'altri  libri,    così  da 

giustificare  benissimo  l'ultima  parte  del  suo  titolo:   "  libro che  al-Huwàrizmì 

"  trasse  dalla  geografia  di  Tolomeo  ' .  Le  modificazioni  numerose  mostrano  tutte  di 
provenire  da  fonte  araba;  e  nulla,  in  tutto  il  libro,  lascia  supporre  ch'esso  sia  la  tra- 
duzione d'un  rifacimento  greco  dell'opera  tolemaica.  Perchè  dunque  inventare  un  òqi- 
afiòg  TtTQcéàog  Trjg  oìxoi'ua'vi^g  {-),  di  cui  nessuno  conosce  l'esistenza,  e  che  avrebbe 
dovuto  poi  esser  rimaneggiato  una  seconda  volta  per  dar  origine  al  libro  arabo? 

Ma  escludendo  questo  ògiof^tóg,  non  mi  sembra  tuttavia  che  la  rifusione  arabica 
provenga  direttamente  dal  testo  scritto  di  Tolomeo. 

Già  dissi  che  nelle  tabelle  dei  monti  è  precisato  anche  il  colore  d'ognuno  di 
essi,  onde  si  ha  una  lista  di  ben  33  colori  diversi.  È  possibile  che  al-Huwfuizmì 
sostenesse  esser  il  Liì)ano  color  oliva,  l'Antilibano  (gebel  a(-lalg)  bruno  (adkan),  il 
Senir  (in  Siria)  rosso,  il  monte  al-Lokàm  (pure  in  Siria)  rosa,    e  così  immaginasse 

(')  Lelewel,  Géographie  du  moyen  ago.  Bruxelles  1852,  t.  I,  Cartes  de  géograplies  ecc. 
p.  23-24,  28-29. 

(*)  Si  osservi  che  il  tifilo  rasm  al-ard  o  rasm  ar-rob'  al-ma'mvr  si  trova  solo  in  .\bù  '1-fidiV, 
di  5  secoli  posteriore  ad  al-Huwarizmi.  Nel  X  sec.  d.  Cr.  al-Mas'ùdi  ed  al-Battàiii  lo  chiamano  A'i- 
tdb  ^ùrat  al-ard  «Libro  della  fìi;nra  della  terra",  come  il  nis.  di  Strasburgo. 


—  2(t  — 

resistenza  di  montagne  color  di  lapislazzuli  (làzuwerdì),  azzurre  (azraq),  giallo,  nere, 
biancastre,  giallo  d'oro,  monti  a  vari  colori  (mulawwan)  ecc.?  E  si  noti  che  in  gene- 
rale i  monti  vicini  hanno  colori  diversi.  Cosi  al  f.  30,r.  un  tiuine  africano  attraversa 
un  monle  (jiallo  alla  long,  di  al"»)';  altrove  (f.  37.r.)  si  dice  che  l'Indo  (Mihràu)  ad 
un  certo  punto  del  suo  corso  superiore  passa  fra    >.  un  monte  giallo  ed  una  città  » . 

Io  non  80  spiegarmi  im  tal  fatto  se  non  ammettendo  che  al-Huwarizmì  abbia 
composto  il  suo  libro  per  illustrare  una  serie  di  carte  geografiche,  anzi  traendo  da 
queste  ultime  tutto  il  materiale  dell'opera  sua,  appunto  come  Tolomeo  avea  ricavato 
la  sua  geografia  da  carte  che  si  era  prima  costruito  in  base  ad  itinerari.  Se  tale  è 
la  genesi  del  libro  arabo  si  capisce  il  motivo  dell'indicazione  dei  colori  dei  monti; 
questi,  per  maggiore  chiarezza,  erano  variamente  dipinti  sulla  carta,  ed  il  testo  indica 
il  loro  colore  per  facilitare  il  confronto  colla  carta  stessa.  Torna  qui  in  acconcio  rife- 
rire un  passo  di  al-Mas'ùdi  ('),  ove  si  parla  della  geografia  di  Tolomeo:   "  In  questo 

.  libro  sono  indicati  i  colori  dei  monti  della  terra:  rosso,   giallo,  verde  eca E 

i.  tutti  questi  mari  .sono  dipinti  (mu<a\vwarah)  nel  libro  della  giimlfiyri  con  varie 
"  sorta  di  colori,  e  sono  ditfereuti  per  grandezza  e  per  forma  ^ .  Si  vede  dunque  che 
anche  questa  versione  di  Tolomeo  {-)  era  accompagnata  dalle  carte  relative,  e  che  il  tra- 
duttore avea  indicato  nel  testo  il  colore  che  ciascun  monte  portava  sulla  carta. 

Altri  fatti  si  possono  recare  a  sostegno  della  mia  ipotesi.  Al)biamo  già  veduto 
che  moltissimi  monti  e  fiumi,  e  quasi  tutte  le  isole  (eccettuate  le  maggiori)  riman- 
gono senza  nome;  ora  se  al-Huwàrizmì  rimaneggiava  il  testo  di  Tolomeo,  perchè  mai 
avrebbe  accolto  molti  nomi  aftatto  greci  che  più  tardi  scompaiono  nella  geografia 
araba  (per  es.  nell"  India  i  monti  Sardon3TC,  Bettigo,  Adeisathrum,  Uxentum  ecc.)  ed 
altri  invece  ne  avrebbe  taciuti  in  quello  stesse  regioni,  contentandosi  di  dire  -  monte, 
isola,  fiume  »,  benché  vi  unisse  tutte  le  cifre  relative?  La  cosa  si  spiega  benissimo 
quando  si  ammetta  che  le  carte  geografiche  su  cui  lavorava  al-Huwàrizmi  indicavano 
in  certi  luoghi  l'esistenza  d'una  cittìi,  d'un  fiume,  d'un  monte,  di  un'isola,  ma  sunza 
dar  loro  alcuna  denominazione,  appunto  comò  avviene  in  ogni  carta  geografica.  —  E 
se  ancora  vi  fosse  bisogno  duna  prova  decisiva,  basterebbe  citare  i  passi  seguenti 
del  libro:  Al  f.  18,v.  si  legge  che  la  costa  dell'Oceano  Indiano  incontra  le  foci  di 
dieci  fiumi;  l'autore  ne  nomina  quattro  aggiungendo:  "  ed  altri  il  cui  nouio  non  si 
trova  sulla  figura    (wa  gayru  ùàlika  mimmà  là  asmà'ahu  fi  '^-sùrah)  ».    Al  f.  40,r. 

è  scritto  :   -  fiume che  scorre  fra  due  città  anonime  (là  asma  lahumiì),  e  si  getta 

-  in  mare  fra  una  cittA  sulla  quale  non  v'è  nome  nella  figura  (là  isma  'alayhà  fi  "s-.u- 
»  rah)  e  la  città  di  y^A  »;  e  poco  dopo  si  parla  ancora  d'una  città  senza  nomo  sulla 
figura  (là  isma  lahà  fi  's-surah).  E  la  stessa  frase  -  città  senza  nome  nella  carta 
(^lìrah)  »   ricorre  anche  al  f.  41, r. 

ila  quali  carte  avrà  adoperato  al-Huwàrizmi?  Non  certamente  quelle  di  Tolo- 
meo, perclié  allora  non  si  capirebbero  tante  modificazioni  e  tante  aggiunte.  La  solu- 
zione del  problema  è  data  dal  passo  già  riferito  del  Kitùh  al-Taiibih  d' al-Mas'ùdi 
(vedi  nota  4,  pag.  13).    Ivi  si  legge  che  al-Ma'mùn  avea  fatto  lavorare  molti  dotti 

(>)  Al-Mas'fidl  I,  184  e  185. 

(«)  l'robabilmcnfc  scendo  la  traduzione  araba  di  Tiil)it  ben  Q^rrab.  I  particolari  riferiti  da 
al-Mas'tidi  non  lanciano  dubbio  che  si  tratti  veramente  d'una  traduzione  della  yiutyQuifixt]  i(ftj)",at(. 


—  21  — 
del  suo  tempo  (')  intorno  ad  una  serie  di  carte  rappresentanti  »  il  mondo  colle  sue 
li  sfere  celesti,  i  suoi  astri,  il  continente,  il  mare,  le  terre  abitate,  le  terre  deserte, 
li  le  regioni  occupate  da  ciascun  popolo,  le  grandi  città  ecc.  "  ;  in  altre  parole  era 
un  atlante  celeste  e  terrestre.  Al-Huwàrizmì,  che  probabilmente  era  uno  di  quei  dotti, 
dovette  esser  incaricato  di  riprodurre  in  forma  di  libro,  mediante  tabelle  di  latitudini 
e  longitudini,  le  carte  riguardanti  la  terra;  e  poiché  queste  carte  erano  Itasate  su 
quello  che  accompagnavano  la  geografia  di  Tolomeo,  si  comprende  che  il  libro  arabo 
venisse  considerato  come  un  rifacimento  della  y^wyQuifixr]  vqi'yr^oig. 

Si  potrebbe  discutere  se,  per  redigere  le  carte  alma'mùniane,  quest'ultima  sia 
stata  adoperata  nell'originale  greco  o  in  qualche  versione  siriaca,  la  cui  esistenza  è 
messa  fuori  dubbio  dal  Kitàb  al-Fihrist  (''). 

Abù  '1-tidà'  la  considera  come  tradotta  dal  greco;  ma  il  modo  vago  con  cui  si 
esprime  non  esclude  clie  vi  sia  stato  un  intermediario  siriaco.  Unica  guida  per  deci- 
dere la  questione  potrebbe  esser  l'esame  della  forma  che  i  nomi  greci  hanno  pre^o 
nel  testo  arabo;  ma  disgraziatamente  molti  errori  facili  nella  scrittiu-a  siriaca  (p.  es. 
scambio  di  d  con  /',  di  ii  con  y)  sono  altrettanto  facili  nella  scrittura  arabica  ;  di  piii 
è  impossibile  stabilire  quali  errori  del  ms.  di  Strasburgo  rimontino  proprio  ad  al-Hu- 
warizmì  e  quali  sien  dovuti  ai  successivi  copisti  (^).  Talvolta  la  o  greca  è  rappresen- 
tata da  una  «  araba  (p.  es.  Ottoràqàrà  per  'OrroQoxÓQQa,  Mìlibàqon  per  Mi^XC/ìokuv), 
il  che  potrebbe  forse  indicare  rm'influenza  siriaca;  ma  altre  volte  la  o  è  rimasta  an- 
che nell'arabo  (od  almeno  non  è  segnata  con  «,  poiché  il  ms.  non  scrive  le  vocali 
brevi;  p.  es.  Qa,\.ova.(\ionyim  =  EurorQaxzóriov,  Eboraqùn  = '£/:?o(»«xoi),  oppure  si  è 
mutata  in  u  (p.  es.  Fìlùmiliyon  =  3>iAo^t/;'A/or,  Masùi-iyà  =  M«ff«>«)  ;  quimli  non  si 
può  trarne  alcuna  conclusione.  —  La  x  è  sempre  resa  da  un  q.  —  La  t9-  ed  il  x  sono 
resi  rispettivamente  da  /  e  da  h  (^),  due  lettere  che  l'alfabeto  siriaco  non  possiede; 
ma  anche  ciò  non  prova  nulla,  giacché  gli  scrittori  siri,  per  una  tacita  convenzione, 
rappresentano  sempre  le  aspirate  ■&  e  x  (^on  t  e  k,  laddove  per  le  tenui  t  e  x  si  ser- 
vono delle  enfatiche  t  e  q.  Il  t  è  reso  in  generale  con  /,  come  ha  luogo  in  sii-iaco, 
e  come  accade  anche  nei  vocaboli  che  l'arabo  ha  tolto  direttamente  dalle  lingue  no- 
stre ;  però  il  fatto  che  qualche  volta  al  t  corrisponde  pure  la  semplice  i  (^),  sembra 

(!)  Abbiamo  già  veduto  che  az-Zohrì  parla  di  70  dotti  riuniti  per  questo  lavoro.  Il  numero  di 
70  non  è  a  prendersi  alla  lettera,  poiché  esso  ha  acquistato  ti-a  i  musulmani  un  significato  quasi 
simbolico,  su  cui  si  può  veder  lo  scritto  dello  Stein  s  eh  neider  nella  Zcilschr.  d.  deutsch.  mor- 
genl.  Gesellsch.  IV,  1850,  p.  145  sgg. 

(2)  Kitàb  al-Fihrist  p.  268. 

(3)  Di  più  noi  non  conosciamo  la  lezione  precisa  del  testo  tolemaico,  che  serv'i  di  base  o  al 
supposto  traduttore  siro  o  ai  dotti  d' al-Ma"mùn  ;  certi  errori  potrebbero  rimontare  al  manoscritto 
greco  adoperato. 

[*)  P.  es.  Ot/«ecr>;f  =  Yùhardìs  (f.  4.3,v.;  ms.  ,j^>yL^y,  —  X«/?);pof  =  Hàbìros  (f.  32,r.:  nel 
ms.  senza  punti);  —  Xr;.»;,u«.»  =  Hilimàt  (f.  32,r.;  nel  ras.  JjU_«J.a.)  ;  —  //nv^ts"  =  Dawhis  (f.  9,v.; 
nel  ms.  ^_,.v»-^a.^^).  —  Vi  sono  tre  sole  eccezioni  :  \h?  =  Kiyus,  JQ(aanx>)  =  Dorosàqt,  '  Iriax'  = 
fnisqi  (ms.  (jJ->.*t^ol)  ;  le  quali  si  spiegano  facilmente  mediante  lo  scambio  di  X  con  K  che  spesso 
ha  luogo  nei  mss.  greci. 

(•'•)  P.  es.  TotiVcffo?  =  Tundiyùs  (f.  32,r.;  nel  ms.  senza  punti);  TouVk?  =  Tùnas  (f.  32, r.;  nel  ms. 
senza  punti)  ;  Oìl^eviov  =■  Uksinton  (ms.  senza  punti). 


—  22  — 

far  prevalore  l'ipotesi  d'iiua  (itrivazione  diretta  dal  greco.  Molto  maggior  peso  ha  il 
fatto  che  por  esprimere  la  y  greca,  al  lluwàrizmi  adopera  sempre  la  «;  (-jayn)  {'), 
suomi  che  manca  al  siriaco.  I  siri  trascrivono  sempre  la  y  greca  col  loro  g  (pronun- 
ziato duro,  non  palatalo);  ma  la  ij  .siriaca,  tanto  delle  parole  indigene,  quanto  delle 
forestiere,  è  sempre  rappresentata  dagli  Arabi  colla  palatale  ij\  quindi  un  testo  siriaco 
nel  nostro  caso  sembra  da  escludersi.  Inoltro  il  ms.  non  ci  dà  alcun  esempio  di  h 
sostituita  da  /*,  o  viceversa  ;  laddove  il  siriaco  potrebbe  facilmente  dar  luogo  a  con- 
fusione fra  k  (=^  A,  x)  «  ''■  E  poiché  già  molto  prima  d'al-Mamiin  gli  Arabi  sape- 
van  leggere  testi  greci,  e  poiché  d'altra  parte  la  geogratia  o  le  carte  di  Tolomeo  non 
richiedono  che  cognizioni  linguistiche  elementarissime,  cos'i  l'ipotesi  dell'uso  diretto 
del  testo  colle  carte  greche  mi  sembra  preferibile  a  quella  d'un  tramite  siriaco. 

Stabilire  l'anno  preciso  in  cui  il  libro  fu  redatto  è  impossibile  ;  e  forse  una  sola 
limitazione  certa  si  può  fare  ai  20  anni  di  regno  d'al-Ma'mùn.  Fra  le  località  del- 
l'Egitto, al  f.  3,v.  è  segnata  Qiraan  (nel  ms.  ^^\  villaggio  di  nessun  conto  del  Sa'ìd, 
che  i  geograti  arabi,  eccetto  Yàqiit  (IV,  177),  non  ricordano  neppure.  L'unico  titolo 
per  cui  al-Huwàrizmi,  oppure  l'autore  della  carta  al-ma'mùniana,  lo  accolse  fra  tante 
città  molto  più  importanti,  mi  sembra  essere  lo  scontro  avvenuto  presso  quella  loca- 
lità fra  as-Sari  ben  al-Hakam  o  Suleymàn  ben  Ùàlib  nel  201  eg.  (30  luglio  816— 
l;t  luglio  817);  se  la  mia  ipotesi  è  giusta,  la  composizione  del  K'dùb  furai  al-ard 
non  può  essere  anteriore  a  questo  anno,  e  neppure  di  molto  posteriore,  perchè  altri- 
menti il  ricordo  della  scaramuccia  di  Qiman  avrebbe  perduto  ogni  importanza.  Si  può 
dunque  ritenere  che  la  carta  al-ma'mùniana  e  l'opera  tosto  ricavatane  da  al-Huwà- 
rizmì  siano  state  redatte  fra  il  20l  e  il  210  dell'egira  (817-826  d.  Cr.). 


Sussidi   per  la  critica   (1<>1  lesto. 

Ed  ora  possiamo  esaminare  il  contenuto  geogratìoo  del  libro.  11  bene  però  avver- 
tire ancora  una  volta  che  l'indole  della  scrittura  araba  e  la  mancanza  molto  frequente 
dei  punti  diacritici  nel  ms.,  rendono  incerta  la  lettura  non  solo  dei  nomi  propri,  ma 
anche  delle  cifre.  Gli  scambi  più  frequenti  sono  fra  3  ^  ed  8  ^  ;  fra  4  >,  6  5,  7  j 
(nel  ms.  sempre  ^  che  sarebbe  200)  e  .'>  0,  (quand'  è  unito  ad  altra  cifra):  fra  10  i 
(-.)  e  óo  i  (-L),  quando  siano  uniti  ad  altra  cifra;  fra  80  »  e  100  ».  Per  ristabilire 
il  testo  dei  numeri,  oltre  al  confronto  tra  i  vari  luoghi  del  libro  ove  lo  stesso  nome 
ricorre,  ed  oltre  al  confronto  colle  località  vicine,  stanno  a  mia  disposizione  i  mezzi 
seguenti  : 

1.  Siccome  al-Huwàrizmi  enumera  le  città,  i  monti  ecc.  di  ciascun  clima  0 
zona  secondo  la  loro  progressiva  distanza  dal  meridiano  iniziale,  cos'i  ci  fornisce  in 
molti  casi  un  elemento  sicuro  per  determinare  le  longitudini. 

{')  .Si  fa  eccezione  per  '.laxijiovQyioy  -^  .Vsriibiìrqiyùn  (ms.  Oy^)y'~^^)  <  "vo  prubaliilmcute 
si  Bvovu  un  errore  ncll'uriginaic  greco;  e  per  /np/i.f  =  Ganéis,  che  era  una  forni;i  entrata  già  da 
lungo  tempo  nell'arabo  (il  Fùy}  >;ì  di  Taprobano  =  Uan^Ss). 


—  23  — 

2.  Una  lista  di  291  posizioni  che  l'astronomo  Ibn  Tùnus,  morto  nel  309  eg. 
(f)  sett.  1008 — 24  ag.  1009)  inserì  nel  suo  celebre  ^  Libro  della  Gran  Tavola  Hà- 
kimita  «  {Kitàb  a:-siij  al-kabìr  al-hnkim}),  a  pag.  133-1:^G  del  manoscritto  della  Bi- 
blioteca di  Leida  (ms.  or.  143;  Catal.  Ili,  88,  nr.  1057)  (').  Ibn  Tunus  non  indica 
da  che  libro  abbia  tolto  i  suoi  dati;  ma  un  semplice  confronto  mostra  che  la  sua 
fonte  è  il  .Kitàb  suraf  al-ard,  o  un  derivato  di  questo,  fatta  eccezione  per  10  paesi 
dell'Egitto  e  per  41  villaggi  sulla  via  da  Ba'idàd  ad  el-Medìnah  ed  alla  Mecca  (-), 
i  quali  non  sono  menzionati  in  al-Huwàrizmì,  od  inoltre  per  20  altre  località  prove- 
nienti da  altre  tavole.  Rimangono  220  indicazioni  comuni  alle  due  opere;  però  11  sono 
ripetute. 

3.  Una  lista  di  92  città  che  Abù  '1-fidà'  estrasse  dal  rasm  al-ma'mur;  alle 
quali  vanno  aggiunte  23  altre  posizioni  di  monti,  fiumi  e  laghi  (^). 

4.  Il  testo  di  Tolomeo,  che  può  dar  qualche  aiuto  nelle  cifre  sovra  tutto  col 
fornire  indicazioni  sulla  posizione  relativa  di  località  vicine. 

5.  Yàqùt  nel  suo  gran  dizionario  geografico  cita  30  posizioni  secondo  la  ^  Ta- 
vola Astronomica  "  {az-zUj)  di  Abù  'Awn  Ishàq  ben  'Ali  {%  delle  quali  27  sembrano 
derivare  da  al-Huwàrizmì;  le  altre  tre  (Sin'àr,  Qinnasrìn,  Ral.ibah  Màlik)  non  sono 
menzionate  nel  Kilàb  silrat  al-ard.  Tuttavia  nelle  cifre  che  Yàqùt  riporta  v'è  talora 
qualche  errore  grossolano  che  è  impossibile  attribuire  ad  Abù 'Awn;  p.  es.  quando  a 
Nasìbìn  è  assegnata  la  long,  di  27°30',  ed  a  Singàr  quella  di  30°0'.  L'utilità  che  si 
ricava  da  questi  frammenti  d'Abù  'Awn  è  dunque  minima. 

Ho  già  dovuto  citare  (v.  nota  1,  pag.  14)  un  luogo  d'al-Battànì  ove  questi  dice 


(1)  E  Lelewel,  Geogr.  t.  I,  Cartes  de  géographes,  p.  165-177,  iiubblicò  queste  tavole  secondo 
una  copia  inesatta  del  ms.  di  Leida,  ed  a  p.  43-62  tentò  di  ricostruire  la  carta  di  Ibn  Yùnus.  Ma 
gli  errori  della  copia  a  sua  disposizione,  la  mancanza  di  molti  geografi  orientali  che  attualmente 
si  posseggono,  infine  la  sua  ignoranza  della  lingua  araba  bau  fatto  si  che  il  tentativo  del  Lelewel, 
per  quanto  ingegnoso,  in  molti  punti  fallisse  del  tutto. 

(2)  Delle  località  costituenti  questo  itinerario  non  è  indicata  la  longitudine;   invece  si  hanno 

due  colonne  parallele  di  latitudini,  come  avverte  una  nota  marginale   (p.  135):    uy ^   Jp}j — * 

(1.  ^^j^yii)  ^^y^y^jì  Mj^  ^-^  dS^  (sic)  ^y^  "  latitudini  delle  stazioni  [sulla  via]  della  Jlekkah 
[a  partire]  da  Bagdad,  in  due  modi  ».  Il  medesimo  itinerario,  espresso  in  latitudini  ed  anche  in 
miglia,  si  trova  in  al-Hamdàni,  Geographie  der  arabischen  Halbinsel,  herausg.  von  D.  H.  Miil- 
ler.  Leiden  1884-91,  p.  183-185);  le  cifre  di  quest'ultimo,  meno  alcune  lievissime  differenze,  con- 
cordano con  quelle  della  seconda  colonna  (a  sinistra)  d'ibn  Yùnus. 

(3)  Dì  pili  vi  sarebbe  quel  passo  relativo  all'  isola  di  Thule  che  fu  soppresso  nel  testo  arjbo 
del  lioinaud,  e  che  sopra  ho  riferito  secondo  la  traduzione  latina  del  Reislie.  Ma  le  cifre  non  corri- 
spondono aifatto  con  quelle  (certo  esatte)  del  ms.  d'  al-Huwàrizmi.  Tre  posizioni  citate  da  Abù  '1-fidiV 
come  tolte  dal  rasm  (Fayd,  ar-RohhaL',  .\mid)  mancano  nel  ms.  di  Strasburgo.  Bisogna  poi  ricor- 
dare che  nel  testo  d'Abù  '1-fidà'  non  si  fa  mai  distinzione  fra  j-  8  e  ^  3,   e  neppure  fra  *^.  15  e 

* — >  55. 

(•<)  Non  sono  in  grado  di  fornire  alcuna  notizia  precisa  su  questo  autore  il  cui  nome  non  trovo 
in  altro  opere.  —  Al-Fargànì,  contemporaneo  d'al-Huwàrizmi,  nel  suo  breve  compendio  d'astrimomia 
(Alfragani,  Elementa  astronomica  arabico  et  latine,  cura  J.  Golii.  Amstelodami  1669)  enumera 
le  città  principali  d!  ciascuno  dei  7  climi  (senza  coordinate  geografiche)  citando  quasi  soltanto  nomi 
che  ricorrono  in  al-Huwàrizmì.  Avremo  occasione  di  trarre  da  questo  fatto  alcuna  utilità  ]ier  assi- 
curare talvolta  la  lettura  del  nostro  ni'i. 


—  24  — 

d'aver  segnato  le  latitudini  e  le  longitudini  delle  varie  città,  basandosi  sulle  indica- 
zioni del  Kitdb  fiìral  al-ard  ;  egli  però  avverte  che  in  questo  libro  si  trovano  errori 
di  latitudini  0  longitudini,  lasciando  così  capirt?  d'aver  corretto  molte  delle  indicazioni 
trovate.  Basta  infatti  considerare  le  tavolo  d'al-Battrmi  (')  per  convincersi  che  egli 
si  sforzò  di  metter  d'accordo  il  Kìlàh  xùrat  al-anl  coH'opera  di  Tolomeo,  dando  spesso 
decisamente  la  preferenza  a  quest'ultimo,  e  conservando  talora  nomi  greci  per  località 
che  più  non  esistevano  o  che  avean  preso  da  lungo  tempo  una  nuova  denominazione 
aralia.  La  tavola  poi  delle  !>4  provincio  od  epareiiie  è  tolta,  come  dice  lo  stesso  al- 
Battànt,  dalla  Yf<^Y9"V'>"  «V'/T'/'^'si  g  non  ha  nulla  a  che  fare  coU'opera  dal-Huwà- 
rizmì.  Sembrerà  strana  questa  preferenza  accordata  a  Tolomeo  e  costituente  un  vero 
regresso;  e  la  spiegazione  ne  va  cercata,  se  non  m'inganno,  nelle  condizioni  in  cui 
si  trovò  al-Battàui  (morto  nel  317  eg.  —  14  febbr.  'J2y— 2  febbr.  OiJU).  La  città  di 
Harràn,  dalla  quale  usciva  la  sua  famiglia,  non  solo  avea  lottato  vittoriosamente  contro 
il  cristianesimo  s"i  da  meritare  il  titolo  di  'E?.lrywr  nóhc,  o,  presso  i  Siri,  di  Jldì[^n]- 
thiì  dh-l.ianpà\é  -  La  città  dei  pagani  ' ;  ma  ancora  nei  primi  secoli  dell'egira  man- 
tenne viva  la  tradizione  del  paganesimo  e  della  cultura  ellenica,  dando  cosi  origine 
ad  una  potente  scuola  scientifica  mista  d'elementi  greci  ed  aramaici,  la  quale  visse 
per  un  certo  tempo  quasi  appartata  ed  esercitò  da  ultimo  una  forte  azione  sulla  cul- 
tura musulmana.  A  questa  scuola  apparteneva  per  lunghe  tradizioni  di  famiglia  lo 
stesso  al-Battani,  che  anzi  ricevette  l'epiteto  di  sàbi',  col  quale  i  musulmani  desi- 
gnavano gli  ultimi  seguaci  del  paganesimo  confinati  ormai  nel  territorio  di  Harràn. 
Una  traduzione  della  geografia  di  Tolomeo,  migliore  che  quella  eseguita  o  fatta  ese- 
guire da  al-Kindì,  fu  compiuta  da  Tàbit  ben  Qorrah  (m.  288  =  26  dee.  900 — lo  de- 
cemb.  901),  non  solo  quasi  coetaneo  d'al-Battàni ,  ma  come  questi  appartenente  per 
origine  e  per  tradizione  scientifica  alla  scuola  di  Harràn.  L' influenza  di  Tàbit  ben 
Qorrah  potè  quindi  spingere  più  del  giusto  il  nostro  astronomo  verso  Tolomeo,  e  far 
sì  che  le  tavole  albateniane,  troppo  fedeli  all'opera  greca,  ci  dessero  scarsi  aiuti  per 
ristabilire  il  prospetto  delle  città  d'al-Huwàrizmi. 


VI. 

Esame  del  testo:  IVAfricu. 

,  Prima  d'esaminare  più  da  vicino  l'opera  d'al-Huwàrizmì,  è  necessario  stabilire 
quale  sia  il  meridiano  iniziale  adoperato.  L'autore  non  dice  nulla  in  proposito  ;  mail 
confronto  tra  le  longitudini  tolemaiche  e  quelle  del  Kiiàb  Ritrai  al-ard  per  i  paesi 
situati  vicino  alle  rive  dell'Atlantico,  non  lascia  dubbio  che  al-Huwàrizmì  si  serva 
del  meridiano  tolemaico  delle  Isole  Fortunate.  Kra  necessario  osservar  questo,  perchè 
Abù  '1-fidà',  mentre  dichiara  (pag.  73)  che  tutte  le  longitudini  ricordate  nei  suo  libro 
parlano  •  min  .^aiiil  al-bal.ir  ai-garbi  »,  dal  meridiano  delle  rive  dell'Atlantico,  «  il 

(')  l'ublilicate  in  arabe  f  francese,  sccoikIm  il  ms.  ik-H'Escurialo,  dalLclewel,  t.  IV,  fipilo- 
gue,  pag.  64-93. 


—  25  — 

t  quale  differisce  di  10  gradi  (ad  E.)  da  quello  delle  Isole  Eterne  »,  puro  dà  le  cifre 
longitudinali  d'al-ljinvàrizmì  senza  ridurle  di  10  gradi.  E  spesso  le  cifro  del  Kitàb 
mrat  ai-ani  coincidono  con  quello  di  geografi  ed  astronomi  posteriori,  che  dicono  di 
contare  le  longitudini  dalle  spiaggie  dall'Atlantico.  Questo  fatto  ha  importanza  per 
la  storia  della  geografia  araba,  dimostrando,  al  contrario  di  quanto  si  credette  sin 
qui  ('),  che  il  successore  diretto  del  primo  meridiano  tolemaico  delle  Beatorum  in- 
sulae  {MaxcéQior  vìaui)  è  il  meridiano  delle  rive  dell'Atlantico,  diverso  dal  primo 
solo  per.il  nome;  e  che  invece  il  meridiano  delle  fsole  A7er«e  al-^azà'ir  al-l.'àlidàt, 
a  10  gradi  Ovest  delle  sponde  occidentali  dell'Africa,  è  un'invenzione  di  geografi  arabi 
posteriori  i  quali  non  avevano  più  coscienza  dell'  identità  del  primo  meridiano  occi- 
dentale col  primo  meridiano  tolemaico.  Ma  questa  invenzione  rimase  sempre  teorica, 
senza  conseguenze  nel  campo  pratico. 

L'Africa  occidentale  è  una  delle  parti  ove  più  si  sente  l'imitazione  di  Tolomeo. 
Nelle  coste  dell'Atlantico,  che  sono  descritte  (f.  15,v.)  a  cominciar  dall'equatore,  è 
accennata  meglio  che  nel  libro  greco  la  curvatura  africana,  avendosi  la  serie  seguente 
di  coordinate  (-)  : 

long.  20"0'                lat.  ono'  long.  7°0'  lat.  12<'30' 

17"0'  (var.  5')         3°0'  (ms.  j.)  OHS'                        12°20'  (sic) 

9°0'                        8030'  a  cui  se-  9045'                        \Q''0' 

gue  una  grande  sporgenza  (qowàrah)  10"0'                          17''0' 

dopo  di  che  ha  luogo  una  insenatura  triangolare  (sàbùrah).  A  partire  da  questo  punto 
il  divario  da  Tolomeo  è  piccolissimo  e  senza  importanza,  come  appare  anche  dal  con- 
fronto delle  foci  dei  fiumi  (f.  31,r.  e  31, v.;  Ptol.  IV,  6,  5-G): 

Darados(3)  9020'  13°20'  Jàqaòo^  ICO'  IS'O' 
Fiyàdis,  cioè  Nahr  al-hayyàt 

(fiume  dei  serpenti)  (^)  20''25'  'Ocpioóórjg  10"0'  20''0' 

Hùsayros  (5)  9°45'  21045'  XovadQiog  10"0'  2l"40' 

Sàbos  ('')  QoQ'  25040'  2o€^og  d^O'  ^ò^O' 

L'Africa  settentrionale  ha  una  miscela  curiosa  d'elementi  tolemaici  con  elementi  nuovi 
musulmani;  i  geografi  d'al-Ma'món  pare  non  abbiano  tentato,  od  almeno  non  siano 
riusciti  a  coordinare  la  loro  situazione  di  Tangeri  CTangah) ,   Tunisi,   al-Qayrawàn  e 


(')  Vedi  p.  es.  Rcinaud,  Introd.  generale,  p.  CCXXXIV;  Lelewcl,  t.  I,    CarWs  de   Géogr. 
pag.  27. 

(2)  In  Tolomeo  i  imiiti  iiiìi  orientali  della  eosta  sono  Y  v-nóigo^oq  At^ionlag  (IV,  G,  7)  a  ll"ii' 
long.,  .5°]. 5'  lat.,  0  la  foco  del  fiume  MuaaUtoXK  (iljid.)  a  U°0',  6°10'. 

(3)  Ms.  ^y>});  f.  15,v.  ^'>i).  Nella  Uititiuline  il  ms.  ha  ^   ^. 

(')   Rottura  nel  ms.  Il  nome  Fiyàdis  nel  codice  fc  ^^\z;  u  fiume  dei  serpenti  »  è  traduzione 
del  nome  greco. 

('•)  Ms.   ^^^->^yt.;  f.  15,v.  ^y^.^^. 
(")  Ms.  senza  punti. 

Classe  di  scienze  mor.m.i  ecc.  —  Memorik  —   Voi.  II  Serie  .'>*,  parte  1*  4 


—  20  — 

Barqah,  colle  numerose  altre  dovute  a  Tolomeo.  Un  confronto  tra  il  greco  e  l'arabo 
mostrerà  le  conseguenze  strane  di  un  tal  fatto  ('). 


Tan>ah  (-) 

8-0' 

35030' 

Tiryi? 

6»30' 

35<'55' 

Uwaia 

lU-'O' 

20»40' 

OtaXce 

8"30' 

28"15' 

Sìqa 

31  "40' 

30°20' 

i'/xxft 

30"30' 

30°50 

Maksùlù 

35''45' 

32"0' 

Metalli  ).a 

3ii°0' 

32»40' 

Tiinis  (3) 

32<'0' 

33°0' 

Cfr.  KaQx^iSuiv 

34":)U' 

32"40' 

al-C^ayrawàn  {^) 

31»0' 

SIMO' 

Tarabulus  (^) 

40°40' 

32»0' 

'Eo)n 

41  "30' 

31<>40' 

Barqah  C^) 

43''0' 

33»45' 

BctQXTj 

49"  lo 

30''45' 

La  sconcordanza  fra  le  longitudini  tolemaiche  di  Sìqà  e  Maksùlà,  e  le  longitudini 
nuove  di  Tunisi  e  d' al-Qayrawfin,  è  manifesta;  cosi  sombra  strana  la  situazione  quasi 
greca  di  Tripoli  in  mezzo  a  Tunisi  uJ  a  Barqah. 

Invece  è  notevole  il  miglioramento  nella  posizione  delle  foci  dei  fiumi  Hilimàt 
(ora  àellif)  e  Serbis  (ora  al-Hamm:ìm)  rispetto  a  Tunisi  (f.  32,v.;  Ptol.  IV,  2,  3  e  7)  : 

Hilimàt  (")  17''45'     3200'  X,'h;nd^  IS^O'       34"0' 

Serbia  (S)  24040'    32'>0'  2V(./?rys  ig-^SO'    32"50' 

L' importante  riforma  cominciata  con  Tunisi  0  Barqah.  prosegue  nelle  località 
ad  E.  di  qnost'  ultima,  onde  l'esagerata  lunghezza  tolemaica  del  Mediturraueo  viene 
diminuita  di  l»  gradi,  come  nelle  carte  moderne: 

Qadabatmùs  ('•*)  46''0'       31";:!(y         iffar«,'?«^iUoc  ,«*>as      r)4":30'     31'M5' 

Baretoniyyà  48"4()'     31"0'  nagauóiiov  57"0'       31"10' 

Al-l8kanderi\7ah  51020'     SPO'  'Ah^cirÓQtta  60°30'    3lo0' 

Vedremo  che  questa  riforma  fondamentale  si  collega  con  una  rifusione  completa 
della  carta  greca  in  Egitto,  Siria,  Mesopotamia,  Persia  ecc. 

Nell'interno  dell'Africa  (attualo  Sudan  e  Nubia)  due  sole  città  sembrano  d'ori- 
gine tolemaica  (f.  2,v.;  Ptol.  IV,  6,  28  e  27): 


(')  Lascio  in  di.spartc  molte  località  tolemaiche  il  cui  nome  è  irriconoscibile  nel  ms. 

(•)  Le  stesse  cifre  li.i  il  rasm  in  Aboiilf.  132. 

(3)  Così  anche  il  rasm  in  Aboulf.  142;  la  latitudine  nel  ms.  e  nel  ra*"*  J.  -  L  Y.  2900', 
3300' (ms.  ^). 

(*)  L   y.  egualmente. 

(5)  Ratm  in  Aboulf.  146  egualmente.  L  Y.  40"10',  33°0'  (ms.  ^). 

(«)  Ms.  e  rasm  in  Aboulf.  MS  nella  bms;.  liannn  sen/.a  punti  ^.  La  lettura  Ut"  è  confer- 
mata dalla  serie  progressiva  delle  longitudini  nella  tavola  d'al-Huwarizini  0  dalla  descrizione  delle  coste. 

P)  Ms.  CiU-l^;   f.  I5,v.   >. 

(•)  Ms.  ^j^^y^- 

(»)  Ms.  ^>r^/- 


—  27  — 

Taraondòqanì  (I)  23°30'     18°0'  0«/ioi()ox«)«  23»0'       17°0' 

Nigìrà  (-)  25''30'     18"20'        NiyHQu  25»40'     17°40' 

Le  altre  località  provengono  da  altre  fonti:  Mura  10°30',  15V  (■'),  Kos  interna 
«  al-wàjfilah  ^  50"0',  12"30'  C),  'Alwah  (•'*),  Pazzàn  (?),  Zajj;àwah,  Gànah,  yLLS"  (forse 
la  Kiikii  degli  altri  geogratì) ,  Garmi  la  grande  34°0',  19°30',  Garmì  d' al-Habas 
41"4o',  19°40',  Donqolah  (53"0'  long.;  una  rottura  del  ms.  impedisce  di  leggere  la 
latitudine),  Bilàq  55"25',  2P40'  C'),  ^_^^  ('),  e  la  famosa  Siiiilmàsah  31"0',  21  "0'  {^). 
Al  f.  4,r.  sono  menzionate  ancora  Tfihart,  v_j^b  (1.  cu^^à'J  Tàqdemt?),  Targali  (■'), 
e  Katàmah,  tutte  località  del  Salirà'  marocchino  ;  ma  pm-troppo  il  ms.  ha  lasciato  in 

bianco  le  cifre  relative.  Il  paese  dei  Boi;ah  (f  2,v.)   fra   il  Nilo  ed  il  Mar  Rosso  ò 

• 

(')  L^3-?^""'  '^  *"■  '^^-<'^-  (_5-*-'j>^'  ^'^  '""a-  n<^l  "is.  è  fi  (28°)  30';  la  mia  correzione  ^  i  confer- 
mata dall'ordine  longitudinale  progressivo  delle  località,  da  un  passo  del  f.  29,v.,  ed  infine  da  Tolomeo. 

(2)  \j^;  f.  30,r.  ^j^.  —  Al-Edrìsl  I,  107  I^jo"  (Jaubert :  Taghiza);  però  la  carta  itineraria 
nel  ms.  Asselin  ha  'j-:^  iXigini.  È  notevole  il  fatto,  sin  qui  non  osservato,  che  la  carta  itineraria 
del  1°  e  2°  clima,  contiene  in  Africa  certi  nomi  non  ricordati  nel  testo  i  quali  derivano  da  Tolomeo. 
Eccone  alcuni  esempi  sicuri  che  tolgo  dalle  riproduzioni  della  carta  poste  alla  fine  del  1*  volume 
d'al-Kdrìsì  e  nel  1°  volume  del  Lelewel;  i  nomi  fra  parentesi  sono  la  trascrizione  del  Lelewel: 
monte  ^■:~^)^  (Lurtis),  1.  ^j,'.'~^^^\  ='AQovc<Xxt]g;  monte  ^^^  (Kakus),  1.  ^j^ — n^^Kdifttg; 
monte  ^  (Tsela)  =  e>ià.ci;  monte  cjWj^  (Garitan),  1.  ^;jiojU=  r«p^«roj';  monte  ..j^'-:^*  (Kaìs), 
1.  ^j^-JJ\="F.'kecfa.;;  monte  ^JjJ  (Lunia,  ^^^  d"al-Huwàr.,  '^^  in  Ibn  lyàs,  Badd'i'  az-zoMr, 
Cairo  1310,  p.  29j,  1.  ^^^  =  Ai^vxà  o  Ai^vtjs  igt;.  Tutti  questi  nomi  si  trovano  in  al-Huwàrizmì  (vedi 
pili  innanzi!.  Troviamo  pure  il  monte  ^_j-»..~-«.^  (Dzerdzis),  e  la  città  di  |;^  (J/wra),  che  non  hanno 

forse  corrispondente  in  Tulomeo,  ma  che  figurano  nel  Kitdb  RÙrat  al-ard  colle  forme  ^jf o^^jJ». 

(f.  ll,r.;  al  f.  31, v.  ^^y'.y^y^.  e  ^-^--^^r^).  e  U^  (f.  l,v.).  —  Sulle   deduzioni   possibili    da  questo 
fatto  e  da  altri  consimili,  si  veda  la  mia  Conclusione   e   i   richiami   indicati  nella  nota   1,  pag.  .52. 

(3)  Mura,  come  dissi  nella  nota  precedente,  ha  riscontro  solo  nella  carta  itineraria  di  al-Edrìsl, 
ove  è  posta  non  lungi  dalle  rive  dell'Atlantico. 

(')  Probabilmente  la  Kùsah  o  Kùsà  d'al-Edrisì,  I,  27;  Kùsah  d'Abù'lfidà"  (151  e  1.59) 
e  di  ad-Dimasqì  (389).  Nelle  tavole  di  al-Battàni  (presso  Lelewel,  t.  IV,  Épiloyue,  p.  69) 
s'incontra  AXs^ljJl  o^3^'  «he  va  letta  iJ^WI  J^^  a  Eùs  l'interna  "  50"0',  12''0'.  Il  Lelewel 
credeva  a  torto  di  dover  leggere  ^_j.^^  Kùsin,  per  scoprirvi  un  supposto  ebraismo  (kù-siyyim  = 
Etiopi,  da  kùs  che  nella  Bibbia  indica  forse  l'Etiopia). 

(^)  Su  'Alwah  vedi  al-Ya'qùbl  335-33(1,  Ibn  al-Faqih  78  (che  scrive  'Aiwa),  al-Edrìsì 
I,  33  (ove  per  errore  Galwah). 

(6)  Sopra  un'isola  del  Nilo  a  S.  di  Aswàn;  vedi  al-Ya'qùbì  334;  al-Edrìsì  I,  27,33,34, 
36,  37;  Yàqùt  I,  710.  —  I.  Y.  ha  Bùlàq  (sic)  colle  stesse  cifre  d'al-Huwàrizmì. 

C)  FoL  2,v.  colle  cifre  61°0',  21°45'.  Ibu  Y'ùnus  ha  ^y^  colle  stesse  cifre.  Il  Lelewel 
(t.  I,  Cartes,  p.  59,  nota  147)  crede,  e  mi  sembra  con  ragione,  che  si  tratti  di  lUargii  (Ptol.  IV,  7, 
15:  61°0',  20°40'),  per  la  quale  si  mantenne  la  posizione  tolemaica  invece  di  metterla  in  armonia 
colle  località  vicine.  In  tal  caso  il  nome  si  leggerebbe  v_5;-«a»  Fisrì.  —  Sembrano  far  parte  del  de- 
serto libico  c^}}^  {f.  3,r.:  5000',  28''0';  f.  32,v.  ^35^=;  I.  Y.  ^y.^U»  eolle  stesse  cifre),  e  U=J.;lj 
(f.  3,r.:  52»0',  27"'30';  I.  Y.  Uu^L»  colle  stesse  cifre). 

(8)  Città  fondata  nel  140  eg.  (25  Maggio  757—13  Maggio  758)  e  corrispondente  all'odierna 
oasi  di  Tàfilàlt.  Su  di  essa  vedi  specialmente  al-Bekrl  (Description  de  VAfrique  scptentrionale  par 
Ahou  Obeid  el-Bekri,  texte  arabe  publié  par  le  Baron  De  Slane.  Alger  1857,  p.  148-152), 
e  G.  Kohlfs,  Sifiihndsa  iind  T<l/ìlcU  (Zcitschr.  d.  (ics.  f.  Erdk.  zu  Berlin,  voi.  XII,  1877.  p.  335-346). 

{^)  Nel  ms.  <>*^.  Era  a  due  giornate  da  Sigilmàsah,  e  col  crescere  di  quest'ultima  fu  abban- 
donata (al-BekrJ,  op.  cit.  p.  148). 


—  28  — 

rapprosoiitato  da  Madia  az-zuinuinid  -  la  miniera  di  smeraldo  ^  iù°o',  21"5."»',  e 
Ma'din  ad-ilahab  «.la  miniera  d'oro»  .")7"5ó'.  21"4r)',  dne  luo<,'hi  che  gli  scrittori 
arabi  ricordano  spesso  ('). 

Le  sponde  africane  dcìV Oceano  Indiano  (al-l)ahr  al-alidar  -  il  Mar  Verde  «) 
ebbero  pure  diminuita  di  circa  lo  «radi  la  loro  lon<?itu(line.  Secondo  i  f.  17,v.  e  lH,r. 
il  Mar  Verde  si  stacca  dal  Mare  d'al-Qol/.um  (Mar  Rosso)  a  64"4u',  10"20',  si  dirige 
a  G^^SO',  h°bb'  (sic),  poi  tocca  una  città  anonima  la  cui  posizione  al  f.  l,v.  è  fissata 
a  ()1)"30',  tì"0'.  e,  girata  una  qowàrah  o  grossa  sporgenza  rotonda,  bagna  Medinat  at- 
Tib  e  Fanànà  giungendo  a  72"3o',  4"2u'. 

Seguono  le  seguenti  posizioni  a  Sud  dell'equatore: 


66°20'                0''20'  S. 

esoQ 

7"30'  S. 

68»40'                3»30'  S. 

esoQ' 

IS-O'  S.  (ms.  ^) 

Cittil  di  Rafàtfi 

72<'0' 

14»0'  S.  (var.  ló<>0') 

dopo  di  che  corre  bruscamente  sino  a  112"0',  14"0'  S.  —  Le  città  lungo  questo  tratto 
di  costa  sono  tutte  tolemaiche,  salvo  la  correzione  longitudinale  (f.  l,v,  ;  Ptol.  IV, 
7,  10-12): 

Rafàtà  (2)  65"0'  7''0'  S.  'Parità  71"0'         l^Q'  S. 

Fanànà  (^^  72"30'         4"45'  N.  Tlinmv  x(ó{ii]  82"0'         ó^O'  N. 

Medinat  at-Tib  {*)  72"0'  5»30'   N.  'Aqu^iatu  èintóq.     83"0'         «"O'  N. 

I  punti  estremi  N.  e  S.  del  bal.ir  al-Qolzum  {Mar  Rosso)  conservano  la  diffe- 
renza latitudinale  di  circa  18"  che  ù  data  da  Tolomeo;  invece  la  ditlerenza  fra  le 
longitudini  relative  subì  a  torto  una  diminuzione  di  3  gradi: 

al-Qolzum  (•■)  56''30'  28<'20'     K/.va,ua  63"20'  28"50' 

termine  del  mare  di  al-Qolzum  G4"40'  10<'2U'    Jéi^i^,  limite  del  golfo  arabo  74"30'  1 1"0' 

In  compenso  fu  corretta  la  profonda  insenatura  tolemaica,  ad  angolo  quasi  retto, 
del  golfo  arabico  meridionale,  diminuendola  di  circa  2  gradi  in  long,  e  facendo  così 
procedere  più  regolarmente  la  costa  africana  dall'  attuale   stretto  di   Bàb  al-mandeb 


(')  Ibii   Vilnus  dù  per  ambedue  le  stesse  cifre. 

(«)  Ms.  Itljl;  f.  18,r.  UjIsI^.  Nella  lat.  il  ms.  ha  ^  8";  la  correzione,  che  concorda  colle  cifre 
di  Tolomeo,  è  richiesta  dalla  descrizione  dello  costo  (f.  18,r.  )  citata  sopra. 

(^)  Ms.  IjUji  ripetuta  poco  dopo  colla  forma  ULi»;  f.  18,r.  L>lXi. 

(*)  Il  nomr  arabo,  chi'  significa  «  città  degli  aromi  n  è  la  traduzione  del  greco.  Nel  ms.  una 
rottura  lascia  vedere  nella  lat.  solo  i  minuti  :iO';  la  mia  restituzione  si  basa  sul  seguito  delle  coste 
citato  sopra,  per  cui  la  «  città  degli  aromi  »  Tiene  a  trovarsi  fra  6''0'  lat.  e  Fanana  {4°4.5'  lat.).  ^^ssa 
è  confermala  dalla  latitudine  tolemaica.  —  I.  Y.  72''0',  1.5":J0' (sic!);  al-Battani,  che  per  le  lon- 
gitudini segue  Tolomeo,  82"0',  :W"30'  (sic!),  onde  il  Lelewel  (t.  IV,  Kpiloguc,  p.  87)  credette  d'aver 
a  fare  con  una  città  dell'Arabia,  e  la  confrontò  a  torto  con  H«r;i«  (Ptol.  V,  19,  6:  72»45',  30°30'). 

(';  ^'ol.  3,v.  —  Le  stesse  cifre  in  I.  Y.  e  nel  rasm  (Aboulf.  116). 


—  29  — 

tino  alla  nostra  Sués.  Anche  la  posizione  di  Adulis  o  Adiile  (f.  l,v.;  Ptol.  IV,  7,  8) 
fu  molto  migliorata: 

Aduli  (I)     58"30'     Vào-ÒO'  'ASovh^     GT^O'     IIHO' 

Il  sistema  oro-fd/'ogra/ìco  africano  è  in  massima  parte  tolemaico.  Certi  nomi 
del  ms.  non  hanno  riscontro  sicuro  nel  testo  greco  (-');  ma  la  maggior  parte  corrispon- 
dono nel  nome  e  nelle  cifre  ai  dati  di  Tolomeo.  A  Sud  dell'equatore  (f.  9,v.)  sono  i 
monti  seguenti  (Ptol.  IV,  0,  6)  : 

„,..„,  i     8°30'     0''50'  S.  ^       .    -  ,.„.,,     „„„.,  Q 

Dawhis  (3)  I  jg„g^,     ^„_,  g      j     Javxn  15"0      8"2o    S. 

Inesqi  (^)  j  3^^^,     ^^^^^,  g_  j      Ivea^c  25o0    13"0    S. 

(    Q70A'  (iof)'    Q         \ 

Bàrdìlùn  I  ^^„^,       y^,  l     j     5«^J,rov  45''0'     CO'  S. 

-  ,  ,     ,  (  46''30'  11°30'  S.  )     ^  ,  ,        „         (  47°0'  12<'3(j'  S.  ) 

Gehel  al-qamar    J  ^^„.^,  ^^^3^,  g    ^     le^vr,,  ago,    ^  g^„^,  ^^030'  S.  ) 

L'identitìcazione  dei  monti  ^yxìb,  ^jU_<*o..,  ^M=r"  ed  I — :^J-:^«-JU  i  quali  sono 
nell'Africa  a  S.  dell'  equatore,  mi  riesce  impossibile. 

A  N.  dell'equatore  è  facile  riconoscere  i  monti  Kdqag  Qàfas  (ms.  ^-^li),  il  Oulcc 
Talà,  V'AQovcéXTrjc  Arwaltìs  (ms.  ^,x^l^y),  il  rap/SaTor  Gàrbaton,  Y " Eltq ug  Eidas 
(ms.  senza  punti),  i  At^vxà  oqì,  Liìbiyà  (ms.  US' J)  ;  e  nel  IH"  clima  V'Arkag  itieiCov 
Atlas  al-kabir,  il  Jovqòov  Durdùn,  il  Muóf^ov^akov  (ms.  ^J,^ — - — ^:s-o,  che  leggo 
^yJòj^),  il  Kiva^u  Qìnabà  (ms.  Lu-o),  il  (pqovQuiaov  Fm-ùraTgùn  (ms.  ^^.^), 
il  BiQiv  Birìn  (ms.  ^,jA,  '\\  raqnQ  Garas  (ms.  ^f\)  ecc. 

L'  idrografia  mostra  maggiore  indipendenza  da  Tolomeo.  Il  fiume  Jd^nóog  (Da- 
rados,  Daratùs)  {^)  cresce  d'importanza  ricevendo  un  numero  notevole  d'attiueuti;  tra 
questi  ultimi  è  un  fiume  anonimo  (corrispondente  senza  dubbio  al  NCyeig,  IV,  6,  14), 
il  quale  nasce  a  24°0',  20"30',  bagna  la  città  di  Nigìrà  (vedi  nota  2,  pag.  27)  e  rag- 
giunge il  Darados  a  26020'  long.,  18^20'  lat.  —  È  notevole  l'esistenza  d'un  lungo 
fiume  anonimo,  così  descritto  al  f.  30.r.;  «  Nasce  a  42'^30'  (var.  44"30'),  1P40',  si 
1.  dirige  a  39°30',  16"40',  tocca  la  città  di  Garraì  la  grande  (vedi  sopra)  taglia  il 
«  monte  ^^[s.^^  (")  alla  long,  di  31"0' ,   ed  alla  medesima  long,  traversa  pure  uu 

(')  Nel  ms.  la  lat.  è,  por  i  gradi,  ^..  La  lettura  -s»  è  autorizzata  anche  dal  fatto  che  Adiìlì 
6  compresa  nel  1°  clima,  il  quale  giunge  solo  fino  a  16''27'  N. 

(^)  Per  alcuni  esempi  che  ricorrono  anche  in  al-Edrìsi  vedi  pag.  27,  nota  2. 

(3)  Leggo  ^j^-..^^>;  il  ms.  ha  c^'-^^'^)^-  '^''-''  "'onti  al-Huwàrizmì  indica  le  coordinate  di  cia- 
scuna estremità;  Tolomeo  indica  per  lo  ])iii  solo  il  centro. 

(■•)  Leggo  ,_yiòi«-ò\;  il  ms.  (,y>-«-'«^'- 

(5)  Al  f.  31  ,r.  ^>});  f-  ir),v,  ^^5;;  f  29,v.  tre  volte  ^^)>.  Cf.  sopra. 

(0)  Lo  stesso  si  legge  al  f.  ll,r.  nel  catalogo  dei  monti;  sembra  identico  -M' OvaÙQyaXd  di 
Tolomeo  IV,  6,  10. 


—  30  — 
-  iiu  monto  giallo;  poi  tocca  al-Qayrawrin  alla  long,  di  31  °0'  e  sbocca  in  mare  a  SPSO' 
.  long.  32"40'  lai.  —  A  39"40',  16°40'  riceve  un  altluente  che  si  forma  a  45''30', 
•  21°0'  per  l'unione  di  due  fiumi  provenienti  ciascuno  da  una  delle  due  bol.iayràt 
^  as-salàl.iir  (cioè  lagune  delle  testuggini)  (').  Di  queste  la  prima  trovasi  a  4r)"0',  22"20', 
»  la  seconda  a  4(>"2o'  (var.  3u'),  22"U'  -.  Se  non  m'inganno,  si  avrebbe  qui  la  più 
antica  rappresentazione  di  quell'intricato  sistema  di  wàdì  del  SahiS',  che  si  forma 
negli  altopiani  di  À'.iaqqar  (o  Hoqqfir)  e  di  Tassili,  e  che  scorre  a  N.  col  nome  di 
wàdì  Yùarù'ar  sino  a  raggiunger  quasi  lo  sott  liei '.ir.  La  complicata  idrografia  del 
bacino  degli  sott  algerini  e  tunisini  può  spiegare  l'orrore  degli  Arabi  antichi  di  far 
giunger  quel  lungo  letto  d'acqua  sino  ad  al-Qayrawàn. 

Il  corso  superiore  del  Nilo  corrisponde  nei  suoi  tratti  essenziali  all'idea  tole- 
maica ;  però  ha  già  ricevuto  quei  maggiori  particolari  che  sono  rimasti  in  tutti  i  geo- 
grafi arabi  posteriori.  Dal  gebel  al-qamar  ^  monte  della  Luna  " ,  alle  rispettive  lon- 
gitudini di  48°,  49°,  50°,  51°,  52°,  nascono  5  fiumi,  i  quali  terminano  in  un  solo 
lago  (balil.iah)  circolare,  del  diametro  di  5  gradi,  avente  il  centro  a  50°0',  7°0'  Sud; 
dagli  stessi  monti  della  Luna,  alle  longitudini  55°20',  56"2o',  57^30',  58°20',  59"20', 
nascono  altri  5  fiumi  che  terminano  tutti  in  un  secondo  lago  circolare,  del  diametro 
di  5  gradi,  col  centro  a  57°0',  7"0'  Sud.  Da  ciascuno  dei  due  laghi  escono  4  fiumi, 
e  tutti  otto  sboccano  in  un  terzo  lago  (il  Kùrà  dei  geografi  posteriori)  situato  a  2"0' 
N.,  dal  quale  esce  un  solo  fiume:  il  Nilo.  Esso  prosegue  oltre  Donqolah  con  vario 
curvatm-e  oscillanti  fra  50°0'  e  59''20'  e  che  troppo  lungo  sarebbe  il  riferire  qui; 
raggiunge  Aswàn  (-).  percorre  l'Egitto,  e  poco  dopo  Misr  (il  Cairo)  si  divide  in  7  halìé 
0  canali,  che  raggiungono  il  mare  fra  51°30'  long,  (ramo  d'Alessandria)  e  54°30'  (ramo 
di  Damietta).  11  ramo  di  Alessandria  dà  origine  ad  altri  rami  secondari. 

Degli  altluenti  del  Nilo  è  ricordato  uno  solo,  che  corrisponde  all'  'Aatarrorc  di 
Tolomeo  ed  al  Balir  al-azraq  od  Abài  dei  moderni;  esso  è  così  descritto  (f.  29,v.): 
i.  Lago  rotondo,  situato  sull'equatore,  che  si  scarica  nel  Nilo  presso  la  città  della 
»  Nubia.  Questo  lago  (^)  ha  il  diametro  di  3  gradi;  il  suo  centro  è  posto  a  62''U'  long. 
«  Alla  long,  di  61°30'  ne  esce  un  fiume  che  si  getta  nel  Nilo  a  53°0',  16"20'  (Ptol. 
■i  IV,  7,  22;  01"0',  12''0'),  toccando  il  limite  del  1°  clima.  La  confluenza  dei  due 
>■  fiumi  ha  luogo  sopra  la  città  della  Nubia  (madìnat  an-Nùbah,  cioè  Donqolah)  '. 

\1  Eijillo  è  la  parte  dell'Africa  meglio  conosciuta  da  al-Huwàrizmì,  clie  ne  enu- 
mera 4(J  località  (49  colle  ripetizioni  di  Esnà,  Erment  ed  Etfù)  coi  loro  nomi  arabi 
e  con  moltissima  indipendenza  dal  geografo  greco.  E  notevole  che  per  qualche  città 
abbiamo  due  serie  parallele  di  longitudini,  p.  es.: 


Dalàs  (^)  j  f;J°^?'  j  27°55'  (ms.  ^) 


(')  Traduzione  del  crecd  .VtAuWdff  A(>»«i  (IV,  C,  13:  •J9«0',  20"0'). 

(«)  A  .5r>"0',  2j°:J0';  cos\  pure  I.  Y.  e  rasm  in  Aboulf.  112.  —  Cfr.  it.»/Vij  63<>0',  23''50'. 

(>)  Evidentemente  il  nostro  lago  .Sana;  in  Tolomeo  (IV,  7,  2»)  K'oidi;  ii^i-ij  69°0',  0»0'. 

M)  T.  Y.  r,l»20',  27"55'  (o  15'). 


—  81   — 
al-Fayyum  (')   j  ^|[j^'  |  2800'  KQoxoóeawv  Ttóhg    61''20'     27''20' 

ManfO  I  54040'  i  ^^°^^'  ^^'"f'^  ^^°^'^'    ^^°'^^' 

'Ayu  Sams(-')      .,   ,.,      b0"4'  'HXlov  rtóXig  Cì2'>30'     30n0' 

(  o4"4o    ) 

Si  v.ede  subito  che  le  prime  cifre  longitudinali  sono  tolemaiche,  e  le  seconde  do- 
vute ad  al-Huwàrizmì  e  da  accettarsi.  Ecco  infatti  alcune  città  marittime  scelte  da 
me  a  caso: 

al-Iskanderiyyah  (^)       51''20'     31°ò'  Tinnìs  (^)  54°0'       31°40' 

Rasìd  («)  52"40'     33°40'  al-Faramà  (•)  54"40'     31''30' 

Dimyàt  C*)  58n5'     31°25'  al-Qolzum  ('')  56O30'     28"2(y 

Prima  di  lasciare  l' Egitto  credo  bene  di  indicar  alcuni  luoghi  sconosciuti  od 
assai  poco  noti  ai  geografi  posteriori  : 

f.  2,v.  oL <-"ò  54''50',  23''0'  (ms.  J,  la  correzione  /  è  confermata  dal  fatto 
che  la  città  è  nel  II"  cUma).  Al-Ya'qùbì  p.  334,  1.  4  nomina  appunto  una  o' — -— > 
sulla  rifa  occidentale  del  Nilo,  poco  a  Nord  di  Aswan  (v.  pag.  30,  nota  2). 

f.  3,v.  Uyi  55M0',  27°0'. 

f.  3,r.  l^^..vwJ^I  54°0',  27''40'.  —  I.  Y.  l^^-^^l  colle  stesse  cifre. 

f.  4,v.  UiU^ì  sul  mare,  o2°20',  35°40'.  —  I.  Y.  UoU^  colle  stesse  cifre. 

f.  4,v.  l^J^Ls  sul  mare,  b3°òó'  (0  15';  ms.  ^)  35°4(y.  —  I.  Y.  y.li  53°  (ms. 
*j   J)  55',  35°40'. 

f.  4,v.  U^>  sul  mare,  53°50',  dlHO'.  —  I.  Y.  U«>  53"  (ms.  ^)  50',  32040'  (sic). 
—  Yàqut,  II,  711,  ed  al-Maqrizì  (Kiiàb  al-mawà'i?  wa  'I-i' libar.  Bùlàq  1270/1854, 
voi.  I,  p.  73,  1.  31)  nominano  Uoj>  come  un'antica  località  del  Basso  Egitto.  Seguendo 
questi  due  autori  il  De  Goeje  mutò  in  i^}  (Dìsà)  la  I — <»-o^  del  ms.  di  Qodàmah 
(p.  247,  1.  13). 


(1)  Rasm  in  Aboulf.  114:  .S^"!.?',  28''0';  I.  Y.  ePSS'  (o  15'),  28''0'. 

(2)  Rasm  in  Aboulf.  IIG,  ed  Abù  'A  wn  (s.  v.  Mi?r)  54°40',  29>>15';  I.  T.  61''4.5',  29015'  (o  .VV). 

(3)  Rasm  in  Aboulf.  118:  61°50'  (colla  var.  54°4ò'),  30°!';  I.  Y.  Bl-SO',  30''4'. 
(■•)  Rasm  in  Aboulf.  112  ha  le  stesse  cifre;  I.  Y.  nella  lat.  lejrge  31°0'. 

(5)  Ms.,  rasm  in  Aboulf.  116,   I.  Y.  hanno  le  stesse  cifre;    la  latitudine  è  in  tutti  tre  ?  ^ 
88''40'.  La  correzione  è  evidente  per  se  stessa,  ed  anche  perchè  la  città  è  posta  nel  IV  clima. 
(«)  Ms.,  rasm  in  Aboulf.  116,  ed  I.  Y.  hanno  le  stesse  cifre  (long.  <*J  J). 
P)  Medesime  cifre  nel  rasm  in  Aboulf.  118,  ed  in  I.  Y. 
(')  I.  Y.  stesse  cifre. 
(')  Clysma  degli  antichi,  sul  Mar  Kosso.  Rasm  in  Aboulf.  116,  e  I.  Y.  stesse  cifre. 


—  32  — 

VII. 
Asia  occidentale  e  centrale. 

Le  lotte  continue  fra  Hùrùn  ar-llasìd  e  l' imporo  bizantino  avevano  otì'erto  più 
volte  occasione  agli  Arabi  d'invader  l'Asia  minore,  e  cosi  acquistare  mia  ma{,'jrior  co- 
noscenza dei  luoghi;  sappiamo  infatti  che  nel  181  (5  Marzo  7'J7 — 21  Febbr.  798) 
'Abd  al-Malik  ben  ^àlil.i  avea  condotto  le  sue  truppe  sino  ad  Anqirah  (')  ed  all'El- 
lesponto, e  che  nell'anno  seguente  'Abd  ar-llahman  ben  'Abd  al-Malik  s'era  spinto 
combattendo  sino  ad  Efeso  (-).  Gli  stessi  prigionieri  di  guerra  contribuivano  ad  au- 
mentare le  conoscenze  arabe  suir.4s/a  Minore  benché  in  modo  certo  non  scientifico. 

Al-Huwàri/.mi  operò  anche  per  questa  regione  la  riforma  delle  longitudini  com- 
piuta sulle  rive  africane  del  Mediterraneo  orientale  ;  alcuni  esempi  tolti  dal  f.  6,r.  e 
7,r.  del  ms.  lo  provano  a  sufficienza: 


Iliyùn 

50<'45' 

42»20' 

"iXiov 

56«50' 

4  PO' 

AfUsos 

51°15' 

37''25' 

'EipiCOQ 

57''40' 

37»40' 

Fergfimos 

51  "35' 

40»15' 

IléQyHi^iog 

57''25' 

39»45' 

'Ammùriyah  (^) 

53O0' 

38»0' 

'  AflÓQlOV 

60030' 

4P15' 

Anqirah 

58°0' 

43"0'  (ms.  ^)    "AyxvQu 

62''0' 

42''0' 

Malatiyyali  (') 

ti  PO' 

39"0' 

MehtTjv^ 

7  PO' 

39°30' 

Hanzìt 

6P40' 

39''45' 

'  Av^ma 

7200' 

39''20' 

È  strana  invece  la  posizione  allungata  verao  il  Nord  che  prende  1'  attuale  mar 
di  Marraara  (cfr.  Iliyiin): 

Niqmm'idiyà  5P0'       44°55'  (o  15')     Nixoiuófta  57''30'     4P0' 

Halqiaim  50°30'     46''0'  XuUr^òon'  57°5'       4305' 

Hiraqlah  58025'     46»35'  'UqàxkHu  nóvTov        59''0'       43<'20' 

Quindi  la  costa  del  mar  Nero  viene  portata  a  Nord  di  circa  3  gradi  più  che 
in  Tolomeo,  avendosi  (f.  16, v.)  a  6P30'  long,  una  latitudine  di  él'O'  {•'').  Questo  er- 
rore trova  un  compenso  nell'  aumento  in  lunghezza  del  medesimo  mare,  che  il  geo- 
grafo greco  avea  tenuto  troppo  corto: 

Halqìdun  50''30'  long.  XaXxi^ówv  òT'ò'  long. 

Estremità  orientale       7P30'  foce  del  <I>àaie  72O30' 

(')  Annales  quo»  scripsit  .  .  .  at-Tabari,  cum  aliis  edidit  M.  J.  do  Goojc.   Lugduni  15a- 
tavomin  1878-90,  ser.  UI,  voi.  Il,  p.  G4(i. 
(«)  At-Tabari,  ser.  HI,  t.  II,  p.  647. 

(')  La  lai.  presenta  un  errore  rispetto  a  l'crgaino.  Ab  fi  'Awn  .53°0',  37°0'. 
(*)  Rasm  in  Aboulf.  :}8I  le  stesse  cifre. 
(^)  Cfr.  rtol.  V,  6,  7:  f.,c<.  ,lrl  fmiiif  \4,poQQO(  72"20',  44015'. 


—  33  — 

Siccome  poi  la  costa  meridionale  dell'Asia  minore,  sul  Mediterraneo,  non  diffe- 
risce molto  in  latitudine  dalle  cifre  tolemaiche,  mantenendosi  sempre  a  circa  35''40' 
e  Stì'^'O'  lat.,  ne  segue  una  eccessiva  grandezza  latitudinale  della  penisola. 

Tra  i  monti  (f.  14,r.)  è  facile  riconoscere  l'ìdis  (ms.  senza  punti;  "/J»;),  il  Si- 
fùlos  (ms.  s.  p.;  ^Ltvhig),  il  Dìdùmos  {ms.^^^^>;  ./ùh'itoi);  invece  rimangono  oscuri 
i  seguenti  : 

c>r^  SS'-SO'     42°40'         55050'     41''0' 

l,-..o_^  {')      tìO''20'     42"20'         62''50'     44''40' 
^jr^>.^\  (-)      60020'     43020'         69040'     41030' 

meli' Armenia  una  serie  di  località  estranee  a  Tolomeo  rivela  i  nuovi  studi  arabi: 
Qàliqalà,  Hilàt,  Arzan,  Arsìs  (=  Argìs),  Bagunays,  Gorzàn,  Nasawà,  Berda'ah,  Bàb 
al-Abwàb  (==  Derbend). 

Una  rifusione  completa  della  geografia  greca  ebbe  luogo  nella  Siria,  nella  Me- 
sojiotamia  e  nella  Persia,  tanto  che  è  difBcile  scorgervi  a  prima  vista  tracce  di  To- 
lomeo. Il  materiale  è  copioso;  poiché  la  Siria  ci  offre  36  località,  la  Mesopotamia 
(al-Gazirah  ed  al-'Iràq)  23  (■'),  la  Persia  (intesa  nei  suoi  limiti  politici  attuali)  48, 
non  contando  lo  molte  cifre  relative  alle  coste,  ai  monti  (')  ed  ai  mari.  Siccome  Abù 
'1-fidà'  ha  conservato  parecchie  indicazioni  del  rasm  su  questi  paesi,  delle  quali  già 
il  Lelewel  potè  trar  profitto,  così  non  occorre  che  mi  fermi  a  lungo  sull'argomento; 
tanto  più  che  dovrei  entrare  in  lunghe  discussioni  sulle  latitudini  di  parecchie  città 
della  Sìria  fra  34o  e  37o  lat.,  per  le  quali  il  ms.  di  Strasburgo  contiene  alcuni  errori 
dovuti  allo  scambio  facilissimo  nella  scrittura  araba  del  >  (4)  col  ^  (5)  e  col  ^  (6). 

È  difficile  comprendere  il  motivo  dell'  esagerata  inclinazione  della  costa  della 
Siria,  ancor  maggiore  di  quella  stabilita  da  Tolomeo;  si  vedano,  p.  es.,  le  longitu- 
dini di  alcune  città  marittime: 


'Asqalàn 

5502O' 

Yàfà 

56O0' 

Saydà' 

59020' 

Atràbulus 

6O035' 

al-Làdiqiyyah 

6  PO' 

^AaxaXióv 

65010' 

'lónnìj 

65040' 

2ió(òv 

67O10' 

TqinoXiq 

67030' 

AuoSlxeia 

6803O' 

(')  Al  f.  40, V.  L-.;Ji-w.  La  scrittura  ^^^-^-ju.^-^  ò  data  anche  dal  endice  di  Qodamah;  il  du 
Goeje  nella  sua  edizione  (p.  233,  1.  9)  legge  LUì-l*^  Masfina,  seguendo  il  ms.  londinese  di  Ibn  Se- 
ràfiyùn.  Qodàniali  pone  questo  monte  vicino  al  luogo  dove  l'Eufrate  superiore  si  volge  bruscamente, 
e  per  sempre,  a  Sud  ;  ciò  Concorda  con  al-Huwarizmì  f.  40,v. 

(2)  Fol.  39,v.  j*^V^  donde  nasce  l'Eufrate.  Il  medesimo  monte  è  chiamato  ^j^s>.^^  da  Qo- 
damah, p.  233,  1.  8,  ove  il  de  Goeje  annota:  "  Sic.  Ibn  Serapion  ^^y-^>f\,  Mas'iidi  I,  211  ^jf-^^f'^ 
■<  (cum  var.  1.  ^y^'^>y>\  Sprenger  p.  245  et  ^_,i-»^>^l  St.  Martin,  Mém.  I,  46).  E.x  antiquo  Cara- 
ti nitis  vix  corruptum  esse  potest.  Prior  pars  est  forte  >f^  .\rmeniaca  forma  nominis  Ol^". 

P)  Pili  la  città  di  Amid  (ora  Diyfirbekr)  che  manca  nel  ms.  di  Strasburgo,  ma  è  conserv.ata 
in  Aboulf.  286. 

(«)  Nella  Siria  son  già  nominati  il  Luhnàn  (Libano),  il  Uebel  at-talii  (Antilibano),  il  Sanir, 
al-Lokam;  nell'alta  Mesopotamia  i  monti  Hàrit  wa  Huwayrit.  Le  catene  della  Persia  non  hanno  nome 
speciale,  ma  lo  prendon(j  dalla  regione  attraversata. 

Classe  di  scibnzb  .morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  .5',  parte  1»  5 


—  34  — 

E  questa  longitudine  di  61''0'  si  mantiene  sino  alla  latitudine  di  35''20'  (f.  16,r.); 
poi  si  ritorna  ad  una  posiziono  normale,  come  è  quella  di  Tarso: 

Tarasùs         ó8"0'     ;{6"ó5'  (ms.  do)  Tagaóc         i;7"40'  SG^SO' 

In  Persia,  per  influenza  di  Tolomeo,  la  costa  meridionale  è  portata  circa  2  gradi 
troppo  a  Nord,  benché  verso  le  foci  dell'Eufrate  si  ristabiliscano  le  giuste  proporzioni; 
abbiamo  infatti  le  seguenti  cittù  marittimo  da  0.  ad  E.  ('): 


•al-Hasrah 

74"0' 

ai-o' 

•Gannàbà 

77"20' 

30''0' 

"AblmJùn 

75"  15' 

3  PO' 

•Sirùf 

79''30' 

29'"30' 

•Muhnibùu 

7()"20' 

30»U' 

Na  in 

SOMS' 

2t)°20' 

•Siniz 

7G»45' 

ao^o' 

Tiz 

82O40' 

29''0' 

A  Nord  lo  spostamento  è  di  circa  un  grado  {-)  : 

•Sàriyah  presso  il  Caspio  77''50'     38»U'  •Astàràbàd  sul  Caspio      7i)"50'     38"45' 

•Tamìs        -      -      -       78"4U'    38°40'         'Gorgàn  presso  il  Caspio  80"45'     38"50' 

quindi  l'errdre  nelle  diiuunsioui  latituJiuali  dell' Irùii  viene  ad  essere  in  parte  com- 
pensato. Dove  più  si  riconosce  la  cartografìa  greca  è  nella  Persia  meridionale  ad  E. 
del  golfo  Persico,  cioè  nell'antica  Kag/icevia  (Kirmàu).  L'arabo  non  è  riuscito  a  coor- 
dinar bene  questo  territorio  col  resto  dell'Iran;  e  mentre  Tùs  figura  ad  82°50'  long., 
rimangono,  veri  naufraghi  di  Tolomeo, 

Armuzah  90»30'     22''0'  "ÀQfiov^a  94''30'     22»0' 

Kirmàn  90"0'       :W"0'  Kdquava  lOO^O'       29"0' 

L'unica  buona  correzione  è  quella  della  long,  di  Kirmàn  rispetto  ad  Armuzah. 

Nella  costa  arabica  dell'Oceano  Indiano  sono  diminuite  di  molto  le  mostruosità 
tolemaiche.  Al-Bahreyn  (f,  3,v.)  è  fissata  a  74''2u',  25"45'  (■');  di  qui  la  costa  (f.  19,r.) 
procedo  a  75"0',  24"(j',  poi  ad  85°20',  22"2o',  forma  una  qowàrah,  passa  per  85"0', 
21"0',  e  tocca  'Oman  {%  Dopo  'Oman  la  costa  si  spinge  alla  lat.  19"0'  senza  muta- 
menti in  longitudine,  e  si  dirige  regolarmente  verso  79"0',  16''30',  per  toccare  dopo 
varie  insenature  77"30'  (var.  7()"30'),  13''40'.    Zafàr  (•■)  del  Mahrah  trovasi  a  78"0'. 


(')  Lo  città  segnate  con  *  si  trovano  anche  in  I.  ^'.  l'in'  ila  le  stesse  cifre  (perù  la  lonp.  di 
Slràf  in  I.  Y.  è  79»O0. 

(•)  Cfr.  pure  la  descrizione  del  Caspio  che  ho  rijiortata  sopra  per  intero. 

(')  Le  stesse  cifre  hanno  .\biì  '.\wn  ed  al-Bat t ani.  I.  Y.  nella  lonj;.  75"20'  (probabilmente 
qaest.j  <>*  J;  nn  errore  di  scrittura  per  J*  74").  In  Tolomeo  VI.  7,  17,  isola  TrAos-  90"0',  2  ("40';  iii- 
Tcce  riga"  (VI,  7,  IC)  80»0',  23°20'. 

(«)  Ms.  (f.  3,r.),  ra$m  in  Abonlf.  98  (s.  v.  Sohar)  ed  I.  Y.  SrSO',  10"15'.  -  l'tol.  VI,  7.  36, 
'OfiKioy  tfomiQiof.  87°20',  19''1.5'. 

{'■•)  Kra  sitaata  sulla  costa,  |)rcsB'i  t'ii  attuali  villat'i'i  di  IN  ysùt  e  Hòr  el-Belid.   nnn  lunt'i  da 


—  òò  — 

IS'O'C);  la  capitale  dello  Hadraraawt  (Sibùm)  a  71"0',  12<>30' (-),  'Aden  a  Gó-'O', 
13"0'  (■').  È  tolta  COSI  la  sporgenza  anormale  del  promontorio  Syagros  {2iaYQog  céxgee, 
ora  Ka's  al-Fartak)  che  in  Tolomeo  VI,  7,  lU  si  avanzava  tino  a  9(ru',  14"0'.  — 
Invece  una  rientranza  regolare,  ma  eccessiva,  che  raggiunge  il  suo  massimo  presso 
Goddah  o  Giddah,  rende  deforme  la  costa  arabica  del  mar  Rosso  (si  confronti  la  de- 
scrizione già  data  della  costa  africana): 

^^1  (')  sul  mare  S'ò^O'  (ms.  ^)  12''15' 

Mara  del  Yemen  {^)  sul  mare  63'>0'  (ms.  ^)  15°15' 

punto  della  costa  (f.  19,r.)  GS-O'  (ms.  ^)  18°0' 

Goddah  (•■)  sul  mare  eS^SO'  2P45' 

al-Gàr  sul  mare  64''20'  24''0' 

punto  della  costa  (f.  19,v.)  63°0'  26°0' 

Madyan  (")  s.  m.  61°20'  2800' 

al-Qolzum  (Egitto)  56<>30'  28''20' 

Ben  coordinate  con  Goddah,  al-Gàr  e  Madyan  sono  le  2  città  sante 

Mekkah  GToQ'     21°0'  al-Medìnah     G.5''20'     25"0' 

'Bell'Asia  Centrale  le  regioni  corrispondenti  al  Turkestan  russo  mostrano  una 
nuova  elaborazione,  benché  le  località  ad  E.  di  Merw  siano  portate  troppo  a  S.  La 
posizione  di  Ballj  a  N.  di  Samarcanda  ripete  lo  strano  errore  commesso  da  Tolomeo  {^). 


Mirbàt;  vedi  Glaser,  Skizze  der  Geschichte  und  Geographie  Arabiens  bis  zum  Prophelen  Muham- 
mad.  Berlin  1890,  voi.  II,  p.  181. 

(')  Le  stesse  cifre  nel  rasm  in  Aboulf.  96,  ed  in  I.  Y. 

(*)  Rasm  in  Aboulf.  96,  ed  I.  Y.  hanno  le  stesse  cifre. 

(3)  Rasm  in  Aboulf.  92,  stesse  cifre;  I.  Y.  nella  long.  GS^SO'. 

(■*)  Ignoro  che  cosa  sia.  I.  Y.  colle  stesse  cifre  (long,  senza  punti)  ha  ^j^^^:  al-Battànì 
«  città  di  ,_y^\  nel  Yemen,  TS'O',  12''55'  >i.  Al-Fargàuì  (cfr.  p.  23,  nota  4),  pai;.  36,  nomina  nel 
I"  clima  in  Arabia  una  città  di  cr^*^'!  che  evidentemente  sta  per  la  nostra  ^^J>-J1,  o  non  ha  nulla 
a  che  fare,  come  vorrebbe  il  Golio,  colla  al-Qayn  che  trovasi  presso  'Aitar,  cioè  ai  confini  tra  el- 
Yemen  ed  al-Higàz.  Johannes  Hispalensis,  che  nel  XII  sec.  tradusse  in  latino  al-Fargànì,  deve  aver 
letto  ^:,r:^^  perchè  al  posto  corrispondente  della  sua  versione  (Norimbergae  1537,  fol.  9,r.)  si  legge 
«  Fons  n. 

(5)  È  la  McÌqic  fxrjTQÓno'Ms,  che  però  in  Tolomeo  (VI,  7,  37:  76"0',  18°20')  è  una  città  di  terra, 
così  che  viene  identificata  dallo  Sprenger  (Alte  Geographie  Arabiens.  Bern  1875,  p.  1571  con 
Sa'dah  a  N.  di  San'à'.  I.  Y.  ha  Mara  colle  stesse  cifre  d' al-Huwàrizmi  (senza  punti) :  al-BattànJ 
la  ricorda  colla  forma  erronea,  non  compresa  dal  Lelewel  (t.  IV,  Épilogue,  p.  87),  di  "  ^f — «o 
«del  Yemen,  73°0',  15''15' »  —Anche  al-Fargànì,  p.  36,  pone  Mara  fra  le  città  arabe  del  1°  clima. 

('')  Rasm  in  Aboulf.  92  ha  le  stesso  cifre. 

C)  Il  ms.,  rasm  in  Aboulf.  86,  e  I.  Y.  leggono  nella  lat.  29°0'.  Ma  la  descrizione  del  Mar 
Eosso  (f.  19,v.),  nessun  punto  del  quale  supera  28"20'  lat.,  sembra  render  necessaria  la  mia  corre- 
zione. Cfr.  Ptol.  VI,  7,  27.  MaJulfxa  68°0',  28n5'. 

(8)  Bttxtqa  ^aaOieiov  (VI,   11,  9)   116''0'.    H°0';  —  MuQaxdvóa  (VI,  11,  9)  112''0',  SS^IS'. 


—  30  — 

Saralis  83''20'  38°0'  Hojrendah  92''30'  37<>10' 

llerw  84O20'  38»35'  Città  dei  Hazar  t)3"0'  45<'0' 

Mt'rwaiTiVl  S.^'u'  38"50'  IJaiiùkit  (')  94"3u'  38"3U' 

Aininùvah  85»4ò'  37"40'  Hasilkat  (-')  96"30'  37"40' 

Ihihùiù  87°2U'  37"50'  Turùiabend  (^)  9G"30'  39"35' 

Balli  88°35'  38''40'  Isbi-iùb  98°10'  39»5U' 

Saiuarqand  89»30'  37''30'  at-Taràz  100"3u'  40°24' 

Osriisanah  gplO'  3(5"40'  Nawfikat  (<)  10400'  44''0' 

Huwàrizm  91"50'  42''10' 

Molto  importauto  è  il  fatto  che  al-Huwàrizmì  conosce  il  lago  d'Arai,  nel  quale 
(e  non  nel  mar  Caspio)  si  versano  gli  anticiii  Oxus  e  Jaxartes  (■).  Al  fol.  42,r.  leg- 
giamo che  il  Nahr  IJalh  0  fiume  di  Balh  {'i^i^oc  dei  Greci,  Amù  daryà  dei  moderni) 
si  getta  a  88"0',  39020'  (var.  30')  in  un  lago  (batil.iah)  che  si  estende  da  86030'  a 
90"0'  long.  Al  f.  42,v.  è  detto  che.un  gran  fiume,  la  cui  descrizione  lo  mostra  iden- 
tico col  la^c'tQii^c  dei  Greci  e  col  Sir  daryà  dei  moderni,  a  90"5',  41030'  termina 
>i  nel  lago  del  fiume  IJallj  ". 

L'idrografia  complicata,  ed  ancor  oggi  poco  nota,  della  Persia  orientale  pare  abbia 
fatto  nascerò  un  curioso  equivoco.  Al  f.  42, r.  si  parla  d'un  fiume  il  quale  a  9r'30', 
3y"4o'  esce  dal  fiume  di  Balh  (Ami'i  darvà),  si  dirige  tagliando  un  lungo  monte  a 
92'>30',  37"40',  passa  fra  Osrùsanah  e  Hoi:endah,  scorre  non  lungi  da  al-Mul.iamma- 
diyyah  (f.  5,v.:  OCO',  31''45')  e  da  Kirmàn  (f.  3,v.:  gOoC,  30''0')  e  sbocca  in  mare 
a  87''30'  (ms.  J  ^),  27"0',  ossia  presso  il  golfo  Persico.  Tale  stranezza  mi  fa  sup- 

(')  Seguo  l'ortografia  prescritta  da  Yaqùt  (il  ms.  ^■^:^^;  I.  Y.  vJ^Lo  p.l»35',  38'>30');  però 
.sarebbe  metrlio  leggere  tutte  queste  desinenze  kat  (neir.\vestà  Aató  =  casa,  ncupcrs.  »J^  e  Jsi';  cfr. 
/(eit.  d.  (ìeutsch.  morgenl.  Geselhch.  XXXIII,  1879,  154).  —  Banakit  è  molto  probabilmente  forma 
secondaria  di  Binkat,  la  capitale  del  territorio  as-Sàs,  corrispondente  alla  moderna  Tà.«kend  (.ii9iiog 
nilQyoi  di  Tolomeo  VI,  13,  2:  ISSoQ',  43">0'). 

(')  Cosi  anche  I.  Y.  (vlUS'U-^  colle  cifre  98''34',  3703O');  gli  altri  geografi  hanno  Ahsikat 
(nella  prov.  di  Fergànah).  Lo  scambio  di  a  con  l  si  verifica  in  parecchi  luoghi  del  Horàsàn  e  del 
Turkestan;  p.  es.  Hasasak  (Ibn  Hurda.lbch  173)  ed  Ahslsak  (al-Ist.ahri  298),  Bàwcrd  ed  Abl- 
werd,  ^Và<gird  e  AVi^gird,  Nawakat  e  NawSkat.  —  La  lat.  nel  ms.  è  .36''40',  per  errore  del  copista 
che  scrisse  ^  invece  di  J  (jJ)  :  cfr.  I.  Y. 

(')  In  causa  d'una  rottura  del  foglio,  nel  ins.  si  legge  solo  la  >>•  finale.  Il  nome  di  Turarabend 
(con  e  senza  articolo),  è  noto  ad  al-Huwàrizmt  (f.  27,r.,  ove  il  ms.  ha  J-onU>);  al-Faréàni  (cfr. 
pag.  23,  nota  4),  p.  38  lo  conosce  pure  (nell'ediz.  Joyiy.);  ed  I.  Y.  ha  »Jojj\^\  98»10',  39-35' 
(per  la  long.  cfr.  le  cifre  di  Hasàsak).  Credo  dunque  giu.stifieato  abbastanza  il  nome  che  supplisco. 
—  La  località  ricorre  poi  in  Ibn-al-Faqìh  322.  nl-Muqaddasi  GÌ,  Ibn  Rosteh  98;  Yaqùt 
(I,  34,  1.  4  e  23)  la  corrompe  come  I.  Y.  in  ''ijoj^\jL. 

(*)  1.  Y.  CUSy  104''0',  4200'.  -  Al-Farg&nl  38  ed  al-EdrisS  II,  218  scrivono  JUJ-ly; 
Ibn  Hurdadbeh  29,  Qodàmah20r.,  Ibn  Rosteh98,  at- Tabari  (zinna/,  ser.  II.  t.  III.  p.  1593) 
hanno  «.^^Iv»;  al-Muqaddas1  204  \l^-^.yi  (cfr.  pag.  30,  nota  2).  Invece  al-Muqaddasi  49  e 
265,  al-I?tahrl  331,  333,  344,  .^IS,  Ibn  Hawqal  386  e  404,  Ibn  al-Faqih  327  ed  al-Edrìsi 
II,  207-8,  leggono  J^^  (o  CUSyi)  come  I.  Y.;  cfr.  le  due  forme  parallele  Binkat  e  Banakit. 

(')  È  una  conferma  di  più,  benché  non  ve  ne  fosse  bisogno,  delle  conclusioni  a  cui  era  giunto 
il  de  Goejc,  Pas  alte  lieti  des  O.rus,  Amù-Darja.  Leiden  1875.  —  Anche  la  nuova  edizione  di 
Ibn  Hurdadbeh  173  fa  sboccare  l'Oxus  nel  lago  d'Arai  (cfr.  Da$  alle  lieti,  p.  8). 


—  37  — 

porre  che  la  carta  dei  geografi  d'al-Ma'mùn  avesse  riunito  le  sorgenti  d'uno  fra  i  tri- 
butarli meridionali  di'll'Amii  daryfi  (probabilmente  il  (iume  di  Qiinduz)  con  quelle 
vicine  dell' Hindmcnd  o  Hilmeud  alHiiento  della  palude  Hàmiui,  e  che  da  quest"  ul- 
tima avesse  fatto  uscire  il  fiume  che  passa  per  Bampùi-  e  si  getta  in  mare  allo  stretto 
di  Hormùz  ad  10.  di  Render  'Abbàs.  11  -  monte  lungo  »  attraversato,  corrisponde  dun- 
que alle  catene  del  Kùh-i-bàbà  e  del  HiuJiikus. 


Vili. 

Asia  orientale. 

È  noto  che  Tolomeo  allunga  le  coste  della  Gedrosia  10  gradi  più  del  vero.  11 
medesimo  errore,  diminuito  di  2  gradi,  appare  anche  in  al-Huwùrizmì  : 

Armùzah  90''B0'     22°0'  "AQi.iovCa  94''30'     22''0' 

foce  0.  deirindo        104015'     2000'  foce  0.  dell'Indo         110°20'     19<>50' 


-  /\r 


Lungo  questa  costa,  che  per  gli  Arabi  fa  già  parte  del  Sind,  incontransi  ad- 
Daybol  92''0,  24''20',  an-Niiùn  (')  92''20',  23"30',  Armàbìl  (^)  92''15'  (o  55'),  22''45', 
ed  infine  ^rr^l  (')  a  lOo^SO',  20°0'  presso  la  foce  del  ramo  più  occidentale  dell'Indo. 

Neil'  interno  possiamo  notare  : 

Kabul  (^)  lOOoO'  33°0'  'Ogróunava  IIS^O'  3b''0' 

Farsis  (^)  103<'0'  2500'  nagaC?  106°80'  23''30' 

QimiPC')  104n0'  24°45'  Kovvi  110°0'  27'>0' 

al-Qandahàr  11U"0'  SCO'  'Akf^dvÓQsia'AQaxtùaiag  IWÙ'  31''20' 

Si  vede  subito  che  Kabul  ha  una  posizione  conforme  alle  nuove  cognizioni  arabe 
e  coordinata  colle  località  della  Persia  e  del  Turkestan  ;  invece  Farsis,  Qùnì  ed  al- 
Qaudahàr  sono  rampolli  diretti  di  Tolomeo. 

Il  corso  dell' /«rfo  (0  conserva  le  linee  generali  che  aveva  nella  carta  greca.  I 
fol.  37,r.-38,r.  ci  danno  su  ciò  molte  indicazioni,  di  cui  lo  principali  sono:   L'Indo 

(')  Il  ms.  qui  (f.  3,r.)  ed  ai  ff.  19,r.  e  31,v.,  non  lia  punti  diacritici,  (ili  autori  arabi  sono  in- 
certi tra  la  forma  an-Nirùii  (Yaqùt  IV,  S5(>  j^y^)  ed  alBiriin;  la  prima  però  sembra  la  miiiliiire. 
Vedi  H.  M.  E  Ilio  t,  The  history  of  India  as  told  by  its  own  historians.  London  18G7-77,  voi.  I, 
pag.  396  seg. 

(2)  Il  ms.  senza  punti.  Anche  qui  v'è  incertezza  tra  le  forme  Armàbil  ed  Armà'ìl;  la  prima 
sembra  da  preferirsi  (Elliot,  I,  394  sgg.). 

(^)  Così  si  legge  il  nome  ai  f.  19,r.  e  37,v.;  qui  (f.  3,r.)  il  ms.  non  ha  punti. 

(*)  La  lettura  della  lat.  è  incerta  in  causa  d'una  rottura  del  foglio. 

{^)  Il  ms.  senza  punti. 

C)  Il  ms.  \S^-  Se  la  mia  ipotesi  fc  giusta,  si  dovrà  porre  nella  lat.  e  long,  un  ^  (j)  7  in 
luogo  del  >  4,  e  leggere  107''10',  27"-15'. 

(")  In  arabo  Mihràn,  che  mi  sembra  tulto  dal  persiano  (mih-rau  =  gran  corrente). 


—  38  — 

nasce  a  126''30'.  36"10',  si  abbassa  rapidamente  verso  il  Sud  toccando  125''30',  32°20', 
scorre  verso  Ovest  tino  a  119-0',  31"3o'.  donde  passa  a  lll'ló',  26»0';  a  107-0', 
23-30'  comincia  a  suddividersi  in  parec(;lii  rami,  e  sbocca  in  mare  per  0  foci  prin- 
cipali, poste  tutte  alla  latitudine  di  -Jicu',  e  comprese  fra  li>-l°15'  e  luO'iO'  long. 
Secondo  Tolomeo,  le  sorgenti  dell'Indo  sono  a  125-0',  37'0'  (VII,  1,  20),  o  lo  foci 
8i  schierano  fra  110-20'  e  113-30'  long.;  e  19-50'  e  20-15'  lat. 

Più  sensibili  sono  lo  moditicazioni  nel  corso  del  Gange  (Gangis,  f.  38,r.  e  38,v.) 
che  prende  una  direzione  troppo  longitudinale: 

Sorgente:         135-0'  39-0'  (Ptol.  VII,  1,  29)      136-0'  37-0' 

135-30'  31-0'  (  136-10'  31-30' 

140-10'  27-30'  (Ptol.  VII,  1,  30)  '  142-0'  28-0' 

139-0'  22-0'  (  146°U'  22-0' 

foce  0.:  135-20'  17-45'  ,  j  144-30'  18-15' 

foce  E.:  139-0'  18-40'  ^  '    '      ''  \  148-30'  18-15' 

Per  gli  altri  fiumi  dell'  India  non  si  ha  differenza  notevole  dalle  cifre  di  Tolo- 
meo, fatta  eccezione  della  diminuzione  costante  di  6-8  gradi  nella  longitudine  ;  quindi 
i  fiumi  costieri,  come  il  Sàlìn  (ms.  s.  p. ;  2wXì[ì\  ora  Vaipàiu),  il  Hàbìros  (ms.  s.  p.; 
Xu^ì^Qoc,  ora  Kàvori),  il  Tiinas  (ms.  s.  p.;  Ttnac),  il  Tuiidiyiis  (ms.  s.  p.;  Tovvàioc, 
ora  Krisija),  il  Dosarùn  (ms.  ^-^  ;   JwaÙQwr .  ora  Mahànada) ,   il  Dumas  (ms. 

^_^b  ;  "Aòu/iag,  ora  Brahmani),  hanno  tutti  quella  direzione  da  N.  a  S.  cosi  carat- 
teristica della  carta  tolemaica. 

Una  lista  d'alcune  città,  scelte  fra  quelle  la  cui  corrispondenza  coi  nomi  greci 
è  sicura,  completerà  questi  cenni  sull'India: 

Fatala  (')  presso  il  mare      107-20'  16-30'  ndttda  112-50'  21-0' 

Miiziris  sul  mare  112-15'  14-30'  Mov^iQi'g  117-0'  14-0' 

Ozinì  (2)  112-20'  20-40'  'O^^r»;  117-0'  20-0' 

Qottiyarà  sul  mare  115-55'  14-0'  KoTTiaga  121-0'  14-0' 

Fàqiirà(3)  116-0'  19-10'  'I.77tÒxovqu  119-45'  19"l0' 

Fimalà  (')  116-30'  17°0'  IJoviidru  121-20'  17'0' 

Hàbiri8(^)  125-0'  16-15'  Xa^r^gig  128°30'  15-40' 

Sàgida  («)  130-0'  23-30'  layiióu  133-0'  23°30' 

Il  punto  più  meridionale  della  costa  indiana  è  a  12"3o'  lat.  (f.  18,v.);  ond' è 
evidente  la  completa  derivazione  da  Tolomeo  (').    Anche  l' India  transgangetica  non 

(')  F.  3,r.,  senza  punti;  f.  19,r.  "^Ujlii. 

(')  Ms.  senza  punti. 

(')  M«.  '^yjjl*:  f.  34,r.  Ij^'*.  Nella  longitudine  forse  bisogna  legger»  A»  115-0'. 

(<)  M.S.  U»»«4. 

(')  M».  ^P>l^;  f.  .S2,r.  O^'^- 

(«)  Ms.  \^l^- 

C)  I  nomi  dei  monti  sono  tutti  tolemaici:  "Aq^iik  (nella  Uedrnsia,  VI,  21,  ;ij,  i'opdlu'yi'f,  /)iji- 


—  39  — 

mostra  cognizioni  speciali,  benché  fra  le  città  si  lascino  nel  ms.  identificar  con  cer- 
tezza solo  (cfr.  Ptol.   VII,  2,  23-24): 


Tii'ma  (') 

142''40' 

20''45' 

Tovyi-ia 

152''30' 

22n5' 

Tarì^liìfon  (-) 

144''15' 

16Hb' 

T(jiyhinTov 

154''0' 

18"0' 

Barewàtrà  (-^  sul  mare 

152H0' 

12''40' 

Baqivà-ihqa 

1G4''3U' 

12°Ó0' 

Noto'  in  al-Huwàrizmi  l'esistenza  di  una  vasta  isola  detta  al-Mayd  od  al-Kùl  ('), 
avente  il  centro  a  lOT^O',  12°0'  (f.  24,r.),  percorsa  da  un  fiume  (f.  30,v.)  e  popolata 
da  3  città  anonime  (f.  2,r.),  una  delle  quali  a  107°U'  (ms.  senza  punti),  !)°(y  (-).  Pro- 
babilmente rappresenta  lo  prime  notizie  arabe  iutorno  al  Gui>aràt,  e  corrisponde  al- 
l'isola che  al-Edrìsì  (1°,  160,  170,  171),  sotto  il  nome  di  ,a^I  Mend,  dice  posta  a 
6  miglia  da  Kanbàyah  e  da  Kùlì. 

Elementi  estranei  a  Tolomeo  sono  penetrati  nell'isola  di  Taprobano  (Ceylon),  da 
al-Huwàrizmì  chiamata  sempre  Serendib  per  corruzione  dell'  indiano  Siiihala-dvìpa 
{lulidi^a  nel  Periplo  del  Mar  Eritreo,  Serendiva  in  Ammiano  Marcellino).  L' isola 
è  aumentata  in  larghezza  nel  senso  dei  paralleli,  e  diminuita  in  lunghezza  da  N.  a  S.; 
infatti  i  termini  estremi  (f.  25,r.)  sono  : 

al-Huwàrizmì  Tolomeo 

long.  116°20'  — 125"10'  (diifer.  8°50')  120»30' —  132°30'  (ditter.  12") 

lat.  12030'  N.  —  4-Ó0'  S.  (differ.  17°20')  12"30'  N.  —  2»30'  S.  (ditfur.  l.j°) 

La  tavola  dei  monti  (f.  I0,r.)  cita  in  Serendib  solo  un  gebel  ahrad  «  monte  rossa- 
stro "   (")  ;  dal  f.  30.V.  si  ricava  che  il  suo  nome  è  Mala  (=  MaXaiu).    Allo  stesso 

fol.  30,v.  è  citato  un  monte  I >l  od  y  dal  quale  nascono  i  fiumi  rdyyrji  e  (Pciatc;; 

questa  indicazione  ci  costringe  a  identificarlo  col  rùh^a  (VII,  4,  8),  benché  il  nome 
arabo  non  mostri  alcuna  affinità  col  greco.  I  fiumi  sono  tutti  tolemaici:  l'Azanùs 
"A^uvog  (f.  25,r.  ^y^l,  f.  30,v.  ,_j^i)\),  il  Baraqos  Bàgaxog  (f.  25,r.  e  30,v.  senza 
punti),  il  Gan.'ìs  rdyyrjg  (f.  25,r.  e  30, v.  senza  punti)  ed  il  Fàsìs   (f.  25.r.  j— -LÌ', 

Tiyui,  'Adfiaadgoy,  Ov^Bvrov,  Ovlviiov,  [lìJTivQQOf,  Jdftaaaa.  Le  trascrizioni  del  ms.,  per  quanto  difet- 
tose, mi  permettono  di  rettitìcare  qualche  nome  irriconoscibile  nel  testo  d'al-Edrisi:  Edr.  I,  176 
^^vjvi^l  (Jaubert:  Oundaran),  1.  C)^."^}^  Uwindiyùn,  Ovi'dtov  (in  al-Huwàrizmì  sempre  senza 
punti);  —  Edr.  I,  188  ;y»-:^  (Jaubert:  C'nttisbor),  1.  v»-;^!:^  BiUAù,  lì?]rTtyoì  (al-Huw.  f.  ]l,v. 
,__ya-Jx^;  f.  31,v.  tre  volte  |_y->-l:'-^)  ;  —  E  dr.  carta  itineraria  O^j-'^^^  (Lelcwel:  Ahenfibrnn), 
1.  ^^JLobl  Adàsatrùn,  ' 4Seia(ihQoi'  (al-Huw.  1'.  ll,v.  v^^^^-UJbl;  f,  32,r.  senza  punti).  -  Cfr.  i  ri- 
chiami alla  pag.  52,  nota  4. 

(1)  Forse  la  l*^  (Jaubert:  Taouf,'ha)  d'al-Edrisi  I,  193,  194. 

(2)  Ms.  ejày-«^y>. 

(3)  Ms.  qui  (f.  2.r.)  e  f.  3l,r.  '/!>/;  f.  18,r.  ^f'^^f- 

{*)  Il  ms.  (f.  24,r.)  ha  J^^,  e  la  stessa  lezione  è  in  al-Fargàni  (cfr.  p.  23,  nota  4)  p.  35. 
Ibn  Uosteh  96  le^ge  J^J'  al-Kul,  che  sembra  da  preferirsi  (cfr.  la  nota  del  de  Goeje). 

(^)  I.  Y.:  a  città  di  vX^I  »  colle  stesse  cifro  (nella  long,  il  codice  lia^);  al-Battàni  (in 
Lelewel,  t.  IV,  Épiloque,  p.  87)  «città  di  .>j-Jl  "   colle  stesse  cifre  (nel  cod.  senza  punti). 

('•)  Una  mano  posteriore  aggiunse:  oyy^  tJ-H?"  *^  J'-^.^-  Infatti  il  nome  ar-Kalum  è  co- 
mune nei  geografi  arabi  posteriori. 


—  40  — 

f.  80,T.  ^j-.-.— jl»).  —  Invece  nello  città  si  osserva  una  nomenclatura  che  ha  stretti 
rapporti  con  quella  di  al-Edrìsi,  ina  ajisai  poco  conforme  al  modello  tolemaico: 

f.  l,v.  A'jna  sul  mare,  122"0',  3''U'  S.  —  Il  ms.  qui  e  f.  2."),r.  U6\.  —  To- 
lomeo non  ha  nulla  di  simile;  invece  è  ricordata  da  parecchi  altri  geograti  arabi, 
p.  OS.  da  al-Ediisi  I,  72,  Abù  '1-tidà'  ;{7ó,  ad-Dimasqi  11,  199.  2o4. 

f.  l,v.  Ij.U^  sul  mare,  12ó'0',  3°0'  Sud.  —  f.  25,r.  UU^.  —  al-Edrisi  I,  72 
bU^  (altro  ms.  bl-y*). 

f.  l,v.  ^l3.^  124°(i',  S''0'  Nord.  —  Sconosciuta  agli  altri  scrittori  arabi  ('). 

f.  2,r.  L;^>>-U;  sul  mare,  117015'  (o  55')  4<'0'  N.  —  al-Edrisi  I.  72  Lc.^-Lw 
(altro  ms.  U^j^^-l.^). 

f.  2,r.  ^>yl  sul  mare,  118"15'  (o  55'),  4"30'  N.  —  al-Edrìsi  I,  72  ^jo.\.  — 
Al  f.  30,v.  v3>yl,  colla  variante  ^jyl- 

f.  2,r.  ^il....X»  12O''40',  11°45'  N.    —    f.  25.r.  ^>\—^  colla  var.  ^>\ oU; 

f.  30,T.  ^>Ujj;  colla  var.  ^3>UJj'.  —  al-Edrisi  1,  72  ^V-AJ'  (altro  ms.  ^3'^»!»).  — 
Forse  si  devo  leggere  (^jUJj'  Talaqàrì  ed  identilicare  con  TaXdxagv  (126''2o',  ll'iO' ; 
supponendo  una  scrittura  ©«/«xwpr),  poiché  ambedue  queste  città  sono  rappresentate 
presso  la  foce  del  Pliasis. 

f.  2,r.  oyy^^  121°55,  7»0'  N.  —  f.  30.v.  ^J.^^U;  al-Edr.  1,  72  ^^y>~U 
Dal  f.  30,v.  si  ricava  che  la  città  non  era  lontana  dalla  foce  del  Ganges;  ciò  mi  fa 

supporre  che  debbasi  leggere  ^^    ^y i' «  Mà^Tamùn  =  MaayQa^ifiov  lirjQÓnohc 

(127-U',  7°10'). 

f.  2,r.  ^^yyx^j»  sul  mare,  125°1.V  (o  55'),  5''15'  N.  —  f.  25, r.  senza  punti; 
al-Edrìsì  I,  72  j_$^yL^^  (altro  nis.  ^,yi— .^).  —  Probabilmente  ^^^'i^^  Forosqùrì 
=  nqóxiWQi  (131°,  5''40'). 

f.  2,r.  yu  121°15',  17''45'  N.    —   La  latitudine  è  certo  erronea,  giacché  la 

città  trovasi  nel  I'  clima  che  arriva  solo  a  16"27'  N.;  anche  la  correzione  a «  jo 

14°45'  sarebbe  insufficiente,  poiché  nessun  punto  di  Serendìb  oltrepassa  12''30'  lat.  N., 
e  la  città  verrebbe  a  trovarsi  nell'  India. 

Nel  mare  a  Sud  ed  a  S-E.  di  Serendib  compaiono  certe  isole  senza  riscontro  in 
Tolomeo,  le  quali  sembrano  dovute  alle  informazioni  per  metà  favolose  dei  marinai 
del  golfo  Persico  (-),  che  si  spingevano  sino  alla  Cina  già  prima  del  750  d.  Cr.  Con 

(')  Forse  bisogna  leggere  ^b^j-J>  Tabriibini=  TanQo^ùvtj.  Questa  medesima  scrittura  jicr 
rajiprcscntare  il  nome  greco  «lell'isola  è  adoperata  in  Ibn  Rosteb  HI,  1.  l.S,  ed  in  al-Hamdàni, 
Gcof/raphie  (At  ara/j.  HaUiinsel  lierausg.  voii  D.  H.  Mflller.  Leiden  1881-"Jl,i>.  12,  1.  11.  Al-Bal- 
tanS  (Rcinaud,  /ntroduction  generale  d  la  Géogr.  d'Aboulféda,  pag.  C'1>LXII)  ha  Tabrubani.  — 
Credo  che  al-Huwàrizmi,  come  accade  altre  volte,  indichi  col  nome  dell'intera  regione  la  capitale 
del  paese;  infatti  I.  Y.  ha  Serendib  colle  stesse  cifre  (nella  long  per  errore  A^  invece  che  •>^^, 
e  Tolomeo  'ArovQÓyQituuov  ^itatXeiot'  124°10',  8"1'>'. 

{*)  Un  bell'esempio  di  questi  racconti,  ove  fatti  veri  sono  mescolati  a  narrazioni  fantastiche, 
è  il  Libro  delle  meravù/lie  dell'India,  composto  fra  il  ftOO  ed  il  953  d.  Cr.  dal  capitano  Bozorg 
ben  Sahriy&r  di  Riinihormoz,  e  pubblicato  con  versione  francese  da  V.  A.  van  der  Lith  e 
L.  M.  Po  vie  fLeide  1883-86K  —  Le  avventure  di  Sindibiid  il  mnrinnio  nelle  .ìfilìc  e  una  notte, 
sembrano  pure  nna  eco  di  simili  racconti,  e  dovettero  formarsi  in  al-Hasrah  non  più  tardi  del  000 
o  9.50  d.  Ct.  (efr.  Nòldeke,  /fu  den  agyplinehen  .Vàrehen,  Zeitschr.  d.  dentsch.  morgenl.  Ge.sell. 
XI-II.  18S8,  p.  6n.  nota  2). 


—  41  — 

molti  particolari  sono  descritti  (f.  24,t.)  i  contorni  della  tjaslrat  al-'aqàrib  «  isola  degli 
Scorpioni  ',  i  cui  limiti  estremi  sono  in  long.  112''50'  e  121°20',  in  latitudine  a  S. 
dell'equatore  TTiD  e  11"0';  vien  fatta  menzione  della  ^asirat  al-'orùh  »  i^ola  degli 
uomini  nudi  »,  di  forma  quadrangolare,  col  centro  a  IST^SO',  ISoQ',  lunga  4  gradi 
per  3  di  larghezza  e  percorsa  (f.  30,v.)  da  un  fiume;  ed  è  ricordata  (f.  25, v.),  l'isola 
degli  Zani]  antropofaghi,  larga  e  lunga  4  gradi  col  centro  a  ISS^O',  S^O',  e  percorsa 
(f.  30,v.)  da  un  fiume  (').  —  Proseguendo  ancora  verso  Est  s'incontra  la  ^asirat  al-fìd- 
dah  «  isola  dell'  argento  »  a'  Sud  dell'  equatore;  i  suoi  limiti  estremi  (f.  25,v.)  sono  in 
long.  154°0'  e  159"30',  in  lat.  4020'  S.  e  O^O'  S.  Un  fiume  (f.  29,v.)  che  sbocca 
in  mare  per  tre  foci  l'attraversa  in  buona  parte  (-').  —  Altre  isole  favolose  sono  la 
gazlrat  al-qal'nh  al-mwll'ah  «  isola  del  Castello  lucente  "  {^)  nel  mar  Tenebroso  (il 
Pacifico)  a  circa  176°  long.,  22°  lai;  e  la  (jaslral  al-gawàhir  «  isola  delle  Pietre 
Preziose  »  ,  detta  anche  gadrat  al-yàqid  "  isola  dei  Giacinti  »  a  circa  173°  long., 
2"  lat.  N.  nel  mar  Tenebroso  {*). 

Nell'anno  95  eg.  (2(3  Sett.  713—15  Sett.  714),  regnando  l'ommiade  al-Walid  I, 
il  generale  arabo  Qutaybah  ben  Muslim  soggiogava  il  territoiio  di  Kàsgar  nell'alta 
valle  del  Tarim  {■')  ;  sconfiggendo  un  corpo  di  200.000  Turchi  comandati  dal  figlio 
d'una  sorella  dell'imperatore  cinese  C'),  cosicché  quest'ultimo  venne  a  trattative  col 
generale  musulmano.  Dopo  d'allora  le  relazioni  a  scopo  commerciale  colla  Cina  non 
furono  più  inteiTotte;  ed  ambascerie  arabe  giunsero  alla  corte  cinese  nel  726,  nel 
756,  nel  798  d.  Cr.,  quest'ultima  per  opera  di  Hàrùn  ar-Rasid  (").  Né  le  relazioni 
si  limitarono  alla  via  di  terra  attraverso  l'Asia  centrale,  poiché  già  nell'  Vili  sec. 
d.  C.  i  marinai  delle  coste  arabe  e  persiane  spingevano  le  loro  navi  sino  ai  porti  del 
Celeste  impero;  anzi  gli  annali  cinesi  raccontano  che  nel  758  gli  Arabi  e  Persiani 
erano  tanto  numerosi  e  potenti  a  Canton,  da  approfittare  d'un  momento  di  agitazioni 


(')  Sngli  Zang  della  geografia  araba  posteriore,  vedi  L.  M.  De  vie,  Le  pays  des  Zendja,  ou 
la  còte  orientale  d'Afriqii.e  au  moyen  dge  d'après  les  écrivains  arabes.  Paris  1883. 

(2)  Un'altra  Isola  dell'Argento  è  nel  Mar  Tenebroso  (il  Pacifico)  a  circa  168°-172''  long.,  7°  hit. 
S.  (f.  20,r.  e  29,v.). 

(3)  Il  ms.  al  f.  20,r.  scrive  i~-~'a^\  .^JiiJCJI  ;  al  f.  32,r.  <*--;-£mJ1  <*^j<Ì-ììJ1.  I  geografi  arabi  della 
decadenza,  che  vanno  in  cerca  di  tutte  le  cose  meravigliose,  ricordano  quest'isola:  v.  ad-Dimasqi 
171,  Ibn  al-Wardì  (Fragmentum  libri  Margaritae  mirabilium,  edidit  et  latine  vertit  C.  J.  Torn- 
berg,  Upsaliae  1835-30,  p.  49  del  testo)  ed  al-Qaz  winì  (t-Z- C«  jm'Ì» i'.s  Kosmographie,)i&rAnsg. 
von  F.  Wiistenfeld.  Gottingen  1847-49,  voi.  II,  p.  55). 

(*)  V.  20,r.,  31,r.  e  10, v.;  in  quest'ultimo  v' è  la  figura  dell'isola,  col  monte  die  la  circonda.  Al- 
Huwfirizmi  vi  conosce  (f.  2,r.)  le  città  (^•'^,  i_j — «-^-^  (anche  f.  31, r.),  ^^ — «=  (anche  f.  31,r.)  e 
,^!iUs:*  (f.  31,r.  ^'^^))  e  ricorda  (f.  31,r.)  anche  un  fiume  ,_y~jU>y  (var.  ,_5^Li.jl).  —  Al-Edrìsi 
I,  300-301,  conosce  pure  un'isola  dei  Giacinti,  ma  la  pone  nel  IH  clima. 

(^)  Ann.ales  quos  scripsil at-Tabari,  cum  aliis  edidit   M.   J.   de   Gocjo.    Lugduni 

Batavorum  1879-90,  ser.  II,  t.  Il,  p.  1275  e  segg. 

(«)  At-Tabarì,  ser.  II,  t.  II,  p.  1195. 

C)  Vedi  Kremer,  CuUurgcschicìUe  des  Oriimts  unter  don  Chalifen.  Wien  1875-77,  voi.  II, 
p.  279-280,  ove  son  riassunti  in  breve  gli  studi  del  Itrct  sch  nei  der  {On  the  knowledge  possesscd 
by  the  anr.ient  Chinese  of  the  Arabs  and  Arahian  colonies.  London  1871J.  .\ltro  interessanti  cita- 
zioni si  trovano  in  de  Goejc,  De  Muur  van  Gog  cn  Magog  (Verslagen  en  Mededeelingen  der  k. 
Ak.  von  Wetensch.,  Afdool.  I-ctterk.,  3"  reek.s,  deel  V.  Amsterdam  1888,  p.  102). 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —   Tol.  II.  Serie  5*,  parte  1*  6 


politiche  per  sollevare  un  tumulto,  in  cui  sacchoggiarono  le  botteghe  od  abbruciarono 
le  case  dei  mercanti,  allontanandosi  poi  per  mare  col  lauto  bottino  ('). 

Tali  rapporti  coli'  estremo  oriente  lasciarono  tracce  nel  Kitnh  ^ùrat  al-anl.  Il 
sistema  oro-idrografico  ha  sempre  i  caratteri  generali  di  Tolomeo;  ma  su  questo  fondo 
greco  si  innestano  le  città  di  cui  mercanti  e  marinai  portavano  notizia.  Nel  centro 
dell'Asia,  a  130"0',  33''0'  (-)  compare  at-Tubbat  (•').  il  Tibet,  col  quale  gli  Arabi  erano 
entrati  in  rapporto,  tanto  che,  .«econdo  lo  storico  Ibn  al-Alir,  nel  194  (15  Ott.  So'.i — 
3  Ott.  810)  al-Ma'miin,  essendo  ancora  semplice  governatore  del  Horàsàn  e  della 
Transoxiana.  avea  concluso  un  trattato  col  monarca  tibetano.  —  Procedendo  ad  Est. 
nella  Serica  degli  antichi,  gli  elomenti  greci  si  avvicendano  con  qualche  dato  nuovo; 
a  148"1U',  46°44'  è  indicata  (f.  8.r.)  la  città  di  cj^. — y^.  ^^^^  P^^''^  identica  colla 
regione  di  ^-U....^^  che  al-Edrisi  II,  410  seg.  pone  nel  VI  clima;  poi  abbiamo: 

Ottoràqàrà  (*)  140no'     37"50'  'Ouoqoxóqqu  I66°0'       37»15' 

Dorosàqi  151  "30'     42"0'  jQcoaaxì'^  1(j7°40'     42"30' 

Siri  cioè  Sisiyàu  (•')    15S''30'     40"'20'  2i]Qa  ^ir^TQÓnokic        ITT^O'       38"35' 

Sempre  nel  territorio  dell'antica  Serica,  al-Huwàrizmi  cita  ancora  (f.  0,v.)  : 

■    àJ^j^     lb0''3ì'     40''37' 


yj>  à^p.^     1G0°0'       40°55' 

Ignoro  cosa  sia  il  secondo  nome,  al  quale  non  trovo  corrispondenti  né  in  Tolomeo  né 
presso  gli  altri  geografi  arabi;  quanto  al  primo  mi  sembra  quasi  certa  la  correzione 
in  sy^  Bajibùr.  Gli  Arabi  chiamavano  l'imperatore  della  Cina  col  nome  di  Hajibiir 
0  Fagfur('');  è  quindi  verosimile  che  la  >.  città  di  Bagbiìr  ■-   indichi  una  dello  capi- 

(>)  Uichthofcii,  China,  Ergebn'me  cigencr  Reisen  und  darauf  gegrùndeter  Studien.  Ber- 
lin 18:7-83,  voi.  I,  p.  569. 

(«)  Ms.  (f.  r,,v.)  J.  I.  Y.  ha  ISO-IS'  (o  55'),  33"0'  (^). 

(3)  Nejjli  annali  cinesi  del  V  scc.  d.  Cr.  il  nome  è  T'u-bat;  esso  è  corruzione  del  tibetano 
Slod-liod  «  Bod  superiore»    (sul  significato  di  Bod  =  Ti\>oì,   vedi  L.  Fcer  nel  Journ.  Asiatiquc 

séT.  IX,  t.  I,  1893,  p.  161-C2). 

(«)  In  al-Edrisi  U,  214  e  21.5  erroneamente  LiUiy»!  (Jaiibert:  Atracana). 

(5)  ,\1  f.  28,r.  si  lepfre  ^;;l>.»^«.4.i  J>^\  ,_yb^  ^yò^.^  >)h  u  Territorio  Siriqi  (i>;e'X';)  ossia 
terra  di  Sisiyàn  »  (cfr.  al-Edrisi  II,  222,  22:?.  -  :^'ÌQ"  (Sin'i)  crrisimude  a  Canp-npm,  l'attuale 
Hsi-npan-fu,  nella  provincia  di  Sen-si  (Richthofen,  China,  1,  489).  Teofilatto  (Hfoyiinxrov)  Si- 
iii./catta  neir828  la  chiama  Sovjìói;v  (IMchthofcn,  I,  551-52);  e  già  nella  parte  siriaca  della  fa- 
mosa iscrizione  bilingue  di  Hsi-n(?an-fu,  dell'anno  781 ,  la  città  appare  col  nome  di  Kumdan.  Ibn 
Waiib,  che  il  saccheggio  d'al-Ba.:;rah  per  opera  degli  Zanii  nel  25T  eg.  (29  Xov.  870—17  Nov.  781) 
avca  spinto  a  viaggiar  nell'India  e  nella  Cina,  visitò  anche  Cang-ngan,  alb.ra  capitale  del  regno,  e 
nella  sua  relazione  la  chiamò  Homdan.  D'allora  in  poi  questo  nome  rimase  nella  geografia  araba 
(solo  il  h'itiib  al-Fihrist,  p.  3-50,  1.  15  ed  ai-Mas' lìdi  I,  313,  321   hanno  Hamdàn). 

(<'•)  l'er  le  varie  forme  del  nomf  vedi  il  Kitiib  al-Fihrist,  Aninirkungen,  voi.  II,  pag.  185.  — 
A  I-M  a»' lìdi  I,  306,  e  l'autore  del  Fihrist  (tosto,  p.  350,  1.2-3)  dicono  che  Uagbiìr  in  cinese  si- 
gnifici  u  figli.,  del  cielo».  È  evidente  che  gli  Arabi  ebbero  questo  nome  per  tramito  iranico;  in 
persiano  ba^-pùr  significa  «  figlio  di  Dio  »,  ed  ò  la  traduzione  del  titolo  imperiale  cinese  tiCn-tszc 


—  43  - 

tali  cinesi;  ed  allora  la  sua  posizione  rispetto  a  Sìrà  (Cang-ngan,  ora  Hsi-ngan-fu) 
ci  autorizza  a  identificarla  con  Lo-yang  (ora  Ho-nan-fu  presso  lo  Hwang-ho),  che  in 
quell'epoca  era  una  dulie  residenze  iuiperiali. 

Nella  Cina  (as-Sin)  proi)riamente  detta,  2ivoh'  xw(>«,   oltre  a  5  città  anonime, 
abbiamo  sulle  rivo  del  mare  due  avanzi  di  Tolomeo: 


Qattìy:òrà  (') 

lePSO' 

6°0'  Sud 

Kax%iyaqu 

17700' 

803O'  s, 

Asfìtrà  (^) 

164015' 

18°0'  Nord 

'Aani&qtt 

17500' 

16"0'  N. 

Al  f.  2,r.  incontriamo  Sùsah  I68040',  4°4o'  città  descritta  come  molto  impor- 
tante da  al-Edrisì  I,  193.  e  menzionata  anche  da  I.  Y.  »  Sùsah  dell'occidente  -^  (al- 
garb;  sic!)  168°35',  4°4ò';  poi  al  f.  l,v.  compaiono  per  la  prima  volta  nella  geo- 
grafia l^i^.U-,  lyLJb  0  I3 — «uls.    Disgraziatamente  il  copista  non  ha  indicato  le  cifre 

relative.  Il  primo  nome  va  letto  \^ tLii.^  Hànqù,  città  che  corrisponde  a  Canton  (0 

Hongkong)  e  di  cui  parlano  spesso  gli  scrittori  arabi  (■');  l'ultimo  è  senza  dubbio 
Qànsù,  cioè  il  porto  di  Kiau-cóu  nella  provincia  di  San-tung  (').  Ignoro  come  bisogni 

leggere  ed  interpretare  il  secondo  nome  Ij sob,  tanto  più  che  il  ms.  non  indica  le 

posizioni  rispettive  delle  tre  città. 

A  N.-E.  del  Tibet  (at-Tubbat),  col  centro  a  14300',  59°30'  (var.  14'),  è  il  paese 

^figlio  del  cielo.  Questa  spiegazione  fu  già  del  resto  intravveduta  dal  Neumann,  Asiatische  Stu- 
dien.  Leipzig  1837. 

(1)  In  causa  d'un  guasto  nel  ms.  la  lettura  della  long,  è  un  po'  incerta.  Cattigara  pare  fosse 
posta  sul  golfo  del  Tong-king  sul  luogo  circa  di  Kiau-ci  (ora  Han-noi);  v.  Eichtliofen,  China, 
I,  508-510.  Il  nome  di  Qattigòrà  è  conservato  anche  in  al-Edrisi. 

(2)  È  ricordata  an.  he  in  al-Fargànì  colla  forma  U-J^i-^l.  —  II  ms.  nella  long,  dà  y-^  (  '-^ 
167")  invece  di  ^x.»^  164°;  la  mia  correzione  è  richiesta  dalla  serio  progressiva  delle  longitudini, 
e  da  quanto  si  legge  intorno  alle  coste  al  f.  18,r.  (ove  il  nome  è  scritto  -.^XiLwl). 

P)  Alcuni  scrivono  anche  Ij — iJla^  Hànfù.  Al-Edrìsi  I,  84,  85,  90,  99,  i  mss.  d'Ibn  al 
Faqih  (ediz.  de  Goeje,  p.  13),  al-Ta'qùbl  .365,  ed  Abù  '1-fidà'  364  hanno  Hànqù;  il  Kitnb 
al-Fihrist  Hànqùn  (p.  350,  1.  3)  e  Hànqù  (p.  .350,  1.  16).  Invece  Ibn  Hurdàdbeh  ha  Hànfù  (p.  69, 
1.  3  e  5),  e  così  pure  il  Livre  des  merveilles  de  l'Inde  citato  sopra  a  p.  40)  p.  92,  133,  144.  Altri 
scrittori  sono  incerti  tra  le  due  forme;  al -Mas 'udì  scrive  Hànqù  (I,  303  ter,  304)  e  Hànfù  (I, 
308,  309,  311,  312,  313  ter,  321);  ad-Dimasqi  Hànqù  (203  e  229)  e  Hànfù  (15  e  127).  ifRenau- 
dot  nel  1718,  il  de  Guignes  ed  il  Neumann  aveano  identificato  questa  città  con  l'attuale  Can- 
ton; ma  il  Klaproth  (Mémoires  relatiff  à  l'Asie.  Paris  1824,  voi.  n,  p.  200  sg.)  credette  di  dover 
cercare  Hànfù  a  Hang-cóu-fu  nella  provincia  di  Ce-kiang.  Questa  ipotesi  fu  tosto  accettata  dai  più, 
ed  in  conseguenza  preferita  l'ortografia  Hànfù.  Però  lo  Sprenger  (Die  Post-  und  ReiserouWn  des 
Orients.  Leipzig  1864,  p.  91.  Abhandl.  f.  die  Kunde  des  Morgenlandes,  III  Bd.,  3.  Heft)  .studiando 
bene  gli  itinerari  concluse  che  «  nella  Hànfù  d'al-Blrùni  si  deve  riconoscere  senza  dubbio  Canton  n. 
Il  Richthofen  (China  I,  574-576),  persuaso  degli  argomenti  dello  Sprenger,  ammise  l'identità  di 
Hànqù  con  Canton,  ma  nel  tempo  stesso  suppose  a  torto  l'esistenza  d'un' altra  città  delta  Hànfù  e 
corrisiiondonte  a  Hang-cóu-fu.  Lo  studio  dei  testi  arabi  mostra  che  Hànfù  e  Hànqù  sono  una  stessa 
città  uguale  alla  nostra  Canton  (Hongkong);  ed  a  questa  conclusione  sembra  giunto  anche  il  de 
Goeje,  a  giudicarne  da  una  sua  brevissima  nota  ad  Ibn  Hurdàdbeh  66.  —  Hang-cóu-fu  va  cer- 
cata nella  Hàngù  d'Ibn  Hurdàdbeh  06,  d'al-Bìrùnt  e  d'Abù  '1-fidà'  864  (al-Edrisi  I,  85 
e  100  yoli-), 

(■')  Kichthofon  I,  57.5-570.  —  Ibn  IJurdàiJbeh  ha  Qànsù  (pag.  701  ed  anche  per  errore 
(p.  69,  1.  G  e  9)  ^Is;  al-Edrlst  l,  193  jmre  erroneamente  l^.l»  (Jaubcrt:  Caitova). 


—  44  — 

abitato  dalla  popolazione  turca  at-Tiujusyus  (^);  ed  ancor  più  verso  oriente,  nell'e- 
stremo angolo  N.-K.  dell'Asia,  son  relegati  i  mitici  paesi  di  Gog  e  di  Mugog  (Yà- 
éi'ig  0  Màjì^l),  che  la  leggenda  coranica  aveva  reso  famosi  anche  tra  i  musulmani. 
La  muraglia  gigantesca  (as-sadd)  posta  fra  i  due  monti  YàC'Uii:  e  MAj^i'i^  (-)  è  ricor- 
data al  f.  14,r.;  al  f.  14,v.  si  parla  della  montiigna  circondante  il  paese  di  Yàgù^, 
quella  stessa  che  al-Kdrìsì  li,  347  nomina  Qùqùyà;  ed  ancora  nel  paese  di  Yà^ù^ 
si  citano  i  monti  Sàmùlil  (f.  14,v.),  ^_;,».-.-..i>.  (f.  l.".,v.)  e  ^^^^  (f-  l'),v.).  Le  città  sono: 

Città  di  Yaé'ft^(3)  170''25'     43»35'  (I.  Y.  170''25',  42''35') 

Cittù  di  Wà^i  171«0'      45°0'  (manca  in  L  Y.) 

Città  di  Màgùg  interna  (<)     172''30'     63»0'  (I.  Y.  172''30',  63''0') 

Secondo  il  f.  38,v.,  il  tìurae  Bàtis  {BavTtaog  o  Bavu^i,  Ptol.  VI,  Ili,  3),  che 
nasce  a  He^O',  SO-'O',  dopo  esser  passato  per  HO^O',  41O30'  e  per  158''0',  40''10', 
entra  fra  il  monte  ^_ywXw^  e  la  gran  muraglia  (as-sadd),  tocca  le  città  di  Yà;ùg 
e  di  Màgiìg,  terminando  a  180°0',  47''30'.  —  Un  altro  fiume,  il  Yùhardìs  (f.  43,v. 
^_y-o>y^y;  01xci()ài^g  YI,  la,  2  e  16,  3),  nascente  a  14ó"3u',  47''0',  percorre  le  me- 
desime regioni,  passa  per  la  città  di  Maglie  interna,  e  finisce  a  IBCO',  49''30'.  — 
Si  vede  dunque  che  al-Huwàrizmì,  avendo  diminuito  di  alcuni  gradi  le  longitudini  dei 
paesi  orientali,  approfittò  dello  spazio  rimasto  libero  ad  E.  per  collocarvi  i  popoli 
leggendari  di  Yàgùg  e  Màgiìg. 

Le  altre  regioni  asiatiche  corrispondenti  alla  Scythia  intra  Imaum  ed  alla  Scy- 
Ihia  extra  Imaum  degli  antichi  non  offrono  innovazioni  molto  importanti  (•''). 

(')  F.  27.V.  jij«-^l.  Il  nome  è  scritto  e  letto  in  vario  modo:  at-Taéazgaz,  at-Tagaiyar  (al- 
Edris!  a  torto  sempre  al-Bagargar).  Il  Reinaud  (La  f/i'ographie  d' Aboul fèda  traduile  ctc, 
1. 1;  Introduclion  qi'iUrale.  Paris  1848,  p.  CCCLXIII)  fu  il  primo  ad  identificare  questo  popolo  cogli 
Cygfir;  e  più  tardi  il  Grigoricff,  notando  che  gli  Ùygùr  si  dividevano  in  Toqùz-ùygùr  a  i  9  uy- 
gùr  n  ed  On-ùyijùr  u  \  10  ùygùr  »  j  spiegò  la  forma  araba  come  derivata  dal  primo  nome.  Questa 
ipotesi,  generalmente  ammessa,  fece  dar  la  preferenza  ad  at-Tuguzgur.  Per",  come  osserva  il  N  fi  1- 
deke  (nella  prefazione  del  de  Goeje  ad  Ibn  Rosteh),  il  nome  Tughzghuz  s'incontra  con  caratteri 
]i!tzend  in  uno  scritto  pehlerico  del  gran  sacerdote  MànNscihr,  il  quale  nel  IX  sec.  d.  Cr.  pare  abbia 
avuto  rapporti  personali  con  quel  popolo  ;  ciì>  rende  dubbia  assai  l'etimologia  del  tìrigorieff,  e  ci  fa 
Iirefcriro  la  forma  at-Tuguzjuz.  —  Questi  al  tempo  d' al-Huwàrizml  abitavano  a  Nord  dell' Altln-tàg 
e  del  Kùkù-nòr. 

(•).  Le  notizie  vaghe  intorno  alla  grande  muraglia  cinese,  la  cui  costruzione  rimonta  al  220- 
212  av.  Cr.,  hanno  dato  origine  a  questa  leggenda  d'una  grande  muraglia  edificata  da  Alessandro 
Magno,  leggenda  che  appare  già  nel  II.  sec.  d.  Cr.  nel  Pscudo-Callistene.  Si  veda  de  Goeje,  De 
muur  van  Gog  en  Magog  (Versi,  on  Medcdeel.  dcr  k.  Ak.  van  Wetensch.,  Afdeel.  Lctterk.,  3"  recks, 
V  deci.  Amsterdam  1888,  p.  87-124). 

(')  Xel  ms.  la  lat.  è  ^  48°  invece  che  ^.  Siccome  la  città  6  posta  nel  VI  clima  (fino  a  45°0'), 
la  mia  correzione  è  necessaria;  inoltre  è  confermata  da  altri  passi  del  ms. 

(*)  Nella  lat  il  ms.  ^ — >«>  68".  Ma  al-Huwàrizmi  pone  la  città  nella  zona  fra  il  VII  clima  e 
63°0'  lat.  (più  a  Nord  non  esistono  terre  abitate);  quindi  la  correzione  è  evidente.  Essa  è  pure  con- 
fermata da  quanto  si  legge  al  f.  43,v. 

(')  Anche  qui  il  testo  d'  al-HuwàrizmI  pennetto  di  riconoscer  con  certezza  l'origine  tolemaica 
di  alcuni  nomi  edrùsiani.  Al-Edr5sl  II,  412,  monti  lJL-Ji-j\  (.laubertr  Oscasca);  la  carta  iti- 
neraria mostra  la  loro  identità  cogli  Lw»jLi.»ol  d' al-ljuwiirizmi  (f.  15,r.  U-aiU-wI;  f.  42,v.  senza  punti) 


—  45  — 

IX. 

L'  Eu  ropa. 

Nell'Europa,  più  che  nelle  altre  parti  del  mondo,  è  naturale  che  appaia  la  guida 
di  Tolomeo,  benché  anche  qui  il  geografo  arabo  mostri  alcune  buone  rettificazioni  al 
suo  predecessore;  solo  è  a  dolersi  che  i  nomi  europei  siano  tanto  alterati  nel  mano- 
scritto di  Strasburgo  da  diventare  in  buona  parte  irriconoscibili. 

L'Irlanda,  ricordata  col  nome  di  Yilbàrniyà  (f.  20,v.  L_-J,by,  f.  43,r.  Lo.^b^), 
per  la  configurazione  delle  coste  e  pel  suo  sistema  idrografico  è  calcata  interamente 
sul  modello  greco;  le  longitudini  e  lo  latitudini  estreme  sono: 


long. 

7''30' 

16°30' 

Tolomeo: 

TMO' 

16°20' 

lat. 

57''30' 

6  IMO' 

fl 

hl°0' 

61  "30' 

Eiferisco  i  nomi  delle  5  città  irlandesi  (f.  8,r.),  perchè  serviranno  a  dare  un'idea 
della  scorrettezza  del  ms.  nei  nomi  propri: 

Jb  lO^O'  58»10'  Cfr.  'lovfQvig  IPO'       58»10' 

lj-b  11»0'  SBoóO'  Cfr.  Jovvov  12°30'     58°45' 

^j^^y\  12"20'  59n0'  Cfr.  Aà^i^Qoi;  WO'       oQ^lS' 

^>  ^jJlì  sul  m.  12"50'  57°45'  Al  f.  20,v.  ^^^  (var.  ^.^-^-u^) 

^y  sul  m.  IS^SO'  60°30'  Al  f.  20,v.  senza  puuti. 

Invece  la  Gran  Bretagna  od  Alàyà  (f.  21,  r.  U^l;  f.  43,r.  b_jJ\  colla  var.  Lo^l) 
contiene  una  riforma  notevole.  Ognuno  ricorda  la  forma  allungata  dell'isola  d'Albione 
{'Aluvidìì)  in  Tolomeo,  così  che  la  ditt'erenza  tra  le  longitudini  estreme  è  di  20"20', 
e  quella  fra  le  latitudini  estreme  solo  di  10"10'.  In  al-Huwàrizmì  la  prima  è  di  14", 
la  seconda  di  10"  come  risulta  dal  prospetto  seguente: 

long.  17"10'     31°10'         Tolomeo:  11"0'       3P20' 
lat.     51"30'     61"30'  »  51"30'     6P40' 


=  'Àaniata  di  Tolomeo  VI,  14,  6  (quindi  in  al-EdrJsi  1.  b;.^---.^!  Asfìsiyà).  —  Al-Edrisi  II,  ll;ì. 
monti  U^Àt  (Jaubert:  Taghora);  1.  ^^y^  Tallirà  come  in  al-limvfirizmi  f.  15,r.  =  IV(;ioie«  di 
Tolomeo  VI,  14,  7.  —  Al-Edr.  II,  415,  monti  bJ^*»"  (Jaubert:  Chounia),  fra  i  paesi  di  Simriqi 
fprobabilmetito  errore  di  scrittura  per  il  Siriqì  d'al-Huwàrizuiì  = -vc^f';.  Storica)  ediSisiyàn;  le<r!,n 
Lo_j^  Suwibà  (al-Huwàr.  f.  15, r.  ^y^)  ^  it'r»,,J«  (VI,  14,  8).  —  Al-Edr.  II,  400  ricorda  la  re- 
gione di  <*-<Jyù*jl  (Jaubert:  Asconia),  e  11,408  quella  di  ^J^\  {^yL^\  (Jaubert:  .\sconia  des 

Turcs);  in  ambedue  i  casi  bisofjna  leggere  ' ó^JÙ-col  Isqùtiyà,  od  à^yLui\  Isqùtiyali  ;  infatti  al- 

Huwarizmi  nella  tavola  dei  punti  cenlrali  delle  re^;ioni,  conosce  la  Isqiìtiyà  dei  Tu.iuziiuz  (=  2'xi'Wirt 
jj  éxTÒs  'l^dov  òpoiif)  e  la  Isqùtiyà    (ms.  Lo^ìl»»jI)  dei  Turk  (= -xvOiu   >'/  éviùi  'IfÀclov  oqovì). 


—  46  — 
Fra  le  città  si  possono  riconoscere: 


Om5<ros  (') 

20»40' 

Ó3*-15' 

Noioiiayo; 

19M5' 

53''25' 

Loudinùn  ('-) 

21''0' 

54''25' 

-/orJnvoi' 

20''0' 

54°0' 

Eboraqiin  (^) 

21030' 

58»40' 

'Efi6(}ieì(oy 

20"0' 

57020' 

QaturaqtoDTÙn  {*) 

21O40' 

5..°30' 

KatovQuxtéì 

tiov 

20^'0' 

ss-o' 

Uwantà  (^) 

22''0' 

57«10' 

Ovt'vra  TWJ' 

2(;U«rwt' 

20''30' 

55''25' 

Delle  città  che  non  riesco  ad  identificare  noto  soltanto  ^yi\  la  grande,  a  19"40', 
59''45'  (f.  8,r.  ;  il  nome  ricorre  anche  al  f.  21,r.),  la  quale  si  trova  pure  in  Ibn  Yùnus 
sotto  la  forma  ^^1  e  colle  cifre  iy»4u',  59»37'. 

Le  isole  vicine  alla  Gran  Bretagna  ed  all'Irlanda  rimasero  anonime;  però  dalle 
indicazioni  date  è  facile  riconoscere  le  isole  Ovi]XTt'c,  Toltdmc,  Kwowvog,  Mòia, 
Moviiotód,  le  Efiofdtd  ecc. 

Di  fronte  all'ingresso  del  Mediterraneo,  scrive  al-Huwàrizmì  (f.  l.',v.),  alla  lat. 
di  3fì°0'  trovansi  "^  due  idoli  (sanam)  di  rame,  i  quali  portano,  tenendolo  per  i  piedi, 
k  un  altro  idolo;  e  si  dice  che  questi  siano  i  limiti  estremi  di  Ercole  (nel  ms. 
«  JijA  f^\)  al  di  là  dei  quali  nessuno  può  passare  "  (")• 

La  costa  europea  MVAIlaiitico  non  offre  diversità  notevoli  dalla  carta  di  To- 
lomeo; invece  bisogna  notare  che  nell'arabo  (f.  16,r.)  la  costa  si  prolunga  molto  più 
a  N.  di  63°  lat,  estremo  limito  delle  terre  abitate,  toccando  alla  long,  di  60°0'  la 
lat.  di  72°0',  e  giungendo  finalmente  a  58°0'  long.  78°0'  lat.  A  questo  punto  la 
costa  si  dirige  verso  Ovest  fino  a  toccare  1°0'  long.;  segue  questo  meridiano  sino 
a  0°10'  lat.  N.,  od  allora  piega  verso  Hst,  cos'i  da  incontrare  a  20°0'  long.;  0"10' 
lat.  N.  le  spiagge  africane.  In  tal  modo  l'Atlantico  diventa  un  vasto  mare  interno, 
e  ciò  spiega  la  longitudine  delle  isole  Canarie  {Maxdgwv  rijaoi,  1"V,  6,  34)  nel 
geografo  arabo  (f.  2u.r.  e  20. v.).  Siccome  a  PO'  long,  si  trova  la  spiaggia  occiden- 
tale dell'Atlantico,  cos'i  le  Canarie  dovettero  esser  portate  più  ad  E.  che  in  Tolomeo: 


Fintuwàrà  {") 

3°(.)0' 

7°30' 

ITifiovaQin 

0°0' 

10»30' 

Qàuàriyà  C) 

4°40' 

11»0' 

Kcetcegia 

PO' 

11»0' 

Hàrà 

a'O' 

13°  (^)  5' 

"llqac  l'f^ffoc 

1°0' 

15»15' 

(')  La  lat.  (f.  8  r.)  Ì!  *-•  ^  ;  le  notizie  dat*  al  f.  21, r.  permettono  di  leggere  con  sicurezza  <*-^  ^• 

(})  F.  8,r.  c->/->^>  ;  f-  33,r.  ^y>^\- 

(»)  Ms.  (f.  8,r.)  ^j^f\- 

{*)  F.8,r.  si'nza  punti;  f.  :?3,r.  ^y^^  ^^■.  al-HamdànS,  Gcocjr.  Arahixch.  Ilalbinselhts^. 
von  D.  H.  Moller.  Liidcn  1881-91.  p.  21  ,j~^y^  ;*^^  (cfr.  la  nota  relativa  nel  voi.  II,  p.  9).  — 
fn  jruasto  nel  ms.  impedisce  di  legger  la  seconda  cifra  della  lat.;  però  dal  confronto  con  Tolomeo 
e  colle  notizie  al  f.  33.r.  si  può  ristabilire  con  certezza  59":30'. 

(5)  Forse  nei  gradi  della  latitudine  bisogna  leggere  y  56°  invece  di  jj. 

(«)  Cfr.  al-Mas'iìdi  I,  2.57:  Kltiib  at-lanb/h  60;  el-Cazwini's  A'osmoyrn/i/.iV,  lierausg.  von 
F.  Wùstcnfeld,  II,  300-370;  ad-l)inia<qi  173  e  348;  Dozy,  lìecherches  sur  l'kistoire  politi- 
que  et  liUéraire  de  VEspagne  pendant  le  moyen  dge.  Leyde  1860,  voi.  II,  pag.  329. 

P)  M«.  \)\^a^  colla  variante  l^U-^. 

(»)  Ms.  bj\pU. 


—  47  — 

Kasàfàriyà  (')        G'O' (var.  5')   12°30'  Kagaugiu  0»0'     12<'30' 

^LL^ib  3"(^)]()'         13°(^)40'  W.ovnùXu  CO'     W\h' 

Isola  3''2U'  15"U'"(var.  5')     'AnQÙanoi  0°U'     16°0' 

L'idea  di  un  continente  così  interposto  fra  la  Spagna  e  la  Cina  non  è  tolemaica, 
e  neppure  mi  sembra  indicare  vacrlie  notizie  intorno  all'America.  Nella  Torrayijtafi'a 
Xtnaiiccvixi]  composta  fra  il  535  e  il  547  da  Cosma  Indopleuste,  la  terra  abitata  ha 
la  forma  di  un  grande  rettangolo  circondato  interamente  dall'Oceano,  e  questo  a  sua 
volta  è  tutto  cinto  da  una  terra  inaccessibile  all'uomo,  o,  come  dice  la  figura  del 
mappamondo  di  Cosma,  yij  ttìqkv  tuv  uixKcrov  i'iO^a  ttqò  zov  xarctxXvcyiioi'  xanó- 
xovv  ol  cii^(iù).-Toi  «  terra  al  di  là  dell'Oceano,  ove  prima  del  diluvio  abitavano  gli 
uomini  »  (-).  Questa  concezione  di  Cosma  (•')  esiste  anche  presso  altri  scrittori  cristiani, 
come  quella  che  bene  rispondeva  a  certe  loro  idee  cosmologiche.  Ora,  se  si  vuol 
mettere  d'accordo  questo  concetto  coU'altro  della  sfericità  della  terra,  si  è  costretti 
a  far  passare  tra  la  Spagna  e  la  Cina  il  continente  che  circonda  l'Oceano.  Il  famoso 
Giacomo  d'Edessa  (Ya'qiìbh  d-Urhày,  morto  nel  708)  sostenitore  della  sfericità  della 
terra,  in  una  sua  grande  opera  siriaca  intitolata  Mimrà  dha-stà  yawmé  «  Trat- 
tato sui  sette  giorni  [della  creazione]  » ,  parla  infatti  di  continenti  inaccessibili  posti 
al  di  là  del  mare  a  N.  dell'Europa  o  dell'Asia,  ed  a  Sud  dell'Oceano  Indiano  (yamà 
siìmàqà  «  mar  rosso  »  =  '£Qv&Qà  ^àXaaau)  ;  e  nel  tempo  stesso  scrive  :  "  Anche  ad 
«  Est  di  tutta  l'Asia  narrano  che  parimenti  vi  sia  una  terra  sconosciuta,  con  abissi, 
«  voragini  e  baratri  profondi,  opera  di  Dio,  la  quale  non  viene  percorsa  [da  alcuno] 
«  e  neppure  è  abitata  »  (^).  Più  innanzi  Giacomo  d'Edessa  continua  :  »  Sta  scritto 
»  che  vi  è  una  terra  dirimpetto  alla  Spagna  ed  alle  Colonne  d'Ercole  (qàyemté  dh- 
«  Heraqlìs),  [la  quale  si  estende]  fino  al  paese  dei  Cinesi  (athrà  dh-Sìnàyè)  che  è 
"  ad  est  dell'India;  e  questa  terra  è  sconosciuta  e  disabitata  »  (^).  —  Così  la  teoria 
della  sfericità  terrestre,  combinandosi  con  una  vecchia  e  fantastica  concezione  cosmo- 
logica, faceva  intravvedere  alla  fine  del  VII  sec.  l'esistenza  del  continente  americano. 


(')  Ms.  Uo.^UU^. 

(2)  Si  veda  la  buona  ri])rocliizione  dui  mapiiainondo  di  Cosma  nel  Marinelli,  La  Geografia 
ed  i  Padri  della  Chiesa.  K..ma  1882,  \<.  37  (Estr.  dal  Bollet.  della  Soc.  Geogr.  Rai,  Mafrijio-Lu- 
fflio  1882). 

(  ')  L'origino  di  quest'  idea  d' una  terra  inaecessibile  circondante  l'Oceano,  mi  sembra  vada  cor- 
cata nella  cosmografia  iranica.  Secondo  VAvestn,  nel  primo  giorno  di  pioggia  la  terra  fn  dalle  acque 
divisa  in  7  parti  (karsvare);  gli  uomini  ]inssono  abitare  sido  il  knrxrarc  detto  hiranirntha,  intorno 
al  quale,  separati  da  abissi  insormontabili  e  dalle  aeque,  sono  disposti  in  giro  gli  altri  ti.  Insomma 
ò  un  concetto  analogo  a  quello  dei  7  dv/pa  indiani.  Ritengo  probabile  che  questa  idea  iranica  sia 
passata,  come  tante  altre  di  carattere  religioso,  nel  cristianesimo,  avendo  anche  trovato  il  terreno 
un  po'  preparato  dalle  antiche  concezioni  elleniche.  Al  di  là  dell'  oceano,  creduto  una  vasta  corrente, 
Omero  collocava  non  solo  l'Ade,  ma  anche  la  terra  dei  Cimmerii;  <•  tradizioni  consimili  vengono 
citate  ili  altri  scrittori  greci.  Gli  stessi  racconti  di  continenti  sommersi  potevano  favorire  il  ditl'on- 
dersi  del  concetto  orientale. 

(')  Si  veda  il  testo  in  Martin,  L' E.vnmrron  de  Jacques  d' Edcssc  [Journ.  Asiat.  st'r.  Vili, 
t.  XI,  1888,  p.  -1.3.5). 

('■)  Il)ideiii,  p.  \'u   unta. 


—  48  — 

Lo  ideo  di  Giacomo  d'Edessa  erano  senza  dubbio  ditTuso  nello  scuoio  siriache  tioren- 
tissinie  di  Nisibi  e  di  Edessa;  in  tal  modo  {giunsero  agli  Arabi,  e,  un  po' modificato, 
riapparvero  nell'opera  dei  geografi  dal-Ma'miìn. 

Parlando  dell'Africa  abbiamo  veduto  che  fra  Tunisi  ed  Alessandria  era  stata 
operata  una  riduzione  della  troppo  grande  distanza  tolemaica;  una  riforma  consimile, 
benché  men  buona,  ebbe  luogo  anche  nelle  coste  settentrionali  del  Mediterraneo  orien- 
tale. In  Ispagna  il  geografo  arabo  non  si  scosta  dal  greco,  come  bastano  a  provarlo 
alcune  posizioni  di  città  : 


(j adirà  (') 

b'IO' 

3Ó"Ó0' 

rdànQic 

5»4U' 

36>'30' 

ìtaliqa  UlU^\ 

7"30' 

39"4(y 

'IzCtXlXK 

7»0' 

38»0' 

Isbàlìs  (-') 

7"'20' 

37"20' 

"lanieXii 

7°15' 

37OÓ0' 

Qorlobah  (•'') 

9"2<»' 

38''2"/ 

KiifiSiiiì^ 

9''20' 

38»50' 

Astùriqi 

O-IO' 

43"30' 

'AaioÌQixa 

9»3U' 

4400' 

Haykal  az-zuharah 

V) 

19"3U' 

42"  10' 

'IfQÒv  'Atfqoditifi 

20"20' 

42''20' 

Procedendo  nella  Gallia  abbiamo  p.  es. 


Noinawsos 
Luiduiiùn  (■') 

Nìqiyà  (") 


22°5ó'(.*o)     44''15' 

23'*(^)45'    45''0' 

23°{^)45'    44»3U' 


280  lo' 


42''G' 


yiovyàovvov 

Ovuvva 

Nix((i(( 


21  "SO'  43"0' 

23n5'  45''50' 

23O0'  45»0' 

28»0'  42"35' 


ove  nulla  mostra  una  vera  rirorinu   di  Toloiiiuo.    Ijivece    in   llulia   la    longitudine  è 
già  spostata  verso  occidente  di  1  i  o  2  gradi: 


Kùmiyah  (^) 
Qùmà  (■') 


35°25'     41050' 
37010'     42O0' 


Kovixai 


36''40'     41"  10' 
39020'     41  "lo' 


(1)  \yjU.  Qodiimali  231,  Ibn    Rosteh  85,  ed   al -lì.ittàn  i    (in    IJeininul,    Introduction, 
p.  CDLXII)  scrivono  i>j?.->^  Gadirali. 
.  (*)  Ms.  senza  punti. 

(')  Qort.nlìati,  fd  111  f.  l.r.  (^nr^à^inah  (KttQxijduly  via),  sono  i  soli  nomi  di  forma  araba  citati 
in  I»pa);na  da  al-Huwarizmì. 

{*}  n  nome  arabo  è  la  esatta  traduzione  del  greco  («  Tempio  di  Venere  ").  e  rimase  anche  nei 
geografi  arabi  posteriori. 

('')  Ms.  qui  (f.  6,v.)  e  f.  39.r.  Ciy^fy^- 

C)  Al  f.  ;i!),v.  LJyLj  ;  le  indicazioni  che  ivi  si  leppono  non  lasciano  dubbi"  che  si  tr.itti  pro- 
prio di  (h'ttyt'u  (Vienna  di  Francia). 

C)  Ms.  senza  punti. 

(«)  Abù  M-fidiV  210,  cita  per  Roma  le  cifre  .30030',   13"  (^)  50',  come  date  da   u  un  buwà- 
rizmiano  n  {i,j^j)^y^  senz'articolo). 

(*)  Non  so  come  correggere  la  latitudine,    mancando  in  quest"  casu  ogni  materiale  sicuro  di 
confronto. 


—  40  — 
Di  qui  la  correzione  aumenta  rapidamente  : 

Yàder(')  BS^ÒO'     44<'30'  'Idóega  4200'       43<'45' 

al-Qostantiniyjah  49''50'     45''0'  Bv^dvxiov  -SG^O'       4305' 

Così  la  lunghezza  totale  del  Mediterraneo  è  più  conforme  al  vero  che  in  Tolomeo; 
però,  la  riforma  essendosi  operata  per  le  coste  settentrionali  solo  a  partir  dall'Italia, 
la  differenza  fra  Koma  e  Costantinopoli ,  in  Tolomeo  2"  i  maggiore  del  vero,  in 
al-Huwàrizmì  rimase  di  2°  \  troppo  piccola. 

Trattando  dell'Asia  Minore,  notammo  che  le  sue  coste  settentrionali  erano  state 
portate  troppo  a  Nord;  conseguenza  di  questo  fatto  è  la  troppo  elevata  latitudine  di 
Costantinopoli  e  delle  rive  settentrionali  del  Mar  Nero;  p.  es.: 

Ewfatoriyyà  (^)  55''20'     52n0'  EvnutoQla  60"45'     47»40' 

Delle  isole  italiane  sono  ricordate  per  nome  solo  la  Corsica  (Qumos  f.  22,r., 
35,v.  e  36,r.;  Kvqvoo)  e  la  Sardegna  (■');  in  quest'ultima  noto  (f.  5,v.),  perchè  si 
trova  anche  nel  rasm  in  Abù  '1-fidà'  (p.  190), 

Sardàniyah,  in  un'isola  32''8'       3600'  KaqaXXn;  32°30'     36°0' 

Nella  longitudine  si  legge  veramente  42°8';  ma  il  confronto  colla  descrizione  del- 
l'isola e  con  altre  indicazioni  sparse  qua  e  là,  non  lascia  dubbio  che  si  tratti  d'un 
errore  di  copia  e  che  al-Huwàrizmì  aveva  scritto  32''8'. 

Del  resto  l'orografìa  e  l'idrografìa  europea  non  presentano  novità  importanti;  i 
nomi  stessi  si  lasciano  per  lo  più  riconoscere  bene.  —  Merita  di  esser  notata  l'ap- 
parizione della  città  di  Boruàn  (in  altri  geografi  anche  Borsan)  a  40°0',  45°0'  (■*), 
che  è  forse  il  più  antico  accenno  orientale  alla  capitale  dei  Bulgari  occupanti  allora 
il  sud  dell'Ungheria  e  la  parte  N.  della  penisola  balcanica. 

Rimangono  a  vedere  le  regioni  nordiche  d'Europa.  Al  f.  22,r.  si  legge:  «  Isola 
«  di  Sqandiyà  (ms.  bj^.;j^)  con  una  città.  Comincia  a  42''30',  59''40'  ;  in  forma  di 
«  qowàrah  giunge  alla  lat.  di  59°0',  incontra  la  foce  d'un  fiume  presso  46''0',  59''45'  ; 
«  in  forma  di  qowàrah  passa  per  60°30'  lat.,  e  torna  al  luogo  d'onde  cominciammo, 
«  ossia  a  42°30',  59°40'  ".  Si  confronti  la  descrizione  dell'isola  di  ^xarduc  in  To- 
lomeo II,  11,  34:  «Estremità  0.  43<'0',  58»0';  —  estremità  E.  4600'.  5800';  — 
«  estremità  N.  44030',  58''30'  ;  —  estremità  S.  45''0',  57°40'  " .   —  In  alcune  isole 


(1)  Cioò  Zara.  Ms.  (f.  7,r.)  ^'jL>  ;  f.  17,r.  j>l>  colla  var.  yLo.  Si  noti  la  posizione  longitudinale 
rispetto  a  Roma,  assai  migliore  che  in  Tolomeo. 

(«)  Ms.  (f  8,v.)  senza  punti;  f.  16,v.  ^J^/»'- 

(5)  Nel  ms.  f.  22,v.,  36,r.  sempre  ,_y**-=-r^,  ila  legc^ersi  probabilmente  ^^j-^  SarJus.  Il  nome 
greco  è  ialini,  al  genitivo  XttQiìuvf,  l'arabo  ò  forse  derivato  da  quest'ultimo?  (ili  altri  scrittori 
arabi  per  indicare  la  Sardegna  usano  il  nome  Sardùiiivali ,  che  in  al-Huwàrizmì  iiulica  la  capitale 
(Cagliari). 

C)  Rasm  in  Aboulf.  210,  ed  I.  V.  hanno  lo  stesse  cifre. 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —    Voi.  Il   Serie  .')*,  parte  I»  7 


—  50  — 
anonimo  ricordate  allo  stesso  f.  22,r.,  è  facile  riconoscere  le  'Ai.ox{at  e  le  Ixavólai 
iHxQcti  del  geografo  alessandrino  (II,  11,  32  e  33).  —  La  Danimarca  (Chersonesus 
Cirabrica)  è  ricordata  al  f.  2G,v.,  nella  tavola  doi  punti  di  mezzo  delle  varie  regioni: 
.  Territorio  di  Qimriqi  (ms.  ^y,j-^  ;  hiftSgix,]  Xt^aun^aog).  isola  unita  alla  terra 
.  ferma,  4 IMO',  ()0°0'  ». 

L'isola  di  Tiìlì  (ms.  senza  punti;  0o«7»;)  ha  una  descrizione  minuziosa  nel 
Kilàb  xùrat  ai-ani  (f.  21,v.),  ove  le  sono  attribuite  dimensioni  assai  maggiori  che 
in  Tolomeo.  Infatti  i  limiti  estremi  sono: 

long.  2(i°20'  —  32^20'  Tolomeo  2900'    —  SIMO' 

lat.     (J2"0'     —  64''40'  -        62»40'  —  63»40' 

Inoltre  al-Huwàrizmi  dà  particolari  affatto  nuovi;  conosce  una  città  chiamata  ^ 
a  SO'O',  62045'  (f.  8,r.  ;  al  f.  33,r.  J^J>\),  e  descrive  il  corso  d'un  fiume  percorrente 
l'isola.  La  fonte  di  queste  notizie  mi  rimane  ignota. 

I  lettori  d'al-Edrìsi  (li.  433)  ricordano  che  nel  Mar  Tenebroso,  a  N.  della 
Russia,  son  posto  duo  isole  chiamate  Amràynes  ('),  una  aliitata  da  uomini,  l'altra  da 
donne;  ogni  anno  gli  uomini  vanno  a  passare  un  mese  coU'altro  sesso.  La  favola  è 
ripetuta  volentieri  da  autori  orientali;  essa  ricorre  in  al-Qazwinì  (-),  ad-l)ima^qì 
(p.  17ij,  ove  il  nome  è  Irmiyànus),  al  Hàkuwi  {^)  ed  al-Bekri  ('),  il  quale  cita  anzi 
a  questo  proposito  la  testimonianza  d'iliràhim  ben  Ya'qub,  che  avrebbe  appreso 
queste  notizie  da  Ottone  (Hótoh)  il  Grande,  presso  cui  sera  recato  in  ambasceria 
forse  nel  973  (^).  Anche  Adamo  da  Brema,  nel  sec.  XI»,  parla  della  terra  feminarum 
lungo  le  rive  del  Baltico. 

Ma  è  notevole  che  la  leggenda  si  trova  già  in  al-Huwàrizmì  f.  22,r.:  "  Isola  di 
«  Amrànùs  (ms.  qui  Amràtiìs)  appartenente  agli  uomini.  Comincia  a  49''4o'  (var.  0'), 
.  64°45'  (var.  40'),  va  a  50°20',  62020',  continua  a  56"50',  65°20',  passa  per  54''20', 
i.  etJMO',  e  ritoi-na  al  luogo  donde  abbiamo  cominciato.  —  Isola  di  Ami-àniis  abitata 
.  dalle  donne.  Comincia  a  50°30',  tiPlO',  continua  a  52°30',  Sg'SO',  poi  a  56"0', 
.  61°20';  in  forma  di  taylasàn  giunge  a  57°25',  64''40'  e  ritorna  al  luogo  donde 
..  abbiamo  cominciato  «.  —  Ed  al  f.  44,r.  è  descritto  un  fiume  dell'isola  Amrànus 
(ms.  j^ym)  delle  donne,  ed  un  altro  fiume  scorrente  nell'isola  Amninùs  (ms.  senza 
punti)  degli  uomini.  —  Si  deve  forse  leggere  ^yl/<'  Amazanùs  e  vedervi  una  tarda 
rimembranza  dello  Amazzoni  antiche  sovrapposta  alla  leggenda  germanica?  (")• 

(«)  La  carta  itineraria,  riprodotta  noW Atlante  del  Lclewol,  purta  ^y^j*\  (Ainranyùs ?) 
(»)  El-Cazwini's  Kosmoyraphie  hcrausg.  von  F.  Wflstcnfe  Id.  GOttiiigcn  1847-49,  voi.  II, 

pag.  408. 

(')  Nelle  Notice»  et  Extraits  dei  mss.  de  la  Bibl.  du  Roi,  t.  H.  Paris  1789,  p.  539,  ove  ricorda 
la  u  Città  delle  donne  »  inadìnat  an-nisa'. 

(*)  Bekr!,  Notisie  mi  Russi  e  sugli  Slavi  pubblicate  in  arabo  e  russo  da  Kunik  e  Roscn. 
St.  l'etersburp,  1878,  p.  37. 

(»)  Su  Ibnililm  ben  Ya'qùb  vedi  Jacob,  Sludien  in  arabischen  Oeographen.  Berlin  1891-92, 
fase.  I,  p.  10;  fase.  U,  p.  37-42. 

(•)  Sull'origine  di  quest'ultima,  per  una  confusione  tra  il  nome  dei  Filini  Ku'cncn  (a  N.  del 
golfo  di  Bothnia)  e  il  vocabolo  gennanico  kiren  (=donna),  vedi  Peschel  -  Rugo  ,  Gesch.  dir 
Erdkunde,  2.  Ausg.,  MUnchen  1878,  p.  90. 


—  51  — 

X. 

Conclusione. 

Da  quest'analisi  non  è  difficile  formarsi  un  giudizio  sull'opera  d'al-Huwùrizmì. 
Essa  non'  è  un'imitazione  servile  del  modello  greco,  ma  un'elaborazione  dei  materiali 
tolemaici  fatta  con  molta  indipendenza,  anzi  con  una  indipendenza  che  non  avremmo 
forse  sospettato  a  quei  tempi  in  cui  gli  Arabi  moveauo  il  loro  primo  passo  nelle 
scienze  geografiche,  od  in  cui  il  nome  di  Tolomeo  appariva  cinto  da  un'aureola  quasi 
miracolosa.  In  Em-opa,  fin  che  si  trattò  di  rappresentazioni  generali  della  terra, 
l'emancipazione  dal  geografo  greco  fu  assai  lunga  e  laboriosa;  onde  si  ebbe  il  curioso 
spettacolo  di  carte  nautiche  eccellenti  accanto  a  mappamondi  di  forme  mostruoso. 

Naturalmente  nell'opera  araba  le  incertezze  non  mancano;  la  fusione  armonica 
tra  gli  elementi  antichi  e  le  informazioni  nuove  non  si  verifica  sempre,  e  cosi  nascono 
le  sconcordanze  notate  nell'  Africa  del  Nord  presso  Tunisi,  e  nelF  altopiano  iranico 
orientale.  Talora  anzi  dobbiamo  meravigliarci  che  Tolomeo  abbia  avuto  tanta  forza 
da  far  mantenere  p.  es.  anche  nel  libro  arabo  la  strana  posizione  di  Balh  (Bactra) 
rispetto  alle  altre  località  della  Transoxiana.  Le  correzioni  stesse  non  sempre  furono 
felici,  come  nelle  coste  troppo  inclinate  della  Siria,  e  in  quelle  del  Mar  Nero  spinto 
tanto  a  Nord. 

Ma  d'altro  canto  non  bisogna  tacere  che  miglioramenti  ci  furono,  e  di  notevole 
importanza.  Non  li  enumererò  qui  avendo  già  avuto  occasione  di  ricordarli  man  mano 
che  si  presentavano;  noterò  solo  come  l'ardita  ed  eccellente  riduzione  di  9  gradi  nella 
lunghezza  tolemaica  del  Mediterraneo  abbia  prodotto  benefici  effetti  su  tutte  le  regioni 
poste  ad  oriente  di  esso,  effetti  che  sarebbero  stati  ancora  migliori  se  si  avesse  osato 
ridurre  anche  la  esagerata  lunghezza  della  Gedi-osia  nella  yfOìYQaqtxrj  vtprjyrjaig. 
L'Egitto,  la  Siria,  la  Mesopotamia,  la  Persia,  la  Transoxiana  rivelano  un  lavoro  quasi 
del  tutto  indipendente  dalla  cartografia  greca;  e  tra  le  novità  più  importanti  pos- 
siamo ricordare  la  prima  comparsa  del  lago  Arai,  coi  suoi  due  affluenti,  nei  trattati 
di  geografia  generale.  Nella  Cina,  nelle  isole  dell'Arcipelago  malese,  nella  stessa  Se- 
rendìb  (Ceylon)  è  facile  riconoscere  le  notizie  portate  dai  marinai  del  golfo  Persico; 
a  quella  guisa  che  le  carovane  traversanti  l'Asia  centrale  hanno  lasciato  traccio  nel 
lavoro  di  al-Huwàrizmì.  L'interno  dell'Africa  segna  pure  un  progresso;  e  se  la  rap- 
presentazione del  Nilo  superiore  non  è  forse  che  un  ampliamento  fittizio  dell'  idea 
tolemaica,  ispirato  al  desiderio  di  simmetria  perfetta,  non  bisogna  dimenticare  i  nuovi 
nomi  che  compaiono  ad  attestare  relazioni  dirette  coli' interno,  ed  il  tentativo  di  ripro- 
durre l'idrografia  del  Sal.irà'  a  S.  dell'Algeria  meglio  di  quanto  avesse  potuto  fare 
Tolomeo. 

Un  concetto  cristiano,  d'origine  forse  iranica,  combinato  colla  teoria  della  sferi- 
cità terrestre  ha  fatto  sorgere  un  continente  tra  l'Europa  occidentale  e  l'Asia  orien- 
tale (cfr.  pagina  47)  ;  come  un  altro  continente  unito  all'estremo  nord  coli'  Europa 
viene   a   rappresentare   per  un  caso   fortunato   l' esistenza  delle  terre  polari  artiche. 


—  52  — 

11  grande  spostamento  avvenuto  nelle  longitudini  dell'Asia  centrale  (si  cfr.  per  es. 
Hauàkit,  capoluogo  del  territorio  di  as-éàs,  col  suo  corrispondente  tolemaico  A(- 
Oirog  Tii^yuc),  e  per  conseguenza  anche  nella  Serica  degli  anticlii,  ha  riparato  con 
buon  esito  all'errore  dei  Greci,  ed  ha  permesso  di  relegar,  senza  danno  per  gli  altri, 
nell'estremo  N.-E.  dell'Asia,  il  leggendario  paese  di  Gog  e  Magog,  che  già  nel 
IP  sec.  d.  Cr.  dal  Pseudo-Callistene  è  posto  iu  relazione  colla  gran  muraglia  cinese  e 
colle  imprese  d'Alessandro.  —  Le  ampliate  cognizioni  intorno  alla  misteriosa  Tuie, 
e  la  leggenda  appena  abbozzata  delle  due  isole  Amrànùs  a  N.  dell'  Europa,  abitate 
una  da  donne,  l'altra  da  uomiui,  sono  forse  i  primi  frutti  delle  relazioni  commerciali 
iniziatesi  fra  gli  Arabi  e  le  coste  del  Baltico,  relazioni  che  raggiungeranno  il  loro 
massimo  sviluppo  nel  secolo  seguente. 

L'opera  geogratìca  fatta  compiere  da  al-Ma'mim,  ebbe  senza  dubbio  molta  impor- 
tanza per  i  lavori  posteriori.  Certe  posizioni  fissate  nel  Kildb  xiirat  al-anl  non  ebbero 
più  rimaneggiamenti  sensibili;  nel  X  sec.  al-Mas'ùdì  vanta  l'eccellenza  di  quelle 
carte,  e  pochi  anni  dopo  l'astronomo  Ibn  Yimus  (o  direttamente  o  per  mezzo  d'altri 
scritti)  vi  attinge  buona  parte  delle  sue  tavole  geografiche;  verso  il  llóu  lo  spa- 
gnuolo  az-Zohrì  basa  la  sua  geografia  su  quella  d'un  al-Qomàrì  (cfr.  pag.  13,  nota  5) 
che  a  sua  volta  era  fondata  sull'opera  al-ma'mùniana;  ed  ancora  nella  prima  metà 
del  sec.  XIV,  Abiì  'l-fidà',  accanto  alle  cifre  d'un  al-Birùni  o  del  Ki/dò  al-ativàl 
crede  bene  di  citare  molte  posizioni  determinate  dal  vecchio  rasm. 

Ed  anche  in  altro  modo  si  manifesta  l'azione  d'al-Huwàrizmì.  Quegli  Pseudo- 
Tolomei  arabi,  che  da  vari  indizi  possiamo  arguire  esistessero  in  tempi  non  molto  po- 
steriori ad  al-Ma'mùn.  sembrano  essere  un  nuovo  tentativo  di  fusione  tra  il  Kitùb  xurat 
(il-(ird  e  la  ytoy/gacfixi]  {'(fiji^atc,  simile  a  quello  tentato  da  al-Battiinì.  Le  cifre  di 
latitudini  e  longitudini  conservate  qua  e  là  da  Yàqùt  come  tolte  da  Tolomeo,  sono 
la  prova  sicura  di  quanto  diciamo;  ed  altra  prova  non  meno  importante  ci  è  offerta 
da  al-Edrisì.  Nella  sua  prefazione  (')  il  geografo  di  re  Ruggero  cita  tra  le  proprie 
fonti  anche  Tolomeo  al-Aqlii'li;  ma  è  un  Tolomeo  speciale,  che  nel  mar  Tenebroso 
conosce  27000  isole  abitate  e  deserte  (-),  e  che  fissa  la  latitudine  e  la  longitudine 
di  Gog  e  di  Magog  (^).  Se  si  considerano  ora  le  osservazioni  che  ho  dovuto  fare  più 
volte  intorno  a  certi  rapporti  fra  al-Huwarizmì  ed  al-Edrisì,  per  cui  il  testo  di  que- 
st'ultimo veniva  chiarito  e  corretto  ('),  non  può  rimaner  dubbio  che  il  Tolomeo  edrì- 
siano  fosse  un  Tolomeo  rifatto  con  l'aiuto  dell'opera  al-ma'mùniana. 

Un'ultima  conseguenza  importante  si  può  trarre  dal  libro  sin  qui  esaminato. 
Alcuni  storici  della  Geografia  hanno  espresso  intorno  alle  carte  arabe  giudizi  molto 
severi,  tanto  che  il  Kichthofen  (^)  le  accusa  a  dirittura  di  non  conoscere  nemmeno 

(')  n  testo  arabo  si  pu{>  vedere  ia  Amari,  Biblioteca  arabo-sicula.  Lipsia  1855-57,  p.  14  sgg. 
e  nell'opera  L'Italia  descritta  nel  libro  di  re  Ruggero  compilata  da  Ed  risi,  testo  arabo  con  ver- 
sione e  noto  di  M.  Amari  e  C.  Schiaparelli.  Roma  1883. 

(«)  Al-Edrisì,  I,  202. 

O  Al-EdrJsi,  n,  421. 

(♦)  Si  vedano  specialmente  la  descrizione  di  ScrendSb  e  le  pagg.  27,  nota  2;  38,  nota  7;  44, 
nota  5;  inoltre  lo  papi;.  30,  nota  1;  42,  nota  4  o  5;  43,  nota  1,  ecc. 

(5)  Kichthofen,  China.  Berlin  1877-83,  voi.  I,  p.  629. 


—  53  — 

meridiani  e  paralleli,  e  di  costituire  un  regresso  molto  notevole  rispetto  agli  antichi. 
Ma  i  critici  hanno  preso  qui  un  grosso  abbaglio,  considerando  come  modelli  della 
cartografia  araba  le  figure  miniate  che  esistono  p.  es.  in  alcuni  manoscritti  d'al-Istahri 
e  d'al-Muqaddasì.  In  quelle  rappresentazioni  multicolori  abbiamo  l'opera  di  tardi 
copisti,  i  quali,  non  curanti  delia  parte  geografica,  peusavan  solo  a  render  più  ele- 
gante il  manoscritto  con  pagine  dipinte  a  vari  colori;  appunto  come  certi  codici  del- 
l'opera d'al-Qazwìni,  conservati  a  Berlino  ed  a  Monaco,  raffigurano  in  modo  del  tutto 
fantastico  gli  animali  che  il  testo  descrive  con  cura.  Del  resto  uno  sguardo  aUe  tre 
carte  miniate  accompagnanti  il  ms.  d'al-Huwàrizmi  basta  per  convincere  che  in  esse 
abbiamo  il  lavoro  individuale  d'un  pittore,  il  quale  non  si  preoccupa  neppure  del 
testo  che  deve  illustrare.  Ed  a  tutti  è  noto  che  le  carte  itinerarie  accompagnanti  i 
codici  bodleiani  e  parigini  (ms.  Asselin)  dell'opera  edrìsiana,  non  solo  differiscono 
molto  fra  loro,  ma  hanno  ben  poca  relazione  col  planisfero  costrutto  pel  re  siciliano. 
Ora  io  domando  come  mai  al-Huwàrizmì  avrebbe  potuto  con  tanta  cura  indicare  se- 
condo la  carta  eseguita  per  al-Ma'mùn  le  coordinate  geografiche  della  città,  dei  punti 
estremi  dei  monti,  di  tutti  i  luoghi  importanti  nel  corso  dei  fiumi  e  delle  coste 
marine,  se  quella  carta  medesima  non  fosse  stata  costruita  con  ogni  cura,  segnando 
tanto  i  meridiani  che  i  paralleli.  Cosa  sarebbe  mai  riuscita  l'opera  di  Tolomeo  s'egli 
avesse  avuto  dinanzi  a  sé  la  famosa  carta  peutingeriana?  Solo  una  costruzione  ba- 
sata su  principii  matematici  poteva  dar  origine  ad  un  libro  come  quello  d'al-Huwà- 
rizmì;  e  solo  carte  eseguite  con  regole  scientifiche  possono  spiegare  la  lunga  serie  di 
cifre  ben  coordinate  fra  loro  che  molto  piìi  tardi  ci  danno  al-Bìrùnì  e  l'anonimo 
autore  del  Kiiàb  al-atwàl.  In  altre  parole  non  bisogna  confondere  le  rozze  figm-e  aventi 
uno  scopo  puramente  pratico  od  estetico  (e  per  ciò  appunto  giunte  sino  a  noi),  colle 
rappresentazioni  accurate  ad  uso  esclusivo  dei  dotti;  allo  stesso  modo  che  sarebbe 
puerile  giudicar  le  carte  di  Tolomeo  dalle  labalae  pictae  che  servivano  ad  uso  degli 
impiegati  dello  Stato  romano. 

Nel  porre  termine  all'esame  sommario  del  più  antico  monumento  geografico  degli 
Arabi,  di  questo  monumento  del  quale  nessuna  nazione  europea  potrebbe  vantare 
l'eguale  nel  periodo  dei  primi  suoi  passi  nella  scienza,  io  m'auguro  che  una  lieta 
fortuna  faccia  presto  rinvenire  un  altro  buon  manoscritto  del  Libro  della  figura  della 
Terra,  onde  si  possa  pensare  a  farne  un'edizione  completa,  la  quale  ci  soddisfi  in 
ogni  punto. 


—  R4 


Il    «  Gadla  'Aragàwì  >. 

Memoria    del    Socio    IGNAZIO    GUIDI 

letta  ìiella  seduta  del  21  giugno  1891. 


Della  vita  di  Za-Mìkù'él  Aragàwì,  uuo  dui  celebri  •  nove  Santi  »  di  Abissinia, 
anzi  il  primo  fra  essi,  sono  assai  rari  i  manoscritti  nelle  biblioteche  pubbliche  di 
Europa.  Secondo  i  cataloghi  che  si  hanno  a  stampa,  se  ne  conoscono  due  mss.,  e 
questi  nella  più  ricca  collezione,  cioè  nel  British  Museum  (').  Per  un  caso  strano,  in 
Roma,  dove  così  scarsi  sono  i  codici  etiopici,  si  conservano,  nel  Museo  Borgiano,  altri 
duo  mss.  di  quella  vita,  buoni  ambedue  e  generalmente  corretti. 

Chi  abbia  scritto  questa  vita  e  in  qual  tempo  s'ignora;  I" autore*  sembra  dire 
che  il  fondo  almeno  della  narrazione  risale  agli  stessi  discepoli  immediati  di  Ara- 
gàwì, come  si  danno  analoghe  origini  ad  altre  vite  (-).  Senonchè  fin  dal  principio  si 

narra  che  a  Za-Mikùél  fu  posto  nome   ^'flAA  »  "^t\.ì[\  vale  a  dire  l'arabo   j. ^ 

g--.^l;  altrove  occorrono  nomi  in  forma  araba,  come  'J'rtT'JT'JJP.  C7*S-  '•  del  niese 
di  Teqemt  è  data  la  corrispondenza  con  «  Tasrin  »  ^„^-^.  Anobe  la  l'orma  hCftft')?' 
con  «,  del  nome  Horsisius  (gtop-C6-HC6  *  Oro  tìglio  di  Iside  «)  potrebbe  nascere 
da  scambi  facili  nella  scrittura  araba.  L' introduzione  poi  è  in  una  specie  di  prosa 
rimata  o  vb^  che  difficilmente  è  antica,  sebbene  questa  introduzione  potrebbe  credersi 
aggiunta  posteriormente  (-^ì.  Quanto  al  breve  accenno  che  occorre  di  chiliasmo,  esso 
sembra  derivare  direttamente  dal  noto  passo  dell'Apocalisse. 

(')  Il  XLVI  e  il  CCI.XXXV;  cfr.  i  Catalophi  del  Dillmann  pap.  50  e  del  Wripht  p.  188. 

(•)  Cf.  Pereira,  Vida  do  Alba  Samuel,  83.  Secondo  i  codici  di  Roma  (v.  appresso  pag.  57, 
col.  I,  lin.  8-9),  l'aatore  sarebbe  nientemeno  che  Y&rèd,  il  famoso  inventore  del  canto,  ma  son  per- 
suaso che  debba  Iffirersi  IIW.IÌ  :  nX^•l,•5^ll•  "  qualcosa  di  simili',  .illudendosi  alle  strofe  del  Deggud 
(14  di  Teqemt):  V;'U.  :  HflD-  :  A<'.:)'1.'  :  /«Il  ilin>  :  XK*  =  (D'IC  :  Il"l->M;or  ecc.  Il  Deggud  passa  per  es- 
ser tutto  opera  di  Yàréd. 

(')  Nell'introduzione  trovasi  anche  la  parola  •^AO^^J4•:  orbene  •t'A«nj_.^  e  pi.  •t-Aim.'^  è,  se  non 

•.. 
erro,  parola  non  antica,  e  deriva  direttamente  dall'arabo  >«  »b  fpr.  talmld)  pi.  > — y*^  ("o"  li* 

j(T^'7,-l.  I ; .v^S l) ;  un'altra  voce  certo  non  antica  ò  il  ^a  :  \^^  (j'Afn.)  che  occorre  verso  latine 
del  tosto.  Nelle  rime  di  codesto  introduzioni  fcho  lepponsi,  p.  es.,  nelle  croniche  pubblicate  dal  l'e- 
reira,  dal  Perruclion,  nelle  vite  di  Taklu  ilayni:in<*it  ecc.)  si  ripnarda  solo  all'ultima  consonante, 
qualunque  sia  la  vocile  precedente.  Come  la  rima  della  poesia  araba  sulla  poesia  siriaca,  così  il  5f^ 
delle  prefazioni  arabe  sembra  aver  influito  su  queste  introduzioni  abissine.  Non  tacerò  poi  che  il 
nostro  Gadla  'Arag.,  nel  norerare  ì  successori  di  Za-MikiVd,  si  arresta  a  Za-Iyasus  successore  di  Abbù 
Yfihanl  ;  qaeiti  i!  il  Vn"  abbate  dì  Dabra  Dùmmo  dopo  Za-Mik&'/!>1,  e  quindi  la  sua  età  può  assegnarsi 


—  55  — 

Può  quindi  credersi  che  il  Gadla  'Aragàwi  sia  del  secondo  periodo  della  lette- 
ratura etiopica,  ma  per  quanto  conosco,  non  si  può  addurre  alcuna  prova  che  esso  sia 
una  semplice  traduzione  o  parafrasi  di  alcun  testo  ai'abo.  Anzi  nella  prolissa  vita  di 
s.  Pacomio  pubblicata  dall'Amélineau  (')  non  si  fa  cenno  di  Za-Mìkà'él  e  de' com- 
pagni, quantunque  discepoli  di  s.  Pacomio.  Ed  invero  nulla  fa  sospettare  l' origine 
straniera  di  questa  vita  di  Za-Mikà'él,  la  quale  in  moltissima  parte  si  riferisce  a 
luoghi  e  cose  puramente  abissine,  e  (come  suole  essere  di  simili  leggende)  è  desti- 
nata a  magnificare  il  convento  di  Dabra  Dàmmo,  non  meno  dello  stesso  Za-Mikà'él; 
non  voglio  però  dire  con  questo  che  molti  brani  e  leggende  di  mii-acoli  ecc.  non  siano 
imitati  (forse  mediatamente)  da  libri  stranieri.  Dallo  stile  in  generale  e  da  alcuni 
luoghi  in  particolare  scorgesi  che  questa  vita  è  un'  omelia,  come  tante  altre  consimili 
della  letteratura  orientale  cristiana  e  dell'etiopica  in  ispecie,  per  la  commemorazione 
solenne  nella  festa  del  santo,  e  tahmi  periodi  sono  affatto  omiletici,  se  pure  non  ri- 
tengasi esser  ciò  semplicemente  una  forma  retorica  della  narrazione. 

Del  Gadla  'Aragàwi  ha  detto  il  compianto  Dillmann  (-),  che  "  praeter  fabu- 
las  manifestas  multas  quoque  traditiones  ex  Aethiopum  historia  non  contemnendas  con- 
tinet  » .  Certo  non  pochi  tratti  che  sono,  come  spesso  avviene  in  queste  leggende, 
imitazioni  della  s.  Scrittura,  di  apocrifi  e  di  leggende  agiografiche,  non  hanno  alcun 
valore  storico,  ma  io  confido  che  per  gli  studiosi  delle  cose  abissine,  la  pubblicazione 
del  Gadla  'Aragàwi  non  mancherà  d'importanza  e  per  il  contenuto  e  per  la  lingua. 

Per  condurre  la  mia  edizione  mi  sono  servito  dei  quattro  codici  che  ho  menzio- 
nato in  principio  (^).  Essi  stanno  fra  loro  in  relazione  diversa,  poiché  i  due  codici  di 
Londra  e  il  cod.  del  Museo  Borgiano  segnato  L,  V,  12  appartengono  ad  una  famiglia,  e 
l'altro  del  detto  Museo,  segnato  L.  V,  13  ad  altra  famiglia  distinta  e  spesso  molto  diversa  : 
ma  talvolta  i  codici  romani  hanno  lezioni  comuni  un  poco  ditt'erenti  da  quelle  dei  codici 
di  Londra.  In  tal  condizione  di  cose  non  sarebbe  possibile  costituire  un  unico  testo  : 
io  ho  seguito  la  lezione  del  primo  gruppo  del  quale  avea  tre  codici,  ed  ho  segnato 
in  nota  le  varianti,  talvolta  migliori,  di  L,  V,  13  che  sembra  essere  del  XVI  sec,  e 
la  cui  lezione  avrei  messo  a  fondamento  dell'  edizione,  se  avessi  avuto  almeno  un  altro 
codice  di  quella  famiglia.  In  tal  guisa  lo  studioso  potrà  avere  sotto  gli  occhi  le  due 
forme  principali  nelle  quali  ci  è  pervenuto  questo  testo.  Ho  segnato  anche  talune 
varianti  speciali  dei  codici  di  Londra,  che  mi  parevano  aver  qualche  importanza;  del 

air  Vili  sec.  incirca.  Ma  Abbà  Yòhanl  è  contemporaneo  di  Takla  HàymànSt,  cioè  del  famoso  monaco, 
della  cui  vita  hannosi  più  esemplari,  e  che  sarebbe  stata  scritta  nel  1042  (cf.  Dillmann,  Cat.  Br. 
Mus.  49-50,  ove  dìod+  :  "rMl  è  l'èra  della  Creazione,  detta  «  èra  della  condanna  n,  perchè  per  il  pec- 
cato di  Adamo ,  V  umanità  fu  tosto  condannata,  ed  è  l'opposto  di  tftoo-f  :  qo^hi,^  cioè  1'  èra  della 
Redenzione).  Senonchè  le  croniche  abissine  fanno  Takla  Hàym.  (che  si  ritiene  essere  una  stessa  persona 
con  quella  di  cui  parliamo)  contemporaneo  di  Yekunò  Amlàk,  quantunriue  e  il  Senkessàr  e  le  dette 
vite  nulla  dicano  delle  sue  relazioni  con  questo  re.  Finché  tutto  ciò  non  sia  ben  chiarito,  non  sembra 
potersi  trovare  indizio  sicuro  sull'età  del  Gadla'' Arag.,  nell' arrestarsi  che  esso  fa  alla  menzione  di 
Za-Iyasus. 

(')  Monuments  pour  servir  à  Vhistoire  de  VÉgypte  Chrét.  ecc.  (Ann.  du  Mus.  Guimet,  XVU). 

(»}  Catal.  Br.  AIus.  pag.  50. 

(3)  I  due  codici  di  Londra  sono  stati  diligentissimamente  collazionati  i)ur  me  dal  prof.  C.  Be- 
zold  al  quale  rendo  qui  vivo  grazie  por  il  prezioso  aiuto  prestatomi. 


—  sa- 
reste l'uno  di  questi,  il  CCLXXXV,  oltre  all'essere  in  disordine,  ha  talvolta  strane 
lezioni  erronee.   Avverto  poi  che  tutte  le  varianti  di  ciascun  codice  non  menzionate 
nulle  note  critiche  a  piò  di  pagina,  saranno  da  me  trascritte  sopra  un  esemplare  di 
quest'edizione,  che  depositerò  nella  Biblioteca  della  nostra  Accademia. 

Quanto  all' ortografia,  dirò  che,  in  alcune  parole,  ho  conservato  la  scrittura  dei 
mss.  quando  corrispondo  all'uso  costante  dei  buoni  codici,  e  non  deriva  da  negligenza 
0  ignoranza  dell'amanuense,  come  sarebbe  Vh9°C  per  ^Ì\9"C  (sapere):  flOÌ* 
eaoerna  (per  distinguerlo  da  fl/i'ì'  ingresso)  ecc.,  quantunque  teoricamente  e  sotto 
il  riguardo  dulia  filologia  comparata,  l'altra  scrittura  sarebbe  preferibile. 

In  fine  ho  aggiunto  un  esteso  sommario  analitico;  in  esso  ho  tradotto  letteral- 
mente e  per  intiero  tutti  quei  luoghi  del  Gadla  'Aragàwi  che  si  riferiscono  diretta- 
mente alla  storia  di  Abissinia. 


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inyì"ff:-)ff:  ■■  >»'>H  :  y.?,.'iò  •■■  .p.-A'Ì' 
A+  ••  tìW'Uì    ■■  h'ììì  ■■  ?inìì<1x    ■  hfììì 

V : y.fi"'ìò  ■■  ^/"^niv ■  'ìm" ■■  i:nò  ■••■  <» 
i^.K^W  •■  oi-tì'ì'  •  1^  •■  'r?:i:  :  nh'/n  •• 
/»'<.A  «  Ai/c^  ••  <"A"7>i/.r:  :  A^j'."/ 
n  ••  C'V-n  ••  aì^Y^l:ai'V•  •■  /><"»•?»  "  AOrV 
A  :  (»A'Vm->i  :■•  f\h'ìM  ••  «»Art-n?»  " 
A'JA'"'  ••  «JA'r  •■•  h'^ì.-}  •••• 

ttfì'f"  ■■  >\''ì\ì,}vn<iui:  ■■  <»A.e.'  ••  ni- 
fl>A^.  »  h'r}x''nìh'ì''t  •■  'nv.^r  •■•■   ««a 


h'""  •  o'A-nrt  «  /".'»  !  ii.h'/  '  Ainijp  « 

^,1>"  ::     flxtm  :  fl)'/n.|-  :  aìì-'i'-n/.  ••  flJ'l''} 
/"^l  ••  fl'VAft-l-  :  <»AÌ-  •  h'/n  •  ìì'ifi'l)  » 

r  ■■•■    «^^''^n^  =  (irtA'/'  ••••    at-M-  >  i 

"vr  :■    nwiY.  ••  v/"'»»  =  flirtAr  ••••    A 
'}A'/"'  "it\r  ■•■  h"'n  •■■    •■•■    «     :•• 

ììh.y-'ìnuy:  •••■  rt<-f » '/^'>^/»••l■  ••  Ai. 

M-  ■■   Vrfì  ■■  f\òt\  •■  f^.fì/.  •■  XY'J  '  OR 
A'7..P.-  :••     ftl;  :  VnAnA  ••  H/t,A''7.P.-  « 


1,1    =I!r    Mu«.  XLVI.    -    L2  =  Iir.  Miis.  CCCXXXV.    -    R  1  =  Mus.  Horn.  L.  V,  12. 

R2  =  Mtis.  Horg.  L.  V.  13. 

«)  R2  e  1.  1  V-A'>A'h  :  (DUUù    —  '')  I!  1  vutì^ìi.  —  ')  Tutta  queit'invoCMionc  al  Figlio  (col. 
I,  1.')     II,  10)  manca  in   1(2.  —  -«j  1!  1   e  2  oiii. 


—  57  — 

P ■  A-nod : flJA^sft : -nrifi. •  ìxi\\.h    ne ■■  hot-no : "hiìo^ ■■  ^^l»"'^^^rt- : ,mx- • 


A^.'lp-A"^  =  n<""PdA  ••  oD-ì-q^-p-.  Al 

UÀ-  •  9"rirt.V  =  A'JAO»-  •■  'JA'r  :  K'^'J    :: 


-fl  :  5in-c  ••  An-v  =  H'TL>i>i.A  •  hri??" 

fl»-?iM  :  ^fl>-Tft  '  ■•  -Ttn  :  UA°  •  AH  •  ^ 


Aft-|:  :  h'^'ìi/^'ì'  ■■  cr  "  tìt^  :  ha-   'XP  •■  hnh  ■  x^'T.'»'  '  -in  '  Kn  ■•  A 

nìUh-nth.C  •  flJfflA^.  :  efl>-A-ft  :  A  6  :  ft     I^C  =  AdA.ih  ••  flJ^.n.A-  ■•  nh'J'l-  !  9° 


'H^I<-  •  hn->  :  fflffDìT'UO  '  •••  (OÌiOO-ii  :  rt 


n-fl •  ai{\é.6o •  ^«711  h-n^h-c ' tD-ji^u    «»^^/»'.irt : Hnì'".^'C ••  -Tia^ ■  «D-h* « 


")  R  2  i%"  :  HO)-"  :  Htm".  —  '')h\  HR-flC.  Tj  2  om.  (v.  pag.  54,  nota  2).  —  ")  In  R  1  gofiA  : 
(DAR,:  Hoqr.ygn,  ma  il  nomo  ì;  sostituito  ad  altro  cancellato;  in  R  2  il  nome  è  cancelhito.  1,  1  ha: 
n^l^  :  aD|ì4»A,  L2  (DA.V.  :  n-finA-A.  Ho  sostituito  qui  e  in  seguito  groiìA.l  "  ll^A  ■•  Vlt:i1l:V»  inni,- 
suole  scriversi  dafjli  amanuensi,  quando  il  libro  non  è  destinato  per  alcun  pcissessore  in  ]iarticoIare. 
—  "*)  K  2  afiff.  1IIÌ"".V.(J)  :  'A-ll.VX.ll-  :  '/\^.•^'«.  —  ')  Così  i  1  mss.  (forse  PCD-Vfl  |  i'corfsl  ?)  ;  notisi  anche 
il  f'l.yVi  per  •V•^y.(\.  —    0  1^2  X/'.,ÌM''n.  —  »)   R2  'f/Sgo-r.   —   '')   R2  ao(^.>.v^  :  >,l|l  :  .V.llA  :  X 

<«.*«•  —  ')  R  2  nXK'eln  :  ^Jtiì'ì-. 

Cl.ASSK  ui  SCIENZE  MORALI  ecc.  —  Memohie  —    Voi.  II   Serie  .j*,  parte  1*  8 


—  58  — 


fi-ì/*'ì'  ::  n)t'.(l,A"  :  MI"'/  ••  ll"7.»i;..A  : 

MI  :  unlh.  ■■  '/'"/«KM'  :  iny.l\,f\"  •■  hi 

fljvn/.  •  'Kirii  •  '/»'P(>A  ••  'rrtA.ir<n»-  := 

i:  ••  11?»-»'!-  :  -nj^  Mr|:  •■  'W  ■  ^^  :  ^if- 
^\•f\h^  ■■  tth'ìl-  ■■  Tl'iitì'.'ii-  ••■  r",lMl.A"  : 

•/v/n},(;  :  (nfi^e-Vn  fìlli-  ■  ì^fì'"'  •■  y-ll  ■•       «»<i.X'/"  •  J^"?»)-  :  Uh'/»  ••  ^.n.  :  ^illì- 


hMì."!  ■  'l'y.tì'i' •■■■  «»vn/.  :  juty"  :  fl>n 

}^A-Ì-  :  (lOn.e,  :  -ì-.'ii;  :  llìttnW-l  •  X' 
■ì:  :•.  ai-ìfìTlì  •■  ìi.'.'lh  :  flit  A*/.  :   aitili- 

A-  :  hìthi:  -■  Tifìh  •  CT  •  om.  •  M'o-  ■■'.■■ 
tn'j'/.  •■  -"i^y.ìv  •■  K^nv.  ■•  >i'>H  =  >i'nA  •• 
?!(.•:  :  ?i*)A  :  ^i  ••  !f:\vr  ■■  wòivù  ■■  'ìa. 

V  •  h""  ■  Mi.'/-  '•  VfA"  :  Ì.P.A  :  ll.^l^  I 
-|:  :  ^ ,('.  :  An-V  ••  (nhy.  :  A'Ì'J  =  mh^. 

hvvc  :  H.f.ViA  :  ^•nx^»>•l•  :  7PA- 


A?l^ll.^l•nJ..(:  =  >iri/->5A-  •  vr-rtii  =  a 
ri."?'/'  :  'htx'"'  ••  n?i«ì-ì-  •  .e"VLyir:}"  :  a 


h.v  •■  mi-  •■  "li-fi" •■  !\iiro^-  •■  in'i-pu-  «ìA'/» ••  tììxìì- -■  )ìi:iì-f'tì  -■  hiu ■■  m-ì 

M'H:  •■  éS:^y^  ■■  M  •■  M-"'IM  -■  l\\  M  :  A.+'i"ft    •■  ìi'htìTVr'ìy  •■  wM 

h/\nf  -■  ^Aort  :  r-ìu-tì','  •■  «»^.(i.A-  ••  X M»'^ : >iir'/»'»tii.jp  =  ««hn  ••  in  •  h 

^/"  :  n/.Ji  :  A(^A  :  M  •  rxii^iviì •■  fl»^  M  ■■  X'ìtnM'ì -■  hrcry  -  wm  -■  h 

n  :  "»^'CM  -•  Mat-K'  •■•■  a)h9"y:'^/.  ■  h  A.V.  =  hT-lìficy    -■•  ««flX  Mi-  ••  -Wl  ■  »;A 

Afl»^  :  M  ••  ^vf"7.ri  :  rt''"?-  •  ìì'%hh.  in. '■  M  •■  M-"t{ì  -■  anni-  ■  htti  ■  ìi 

A  :  tn)ì'?  !  (u/\y-  •■  T'h'f^'t  ■  uh""  ■■  h  "7.>i?i.A  :••  aìftfì  •  i:M'-""-  ■■  A^'V/.'i»-  •■ 


«)  R  2  oin.  —  ')  1. 2  ne».  —  ')  Eccli.  Il,  1,  s.  —  •<)  R2  ^o^M''^  :  ©pa>-ii-r  :  wf-n  •■  cXp  : 

)\'1  :  H"  :  fi"  :  qo  "  :  <D'("  :  hCt.'pr,  :  HX4JÌ    —    ')  H  2  aRR.   (D-Xti.    -    0  I-  1   e  2  AVI'.  »)  K  2 

\»r».  (>p  33^  e  1  /'««r.  V,  10.  —  »)  L  2  /y,*".  -  *)  L  2  ♦^(ly.  -  »)  L  1  XgnTl."  (corr.).  -  ')  L  1 
e  IC2  Xgn'l.'". 


—  59  — 

m^-iLAp  ••  A^n  ••  Av^"7.ft  :  ^A-nrtv  !  :Hh  •  •'in  =  +n<-  =  hA  =>'/»  :  ^va^  • 
^rtii.«7  :  H^/»>iiOì-  :  A».  :  ^^a  =  hii'  "kn  •  JiA?i  •  7X-  ••  nx"?.!-  ••••  o'n  =  n 
e  •  ai^-n.A"o»-  =  -IhA-v-  ••  >.fl>-A-,e,f  :    d.P.'3L  ■•  H^mi  :  nii-li  =  \\oo  -.  ^.,i+n 


Ah  '  :  WA-  :  ^Jioo-  :  XA.  ■•  M\y\'M  • 
0->h  :  OJArll^h  "•  fl»^n.A-  :   hfl  ■•  Ì<W- 

0^  •  JiAnrt  •  9"'>w-ft'i"  =  iDf\^M  •  AdA.    'TLft  :  ■t-ha^'i  ■■  n^Th'i"  =  H-A-  :  ^1  ini:  : 

If flO-  :  flJrtffDp.0iH  :  ^,rt<^'|:iro»-  :  HA  Ah  ■■  h(Dfii^?  ■  OJ^ILV  !  CDéM-  =  ^"J 

A  6  6  :  fl)vn4-  :  'ifl-^i  =  X  h-'HP'  ■  9"iìt\  ■  d.iì-  ■  ^^iìl'  -  hlW  •  ìHh+Vf.  =  Ahi 

aD>r[)Ca^-  •  hd  '•  ^ìi-'Xh  '  -nfr'V  :  "J  ||.K-flrh.C  =  hao  { (De  •■  A'7'J0->  '  Ali 

ao^'ì'  :  Ji-JH  '  ^'V<w«<-  •  1-fl^  •■  9^1  1/.  ■  X-Cd  !  (ÌÙ^oo  :  h^H.h'Ilrh.C  I  R 

W-ftT  •  (O/^CO-Ì-  ■•  'T^nC  •  n-nH"^  •■  A-I:  s  aUìdìì-U  •  atr^h^.-ì-  ■  M'"Ah-  : 

j\'^  :  fl)'V;ju  :  tthcrr  •  (Dtt'i'òi/*'    AKn->  ■  ^tì-'n.tì  •  Kn  =  tf^ijnìi-  .•  p u 

1-  s  flJ^i'Klì-f-  =  Chh  ■••■  fl>^n.AP  ■•  AK     A-  ••  rftA.V  '  :  MhoB  :  «JAì»"  '  h'^Vi  '- 


n->  ••  * Sft  •  H'^.Jlh.A  :  'fld'J'J  :  Ah  ' 
Hh'JhV  =  ODCih  •  -in  :  H-l:  :  «PT-V  '  h«»  : 
-Y-C  »  'TA'e  '  HfO^-fl  ••  ai>C%^  «  fflfl 

nn-  !  tD9"3fi<.  :  A-}»  ■■  jh-ft  •■  (D-wìr  • 
Mix  •'  n^fiA  :  r:i  ■  rà-h  •  hhrc  ■• 

rh  ■•  7.11.  :  VArt-f:  ■  Ahn  :  Atf"'^ft  :  X 
©•/'  :  A'I.JP.^(?ft  :  fl'A  «J.  ••  fflK'Vll  :  X' 
rM"  :  fl)^.(l.A"  !  hÒÒ9"ì'V  •■  tOxOO  :  ^ 

•nh.  :  ho»-*?»  :  ?i9"ue  •■■  h\;9*^Cl\{ì  • 


A'LìP.tnrft 


/■.  * 


rt  '  :  ^'P+CÌP  :  Ahn  •  -fc{Pj^(?ft  :  hft 
ao  :  9°'hoD'ì  •  (D-?i'|:  •■  (ì'ìn.lf  <^-  =  .'''A* 

J:  !  9"A-?i  ■■  Tìft  !  (oy-d^at-iì  :  vq-rt  ! 
/.hn-  •  ipve  =  ùh^«  '  ■■  H^hA  •■  ota  » 


")  R  2  Vl'ì(D-R.U'in>  :  nq^/.  :  om^iì  :  ^JS^fl  :  n'I^hft-iro-  —  *)  ^  2  ìitrt:.  Xlìou.  —  «)  R  2 
^U*:  V-tlT  :  llì-fbAl..  —  '^)  V.  paf,'.  57,  iKita  e.  —  «)  K2  (DXgD\^'t*'„l>  :  <!.ri.V.tJ)ii«- :  Al)  :  At".  — 
0  L  1  (DAAcrLlìHT  (?),  L  2  (DAI  :  Acrtllm.  -  »)  R  2  om.  —  »)  R  2  -f  :  A'I  :  iklhoniì  :  (D 
dR4K-  —  ')  R2  TA'B.  —  *)  R2  om.  —  ')  R  1  om. 


—  60  — 

',:.).,r'^-  :  nn.f.v/.ir/n.-  :  h',W'r.'tf»-  =    nu'i/sh  ■■  Mitiu ■■  hcM>, •■  is^h  •••  ai 

/»•>  :  1>"'VI1<-  :  r/»'/(l<-   •     Wl/.   •   M>t'/*  •■       «f-     :  •n<>A  ••  ««l'in/.  :    IHhC  ••  U/.JìO  :  U 

fluij^  A -ì-  ••  nii'«'  •■  yf\'ry,.  ■■■■■  mhru  •■    &.  ■■  wy:\\u»  ■.  hrcix'ì'i-  ■■  vr-ì-  •••  m 
•ì-  ' if.v  :  r"A>;  :  <"vh:j"  =  n>i'>'/:^y  =    a  =  n?i'>/-  ••  r-}-!-  •  ^/»>;^>iii.  ••  hhr^ ••• 


i:  •■   m  ■■  M"V  ■■  hlì'f"  •■   /vf.ATVl-  :  ?» 

r>.v  ■■  i\hìì-  ■■  )n:M{]  ■■   w.i'.n.A"  •• 
,/i.r:  •■  n>i'>-/:Mi   •  rn.f.n,A"  •  A^^  = 


?»Alin  :  hAllrt  :  '/">WnV  :   Jj"7»l  :=  fl» 

tn»-  .•  ul-tt,  ■  ht\ntì     •■  ^Aiirt  :  r"ì)i- 
ti','  ■•■  initth  :  Vini  •■  fl»H(V  ••  fihf]  •■  l: 

9'y:c:tì ■  aìhé\nfì'i*  ••  hé\nfi  •■  rititì 

','  •■  aih-ìlMjP  :  rtìà  •■  "hoo-  :  AKn  ••  -1; 
J".P.r.7l  •  ìxt\"«  ■  y-M'M  ■  K1/.-Ì-  ••  +^. 


A    •  •>  Sfl  :  fl»A''ll.A?'  ••  A?»"/!!.?!*  :  VP  =  muti':  ■■  aih'iU  :  A^n  ••  Ì^Vf"Y.ft  :  JiA 

?i'nj  •  «^^•V/.'Jl>.  ••  e'V"i*-h  '  (oy.  nil-  :>i<n>:  y»}r.ì'  :  Ah:^ì-  '  aìy.hl:  « 

+fl>-fl».  :  ^f,:^  :  flie,n.A"««»-  :  >i";il.?»V  :  '""hi  •■  ^rt/:-ì-  ••  r-Mi^-ì-  :  hn.Ì  >  h"! 

f^^'tì'tì  ■■  >iA  :  '/»•/•  :  ìxa^l'ì-  ••  hrK'  ••  Oh  :  OI^Mlfl  :  tlj-l'  :  h'P'l  ■  AflU*:^  >  ' 

aìhuy-v  ■  aì^yiv  ■  H?i'>nA  :  ui-n  ^/">»i0^..eì-  -  mA^-Jh  =  h/.P'P.  ■  d./.- 

/.  :  d.^F-  •  AMi-e  !  ìifìòiy-l-  ■■  f»n  */.  ^  >»"?ii.Miwh.(:  ^  i/rt»»-  :  ^Tr;ft  •■  -t 

>i'>/1l  :  ^,^.yiA  :  ,h'iy.  •■■■  fliAMlì"  ■  '/"  •  h'/»  ••  f  WllD-Jt")  :  /{hl'-l'  •■  ìytì*"'  ■  (W 

?!'"'•>. : >i.e.v ••  \i\\ •■  ì-fiA  :  ii/hc  ••  n.-n ! fl»'^?»i'"c: ••  fl>-?i'i-- - «»?i'/nn  =  ?»y" 

haì'/.-'i    :  fl>Ji(nn-h  :  nhTnlv  ■■  a*- -■  ^-Vl.- •■  hay- •■  M"h-ìi"l'iAr'^-  ••  y- 

Aj?.f  !  }x'r\iiMì-h  •■  tt)x''ìu,h-tt,h.i:  ••  'P.  ••••  aih''ìu-  ■■  y-ìxtii. ■  ìx^:': >  >»'^  =  /i 


")  L  1  e  2  —e,  In  R  1  postcriorm.  è  stato  agfriunto  — (p.  —  ')  R  2  rtoq.<%.  —  ')  R  3  Xqo": 
K  :  ^^"  :  »Uk  -  '')  R  2  om.  -  •)  R  2  Aq.*^.  :  Af".  -  '■)  L  1  e  2  ncm"  (Mt.  12,  47,  Mr.  3,  si.  — 
»)  R  1  apk,'.  (DrtùA-l-.  —  »)  R  1  e  L2  h".  -  *)  R  2  AKji-  —  *)  R  1  AQ.-  —  ')  K  2  Xo"Ct>l-l-. 
-  -}  1, 1  e  2  XaoA.  -  ••)  R2  e  L  1  agg.  ni;r.  -  •)  R  1  — v;.!)-. 


—  61 

n*)  '  H'7.h^.<^  "  •■  vn^l-  •  Mìì  ■■  ì-l-"7. 
rtre  :  h<:.'»'e  =  vn<:  ••  h^^if  ■.:  n  ■ 

«n»  :  ^.-ThA^h  ■  Ad.'!"  •■  "Y'^nc  •  fflO 

twìr*o<-  ••••  fl)Au+  :  njii'"  ■  fflnxrt-ì- 

h9°ìi  ■  '\'9°Vd.  •■  A^•ì^l^  ?  fflVn4-  '  -Ir 
(Uh  :  Ahn->  ••  'bìP^'C?^  '  «nniV  •  z"/ 
tfn-l-  ••■•  tDM"i{\  ■  M  ■  ^fith^  ■  ììat-h 

-fi  •■  l&'n  ■■  KOif  ■■  9"fìà.iraO'  ::  mh9" 
lì  •■  -IlAP  ••  ììoo'j  ^'n-fìh-  •'  Ohtì-Ì'  ■■  01 
Ca^  :  (D-l-rtThA-  ••  9°tì/{  •  htt'irao-  :  b 

{PJtCTft  :   tDiP-ftA  !  M  ■  hCÙ.Ìì'ì^  ''  ' 

a)9"ììfi  •  W-rt°fl»'  •  l'^n/.  '  ^■%fi'ì  '  •■ 

-v^flì  !  <n"PM  •  nody-  ■■  '1-pv  ■■  (on 

«n^-  :  ■ì-h9"i''ì'  •  OÌOD'ìYìi.'ì'  ::  ©«^T 

<p  :  A«i^  ■■  t^9°y  ■•  -in  s  y^<T?ì-  ••  e 

on-  :  ^fìAl  "  atlìòfì  •■  fl9"0'  ■  fli/-hn-  • 


ve  •■  AW-A-  •■  *A  ••  yj^-^vs"-!-  :  >»ft</»  ' 

ih9"c  ■  (Dò4i9°  ■  iiA.Tu-  =  hóy.i-i: 
U-y,  •■  C-Po  ■■  y'ì,R'à'  •  a)f.éL^y:  :  WA-  • 

rtn?»  •■  ^'ìtf»^,Ti  '  =  h-J-thii-  •  'PS"i'  ' 

w-A-  :  ^'i.A.  '  ••■  (D'V,y:d,  :  An-  ■  nv* 

y.h±  '  UIC  :;■ 
(Dhriì  ■  mh  ■  nA,A.-l-  ••  hian  ■■  e 

?i9"I^  ■■  fi-nh  •■  9"flA  ■  e  hCfiKo-  ■■  h'i 
il  •  ?.ooc,u  :  4'-S.rt  !  "IJi/bA  :  aiy,?,af 

a  •  nhv<i.y-  •■  fflh-nKvn  =  s^m-v  '  o 
IL  •■  hhrt-r  :  -in  •  uAm.  •  '}7-/*'  ■•  fli 
AAft  «  fl»c?»f  =  w-A"  ••  v-n<j.  •  f*'co^  ■ 
(Dhn^  ■  A^h-t  •■  oic  ■  ìxi'\'  •■  hr 
vi-  =  HJt-jnA  '  rh'Pc^ì-  '  flJTflvv  •■  i-n 
h  ■  A(?9"^  =  ìxrsf:'^^  •  vn<:  =  'ì'Jm  • 

<n"PdA  :  flJH.JìP<^  '  AK'1f^i>  '  fflVT 
C?£n>-  :  •fi-tir  :  HC>ie  •  n^dje.'H:!)'  •■  h-h 
V,ìhX  ■  /in  !  rt9"0-  •  *?ii'°.*A  :  hi-iì-  "'  ' 

-ìd.r'ih. •■  odv  ■■  v/^'h  •  ffl'inuA-  ' 
nn^T-fcif  <»»-  ••  'jrh-c  •  'ihx'i'i.  =  -in  ••  ^ 


■^  K  2  e  L  2  7^^,•^'^■  —  >>)  112  e  h2  XV.  —  ")  L  1  e  2  •nih'S.  —  <*)  L  1  — lìf:  :T  (sic),  L  2 
_f^B^.  _  «)  E2  e  L  1  om.  — ')  R  2  u"  :  C".  —  ")  R  2  ^a  :  H./MÌ-.  L  1  — -H,  L  2  — ^.  —  ")  R  2 
ji+ODUC-  —  *)  R  2  (D.  —  *)  R  2  ;igg.  Tnoo  :  AguATì-.  -   ')  R  2  agg.  ^X•;^ì^'.  —  "•)  R  2  Xijb^A- 


—  62  — 

)ìr.Mfì  •■■■  oiintih'  •■  'iWivV  •■  Tfìfy  ■■  i'.  V  ■■  ""/.<'.    ■■  in}M\"'ì-9'  •■  Ah'lU.hihlu 

^.i>-ftao-   :  (l^'r{ì^  •■  :i-pftn'-  :  oìTh  i:  ■■  hìu  ••  s^.-nn-  •■  nti*hì-  •■  Ah  =  >»"/ii. 

Mura»-  :  (lìTM  ■■  'ny}\,l,ti'.-\n,'at*.  ■.  ai  HMjJ  :  >,n^A'/.  :  (r>.<-ì-Jl  ■•■  U'ÒiV/  > 

1/.  •■  Mìfì'r  ■■  Txiu  •■  y.o"i:,i^<^-  •■  MI-  lU'tìì' •■  III* ■  •i'm.i  ••  h,h'\% ••  "^nv.  « 

>  «  H'^.Jl^.A  :  niU/»  ••  hh""/.  •■  •l'>'i"V.  !  hlW  •■  y-0'""i-  ■  }^A"-|-     ■•■■  '>7/»'5r  s  ai 

'i.'r.i- : -^(1  :  ut\uK  ■■  l'ir'  •■  inMtì  ••••  ^An •■  evJu:?'*^- ••  <^n : i:h\'- ••  /^v ' x- 

/*''h  »  fl^^v■'^(:?'<^•  =  <f..p.'{-^.  ••  iwi  »i  :  .•«'a-*^-  •■■•  «'VfK-  =  >»'>ii  =  ji'i'fK-  » 

•1-  '  ■/,e.''7'r-f-0»-  :  ai/»'V  5  X'JP,'**^  ••"•  ■l'>\9"/.'-ì'  •  in(ro'i\i/..'l'  :  fllr/nA^Vl'l-  « 

OJjlV  :  0^fo°-  :  A>lO»  '>|-  ••  4"'/.A'>  :  Il  fì'^If.  =  «JÌV,  :  ^./h.U^X  J"*^'   =      OìTil 

■yrt\    ■■    "/'«•■»•   ••    tm'}''}^'']:    :    AhA*}  ||.?iV  :  aUfo?:'VO  •  ^.'ÌV.^p-ff»-  =  Oth, 

"V,>5       •   WA^.  :  AA'ÌA'-n       :  Hfl>*?l'|-    '  fìi^T  :  fl»ÌV.  :  rhm-il'fo»-      :  OO-;}-^  i 

A.p.Ti ' "JT-/**  :  hrh'fìi:'/ ■•  ("hx-ri/ii «  jpv/"h.  •■  aìhti  •  Arx*  =  .evxM..  ••  m^ 

-ÌH.I*-  ••  f{^'tì,ix'>  ••  cr?  •  ìxtì""  •■  jp<«.  n}4A-f<n>-  :  mn  =  h'j^i.W'^'  •■  >iA  ••  ^ 

^CJ"  :  ««.P.-i-^.  :  fl»4'<nff^  :  O^M-  •  Il  VAfr  =  ^Jfl'O/.  =  fl'H  ■•  >iA  !  ì\é.t>r  ••  n<1» 

/*'p  :  m\un>?,  :  f/o-}-;/»'!-  :  >fA -o»-  ••  /.  •  ("0  ••  >»A  ••  IIC?»?'  •  MiVS?-  ••  nj-ZU  ■• 

(»(HA?.  :  >i'V|:  ••    AMl-V  =  ll"V.>ih.A  :  «"ll'/.ll.  ••  rtCh  =  h/.C?'  =  Mi.^-<"»-  : 

lìoì'M: •■  hiVì ■■  ^.A/h*  •••  oi'ì'ir'h •■  ^..i\  ••  òo  ■•  nói:  ■■  oìfi  :  ?»A  :  Mia-  : 

Òl].'/  ■■  nA.A.-ì-  ■■  >i'/'.f,  "ì/.  :  V7I*'  =  %  'i  òo  ••  ^a>-AA  :  117.11.  ••  VIU  '  flMlt.A  • 

iw-ì'  :  ttìu:  •■  ^•^1C^I.A  =  nhVif.D-  =  «»^  Aii.-/  =  >»i>>  =  «iLv  ••  òo  •■  flu'-nrt  :  o» 

'fl}\ M'  :  i;?/.  =  Mìfi-r  ••  rnv'/ :  -vn  ••  o  nxj.  •■  ak'>'«u1i  ••  'Ui.  •■  rtch  =  ««n  • 

Atn.  :  'Ì'SA'}  :    ì'PlU^ao.  :   (17.11.  :  jìA  ?iA   :   lì'l:.<'    ••    '^f   •    (1'"»'^^  =   O'^.'/'ll 

•Jì-  :  H''"'JAÌ-  •:  <»<^n  ••  Oi**.}"  :    l'd.  Ò(0    ■   "IV-   :   WO  :    }xfì    :     iTiìì'    ■■    h^ 

/»'H».  '■    luìfìoo»-  ••  IIIU'-V'/:»'""'  =  O)  %i)'a»-  •■   n>iy.  :  t^f\}\Yì1'  !  fflO  :  >lA 


•)  1, 1  (e  2)  <l»^ri*".  —  ')  L  2  — K.  —  •)  L  1  —^\\^,.  1.  2  M'Ali  :  ^^(l/>  —  '')  K  2  (D-Xl"  :  A 
f>»  :  HUH"  :  A(D-Xli  :  A"  :  >i",  H  1  An-T  (prima  scr.  AiSfl»)  :  a>-"  :  IIur"  :  Ali)-"  :  A"  :  V.  '•  '  '  <I>-  =  ^> 
Af>»  r»ic)  :  Hon"  :  HU)Xt'  :  V.fl".  I-  2  AAfV»  :  A01.'H(U->.-|i  :  y.f\  ■  -  '^  1!  -'  (I)I7>V"»-  =  HA<>".1  :  ""> 
K.IÌ  :  ^Ain  -  0  J{  2  airif.  IKiyVtH""»-  —  «)  R  2  AK".  -  *)  K  2  (dXiH,X»>I.  :  .\i-1V.APUU-  :  wy.\. 
a>^uim-  :  AAX-'Ifh-.    -   ')   •!  2  A*V.rn  :  P-  • 


—  63  — 

(D't\h?.ù  ■■  hji^^-J;'/  ••  tìh'ìfì{ì9'-^o^  ■  T/  •  hA  •■  m{ih  •■  l'^ftA.'/  -  a)Afl»-?i'|.- 

RA"-?*""  •  (Dm:M'af>'  :  fl)8<^ ■■  'Ji^'f-  jp  !  ft-p  !  ^/.,'»'B  '  mn.-n  ■  (oihrc  ■ 

ao.,  port-  :  9°tlM    •■  A'JA»»  =  'JAl'*'  •■  h  -flY.A  ■  nh'>'|-  :  HhT<n>-  :  ««Crh  =  (l 

«^•}  ::  flihr Ti  ■  T-l-  :  h A"/"?.^  '  "»/*'  '  TS"'!'  =  h*"»     :  A-TCft  •  «"«Crh  :  rh*PC 

XA- ■•  * s.^*} '  flJWA- :  riiTi-n  :  flj+nc  ;^H.'.'  ■■  -Wf- !  fl»j2.n.A-  ••  "yo-  ■  yi/iA 

<.  ■  at-M'  •■  (t-f"  •■  'Pm.'ì  ••  hl'hO.C  Uia  ■  òa  •  Vl'dhf'  ■  AAòò  :••  ainh 

•/•}  '  ì^^  •■  jP'jnA'nA-  =  mx  ••  rt'^j&  ••  fl>  tx-a  •  ©^n  ■  ^'jmA.F'j  :  hif,^.  ■  ii. 

U-  '  I  -nfr-ì  ■•  1"^'/"/.  ■•  aian']|ìì^.  ••  ?.i  n  •■  hl^^,  ■■  oo^ù-  •  «»mV  •  r  l'"(i/.V  : 

tDWim  •    ^Ì-T14-  =  flJ}^"fl«'-'T}    :    ^.  ;!•  !  IC'JA;!-  :  0)^,0  :  hA.V  :  ì\l\\h°l  ■ 

ìxP'aO'  :  Hf.nCU  '  ?i9"V  :  O'h?.  •  (Dh,  ^'>     :  -Wl'ìiiX  :  htt'i  ■■  h/.PV.  ■  (Dtlh  •  A 


»)  K  1  e  L  1  OTTI.  —  *)  Cf.  sopra,  p.  57,  nota  e;  RI  ha  sostituito  qui  O^H.A•  =  RTIA.  —  ')  R  2 
HMII.AH'OD-  :  Ci.^„  :  goTICtro-  :  (DV.Y^(1>^,  I-  2  nillUiMI-  =  Alì^lA  :  (JVolh-  —  '')  R  2  om.,  L  1  e  2  y/V 
^^^.  —  ")  L  1  e  2  sempre  un  solo  ri.  —  ^  1'  '  '<  «'  «■  —  "^  R  1  e  I-  1  oDir"1-t-.  —  '')  R  2  liuij.-'l 
JS.A.  —  <)  R2  ^Vn-U-OD- :  (DA".  —  *)  RI  e  I.  1  0  2  a^'jr.  ^f>».  ')  L  1  e  2  A  A  od  Vi  vinifero-.  - 
"*)  L  2  «..tlV.  —  ")  L  2  Jsq.X.S'M.  —  0)  L  2  Xn.A. 


64  — 


•ì-  •■  nxMi.  !  -in  :  ""in  •■  hit-  ■■  i-rt'/» 

fti'  ••  -iwh-c  ••  fl'vn/.  ••  -ìli.'/  :  '«'niv  :  y;  0 
Ai-  «  tì»rtnA  ••  ¥hi:- mi:  •■  o'p.yi  ■■  >» 

oìiD-M:'/,  ■■  /.rpo^'  •'  h)ìì  •■  y-nfi\.  ■■  ì- 
/.ff:    ■'  MI-  ■■  hrfì"'ìi?.  ••  nA.A.l-  •■  in 

òfiV  ■•■■  fih.uìifi •  me- rxii- ••  4'<n ■■ 
r/nn+A  •  hiìì  ••  ^.(lA  :  h.y-'ì-'itn>\  •• 

A  ••  fVi'.<-  ••  fl>-AI.-l'll.  :  inyAVi'    ••  n 
0-A>  ■•  at}^^■■Pav•  :  «/>'7ft  ■  rii.f.ìV.hV.   • 

^Ai»r'l:ir<n'-  :  ?i1'"(:ji.4'  ••  «Jhn"/'^. 

l/'ii»-:  ^.ì'I'A^i  ••  nil-V  :  tta^'iM"}   ■• 

OI^,^.-1V.»lfl  :  rlAl^A-h.  ••  0(\/.  •■  hììfiK  : 

«»^.,ì>}^'"  =  "7.1'.  :  iit'iòi:  ■■  hhiM  ■■•■ 

'ìnì)U.  :  ACAI--  :  M"'Vy:ff"  ■■  S'W-'Ì  ••  A 

y.:''/.  :  '/n'I'j^A  :  aXìh'ìllì  ■  IW.i)  :  AÌ" 

tì»-Ay.  ■•  ì(i»-A.e.-  :  htììì  ■■  A"/A'r  :••  fli 

*1.'l'   :  -^AJ."  :  /Aiti  •■  A  'fl?lrt.   •■   l/n   :   .'^Jv 


-}  :  oH'oo}'?:  '  n.p.'fl»  :  fl»hA,ii  >  nuli. 

A-lh  •  «»uin  ••  nih'P'C'ì'  •  ""M'ì\ ' 

«"l'.ii.A"  !  hcy"'/'  ■•  (iiAio/n^/D  :  Aii.y  > 

<»;».vnn ••  ini-d.of"  ••  onnòh •■  ;'i'> > 

«)     :  Ali.'/  :  tnt'.ll.A"  :   Wi-C  :  fl>-A'l'  :  li 

'Hill  :  (nhhU'f-  ■■  f^hnìì.h'thhAl  ■•  nhi 

h/.:Hi  ■■  «'.e.n.A"  =  A..,t'.ì<<.AT  =  ?i'/" 
ih  •  A'JAr  :  ^irt*/»  •  A.intìh>.  •  ?iyT. 

'Bf  ••  WittlAì'  ■  hlìl  •  ?»"/+Ji'.  :  «nmV  • 
•À  '}//"-!•     ::  tn^i-nO  ••  «••/■A?'   :   fl»»l>  : 

/..f-'A.  :••  mòn  ■■  i:M'  •■  ùnh  ■  un:  ••  *h 
lìi  •■  yim:  ••  J^i'/v.  ■•  in(f"'ì)n/.  ••  •/• 
>nh-  ••  -"iiut-:  oa.y.  ■■  anh-tì  •■  htiìì' 
hjnto^.ix?*  •■  y.,h.(:  ••  *!".'."•/•  ■•  ìxrtò 
«!•  :  rtn?»  :•  aì''|^.u:  •■  Uòn    ■■  hTuv  •■ 

hfi/.é.  •  ;M.'/'  ••  XAA     :  /"/"  ••  h-ì'ì'  • 

A"?  ••  ^o^Ao  :  '"/inr:  •  ««y.^'i:  ••  tò 
ò'i. ■■  4"JA'> : >xtììì  •■  vr ■■•■  (lìùiy. •■  r 
Al*'  •■  Ari  ••  Oi.e  •  A'J'XAì-  ••  '"•>!>  !  'i 


")  L  1     iri.!!-  :  (DHA>>(J).    1.  2  AÙA.II'i"H  :  111/.  :  X.T  :  (DXAOIJÌ.  —   ')  K  2  apR.  AOA  :  qnjtr.Vlou-. 

-  ")  I!  2  Q.«».»iuo-.  —  <<)  K  2  KV"   —  ')  i;  -  rt>>>A  :  ravv^-;.  :  lìHiX  :  na)iìi."ì  "n,  :  V.Tiv.  (1. 1  (Drin 

X  :  Xa  :  P»h(I><.).  —  '■)  M  e  2  {DVIÌM-CX..  I^  2  CDV/l-lll;».  -  «J  H  2  (Dtl^A-  :  X-jn-ìlfou-  (I.  ]  i  2 
|KT  V/Vt"  :  Hi"  hanno  .V/V'IM'»).  —  *•)  H  2  om.  —  ')  '^  1  "m.,  K2  (D/i/hl'ip  e  uin.  I^IIM  ;  L2  oin. 
ila   (Dff.  '  .1  a).\'.n.A-     —   *)    l:  2  A-I1WI«M.'  :  Ad»  :  Miig.'r/..A.  —    ')  K  2  llA,^l'U)tlV,  :  X^OV'IM'  :  X»H  : 

Xu^r.  :  rtiivA-i- :  ui'io'f.   —   "')  i: -'  mii/.,   1. 1  iiv.ii»;.  -   ")  l- 1  p  2  ìikc-  iìiTa  :iiii;»»    — 

')  l:  2  VIìXt  :  .ht/.  :  (i.r-1-  :  X<;tiVÙ-ì-  :  (l)""!  :  :l'  .  -  ')  L  1  e  2  -A-'r.  -  «J  I!  2  •Vrìuo.Vi.  ■■)  i;  2 
00*11.  —  'J  K2  •JiVl.-f 


—  65  — 


9"(i/i-7  •  (D-tì-ì::t'  '•■  ann-i'  ••  -n'/.A-  =  t^ 
/.  ••  "iti  •  hAh  •  '/'.eTr?"}  :  ìiTay-^  •  R 


h<-  '  flJ-l-Ro»-  ••  ?in«»  •  hAH  ■  HChP-  : 
fll.JP>  :   (D»,?(DÒ}i  •   hP'i'ii'  ■'•  (Dtth'i 


n  •■  A'VSj:  ••  fl^fti.-,-!-  ■■  mn,-/'  =  v/a  =  a. 
A.'!'  •■  h'ììi  ■■  jf^inc  •  KA-'i-  :  * nh'w  -• 

•w  ■  hAh  :  *'ì\?'rai  ••  h.^i)-rt  !  no 


^hn-  :  d'j'fe  '  n/hc^.  ••  hnv.  ••  (Dh^^-n    (omoh  •■  ^^n,y  ••  hi»  ■•  jK.7-nt:  ••  xa» 
ihf*  ••  ^.h-c  ■■  ?iJ'"'m/'^  •■  «b^tTtf»-  "    '(■  =  hiìh  ■■  (icìi  ■■•'  (uhiTi^h  •■  hihì'  ■' 

*a)'}iì±'l'  ■  'ÌA.C:  ^  '  nXrh  :  'W  •■  h"W-       X^{+  :  -^iìtì^     ■  flUl^lh  ■  rOflAO  :  (Oh, 
A  ••  ?l•>•^  '  ^-tìaoj!.  :  {T'^i-i?^  :  (DtìV?  ■■       JP-lvi^  •■  lOhh'm^.  :  h'm  :  A. Mi*  =  *ìì 

4"RT  ■•  W/^  :  mM  ••  t[^.^fì^'  •  »»>!     VA-  •'  h,ìf'/>, ■■■  Oìdi-  ••  V?  •■  Vf-A  :  A.A. 

i-  Hf*  :  (DfìfiÓM  ■  A'Ì'Ì.C  :  h?.T  •■        f-      =  hln  ■■  m-nC,  ■  XA-h  «  atm  :  R 

fflv^  •'  An-  ••  nv^»/-  "•  mnjwh  :  vm-    nwi  ••  .^c  ••  -hn  ••  ^.nc  =  HjRrt"njp. ..  m»- 

>  ••  fl>•ft'^  :  ^TP^iV    :  mr.h?  ••  hi-]'  ■•     :"•'» ••  mo^hl-J'. ••  XMV   =  h«n :  +^"V. : 

•w  •■  pocT  =  fflA./.hn  :  oìpy.  :  vM"»      ^v^'K-  ■  ni:  :  mr^n  =  »i> ••  xm.  •  oc 

")  R  2  om.  —  *)  R  2  asg.  >\.q^.i  :  a)^,lìoijOi  :  Hlnavih  :  Tl^„  :  ;1V.A  :  X-lV,Ut  :  onAATlV.  :  \y 
)\7Dt:.  —  ")  R  2  CR.  —  <*)  R  2  corri  :  r.Xn  :  il"  :  U"  :  H^•^  :  t-Ago/.  —  ')  l;  J  <1>.|V|-  :  II".  —  r)  K  2 
©3"  :  V.  —  5)  R  2  ^.^T-AM  :  llXgi):t-,ìì-t;i(  -  ")  R  2  (e  L  2)  om.  —  ')U  2  h.V.I'K'dV..  -  *)  L  3  lì<t>, 
A.  —  ')  R  2  Tu.  -  '")  R  2  '|.4,'iiu  :  niro  :  V,iJD.\.^  :  •M>A.  —  "j  R  2  R-nC  :  ID-Xl'l"!  :  nW.  —  ")  R  2 
(DCDllIKp.  —  P;  T;  2  >/»-|,XU-  :  V.>.-I:t.  ::  <D;l.VV.  :  in.W  :  a)/\roD.  —  i)  R  1  X>J<I>X-  :  'Irli-t!.  R  2  Pts  : 
ATt'K,    L    1    (D>S*X-ri  :  CI::    I.   2   (DAi-^ùl"!  :  l'|: 

Classe  DI  SCIENZE  MORALI  ecc.  —  Memorie  —  \'ol.  II.  Serio  .^'.  parti'   P  fi 


)i  ■■  irh  •■  vnn/-  =  n/.h  =  «mia»  =  «>  r^n  •■  i'Wh  •■  hr).v  ■■  hi/'h-n-u  ■• 

^.yìv.w.  •  </'M«  =  >»jn>'.'/  •  riì'is'  ""'>}^<<.  =  '"ìlwfì  ■■  iohf\  ■■  rfì(\^th •■  m 

■I- : "^tìfiiò •■  ìiìiu  ■■  ìììi-  ■■  }i{ì""  ■■  ;i.  »«vV  ••  y-M:  ■■  >^"i^,l.  :  (iAr«ìA  :  >•:■•  = 

y.i\ì\ò  ■•  iihìttt\  ■■  tvìti"  lì  ■■  òfi'ì-  ■■  y,  iifiy.""! •  ami:  =  ''»'jxv  :•  atTiiti •• 

?,«i>-  !  ii,/i.  :  y.iihy-  ■•  -ìli  =  y-un:y:  •■  n  ?;(»>;  :  y.M:  ••  ii"t^<i«  =  hi\ìv.h\'^-  ■■  v 

/.h->  :  "MiDf  :  h"»  ••  y./.rt,  ••  "'ì"iy.  r"'iA  ■  {\hrfìi\   ■■  whnv,-  ■■  fióM  ■ 
IV  "•  ?."/ii,hiiji.(;rt  :  K'hri:   ■■  ii^.j-n     wiv;    'l'VJi   •  n-X-j-,  =  -in  ••  ^-jn 

e  :  Ìi-A-  :  «MINIMI.-  h"»  !  ìh-'i"  ••  '/*  <•   :  hftlC.^S'  •  (>""•}!  •  whtìh  ■■  yhìu  •■ 
ò/.-^.  ■■  ACrtl-  =:»i'l: :  .«*•>»'':    =  ^.n/.  =  fi      »A<»ì-  =  Al-^'/'c-l-  : anf- a-  =  ufìì^-.h •• 

/.hi-  •  ""iù  ••  >'i'r  ••  «»"»/.M  :  h'n."/  ■■  -ì(i.'/  :  yrìh'r:'>  ■■  hn"  •■  ìxiv  ■■  -wm: - 

(11^.11.  :  >lì-'«'f  T  ■•  y-hWM     =  •>  Il  :  H'I'-'J.  Il>»'}'|-  =      ftiW-  ■■  fVllK-      :  A+^ft  »  A» 

m»    :  }^t\tn>  :  hf.'f^X  ■■      ■'liU  •■  AWl.C     =  MìOÒ  ■■    n^lrt.  :   h''ì\\.ì\f\,\\.i:   •   Ml'J  ■ 

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•l'Cn  :   HI.!*-  :  tOCh?'  ■  Ah^rt.  :  (Dj!.{\, 

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ijrt" ■•  nf^v- ••  ?i>.ii ••  rt.ftt"   ••  hw» ' K 


*J  E  2  -t-H'in.  -  '')  R  2  agg.  -rokljujln.  —  <■)  i;  2  ODI.  —  'J  1!  2  -rvyrf..  'j  K  2  (Dd't-O).  — 
n  R  2  AW-A.  —  V  n  2  non-<,y^A.  —  '0  R  2  senza  (D.  -  ')  R  2  fJC^  —  *)  R  2  ^.Ayiì.  - 
')  R  2  OkfXP  :  noi'HlO  :  X-^*  :  (D'I  ".  —  "j  L  1  HCD  '  :  A*".:!*»;.  L  2  HCD-"  :  tm'i".  In  R  2  queste  parole 
sono  dopo   ffiXip.   —  ")  In  R  2  inima  di  (D.Vir".  —  ")  H  2  •fuilM'.   —  !>)  R  2  agg.  tDIVÌ-  ')  R  2 

flR"  :  <»X".        "■)  R  2  AAn-t  :  mYl.  :   {ai'.   -  'ì  R  2  Af.T.   —  ')  R  2  l|(").Tiy>,A.   -   "J  R  2  -irTH.  - 

")  R  2  >>^H  :  .E-l-nr..     -  •')  R  -'  i"n";ùa  :  iiXn<!,'n  :  Yi"u.  —    ")  R  J  Aùti;.   —    =)  R  2  e  L  2  as?. 
iitnii..       "  L  2  n>r;j-.  iiViiACi        '-'')  R  2  AAr' :  iiv"  = 'a-'II."    -  "'■ì  R  2  l'iy./i.  :  ni-ovv. 


—  68  — 
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«*.'  :  ìxììi  ■■  t'.i,X(:j"    ^L•>;^.l^   »  a»    rn  : <wniv : rn'^0 ••  Km •■  inf\y.h-i: .• 
Din  ■■  jjt  :  nn/"  ■■  /"Art.  ••  >/.n  :  v    -z"?»^ ••  vnnì-  =  it\/.-tth9"ftf\:/- 00' 


1>".P.(:  :  rlK^ll.y  :  hit»  ••  UWl  ••  <"^rt/.->  : 
«Hllflt"    ■•    A<^A  ••      «MlX'Ji  :    "/-ni"  :  «>• 

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(L  1  \'/\f]Oi.  :  (D  aXa'C  :  /><;">.  :  X>X-tV4  :  Mvovfyoo.  :  ncìù  V  :  W^OVJ  ì"  :  (DaXaH  :  /v.Am'1.  :  iiiif"no- 
ecc.  L  2  AX-1/S  :  M^Soprtiro-  :  nmCcV  :  WyugrV  :  (DaXaH  :  'fy,ì\qoi,  :  a)/>>flA  :  M.Vlom-t-uu.  :  n 
fl-^X'ì-  :    M.eoprV  :  a>A>,A  :  'A;/^f^ui.  :  uqfnijo.  oCC.  sic  \K  —  ")  I.'  2  (D/MUJ.V.'t  :  AilillgiiV  :  IIKA-Vri- 


■I/Ah  :  hA'-V'iOiì  •■  (lUlhlìi-  ■■  "V.f,  :  ;,. 

•rht"'  ■•  >/">!  :  htì)u"'ì  ••  TxMì  ■•  h""  ••  <<. 

Art  »  (Dh.y>iD{,h  :  M";  ■■  "i-iy.',-  •■  h>i 
MIA ••  a;.ii.    ■l'rm.l- ■■  «MI/.II. :  ìlrn 
*>i •  vvrt  ••  n.y,.  :  A'Mi.c  "  (/iji'/nii 
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e.->.     :   >»An  :  ÌIS'.t\a)'h  •■  ■'iW.ih  ■■    llh'itt 

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>i'Vii>M,h.i:  :  >iA  •  ì^'nf\'l^  ■  11./-  '  ti 
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"ì/yì  :  ini-    h/."'!'!'.  •■  ìttìo^-  '  A.'iih 

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A.'l'  •  ^^rt-ì-  ••  ^-Jll  :  t'.IIA  :    /n'J'A  :  ti 

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"Mi.hnji.t:  •  at'M-  •■  hy.'P.ìì  •■  <DAh 
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I  l;  _'  X'"'  :    (HXA   l-  :    •l.'hl'.gnl-  :  (l)l'il>U-|-  :  (DAIirìi.-     —  ")  '«  '-'   MlIV.dl  :  rllA.  :   IIJII/.  :  X- 
•1.  :  '^^y.l^^  ■■  (DAA'I'V.  :  •IV.'»!  :  Ajuu;|il-  :  llXuiA  :  Ml\.f\-     —   <■)  H  2  •|-|1(D/.  :  XguUJI'  :  »*Ai;o 
•*)  K  2  X09"    —   ')  H  2  niH.—  l'i  U  2  om.   —   "ti.  \  0  2  |ircm.    (D  —   '•)  In   II  -'   avanti  a  .Virfh"  X  ' 
•1-".     -  •  )  K  2  \'  (D"         M  I;  2  <on.    -  ')  in,  L  1  «■  2  <DA:r.  -  "•>  l!  2  iiooR-X  :  (Diil-M^K-  =  -t*-* 

f  :  turo:  .Uinf.  :  XA-'I- :  A<DA|i )  L  1  e  2  AftAiP.  —  ")  H  2  M(ì  :-n>»lX-  —  »)  R  2  om   (D  -  «)  R  2 

AimAY'  :  ih-C  :  y.fl-m  :  tllfinn  :  l-Aux'lìl  ::  <DHT1'  :  iV'iJ.iW  :  <•«'.  :  HI  :  (DAH  :  Xtll  :  lIAd)^  :  Il 
Xl<!.  :  V.-Jll".  :  «l'/.ll'l  :  I1M(I.V.(1)-Ì-  :  <|)rt»K:i  =  3V»  =  (DtMJA  :  (DAT  :  Wi*y/,  ■  Xtll  :  y.(\.-i\i*y  :  aX*III. 
X-nfh.i;  :  ffl'IOKt.  :  Oli-;»  :  Hi".  —  "■)  1!  2  afre.  a)OD^Tl^.  -  ')  K  1  p  2  a.rM(ì  (appresso  anche  Al")  — 
■t  K  2  Art-nX.  —  •*»  l{  2  om  /.  —  1  In  l{  2  dipo  ©JPICC  —  ')  R  2  ©oo-^A  Popò  or  l'una  e  i>r  l'altra 
parola  di  qnesifo  e  del  preri-ilontc  nii'siagjri".  i  rudici  atririnniron".  nr  l'uno  e  or  l'altro  e  senia  regola, 
il  —X  —  •)  R  '^  mTiovi)-.  —  'il,  2  u-C 


'1 


fljf WriA  ■•  wm'i  :  '/Mi'P/.  !  1:  ••  oh 
;i"l'  :  A'ì.eA  ■■  ^,*p?..  :•■  imh  •■  hìi-  ■■ 

•in  •■  hCim  :  A-l--  :  hlU.h-ttih.i:  ■•  ut 

«<. •  6 hrjuftf"    •  athnn^t  :  Mii:  ■■ 

Oftì-t  •■  h^'^O'  ■•  mìxiììì  :  p-ir    :  MAO»  = 

S!.!\(ììi  ■  fflnx-rh  ••  un/.  •  f\i\'  •  ffli-^-n 
+'>A  •  n-ìitiro»'  ••  n-ìf.A  =  }\a-|:  :  a 
'>  '  ?iA  •■  '^^o»^  :  nxA-'f'*"'-  :  (oTh  ■■ 

cfì-f'tì ••  (D-i'd.r'th  ■■  hA-n : OJ^hh-f- : 
A?i''?ii>nfh.c  ■■  fflrhjx  •■  n.1-  ••  Yìctì-ì: 
n  ••  noi/.  •■  ^'i/.'ì  •■  *hiv  ■■  htn^im 
i'  ■  of\'S  ■■  tìctì^iì  ■•  mtonfì  :  t-hv/  ■■ 

W'W/.ìì  •■  W-A-':  }\9"'nAì./.  •  fìiìi-  ID 

i-fìh  •  n^'P/'^/hl-  =  mnwi't-T-  !  A^hrt- 

*  s  hA  •■  rh/.   :  Xr"7/|-  ••  •^•^.'>  :  fo'ì 

i/^'-f-  :  fflh-nf?  ■■  oin/i  :  'in  •  ^a  ••  A 


•}mA.JP'>  ••  fl»/?.n,A"  ••  >,A-nrt>.  ■  hAO 
A  ••  ^Ah."?  "  fl»^AnA  ••  Ad.'/  :  '/n^T 
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o'AKh  :  ■>  Il  !  MM  :  h/./J'f;  i  h'JH  •• 
^■•nA  :    ^^•'/^|.^'nr/1.c  •■  nj^A-'l-h  •  h 

"ìiih'i.  ■  fliAHAYl-  :  hAVb"?  :  \\\ìi:ì\^ 
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A-  :  ^^..'l'fth    :  flirn-j'  ■•  t\'n.P  •■  ^ù  ■ 

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o»h9">,.nf:*/  !  fl»hx-nrh  :  ìitìh  ••  7-0 

/.    :  tfoA+A  ••  B  :   (Dffo'póti   •    i'h^-(D-f- 

A+A  ••    llJ'.".e.'«>  :  miì-ò    ••  rD'l'Aro  : 

^n»'?"//'"!--  :  fll-AI-  :  ^^A-  :  9",^V.  :  ^ 
ft-n  ••  flJ^i AH  ■■  H'/'.'''ffl"7  :  Aff"'>'?/»''|:  •• 

mhAP  ••  i;vn  :  y.aìòìi  ■  Axn?i  ■•  »K 
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?»A'«»  :  i^l*'  ••  ni/'/nJ  :  AAI»"  -  ffl^'S-A 


"j  R  2  om.  —  ")  1;  2  (Dfl'^A.  —  ')  R  2  lu/.cpoo'.  —  -*)  R  2  .\iXm.'  1.  2  om.).  —  ')  li  2  •1"V^  :  1- 
>viJtir/>-.  —  '")  i;  2  ilfh,^.  :  -l'I  :  'non  :  V-X-nX.  -  ?)  R  2  (DXA-t-OD-  :  A*.V„'ÌJ  :  XtIv  -  '')  \t  2  X^H: 
X.yt-t;^.  —  ■)  K  2  —  MJ  :  i^ASJ.  —  *)  R  2  IlAuoUfl,^  :  ^f\fi  -  ')  i;  2  In*"  :  liuq"  —  "•)  R  2  nt^/LUrh- 
—    ")  l;  2  (tìà^/,.    —    »)   R   2    AAM  :  Vin-C  :  AinXt,  :  XlH"  (tX"     —  '1    i;    -   —  ti  :   -JTMJ  -    1)  R  2 

iM/i>y.'n  ')  I,  1  •i-tn-y    -   <»  i;  2  lu; '  innx- ".  —  ')  R  2  ii. 


—  72  — 

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<Cfli-rt-  =  .f.o).y/ :  r"yv/"?v :  tf»;i->  •  i'-ftA :  *7lA.^ll^ ••  '^n ••  4'.«}.ft ••  ^n->  • 

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n.t'.  :  mìh'l\  •■■■   (DM)   •■      i:M'   ■■   h'/n      :  *"*  ■■  'Uh  •■   r/n^«7/M.j.   .   J,^,^   ,   ^Q.j^  . 

A,J>II>A"      ì'ÌXWi-  ■■  ht\\- :H\Ì\  ■■  '^^S  OÌ^',."i  :  OO'PÒ/i.ìì  :  flJ.ftd+'fl  ••  U'^.'P.'Ì' 

Ih  ••  tn^tin  •■  AO  :  Oftìì-  ■•  '/'il:  ••  (nh"!  *»  =  m^ll'Al  ■  O/.h  ••  rn}^A>»lh  :  ;^;h^'  = 

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fl»-h  :    li^'■^'"?^ì^'  ■  ■l\\\->'i  •  f^'Ohjf'i  ■  YìCtìl'J'i'l'  ■■  ArXl.C     •  WàMA  ■■  '^Oh 


"l  l:  2  'jiii.  —  '■)  l;  1  1-  l  i;  •-'  'fioo  iflu  Isoo -I.  •  1  l;  J  a^.'^.'.  IÌ-(1A.  —  ■')  l;  •_>  om.  e  iigp. 
•t-rfìfl.)^  li  lezione  è  R-iiasia  in  tutti  i  cmlici:  potrebbe,  per  conpctturii.  corrcgfrcr.-i  .  .  (MAX-oo-r  :  d. 
.^V,  :  •non  :  y.-ì"5n>>  :  A'III.A  IMi.C.IÌ  :  WT.iU'P  :  (DA.VH.t»  :  Vfl>r.  :  ^'tV.  ■  <■<"  —  'l  I'  1  ''  '-'  IPX'HH. 
Aflih-r.  -  I    I'     -'  >.';"lì  llX  :  /.y.iiH.I':  :  tlOD  :  y.tì-J  :  "ni;, li  :  ATf/V  :  a)Arh^V  :  omdrt  :  ^'.V.lì  :  A 

tV>A-  :  MVAa  ■•  :«ll.n-  :  (DlliiDH  :  y.(}.^.V.  :  nil-.l  :  Cf./,  ■  flOVIÌI"!-  »)   K  2  H)V.V."f:lA<t^  :  ^.VAT     — 

*)R2aj;(r  -IvIìlU-f  .  -  •)  U  2  a>HH  -.nun.  —  *)  H  2  (ini.  —  ')  1!  l  AiivVL  .  —  'il;  2  ti.  — 
")  l:  2  (D-rt'f  :  in;  .  -  ")  It  2  •»)  :  A" .  'l  I!  2  Q^il" .  -  ')  U  2  Xa  :  <"'X7v  :  .V'Ot:t(J)  :  XqOHl  :  i\^ 
^V,  -\  i:  2  oin.  —  ')  l;  tltK  :  (D'ir.tl  : ooY  .    ~  *)  \i  1  >\W   ''«•'t  ^        "'  !•'  -'   A:lH.'Yl  .  —  ')  K  2  (D 

y.Tn  •■»  :  fì.A.nn  =  'iit/i»  :  iiy.vA. .  — )i;  2       f.A\ 


—  7:5  — 
;!•  :  ath'iihl-  •■  i:hò  •■    in/.  :  "*M'     (ìU:   ■  aumm 

M'M'/,  ■■  htììv  :  t«  /  V'À  ■■  ÒIV/  ••  m 

hi:hV'  ■■    "iti  ■■  Pr/i'JX-  •■••  aifttt,'/  •■  hìììl  ■ 

>?•/"  ••  ò?Mi  ■•  -Tr.eAJ  :  >iA  ■•  ^'.THfl"-  • 
lA'ip  :  b^Mì  :  /nfl.n>  ••  fl»AOai-,e>    ■•  h 

A  ■•  f  ^ir'<.  :  ,h',R  :  flj/,/'^.  :  (}'P^„  :  A 
If-A-  ••   n.h.^.  •■  rr/.'^'  :  \\in>  :  /?,X.<.! 

fl'h-nv •  oì"!?  :•■  fljj.w : n'iiai: •  na 

ft/-<C./'M«  ••    VA/;  :   rn^,rtAfl  :  ^AO 


l/n<-C      :  «»«"^ni*PA»>.  :  VfA  ■     :   (1(1 

/"COI--    "•  Àhn<{-    :  fl>^An.e  :  hfi 

A^in-c  :  fl)rt)i;n  •  vf-A"  ••  uh-'iìi  '•  II. 
+f.A  ••  flj'V/"^  ••  n+n^  •■  "7.n'^  :  m 

hnh  •  fl>-ft  /;;J-  •  :)-P'ì'  ■■  Uh9"i\'h  :  9" 
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(ooa  ••  •>?■/"  :  fl)Afl)"?.'i:>.  :  Twi/.  !  n 
tìi:  •■  An.rn  :  nan:^ •  flj(i.n<.(:  =  oj;ì-o 

■ì'i.  •■  ìlh-lllhli  ■  "VC.e'/'  !  hn'll'ì.?* ■• 
9"lìi\,lh  ::  aìhlìHVp--òiP  •   A*  S.ft  :  ^ 

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Tioo  :  y."  :  1^".  —  ")  R  2  (l)iy.A(l)  .  —  ")  R  2  ooaXVII*  :  >>"m>,ll<li.(:  :  XmiIìiiW.  :  Aa'III  :  — 
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rno  :  u»4.v; .  —  "-j  R  2  ngy  :  Xa  :  in.^  :  ur. 

Classe  DI  SCIENZE  MonAi.1  ecc.  —  Memorik  —  Vcl.  II,  Serie  D",  parte  1"  10 


—  71   — 

IMI   ■hfi-  itMiì.   :  h"v/  •■■■  oumw  •■  II"}/-  ■■  ""'Wn  •■  IH"'/."»    hy.riìtì'i-  ■•■ 

h^ììt.hn.tui:  •■  »i.*!v  '  li"»  =  y'iyì9'  ■■  ofhm-rh  ■■  ^^•>  =  h/.:>'i'.  ■■  ««amla-  ' 

"it\A-\'  ■■  \A  '  \"\:mv  •■  n>.y„i»-  :  ^M^  y.rtifì  ■■  ii.yn-rt  :  «•^.ì'V.f.i  «  o't 

'/  '  h/.:i'n  '  o'^An  :  ìihh""/.  •■  ii?»'>ii  ih:  :  «iifiA   u^''^•l;l^  '  AhcR  •  'ry:v.- 

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/,iiu    :    ^AIÌV    :    >,i;trir»l' :    ukAVU.  e)  IC  2  (Dl-fl/,.  :   V    :   AfhV.  :  rt  "     -     M  K   2   (I)I7.V":1 

*)  I!   2  (D'IMU/I-    :    liuill..\'.   :  ÌHIf.       —    *)   K  2  «RR.   AMI.J.  = '"l'V.lìV  :    >>•;"»    :    (l)>>"<i-    :    AAiI»    :    •!• 

nr.T  :  X'Ill  :  y.llili:  :    ■^ÙA.'I    :    Illìl.rin».  :    nV.-.l-  :  "OJ.f  :  HIOA  :  <|)inij '1MJ|-  '  )   <  I.    >.  |Mi:.   '■. 

Il    '  --    ")  i:  2  >,i;ii>i'y.<iii,   I.  1  >,Jll  ■!    «'■■»i    i    <...!.;    i:   2    .1  .ii..    v.i'iXa     il'u'.    iTa'»-!- 

")    R  2  Hi     :    (Dà\'.   —  I')   le  2  (l»Alìl<;t)tli»>.  iL    1   e  2  V.-M-  :  IMI,     :  .1.    :  Ain/.  :  All.ll  ;  >f    I  >illm:inil, 

l.r    c-.\    >■]*, 


—  77  — 


rt  •  ^mc-ì-  •  H.e.tLArii  ••    n.-J-A  =  ("> 


i/ii',"fl»-  :  ff»f:,h  :  nvr-i-   =  A^'7-nf: 

n^/n  :  h'r l'ivi-  ••  vh'/'tr  =  r»nxvh  ■• 
•in  ••  n.-i-  ■•  ìn:iìi:.n  ••  oJrtiA  ••  /"a 

mhA,h  :  n  *A  ■•  ^w-Htfo-c  •  m^.n.  •  j?. 
rh.fl»-j\'P  ••  «"Ahifj-ì-  :  ?iA  •  nrt'^.ei" 


n->  :  h^.P'Q  ••  (Dììfn»  ••  f-chi^'  -•  n.1'  :    /.  •■  ""Mì-l-  ••  j^.h'i:  ■■  py-ììV  ■■  f?:)nV: 
ììctìì'.n  ••  ìi'M^  ••  in/-  '  «oft+A  :  m    /'.e.h'P :  mih.ìì'  •  /">  ■■  ^Tì-jx.-/  •  A4' 


htt-^fì  ■  hdpiì  •■  h^^.'f^  •  -iv-np-  •  fl» 
^n.A-fl»-  ••  A,?.**  ■■  .e<t.e.'  ••  Jm/'J    ■• 


mvn<:  =  rtìhAh  •■  nu-'i  •■  ^/»'P<>a  • 
m'ì'é.r'tU  ■■  PI-  •■  ha-'i  •  hàp'P.  ■ 


")  R  2  Ifltoo  (?  l.'MOou  :)aomi-  :  .V.-ì-ouU)'V.  —  '')  L  1  e  2  >\A'in,  H  1  ili;?.  AÙA  (R  2  ulii. 
questa  e  la  preccd.  parola  (D.V'.")-  —  ")  R  2  voyih.  —  '')  R  2  y.nfi.  :  -Min-.  —  ')  R  2  •ì'"  rh".  — 
0  R  2  noonioD-c.  -  9)  U  2  mi'.Vl".  ^  'J  R  2  cm  -  ')  R  2  e  L  2  ~  lìi,.  —  »)  R  2  a)n(D-X 
•|:  :  OOTÙA  .  -  'l  R  1  y.TVAiìi.  I.  I  (DyTkAVJ,  —  '")  R  2  -MX)!  .  -  "V  R  2  (DUTI"  :  y.fì,  :  IHn>» 
A.(\  ■■  A>.';"r:  :  XlìOD  :  vXiijTjf^.  —  ')  R  2  mj"  :  (Df"  :  yM>"  :  ««"<.  —  ')  R  2  (D-fAgu-ruu-,  —  i)  I!  2 
■■lùll  :y.'ftl.  (1>  1  "la.  (I)y.ri."  :  V,"!""  e  L  2  uni.  qucstii  e  le  duo  [iricid.  ii:ii<'lc;  cf.  i-upra  jia^.  .M 
nula  2.   —    "■)  R  2  aRs  ®PTVJ.  —    ')  R  2  AÙA .—   ')    R  2  sen/.a  il  <D.  ")   R  2  airsr.    \)'"nD-y^ir 

OD-.  -  '•)  i;  2  y":X".  -   ■')  If  2  Anjrt  (L  l  e  2  <D'V). 


—  78  — 

II.:  >i'7ll.>»'/  =  lUmifis.  ■■  hAn  :  ll.t'.ilA: 


un  :  A-|:  =  /.y-ìll  ••  ?^'7ll.^-(l,ll.(:  =  -Il 


Vi»»-*!»  >  '/"V-  ••  II""/.  ^  :  >i'm  ••  A''A/li.  ••      illiA:    II//--  -jp/A   ••  <"T'r  it/'^^.X-'r*:! 

«Mi;.».'/  :  Kyi"ì'i-  ■■   A.l.  :   '/••'/•  :      h"}       S'UH.  -  ■l-"'li'ìxO'l  •  flXA  "  |:  =      y.f.'V»  » 

aì-fìì-  •■  i'i'Vc:  :  ""'i-  ■■  <"<:.'i  :  anh'    "*'  •■  v.r:: tav.» : A'^ji'^.i--  •    m-ìv.  « 

A  =  UOC-J  :  fl>A  I'  :  t'.-n<-     <iMU:A.t'-      >«All  =  A'JA'/"  :  "JAr  :  h"?.-»  "      K 

-|:  :  m\{\'%iì  ■■  .''A-   A^nv  ••  h/.;»'/.'  =        fl>^n  ••  t:>i\'  =  Miv  :  h/./»'/.»  =  h'/»  : 

riAi..f-"V'.'>'>  =  V-V'ii-I-  :    in'l-  :  "/A'/':      H'I/V  :  y.*/."!:  ••  fl»V>V    ••  •>'-A4''<»"-  K»?f» 

(l'/i.iv.'ì't:  :  'J^i'/J»  •  «'J'.'TK  :  '^v-  :  "/•""  =  A""»'  =  '/"/'(!.  ••  'nn"7'^n<-  ••  a 
tì»->i|:  ••  i/;»Ji'>  =  y"7.yir.' •■  w^v^.h  ■■  "i  ii. '^  ••  9"i^iy:  •■  A^nAA- ••  <">iA ••  yin: 
n.l^  '  ììK-iy-i  •■  -'^l'i-  •■  ^""'i-  '•  '"'^    ^'  '■  '^^^'  '•  '^''•"'  '■  ^'^••^'-  '•'■  *""  ■  ^^  '•  ^• 

IJ.  :  y.\\)i»'\\  ■■  <"I17.II.'/  ••  A.AHfl»  :  V  AlfA"<n»  =  ^.h/HH<"»  •■  AAI^nr.'""-  ••• 
A.V»»-  :  "^'i-  •■  ll.t''*lA     T'J'I:*!'  =  V'/y.  =      «»i;A">'1-  ••  hJ»l:    ••  l'}h  '  llfl'T  ••  ìl.'i' 

hiìriit-ì'  ■■  i.f.A-  :  tiìi>x'r/.n-  ■■  «»u.  T/'c  =  i, //""/AA'i-  ••  Aj^-n-^  =  i-^ni:  • 
V » fl»->;A.i>- •••  «nnri.i-  •  yr/.Art:  rt'A-fi  <»i"/.'(:n-  ••  AArtr;»i  ■■  niji.  ■■  "tìi 
ih-i-  ■■   «»-vi'A  ••  (nòny.  •■  in/"fi\'n'ì  ■■    y:  •■  "»^m"'"•  ■•   y-"}»^,-  •  j^a-j-  :  >i 

Ahtl    :  rixiiA.e.-  •  <n'/"^<<.A  ••  «ì";?!  ••  'V     T'^y.-ff"  ■  y.TO'"»-  =  >«yiA  ••  (l.'''A  :  "" 

,"h.f.- : >,"/ii.hn,/..r: •>iA'"':?»i'"'Vii.i»-  =  ii"»(:  ••  "«/ire-^/.  :  <f.}^o"-  :  'nhy.  •■ 
nni;:WA:i«v:«»n}\T:/..f.;..|:  l'^i'  jpwi-n ••  myAjnv.  ■■  A-<n»  •  //n;;,i,v. 
A  •u'}-!:: ^•n ••  ^■^\■)'\••     /a'.a  =  oilj'.  =     i-  ••  h""  ■  y.ò'\'iv  ■■  -l-.i.-iv  =  wìA'/.  •■ 

')  I  ms.  IIAU*  I!  2,  in  liiMR»  di  lutto  ciò  che  qui  scROcda  XflTl  fino  a -l/vn»-  din.  IS-IO)  lia 
solanient.'  ;  Ib/V  :  l\.V/.\  :  ""»»»;>  :  Alni.  :  i«A<;i>  :  <It.V.l<>gll^.  :  XJtAlh  :  «nv.tld»-».  :  ""tV-ì-f  :: 
Ilo».  :  UàW.  :    MUh    :  ì  IMI-  :  a)M'Vrl."4»  -  >.lì""  =  ""li.'IV.,  :    JK'r'h  :    (DXUV»;  :  (IhXn  :  'l    1.'     1 

llM'.-l-""»*©  :  >/UI   :  y.noX-X.         ')  I.  1  ••  2  (nilA.tX-.»-  :  «"«X.A  '*)  I,   1   e  2  dtii    -    ')  li  2  «inz.i 

il   <D.     -     ')   K   2   <D\MH;  :  AM^A-n  :  'V.V.n  :  Mi   (H    1    'in     (Ì)^"A"^■^).     —      (^1!    1.   I.  1    '•   2   :»" 
»)  L   1  e  2  ai:({    A-h      -    •)    l;   ■-'   /.11I1  :  .W.A  :  A/^XU"  :  n.V.A  *)   W  2  ATI  '  )    li   2     •niUl.'.. 

^.  _  ")U  2  >vf1    :  Ani'  »)  K  2  nm.  -  ")  li  2    -  »•'(..       ')   i:  1.  M  -•  2  ill'u>-1-M  :  imc.ui-r-     -- 

'I   I{  2  Xrioo    :    IT  1    i:  2    lininj-inr"«»-  :  My.TllC.  :  tni(i.>ì-y.'"'-  :  CTmV.A.lll""»-  :  AAI-I'IO"»-  : 

liy.Uil..  -    •)   H   2   MAA   .     -    '  )    li   2   y.IlV.  :  -l-T'H  :  AKiVV  :  ©U'iyt  :  A;HUi'>-1-     —   ")    '!   2   y.«^\l 
r,  (  I-    1  e  2  nin.  <D.««^"  ) 


—  7ii 


fllffl»-»;-/'  :  f,fm  !  (D^A'-f'  :  aì\',uc.T  "•■ 
fl»ì'(i"//"'/'  :  mi-  ••  Vf-A"  ••  inuv.finti 

A"  :  i^'Ctf  =  A"*»»-  ••  /"CO  I-  ••  "71  ne  •• 

ml:ì»».e.c';ft  :  ^n'/!^^  •  /"Co  1-  :  "7'in 
r:rt  :  mx-rh.'i".  ■  mtih  ■■  ìx'r[\A'  ■  Ahn- 

*A'>s.ftrt  ■  ha-",  ■h/.:'v.  •■  hfìì'CM  ■ 

«fl  ••  h.>{>  :  fl»j?-n.A" •■  vw- •■  -irt9"o :  X 
A-1'h  :  -1fn.e  ■•  mao9,-ìxì\-  •■  -VILh  :  h/"»! 

■1'V'/*'.i\1'  ■  {07x9"  i  fii:  ■■  (D-ììt  ■■  Tn-tti:  ■• 
n'h'ì-ì'  ••  H^VJh  '  'JA'w  :  Mé.'l  ••  (o 

^/D'>-^/-.|.  :    -ifid.!'  •■  M  ••  ?»linh  •  tra 

'ìiA^ì'  ■■  rt"?.el-  ••  i}h,?.nA.  ■  fljAuf."? 
Anrt  •  iffflc*  '  ■■  M  ••  ^Anrth  •  ho^.'J  •• 

-ììì  •  im.ìì  ■  h"!  ••  ?iiinh  >  A.f<«ìA.';"y  ■ 


■I'  ■■  Hf-ìAT.  ••  hi  ■  bufili  :  hn.e-/'  = 
-Mvn  •  \\hs\i\f\-y  mui-m.i.  •■  i- 
'iui/.h ••  iuìh""y  •■  n^ti-lìì'h-i-hih 

0  ■•  '/"Jrt  :  lì'Vy.'t/n  :  «"A?ihìf  ■•  «»A 
MXrh<<.  :  «"J\//i/<.  ■  lJ?.Ah  ■•  tìiA»^/.- 
«hfc-yy  !  n^"?/»^  :  aìU'ltl'h'T    •  M'  : 

?iXMiV-fir  ■  aì'iìì' :  tm^'AxA. :  M'-m 

ì- •■  (oAuhi^'in  •■  C'if-n  •  (Dtihtìiv  '■ 

K^ao-h  :  h^  :  T^nA/»  :  'itìtìl'  -  ilxf^.lV 
•1-  •■  flJ^rt-1-p-  :  X"*PO  :  »»JP."W.-1"  ••  ■  fl»H 
^^"ft/h  :  C'V-n  :  l\Ó/\l-  •  iìiiìCÌÌ  ■  h 
•i  :  hfn>ì\,u  •  n+^"7.ì-  •  '/"A.li  ••  H  Ti 
«iim^-  s  ffllfi^A?  !  XA-'J"     :    nfl»-ft'|-  ! 

^/"Cm-Ah  ••  ndAJ-  :  l-Hhch  :  hM" 
P  ■  }4A"'f-  :  (DtihM-    ••  Tn»  ••  iDAHrh 

J5^  =  n,'i-  ■  hcft'/:.e'>h  ••  hv  :  *  hwo  = 
Ai'n^-i-  !  ac/'ì  '■  ime'  ::  AH'/.  ■•  h'ìn 

e  •  fl»-rt'l-  ••  n.'!--  ••  *A'H'>'|.-  :  «"XWk^. ! 

1^-Ah     •■  ni-M'"',"  ••  A.l'.nh  :  fl»-ft|-  : 

n,i: : •n.p.-n.f.-  ••  /i.r/"  :  ù-tOx  -  mh-i 
M  •  a)h,'?Thl' ■  MnA :••  *fliHh?nn- 
Aini-.-  «nx-,fi/<. :  7.<iAh  ■■  tìTa-ó  ■' 
A-n  •  *  (DttCirPt.  ■  i[h"V\  •■  nhiix 


«)  R  2  -^^Cgo-f.  —  *■)  R  2  om  —  "J  H  2  lllnoti.  —  «')  In  questi,  hmjjo  (ratto  (liu.  9-20) 
la  lezione  di  R  2,  alquanto  diversa,  è  così:  Aln*A-  ::  0)11  B  OA-V  :  'a'JII  :  HA"  :  <p'¥.f\o  :  (D-lì-l-  :  XuyX 
■t<  :  TU.  :  omn.*  :  A.A.^  :  Y\t\fV.f^\'-  :  )S"llOAt  :  ?».l'rtiì  :  tlClìflì  :  (DV.rtA"  :  nDxXt>  :  Ifltl  :  'f-t\. 
■ftr.l'  :  Xiloo  :  nX-rh  :  IftP  :  mH4l|  :  ìXlMJVri  :  (DXA.^-tl  :  XgDV.Xll.ri  :  m  :  JILf  :  tlim  :  X(ì-f 
fi.MJrì>ll  :  W'Vt-  •■  Vuijll  :  Mllijn.V^f.  :  ouvXl)-  :  tluo  :  Afì.Aritl  :  (DIÌ'I'  :  Ù/.li.ì-  :  4IAV«Agn  :  a)A<^ 
(l)<;n  :  ATl  :  WX"»  ■  fl"Vy.  =  (Dyi'Vf.  :  (Ulnao  :  -ì-WK;  :  «"lÌA.I'  :  (l)lì'P  :  •1-(i.lì<1,ì-  :  X<;u;J"JC  :  U)rìr 
t\m\  •■  Xgoyor.  :  a)-lìf  :  0/.(\.^  ■■  UPTI-   :    lluonTn    (sic)   v,/\ao  :  ■Ji^iA.t-  :  XJ  :  Xunln   :  HX.I';1A 

fj.  :  iionAJJt-  ::  (Dijt's-f  :  llllo^^^ln  (sic)  /SA'irt  :  «pm'i-fv       '■)R2  iiviìiM,AJ"fli  ;  inii/.  :  •r-ii''i 

/.'M  :  (I)IIX(I)-")  :  lìiiiilfl  :  M'I-X".    -     '')    R   2    -  ,1.H .    -    ")    R   2   -l-Xo^r  :  II/"."»»!'.    —    '')    U   2   ni;;,'.    X 
or'  :  mnil  :  fl*y.oo  :  oiiaX^iVI'  :  (DXx-  .  ')   "  2  <1)IIIÌ-Vl'.  —   '')  R  2  fign>1,h  :  V.^V,  :  X-C-T  — 

')  R  2  niM.  -    "')  R  2  uu-H'-lìll  :  (DlinnATri .   -   ")  R  2  om.  L  1   e  2  dopo  ({.m-J  .   -   ")   R  2  tir, 
IÌI.V>  :  niìgotl.    -  f)  ì:  2  Xn(l).X  :  O-rt-t-:  rW-O)-^.   —  ")  R  2  A1V.A  :  lUXIl  ')  R  2  AlhA-  : 

iilìAAt.  :  iirmoln. 


—  80  — 

*T"iy,iUt-  ■■  (»ìis't]af}i •  (''>nh •■  hai' :  y.w,  -.  tni-  ■■  v/a-  ■  wom-nW/,  ■  yAh 

{t"\'i  ■■  hai-  :  ''i'wh  ■■  hah  ■•  H.f./-  :  h^  ■  }|.  ì-  :  rnt'rt.ri.i,  •  t\rh    ■■  i/7-il/.  •  /'H 

>\\\at-h  •■  at-fìl-  ■■  f/'''}";/'"ìi'  :  ani-  JiCV  ••    «>}^i/i«<.  ••  '"'/.-.hx. :  7.f.-Af  »  at 

/•"/.  ••  ìty-ii-n  ••  'jwn'M-  ••  hAUrt  ••  <»  i/X(»-()  ••  M"y    ■■  ouHh""i  ■■  nxrt- 

yiiiic  ■■  ""Ji>Ji  =  ^v  =  ^iii(HV>   fi""  ìt'  •  h{\\\  ■■  hix'ìW-  ■■  -l<i>-A.»'.-  ••  ir 

'>-?/"-ì-f  '  <»>»}^.'V}'*  :  "i/.-i'  ■■  oi:  ■■  ai  ,hc:  •■  «»^.ii.A-  :  'f^y.-Yo  •  hfih  ••  vu» 

y.-y;  ■■  atfifi/f  ■•  Tfìfi  ■■  '/">.«.'>'}•/:(>•  :  /•  lui-A.f.-  .•  hTtiA"  ■■  Ali  :•  o)y.n.A"« 

ath^of)  ■■  "i'V{t^^ì^  :  ri'J.ii  =  ry:  Mi'/  :    h^:/*'/.'  ••  htn*{\  »  j-j/'-ì  ••  <» 

e  5   ^'rwA-rt  :  i/t'oii.  ••  KyA'CM\  •■  ^M'v  •■  >jnv'>  •  y-^-ì'iv,-  ■■   (\M:i- 

XAA-i-   :  T'ì-  •■  aìh,yy^"ìo\\  ■■  ii"i\  rt".-  :  h.i.y.ò  ■■  h^  •■  /.ti.  ■■  y.'ì-i'iu:  •  n 

hìì  ■■  Ti'  ■■  <»ì ìiid >  :  \\""  >  vih ■■  ì-  ■■  if-A-  ••  ìiVi-iì  •■  aìy.\\')   :  riìUv  •■ 

oth.fi^ytì  ■■  vii.yi-4'  "  ^h'n\  ■■  hy-;  ■■  AV'.yj  =  aìM"t\\\*n  •■  <»a?i:ìa  >  "v 

hii-  'MIC»!  •  nhyiih  ■■  y.ihnv  ■■  (i)-;i-  •  Mmu.-)  •■  <»Ajr»i«ì'>  =  ht\ 

"".'f-n/.V  ■■  a>hj'.-ì/.hy. .-  A'/"'/-Y.  •■  li  '/••  ••  h^  ■■  v-y.f.-  :  aì^Afì. ■■  at-M-  ■  ni:- 

im  :  A.i'-ì'i'ni:  :  {\{\h  ••  nAi>A.y  =  h  im:  ■••■  aìy.iin- ■■  ^-/u.^v ••  y-'n-'ì  ••  iiii 

tìh'h""    h't/"h  ■■  nì'>"/;i. :  ,'ì^y.aì  ""  ■■  ìn.  ••  «»hu»v"h  •■  Mi-v  ••   h^:* 

■ì-  ■■•■  Mi:i.  ••"'")•  y.nii  =  h/..tiy  ■■  )ìtu:  'lì  ■  <» t'iì.A •  :  /["-y-YO  ■  wi.  ■  l'+n 

•I-     »  <»ììl-'}  :  ''"/''fi/.  :  A*/;/"-ì-  ••  «»A  /.  :  aì-txV  ■  ""'Vy-M  ■■  h'n'i.  •  ìl'l'^-tt  • 

'>Af\'V  •■■■  aìftl\  ■■      \n\-  ■■    /'."HV  :  hmi  '»>l''">.  ••  HL'/ll'ì'  :  <»'/"-|-   !    Il^rt'li   :    'l 

h't  •■  f\hl\'i  ••  h/.:f'lì  ••  an'-tt.(\"  •■  hn  ■■  y:"ì   •■  A-I.-  =  h"lì\,>,  •■  .'•nOx-f-   •■     '" 

VKic   :  h""  ■■  /.iinn-  ••  Tift  •  n-ì-.f.-  jimla-  =  "^y.-Yo  •■  wì-hu.    •■  (\i:h 

"7.ii  :  hi\,Wi.  ■■  huvix  ■■  h'']ìì.h  ••  aty-  fi  ■■  y-t\i:  ■■  n,i./:i:  ••  i/v.  •■   l'i'-n/.  • 

(i.A ■  : h'iììh",  ■■  riA  •  ìiìiì  ■■   atfih  n.J/ir/-  =  y-m:  ■   u'/.  =  •/•+'1ì/.  ••  nfl>- 

A  :  h'n.v  •  H'f.'i'.f.h  :  >.'i"'i:(:t'  "  ai  •'Idi.  •■  ""'Vy.Mì  ■  yfi/.y.  ■■  a- -i:  =  hi\ 


")  r;  J  yulV.II.  :  (DIlAllX.  :  i;"X-ri-  :  M|-Ay"l  VÌI  :  IKKlVf  :  '>IM;(hA'(l  :  A»  :  V.ltl'  :  yn^lù 
(I.I-  :  IIV./t.V.(i.V.  ::  1>MJJ..  -  '')  1."  -'  AA-lTl  :  Ad.Vìl  :  (DM.Vll  "•  "  ')  •!  2  olii.  -  '')  I;  _'  i/lMlA. 
il  :  ||im-nM<-|-  :  ri'M^vV  :  (DAlf.r.  :  A-l>  :  Ul".  :  «IIK-NX-t-  :  (DV.I)  f  :  quirì  .  -  •)  I!  J  WVV  :  IbA-  : 
•  1.11  (111   |.-i.\)  Ali.'l!f.l'  :  <l)>.";ii1hAri    :    Ill'U^U:  A.V.r.AV.Il  :  "iV.»  0   '•'  -' 'l-Ml/.V.  ")   U  -'  «" 

IIA.M  *)   It   J   Mìllir:  :  IiXjI-  :  IKHHVÌ-  :  <Ji'IÌA,1l.  '  )   I!   2  ai,T.   «D'i- V.  Ili'  *)  It   2  .«ri,  :  M 

■»i-  :  >.1ll.>,»  :  A<I>MJA  :  AlH  :  A/.:i'».*  :  «DV.II.A    :  aAiìuaÌI-:  AXiII./!'  :  (IlA';i>All.r.         '  )  U  2  oni.     - 
-)   H  ■-'  l|-1vfì-V,  : /.g<'>.i"'»l'.    -      "t   I!  2  lìiiiifl  ")   I!  2  «)I1X    :  l'H;"l':  a)X<li/l  :  uu      :    1  ". 

y)   K  2   .l.rì  :  A.I-  :  V.TII.A  :  Hill.  'i  ''    -   IDIÌI".!'   =    A.l.liù  :  AA  :  ,^M^/..^^'i\.  ■  A.V'.I:  :  IM.U).;.  :  ^. 

A.  :  tVA-:  AiTa  :  llimXA  :    JII.M  :  V.V'JMIi:  :  (1HVI.;|-  :  (l)VfK»    (Ile   2   .ni     f<|i   ).  ■)    \i   2    A>. 

-lUA-  :  >.""'l  :  ll-l-'IMl^.  :  lluo^'V.ril' :   144»  '    :    (1)IIC.      :     «Uil"!-    MI»     :    <I>V.  T     il     1      V.-Ì^jy,*!  )      — 
')   l;  2,   I,   1   e  2  om.    -   ')   1!  2  lll"l  :   -l-". 


fiih  >  tof.ln-'ì  '  Ah  •■  oft/^-h  "  «  ffljP.n. 

A"  ■•  Àn-v  ••  >«<:;»*e  ••  neh  =  Ti^h.a.  :  *•! 

'l'i.  :'W>4^^.rt    :  flJ?iA ••p-^JP/^- sfl>-ft-M-: 

a»^n,A" :  "Mh-J  •  n-ch'/- ••  HI: •  ob^^ 
tìh'-  (oh,y.'i"^fnh  •■  Anìx  •■  hn.'/  •  toh, 

ìì-t  •■  TA-A  •■  fl>/*'<n>-<:  :  (Oat-ìì-i,  ••  a 

4»j^'^e  «  *fl»^n.A-  !  hn->^-  neh  =  n 
i-f  ■  'Ttn*:  ••  (dw-A"o»'  !  ^«fe+e  •■  4» 
^fi'ì  •■  (D'i'in-'ì *  :  tt'Cììi'  '  H-fc  ■  <Tin 

AC •^O'J  :  fli?°An^o»-  !  Ad4..*'>  «  }i 
A-*i  •  *^«^7  •■  ^Vh>-  !  ^Ji'^*?.  !  hhM' 

1-  •■  rt'^js.  ••  hff»  ••  .ed*'n  =  Af  A  :  ^d 

e-+  •■  *ffl^H"J  •■  HC>i  ••  flJA.J&*<:'fl  ! 
'■Htlf'""  !  ft'B  =  Klth^  •■  loh.t'hltm  • 

neh  :  ni'i.  •  noi-  =  'Tt^ce   ••  h^ 

'^  :  ^rVh  :  9"AA.h  ••  mv/KVh  :  h.^ 

>  :  nflI-A'fc,-*-     •  tOj!.a.  "  :  ì-th-J  :  tt'C 

ìì-t'  '■  hii'  ■  *<^  :  m:  ■  ìxióìì  •  H 


81  — 

fl'Ji'wJ'.  ••  HO  ••  ;h'^9"  :  f.n'OC  •  A-|i  ' 

ft-Bii-  -m  -^c- i'h"is ■■  y.yy'ii ' 
}i9"}f. «  !  (nhv^-fìy.-n?:  ••  ÌÌÌ.C  ••  ffl^c 

^,  :  I-M»"/.  :  ni-  •  H'h+n^  ••  h'J'i 
Ih  :  A'JA'W  :  «JAjr  :  ^"7.^  ::  rilH-} •^  : 
?iy"^.'V<i  :  y.n.A"  !  fl»WO  :  rtAtf»  •  (DO 
CI  :  OH  Al-  :  ft'^y.  :  ml'é.f*',h  '  *  ^H- 

A  '  hfì'i  •  h/:PV.   •  (ìTilt  ■  HmWfl  ' 

*H'^-^  :  H-A»  :  h.'ìj  «  flJAn  •  j^-nrh  « 

%afP  •  A°7ì  .?A  ••  <:^h.  ••  KAo»  :  *fl»- 

Ih  :  AITILA-  :     (ÌUI:  ■■  A.A,'l-  :  AA  •^C^ 

Vi.  ■  h^H.?!  '  fflfflwnii  =  h.'iV  :  fflnc: 

W-A"  '  HP.n.A"  ■  ©Hh"»  •  (OUd'  ■■  Ì\A 
AìflHA^  •  '1"<D-A.e.-  :  ^H"»-!*  '  h.'ii  = 

fflin '^  =  1JP.A  "•  fl'An •  a?"o- "vì-^a- 
in-M  •  vie  ■  fl»y.n.A-  '  hn->  •-  *  ?ì<ìj3 

fli<h<:  •■  aiì\tì-l\'i-iiho^  ■•  *''lrn  •■  IL'h! 

hcA'i:^'»  ■  flj-f'flJiifl-  •  AAfl»  =  nnjK-s' 
'i:if tf»-  :  M'ii.  •  hn-c  »  ©é^  =  ^rn 


")  R  2  Wiy.  ■■  /VOI»-  :  X-IILA  :  An-llf  oo.  :  AtV'AoaD-  :  flTlOD  :  gn,^<i;,^Yì  :  (D^aA"  :  X^^^.Xt  :  E 
n-T  :  nlnao  :  -Vtl.  :  (D.fflV.ÌI  :  7^UJ/..-f  :  Xa-  :  fV/v.on..  —  i-  )  K  2  om.  —  ■=)  K  2  tiu^KlÌp.  '')  1!  2  0)*}^ 
(Ì'I-  :  M't  :  (sic)  -  "■)  K2  uo.h-t"!;'!  :  quindi,  in  luogodi  tutto  quuUo  che  safjue  tino  a  A/S<\r<.  :  AX"  1.  1  K 
R  2  ha  solo,  (Oy.tlT  :  'V/VA  :  M^PP  :  (D^qop  :  na).fl't:l-  :  fl^V^ou  :  Ari-I'  :  limìoyyV  :  (D.VitlV.  :  y.'t* 
n.  —  f)  h  ì  (DACDM'A  :  A^n.K  :  (D^fl. .  —  »)  L  1  e  2  HTI'i, .  —  ')  R  1  a).\iaA«  :  ^".  —  ')  '^  2 
tlTYl-n-ì-.  —  "J  li  2  a)A.y.'lX.  —  ')  R  2  om.  —  •")  R  2  agg.  ncV)  :  X°1H.A.  —  ")  R  XgniTl.— 
";  l{  2  agg.  X"1ll,Xt.  —  ')  l>a  qui  fino  ad  u^AQH  :  Aiiq-J  :  (col.  II,  1.  5)  \\  2  dico  cos'i:  Xa  :  'Paq  :  •»(!.>(  : 
AX:1/.T1  :  ^H•rt.•ì'  :  (DiifVT  :  oo^„.r  :  a.(D-fì  :  AMOiyJ  :  Hyiì-TCX.  =  I-A9DÌ  :  nAÙA.1)-  :  AV«A<iu  :  HA 
go  :  A"ii'» .  —  ■!)  L  1  e  2  om.  —  ')  L  1  e  2  prem.  (D.  —  »)  L  1  e  2  nAOA,ll-.  —  ')  R  2  •inm'?  :  aq 
Q  :  IUiH''lA.A  .  —  ")  R  2  ìl.y.t  :  ìl^A.  :  llrfJ'.V'.  :  (DXa<^  —  ')  R  1  e  li  1  y<l.*C  •  —  ")  '■  2  Alb"n.  :  AO) 
AVI' :  uy-Vyiì  :  hXìI/.H  :  il/.  :  Xlìuu  :  Al"ll|-.Al'J,  :  X"1|0a»  :  nH-t  :  A,A.-^.  —  ")  R  2  H-Miu  :  A.-f.— 

')  K  2  om.  —  "")  R  2  (D^tMJfh  :  l^')o•^d.(ì■.  —  ''")  R  2  xcD(V<id-:  AA;tseri.  —    ")  R  2  niiiiwKii': 
OD-  :  OXDX-A  :  Af>V  :  Xgofm-fi  :    HI  :  (VP  :  VlCtì'tyT  =  ©(DUPorn-  :  lÌAOo .    —    '•')  K  2  agg.  VlA.U'uu-. 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5",  parto  1"  1 1 


—  82  — 

ìxry.hìi.fì    ^i.-lv-hv'i,  ■■  n/".'    (i»r^    ì-  :  «MiX/h  :  •'HI  •  noi:  =  ««/.y.hn •  >, 
Il  i rt'/'«-  :  h'ìio-  ■■  fiJn'  ! 'iiJn' ••  '">/.    f\"*'  ■■  i-rt"»/.  •■   <i»^y.Jiii  ••  nX'wiA  ' 

">/»■»/">.""•  =  an'.{\,t["cn>-  ■■   A.-Ivc     (■.■«»•:  A^'V/.'i»- ■•  «»(ni»-V'<'i.   :<»nJìVs 
lì-  ■■  rnAi.ì-y.  >"/()•  ••  /l'Jrt  !  h-'ItUnl)-)!      tìhV  ••  "^/./.  ••  inh'iW-    ■  ""M't\  ■■  ot'/" 

o"»-  :  -wi  :  )ìi:M-h  ■■  h'P'^^^^'  ■■■  «".l'-n.    i:hì  ■■   flirto*^»-  •■  wfn'òn-f"-  ■  »i/.iin-  ' 

A?'  :  A'^'V-  =    I-ÌMIV  :     h'«'  :  "i\Y')     ■       lUPr»-      ••:   lUjiV  :    l-rtlU-tVI--     =   À'/"  =  .1 

K^^  ;  "vm-,»-  •  «•i'.ii.a-'"»-  :  -wi  =  Yìv.  «»"  =  awii-^  :  'r'>i'"ì-  =  n^-C'i'  ••  (>n<c- 

Mt\  ■■  rt"vy«/.'  :  ^v>.  :  hii\a*-i:  ■■  -wi  ••  oi-y'if»  '•  ^'"'  =  X *" <?  •■  au'c-v  ••  :i't\A 

>i"/ii.hiiw».c:  ••  A'/'AiLi'  :  «».i'.ri-'}h  ">  :  n'/'"P(^A.i>-  =  a-jh/.  =  ""n+A  =  ha 

<n»-  :  "Y-ì-yrt  :  TAi;  •  m'i\:K'  •■•■    (nf>  A'/»  :  >»^ll.^•n,/l.^:   :  j^a-I:  =  om/.h 

n  »  rtV"i)  ••  "Vìyn  :  W.P.-+   ■•  ;iv1«'l'  '  -l-"  :  aw-tt'ì' ••  /S:>u-ì'  •  t»«'^ ••  '>"/^.'|: •• 

hlM'  ■■  woa^-K'w  ■  "»yn.  :  h'){\  ■■  A,  i'.ò'ì'tì^  •■  rni'.-1-"7nwiV>  =  «»y.>'rAfl»>  • 

y.)ìfi\.  >  tt'lìh  •■  tO'tì'ì'  •■  ini'  ■■  ""fi^Tiìì  A'JA'/»  ••  'iAT  ■■■■  mhr'y:"i/.  '  <{.X«^-  : 

'ì-  ••  lìtt.y-  ■■  '  ann'fi.  :  Ml->  :  fl»,l'.n.A"-  f[,har>-  :  >7(V<n»-  :  ''7'TeA  !  t^A•■  :  I/-I- 

hiiv^T  •■  imnì'  •■  ivi.t\" ■  ^^  •■  (n-h    m-un  ■•  a-i-- ••  tì.fii •■  ?i'r-wi  =  h^ììi.h 
'!•  :  noi:  •■••  ^»^^•^  =  h/,:'!:  ■■    in/    n./i-f:  -  wòn  ■■  fìTo-  ■  uìì-  •■  iv./" 

'ì  »  H'^^V-    ••  mnXrh  :  AC/'Ti  V  :  «'Jl'i"     :       /«>•    ■  (lIl.P  ■•  V/»''h  s  «nh^Vl"  >?'  :  A?.T 

•i"/."r  ■  >i'}ii  :  .l'-inr:  =  j^a-i-  =  >»^h  :    fti-  =  iv/'Mrl-  =  atònv  ••  h'/'xh.  = 

y.-ì,hìl(ì  :  AH-  :  A"7-1"  eri     :  ?if.  :  '/.II.  :        ììi::l'Ù  =  rtl'I'A'"'  ••      ("J^./l^-  =  'n'i^tU/i.  • 

y.fiafi:  '  hTìAi'o^'  '•  fD-ì'ony.fn  •.  an     i.e.A-  ••  aììì.y,'i-  ■■  ìV/ny^f^-  ■•  '^■1-jffì- 

-fìh •■  '^n '■  vn/.  '■  +^.<^-  =  h»» •  ynn    mpA/r. : h^ ••  y.'n'i •■  /.oj. •  a?iA  •• 

•)  1!  2  Nin.  <;  au'ir.  (Itimi  :  sn/.  :  >.nil.>>>  :  in;X"nA  :  rhTr.vV  ::  (OV.Il.A  <">•  :  V'HII-  :  (DXAi:  :  T) 
on  :  A.V'lA-  :  IMli'  :  noJIÌ -l-  :  Wl*;.  :  nMJ(;n-1r  :  (mil/J.  :  /l'.l'.V.  :  AA^iiA^IJ  :  ')1<SV  :  (I>>.|!  :  ^'.l'V.  : 
(iXinA  :  JH-.Ì.  :  (DìfVÌJ"  :  VO'nMJÌ-  :  (Dl'tUH -V  :  O'IMl  :  l/t'ì-C  :  (ni.lW.iI"  :  >,<"i'lAùV  :  IIVUUXù  : 
fh'n.'f  :  a)"0-jri-l'  :  -V""  =  (D*'JA-I-  :  Xlìnu  :  'JV.-H  :  Aou(|AO  :  Ì-UJ(;«J)  :  (DHìI^A.  -  '')  K  2  lii.'^-  Il» 
.|.  :  ji/  ,  _  ')  1{  2  e  L  2  nin:.  "TbA-uu-.  —  ■<)  H  2  om.  col  sc^r.  <D.  —  ')  K  2  i.m.  -  '")  K2  Wfiuìi 
f/  —  »)  K  2  aci;  U>-lì-|'  :  <P>.V?C-  -  *)  K  2  AlMll  :  IMIX  :  (D.V.flA»  :  •f'JHM'  :  ^mANVI'  :  (DYlT  : 
•t-Ttl  :  AKA.-V  '  )   l;   2   .     I,   2  -jn.   —   *)   H   2   (l^X•r.|ì  :  A       —    '  )  R  2   A.lv'ì-  :  «l>->.|i .         ";  1!   2 

ne"  :  iiny.  :  V.iìri  :  l'S  ■■  I1IITÙA.II-  -  •*)  K  2  acR.  oy-ì-ylì.  —  ")  It  2  apt;.  ti»™.  -  i)  H  2  m/, 
Tui  :  riiiMìii'  ■■  "<MiiA  :  (i>i;iir.T-ii .   -  1)  i;  2  ave-  rhiiquo..        0  I!  2  X'JH  :  .v.Xmik  -  ')  1!  2 

X»M  :  VIÌI"Wl'lAg>  ;  ll'i"  :  M/.ÌHHJ)  :  A/,IH  .  —  '  )  1."  2  MiT/,l»-.  —  ")  1!  2  »(.'(,'.  Mi  :  Amil  — 
•)  U  2  HUr.  :  An»  :  ll-f<IMIIl  -  ')  U  2  ajri;.  ''lOn.  —  ^)  I!  2  Allim-  :  (l>n-f  :  ll^x>,h  :  (DAmjt»!.  — 
')   U  2   (DASII-  :  V.X-Hì^  :  mix-rt,H.  :  IMA-  :  a>-V,>.t\.\:ì>-  :  X'UI  :  V.ÌKD».  :  lì»;"**  "l    H    -  AH 


—  83  — 

«<.  !  h''"  :  h,y.ivì  •■  in:f"b  ••  Art"?    X"<"»«,' :  ' .p.-^'ìa  ■•  an^i^^ix-.  ii)fn>tì'ip 

nST^ì", •■  ^.Ihi/A   :  mhiM- ■  */*'(:     e  =  rofto"-  :  fyaì'h'U  •  «"Viirt  •■  ^0  '  «n 
(J'I*  5  Hu'CO  '  A"<^-  •  11''"  •■  JZ.'KK-  :  n      ^^"7.  :  iìif'ì-  ••  M'ih  •  fli^.n.A"*"»'    :  e 

A"7-ì-^ft  ••  hll  ••  tm'^i.tìao-  -.  uoìUpai"  :  h      'P"ìi'h't'  ■  MVn  •     0»! 'f'X.A-  :  hììli, 

n-ifo»- ••  hùp'B.  ••  fflinh. : '^n :  jny.  ••  a  =  m^ìwaì  •■  Jirj  •  o^hj?.  •  Tt\n%ì' •• 
h-Hh^- '  Ahn-i/''""  :••  «>n (li dAl-  ■•  in  ny-jonc^*  ••  ojijem'.fr  ••  (ijr.v  ••  ojo^ì 
<•  ■  on.f  •  o'JA !  m:h^-  ■•  l'hr/.  :  0    h  •■  AdA  ■  WA- •  riiun  •■  T-n-^i-j  •  ?%a: 

fts  <w>A^:  W-A-!  fflliV--  h<w--  +.Pi'^  ••:  A»»  ••  mc^  :  fli^ft-f'^n^*"»-  ••  AW-A" 
AdA,irtf«>-  ■■  >i'Jh<-  :  fflh^h-'lhìP    !  Mtx     t'  '  TJ^T*"»-  :  mie  •  onuf >.  •  aa-h 

s^-ìx-t  ■■  adM'  ■■  at-tìt  ••  n. ^ :  «Tin    -i-rtc»^  ■•  ^rjie  •■•  mn^-ji-ii  ■  '^ <«,/»• 

tiic  •  A^;"e'  =  h'ìn  •■  ^'t.^ft  ■■  't"-c    iJPo^  •■  nHC^e « mAn  ••  Aro  ■  -}?•/*': 
nv  !  flj.e+cnv  ■■  Avf-Av  '  =  ka  :  '^;'^^l    m<:  =  <wa<i»a  :  \\a^  ••  ìfiat/.  •.  ^n-v  • 

?itfnjr  •  AAA  !  hA  :  MAfl>->  =  Ah-JAl-  •  OCT  ■  *(0'i'h9"'i  •■  TtlA  ■  '^VtiA'>'  • 
fflA-f-OAl-  ••  Jh-A'}  •■  mon.jP'J  ■  h-jnA-     mVìCP    •■  HJi>  ••  fflHChP  =  hlXìù  •  fl» 

'hA.Ap-  »  fliJiAn  :  ^.iL  !  JiAh.;fc  •■  cìx,  hM'o%i\  •  fl>nhf  •■  hi-no  ■•  «"^^i  •  n 
fl)^.U"n  =  f\ò\\  •■  fi-rì-à'  ••  'ì'V.T  ••  fl>-A    n->  ■  hi^pv.  ■■  oìhM'P'tth  ■■  ^^A-  ••  ù 

")  L  1  e  2  prem.  (D.  —  '')  R  2  >\.-fX-i*id  :  nn/.l  =  (DHJ^goC  =  Hin<l.  :  t.^.T  :  (DfCD-Ut-.  — 
»)  R  2  om.  —  ')  R  2  muco,  :  /Viro-  :  MJquj'f  :  oq-lflf.  :  T\ao  :  ;^-V«t>ir;  :  AMJC"i'^  :  n^-Vyiì  :  IMìR 
1  :  A"iro-  :  J-A"»  :  Afl-iroo-  :  A/.PH;  :  a):JAi;  :  Alfl."  :  -fTl"  (R  1  e  L  1  nni.  r.Xl^^^^)  —  ')  R  2  axm'jVl 
/.  ■■  Xu"y.'»/.  :  dX""-  :  <";Xv.l.li'<ro-  :  lllv(.«M"  :  Vi  :  fioo  :  '^yl^^  :    |ìi:ou  :  (DJUU/;.»*.  —  /")  L  1  o  '2  II'» 

•r.  —  y)  R  2  (D-l-y.tiu-  :  (l)l"in,ì,(J|)  —  ')  il  2  y.Xll,  :  IIA<T)  :  (D'AI:  —  )  R  2  lUmuu-ì'  :  (Dim.!-  :  "V 
'tnCH.  —  '')  i;  2  aA(I-ì  :  Ì1U)-I-.  —  ')  R  2  agi.'.  (D-I-IUU)^  :  Xm>l.i  i  niii  juii  umotte  tutto  qikllo 
chu  Bcgiio  fino  a  1'A.Ar'-  :  liti.  23.  —  "')  I,"  2  A^d-i.  -  ")  L  1  e  2  y./l."  •  —  °)  R  2  Alt)»A>  :  AA  aa  :  A 
Xa  :  't-ll'rAV  :  Anfl./'.  :  -m'I^.  :  aXa'/.  :  AÙA  :  .V.fW.  :  (DaViAH  :  Jv'h-f  :  y.-flf.  :  UkfV.1'  :  (B'I/SIÌ  :  l'I 
ùl-  :  <l)/>llVl-.   —   ')    l;  2   m/AÌIA.  ')  It  2  noiì-l'liyA  :  IIIÌud- :  .(nyiiq.  (sic).—    "•)  It  21IIII-I- :  - 

')  li  2  liy.nf>  :  i>0|ì.||Ut|-  :  Xi;iiU<l>y.  :  (I)AllA.A  :  (Df.'l-  :  .VJI  :  C.Xlì- .  —  '  J  R  2  AiVillH  :  (D-UJIH.  :  0) 
'Ml'f\.  —  ")  K'2  (DI'mI  :  .V.II.Aim-  :  (iiiu-H.    —  '  )  K  2  U)-|-Ayu-t"".  :  rtuoj".  —  •>■")  K  2  (e  ì.  2)  agg.  IhA" 


—  84  — 

A">  '  TtXh.O-     :  wH'in*  >  ;Mil-  '  ^^/.  -flJi.C  =  H»"-  =  h"??  «  'fl»»H*n  ••  MI.    ■• 

!»••  A''v-ìyn!  »vn/.  uHn/-  :'/n'>n<.!  hòwv.'ri  whtuM'si •  Mì.^ "^'h'i  •■ 

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A.*}?.  !    I:  ^U/C  :  ti^l/.-  ■■  mn/.U-.  m  'V  •■  7y."A  ••  «iJ^"?  :  lUttl'.hCT  •■    }\9" 

m/.  ••  KV'^ ••  mnti" ■•  '/"i»>;  :  n/«i»  "ìf>""  ■■  ^/'miaj^ì-  :  fl»yj:,i»ì-  :  c:>iA  •■ 

-f  *  ••  I1.I'  •  '"(\VA'  •■  lH'A"  :  tnòò   ■  "Itt  AWA-  •  «».l'.ì;i.H)l     =  Ad./'  '  "^IIIC  ■• 

J^V  '  fl>>iWr/:  s  ììlC  '  ]\^-{\*"*f.  '  '/'.''  Moo-i:  •■  <"n.'»'A    =  «hTìA  ••  t\""  ••  (.Vlì»- 

cy  '  ofc  •  (nh.h'ì:  •■  mi:  ■•  H-ì-rt'/»  <^-  ••  ^'V/.'i>-  =  ji'.')''}^.  =  A•/"';n/iI^  :  m 

f.  ••  fM    •■•■  Wi-Ì'  »  (nun  •■  -J-S.-)  :  •l-n  ^'••l'Arn.  :  ^^*•/.  j  n.hih  :••  <w»iA->rt   ' 

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ed  .it'R.  Ark'l-  :  Ad»  :  A/.:ri.'.  ■  ')  Il  2  <Dng".V^/.  :  -nA".  —  *■)  I.  2  «oni'V.  :  (o  C..M  app  )  L  1  ou->iJ  : 
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U  2  agt'.     a)n-n/>k'i  :  i-  :  'fi^yC,  ■■  oum/^  :  <D'1/."»1  :  (Din/.  :  x-K-V.  -  '  )  1'  2X/.'ri  :  n ".  —  '"}  I.  1  uo". 

I,  2  ao-' .    —   ")   R  2  VM.  —"IR  2  rX'ìl'  :  «"J  '.        «"^  R  a)Af  Ipl/.  :  ArU  :  AO^*  =  Xf!""  :  P-h  :  YVA-  : 

Tn  •<)  R  2  Min.  —  ■)  I,  1  f  2  (miogii-  ')  i:  2  —  /„».-')  R  2  ©MI».  ■  —  ")  '!  2  y.nr.  :  y.i\/.  •■ 
n/.fvY  :  ©y.ri/.  :  r|.>iT.  :  fbir) yii/.  :  A-ukA.  :  (n.v.ri/.  :  (ìavo  :  -Vln-'i.  —  ' )  R  2  riAini-r.    -  ^  i  R  2  mn. 

ed  ^K.  ìiou  :  XWHI-  :  oufV  :  UkAOvV  ::  (DA-Vrh'l-  :  O^f'  :  AtVA-  :  ©•|7>I1H  —  v)  K  2  X-»M  :  .V.oiJHIC  : 
■i'A  :  'ly.i'gv  V  :  IDV.I  (ir.  •Kui.wy.  ')  R  2  -VH  (I<  1  <■  2  (Dou  )  -  ""»  R  2  A(D>>»i».  :  (DKA  :  lì 
iiimH-  :  ii.j  I)   :  >,iii>-i|ii|.  :  iigwi/..t.(i-  :  .V.V/».lllh  :  IsicjA-J'A  :  H.Alh  :  CMII.;.  :  KAf  :  (l)tlA  :   Mh/. 

(I,  1  V  2  <D(i>>>i>  «■  idXiiw>-m.).  —  '"1  R  2  /iKiyciJ-uo-  ")  R  2  airr  v.avKD.  =  ii»i<'.  =  Xnii.An.M: : 
(l(DUf'in>- :  i'A'».' :     W.  i    iii.i   om.  tutto   quellu   clic  si'gac- fino  a  XllLA-llilbi;  (paj,'.  sog.  Un   SJ. 


—  85  — 
riii»"' l-nUA '  '  fli^An'Mh'H^'h/*'     aifWA-  >  l'"ftrt,>    «  A'^A»»  '  «JAy"  « 
f.^^lC  ■■  *A  «  ò<'0  '  *flJ>7<:  ■  HC*  *  >      >-  :  A^iO  '  Pvh>.   >  fi-nò'  twpiìc  :  fl>- 

A'JAy"  :  h^  •■  ttì-riX' >  ^v-nn-  «  aip -ì    >»■[:  :  ^hvx.  ■  a-i:  :  ^.**  =  n.»- •  hcA 


•n*h.r:  >«  *ffl^An  ■•  H^.nfl>-?i'  »  fl>-ft'/'! 

Ao  >  H.e^c^'P^  «  A-nrt  >  AOifr  :  ^?i 
a^-  •  * A.+  «  'Tinc  '  ^O'^-a  ■  (D-h-t  ' 
6  n.ì-  >  ?ifth  ■  hao  >  fjdn-  >  Hje.A-n 
rt-  ■  fflh^n  !  je.>/»'h.  «  flJ^.'BArtv  '  ■  n 

tfnOrVh  '  A.+  •  «TinC  *  *fl)hAO  :  H 

«PP  '  !  (O-ttìi-M  •■  ?.A  ■  TI:  '  »  A^H  '  ^. 


rTh9>  ••  Ai^A•  :  ?iA  •  f.V/*7t.  =  tn>i.\'  : 
rt-A  ••  T^  J  cD/Z,n.A-  ■■  A^n  :  PvhS:  !  h 

fl>An.y  !  ^AdA  ■  fl>>n<:  =  -nfM  =  anvó 


iì-  »  h^  ■■  ^.'^Tfl»-JP  '  /coopti  «  «D^'-SA 
A  ■  '^ì'ftì  »  /tX.'P  !  H-A"  >  Al  «  l'^JH- 


UP  ••  (Dhìììì  ■•  ^hìL  '■  U^(0  :  atà^d  1  flIT 
n?.' •■«7^  !*?.'>'»" sA'^'-  rh^*::  *flJn 


^A/.<<.  :  K<w  !  g  !  A;^'^•^/*'  >  nAA*"»  «     ^^  '  *>>  '  ^fl  '  'tììl".'''ì"  '  «njiii^-lj- .  ai 

hiìLh-n.i^c  «  *fl»?i9"jp.'i^ih  .  >»+    ni^T  =  ^/«"PdA  :  ^/«xji :  >»nv  •  +yì 
OD-  :  xn->  *  !  P-A.T.  «  ai?i9»jti<tu-  «  h    A  ■  y^'Trì-  ■■  aha  •  A-nA  «  *h/-  »  h 

n  •  UP*)-!;»-  :  XA"1-  ■  (OdéM'ìi  >  ATIT     «»  ■  J^^/lt-C  ■•  A.P^AA.i'"  •■  flJJlX-fh  = 

«)  cf.  DiUinann,  Chrest.  Aeth.  GÌ,  4  (?)  -  i-)  L  1  om.  (  L  2  \.Vi^in<^.).  —  ')  R  2  jujr.n-t-iro-rì  : 
ncnni  :  Av.H(DX  :  6h-  —  '')  I.'  2  l'H^n  :  A.«t»  :  uq-lflf.  :  fi  S  a-^  :  XCltl  :  .^Al:  :  (D>\y.ì-nUA  :  ll,A('  : 
•JT.V.I'  :  (D.VJMJ/'v  :  Hìiao  :  ^.Infl-  :  -fTlCiro-i,  —  'J  R  2  /S.vm[:H  =  «X'.'l'  =  iDi\/,./,  :  a)/»,''lAÌSfV,  :  T 
TI'  :  'irt'l"  :  UkAgn  :  AM/h-t-V-""-.  —  0^2  agg.  niltluoTI  :  "1-nr.  :  ma  um.  tutld  cuiello  che  segue  fino 
a  Ai">:iH  :  liii.  20.  —  ")  H,2  (DV(<«'UD  :  Xqojf"  :  JS'l.  —  '')  R  2  .«0>»>l'  :  (D.V.VuojJUr  :  Af^*.;.  :  Viq, 
A  :  •l.l'-C.'l.lì  :  (il  nome  in  litur.)  cf  soijra  p.  57,  not.  e—  ')  R  2  flHooruu-  :  aA'1  :  l*-.!»!.  :  IIU)-X-f>.  *)  H  2 
om.   —   '  )  R  2   Hl-Jf'h-y.  :  .Vi-Y-<'.:l(J)  :  (DHIÌAA  :  y.f\iìOtt .   —  "')  R  2  U)'I'IÌ<JUI'  :  uutJ.T/„  :  A;ia)-  :  <Dt"  : 

n<\H\\  —   ")  V!  2  (DY^i  :  An  :  A-ri". 


86  — 


A"  •■  ti"ìO\\V  •■  li""  =  ;''Anrt>.  :  ht\\\, 
"7  :  W'I-wo  •■  mli/^A'y:  ■  li«"  =  >»/ii.i:  = 

n  :  ?',hi.  '  .h'iy.fì  h.y.ff^tìM.  ■■  ^A  : 

n-/.  :  K^M  •■  y-o""*i-  ••  }^A-i"  ••:  M'^fi  •■ 
M  •■  ihA  :  '/^.'^Tl-  =  ^inc  ••  'ì'>x 
ir/,  :  tno»"»!!/.  •  mvn/.  :  'mA.ii-  ••  A^ 

^n  !  -f-hA  !  •/.4'.''7'ri-  ••  fi^'iiv  =  hAo- 

n-:SV  :  \\iiv  :    -l'I  !   HrliC     '-  aìfml\h'P  ■ 

Airjp.v.  :  Mi,-n  •■••  oìhrff.^/.  ■■  «hj*.*» : 


ATJn-ì-  !  m^'l'""  :  in''M;i»-  =  ^'l  =  *h 

//n  :  |',Vv'>  :  «,"A'K  ••  HA*^-  =  II^.VA-rt     « 

■\-A.'A'">  •  ì.f.-A-  :  ay\->x'PV.ii'  •■  A-n?» 
A.  :  >.'';ii7»n,h.(: •  -ì'S-ft '  mnoiV-Ml- 
V  ••  h /.;"/.'  ••  MI  ••  •nii:^'>  •  y.^'ì*  =  »k«" 
yA-ir-n  =  a^«j» = hào-^  •■  ii""A>i  •  >»'ii(:>i 
■ì:ih  :  iUl-Iv^-^  ■•  hrò^-n  •■  htìU-v 
/'•/.-•)•  ••  iiA'-ìviin  :  hf^  •■  i  fl»  i\  ■■  AT* 
'/•ì-  :  iirtA"":  >i"iii7»'ri,i..(:  ••  >i"7.'>  «  X 
A- -l-  :  </»n/.lil-  ■•  anhiìì'  •■  /.!f:h.'U  ••  aì3\ 
"7  •■    'ì-'ìy.-ì-  ■■  r»-ì-A"//"'l-"  :  A'n)»rt.    :  >i 

"/u.^n.i!.!: : Anv >  >x('.:t'n-  flui/.h-i- •• 
vfA-'^-  ■•  4'  ';a>-  ivir  :  À'V/.'i'"  ••  aìfì/.ìì 

•|:  :  Airi/.  :  ììllMtì  :  ll'Vfl/.  :  JI'JA    '  9"A 

A.I)-  :  mn/.h;)- :  A^TUMV  =  '^c:.ei'"= 
fnA'J.I-  :  ^'^AVl  ••  rnn/.hl-  '  >^A"<"»-  •• 
Xì.yl'  :  «M.'PCJPl-  '  ì\ff:*'i  ■  (nft"l 

ò:f'i'  ■■  eiM-  :  T'iìA  •■  v^A-tf»•  :  y.'ii't'  •■ 

y,T  ■•  lìtt.y-  •■  onh'fì     •■  mTl\t\  •■  WA 

>  :  >lA  =   •/•.'»0?i>  :  AHI./.  =        'I1»I<-  = 

mri'JA-  :  fl»Art"V.O  ■•  7.e.*A-  :  ^l^9"tì^  ■■ 
\{-(\'(n>-  :  hA  ■■  ""i^h-  •  h'r'X-n  ■■  «»?» 
rcii-'V  •■  A'JA'/"  ••  "JAi»"  ■•  h'"!.!  ■••  AV^ 
AVlff-»-  •  >iA  ••  Ili'  ••  i;Afl»-*lf^   ••  t'V"fl 

•1/:  :  AAl-  ••   'T-.f.-rt-l-  •  l>A'/-  :    1  1»K-  :A 

Miv  :  (V"7'/.» :  ?iA  '  .'l'V-nn-  :  flj-l-rt'/' 


<■)  i:  2  0),ivi  "T-  :  nX-vi-  :  «"X7,|.  -  »)  R  2  ntrg.  inoo.  -  -)  R  2  A-il".  -  ")  R  2  lA^ti  :l"  : 
A>,^  :»ll.-'.».  -  ')  R  2  n.rf.  -  0  K  2oin.  -  »)  R  1,  L  I  .•  2  (I>X-|.  ~  '•i  i:  1,1.  \  -  2  fi: 
(ìiifh.  '  )   R    1.   I.    I    0  2  —   y..     —   *l   R"  2  irA.I'riri  :  <1A.>I.  :  Xlll.All.h.C  'j  R  2  rniJÌi-ì-ì-    — 

•"I  l;  2  '■/^t|ll^JH/,.'t^  :  >,ritl  :  gtiO/,.!!.  '  )  lO'IMJIi  :  AllUO  :  fi".  -  ")  R  2  a^'p.  (D-VùlM'-l-  —  >')  ajrP- 
>.A  :  »urJ  :  (I,I.A.I1  :  'h'M.IÌ  :  •ì-.\:.lì  :  <I)";"IÌA  :  AX.I.^.II-  :  lH^A  :  >l'r.aiìlin  IH.)  :  M-I'/vHO»  :  n:iu|. 
M*  :  (Ixr'lÌA  :  K.h/l.U-  :  lì^A  :  nillìTi'l  :  ■;«•*.»  :  (DV.I^f  :  C.Xlì.  (  lihIi.  1,  1  r  2  .■  1."  1  an;:iiini,'.nM  «ini 
i  golUi  nomi.  cf.  p..'i7,n.<-.  -  ')  R  -' n«*A  :  .IvV.lì  =  nrtAM- :  l-Ifl^.  :  AllUÙ  :(IIA-ì-.V.IÌ:11"":»l"'"''i  = 
IVA"  :  lt)l"A"/l)/.ll-  :  >.A  :  miwXj  :  >.<;"-ì -^.11  :  (!)>.<;"(•.  t.'ì-  :>.JII  :  \M^>^  ■  "»y..»J.I-  :  ^"^^  =  <l'»li.lì 


—  87  — 


Olit>  ■  tì^ti-t'  ■■  loT-l  ••  (\Kì-ì:M  ■•  (D     <"'ìì/.-  ••  aìim'^i\"'\-  :  fl»,1,'^''7-|"  :  OljPT 


f.t-lDW.      :  XA-;i"l:h<"'-  '     aì9T 


UH.  ••      n^HVÌ-  :  h'J-I-  :  ìv/nX?l  ••  A(i 


")  R  2  (DÌSA  :  -^lìgnu-  —  ')  R  2  fnCyn-V  :  ÙA-Ì".  —  ')  Fv  2  e  L  1  e  2  CDJi"  (uvvero  è  da  corregg. 
nSPU-  ?)  —  '')  E  2  (DyTAA  :  «P^qnitiao-  :  gnx-T-l-VnnJ-  :  <D^lìfhVlUD■  :  (DyùC"!  :  X-" .  —  ')  R  2  nfn 
K/V'ftlo»-  (sic)  :  «D.KIÌmjOVlaD-  :  IìXaTÌIuu-.  —  '^I  I.'  2  ohi.  -  'J)  K  2  iD.V.ùutYlao..  —  '')  U  2  (DJi'i 
RC-    —   ')  R  2  agg.  (DU^115.   —   *)  R  2  ^iro  :  gm5i^H,nou-  :  >^-l■^  :  JEoox-AVliiu-.  —  ')    R  2"1UA-  :  (B 

9d".  Segue  qui  la  sottoscrizione,  secondo  la  quale  il  codice  fu  scritto  l'anno  di  grazia  251,  sotto  il 
re  Ya'qòb  (Malak  Sagad  II,  1597-1603;  1604-1C07),  e  il  papas  Aba  Petrus  ;  il  nome  di  chi  ha  fatto 
scrivere  il  codice  ò  cancellato. 


—  88  — 


SOMMARIO    ANALITICO 


ns. 


Invocazioni  alla  Trinità  (')•  Origine  regale  di'Abd  al-Masth  o  AragSwt  (-),  il  padre  P-  56. 
ha  nome  Isacco,  la  madre  Ednà  e  il  fratello  Teodoro;  sua  educazione;  è  istruito  nei 
Libri  Santi,  e  frequenta  continuamente  la  chiesa;  non  vuole  prender  moglie  (').  Venendo 
in  Tebaide  presso  S.  Pacomio,  s'incontra  con  un  monaco  che  l'introduce  presso  S.  Pa- 
comio  ;  colloquio  con  quest'ultimo  che  gli  dice  quanto  sia  ardua  la  vita  monastica, 
e  gli  consiglia  di  sperimentar  bene  la  sua  vocazione.  Riconosciutolo  degno,  S.  Pacomio 
lo  veste  dell'abito  monacale,  e  gli  pone  nome  Za-Mikàél;  aveva  allora  14  anni.  La 
fama  della  sua  santità  si  sparge  in  Ròm,  e  vengono  a  lui  Abb;l  Liqànos  di  Questentenyà 
(Costantinopoli),  Abbà  Yem'àtà  di  QosySt,  Abbù  ijehmà  di  .\nsokiyà  (Antiochia),  Abbà 
Gubù  di  Qilqeyà  (Cilicia),  Abbà  Afsè  di  'Esyà  (Asia),  Abbà  Pantaléwou  di  Romyà 
(Roma)  e  Abbà  'Aléf  di  Qésàryà  (Cesarea).  Fraternamente  accolti  da  Za-Mikàél,  chie- 
dono a  S.  Pacomio  l'abito  monacale,  mostrandosi  fermi  nel  proposito  di  darsi  alla  vita 
monastica.  S.  Pacomio  li  riveste  del  sacro  abito,  e  restano  ferventi  monaci  con  lui 
per  molti  anni.  S.  Pacomio,  morendo,  dà  al  suo  discepolo  Teodoro  un  ordine  in  riguardo 
delle  proprie  ossa,  e  Teodoro  l'interpreta  quasi  il  Santo  volesse  che  le  proprie  ossa 
fossero  secretamente  tolte  da  dove  erano  sepolte  (0-  Sue  raccomandazioni  a  Teodoro  che 

(')  Nella  prima  invocazione  {cttp.  104,  Lib.  Ilenoch  p.  18  ecc.)  il .va)rii"h (H  1,  ycYl^)  sembrerebbe 
essere  il  causai,  di  (DVlfh.  ma  non  saprei  aJdurne  alcun  altro  esempin.  (DVlrh  ^  i>ropriamente  il  van- 
tarsi ad  alta  voce  dei  soldati,  il  che  quadra  bene  nel  passo  citato  in  D  i  1 1  m  a  n  n  s.  v.  Infatti  il  Sawd- 
aew  pubblicato  a  Moncullo  lo  spiega  con  KH-  mentre  il  Voc.  acth.  (Dillmann,  1.  e.  )  non  è  esatto, 
raccogliendo,  sotto  inTi,  dei  verbi  affatto  distinti  fra  loro,  come  sarebbero  »«t>a).  KO  «*«.  Potrebbe 
adunque  intendersi:  Dio  che  porta  l'acqua  del  mare  nella  nuvola,  e  fa  salire  velocemente  questa 
nuvola  per  mano  dc^'li  angeli  e  la  rende  forte,  terribile,  coi  fulmini  e  i  tuoni,  facendo  sì  che  la 
commozione  del  tuono  e  il  bagliore  del  fulmine  vantino,  per  così  dire,  la  terribile  forza,  tanto  che 
è  intesa  nei  quattro  anfji.li  della  terra.  Il  RA*A*  corto  si  riferisce  al  ciclo  e  alle  nuvole  (  cf  Hen. 
%  60).  Di  questa  radice  (DX\,h  il  l'iatt  ha,  Tit.  III.  0,  ©"n/h  jier  (DVlrìi,  ma  dubito  sia  errore  di  stampa 
o  di  manoscritto.  Nella  terza  invocazione  è  notevole  il  (DUI/.nip  (lin.  28);  gli  Apostoli  che  con 
ansioso  fervore  ricevono  il  Paracleto,  per  correr  poi  tutta  la  terra,  sono  paragonati  a  eavalli  che 
guardano  ansiosi  al  sorgere  del  giorno.  Notisi  anche  come  vi  occorre  la  figura  rcttorica  (Igor  :  (DC^ 
sulla  quale  v.  i  mici  Proverbi,  strofe  e  rarconli  abissini.  Roma  1801,  pag.  61. 

(')  Nello  stosso  giorno  nel  quale  si  fa  la  commemorazione  di  Za-Mikiifd  (14  di  Teqemt)  cade 
anche  la  commemorazione  di  un  .  „,U  J.-^  o  '"■abra  Krestos,  affatto  distinto;  cf  Zotonbcrg, 
«atal.  pag.  6.5  e  158. 

(')  ^V.»  (p.  57,  II,  6)  è  tanto  (ohniofifm  in  senso  ccclcs.) 

(♦>  Per  evitare  che  si  sovrapponessero  altri  cadaveri,  ovvero  perchè  non  divenissero  oggetto  di 
colto;  forse  questo  tratto  ha  origine  da  ciiN  che  narra  S.  Atanasio  di  S.  Antonio  (ed.  Migne  X, 
2,  p.  967,  e.  90)  e  si  collega  coU'ueo  dei  cristiani  di  Egitto  relativo  ai  cadaveri  de' martiri  ecc.,  sul 
<iaale  uso  cf.  C.  .Schmidt,  Ein  altchriiUichts  .Vumienetikett,  8  {Z.  f.  aeg.  Sprache,   XXXII). 


—  89  — 

insieme  con  Orsisio,  ò  eletto  al  posto  di  S.  Pacomio.  Teodoro  ama  Za-Mikàél  e  i  suoi 
compagni,  ma  specialmente  Za-Mikàél.  Ednit,  la  madre  di  questo,  viene  presso  lui  per  p.  «o. 
vederlo:  sulle  prime  Za-Mikàél  nou  vuole  incontrare  la  madre;  poi  persuaso  dagli 
altri  monaci,  va  a  vederla,  e  intende  che  essa  è  venuta  per  vestir  l'abito  monacale  : 
egli  la  veste  monaca,  e  la  fa  dimorare  insieme  colla  madre  di  Teodoro  e  la  sorella 
di  S.  Pacomio,  che  era  la  badessa  del  monastero  ;  questo  era  prossimo  al  convento  degli 
uomini,  e  ne  era  sorvegliante  Pietro  ('). 

Za-Mikàél  cogli  altri  Santi  (Abbà  Garimà  non  era  ancora  con  loro)  prendono 
congedo,  dopo  7  anni  che  eran  vissuti  insieme,  da  Teodoro  e  Orsisio,  e  tornano  al  proprio 
paese  di  Ròm,  ove  operano  miracoli,  e  convertono  il  paese  alla  tede.  Divozione  di 
Za-Mikàél  verso  la  Vergine,  e  grande  fervore  del  popolo  ove  egli  era.  Uscito  dalla 
città  con  due  compagni,  vengono,  guidati  dall'Arcangelo  S.  Michele,  in  Aksum.  Za- 
Mikàél  vede  questa  città  già  convertita  alla  fede,  e  tornato  in  Ròm,  ne  informa  i  fra- 
telli i  quali  vengono  lieti,  colle  loro  suppellettili  e  i  Libri  Santi,  guidati  da  Za-Mikàél  p.  02. 
in  Aksum,  ove  il  Re  e  il  Metropolita  li  accolgono  festosamente,  l'anno  V°  del  regno 
di  Al'àmìdà  figlio  di  Sal'àdobà.  Mandano  ad  Ishàq,  parente  di  Za-Mikàél,  che  era 
in  Ròm,  il  quale  abbandonato  il  regno,  viene  anche  egli  in  Aksum,  guidato  dal- 
l'Arcangelo S.  Michele.  Gioia  dei  nove  Santi  nel  ritrovarsi  insieme  ;  vivono  a  corte  (^) 
ammirati  dal  Re  e  dal  Metropolita,  e  operano  assai  miracoli  di  diversissime 
specie,  onde  rafforzano  la  fede  in  Etiopia.  ^  Quindi  morì  il  Re  Al'àmìdà,  tre  anni 
»  dopo  la  venuta  di  quei  Santi,  pianto  da  essi  e  dal  popolo,  e  onoratamente  lo  sep- 
»  pellirono  nel  sepolcro  dei  Re,  e  regnò  Tàzénà  padre  di  Kàléb».  I  Santi  rimasero 
a  corte  (fl,'^  :  i'm.'ì)  tutti  insieme,  digiunando  e  operando  moltissimi  miracoli,  e  cos'i 
stettero  per  12  anni  (■*)  ;  la  madre  di  Za-Mikàél,  Ednà,  colle  altre  raoniche,  era  ivi 
presso.  Za-Mikàél,  amato  e  riverito  come  padre  e  signore,  è  soprannominato  «  'Aragàwì  » 
cioè  il  savio.  «  Nel  6"  anno  del  regno  di  Tàzénà,  i  nove  Santi  si  separano  per  andare 
s  in  varii  luoghi  :  Abbà  Liqànos  va  a  Dabra  Quanàsel,  Abbà  Pantaléwon  va  di  contro, 
•  alla  distanza  di  due  miglia;  Abuna  Isl.iàq  o  Garimà  in  Madarà,  e  Abbà  Gubà  i\a 
"  incontro,  alla  distanza  di  un  »  me'ràf  "  Abbà  Sehmà  a  Sedyà,  Abbà  Yem'àtà  in  Gar'altà, 
«  Abbà  Aléf  in  Ahse'a  detto  Rehzà  e  Abbà  Afsé  in  Yàhà  ;  e  abuna  Aragàwì  iisc'i  al  paese 
«  di  Oriente,  chiamato  Egalà,  paese  che  un  forte  corridore  può  percorrere  in  due  giorni  » . 
Con  Za-Mikàél  era  la  madre  Ednà,  insieme  col  discepolo  Màtyàs.  Giungono  ad  un  p.  m, 
luogo  chiamato  Madhanit  ove  pernottano;  i  malvagi  abitanti  scagliano  improperii 
contro  Aragàwì,  il  quale  maledice  quel  luogo  e  benedice  invece  una  città  vicina. 
Passato  oltre,  risana  un  indemoniato:  la  folla  lo  circonda  al  vedere  i  suoi  miracoli. 
Proceduto  oltre,  siede  sotto  "  l'ulivo  del  convento  "  ('');  giunge  in  vista  di  Damme.  Un 

(')  cf.  AmiJliiioau,   //^.s■^  de  S.  Pnkhrìme  de.  {Ann.   M.  Guimcl,  W II)  "•!. 

(*)  (ft-T)  :  «l»fl\T  che  Di  11  maini,  nv\  lessico  della  crestomazia,  fa  =  cr^ 

(3)  Secondo  il  God.  L.  1  per  22  anni.  Fra  i  miracoli  che  qui  si  raccontano,  ([uell"  del  ijrano  piantato, 
cresciuto  e  mietuto  in  un  giorno  .sembra  derivare  daj;li  Atti  apocrifi  di  S.  Oiuda  (cf  M  a  1  a  ii,  The  confticts 
oflhe  H.  Apostles  222  e  i  miei  Atti  apocrifi  degli  Apostoli  22,  p.  1)  quantunque  leggende  .simili  s'incon- 
Irino  non  di  rado;  cf.  A  m  é  1  i  ii  e  a  u,  Moimmnnls  pour  servir  0  V  rtude  di'  l'/ù/ypte  cìirrl.  {Miss,  archéol. 
fr.  au  Caire,  IV)  IG.  Il  verbo  ATflAllA  (03, 1,  19)  che  manca  in  I>  i  1 1  in  a  n  n,  è  spiegato  rettamente  nel 
.Sair/tseir  di  lloneullo  con  -l-'ll'lfl   hrillarr.  Vi  corrisponde  1' amiirico  A^nMAriA  e  'l-guilAllA . 

(■*)  !S(D-Aù  ulivo  selvatico.  I,a  l'urnui  X'AA,  a  me  ignota,  è  dei  due  codd.  romani  :  C'irse  per  X-AA.  V 

Classe  ni  SCIENZE  MORAM  ecc.  —  Memorie  -  Voi.  II,  Serie  5",  parte  I"  12 


—   !>i»    — 

(forine  udendo  della  sua  santità  e  dei  miracoli  che  operava,  gli  reca  iiu  suo  figliuolo 
malato,  cui  Za-Mikàèl  guarisco  con  istupore  di  tutti.  Viene  poi  ad  una  rupe  chiamata 
Mesguilgue,  donde  vedo  la  cima  di  Dammo;  assai  piaceglì.  e  gira  tutto  intorno  al 
piede  della  montagna,  por  trovare  una  via  da  salire  su  quella  cima,  ma  inutilmente. 
Va  ad  un  monto  (')  con  alto  precipizio,  detto  -Sequorù'  ove  trova  una  via  per  salire, 
ma  sente  che  non  era  il  beneplacito  di  Dio,  che  egli  ivi  restasse;  e  così  gli  accade 

!'•  ''C  al  monto  Mongergàr  e  al  monto  Jlnhàz.  Hitorna  quindi  a  Dammo  e  vede  una  fon- 
ditura nella  rupe,  ov'eni  acqua;  ivi  fa  restare  la  sua  madre  Ediià,  o  questo  luogo 
fu  chiamato  >.  baat  elem  •  (fY\).  Procede  oltre,  e  gli  distendono  sulla  roccia  un  tappeto 
sul  quale  riposa,  posandovi  sopra  il  bastone  (•)  ;  al  togliere  del  tappeto,  quella  roccia 
diviene  della  stessa  larghezza  e  lunghezza  di  esso,  e  di  bianca  che  era,  si  tingo  in 
rosso,  restandovi  l'impronta  del  bastono:  questo  vestige  restano  ancora  venerate.  Giunge 
Za-Mikàól  -al  piede  della  corda'  (cioè  dove  ora  è  la  corda  per  salire)  e  prega:  gli 
appare  S.  Michele  Arcangelo  che  lo  conforta,  e  mentre  Za-Mikàél  stava  aspettando  e 
non  sapendo  come  salire.  S.  Michele  gli  appare  di  nuovo,  e  gli  dice  siccome  verrà  un 
serpente  alto  00  cubiti,  che  lo  porterà  sulla  cima  del  monte.  Viene  infatti  questo 
serpente  il  quale  dall'erta  dice  a  Za-Mikàól,  che  quel  monte  era  deserto  e  inospitalo; 
ma  Za-Mikàél  gli  comanda  di  abbassare  la  coda,  al  piò  del  monte  ova  egli  era.  Za- 
Mikàol  monta  sulla  coda  del  serpe,  protetto  dall'Arcangelo  S.  Michele  che  gli  è  allato, 
stupoiidoue  Mattia  e  gli  altri  discepoli  che  erano  al  piò  del  monte,   come  Eliseo  al 

p.  GS.  veder  rapito  Elia.  Za-Mikàól  è  portato  sul  monto  Dammo.  ove  giunto  dice:  Alleluia 
al  Padre,  Alleluia  al  Figlio,  Alleluia  allo  Spirito  Santo,  onde  il  monte  ebbe  il  nome 
di  '  Dabra  Hallóluv'à.  "  La  montagna  s'illumina,  e  Za-Mikàél,  avuta  prova  del  bene- 
placito di   Dio  (^),  è  lieto  di  quella  dimora. 

•  Dopo  pochi  giorni  morì  il  Re  Tàzénà  e  regnò  il  Re  Kàléb  in  sua  vece  » .  Za- 
Mikàél  fa  una  capanna  per  il  tabernacolo,  e  gli  Angeli  gli  portano  dal  cielo  tutto 
ciò  che  serve  per  celebrare  l'oucaristia,  tinche  poi  edifica  un  santuario,  e  por  propria 
abitazione  si  sceglie  una  caverna,  ove  vive  in  preghiere  e  mortificazioni.  Uomini  o 
donne  vengono  a  lui  per  essere  risanati;  anche  coloro  che  abitavano  ad  oriente,  gente 
che  viveva  solo  di  pastorizia  e  di  ladroneggi  (^),  vengono  a  Za-Mikàél  che  li  converte, 
e  lasciano  le  rapino.  Za-Mikàól  converte  gli  infedeli,  e  conforma  quelli  che,  già  con- 

]..  70  vertiti  da  Abbà  Salàmà.  orano  nella  fedo  ortodossa;  sua  vita  santa  (•');  risana  la  figlia 
di  un  capo  di  milizia,  che  era  indemoniata,  e  fa  altri  miracoli.  «  Allora  mandò  a  lui 
•  Kàléb  dicendo  :  io  mi  sono  apparecchiato  ad  andare  a  far  guerra  ai  nemici  di  Dio, 
■>  che  distrussero  la  chiesa,  e  versarono  il  sangue  dogli  abitanti  di  Nagràn  —  codesto 
'  infedele  per  nome  Finliàs  — ;  poichó  ha  mandato  a  me  il  patriarca  Timoteo,  dicen- 

(')  Il  testi'  Ila  'pyTO  che  ò  cvidcntcmontc  da  ©«'«rpor.  niu  sembra  signiflcar  un  monte  alto 
ed  isolato  donde  .si  veda  tutta  la  regione  circostante. 

(•)  Tutti  i   codici  li.-uino  qui  n^<^J,. 

(')  A  pag.  f>8.  II,  '.  '■•  la  lozione  ò  scorretta;  forse  è  da  emendare  •Ki.U'ini.  .    "it-yv. 

(')  .SeinbraTTo  essere  pli  aliitanli  del  pae.«e  ora  occnpiito  dai  TeUàl  ecc.  e  che  prili  ihihiiriMr  erano, 
come  gli  attuali,  di  stirile  .\far  (Cf.  l'raet orin s,  f'rìier  ilii:  hamitisrhcn  Spnirlian  Oshifrihi's 
{Iteilr.  2.  Atsyriol.  ecc.  II,  :ìlHl. 

f)  l'a^r.  70,  II,  27  .i.irehbc  Jiiù  ruirett..  «)V^.y.(i.V-. 


—  91  — 

«  domi-  di  vendicare  il  sangue  dogli  abitanti  di  Nagràn.  Tu,  o  mio  padre,  fa  preghiera, 
«  poiché  la  preghiera  del  giusto  ha  potere  e  dominio  (').  Kisposegli  il  nostro  padre 
li  Aragàwì  e  disse  al  messo  del  Re:  va  in  paco,  e  che  Iddio  sottometta  i  tuoi  nomici, 
«  e  li  riduca  ad  ubbidienza  nello  tue  mani,  e  a  te  dia  grazia  e  ti  renda  terribile  ai 
«  nemici,  e  ti  riconduca  sauo  e  salvo.  E  Kaléb  era  re  giusto,  e  niun  re  fuvvi,  che 
"  operasse,  più  di  lui,  miracoli  e  prodigii,  mentre  era  nello  splendore  del  suo  regno. 
«  E  quando  si  ribellarono  gli  abitanti  di  Bur,  Iddio  gli  aprì  le  viscere  della  terra, 
"  perchè  non  lo  vedessero  gl'insorti,  allorché  faceva  incursione  contro  di  loro,  e  non 
"  fuggissero  da  lui  e  si  salvassero:  —  il  percorso  per  giungere  a  Bùr  è  di  un  tre 
•  giorni  per  un  robusto  corridore.  E  Kàléb,  entrato  por  l'apertura  dove  Iddio  aveva 
«  aperto  il  terreno,  giungendo  all'improvviso,  gli  sterminò,  e  non  ne  lasciò  un  solo,  e 
«  sottomise  la  città  nelle  sue  mani,  e  fino  al  giorno  di  oggi  esiste  e  si  vede  il  luogo, 
"  dove  entrò  Kàléb  nell'apertura  e  dove  uscì  da  essa,  essendo  il  detto  luogo  divenuto 
"  un  pavimento  di  pietra.  E  andò  per  far  guerra,  e  giunto  al  paese  dei  Sabei,  guerreggiò 
1  con  quell'infedele  ;  e  grande  fu  la  strage  presso  di  essi,  per  la  forza  delle  preghiere 
«  del  giusto  re  e  dei  Santi,  nelle  cui  preghiere  era  fidato,  e  vinse  ed  uccise  tutti  i  nemici, 
«  non  lasciando  vivi  né  grandi  né  piccoli,  nel  paese  dei  Sabei,  ed  uccise  Fin'.iàs,  re  di 
«  Saba,  nemico  di  Cristo.  E  Kàléb  fu  lieto,  e  ringraziò  Iddio,  e  costruì  nella  città  di 
u  Nagràn  la  chiesa  che  quell'infedele  avea  distrutto,  e  diede  ad  essa  in  dote  tutta 
»  la  preda  fatta  nel  paese  di  Saba.  E  lieto  e  giulivo  tornò  in  Aksum,  né  tornò  alla 
«  reggia,  ma  andò  secretamente,  abbandonando  il  suo  regno  e  la  sua  gloria  ;  e  andato 
«presso  Abbà  Pantalèwon,  gli  disse:  rivestimi  dell'abito  monastico,  e  incontanente 
«  no  lo  rivestì  ;  diede  il  regno  al  figliuolo  Gabra  Masqal,  e  mandò  ad  Abuna  Aragàwì 
«  dicendo  :  Iddio,  per  le  tue  preghiere,  mi  ha  felicemente  ricondotto,  ed  ho  preso  il 
«  monacale  abito  di  Cristo  :  prega  per  me  affinchè  possa  compiere  la  vocazione.  E  il 
«  nostro  padi-e  Ai-agàvvi  si  allietò,  e  disse  al  messo  del  re  dì  dirgli:  hai  fatto  la  cosa  mi- 
«  gliore,  e  che  Iddio  ti  compia  ogni  tuo  volere  !  E  ciò  udito  andò  via  da  lui.  E  regnò  Ga- 
«  bra  Masqal,  e  selette  sul  suo  regno.  Nell'S"  anno  del  regno  di  Bàzén  nacque  Cristo, 
«  e  da  Bàzén  fino  ad  Abrchà  ed  Asbel.ià  cristiani,  regnarono  19  re,  e  gli  anni  della 
«loro  vita  {del  loro  regno)  furono  244;  da  Abrehà  ed  Asbehà  fino  a  Gabra  Masqal 
«regnarono  9  re,  e  la  loro  durata  fu  di  124  anni:  e  tutti  insieme  sommano  a  368 
«  anni  (-).  E  Gabra  Masqal  regnò  con  rettitudine  e  giustizia,  eia  fama  del  suo  regno 
«  fu  udita  in  tutta  l'Abissinia  ;  ninno  si  oppose  al  suo  regno,  né  egli  usciva  a  spe- 
«  dizioni  militari,  ma  solo  a  costruir  chiese,  poiché  regnò  iu  tempo  di  pace.  "  Za- 
Mikàél  voleva  vivere  celato,  ma  tutti  andavano  da  lui  per  essere  risanati. 

«  E  l'anno  che  regnò,  Gabra  Masqal  venne  presso  Abùna  Aragàwì,  mentre  stava 
«  nella  sua  caverna,  affinché  benedicesse  il  suo  regno,  e  desse  compimento  alle  sue  cure 
«per  costruire  il  santuario;  venne  prestamente  a  Debra  Dammo,  lasciando  l'esercito 
«  ai  piedi  della  montagna,  egli  solo  salì  co'  suoi,  presso  il  santo  padre  Aragàwì  ;  si  prostrò 
«  ai  suoi  piedi  e  l'abbracciò  dell'abbraccio  dello  Spirito  Sauto,  e  lo  supplicò  e  gli  disse: 
«  bonedicimi,  o  padre  venerato,  e  benedici  il  mio  regno  e  tutto  il  mio  esercito  !  E  il 

(>)  Jac.  V,  16. 

(^)  Queste  cifre  sono  quasi  tutte  diverse  da  quello  dello  note  liste. 


p.  -'•. 


—  02  — 

.  Santo  rispose  :  cho  Iddio  benedica  il  tuo  regno,  come  benedisse  il  regno  di  David 
»  e  Salomone,  e  corno  benedisse  il  regno  di  K;iléb  tuo  padre;  prolunghi  i  tuoi  giorni,  e 

•  conservi  il  tuo  esercito,  e  sottometta  l'avversario  e  il  nemico  sotto  i  tuoi  piedi  ;  pensa 
.  alle  chiese,  alle  vedove  od  ai  pupilli!  E  Gabra  Masqal  piegò  la  testa  e  disse:  Amen. 
.  così  sia.  E  stettero  insieme,  ammonendolo  il  Santo  come  rafforzare  il  suo  regno.  E 
-  (Jabra  Masqal  gli  disse:  mostrami,  ten  prego,  in  qual  luogo  costruire  la  chiesa,  e 

•  Za-Mikàt'l  sorse  immantinente,  e  gli  mostrò  dove  edificarla.  E  subito  comandò  il  re 
«  ad  operai  robusti  i  quali  tagliassero  legni  e  raccogliessero  pietre,  e  cercò  uomini  sapienti 

•  che  conoscessero  l'arte  di  edificare.  Fece  andare  attorno  un  araldo  per  tutta  la  terra 

•  di  Oriente,  ingiungendo  che  portassero  legni  e  pietre  e  terra  da  lontano  e  da  vicino. 

•  Ordinò  quindi  che  facessero  ruote  di  carri  (?)  a  guisa  di  gradini  di  stanze,  di  pietre 

•  e  legni,  della  larghezza  di  3  eubiti,  perchè  potessero  salire  in  esso,  uomini  ed  animali, 
.  portando  legni  e  pietre,  acqua  e  terra;  e  costruirono  con  magnificenza,  con  molta  cura, 
»  un  edificio  mirabile  a  vedere,  che  allietava  l'animo  e  rapiva  i  cuori.  E  l'edificio  fu 
«  compito  nel  II"  anno  del  suo  regno  ;  ed  egli  lo  dotò  di  vesti  preziose,  di  patene 
«  di  oro  ed  argento,  e  calici  di  oro  ed  argento;  e  diede  12  croci  di  oro  e  di  argento 
«  e  vangeli  legati  in  oro  e  argento,  le  lettere  di  S.  Paolo  e  le  lettere  degli  Apostoli, 
»  di  oro  e  argento,  e  veli;  ogni  cosa  in  dovuto  ordine.  La  onorò  e  magnificò,  perchè  essa 

•  è  la  prima  chiesa,  e  ninna  chiesa  era  stata  edificata  prima  di  essa,  ad  eccezione  di 
M  Aksum.  madre  delle  città  {nr-TQÓrìoXtc).  e  diede  ad  esso  quanto  la  corte  reale  possedeva. 
>■  Fece  venire  il  metropolita  che  la  consacrò  e  la  segnò  coli'  unzione  del  Sacro  Crisma 

•  (olio)  e  vi  pose  entro  il  «  tàbòt  "  che  Za-Mikàél  con  sé  avea  recato,  sacro  al  ceto  del 
fc  Primogenito  (')  e  il  «  tàbòt  «  che  avea  dato  il  re  e  quel  «  tàbòt  -  sacro  al  Ceto  del  Pri- 

•  mogenito  ricoperto  di  oro  e  di  argento,  e  il  tabernacolo  di  N.  S.  Maria,  adornatolo 

•  insieme  con  esso.  11  re  e  il  metropolita  pregarono  il  nostro  S.  Padre  cho  celebrasse 

•  l'eucarestia  ». 

Za-Mikàél  celebra  il  Sacrificio,  scendendo  dal  cielo  gli  arredi  necessari,  e  comunica 
tutti.  Il  re  Gabra  Masqal  fa  una  grande  festa  per  la  consecrazioue  della  chiesa,  dando 
cibo  agli  all'amati  e  vesti  agli  ignudi,  e  si  fa  promettere  da  Aragàwì  che  in  vita  e  in 
morte  non  lo  dimenticherà  nelle  sue  preghiere  ;  quindi  Aragàwì  lo  benedice,  e  benedice 
tutto  il  popolo  (-).  Il  re,  per  desiderio  di  Za-Mikàél,  toglie  la  scala  fatta  quando 
costruiva  il  tempio  (•')  e  mette  in  suo  luogo  una  corda  per  salire,  in  memoria  del 
serpe  (cf.  p.  li!)-  Il  re  se  ne  torna  via.  Molti  vanno  a  farsi  monaci,  presso  Za-Mikàél  e 
sono  battezzati  in  un  fiume  a  pie  del  monte,  chiamato  m  à  y  a  m  e  r  q  à  y  :  i  monaci  si 
accrescono  sempre  e  si  danno  a  varii  lavori.  Vengono  anche  molte  monaclie,  delle 
quali  Za-Mikàél  dà  la  cura  al  discepolo  Pietro,  e  consegna  a  sua  madre  Kdnà.  Muore 
questa  il  4  di  Ter,  ed  è  portata  colà  dove  era  Aragàwì  che  la  piange  ;   vien  sepolta 

(')  nTl»r;  ì;  qui  il  Primogenitus  omnit  creaturae,  0.  Cristo;  o  il  cnj'^n/.  :  ntV>C  sono  tutti  i 
•Santi  dell' .\.  e  N.  Te.stainento,  rOjrnissanti,  sotto  la  cui  invocazione  era  stato  consacrato  il  u  tibnt  n. 

(•)  JSIRiJ,  non  ò  qui  tursum  suspicere,  m..  s\  il  dare  la  benedizione  al  popolo,  come  fanno  i 
liffti,  alzando  la  mano  e  t-cnendola,  nel  benedire,  a  quel  modo  che  usano  i  Greci,  cioè  coll'anulare 
unito  al  jioUicc. 

(')  Kj^oooo,  che  m.anca  in  Dillmann,  significa  u  demolire  "  e  nc\  Siwiisew  di  Moncullo 
è  gpicf^ato  con  J'JJ.  Da  dàlim'mo  «  demoliscilo  n  sarebbe  derivato  il  wnnf  di  Debra  Dammo. 


—  m  — 

in  un  sepolcro  nuovo,  preparato  da  Za-lMikàél  per  lei.  In  quel  tempo  vivea  Yiìréd; 
notizie  di  lui,  che  è  ammaestrato  dagli  Angeli  nel  canto  ;  egli  viene  per  visitare  Za- 
Mikàél  e  vedere  la  chiesa  fondata  da  Gabra  Masqal.  Za-Mikàél  predice  ai  discepoli 
la  venuta  di  lui;  giunto  Yàréd,  si  abbracciano  e  vanno  alhi  chiesa,  cui  Yàréd  celebra 
col  suo  canto. 

Grandi  conversioni  operate  da  Za-Mikàèl;  cresciuti  i  monaci  a  GOOO,  egli  assegna     p.  78. 
varii  ufficii.  Gli  appare  N.  S.  ;  colloquio  di  Za-Mikàél  con  G.  Cristo  che  lo  chiama 
al  cielo,  e  promette   ogni   benedizione  a  chi   l'invocherà,  a  chi   scriverà  la  sua  vita     p.  so. 
ecc.,  ecc.  Za-Mikàél  narra  la  visione  al  suo  discepolo  Mattia;  fa  radunare  i  monaci  e 
li  informa  della  vicina  sua  morte  :  fa  Mattia  suo  .successore,  e  scompare,  a  99   anni, 
il   14  di  Teqemt  o  11  di  Tasrìu,  regnando  Gabra    Masqal.    I  monaci    apprendono  il     ,,.  82. 
«  kidàn  »   concesso  da  G.  Or.  a  Za-Mikàél,  e  lieti  ne  scrivono  la  vita,  e  ne  celebrano 
la  commemorazione.  Miracoli  e  apparizioni  di  Za-Mikàél  ('),  visione  di  Abbà  Benvàmì. 
Gabra  Masqal  avea  udito  che  Za-Mikàél  era  scomparso  dalla  terra;  viene  al   monte 
e  fa  donazione  alla  chiesa  di  molte  terre,  cioè:  tutta  la  terra  di  E  gal  à(hà)  dal  Mar  eb     p  g-t 
fino  a  G  u  e  r  g  u  e  r,  in  G  e  1 0  M  a  k  a  d  à  sei  città,  e  in  B  e  1  é  n  tre  città,  M  a  t  a  r  à,  R  à  r  a  k  a 
eSeyot  (e  Makadà  di  Gelo).  Barali  to,  (In  Ràl.ito?)  Bèta  nobayt,  (?)  Baqlo. 
'E(ja,  ('Ed)  Mare,  Galabà,  Ham  (Aham,  Ehem)  B  adà.  Erakà  (in  Barak  à) 
Ganàdef,  Megaryà  (Mag.  oMug.)  Damr,  Yàl.i  à(Yel.ià):  privilegi  che  il  re  ac- 
corda. Vita  esemplare  dei  monaci  sotto  la  direzione  di  Mattia  ;  muore  questi  l'S  di  Tàhsàs. 
Suoi  successori  Yoséf  e  Mad^aina  Egzi'.  Sotto  il  settimo  superiore,  dopo  Za-Mikàél,  che 
avea  nome  Abbà  Yol.ianì,  i  discepoli  editicano  ima   chiesa   all'entrata  della   caverna 
abitata  da  Za-Mikàèl,  perchè  serva  di  sepoltura.  Abbà  Yo' ani  riveste  dell'abito  mo- 
nacale Abbà  lyasus  Mo'a  che  tornato    in    Haiq,    vi    propaga   il    monachismo.    Takla 
Hàymànot  (cf.  p.  .3,  nota  3)  dal  luogo  di  lyasus  Mo'a  viene  presso  Abbà  Yohani  a  Debra 
Dammo,  dove  riceve  l'abito  monacale,  e  restatovi  12  anni,  torna  presso  lyasus  Mo'a  e  prò-     p.  gè 
paga  il  monachismo.  Abbà  Yohani  muore  il  9  di  Genbot,  e  gli  succede  Za-Ivasus. 


Il  cod.  R  2  è  preceduto  dal  novero  degli  scritti  in  esso  contenuti  e  da  una 
descrizione  della  Chiesa  di  S.  Aragàwì,  che  credo  opportuno  qui  pubblicare.  La  scrit- 
tura sembra  essere  della  fine  del  secolo  passato,  incirca  (-). 

"  Descrizione  della  Chiesa  di  S.  Aragavi,  fabbricata  dall'Imperadore,  Gebera  Mascall, 
figlio  del  santo  Imp."  Caleb,  o  sia  Elesbaan  nell'  anno  del  Signore  600.  Questa  Chiesa, 
che  è  di  fabbrica  rotonda  (come  sono  anche  al  dì  d'oggi  le  Chiese  di  Etiopia)  si 
divide  in  tre  parti.  La  prima  di  queste  si  appella  in  etiopico  C/mee  Afaali  (•'),  cioè 
Coro,  ed  è  un  giro  rotondo  di  archi  aperti  :  La  seconda  dicesi  Cchedest  (■•),  cioè  santa, 
ed  è  un  giro  rotondo  chiuso,  ma  con  dodici  porte  per  l'ingresso,  ed  otto  fenestre: 
La  terza  Macchedas  (^)  cioè   Santa  dei  Santi,  ed  è  una  fabbrica  di  muro  di  forma 

(')  A  pag.  83,  I,   12  il  tVA"  sta,  come  vodesi  ilalla  nota,  nei  (re  codici. 
('J  IjO  parole  stampate  in  corsivo  sono  sottolineate  nel  manoscritto. 

(3)  ^i  :  OD^A'V 

(4)  ^v:.f,.V: 


—  «Il  — 

quadra,  in  mezzo  di  cui  vi  è  un  meniter  (^)  o  sia  trono,  o  vogliamo  dire  altare  pari- 
niento  quadrato  di  legno,  con  pitture  di  Angeli,  della  Madonua,  di  .S.  Giorgio.  Kesur- 
reiione.  Ascensione  ecc.  Per  intelligenza  di  questa  descrizione  si  pone  nella  pagina 
seguente  la  pianta  di  detta  Chiesa,  come  la  formò  Mo^sig^  Tobia  Etiope  traduttore 
della  suddetta  descrizione: 


Chnce  maalt 

Notisi  che  le  chiese  in  Etiopia  non  sono  né  a  volto  nò  a  soflitto,  ma  a  tetto, 
come  se  ne  conserva  1'  uso  nella  basilica  di  S.  Paolo  di   Roma. 

Adunque  nella  Prima  parte,  o  sia  primo  giro  della  Chiesa  di  S.  Aragavi,  detto 
Cliiiee  Manli  vi  sono  98  chinib  (-)  cioè  certi  legni  quadrati  per  sostegno  della  fab- 
brica, nei  quali  al  di  dentro  vi  sono  scolpite  tìgure  di  Angeli,  uccelli  ecc.  per  vaghezza. 
Vi  sono  parimente  cinque  colonne  di  marmo. 

1735  naia  (^),  cioè  palle  di  legno  sulla  paiete  d'intorno  per  tutto  il  giro  al 
di  fuori. 

295  Cchnat  {*)  cioè  cinture  di  legno  per  tutto  il  giro,  e  in  guisa  collocato,  che 
alternansi  un  ordine  di  cintura  di  legno,  e  un  ordine  di  pietre,  come  nella  figura 
seguente,  formata  a  dichiarazione  migliore  della  cosa  dallo  stesso  Monsig^  Tobia. 


Ic^o 
pietre 
legno 
pietre 
le^o 


(Il  mnnq 

0»)   S-A  (?) 


—  05  — 

202  maucaf  (')  o  siano  sostegni  di  legno  noi  giro  snperiore  di  tutta  la  chiesa. 

397  viaian,  madrcc'i,  e  guen  ('-)  cioè  pilastri  laterali,  pilastri  inferiori,  e  supe- 
riori   legno. 

7  porte. 

124  fenustre. 

Nella  seconda  parte  o  sia  nel   Cchedest  sonovi  72  chirub. 

148  mae:o  (■')  cioè  porte  di  cedro. 

l.")2  :;cdchlì'a  (').  Notisi  che  questo  vocabolo  scdeblra  in  lingua  Arnahharn  signi- 
fica canonici  e  nella  lingua  poi  di  Gltee:^  significa  tabernacolo,  e  che  rimane  però 
incerto  il  vero  suo  significato. 

193   Cchnat legno. 

40  fluì  (^)  cioè  certi  travi  fatti  a  guisa  di  colonne  intortigliate  come  le  corde. 

222  maucaf legno. 

12  porte. 

22  colonne  di  stucco. 

7  colonne. 

18  manca,  cioè  legni  a  foggia  di  chiavi  per  sostegno  della  fabbrica  nella  parte 
esteriore. 

4  Chenfaasa  (")  voce  di  oscuro  significato  per  renderla  in  italiano. 

Nella  terza  parte,  o  sia  fabbrica  quadrata  detta  Macchedas  sono: 

15  fluì. 

11  travi. 

28  Saragallà  (")  cioè  appoggi  di  legno  per  sostenere  i  travi. 

3  porte  grandi  rivolte  alle  parti  del  mondo  fuorché  dalla  parte  Orientale,  dove 
vi  è  una  grande  fenestra  poco  elevata  dalla  terra. 

3  colonne  di  marmo. 

37  naia legno. 

102  madrech,  macan  e  guen  .  .  .  legno. 

13  manca legno. 

4  travi  a  guisa  di  colonne  intortigliate. 

177  Zerghcf  (^) di  legno  o  di  cemento. 

50  Cchnal legno. 

Descrizione  di  Betgul  (■')  o  sia  Belìdehem,  cioè  di  quel    luogo,   dove  si   lavora 
il  pane  di  proposizione,  o  sia  del  sacrifizio  ed  è  una  fabbrica  separata  dalla  Chiesa. 
In  questa  vi  sono  14  fluì. 


(')  (oov-njj.)  nv^q.  (?) 

(-)  oD^>'i,  tm\^l^y\,  •wy\  (V)   iiropriam.  sù(/lin,  stìpite,  architrave. 

(')  iiv.n-i-A. 

(>>)  Vl-t»<.  :  M,^  (V) 

(^1   l"l/.T> 

C)   ■llf.'Ki.   (V) 

(')  rLM-  :  ■ini:  {i"niic  :  rL-l") (V) 


—  !)(ì  — 

óO   Cchnat. 

14  muucuf legno. 

ir>U  pozzi  scavati  in  sasso  vivo. 

72  sepolcri  scavati  parimente  in  sassj  vivo,  e  questi  ]'oì:i  e  sepolcri  fin  ora 
esistono  e  si  vedono,  giacché  questo  celebre  e  grande  Tempio  di  S.  Aragaoi  fu 
distrutto  dai   Turchi  del  regno  di  Adel. 


KiTula-Corriije  :  65,  20  (sembra  essere)  1.:  che  è  della  fine  ;  67,  I,  1  ì  a»«aou  ;  68, 
II,  -l^-'H  V.go'i;";  "lO.  II,  -21  Agnj.;i"V  .  6»,  II,  ir,  Aaiiì.  '^ì  >>'nii./,(irii.c.;  (il.  1, 17 
ArAiVJi'-  li,  15-10  yXyoc;  (Vi,  1,  •."•2  nni>>>iO  twV»"  ^  ''-J'  '•  ■'  ffliriiV.'ì  n/.n^rt"; 
70,  1,  IH  tofrli  i  Jue  imnti  in  fin  di  rìgra;  75,  I,  ó  1.  ntnM%i- ;  76,  I,  10  metti  i 
duo  punti  d..].'    llll-l  o3  n.  l.  ajri,'.  It  2  ny,ù<'."'l  :  l" 


—  07  — 


RELAZIONE 

dei  Soci  Guidi,  relatore,  e  Teza,  presentata  al  Presideute  durante  le  ferie 
accademiche  del  1895,  sulla  Memoria  del  dott.  U.  Conti  Rossini  intito- 
lata: Il  «Gadla  Talda  Haijmanol^  secondo  la  redazione  loaldebbana. 


«  Una  classe  di  fonti  molto  importanti  per  la  storia  dell' Abissinia  sono  le  vite 
di  quei  santi  che  esercitarono  qualche  azione  sugli  avvenimenti  e  il  progresso  di  quel 
paese  :  né  ciò  deve  recar  meraviglia,  se  si  considera  l'indole  più  o  men  teocratica  del 
governo  e  la  potenza  del  clero.  Fra  questi  santi  il  più  famoso  forse  è  Takla  Haymanot, 
sulla  storia  del  quale  restano  ancora  molti  punti  oscuri  ed  incerti.  La  sua  vita  ci  è 
pervenuta  in  due  forme  o  redazioni  affatto  distinte:  l'una  di  Dabra  Libanos,  l'altra 
di  Waldebba.  La  prima  è  la  più  nota:  di  essa  si  conservano  parecchi  mss.  special- 
mente a  Londra  ;  fu  anche  conosciuta  dal  P.  d'Almeida,  che  se  ne  valse  nella  sua  storia, 
ed  ha  servito  di  fonte,  per  la  parte  maggiore,  alla  breve  narrazione  del  S  e  n  k  e  s  s  a  r. 
La  redazione  di  Waldel)ba  invece,  più  antica  ed  importante,  non  ci  è  conservata  che 
in  un  unico  ms.  della  Bibliothèque  Nationale  di  Parigi.  Il  Conti  Rossini  ha  prepa- 
rato l'edizione  di  questo  testo,  per  intero,  e  lo  ha  tradotto  quasi  tutto,  omettendo  cioè 
solo  quei  passi  che  poca  importanza  hanno  per  chi  non  intenda  il  testo  ge'ez,  come 
sarebbero  i  racconti  de'  miracoli    senza  speciale  importanza,  ecc. 

«  La  preparazione  critica  di  questo  testo,  che  è  in  lingua  assai  pura,  è  molto  buona, 
come  fedele  ed  esatta  ne  è  la  traduzione.  Nelle  note  il  Conti  Rossini  rende  anco  conto 
di  quei  luoghi  nei  quali  la  redazione  di  Dabra  Libànos  più  si  discosta  da  quella  di 
Waldebba;  in  queste  note  e  nell'introduzione  egli  dimostra  di  ben  conoscere  quanto 
si  può  riferire  al  soggetto  che  tratta. 

»  La  pubblicazione  del  lavoro  del  Conti  Rossini  è  desiderabile  per  il  progresso 
deo-li  studi  sulla  storia  e  la  letteratura  di  Abissinia,  ai  quali  studi  è  ben  giusto  che 
sia  portato  un  contributo  specialmente  dagl'Italiani. 

«  La  Commissione  è  perciò  di  parere  che  la  Vita  di  Takla  Haymanot  mdla  re- 
censione di  Waldebba,  e  per  la  sua  intrinseca  importanza  o  per  iì  modo  onde  ò  stata 
preparata,  possa  pubblicarsi  negli  Atti  Accademici  ». 


Classb  di  scienze  morali  ecc.  —  Mkmorik  -  Voi.  II,  Scr.  5',  parte  1*. 


IS 


—  98  — 


Il-Gadla  TaklaHaymanot"  secondo  la  redazione  waldebbana. 
Memoria  del  dott.  CONTI  ROSSINI  CARLO. 


Fra  i  santi  che  sortirono  i  natali  in  Etiopia  indubbiamente  Takla  Haymanot  è 
il  più  celebre,  sia  per  quanto  da  alcuni  vuoisi  facesse  a  prò  della  dinastia  salomonide, 
già  scacciata,  narrasi,  dagli  aviti  domini  (su  di  che,  peraltro,  non  posso  che  rinviare 
a  quanto  scrissi  altrove),  sia,  e  con  nia<,';j;ior  fondamento,  per  l'opera  sua  in  favore 
del  cristianesimo,  opera  che  gli  valse  il  nome  di   •  apostolo  novello  » . 

Numerosi  manoscritti  ne  contengono  la  vita: 

Bibl.  Nat.  Parigi:  ms.  et.  13C.  Del  secolo  XV  i  primi  f.  90.  1\  rt.  T.  II.  comprende  i  f.  1-44  r.  {') 
n        »        »       ms.  ar.  284.  Datato,  dell'anno  1307  dei  martiri  =    1590    d.  C.  F.  148.  Secondo 

il  titolo,  questa  vita  araba  fu  mandata  da  re  GalSwdcwos  (1.540-1559) 
a  Gabriele,  95°.  patriarca  d'Alessandria.  La  redazione  diiferisce  da 
quella  del  ms.  precedente  e  dogli  altri  etiopici  susseguenti.  Trattasi 
però  d'opera  composta  o  tradotta  dal  gtl3,  e  i  nomi  propri  vi  hanno 
subite  le  più  btranc  modificazinni  ('). 

Bibl.  Bodl.  d'Oxford  :  ms.  ar.  crist.  CV.  Datato,  del  1.310  dei  martiri  =  1593  d.  C.  F.  75  ('). 

Bibl.  Nat.  l'arigi  :  ms.  et.  137.    Secolo  XVIII.  F.  153,  di  cui  il  G.  T.  H.  occupa  i  f.  1-111.  Kedazione 

in  115  capitoli,  seguiti  dalla  enumerazione  dei  miracoli.  I  primi  ca- 
pitoli contengono  la  genealogia  d'I  santo  da  .Adamo  a  Zadoc,  e  da 
Zadoc  a  Takla  HiSymànot,  e  quella  dei  re  d'Etiopia;  alla  tìnc,  l'elenco 
degli  abati  e  degli  amministratori  di  Dabra  Libnnos.  Questa  redazione 
sembra  essere  una  perifrasi  della  araba,  con  numerose  aggiunte  (genea- 
logie, liste  reali,  miracoli,  ecc.),  e  par  clie  non  semi)re  il  testo  arabo 
sia  stato  ben  inteso  (*). 
.1  1  138.  Secolo  XIX.  F.  150.  Come  il  ms.  137.  Mancano  la  genealogia  d'.Xzaria, 
le  liste  reali  e  la  divisione  in  capitoli.  La  vita  propriamente  detta 
è  jircceduta  da  una  oniilia  e  da  un'inlroduzione:  altra  omilia,  da  leg- 
gersi il  12  di  genbot  (festa  della  traslazione  delle  ossa  del  santo), 
e  un'altra  sulla  sua  nascita,  sono  inserite  fra  la  vita  e  i  miracoli  (^). 


(')  Zotenberg,  Cataìoijue  da  m»s.  éthiopiena  de  la  Bibl.  Nat.,  p.  205. 

(»)  Zotenborg,  op.  cit.,  ,  p.  200  ;  Slane,  Cataloi/ue   des  mss.  araba  de  la  Ili/il.  Xat-,  n.  284. 
(')  Uri,  Bibliothccac  Bodleianae  codicum  manuscriptorum  oricntalium  catalogus,  pars  I,  p.  46; 
codd.  ar.  crist.,  n.  CV. 

{*)  Zotcnberg,  op.  cit.,  p.  204. 
(')  Zotcnberg,  op.  cit.,  p.  206. 


—   !)9   — 

British  Muscum:  ms.  adii.  16.  2.')7.    Secolo    XIX.  F.  1-118,  vita  di  T.  H.  ;  118-119,  sua  gcncalngia; 

11!)-I27,  (rasluziune  del  corpo;  127-101,  miracoli  ('). 
"  ms.  orìeiit.  G9G.    Del  tempo  di    re    Takla  Hliymanot  (1769-1777).    F.  42/i,  vifa  di 

T.  II.  ;  f.  i;!2rt!,  discorso  sulla  traslazione;  M2a- M9,  miracoli  («j. 

"  "  "  "     721.    rriiiii    parte    del    secolo    XVIII.    F.    0«,    vita   di  T.  H.  ;  f.  184a, 

discorso  sulla  traslazione;  203a,  miracoli  in  numero  di  16;209a-212, 
invocazione  ed  inno  ('). 

"  "  n  „     722.    Secolo    XVIII.     F.    4a,    vita  di    T.    H.  ;  108A,  discorso  sulla  tras- 

lazione; 117/y-127(2,  miracoli  in  numero  di  16  (^). 

n  »  »  n     723.  Sec"loX\III.  F.  9«,  vita  di  T.  H.;  167a,  discorso  sulla  traslazione; 

179fl,  miracoli  in  numero  di  44,  con  discorso  introduttivo;  227i-279i, 
altri  due  miracoli  scritti  da  differenti  mani  (^). 

"  •>  "  "     724.  Secolo  XVIII.    F.  5a,  vita  di    T.   H.  ;  f.   174Ì-190,  miracoli  in   nu- 

mero di  16,  con  discorso  introduttivo  {'). 

»  n  »  »     725.  Secolo    XVIII.    Di    varie    mani.    F.  3a,  vita  di  T.  H.;    155Ì-157, 

genealogia  da  Adamo  ('). 

»  "  »  it     726.  Secolo  XVIII.    F.  5a,    vita  di  T.  H.  ;    102a,    discorso    sulla    tras- 

lazione; 109i,  miracoli  con  introduzione;  133Ì-135,  invocazione,  come 
nel  ms.  orient.  721,  f.  209a  (•*). 

n  n  »  »     727.  Secolo    XVIII.   F.  2a,   vita   di  T.  H.;    155  3,    discorso   sulla  tras- 

lazione; IdSb,    miracoli    in  numero  di  18;  1845,  invocazione  (^). 

"  n  >,  n     728.  Del    tempo    di    lyasu    II     (1730-1755).    F.    3a,  vita    di    T.   H.; 

f.  134a-149A,  miracoli  in  numero  di  20  (>"). 
Coli.  d'Abbadie,  »  40.    Vita  di  T.  H.,  pagine  12;  miracoli  in  numero  di  17,  pagine  14  ("). 

Vanno  altresì  rammentati: 

British  Museum,  ms.  9801.  /littoria  da  Ethiopia,  ecc.  del  padre  Manoel  d'Almeida,  comprendente 

un  largo  riassunto  del  G.  T.  H. 

e  infine  l'articolo,  che  al  santo  dedica  il  sinassario  ('-). 

È  facile  vedere    come   questi   manoscritti    possano    raggrupparsi    in  poche    cate- 
gorie.   Identico   dev'essere    il    contenuto    dei    ms.    arabi.    Così    pure    due  di   quelli 
etiopici  di  Parigi  e  quelli  di  Londra  sembrano  appartenere  alla  stessa  redazione,  che 


(')  Dillmann,  Catalogus  codd.  mss.  orientalium,  qui  in  Museo  Britannico  asservantur  : -p^xs  III, 
codd.  aethinp.,  p.  49. 

(^)  Wright,  Cataloijue  of  the  ethiopic  mss.  in  the  British  Museum,  p.  182. 

(3)  VS'right,  op.  cit,  p.  194. 

(■»)  Wright,  op.  cit.,  p.  194-195. 

(5)  Wright,  op.  cit.,  p.  195. 

(«)  Wright,  op.  cit,  p.  195. 

C)  Wright,  op.  cit.,  p.  195. 

(8)  Wright,  op.  cit.,  p.  196. 

(»)  Wright,  op.  cit.,  p.  196. 

(Il)  Wright,  op.  cit.,  p.  196. 

(")  Cat.  rais,  de  mss.  élh.  di  A.  d'Abbadie,  p.  48. 

(")  Dillmann,  Chr.  aeth.,  p.  36;  Sapeto,  Viaggio  e  missione  cattolica  fra  i  Mensa,  i  Bogos  e 
gli  Uabab,  p.  429.  Degni  altresì  di  menziono  sono  i  numerosi  inni  a  Takla  HitymSnot  dedicati  :  il  più 
difFu.so  fra  di  essi  è  quello  elio  incomincia  lÌAgn  :  AO'tIÌ-l-'n  :  (DAA.V.'Vtl  :  XvnYlf.JLu  :  probaliil- 
mente  composto  da  Yohannes,  supcriore  di  Dahra  Lihanos,  morto  cnii  re  (ìalàwdéwos  mila  batta- 
glia vinta  da  Nur,  re  d'Adal,  il  23  marzo  1559  (Basset  Études,  p.  21-22;  W.  E.  Conzelman,  Chro- 
nique  de  Galdwdéwos,  p.  54  e  105). 


—   100  — 

ritengo  identica,  o  molto  simile  a  quella  del  ms.  tradotto  e  compendiato  dal  P.  d'Almeida, 
e  che  accenni  a  Dabra  Libanos  fanno  erodere  scritta  in  quel  convento.  Il  ms.  130 
Bibl.  Nat.  Parigi  prosenta  invece  una  redazione  sua  propria. 

Appunto  questo  ms.,  che,  come  vedemmo,  è  il  più  antico  di  tutti,  e  che  assai 
facilmente  presenta  la  redazione  primitiva,  mi  ha  fornito  il  testo  che  poco  oltre  imbltlico. 

La  data  di  questa  vita  non  può  essere  anteriore  al  regno  di  Yesl.iaq  (11 1-1- 1429), 
parlando  essa  di  questo  sovrano,  né  posteriore  ai  primi  tempi  dol  sec.  XVI,  essendo 
stato  distrutto,  con  spaventevoli  eccidi,  da  Alimad  ben  Ibrahim  nel  giorno  18  gen- 
naio 1530  il  convento  ov'essa  assai  probabilmente  fu  scritta  (').  Inoltre  non  è 
senza  importanza  osservare  come,  mentre  in  tale  vita  si  parla  della  traslazione 
delle  ossa  di  Takla  Haymanot  avvenuta  a'  tempi  di  Sayfa  Arad,  e  degli  onori 
resi  al  santo  da  re  Yesliaq,  non  vi  si  faccia  invece  alcun  accenno  dell'altra 
traslazione  che  dal  ms.  add.  10.  257  Hritish  Mus.  sappiamo  fatta  ai  tempi  di  re 
Nfi'od  (lt!t4-31  luglio  1508).  Certo,  quando  conosceremo  con  maggior  esattezza  il 
tempo  in  cui  visse  la  b  ii  n  a  Takla  lyasus,  per  cui  volere  fu  scritto  il  codice  di  cui 
disponiamo,  potremo  meglio  precisarne  l'epoca  della  composiziono.  Ma  sin  d'ora  pos- 
siamo con  ogni  verisimiglianza  ritenere  che  il  ms.  130,  se  pur  non  è  autografo,  non  debba 
essere  di  molto  posteriore  alla  composizione  del  g  a  d  1.  Esso  è  sicuramente  del  sec.  XV, 
anzi,  per  quanto,  trattandosi  di  caratteri  onciali,  avanzare  ipotesi  troppo  partico- 
lareggiate non  sia  prudente,  direi  non  dogli  ultimi  tempi  di  quel  secolo.  Questo  di- 
mostrano le  forme  delle  parti  rotonde  nel  tn>,  nel  d,  nel  R,  nel  ^,  nel  f ,  nel  ip; 
il  modo  d'unirsi  dell'asta  indicante  l'assenza  di  vocale  nel  jp*  e  nel  f>>^  e 
dell'asta  denotante  la  vocale  o  nel  JP;  la  curva  dell'asta  sinistra  noi  |/;  la  forma 
quasi  rettangolare  del  fl;  quella  pressoché  triangolare  del  cerchietto  indicante  la  vocale 
in  -f^  e  ^;  l'assenza  costante  d'un  tratto  d'unione  fra  la  vocale  e  la  consonante  in  A", 
assenza  che  il  Wright  (-')  all'erma  non  aver  mai  notato  in  manoscritti  posteriori  al  secolo 
XV;  e,  in6ne,  la  presenza  di  frequenti  fregi  marginali,  presi,  come  è  noto,  dal  copto  (^). 
Non  è,  secondo  me,  improbabile  che  la  composizione  di  questa  vita  debba  ascri- 
versi a  quel  periodo  di  rapido  sviluppo  e  di  floridezza  che  la  letteratura  etiopica  ebbe 
ai  tempi  di  Zar'a  Yà'qob. 

Dello  scrittore  di  questa  vita  nulla  possiam  dire.  La  forma  d'alcuni  vocaboli, 
quali  -["^à-f.  :,  fì'-)f.  s,  ecc.,  lo  dimostra  nativo  del  Tigre:  assai  verisimilmente  egli 
fu  un  monaco  dell'ordine  di  Samu'èl  di  Gadama  AValdcbbri,  al  pari  di  Takla  Syon, 
cui  devesi  il  ms.  130,  e  dell'ai)  una  Takla  lyasus.  A  questa  origine  waldebbana  sembra 
accennare  anche  un  passo  (f.  11  v.).  ove  si  parla  dei  conventi,  che,  fondati  da 
Takla  Hfiymanot  nel  Tigray,  innalzano  sacrificio  razionabile  all'Agnello  del  Si- 
gnore, passo  cui  è  da  contrapporsi  il  silenzio  costantemente  serbato  intorno  a  Dabra 
Libfinos.  Lo  stile  è  semplice,  bello;  la  lingua  è  pura  o  scevra  di  dialettismi.  Anche 
la  grafia  è  abbastanza  corretta  :  di  raro  soltanto  avvengono  scambi  fra  le  aspirate,  più 


(')  Bassct,  Études,  p.  14;  Ncrazzini,  La  conquista  musfulmana  dell'Etiopia,  Roma,  1891,  p.  156. 
(•)  Wright,  op  cit.,  p.  X. 

(')  V.  Krics,   ll'eilddsé  Mdryiiin,  Leipzig,  1892,  p.  20  e  nota;  V.  JL  Estcves  Pereira,  Vida  do 
Abba  Samuel,  Lisboa,  1804,  p.  76  nota. 


—  lui  — 

raramente  fra  le  gutturali  :  pochissime  volte  in  luogo  di  o  trovasi  •>  ,  il  che  invece 
cosLantemente  avviene  noi  manoscritti  moderni.  Tutto  ciò  meglio  si  vedrà  in  seguito, 
poiché  all'ortografìa  del  codice  io  mi  sono  sempre  attenuto  nella  stampa,  correggendo 
soltanto  quelle  lezioni  che  manifestamente  apparivano  erronee. 

Il  g  a  d  1  può  dividersi  in  due  parti:  la  prima,  in  cui  campeggiano  le  figure 
di  Motalame,  di  lyasus  Mo'a  e  di  Zamika'él,  si  estende  tino  alla  andata  dell'abuna 
in  Gerarya  ;  la  seconda,  assai  povera  d'interesse,  tratta  della  vita  di  lui  nel  deserto. 

Segue,  infine,  un'appendice,  non  senza  importanza,  relativa  ai  primi  successori  del 
santo  ed  alla  traslazione  delle  sue  ossa. 

Nel  comporre  questa  vita,  l'autore,  oltre  a  servirsi  di  varie  narrazioni  del 
N.  T.  e  di  altre  leggende  agiogi'afìche,  raccolse  le  tradizioni  allora  correnti  intorno  a 
Takla  Haymanot,  tradizioni  che,  ove  le  mie  ipotesi  intorno  al  tempo  in  cui  visse  quel 
santo  e  alla  data  della  composizione  delgadlsieno  conformi  alla  realtà,  dovrebbero 
avere  un  gran  fondo  di  vero.  Da  essa  rilevasi  che,  se  già  assai  dilfuso  era  allora  il 
cristianesimo,  perdurava  ancor  fortissima  l'idolatria,  specialmente  nel  Katata,  nel  Damot, 
e,  in  genere,  nelle  regioni  più  lontane,  ove  l'elemento  semitico  o  mancava  affatto 
0  era  in  fortissima  minoranza.  Ma  anche  nel  resto  d'Etiopia,  quando  se  ne  eccettui  la 
parte  nord-est,  ove  sorgono  Aksum  e  'Adwa,  e  dove  ancora  in  que'  tempi  era  il  focolare 
della  civiltà  abissina,  il  cristianesimo  e  gli  istituti  della  chiesa  erano  mal  conosciuti  ; 
il  che  risulta  evidente  dall'episodio  di  lyasus  Mo'a.  L'averli  divulgati,  l'averli  fatti 
meglio  conoscere  è  gloria  di  Takla  Haymanot,  e  ciò  appunto  deve  averne  reso  sì  caro 
il  ricordo  agli  Etiopi.  —  Per  la  storia  politica,  abbiamo  l'episodio  di  Motalame,  il  più 
importante  di  tutto  il  ga  d  1,  dal  quale  si  rilevano  l'esistenza  e,  in  certo  modo,  l'estensione 
dello   stato  zaguè,  l'indipendenza  dello  Scioa,  ecc. 

Questa  la  redazione  waldebbana.  Quella  di  Dabra  Libanos  è  forse  più  singolare, 
benché  con  ogni  fondamento  si  possa  ritenerla  meno  antica:  nuovi  e  numerosi  personaggi, 
quali  l'ab'un  a  Beniamino,  l'abuna  Toh  anni,  abba  Basalota  Mika'él,  ecc.,  vi  appaiono. 
Non  direi  tuttavia  che  sia  più  importante  per  veridicità  del  racconto  :  troppo  spesso  l'au- 
tore sembra  aver  lasciato  soverchiamente  libero  il  corso  alla  fantasia,  il  che  lo  fa  cadere 
in  contradizioni  e  in  anacronismi.  Uno  studio  comparativo  fra  le  varie  redazioni  per 
rilevarne  i  reciproci  rapporti  sarebbe  interessantissimo  :  ma,  per  farlo,  mi  mancano  gli 
elementi  necessari.  Del  resto,  in  nota  alla  mia  traduzione  ho  riportato  in  sunto  il  racconto 
del  P.  d'Almeida  (')  e  l'articolo  del  sinassario  :  ciò  basterà  a  dare  un  concetto  dei  punti  di 
contatto  e  di  quelli  di  divergenza.  In  fondo,  moltissimi  episodi  dell'uno  trovansi  nell'al- 
tro, benché,  talvolta,  non  poco  alterati  (-):  il  che  denota  come  all'autore  di  una  reda- 
zione non  era  ignota  l'altra  redazione.  Il  sinassario,  poi,  segue  di  preferenza  la  redazione 
di  Dabra  Libanos,  ma  talvolta  se  ne  stacca  per  accostarsi  alla  waldebbana  :  in  alcuni 
punti  trovasi  altresì  qualche  piccola  cosa  di  nuovo.  Trattasi  d'invenzioni  del  compi- 
latore'?  oppure  di  cose  che  il  d'Almeida  trascurò  e  che  trovansi  nel  testo  etiopico? 

(')  Sarebbe,  per^,  vivamente  desiderabile  che  questo  compendio  venisse  tosto  pubblicato  inte- 
gralmente. 

(»)  P.  e.,  Motalame  diventa,  nella  redazione  di  Dabra  Libànos  e  nel  sinassario,  un  tiranno  sorto  nel 
Damot:  trasformazioni'  dovuta,  credo,  al  non  essere  jiarso  possibile  afrli  autori  di  quesili  scritti 
che  un  governatore  idolatra  e  sì  fiero  nemico  dei  cristiani  esistesse  nel  regno  dei  piissimi  ZìSgnè. 


—  1(12  — 

oppure  altrimenti,  per   esempio  nella    esistenza    d'una  terza  redazione,    se    ne  dove 
cercar  la  sjiio^aziono  ?  K  quanto  i  futuri  studi  non  mancheranno  di  dirci. 

Se  ho  potuto  intraprendere  que>to  lavoro,  lo  debbo  in  particolar  modo  al  sig. 
dott.J.  B.  Chabot,  il  quale  mi  fornì  una  eccellente  copia  del  Gadla  Takla  Hiiv- 
manot  contenuto  nel  ms.  et.  13tì  della  Hibliotèque  Nationale  di  Parigi.  Nel  con- 
durlo a  compimento,  ho,  come  sempre,  trovato  nel  prof.  I.  Guidi  il  più  benevolo  ed 
ampio  aiuto.  Il  sig.  F.  M.  Esteves  Pereira  mi  ha  comunicata  una  sua  copia  dell'  in- 
teressantissimo compendio,  fatto  nel  principio  del  secolo  XVII  dal  padre  M.  d'Almeida, 
della  redazione  di  Dabra  Libanos  del  Gadl  del  nostio  santo.  Li  prego  di  voler 
nuovamente  aggradire  i  miei  maggiori  ringraziamenti. 


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'PCjPì-  •:  o»An  !  i:?it'-  :  A•ll^  =  ^-jh  •  i-    „e 
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—  105  — 

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F.  6,  r.  ;^;^  :  fl)*C?iP"  :  -M'"0  =  fiòA  '■  ^Hiì  ■  A°*  •  (on/MU  ■■  (09"0''M  ••  'V^A  :  ftn 

sic      ^-JH  :  ^-l'+a-r-  !  n^<l  !  +/.•<<.  •  iift  •  ffl  *h'|.-  :  eUA-  !  rtìM  •■  h'^.'ì  ■•■  V.  7,  r. 

ù  '  -vn  ••  M'"!  •  (o{ìh^"  '  h*^  •  j?,iije.  -1-  :  ht»'  ■  nJiR'Rji-  =  «»}irh«i.  •  hin  ■ 

{p K  tD■ì•"^u^  ■■  AÓA.O- «  fflirtr^ ••  Mìi  ■•  .ej-n-n  =  fl'ì-fl.A-  =  9"^lv ii •  Hfl>-fti'  ' 

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f.(D  '.uDtiMù  •■  f-u  ■  fifl^-d^i-  •  ?in  rh<<.  i  rTiT-  •■  Ahi»"Aii.e  -  fl)'i"n.A-  ■■  eo 

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pA-A  =  hcA-f-A- fflv^A-f'o»-  :  vj -(Dh  y  ••  <?.Arh ■•  An- :  nAun  =  '/^-tt-ì-  «  © 

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«wAJl-Th  •  "'ÌM'P.I'  ■  n V7.V  '  /»'Art.  •  Hh»»  .■  ^.fi,A  :  hn->  ::  fOAn.'/  :  hHH  : 

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^^-t  :  un:  :  (D+'J-A  •  •nih:''V  ■•  n?i^.  ■•  a-  •  (ihvi-  ■■  h^a-imi^c  •  i»'^Ah-i-  : 

AX."»  '  CD^fflfl)  :  ììàa  •■  (0'>.*ì.{ìi.  •■  t^l  •■  fl)^.n.A"  :  hO-J  :  KA«»  :  Ch'A"}  •  h^ 

Tì\(k.\voo'  :  flih'r-nd  :  AX'/j/-  ••  Ai'"(i  «  a1tJ:Ii  «  ©rt'^./'  ••  'P-i-A"?.  •  iih'^  ' 

fljnx.^h  '  i'".^v:  •  'ì'P-ì-  !  hn-'/  ■■  -Mda  =  ^.x-Ka  ••  ?»'^a>ì'/;iì-  =  hmi  ■  n«»"jv  : 

yj^^^T-l- •  ^.hn  •■  fi '«'ho'jv •■  y?f: :  r»  ^Ar.?'  -  tnJuin  •■  vzt:?' -•  hìk"* : ^i 

l-V  '  VI/.  :  ■/J?.Tr-ì-  :  fflOh  :  n\b"0  :  hì"  •.'.    WA-    :    OhM-'l,   •  MM    ■  JP'/'X"       ne 

(")  Ms.  (D-TA'J'tnJ-. 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Mbmorik  —  Vul.  II,  Sor.  5",  parte  1".  Il 


—  lofi  — 

>>?'  '  mòn  '  nxMi  :  ■'in.ih  =  iròP  -•  irtfi,-i- .  òif. >  Ahn-> ••:  fl»>iA  ••  u/\m. * 

d.?:'i'F,  '  aìhìiìi  •  'r-ì'f\"'i.  :  f-f.^.'p  uf  '  hA/ii.  '  «>,('.n.A-  ••  ^.An  ••  hrf\h  « 

O^'  •  AhA/fir^n-  :  ah{\\-  '  A  +fc-  »  fl»  »>i^nA  :  ì\9"f\\\  •    \n\'.  :  ^^  f.ft  •  Oi'ihx 

y,fl>•^(:J»•<n»•  >  a»-ft  1- •  owj- ••  xeiv- ••  ri  Y/.  ••  h'f"i ••  ni-  -•  athww  ••  '^'^\'^"% •  f. 

l'.-flAJ»»  :  /M'/nW:  ^/i-C  ::  fllfllrt.f.-JPim-  i  «)«Ì-A}"<^-  :  A>lA  ■■  hf^l'  «  fO+'/'A?' 

Vi  ,h/.-  «  (DflllCJPffn.  s  IDIlA'XIA  '  i'-n  <n>-  :  fllAinl-rt  :  ^fl'V  :    IhA  »  'l^.^^ìt 

ii>i'>nA  ••  y.?il"fn.  !  ji/c.  ••••  mOiP-  !  ji  r/n  :  y.nnc  •■  ffl^.n.AP  «  «r^^i-ì-  •  hiì 

F.  8,  r     }P*rtO.  s  F,'^;  ::  fl)^|;|/  :  «J^,.  :   I    (D  e  •  Ò  ì'  ■  ^r1l*V  '  "Jlìfl»-?!  :  >i^'l'  :  ^JP.'O»  '  fl>    F.  9,  r. 

<J-V.  »  T'fìii.V'a^-  :  tDfl)f..e,JPtfo-  :  A  -i;  :  j  :  .-J./^.  .  ^  p,,,  ;  (nA>i<n>  :  «/"JiV»»-  :  "> 

fiV9"  •■  Cm-tt  '•  oìancpao-  ■■  affli'  •  rt-n^  ••  *7<i-l"  •  hTVf-  :  n'^?ihA  «  M 

}^.e."r.  :  aì(n>fya^(n>-  .•  «wAhh  :  ^«7||.^  -1-  ::  m^nvrt  :  ^.}^.A.  :  'rfìh  ••  ^lA,^l^  » 

^v/D  :  'r'i-A"'i  ■•  fl^c^p■  ••  i'9"o  !  f\óf{  ••  r»An.*/  :  o'/;n  :  i?  ■■  nft'/n  !  r'fi-tì  •■  4* 

^n>  «  Mia  :  y^.'^T'i-  •  m^»»  '  y.y.  sn  :  >i/ì ••  TiIìi  ■■  ^.-pa :  y.-i-yiix  -.  >, 

f- '  rh-nA '  (O'ht- :  y)«ìs. ■•  a>y.fi')'i\?*  :  ^n.^fl^fuC  •■  aiy.wlah  »  ni?  «  H?i^n    *"^ 


fìM  •■  i/rtWifl  ••  rh-flA  :  /'/«Vh  =  at'P'ì'  :•• 

rti^i/ii  •  Ti'^'"/.  :  y-hrìi:?*  •■  Ahn-j  -• 


<f„i/'<^-  ••  Art*^»^/'-'!-  :  M'^  •  hn  :  111 


A»  '  Ti'  ■■  {\hi\9*  ■■  A^n->  :  h^/n  ••  JPrli  A  ••  '/.f.'^'r-l-  •  H'/n/.  :  fì'T^^hA  :  >iOl'  : 

Aìi.P  •  rnf.(LA-  •  ?.m  .-  >Mr"}  :•.  fli^.n.  ni'^Y.  •  y.'r.l'  •  (ambh  .-  ?,'}h  •  ^An  •• 

V  «  fl'/f.X.T'  ••  XA-f-  ••  ^•'Hl  !  n?.?„i>-  ■■  r/i  "7.  :  ^iy">  :  '/'rtA  ••  rt/i.'Z!J:  «  a>hmì  '■  f. 

^.n.A- •  (lA'^  :  A?!"/»» ••  ;,.t'A-A  ••  \ì  iirv- :  j,-}» .•  ^.nA- ••  rh. •  t^A^A-l-  « 

CA-f  A  '  •l*'}/">i  "  m-ì'VLh  '•  (O-'h-V.  •■  mlTh-  •  "l/.-l'  ■•■  my.ilfi"  ••  '/"•/•A'7.  = 


M'tì  •  atth'iT,  •  iL'f-  •  hc/J';:.ev  •  fiih 

Ti-  ••  n<w(|H  :  1'9"tìC'U  '  Xrt-I:  •  flin 

flJh'JH  :  «A-  ■•  in*  •  ^in-v  :  n»» 

•PdA  '  hKV9°  ■  mfir'  ■■  H^nAìP  •  Il 

n •  «<.i-}  ■•  (foR'h  •  '>n.D-  ■  hiìiM • 

F  lO,r.  -I:  :  ^^.A-  =  rt^J^-  f  ^n.A-  ■  rtAi^  '  A* 

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fto»  :  ,h^,rt  •  flh*^  •  rt'w^hjp  :  A^n 
cy?"  !  oche  «  fl)?i<{.fif  h  •  ^n  =  ni!-:^ 

K'v./^'eh  s  nh-ì'h  •  i\r^  •■  n'n»'}'7/^'-> 

"h^  •■  toiì-nìì  :  A-o»-  •■  (\{ì9"f  •■  fflh'/  • 
(DÌ'd  •  hìlA-  !  ì»"ftA.h  •"  fl»J2.n.A-  ■•  *S. 

ft  ••  y^hiììM  ■■  Vh"}  '  9"tìM  ■  nv^A•  j 

h^ii.Jii  ••  fflj2.n.A-  •  rtA^e  :  f  «A-  •  r 
tìMx  •••■  fljjn  •^  !  -flVLA"  ■•  (JC7  ••  Jiiii,?!  5 

flft'flfli'Th  H 

<Drh<:  :  in*  :  *?.ft  •  9".^^  ■  A. 

•P  s  fl»hX'^/'o»-  ■•  nìl'''UC'fi  :  Art-flh  s 

cDVrth  ■  ir*/*"?»  :  oi+'lA  •  hjiA.  •  ai 


—  107  — 

ffl^T    hK'w'r*!»-  :  Art-n^i  ■■  un:  ••  (\t\tP>-  •■  A>. 

"ÌW.h'ì  "  aì,Uà  :  hrUP  :  fl)n?.\/l  :  '/' 

o»-  !  'hfim  ■•  OU*PÒti  ■  hlìl  •■  ?-l-ttC  •  •'i 
?.AI"  :  'Mìr-'i  "  (Dh9"'ìi  •  -ìaof.iw  •  (1 

OD.  :  XA-'t  !  (OnA.;ih  :  -Ì^A  :  i\'tt\V[i  • 

euA-  ■■  mA.!  •  h."%i  ••■ 

flj/hAe  ••  ììóa  •  htf»  •  ^-'j"/h  ■■  he 

th-ì-  •-  riìi-iì^  :  (D,h/.  :  ìr'*J^<:  :  h['>]    FI  Ir. 

<:  '  *'S.ft  =  ^ftni.4-Tft  '  A.+  '  ^>'*'7 

hnv •  ^f ft-ft :  Th •  (Dì-tnc •  nM 

-f-  •  9"'}V^ft'i■  ■  ffl^JlA-  !  "Jnc  '  ^fl»A 

ft  •  fh  •  hAOrt  :  ryiitìfi '  mad ■ 

Kfthti  •  r>t  ■•  <cArt  •  i^j^v.  ••  i-i^. 
jK,  ::  conx/h  ••  hdn  •  ^-m.  •■  ^t*  •  An 
d-M-  hdP'^ ■  toi^h ■•  nue :  *n 

0  :  (DhiìSh'n  '•  M^^ad  •  >i'P  «  fflfli'" 
*PA'i-  •  vort.  :  Amo-  •  fflK/lh  :  MIL  ' 

J?.rtr/Df,  :  nA<w  !  \\,Ì\lì'  ••  "hh'io  •■  bV  '  fi 

n-ir*»»-  :  A'/«"P>i,e'>  •■  «"Vi'^-ì*  '  ?iA  •■  h 

Ar/Dp.  :  A«ro  :  niJ^'A^  :  AAi/lf-^A'  "  n 


—  108  — 
òiì'ình  •■  }xfììì  ■■  n.liC  "  oììxtììì  ■■  hVf\     "'t'iLA-  :  M-i  ••   IVlA  !  7>'."7',"-ì-  ;  >i 

T  '  it>i:o'  ■■■  w^o-  «  rtV/h  =  Miv  !  M  •    ir.  •■  aVja  •-  M  >  fl»-v.n/ii  =  hiìi  ••  Mi- 
•1>|A  ••  yA'.''V',"ì-  ••  ^^^^)•'l.'l^  •  ^l'/'O/hC  ••     V  •  h'ìì'  ■■  >^M  ■••  «»MLA  •  ■  M  ■  K. 

'/•>jA ••  y^'.'^'rì- !  -i-flJAM  •■  ?ira.-i'  :    n > ho '  /ìia ••  y^."?'."!- •  ami»»- -•  h 

h-llC  :  cnmAy.  :  ^.•fc*  •  h(l-/:V  '  ?iA  •     H  ••  ^.Pfrrt  =  '/"^  =  -f-no  :  mariti.  "7  »  m 

lTi  :  rtiiv^.  «  »/fl»-?ii--  •■  -irinM'  :  i\x  A- :  nì/i.ì  V  "  fl'.iv.  ••  mnxMi  s  ^.e.- 

"ijtx  ■•  fli-nA-.e.  :••  KA  •l-  •  aìf]}\f\U  •■  y?:  /.  ••  aty.f^.'i'  «  t/jj.'/'uf  :  oy.aì  -.  fl»i 

"l'i  ::  ;t"}>  ::  flJJM"  :  IH'  ••  '/'/»"Pl>  :  UhP'ì'ì 

/n  ••  i'".f.v.  :  rt.*P  «  fli?,'}!/  :  \',/i<w(:  :  i;  a>-9"  :  fli^'.x.A.  :  flirt^.rt]')^  ••  r^n  ••  eh 

K' ••  (\?xi\\ ••  rhy.* •  '^n ••  ""'riH' •  hn-  V-  ho ••  XA •i- : fìinu ••  4* ^7i ••  Hh«»" » 

A,frt-ft !  'PVì :  atòn ■■  'IV.M- •  y.n.A"  ••      1  ,P.Afl»ì-  ••  A>^/.(."|-  ::  aìhV  •■  ru-l-.e.-j; 

MIV  !  Ai.f  (Vrt  ••  Th  ••  ^.fliA.P.f  ■  '/"}  A  ••  X*»»  •  ^.-nA  :  flie.  •  A.I-  ••  >iA.A.|-  ' 

ÌV  11  ••  ìiat-tìl'  ■  i:hh\\  :  tf'H-^i.n  •■  \ìfì  hy-ì:'i-  '■  hihat-i:  :  hni  ■■  -n^rt.  :••  a*ft 

y-ìì  :  ntxy.ì:  •  /.hnh  •  o'Viir  ••  h»"'  n-  ùrp ■■  /.ir  •  hn-v  •  h»"  •  Kyi^ 

Il  r.  VXi: «  Jk/" ! ^'/T.n/. ••  f,T ■  V/"h  «  m/'}'7.>.  :  >in'>  !  -J-hA  ■  vy.1T 

iiiiìòn •■  'ne: ■■  hJi"» ■  a)t\y •.  //"Viioi-  ■•  "i-  >  /i«/.  =  i;"*/  :  «xìro  :  nhvì- •■  /i -n 

ny'T.V.  '  ■l'I/.y.  •••■  iDy.l\.f["  >  M  =  /.,  ?irt.  ••  h'w>  :  i;  a-  •  ""n'Cy.  •■  ri)-J/j>,A-  ■•  id.  f. 

vù-tì  >  Th  >  liti'/,  •■  A//>.  ■■  M»"«ìA  :  Il  ii?i'>'i-  '  i-fK-  "•  fl'Vìc;  '  n?i'>'i'  !  ^n 

(*)  Co«ì  corretto  :  prima  tra  scritto  qunt; . 


—  109  — 

hn,h.C  •■  (DhVtm^  ••  MD-h-P  •■  (DooU  9"ll  •  (otìF-  ■■  o^ìì"')!  '  A^ifl'V  :  'ì'ìì^  ' 

(?  :  AT  K'ill»  ••  A,efrA  =  ììCM'tì  •  y^'^TÌ"  ■•  (D-tìl-  •  >iAd  •  Olì.^.  '■  at^tt 

xA-i:  •■  fuA-  =  ruM  ■■  hn-ì  ••  d  ■■  (o-ìì-i'  •  ^hi:  •■  ?Aò  ■■  fì^-r  •■  ©nx 

rh •  1  n : i-n^: » /^'t^J»"  =  mi^p ••  ai  hh^ •  iwa ^  =  hno- ■  nv^Tr-i- ' 

h'i •  j?.'nA- : hAn ■■  (DO : ?iA ' ^.nA- '  A^n-v •  h'w •■  uà» •- aoo,cf, ■■  *niìi ■•  f is,»- 

mao^ic •■■  fflAn."/ ■•  n<<.^ft  =  Kin.^-n  ?»*  =  tm^c?' ■  -nx-rh-f-  =  A+Sft  =  «d-y 

rh.c  i  i-'ì/^'h  ■•  r^-T  •  cM^'-^  -hìx  ^"ì-  'flhA.-f-  ■  T"?  "  fl>MH  :  ^n•v  '  fl» 

flJrt^A-  '  ■■  /*'^9°  •  ììO«  :  J&nJi  :  M-V  !  Oìììòn  ■•  (D{\P^  :  Z»"?.?"  :  fl>-ft+  > 

(D-ft'l-  •  n.*  s  fflO.'!-  '  if'M'  ■  A-A.-!-  =  ftnC  :  HliA"  :  Hin  :  H^A '^C^.  :  ?i9"C     «e. 

hllJ  ■  f-'i'^C ••  X\P.+  "  fl)/»'f-9"J'.  •  ^X  A-* •"  fflJ^.rtlS. •  ?iA  ••  Ue :  UAffl.  •  ©n 

i»"?i  :  >icr  -•  JIT-/*''»»  •"  oirthA-  !  h*"»  s  X.fh  •■  t^h^ll  ••  ^.1119"*?  •  oahmo»'  •'    «ic. 

X-tf»  !  nV^.'^S"'!'  :  hCA-f-A  ••••  <^-  =  fflóh-  ••  ^h^'.A'l-  ••  H^mi'V  ••  Jil»" 

tDhihi'  •■  ÓM'  ••  ^nc?*  •  tiha-'i  •  vi  ••  ai'V\'^9*f^'  •■  Mt^^  •■  Uàm. :  Uf  ••' 

h<w  '  «A-  :  tf^fìlA  ■•  l/.eA'lv''A9"  ■•  (D  tt)JP.'V<{.iro»"  =  (DùÌ\  •■  '\'""li  •  O^S-  '  H 

C)  Ms.   (Da)lì>SA«  .  —  C")  Ms.  (DooThlJIÌ. 


—    Ilo  — 


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■i-  ■■  aiìi.'/  ■■■•  y.i(\d)ì  ■■  }^i\i.h-fì,h.i:  ■ 

VX  :  A-<^-  ••  ILI-  ••  iicfi/.-yj ■•  nfl>->i'|j  » 

rt^  :  nft<n»-  :  A"7.Ji;i.A  ••  XA"|:  ••  flifl/. 

hi--  •  fWA-  •  rt\M  •■  h"!"}  ••■■ 

(D  6  •■  òhi  '•  }\'""Pòi\  ■■  l'P-tth'  ' 
.li-H-fl  '  iP'ti'ì'  ■■  ILI-  ••  hOìI'.n  ■••■  Uìp 
h ' M'i  ••  h«" >  y-fi'V'ì •'  aìyx-ììì :  i;a-  = 
A").».*!. ■  at'tìl-  •■  \y„o- ••  an/o^Ti  '  rt^. 

•lA-  ••  >»>»  =  y'ff'ìi)  ••  A-i-'  ••  tioy-'i  •■  ìì 
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X"V  "  aiAil>'J:rt  :  ^n>  :  IViA  !  '/y-n 

T-l-  >  ^AHI:  •  ì'iìaì'h  ••••  y.hao-  '  iOll 
1    ••  }^A-|:  :  l/'/'rtA  ••  'ì'.ivL  !  (>''/'/•  =  'ì' 


y.-tf»  ■•  AO-A  "  fl>£U->i'|:  :  7.11.  !  •/•:'"i'-      »"^ 

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ft  ::  <mn|:rt  :  MIV  •  ,h'l'<:.e  ■•  Ax^iM  a 
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Oi'ti  '  'JA9"  !  'l/h.A  "  '>X/h  :  ""A^h 
-ì-  •  Afl'ft  ••••  flMrl-r  ••  (ì'To'ìd.tì  ••  4'.'?. 

ft  ::  annì:ù  ••  Miv  •  '/JjA  •  vy-'^T'ì-  > 
òn  ■■  dA'y,  ■  y.M:  •  ^»ft•^.^•n^<^•  ■  a 

^-Arh-c  •■  h<^  :  A'.x'jo-  ••  i\'/y.'n*i-'ìr  » 

>  ••  Ahn-v  :  Xìoo  :  uti"  •■  rr'fb  •■  wh? 

A-  !  h\r  •  fl»(^n  »  nfi-Wi  •  n^.;''*'.  ••  hi 
ii,'>«n,/i.c  •  fl)/.»i'n?'<n.'  ••  Artfi?!  :  Ari  ^ ''  ^ 

t)  •■  (OtO\-i\l  :  >,^H  :  y.{\n>i-  •••  fflP^  !  u 
f  ••  flJVrt/-  :  5'V"'P/'[<n>-]  :  mtroiìCao- 1 
^fl^V  :  /*'Art.  :••  OJflld^i  :  >,'/' Uf  :  ^i-JlI  « 

r»,  •  i/Afli  :  rf\t\,0'  :  ytìH-}?*  •■  n 

fl'A'm  '  f  .hAV.  '  V'i-l'  '  fì9"0  » 

A?iA  :  y-tf^ci^?*  ■■  ""tì-i'i  •■  rycci'  ■  n 

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—  1 
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11  — 
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ììììiih  «  fl),p,n.A-<^  !  •ne-'J'e  =  htiìi- 

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fljiihn  ■•  n  V'j*  ■  (oinn-ì'  •  wv^i-*-- 

Tt  ::  flJ'^^A  •  CfTh^ì-  «  fljp.n.AìP  -• 
^C.Cl•?^-tl^  •"  «^Jnrt  •  U'TP-  ::  ©«^^rt  ' 
C,1i*-T-  ::  fl)^n.A"0»'  !  hn->  ■   '  A^*   Fl-'.'^ 
*  •  ^.-V^Tì-HV-  •■  nh'J'l-  !  ''?^rt  ■■  ht\tn>  •■ 

A^^'Ahi •■  h'/A. :  H'}ì+v^ :  J2.y-n>  M 
flihr'H !  xAp !  hn-v !  -ihA :  y^.'^s" 
'Ih ••  KìM  •■  j!.nA  !  h'7n.?ip •■  ^»^n.^ •■ 

hPhlì^  :  flJ^T-lP  !  >?/"->  ••••  Hrt'^dri  : 
RA-J^  :  hÒ^^iil  •  ìxOO  :  X9"A  :  fl)>ift 

i-.e-h  •■  K^wjhrt  :  ^.^"7  •  flJArl»iinh  • 

tìJ  e  :  'JJ?.J  ■•  A  T  :  fl»  e  ■V'^?-'i  •  jP^'P-n  •■ 
*s.Ah  «  MII.J:  :  «nv  ••  wiM'.  •■  ahi 
■ncìiìì ■  inì-«i'V,p. ■■  Ah  =  ^rt»" :  hiv  • 
hjTAhj  •••  mìx-^n  •  jf.-nA  ••  \ni'  ■■  rt9" 

0  ■•  /''A  '  h'^wAiVAi-  :  Chfr  "•  l/.P.-flA  ! 


(")  Ms.  <i.+.v;Vi.  —  {")  Ms.  ujry.-V. 


—  1 

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>iy"cM*  ••  i'"M'(\  ■■  )ìi\i:  ■■  Ki»  •■  ^x. 

Ohà  :  tìT  •■  Mìi'.Mtì  ■•••  aHÌ%U.V  ■•  /«»• 

th  :  ini:  ••  TOT  ■■  tìT  :  hl)'^  ••    iìì 

A  :  '/y."Vi''ì--  iithcy.Kit-i:  •  'i-<f./"/h.  = 

i^ftA.11-  :••  m>n/.  :  iJf  •  Wiìì  ■■  y.ìf,at''r  • 

/^ òM' ••  n+^,"y.-irt  :  rt-jn-i- •■  oìòm-  • 
?i/h..e.'  :  y.'yór  •■  ?i'/"v<:.  ••  Anto-  :  h 
ìd-  :  hr.ix'rf[  :  ly.r  •■■  mr^n  •  t:?ie  :  rt 

>»'>H  ••  f.'fiA  •  Ih  ■■  hri  ••  Tv^.{:e  :  at 

A?!'/"  ••  ^n^.J)  :  h-ìh-'/.U-r.  ■■  A(*A.h  :  ?l 

-flV  •  «n.P  ••  inìx'ì'lMì  •■  Ah  :  '/"AA  •• 

fl)A-p.}i  :■•  amiì'  :  òn  ■■  ù9"o  ■  hn-'i  •• 

F20,r.    ti,dAfU  :  TiTllCrì:  :  AJ^AA.  :  hft 
'/n  :  AOrt.  ••  '/"'>/f.A  :  '>-^.A  ••  fl)->»'|:  s'-  fl» 

hcfih.ofi  :  d.iio-  •■  flj,i'.n.Aj"  :  ;.^^  : 

"n-fi  ••  hfi^flu  •  hv.A  :••  ht\"^  ■  ììfi^mi 
rt  '  aiòìiiì ••  i/?i'/"Ayi> :  fl>-?,|:  :••  ;,.rt"7 

.enciJ  '  A.'/-  ••  <n.p.P'iv>,  !  y">ìv-  »  jp/^. 
r:iv/.  ::  }x''ìììM^'1*-ì:  =  9">i'/'v  =  A.iif. 
(lì-iv  :  r-ìi-i-  :  yy.'rìo'/,  ■■  •Af\}x'i\'fì  ■■ 


12  — 

'iy-'i  •■  Ky£.C.Vf,  '•  A-flP  •  h')tì  •■  PJ:  : 

Ji-'/n.^V  '  Ky(ì-t\  •■  tìCMtx  •■•  mat'hl: 

9.r  ■■  fflnxA-l"':  -nii'V  =  wi  =  ^.r^Vh  » 
}j'/n :  yfìì':'"i'iv ••  Am->,-i: :  r/"n»- ••»•(: 
'>  "  r">i'w; ••  iM"  •  m»>i.-  ••  ruA  ••  òr 
0  •  .''•A  ••  ?/^.'nA  :  ^.v+cp  ••  1/;.».  «  2 
ipr/D  s  n  I:  :  rt*}-!-  ••  y.fofctx  ••  -^iLh  ••  ii 
hrfì^  •■  (DdM  •  (O'hu  •■  Mì-y.  ••  0/^'  •  A 
x^p.•«^  ::  mn<ì>.;i-  :  ^/»x -^  ••  n7.n.y  •  x 

.f.v,h : "rvi- !  f.n. :  nh*/"  =  /"CJ-i- •• 

r/n>JiO  l-  :  hfll-^A'l^'J  ••  hlD'IÒ'}  :  VìA 

;i.  ••  i.u.  '  «>^(l•'/rt  •  iHifl  •  ìjt  !  .f.n. 

mi:  ••••  «»y'iì.A-  ••  h/.pii  •■  r'ii-  •■  -id. 
'ì'.p.-  •  at'tìi'iì-  ay-of  ••■■  my.(\,ti-' ••  ùy. 
f'ì'ì  ••  hiìi  ••  '/"ftv} •  h'i  ■•  •>*'.7J'.  :  h 

A  :  ìxl).!!  ••  rtJ,N<.  :  *m\WJi\V  '•  (ìMl    1  21  r 

r  ■•  -u-i'A'  •  vny.  =  (n-tìi-  -■  oic  •  n<ìi 

,/ri.>.  ••■•  (»htt-ifì  ■■  ^y,.tì  •■  Tx'iìi  ••  yhri:  • 
■iry-if-  '•  y-iifi"  •■  ìiùVi-  ••  ìhA  =  vn. 

n  :  ìi-l-ù.fìy.  '  m'j.ii».  ••  ^A  '■  ìiy'iy.'i:  •• 
i\'iV..yì-'  ■■  òoof'  •■  i/Afl»->  :  'ìi-ni:  •■•■  o» 
hvifì  ••  A,.l>iA  ••  ^'py.  •■  }\"i  ■■  v\r  '. 


{')    Ms.  n^•^  —  (»)  M-.  nfl/.y•^. 


—  113 


h'rfl^  •■  oì^n  :••  jrvi-f:  •■  hi  •■  ^v^A•  ■• 
91,'ì.n'/.  ■  m:),f\'i.  •■  ?ihA  •  fiìxa^-  ■  h. 
-Ivi.'M'J  •  nìn-ìih?  "  fliy.?.».!-.:  *"/  :  -j 
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•^n-fii'.  ■•  nii-v  "  mr.e.o.  =  n^vi»  =  am 

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at-'ì  ■•  .-Jvlih  :  ^R.h  :  (nh9,(D-i:  ■  Cft?! 
Vh  ■  htìfm  ■■  mó.n  •  hi  ••■  mMìì  •  y-t- 
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flii.  ••  rn-?il:  :  òtì-ù  •■  V.i'.A  :  m,e..nA  • 
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tn"PM  '•  t^Cn-  •■  hiw  ■  hVM'W  ••  nh^ 

-/•  :  l/h'V.P.'Ji'.:  TlftCP"  W/.\\{\9'00-  : 

AJ|A?i  :  h.liM-n  ••  M\ì  •■  .f-K^"",'/.  ••  Ì\\i- 

A- ••  riiif ••  ììhéM: •■•■  (oMìì •  h'itu: :  ^ ' 
'IV."/./lhP :  TtìA •  «>•  A-.e.f  ••  '"•>'. -^ ••  Il 
h/.;**R  :  A.e."fl»-f  •■■  o»An  ••  c^.h?»  ■•  '!• 
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r  :  fl)>f  .e.lfi-  :  hTD?  ••  hlìi  ••  haììt: 
4* •■  mhlyih ■•  hncn ■  fl>-?i'|:  :  H^. 
rt"7.-  M"  •■••  inhttW  »  n'e>.  •■  (fl-txV  •  '^ 

'lAne :  mir'h'K ••  o^iiw.i •■  fl»n.lf >.  •• 

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^^"/.  :  '"ÌXÌ/.h  ■■  Ì\"lÒÌ'i\  •■  ""A  +  A  :  »f 
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'\'^:\v  :  ;,.*'.•}••;/' ••  A""V  =  A""  =  yjCAf- 
A  :  mn'/.H.y  !  -F-hAm  :  A-rif  ••  *h'w»  s  1 
"7^.  :  <«»/.«»>.  !  \\0-:H\,  •■  h?..n-  •■  mh 
}>:ìfìfw  :  'Vp.A  •  h'r'ì''H'{ì"  ■  iih/.:i 

'lì  •■•■  (nh'ìfì  •■  hihlD-C  '•  hao  ••  h/.h-n  •• 

fliTi-ji-rt  :  hn-v  :  4» «;.A  ••  ^n  : '!• 

hA  :  '/.e.'"/'i"->  :  '|-<f./"V/i  ••  i\"'lF  •■  A 

.liJ"-f-  ••  AAt'."!"»  ••  mAri/i»  =  A^-Jii.^n 
(U,V.  ■••■  aì^at-fof-  :  àhC^iKii-  ■■  ffl>i(" 

-}  :  rtiHh''»  :  fiTiì  ■•  h'ui  ••  ji'.A/ii.  ••  n 


■i3.r 


C)  Ms.  IJÌ.IÌ    —  ("")  Ms.  lV>uu.  . 
Classb  di  sciente  morali  ecc.  —  Memorik  —  Voi.  n,  Ser.  5^  parte  1*. 


15 


—    114  — 

?i*vii7»fij..t:  ■■  "hiM  ■•  .t'.-nA-  ••  y.-i-iw.  )ns'i--  y.r.'/-  «•imi.aì''  •  f*t\-,h/,'i-  -. 

vv  =  M'hy.  ■■  ocv  :  A-|:  ••  tìiì.u'i-  ■■  t\'i  i.urr  ìx.yh<"i:;:  \\\^•,^^{ìM  •■•  m 

A""  ••  'JA*;"  ••  h"'l.')  •••■  t'Il.A  •«"    :  MI'/  ••  -no"/'/.'  :  H\d.  ••   tio-i 

mhry.'^/.w  ••  vn/.  =  ^n•>  :  rh  'iw.'v  ■■  hry^h'V  •■  iiv  ■■  'id-v  ••  i»h'r 

A  ■■  <i)-A- >;•  :  n>t'r  :  «xu^a-ì-  =  ?.'>u  =  j'.>»'I'  =  vii^j-  ••  ««ah  :  vm'  •■  'ì"'rt  =  >i 

yA"{"iy-  ■■  i\ì\'rf\\v  •■  «'Av/'cì^.  •■  y.  ••ìwMhu.v.  ■■  \\""  ■■  iwi-h  ■■  An  :•■  h» 

//>'/,•?».  :  my.fìhlV ■■  ;'\lrl-  ■•  >i1^«'-  •■  (o  I'"»-  ■•  A^A  ••  M"'Ah'V  ■  y.'iy:''l'P  ■    "t 

ji'/.'O"-  ••  iH"^  ••  ^.  "><>"».  =  M"}w.'i'.  ilo-  •■■•  tiìtìi.ìi.v  •■  ì\'iu  ■■  yìnn  ■■  «"ii 

y^ì<n.  :  ìri  :  Miv  •  vn.i»  ••  aoa  :  ^  imi  :  "'h'  ■■  n'ihrr.i'  ■.  '/"^'/'A  ••  •)••;. 

(l'V  :  M  •■    lilA  ••  '/^."Vrl-  :  «'JP'/'fK-  :  rt  ■•  "h'ììl  •■   A'.-nA  ••  tìtì""  ■■   tvtì   ■■   ("<»A 

"iti •  ?i7rij*- •"  <" I: ^fl"»  '>i-- ••  Kvrcì-  ••  y- ■•  <»'"•'> <<.ri ••  «)•  «jn  =  fl»hi;i/ •  pti'"'?' 

r»?»'>i/  :  y.i\/\iì-  ■■  A  A  hruyi"'-  ■■  y-'i.  '''  =  "'<^n  •■  h'r'/"')"P  ••  -j-c  ?»?  ••  why-  i- 2  ""• 

^.A?»  •  e  a>^.v/"?»  =  MI'/  =  M"hUr  (»y  ■  i\M"fì(\  ■  ind.n  ••  "hin  ■■  y.iiòy:  « 

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hf:>;Ai,u-  :  .evVK-  =  o'^ikaj"  =  hn  j  ->  -/•  =  \n:Mt\  ■■■  "»('.n.A" ••  Ahri-v  =  idì-  ■- 

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,10    :     ^-HICI-  ••     VlCA-fA  :     <"?l'«'rt    :  (1  ••  "7^-  :  «l'ìfl   :   0{\"  ■    Òy.in-  :  «lAll   : 

iiV-  :  ^i-ZnC/-  =   "imM-  •■  'ìM  ■■  'i^-.il  CJOì'V  ■■  A<"Aìll  ■■  ?!->»  :  •1'J'.P.-,1,  :  "7 

\ra^-  :  rii'WIi^.f.-  :  M"fì'-l.i) :  y.'ryt^'-  :•■  K'  ■■  r»All.'/  ••  h-YU)ì'V  •■  ?»->«  ■  y.'f"tìA 

ouni- •■  I Ad |- rt'/v>- :  ^(;>;;i.f»- :  ^-jii  >.  =  u?irt.A'»'  ••  f\òf\.'/  ■•■  «»An  ••  (»-;'nJi  •■ 

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o't]/.hU  '■  vnf{-  •■  rfìM  •■  h"'i.i  ••••  A  :  Vì-ir/. ••  'ìi'.a  =  a*"-  =  «»A.At'>. ••  wr 

<»jiAn  :  n/i-  ?iy">-  "^'vi>/\-yn:  vi  •■  w>m{\in',  •.  \ym  -.  ^'/'a  ••  aHvm 

?' =Ah(i"/  •  ^J:>;^.^^  ••  h'/"  •v.wp'r  •■  nni-  •  ««von-  =  iio-y.  ■■  nh'f  ■■  ■iv.M' 

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ì'  :  'in-/.  ••  f.fl)T.<-  :  (D^hlun.  ■••  mtt'n 
>i.P.>.  :  hì\P  ■■  -lV.Arn  :  -F"n<Vì-  ••  (Ohi 

iì'i- ■■  'tnv.  •  y./.T-'ìt  •  nfl>-fti'  ••  "vvn 
e:  :••  «jJidn  ••  Ha'}/. ->  :  .p.rtyiii-  •  h^/»  ' 


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—   116  — 

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'T>  :    ll'il'.A  :   5^A-|-  :   All'>l--  =    Ml'V  '  -f"°  =  n/.»!»'  '  J^A-fo»-  :    l'-dJ^JiV  =  ^ 

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'f"U.fì  •■  «i'fA  :  yv-  ■■    U.d.  ■■  inTI.fi\.  '  ?r|:>,  •  >i  >^  :  ""'/l'A  ••  hi"»  =  'ÌH  :  h/. 

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Id.    V. 


—  117  — 
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F.3o,r.  *^c^lJP^^  •■  ffl^.  wJi'h  •  '«''iiA  ••  C\h 

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'/n.n  :  flJ?ihfl>-^  :  K^ao-ao  ::  toh"}»  :  ^ 

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IJ.    V. 


C9*  ■  A>l*fl->  •  ^n  :  -IhA  !  ■/^.'^T->  :    F  31,r. 

fl'JP.n.A»'"'-  •  ^'rX'^iì^  :  1/f  ••  -IILf  ••  K 


11.51  :  A.J&nXM.    WLii-   h^/»  : hj!!:af     i/aì-    m^n».  =  hO •  -IhA : ■/Ji'.'^S"!' ' 


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—   118 


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li.        .|.  :   .;•"}./.  :   •rìlt-tì','  •  htì""   •■    lìTxfì.  •• 

m-i:  ■■  hìi'  ■■  -iViA  •■  ì'/"'v,"  :  A'JA 

1»"  :  atf\'"ìòl-n  ■■  OH'.')'  ••  IM'A"  ••  Ot'tìf  ■■ 

yi«ì.f.ll  "    ì-J.f.VV-  :    ^Arirt  :    yiilV.  :  }| 

//n   :    1-'\lìM'.  •■   hi^l'A'l-   •■   11*^""}^)*  : 

I.i.   r      ^V>I  :  f\U'r  •■■■  Oìy.l\,{\"  ■■   Ml.A  :  li     J/'  • 

\{-(\"   ■■   A/ll.C  :   l'./..f. -^i-.  ■•  J^A-ìll   :••   fl» 

rt'"/./'  :  \vi"  ■■  i*".T'  =  V'K-  =  .''.''"I"  = 
.f.'HIC  •  rt\^  ■■  h>ai'  •••■  aìWry:'^/.  •■  -i 

-ìfi  !  "T'i^y.-  '■  f.n.A-  :  AJiAh.  :  "ìiu:  •■ 

'MI/.'/,  :  A(1A.(^  ■■  imi:  ■■  A.A.Ì-  :  </»l'.(l. 

A"  :  "Hir:    i/<i.«i'.p'.h  :■•  w(\fì'/,:h't,  •■  ìi\ 

(lA.o  ri'ji'/.'r;'^-  :  vn:}''  ■•  amìv  :  h 
n  ••  iViA  :  '/y."!'"^'  •■  wv^oì'P  ■■  }\i\' 

•,  ■■  AMJ.A  :  </>A  •;•  :•■  «»t'.n.A"  •  >.ri)A.P.' 
\'  ■■  •/v/i'rtA"""-  :  A^:'"/.•ll  ••  nvi'A-  :  o»'i 
^.••7  ••  ì-U.'/'/li  •  rii/rt.rt)'.  :  rtCh  •• 

F.32,r.    n  "•  ''•>»'"'•  =  ""IIAr^f  rt  :  >»9"    t'-Ml.  =  >'• 

T[»V>.  :  ./»'/'A  !  l^iT  •••■  aìh)ìt\fì  ■■  ìì*"*  ' 

h.y.'Yòr  ■■  '/"j.AVì-  ::  itthh"'ìx:  ■■  mi- 

*'.•?  •  }xfr")u':-f-  ■■■■  fl»vn/.  :  hn.A  =  ;J-,i. 
•I-  ••  rx"ì/.  ■■  ^/n'/'iK-  =  ?»•}» ••  ^M/^^.A  i 


ii.A  :  A•'»•rl^^  :  ^^^n  =  h'>rt  =  >\A./\h  » 

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n  :  ìf.'i'y. •■■•  «Hih'/.'c; ••  i/'y.A  =  twr  •■ 

nMÌJ^A-l-  :  ìxlW  ••  K'oyt\  :  ly,"'!!'  •■  \ 

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>,yj|-  :  ffiy.  ::  ,1,),^»,  :  >,-}.).(,  :  "7^'  ' 
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*OU\yìxì:   ■■   Ò{\'ì-   •■   i"'",f'-fi»-   ••  ■nìì'-'l  >    1  3i,r. 
h''"i\,1y'l''l-  •■   ll'/n  ••   yò'ì'tì-  ■■   yi'Òao-  : 

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-   119 


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ì-h  :••  fflin-/'  :  -n'/.A"  ••  ?i"/ii.>»v  ••  fljwn  = 
rtA""  ■•  fflom :  a>-ni' ••  rt"7j?-ì- :  non. 

I».  ••  iìttih'l-  ••■•  (Ohr-ìl  •■  h-ìtti^.i  •  JP.Jl'/'  : 
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—   120  — 

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F:M,r.  tit,  m-tìì--  W-A-  ••     ^in-f:  :  «»,f.'/'A  II'""-  :  A""VViA-ì-  :  fìTCF.  ■■  JiV  :  rv^ 

h'  ■  (n-tìi'  ■■  vfA-  •  n'«ifl»-f:'/-  :  "JA  "".p.n  =  i//-/Via  -  ^»}^^  ■■  k'o^'ìv  ■  i/.- 

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'/"AAAl-  :  (:>»rt-  :  •/">•(•  =  VOh  :  'l'-'V-  (lììiV,-  ■  ftìì"^  ■   hllH"»-  ••  fnx.fl»-AJ" 

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(•)  M-    (I>-y.y.(J).  —  {")  Ms  )^^||.X  :».-    C)  Nel  in»,  ripetuto  (lue  volte  \ll. —  (''J  Me  >.V<V"J<'h. 


121  — 


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A-<n>-  :  }|(Vn  ■■  hn->  •  ^'>1"0»-  :  YxJ\r'^ 

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ir  :  fflAft  •■  ;^^  •  oc\\  •  h'in.hn^h. 

A"  •  Klll>J  •■  nh^ii-  :  4»."/^  =  AiJ'.Tfh 


K^fì-lì  ■•  TncMlì  ■■  A'ttO'ò  ■'  AJA-ì^-js.  : 
-J-hA  ••  y^'.'^Tì-  !  A-l--  s  A-flfhì'  :  A^ 

'/"Ah>  :  mPh-nr:  '  ^«fc^j^u-  •■  a^a»»  » 
ft'^^'»'n^'^  =  Ah:^fl»*  ••  flifl)»;n<n»-  =  h. 

ItA*  :  W-A"*^-  '  M/'  '  A  *A  :  h^i'Xra^  « 

(Dhl^at  :  avgfl  :  ,pVf  •■•  fl>?i'>H  ••  ?h 
(D-^?*  •■  h'^at'  ■■  rt^rh  •■  ^PO-  •'  man 

m(o  :  i^ò •■  at-hl'  ••  h?, ••  i."\óO'  •  flrt 

t^r  :  flJn7.ll.y  =  0C*T>  ••  >T.rt-  =  ©-ft    F  39,r. 

^,e<-«ìA.in'  :  rt«7)?'B'l-  :  nofl^  !  «Pft 
OC^JP  ••  Wt^  •••  {ì9"0-  •■  •nW>')  •  h9°'i  •■ 

aOi/^PO'  '  hn-c  !  iviip  •■  i*'Vf  = 

«TJHl-  ••  (n(D^,y.9*  •■  (D-M-  •  flO-'i  ■■  ili 

-1-  «  fli^n.y  ••  Jiv  !  •nii-'ì  :  hA.ii  -•  ath'ì 

■aò  •••  (ol'fi'ro •  US ••  'P-U •  at'tì'l- •■  i^ 

A-  •■  ry,v.  ■  Kì-v-^}? ■•  fljjiv  :  o*as-  •■   u.  v. 


Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  U,  Serie  5",  parte  1»  10 


—  122 

Ai.-1-i'-;;e  =  tni-fìtti/.  :  oì-tìi'  ■■  An  ••  f" 
y.i:  ■■  h"^  ■■  hiì'rjh  ■■■■  m^ •■  n.i. /:fff"-  : 

aìif^fiV'il'f,  •••■  atti-fi'  ••  ih'tì'/.  •■  «"«11. 

y.'l,  •■■■  -MÒl'/,  ••   Olhìfì-I'/,  •■   WA"<"»-  : 

/.  •  >i9">.rt  '  /.fti'.r  ■■  \ì"»  •■  hivii't^-  ■■ 
rn?,'/""»-  "•  htì'f"  ■■  /v/i'rtA  :  t\n\v\-  •■ 

11'/"  :  hWll"!  ■■  ./l'PC.eì-  •••  l»A'/Mi('.«l 
'/•  :  /»'.9,».  ::  (ITI.-  :   «f.P.-i-^.  :  -fK^A  : 

h'  •■  'i'/..lh  •■■  ivh'il-  ■■  Mì.h'ì-  ■■  y./.S. 
V-y,.  ■■  «'.f.fn/V-  ••  ?iA-  :  ha^l'ì:  :  hti  '■ 
-Jfl»A';.:  nhy..lh  ::  Oìtth^.  :  y.'t'.'U  '■  (O 

yAi'ì'  ■■  y.'ii'ì:  •  h'ry-^d.u-  •.••  /..e/r.A 
rn>  ••  h'rìAh  ■  n?;A"i'  ••  ii.^j>-  ••  mi'.h 

^X'«i«f.i)-  ::  r»^'}nn.i;-  ••  inìr.y'ì.ih  •■ 

m{\1òyi,0'  ■■  Mhin>  :  'ÌA'/"  !  h'"!.!  •• 
aìh'"/.'}  a 

flhlb'l:»-  •  ^-n  ••  mmAP-  ••  aì(n> 

nxA-i-- ••  AMI-'/  :  ihA  ••  •/y."i'',''i- ■■  n 

Id.  i.      Ul/.'i'i  ■■■■  n/A.J"/:  :  'in  ••  0'*»T  :  K-.P." 
4»  ••  n«/l,V  :    l/fl>->,'|:  :  h.VCì'fì  •  >H.7l-f- 

ft ••  >^^ll,^v «  A"'|.' ■•  ftn/hì- ••  aìin-y,fi,  ■.• 

AH  :  -ì/.f  :  Hll-  •  -(l^irt.  :  A'JA'«'  ••  'JA 


'Ì'>l9"i:  i  +^,"?,  :  >»r')'.P//"  :  A/. 

V-|:  ••  AMl-V  ••  ^.A«ì(^  :  noò-  iWfi-tì  « 

'/"'(•(^A  ••  ho/./..  ■■  oifi^y.  •■  ^'V^•  ••  f\in 
•;V'ii?'  ••  y.'hmy  ■■•■  whry:-^/.  ■•  vj\ 

'"/.  !  XA-'f-  ••  '/'d)-;!--}  :  h')f\ì\^t\,\^  '■  (D 
<<.ÌM|.  :  //""/VII  ::  fl»/7l>»A}"  :  (lA'JJ-  > 

»>•'/ ■•  A(^A.«>- "  fl».f.n.A"tf'»- ••  Tìvi- s  n 

ll.h  •••  «"Xruf  :  fl»rt.S>.  ••  ay-fìì'  •  l'M 

■U  ••  AMI-'/  ••  '/•    riA  :  •/Jf."7',°ì-  ::  OTC^,    ^  "•'• 

Vi?' •  lìhòy.-ì-lv  ■•  noJi.e. :  ììiìi:  •  uh, 

KO'hy.  •■  wh,""-n/A'  ■••■  w  i- 'n /.'/.■■  .•*' 
A  •  n.'»'A  :  Tx'ìH  •■  y.-iì/\  •  ,!>(:  :  nA-o"-  : 
At'.'/."ì'i' ••  y.^ri^)^ ■■  h.fi^^fi- uii^'y.oD  , 
in">'f.f  ••  «>^A^rt  •  l'.'jnr;  =  ^f'>•l;J^  :•• 

A  hf\  ••  e.<<.Art-  >  fl>(iA'i:  •  h'">/.  ••  nnco 
-ìAfl>-  :•  hf^iì  •■  y.a,  ••  h'^^\\  ■•  x-.p.- 
4'  :  mUYl.  ■■  •/••>"/M[h  •■  n>7.f:  ••••  «»<<. 
x.'p  ••  '/"AJih-f  :  hò/.é.  •■■  ath'ry.'^ 

y,h.o-  •  >,  •  i-fK-  :  rih'/"  :  hmioo- ,  a»    „> 

/.rt.C.P'  •■  /\ii*/\P.fì  ■■  hi\  ■■  Vfìl-  :  K/\    1.1    V. 
fio  •■■  'l'^.'r  •  inhi:  •■  n  >.<  ì-  •  ììoo  : 
htt'Pjh  :  ?,A  •■  i'y.'r?*  ■•■  (nl](f"'PÒfiJI'  : 

(iy,j.  :  r-ìyAi  ■■  intìy.i-  =  hfìh  •■  ho 
//..  •■■■  fì/.)\'U  •■  i'-n8Ji'/  :  h"'n  ■•• 
oth'ry:"i/..n'  ■■  -l-iry.fm  -.  ^n-v  •• 


—  123  — 


F.42,r.    OD  !  ;^.t^4.  :  fl)7.n<.  :  (l'JA  :   n*f.?i/:  •• 

^A-1-  '  flJh'JH  •■  ?.xa>-<.  ••  rPO'  :  A^ 

A  b  -nhrt.  !  oj'l-rtn/.  =  ?ii<-  «  o'J^n  : 

?.io  :  fl7JLV'  «  aiW-A"fl»-  ••  ?iA  !  ChP.  ! 

rtn.li?'  =  A?i'7ri>'n.ii.f:  «  ^n  ■  A-nX 
jp  !  An.^> •  ^nv  ■  fl»-ft'i-  =  n.1-  :  he 

d'I-  « 

n  :  vii**  =  oo^^^i.  :  }x1ìì.hn,h.C  ■•  j?. 
ftrh*  ■•  "JT-/"  :  h^r  ■■  ^"7.0  !  IL  VII-  : 

tuttofi  ••  i'hA  :  y^.Tr'l-  :  hìiii  ■■  .e.'VJ 


fc° -•  -^oT ••  A^nv •  ihA  :  yji'.Tr'V •■ 
n  :  ìTnATii-  :  A^n-v  •  «ì»  sn  «  mn/. 

H.y  :  •|-V+*P  =  h<Ì}\'i'"'l:U-  =  (0,Uf!.(D  : 

CD*»»  '  Ci-'O  ••••  aìh-l'tD  :  IL-f-  s>'Hl  ! 

er/ifl>-f:=  oj^'-ncV'^  AM'^Ah-  'Z"*!./.-!-  « 

athà^M-  •  hfi^  •  ^.'B  •■  AdA.i)-  '  "hìùx  • 

^,e-/' :  ^.'By  ••  h.f'i'ooi^  •••■  fl'(^n  =  ìv 

-flC  :  ?.in<-  :  A'I:  :  Ò  :  5>"A«7J|'|-  :  h«»  = 

dflHCì-  :  flj^vhc  •  tì-A-  •■  ìicM  '•  ^f\ 

r«"P(JA  :  ììhV'MxP  '  A^n-V  :  rt'roì-  = 

Hin/i  :  'I'>i9"<:  :  ft?iA'l-  !  f onT  ^  '«> 

<J.'I'  !  ?ii»"fl>-ftl'  :  tf»;^n4.  =  Hh'jn4-  ' 

?i:ifl>-  !  Ad+'-'V.-l-  !  fl»An/.hì-  ••••  w'h'T 

?<li,  ■  A-nA"  :  rn^/i"7iU-  ••  <wl:r?fl»-  ! 
h-^ii-  '  Ji'JiK-  •••  fliwun'P  :  ìxT%\h  ••■ 
(Dòfì  '  Ah/J.-f-  :  Ar:><:  ••  «w-;vii  ••  l'd. 
(ofii- ■òa.'/ ■•  nì-7n' Avu- : àìityiay  •  w- 1' 
Anrt,  :  'jj'wV;  :  ««^.e/riv  =  ^n->  :  ^n  = 
'i-hA  •  y^.Tri-  '  ii'^ii-  =  i?<iij''fl»v  •■  A 
vfAv  !  fl>-A-A  :  q^jr+i-  !  rhh  •■  X''i<f. 

'/,ih  :  A"/A«"  ■•  'JA'/'  =  h"rì  •■  ioh"l 
J  ::  aiAMlV  •   l'hA  !  hSfì-fì  •-  ìlhK-ih 


—  124  — 


Ih  :  p.>i«ì:a-  =  f.'CrI'  ■■  9"{ìA.ih  •■■■  my. 
)ì'ì'f["  •  hT^.Hh  •■■■  9°fì/\  :  li'A-tf»-  ! 

i/i"/lt'l/n0i>-  :  )u:iìf-tì  ■■  rip.<«>  ••  ini*- 


to-f-yiA  :  /"A-A  ••:  ««Arw-A-A  ••  «»i*'CO  » 

o"!  ■■  >iAh  :  ^"i^'n>  :  "it\'r  •■  h"'n  •■  m 
h"'n  •■••  nh'vi'  •■  /"pih  :  at^.ao.  !  Ah 


—  125 


TRADUZIONE 


Al  24  di  nabasè  (•)  lettura. 

In  nome  della  Santa  Trinità,   che   è   un   sol  Dio,  che  ha  sospeso  il  cielo  come  f.  l  r. 
una  volta  e  stabilita  la  terra  sul   dorso   del   mare.  A  Lui   gloria  per  bocca  di  ogni 
creato,  in  sempiterno.  Amen. 

Ecco  la  storia  della  vita  dell'  abuna  Takla  Haymanot.  Il  suo  luogo  d' origine, 
invero,  fu  la  terra  di  Amhara,  che  si  chiama  Bahr  Qaga  (^),  e  la  sua  stirpe  fu  Harb 
Gasè.  Di  là  migrò  un  uomo,  il  cui  nome  era  Ydla,  per  la  regione  di  Sèwa  (^),  per- 
venne in  Selales  {*),  e  si  stabilì  nella  terra  diZararè  {^).  Egli  generò  Heywatna  Basyon; 
Heywatna  Basyon  generò  Bakuera  Syon  ;  Bakuera  Syon  generò  Hezb  Qadasa  ;  Hezb 
Qadasa  generò  Berhana  Masqal  ;  questi,  poi,  generò  Masqal  Bena  ;  questi,  poi,  generò  id.  v. 
Heywat  Bena  ;  e  Heywat  Bena  generò  Saga  Za-'ab,  padre  di  Takla  Haymanot  (").  Fu 

(')  17  agosto,  giorno  in  cui  il  sinassario  dico  avvenuta  la  morte  di  Takla  Haymanot.  Questo 
principio  prova  trattarsi  d' nn' omilia  da  leggersi  nel  giorno  della  solenne  commemorazione  del  santo. 
Sulle  tre  feste  in  onore  di  T.  H.,  v.  Ferrei  et  Galinier,  Voyage,  II,  y.  36.3.  Queste  feste  commemo- 
rano la  nascita  del  santo,  al  '24  di  tahsas  (17  luglio)  la  sua  morte,  al  24  di  nahase  (17  agosto), 
e  la  traslazione  del  suo  Corpo,  al  12  di  genbut  (7  aprile). 

^2)  Nel  Dàwent,  la  cui  capitale  omouima  trovasi  a  26°35'  long.  —  11"26'  lat. 

(')  Sawa,  secondo  il  Ludolf,  Hisl.  aeth.,  1.  I,  e.  3,  §  24,  è  parola  amhariiia. 

(■•)  Antica  provincia  dello  Scioa,  verso  l'Abay,  ancora  importante  ai  tempi  di  'Amda  Syon  I: 
T.  Perruchon,  Histoire  des  guerres  d''Amda  Syón,  p..  10  e  118;  e  Dillmann,  Die  Kriegsthaten 
des  Kónigs  'Amda  Syon,  p.  G. 

(5)  Zoraré  in  Dillmann,  Chrest.,  p.  37. 

(')  Ben  più  diffusa,  e  non  poco  differente  è  la  parte  corrispondente  della  redazione  di  Dabra  Libanos, 
tradotta  dal  d'Almeida*.  Da  Abeitar  ("in''5^  1  Sam.,  XXII,  20,  A-fiyj-q  :)  nasce  Sadoc  (p1"72f,  "IX*  0= 

da  Sadoc  nasce  Azarias  (•|n''"nj?,  1  Re,  IV,  2;  AHC.VIÌ:),  che  da  Salomone  viene  mand.ato  da  Gerusa- 
lemme in  Etiopia,  ov'egli  porta  l'arca  di  Syam  (=  Sion,  et.  X-P-T  :),  insieme  col  figlio  di  quel  sovrano, 
che  tornava  in  patria  per  esserne  re.  —  Su  questa  parte  della  favola,  veggansi  i  capitoli  40,  51,  52,  56, 
57  ecc.  del  Kebra  Nagast,  concernenti  Sadok,  e  i  capitoli  47,  48,  90  dell'  opera  stessa,  concernenti  Aza- 
ryas  :  Dillmann,  Cat.  codd.  mss.  bibl.  Bodleianae  Oxoniensis,  pars  VII,  Codd.  Aeth.,  p.  70  e  71.  —  Giunto 
nel  Tigre,  Azarias  da  Decamadabay,  donna  nobilissima,  ha  il  figlio  Leni  (a.t;  :),  padre  di  Ilizbizaay 
(fhlin:  0>hK:?  cfr.il  nome  a)«?.K.  =  ««tiSi  =  portato  da  un  re  del  primo  periodo),  padre  di  Hezbeoay 
(rhfin  :  fhiiO)^  :  ?).  Questi  sacerdoti  insegnarono  la  legge  agli  Etiopi,  sino  ai  tempi  di  Tiberio,  impe- 
ratore di  Roma,  Erode,  re  di  Galilea,  Bacen  ('lin  :),  re  d'Etiopia,  e  Aqnim  (fh"n.gD:?)  sacerdote, 
durante  la  vita  dei  quali  nacque  G.  C.  in  Betlemme.  Aquim  generò  Simaò  (iXquT  :),  questi  Embarim. 
Baecento  cinquanta  sei  anni  dopo  l'ascensione  di  G.  C,  venne  da  Gerusalemme  un  mercante  co'  suoi 


'  NoUrò  Qna  Tolt.i  por  iempro  cho  nel  componiliu  dull'upera  del  d'Àlttulda  conservo  costauttìmento  per  i  nomi  propri  U 
furina  duU  loro  da  quello  scrittoru. 


—  126  — 

questi  uomo  timorato  di  Dio,  e  sposA  una  donna,  il  cui  nome  era  Egzi'  HarayS:  erano 
entrambi  giusti,  non  avevano  tìgli  e  se  no  stavano  dolenti,  dando  elemosine  ai  poveri 
e  facendo  la  commemorazione  di  Michele  (')•  Stettero  cosi  molti  anni,  e  pregavano  il 
Signore  che  desse  loro  figli. 

Mentre  essi  così  stavano,  sorse  un  uomo  dal  regno  degli  Zaguay  ('-).  che  chiama- 


figliuoletti  Fremcnatos  e  Sydracos  (Q./'.ijorCMÌ  :  •  iX.VA.t'ft  0,  e  pfeso  alloggio  presso  Embarim, 
nella  cui  casa,  morto  il  genit'ire,  crebbero  i  due  fanciulli.  <ili  antichi  padri  avevano  pnilato  la  oircon- 
cisioiie,  la  regina  Endakc  {\J^Xt^.  :)  insegnò  il  cristianesimo.  Frcmenatos,  andato  a  Gerusalemme, 
ha  dal  patriarca  Alhanasio  il  grado  di  vescovo  d'Etiopia  e  il  nome  d'Abba  Salama:  tornato  nella 
terra  d'Agazy  (•n«h.<l  :  Aioni.  0,  vi  trova,  nel  315  dopo  la  nascita  di  ("i,  C,  Embarim,  lo  battezza, 
lo  nomina  diacono  e  poi  s,icerdote,  gli  pone  in  nome  Hczbókadez  (^T|.{1  :  M>y.fì  :?),  e,  con  poteri  di 
vescovo,  lo  manda  a  convertire  il  popolo  :  così  furono  b.ittezzati  quei  del  Tigre,  dell'Amalu^ru  (f^qoihf^  ■•) 
e  dell'Angot.  Hezbibarie  (,>,Tin  :  ir,U  :  ?  Aillfl  :  HAiCt  :  ?).  figlio  di  Hezbekadez,  migra  mi  Daont 
(J^a>•^^' :),  in  Baharaquedà  ('ììh/.  ■ 'P'^  ■  ;  esiste  peraltro  anche  4>K  :  :  v.  Eiiteves  Pereira. //istoria 
de  ifinds,  Lisboa,  1888,  p.  18  e  19,  e  le  altre  tre  fonti  citate  nel  mio  Cutaloi/o  ecc.):  ove  spo.«a- 
tosi,  ha  per  figlio  Tecla  Rade  (-tVìA  :  *.V^h  :  ?).  il  quale,  da  una  donna  anihara,  Magnedela  (ooika  :), 
ha  sette  figli;  ed  ancor  oggi  nellWmharà  trovanti  i  suoi  discendenti.  Uno  dei  sette,  Azqucleui  (?), 
battezzata  la  gente  di  Olecù  ((DA^  0,  Amahara.  Marrabete  fonA.n.-|.-  :  ,  oDA.r>in.-|:  :  .  uor.di  :  fVIr  :) 
e  Manz  (t^>^^(  :  ,  OD'nirh  :)■  s'accasò  in  Harbeguixi-  (fliC-tl  :  Hrt.  :),  e  vi  generò  Abaila  (A-ll  :  -tV-A-  :). 
Come  Abaila  fu  cresciuto,  dal  re  Dignacio  iy,-nr  :  ''n  :  lista  B,  per.  2°,  nome  28°?)  fu  mandato  con 
cencinqnanta  sacerdoti  nella  terra  di  Cuna  (>$■):  ove  in  un  solo  giorno  battezzò  ventimila  persone. 
Stabilitosi  quindi  in  Zorare,  vi  generò  Harbeguiié  (nome  già  visto  tanto  in  questa  nota,  quanto  nella 
redazione  waldebbana,  n^n  però  riferito  a  persona):  questi  generò  Racr.rasinn  'ntlV.  :  X'I'-T  :), 
questi  generò  Hezbekadez  (/hll-n  :  't'S.fì  :).  questi  Brahanamascal  (4icm  :  croft'f'A  :t.  al  cui  tempo 
passò  il  regno  d'Israele  agli  Zagoe  (H3>  :)  Brahanamascal  generò  Hcotbena  (/fiV.CD-ì-  :  -dV  :).  questi 
Zarajoannes  (Hf.A  :  P-rf»Trt  :\  questi  .Sagaza  Ab,  padre  di  T.  H. ;  Sagaza  Ab  sjm.sò  Sara,  donna  pir 
bellezza  e  virili  oliianiata  Eg-/.yerea  (X"1II.X  :  li.V  :),  ma  sterile,  il  che  molto  affliggeva  i  due  Coniugi, 
i  quali,  per  ottener  figli,  presero  per  loro  avvocato  S.an  Michole,  festeggiandolo,  ecc. 

Nel  ms.  or.  696  (Wright,  Cat..  p.  182)  del  British  .Museum  la  gene.ilogia  del  santo,  che  occupa 
parecchie  pagine,  comincia  da  Ad.imo,  e  quella  dei  re  da  'Ebna  Hakim  va  sino  a  Delna'ad.  F.  454.: 
u  BerhiSna  Masqal  (detto  altrimenti  'AqtSbina  Egzi",  era  contein])oraneo  di  Deln.i'Sd,  con  cui  la  lin.-a 
d'Israele  cessò  e  succedette  quella  degli  Zaguè)  generò  Heywat  Bena,  detto  anche  Nolawina  Egzi': 
Heywat  Bena  generò  S5t:  Set  generò  Warada  Mehrjit:  Warada  Mehrat  generò  ZakarjrSs:  ZakBryas 
generò  Zar'a  Yohannes,  che  fu  il  sauto  Sag3  Z.i-'ab.  Quegli,  poi,  generò  l'abuna  T.  H.  Generazioni  61 
da  Adamo,  e  da  AzìlrySs  27  n.  —  La  madre  di  T.  H.  è  chi.amata  Egzi"  HarayS. 

Il  sinassario,  che  concorda  con  gli  altri  testi  nei  nomi  dei  genitori  di  T.  H.,  si  limita  a  dire 
che  egli  discendeva  da  quella  stirpe  di  sacerdoti  che  avevano  illuminato  l'Etiopia  con  la  loro  fede. 
Ricorda  parimenti  la  sterilità  di  Egzi"  HarayS  ecc. 

(')  Michele,  come  è  noto,  è  fra  i  santi  più  venerati  in  Abissinia:  influenza,  crederci,  della  chiesa 
egiziana.  Cfr.  E.  Amòlineau,  Le  chri.it i ani sme  chci  Irs  anriens  Coptes,  p.  38-43. 

(')  ZSguSy  è  forma  tigray,  come  •VT/.-y.  :  in  luogo  di  -ì^d.  ■  ecc.  —  L'episodio  di  Motalamè, 
come  già  dissi,  i  il  più  importante  di  tutta   la   vita  di  T.  H. 

A  proposito  dei  leggendari  rapporti  fra  gli  Ziigné  e  T.  il.,  cfr.  la  mia  memoria  Appunti  e 
ottervazioni  xugìi  Zàgul  e  Tnkla  llàymanot.  lioma,  1695. 

Il  significato  del  nome  MotalSmc  è  ignoto:  Dillmann  lo  suppone  derivato  dall'arabo  gt, 
(Chr.  p.  177),  il  Basset  lo  accosta  a  À.,A— ~«;  ma  forse  trattasi  di  vocabolo  cuscitico.  Nell'inno  a 
re  'Amda  Syon,  edito  dal  Guidi,  un  nemico  di  quel  re  porta  il  nome  di  qo'V  :  Anq,  :. 

Cosi  rjicconta  il  sinassario  questo  episodio:  »  Sayt.àn  eccitò  M"talrinii",  prefetto  del  Dilmot,  e 
questi  dominò  tutte  le  terre  dello  Séw5,  sino  al  fiume  di  GTmniS.  Tutti  i  governatori  del  paese  gli 
davano  a  vicenda  le  loro  mogli  ;  e,  come  aveva  fatto  prede,  egli,  quando  trovava  belle  donne,  le  faceva 


—  127  — 

vasi  Motalamè.  Costui  venne  in  Selales,  uccise  cristiani  e  fece  prigionieri.  E  IJaga 
Za-'ab,  un  cavaliere  volle  ucciderlo  ;  e  subito  egli  fuggi,  entrò  in  un'  acqua,  e  vi  stette  F.  2,  r. 
tre  giorni.  Portarono  via  prigioniera  sua  moglie  :  e  Saga  Za-'ab,  Iddio  lo  trasse  dal- 
l' acqua,  e  gli  parlò  del  tiglio,  che  sarebbe  nato  da  lui,  e  siccome  sua  moglie  sarebbe 
tornata  dalla  schiavitù.  Quelli,  che  la  avevano  fatta  prigioniera,  quando  la  videro, 
ne  ammirarono  la  venustà  delle  forme,  e  parlarono  al  loro  signore,  dicendo:  «Avvi 
una  donna  fra  i  prigionieri,  bella  d'aspetto:  ella  ti  sarà  moglie  ».  Egli  disse  loro: 
»  Fatela  venire  » .  E  fecero  subito  come  aveva  loro  comandato.  Quando  ebbe  rimirata 
la  venustà  dell'  aspetto  di  lei,  egli  ordinò  di  custodirla  e  di  darle  quanto  ella  volesse. 
Ma  quella  santa  non  mangiava  né  beveva,  pregando  il  Signore  e  San  Michele  che 
la  salvasse  dalla  unione  dell'  infedele.  Questi,  quando  fu  giunto  al  suo  paese,  voUe  IJ.  v. 
sposarla.  Ma,  allorché  egli  ordinò  di  arrecargliela,  mandò  il  Signore  il  suo  angelo 
al  tempo  delle  tre  ore;  ed  esso  la  rapì  di  mezzo  a  coloro  che  la  conducevano,  per 
le  nove  ore  la  portò  al  suo  paese,  e  la  fece  entrare  nella  sua  casa:  il  percorso  del 
suo  cammino  è  di  circa  dodici  giorni.  Disse  quell'  angelo  alla  santa  e  beata  Egzi' 
Harayà:  «  Partorirai  un  figlio,  benedetto  come  Giovanni  battezzatore  della  divinità, 
predicatore  di  penitenza,  e  che  con  la  sua  dottrina  redimerà  1'  anima  di  molti  » .  Ciò 
detto,  r  angelo  subito  scomparve. 

E  in  quel  giorno,  mentre  egli  stava  in  chiesa  incensando,  raccontarono  al  marito 
come   era   tornata   sua  moglie.   Poscia,  avendo  finito,  egli   ritornò  alla   sua   casa,  e,  F.  3,  r. 
quando  ebbe  vista  lei,  si  rallegrò,  lodò  il  suo  Dio,  e  le  domandò  tutto;  ed  ella  gli 


sue  concubine.  In  que'  giorni  egli  venne  nel  paese  di  Selales  ed  uccise  tutti  i  cristiani  :  Saga  Za-'ab 
fuggì  per  paura  dell'uccisione,  ma  sna  moglie  Egzi'  Haraya,  la  fecero  prigioniera  i  soldati  di  Mota- 
lamé,  e  la  condussero  presso  di  lui.  Come  egli  la  vide,  ne  ammirò  la  bellezza,  si  rallegrò  seco  stesso, 
le  die'  molti  ornamenti,  preparò  l'ordinamento  delle  nozze,  e  mandò  messi  ai  suoi  governatori  ed 
a'  suoi  prefetti,  affinchè  questi  si  raunassero  per  le  nozze.  Come  udì  ciò,  Egzi'  Harayà  pregò  Dio  di 
salvarla  dall'unione  dell'infedele.  E  subito  venne  Michele  arcangelo,  e  la  portò  via  con  la  sna  ala 
luminosa  dalla  terra  di  Daraot  al  tempo  delle  tre  ore,  e  la  fece  giungere  nella  terra  di  Zoraré  al 
temjio  delle  nove  ore  n.  Egzi'  Haraya  vi  ritrova  il  marito  (l'incontro  però  è  raccontato  un  po' diver- 
samente da  quello  della  redazione  waldebbana),  e  si  riunisce  con  lui.  Una  notte,  un  angelo  annuncia 
loro  un  figlio,  che  diverrebbe  illustre  per  la  sua  santità.  Nato  questo  figlio,  a  ricordo  della  gioia 
provatane,  gli  pongono  nome  Fesha  Syon. 

Il  racconto  del  sinassario  ha  con  quello  del  d'Almeida  assai  più  strette  relazioni  che  non  con 
quello  della  redazione  waldebbana.  Ecco  la  narrazione  del  d'Almeida.  Sorse  in  que' tempi  un  tiranno 
chiamato  Mutalamè,  che  ebbe  per  madre  Asoldane,  e  che  regnò  nel  Damot,  Xava  (flT  0,  Amaharà 
sino  al  fiume  Gema  (3Toq  :),  idolatra  e  distruttore  delle  chiese.  Avendo  una  volta  egli  attaccato  Salalgi, 
venne  a  Zorarè.  Sagaza  Ab  fugge  :  inseguito  da  un  cavaliere,  scampa  rifugiandosi  in  un  lag",  ove 
resta,  custodito  da  San  Michele,  tre  giorni.  Egzyerea  è  consegnata  al  re,  che,  desiderandola  per 
moglie,  fa  preparar  grandi  feste  per  sposarla  e  incoronarla  regina  dinanzi  a  un  idolo  chiamato 
Malberedfi.  La  donna  però,  triste  e  dolente,  pregava  Dio  di  salvarla.  Giunto  il  dì  prefisso,  che  era 
il  22  agosto,  mentre  conducevano  Egzyerea  nel  tempio  ove  la  corto  reale  l'attendeva,  fattosi  all'im- 
provviso fosco  il  cielo,  scoppia  un  terribile  uragano,  che  uccide  molti  sacerdoti  idolatri  e  rende 
demente  Mutolamè;  intanto,  Michele  toglie  di  là  la  donna  e  la  riporta  in  Zorarè,  ov'ella  si  riunisce 
Con  Sagaza  Ab.  Generato  in  quella  notte  (22  agosto)  un  figlio,  misteriosi  sogni  la  avvertono  della 
futura  grandezza  di  lui.  Il  bimbo,  nato  il  30  dicembre,  dopo  tre  giorni,  parla  di  Dio.  Decorso  il 
tempo  della  purificazione,  battezzano  il  fanciullo  ponendogli  in  nome  Fe9a  Sion  (éì.MJ'I»  :  X-i'-T  0- 


—  128  — 

raccontò  come  1"  aveva  rapita  un  angelo  e  come  questo  le  aveva  detto  riguardo  al  figlio. 
Si  rallegrarono  e  glorificarono  il  Signore,  ohe  li  aveva  riuniti. 

Dopo  pochi  giorni,  concepì  sua  moglie,  e  partorì  questo  abuua  santo:  si  ralle- 
grarono i  suoi  parenti  nel  dì  della  sua  nasi-ita,  che  fu  al  24  del  mese  di  tahsas, 
fecero  elemosine  ai  poveri,  e  chiamarono  il  bambino  Feshana  Syon,  perchè  li  aveva 
rallegrati  il  Signore  con  la  sua  nascita.  Il  suo  nome  di  battesimo,  poi,  fu  Zar'a 
Yot.iannes. 

Tre  giorni  dopo  la  sua  nascita,  egli  benedisse  il  Signore,  e  disse  :  «  Santo,  santo, 

Id.  r,  santo  è  il  Signore  vivente,  immortale!  -  (').  Nel  quarto  anno  da  che  era  nato,  soprav- 
venne una  carestia  nel  lor  paese  (-);  ed  erano  tristi  suo  padre  e  sua  madre,  perchè 
non  avevano  nulla  da  elargire  nel  giorno  della  festa  di  Michele.  Disse  la  madre  al 
fanciullo:  *  0  luco  de'  miei  occhi,  che  mi  diede  il  Signore  per  la  preghiera  di  Mi- 
chele, ecco!  non  ho  che  fare  per  celebrare  alla  sua  festa  la  sua  commemorazione  ». 
Mentre  diceva  ciò,  piangeva  la  madre  sua;  ma  il  fanciullo  indicava  con  la  sua  mano 
un  orciuolo,  in  cui  era  poca  farina.  La  sua  madre,  invero,  si  sdegnò  contro  di  lui,  e, 
quando  egli  la  ebbe  infastidita,  prese  quel!'  orciuolo  :  come  egli  l' ebbe  toccato,  si 
empì  di  farina  e  incominciò  a  traboccare;  e,  allorché  la  distribuirono,  essa  riempì 
dodici  sporte.  Inoltre,  quando  egli  toccò  il  recipiente  del  burro,  questo  fu  tanto  che 

F.  4,  r.  riempì,  in  verità,  tutti  i  vasi  della  casa.  Si  allietarono  e  si  stupirono  quanti  videro 
ciò  (').  0  fanciullo,  giocondo  come  il  vino,  e  i  cui  miracoli  sono  soavi  come  1"  incenso  (^)! 
il  far  miracoli,  invero,  dopo  molta  lotta  spirituale  e  dopo  grande  ascesi  viene  con- 
cesso ai  santi:  ma  tu,  mentre  eri  fanciullo  di  quattro  anni,  fosti  degno  di  far  pro- 
digi! La  tua  preghiera  e  la  potenza  del  tuo  ausilio  sieno  con  noi.  Amen. 

Dopo  che  egli   fu  alquanto  cresciuto  (■'•),  lo  educarono  nella  dottrina,  compì  la 

{')  È  la  nota  formula  etiopica  del  trisatrio. 

(*)  Con  leggere  varianti,  anche  nel  dWlmcida. 

(')  Probabilmente  derivazione  da  I  Ile,  XVII,  10-16. 

(*)  l'rosa  rimata. 

(')  Il  racconto  del  d'Almeida  si  va  qui  notevolmente  allontanando  dal  racconto  waldcbbano. 
T.  H.  cresce,  molto  imparando,  e  con  digiuni  e  preghiere  fortificandosi  contro  le  tentazioni.  (ìiunto 
che  egli  ò  ai  diciotto  anni,  suo  padre  lo  invia,  per  avere  gli  ordini  di  diacono,  presso  l'abuna 
Kcrilos  ("tq/V-n  :),  essendo  patriarca  d'Aless.indria  Abba  Benjamin.  Ottenuto  l'intento,  il  santo  torna 
a  casa;  o  durante  il  viaggio  è  oggetto  di  vari  miracoli  da  jiarte  di  san  Michele.  l'oco  di  poi,  suo 
padre  cerca  di  dargli  moglie  per  forza;  ma  (circostanza  comunissinia  in  queste  vite  di  santi,  cfr.,  p.  e., 
la  vita  di  Macario  in  Dillmann,  Chreil.  Aeth.,  p.  24)  la  sposa,  por  voler  di  Dio,  muore  di  U  a 
poco.  Fc^a  Sion  di  poi  va  presso  Kerilos,  svelandogli  gli  abusi  che  erano  in  quella  terra,  ove  face- 
vano altra  fede  e  nuove  consuetudini,  battezzando  i  fanciulli  prima  di  circonciderli:  Kerilos  lo  fa 
prete  e  lo  nomina  suo  vicario  generale  in  tutto  lo  Xaoa.  Tornato  egli  in  patria,  ai  12  agosto  muore 
Egiyerca,  ed  ai  10  dolio  stesso  mese  Sagaza  Ab.  Fe^a  Sion  se  ne  sta  sette  anni  godendo  le  eredi- 
tate ricchezze,  ed  anche  accadendo  ai  propri  doveri  religiosi.  Ma,  dorante  una  caccia,  apparsigli, 
san  Michele  e  Cristo  l'avvertono  dell'alta  missione  che  egli  è  chiamato  a  compiere,  e  nel  tempo 
stesso  gii  mutano  il  nome  in  quello  di  Takia  llàymànot;  ond'egli,  torn.ito  a  casa,  distribuisce  ai 
poveri  i  suoi  averi,  incomincia  una  vita  nuova,  e  compie  grandi  miracoli  seguiti  da  infinite  con- 
versioni. 

In  Catita  (TlrT:!'  :),  ove  T.  H.,  in  seguito  a  notizie  avuto  nel  Tigrò,  crasi  recato,  por  le  sue 
preghiere  l'albero  adorato  si  sradica  da  si,   Satana  fugge  svelando   i   suoi    ingannì,   risuscitando  i 


—  129  — 

lefjge  della  chiesa  e  fu  nominato  diacono.  Quando  giunse  verso  l' adolescenza,  fu  eletto 
prete;  ed  era  potente  per  la  sua  voce  e  per  il  suo  operare,  assiduo  nel  servizio  eccle- 
siastico di  giorno  e  di  notte,  e  compiva  il  suo  ministero  santamente;  né  su  di  lui 
era  il  pensiero  di  questo  mondo.  Id.  v. 

Mentre  egli  stava  così,  sentirono  la  sua  fama  gli  abitanti  dei  paesi  lontani,  e 
venivano  per  essere  da  lui  benedetti,  portavano  i  loro  ammalati,  e  questi  guarivano 
in  nome  del  nostro  Signore  Gesù  Cristo.  E,  vedendo  i  suoi  miracoli,  molti  abbando- 
navano il  culto  degl'idoli. 

Raccontarongli  inoltre  come  vi  fossero  idoli  nella  terra  di  Katàta(').  Quali  vene- 
ravano un  albero,  quali  il  sole,  e  quali  un  fiume  (-)  :  fra  loro  eranvi  indovini.  Ciò 
sentendo,  il  santo  abuna  andò  nella  terra  di  Katata,  per  istruirne  gli  abitanti  e  per 
far  loro  abbandonare  il  culto  idolatra.  Quando  fu  giunto  là,  prese  a  insegnar  loro  il 
culto  del  Signore:  e,  allorché  sentirono  quel  nuovo  parlare,  s'irritarono  contro  lui  e 
vollero  ucciderlo  Ma  quel!'  abuna  rimase  fermo  per  ricondurli  alla  fede  della  Trinità,  F.  5,  r. 


veiitiqiiattro  uomini,  uccisi  (iall'albcro  nel  cadere,  e  altri  quindici  conterranei,  vissuti  a'  tempi  d'Abra 
e  Azba  (Xa  :  X-flCM  =  CDAX"-nfh  :),  e,  dopo  morti,  giacenti  in  luogo  di  grandi  pene:  episodio  assai 
comune  in  queste  leggende  agiografiche,  cfr.,  p.  e.,  Guidi,  Bemerkungen  zum  ersten  Bande  der 
syrischen  Ada  Martyrum  et  Sanctorum,  ZDMG,  v.  XLVI,  p.  747.  In  quel  d'i  T.  H.  battezza  mol- 
tissimi, compresi  anche  i  quindici  ultimi  risorti,  che  però,  non  appena  avuto  il  sacro  lavacro,  nuo- 
vamente muoiono.  Nel  dì  seguente  egli  battezza  anche  il  principe  di  quella  terra  Darasgued  (j^C  : 
AlìlR  :),  cui  pone  nome  Baraina  Christos  (nAoni  :  Yl^lì+lì  0,  e  la  moglie  di  lui  Acrocia  (?)  :  del- 
l'albero, fa  una  chiosa  in  Enquedem,  nel  luogo  di  Jatuiber.  In  Catata  T.  H.  sta  tre  anni.  Nel  deserto, 
ov'egli  passa  le  quaresime  digiunando,  gli  appare  Dio,  che,  mentre  gli  annuncia  dover  un  giorno 
colà  sorgere  una  chiesa  per  opera  di  Tadeos  {■if-^^fì  :),  suo  figlio  spirituale,  gli  impone  di  andar 
nello  Xaoa.  T.  H  ,  predicando  e  convertendo,  va  nello  Xaoa,  nell'Oifat  (TJ^-^  :)>  d'onde  scaccia  un 
demone  tirannico  e  crudele,  nell'Ermaret  {?  XrcX'ì"  : ,  terra  dello  Sawà?),  ove  distrugge  molti  idoli, 
neir  Oiraguà  (?  (D^/\^  :  ?),  in  Catal,  nella  terra  di  Bilat.  Quaranta  giorni  egli  lotta  invano  per 
convertirne  gli  abitanti  :  alla  fine,  una  voce  celeste  gli  annuncia  che  la  conversione  di  quella  terra 
sarebbe  avvenuta  per  opera  del  suo  figlio  spirituale  Anoreos  (probabilmente  rAr<i,(pfl  :  ,  comme- 
morato al  18  di  maskarram  dal  sinassario,  celebre  per  la  sua  lotta  contro  il  re  'Amda  Syon,  e  la 
vita  del  quale  trovasi  esposta  nel  ms.  43  d'Abbadie.  Per  Tadèwos  v.  Basset,  Ftucìes,  p.  10,  e  Esteves 
Pereira,  Chr.  de  Susenyos,  p.  38:  la  sua  vita  è  contenuta  nel  ms.  177  d'Abbadie,  e  un  inno  in  suo 
onore  nel  ms.  orient.  573,  f.  1884,  British  Museum). 

Il  sinassario  anche  qui  si  accosta  più  alla  redazione  di  Dabra  Libanos  che  non  a  quella  dì 
VVald'-bba  T.  H.  cresce  nello  Spirito  Santo  e  fa  innumerevoli  prodigi  e  miracoli.  Quindi  lo  inviano, 
perchè  riceva  il  grado  di  diacono,  presso  il  vescovo  abbà  Gérlos,  ai  giorni  di  abba  BenySmi,  patriarca 
d'.Alessandria,  al  tempo  del  regno  degli  Zague  convertiti  alla  fede.  Abba  (iérlos  preconizza  la  gran- 
dezza di  T.  H.,  che,  fatto  diacono,  torna  in  patria.  Divenuto  un  giovine,  ed  essendo  egli  andato  nel 
deferto  a  caccia,  gli  compare  Iddio  sull'ala  di  San  Michele,  che  l'avverte  dell'alta  missione  che  gli 
è  riserbata  e  gli  pone  in  nome  Takla  Haymanot.  Il  santo  allora  distribuisce  ai  poveri  i  suoi  averi, 
abbandona  la  sua  casa;  e  poscia,  nominato  prete,  predica  il  vangelo  in  tutto  lo  Sèwa,  battezza  in 
un  sol  giorno  10000  anime,  abbattendo  il  cnlto  degli  idoli,  ecc. 

(')  Antica  provincia  dello  Scioa,  limitrofa,  sembra,  a  Selales  :  v.  Perrnchon,  1.  e.  Dillmanu,  1.  e. 

(2)  Su  questi  culti  pagani  in  Etiopia,  e  nelle  terre  vicine  veggansi,  fra  gli  altri,  Basset,  Et., 
p.  271;  Soleillet,  Une  exploration  commerciale  en  Éthìopie,  Paris,  1886,  p.  211;  Quatremèrc,  J/e- 
moires,  pag.  1.52-153,  155;  Paulitschke,  Ethnographie  Nordest  Afrikas:  die  geisliye  Cultur  ecc., 
Berlino,  1896,  cap.  2;  ecc 

Classb  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5*,  parte  1*  17 


—  130  — 
e  disse  loro:  •  Che  cosa  adorate?  ».  Essi  gli  dissero:  •  Noi  adoriamo  un  grande  albero  ». 
Ed  egli:   •  Di  grazia  inastratenielo  «.    E,  quando  giunse  il   santo,  urlc>   Satana,  che 
stava  in  mezzo  all'albero,  e  disse  agli  uomini:   •  Perchè  avete  condotto  un  uomo  che 
è  straniero  alla  mia  legge?  ».  Quelli,  sentendolo,  tornarono  indietro  per  lapidare  il 
beato  e  santo  Takla  Haymanot,  e  lo  scacciarono  via  da  loro:  egli  si  scostò,  pregò  il 
Signore,  e.  compiuta  la  sua  preghiera,  disse:  >i  Io  ti  ordino,  o  albero,  di  svellerti  dalle 
Id  I'.     tue  radici  in  nome  di  Uesìi  Cristo  ■>  (')•  Sentendo  il  nome  di  Gesù  Cristo,  esso  sra- 
dicatosi andò  al  luogo  ov"  era  il  Santo  di  Dio,  questo  fattor  di  miracoli  al  pari  degli 
Apostoli:  e  subito  videro  gli  uomini  camminar  l'albero  e  scagliar  pietre  con  le  sue 
radici,  e  Satana  urlare  al  di  sopra  di  esso  fuggendo  dal  cospetto  di  quell'uomo.  Inoltre, 
il  santo  Takla  Haymanot  precedeva  1'  albero,  e  questo  lo  seguiva,  sinché  ebbe  uccise 
trenta  persone.  L'abuna  tormentò  Satana,  e  questi  fuggi  :  e  quanti  avevano  ciò  veduto 
credettero  e  furono  battezzati  nel  nomo  del  nostro  Signore  Gesù  Cristo.  Egli  ordinò 
loro  di  recidere  quell'albero:  e,  mentre  lo  tagliavano,  giunse  il  governatore  di  Katatà, 
V-  6,  r.  il  quale,  a  tal  vista,  si  sdegnò  contro  il  santo.  E,  mentre  l'albero  veniva  percosso,  ne 
saltò  via  la  corteccia,  ed  acciecò  gli  occhi  del  governatore.  Questi  gridò  verso  l'abuna, 
e  lo  pregò  di  sanarlo.  Egli  fu  clemente  verso  di  lui,  e  lo  toccò  dicendo  :   «  Cristo  ti 
sani  !  "   e  subito  e.sso  fu  sanato.  Quelli,  poi,  che  erano   morti  per   getto  di  pietra,  li 
fece   risuscitare   in   nome   del   Signor   nostro  Gesù  Cristo  (ed   il  loro  numero  era  di 
trecento),  e  li  battezzò  tutti  dicendo  :   «  In  nome  del  Padre,  del  Figlio  e  dello  Spi- 
rito Santo-.  Con  quel  legno  costruì  loro  una  chiesa:  rimase  con  loro   molto   tempo 
fortificandoli  nella  dottrina  della  religions  vivificatrice,  nella  fede  della  Trinità,  e  vi 
stette  facendo  molti  miracoli. 
Id.  V.  Un'  altra   volta  venne  Motalamè  {-)  in  quel  paese,   uccise  molti  a  fil  di  spada, 

e  fece  ancora  prigionieri.  Il  santo,  invero,  andò  con  essi,  e  li  incoraggiava  a  soppor- 
tare il  maitirio. 

Giunto  nella  terra  di  Damot,  l'abuna  Takla  Haymanot  trovò  un  capo  del  paese, 
il  cui  nome  era  Qarara  Wedem  (■'),  e  tenne  proposito  con  lui  intorno  alla  religione.  Entrò 
la  soavità  del  suo  parlare  nel  cuor  di  lui;  ed  egli  lo  ammaestrò  nella  religione  della 
Trinità,  lo  distolse  dal  culto  idolatra,  lo  battezzò  in  nome  di  Cristo  e  lo  chiamò 
Cabra  Wàljd.  Inoltre,  istruì  molti  e  converti  i  loro  cuori  alla  fede  del  nostro  Signore 
Gesù  Cristo.  La  sua  preghiera,  la  sua  benedizione,  e  la  soave  forza  della  sua  predi- 
F.  7,  r.  cazione  sieno  con  noi.  Amen. 

Dopo  ciò,  lo   vide  una  donna  mentre  egli,  tenendo  in  mano  un  libro,  leggeva, 

0)  Un  miracolo  non  molto  aiffcrentc  narrasi  di  abbtt  GarimS;  v.  Sapete,  Viaggio  e  missione 
fra  i  Boijos  ecc.,  Roma,  1857,  p.  408. 

C)  Ecco  il  racconto  del  d'Alnicida.  T.  H.,  friunto  nel  Daraot  facendovi  prandi  miracoli,  recasi 
presso  .Mutolami*,  ^à  da  venticinque  anni  stolido:  svela  a  lui  il  suo  essere,  e  il  nome  della  madre, 
lo  sana,  fa  risuscitare  quanti  .rano  rima.sli  uccisi  nel  dì  dell' urapano,  e  b.ittezza  con  il  re  Mutolamé, 
cui  pone  nome  Kcva  Sion,  altre  1029!'  p.Tsono.  Hesta  poi  du.iici  anni  nel  Pamot.  Il  sinassario,  accen- 
nato alle  conversioni  di  indovini  e  di  incantatori  operate  nel  Damot.  dice  che  T.  H.  per  mnlti  iriorni 
resistette  a  Mnt.ilSm?,  perverso,  sino  a  che  converti  lui  e  quelli  che  con  lui  stavano.  In  questo  tratto 
il  lenkcuSr  si  scosta  dalla  redazione  di  Dabra  LibUnos,  e  accostasi  invece  alla  waldebbana. 

(»)  Poco  appresso  è  chirtmato  Qafaia  Wedem. 


—  131  — 

e  gli  disse:   »  Che  è  ciò  che  è   nella  tua  mano?  ».  Le  disse  l'abuna:  «  Questo  è  il 
libro  della  legge  del  mio  Dio  ".  Ed  ella:   ^  Più  graude  forse  è  il  tuo  Dio  del  mio 
Dio?  ».  Subito  arse  il  cuore  di  lui  della  Hamma  della  fede,   ed  egli  le  disse:   »  Si! 
è  maggiore  il  mio  Dio,  perchè  Egli  ha  creato  tutto  il  mondo:  Egli  uccide  e  vivifica, 
impoverisce  ed  arrichisce;  la   sua  esistenza   non  ha   principio  ».  Subito  ella,  andata, 
espose  a  Motalame  tutto  quello  che  le  aveva  detto  1'  abuna.    Motalame  ordinò  tosto 
di  farlo  venire,  e  lo  fecero  stare  al  suo  cospetto:  egli  lo  interrogò  sulla  sua  venuta 
e  su  quelli  che  con  lui  erano  stati  condotti  schiavi,  e  gli  chiese  inoltre  perchè  vili-  Id.  v. 
pendesse  gl'Iddii.  Gli  disse  l'abuna:   «  Perchè  immondi  sono  i  tuoi  Dei».  Sentendo 
Motalame  come  egli  oltraggiava  i  suoi  Dei,  ordinò  con  ira  che  lo  legassero.  Gli  dis- 
sero inoltre  come  egli   avesse  distolto  Qafara   "VVedem   dall' adorare  gl'Iddìi;  ed  egli 
invero  ordinò  di  far  venire  costui,  e,  quando  esso  fu  giunto  presso  di  lui,  s' irritò  contro 
di  lui  moltissimo.  E  comandò  Motalame  che  li  mettessero  entrambi  in  una  corba,  e 
li  gettassero  in  un  grande  baratro,  che  chiamano  Tama  Gerar.  Sei   soldati  li  porta- 
rono via,  e  li  precipitarono  giù:  ma,  prima  che  essi  arrivassero  a  terra,  li  sostenne 
r  angelo   del   Signore,   e   li  condusse  presso  Motalame,  innanzi  che  tornassero  i  sol- 
dati. Vedendoli,  quegli  si  rattristò,  disse:   "  Avendo  accettato  regali  di  corruzione,  li 
hanno  rilasciati  sani  e  salvi».  E  nuovamente   comandò  a   dodici  uomini   di  gettarli  F.  8,  r. 
come  aveva  detto  prima,  ed  insieme  con  loro  di  gettare  i  sei  soldati.  Posero  tutti  in 
una  corba,  li  sigillarono  con  pelle  bovina  umida,  e  li  scagliarono  nel  baratro.  Ma  li 
rapi  r  angelo  del  Signore,  come  prima,  e  li  pose  dinanzi  a  Motalame.  Questi,  a  tal 
vista,  s' irritò  contro  l' abuna  Takla  Haymanot,  e  ordinò  di  porgli  una  corda  al  collo, 
e  d'appiccarlo  a  un  albero.  Mentre  l'appiccavano,  piegossi  il  legno  e  depose  l'abuna: 
ma  l'uomo   che  tirava  la   corda  fu  sbattuto   al  suolo  e  morì.  E  comandò  Motalame 
che  legassero  l'abuna  Takla  Haymanot:  ma  i  soldati  commilitoni  di  quel  ch'era  morto 
pregarono  l'abuna  di  risuscitarlo.  Ed  egli  disse  loro:   "  Credete  nel  mio  Dio?  ».  Ed  h  v. 
essi  dissero  :   «  Sì,  crediamo  » .  Ed  egli  disse  loro  :  »  Portate  subito  il  morto  » .  E  pregò 
l'abuna:  terminata  la  sua  preghiera,  lo  prese   per  mano,  e  dissegli  :   «  In  nome   del 
Signor  nostro  Gesù  Cristo,  sorgi!  ».  E,  sorto,  quel  morto  si  prostrò  all' abuna;  e  quelli 
che  erano  là  gridarono,  e  dissero  :   "  Non  v'  è  Dio  fuor  che  il  Dio  di  questo  santo,  e 
noi  invero  crediamo  in  Lui  ».  Motalame  ordinò  che  uccidessero   quanti  avevano  cre- 
duto, e  li  uccisero:  quanto  all' abuna  Takla  Haymanot,  poi,  comandò  che  lo  legassero. 
E  riunì  Motalame  gì'  indovini,  e  li  consultò  sul  come  ei  dovesse  fare.  Dissero  a  lui 
gl'indovini:    "^  Comanda  che   radunino   legna    e   accendano  il   fuoco:  noi   entreremo  f.  9,  r. 
nel  fuoco  prima,  e  costui,  poi,  v'entrerà  dopo  di  noi.  Se  egli  vince,  segui  lui:  se  lo 
vinciamo  noi,  lo  uccideremo  » .  Così  fecero.  Entrati,  gì'  indovini  scherzavano  in  mezzo 
al  fuoco:  ma  l'abuna  pregò  insieme  co'  suoi,  onde  mostrasse  il  Signore  i  suoi  prodigi, 
e  tosto,  facendo  il  segno   della  croce  con  l'acqua   in   nome  della   santa  Trinità,  fece 
aspersioni  dicendo:  "  Sorga  il  Signore,  e  saranno  dispersi  i  suoi  nemici  »  (').  Prima  che 
dalla   sua   bocca   fosse    compiuto  il  dire,  gì"  indovini   arsero,  bruciarono  e   divennero 
polvere.  Ma  quel  beato  e  santo  taumaturgo,  predicatore  come  gli  antichi  apostoli,  sop- 
portatore  di  martirio,  compagno  dei  martiri,  abuna  Takla  Haymanot  salmeggiava  in 

(1)  Siilmi,  LXVIII,  1.  Cfr.  Numeri  X,  3.5. 


—  132  — 

1(1.  V.  meizo  al  fuoco  fiammeggiante,  e  cantò  dodici  salmi  di  Davide,  o  usci  senza  che  vi 
fosse  iu  lui  odor  di  fuoco.  A  tal  vista  Motalàme  credette  co'  suoi  soldati  e  comandò 
di  far  festa,  dicendo:  .  Vinsero  gli  attizzatori  del  fuoco  (').  «  furono  vinti  gl'indo- 
vini '.  Disse  Motalamé  allabuna:  .  Battezzami  nel  nome  del  tuo  Dio  «.  Ed  egli  lo 
battezzò  nel  nomo  del  Signor  nostro  Gesù  Cristo,  costruì  molte  cinese,  e  convertì  tutti 
gli  abitanti  del  Dimot  con  l'aroma  della  sua  dottrina.  La  sua  preghiera  e  la  sua 
benedizione  siano  con  noi.  Amen. 

Mentre  era  questo  abuna  nei  giorni  di  digiuno  nel  deserto   che   chiamano  Zeba 
Fatan  (-).  venne  a  lui  il  Signoro   nostro   (ìesù  Cristo   (conviensi   venerare    la  gloria 

Kio.r.  del  suo  regno),  e  gli  disse:  ^  Salute  a  te.  mio  diletto!  D'or  innanzi,  invero,  sia  il 
tuo  nome  Takla  Haymanot  (•')  :  ecco,  io  t  lio  chiamato  con  un  nomo  nuovo,  come  ho 
chiamato  Abramo  mio  amico  (*).  Ti  costituirò  padre  di  molti  (•');  e,  siccome  per  cagion 
del  mio  nome  hai  sotlerto.  ti  retribuirò,  in  grazia  del  mio  nome,  grandemente  nel  mio 
regno.  Ivi  ora,  invero,  recati  iu  alt/e  terre  e  prodicavi  nel  mio  nome  :  io  sarò  sempre 
teco  '.  E  gli  di.-ise  il  sauto:  «  0  mio  Signore,  sii  con  me  ovunque  andrò!  ».  Gli 
rispose  il  nostro  Signore,  e  disse:  «  La  mia  pace  sia  teco!  -.  R,  ciò  detto,  s'innalzò 
il  Signore  con  magnificenza. 

Andò  questo  santo  nella  terra  di  Sèwa  C').   e   fortificò   con    la   sua   dottrina  gli 

M.  r.  abitanti  di  Katata.  Dopo  alquanti  giorni,  tornò  di  nuovo  nella  terra  di  Damot.  Mentre 
vi  andava,  salì  sul  monte  che  si  chiama  \Vif5t,  e  vi  trovò  un  altare  degli  Iddii: 
demoli  l'altare,  uccise  un  dragone,  e  convertì  gli  abitanti  del  paese  in  nome  del 
Signor  nostro.  Partì  di  là,  giunse  nella  terra  di  Segagà,  e  vi  estirpò  i  sortilegi.  Partì 
di  la.  giunse  nuovamente  nella  terra  di  Damot,  e  ne  trovò  gli  abitanti  fermi  siccome 


(')  Il  senso  della  jiaroLi  •♦«^rtst'l''*' =  m'è  incerto,  e  solo  a  titolo  provvisorio  ne  dfi  questa  tra- 
dazione: «t»*UI«t»*M'  :  «|»-M"I»^JLU  :  ecc.  in  gYls  sìgniRca  «  varius,  variigatus,  vcrsicolor.  pnnctis  vel 
inaciilis  inlerstinctus  n,  il  che.  nel  nostro  passo,  non  darebbe  senso  soddisfacente.  •I»^rt«l>^fl  :,<t^rt 
«••^fl'V  :  «P^'ì'l^'ì'ì' :  "•  "  iirccus,  ^'uttus  aquariiis  »:  pensando  all'aralm  J^'-^J.  ''lie,  oltre  a  «  supel- 
lettile  "  pn<i  sif;nificare  "  lii>mines  viliorcs  n,  avevo  daiiprima  trfidi.tto  «»>--ri;l,>'1-V  :  "  iinmini  d.i  nulla  ", 
senso  che  mi  pareva  quadrar  bene  col  contesto.  In  seguito,  però,  nel  far  lo  spoglio  del  lessico  titrray 
del  compianto  L.  De  Vito,  trovai  il  verbo  tipray  «t>.n<l>.n  :  «  1)  attizzii  il  fuoco;  2)  <ri..fhprell>'>  con 
q.  e.  stand»  S(i|)ra  pensiero  ■>.  Pensando  a  una  frase  precedente  del  gndl  (llX'inA  :  .Vl/lX-ilo  :  nc,  : 
y,^n''/^4.y>•  ■  (l>-dl!  :  <DV.V'„  :  «Din».  :  tiìOoy,  :).  mi  è  p.irso  preferibile  ad 'ttaro  il  primo  senso  eli  questo 
verbo,  tanto  ]>iu  che  l'aatorc  del  gadl  era  un  tigray  e  che  qui  probabilnunte  si  ha  da  fare  con  un 
detto  o  con  an  canto  popolare. 

(«j  Da  cfr.  col  liamir  sil/à  «  terra,  località"?  Come  s'è  visto,  il  mutamonlo  di  nome  nella 
redazione  di  Dabra  LibSnos  è  riferito  assai  prima.  A  questo  punto,  essa  parla  di  una  grande  visione 
avuta  da  T.  H.  alla  mezzinottc  del  sabbato  santo,  dopo  il  digiuno  quaresimale.  Egli  riceve  un  cibo 
soprannaturale  che  gli  ridìi  le  forze,  affievolite  durante  i  quaranta  giorni  di  completa  astinenza  da 
ogni   vivanda,  e  l'ordine  di  recarsi  neU'.Vmahara  e  di  restar  colà  sino  a  nuovo  comando. 

(')  Cfr.  Cencsi,  XVII,  .5. 

(»)  Genesi,  XVn,  .ve. 

(«)  Di  qu.sta  andata  dal  Daniot  nello  8è»ìi  dopo  la  conversione  di  M"talàmè  e  prima  del 
viaggio  ncH'Anibarii  tace  il  d'Almeida,  mentre  vi  accenna  il  senkessàr:  u  Allora  prop.agi'i  l'abito  del 
monacismo  nella  terra  ili  .Séwa,  e  vi  stette  servendo  Iddio  con  digiuni  e  preghiere  senza  numero, 
vinche  eccitò  all'emulazione  gli  altri  monaci  n. 


—  133  — 

aveva  loro  insegnato.  Stette  colà  alcuni  giorni  insegnando  loro,  mentre  faceva  molti 
miracoli:  quindi  tornò  nella  terra  di  Séwa,  e  vi  stette  insegnando  a' suoi  abitanti. 
La  sua  preghiera  e  l'acuta  forza  della  sua  predicazione  sieno  con  noi.  Amen. 

Pensò  inoltre  di  prendere  il  giogo  del  monachismo  (').  Andò  nella  terra  di  Angot,  F.ll.r. 
giunse  al  lago  di  Hayq  (-),  presso  il  convento  di  Santo  Stefano  {^),  capo  dei  diaconi, 
protomartire,  vi  trovò  il  santo  abuna  lyasns  Mo'a,  e  discorse  con  lui  intorno  al  mo- 
nachismo, lyasus  Mo'a  gli  disse:  «Fermati  qui,  o  lìgliuol  mio,  alquanto»;  e  lo 
rivestì  l'abuna  lyasus  Mo'a  dell'abito  monacale.  Takla  Haymanot  stette  con  lui,  ser- 
vendolo, uovo  anni.  Essendo  quindi  stato  benedetto  dal  suo  maestro,  abuna  abba 
lyasus  Mo'a,  egli  passò  nella  terra  di  Tlgray,  giunse  inoltre  a  Dabra  Dammo, 
convento  di  abba  Aragawi,  ed  ivi  prese  il  cuculio  e  l'abito  monacale  da  Dabra 
Dammo.  Nella  terra  di  Tigray  egli  fece  molti  monaci  e  fondò  i  conventi,  che  innal-  Id. 
zane  sacrificio  razionabile  all'Agnello  del  Signore,  e  che  sino  ad  ora  chiamansi  col 
suo  nome  ;  poiché  egli  fu  il  padi-e  di  tutti  quei  vittoriosi  monaci,  che  illustrarono 
il  lor  nome  in  tutta  l'Etiopia.  Come  è  detto  nel  salmo:  «sparse  i  suoi  rami  fin 
nel  mare,  e  sino  nei  fiumi  il  suo  seme(*)  ",  così  sparse  l'abuna  Takla  Haymanot 
i  suoi  frutti  come  cedro  del  Libano  (^);  poiché  questo  abuna  Takla  Haymanot  fu  gene- 


(')  Altro  episodio  di  grandissima  importanza.  Così  narra  il  d'Almeida.  Lasciato  Feija  Sion  e 
il  Damot,  T.  H.  va  nell'Amaharà,  nel  convento  di  Abba  Michael,  ove  sfa  dieci  anni  servendo  umi- 
lissimamente i  frati  e  facendo  grandi  esercizi  di  pietà.  Ma,  in  segaito  ad  alcuni  miracoli  venendo 
venerato  più  di  quanto  la  sua  umiltà  comportasse,  ottiene  che  il  Signore  lo  mandi  in  un  altro  con- 
vento, posto  in  un'isola  del  lago  di  Dambeà  chiamata  Haic  (!).  Quivi  è  accolto  dal  capo  del  con- 
vento, Abba  Jesus,  cui  Michele  aveva  già  svelata  la  volontà  di  Dio,  che  egli  desse  a  T.  H.  l'abito 
monacale.  Mentre  dimora  con  grande  divozione  nell'isola,  T.  H.  da  una  straordinaria  visione  apprende 
la  futura  grandezza  sua  e  dell'ordine  che  avrebbe  fondato.  Dopo  dicci  anni  egli  passa  nel  convento 
di  Damo,  ove  abba  Joanni  gli  dà  il  cappello  («f>'nù  :)  e  l'abito  monacale.  Dodici  anni  sta  colà 
T.  H.  facendo  miracoli  come  i  nove  santi:  quindi,  per  volere  di  san  Michele,  T.  H.  va  nel 
deserto  di  Oallis  (?),  ove  sta  in  digiuno  48  giorni  con  molti  santi,  poi  al  monastero  di  Hainzan 
(cattiva  scrittura  europea  per  Bizan  ?),  e,  giunto  in  riva  al  Mar  Rosso,  è  da  san  Michele  portato 
sull'altra  costa,  d'onde,  risuscitato  un  pellegrino  morto  di  sete,  si  reca  a  Gerusalemme,  quindi 
presso  Abba  Micael,  patriarca  d'Alessandria,  e  poi  nel  deserto  di  Sihot  e  Asquetes,  d'onde  torna 
in  Etiopia.  Pervenutovi,  fonda  conventi  nel  Tigre  e  fa  molti  monaci,  primo  de'  quali  il  pellegrino 
da  lui  risuscitato,  cui  pone  nome  Brahaya  Caguhu(?):  torna  altre  due  volte  a  Gerusalemme,  poi, 
essendogli  dal  patriarca  ordinato  di  non  andarvi  più,  e,  ricevuta  al  monte  Daniù  la  benedizione  di 
Abba  Ioanni,  si  ritira  sul  monte  Cantorar  (?)  ;  ma,  per  volere  di  Dio,  parte  di  là  e  giungo  ancora 
al  lago  di  Haic.  Quivi  dà  schema  e  cappello  ad  Abba  Jesus. 

Nel  sinassario  l'episodio  di  Abbà  lyasus  Mo'a  manca  affalto.  Esso  dice  soltanto  che  T.  II. 
sul  carro  di  Elia  va  nell'Amliara,  ove  per  molto  tempo  dimora  presso  abba  Basalota  Mikà'el. 

L'agiografia  di  Basalota  Mika'èl,  il  quale,  come  si  rileva  dal  Gadla  Aron,  ras.  orient.  093,  f.  Mn, 
Br.  Mus.,  viveva  in  Dabra  Guai,  è  contenuta  nel  ms.  129  della  collezione  d'Abbadie.  Quella  di 
Yohanni  fu  già  pubblicata  dal  Basset,   Vie  d'Abba  ì'ohanni,  Algeri,  1885. 

(2)  Noto  lago  a  E.  di  Maqdalà. 

(•*)  Intorno  a  questo  convento,  già  ricchissiino,  v.,  per  il  periodo  anteriore  ad  Alimail  ben 
Ibrahim,  Alvarez,  Verdadeira  informacùo  ecc..  p.  71,  e,  più  ancora,  Nerazzini,  La  conquista  ecc., 
p.  102-108. 

(■")  Salmi,  LXXX,  11. 

(5)  Salmi,  XCU,  12. 


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rato  di  stirpo   gloriosa  e  generò  figli  illustri,  numerosi  come  le  stelle  del  cielo  ('), 

K.l'J.r  la  cui  luce  è  come  il  sole,  e  la  cui  purità  è  come  una  margherita.  Dai  contini  della 
terra  di  Uamot  e  di  Sèwa  »iuo  alla  terra  di  Tìgray  si  molliplicarono  i  suoi  lìgli,  e 
vennero  nutriti  dalla  mensa  del  lor  padre  Takla  Haymanot,  che  seminava  il  grano, 
che  è  la  dottrina  del  vecchio  e  del  nuovo  testamento  (-).  La  sua  preghiera  e  la  sua 
orazione  ci  salvino  dalla  morte  dui  peccato  e  dell'errore.  Amen. 

Stette  egli  poi  nella  terra  di  Tigray  ;  e  per  voler  del  Signore  tornò  nella 
terra  di  Sèwa.  Mentre  vi  andava,  pervenne  in  Hayq,  presso  il  suo  maestro  abbi 
Ivasus  Mo'a.  Quando  si  trovarono  insieme,  dissegli  l'abuna  lyasus  Mo'a:  «0 
figliuol  mio,  che  è  questo  che  ti  sta  sulla  testa  e  sul  collo?  dove  l'hai  trovato?  ". 
(ìli   espose   Takla   Haymanot   come   ciò   rendesse   perfetto   l' ordinamento   monastico, 

Ili  0.  e  come  l'avesse  preso  dal  convento  di  Dammo;  e  gli  raccontò  inoltre  come  avesse 
procreato  monaci  nella  terra  di  Tigray.  E  gli  disse  abba  lyasus  Mo'a:  •  Dà  a 
me  pure  come  quello  ch'io  veggo,  perocché  ciò  è  buono  ».  Disse  a  lui  l'abuna  Takla 
Haymanot:  -  Come  posso  io  dartelo,  essendo  tu  mio  padre,  o  abba?  ».  Gli  disse 
lyasus  Mo'a:  .  Perchè  tu  sei  mio  figlio,  per  questo  siimi  padre  ".  E.  come  egli  ve 
lo  ebbe  costretto,  diede  abba  Takla  Haymanot  a  suo  padre  abba  lyasus  Mo'a  il 
cuculio  e  r  abito  monacale  ('),  e  fm'ouo  concordi  fra  di  loro.  La  loro  preghiera  sia 
con  noi.  Amen. 

Dopo  alquanti  giorni  dissegli  l'abuna  lyasus  Mo'a:   •  Va  nella   terra   di    Sèna, 

F.13,r.  poiché  è  nel  volere  di  Dio  che  tu  vada  colà».  Sentitolo,  lo  salutò  l'abuna  Takla 
Haymanot  umilmente,  part'i  e  pervenne  nella  terra  di  AVaylaqa  (');  di  là  passò  per 
Mugar  (^)  e  sal'i  su  di  un  gran  monte,  chiamato  Quà'at  (").  Bravi  là  un'ara  per  i 
demoni,  e  Satana  vi  appariva.  L'abuna  vi  si  fermò  alcuni  giorni  digiunando  e  pre- 
gando; e  Satana  invero,  vedendo  il  dardo  della  preghiera  di  quel  santo  come  era 
pronto  a  saettarlo,  fuggi  e  andò  via  dicendo:  ►  Ahimé!  guai  a  me!  dove  andrò  lungi 
da  questo  uomo?  ».  Quando  l'ebbe  udito,  lo  maled'i  l'abuna,  perchè  non  tornasse  più 
colà  in  sempiterno. 

Id.  p.  Partito,  l'abuna  Takla  Haymanot  andò   in   Zem.i  ("),  vi  udì  di   un    incantatore, 

e  lo  interrogò  intorno  al  suo  modo  d'operare.  L'incantatore  gli  disse  come  esso  era. 
Ascoltatolo,  comandò  l'abuna  di  dare  a  lui  un  cibo  proibito  :  l'incantatore  lo  mangiò 
subito,  e  l'abuna  invero  si  stupì.  E  disse  quegli  allabuna:   ".  Senti  quel  che  ti  rac- 


(1)  Genesi,  XXVI.   ». 

(•)  Il  testo  corrisponilentc  g'fti  •■   in  iirosa  riin.-ita. 

(')  L'a.skòni,ì  e  "  liiia  tra.sinlia  Je  <ros  tiriis  ile  couro  ordinario  e  vcmiellio;  as  quays  lan^ados 
A  o  pescovo  se  rcniatam  cm  Ima  argolinha  de  ferro,  on  cobre,  quc  trazò  em  liù.i  correva,  coni  iiue 
se  cinfrem  ".  Tcilcz,  Ifistoria  da  Klhiopin  ecc.,  p.  8.5. 

(*)  l'ili  coninnt'inente  Walaqil,   fra   l'Amliara  e  lo  Sawil,  verso  T'Abiiv. 

(^)  Antica  provincia  dello  Scioa  (l'crrnclion,  op  cif.,  e  Dillmann,  op.  cit).  a  nord  di  <<iimiiri 
(EstcTcs  Pereira,  Chr.  dr  Suienyox,  I,  p.  17  e  159),  attigua  all''Abny.  Ancor  <i<,'kì  un  adlucnto  di 
sinistra  di  questo  fiume  è  chiamato  Mu^'ar. 

(«)  Cfr.  EstcTcs  l'ereira,  Chr.  de  Susenyos,  I,  p.  12. 

f  )  Probabilmente  il  distr.  ogpi  detto  di  Zuma  (forse  anticamente  provincia),  nel  Mcrah  Bète, 
non  molto  lontano  dalla  sponda  destra  del  fiome  ZcmmS  (jroi)  0,  a  E.SE  di  Darn. 


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conto.  Un  dì,  quegli  che  io  adoro  disse:  "  io  ve  nel  Guazam  ('),  perchè  giungerà  un 
uomo,  la  cui  tiirura  sarà  tale,  e  tali  saranno  le  sue  vesti:  egli  mi  ti  torrà  ».  Ciò 
udendo,  l'abiina  Takla  Haymanot  lodò  il  Signoro,  battezzò  quell'indovino  e  io  istruì 
nella  fede  del  nostro  Signore  Gesù  Cristo.  La  sua  preghiera  sia  con  noi.  Amen. 

Di  là  passò  in  Gerarya  (-)  e  giunse  dove  il  governatore  teneva  l'assemblea.  Quando 
lo  videro,  disse/o:  «Che  è  ciò?».  Alcuni  dicevano  esser  un  uomo,  altri  negavano,  F.i4,r. 
ed  altri  dissero  :  «  Questi  invero  è  colui  del  quale  udimmo  la  fama  in  Zema  e  in 
Mugar».  E  subito,  per  volere  di  Dio,  sorse  il  governatore  e  salutò  l'abuna:  questi, 
poi,  lo  benedisse  e  cognobbe  nel  suo  spirito  come  egli  sarebbe  suo  discepolo.  Il  gover- 
natore lo  pregò  d'entrare  nella  sua  casa:  l'abuna  vi  pernottò  quella  notte  parlandogli 
del  giusto.  Il  governatore  invero  lo  ascoltò  con  allegrezza,  gli  chiese  di  restar  presso 
di  lui  e  divenne  perfetto  nella  fede  di  Cristo. 

Un  giorno  raccontarono  all'abuna  come  vi  fosse  un  mago  che  indovinava,  e  come 
egli  stesse  sotto  un  albero  e  sotto  una  grande  rupe.  Sorse  l'abuna,  e,  quando  giunse  IJ.  r. 
colà,  gridò  dicendo  :  «  In  nome  del  Padre,  del  Figlio  e  dello  Spirito  Santo,  che  sono 
un  sol  Dio  !  « .  Quando  l'ebbe  udito,  il  seduttore,  abbandonata  la  sua  dimora,  fuggì. 
Noi  vedemmo  la  sua  dimora,  che  era  stata  spogliata  degli  oggetti  di  ferro  e  di 
bronzo  con  cui  egli  mangiava  e  beveva.  Con  gli  utensili  di  ferro  invero  avevano  fatto 
gli  uncini  per  appendervi  la  tenda  allochè  venne  costruita  la  chiesa.  Poscia  il  gover- 
natore condusse  l'abuna  Takla  Haymanot  in  un  gran  dirupo  e  questi  stette  solo  colà 
in  digiuno  e  in  preghiere.  Ma  il  governatore  lo  visitava,  perchè  da  lui  era  stato 
generato  nella  fede;  e  l'abuna  chiamò  il  suo^nome  Zamika'èl. 

Altri  miracoli  durante  il  soggiorno  in  Gerarya.  Saputo  dell'arrivo  dell'abuna,  un  incantatore 
fugge,  abbandonando  la  moglie,  che  si  converte  al  cristianesimo.  -  -  Mentre  si  sta,  per  ordine  del 
governatore,  tagliando  un  gran  cedro,  adorato  dagli  abitanti  del  luogo,  erompono  piii  di  trecento 
serpenti  uccidendo  i  soldati  di  lui.  Appare  quindi  un  mostruoso  dragone:  ma,  non  appena  l'abuna 
fa  il  segno  della  croce,  esso  perde  le  forze,  e  una  donna  lo  uccide.  Ne  segue  una  conversione  gene- 
rale ;  e  l'abuna  col  legno  del  cedro  costruisce  una  chiesa,  dedicandola  a  s.  Michele  {^).  —  Un'altra 
volta.  Satana  compare  in  chiesa  durante  l'ufficio  divino,  sotto  forma  di  fuoco  in  modo  spaventevole  : 
la  tranquillità  e  la  preghiera  del  santo  lo  fanno  dissipare  come  fumo.  —  Essendo  stato  detto  all'abuna 
come  in  un  luogo  si  adorassero  i  demoni,  egli,  insieme  col  governatore  di  Geràryà,  vi  si  reca,  di- 
strugge l'ara  ad  essi  destinata  e  converte  i  pagani  che  colà  dimoravano  :  al  ritorno  da  questa  spedi- 
zione, ridona  la  vista  a  un  uomo,  cieco  da  venticinque  anni. 


(1)  i-HOD  :,  forse  per  l^'i-r^o  :,  il  che  mostrerebbe  ancora  non  diffuso,  quando  questo  testo  fu 
scritto,  nel  Tigre  l'uso  delle  lettere  amharìnà.  Come  è  noto,  il  Guazàm  è  celebre  per  i  suoi  stregoni 
((VX  :),  indubbiamente  avanzi  dell'antica  idolatria. 

(2)  Antica  provincia  dello  Scioa  (Pcrruclion,  op.  cit.,  e  Dillniann,  op.  cit.),  probabilmente  ove 
oggi  sorge  (ien'ar,  a  SO  di  Dabra  Libànos. 

(3)  Secondo  il  racconto  del  d'AImeida,  T.  H.  da  Haic  va  nell'Amaharà;  giunto  in  Arabéa 
(««^ft..'?  :),  e,  col  suo  discepolo  Azaya  Sagahu  (XtII.X  :  XPU-:),  salito  .<<ul  monto  Oadà  (V..V,  :) ,  vi 
uccide,  in  circostanze  analoghe  a  quelle  raccontate  dalla  rad.  wald.  pel  dragone,  un  gran  serpente, 
e,  quindi,  con  l'acqua  del  vicino  fiume  Soà,  battezza  il  re  del  luogo  con  altre  10000  persone,  e  fa 
su  quel  monte  costruire  una  chiesa  dedicata  ai  quattro  evangelisti.  —  Questo  episodio  ha  probabil- 
mente relazione  con  quanto  dice  il  Ludolf  su  'I'.  H. 


—  i^r,  — 

F.18,r.  Inoltre,  mentre  partiva  questo  santo  ahuna,  lo  seguirono  molti  nomini,  ed  anco 

il  governatore  lo  seguì  con  essi.  Dissegli  l'abunu:  <•  Torna  al  tuo  domicilio  -.  Ma 
il  govoruatoro  vi  si  ritinto,  e  dissegli:  .Non  ti  lascerò  solo».  Gli  disse  l'abuna: 
-  0  ligliuol  mio,  non  è  bene  ciie  tu  stia  con  me:  ritorna  a  casa  tua,  come  ti  ho 
detto».  Dissegli  il  governatore:   -Sia  la  tua  volontà,   o   padre  mio!   benedicimi  «. 

1,1.  ,,.  K  l'abuna,  invero,  benedisse  lui  od  i  suoi  tigli,  e  gli  disse:  .  Colui  nel  quale  hai 
creduto  ti  renda  vaso  di  elezione  (')  ».  Quel  governatore,  poi,  se  ne  andò  come  gli 
aveva  detto  l'abuna. 

Questo  abuna  Takla  Hilymànut  domandò  agli  abitanti  del  paese  se  vi  fosso  un 
deserto,  ove  non  abitasser  uomini  (-).  (ili  dissero:  -Avvi  un  desorto  che  non  ha 
uguale».  Disse  loro  il  beato:  •  Di  grazia,  mostratemelo».  Andarono  con  lui:  quan- 
d'egli vide  quell'eremo,  lo  ebbe  caro,  e  vi  trovò  vicino  grotto  e  caverne  belle,  ma 
1  acqua  era  lontana.  Dissero  a  lui  i  suoi  discepoli:   -  Il  luogo  in  verità  è  bello,  ma 

V.io.r  l'acqua  è  lontana  ».  Disse  l'abuna  a' suoi  tigli:  «  Non  attristatevi  invero  per  cagion 
dell'acqua,  che  il  nostro  Dio  potente,  che  serviamo,  ce  la  darà  ».  Quindi  pregò  l'abuna 
Takla  HaymSnot  dicendo:  «  0  mio  signore.  Dio  degli  Iddii,  e  re  dei  re,  che  ascol- 
tasti la  preghiera  di  Sansone,  quand'egli  ebbe  sete  e  gli  desti  da  bere  in  una  mascella 
d'asino  (•'),  e  quella  del  popolo  d' Israele,  cui  desti  da  bere  facendo  scaturire  dodici 
sorgenti  per  i  dodici  accampamenti  di  Giacobbe,  tuo  santo!  {*)  dacci  ora  da  bere,  a  imi 
tuoi  servi  che  ti  ministriamo,  poiché  tu  sei  l'Iddio  nostro  ».  Mentre  cos'i  diceva, 
senfi  al  di  sopra  della  sua  testa  una  voce  che  diceva:  -  Fu  ascoltata  la  tua  preghiera. 
0  servo  di  Dio  !  benedici  verso  la  rupe  che  ti  sta  dinanzi,  e  sgorgherà  l'acqua  »  (•'). 

Ij  r.  Tosto  egli  fece  il  segno  della  santa  croce  invocando  il  nome  di  Cristo,  e  allora  si 
screpolò  la  rupe,  e  ne  scorse  acqua  limpida  e  molto  buona  di  gusto  (").  E  benedisse 
Lidio  questo  abuna  Takla  Haymanot.  dal  nome  soave;  e  i  suoi  discepoli,  invero,  si 
rallegrarono  con  lui.  Egli  stette  colà,  mentre  per  cinque  giorni  digiunava,  ma  al 
sabbato  ed  alla  domenica  gustava  dei  frutti  degli  alberi  o  dell'erba  della  campagna. 

Saf.-ina  minaccia  di  far  rotolaru  macigi'i  liall'allo  del  colle  sulla  dimora  del  santo:  i  suoi 
discepoli,  atterrili,  propnnttoiio  dì  fug!;ire,  mi  l'abuna  li  incorassjia  con  citazioni  bibliche.  Mentre 
poi  con  digiuni  e  dn  pre<rbiere  egli  prega  Iddio   di   svergognar   l'inimico,   è  avvertito  che  presto 

(I)  Atti,  K,  1.5. 

(«)  Lasciato  .\zaya  Sagahn  con  quei  di  Zema,  T.  H.,  andato,  per  ordine  di  Hiu,  nello  Xaoa, 
vi  dà  l'abito  monacale  a  ib  (=  Vi)  persone,  fra  cui  un  suo  cugino.  Cos'i  il  d'Almeida.  Il  sinassario 
racconta  che,  lasciato  Ba?alota  Mika'él,  T.  H.  va  nello  SéwS:  trovatovi  Msrqos,  suo  cugino,  con  Ini 
si  ritira  nel  deserto  di  Wagada,  ove  dà  l'abito  monacale  a  sedici  suoi  discepoli. 

(')  Giudici,  XV,  1519. 

(*)  Ksodo,  XV,  27. 

(»J  Esodo,  XVII,  0. 

(•)  Trattasi  d'una  sorgente  che  zampilla  ancor  oggi  a  Dabra  LibiSnos  presso  la  tomba  di  T.  II., 
e  che,  v.'n«rati8sima  dagli  Abissini,  vuoisi  per  vie  mi.steriose  congiunta  al  Giordano.  Le  si  attribui- 
scono virtù  f<-rapeuticlie  sopranaturali:  la  sua  acqua  e  la  terra  medesima  da  cui  essa  sgorga  ven- 
gono usate  come  medicine  nelle  malattie  iiiii  gravi  —  Nel  Vi"!l!/io  e  minionr  cattolica  ecc.,  p.  470. 
del  Sapet>,  parlasi  del  soggiorno  e  della  morte  di  T.  H  sul  monte  Zecinala,  alla  cui  cima  v'é  un  piccol" 
e  delizioso  laghetto,  cinto  da  foltissimi  e  grossi  alberi,  in  mezzo  ai  quali  si  trovano  rovine  d'antiche 
chiese  ;  ma  temo  siavi  confusione  con  Oabra  Manfas  Qedus  o.  come  volgarmente  {■  chiamato,  Abbo. 


—  137  — 

questi  lo  tenterà  sotto  le  spoglie  di  giovinetto.  Satana  infatti  così  gli  appare,  lo  saluta  a  rao'  dei 
monaci,  si  dice  signore  del  paese  e  costretto  a  cercare  scampo  nel  deserto  per  isfuggire  a"  suoi  sud- 
diti che  l'hanno  abbandonato,  lo  invita  a  seguirlo  in  un  amenissimo  luogo,  ove  gli  promette  di 
fargli  da  servo;  ma  la  proghiera  del  santo  lo  pone  in  fuga.  L'abuna  quindi  lo  sente  lamentarsi 
delle  ripetute  sconfìtte  sofferte  ('),  convoca  i  suoi  discepoli,  loro  racconta  l'avvenuto,  ed  uniti  ren- 
dono lode  a  Dio. 

Mentre  l'abuna  dimora  nel  deserto,  tre  leopardi  sogliono  venir  ad  accovacciarsi  presso  di  lui, 
e  mangiar  la  loro  caccia  a'  suoi  piedi.  Avendo  due  di  essi  rapito  il  cibo  all'altro,  l'abuna  toglie 
loro  la  preda  di  bocca  e  la  dà  al  terzo  leopardo.  Rassicura  quindi  i  suoi  paurosi  discepoli,  dicendo 
che  nulla  hanno  da  temere  da  quelle  fiere  i  servi  di  Dio. 

Inoltre,  un  dì  fra  gli  altri,  raccontarono  all'abuna  i  suoi  discepoli  come  si  fosse  F.24,r. 
ammalata  una  monaca  (-):  egli  chiese  loro  la  causa  della  malattia  di  lei,  ed  essi  ij.  v. 
gli  dissero:  i^  Quando  ella  andò  per  attinger  acqua,  allora  tornò  ammalata,  nò  sap- 
piamo che  cosa  le  avvenne  ».  Disse  l'abuna  beato,  taumatm-go:  •^  Fatela  venir  qui 
presso  di  me  ».  La  portarono  a  lui,  e,  allorquando  la  vide  il  santo  di  Dio,  e  vide 
come  ella  era  venuta  meno,  comandò  a  quei  che  l'avevano  portata  di  lasciarla  presso 
lui.  Tosto  egli  prese  a  leggere  i  salmi  di  Davide,  e  poi  il  vangelo,  asperse  acqua 
col  segno  della  santa  croce  dicendo  :  «  In  nome  del  Padre,  del  Figlio  e  dello  Spirito 
Santo!  ",  e  ordinò  che  la  aspergessero.  Come  le  ebbero  fatte  delle  aspersioni,  apparve  F.25,r. 
tremando  colui  che  l'aveva  fatta  ammalare  sotto  l'aspetto  d'un  giovinetto.  Dissegli 
l'abuna:  «  D'onde  vieni,  e  che  hai  fatto,  che  hai  fatto  ammalare  l'ancella  di  Cristo?  ». 
Disse  all'abuna  quegli  che  l'aveva  fatta  ammalare  :  «  0  signor  mio,  non  posso  par- 
lare, perchè  m'abbandonò  la  mia  forza:  ma  la  tua  santità  mi  costringe  a  parlare. 
Ascolta,  signor  mio,  me  infelice  !  stavo  in  verità  presso  l'acqua,  e  dov'erano  gli  uomini  ; 
quando  vidi  la  tua  figlia  mentre  attingeva  acqua,  subito  l'afferrai,  sembrandomi  che 
avrei  avuto  potere  su  di  lei.  Quando  tu  facesti  il  segno  della  croce  su  di  essa  invo- 
cando il  nome  di  Cristo,  m'oppresse  la  forza  del  Suo  nome,  mi  separò  da  lei,  mi  dis- 
solse come  cera,  e  m'avvilii  e  divenni  tremante  come  tu  mi  vedi  star  dinanzi  a  te, 
legato  con  le  catene  della  tua  preghiera  ».  Gli  disse  l'abuna:  «  Torna  alla  tua  dimora,  id.  v. 
e  non  trasgredir  piìi  contro  i  servi  di  Cristo  ».  E  disse  ancora  l'altro:  »  0  mio  signore, 
ove  poss'io  andare  lasciando  te,  fiaccatore  della  forza  dei  prepotenti?  Ma  io  in  verità 
mi  rifugio  nella  tua  santità,  per  esserti  ministro  e  servo  ».  Sentito  il  suo  parlare, 
l'abuna  conobbe  come  egli  favellava  secondo  lo  Spirito  Santo,  lo  segnò  tre  volte  col 
segno  della  santa  croce;  e  uscì  lo  sgomento  di  lui,  e  l'abbandonò  il  suo  tremito. 
Allora  r  abuna  lo  battezzò  nel  nome  del  Padre,  del  Figlio  e  dello  Spirito  Santo, 
e  tosto  ne  splendette  e  ne  divenne  bella  la  faccia:  lo  sigillò  l'abuna  con  l'unguento 
della  fede,  e  gli  pose  nome  Be.su  e  Zaharayo  Kerstos.  Dopo  alquanti  giorni  lo  fé' 
monaco;  e  Besu'e  Zaharayo  Kerstos  piacque  al  Signore,  e  stette  servendo  i  fratelli  F.26,r. 
monaci  per  ordine  del  suo  maestro,  finché  morì  ed  entrò  nella  vita  eterna  per  forza 


(')  Cfr.,  fra  i  tanti  esempi  analoghi,  Malan,  The  conflicts  of  the  Apostles,  p.  168-169. 

(2)  L'episodio  ne!  racconto  d'.41meida  ha  subito  profonde  alterazioni.  Trattasi  infatti  in  esso 
d'uno  spirito  maligno,  chiamato  bahara  Alcao,  clic,  entrato  nel  corpo  d'un  discepolo  di  T.  H., 
mentre  questi  col  maestro  passeggiava  presso  un  lago,  vien  convertito,  battezzato  col  nome  di 
Christos  harayo,  e,  fattosi  frate,  alla  sua  morto  sale  in  cielo. 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  Il,  Serio  5",  parte  1'  18 


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del  beato  e  diletto  abuna  Takla  Haymanot.   La  benedizione   della  sua  preghiera  sia 
con  noi.  Amen. 

Quando  ebbero  sentita  la  sua  fama,  gli  uomini  elio  abitavano  lontane  regioni 
venivano  presso  l'abuna  Takla  Hàyraanot,  dalle  sue  mani  prendevauo  il  giogo  del  mona- 
cismo,  e  stavano  col  santo  abuna.  servendo  il  lor  Dio  di  buon  animo  con  digiuni  e 
con  preghiere  molto  diligentemente  (').  Allorché  vide  l'abuna  Takla  Haymanot  come 
U.  V.  eransi  radunati  presso  lui  molti  che  servivano  il  Signore,  fece  loro  un  cenobio  nel 
deserto  ov'  erano,  e  costruì  una  chiesa  nel  nome  della  nostra  Signora  Maria.  Di  poi, 
disaero  i  fratelli  al  padre  loro  :  »  0  padre,  ecco  !  vedi  come  si  sono  moltiplicati  i 
discepoli  per  la  tua  santa  preghiera  ;  i  frutti,  invero,  degli  alberi,  che  sono  nel  deserto, 
vengono  meno,  nò  bastano  al  sostentamento  dei  fratelli.  Noi  desideriamo  coltivar  la 
terra  -.  Disse  loro  il  lor  venerabile  padre:  >■  Sta  bene,  o  tìgli  miei:  ma  che  ciò  sia 
con  timor  di  Dio  -.  Avendone  ottenuto  licenza  dal  sauto  padre  loro,  essi  incomincia- 
rono a  seminare;  nò  ciò  avveniva  con  l'aiuto  di  buoi  o  di  altri  animali,  ma  essi 
stessi  coltivavano  la  terra  con  le  loro  mani,  e  non  aravi  alcuno  che  mormorasse, 
poiché  tutti  erano  consenzienti  nella  concordia  dello  Spirito  Santo,  scelsero  un  di  loro, 
F.27,r.  e  lo  preposero  all'amministrazione  degli  all'ari  del  loro  cenobio.  La  loro  preghiera  sia 
con  noi.  Amen. 

Sentite  inoltre,  o  miei  padri,  e  miei  fratelli,  e  monaci!  congiuntamente  eranvi 
delle  donne,  le  quali  stavano  coi  monaci:  i  maschi  uscivano  nei  campi  e  tornavano 
in  casa  promiscuamente  con  esse.  Alla  mensa  non  eravi  divisione:  maschi  e  femmine 
insieme  mangiavano  in  comunità  ;  ed  anco  nel  medesimo  letto  dormivano,  come  il  fan- 
ciullo con  la  sua  madre  :  quando  s'  alzavano  per  la  preghiera,  se  il  maschio  s'alzava 
prima,  chiamava  la  donna  alla  preghiera,  ed  ella  in  pari  modo  chiamava  lui  alla  ora- 
zione, poiché  non  avevano  pensieri  terreni,  ma  sibbeue  pen.><ieri  celestiali,  essendo  itato 
legato  Satana  dalla  forza  della  preghiera  di  questo  abuna  beato,  di  bella  ricordanza, 
Id.  V.    mara  (-)  Takla  Haymanot;  e  li  proteggeva  nella  purità  il  braccio  del  lor  padre  esimio 
nell'operare,  taumaturgo.  La  sua  preghiera  e  la  sua  benedizione  siano  con  noi.  Amen. 
Mentre  erano  nello  stato  degli  angoli,  venne  l'angelo  del  Signore  presso  l'abuna 
santo  e  venerabile,  e  dissegli  :   «  Scegli  fra  i  tuoi  discepoli  dodici,  i  quali  ammaestre- 
ranno le  anime,  e  mandali,  divisamente,  in  dodici  grandi  provincie,  affinchè  predichino 
ad  esso  e  le  convertano  nel  nome  della  Trinità;  poiché  molti  son  coloro  che  non  co- 
noscono il  nome  di  Dio  ->.  Sentendo  il  venerabile  il  pariar  dell'angelo,  disse:  «  Sia  fatta 
F.28,r.  la  volontà  del  Signore!  «   Poscia,  l'abuna   scelse  dodici  uomini  saggi  e  prudenti,    li 
inviò  in  dodici  provincie,  e  disse  loro:  «  0  tìgli  miei,  perchè  Dio  v'ha  prescelti  affinchè 
insegniate  il  Suo  nome  a  quo'  popoli  che  non  lo  conoscono,  voi  in  verità,  pervenuti 
in  quelle  provincie  ove  vi  avrà  mandati  lo  Spirito  Santo,  stendete  la  rete  del  Van- 

(')  n  ginassario  racconta  che  T.  H.  da  WagadJS  si  ritira  in  GeraryS,  ove  fa  grandi  penitenze. 
Presso  lui  si  radunano  molti  uomini  e  donne,  che  divengono  suoi  discepoli  e  monaci:  essi  abitano 
in  una  sola  casa,  ma  maschio  e  femmina  non  contraggono  familiarità  fra  loro,  e  uniti  stanno  alla 
preghiera  ed  alla  comunione,  poiché  .Satana  tra  legato  a*  tempi  di  quel  santo. 

{•)  Questa  parola  è  bene  il  siriaco  -JJO,  )»oo  ;  ma  gli  Etiopi  debbono  averla  ricevuta  non  già 
direttamente,  ne' tempi  più  antichi,  bensì  più  tardi  per  mezzo  de' cristiani  d'Egitto,  i  quali,  come 
è  noto,  spessissimo  scrvivansi  di  quel  vocabolo  {^j^.  ;M  premettendolo  a' nomi  dei  santi. 


—   139  — 

gelo  nel  mare  del  mondo,  insegnate  agli  uomini  la  legge  della  fede,  e  guidateli  nel 
porto  delia  reden/.ioao.  Ed  ora,  andate,  o  tigli  miei,  e  il  Dio  della  pace  sia  con  voi. 
Amen.  ».  Essi  invero,  ricevuta  la  benedizione  del  giusto  e  beato  abuua  abba  Takla 
Haymanot,  andarono  ciascuno  per  la  sua  via  (').  La  benedizione  della  loro  preghiera 
pervenga  a  noi.  Amen. 

Un  frate  ('),  mandato  fuori  dall'amministratore  del  convengo,  trova  una  donna  con  un  suo 
figlio  dell'età  di  due  anni,  avuto  da  U-i  dopo  lunga  sterilità  e  che  Satana  aveva  reso  sordo-muto. 
Avendoli  egli  condotti  da  Takla  Haymanot,  questi  guarisce  il  bambino. 

Mentre  stava  l'abuna  Takla  Haymanot  nella  sua  cella,  in  quel  di  venne  a  lui  F.30,». 
una  voce  dal  cielo  la  quale  diceva:  «  Salute  a  te,  o  uomo  di  Dio!  verrà  a  te  un 
uomo  di  stirpe  di  nobili,  il  cui  nome  è  Abèl,  figlio  di  Zèb  Daliar  (^):  egli  è  di  grande 
lignaggio.  Tu,  invero,  lo  accoglierai  nella  giustizia,  perchè  egli  è  caro  a  Dio».  Dopo 
alquanti  giorni,  venne  Abél  presso  l'abuna,  abba  Takla  Haymanot.  I  monaci  lo  tro- 
varono mentre  egli  stava  sulla  porta  dal  convento,  lo  salutarono,  e  lo  interrogarono 
circa  la  sua  venuta;  ed  egli  disse  loro:  «  Voi,  invero,  parlate  di  me  all'abuna  ". 
Andati,  i  fratelli  no  parlarono  all'abuna,  abba  Takla  Haymanot,  e  questi  disse  loro:  F.31,r. 
"  fatelo  venire  qui,  presso  di  me  » ,  poiché  aveva  conosciuto  per  lo  Spirito  Santo  essere 
quegli  pel  quale  lo  Spirito  Santo  gli  era  apparso.  Giunse  Abél  dov'era  l'abuna,  si 
prostrò  e  ne  baciò  le  mani  e  i  piedi.  L'abuna,  abba  Takla  Haymanot,  interrogò  Abél 
intorno  alla  sua  venuta;  e  gli  espose  Abèl  tutto  il  suo  animo,  siccome  era  venuto 
per  il  monacismo.  Gli  rispose  l'abuna:  »  Come  potrai  sopportare  il  giogo  del  mona- 
cismo?  perocché  tu  sei  persona  di  nobile  stato.  Potrai  ripudiare  il  mondo  e  i  fregi 
d'oro,  che  stanno  sul  tuo  collo?  lascerai  forse  le  vesti  onorate  per  coprirti  di  cenci  o 
altrimenti  di  pelle  bovina?  »  Disse  a  lui  Abél:  «  A  compiere  tutto  ciò  m'aiuterà  la  u.  y. 
tua  preghiera  » .  Sentendo  come  il  parlare  di  lui  era  buono,  l' abuna  lo  fece  stare 
insieme  co'  fratelli  ;  e  dopo  alquanti  giorni  lo  nominò  monaco.  Nel  giorno  in  cui  Abèl 
prese  il  santo  abito  monacale,  egli,  entrato  nella  sua  cella,  disse  al  compagno:  "  Fammi 
il  piacere,  o  fratello,  di  non  costringermi  a  mangiare  per  questa  notte  » .  L'altro  gli 
disse  :  "  Fa  quello  che  vuoi  » .  L' indomani,  poi,  fece  ugualmente  ;  e  per  la  terza  volta 
ancora  non  volle  mangiare.  Andati,  lo  raccontarono  all'abuna  abba  Takla  Haymanot; 
e  questi  chiamò  Abél  suo  tìglio,  e  dissegli:  »  0  figliuol  mio,  renditi  simile  a"  tuoi 
fratelli  in  tutto,  desisti  dalla  tua  astinenza,  e  mangia  al  crepuscolo  co'  tuoi  fratelli  » . 
Gli  disse  Abél:  «  Sta  bene,  o  padre;  ma  d'or  innanzi  il  mio  cibo  sarà  l'erba  del  F.32,r. 
deserto,  e  giuro  che  non  gusterò  più  vivande  ».  Conoscendo  l'abuna  com'egli  era  inspi- 
rato dallo  Spirito  Santo,  lasciò  di  consigliarlo.  E  stette  Abél  a'  piedi  del  suo  maestro 
combattendo  un  esimio  combattimento  spirituale.  Poscia  disse  Abél  al  suo  maestro: 
«Io  voglio  migrare  nel  deserto».  Gli  disse  il  suo  maestro:  «Va,  o  figliuol  mio, 
dunque  ».  E  lo  benedisse,  e  lo  mandò  dove   egli   volle.  Andato,  Abél   combattè  con 

(')  L'origine  di  questo  episodio  ò  evidente. 

(2)  La  lettera  t,  lia,  in  questo  codice,  una  forma  abbastanza  singolare,  come  di  un  y  alla 
cui  sinistra  ftjsse  aggiunto  il  tratto  indicante  la  mancanza  di  vocale  in  -l. 

(3)  Non  conosco  il  significato  di  questo  nome,  che  nel  noto  inno  a  re  'Anula  Syon  ha  assunto 
la  forma  di  H-(1.V.C  =  • 


—  140  — 

digiuni  0  con  preghiere  vagando  per  i  deserti,  sino  a  che  gli  fu  dato  d'ascoltare  il 
suono  degli  angeli  del  cielo,  e  -sino  a  che  fece  scaturire  l'acqua  con  la  sua  preghiera. 
Ed  il  suo  cibo  non  fu  più  sapido,  da  che  egli  ebbe  preso  l'angelico  schema.  Poscia 

Id.  V.  che  ebbe  combattuta  una  grande  lotta  spirituale,  questo  beato  Abèl  emigrò  da  questo 
mondo,  od  entrò  nel  regno  de'  cieli.  La  sua  preghiera  venga  a  noi.  Amen. 

In  seguito,  radunò  l'abuna  Takla  Ilayuianot  tutti  i  suoi  discepoli,  prese  a  dettar 
loro  regole  e  disse  loro:  >^  0  miei  discepoli,  non  è  con  l'essere  chiamati  monaci  che 
si  entrerà  nel  regno  dei  cieli  ;  ma  sibbene  ciò  soltanto  avverrà  col  ripudiare  il  mondo. 
0  tìgli  miei,  non  siate  cupidi  di  cibo  o  di  vestimenta:  cercate  in  prima  la  giustizia 
e  il  regno  di  Cristo,  e  tutto  vi  sarà  aggiunto  (').  0  figli  miei,  osservate  il  digiuno 
e  la  pregliiera  ;  non  mangiate  cosa  da  cui  esca  sangue.  Specialmente,  poi,  amatevi  fra 

F.33,r.  di  voi.  Queste  cose  osservate:  è  il  vostro  deposito  »  (-).  In  quel  giorno  li  esortò  molto, 
citando  tratti  dei  libri  santi,  onde  guardassero  le  loro  anime  dalla  cupidigia  del 
mondo;  e  gli  dissero  i  discepoli  suoi:  *  Ci  aiuti  la  tua  preghiera,  o  padre  nostro, 
affinchè  noi  si  sia  vigilanti  a  fare  il  bene  ».  Dopo  ciò,  li  benedisse  e  diede  loro  la 
pace.  La  sua  preghiera,  e  la  sua  benedizione  sieno  con  noi.  Amen. 

Dopo  che  l'abuna  ebbe  predicato  e  convertito,  molte  città  d'anime  umane 
redense  mentre  lo  tormentavano  come  un  martire,  poiché  egli  somigliava  agli 
Apostoli  nella  predicazione.  Dopo  ciò,  quando  fu  fiaccata  la  sua  forza  pel  molto  pre- 
dicare, intraprese  una  grande  lotta  spirituale,  entrò  nella    sua  cella,  ostruì  la  bocca 

Id.  V.  della  caverna  con  pietre,  e  stette  colà  sette  anni,  insino  a  che  si  gonfiarono  i  suoi 
piedi  per  il  molto  dolore  dello  stare  in  piedi,  gli  si  secò  una  pianta,  e  gli  si  separò 
dal  corpo  {^). 

Cristo  visita  Takla  Haymànot,  e  promette  a  lui  le  infinite  gioie  del  Paradiso,  come  pur  anco 
promette  il  ciclo  a  quanti  lo  venereranno.  Diccsi  qui  fra  l'iiltro  che  quel  santo  por  quattro  anni  non 
gustasse  acqua. 

F.3-l,r.  Quindi,  per  cagion  del  dolore,  non  potè  piìi  emettere  alcim  suono,  perchè  erasi 

inaridita  la  sua  carne  come  l'erba  d'estate.  I   suoi   discepoli,  quando   non   sentirono 

(>)  Matteo,  VI,  33. 

(«)  Cfr.  1  Timoteo,  VI,  20;  2  Timoteo,  I,  12,  14. 

P)  Secondi»  il  racconto  del  d'.Mmeida.  poco  dopo  la  conversione  di  Christos  harayo,  essendo 
venuto  in  Etiopia  l'abuna  loilo,  questi  offerì  a  T.  H.  il  grado  di  vescovo  e  metà  dell'Etiopia: 
offerta  rifiutiita  dal  santo,  il  quale,  scampato  poi  miracolosamente  dalle  armi  di  un  fattucchiero,  bat- 
tezza molti  dello  Xaoa  sino  alla  terra  di  Gueraria  (lA.C.V  '■)■  Narratisi  quindi  alcuni  suoi  miracoli. 
Divenuto  vecchio,  T.  H.  ritirasi  in  una  casuccia,  ove  sta  sempre  in  piedi,  senza  mangiare  né  bere 
altro  che  on  po'  d'erbe  e  d'acqua  alla  domenici,  finché  gli  s'imputridisce  e  cado  un  piede,  che  dai  suoi 
discepoli  è  sepolto  nella  chiesa.  Altri  sette  anni  T.  H.  dura  in  tale  iienitenza,  dopo  di  che  gli 
appare  Cristo  con  grande  gloria,  il  quale  gli  .innuncin  prossima  la  fine  delle  sue  pene,  e  che  il 
sno  corpo,  dopo  essere  rimasto  sepolto  |.er  cinquanfasette  anni  colà,  e  franando  quella  casa,  sarebbe 
tra>portato  in  un  grande  convento,  che  nel  luogo  stesso  i  suoi  discepoli  avribbero  eretto.  T.  H., 
raunati  allora  i  discepoli,  annuncia  la  sua  prossima  fine,  raccomanda  loro  il  disprezzo  del  mondo 
e  il  reciproco  amore,  e  indica  come  suo  successore  Elsaà.  Quindi,  nella  notte  del  27  agosto,  egli 
muore  in  età  di   103  anni  e  4.5  giorni. 

Poco  differisce  dalla  redazione  waldcbbana  il  sinassario,  ove  però  manca  ogni  cenno  ad  Elss', 
e  dove  l'età  di  T.  H.  è  di  99  anni,  10  mesi  e  IO  giorni. 


—  141  — 

più  alcuna  voce  da  parte  del  loro  padre  venerabile,  gli  parlarono  per  la  finestra  pian- 
gendo, e  l'abima,  sentita  la  voce  de'  suoi  discepoli,  rispose  loro  con  tìuvole  voce.  Allorché  IJ.  v. 
udirono  la  sua  voce,  gli  dissero:  "  0  padre,  quando  più  non  abbiam  potuto  sentire, 
come  dianzi,  suono  da  presso  te,  noi  siamo  venuti  ».  Chiamò  il  venerabile  uno  di 
loro,  e  gli  comandò  d' entrare.  Avendo  aperto,  entrò,  e  vedendo  quel  fratello  come  egli 
non  avesse  più  un  piede,  pianse  d'un  pianto  amaro.  Il  venerabile  invero  erasi  seccato 
e  coamentato  col  luogo  in  cui  egli  era;  né  su  di  lui  eravi  traccia  di  carne,  né  si 
distingueva  ove  erano  le  sue  membra,  poiché  la  pelle  erasi  attaccata  alle  ossa.  Allora 
l'abuna  gli  ordinò  di  prendere  quel  piede  che  erasi  staccato,  e  d'andare  verso  i  fra- 
telli. 11  nome  di  quel  frate  era  Elsa'e  ('),  cui  spettò  di  doventar  erede  della  sede  di  F.i5,r. 
questo  abuna,  dopo  di  lui.  E  avendo  preso  il  piede  del  suo  padre,  che  erasi  staccato, 
egli  andò  verso  i  fratelli  e  lo  die  loro.  Ciò  vedendo  i  fratelli  monaci,  il  lor  cuore 
fu  conturbato;  ed  essi  piansero,  lo  riverirono  tutti,  portarono  una  veste  e  ve  lo  invol- 
sero, lo  misero  in  un  marmo,  e  lo  posero  in  un  bel  luogo.  La  preghiera  e  la  bene- 
dizione di  Takla  Haymanot  sieno  con  suo  tìglio,  abuna  Takla  lyasus,  e  con  tutti  i 
suoi  seguaci.  Amen. 

Giunta  presso  il  suo  compimento  la  vita  dell'abuna,  torna  ad  apparirgli  Gesìi  Cristo,  il  quale, 
annunciatagli  prossima  la  morte,  e  datagli  licenza  di  domandargli  qualsiasi  grazia,  benedice  i  disce- 
poli di  lui  e  ne  promette  la  grandezza:  quindi  concede  il  kidaii  all'abulia.  E,  poiché  questi  ha  paura 
della  suprema  dipartita,  il  Signore  gli  assicura  che  a  riceverlo  verranno  tutti  gli  angeli,  i  profeti, 
gli  apostoli  e  tutti  i  santi  ecc.  Vicino  a  morire,  Tabuna  esorta  i  frati  a  salvar  la  loro  anima,  e  ad 
amarsi  vicendevolmente.  Avendogli  essi  chiesto  di  sciogliere  quanto  era  stato  legato  dalla  voce  di 
lui,  ed  avendo  egli  annuito,  tosto  le  fiere  del  deserto  invadono  le  piantagioni  e  i  campi  dei  frati, 
e  li  devastano  ;  essendo  essi  allora  ricorsi  al  santo,  questi  raduna  presso  di  sé  quelle  fiere  ed  ordina 
loro  di  non  uscir  più  per  l'avvenire  dai  luoghi  per  esse  definiti.  Le  fiere  obbediscono,  e  l'abuna 
comanda  a'  suoi  discepoli  di  non  molestarle,  avendoli  esse  preceduti  nell'  .bitare  que'  deserti.  L'autore 
quindi  si  diffonde  in  lodi  per  Takla  Haymanot,  paragonandolo  ai  profeti,  agli  apostoli,  ai  martiri, 
ad  Antonio,  a  Macario  e  ad  Abramo. 

Torniamo  al  racconto  di  prima.  Quando  divenne  debole  per   la   molta  pena  del  f.SS.w. 
lottare,  l'abuna   raunò  i  fratelli,  e   die  loro  Elsa'e,  affinchè   fosse  loro  padre  in   sua 
vece;  e  tutti  confermarono  il  dire  del  padre  loro. 

Quindi,  allorché  perdette  le  forze  e  tacque,  l'abuna  odorò  di  un  buon  profumo. 
Mentre  i  fratelli  lo  circondavano,  egli  stese  il  suo  corpo  e  rese  la  sua  anima  in  mano 
del  suo  Creatore,  in  pace.  E  subito  salì  la  sua  anima  in  cielo  con  grande  gloria  e  F.39,r. 
magnificenza,  la  ricevettero  i  profeti,  gli  apostoli  e  tutti  gli  angeli,  e  la  introdussero 
nella  Gerusalemme  celeste  con  grande  letizia  della  città  del  Gran  Ke.  Mentre  innal- 
zavano l'anima  di  lui,  sentirono  molti  fra  i  suoi  discepoli  il  canto  degli  angeli. 

II  suo  corpo,  poi,  lo  involsero  in  un  bel  sudario.  Io  posero  in  un  feretro  nuovo, 
e  lo  seppellirono  in  chiesa  in  grande  onore  con  inni  e  con  cantici.  Allora  vi  furono 
molte  grida,  pianti,  lamenti  e  lagrime.  Fu  sentita  la  fama  della  sua  morte  in  ogni 
terra  dell'  Etiopia,  e  fuvvi  gran  pianto  e  dolore,  perchè  era  caduta  la  colonna  preziosa,  id.  v. 
che  era  stata  piantata  in  mezzo  all'  Etiopia,  ed  era  spai'ita  nel  cuor  della  terra,  come 

(1)  Eliseo. 


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i  suoi  padri.  Né  solo  i  monaci  piansero;  ma  anche  i  magistrati  e  i  principi,  tutti  i 
piccoli  e  i  grandi,  gli  uomini  e  le  donne,  tulli  invero  piansero.  Quelli  che  egli  aveva 
convertito  con  la  sua  predicazione,  dapprima  lo  andavano  percuotendo  durante  la  sua 
vita,  mentre  egli  li  ammaestrava,  ma,  dopo  che  ebbero  creduto,  lo  ebbero  in  conto 
al  pari  del  lor  padre  e  della  loro  madre,  pc-ichò  somigliava  la  sua  predica/ione  a 
quella  dei  nostri  padri  Apostoli.  Piii  che  durante  la  vita  della  sua  carne,  dopo  la  sua 
K.40,r.  morte  specialmente  si  locupletò  la  sua  grazia;  da  mare  a  mare  si  moltiplicarono  i 
suoi  frutti,  ogni  mattino  aumentavano  e  s'accrescevano  quelli  che  erano  generati  per 
opera  di  lui.  e  per  opera  de'  suoi  discepoli  e  dei  discepoli  de'  suoi  di.scepoli,  dopo 
di  lui.  Non  ci  separi  egli  da  se  nella  sua  preghiera  (').  o  faccia  della  sua  felicità  par- 
tecipi noi.  lo  scrittore  della  sua  storia  e  chi  la  fa  scrivere,  chi  la  leggerà,  chi  la 
tradurrà,  e  quei  che  la  ascolteranno,  in  sempiterno.  Amen,  amen. 

Gloria  al  Padre,  al  Figlio  ed  allo  Spirito  Santo,  che  sono  un  sol  Dio.  Prodigi 
e  miracoli  che  fece  il  Signore  per  la  preghiera  del   beato  abuna  Takla   Havmanot, 

Id.  V.  stella  prodigiosa  che  sorse  dal  nostro  paese  per  seguire  il  Sole  di  giustizia,  nostra 
guida,  che  è  Gesù  Cristo,  nostro  Signore,  a  Lui  gloria,  a  Lui  che  dilesse  quest'uomo, 
in  sempiterno.  Amen. 

Miracolo  primo  (-).  Tre  giorni  innanzi  la  morte  del  beato  abuna  Elsa'e,  morì  un 
figlio  d'una  sorella  di  questo  santo,  chiamato  Gabra  Masqal,  monaco  e  diacono,  di 
prestante  virtù.  Lo  involsero  nel  lenzuolo  funebre  per  seppellirlo;  ma,  come  fu  ter- 
minata la  preghiera  dei  defunti,  egli  si  mosse  :  ne  aprirono  il  lenzuolo,  e  lo  interro- 
garono su  quanto  gli  era  avvenuto.  Ei  disse  loro:   '•  Morii,  come  mi  vedete,  e  mi  po- 

F.n.r.  sero  presso  il  Signore;  e  di  là  mi  condussero  nella  parte  assegnata  all'abuna  Takla 
Haymanot.  Lo  vidi  co'  miei  occhi  in  una  grande  gloria  inenarrabile:  nulla  v'ha  che 
somigli  al  suo  luogo,  non  il  sole,  non  la  folgore.  Egli  con  me  discorse,  dicendo  :  '  va, 
di  ai  miei  discepoli  :  venga  Elsa'e,  che  fu  costituito  in  mio  luogo,  e  Filpos  (>)  stia 
al  posto  di  lui  '.  E,  fra  i  monaci,  disse  il  nome  di  ciascuno  di  quelli,  che  migreranno 
all'altra  vita,  e  ne  indicò,  in  ordine,  il  giorno.  Cos'i  disse  il  Signore  della  giustizia, 
ed  io  risuscitai  per  raccontarvelo  » .  Avendo  compiuto  il  suo  messaggio,  Gabra  Masqal 
mori.  Dopo  tre  mesi  si  comp'i  quello  che  egli  aveva  detto.  I  discepoli  di  Takla 
U.  V.  Haymanot  fecero  invero  come  l'abuna  aveva  loro  comandato,  e  costituirono  Filpos 
padre  al  posto  di  Elsa'e:  perfetto  quegli  era  nella  virtù  al  pari  de' suoi  padri  che 
lo  avevano  preceduto.  A'  suoi  tempi  venne  alHizione  e  persecuzione,  fino  a  tanto  che 
egli  mori  {^).  La  sua  benedizione  pervenga  a  noi.  Amen. 

(')  Prosa  rimata. 

(«)  L'episodio  è  npuale  audio  nel  racconto  del  d'Almeida,  ove  però  il  copino  di  T.  H.  è  cliia- 
mato  Anida  Mascal  (Vtqay,  :  oon<t>A  :),  clic  muore  tre  giorni  dopo  T.  H.  e  tre  mesi  prima  di  Elsaa. 

p)  Il  iiis.  ..rieiit.  728,  f.  1.50a-109,  contiene  pli  atti  di  questo  santo,  opq  :  a.<t^ri  :,  niil^  in 
U1<J,:ni"V:ll-Vlìuoy.  :  A-V:  dì  parenti  cristiani,  e  vissuto  nuiiilXT  :  sotto  il  ret;no  di  'Anidri  S^un. 
Vcggansi  su  di  lui  le  importanti  notizie  contenute  nella  cronica  abbreviala,  lìtisset,  Jìludes,  p.  10. 
La  pubblicazione  del  Gadla  Filpos  e  del  Gndla  Anoréiros,  vivamente  desiderabile,  non  nianclierà 
d'apportar  notizie  preziose  alla  storia  d' Etiopia  nel  secolo  XIV. 

(')  liuesto  accenno  alle  persecuzioni  del  re  'Amda  Syon  manca  nel  d'.Mincida,  ove  invece  si 
parla  dell'  incremento  avuto  dalla  fede  per  opera  di  Filpos. 


—  143  — 

Dopo  lui,  fu  nominato  abuna  Hezqeyas,  uomo  ascetico.  Gli  apparve  in   visione, 

di  notte,  l'abuna  Takla  Haymanot:  »  Giunse  il  tempo  della  traslazione  delle  mie  ossa, 
giusta  la  volontà  del  mio  Signore  ;  e,  per  cagione  di  ciò,  compi  il  suo  volere,  e  tra- 
sporta le  mio  ossa,  onde  tu  consegua  la  mia  benedizione  » .  Dopo  ciò,  gli  scomparve. 

L'abuna  Hezqeyas  radunò  molta  gente  ;  e  presero  a  trasportare  le  ossa  del  giusto 
e  fecero  festa  in  quel  giorno  (').  Mentre  portavano  il  corpo  dell'abuna  Takla  Haymanot  F.)2,r 
con  laudi  e  cantici,  per  la  molta  angu.~;tia,  schiacciarono  un  uomo,  e  gli  si  ruppe  un 
piede  ;  ma,  quando  gli  fecero  toccare  le  ossa  dell'abuna  Takla  Haymanot,  subito  egli 
guarì,  e  quanti  ciò  videro  resero  lode  al  Signore.  Quando  ebbero  introdotto  la  salma 
dell'abuna  Takla  Haymanot  nella  santa  chiesa,  rovinò  quella  cella. 

Molti  anni  dopo,  regnando  il  diletto  a  Dio  Yeshaq,  re,  gli  piacque   ascoltar  la 
storia  del  beato  Takla  Haymanot.  Comandò  egli  che  gli  erigessero  una  chiesa  molto 
onorevolmente  (')  ;  e,  dopoché  ebbero  terminato  di   costruirla,    mentre   trasportavano 
il  corpo  dell'abuna,  si  radunarono  molti  infermi.  In  quel  giorno  apparvero  grandi  prò-  U-  v. 
digi  al  toccare  della  tomba  del  santo. 

Narransi  le  miracolose  guarigioni,  avvenute  in  quel  tempo  per  grazia  di  Takla  Haymanot, 
d'un  paralitico,  divenuto  si  curvo  da  non  poter  piii  né  veder  il  cielo  né  bere  in  un  bicchiere,  e 
d'una  vedova  piena  di  mali. 

Così  salvi  l'abuna  Takla  Haymanot  noi  tutti,  figli  del  battesimo,  con  lo  scrittore  F.43,w. 
della  sua  storia,  con  chi  la  fece  scrivere,  coi  lettori,  con  gli  ascoltatori,  in  sempiterno. 
Amen,  amen.  Divida  il  suo  serto  con  l'abuna  Takla  lyasus,  che  fece  scrivere  questo 
gadl  benedetto  e  la  storia  del  suo  padre,  con  tutti  i  suoi  discepoli,  che  furono  gene- 
rati per  mano  di  lui  e  per  la  voce  della  sua  bocca,  con  tutti  i  pellegrini  che  redense 
Cristo  col  sangue  del  suo  costato,  in  sempiterno.  Amen.  E,  per  me  che  scrissi  questa 
storia,  Takla  S3'on,  povero  discepolo  di  Abba  Sjmu'èl  di  Gadama  Waldebba,  ricor- 
datemi, e  non  dimenticatemi,  insieme  col  mio  padre  Takla  lyasus,  e  con  i  miei  fra-  VA\,r. 
telli  Pètros,  Takla  Selus,  Pavvlos,  e  Sarsa  Maryam.  0  pellegrini,  padri  miei,  non 
dimenticatemi,  in  sempiterno.  Amen,  amen.  Per  il  corpo  ed  il  sangue  di  Cristo,  per 
Maria  nostra  Signora,  per  il  Calvario  e  il  Golgota  affidiamoci  al  nostro  Dio,  perchè 
Egli  abbia  di  noi  misericordia,  in  sempiterno.  Amen. 

(')  Ciò  è  commemorato  dal  sinassario  ai  12  del  mese  di  genbot  =  7  aprile.  V.  altresì  Basset, 
Éludes,  p.  10. 

(2)  Cfr.  Gataìo(]ue  de  mss.  Hh.  de  M.  A.  d'Abbadie,  p.  122,  ms.  108,  n.  1. 


PARTE  SECONDA 


NOTIZIE    DEGLI    SCAVI 


C'i.ASSK  DI  SCIENZE  MOKALI  fCC.  —  MkMOUII-:  —    \  .il.  Jl.  Siri.'  "i',  liiUto'J"  1 


NOTIZIE  DEGLI  HCAVI 


GENNAIO    1894. 

Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  MASERÀ  —  Tombe   di  età  romana  scoperte   nel  territorio  del 

comune. 

Da  una  relazione  del  maggiore  Giulio  Bazetta,  inviata  per  mezzo  della  R.  Pre- 
lettura  di  Novara  al  Ministero,  rilevasi  che  nel  luglio  scorso,  eseguendosi  alcuni  sterri 
in  un  fondo  di  proprietà  del  cay.  Mellerio,  si  rinvenne  una  tomba  con  alcuni  vasi, 
sparsi  qua  e  là.  Presso  la  tomba  si  raccolsero  nn  bastoncino  di  vetro  colorato  a 
strie,  un  pugnale  di  ferro  ed  alcune  monete. 

Nel  luogo  stesso,  a  m.  4  di  profondità,  il  giorno  15  del  passato  novembre  tornò 
in  luce  un'altra  tomba,  formata  da  sei  lastre  di  pietra,  lunga  m.  1,05,  larga  m.  0,42, 
alta  m.  0,55.  Vi  si  rinvennero  cinque  patere  aretine,  due  delle  quali  con  ornati 
a  rilievo  nel  labbro,  e  tutte  poi  con  marca  di  fabbrica  nell'intorno;  due  ampolle  di  vetro 
azzurro;  due  piccole  scuri  di  bronzo;  una  bella  lucerna  pure  di  bronzo,  intarsiata 
di  oro  presso  il  becco,  e  con  manico  formato  da  un  pipistrello,  squisitamente  model- 
lato e  lavorato.  In  un  vaso  di  pietra  oliare,  pur  contenuto  nella  tomba,  si  [trovarono 
ossa  cremate,  in  mezzo  alle'  quali  erano  :  una  casseruola  di  argento  con  manico  piatto 
recante  il  bollo:  EPAPHRODI;  un  braccialetto  di  argento,  della  forma  così  detta 
a  vitigno;  un  anello  di  argento,  a  spirale  di  quattro  giri;  altro  anello,  pure  di  ar- 
gento, con  cerchio  d'oro  che  tratteneva  una  pietra  calcedonia,  finamente  incisa;  una 
fibula  di  argento,  ed  infine  tre  monete  di  bronzo,  una  di  Druso  Giuniore,  e  due  di 
Nerone.  Si  raccolse  pure  un  vittoriato  di  argento. 

Questi  notevoli  oggetti  saranno  donati  dal  proprietario  al  Civico  Museo  di  Do- 
modossola.   

Regione  Vili  (CISPADANA). 

II.  CAORSO  —  Scavi  nella  Terramara  Rovere. 

La  terramara  della  quale  parlo  è  situata  nella  bassa  pianiira  piacentina,  fra  la 
via  Emilia  e  il  Po,  14  chilom.  circa  ad  est  di  Piacenza,  nel  comune  di  Caorso, 
un  chilometro  e  mezzo  dal  capoluogo.  È  attraversata  dalla  via  dotta  della  >■  Rovere  " 


CAORSO  —    I    —  REOIONK    Vili. 

la  quale  corro  lungo  la  destra  della  Chiureuna,  e  per  la  sua  postura  è  tino  a  qui 
Tultiiiia  delle  terremare  dell' Kinilia  dalla  parte  di  occidente.  Il  nome  che  le  con- 
viene è  quello  di   lloverc  di  Cuoi'su. 

Da  esatto  informazioni  avute  risulta  che  fu  scoperta  nel  1865  costruendosi  ap- 
punto l'attuale  strada  ^  della  Uovere  »  ;  uia  gli  studiosi  ne  ebbero  soltanto  notizia 
nel  1877  (')  grazie  al  dotto  piacentino  conte  Bernardo  PallastroUi,  alle  cure  del 
quale  siamo  debitori  se  si  couservaruno  gli  oggetti  allora  rinvenuti  in  quell'antica 
staziono  e  che,  insieme  col  copioso  materiale  arclitologico  da  lui  legato  alla  propria 
città,  passarono  al  Museo  Civico  di  Piacenza,  (.ili  oggetti  stessi  sono  :  —  Fittili.  Tre 
piccoli  vasi  e  un  tubo  che  era  forse  applicato  a  guisa  di  beccuccio  a  un  grande  reci- 
piente. —  ISroiiii.  Uno  spillone,  quattro  lame  di  coltelli  o  pugualetti  a  foglia  di  sa- 
lice, una  punta  di  lancia  a  cannone  ed  un'ascia  ad  alette. 

Conosciuta  la  potenza  fertilizzante  del  terreno  artificiale  esistente  nel  luogo  in- 
dicato (e  noto  di  passaggio  che  è  perfettamente  identico  a  quello  che  compone  ogni 
altra  terramara) ,  chi  lo  possedeva  nei  giorni  in  cui  fu  scoperto  vi  fece  estesi  scavi 
nell'interesse  agricolo,  sconvolgendo  o  distruggendo  il  tratto  compreso  fra  le  lettere 
X  X'X"X"',  della  tìg.  8,  tuttavia  ne  rimase  ancora  intatta  tanta  parte  da  potervi  ese- 
guire sistematiche  esplorazioni  con  profitto  degli  studi  palelnologici.  E  la  fortuna  di 
intraprenderle  toccò  a  me,  pei  mezzi  accordatimi  nel  lir>y2  e  nello  scorso  anno  dal 
Ministero  della  Pubblica  Istruzione.  dall'Amministrazione  della  Cassa  di  Risparmio 
di  Piacenza,  e  dalla  Commissione  della  Biblioteca  e  Museo  Civico  della  stessa  città, 
per  cui  mi  professo  a  tutti  oltremodo  grato. 

Le  mie  primo  indagini  risalgono  al  1891,  ma  furono  allora  semplici  assaggi 
(tìg.  y.  num.  4,  .T,  7,  8,  18)  fatti,  più  che  per  altro,  per  assicurarmi  della  esistenza 
della  stazione.  Il  luogo,  a  motivo  dei  lavori  agricoli  in  passato  ivi  compiuti,  mi  si 
presentò  poco  meno  che  uniformemente  spianato:  ad  ogni  modo  le  ricerche  di  detto  anno, 
come  altre  eseguitovi  nell'aprile  del  1802  (tìg.  ò,  num.  3,  (i,  9),  bastarono  a  pro- 
vare che  pur  tale  terramara,  al  pari  delle  altre,  aveva  in  origine  la  forma  di  mon- 
ticello,  di  cui  rimaneva  ancora  intatta  la  base. 

Assicurato  della  esistenza  di  una  vera  e  propria  terramara,  allorché  nell'estate 
del  1892  intrapresi  gli  scavi  coi  mezzi  dei  quali  ho  fatto  cenno,  fu  mia  cura  di  cer- 
carne i  limiti,  seguendo  il  metodo  appreso  dal  prof.  Pigorini  assistendo  ogni  anno 
agli  studi  da  lui  compiuti  sulla  terramara  Castellazzo  di  Fontanellato  nel  Parmense. 
Con  tale  intendimento  eseguii  una  trivellazione  (tìg.  i},  num.  'òu),  200  metri  circa 
a  sud  della  strada,  nel  podere  della  signora  Frodesvinda  Carrara  ved.  Boriani.  Con 
siffatta  trivellazione,  come  con  altre  due  più  a  nord  (28,  29),  non  cstrassi  che  ter- 
reno naturale,  segno  certo  che  la  stazione  non  giungeva  fino  ai  punti  indicati.  Per  con- 


(')  Bull,  di  pnltln.,  IH,  )).iK.  -11.  —  Qui  peri  );iov«  lU'tiirc  elio  il  l'all.iiitrclli  la  cliianiò  ttT- 
ratnara  di  rnli);n&n<>  ilal  fatto  clic  j;li  optietti  in  essa  raccolti  gli  furono  ilun.iti  «lai  rev.  ilon  Gae- 
tano Morandi  parroco  allora  n  l'olipnano,  al  quale  poi,  come  in  jiarticolar  incido  «gli  epregi  sigg, 
dott.  Francesco  Ferrari  di  Polignano  e  dott.  Riccardo  Pedrini  di  Cortcmaggiore.  mi  compiaccio  addi- 
nioKtrare  la  mia  vira  riconoscenta  per  tutte  quelle  notizie  che  gentilmente  mi  vollero  favorire. 


REOIONE   Vili.  —   i)   —  CAORSO 


trarlo  colla  trivellazione  26  incontrai  un  terreno  che  accennava  al  riempimento  di 
una  fossa  (').  FoDdamloiiii  sopra  silfatti  indizi  intrapresi  uno  scavo  di  m.  10X4 
(fìg.  3,  num.  27)  onde  mettere  iu  chiaro  se  ivi,  come  io  mi  attendeva,  si  trovasse  il 
limite  meridionale  della  stazione. 

Levato  il  terreno  coltivahile,  un  altro  ben  distinto  se  ne  presentò  alla  profon- 
dità di  un  metro  circa,  di  tinte  diverse  e  senza  dubbio  di  trasporto.  Esso  per  altro 
non  formava  il  piano  inferiore  della  trincea  per  tutta  la  sua  lungliezza,  ma  di  mano 
iu  mano  che  lo  scavo  discendeva  andava  gradatamente  restringendosi  a  sud,  ove  ap- 
pariva invece  un'  argilla  sabbiosa  giallognola  pura  ed  in  posto.  Arrivato  alla  prof,  di 
m.  2.80  mi  arrestai,  e  ripulito  colla  maggior  cura  il  lato  occidentale  dello  scavo, 
vidi  che  io  aveva  toccato  il  margine  esterno  della  fossa  la  quale  lambiva  la  stazione 
a  sud,  come  dimostra  l'esatta  sezione  che  ne  presento  (tig.  1)  eseguita  sulla  lincia  0.  P. 


li'll aiiiiimiBiii :k .■iiiiiii]ì,:!,iiiMun.;,.r:,i|  :i.:!...<ia',..  ,.;iI',.;i,Him, ii. iif.ji.ji. 


Fir;.  1. 


della  fig.  3  (-).  Restava  però  di  determinare  anche  il  margine  interno  dello  stesso  lato 
della  fossa,  e  ciò  ottenni  ben  presto  colle  trivellazioni  25  e  26. 

Posto  in  chiaro  il  fatto  cui  ho  accennato,  rivolsi  le  mie  indagini  a  cercare  il 
lato  orientale.  Già  per  le  trivellazioni  22  e  23  e  per  alcuni  assaggi  (num.  15  e  16) 
eseguiti  presso  la  strada  aveva  notato  gl'indizi  della  fossa  che  ivi  continuava,  e  a 
provarlo  apersi  lo  scavo  12  e  12'  di  m.  18X5,  tracciato  in  modo  che  non  solo  met- 
tesse allo  scoperto  la  fossa  ad  est,  ma  altres'i  a  nord,  se  pure  da  quella  parte  fosse 
esistita,  com'era  da  credere.  Inoltre  nel  punto  in  cui  i  due  tratti  dello  scavo  formano 
un  angolo  retto,  se  le  mie  previsioni  erano  fondato,  avrei  dovuto  tagliare  la  stazione 
nell'interno,  o  in  altri  termini  incontrare  il  terreno  artificiale,  composto  dei  rifiuti 
delle  abitazioni  e  al  quale  si  dà  in  proprio  il  nome  di  terramara. 

Il  risultato  che  ne  ebbi  non  poteva  riuscire  più  soddisfacente.  Ai  due  capi,  cioè 
ad  est  a  nord,  apparvero   ben   distinti    il  margine   interno  della  fossa,   l'argine  che 


(')  A  questi  primi  assaggi  e  a  parecchi  altri  presiedette  il  .sig.  in?.  Francesco  Tìapuzzi.  erede 
ed  ainniinistrafore  delle  proprietà  Boriani.  .Mrugregio  ingegnere,  all'esimia  signora  rredesvitida  Car- 
rara ved.  Boriani,  agli  Ospizi  Civili  di  Piacenza  e  al  sig.  Giuseppe  Bassini,  i  nuali  permisero  di 
intraprendere  scavi  nelle  loro  proprietà,  i  miei  sinceri  ringraziamenti.. 

(■)  Questa  prima  sezione  e  la  seconda  che  segue  sono  sulla  scala  di   1   cent,  por  metro. 


CAORSO  —   <)    —  REOIONE  Vili. 

luugo  il  lato  della  fossa  scendeva  con  dolco  declive,  mentre  aveva  quello  interno 
verticale,  ap]ii);,'triandobi  al  contiatrorte  di  cui  pure  a  Rovere  di  Caorso  riuiangono  i 
segni  non  dubbi  :  esso  fa  riscontro  alla  costruzione  simile  osservata  già  dal  prof  Pi- 
gorini  nelle  due  terreniare  parmensi  Castione  dei  Marchesi  e  Castellazzo  di  Fontanel- 
lato  (').  Laddove  poi  nell'interno  i  due  tratti  dello  scavo  si  congiungono  ad  angolo  retto 
trovai  l'ammasso  di  rifiuti  che  si  adagiava  sul  suolo  vergine,  nel  quale  restavano  i 
testimoni  sicuri  della  jialatitta  che  reggeva  le  abitazioni  (-).  Col  lavoro  eseguito  per 
altro  non  era  giunto  a  scoprire  così  a  nord,  come  ad  est,  il  limite  esterno  della  fossa, 
e  a  completare  l'opera,  che  riuscì  felicemente,  servirono  le  due  trincee  13  e  14  (*). 
Terminata  questa  parte  del  lavoro,  posi  ogni  cura  nel  rilevare,  sulla  linea  Q  R, 
la  sezione  di  quanto  si  notava  sul  lato  occideutale  dello  scavo  ;  e  nel  presentarla 
(fig.  2)  ho  fede  di  far  cosa  gradita  al  lettore  e  provargli  all'evidenza  l'esattezza  dei 
fatti  ossenrati. 


KiG.  2. 


In  tale  sezione  abbiamo  pertanto  i  seguenti  terreni: 

a-f)  terreno  arabile  dello  spessore  di  cm.  20; 

c-d)  strato  archeologico  o  terramara  delio  spessore  di  m.  1,50:  interno  della 
stazione  ; 

d-e)  terriccio  scuro  per  una  larghezza  di   m.  1,50:  tracce  del  contrafforte: 
e-f-rj)  argilla  giallognola  scura  dell'argine; 
f-g)  terreno  di  riempimento  della  fossa; 
I-m)  suolo  vergine  colle  punte  delia  palafitta. 


(')  Terramara  in  Caslione  dei  .ì/arcìiesi,  istr.  dagli  Atti  d.  Acc.  dei  Lincei  1883,  pag.  25; 
Terramara  Cartellano  di  Fontanrlloto,  cstr.  dalle  Notizie  degli  Scavi  1892,  pag.  5. 

(•)  Ijuanto  fu  osservato  nel  punto  ove  si  congiunpono  ad  angolo  retto  i  due  tratti  dello  scavo 
corrisponde  esattamente  a  ciò  clic  si  rinvenne  cogli  scavi  7-8-10-1 1-1 8-10.2«'>-21  e  21  della  fig.  3. 
Ad  alcuni  di  questi  scavi  assistette  il  chiarissimo  conte  cav.  Lodovico  Marazzani  benemerito  riordi- 
natore del  Musco  Civico  piacentino. 

(1)  Pei  fatti  esposti  rimasero  pienamente  convinte  le  cg^regie  persone  le  quali  visitarono  il  luogo 
durante  le  mie  ricerche,  cioè  i  sigg.  prof,  coinm.  Luigi  l'ig'irini  direttore  del  Museo  Prci.'stnrico 
di  Roma,  rag.  Lagorio  sindaco  di  Caorso,  prof.  cav.  bonora  K.  ispettore  degli  scavi,  prof  cav.  Hri- 
gtdini  preside  del  R.  Istituto  Tecnico  piacentino,  professori  Alfredo  Ferrari  e  Ascr  Poli  dello  stesso 
Istituto,  cunte  avv.  Alessandro  Morandi  ispclture  della  Hiblinteca  e  Museo  Civico,  conte  (ìiuscppc 
Nosalli  Rocca  e  arciprete  Gaetano  Tononi  della  I!.  deputazione  di  .Storia  Patria. 


REGIONE   Vili.  —   7   —  CAORSO 


Gli  scavi  dei  quali  ho  parlato  sin  qui  condussero,  come  ognun  vede,  a  detormi- 
nare  tre  soli  lati  della  stazione,  cioè  ronent.ale,  il  settentrionale  e  il  meridionale. 
Kestava  aucoia  da  trovare  quello  di  oriente,  e  a  corcarlo  rivolsi  le  esplorazioni  pra- 
ticate nello  scorso  luglio. 

Partendo  dai  dati  raccolti,  e  assicuratomi  colle  trivellazioni  aob  (fig.  3)  che  in  a 
si  aveva  il  terreno  naturale  come  nei  casi  precedenti,  e  in  h  per  contrario  quello  di 
trasporto  da  cui  è  riempita  la  fossa,  tracciai  lo  scavo  1  di  m.  l.^)X4.  Il  risultato  avu- 
tone fu  questo,  che  in  a  misi  allo  scoperto  la  sponda  esterna  occidentale  della  fossa, 
mentre  dalla  parto  opposta  {h)  rinvenni  non  solo  il  margine  interno,  ma  altresì  l'an- 
golo che  ivi  il  lato  occidentale  forma  con  quello  di  nord.  E  nei  due  lati  maggiori 
dello  scavo  si  notò  con  ogni  chiarezza  l'inclinazione  della  fossa  che  anche  ad  ovest 
manteneva  la  larghezza  e  la  profondità  osservate  negli  altri  punti  (').  A  provare  poi 
sempre  meglio  che  il  lato  della  fossa  rinvenuto  collo  scavo  1  si  congiungeva  con 
quello  di  settentrione,  giovò  mirabilmente  l'altro,  aperto  a  breve  distanza  e  segnato 
col  num.  2,  del  quale  tralascio  di  discorrere  partitamente  per  non  cadere  in  troppo 
frequenti  ripetizioni. 

Dopo  quanto  sono  venuto  esponendo  gli  è  chiaro  che  anche  senza  ulteriori  in- 
dagini si  poteva  rilevare  intera  la  figura  che  in  pianta  disegna  la  terramara  Rovere 
di  Caorso,  e  determinare  esattamente  le  dimensioni  tanto  dell'area  interna  occupata 
dalle  abitazioni,  quanto  della  fossa  e  dell'argine  col  rispettivo  contrafforte  che  la 
la  circondano.  Volli  per  altro  continuare  nelle  ricerche  fino  a  che  lo  permisero  i 
mezzi  concedutimi,  e  proseguii  nello  studio  del  limite  occidentale  collo  scavo  17  e 
con  una  numerosa  serie  di  trivellazioni  sulle  linee  d-e-f,(j-h,i-l,m-n.  Il  risultato  fu 
di  stabilire  esattamente  la  lunghezza  del  limite  stesso,  di  provare  che  in  ogni  suo 
punto,  scendendo  da  nord  a  sud,  aveva  le  stesse  particolarità  osservate  collo  scavo  1 
e  che  al  termine  formava  un  angolo  acuto  col  lato  meridionale.  Né  sono  questi  sol- 
tanto i  frutti  degli  ultimi  lavori.  Vidi  inoltre  che  sul  punto  indicato  si  congiungevano 
esattamente  l'argine  e  il  contrafforte  dei  lati  occidentale  e  meridionale,  e  che  sul 
margine  esterno  della  fossa,  al  vertice  dell'angolo  e  nella  direzione  di  sud-ovest,  si 
si  apre  un  canale  della  stessa  larghezza  della  fossa.  Evidentemente  si  ha  ivi,  come 
già  fu  notato  dal  prof.  Pigorini  nella  terramara  Castellazzo  di  Fontanellato  {-) ,  il 
canale  d'immissione  o  incile  per  cui  traevasi  l'acqua  che  allagava  la  fossa.  E  il  fatto 
è  tanto  più  certo  in  quanto  il  detto  canale  si  dirige  a  monte  del  torrentello  Chia- 
venna,  unico  corso  d'acqua  naturale  e  perenne  del  luogo  (•').  La  presenza  del  canale 
di  iminissione  induce  a  erodere  che  in  qualche  altro  dei  punti  della  fossa  vi  fosse 
anche  il  canale  di  scarico  delle  acque,  ma  per  indagarlo  occorrono  speciali  ricerche 
che  io  non  ho  avuto  ancora  modo  di  eseguire. 


(')  Testimoni  del  fallo  fiir'oi"  il  compianto  prof.  cav.  Aiil'Hiio  lioiii.ra  K".  ispettore  degli 
Scavi,  e  il  prof.  Alfredo  Ferrari  del  lì.  Istituto  Tocnico  ili  Piaicnza. 

(2)  Terram.  Castellazzo  cit.  pag.  5. 

(')  La  Chiavenna  oggi  si  trova  alla  distanza  di  m.  400  circa  a  sud-ovest  della  stazione,  ma 
è  probabile  che  in  antico  vi  si  acc"stasse  maggiormente 


CA0K80 


—  8  — 


KKDIONB    Vili. 


In  base  ai  fatti  positivi  osservati  collo  mie  esplorazioni,  che  oso  dire  accuratis- 
sime, ho  disegnato  la  pianta  che  prosento  ai  lettori  (lig.  3).  Essa  ci  mostra  una  stazione 
estesa  complessivamente  por  raq.  20<M0.  della  quale  per^  l'area  dei-tinata  alle  abi- 
tazioni misura  soltanto  mq.  12870:  la  fossa,  come  Tarf^ine  e  il  contratTorte.  manten- 
gono ciascuno  in  ogni  punto  uguali  dimensioni,  cioè  la  fossa,  al  pari  del  canale  d'im- 


missione, è  profonda  m.  l.M»  dall'antico  piano  di  campatrna  con  ima  larghezza  di 
m.  lo,  l'aririno  ha  una  base  di  m.  ^,  e  il  contrafforte  è  largo  m.  l..'>ii.  Per  chi  amasse 
poi  di  conoscere  la  lunghezza  dei  singoli  lati  della  stazione,  dirò  che  l'orientale  è  di 
m.  1.50,  l'occidentale  è  di  m.  170,  il  meridionale  di  m.  135  ed  il  settentrionale  di 
m.  130  (").  Ma  ci<S  che  più  importa  di  notare    si  òche  pure  la  terramara  Royere  di 


(')  T,e  vario  misuro  ritatc.  fia  il-lla  liindiozza  di  opii  «iiiijolo  lato,  sia  «lolla  larL'hozza  «Iella 
foMa  e  «iella  baso  delParirinc,  nono  <lìvÌMbili  por  .'■.  Ciò  si  aroonla  mlle  osservazioni  fatto  pia  dal 
prof.  rie«.rini  al  Tastcllazzo  di  Fontanellato,  e  avvalora  la  opinione  da  lui  manifestata  (Ttfrram. 
Canlellazso  nX.  paR.   ('  k\v  cioó  i  tirr.imnriooli  avpssoro  nn.i  unità  di  misuri. 


REGIONE    VII.  —    9    —  MASSA    E    COZZILE 

Caoiso  ha  forma  di  trapezio,  e  che  i  suoi  Iati  di  oriente  e  di  occidente  sono  paral- 
leli. Abbiamo  in  ciò  una  nuova  conferma  del  fatto,  dimostrato  anche  recentemente 
dal  prof.  Pigorini  ('),  che  le  terremare  presentano  i  caratteri  essenziali  delle  città 
degl'Italici,  quelli  cioè  della  quadratura  e  della  orientazione. 

Cogli  scavi  praticati  nell'interno  rinvenni  avanzi  organici  ed  altri  industriali,  i 
quali  tutti  trovano  riscontro  in  cil^  che  ordinariamente  esce  dallo  terremare.  Negli 
avanzi  organici,  che  furono  ossa  di  animali,  il  prof.  Strobel,  il  quale  ebbe  la  cortesia 
di  esaminarli,  vi  riconobbe  il  cavallo,  il  porco  {sus  palusiris),  la  capra  e  il  bue 
(hos  brachìjceros).  Gli  oggetti  lavorati  dall'uomo  sono  di  terra,  di  corno  cervino,  di 
bronzo  e  di  pietra,  cioè:  —  FiltiU.  Sette  fusaiuole,  quattro  dui  creduti  pesi  da  telaio, 
tre  piccoli  vasi  e  moltissimi  frammenti  di  stoviglie  fra  cui  le  caratteristiche  anse 
cornute.  —  Corno  di  cervo.  Alcuni  punteruoli.  —  Broazo.  Due  spilloni,  di  cui 
uno  frammentato,  tre  lame  di  coltello  a  foglia  di  salice.  —  Pietra.  Una  cote. 

Ed  ora,  nel  chiudere  la  mia  relazione,  mi  anima  la  fiducia  che  pure  in  avvenire 
i  miei  concittadini  vorranno  mantenermi  il  loro  aiuto,  onde  io  possa  proseguire  le 
iniziate  esplorazioni  paletnologiche  della  provincia  piacentina,  dalle  quali,  oltre  al 
vantaggio  che  può  averne  la  scienza,  riceve  notevole  incremento  il  Civico  Museo. 

L.  Scotti. 


Regione  VII  (ETRURLì). 

III.  MASSA  E  COZZILE  —  Tombe  antiche  scoperte  a  Monte  a  Colle. 

A  oriente  del  poggio,  sulle  cui  pendici  sorgono  gli  ameni  paeselli  di  Massa  e 
Cozzile,  si  eleva,  a  4.57  metri  sul  livello  del  mare,  un  altro  monte,  conosciuto  e 
segnato  nella  carta  dello  Stato  Maggiore  col  nome  di  Monte  a  Colle.  Giovanni  Mucci, 
proprietario  di  un  piccolo  podere  situato  presso  alla  cima  di  esso,  stava  nel  maggio  189U 
scassando  il  terreno,  che  scende  con  pendio  ripido  verso  occidente,  per  ridurlo  a  col- 
tivazione, in  un  punto  discosto  dalla  casetta  circa  un  centinaio  di  metri,  allorquando 
s'abbattè  in  una  pietra  arenaria  (serena)  piantata  ritta,  in  terra,  a  guisa  di  pilastro 
assai  iiTcgolare  e  scabro,  alto  circa  un  metro  e  mezzo  e  dello  spessore  medio  di 
4U  centimetri.  Rimossa  la  pietra,  a  circa  3  metri  di  profondità,  riconobbe  un  denso 
strato  di  carboni,  in  cui  eran  mischiati  frammenti  di  vasi,  e  da  un  canto  un  vaset- 
settino  di  terra  rossa  intero,  che  il  Mucci  raccolse,  ma  che  poi  andò  perduto. 

Seguitando  in  quell'anno  e  nel  successivo  a  scassare  il  terreno,  gli  avvenne  spes- 
sissimo d'incontrare  cumuli  di  sassi  irregolari,  che  sovrastavano  a  fosse  di  forma  ret- 
tangolare, della  larghezza  media  di  m.  1,.50  e  della  lunghezza  di  m.  3,50.  Pare  che 
complessivamente  il  numero  di  cotesto  fosse  sia  stato  di  sedici.  E  tutte  contenevano 
carboni  più  o  meno  decomposti,  qualche  volta  misti  a  frantumi  di  stoviglie. 

Ma  la  scoperta  piìi  notevole  occorse  nel  maggio  1891.  Tn  una  di  quelle  tali 
fosse  giaceva  una  specie  di  vaso  a  foggia  di  campana  capovolto,  contenente  un  altro 

(')  Terram.  Castellazzo  cit.  imtr,  1. 
Classe  di  scienze  morm.i  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  T)",  parie  2'  2 


MASSA    E    COZZILE  —    ".0    —  REGIONE    VII. 

vaso  coperto  da  una  ciotola,  nel  quale  orano  ossa  combuste.  Disi^raziatamente  il  vaso 
a  campana  fu  distrutto,  e  non  potei  vederne  che  un  piccolo  frammento,  d'argilla  rossa, 
abbastanza  depurata,  appartenente  alla  estremità  del  vaso  che  veniva  a  trovarsi  in 
cima,  vale  a  dire  al  pieile  rovesciato.  Dalla  struttura  di  questo  frammento  risulta 
evidente  che  il  vaso  tiniva  a  punta,  come  le  anfore  romane.  Io  credo  pertanto  che 
esso  vaso  fosse  una  i^rande  anfora,  la  quale,  sejjata  in  mezzo  al  ventre,  sarebbe  stata 
usata  con  l'apertura  volta  in  giù,  secondo  una  consuetudine  frequentissima  ne'  tempi 
romani.  Ma  non  escludo  che  si  tratti  d'un  vaso  fatto  apposta  cos'i  per  l'uso  sepolcrale: 
perchè,  secondo  il  Mucci.  esso  era  munito  di  due  anse  o  manubri  laterali,  che 
non  combinerebbero  propriamente  con  l'ipotesi  d'un'anfora  segata;  essendoché  la  por- 
zione segata  avrebbe  dovuto  restare  sprovvista  di  manichi.  Checché  sia  di  ciò,  anche 
il  frammento  di  un'ansa,  che  lui  fu  fatto  vedere,  cosi  por  la  qualit.'i  dell'argilla  come 
per  la  forma  scanalata,  corrisponde  iu  ogni  caso  a  quello  proprie  delle  liguline  di  età 
romana. 

Sotto  di  quella  specie  di  campana  si  rinvenne  un  ossuario  col  ventre  quasi  sfe- 
rico e  la  bocca  rientrante,  fornito  di  un  grosso  labbro,  ora  rotto  iu  cinque  pezzi,  ma 
che  si  può  ricomporre  quasi  interamente  (alto  m.  0,21  ;  maggior  diametro  0,23)  ('). 
Considerato  diligentemente  il  vaso,  misurato  esattamente  l'orificio,  constatata  la  per- 
fetta regolarità  di  esso  e  del  ventre,  notate  certe  strisele  circolari  che  girano  intorno 
a  questo,  ho  dedotto  che  l'ossuario  sia  stato  fatto  al  tornio.  Esso  è  di  terra  rossastra 
simile  a  quella  del  vaso  a  campana  su  ricordato. 

D'argilla  di  color  cupo  o  di  rozzissimo  impasto,  fatta  a  mano  e  malamente 
cotta  è  invece  una  ciotola  (alta  m.  0,09,  diametro  0,17)  sbocconcellata  da  un  canto, 
la  quale  serviva  da  coperchio  all'ossuario,  e  vi  era  posta,  secondo  cui  rifeii  il  Mucci, 
diritta,  non  rovesciata.  Accanto  ad  essa  si  rinvenne  un  bicchiere  di  forma  quasi 
cilindrica   della  stessa   terra   brunastra   (alto  m.  0,10)  e  di  grossolana  fattura. 

Kntro  all'ossuario  finalmente  insieme  con  lo  ossa  combuste  si  trovò  un  pezzo 
di  moneta  di  bronzo  tagliata  in  antico,  in  cui  tipo  e  leggenda  sono  atfatto  irrico- 
noscibili. 

Un  secondo  bicchiere  di  terra  roizissima,  un  po'  panciuto  e  scheggiato  nell'orlo 
(alto  m.  0,08)  fu  trovato  in  un'  altra  di  quelle  fosse.  In  una  terza  s'ebbe  un  vasetto, 
di  cui  restano  due  insigniticanti  frammenti  e  due  pezzetti  di  ansa  scanalata.  Ksso 
era  di  line  argilla  rossastra,  ricoperta  di  uno  strato  di  vernice  nera.  11  Mucci  mi 
accennò  per  ultimo  ad  un  vasellino  elegantissimo  di  argilla,  oltremodo  leggero  e  di 
color  rosso  vivacissimo,  disgraziatamente  andato  perduto,  e  che  avrà  molto  probabil- 
mente appartenuto  al  genere  aretino. 

Visitato  il  podere  del  Mucci  e  giunto  al  lato  meridionale,  dove  esso  confina  con 
la  proprietà  Puccini,  si  vide  una  delle  pietre  del  genere  di  quelle  che  si  sogliono 
rinvenire  sopra  le  fosse.  Il  Mucci  si  prolTerse  di  fare  un  piccolissimo  .saggio  di  scavo; 
e,  rimossa  la  pietra  e  scavato  il  terreno  sottoposto,  altre  jiietre  un  po'  meno  grandi 

(')  Cfr.  por  la  forma  Fabrctti,  Scavi  di  Carrù  nepli  Atti  della  Società  d'Archeologia  e  Belle 
arti  per  U  provincia  di  Torino,  li  (1879),  tav.  U,  fig.  10-12;  tav.  Ili,  lìg.  4. 


REGIONE    VII.  —     11     —  MASSA    E    COZZILE 

comparvero  sotto  e  d'intorno.  Tolte  anche  queste,  si  vide  chiaramente  uno  strato  dello 
spessore  di  circa  20  centimetri  formato  da  una  terra  nericcia,  grassa  ed  untuosa  al 
tatto,  residuo  evidente  di  carboni  decomposti  e  polverizzati.  Soltanto  qualche  pezzetto 
di  carbone  era  ancora  intero,  e  mescolati  con  la  terra  si  ravvisarono  certi  esigui 
fraiiimentini  di  stoviglie  di  argilla  rossastra  e  d'impasto  piuttosto  rozzo.  Sgombrata 
la  l'ossa, in  modo  che  sotto  e  intorno  apparisse  il  terreno  naturale  senza  tracce  di 
combustione,  non  si  rinvenne  malauguratamente  alcun  oggetto,  e  neppure  alcun  ve- 
stigio d'ossa  bruciate.  La  cosa  parve  a  me  alquanto  singolare  e  mi  fece  nascere  il 
sospetto  che,  sebbene,  come  dissi,  il  terreno  sembrasse  sotto  ed  intorno  intatto,  con- 
venisse tuttavia  allargare  e  approfondire  le  indagini  :  il  che  l'i  per  lì  non  si  po- 
teva naturalmente  fare. 

Intanto,  raccogliendo  i  dati,  che  l'analisi  dei  pochi  oggetti  serbati  dal  Mucci  e 
le  informazioni  assunte  sopra  luogo  potevano  fornirmi,  credo  di  poterne  trarre  le 
seguenti  conclusioni. 

1°  Il  sepolcreto  appartenne  ad  un  vico,  che  doveva  sorgere  sul  Monte  a  Colle;  e, 
per  quanto  si  può  arguire  dal  pochissimo  che  si  è  scoperto,  serv'i  alla  deposizione 
di  gente  di  povera  condizione. 

2°  Il  sepolcreto,  se  non  tutto,  almeno  parzialmente  è  de' tempi  romani,  secondo 
si  deduce  dall'indole  della  tomba  meglio  conservata  o  meglio  esplorata.  Il  vaso  a 
campana  che  serviva  a  proteggere  l'ossuario,  l'ossuario  stesso  fatto  al  tornio,  quel 
vasello  rosso  non  veduto  da  me,  ma  giudicato,  giusta  le  indicazioni  de' contadini,  di 
fabbrica  aretina,  finalmente  la  mezza  moneta,  la  quale,  sebbene  corrosa,  pare  tuttavia 
essere  stata  un  medio  bronzo  romano  :  tutto  cotesto  accenna,  a  parer  mio,  indubbia- 
mente all'epoca,  in  cui  anche  nella  Val  di  Nievole  era  oggimai  estesa  la  romana 
dominazione. 

'6°  Sebbene  spettante  a'  tempi  romani,  il  sepolcreto  serba  una  peculiare  impronta 
primitiva  e  paesana:  di  che  non  è  da  far  meraviglia,  essendo  risaputo  che,  dirimpetto 
all'assorbente  e  unificatrice  cultura  classica  diffusa  ed  imposta  dai  dominatori  del 
mondo,  ogni  singola  regione  mantenne  in  parte,  massime  ne'  primordi  della  sua  sog- 
gezione a'  Romani,  il  patrimonio  della  civiltà  che  le  era  proprio  per  T  innanzi,  e, 
ricevendo  i  benefici  della  nuova  coltura,  li  adattò  alle  particolari  condizioni  etniche 
e  locali,  in  cui  si  trovava. 

Ora,  appunto  per  la  consistenza  d'una  civiltà  arcaica,  rude  e  disforme  dalla 
romana  classica,  il  vico  di  Monte  a  Colle  pare  a  me  degno  di  nota.  A  una  tal  civiltà 
accennano  la  ciotola  sovrimposta  come  coperchio  all'ossuario,  i  vaselli  di  grossolana 
fattura  scoperti  in  talune  delle  tombe,  e  specialmente  il  rito  e  il  modo  di  costruzione 
delle  tombe  stesse.  I  sassi  che  in  grandissimo  numero  si  rinvennero  accumulati  sui 
sepolcri  e  sopratutto  il  grande  ed  erto  pilastro  rozzamente  scarpellato  che  serviva  da 
cippo  a  una  delle  sepolture,  ci  fanno  pensare  a  consuetudini  riscontrate  in  antichis- 
simi sepolcreti  italici,  e  in  particolar  modo  in  sepolcreti  ligud.  Mi  basterà  ricordare 
quelli  di  Velleia  (')  e  di  Cenisola  (-),  dove  le  tombe    erano    o   costrutte  o  protette 

(»)  Cfr.  Marietti,  Aotisic  1877,  sor.  3*,  voi.  I,  p.  524  e  sgpr.;  tiiv.  V-IX. 
r«)  Cfr.  Todcstìi,  Notizie  187!),  scr.  3^  voi.  V,  p,  S(i  o  s<r?r.;  tav.  Vili.  1\ 


Masetto 


12    —  REGIONE   VI. 


da  sassi.  Nt-l  sepolcreto  di  Cenisela  poi  uscirono  in  luce  quei  roizi  cippi,  uno  de'  quali, 
edito  nelle  .Voline  1879  ('),  p»«'>  esser  messo  a  diretto  coufrouto  con  quello  scoperto 
dal  Mucci. 

G.    (illlUAKUlN'l. 


Ueoiunk  vi  (ILUBIIIA). 

W .   riANKTTo  {Irazione  dol  comuue  di  GaieaU)  —  Tomba  preromana 
scoperta  nel  terrilorio  del  Comune. 

Fra  Gaieata  e  Santa  Sotia,  al  contine  della  provincia  di  Forlì  con  quella  di  Fi- 
renze, in  un  fondo  del  sig.  Qiiercioli,  pesto  a  Pianutto,  in  occasione  di  piantanicnto 
di  viti  è  stata  trovata  una  tomba  composta  di  grossi  ciottoli.  Dalle  notizie  avute  era 
di  combusto  ;  ma  non  ne  ho  potuto  determinare  la  forma.  Essa  conteneva  i  seguenti 
bronzi  :[ —  Due  armille  di  verga  ettagona,  massiccia,  a  un  giro  e  mezzo  circa,  assot- 
tigliantesi  lievemente  verso  le  estremità  e  del  diametro  interno  di  mm.  42.  Per  forma 
richiamano  altre  trovate  qui,  e  specialmente  quelle  del  ripostiglio  scoperto  presso 
Forlì  (cfr.  Bull,  di  l'alelu.  Hai.  anno  IX,  tav.  VII,  mi.  9,  lU).  Quattro  fibule 
a  navicella  piena,  fornite  di  tre  globetti  sullarco  e  di  bottone  un  po'  rialzato  alla 
punta  del  breve  astuccio;  riproducono  gli  esemplari  che  erano  nel  ricordato  ripostiglio 
(cf.  lìuU.  cit.,  tav.  VII,  n.  (3).  Altre  due  a  navicella  vuota,  con  soli  due  globetti 
laterali;  ma  privo  di  cartoccio  e  di  spillo  (op.  cit.  d.  2).  Due  più  piccole  con  sei 
bottoncini  distribuiti  tre  per  parte,  nelle  coste  del  sottile  arco  e  somigliante  a  quella 
riportata  dal  Gozzadini  negli  Scavi  .Irnoaldi-  Veli,  presso  Bologna,  tav.  X,  n.  10. 
Cinque  spilli  con  resti  di  ripiegatura  e  due  cartocci  con  bottone  tinaie,  spettanti  ad 
altre  fibule.  Tutti  i  pezzi  sono  coperti  da  patina  bruna  con  chiazze  verdastre  e  sono 
privi  di  qualunque  ornato  gratlito. 

Nulla  mi  fu  dato  di  raccogliere  di  fittili  che  mi  si  assicurò  non  esser  stati  trovati. 

Come  è  noto,  fibule  a  quattro  globetti,  con  qualche  dilVerenza  nella  distribuzione, 
si  incontrano  nelle  necropoli  della  prima  età  del  ferro  e  scompaiono,  o  quasi,  nel  periodo 
successivo. 

In  altra  occasiono  trattai  di  questa  foggia  di  fibule  e  provai  che  le  medesime, 
quasi  sempre  associate  alle  armille  semplici  suddescritte,  sono  molto  diiTuse  e  anzi 
in  assoluta  prevalenza  nella  nostra  regione,  specialmente  sulle  pendici  appenniniche 
a  sud-est  e  sud-ovest  di  Forlì  (cf.  Bull.  cit.  anno  IX,  p.  180  sgg.).  Ritengo  perciò 
che  la  tomba  in  discorso,  sia  di  deciso  tipo  italico. 

Ho  potuto  fai  e  acquisto  dei  ricordati  avanzi  pel  Museo  forlivese,  già  ricco  di 
esemplari  consimili,  usciti  tutti  dal  nostro  territorio,  o  da  lunghi  contermini. 

A.    S.VNT.\REI,M. 


(')  Tav.  vili.  fiff.  10.  Il  sepolcro  II.  2  (ibid.  fipll.  12.  cfr.  p.  299-300)  conlcncva  un  ossuario 
coporto  di  una  ciotola  diritta,  come  pare  fosse  quella  sovrimposta  all'ossuario  della  nostra  tomba. 


IIOMA  —    13    —  ROMA 

V.   ROMA. 
Nuove  scoperte  nella  cllth  e  nel  suburbio. 

Regione  III.  Disfacendosi  il  muro  di  cinta  di  mi  cito  per  sistemare  l'ultiino 
tratto  della  via  della  Polveriera,  alla  profondità  di  ni.  U,80  sotto  il  piano  stradale, 
si  è  riconosciuto  un  avanzo  di  antico  muro  a  cortina,  per  la  lunghezza  di  circa  m.  20. 
Fra  i  materiali  adoperati  nella  costruzione  si  rinvenne  :  un  frammento  di  grande 
coperchio  di  sarcofago  marmoreo,  con  maschera  scenica  scolpita  sull'angolo  ;  un  pezzo 
di  capitello  ov'  è  rilevata  una  pantera,  di  cui  manca  la  testa  ;  un  piede  di  candelabro 
marmoreo,  alto  m.  0,70,  sopra  un  lato  del  quale  è  conservata  una  figurina  muliebre 
in  rilievo,  con  breve  tunica  succinta,  che  nella  mano  destra  abbassata  tiene  una  pelle 
leonina  e  con  la  sinistra  sorregge  una  lunga  asta  ;  un  frammento  di  lapide  sepolcrale, 
ove  rimane  soltanto: 

M 
NV 

F 

Entro  il  medesimo  muro  si  trovò  una  colonna  di  granitello,  del  diametro  di 
m.  0,45,  collocata  verticalmente,  e  sporgente  appena  m.  0,35  dal  suolo:  il  resto  è 
rimasto  interrato. 

Regione  IV.  Presso  l'angolo  tra  la  via  Cavour  e  la  via  de' Serpenti,  a  circa 
m.  4  sotto  il  piano  stradale,  è  stato  scoperto  im  rocchio  di  colonna  di  marmo  bianco, 
del  diametro  di  m.  0,50. 

Regione  V.  Intrapreso  nel  grande  terrapieno  rimasto  sulla  piazza  Dante, 
un  piccolo  sterro  per  ricavarvi  una  cantina,  sono  stati  raccolti  parecchi  frammenti 
di  marmo,  cioè  :  testa  virile  alta  m.  0,40,  con  la  faccia  del  tutto  consunta  ;  pezzo  di 
gamba  appartenuta  a  statua  più  grande  del  vero;  plinto  di  statua,  sul  quale  resta 
un  avanzo  di  pelle  leonina;  rocchio  di  colonna  di  bigio,  lungo  m.  0,78,  diam.  m.  0,30; 
altro  rocchio  di  colonna,  in  marmo  bianco,  baccellata,  lungo  m.  0,82,  diam.  m.  0,  22. 

Regione  VI.  Negli  sterri  per  la  nuova  chiesa  americana  sull'angolo  di  via  Venti 
Settembre  e  via  Firenze,  sono  stati  ritrovati:  un  pezzo  di  panneggio  di  statua,  in 
marmo  bianco;  un  frammento  di  cornice,  ingiallo  antico,  e  varie  lastrine  squadrate 
di  marmo  bianco,  che  dovettero  appartenere  ad  un  pavimento;  un  frammento  di  co- 
lonna scanalata  in  tufo,  lungo  m.  0,37  ;  ed  un  piccolo  frammento  di  capitello  dorico, 
in  travertino.  Nel  sito  medesimo  è  stato  compiuto  lo  sterro  di  una  colonna,  fornuita 
di  vari  rocchi  trovata  al  suo  posto.  Al  primo  rocchio  di  tufo,  alto  m.  1,1."),  era  sot- 
toposto un  altro  rocchio  di  pietra  sperone,  anch'esso  scanalato   ed  alto  m.  l,lU.   Il 


POMl'Kl  —    11    —  REOIONR   I. 


diametro  della  colonna  è  di  m.  O.OO.  E-isa  poiif^ia  sulla  propria  base  di  travertino, 
alta  in.  O.HO,  del  diametro  di  m.  0.7o;  e  questa  è  piantata  sopra  un  fondamento  a 
massi  squadrati  di  tufo,  il  quale  è  congiunto  pon>endicolanuente  con  un  altro  tratto 
di  simile  costruzione.  Il  piano  di  posa  della  base  è  a  m.  ;">  sotto  il  livello  stradale 
della  via  Venti  Settembre. 

Uegiono  IX.  In  via  Capodiferro.  avanti  la  casa  segnata  col  n.  T),  facendosi 
un  cavo  per  imbocco  di  fogna,  alla  profondità  di  metri  1,20  si  è  trovato  un  torso 
di  statua  virile,  in  marmo,  granile  più  del  naturalo,  di  buona  fattura.  Dal  collo  all'at- 
taccatura della  coscia  misura  m.  1.  La  li^'ura  è  tutta  ignuda;  sulla  spalla  sinistra 
rimangono  le  tracce  di  una  clamide,  che  fu  totalmente  scarpellata. 

Via  Noraentana.  Nella  escavazione  per  fondare  un  nuovo  fabbricato  del  Po- 
liclinico, sono  stati  raccolti  fra  lo  terre  di  scarico  vari  oggetti,  cioè:  un'asta  di  bi- 
lancia, in  bronzo,  con  appiccagnolo;  un  pezzo  di  cerniera,  in  osso;  un  cucchiaio  ed 
una  borchia,  parimente  in  osso;  un  frammento   di  ornato,  in  bronzo. 

Via  Salaria.  Altri  avanzi  di  muri  reticolati,  in  tufo,  sono  apparsi  nello  sterro, 
di  cui  altre  volte  si  è  riferito,  sul  piazzale  esterno  di  porta  Salaria.  Si  rinvennero 
poi  parecchi  frammenti  d'intonaco  dipinto;  un'anfora  fittile  intiera,  alta  m.  0,80.  e 
sette  lucerne  comuni.  Due  di  queste  hanno  impresso  il  bollo  FORTIS,  un'altra  il 
bollo  GABINIA,  le  rimanenti  sono  anepigrafi.  In  un  pezzo  di  mattone  leggesi  parte 
di  un  bollo  circolare,  che  sembra  finora  sconosciuto: 

I 

LESAGOR  — 

Facendosi  un  cavo  dinanzi  al  casamento  n.  45  in  via  di  porta  Salaria,  a  circa 
m.  0,50  sotto  il  piano  stradale,  si  è  rinvenuta  una  base  di  colonna  ed  un  capitello 
di  marmo,  assai  guasto. 

G.  Gatti. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

VI.  POMPEI  —  1.  Giornale  lìeijli  scaci  rcdallo  dai  soprastaìdi. 

1  dicembre.  Si  è  ripreso  il  lavoro  di  sterro  nella  regione  V,  isola  2"  ad  est 
della  casa  detta  delle  .\oì:e  di  Argento;  ma  non  avvennero  trovamenti. 

2-15  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

Il)  detto.  Facendosi  alcuni  restauri  si  rivenne:  —  Avorio.  Una  tessera  tea- 
trale col  bassorilievo  di  una  testa  muliebre,  a  sin.;  diametro  mm.  31.  Fu  trovata 
nella   prima  stanza  della  casa  detta  di    P.  Emilio  Celere,  regione  IX,  isola  7". 

17-18  detto.  Non  si  ebbero  rinvenimenti. 


REGIONE    I.  —    15   —  POMPEI 


19  detto.  Fu  causalmente  trovato  nei  lavori  per  la  nettezza,  un  medio  bronzo, 
imperiale,  guasto  per  l'ossidazione. 

20-31  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

2.  Nuove  epigrafi  rinvenute   nel  fondo  del  signor  Eduardo  SantiUi. 

Nel  fondo  Santilli  (cfr.  Notkie  a.  1893  p.  333  sgg.),  continuandosi  a  cavare 
il  lapillo,  son  tornati  recentemente  a  luce  altri  sette  cippi  marmorei  ad  erma  con 
le  seguenti  iscrizioni: 

1.  Alto  m.  0,95,  largo  m.  0,24: 

DELLIAEQiL 

CHI  AE 

2.  Alto  m.  0,54,  largo  m.  0,26  : 

FORTVNATAtóVe'ANc^L- 

3.  Alto  m.  0,45,  largo  m.  0,20.  Lettere  quasi  corsive: 

lANVARIVS 

VIX-ANN 
XXV 

4.  Alto  m.  0,97.  largo  m.  0,32.  Lettere  alhmgate  : 

L'LATVRNIOGRATO 

PAGANO 
Et   MI N ISTRO 

Innanzi  a  questo  cippo  era  sepolta  un'  urna  di  vetro  ben  conservata,  col  coperchio, 
il  cui  alto  manubrio  vuoto  era  messo  in  comunicazione  con  un  tubo  di  piombo  (cfr.  So- 
gliano  in  Notizie  1892,  p.  252,  1  e  p.  25;j,  3). 

5.  Alto  m.  0,88,  largo  m.  0,31.  Lettere  rubricate: 

L  A  T  V  R  N  i  A 

lANVARIA'CALCARlA 
VIX  •    ANN  •    XXXXV 

6.  Grosso  cippo  marmoreo  ad  erma,  alto  m.  1,10,  largo  m.  0,50:  nella  metà 
inferiore  è  grezzo,  è  lavorato  cioè  sin  1;\  dove  appare  l'epigrafe  (cfr.  Notizie  1893, 
p.  333-34)  : 

M  •  PETACIO  •  M  •  F 
MEN 


FORCHIA  —    Iti    —  KF.OIONE    II. 

7.  Alto  m.  0.60,  largo  m.  0.21  : 

P  R  V  N  I 
CF  VIXIT- 
AN  XVI 

Le  lapilli  1,  li,  A.  .">  o  7  prescntauo   verso   il   basso  il  .«olito   foro  circolare. 

Si  raccolsero  inoltre  poche  monete  di  bronzo,  fra  cui  un  asse  repul)blicano. 
un  dupondio  di  Claudio  e  monetine  del  basso  impero,  parecchi  tubi  di  ternicotta  e 
qualcimo  in  piuuilio.  messi  già  in  comunicazione  colle  olio  cinerarie  di  terracotta, 
in  una  delle  quali  si  rinvenne  unanfoietta  di  alabastro. 

A.    SOGLIANO. 


Ekoioxk  II  (APULI.V. 

VII.  l'CiKCinA.  —  Antichità  varie  riconosciute  nel  territorio  del 
comune. 

Nel  fondo  denominato  Tascaricllo,  situato  nella  contrada  di  s.  Alfonso,  o  del 
Crocefisso,  di  proprietà  dei  sigg.  Falco,  lavorandosi  la  terra,  presso  il  ciglio  di  una 
così  detta  muracchia.  si  riconobbero  alcune  antiche  tomlie,  quasi  accoppiato,  rivolte 
ad  oriente,  costruite  con  tegoli,  ed  embrici.  I  tegoli  erano  privi  di  bolli  ed  in  nu- 
mero di  quattro  pei  lati  lunghi  della  tomba.  Non  vi  si  riconobbe  alcun  oggetto  della 
suppellettile    funebre  e  le  ossa  furon  trovate  scomposte. 

Poco  lungi  dalle  dette  tombe  si  rinvennero  due  grossi  blocchi  di  pietra  lo- 
cale, in  forma  di  parallelepipedi.  Nella  faccia  di  uno  vodesi  praticata  una  specie  di 
nicchia  di  m.  0,25  X  o.;{7  X  0,65.  Entrambi  i  blocchi  presentano  le  due  facce  con 
prima  lavoratura  a  scalpello.  Tra  la  terra  mossa  si  rinvennero  alcuni  rottami  di 
vasi  neri,  di  impasto  rozzo:  un  chiodo  di  ferro,  ossidato;  due  monete  di  bronzo, 
irriconoscibili  per  l'ossido. 

Nei  pressi  di  un'antica  fabbrica,  detta  -  la  peschiera  »,  esaminai  aliuni  fnmimenti 
di  tegole  mamraate. 

Nel  recinto  del  caseggiato  riconobbi  un  tratto  di  acquedotto  e  qualche  avanzo 
di  opera  reticolata.  Osservai  inoltre  due  tratti  di  grande  muratura  a  getto,  in  uno  dei 
quali  veggonsi  i  fori  pei  quali  passavano  tubi  tìttili  o  plumbei. 

Presso  l'aia  si  osservano  le  fondazioni  di  muri  di  antiche  camere,  e  nel  ter- 
reno rinvengonsi  di  frequente  cubetti  di  pietra  bigia  ed  altri  di  pietra  bianca,  ap- 
partenuti a  pavimenti  in  mosaico. 

F.  Colonna. 


''^<*'°^^"-  -17-  BRINDISI 


Vili.  BRINDISI  —  Xuom  titoli  sepolcrali  della  necropoli  brindisimi. 
Nel  fondo  De  Marzo  Monaco,  si  rinvennero  i  seguenti  titoli  sepolcrali,  incisi  su 
pietra  calcare  bianca: 

1.  Cubo,  alto  m.  0,92,  largo  m.  0,30,  dello  spessore  di  m.  0,26.  Nella  parte  sini- 
stra è  scolpita  una  mano  aperta,  e  nella  fronte  leggesi  : 


D  M 

I  V  L  I  O    •    HE 
LIO      MATE 
R      PIO      FILI 
Va  A    XX  ■ 
CAMPA  TIA  •  SE 
VERA- V-A-XXI 
H-S-E-NICOPOLIS  F  B  M 
POS 


2.  Lastra  di  ui.  U,5(J  X  0,27  X  0,07:  Reca  inciso: 


/OCTAVlVS- 
eJELTICVS  ■  SACERD 
V    A- XXX • H • S 


3.  Lastra  di  m.  0,48  di  altezza,  m.  0,86  di  larghezza,  ni.  0,12  di  spessore: 

d  /         M 
yv  N  I  A  E/ 
^HEOGNjT^- 

4.  Id.  di  111.  0,40  di  altezza  e  m.  0,.54  di  larghezza: 

V   ■  A   •  XXIII 
M  •   A  E   F  I   C  I   V  S 

HERMES 
SORORI  •  PIENISSIME 

5.  Id.  di  ui.  0,15  X  0,27  X  0,06: 


?^io-diane'n| 

QV  •  AV  ■  ATQ^ 

_      Nel  medesimo  sito  si  rinvenne  un  medio  bronzo  di  Antonino  Pio.  uguale  a  quello 
riprodotto  del  Cohen  n.  588.  ' 

G.  Nervegn.ì. 


Ci.AS.sK  DI  scIE^v.E  MOK.vLi  ccc.  -  Mk.moru.:  -  \\,l.  ji,  Seri,.  .V,  parie  2 


.„„,  ,  18    —  REGIONE    111. 

8TR0N00LI  '" 


RKiiinNK  III  (UIC AMA  ET  BRUTTIÌ). 

IX.  STRoN'eitilil  —  1)1  un  piedislallo  di  slatiai  onoraria  posta  a 
Manio  Megonio  Lame  nel  Foro  di  Petclia,  con  iscrisione  dedicatoria  e 
con  un  nuovo  capitolo  del  testamento  di  quel  personaggio. 

Il  IC  ottobre  del  18t>2  l'ispettore  dott.  Cesare  Trombetta  annunziò  che,  ricomin- 
ciati gli  scavi  di  antichità  nel  comnne  di  Stiongoli,  iu  contrada  Pianette,  che  è  ter- 
reno di  proprietà  municipale,  si  scoprì  il  piedistallo  di  una  statua,  formalo  in  un  solo 
blocco  di  marmo,  alto  m,  1.25  largo  m.  0,00,  senza  la  cornice.  Si  trovò  rovesciato 
vicino  alla  sua  baso,  la  quale  rimane  ancora  al  proprio  posto.  Nel  prospetto  reca 
un'iscrizione  onoraria  a  Manio  Megonio  Leone;  nel  lato  sinistro  è  inciso  un  capitolo 
del  testamento  di  questo  personaggio. 

Insieme  a  questo  piedistallo  si  rinvenne  la  mano  sinistra  di  una  statua  di  bronzo, 
maggiore  del  vero,  il  cui  indice  è  lungo  m.  0,11,  e  l'anulare  porta  l'anello  sul  cui 
castone  è  un  oi-nameiito  a  meandro,  della  forma  di  un  s.  volto  a  sinistra. 

Si  scoprì  pure  il  frammento  di  un  grande  vaso  di  pietra  bianca  o  di  calcare 
del  luogo,  sul  cui  labbro,  largo  m.  0,03,  doveva  in  origine  correre  una  leggenda,  della 
quale  rimane  soltanto  la  parola: 

SACRVM 

Si  scopri  inoltre  una  moneta  di  bronzo  ossidata,  attribuita  a  Faustina  Giuniore, 
e  molti  pezzi  di  bronzo  appartenenti  ad  una  statua. 

Nel  luogo  ove  queste  scoperto  avvennero,  si  rimise  pure  iu  luce  un  tratto  di  muro 
a  grandi  massi,  alcuni  dei  quali,  formanti  angolo,  misurano  m.  1,70  di  lunghezza  e 
m.  0,40  di  altezza  ;  e  questi  muri  sono  in  rapporto  con  altre  costruzioni  più  lontane, 
che  accennano  a  rovine  di  grandiosi  edilìzi. 

Non  fu  questa  la  prima  volta  che  si  rinvennero  antichilii  in  quel  luogo.  La  con- 
trada Piauette,  ad  est  di  Strongoli,  sorge  a  all'altezza  di  2.")7  metri,  e  consiste. 
come  dice  il  nome  stesso,  in  un  piccolo  ripiano  sopra  una  delle  tante  colline  che  si 
affacciano  lungo  la  spiaggia  ionica,  alla  distanza  di  circa  cinque  chilometri  dal  mare. 
È  distante  poco  più  di  un  chilometro  da  Strongoli  che  sovrasta,  sorgendo  a  mag- 
giore altezza  cento  metri  circa. 

Quivi  le  scoperte  di  antichità  furono  quasi  continuo,  per  quanto  è  a  conoscenza 
nostra,  non  essendovisi  fatto  scavo  alcuno  che  non  avesse  prodotto  il  rinvenimento  di 
cose  antii'he;  e  già  fino  dal  1S(Ì7  il  compianto  cav.  Domenico  Marincnla  Pistoia  aveva 
pubblicato  una  memoria  sopra  queste  antichità  quivi  dissepolte.  Sapevasi  che  nel  1842 
presso  il  diruto  convento  dei  Domenicani  erano  stati  rimessi  a  luce  i  ruderi  di  un 
edificio  termale,  i  resti  di  acquedotti,  od  i  frammenti  di  varie  lapidi  iscritte:  e  poi 
si  erano  scoperto  altre  costruzioni;  e  da  ogni  parte  si  avevano  argomenti  per  provare 
che  in  quel  ripiano  ebbe  sede  l'antica  città  di  Petelia.  La  quale  tesi  topografica  riceve 
la  massima  conferma  mediante  il  piedistallo  marmoreo  iscritto,  ora  rinvenuto  presso 


REGIONE   III.  •     —    ly    —  STRONGOLI 


la  propria  base,  vale  a  dire  nel  luogo  che  doveva  conispoudero  alla  parte  superiore 
del  Foro  di  Petelia.  ove  appunto  avrebbe  dovuto  essere  collocata  la  statua  a  cui  appar- 
teneva quel  piedistallo,  come  sappiamo  dalla  iscrizione  clic  vi  si  legye. 

Scavi  sistematici  fattivi  intraprendere  dall'amministrazione  provinciala  sui  primi 
del  1880  sotto  la  direzione  dell'ispettore  sac.  Nicola  Volante,  e  continuati  in  tutto 
l'anno  stesso,  fecero  riconoscere  nuove  costruzioni  e  diedero  copiosi  oggetti  di  suppel- 
lettile domestica  di  età  romana  {Noi.  1880  ser.  3%  voi.  V,  p.  317,  411  e  voi.  VI,  p.  502). 

Nuovi  scavi  fattivi  nel  188G,  oltre  la  solita  messe  di  oggetti  comuni,  diedero 
alcuni  frammenti  di  una  statua  muliebre  in  bronzo,  altri  pezzi  di  bronzo  di  una  statua 
virile,  e  poi  due  piedistalli  di  marmo  l'uno  con  iscrizione  iu  memoria  di  Lucilla  Isau- 
rica,  l'altro  con  epigrafe  in  onore  di  Cedicia  Iride.  Servirono  ambedue  come  basi  di 
statue  che  i  Petelini  con  denaro  proprio  posero  a  quelle  donne  ;  e  per  tali  onoranze, 
come  si  legge  nelle  epigrafi,  lo  stesso  Manio  Megonio  Leone,  di  cui  parla  la  lapide 
ultimamente  trovata,  fece  al  municipio  di  Petelia  cospicui  doni.  Anche  questi  piedistalli 
furono  trovati  rovesciati   presso  le  proprie  basi  che  rimangono  tuttora  al  loro  posto. 

Io  non  so  se  con  queste  scoperte  si  abbia  la  guida  sicura  per  risolvere  tutto 
il  problema  della  topografia,  cioè  se  le  antichità  dissepolte  in  contrada  Pianette  ba- 
stino a  provare  che  la  città  di  Petelia  ebbe  sempre  quivi  la  sua  sede.  Perocché  se 
si  considera  che  il  luogo  non  sarebbesi  prestato  per  resistere  a  quel  lungo  assedio 
con  cui  i  Cartaginesi  nelle  guerre  annibaliche  oppressero  la  città  da  loro  finalmente 
conquistata  per  mezzo  della  fame  (Polib.  7,  1,  3;  Liv.  22,  10,  30);  se  si  considera 
d'altra  parte  che  all'età  romana  appartengono  tutte  le  costruzioni  e  gli  oggetti  che 
si  rinvennero  in  contrada  Pianette,  apparisce  sommamente  probabile  che  la  città  nel 
tempo  che  precedette  il  dominio  di  Roma  avesse  avuto  sede  sull'altura  in  cui  sorge 
la  moderna  Strongoli,  ove  tornarono  a  chiudersi  le  famiglie  per  difendersi  dalle  pira- 
terie e  da  pericoli  nell'età  di  mezzo. 

Ma  lasciando  ciò  da  parte,  certo  è  che  Petelia  nell'età  della  dominazione  romana 
ebbe  sede  in  questa  collina  sosttostante  al  paese  moderno,  e  se  non  fu  città  di  quella 
importanza  che  potrebbe  credersi  pigliando  alla  lettera  le  parole  di  Strabone,  che  la 
chiamò  (ir^icórrD/.ig  lo'v  .itvxcamv  ((3,3),  intorno  a  che  è  bene  avere  innanzi  ciò  che 
del  prof.  Mommsen  fu  osservato  (C.  /.  Z.  X  p.  15),  godè  indubitamente  di  una  certa 
floridezza,  della  quale  ci  fanno  fede  i  ruderi  che  accennano  ad  edifici  pubblici  gran- 
diosi, e  le  lapidi  le  quali  sono  testimoni  dei  monumenti  che  abbellivano  la  città. 

Vero  è  che,  argomentando  da  queste  lapidi,  la  floridezza  di  Petelia  non  avrebbe 
avuto  lunga  durata.  Esse  si  riferiscono  tutte  ad  un  periodo  ben  circoscritto,  il  quale 
comincia  con  Traiano  e  non  supera  l'età  di  Antonino  Pio,  ossia  diu-a  pochi  decenni, 
dalla  fine  del  primo  alla  metà  del  secondo  secolo  dell'era  nuova.  E  forse  non  ap- 
parirà ardito  il  supporre  che  questa  prosperità  avesse  pigliato  principalmente  origine 
della  munificenza  di  un  personaggio,  e  di  quel  personaggio  appunto  di  cui  ci  parla 
la  nuova  base  marmorea  recentemente  scoperta. 

E  poiché  lo  studio  di  essa  ci  offro  motivo  a  considerazioni  utili  sopra  la  storia 
dei  municipi  nel  periodo  imperiale,  ne  dirò  brevemente,  cominciando  dal  presentarne 
il  fac-simile,   per  cui  siamo  debitori   al   solerte  dott.  Solone  Ambrosolj,  conservatore 


8TR0N00LI  —    20   —    •  REGIONE    III. 

del  Cìanibtìtto  nuinisinatico  di  Milano.  Questi  trovandosi  iu  Catanzaro  a  riordinare  il 
medagliere  civico  per  incarico  del  Ministero,  fu  prejijato  di  recarsi  in  Strou>,'oli.  ove 
assistito  dall'ispettore  locale  dottoro  Trombetta  potè  fare  i  calchi  delle  due  nuove 
epigrafi  ;  e  poiché  l'iscrizione  in  ca:atteri  più  piccoli  presentava  alcuni  passi  nei  quali 
le  lettere  sono  appena  superficialmente  incise,  curò  che  un  esatto  fac-siiuile  riparasse 
allinsuflìcieu/a  dal  calco. 

Abbiamo  adunque  dal  prospetto  della  nuova  base: 


/WMEGOMIOj:AA/-F^ 

M/*  M'AA/' P  R  O  '  W  '  co  R- 
LiONl 

AJD^IJIPVIRLEG'COR 
Q_'PP'PATR_PNO^MV 

MlClPlMlll^VlR'd'Q. 
DECVI^I0NE5  AVGV5 

TALCS  P0PVLV5Q.VE 
EXAERECOMLAT 

0BAAERITAEIV5 


cioè  : 


Mfanio)  Megonio  M(anii)  f(ilio)  M(anii)  n(ejioti)  M(anii)  pronfepoti)  Cor(nelia) 
Leoni,  aed(ilt),  UH  virfo)  legfe),  cor(nelia)  i/ufaestori)  ]>(cmnian)  pfublicae),  pa- 
trono  mmicipii,    iiii   virfo)   q(uin)q(uennaU).    ilornrìnim.  Aufiilìiirilrx   j,o/iuliisi^ue 


fx  aere  conlal(o),  ob  merita  eius. 


REGIONE    III.  —    L'I    —  STRONGOLI 


dal  lato  sinistro: 

KAPV>[XTfSTMV\lNIO 

RFIP•AXVNKIPV^/v\[oRVM51M(HlS^X^VA    PiDlSIRlS 

INfOROSvPtRloRLSOLiAL^PlDtKBMi  x\àRUORUAD|XIx\PLVMBàJ  15 
QVAWvMI  H I  WGVrTÀl  F  S  P05yi.I^yNT  PI?0P|  (  AXXQVAMXXi  hi  MMN  I  CI  PFi 
POSVfRVA;TF0SITAFV[Rn_14^CMN  OVAf  H5  Mf  VlVOPOU  IflTV?  SVMDaRIVOiO 
FXKMTtAA(OMDI(ION[  hHC  MNQSSS  D^f^l  VO(OV7f  K  ViV/Rl  $  5[MI<;S  I  BVS 
ElV^PfCUNlWOWKiiBVSANMii  DH  MM  K  1  15  AM  IQVl  HT  X  K Al  APRII 
DlSTRIBVTlOriATDICvniOMlBV$  FPVIANTIBV^  XCfC  OlDvCrOFXHi; 
3\/K\n-VSTRATiONlSUliOviif\iTI  R| O^QV/lPRM  51  NlTF  SF  AHOR/ì f  RVNT 
DIVIDANTVR  It|MKVG.vSTAIIBV5  (ADIAXCOMDK  I0N[  X(  L  DM51  VOI O 
ITMVNlClPlBvSRTfllMlWTRlVSQVf   51  VVS  F^A^OR[  FOCI  ^  I  OXA 
NIBvSAnNJiSDXRivolOItiXA  INCìMàPaR[ntàLI(  IA  X[  Il  hoc 
XMPFIVSSVMPIVMHOSTIAF  PROVTl  OCATIoPVBl  I  CAlMf  RiTDARiVOfO 
AvoBiSOFTi\AlAXVMiClPfSPfTOiTCo&oPfR'iAIVTF\ASACI?ATlSSlAAlPRlNCIPIS 
«HToMiMiAN/GYSTIPil  |II?fPoRV\A9Vf  FIVSHANCVOlVNTAT(XX\X(AM(rD(S 
Tùullm  i?,'lY.''^-''''^'^l^VAM9V)  HABfAT/(ToT\/AAOV[  HOCCAPVT  rf5 

ccL   c-c,Tw,    ,,^^^'^<^^'^f^'^Q^ON0^l^5PoSTf(?lSQV0QvFN0STf?IS 
^^ff^P°5^'T^flMSQvO0VFQ\)IAAVNI  H(  I  FRaAPATRIAMSVAMERJNTAD 


Cloe: 


KapiU  ex  Icslaineulo 
Reij)(ublicae)  inumcipum  meorum,  si  mihi  statua  pedeslris 
in  foro  superiore,  solea  lapidea,  basi  marmorea,  ad  exemjdum  basis 
quam  mihi  auguslales  posueruiU,  prope  eam  quam  mihi  municipes 

5.     posueruHi,  posila  fueril  (seslerlium)  c(entum)  m(ilia)  n(mnmum),  quae  eis  me 

\_vivo  pollicilus  sum,  dari  volo. 
Ea  aulem  condicione  (seslerlium)  c(entum)   in(ilia)   n(ummmn)  q(uae)  s(upra) 

[s(cripla)  s(unt)  dari  volo,  ut  ex  usuris  semissibus 
eius  pecuniae  omnibus  annis,  die  nalalis  mei,  qui  est  x  ìcal(endus)  April(es), 
distribulio  fial  decurionibus  epulantibus  (denariorum)  ccc,  deducto  ex  his 
sumjHu  strationis  ;  reliqui  inler  eos  qui  praesenles  ea  hora  erunt 

10.  dividanlur.  Ilem  augustalibiis  cadevi  condicione  (denarios)  e  l  dari  volo 

et  municìj)ibus  Peleliais  ulriusque  sexus  ex  more  loci  (denarios  singulos)  om- 
nibus annis  dari  volo,  ilem  in  cena  parentalicia  (denarios)  l  et  hoc 
amjdius  sumptum  hosliae,  prout  localio  publica  fuirit,  dari  volo. 
A  vobis,  optimi  tm/nicipes,  peto  et  rogo  per  salutem  sacratissimi  principis 

15.  Antonini  Augusti  Pii  liberorumque  eius,  hanc  voluntatem  meam  et  dis- 
posilionem  ratam  perpetuamque  habeatis,  totumquc  hoc  caput  tes- 
tamenti mei  basi  statuae  pedeslris,  quam  saprà  a  vos  (sic)  pelivi  (sic)  mihi  po- 
natis,  inscribendum  curetis,  quo  notius  posteris  quoque  nostris 
esse  possit  vel  eis  quoque  qui  munifici  ergo  piatriani  suam  erint  ad- 

20.  moiiianl. 


STRONUOLI  —   22   —  RBOIONE    HI. 

Quattro  volte  ricorre  il  nomo  di  Mcgonio  tra  lo  epigrafi  latine  dell'antica  Petelia. 

La  prima  è  nel  piudistallo  di  una  ^jtatua  che  a  lui  posero  gli  augnatali,  e  chu 
contiene  oltre  la  epigrafe  dedicatoria  anche  un  capitolo  del  tet-tamento  di  lui,  ove 
si  parla  di  lasciti  che  aveva  fatti  e  pei  quali  potò  poi  meritare  quella  ouoranza.  E  in 
un  solo  blocco  di  marmo,  simile  a  quello  ora  rinvenuto,  e  conservagli  ora  nella  chiesa 
madre  di  Strongoli.  Non  si  sa  quando  fu  scoperto,  nò  dove;  ma  era  conosciuto  nel 
secolo  XVI,  e  probaliilmeiite  fu  rinvenuto  anch'esso  nella  medesima  contrada  Pianette 
(C.I.L.X,  HI). 

La  seconda  volta  ricorre  il  nome  di  Jlegonio  in  un'  altra  iscrizione  marmorea 
pure  rinvenuta  in  antico  e  murata  attualmente  nell'editicio  del  Monte  dei  Pegni  in 
Strongoli  (('././..  X,  113).  È  in  una  semplice  lastra  marmorea  che  doveva  servire 
di  rivestimento  al  piedistallo  di  una  statua,  essa  pure  di  Megonio,  con  la  dilTorenza 
che  questa  nuova  statua  non  dagli  augustali  soltanto,  ma  anche  degli  altri  ordini 
dei  cittadini  fu  posta,  ed  allorquando  Megonio  era  giunto  al  più  alto  onore  della 
sua  carriera  municipale,  onore  che  nella  lapide  precedente  non  è  citato. 

La  terza  volta  è  ricordato  nella  base  della  statua  di  Cedicia  Iride  madre  di  lui 
{Notizie  ISSI),  p.  172,  Kjihem.  Epigr.  Vili  2t3U);  la  quarta  nella  iscrizione  della 
statua  innalzata  a  Lucilla  Isaurica  {No/isic  188(3,  p.  172;  Ephem.  Ejiigr.  Vili.  201); 
la  quinta  volta  torna  ora  nel  nuovo  piedistallo,  ed  in  tutto  queste  lapidi  il  nome 
del  nostro  personaggio  leggesi  costantemente  Megonio  e  non  Meconio ,  come  per  orrore 
di  tra.scrizione  fu  ri]iri,idotto  nella  pubblicazione  dei  primi  due  titoli. 

Per  quanto  concerne  l'età  in  cui  egli  visse,  abbiamo  la  notizia  precisa  dal  capi- 
tolo del  testamento  inciso  nel  nuovo  piedistallo,  ove  Manio  Megonio  chiede  ai  suoi 
concittadini  che  questa  sua  volontà  testamentaria  sia  adempiuta  jier  salutem  sacra- 
tissiìiii  jtrincipis  Aiitoinni  Augusti  Pii  liberoruvique  eius,  il  che  ci  riporta  agli 
anni  tra  il  13S  ed  il  161  dell'era  volgare. 

Dunque  la  statua  a  cui  appartenne  il  nostro  piedistallo,  non  fu  la  sola  che  in  onore 
di  Manio  Megonio  fosse  stata  innalzata  in  Petelia.  Una  statua  gli  era  stata  già  eretta 
dagli  augustali;  e  dal  capitolo  del  testamento  inciso  nella  base  di  essa  (C.  /.  />.  X, 
114)  sappiamo  ciie  tale  onoranza  ebbe  Megonio  perchè  aveva  lasciato  al  municipio 
di  Petelia  diecimila  sesten-ì,  e  la  vigna  cediciana,  che  indubbiamente  aveva  avuta 
per  eredità  dalla  madre  Cedicia  Iride,  come  osservò  il  eh.  ().  Hirschfeld  {Ephem. 
Epigr.,  Vili,  p.  74)  ;  inoltre  perchè  aveva  legata  per  testamento  una  parte  del  fondo  pom- 
peiano ed  aveva  fatti  in  favore  del  municipio  altre  disposizioni.  E  se  la  statua  per 
questi  lasciti  non  dai  cittadini  dei  vari  ordini,  ma  dagli  augustali  fu  posta  a  lui, 
la  ragione  sta  in  ciò  che  quasi  a  protitto  esclusivo  degli  augustali  riusciva  quel 
legato  testamentario,  per  quanto  ciò  finisse  poi  a  risolversi  in  decoro  pubblico  e 
quindi  riuscisse  a  vantaggio  del  municipio.  Imperocché  i  diecimila  sesterzi  che  do- 
vevano essere  mossi  al  frutto  del  sei  per  cento,  e  la  vigna  cediciana  ed  il  fondo 
pompeiano  ed  i  pali  per  il  sostegno  dello  viti,  i  quali  gli  eredi  di  Megonio  avrebbero 
dovuto  fornire  da  altri  fondi,  tutto  ciò  insomma  che  era  considerato  in  questo  capitolo 
del  testamento,  doveva  servire  per  gli  augustali  a  migliore  comodo  dei  duo  tricliuii 
che  Mcgooio  aveva  loro  donati  pei  banchetti  pubblici,  o  doveva  servire  pel  vino  che 
gli  augustali  avrebbero  bevuto  in  tali  l)anchetti. 


REGIONE    III.  —    23    —  STRONGOLI 

Una  seconda  statua  gli  era  stata  innalzata  dai  vari  ordini  dei  cittadini,  cioè  dai 
decurioni,  dagli  augustali  e  dal  popolo,  e  con  denaro  raccolto  tra  i  cittadini  stessi; 
e  lo  sappiamo  dall'altra  lapide  onoraria  suporiorniente  citata  (C.  /.  L.  X,  113). 
Ma  nulla  conosciamo  di  preciso  sopra  1  motivi  che  diedero  origine  a  questa  seconda 
onoranza,  essendoci  noto  solamente  il  titolo  che  fu  posto  sulla  fronte  del  monumento, 
ed  essendosi  perdute  le  altre  lastre  marmoree  che  rivestivano  gli  altri  lati  del  piedistallo. 
Dove  però  è  da  considerare  che  la  base  di  questa  statua  non  fu  formata  tutta  di  un 
blocco  di  marmo,  come  la  base  della  statua  innalzata  dagli  augustali;  ma  fu  fatta 
di  fabbrica  con  rivestimento  in  lastre  di  marmo  ;  e  di  tali  lastre  è  pervenuta  a  noi 
soltanto  quella  del  prospetto.  E  non  è  improbabile  che  in  una  delle  lastre  laterali 
fosse  stato  incìso  anche  il  ricordo  della  munificenza  per  cui  Megonio  aveva  ottenuta 
questa  seconda  statua,  innalzata  a  lui  dai  vari  ordini  dei  suoi  concittadini,  come  si 
è  accennato.  Anzi,  se  ben  si  riflette,  non  solo  è  probabile  ma  è  quasi  certo  che  tale 
ricordo  vi  fosse  stato.  In  fatti  il  capitolo  inciso  nella  base  della  statua  innalzata  a 
Megonio  dagli  augustali  comincia  con  le  parole:  hoc  amplius  rei  p(ublicae)  Peieli- 
nonim  duri  volo  sestertium  decem  milia  nummum  item  vineam  caediciaaam,  parole 
che  accennano  nel  modo  più  manifesto  ad  altri  lasciti  che  il  nostro  personaggio 
aveva  fatti  al  suo  municipio  ;  e  deve  essere  stato  appunto  per  uno  di  questi  lasciti 
che  questa  seconda  statua  gli  fosse  stata  posta.  Certamente  sarebbe  assai  utile  sapere 
in  che  cosa  consistessero  questi  lasciti  ;  ma  intorno  a  ciò  nulla  si  può  argomentare 
con  sicurezza.  Io  avevo  pensato  che  ciò  potesse  essere  in  rapporto  con  due  munifi- 
cenze di  Megonio,  delle  quali  altre  lapidi  petoline  ci  conservarono  la  notizia. 

Un  piedistallo  marmoreo,  rinvenuto  pochi  anni  fa,  accanto  alla  propria  base,  e 
poco  distante  dal  sito  ove  il  nuovo  piedistallo  si  è  scoperto,  reca  una  iscrizione 
onoraria  a  Lucilla  Isaurica  figliuola  di  Caio,  alla  quale  i  cittadini  di  Petelia,  con 
denaro  raccolto  tra  essi,  avevano  innalzato  una  statua.  Dice  l'iscrizione  che  in  me- 
moria di  quella  donna  Manio  Megonio  Leone  aveva  donato  al  municipio  centomila 
sesterzi.  Non  ci  dice  quali  fossero  stati  i  rapporti  fra  Lucilla  e  Megonio  :  ma  non 
andremo  errati  supponendo  che  costei  fosse  stata  sua  moglie.  Abbiamo  innanzi 
tutto  una  donna  ingenua,  e  poi  una  somma  considerevole  lasciata  per  testamento  ad 
onorare  la  memoria  di  lei;  il  che  significa  che  quella  somma  avrebbe  dovuto  essere  messa 
a  frutto,  e  colle  rendite  annue  di  essa  avrebbe  dovuto  farsi  un  banchetto,  e  farsi  la  distri- 
buzione di  denaro  ai  vari  ordini  dei  cittadini,  o  nel  giorno  natalizio,  o  negli  altri  nei 
quali  era  costume  di  onorare  la  memoria  del  defunto.  Doveva  trattarsi  di  persona 
tanto  nota,  che  bastava  citarne  il  nome  accanto  a  quello  di  Megonio  per  ricordare 
essere  essa  la  moglie  di  lui. 

Un  altro  piedistallo  marmoreo,  pure  con  iscrizione  onoraria,  rinvenuto  vicino  a 
quello  ora  citato,  e  non  lungi  dalla  nuova  ba.so  recentemente  dissepolta,  ci  fa  sapere 
che  1  Petelini  posero  una  statua  a  Cedicia  Iride,  come  attestato  di  riconoscenza  a 
Megonio  figlio  di  lei;  il  quale  per  la  memoria  di  Cedicia  lasciò  al  municipio  altri 
centomila  sesterzi.  Ed  è  qui  da  ripetere  ciò  che  è  stato  notato  per  la  statua  di  Lu- 
cilla, vale  a  dire  che  questi  centomila  sesterzi  dovevano  essere  mossi  a  frutto,  e  dalla 
somma  degli  interessi  annui  doveva  ricavarsi  quanto  occorreva  pel  banchetto  pubblico 


STRONOOLl  -1    —  ItKGIONE    III. 


e  per  la  distribuzione  di  denaro  nella  ricorrenza  del  natalizio  o  nell'anniversario 
della  morte  di  lei. 

Ora  io  pen.savo  che  questi  due  lasciti,  di  ccntuiiiila  sesterzi  l'uno,  ricordati  nelle  basi 
delle  statue  poste  alle  due  donne,  avrebbero  potuto  costituire  un  titolo  sufficiente  per 
far  ineritare  a  Meirunio  una  :>tatua  innalzataceli  dai  cittadini,  e  che  la  lastra  marmorea 
con  l'iscrizione  onoraria  a  Megonio,  avesse  appartenuto  alla  base  di  tale  i>tatua.  Ma 
ho  dovuto  abbandonare  questa  ipotesi,  rìllettendu  che  la  riconoscenza  dei  cittadini  per 
la  elargizione  dei  duecento  mila  sesterzi  era  stata  sufficientemente  addimostrata  con 
l'erezione  delle  due  statuo  alle  due  donne,  la  cui  memoria  Megonio  desiderava  ve- 
dere onorata. 

Deve  trattarsi  adunque  di  un  altro  lascito,  ben  distinto  da  quello  per  cui  gli 
angustili  posero  la  statua,  e  dagli  altri  che  per  ì  quali  i  Petelini  posero  le  statue 
alle  due  donno,  alla  moglie  cioè  ed  alla  madre  di  Megonio:  ma  in  che  cosa  consistesse 
questo  lascilo  che  fece  ottenere  a  Megonio  una  seconda  statua  posta  a  lui  dai  vari 
ordini  dei  suoi  concittadini,  è  ancora  ignoto  por  noi. 

Ikl  resto,  stando  a  ciò  che  sappiamo  del  nuovo  monumento  ora  dissepolto,  come 
se  tutte  queste  munificenze  non  bastassero,  Megonio  fece  un  quinto  lascito,  affinchè  gli 
fosse  eretta  una  terza  st;vtua.  Ne  fece  egli  la  richiesta  in  modo  propriamente  solenne 
nel  capitolo  del  testamento  inciso  nella  base  di  questa  terza  statua,  ossia  nella 
base  ora  scoperta.  Comincia  infatti  questo  capitolo  col  dire  che  se  i  cittadini  tutti 
gli  avessero  posta  una  statua  nella  parte  superiore  del  Foro,  accanto  alla  statua 
che  già  i  cittadini  stessi  gli  avevano  quivi  innalzata,  e  con  una  base  di  marmo  tutta 
di  \ìù  pezzo,  come  quella  della  statua  posta  a  lui  dagli  augustali,  avrebbero  do- 
vuto pagarsi  ai  medesimi  cittadini  i  centomila  sesterzi  che  Megonio  aveva  loro 
promessi,  salvo  le  condizioni  che  nel  res^to  del  capitolo  sono  indicate. 

Anche  in  mezzo  agli  esempi  dell'ambizione  piii  miseranda  che  immaginare  si 
possa,  anche  in  mezzo  alle  memorie  che  ci  provano  non  essere  stati  infrequenti  nei 
municipi  i  Nasidieni  Ilufi  ed  i  Trimalcioni,  sorprende  che  la  vanità  umana  avesse 
osato  tin  quello  che  molto  ingenuamente  osò  il  nostro  Megonio,  al  quale  non  bastarono 
due  statue  innalzategli  nella  stessa  città,  e  ne  volle  una  terza  ;  e  non  si  peritò  di  do- 
mandarla con  atto  pubblico. 

Non  già  che  in  un  numero  così  grande  di  persone  onorate  mancasse  qualunque 
documento  di  onoranza  conceduta  spontaneamente;  anzi  abbiamo  qualche  esempio  di 
velata  modestia,  come  fu  quella  di  L'aio  Medio  Varo,  patrono  del  municipio  di  Foro 
Sempronio ,  al  quale  i/itod  citm  anlea  statua  ei  nomine  puhlico  ob  merita  eiiis  de- 
creta esset.  et  is  honore  coalentus  sumjilibus  publicis  pepercissel,  decuriones  de  suo 
poKuennìt  (Wilmanns,  fi9-l).  Ma  .sono  esempi  rari,  come  rari  nel  senso  opposto  sono 
gli  esempi  di  coloro  che  a  somiglianza  del  nostro  Megonio  chiesero  essi  medesimi  che 
8i  ponesse  loro  la  statua.  Possiamo  ricordare  Postumio  Giuliano  di  Frenaste,  che  fece 
un  lascito  ai  suoi  cittadini  a  condiziono  che  gli  collocassero  una  statua  nel  Foro,  e 
vi  incide.-<serc)  il  suo  testanunto  (C.  I.  A.  XIV.  2tt;i|).  Ma  Postumio  visse  quasi  due 
gecoli  e  mezzo  dopo  Megonio.  essondo  morto  nell  anno  :{8.5  dell  èra  volgare,  cioè 
in  un  perìodo  di  estrema  decadenza. 


REGIONE    III.  —   25    —  STRONGOLI 


lù  poiché  il  caso  di  Mt'?onio  più  che  raro  è  forse  unico,  essendo  aisai  dilficile  che 
si  trovi  doeuineato  di  tanto  sfrenata  ambizione  come  quella  di  lui,  che  domandò  ai  suoi 
concittadini  gli  innalzassero  una  statua,  quando  due  altre  statue  gli  erano  state  in- 
nalzate nella  città  medesima;  sembra  conveniente  di  indagare  se  possa  esservi  stato 
qualche  motivo,  per   cui  la  domanda  di  Megonio  diventi  in  qualche  modo  spiegabile. 

La,  statua  ultima  non  può  collegarsi  ad  un  fatto  che  avesse  potuto  SL-gnare  nella  car- 
riera pubblica  di  Megonio  un  grado  superiore  a  quello  che  Megonio  aveva  raggiunto 
quando  gli  fu  innalzata  l'altra  statua  dai  suoi  concittadini.  Già  questa  carriera  pub- 
blica di  Megonio  non  è  tale  da  eccitare  ammirazione.  Trattasi  di  cariche  ottenute  da 
lui  semplicemente  nel  municipio  di  Petelia,  dove  giunse  al  più  alto  onore  quando 
diventò  quattuorviro  quinquennale  ;  e  questa  dignità,  che  era  la  maggiore  a  cui  nella 
sua  carriera  potesse  aspirare,  l'aveva  già  ottenuta  allorcliò  l'altra  statua  dai  suoi  con- 
cittadini gli  fu  eretta.  Dunque  non  era  il  caso  di  chiedere  una  nuova  statua  sola- 
mente acciò  nella  lapide  dedicatoria  le  dignità  della  persona  onorata  fossero  più  nu- 
merose di  quelle  segnate  nella  statua  precedente  ;  imperocché  l'iscrizione  sarebbe  stata 
la  stessa,  cioè  avrebbe  ripetuto,  come  in  fatto  ripete,  precisamente  quello  che  nel 
piedistallo  dell'altra  statua  fu  scritto. 

Ed  allora  se  il  titolo  dedicatorie  doveva  essere  lo  stesso,  come  lo  fu  di  fatto,  e 
sarebbe  stato  assolutamente  ridicolo  che  la  nuova  statua  che  Megonio  chiedeva  fosse 
stata  una  ripetizione  pura  e  semplice  della  statua  che  gli  era  stata  già  innalzata,  si 
può  indagare  in  che  cosa  la  nuova  statua  avrebbe  potuto  variare,  sicché  si  mostri 
almeno  un  motivo  possibile  nella  domanda  che  Megonio  rivolgeva  ai  suoi  concittadini. 

Ricordo  bene  che  parecchi  sono  gli  esempi  di  due  statue  innalzate  al  perso- 
naggio medesimo  in  un  municipio;  sappiamo  pure  che  più  di  una  statua  fu  posta 
alla  stessa  persona  nel  luogo  istesso,  come  avvenne  per  L.  Arrunzio  Rufo  che  nel 
Foro  sorrentino  ebbe  due  statue  decretate  a  lui  dai  decurioni,  l'uaa  fatta  a  spese 
del  municipio,  l'altra  per  denaro  raccolto  fra  i  concittadini  (  C.  f.  L.  X,  n.  689). 
Ma  dobbiamo  supporre  che  L.  Arrunzio  Rufo  non  avesse  rivolto  lui  la  domanda  per 
queste  due  statue,  e  che  in  ogni  caso  queste  non  fossero  state  simili  in  tutto  l'una 
all'altra.  Infatti,  parecchie  statue  alla  stessa  persona  e  nel  medesimo  municipio  non 
sono  concepibili  se  non  supponendo  che  fossero  state  erette  in  diversi  luoghi;  e,  se 
erette  nel  luogo  medesimo,  avessero  rappresentato  il  personaggio  stesso  o  in  abito 
civile  e  militare,  ovvero  a  piedi  ed  a  cavallo. 

Come  fosse  stata  la  statua  che  gli  augustali  innaharono  a  Megonio  ci  è  dimo- 
strato dal  piedistallo  che  ne  fu  scoperto  e  che  si  conserva  ora  nella  chiesa  madre 
di  Strongoli  {C.  I.  L.  IX,  n.  114).  È  di  un  solo  blocco  marmoreo;  e  non  poteva 
servire  che  ad  una  statua  in  cui  il  personaggio  fosse  rappresentato  a  piedi.  E  poiché 
domandava  Megonio  che  la  nuova  statua  gli  fosse  eretta  dai  suoi  concittadini  con 
piedestallo  di  un  solo  blocco  marmoreo  {solea  lapidea,  basi  marmorea),  precisamente 
come  quello  della  statua  che  dagli  augustali  gli  fu  posta  {ad  exempUm  basis  quam 
Aiujustales  posicci-unl),  ne  nasce  di  conseguenza  che  tale  base  avrebbe  dovuto  essere 
adatta  per  una  statua  pedestre,  appunto  come  quella  che  gli  augustali  avevano  erotta. 
Ma  già  queste  deduzioni  sono  più  clie  superflue,  se  si  ripiglia  a  leggero  il  capitolo 
Classe  di  scienze  mokm.i  ecc.  —  .AIe.morik  —  Voi.  II.  Serie  ò",  ji.irte  2°  1 


STR0S00I.1 


—    2^j    —  RKOIOSE    111. 


del  ttìSiauiento,  ove  appunto  una  statua  poilestre  cliiode  Megonio  ai  suoi  conoittadini. 
Ed  è  anche  manifesto  che  la  base  della  statua,  che  i  suoi  concittaìini  gli  avevano 
già  innalzata  nella  parte  superiore  del  Foro,  ove  desiderava  che  la  nuova  statua 
dovesse  sorgere,  non  fosso  simile  a  quella  della  statua  posta  dagli  augustali  ;  giac- 
che in  questo  caso  Megonio  avrebbe  trovato  più  conveniente  il  dire  che  la  base 
della  statua  che  chiedeva  ai  municipali  nel  Foro  fosse  come  la  base  della  statua 
che  i  municipali  nel  Foro  stesso  gli  avevano  già  innalzata;  e  la  cosa  sarebbe  stata 
indicata  con  tanta  chiarezza  da  non  aver  bisogno  di  ulteriori  dilucidazioni. 

Né  vi  sarà  chi  possa  supporre  che  la  dill'erenza  tra  la  base  della  vecchia  e  quella 
della  nuova  statua  dovesse  unicamente  consistere  nella  materia  con  cui  le  due  basi 
fossero  fatte,  riposando  sopra  un  piedistallo  di  fabbrica  rivestito  di  lastre  marmoree 
la  statua  già  erettagli  nel  Foro,  mentre  la  statua  nuova  avrebbe  dovuto  posare  sopra 
un  piedistallo  marmoreo  di  un  solo  pezzo.  Perocché  pur  volendo  misurare  l'ambi- 
zione di  Megouio  al  livello  più  basso  die  immaginare  sia  possibile,  non  è  lecito  di 
supporre  che  egli  chiedesse  ai  suoi  cittadini  una  nuova  statua,  solo  per  la  voluttà 
di  sapere  che  la  base  di  questa  non  fosse  di  fabbrica  rivestita  di  marmo,  come  la  base 
della  precedente,  ma  fosse  di  un  blocco  solo,  e  per  tutto  il  resto  il  nuovo  monumento 
fosse  perfettamente  somigliante  al  primo.  Ci  deve  essere  stata  una  dilTerenza  più  so- 
stanziale che  avesse  potuto  incoraggiare  il  nostro  personaggio  ad  esprimere  il  suo 
morboso  desiderio;  e  cosi  siamo  condotti  ad  ammettere  che  la  statua  già  innalzatagli 
nel  Foro  dai  suoi  cittadini  non  fosse  stata  pedestre  come  quella  che  ora  Megonio  chie- 
deva, ma  fosso  stata  equestre. 

Ed  allora  si  può  comprendere  come  quest'uomo  reputasse  appagata  la  sua  va- 
nità se  nel  luogo  più  f.equcntato  della  città,  ove  egli  era  stato  già  rappresentato 
a  cavallo,  fosse  rappresentato  anche  a  piedi,  accanto  alla  statua  della  sua  donna,  ed 
accanto  a  quella  di  sua  madre. 

E  vale  in  conferma  della  cosa  il  considerare  che  non  sarebbe  stato  facile  in 
quella  parto  remota  della  moderna  Calabria  trasportare  un  blocco  marmoreo  così  grande, 
come  quello  che  sarebbe  stato  necessario  per  sostenere  la  statua  equestre;  mentre 
potovasi  benissimo  ad  una  statua  simile  fare  la  base  di  fabbrica,  rivestendola  di 
lastre  marmoree,  come  in  fatto  si  fece.  E  lo  dimostra  la  lastra  col  titolo  dedicatorie, 
che  indubitatamente  fu  applicato  alla  base  di  detta  statua  equestre,  e  che  rivesti  la 
fronte  del  piedistallo,  come  si  deduce  dall'epigrafe  che  vi  fu  incisa. 

Nasce  da  ciò  la  conseguenza  che  la  statua  posta  a  Megouio  dagli  augustali  non 
fosse  stata  innalzata  nel  Foro,  ma  nella  sede  del  collegio. 

Intorno  alle  condizioni  alle  quali  fu  fatto  qU'■^t'ultimo  lascito  di  Megonio  ed 
intorno  ad  altre  questioni  epigrafiche  il  dott.  D.  Vaglieri,  addotto  al  Museo  Nazio- 
nale Ilomano,  scrisse  la  nota  che  qui  si  aggiunge. 

F.    ISVRNABKI. 

Il  nuovo  capitolo  del  testamento  di  Maniu  Megonio,  mo.>tra  con  rara  evidenza 
uno  dei  tratti  caratteristici  del  mondo  antico,  il  desiderio  cioè  tanto  diffuso,  di  perdu- 
rare dopo  la  morte  nella  memoria  dei  posteri.  Insidit,  dice    Cicerone,  quaedam  in 


REGIONE    IH. 


—   27    —  STRONGOLI 


optimo  quoque  virtus,  quae  noctes  ac  dies  animum  glorine  stimulis  coiicilat  alque 
admoiiet,  non  cum,  vilae  tempore  esse  eommetieadam  camme morationem  nominis 
nostri  sed  cum  omni  posteritate  adaequandam  {prò  Arch.  29).  Le  statue  innalzate 
sulle  piazze  e  nelle  case,  le  immagini  degli  antenati,  le  marmoreae  moles  dell'Appia, 
che  pure  concutiet  stenielque  dies  (Seneca  in  Poet.  mia.  ed.  Baehrens  p.  68),  lo  iscri- 
zioni sepolcrali  (')  sono  tutte  manifestazioni  di  quel  desiderio,  al  quale  noi  dobbiamo 
tanta  conoscenza  dell'antichità.  E  come  gli  antichi  desideravano  che  rimanesse  il  ri- 
cordo della  loro  gloria,  grande  o  piccola  che  fosse,  così  credevano  indecoroso,  che  i  vi- 
venti non  dimostrassero  di  frequente  ai  morti  la  loro  ricordanza  con  sacrifizi  e  con 
banchetti.  Da  qui  il  fiorire  del  culto  dei  Mani  e  le  grandi  solennità  funebri,  tanto 
pubbliche,  quanto  specialmente  private,  nell'occasione  dei  parentalia,  dei  rosalia,  del 
dies  violae,  del  giorno  natalizio  del  defunto  ed  anche  di  altri  giorni,  oltre  questi  ri- 
tuali (Marquardt,  Staci tsv.  'ò-  p.  311  segg.)  (2).  Da  qui  quella  grande  cura  di  assi- 
curarsi atti  di  pietà  da  parte  dei  posteri,  o  per  lo  meno  il  semplice  voto  del  vian- 
dante, che  la  terra  al  morto  fosse  leggiera.  Ed  è  perciò  che  tanto  spesso  abbiamo  le 
raccomandazioni  agli  eredi,  o  a  comunità,  o  collegi,  fatte  anche  e  principalmente  nel 
loro  interesse  per  mezzo  di  legati,  e  non  rivolte  puramente  e  semplicemente  alla  loro 
pietà.  Che  il  morto  si  dovesse  rallegrare  di  quegli  atti  e  mercè  di  essi  rivivere  coi  posteri, 
era  opinione  tanto  diffusa,  che  vi  badava  anche  chi  non  credeva  ad  una  vita  futura. 

Così  fa  il  nostro  Megonio  Leone,  ricco  cittadino  di  Petelia,  dove  egli  occupò 
tutte  le  cariche  municipali  :  vi  fu  infatti  aedilis,  II II  vir  lege  Cornelia  {^) ,  quaestor 
pecuniae  publicae  (■') ,  patronus  municipii  ed  infine  ////  vir  quinquennalis.  Delle 
sue  prestazioni  a  favore  della  città  egli  fu  ricompensato  con  onori  e  con  statue,  omaggio 
reso  ai  suoi  meriti  non  meno  che  alle  sue  ricchezze,  che  egli  usò  nobilmente  a  giu- 
dicare da' suoi  legati  e  da  quello  specialmente  a  favore  degli  augustali  {C.  I.  L. 
X,  114). 

Nel  capitolo  del  suo  testamento  testé  scoperto,  egli  lega  alla  sua  città,  secondo 
una  promessa  fatta  in  vita,  centomila  sesterzi  alla  condizione  che  gli  fosse  posta  una 
statua.  A  questa  condizione,  necessaria  per  poter  adire  il  legato,  soddisfecero  subito 
i  tre  ordini  di  cittadini,  i  decuriones,  gli  augustales  ed  il  populus,  che  gli  innal- 
zarono la  statua  aere  conlato,  non  ex  pecunia  piiblica. 

Col  frutto  del  legato  al  sei  per  cento  si  dovevano  però  pubblicamente  venerare 
i  Mani  del  defunto  nel  suo  giorno  natalizio  e  in  quello  parentalis,  probabilmente 
nel  giorno  anniversario  della  sua  morte  o  del  suo  funerale. 


(1)  Cf.  C.  I.  L.  Vili  2756:  . . .  Qme  fuerunt  praetoritae  vitae  testimonia  nunc  declarantur  hac 
scriptura  postrema:  haec  sunt  cnim  mortis  solacia  ubi  continelur  nominis  vel  generis  aeterna  me- 
moria etc. 

(*)  Cf.  C.I.L.  VI  10239:  ...  ut  die  parentali  [meo,  Item  XI  k.  Apr.  die  viola]tionls,  item 
Xll  k.  lunias  die  rosationis,  item  UH  k.  lanuar.  die  natali  meo,  cu[m  mortuus  ero]  etc. 

(3)  Cioè  praefectus  prò  duoviro,  cf.  Mdumisoii  C.  I.  L.  I  r-  125  e  Stadtrechte  von  Saipensa  etc. 
p.  447. 

(*)  A  Petelia  la  questura  dovè  essere  un  munus,  non  un  honor,  dal  posto  che  essa  occupa  nel 
cursus  honorum  di  Megonio. 


STRONOOLI 


28   —  REGIONE   III. 


11  SUO  piorno  natalizio,  il  2:^"  luarno,  doveva  ossero  solennizzato  con  una  cena 
por  i  decurioni  e  j,'li  augnatali  ('),  e  con  una  distribuzione  di  trecento  denari  a  quelli 
e  di  centocinquanta  a  questi,  dotraendone  però  la  spesa  dell'apparecchio  (-).  Kssi  do- 
vevano trovarsi  presenti  al  banchetto  all'ora  fissata;  e  se  qualcuno  tardava,  valeva 
por  lui  lanmiouimeuto  della  lapido  di  Ferentino  {C.  I.  L.  X, '>Hi4\:  [(/f]  le  lar- 
dior  a«[/]  piger  qucren\_s]  (^).  Un'  altra  distribuzione  poi,  in  ragione  di  un  denaro 
a  testa,  si  doveva  faro  a  tutti  i  Petelini  secondo  l'uso  locale. a  maschi  o  femmine. 
Quest'aiTgiunta  ej:  move  loci,  che  credo  nuova,  è  tanto  più  curiosa,  in  quanto  secondo 
unaltra'lscrizione  Petelina  {C.f.L.'K,  llii),  la  sola  che  oltre  alla  nostia  accenni 
ad  una  distribuzione  di  donaio,  un  augustale  distribuì  un  sesterzio  a  testa  virilim,  cioè 
evidentemente  soltanto  agli  uomini.  La  ditlerenza  si  potià  foi-se  spiegare  conside- 
rando, che  quest'ultima  è  fatta  ob  honorem  augustalilatis  (<). 

In  diverso  modo  quel  fondo  doveva  servire  a  ricordare  il  dies  parenlalis  di  Me- 
gonio  Leone.  Con  cinquanta  denari  cioè  si  doveva  contribuire  alla  spesa  per  la  cena  (^) 
e  inoltro  si  doveva  pagare  la  vittima  pel  sacrifizio  da  farsi  allora  sulla  sua  tomba. 
Ricorre  spessissimo  il  ricordo  di  un  sacrifizio  simile  {"•);  ma  qui  abitiamo  la  parti- 
colarità che  la  vittima  si  deve  pagare  al  prezzo  fissato  nel  pubblico  appalto  delle 
cose  necessarie  al  culto,  illustrato  specialmente  da  un  passo  della  lex  coloaiae  luliae 
Genclirae  (')• 

(')  Tali  biincliitli  pubblici  tiiin'.  ...iiiuiiissinii,  bcnchò  senza  dubbio  nelle  iscrizioni  <ulvolla 
sotto  epulum  si  liebba  intenJirc    sportula.    E    qua.si  sempre  sono  i  decurioni  e  gli    augustali,  che 

banchettano;  cf.  C.  I.  L.  XIV  2793  : die  natali  Platine   Verae  filiae  suae  decur.  et   VI  vir. 

Aug.  publice  in  triclinis  suis  cpulcnlur. 

(«)  Almeno  questo  sumbra  debba  essere  il  significato  della  parola  strallo,  che  ricorre,  per  quanto 
ricordo,  scio  in  due  altre  iscrizioni.  Nei  banchetti  del  collegio  dei  cultori  di  Piana  ed  .\ntinoo  a 
Lanuvio  si  deve  dare  vini  boni  amphoras  sinnulas  et  pane»  a(s.uum  duoru7n).  qui  numcrus  roìiegi 
fuerit,  et  sardas  n\uìmero  qualluor,  strationem  caldani  cum  ministerio  {C.  I.  L.  XIV,  2112).  Inoltre 
nell'altro  noto  capitolo  del  suo  testamento  (C. /. /-.X,  1  11)  scrive  Megonio  Leone:  Volo  aulem  ex 
uiuti*  ncmiuiUs  (icsterlium)  X  (milium)  n(ummum)  comparar i  {in  usum)  aunuslalium  loci  n,o- 
ttri)  ad  instrumentum  tricliniorum  duum,  quod  eiì  me  vibo  tradidi,  candclahra  et  lucerna[s\ 
bilichnen  arbitrio  auguslnlium.  quo  facilius  slrati\o\nd>us  publicis  obire  passini.  Secondo  il  For- 
cellini,  che  cita  Viiruvio  G,  10,  la  parola  stratio  indica  il  luogo  dove  si  prepara  il  banchetto; 
secondo  il  Friedlaonder  (Sitteng.  I«  p.  308)  indica  la  coperta  o  i  cuscini  per  i  divani,  forse  ricor- 
dando gli  strato  cauponarum  di  Plinio  (.V.  /.  16,  36,  (;4)  e  lo  slralm  del  testamento  del  Callo 
(Bmns,  if'on/ej  iunV  p.  297):  stratas  ibi  sit,  quod  sternatur  per  eos  dies,  quibus  cella  memoriae 
aperietur:  ma  né  l'una  né  l'altra  di  queste  spiegazioni  panni  potersi  accettare.  Forse  é  da  ricordare 
la  fra.se  tecnica:  sterncre  triclini um. 

(»)  Cf.  C.I.L.  11,1511:  ...  si  quo  pauciores  coH[vener]int,  amplius  inter  praestntes  prò  rata 
divildatur}  etc. 

(<)  Cf.  del  ratto  Tolkr.  De  spec.laculis  etc.  p.  73  seg. 

(»)  Questa  cena  è  mcniion.ita  in  parecchie  iscrizioni;  cf.  p.  es.  Orelli  3999:  ...  ex  cuius  re- 
dilu  qiiodonnis  die  pnrentalwrum  ne  minus  homincs  .MI  ad  rogum  meum  vescerentur. 

(•)  Cf.  specialmente  il  ccnotafio  pisano,  C  /■  L.  XI,  1120  lin.  18  segg. 

Pi  Cf.  C.  I.  A.  n  Suppl.  54.39  cap.  I.XIX  :  ...  Il  viri  qui  post  colon{iam)  dedwit]fim  primi  erunt, 
a  in  tuo  mafi(istratu)  et  quicumque  II  vir(i)  in  colon(ia)  luì(ia)  erunt,  ii  in  diebus  L.\  proxumis, 
quibus  eum  maij(islralum)  gerer-:  coeperint,  ad  decuriones  referunto,  cum  non  minus  -VA'  aderunt, 


SAIIDINIA  —    2!)    —  TERRANOVA    FAUSANIA 


L'ultima  parto  del  documento  corrisponde  in  genere  all'altro  capitolo  del  testamento 
di  Megonio,  inciso  nella  base  della  statua  a  lui  eretta  dagli  augustali.  Egli  desidera 
che  si  approvi  e  duri  eterna  la  sua  volontà  e  la  sua  disposizione  ('),  e  che  il  capitolo 
del  suo  testamento  sia  iscritto  sulla  base  della  statua  perchè  la  cosa  si  ricordi  (-), 
e  i  posteri  imparino  ad  essere  munifici  verso  la  patria  {^).  Peraltro  qui  è  aggiunta 
una  foripula  assolutamente  nuova,  perocché  egli  invita  i  suoi  concittadini  ad  approvare 
il  suo  testamento  per  salutem  sacralissiml  prlacipis  AalotUni  Augusti  Pii  libero- 
ramque  eius.  Egli  non  minaccia  la  multa  che  spesso  è  intimata  nelle  lapidi,  per 
coloro  che  avessero  mancato  ai  doveri  imposti  nel  testamento,  né  si  affida  soltanto 
all'obbligo  che  i  suoi  concittadini  s'assumevano,  accettando  il  legato;  egli  mette 
invece  in  seconda  linea  la  memoria  della  propria  persona  e  dei  proprii  meriti  verso 
Patella,  ponendo  innanzi  la  devozione  al  sacratissimo  imperatore.  E  questa  gli 
dava  sicurezza,  che  gli  oneri  imposti  nel  suo  testamento  si  sarebbero  adempiuti,  che 
i  suoi  ilani  sarebbero  stati  venerati  e  che  la  sua  memoria  sarebbe  durata. 

D.  Vaglieui. 


SARDINIA 


X.  TERRANOVA  FAU8ANIA  —  Oggetti  di  età  romana  e  costru- 
sioni  varie  riconosciute  nel  territorio  comunale. 

1.  Nel  luogo  vocabolo  la  conca  di  la  padda,  situato  nella  regione  loiri  mannu, 
a  circa  sei  chilometri  da  Terranova,  furono  scoperte  da  certo  Salvatore  Fogu,  il  quale 
vi  faceva  uno  sterro  per  impiantare  le  fondazioni  d'una  casupola,  cinque  tombe  in- 
terrate a  m.  0,40  di  profondità,  e  vicinissime  fra  loro,  senza  ordine  di  regolare  alli- 
neamento. Esse  sono  degne  d'interesse  per  la  loro  struttura  la  quale,  per  quanto 
é  a  mia   cognizione,  apparisce  ora  la  prima  volta  nelle  tombe  di  Sardegna. 

L'interno  presentasi  in  forma  quadrilatera,  variando  la  lunghezza  da  m.  1,80 
a  2  metri,  e  la  larghezza  massima  in  m.  1,10.  Nell'alveo  è  disteso  un  selciato  di 
pietre  alquanto  grosse,  non  lavorate,  negli  interstizi  delle  quali  sono  state  conficcate 
altre  pietre  minori.  1  muri  di  cinta  sono  formati  da  eguali  pietre,  del  pari  rozze, 
senza  rivestimento  di  calce  o  cemento,  ed  hanno  l'altezza  di  m.  0,(35,  e  lo  spessore 
di  m.  0,30.  La  copertura  d'ogni  tomba   consiste  in  un  lastrone  granitico,  che  posa 


mi  redemptori  redemptorihusque,  qui  ea  redrmpla  habchunt  qme  ad  sacra  resq{ue)  divinas  opus 
erunt,  pecunia  ex  lege  locationis  adtrihuatur  solmturq{ue).  Cf.  TertuU.  de  idoìol.  17:  /wn  liostias 
locet   (V.  Mommsen,  Eph.  Epir/r.  3  p.  104;  Staatsr.  2'  p.  428j. 

(')  Cf.  C.I.L.  X,  114  lin.  41    sugg.  :    hatic   voluntatem  meam  ratam  et   ut  perpetua  forma 
observetis. 

{•)  Cf.  1.  e,  lin.  4:!  segg.  :  quo  facilius  autem  nota  sit  corpori  veslro  haec  erga  vos  volun- 
tatem (sic),  totum  loco  /caput  quod  ad  vcstrum  honorem  pertinet  cfc. 
(')  Cf.  a  I.  L.  XIV  3679.      • 


TBRRANOVA  FAirSANlA  —    30    —  SAlìDI.SIA 

sui  mentovati  muri  laterali,  od  eccedo  di  molto  lo  dimensioni  della  tomba,  giacché 
esso  raj^'i^uiigo  in  media  in.  ;i,()0  in  lunghezza,  ni.  2,(K)  in  larghezza,  con  lo  spes- 
sore di  cent.  20;  solo  in  una  lastra  lo  spessore  fu  riscontrato  in  in.  U,;12.  In  ogni 
tomi)»  stava  uno  scheletro  quasi  disfatto  dall'umidità,  senza  indizio  di  suppellettile 
funebre.  A  pociii  pas.si  dalla  tomba  s'incontrò  l'avanzo  di  una  muraglia  costrutta  con 
rottami  di  mattoni,  e  ai  piedi  di  essa  due  lunghe  pietre  scalpellate,  unitamente  a 
frantumi  di  embrici  o  di  vasi  littili.  Vi  furono  anche  raccolte  alcune  monete  guasto 
dall'ossidazione.  Poco  distante  da  quell'area,  nell'interno  d'una  costruzione  ciclopica 
caduta  in  rovina,  raccolsi  io  stesso  alcuni  pezzetti  di  ossidiana,  e  la  parete  d'un  vaso 
nerastro,  fatto  a  mano,  e  d'impasto  ordinario,  il  quale  sonza  dubbio  appartiene  al- 
l'epoca preistorica. 

2.  Cinque  chilometri  da  Terranova,  nella  regione  Moronsit,  ove  spesso  si  rinven- 
gono monete  antiche,  fu  trovato  in  una  piccola  scavazione  apertasi  da  un  certo  Sal- 
vatore Serra,  il  residuo  d'una  conduttura  per  acqua,  consistente  in  un  canaletto  ri(jiiadro 
con  pareti  di  pietra,  intonacate,  e  ricoperto  da  embrici.  Slargato  lo  scavo  s'incontrò 
un  gruppo  d'informi  avanzi  di  fabbriche  costruite  a  mattoni,  e  si  raccolse  un  piccolo 
tubo  di  piombo,  lungo  in.  0,7.'>,  e  poche  monete  ossidate,  delle  quali  una  sembra  ap- 
partenere a  Claudio  li. 

3.  Nella  regione  Frali  Ziania,  aprendosi  una  larga  scassatura  per  fare  un  de- 
posito d'acqua  pel  bestiame,  furon  messe  all'aperto  le  fondamenta  d'una  casa  in  la- 
terizi; essa  è  a  pianta  quadrata,  coi  lati  di  m.  9.50  e  conserva  da  un  lato  cinque 
gradini  di  granito,  i  quali  trovansi  anconi  a  posto,  e  corrispondono  ad  un  vano  esi- 
stente nel  muro  del  manufatto.  La  detta  località  dista  circa  sei  chilometri  da 
Terranova,  e  vi  si  trovano  con  frequenza  monete  romane.  Due  anni  or  sono  vi  si  rac- 
colse un  pane  di  piombo  in  forma  ovale,  attraversato  nel  mezzo  da  due  fori  circolari. 

4.  Nel  predio  vocabolo  Sticcatu,  posto  sulla  stessa  linea  della  regione  anzidetta, 
e  distante  quasi  quattro  chilometri  da  questo  paese,  si  rinvenne  seppellito  a  circa 
ra.  0.20,  un  recipiente  quadrato  di  granito.  E  lungo  m.  0,30,  largo  m.  0,18,  con 
pareti  alte  m.  0.12.  Nello  stesso  predio,  in  un  fosso  aperto  lungo  la  sponda  d'un 
fiumicello,  si  misero  alla  luce  gli  avanzi  d'un  pavimento  in  calcestruzzo,  sul  quale 
stavano  rovesciate  due  colonnine  granitiche. 

5.  Essendosi  ultimamente  riattivata  una  cava  di  prestito  sul  versante  della  col- 
lina, dietro  la  basilica  di  s.  Semplirio.  vennero  .scoperte  due  tombe  antiche  costrutte 
con  pietre  e  cemento.  Sottostavano  al  piano  della  campagna  m.  0,(Ì0;  i  muri  ave- 
vano l'altezza  di  m.  0,50,  e  lo  spessore  di  m.  0,25;  il  piano  lungo  m.  1,80,  largo 
m.  0,70,  consistc^va  in  un  battuto  di  calcestruzzo.  La  vòlta  era  formata  da  lastre  gra- 
nitiche, rivestite  all'esterno  da  uno  strato  cementizio.  In  una  di  queste  tombe  fu  rin- 
venuto lo  scheletro  in  buona  conservazione,  raccogliendosi  in  mezzo  alla  tona  pochi 
frantumi  di  fìttili,  e  due  ampolline  di  retro  azzurrognolo;  nell'altra  si  trovarono  in 
prossimità  ai  piedi  del  cadavere,  un'anforetta  priva  di  anse,  col  collo  stretto,  e  mancante 
del  fondo,  e  un  piattello  leggermente  concavo,  alquanto  scheggiato  negli  orli:  am- 
bedue questi  fittili  .sono  d'argilla  fini.ssima,  e  lavorali  al  tornio. 

G.  Cavandosi  nell'interno  del  paese  il  terreno  per  impiantare  la  conduttura  del- 


•fn/i/.v;  1 


—  :U  — 


TERRANOVA  FAUSANIA 


l'acqua  potabile,  si  linveiiiiuio  a  più  riprese  molti  avanzi  di  antiche  costruzioni,  di 
cui  qualcuna  con  blocchi  enormi,  scalpellinati.  Numerosissime  le  monete.  Di  esse, 
stando  alle  narrazioni  fattemi,  ne  vennero  raccolte  non  meno  di  tremila,  ma  andarono 
disperse  fra  gli  operai,  e  poi  vendute  ;  ed  io  non  ho  potuto  esaminarne  che  una  pic- 
cola parte  che  ho  diligentemente  studiata  e  confrontata.  Appartengono  a  Treboniano 
Gallo,  Valeriano,  Gallieno,  Cornelia  Salonina,  Aureliano,  Severino,  Tetrico,  Floriano, 
Probo,  Caro,  Numeriano,  Diocleziano,  Massimiano  Erculeo,  Costanzo  Cloro  e  Galerio 
Massimiano.  Le  dette  scavazioni  hanno  inoltre  restituito  alla  luce  una  straordinaria 
quantità  di  embrici  e  mattoni  frammentati,  con  avanzi  di  antiche  stoviglie  e  di  ve- 
trerie, chiodi,  e  altri  piccoli  oggetti  di  ferro  ;  couie  pure  un  residuo  di  mattonella 
fittile,  su  cui  sono  impressi  ornati  in  rilievo  a  meandri,  e  fogliami  elegantissimi, 
un  anellino  di  bronzo  per  dito,  ricoperto  di  bella  patina  verdastra,  e  due  frammenti 
marmorei  con  le  lettere  : 


7.  Nel  gettare  le  fondazioni  d'una  nuova  ala  di  fabbrica,  presso  la  casa  di  certo 
Salvatore  Fedele,  entro  l'abitato  di  Terranova,  si  posero  al  nudo  le  vestigia  di  an- 
tiche costruzioni  in  quadratura,  con  traccie  di  fabbricati  accessori  sporgenti  sugli 
angoli;  là  presso  si  scoprì  una  vaschetta  rovinata,  in  forma  ovale,  con  impiantito  so- 
lidissimo tirato  a  perfetto  pulimento,  raccogliendovisi  alcune  monete  di  piccolo  mo- 
dulo in  cattivissimo  stato,  due  oggetti  di  ferro  contorti  e  acuminati,  di  uso  incerto, 
una  lama  di  coltello  affatto  corrosa,  e  parte  inferiore  di  una  lucernina  fittile  con 
bollo  ben  conservato. 

8.  Nel  giardino  Tamponi,,  vicino  al  porto,  furono  scoperti  casualmente  due  pez- 
zettini di  cristallo  lavorati  in  forma  concava,  e  un  frammento  di  lamina  di  bronzo 
opistografa  che  appartiene  ad  un  diploma  militare.  Vi  si  legge 


9.  In  un  cavo  apertosi  nel  cortile  del  nominato  Luigi  Negri,  all'  entrata  del 
paese,  si  ebbe  a  trovare  un  tubo  di  terracotta  lungo  m.  1,20,  molte  monete  sformate 
dall'ossido,  e  alcuni  piccoli  arnesi  di  ferro  di  uso  ignoto. 

r.  Tampo.ni. 


Roma,  18  febbraio  18ti4. 


REGIONE    XI. 


—   U:j    —  GRAN    SAX    BERNARDO 


FKI3BH  AIO 


Regione  XI  (IRAN SPADANA). 

I.  GRAN  SAN  BERNARDO  —  Quarta  relazione  degli  scavi  al  ^  Pian 

de  Jiipiter  " . 

Con  gli  scavi,  cominciati  nel  pomeriggio  del  22  di  agosto  dello  scorso  anno  (1893), 
proseguiti  nel  restante  del  mese,  senza  interruzione,  salvo  la  domenica  27,  e  terminati 
il  primo  giorno  di  settembre,  si  è  condotta  a  fine  la  esplorazione  del  Pian  de  Jii- 
piler,  ch'ebbe  principio  nel  1890  e  continuazione  nel  1891  e  1892  ('). 

Rimaneva  da  scavare  il  mezzo  e  la  parte  sud-ovest  del  piano  :  frutto  di  questi 
lavori  fu  la  scoperta  di  resti  di  muri  del  medesimo  genere  di  costruzione  ed  in  ge- 
nerale del  medesimo  spessore  (m.  0,90)  di  quelli  dell'edifizio  sterrato  nell'anno  scorso. 
Questi  avanzi  molto  guasti,  di  altezza  variante  da  m.  0,90  a  0,50,  sono  troppo  pochi 
per  potere  ricavare  l'intera  pianta  dell'edifizio,  il  cui  asse  devia  alquanto  dalla  dire- 
zione di  quelli  del  tempio  e  dell'altro  edifizio,  col  quale  ha  comune  la  disposizione 
generale  dei  muri,  sicché  può  tenersi  come  un'  altra  casa  della  mansione  del  monte 
Penino. 

11  viandante  adunque,  che  aveva  salito  il  versante  italiano,  uscendo  dalla  strada  ('-) 
e  giungendo  sul  piano,  trovavasi  a  destra  ed  a  sinistra  due  edifizt  fra  loro  separati 
da  uno  spazio  assai  più  largo  della  strada  percorsa.  L'edifizio  di  sinistra,  come  ab- 
biamo dedotto  dalla  grande  quantità  di  tegoli  e  di  carboni  raccolti  all'esterno  del 
suo  muro  occidentale,  doveva  essere  coperto  da  un  tetto  a  due  pendenze  assai  spor- 
genti (3).  Non  si  è  potuto  fare  uguale  ossen-azione  per  l'edifizio  di  destra,  i  cui  pochi 

(')  Notizie  1890,  p.  294-305;  1892,  p.  63-77,  p.  440-450.  Era  nostro  desiderio  lasciare  .^fl•atto 
libera  l'area  scavata;  ma  lo  stato  di  rovina,  in  cui  si  trovano  i  ruderi  disscpolti,  ci  consigliò  di 
provvedere  alla  loro  conservazione  ricoiirendoli  con  terra.  Questn  lavoro  di  ricoprimento  non  si  è  po- 
tuto ancora  ultimare  :  nel  finirlo  pros.simamente  è  probabile  clie  dalla  terra,  anche  già  ripetuta- 
mente rovistata,  venga  fuori  ([ualche  altro  piccolo  oggetto,  qualche  moneta. 

(2)  Nei  piani,  che  accompagnano  le  mie  relazioni  degli  scavi  degli  anni  procedenti,  è  segnata 
sol.imfiite  una  parti-  della  strada  romana;  in  quello  ora  dato  (p.  3-1)  ho  creduto  non  inutile  di  tracciare 
quanto  rimane  di  questa  strada.  Ter  la  descrizione  dei  duo  ultimi  tratti  vedi  Notizie  1800,  p.  2!>4. 

(')  Notizie  1802.  p.   ti:;. 

Classe  di  scikn/k  mokam  eco.      IIf.mokik  —  V<d.  II,  Serie  .'i",  parte  2"  5 


GRAN    SAN    BBKNAKlai 


—  ;i4 


REUIONK    XI. 


niiloii  furono  ticoperti  in  un  luogo  rovistato  dagli  scavatori  antecedenti  più  ancora 
dell'area  doU'altra  casa.  Può  darsi  che  la  loruia  del  tetto  non  ditl'erisse  dall'altro,  e 
si  può  crederò  che  l'ingresso  si  trovasse  sul  lato  rivolto  a  tramontana,  nou  in  quello 
ad  oriente,  in  faccia  al  muro  occidentale  del  tempio,  dal  quale  lo  si  può  supporre 
separato  da  una  certa  dibtanza,  forse  la  stessa  (metri  7)  ciie  intercede  fra  il  piccolo 
avanzo  di  muro  più  ad  oriente  e  gì'  incastri  occidentali  del  santuario.  Infatti  sul 
suolo  roccioso,  contiguo  a  questi,  non  si  veggono  tracce  di  altri  incastri.  Il  tempio 
aveva  un  edilizio  in  faccia  ?  Un  leggero  intaglio  in  un  tratto  di  rupe  sul  prolunga- 
mento del  muro  meridionale  della  casa  dissopolta  l'anno  passato  farebbe  supporre 
l'esistenza  di  qualche  altra  costruzione,   che  però  non  doveva   giungere  sino  al  san- 


•  'A 


.'\  strada  rnmaiin         ìi  Piati  de  Jupiler 

tuario,  e  rimpetto  ad  esso,  non  discernendosi  niun  indizio  di  spianamento  e  d'intagli 
sulla  roccia  che  lo  fronteggia,  e  la  quale  ci  parve  abbia  potuto  essere  l'altare  pre- 


REGIONE    XI.  —   ."jò   —  GRAK    SAN    BERNARDO 


romano  di  Penino  (').  Libera  adunque  doveva  essere  la  vista  dinanzi  al  tempio,  di 
fronte  a  cui  si  presenta  la  CheaaleUan  con  l'alta  sua  punta  e  ai  piedi  del  monte  lo 
stagno,  da  cui  si  estrassero  pregevoli  oggetti  votivi. 

Nelle  costruzioni  della  mansione  dovevansi  trovare  scuderie  non  solo  per  le  bestie 
da  soma,  ma  anche  per  quelle  da  tiro;  poiché  non  parmi  vi  sia  ragione  por  negare 
noU'aiitichitìi  il  paesaggio  di  veicoli  per  questo  colle,  che  era  valicato  da  soldatesche, 
talvolta  in  grosso  numero  e  necessariamente  con  cavalleria  e  con  carri  (-). 

Fra  gli  oggetti  raccolti  nelle  ultime  escavazioni  primi  per  importanza  sono  tre 
tabelle  votive  di  bronzo,  una  delle  quali  dorata.  Questa  ultima  (alta  m.  0,055,  larga 
m.  0,112),  fu  estratta  dalle  macerie  all'esterno  dell'edifizio  scoperto  l'anno  scorso. 
Con  lettere  di  nini.  9  nella  prima  riga  e  di  mm.  II  nelle  due  altre  vi  è  incisa 
l'iscrizione: 

C- VETTIVS'SALl 


P'P-         LEG'  XV 
V  '  S  ■       L        -M- 

C.    Veltlus    Sai...  p(rmi)p{ilus)    leg{ionis)  XV  v{o(um)  s(olvU)  l{ibens)  m{erito). 
Per  la  legione,  in  cui  servì  questo  ufficiale,  fu  essa  la  XV  Apollinare,  che  da  Augusto 


(')  Notizie  1892,  p.  65. 

(-)  Per  esempio  il  passag^'io  dei  soldati  di  Vitellio  guidati  da  Cecina  nel  69  hibernis  adhuc 
Alpilm  (Tacito,  Iliit.,  I,  70).  —  Il  De  Saulcy  (Rev.  arcL,  nouv.  sèrie,  t.  Ili,  186,  p.  454  e  seg.), 
la  cui  ipotesi  è  stata  fatta  sua  daU'Hirschfeld  (C.  /.  L.,  XII,  n.  5519),  suppone  che  le  venticinque 
miglia  segnate  nell'itinerario  antoniniano  e  nella  tavola  peutingeriana  per  la  distanza  da  Octodurus 
(Martigny)  al  summm  Poeninus  non  si  riferiscano  che  al  tratto  carrozzabile,  che  doveva  terminare 
verso  Bourg-Saint-Pierre,  ove  esiste  un  milliario  col  numero  XXIIII:  la  strada  rimanente  sarebbe 
stata  soltanto  mulattiera  e  quindi  trascurata  dagl'itinerari.  Ma,  anche  ammesso,  come  pare  ]irobabile, 
che  il  milliario  non  sia  mai  stato  mosso  da  quel  luogo  (non  so  dove  il  Durandi,  Alpi  Graie  e 
Pennine,  Torino,  1804,  p.  50,  abbia  tratto  la  notizia  che  il  milliario  si  trovasse  un  tempo  al  ponte 
di  Nudry  sulla  Dranse,  due  chilometri  prima  di  giungere  alla  sommità  del  colle),  non  si  può  esser 
sicuri  che  non  esista  un  errore  nelle  cifre  degli  itinerari,  come  vi  è  per  la  distanza  fra  Aosta  e  il 
Penino.  L'antoniniano  dà  venticinque  miglia,  numero  da  ridursi;  la  carta  peutingeriana  aumenta  an- 
cora la  distanza,  e  reca  venticinque  miglia  fra  Aosta  ed  Eiuìracinum  e  tredici  fra  questa  stazione 
e  quella  della  sommità  del  valico.  Sia  Eudracimum  l'attuale  Saint-Kómy,  sia  da  collocarsi  più  in 
basso  (Ktroubles  ?),  la  cifra  è  pur  sempre  esagerata.  Dunque  sulle  distanze  degl'itinerari  non  vi  è 
qui  da  Contare:  piuttosto  è  da  notare  la  stazione  fra  Aosta  e  il  Penino  con  una  distanza  segnata 
(sia  pur  essa  erronea);  argomento  per  credere  la  strada  sul  versante  italiano  aperta  ai  veicoli,  e 
quindi  tale  pure  sull'elvetico. 

Certamente  il  passaggio  non  ha  dovuto  essere  molto  frequente:  le  offerte  votive  a  Giove  Pe- 
nino rivelano  la  poca  tranquillità  d'animo  di  coloro,  che  dovevano  traversar  il  monte  temuto  ;  ma 
le  condizioni  di  viabilità  erano  certamente  migliori  all'età  romana,  di  quanto  furono  in  appresso 
e  sino  a  ieri.  Qualche  giorno  dopo  la  fine  degli  scavi  di  quest'anno  fu  aperta  la  strada  carrozzabile 
sul  versante  svizzero,  costrutta  a  spese  del  cantone  Vallese  col  concorso  dell'Ospizio.  Per  quanto  so, 
non  si  fecero  trovamenti  antiquari,  salvo  un  certo  iiiimero  di  monete  di  argento,  inglesi  dei  seculi 
XI  e  XII,  probabilmente  peculio  di  un  viandante  perito  por  istrada.  Se,  come  è  da  sperare,  si  )ir(i- 
lungherà  questa  strada  sul  nostro  territorio  sino  a  Saint-Uemy,  si  avrà  cura  di  vigilare  sulle  pos- 
sibili scoperte  archcologiclie. 


GRAN    SAN    HERNARDO  —   '■>''>   —  REGIONE   XI. 


a  Nerone  ebbe  >t;in/.a  in  Pannonia.  dove  tornò  al  principio  del  regno  di  Vespasiano  e 
rimaso  siuo  ai  tempi  di  Traiano,  ovvero  la  XV  Primigenia,  di'  ebbe  breve  vita,  «la  Claudio 
sino  a  Vespasiano  come  pare  (').  e  .sedo  nella  Germania  inferiore?  La  forma  dei  caratteri 
accenna  al  primo  secolo;  la  mancanza  di  titolo  alla  legione  non  è  sufficiente  a  far 
supporre  che  il  dedicante  abbia  collocato  questa  taltella  quando  non  esisteva  che  una 
sola  legione  XV.  Agli  esempi  di  omissione  del  nomo  della  legione,  anche  quando 
questo  seno  a  distinguerò  legioni  col  medesimo  numero,  un  altro  da  aggiungere  ci  è 
somministrato  da  una  lastra  da  noi  scoperta  in  suolo  ancora  vergine  nella  parte  meri- 
dionale del  piano,  non  lungi  dal  tempio,  ft  alta  m,  0,05');  con  l'aletta  di  destra, 
che  le  rimane,  misura  m.  U,ll;^  di  larghe/za;  l'iscrizione,  dentro  una  riquadratura 
formata  da  semplici  linee,  ha  lettere  di  min.  8  nella  prima  riga,  di  nini.  7  nella  se- 
conda, ()  nella  terza,  .'»  nelle  due  ultime: 

M  •  C  A  S  S  I  V  S 

FESTVS 

MILES  LEG  XOIV^-I 

RVFI 

V       S       L       M 

if.  Cassius  Fesfus  miles  leg(ionis)  X  {cenluriae)  Iu[iy{i)  liu/ì  v{otHm)  s(plcìl)  l{i- 

l^ens)  m{erilo). 

Due  legioni  X  esistettero  sin  dal  tempo  di  Augusto,  la  Pretense,  ch'ebbe  i  suoi 
quartieri  in  Oriente,  e  la  Gemina  dapprima  in  Ispagna,  poi  nella  Germania  inferiore 
fra  i  tempi  ili  Vespasiano  e  quelli  di  Traiano,  nei  quali  passò  nella  Pannonia  supe- 
riore. K  ben  probabile  che  il  nostro  milite  fosse  ascritto  a  quest'ultima.  Questa  tavo- 
letta, fissata  da  principio  con  due  piccoli  chiodetti  nelle  ali,  fu  iermata  di  nuovo 
più  tardi  malamente,  forandosi  il  gentilizio   del  centurione,  su  cui  però  non  rimane 

alcun  dubbio. 

La  terza  tabella  di  voto  fu  rinvenuta  in  terra  già  da  altri  rovistata  e  parimente 
nella  zona  meridionale.  È  alta  m.  0,U72.  larga  m.  0,08;:<,  con  lettere   alte   mm.  !•: 

sic  I  PEONINcf 

IVLc-FORTV 
NATVS  B  F  «3 

COS 
V«S'L«)M 

/(oy/)  I\oc)nino  lul(ius)  Fortunaius  b(ene)f{iciarius)  co(n)s{ulam)  viotum)  s(olvil) 
l{i/j€/is)  inferito). 

Oltre  a  queste  trovammo  un  piccolo  franiiiieuto  di  sottile  lamina  di  bronv;o 
(a.  m.  0,01,  1.  m.  0,035)  con  la  sola  lette.a  a  sbalzo,  alta  mm.  15: 

(')  Cf.  Ritterlinj;,  It-  i-gione  Romana  .V  gemini.  Lipsino,  1885,  i<.  81  e  icgg. 


REGIONE    XI.  —    y?    —  GRAN    SAN    BERNARDO 


e  due  alette  di  altre  tabelle  (a.  m.  0,084  e  0,095);  nel  foro  di  una  di  esse  era 
piantato  un  grosso  cliiodo  di  ferro.  Questi  frammenti  non  appartengono  a  nessuna  delle 
tavolette  esistenti  nella  collezione  dell'O.spizji. 

Il  numero  delle  tabelle  votive  del  Gran  San  Hernanlo  è  ora  di  cinquanta;  una 
decina  ò  dì  frammenti  insignilìcanti.  Quarantima  di  esse  sono  possedute  dall'Ospizio; 
una  dal  ;iiuseo  Britannico  ('),  una  dal  museo  di  Berna  (-),  una  da  quello  di  Brunswick  (■')  ; 
le  altre  sei  sono  perdute  o  celate  (■*). 

Una  piccola  statuetta  di  divinità  venne  ad  aumentare  il  numero  di  quelle  sco- 
perte precedentemente  al  pian  de  Japiler  (^).  È  questa  una  graziosa  Pallade  di 
bronzo  (a.  m.  0,055)  con  alta  e  lunga  cresta  sull'elmo  e  col  petto  coperto  dal  manto. 
La  dea  ha  il  braccio  destro  alzato  per  tenere  l'asta,  di  cui  si  trovò  una  parte  del  fusto, 
ed  ha  il  braccio  sinistro  pendente.  Posa  sul  piede  destro  con  la  gamba  sinistra 
alquanto  ripiegata  in  dentro.  Ad  una  statuetta  più  grande  di  squisitissima  fattura 
doveva  appartenere  un  piede  destro  ignudo  di  bronzo  bianchiccio  con  bellissima  pa- 
tina, nel  quale  sono  ottimamente  indicate  le  muscolature.  Il  calcagno  è  rotto,  nello 
stato  attuale  misura  m.  0,039  di  lunghezza.  La  gamba  era  vuota:  la  pianta  mostra 
di  aver  posato  sopra  un  piedistallo.  Ad  una  mano  di  maggior  grossezza  apparte- 
neva un  dito  mignolo  di  bronzo  mancante  della  parte  inferiore  e  lungo  m.  0,028, 
trovato  negli  ultimi  scavi,  che  ci  diedero  pure  una  bella  mascherina  di  bronzo, 
1.  m.  0,045  ed  a.  m.  0,045,  con  la  bocca  aperta  e  traforata  destinata  ad  essere  infissa. 

Alla  raccolta  degli  ornamenti  personali  devono  aggiungersi  i  seguenti:  Fibula 
di  oro  (a.  m.  0,035,  1.  m.  0,03;  peso  gr.  3,12),  formata  di  un  sottile  nastro,  la 
cui  massima  larghezza  è  di  mm.  4,  con  due  fori  alle  estremità,  in  cui  passava  una 
spilla  di  ferro,  della  quale  rimane  una  parte  ossidata  ;  fìbula  di  bronzo,  l.  m.  0,065,  con 
arco  depresso,  mancante  dell'ardiglione  e  con  la  molla  interamente  coperta  dall'os- 
sido; altra  simile  pure  a  molla,  1.  0,040,  con  grossa  staffa  e  senza  ardiglione;  altra 
fìbula  ad  arco,  a.  m.  0,025,  1.  m.  0,045,  con  una  capocchia  sulla  coda  e  due  ai  fianchi 
della  cerniera  ora  priva  dell'ardiglione;  altra  della  medesima  forma,  ma  più  grossa, 
a.  m.  0,029,  1.  m.  0,05,  e  senza  ornamenti  sulla  cerniera;  fibula  di  ferro,  a. 
m.  0,037,  1.  m.  0,068,  con  arco  a  nastro,  che  va  restringendosi  verso  la  statìa, 
rotta  come  la  punta  dell'ardiglione,  il  quale  parte  da  una  molla  di  quattro 
giri;    frammenti    di  altre  fibule;    due    fermagli    di    bronzo   con    un    dischetto    con- 


(1)  C.I.L.,  V.  n.  6866. 

(2j  Ibid.,  n.  6883. 

(3)  Ibid.,  n.  6872. 

{-')  Ibid.,  n.  6878,  6886,  6888,  6889,  6890,  6891.  Quelle  indicate  coi  numeri  6886  e  6890  fu- 
rono trovate  nel  1837  dalla  contessa  Calieri  di  Sala:  ignorasi  dove  tinirono;  non  pass-^rono  all'erede, 
presso  cui  ne  ho  fatto  ricorca. 

Trentadue  tabelle  sono  riprodotte  nel  C.  I.  L.  V,  n.  6863-6891.  Cinque  delle  altre  furono  per  la 
lirinia  volta  pubblicate  dal  prof.  Barnabei  nei  Rendiconti  dell'Accademia  dei  Lincei,  se.  nior., 
T.  IH,  1887,  p.  36I-.367,  e  nove  da  me  ìieglì  Atti  dell' Acc.  delle  se.  di  Torino,  T.  XXIV,  1888-80, 
p.  291,  p.  838  e  seg.,  e  nelle  Notiiie  1890,  p.  296,  nota  2  e  p.  303;  1892,  p.  06,  68,  445. 

('')  Vedi  Notizie  18!)2,  p.  71,  •118. 


OH\S    SAN    BERNARDO  —    38    —  REGIONE    XI. 

tornato  da  globetti,  l'uno  intero  e  l'altro  rotto;  un  pezzetto  di  lastrina  di  argento 
con  due  borchiette,  elio  forse  fece  parte  di  un"  estremità  di  cintura;  un'armilla  fatta 
di  un  nastro  sottile  di  bronzo  a.  m.  0,01 ,  diani.  in.  0,05.').  con  una  riga  incavata 
longitudinalmente;  sette  anelli  di  bronzo,  di  cui  due  con  qualche  ornamento;  tre 
gemme  inciso,  cioè  una  specie  di  topazio  (m.  0,013X0,014)  con  un  calice  fra  due 
deltiui,  una  corniola  (m.  0,007  XO.Olò)  con  uu  leone  a  sinistra,  ed  in  atto  di  slan- 
ciarsi, ed  un  onice  (m.  0,011X0,009)  con  una  figura  giovanile  a  sinistra  incisa 
nello  strato  inferiore  nero  e  spiccante  sul  fondo  bianco  delio  strato  superiore;  uno 
spillone  di  bronzo  rotto  con  capocchia  ovoidale;  un  battone  di  osso;  cinque  di  pasta  e 
di  pietra  di  vario  colore;  giani  di  collana,  di  pasta  vitrea. 

Le  armi  scoperte  (')  furono:  un  ferro  di  lancia  1.  m.  0,12,  di  forma  piramidale 
con  base  triangolare  di  m.  0,03  di  lato  e  con  gorbia  esteriormente  corta  (m.  0,017), 
di  millim.  2  di  spessore,  l'asta  entrava  nella  parto  piramidale;  una  cuspide  pirami- 
dale piena  1.  in.  0,15  con  sezione  triangolare  di  m.  0.03  di  lato,  mancante  della 
gorbia  ;  un  ferro  di  giavellotto  1.  m.  0,108,  di  cui  m.  0,088  per  la  punta  a  seziono 
quadrata  di  m.  0,015  di  lato  con  gorbia  a  cono  vuoto;  un  altro  1.  m.  0,145.  con 
la  punta  1.  m.  0,066  alquanto  smussata,  parimente  a  sezione  quadrata  di  m.  0,016 
di  lato  e  con  gorbia  a  cono  vuoto,  per  la  cui  rottura  si  vede  che  l'asta  vi  penetrava 
per  almeno  35  millimetri;  quattro  punte  di  freccie,  di  cui  una  a  foglia  di  lauro 
(lungh.  totale  m.  0,08,  della  gorbia  m.  0,035,  largh.  della  punta  m.  0,02),  un'altra 
a  rombo  smussata  1.  0,035  con  traccia  del  legno  entro  la  gorbia,  una  terza  I.  0,06 
della  forma  di  piramide  quadrilatera  di  m.  0,009  di  lato  e  con  punta  in  basso,  che 
s'infiggeva  nell'asticella,  come  la  quarta  1.  in.  U.055  a  sezione  di  triangolo  con  lati 
convessi;  la  lama  di  un  pugnale  con  la  punta  .smussata,  lunga  m.  0,28,  di  cui  m.  0,065 
per  il  codolo  piatto,  e  larga  presso  il  codolo  m.  0,037  ;  un'  alt.-a  col  coJolo  e  con 
la  parte  inferiore  rotti,  1.  m.  0,25;  un  pezzo  di  un'altra;  un  calzuolo  di  asta  conico 
I.  m.  0,12  e  con  diametro  alla  baso  di  m.  0.025. 

Gli  altri  oggetti  fo.niti  dagli  ultimi  scavi  fmono:  la  parte  superiore  di  un  can- 
deliere di  ferro,  a.  m.  0,25,  quasi  uguale  a  quella  rinvenuta  l'anno  passato  (-').  con 
punta  piramidale  di  base  quadrata,  e  mancante  di  uno  degli  uncini  laterali;  un'altra 
simile,  ma  molto  rovinata;  due  sbarro  di  ferro  di  sezione  quadrangolare  di  min.  8 
di  lato,  l'una  lunga  m.  n,24,  l'altra  più  corta  per  rottura,  entrambe  ripiegate  in  cima 
e  terminanti  in  una  punta  piramidale  (credo  servissero  per  infiggervi  piccole  candele, 
e  fossero  o  piantate  nel  muro  od  attaccate  ad  un  fusto);  un  gancio  di  ferro,  che  pare 


(')  Nel  dci-crivi'rt;  il  fcrr"  di  jnluin  cMmi.it"  iluc  anni  ur  Simo  {SolUie,  1892,  j).  4  Ifi)  mi  sfujr»:^ 
di  dire  quadrata  la  seziunc  della  )>unta,  laddnvc  (  ssa  è  trian^rularc.  Imdtre  ho  dellu  che  il  peso  ori- 
orinario  doveva  essere  di  iiocc  superiore  all'atlnale  (pr.  1305).  Al  contrario  il  peso  antico  era  quasi 
il  doppio;  come  ho  potuto  verificare  facendo  fare  un  ferro  simile.  Esso  pesa  pr.  2370;  una  jierfofla 
identità  fra  l'antico  e  il  nuovo  nell'interno  è  impossibile,  essendovi  in  lineilo  avanzi  dell'asta,  che 
impediscono  di  scorgere  sino  a  che  punto  la  gorbia  er.i  vuota,  ^■|■di  Atti  dell'Acc.  delle  se.  di  Torino, 
t.  X.XI.X,  p.  150  e  sepg. 

(«)  Xotiii*  1892,  p    1 1.'.. 


REGIONE    \I.  —    3;i    —  GRAN    SAN    HERNARDO 


abbia  servito  per  tener  appesa  uua  lucuriui;  due  lame  di  coltello  a  foglia  di  salice 
e  doppio  taglio  prolnugantisi  in  un  manico  quasi  cilindrico  (1.  m.  0,2;3);  duo  altre 
lame  di  coltello  ad  un  taglio  solo  col  eodolo  sul  prolungamento  del  lato  minore  non 
tagliente,  1.  m.  0,15  e  0,12;  altre  lame  della  stessa  forma  rotto;  un  ferro  di  falcetto 
a.  m.  0,125;  la  parte  superiore  di  un  altro  più  grosso;  l'impugnatura  di  osso  di  un 
pugnale  o  coltello,  1.  m.  0,075  della  figura  di  quattro  piani  esagonali  sovrapposti  e 
diminuenti  di  grandezza;  un  piccolo  manico  di  osso  con  dentro  un  pezzo  di  ferro; 
un  pezzo  di  osso  lavorato,  che  può  aver  fatto  parte  dell'impugnatura  di  una  lama; 
uno  stilo  di  ferro  ;  mollette  di  bronzo,  probabilmente  per  la  depilazione,  1.  m.  0,052  ; 
una  spatola  di  bronzo  per  l'unguento  od  il  belletto,  1.  m.  0,076,  che  mostra  aver  avuto 
un  manico  di  altra  materia;  im  oggetto  pure  di  bronzo,  che  può  essere  stato  destinato 
al  medesimo  uso  ;  un  coperchietto  di  bronzo  od  ornamento  a  forma  di  rosone,  del 
diametro  di  m.  0,035;  un  grosso  manico  rotto  di  ferro  rivestito  di  bronzo;  il  manico 
di  una  casseruola  di  bronzo  ;  quello  di  un  vaso  con  testa  di  ariete,  1.  m.  0,045  ;  ima 
maniglia  di  bronzo  con  righe  longitudinali  rilevate,  a.  m.  0,027,  1.  m.  0,045;  una 
grossa  maniglia  di  ferro  a.  m.  0,15,  1.  m.  0,37;  parecchi  frammenti  di  ima  sottile  e 
lunga  lamina  di  bronzo  (a.  m.  0,08)  ripiegata  e  contenente  tilauienti  di  legno;  altri 
pezzi  di  lamine  di  bronzo,  che  hanno  servito  per  rivestimenti  ;  una  piastra  rettangolare 
di  bronzo  con  trafori,  a.  m.  0,041,  1.  m.  0,085;  chiodetti  di  bronzo;  altri  pezzi  dello 
stesso  metallo  ;  parecchi  pezzi  di  catene  di  ferro  con  anelli  a  forma  di  8,  più  o  meno 
lunghi  e  più  o  meno  aperti  sul  mezzo  ;  sette  chiavi  di  ferro  di  varia  forma  e  gros- 
sezza; alcuni  arnesi  di  ferro  guasti  o  di  uso  ignoto;  ganci,  grossi  anelli,  pezzi  di 
lastre,  chiodi  pure  di  ferro  ;  frammenti  di  anfore,  di  vasi  di  forma  e  grandezza  dif- 
ferenti di  terra  cotta  grossolana  e  fina,  tra  questi  ultimi  qualche  pezzo  con  bella 
vernice  nera  di  riflessi  argentini  ed  altri  con  vernice  corallina,  talvolta  con  lavori  in 
rilievo,  il  fondo  di  un  vasettino  pure  a  vernice  corallina  e  col  l>ollo  : 


ARRI 


di  cui  altro   esempio   si   ha   nella   Narbonese   (');   un   altro   col  bollo   in   impronta 
di  piede: 

OF • MERC 

esso  pure  noto  nella  Narbonese,  nella  Spagna,  nel  Piemonte  (-)  ;  un  terzo  con  le  lettere  : 


2AM 


(')   C.  I.  L.  XII,  II.  568G,  7G. 

(«)  Op.  cit.,  II,  11.  C257,  110;  XII,  11.  5G8G,  582;  Atti  della  Soc.  di  nrrheolotjia  e  belle  arti 
per  la  prov.  di   Torino,  T.  V,  p.  11  il.  n.  .1. 


GRAN    SAN    BERNARDO  —    40    —  REGIONE    XI. 

una  lainpaiia  tìttik'  rotta  col  uoiue  : 

POTIDES 

frammenti  di  bottifflie,  coppe  od  altri  vasi  di  vetro,  fra  cui  di  un  vaso  di  vetro  j,'iallo 
con  ornamenti  bianchi  e  di  un  vaso  turchino  parimente  con  ornamenti  bianchi,  un  pezzo 
di  vaso  di  vetro  bianco,  su  cui  è  inciso  un  pesce  a  sinistra  u  sotto: 


le  lettere  minori  sono  alte  min.  4  le  maggiori  mm.  L'i. 

Nei  frammenti  raccolti  di  tegoli  con  bolli,  oltre  a  quelli  già  noti,  trovossi  in  due  : 


l>  C- CASSI  <l 


intiero  nell'uno,  rotto  null'altro.  Il  sigillo  è  nuovo  per  il  pian  dv  Jupiter  ;  però 
nell'Ospizio  gi;\  si  conservava  un  pezzo  di  tegola  con  questo  nome,  scoperto  anni  sono 
sul  versante  elvetico,  nel  luogo  detto  le  fond  de  la  Combe.  Nuovi  sono  pure  i  se- 
guenti, che  ci  pervennero  rotti: 


con  lettere  alte  34  millimetri  : 


dove  l'ultima  lettera  e  bene  distinta  e  la  forma  di  essa  e  delle  altre  non  permette 
di  crederlo  parto  del  sigillo; 


l> 


PVBL'C 


ovvio  sui  tegoli  del  Gran  San  Bernardo.  Un  pezzo  di  tegolo  reca  il  bollo: 

fìl-P-N"! 
un  altra  l'avanzo: 


REGIONE  XI.  —  41  —  GRAN  SAN  BERNARDO 

che  ci  fanno   rettificare  quello  scoperto  precedentemente,  per  meno  buona  conserva- 
zione letto  ('): 


I>|l-p-nivp[< 


Vi  è  dunque  uu  cognome  principiante  per  Nijmp. 

Notiamo  ancora  fra  il  materiale  laterizio  dissepolto  tre  frammenti  di  antefisse. 

Non  poche  furono  le  monete,  rinvenute  quasi  tutte  in  terra  già  smossa.  Eccone 
l'elenco  : 

Galliche. 

1  (pot.  gr.  1,97).  Tipo  come  in  Von  Duhn  e  Ferrerò,  Le  monete  galliche  del 
medagliere  dell'Ospizio  del  Gran  San  Bernardo,  nelle  Mera,  della  R.  Acc  delle 
scienze  di  Torino,  serie  2^,  t.  XLI,  tav.  I,  n.  2.  ^.  Cervo  a  sin.  con  la  testa  ri- 
volta a  d.  (Von  Duhn  e  Ferrerò,  p.  342,  n.  21). 

2  (pot.  gr.  4,35).  Testa  barbara  a  s.  con  diadema  di  due  fascie  molto  oblique. 
I?l.  Cavallo  geometrico  a  s.  con  le  gambe  ripiegate  e  la  coda  a  forma  di  S  (Von  Duhn 
e  Ferrerò,  n.  36). 

3  (pot.  gr.  2,8.5).  Altra  simile. 

4  (br.  gr.  2,92).  REMO.  Tre  busti  accollati  a  s.  lì!.  [RE]MO.  Vittoria  in  una 
biga  in  corsa  a  s.  (Von  Duhn  e  Ferrerò,  n.  59). 

5  (br.  gr.  2,86).  Altra  simile,  nel  diritto  e  nel  rovescio  [RE]MO. 

6  (br.  gr.  1,98).  Altra  simile,  nel  diritto  [REMO]  e  nel  rovescio  REMO. 

7  (pot.  gr  2,12).  Due  teste  imberbi  addossate  come  le  teste  di  Giano,  con  la 
dirterenza  che  una  è  in  senso  diritto  e  l'altra  è  capovolta  1{).  [AIAoYIN].  Cinghiale 
a  s.  (Von  Duhn  e  Ferrerò,  n.  63). 

Romane. 

8  (br.  gr.  42,20).  Asse  (con  un  buco  nel  mezzo). 

9  (br.  gr.  16,70).  Asse. 

10-12  (br.).  Tre  assi  tagliati  per  metà. 

13  (arg.).  Vittoriato. 

14  (id.).  Denario  di  Lucio  Valerio  Aciscolo  (Babelon,  Descr.  des  monn.  de  la 
rép.  rom.,  t.  II,  p.  519,  n.  18). 

15  (br.  med.).  Ottaviano  ed  Agrippa,  coniata  a  Nemaimis  (Cohen,  Descr.  des 
monn.  de  l'Emp.  rom.,  2^  ed.  t.  I,  p.  179,  n.  10). 

16-17  (id.).  Altre  due  tagliate  per  metà. 

18-20  (arg.).  Augusto  (Cohen,  t.  I,  p.  69,  n.  43). 

21-34  (br.  med.).  Td.  (Cohen,  t.  I.  p.  94,  n.  228). 

35-37  (id.).  Altre  tre  tagliate  per  metà. 

(')  Notizie  1SP2,  p.  11:5. 
Cl.ASSB  DI  sciKNZi'.  MORALI  ucc.   —  Memorik  —  Voi.  II,  Sode  5',  parte  2*.  fi 


GRAN    SAN    BERNARDO  —     12    —  REGIONE    XI. 


38-41  (id.).  Augusto  (Cohen,  t.  I,  p.  05,  n.  237). 

42  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  9t).  n.  244). 

43  (br.  picc).  Id.  (Cohen,  t.  I.  p.  111.  u.  352). 
U  (br.  <rr.).  Id.  (Cobon.  t.  I.  p.  ll'.i,  n,  407). 
45-47  (br.  picc).  Id.  (Cohen,  t.  I,   122,  n.  42.")). 

48  (br.  med.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  124,  n.  437). 

49  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  125,  n.  440). 

5U-.M  (id.).  Id.  Due  moneto,  entrambe  di  fabbrica  barbara,  ma  diversa  (imit;v- 
zione  del  n.  .")04  Cohen,  t.  I,  p.  137). 

52  (id.).  Augusto  (Cohen,  t.  I.  p.   1  :'.'.».  n.  .Jl')). 

53-55  (id.).  Monetarii  di  Augu.sto  irriconoscibili. 

5fi-57  (id.).  Altre  due  tajjliate  por  met;\. 

58-59  (br.  picc).  Monetarii  di  Augusto  irriconoscibili. 

60-61  (br.  med.).  Marco  Agrippa  (Cohen,  t.  I.  p.   17.').  n.  3). 

62  (id.).  Id.  —  [M- AGRIPPjA  LFCOSIII.  Testa  di  Agrippa  con  la  corona 
rostrata  a  s.  l(.  ROM  ET  AVG.  Altare  di  Lione  (')• 

63  (id.).  Tiberio  (Cohen,  t.  I,  p.   191,  n.  14). 

64  (ib.).  Id.  (Cohen,  t.  I.  p.  191,  n.   18). 

65  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  192,  n.  24-26). 
66-69  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I.  p.  193,  n.  37). 
70-71  (id.).  Due  monete  logore  di  Tiberio. 

72  (id.).  Augusto  0  Tiberio  (Cohen,  t.  I,  p.  95,  n.  240,  oppure  p.  193,  n.  31 
0  34  0  37). 

73  (id.).  Druse  giuniore  (Cohen,  t.  I,  p.  217.  n.  2). 

74  (id.).  Antonia  (Cohen,  t.  I,  p.  223,  n.  6). 
75-76  (id.).  Germanico  (Cohen,  t.  I,  p.  224,  n.  1). 

77  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  226,  n.  8). 

78  (id.).  Moneta  logora  di  Germanico. 

79-80  (id.).  Caligola  (Cohen,  t.  I,  p.  240,  n.  27-29). 
81  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I.  p.  240,  n.  28-29). 
82-83  (id.).  Claudio  (Cohen,  t.  I,  p.  250,  n.  1). 
84  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  254,  n.  47). 
85-87  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  257,  n.  84). 

88  (br.  picc).  Nerone  (Cohen,  t.  I.  p.  J'.'l.  n.   ]>.\). 

89  (br.  med).  Id.  (Cohen,  t.  I.  p.  298  e  seg.,  u.  2iiii-ò\):>), 

90  (id.).  Vespasiano  (Cohen,  t.  I,  p-  369,  n.  13). 

91  (arg.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  376,  n.  102  o  p.  377  n.  125). 

92  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  377,  n.  125). 

93  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  384,  n.  222). 

<J4  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  395,  n.  364  o  365). 
95  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  401,  n.  432). 

(')  Credo  8cono8cin1a  questa  moneta  Ji  Agrijiiia  ibrida,  al  i«ari  dei  n.  1  e  2  C.dun,  t.  I.  \k  17.5. 


REGIONE    XI.  —    43    —  GRAN    SAN    BERNARDO 

96  (br.  med.).  Tito  (Cohen,  t.  I,  p.  420,  n.  4). 

97  (arg.).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  452,  n.  272). 

98  (br.  gr.)  Domiziano  (Cohen,  t.  1,  p.  498,  n.  314-316). 

99  (arg).  Id.  (Cohen,  t.  I,  p.  505,  n.  412). 
100-101  (br.  med.)  Due  monete  logore  di  Domiziano. 

102  (br.  gr.)  Adriano  (?). 

103  (br.  med.).  Moneta  logora  di  Antonino  Pio. 

104  (id.).  Marco  Aurelio  (Cohen,  t.  Ili,  p.  lo.  n.  109). 

105  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  Ili,  p.  39,  n.  78). 

106  (br.  gr.).  Id.  (Cohen,  t.  Ili,  p.  57,  n.  564). 

107  (arg.).  Moneta  logora  di  Marco  Aurelio. 

108  (br.  gr.).  Faustina  giuniore  (Cohen,  t.  Ili,  p.  143,  n.  96). 

109  (br.  med.).  Id.  (Cohen,  t.  Ili,  p.  146,  n.  123,  o  p.  147,  n.  130). 

110  (br.  gr.).  Moneta  logora  del  secolo  I  o  del  II. 

111-144  (br.  med.).  Trentaquattro  monete  logore  del  secolo  I  o  del  II. 

145  (br.  gr.).  Moneta  logora  del  secolo  II  o  del  III. 

146  (br.  gr.).  Severo  Alessandro  (Cohen,  t.  IV,  p.  432,  n.  305). 

147  (arg.).  Id.  (Cohen,  t.  IV,  p.  444,  n.  429). 

148  (id.).  Id.  (Cohen,  t.  IV,  p.  459,  n.  563). 

149  (id.).  Filippo  seniore  (Cohen,  t.  V,  p.  98,  n.  33). 

150  (id.).  Valeriane  seniore  (Cohen,  t.  V,  p.  303,  n.  57). 

151  (id.).  Gallieno  (Cohen,  t.  V,  p.  363,  n.  173). 

152  (br.  picc).  Id.  (Cohen,  t.  V,  p.  400,  n.  617). 

153  (id.).  Moneta  logora  di  Gallieno. 

154  (id.).  Claudio  Gotico  (Cohen,  t.  VI,  p.  135,  n.  50). 

155-162  (id.).  Otto  monete  logore  del  tempo  di  Gallieno  e  di  Claudio    Gotico. 

163  (br.  picc).  Moneta  logora  di  Crispo. 

164-167  (id.).  Quattro  monete  logore  del  tempo  di  Costantino  e  dei  figli. 

168  (id.).  Moneta  logora  di  Magnenzio. 

169  (br.  med.).  Valentiniano  I  o  Valente  (Cohen,  t.  VIII,  p.  88,  n.  12  o 
p.  103,  n.  11). 

170  (id.).  Graziano  (Cohen,  t.  VIII,  p.  130,  n.  30). 
171-174  (br.  picc).  Quattro  monete  logore  del  secolo  IV. 

Negli  scavi  precedenti  ed  in  que.sti  si  rinvennero  non  pochi  ossi  di  animali  bo- 
vini, ovini,  suini;  due  grosse  e  lunghe  corna  appartengono  ad  un  bovino  di  una  razza, 
elle  tuttora  esiste,  ma  non  più  in  quei  monti,  dai  quali  disparvero  pure,  ma  non  da 
tempo  remotissimo,  l'orso  ed  il  cinghiale  :  trovaronsi  molti  denti  di  questa  fiera  ed 
una  mandibola  di  quella.  Di  ossa  umane  si  riconobbero  due  mandibole,  due  parietali 
ed  un  pezzo  di  occipite.  A  qual  tempo  rimontano  ? 

Fra  le  cose  scoperte  da  noi  e  dai  nostri  piedecessori  sul  pian  de  Jupiter 
ninna  vi  ha,  salvo  Io  moneto  galliclie,  la  quale  si  possa  assegnare  con  certezza  ad 
età  preromana.  I  fittili  rozzamente  lavorati  possono  benissimo  essere  prodotti  di  gros- 
solana industria  locale,  contemporanea  alle  perfezionate  officine,  donde  uscirono  quegli 


GRAN   SAN    BERNARDO 


—    14    — 


REGIONE   XI. 


altri,  di  cui  trovainiiio  copiosi  avanzi.  Negli  strumenti,  nello  armi,  negli  ornamenti 
della  persona,  in  una  paiola  in  t\ilto  il  resto,  nulla  si  prosenta  con  impronta  di  un'in- 
dustria anteriore  ai  tempi  imperiali,  ai  cui  ini/i  rimontano  il  santuario  e  hi  man- 
sione, comò  i  lavori  stradali  del  monte  Penino  (').  Per  esso,  non  ostante  l'aspro  cam- 
mino {-),  un  po'  più  frequente  era  divenuto  il  passaggio  nel  primo  secolo  avanti 
l'èra  volgare,  come  attestano  lo  di.>iposi/ioiii  dato  da  Cesare  nel  -u  por  la  sicuro/./a 
di  esso  (')  e  le  moneto  galliche  colassi!  dissepolte  (').  E  assai  probabile  che  prima 
delle  romane  non  esiste.ssero  costruzioni  sul  colle:  per  il  culto  di  Penino  {•')  doveva 
bastare  la  rupe,  intorno  a  cui  si  scoprirono  in  copia  monete  galliche  con  nummi  della 
repubblica  romana  (").  Fra  le  cose  votivo,  anche  fra  le  tabelle,  più  abbondanti  sono 
quelle  di  bel  lavoro,  conio  in  maggior  numero  sono  lo  monete  del  primo  secolo,  spe- 
cialmente dei  Giulii   e   dei  Claudii,    ultime   delle   romane   quelle  di  Teodosio  e  dei 

tìgli  c). 

Il  tempio  ha  sofferto  una  profanazione  attestata  dagli  oggetti  votivi  spesso  vio- 


(I)  Probabilmente  cuiiiiiiciatì  subìtu  di>|iii  la  coiiijuista  del  paese  dei  Salassi  e  la  fondazione 
di  Augusta  Practoria  (2.')  av.  C).  Anche  ammettendoli  fatti  d(.])o  la  conquista  della  Kczia  (15  av.  C.) 
ed  il  principio  delle  guerre  gerraauichc  (Mommsen,  Róm.  Geschichte,  t.  V,  p.  18),  il  ritardo  è  di 
poco  tempo. 

(»)  Cf.  Strabonc,  IV,  0,  7,  p.  205. 

(3)  Rell.  Gali,  HI,  1. 

(*)  Le  monete  galliche  del  Gran  San  Bernardo  descritte  nel  catalogo  fatto  insieme  col  eh. 
Von  Dahn  (Mcm.  della  R.  Acc.  delle  sciense  di  'forino,  serie  2*  t.  XLI,  p.  331  e  segg.),  nel  quale 
sono  comprese  anche  le  poche  trovate  nel  1890,  ammontano  a  418.  Negli  scavi  dogli  anni  seguenti 
se  ne  rinvennero  74,  e  vi  è  da  aggiungere  un  piccolo  numero  di  altre,  che  ci  erano  rimaste  ignote, 
quando  compiemmn  il  nostro  lavoro. 

(5)  Cf  Livio,  X.VXI,  28. 

1°)  Notizie,  1802,  pag.  64  e  sgg. 

P)  E  peccato  che  non  tutte  le  moneto  romane  scoperto  al  pian  de  Jupiter  si  trovino  nel- 
l'Ospizio e  che  quelle,  che  vi  esistono,  non  siano  state  distinte  dai  nummi  di  straniera  provenienza. 
Mi  6  sembrato  non  inutile  riunire:  in  uno  specchietto  i  gruppi  delle  monete  romane  esistenti  nel 
medagliuro  dell'Ospizio  prima  dei  nostri  scavi,  per  la  maggior  parte  delle  quali  si  può  presumere 
il  rinvonimento  al  pian  de  Jupiter  (ho  escluso  quelle,  della  cui  origine  diversa  ho  avuto  sicura 
informazione  e  separato  i  gruppi  delle  monete  fornito  dai  nostri  scavi): 

scoperte  prima 
degli  ultimi  scavi 

Repubblica  romana.  130 

Imperatori  (iiulii  e  Claudii       ....  305 

Da  Galba  a  Domiziano Gii 

Da  Nerva  a  Commodo 134 

Irricunoscibili   dei    sec.  I-II      .... 

Da  l'ertinace  a  Valeriano 137 

Da  Gallieno  a  Carino 141 

Da  Diocleziano  a  Gioviano       ....  252 

Da  Valenliniano  I  ai  figli   di   Teodosio  67 

Totale  1322  303  1625 


scoperte  negli 

Total. 

scavi  1890-93 

27 

157 

152 

547 

19 

85 

18 

152 

37 

37 

10 

147 

19 

160 

13 

265 

8 

75 

REGIONE    XI.  —    4ò    —  GRAN    SAN    BERNARDO 


lenteraente  infranti,  spesso  scagliati  lontano,  come  le  belle  statuette  e  le  altre  cose 
ricavate  dallo  stagno:  gli  editìzì  della  mansione  furono  consumati  da  un  incendio. 
La  devastazione  del  santuario  e  la  rovina  della  mansione  avvennero  nel  medesimo 
tempo  ?  Ovvero  quello  fu  violato  prima,  quando  trionfò  la  religione  di  Cristo,  e  la 
mansione  si  conservò  sotto  i  Burgundii  e  poi  sotto  i  Franchi  padroni  dei  due  ver- 
santi del,  monte  ?  A  queste  domande  non  possiamo  rispondere  :  solo  a  cagione  delle 
monete  caroliugiche  (')  ci  è  dato  supporre  colà  un  ricovero,  almeno  nel  secolo  IX  (-). 
Siasi  conservata  la  mansione,  sia  caduta  e  poi  risorta  più  tardi,  certo  è  che  (vero- 
similmente per  le  devastazioni,  di  cui  quei  monti  furono  teatro  nel  secolo  X  per  opera 
dei  Saraceni  annidati  nel  Vallese)  il  luogo  ora  deserto  quando  San  Bernardo  di  Menlhon 
nel  secolo  XI  (^)  venne  a  fondarvi  la  sua  casa  ospitale  ad  un  mezzo  chilometro 
dall'antica  stazione  e  dall'altra  parte  del  lago,  che  occupa  la  sommità  del  colle,  ado- 
perando per  tale  costruzione  le  pietre  della  mansione  e  del  tempio  (^).  A  questo  poi 
ci  sembra  accenni  il  cronista  della  Novalesa  (secolo  XI) ,  allorché,  a  proposito  della 
discesa  di  Carlomaguo  nel  773  parla  di  un  tempio  sul  Monginevro  costrutto  con 
pietre  riquadrate  congiimte  con  ferro  e  piombo  (■'').  Carlomagno  non  valicò  il  Mon- 
ginevro, ma  il  Cenisio;   per  l'Alpe  Penina   passò  con  parte  dell'esercito  lo  zio  Ber- 


ci) I^oHzie  1889,  p.  393;  1890,  p.  805;  1892,  p.  77. 

Fra  gli  altri  og<;etti  qualcuno  può  essere  dei  primi  secoli  del  medio  evo  :  non  ve  n'ha  però 
di  quelli,  in  cui  indubbiamente  si  palesi  l'industria  delle  genti  barbariche. 

(-)  Non  parliamo  di  un  monastero,  parendoci  infondate  le  notizie,  che  vuoisi  lo  concernano. 
Esse  si  riducono  a  quella  di  un  «  Vultgarius  abbas  ex  monasterio  quod  est  situm  in  monte  lovis  u 
circa  l'anno  820  [Formuìae  Merovingici  et  KaroUni  aeoi,  ed.  Zeumer,  Hannoverae,  188G,  p.  .321); 
a  quella  di  nn  "  clericus  nomine  Benedictus,  ipsius  loci  (cioè  del  monte  Giove)  aedituus  n  neir826 
{Ada  Sanctorum,  ian.  t.  U,  p.  284)  ed  all'  «  hospitale  quod  est  in  monte  lovis  »  escluso  dalla  ces- 
sione dei  contadi  di  Ginevra,  Losanna  e  Sion  fatta  da  Lotario  II  al  fratello  Ludovico  II  nell'SSD 
(Ann.  Berlin.,  a.  859).  Ma  d'altra  parte  si  ricorda  neir842  o  849  il  "  monasterium  S.  Petri  quod 
ad  radicera  mentis  situm  est"  Ada  Sandorum,  aug.  t.  III.p.  613),  un  »  Hartmannus  elemosinarius 
s.  P(etri)  montis  lovis  n  verso  r851  (Cartulaire  du  chapicre  de  Notre  Dame  de  Lausanne,  Lau- 
sanne, 1846,  p.  8  in  Mcm.  et  doc.  piilliés  par  la  Soc.  d'hist.  de  la  Suisse  romanie.  t.  VI);  1'  «  ab- 
batiara  montis  lovensis  Sancti  Petri  »  in  una  carta  del  1011  (Grémaud,  Doc.  rei.  à  Vhist.  du  Vallais, 
t.  I  (XXIX  dei  ]\Iém.  de  la  Soc.  de  la  Suisse  rom.),  p.  54).  Questi  testi  spettano  ad  un  monastero 
a  Bourg-Saint-Pierrc,  al  quale  pure  sono  da  riferire  i  primi  sopra  citati.  Notisi  la  esclusione  dcl- 
Vhospitale  . .  in  monte  lovis  dalla  cessione  del  contado  di  Sion.  In  questo  trovavasi  Bourg-Sainl-Pierre, 
ma  non  il  pian  de  Jupiler,  che  ha  dovuto  sempre  appartenere  al  territorio  di  Aosta. 

(')  Non  nel  precedente,  come  comunemente  si  è  creduto.  Vedasi  il  recente  studio  di  monsignor 
J.  A.  Due,  vescovo  di  Aosta,  A  quelle  date  est  mort  Saint-Bernard  de  Menthon  ?  (voL  XXXI  della 
Miscellanea  di  storia  italiana). 

(■*)  Il  racconto  del  culto  idolatrico  rinato  in  quei  luoghi  e  della  statua  di  Giove  distrutta  dal 
santo  non  appartiene  che  alla  leggenda.  La  vita  di  San  Bernardo,  piena  di  favole,  che  contiene  sì 
fatte  narrazioni  e  va  sotto  il  nome  di  Riccardo  di  Val  d'Iscra,  successore  a  lui  nell'arcidiaconato 
di  Aosta  (Ada  Sanctorum,  iunii  t.  II,  p.  1077)  è  compilazione  tarda  e  senza  valore. 

{^)  li  In  niontem  (ieminum  ...  in  quo  olim  templum  ad  honorem  cuiusdam  Caco  doo,  scilicet 
"  lovis,  e.x  quadris  lapidibus  plumbo  et  ferro  valde  conncxis,  niirae  pulchritudinis  quondam  con- 
"  structum  fucrat  ».  Chron.  Novuliciense,  III,  7. 


GRAN    SAX    BERSARDO  —    4(1    —  REGIONE    XI. 

nardo  (').  Non  può  darsi  una  confusione  fra  i  due  personaggi,  un  errore  nel  nomo 
del  monte,  ma  in  pari  tempo  un  ricordo  del  santuario  di  Penino  (-)  ? 

A  circa  due  chilometri  prima  di  giungere  al  pian  de  Jupitcr,  sopra  un  altopiano 
della  superficie  di  un  l.')00  metri  quadrati,  sorge  una  casa,  chiamata  la  Cantina  di 
Fontiales,  la  quale  serve  come  luogo  di  riposo  ed  all'uopo  di  rifugio  per  coloro,  che 
salgono  il  versante  italiano  del  monte.  La  casa  odierna  fu  costrutta  uel  I8:i5;  ma 
quivi  fin  dalla  metà  del  secolo  XIII  esisteva  un  piccolo  ospizio  (^).  Trovansi  sparsi 
sul  suolo  rottami  di  tegoli  romani:  il  canonico  Lugon  vi  raccolse  una  moneta  im- 
periale. 

Queste  traccio  di  una  casa  antica  destinata  al  medesimo  scopo  dell'attuale  in'  in- 
dussero a  farvi  saggi  di  scavo,  nei  quali  si  scoprirono  molti  pezzi  di  tegoli,  di  cui 
imo  col  bollo: 


RP- A 


un  altro  con: 


resto  del  sigillo  Ilijlae,  uno  col  nonio: 


l>  P  V  B  L' C  < 


un  altro  con  avanzo  del  medesimo  bollo:  questi  due  sono  di  terra  gialla;  mentre 
quelli  con  uguale  impronta  scoperti  al  pian  de  Jtipiter  sono  di  terra  rossa.  Rinvenimmo 
poi  una  certa  quantità  di  framiiieuti  di  vasi  fittili  grossi  e  piccoli,  qualcuno  di  terra 
fina  con  vernice  corallina,  e  di  vasi  di  vetro,  chiodi  e  carbone,  che  mostra  la  distru- 
zione di  quesf  appendice  della  mansione  romana  essere  avvenuta  come  quella  dogli 
editìzi  principali.  I  saggi  di  scavo  non  mi  condussero  allo  scoprimento  di  muri  :  forse 
la  casa  romana  era  nella  medesima  area  della  moderna. 


(')  Einardo,  Ann.,  a.  77:5 

(*)  Nel  1881  si  scoprironci  iivanzi  antichi  sul  Monu'inevro,  ove  si  sa  esisteva  una  stazione  ro- 
mana. Si  suppose  appartenessero  al  tempio  menzionato  dalla  cronaca  novaliciensc  (Bull  t'pi(/r.,  1882, 
p.  47) ,  ed  io  stesso  ricordai  si  fatta  identificazione,  descrivendo  la  strada  di  questo  monte  (Mem. 
della  R.  Are.  delle  sciente  di  Torino,  serie  2*  t.  XXXVIII,  ]>.  441).  Ma  la  notizia  del  ritrovamento, 
che  fu  pubblicata  e  molto  scarsa;  nò  si  fece  un'estesa  esplorazione,  la  quiile  sarebbe  impresa  utile 
per  la  scienza  e  lodevole  per  la  Francia,  sul  cui  territorio  avvenne  la  scoperta. 

Non  sappiamo  poi  in  quale  misura  materiali  degli  editìzi  del  pian  de  Jupiter  abbiano  servito 
alla  primitiva  costruzione  dell'Ospizio,  né  so  di  là  se  ne  trassero  ancora  per  le  ricostruzioni  e  le 
ampliazioni  successive.  Ho  trovato  i  conti  delle  spese  per  la  rifabbric.izione  di  una  parte  di  esso 
nil  l'j.'iS,  dopo  un  incendio:  non  vi  è  però  cenno  alcuno  su  trasporti  di  materiali  dal  pian  de 
Jupiter. 

(')  Martfuerett.iz,  /l«''ie/n  hòpilaux  du  vai  d'Aoste,  Aoste,  l^'O,  p,  1  |  .•  s^ri,'-  "'"'r.  dal  7° 
Bullettin  della  .Socict'i  Accademica  di  .SantWnselmo  di  .\osta). 


REGIONE    VI.  —    47    —  FOSSOMBRONE,    ASSISI 

Né  risnltamento  più  soddisfacente  ebbero  gli  scavi,  che  per  cura  dell'Ospizio  si 
sono  latti  ad  un  chilometro  e  mozzo  da  esso  sul  versante  elvetico,  in  un  luogo  detto 
le  forni  de  la  Combe.  ove  i  pezzi  di  pietre  e  di  tegoli  sul  terreno  attestano  l'antica 
esistenza  di  un  edificio,  anche  esso  dipendenza  della  mansione  in  summo  Poeniao. 
In  questo  luogo  si  osservano  avanzi  della  strada  scavata  nella  roccia,  e  a  destra  di 
chi  scende  dalla  sommità  del  colle  si  vede  intagliato  nella  rupe  un  piccolo  condotto 
per  avere  l'acqua  da  uu  ruscello  a  circa  dugento  metri  di  distanza:  se  ne  possono 
seguire  le  traccie  per  tratti  assai  lunghi. 

Nell'escavazione  quivi  fatta  dal  canonico  Lugon,  come  monsignor  prevosto  e  gli 
altri  superiori  dell'Ospizio,  sempre  disposto  a  favorire  le  nostre  esplorazioni  ed  i 
nostri  lavori,  si  trovarono  frammenti  di  tegoli,  di  cui  due  di  terra  rossa  con  resti 
del  sigillo: 


I>|PVBL'C  <l 


una  fibula  di  bronzo  ad  arco  ed  a  cerniera  mancante  dell'ardiglione,  alta  m.  0,025, 
larga  m.  0,035;  un  peso  (?)  di  pietra  nera  circolare  (gr.  146);  una  moneta  di  Augusto 
(Cohen,  2*  ed.,  t.  I,  p.  95,  n.  237);  una  di  Agrippa  (ibid.,  p.  175,  n.  3);  una  irrico- 
noscibile dei  tempi  di  Tiberio  con  la  contromarca  impressa  due  volte: 


IMP/////// 


frammenti  di  vasellame  cretaceo  e  vitreo,  chiodi  ed  altri  pezzi  di  ferro. 

E.  Ferrerò. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

II.  FOSSOMBRONE  —  Di  una  statuetta  di  bronco  scoperta  fuori 
la  citta. 

Nella  località  detta  Culla,  non  lungi  dal  mulino  dello  stesso  nome,  apparte- 
nente alla  signora  Teresa  Cesarini  di  Fossombrone,  posto  sul  monte  Cesana,  a  nord 
della  città,  un  contadino,  atterrando  un  albero,  rinvenne  una  statuetta  di  bronzo  vo- 
tiva rappresentante  una  divinità  muliebre.  È  alta  m.  0,07,  e  raffigura  una  donna 
avvolta  in  lungo  manto  con  una  patera  nella  mano  destra.  Colla  sinistra  molto  con- 
tratta stringe  qualche  cosa  di  indistinto. 

A.  Vernarecci. 

III.  ASSISI  —  Rilievo  sepolcrale  scoperto  nel  territorio  del  comune. 
Il  sig.  Francesco   del   Bianco,   facendo   eseguire   lavori   agricoli   nel   suo   fondo 

presso  s.  Potente,  scopri  un  cippo  di  travertino,  largo  inferiormente   m.  0,61,    supe- 
riormente m.  0,5!»  ;  alto  m.  0,GO,  e  dello  spessore  di  metri  0,39.  Nel  piano  superiore 


CAPOLONA  —    48    —  REGIONE    VII. 


sono  due  incavi  a  base  qnailrata,  di  ni.  0.20  di  lato,  profondi  m.  (Kì't,  che  dovevano 
essere  destinati  per  le  ceneri  di  due  defunti;  erano  chiusi  da  coperchio  ornato  con 
rilievi  di  due  pelte.  Nel  prospetto,  entro  campo  rettangolare,  largo  m.  0,45,  alto  in.  0,35, 
è  rappresentato  in  bassorilievo  un  uomo  adagiato  su  di  un  letto,  poggiando  il  gomito 
sinistro  sul  guaciale,  nell'attiUidiui'  con  cui  sono  raftigurati  quasi  sempre  i  defunti 
sui  coperdii  delle  urne  etrusche  nel  territorio  volterrano,  nel  perugino  e  nel  chiusino. 
Regge   con   la  destra   un   oggetto  rotondo,    ed   Iia   la   sinistra  sopra  una  patera  (?). 

Presso  di  lui,  nello  stesso  letto  siede  una  donna  coperta  di  velo,  reggendo  con  la 
destra  un  bambino  ignudo  che  lo  sta  ritto  innanzi.  La  donna  ed  il  bambino  posano 
i  piedi  sopra  uno  sgabello,  che  alla  sua  volta  è  posato  sopra  il  suppedaneo. 

Nel  campo  tra  lo  ligure  pendono  due  festoni. 

A.  Brizi. 


RAGIONE  VII  {BTRURIA). 

IV.  CAl'OLONA  —  .\ra»:ì  di.  un'antica  via  a  poca  disianza  da 
Are:::o. 

Nel  parlare  dell'antica  figulina  di  Publio  Telilo,  stabilita  al  ponte  a  Buriano 
sull'Arno  Notiiie  1803,  p.  138),  accennava  che  di  quivi  si  dipartivano  o  diramavano 
due  vie,  sulla  destra  dell'Arno,  seguendone  l'una  il  corso  verso  Firenze,  e  l'altra  ri- 
salendolo verso  il  Casentino.  Ora  è  venuta  nuova  occasione  di  parlare  specialmente  di 
questa,  e  ne  profitto  volentieri,  perchè  non  ne  riinane  ricordo  o  traccia  alcuna:  se  non 
che  vi  sono  elementi  invero  scarsi  per  segnarla  e  seguirla  con  qualche  sicurezza. 

La  strada  antichissima  da  Arezzo  giungeva  al  ponte  a  Buriano  passando  da  Ga- 
lognono,  che  poi  fu  costituita  Pieve  ora  distrutta.  Alla  riva  opposta  presso  il  ponte. 
Publio  Telilo  stabilì  la  fabbrica  dei  vasi  rossi  a  rilievo  incirca  ai  tempi  di  Siila:  ne  venne 
Publio  Cornelio  e  se  ne  impossessava,  seguitando  a  lavorarci  con  gli  stessi  operai. 
Ma  cessò  presto,  che  la  fabbrica  fu  trasferita  con  loro  a  Cincelli  a  meno  di  un  chi- 
lometro di  distanza  sopra  la  via,  che  risaliva  il  corso  dell'Arno.  La  quale  via  aveva 
suo  principio  proprio  dal  ponte,  e  sul  bivio  era  un'  edicola  edificata  probabilmente 
con  due  sole  colonne  dinanzi,  a  ordino  corinzio,  come  si  vede  da  un  capitello  rimasto. 
Per  la  sua  posizione  noi  possiamo  credere  che  fosse  dedicata  ai  Lari  compitali, 
com'  era  di  costume. 

Di  l'i  costeggiava  la  collina  di  Cincelli,  chiamata  allora  Centum-Cellae,  come 
si  trae  da  carte  dell'età  di  mezzo.  Nelle  sue  falde,  e  sopra  la  via,  e  rimpotto  all'Arno 
lavorava  Publio  Cornelio,  certo  un  liberto  di  Siila,  e  venuto  colla  colonia  corneliana 
in  Arezzo.  Ma  si  riscontra  che  prima  di  lui,  o  insieme  a  lui  era  ivi  un'  altra  figu- 
lina tenuta  da  Caio  Cispio.  lo  propendo  a  credere  elio  per  alcun  tempo  fossero  soci 
di  quell'industria  almeno  in  quel  luogo,  perchè  tranne  che  a  Cincelli  non  s'incontra 
nei  vasi  il  nome  di  Cispio,  commisto  a  quello  di  Publio  Cornelio.  Ora  che  vi  sia 
stata  stretta  relazione  o  comune  interesso  fra  questo  due  famiglio  si  rileva  dalla  let- 
tera di  Cicerone  al  proconsole  Quinto  Valerio  nel  raccomandargli  un  Publio  Cornelio, 


REGIONE    VII.  —     1'*    —  CAPOLONA 

dicouilo<,di  :  P.  ConK'liu.s,  qui  tibi  lia^  litterai>  dedit,  est  mihi  a  P.  Caspio  com- 
iiientatiis  (Famil.  XIII,  G).  Dal  quale  passo  si  potrebbe  anche  rilevare  il  tempo, 
in  cui  Moriva  la  loro  tigulina. 

Ma  dopo  avere  addotti  tanti  argomenti,  che  i  vasi  aretini  si  fecero,  e  si  spar- 
sero in  Roma  e  nel  mondo  romano  dai  tempi  di  Siila  a  quelli  di  Augusto,  noi  ne 
al)biamo  oggi  un'altra  prova  manifesta.  Il  sig.  ing.  Vincenzo  Funghini  nell'csplorare 
nuovamente  la  figulina  di  Cincelli  ha  trovato  molti  avanzi  di  quella  di  P.  Cornelio, 
e  tra  questi  una  piccola  coppa  ornata,  e  segnata  RODO ,  che  apparisce  essere  degli 
ultimi  lavoranti  di  Publio  Cornelio.  Vi  si  vede  in  giro  ripetuta  per  quattro  orli  l'im- 
pronta di  una  medaglia  colla  testa  giovanile  di  Augusto,  col  nome  AVGVSTVS,  la 
quale  medaglia  è  collocata  in  mezzo  a  due  delfini  guizzanti.  Tutto  questo  è  relativo 
all'assunzione  del  nome  di  Augusto  due  anni  dopo  la  vittoria  navale  di  Azio,  avve- 
nuta nel  l'anno  723  di  Roma,  vittoria  simboleggiata  dai  due  delfini.  Questa  data  è 
importantissima  per  la  storia  dei  vasi  aretini,  segnando  la  loro  decadenza,  per  essere  già 
scomparse  prima  della  figulina  corneliana,  quelle  della  Rasinia,  Memmia,  Perennia, 
e  Tellia,  che  produssero  le  opere  più  fine  e  leggiadre  a  bassorilievo  nei  loro  vasi 
destinati  ad  onorare  le  mense. 

Poco  sopra  a  Cincelli  l'antica  via,  della  quale  ha  il  Funghini  verificato  sicure 
traccie,  si  biforcava;  l'una  seguiva  l'Arno,  e  andava  verso  la  Badia  di  Capolona,  ora 
distrutta,  e  ridotta,  nome  che  proviene  da  Cap/U  leonis,  se  possiamo  prestar  fede  alle 
carte  del  mille.  L'altra  si  dirigeva  alla  Pieve  s.  Giovanni.  Fra  Cincelli  e  questa 
Pieve  si  transita  per  Casa  rossa,  dove  pare  che  fosse  un'altra  fabbrica  di  vasi  co- 
rallini, che  non  si  è  ricercata.  Alla  Pieve,  che  ha  l'aggiunto  di  s.  Giovanni  in  Sul- 
piciano,  onde  il  fondo  fu  della  famiglia  Sulpicia,  fanno  capo,  come  era  ancora  da 
supporsi,  più  vie,  delle  quali  non  terremo  conto.  Quindi  la  principale  scende  a  un  vil- 
laggio chiamato  Apia,  nome  che  conserva  dall'antico,  e  che  è  di  provenienza  italica, 
se  non  vogliam  dire  pelasgica,  essendo  Apia  in  Arcadia  la  sede  di  Pelasgi.  Sotto 
Apia  si  scorge  qualche  traccia,  e  lì  presso  sono  stati  trovati  dei  sepolcri,  di  cui  per 
non  aver  veduto  gli  oggetti  non  ho  potuto  certificare  il  tempo:  solo  mi  è  capitato 
un  asse  onciale  di  Roma  del  secolo  secondo  avanti  Cristo. 

Da  Apia  la  strada  volgeva  alquanto  a  destra  per  Busseto.  Quivi  nel  1654  fu- 
rono discoperte  due  urne  cinerarie  di  marmo  assai  eleganti,  lo  quali  erano  iscritte: 
l'una  del  nome  di  Lucio  Valerio  Pesto,  l'altra  di  sua  moglie  Crispinia,  le  quali  ora 
sono  nel  museo  di  Firenze  (C.  /.  Z.  XI,  1863,  1864).  Sia  per  la  paleografia,  sia  per 
l'arte  appartengono  al  secolo  primo  dell'impero,  e  Busseto  (Buxetum)  era  adunque 
un  fondo  della  Valeria.  E  qui  non  voglio  tralasciare  come  pochi  anni  fa  nella  china 
del  poggio  verso  Carbonaia  si  rinvenne  un  grande  orcio,  che  i  villani  infransero,  addetto 
forse  alla  villa  romana,  o  per  l'uso  dell'orto. 

Proseguendo  la  strada  incontrasi  Casa  vecchia,  e  poi  Palazzo  (il  nome  Palatìum 
come  fermata  od  osteria,  o  taverna,  è  frequente  nelle  auticho  vie);  e  poi  si  viene  sotto 
Serboli.  In  quel  tratto,  lavorando  la  terra  or  fa  un  mese,  si  trovò  un  manico  di  col- 
tello in  osso  degno  di  essere  descritto,  e  che  ha  pòrto  occasione  al  presente  ragio- 
namento. 

Ci.ASSK  DI  sciENZic  MOiiALi  ecc.  —  IIkmouie  —  Voi.  II,  Serie  S',  parte  2*.  7 


CAPOI.ONA  —    .Mt    —  REGIONE    VII. 

11  manico  è  di  tre  pezzi,  ma  ricon?n"nti  ed  ha  la  intera  lano^hezza  di  centi- 
metri otto.  In  sommo  è  stato  intagliato  un  busto  muliebre  panneggiato  ;  nel  quale 
la  testa  tiene  l'acconciatura  alta  di  molti  capelli  intrecciati  sopra  la  fronte,  simile 
a  quella  che  si  vede  nell'imperatrice  Sabina:  foggia  che  allora  le  patrizie  e  le  liberte 
di  lei  avranno  sicuramente  usato.  Anzi  è  più  probabile  che  nel  manico  sia  effigiata 
Sabina  stessa,  uou  discostandosene  il  profilo  :  poiché  non  solo  nelle  monete  ,ma  negli 
oggetti  di  uso  ripetevansi  sovente  i  ritratti  dei  sovrani  d'allora. 

Tale  ritrovamento  ha  pure  la  sua  importanza  topografica,  indicandoci,  che  siamo 
lungo  0  presso  la  via  romana:  la  quale  avanzandosi  lasciava  a  sinistra  in  alto  il 
villaggio  di  Ves:a,  nome  anch'esso  italico,  e  luogo  ricco  di  fontane,  onde  certo  non 
tralasciato  dalla  primitiva  gente,  l'iìi  oltre  a  circa  un  chilometro  dominava  la  via 
vecchia  (di  cui  non  rimane  adesso  segno  alcuno)  il  castello  di  Bibbiano,  che  potrebbe 
derivare  dalla  Dnchin,  come  dalla  Vibia,  anzi  più  probabilmente  da  questo:  poiclié 
si  cangil^  bene  spes.so  e  in  tempi  tardi  il  v  in  /;.  e  si  chiama  ora  Bibbiena,  quella 
che  fu  un  tempo  Vibiena.  o  in  etruso  Vi  pena.  Inoltre  abbiamo  un  riscontro  di /?/- 
hianum  per  Vibianum  per  ascrivere  Bibbiau"  alla  Vibia.  che  aveva  molti  possessi 
in  Ktruria. 

.V  poca  distanza  da  Bilii)iano  il  sig.  Farsetti  trovò  e  donò  al  Museo  pubblico 
un'  umetta  colla  iscrizione  TILI.^E  ■  L  F  •  TERTVLLAE.  Per  essere  le  due  prime  let- 
tere corrose  ed  incerte  si  potrebbe  ]>ensare  a  Tnliac  o  TcHac  scritte  al  modo  arcaico: 
ma  non  convenendoci  la  paleografia  lascio  Tiliae.  Il  luogo  chiamasi  Miglinriiio.  forse 
da  una  colonna  miliaria,  come  abbiamo  Migliari  in  una  diramazione  della  via  Cassia 
fra  Civitella  e  Montevarchi. 

Di  l'i  si  andava  verso  Ponina,  luogo  etrusco,  e  poi  sotto  il  prossimo  castello  di 
Belfiori,  dove  in  basso  lungo  la  via  si  sono  trovati  sepolcri  del  secondo  secolo  dell'im- 
pero. Però  si  frequentava  molto  prima,  essendomi  di  là  pervenuto  un  asse  onciale 
di  Roma.  Ponina  e  Belfiore  fanno  parte  del  piviere  di  Vogognano,  vale  a  dire  pi-ae- 
dinm  Vocoiiianum.  Al  di  sopra  di  questo  punto,  circa  un  chilometro  sopra  Subbiano 
si  designa  sull'Arno  un  pont^  antico  distrutto,  che  viene  chiamato  il  ponte  della  regina. 
La  via  poi  lasciato  a  destra  il  ponte  proseguiva  tra  il  fiume  e  le  colline  della  Zenna, 
di  Lorenzano,  e  di  Talliano.  e  avanti  di  giungervi  si  scopriva  nella  fine  del  se- 
colo scorso  la  lapide  di  Testimo  Vittorino  (/^.  /.  /..  XI,  1893).  Il  tratto  che  abbiamo 
percorso  dal  ponte  a  Buriane,  ove  era  situata  la  figulina  Tellia  fino  a  Talliano  ò  a 
circa  dieci  chilometri,  e  vi  abbiamo  sempre  riconosciuti  fondi  posseduti  da  famiglie 
romane.  Prima  l'Abiuia,  quindi  la  ('omelia,  la  Sulpicia.  la  Valeria,  la  Bcbia.  hi 
Tilia,  la  Voconia,  la  Laurentia.  e  la  Tallia  Questi  fondi  quasi  tutti  fertili  ed  ameni 
saranno  loro  pervenuti  per  effetto  della  colonia  sillana,  ovvero  della  triumvirale':'  Dif- 
ficile per  ora  il  risolverlo  ;  iu  ogni  modo  apparisce  chiaro,  che  si  proclamò  nell'aretine 
campagne  l'editto:  «  veteres  migrati  coloni  >•;  e  per  dirla  più  chiara,  l'Italia  dopo 
le  funestissime  guerre  civili  non  fu  degli  italiani  ma  de'  romani. 

G.  F.  Gamurrini. 


REGIONE    VII.  —    ■">'    —  CORTONA,    MONTERIGGIONI 


V.  CORTONA  —  Di  un'urna  con  iscrizione  etrusca,   scoperta  fuori 

r  abitalo. 

A  tre  miglia  dalla  città  di  Cortona  è  stata  rinvenuta,  lavorando  il  terreno  del 
sic.  Petti  un' umetta  cineraria  di  travertino,  nella  cui  fronte  è  malamente  incisa  la 
seguente  iscrizione: 

Mentre  il  primo  verso  è  chiaro,  Vol.karse,  l'altro  è  incertissimo  per  i  buchi 
0  la  qualità  della  pietra  e  la  pessima  scrittura.  Importante  però  mi  sembra  il  nome 
di  karse  Cursus,  sicuramente  italico:  dal  quale  derivarono  i  nomi  tipici  di  Carseoii 
0  Carsoli  latino,  e  di  Carsalae  umbro.aggiungendovi  11  suffisso  //  in  latino  lum, 
significante  luogo  o  dimora.  Or  questo  nome  italico  si  vede  qui  divenuto  un  perso- 
nale etrusco,  indizio  non  lieve,  essere  la  lingua  italica  il  fondo  e  il  sustrato  dell'etrusca, 
come  per  la  nostra  la  latina.  Nulla  diremo  sul  nome  materno,  probabilmente  vele  hai, 
l'eicia  naitts,  essendo  comune,  italico  anch'esso,  e  pronunciato  dagli  Etruschi  voi  e  hai. 
Già  abbiamo  da  Dionigi  d'Alicarnasso  ('),  che  In  Cortona  a  suo  tempo  ancor  ser- 
bavasi  la  primitiva  lingua  pelasga.  cioè  italica,  vale  a  dire  che  quel  dialetto  con- 
servava maggiori  voci  e  modi  arcaici:  la  qual  cosa  viene  ancora  notata  da  Plinio 
il  giovine,  quando  descrive  la  sua  villa  nel  territorio  di  Città  di  Castello  (  Tifer- 
num  Tlberlaum)  situato  dietro  i  monti  di  Cortona  (-). 

La  paleografia  pure  conserva  l'arcaismo,  e  specialmente  la  lettera  k,  col  di- 
stacco inoltre  della  curva  dalla  linea  retta:  la  quale  forma  si  riscontra  in  uno  specchio 
Cortonese,  che  rappresenta  un  uomo  che  a  cavallo  passa  il  mare,  e  reca  i  nomi 
dichiarativi  Erkle  Pakste,  forse  Hercules  Pacifer,  che  va  agli  Elisi.  Pare 
dunque  che  fosse   una  regione  piuttosto   tarda   nello  svolgimento  dell'etrusca  civiltà. 

G.  F.  Gamurkini. 


VI.  MONTERIGGIONI  —  Di  una  grande  tomba  a  camera  con  sar- 
cofagi, scoperta  nella  tenuta  del  Casone. 

In  un  altipiano  detto  Malacena  facente  parte  della  tenuta  del  Casone  di  pro- 
prietà del  sig.  Giulio  Terrosi,  non  lungi  dalla  stazione  ferroviaria  della  Castellina  in 
Chianti,  eseguendosi  i  soliti  fossati  per  una  piantagione  di  viti,  si  rinvenne  casual- 
mente una  tomba  famigliare  a  camera,  scavata  nel  tufo,  con  un  pilastro  centrale  e 
banchine  in  giro,  dalla  quale  si  estrasse  una  assai  copiosa  ed  importante  suppellettile 
riferibile  al  sec.  ITI  a.  C.  Vi  sono  : 

Trentacinque  urne  cinerarie  delle  quali  quattro  di  alabastro  e  le  altre  di  travertino. 

(')  I,  20. 

(-)  Ep.  IV,  I. 


CORSETO-TARQCISIA  —    ">2    —  REGIONE    VII. 

Liirna  principale,  alti  col  coperchio  ni.  1,07  e  larga  0,84,  è  di  alabastro  lu- 
im-gi^iato  ìq  oro.  il  bisoma,  cioè  fatto  per  le  ceneri  di  due  coniugi.  Essi  sono  aggniit- 
pati  sul  copeidiio  dell'urna  come  recunibenti  nel  proprio  lotto.  Sono  i  capi  fanii^'lia 
della  tomba;  ed  i  loro  nomi  sono  scritti  in  bei  caratteri  nel  fronte  dell'urna  fog- 
giata a  letto  funebre: 

mi  :  capra  :  calis'nas'  :  lar!}al 
s'epus  :  arnSalisla  :  cursniflx 

(Quattordici  specchi  di  bronzo  figurati. 

Trentaquattro  pezzi  di  oriticeria. 

Treutasette  monete,  fra  le  quali  due  dupondi  di  Volterra  (— Garrucci,  Mon. 
Hai.,  tav.  48.  1). 

Quattordici  vasi  di  bronzo  di  varie  forme. 

Trenta  e  più  vasi  verniciati,  detti  etrusco-campani,  co.stitucnti  di  per  sé  una 
stupenda  collezione,  con  pezzi  unici. 

Ventotto    vasi  dipinti  della  Campania,  per  lo  più  krateri  a  campana. 

Vi  sono  inoltre  vari  candolabri,  armi  e  molti  altri  oggetti  in  ferro  ;  molti  vasi 
locali  di  terra  gialla  di  varia  forma;  stoviglie  che  io  giudico,  imitazioni  etrusche  del 
genere  campano  ecc. 

La  suppellettile  raccolta  è  tale  e  cosilTatta  da  potersi  costituire  con  essa  un 
Museo  particolare. 

Il  sig.  Terrosi  la  fece  trasportare  di  questi  di  appunto  iu  Firenze  nella  sua  abi- 
tazione per  costituiiTi  un  Museo  privato.  Egli  promise  di  dare  al  nostro  Museo  Etrusco 
Centrale  una  rappresentanza  di  essa.  Dal  mio  canto  promisi  di  illustrare  la  impor- 
tante scoperta  con  una  memoria  a  parte.  Frattanto  si  sta  ripulendo  e  ristaurando  gli 
oggetti  principali  per  poterli  studiare  e  descivcre  esattamente. 

L.  A.  Milani. 


VII.  CORNETO-TARQUINIA  —  Nuove  scoperte  dì  antichità  nella  ne- 
cropoli tarquiniese. 

Gli  scavi  in  questo  anno  furono  incominciati  il  20  gennaio  ai  Monterozzi  vicino 
alle  Arcatelle  ed  alla  tomba  del  citaredo  (').  Visitandoli  il  10  el'll  fulibraio,  trovai 
scoperte  soltanto  due  tombe,  il  cui  contenuto  era  interessante  per  diversi  rapporti.  La 
prima  di  esse  è  una  tomba  a  camera  situata  vicino  al  sepolcro  dipinto  del  fondo  Quer- 
ciola  (-),  sepolcro  oggi  indicato  col  num.  4.  Il  tetto  no  era  franato.  Oltre  a  ciò  risul- 
tava da  certi  indizi  che  la  camera  gih  anticamente  era  stata  visitata.  Ma  quella  visita 
deve  essere  stata  molto  superticiale,  giacciiè  sotto  i  rottami  furono  trovali  jiarccciii  og- 
getti di  materia  preziosa.  Tra  tali  oggetti  primeggia  uno  scarabeo  intagliato  in  onice 


(')  .I/o»,  dell' fmt.  VI.  VII  79,  Ann.  1863  (uv.  d'apg.  M  p.  :W6-360. 

(«)  Mon.  deU'Insl.  I  33.   I/altrn  letteratura  relativa  ne);li  Ann.  ddVInst.   1803  )..   317  iiot.  2 
nani.  3. 


REGIONE    VII.  —   aò   —  CORNETO-TARgOlNIA 

orientale,  il  cui  diametro  lungo  è  di  ni.  0,019.  L'incisione  eseguita  con  grande  finezza 
manifesta  uno  stile  arcaico  avanzato.  Vediamo  sull'impronta  Peleo  nell'atto  di  versare 
dell'olio  da  una  lekjithos  nella  mano  s.  ed  ai  suoi  piedi  seduto  per  terra  un  giovinetto 
ignudo,  il  quale  non  so  se  abbia  da  interpretarsi  per  il  piccolo  Acliille  o  per  uno  schiavo 
di  Peleo.  Quest'ultimo  —  determinato  per  l'iscrizione  3  vi  31  incisa  dietro  le  gambe  — 
sta  in  piedi  verso  s.  inchinando  alquanto  la  parte  superiore  del  corpo.  L'eroe  è  rap- 
presentato ignudo  ed  imberbe.  Egli  tiene  colla  destra  una  lekylhos  a  base  piana  col- 
l'orifizio  diretto  ingiù  verso  la  mano  s.  protesa.  L'olio  che  ne  stilla  è  indicato  mediante 
due  puntini  incisi  sopra  la  palma  della  medesima  mano.  Attorno  il  collo  della  Ickijllio» 
è  avvolta  la  correggia  che  serviva  a  .sospenderla.  Il  giovinetto  seduto  per  terra  davanti 
a  Peleo,  guarda  insù  verso  quest'ultimo  e  nell'atto  di  discorrere  protende  la  sinistra, 
dalla  cui  palma  pendono,  sospesivi  con  una  correggia,  un  anjballos  ed  una  striglie. 

Oltre  a  ciò  furono  trovati  sotto  i  rottami  otto  oggetti  di  oro,  i  quali  sono:  un 
anello  liscio  (diametro  di  luce  0,02;  peso  14  grammi);  un  orecchino,  il  quale  con- 
sisto d'un  anello  aperto  (diam.  di  luce  0,015;  peso  4^  grammi)  e  decorato  presso 
le  estremità  con  strisce  parallele  in  rilievo;  due  bottoncini  (diam.  0,015)  che  mo- 
strano nel  mezzo  una  rosetta  vuota,  la  quale  anticamente  fuori  di  dubbio  era  empita 
con  smalto;  due  altri  bottoncini  rigonfi  (diam.  0,012),  l'uno  dei  quali  ha  una  deco- 
razione eseguita  a  puntini  d'oro  (lavoro  a  granaglia),  mentre  l'altro  è  ornato  con  mo- 
tivi simili  a  foglie  di  vite,  staccantisi  da  un  fondo  coperto  con  puntini  di  oro;  final- 
mente un  attaccaglio  in  forma  di  conchiglia  {jiecteii)  munito  di  due  anellini  per  so- 
spenderlo (diam.  0,015). 

Di  oggetti  di  bronzo  furono  trovati  soltanto  un  piede  scannellato  di  vaso  ed  un 
manico  (alto  0,13),  che  finisce  al  di  sotto  in  una  maschera  di  Sileno,  fornita  d'una 
barba  cuneiforme,  la  quale  maschera  palesa  uno  stile  arcaico  abbastanza  avanzato. 

Notai  inoltre  due  lekythoi  d'alabastro  (alte  0,15)  ed  uno  strano  oggetto  di  osso, 
il  quale  a  quanto  pare  faceva  parte  d'un  ombrello,  cioè  vi  serviva  per  inserire  le 
costerelle.  Esso  ha  la  forma  d'un  grosso  disco  (alto  0,03;  diam.  0,045),  perii  quale 
passa  verticalmente  un  buco  tondo  (diam.  0,025).  Il  cerchio  che  circonda  la  parte 
superiore  di  questo  buco  è  munito  di  dieci  intacchi  che  sembrano  adattatissimi  per 
fissarvi  le  costerelle. 

Mi  resta  di  descrivere  i  vasi  fittili  scoperti  nella  medesima  camera,  cinque  dei 
quali  sono  attici,  uno  di  fabbricazione  locale. 

Tra  i  vasi  attici  merita  speciale  attenzione  un'  olla  munita  di  due  manici  obbliqui 
(alta  0,18;  diam.  dell'orifizio  0,225;  forma:  Furtwaengler  7?e/"//yier  Vasensammlaag 
tav.  VI  n.  214),  la  quale  in  ogni  lato  mostra  la  medesima  rappresentanza  a  figure 
nere,  eseguita  con  grande  trascuratezza.  Non  mi  sembra  impossibile  che  vi  si  tratti 
di  un  fatto  simile  a  quelli  ultimamente  accennati  dal  Klein  ('),  che  cioè  il  pittore 
vascolare,  avendo  già  incominciato  ad  eseguire  la  scena  da  raffigurarsi,  repentinamente 
la  cambiò  in  una  rappresentanza  di  significato  diverso.  La  pittura  ripetuta  in  ogni 
lato  dell'olla,  tale  quale   si   presenta   attualmente,   è  composta  dai  motivi  seguenti  : 

(')  Jahrhurli  d.-s  arrh.  histituts  VII  (1802)  ji.  1 12-14 1. 


COnXETO-TARyUlNIA  —    .")1    —  REGIONE    VII. 


Nel  centro  sono  rappr->i'iit;iii  iiuaitio  cavalli  galoppanti  verso  destra.  Dietro  all'ul- 
timo cavallo  a  sinistra  si  \ede  un  peisouajrgio  (verso  d.),  la  cui  maggiore  parte  —  com- 
presa la  testa  —  è  coperta  dai  quadrupedi.  Non  se  ne  travede  altro  che  il  torace  co- 
perto da  una  veste  e  sul  dorso  lo  scudo  (dipinto  con  colore  bianco)  quadrangolare  e 
rigonfio,  caratteristico  per  gli  aurighi.  Nel  campo  dietro  a  questo  personaggio  è  dipinto 
con  colore  rosso  un  oggetto  simile  ad  una  spada,  il  quale  non  sta  in  alcuna  rela- 
zione col  resto  della  rappresentanza.  Davanti  ai  cavalli  procede  velocemente  verso  d., 
ma  rivolgendo  la  testa  indietro,  una  donna  —  riconoscibile  come  tale  per  la  carna- 
gione bianca  — ,  vestita  con  alto  berretto  aguzzo  e  con  un  corto  e  stretto  chitone. 
Essa  è  priva  di  qualunque  arma,  le  braccia  sono  incurvate  e  le  mani  congiunte  all'al- 
tezza della  vita.  Una  simile  figura  procede  dietro  ai  cavalli  (vereo  d.).  Tale  scena 
è  rinchiusa  da  due  Sfingi  sedute,  ognuna  delle  quali  guarda  verso  il  vicino  manico. 
11  pittore,  rappresentando  donne  vestite  col  costume  scitico,  certamente  ha  voluto 
ralliguraro  Amazzoni.  Ma  accettata  questa  interpretazione,  fa  specie  che  le  vergini 
guerriere  sono  prive  di  armi  e  che  anche  l'insieme  della  scena  non  trova  riscontro 
nei  monumenti  i  quali  si  riferiscono  ai  miti  delle  Amazzoni.  In  tali  condizioni 
spontaneamente  sorge  il  pensiero  che  il  pittore  originariamente  avesse  voluto  espri- 
mere un  altro  soggetto.  La  quale  supposizione  trova  conferma  in  due  fatti.  In  primo 
luogo  dall'anca  di  una  delle  Amazzoni  sporge  un  oggetto  dipinto  di  rosso-brunastro 
che  rassomiglia  ad  una  coda  da  cavallo.  In  secondo  luogo  un'altra  Amazzone  ha  il 
volto  sproporzionatamente  lungo,  ciò  che  suscita  l'inpressione  aver  il  pittore  coperfo 
un  volto  barbuto  col  colore  bianco  tipico  per  la  carnagione  femminile.  Per  essere  breve, 
sembra  possibile  che  il  pittore  in  principio  abbia  avuto  l'intenzione  di  rappresentare 
un  soggetto  molto  comime  nella  pittura  vascolare,  cioè  Bacco  montato  sul  cocchio, 
preceduto  e  seguito  da  un  Sileno,  e  che  poi  abbia  trasformato  cos'i  fatto  soggetto  in 
una  scena  riferibile  alle  Amazzoni. 

(ili  altri  vasi  attici  trovati  nella  medesima  tomba  sono  i  seguenti:  Un  or- 
cietto  linamente  lavorato  (alto  0.045),  decorato  sul  recipiente  piatto  colla  figura  rossa 
d'un  delfino  (verso  s.).  Un  vaso  (alto  0.1  la)  informa  di  IcpitUtams  (non  eguale  ma 
simile  a  Furtwaengler  tav.  VII  n.  338)  con  un  ornato  rosso  a  schacchi  che  gira  attorno 
la  parte  superiore  del  recipiente.  Una  tazza  (alta  0,07;  diam.  O.l.'ió).  il  cui  reci- 
piente è  circondato  da  una  zona  di  palmette  nere  sopra  fondo  giallo.  Un'anforetta 
(altau.lT)  decorata  sotto  il  collo  ed  attorno  la  parte  più  gonfia  del  recipiente  con 
palmette  impresse  e  coperta  di  tìni.ssima  vernice  nera. 

Il  vaso  di  fabbricazione  locale,  trovato  nella  medesima  tomba,  è  lavorato  in  buc- 
chero grigio  scuro.  Esso  consiste  in  un  cerchio  (diam.  di  luco  0,07).  sul  quale  in  distanze 
simmetriche  sono  imposte  tre  ollette  (alte  0,M8.')).  Sembra  aver  servito  a  tavola  per 
contenere  il  sale  e  due  altre  spezie. 

Il  29  febbraio  a  nord  degli  stradali  che  trovansi  fra  il  Tiro  a  segno  e  le  Arca- 
telle fu  scoperta  una  tomba  a  pozzo,  nella  quale  il  corredo  funebre  era  rinchiuso  in 
un  grande  ziro  d'argilla  (dolium).  Siccome  la  lastra  di  pieti-a  che  copriva  lo  ziro  non 
chiudeva  esattamente,  così  della  terra  si  era  infiltrata  entro  il  recipiente  e  colla  sua 
pressione  aveva  sconvolto  in  gran  parte  il  contenuto  del  dolinm  e  danneggiato  il  piede 


REGIONE    VII.  —    ,").)    —  COKNKTO-TARQUINIA 


dfl  vaso  cenerario  in  lamina  di  colore  aureo  (')  postovi  nel  centro.  Tale  vaso  (alto  —  in 
quanto  è  conservato  —  0,2ó),  nella  fonna  e  nella  decorazione  a  sbalzo  corrisponde  general- 
mente ad  un  esemplare  trovato  in  un'altra  tomba  tarquiniese  a  pozzo,  anche  essa  provvista 
d'un  dolium.  Quest'ultimo  esemplare  però,  il  quale  è  riprodotto  nei  Mon.  dell' Inst.  voi.  XI 
tav.  LX  n.  .5  (-),  non  serviva  da  urna  ceneraria,  ma  apparteneva  al  corredo  funebre  accom- 
pagnante, l'urna.  Esso  è  munito  di  due  manichi  gii-evoli  entro  due  fermagli,  ognuno 
dei  quali  resta  fissato  con  due  chiodi  sulla  striscia  di  metallo  formante  l'orifizio.  Sic- 
come sul  vaso  recentemente  trovato  in  ogni  lato  della  medesima  striscia  si  osservano 
due  buchi,  così  risulta  che  anche  questo  vaso  originariamente  era  fornito  di  due  simili 
numichi  e  fermagli,  i  quali  sono  stati  levati  per  poter  imporre  al  recipiente  un  coper- 
chio. Questo  coperchio  e  decorato  nel  centro  con  una  specie  d'ombelico,  dal  quale  strisce 
rette  come  raggi  si  dirigono  verso  una  zona  di  piccoli  tondi  che  gira  attorno  la  peri- 
feria, tutti  questi  ornati  lavorati  a  sbalzo.  Siccome  il  coperchio  è  fissato  molto  soli- 
damente sul  recipiente,  così  non  si  è  ancora  rischiato  di  toglierlo  per  paura  di  rom- 
pere il  vaso.  Può  essere  dunque  che  entro  questo  vaso  si  trovi  ancora  qualche  piccolo 
manufatto  frammisto  alle  ceneri. 

Ora  passo  alla  descrizione  degli  oggetti  aggruppati  attorno  all'urna  ceneraria.  Vi 
erano  due  vasi  in  lamina  di  colore  aureo,  cioè  una  tazza  munita  d'un  manico  verticale  e 
baccellata  attorno  al  recipiente  (alta  —  compreso  il  manico  —  0,19  ;  diam.  0,19)  (^)  ed  un 
piatto  semplice  (alto  0,085;  diam.  di  luce  0,23).  Tra  le  stoviglie  notai  due  esemplari  di 
fabbricazione  locale,  lavorati  a  mano  nel  così  detto  bucchero  italico,  cioè  una  tazzetta  (^) 
ed  im'oUetta,  ambedue  con  manico  verticale  (la  prima  alta  —  compreso  il  manico  —  U,U6, 
diuui.  U,()9;  l'olletta  alta  0,09,  diam.  dell'orifizio  0,08).  Ma  vi  era  anche  un  vaso  (alto 
0,23),  il  quale  è  lavorato  al  tornio  e  perciò  sembra  importato.  Esso  ha  il  recipiente  sferico 
ed  è  decorato  con  ornati  —  zone  orizzontali,  strisce  verticali,  triangoli  —  rossi  sopra  fondo 
giallastro.  Per  ciò  che  riguarda  la  forma  e  la  tecnica,  questo  vaso  corrisponde  con 
quello  riprodotto  nei  Man.  dell'  List.  XI  tav.  LIX  n.  18  (■'),  ma  ne  diversifica  alquanto 
nella  disposizione  degli  ornati. 

Sul  fondo  poi  del  doUmn  si  trovarono  sparsi  molti  oggetti  di  piccole  dimensioni.  Vi 
notai  una  fusarola  d'argilla  giallo-rossastra  a  sette  faccette,  due  grani  cilindrici  d'ar- 

(')  Per  quanto  concerne  questi  vasi  di  lamina  metallica  del  colore  medesimo  del  nostro  ottone 
(Ir.  il  voi.  IV  dei  Monumenti  antichi  editi  dalla  R.  Accademia  dei  Lincei,  testé  pubblicato  (]>.  208-22(i). 
calivi  il  iirof.  Barnabei,  illustrando  i  vasi  scoperti  nelle  più  antiche  tombe  delle  necropoli  di  Narce 
e  (li  Falerii,  ha  inserito  una  Memoria  che  produce  una  vera  rivoluzione  noi  nostri  apprezzamenti 
sulla  tecnica  antica.  E  per  amore  di  brevità  dichiaro  che  d'ora  in  poi  nelle  mie  relazioni  mi  servirò 
sempre  delle  determinazioni  esposte  nella  Memoria  suddetta. 

(«)  Cf.  BM.  deWInst.  1883  p.  119  n.  1  ;  A>in.  1S83  p.  289  n.  5. 

(3)  Essa  rassomiglia  all'esemplare  riprodotto  nei  Mon.  delVInst.  W  fav.  LX  n.  2. 

(')  Simile  all'esemplare  riprodotto  nei  Mon.  deU'Inst  XI  tav.  LX  21-21'. 

('')  Il  Gsell  Fouillc.i  dans  la  nécropole  de  Vulci  p.  .390  not.  I  attribuisce  questo  vaso  alla 
categoria  degli  u  exemplaires  d'imitation  »,  suppone  dunque  a  quel  che  paro  che  essa  sia  un'imita- 
zione locale  d'un  vaso  importato.  Sopra  la  quisfione,  se  questi  due  vasi  fossero  lavorati  al  tornio. 
ho  domandato  un  parere  al  sig.  Scapjiini,  proprietario  e  direttore  della  nota  fablirica  cornetana  di 
vasi  ili]iinti.   Egli  )ier  ambedue  esemplari  mi  ri,>;po.'io   in  maniera  affermativa. 


CUKSKTO-TAHylM.NMA  —    .'ili    —  KEOIONE:    VII. 


geiito  ed  i  fraiiiincnti  Hi  pareoolii  altri,  quattro  perle  di  vetro  azzurro  decorato  con  cerclii 
j,'ialli,  una  stretta  spirale  di  Itronzo  (alta  0,U2;  diaiii.  U.Ol).  IJi  libulo  furono  trovati  dieci 
esemplari  del  tipo  detto  a  sani;juisuga,  nove  dei  quali  di  bronzo,  uno  d'argento,  cinque 
esemplari  di  tipo  simile  ma  muniti  in  ogni  lato  dell'ureo  d'una  sporgenza  puntuta, 
tre  coll'arco  semplice  scannellato,  uno  a<l  arco  semplice  liscio.  In  due  grandi  fibule 
a  sanguisuga  (lunghe  U,U7)  è  inserita  una  catenella  di  anelli  di  bronzo  in  modo  cbo 
una  parte  di  essa  (questa  parte  lunga  0,25)  riunisce  le  due  fibule,  mentre  l'altra  pende 
ingiù.  Se  tliinque  queste  fibule  erano  adoperate  per  fissare  una  veste  sopra  le  due  spalle, 
allora  la  parte  della  catenella  stesa  tra  esse  adornava  l'orlo  superiore  della  veste, 
l'altra  pendente  ingiù  il  busto  in  modo  simile  all'ó'w/ioc  omerico  (').  Sopra  parecchio 
fibule  sono  infilati  anelli.  Quella  d'argento  è  munita  d'un  anello  del  medesimo  me- 
tallo. Negli  altri  esemplari  notai  soltanto  anelli  di  bronzo.  Speciale  attenzione  merita 
ima  fibula  di  bronzo  a  sanguisuga,  sopra  la  quale  sono  infilati  tre  anelli.  L'uno  n'è  molto 
piccolo  e  senz'aggiunta.  Il  secondo  più  grande  (diani.  U,U35)  ha  infilate  due  perle  di 
vetro,  l'una  celeste,  l'altra  bianca  (non  tralucida).  Al  terzo  (diam.  0,02)  è  fissato  un 
filo  di  bronzo  che  avvolge  una  freccia  di  pietra  focaja.  Ne  risulta  il  fatto  interessante  che 
le  armi  di  pietra  </ih  al  tempo,  a  cui  appartengono  le  tombe  a  pozzo,  si  usavano  come 
amuleti,  e  che  la  superstizione,  la  quale  durante  l'epoca  classica  ed  ancora  ai  giorni 
nostri  si  attacca  a  quegli  oggetti,  risalisce  fino  a  tempi  tanto  antichi  (-).  Alla  fino 
furono  trovati  anche  diversi  frammenti  di  bronzo,  in  parte  muniti  di  buchi,  i  quali 
frammenti  seml)rano  provenire  da  due  morsi  di  cavallo,  spezzati  a  bella  posta.  Vi  ap- 
jiartengono  due  rozze  teste  di  cavallo  simili  a  quelle  che  servono  come  ornato  ai  morsi 
lavorati  nella  prima  epoca  di  ferro  ('). 

Siccome  nel  (IoIìid/ì  non  vi  era  né  un  rasojo  semilunare,  il  quale  s'incontra  rego- 
larmente nelle  tombe  a  pozzo  contenenti  le  ceneri  di  uomini,  né  alcun'arma.  ma  invece 
vi  si  trovarono  una  fusarola  e  grani  di  una  o  di  più  collane,  cosi  sembra  che  la  tomba 
fosse  stata  di  una  donna. 

Gli  scavi  continuarono  sui  Monterozzi  dal  12  febbraio  al  12  marzo,  nel  qual 
giorno  mi  vi  recai  nuovamente.  Ed  ecco  i  fatti  principali  che  meritano  di  essere 
notati  per  quest'ultimo  periodo  dei  lavori. 

(')  f'f.  lli'Ibi);  Dos  homerisfhe  Epos  2'  ed.  p.  268.  Un  vezzo  siinilnieiite  atti-ptfiato  si  osserva 
in  un  iiloM  di  terracotta  (.\iihroditc  ?)  trovato  in  una  tomba  micenea:  '/■(/■i;i(fp(c  (ÌQ/itin).oyixi]  1888 
tar.  9  n.  1.5. 

(*)  Cf.  C'artailhac  Z. '«'</«  de  pii^rre  dans  Irs  souvenirs  et  superslilions  populaircs,  l'aris  187S. 
Bellucci  Catalor/ue  d'une  coUection  d'amulHtes  i'alicnnex  cnroi/t'e  a  ì'e.rposition  de  Paris,  l'érouso 
1889.  Heinach  dans  la  Rerue  archfologique  Z*  sino  XI  (1888)  p.  71  net.  2.  Verhandluni/en  der  Ber- 
liner  GeseUschaft  fùr  Anlhropoloffie  1803  p.  .5.58  s^'.  Nell'Italia  il  più  antico  esem|>io  di  t.ilo  su- 
|>eri<tizionc  fino  ad  ora  era  fcmiito  da  un  sepolrro  ad  inumazione  scoperto  nella  necropoli  .\rnoaliIi- 
Veli  presBo  Uoliii^ia  :  Xotixie  deijli  scavi  ISS-I  p.  "0,  XV.  A  tale  esempio  fanno  sepuìto  altri  os- 
servati in  necropoli  cbu  coiiten);ono  già  vasi  dipinti  attici  :  nella  necropoli  della  Certosa  di  ]!o1of;nn 
(Zannoni  Oli  scavi  della  Certosa  tav.  XV  n.  1  C-IO  p.  GG),  in  quella  di  Marzabotto  (liozzadini  l'Ite- 
riori  scoperte  nella  necropoli  a  Marialiotto  p.  •12).  in  «nirlla  di  Tolentino  piceno  {lìM.  di  paletno- 
loifia  italiana  VI  1880    p.  1.50),  in  quella  d't.Inieto  (Ann.  dell'Insl.    IH??  y.  169). 

(')  Goziadini  Pe  quelijues  mors  de  cheval  italiques  (Bologna  1875)  pi.  1. 


REGIONE    VII.  —    tìl    —  CORNETO-TARQDINIA 

Il  13  febbraio  a  circa  40  metri  dal  Tiro  a  segno  ed  a  settentrione  di  quest'iil- 
tinio  fa  scoperta  una  tomba  a  camera  (limerà  in.  2,  larga  m.  l,i*0),  con  ingresso 
rivolto  a  ponente  e  con  tetto  franato.  Era  stata  spogliata  in  antico,  giacché  sotto  i 
rottami  non  si  raccolse  altro  che  parecclii  frammenti  di  vasi  campani  o  etrusco-cam- 
pani, due  olle  decorate  con  zone  nere  -  senza  dubbio  prodotti  d'una  figulina  italica  - 
e  tre  lebiithoì  d'argilla  grezza. 

Più  interessante  era  il  contenuto  di  una  toinba  a  fossa,  coperta  con  lastre,  la 
quale  fu  messa  alla  luce  50  metri  a  settentrione  dal  suddetto  sepolcro  a  camera. 
Attorno  allo  scheletro  (incombusto)  si  trovarono  i  seguenti  oggetti: 

1)  Un  disco  (diam.  m.  0,041)  lavorato  in  lastra  d'oro  clie  sembra  aver  servito 
da  pendaglio  ad  una  collana.  La  decorazione  a  sbalzo  -  un  ombelico  ed  attorno  cerchi  - 
rassomiglia  a  quella  dell'esemplare  riprodotto  nelle  Notizie  1882  tav.  XIII  1  p.  14(3, 
il  quale  esemplare  proviene  da  una  tomba  tarquiniese  a  pozzo  ('). 

2,  3)  Due  fibule  di  bronzo,  il  ctii  tipo  si  ravvicina  a  quello  detto  a  sanguisuga. 
Ma  ambedue  hanno  in  ogni  lato  dell'arco  una  sporgenza  leggermente  puntuta  ed 
attaccato  al  canale  un  disco  che  serve  d'appoggio  alla  spilla. 

4)  Una  figura  di  Bes  (alta  m.  0,03)  lavorata  in  pastiglia  verdastra.  Un  foro  pra- 
ticato nell'estremità  superiore  del  pilastrino,  al  quale  questa  figura  è  appoggiata, 
prova  che  essa  era  sospesa.  Non  arrischio  a  decidere,  se  abbiamo  da  fare  con  un 
prodotto  egizio  o  con  un'  imitazione  fenicia. 

5)  Uno  strano  guttus  (alto  m.  0,1.5)  lavorato  in  argilla  rosso-brunastra.  Consiste 
in  un  cerchio  vuoto,  alla  cui  parte  anteriore  è  attaccata  una  protome  di  toro,  mentre 
dall'orlo  inferiore  si  distaccano  le  quattro  zampe.  Sulla  parte  posteriore  del  cerchio  è  im- 
posto il  tubo,  mediante  il  quale  il  liquido  s'invasava  nel  recipiente  circolare.  Per  ver- 
sarlo serviva  un  buco  praticato  nel  muso  del  toro.  Le  orecchia  del  toro  sono  ornate 
con  orecchini  composti  di  gruppi  di  anellini  di  bronzo. 

6)  Una  specie  di  fiaschetta  (alta  m.  0.155),  lavorata  a  mano  in  argilla  brunastra. 
Il  recipiente  ha  una  forma  sferica,  il  collo  una  direzione  alquanto  obliqua.  Il  primo 
è  riunito  a!  secondo  mediante  un  manico  verticale. 

7)  Una  tazzetta  lavorata  a  mano  nella  medesima  argilla  (alta  m.  0,085;  diam. 
m.  0,09),  simile  all'esemplare  riprodotto  nei  Moii.  dell'Inst.  X  tav.  X"  n.  15  [Anii. 
dell' Inst.  1874  p.  262  n.  15).  11  tipo  appartiene  a  quelli  comuni  alle  tombe  a  pozzo 
ed  a  fossa  (-). 

8)  Un'  oUetta  (alta  m.  0,086)  della  medesima  tecnica  colla  tazzetta  n.  7.  Ha  duo 
manici  verticali  ed  in  ogni  lato  del  recipiente  una  sporgenza. 

11  23  febbraio  fu  fatto  un  saggio  a  settentrione  ed  alla  distanza  di  circa  100  metri 
dal  secondo  miglio  della  strada  provinciale.  Vi  fu  scoperta  una  tomba  a  camera  col 
tetto  a  schiena,  lunga  m.  1,05,  larga  m.  2,20,  alta  (cioè  massima  altezza)  m.  1,80. 
L'ingresso  è  rivolto  a  ponente.  Sopra  ognuna  delle  due  banchine  si  trovarono  due 
scheletri    e    sopra    1'  una  come  1'  altra    banchina   si   osservò  il   medesimo  fatto,  che 

(i)  Cf.  Ami.  dell'Inst.  1884  p.  122  note  4  e  r-,. 

(»)  Cf.  .inn.  deWInst.  1881  p.  118-119  iiot.  4  n,  1. 

(j.ASSK.  IM  Siir.N^K  Mon.M.i  ecc.     -  Mem'MUK.  —  Voi.  II,  Si-rio  5'.  l'irte  2".  8 


ROMA 


—   58    —  ROMA 


cioè  le  ossa  del  corpo,  ileposto  prima,  erano  state  rimosse  verso  la  parete,  per  far 
posto  alla  salma  indottavi  postiriormente.  La  tomba  <,Mà  anticamente  era  stata  visitata 
e  spogliata  degli  oggetti  preziosi.  Perciò  essa  conteneva  niente  altro  che  una  punta 
di  lancia  in  ferro,  lunga  m.  0,42,  otto  stoviglie  greche  e  sei  vasi  di  bucchero  nero. 
Le  stoviglie  greche  sono  un  orcio  (alto  m.  0,275)  coll'oritizio  tondo  e  con  due  di- 
schetti attorno  airestrernitii  superiore  del  manico  (forma:  Furtwaengler  tav.  IV  n.  li»), 
la  cui  decorazione  dipinta  non  si  riconosce,  essendo  l'intero  recipiente  coperto  dun 
grosso  strato  di  sedimento  calcareo;  due  tazze  (alte  m.  0,1<J(>;  diam.  m.  (i,12;  forma: 
Furtwaenu'ler  tav.  V  n.  117),  i  cui  piedi  sono  dipinti  con  vernice  brunastra,  mentre 
Zone  del  medesimo  colore  adornano  tanto  l'esterno  quanto  l'interno  del  recipiente; 
tre  lekythoi  decorate  anche  esse  con  zone  bruuastre  ;  due  piattini  con  zone  rossastre, 
ognuno  presso  la  periferia  munito  con  due  buchi  per  sospenderli.  1  vasi  di  bucchero 
sono  tre  calici  bassi  con  zone  gratlite  attorno  la  parte  esterna  del  recipiente  e  tre 
tazze  semplici,  ognuna  munita  con  due  manici  orizzontali. 

Nel  proseguire  lo  scavo  verso  il  secondo  miglio  della  strada  provinciale  il  26  feb- 
braio circa  200  metri  dal  sepolcro  dipinto  detto  delle  duo  bighe  ovvero  di  Fran- 
cesca Giustiniani  (oggi  insignito  col  num.  22)  fu  scoperta  una  tomba  franata  ed  anti- 
camente spogliata,  r  ingresso  della  quale  guardava  a  ponente.  Sotto  i  ruderi  non 
si  trovò  altro  che  parecchio  stoviglie,  le  quali  tutte  quante  sembrano  di  fabbricazione 
locale,  cioè  cinque  orci  (forma  simile  a  quella  riprodotta  dal  Furtwaengler  Bcrliner 
Vasenmmmluiifj  tav.  IV  n.  63)  coperti  di  cattiva  vernice  nera  ed  alcuni  piatti  e 
lekythoi  d'argilla  grezza. 

Dal  26  febbraio  al  12  marzo  non  avvennero  scoperte  di  sorta. 

W.  Hklbig. 


Vili.  ROMA. 
Nuove  scoperte  nella  citlà  e  nel  suburbio. 

Regione  IV.  Nella  parte  occidentale  del  tempio  di  Venere  e  Roma,  il  Mini- 
stero della  Pubblica  Istruzione  ha  fatto  rimuovere  le  terre,  che  formavano  il  giardino 
annesso  alle  moderne  fabbriche  dell'ex-convento  di  s.  Francesca  Romana.  Alla  pro- 
fondità di  m.  2,80  si  è  trovato  il  pavimento  dell'antica  cella,  una  parte  del  quale 
è  ancora  lastricata  di  porfido  e  ili  pavonazzetto. 

Nello  sterro  si  sono  trovati  molti  frammenti  di  bellissime  colonne  di  porfido, 
di  diverso  diametro.  Alcuni  di  questi  rocchi  appartengono  all'ordine  inferiore  della 
decorazione  intorna  del  tempio;  ed  uno  di  essi  misura  m.  2,40  di  lunghezza  e  m.  0,86 
di  diametro.  Altri  spettano  all'ordine  superiore,  ed  hanno  il  diametro  di  ra.  0,36. 
I  rocchi  maggiori  sono  similissimi  a  quelli  che  furono  posti,  alcuni  anni  or  sono, 
lungo  il  lato  esterno  della  basilica  di  Costantino,  ed  evidentemente  provengono  dal 
dmao  adrianeo  dedicato  a  Venere  e  Roma. 


ROMA  —    -ìO    —  ROMA 

Sono  btati  puro  rocupeiati  fiainincnti  di  capitelli  marmorei,  d'ordine  corinzio; 
pezzi  di  cornici  intagliate,  e  mattoni  con  bollo  di  Cablirica.Uno  di  questi  è  dell'anno  123 
e  delle  figuline  di  Claudio  Liviano  {C.  I.  L.  XV,  932);  due  portano  il  bollo,  del  se- 
colo quarto  (ib.  1620);  ed  altri  tre  sono  improntati  col  noto  sigillo  delle  officine 
Domi/.iane  (ib.  1569  «),  anch'esse  del  quarto  secolo.  Ciò  indica  che  la  prima 
costruzione  di  Adriano  nei  primordii  del  quarto  secolo  fu  in  gran  parte  risarcita  e 
rinnovata. 

Kegione  V.  Demolendosi  una  piccola  casa  rustica  nell'area  della  villa  già 
Giustiniani,  poi  Lancellotti,  fra  la  via  Ariosto  e  il  viale  Manzoni,  è  stato  ricono- 
sciuto ch'essa  era  stata  costruita  sopra  un  avanzo  di  antica  fabbrica,  le  cui  mura 
erano  di  opera  reticolata.  Il  rudero  messo  allo  scoperto,  presenta  una  stanza  di  circa 
metri  5X4,  coperta  a  volta  con  intonaco,  e  con  un'apertura  in  un  lato  per  darvi  luce. 
Sopra  di  essa  fu  in  antico  elevata  un'  altra  costruzione  in  mattoni,  dei  quali  restano 
appena  due  o  tre  filari. 

Tra  i  materiali  di  fabbrica  fu  raccolta  una  lastra  di  marmo,  di  m.  0,64  X  0,27, 
con  l'avanzo  di  iscrizione  sepolcrale  cristiana: 


DEPOSITA  mi  NOIIAS  •  D       sic 

FL  VALENTINI4NO  AVO  I 
OVIESCET  IN  PACE  sic 


Spetta  agli  ultimi  decenni  del  secolo  quarto,  nei  quali  i  Flavii  Valentiniani 
Augusti  più  volte  ottennero  il  consolato. 

Via  Tiburtina.  Per  i  consueti  lavori  al  pubblico  cimitero  nel  Campo  Verano 
è  stato  trovato  un  frammento  di  lapide  sepolcrale  cristiana,  che  certamente  proviene 
dal  sottoposto  cimitero  di  Ciriaca.  Vi  si  legge: 

E  •  BENEMERENTI  •  QVAE  •  VIXIT 
NSENSV- DEPOSITA  •  III -IDVS-SEPTEMBRES  • 
ÀCE  FECIT  CLARISSIM,v\  SORORI 


aiiìios  .  ...  me 
iti  2) 


Si  è  pure  rinvenuto   un  frammento  di   tavola   lusoria ,   che   conserva  le  parole  : 


maCnvs 

VINC  AS 


Evidentemente  nei  primi   due  versi  si  contenevano  le  formole,  già  note  per  pa- 
recchi altri  consimili  monumenti:   Circus  -plcnus,  clamor  magnux.  Per  l'ultimo  verso 


POMPEI,    rARANTO  —   <J0    —  REGIONE    I,    li. 

SÌ  ha  un  confrouto  ìd  uua  eguale  tavola  lusoria,  pariuieule  trovata  al  Campo  Verauo, 
nella  quale  si  legge:  Circiis  ple/ius,  clamor  tnanniis,  Eugeni  vincas  {Dull.  comun.  1877 
p.  88). 

Per  i  medesimi  lavori  si  0  licupcrato :  mia  piccola  testa  di  Genietto,  in  terracotta; 
un  frammento  di  vaso  vitreo,  baceullato;  un  peso  rotondo,  di  basalte;  una  lucerna 
in  terra  rossa,  intiera,  senza  ornati  o  col  bollo  di  fabbrica  FORTVNATI. 


REtìONK  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

IX.  i't'.Ml'iìl  —  (liornalc  del  lavori  rcilaUu  daijU  assniteuli. 

1-2  gennaio.  Continuano  i  lavori  di  restauro  nella  regione  IX,  isola  (!,  e  nella 
regione  I,  isola  5  casa  n.  .">.  Si  assicurano  anche  le  pareti  nelle  caso  1  e  5  della 
regione  VI,  isola  8.  Proseguono  pure  i  lavori  di  pulizia  delle  case,  strade  e  dei 
monumenti. 

3-4  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

l.")  detto.  Proseguono  i  re.stauri  nella  regione  IX,  isolai!,  nella  regione  I,  isola  4, 
nella  casa  n.  5  detta  del  Citarista  e  nella  casa  detta  del  Pozzo,  regione  VII,  isola  2. 
Non  avvennero  scoperte. 

16-31  detto.  Non  avvennero  rinvenimenti. 


Regione  II  (APULIA). 

X.  TARANTO  —  Nuove  seoperte  epiurafìcJic. 

1  lavori  di  Taranto  in  questi  ultimi  anni  hanno  Iruttato  molto  materiale  scien- 
tifico, che  resta  ancora  inedito  nel  Jluseo  Nazionale  di  quella  città.  Fra  Taltro  son 
venute  fuori  molte  iscrizioni;  le  quali  benché  non  siano  di  grande  importanza,  non 
sono  tali  tuttavia  da  restare  ancora  ignote  ai  cultori  dcH'archeologia. 

Non  si  cessa  per^  dal  deplorare  la  scarsezza  di  iscrizioni  greche  in  uua  cittii, 
in  cui  le  diverse  manifestazioni  della  vita  ellenica  ebbero  il  più  ampio  svolgimento, 
e  nella  quale  il  grecismo  continuò  anche  dopo  la  conquista  romana.  Le  iscrizioni 
latine,  tranne  pochi  frammenti,  sono  tutto  di  ordine  sepolcrale  e  furono  tutte  rac- 
colte  nei  lavori  eseguili  dal  Genio  Militare  fuori  e  dentro  l'arsenale  marittimo. 

1.  Lastra  di  marmo;  m.  0,24X0,18. 


/         Ao AN A  I  ] 

JAEnNE  n  I  KOPni 

KAIArYNATAAYKA 


REGIONE    li. 


(il    — 


TARANTO 


2.  Frammento  su  lastra  di  marmo  bianco;  m.  0,32X0,17. 


ÓYPriM/XIOS 
A  T  I  r  O  N  O  Y 
'P  Y  TANEYZ  ANTA0EOIS  1 


3.  Frammento  d'iscrizione  su  piccolo  blocco  di  pietra  viva;  le  lettere  sono  esili 
ed  alcune  quasi  corrose,  poiché  pare  che  la  pietra  sia  stata  per  molto  tempo  esposta 
all'azione  dell'aria  e  dell'acqua;  ni.  0,37X0,18X0,22. 


PA  AINOS 
!--^_X  !  A  A 


4.  Piccola  lastra    di    marmo;  m. 
0,13X0,09. 


5.  Altra  piccola  lastra  di  marmo 
bianco;  m.  0,12X0,08. 


-'-STTi 

TPIHPEAI/'i 
AYToSoEW 


6.  Lastra    di  marmo   con  lettere 
molto  incavate;  m. 0,16X0,14. 


7.  Lastra  di  càrparo  con  rozza  cor- 
nice; m.  0,21X0,12. 


TAKANTO 


—    C2    —  REGIONE    II. 


8.  Su  piccola  lastra  di  marmo  rosso  9.  Sopra  il  lato  lun<jo  di  uu  blocco 

e  con   lettere  quasi    f,'rallite;    m.  0,11  di  carparo  e  con  lettere  mal  eseguite; 

X0,0G7.  ui.   1,25X0,70X37  ('). 


OPAIKICAC 


Venendo  alle  iscrizioni  lutine,  prima  di  ogni  altro  bisogna  correggere  la  iscrizione 
pubblicata  nel  n.  10.  della  mia  relazione  intorno  alle  scoperte  di  Taranto;  Notule 
1891  p.  42:j:  dove  per  errore  fu  edito  pineses  invece  di  PINNESES. 

10.  Sopra  lastra  di  marmo  grigio  frammentata  e  ridotta  in  4  pezzi  :  m.  0,38  X  0.39. 


V  A  R  G^V> 


I       —Q-^f  ATA\ 
L-HELVIVSDIC 

\  V  X.  O  R I 

\ \- 


11.  Sopra  lastra  di  marmo  biancastro  frammentata  e  ridotta  in  5  pezzi;  m.  0,30  X  0,27. 


7~r\ 

L-  TAMP/AIvfVS' 


ys-\;i 


oPTvrysyixiT 


A  N  •  V  ì  -i^i-Elg-I-LL 
HS- 


(')  Questo  blocco  trovavasi  in  una  costruzione  di  forma  semicircolare,  rinvenuta  nello  sterro 
dell'angolo  sud-ovest  dell  arsenale  marittimo.  Tale  avanzo  di  monumento  deve  rimandarsi  ad  epoca 
molto  antica,  non  solo  percliè  era  formato  da  p.irallclcripedi  tutti  delle  proporzioni  di  quello  clic 
contiene  la  parola  prcca  sopra  riferita,  p  mossi  insieme  senza  malta;  ma  anche  perclù' stava  a  circa 
8  metri  «otto  il  piano  di  campagna  ;  mentre  clic  la  iscrizione  p.irc  tracciata  in  tempo  posteriore  e 
da  mano  inesi.eria.  Intr.rnn  alla  destinazione  del  monumento  nulla  fu  possibile  ronjictturarc.  poiché 
nel  resto  si  addcnlr.iva  nel  terreno  che  non  venne  taglialo. 


REGIONE    II. 


G:5  — 


TARANTO 


12.  Sopra  lastra  di  marmo  grigio  frammentata  e  rotta  in  tre  pezzi.  Al  disopra 
della  iscrizione  è  inciso  un  cerchio  con  rottone,  formato  da  segmenti  di  circolo;  nei 
lati  due  delfini;  m.  0,37X0,26. 


/D  ■  M  • 

JoyiUA  ■  IVLIAc^ 
HICESTSITA  QVEVI 
XSITANNIS-LXXV-ME 
SIBVSIII  DIESVFILIE 
MATRI-BENE-MERE 
NTI'FECERVNT-ET-NE 
\ICIE  ■  AVIE  ■  BENE 

-<ri-posvERVKr 


13.  Sopra  frammento  di  lastra  in  marmo  bianco,   rotto  in  due  pezzi  e  con  cor- 
nice nella  parte  superiore;  m.  0,39  X  u,39. 


14.  Lastra    di   marmo    bianco  in 
tre  pezzi;  m.  0,25X0,16. 


16.  Id.  frammentata  in  un  angolo  ; 
m.  0,22X0,16. 


C  R  A  P  T  E 

VANNVH-S-E 


GRAECINIA 
a  SEVIA  O 
YIXITANIIII 
H  -S-E- 


16.  Lastra   in  marmo  biancastro; 
m.  0,23X0,16. 


17.  Id.  di  marmo  bianco;  m.  0,24 
X0,24. 


VENN  C 

PROSDI 

VAIIII-D 

H-S-E- 

GRATV^J 

^^<^I  A  N  Vv 
-ARIA  •  VI  •  AN    I 


XXXX  ■  H  ■  S  •  E 
A;UN  ATI  VS  _ 

y)  s  ijyi-^'- 


^ 


^  MATERE 


TAHAXTO 


—    (U    — 


HEOIONE    II. 


18.  Piccolo  frammento  di  grande  iscrizione  su  lastra  di  marmo  bianco:  lo  let- 
tere sono  lunghe  ra.  0,24  e  molto  bene  scolpite;  m.  0,36X0,S1. 


i 


jES  1  amento 


19.  Lastra   di   marmo    baidiglio; 
m.  0,24X0,20. 


2n.  hi.  (li  marmo  grigio;  iii.  U,15 
X0,14. 


^TINA 
{X-HSE 

_CARIS^ 


M  •  A  N  II 
I  AN  V| 


21.  IJ.  di  marmo  bianco:  lettere 
grandi  e  ben  incise;  m.  0,21X018. 


22.  Id.  in  marmo  bianco;  m.  0,12 
X0,13. 


Xtds 

u 


26.  Id.  id.;  m.  0,15X0,15. 


24.  Id.  in  lettere  alte  m.  U,21  e 
ben  scolpite;  m.  0,26X0,24. 


1 V  l; 


[li 


25.     Lastra     in     marmo    grigio; 
m.  0,13X0,12. 


2t>.  Id.  id.  con  cornice  laterale   e 
lettere  piuttosto  grandi  ;.m.  0,23  X  0,13. 


REGIONK    li. 


—  (55     - 


T  Ai;  ANTO 


27.    Lastra    in    marmo     bianco; 
m.  0,14X0,22. 


28.  Id.   con    cornice    nella    parte 
superiore;  m.  0,22X0,22. 


I 


RCHIV 

ARIVS^ 


2y.    Lritraa     in     marmo    grigio; 
m.  0,23X0,29. 


yo.  IJ.  iJ.  ;  m.  0,1(JX0,1.J. 


(^ 


ETINCOL 
ICE 


L 


\ 

\ 


frTANN 
XXII 
^•S-E 


31.    Lastra     di     marmo    bianco; 
m.  0.16X0,11. 


32.  Id.  id.;  m.  0,15X0,09. 


33.  Stela  in  marmo  bianco   mancante  nella  parte  superiore:  ornata   con   rilievi 
di  foglie  nei  quattro  lati;  m.  O.oO  X  0,18  X  0,04. 


VS  FIRMVS 
MAIRI-  ET 
SIBIQVI 
V-ALVH-SS 


34.  Su  grande  lastra  di  carparo  e  con  listello  sporgente  nella  parte  superiore  e 
nella  inferiore.  F'iVidentemento  fu  adoperato  nel  fregio  di  qualche  cdifizio,  anche 
perchè  fu  trovata  in.^iunie  a  molti  blocchi  della  stessa  pietra,  alcuni  sparsi  al  .suolo, 
altri  ancora  in  costrii/ioni'  nel  sito  dove  ora  sorge  la  casa  Fanigliulo  nella  via  d'Aquino. 
Ivi   furono    pure    Inivati  riiHjnc    i_n'andi    pc/./.i    di    cornice    in    marmo,   due  dei  quali 

(j.ASSK    DI    Srir.NZK   MOUAM    rCC.    —    Mli.MnUlK      -   Vul.   II,    ^l'vio  ò ',  jiaite  2'.  9 


TAKASTO  —    fio     —  REGIONE    IL 


appartenenti  a  frontone  e  molti  framnu'nti    di   una  ptatua  di  epoca  romana  ;  m   1.20 
X().-17  X  (t.;i(t. 


f-.EPlDIO-  P    F    Nk 


o").  lu  altro  pezzo  della  stessa  pietra,  in  lettere  dello  stesse  autore  e  probabil- 
mente della  stessa  iscrizione;  m.  0,50  X  (j,47  X  0,30. 

CAPI" 

Mi.  Su  lastra  di  carparo  con  cornice   nella  parte  inferiore;  le  lettere  sono  alte 
m.  0,29;  m.  0,77X0,64. 


|MIG 


37.  Stela  di  càrparo  lavorata  nella  parte  superiore  con  due  angoli  sporgenti  nei 
lati  ed  un  arco  nel  mezzo;  m.  0,5.') X 0.32. 

A  ■  HORDIONN 
ESSPER   VIX  s<> 

AN  ■ L  X  V ■ 
H  ■     SE 

38.  Stela  di  carparo  lavorata  a  tre  angoli  sporgenti    nella  piutc  sui)«io».   <iiie 
uei  Iati  ed  uno  nel  mezzo;  m.  0,88X0,2(3. 

Q_  PLOTIV 

SIANVARI 

VS- VIX 

ANNIS 

XXV 

HS   E- 

39.  Stela  di  cai-paro  lavorata   nella   parti-   superiore  come  la  precedente. 

PATHRIA 

AMPLIATA 

V  •  A     XI 

HSIIST 

CONTVBIIR 

NALIIS  ■   Mll 

RIINTI 


REGIONE    II.  —    ùi    —  TARANTO 

40.  Stela  di  càrparo  lavorata  come  le  precedenti:  alcune  delle  lettere  sono  al- 
quanto incerte    per   la  corrosione  della  superticie;  m.  0,78X0,52. 

D  •     M  ■     S  • 
LAQVIVSSATER         sic 

VIXANLX 

H  ■  S  •  E 
ItZIAFOTVNATA     aie 
COIVCB-ME- 
ET-SIBIVIXAL- 

H   •  S  •   E  • 
ET-FILIPARENTI 
BVSBM'FECERVNT 

41.  Stela  sepolcrale  in  càrparo  lavorata  nell'alto  alla  solita  maniera;    ra.  0,83 
X  0,39. 

D  •     M  ■ 

C  •  IVLIVS 

ABASCANTv 

S • V  A  XXXX 

H-S-EST 
SEXTIA-SAT^ 
RNINAC-  B 
M  •     F  • 

42.  Stela  sepolcrale  di  carparo  con  lettere  molto  guaste,  alcune  delle  quali  se- 
gnate in  rosso;  m.  0,74X0,44. 

POP  H  INI 

SERCLYPO 

VIXANNL 

ARTEMIO 

ORVSET- 

FEROXA 

MICAE-BM 

43.  Stela  di  cài-i)aro  lavorata  allo  stesso  modo  nella  parte  superiore  ;  m.  0,70  X  0,34. 

C  •  SCEVI 
VSHILAR 
VS-H-I-S         sic 
CLAVDIA 
PRIMA 
HIS-  sic 


TARANTO  —    '>*^    —  UEOIONK    II. 


•11.  Altra  stela  simile;  in.  0.72X0,39. 

C-MEMInJ 

vsaSì'hv 

VA  XXX 
HSE 


•lo.  Stela  sepolcrale   di  càrparo,    lavorata   a   froiitoue   nella   parte  superiore  con 
lettere  rozzo  ed  in  parte  corrose;  ni.  0,70X0,36. 

ARTIMIA 
APRHODITIA 

H-S-E 


40.  Stela  sepolcrale   in  carparo   lavorata   al  solito   modo  nella  parte  superiore; 
m.  (1.78X0.36. 

PHALERES 
A- XVI 

H  •  ES- 


47.  Stela  sepolcrale   in   càrparo  lavorata   nella  jiarte  superiore   a  tre  angoli,  dei 
quali  manca  uno;  m.  0,72X0,38. 


ACERRONIA 

ELEVTHERIV 

VA    LXXV 

USE' 


48.  Stela  di  carparo  frammentata  nella  parte  supcriore;  ni.  0,75X0.34. 


M  •  A7777777Trr 

NIVS  ■  M  ■ F 
M  A  L  L  V  S 
V-  A    IX 


REGIONE    II.  -   ((0    —  TARANTO 


49.  Stela  sepolcrale   di   càrparo,   rotta   in   due  pezzi   e  lavorata  al  solito  modo 
nella  parte  superiore;  ni.  U,80XO,4(t. 


PAEZVSA 
VA-VII 


50.  Stela    sepolcrale    di    càrparo    terminata    ad    arco    nella    parte    superiore  ; 
m.  11.73X0,46. 

L  XALIDIVS     sic 
VENERIVS 
VAXXXV 
HSE 


51.  Stela  di  càrparo  finita  ad  angolo  nella  parte  superiore;  m.  0,60X0,43. 

C  •  VETIVS 
ECVNDVS 
VIXALXHI 


52.  Stela  in  càrparo  con  lettere  incavate  e  tinte  in  rosso:  la  parte  superiore  è 
a  tre  punte  ;  m.  0,59  X  0,42. 


M  ■  PVBLILIVS 

LVCRIOVIX 

ANCVCA 

RVS  ■  SVIS 

HES- 


53.  Stela  sepolcrale  in  càrparo  frammentata  allo  stesso  modo  nella  parte  supe- 
riore. 

MCLODIVS 

PRIMOGENE 

V.        A-       X  / 

A  N  ^-  C     ,- 


TAKANTO  —    «U    —  REGIONE    II. 

"»4.  Sopra  framiuonto  di  stela  sepolcrale  con  lettere  molto  corrose;  ni.  0,34  X  0,48. 


)'«777777///iA 

ILYDEVIX   1 

."SS.  Frammento  di  stela  sepolcrale  in  càrparo  con  epigrafe  incompleta  e  con  let- 
tere molto  corrose;  m.  0,47X0,36. 


56.  Frammento    superiore  di   stela  in    càrparo  con   iscrizione    incompleta;  m. 
0.22  X  0.34. 

D  •  M- 

MALLEGINIVS 


57.  Stela  sepolcrale  in  càrparo  frammentata  nella  parte  inferiore,  e  con  lettere 
molto  guaste  nelle  ultime  due  ri{,'be  ;  m.  0,30  X  0,28. 

D  »  M 
SABINIANVS 
VIXANXIII 
H-  S-  E- 
////ILIS  VIR 
/////E-B.M-F 

58.  Frammento  di  stela  in  càrparo;  m.  0.28X0,20. 

jELVIA 

.'S-  E- 

I 

51*.  Frammento   di  stela  in  càrparo  con  testa  virilo   di  liassa  arte  romana,  alt. 
m.  i>,3!». 

MIS 
/lXHSE 


REGIONE    II.  —    71    —  TARANTO 


60.  Nella  parte  anteriore  di  un  basso  pilastrino  in  càrparo  con   testa    virile  di 
bassa  arte  romana;  alt.  m.  0,39. 


C-MVTIFAVSTE 
SALVE 


61.  Riproduco  completandola  l'epigrafe  tarantina,  pubblicata  dal  prof.  Sogliano; 
Notisie  1893,  p.  255,  n.  6. 

QVE«eRIVS 
MASCHIO 
VA    ex 

L.  Viola. 


Roma  18  marzo  1894 


REGIONE    XI.  là    liOKGO.M ASINO,    PAVIA 


AI  A  R  Z  O 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  BORGOMASINO  —  Moneta  barbarica  di  oro. 

Nelle  No  ti:/' e  del  1893,  pag.  259,  parlando  della  scoperta  di  sepolture  barba- 
riche fatta  in  questo  comune,  accennai  ad  una  moneta  di  oro,  imitazione  dei 
nummi  imperiali  del  V  o  del  VI  secolo,  rinvenuta  in  tale  sepolcreto.  Di  questa 
moneta  io  non  aveva  potuto  vedere  allora  che  un'impronta  imperfettissima;  ma,  avendo 
avuto  ora  occasione  di  esaminarla,  vi  ho  riconosciuto  una  delle  note  imitazioni  dei 
tremissi  di  Maurizio  Tiberio  (582-602),  sottile,  leggermente  solfata  e  circondata  da 
un  cerchietto,  particolarità  osservate  nelle  monete  longobarde  dell'Italia  superiore  e 
della  Toscana: 

DN  tDAVRCTbPPVI.  Busto  diademato  a  destra. 

R}.  VICTORIAAVIVITORVN.  Victoria  di  fronte  con  la  corona  ed  il  globo 
crucigero;  nell'esergo  CONOB;  nel  campo  a  destra  +  (mm.  18;  gr.  1,496).  Una 
simile  è  riprodotta  dall'Engel  e  dal  Serrure  a  pag.  31  del  loro  Trai/.é  de  numis- 
matique  dii  moyen  dge  (Parigi,  1891). 

E.  Ferrerò. 


II.  PAVIA  —  Avanci  di  un  antico  ponte  romano  presso  la  città, 
e  Note  di  topoi/rafia  nella  regione  dell'antica   licinum. 

Nel  breve  periodo  che  passai  nelle  scorse  vacanze  a  Pavia  ho  eseguito  alcune 
ricerche  nel  territorio  che  circonda  immediatamente  l'antica  Ticiaum,  e  che  dal  lato 
archeologico,  e  specialmente  preistorico,  può  dirsi  ancora  inesplorato.  Perciò  poteva 
offrire  campo  a  studi  interessanti,  principalmente  perchè,  data  la  frequenza  di  stazioni 
dell'utà  del  ferro  lungo  tutta  la  vallata  ed  il  bacino  del  fmme  Ticino  sino  a  Castel- 
lotto-Ticino  ed  al  famoso  territorio  di  Golasecca,  potevasi  sperare  che  nella  regione 
comprosa  tra  i  due  rami  del  delta  del  Ticino  ed  il  corso  del  Po,  regione  forte  e  si- 
cura, si  dovessero  avere  i  resti  d'un  centro  notevole  di  quelle  genti.  Ma  la  scarsezza 
del  tempo  ed  anche  dei  mezzi  scientifici  e  materiali,  e  più  di  tutto  le  esigenze  dei 

Classi-:  di  scIE^zE  morali  ecc.  —  Mf.mokie  —  N'ol.  II,  Serie  S",  parte  2"  10 


PAVIA 


74    —  REGIONE  XI. 


miei  studi,  mi  costrinsero  a  limitare  per  ora  il  campo  delle  mie  ricerche  e  dirigerle 
ad  un  più  modesto  ambito,  cioè  allo  studio  di  alcuni  manufatti,  esistenti  nel  letto 
del  fiume  stesso,  a  poca  distanza  dalla  cittA  di  Pavia,  e  che  già  avevano  vagamente 
attratto  l'attenzione  di  alcuni  dei  più  insigni  scrittori  di  storia  locale  (')• 

La  città  di  Pavia,  come  è  noto,  ha  conservata  la  sua  posiziono  nell'ambito  dell'an- 
tica Ticinum,  e  siede  sulla  sponda  sinistra  del  fiume,  che  diede  nome  alla  città  romana, 
elevandosi  a  poco  a  poco  sino  a  raggiungere  l'estremità  superiore  del  terrazzo  quater- 
nario, entro  al  quale  è  racchiusa  l'attuale  corrente  del  fiume  stesso.  Ancora  attual- 
mente recinta  da  una  poderosa  cerchia  di  fortificazioni,  è  congiunta  al  suo  più  grande 
sobborgo  sulla  riva  destra  del  fiume,  da  un  ponte  coperto,  che  per  la  sua  forma,  per 
la  sua  pittoresca  irregolarità,  è  una  delle  caratteristiche  della  città  moderna. 

K  appunto  sotto  all'arco  centrale  di  questo  ponte  che  si  notava  nelle  grandi  magre 
la  traccia  d'una  costruzione  molto  poderosa,  la  quale  aveva  dato  luogo,  credo,  alla 
leggenda  popolare  dell'intervento  del  demonio  nella  costruzione  del  ponte  sul  Ticino, 
opera  veramente  colossale  dei  tempi  di  mezzo.  Ma  per  quanto  io  abbia  cercato  negli 
archivi  del  municipio,  e  più  ancora  nelle  opere  degli  scrittori  di  storia  cittadina, 
nessuna  notizia  era  cosi  chiara  da  rispondere  alle  domande  che  si  potevano  fare  in- 
torno a  quell'avanzo  subacqueo. 

Nello  scorso  anno  la  magra  del  Ticino,  iu  seguito  ai  fortissimi  calori,  fu  delle 
più  grandi;  e  così,  essendosi  ridotto  a  poco  più  di  un  metro  e  cinquanta  cent,  il  velo 
d'acqua  purissima,  che  copriva  l'avanzo  in  questione,  mi  parve  di  potere  asserire  che 
si  trattava  di  un  basamento  d'una  pila  di  un  ponte,  il  quale  si  trovava  in  questa 
stessa  località,  in  momento  precedente  alla  costruzione  del  ponte  attuale.  Decisi  al- 
lora di  approfittare  dell'occasione  favorevole  e  di  fare  il  rilievo  topografico,  prima  che 
qualche  pioggia  improvvisa  facesse  crescere  il  livello,  o  alterasse  il  colore  delle  acque. 
1  resultati  delle  mie  ricerche  non  furono  dei  più  copiosi,  ma  però  non  credo  inop- 
portuno di  presentarli  nella  speranza  che  possano  incoraggiare  a  qualche  altra  ricerca 
sulla  topografia  dell'antica  Ticinum  (-'). 

Qui  aggiungo  uno  sciiizzo  topografico,  eseguito  dall'egregio  mio  amico  Emilio  Tac- 
coni, perchè  possa  la  mia  esposizione  essere  più  chiara  (fig.  1,  2,  3,  4). 

L'avanzo  in  questione  dista  m.  8.40  dal  pilone  centrale  del  ponte  moderno,  sul 
quale  sorge  una  piccola  cappelletta,  e  m.  V.\'m  dal  primo  pilone  di  destra.  La  sua 
forma  (fig.  3,  4)  è  rettangolare,  di  poco  rastremata  verso  monte,  ove  termina  con  uno 
sperone  triangolare  a  larga  base  ed  alquanto  smussato.  Invece  a  valle  termina  iu  una 
testata  a  semicerchio,  di  cui  si  scorge  nettamente  il  profilo.  La  pila  ha  la  faccia  supe- 
riore a  m.  1,50  sotto  il  pelo  della  massima  magra,  e  sorge  per  un  altezza  di  m.  1,35 
dal  letto  sabbioso  del  fiume,  che  s'abbassa  a  destra  fino  a  m.  t,.".!)  (fig.  1  e),  a  sinistra 

(>)  Mi  limito  a  citare  Capsoni,  Storia  della  citili  di  Pavia  voi.  I,  cnj-.  Ili  e  scjruenti. 

(•)  Non  voglio  ililiinp.irnii  n  descrivere  come  iiroccdetti  alla  ricrea,  n-ii  del  tutto  a(.'ovole; 
arcndo  dovuto  condurla  sott'acqua,  con  una  corrente  f-rte  :  devo  j.cW.  rendere  sentite  prazie  al 
siirnor  Emilio  Tacconi,  allievo  della  Kacoltà  scientifica  di  queiriniversitil  ed  ai  miei  amici  Ncpri, 
Caldino,  Sanporpi.  Sacelli  ed  altri,  che  mi  prestarono  pcntilmente  l'opera  loro  di  topografi,  di  ca- 
nottieri e  di  palombari,  per  il  rilievo  o  per  le  misuraiioui  subacquee. 


REGIONE    XI. 


—    75    — 


PAVIA 


a  m.  3,25  (fig.  1  (/),  calcolanJo  però  semine  uu  minimum  di  livello,  quale  appunto 
era  nello  scorso  anno. 

Sorgendo  dal  fondo,  questa  pila  presenta  due  larghe  riseghe,  che  le  fanno  quasi 
da  basamento,  e  corrono  lateralmente  ai  due  fianchi  ed  alla  testata  posteriore,  ter- 
minando dolcemente  a  smusso,  a  destra,  dove  comincia  lo  sperone,  a  sinistra  invece 
alquanto  più  indietro  (m.  1,00). 

La  lunghezza  totale  della  pila  è  di  m.  12,20,  computando  naturalmente  le  due 
riseghe,  che  hanno  ciascuna  una  larghezza  di  circa  ni.  0,40. 


Fig.  1. 


La  larghezza  a  monte,  alla  base  dello  sperone,  è  di  m.  2,05  ;  a  valle,  alla  base 
del  semicerchio,  e  tralasciando  le  due  riseghe,  è  di  m.  2,35,  ed  alla  base  inferiore 
m.  3,15. 

Come  risulta  da  queste  cifre  e  dalle  figure  qui  aggiunte,  questa  pila  è  assai  più  che 
quella  del  ponte  medioevale,  svelta  ed  elegante,  e  si  accosta,  per  la  forma,  alle  chiatte 
di  legno,  con  cui  si  fanno  i  ponti  natanti.  D'altra  parte  l'eleganza  di  questo  pilone 


^. 


li 


Fig.  2. 


non  urta  allatto  contro  le  esigenze  tecniche  a  cui  deve  rispondere,  giacche  la  forma 
stretta  ed  allungata,  offre  poco  ostacolo  alla  corrente,  mentre  la  leggera  rastrema- 
zione e  la  duplice  risega  danno  solidità  e  robustezza  ai  suoi  fianchi. 

Già  anticamente  era  noto  ciò  che  la  scienza  idraulica  moderna  ha  consacrato 
colle  esperienze  e  coi  calcoli,  cioè  che  la  resistenza  statica  d'una  pila  è  tanto  mag- 
giore, quanto  meglio  essa,  pur  essendo  normale  alla  corrente,  ne  riceve  l'impeto  sopra 
piani  obliqui,  atti  a  rompere  la  corrente  stessa  ed  a  deviarla  lungo  i  due  lati.  Nel 
nostro  caso  la  costruzione  risponde  a  tale  esigenza:  infatti  la  forma  tozza,  ma  ro- 
busta del  triangolo  mouolatico   a  larga  base  costituente   lo  sperone,  servo  a  tagliare 


PiVIA 


—  Tfi  — 


RBOIONB   XI. 


la  correute,  costretta  dopo  a  sfu^r<,'irc  secondo  i  i>iaiii  inclinati,  dotormiDati  dallo 
riseghe. 

D'altra  parte  poi  la  testata  eurvilinea  a  valle,  aualofja  a  quella  conservata  nei 
grandi  ponti  moderni  in  muratura,  è  atta  ad  impedire  la  formazione  di  gorghi  peri- 
colosi alla  navigazione  ed  alla  soliditù  stessa  della  pila,  determinando  il  subito  avvi- 
cinarsi delle  acque,  divise  dalla  punta  dello  sperone.  L'eccellenza  della  tecnica  si 
rivela  altres'i  dal  modo  magistrale  ed  eminentemente  pratico  col  quale  furono  disposte 
le  varie  pietre  che  costituiscono  l'edificio,  come  anche  dalla  scelt^i  del  uiateiiale. 

Esso  è  il  bellissimo  granito  delle  celebri  cave  del  lago  Maggiore,  d'una  com- 
pattezza tale  che  riuscirono  vani  tutti  gli  sforzi  por  staccarne  anche  un  piccolo  fram- 


l"lG.  3. 


mento  che  doveva  servire  a  risolvere  una  questione  storica  e  litologica  insieme,  sull'uso 
delle  cave  di  IJaveno  nell'antichità.  Quanto  alla  disposizione  delle  pietre  essa  è  chiara- 
mente dimostrata  dalla  tig.  -1  ;  solo  deblio  aggiungere  che  lo  sperone  e  la  testata  superiore 
constano  di  due  enormi  blocchi,  lavorati  a  perfezione;  gli  altri  conci  sono  tagliati  a 
squadra  viva,  disposti  secondo  le  migliori  regole  d'arte  e  siffattamente  aderenti  l'uno 
all'altro,  che  solo  dopo  ripetute  immei-sioni  ho  potuto  esattamente  notare  le  commes- 
sure. L'unione  d'un  concio  coU'altro  era  ottenuto  mediante  grappe  a  doppio  t,  forse 
di  bronzo,  le  cui  impronte  si  notano  ancora,  come  si  notano  quelle  di  altre  grappe  che 
congiungevano  questi  conci  con  quelli  del  corso  soprastante.  Si  vede  adunque  che  quando 


l'io.  \. 


si  costruì  il  ponte  medioevale  e  si  distrusse  ci(^  che  restava  del  ixinte  più  antico,  si 
levarono  anche  da  que.'^ta  pila  gli  strati  più  alti,  sino  a  togliere  ogni  pericolo  per  la 
navigazione;  ma  per  quanto  l'opera  di  distruzione  fosse  violenta  e  tale  da  non  rispettare 
questo  vetusto  avanzo,  essa  non  potè  alterare  la  distribuzione  della  robusta  compagine. 
Un  esame  per  quanto  mi  fu  possibile  minuzioso  ed  accurato,  che  eseguii  in  tutto 
il  letto  del  fiume  nelle  adiacenze  del  ponte  coperto,  e  lo  studio  diligente  della  strut- 


REGIONE    XI. 


—    77    — 


PAVIA 


tura  e  della  composizione  del  ponte  stesso,  mi  indussero  nel  più  assoluto  convinci- 
mento che  la  costruzione  del  ponte  medioevale,  come  dirò  più  oltre,  fu  compiuta  a 
spese  del  ponte  precedente,  o  per  lo  mt-no  di  quanto  di  esso  restava. 

Le  altre  pile  di  pietra,  che,  data  la  larghezza  di  m.  200  circa  della  corrente 
ed  una  luce  degli  archi  di  m.  12  o  14  ('),  possibile  colla  struttura  della  pila  stessa, 
dovevano  essere  certo  più  di  10,  sono  completamente  scomparse,  o  comprese  dal  largo 
impostamento  delle  pile  moderne,  o  forse  anche  sistematicamente  distrutte.  Come  giova 
credere,  al  monieuto  della  costruzione  del  ponte  medioevale,  essendo  stata  deviata  la" 
corrente  per  la  maggior  parte,  apparvero  allo  scoperto  almeno  le  parti  più  alte  delle 
pile  antiche,  che  furono  adoperate  nell'edificio  nuovo,  o  direttamente,  o  anche  estraen- 
done le  belle  piastre  di  granito,  le  quali  si  vedono  ancora,  quìi  e  là  murate  nei  pen- 
nelli, negli  speroni  del  ponte  moderno,  in  mezzo  al  rosso  vivo  cupo  degli  eccellenti 
mattoni  medioevali. 

Dalla  pianta  da  me  presentata  (tìg.  5),  più  ancora  che  delle  mie  parole,  apparirà 
chiaramente  che  la  pila  da  me  rilevata,  appartenga  all'antico  ponte  romano  che  univa 


PAVIA 


FiG.  5. 


la  fiorente  città  di  Ticinum  col  suo  territorio  finitimo,  e  che  sosteneva  sulle  sue  so- 
lide pile  la  grande  strada,  importante  strategicamente  e  commercialmente,  la  quale, 
staccatasi  dalla  via  Aemilia  a  Placentia,  raggiungeva  Ticinum  ;  e  poi  varcato  il  fiume, 
si  dirigeva  per  Cuttiae  e  Laumelliim   a   Mutatio  Diiriae,   dove  poi  si  divideva  in 


(')  La  luce  di  12  o  11  m.  ò  moltu  considerevole  per  i  ponti  rom.ani,  ed  in  generale  veniva 
adottata  solo  nel  caso  che  si  volesse  con  un  solo  arco  saltare  danna  sponda  all'altra.  Cosi,  per  esempio, 
nel  ponte  presso  Kiakhta,  nella  Coinmagene,  visitato  dal  prof.  Moltke  e  dal  Sester  ed  ora  rilevato 
recentemente  dall'architetto  0.  Puchstein  (V.  Karl  Humann,  Otto  l'uclistein,  Reiscn  in  Kìein- 
asicn  und  Nordsyrien.  liorlin  1800  p.  393  e  seg.  :  Atlas,  Taf.  XLI,  1)  abbiamo  una  luce  di  m,  14,  10, 
con  una  lunghezza  delle  due  spalle  di  m.  8,20,  inferiore,  come  si  vede,  a  quella  della  pila  ticinensc 
(m.  12,20). 


PAVIA 


—    78   —  REGIONE    XI. 


duo  grandi  rami,  l'uno,  che  per  Kporedia  metteva  ad  Augusta  Praeloria  ed  alVAlpes 
Poeninac,  l'altra  che  per  liigomagum  ed  Augusta  Taurinorum,  rajrfjiunjjeva  la  regione 
dei  Cottii  e  di  là  la  (ìallia  (M.  Non  ritengo  ardita  la  mia  supposizione,  in  quanto 
che  un  ponte  che  faceva  parte  integrale  di  una  delle  più  importanti  arterie  delllUilia 
e  del  mondo  romano,  e  che  oongiuugeva  fra  di  loro  città  e  territ<>ri  liorenti  per  com- 
merci e  per  industrie,  doveva  essere  certamente  in  pietra,  perchè  potesuo  essere  più 
sicuro  e  mantenere  non  interrotte  le  comunicazioni  d'ogni  sorta  che  avvenivano  du- 
rante i  lunghi  secoli  di  tranquillo  e  forte  dominio  romano. 

Ed  appunto  di  pietra,  e  solidamente  ed  elegantemente  costrutta,  è  la  pila  che 
ancora  rimane  nel  fondo  del  tìame  ;  e  la  sua  forma  e  le  sue  dimensioni  sono  tali  da 
reggere  al  confronto  coi  migliori  editici  congeneri  che  i  Romani  costrussero  in  tutti 
i  paesi  del  loro  vasto  dominio  (-).  Kssa  ricorda  assai  da  vicino  la  forma  delle  pile 
del  ponte  detto  dei  Quattro  capi  sul  Tevere  a  Roma,  e  quella  del  ponte  Fabricio  o 
dello  splendido  ponte  Elio,  nella  medesima  città.  Questi  ultimi  ponti  però,  oltre  ad 
essere  nella  capitale  dell'impero,  fanno  anche  parte  di  un  complesso  architettonico 
ed  artistico,  come  il  ponte  Elio,  clie  completava  la  mole  Adriana,  o  il  ponte  Fa- 
bricio, che  continuava  lo  belle  opere  repubblicane  ed  imperiali  del  Palatino  e  dell'Aven- 
tino (^).  Quindi  tornano  più  utili  i  confronti  colle  costruzioni  di  ponti  nelle  provincia 
e  sui  contini  dell'iiiipero,  che  furono  recentemente  rilevati  e  studiati,  specialmente 
in  Francia  ed  in  Germania,  quali  ad  esempio  i  ponti  sul  Rodano  e  suoi  atlluenti  ('), 
e  i  ponti  sul  Reno  presso  Magontiacura,  Colonia,  Augst-Wylen  (•'),  e  sul  Meno  a 
Seligenstadt  ed  altrove,  ricercati  con  zelo  indefesso  dalla  benemerita  società  degli 
Altertuiiinfreunden  in  Ilheinlaiidc,  la  quale  ha  tanto  contribuito  alla  conoscenza 
dell'antica  civiltà  romana  su  quei  lontani  contini. 

Un'altra  questione  che  ora  si  presenta  riguarda  la  forma  di  questo  ponte.  Dall'unico 
frammento  sarebbe  ardito  desumerla;  però  non  credo  d'essere  lontano  dal  vero,  sup- 
ponendo che  non  solo  questa  pila,  ma  le  altre  che  rimanevano  dovessero  essere  co- 
strutte completamente  in  pietra.  I  Romani  costrussero  ponti  in  legno  sui  grandi  fiumi, 
come  il  Danubio,   il  Reno,  il  Meno  (");  ma  preferirono  sempre,  nei  luoghi  dove  le 

(')  V.  C.  /•  L.  V,  pap.  715  e  r.iiiiicssa  carta  (IcU'aiitica  Italia  supcriore  di  U.  Kirpcrt. 

(«)  Per  i  confronti  colle  altre  pile  e  coi  ponti  romani  cf.  l'opera  un  po'  antiquata,  ina  sempre 
utilissima,  di  Guhl  e  Kohner,  Dai  Lehen  der  Griechen  uni  Ròmer  p.  419  e  seg. 

(»)  R.  Lanciani,   The  Anricnt  Rom.  Roma  1800.  p.  'JOO. 

(<)  C.  Lcntlicric,  /fUtoirc  d'un  fìeuve.  Lyon  1802,  voi.  1,  II.  L'illustre  ingegnere  in  capo  di 
ponti  e  strade  di  Lione,  ha  in  questo  lavoro  riassunto  splendidamente  tutte  le  notizie  arclieolociche 
del  bacino  del  Rodano,  e  l'opera  sua  merita  d'essere  segnalata  a  tutti  quanti  amano  una  ricerca 
coscienziosa  e  completa. 

(^)  Wolff.  Berlin.  Philol.  Iforlienschrift,  VI,  18S6  p.  1381.  Vili,  1888  p.  314;  per  i  ponti 
kul  Meno  cf.  K.  K..fler,  Alte  Meinbrùcke  bei  Scli</enslad  in  llonner  Studien  a.  1885  p.  169;  sui 
ponti  del  Reno  a  Colonia  cf.  il  lavoro  del  generale  Von  Vcitli,  Dos  Rómi^rht  h'Sln  (  Vinchelmanns 
lùntproijrnmm  188.">);ed  in  generale  per  tutto  le  opere  romane  sui  confini  del  Reno  vedi  E.  HQbner, 
,V<rM''i/«  Studien  ùber  den  rùmischen  Grcnzìrall  in  fleutschland  in  lìonner  Studien  a.  1888  p.  30,  48 
e  fcg.,  58  e  ig.  ecc. 

(")  V.  Koflcr.  Alle  MeinbrAcke  ecc.  in  lìonner  Studien  a.  1885,  p.  100. 


REGIONE    XI.  —    79   — 


PAVIA 


condizioni  lo  permisero,  attenersi  alia  solida  costruzione  in  muratura,  lasciando  la 
costruzione  in  legno  ai  luoghi  paludosi,  dove  le  pesanti  pile  in  muro  non  avrebbero 
fatto  buona  riuscita  (').  Potrebbe  anche  darsi  che  questo  nostro  ponte  sul  Ticino,  pur 
avendo  le  pile  di  pietra,  avesse  la  costruzione  superiore,  cioè  i  correnti,  i  supporti, 
le  capriate  e  la  balaustrata  in  legno,  come  per  esempio  il  ponte  di  Magontiacum 
sul  Keno,  studiato  dal  eh.  prof.  E.  Hubner  (-).  Osservo  però  un  fatto  che  mi  venne 
dato  di  notare  durante  i  miei  studi  nel  letto  del  tiuiue.  Sotto  il  secondo  arco,  a 
partire  dalla  sponda  sinistra,  a  m.  2,50  sotto  il  pelo  dell'  acqua,  rilevai  un  grosso 
frammento  di  muratura,  costituito  da  grossi  quadrelloni  rosso-cupi,  d'eccellente  cot- 
tura, fortemente  cementati  in  modo  da  presentare  quasi  un  solo  masso,  leggermente 
concavo  su  una  delle  sue  superficie.  Non  vorrei  ora  andare  errato,  attribuendo  quel 
frammento  ad  un  arco  crollato  precedentemente  alla  costruzione  di  questo  ponte  me- 
dioevale, e  di  ritenere  quindi  che  il  ponte  romano  fosse  costrutto  nelle  condizioni  mi- 
gliori e  completamente  in  muratura,  come  i  ponti  di  Verona,  di  Roma  ed  altri. 

Più  difficile  è  conoscere  l'età  a  cui  può  risalire  questo  ponte,  come  anche  il 
modo  con  cui  gli  architetti  romani  procedettero  nella  costruzione.  Non  conoscendosi 
allora  l'arte  delle  fondazioni  a  pressione  atmosferica,  possiamo  ritenere  che  il  corso 
del  fiume,  la  cui  strada  è  chiaramente  designata  dai  terrazzi  quaternari,  fosse  stata 
deviata  durante  la  costruzione  delle  pile  e  poi  ricondotta  nel  suo  letto  a  lavoro  finito. 
Mi  pare  di  ravvisare  nella  cosidetta  Morta  a  monte  del  ponte,  e  nella  linea  di 
massima  depressione  lungo  tutto  il  borgo  Ticino,  la  quale  è  la  prima  ad  essere  inon- 
data nelle  piene  del  fiume,  la  traccia  di  questo  canale  artificiale  (tìg.  5,  lett.  a), 
utilizzato  forse  anche  nella  costruzione  del  ponte  medioevale.  Quanto  all'età  della  costru- 
zione non  credo  possibile  un  giudizio;  credo  solo  che  essa  possa  risalire  all'età  augustea, 
quando,  ampliato  l'impero,  assicurata  la  pace,  si  procedette  alla  costruzione  od  alla 
restaurazione  di  tutte  le  grandi  arterie  stradali  che  percorsero  l'Italia  e  la  allaccia- 
rono colle  altre  provincie  transalpine.  Se  questa  supposizione  non  è  ardita,  però  non 
vi  sono,  per  quanto  io  mi  sappia,  notizie  letterarie  od  epigrafiche  d'età  classica,  le  quali 
accennino  direttamente  al  nostro  ponte.  Solo  abbiamo  un  ricordo  assai  breve,  ma  di 
grande  valore,  in  Procopio  {De  Bello  Gotico  2,25)  che  dice  :  uhi  (  Ticino)  Romani 
veteres  ponte  /lumen  (Ticinum)  iunxerunt. 

La  costruzione  del  ponte  che  tuttora  vediamo,  dovuta  a  due  architetti  di  Verona, 
risale  agli  anni  1351-1354,  al  momento  cioè  in  cui  la  città  di  Pavia,  sotto  il  dominio 
dei  Vi-:Conti  prima,  e  poi  degli  Sforza,  aveva  preso  un  grande  sviluppo  ed  una  grande 
importanza  (•')  ;  ma  nell'intervallo  tra  questa  costruzione  medioevale,  e  quella  notizia 


(■)  Sui  ponti  (li  legno  nelle  paludi,  rimando  il  left.iro  ad  una  mia  Nota  sui  ponies  lomji  della 
Germania.  V.  A.  Taramelli,  Le  Campagne  di  Germanico  nella  Germania  pag.  83  e  se.?. 

(2)  E.  Hubner,  Neiieste  Studien  ecc.  p.  48  e  sg. 

(')  Torello  Sairano  {[Ustoria  e  fatti  dei  Veronesi,  Verona  16-111  p.  52)  parla  di  due  arcliitotti 
insigni  di  Verona,  Giovanni  Ferrarese,  Jacopo  Go/.io,  i  quali  «  havevano  fatto  il  ponte  di  Pavia 
sopra  il  Tesino,  il  quale  gli  era  riuscito  bene  ».  Questo  avvenimento  è  posto  nel  1351,  o  1354 
(cf.  Magenta,  i   Visconti  e  gli  Sforza  nel  Castello  di  Pavia,  pag.  30). 


PAVIA 


—   80   —  REGIONE    XI. 


di  Pixwopio  sul  ponte  Uoinano  noi  troviamo  molti  ricordi  chu  sembrano  mostrare  che 
quest'ultimo  siasi  conservato  sino  ad  epoca  assai  vicina  a  noi.  Così  per  esempio  è  noto 
che  nell'anno  lU'l  l'impcriitore  Unrico  V  con  un  suo  decreto  confermava  alla  ghibellina 
l'avia  il  privilejfio  d'avere  essa  nila  il  ponte  sul  Ticino  (').  favorendo  in  tal  modo 
gli  interessi  di  questa  città  a  danno  di  Milano  e  degli  altri  borghi  vicini.  Tale  pri- 
vilegio pere»  durò  solo  sino  al  1203,  perchè  in  seguito  ad  una  guerra  accanita  contro 
i  Milanesi,  i  cittadini  di  Tavia.  sconfitti,  dovettero  concedere  ai  loro  vincitori  la  costru- 
zione d'un  ponte  presso  Vigevano. 

Nell'aureo  libretto  De  Laudil/iis  civitatis  Papiae  (2)  del  cosidetto  Anonimo 
Ticinese,  così  ricco  di  notizie  riguardanti  Pavia  medioevale,  noi  abbiamo  anche  a 
e.  XII  un  importantissimo  cenno  sul  ponte.  11  passo,  che  cito  por  intoro,  è  il  seguente: 
«  ««///•«  queììì  (  Tìci/i'im)  e$l  poiis  jicr  dimidium  sladium  longiis.  ipiasi  dimidius 
copertila,  habens  hiac  inde  muros  ac  fenestras  et  a  parte  suburbii  portam  ciim 
valvis,  sttpra  quam  est  ecclesia  S.'  Saturniai.  llabet  etiam  hic  pons  pilas  ex  saxis 

et  lapidibiis  factas  et  in  aliqua  parte  lapideos  arcus  ftindatos  saxis et  ille 

Vetus  pons  dicitur. 

Ora  questa  insistenza  sulle  pile  in  pietra,  che  dovevano  costituire  una  meraviglia 
nell'età  medioevale,  sugli  archi  di  muratura,  e  più  di  tutto  su  questo  nomo  di  pons 
l'eliis,  che  l'autore  indica  così  chiaramente,  per  distinguerlo  da  un  altro  ponte  di 
barche,  inferii>re  al  primo  (habet  ipsa  cioilas  aliqttando  pontem  alium  ligneiim  toliim 
a  parte  inferiore  ftuminis) ,  mi  induce  a  ritenere  che  questo  pons  Vetus  fosse  ancora 
il  ponte  romano,  con  molte  aggiunte  posteriori  e  con  molti  ampliamenti  di  carattere 
militare. 

Tutte  queste  aggiunte  e  sovraccarichi,  fatti  forse  senza  alcun  criterio  tecnico,  e 
forse  anche  qualche  forte  alluvione  fecero  crollare  questo  antico  avanzo,  certamente 
nell'intervallo  dal  l:«0  al  1:351,  e  tornati  vani  gli  sforzi  di  riattarlo  (^).  si  cominciò 
la  costruzione,  non  del  tutto  spregevole  del  ponte  coperto,  che  forma  una  delle  carat- 
teristiche di  Pavia.  Durante  questa  costruzione,  che  assai  probabilmente  fu  fatta 
colla  deviazione  della  corrente,  si  fece,  come  dissi,  tavola  rasa  di  tutti  gli  avanzi 
ingombranti;  solo  venne  lasciata,  forse  per  la  sua  profonditi!,  forse  anche  por  un  ri- 
spetto alla  veneranda  antichità,   la  pila  che  mi  dette  occasione  a  questo  studio  (^). 


(')  .\zuvio,  Cronico»  e.  IX,  pag.  92.  —  Del  Carretto,  Cronaca  di  Monferrato  voi.  III.  — 
<  111111111.  Memorie  spellanti  alla  cilUÌ  e  campagna  di  Milano  IV,  77. 

(•)  Ter  giudiiio  concorde  dei  piii  distinti  annalisti  e  storiufrr.'ifì  di  Pavia  roper.i  di  questo 
anonimo,  forse  un  esule,  forse  frate  Onesto  da  Pavia,  dev'essere  riferita  all'anno  1329,  1330.  V.  Mu- 
r.»triri.  Rer.  Italie,  tcriptor.  v.  XI.  —  Bosisio,  Gaietta  provinciale  di  Pavia  27  pinpno  1857.  — 
Terenzio,  Comment.  drll'nnnnimo  ]ia(r,  91.  —  Maeenta,  oj>.  oìt..  i>.  2. 

(')  Ho  saiiuto  troppo  tardi  che  esistono  in  .ilcune  ])arti  dell'archivio  di  Stato  di  Pavia,  alcuni 
documenti  riguardanti  le  opere  fatte  dal  Comune  intorno  al  ponte.  Li  consultcrf»  al  mio  ritorno  in 
patria. 

(<)  Non  dobbiamo  dimenticare  che  nel  1.3.5 1-1. '154,  epoca  di  questo  colossale  lavoro,  Pavia  era 
sede  llorente  di  Mudi  e  ili  civiltà  o  piena  di  cortesia,  come  la  dipinge  Kranccsco  Petrarca  nelle  sue 
epistole  latine. 


REGIONE    XI.  —    81    —  l'AVIA 

Un'altra  osservazione  che  debbo  aggiungere  si  è  clie  la  pila  romana  da  me  rile- 
vata è  sul  medesimo  asse  delle  pile  del  moderno  ponte  ;  dal  che  si  deve  arguire  che 
il  ponte  romano,  non  solo  fosse  stato  nel  medesimo  sito  nel  quale  sta  il  presente  ma 
avesse  avuto  anche  il  medesimo  asse,  la  medesima  direzione. 

Sino  a  questo  punto  arrivano  i  fatti  die  io  potei  osservare  colla  massima  diligenza; 
mi  si  permetta  ora  di  desumerne  alcune  conclusioni  non  senza  interesse  per  la  topo- 
grafia dell'antica   Ticiiium. 

Come  è  noto,  il  ponte  medioevale  sul  Ticino  si  trova  allo  sbocco  del  Corso  Vit- 
torio Emanuele  ;  ed  io  credo  probabile  ciie,  come  l'attuale  ponte  si  trova  sulla  conti- 
nuazione della  via  più  importante  dell'attuale  Pavia,  così  l'antico  ponte,  che  come  di- 
cemmo, ò  posto  sul  luogo  e  sull'asse  medesimo  dell'attuale,  dovesse  trovarsi  all'estre- 
mità meridionale  d'una  delle  grandi  arterie  della  città  romana,  e  probabilmente  della 
maggiore  delle  strade  che  la  percorrevano  dal  nord  al  sud,  cioè  sulla  linea  del 
cardo  maxiiìim  {^).  Non  è  facile  trovare  la  prova  diretta  di  questa  ipotesi,  giacché 
per  Pavia  lo  strato  di  macerie  che  copre  l'antico  suolo  è  alto  almeno  tre  metri. 
Però  non  credo  che  ci  manchino  affatto  gli  indizi. 

Se  si  osserva  l'attuale  pianta  di  Pavia,  si  nota  al  primo  sguardo  una  regolarità 
non  molto  solita  nelle  città  che  si  dicono  medioevali  (-).  Il  corso  V.  Emanuele,  l'antica 
strada  grande,  e  che  come  dicemmo  va  presso  a  poco  dal  nord  a  sud  (tig.  6  A  B) 
è  intersecato  normalmente  dalle  linee  delle  strade  ora  chiamate  Corso  Garibaldi, 
Via  Cardano,  Via  Cavour,  Via  Mazzini  e  parallele  (ib.  C,  D,  E,  F),  le  quali,  insieme 
colle  linee  parallele  del  Corso  principale,  dividono  la  città  in  tante  isole  quadrate  o  di 
forma  quadrilatera.  Tale  regolare  distribuzione  non  è  d'ora;  anzi  esistono  prove  certe 
che,  almeno  le  grandi  linee,  risalgono  molto  addietro  nella  storia  della  città.  Così 
nella  pittura  murale  esistente  nella  chiesa  di  s.  Teodoro  {^),  ed  in  quella  inedita 
della  chiesa  di  s.  Salvatore  fuori  mura  è  facile  ravvisare  questa  linea  principale  della 
strada  (jraade,  che  dal  ponte  attraversa  tutta  la  massa  dell'abitato. 

Non  senza  valore  è  anche  l'attestazione  dell'anonimo  Ticinese  (  ').  Questi,  nella 
sua  accurata  descrizione  della  città  (anteriore  al  1330)  ricorda  che  la  parte  interna 

(')  Non  posso  qui  entrare  nella  di.scussione  intorno  al  valore  dei  due  termini  cardo  e  decu- 
manm,  determinata  dall'interpretazione  diversa  data  dai  filologi  ai  passi  di  Servius  Verq.  Georg. 
I,  12():  Festus,  pag.  71  (v.  Nissen,  Das  Templum,  p.  13  e  seg.;  Curtius,  Gr.  Ft>/m.  p.  1-12;  Legnazzi, 
Del  cataro  romano,  Padova,  1887;  Pigorini,  Nuove  scoperte  nella  torramara  Castella;so,  Koma, 
Kcndiconti  Acc.  Lincei,  1803  p.  832)  ;  e  mi  attengo  all'opinione  del  Marquardt,  Rómische  Staatver- 
waltunff  11^,  p.  406. 

(*)  Le  città  d'origine  medioevale  o  feudataria,  si  svilupparono  successivamente  intorno  ad  un 
centro,  il  castello  del  dominatore,  e  sono  quindi  formate  di  zone  concentriche.  Così  alcune  delle 
città  lombarde,  p.  es.  Milano,  che  si  sviluppò  su  un  piano  completamente  medioevale,  dopo  l'incendio 
di  Federico  Barbarossa  nel  1162. 

(')  V.  Magenta,  op.  cit.  I,  pag.  .586,  n.  1,  Il  rev.  prof.  P.  iloiraghi,  ha  pubblicato  una  buona 
eliotipia  di  questa  jiianta,  corredandola  con  una  illustrazione  del  massimo  interesse  per  la  storia  di 
Pavia  medioevale;  rimaiidn  ]ierciù  il  lettore  alla  monnfri-iilìa  )iuhblieata  nel  Hullettino  storico  Pavese 
1803,  Anno  I,  p.  41  e  sg. 

(■•)  De  Laudibus  etc.  e.  XL 

Classe  di  scienze  mokai.i  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serio  5',  parte  2*  U 


1-vvu  -      82   —  RBOIONB  XI. 


crii  la  iiiìi  antica,  o  che  essa  era  difesa  ancora  al  suo  tempo  da  una  cinta  antichis- 
sima di  mura,  la  prima  di  tre  cerchie  concentriche  e  successivamente  più  esteso,  la 
quale  era  quadrata,  e  che  era  stata  rinforsata  e  ristorata  dai  Longobardi  dopo  la 
cimquista  della  città.  (Questa  parie  interiore,  prose^'ue,  pur  essendo  vetusta,  aveva  an- 
cora vie  larghe  e  spaziose  e  ben  selciato,  e  tali  erano  anche  le  piazze,  cinte  di  ampi 
porticati.  Quasi  come  illustrazione  del  passo  citato  dell'anonimo,  abbiamo  la  famosa 
pianta  di  Pavia,  dise^'nata  verso  il  l.M'i)  dal  grande  arcliitetto  (ì.  Hattista  Ciancio, 
pianta  che  è  proprietà  del  conte  Sola  di  Jlilano  e  che  veime  pubblicata  dal  prof.  Magenta 
nella  sua  opera  sul  Castello  di  Pavia  (').  Questa  carta,  che  è  disegnata  a  volo  d'uc- 
cello con  veduta  dal  mezzodì,  presenta  le  tre  cerchie  di  mura.  La  parte  centrale,  limi- 
tata dalla  cinta  quadrilatera  delle  mura  più  vetuste,  contiene  gli  edilìzi  più  anticiii. 
la  duplice  cattedrale  del  XI  secolo  (-),  la  torre  di  Severino  Boezio,  il  palazzo  dei 
consoli  romani  {sic)  ed  altri  edifici  dell'alto  medioevo.  È  notevole  che,  mentre  non 
sono  segnate  le  vie,  periN  si  osserva  come  le  porte  si  aprono  con  grande  simmetria 
nel  circuito  delle  mura;  cosi  si  fanno  riscontro  la  porta  Palacense  ad  est  colla  porta 
Maricia  o  Marenga  all'ovest  (^).  Sull'altra  linea  nord-sud  troviamo  la  porta  del  ponte, 
mentre  al  nord  si  devia  verso  sinistra  a  Porta  Palazzo,  o  a  destra  verso  Porta  s.  Pietro; 
ma  devo  notare  che  diritto  alla  linea  del  ponte,  nel  lato  settentrionale  delle  mura, 
si  presenta  un  tonione  con  un  segno  di  pustierla,  accanto  al  palazzo  dei  coiuoli  ro- 
mani. A  questa  apertura  corrisponde  in  linea  retta  una  porta  nel  muro  meridionale 
della  s  Cittadella  -  in  cui  stanno  racchiuse  la  chiesa  di  s.  Pietro  il  Ciel  d'auro  »  (^), 
e  la  chie.-ia  ora  scomparsa  di  s.  Agostino. 

Al  nord  questa  linea  si  continua  colla  porta  .settentrionale  della  cittadella  e  colla 
strada  suburbana,  detta  nelle  carte  del  XII  secolo  e  seguenti  strafa,  sive  citrsum.  la 
quale  attraversa  in  linea  retta  tutta  la  regione  che  fu  il  parco  Visconteo,  e  poi  pro- 
seguiva più  al  nord,  in  linea  rotta,  e  che  se  non  altro  era  un  ricordo  dell'antica  via 
che  univa  Pavia  a  Milano  ('■)•  Ora  noi  non  possiamo  sapere  esattamente  donde  il  C/a- 
riciiis  desunse  le  notizie  con  cui  poi  compilò  la  sua  bella  carta  ;  è  certo  però  che 
le  sue  indicazioni  sono  molte  esatte  per  quanto  riguarda  i  monumenti  medioevali  e 
cos'i  anche,  per  quanto  riguarda  gli  editici  più  antichi,  si  accordano  colle  notizie 
dell'anonimo  Ticinese,  il  cui  libro  rimase  forse  ignoto  all'ingegnere  Claricio. 


l'j  II  Clariciu  fu  uno  dei  più  fjrandi  inpcftiicri  idraiilii-i  iloi  sudi  toiiipi,  v.  rniinis.  Iiio<)rafic 
iti  ingctjneri  militari  Jlnliani  dal  secolo  XIV  al  XVIll,  t.  XIV,  paf,'.  731  e  se>r. 

(')  Brambilla.  La  chiena  di  ,t.  Maria  del  popolo. 

Ci  Sarcbbi;  imprudente  il  collci^arc  questo  nome  di  purta  Marioia,  che  .'-i  trova  del  restu  ;-ino 
nel  XII  8CC.,  colla  popolazione  antica  dei  Marici,  abitanti  insieme  eoi  Lacvi  in  que.sto  territorio 
Ticinensc. 

(*)  Vedi  Dante,  Parodilo,  canto  \l\.  v.  lli'i 
)  LanfTo  qucDta  linea  troviamo  i  villa););!  che  portano  il  nome  di  arrus  .ìfarianuf.  ad  .'>epti- 
miim.  ad  fìerimum  e  che  non  sono  che  ricordi  delle  antiche  tahcrnaf.  lun);o  la  strada  romana  di- 
sposte presso  i  miliari.  Un  documento  scoperto  recentemente  nell'Archivio  di  Stato  di  Milano  (\\of. 
Missine,  n.  12,  pais'.  2t'8)  contiene  una  lettera  di  ti.  (Jaleazzo  Visconti,  che  impone  di  tener  libera 
].ir  !••  ••i.r^'    la  v,-.  r)ii  >   %trniii 


REGIONE    XI.  —    83    — 


PAVIA 


Ora  non  ciedo  che  sia  una  supposizione  troppo  ardita  riferire  questa  regolarità 
nelle  linee  generali  della  Topografia  moderna  e  medioovale  di  Pavia  ad  una  remini- 
scenza 0  ad  una  continuità  dell'antica  disposizione  della  città  di  Ticinum.  Richiamo 
un  momento  il  confronto  con  Roma.  Se  v'è  una  città  che  più  sofferse  nella  succes- 
sione del  tempo  per  le  guerre  e  per  gli  spostamenti  edilizi  è  appunto  la  città  tibe- 
rina. E  malgrado  queste  molteplici  vicende  è  notissimo  che  molte  delle  linee  antiche 
si  conservano  anche  nella  topografìa  attuale.  Non  ho  bisogno  di  accennare  il  Corso,  che  è 
l'antica  Via  Lata;  la  Via  Venti  Settembre,  che  è  l'ff/te  Semita  del  monte  Quirinale;  la 
piazza  Agonale,  l'antico  Stadium  Domitiani.  E  tale  conservazione  è  un  fatto  molto  chiaro 
e  spiegabile.  Se  una  città  subisce  una  grande  distruzione  ed  i  suoi  abitanti  sono  im- 
pediti di  farvi  ritorno,  in  modo  che  la  località  resti  abbandonata,  allora,  dopo  appena 
mezzo  secolo,  le  rovine  si  frantumano,  si  forma  un  terriccio  vegetale,  e  l'humus  colla 
sua  verde  coltre  di  vegetazione  cancella  ed  altera  tanto  potentemente  l'antica  forma 
della  città,  che  solo  con  istudì  e  con  scavi  si  può  seguirne  la  traccia.  Se  invece,  ap- 
pena cessato  il  disastro  e  scomparso  ogni  pericolo,  la  popolazione  può  rientrare  nella 
città  e  riaprirsi  una  via  fra  le  rovine,  allora  avviene  che  si  sgomberino  e  si  livellino 
le  macerie,  e  ci) e  si  utilizzino  le  parti  inferiori  degli  edilìzi  per  le  nuove  costruzioni.  In 
tal  caso  una  distrazione,  anche  completa,  ha  per  conseguenza  immediata  l'elevazione 
di  qualche  metro  del  livello  delle  nuove  strade,  che  però  più  o  meno  si  conservano 
nell'andamento  primitivo.  Così  molto  probabilmente  avvenne  di  Pavia.  La  città  che 
i  Romani  costrussero.  fortificarono  ed  abbellii-ono,  non  fu  coinvolta  nella  grande  rovina 
dell'Italia. 

Appena  tocca  da  un  parziale  incendio  dei  Goti  ('),  essa  venne  «  per  divina  virtù 
preservata  dai  Longobardi,  che  la  elessero  a  stanza  e  capitale  del  proprio  regno  »  (-) 
e  quindi  per  tutto  il  lungo  periodo  longobardo  fu  non  solo  conservata,  ma  anzi  ampliata 
ed  abbellita.  Poco  diversa  fu  la  sorte  sotto  il  regno  dei  Carolingi,  durante  il  quale 
probabilmente  avvenne  l'ampliamento  della  seconda  cerchia,  che  rese  la  città  formidabile. 

Il  più  famoso  negli  annali  Ticinesi  è  l' incendio  del  1004  sotto  Enrico  II  il  Zoppo: 
ma  il  fatto,  che  venne  troppe  volte  esagerato,  va  ridotto  nella  sua  vera  misura:  poiché 
r  imperatore,  entrato  senza  contrasti  nella  fedele  Pavia,  ricevette,  in  San  Michele  (?)  la 
corona  ferrea;  ma  in  seguito  ad  una  zuffa  tra  i  cittadini  e  le  soldatesche  imperiali, 
queste  vennero  espulse  dalla  città,  e  l' imperatore  stesso,  precipitato  da  cavallo,  si 
fratturò  la  gamba  destra.  L' incendio  che  si  sviluppò  in  questa  occasione  deve  avere 
danneggiato  qualche  edilìzio  della  città,  ma  non  la  distrusse  completamente,  perchè 
poro  tempo  dopo  troviamo  diplomi  ed  atti  pubblici,  ciie  attestano  come  la  vita  civile 
non  rimase  sospesa.  Più  tardi,  le  lotte  interne  tra  i  Beccaria  ed  i  Langosco  ed  altre 
grandi  famiglie  feudatarie,  e  la  lunga  accanita  contesa  con  Milano  fecero  erio-ere  in 
città  dei  palazzi  fortificati  e  le  famose  torri  del  secolo  XI,  le  quali,  importa  notare, 
sono  tutte  allineate  lungo   i  due    assi   principali  e  le   vie   parallele   della  città.  La 

(')  .luniiiiiJes,  De  bello  'jotico,  e.  3  e  sg.  ;  cf.  F.  Hodglviu.  Italy  and  her  hivaders,  vof.  IH, 
j).  220  e  SL-g. 

^')  Anonimo  Ticinese,  De  land.  civ.  efc.  ci,  §  1. 


PAVIA  —    fii    —  REGIONB    XI. 

dominazione  viscontea  poi  ebbe  per  oflfetto  di  dare  uno  splendore  ed  uu  ordine  alla 
città  che  si  manifesta  nelle  pitturi-  murali  citate  e  che  trasparo  altresì  dalle  lettere 
uu  jtoco  onfaticho.  ma  non  del  tutto  false,  del  grande  Petrarca. 

Da  quanto  ho  sino  a  qui  esposto  appare  verosimile  che  le  linee  dell'attuale  Pavia 
ricordino  in  generale  quelle  dell'antica  Ticinuui.  Però,  ad  onore  del  vero,  debbo  ri- 
conoscere che  noi  siamo  assai  poco  informati  sulla  disposizione  della  città  all'epoca 
romana.  Noi  sappiamo  solo  che  il  luogo  era  occupato  da  Laevi  e  da  Marici.  popola- 
zioni Liguri,  secondo  Livio  e  Plinio,  Galliche  invece,  secondo  Polibio  e  Tolomeo  (')• 
Visitato  dai  Romani  al  tempo  delle  guerre  coi  Galli  e  della  seconda  guerra  punica, 
è  probabile  che  questo  luogo  ricevesse  uno  stabilimento,  forse  una  colonia  militare 
quando  nel  567  d.  R.  fu  costrutto  quel  prolungamento  della  via  Emilia  che  moveva 
da  Placeutia  e  Crenxona  e  veniva  a  Ticinum,  per  dividersi  poi  nei  due  grandi  rami, 
uno  per  Mediolanum  e  le  regioni  alpine  della  Retia,  l'altro  verso  ovest  per  la  Gallia  (-). 
È  probabile  allora  che  questo  stanziamento,  che  divenne  più  tardi  municipio  {C.  I.  L.  \. 
6419)  avesse  la  forma  regolare,  quadrata  che  fu  propria  della  colonia,  come  del 
campo  militare,  e  come  della  città  italica  in  generale,  colle  sue  grandi  vie.  orientate 
secondo  i  punti  cardinali,  e  tagliate  ad  angolo  retto  {^).  Ora  questa  forma  tipica  del 
castro  romano,  salta  subito  agli  occhi  a  chi  osserva  la  pianta  di  Pavia,  come  vedesi  nella 
tig.  0  qni  aggiunta,  ove  suno  indicate  lo  parti  corrispondenti  alla  più  interna  cerchia. 
Ci  presentano  esse  perfettamente  la  forma  dell'accampaniento  romano,  come  ognuno  può 
riconoscere  confrontando  la  nostra  pianta  con  quella  del  castro  romano  secondo  gli  studi 
diligenti  del  Domazeswski,  del  Marquardt,  del  Nissen  {*).  Al  punto  A  corrisponde  la 
]or/a  praelon'a:  al  punto  B  la  por/a  decumana  \  la  linea  E  F  corrisponde  alla  via 
quintana;  la  linea  CD  alla  via  princijialis  coWe  relative  porte.  Noto  anche  come  la 
parte  più  regolare  e  più  interna  di  Pavia  ha  le  misure  di  circa  1100  m.  periato, 
(jual'era  appunto  il  castro  romano  d'una  sola  legione,  colle  sue  aggiunte  e  col  suo 
bagaglio  (•'). 

Debbo  inoltre  ricordare  che  nelle  vie  principali  della  città  moderna,  nel  punto  in 
cui  intersecavano  la  cinta  detta  dall'anonimo  vetustissima  interior,  disegnata  nella 
carta  del  Claricius  come  quadrata  e  regolare,  esistettero  sino  al  principio  di  questo 
secolo  alcune  porte  antichissime,  dagli  archi  di  pietra  profondamente  interrati,  e  che 
gli  scrittori  pavesi,  di  comune  accordo,  chiamano  archi  Romani.  Così  sulla  linea  di 
via  Mazzini  trovavasi  la  porta  Palaconse,  con  alcuni  resti  d'un  edificio  grandioso,  incor- 


(')  Plinio,  h.  H.  Ili,  17,  12  J:  Ticinum...  conditum  a  Laevis  et  Mariciis,  Li<iurum  populis"  ; 
coni  pure  Livio,  V,  %'ì,  2.  u  Antiquam  gcntem  Lacvox  Ligure*,  incolentes  circa  Ticinum  amnrm  n. 
cfr.  Tolomeo,  .3.  1.  33.  Polibio,  2.  17.  4.  eh.  Moininscn,  C.  I.  L.  V,  pa?.  015. 

(•)  Livio.  3!>.  2.  Strabo,  V.  11,  ].»?.  217. 

(»)  Polyb.,  VL  :J1.  10.  ro  uiy  avftnaf  ax>'if"  ;i>'f'«i  "ìv  aiQiituiidSiiti  reiQiiytavot'  iaÓTiXef 
poK.  Cfr.  Joseph.  Judaic.  3.  51  :  dtitf/fiQtìtm  ài  nnpf,u,WfJ  ittQnyiavoi,  cfc. 

(«)  Cf.  -Xlfr.  Domaszewski,  llygini  gromatici  de  munitionibui  ra.ttrorum.  Li-ipzip  1887;  Mar- 
qaarilt,  Rrimi»rhe  ."^Inatsverunllung  V",  101  ;  Nissen.  f)as  Tempìum.  llerlin,  IHC!»,  p.  23  e  seg. 
cf.  C.  Kocnen,  /um   Ventandniss  det  Banner  lìfmcrt  lager  in  Banner  Jahrbuch.  1887.  paff.   189. 

(')  Marnn.ir(lf.  op.  e  l»r.  cif. 


REGIONE   XI. 


85  — 


PAVIA 


porato  nella  attuale  casa  Fiorar;  più  a  sud,  sulla  linea  di  via  Garibaldi,  parallela 
a  quella  prima,  esisteva  la  porta  s.  Giovanni,  atterrata  nel  1818,  alla  quale  si  col- 
lega la  tradizione  dell'  ingresso  di  re  Alboino,  condottiere  dei  Longobardi.  Xell'estre- 
mità  opposta  della  cittil,  ad  ovest,  via  Cavour  era  intersecata  da  porta  Jlaricia,  o 
Marenga,  conservata  sino  al  182.')  ('),  poco  lontano  dalla  quale  v'era  la  nota  statua 
del  Muto  dell'Accia  al  collo,  rappresentante  un  magistrato  romano,  avvolto  nella  toga. 


F:g.  6. 


E  anche  interessante  notare  che  al  di  fuori  della  cinta  delle  mura,  in  cui  queste 
porte  romane  erano  poste,  si  estendevano  i  cimiteri,  sacri  in  tutto  il  medioevo  per 
le  reliquie  dei  martiri  e  di  tutti  i  vescovi  pavesi;  e  non  voglio  scordare  una  notizia 
dell'Anonimo  del  più  alto  valore,  che  cioè  fuori  dtdla  prima  cerchia  di  mura,  accanto 
al  monastero  di  s.  Maria  in  Pertica,  dalla  parte  orientale  della  città  si  erano  trovate 
insieme  a  tombe  ad  inumazione  della  età  cristiana,  i  vasi  di  terra  dove  gli  antichis- 


{')  Tcunzio,  La  statua  del  muto  dell'Accia  al  collo.  Pavia  1S5.5.  Questa  famosa  statua  è 
ancora  al  suo  posto,  o  poco  lontano,  ed  !•  importante  ricnnlari'  cnine  ad  essa  si  Cidlei;a  tii(ta  una 
letteratura  di  pallidore. 


PAVIA 


—    8(.i    —  REGIONE    XI. 


simi  riponevano  le  ceneri  dei  loro  morti.  Non  vogliamo  noi  vedere  in  queste  parole 
mi  ricordo  di  qualche  antico  sepolcreto  romano,  allineato  lungo  le  vie  che  furono  già 
estraurbane  e  poi  incorporate  nell'aliitato  d'etii  più  recente? 

Se  queste  mie  osservazioni  rL-uJoiio  in  qualche  modo  evidente  che  in  parte  almeno 
le  linee  generali  dell'attuale  cittìi  ripetono  quelle  della  città  romana,  mi  si  conceda 
di  aggiungere  una  considerazione  che  non  mi  sembm  trascurabile.  Se  si  esamina  la 
pianta  di  Pavia,  si  trova  ohe  l'asse  did  ponte,  non  è  in  perfetta  coineidenza  con  quello 
del  Corso  Vittorio  Emanuele,  ma  che  questo  è  alquanto  piii  inclinato  verso  nord  nord-est, 
e  come  le  altre  linee,  normali  alla  principale,  della  via  Garibaldi,  Mazzini,  Cavour 
e  parallele  non  corrispodono  esattamente  alla  linea  astronomica  est-ovest,  ma  hanno 
un'inclinazione  verso  sud  di  13°,  liO',  15". 

Questo  fatto  sulle  primo  sorprende,  perchè  è  naturale  domandarsi  il  perchè  di 
questa  curva  della  strada  prima  di  giungere  sul  ponte,  il  perchè  di  questa  inclina- 
zione sulla  linea  astronomica.  Credo  che  la  mia  risposta  non  sia  del  tutto  errata. 

Sappiamo  che  tutti  gli  impianti  di  cas/ra,  e  le  fondazioni  di  colonie,  tanto  ita- 
liche die  latine  (forse  anche  elleuiclie  o  indogermaniche)  erano  precedute  dalla  ceri- 
monia ieW augurano,  colla  quale  si  stabilivano  le  prime  mensurae  del  futuro  abitato, 
prendendo  per  punto  di  base  quello  dell'apparente  spuntare  dal  sole  sull'orizzonte; 
con  questo  punto  si  tracciava  la  linea  da  oriente  a  ponente,  poi  la  normale  da  nord 
a  sud,  valendosi  delle  leggi  augurali  e  dei  calcoli  dei  gromalici profcssores  (').  Ora  dal 
precedente  discorso,  credo  di  avere  dimostrato  come  la  città  di  Ticinum,  ebbe  per 
sua  prima  origino  un  castro  romano,  che  successivamente  si  venne  ampliando,  che  ebbe 
molte  vicende,  vide  le  case  ed  i  palazzi  succedere  alle  umili  tende  o  baracche  mili- 
tari, ma  che  conservò  sempre  la  sua  forma  tipica:  e  quindi  è  molto  probabile,  anzi 
vorrei  dire  certo  che  avvenne  anche  per  Ticinum  la  cerimonia  religioso-agronoma  della 
augurano  preliminare. 

Ora  è  noto  che  il  punto  dall'apparente  levata  del  sole  si  sposta  durante  l'anno 
a  nord  etl  a  sud  dell'est  astronomico,  equinoziale:  ed  è  così  che,  applicando  un  sem- 
plicissimo calcolo,  saremmo  condotti  a  stabilire  che  il  momento  in  cui  venne  fatta 
l'osservazione  cardinale  per  il  tracciamento  topografico  del  cas/rum  o  dello  stabili- 
mento romano,  doveva  trovarsi  tra  il  21   settembre  ed  il  21  dicembre,  o  tra  il  21   di- 


(')  C'Ir.  Hytfiuus  (iJoiniiszcwskiJ  e.  1:5.  .J.  hi  profuisons  eius  arlts.  .  .  .  ijromatici  sunt  cogno- 
minati. Nei  lavori  clic  ho  citato  piii  innanzi  del  Legnazzi,  dui  Marquardt,  e  specialmente  nel  lavoro 
cai>ilalc  del  NÌ88en:  Das  Tftnplum  pag.  13  e  seg.;  2.3,  e  scg.  pag.  53  e  scg.,  sono  esposte  con  grande 
larghezza  di  critica  le  fonti  classiche  sul  rito  augurale,  che  appare  fondamentale  nell'edilizia  e  nel- 
l'oconomia  iiolitica  della  Koina  e  dell'Italia  antica,  e  che  è  coordinato  sulle  più  inveterate  credenze 
religiose  della  schiatta  italica,  l^ui  mi  basti  ricordare  il  passo  di  Hyginus.  «  De  limitili,  conslt- 
luendis  pog.  16H:  postea  placuit  omncm  relujionfm  eo  convertere  et  qua  parte  coeli  terra  inlumi- 
natur,  sic  et  limites  in  oriente  constituunlur  «;  cosi  anche  l'altro  dello  stesso  autore  pag.  181 
{aromatici  vet.  ree.  Laclimann):  «  itaque  ti  loci  natura  permittit,  rationem  servare  debemus,  sin 
autem  proximam  rationi;  cfr.  Servius.  Vcrg.  Georg.  I,  120,  cum  agri  colonia  dwidcrentur,  fossa 
ducebatur  ab  oriente  in  occidentem,  quae  cardo  nuncupabatur.  et  alia  de  seplcntrionc  ad  me 
ridiemqui  decimonus  limet  vorabatur  -   Cfr.  Veget.  t.  23;  F.stus.  png.  2'2X  Tacif.  I/nt.  IV.  30,  ecc. 


REGIONE    XI.  87    PAVIA 

cembre  ed  il  lil  marzo,  e  più  precisamente  si  doveva  essere  o  al  12  novembre  o 
air  11   febbraio  ('). 

Se  noi  pensiamo  al  lungo  lavoro  che  doveva  richiedere  la  costruzione  d'una  città, 
che  era  ad  un  tempo  stazione  militare  importante  e  destinata  a  proteggere  la  duplice 
linea  del  Po  e  del  Ticino,  parrebbe  logico  ammettere  che  l'osservazione  «  inaugurale  ■< 
della  futura  Pavia,  venne  fatta  nella  prima  metà  del  febbraio.  Allora  era  prossima 
a  spirare,  la  stagione  delle  nevi,  e  s'aveva  dinnanzi  tutta  la  buona  stagione  per  co- 
minciare a  condurre  a  buon  termine  il  lavoro. 

Questo  fatto  di  eseguire  il  tracciamento  della  città  in  principio  di  primavera,  il 
quale  nei  tempi  primitivi  trova  la  sua  spiegazione  nella  necessità  sopra  accennata, 
ebbe  più  tardi,  come  fatto  antico,  tradizionale  la  sanzione  religiosa;  è  a  questa  che 
si  collega  il  rito,  essenzialmente  italico,  della  primavera  sacra  {ver  sacrum).  E  cosi 
io  spiego  l'obliquità  dell'antico  cardo  dell'attuale  corso  Vittorio  Emanuele,  sulla  linea 
del  ponte:  la  prima  linea  è  collegata  coU'orientazione  della  città,  e  da  questa  dipende 
organicamente  ;  la  seconda  invece  è  determinata  dalla  direzione  della  corrente  del  fiume, 
alla  quale  il  ponte  stesso,  alla  sua  volta,  dev'essere  normale.  E  per  questo  che  anche 
oggi  vediamo  questa  deviazione  conservata  attraverso  i  secoli,  perchè  la  costruzione 
primitiva  della  città  e  del  ponte  dovette  obbedire  a  due  esigenze  affatto  diverse. 

Questi  pochi  appunti,  nella  grande  mancanza  di  notizie  letterarie  ed  epigrafiche, 
possono  servire  come  incentivo  ad  altre  ricerche,  le  quali  a  me  non  sono  ora  possibili 
in  causa  dei  viaggi  impostimi  dalla  mia  qualità  di  alunno  della  Scuola  di  Archeologia. 
E  anche  per  la  stessa  ragione  della  mia  assenza  da  Pavia  che  non  ho  potuto  seguire 
attentamente  i  lavori  che  avvennero  nel  duomo  della  città,  in  occasione  della  costru- 
zione della  facciata.  Essi  sono  stati  diligentemente  sorvegliati  dalla  Commissione  Con- 
servatrice; ed  il  rev.  P.  Moiraghi  ha  dato  alcuni  cenni  su  quei  pochi  frammenti  romani 
che  furono  scoperti  nell'atterrare  alcune  delle  antiche  colonne  della  basilica  di  s.  Maria 
del  popolo,  e  nello  sgombero  del  terreno.  Ma  come  il  signor  prof.  Moiraghi  è  incorso 
in  qualche  inesattezza,  così  credo  dovere  di  dare  qualche  cenno.  Anzitutto  debbo  la- 
mentare la  distruzione  senza  un  piano  ben  delimitato  d'una  delle  prime  e  più  antiche 
basiliche  dell'Italia  settentrionale.  Debbo  anche  aggiungere  che  non  credo  che  il 
rev.  Moiraghi  debba  insistere  più  a  lungo  sulla  antica  idea  espressa  già  dal  Terenzio 
e  dal  Capsoni,  che  cioè  il  duomo  di  Pavia  sia  sorto  sul  posto  di  un  tempio  antico 
e  precisamente  di  Cybele.  Per  lo  meno  la  prova  su  cui  tutti  questi  scrittori  si  basano 
sono  insufficienti.  È  noto  che  nell'interno  dei  piloni  compositi  della  chiesa  romana  si 


(')  Questo  calcolo  astronomico  cht;  troviamo  cliiaramentc  esposto  dal  dott.  B.  Tiele,  Astrano- 
mische  hùlfxtafdn  aggiunte  all'opera  già  citata  più  volte  dal  Nisscii,  condusse  a  risultati  sorpren- 
denti come  a  risolvere  alcuni  punti  controversi  nella  topografìa  dell'antica  Atene,  sulla  fond.izionc 
di  alcuni  templi  (v.  p.  es.  Penrose  An  investigation  of  the  pnnciples  of  Athenian  Arckitecturo.  p. 
2.  Ediz.  pag.  8;  cfr.  Koehler  Der  S&dabhang  der  Akropolis  su  Athen  in  Ath.  Mittheil.  II,  171-186; 
229-260).  E  cos'i  pure  giovò  al  eh.  prof.  Tacchini  per  determinare  la  data  di  impi.anto  di  alcune 
delle  stazioni  dette  le  terramare  e  specialmente  di  quella  grandiosa  e  recentemente  esplorata  di 
Oastellazzo  (v.  l'igurini  Monumenti  antichi  pubblicati  per  cura  dell' Accademia  dei  /,m«»,  Roma  1889, 
I.  )iag.  1.34;  cfr.  Nuove  Scoperte  ecc.,  Roma  .\ccad.  Lincei  189'1.  n.  3  e  seg.). 


l'AViA  —    88    —  REGIONE    XI. 

trovarono  dei  fusti  di  colonna,  decisamente  romani,  che  furono  posti  dagli  architetti 
por  formare  una  specie  di  nucleo  al  pilone  stesso.  Queste  colonne  sono  state  ritenuto 
l'avanzo  d'un  tempio  pagano,  cupeito  e  coinvolto  dal  tempio  cristiano.  Debbo  anzi- 
tutto mostrare  che  tutte  le  colonne  non  solo  sono  di  marmi  diversi,  ma  sono  di  mo- 
duli 0  di  stili  all'atto  diversi,  in  modo  che  si  dovrebbe  pensare  a  un  edifìcio  di  tanti 
stili  di  cui  non  abbiamo  esempio  abun.i.  Rivedendo  i  miei  appunti  trovo  per  esempio 
queste  indicazioni: 

rt)  fusto  di  colonna  spezzato,  di  marmo  di  Verona  (breccia)  senza  scanalature, 
lungo  m.  4.47:  dm.  della  base  cm.  65,  del  fusto  cm.  55; 

b)  troncone  di  colonna  di  marmo,  probabilmente  apuano,  lungo  m.  2,34. 
diam.  0,85.  La  colonna  è  di  stile  composito,  cioè  le  scanalature  corinzie  sono  ricolme, 
in  luogo  di  essere  concave:  larghezza  delle  scanalature  m.  0,08; 

e)  altro  troncone  di  colonna,  pure  di  marmo  apuano,  lungo  m.  1,70,  dm.  57  cm. 
Le  scanalature  che  sono  pure  ricolme,  come  nel  frammento  precedente,  sono  ampie  cm.  6. 
Disfirraziatamento  non  trovo  altra  misura  delie  varie  colonne  rinvenute  nello  scavo, 
come  pure  ho  smarrita  una  piccola  pianta  da  me  fatta  per  indicare  il  posto  delle  vario 
colonne  e  dei  vari  tronconi  nell'interno  dei  massicci  pilastri  della  antica  basilica.  Ma 
mi  conforta  l'idea  che  non  siamo  autorizzati  a  ritenere  che  si  possa  da  questi  vari 
avanzi  farsi  un  concetto  dell'edificio  romano  che  avrebl)e  preceduto  la  iirimitiva  chiesa 
lombarda.  Clie  anzi  io  insisto  nell'opinione  che  l'architetto  o  i  mastri  fabbricatori 
abbiano  raccolto  il  materiale  da  edifìci  più  o  meno  vicini  nella  città,  e  che  nella 
grande  scarsezza  di  pietre  nella  pianura  alluvionale  di  Pavia,  e  colla  difìicoltil  estrema 
di  procurarle  da  lontano,  data  la  infelice  condizione  della  viabilità  dell'alto  medioevo. 
siano  anche  andati  a  cercarli  lungo  le  vie  che  uscivano  dalla  città,  la  maggior  parte 
dello  quali  erano  di  origine  romana.  Io  ne  vedo  una  prova  in  questo  fatto  che  uno  dei 
tronchi  di  colonna,  e  forse  non  è  il  solo,  che  facevano  da  nocciolo  ai  pilastri,  non  ò 
che  un  milliario  romano.  Quando  io  lo  ho  veduto,  esso  giaceva  nelle  macerie,  capovolto 
e  quasi  coperto  dai  rottami,  ma  col  [lermesso  doU'iug.  direttore  dei  lavori,  ho  potuto 
vedere  le  traccie  dell'iscrizione.  Il  milliario  è  una  colonna  di  granito,  alta  m.  0,()5  che 
sorge  su  basamento  di  cm.  64  X  64  di  base,  e  di  87  di  altezza;  nel  punto  dove  il  fusto 
si  innesta  sulla  base,  si  trovano  quattro  rotondi  ovoli,  che  o;a  sono  smussati.  Quello 
che  si  può  scorgere  dell'iscrizione  ò  assai  poco;  dall'esame  ripetuto  della  pietra  e  dei 
calchi  che  ne  ho  tratti,  ho  potuto  avere  solamente  questo  lettere,  che  trascrivo  nella 
loro  posizione: 

IMPgg 

ildllil 

ESÌiS 

leiiiEi 

iP    •    VI 
cioè  :  imp{erator  Antó)nin{us '«)/'•  ^ 


REGIONE    XI. 


—   89    — 


FORNOVO    S.    GIOVANNI 


Questa  iscrizione  aviubbe  poco  valore  per  la  topografia  della  antica  regione  tici- 
nese, se  non  ne  esistesse  un'altra  consimile,  trovata  a  Cuttiae  nel  territorio  ticinese, 
in  cui  si  legge  :  impei:  \  Antodi iias  \  pius  Au[/  \  poai  \  curavil  \  Iviii. 

Col  confronto  di  questo  niilliario  che  conta  le  miglia  della  via,  che  conduceva 
ad  Angusta  Taiiriaorum,  cominciando  probabilmente  da  Placeniia,  io  credo  di  dire 
che  il  niilliario  da  me  esaminato,  appartenesse  alla  medesima  via  da  Ticinum  a  Lau- 
mellum -gìh  sopra  citata.  Quanto  alla  cifra  {m).p.  VI,  che  è  sicura,  mi  pare  di  poter 
ritenere  che  almeno  i  milliarì  più  vicini  a  Pavia  portassero  le  indicazioni  della  di- 
stanza a  partire  da  questa  città,  e  poi  si  riprendesse  la  numerazione  da  Placentia^ 
che  è  necessaria  ammettere  per  comprendere  la  cifra  di  L  V/ff,  del  resto  non  sicura, 
sul  miniarlo  di  Cottiae  (Cozzo).  Si  vedo  adunque  che  i  muratori  ed  i  mastri  anda- 
rono a  cercare  le  pietre  da  lungi,  e  trovarono  atta  allo  scopo  la  colonna  milliaria. 
Un'altra  prova  di  questo  fatto  è  dato  anche  dal  piccolo  cippo  funerario,  rinvenuto 
nelle  macerie,  intitolato  a  Caelia  Materna  {Notule  1893,  p.  348). 

Questa  iscrizione  che  rammenta  la  famiglia  Caelia  assai  diffusa  sotto  l'impero 
nell'Italia  superiore  (cf.  C.  I.  L.  V,  6827  Aug.  Praetoria;  6680  Vercellae  etc), 
doveva  senza  dubbio  trovarsi  nelle  necropoli,  che  massime  nell'età  imperiale  erano 
fuori  della  città  ;  e  dalla  necropoli  dovè  essere  tolta  per  formarne  materiale  di  costru- 
zione. Sino  a  nuova  prova  perciò  credo  infondata  l'ipotesi  che  nel  posto  dell'attuate 
duomo  di  Pavia  sorgesse  il  tempio  di  Cybele  (').  A.  Taramelli. 


Nuove  scoperte  di  antichità  nella  provincia  di  Bergamo. 

III.  FORNOVO   SAN  GIOVANNI  —  Scoperte    di    non    comune  importanza 
avvennero  nel  territorio  continuamente  esplorato  e  non  mai  esausto  del  nostro  Fornovo 

s.  Giovanni. 

Nella  primavera  del  1892,  in  occasione  di  lavori  agri- 
coli del  podere  Brolo,  di  proprietà  Gallavresi,  a  m.  0,50 
del  soprassuolo  si  incontrò  una  specie  di  pilastro  in  mura- 
tura, largo  m.  1,50;  il  quale  alla  profondità  di  m.  1,00 
posava  sopra  un  pavimento  di  ciottoli.  Lì  presso,  ed  alquanto 
al  di  sopra  del  piano  dell'acciottolato,  si  trovò  una  testa 
marmorea,  virile,  di  grandezza  naturale,  alta  m.  0,3;i. 
della  quale  offriamo  qui  una  riproduzione  tolta  da  ima  fo- 
tot'rafia.  È  sufficientemente  conservata,  se  si  eccettua  un'otfesa 
non  grave  al  naso,  ed  altra  meno  grave  ncU'  occhio  sinistro, 
e  per  amichevole  deferenza  dei  signori  Achille  e  dott.  Emilio 
Gallavresi,  fu  da  me  acquistata  per  la  mia  raccolta  di  anti- 
chità fornovesi. 


(')  Vedi  Tercntio,  D'un  monumento  scoperto   nell'anno  18.Ì9   nella   cattedrale  di  Pavia,  cf. 
Cixpsoni,  Memorie  Isteriche  della  R.  Città  di  Pavia,  1782,  I,  p..  2.">0. 

Ci-ASSK  DI  SCIENZE  MORALI  cc<5.  —  Memorib  —  Vol.  II,  Serio  5",  parte  2»  12 


FORNOVO    S.    GIOVANNI  —    90    —  REGIONE    XI. 


Pare  assai  probabile  die  nou  ad  un  busto,  ma  abbia  appartenuto  ad  una  statua, 
non  formata  da  un  pezzo  solo,  ma  con  la  testa  riportata,  come  si  deduco  dal  tajjlio 
del  marmo  nell'attaccatura  del  collo.  Ma  uuU'altro  può  dirsi  con  certezza  intorno  al 
porsonag«jio  di  cui  il  marmo  ora  dissepolto  dovè  rappresentare  le  sembianze  in  ma- 
niera assai  perfetta.  K  probabile  che  sia  stato  qualche  cittadino  insigne  od  altra 
persona  benemerita  dell'antico  Forum  noviim  ;  ma  se  trattisi  di  una  statua  onoraria 
posta  nel  Foro  od  in  qualche  edificio  pubblico,  ovvero  se  trattisi  di  semplice  ritratto 
posto  sul  sepolcro  di  qualche  ricco  od  insigne  cittadino,  nulla  si  può  conoscere. 

Nel  campo  attiguo  all'aia  del  Hrolo,  fu  trovata  molti  anni  or  sono,  e  conservata 
in  posto  una  specie  di  base  marmorea,  ma  senza  epigrafe. 

Essendomi  recato  sul  luogo  ove  avvenne  la  scoperta,  ebbi  la  fortuna  non  solo  di 
assistere  agli  scavi  che  vi  si  fecero  presso  il  cos'i  detto  pilastro  ;  ma  ancora  di  acqui- 
stare i  seguenti  oggetti,  tutti  spettanti  a  due  separati  trovameuti. 

Provengono  dai  «^  Casaretti  '  proprietà  Carminati,  quelli  che  qui  si  notano  e  ciie 
formavano  il  corredo  di  una  tomba  a  cremazione. 

1.  Vaso  ossuario  in  terra  rossastra,  frammentato,  con   residui  di  ossa   bruciate. 

2.  Metà  inferiore  di  vasetto  bruno  rossastro,  in  forma  di  calice  a  base  piatta, 
ornato  da  doppi  cerchietti,  stampati  a  creta  molle;  diam.  del  fondo  m.  0.04:  alt.  0,U8. 

3.  KotcUa  di  bronzo  di  grosso  cordone  fuso,  a  sezione  elittica.  adorno  nella  peri- 
feria da  14  bottoni  equidistanti;  diam.  0,045. 

4.  Rotella  simile,  ma  di  cordone  un  poco  meno  grosso,  e  mutila  por  antica  frattura. 

5.  Frammenti  di  due  rotelle  simili. 

G.  Rotella  di  grosso  cordone  cilindrico,  ornato  nella  periferia  da  sei  anitrelle; 
diam.  m.  0,04.5. 

7.  Pezzo  di  lamina  pure  di  bronzo  appartenente  ad  un  vaso. 

Questi  oggetti  trovano  riscontro  in  quelli  delle  tombe   di   Brambate-Sotto    (cfr. 
Mantovani,  Not/sie  archeologiche  bergomeiìsi,  1884-181*0  p.  ò2,  72). 
Provengono  dal   -  Castelletto  » ,  proprietà  Santoni  i  seguenti  : 

8.  Lama  bitagliente  di  pugnale  in  bronzo,  a  foglia  di  ulivo,  con  due  fori  nel 
codolo,  ed  i  relativi  chiodetti  ])er  riiiiinanieatura;  lunga  ni.  o.ir.  :  larghezza  mas- 
sima m.  0,017. 

9.  Grosso  anello  del  diam.  interno  ili  m.  0.032  con  castone  a  targhetta. 

10.  Da  questo  predio  pervenne  alla  mia  raccolta  un'urna  cineraria  fittile,  che  pre- 
senta tutti  i  caratteri  delle  terrocotte  preistoriche;  con  la  quale  urna,  circa  l'età,  sono 
in  rapporto  i  bronzi  qui  accennati. 

In  questa  stessa  mia  visita  sul  luogo  ove  si  rinvenne  la  testa  mannorsa,  sempre 
coU'assistenza  dei  signori  fratelli  Gallavresi,  potei  tentare  un  altro  scavo  nell'area 
del  virino  podere  Cosala  Grande.  K  quivi,  alla  profondità  di  in.  0,.")0.  trovai  una  va- 
sca, proliabiiincnte  per  bagno,  alta  m.  1.00,  chiusa  da  pareti  in  laterizi. 


REGIONE    XI.  —    91    —  BARIANO,    BRIGNANO 


IV.  BARIANO  —  Presso  un  campo  del  convento  di  Banano,  scavandosi  una 
fossa  per  gelsi,  si  scoprì  una  tomba  formata  di  tegole  romane  anepigrafi,  poste  a 
tetto.  Vi  era  dentro  uno  scheletro;  nò  si  seppe  di  oggetti  di  corredo  funebre  che  vi 
si  fossero  rinvenuti. 


V.  BRIGNANO  —  A  poca  distanza  dal  paese  di  Hrignano  {Dregnaiium  : 
anno  847),  in  una  cava  di  ghiaia  recentemente  aperta  nel  predio  Broda,  proprietà 
del  sig.  Francesco  Carminati,  a  circa  m.  0,80  dal  piano  attuale  di  campagna,  si  scopri 
una  sepoltura  romana.  Lo  scheletro,  ben  conservato,  stava  in  direzione  sud-est  nord- 
ovest, ed  aveva  ancora  coperta  la  sola  parte  superiore  da  tre  tegoloni  anepigrafi  e  rotti. 
A  lati  del  cranio  si  raccolsero  gli  oggetti  che  seguono: 

1)  Anforetta  fittile  giallastra  alta  m.  0,21.  Non  deve  essere  comune  nella  sup- 
pellettile delle  nostro  tombe,  perchè  è  ora  la  prima  volta  che  mi  accade  d'incontrarne. 
Un  vaso  simile,  ma  con  una  sola  ansa,  fu  esumato  a  Ticengo  (Soncino)  da  una  tomba 
romana  dell'epoca  degli  Antonini. 

2)  Ai-milla  in  bronzo  coll'asticciuola  finiente  a  testa  di  seqje;  diam.  m.  0,042. 
Una  simile  ne  fu  scoperta  nel  predio  Guadali  a  Zanica. 

Un'altra  sepoltura,  costruita  come  la  precedente,  conservava  dello  scheletro  sol- 
tanto il  cranio,  ed  è  molto  probabile  che  fosse  stata  già  esplorata  in  antico  ;  il  che, 
del  resto,  era  anche  desumibile  dalla  condizione  smossa  in  cui  fu  trovato  in  quel  punto 
il  terreno.  Sotto  i  laterizi  che  coprivano  il  cranio  si  raccolsero: 

3)  Scodella  fittile  rossastra,  a  labbro  espanso  orizzontalmente  all'orlo,  e  con 
beccuccio  per  mescere  il  liquido,  particolarità  che  pure  per  la  prima  volta  riscontro 
nella  numerosa  serie  di  tali  terrecotte;  alta  m.  0,06;  diam.  m.  0,18.     ' 

4)  Aryballos  ventricoso  ansato  e  di  corto  collo,  di  pasta  ordinaria  rossastra  ; 
alto  m.  0,14.  Simili  si  scoprirono  nel  Campo  s.  Giuseppe  a  Zanica. 

5)  Fibbia  in  bronzo  da  cintura,  con  gancetto  mobile,  di  forma  comune,  lunga 
m.  0,04. 

6)  Anelletto  di  bronzo  ;  diam.  di  m.  0,02. 

7)  Altro  anelletto  simile,  risultante  da  un'asticciuola  cilindrica  ripiegata  alle 
estremità  ;  diam.  0,02. 

8)  Laminetta  pure  di  bronzo  usata  per  rivestimento  di  cintura,  ed  ornata  da 
puntini  traforati  agli  orli;  larga  m.  0,02. 

9)  Pezzetto  di  lamina  in  ferro,  irriconoscibile  per  corrosione. 

Non  avrei  raccolto  queste  notizie  senza  1'  avviso  e  l'assistenza  dell'  egregio  si- 
gnor Francesco  Carminati  di  Brignano,  amante  delle  memorie  patrie,  al  quale  sono 
lieto  di  esprimere  la  mia  gratitudine. 


CULOQNO   AL  SERIO,   MOZZANICA,   OSIO     —   92    —  REGIONE   XI 


VI.  COIjOGNo  al  serio  —  l'iesso  la  cascina  Caiitaiaiia,  nel  comuiie 
(li  Cologno  al  Serio,  da  un  campo  gliiaioso,  posseduto  da  Caniiiuuti  Giuseppe.  In 
estratto,  a  u».  0,75  di  profoiiditù,  un  coltello  di  ferro,  a  grossa  costola,  lungo  nella 
lama  iii.  0,20,  nel  codolo  ui.  0,08. 

Stava  di  fianco  ad  uno  scheletro  di  uomo,  sepolto  in  piena  terra.  Cotali  armi  si 
giudicano,  corno  è  noto,  più  specialmente  usato  nel  basso  impero  e  nell'epoca  barbarica. 


VII.  .MO//.VNICA  —  Nel  predio  del  sig.  Gustavo  Camozzi.  situato  assai 
prossimo  al  comune  di  Mozzanica.  tra  le  radici  di  un  albero  divelto  da  un  turbine, 
fu  trovato  un  bollissimo  cimelio  dell'  epoca  litica  primitiva.  K  un  pugnale  di  selce 
nera  trascheggiata,  perfettamente  conservato;  lungo  m.  0,11,  largo  a  metà  della  lama 
m.  0.n4.  Sebbene  iiell'insienie  alibia  figura  quasi  romboidale  od  a  foglia  di  lauro,  pure 
mostrasi  alquanto  ristrutto  nel  codolo  e  ciò  per  opiiortunità  dell'immanicatiua. 

Di  tali  armi  parlai  nella  mie  Notizie  archeologiche  bergomensi,  1882-83,  p.  134 
e  sgg.  Debbo  solo  aggiungere,  che  questa  scoperta  accresce  l'importanza  paletnologica 
della  stazione  di  Mozzanica,  mai  esplorata  a  scopo  scientitico. 

Certo,  che  senza  l'intelligente  premura  del  sig.  Camozzi,  nemmeno  quanto  vi 
fu  trovato  siuora,  in  occasione  di  lavori  agricoli,  noi  conserveremmo  ed  avremmo 
potuto  salvare  dalle  dispersioni. 


Vili.  OSIO  SOPllA  —  Sulla  line  del  febbraio  1891.  nello  scavar  forse  per 
piantagioni  di  gelsi  in  podere  Casello  di  proprietà  Mongili,  alla  profondità  di  m.  0,(50 
e  distante  m.  20O  tanto  dall'ospitale  che  dal  cimitero,  si  scopersero  in  piena  terra 
tre  urne  titUli  os^uarie,  come  quelle  di  Brenibato  Sotto,  posto  in  linea  retta  ed  a  circa 
m.  (J,50  l'ima  dall'altra.  Secondo  il  referto  dello  scavatore  Moretti  Angelo,  le  due 
più  piccole  non  contenevano  che  i  residui  della  cremazione;  nella  maggiore,  invece, 
frammisti  sul  fondo  colle  ceneri,  si  raccolsero  i  seguenti  bronzi,  i  soli  salvati  dalla 
distruzione. 

1)  Quattro  anelli;  due  del  diam.  di  in.  0,03;  e  duo  del  diam.  ili  m.  0,02. 

2)  Anello  di  lega  biancastra;  diam.  0,03. 

3)  AnoUetto;  diam.  m.  0,012. 

4)  Stalla  scanalata  di  grossa  fibula,  lìniente  a  globetto. 

5)  Fibula  serpeggiante  od  a  drago,  col  dischetto  fisso  nell'arco,  mutila  nelle 
estremità. 

6)  Socchietto  per  pendaglio,  col  foro  poco  sotto  le  estremità  del  manico. 

7)  Lamina  di  metallo  bianco,  che  secondo  l'analisi  fattane  dal  chimico  dott. 
Pietro  Giacomelli,  risultò  essere  una  lega  di  rame,  manganese,  antimonio  ed  arsenico, 
analoga  certamente  a  quella  dell'anello  sopra  citato. 

E  poiché  oggetti  simili  a  questi,  eccettuato    l'ultimo,  si   rinvennero  noi   sepol- 
creto di  Hrembate   Sotto,    spettante   al    terzo    periodo    della   prima    età   del    ferro 


REGIONE    VII.  —   93    — 


AREZZO 


(cfr.  Mantovani,  Notisie  archeol.  herfj.,  1 884-1890),  crediamo  con  tutta  ragione  do- 
versi attribuire  al  periodo  uiede.siino  anclie  le  urue  del  Casello. 

¥j  così  ci  viene  indicata  nel  nostro  territorio  una  nuova  stazione  preromana,  me- 
ritevole di  sistematiche  indagini. 

G.    M.\NTOVANI. 


Rkgione  Vir  (KTRURIA). 

IX.  AREZZO  —  Nuove  indagini  nell'orlo  di  Santa  Maria  in  Gradi, 
nel  luogo  ove  avvennero  le  scoperte  delle  figuline  di  Marco  Perennio. 

La  direzione  del  Museo  civico  di  Arezzo  fece  intraprendere  nuove  indagini  nell'orto 
di  santa  Maria  in  Gradi,  entro  la  città,  nel  luogo  ove  si  scoprirono  le  figuline  bel- 
lissime di  Marco  Perennio  {Notizie  1884,  ser.  4^^,  voi.  I,  p.  83,  tav.  I,  II,  III). 

Si  recuperarono  esemplari  delle  splendide  forme  di  Niceforo,  di  Cordone,  di  Pi- 
lade  e  di  Tigrane,  e  frammenti  che  rappresentano  il  prodotto  dell'ultimo  periodo  della 
fabbrica  perenniana,  quando  vi  lavorarono  Bargate  e  Crescente. 

Affatto  singolari  e  nuove  le  formo  decorate  con  figurine  in  caricatura,  riprodu- 
centi  scene  comiche.  Di  tali  forme  non  comparse  finora  tra  i  fittili  aretini,  abbiamo 
una  intiera  e  vari  frammenti  di  altre. 

Si  comunica  per  ora  questo  annunzio  sommario  in  attesa  delle  ampie  notizie 
che  si  aspettano  intorno  a  questi  trovamenti. 


X.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  TV.  —  Sono  state  continuate  le  escavazioni  nella  cella  del  tempio  di 
Venere  e  Roma,  delle  quali  fu  data  notizia  nello  scorso  mese  di  febbraio  (p.  .58).  Fra  le 
terre  si  sono  trovati  altri  frammenti  delle  colonne  di  porfido  che  ornavano  quel  san- 
tuario ;  una  base,  parimente  di  porfido,  del  diametro  di  m.  1,03;  e  vari  frammenti  di 
fregi  e  di  capitelli  marmorei. 

Regione  VI.  —  Nel  cavo  per  costruire  una  piccola  fogna  entro  l'area,  ove  si  sta 
edificando  la  nuova  cliiesa  americana,  presso  l'angolo  di  via  Firenze  e  via  "Venti  Set- 
tembre, è  stato  recuperato  un  braccio  di  statua  marmorea  lungo  m.  0,48,  di  buona 
fattm-a  e  bene  modellato,  mancante  delle  estremità  della  mano. 

Sottofondandosi  un  casamento  in  via  Cadorna,  di  fronte  al  Ninfeo  degli  Orti 
Sallustiani,  si  sono  rinvenuti,  alla  profondità  di  ni.  13,  due  pezzi  di  cornicio^  inta- 
gliato in  marmo,  con  ovoli  e  dentelli,  di  buon  lavoro  e  benissimo  conservati.  Uno 
dei  frammenti  misura  m.  0,55  X  0,15,  l'altro  m.  0,35  X  lo. 


UOMA  —    'J4    —  UOMA 

lìegioiie  IX.  —  Nel  restaurare  una  fogna,  sulla  piazza  di  s.  Stefano  del  Cacce,  si  ò 
trovata  una  lastra  niaruiorea,  scorniciata,  alta  in.  U,47,  larga  ni.  0,58,  che  ora  stata 
adoperata  per  coprire  la  fogna  medesima.  Vi  si  legge  l' isc-ri/iono: 


TTILLIVSTFPA/ 

SAB1NVS7C0H  •  XTT  VRB  li 

POSTVMIA 
PHYLLIS 

FRATRIS  •  VXOR 

CANINIA • MVSA 

CONCVBINA  SABINI 


Regione  X.  —  Restaurata  l'antica  scala,  che  dal  portico  orientale  dello  Stadio 
Palatino  ascende  al  piano  superiore  ed  a  livello  della  grande  loggia  semicircolare 
severiana.  si  è  trovata  una  grande  condottura  di  piombo,  grossa  m.  0,03,  che  corre 
per  tutta  la  lunghezza  della  scala  ed  è  posta  immodiatamente  sotto  il  ciglio  dei  gra- 
dini. Ne  sono  stati  scoperti  per  intiero  quattro  pezzi,  della  lunghezza  di  m.  1.70  cia- 
scuno, cioè  di  sei  piedi  romani,  saldati  fortemente  l'uno  coU'altro,  ed  aventi  il  dia- 
metro maggiore  esterno  di  m.  0,17,  l' interno  di  m.  0,14.  In  uno  ò  impresso  a  rilievo 
un  grande  ramo  di  palma  e  il  segno  numerale  V;  un  altro  porta  due  volte  il  sigillo  : 

IMP-DOMITIANIAVGGERSVBCVRAEPACATHIAVG-L 
PROCFEC-  MARTI  ALIS- ET    ALEX  ANDERSER 

Sul  terzo  e  sul  quarto  tubo  ò  ripetuta  la  medesima  leggenda;  ed  inoltre  in  uno 
è  aggiunto  il  numero  V,  nell'altro  il  numero  ...III. 

Questa  condottura  discendeva  fino  all'antico  piano  della  scala  e  dello  Stadio,  che 
è  stato  riconosciuto  essere  circa  mezzo  metro  sotto  il  jiiano  attuale.  K  quindi  mani- 
festo che  nelle  grandi  rinnovazioni  fatte  da  Adriano  e  da  Settimio  Severo  nello  Stadio 
di  Domiziano,  no  fu  nutabihnento  rialzato  il  livello. 

Altre  fìstule  acquario  col  nome  di  Domiziano,  il  quale  distribuì  in  questa  parte 
del  palazzo  l'acqua  Claudia  derivante  dall'acquedotto  Celiinontano.  sono  state  quivi 
trovate  in  altri  tempi.  Portano  però  i  nomi  dei  procuratori  M.  Arricinio  Clemente  u 
di  Euticho  ;  mentre  quello  di  Epagato  si  legge  soltanto  sopra  un  tubo  trovato  presso 
piazza  di  Spagna  (').  Una  sola  iscrizione  simile  a  quelle  testé  rinvenute,  e  portante  gli 
ste.-<si  nomi  del  procurature  Epagato  e  dei  plumbarii  Jfarziale  ed  Alessandro,  trovasi 
registrata  nellf  mOh'iIc  di'H'Aiiiati.  si-nza  veruna  indicazione  del  luogo  unde  il  tubo 
proveniva  (-). 


(•)  Lanciani,  Silloge  epvfrafica  aquarin.  \\  211-213,  2.T1.  n.  1:?". 
(»J  0.  e.  p.  277.  n.   172. 


ROMA  —    95    —  KOMA 

Spianandosi  poi  il  teiieno  in  prossimità  dei  ruderi  del  palazzo  Severiano.  sul 
lato  volto  ad  oriente  e  dietro  la  grande  essedra  dello  Stadio,  sono  stati  scoperti 
avanzi  di  una  casa  privata  del  primo  secolo,  la  quale  sorgeva  su  quell'ultimo  lembo 
del  Palatino.  No  rimangono  soltanto  alcune  parti  delle  mura  laterizie,  ed  un  fram- 
mento di  pavimento  a  musaico  finissimo,  tutto  bianco,  con  larga  fascia  nera.  Il  piano 
di  queste  stanze  trovasi  circa  va.  12  sotto  il  piano  del  palazzo  di  Severo. 

Fra  .le  terre  si  sono  raccdti  alcuni  frammenti  d'intonaco  finissimo,  di  vivace 
colore  rosso,  ed  altri  piccoli  pezzi  di  colore  giallo  con  liste  rosse. 

Area  del  Policlinico.  —  Sistemandosi  la  strada  d'accesso  al  Policlinico,  si  è 
ritrovata,  fra  la  terra,  a  poca  distanza  dalle  mina  della  cittìi,  una  piccola  base  mar- 
morea, alta  m.  0,34  X  0,18  X  0,22,  mancante  della  parte  superiore.  Sulla  fronte  vi 
sono  scolpite  in  altorilievo  due  figure,  in  mezzo  alle  quali  è  un  tripode.  Esse  sono 
assai  danneggiate.  Nei  due  lati  sono  egualmente  scolpite  due  Vittorie  alate  che  recano 
un  grande  ramo  di  palma. 

Fu  pure  recuperato  nello  stesso  luogo  un  rocchio  di  colonnina  tortile,  di  marmo 
bigio,  alto  m.  0,60  e  del  diametro  di  m.  0,10. 

Alveo  del  Tevere.  —  Per  gli  sterri  che  si  eseguiscono  sulla  riva  destra  del 
Tevere,  nel  sito  appellato  ilontesecco,  e  sulla  riva  sinistra  in  prossimità  del  ponte 
Milvio,  .sono  stati  recuperati  questi  oggetti:  Marmo.  Piede  sinistro  di  statua,  appena 
abbozzato,  lungo  m.  0,22,  rotto  in  due  pezzi.  —  i?/'0/i40.  Uncino,  lungo  m.  0,15.  Tre 
piccoli  frammenti,  forse  di  vaso,  assai  consunti.  Una  fibula,  mancante  dell'ardiglione. 
Quattordici  monete  diverse.  —  Vetro.  Due  piccoli  balsamarì,  iutieri  e"  ben  conser- 
vati. —  Terracotta.  Grande  lucerna  rotonda,  mancante  del  becco,  con  un  tridente 
rilevato  nel  fondo.  Altra  rotonda,  col  bollo  a  lettere  incavate  e  rozze:  FORTIS.  Altra 
più  piccola,  di  terra  gialla,  col  bollo  a  lettere  rilevate  :  FORTIS.  Due  lucerne  grezze, 
di  forma  ellittica,  e  con  largo  becco.  Altra  piccola  bilione,  con  cerchietti  impressi  sul 
piatto.  Manico  d'anfora  col  sigillo  'c  •  AlSTOlf  ■  Qvjìt  |.  Frammento  di  ciotola  are- 
tina, con  testine  e  meandri  nell'orlo  superiore.  Vasetto  grezzo,  alto  m.  0,05,  diam.  m.  0,035. 
Osso.  Spillo,  in  due  pezzi,  rotto  alla  punta,  lungo  m.  0,18. 

G.  Gatti. 

Via  Ostiense.  —  Ad  occidente  del  nuovo  quadriportico  della  basilica  di  s.  Paolo, 
eseguendosi  uno  sterro  per  una  fogna,  si  rinvenne,  a  m.  1,70  di  profondità,  una 
cassa  fittile,  lunga  m.  1,95,  larga  m.  0,4tì,  s^'uza  ornati  di  sorta,  e  rozzamente  lavo- 
rata. Era  chiusa  da  due  tegoloni  bipedali  e  da  due  tegole  battentate,  spezzate  per  la 
pressione  delle  terra  sovrapposta,  e  non  recavano  bolli  figuli.  Neil'  interno  della  cassa 
fu  trovato  il  solo  scheletro,  che  riconobbesi  di  adulto.  La  cassa  era  posta  obliqua- 
mente tra  due  muri  fatti  con  scaglie  di  tufo  e  calce,  spettanti  ad  uua  camera  che 
probabilmente   doveva  contenere  altre  sepolture. 

Il  seppellimento  è  di  età  tarda,  e  precisamente  del  tempo  in  cui  si  usò  seppel- 
lire intorno  o  nelle  vicinanze  delle  basiliche.  L.  Borsari. 


l'ALKSTRIXA,    TKUU\C1NA  —    0(j    —  REGIONE    1. 


Rkoionk  I   (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

XI.  l'AliESTRINA.  —  Dì  una  iscrÌ2Ìoìic  onoraria  a  Traiano. 
Nel  terreno  Galeazzi  suUentrata  della  città,  in  contrada  s.  Hocco,  nell'area  ove 
si  estendeva  la  parte  superiore  deUaiitico  Foro  di  Prenesto,  il  ^'ioriio  15  dello  scorso  feb- 
braio fu  dissotterrata  una  baso  di  statua  inannorea  di  forma  cilindrica.  Ha  nel  vivo 
del  plinto  il  diaui.  di  m.  U,t)!i.  ed  ò  alta  in  tutto  ni.  1,20.  Vi  è  incisa  l'iscrizione 
seguente,  che  ho  trascritta  dal  calco  cartaceo  mandato  al  Ministero  dall'ispettore  sig. 
V.  Cicerchia: 

IMP  CAESARI  DIVI  NERVAEF 

NERVAE  TRAIANO  AVGVST 

GERMANICOPONTIFMAX 

TRIBPOTESTATCOS  IIIIPP 

DECVRIONESPOPVLVSQVE 

Le  lettere  del  primo  verso  sono  alte  mm.  50;  quelle  dell'ultimo  mm.  32;  a  si- 
nistra, in  lettere  alte  mm.  22,  si  legge  : 

DEDICATA  xml  K  •  OCT  • 
TI  •  CLAVDIO  ATTALO   MAMILIANO^ 
T-  SA3IDIO  •       SABINO-  II.  VIR- 

Di  questa  iscrizione  mandarono  apografi  larcliitetto  sig.  D.  Marchetti  e  l'ispet- 
tore sopra  ricordato  sig.  Cicerchia.  Ambedue  notarono  che  il  titolo  onorario  ci  riporta 
all'anno  lOl  dell'era  nuova,  e  che  il  giorno  18  di  settembre,  in  cui  la  statua  a  Tra- 
iano fu  inaugurata,  era  il  giorno  natalizio  di  quell'imperatore. 

L'ispettore  aggiunse  che  vicino  alla  base  .si  rinvenne  un  rocchio  di  colonna  sca- 
nalata di  marmo  bigio,  dell'altezza  di  poco  più  di  un  metro. 

F.  Bar.vabei. 


XII.  TERRACINA.  —  Del  tempio  di  Giove  Anxure,  scoperto  sulla  vetta 
di  Monte  s.  Anfjelo,  presso  la  città. 

Poche  e  scarse  notizie  ci  tramandarono  gli  antichi  intorno  al  celebre  santuario 
di  Giove  Anxure.  Livio  (XXVIII.  11),  enumerando  i  prodigi  avvenuti  nell'anno  548 
della  città  al  tempo  della  seconda  guerra  punica,  ricorda  un  fulmine  caduto  sul  tempio 
di  Giove  a  Terracina  (');  e  poco  dopo  (XL,  45)  mura  di  altri  fulmini  che  nell'anno 
575  caddero  in  vari  luoghi  del  Lazio,  recando  danno  ai  templi,  tra  i  quali  ò  ricordato 
pure  il  nostro  di  Giove  Terracinese  (-). 

(')  In  rivitaU  tanto  discrimine  bolli  toUicita...  multa  prodigio  nunliabanlur:  Tarracinac 
lovis  aedem...  de  cacio  tartam. 

(«)  cadem  tempestai  et  in  Capitolio  aliquot  tigna  prostrava  fulmxnibusquc  compiuta  loca 
deformavit,  aedem  lovix  Tarracinae... 


REGIONE    I.  —    07    —  TERKACINA 

Virgilio  {Aen.  VII,  799)  enumerando  i  popoli  che  preparavansi  a  combattere  con 
Turno,  ricorda  quelli  che 

sacrum  .  .  .  Namici 
litm  arant  Rululosque  exercent  vomere  collcs 
Circaeumque  iugum,  quis  Jujiiritcr  Anxurus  arvis 
praesidet. . . . 

Tale  menzione  ha  maggioro  importanza  per  l'antica  topografia,  poiciiò  dalle  pa- 
role di  Virgilio  ben  intendasi  che  il  culto  di  Giove  Anxure  non  era  ristretto  alla  sola 
città  di  Terracina,  ma  estendevasi  anche  alle  terre  circostanti;  la  qual  cosa  è  con- 
fermata anche  da  Servio.  Sappiamo  inoltre  da  questo  passo  che  il  santuario  doveva 
sorgere  sulla  cima  di  un  monte,  essendo  visibile  da  tutto  il  territorio  circostante,  da 
Ardea  cioè,  presso  cui  scorreva  il  Numicio,  sino  alle  terre  situate  alle  falde  del  Circeo. 
Che  sotto  il  titolo  di  Aiixxr  od  Anxunis  fosse  adorato  Giove  bambino,  sappiamo  per 
mezzo  dello  stesso  Servio,  il  quale  nel  passo  ora  citato,  commentando  i  versi  di  Vir- 
gilio, scrive:  circa  lume  Iraetum  Campaniae  colebatur piier  Jnp2nter,  qui  Anxurus 
dicebatur,  quasi  ava  ^v^ov. 

Ma,  per  quanto  preziosi,  nulla  ci  dicono  questi  ricordi  classici  intorno  al  luogo 
preciso  in  cui  presso  Terracina  il  tempio  fosse  stato  edificato.  Né  giova  ricorrere  alle 
fonti  archeologiche.  È  stato  più  volte  citato  il  denaro  della  gente  Vibia,  in  cui  vedesi 
rappresentata  una  divinità  giovane,  assisa,  con  testa  coronata,  recante  in  una  mano 
lo  scettro,  nell'altra  la  patera,  e  con  la  leggenda  lOVI  AXVR  ('),  il  quale  documento 
che  pure  ha  per  noi  grande  valore,  perchè  ci  conferma  la  notizia  dataci  da  Servio, 
cioè  che  sotto  il  titolo  di  Aiixur  fosse  adorato  Giove  fanciullo,  nulla  aggiunge  per 
la  questione  di  architettura  e  di  topografia. 

Poco  0  nulla  si  occuparono  del  tema  gli  scrittori  moderni,  i  quali  ricordando  questo 
tempio  si  limitarono  per  lo  più  a  riportare  i  passi  di  Livio  e  di  Virgilio,  senza  dir 
nulla  intorno  alla  sua  ubicazione. 

Soltanto  il  Contatore,  meglio  di  ogni  altro  avendo  interpretato  le  scarse  notizie 
dei  classici,  sciisse  che  questo  celebre  sacrario  dovè  sorgere  saprà  opiceni  montis 
Terracinensi  urbi  imminentis,  vulgo  «  il  Monte  s.  Angelo  « ,  sulla  cui  sommità  pose 
anche  l'arce  della  città  volsco-romana  (-).  E  dell'arce,  secondo  il  Contatore,  facevano 
anche  parte  quelle  arenazioni  che  tuttodì  veggonsi  sul  detto  monte,  quasi  avessero 
servito  da  specola  per  osservare  da  lungi  lo  mosse  dei  nemici  {^). 

Del  medesimo  avviso  fu  lo  Smith,  il  quale  parlando  di  questo  tempio  di  Giove 
presso  Terracina  non  esitò  a  dire  clic  molto  probabilmente  esso  sorgesse  nell'acropoli 
dove  erano  ancora  visibili  gli  avanzi  delle  sue  mura  e  lo  sostruzioni  ('). 


(')  Cf.  Eckhel  I,  |i.  lOH;  Oula^ii  .Ued.  Conx.  ji.  .^JW,  n.  10;  F;iliretti   Oloas.  Ital.  col.   123. 

(')  De  hist.  Terracin.  p.  307,  sejr. 

(■■')  Op.  cit.  p.  310. 

(■*)  Dkt.  of  Greck  and  l'oman  ijcoyra/ilu/,  II,  />.  llo|. 

(Jl.vsse  di  scienze  mouam  ecc.  —  Memoiuk     ■  Voi.  II,  .Soli  '  .j\  parte  2»  13 


TKKKACINA 


—    98    —  REGIONE    I. 


Cosi  la  ponsò  auclie  il  sig.  Salvatore  Viuditti,  zelante  ricercatore  delle  memorie 
patrie  ('). 

Ma  in  <;eiierale.  per  qiiaiit*)  ciuictriie  questi  antichi  avanzi  esistenti  sul  Monte 
s.  Angelo,  gli  altri  si  tennero  alla  tradizione  locale  ;  e  cosi  fece  lo  stesso  eh.  De  La 
Blanchère,  a  cui  dobbiamo  i  migliori  studi,  fatti  in  questi  ultimi  tempi,  sopra  le  au- 
tichitri  terracinesi. 

Secondo  il  eh.  autore  (-')  anche  le  grandi  arcuazioni  sono  le  rovine  di  una  caserma, 
o  di  un  prae/oriiim  Theodorici,  e  coeve,  giudicando  dallo  particolarità  tecniche  della 
struttura,  alla  cinta  fortificata  che  dal  vertice  del  colle  discende  sin  presso  la  città, 
cinta  clic  l'autore  denomina  mocnia  nevi  barbarici,  pur  riconoscendo  una  costruzione 
più  diligente  e  perfetta  nelle  arcuazioni  i^). 

Escluso  pertanto  l' intero  monte  s.  Angelo  dal  perimetro  dell'antica  Anxur.  il 
eh.  De  La  Hlanchère  pone  l'arce  in  quella  piccola  elevazione,  a  nord  di  Terracina,  sulla 
quale  sorge  ora  il  castello  medioevale,  ed  ivi  stabilisce  pure  la  sede  del  tempio  di 
Giove  ('). 

E  veramente,  se  non  può  farglisi  colpa  di  avere  prescelta  questa  località  per  la 
sede  dell'acropoli  e  del  tempio,  resta  inesplicabile  come  mai  riferisse  a  cosi  tarda 
età  le  costruzioni  di  monte  s.  Angelo,  le  quali  presentano  subito  il  carattere  di  co- 
struzione romana,  di  oi)era  incerta,  dei  tempi  migliori.  E  tale  infatti  fu  il  giudizio 
che  me  ne  formai,  pur  non  sapendo  quale  attribuzione  dare  a  questi  avanzi,  allorché 
visitai  la  località  per  la  prima  volta,  nel  giugno  del  1891,  unitamente  al  eh.  archi- 
tetto sig.  Giacomo  Boni. 

Le  recenti  ed  importanti  scoperte  che  mi  accingo  a  descrivere  ebbero  origine  \\\ 
opere  che  se  non  possono  diisi  fortuite,  certo  non  erano  dirette  alla  indagine  archeo- 
logica. Perocché,  nel  passato  marzo,  un  tal  Luigi  Antonio  Capponi,  ritenendo  che  sulla 
sommità  del  colle  dovesse  colarsi  una  somma  di  denaro  d'oro,  clandestinamente  re- 
catovisi,  cominciò  a  scavare  una  buca,  lunga  o  larga  '1  metri  circa  (■"■)  ;  e  giunto  alla 
profondità  di  m.  2,50,  incontrò  una  muratiu^  in  calcare  del  luogo,  con  soprappo'^ta 
cornice  di  ottimo  stile. 

Avendo  di  là  a  breve  tempo  avuta  occasione  il  sig.  Pio  Capponi  di  recarsi  sul 
Monte  s.  Angelo,  esaminato  lo  scavo,  e  colpito  dalla  presenza  di  quella  base  scorni- 
ciata, riconobbe  che  essa  apparteneva  al  basamento  di  un  tempio,  anzi  al  tempio  di 
Giovo  Anxure,  che  secondo  l'opinione  da  lui  varie  volte  manifestata,  sorgeva  su  quel- 

(»)  Cfr.  Monografia  della  basilica  cattedrale,  già  antichissimo  tempio  di  Apollo  in  Terracina, 
Foligno,  188.5,  p.  5. 

(')  Terracinc.  Essai  d'histoire  locale.  Fa-^cic.  31,  della  Bihliothì^uc  dcs  Ecohs  Franfaises 
d'Athhiei  et  de  Rome. 

(')  Op.  cit  e.  IX,  pat,');.  102-171  pi.  II.  .\nclu'  il  Wuslplial  (Guida  per  la  campai/na  di  Roma, 
p.  22)  designa  le  costnizidiii  <li  Monte  s.  Angelo  "  un  cimipo  fortificato  del  re  Tcodorico  ». 

{<)  Op.  cit.  pi.  Il,  11.  7. 

(')  Tolpo  questi  particolari  da  una  corrispondenza  del  sig.  ispettore  degli  scavi,  iiig.  Filippo 
Libeniti,  edita  nel  periodico  Arte  e  Storia,  1891,  n.  8.  Debbo  inoltre  rammentare  che  di  <|ucsli 
scavi  diede  contezza  il  oh.  prof,  conim  Francesco  .Vzzurri.  in  un  iirtirolo  inserito  nel  giorn.ile 
l'Italie. 


REGIONE    1. 


—  oy  — 


TERRACIXA 


l'altura.  Ed  in  conferma  di'lla  dotta  tesi  topografica  potè  egli  additare  anche  alcuni 
avanzi  di  pavimento  a  musaico,  rimessi  a  luce  lì  vicino. 

Pigliando  molto  interesse  a  questa  importante  scoperta,  e  secondando  le  premure 
di  vari  egregi  cittadini,  ed  in  particolar  modo  del  predetto  sig.  Pio  C'apponi,  il  Mu- 
nicipio di  Terracina,  proprietario  dell'area,  con  nobile   atto   mise   a  disposizione  del 


FlG.    1. 


Capponi  una  somma  per  cominciare  l'esplorazione  di  quel  luogo.  In  breve  gli  scavi 
fecero  riconoscere,  a  non  grande  profondità,  l'intera  pianta  di  un  tempio  di  forma 
rettangolare,  orientato  da  nord  a  sud,  della  lunghezza  complessivii  di  m.  3;ì,50  X  10,70. 
A  maggiore  intelligenza  qui  se  ne  aggiunge  la  pianta  (fig.  1)  con  le  relative  sezioni 
(lìg.  2.  3)  secondo  i  rilievi  trasmessi  al  Ministero  dal  sig.  ispettore  ing.  P.  Liberati. 


TEKKACINA 


—    lUO   — 


REGIONE   I. 


La  colla,  luiij,'a  in.  ll.lM:  lari^a  ni.  13,00.  con  ingresso  largo  in.  4,98,  costruita 
ad  opera  incerta,  come  tutto  il  resto  del  tempio,  era  esternamente  decorata  con  mezze 
colonne  aderenti  allo  pareti,  e  costruite  pure  ad  opera  incerta,  salvo  la  parte  inferiore 
formata  con  un  mezzo  tiimburo  di  travertino.  Si  scoprirono  alcuni  di  questi  semicilindri 


I  t  •  I  I  I  «  *  m  m 


Fio.  2. 
^(Sezione  trasversale  P  Q  lì) 


di  travertino,  e  parecchi  blocchi  della  fabbrica  sui  quali  risalta  la  parte  superiore  di 
tali  semicolonne.  Rimangono  al  loro  posto  lungo  le  pareti  della  cella  i  blocchi 
squadrati  di  travertino  sui  quali  le  mezze  colonne  venivano  a  posare.  Dal  loro  numero 
sappiamo  che  le  mezze  colonne  erano  sei  su  ciascuno  dei  lati  lunghi,  e  quattro  sul 
lato  di  fondo. 


Fio.  i. 
(Sezione  lonfritndinalc  N  0) 


Noi  centro  di  questo  lato,  nel  punto  segnato  in  pianta  con  la  lettera' E  (fig.  1),' 
rimano  un  basamento  in   lat^jrizi,  con  zoccolo  cornice  o  gola  rovescia,  come  vodesi 
nella  figura  che  qui  appresso  si  aggiungo  (fig.  4).  Kia  destinato  a  .sostenere  la  statua 
della  divinità. 


REGIONE   I. 


—    101 


TERRACINA 


Il  pavimento  è  di  musaico  bianco  a  tasselli  di  calcare,  contoniato  da  una  fascia 
scura  a  tesselli  di  ardesia. 

Il  pronao  lungo  m.  12,80  mostra  sul  prospetto  i  resti  della  gradinata.  Era  de- 
corato con  grandi  colonne  scanalate  e  con  capitelli  di  stile  corinzio,  il  tutto  formato 
col  così  detto  alabastro  delle  cave  del  Circeo.  Dello  colonne  si  scoprì  un  tamburo, 
che  ha  il  diametro  di  m.  0,92  e  si  raccolsero  molti  frammenti  dei  fogliami  dei  capi- 
telli, eseguiti  con  magistero  che  ci  riporta  ai  primi  tempi  dell'impero. 

Lo  stilobate,  assai  bene  conservato  lungo  il  lato  orientale,  è  fatto  con  grossi 
blocchi  di  calcare  con  cornice,  listello,  guscio  e  gola  rovescia,  secondo  il  motivo  che 
qui  è  rappresentato  (fìg.  5). 


Kin,    4. 


FiG.  5. 


Ed  anche  questa  parte,  per  la  eleganza  con  cui  iu  condotta,  va  attribuita  all'età 
tra  la  fine  della  repubblica  ed  il  principio  dell'impero.  All'età  medesima  ci  riportano 
i  bolli  impressi  su  tegoli  e  sugli  embrici  che  si  raccolsero  nello  scavo. 

Alcuni,  con  lievi  differenze  nella  disposizione  delle  parole,  offrono  bolli  già 
noti,  e  del  tempo  sopra  citato. 

Il  primo,  impresso  in  un  pezzo  di  embrice  reca: 


I  EVPQll| 

L  •  DOMITI 
L  VP  I  "«^ 


Ripete  con  diversa  distribuzione  la  leggenda  del  bollo   di    una   tegola  scoperta 
nell'agro  di  Velletri  (C.  /.  L.  X  8043,  55). 

Il  secondo,  pure  impresso  in  im  embrice,  presenta: 


I  PATROSy  US 

L  ■  DOMITI 
L  VPI 


Ripete,   puiC   con   distribuzione   diversa,  il  bollo  di  una  tegola  scoperta   presso 


TEURACINA  —    102   —  REOIONE    I. 


Sermonota  (ib.  8043,  56).  Il  nome  solo  di  questo  servo  tìffulo  apparisce  in  una  te- 
gola rinvenuta  a  Fondi  (ib.  8048,  72). 

Il  terzo,  pure  su  embrice  porta  il  nome  dello  stesso  padrone  L.  Domizio  Lupo  ed 
il  nome  di  un  servo  Felix,  di  cui  nessun  altro  bollo  finora  si  conosceva. 


L    DO  (Ai  ti 
L  V  P  I  — 

III  un  frammento  di  tegole  leggasi  il  bollo  inedito: 


IZL 


che  va  attribuito  alla  fine  della  repubblica. 

Ad  et;ì  più  antica,  probabilmente  si  devono  attribuire  alcune  teste  di  leone, 
pure  di  alabastro  del  Circeo,  adoperate  per  la  grondaia. 

11  tempio  fu  devastato  da  un  incendio  che  lo  distrusse  completamente,  calci- 
nando perfino  alcuni  dei  grossi  blocchi  del  basamento,  della  parte  orient;ile.  Dovunque 
è  manifesta  la  violenta  azione  del  fuoco,  ed  un  potente  strato  di  ceneri  e  carboni 
ricopre  le  rovine.  A  questo  aggiungasi  l'opera  dirutta  dell'uomo,  che  infranse  in  mi- 
nuti pezzi  le  statue  che  adornavano  il  santuario,  di  guisa  che  non  sono  stati  recupe- 
rati che  frammenti  di  piedi  e  di  mani,  ed  informi  avanzi  di  testi-,  suflìcienti  però 
a  far  riconoscere  il  corretto  disegno  ed  il  gusto  con  cui  le  statue  erano  state  condotte. 

E  la  mancanza  delle  colonne,  delie  quali  un  solo  tamburo  fu  rinvenuto,  e 
di  tanti  altri  frammenti  architettonici,  induce  a  credere,  che  distrutto  l'edifizio,  se 
ne  dispersero  gli  avanzi  precipitandoli  pei  borri  e  pei  rocciosi  greppi  del  monte. 
Alla  reazione  cristiana  devesi  certamente  qucst'  ultima  rovina  dell'insigne  tempio,  avve- 
nuta, secondo  ogni  probabilità,  dopo  il  12(3  di  Cristo,  dopo  cioè  che  fu  promulgata  da 
Teodosio  la  costituzione  per  la  distruzione  dei  templi  pagani  {Cod.  Tlieod.  X'VI,  10,  25). 

Lungo  il  fianco  orientale  del  monumento,  tra  gli  strati  di  cenere,  si  recuperò, 
una  notevole  quantità  di  oggetti  votivi,  di  piombo,  risparmiati  dal  fuoco  per  esser 
forse  stati  protetti  dai  materiali  caduti  dall'edifizio,  mentre  altri  oggetti  simili  esposti 
alle  fiamme  si  erano  fusi.  Vi  si  trovarono  inoltre  due  piccole  colombe  di  pasta  vitrea; 
globetti  vitrei  per  collana;  un  amo  da  pesca  di  rame  ed  alcune  cerniere  per  mobili. 
■Vi  si  raccolsero  pure  due  piccole  basi  marmoree  di  donarli  di  forma  quadrata, 
destinate  a  reggere  una  statuetta  che  vi  era  infissa,  come  dimostrano  i  fori  praticati 
nella  faccia  superiore. 

La  prima  di  metri  n,o4  x  (),(>.">,  reca  inciso  in  piccole  lettere: 

DEXTER 
VENERI 

opseqveSìi 

U   M   DON 


KEUIONK    I.  lUa    TEKKACI.NA 

L'appellativo  di  obsequeas  dato  a  Venere  ricorre  soltanto  in  un  titolo  votivo 
rinvenuto  presso  s.  Polo  dei  Cavalieri,  edito  sull'apografo  del  Viola  (f.  /.  Z.,  XIV, 
;i5(i9)  quantunque  il  compilatore  lo  abbia  creduto  sospetto. 

Parimenti  credo  che  dopo  il  rinvenimento  della  nostra  base,  debba  accogliersi 
tra  le  vere,  sebbene  di  scorretta  scrittura,  l'epigrafe  terracinese  reputata  falsa 
(6'.  /.  Z.,  855*). 

ad  venere  opsequente 

La  seconda  di  m.  (),(J7  X  0,05,  reca  a  piccole  lettere,  imitanti  quasi  la  scrittura 
a  pennello  : 

CARPINATIA 
FORTVNATA- 
VENERIVS-LM 

Queste  iscrizioni  provano  come  anche  Venere  avesse  un  sacello  nel  maggior 
tempio  terracinese. 

In  un  frammento  di  lastrone  marmoreo,    calcinato  restano,    soltanto   le  lettere  : 


AF, 

Lungo  lo  stesso  lato  del  tempio,  al  di  là  del  muro  di  opera  incerta  che  lo  re- 
cingeva, fu  trovata  una  buca  di  forma  quadrata,  segnata  in  pianta  colla  lettera  D. 
Fu  probabilmente  una  delle  favisse,  in  cui,  oltre  agli  ex  voto  in  piombo  superior- 
mente accennati,  si  rinvennero  gli  avanzi  di  una  cassettina  di  piombo,  listata  di 
rame  e  tutta  deformata  dal  fuoco. 

Poche  moneto  vi  si  recuperarono.  Una  di  esse  spetta  ad  Augusto,  ed  ha  il  nome 
del  triumviro  monetale  C.  Plozio  Kufo  (Cohen  I.  p.  95  n.  452)  ;  una  è  di  Faustina 
minore,  ed  una  di  Marco  Aurelio.  Si  trovarono  pure  due  altre  monete  di  bronzo 
irriconoscibili  per  l'ossido. 

Una  singolare  e  curiosa  costruzione  apparve,  col  procedere  dello  scavo,  a  levante 
del  tempio,  ed  a  breve  distanza,  nel  punto  segnato  in  pianta  colla  lettera  C. 

Consiste  in  quattro  muri,  dell'altezza  di  ra.  0,75  circa,  di  opera  incerta,  formanti 
un  rettangolo  di  m.  6,9U  x  6,00,  coi  lati  non  paralleli  all'asse  del  tempio.  In  tale 
costruzione  è  incluso  uno  scoglio  natuialc,  superiormente  forato  nel  punto  corrispon- 
dente al  centro  del  rettangolo.  Da  scandagli  fatti  si  è  riconosciuto,  che  sotto  lo  scoglio 
apresi  una  piccola  caverna,  ora  profonda  poco  più  di  m.  7,  comunicante  per  mezzo 
di  cunicolo  0  di  altra  apertura,  coU'esterno,  come  è  provato  dalla  corrente  d'aria 
che  esce  dal  foro,  sufficiente  a  far  sollevare  le  paglie  e  lo  fronde  che  si  volessero 
introdurre  nella  cavità. 

Certamente  è  questo  un  antro  per  le  sorti,  o  il  luogo  pei  responsi  dell'oracolo  ('). 

(')  Iiiti'ressaiite  jicr  l'antica  tnpotcrafìa  di  'l'crracina  ò  una  iiianta  della  città  e  dei  suoi  din- 
torni, rilevata  nel  1781  dall'in^',  (iaotano  AstnKì,  nella  quali'  vedesi   disegnato    umi   solo   il    tempio 


TBRRAOINA 


—    104  — 


KEOIONE   I. 


Né  crediamo  di  orraro  attrilmendo  l'ori^iuo  di  questa  siugolaro  costruzioue  ad  un 
fiilmiiio  caduto  in  questa  parte  del  monte  per  cui  il  saaso,  su  cui  Giove  aveva  mo- 
strato la  sua  potenza,  divenne  un  sacro  hidentnl,  e  quindi  fu  coperto  e  chiuso  ai  profani. 
Infatti  quella  sacra  roccia  non  solo  rimase  nascosta  entro  la  procinzione  tuttora 
esistente,  ma  ancora  fu  ricoperta  da  piccola  tettoia  sorretta  da  colonnine  laterizie,  di 
ordine  ionico,  delle  quali,  come  pure  dei  capitelli  di  travertino,  vari  frammenti  furono 
dissepolti. 

Trovato  il  tempio,  fu  facil  cosa  il  riconoscere  nelle  sottostanti  arenazioni,  attri- 
buite, come  dicemmo  al  jtraetorium  Theodon'ci,  la  grande  sostruzione  che  per  una 
lunghezza  di  m.  02  e  per  m.  24  nel  lato  occidentale,  sorregge  la  platea  al  cui  centro 
fu  eretto  il  santuario,  come  vedesi  nella  figura  che  qui  si  aggiunge  (tig.  6). 


Fio.  «5. 


Trattasi  di  lavoro  colossale  ed  imponente,  se  si  considera  che  la  platea  fu  otte- 
nuta con  lo  scalpellare  molta  parte  delle  roccie  del  monte,  le  quali  ergonsi  quasi 
a  picco  dietro  il  tempio  e  quasi  lo  recingono  e  difendono.  Kd  aftinché  nò  dal  tempio 
nò  dall'area  sacra  si  vedesse  l'asprezza  del  luogo,  fu  innalzato  dietro  la  cella  un  jior- 
tico,  nel  punto  segnato  in  pianta  con  la  lettera  I  (tig.   1). 

Era  anch'esso  costruito  con  opera  incerta,  rivestito  d'intonaco  dipinto  a  colori 
giallo  e  rosso,  con  colonne  di  stile  corinzio,  come  rilevasi  da  pochi  frammenti  raccolti; 
e  vi  si  ascendeva  per  quattro  gradini. 

Tutta  la  platea,  come  bene  può  osservarsi  dalla  jiianta  di  insieme,  è  di  forma 
irregolare,  secondo  che  le  difficili  condizioni  del  sito  ricliiedevano.  L'acqua  piovana 
veniva  raccolta  in  due  grandi  cisterne  (tig.  1  G,  II)  di  forma  rettangolare,  pel  cui 
lato  meridionale,  a  risparmio  di  costruzione,  si  seppe  trarre  partito  dal  grande  muro 
interno  della  sostruzionc. 

L'asse  del  tempio  non  è  normale  con  la  fronte  della  sostruzione,  e  ciò  è  natu- 
rale, ove  si  consideri  che  il  tempio  è  orientato,  mentre  la  sostruzione  segue  la  forma 
del  monte. 


ma  anche  la  cnstriizinnc  ora  descritta.  Questa  pianta  cnnscrrasi  presso  rufiìciu  tecnico  della  bonifica 
puntina,  e  fn  indicata  al  Ministero  dal  t\^.  xn^.  Filippn  Liberati,  il  quale  inviò  anche  il  Incido  delle 
antiche  cortruzioni  di  Monto  8.  Anjrelo. 


REGIONE    I.  —    hi.")    —  TERRACINA 


La  comunicazione  tra  la  platt-a  del  tempio  od  il  ripiano  sottostante,  formato  in 
gran  parte  mediante  le  sostruzioni,  avveniva  pm- mozzn  di  una  .sciala  (lig.  1  //),  scoperta 
presso  l'ultima  arcata  del  fianco  occidentale  della  sostruzione  predetta. 

Da  queste  sostruzioni,  nel  punto  segnato  in  pianta  con  la  lettera  F,  si  penetra 
in  un'altra  grotta  usata  anch'essa  per  le  sorti. 

Potrebbesi  forse  domandare  por  quale  ragiono  gli  antichi  non  eressero  il  tempio 
pili  verso  la  sommità  del  monte,  risparmiando  cos'i  l'enorme  lavoro  e  della  platea  e 
delle  sostruzioni.  La  risposta  è  facile,  se  si  osservi  che  nel  punto  prescelto  dagli 
antichi,  a  circa  200  metri  sul  livello  del  mare,  il  tempio  era  visibile  da  lungi,  a 
partire  da  Fondi  e  da  Gaeta  verso  oriente,  e  da  Anzio  e  da  Ardea  verso  occidente: 
inoltre  dominava  la  città,  alla  quale  sarebbe  rimasto  invisibile  se  fosse  stato  edifi- 
cato sul  culmine  dell'altura.  In  qualunque  altro  punto  fosse  stato  eretto,  la  veduta 
non  sarebbe  stata  così  estesa,  ed  il  santuario  sarebbe  stato  occultato  dalle  scogliere 
e  dalle  rupi.  Ed  è  questa  ampia  veduta  che  ci  dà  l'argomento  principale  per  riconoscere 
nel  tempio  ora  scoperto  quello  di  Giove  Anxuro,  poiché  solo  da  questo  punto  poteva  il 
nume  dominare,  come  ci  è  attestato  dai  versi  di  Virgilio,  il  territorio  bagnato  dal 
Numicio,  i  colli  dei  Rutuli,  ed  1  giuochi  del  Circeo. 

Il  tempio  era  difeso  dall'arce,  cui  si  accedeva  per  una  rampa  tagliata  nel  vivo 
sasso,  che  gli  ultimi  scavi  ci  hanno  fatto  riconoscere  nella  parte  nord-ovest  della 
platea  (fig.  1,  L).  Delle  fortificazioni  dell'arce  rimangono  non  pochi  avanzi,  dei  quali 
sarebbe  fuori  luogo  ora  discorrere,  collegati  alla  grande  cinta  turrita  che  protegge  il 
monte  lungo  il  versante  nord  nord-ovest.  La  struttura  ad  o-p'is  incertum,  identica  a 
quella  dei  muri  del  tempio  e  delle  sostruzioni,  identica  anche  a  quella  delle  tombe  che 
fiancheggiano  l'Appia  primitiva,  alle  falde  di  Monte  s.  Angelo,  esclude  assolutamente 
che  la  cinta  fortificata  sia  opera  dei  tempi  barbari  ;  e  l'appellazione  di  moenia  aeri 
barbarici,  come  l'altra  di  palaiium    Tiieodorici,  dovrà  ora  bandirsi  per  sempre. 

Non  è  improbabile  che  il  nome  Aaxur  ci  rappresenti  la  divinità  originaria 
adorata  dai  Volsci,  ed  immedesimata  poi  nel  concetto  di  Giove,  come  avvenne  di 
altre  divinità  locali.  Vuol  dire  che  questa  divinità  primitiva  aveva  carattere  somma- 
mente giovanile,  donde  il  culto  di  Giove  fanciullo,  o  Anxur  come  sappiamo  da  Servio. 
Ciò  è  confermato  dalla  base  con  iscrizione  :  lovi  puero,  che  lo  Schotto  attesta  di  aver 
veduto  a  Terracina  {Ilin.  ital.,  Antuerpiae  MDCXXV,  p.  577),  la  quale  iscrizione 
fu  annoverata  tra  le  false  o  sospette  {C.  I.  L.  X,  918*,  I). 

Ciò  è  maggiormente  confermato  dagli  oggetti  votivi,  che  sopra  abbiamo  ricordati, 
e  che  sono  veri  giocattoli  [crepundia).  Questi  oggetti  rarissimi,  dei  quali  sono  qui 
raffigurati  i  tipi  principali,  sono  tutti  di  piombo,  ed  ottenuti  mediante  la  fusione  del 
piombo  in  stampiglie  come  si  usa  fare  anche  adesso  per  molfi  balocchi. 

Rappresentano  mobili  per  l'arredo  di  una  camera,  piatti  ed  utensili  da  tavola  e 
da  cucina;  il  tutto  nello  stile  che  fu  in  voga  tra  il  finire  della  repubblica  ed  il 
principio  dell'impero,  che  è  appunto  l'età  a  cui  la  costruzione  ora  scoperta  o  le  ul- 
time rifazioni  del  tempio  si  devono  riferire. 

Abbiamo  una  menm  tripes  (fìg.  7)  alt.  mm.  38  coi  trapezofori  a  testa  e  zampe 
leonine,  come  negli  originali  di  marmo  e  di  bronzo. 

Classk  di  scik^ze  mokali  ecc.  —  Mkmouie  —  Vul.  II,  Serie  5",  parte  2^^  1  I 


TERRACINA 


—    1()(»    — 


REGIONE    I. 


Viene  poi  una  cathedra  supina  alt.  rara.  34  che  ha  la  forma  delle  nostre  pol- 
trone (ib.);  nella  quale  sul  prospetto  del  sedile  è  rilevato  un  fe^tonciuo,  iu  raezxo  a 
cui  è  una  patera  ;  e  nella  spalliera  la  testa  di  un  fanoiullo.  Un'altra  testa  giovanile 
ò  rilevata  nella  parte  opposta  della  spalliera  medesima. 


Fi(i.  7. 


Segue  una  specie  di  seamnum,  se  pure  non  deb1)asi  delinirlo  un  piccolo  {lìiacus. 
ossia  una  tavola  rettan^'olare  a  quattro  piedi,  con  sbarre  (ili.),  alt.  nim.  H»,  destinata 
a  simulare  la  credenza,  od  il  rr/iositon'um  per  lo  vivande  che  a  mano  a  mano  do- 
vevano essere  apposte.  Quindi  una  base  cilindrica  con  scanalature,  chiusa  superior- 
mente con  un  disco  di  maggiore  diametro,  ornato  nella  superficie  con  un  rosone  (ih.), 
alt.  mm.  18.  Probabilmente  era  destinata  essa  pure  a  seivire  da 
reposilorium,  od  a  fare  l'uflìcio  della  tavola  conosciuta  col  nome 
di  delphica.  su  cui.  come  ncWahacus,  o  nel  reposilorium  ordi- 
nario, si  disponeva  il  va.sellame  pei  cibi  e  per  le  bevande. 

Ne  manca  un  altro  arnese,  che  pure  fa  parte  integrale 
degli  accessorii  per  la  tavola,  cioè  il  candelabro.  Se  non  che 
iKMi  ;iMii;iiiii>  111)  candelabro  nel  più  stretto  senso  della  parola, 
ossia  un  ccrioUtrc  o  ccrioiarium  (cfr.  la  nota  iscrizione:  /te- 
cimia  C.  f.  Candid.  saccr{dos)  M{alris)  I)(r,nn)  ddfìcam  cim 
laribm  et  ceriolariis  n{timero)  XXXVI:  («rolli  n.  250')),  ma  un 
canddabrum  nel  significato  ordinario  di  lychauchnm,  cioè  un 
lucernario  della  forma  più  semplice  consistente  in  unasta  che 
sostiene  un  lai-go  piatto,  sopra  il  quale  poteva  essere  posata  una  lucerna,  probabil- 
mente di  quelle  grandi  a  più  becchi  (noXv'jiìoc). 


Fio.  8.    i : i 


REGIONE    1. 


—    107    — 


TERRACINA 


Finalmente  a  compimento  ilrl  servizio  di  tavola  abbiamo  il  ptier  dapifer,  che 
si  avanza  con  un  ferculum  (ib.). 

È  noto  che  secondo  il  costume  antico  non  si  siedeva  a  tavola  con  le  vestimenta 
e  la  calzatura  ordinaria,  ma  si  indossava  la  vestis  cenaloria^  e  vi  erano    anche  san- 


FlG.  9.     1:1 


FiG.  11.     l:l 


FiG.  10.     i:i 


dali  speciali  (soleae).  Così  vediamo  dipinte  le  pianelle  accanto  ad  un  servo,  forse  il 
servus  a  pedibus,  in  una  pittura  mm-ale  rappresentante  scene  di  triclinio,  scoperta  in 
una  casa  presso  il  Palatino  {Notizie  1802,  p.  47).  Quindi,  acciò  nulla  mancasse  al 
nostro  corredo,  furono  aggiunte  anche  le  pianelle  convivali  (fig.  8). 

Non  saprei  se  al  vestito  per  la  cena  si  riferiscano  anche  gli  oggetti  rappresen- 


'%^^- 


■W   ': 


FiG.  12.     1:1 


Fi.:.   13.     1:1 


tati  nella  tig.  9,  lu,  11.  Certo  è  che  i  due  primi  debbono  considerarsi  come  fibule, 
essendovi  rappresentato  l'ardiglione  ;  e  non  è  improbabile  che  per  fermaglio  di  cin- 
tura avesse  servito  il  terzo,  che  non  ci  è  pervenuto  nella  sua  integrità. 

Seguono  i  piatti  pel  servizio  della  tavola  ed  alcuni  rappresentati  con  le  vivande. 
Abbiamo  anzi  tutto  una  pisciiim  jmtiaa  (fig.  12),  ove  si  veggono  rilevati  due  pesci, 
probabilmente  due  triglie  {mullas  barbalus). 


TEKRACINA 


—    lOS    — 


REGIONE    I. 


Segue  uuaitni  patina  ove  ò  un  pesce  solo  (tig.  13);  è  poi  un'altra  senza  alcuna 
rappresentanza  ili  cibo  (Iì.t.  14),  ornata  in  <,'iro  da  una  lascia  a  piccole  baccellature  o 
nel  nieizo  da  una  stella.   L'u'altra  scodella  è  ornata  con  un  solo  giro  di  baccellature, 


.<?: 


V 


Fic.  It.     1:1 


ed  anch'essa  è  vuota  (fig.  15).  Un'altra,  assai  elegante,  è  in  forma  di  conchiglia,  forse 
per  simulare  la  conca  salis  puri  (tig.  l(j).  Un'altra  scodella  con  l'orlo  ottagonale,  po- 
trebbe meglio  detìnirsi  un  catino  (fìg.  17).  Tutti  questi  piatti  hanno  due  anse,  se  si 
eccettua  quello  in  foruia  di  conchìglia  che  ha  un'aniia  soltanto. 


Fili.  ].').     1:1 


l'io.   ll'i. 


.\1  medesimo  servizio  della  mensa  appartengono  tre  altri  piatti,  che  por  la  loro 
forma  .somigliano  perfettamente  ai  nostri  vassoi.  Uno  è  ovale  (tìg.  IS),  due  altri  ret- 
tangidari;  e  di  (|ue8ti,  uno  è  con  anse  traforate  (fig.  10),  e  un  altro  senza  manici,  e  con 
bordo,  nella  furina  dello  schifo  usato  ancora  in  molti  paesi  i>er  fare  il  pane,  ed  ado- 
yterat'j  dai  mannvali  jirr  |iurtare  la  calce  (lig.  "JiJ). 


REGIONE   I. 


lU'J    — 


TERRACINA 


Credo  potersi  ascrivere  questi  utensili  a  quelli  che  gli  antichi  designavano  col 
nome  di  lances,  usati  talvolta  anche  per  fruttiere.  Le  due  ultime  (tìg.  19,  20)  possono 
ben  corrispondere  alle  lances  i/iuidralae  (Ulp.  Dig.  34,  2,   19). 

Parimenti  alla  mensa  appartengono  due  pale rae  (tig.  21,  22)  ciascuna  col  proprio 
manico,  e  dirterenti  tra  loro  solo  nell'ornato,  l'una  avendo  nel  fondo  solo  cerchi  con- 
centrici, l'altra  un  rosone. 


FiG.  17.     i;i 


FiG.  18.     1:1 


Pei  vasi  da  bere  possiamo  citare  solo  iin'oinochoe.  di  forma  certo  non  elegante, 
e  che  se  fosse  stata  fratturata  nell'estremità  avremmo  creduto  che  rappresentasse  un 
elmo  (tìg.  23). 

Degli  utensili  di  cucina  abbiamo  una  graticola  (cralicula)  lunga  mm.  125 
compreso  il  manico,  formata  con  laminetta  di  rame  una  delle  quali  è  mancante 
(fig.  24).  Essendo  molto  adoperato  per  arrostire  il  pesce,  quest'utensile  doveva  essere 
uno  dei  più  comuni  nella  cucina  di  un  paese  marittimo,  quale  è  Terracina. 


Fu;,   m.     1:1 


Fig.  20     l:l 


Ho  detto  che  questi  oggettini  sono  rarissimi,  uè  vi  ha  bisogno  di  aggiungere  argo- 
menti per  confermare  ciò,  bastando  ripensare  al  culto  di  Giove  a  cui  si  riferiscono  ed 
alla  tesi  topografica  e  storica  che  per  mezzo  di  essi  è  pienamente  risoluta. 

Ma  quantunque  rarissimi  non  potrebbero  dirsi  unici,  come  mi  ha  fatto  osservare 
il  eh.  prof  Pigorini,  a  cui  devo  la  notizia  di  oggetti  simili  che  si  conservano  nel 
Museo  di  Re22Ìo  Emilia,  e  che  furono  rinvenuti  nella  tomba  di  una  fanciulla.  Con 
la  notizia  avuta  dal  prof.  Pigorini,  e  con  alcune  dilucidazioni  datemi  dal  r.  ispet- 
tore degli  scavi    prof.   Naborre    Campanini,    ho    potuto  leggere    quanto   riguarda  tale 


TERKACINA 


111»   — 


RBOIONB   I. 


scopurta,  cioè  la  Nota  del  compianto  Chierici,  intitolata  Ragguagli  di  uno  scavo 
a  liresedh,  scritta  il  19  settembre  del  1863,  ed  inserita  negli  Alti  e  Memorie  delle 
lì  li.  J)ejiufaiioiii  ili  Storia  j>ulria  per  le  Provincie  modenesi  e  parmeim  \oì.  I,  1864, 
p.  381  8g.   .  La  tomba,  cos»  scrisse  il  Chierici,  era  intatta.  Il  fondo  e  il  coperchio  qua- 


Fio.  21.     1:1 


FiG.  22.     1:1 


(^' 


drati  si  formavano  di  un  mattone  e  mezzo,  ed  intorno  girava  l'altezza  di  uu  mezzo 
mattone.  Dentro,  fra  la  terra,  eh'  eravi  penetrata,  si  trovò  un  macchietto  di  ceneri 
e  di  ossa  bruciate,  una  Incernetta  pendiila  di  terra  nera  e  una  serie  di  piccoli  og- 
getti di  .«stagno  che  rappresentano  niellili ie  e  arnesi  domestici  spettanti  particolarmente 
alla  mensa  ed  alla  ciieina. 

>.  Una  mensa  rotonda  a  tre  piedi.  Una  sedia  die  ha  tutta   la  forma  delle  mo- 
derne cattedre  episcopali  ;  nello  schienale  dinanzi  è  disegnata  una  tosta  giovanile  di 

femmina,  e  un'  altra  dietro.  Due  piatti  ovali  :  sul  fondo  di 
uno  t'  ligiuato  un  pe.^ce.  Altri  due  escari  (/(niccf)  nitondi, 
cavi,  a  due  manichi.  Un  quinto  piatto  a  foggia  di  conchi- 
glia, se  pure  non  ò  una  coppa  per  libazioni.  Due  urne  di 
forme  diverse.  Una  lucerna  a  mano.  Una  cesta  col  coper- 
chio. Una  calderuola  (ìchcs)  ed  un  secchietto  col  manico 
arcuato  mobile  (sitala).  Un  frammento  di  baso  rotonda.  Un 
largo  cerchio  radiato  come  nimbo  ed  alcuni  minori  pezzi 
lavorati  sono  avanzi  di  altri  oggetti  che  erano  consunti  o 
non  si  poterono  salvare  ". 

Sopra  questa  tomba  era  stata  trovata  l'iscrizione  {C.  f.  A. 
XI,  1020):  (l.  m,  luliae  Graphidis  vixit  ami.  xv,  tn.  ii,  d.  jci.  Q.  Julius  Ale.raader 
vi  vir  'mg.  mng.  aiig.  bis  et  ì'uccia  Justina  alnmnae  Icnrissimae.  Il  che  conferma  che 
1  resti  del  rogo  appartenevano  ad  una  fanciulla,  a  cui  per  conseguenza  bene  conro- 


1:1 


REGIONE   I. 


—    Ili 


POMPEI 


nivaao  quei   giuocattoli  simili  a  quelli  posti  per  voto  a  Giove  fanciullo,  od  Anxure, 
adorato  sull'alto   del  colle  di  Terracina. 


Fui.  24.     2:5 

Dobbiamo  esser  grati  dell'  importante  rinvenimento  al  locale  Municipio  che  pro- 
mosse le  indagini;  e  singolare  elogio  merita  il  sig.  Pio  Capponi,  studioso  e  indefesso 
ricercatore  delle  antichità  della  sua  patria,  il  quale  diresse  gli  scavi  che  a  stagione 
propizia  saranno  continuati. 

L.    BORS.VRI. 


XIII.  POMPEI  —  Giornale  degli  scavi  redatto  dal  soprastanti. 

1.  febbraio.  Sono  cominciati  gli  scavi  ad  est  della  casa  detta  delle  no^se  d'ar- 
gento. Si  sistemarono  anche  le  terre  nella  regione  IX,  isola  6^  e  propriamente  nel- 
l'ultima casa,  lato  ovest. 

Si  eseguirono  restauri  nella  regione  I,  isola  5^  e  nella  casa  n.  16,  regione  VII, 
isola  2^ 

Nell'anzidetta  ultima  casa,  lato  ovest,  della  regione  IX,  isola  G'',  si  rinvenne: 
Bronzo.  Un  candelabro  terminante  a  piedi  leonini  e  foglie  di  edera,  alto  m.  1,317. 

2-5.  detto.  Continuano  i  lavori,  come  sopra. 

<K  detto.  Si  è  eseguito  uno  scavo  straordinario  nella  regione  'V,  isola  2'*,  casa 
n.  1  .">;  e  presso  il  triclinio  si  è  trovato  :   Ferro.  Un  braciere  ossidato  ed  in  frammenti. 

7.  detto.  Sistemandosi  lo  stesso  scavo,  lasciato  incompleto  nei  tempi  passati,  della 
casa  indicata  coi  numeri  lo,  11,  sulla  via  Nolana,  regione  V,  isola  2°,  si  rinvenne: 
Ferro  e  avorio.  Un  piede  appartenente  ad  un  Ietto,  alto  m.  O.iiori.  —  Ferro.  Un 
gladio  ossidato  e  corroso,  mancante  della  punta,  lungo  m.  U,39U.  —  Osso.  Un 
cucchiaio   circolare,  lungo  ni.  0,112. 

Nello  sgomberare  un  vano  di  fronte  all'ingresso  segnato  n.  l;ì,  regione  'V,  isola  2*, 
nella  via  Nolana,  si  rinveiiiio:  Terracotta.  Lucerna  ad  un  lume,  verniciata  di 
rosso,  con  la  rappresentanza  di  Giove,  sedente,  innanzi  a  cui  è  l'aquila  ad  ali  spie- 
gate,   lungh.  m.  0,142.    Altra   lucerna    bilicne,    con  la  stessa   rappresentanza,  rotta 


TERRANOVA    KAISANIA 


—    llli    — 


SAHDISIÀ 


nella  parte  posteriore,    lungli.  m.  0,140.  Altra  a  due  becchi,  uno  dei  quali  rotto,  e 
con  rappresi-ntanzu  di  armi  gladiatorie,  nel  centro,    lunga  m.  0,141. 

Lucerna  bilicne  a  vernice  nera,  semicircolare,  diam.  m.o.lod.  Altra  a  vernice  nera, 
luonolicne.  con  manico  ad  anello.  Il  bordo  è  decorato  con  ovoli  ed  altre  decorazioni. 
lìroìuo.  Una  piccola  conca,  lesionata  e  mancante  nel  fondo,  diam.  ni.  n,27o.  Un  anello, 
diam.  m.  O.o-Jt».  Altro  .simile,  diam.  m.  (»,o24.  Una  moneta  di  j.iccolo  modulo  irri- 
conoscibile. 

8-12.  detto.  Continuano  i  lavori  nelle  mentovate  località  ;  ma  non  si  ebbero  rin- 
venimenti. Fu  casualmente  raccolta:  Bron:o.  Una  testina  ornamentale,  mal  con- 
servata, alta  m.  0.022. 

1:1-14.  Si  sgombera  il  materiale  esistente  nell'atrio  della  casa  sognata  coi  numeri 
IS.  r.i  nella  regione  V,  isola  2»,  e  si  trovò  un'anfora  con  epigrafe. 

15-27  detto.  Continuano  i  lavori  di  restauro,  e  di  scavo,  nelle  accennate  località. 

28.  Si  rinvenne  un  frammento  di  lastra  marmorea,  in  quattro  pezzi,  alto  m.  0,18, 
largo  m.  0,:j'>,  in  cui  rimangono  le  lettere: 

b  D ■ AB • SV 


SARDLVIA 

XIV.  TERRANOVA  FAUSANIA    —    Di  un  frammento   di  diploma 

militare. 

Nelle  Notisie  dello  scorso  gennaio  (p.  31)  per  en-ore  tipografico  sono  state  in- 
vertite due  linee  nella  pubblicazione  del  frammento  di  diploma  militare,  trovato  a 
Terranova  Fausauia.  Hii>roduciaiiio  ([uel  frammento  epigratico,  aggiungendovi  i  facili 
supplementi,  che  determinano  spettare  il  monumento  all'età  di  Adriano. 

Da  un  lato: 

imp.  caes.lDWl  llraiaai  parthici  f.  divi 
nervae  «IePOS  Th-aianus  hadrianus  aug. 
poni  if.  ?«  U  X  lK\jb.  poi.  ...  cos  ...p.  p. 
ìis  qui  mili^^^^avcruiU  etc. 


Dall'altro: 


dimiss is  honesta 

-....^..--r^/w  quorum  nomina  subscripla 
SVNT  \?\sis  liheris  poster isquc  eorum 
CI  V  ITATJo»  dedil  el  conuhium  cum  tucorib^ 
QWAS- 7 lune  habuissent    cum   est  civilas 


iis  data,  aul  si  qui  caelibes  essent,  etc. 
Cfr.  specialmente  il  diploma  militare  di  Adriano,  dell'anno  120.  edito  nel  C.  I.  L-  111, 

„     a--      n     '^9  fi-    •'«ATTI, 

p.   »/;),   n.   .ii. 

lloma  15  aprile  1894. 


REGIONE    XI,    Vili.  —    113    —  LENTA,    EIORENZUOLA    i/aRDA 


APRILE 


Regione  XI  {TRANSPADANA). 

I.  LENTA.  —  Tomba  dieta  romana  scoperta  nel  territorio  del  comune. 

Ad  un  chilometro  circa,  a  sud  di  Lenta,  a  m.  10  dalla  strada  Vercelll-Gattinara, 
a  m.  1,80  di  profondità,  in  uno  scavo  di  ghiaia,  fu  scoperta  un'anfora,  mancante  del 
collo.  Conteneva  ossa  combuste,  due  bottiglie  quadrangolari  dì  vetro,  ed  una  grande 
lucerna  di  terra  cotta,  ornata  di  due  mascherine,  e  col  bollo  figulo  ATIMETI,  già  noto 
in  lucerne  di  Vercelli  (cfr.  Bruzza  Iscris.  ani.  vercell.  p.  227,  n.  5  ;  Leone  in  Atti 
della  Soc.  di  Arch.  e  belle  arti  di  Torino  t.  V,  p.  317),  e  del  Vercellese  (Ferrerò, 
in  Mcìn.  dell' Acc.  delle  Scienie  di  Torino  s.  II,  t.  XLI.  p.  176,  n.  42).  L'anfora 
ed  una  bottiglia  furono  infrante;  la  lucerna  e  l'altra  bottiglia,  alta  m.  0,18,  con  orlo 
e  manico  larghi  e  piatti  e  circoli  concentrici  sul  fondo  esterno,  furono  acquistate  dal 
diligente  raccoglitore  di  antichità  vercellesi,  cav.  Camillo  Leone,  alla  'cui  cortesia 
debbo  la  notizia  del  rinvenimento. 

Soppesi  poi  che  alla  suppellettile  funebre  delle  medesime  tombe  apparteneva  un 
poculo  di  terra  rossa,  alto  m.  0,085,  diam.  della  bocca  m.  0,08,  con  le  lettere: 

M  S  C 
graffite  nel  fondo  all'esterno:  ed  anche  questo  poculo  passò  nella  raccolta  del  cav.  Leone. 

E.  Ferrerò. 


Regione  Vili  (CISPADANA). 

IT.  FIORENZUOLA  D'ARDA.  —  Fondi  di  capanne  dell'età  neolitica 
scoperti  alla  Pala^^ina  d'Olza  nel  territorio  di  Fiorenniola  d'Arda. 

In  Olza,  villa  distesa  lungo  la  sinistra  dell'Arda,  comune  e  parecchia  di  Fiorcn- 
zuola,  3  chilometri  e  mezzo  inferiormente  alla  via  Emilia,  a  nord  dello  stesso  capo- 
luogo e  nella  media  pianura  del  Piacentino,  vi  ha  un  podere  denominato  -  Palazzina  •>, 
di  proprietà  dell'Istituto  Gazzola. 

Il  iìttabile  signor  Virginio  Gallini,  distinto  agricoltore,  visto  che  un  campo  detto 
Giarrone,  posto  a  ovest  della  casa  colonica  e  a  200  metri  circa  dalla  sponda  del  tor- 

Classb  di  scienze  mor\li  ecc.  —  Memokik  —  Voi.  H,  Serie  5°,  parte  2*  15 


FIORENZUOLA    D  ARDA 


—    Ili    —  REGIONE   Vili. 


rento,  era  molto  fertile  e  un  pò"  elevato  sul  livello  della  proprietà,  pensò  di  fare  una 
grande  spianata  e  adoperare  il  terreno  por  concimare  altre  terre.  In  questo  lavoro  rin- 
venne molti  avanzi  di  laterizi,  del  che  fui  tosto  avvertito  per  mezzo  dell'egregio  conte 
Giuseppe  Nasalli  Uocca,  presidente  del  Consiglio  d'Amministrazione  dell'Istituto  Gaz- 
zola,  ed  il  25  marzo  u.  a.  feci  una  prima  visita  sul  luogo.  Vidi  che  si  trattava  degli 
avanzi  di  un'antica  abitazione  romana.  Questi  consistevano  in  grandi  quadroni  romani, 
embrici,  resti  di  pavimento  a  impasto,  anse  di  grosse  anfore  e  frammenti  di  vasi  terra 
finissima  ;  avendo  però  notato  sotto  a  questi  ruderi  qualche  indizio  di  età  piii  antica, 
credetti  opportuno  di  intraprendervi  alcune  esplorazioni  coi  mezzi  in  parte  accorda- 
timi dalla  benemerita  Amministrazione  dell'  Istituto  Gazzola.  di  cui  mi  professo  oltre- 
modo grato. 

Le  mie  ricerche,  durate  per  tutto  l'aprile,  accertarono  l'esistenza  di  alcune  buche 
circolari  del  diametro  da  m.  2,50  a  m.  3,00  e  della  profondità  media  di  m.  1,30, 
col  fondo  concavo,  che,  per  la  loro  forma  e  i)el  materiale  contenuto  in  osse,  trovano 
riscontro  coi  /'ondi  di  capanne  dell'età  dulia  pietra  già  rinvenuti  dal  Uosa  nella  Valle 
della  Vibrata  nell'Abruzzo  di  Teramo;  dal  Chierici  ad  Albinea,  a  Ilivaltella,  a  Cam- 
peggine, ecc.  nel  Reggiano;  dall'Orefici  nel  Cremonese,  ecc. 

Intrapresi  i  lavori  di  esplorazione,  fu  mia  precipua  cura  di  levare  innanzi  tutto 
lo  strato  romano  dello  spessore  di  50  cm.  circa,  e  di  portarmi  sul  terreno  vergine 
sottostante.  Noto  qui  che  i  laterizi  romani  affioravano  sulla  superficie  del  campo  per 
un'estensione  di  30  are.  Per  tal  modo  ho  potuto  osservare  due  macchie  circolari  di 
terreno  scm-o,  disegnate  con  regolari  contorni  del  diam.  di  m.  2  e  mezzo,  alla  di- 
stanza l'una  dall'altra  da  nord  a  sud  di  m.  10. 

Con  una  lunga  trincea  tagliai  traversalmento  una  di  queste  macchie,  e  di  mano 
in  mano  che  si  discendeva  si  vedevano  nel  terreno  giallo  i  margini  di  una  buca  colle 
pareti  quasi  verticali  e  col  fondo  leggermente  concavo. 

Arrivato  alla  profondità  di  un  metro  e  mezzo,  osservai  che  il  margine  d'ovest 
discendeva  quasi  verticale,  mentre  quello  d'est  scendeva  con  dolce  declive  in  modo  da 
unirsi  colla  curva  del  fondo. 

Lisciati  poi  per  bene  i  lati  dello  scavo,  si  vide  che  il  terriccio  di  cui  ora  riempita 
la  buca,  composto  di  ceneri  e  carboni,  di  avanzi  animali  e  vegetali,  era  disposto  a 
strati  orizzontali,  e  sul  fondo,  dalla  parte  d'oriente,  si  scorgeva  uno  straterollo  in  po- 
sizione orizzontale  dello  spessore  dai  5  ai  10  cent,  e  per  la  lunghezza  di  35,  di  un 
terreno  cotto  o  bruciato  dall'azione  del  fuoco,  resto  forse  di  un  focolare.  Discesi  un 
mezzo  metro  oltre  il  fondo  della  buca,  gli  operai  avvertirono  l'orlo  di  un  vaso  di 
terra.  Si  tentò  di  estrado,  ma  per  la  grande  quantità  d'acqua  che  ivi  sorgeva,  essendo 
il  piano  di  questo  campo  un  metro  più  lìasso  del  letto  dell'Arda,  come  pure  è  notato 
anche  nella  carta  topografica  militare  che  dà  una  quota  sul  livello  del  mare  di  GO 
pel  campo  e  di  fJl  pei  ietto  dell'Arda  sulla  stes.sa  località,  non  se  ne  poterono  avere 
che  alcuni  frammenti. 

Meno  chiari  risultati  diede  la  seconda  buca.  Riprese  però  le  ricerche  alla  di- 
stanza di  m.  10  a  nord-ovest  della  prima  buca,  ne  rinvenni  una  terza. 

Feci  levare  lo  strato  coltivabile  per  uno  spazio  di  mq.  10,  e  lisciato  per  bene 


REGIONE    VIU.  —    115    —  FUKLI 

il  piano  sottostante,  si  vide  pure  in  questo  disegnato  un  circolo  del  diametro  di  m.  3, 
u  tutf  intorno  al  circolo  delle  piccole  macchie  circolari  del  diametro  dai  4  ai  7  cent, 
di  terreno  nero,  impronte  dei  pali  che  dovevano  sostenere  il  tetto  della  capanna.  Ri- 
levata la  sezione  orizzontale,  feci  aprire  uno  scavo  da  est  a  ovest  proprio  al  centro 
della  buca,  e  vidi  che  essa  era  stata  colmata  in  parte  da  laterizi  romani  ;  ma  subito 
sotto  ad  essi  notai  una  striscia  o  straterello  di  terreno  scuro  che  sembrava  comple- 
tamente formato  da  rami  o  da  piccoli  pali  carbonizzati.  Questi  rami  carbonizzati, 
forse  avanzo  del  tetto  caduto  in  seguito  ad  incendio,  giacevano  orizzontalmente  sopra 
un  terreno  pure  scm'o  e  formato  di  carboni,  ceneri,  ossa  in  parte  bniciate,  cocci  di 
stoviglie  e  piccoli  sassolini  di  selce. 

Collo  scavo  non  potei  discendere  oltre  il  fondo  della  buca  per  la  grande  quan- 
tità d'acqua  che  anche  qui  sorgeva  ;  ma  ho  potuto  però  rilevarne  un'accurata  sezione 
verticale  completa. 

Era  cosi  ben  marcata  l'orma  di  questa  grande  buca  scavata  nel  terreno  giallo 
argilloso,  che  ne  fm-ono  meravigliati  gli  stessi  egregi  signori  ing.  Lorenzo  Concari, 
R.  Ispettore  degli  scavi  e  monumenti,  e  mons.  dott.  Pietro  Piacenza,  arciprete  di  Fio- 
renzuola  e  membro  della  R.  Deputazione  di  Storia  Patria,  che  visitarono  gli  scavi. 

Insieme  ai  cocci  raccolti  di  pasta  impura,  mista  a  granollini  di  selce,  assai  ben 
cotti  all'esterno,  meno  nell'interno,  rinvenni  due  madre-selci  o  nuclei,  uno  di  selce 
verde  e  l'altro  di  diaspro  rosso.  Dal  nucleo  di  selce  verde  si  vede  con  chiarezza  che 
furono  staccate  schegge  ad  arte;  non  così  dal  nucleo  di  diaspro,  quasi  levigato  dal- 
l'uso. Pm-e  in  questo  furono  staccate  alcune  scheggie,  ma  per  la  sua  forma  lascie- 
rebbe  credere  che  fosse,  invece  di  un  nucleo,  im  vero  percussore  o  martello.  Ha  la 
forma  di  parallelepipedo  ovoidale  della  lunghezza  di  cent.  0,  della  larghezza  di  3 
e  dello  spessore  di  2.  Rinvenni  pure  una  conchiglietta  fossile,  pliocenica,  tagliata  arti- 
ficialmente a  punta,  smussata  dall'uso  al  margine  e  levigata  all'apice. 

La  messe  degli  oggetti  non  è  stata  ricca,  ma  quei  pochi  trovano  riscontro  in  quelli 
che  per  solito  si  rinvengono  nei  fondi  di  capanne. 

Presenterò  più  estesa  relazione  corredata  da  pianta  e  sezioni,  allorquando  avrò 
eseguite  più  estese  esplorazioni:  per  ora  mi  sono  limitato  ad  accennare  i  soli  fatti 
che  provano  l'esistenza  all'Olza  di  fondi  di  capanne.  E  a  conferma  di  ciò  mi  piace 
notare  che  ne  andò  pur  convinto  il  prof.  Pigorini,  al  quale  spedii  saggio  del  mate- 
riale uscito  dai  fondi  stessi  insieme  a  minuto  ragguaglio  di  tutti  i  fatti  che  di  mano 

in  mano  si  notavano  durante  le  indagini. 

L.  Scotti. 


III.  FORLÌ  —   Tombe  romane  scoperte  entro  In  città. 

Nello  scavo  por  una  fossa  da  grano  nel  palazzo  dei  marchesi  Albicini  sito  in 
Borgo  Garibaldi  già  Schiavonia,  alla  profondità  di  m.  4,50  furono  incontrate  due  tombe 
romane  d' inumati.  Erano  composto  di  mattoni  manubriati,  coperte  da  rozze  lastre  di 
tufo  ed  orientate  da  est  ad  ovest.  Gli  scheletri  si  trovarono  guasti  dall'umido  e  privi 
di  corredo. 


FIESOLE,    AKE/.ZO  —    liti    —  REGIONE    VII. 


L' importanza  quindi  della  scoperta  sta  tutta  nei  dati  che  ci  fornisce  di  topografìa 
locale,  per  essorsi  ivi  riscontrato  clic  il  terreno  di  trasporto,  intramezzato  da  strisele 
di  arena,  giungo  tino  alla  profondità  di  m.  5;  il  che  prova  che  iu  quel  punto  il 
piano  di  Forlì  era  molto  basso  e  venne  mano  a  mano  colmato,  parte  artificialmente, 
parto  per  le  inondazioni  del  ramo  del  fiume  Montone  sottopassante  all'antico  ponto 
romano  detto  dei  Morattiiii,  distrutto  nel  184U.  Altre  testimonianze  del  primitivo 
livello  della  cittìi  in  questa  zona  si  ebbero  nel  fondare  un  pozzo  nella  vicina  Caserma 
Chellini  per  l' incontro  di  terriccio  di  rifiuto  con  istoviglie  romano  a  m.  7  dal  piano 
attuale,  comò  presso  a  poco  si  verificò,  non  è  guari,  nella  costruzione  di  una  buca 
da  grano  in  casa  Petrucci-Rosetti  nelle  vicinanze  del  ponte  surricordato. 

Una  seconda  fossa  aporta  nel  palazzo  Albicini,  accosto  a  quella  indicata  più  sopra, 

non  diede  altre  tombe  comò  speravo,  ma  solo  due  grossi  muri  che  corrono  paralleli 

all'asse  del  Borgo  Garibaldi,  formati  superiormente  con  mattoni  messi  alla  rinfusa,  e 

nella  parte  inferiore,  di  ciottoli  fluviatili  fortemente  ceuiontati  con  calce,  tecnica  che 

può  convenire  a  sostruzioni  romane. 

A.  Santarelli. 


Kkgione  vii  [ETRURIA). 

IV.  FIESOLE  —  Nuova  stele  funebre  con  rilievo  di  stile  arcaico  ag- 
giunta alle  raccolte  del  Museo  Etrusco  di  Firenze. 

Ho  potuto  assicurare  pel  Museo  Etrusco  centrale  di  Firenze  un  importante  mo- 
numento trovato    vari    anni   or  sono,  vicino  a  s.  Ansano,  nel  comune  di  Fiesole. 

Trattasi  di  una  stele  funeraria,  di  macigno,  alta  m.  0,42,  larga  0,32  o  0,29, 
spessa  m.  0,10,  sulla  quale  sono  scolpite  in  bassorilievo  due  figuro  di  stile  arcaico, 
assai  bene  conservate.  Un  uomo  barbato  (forse  ritratto  del  defunto)  con  mustacchi, 
manto,  a  metà  corpo,  e  stivali  curvi  (superiormente  assumono  la  forma  di  due  schi- 
nieri), tiene  la  mano  sinistra  aperta  o  con  l'altra  stringe  un  Icanlharos.  Gli  sta  in- 
nanzi un  giovino  con  simile  manto,  con  piedi  nudi,  il  (jiiale  tiene  nella  sin.  una 
oinochoc,  e  fa  come  da  coppiere  alla  figura  principale. 

L'arte  e  lo  stile  di  questo  monumento  me  lo  farebbero  ascrivere  al  VI  secolo 
av.  Cr. 

La  punta  a  cuneo,  con  cui  la  stele  conficcavasi  in  terra,  manca;  ma  notasi  la 
rottura  della  medesima.  Vedausi  lo  altre  stele  dell'agro  fiesolano,  da  me  descritte  nelle 
Notizie  1889,  p.  152,  183. 

L.  A.  M11..VNI. 


V.  AREZZO  —  Nuovi  ritrovamenti  di  vasi  fittili  nella  città  enei 

contado. 

Nel  corso  del  1893  e  nei  primi  di  quest'anno  si  sono  discoperti  entro  0  fuori 
la  città  moltissimi  frammenti  di  vasi  a  vernice  rossa,  privi  della  decorazione  a  ri- 
lievo, rappresentanti  il  prodotto  di  modeste    oflicine.    Questo   vasellame  liscio  porta 


REGIONE    VII.  —    I  !  (     —  AREZZO 

sempre  nel  fondo  interno  impresso  il  sigillo  del  tornitore  o  del  possessore  della  for- 
nace, 0  il  nomo  di  ambedue,  essendo  riserbato  ai  flguli  veri  e  propri  l'onore  di  col- 
locarlo all'esterno  tra  le  figure  e  tra  gli  ornati. 

Via  Guido  Monaco.  —  Dei  fondi  di  vasi  lisci  si  raccolsero  negli  scarichi 
antichi  giacenti  nel  terreno  interposto  tra  il  Teatro  Petrarca  e  la  chiesa  di  s.  Fran- 
cesco, e.  diviso  dalla  Via  Guido  Monaco.  Alcuni  di  essi  recano  i  sigilli  di  lavoranti 
finora  sconosciuti  delle  fornaci  di  Rasinio,  di  Annio,  di  Avilio,  di  Sura,  di  Telilo, 
il  quale  sappiamo  che  ebbe  una  fabbrica  di  vasi  figurati  a  Ponte  a  Buriano  ('),  lungo 
la  via  Cassia,  non  lungi  da  quella  cospicua  di  P.  Cornelio  In  Cincelll,  l  cui  prodotti 
fanno  parte  della  raccolta  esposta  nel  civico  Museo.  La  promiscuità  di  detti  scarlclil 
prova  che  anche  su  quello  spazio  lo  spurgo  di  più  fornaci  era  portato  ora  in  un  punto 
ora  in  un  altro,  ove  occorreva  riempir  le  fosse  scavate  per  l'estrazione  dell'argilla  e 
livellare  il  terreno. 

Enumero  i  bolli  delle  piccole  tazze  e  dei  piattelli  di  forme  semplici,  dei  quali 
mi  fu  possibile  prender  nota  mano  a  mano  che  venivano  scoperti,  specialmente  nelle 
fondazioni  di  nuove  case  o  nelle  fogne  della  via  Guido  Monaco  o  li  vicino. 

1.  In  fondo  di   tazza    liscia 

2.  In  piccolo  piatto  AFRI 

3.  In  fondo  di  vasello  ESCNy/// 

4.  Su  fondo  di  jxUella  C  ■  NON 

5.  Vasetto  semplice  C-VOLV? 

{/RIVS 

6.  In    frammentino    di    fondo    di    una  riatella  '   ,,^^,,;  forse   11  primo  nome  è 

\lHh;// 

Fiiriiis;  il  secondo  non  si  spiega  per  altri  raffronti. 

,.  ,     ,     CERDO 

7.  Su  pezzetto  di  londo  ---  .^,J^[ 


Hi  L 1 

8.  Su  fondo  di  vasello  _  -^^, 

C-NN 


Philemo  C.  Anni. 


9.  Su  di  ugual  fondo  -w««.v.i.v,u- 

C  •  ANNI 

10.  Su  piattello  '^j^^j^   Onvirus  (?)  C.  Anni. 

11.  In  fondi  di  diversi  fasattii  , ,, 

\  I  N  ; 


(')  Notis.  1893,  p.  138  scgg. 


ARKZZO 


—    118    — 


REGIONE    VII. 


12.  Xel  fondo  di  jiatellae 

13.  Su  fondo  di  piatto 

14.  Entro  piccolo  raso 


EROS: 

LA>NI 

L•A^NI 
CLEM 

CN  AEI 
EROS 


C   C  I  SPI 

15.  Su  fondo  di  itiatltìUo  ,  ^^_,,,      (') 

L  CA-SIVs 

16.  Su  di  ugual  fondo  A/IL 

17.  Su  fondo  di  vasetto  e  di  piattelli 

a     LA'ILLI  b     LAVILt  e 

SVRA-  SVR/e 

e    LA/LSAI^    l.  Avilli  Surae. 

18.  In  fondo  di  piatto  e  vasello  SV? 

19.  In  fondo  di  piatti  SJ?/% .  Il  nome  di  Siira  o  Si/ra  si  ha  ancora  in  grande 
monogramma  cosi  graffito  S/l  nel  fondo  di  una  forma  fi;,'urata.  proveniente  dalla  mede- 
sima località. 


LAVILLI 

(/ 

LAAirn 

CA  VR/c. 

2  VR  A 

20.  Su  diversi  fondi  di  piattelli  e  piccoli  vasi 
a     RVFRE  //     TR/''RE  e     TRlH 

R/FIO  Ry''I©J  R/''IoV 


d     TR/'RE 
R/'IO:-: 


2].  In  fondo  di  due  grandi  vassoi 


PlElSG 


Pl£.I£I 


22.  Su  fondo   di    vasetti    decorati   ^^q 

23.  In  fondo  di    vasello   ^^f^ 

24.  In  diversi  piattelli  frammentati 

VMBRIC      //      VMBRICI       e     CVMBRIC 
P}(L0L"G  pfIlolog  PHILOL 


(/      C  ■  WB  R  I 
OlOlIHd 


P  H  ì\^ 
L  VV\BRI 


25.  Su  fondo  di  piccolo  vaso  fuso  in  fornace  e  attaccato   ad  altri    tre    ^^,9, 

SVRA  ET 
0  su   altro    piattello   ^^jloLOG 

2(3.  Su  fondo  di  piatto  e  di  vasetto  I-ERT     HERO     Ilerlori 

27.  Su  piattello   gERMN 


(')  Cfr.  Gamurrini,  fscris.  dei  vosi  aret.  \k  I!»,  n.  221. 


REGIONE    \M1. 


—    119    —  AREZZO 


28.  In  piccoli  vasetti  lisci  RASN     RASk     RASN;  e  in  un  frammentino  di  fondo 
di  piattello 


CELER  CERTV"* 

20.  Su  fondo  di  tazza  (')  e  ^^^^j^      ,  il  qual  Certus  qui  apparisce  come 

semplice  tornitore,  ma  fu  anche  figulo  come  si  rileva    da    un    frammento    di  forma 
elegantemente  ornata,  oggi  posseduto  dal  sig.  dott.  A.  Guidacci. 

30.  In  frammentino  ^^^^^  Raaitn  Auteros  (-) 


tiUM'/r-j'.i 


PRIJW 
81.  Su  piattello  ^^^^^ 

,^    r,       •  .,  ,1     LYSIM 

32.  Su  piattello  ^^^^^ 

RVFIO 

33.  In  fondo  di  vaso  piccolo  „  .^,,., 


34.  In  frammento  in  fondo  WEMI       ^'E^V1I 

35.  S;i  fondi  di  vasetti  CT-E       CTEU 

ALBA/V 
3(3.  Su  fondo  di  altro  piccolo  vaso   _  __,  ^ , 

CTELLl 

A/TER 

37.  Su  fondo  di  due  piccoli   piatti  -~.jci  i 

38.  Vaso  liscio  L-VM       L.   Umbria. 

^^     AVETTI 

39.  In  fondo    di    altro    vasetto  ^_,_._,, 

OPTATI 


40.  Sotto  l'orlo  d'un  frammentino  di  vaso  figurato,  a  lettere  ben  rilevate  LTETTEI 

41.  Su  fondo  di  piattello  LTIC  /..    Tili  Copo  (^). 


(')  (iamurrini,  oi).  cit.  \\.  :5I,  ii.   180. 
(2)  ib.  p.  .31,  n.  1,31. 
P)  ib.  p.  23,  n.  69-73. 


AREZZO 


—    12U   —  REGIONE   VII. 


Fonte  Pozzo  lo.  —  Nei  campi  di  Fonte  Pozzolo  ('),  contigui  alle  mura  at- 
tuali, dalla  parto  di  tramontana,  e  precisamente  nulla  proprietà  del  sig.  L.  llossi.  gli 
avanzi  di  vasi  sono  quasi  a  supertìcio,  e  vengono  continuamente  in  luce  ogni  volta 
che  si  lavora  la  terra.  Siccome  tutto  il  terreno  nò  cosparso,  ritengo  che  vi  si  siano 
stati  rovesciati  allorché  verso  il  1325  il  Comune  edificò  quel  tratto  di  mura,  e  scavò 
il  fossato,  dimezzando  cosi  l'area  occupata  da  diverse  officino  di   fittili. 

È  stiito  detto  che  in  detta  località  si  sono  trovati  gli  scarichi  della  fornace  Je- 
cidia,  Murria,  Saufeia,  Vibia  ed  Krtoria  (-),  o  che  perciò  vi  esistesse  una  fabbrica 
passata  in  breve  tempo  a  diversi  proprietari.  Ma  poiché  vi  si  rinvengono  ancora  i 
fittili  della  Gelila,  della  Tizia,  della  Perennia,  della  Rasinia,  della  Cavia.  dell'An- 
nia  ecc..  credo  che  moltissimi  di  questi  avanzi  siano  venuti  in  quel  luogo  cogli  sterri 
della  città,  siccome  più  volte  ho  osservato  in  vari  punti  limitrofi  all'antica  cinta  di 
Arretium.  Gli  scarichi  adunque  di  vasellame  semplice  che  trovansi  in  un  dato  sito 
non  vi  stabiliscono  la  ubicazione  o  la  vicinanza  di  una  fornace:  questa  peraltro  non 
è  mai  lontana  dal  luogo  in  cui  sono  abbondanti  i  frantumi  di  forme  e  di  vasi 
figurati. 

I  bolli  segnati  tanto  nei  piattelli  quanto  in  vasetti  a  tronco  di  cono,  che  appa- 
rirono a  Fonte  Pozzolo,  sono  i  seguenti  : 

1.  In  grande  vassoio  e  ripetuto  quattro  volte  SE 

2.  In  piccolo  pezzo  di  fondo  LS-G.  L'ultima  lettera  non  è  ben  visibile;  potrebbe 
leggersi  anche  per  una  C. 

A.  Su  frammento  C  V  C.   Voluscni,  vedasi  sopra  al  n.  ò. 

•J.  Su  fondo  di  piattelli   ETC    e  LTC-  cioè  A.  Tili  C'OjW,  vedasi  sopra  al  n.   11. 

b.  Su  dae  patellac    DAlI        QALTì 

li.  Piattello  e  piccolo  vasetto  C  ARVI     C-.1!VI 


t . 


Si.  fondo  di  patella  )[^^^'ll\ 
-.  In  un  ugual  fondo  CCL-SiB  {^). 
(I.  In  fondo  di  piccolo    piatto  cioè  Gavi  Se.vtus. 

in.  Sul  fondo  di  piattelli  IO-I       LCIIS'       rCHa       lcris 

(')  Si  (lice  talvolta  anclie  fonie  Poz:oli  (Foni  pulcoìi),  ed  eravi  iraiiticliissiino  tempo  una 
ptibldica  fonte:  otrui  resta  .solo  il  nome  ni  luopo  clic  doveva  essere  anche  .il  tempo  romano  di  pro- 
prietà pubblica.  Nel  21  agosto  1412  il  comune  d'.Vrczzo  iirovvide  "  super  reaotatinncm  .>;eM  relie- 
dificationem  fontis  del  pozzolo  site  proprc  civitatem  Aretii  "  spendendo  centotrenta  lire  (.\rcli. 
Coni.  Iiclil».  n,  e.  72'). 

(»)  (iamurrini.  np.  rit.  p.  2.".. 

(')  ib.  p.  :J5,  n.  ICO. 


REGIONE    VII.  —    121    —  ARI-ZZO 


11.   Ili  tondo  di  piattelli  L  GELIi 

LGEL 


12.  Ili  fondo   di    piccolo    vaso 
lo.  Su  fondo  di  vasello 


QVAD 
HERT 


14.  Su  di  un  iigu.il  fondo  C-WiR. 

15.  In  fondo  di  grande   vassoio    PftA 

16.  In  fondo  frammentato  PECR  Pereiuii  Crescens. 

17.  In  fondo  di  piccolo  piatto  /o^NOv.S'C  2M.  Pereaai  Crescens  in  nesso 
alfatto  insolito. 

18.  Su    fondo    di    piattello  ■««^wfH:'.^»l■ 

M  PER 

19.  In  fondo  di  ciotola  SA/?'iE  e  |L-SA/''iE|  nelle  quali  impressioni,  ottenute  con 
due  diversi  sigilli,  abbiamo  insolitamente  un  piccolo  segno  tra  la  F  e  la  E,  che  sem- 
brerebbe una  I. 

DAMA 


20.  Suir  interno  di  piccolo  vasetto  frammentato 


SAi^EI- 


21.  In  fondo  di  piatto  -1^}^  {R)asml  Saufei.  Avanti  di  avere    una    fornace 

AFEi 

in  proprio,  L.  Saufeio  era  lavorante  0  socio  di  L.  Rasinio  ;  quegli  non  ebbe  che  una 
modesta  officina  di  semplici  stoviglie;  questi  invece  produsse  tazze  decorate  con  uno 
stile  secco,  più  arcaico,  però  elegante  quanto  quello  che  riscontrasi  nelle  liguline  di 
M.  Perennio. 

22.  Entro  il  fondo  di  piccolo  vaso  jL-TiTl| 

23.  Su  fondo  di  vasetti  A  ■  SES 

Sii 

24.  Su  pezzetto  di  fondo     \      Sexlm  L.   Tilii. 


2.5.  In  fondo  di  vasetti     LTì'RSI       L-  TYR.S'I  |T^1    L.    Tilii  Ti/rsis  C). 

MPHIo       ,      ,  .     „    ^.., .     - 
25.  In  fondo  di  tazza  .,,,„.     Ampli/o  0.    imeni. 

V I  B 

Care  i  arci  le.  La  fabbrica  di  L.  Calidio,  della  quale  si  fa  ricordo  da  antichi 
scrittori  di  cose  aretine  {-\  è  stata  ultimamente  rintracciata  per  alcuni  saggi  fatti 
dal  sig.  dott.  A.  Guiducci  nell'aia  del  podere  detto   •  delle  Carciarollo  -   di  proprietil 

(')  Gamurriiii,  op.  cit.  p.  '2.5,  n.  fi7. 
(»)  Notizie  1800,  jiaf?.  iJfi. 

Classe  di  sciknzk  morali  ecc.  —  Memorie  —  ^'yl  H.-  i^^-'i"'*-'  j"- 1'*''*^  -"  "' 


AUEZ'.O  —    122    —  REGIONE    VII. 


«lolla  nobile  sig.  Auua  Saiacini,  che  gentilmente  diede  il  permesso.  Rimaneva  pre- 
cisamente in  vicinanza  e  siiUa  destra  del  torrente  Castro,  lungo  la  via  che  in  quel 
sito  lo  passava  discostandosi  dall'attuale  un  centinaio  di  metri,  (ili  avanzi  dello  ar- 
ginature di  questa  via,  costruite  a  grosse  pietre  squadrate,  vedonsi  tuttora  sotto  gli 
annessi  della  casa  colonica,  la  quale  dev'essere  fondata  sopra  la  fornace  antica.  Gli 
scarichi  trovausi  ammassati  a  poca  profonditi^,  per  modo  che  è  bastato  un  colpo  di 
zappa  per  ben  conoscere  il  luogo  ove  fabbricavano  i  vasi  L.  Calidio  e  i  suoi  servi. 
Pel  consueto  non  si  produssero  che  semplici  tazze  dalla  forma  più  comune,  a  tronco 
di  cono,  e  piattelli  ad  orlo  sagomato  e  lisci,  simili  a  quelli  della  fornace  dell' Orc;o- 
laia  (')  che  sta  di  contro  a  poca  distanza. 
Le  marche  venute  fuori  sono  queste  : 

1.  Su  piattelli  CA-,  su  vasetti  CAL 
1.  Su  fondo  di  vasetti  e  piattelli  CA-D 
3.  Su  vas3tti     C.^LDI       CAUP 


■1.  Su  fondo    di    piattelli       CA-ID      CALDI     |CAL1D1 


.    C  -V 
n.  Entro  vasetti  i    d   i 

ti.  Su  piattelli  (Q^^S^    kal:di 

7.  Su  fondo  di  patulla    A'^ILIìif    Acmili: 

-»>?>^* — 

IVCVN      CA!.DI 

8.  Entro  eleganti  vasetti  a  tronco  di  cono  (-^^idI      JVCV 

^      CRIS 
0.  Fondo  di  piccolo  vasetto 

K».  Entro  parecchi    vasi    e    piattelli    -^'r-- 

FELlXg.      

CAiDl*        CALDO 


CALDI 

11.  Su  fondo  di  molti  piattelli     ^tth^^      7^ 
1-ERM 


12.  Entro  vasello 


CALO 


.  ,   „.   ^wvlA    (') 
1.;.  Su  piattelli  -^^^ 

\^  SAO 
14.  Entro  vaselli  o  piccoli  piatti      cAlDI 

NENtDyOSl 
1.').  Su    vassoio 


JCADH^ 

(«)  Sotizie  1890  pap.  63-72. 

(*)  tìaiii'irri»"-  "p   cit"  I'.  ■",  n.  237. 


REGIONE    VII. 


123   — 


CAI'ODIMONTE 


IG.  Sul  foudo  di  parecchi  piattulli  f-.,  j)[|    Nicephor  Calidi 

17.  In  piattelli  e  vasi  <- .  li  D  l"  ^"^'^"^    Odvirus  piuttosto  che  Odiriis 

PELEV3 

18.  In  fondo  di  moltissimi   piattelli 


19.  Su  di  un  piatto  frammentato 
SIASA-CA 


PROT 


CA'/ 


Proli  Calidi  (') 

SASACA 


20.  Su  grande   piatto  e  in  altri  grandi  vassoi 

LIDI  ****" 


LIDI 


21.  In  frammento  di  fondo    rsTNlM      (-) 


S  TABI  II 
22.  In  fondo  di  piattello     q^q<^     O 


,  .    ,.        .       TELA  TELMO 

23.  In  piattelli  diversi      _  ^   ^  ,     e     _^,  ■^- 

C  Al-  D  I  CALIDI 


U.  Pasqui. 


VI.  CAPODIMONTE  —  iVuodì  scavi  nella  necropoli  Visentinn  nel  co- 
mune di  Capodimonle  sul  lago  di  Bolsena. 

Le  nuove  esplorazioni  della  necropoli  Visentina,  cui  si  riferisce  il  cenno  nelle 
Notizie  del  1892  p.  404,  si  devono  principalmente  alla  lodevole  iniziativa  dell'egregio 
proprietario  cav.  Napoleone  Brenciaglia,  deputato  provinciale,  e  furono  condotte,  parte 
alla  Palazzetta,  dove  si  praticarono  i  primi  scavi  dell'antica  Viseiilium  o  Viseatia 
(v..Vo//j^e  1886,  p.  143-1.51  ;  Bull.  hi.  1886  p.  18-36  ;  Bormann,  C.  I.L.  XI,  p.444  e  sg.), 
e  parte  in  contrada  Polledrara,  poco  discosto  dal  luogo  dove  si  era  rinvenuto  il  terzo 
sepolcreto  primitivo  di  quella  importante  necropoli  (v.  Notizie  1886,  pag.  290-314). 

Il  primo  sepolcreto,  con  ossuari  di  tipo  primitivo  e  con  urne  a  capanna,  si  scopri, 
come  è  noto,  dal  sig.  Paolozzi  di  Chiusi  presso  la  Palazzetta  nella  primavera  del  1885, 
approfondendo  lo  scavo  sotto  le  deposizioni  in  casse  tufacee  (v.  Notisie  1886,  pag.  144 
e  Bull.  hi.  1886,  p.  19).  Il  secondo  sepolcreto  di  carattere  pure  primitivo,  ma  con 
casse  tufacee  a  umazione,  alternate  al  medesimo  piano  con  i  pozzetti  italici,  ap- 
parve nella  parte  più  bassa  della  necropoli  Visentina,  quasi  a  riva  del  lago,  sulla 


e)  Gamurrini,  op.  cit.,  p.    li!,  ii 
(«)  ih.,  p.  45,  n.  2M8-251. 
P)  ib.,  p.   11,  n.  2%. 


CAI'OUIMOXTE  —    1-1    —  REGIONE    VII. 

piaua  di  s.  Bernardino.  Questo  sepolcreto,  indipendente  dal  primo  e  limitato  intomo 
intorno  da  un  cerchio  di  pietre,  fu  potuto  esplorare  accuratamente  e  completamente 
dal  Pasqui  nel  novembre  1886  (v.  Notizie  1880,  p.  177-2U5.  tav.  11-111):  per  cui 
le  ricerche  del  dicembre  dello  stesso  anno  si  portarono  più  a  mezzogiorno  di  s.  Bernar- 
dino, nel  terreno  denominato  la  PoUedrara.  Quivi  si  rinvenne  un  terzo  sepolcreto,  con 
tombe  a  fossa  ed  a  pozzetto  alternato,  simile  a  quello  di  s.  Bernardino,  pure  ac- 
curatamente descritto  dal  Pasqui   nelle  Notizie  1880,  p.  290-314. 

L'esplorazione  di  questo  terzo  sepolcreto   essendo  stata  pressoché  esaurita  in 
quella  campagna  di  scavo,   per  consiglio  dello  scavatore  Filippo  Manetti,  bracciante 
del  sig.  Brenciaglia,  le  ricerche   ulteriori   furono    portate  a  circa  metri  400  dal  se- 
polcreto di   s.  Bernardino,  sempre  in  contrada  PoUedrara,  ma  più  in  prossimità  della 
strada  provinciale  e  propriamente  in  una  piana  detta  Porto  Madonna.  Fu  qui  che  il 
8ig.  Napoleone  Brenciaglia  rinvenne  il  quarto  sepolcreto  primitivo,  di  cui  diede  egli 
stesso   un   cenno   nelle    sopracitate   Notizie   del    1892,    p.   404   e   sg.    Io   mi   recai 
a  visitare  le  nuove  scoperte  nell'aprile   decorso  e  potei  constatare,  con  alcuni  saggi 
di  scavo  praticati  alla  mia  presenza,  che  il  carattere  del  nuovo  sepolcreto  di  Porto 
iladonna  corrisponde  a  quello  dei  sepolcreti  precedenti,  con  la  sola  differenza  che  i 
pozzetti  non  apparvero  mai  alternati  da  deposizioni  a  umazione,  e  tutti  si  trovarono 
sul  medesimo   piano   vicinissimi   l'uno  all'altro,  a  un  metro  circa    di   profondità  dal 
suolo.  Le  suppellettili  dello  tombe  si  rinvennero  costantemente  collocate  dentro  cu- 
stodie di  tufo  col  recipiente   ora  emisferico  ed   ora  quasi  cilindrico,  e  col  coperchio 
tondeggiante  foggiato  un  po'  sul  tipo  della  ciotola  che  suol  ricoprire  i  rituali  ossuari 
a  doppio  tronco  di  cono,  a  quando  quasi  sul  tipo  di  un  elmo  pileato,  a  quando  quasi 
sul  tipo  dei  tetti  delle  urne  a  capanna.  "Vedasi  il  disegno  di  una  di  queste  custodie  e 
relativo  pozzetto  nelle  Notizie  1886,  tav.  II,  fig.  4.  Le  stele  della  necropoli  falisca  pri- 
mitiva foggiate  più  determinatamente  a  tetto  di  capanna,   ed  una    simile    stele  rin- 
venuta anche  nella  necropoli  di  Bisenzio  (v.  Notizie  1886,  tav.  III.  fig.  12,  p.  188)  met- 
tono fuori  di  dubbio  l'intenzione  degli  antichi  italici  di  dare  alla  loro  necropoli  la  fisio- 
nomia di  una  città  dei  morti,  imitando  le  capanne,  ossia  le  loro   proprie  abitazioni 
normali,  non  solo  nei  recipienti  destinati  a   conservare  direttamente  i  resti  mortali  ; 
ma  altrcs'i,  in  qualche   caso,  perfino  nella  custodia  destinata  a  conservare  le  rituali 
suppellettili  funebri,  ovvero  nelle  stele  che  sopra  suolo,  richiamavano  il  sepolcro  e  la 
memoria  del  defunto. 

Esibisco  il  disegno  di  una  di  tali  tombe  {\\g.  1)  ottenuta  in  dono  per  il  nostro  Museo 
Etrusco  Centrale  dalla  ben  nota  liberalità  del  sig.  cav.  Brenciaglia,  e  faccio  seguire 
la  descrizione  di  altre  dodici  tombe  a  pozzo  da  me  acquistate  per  il  Museo  stesso, 
e  scelte  fra  quello  che  mi  parvero  adatte  a  dare  un'  idea  del  nuovo  sepolcreto  visen- 
tino  di  Porto  Madonna. 

Tomba  1,  inlatta,  donata  al  Museo  dal  cav.  Brenciaglia.  La  custodia  tufacea  di 
questa  tomba  alta  m.  0,87  con  un  diam.  di  circa  m.  0,65,  ha  la  parte  inferiore  emi- 
sferica e  la  parte  superiore  in  forma  di  ciotola  rovescia  col  fondo  piano,  il  ventre 
rigonfio  ed  il  labbro  ripreso.  Quella  specie  di  strozzatura  o  gola  presso  il  labl)ro  iul'e- 


KEtìlON'K    va. 


—  1-25  — 


CAPODIMONTIC 


riore  s'incontra  anche  nelle  custodie,  che,  come  accennai,  mi  sembrano  imitare  o  l'elmo 
pileato  degli  italici,  o  il  tetto  di  ima  capanna  (cfr.  jYoli:le.  188'i,  tav.  II,  fig.  4). 

La  rottura  naturale  del  coperchio  della  nostra  custodia  lascia  scorgere  interior- 
mente l'urna  a  capanna,  ancora  in  posto,  e  intatta  col  coperchio  a  testuggine  formato 
con  due  caprcoU  e  due  caalherii  appoggiati  al  relativo  colameli.  I  capreoLi,  i  cantherii 


Fio    1. 


il  eolumen    ed    anche  la   gronda    del    tetto  sono  scannellati  peculiarmente,  così  da 
dare  un'  idea  del  materiale  (legno)  di  cui  erano  latti. 

I  canlherii  terminavano  superiormente  in  cornetti  ricordanti  le  note  corna  pro- 
filattiche di  altre  urne  a  capanna.  Il  tetto  e  le  pareti  cilindriche  dell'urna  sono  rive- 
stite di  ocra  bianca. 


CAI'UUIMONTK 


12(5   — 


REGIONE   VII. 


Addossate  all'urua  a  capanna  si  vedono  un  calicetto  ed  un  poculo  molto  rozzi; 
qiiest' ultimo  vasetto  nasconde  anzi  la  porta  rettanirolaro  dell'urna  ed  il  relativo  spor- 
tello. Accanto  all'urna,  all'ondati  nel  terriccio  d'infiltrazione,  ifiacciono  un  piccolo  in- 
censiere a  barchetta  con  maniglia  centrale  e  tre  altri  vasetti  della  suppellettile 
funebre  molto  ordinari. 


Altre  tombe  a  po:30  di  Porto  }fadonna  {Polledrara). 

Tomba  1.   —   Fittili:   a)  Umetta  a  capanna  a  pareti  quasi  cilindriche  con  fi- 
nestra tonda  sul  davanti  (tìg.  2).  La  copertura  è  composta  di    due  cupreoli   e  due 


Vw 


cantherii  desinenti  in  cornetti.  Alt.  totale  0,26;  dm.  della  copertura  0,21.  —  b)  Vasetto 
decorato  di  graffiti,  alt.  0,10,  con  tre  borchie  mammellate  come  negli  ossu,irii  orvietani 


C 


FiG.  3 


tipo  Villanova.  —  e)  Tre  bicchieri  (peculi)  O.US.  —  d)  Due  coppe  alt.  0,05.  —  e)  Incen- 
.siorc  a  saliera  con  piccola  ansa  nel  mezzo.  —  /")  Ruote  e  piano  d'un  piccolo  carro. 


REGIOXIÌ    VII. 


—    127    — 


CAPODIMONTE 


giuocattolo  da  fanciullo.  11  disegno  ohe  ne  diamo  (tìg  3)  è  un  terzo  del  vero.  I  relativi 
cavallucci  non  si  rinvennero  allatto  ;  saranno  stati  di  legno  come  il  timone  e  l'asse  delle 
ruote.  Ofr.  la  biga  di  Orvieto  nel  Museo  di  Firenze. 

Tomba  3.  —  Filiili:  a)  Ossuario  alt.  0,23,  bocca  0,65,  liscio  senza  manici, 
di  terra  brunastra.  —  b)  Vaso  a  un  manico  decorato  con  ocre  bianche  simile  a  quello 
della  tomba  n.  3  a,  alt.  0,21.  —  e)  Tre  vasetti  senza  manici  fatti  a  olla  alt.  0,12,  0,11, 
0,U'J.  — .  d)  Due  poeuli  con  ansa  anulare  alt.  0,06.  —  e)  Kyathos  leggermente  scan- 
nellato nel  ventre  e  con  manico  a  due  prese  scannellato  orizzontalmente  a  stecco.  Di 
questo  kj'athos  tipico  diamo  il  disegno  un  terzo  del  vero  (fig.  4).  —  /)  Cinque  tazzine  a 
calice  con  largo  labbro  piatto  e  piede  ripreso, tipo  poco  più  elegante  di  quello  iVo//j/e  1886, 
tav.  Ili,  7,  diam.  0,17,  0,14,  0,12,  0,12,  0,11.    La  più  grande  ha  il  labbro  striato 


Fig.   4. 


FiG.  5. 


a  stecco  a  circoli  concentiici,  ed  ha  due  fori  per  l'attacco  di  una  cordicella.  —  (j)  In- 
censiere con  maniglie  nel  centro  lungo  0,19,  largo  0,11  con  quattro  pieducci  (tig.  5)  — 
li)  Ciotolina  diam.  0,06. 

Bronsi:  i)  Due  fibule  a  disco  con  arco  ornato  di  ambre.  I  dischi  ornati  d'in- 
cisioni finissime  simili  a  quelli  di  Vetulonia  esibiscono  croci  gammate  e  quadrati 
iscritti  lung.  0,10,  piattello  larg.  0,06  (cfr.  fig.  8).  —  j)  Due  armille  spirali  a  un 
giro  di  fettuccia  con  striatura  mediana;  probabilmente  erano  infilzate  nelle  fibule 
come  nella  tomba  4 a  (v.  fig.  8).  —  k)  Bulla  di  bronzo  placcata  di  foglia  d'oro; 
e  decorata  a  sbalzo  di  circoli  concentrici  lineari  e  punteggiati  (diam.  0.03)  ;  una 
delle  foglie  d'oro  manca.  Una  simile  bulla  o  flialcra  faceva  parte  di  una  collana 
trovata  in  una  tomba  del  sepolcreto  di  s.  Bernardino  ora  nel  Museo  di  Firenze  (v.  No- 
tizie 1886  p.  187  rrì).  —  /)  Fibula  a  sanguisuga  con  grattiti.  —  vi)  Due  palline  di 
ambra  e  cinque  di  vetro   filogranato,    pertinenti  a  collana. 

Tomba  4.  —  Fittili:  a)  Ossuario  con  ansa  verticale  a  nastro  attaccata  al- 
l'omero ed  alla  bocca  (alt.  0,22,  bocca  0,15).  lìl  decorato,  come  vedesi  nel  disegno 
fig.  6,  di  graffiti  geometrici  riempiti  di  ocre  bianche.  Ben  conservato.  —  b)  Due 
kyathoi  con  alta  ansa  a  doppia  presa  di  tipo  corrispondente  a  quello  della  tomba  3  e 
(tìg.    4).    Sono    decorati    con   ocra   bianca    a    dentiera   di   lupo    intorno    al    ventre 


CAI'OUIMONTE 


—    126   — 


R  KG  IONE    VII 


diam.  O.oO.  alt.  (I.IO.  —  r)  Askos  a  testa  di  bue,  lun;^.  O.Kì.  alt.  0,08,  decorato  di 
Erraftiti  ffcometriri  (lig.  7).—  d).  Tazzina  a  un  manico  con  doppia  fila  di  graffiti  a  dente 
di  lupo.  diam.  il.l  1.  —  e)  Coppa  ansata  con  piede  conico,  decorata  di  tre  cornetti  sulla 
linea  dell'ansa  alt.  0.09'..  diam.  (»,l(i.  —  f)  Ciotola  ansata,  tipo  Villanova.  diam.  0,11, 
decorata  di  tre  nervature  verticali  sul  labbro,  bucchero  piuttosto  fine.  —  /"")  Ciotola 


Via 


Fio. 


di  simile  tipo,  ma  ordinaria,  diam.  0,15.  —  </)  Pignatto  rotto,  simile  a  quello  dato  nello 
Nulitie  188<>  tav.  Ili  fig.  5,  molto  ordinario.  —  ìì]  Due  calici  molto  ordinari  tipo 
Notisie  1886  tav.  II,  fig.  7,  mancanti  del  piede.  —  /)  Due  fuseruole,  una  a  tronco  di 
cono  e  l'altra  a  lenticchia. 

Dro>t:i:  j)  Due  fil>ulp  a  disco  con  finissimi  graffiti  geometrici  e  con  l'arco  rive- 
stito d'ambre.  Reca  infilata  neil'ardigliono  un'armilla  a  due  giri  spirali  fatta  di  doppio 
filo  di  bronzo  di  coloro  aureo  (')  con  le  estremitìi  ritorte  a  fune.  Vedasi  il  disegno  fig.  8. 
un  quarto  minore  del  vero  —  /•)  Fibula  a  sanguisuga,  lunga  0,05  con  graffiti  molto  pro- 
fondamente incisi.  —  /)  Spirale  a  tre  giri  di  fettuccia  di  bronzo,  per  capelli,  diam.  0.05.  — 
m)  Altra  sjiirale  a  im  giro  di  fettuccia  pure  per  capelli,  diam.  0,03.  —  n)  Capocchia 
conica  probabilmente  bottone  di  colore  aureo  avendo  nella  parto  interna  una  piccola 
sbarra  per  l'attacco.  —  o)  Campanella  piccola  massiccia,  dm.  0,03.  —  p)  Due  ambre 
oblunghe  e  tre  o  quattro  chicchi  tondi  pure  d'ambra  per  collana. 

Tomba  5.  —  Fili  ili:  a)  Urna  a  capanna  di  tipo  simile  a  quella  della  tnmba  1*. 
solo  il  tetto  più  schiacciato  e  le  pareti  leggermente  oblique;  alt.  0,18,  diam.  circa 
0,19,  sportello  con  tre  fori.  La  part«  superiore  mal  conservata.  —  b)  Fuseruola  lenti- 


■')  V.   r.;irn;.l.ei,  .\fijn.  Ant.  IV   p.  208  •2-.'t'.. 


REGIONE   VII. 


—  rj!i  — 


CAPOOIMONTE 


colat-e  decorata  di  punti  incisi.  —  e)  Tazzina  molto  rozza  con  ansa  cornuta.  E  con- 
servato un  solo  cornetto  sovrapposto  all'ansa.  —  (/)  Tre  tazzine  a  calicò  con  pie- 
duccio,  diam.  0,12,  0,08.  —   e)  Tazza   a   pignatta   del   solito   bucchero   ordinario  col 


FiG.  8. 


ventre  leggermente  scannellato,  decorata  di  palline    di  bronzo  simili  a  capocchie  di 
spillo.  L'ansa  anulare  a  nastro  è  decorata  nel  medesimo  modo  (tìg.  9).  —  f)  Due  peculi 


Fui,  !). 


■"ir..  111. 


rozzi  alt.  0,08,  0,07.  —  o)   Due  incensieri  a  forma  di  barchetta  0,10;  0,11,    il   se- 
condo  con   ansa   nel   centro   ed   estremità  piatte  (tìg.  K)). 

JJroiui:  (j)  Fibula    con  ornati  a  dente   di  lupo    nell'arco  di   nastro    rientrante 
lungh.  0,04  —  h)  Campauelliiie  ili  lilo  Ji  bronzo. 

Ci.ASSK  DI  soiEN/.E  MOUAi.i  ccc.  —  Memouik  —  Vol.  II,  Scri-^  .'j",  parte  2«  17 


CAPODIMONTE 


—    130   — 


REOIONE   VII. 


Tomba  (i.  —  Fittili  :  a)  Ossuario  grande  tipo  Villauova  (v.  Notiiie,  1886,  ter.  Ili, 
fig.  \ò),  di  cui  ò  conservata  la  sola  parte  superiore.  Loinero  è  decorato  dei  soliti 
graditi  a  greca,  e  la  greca  stessa  è  limitata  da  un  giro  di  astri  impressi.  —  b)  Vaso 
affatto  simile  per  forma  e  decorazione  a  quello  nelle  Notizie  1886,  tev.  Ili,  fig.  9; 
ma  con  una  sola  ansa  a  nastro  liscio.  Alt.  0,20,  bocca  0,19.  —  e)  Pignatte  rozzo, 
simile  Xotisie  1886.  tev.  Ili,  tig.  .5,  bocca  0,09.  —  d)  Vaso  tipo  Villanova  alt.  0,20,  ma 
con  ansa  anulare.  È  decorato  di  graditi  a  greca  sul  collo  conico;  a  denti  di  lupo  e 
zig-zag  sulla  linea  dell'ansa  (fig.  11).  —  e)  Poculo  alt.  m.  0,09.  —  f)  Paio  di  ciotole 
emisferiche  con  ansa  orizzontale  diam.  0,12  —  g)  Tre  kyathoi  del  solito  tipo  fig.  4. 
con  ansa  a  doppia  presa;  tutti  e  tre  con  ventre  decorato  di  striature  oblunghe  fatte 


Fir,.    11. 


con  lo  stecco.  Huccliero  piuttosto  fino  e  ben  cotto.  —  lì)  Due  tazze  a  calice,  una 
con  doppio  foro  i>er  l'attacco  (diam.  0,10);  l'altra  (0,l0)  di  rozzissimo  impasto  pri- 
mitivo. —  i)  Anforetta  di  bucchero  fine,  simile  a  quella  nelle  Notisic  1886,  tev.  Ili, 
fig.  3,  decorata  nel  ventre  di  semicerchi  scalfiti,  ma  senza  bugna  centrale. 

lìroiiii:  j)  Grande  fibula  a  disco  e  giogo  sovrapposto,  lung.  0,10.  L'arco  fatto  di 
filo  di  bronzo  massiccio  è  ornato  di  grattiti,  cos'i  pure  il  piattello  (0,06)  è  tutto  fina- 
mente inciso  di  graniti  geometrici.  Mantiene  infilati  fra  l'arco  e  l'ardiglione  tre  anelli 
(diam.  0,02)  a  fettuccia  leggermente  convessa  e  nervata.  —  le)  Simile  fibula  a  disco, 
ma  senza  quella  specie  di  giogo  che  serra  ranli<,'lione  sopra  il  piattello.  Ha  infilati 
nell'ardiglione  due  coppie  di  campauelline  (tre  dentro  una  quarta).  —  /)  Fibula  a  drago 
m.  0,05  con  arco  rientrante    tondo,  decorato  di  graffiti.  —  m)  Itesoio   simbolico   di 


REGIONE    VII. 


—    131    — 


CAPODIMONTE 


ferro,  seraiiunato,  privo  dal  manico  rotto  (lungh.  0,04).  —  n)  Cuspide  simbolica  di  ferro 
graudezza  e  forma  del  di-segno  fig.  12.  —  o)  Bottone  un  po' convesso,  con  due  fori 
laterali  decorato  di  punti  a  sbalzo.  —  p)  Due  campanelle  di  esilissimo  filo  di  bronzo 
coloro  aureo,  diam.  m.  0,35,  forse  orecchini  ?  —  q)  Varie  perline  di  osso  per  collana. 


Fio.   12. 


Tomba  7.  —  a)  Olla  cineraria  liscia  senza  manici  a  ventre  ovoide  e  labbro 
obliquo,  alt.  0,11.  — b)  Vaso  a  due  anse,  tipo  Notizie  1886,  tav.  Ili,  9,  ma  con  piede 
più  a  tronco  di  cono,  anse  a  nastro  liscie,  e  ventre  ornato  da  una  parte  e  dall'altra 
di  due  semplici  cornetti  (un'ansa  manca).  —  e)  Anfora  0,20  con  anse  peculiari 
scannellate  (v.  fig.  13).  Omero  decorato  di  piramidette  incavate  a  punta  di  stecco,  de- 


FlG.   18. 


sinenti  in  circoli  concentrici  impressi  ;  ventre  a  rettangoli  di  doppie  linee  impresse  a  fune. 
Anche  nel  punto  d'attacco  delle  anse  sono  aggiunti  dei  circoli  concentrici  impressi.  Buc- 
chero grigio-nero  piuttosto  line.  —  d)  Piguatto  grande  con  la  solita  ausa  anulare  di 
nastro,  alt.  0,14,  bocca  0,14,  col  ventre  decorato  di  graffiti,  divisi  da  zone  a  tratteggi.  — 


CAPODIMOSTK 


—    132   — 


REGIONE    VII. 


e)  Pignatte  di  similo  forma  liscio.  Terra  ed  impasto  molto  rozzi.  alt.U,lO  bocca  0,1  (J.  — 
/■)  Ciotoletta  quasi  emisferica,  diam.  0,07.  —  g)  Poculo  a  tronco  di  cono  molto  ordi- 
nario alt.  0,08.  —  h)  Due  tazzine  a  calice  circa  m.  0,12X0,10.  —  /)  Due  tazzine 
(kviithoi)  ad  alto  manico  tipo  della  tomba  2 e.  In  questa  tomba  mancavano  atlatt*) 
i  bronzi. 

Tomba  8. —  Fittili:  o)  Olla  analoga  a  quello  della  necropoli  laziale,  Jilt.  0,18, 
bocca  <i,17.  È  decorata  di  nervature  le  quali  si  legano  a  riquadri,  incrociandosi  ncl- 


FiG.  1  !. 


Tir..    1.-.. 


l'omero  e  nel  basso  ventre  del  vaso  ;  impasto  nero  rozzissimo  (tìg.  1.')).  —  li)  Vaso  tipo 
Noliiic  18S(J,  tav.  Ili,  tig.  15,  ma  con  anse  anulari  e  senza  piede  ripreso.  Sul  ventre 
larghi  graniti  a  dente  ;  l'ansa  è  rotta.  —  e)  Tre  pignatti  con  ansa  a  nastro,  anulare, 
quello  più  grande  alt.  0,10,  decorato  di  graffiti;  quello  mezzauo  alt.  0,09  bocca  0,11, 


Fio.' 16. 


liscio,  quello  più  piccolo  0,08,  d  impa.vto  rozzissimo,  decorato  di  graflìti  e  punti  — 
d)  Tazzina  a  tronco  di  cono  con  ansa  triangolare  sormontata  da  testa  animalesca  orec- 
chiuta; di.ini.  alla  bocca  0.12  (tìg.  10).  —  e)  Cinque  tazze  a  calice,  diam.  da  0,14  a  0,09, 


REGIONE    VII. 


—    133   — 


CAPODIMONTE 


liscie. —  /■)  Ciotola  a  sezione  di  cono,  diain.  0,15  molto  ordiiiaria.  —  g)  Kyathos, 
del  solito  tipo  tìg.  4,  con  ausa  a  doppia  presa.  —  h)  Poculo  o  pignatto  senza  ansa, 
alt.  0,08.  —  /)  Vasetto  a  zuppiera  alt.  0,09  bocca  0,10  con  ansa  rotta  e  tre  cornetti 
sull'orlo  (fig.  14). 

Bromi:  j)  Spirale  da  capelli  e  due  giri  di  fettuccia,  diam.  0,14.  —  k)  Fibula 
ad  arco  semplice  graffito,  lung.  0.04.  —  /)  Due  gruppi  di  campanelle  da  credersi 
originariamente  infilate  nella  fibula.  —  m)  Culter  simbolico  di  bronzo,  con  largo 
manico  (lungh.  0,04). 

Tomba  9.  —  Fittili,  a)  Ossuario  tipo  Notizie  1886,  tav.  Ili,  fig.  13,  con  due 
anse  orizzontali,  ventre   decorato  di  graffiti  a  greca,   alt.   0,31,  bocca  0,22,  impasto 


Fio.  i; 


rossiccio.  La  superficie  nera  è  tanto  consunta  da  lasciare  appena  scorgere  la  decorazione 
a  riquadri  graffita  sul  ventre  (fig.  17).  —  li)  Olla  ovoide  piena  di  ceneri,  con 
ansa  anulare  a  nastro,  rotta,  e  col  ventre  decorato  di  graffiti,  alt.  0,23,  diam.  0,19.  — 
e)  Piatto  discoide  con  labbro  obliquo  e  foro  nel  eentro  (simile  ad  un  sottovasi 
da  fiori);    rozzissimo    impasto,    diam.    0,18    (fig.    18).    —    d)    Poculo    a    pignatta 


CAPODIMOXTE 


—    134   — 


REGIONE    VII. 


alt.  0,11   rozzo.  —  e)  Duo  tazzine  a  calice  rozzissime.  —  /")  Tre  pignatti  ansati 
alt.  da  0.1  "J  a  O.lU  lisci. 


Fio.  18. 


Tomba  10. —  a)  Olla  seuza  maiiii-i  li.scia,  molto  rozza,  alt.  0.33,  bocca  (i,17. — 
Ij)  Vaso  a  barchetta,  lung.  0,20,  largii.  0,11:  da  un  capo  termina  in  testa  animalesca 
e  dall'altro  in  un  calicetto  per  gli  incensi  (tìg.  19).  —  e)  Altro   vaso   a    barchetta 


KiG.   1'.'. 


lung.  0,25,  larg.  0,13,  sostenuto  da  4  zampine.  Da  un  lato  termina  superiormente  in 
un  piattello    quasi  esagonale,   dall'altro   in  calicetto   tondo  (tìg.  20).   —    (/)    Piatto 


Fio.  20. 


vassoio  per  incensi,  tipo  oblungo,  lung.  n.  1 7,  laig.  u,12.  —  e)  Vasetto  ansato,  alt.  0,17. 
/■)  Undici  piatti,  e  tazze  a  calice  con  peducci  più  o  meno  alti,  diam.  0,31-0,12. 


REGIONE    VII. 


135    — 


CAPODIMONTE 


(j)  Due  kyathoi  del  solito  tipo  fig.  1,  diaiii.  0,10,  decorati  di  gralliti.  —  h)  Pignatto, 
alt.  0,15  franimeatario. 

Tomba  11.  —  «)  Urna  a  capanna  frammentaria,  tipo  simile  allo  precedenti. — 
l>}  Pignatto  con  alta  ansa  a  doppia  presa  simile  a  quella  propria  dei  kyathoi.  — 
e)  Tre  pignatti  decorati    di  graffiti  (fig.  21).    —    (/)  Due  calicetti.  —  e)  Specie  di 


FiG.  21. 


Fig.  22. 


ciotola  con  ansa  peculiare  e  orlo  rientrato,  decorata  con  linee  impresse  e  con  circoli 
concentrici  (fig.  22).  —  /)  Due  fibule  ad  arco  semplice  graffite  0,075,  con  due  cam- 
panelle attaccate  all'ardiglione. 

Tomba  12.  —  Fittili:  a)  Urna  a  capanna,  alt.  0,26,  lung.  0,26,  porta  0,10X0,10 
circonferenza  0,84,  originariamente  incrostata  di  ocra  bianca.  Conserva  ancora  molti 
avanzi  della  colorazione  ;  è  rotta  nella  parte  posteriore.  Tre  cavalietti  {capreoli  e  caa- 
therii)  costituiscono  l'ossatura  del  tetto,  poggiando  sul  colmareccio  {columeii),  il  quale 
termina  in  testa  d'animale  (aries).  Le  travi  sul  culmine  del  tetto  sembrano  termi- 
nare in  teste  di  serpi  (cornetti  ?).  Sul  davanti  quattro  correnti  {Iraiistra  e  iiilci'pensiva) 
formano  il  frontoncino;  nessuna  finestra.  Lo  sportello  termina  in  una  punta  che  fa 
da  cardine  a  s.  ed  ha  un  foro  per  legarlo  all'altra  estremità.  Si  apriva  da  d.  a  s., 
com'è  indicato  dal  foro  corrispondente  praticato  nell'urna.  —  b)  Pignatto  della  solita 
forma  liscio,  alt.  0,13,  bocca  0,13.  —  e)  Pignatto,  alt.  0,07  decorato  di  graffiti  tratteg- 
giati a  raggi.  —  d)  Due  poculi  0,09-0,10,  rozzi.  —  e)  Quattro  calici,  uno  grande  andato 
in  frantumi  e  tre  piccolissimi,  diam.  0,06  —  /)  Incensiere  a  saliera,  lung.  0,15,  larg.  0,07 
con  una  specie  di  spina  graffita  nel  mezzo.  —  rj)  Saliera  rozza. 

Bromi:  lì)  Fibula  ad  arco  semplice,  lungh.  0,037.  —  i)  Cuspide  di  lancia  sim- 
bolica, lungh.  0,07. 

Tomba  18. —  Fittili:  a)  Pentola  liscia,  alt.  0,22,  larg.  0,19,  piena  di  ceneri. — 
//)  Ciotola  di  bucchero  nero  fine  con  "due  cornetti  sul  labbro,  decorata  di  graffiti  a 
linee  oblique  tratteggiato  diam.  0,16.  —  e)  Incensiere,  lung.  0,16,  larg.  0,05  — 
e)  Kyathos   della   solita  forma  fig.  4,    dentro    il    quale  stavano   collocate    la    punta 


CAI'OOIMONTE 


—  \:W  — 


REGIONE    VII. 


di  lancia  e  il  rasoio  descritti  più  oltre.  —  /")  Duo  poetili  e  quattro  tazze  a  calicò 
rozze,  di  varie  grandezze. 

lìroHii :  g)  Cuspide  di  lancia  simbolica,  con  residui  dell'asticella  di  legno 
(tìg.  23  al  vero).  —  A)  Rasoio  simbolico  (fig.  25  al  vero).  —  i)  Fibula  a  drago 
(fig.  21  al  vero). 


*(£    Vtmm 


Fio.  23. 


Kio    21. 


Fi< 


Aggiungo  qui  il  disegno,  mota  del  vero,  di  un  .singolare  e  interessante  vasetto 
di  bucchero  grigio  rossastro,  rinvenuto  dal  >ig.  «iiovanni  Paolozzi  di  Chiusi  in  una 
delle  prime  tombe  risentine  (v.  Notim  18st;,  p.  147  sg.  h).  Questo  vasetto  (fig.  26,  26a), 
stato  separato  dalla  ricca  suppellettile  di  detta  tomba,  quando  se  ne  faceva  l'acquisto 
per  il  Museo  di  Firenze  (a.  1887),  non  fu  potuto  ricuperare  prima  del  luglio  1893.  Nelle 
NoIìtìc  p.   148  veniva  così  descritto  dal  Pasqui  : 

«  Vasetto  rotondo  posato  su  tre  bastoncelli  di  terracotta.  Il  corpo  è  striato 
verticalmente  ed  il  manico  decorato  di  due  cavalli  che  posano  sulle  zampe  anteriori 
sopra  l'orlo.  Dietro  ai  medesimi  aderisce  la  figura  rozzissima  di  un  uomo  nudo  che 
sostiene  con  ambedue  le  mani  le  redini  espresso  con  due  bastoncelli  accoppiati  e 
congiunti  ai  lati  e  dinanzi  alle  teste  '. 

Lo  cosiddette  redini,  sembrano  piuttosto  lacci  per  la  presa  dei  cavalli,  perchè 
fatte  evidentemente  con  forcelle  tlossibili  (ferro  0  legno)  che  abbrancano  lo  teste  dei 
cavalli  oscurandone  gli  occhi  (fig.  2<>a). 

Vasetti  di  bucchero  ornati  similmente  coft  figurino  generiche  s'incontrano  anche 
nelle  tombe  a  ziro  di  Chiu.si.  Uno  di  questi,  proveniente  dalla  collezione  Servadio, 
donato  teste  al  Musco  di  Firenze  dal  sig.  S.  T.  Uaxter,  è  una  piccola  olla  cineraria 


REGIONE   VII. 


—    137   — 


CAPODIMOXTE 


di  bucchero  cinereo,  sul  cui  ventre,  peculiarmente  baccellato  e  graffito  è  espressa  in  alto 
rilievo  la  rozza  figura  di  unajiraefica  nuda  (fig.  27).  Le  anse  poi  di  quest'olla  son  formate 


FiG.  20. 


Fio.  2(1  a. 


con  duo  ligure  di  ginnasti  o  saltimbanchi,  i  quali  tenendo  le  faccio  e  lo  inaui  a  terra 
stanno  per  rizzare  il  corpo  sopra  le  braccia.  È  questa  per  certo  la  più  antica  rappre- 
sentazione che  abbiamo  del  xv^iatrjTi](j  o  cernuus.  Tali  vasi  io  associo  e  faccio  di- 
pendere dai  più  antichi  prodotti  plastici  della  tecnica  maremmana  in  bucchero  nero 
finissimo  (cf.  Mas.  (Jreguf.  II,  tav.  98).  Il  coperchio  con  la  maniglia  in  forma  di 
cavalluccio  non  appartiene  a  quest'olla,  ma  è  del  tempo,  e  le  si  adatta. 


* 


Le  suppellettili  proprie  delle  tombe  a  cassa  tufacea  della  necropoli  Visentina 
della  Palazzetta  sono  in  parte  note  por  le  descrizioni  od  illustrazioni  fattene  dal 
Pasqui  nelle  Notizie,  1880,  p.  177  sgg.,  e  dallo  Helbig  nel  lìull  dell' h(.  1886, 
p.  19  sgg. 

Le  tombe  di  questa  specie,  esplorato  dal  sig.  cav.  Brenciaglia  nel  novembre  1892 
Classe  di  scieuzk  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi  II,.  Serie  5',  parte  2»  18 


CAPODIMONTE 


—   138  — 


REGIONE    VII. 


hanno  dato  suppelUttili  dui  niedesiuio  carattoro  dello  preocdcuti  e  circa  del  mede- 
simo tempo  con  vasi  dipinti  greci  a  figure  nere,  ascrivibili  piuttosto  al  secolo  VI 
che  al  secolo  V  a  Cr. 

Due  di  queste  tombe  diedero  una  suppellettile  specialmente  ricca  di  bronzi  ;  e  sono 
appunto  quelle  che  io  scelsi  por  il  Museo  Etrusco  centrale,  reputandole  opportune 
per  riempire  talune  lacune  delle  nostre  raccolte. 


•Ì7     rK'^\  '.V,' 


^KI^.J^Ì-, 


Ki.i.  27. 


Faccio  seguire  la  descrizione  di  queste  suppellettili,  richiamando  partieolarmonto 
l'attenzione  sopra  l'insigne  kyathos  di  liron/o  sì);il/;ito  desprilto  per  il  primo  ed  accom- 
pagnato dal  relativo  disegno. 


REGIONE    VII. 


—    130    — 


CAPODIUONTE 


Tomba  a  cassa  tufacea  della  Palasse  Ita  N.  1 . 

Bronzi:  a)  Kyathos,  alt.  U,28,  diani.  U,24,  con  ansa  a  nastro,  larga  0,06,  alta  sopra 
il  labbro  del  recipiente  0,19  e  piede  massiccio.  Il  labbro  ed  il  piede  sono  finamente 
cesellati  con  la  decorazione  a  rocchetti  e  baccelli.  L'ansa,  desinente  in  una  larga 
ed  elegante  palmetta,  è  peculiarimente  decorata  a  sbalzo  con  due  figure  di  tipo  e 
stile  ieratico  esprimenti,  a  mio  avviso,  due  sacerdotesse  addette  al  culto  della  divinità 
che  sormonta  l'ansa  stessa.  Tali  figure,  con  testa  e  corpo  di  faccia  e  gambe  e  piedi 
di  profilo,  sono  vestite  di  una  tunica  manicata  raccolta  in  pieghe  sul  davanti  e  alzata 
dalla  mano  s.,  corno  nelle  note  immagini  ieratiche  della  Spes.  Hanno  capigliatura  fluente 
disposta  a  frangia  intorno  alla  fronte  calceoli  ricurvi  {calceus  repandus).  La  figura 


Fio.  28. 


FiG.  28  a. 


che  sormonta  l'ansa  è  massiccia:  rappresenta  certamente  una  divinità  etrusca,  nomi- 
natamente, secondo  opino,  Thufllìia-Tiiraa-  È  assisa,  fornita  di  tutulo  diademato, 
vestita  di  tunica  ionica,  con  calceoli  ricurvi,  tiene  la  mano  s.  abbassata  e  prona 
e  stringe  fra  l'indice  e  il  pollice  dell'altra  mano  un  frutto  più  simile  all'ananasso  che 
al  melagrano. 

Per  la  forma  e  per  la  peculiare  ornamentazione  dell'ansa  ritengo  che  questo 
vaso  interessantissimo,  abbia  potuto  servire  allo  rituali  lilia/.ioni  di  qualche  sacerdo- 
tessa etrusca. 


CAPOOIMO.NTE 


—   l-lu 


KEOIONE    VII. 


ò)  Sitala  alt.  0,12  con  l'omero  e  il  ventre  decorato  di  baccellature,  tipo  ovoide 
con  pieduccio  ripreso  (manico  rotto). 

e)  Ptxis  ossia  acena  frammentaria  a  tronco  di  cuuo  liscio  con  coperchio  concavo 
atto  a  ricevere  gli  incensi  (alt.  u.14).  Per  il  tipo  ricorda  quelle  cosi  caratteristiche 
della  necropoli  di  Vetulonia  (cfr.  Falchi,    Veltilonia,  tav.  XV,  24). 

(/)  Kvathos  liscio  frammentario  con  un  manico  massiccio,  alt.  0,08,  diaiii.  0,09. 

<•)  Bacile  liscio,  diam.  0,22. 

/')  Patera  mesomphala  frammentaria,  diam.  0,12,  con  piccola  maniglia  a  cerniera. 

fj)  Borchia  liscia  convessa,  diam.  0,08. 

h)  Duo  manici  cilindrici  frammentari,  manubri  l'ortu  del  cataletto  mortuario  (alt. 
0.1(M»,08). 

/)  Kyathos,  diam.  0,20  con  ansa  a  nastro  sormontata  da  fiorame  massiccio  (fig.  28). 
Questo  fiorame  ha  riscontro  e  sembra  aver  relazione  col  frutto  che  tiene  in  mano  la 
divinità  che  sormonta  l'ausa  del  kyathos,  u.  1  (cfr.  anche  i  fiorami  che  sormontano  i 
coperchi   dei  cinerari  Vetiilonicsi). 


Fio.  20. 

j)  Oinochoc,  alt.  0,12  con  ansa  desinente  in  mascheroncino  silenico. 

A)  Lebete  grande  liscio,  diam.  0i57. 

Fittili:  l)  Catino  liscio  di  terra  ordinaria  giallastra. 

hi)  Paio  di  pignatti.  alt.  0,07,  di  bucchero  cinereo  assai  fine. 

a)  Tazzina  rozza  di  terra  bruuastra,  diam.  0,08. 


Tomba  a  ca-^tsa  N.   "J. 


llfon:i:  a)  Secchia  ovoide,  alt.  0,2G,  con  doppia  maniglia  di  bastone  tondo, 
bocca  <»,17.  —  //)  Oinochoe  con  bocca  a  foglia  di  ellera,  alt.  0,28  con  l'ansa  desi- 
ni ni.'  in  fiiirliame.  —  r)  Due  siinpoli  di  cui  uno  con  manico  desinente  in  dnpiiio  becco 


UUMA  —     141     —  KOMA 

d'oca,  lungo  0,32.  —  (/)  Due  patere  mesomphale  U,13  e  0,15.  —  e)  Roiiiaiolo  da 
manicarsi  in  legno,  luug.  0,15.  —  /)  Trua  con  manico  di  doppio  filo  di  bronzo 
ondulato.  —  g)  Due  bacili  lisci,  diam.  0,21.  —  h)  Pignatte  con  alto  manico, 
diani.  U,lU.  —  i)  Altro  pignatto  ossia  situla  manicata,  alt.  0,12.  —  k)  Guttus 
elegante,  alt.  0,15.  —  l)  Oinochoe  a  pancia  larghissima  e  bocca  distrutta,  alt.  0,20.  — 
m)  Anello  a  fettuccia  convessa,  diarn.  0,02.  —  n)  Due  campanelline  di  oro  (orec- 
chini). -7-  o)  Due  perle  di  vetro  tilogranate  per  collana.  —  ;/)  Due  frammenti  di 
fibule  ad  arco  schiacciato. 

Ferro:  q)  Candelabro  di  ferro  in  frammenti. 

Fittili:  r)  Kanlharos  di  bucchero  nero  fine.  —  s)  Olla  di  bucchero  cinereo 
fine,  alt.  16.  —  t)  Olla  di  terra  rossa  italo-pelasgica  dipinta  a  zone  geometriche 
alt.  0,22.  —  li)  Grande  lebete  (diam.  0,57)  liscio,  simile  a  quello  della  tomba  prece- 
dente, ma  in  peggiori  condizioni. 

Luigi  A.  Mil.ìni. 


YII.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  cillà  e  nel  suburbio. 

Regione  III.  —  Abbassandosi  il  livello  del  pianterreno  nel  casamento  Bel- 
lucci, in  via  Giovanni  Lanza,  per  ridurlo  a  cantina,  è  comparso  un  tratto  di  mura- 
glione  composto  di  grandi  massi  squadrati  di  tufo.  È  desso  la  continuazione  dell'altro 
tratto  quivi  stesso  scoperto  parecchi  anni  or  sono,  che  taglia  obliquamente  il  muro  di 
prospetto  della  fabbrica,  e  continuava  fino  al  lato  opposto  della  strada,  ove  ne  restano 
ancora  visibili  alcuni  massi. 

Sull'angolo  orientale  della  scuola  comunale  femminile  in  via  della  Polveriera, 
facendosi  un  piccolo  cavo,  si  è  incontrato  il  selciato  di  un'antica  strada  romana,  a 
m.  0,90  sotto  l'odierno  livello  stradale. 

Regione  IV.  —  Nel  cortile  annesso  alla  casa,  già  destinata  alla  Direzione 
delle  carceri,  in  via  Viminale,  è  stato  scoperto,  alla  profondità  di  m.  1,10,  un  tratto 
di  antica  strada  a  poligoni  di  selce,  per  la  lunghezza  di  circa  m.  7.  Nel  mede.simo 
cavo  si  sono  incontrati  avanzi  di  mura  laterizie,  che  distano  m.  6,50  dalla  strada 
predetta. 

Un  altro  pezzo  di  antico  muro  a  cortina,  con  arco  a  tutto  sesto  del  diametro 
di  m.  2,  è  stato  scoperto  nel  palazzo  Medici,  in  via  di  s.  Maria  Maggiore  n.  151, 
per  i  lavori  quivi  intrapresi  ad  ett'etto  di  rinforzare  le  fondazioni  del  lato  opposto 
alla  facciata. 

Regione  XIII.  —  In  via  di  s.  Sabina,  costruendosi  una  nuova  fogna,  è  stato 
scoperto,  alla  distanza  di  circa  m.  10  dal  cancello  d'ingresso  all'ofirtcina  Conscience, 
ed  alla  profondità  di  m.  1,20,  un  tratto  di  antico  pavimento  stradale,  lungo  circa 
m.  5,00,  formato  dei  consueti  poligoni  di  lava  basaltina. 


ROMA 


11:2  — 


ROMA 


Via  Flaminia.  —  A  destra  della  testata  del  ponte  Milvio,  facendosi  lo  sterro 
per  l'ariijinatura  della  sponda  sinistra  del  Tevere  e  per  la  livellazione  del  piano  del 
ponte  inedosimo,  è  stato  trovato  nn  fraintneiito  d'angolo  di  grande  cornicione  in  marmo, 
ornato  con  men-'ole  intagliate  a  foglia  d'acanto  e  rosoni  fra  una  mensola  e  1  altra. 
Misura  in  lunghezza  in.  2,20X1,90X0,76.  Sulla  parte  piana  superiore  sono  inciso 
rozzamente  le  lettere  seguenti: 


) 


)\yji 


e  a  poca  distanza  è  pure  incisa  una  mazzuola  da  scalpellino  con   le   lettere  S  C  in 
questa  forma  : 


Altri  massi  marmorei,  ma  senza  verun  intaglio  architettonico,  si  trovarono  presso 
il  medesimo  luogo  fra  le  sabbie  fluviali;  e  sembrano  spettare  all'ingresso  di  nn 
antico  ponte,  delle  cui  testate  restano  ancora  in  piedi  i  solidissimi  fondamenti  sulle 
due  ripe  del  tiume,  alla  distanza  di  m.  24,50  a  monte  del  ponte  odierno. 

Sulla  predetta  sponda  sinistra,  e  precisamente  a  m.  :U  di  distanza  dal  ponte, 
è  stato  scoperto,  al  suo  posto  primitivo,  un  altro  cippo  terminale  delle  ripe  del  Te- 
vere, colla  nota  iscrizione  dell'anno  700  di  Roma: 

P-SERVEILIVS-CF 

ISAVRICVS 

M- VALERIVS    M-F 

AV  •  N  ■  MESSALL 

GENS 

EX-SCTERMIN 

Il  cippo  è  in  travertino,  ed  ha  l'alte/.za  di  m.  2,40  X  0,00  X  0,40. 
Si  .sono  pure  recuperati  nello  sterro:  un  copsrchio  d'urna  cineraria,  quadrata,  con 
fastigio  e  pulvini;  un  frammento  di  lastrone  marmoreo,  su  cui  si  legge: 


AIAIOC 
M O C  AC/ 
K  A  A  HI,' 
CYN  B/ 


ROMA  —    143    —  ROMA 

ed  un  altro  fiamniento  di  lastrina  da  eolombaro,  che  conserva: 

gemina! 

B  V  S    SVI 

Via  Nomentana.  —  Per  i  lavori  di  foudazione  di  una  scuderia  nel  villino 
Doria,  posto  lungo  la  nuova  strada  del  Policlinico,  si  è  trovato  un  antico  sepolcro 
formato  con  tegoloni  e  coperto  alla  cappuccina.  Era  a  m.  2  sotto  il  piano  stradale;  e 
conteneva  pochi  avanzi  dello  scheletro  scomposti  e  frammisti  alla  terra,  eil  un  piccolo 
balsamario  di  terra  cotta  alto  m.  0,12,  di  forma  comune. 

Via  Salaria  Ve t ere.  Nel  sotterraneo  cimitero  di  s.  Ermete,  posto  sotto  la 
vigna  del  Collegio  Germanico,  alla  sinistra  della  Salaria  vetere.  la  Commissione  di 
archeologia  sacra  ha  compiuto  in  questi  mesi  alcune  escavazioni.  È  stata  ritrovata 
la  cripta  dei  martiri  Proto  e  Giacinto,  che  fu  scoperta  nel  1845  e  restò  poi  nuova- 
mente sepolta  sotto  le  rovine  ;  ed  è  stata  sterrata  l'antica  scala  che  scendeva  a  quel 
santuario.  Uno  dei  muri  di  questa  scala  si  trovò  restaurato  in  antico,  e  copriva  un 
loculo  chiuso  con  la  seguente  lapide  inscritta,  dell'anno  4(l0  : 

FELIX  DICNA  IVLIT  PARVM  MVNER.a.  CRISTI  ''^ 
ET  SVO  CONTVS  HABVIT  PER  SAECVLA  NOM  E  N 
LAETIFICVM  RENOVANS  PRIGINE   TEAfTPVS 
INFANDAQVCIENS    ISTIVS    I  VRGI.rSAECLI 
CERTVM  EST  INREGNIERQVEAMOEjjjA  VIRECTA 
ISTVMCVM  ELECTIS  ERIT  HABIl  VM  FRAEMIA  DIGNA 
SEMPERETADSIDVAE  BENEDICI   PRO  MVNERE  TALI 
QVIVIXITAgNoLXIIIIc^MoVIlhD.XXIIl/DEPtVIf  IDVS  t  lAN» 
ELi-STILICGNEtCON^ 


Le  iniziali  dei  versi  metrici  ripetono  il  nome  del  defunto  FELICIS  :  l'epitatio 
è  inciso  con  incredibile  numero  di  errori  ('). 

Un  altro  loculo  a  pie'  della  scala  medesima  si  trovò  chiuso  con  una  pietra  in 
forma  di  stela,  col  seguente  titolo  più  antico,  volto  verso  l'interno  del  sepolcro  : 

l'astur  buono 
fra  due  pecore 


TOAAI  A 
ACKAHniAKH 


(')  \'.  de  Rossi,    Bull,  d'archeol.  crist.  180-1  p.  24  e  64,   cliu   ne   lia   correità   ed  intejrrata  la 
lettura. 


ROMA  —    1*^    —  ROMA 

Si  rinvennero  pure  sedici  frammenti  dell'epigrafe  posta  dal  prete  Teodoro  per 
ricordare  la  costruzione  da  lui  fatta  della  scala  predetta:  la  quale  epi'jjrafe  era  ^ih 
nota  per  la  copia  conservata  nel  celebre  codice  Vat.  Palat.  833.  Il  marmo  originale 
è  scritto  in  carattere  tìlocaliano.  ma  con  lievi  ditferenze  dal  tipo  delle  isc.izioni  del 
papa  Damaso.  Il  testo  ne  è  il  seguente: 


aspice  descensinn  cerNES  MIRAé/LE  FACT«m  V 

sdìiclorum  monumenta  r\DE'ì>  palEY kQlfi  ,<?//" LCi.HIS 
marlijris  hic  Proli  lumulVS  lACET  ADQVE  YACINTHI 
qiiem  cum   iamdudim  legEKEl  MONS  TERRA  CALIGo 
hoc   Theodonis  opus  cons/ RWC\ÌT  PRESBYER  INSTANS 
;//  domini  plebcm  opera  MAIORA  TENERENT  cs     y 


Negli  sterri  dello  gallerie  cimiteriali  fu  trovato  un  grande  capitello  corinzio,  di 
giallo  antico;  un  frammento  di  vetro  con  ligure  graffite  in  oro  e  col  nome  /"LORVS, 
e  lo  seguenti  lapidi  inscritte: 

a)  grande  lastra  di  marmo,   servita  per  mensa  di  arcosolio,  e  probabilmente 
proveniente  da  un  sepolcro  pagano  della  via  Salaria: 


hie  >'i'tA  •  SVNT  •  PI  A  •  NATORVM  •  DVA  •  COR 
^3>^1VIATRIS  ■  MYSERAE  ■  SEMPER  ■  DILECTAE  ■  MA 

Romina  svB  •  titvlo  ■  qvorvm  ■  perscripta! 

QVOS  •  PATER  •  INFELIX  •  CO  NI  VX  •  MYSER  •  IPs' 
TE  •  QVICVMQVE  •  LEGIS  •  PIETATIS  •  NOMINE -A 
CVM  •  SIS  •  MORTALIS  •  QVaE  •  SINT  •  MORTAL 
ET  •  PATRIAS  •  AD.VIITTE  ■  PRECES  ■  ET  •  PARCE  •  S 


li)  lastra  di  loculo  sepolcrale  cristiano: 

VICTOR   IN   FA 

CE  QVI  VIXIT 

ANNOS  XXX 

e)  simile  : 

1  E  N  V  A  R  I  A 
TE  CVM  PACE 


ROMA  14ó    ROMA 

il)  lastra  in  cui  manca  la  parte,  ove  era  scritto  il  nome  del  defunto  fanciullo  : 

IN  -PACE- 

QyiVIXIT-ANNIIIMIIIID- 
Vini- BONE  •  MEMORIE  •  FILIO  • 
DVLCISSIMO•PATER•BEN•FEC• 

e)  titoletto  di  loculo  cimiteriale: 


PARENTEs  fJllJO 
BONOSO  •  FeV/eRVNT 

bene-mere,nti-in 
Pa\ce-et  in!  re  fri 
gerivm\\^ 

(/VI-VIXIT-AUre?\X 


/■)  frammento  di  titolo  simile: 


JeweweR-ENTI  IN  F  ace 


lecl 'ori  TITV^.2 

deposill  VI  ID  •; 


In  prossimità  poi  della  basilica  sotterranea  è  stato  scoperto  un  cubicolo  con 
arcosolio,  decorato  di  pitture.  Nel  centro  della  volta  vi  si  ravvisa  il  Buon  Pastore, 
in  gran  parte  perito;  e  ai  quattro  lati  della  volta  medesima,  la  donna  orante,  il  sacri- 
ficio d'Isacco,  Daniele  fra  i  leoni,  i  tre  fanciulli  in  mezzo  alle  fiamme.  Nella  lunetta 
dell'arcosolio  è  rappresentata  la  moltiplicazione  dei  pani,  con  una  colomba  posata 
sopra  un  pilastrino.  Il  resto  della  decorazione  è  a  riquadri  architettonici  con  gruppi 
di  pesci  e  colombe. 

Via  Tiburtina.  —  Nel  cavo  per  la  costruzione  di  una  fogna  sul  piazzale 
della  basilica  di  s.  Lorenzo  fuori  le  mura,  si  sono  raccolti  fra  terre  di  scarico  quat- 
tro piccoli  frammenti  d'iscrizioni  in  marmo,  che  conservano: 


fl)        /R  O  b  HIM■^l 

jroR  I 


IXlN 

ClvVsse  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  \'ol.  II  Serie  .")',  parto  2*  19 


TIVOM,    MARCKLLINA  —    146    —  REGIONE    1. 


Si  ebbe  inoltre:  una  lucerna  rotonda  di  terra  gialla,  con  fogliami  a  rilievo  sul 
j>iatto,  e  col  bnllo  di  fabbrica  L    Q_  P  con  duo  cerchietti  ;  un  fondo  di  vaso  aretino 

col  bollo    ^  I  ^  I  ;  di  un  frammento  di  fregio  in  terracotta,  con  ornati  di  foglie  e  viticci. 

G.  ({atti. 


Rkoione  I  (LATIUM  ET  CA}f PANIA). 

Vili.  TIVOLI  —  Tomba  romana  scoperta  nel  territorio  del  comune. 

In  contrada  Favate,  eseguendosi  alcuni  lavori  campestri,  tornò  in  luce  un'antica 
tomba  formata  da  lastre  di  travertino,  dello  quali  quella  di  fronte  era  lunga  m.  1,20 
alta  m.  0,76  e  dello  spessore  di  m.  0,20.  Racchiusa  da  una  fascia  rilevata  vi  è  incisa 
la  seguente  epigrafe: 

H  Y  G  I  .\ 

MVRDIAEPHIALE 

NVTRICI    SVAE 

A  base  della  tomba  erano  due  gradini  di  travertino,  dei  quali  uno  lungo  m.  1,38, 
alto  m.  0,19;  l'altro  di  m.  1,48,  alto  0,23. 

Nel  sepolcro,  la  cui  copertura  era  di  calce  e  sassi,  non  si  rinvennero  che  le  ossa, 
a  quanto  mi  affermò  il  colono  inventore. 

A  sud  della  tomba,  osservai  resti  di  muri  antichi,  ed  all'intorno  pezzi  di  pavi- 
mento a  mosaico  a  tasselli  bianchi  e  neri  e  frammenti  di  intonaco  a  colore  rosso 
e  giallo. 

L.    COCCANARI. 


IX.  MAllCELLIN.V  (frazioue  del  coimme  di  s.  Polo  de'Cavaliori)  —  Sar- 
cofago marmoreo  rinoemito  in  contrada  Colonnelle. 

Nel  territorio  di  Marcellina  e  precisamente  nel  fondo  denominato  Colonnette, 
eseguendosi  uno  scassato  per  vigna,  si  rinvenne  un  sarcofago  di  marmo  lunense,  tutto 
di  un  pezzo,  lungo  m.  2,00  alto  m.  0,64  con  proprio  coperchio  marmoreo  pure  di 
un  pezzo  solo  e  dello  spessore  di  m.  0,13.  Nella  fronte  il  sarcofago  è  ornato  di  sca- 
nalature ondulate,  e  nel  centro,  sotto  un  arco  poggiante  su  due  colonnine,  è  scolpita 
una  figura  virile,  ignuda,  con  clamide  che  dalla  spalla  destra  scende  sotto  l'ascella 
sinistra,  in  atto  di  guardare  un  cane  poggiato  sulle  zampo  posteriori.  Alla  sinistra 
di  questa  figura  è  altra  minore  di  Satiro.  Alle  due  estremità  della  fronte  del  sarco- 
fago, sono  scolpite,  in  bassorilievo,  altre  due  figure,  rivolte  al  centro,  in  atto  di 
camminare.  Quella  a  dritta  è  di  un  pastore  nudo,  che  stringe  un  vincastro  nella 
destra  e  con  la  sinistra  tiene  un'otre,  poggiato  sulla  spalla  da  cui  pende  una  polle. 
L'altra  figura,  apparentemente  di  donna,  ha  una  vustc.  a  pieghe  spesse,  che  dal  collo 


REGIONE    I.  —    147    —  SAN    PRISCO,    POMPEI 


sconde  ai  piedi,  aperta  verso  la  metà  della  coscia  sinistra.  Con  le  mani  regge  due 
tibie  divergenti,  fisse  alla  bocca.  Il  coperchio  lia  la  sola  fronte  ornata  di  scanala- 
ture ondulate. 

Entro  il  sarcofago  si  rinvenne  uno  scheletro  di  donna,  come  lo  provano  alcuni 
aghi  crinali  di  osso,  che  giacevano  presso  il  teschio,  e  globetti  vitrei  per  collana  di 
vario  colore. 

Mi  fu  detto  che  vi  si  rinvenne  anche  una  moneta  od  un  anello  con  pietra  limpida 
e  rilucente. 

Il  sarcofago  era  murato  tutto  all'intorno  con  forte  calcestruzzo  del  quale  riman- 


gono tracce  sulle  sculture. 


L.    C0CC.\NARI. 


X.  SAN  PRISCO  (presso  s.  Maria  di  Capua  Vetere). 

Nel  tenimonto  di  s.  Prisco,  a  poca  distanza  dal  noto  fondo  Patturolli  e  a  circa 
un  metro  di  profondità  venne  fuori,  non  ha  guari,  un  cippo  di  tufo  con  iscrizione 
osca,  che  di  recente  è  stata  aggiunto  alla  raccolta  delle  iscrizioni  italiche  del  Museo 
Nazionale  di  Napoli. 

Il  cippo  ha  l'altezza  di  m.  0,50,  la  larghezza  di  m.  0,28  e  una  grossezza  mas- 
sima di  m.  0,17.  Come  in  altre  epigrafi  della  medesima  provenienza  e  del  medesimo 
materiale,  le  lettere  vi  sono  profondamente  incise,  e  la  prima  riga  è  sventuratamente 
in  gran  parte  danneggiata.  Il  mio  apografo,  collazionato  anche  col  calco  cartaceo,  è 
il  seguente  : 

kMvm 
anmvn 

/VT/ 

Sono  a  notare  le  lineole  oblique  messo  in  luogo  dei  punti  diacritici  e  la  strana 
scrittura  delle  parola  '  pumperi  ',  che  nella  forma  '  pumperias  '  ricorre  due  altre  volte 
in  una  iscrizione  opistografa  rinvenuta  nel  1873  nel  fondo  Patturelli  (cfr.  Zvetaieff, 
Sylloge  n.  32).  A.  Sogliano. 


XI.  POMPEI  —  Giornale  degli  scavi  redatto  dal  soprastanti. 

1-13  marzo.  Proseguirono  i  lavori  di  scavo  nella  regione  Vili,  isola  2",  via  quinta, 
casa  n.  14,  della  quale  si  sgombra  il  viridario,  dal  lato  sud.  Si  eseguiscono  intanto 
vari  restauri  nella  casa  13,  della  regione  Vili,  isola  2-\  e  nella  casa  18  della  re- 
gione IX,  isola  5".  Non  avvennero  rinvenimenti. 

14  dotto.  Nel  ricordato  viridario  si  rinvenne: —  Terracotta.  Lucerna  circolare, 
verniciata  di  rosso,  monolicne  e  con  manico  ad  anello,  lungh.  m.  0,120.  Altra  mono- 


CITTADUCALE,    RUVO   DI    PUGLIA  —    148   —  REGIONE    IV,    II. 

licDe  0  con  manico  ad  anello,  luiig.  ni.  U,124.  Vaso  ordinario  con  ventre  rigoutio, 
piccolo  collo,  ad  un'ansa,  corroso  nel  ventre,  alt.  in.  0,145.  Altro  simile,  alt.  m.  0,140. 
Altro  più  piccolo,  alt.  m.  0,124.  Altro  alto  m.  0,o85  :  —  ì\'lro.  Tazza  con  labhro 
sporgente,  del  diametro  di  m.  0,112.  Piccola  bottiglia,  a  collo  lungo,  alt.  m.  0,150:  — 
Piombo.  Un  peso:  —  Marmo.  Piccolo  peso  circolare,  nero,  con  due  lati  piani. 

15-31  detto.  Continuarono  i  lavori  di  restauro  nella  casa  n.  3,  regione  IX,  isola  1* 
e  nella  regione  V  isola  2".  Non  avvennero  scoperte. 


Reuioxk  IV  (SAMMUM  ET  SABINA). 

SABINI 

XII.  CITTADUCALE  —  Iscrizione  funebre  lalim  scoperta  dentro 
l'abitato. 

Quando  fu  demolita  la  fontana  pubblica  nella  piazzetta  del  Popolo  in  Citta- 
ducale,  si  scoprì  una  lapide  di  travertino  di  m.  1,50  X  0,50  X  0,40.  Il  lato  destro 
è  sagomato,  con  diverse  scanalature  (gola,  ovolo,  guscio  e  listello):  la  imitf  sinistra 
fu  distrutt^i  in  iintico.  Vi  è  incisa  l'iscrizione  seguente: 

CALLISTE  ■  ATI 
PIAE  VILICA 
DAPHINVSCO 
FECIT  » 


Di  sotto,  in  bassorilievo,  è  .scolpita  una  pianella. 


A.  De  Nino. 


Regione  li  (APIJLIAJ. 

XIII.  RUVO  DI  PUGLIA  —  Vasi  dipinti  che  diconsi  scoperti  iii  una 
tomba  greca  di  L'uro. 

Presso  il  can.  d.  Francesco  Fatelli  di  questo  comune  ultimamente  ho  potuto  ve- 
dere la  suppellettile  funebre  d'una  antica  tomba  greca,  che  egli  dice  di  aver  com- 
perata da  un  contadino  sul  finire  dell'anno  1893,  ma  non  sa  indicarmi  il  nome  del 
luogo  del  rinvenimento.  Ora  di  alcuni  di  questi  vasi  mi  pregio  trasmettere  la  seguente 
breve  descrizione,  non  senza  aver  prima  notat')  che  i  rimanenti  non  hanno  importanza, 
né  meritano  che  se  no  faccia  menzione. 

1.  Vasca  con  larga  base  circolare  che  quasi  eguaglia  in  diametro  la  larghezza 
della  stessa  vasca,  la  quale  è  sostenuta  da  lungo  piedistallo  cilindrico  in  forma  di 
bassa  colonna.  Intorno  al  piedistallo,  sul  colore  natmale  della  creta  cotta,  veggonsi 


REGIONE    IV.  —    149    —  KUVO    DI    PUGLIA 


delle-  zone  circolari  nere,  e  intorno  al  labbro  della  vasca  tre  dischetti  e  tre  sporti 
mammellati,  quelli  e  questi  disposti  triangolarmente  e  a  rilievo.  Alt.  ni.  0,1(3; 
dìam.  m.  0,13. 

2.  Vasellino  di  forma  elegante  con  alto  coperchio.  Alt.  del  vaso  m.  0,18;  del 
coperchio  solo  m.  0,095.  La  sottocoppa  è  dipinta  di  nero  con  linee  circolari  di  color 
rosso  vivo.  Ha  il  piede  piuttosto  alto,  il  labbro  molto  piegato  in  dentro  e  quattro 
sporti  mammellati  in  corrispondenza  fra  loro  al  cominciare  del  ventre.  Il  coperchio 
è  senza  colore,  ma  cinto  in  più  luoghi  da  linee  circolari  di  nero  e  di  rosso,  e  dove 
comincia  il  suo  finimento  cilindrico,  somigliante  in  diminuite  proporzioni  al  piedi- 
stallo della  vasca  innanzi  descritta,  veggonsi  disposti  in  cerchio  quattro  animali  a 
tutto  rilievo  plasmati  grossolanamente,  dei  quali  uno  è  anche  incompleto  per  recente 
fruttura,  e  due  sembrano  quadrupedi  del  genere  canis,  mentre  il  quarto  potrebbe 
credersi  un  grosso  uccello.  Degno  finalmente  di  nota  è  il  fatto  che  il  coperchio  non  è, 
come  ordinariamente,  chiuso  in  cima,  ma  lascia  invece  aperta  la  comunicazione  del- 
l'aria con  la  coppa  sottostante,  il  cui  contenuto  cosi  non  era  coperto  né  protetto  in- 
teramente. Ciò  potrebbe  forse  dar  luogo  a  pensare  che  l'elegante  vasellino  fosse  stato 
destinato  ad  esalare  odori  o  profumi,  i  quali  per  la  lunga  canna  del  coperchio  tro- 
vavano l'uscita  e  si  diffondevano  intorno;  ma  sul  momento  non  sono  in  grado  di 
addm-re  alcun  confronto  per  avvalorare  questa  congettura. 

3.  Olla  sferica  con  pévera  alla  bocca  e  manichi  orizzontali  nel  ventre,  del  colore 
della  creta  cotta  con  ornati  di  nero,  consistenti  in  zone  circolari  alla  parte  inferiore 
e  alla  metà  del  ventre,  in  corrispondenza  dei  manichi,  sotto  la  pévera  formante  il 
collo  e  nell'interno  di  questa.  Tra  le  due  zone  del  ventre,  su  ciascun  lato  dell'olla 
è  dipinto  un  lungo  e  nero  serpente  ondulato  che  va  da  d.  a  s.  ed  imo  ha  la  bocca 
aperta  poco  discosta  dalla  coda  dell'altro.  Alt.  m.  0,27  ;  circonferenza  alla  linea  dei 
manichi  m.  1,03. 

4.  Kelebe  di  disegno  trascurato,  dipinta  di  nero  matto-rossigno  con  ornati  e  figure 
dello  stesso  colore  su  fondo  rosso-giallastro.  Alt.  m.  0,25  ;  diam.  m.  0,26.  Il  ventre 
dell'anfora,  interamente  nero,  dal  piede  in  su  va  sempre  slargandosi  fino  ai  manichi, 
prendendo  la  forma  d'un  cono  tronco  riverso.  Ove  poi  cominciano  i  manichi  è  cinto 
da  larga  zona  rosso-giallastra  su  cui  sono  dipinte  di  nero  due  rappresentazioni  quasi 
simili  da  un  lato  e  dell'altro. 

A)  Sfinge  a  d.  di  chi  guarda,  dritta  sulle  quattro  gambe  e  Tolta  a  s.  Le  ali  sono 
foggiate  alla  maniera  arcaica;  la  punta  della  coda  è  simile  alla  testa  d'un  serpente 
e  sulla  fronte  ha  una  prominenza  che  deve  credersi  un  radio  o  altro  muliebre  orna- 
mento. Segue  una  specie  di  stele  fantastica,  composta  di  due  palmette  che,  congiuu- 
gendosi  le  rispettive  basi,  sono  attraversate  orizzontalmente  da  fiori  di  loto  e  contor- 
nate da  cerchietti  concentrici,  motivo  che  ricorda  i  vasi  di  Melo  e  di  Kotli  (cfr.  Jahrb. 
d.  List.  1887,  p.  57  e  s.).  Di  fronte  alla  descritta  e  a  lei  simile  in  tutto  è  un'altra 
sfinge,  a  cui  tien  dietro  un  grifo  (?)  del  quale  è  andata  perduta  la  pai-te  posteriore 
del  corpo,  poi  un'altra  sfinge  anch'essa  molto  sciupata  e  finalmente  un  grosso  uccello 
a  collo  lungo,  tutti  volti  a  d. 

B)  Due  sfingi,  come  le  precedenti,  l'una  di  rimpetto  all'altra  con  la  stele  vege- 


CANOSA 


—   150   —  RBOIONE   IV. 


tale  in  mezzo  a  loro,  so  non  che  la  seconda  sembra  star  seduta  sulle  gambe  poste- 
riori. Seguo  un  grande  fioro  di  loto  con  steli  tonninanti  in  voluto  concentriche  alla 
sua  base  e  tìiialiiionte  un'altra  slìngo  volta  a  d.  Kssendo  questa  faccia  del  vaso  assai 
meglio  conservata  doU'altra,  permette  notare  che  le  gambo  anteriori  delle  sfingi  dalla 
metà  in  giù  della  loro  lunghezza  si  vanno  assottigliando  in  guisa,  da  prendere  a 
dirittura  la  forma  di  gambe  di  uccello;  lo  che  poi  non  so  dire  se  debba  credersi 
fatto  pensatamente,  o  per  frettolosa  sl)adataggine  ;  tanto  più  che  una  delle  sfingi  mostra 
le  sue  gambe  posteriori  arbitrariamente  torte  e  che  nel  vaso  mancano  del  tutto  lo 
linee  graffite  che  solitamente  determinano  i  contorni  delle  figure. 

Il  collo  e  il  labbro  dell'anfora  recano  ornati  di  stile  geometrico,  consistenti  su 
quello  in  lineo  oblique  e  verticali  che  s'intersecano  fra  loro  lasciando  dei  vuoti  trian- 
golari, e  su  questo  in  lineette  in  forma  di  aiijma  coricato.  I  manichi  cominciano  bi- 
partiti e  sottilmente  tondi,  ma  poi  i  due  bastoni  congiungonsi,  in  cima  all'arco  da 
essi  formato,  ad  una  larga  striscia  che  tennina  nell'orlo  del  vaso  ;  e  su  questa  larga 
striscia  veggonsi  delle  linee  orizzontali  e  un  fiore  di  loto,  mentre  sull'orlo  ripetesi 
lo  stesso  ornato  del  collo.  Quanto  allo  sfingi,  parrai  che  ad  osse  debba  darsi  un  fu- 
nebre significato  e  che  forse  sia  da  pensare  lo  stesso  della  fantastica  stele.  Lo  stile 
poi  non  meno  che  lo  forme  dei  quattro  vasi  descritti  pongono  fra  le  greche  più  an- 
tiche di  Ruvo  la  tomba  che  li  conteneva,  quand'anche  piacesse  meglio  attnl)nirli  ad 
alquanto  più  tarda  imitazione  dell'arte  locale,  che  ad  importazione  per  via  del  commercio. 

6.  Jatta. 


XIV.  CANOSA  —  Due  ter  recotte  ed  un'urna  di  arte  canosina. 

Lo  stesso  rev.  Fatelli  mi  ha  mostrato  una  bella  urna  e  due  figuline  da  lui 
comperate  a  Canosa,  ed  ivi  rinvenuto  sul  cominciare  del  corrente  anno,  delle  quali 
ecco  la  descrizione. 

5.  Una  dello  terrecotte,  non  raffinata  nò  ritoccata  a  mano  ne'  particolari  dopo 
l'estrazione  dalla  forma,  ma  nell'insieme  pregevole  e  abbastanza  curiosa,  rappresenta 
un  uomo  nudo,  seduto  sopra  un  pogginolo  di  forma  rotonda,  con  le  gambe  incrocic- 
chiate e  le  braccia  piegate  sul  grosso  ventre  in  guisa  da  far  congiungere  le  mani 
sulle  pudende,  dello  quali  per  altro  non  appare  indizio  veruno.  11  suo  volto  è  coperto 
da  una  maschera  comica  di  tipo  presso  a  poco  simile  a  quella  del  Museo  di  Napoli 
riprodotta  dal  Wieseler  {Theatcnjeb.  "V,  38  e  40)  e  da  lui  creduta  di  schiavi.  L'atto 
di  star  seduto  su  tonda  base  e  di  tener  le  gambo  incrociate  notasi  spesso  nello  figu- 
lino rappresentanti  attori  comici  in  costume  da  jihbjakcs  (v.  K<")rt«  in  Jahrh.  d.  fiuti. 
1893,  p.  82  e  s.).  Ma  se  nella  nostra  statuetta  si  possono  chiaramente  vedere  avanzi 
di  bianco  e  di  colore  roseo  ai  piedi,  alle  gambe,  alla  maschera  e  in  altre  parti  del 
corpo,  non  sono  poi  visibili  in  nessun  luogo  tracce  di  mantello,  tunica,  lirache,  cal- 
zari, né  pare  che  il  restauro,  a  cui  la  statuetta  fu  parzialmente  sottoposta,  le  avesse 
potuto  far  sparire  del  tutto.  Alt.  m.  0,13. 

G.  L'altra  terracotta  rappresenta  >m  gruppo  di  due  amanti  che  si  abbracciano  e 
baciano.  La  donna  ha  la  testa  coronata  di  larghe  foglio  tondeggianti,  lungo   chitone 


REGIONE    IV.  151    —  CANOSA 

e  hmation  avvolto  di  traverso  alla  parte  media  del  corpo;  l'uomo  corta  tunica  che 
tocca  quasi  i  ginocchi  e  clamide  avvolta  anche  di  traverso  alla  parte  superiore  del 
coi^po.  Qua  e  là  si  veggono  avanzi  di  color  roseo  e  generalmente  un  rivestimento  di 
bianco.  La  donna  pone  la  mano  d.  sotto  il  mento  dell'uomo  e  la  mano  s.  intorno  al 
collo  dello  stesso;  l'uomo  ha  la  mano  d.  intorno  al  collo  della  donna  e  stende  il 
braccio  e  la  mano  s.  lungo  il  coi-po  e  fino  all'anca  d.  di  lei.  Le  bocche  poi  di  en- 
trambi, ravvicinate  dal  reciproco  stringersi  delle  braccia  intorno  al  collo,  si  mostrano 
congiunte  in  erotico  bacio.  Anche  questo  gruppo,  come  del  resto  quasi  tutte  le  figu- 
line di  Canosa,  non  fu  ritoccato  dopo  averlo  tratto  dalla  forma,  di  guisa  che  i  par- 
ticolari sono  molto  trascurati  e  talora,  come  p.  e.  nella  testa  dell'uomo,  non  si  giunge 
neppure  a  distinguere  le  parti  e  i  tratti  del  viso.  Alt.  m.  0,16. 

7.  Urna  (slamuos)  a  tìg.  rosse  su  fondo  nero,  di  vernice  lucida  e  di  colorito  finis- 
simo, di  disegno  alquanto  leggiero,  ma  molto  espressivo,  e  certamente  importata, 
perchè  la  creta  non  è  quella  dei  vasi  canosini.  Il  coperchio,  ornato  con  un'ellera  gi- 
rante intorno,  evidentemente  non  appartiene  a  quest'urna  che  doveva  averlo  di  men 
largo  diametro,  corrispondente  a  quello  della  sua  bocca,  e  ben  più  alto  relativamente 
all'altezza  dei  manichi  del  vaso,  nella  cui  forma  per  ciò  notasi  im  non  so  che  di  tozzo  che 
la  detm-pa.  Sulle  spalle  dell'urna  è  una  scannellatura  di  rosso  e  di  nero,  sotto  i  ma- 
nichi le  solile  palmette  con  rabeschi  e  volute,  e  finalmente  sotto  le  figure  il  meandi'O 
chiamato  greca.  Due  sole  sono  le  figure,  una  sopra  ciascima  faccia  del  vaso,  ma  la 
scena  è  completa  e  rappresenta  il  lavacro  e  la  conseguente  toeletta  di  una  giovine 
donna.  Vedesi  infatti  da  un  lato  una  donzella  interamente  nuda,  senza  alcun  orna- 
mento, tranne  le  armille  ad  ambe  le  braccia,  e  coi  capelli  poco  abbondanti  sciolti  e 
cadenti  sul  collo;  la  quale,  reggendosi  sulla  gamba  d.  e  piegando  mollemente  la  s., 
è  presso  una  vasca  sostenuta  da  piedistallo  scannellato  con  larga  base  e  capitello  do- 
rico ornato  di  ovoletti.  Sull'orlo  della  vasca  sta  un  uccello  (forse  colomba)  che  apre 
le  ali,  come  per  rispondere  alle  carezze  della  sua  padrona,  la  quale  stende  sull'uc- 
cello la  mano  d.  mentre  tiene  la  s.  immersa  nell'acqua  della  vasca.  Nel  campo  una 
palla  da  giuoco  e  una  lunga  zona  fimbriata  che  fa  panneggio.  Dall'altro  lato  la 
stessa  donzella,  già  lavata  ornata  e  vestita,  si  contempla  compiacentemente  neUo 
specchio  che  ella  si  tien  ritto  d'innanzi  con  la  s.,  mentre  lascia  pendere  inerte  la  d' 
Ella  siede,  malgrado  che  non  sia  espresso  il  sedile  ;  ha  i  calzari,  lungo  chitone  senza 
maniche  affibbiato  sugli  omeri,  che  lascia  nude  le  braccia  ornate  di  armille  ;  Y hmation 
è  avvolto  strettamente  alla  parte  inferiore  del  corpo,  né  mancano  la  collana,  gli  orec- 
chini e  la  mitella,  disposta  elegantemente  intorno  ai  capelli  che  neppur  qui  si  mo- 
strano abbondanti.  Gli  ornamenti  metallici  sono  dipinti  di  nero  e  in  tutto  il  vaso 
non  è  traccia  alcuna  di  bianco,  il  che  ne  rialza  la  data.  Nel  campo,  innanzi  alla  gio- 
vinetta vedesi  infine  quel  paniere  in  forma  di  cono  tronco  riverso  (calathì/s),  che 
tante  volte  sui  vasi  dipinti  apparisce  presso  le  donne  riunite  nei  ginecèi. 

Senza  dubbio  la  bella  urna  del  can.  Patelli  deve  assegnarsi  al  miglior  tempo 
dell'arte  pugliese,  e  fa  dispiacere  che,  mentr'essa  non  lui  frattura  alcuna  (cosa  ben 
(lifticile  nei  rinvenimenti  canosini),  manchi  poi  del  coperchio,  come  innanzi  ho  no- 
tato, ed  anche  d'uno  dei  manichi.  Alt.  m.  0,22. 


SIRACUSA,    NOTO  —    152    —  XiriLIA 


8.  Terracotta  di  Canosa  raitprosentante  una  donna  seduta  con  lun^o  chitone 
0  himation  ravvolto  alle  anche  o  allo  t^ambe,  in  atto  di  allattare  nn  bambino  fasciato 
che  ella  sostiene  col  braccio  s.,  mentre,  con  f,'e.sto  tanto  naturale  nello  madri,  porta 
la  d.  alla  propria  mammella.  Esecuzione,  al  solito,  trascurata  nei  particolari;  alt.  0,1<!5. 

(J.  .Tatta. 


Sin  LIA. 

XV.  SIRACUSA  —  Xiiove  scoperte  nella  necropoli  del  Fusco. 

Nei  mesi  di  noveinl)re  e  dicembro  1893  si  continuarono  le  indagini  nella  ne- 
cropoli ijreca  del  Fusco.  Fu  esplorato  un  tratto  di  terreno  contenente  circa  38U  toml)e, 
per  la  mag^or  parte  arcaicissime,  cioè  della  lino  del  secolo  Vili,  e  del  principio 
del  VII;  pochissimo  sono  di  età  posteriore;  una  sessantina  poi  spettano  a  barbari 
che  nel  V-VII  (?)  sec.  di  Cr.  deposero  i  loro  morti  nel  campo  funebre  greco.  La 
suppellettile  vascolare  greca  è  rappresentata  in  gran  maggioranza  da  vasi  dello  stile 
protocorinzio  geometrico  e  protocorinzio:  si  ebbero  anche  scarabei  in  pastiglia,  argen- 
terie, fibule  in  bronzo  (a  navicella)  ed  in  ferro,  avorio  ed  ambre  di  un  tipo  fin  qui 
sconosciuto. 

Questa  campagna  estonde  notevolmente  la  nostra  conoscenza  sulla  civiltà  dorica 
di  Siracusa  ed  allarga  gli  orizzonti  cronologici  degli  strati  greci.  Oltremodo  interes- 
santi sono  poi  le  osservazioni  fatte  sulle  deposizioni  dei  barbari  nelle  tombe  greche, 
come  a  suo  tempo  sarà  detto  in  queste  Notizie. 

Nuove  imlagini  nelle  catacombe  cristiane  di  Siracusa. 

In  quella  di  s.  Giovanni  la  revisione  accurata  della  regione  meridionale  e  di 
alcune  parti,  prima  meno  attentamente  esplorate  nella  settentrionale,  fruttl^  una  .'•et- 
tantina  di  nuovi  titoli;  si  esplorò  anche  qualche  sepolcro  intatto. 

Sulle  pendici  meridionali  dell' Acradina  vennero  sgombrati  due  piccoli  ipogei  con 

sarcofagi,  che  dalle  numerose  lucerne  che  contenevano,   risultarono  cristiani.   Molti 

altri  analoghi  esistono  nella  stessa  località  ed  io  penso  che  rappresentino  il  tipo  di 

collegamento  tra  gli  ipogei  pagani  dell'impero  e  le  ampie  catacombe  del  tipo  s.  (iio- 

vanni.  Cassia,  etc. 

P.  Orsi. 


XVI.  NoTit  —  Sepolcreti  siculi  ricotwscinti  presso  Noto  Vecchio. 

In  una  ricognizione  archeologica  a  Noto  Vecchio,  l'antica  Neetum,  vennero  rico- 
nosciute alcuno  piccolo  necropoli  siculo,  nei  burroni  che  conterminano  la  città:  ed  una 
vasta,  di  tipo  greco,  nelle  colline  a  nord  di  ossa.  Fu  poi  da  me  riveduta  la  grande 
iscrizione  (Kaibcl  n.  240)  e  studiata  la  possibilità  di  portaria  in  salvo  a  Siracusa. 
Ho  poi  scoperto  due  cameroni  scavati  nei  fianchi  del  monte,  con  numerose  nicchictto 
(|Hadre.  adorne  di  avanzi  di  scultura:  le  quali  stanze,  come  si   deduce  dai   residui 


.9I/Ì.0/.Y/I  l-,;-j  


CUOLIERl 


epitfi-alìci  altro  non  erano  se  non  degli  ;^'po«.  Xell'iuteruo  della  motagna  verso  Palazzolo 
(.txoni)  constatai  poi  l'esistenza  di  un  piccolo  borgo  di  età  bizantina,  con  ca-;e  costruite 
di  gran  massi  non  cementati  e  colla  sua  piccola  necropoli. 

P.  Orsi. 


SANDLYLi 

XVII.  CUdLIKUl  —  JJi  una  nuova  pietra  terminale  eoi  ricordo  di 
antichi  popoli  della  Sardegna. 

Nello  scorcio  del  settembre  dello  scorso  anno  l'agricoltore  Francesco  Obino,  nella 
località  detta  Sesia  \\i\  territorio  di  Cuglieri  verso  i  punti  chiamati  Baragiones  e 
Busridde,  dissottcì-rò  una  importante  pietra  terminale.  Era  seppellita,  per  quanto  affer- 
masi, poco  lungi  dalla  sponda  sinistra  di  un  torrente  che  ora  chiamasi  Rio  Mauiiu 
(Rio  grande). 

E  alta  m.  1,  larga  m.  0,(>0;  ha  lo  spessore  di  m.  0,20,  ed  ha  forma  parallele- 
pipeda,  quantunque  non  esatta.  La  parte  meno  regolare  è  la  inferiore  che  doveva  intro- 
dursi, come  base,  nel  terreno.  Nella  parte  superiore  si  osserva  una  solcatura  quasi  a 
forma  di  mezzaluna. 

Nella  fronte  leggesi  in  bei  caratteri  ('): 

TERMINVS 
OyiNTVS 
VDDADHADDAR 

NVA1ISIARVM 


E  dalla  parte  opposta,  è  inciso: 

EVTYCHIÀNI 

Per  quauto  fu  possibile  sapere,  la  pietra  era  ritta  alla  sinistra  del  torrente  ed 
a  poca  distanza  di  esso,  guardando  con  l'ultima  indicazione  la  regione  Scssa,  cioè 
il  territorio  dell'attuale  Cuglieri,  mentre  l'epigrafe  più  lunga  era  rivolta  verso  il  tor- 
rente ed  il  territorio  della  così  dotta  Plaaarcjia. 

Abbiamo  dunque  un  nuovo  titolo  terminale  tra  gli  Eulhiciani  od  p] ut n chiarii, 
ed  altri  popoli  che  con  essi  continavano.  Di  questi  conoscevamo  soltanto  i  Giddi- 
litani  (cfr.  C.  I.  L.  X,  7930);  ora  ci  vengono  additati  anche  gli  Uddadhad- 
darri.  Lasciando  ad  altri  lo  studio  sopra  questo  nome,  possiamo  osservare  che  la 
nuova  lapide  rende  oltremodo  probabile  die  ai  contini  coi  popoli  medesimi  apparton- 

('}  Di  fiuosta  impurtiintc  lapido  il  eh.  prof.  Vivanet  trasmise  al  Ministero  oltre  >rli  iipoirrafi 
alleile  il  calco  cartaceo. 


CUGMBItl 


l.-)4    SAHPISIA 


gano  anche  «li  altri  due  titoli  frammentati,  scoperti  nello  stesso  territorio  di  Cuglieri 

(C.  /.  /..  X,  7i»;n,  7ita2). 

!•:  chiaro  che  questi  titoli  costituiscono  una  serie,  della  quale  quello  ora  sco- 
perto è  il  tenninus  (juinliis.  Inoltre  è  chiaro  che  in  tutti  ricorre  nell'ultimo  verso 
il  nome  Niimisiariim,  e  che  rultiina  parte  del  nome  Uddadhaddarri  rimane  in 
uno  di  questi  titoli. 

In  consej,'iienza  di  ciò  sembra  più  che  probabile  che  il  titolo  frammentato  7932, 

debba  leggersi  : 

/f/-M  I  N  VS 
.tffCVNDVS 
iiddadhadVARKl .  . . 
nu!MSÌAK\'ìn 

E  se  ciò  è  vero,  anche  l'altro  titolo  frammentato,  il  quale  come  il  nuovo  mostra 
intiera  la  parola  Kutychiaui.  può  leggersi: 

termin\S 
pr/.M  VS 


«H?«1SIARVM 

Kesta  solo  incerto  il  verso  terzo,  il  quale  secondo  l'apografo  edito  non  ci  da- 
rebbe gli  elementi  del  nome  che  ricorre  nel  verso  medesimo  degli  altri  titoli. 

L'insigne  monumento  acquistato  dall'egregio  cittadino  di  Cuglieri  comm.  Giu- 
seppe Sanna  Najtanu.  fa  da  lui  generosamente  donato  al  patrio  museo,  ove  ora  si 
trova  esposto. 

V.    VlVANET. 

Roma  2<t  maggio  1894. 


REGIONE    IX.  —    155   RONCAGLIA 


MAGGIO 


KiouioNE  IX  ( LIGURIA) 

I.  RONCAGLIA  (frazione  del  cinnuiie  di  Beiie  Vagicuna).  Dell'antico 
teatro  di  Augusta  Bagiennorum. 

Dopo  alcuni  tentativi  fatti  iu  diverse  epoche  alla  Koncaglia,  frazione  del  comune 
di  Bene  Vagienna,  ove  eia  l'antica  Augusta  Bagiennorum,  i  sottoscritti  intrapresero 
ivi  su  più  vasta  scala,  nello  scorso  autunno,  alcuni  scavi  che  condussero  avarie  scoperte 
tra  cui  la  principale  si  è  quella  del  teatro. 

I  ruderi  dell'antica  città  distano  di  circa  tre  chilometri  dal  capoluogo,  giacciono 
in  perfetta  pianura,  sulle  sponde  del  torrente  Mondalavia,  dalla  cui  direzione  est- 
nord-est  pare  abbiano  presa  l'orientazione  i  singoli  edifizi. 

L'area  del  teatro  non  venne  completamente  scavata:  e  si  fecero  soltanto  dei  nu- 
merosi saggi  per  riconoscerne  la  planimetria,  come  è  indicato  nella  figura  che  qui 
appresso  si  aggiunge.  Rimangono  perciò  alcuni  punti  indeterminati,  che  sarà  facile  di 
poter  ulteriormente  stabilire,  essendo  che  ovunque  si  assaggiò  il  terreno,  vennero  sempre 
trovate  tracco  continuate  e  simmetriche  dello  diverse  parti;  il  che  induce  a  credere  ne 
esistano  per  intero  le   vestigia. 

La  cavea  è  rivolta  ad  ovest-sud-ovest  e,  come  risulta  dal  disegno,  cousta  di  tre 
muri  semicircolari,  legato  il  minore  al  mediano  con  muri  trasversali  posti  a  modo  di 
raggiera,  fra  i  quali  sono  gettate  delle  volte  coniche  di  cui  si  hanno  sicure  tracce 
nel  punto  A;  il  muro  mediano  era  probabilmente  unito  con  una  vòlta  anulare  al 
muro  esterno  ;  sopra  tali  volte  erano  posti  i  sedili  in  marmo,  di  cui  si  rinvenne  un 
frammento  che  misura  m.  0,48  di  altezza  e  0,33  di  larghezza,  metà  forse  di  quella 
totale. 

(Guardando  la  pianta  vena  osservato  il  notevole  spostamento  dei  centri  dei  tre 
muri  semicircolari,  singolai-ità  che  si  può  spiegare  supponendo  che  due  sole  scale, 
all'estremità  della  càvea,  dessero  accesso  alle  gradinate,  e  queste  mettessero  ad  una 
precinzione  corrispondente  al  muro  semicircolare  mediano,  che  larga  da  principio 
metri  o,.')0,  andasse  restri ngendoisi  verso  il  mezzo  sino  ad  essere  della  sola  larghezza 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Vul  II,.  Serie  ò",  parte  2"  20 


RONCAGLIA 


—    15G    — 


REGIONE    IX. 


di  un  ^'radino,  o  poco  più.  Que»ta  dispobizionc  divenuta  plausibile  ore  si  rifletta  che  so 
tale  precinzione  si  restringeva  coll'avvicinarsi  al  mezzo  della  cavea,  diminuiva  pure 
in  essa  proporzionalmente  il  numero  degli  spettatori,  che  .scendevano  e  salivano  ai 
rispettivi  posti  per  le  numerose  scalette,  tagliate  a  mezzo  gradino,  che  vi  davano 
adito. 

Il  diametro  dell'orchestra  era  di  m.  22,20;  quello  del  muro  periferico  me- 
tri .j7,50;  la  lunghezza  della  scena  ni.  40,50;  il  proscenio  era  largo  nella  parte  di 
mezzo  m.  7,20;  e  nelle  parti  laterali  meno  avanzate  m.  5,25. 

La  decorazione  della  scena  risulta  abbastaaza  palese  dalla  disposizione  dei  muri 
che  ne  formano  la  base.  Quattro  massicci  in  muratura,  larghi  m.  2.20,  sporgenti 
111.  (i.n:^  sul  grosso  muro  che  costit'iisce  il  fendo  di  essa,  dovevano  formare  il  piedistallo, 


ciascuno  a  due  colonne,  su  cui  correva  corto  una  trabeazione.  Negli  intervalli  fra  detti 
pila.'itri,  nella  parte  anteriore  a  detta  scena,  si  rinvennero  alla  rinfusa  i  grossi  stilliti 
0  gli  architravi  in  marmo  delle  tre  porto,  eguali  nelle  modanature  quelli  delle  duo 
laterali,  alquanto  diversi  quelli  della  mediana,  da  cui  si  potè  determinare  la  loro  di- 
mensione. In  corrispiindenza  dei  jiilastri  e  degli  spazi  comprosi  fra  ossi  e  le  porte 
si  rinvenne  un  gran  nuiuero  di  cornici  in  marmo  bianco  con  varie  sagomature,  e  fram- 
miste ad  esse  una  quantità  di  sottili  lastre  segato  di  marmi  colorati,  alcune  assai 
grandi,  altre  tagliate  secondo  forme  geometriche,  tre  finalmente  contornate  con  formo 
ornamentali  che  dovettero  comporro  una  grnziosa  decorazione  di  opera  alessandrina 
alla  parto  bassa  della  scena.   \'i  Mblioml.i  un  ln'l  (■ipoUino  a  von;ituro    vordngnole  e 


REGIONE    IX.  —    157    —  RONCAGLIA 

bianche,  vari  iininiii  ili  un  gialli  di  divuisa  intensità,  un  rosso  unito,  varie  Itreccie 
simili  ad  alcune  belle  varietà  di  marmi  africani  ed  orientali,  che  però  secondo  il  pa- 
rere di  persone  competenti  deriverebbero  tutti  da  cave  dell'alta  valle  del  Tanaro, 
ricca  di  svariatissime  qualità  di  calcari  colorati.  Si  rinvennero  inoltre  frammenti  di 
stucco,  come  foglie  di  acanto,  cornici  e  cordoni  intagliati,  intonachi  dipinti  ad  imi- 
tazione di  marmi,  ed  altri  portanti  traccio  di  pitture,  un  dito  ed  alcune  pieghe  del- 
l'abito di  una  statua  ed  un  frammento  di  una  lettera  che  doveva  far  parte  di  una 
iscrizione. 

Ad  una  estremità  della  sporgenza  del  proscenio,  nel  punto  B,  si  trovò  un  foro 
quadrato  assai  profondo  di  cm.  28  di  lato,  che  si  può  supporre  abbia  servito  col  suo 
simmetrico  a  tener  dritta  un'antenna  od  altro  congegno  destinato  a  sostenere  il  sipario. 

Dietro  la  scena  esiste  un  sottile  muro  che  forma  con  questa  uno  stretto  corri- 
doio praticabile  agli  attori  per  le  loro  entrate  ;  tale  muro  ha  ancora  delle  tracce  di 
intonaco  colorato  in  rosso  nella  parte  esterna  ove  era  probabilmente  un  portico  che 
non  si  è  potuto  scavare  per  essere  il  campo  coltivato  ;  quivi  si  trovarono  vari  cocci 
di  vasi  conteuenti  colori  diversi. 

Alle  due  estremità  del  corridoio  si  aprivano  due  ambienti  simmetrici,  destinati 
agli  attori,  in  quello  a  sinistra  si  trovarono  rasente  ai  muri  degli  stucchi  finamente 
dipinti  ;  in  quello  a  destra  una  grossa  nicchia  semicircolare,  il  cui  pavimento  era 
formato  da  piccoli  pezzi  irregolari  di  marmo  bianco.  Nella  parte  posteriore  di  detta 
nicchia,  nel  punto  C,  si  trovò  un  capitello  d'ordine  corinzio,  di  forma  quadrangolare, 
di  lavoro  mediocre  in  marmo  bianco,  facilmente  sfaldabile,  ornato  nelle  sue  quattro 
faccie. 

Fra  il  muro  semicircolare  esterno  ed  il  mediano,  si  trovarono  in  quantità  fram- 
menti di  belle  tegole  di  un'argilla  compatta,  di  color  rosso  intenso,  fra  le  quali 
molte  col  bollo  : 

MATERNVS 

È  questo  il  terzo  sigillo  che  si  trova  impresso  su  laterizi  da  costruzione  nei 
dintorni  di  Augusta  Bagiennorum  ;  essendone  noti  altri  due,  cioè  quello  che  reca 
semplicemente  : 

COCCEl 

pubblicato  nel   C.  I.    L.   V.  8110,  424,  e  l'altro  che  reca: 

LCOCCEI 

finora  inedito,  e  trovato  dal  prof.  G.  B.  Adriani  a  s.  Nazario,  frazione  del  comune  di 
Narzole,  finitima  alla  Koncaglia. 

Una  sola  moneta  venne  trovata  fra  i  ruderi  del  teatro,  ed  è  un  piccolo  bronzo  di 
Claudio  Gotico  coU'ara  della  consacrazione  (Cohen,  n.  51). 

Fuori  dell'area  occupata  dal  teatro  si  raccolsero  altre  monete,  fra  lo  quali  basti 
citare  per  i  limiti  del  tempo  una  dell'età  di  Augusto  (Cohen  n.  Il;>):  un'altni  di 
Valentiiiiano  I  (Cohen  n.  52). 


MILANO  —    158    —  KEOIOSE    XI. 

Dopo  il  supplemento  al  voi.  V  del  f.  /.  /..  venueio  fuoii  sul  territorio  di 
Aii<,'usta  Uagieuuorum  varie  iscrizioni  e  fraiuraenti  di  esse;  lucerne  con  o  senza  bollo;  e 
fiamuienti  di  marino  con  ti<,Mire.  Si  scalzarono  le  fondamenta  di  alcuni  edilizi  nei 
quali  si  rinvennero  avanzi  di  bellissimi  intonachi  dipinti;  aghi  crinali  e  da  lavoro 
iu  osso;  pezzi  di  argento  fuso  e  di  bronzo  lavorato,  fra  cui  uno  che  pare  abbia  ser- 
vito di  contorno  ad  una  iM-rizione;  vasetti  unguentari,  vasi  di  bucchero,  cocci  di  anfore, 
di  vasi  dipinti,  vasi  sigillati  del  tipo  Aretino  o  PoUentino,  fra  cui  notevoli  due 
frammenti  verdi  invetriati  all'interno  ed  argentati  al  di  fuori.  Si  ritrovarono  pure 
vari  frammenti  di  vetro,  tra  i  ((uali  di  un  vaso  azzurro  con  ornamenti  bianchi  spi- 
raliformi,  altro  con  incisioni  alla  ruota,  altro  di  pasta  vitrea  aranciata  e  molti  pic- 
coli oggetti;  il  che  mentre  conferma  limpoi-tanza  della  distrutta  città,  fa  deside- 
rare che  scavi  condotti  su  più  vasta  scala  vengano  praticati,  sia  per  scoprire  il  resto 
ilei  teatro  come  per  mettere  alla  luce  le  altre  parti  della  cittji  medesima,  che  tuttora 
rimangono  sepolte. 

G.    ASSANURIA. 

G.  Vacchetta. 


Regionk  XI  fT/L'l\SI'AJJAXAJ. 

II,  MILANO.  —  Lapidi  sepolcrali  con  iscrizioni  Ialine  scoperte  presso 

il  l'onte  di  Porla  Magenta. 

Nei  lavori  di  sterro  eseguiti  durante  lo  scorso  febbraio  per  collocare  alcuni  tubi 
della  conduttura  di  acqua  potabile  lungo  il  corso  Magenta  in  Milano,  nel  tratto  tra  lo 
sbocco  della  via  Terraggio  ed  il  Ponte  sul  Navilio  interno,  detto  di  s.  Girolamo,  essendo 
stato  necessario  demolire  una  parte  del  ponto,  vi  si  riconobbero  adoperate  come  ma- 
teriali di  fabbrica  due  lapidi  con  iscrizioni  latino  funebri;  delle  quali  l'uHìcio  regio- 
nale per  la  conservazione  dei  monumenti  in  Lombardia  mandò  i  calchi  cartacei. 

La  prima  è  incisa  in  un  parallelepipedo  di  granito,  come  quello  che  viene  dalla 
cava  del  Monte  Orfano  vicino  al  Lago  Maggiore,  alto  m.  L42,  largo  0.()2.  munito  di 
cornice  e  cimasa,  lavorato  in  tre  lati   a  punta  gros.sa   e   nel  prospetto  a  punta  lina. 

È  di  importanza  non  comune,  perchè  ci  fa  conoscere  un  altro  dei  scxviri 
iuniores  dell'antica  Mediolanum  (C.  /.  /..  V,  p.  (>;3ó). 

V  F 

PI  ON  T  1  V  S 
CRESCENS  VRSINVS 

VI  •  VIR  •  IVN 

SIBI-  ETSVIS 

INFR-        I  •  X 

IN  AG-      P  ■  > 

Abbiamo  diiiique  :  l'yiveus)  f{ccil)  I'(ul>lìi(s)  Ponlius  \  Crescens  Umiinis  \ 
s,:rrir    iiiinior)   |   stibi  el  suis   \   in    fr(oiile)   ]i(,c(lcs)  X  |   in    ag{ro)   p{etlcx)  \   X. 


REGIONE    X.  —    159    — 


BASSANO 


Si  vede  che  il  lapicida,  procedendo  con  lavoro  rapido,  non  badò  ad  incidere  com- 
piiitameute  le  lettere  seguendo  tutte  le  linee  che  erano  state  segnate  col  carbone; 
quindi  di  alcune  lettere  incavò  soltanto  una  parte.  Coii  della  prima  lettera  del.  nome 
nel  secondo  verso  incise  soltanto  la  linea  perpendicolare,  la  quale  tra  le  due  lettere 
in  cui  cade  non  può  prestarsi  che  per  un  P. 

Ne  è  possibile  ammettere  la  opinione  del  eh.  sig.  F.  Ponti  ispettore  degli  scavi 
in  Varese,  il  quale  pubblicò  questa  lapide  leggendo  /'.  Conlius.  riconoscendosi  da 
altri  esempì  nella  lapide  medesima  che  il  C  vi  fu  inciso  regolarmente. 

L'altra  è  un  parallelepipedo  di  sarizzo  ghiandone,  a  base  rettangolare  con  cor- 
nice e  cimasa,  alto  complessivamente  ni.  1,25,  largo  m.  0,75,  senza  gli  sporti.  Fu 
lavorato  nei  due  fianchi  e  nella  faccia  posteriore  a  punta  grossa,  e  nel  prospetto  a 
punta  fina.  Quivi  è  inciso  il  titolo: 

C       VALERIVS 

FABRICIVS  •  SIBI  ■  eT 

C  •  VALERIO  ■  MASCLO  •  F 
ET  ■  VALERIAE  •  PRImIGENIAE 
ET  •  VALERIAE  •  PRIMVLAEF 
ET  •  KANINIAE  •  THYmELE 
ET  •  P  •  FVLVIO  •  MACRINO 
ET  •  P- FVLVIO- FESTO 
ET  •  ACILIAE  ■  MANSVETAE  •  F 

Ambedue  queste  lapidi  furono  depositate  nel  castello,  futura  sede  del  Museo 
Archeologico  di  Milano. 

F.    B.4RNABEI. 


Regione  X  (VENETI A). 

III.  BASSANO  VENETO  —  Di  una  antichissima  necropoli  e  di  altri 
avanzi  romani  riconosciuti  presso  la  città. 

Nel  settembre  1892  a  breve  distanza  da  Angarano,  grosso  sobborgo  di  Bassano 
sulla  destra  del  Brenta,  i  contadini  che  lavoravano  in  un  fondo  del  sig.  Brocchi, 
lungo  la  via  Bassano  —  s.  Giorgio  —  Val  Rovina,  si  imbatterono  in  un  campo  funebre 
antichissimo,  che  venne  in  gran  parte  manomesso.  Portatomi  a  Bassano  a  studiare  i 
pochi  avanzi  scami)ati  dalla  rovina,  mercè  le  cure  del  conte  Tiberio  Roberti,  ispettore 
onorario  degli  scavi,  e  del  suo  egregio  tiglio,  ho  saputo  che  non  meno  di  150  urne 
funebri,  deposte  nella  nuda  terra,  a  piccola  profondità  (cm.  50).  e  distanti  l'una 
dall'altra  m.  1.00  ad  1,50  erano  state  distrutte  dai  contadini,  i  quali  miravano  solo 
a  raccogliere  i  pochi  bronzi,  venduti  poi  e  dispersi. 

Il  conte  Roberti  tiglio  si  recò  sul  luogo;  ricuperò  qualche  bronzo,  e  scavando 
un  paio  di  giorni  mise  a  nudo  altre   quattro   urne  ad  incinerazione,  portate  in  casa 


HASSA.NH 


—    16(J   —  REGIONE    X. 


Koberti.  dove  io  le  studiai  assieme  a  tutto  il  resto,  mercè  l'amabilità  del  proprìetario. 
O^Duna  giaceva,  ini  fu  assicurato,  in  un  fosso  terragno  (due  sole  erano  protette  da 
scaglie),  e  derivavano  da  punti  opposti  della  necropoli:  tanto  il  l^>ber^i  nel  no- 
vembre 92  come  il  Brocchi  nell'ottobre  i)^  tentaiMiio  nitri  punti  del  suolo,  ma  con 
rit^ultato  negativo. 

Fittili.  —  fl)  Olla  alta  cm.  15  larg.  mass.  cm.  2)  ,  qui  riprodotta  (fig.  1). 
Ha  forma  emisferica  con  spalle  larghe,  orizzontali,  al  centro  delle  quali  si  imposta 
il  breve  collarini".    Xi-llo    spitriiln  vivo   delle    spalle  spuntano   quattro   ansi-  uilimclie. 


Kici.  1. 


con  lineette  verticali  a  stecca,  tracciate  fra  l'una  e  l'altra  di  esse.  L'impasto  è  di 
creta  nerastra,  sparsa  di  renella  quarzitica,  tirata  a  lucido  alla  superficie.  11  vaso 
ricorda,  ma  non  riproduce  esattamente,  alcune  forme  proprie  ai  piii  antichi  strati  della 
necropoli  di  Kste  (').  Vuotato  alla  mia  presenza  esso  diede  terra  nerastra  e  buona 
quantitii  di  ossa  combuste. 

h)  Ossuario  simile  al  precedente,  alto  cm.  17,  larg.  mass.  cm.  22.  Le  spalle  bre- 
vissime si  risolvono  in  un  collo  a  cono  tronco,  sul  quale  girano  delle  impressioni  a  punta 
di  dito;  aggiungansi  quattro  ansette  un  po'  adunche  e  fra  l'una  e  l'altra  fregi  ver- 
ticali a  stecco.  La  creta  è  rossastra,  epurata,  con  chiazze  alla  superficie.  Ksso  era 
per  metà  pieno  di  ossa  umane  combuste,  coperte  da  terra  di  rogo  :  vuotato  diede, 
assieme  alle  ossa,  rottami  di  armillette  filiformi,  ed  un  paio  delle  fibule  che  sotto 
descrivo,  e  che  il  conte  Roberti  non  seppe  più  identificare,  avendole  confuse  col  re^to. 
La  forma  del  vaso  si  riattacca  alla  precedente,  ma  è  più  rudimentale  (-). 


f)  Si  raflrDiili  iol'Iì  ossuari  editi  dal  S^ranzo  Srai-i  e  tcoperte  nei  poderi  Smart  di  Kste 
tav.  V,  8  e  dal  Prosdocimi  \ot.  1 882.  ser.  3*.  voi.  X,  t.iv.  III.  1 3,  IV.  2,  .3.  Si  distinpuc  por  altro  da  codesti 
e  pT  la  mancanza  del  piede  conico,  e  percliè  lo  sviluppo  della  metà  soperiore,  conico  ad  Estc, 
qoi  i  Bunplificato,  e  resta  quasi  sprofondato  in  quella  inferiure;  anche  il  collo  »!  dritto,  mentre  ad  Estc 
è  sempre  ad  agf;ctto  obliquo.  Non  manca  ad  Este  l'ansa  adunca  in  qualche  ossaario  del  primo  pc- 
r  :  (.Votitie  18S2.  «er.  3*,  voi.  X,  tav.  ITI.  -1)  e  qualche  salcio  trovo  anche  nella  XerropoU  di  s.  Lucia 
.')  Tolmino  (tav.  IV.  .5)  recentemente  illustrata  con  copiosa  dottrina  dal  Marchcsctti. 

(*)  E  perei'"!  bì  accosta  ai  tipi  arcaicùssìmi  di  Buvolone  (BuUetlino  Palei».  Italiano  1879, 
tav.  XIl)  e  Bismantova  (Ihid.  1871'.,  tav.  Vili) 


REGIONE    X. 


l(il 


rUSSANO 


e)  Ossuario  simile,  alt.  cm.  22,  larg.  mass.  cm.  34,  di  creta  e  fattura  come  i 
precedeuti:  per  la  forma  si  avvicina  a  b,  ma  le  spalle  più  sviluppate  ed  inclinate 
si  risolvono  in  uu  collarino  divergente,  ben  pronunciato,  e  sono  adorne  di  cerchioni 
tracciati  colle  dita  nella  creta  fresca.  Questa  forma,  eccezionale  ad  Hste  ('),  la  si 
trova  più  facilmente  altrove,  come  a  V'aduna  e  nello  necropoli  comasche  (-);  remi- 
niscenze di  essa  si  hanno  pure  nelle  necropoli  istriane  e  dello  Alpi  Giulie  (^). 

L'u,na  era  piena  di  terra,  e  vuotata  alla  mia  presenza  diede  molte  ossa  com- 
buste, terra  di  rogo,  ma  nessun  oggetto. 

(/)  Cista  fittile  a  cordoni  alta  cm.  18,  diam.  cm.  20,  munita  in  giro  di  cinque 
cordoni  o  costolature  di  forte  rilievo  con  intaccature  a  stecco  distribuite  in  due  colonne 
verticali,  e  con  quattro  bitorzoli  o  capezzoli  equidistanti,  al  labbro  (tìg.  2).  La  creta 


FiG.  2. 


è  rossastra  con  qualche  sassolino.  11  vaso,  aperto  davanti  a  me,  ha  dato  abbondanti 
ossa  combuste  con  terra  di  rogo  ed  un  sottile  anello  in  frammenti.  Questa  cista, 
non  vi  ha  dubbio,  è  imitazione  di  un  esemplare  in  bronzo  (^)  ;  lasciando  la  questione 
sull'origine  delle  ciste  metalliche  a  cordoni  {^) ,  osservo  che  riproduzioni  fittili  liscie 
sono  numerose   a   Bologna,   più   rare   le  cordonate,  delle  quali  si  ha  qualche  saggio 


(')  Unico,  credo,  un  vaso  iJeiitico  nella  necropoli  Benvenuti  :  Oliirurdini,  La  silula  italica  pri- 
mitiva, nei  Monumenti  antichi,  voi.  II,  p.  238,  fìg.  20. 

(21  Orsi,  La  necropoli  italica  di   Vadena  tav.  I,  4.  Rivista  archeol.  di  Como  1874,  I,  2. 

(■■')  Dall'Istria  Bull.  l'aletnol.  Italiana  a.  XI,  tav.  I,  15.  Volendo,  si  juiò  considerare  questo 
vaso  come  una  situla  fìttile  rudimentale,  rattrappita  ;  cfr.  Marchesetti,  Necropoli  di  s.  Lucia  tav.  V,  5-7. 
Non  affatto  dissimili  sono  gli  ossuari,  però  più  anticlii,  della  necropoli  di  Monza  {Bull.  Pai.  /tal. 
a.  XVII,  tav.  III,  .\,  B),  i  quali,  come  ben  osserva  il  Castelfranco  (ibid.,  ]).  43  e  scg.)  rammentano 
nella  sagoma  il  primo  periodo  di  Golasecca,  sebbene  so  ne  distaocliino  per  la  decorazione. 

(*)  Per  l'imitazione  in  terra  cotta  dei  vasi  laminati  veggansi  gli  eccellenti  studi  del  Pigorini 
Sull'origine  del  tipo  di  alcune  stoviglie  fabbricate  dagli  Italici  nella  1"  età  del  ferro,  nel  Bull. 
Paletn.  hai.  XIII,  p.  73  e  segg.;  e  del  Gbirardini,  La  situla  italica  primitiva,  op.  cit.  p.  230. 

(^)  Per  le  ciste  cfr.  i  recentissimi  studi  del  Marchesetti,  Necropoli  di  s.  Lucia,  p.  185. 


NASSA NO 


—   ll)2   — 


REtilONB    X. 


anche  neHlstiia  (')■  La  prosenza  di  codesto  vaso,  che  cronologicamente  è  più  lenente 
degli  altri,  dimostra  che  lo  antiche  tribù,  le  quali  seppellivano  i  loro  morti  sulla 
destra  del  Brenta,  conoscevano  la  cista  in  bronzo  e  la  imitavano. 

Pjf  quanto  scarsi  di  numero,  i  tittili  esaminati  ci  permettono  di  orientarci  in 
qualche  modo  sul  posto  da  assegnare  alla  necropoli  di  Angarano,  accanto  alle  altre 
dell'alta  Italia.  Ad  onta  della  vicinanza  col  grande  centro  veneto  illirico  di  Este,  i 
contatti  con  e.-^so  sono  scarsi,  ed  in  ogni  modo  si  atFermano  cullo  strato  più  antico 
di  esso,  l'italico  (-').  Gli  ossuari  /*,  e  ed  in  parte  anche  quello  a  si  accostano  in- 
vece più  sentitamente  a  quelle  forme  che  risconti-ansi  nello  necropoli  di  popolazioni 
uscite  dalle  torreinaro,  palafitte,  e  stazioni  affini,  quali  Bovolone,  Crespellano,  Monte  Lo- 
nato,  Bismantova  tra  le  più  antiche,  Vadena  tra  le  recenti  del  gruppo  orientale, 
Monza  e  Golasecca  dell'occideulale;  per  quanto  poco  conosciute  le  palafitte  orientali, 
cioè  le  venete,  non  pertanto  anche  l'esame  dei  bronzi  conferma  questa  assegnazione. 
Con  ciò  non  intendo  affermare  che  la  necropoli  aia  sincrona  alle  palafitte,  ma  essa 
appartiene  per  altro,  con  tutta  probabilità,  ad  un  popolo  da  esse  uscito,  il  quale  abitò 
poi  a  lungo  sulla  destra  del  Medoaco.  Solo  la  cista  fittile  si  stacca  dagli  altri  vasi 
e  por  forma  e  per  età. 

/Iroiisi.  —  I  pnclii  pezzi  conservati  dal  conte  Roberti  furono  tolti  ai  contadini. 
chi  trafugarono  il  m.';.;Uo;  pochi  vennero  estratti  dall'urna  ò. 


Fio.  'ò. 


(ìli  aghi  crinali,  nove  in  tutto,  sono  parte  rotti,  parte  interi,  lunglii  ila  cni.  In 
a  21  :  tre  sono  lisci,  sei  coll'estremità  superiore  decorata.  Basta  un'occhiata  ai  quattro 
saggi,  che  qui  riproduco  (tìg.  3)  per  riconoscere  come  poco  o  nulla  vi  abbia  di  comune 
cogli  strati  veneti  di  Este.  e  manchino  per  lo  meno  le  forme  specifiche  ad  essi.  Di  deri- 
vazione prettamente  palafittico-terraniaricola  sono  gli  esemplari  1,  '2.  '.\   con  pomello 


(')  liozzadini,    Di    un    nrpalm-ln    fh-ntia    ICC  ,    (:iv     I\'.   .").   —   (Irsi,    Ilull.    l'iilrtniél.    lini    \I, 

tav.  II,  3,  p.  75-76. 

(*)  Accelto  pipnniiioiite  \:\  tri|iartizii>iic  ])r(i]io.st;i  li.il  (jliirarilini  (.\où:ie  ItìSBp.  3o7;  La  col- 
lesioni-  llaratela  p.  •iOT-'iOOj. 


REGIONE    X.  —    Ilio   —  HASSANO 

a  doppio  cono,  e  rigonfiamento  dell'asta  superiore,  ornata  di  tortiglione,  o  di  fasci 
di  linee,  e  di  spinapesce;  essi  continuano  anche  nei  più  antichi  orizzonti  della  prima 
età  del  ferro,  alla  quale  è  tutto  proprio  il  u.  4  a  larga  capocchia  ('). 

Di  armille  si  ebbero  due  eleganti  esemplari;  uno  con  bellissima  patina  è  for- 
mato da  doppio  filo  di  bronzo  avvolto  per  tre  giri,  finiento  ad  una  estremità  ad  occhio, 
nell'altra  a  coda  di  serpe,  mediante  saldatura  a  martello  del  capo 
dei  due  fili  (fig.  4).  Siccome  il  diametro  im])orta  soli  cm.  .'5  '  ''.,  codeste 
spirali  piuttosto  che  ad  ornare  i  polsi  di  una  bambinetta  avranno 
servito  a  raccorne  la  chioma  sull'occipite  e  sono  perciò  delle 
vere  (Ji'oiyyfc.  Non  mi  diffondo  in  riscontri,  trovandosene  esem- 
plari in  tutti   gli   sti'ati  protostorici  dell'  Italia   e   della  Grecia. 

Come  armille  interpreto  una    massa    aggrovigliata  di  sottili  fili 
i  la.  4.  '■  °°        ° 

in  bronzo,  ad  uno  o  più  giri,  con  diametri  vari  fra  gli  estremi 
di  cm.  4  e  6^;  di  più  un  esemplare  a  nastro  (con  sezione  a  calotta),  ad  estremità 
appuntate  e  sovrapposte,  del  diametro  di  cm.  5  .V  ;  aggiungansi  parecchi  rottami  di 
altre,  ed  un  anello  digitale. 

Le  fibule  sono  poche  di  numero,  ma  di  forme  caratteristiche  per  la  cronologia. 
Una  bellissima  ed  intatta  serpeggiante,  il  cui  ardiglione  consta  di  uno  spillo  inne- 
stato ad  occhio  nel  bastoncino  contorto  e  costolato,  viene  qui  riprodotta,  attesa  la  sua 
importanza(tig.  5).  Misura  in  lung.  cm.  lo  ed  è  uno  dei  saggi  più  eloquenti,  a  dimo- 
strare la  genesi  della  fibula  dallo  spillo  ritorto  (-).  Il  tipo,  dopo  quello  ad  arco  sem- 
plice, è  tra  i  più  antichi  che  si  conoscono,  proprio  specialmente  agli  strati  umbro 
italici  dell'Italia  Centrale,  da  Bologna  ai  colli  Albani  (^). 

Tre  esemplari  ad  arco  semplice,  tutti  rotti,  sono  formati  da  una  verghetta  cilin- 
drica coir  arco  a  solcature  oblique;  una  quarta  è  a  piccolissime  costolature;  lung. 
era.  4-5.  Anche  codeste  fibule  sono  annoverate  fra  le  più  antiche  degli  strati  italici 
della  prima  età  del  ferro.  Un  quinto  esemplare  della  stessa  categoria,  più  grande  dei 
precedenti,  ma  guasto,  ha  l'arco  leggermente  rigonfio  con  cordoni  o  costole  ben  mar- 
cate e  spaziate. 


(')  Mi  manca  il  modo  di  dare  ampie  statistiche,  ma  basteranno  pochi  riscontri  salienti.  Un  esem- 
plare della  necropoli  di  Monza  {Bui!.  Palelnol.  Ital.  X^'II,  tav.  Ili,  8)  è  identico  ad  uno  bassanese. 
Il  n.  I  si  ha  così  nella  palafitta  di  Peschiera  come  a  Vadena  (Orsi,  Vadena  p.  34)  e  dalla  torbiera 
di  Fiavò  (Orsi,  Nuove  note  di  palotnoì.  trentina  tav.  II,  11);  pure  da  un  bacino  lacustre  deviva  un 
esemplare  come  il  nostro  n.  2  (Orsi,  ibid.,  II,  9).  Piti  recente  è  il  tipo  n.  6,  ombrelliforine,  e  proprio 
alle  necropoli  norditaliche  della  prima  età  del  ferro  (Orsi,  Vadena,  tav.  V,  .5.  —  Marchesctti,  A'tf- 
cropoli  di  s.  Lucia,  tav.  XXII,  21). 

(*)  Tale  teoria  fu  'emessa  dal  Chierici  {/luì!.  Palelnol.  Rai.  1876,  ji.  219;  1878  p.  50)  assai 
tempo  prima  che  si  conoscessero  i  risultati  dell'esplorazione  delle  tombe  greche  arcaiche  della  Si- 
cilia, nelle  quali  io  ho  constat.ato  frequenti  volte  due  spilloni  in  bronzo  od  in  arf;ento  posti  all'eslre- 
mità  delle  spalle,  per  fissare  il  chitone  od  il  peplo,  fungendo  cosi  csattumente  da  tibule.  Cfr.  le  mie 
rettifiche  (Orsi,  Megara  Hyblaea  p.  12-5  nota  2)  allo  Studnicka  che  nelle  Moirai  del  vaso  Prani,-ois 
credette  riconoscere  sulle  spalle  delle  fibule,  mentre  in  realtà  non  sono  che  spilloni  a  disco  e  nodi. 

(■')  Me  rassegnai  una  statistica  in  Vadena  p.  19  e  segg.,  ed  in  Hull.  Palcln.  /tal.  XIll. 
li.   II. ">  e  122. 

Ci.AS.SK  DI  SCIENZE  MOUAi.i  ccc.  —  Memokik  —  Vol.  Il  Soric  ")"  , parte  2»  21 


HASSANO 


—    104   — 


REGIONE   X. 


Spettano  a  cultn  lunati  o  rasoi  due  frammonti;  l'uno,  qui  disegnato  (tig.  li),  non  è 
altro  che  il  manichetto  a  tortiglione,  finientc  in  un  occhio  con  due  cornetti,  e  con  porzion- 
cina  della  lama  (lung.  tot.  em.  7  5):  l'altro  simile  conserva  una  por/iono  maggiore 
della  schiena  della  lama  con  andamento  ad  angolo  ottuso  (lung.  cm.  llj).  Ormai  è 
provato  che  codesti  rasoi  si  hanno  nella  lor  forma  più  antica  nelle  terreniare  e  pa- 


Fk;.  .-.. 


Fio.  (i. 


lafitte.  e  che  prendono  il  massimo  sviluppo  di  forma  e  diffusione  nei  più  antichi 
strati  della  prima  età  del  ferro;  non  mancano  ad  Kste,  nel  Trentino,  nella  Svizze:a 
meridionale  e  nella  Francia  ('),  fanno  invece  difetto  nelle  necropoli  illiriche  delle 
Giulie  e  doU'Istria  (-'). 

Di  osso  era  un  disco  rotto  (diam.  cm.  óf)  con  circoli  concentrici  ed  occhi  di 
dado  alla  superficie;  se  ne  trovarono  di  simili  a  Vadena  e  nelle  terremare  (^). 

Ove  si  ponga  mente  che  delle  cento  e  più  tombe  antichissime  di  Angarano  ma- 
nomesse dai  contadini,  appena  quattro  sono  pervenute  a  nostra  conoscenza,  con  qualche 
altro  bronzo  isolato,  ognuno  comprenderà  come  non  si  possa  per  ora  esprimere  un  esatto 
giudizio  sull'indole  etnica  e  cronologica  della  necropoli.  Per  altro  gli  oggetti  studiati 
presentano  note  cos'i  spiccate,  che  si  prestano  ad  un  giudizio  di  massima,  il  quale 
sarà  definitivo  .solo  in  seguito  ad  ulteriori  scavi  sistematici. 

Intanto  risulta  certo  cosi  dall'esame  dei  fittili  come  dei  bronzi,  che  la  necropoli 
.spetta  agli  strati  più  arcaici  della  prima  età  del  ferro;  è.  in  qualche  modo,  sincrona 
al  periodo  Menacci  di  IJologna,  all'italico  di  Ks(c  ecc.;  dei  tittili  la  sola  cista  sembra 


{')  Orni,   Vndcna  p.  81  e  setjft.  —  Pi^'orini,  Nolixie  1888,  p.  242. 
(•)  Mnrchcsctti,  j\ecropoli  di  ».  Lwin  y.  207. 


RliGlONt;    X.  —    ](J5    —  BASSANO 

accennare  ad  un  momento  piìi  recente.  Col  gruppo  veneto-illirico  abbiamo  solo  con- 
tatti generali,  come  d'indole  generale  sono  quelli  col  villanovano;  mancando,  almeno 
per  ora,  i  fittili  specifici  all'uno  ed  all'altro  nulla  ci  autorizza  a  chiamar  umbra  o  ve- 
neta la  necropoli;  e  nemmeno  vedo  rapporti  col  gruppo  bellunese-cadorino  (').  Invece 
ci  accostiamo  a  quelle  arcaiche  necropoli  del  Veneto  occidentale  e  della  Lombardia, 
spettanti  ad  una  popolazione  uscita  dalle  palafitte  e  dalle  stazioni  analoghe  alle  ter- 
remare.  Più  in  là  di  questo  giudizio,  che,  come  vedesi,  è  ancor  lato,  non  possiamo 
andare,  sino  a  che  la  necropoli  di  Angarano  non  sia  meglio  conosciuta. 


Jieliquie  di  età  romana  presso  Angarano. 

Angarano  è  oggidì  sobborgo  di  Bassano,  anzi  continuazione  della  città,  dalla 
quale  è  soltanto  diviso  pel  maestoso  letto  del  Brenta;  ma  in  addietro  non  deve  esser 
stato  così,  e  furon  due  abitati  vicini  ma  distinti,  dei  quali  più  antico  quello  sulla 
dostia  del  fiume.  Di  Bassano  infatto,  ad  onta  del  nome  che  suona  tutto  romano  {vicus 
Bassiaaus)  non  il  più  piccolo  documento  archeologico  di  tali  tempi  (2);  il  titolo 
C.  I.  L.  V,  2101,  già  nel  monastero  di  s.  Fortunato,  è  di  origine  incerta.  Invece  tutti 
i  luoghi  contermini  alla  città  tradiscono  nel  nome,  e  colle  scoperte,  la  loro  origine  ; 
quindi  Cartiliano,  Crespano,  Rossano  {Carlilianus ,  Crispianus,  Roscianus),  Mar- 
gnano  {Marinianus  ?) ,  Marsano  (Marcianm?)  derivano  da  gentilizi  certi  od  ipotetici. 
Ad  Angarano  stanziavano  genti  italiote  antichissime,  prima  ancora  che  i  Romani  vi 
avessero  imposto  un  nome  {Anclurrlanus ,  Aiicjarianus)  ;  di  lì  deriva  il  titoletto 
C.  I.  L.  V,  2107,  ed  il  vico  apparteneva  alla  pertica  della  vicina  Asolo  {Acelum, 
Acilium)  .  L'esistenza  di  un  vico  romano  è  ora  affermata  da  alcune  fortuite  scoperte 
avvenute  in  un  podere  dello  stesso  sig.  conte  Roberti,  a  pochi  passi  dall'abitato,  e 
meno  di  mezzo  chilometro  discosto  dalla  necropoli  primitiva. 

Quivi  a  breve  profondità  i  contadini  scoprirono  due  lunghe  braccia  di  muro, 
d'opera  incerta,  spesse  circa  m.  0,50 ,  una  normale  all'altra  ;  nel  punto  d'incontro  for- 
mavano un  vano  quadrato  di  circa  m.  2,00X2,00.  Tutto  il  terreno  circostante  si 
trovò  pieno  di  tegoloni  e  mattonacci  (ne  misurai  alcuni  di  em.  30X  22  X  8),  dei  quali 
se  ne  raccolsero  quanti  bastarono  per  fare  l'impiantito  di  una  cucina.  Presso  il  conte  Ro- 
berti vidi  pure  una  mezza  dozzina  di  pesi  a  piramide  tronca,  un  tambellone  circo- 
lare (diam.  cm.  17,  spessore  cm.  8),  una  antefissa  con  testa  di  Medusa  fasciata  in 
giro  di  meandro  ed  in  basso  di  fogliette;  di  più  un  frammento  di  fregio  fittile,  rotto 
in  tre  (cm.  27  X  24)  ;  in  basso  è  conterminato  da  un  astragalo  e  nel  campo  avvi  il 
residuo  di  un  rilievo   a   disegno   forte   e   corretto,   rappresentante  una  donna  seduta 

(')  (iliirardini,  Notizie,  1883,  ser.  3',  voi.  XI,  p.   106  e  162. 

(^)  Il  Brentari  nella  sua  Storia  di  Bassano  cercò  dimostrare,  che  la  città  non  esisteva  affatto 
all'epoca  romana.  Però  cffli  mi  scrive,  che  in  epoca  recentissima  tracce  di  abitati  romani,  consistenti 
in  monete,  tombe,  pavimenti  a  mosaico,  teijole  di  varia  specie  si  rinvennero  nei  contorni  immediati, 
cioè-  a  Mussolente,  Fellette,  C'assola.  Ciò  pui'i  sisrnificare,  che  la  città  attnale  jirese  il  n.ime  da  nn 
vico,  che  esisteva  nelle  sue  vicinanze. 


Kll  MA.NA  —    10(5   —  KEOIONE    Vili. 


pannej^giata,  dietro  la  q  alo  soor^jonsi  le  estremità  iuferiori  di  due  altre  ;  davanti  ad 

esaa  avanzi  di  pauneg^o,  da  cui  sporge  una  mano  che  sembra  presentare  un'  oll'erta. 

Delle  tegolo  molte  erano  segnate,  ed  in  casa  Koberti  ho  copiato  i  seguenti  bolli: 

»)        ;aìM/"p[    cioè     [3/.]    Val{erius)  Mii.  /•'.   /'[«s/o;] 
//)         m.  ■  PASTOR 

Bolli  o«juali  a  A)  si  conoscevano  giii  ila  Venezia  e  dai  contorni  di  Padova  (f.  /.  /-. 
V,  Silo.  277). 

e)         A-NV  ■  FU 

d)        j  FATA  I         parecchi 

.■)         PATA 

L'officina  di  Avillia  Paeta  era  già  conosciuta  per  alcuni  bolli  padovani  6".  /.  L.  V,  bl  li>, 
267;  uno  di  Villadose  nel  Kovigoto  ne  porta  anche  il  patronimico:  «  Avilia  Mn. 
F.  Paeta  '   (Pais,  Addi  lamenta  ad  C  I.  L.  V.  1075). 

11  conte  Roberti  ha  in  animo  di  amiiliare  le  cscavazioni  nei  ruderi  romani  del 
suo  podere;  e  farà  cosa  buona,  perchè  essi  accennano  ad  un  cditizio  <li  qualche  im- 
portanza, forse  una  villa,  la  cui  ostensione  non  si  può  ancora  precisare. 

P.  Orsi. 


Regione  Vili  (l'ISlWbAXA). 

IV.  FIUMANA  —   Arma  litica   rincenuta  nel  territorio  del  comune. 

Da  un  colono  che  lavora  a  Fiumana,  paese  distante  chilom.  11  da  Forlì,  acqui- 
stai, in  questi  giorni,  pel  Museo  civico,  un'ascia  di  pietra  levigata,  uscita  sporadica- 
mente in  opere  campestri. 

K  di  roccia  serpentinosa  verde-cupa,  tra-^lucida  e  durissima,  di  tipo  cuneiforme  a 
fianchi  tondeggianti,  a  taglio  arcuato.  Considerata  la  tecnica  si  direbbe  ricavata  da 
un  ciottolo,  perocché  sono  rimaste  attorno  alla  punta  delle  piccole  zone  depresse, 
serbanti  la  corteccia  antica. 

Tranne  alcune  intaccature  nel  tagliente,  prodotte  dall'uso,  essa  può  dirsi  perfet- 
tamente conservata. 

Per  il  volume,  è  la  maggiore  fin  qui  raccolsi  da  noi.  misurando  in  lunghezza 
inni.  140  e  nella  più  lata  espansione  min.  22.  11  suo  peso  specifico  è  di  gr.  2G5. 
Per  la  forma  riproduce  l'ascia  trovata  nel  seiiolcro  eneo-litico  di  Ciimarola  (cfr.  Unii. 
di  l'aleln.  il.  a.  X.  tav.  VII.  n.  4)  ed  altre  tornate  in  luce  a  Mozzanica.  nel  Ber- 


REGIONE    VI.  l(i7 


PIANETTO 


gamasco  (cfr.  op.  cit.  a.  XI  tav.  Ili  n.   1);  uoii  che  quella  nnveiiuta    noi   Friuli   e 
ripoi-tata  dal  Molon,  l'reisl.  e  coat.  tav.  II  ii.   14. 

A.  San'tarem.i. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

\.  PIANETTO  (frazioue  del  coimme  di  Galeata)  —  A  m.  4  di  distanza 
dalla  tomba  arcaica  trovata  a  Pianetto,  tra  s.  Sofia  e  Galeata  (cf.  Notizie  1894  p.  12) 
venne  scoperta  una  seconda  tomba  e  questa  di  inumato. 

Da  quanto  apprendo,  in  detto  luogo  doveva  esisteie  una  necropoli,  essendo  in 
passato  tornato  in  luce  un  elmo  di  bronzo,  con  altre  anticaglie  dello  stesso  metallo. 

Ciò  che  mi  è  riuscito  di  fare,  ò  di  aver  salvato  ed  acquistato  pel  Civico  Museo 
forlivese  quella  parte  di  suppellettile  funebre  che  vi  fu  raccolta  e  che  si  collega  con 
la  nostra,  nell'intento  che  non  andasse  dispersa. 

Stando  alle  notizie  di  chi  vide  la  tomba,  essa  si  trovava  presso  un  corso  di  acqua, 
detto  Riosecco;  era  sotterra  appena  m.  0,30,  di  forma  ovale,  molto  ampia,  formata 
da  grossi  ciottoli  spianati,  che  sormontandosi  e  crescendo  mano  mano  in  lunc^hezza, 
venivano  a  coprirla  a  vòlta. 

Con  poche  ossa  dello  scheletro  di  adulto  (che  data  la  piccolezza  del  sepolcro, 
doveva  giacere  seduto  o  rattrappito)  erano  un  vaso  che  fu  ridotto  in  pezzi,  per  la 
solita  avidità  ed  ignoranza,  ed  i  seguenti  bronzi. 

Ventuno  fibule,  tutte,  meno  una,  senza  ornamenti  e  così  distinte: 

a)  Undici  a  navicella,  con  pometti  laterali  nell'arco  e  pometto  in  fondo  al 
cartoccio,  lunghe  mm.  60.  Mancano  dello  spillo. 

b)  Sette  della  stessa  foggia,  ma  più  grandi  e  con  cartoccio  più  lungo,  meno 
una,  anche'  esse  mancanti  di  spillo.  Misurano  mill.  83.  Il  tipo  dei  due  gruppi  ri- 
risponde a  quello  dato  dal  Montelius  Spannan  fràn  Bromàldern  p.  142,  n.  145  ed 
alle  moltissime  trovate  nel  forlivese  e  luoghi  contermini  (cf.  Santarelli  Seconda  me- 
moria sugli  avanzi  di  abil.  irrim.  a  Villanova,  p.  24  e  Bull,  di  Paletti,  it.  a.  XII, 
tav.  VII). 

e)  Due  piccole  a  sanguisuga,  senza  spillo,  identiche,  meno  pel  pendaglio,  a 
quelle  rinvenute  a  Bologna  e  riportate  dal  Gozzadini  {hitorno  agli  scavi  Arnoaldi-  Veli, 
tav.  XII,  n.  8-12). 

d)  Una  a  navicella,  con  cordone  tagliuzzato  sull'arco  e  cartoccio  tìniente  in 
isporgenze  a  triangolo,  volte  in  su:  lunghezza  mm.  47.  Riproduce  il  tipo  trovato  in 
Orvieto  e  riportato  dal  Montelius  (op.  cit.  p.  154,  n.  154),  nonché  di  altra  da  lue 
rinvenuta  nel  ripo,stiglio  forlivese  (cf.  Bull.  Puletn.  il.  a.  XII.  tav.  VII). 

e)  Cinque  spilli  isolati  ed  un  cartoccio  con  pometto  finale. 

/■)  Due  armille  :  una  formata  di  grosso  filo  sormontantesi  per  due  terzi,  a  se- 
zione esagona,  del  diametro  di  mm.  64;  l'altra  di  filo  più  sottile,  a  sezione  cilin- 
drica, del  diaraotrn  di  mm.  60. 

A.  Santauei.li. 


ClVllKLI.A,    SE.NriNo,    CuUroNA  —    ItìS   —  HEOIONE    VI,    VII. 

VI.  ClVlTKLliA  HI  liOMAtiNA  —  Ha  uu  colono  abitaut*  nei  pressi  di 
Oivit«lla  di  Romagna  potei  acquistare  pel  Museo  civico  di  Forlì  una  lucerna  mono- 
licno  ivi  trovata,  di  terra  cenerognola,  verniciata  in  nero,  con  rilievo  rappresentante 
due  tigure  cioè  un  uomo  e  donna  in  atto  erotico,  sopra  letto  ad  una  sola  spalliera 
e  fornito  di  suppedaneo  isolato  (scammim). 

Nel  disco  di  fondo  reca  il  noto  bollo  FACCI. 

A.    S.\NTAREhI.I. 


VII.  SENTINt»  —  Monete  romane  scoperte  nei  laoori  per  In  fer- 
rovia da  s.  Arcan//e/o  a  Fahriano. 

Facendosi  una  cava  di  prestito  pei  lavori  della  nuova  ferrovia  s.  Arcangelo-Fa- 
briano, si  rinvenne  un  recipiente  di  bronzo,  contenente  varie  monete  consolari,  di 
argento,  molte  delle  quali  furono  asportate  dagli  operai  addetti  ai  lavori.  Se  ne  re- 
cuperarono soltanto  quindici,  che  mi  furono  consegnate,  per  le  raccolte  del  Civico  Museo 
di  Ancona,  dal  sig.  ing.  Gamberale  direttore  tecnico  dei  lavori  ferroviari.  Spettano 
alle  famiglie  Aemilia.  Caecilia,  Considia,  Cornelia,  Julia.  LoUia,  Plancia,  Poblicia, 
Valeria.  Due  sono  irriconoscibili  per  l'ossidazione.  Si  raccolsero  pure  cinque  assi  di 
bronzo,  con  Giano  bifronte  da  una  parte,  e  dall'altra  la  prora  di  nave,  ed  un  medio 
bronzo  di  Faustina  Seniore. 

Gli  scavi  restituirono  anche  alla  luce  un  gancio  di  bronzo,  a  tre  punte  a  becco 
di  oca,  un  ago  crinale  di  bronzo,  con  tracce  di  doratura,  lungo  m.  0,20. 

C.    ClAVARrNM. 

llRKKiNE  VII  (ETiniRIA). 

Vili.  CORT<»NA  —  Tomba  antichissima  con  armi  di  pietra  e  di 
hronso  scoperta  nel  territorio  del  comune. 

Nella  valle  di  Cortona,  in  luogo  chiamato  Hattifolle  presso  Farneta,  si  trovò 
una  tomba  a  fossa,  scavata  nel  declivo  di  una  collina.  Conteneva  lo  scheletro  intero, 
ma  in  massima  parte  disfatto  e  consunto.  Presso  il  capo  un  vasetto,  con  una  freccia 
dentro,  ben  fatta  di  piromache  color  cenere  (limgh.  cent.  8):  presso  le  spalle  due 
asce  di  bronzo  ad  alette  lievenaente  rilevate;  la  maggiore  lunga  cent.  30,  e  la  mi- 
noro cent.  9.  Al  sinistro  fianco  posava  un  pugnaletto  di  bronzo  assai  consumato,  e 
lungo  cent.  14;  aveva  un  foro  nel  rotondo  manico,  certo  per  tenere  fìssa  con  un 
chiodo  la  rivestitura  di  legno. 

Questo  è  UDO  dei  più  antichi  sepolcri  trovati  nella  Val  di  Chiana,  e  segna 
l'epoca  di  passaggio  dalle  armi  di  pieira  a  quelle  di  bronzo,  poiché  non  si  pu<^  sti- 
mare la  freccia  di  silice  come  amuleto,  che  non  sarebbe  stata  entro  il  vasetto,  ma 
.sospesa  al  collo  o  deposta  nelle  mani  o  nel  petto  del  morto.  Tutti  gli  oggetti  sono 
stati  da  me  acquistati  e  deposti  nel  Museo  di  Arezzo. 

G.  F.  Gamlrrini. 


ROMA 


169    —  ROMA 


IX.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  IV.  Negli  sterri  clie'si  eseguiscono  in  via  Genova,  sotto  il  giardino 
di  Panisperna,  per  collocarvi  la  fontana  detta  det  Prigione,  già  esistente  nella 
villa  Massimo,  è  stato  recuperato  un  frammento  di  pilastrino  triangolare,  in  marmo, 
che  appartenne  al  fusto  di  un  candelabro.  È  lungo  m.  0,45,  coi  lati  larghi  m.  0,14. 
Vi  sono  intagliati  leggiadramente  un  serto  d'edera  e  fogliami  di  vario  disegno  :  i  tre 
spigoli  sono  ornati  con  una  serie  di  globetti. 

Nello  stesso  luogo  si  rinvenne  un'  anfora  fittile,  alta  m.  0,50,  con  collo  stretto, 
a  due  anse,  una  delle  quali  è  mancante  ;  un  pezzo  di  piede  di  statua  marmorea  con 
parte  del  plinto  su  cui  poggiava;  ed  un  frammento  di  bronzo,  di  forma  ovoidale. 

Per  i  lavori  di  risarcimento  nel  grande  fabbricato,  che  serviva  per  carceri  sulla 
piazza  di  Termini,  è  tornata  in  luce  una  base  marmorea  di  colonna,  del  diametro 
di  m.  1,10. 

Regione  V.  Sul  viale  Principessa  Margherita,  costruendosi  un  muro  di  recinto 
alla  proprietà  Ghezzi,  distante  m.  1G5  dalla  porta  Maggiore,  sono  apparsi  tre  ordini 
di  massi  rettangolari  di  tufo  sovrapposti  l'uno  all'altro.  Questi  avanzi  spettano  alle 
arenazioni  dell'antico  acquedotto  della  Claudia  e  dell' Aniene  nuovo;  corrispondendo 
al  sito  dell'antica  vigna  Belardi,  ove  nel  secolo  passato  furono  riconosciuti  e  distrutti 
sei  piloni  delle  arenazioni  medesime. 

Regione  VI.  In  via  Cadorna,  a  m.  5,50  sotto  il  piano  stradale,  è  stato  sco- 
perto per  m.  2,75  X  2,00  il  pavimento  di  un'  antica  stanza,  formato  di  mattoni  ad 
opera  spicata;  ed  alla  profondità  di  m.  21  si  è  trovata  un'antica  fogna  scavata  nel 
tufo  ed  intonacata,  alta  m.  0,80  e  larga  m.  0,45. 

Via  Salaria.  Facendosi  un  piccolo  cavo  per  condottura  d'acqua  fuori  di  porta  Sa- 
laria, a  sinistra  di  chi  esce  dalla  città  e  alla  distanza  di  oltre  m.  200  dalla  porta, 
ò  stato  scoperto  un  tratto  dell'antico  selciato,  por  la  lunghezza  di  m.  45.  Esso  segue 
l'andamento  della  via  moderna,  e  trovasi  in  media  a  m.  0.45  sotto  il  piano  attuale. 

Via  Tiburtina.  Proseguendo  i  lavori  della  fogna  sulla  via  Tiburtina.  presso 
il  piil)blico  cimitero  del  Campo  Verauo,  sono  stati  raccolti  i  seguenti  frammenti  di 
antiche  iscrizioni  : 


AEUAECRSC  ^Hah7, 

XrQR  bene)  (N3m*^ 


ANZIO  —    17U   —  KEOIONB 


Nello  stesso  luogo  pure  ho  trovato:  im  frammento  di  fregio  in  terracotta;  una  lu- 
cerna fittile,  grezza;  due  laiitrine  di  smalto;  due  paste  vitree  lenticolari;  quattro  anelli 
ed  altri  piccoli  frammenti  di  bronzo. 

G.  Gatti. 

Nella  ricca  collezione  dei  cippi  terminali  del  Tevere,  esposta  nel  Museo  Na- 
zionale Romano,  esisto  uno,  la  cui  epigrafe  è  ridotta  in  pessimo  stato,  appart4?nente 
alla  terminazione  fatta  sotto  Tiberio  dai  cuni/ores  Tilteris,  C.  Vibitis  Rufus,  Sex. 
Sotidius  Strado,  C.  f'alpefanus  Slatius  Rufus,  L.  Viselliits  Varrò,  M.  Claudim 
Marcellus  (cfr.  Cantarelli,  Bull.  d.  comm.  Ai'ch.  com.  di  Roma  1889  p.  192  seg.).  Mi- 
sura in  altezza  m.  l,;{tì.  in  larghezza  m.  0,8;^,  in  spessore  m.  0.^(5.  Confrontato 
coll'altro  edito  nel  C.  /.  L.  VI  n.  1237  .si  supplisce  facilmente: 


C  V  1  B  I  «  S    e.    /'.    rufus 
sex  SOMDIVS  sex.  f.  s/;-ABO 

LIBW  se  id 
e  cAljietefius.  e.  f.  statius 

rufus 

LWlSElli  US.  e.  f.  u  a  r  r  O 

MCl\udius.  m.  f.  marcellus 

curatores  Kiparum  et  alvei  Tiberis 

e.i\  t.r.  /rrnìin. 


Quesf  è  il  solo  cippo  appartenente  a  questa  terminazione,  che  sia  tornato  in  luce 
negli  ultimi  lavori  del  Tevere.  Un'altro,  siccome  m'avverte  il  eh.  prof.  Hùlsen,  è 
pubblicato  dal  Gudio  tra  le  epigrafi  sepolcrali  (pag.  338  n.  16)  e  sarà  edito  negli 
addenda  al  volume  VI  del  C.  I.  L.  Questo  mostra  i  nomi  dei  curatores  disposti 
in  altro  ordine,  come  d'altra  parte  il  nostro  stesso  ha  un'altra  disposizione  di  quello 
superiormente  citato. 

D.  Vaoi.ieui. 


Reoionk  I  (I,.\TlUyf  ET  fAM l'ASI. \). 

X.  ANZIO  —  Kseguendosi  alcuni  lavori  per  sistemare  lo  scolo  delle  acque 
dinanzi  al  cancello  d'ingresso  alla  villa  già  Albani,  ora  sede  dell'Opera  pia  degli 
O.^pizi  marini,  è  tornato  in  luce  un  frammento  di  cornicione  marmoreo,  con  semplici 
linee  architettoniche,  lungo  poco  più  di  un  metro  ed  in  cattivo  stato  di  conservazione. 
Si  sono  pure  trovati  due  pezzi  scheggiati  di  una  colonna  di  cipollino,  di  niun  valore. 

G.  Gatti. 


REGIONE    I.  —    171    —  TERRACINA,    NAPOLI 

XI.  TERllAGINA  —  In  occasione  di  lavori  di  rostaiiro,  esplorandosi  l'area 
circostante  al  sepolcro  detto  di  Valmarina,  posto  sulla  sinistra  dell' Appia,  a  circa  8  chi- 
lometri da  Terracina,  si  ò  rinvenuto  un  frammento  dell'epigrafe  di  detta  tomba. 
È  scolpito  su  di  uno  scaglione  di  calcare  del  luogo,  di^ui.  0,47  X  0,35.  Vi  restano 
solo  le  lettere  : 

•T-F/ 


Di   questo  frammento  mandò   anche   il   calco   cartaceo   il  cav.  iug.  F.  Liberati. 


XII.  NAPOLI.  —  Nuove  scoperte  di  antichilà  entro  Vahltato. 

In  questi  ultimi  tempi  i  lavori  di  risanamento  nella  vecchia  Napoli  sono  stati 
quasi  sospesi,  per  le  questioni  della  Società  col  Municipio,  per  la  crisi  edilizia  e  ban- 
caria. Di  nuove  costruzioni  non  s' è  iniziata  alcuna,  contentandosi  gli  appaltatori 
di  poter  mandare  stentatamente  a  termine  le  già  incominciate.  Lavori  nuovi  quindi 
nel  sottosuolo  non  ce  ne  sono  stati,  e  però  la  speranza  di  nuovi  rinvenimenti  è 
rimasta  delusa. 

Pur  tuttavia  dai  pochi  cantieri  aperti  e  dai  lavori  di  fognatm-a  qualche  cosa  è 
venuta  fuori  ;  e  di  ciò  tratta  la  presente  relazione. 

Sezione  Porto.  Continuando  i  lavori  di  fondazione  per  la  Nuova  Borsa  dalla 
parte  di  mezzogiorno  e  di  occidente,  tornarono  in  luce  altri  avanzi  di  costruzioni  di 
età  varia.  Sotto  i  ruderi  di  alcune  abitazioni  private  di  età  recente  dal  lato  di  sud-ovest 
si  scoprirono  molti  blocchi  di  marmo  bianco  comune,  che  con  ogni  certezza  si  riferivano 
al  rivestimento  esterno  di  un  edifizio  di  età  romana.  Avevano  tutti  le  stesse  dimensioni, 
cioè  alt.  m.  0,87  X  0,95  X  0,34  di  spessore,  ed  erano  rovesciati  con  la  faccia  migliore 
sul  terreno,  in  modo  da  lasciar  supporre  che  la  facciata  dell'edifizio  fosse  caduta  in  una 
sola  volta  col  ripiegarsi  a  settentrione;  giacché  il  sito,  dove  l'edifìzio  sorgeva,  pre- 
sentemente è  occupato  dalla  grande  strada  del  rettifilo,  che  mena  direttamente  dalla 
stazione  ferroviaria  a  s.  Giuseppe.  Difatti  nell'area  edificatoria  si  trovarono  non  più 
che  venti  dei  sopradett  blocchi,  ma  altri  si  vedevano  nel  terrapieno  dell'area  stra- 
dale ed  erano  posti  in  modo  da  non  potersi  estrarre  senza  andare  incontro  ad  una 
spesa  piuttosto  rilevante.  Giacevano  essi  su  le  arene  del  mare,  ed  erano  stati  adope- 
rati come  substratum  di  tutte  le  fabbriche  posteriori:  stavano  a  circa  m.  1,50  sotto 
il  presente  livello  del  mare. 

Uno  di  questi  blocchi  lavorato  con  cornice  in  incavo  presenta  sul  piano  rilevato 
la  seguente  parola,  scolpita  con  lettere  molto  regolari: 

TESTAMENTO 

la  quale  doveva  far  parte  di  una  iscrizione.    E   della    stessa    iscrizione    doveva    far 
parte,  a  mio  modo   di    credere,  l'altro  frammento  pubblicato  dall'egregio  prof.  Spi- 

Classe  di  scienze  morm,i  eco.  —  Mkmoiue  —  Voi  II,.  Serie  5',  parte  2*  21 


NAPOLI  —    172    —  REOIONB    I. 


nazzola  nelle  Notiiie  del  1893  p.  522;  difatti  il  blocco  di  marmo  sul  quale  e  scol- 
pito il  detto  frammento,  se  non  è  dello  identiche  proporzioni,  perchè  è  frammentato, 
fu  nondimeno  trovato  nello  stesso  sito  e  per  due  lati  vi  ricorre  la  stessa  cornice  che 
si  vede  nel  nostro.  Sicché  di  tutta  la  iscrizione  noi  conserviamo  l'angolo  superiore  a 
destra  e  l'angolo  inferiore  a  sinistra  di  chi  guarda.  Eccone  la  disposizione: 

LIO 

VI 

TAE 

TESTAiMENTO 

Non  giunge  poi  meno  degna  di  esser  conosciuta  la  notizia  che  sotto  la  cripta 
di  s.  Aspreno  esisteva,  come  esiste  tuttora,  un'  altra  costruzione  pure  di  epoca 
romana,  consistente  in  un  fofjnone  o  condotto  lurido,  La  luce  di  tale  condotto 
era  di  ni.  :{,00  in  larghezza  per  m.  2.10  in  altezza  a  contare  dal  punto  supe- 
riore dell'arco,  mentre  che  la  freccia  dello  stesso  era  di  m.  0,8U.  Nella  parte  interna 
era  rivestito  d'intonaco  dello  spessore  di  mm.  2;  era  costruito  poi  di  fabbrica 
a  masso,  la  quale  nei  lati  raggiungeva  lo  spessore  di  m.  l,8if;  nella  parte  superiore 
e  propriamente  nel  centro  dell'arco  misurava  m.  0,70  e  nel  fondo  m.  1,30.  In  rap- 
porto col  presente  livello  del  mare  sottostava  di  m.  2,60,  restandovi  al  di  sopra  di 
m.  1,50;  vuol  dire  adunque  che,  supponendo  identiche  in  quei  tempi  le  presenti  con- 
dizioni altimetriche,  per  dentro  al  canale  l'acqua  del  maro  penetrava  e  molto  oppor- 
tunamente serviva  a  lavare  e  disinfettare. 

L'esistenza  intanto  di  queste  costruzioni  iu  uu  livello  inferiore  a  quello  del  mare, 
ci  fa  ritenere  che  un  certo  riparo  contro  l'azione  delle  acque  già  esisteva,  altrimenti 
non  sarebbero  avvenute  né  la  costruzione  ne  la  conservazione  dei  fabbricati.  Non  vo- 
lendo supporre,  come  non  saremmo  autorizzati  a  farlo,  alcun  cambiamento  di  livello 
in  seguito  a  commozioni  telluriche,  dobbiamo  ritenere  che  quello  spazio  fosse  stato 
occupato  in  epoca  romana  dopo  la  costruzione  del  grande  muro  di  cinta,  quale  ce  lo 
presenta  la  pianta  di  Napoli  del  1100  pubblicata  dal  eh.  V>.  Capasso  TiaW Archivio 
storico  per  le  prov.  nap.  (anno  1892,  p.  832-8'J2  sg.).  E  siccome  alcune  di  queste 
costruzioni  non  possono  discendere  di  qua  dai  primi  secoli  dell'impero  romano,  cos'i  a 
quel  tempo  per  lo  meno  dobbiamo  rimandare  la  costruzione  o  ricostruzione  del 
grande   muro  di  cinta,  attribuendolo  o  all'età  di  Adriano  o  a  quella  di  Augusto. 

Va  notato  inoltre  come  in  questo  sito  nessuna  traccia  di  antichità  di  epoca  greca 
sia  apparsa,  per  quanta  cura  abbia  posto  nel  ricercarne  ogni  menomo  indizio,  mentre 
che  nel  terreno  rosta  sempre  l'orma  del  popolo  che  l'ha  calpestato,  ed  a  chi  accura- 
tamente osserva  ed  esplora  non  è  facile  che  sfuggano  le  diverso  stratificazioni,  rap- 
presentanti epoche  e  civiltà  diverse.  Questo  fatto  mena  alla  conclusione  che  quel  ter- 
reno restava  ancora  spiaggia  nel  tempo  della  greca  Neapolis;  e  però  se  una  porzione 
della  cinta,  quella  delle  alture  dove  si  spiegava  la  città  greca,  fu  semplicemente  rie- 
dificazione, la  parte  del  mare  fu  ex  novo  costruita,  perchè  da  questo  lato  avvenne 
l'ampliamento  della  città. 


REGIONE    I. 


—  I7;j  — 


NAPOLI 


Parecchi  pezzi  architettonici  di  marmo  bianco,  assai  guasti,  furono  trovati  nella 
continuazione  dello  sterro  di  quel  cantiere  ;  cioè  due  tronchi  di  colonna,  due  capitelli 
ed  uu  pezzo  di  cornice  di  epoca  bassa  i  quali  considerato  il  loro  stato,  ed  il  poco  o 
uiun  valore  della  loro  materia,  non  si  trovò  conveniente  di  estrarre.  Si  rinvenne  pure 
una  testa  marmorea  di  uomo  barbato  (alt.  m.  0,26)  corrosa  e  guasta  e  senza  alcuna 
importanza.  Fra  le  terre  di  scarico  si  raccolsero  poi  i  seguenti  frammenti  di  marmi 
con  iscrizioni: 

1.  Lapide  in  marmo  bianco  mancante  di  un  pezzo  e  rotta  in  due  parti,  con  iscri- 
zione latina  dei  bassi  tempi  ;  m.  U,27  X  0,26  : 


ERIVS  PE 
ÌS5UNVS-SEN 
TIAEHÌ^ERIDI 
CONIVGI 
LIMERENTIFECE 
RVNTI I 


2.  Piccolo  frammento  di  lastra  in  marmo  grigio  con  lettere  mal  eseguite,  alt. 


m.  0,13X0,12: 


PHOEBVS 
\  XVIII 


3.  Lapide  in  marmo  bianco,  frammentata   nella   parto  superiore  e  rotta  in  due 
pezzi,  che  si  ricongiungono;  m.  0,43X0,22: 


OnPCtY^Xi-W 

KeAeycANTOYeeoY 


Richiamo  particolare  attenzione  su  l'ultima  iscrizione,  la  quale,  secondo  a  me 
pare,  lui  im'  importanza  speciale.  Già,  la  scoperta  di  un  alfabeto,  greco  o  latino  che 
sia,  non  è  mai  un  fatto  trascurabile.  Più  interessante  riesce  la  scoperta  se  l'alfabeto 
è  scritto  sopra  lapide,  invece  di  essere  graffito  o  dipinto  sopra  vasi  o  mura  antiche. 
Cresce  anche  più  l'interesse  se  si  tratta  di  un  alfabeto  di  epoca  cristiana,  scar- 
sissimi essendone  gli  esempì. 

Il  nostro  alfabeto  sventuratamente  non  è  uscito  completo  :  esso  era  scritto  in 
due  righe,  di  cui  la  seconda  è  comi  leta  "  comprende  le  lettere  dall' o  all'w,  mentre 
che  della  precedente  non  resta  che  la  prima  lettera  a,  e  la  parte  inferiore  della  ,i'. 


NAPOLI  —    174   —  REGIONE   I. 


Ciò  non  pertanto  non  può  cadere  alcun  dubbio  intonio  al  suo  completamento  ;  poiché 
si  riferisco  ad  un'epoca,  in  cui  da  parecchi  secoli  l'alfabeto  greco  avea  preso  stabilità 
nel  numero  dello  lettere,  cioè  di  24.  La  rottura  della  lapide  però  ci  lia  tolto  il  mezzo 
di  sapere  se,  oltre  l'alfabeto,  nella  parto  superiore  fosse  stata  altra  iscrizione,  come 
si  osserva  nella  inferiore.  Ad  ogni  modo,  l'età  cui  si  dove  rimandare  non  oltre- 
passa la  prima  metà  del  3°  secolo  dell'impero;  la  regolarità  e  l'uguaglianza  delle 
lettere,  la  forma  lunata  della  a  e  dell' <^,  il  prolungamento  superiore  della  sbarretta 
media  nella  y,  «^  od  w,  nonché  una  discreta  esecuzione  sono  proprio  i  caratteri  paleo- 
gratìci  di  quel  tempo,  quando  molte  delle  istituzioni  greche  e  la  lingua  istessa  erano 
in  vigore  in  Napoli,  come  in  Taranto  e  Reggio,  le  sole  città  d'Italia  che  continua- 
rono ad  esser  greche  durante  la  conquista  romana  (')•  La  interpretazione  dell'ultima 
riga,  che  da  principio  mi  restava  oscura,  venne  chiarita  dal  dotto  mio  amico  mons.  A.  Ga- 
lante, il  quale  ritiene  che  in  tutto  quelle  lettere  non  sia  scritto  che  un  solo  nome 
proprio  al  genitivo,  corrispondente  al  genitivo  latino  QuodvuUdei,  KtltvaavtofOtoì , 
nome  dol  tutto  cristiano,  per  cui  cristiana  anche  la  nostra  epigrafe. 

ila  a  quale  scopo  fu  essa  origiuariamente  destinata":'  Escludendo  l'idea  che  fosse 
scolpita  per  esercizio  grafico,  essa  non  poteva  essere  che  o  una  tabella  abecedaria 
ovvero  una  iscrizione  funebre.  Trova  riscontro  la  nostra  lapide  col  titolo  sepolcrale 
pubblicato  dal  eh.  De  Rossi  (-) ,  nel  quale  oltre  all'alfabeto  greco  posto  nella  prima 
riga,  e'  è  il  nome  proprio  al  genitivo  nella  seconda  ;  ma  il  De  Rossi,  osservando 
che  questo  nome  è  di  epoca  posteriore,  giustamente  ritiene  essere  stata  quella  una 
tabella  alfabetica,  adoperata  poi  come  lapide  sepolcrale.  Tale  ipotesi  non  essendo  del 
caso  nostro,  perchè  alfabeto  e  nome  proprio  sono  della  stessa  epoca  e  della  stessa 
mano,  noi  incliniamo  a  ritenerla  una  tabella  abecedaria  ad  esclusivo  scopo  scolastico. 

Nel  cantiere  Martinelli,  posto  alle  spalle  della  grande  piazza  De  Pretis,  ese- 
guendosi pochi  lavori  di  fondazione,  furono  scoperti  alcuni  avanzi  di  mura  romano  in 
reticolato;  ma  sì  ben  misera  cosa  da  non  poterci  tirar  su  un  qualsiasi  costrutto. 
Le  case  modenie  in  questo  sito  avevano  il  pianterreno  a  circa  un  metro  sul  livello  del 
mare,  mentre  che  le  fondazioni  giungevano  sino  a  m.  4  sotto  il  detto  livello.  Alla  pro- 
fondità di  circa  m.  3  si  è  rinvenuto  un  altro  fognono  della  largh.  di  m.  2  X  1,50  di  al- 
tezza, probabilmente  anche  questo  di  epoca  romana.  Quivi  si  rinvenne  piu-e  una  bellissima 
antefissa  fittile  seniiellittica.  frammentata  nella  parte  superiore  (alt.  m. 0,18X0,26), 
rappresentante  una  faccia  muliebre  di  fronte  con  folti  capelli  che  scendono  a  trecce 
e  con  monile  al  collo.  Una  zona  ad  orli  rilevati,  che  nei  lati  finiscono  a  disco  la 
circonda,  e  tutto  l'insieme  posa  sopra  altra  zona  lavorata  a  modo  di  ventaglio.  E  della 
bell'arto  romana,  colorata  in  gialletto,  tendente  al  bianco  nella  faccia  e  nella  prima 
zona,  e  nel  resto  in  rossastro. 

Sezione  s.  Lorenzo.  Non  mono  privo  d'interesse  è  il  rinvenimento  avvenuto 
nei  lavori  di  fognatura  in  via  del  Duomo.  Nella  sopracitita  pianta  del  secolo  XI 
è  con  esattezza  notato  il  percorso  del  muro  di  cinta  lungo  l'asse  stradale  di  via  Set- 

(')  Slriib.  V,  7;-  VI,  2. 

(•)  fiull.  di  arch.  critl.  1n><1  y.  i:il. 


REGIONE    I.  —    175    —  POMPEI 

tembrini,  tagliando  poco  men  che  perpendicolarmente  la  via  del  Duomo.  E  proprio 
in  quel  sito  nello  scavo  dui  canale  collettore  fu  trovato  una  muraglia  che  senza  alcun 
dubbio  apparteneva  alla  cinta  della  città.  Kra  a  m.  15  circa  di  profondità,  composita 
da  lìlocclii  ben  levigati  in  tutte  le  faccio,  disposti  senza  malta  ed  a  strati  orizzontali 
iu  modo  da  formare  regolare  costruzione  isodoma:  le  proporzioni  dei  massi  erano  di 
m.  1 ,20  X  0,85  X  0,45.  Per  costruire  il  condotto  convenne  sfondare  la  muraglia,  per 
in.  2,50  di  altezza,  ciò  che  vuol  dire  che  essa  conserva  ancora  non  poca  altezza. 
Si  osservò  lungo  lo  scavo  che  un  altro  muro  delle  identiche  proporzioni  si  cougiuu- 
geva  al  primo  ad  angolo  retto  e  che  per  breve  spazio  soltanto  si  potette  seguire. 
Anche  il  Tutini  citato  dal  Capasse  {Archivio  storico  per  le  prov.  nap.  a.  1891, 
p.  486)  parla  di  questa  mm-aglia,  la  quale  discendeva  fino  alla  profondità  di  pai.  55 
napoletani,  cioè  poco  più  di  15  metri. 

Nella  parte  estramurale,  cioè  nel  tratto  verso  la  strada  di  Foria,  si  trovava  terra 
alluvionale  trasportata  dalle  correnti  che  si  formavano  nelle  colline  di  nord  e  di  ovest 
ed  iu  questa  terra  parecchie  tombe  di  epoca  romana  furono  rinvenute,  mentre  che 
entro  il  recinto  urbano  s'incominciò  a  trovare  la  roccia  tufacea,  per  cui  il  lavoro  non 
ha  presentato  d'allora  in  poi  alcuna  novità. 

Le  tombe,  a  quanto  mi  assicura  l'egregio  ing.  Raffaele  Galante,  direttore  dei  lavori 
di  quella  fognatura,  alla  cortesia  del  quale  devo  molte  notizie  ed  i  mezzi  di  visitare 
quell'importante  lavoro,  erano  di  due  diverse  costruzioni  :  alcune  erano  formate  da 
grandi  tegoloni  (m.  0,65  X  0,42) ,  disposti  a  schiena  por  proteggere  lo  scheletro,  le  altre 
erano  sarcofagi  di  tufo  di  varie  dimensioni.  Di  queste  tombe  potei  vedere  una  soltanto, 
l'ultima;  era  di  un  bambino  e  misurava  ra.  0,82X0,30X0,25;  di  oggetti  nulla. 
Probabilmente  furono  dispersi,  o  furono  sottratti  da'  muratori  ;  i  quali  di  notte  ed 
in  numero  di  tre  soltanto  fanno  quel  tanto  di  scavo,  quanto  basta  per  costruire  il 
giorno  dopo.  Si  procede  così  lentamente  e  per  la  ristrettezza  dello  spazio  e  per  tema 
di  crollameuti. 

Il  muro  di  cinta  adunque  era  fondato  nel  declivio  della  collina,  avendo  nella 
pai'te  esterna  ima  naturai  difesa  nel  burrone,  che  ora  non  più  si  vede,  ma  che  an- 
ticamente dovette  esser  grandissimo,  nello  spazio  presentemente  occupato  da  lungo 
tratto  della  strada  Foria. 

L.  Viola. 


XIII.  POMPEI  —  Giornale  degli  scavi  redatto  dai  soprastanti. 

1-8  aprile.  Sono  stati  ripresi  i  lavori  di  restauro  nella  Kegiono  IX,  isola  2^^  e 
nella  casa  n.  3,  nell'  isola  6*''  della  regione  stessa. 

9  detto.  È  stato  eseguito  uno  scavo  staordinario  nella  regione  V,  isola  2''  via  No- 
lana, casa  nn.  18-19  e  nel  vano  di  fronte  all'ingresso  si  rinvenne:  —  Bronco.  Una 
piccola  casseruola  con  manico  finiente  ad  anello  fisso,  tutta  frammentata  nel  fondo 
e  restaurata  dagli  antichi:  diam.  mm.  125.  Una  lagena  a  due  manichi,  dissaldati, 
finienti  a  testa  di  baccante,  ossidata  in  un  lato  della  faccia,  o  restaurata,  alt. 
mm.  179,  Altra  lagena  a  duo  manichi  dissaldati,   e  con   incrostazioni  nei  duo  lati 


IMMl'Kl  17f'>    —  KEtilONG    I. 

della  pancia,  alt.  iiim.  203.  Uua  l'orma  per  pasticcerìa  a  foggia  di  couchiglia  con 
anello  mobile,  mancante  nell'orlo,  diam.  mm.  Ilio.  Altra  simile  pure  mancante  uel- 
lorlo.  diam.  min.  1(30.  Un  tripode  circolare  ben  conservato,  con  piedi  (ìuieiiti  a 
zampe  leonine,  i  quali  sono  intermezzati  da  fregi,  diam.  mm.  112,  alt.  mm.  Ii2;ì. 
Una  forma  ovale  per  pasticceria,  lung.  mm.  200.  Una  patera  con  tracce  di  incrostazioni 
nei  due  lati  dell'orlo  e  nel  manico,  diam.  mm.  142.  Un  vasetto  conservatissimo  di 
fonila  circolare  restaurato,  diam.  mm.  (38,  col  corrispondente  coperchio,  il  quale  nella 
parte  superiore  e  posteriore  è  lavorato  con  incavi  e  rilievi;  Umto  il  vasetto  che  il 
coperchio  erano  muniti  di  catenelle  per  sospendersi,  delle  quali  restano  solo  due. 
Piccola  forma  ovale  per  pasticceria,  corrosa  e  frammentata  nel  fondo,  lung.  mm.  113. 
Vaso  a  base  circolare  e  pancia  rigonfia,  ansato  e  restaurato,  alt.  mm.  153;  l'ansa 
finisce  nella  parte  inferiore  con  testina  di  .satiro  fiancheggiata  da  due  foglie,  noUa 
parte  superiore  si  dilunga  ne' due  lati  del  labbro  con  teste  di  volatili,  e  nel  centro 
di  esso  vi  è  pure  altra  testina  di  satiro  con  ornati  nei  lati  :  è  leggermente  frammen- 
tato nell'orlo  anteriore  della  base  con  incrostazioni  verso  la  parte  bassa  della  pancia, 
Uua  pinzetta,  lung.  mm.  57.  Uno  scudo  di  serratura  con  i  corrispondenti  chiodetti  e 
relativa  mappa,  frammentata  nel  giro.  Due  cerniere,  la  prima  di  mm.  71,  l'altra  di  mm.  62. 
Un  piccolo  manico  semicircolare  con  i  corrispondenti  ritieni,  appartenente  a  qualche 
cassettiuo.  larg.  mm.  65.  —  Argento.  Asticciuola  cilindrica,  frammentata  in  un  esti'emo, 
lung.  mm.  C»ó.  —  Veti'O.  Un  piccolo  vaso  turchino,  con  manico  scanalato  e  pancia  decre- 
scente verso  il  basso,  con  collo  lungo  e  labbro  finiente  a  nasitenio.  È  rotto  nella  parte  supe- 
riore dell'ansa,  alt.  mm.  138.  Altro  quasi  simile,  con  ammaccature  nella  pancia,  alt. 
mm  127.  Vasetto  cilindrico  a  collo  breve  e  labbro  sporgente  e  piccola  ansa,  contenente 
della  materia  grassa,  alt.  mm.  151.  Altro  di  forma  cubica  ad  un'ansa,  pure  contenente 
della  materia  grassa,  alt.  mm.  130.  Altro  più  piccolo,  alt.  mm.  82.  Altro  depresso 
nelle  quattro  facce  della  pancia  a  largo  collo  che  fa  le  veci  anche  del  labbro,  alt. 
mm.  142,  diam.  mm.  96.  Altro  a  forma  di  oca  con  ansa  scanalata  soprapposta, 
lung.  mm.  138.  Vasetto  con  pancia  circolare  a  larga  bocca  e  labbro  sporgente,  alt. 
mm.  59.  Altro  a  pancia  rigonfia,  mancante  di  porzione  del  collo  e  del  labbro,  alt. 
mm.  58.  Altro  cilindrico  finiente  con  la  base  a  dentelli,  e  mancante  di  buona  por- 
zione, alt.  mm.  35,  restaurato.  Hottiglia  a  pancia  rigonfia  e  collo  lungo,  alt.  mm.  176. 
Altra  quasi  simile,  alt.  mm.  168.  Bottiglia  simile  alla  precedente,  alt.  mm.  152. 
Hottiglia  a  pancia  rigonfia  e  collo  lungo,  contenente  materia  grassa,  alt.  mm.  148. 
Altra,  alt.  mm  155.  Altra,  alt.  mm.  135.  Altra,  alt.  mm.  121.  Altra  più  piccola,  alt. 
mm.  l02.  Altra  simile,  alt.  mm.  101.  Due  piccoli  unguentari.  Tazza  a  labbro  spor- 
gente e  pancia  decrescente  finiente  con  bordino  per  base,  diam.  min.  115.  Hicchìere 
a  forma  di  cono  tronco,  lesionato  e  mancante  di  alcuni  pezzi,  alt.  mm.  100.  restau- 
rato. Tazzolina  circolare  con  labbro  sporgente  e  rivolto  in  su,  contenente  della  pol- 
vere di  vetro,  diam.  mm.  70.  Altra  con  piccolo  labbro  sporgente,  diam.  min.  83. 
Piattello,  diam.  min.  172.  Altro  con  piccolo  bordino  circolare  che  fa  le  veci  di  base, 
diam.  mm.  148.  Altro  più  piccolo,  diam.  mm.  lo4.  Altro  di  color  verde,  diam.  mm.  107. 
Altro  di  color  turchino,  rotto  e  restaurato,  mancante  di  diversi  pezzi  nell'orlo,  diam. 
mm.  160.  —  Terracotta.  Vaso  con  piccolo  piede  a  larga  pancia  e  due  piccole  anse  ade- 


REGIONE    I.  —    177    —  l'OMl'KI 


renti  in  prossimità  del  labbro,  striato  in  senso  verticale,  diam.  nini.  135.  Una  piccola 
coppa  verniciata  rossa  e  con  marca  a  forma  di  piede  nel  fondo,  diam.  mm.  140.  Altra  pure 
verniciata  rossa  e  con  marca,  diam.  mm.  124.  Altra  mancante  nell'orlo,  diam.  mm.  1.33. 
Pit^nattino  a  due  anse  ordinario,  diam.  mm.  iH).  Altro  lesionato  e  mancante  nell'orlo, 
diam.  88,  restaurato.  Altro  lesionato  e  mancante  nella  pancia  e  nel  fondo,  diam. 
mm.  86,  restaurato.  Vasettino  ordinario  ad  un'  ansa,  mancante  nel  fondo  e  nel  labbro, 
alt.  mm.  6.5.  Pignattino  a  forma  di  cono  tronco  a  due  anse,  diam.  mm.  70.  Altro 
simile  mancante  di  un'  ansa  e  nell'orlo,  diam.  mm.  68.  Altro  piìi  piccolo  ad  un'ansa, 
diam.  mm.  46.  Vaso  ordinario  a  pancia  rigonfia,  collo  breve  e  labbro  sporgente 
e  ad  un'  ansa,  alt.  mm.  148.  Lucerna  ad  un  luminello  e  con  manico  ad  anello  con  deco- 
razioni in  giro  ed  ovoli,  lung.  mm.  118.  Altra  ordinaria  ad  un  luminello  lung. 
mm.  110.  Altra  lung.  mm.  100.  Altra  lung.  mm.  85.  Piccola  lucerna  a  due  luminelli 
con  manico  in  senso  verticale,  lavorata  con  piccoli  circoli  concentrici,  lung.  mm.  57. 
Altra  simile,  lung.  mm.  57.  Piccola  lucerna  ad  un  luminello,  mancante  di  porzione 
del  manico,  lung.  mm.  60.  Altra  ordinaria  ad  un  luminello  con  manico  ad  anello, 
lung.  mm.  58. 

10  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

11  detto.  Si  eseguì  uno  scavo  straordinario  nella  Keg.  'V,  isola  2*  nella  casa 
con  entrata  dal  secondo  vano  nel  vicolo  ad  oriente  di  detta  isola,  a  partire  dall'an- 
golo sud-est.  Nell'ambiente  ad  est  dell'atrio  si  rinvenne:  —  Bronco.  Un  candelabro 
con  fregi  sulla  base,  rotto  e  restaurato,  alto  m.  0,121. 

12-15  detto.  Non  si  ebbero  scoperte. 

16  detto.  D'ordine  del  sig.  Direttore  si  praticò  un  scavo  straordinario,  alla 
presenza  dei  chiarissimi  membri  della  K.  Accademia  di  Archeologia,  Lettere  e  Belle 
Arti,  nella  Reg.  V,  isola  2^  casa  nn.  18,  19,  e  nel  vano  a  sinistra  del  giardino  si  rin- 
venne: —  D ronzo.  Vaso  a  pancia  rigonfia  e  labbro  sporgente,  mancante  di  porzione  del 
labbro,  alt.  m.  0,123,  diam.  0,117.  Altro,  ))ure  non  ben  conservato,  alt.  m.  0,182. 

17  aprile.  Eseguitosi  uno  scavo  straordinario  nella  località  indicata  il  giorno  11, 
nell'ambiente  ad  ovest  dell'atrio,  si  rinvenne:  —  Terracotta.  Pignattino,  sul  cui  ventre 
è  rilevata  una  maschera  rotta  nell'orlo,  alt.  m.  0,105,  diam.  m.  0,135.  Pignatta  ordi- 
naria, senza  manichi,  alta  m.  0,180,  diam.  0.130.  Cola-pasta  con  due  sporgenze  che 
fanno  lo  veci  di  anse,  diam.  della  bocca  iii.  0,135.  Vaso  ordinario  a  due  manichi, 
alt.  m.  0,240,  diam.  m.  0,100.  Una  scodella  ordinaria,  diam.  0,232.  Vaso  ordinario, 
alt.  m.  0,238,  diam.  0,118.  —  O&io.  Corno  di  cervo,  frammentato  in  una  punta, 
lungo  m.  0,425. 

18  detto.  Proseguendosi  lo  scavo  straordinario  di  cui  è  stato  detto  il  giorno  0, 
si  rinvenne:  —  Bronzo.  Candelabro  con  fusto  scanalato  e  con  piedi  leonini,  cesellato 
alt.  m.  1,028.  Altro  con  piedi  leonini  frammezzati  da  una  foglia  di  edera,  alt.  m.  1,20, 
restaurato.  Padella  ovale,  lunga,  senza  il  manico,  m.  0;350.  Una  forma  per  pasticceria, 
ovale,  lung.  m.  0,175.  Tre  delfìni,  il  primo  lungo  ni.  0,72,  il  secondo  0,69,  il  terzo  0,61. 
Una  conca  con  baso  circolaro  per  piede  e  a  due  manichi  un  poco  lesionata  nel  ventre, 
diam.  m.  0,325.  Pozzo  cilindrico  decrescente,  forse  una  forma,  rivestita  nell'interno 
di  vimini  di  cui  ne  esiste  una   parte,   è  molto  sconservata  e  misura  in  lunghezza 


PETTORANO    SIL    017,10  —    17S    —  REGIONE    IV. 

ni.  0,100.  Un  ago  saccaie,  lungo  m.  0,149.  Una  borchia  di  m.  0,046  di  diametro. 
Altra  più  piccola  cui  è  attaccato  un  anello;  diara.  m.  0,032.  Un  dupondio  sconservato, 
di  Tiberio.  Un  luminello  di  lampada.  Un  corrente  di  serratura.  Un  manico  apparte- 
nente ad  un  v;iso.  .Vitro  semicircolare.  Una  fibula.  La^fena  a  due  manichi  restaurata, 
alta  m.  0,378.  Duo  forme  per  pasticceria,  rettangolari,  aderenti  per  l'ossido,  rotte 
nell'orlo.  —  Conchiglia.  Una  tuba  marina.  —  Velro.  Vaso  cilindrico  a  collo  breve 
e  labbro  sporgente,  con  manico  formato  a  listelli,  alt.  m.  0,310.  Piccola  bottiglia  a 
vuntro  rigonfio,  collo  lungo  e  labbro  sporgente,  alta  m.  0,r2iì.  Altra  a  ventre  molto 
rigonfio,  collo  breve  e  labbro  sporgente,  alta  m.  0,U95.  Un  balsamarin  alto  m.  «,073. 
Piccola  tazza,  mancante  dell'orlo,  del  diametro  di  m.  0,073. 

19  aprile.  Per  ordine  del  sig.  Direttore  si  è  praticato  uno  scavo  straordinario, 
il  quale  ha  avuto  luogo  nella  Regione  V,  isola  2"  nella  casa  suddetta,  e  nell'am- 
biente ad  est  dell'atrio  si  rinvenne:  —  Ferro.  Una  zappa  molto  ossidata,  lunga 
m.  0,35.  Un  ronciglio  puro  ossidato. 

20-30  detto.  Non  avvennero  rinvenimenti. 


lliioioNK  IV  (S.i.UNIUM  et  S AD IX A). 

r.ìElJGNI 

XIV.  rETTORANO  SUL  GIZIO  —  Di  una  nuooa  lapide  dialettale 
peligiui,  scoperta  nel  territorio  del  comune. 

In  una  contrada,  al  di  là  delle  Prete  Regie,  sopra  al  Tratturo.  alla  destra  del 
fiume  Gizio,  il  colono  Giuseppe  di  Censo  rinvenne  una  lapide  rettangolare  di  calcare 
paesano,  alta  m.  0,70,  larga  m.  0,48.  dello  spessore  di  m.  0,1 1,  lavorata  grezzamente 
e  solo  nella  parte  superiore  levigata.  Vi  si  legge: 


SALVIA  +  MVSESA  +  PA 
ANACETA  +  CERIA 
ET  +  AISIS  +  SATO  / 


L'i  troviamo  dunque  iuuauzi  ad  un  altro  monumento  epigrafico  peligno.  Noto  è 
già  por  altre  iscrizioni,  il  Saluta.  Nuovo  poi  nella  collezione  peligna  il  Mnacsa.  11 
secondo  verso  si  confronta  col  corfiniese  Alicela  Cerri.  Invece  di  aiso^,  abbiamo 
qui  \'iiiMs  e  salo ,  anche  nuovo  per  noi. 

La  lapide  fa  ora  parte  delle  raccolte  epigrafiche  del  Civico  Musco  di  Sulmona  ('). 

A.  De  Nino. 


(')  Ini  •ni'  .1  ■[tf.-Ma  l'iii^Tafc  srrisac  il  niii>k'8Ìino  iirof.  l)c  Nino  nella  Jiivista  Abru2:ese  (aiinn  I.V, 
fMcicolo  II,  fibbrai.j  IfOl,  j).  90  nf:.),  c<l  il  prof.  Curio  l'ascal  (Rendiconti  della  R.  Accad  di 
arch,  leti,  e  belle  arti  di  Napoli  a.  189)). 


REGIONE    IV.  —    179    —  l'ENTIMA,    MUSSI 

XV.  PENTI.AIA  —  Xel  territorio  di  Pentima,  liiugo  la  via  di  Kaiano,  già 
Claudia-Valeria,  por  iscavo  fortuito,  in  un  terreno  del  sig.  Domenico  Marrama,  l'aflit- 
tiiario  Pelino  Nuvaroli  scoprì  una  tomba  fon  una  lapide  di  calcare  paesano,  di  ni.  0,.57  X 
U,2(jXU,18,  terminante  a  timpano,  e  recauto  nella  fronte  l'epigrafe: 

C  ■  L  ve  I  L  I  O  •  C 
APOLLONIO 

P   A    E    D   A    G   O 

APOLLONIA 
FILIA- PATRI  POSIT 

A.  De  Nino. 


VESTI. XI 

XA'I.  BUSSI  —  Antichità  varie  riconosciute  nel  territorio  del  comune. 

Incontro  al  paese  di  Bussi,  tra  oriente  e  sud,  trovasi  la  contrada  Piano  di  s.  Hocco, 
che  è  appunto  uno  spianato  sopra  una  roccia  assai  scoscesa  verso  nord,  alla  destra 
del  Tirino.  Per  la  sua  topogra6a  e  pei  frammenti  laterizi  arcaici  può  ritenersi  coni  e 
sede  di  primitivi  popoli. 

Nel  medio  evo,  in  detta  contrada  fu  eretto  un  fortilizio,  di  cui  oggi  rimane 
un'alta  torre  triangolare  di  m.  9  di  lato.  Dava  accesso  al  Piano  di  s.  Rocco,  una 
via  di  età  romana,  ancor  oggi  riconoscibile  alle  falde  dell'attiguo  colle,  nella  direziono 
di  Piano  le  Case,  altra  contrada  dorè  in  vari  tempi  si  scoprirono  tombe  e  si  rin- 
vennero parecchie  anticaglie.  La  traccia  di  questa  via  non  ammette  più  alcun  dubbio 
verso  la  metà  della  sua  lunghezza  riconoscibile  e  proprio  in  un  punto  nel  quale  ri- 
mane ancora  l'antico  taglio  della  roccia,  per  circa  m.  7.  La  detta  via  può  ritenersi 
come  un  diverticolo  della  Claudia  Nuova  che  attraversava  quindi  la  montagna  di 
Somma  per  ricongiungersi  alla  Claudia  Valeria,  presso  Popoli. 

Presso  al  Piano  le  Case  sorgeva  la  chiesa  della  Madonna  di  ponte  Marmore. 
Ora,  in  un  altare  quasi  cadente  ho  rinvenuto  un  pezzo  di  lapide  di  calcare  locale, 
di  m.  U,70  X  0,35  X  U,2U,  in  cui  leggesi  • 


RE- VXORVIVISIBIET 

I         PETRONIAE-     V-L 
iNIGELLAE  •  FECERVNT 


Subito  dopo  Bussi,  distcndesi  la  contrada  s.  Paolo,  tutta  seminata  di  rottami 
laterizi,  cioè  tegoloni,  dolii,  anfore  ed  altre  specie  di  vasi. 

Al  di  là  del  Tratture,   a   nord-ovest,   vi   si  annetto   la  contrada  detta  i  Fossi. 

dove  gioini   dietro,    in    uu  ti'neno  del  sig.  Antonino  De  Stephanis,    si  rinvenne  ini.i 

liimba  a  inumazione,  senza  lastre,  o  tegole.    Lo    scheletro  aveva  a  dr.  una  spada  di 

ferro,  lunga  m.  U,(j;J,  a  sin.  una  cuspide  di  lancia,  lunga  m.  0,43,  anche  di  ferro,  con 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5",  parte  2*  22 


RBNBVKNTO  —    180  —  REOIONB   II 


costola  ben  rilevata;  da  capo,  una  coppa  di  bronzo,  alta  ni.  0,06,  col  diametro  di 
ni.  0,19.  Dentro  questa  coppa  era  caduto  il  cranio,  sicché  fu  presa  per  una  specie 
di  elmo. 

I  detti  oggetti  couservaiuM  dal  proprietario  del  fondo. 

A  Uè  Nino. 


Kkoionk  II  (AP/'LI.l). 

IIIIII'ISI 

XVII.  HEXEVEXTO  —  Nuove  epigrafi  latine. 

rotei  in  questi  ultimi  tempi  riconoscere  le  seguenti  iscrizioni  entro  la  cittù  ('). 

1.  Pietra  calcare  grezza,  trovata  nella  demolizione  della  casa  del  sig.  Giuseppe  Zop- 
poli  Cusano  nel  Corso  Garibaldi,  presso  il  teatro  Vittorio  Emanuele,  nel  settembre 
dello  scorso  anno.  Misura  m.  0,75  in  altezza  e  m.  0,67  di  larghezza  e  m.  0,30  di 
spessore.  Il  campo  è  m.  0,48X0,39.  Vi  si  legge: 

S  A  C  R  V  M 

SILVA  NO   CO 

RNELIANO 

PERMISSV    C    L- RET ■ 

RVFI  M-PAMPINEIVS 

RVFINVS- AL-  V-  S 

Nel  lato  sinistro  della  stessa  pietra  sono  incise  le  lettere: 

SMPR.DBBM.ALVS. 

È  manifesto  che  sieno  compendio  della  iscrizione  votiva  medesima,  e  che  deb- 
bano leggersi:  S{Uoano)  M{arciis)  P{ampineius)  Ii{ufiiitis)  d{eo)  Ji(pnó)  b(ciie)  ?«(e- 
rciUi)  a{n/ìno)  Inibenti)  v(olum)  s{olvil). 

2.  Sull'alto  della  spalla  destra  del  Castello,  entrando,  presso  Tarco  antico,  ho 
riconosciuto  la  seguente  epigrafe,  di  calcare,   alta  m.  0,58,  larga  m.  0,30: 


I  1 

\      V  E  S  O  N  I  O 

SAC    I 

VESONIAE  •  /' 

PONTIAE-  QjL- 

STATIAE     0    L-  j 

Z  O  S  I  M  A  eI 


;5.  Due  frammenti  ili  una  iscrizione  in  pietra  calcare,  il  primo  di  in.  ii,75X0.30; 
ialini  di  III.  tiJJX  (i,2t>. 

(')  Il  s..|<r1i'  ÌKpi|t"P'   .Mi'iiin.irtiiii   n.-  in.ind"  -li   .ipH'.'riili  ■■  'li   iiliiiin-  m\<\\<-  i  '-slclii  r.-irlarci 


reoio.niì:  II. 


—  181  — 


BENEVENTO 


Si  scoprirono  restaurandosi  il  castello  por  adattarlo  a  Museo  Provinciale.  Erano 
nel  v;iiio  <ii  lìnostra  a  mezzodì  del  gran  salone  al  primo  piano.  Dopo  le  lettere  del 
tVauiniéiito  miniirt'  notasi  un  po'  di  rilievo  che  accenna  ad  un  ornato,  forse  una  corona. 
Intorno  come  una  cornice. 


\CCVR 


SEX-VETTIO-CF 


4.  Sulla  facciata  orientale  della  casa  del  sig.  Gabriele  Palmieri  in  via  s.  Diodato 
su  calcare  del  luogo  lungo  m.  1,5.5,  alto  m.  0,83  si  legge: 


VIA  •  D  •  L  •  MNEMOSINE 

1  •  SALVIO  •  M  •  F  ■  VIRO  ■  SVO  •  FECIT 


.5.  Sulla  fronte  meridionale  della  cantonata  della  casa  ora  Bozza  nel  cortile  alle 
spalle  della  suddetta  casa  Palmieri,  pure  in  calcare,  alto  m.  0,-55,  largo  m.  0,70, 
si  legge: 

IRYPHO 
IIO-PINDA 

Stando  alla  qualità  della  pietra,  alla  forma  ed  alla  misura  delle  lettere,  pare 
che  questo  frammento  appartenga  all'iscrizione  precedente. 

6.  Sulla  facciata  occidentale  della  casa  dei  signori  Principe  e  Mutarelli,  presso 
il  cantone  sud-est  resta  il  frammento  assai  deperito,  che  conserva: 

D        M 

V///ORI 
VIX  •  ANN 

7.  Negli  scavi  per  la  nuova  fognatura  in  via  Pontalo,  che  va  all'arco  Traiano,  si  è 
scoperto  un  frammento  di  lapide  cemeteriale  in  marmo  bianco,  alta  ni.  0,245,  larga 
m.  (i,;{4,  che  dice: 

KALENDAS  /  DEG 
ET/MENSIS  /  xy 
'^CCON>^ 


8.  Quivi   pure   si   è   recuperato   un   altro   frammento   marmoreo   C(^nieteri;iU'  di 
m.  0,395  "><  0,1:55,  ove  rimano: 


^OS-  QJ/INQyACN  s 


RUVO    I>1    l'IUl.IA  —    182   —  RElilONE    11. 

11.  Anche  quivi  fu  sroneit^)  un  altro  frammento  marnioroo  cemeU'iiale  Ji  m.  0,2rìr)  X 
0,210,  ove  si  lejB^e: 

(eanastasi 

Ho  puro  riconosciuto  che  nella  spalla  sinistra  della  orrande  porta  settentrionale 
del  Castello  in  un  blocco  di  pietra  calcare  di  in.  ì.tióX  0,">7XO,42  si  legge  :  +  intro- 
euiUili  I  sii  pax  \  ex  euntib  \  letilia. 

A.  Meomautini. 


XVIII.  lU'VO  DI  PUGLIA  —  .Vhoìh  sepolcreti  della  necropoli  ru- 
vcstina. 

Nei  mesi  di  novembre  e  decenibre  del  passato  anno  liS^ci  il  dott.  Rinaldo  Balducci 
nel  fare  eseguire  alcuni  lavori  campestri  in  un  suo  fondo  in  contrada  Arena,  poco 
distante  dall'abitato,  ebbe  il  piacere  d'imbattersi  in  due  piccole  necropoli  di  et;"l  ditle- 
renti,  che  prese  insieme  possono  attribuirsi  dui  VI  al  III  secolo  a.  Cr.  La  più  an- 
tica occupava  uno  strato  più  profondo  del  terreno,  a  circa  2  metri  dalla  superficie 
presente,  la  più  recente  era  sovrapposta  a  quella,  a  circa  1  metro  dal  suolo.  A  quanto 
dice  il  dott.  Balducci,  in  tutte  ha  trovato  cù'ca  60  tombe  di  povera  costruzione  e 
di  più  povero  contenuto.  Erano  infatti  scavate  nella  terra  qui  chiamata  carpino  (sabbia 
calcare  più  o  meno  compatta  mista  ad  argilla)  e  non  avevano  muri  di  cinta  né  casse 
di  tufo  da  riporvi  i  cadaveri,  ma  solamente  dello  lastre  di  pietra  locale  che  ne  for- 
mavano la  copertura.  La  suppellettile  funebre  poi  consisteva  in  vasi  per  la  maggior 
parte  senza  vernice  e  senza  ornati  e  figiu-e.  È  deplorevole  intanto  che  le  cose  trovate 
non  siano  state  da  principio  segregate  e  distinte  fra  loro,  separando  accuratamente 
i  rinvenimenti  della  necropoli  antica  da  quelli  della  posteriore,  afliuchè  si  fosse  potuto 
almeno  limitare  con  qualche  precisione  il  tempo  che  divide  l'una  dall'altra,  cioè  il 
principio  e  la  fine  di  ciascuna.  Non  mi  è  stato  neppure  possibile  esaminare  tutti  e 
bene  i  vasi  fino  a  quando  i  medesimi  sono  rimasti  ammucchiati  insieme  confu.samente 
in  luogo  troppo  angusto  presso  l'inventore,  e  solo  ora  che  sono  passali  al  rev.  can.  Klicio, 
che  ne  ha  fatto  l'acquisto,  m' è  consentito  prcndorno  qualche  appunto.  Mi  limito  per 
altro  a  dar  notizia  delle  cose  soltanto  a  cui  può  darsi  una  qualsiasi  importanza  e 
tralascio  i  vasi  senza  colore  e  senza  ornati,  o  con  semplici  zone  circolari,  i  quali  for- 
mano, come  ho  già  detto,  il  numero  maggiore. 

1.  Lekythos  a  figure  nere  su  fondo  rosso;  linee  graffite  e  carni  di  bianco,  di- 
segno frettoloso  o  trascurato,  alt.  m.  o,18.  Nel  pro.spetto  vedesi  Dioniso  (?)  in  atto 
di  cammiuare  a  d.  volgendo  la  testa  a  s.  con  barba,  pallio  e  lungo  chitone  orlati 
di  bianco  ;  il  quale  reca  nelle  mani  due  oggetti  di  forma  allungata  con  in  cima  del 
bianco.  Ha  un  lato  e  dall'altro  del  supposto  Dioniso  seggono  sopra  muletti  itifallici 
a  lunghissimi  orecchi  due  figure  simili  affrontate,  con  faccia,  collo,  braccia  e  gambe 
di  bianco  e  mantello  nero  avvolto  al  corpo,  le  quali  sono  da  credere  muliebri. 


REGIONE    II.  —    183   —  RUVO    DI    PUGLIA 

2.  Lekythos  che,  come  la  precedente,  aveva  nel  prospetto  le  figure  nere  su  fondo 
rosso,  che  per  altro  sono  andato  quasi  interamente  perdute.  Dai  pochi  avanzi  si  può 
forse  credere  che  vi  fosse  rappresentato  Dioniso  (di  cui  distinguesi  la  faccia  barbuta) 
sdraiato  con  a  fianco  una  figura  di  donna  (?)  in  jiiodi.  Al  vasollino  manca  inoltre 
la  bo(^ca  e  senza  di  questa  ù  alto  m.  0,14. 

'ò.  Lekythos  come  al  n.  1,  ma  fini  e  conservatissimi  ornati  di  linee  curvo  e  sot- 
tili con  fogliette  lunghe  e  acute  sono  disposti  in  cercliio  sulla  spalla  del  vasellino, 
il  cui  disegno  inoltre  ò  meno  trascurato;  alt.  m.  0,14. 

Nel  prospetto  veggonsi  quattro  figure  a  linee  graffite,  disgraziatamente  molto 
sciupate  per  esser  caduto  lo  smalto  in  parecchi  punti,  ma  che  tuttavia  lasciano  bene 
intendere  e  ricostituire  la  scena.  La  prima  a  d.  di  chi  guarda  è  quella  di  un  Satiro 
iti  fallico  a  coda  lunghissima  e  sottile  in  atto  di  camminare  a  d.  volgendo  a.  s.  la  testa. 
Segue  Dioniso  barbato  e  avvolto  in  lungo  pallio,  il  quale  si  volge  a  s.  e  tiene 
nella  d.  un  grande  corno  potorio.  Di  rimpetto  a  lui  siede  sopra  un  muletto  itifallico 
ilfesto,  e  chiude  finalmente  la  scena  un  altro  Satiro  simile  al  primo,  ma  che  cam- 
mina a  s.  volgendo  la  testa  a  d.  La  barba  di  Dioniso  e  dei  due  Satiri  mostra  avanzi 
del  colore  purpureo  col  quale  originariamente  fu  espressa.  Sotto  il  piede  poi  della 
lekythos  notansi  due  lineette  verticali  e  parallele,  impresse  come  segno  sulla  creta 
ancor  tenera,  se  pure  tal  cosa  non  sia  del  tutto  accidentale. 

4.  Lekythos  come  al  n.  3  e  sciupata,  come  quest'  ultima,  per  la  caduta  dello 
smalto;  alt.  m.  0,195. 

La  scena  per  altro  composta  di  cinque  figure  si  lascia  facilmente  intendere. 
La  prima  a  d.  di  chi  guarda  è  una  donna  con  carni  bianche,  in  lunga  tunica  e  pallio, 
la  quale  in  piedi  e  volta  a  s.  eleva  il  braccio  d.,  e  pare  che  in  mano  abbia  un  og- 
getto ovoide  anche  bianco.  Segue  il  gruppo  non  nuovo  dei  due  guerrieri  seduti  o 
inginocchiati,  non  ben  si  distingue,  con  il  tavoliere  da  scacchi  in  mezzo  a  loro,  sul 
quale  essi  con  il  braccio  disteso  sono  in  atto  di  muovere  le  pedine,  mentre  Atena 
sta  ritta  in  piedi  dietro  il  tavoliere  e  presiede  al  giuoco.  Ciascuno  dei  due  giuocatori 
imbraccia  uno  scudo  tondo  con  episema  bianco  irriconoscibile,  della  qual  cosa  non 
ricordo  altro  esempio,  perchè  gli  scudi  ordinariamente  stanno  dietro  ai  guerrieri  e 
come  addossati  al  muro  ;  tiene  inoltre  la  lancia,  di  cui  appena  rimane  qualche  traccia, 
e  mostra  il  capo  coperto  da  elmo  ad  alto  cimiero  di  foggia  arcaica,  che  in  uno  dei 
due  è  anche  crinito,  circostanza  questa  che  trova  il  suo  riscontro  nell'Ajace  della  nota 
anfora  di  Exekias,  che  ha  il  cimiero  crinito,  mentre  l'Achille  n'  è  privo.  La  dea,  con 
la  testa  coperta  anch'essa  da  elmo  ad  alto  cimiero  e  in  lunga  tunica  e  pallio  avvolto 
alla  persona,  stende  il  braccio  s.  volgendo  a  d.  la  faccia.  Chiude  finalmente  la  scena 
lui'  altra  donna  in  piedi,  volta  a  d.  e  atteggiata  come  la  prima  descritta. 

Le  donne,  come  raccogliesi  da  Omero,  sono  da  credere  le  amiche  e  compagne 
degli  eroi  nella  vita  del  campo,  le  quali  naturalmente  assistono  anche  ai  loro  giuochi. 
Per  queste  donne,  per  la  presenza  di  Atena  e  per  la  scena  in  generale  cfr.  Owerbeck 
Bildwerke  sum  Theb.  und  Troiseh.  Heldenkreis  taf.  XIV,  4  p.  311  e3l:{n.  li! 
e  17;  Bull,  dell' Is/.  1857  p.  1(33  e  1885  p.  220;  Ann.  delilst.  1844  p.  123  e  sg., 
e  1877  p.  123  e  sg. 


RUVO   DI    PUOLIA  —    184   —  KEOIO.NE   11. 


fi.  Kylii  inancaiiU'  di  un  pezzo  al  labbro  in  curri»°]>ondun7.a  dì  uno  dei  iiiaDiclii, 
tutta  nera  i>  a  piede  alto.  Nel  tondino  della  parte  interna,  eli'  è  di  color  rosso  e  con- 
tornato da  cerchietti  neri  cflncentrici,  vedesi  un  «(rosso  uccello  nero  a  gambe  e  collo 
lunfjhi  (1,'ruV  che  cammina  a  d.  ;  alt.  ni.  0,08.">,  diani.  m.  0,185. 

ti.  Kvlix  a  piede  ba.-isissimo  e  tutta  nera  come  la  precedente.  Nel  tondino  rosso 
dell'interno  è  dipinto  di  nero  un  cavaliere  con  pctaso  in  testa,  che  galoppa  verso  s.,  e 
mentre  stende  la  d.  sul  collo  del  cavallo  agita  con  la  s.  alzata  una  lunga  frusta  in 
atto  di  volerlo  sferzare;  alt.  m.  O.O.'ì.  diam.  m.  0,19."). 

7.  Coppa  profonda  in  forma  di  skvplios.  a  duo  manichi  e  tìgure  nere  su  fondo 
rosso  con  linee  e  contomi  graffiti.  Lo  interno  è  tutto  nero,  l'esterno  è  cinto  da  larga 
fascia  rossa  con  due  palmette  nere  ai  lati  di  ciascuno  dei  manichi,  mentre  nel  pro- 
spetto si  ripete  la  stessa  rappres^'utazione,  completa  da  una  parte,  incompleta  dall'altra 
jier  la  mancanza  di  qualche  pezzo  del  vaso.  Vedesi  un  auriga  in  lungo  chitone,  che 
sostiene  con  la  d.  la  sferza  e  con  la  s.  le  briglie,  conducendo  una  biga  da  s.  a  d. 
Un  uomo  intanto  è  a  fianco  del  cocchio  e,  correndo  nella  stessa  direziono  a  gambo 
smisuratamente  distese,  sembra  che  voglia  stidare  e  pareggiare  nel  corso  i  cavalli. 
K  notevole  che  questa  coppa  fu  nei  tempi  antichi  ricucita  in  più  luoghi,  come  dimo- 
strano i  forellini  che  servirono  a  dar  passaggio  ai  tìli  di  piombo.  Sotto  il  piede  è 
graffito  un  AA  ;  alt.  m.  0,07.i,  diam.  m.  0,1."). 

8.  Kylii  a  piede  alto,  a  tiguro  rosse  e  tutta  nera  all'esterno.  Nell'interno  in 
un  tondino  circondato  dal  meandro  detto  greca  vedesi  un  giovane  avvolto  nel  pallio, 
con  calzari  e  tenia  intorno  alla  testa,  in  atto  di  camminare  a  d.  allontanandosi  da 
una  vasca,  che  egli  si  lascia  dietro  le  spalle,  e  recando  nella  d.  un  lungo  bastone. 
La  vasca  è  sostenuta  da  un  pilastrino  rettangolare  a  larga  base  e  non  apparisce  in- 
tera; alt.  m.  0,09,  diam.  m.  0.195. 

9.  Skyphos  a  figure  rosse,  mancante  di  uno  dei  manichi,  sotto  i  quali  veggonsi 
le  solite  palmette  affiancate  da  lunglii  steli  a  volute.  Sopra  l'una  e  l'altra  faccia 
del  bicchiere  ripetesi  la  stessa  figura  d'un  giovane  palliato  clie,  tenendo  il  solo  braccio  d. 
fuori  del  mantello,  impugna  una  striglie;  e  da  una  parte  gli  sta  d'innanzi,  dall'altra 
dietro  le  spalle  un  pilastrino  quadrilatero  con  larga  base;  alt.  m.  0,115.  diam.  m.  0.155. 

10.  Olpe  panciuta  con  bocca  trilobata,  a  figure  rosse:  alt.  ni.  0.21.  Nel  prospetto 
vedesi  la  seguente  !>cena  lateralmente  chiusa  da  due  striscette,  superiormente  da  ovo- 
Ictti  e  inferiormente  dal  meandro  chiamato  greca;  il  resto  dell'urceo  ò  tutto  nero. 
\  d.  di  chi  guarda  è  una  donna  in  lungo  chitone  senza  maniche,  con  calzari,  milella  e 
i  .soliti  ornamenti  muliebri  di  color  bianco,  la  quale,  stando  ritta  in  piedi  e  abbas- 
.sando  la  mano  s.,  eleva  con  la  d.  uno  specchio  fra  il  proprio  volto  e  quello  d'un 
giovane  nudo  con  bastone  e  clamide  pendente  dalla  mano  d.  e  dal  braccio  s.  K  dubbio 
se  la  donna  nello  specchio  contempli  la  sua  bellezza  stessa,  ovvero  inviti  ad  ammi- 
rarsi il  giovane  che  le  .sta  d'innanzi,  benchò  la  prima  cosa  sia  da  credere  molto  piii 
probabile.  Tra  le  due  figure  vedesi  un'ara  in  forma  di  pilastrino  quadrilatero  con 
larga  base,  sulla  faccia  del  quale  sono  apparenti  i  segni  d'una  libazione.  Disegno  leg- 
giero, ma  non  cattivo,  e  fino  colorito. 

11.  Arjballos  rotto,  a  figuro  ros.<e.  Nel  prospetto  tra  due  rami  a  volute  è  una 


REGIONE    II.  —    185    —  KUVO    DI    PUGLIA 


donzella  in  lungo  chitone  e  stante  in  piedi  d'innanzi  a  un  quadrilatero  e  basso  pila, 
strino  su  cui.  piegando  indietro  una  gamba,  ella  si  appoggia  con  la  mano  s.  mentre 
sostiene  con  la  d.  una  cassuttina  chiusa,  alla  quale  volge  lo  sguardo;  alt.  m.  0.145. 

12.  Piccolo  unguentario  della  medo.'^iina  forma,  coi  soliti  ornati  di  palmette  e 
volute  sotto  il  manico  e  scannellatura  dipinta  nel  collo.  Nel  prospetto  testa  muliebre 
coperta  dalla  cuffia  e  dietro  palla  da  giuoco;  alt.  m.  0,105. 

13.'  Altro  simile  più  piccolo.  Nel  prospetto  uccello  (quaglia?)  volto  a  s.;  alt.  m.0,09. 

14.  Altro  simile  ancora  più  piccolo.  Nel  prospetto  un'oca  volta  a  d. ;  alt.  m.  0,08. 

l'i-W.  Due  unguentari  perfettamente  simili,  la  cui  forma  può  vedersi  in  Heydemann 
(Vasenscmml.  zu  Neapel  taf.  IH,  n.  172).  Sul  dorso  hanno  entrambi  la  figura  ri- 
petuta d'un  animalo  (probabilmente  cane  o  lupo)  accovacciato,  con  orecchi  tesi,  bocca 
aperta,  coda  lunga  e  pelle  maculata;  alt.  m.  0,06;  diam.  m.  0,09. 

17.  Altro  unguentario  per  grandezza  e  forma  simile  ai  precedenti,  sul  cui  dorso 
però  vedesi  due  volte  la  stessa  figura  di  Eros  accoccolato,  in  atto  di  prendere  un  uc- 
cello che  gli  sta  innanzi  sul  suolo.  Questo  concetto  grazioso  non  è  infrequente  sui 
vasellini  di  Ruvo  del  secolo  III  a.  Or.  i  quali  spesso  rappresentano  Eros  intento  ora 
a  prendere  un  insetto  o  una  farfalla,  ora  a  cogliere  un  fiore,  ora  con  qualche  uccello 
nelle  mani  (Cfr.  Arch.  Zeitcj,  1867  pag.  126;  Heydemann  Vasenb.  taf.  X,  3,  4,  5  e 
Hilftaf.  9,  10;  Jatta  Catal.  752,  772,  902,  1312  agg.  e  corr.,  1393  e  Vasi  Caputi  380). 

18.  Piccolo  skyphos  con  due  civettoni  tra  rami  di  ulivo,  uno  sopra  ciascun  lato; 
alt.  m.  0,07. 

19.  Umetta  (stamnos)  tutta  nera,  tranne  una  zona  giallo-rossigna  sulla  spalla 
con  rosette  di  nero,  e  a  coperchio  basso  senza  finimento,  ornato  di  cerchietti  con- 
centrici; alt.  m.  0,13. 

20.  Anforetta  di  graziosa  forma,  presso  a  poco  come  in  De  Witte  {Calai.  Durand 
pi.  II,  n.  32),  ma  con  due  manichi  invece  di  uno  e  a  piede  più  alto;  tutta  nera, 
di  creta  leggiera,  di  buona  vernice  e  con  ornati  di  bianco  (greca  e  triangoli  senza 
base)  ben  conservati   sulla  metà  superiore  del  corpo;   alt.  m.  0,11,   diam.  m.  0,10. 

21.  Vasellino  in  forma  di  piccola  campana  senza  manichi  e  tutto  nero  (vedi  Heyde- 
mann Vasensamml.  ^u  Neapel  taf.  Ili,  n.  154).  Poco  al  di  sotto  del  labbro  veg- 
gonsi  da  un  sol  lato  due  forellini  che  servirono  a  dar  passaggio  alla  cordicella  per 
tenerlo  sospeso;  alt.  m.  0,09,  diam.  m.  0,15. 

22.  Vaschetta  tutta  nera  a  piede  alto  con  quattro  sporti  intorno  al  labbro  in 
forma  di  cappietti;  alt.  m.  0,09,  diam.  m.  0,10. 

23.  Grazioso  unguentario  col  corpo  in  forma  di  pomo  solcato  da  larghissima  bac- 
cellatura a  rilievo  del  colore  della  creta,  mentre  il  vasellino  è  nero.  Da  un  lato 
sporge  il  lungo  becco  cilindrico,  da  un  altro  il  manico  anulare  e  nel  centro  è  un  ton- 
dino con  orlo  rilevato  e  fornito  di  sei  fori,  destinati  certamente  a  colare  il  li(|uido 
uelliutrodurlo  nel  vasellino;  alt.  m.  0,06. 

24.  Unguentario  in  forma  di  ciambella  bucata,  del  colore  dell'argilla,  ma  col 
ventre  cinto  da  tre  cerchietti  neri  e  con  strisele  anche  di  nero  sul  numico  e  intonio 
alla  bocca;  alt.  m.  0,05. 

25.  Aryballos  tutto  nero  con  cerchietti  rossi  intorno  al  ventre;  alt.  m.  0,085. 

26.  Piccolo  askos  tutto  nero;  alt.  m.  0,085. 


KUVO    DI    l'UOLlA  —    180    —  REOIONE    II 


27.  Candelabro  di  coloro  rossijjno  in  forma  di  colonna  dorica  profondamente  scan- 
nellata, con  toro,  base  e  plinto  quadrilateri,  ornato  quest'ultimo  intorno  intorno  di 
uua  riiijjhiera  di  pilastrini  rettanj^'olari  ricacciati  da  piccole  lacime  che  li  separano 
ad  eguale  distanza.  La  colonna,  ruvidamente  lavorata  a  mano,  è  sormontata  da  una 
scodelletta  che  le  tien  luogo  di  capitello  e  che  serviva  a  contenere  la  lampada  ;  altezza 
m.  0,27,  diam.  della  scodelletta  m.  u,12. 

2S.  Anfora  rozzissima  dai  manichi  a  colonnette,  senza  figure,  ma  con  ornati  neri 
su  fondo  rosso,  mentre  tutta  l'anfora  è  nera,  e  con  un  tralcio  di  edera  bianca  che 
ne  circonda  il  ventre;  alt.  m.  0.26. 

20.  Vaso  in  forma  di  calatbus  con  il  corpo  interamente  coperto  da  zone  oriz- 
zontali di  colere  rossigno  sul  fondo  giallo-scuro  della  creta.  Le  zone  sono  sei,  e,  co- 
minciando dal  piede,  si  succedono  in  quest'ordine,  cioè:  meandro  detto  greca;  linee 
obblique  che  s'intersecano  lasciando  tra  loro  dei  piccoli  vuoti  in  fonna  di  trapezi; 
bastoncelli  coricati;  foglie  di  edera  appaiate  con  stelo  dritto  e  orizzontale  in  mezzo 
a  loro;  fogliette  probabilmente  di  mirto  similmente  disposte;  infine  triplice  fila  di 
dadi  rossi  e  neri  formanti  scacchiera;  sotto  il  piede  cerchietti  concentrici;  alt.  m.  0,20, 
diam.  m.  0,28. 

30.  Cratere,  comunemente  detto  vaso  a  campana,  tutto  nero  tranne  nella  parte 
superiore,  ove  a  livello  dei  manichi  è  cinto  da  larga  fascia  rosso-giallognola  su  cui 
è  un  ornato  nero  conservatissimo,  che  rappresenta  un  grosso  tralcio  sei-peggiante  di 
edera  con  foglie  non  bene  imitate,  le  quali  per  ciò  prendono  un  aspetto  a  bastanza 
strano;  alt.  m.  0.29. 

31.  Piccola  collana  composta  da  19  pezzi  in  forma  di  cubetti,  irregolannente 
tagliati  e  muniti  del  foro  per  farvi  passare  il  filo  che  dovea  tenerli  uniti,  e  inoltre 
da  un  più  grande  pendente  di  ambra.  I  cubetti  in  discorso,  sottoposti  dall'inventore 
al  giudizio  di  persone  competenti,  da  queste  sono  stati  creduti,  non  di  pasta  vitrea, 
ma  di  vero  corallo,  del  quale  hanno  il  colore,  lo  non  oso  decidere  su  ciò.  ma  se  la 
cosa  fosse  vera,  sarebbe  un  fatto,  per  quanto  io  sappia,  non  ovvio,  anzi  a  bastanza 
raro.  La  collana  poi,  giudicandone  dalla  grandezza,  non  potè  servire  che  all'ornamento 
del  collo  d'una  fanciulla. 

32.  Armilla  di  bronzo  a  spirale,  certamente  apjiartenuta  alla  stessa  fanciulla 
di  cui  fu  la  collana  innanzi  descritta.  Nelle  spire  deiranuilla  si  è  conservato  un 
buon  pezzo  dell'osso  radiale  del  braccio  della  piccola  morta. 

33.  Notevole  finalmente  sopra  tutte  le  cose  fin  qui  descritte  è  una  piccola  fonila 
in  creta,  fatta  per  cavarne  la  .sola  tosta  di  una  stiituetta  muliebre.  11  dott.  Italducoi 
mi  assicurò  che  la  medesima  fu  trovata  in  una  delle  tumbe  dello  strato  inferiore 
appartenente  alla  necropoli  più  antica,  la  qual  cosa  invero  è  confermata  dai  tratti 
stes.si  della  testina  di  stile  a  bastanza  severo.  Il  trovamento  poi  di  questa  forma  può 
provare  due  cose;  primieramente  che  tra  il  secolo  VI  e  V  qui  gi;ì  si  fabbricavano 
dello  terrecotte  e  in  secondo  luogo  che  si  adopravano  a  tal  uopo,  almeno  per  le  testo, 
delle  forme  ricavate  senza  dubbio  da  terrecotte  di  arto  più  provetta  importate  dalla 
llrecia  por  via  del  commercio,  la  i(ual  cosa  non  è  itiiut<i  senza  importanza  por  la 
storia  dell'arto  ceramica  localo.  fi.  .Iatta. 

l{"ma   17  giugno   ìs'.)\ 


REGIONE    XI,    IX.  —    187    —  SAN    GIUSTO,    BENE    VAGIENNA 


GIUGNO 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  SAN  GIUSTO  CANAVESE  E  FOGLIZZO.  —  Sepolture  di  età  ro- 
maìta  rinvenute  sul  confine  dei  comuni. 

Nei  lavori  eseguiti  per  livellare  un  prato,  nella  regione  Meletto,  a  nord-ovest 
dell'  abitato  di  Foglizzo  e  traversato  dal  confine  tra  questo  comune  e  quello  di  s.  Giusto 
Canavese,  nella  parte  spettante  all'ultimo  comune,  si  è  scoperto  un  gruppo  di  fittili, 
di  cui  rimangono  un'  umetta  di  terra  grossolana,  coperta  da  una  coppa  di  terra  rossa 
più  fina,  capovolta,  e  tre  vasi  con  largo  ventre,  manico  e  collo  stretto.  Costituivano 
la  suppellettile  di  una  tomba  ad  incinerazione,  alla  quale  appartengono  pure  un  pic- 
colo balsamario  di  vetro  bianco  ed  un  medio  bronzo  di  Tiberio.  Ho  visitato  il  luogo 
della  scoperta,  di  proprietà  del  sindaco  di  Foglizzo,  il  quale  mi  informò  che  a  poca 
distanza,  nella  parte  del  l'ondo  compresa  nel  territorio  del  suo  comune,  nello  scorso 
autunno  eransi  rinvenuti  altri  fittili,  distrutti  dagli  scavatori,  ed  undici  monete  di 
mezzano  bronzo,  da  me  vedute.  Sei  di  esse  vanno  dai  tempi  di  Tiberio  a  quelli  di  Tito, 
e  cinque  sono  affatto  logore,  ma  pare  spettino  al  primo  secolo  dell'impero.  A  qualche 
decina  di  metri  si  trovò  pure  nel  1893,  e  nel  territorio  di  Foglizzo,  una  tomba  for- 
mata di  grossi  tegoli  a  risvolti,  con  entro  un'urna;  pure  questa  tomba  fu  distrutta. 

È  probabile  che  altre  sepolture  si  celino  nei  punti  dove  non  si  è  latto  lo  sterro, 

ovvero  che  questo  non  sia  giunto  alla  profondità  di  m.  0,Go,  che  è  quella  in  cui  si 

cominciarono  a  scoprire  le  dette  tombe. 

E.  Ferrerò. 


Regione  IX  (LIGURIA). 

II.  BENE  VAGIENNA  —  Nuoi^e  iscrisioni  romane. 

Nel  palazzo  civico  di  Bene  Vagienna,  per  cura  dellex-sindaco  cav.  Giuseppe  As- 
sandria,  furono  raccolte  alcune  iscrizioni  romano  del  luogo,  edite  {C.I.T..  V,  7680, 
7692,  7693,  8110,  424),  insieme  con  riproduzioni  di  gesso  di  altre,  pure  benesi, 
che  si  trovano  nel  K.  Museo  di  antichità  di  Torino  (ib.  7151,  7685,  7()'J0:  cfr. 
Aia  della  Società  di  arch.  per  la  prov.  di   Torino,  IV,   p.  279).   Si  aggiunsero 

Classe'di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5',  parte  2*  2!? 


PIEVE    DI    CADORE  —    188    —  REGIONE    li. 

alcune  epijjiafi  vouute  alla  luce  dopo  la  pubblicazione  di  quel  volume  e  del  suo  sup- 
plemento, le  quali  furono  inserite  già  dallo  stesso  Assandria  a  pag.  13  e  104  delle 
note  del  suo  libro:  Capi/ulti  et  Stnliita  Comunitatis  liaeiinarum  ab  amio  1293 
Koma,  1892.  Gli  apografi  di  esso  da  me  ultimamente  fatti  sono  i  seguenti: 

1)  Lastra  di  marmo  bigio  rotta,  a.  m.  0,47,  1.  m.  0,10;  a.  delle  lettere 
lin.  !•  m.  0,055,  2"  e  3»  m.  0,04.  Già  lulla  cantina  della  casa  Ansaldi,  donde  fu 
levata  nel  1801:  i 

1  M 

(a  G  R  1'  P  A 

F 

\ 

2)  Sasso,  a.  m.  1,20,  1.  m.  0,40,  scoperto  nel  1883  nella  regione  Pra.  L'iscri- 
zione, con  lettere  rozze  a.  ni.  0,05."),  è  dentro  un  quadrilatero  con  timpano,  tracciato 
con  un  solco  nella  pietra: 

D Q M IT  1  A  I 

pftertiaT 

3)  Sasso,  a.  m.  0,00,  1.  m.  0,30  con  lettere  rozze  deUallczza  media  di  m.  0,oO 
scoperto  nel  1892  nella  ùazione  San  Bernardo. 

M  1 1  T  T 
IA  •  SEX 
F-SECVND 
A 

4)  Altro  esemplare  di  mattone  C.  I.  L.  V,  n.  8110,  424. 

LAssandria  è  di  avviso  che  Tiscrizione  n.  7151,  dal  Momnisen  postii  fra  le  pie- 
montesi di  origine  incerta,  appartenga  a  Bene,  e  che  il  n.  7(594  non  sia  un  titoli)  an- 
tico (op.  cit.  p.  12). 

Vj.  Ferrerò. 


Regioni-:  II  rV/'JX /■:'/' fAj. 

III.  PIKVI']  DI  CADORE  —  Bi  um  slatuetUi  di  hroiuo  e  di  un  piai- 
tinello  di  rame  con  iscrisione  Ialina  roliva. 

Nei  lavori  che  per  ordine  del  Genio  Militare  si  eseguirono  alle  falde  setten- 
trionali dt'l  Monte  Ricco  a  sud-est  di  Pieve,  e  precisamente  ciuque  o  sei  metri  a 
destra  dalla  via  che  mette  al  Roccolo  di  s.  Alipio,  ed  a  sinistra  della  vecchia  strada 
che  conduceva  allantico  castello,  si  rimisero  a  luce  ruderi  di  antiche  fabbriche, 
presso  i  quali  si  raccolsero  varie  monete  romane. 


REGIONE   V.  —    ISn 


PAOSULA 


Vi  si  trovò  pure  una  bella  statuetta  di  bronzo,  alta  m.  0,10,  conservatissima,  rap- 
presentante Diana  cacciatrice,  nell'atto  di  tirare  l'arco.  Nella  mano  sinistra  è  il  buco 
per  cui  passava  l'arco,  e  nella  destra,  a  cui  mancano  le  dita,  rimane  parte  della  corda. 

Vi  si  raccolse  inoltre  un  piattinetto  di  rame,  del  diam.  di  in.  0,1.'),  tirato  a  mar- 
tello, sul  cui  orlo  è  inchiodata  una  laminetta  di  rame,  forse  residuo  di  un'ansa. 
Sotto  l'orlo,  con  lettere  formate  a  linee  di  punti,  ottenute  con  punzone  ed  a  colpi 
di  martello,  corre  la  leggenda: 

MARTI  .-.  CORNELIA  .-.  L  .-.  F  .-.  OSSA  .-.  V  .-.  S  .-. 

La  prima  parola,  quella  cioè  della  divinità  a  cui  ora  fatto  il  dono  votivo,  è 
formata  con  due  linee  di  puntini,  mentre  le  lettere  delle  altre  parole  sono  ad  una 
semplice  linea. 

Questi  due  oggetti  sono  ora  esposti  nel  Museo  comunale  di  Pieve  di  Cadore,  al 
quale  furono  destinati,  mercè  le  cure  del  sig.  ispettore  don  Luigi  Bernardi,  che  mandò 
le  notizie  sopra  il  rinvenimento  e  l'apografo  dell'iscrizione  sopra  riferita. 

Questo  apografo  fu  da  me  confrontato  sull'originale,  che  unitamente  alla  sta- 
tuetta fu  trasmesso  per  studio  al  Ministero. 

F.   Harnabei. 

Regione  V  (PWENUM). 

lY.  PAUSULA  —  Avanzi  di  edifici  della  picena  Pausulae  scoperti 
nella  località  denominata  Antico. 

A  sud-ovest  di  Pausula,  che  non  prima  del  18.52  riacquistò  questo  suo  antico 
nome,  cambiatole  nel  medio  evo  in  quello  di  Montolmo,  a  circa  due  chilometri  e 
mezzo  da  essa,  evvi  una  contrada  denominata  Antico.  Ivi,  in  un  latifondo  apparte- 
nente alla  sig.  marcliesa  Teresa  Montani  Leoni  Ugolini,  ogniqualvolta  si  è  dovuto  ese- 
guire uno  scavo,  sia  per  piantagione  d'alberi,  sia  per  altro  lavoro  campestre,  a  qualche 
metro  appena  di  profondità  dalla  superficie  del  suolo,  si  sono  rinvenuti  rottami  late- 
rizi, presentanti  alle  volte  tracce  di  incendio,  qualche  tomba  coperta  con  tegoloni  alla 
cappuccina,  ed  una  volta  anche  un'olla  contenente  ossa  calcinate,  che  al  contatto 
dell'aria  si  disfece,  come  mi  narrò  il  colono  Benedetto  Ke. 

Anni  sono,  quasi  nel  centro  del  terreno  medesimo,  si  rinvennero  i  ruderi  di  una 
camera  le  cui  pareti  presentavano  tracce  dell'antico  dipinto.  Il  pavimento  era  a  mo- 
saico bianco  cou  ornati  in  nero,  che  tuttora  conservasi.  A  poca  distanza  da  detta 
camera,  nello  scorso  inverno  si  è  fatto  un  vivaio  di  oppi,  che  ha  dato  occasione  al 
ritrovamento  di  altro  gran  numero  di  mattoni  rotti,  anepigrafi;  e  di  notevole  si  sono 
rinvenuti  soltanto  piccoli  avanzi  del  fregio  della  trabeazione  di  qualche  importante 
edificio,  tutti  in  terracotta  locale,  di  color  giallastro  e  di  rozzo  stile.  Essi  sono  due 
antefisse  con  dilferento  rappresentanza,  avendo  una  nel  mezzo  una  testina  muliebre,  od 
un  altra  maschile;  testa  di  bue  frammentata,  alta  m.  0,20,  avanzo  forse  di  una  me- 
tope;  bassorilievo  di  cui  resta  una  sola  figurina  rappresentante  Cupido,  alto  ni.  (i.lii. 
in  atto  di  inseguire  altra  persona  contro  cui  tira  rniro. 


CAMPI. 1  —    It'O   —  REGIONE    V. 


Presso  la  casa  colonica  poi  conservasi  un  grosso  rocchio  in  puddinga,  di  m.  0,70 
XO,r>0  di  diametro.  Ha  un  foro  quadrato  nel  mezzo,  largo  m.  U,20,  che  lo  buca  da 
un  capo  air  altro,  e  che  si  rinvenne  puro  iu  quel  terreno. 

È  da  aui,'urar!ii  che  nuove  o  più  fruttuose  scoperti)  diauo  maggiore  luce  sullan- 
tica  destìiia/ioMi-  ili  quella  località. 

N.  Per.'^iciìetti. 


V.  ('A.Ml'IJ  —  Di  un  ripostujlio  di  telradrammi  di  argento,  scoperto 
preuo  il  villayyiu  di  Battaijlia  nel  comune  di  Campii. 

Il  1  1  ina!x;4i"  scorso  l'ispettore  degli  .scavi  e  dei  monumenti  in  Teramo,  cav.  F.  Sa- 
\  ini,  riferì  che  poco  prima,  in  un  terreno  vicino  al  villaggio  di  Battaglia,  noi  comune 
di  Campii,  si  trovi'»  un  ripostiglio  formato  da  una  quarantina  di  monete  d'argento. 
L'ispettore  trasmise  i  disegui  dei  principali  tipi  di  queste  monete  avuti  per  cortesia 
dell'egregio  cav.  Norberto  Rozzi,  colto  gentiluomo  di  Campii  stesso.  A  questi  disegni 
l'ispettore  cav.  Saviui  fece  seguire  gli  originali  dei  cinque  totradrammi  che  qui  si 
descrivono. 

Il  primo  è  di  Lisimaco  re  di  Tracia  (32:3-281  av.  Cr.).  A  dr.  testa  di  Alessandro 
col  corno  di  Ammone  ;  nel  rov.  nel  mezzo  Pallade  nicefora,  e  la  leggenda  BAIIAEns 
AYIIMAXOY  ;  innanzi  A  ;  nell'esergo  tridente  tra  due  delliui.  Nel  trono  BY  (cfr.  Head, 
llisl.  Nim.  p.  242). 

11  secondo  è  di  Eucratide,  re  della  Battriana  e  dell'India  (200-1. 'iU  av.  Cr.). 
A.  dr.  busto  del  re  volto  a  destra  coperto  di  elmo,  ornato  con  un  corno  di  Ime:  rov. 
i  dioscuri  a  cavallo  e  la  leggenda  BASIAEHI  MEFAAoY;  nell'esergo  EYKPATlAoY; 
innanzi  ai  cavalli  R  (Head  o.  e.  p.  704). 

Il  terzo  è  di  Demetrio  1°  Sotere,  re  della  Siria  (162-150  av.  Or.).  A  dr.  busto  dia- 
demato del  re  volto  a  destra;  rov.  la  Fortuna  nel  trono  con  scettro  e  cornucupia.  e 
la  leggenda  BAIIAEnz  AH.MHTPIoY  IflTHPoI;  a  sin.  ,^  (Head  o.  e.  p.  tì42). 

Il  quarto  è  della  città  di  Tiro  nella  Fenicia,  riferibile  agli  anni  tra  il  12()  av.  Cr. 
od  il  'u  dell'era  nostra.  A  dr.  tosta  di  Krcole  laureato,  volta  a  dr.  :  rov.  aquila  e  la 
leggenda  TYPOY  lEFAI  KAI  AIYAOY.  Nel  campo  a  sin.  LN  e  clava;  a  dr.  A  e 
ramuscello  di  palma  (Head  o.  e.  p.  tìT.S). 

Il  quinto  è  un  cistoforo  della  città  di  Apamea  di  Frigia.  A  dr.  cista  mistica 
col  coperchio  mezzo  aperto,  da  cui  esce  il  serpente,  il  tutto  chiuso  da  corona  di  edera; 
rov.  serpenti  intrecciati,  con  le  teste  erette,  e  la  leggenda  ATTAAOY  TIMoY:  a  dr. 
AflA  (Head,  o.  e.  p.  ^^hl). 

Le  monete  di  quest  ultimo  tipo,  cominciate  a  coniare  nel  II  secolo  av.  Cristo, 
durarono  tino  alla  dominazione  romana. 

Il  maggior  numero  delle  monete  del  ripostiglio  era  formato  appunto  da  questi 
cistofori. 

Essendo  la  moneta  piii  recente  riferibile  al  periodo  tra  il  126  av.  Cristo  ed  il 


ROMA 


—    191     —  ROMA 


57  deil'èra  volgare,    e  uou  contrastando  a  questa  data  il  cistoforo,  il  tesoretto  deve 
essere  stato  do;)ositato  non  [iriiiia  JeHultimo  secolo  avanti  Cristo. 

P.  Barnabei. 


VI.   ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  ITI.  Intrapresi  gli  sterri  pel  prolungamento  della  via  dei  Serpenti, 
incontro  il  lato  settentrionale  del  Colosseo,  sono  incominciati  ad  apparire  ruderi  di 
antiche  fabbriche,  e  sovrapposti  nuclei  di  fondazione,  appartenenti  ad  epoche  diverse. 
Alcuni  muri  sono  in  laterizio,  altri  in  opera  reticolata  di  tufo.  Uno  di  questi  ultimi 
conserva  gran  parte  dell'intonaco  dipinto,  che  sarà  intieramente  messo  allo  scoperto 
approfondendo  l'escavazione. 

Presso  Tabside  della  chiesa  di  s.  Martino  ai  Monti,  costruendosi  la  nuova  scala 
d'accesso  dalla  via  Giovanni  Lanza  alla  porta  minore  della  chiesa  medesima,  è  stato 
recuperato  un  frammento  di  antico  bassorilievo  in  marmo,  alto  m.  0,40  X  0,35.  Vi  ri- 
mane la  parte  inferiore  di  una  figura  virile,  vestita  di  toga  e  lungo  pallio,  che  poggia 
la  mano  destra  sopra  un  oggetto  quasi  sferico  posto  su  di  un  pilastrino.  La  scultm'a 
è  di  arte  assai  scadente  e  mal  conservata. 

Costruendosi  una  fogna  in  via  dell  Olmata,  alla  profondità  di  m.  3  sotto  il  piano 
stradale,  sono  stati  scoperti  tre  massi  squadrati  di  tufo,  sovrapposti  l'uno  all'altro, 
0  spettanti  ad  un  muragliene  diretto  da  nord  a  sud.  Ciascuno  dei  massi  è  lungo  m.  0,05, 
profondo  m.  0,50,  alto  m.  0,25.  Si  sono  pure  rinvenuti  due  pezzi  di  capitelli  ionici, 
in  marmo;  un'anfora  fittile  alta  m.  1,10;  ed  un  tegolone  col  bollo  del  figulo  Mirtilo, 
servo  di  Domizia  Lucilla  (C.  /.  L.  XV,  1037). 

Regione  IV.  In  fondo  alla  via  Genova,  sotto  l'orto  di  Panisperna,  sono  stati 
scoperti  altri  avanzi  di  mura  laterizie;  sotto  i  quali  si  è  trovato  un  cunicolo  sca- 
vato nel  tufo,  alto  m.  1,30  e  largo  m.  1,10. 

In  un  cavo  per  rinforzare  la  fondazione  del  casamento  Sereni,  in  via  Cavour 
n.  348,  alla  profondità  di  m.  7,00  si  è  incontrato  un  avanzo  di  rauraglioue  in  paral- 
lelepipedi di  tufo.  Ne  restano  due  ordini,  alti  insieme  m.  0,95,  della  Imighezza  totale 
di  m.  1,20. 

Regione  XIII.  Scavandosi  per  una  piccola  fogna  lungo  la  via  che  fiancheggia 
il  lato  occidentale  del  monte  Testacelo,  fra  un  grande  cumulo  di  rottami  d'anfore, 
furono  raccolte  venticinque  delle  consuete  anse,  che  portano  impressi  questi  bolli 
di  fabbrica: 

1.        L  F  GRES  CVF  P  2.         L  F  C  CVF  P 

3.         L  F  C  CVF  C  .  4.  F  C  CVF  PAC 


ROMA  —    192    —  ROMA 


P  M  O  C  V  (i.        A  e  I  H  e  I 

FI  GÈ  DO        ''"  •^""'"l'I"'' 


7.         .^Y.bA^E  8.        OF  GRAR  LVC 

9.         POR  ODV  ]().        LIVNJM 

E  L  1  SS"Ì 

11.         L  *  I  ♦  ME  1  ■_>.        C  *  I  *  S 

LlSSItCI 

].\.         Q.IAS  14.  P   N   N      liv  .-s.-mi.ljrì 

1."..        INI  Ili.  M  P  V 

17.       CRA  18.  IEMIH/1> 

10,         RICAMO  20.  C^C-D 

•21.  rfeCILA 

Alveo  del  Tevere.  Fra  le  tei  io  provcuienti  dallalveo  del  Tevere,  trasportate 
allo  scarico  delle  barche  presso  il  ponte  di  s.  Paolo,  sono  sUiti  raccolti  i  .seguenti 
oggetti:  —  Moì'mo.  Una  testa  femminili',  assai  consunta;  cinque  piccole  testine, 
egualmente  corrose  e  danneggiate  dall  acqua;   due  frammenti  di  titoletti  sepolcrali: 

A 

</  ■  K\\\-U 

/  I 

un  frammento  di  bassorilievo,  con  parte  di  figura  virile  ignuda;  due  pesi  in  traver- 
tino di  forma  ellittica,  uno  di  libbre  cinque,  l'altro  di  libbre  tre.  —  ìironzo.  Metii 
anteriore  del  braccio  di  statuetta,  lunga  m.  ii,iil':  cinque  spilli;  un  ago  da  rete; 
varie  monete  ossidate.  —  Piombo.  Un  anforetta.  a  dm'  inanichi,  alta  m.  O.OO'i.  — 
Terracotta.  Due  testine  muliebri;  uu  piede  votivo;  due  lucerne  conniui:  un  bui- 
samario.  —  Osso.  Tre  .stili. 

Via  Portuense.  Negli  sterri  per  il  collettore  dello  acque  urbane  fuori  di 
porta  Portese  sono  state  trovate  due  anfore  in  terracotta,  una  delle  quali  mancante 
delle  anse  :  alcuni  balsamarì   e  vasetti  fittili  comuni  ;  una  lucerna  rotonda  senza  or- 


REGIONE    I.  —    193    —  POMPEI 

nati;  un  manico  di  lucerna,  formato  dal  busto  di  Diana  sopra  nna  mezzaluna;  due 
piccoli  balsamarì  di  vetro  ;  uno  spillo  in  osso  ;  tre  frammenti  di  capitelli  in  peperino. 

Via  Tiburtina.    Per  la  costruzione  di  nuovo  celle  sepolcrali  sul  Pincetlo  al 

Campo  Verano,  sono  stati  ritrovati  i  seguenti  oggetti  :  —  Bronzo.  Piccolo  anello  con 

castone  rilevato  nello  stesso  metallo;  ago  da  rete,  lungo  m.  0,07,  con  doppia  cruna  e 

terminato  superiormente  a  cerchietto  ;  frammento  del  fusto  cilindrico  di  un  candetabro, 

lungo  m.  0,20,  diam.  0,012.  —  O&&0.  Cucchiaio,   mancante  quasi   intieramente   del 

manico.  —  Marmo.  Lapide  cimiteriale  cristiana,  che  conserva  parte  dell'epitaffio: 

ì 
TASELVS  IN  PACE 

mi  tó    q-/     / 

~A~ 

Terracotta.  —  Arca  sepolcrale,  lunga  m.  2,25  X  0,56  ;  lucerna  rotonda  con  ghirlanda 
a  rilievo,  e  col  bollo  PALLAD;  altra  simile  di  terra  rossa,  senza  ornati;  altra  oblunga 
con  largo  becco  e  col  bollo:  L  FABRIC   MAS. 

6.  Gatti. 


Regione  I  (LAÌIUM  ET  CAMPANIA). 

VII.  POMPEI  —  Giornale  degli  scavi  redatto  dagli  assistenti. 

1-3  maggio.  Fiu:ono  ripresi  i  lavori  nelle  medesime  località  indicate  il  30  aprile  : 
e  non  avvennero  scoperte. 

4-6  detto.  Sono  stati  cominciati  alcuni  lavori  di  restauro  a  Porta  Stabiana. 

7  detto.  Gli  operai  della  nettezza  rinvennero  :  —  Bronzo.  Un  sesterzio  di  Nerone 
col  tipo  del  tempio  di  Giano,  nel  rovescio.  —  Terracotta.  Una  testina  muliebre, 
alta  m.  0,058. 

8-9  detto.  Nou  avvennero  rinvenimenti. 

10  detto.  Da  uu  operaio  della  nettezza  fu  rinvenuto:  —  Bronzo.  Un  asse  di 
Augusto,  coniato  dal  triumviro  monetale  Sex.  Nonius  Quinctilian{us). 

11-14  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

15  detto.  Dagli  operai  della  nettezza  si  rinvenne  una  moneta  di  bronzo  irrico- 
noscibile. 

16  detto.  Non  si  ebbero  rinvenimenti. 

17  detto.  Da  un  operaio  addetto  alla  nettezza  fu  rinvenuto:  —  Bronzo.  Una 
pinzetta,  lunga  m.  0,101. 

18-21  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

22  detto.  Nello  scavo  al  lato  sud  della  Regione  VIII,  si  trovò:  —  Bronzo.  Un 
gancio  della  lunghezza  di  m.  0,09. 

2:^-24  Non  avvennero  scoperte. 

25  dotto.  Proseguirono  gli  scavi  nel  lato  sud  della  Eegione  Vili.  Si  fecero  ri- 
parazioni dello  pareti   nella   casa  n.  1,   Reg.  V,   isola  2"   e  nella   casa  n.  10  delia 


TORNIMI'ARTE  —    1JI4    —  REGIONE    IV. 

Reg.  IX,  isola  2*.  Si  rinvenne:  —  lìronio.  Una  coppa  ili  bilancia,  con  relativi  anelli, 
in  numero  di  quattro;  diametro  ni.  0,099. 
26-31  detto.  Non  avvennero  scoperte. 


Regidnk  IV  (SAMXin.M  KT  SABINA). 
SABINI 

Vili.  TORXniPARTE  —  Frammenti  di  epigrafi  latine,  riconosciuti 
nel  territorio  del  comune. 

Avendo  avuto  notizia,  die  nel  territorio  di  Torninipaite  trovavansi  sparsi  qua 
e  colà  parecchi  frammenti  epigrafici  latini,  mi  credei  in  dovere  di  rintracciarli,  ed 
ho  finora  trovato  i  seguenti,  non  editi  nel  IX  volume  del  C.  I.  L. 

1.  Nel  villaggio  Casa  Mascetti,  murato  in  una  parete  della  cantina  di  Tom- 
maso Legini.  esiste  un  frammento  di  calcare,  di  m.  0.20X0.21.  in  cui.  a  bei  carat- 
teri, leggesi: 

;'/S-  L- F^ 

2.  Sulla  facciata  occidentale  della  chiesuola  consacrata  a  s.  Pietro,  presso  1  an- 
golo a  sinistra,  nel  villaggio  Piedi  la  Villa,  è  un  frammento  in  calcare,  di  in.  0.22  X 
0,31,  ore  rimane: 


;<.  Nella  contrada  Cnpelli,  del  villaggio  !<.  Nicola,  sulla  facciata  meridionale  del 
casale  del  sig.  (ìiovanni  Cipolloni,  presso  l'angolo  a  .sin.  ed  ali  altezza  di  ni.  I  «lai 
suolo,  è  il  frammento: 


I.  Allo  spigolo  del  cantone  a  .sin.  della  facciata  della  chiesuola  di  s.  Tommaso, 
fuori  Villa  Piedi  la  Costa,  è  infisso  un  cippo  frammentato,  di  m.  0,60X0,44,  i 
quale  offre: 

P    M  I  C  C  I  O  N 
P   L    ERONI 

stveTivs 

ST  H  E  P  A  N 


I 


REOIONK    IV.  —    195    —  PIZZOLI,    RAUNO 

Ho  trovato  inoltre,  che  l'iscrizione  edita  al  n.  4.":ì.")0  del  voi.  IX,  ('.  I.  L.  non 
esiste  più.  Quella  del  n.  4351  è  oggi  posseduta  da  Paolo  Micarelli;  e  di  quella 
del  n.  4857  avanza  la  metà  soltanto,  essendo  stata  la  lapide  adoperata  per  soglia 
di  porta,  nella  frazione  Colle  s.  Vito. 

N.  Persicuetti. 


IX.  PIZZOLI  —  .{Uri  frammenti  lapidari  rinvenuti  nelle  frazioni 
comunali  di    Vallicella  e  s.  Lorenzo. 

Nella  facciata  meridionale  della  casa  di  Serafino  del  /io,  in  Villa  Vallicelhi,  e 
precisamente  circa  m.  0,30  al  disopra  delia  porta  di  ingresso,  ho  riconosciuto  il  se- 
guente resto  di  epigrafe  sepolcrale,  scolpito  in  calcare  e  di  bei  caratteri: 


C- APP 
C  ■  L  •  ERCi 

N    ■     F 


i'iico  tempo  la  certo  Domenico  di  Luca,  scomponendu  ulcnue  macerie  in  un  suo 
terreno,  in  contrada  (Jona  di  Candelette,  nel  villaggio  di  s.  Lorenzo,  rinvenne  il  se- 
guente resto  di  epigrafe,  in  calcare  : 

lA  O  •  F  E  CÌÌ 


Nel  pavimento,  presso  il  focolare  della  casa  di  Maria  di  Cola,  ho  riconosciuto 
questo  altro  frammento  di  iscrizione,  a  grandi  lettere,  incise  su  lastra  marmorea,  e 
che  mi  si  disse  esser  stato  trovato,  circa  dieci  anni  sono,  presso  l'antiteatro  dell'an- 
tica Amiterno: 

f0"» 


PAELIGNI 

X.  RAIANo  —  Di  una  lapide  iscritta  scoperta  nel  territorio  del 
comune. 

Nel  territorio  di  Baiano,  nella  contrada  s.  Petronilla,  verso  la  metà  del  monte 
e  presso  la  fontana,  nei  poderi  dei  sigg.  Lepore,  si  è  rinvenuto  un  plinto  di  calcare, 
di  m.  0,.">7  X  0,49  X  0,23.  Sulla  fronte  è  incisa  l'epigrafe: 

L  •  TATIVS  •  L  •  F 

Dietro  mio  consiglio,  la  pietra  è  stata  portata  a  Kaiano,  ove  conservasi  presso 
i  proprietari  del  fondo. 

A.  De  Nino. 
Classb'di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5',  parte  2*  24 


BRINDISI 


—    l'JtJ    — 


KEUIUNK    11. 


REOIONK    II     Ll/'f^LlAJ. 

XI.  i; lì! N DISI  —  Xuove  epi</ra/i  latine  della  necropoli  roimna  (ti 

Brindisi. 

Nel  fondo  De  Marco-Monaco,  di  contro  la  località  denoniinata  Osanna  (cf.  No- 
tiiie  lf'92  p.  2ó2,  M\)  sono  tornati  in  luce  parecchi  altri  frammenti  di  iscrizioni 
per  lo  più  ì^epolcrali,  incisi  nella  solita  pietra  del  luo-^o.  i  quali  verranno  depositati 
nel  Jliiseo  municipale  di  s.  Giovanni  al  Sepolcro. 

Di  esse  il  solerte  ispettore  Nervegna  mandò  i  calchi  cartacei,  dai  quali  si  de- 
sumono le  lezioni  selcienti,  confrontate  pure  con  gli  apografi  die  lo  stesso  ispettore 
trasse  direttamente  dagli  originali. 

1  (33  X  25  X  24).  Sia  per  lo  spessore  della  lapide,  sia  per  la  grandezza  delle 
lettere,  l'iscrizione  esce  dall'ordine  comune  di  questi  titoli  sepolcrali. 


^/ì.  R  W  A 
^^V  B  I  A  R  1 


2  (:;;J  X  22  A  14). 

jCOSVL^, 

kx  ■  H  -J 


:;  (2Ó  X  2ó  X  lo). 


PREP 


tenesti  due  frammenti  potrebbero  appartenere  all'  istessa  iscrizione. 


I    11  1    -    12  X  -1). 

vii 
SLIf 


.-,   (Il  X  lil  X  4  1). 

ys-c-L\^ 

\  M  A  ,G  Vslvr  ? 


fi  (2')  X  30  X  11). 

aCVT  VS 
wa  CISTER 


7  (47  X  ];i  X  7). 


L    ARRVNi IVS 


llii  due  pe/.zi). 

«/•'rvn/ 

//VS 


9  (25  X  20  X  G). 


REGIONE    II. 


10  (0,30X0,25X0,06). 

fi)  C  L  O  D- 

ARFc 

/ 


7^ 


—   107  — 


BRINDISI 


IO''"*  (0,48  X  0,26  X  (J,0(J). 


b)  ISALV 
W- VI- 
LLA 


li   (11  X  21  X  7). 


LCO 

L-LQ 


12  (lil  X2U  X  11). 

'/.         m.       ,S 

.^r-CTHES 

VlII-M-IIIli 

'-^Vl•VLC' 


l:{  (19  X  32  X  9). 
C  •  FA/ 


APR 


ri 


14  lu  due  pezzi: 


LL-i-UKTVTsx- 
VAL-HS 


15  In  due  pezzi: 

IVLIAPLVÌBNA 
LYSy~  ~" 


Questo  u.  15  è  stato  corretto:  si  riconosce 
chiaramente  che  prima  era  stato  scritto: 
IVLIAORBNA. 


Ili  (UX  9X  4). 


:  v-ii  A  •  c: 


17  (11  X20X9). 


18  (18  X  25  X  5). 


In 


BIENVS 

EROS 

H-S 


19  (31  X  19  X  7). 
V-A-X>l 


20  (ir,  X  16  x;,). 


.'•L-  N]| 


21  (25,X  21  X  8). 

C  •  O  C  T  A  V  iV 
IVSTVS-V-A-Ih' 

-i^^svr///////- 


BRINDISI 


22  (36  X25  X  11). 


•-"ivSOPTATvS 


24  (10  X20X  7). 

oc  r  AVI  >., 


—  1118 


REGIONE   U. 


23  (23  X  30  X  1(1). 


/  V\'^A- 


PRIMVS 

mh 

MATR 

Vili  • 

2r>  In  tre  pezzi: 


VALXXXX* 
SEXTILIA- 
-  VITALIA  • 


2ti  (18X21  X2  0- 


A  •  TERTIA 

\      S 


27  (27  X  22  X  12). 


//MIL///) 


28  (1.")  X  l;i  X  4). 
VE^ER 


29  (28  X  27  X  12). 

/  c  ■  vTtVl' 

(v  •  AL- VEt! 
N34-M  <^  ■  P 


.ÌO  (1.-.  X  14  X  4  ••). 
^?QRIA 


31   (18  X  20  X  8). 


ZOS) 
e  Y_RJ 


32  (Ifi  X  0  X  6). 


33  (12  X  21  X  n^). 


34  (12  X  25  X  7). 


•A  EC 

c- va! 

S// 


^ra| 

|COC| 


!T? 


REGIONE      II. 


lOfì 


BRINDISI 


35  (9  X  12  X  5  i). 


ly 


36  (15  X  20  X  9). 


^TiAy 


37  (10  X  12  X  6). 
fCEIlii 


38  (15  X  8  X6i). 


39  (27  X  30  X  7). 


iOA  .  V  •  A    LX  ■  1 


Kl  (!t  X  17  X  2). 

!l  AN/ 
k  •  M  j 


41  (19X18X  7). 
DVLH// 


12  (11  X  21  X5  1)- 


EIV 
ÌND 


43  (19  X  27  X  6). 

ieyr) 

MP| 


44  (10  X  10X9). 


45  (15  X  15  X  6  i). 


-Id  (12  X  13  X  9). 

wIAO? 

(^A.L3^ 


47  (14X21  X3.V). 

Ia"^ 

aNCILÌ\| 


[•M-X1| 
■<JERE' 


48  (7  X  Si  X  4i). 


Q 


BRINDISI 


49  (10X8ÌX4;)- 


I  •/ 


—  20(1  — 


RBGIONB    11. 


SO  (12  X  18  X  9). 
LIX 


sJS 


-7 


,1   (Il  X21  X6). 

ter' 


:,i  (0  X  HI  ■  ti). 

ONIS 


r,:t  (19  X  BX  19). 
:..-,  (11  X  9  i  X  4  i). 

foìP 


.-,4  (Uix  Uì  X  :>). 

H/ 


V 


.■>t5  (11  X20X6). 
RIA 


57  (12X11  X9). 
Ó9  (20X  12X  10). 

J  V  e  r  -K 

t.o  (11  X22X8). 


58  (25X37X  11). 


\' 


SETRI^\ 


5ISTE  j 
URINI) 


;i    (14  X20  X5i). 

>f'SOLJ 
SI^l- 


(i2  (10  X  21  X  ()). 

VS 
XI  P 


e,:',  (1.-.  X  20X7). 


THAPSOS  —  201  —  •w;/.M 


(34  (9x71  X4).  (35  (12  X  15  X  7). 

(30  (8  X  15  X  5  .\).  (37  (14  X  9  X  7). 


KIT! 

68 

(12X74  X(3). 

A^^5'o\ 

70 

(18  X  12  X  8  4), 

w/N'BVS- 

72 

(28  X  ti  X  (3). 

rXXÀVK. 

(39  (yj  X  11  X  6). 

71  (15  X  11  X  ()). 

73  (7  i  X  (3  X  2). 
TPlI 


D.  Vaulieki. 


Sì  CU  A  A. 

XII.  THAPSOS  (penisola  di  Maijuisi  presso  Siracusa).  —  Dalla  tìnc  di 
aprile  ai  primi  di  giugno  venne  esplorata  la  grande  necropoli  sicula  di  Thapsos,  esplo- 
razione già  debolmente  tentata  dal  eh.  prof.  Cavallari.  Risultò  essere  del  2"  periodo 
siculo,  con  grandi  sepolcri  a  iìóloc  od  a  forno,  in  alcuni  dei  quali,  per  la  prima  volta 
si  riconobbero  ingressi  con  tentativi  di  decorazione  architettonica,  ed  in  altri,  nell'in- 
terno, sostruzioni  murarie  che  ci  danno  una  genuina  idea  della  tectonica  sicula,  sin 
(|ui  sconosciuta. 

La  suppellettile  risponde  esattamente  a  quella  della  necropoli  di  Cozzo  Pantano 
(cf.  Monumenti  voi.  II  puntata  1='),  ed  è  ricca  sopratutto  di  vasi  fittili.  Si  constatò 
anche  la  presenza  di  piccoli  vasi  micenei  in  parecchi  sepolcri. 

I  bronzi  erano  scarsissimi,  perchè  quasi  tutte  le  tombe  erano  state  depreihite 
nell'antichità.    Qualche  piccola   perla  di  pastiglia   sembra  aricelo  fenicio,   importato. 

Di  tutta  vorrà  pubblicata  a  suo  tempo  un'ampia  relazione  illustrata. 

P.  Orsi. 


SBLINUNTE  —   202    —  SICILIA 


XIII.  SKLINUNTK  —  Uelazione  sommaria  intorno  agli  scavi  ese- 
guiti dal  1S87  al  I89'J. 

L'ultima  relazione  defjli  scavi  fatti  a  Seliuuute  è  quella  che  compilata  dal  mio 
collega  prof.  Patricolo  e  da  me  {Notiiie  1888  p.  593)  dà  cooto  dei  lavori  eseguiti 
sino  alla  primavera  del  1887;  a  quel  rapporto  fa  seguito  una  mia  Relaiione  sugli 
oggelii  rinvenuti  nei  lavori  esegniti  u  Selinuiile  nell'inverno  1884-85,  che  è  con- 
tinuazione di  una  precedente,  relativa  al  1883,  inserita  nelle  Notiiie  del  1884 
(ser.  4»,  Tol.  I,  pag.  39-50). 

Da  quel  tempo  non  è  venuto  più  fuori  alcuna  pubblicazione  ufficiale  degli 
ulteriori  scavi  fatti  a  Selinunte,  sebbene  lavori  di  molta  importanza  vi  si  compissero, 
stante  la  giusta  predilezione  che  il  Ministero  e  il  li.  Commissario  per  le  anti- 
chità di  Sicilia,  Principe  di  Scalea,  hanno  avuta  per  un  posto  di  una  importanza  ecce- 
zionale, tanto  riguardo  allo  studio  dell'architettura  greca,  che  a  quello  generale  del- 
l'arte e  della  storia  antica.  Sarebbe  qui  fuor  di  proposito  l'esporre  le  molteplici  ca- 
gioni per  le  quali  non  si  son  potute  compilare  le  relazioni  generali,  vivamente  de- 
siderate dal  Ministero:  dirò  soltanto  che  pel  lato  topografico  ed  architettonico  si 
aveva  il  giusto  desiderio  di  attendere  il  completamento  dei  lavori,  sicché  venisse 
fuori  più  chiaro  lo  studio  di  alcuni  quesiti  topografici  e,  spesso,  l'ufficio  non  ben  de- 
finito di  alcime  fabbriche;  e  pel  lato  poi  dello  studio  degli  oggetti  rinvenuti,  pareva 
e  pare,  a  chi  scrive  miglior  consiglio  il  disporre  tutti  gli  oggetti  secondo  la  forma 
loro,  anziché  dividerli  secondo  l'anno  del  rinvenimento,  nel  qual  caso  s'incorre  in 
ripetizioni  o  in  descrizioni  monche  o  inesatte  per  necessità,  dovendosi  spesso  atten- 
dere che  esemplari  più  completi  o  più  conservati  facciano  capire  esattamente  le  forme 
di  una  terracotta  o  le  lettere  di  un  bollo  figulino.  Si  aggiunga  che  lo  studio  di  tante 
luigliaia  di  pezzi  non  era  possibile  senza  che  tutta  la  suppellettile  fosse  prima  ordi- 
nata in  locale  adatto:  il  quale,  pur  troppo,  non  possedevasi  nel  Museo  palermitano; 
sicché  i  miei  sforzi  si  diressero  anzitutto  a  procurare  un'ampia  sala  coi  mobili  necessari; 
dei  quali  potendo  oramai  disporre,  sono  in  grado,  con  la  presente  relazione,  di  dare 
un  succinto  ragguaglio  complessivo  del  risultato  degli  scavi  selinuntini  dal  1885  in 
qua,  notando  solo  i  pezzi  più  notevoli,  poiché  in  altro  luogo  spero  di  poter  esporre, 
completamente  e  per  categorie,  tutta  la  suppellettile   rinvenuta. 

A  ben  comprendere  l'origine  dei  trovamenti,  premetterò  un  breve  cenno  di  tutti 
i  lavori  di  scavo  dal  188tì  al  presente  giorno,  estendendomi,  per  la  parte  topografica, 
alla  campagna  1891-02,  la  cui  direzione  fu  a  me  affidata.  In  quanto  agli  anni  1885-87 
sarà  bene  ripetere  che  i  lavori,  nel  loro  complesso,  non  ebbero  per  iscopo  scavi  de- 
terminati, perché  dopo  che  fu  conferita  al  prof.  Patricolo  la  direzione  tecnica  e  a 
me  quella  archeologica  dei  monumenti  siciliani,  credemmo  di  dover  proporre  al 
K.  Commissario  che.  anzitutto,  si  sgombrassero  le  boscaglie  che  nascondevano  e 
danneggiavano  i  monumenti,  si  verificasse  lo  stato  di  tutte  quelle  antichità  e  si  di- 
sponesse un  sistema  di  lavori,  pel  quale  si  rendesse  possibile  una  larga  e  metodica 
esplorazione  di  tutta  l'acropoli  selinuntina  e  dei  Propilei  ad  occidente  del  fiume, 
nella  contrada  Gaggera. 


SICILIA  —   20y    —  SELINU.NTE 


188(i.   Mar/",  aprile  e  maggio. 

Scavi:  —  (i)  iJancli-iiia  dt^l  porto  (iVo//:/i\  1886,  p.  lU4).  //)  Fortitica/ioni  a  nord 
dell'Acropoli  :  esterno  della  torre  H  e  da  questa  al  muro  che  unisce  la  torre  M 
all'Acropoli,  e)  Sgombro  di  macerie  e  pulizia  ai  Propilei  (Q)  e  in  altri  monumenti  e 
nelle  strade. 

Non  tengo  conto  di  ripuliinenti  di  poca  importanza.  Le  fabbriche  sono  indicate 
con  la  nomenclatura  stabilita  nelle  No//j/e  del  1888,  quando  con  nuove  lettere  fu 
proseguito  il  sistema  del  Serradifalco,  ad  evitare  equivoci  non  infrequenti. 

Questi  scavi  non  diedero  origine  a  rinvenimenti  di  importanza;  furono  trovati  i 
soliti  frammenti  di  chiodi  e  di  altri  oggetti  di  bronzo,  |)uiite  di  freccio  e  pezzi  di 
vasi  e  di  terrecotte  con  ornati  a  rilievo. 

1887.  Maggio  e  giugno  (XII)  (')• 

a)  Scavo  della  necropoli  di  Galera  Bagliazzo  (proprietà  Castelli).  //)  liipulimento 
ai  Propilei  alla  Gaggera  (Q),  e)  Scavo  della  strada  principale  dell'Acropoli,  da  nord 
a  sud.   d)  Sgombro  del  peribolo  e  del  peristilio  del  tempio  A. 

Della  suppellettile  rinvenuta  nella  necropoli  Galera  Bagliazzo    in   questo   anno 
e  nel  seguente  si  è  fatto  un  notamento  a  parte;  gli  oggetti  pertanto   si  sono  collo-, 
cati  in  vetrine  separate,  distinti  tomba  per  tomba. 

Nel  ripulimento  b  non  si  rinvennero  che  piccole  terrecotte  insignificanti.  Nello 
scavo  e,  oltre  le  solite  monete  bizantine  ed  i  frammenti  di  bronzo  e  di  terracotta, 
venne  fuori  un  grosso  pezzo  di  grondaia  con  testa  di  leone. 

1888.  Gennaio  ed  aprile  (IX  e  XIII). 

a)  Bipulimento  della  strada  da  E.  ad  0. 

Scavi  :  —  b)  Muraglia  e  porta  settentrionale,  a  destra  e  a  sinistra  ;  strada  da  nord  a 
sud.  e)  Lato  occidentale  e  angolo  sud-ovest  del  Tempio  0,  d)  Fortificazioni  orien- 
tali fuori  dell'Acropoli  (ad  oriente  della  porta  originaria  della  muraglia  settentrionale) 
e  fortificazioni  presso  il  così  detto  teatro.  Corridoio  da  nord  a  sud.  Rinvenimento  di 
due  porte,  e)  Suolo  della  gradinata  e  lati  esterni  della  camera  attigua  ai  Propilei. 
/).  Saggi  lungo  la  muraglia  orientale  dell' xVcropoli,  pel  rilevamento  della  pianta. 
g)  Scavo  della  necropoli  Galera-Bagliazzo,  dal  20  marzo  al  21  aprile. 

Sebbene  i  rinvenimenti  piìi  notevoli  di  quésto  anno  fossero  fatti  ai  Propilei  della 
necropoli,  tuttavia  noterò  alcuni  pezzi  venuti  fuori  dai  molteplici  scavi  di  altri  posti. 
Presso  la  torre  M,  in  una  porta  rivolta  alla  parte  di  mezzogiorno,  si  trovarono  gli 
avanzi  del  legno  bruciato  e  della  ferratura  dell'imposta  (IX,  420,  421).  Abbiamo  un 
certo  numero  di  piastre  di  ferro  con  chiodi,  larghe   circa   cent.  8  (ne   ignoriamo   la 

(')  (J(iii  questi  iiuiiicri  r.iiiiaiii  Mum  ilistiiid'  ik/I  Musco  di  l'iliriiiii  le  varii'  |i;irtito  ili  n;,'i.'ctti 
1  l'iveiiii'iiti  (la  SelinnnU'. 

Ci.AssK  DI  SCIENZE  MORALI  ccc.  —  JIkmokik  —  Voi.  II,  Scrii'  •ì",  parte  2*  25 


SKiaNCNTH 


—  2U4 


SICILIA 


lunghezza  ;  ma  uu  frainineuto  misura  cent.  óU).  I  chiodi  più  grandi,  i  quali  sebbene 
uun  compioti  misurano  tino  a  Itj  cent.,  hanno  una  borchia  circolare  di  un  diametro 
dai  C  agli  8  cent.  ;  uno  ha  hi  tostai  in  forma  di  losanga,  come  quelli  che  si  rinven- 
gono talvolta  nelle  tombe. 

Un  bel  frammento  di  terracotta  (IX.  40-J)  credo  che  meriti  una  speciale  consi- 
derazione per  la  singolaritìi  della  sua  fattura,  simile,  per  alcuni  rispetti,  a  quella  degli 
orli  dei  va.si  con  ornati  a  rilievo.  Kra  forse  una  base,  lunga  42  cent.,  ma  mentre 
nelle  basi  più  piccole,  altra  volta  tenute  in  conto  di  iurco/'ayi,  le  figure  sono  uiodel- 
late,  qui  invece  il  rilievo  è  tenuto  tanto  piatto  da  parere  un  disegno  a  contorno.  La 
rappresentazione,  ripetuta  due  volte,  si  compone  di  un  gruppo  di  un  guerriero,  cui 
fanno  seguito  due  cavalieri,  aventi  ognuno  una  coppia  di  cavalli  ;  sotto  è  una  fascia 
con  ornato  a  meandro,  e  tanto  questa,  quanto  la  fascia  figurata,  si  ripeteva  nei  lati 
minori,  senza,  tuttavia,  una  esatta  ricorrenza  di  linee.  La  fattura  è  arcaica  molto 
accurata,  e  l'ondeggiamento  delle  linee,  che  dovrebbero  essere  orizzontali  e  la  ripe- 
tizione dell'incisione  mi  pare  che  sieno  la  prova  più  evidente  di  quanto  ebbi  altra 
volta  ad  asserire,  che  cioè  questi  stampi  fossero  fatti  facendo  rotolare  sulla  creta 
una  matrice  a  forma  di  cilindro  (Vedi  Nolisie  18B4,  ser.  4",  voi.  1,  p.  41). 


Fio.  1. 


Sul  suolo  antico  della  via  da  nord  a  sud,  il  24  marzo,  si  rinvenne  una  testa  di 
iiiarnid  (IX.  411)  qui  rappresuntata  nella  lig.  1.  K  grande  al  vem  (dal  vertice  alla  cstre- 
mitii  del  colio  misura  2i)  cent.),  gravemente  danneggiala  nella  parte  anteriore,  e  ci  fa  rim- 
piangere la  perdita  di  una  importante  scultura  del  V  secolo,  eseguita  in  marmo  greco 
bianchissimo  a  gro.ssi  cristalli,  lo  stesso  adoperato  nelle  altre  sculture  selinuntine.  Pare 
che  i>er  lungo  tempo  rimanesse  esposta  alle  ingiurie  degli  uomini.  11  nas"  è  •li.'-trutlip. 
rotti  1  orecchio,  la  jiartc  sinistra  della  barba  e  i  capelli  sulla  fronte,   e  sciupati!   la 


sirii.iA 


205  — 


SKLINUNTE 


superficie,  in  generale.  Il  lato  destro,  invece,  conserva  perfettamente  il  lavorio  dei  capelli, 
che,  annodati  in  due  lunghe  trecce,  cingono  due  volte  la  nuca  con  una  disposizione  fre- 
quente nell'arte  arcaica,  secondo  può  vedersi  negli  esempì  citati  dal  Benndorf  (Die 
Melopeu  von  Seliaunl,  pag.  55,  n.  2).  Il  tipo  della  testa  e  la  disposizione  generale  dei 
capelli  richiamano,  a  prima  vista,  la  testa  di  Giove  nella  nota  melopa  selinuntina 
(Benndorf,  o.  cit.  tav.  Vili,  Serriidifalco  Aatichilà  di  Sicilia,  voi.  II.  tav.  XXXIII). 
La  bocca  qui  è  chiusa,  mentre  nella  metopa,  ad  esprimere  il  senso  di  meraviglia, 
lascia  vedere  i  denti;  ma  anche  qui  i  baffi  scendono  ripiegati  ad  angolo.  Le  forme 
sono  più  larghe  e  tondeggianti  di  quel  che  non  sieno  nella  metopa,  dove  scolpendosi 
nel  tufo,  si  dava  alla  fattura  una  certa  angolosità. 

Non  tengo  conto  di  altri  piccoli  oggetti  rinvenuti;  ma  parrai  meritevole  di  spe- 
ciale ricordo  un  frammento  di  ambra  siciliana  (IX,  ;^24).  trovato  nello  ncavo  della 
strada  da  nord  a  sud. 


FiG.  2. 


Lo  scavo  ai  Propilei  della  Gaggera,  o  Propilei  Q  (tig.  2),  dimostra  ancor  più 
come  in  quel  posto  per  ragione  di  culto  si  accumulasse  una  quantità  di  statuette  votive 
e  di  lucerne,  e  come  uno  strato  ricchissimo  di  avanzi  provenisse  da  un  trasporto  allu- 
vionale derivante  dalla  necropoli  sovrastante.  Un  pezzo  di  marmo  (IX,  186)  ha  le  lettere 
di  stile  più  antico  fin  qui  rinvenute  a  Selinunte  (fig.  3).  Questo  frammento  di  base 
circolare  0  ellittica  col  povero  avanzo  della  parola  («rA')®EKE,  prova  come  nel  pro- 
sieguo degli  scavi  sia  da  sperare  il  rinvenimento  di  amthemata  arcaici  ed  impor- 
tanti per  dimensioni  e  per  materia. 

Singolare  è  stato  il  numero  delle  lucerne  e  delle  figurine,  per  la  più  parte  rotte, 
rinvenute  nel  suolo  antico  tanto  della  gradinata  che  dell'interno  e  dell'esterno  della 
camera  attigua  all'  ingresso.  Le  lucerne  sono  grossolane,  senza  vernice,  e  di  dimen- 
sioni piccole,  variando  nella  lunghezza  da  5  a  11  centimetri.  Di  queste  lucerne  solo 
alcune  si  sono  trasportate  a  Palermo,  tutto  il  grosso  della  partita  restò  a  Selinunte. 
Nel  giornale  degli  scavi  trovo  partito  di  più  centinaia  rinvenute  nello  stesso  giorno 
e  un  totale  di  più  di  mille  e  duecento.    Più  curiose  son  quelle  a  più  becchi,   delle 


SKI.1.NDNTK 


—    JUIi 


.v/(7/.M 


([iiali  si  afri^iuiigi'  i|iii  un  disegno  (lell'eseniplaru  st'fjnato  IX,  :!27  (liff.  4).  l'ino  u 
ci-utinaia  ascende  il  mimerò  delle  terrecotte  tij^iinite.  delle  (|iiali  indico  soltanto 
nlcnni  tipi  |iiii  notevoli. 


Fio. 


Ki...   1. 


Diii'  iiuisclieie  arcaiche  col  lineo  in  testa  ]>rr  aiipendorsi  (IX, 278  o  27!0-  La 
prima  con  una  specie  di  cuffia  in  capo,  è  specialmente  notevole  per  le  dimensioni 
(altezza  1!'  cm.),  per  l'accurata  fattura  e  pel  tipo  che  non  ha  riscontro  nella  serie  nu- 
merosa delle  maschere  selinnntiue.  H  singolare  è  pure  una  piccola  placca  (IX,  3G8) 
con  una  figura  arcaica  di  Medusa,  ritagliata  per  essere  applicata  ad  uso  di  decora- 
zione, come  si  vede  ancora  da  un  buco  presso  il  braccio  sinistro.  Nel  fondo  e  nell'ala 
restano  vestigia  di  uu  colore  rosso  vivo.  La  statuetta  muliebre  con  la  colomba  in 
mano  forma  una  transizione  fra  il  tipo  orientale  delle  statuette  di  Afrodite  e  quello 
greco  sviluppato,  di  cui  quest'anno  si  è  qui  trovata  una  bella  statuetta  sedente  (IX,  291) 
alta  37  cm.,  che  è  la  più  completa  di  quante  se  ne  posseggano  dal  Museo  palermi- 
tano, dove  pure  ne  abbondano  i  frammenti  e  massime  le  teste.  Pregevoli  per  tinezza 
di  modellatura  sono  il  grosso  franmiento  di  figura  muliebre  con  un  bocciuolo  nella  destra 
(IX,  293)  già  dipinta,  almeno  nel  panneggio,  con  una  tinta  rosso  cupo  e  i  frammenti 
di  lastre  con  bassorilievi  (IX,  396Ì  di  squisita  esecuzione  (fìg.  '),  fi).  Da  applicare,  ma 


l'io.  fi. 


non  in  superficie  interamente  piana,  era  la  elegante  vittoria  a  bassorilievo  (IX,  120) 
che  è  ritagliata  e  con  un  buco  nell'ala.  La  testa  col  saccos,  al  quale  è  aggiunta  una 
larga  fascia  (IX.  'l'AW.  '<•  Moti'vnlr  p^l  nuiin'ni  «b'il.'  repliche  (se  ne  hanno  circa  ses- 


SICILIA  —    L;U7    —  SEUNUNTE 


santa).  Importante  è  il  l'atto  clie  il  culto  di  questo  santuario  funebre  sia  continuato 
in  tempi  cristiani  antichi,  alla  (juale  epoca  ò  da  attribuirsi  la  costruzione  rinvenuta 
più  in  alto.  Qui,  dentro  la  caiuora  attillila  all'  ingresso  o  nell'angolo  esterno  nord-ove.'^t, 
sul  suolo  arclieologico,  si  rinvennero  alquante  lucerne  di  una  fattura  diversa  dalla 
classica,  con  ornati  a  cerchi  e  puntini  rilevati  (IX,  141)  o  con  palmette  (IX,  104)  e 
alcune,  a  dirittura,  con  segni  cristiani,  cioè  col  monogramma  costantiniano  (fig.  7)  e  col 
pesce  (IX,  84,  142).  E  allo  stesso  periodo  è  da  riportare  un  capitello  forinzio  di  marmo 
(IX,  144)  alto  10  cent.,  rinvenuto  nell'  interno  della  detta  stanza; 
trovamenti  tutti  che  corrispondono  con  la  presenza  di  monete  di  bronzo 
del  basso  impero.  Strano  impasto  di  avanzi,  dove  non  mancano  i  fram- 
menti di  vasi  arcaici  a  figuro  nere,  i  vetri  fenici  a  colore  e  una  bella, 
ma  piccola  punta  di  lancia  in  bronzo  (IX,  ;i50)  di  2U  cent,  di  lunghezza. 
Una  scure  di  bronzo  (IX,  322)  molto  ben  fatta,  è  a  dirittura  un  gio- 
cattolo (misura  00  mm.  di  lunghezza).  Anche  pregevole  per  fattura  e 
per  completezza  è  un  campanellino  emisferico  di  bronzo  (IX,  47),  or- 
nato di  cerchi  incisi  e  fornito  del  battaglio  in  ferro  ;  ha  un  diametro  di  mm.  30.  Fra 
le  monete  di  bronzo,  elio  sono  sempre  ossidate  in  modo  orribile,  è,  per  rara  ecce- 
zione, ben  conservato  un  esemplare  della  moneta  siracusana  di  re  Gerone  II,  con  la 
testa  di  Nettuno  nel  dritto  e  il  tridente  nel  rovescio,  sulla  quale  moneta  i  Romani 
stamparono  il  sestante  con  la  testa  di  Mercurio  e  la  prua  di  nave  ;  riconio  non  infre- 
quente, ma  di  ricordo  storico  importante  a  dimostrare  come  i  conquistatori  accettas- 
sero la  monetazione  esistente  al  momento  della  conquista,  pur  distruggendone  il  tipo. 

1880.  Marzo,  aprile,  maggio  (XIV.  XV.  XVI). 

a)  Fortificazioni  settentrionali  dell'Acropoli,  presso  la  porta  centrale  e  presso 
la  porta  occidentale  dal  lato  del  Selinus.  f>)  Necropoli  di  Galera  Bagliazzo.  e)  Propilei 
alla  Gaggera  dalla  parte  occidentale  e  meridionale  e  nell'editìzio  scoperto  ad  occidente 
dei  Propilei  stessi. 

Dei  trovamenti  fatti  nell'Acropoli  merita  speciale  ricordo  la  ferratura  di  una 
porta,  che  insieme  ad  avanzi  di  legno  bruciato  si  trovò  nella  porta  a  mezzogiorno 
della  torre  H  in  direzione  da  est  ad  ovest.  Sono  frammenti  di  piastre,  simili  a  quelle 
rinvenute  l'anno  precedente  nella  porta  vicina  e  chiodi  ancor  più  grossi  con  una 
borchia  ciie  ha  da  8  a  9  cent,  di  diametro.  Un  pezzo  di  piastra  ricurvata  e  traver- 
sata da  un  chiodo  ci  mostra  che  lo  spessore  della  imposta  doveva  essere  di  un  7  cen- 
timetri, sebbene  la  ripiegatura  di  un  grosso  chiodo  ci  dà  un  maggior  spessore  (14  cent, 
circa),  forse  perchè  lì  coirispondeva  l'intelaiatura  della  porta.  Si  rinvennero  parimenti 
due  grossi  anelli  dei  cardini.     • 

Ai  Propilei  continuarono  le  numeroso  scoperte  di  terrecotte. 

Per  avere  un'idea  del  numero  rilevante  di  quegli  avanzi,  tolgo  questa  semplice 
enumerazione  di  cifre  dal  giornale  degli  scavi. 

Delle  solite  lucerne:  —  304  al  21  marzo;  180  al  27  marzo;  378  al  28  marzo; 
su  al   ].')  aprile;  1U8  al  18  aprile. 


SBLIKUNTE 


—    208    —  S;t7J!./;4 


E  sotto  la  data  del  13  maggio  si  registrano:  —  148  statuette  sedenti;  77  sta- 
tuette in  piedi;  924  testine  e  busti  muliebri. 

Delle  tisurine  di  carattere  orientale  (latte  di  ereta  per  lo  più  rossa  con  pagliuzze 
piccolissime  luccicanti  a  color  di  oro)  troviamo  una  bella  tìi,'urii  muliebre  in  piedi  a 
forma  di  vaso  (XV,  172)  tenente  una  colomba,  con  tracce  di  colore  rosso  vivo:  un'altra 
ligura  muliebre  sedente  con  la  colomba  e  tracce  di  pittura:  una  figura  ermafrodita 
accoccolata  (XV,  280):  un'estremit;"!  di  vaso  a  forma  di  figura  (XV,  78),  come  quella 
riportata  più  sopra,  ma  con  questa  peculiarità  di  una  testa  bifronte;  altro  vaso  a 
forma  di  uccello  con  testa  di  donna.  Delle  figure  muliebri  arcaiche  ima  rappresenta 
il  tipo  rudimentale  delle  figure  sedenti;  un'altra  più  grande  ha  i  buchi  per  riportarvi 
le  braccia,  e  dietro,  un  grande  N  bone  inciso;  ed  un'ultima  ha  una  collana  con  Aulle 
e  mezze  lune.  La  figura  appartiene  ad  un  tipo  più  frequente  a  Sclinunte  nelle  figure 
sedenti.  Uara  è  pure  la  figura  che  tiene  sulle  ginocchia  un  bambino  (XV,  157). 

Nello  stile  più  progredito  è  singolai-e  la  figura  muliebre  vestita  di  doppio  chi- 
tone e  le  mani  avvicmate  al  petto  con  la  punta  delle  dita  in  su.  figurina  che  si  ripete 
in  diverso  grandezze.  Di  arte  ancor  più  sviluppata  ò  il  grande  frammento  della  parte 
superiore  di  una  figura  muliebre  (XV,  48),  che  aveva  sulla  mano  sinistra,  alzata,  mi 
disco  con  oggetti  (frutta  e  piccole  torte)  ;  il  braccio  destro  era  conficcato  in  un  buco. 

Di  lastre  con  bassirilievi  si  hanno  due  piccoli  frammenti,  ma  non  dispregevoli; 
una  testa  di  Medusa  e  vm  avanzo  di  braccio  che  afferra  il  braccio  •  destro  di  una 
fio-ura  coperta  di  un  chitone  a  corta  manica.  Como  prodotto  di  un'  industria  diversa 
merita  ricordo  la  figmùna  con  testa  di  animale  (XV,  240),  e  avanzi  di  genitali  presso 
la  base.  La  figurimi  è  fatta  interamente  a  mano  senza  l'aiuto  di  forme. 

Parimenti  a  mano  libera  è  eseguita  la  grande  maschera  al  vero  (XV,  205)  rin- 
venuta chiusa  fra  quattro  tegole,  a  due  metri  a  nord  dell'ara,  diversa,  per  dimensioni 
e  per  fattura,  dall'altre  terrecotte  di  Selinunte.  Rappresenta  una  faccia  imberbe,  coi 
capelli  a  forma  di  scanalatura  (forma  propria  delle  figuline  arcaiche).  In  giro  al  collo  è 
una  serie  di  buchi  ;  nelle  pupille  è  un  vuoto,  certamente  per  incastrarvi  un  corpo  estraneo. 

Piccoli  frammenti  di  marmo,  come  un  piede  (XV,  182)  ci  danno  sempre  da 
sperare  che  più  in  su  abbia  a  trovarsi  qualche  scultura  di  dimensioni  importanti. 
Fra  le  piccole  mi  paiono  degne  di  considerazione  due  statuette  rinvenute  nel  pozzo 
avanti  al  monumento,  perchè  la  prima,  che  rappresenta  una  figurina  muliebre  sedente, 
alta  cent.  21,  mancante  della  parte  inferiore,  e  tenente  nella  destra  un  frutto  (XV,  237) 
riproduce  in  marmo  i  tipi  delle  statuette  di  terracotta  ;  mentre  la  seconda  (XV,  238) 
fuori  dei  tipi  soliti,  rappresenta  una  donna  recumbcnte  col  corpo  piegato  in  atto  di 
appoggiarsi  sulle  braccia  (fig,  8).  Pare  come  se  fosse  una  figura  collocata  in  un 
frontone  triangolare;  e  malgrado  la  scorrezione  dell'insieme,  richiama  alla  mente  le 
figure  giacenti  del  frontone  occidentale  di  Olimpia,  di  «jueU'Olinii.ia  cos'i  strettamente 
legata,  per  arte,  a  Selinunte. 

Ma  il  trovamento  più  importante,  fatto  in  questo  posto,  fu  quello  di  una  iscrizione 
greca  in  quattro  righe  (fig.  9),  rinvenuta  add'i  13  aprile  (')  E  scolpita  in  una  base  di 

(1}  V.  rutriclo  iiillr  Aolitie  1880,  j..  251. 


SICILIA 


209 


SELINUNTE 


tufo,  decorata  pou  una  cornicetta,  mancante  della  parte  inferiore  e  rotta  in  varie 
scheggi  e,  che  si  sono  diligentemente  messo  iusieme.  La  base  misura  m.  50  X  4o. 
riscrizioue  scolpita  a  lettere  di  2  cent,  di  altezza,  molto  accuratamente,  si  conserva 
nitida,  meno  in  qualche  posto  in  cui  il  terriccio  si  è  attaccato  al  tufo,  o  si  trovi  qualche 
frego  per  urto  accidentale.  Tuttavia  è  da  notare  che  di  proposito,  e  molto  irregolar- 


Fkì.  s. 


mente,  vi  fu  aggiunto  un  P  capovolto,  che  dal  secondo  A  del  primo  rigo  va  ad  incon- 
trare il  secondo  E  del  secondo  rigo. 

Lo  stile  delle  lettere,  ad  eccezione  della  llwla  e  del  ])lu,  richiama  quello  della 
grande  iscrizione  selinuntina  rinvenuta  nel  più  grande  dei  templi,  pubblicata  le  tante 
volte  e  recentemente  nella  raccolta  del  Bechtel  {Sammlung  d.  grieck.  Dialekl-Iu- 
schrifteii.  III,  p.  26,  n.  3046).  Solo  è  da  notare  che  qui  la  theta  ha  un  semplice 
punto  nel  centro,  come  un  punto  hanno  pure  tutti  gli  O,  non  che  il  /j/ì/  del  terzo 


%  %  V'AMBI  t  "f  tJlLè 


FiG.  9. 


rigo.  E  con  la  massima  delle  iscrizioni  selinuntiue  si  accorda  puro  la  presento  per 
l'epiteto  di  Mu/ocfógoc  dato  a  Demeter,  epiteto  noto  soltanto  per  un'  indicazione  di 
Pausania  (I,  44,  3).  Non  è  chiaro  qual  fosse  l'oggetto  dedicato  a  Maloforo  da  T/u'ul/oa 
figliuolo  di  Pifrrhlas  (nomi  ambidue  noti,  sebbene  il  primo  non,  come  (jui.  nella 
forma  dorica,  ma  nella  forma  comune  (•it'aXko.:  (cfr.  Pape,  Worlcrh.  dcr  grìcch.  Eigca- 
namen),  perchè  la  parola  C  \' (*  A  N  dà  luogo   a   qualche   ambiguità   a   cagione  della 


SKUNUNTB  —   210  —  ynll.lA 


prima  lettera,  che  ha  la  forma  di  un  E.  Ma  il  tratto  medio  orizzontale  pare  ohe  non 
sia  oriffinario.  e  por  questo  e  perchè  la  parola  EVRAN  non  avrebbe  senso  plausii- 
hile,  credo  che  debba  piuttosto  riconoscersi  in  principio  nn  diiiamina  e  però  mia 
parola  VRAN. 

Che  questa  voce  possa  mettersi  in  rapporto  con  vqov  registrato  da  Ksichio  come 
equivalente  di  ain'ioi,  alveare?  L'ultima  parola  va  letta  senza  dubbio  ENPEA  A(AEN| 
restando  qualche  traccia  dell'ultime  tre  lettere. 

La  forma  dell'incavo,  scolpito  nel  piano  superiore  della  base  cin  ima  profondità 
di  4  cent.,  accenna  alla  collocazione  di  un  oggetto  specialissimo  (e  non  certo  di  una 
statua),  massime  se  si  tien  conto  dell.i  direzione  dell'incavo  rispetto  alla  fronte, 
iscritta,  che  è  la  meno  larga. 

1890.  Marzo,  aprile  e  maggio  (XVII). 

a)  Scavo  del  corridoio  coperto  a  nord-ovest,  della  muraglia  e  del  corridoio  a 
nord  dell'Acropoli.  //)  Sterro  della  muraglia  occidentale  e  sgombro  delle  due  torri  di 
quel  lato  e  della  parte  nord  della  torre  circolare  H. 

Come  in  tutti  gli  sgombri  di  muraglie,  anche  in  questo  non  si  sarebbero  tro- 
vati che  frammenti  di  poca  importanza,  se  per  sorte  non  si  fosse  rinvenuta  al  25 
marzo,  fra  i  materiali  da  costruzione,  avanti  il  vano  settentrionale  del  lato  occiden- 
tale della  muraglia,  la  piccola  metopa  (XVII,  1)  di  tinissima  esecuzione,  la  quale 
fu  pubblicata  dal  prof.  Patricolo  (Di  una  nuova  metopa  selinundna  nei  Monumeali 
antichi  voi.  I.  1800),  nonché  due  pezzi  di  tufo,  con  avanzi  di  iscrizione,  riferiti 
pure  nella  detta  Memoria. 

1891.  Febbraio,  marzo,  aprile  e  maggio  (XVIII),. 

n)  Scavo  nel  tempio  D.  b)  Saggi  nel  tempio  di  Apollo  ((?).  e)  Scavo  nella  strada 
da  nord  a  sud,  ad  ovest  del  tempio  D.  d)  Scavo  nel  lato  nord  delle  fortificazioni  e 
nel  corridoio. 


Fio.  10. 


Un  pezzo  solo  merita  di  essere  notato  fra  i  soliti  piccoli  fiammenti  rinvenuti 
negli  scavi  di  quest'anno.  K  un  grosso  ciottolo  del  peso  di  gr.  l,8r>().  che  porta  scol- 
pite le  lettere  DEKA  (lig.  IO)  di  bella  forma  arcaica,  e  trovossi  nel  collocare  la  ferrovia 
lungo  la  strada  antica  da  nord  a  sud.  Kvidentemente  avremmo  avuto  in  questo  pezzo 
un  peso  greco  del  quinto  secolo  ;  ma  nel  suo  stato  presente  è  inutile  far  congetture, 
essendo  che  la  rottura  non  lascia  neanche    sospettare   quanta   parte    possa    mancare. 


sirii.lA 


—   Jll 


SELINDNTE 


Perduto  rosi  il  valore  metrologico,  qunsti)  pozzo  non  lascia  di  ossero  molto  pregevole 
come  dnciiiiiento  paloogratico  e  come  piova  dell'uso  fatto  anche  a  Seliuimto  di  pesi  di 
pietra. 

Nello  scavo  delia  graudc  via  da  nord  a  sud  è  veiiutu  fuori  un  piccolo  ripostiglio 
di  25  monete  d'argento  campane,  di  buona  conservazione,  ma  fortemente  ossidate,  col 
noto  tipo  della  testa  imberbe  bifronte  nel  dritto  e  la  quadriga  e  l'iscrizione  ROMANO, 
incusa,  nel  rovescio.  Venti  sono  del  maggior  modulo  e  sei  del  minore,  oltre  ad  alcuni 
frammenti.  Il  fatto  di  questo  rinvenimento  non  è  senza  importanza,  ove  si  consideri 
che  altra  volta  si  era  già  assicurato  che  a  Selinunte  non  si  fossero  mai  trovate  mo- 
nete romane,  e  ove  si  pensi  al  ricordo  dei  numerosi  mercenari  campani  che  guerreg- 
giarono in  Sicilia. 

1892.  Febbraio,  marzo,  aprile  e  maggio  (XIX). 

Col  grandioso  lavoro  compiuto  in  questa  primavera  io  mi  proposi  di  sgombrare 
tutta  la  parte  nord-est  fuori  della  muraglia  settentrionale  dell'Acropoli,  per  mettere  a 
giorno  il  sistema  delle  opere  avanzate  e  l'accesso  all'Acropoli  da  questa  parte,  dove 


■SCA\T    DEL  1332 
I^uri  su  roccia^ 
Muri  su  ierra. 
Scavi   precedcnli. 


3uni*''ji 


FlG.    11. 


doveva  essere  il  maggiore  traffico,  essendoché  quivi   si    trovi    la    sola   comunicazione 
col  porto  e  con  la  città.   La  vigilanza   degli   scavi  fu  afìidata  airassi,«tente  sig.  Mi- 
chele (iioiré;  l'ingegnere  sig.  Francesco  Valenti  rilevò  negli  ultimi  giorni  la  pianta, 
Classk  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5",  parte  2'  20 


SELINDNTE 


—   212  — 


SICILIA 


che  e  qui  rìprudotta  (tig.  Il),  la  quale  mostra  come  ìu  seguito  ad  un  ingente  sgombro  di 
materiali  si  riuscisse  a  mettere  allo  scoperto  il  muro  settentrionale  dell  Acropoli  e  girando 
esteriorinentt'  il  cosi  dotto  teatro  (torre  J/).  si  scoprisse  una  serie  di  muri,  che  com- 
pletavano il  singolare  sisteuia  di  fortilicazioiiu  poste  all'ingresso  dell'Acropoli  seli- 
nuntina,  o  si  aggiunsero,  in  età  più  tarda,  a  protezione  delle  antiche  opere  di  difesa. 
Ulteriori  scavi  mostreranno  il  vero  ufficio  di  alcune  delle  scoperto,  diverse  per 
epttca  e  per  sistema  costruttivo.  Por  questo  ed  anche  per  la  mancanza  di  una  pianta 


Fi.;.  12. 


degli  scavi  precedenti,  devo  di  necessità  limitarmi  a  considerare  isolatamente  i  risul- 
tati dello   acavo  di  quest'anno.    In   (luelli    precedenti    non    posi  mano,  .salvo   che    a 
rinettare    esternamente    la    torre    M,   della   quale    venne    fuori    la    risega    di    base. 
Il  primo  e  importante  risultato  e  stato  lo  scorrimento  del  muro  originario  del- 


SICILIA  —   213   —  SELINUVTE 

l'Acropoli,  degno,  per  la  bellezza  della  sua  fattura,  di  stare  a  paro  con  le  migliori 
fabbriche  selinuntine  e  superiore  per  conservazione  e  per  qualità  di  pietra,  agli  altri 
tratti  scoverti  all'estremità  occidentale  della  fronte  nord  e  nella  fronte  occidentale 
prossima  a  questa  (fig.   17). 

Il  tratto  ora  scavato  va  per  una  lunghezza  di  più  di  cinquanta  metri,  da  ovest 
ad  est,  cioè  dalla  torre  aggiunta  alla  muraglia  di  faccia  al  corridoio  che  va  alla 
torre  .V,  sino  all'angolo  nord-est  dell'Acropoli.  In  questo  angolo  dovetti  arrestare  il 
lavoro,  essendo  che  in  quel  posto  la  muraglia,  squarciatasi,  si  precipita  in  fuori,  di 
modo  che  prima  di  togliere  esternamente  la  terra,  bisognerà  smontare  e  rimettere  a 
piombo  un  tratto  di  muro.  La  fig.  12  qui  annessa  mostra  la  struttura  tanto  dei 
filari  superiori,  già  visibili,  quanto  della  parte  inferiore  intatta,  scoverta  soltanto  adesso  ; 
la  quale  è  tanto  più  importante,  in  quanto  che  gli  studiosi  delle  antichità  selinuntine 
sono  caduti  spesso  in  inesattezze  intorno  alla  struttura  di  questo  muro  e  alla  sua  pianta, 
poiché  limitarono  le  loro  indagini  ai  soli  filari  superiori  rimaneggiati  e  spostati.  Per- 
tanto si  vede  ora  che  questa  muraglia  aveva  principio  con  una  risega,  la  quale  se- 
guiva, con  una  serie  di  spezzature  a  scalini,  l'inclinazione  notevole  del  terreno  e  spor- 
geva irregolarmente,  ma,  per  lo  più,  di  1(3  centimetri.  A  quella  risega  ne  seguiva 
un'altra  di  una  sporgenza  variabile  da  8  a  3  centimerri.  I  filari  poi  sovrastanti 
sono  di  pezzi  di  una  altezza  da  m.  0,3G  a  m.  0,37  '/ji  e  di  una  lunghezza  che  varia 
da  m.  1,47  a  m.  0,80,  posti  per  lo  più  per  lungo;  nei  filari  superiori,  invece,  sono 
più  frequenti  i  pezzi  messi  per  punta.  All'estremità  presso  la  torre,  sui  filari  antichi 
della  parte  inferiore,  sono  sovrapposti  restauri  con  blocchi  alti  53  centimetri  e  lunghi 
irregolarmente,  come  quelli  della  torre  adiacente. 

I  pezzi  della  costruzione  primitiva,  squadrati  con  ogni  cura,  liauno  una  smussa- 
tura nello  spigolo  superiore  per  far  sì  che  la  pressione  del  filare  sovrastante  non 
avesse  a  danneggiarlo  :  tanta  gelosa  attenzione  si  usava  dai  Selinuntini  anche  in  grandi 
muraglie  di  cinta. 

Le  altre  fabbriche  sono  ben  lungi  dall'avere  lo  stesso  merito  di  struttura,  ma 
sono  importanti  per  altre  ragioni  storiche  e  tecniche.  Come  è  noto,  questa  parte  del- 
l'acropoli di  Selinunte  rivolta  a  settentrione  e  però  allo  stesso  livello  dell'altipiano 
dove  si  crede  che  sorgesse  la  città,  fu  afforzata  con  rilevanti  opere  di  fortificazione 
tosto  dopo  la  distruzione  della  città  (409  a.  (J.). 

È  indubitato  che  queste  opere,  le  quali  hanno  tanti  luiuti  di  analogia  con  quelle 
del  forte  siracusano  dell'Eurialo,  fossero  fatte  dal  siracusano  Ermocrate;  altre  di  fatttura 
grossolana  senza  fondazioni  e  con  massi  malamente  accatastati,  sono  da  attribuire  ad 
età  più  tarda. 

Nella  pianta  annessa  si  son  segnate  con  semplici  linee  le  mura  scavate  precedente- 
mente, con  un  tratteggio  più  scuro  quelle  che  fondano  sulla  roccia,  e  con  un  trat- 
teggio più  chiaro  quelle  piantate  sulla  terra. 

Delle  prime,  che  comprendono  princi]ialmente  la  torre  ,1/,  io  non  ilevo  oc- 
cuparmi; delle  seconde  dirò  che  si  scavò  un  tratto  (ria)  il  (|ua!e  passando  sotto 
alla  torre  è,  di  certo,  avanzo  delle  primitive  opere  di  rortilicazionc  e  però  di  una 
grande  importanza  si(!Come  uu'opei'a  che  accenn;i  ad   un  Ii'ommic  tra  l'.Vcropoli  e  l'ai- 


SKLINUNTE 


—   214   — 


SCILI  A 


tipiauo  detto  della  cittì»,  o  almoiio  a  diiosf  anteriori  a  quelle  di  Krinocratu:  è  ro- 
stniito  con  due  fila  di  conci  esternaiiieute,  e  nell'interno  con  pezzi  messi  per  lungo 
(incatenati  i|u:iltiu'  vidtii)  e  con  un  rieinpinit-ntu  di  pietn-  e  terra.  Ma  sventuratamente 
i|Uet;to  munì,  passala  la  trinrca  //.  cuntinua  con  io  .■spessore  di  ui.  l.M,  ma  di  una 
co.stnizione  di  pezzi  messi  pi-r  punta  e  per  lun^o.  cmi  Irammeuti  di  terre  colt*  an- 
tiche, po^'jjiata  sul  banco  di  sabbia,  sicché  la  sua  ulteriore  esplorazione  potrà  imiHU- 
tan-  per  lo  studio  delle  tiusCormazioni  di  questo  sistema  di  difese. 


Fi.:,  m. 


Sinffolare  scoperta  è  stata  quella  della  trincea  li  in  curva  coi  suoi  passjuj<ji  for- 
tificati /l'.V.  La  trincea,  lar^'a  da  m.  2..')(l  a  m.  ;>,.")(»  nella  parte  inferiore,  è  tagliata 
nella  roccia,  con  pareti  a  scarpa,  ed  ( ni  forse  chiusa  al  suo  sbocco,  per  quanto  se  m- 
può  dedurre,  da  un  cumulo  di  pietre  trovate  li  juesso.  Il  pa.ssaggio  /i  è  rappresen- 
tato chiaramente  dalle  q\ii  unite  ligure  (lig.  l;<,  l:{«),  ed  è  notevole  che  queste  forti- 
ficazioni si'liniiiitine,  dopo  di  averci  mostrato  un  lungo  uso  dell'arco  semicircolare  in 
fabbriche  greche  (').  ora  ci  danno  vani  chiusi  a  filari  rientranti  come  nelle  antichissime 
eustruzioui  di  Tirinto. 

(■)  Hai  iiciii  •'■  iftìtn  iitililù  il  rii-iifditre  c)i<>  iknrlie  all'Kiiriulu  sir.icUKano.  in  una  visita  fattavi 
iiikieiue  al   pruf.   l'utricyl".  trovaimii»  pezzi  coii  simili  .-inlii  Hcrnicirculari  (jS'oluif   l.'sbl»,  pag.   ìli)). 


SICILIA 


215  — 


SEMNONTE 


Questo  passaggio  (al  quale  furono  più  tardi  aggiunte,  e  di  fabbrica  molto  pre- 
caria, un  iiiiiiii  di  eliiusura  e  toinpagnature)  era,  naturalmente,  chiuso  con  lastroni  al 
livello  della  campagna  e  difeso  aucora  da  una  sopraediticazione,  cui  appartenevano  di 
certo  i  massi  caduti.  Seguendo  la  curva  della  trincea,  s'incontra  un  altro  passaggio 
simile  a  questo  (S),  che  non  si  è  potuto  scavare  e  che,  di  certo,  immetteva  nella 
galleria  sottostante  al  munì  settentrionale  dell'Acropoli. 

Postoriori,  e  di  struttura  più  che  negletta,  sono  tutti  gli  altri  muri  scavati  in 
questo  anno;  i  quali,  nel  complesso,  pare  che  sorgessero  per  maggiormente  difendere 
le  fabbriche  antiche,  massime  quando  la  terra  accumulatasi  con  l'andare  dei  secoli 
aveva  mutato  le  condizioni  del  livello. 


5  melri 


Vu.    i:'.  «. 


Più  notevole  è  il  muro  quasi  parallelo  alla  fronte  del  muro  di  cinta  dell'Acropoli, 
costruito  sulla  sabbia  con  massi  situati  per  lungo  e  per  punta,  e  dal  quale  si  partono 
alcuni  muri  traversi  clic  suddividono  quel  recinto  in  dieci  vani,  limitati  a  mezzogiorno 
(la  un  muretto  che  serve  di  canale  alle  acque.  Nell'ultimo  ripiano  si  riuveune  un 
jiozzo  con  acqua,  rivestito  di  anelli  di  terra  cotta;  se  ne  contano  otto  i'uori  dcll'aciiua. 
del  diaiiKd.ro  di  cm.  (j;-!,  od  hanno  i  soliti  Imclii  per  mettervi   i  piedi. 

Nel  posto  segnato  4  si  rinvciincro  statuette;  di  terra  cotta.  Il  muro  nella  sua 
parte  bassa  accenna  a  curvarsi,  seguendo  l'angolo  nord-estdell'Acropoli,  ma  che  questo 
recinto  non  fosse  un  corridoio  di  accesso  è  provato  dalla  forma  sua  stessa  e  dal  dis- 
livello rispetto  alla  piccola  porticina  presso  l'angolo  della  torre,  la  cui  fronte  orientale, 
scavatasi  ora,  ,sorg(i  su  ili  una  triplice  risega.  Continuandosi  lo  scavo  dalla  parte 
orientale  potrà  aversi  un  criterio  più  jireinso  sul  modo  col  quale  entravasi  irniuesti 
ambienti,  il  cui   ullicio  doveva   pur  aver  raiijiorto  con  la  ciistoilia  di'llc  mura. 


sei.im:nte 


—  21(;  — 


siriijA 


Tutte  K-  muraglia  in  giro  e  in  prossìiuitìi  della  torre  M  sono  fatte  di  piccole 
pietre  e  terra,  ad  eccezione  del  tratto  e  e,  messo  insieme  con  grossi  pezzi  aiiticlii. 
Dentro  di  questo  reeinto.  al  posto  segnato  5,  furono  rinvenute  le  tre  metope. 
Il-  quali  erano  adoperai*-  per  pavimento,  colla  farcia  scolpita  all'ingiii.  I  due  muri 
//  t^  l/y  '^'^■'  piantati  sulla  terra  a  più  dì  due  metri  di  alte/za  dal  piano  della  risega 
iul'erioit'  della  torre.  A  nord  di  questa  restano  gli  avanzi  di  alquante  povere  casette 
labliricate  con  frammenti  antichi  di  ogni  genere.  Ancora  piìr  a  nord,  al  di  là  della 
triui'ea,  si  sono  rinvenuti  due  pozzi:  quello  inferiore  (2)  senza  rivestimento,  l'altro  (;{) 
con  sei  anelli  di  terra  cotta  fuori  dell'acqua,  che  è  profonda  m.  1,20. 

K  (|ni  dovrei  intrattenermi  dei  pezzi  architettonici  di  ogni  genere  rinvenuti  o  spar>i 
nel  suolo  o  adoperati  nelle  falibriche.  Sono  colonne  spaccate,  capitelli,  spesso  segati  a 
metà,  di  tipi  e  di  dimensioni  diverse,  pezzi  di  trabeazione  e  altri  frammenti  diversi  di 
di  l'ditìzi  antichi,  manomessi  nella  furia  dell'improvvisare   nuove  fortificazioni.    Pur- 


IlG.    Il 


troppo  qut'gli  avanzi  non  appartengcmo  ad  un  solo  edificio,  e  per(^  in  tanta  farragine 
con\ieni'  attendere,  che  ultimato  lo  sgombro  delle  fortilicazioni,  possano  farsi  tentativi 
più  fondati  di  ric.o.^tituire  (juelle  inembra  >parse.  Degno  di  nota  è  un  pezzo  di  tra- 
beazione dorica  (lungo  m.  l.lii).  nd  (jinile  lu  incavato  poi  uno  di  (| negli  archi  carat- 
teristici a  tutto  sesto;  un  grande  frammento  di  capitello  ionico  con  .stucco  bianco  e 
un  |)ilasfro  molto  rastremato,  decorato  da  tre  facce  (wn  ima  trabeazione  dorica,  ri- 
co|iertn  dì  stucco,  della  larghezza  nuis>ìma  dì  cui.  ìt.ì. 


mriUA 


—  1217 


SELINUNTE 


La  campagrna  di  quest'anno  fu  favorita  dalla  sorte  con  iscoperte  di  oggetti  di 
prima  importanza,  come  le  tre  metope  arcaiche,  dello  quali  ho  fatto  speciale  pubbli- 
cazione nei  Monumenli  Amichi  (voi.  1.  p.  ITi?  segg.). 

Il  posto  preciso  del  rinvtniiuiento  è  sognato  col  nuiiiero  '>  nella  pianta  .superior- 
mente data  (tig.  11),  alla  quale  .serve  di  completamento  la  vcdutina  (tig.  11),  che 
mostra  il  recinto  in  cui  fu  fatta  la  scoperta.  Aggiungerò  (jui  un  cenno  degli  splen- 
didi pezzi  di  decorazioni  architettoniche  di  terra  cotta  dipinta,  i  più  grandi  che  si 
siano  trovati  da  noi,  e  chu  furono  rinvenuti  presso  un  muretto  segnato  in  pianta  col 
n.  6,  al  di  là  della  trincea  a  nord  della  torre  M.  Due  pezzi  sono  rivestimenti  di  ijeiso, 
diversi  nella  decorazione  della  treccia  (fig.  15,  15a,  16,  I6a);  il  più  conservato  (tig.  Ki) 
è  lungo  93  cm.  e  largo  69  ;  nel  centro  e  verso  le  estremità  mostra  due  buchi  di 
mm.  17  di  diametro,  per  fissare  il  pezzo  con  Taiuto  dei  chiodi.  Il  pezzo  di  sima, 
rotto  alquanto  nell'estremità  superiore  (tig.  17,  17«),  è  completo  nella  sua  lunghezza 
di  cm.  95,  compreso  il  dente  che  s'incavalcava  dall'uno  e  dall'altro  lato  coi  pezzi 
seguenti. 


KlG.    Itju. 


Fio.   17. 


l'iG.   ila. 


(Ini  abbiamo  vere  e  prop.ie  grondaie  a  l'orma  di  un  grosso  imbuto,  del  diametro 
di  11  cm.  circa,  mentre  tìn  qui  non  avevamo  trovato  a  Selinuute  che  un  solo  fram- 
mento, ed  isolato,  di  grondaia  di  terracotta  di  un  piccolissimo  diametro  (cfr,  Notizie 
1882,  ser.  3%  voi.  X,  p.  467;  ib.  1884,  ser.  4",  voi.  I,  p.  48  tav.  III). 

Il  processo  della  pittura  di  ipiesti  pezzi  è,  al  solito,  con  rosso  e  nero  soprapposti 
ad  un  fondo  giallastro;  ma  questi  esemplari  hanno  il  pregio  di  completare,  in  modo 
indubl)io,  tanto  la  decorazione  che  la  l'orma  di  (|uesti  rivestimenti,  ricostruiti   fin  qui 


SEI.lNl'NTK 


—  -Jis  — 


Siriu  A 


ila  semplici  fraiumanti  nelle  pubblicazioni  anteriori  dei  signori  Doipleld,  (Jiiibor. 
Horrmann  e  .Siebold  (l/eher  die  Vcrwetiduiig  i>oa  TerrakoUen  um  Geisoti  und  Uacke 
ijrierkischer  lìauwerke.  Berlin,   1881). 

Scarsi,  come  sempre,  sono  stati  i  piccoli  ofrgetti  rinvoiiuli  nello  s^'onibio  delle 
fortificazioni,  ma  luirc  non  privi  di  pre},'io.  V.  singolare  un  disco  di  bronzo  (XIX,  I) 
del  diametro  di  Vó  cm.,  al  quale  è  soprappesi  i  un'altra  lamina  di  bronzo,  ritagliata 
con  una  figura  di  ippogrifo,  dal  cui  dorso  esco  una  testa  e  un  collo  di  animale, 
come  nella  dhimera  (tig.   IS). 


Fk;.  18. 


Di  hninzo  si  i'  rinvenuta  un  jiìcckId  falln  (XIX.  i'><>l. 

Un  piccolo  frammento  in  marmo  di  pollice  di  piede  (XIX,  BH)  ci  fa  rimpian- 
gere la  perdita  di  una  bella  statua.  In  terracotta  abbiamo  avuto  :  una  statuetta  se- 
dente (XIX,  46)  di  buono  stile,  sebbene  con  lo  braccia  aderenti  ancora  al  coi-po.  di 


Kir..    I!'. 


un  tipo  molto  rrt'<|uent*  a  Selinunte  (fig.  HO.  Ma  questo  esemplare  ha  una  particolarità 
curio.sa.  in  questo  genere  di  terrecotte:  tracce  di  colore  azzurro  e  rossso  in  vari  punti  del 
chitone,  nel  petto,  nelle  ginocchia  e  nell'orlo  inferiore.  Sono  piccole  tracce,  ma  sicu- 


SICILIA 


—  210 


SKI.INUNTE 


rissime,  quantunque  il  colore   disgregato  vada   cadendo   senza   che   possa   mettervis' 
riparo. 

Si  rinvenne  pure  :  —  Parte  inferiore  di  una  statuetta  di  Afrodite  sedente  con 
la  colomba  in  seno  (XIX  152),  siiiiile  a  quella  ricordata  più  sopra.  Una  testina  di 
donna  di  bello  stile,  con  colore  rosso  nei  capelli  e  il  resto  preparato  in  bianco  (XIX,  75). 
Un  frammento  di  figura  muliebre  sedente,  con  una  striscia  di  color  rosso  vivo 
(XIX  lti2). 


FiG.  20. 


Ben  fortunata  è  da  stimarsi  la  scoperta  fatta  al  lato  settentrionale  della  torre  M, 
di  alquanti  pezzi  di  terracotta  (XIX,  82)  i  quali,  messi  insieme,  ci  hanno  data  qu;isi 
completa  una  singolare  vasca  con  piede,  e  con  bassorilievi  intorno  all'orlo  (fig.  20),  e  cosi 
la  soluzione  di  un  enigma  riguardo  alla  destinazione  di  certi  orli  di  vaso  propri 
della  Sicilia,  dei  quali  ragionò  a  lungo  il  Kekulé  (Die  TermcoNeu  uo,/  Siciliea, 
pag.  50  segg.)  pubblicando  molti  disegni  di  quei  bassorilievi,  rinvenuti  in  pezzi  molto 
frammentati. 

Nella  mia  relazione  del  1883,  [Nat.  1884,  ser.  A^,  voi.  I,  p.  32),  con  l'aiuto  di  grandi 
frammenti,  rinvenuti  allora,  potei  accertare  che  quei  bassorilievi  non  fossero  appartenuti 
ad  orli  di  vasi,  ma  bensì  a  grandi  dischi,  leggermente  concavi  e  del  diametro  di  m.  0,08. 

Dagli  scavi  del  1882  viene  ora  intera  la  forma  di  un  rrtQiQÒuvxi^Qiov,  alto  47  cm., 
formato  da  una  base  circolare  con  una  colonna  vuota  (è  fornita  anche  di  un  buco 
per  agevolare  la  cottura  della  creta),  sulla  quale  è  fissato  il  disco,  che  ha  appunto 
il  diametro  di  m.  0,68  da  me  provisto.  La  rappresentazione  stampata  in  giro  è  la 
solita  dello  Nereidi  con  le  armi  di  Achille,  ma  ditferisce  da  quelle  già  pubblicato 
dal  Bonndorf,  dal  Kekulé  e  da  me,  in  quanto  che  le  figure,  invece  di  essere  rivolte 
a  destra,  vanno  tutto  verso  sinistra.  Riguardo,  poi,  alla  destinazione  di  questo  uten- 
sile, mi  riservo  di  ragionarne  di  proposito  col  sussidio    di  altri  monumenti  ;  e  però 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  WA.  II,  Serie  5°,  parte  2"  27 


SOROOSO  22U    —  SAHDISIA 


le  espressioni  qui  adoperate  di  vasca  e  di  TtQi^^ctiiì'Qior  valgano  solo  in  modo  ge- 
nerico ad  indicarne  la  forma  dell'oggetto. 

1894 

Furono  concentrati  i  lavori  in  un  sol  pimto  e  dove,  senza  rimuovere  grandi  massi 
si  poteva  esser  certi  di  una  larga  copia  di  trovamenti.  Pertanto  feci  scavare  al  di  là  del 
Selinos,  a  Monte  dei  Propilei  Q,  liberando  per  intero,  internamente  ed  e:<ternaniente, 
una  fabbrica  singolare  di  cui  non  isi-orgevan.si  in  pianta,  che  le  sole  mura  perimetrali. 
A  que?to  edilizio,  che  pur  essendo  privo  di  peristilio  ha  tutti  i  caratteri  di  un  tempio,  ho 
attribuito  la  lettera  distintiva  T.  Dalle  piante  ora  rilevate  si  vedranno  i  particolari  di 
questa  costnizione  e  gli  avanzi  di  un'altra  fabbrica  preesistente;  per  ora  accennerò 
soltanto  ai  felici  trovamenti  ottenuti  di  vat^i,  lucerne,  ligurine  di  terra  cotta,  pezzi  di 
bronzo  e  di  vetro  sparsi  con  una  ricchezza  fenomenale  tanto  dentro  che  fuori  dell'edi- 
lizio. Basterà  dire  che  le  sole  lucerne  rifiutate  e  però  lasciate  a  Selinunte  in  magaz- 
zino, ascendono  a  undici  mila  e  ottantanove. 

Per  la  prima  volta  mi  è  occorso  di  avere  tanti  avanzi  di  colore  nelle  figurine  di 
terra  cotta  e  massime,  in  quelle  arcaiche.  Si  è  pur  trovata  una  grande  vasca  di  marmo. 

Dalla  muraglia  occidentale  dell'Acropoli  ho  fatto  togliere  tutte  le  boscaglie  che 
la  nascondevano,  sicché  ora  è  agevole  il  rendersi  conto  della  sua  struttura. 

Altro  lavoro  importantissimo  .-ii  è  compiuto  in  tempo  molto  breve,  il  rilievo 
dflla  pianta  dell'Acropoli  eseguito  dall'ingegnere  sig.  Rao,  rilievo  che  comprende  pure 
il  risultato  degli  scavi  da  me  diretti  nello  scoi-so  anno. 

A.  Salin.\s. 


SARDINIA, 


XIV.  SC)R(Ì0N()  —  Di  una  gemma  itieisa  scoperta  nel  territorio  del 

comune. 

Nel  territorio  del  comune  di  Sorgono,  nella  località  detta  >■  Bingia  de  santu  Sar- 
badore  ■ .  fu  raccolta  una  corniola  adoperata  come  amuleto.  Ha  da  una  parte  un'  iscri- 
zione greca,  formata  di  quattro  righe,  ridotta  ora,  per  effetto  di  scheggiatura,  a  sole  tre, 
restando  in  fine  della  prima  riga  solo  qualche  traccia  di  lettera.  In  seguito,  per  dare 
forma  più  n-golare  alla  pietra  ed  incastonarla  come  gemma,  in  qualche  anello,  venne 
ritagliata  nel  margine,  facendo  scomparire  anche  l'ultima  lettera  del  secondo  verso, 
vi  si  legge: 


-•'^  SORGONO 


La  corniola  nello  slato  attuale  è  larga  nim.  15,  e  le  lettere  misurano  in  altezza 
mm.  2.  Nell'altra  faccia,  stante  l'anzidetta  frattura,  vedesi  solo  la  parte  inferioro  di  pro- 
tome barbata,  che  ritengo  di  Giove  Serapide.  il  cui  nome  si  legge  nell'epigrafe  sopra 
riferita. 

Il  descritto  cimelio  è  stato  da  me  acquistato  per  le  raccolte  antiquarie  del 
R.  Museo  di  Cagliari. 

F.    VlVANET. 

Koina  ITi  luglio  1894. 


REGIONE    X. 


—   223   —  VERONA 


L  TT  G  L  I  O 


Regione  X  (VENETI A). 

I.  VERONA.  —  1.  Scavi  e  scoperte  mWarea  del  Teatro  romano. 

Già  tìu  dagli  anni  1758-1760  il  sig.  Gian  Maria  Fontana,  scavando  l'area  del- 
l'odierna casa  Monga,  affittata  al  sig.  Merzario,  fra  la  piazzetta  di  s.  Libera  e  quella 
del  Redentore,  aveva  scoperto  frammenti  figurati  e  architettonici  e  un  piede  colossale 
di  bronzo,  riconosciuti  come  pertinenti  all'antico  Teatro,  clie  sorgeva  ai  piedi  del  colle 
di  s.  Pietro  e  sporgeva  sino  alla  riva  dell'Adige  (').  Che  vi  fosse  stato  un  Teatro 
importante  a  Verona  ancóra  in  tempi  romani,  oltre  l'Anfiteatro,  lo  attestavano  gli 
storici  più  antichi  veronesi  ;  ma  quale  forma  avesse,  quale  estensione  nessuno  l'aveva 
potuto  rintracciare  con  esattezza  e  il  Maftei  stesso,  delle  glorie  veronesi  amantissimo, 
aveva  sostenuto  essere  follia,  in  mezzo  e  dopo  tanta  ruina,  di  volerne  ricostruire  la 
pianta  (-). 

Se  non  che,  il  fu  cav.  Andrea  Monga,  negli  anni  1834-1840  e  con  speciale  at- 
tività dal  1834  al  1838,  con  abnegazione  di  scienziato  e  con  munificenza  di  sovrano,  mise 
allo  scoperto  alcune  parti  principali  del  Teatro  romano  e  tentò  di  ricostruirlo  in  pianta 
e  in  disegni  che,  se  non  sono  esatti  in  tutti  i  particolari,  sono  approssimativamente  veri; 
ma  non  poterono  essere  mai  pubblicati.  Scoperse  inoltre  statuo,  fregi,  epigrafi,  fram- 
menti di  marmo  finamente  lavorato,  monete  importanti  per  la  storia  del  Teatro; 
ma,  morto  lui  nel  30  aprile  1861,  nessuno  più  se  ne  occupò,  e  gli  oggetti  scoperti, 
accumulati  in  un  sotterraneo,   non  potendo  più  essere   studiati,  rimasero  dimenticati. 

(')  Gli  ofrgetti  ili  cui  sopra,  in  numero  Ji  centoventi,  furono  nel  1818  dal  figlio  dott.  Silvio 
Fedele  Fontana  donati  alla  Confrregazione  municipale  di  Verona,  che  nel  1821  li  depositò  presso 
la  biblioteca  municipale,  che  fungeva  allora  da  museo.  Da  quella  passarono  poi  nel  18(vt  al  musco 
civico  (vedi  Biadego  G.  Storia  della  BMioteca  Comunale  di  Verona  1802,  p.  123-128). 

(')  Vedi  Maffei,  Verona  illustrata  IV  pag.  63-70.  Non  credo  opportuno  di  ricordare  in  questa 
breve  nota  i  disegni  o  le  piante  del  Caroto,  del  Palladio,  del  Cristofali,  per  la  maggior  parte  im- 
maginarie e  di  cui  si  parlerà  in  un  lavoro  speciale. 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  Il,  Sirie  5",  parte  2".  28 


VERONA 


—    224    —  REGIONE    X. 


Da  tutto  ciò  ne  venne  che  ben  pochi  sanno  e  degli  italiani  e  degli  stranieri 
che  a  Verona  siono  i  resti  di  un  Teatro,  anteriore  di  tempo  all'Anfiteatro  e  sotto 
molti  rispetti  storici  e  archeologici  importantissimo  ;  nò  possediamo  alcmi  lavoro  com- 
l>leto  che  ne  dia  concetto  scioutitìco  agli  studiosi  ('). 

Recatomi  con  incarico  ministeriale  a  studiare  i  monumenti  di  Verona  e  ricono- 
sciuta la  necessità  di  assaggi  opportuni  d'  escavo  sull'area  del  Teatro  per  confermare 
ed  ampliare  le  scoperte  del  Monga,  ottenni  dall'onor.  Sindaco  di  Verona,  comm. 
avv.  Augusto  Caperle,  e  dalla  onor.  Giunta,  con  deliberazione  del  25  novembre  1893, 
lo  stanziamento  di  circa  lire  cinquecento  per  compiere  gli  assaggi  e  per  eseguire  le 
fotogralìe  delle  vedute  e  degli  oggetti  antichi  piìi  importanti,  che  fiu-ono  scoperti 
sull'area  del  Teatro  dal  1757  ai  nostri  giorni. 

Gli  assaggi  condotti  su  luogo  con  sei  operai,  sotto  la  mia  direzione  e  col  solerte 
e  intelligente  aiuto  dell'ing.  capo  cav.  Tullio  Donatelli,  dell'ing.  Peretti  e  dell'asses- 
sore cav.  prof.  Spazzi  dal  29  novembre  a  tutto  il  15  decembre  1893,  diedero  risultati 
splendidi,  in  proporzione  alla  breve  durata  od  all'esigua  somma  stanziata  per  essi, 
e  confermarono  la  necessità,  anzi  l'urgenza  di  scavi  sistematici  e  completi  per  denu- 
dare tutta  l'area  del  Teatro  e  le  grandiose  sue  sostruzioni. 

I.  Sul  lato  destro  di  chi  sale  alla  piazzetta  di  s.  Libera,  fra  questa  e  la  piaz- 
zetta del  Redentore,  in  continuazione  del  piano  della  scena  e  del  lato  estremo  orientale 
dell'orchestra,  si  operò  un  escavo  della  profondità  di  m.  3,00  circa,  della  superficie 
di  m.  2,90  X  4,80,  e,  tolto  uno  dei  membri  architettonici  dei  soliti  palchetti  della  loggia 
superiore  del  Teatro,  si  rintracciò  sùbito  il  seguito  dei  lastroni  verticali  dal  lato 
della  chiesetta  di  s.  Libera,  lastroni  di  varia  lunghezza  ed  altezza  in  séguito  a  poste- 
riori alterazioni  del  luogo.  Dietro  i  lastroni  sorge  il  muro  originariamente  rivestito 
di  blocchi  di  tufo  e  più  tardi  dai  lastroni  sopradetti,  il  quale,  a  un  dato  punto,  di- 
verge seguendo  la  curva  della  cavea  e  dista  dal  termine  opposto  dello  scavo  m.  4.20. 

IL  Nel  riparto  scavi  della  Cavea  del  Teatro,  verso  l'Adige,  al  vertice  dell'angolo 
opposto  all'entrata,  formato  dai  due  muri  di  sostegno  dell'orbo  Monga  affittato  al 
sig.  Tosi,  si  lavorò  per  un  paio  di  giorni,  affondandosi  m.  1,70  Xm.  2  sotto  un 
voltino  moderno  seminten-ato,  che  sostiene  il  muricciolo  di  parapetto  dell'orto. 


(')  Intorno  al  Teatro  non  abbiamo  che  duo  brevi.ssimi  resoconti  deiristituto  .Xrcbeoìogico  {;cr- 
ni.inico  (Bull.  1837,  p.  173-175;  Ann.  1830,  !>.  181-185),  alcuni  cenni  storici  del  Benassuti  {Dell'antico 
Teatro  della  città  di  Verona,  1827)  e  un' insuflìciunto  rcl.izionc  del  l'inali  {liclnz'onc  degli  scavi 
dell'antico  romano  Teatro  ecc.,  Milano  18I.")).  Solo  il  Falkencr  ne  imbblio'p  discfrni  fatti  dal  l'al- 
ladio,  elle  crcdevansi  perduti  e  furono  da  lui  ritrovati  fra  le  carte  di  lord  liurlington  a  Lontlra 
(v.  The  Afuseum  of  class,  antiq.  II,  p.  174  e  segg.),  ma  siccome  anche  il  Falkener,  come  il  Finali  e 
gli  altri  dotti  contemporanei  aspettavano  la  pubblioa/.i'me  dello  scopritore,  il  lavoro  rimase  interrotto 
allo  stito  preliminare.  Avendo  io  ottenuto  dai  fr.itelli  Mon^'a,  sipp.  cav.  l'ictro  e  Bartolomeo,  il 
permesso  di  studiare  e  di  ]inbblicare  i  disegni  e  gli  appunti  inediti  deirìllustre  loro  padre  Andrea 
MonuM,  ò  mia  intenzione  di  riassumere  i  risultati  delle  sue  e  mie  ricerche  e,  premettendo  un'intro- 
duzione storica,  illustrare  convenientemente  il  Teatro  di  Verona  in  un  lavoro  speciale  che  è  già 
preparato,  e  che  sarà  fra  mesi  pubblicato  jpcr  cura  della  \i.  Deputazione  veneta  di  Storia  l'alri.i 
e  Cui  Concorso  drl  ^lunicipio  di  V.toii.i, 


REGIONE   X.  —   225   — 


VERONA 


Si  scopersero  intatti  tre  gradi  in  posto  e  sei  gradini  di  uno  degli  scalarla  che 
davano  accesso  ai  cunei  ed  alle  praecinctiones  del  teatro,  inoltre  intatto  il  primo  mezzo 
grado  della  cavea.  Allora  si  mise  a  nudo  lo  scalarium  nella  sua  larghezza  di  m.  0,89 
e  si  proseguì  finché,  il  terriccio  a  strampiombo  impedendo  di  continuare  senza  pun- 
telli, si  interruppero  per  il  momento  i  lavori. 

III.  Una  splendida  conferma  che  il  primo  mezzo  grado  e  i  tre  ordini 
inferiori  per  i  subsellia  continuino,  come  nel  luogo  descritto,  per  tutto  il  semi- 
cerchio, si  ottenne  dall'assaggio  importantissimo  compiuto  nel  contro  della  piazzetta 
di  s.  Libera. 

Si  .squarciò  il  suolo  a  m.  9,30  circa  dall'angolo  sinistro  della  casa  Monga,  per 
una  superficie  di  m.  5,20  X  3,20  e  alla  profondità  di  m.  3,80  circa,  tastando  il  ter- 
reno sottostante  per  circa  m.  1,20.  Seguendo  i  dati  della  planimetria  dell'Ufficio 
Tecnico  e  i  rilievi  su  luogo  presi  per  cura  dell'ing.  Peretti,  non  fu  posto  in  fallo  colpo  di 
zappa,  e  a  m.  3,06  si  scoperse  il  primo  mezzo  gi-ado  all'estremità  opposta  a  quella 
del  riparto  scavi  della  Cavea,  verso  l'Adige.  Degno  di  nota  è  un  muro  laterizio  moderno, 
perpendicolare  all'asse  della  piazzetta  e  costruito  a  volta,  che  non  si  è  potuto  accer- 
tare quale  avanzo  di  edifici  anteriori,  oppure  quale  indizio  dell'esistenza  del  primo 
mezzo  grado,  del  limite  delle  costruzioni  antiche  e  dell'imboccatm-a  o  meglio  sbocco 
di  un  euripo  romano.  È  questo  una  galleria  di  stupenda  conservazione  e  di  forma- 
zione identica  a  quella  della  parte  opposta  occidentale,  già  scoperta  nel  riparto  Cavea 
all'Adige  e  non  segnata  nella  pianta  Monga.  È  un  canale  alt.  1,5.5,  larg.  1,03,  con 
lastroni  di  pietra  sopra  e  lastroni  sotto  e  con  una  tapezzatura  di  cemento  romano 
dmissimo  ai  lati;  è  alla  profondità  di  m.  1,70  dal  pavimento  del  condotto  al 
sommo  del  vòlto  sopra  indicato  e  segue  perfettamente  la  cm-va  semicircolare 
della  cavea. 

Scoperta  questa  parte  orientale  dell'euripo.  si  rivolse  ogni  attività  ad  espurgaria 
per  quanto  fosse  possibile.  A  metri  5,15  dallo  sbocco  dell'euripo  sulla  piazza,  lungo 
l'arco  descritto  dalla  cavea  si  ritrovò  un  muro  a  secco,  rifatto  con  materiale  antico 
forse  in  epoca  posteriore,  e  sotto  il  muro  il  primo  mezzo  grado  e  tre  pei  subsellia  in 
posto,  corrispondenti  per  la  loro  misura  e  posizione  a  quelli  scoperti  nel  riparto  Cavea 
in  riva  all'Adige:  inoltre  si  mise  allo  scoperto  un  pozzo  circolare  che  scende  m.  3 
dal  piano  stradale  e  comunica  coll'esterno. 

Espurgato  l'euripo  per  m.  16,  si  mise  allo  scoperto  altro  piccolo  pozzo  circolare, 
e,  levato  da  questo  il  materiale  che  lo  otturava,  altra  parte  dell'euripo  fu  visibile  e 
altra  porzione  del  primo  gi-ado;  ma,  fattosi  l'espurgo  pai  difficile  e  costoso,  si  do- 
vette interrompere  il  lavoro  e  ricoprii-e,  ponendovi  i  segui  d'uso. 

Potei  pertanto  rilevare  che  il  condotto  sotterraneo  si  prolunga  per  m.  21,15  nel 
modo  sopradescritto,  seguendo  la  curva  della  cavea;  s'incontra  poi  a  m.  37,50  con 
la  parte  già  scoperta  dal  Monga  nel  riparto  Cavea  verso  l'Adige.  Il  punto  di  par- 
tenza scoperto  ora  sulla  piazzetta  di  s.  Libera  non  è  lo  sbocco  antico  dell'euripo, 
che  si  prolungava  in  linea  retta  alcun  poco  ancóra  verso  l'Adige  e  poi  continuava 
ad  angolo  retto  in  direzione  della  piazzetta  del  Redentore,  conginngendosi  con  la 
partu  dello  stesso  euripo  già  scoperta  iiul  riparto  scavi  al  Redentore. 


VEKONA  —   22G   —  REGIONE   X. 

Scavando  più  addentro,  al  disopra  delleuripo  e  verso  la  chiesa,  s'incontrò  il  primo 
mezzo  grado  sotto  il  vólto  laterizio  già  descritto  a  m.  2,80  dal  piano  stradale  :  quivi, 
oltre  il  mezzo  grado,  si  scoprì  il  muro  romano  a  calcestruzzo,  scaglionato,  per  ri- 
cevere i  lastroni  di  pietra  dei  subsellia,  che  di  là  furono  asportati. 

IV.  Si  potè  studiare  inoltro  il  modo  di  costruzione  della  sostruzione  della  cavea, 
cioè  lo  strato  inferiore  a  quello  a  calcestruzzo  dei  subscllia.  A  metà  dell'odierno 
vicolo  di  s.  Libera,  alquanto  più  in  h'i  dell'asso  del  Teatro,  si  scavò  una  superficie  di 
m.  2,40  X  3,40.  Alla  profondità  di  circa  m.  2,40  si  trovò  un  lastrone  squadrato  romano 
che  può  essere  stato  uno  dei  subsellia,  usato  poi  a  sostegno  della  strada,  come  un  altro 
scoperto  più  in  giù.  A  m.  3,70  di  profondità  apparvero  blocchi  squadrati  di  tufo, 
da  niq.  1  a  niq.l,.'>0,  che  continuavano  d'ogni  lato  della  strada,  uniti  fra  loro  senza 
cemento  con  due  piccole  incanalature  per  l'acqua  scavate  nd  tufo  stesso.  Ora,  sopra 
codesto  strato  di  blocchi  tufacei  veniva  costruito  il  muro  a  calcestruzzo  che  doveva 
sostenere  i  subsellia. 

V.  Lo  scavo  che  diede  nel  minor  tempo  i  mi'.^liori  risult^iti  fu  l'ultimo,  condotto 
sul  rettifilo  della  facciata  occidentale  del  Teatro  dalla  parte  del  Ponte  Pietra,  la  quale 
doveva  essere  perfettamente  simmetrica  a  quella  orientale  del  riparto  al  Redentore 
e  trovarsi  quindi  sul  prolungamento  della  perpendicolare  all'asse,  passante  per  que- 
st'ultima facciata. 

Secondo  gli  accordi  presi  in  comune  con  l'ing.  Peretti  in  base  ai  dati  della  pla- 
nimetria, che  si  riconobbe  anche  questa  volta  esatta,  feci  cominciare  l'assaggio 
sul  dinanzi  d'una  finestra,  che  dà  luce  al  riparto  scavi  già  esistente  al  Ponte  Pietra 
e  che  è  aperta  sul  piano  stradalo  del  vicolo  Botte,  che  poi,  volgendo  a  sinistra  con- 
duce al  Castel  di  s.  Pietro.  A  poca  profondità  si  scoperse,  come  si  sperava,  una  delle 
pareti  laterali  della  scala  e  precisamente  il  cornicione  all'esterno,  il  piano  scaglionato 
dei  gradini  all'interno. 

Si  delinearono  in  breve  all'esterno  i  massi  di  tufo  e  una  delle  colonne  colossali 
che  ornavano  la  facciata,  por  la  lunghezza  di  m.  3  circa  e  l'altezza  di  m.  4,30  circa.  Il 
cornicione  che  corre  sopra  la  colonna  e  la  parete  attigua  stanno  profondi  m.  1,70  dal 
piano  della  strada,  ra.  2,20  dal  piano  dello  scavo  interno  più  basso;  le  sostruzioni  dei 
gradini  dello  scalone  sono  m.  3,7r>  sotto  il  piano  della  finestra  sul  riparto  interno 
sopradetto. 

I  risultati  ottenuti  da  codesti  assaggi,  oltre  la  conoscenza  più  esatta  delle  varie 
parti  del  Teatro,  dei  vari  condotti  sotterranei  e  delle  sezioni  architettoniche  di  tutto 
l'edificio,  offrirono  specialmente  la  conferma  della  sussistenza  delle  sostruzioni  dei  cunei 
e  di  parte  dei  relativi  subscllia  nella  cavea,  inoltre  condussero  alla  scoperta  di  membri 
architettonici  importantissimi,  che  completano  la  conoscenza  del  Teatro  e  sono  di  tale 
importanza  da  raccomandare  un  provvedimento  pronto  e  conveniente  anche  da  parte 
del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione. 

Frattanto  di  tutti  codesti  assaggi  ottenni  dall'Ufficio  Tecnico  che  rimanga  traccia 
visibile  al  visitatore  ed  allo  studioso  per  agevolare  all'uno  la  ricostruzione  mentale 
del  Teatro,  all'altro  l'opera  susseguente  d'escavo.  Furono  inoltre  fatti  i  rilievi  oppor- 
tuni dall'ing.  Peretti,  che,  riportati  poi  nella  planimetria  del  Teatro  e  adiacenze,  sa- 


REGIONE   X.  —  227   —  VERONA 


ranno  resi  di  pubblica  ragione,  ridotti  in  scala  minore,  nelle  tavole  e  piante  annesse 
alla  prima  parte  dell'illustrazione  del  Teatro  ('). 

Quanto  agli  oggetti  scoperti  o  ritrovati  diu-ante  il  periodo  de"  miei  studi  intorno 
al  Teatro,  poco  venne  alla  luce  dagli  assaggi  suesposti,  perchè  non  fatti  su  larga  scala, 
né  molto  profondi.  Furono  raccolti  due  frammenti  d'epigrafi,  l'uno  m.  0,11X0,08, 
dello  spess.  di  m.  0,07  in  pietra  locale  grezza  con  le  lettere  E  C,  l'altro  0,095  X  0,105, 
dello  spess.  di  m.  0,06,  di  biancone  veronese  con  le  lettere  colorate  in  nero  P  F.  Si  ca- 
varono inoltre  due  monete  medioevali  e  una  moderna,  alcune  lastrine  di  porfido  di 
rivestimento  e  qualche  frammento  d'ornato  dello  stesso  carattere  di  quelli  riconosciuti 
come  pertinenti  al  Teatro.  Quello  che  più  importa  pei  nostri  studi  e  che  non  posso 
passare  sotto  silenzio  è  il  ritrovamento  sopraccennato  degli  oggetti  già  scoperti  dal 
Monga,  ancora  ignoti  al  mondo  scientifico  e  che  illustrerò  particolarmente  a  suo  luogo 
con  le  fotografie  relative.  (-) 

Per  intromissione  del  eh.  sig.  Prefetto,  conte  Sorniani  Moretti  e  del  eh.  sig.  Sindaco, 
ottenuto  il  permesso  dai  proprietari  sigg.  Monga,  feci  trasportare  in  una  sala  superiore 
dell'antico  convento  di  s.  Gerolamo  quattro  busti  laureati  e  vittati,  che  dovevano  ap- 
appertenere  a  quattro  erme  di  carattere  decorativo,  verosimilmente  di  marmo  greco  e 
di  fine  lavoro.  Ispirate  tutte  dall'ambiente  teatrale,  due  di  queste  erme  rappresen- 
tano i  tipi  giovani  e  due  i  tipi  adulti  di  Dionysos  e  di  un  suo  satiro,  con  evi- 
dente contrasto  fra  loro.  L'Ercole  giovane,  in  marmo  italico,  che  potè  vedere  il  Dutschke 
quando  fu  a  Verona  e  che  cita  come  appartenente  al  Teatro  {^),  non  lo  ritrovo 
fra  le  statue  del  Teatro,  né  lo  potrei  identificare  con  certezza  con  alcuna  delle 
sopracitate. 

Nella  stessa  sala  sopracitata  ebbi  cura  che  fossero  trasportati  tutti  gli  altri  og- 
getti artistici.  Ammirasi  ima  sfìnge  che  può  essere  stata  spalliera  del  trono  imperiale, 
e  frammenti  di  altra  si  sono  trovati  sparsi  fra  il  materiale  ;  ammirasi  una  parte  della 
spalliera  e  di  un  bracciale  del  trono,  con  rilievi  greci  finissimi  rappresentanti  la  testa 
di  un  ariete  e  quella  di  un  gallo  che  sono  davvero  una  creazione;  termina  la  spal- 
liera con  un  bel  satiretto  frammentoso,  di  marmo  greco  e  di  egregio  scalpello.  Parte 
dell'altro  lato  simmetrico  della  spalliera  e  dell'altro  bracciale  sta  ancóra  immurato 
in  una  delle  pareti  del  Museo  Filarmonico  al  u.  417(')-  L'altro  putto  alquanto  con- 


{')  Questa  prima  parte,  che  è  gii  in  corso  di  stampa,  contiene  la  storia  degli  avvenimenti 
relativi  al  Teatro,  degli  studi  e  degli  scavi  Monga  e  la  descrizione  dello  stato  attuale  delle  rovine; 
la  seconda  parte  sarà  composta  a  scavi  compiuti  e  completi. 

(')  Le  fotografie  del  Teatro  romano,  eseguite  dallo  Stabilimento  fotografico  Kaiser,  in  numero 
di  cinquantaquattro  sono  già  state  raccolte  e  depositate  in  busta  speciale  presso  l'Uflicio  Tecnico  muni- 
cipale, come  proprietà  del  Comune,  e  saranno  cedute  alla  Biblioteca  come  album  completo  di  ve- 
dute e  di  fotografie  di  oggetti  antichi  pertinenti  al  Teatro  romano,  a  complemento  di  questa  nota 
e  del  lavoro  maggiore. 

(3)  Ant.  Bildw.  ini  Oberitaì.  IV,  p.  277,  n.  26S.  -  Il  n.  G30  che  cita  eine  schlecht  erhaltene 
Ilerme.istatuc  non  appartiene  al  Teatro  e  fu  comperata  dal  Munga  a  Mantova. 

{')  Maire!,  Mui.  ocroii.,  \\  101,  n.   117. 


VERONA  —   228   —  REGIONE   X. 

sunto  dal  tempo  e  dall'acqua  fu  ritrovato  nei  recenti  scavi  dell'Adige  certamente  ro- 
tolato insieme  con  le  macerie  nel  fiume  ('). 

Fu  ridata  alla  luco  anche  una  graziosa  cariatide  di  marmo,  o  per  meglio  diro 
un  torso  antico  acefalo,  di  proporzioni  e  di  fattura  squisita,  di  marmo  greco  anch'esso, 
supplito  come  cariatide  con  testa,  braccia  e  piedi  moderni.  Lo  scopritore,  che  aveva 
l'ottima  intenzione  di  formare  un  museo  teatrale,  aveva  di  suo  provveduto  al  restauro 
di  questa  come  della  sfinge,  che  è  in  molti  punti  ritoccata,  e  di  altri  oggetti  d'arte  ; 
ma  il  restauro  non  è  riuscito  perfettamente,  anclie  per  la  diversa  qualità  del  marmo. 

Deffni  di  nota  sono  i  frammenti  di  una  statua  colossale  di  marmo,  di  cui  altri 
frammenti  e  molto  interessanti  furono  trovati  appartenenti  ad  essa  fra  quelli  scoperti 
nel  17(30  e  dal  dott.  Silvio  Fedele  Fontana  donati  al  Museo;  un'altra  statua  mono 
colossale,  di  tipo  satiresco,  doveva  ornare  il  Teatro,  appoggiata  sul  ginocchio  destro, 
e  di  questa  molti  frammenti  sparsi  vedonsi  fra  il  materiale  del  Teatro. 

Il  tipo  di  gorcjoneion  su  un  circolo  a  raggi  e  ornati,  accennato  di  sfuggita  dal 
Dutschko  (-)  non  ò  che  uno  dei  tanti  ornamenti  circolari,  di  cui  frammenti  innu- 
merevoli furono  da  me  ritrovati  recentemente.  E  cos'i  dicasi  di  altri  frammenti  di  bas- 
sirilievi  finissimi  lavorati  e  di  una  lastra  di  marmo  dello  spessore  da  0,04™  a  0,05™ 
da  ambi  i  lati,  e  di  argomento  fra  loro  diverso.  Non  sono  ancora  conosciuti,  fanno 
parte  della  categoria  dogli  oscilla,  di  cui  si  vedono  scelti  esemplari  al  Museo 
di  Napoli.  Fu  tale  la  distmzione  antica  e  moderna  di  codesti  cimeli  di  arte  finis- 
sima, che  ben  poco  si  può  ricostruire  delle  scene  scolpite,  quantunque  ogni  frammento 
di  scena  sia  per  sé  istruttivo  e  degno  di  illustrazione;  però  una  di  codeste  doppie 
rappresentanze  figurate  si  è  por  ventura  conservata  intera  e  l'altra  per  buona  parte 
si  potò  ricongiungere.  Quella  intera  è,  per  così  dire,  una  pseudopelta,  le  cui  estremità 
lunate  rappresentano  il  motivo  delle  teste  dei  grifi  affacciautisi,  che  incontrasi  anche 
negli  oscilla  di  Napoli.  Nel  campo  vedesi  d'un  lato  la  pugna  fiera  tra  un  gladiatore 
ed  una  tigre,  dall'altro  la  sfinge  che  tiene  con  la  zampa  destra  il  braccio  d'un  cadavere, 
di  cui  appare  il  teschio  più  innanzi  con  altri  resti  umani.  L'altra  rappresentanza 
frammentosa  rappresenta  scene  di  satiri  allusive  al  Teatro. 

Troppo  lungo  e  inopportuno  riescirebbe  il  parlare  in  questo  momento  dei  singoli 
frammenti,  oltre  quelli  architettonici;  cornicioni,  capitelli,  colonne,  plinti,  sime,  ecc., 
alcuni  di  squisito  stile  ionico  e  corintio,  di  finissimo  marmo,  greco  e  italico.  No- 
tisi inoltre  una  numerosa  e  varia  serio  di  marmi  orientali  e  africani,  che  dovevano 
rivestire  le  varie  parti  visibili  e  più  decorate  del  Teatro. 

Ciò  che  è  maggiormente  degno  di  nota  e  su  cui  desidero  di  richiamare  l'attenzione 
è  il  fatto  che  altra  serio  numerosa  e  varia  degli  stessi  frammenti  architettonici  fu 
scoperta  sull'area  del  Teatro,  ma  in  altra  località,  dal  sig.  Gian  Maria  Fontana, 
che  già  nominai,  ed  è  identica  nello  misure  e  nei  particolari  motivi  artistici  alla 
serie  che  il  Monga  scoperse    nei  suoi  scavi  dal  ÌH'.ii  al  1831».  Cos'i  alcuni  oggetti  di 


(')  V.  Catal.  ma.  (IcH'Uff.  TeCn.  n.  3.53:  Frammento  di  putto  di  marmo  greco  trovato  presso 
i  ruderi  del  Ponte  Postumio  (30  gingno  1891). 

(«)  Dutichkc,  Ani.  lìildir.  im  Oberital.  IV.  y.  Ili,  n.  G2it. 


REGIONE    X.  —    229    —  VERONA 

bronzo,  raccolti  in  due  vetrine  nella  recente  raccolta  del  Teatro,  ritrovano  la  cou- 
ferma  della  loro  pertinenza  al  Teatro  stesso  in  uno  stupendo  colossale  piede  romano 
di  bronzo,  già  scoperto  dal  Fontana  e  donato  al  museo  Civico  di  Verona. 

Occorrono  inoltre  frammenti  di  mosaico,  di  cotto,  di  muri  parietali  dipinti,  an- 
fore balnearie,  acroteri  ed  autetìsse  in  terracotta,  epigrafi  frammentose  di  varie  epoche 
e  su  vario  materiale,  che  pubblicherò  insieme  con  gli  altri  oggetti  a  suo  luogo. 

Per  ora  mi  basta  di  aver  mostrato  che  dinanzi  a  un  monumento  fra  i  ben  con- 
servati e  i  meno  conosciuti  d'Italia  come  è  il  Teatro  di  Verona,  è  veramente  il 
caso  che  Governo,  Provincia,  Municipio  concorrano  con  nobile  gara  per  la  riuscita  di 
un'opera  importante  per  la  scienza,  per  il  decoro  e  per  l'utile  stesso  della  città. 
Si  tratta  di  un  teatro  che  si  può  scoprire  interamente,  che  è  posto  sul  pendio  del 
colle  più  storico  di  Verona  romana,  che  i  vari  sistemi  di  costruzione,  gli  stili.  le 
epigrafi,  le  monete  confermano  una  delle  opere  più  antiche  di  Verona  romana  ed 
usata  come  teatro  pubblico  fino  agli  ultimi  tempi  dell'Impero. 

Va  data  pertanto  lode  sincera  al  sig.  Prefetto,  sen.  Sorniani  Moretti,  che  tentò 
già  anni  fa  un  accordo  per  gli  scavi,  e  voto  favorevole  ed  unanime  al  grandioso 
progetto  che  presto  farà  approvare  il  sig.  Sindaco  comm.  Caperle,  quello  della  cassa  dei 
monumenti  e  musei,  nella  quale  riversando  tutto  quello  che  dai  monumenti  e  musei 
ricava  il  Comune,  a  vantaggio  di  questi,  per  gli  scavi  e  i  restami  opportuni,  saranno 
devoluti  gl'introiti  ed  i  fondi.  E  quest'opera  intelligente  e  patriottica  dev'essere  in 
ogni  modo  aiutata. 


"o 


2.  Epigrafi  etnische  e  varie  di   Verona. 

Pubblico  altre  tre  iscrizioni  appartenenti  alla  collezione  dei  conti  Gazzola,  che 
già  si  è  provata  sospetta  per  molte  epigrafi  latine  e  greche  che  pubblicai  nelle  Notizie 
del  gennaio  1893  (pag.  17-19).  Questa  volta  sono  epigrafi  etrusche,  che  vidi  nel  cortile 
del  palazzo  dei  conti  Gazzola  (piazza  S.  Maria  in  Chiavica)  nei  giorni  13-15  set- 
tembre del  1892.  Ora  sono  state  trasportate  al  museo  Civico  insieme  con  le  epigrafi 
greche  e  latine  già  da  me  illustrate  e  con  tutto  il  materiale  archeologico  e  zoo- 
logico del  museo  Gazzola,  acquistato  dal  Municipio  di  Verona.  Le  lastre  inscritte  pro- 
vengono dai  poderi  Gazzola,  o  da  Quaderno,  sulla  linea  di  Mantova,  o  dalla  Palazzina, 
nel  comune  di  s.  Giovanni  Lupatoto,  o  da  Koverchiaretta,  circondario  di  Legnago. 
Non  si  sa  a  quando  rimonti  la  scoperta;  da  cinque  o  sei  mesi  giacevano  neglette  nel 
cortile  e  mi  furono  mostrate  insieme  con  tegoloni  antichi  di  m.  1  circa  di  altezza 
e  0,50'"  di  larghezza,  formanti  sarcofago  e  scoperti  a  Koverchiaretta,  secondo  le  indi- 
cazioni degli  scopritori,  nella  campagna  Crosara,  unitamente  a  monete  e  a  piccolo 
recipiente  di  terra  cotta  ora  perduto. 

In  apparenza  codeste  tre  iscrizioni  paiono  ottime  epigrafi  etrusche,  ma  invece 
sono  tutte  e  tre  falsificazioni.  La  trasposiziono  di  alcune  lettere,  il  ducU's  della  le- 
zione, specialmente  in  riguardo  del  principio  e  della  fine  dei  tratti  rettilinei  e  curvi, 
alcune  forme  peculiari  al  falsario  che  si  ripetono  e  si  allontanano  dal  buon  uso,  infine 
il  materiale  su  cui  sono  scolpite,    eh'  è   verosimilmente  pietra  di  Saltrio,  giustificano 


VBRONA 


—  23U  — 


REOIONE   X. 


i  dubbi  eh'  io  mi  ero  formato  e  cho  contoraporaneamente  a  me  esponeva  par  suo  conto 
anche  il  sig.  Cordenons,  direttore  del  Museo  di  Padova,  in  una  sua  lettera  al  sig.  Sgul- 
mero,  vice  bibliotecario  della  Comunale  di  Verona. 

Ora  il  eh.  prof,  coniin.  Lattes.  professore  emerito  della  li.  Accademia  Scientifica 
Letteraria  di  Milano,  gentilmente  mi  comunica  il  suo  giudizio  circa  le  epigrafi  in 
questione,  che  io  riporterò  insieme  con  la  pubblicazione  dei  facsiniili  delle  epigrafi 
e  con  alcuno  mio  note,  innanzitutto  per  porre  in  guardia  gli  studiosi  e  poi  perché 
come  falsificazioni  sono  importanti  : 

Ecco  le  osservazioni  del  prof.  Lattes:  •  Le  tre  iscrizioni  etrusche  di  Verona 
sono  tutte  e  tre  copie  inesatte,  ma  molto  interessanti  d'epigrafi  già  note: 

1»  -  V.  Fabr.  1382:   [fhtavc .  Vdxeim  |  LarOiia.  Vipis    Gasp  \  res{^)\  lamina 


plumbea,  oggi,  come  pare,  a  Béziers,  essa  medesima  forse  una  falsificazione  di  Fabr, 

Primo  sappi.  340,  oggi  a  Napoli  (cfr.  Deecke  Elr.  Farseli.  HI,  p.  195-tì,  n.  31)  ". 

2»   .  V.  Fabr.  935  tav.  XXXIII  e  Gloss.  col.  811  =  C  /.  /..  !..  p.  255:  L(arO). 


Cae.  CaiUias'  (in  lettere  etrusche);  L(arO)  —  Cae  —  CauUas  (in  lettore  latine  con  II 
juT  A'  e  col  nesso  THC  finora  inavvertiti  l'uno  v  l'altro),  tegolo  di  Montepul :iano, 
oggi  a  Firenze  •. 

i?»  ^  Fabr.  901  e  Gloss  1529;  ÌMrH.  Numsi  \  liau/ias  ,  tegolo  sepolcrale  id.  ib.  «. 


Cj  II  faliiarii)  Irnaportù  Casip  —  nella  prima  liiira  o  irnlascib  res.  Si  notino  le  forme  dell  a 
.liTcmc  'Uiroriftinnlo  coi  tratti  cgagerati  (fi  fi  fl)  v  io  h  di  Uhlave,  che  pare  mi  H  di  J'iifra  del 
periodo  arctirisriiiio. 


REGIONE     X. 


—  2ai  — 


VERONA 


«  Fra  lo  particolairità  del  falsario  ù  la  sua  personale  simpatia  per  quella  forma 
di  S,  che  pare  5  arabico  capovolto  e  che  egli  pose  nello  strano  Nuais,  da  lui  sur- 
rogato per  falsa  lezione  al  genuino  Numsi ,  forse  perchè  avea  sottocchi  Fabr.  871, 
(love  quel  S  occorre  due  volte,  di  cui  una  precisamente  in  Nuasiae  »   ('). 


ob.oSr/ì'd-boiòhCQhu-jó 


Devo  la  conoscenza  di  codesta  epigrafe  alla  gentilezza  del  prelodato  sig.  Pietro  Scrul- 
mero.  L'epigrafe  è  di  sua  proprietà  e  gli  fu  consegnata  nel  maggio  del  1887  da^li 
eredi  del  fu  Simone  Meneghelli,  antiquario  in  Verona,  morto  nel  1887.  Io  la  vidi 
il  settembre  1893  e  ne  ritardai  la  pubblicazione,  tentandone  invano  l'interpretazione 
anche  dietro  le  indicazioni  di  persone  competenti. 

Il  p.  Placido  Bresciani,  in  una  raccolta,  in  fogli  sparsi  e  in  minute  copie,  di 
iscrizioni  greche,  latino  e  medioevali,  cho  ora  trovasi  con  altri  suoi  mss.  nella  bi- 
blioteca Capitolare  di  Verona  (sala  Maffeiana) ,  unisce  un  facsimile  abbastanza  fedele 
di  codesta  iscrizione  e  ci  dà  la  seguente  notizia  preziosa  :  trovata  a  La::ise  (la»o  di 
Garda)  in  occasione  di  fare  un  fabbricato  nel  1785,  presso  il  nob.  sig.  Paulino  Gian- 
filippi. 

Ora  il  eh.  sig.  Sgulmero,  che  trovò  presso  gli  eredi  Meueghelli  libri  provenienti 
dalla  libreria  Gianfilippi,  crede  molto  verosimilmente  che  l'antiquario  Menec^helli 
abbia  acquistato  lapide  e  libri  nel  1848,  quando  la  sostanza  Gianfilippi  andò  divisa 
e  venduta.  Lo  Sgulmero  raffronta  codesta  epigrafe,  quanto  al  carattere,  con  l'iscrizione 
di  Gaudenzia,  che  era  nel  Cimitero  di  Ciriaca  e  che  fu  donata  dal  Boldetti  al  mons.  Bian- 
chini (M.  A.  Boldetti:  Cimitero  di  Ss.  .Martiri  ed  antichi  Cristiani  di  Roma  I,  84-85). 
Infatti  nell'ultima  linea  di  quell'epigrafe:  Anime  (sic)  Innocenti  Gaudeniiae  que  (sic) 
vixit  *  an.  V.  m.  VII  d.  XXI  in  pace,  si  legge  in  caratteri  di  un  unciale  goffo  e 
barocco,  tutto  a  curve,  apici  e  nessi;  Mercarim  pater  filiae  ('J)  V  idus  nocemb.  Urso 
et  Polemio  coss.  Il  dicctus  assomiglia  molto  a  quello  della  nostra  epigrafe,  come  a 
quello  di  altre  due  epigrafi  della  raccolta  Bresciani  sopracitata,  che  non  è  qui  il 
luogo  di  esaminare.  Tentai  di  decifrare  con  l'aiuto  di  queste  la  nostra  epigrafe,  ma 


(')  Io  lof,'f,'o  Numsi  (fai  iiii(j  cafcu,  qicinluiniui!  at(iii:iiito  confuso  Vm  e  quasi  abrasu  l'i  lìnaK'; 
il  falsario  avrebbe  (lun(|ue  copiato  senza  alcuna  alterazione  il  Numsi  genuino.  Oltre  l'uso  del  sejriio  2 
per  il  S ,  si  Udii  la  i)rcdilezione  del  falsario  per  l'V  a  calice  ed  obliquo. 


Classk  di  scienze  morali  ecc.  —  Mkmorik  —  Voi.  II,  Serie  5°,  parte  2" 


20 


VERONA.    VENEZIA  —   232   —  REGIONE   X. 


le  lettere  formano  un  accozzo  di  parole  senza  8Ìj,'niticato.  Daltra  parto  la  nota  mss. 
del  Bresciani  circa  la  provenienza  della  lapide  allonUinerebbe  la  supposizione  di 
Talsitil  della  medesima. 

Kpi.Urafo  greca  falsa,  copiata  presso  il  fu  cav.  Alessandri,  <,'ià  conservatore  del 
museo  Civico.  È  immurata  nel  cortile  del  suo  palazzo  ed  è  di  pietra  bruna  lucente, 
molto  simile  a  quella  di  Saltrio,  alt.  m.  0,385,  larg.  m.  0,17,  dello  spess.  di  m.  0,03, 
lettere  0,02.  Leggesi  : 

MENANAPOC  I  lEPAnOAETHC  |  nPOC  |  MENANAPON  |  nOTAMON 
MèinV(S(ioc  ifQarTolèti^i  ttqÒc  Mnatógoy  rTOiccuiii. 

Cfr.    Kaibel,    /.   G.  S.  ci  It.   n.  1848  (Roma)  :   MìvhvSqoì:  Uqa7ToXtti]c  ttqòì 

MfcivÓQor  TTotKUÓr. 

S.  Ricci. 


II.  VKNKZIA  —  Di  un'importante  epigrafe  cretese  rinvenuta  nella 
Basilica  di  s.  Marco. 

Durante  il  mio  soggiorno  a  Venezia  por  la  revisione  delle  iscrizioni  cretesi  che 
si  trovano  sparse  nei  musei  pubblici  e  privati  e  nei  codici  «li  quella  città,  dovetti, 
per  studiare  il  marmo  del  lato  opposto  allo  scritto,  die  è  la  nota  epigrafe  cretese 
della  Basilica  di  s.  ilarco  ('),  rimuovere  la  lastra  dall'incassatura  di  legno  e  stac- 
carne lo  strato  di  gesso  che  la  ricopriva  da  tutti  gli  altri  lati.  Fui  sorpreso  nel  ri- 
conoscere all'intorno  della  lastra  rettangolare,  nel  senso  dello  spessore,  lungo  uno 
dei  lati  maggiori  e  lungo  i  due  minori,  un  fregio  ottimamente  conservato  e  tìnora  non 
rilevato  da  alcuno.  Sìibito  lo  identificai  con  quello  ricorrente  per  tutta  la  facciata  della 
Basilica  nella  costura  dei  piloni,  fra  il  primo  e  il  secondo  ordine  di  colonne  ed  anche 
altrove.  Consiste  il  fregio  in  due  fascio  a  scacchetti  altornautisi.  in  mezzo  ai  quali 
corre  una  lista  sporgente  d'ornato  a  foglia  di  edera;  esso  è  indubbiamente  del  sec.  XIll. 
Nella  zona  mediana  della  lastra,  dalla  parto  non  scritta,  si  vedono  ancora  le  im- 
pronte a  stella  del  cemento  che  teneva  fissi  i  capitelli  delle  due  colonne  sottostanti, 
alle  quali  la  lastra  serviva  di  abaco.  Accertatomi  da  questi  indizi  che  quella  lastra 
fortunata  doveva  avere  un  posto  speciale  nella  storia  della  Basilica,  e  che  questa  storia 
a  sua  volta  doveva  dilucidare  quella  della  lastra,  mi  rivolsi  al  eh.  ing.  comm.  Sac- 
cardo,  direttore  dei  lavori  di  restauro  di  S.  Marco  e  dello  Studio  di  mosaico. 

Risult«S  dalle  sue  gentili  informazioni  che  la  lastra  ora  stata  da  lui  scoperta 
nell'agosto  del  1882,  nel  secondo  intercolunnio  della  facciata,  venendo  dalla  piazzetta 
0  precisamente  al  posto  del  pilone  delle  arcate  nell'ordine  superiore.  La  lastra  di 
marmo  fu  sostituita  da  altra  identica  e  ceduta  al  Museo  dalla  Fabbriceria  della  Ba- 
silica; essa  faceva  parte  di  tutto  il  restauro  ed  ornato  della  l?asilica  anteriore  al  13U(>. 
ed  il  fregio  architettonico  doveva  perciò  essere  di  (piel  periodo  di  tempo,  come  del 
resto  risulta  evidente  dallo  stile  stesso  del  fregio  e  dalle  colonne  in  posto  sottostanti, 

(')  Comp»retti   II.  .I/mi.  ilnl.  tii  antich.  rlnst.  I,  |i.   lll-l"i'i. 


REGIONE   X.  —   238   —  VENEZIA 

che  hcanno  la  fop^lia  piotezionale,  o  poi  anche  dal  fatto  che  nel  1385  incominciarono 
ujI  sommo  della  tacciata  le  decorazioni  dello  stile  gotico  successivo  al  nostro  in 
questione. 

Ora,  siccome  la  cronaca  Da  Canale,  che  accenna  agli  ornati  artistici  della  fac- 
ciata, s'arresta  al  1275  e  parla  di  un  mosaico  di  quel  tempo,  che  ancfira  si  vede 
in  posto  nell'ultima  arcata  a  sinistra,  per  chi  guarda  la  facciata,  rappresentante  ap- 
punto la  facciata  della  Basilica  col  nostro  ornato,  risulta  evidente  che  questo  appar- 
tiene al  periodo  1204-1275  e  che  molto  prima  del  1275  l'epigrafe  cretese  doveva 
essere  stata  trasportata  a  Venezia  da  Creta  direttamente  o  forse  da  Costantinopoli,  in 
occasione  del  ritorno  trionfale  a  Venezia  dui  doge  Enrico  Dandolo  (12U4)  ('). 

È  dunque  impossibile  che  la  nostra  epigrafe,  già  prima  del  1275  membro  ar- 
chitettonico delia  facciata,  sia  la  stessa  che  servì  al  testo  del  foglio  Molin,  di  cui 
parla  il  eh.  Comparetti  nella  sua  pubblicazione,  foglio  ora  perduto,  stampato  in  sè- 
guito al  trasporto  nel  decimo  sejìtimo  saeculo  (-)  ed  erano  quindi  giustificati  i  dubbi 
dello  stesso  prof.  Comparetti,  che  rilevava  già  fin  dal  1884  che  l'epigrafe  della  Basilica 
mancava  dell'aggiunta  fatta  di  comune  accordo  fra  le  due  città  (che  leggesi  invece 
nel  foglio  veneto),  e  che  questo,  d'altra  parte,  si  mostrava  mancante  di  brani  che 
la  nostra  epigrafe  porta  scolpiti  tuttora  leggibili. 

In  attesa  di  maggiori  dilucidazioni,  il  marmo,  dietro  mia  proposta  e  per  gentile 
concessione  del  eh.  comm.  Barozzi,  direttore  dei  RR.  Musei  e  Gallerie  di  Venezia, 
non  si  vede  più  come  prima  ingessato  nell'incassatura  di  legno,  ma  è  stato  posto  su 
sostegni  a  rotelle,  ad  un'  altezza  che  renda  agevole  il  vederlo  e  studiai'lo  da  ogni  lato, 
e  gli  sarà  apposta  una  targhetta,  che  ne  ricordi  la  pertinenza  alla  Basilica,  come 
membro  architettonico,  e  la  sua  storia  come  epigrafe,  storia  che  merita  d'esser  nota 
anche  ai  non  specialisti  della  materia,  perchè  interessa  Creta,  ma  più  ancóra  Venezia. 

S.  Ricci. 


(')  Un'altra  importante  epigrafe  cretese  rimane  tuttora  a  Costantinopoli  ed  ò  il  giuramento 
di  quei  di  Dreros  (v.  Cauer,  Delectus" ,  n.  121:  Ì7i  museo  Turcico  ecclesiae  s.  /renne). 

(2)  Gli  studi  del  Torres  y  Eibera  {Antiqui t.  crei.,  cap.  I.  jiag.  28  e  segg.,  cfr.  Periphs  Cretae, 
p.  13-14)  avevano  posto  in  luce  che  il  testo  di  codesto  foglio  prezioso  era  stato  tratto  da  un'epi- 
grafe che  Francesco  Molin  vide  in  quel  di  Kydonia  in  Creta,  saeculo  elaòente  decimo  septimo  non 
procul  a  Salinis,  quam  (tabulam)  ruslicus  quidam  prò  mensa  adhibere  sueverat,  e  che  spedì  su- 
bito al  fratello  Domenico,  senatore  veneto    e   raccoglitore   di   antichi  monumenti,  non  quidem,  ut 

Chishullus  prodidit,  anno  16 J.'),  cum  Dominicus  Molinus  diem  suum  obierit  17  die  nov.  a.  1033 

decem  nimiruìn  tot  annos  ante  detecti  ac  transmissi  lapidis  epochnm  a  Chishullo  e.rpressam 

Ora  riidiiiità  (lell'argoinento  tra  il  testo  del  fofjlin,  che  ci  ò  i)crvenuto  per  mezzo  ihd  CliisliuU,  e 
quello  dcH'cpigrafe  della  Basilica  aveva  indotta  ad  idontificaro  l'uno  coiraltro. 


NONTEUARCIANO,   AN'CONA  —   2.i\    —  RKOIONE    VI,    V. 


Regione  VI  (UMBRIA). 

111.  Mi.LNTKMAKClAiNt.)  —  l)i  un  ripoatiijlio  di  nionclc  coììnohiri  di 
argento. 

In  ui)  predio  di  proprietà  del  sig.  Enrico  Àndroanelli,  situato  in  contrada  (ia^'- 
giola,  fu  casualmente  rinvenuto  un  ripostiglio  di  208  monete  familiari,  di  argento, 
contenuto  entro  una  rozza  olla  di  terracotta,  a  ni.  0.(5U  di  profondità. 

Le  monete  spettano  allo  famiglie  ^^eguenti  :  Aburia  1.  Aelia  1.  Antestia  1.  An- 
tonia 4.  Atilia  1.  Caocilia  4.  Calpurnia  12.  Cipia  2.  Claudia  7.  Coelia  1.  Cornelia  2. 
Crepusia  2.  Curtia  1.  Egnatia  3.  Fabia  2.  Flaminia;?.  Fonteia  8.  Furia  4.  Julia  11. 
.Tunia  4.  Licinia  7.  Lucilia  3.  Lucretia  4.  Lutatia  1.  Manlia  4.  Marcia  8.  Maria  3. 
Memmia  2.  Miuucia  4.  Naevia  5.  Papia  2.  Papiria  2.  Plautia  1  Poblicia  2.  Pom- 
peia  2.  Porcia  2.  Postumia  7.  Procilia  8.  Ilubria  3.  Rutilia  7.  Satriena  3.  Scribonia  1. 
Sempronia  1.  Sorgia  2.  Sernlia  1.  Thoria  1.  Titia  7.  Tituria  9.  Trebania  1.  Tullia  1. 
Vibia  2U.  Volteia  (J.  Incerte  4. 

C.    ClAVARINI. 


Regione  V  (PICENUMJ. 

IV.  ANCONA  —  Tombe  ed  avaìid  di  coslrtaioni  di  eia  varia  sco- 
perti in  piazza  Cavour. 

Sulla  fine  del  passato  marzo,  cominciarono  i  lavori  di  sterro  per  le  fondamenta 
del  nuovo  palazzo  delle  Ferrovie,  nella  piazza  Cavour. 

La  valle  in  cui  si  sta  costruendo  il  detto  palazzo,  chiusa  tra  il  colle  dei  Cap- 
puccini e  quello  del  Cardeto  a  nord,  ed  il  colle  di  8.  Stefano  a  sud  e  che  si  allarga 
dalle  vecchie  mura  e  dalla  porta  Calamo,  trent'anni  fa  demolite,  fino  alla  nuova  cinta 
ed  a  porta  Cavour,  si  chiamò,  modernamente  la  piana  degli  orli,  e  nel  medio  evo 
t>alle  (li  Penocchiara  (nelle  carte  del  sec.  XI  è  detta  Peneclaria). 

Prometto  pure  che  la  tradizione  e  le  memorie  dei  cronisti  riferiscono  che  nel 
prossimo  colle  di  s.  Stefano  si  edificò  nel  primo  secolo  una  memoria  a  quel  santo; 
e  nel  V  secolo  una  chiesa  allo  stosso  vi  fece  innalzare  Galla  Placidia,  chiosa  che 
fu  la  cattedrale  anconitana  fino  ai  secoli  X  o  XI  circa.  Inoltre  sappiamo  che  in 
Penocchiara  fu  anche  una  chiesa  dedicata  a  s.  Silvestro,  la  quale  nell'anno  510  già 
demolita  dai  barbari,  era  ridotta  un  mucchio  di  rovine.  Nel  VI  secolo,  in  seguito 
al  terremoto  del  5.")S,  gli  abitanti  del  colle  di  s.  Stefano  scesero  a  fabbricare  caso  nel 
piano  sottostante;  e  nel  secolo  XI  i  monaci  Benedettini  •  nelle  vicinanze  di  b.  Stefano, 
nella  piana  degli  orti  •    murarono   il   monastero   di  s.  Gio.  Battista  {Ecclesia  Pene- 


REGIONE    V.  —    235    —  ANCONA 

claria,  in  fundo  Peiieclaria,  fonte  Alcìiara:  da  carte  del  1051)  con  ospedale  per  i 
poveri  malati  e  con  cura  di  anime.  Questo  monastero,  accresciuto  nel  1168  con  la 
parrocchia  di  s.  Giacomo,  si  mantenne  fino  al  secolo  XIV,  come  si  ha  dalle  carte 
del  1191,  1205,  1296,  1300;  ed  era  quasi  demolito  quando  fu  abbandonato  dai 
monaci  nel  14G4  (Ann.  Camaldolesi);  e  forse  il  suo  materiale  venne  adoperato  nel  1532 
per  la  costruzione  della  cittadella,  ordinata  dal  papa  Clemente  VII. 

Vi  fu  inoltre  una  fontana  di  s.  Giovanni,  e,  più  tardi,  la  Madonna  degli  orti. 

Rammento  da  ultimo  che  in  cotesta  valle,  dai  Goti  in  poi,  si  attendarono  sempre 
i  nemici  i  quali  assediarono  per  terra  Ancona. 

Premesse  tali  notizie  riferisco  le  scoperte. 

Nella  linea  dei  pozzi,  a  tramontana,  nei  giorni  2,  IZ,  20,  23.  25  e  27  aprile 
si  sono  trovate  sette  tombe  di  tegole  a  tettoia,  con  coppi  sul  culmine  e  sulle  con- 
giunture laterali  delle  tegole,  variamente  orientate,  le  più  da  est  ad  ovest,  ed  alla 
profondità  dal  livello  attuale  di  campagna  da  m.  5,12  a  m.  6,08,  che,  compresa 
l'altezza  delle  tombe,  scende  da  m.  5,58,  a  m.  6,51,  meno  la  sesta  tomba,  scoperta 
il  25  aprile  a  soli  m.  4.  Tutte  erano  piene  di  terra  filtratavi  dalle  commessure, 
con  scheletri  conservati  bene  fra  il  terriccio  :  e  due  crani  ho  portati  al  Museo  per 
essere  studiati. 

Soltanto  nella  prima  tomba  si  rinvennero  tre  unguentari  di  vetro  in  pezzi,  a 
sinistra  dei  piedi  dello  scheletro.  Nella  terza  osservai  che  la  tegola  di  mezzo,  sot- 
tostante al  cadavere,  era  forata  nel  centro.  Nella  sesta,  apparsa  il  25  aprile,  come 
si  è  detto  di  sopra,  lo  scheletro  posava,  invece  che  su  tegole,  su  quadroni  di  laterizi 
con  incavo  a  presa;  e  nell'ultima  scoperta  il  giorno  27,  lo  scheletro  posava  sulla 
nuda  terra.  Singolaro  la  quinta,  che  conteneva  ossa  umane  combuste  entro  un  fossetto 
aperto  nel  piano  della  tomba.  Vi  erano  misti  carboni,  ceneri,  rottami  di  una  lucerna 
fittile  col  noto  bollo  Foriis,  frammenti  di  due  o  tre  vasi  ansati  di  terracotta,  e  chiodi 
di  bronzo  e  di  ferro. 

Il  20  aprile  fu  rimessa  in  luce  a  m.  5,44  anche  una  tomba  a  cassa,  alta  m.  1,03 
orientata  da  est  ad  ovest. 

Era  formata  di  gi-andi  lastre  di  tufo  del  montagnolo,  come  quelle  tombe  che  ho 
trovato  sempre  ricche,  specialmente  se  nell'interno  dipinte  e  intonacate.  Ma  a  questa 
mancava  la  lastra  superiore  della  testata  ad  ovest  e  mancavano  due  dei  pioventi  del 
lato  sud,  evidentemente  tolte  da  chi  in  altro  tempo  la  scopri  e  spogliò  degli  oggetti 
preziosi.  Infatti  la  trovai  piena  di  terra  penetratavi  dalle  lastre  mancanti,  con  lo  sche- 
letro femminile  intero  e  a  posto,  col  capo  a  levante.  Degli  oggetti  della  suppellet- 
tile funebre  vi  rimanevano  :  un'  anfora  fittile,  ai  piedi  dello  scheletro  ;  una  coppa  di 
vetro;  un  disco  di  rame,  frammentato  probabilmente  fondo  di  un  vaso,  anche  questo 
presso  i  piedi  ;  un  ago  crinale  ed  un  bastoncino  di  osso  lavorato,  presso  la  gamba 
sinistra,  ed  a  destra  un  asse  unciale  con  Giano  bifronte,  e  prova  di  nave;  im' oncia; 
tre  vasi  fittili  fusiformi,  ed  un  vasetto  con  un'  ansa  a  vernice  nera. 

Tali  tombe  scoperte  alle  indicate  profonditii,  confermano  che  la  necropoli  di 
Ancona  continuò  in  quel  sito  anche  nell'età  romana,  appartenendo  all'età  suddetta  le 
prime  tombe,  superiormente  citate,  mentre  la  tomba  sesta  è  del  secolo  111  av.  Cristo, 


ANCONA  —   236   —  REGIONE    V. 

come  molto  altre  precedentemontti  scoperte  nella  zona  medesima  (cfr.  Notizie  1892 
p.  80,  lOìS). 

]SIolto  importanto  per  la  topografìa  della  città  è  la  scoperta  dei  ruderi  di  vari 
muri  e  di  sculture. 

Noto  tre  muri  nella  linea  di  tramontana:  uno  diretto  da  est  ad  ovest;  un  altro 
da  nord  a  sud;  un  altro  da  nord-ovest  a  sud-est;  quattro  altri  muri  apparvero  nella 
linea  di  levante;  e  di  essi  uno  da  nord  a  sud,  e  tre  da  est  ad  ovest.  Tre  muri  appar- 
vero nella  linea  meridionale  tutti  diretti  da  nord-ovest  a  sud-est. 

Il  primo  muro  del  lato  di  tramontana,  della  larghezza  varia  da  m.  0,r).')  a 
m.  0,8.")  apparso  alla  medesima  profondità  di  m.  4.80,  scende  lino  al  piano  di  fon- 
dazione da  m.  .'),:{()  a  m.  5,70;  e  solamente  in  un  punto,  nell'angolo  nord-est  scendo 
a  m.  fi.S.").  Da  esso  si  distaccano  lungo  la  linea,  a  varia  distanza,  altri  due  muri 
da  m.  4,75  a  m.  5,46  di  profondità.  Cotesti  muri,  per  conseguenza,  raggiungono 
quasi  tutti  il  piano  delle  tombe  più  antiche,  e  forse  sono  contemporanei  ad  esse,  o 
fossero  muri  di  recinto  del  sepolcreto,  o  di  altro  edificio. 

All'opposto  dei  muri  apparsi  nei  pozzi  e  nella  trincea  del  lato  di  levante,  quello 
diretto  da  nord  a  sud  è  a  m.  2,  88  dal  livello  attuale,  e  gli  altri  che  si  spiccano  da 
quello  nella  direzione  da  est  ad  ovest,  sono  alla  profondità  varia  da  m.  1,60  a 
m.  3,20. 

Cos'i  i  muri  scoperti  finora  nei  pozzi  del  lato  meridionale,  orientati  da  nord-ovest 
a  sud-est,  sono  alla  profondità  di  m.  2,14  a  m.  3,52.  Laonde  questi  che  rimangono 
tanto  al  disopra  del  livello  delle  tombe  e  dei  ruderi  del  lato  nord  crederei  appar- 
tenessero a  costnizioni  di  età  posteriore. 

Presso  il  muro  di  levante  diretto  da  nord  a  sud,  verso  il  mezzo  della  linea,  si 
raccolse  sotto  calcinacci  e  macerie,  una  colonna  di  granito  bianco  macchiato  di  nero, 
alta  m.  3,30  e  del  diam.  superiore  di  m.  0,37,  e  inferiore  di  m.  0,44.  Accanto  giaceva 
un  grosso  cilindro  in  travertino,  alto  m.  0,78  del  diametro  esterno  di  m.  0,60  e  dia- 
metro intemo  di  m.  0,31  e  questa  parte  interna  era  tutta  ripiena  di  calcestruzzo. 
Si  trovi"!  in  piedi,  su  propria  base,  la  quale  posava  sopra  due  parallelepipedi  di  tufo 
del  montagnolo,  e  sopra  un  dado  a  fondazione  formato  di  calcestruzzo. 

Dove  è  da  notare  che  il  vano  circolare  di  questo  cilindro  superionnente  si  al- 
larga per  l'innesto  di  un  cilindro  simile,  il  che  dimostra  che  il  ciliudio  appartenne 
in  origine  ad  una  conduttura  di  acqua,  e  poi,  riempitone  il  vuoto,  fu  adoperato  come 
un  semplice  roccliio  di  colonna. 

Poco  discosto  furono  trovati  tre  altri  cilindri  simili.  Allargato  poi  lo  scavo  per 
estrarli,  si  rinvenne  un  altro  cilindro  simile  ai  precedenti,  pure  ripieno  di  calcestruzzo 
ed  in  piedi  sulla  base,  uguale  a  quella  del  primo,  e  distante  da  questo  circa  m.  3,.")0 
ed  in  linea  da  est  ad  ovest.  Vicino  giacevano  due  capitelli  di  travertino,  dei  quali 
uno  ornato  a  fogliami,  ed  uno  quasi  intero,  con  quattro  aquile  agli  angoli. 

Infine  a  pochi  metri  dalla  ]irima  colonna  di  granito  si  è  rinvenuto  un  tronco 
di  altra  colonna  simile,  lunga  m.   1,60  del  diametro  superiore  di  m.  0,44. 

Nollo  estrarre  le  prodette  sculture  si  sono  rinvenuti  alcuni  massi  rettangolari 
di  travertino  con  le  facce  leggermente  intonacate  a  colori  rosso  e  giallo. 


REGIONE    VII.  —    237    —  FIRENZE,    MONTEPULCIANO 


Non  debbo  omettere  la  scoperta  di  una  tomba  formata  parte  di  lastre  di  tufo 
e  parte  di  tegole  tolte  da  antichi  sepolcri,  e  coperta  di  due  lastre  di  tufo. 

A  ridosso  poi  del  muro  dei  lati  est  e  sud,  ed  alla  profondità  varia  da  m.  2,24 
a  m.  3,52  :  si  scoprirono  quattro  grandi  sepolture,  piene  di  ossa  raccolte  da  altre  tomba. 

Senza  dubbio  tali  muri,  e  le  basi  trovate  al  loro  posto,  e,  poco  lungi,  le  colonne 
intere  ed  i  rocchi  di  colonne,  ed  i  capitelli,  ed  i  massi  rettangolari  di  travertino 
intonacati  e  colorati  sono  le  tracce  sicuro  di  uno  degli  edilìzi  dei  primi  tempi  cristiani, 
dei  quali  si  è  detto  in  principio  e  che  vennero  formati  con  materiali  di  vario  stile 
e  di  varia  provenienza. 

È  a  sperare  che  col  progresso  dei   lavori  sia  dato  raccogliere  tutti  gli  elementi 
per  delinearne  la  pianta. 

C.    ClAVARINI. 


Regione  VII  (ET  RUBI  A). 

V.  FIRENZE  —  Proseguirono  lo  scoperte  nei  lavori  pel  Centro  di  Firenze, 
e  si  rimisero  in  luce  pezzi  architettonici,  per  lo  più  riferibili  ad  editici  pubblici  di 
età  romana,  intorno  ai  quali  sarà  presto  edito  un  rapporto  del  direttore  degli  scavi. 


VI.  MONTEPULCIANO  —  Arredi  di  una  tomba  chiusina  a  camera. 
Non  lungi  da  Montepulciano   in   una  tomba  franata  a  camera,  scoperta  casual- 


monte,  si  raccolsero  i  seguenti  oggetti  d'arredo  funebre. 


Bronzi 


1.  Giuoco  del  Kottabos  in  bronzo,  alt.  m.  1,30,  con  base  di  ferro  frammentaria 
(v.  tig.  1,  2,  2^^).  Ha  la  gà^óog  xairufitm]  di  bastone  liscio  affusato,  la  vnoxnittvi]  Itxdn^ 
di  lamiera  tonda,  come  nell'esemplare  di  Perugia  (Helbig,  Hóm.  Mitth.  1886  tav.  XII; 
cfr.  IJaruabei,  Nolizlc  1886  p.  314  sg.);  ed  è  sormontato  da  una  mostruosa  figura  alata 
e  seminginocchiata,  alt.  cent.  17,  nella  quale  è  da  riconoscersi  il  Cliarim  etrusco 
0  Tachulcha,  il  più  abietto  servo  dell'Averno.  Corrisponde  per  tipo  alla  figura  di 
Caronte  i)si/choimmpos  dell'urna  etrusca  in  Micali,  TtaL  av.  Rom.,  tav.  XXIV 
(=  Martha,  L'Ari  (Urasqtic  p.  178).  Nelle  mani  protese  teneva  probabilmente  due  serpi, 
come  Tuchulcha  nella  pittura  cornetana  della  tomba  dell'Orco  [Moa.  Isl.  Vili, 
tav.  15;  Martha  op.  cit.  p.  394,  fig.  268).  La  testa  barbata  col  caratteristico  naso 
a  becco  d'aquila,  con  occhi  disformi,  uno  più  grande  dell'altro,  è  coperta  da  una 
specie  di  berretto  ('Aidoc  xrvi-i^),   sul  i|uali'  sporgono  due  orecchie  ferine,  due  corni 


MONTKPCLCIANO 


—  2.18 


REGIONE   VII. 


caprini  ed  un  punzone  ottuso,  destinato  a  sostenere  in  bilico  la  Tthiany^  del  Kot- 
tabo».  È  vestito  di  breve  tunica  manicata  stretta  in  cintura  od  ha  i  piedi  nudi  ('). 

2-3.  Duo  candelabri  coniiiaj,'ni.  alt.  m.  1 ,54.  simili  por  tipo 
per  arte  e  grandezza  a  quelli  del  Museo  tìrc^oriano  I  tav.  LUI.  4. 
I  piedi  d'aquila  sono  franiezzati  da  elcf^'anti  palmetto.  11  fusto, 
cesellato  alla  baso  con  tre  ordini  di  palmette  e  scannellato  tino 
in  cima,  presenta  la  solita  padellina  convessa,  sulla  quale  riposa 
il  (iiiadruplice  uncino  dove  si  conficcavano  lo  candele.  In  mezzo 
agli  uncini  per  le  candele  è  posto  il  symplegma  di  un  cavaliere 
nudo  in  atto  d'infrenare  il  proprio  cavallo  (Dioscuro). 

Uno  di  questi  simplegina  alt.  0,11  è  intatto  (v.  tìg.  3,  3a); 
dell'altro  si  cont^orva  solamente  il  cavallo  in  galoppo  privo  di 
una  gamba  e  della  coda. 

4-5.  Due  stamnoi  compagni,  alt.  0,38,  bocca  0,23,  corrispon- 
denti al  tipo  del  Musco  Gregoriano  I  tav.  IV,  5  (fig.  4).  Hanno 
però  il  labbro  con  l'ornato  a  lingue  finamente  cesellato  e  le 
anse  orizzontali  con  l'attacco  in  forma  di  foglia  piena  lanceolata 
(cfr.  Mus.  Gregor.  I  tav.  60  il).  Mancano  vari  pezzi  del  ventre. 

().  Altro  siamnos  simile,  alt.  0,28,  bocca  0,21  (fig.  5).  Le  anse 
orizzontali  banno  l'attacco  in  forma  di  foglia  di  palma  frasta- 


•^ 


^ 


Fio.  2 a. 


Ki.i.  1. 


Fio. 


(')  l^ucntu  nnovo  jfinKCii  del  Kutlnlws  e  i  citiulelabri  i-oi  Diusciiri,  ilcscriUi  qui  np)ireiiiiii  for- 
inanu  sotrk'cttu  di  una  mia  trallaiioiio  i*c|tiiriita  noi  Rendiconti  dei  Lincei  vu).  IH  fase.  5  p.  268-282. 


REGIONE    VII. 


—    239    — 


MONTKI'l'I.riANO 


gliata  (cfr.  Mi/s.   Grcf/or.  I  tav.  60  e).   Il  labbro   al  di  fiinri  e  similmente  decorato 
a  linguette  e  sn[ierioniiente  con  ima  treccia  continua  bulinata. 

7.  Patera  uiiibellicata  (diam.  U.2o)   decorata   esternamente   a    bulino  con  finis- 


Fio.  Sa. 


FiG.  4. 


Fifi.  X 


Fio.  5. 


simi  tralci  di  toglie  d'ellera  e  con  un  doppio  ordine  di  foglie  palmate,  le  quali  contor- 
nano l'umbellico  concavo  convesso  corrispondente  a  quello  d'una  Irua  (fig.  fi).  Esterna- 
mente è  decorata  sempre   a  bulino  con    un   corridietro  a  onde   e   sovrapposti   delfini 

Cl.ASSK  DI  Si  IF.N7K  MdHM.I  ecr.  --    AIk.MOHIK  —  Vlil.  II,  Serie  ■>',  l'Alte  2"  30 


MONTEPULCIANO 


J40    — 


REGIONE    VII. 


natanti  (fig.  6a).  L'ansa,  di  forma  ovale,  ha  un  nodo  supcriore  con  triplice  periato 
elio  la  contorna,  e  l'attacco  decorato  in  rilievo  con  uu  leone  gradiente. 


Fi.:.  C. 


FiG.  <!a. 


8.  Altra  patera  a  fondo  piano,  dm.  0,29.  Ha  il  bordo  cesellato  con  l'orruato 
a  lingua  e  la  maniglia  ovale,  con  nodo  superiore  e  l'attacco  cesellato  a  rilievo  con 
un  pegaso  volante. 

9.  Manico  di  oinoclioe  a  canna  (alt.  0,19),  identico  a  quello  del  Mux.  Gregor. 
I  tav.  hde.  Superiormente  termina  in  testa  di  ariete,  ed  inferiormente  in  una  placchetta 
rettangolare,  sulla  quale  è  rajipresentato  un  eroe  in  panoplia  caduto  con  testa  rove- 
sciata tutta  all'indiutro.  Per  il  tipo  della  oinochoe  cui  appartenne,  cfr.  Mus.  Grcyor.  I 
tav.  VI.  1   infra.  5.  1  supra. 

10.  Manico  a  nastro  (alt.  0,20)  di  oinochoe  con  bocca  a  foglia  d'oliera  (cfr.  Mus. 
Gregor.  1  tav.  VI.  1  supra).  È  decorato  longitudinalmente  a  tre  tili  di  periato,  ed  ha 
l'attacco  tondo  ornato  al  rilievo  di  un  grifo  che  assale  un  puledro. 

11.  Due  maniglie  orizzontali  (larg.  0,11)  di  un  bacile,  con  gli  attacchi  tondi, 
nei  quali  sono  scolpiti  due  mascheroni  silenici. 

12.  Due  maniglie  e  relative  orecchie  cesellate,  in  parte  frammen- 
tarie, di  una  situla,  la  quale  doveva  esser  identica  a  quella  del  Mus. 
Oregor  I  tav.  IV  n.  4. 

13-15.  Tre  kijalhdì  (alt.  0,08)  ossia  poculi  con  alti  manici  corri- 
spondenti con  quelli  del  Mus.  Gregor.  I  tav.  VI.  1.  Uno  ben  conser- 
vato (tig.  7);   gli  altri  due  mancanti  della  parte  inferiore. 

16-17.  Due  vasetti  (alt.  0,12;  0,10)  col  ventre  in  forma  di  situla  a  labbro  espanso, 
simili  a  quelli  del  .Mus.  Gregor.  I  tav.  III.  2. 


Fio. 


REGIONE    Vlt.  —   241    —  MONTEPULCIANO 


18.  Altro  vasetto  iu  foruia  di  situla  privo  di  labbro,  alt.  0,09. 

19.  Ohieni  (diain.  0,27)  uervata  e  base  tonda  sagomata  e  cesellata  riferibili,  ad 
un  kratere  ossia  ad  un  oxijhapkon  col  ventre  ovoide  (cfr.  per  es.  il  tipo  del  Mas. 
Gregor.  I  tav.  IX.  4). 

20.  Borchia  tonda  in  forma  di  coppella  (diam.  0,08)  e  frammento  di  due  altro 
simili. 

21.  Borchietta  simile  più  piccola,  diam.  0,025. 

Ferro. 

22.  Foculo  ossia  braciere  in  frammenti  di  forma  quadrangolare,  fatto  di  lamina 
di  bronzo  con  rinforzi  di  ferro  e  sostenuto  da  quattro  rotelle  di  brony-o  (presunta 
lungh.  0,68,  largh.  0,42).  Corrisponde  esattamente  coi  tipi  di  braciere  rinvenuti  negli 
scavi  di    Visenlium. 

23.  Frammenti  di  una  spada  di  ferro  (larga  m.  0,05.5). 

Terrecotle. 

24.  Fondo  di  una  kylix  in  frammenti  di  fabbrica  orvietana  a  vernice  rossa,  nel 
cui  interno  è  rappresentata  una  figura  virile  in  atto  di  correre. 

•Questo  fondo  di  tazza,  per  quanto  male  ridotto  e  con  la  vernice  quasi  intera- 
mente distrutta,  è  interessante  per  la  tecnica,  e  perchè  serve  a  fissare  la  data  della 
suppellettile  suddescritta  verso  la  fine  del  sec.  IV  a.  Cr. ,  epoca  con  cui  ben  corri- 
spondono lo  stile  e  l'arte  di  tutti  gli  altri  oggetti. 

La  tomba  a  camera,  dentro  cui  si  rinvenne,  era  di  forma  quadra  (m.  3  X  3)  ;  e 
priva  di  banchine.  Nel  bel  mezzo,  in  posizione  traversa  rispettivamente  al  dromos, 
si  trovò  la  cassa  di  legno  con  lo  scheletro  del  defunto. 

Il  kottabos  n.  1  e  i  candelabri  n.  2-3  si  trovarono  piazzati  a  sin.  dell'ingresso 
della  tomba  ai  piedi  della  cassa. 

Alla  cassa  di  legno  del  defunto  appartengono  le  borchie  n.  20-21. 

Tutto  il  vasellame  (n.  3-19)  si  trovò  ammassato  accanto  alla  cassa  vicino 
all'ingresso. 

Questa  tomba  sta  strettamente  connessa  con  un'altra  scoperta  nel  1868  dal 
Mazzetti,  parimente  nei  pressi  di  Montepulciano,  della  quale  faceva  parte  la  impor- 
tante kylix  del  kottabos  edita  negli  Ann.  dell'/si.  1868,  tav.  d'agg.  i?,  p.  226. 

Questa  tazza  fu  acquistata  nel  1892  per  il  Museo  di  Firenze  insieme  con  al- 
cuni altri  oggetti  provenienti  dalla  stessa  tomba,  degni  di  esser  qui  almeno  ricordati 
e  brevemente  descritti  : 

Bromi. 

a)  Stamnos  (alt.  m.  0,39,  diam.  della  bocca  m.  0,22),  con  maiiii^lio  lìnamcnto 
cesellate  desinenti  in  mascheroni  silenici,  e  bocca  ornata  di  ovuli.  Conservazione  por- 
fetta  ;  splendida  patina  verde  azzurrognola. 


ROMA 


—  242  - 


ItOMA 


b)  Altro  stamnos  similo  al  ii.  G  siiddescritto  (v.  fip.  5).  Conservazione  perfetta 
patina  coniu  sopra. 

e)  Oinochoe  con  bocca  a  foglia  d'ellera  e  con  alto  manico  a  nastro  (alt.  m.  0,23). 

Con-serva/ione  e  iiatina  come  sopra. 

</)  Oinochoe  con  manico  ornato  di  gor- 
(joneion  o  bocca  tonda  (alt.  m.  (».'22).  Conser- 
vazione e  patina  come  sopra. 

e)  Trua  di  bella  conservazione  e  patina 
come  sopra. 

/■)  Paio  di  poetili  cilindrici  manicati 
(cfr.  ti.,'.  7). 

<jr)  Poculo  a  tronco  di  cono  ansato. 

?■)  Candelabro,  alt.  m.  1,  con  tripiede  a 
zampe  d'aquila,  fusto  scannellato  decorato  infe- 
riormente a  squame,  e  sormontato  da  un  gruppo 
di  squisito  lavoro,  il  quale  esiliisce  un  dio 
clamidato  ed  imberbe  (credo  Apollo)  in  atto 
di  colpire  col  pugno  un  Gigante  (credo  Enri- 
medonte)  (fig.  8).  Il  Gigante,  allerrato  per  la 
barba  e  ^'i;\  atterrato,  tenta  di  difendersi  lan- 
P,p  j,  ciando  un  sasso  contro  il  suo  assalitore. 


Ori. 

a)  Paio  di  orecchini  {imurcx),  limg.  0,0.">,  ad  anello  vuoto,  decorato  a  stampa 
di  rabeschi  e  palmizi  e  con  campanella  pendente  fìlogranata.  Per  un  tipo  analogo 
cfr.  Martha,  f/art  Klrunfjue  pag.  565,  fig.  381. 

//)  Grosso  anello  da  dito  di  oro  vuoto,  con  grosso  castone  convesso  ornato  a 
stampo  di  rabeschi  e  dm  gemma  vitrea  nel  centro. 

L.  A.  Milani. 


VII.  RO.MA. 
Nuove  scoperte  nella  città  e  nel  suburbio. 

Regione  li.  Negli  sferri  por  le  fondazioni  di  un  villino,  di  proprietìi  della 
signora  Claudia  Palassi  in  via  Capo  d'Africa,  alla  profondità  di  m.  tì  dal  piano  stradale. 
sono  slitti  scoperti  due  tratti  di  antico  muro  laterizio,  largo  m.  1,20.  Essi  sono  pa- 
ralleli fra  loro;  traversano  tutta  la  larghezza  del  cavo,  che  è  di  m.  1,40,  e  distano 
l'uno  dall'altro  m.  7.  In  qualche  parte  conservano  ancora  l'intonaco  tutto  bianco. 

Regione  111.  I  lavori  per  il  prolungamento  della  via  de' Serpenti  hanno  fatto 
tornare  all'aperto  altri  avanzi  di  antiche  costnizioni.  Alcune  di  queste,  in  opera  re- 


i 


ROMA 


—  240  — 


ROMA 


ticolata  e  dei  primi  secoli  dell'impero,  trovansi  a  maj^^ore  profondith;  altre  di  età 
posteriore  sono  in  gran  parte  ad  esse  sovrapposte. 

È  stata  totalmente  sgombrata  dalle  terrò  l'antica  stanza,  il  cui  rinvenimento  fu 
ricordato  nelle  Noli^ie  del  corrente  anno  (p.  191).  Misura  m.  ri,80  X  4,r)0.  Solo  tre 
pareti  sono  conservate,  ed  hanno  l'altezza  di  m.  5,50  ;  la  quarta  fu  distrutta  in  antico 
per  le  fabbriche  posteriori.  La  loro  costruzione  è  d'opera  reticolata  nella  parte  supe- 
riore, è  di  parallelepipedi  di  tufo  nella  parte  piti  bassa.  Il  pavimento  è  formato  a 
piccoli  cubetti  di  marmo  bianco,  con  una  semplice  fascia  nera  che  gira  tutt' attorno 
alla  stanza.  La  parete  di  fondo,  che  ha  una  porta  verso  l'angolo  orientale,  è  decorata 
di  mediocri  pitture  su  fondo  bianco  :  lo  zoccolo  è  di  color  nero.  Circa  la  metà  dell'al- 
tezza v'  è  una  fascia  rossa,  sulla  quale  sono  dipinti  genietti  ed  animali.  Sopra  e  sotto 
di  questa  fascia,  con  linee  di  vario  colore  sono  diseguati  scompartimenti  architettonici 
assai  semplici  ;  e  fra  questi  sono  dipinti  due  piccoli  quadretti  rappresentanti  scene 
di  campagna,  in  cattivo  stato  di  conservazione. 

A  m.  13  dalla  stanza  ora  descritta,  verso  nord,  ne  è  stata  scoperta  un'altra 
(larga  m.  3,75X4,00),  similmente  costruita  in  reticolato.  Una  parete  conserva  un 
frammento  d'intonaco,  sul  quale  è  dipinto  un  festone  con  foglie  e  frutti  di  pino. 

Nello  sterro  è  stato  trovato  un  frammento  di  tavola  marmorea,  alto  m.  0,20  X  0,21, 
che 'conserva  questa  parte  di  antico  calendario  romano: 


9 
h 


b 
e 

d 

e 

f 

h 
a 


ili    *<S\ludi 

PJ.        i\      LVDl 

ili  Ly  1  M         EPVLVM-INDICITVR 

lOVI   •   IV  NONI  -MIN  •  IN   ■  CAPITOL 

XlIX   Jr      EQVOR  VM  •  PROB  ATIO 

INFERIAE-DRVSl-CAESARIS 

IN    LVDl- 

c 


.(VII 
XVI 


■IN  CIRCO 
LVDl-IN  CIRCO 


XV 


LVDl-IN   CIRCO 


FERIAE-EX-S-C 


yMOjD-EO-DIE-HONORES-CAELESTES-D  IvO- AVCVSTO 
a  ««ìj'JATV- DECRETI -SVNT-  POMPEIO  •  ET-APPVLEIO  •  CCS 


'.tini 
xi\\\ 
■viv 

X  i  V  ' 

X 


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V_.     LVD 

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G 


LVDI-IN  CIRCO 
I-IN  CIRCO 
IWERCATVS 
M  E  R  C  A  r 
M  E  R  C  A  J/ 


feriae-ex-s-c-d1'i\. 

F  1.1   FON  T^>P 

(  FONTl-EXTRA^iVor/aW 


G 

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XVII  Jr 

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XVI     \_^ 

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G  XV  G 

\j^ni  A  r  m. 

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n,    xih   e 


Nella  parte  sinistra  si  contengono  le  indicazioni  dei  giorni  11-22  di  settembre; 
nella  parte  destra   quelle  dei  giorni  12-20   di  ottobre.    Le  lettere  maggiori,  che  ri- 


ROMA  —    211    —  ROMA 

producono  le  antichissimo  tabulae  fastorum,  cioè  le  lettere  iiuDdiuali  e  le  note  o  i 
nomi  proprii  di  ciascun  giorno,  sono  alto  un  centimetro:  le  minori  hanno  l'altezza  da 
tre  a  quattro  millimetri.  L'incisione  è  nitida  e  regolare;  parecchio  lettere,  specialmente 
nelle  not*j  del  settembre,    conservano  tuttora  li'   tracce   della  primitiva  rubricazione. 

Fra  le  due  serie  di  lettere  incise  a  caratteri  magjfiori  sono  inseriti  i  numeri 
calendarii,  quali  trovansi  pure  in  altri  omerologii  dello  stesso  tempo,  per  es.  nei  Val- 
lensas,  nei  Vaticani,  negli  Amiternini,  i  quali  ultimi  per  il  tipo  generale  sono  par- 
ticolannente  da  mettere  a  riscontro  col  framineutu  novellamente  scoperto.  In  questo 
le  HOtae  dei  singoli  giorni  corrispondono  quasi  tutte  con  quelle  degli  altri  emerologii, 
e  ne  divereilìcano  (soltanto  ai  giorni  12,  15,  17  settembre.  Il  12  e  il  15  sono  in- 
dicati nefasti,  concordemente  ai  calendari!  Mall'eiano,  Sabino  e  di  Amiterno  la  cui 
età  ò  di  poco  posteriore  all'anno  7(JU  di  H.,  mentre  gli  Anziati,  che  sono  dell'anno  804, 
segnano  quei  giorni  cumitiales.  Per  contrario  il  17  settembre,  che  dagli  emerologii 
di  età  più  antica  è  notato  comitialis,  qui  è  segnato  nefastus  hilaris,  come  nei 
calendarii  di  Amiterno  e  di  Anzio.  Ciò  dimostra  che  il  monumento  ora  scoperto  è 
in  circa  contemporaneo  o  di  poco  posteriore  ai  fasti  d'Amiterno,  mentre  è  anti'riore  a 
quelli  di  Anzio. 

Delle  ferie  che  si  osservavano  lìn  dall'età  remotissima,  e  derivavano  dai  fasti 
attribuiti  a  Numa,  rimane  soltanto  l'indicazione  delle  fOKTinalia  al  giorno  1;{  ii  ot- 
tobre; e  senza  dubbio  era  notato  VAKMiliiatrium  a!  giorno  19  dello  stesso  mese. 
Delle  altre  ferie  aggiunte  nei  primi  tempi  dell'impero  abbiamo  nel  nostro  frammento, 
al  1 7  di  settembre,  il  ricordo  di  quelle  decretate  dal  senato  nell'anno  7G7  di  Roma 
(14  d.  Cr.)  per  la  divinizzazione  di  Augusto.  Tale  nota  corrisponde  esattamente  a 
quella  scritta  nel  calendario  d'Amiterno:  Fer{iae)  ex  s{enalus)  c(oiimlto),  tj(md)  e(o) 
(l(ie)  diro  Augusto  hoaores  cadesles  a  senalu  decreti.  Sex.  Apjiul(eio)  Sex.  Pom- 
peio  COS.  (').  Al  12  di  ottobre  poi  dovevano  essere  ricordate  le  A.VGustalia,  ferie 
istituito  nell'anno  735,  quando  ritornato  a  Roma  Augusto  dopo  avere  ordinato  la  Si- 
cilia, la  Grecia,  l'Asia  e  la  Siria,  il  sonato  volle  che  fosse  dedicata  un"  ara  alla  Fortuna 
reduce.  Nel  citato  emerologio  d'Amiterno  l'annotazione  relativa  dice  cos'i;  Fer(iae) 
ex  s{enalus)  c{onsulto),  q{uod)  e{o)  d{ie)  imp.  Caes{ar)  Aug{astus)  ex  lraHgniarin(is) 
provinc(is)  urbem  iutravit,  aratj{uc)  Forl(unae)  reduci  constil{ula)  ('-').  Nel  fram- 
mento testé  rinvenuto  l'indicazione  è  mutila,  ma  doveva  essere  espressa  con  formola 
assai  più  breve  e  contenuta  in  una  sola  linea.  Ne  rimane  solamente  il  principio: 
FERIAE  EX  •  S  C  -,  cui  fanno  seguito  alcuni  avanzi  di  lettere,  delle  quali  è  diflficile 
precisare  il  suiiplemento. 

I  LVDI  menzionati  nel  settembre  erano  i  celeborriiui  e  vetustissimi  giuochi, 
appellati  propriamente  ludi  Romani  e  ludi  Romani  magni.  Nell'ultimo  tempo  repub- 
blicano celobravansi  per  quindici  giorni  consecutivi,  dal  5  al  1!)  settembre:  dopo 
la  morte  di  Cesare   ne  fu  aggiunto   un  altro  in  onore   di  lui,  e  così  avevano  luogo 

{')   C.  l.L.  1  p.  .121  =1X  n.    1192.  NiUVrat'roloj.'io  di  Anzio  la  not.n  ò  abbrcvi.itn  lullo  parole 
[4u7  wto)  Aon(orM)l  cafl(ett»»)  \decreti]  C.  l.L.  I  \>.  .128  =X  n.  iiC38. 
(')  C.  l.L.  I  p    ^14  =IX  I).  1192. 


Rt>.MA  —    245    —  ROMA 

dal  giorno  4  a  tutto  il  19.  Parte  di  tali  ludi  erano  scenici;  parte  si  celebravano  con 
le  corse  IN  CIRCO. 

Al  giorno  13  di  detto  mese  gli  emerologii  fino  ad  ora  conosciuti  notano  sem- 
plicemente: lovi  epulìitn  —  lavi  indictum  epuliim  —  Epuli  iadictio  (');  siccome 
pure  alle  idi  di  novembre,  durante  i  ludi  plebeii,  un  simile  banchetto  era  offerto  a 
Giove,  il  quale  »  cenai  magnisque  implendtts  esl  dapibus,  iamdudum  inedia  gestiens 
et  anniversaria  ialerieclione  ieiuaus  »  (Arnob.  VII,  32).  Quantunque  fosse  lecito  argo- 
mentare che  al  banchetto  offerto  a  Giove  fossero  pure  invitate  le  altre  due  divinità 
tutelari  di  Roma,  Giunone  e  Minerva,  che  con  lui  erano  venerate  in  Capilolio  e  do- 
vevano trovarsi  anch'esse  anniversaria  interieclione  ieiunae ;  pure  non  se  ne  aveva 
finora  espressa  menzione.  Il  nostro  calendario  registra  pienamente,  che  in  occasione 
dei  solenni  ludi  Romani  :  EPVLVM  INDICITVR  lOVI  IVNONI  mHi^ervae)  IN 
CAPITOL(/o). 

Nel  giorno  14,  oltre  V equorum  'probalio,  che  ripetevasi  pure  nel  giorno  susse- 
guente zXYepulum  del  novembre  durante  i  ludi  plebei,  troviamo  indicato  :  INFERIAE 
DRVSI  CAESARIS.  Tale  nota  si  ha  parimente  nell'emerologio  Anziate;  ma  per  la  frat- 
tura del  marmo  non  rimanendo  quivi  che  le  sole  parole  INFER  •  Bk\usì  ,  ha  avuto  origine 
un  equivoco  storico,  che  il  nuovo  monumento  corregge  con  sicurezza.  In  fatti  hanno 
fino  ad  ora  tutti  i  dotti  concordemente  creduto,  che  al  14  settembre  sieno  ricordate 
nel  calendario  di  Anziate  la  inferiae  di  Druse  seniore,  cioè  del  fratello  dell'imp.  Ti- 
berio e  padre  dell'imp.  Claudio,  morto  nell'anno  745  di  Roma  (9  av.  Cr.).  Ma  poiché 
nel  frammento  d'emerologio  testé  scoperto  è  aggiunto  al  nome  di  Druso  il  cognome 
Caesar,  e  questo  cognome  non  fu  giammai  portato  da  Druso  seniore,  non  essendo 
stato  egli  adottato,  come  il  suo  fratello  Tiberio,  nella  gente  Giulia;  é  manifesto  che 
il  Drusus  Caesar,  di  cui  al  giorno  14  di  settembre  gli  emerologii  segnano  le  inferiae, 
deve  invece  intendersi  Claudio  Druso  giuniore,  cioè  il  figlio  dell'imp.  Tiberio,  il  quale 
con  l'adozione  del  padre  passò  nella  gente  Giulia  ed  ebbe  il  cognome  di  Cesare.  Egli 
moli  nell'anno  776  di  Roma  (23  d.  Cr.),  avvelenato  per  opera  di  Seiano.  Tiberio 
nel  senato  ne  pianse  la  perdita  immatura  ;  furono  decretati  alla  memoria  di  lui  onori 
anche  maggiori  di  quelli  decretati  a  Germanico  (~)  ;  ed  il  »  funiis  imaginum  pompa 
maxime  inluslre  fidi,  citm  origo  Jiiliae  gentis  Aeneas  omncsque  Albaaorum  reges 
el  conditor  urbis  Romuliis,  posi  Sabina  nobilitas,  Allus  Clausus  celeraeque  Clau- 
diorum  efflgies  longo  ordine  spectarenlur  »  (Tacit.  IV,  9).  Druso  Cesare  nacque 
nell'anno  739  di  Roma,  e  ne  è  segnato  il  giorno  nel  feriale  Cumano,  ove  è  scritto 
al  7  ottobre:  DRVSI  CAESARIS  NATALIS,  SVPPLICATIO  VESTAE  (»).  Conoscendo 
ora  dal  frammento,  di  cui  ci  occupiamo,  anche  il  giorno  della  morte,  che  fu  il  14  set- 
tembre dell'anno  776,  risulta  con  precisione  da  questi  monumenti  epigrafici,  che 
Druso  giuniore  visse  37  anni,  meno  23  giorni.  Questa  indicazione  della  morte  di  Druso 


(')  Cfr.  e.  I.  L.  I  1).  ini. 

i?)  Esistono  tutt'ira  due  frainmcnti,  incisi  in  bronzo,  ilol  scniitus  cousiilto  col  ijuale  fu  oiioriita 
la  niuMioria  di  Druso  Cesare  (cfr.   C- 1.  L.  VI,  912). 
P)  C.I.L.  I  p.  :ì10  =X,  3082  e  8:^5. 


ROMA  l'Ili    —  ROMA 

è  un  altro  argomento  cronolof^co,  che  conferma  i  fasti  testé  scoperti  OBsere  stati  scritti 
dopo  l'anno  77(j,  cioè  noi  primi  anni  dell'iinpero  di  Tiberio. 

Un'altra  novità  esibisce  il  nuovo  emerologio  al  p^iorno  l:t  di  ottobre,  noi  <|ualu 
cadono  lo  ?OÌ<T ina/ia.  11  solo  calendario  di  Aniitorno,  al  nome  prnj>rio  dol  friorno, 
ri-'jistrato  in  tutti  pli  altri  fa>ti.  agfjiunge  la  semplice  annotazione  Fvriac  t'orni  ('). 
Ora  sul  nostro  marmo  era  indicato  anche  il  luogo,  ove  colebravasi  la  festa  principale 
e  solenne;  e  tale  luogo  è  additato   fuori  di  una  porta  della  città:  [feriac]  FONTI 

EXTRA  Vortam Disgraziatamente  il  nome  della  porta  è  perito;  ma  si  potrebbe 

supporre  che  fosse  la  Fontinale.  così  nominata  appunto  dalla  celebrità  dei  fontcx, 
che  nelle  vicinanze  sgoi^avano  ed  erano  certamente  venerati.  Anzi  da  Pesto  si  ricava 
che  appunto  dalle  feste  in  onore  delle  Fonti  aveva  origine  il  nome  della  porta  me- 
desima: Fon/inulta,  fo/itii/m  sacra:  nude  et  Romae  Fnnfi/ial/s  porta  (p.  85  Miiller). 
Se  non  che  a  me  sembrerebbe  anche  probabile  il  supplemento  :  e,vtra  ]){^ortam  Capenam']; 
riconoscendo  che  il  sito  indicato  dai  fasti  era  il  celeberrimo  fonte  sacro,  che  scorreva  nel 
luco  delle  Camene.  In  fatti  tutte  le  iscrizioni  sacre  alle  Fonti,  di  cui  è  nota  la  provenienza, 
sono  state  trovate  nella  regione  I  e  nelle  vicinanze  dell'antica  porta  Oapena.  Un  notabile 
gruppo  d'iscrizioni  de<li<'ate  da  ni/ujistri  e  ministri  Fontis,  dall'anno  ti'.*  dell'era  nostra 
tino  ad  oltre  la  metà  del  secondo  secolo,  furono  dissepolte  in  una  vigna  •  in  Piscina  pu- 
hlica,  ad  Caelii  montis  radices,  ac  secus  Ardentinam  viavi  »  (-).  Altre  simili  dedica- 
zioni furono  trovate  nell'ultimo  lembo  della  vallata  fra  il  Celio  e  l'Aventino  {•');  una 
base  sacra  Fonti  Aug.  era  nell'orto  Mattei  irsuti  Coelio  colle  prope  velcris  Capenae 
porlae  sittim  »  {*);  il  celebre  bassorilievo,  ora  Capitolino,  dedicato  Fontibm  et  Nijìnphis 
sanctissimis  fu  parimente  scavato  «  ante  veteris  portae  Capenae  sittim  siih  hortis 
Malthacis  »  (■").  Ora  è  noto  che  nella  valle  della  porta  Capena,  la  quale  anche  nel 
medio  evo  era  appellata  arcns  stillans,  l'abbondanza  delle  acque  ed  il  culto  di  esse 
era  antichissimo  e  tradizionale.  K  ricordato  da  Cicerone:  «  Appia  ad  Martis,  mira 
pro/luvies ....  magna  vis  aquac  usqiie  ad  Piseinam  ptthlicam  "  ('').  —  •  Ad  velerem 
arcum  mad/ilaiin/nc  Capenam  »  erano  il  '  sacri  fontis  nemus  et  delubra  »  men- 
zionati da  Giovenale  (");  dal  fons,  che  perenni  rigahat  aqua  il  sacro  bosco  delle 
(Jamene  attingevasi  l'acqua  pel  servizio  del  tempio  di  Vesta,  riputata  migliore  delle 
fontinali  e  della  Marcia  ("*);  in  line  «  extra  portoni  Capenam,  iuxta  acdem  Martis  ». 
custodivasi  religiosamente  il  celebre  lapis  manalis,  che  di  là  era  portato  processio- 
nalmente  in  città  per  invocare  ed  otleneri;  la  pioggia   (''). 


(')  CI.!..  I  p.  .•^2.^  =ix  n.  ii:i-.'. 

(«)  C.l.L.  VI.  l.S5-ir>2. 

(»)  Ib.  153.  163-1  e."). 

(«)  ib.  150. 

(»)  ib.  106. 

{•)  Ad  Oiiint.  fr.  Ili,  7.  1. 

P)  Sat.  VA.  12.  Cfr.  I.ìv.  I.  L'I:  riul.ircli.  Xum.  I:'.;  .'^.vninricli.   /:)iisl    1.  'Jl. 

(•)  Viiruv.  VIII,  ;l. 

(♦)  rniil    Kinc.  p.  12*-  Mnll. 


ROMA.  —   247   —  ROMA 

Pare  dunque  assai  verosimile,  che  mentre  la  Fontium  memoria  nel  giorno  14 
di  settembre  era  festeggiata  in  tutta  la  città  coll'ornare  di  fiori  le  sorgenti  d'acqua 
e  gittar  corone  nelle  fonti  ('),  il  centro  principale  di  questo  culto  fosse  nella  valle 
esterna  della  porta  Capena,  e  precisamente  nel  sito  dov'  era  il  foas  sacer,  che  irrigava 
il  bosco  delle  Camene,  e  ricordava  i  leggendarii  colloquii  di  Numa  (-).  Per  tali  con- 
siderazioni nel  frammento  di  calendario  parmi  poter  supplire  con  molta  probabilità, 
che  extra  p{ortam  Capenam)  si  celebrassero  principalmente  le  Fontinalia,  essendo 
quivi  il  fom  vetustissimo,  che  più  di  ogni  altro  aveva  celebrità  e  rinomanza. 

Oltre  al  ricordato  frammento  di  calendario,  sono  stati  ricuperati  i  seguenti  og- 
getti: —  Marmo.  Statuetta  virile,  mancante  delle  braccia  e  della  testa,  alta 
m.  0,16.  Rappresenta  una  figura  nuda  nella  metà  superiore  del  corpo,  e  coperta 
col  solo  pallio  che  dalla  spalla  sinistra  scende  dietro  l'omero  destro  ed  avvolge  la 
metà  inferiore  della  persona.  Può  riconoscervisi  l'imagine  di  Esculapio.  Rocchio  di 
colonna  di  portasanta  con  baccellature,  lungo  m.  0,93,  diam.  m.  0,18.  Simile  di 
breccia,  lungo  m.  O,.^?,  diam.  m.  0,19.  Simile  di  cipollino,  lungo  m.  0,44,  diam. 
m.  0,30.  Piccolo  frammento  di  colonna  scanalata,  e  pezzo  di  base,  di  marmo  bianco.  — 
Vetro.  Tre  piccoli  balsamarii  interi,  e  due  mancanti  del  collo.  —  Osso.  Tre  spilli 
ed  un  cucchiaio  —  Bromo.  Parecchi  frammenti  informi.  —  Terracotta.  Lucerna 
monolicne  rotonda,  con  due  grappoli  d'uva  in  rilievo  e  col  bollo  L  CAE  SAR.  Simile, 

di  grossolana  fattura,  che  nel  fondo  ha  il  bollo  K__  frammezzato  da  otto  piccoli  cer- 
chietti. Simile,  di  terra  rossa,  senza  manico,  che  porta  in  rilievo  una  figura  muliebre 
nuda  accovacciata.  Simile  di  terra  gialla,  con  ornato  di  foglie  intorno  al  piatto  e  con 
manico  ad  anello.  Simile,  di  terra  grezza,  con  giro  di  globetti.  Grande  manico  di 
lucerna,  in  forma  di  mezzaluna,  con  protome  di  Giove  che  stringe  il  fulmine  nella 
destra,  ed  aquila.  Ciotola  di  terra  rossa,  senza  verun  ornato,  del  diam.  di  m.  0,15. 
Manico  di  anfora,  col  bollo  P  N  N.  Tegolone  col  bollo  di  Primigenio,  figulo  dei  Domizii 
Lucano  e  Tulio  (6".  /.  L.  XV,  1000 «).  Frammento  di  fregio,  lungo  m.  0,.58,  mancante 
della  metà  inferiore,  e  decorato  in  alto  con  una  serie  di  ovoli  sotto  la  cornice.  Vi  è 
rappresentata  una  figura  muliebre  seduta  sopra  un  cigno,  il  quale  cammina  ad  ali 
spiegate  verso  destra.  La  donna  è  volta  a  sinistra,  ed  ha  una  veste  che  lascia  sco- 
perto il  seno  e  tutta  la  spalla  sinistra.  Con  la  mano  destra  regge  il  manto,  che  a 
modo  di  vela  svolazza  dietro  le  spalle.  Vi  restano  tracce  di  policromia:  il  fondo  è 
colorato  in  turchino,  la  veste  ed  il  velo  in  rosso,  le  ali  del  cigno  in  giallo.  Tre  altri 
piccoli  frammenti  di  simile  fregio  :  in  uno  dei  quali  resta  la  parte  superiore  di  una 
donna  seminuda;  nel  secondo  una  mezza  figura,  pure  muliebre,  col  braccio  destro 
sollevato  ;  nel  terzo,  im  avanzo  di  architettura  con  due  arcate,  in  ognuna  dello  quali 
si  vede  la  testa  di  una  figura  virile. 

Regione  VL  Nella  via  di  s.  Martino,  presso  il  Castro  Pretorio,  costruendosi 
un  nuovo  casamento,  sono  stati  trovati  duo  grandi  massi  marmorei,  che  certamente 
provengono  dallo  prossime   Termo   di   Diocleziano.    Uno  di  essi   è  largo  m.  1,15  ed 

(i)  Cfr.  Varr.  de  !..  L.  VI,  22;  Frontin.  de  aquis  4. 

(')  Camenarum  reliejio  sacro  fonti  advertUur  (Sj-mmacli.  cp.  I,  01). 

Classe  di  scienze  woiiai.i  ecc.—  Memorie  —  Voi.  II.  Soric' .V,  ]iaHc  T.  21 


ROMA  —  248  —  ROMA 

alto  ni.  0,90;  e  conserva  sopra  un  lato  l'iotaglìo  di  un  grande  capitello  di  pilastro, 
d'ordine  corinzio;  del  quale  però  tino  da  antico  fu  segata  quasi  una  terza  parte  nei 
due  lati  e  nel  piano  inferiore.  Dal  lato  grezzo,  opposto  all'int^iglio  del  capitello,  ò 
rozzamente  incisa  una  nota  numerale  di  cava. 

L'altro  masso,  scorniciato  in  tre  lati,  è  largo  m.  1,35  X  1,18,  con  spessore  di 
ui.  U,73.  È  la  base  di  un  pilastro,  corrispondente  nelle  proporzioni  al  capitello  sopra 
ricordato.  La  sua  pertinenza  alle  Tenue  è  esplicitamente  dichiarata  dalla  parola: 

<       T  H  R  M  A  R  V  M  >ic 

incisa  sopra  il  lato  grezzo  dallo  scarpelliuo,  al  quale  ne  era  stata  commessa  l'esocu- 
ziono.  La  parola  Thye)rmarum  è  preceduta  da  una  grande  V,  segno  numerale  del 
pilastro  ove  tale  marmorea  decorazione  dovevasi  collocare. 

Uegione  VII.  Per  i  lavori  della  nuova  fogna,  che  da  via  Capo  le  case  dove 
scendere  alla  via  delle  Convertite,  sono  avvenute  le  seguenti  scoperte. 

Sulla  piazza  di  s.  Silvestro,  di  fronte  alla  chiesa,  è  stata  rimessa  in  luce,  alla 
profondili  di  m.  2,40,  una  parto  di  quell'aDtica  platea,  formata  di  lastroui  di  tra- 
vertino, che  già  fu  veduta  dal  Fea  nell'anno  1778  (').  II  tratto  scoperto  nel  cavo 
è  di  m.  3,35X1,00.  Fra  le  torre  si  è  trovato  un  rocchio  di  colonna  di  grunitello, 
alto  m.  0,80  col  diametro  di  m.  1.10;  ed  una  lucerna  fittile  monolicne,  di  forma  ovale, 
senza  verun  bollo  od  ornato. 

Incontro  all'ingresso  principale  delle  R.  Poste,  a  m.  3  sotto  il  piano  stradale, 
è  stata  recuperata  un'  erma  doppia,  di  marmo,  alta  m.  0,80,  larga  m.  0,30.  Rap- 
presenta in  ambedue  i  lati  una  figura  giovanile  di  donna  con  capelli  arricciati  sulla 
fronte  e  cadenti  in  larghe  ciocche  sulle  spalle.  'Veste  un  peplo  assai  scollato,  ed  aflib- 
biato  sulla  spalla  dritta. 

Sul  principio  della  via  della  Mercede,  a  m.  2,25  di  profondità  e  stato  scoperto, 
per  un  tratto  di  m.  2,  un  muro  a  cortina  largo  m.  0,75;  e  sono  stati  raccolti  due 
frammenti  marmorei  con  strie  ondulate,  spettanti  probabilmente  al  lato  anteriore  di 
un  sarcofago. 

Regione  IX.  Rinforzando  le  fondazioni  della  facciata  del  casamento  posto  in 
via  Montoroni  n.  78,  si  è  trovato  un  rocchio  di  colonna  scanalata  in  marmo  giallo, 
lungo  m.  0,75.  Il  marmo  è  scheggiato  quasi  per  un  terzo:  la  parte  superstite  ha  la 
larghezza  di  m.  0,08,  e  il  diametro  intiero  della  colonna  doveva  essere  di  circa 
m.  0,'JO. 

In  piazza  di  s.  Pantaleo  scavandosi  per  gittare  le  fondamenta  del  monumento 
a  Marco  Minghetti,  fra  i  muri  moderni  delle  cantine  spettanti  a  fabbriche  demolite, 
si  ù  rinvenuto  un  pezzo  di  antico  .sarcofago  marmoreo.  (Jcmsi.ste  nel  solo  lato  sinistro 
con  piccola  parto  dei  due  lati  principali.  La  fronte  era  adorna  di  baccellature  ondulate  ; 
il  tianco  porta  leggermente  inciso  due  peltc  e  fra  esse  una  bipenne. 

(')  Ottfrv.  Mull'anfil.  Flavio  j>.  ■41. 


ROMA  —   249   —  ROMA 

Regione  X.  Nello  spurgare  una  stanza  terrena  delle  fabbriche  di  Caligola,  a 
livello  del  clivo  della  Vittoria  sul  Palatino,  sono  state  raccolte  fra  la  terra  cinque 
piccole  lucerne  fittili,  di  rozzo  lavoro  e  di  bassa  età,  ornate  all'ingiro  dei  consueti 
globetti.  Fu  pure  recuperato  un  frammento  di  mano,  spettante  a  statua  marmorea  ; 
due  pezzi  di  mattoni  improntati  coi  noti  sigilli  delle  figline  Cepioniane  di  Curiatio  Co- 
sano {CI.  L.  XV,  97 e)  e  di  quelle  di  Oppio  Prisco  (ib.  1347);  e  due  manichi  di 
anfore  coi  bolli  : 

/;)        E  X   P  R  o  V 

(ì)  (—AC  MAVRETAN 

CAES-TVB 

Di  questo  secondo  sigillo,  spettante  ad  una  fabbrica  che  era  nella  colonia  di  Tu- 
busuctu  nell'Africa,  si  trovò  un  altro  esemplai-e  al  Monte  della  Giustizia  (cfr.  Aan. 
d.  Istit.  1878  p.  134). 

Prati  di  Castello.  Presso  il  mausoleo  di  Adriano,  demolendosi  im  muro  del 
bastione  moderno  a  valle  del  ponto  s.  Angelo,  è  stata  recuperata  una  testa  di  statua 
virile  marmorea,  quasi  colossale,  con  parte  del  collo.  È  scheggiata  sulla  guancia  destra, 
e  manca  tutta  la  parte  inferiore,  dal  naso  al  mento.  Nello  stato  presente  è  alta  m.  0,39. 
Su  di  essa  è  poggiata  la  mano  destra  della  medesima  tìgm-a,  o  più  probabilmente 
di  un'altra,  il  cui  braccio  scendeva  dietro  la  nuca.  La  mano,  alta  m.  0.31,  impugna 
un  oggetto,  che  non  può  riconoscersi  per  la  rottura  del  marmo. 

Nello  stesso  luogo  si  è  rinvenuta  una  piccola  erma  bicipite,  alta  m.  0,14,  di  fattura 
assai  mediocre.  Da  una  parte  presenta  una  figura  virile  barbata;  dall'altra,  una  figura 
di  giovane  donna  con  capelli  inanellati  sulla  fronte. 

Via  Tiburtina.  Al  Campo  Verano,  facendosi  nuovi  sterri  per  la  costruzione 
di  edicole  sepolcrali  sul  così  detto  Pincetto,  sono  stati  raccolti  i  seguenti  oggetti  :  — 
Lucerna  di  terra  gialla,  rotonda,  con  manico  ad  anello,  che  porta  nel  fondo  il  bollo 
P  IVL  PHIL.  Altra  grezza,  di  forma  ellittica,  con  ramoscello  di  palma  e  globetti  in 
rilievo:  nel  fondo  è  incisa  una  croce.  Altra  piccola,  rotonda,  a  due  becchi,  con  ma- 
nico in  forma  di  mezzaluna.  Frammento  di  vaso  aretino,  di  rozza  fattura,  con  ornati 
di  foglie  ed  uccelli  nell'orlo.  Due  frammenti  di  lapidi  cimiteriali  cristiane,  che 
conservano  : 

a)  V  E  R ì\      lettere  alte  m.  0,12 
barchetta 

b)  MATH'       lettere  alte  m.  0,05 

/ 

Balsamario  di  vetro,  intiero,  alto  m.  0,04.  Ago  di  bronzo,  lungo  m.  0.12.  Piccolo 
campanello  di  bronzo.  Varie  monete  consunte  dall'ossido  ed  irriconoscibili. 

G.  Gatti. 


TERRACISA  —   250   —  REGIONE 


Ri-.ìioNE  I  (LATIUM  ET  CA.UPAXIA). 

\  111.  TKlvUAGlNA  —  J)i  rar/'e  ficoperie  di  (niticliità  avvcmile  in  oc- 
casione degli  scori  per  hi  nuova  conduttura. 

Nei  cari  per  rimpianto  delia  nuova  conduttura  d'acqua  in  Terracina,  dalla  lo- 
calità detta  Mola  della  Torre,  a  cinque  chilometri  dall'abitato,  fino  al  serbatoio,  od 
antica  piscina,  detta  le  ijrolte  di  s.  Francesco  sulla  pendice  occidentale  di  Monte  s.  An- 
gelo, avvennero  le  scoperte  se<,'uenti. 

1.  Dinanzi  la  Mola  della  Torre  apparvero  i  resti  di  un  antico  edificio,  con 
muri  di  opera  reticolata  ed  in  parto  anche  di  laterizio,  un  intonaco  dipinto  e  fram- 
menti di  incrostazioni  di  marmi  nobili.  Si  scoprirono  pure  avanzi  di  una  piscina  into- 
nacata di  opus  signinum. 

2.  Abiuanto  inferiormente  a  questo  edificio,  il  taglio  delle  terre  pose  allo  sco- 
perto un  nucleo  di  muratura  rivestito  di  blocchi  marmorei  con  una  tomba  nel  centro, 
a  forma  di  cassa,  allettata  su  di  un  piano  di  sottile  lastra  di  marmo,  tianchcu'u'iafa 
da  sponde  costruite  con  conci  di  macigno  locale,  e  coperta  da  altra  lastra  di  marmo 
più  grossa. 

3.  Seguendo  il  tracciato  della  condottura,  a  200  metri  circa  dall'altra  mola,  dotta 
Mola  di  mc::o,  si  rinvenne  il  lastricato  dell'antica  via  .\ppia,  a  m.  0,40  sotto  il 
jiiano  di  campagna.  La  strada  in  quel  punto  misurava  m.  0,.'i7  di  larglie/.za.  Correva 
dal  lato  sinistro  di  essa  un  muro  grosso  m.  1,50,  con  paramento  di  opera  reticolata, 
sul  quale  probabilmente  era  stabilito  l'antico  acquedotto  della  cittù  ;  sulla  destra 
vedevasi,  tuttora  al  posto,  un  ordino  di  pietre  costituenti  il  margine  stradale. 

4.  Segue  dopo  questo  punto,  rincontro,  nel  cavo,  di  un  deposito  di  parecchi  massi 
lavorati,  di  pietra  locale.  Appartengono  al  rivestimento  di  un  sepolcro  che  fiancheg- 
giava l'Appia.  Sono  stati  rilevati  tra  i  detti  massi: 

ft)  Hlocco  di  m.  1.24X0,61X0,51,   sul   quale   rimane   il   seguente  resto  di 

epigrafe  : 

LO 

Liei 
LOT 

M 

\ 

L ■ OTAC^ 
OTA  / 

//)  Pulvino  decorato  d'intagli,  che  faceva  parte  del  fastigio  del  sepolcro;  mi- 
sura m.  1,02X0,57X0,30. 

e)  Frammento  di  cornice  di  coronamento  del  sepolcro  medesimo;  misura 
ra.  1,30X0,50X0,21». 

5.  Nel  tratto  di  cavo,  che  procede  la  Mola  di  messo,  la  quale  ò  stata  ridotta 
ad  edifìcio  pel  macchinario  del  sollevamento   dell'acqua  potabile,   si  rinvennero  due 


REGIONE    I.  —    251    —  POMPEI 


cippi  anepigrafi  di  calcare  locale,  alti  m.  1,06.  Trovavansi  al  loro  antico  posto,  cioè 
collocati  a  contine  del  margine  destro  dell'antica  Appia  e  dei  campi.  Erano  distanti 
tra  loro  m.  6i)  circa,  pari  a  duecento  piedi  romani. 

(3.  Dopo  la  mola  predetta,  il  tracciato  della  condottura  incontra  l'Appia  al 
ponticello  della  linea  ferroviaria,  detto  di  s.  Benedetto  dal  titolo  della  prossima  chiesa 
medioevale,  oggi  diroccata,  posta  a  monte  della  linea  medesima  e  la  attraversa  a 
m.  0,50  di  profondità  sotto  il  lastricato  di  poligoni. 

7.  Da  questo  punto  sino  alla  città,  la  condottura  segue  il  fianco  destro  della 
via  antica,  passando  col  cavo  accanto  all'acquedotto  moderno. 

In  prossimità  della  Stazione  Ferroviaria,  per  m.  300  circa,  la  condottura  è  stata 
posata  entro  la  fonna  di  un'  antica  fogna  sottostante  alla  crepidine  del  lato  destro 
dell'Appia.  Ha  i  fianchi  costruiti  di  muretti  di  opera  reticolata  e  la  copertura  a 
Volta  a  sesto  ribassato,  di  muro  in  pietrame,  essendo  tutta  intonacata  di  coceiopesto. 

8.  Internamente  alla  città,  il  cavo,  dalla  Porta  Komana  risalendo  per  il  Borgo, 
sino  alla  porta  Maia,  prosegue  sulla  destra,  ed  ha  messo  allo  scoperto  un  tratto  lungo 
m.  25  circa,  lastricato  con  lastroni  di  calcare  locale,  dello  spessore  di  m.  0,22;  quindi 
segue  la  pavimentazione  della  via  consolare,  che  trovasi  costantemente  a  m.  0,45  circa, 
sotto  il  ciottolato  moderno. 

9.  Così  proseguendo  a  salire  per  la  moderna  via  mattonata,  praticandosi  il  cavo, 
si  è  sempre  ritrovato  il  pavimento  della  stessa  via  consolare,  ad  una  profondità  che 
varia  da  m.  0,40  a  0,60.  Questa  passa  a  tergo  del  tempio  di  Apollo,  sul  quale  fu 
innalzata  la  moderna  chiesa  cattedrale,  sino  all'antico  foro  Emilio. 

Nel  fare  l'ultimo  cavo  descritto,  si  è  rinvenuto  un  frammento  di  statua  muliebre, 
seduta,  mancante  dalla  vita  in  su. 

Giunto  il  tracciato  della  condottura  all'antico  Foro,  devia  dal  lato  destro  della 
cattedrale,  salendo  per  la  via  del  Palma;  prosegue  dietro  il  palazzo  municipale;  ri- 
discende per  la  strada  della  Salita  del  Castello,  e  toccando  l'angolo  orientale  del  Foro 
segue  la  discesa  della  strada  della  Annunziata,  ove  a  m.  1,50  dall'angolo  in- 
contra l'antico  margine  della  via  consolare,  che  trovasi  a  m.  0,30  sotto  il  selciato 
moderno. 

Alla  distanza  di  m.  0,40  circa  dall'angolo  citato  s'incontra  il  piedritto  di  un 
antico  arco  che  probabilmente  formava  l'ingresso  nel  Foro,  la  cui  soglia  trovasi  a 
m.  1,25,  in  media,  sopra  il  suolo  della  moderna  via  predetta. 

Da  questa  dirigendosi  verso  la  via  di  s.  Francesco  il    cavo  per  la  condottura, 

s'incontrò  costantemente,  fino  al  serbatoio,  l'antica  via  consolare,  lastricata  di  poligoni 

di  calcare  locale,  alcuni  dei  quali  di  grandi  dimensioni. 

D.  Marchetti. 


IX.  POMPEI  —  Criornnle  dei  lavori  redatto  dagli  assistenti. 

1-20  giugno.  Proseguirono  gli  scavi  nel  lato  sud  della  regione  Vili.  I  lavori 
di  restauro  continuarono  nella  regione  IX,  isola  2"  e  isola  3*;  e  nella  regione  V, 
isola  1'''.  Si  eseguirono  anche  riparazioni  alle  pareti  della  casa  n.  5,  della  regioiK'  VI, 
isola  !•'.  Non  avvennero  rinvenimenti. 


S.    VITTORINO  —    l'.»2    —  REOIONB    IV. 


21-27  detto.  Si  eseguirono  rcstanri  alle  pareti  della  casa  n.  8,  regione  VII. 
isola  y,  0  della  casa  n.  19  regione  VI  isola  13*.  Non  avvennero  scoperte. 

28-30  detto.  I  lavori  di  scavo  e  di  restauro  seguitarono  nelle  indicate  località, 
ed  inoltre  nelle  case  n.  .">,  regione  IX,  isola  3°  e  n.  38,  regione  VI,  isola  14*. 


Regione  IV  (SAMNIUM  ET  SABINA). 
SABINI. 

X.  S.   VlTTuUIXO    (frazione    del  comuue  di  Pizzoli). 

1.  Certo  Andrea  Cialone,  volendo  fare  uno  stipo  nella  cucina  della  sua  casa,  lia 
rimosso  la  lapide  con  epigrafe  sepolcrale  che  vi  era  incastrata  e  della  quale  diedi 
gi;\  conto  nelle  Nf>li:ic  18!il  p.  97. 

Per  elìetto  di  tale  rimozione  e  della  caduta  d'intonaco  che  nascondeva  la  lapide, 
è  questa  tornata  interamente  in  luce. 

V.  lunga  ra.  njit,  larga  0,33  e  l'epigrafe  è  integrata  noi  modo  seguente: 

D       M       S 
RESTVS- LV 
SLVS- AVFIDIO 
TROFLMOCOGN 
ATOBENEMERE 
NTI  •  POSVIT 
EGOTIBI-    MI 

Q_VI 
S  •  T  •  T  •  L 

2.  Domenico  Frataccliione,  in  un  suo  terreno,  sito  nella  parte  più  elevata  del 
paese,  e  precisamente  nella  località  denominata  Castello  ili  Chicrcone,  ha  rinvenuto 
il  seguente  frammento  epigrafico,  inciso  su  calcare  del  luogo: 


'VMETDION 
■Jl^ERTA^ 


N.  Persiohetti. 


Nel  fascicolo  dello  scorso  mese  (p.  lOii)  fu  omesso  il  nome  del  eh.  i.^pettoro 
N.  Persichetti  alla  fine  della  nota  intorno  ad  altri  frammenti  lapidari  iscrìtti  rinve- 
nuti nei  villaggi  tli  Vallicella  e  s.  Lorenzo  nel  comune  stesso  di  Pizzoli. 


REGIONE    IV.  —    253    —  PAGANICA 


VESTI  XI. 

XI.  PAGANICA  —  Tombe  di  dà  romana,  con  oiji/ct.ti  della  sup- 
pellettile funebre,  rinvenute  ?iella  contrada  Colle  del    tallone. 

A  levante  del  grosso  villaggio  di  Paganica,  che  dai  dotti  vuoisi  fosse  stato  il 
Par/US  Fi/ìgulanus  (cfr.  C.  /.  L.  IX,  p.  338) ,  ed  alla  distanza  di  un  centinaio  di  metri 
appena  dall'attuale  abitato,  elevasi  un  colle  detto  Colle  del  Vallone.  Con  bella  espo- 
sizione a  mezzogiorno,  è  desso  da  una  banda  circoscritto  da  un  fosso  che  raccoglie 
acque  torrenziali,  e  dall'altra  da  scabrosa  strada  chfe  mena  a  Filetto  (frazione  del  co- 
mune di  Camarda). 

Il  colle  medesimo  appartiene  in  gran  parte  ad  un  tal  Eduardo  De  Paolis  che 
l'ha  impiantato  a  vigna.  La  più  bassa  pendice  però,  prossima  alla  via  pubblica,  es- 
sendo duramente  brecciosa,  non  ha  messa  a  coltivazione  ed  invece  ne  usufruisce  per 
cava  di  arena  e  breccia.  Con  questo  lavoro,  saltuariamente  ed  irregolarmente  eseguito, 
si  sono  colà  rinvenuti  degli  scheletri,  aventi  presso  di  loro  oggetti  in  terracotta,  rotti 
in  più  pezzi  e  ferri  corrosi.  Avvertito  di  ciò  mi  feci  sollecito  di  raccomandare  al 
De  Paolis  la  maggioro  possibile  delicatezza  nelle  futuro  scoperte  nonché  la  conser- 
vazione di  qualunque  oggetto  che  vi  avesse  rinvenuto.  E  cos'i  si  è  potuto  riconoscere 
che  ivi  era  l'antica  necropoli  del  sopra  accennato  pago,  di  cui  dirò  quel  poco  che 
ho  potuto  sapere  e  vedere. 

Il  terreno  ove  il  De  Paolis  cava  l'arena  è  un  conglomerato  alluvionale  assai 
compatto,  di  formazione  postpliocenica.  In  esso,  ad  una  profondità  varia  dai  2  ai  .") 
metri  dal  piano  di  campagna,  si  sono  rinvenute  parecchie  tombe  ad  imiazione,  meno 
una  a  cremazione  rappresentata  da  un  olla  cineraria  fittile. 

Lo  tombe  non  erano  regolarmente  allineate,  ma  erano  scavate  or  qua  or  là,  ove 
il  terreno  presentavasi  più  duro  e  resistente,  poiché  le  tombe  medesime  non  erano 
costituite  da  altro  che  da  una  semplice  fossa  rettangolare  intagliata  nella  con- 
crezione brecciosa,  cosicché  gli  scheletri  si  sono  trovati  giacenti  in  diversa  direziono, 
talora  opposta,  e  non  tutti  nella  medesima  posizione. 

Il  cadavere  poi  vi  era  per  lo  piìi  deposto  sulla  nuda  terra,  ovven^  in  una  cassa 
di  legno,  come  induce  a  credere  l'esistenza  di  numerosi  chiodi  metallici  e  di  spran- 
ghette  di  ferro  rettangolari,  certamente  servito  per  stringere  le  commessure  degli  an- 
goli della  cassa  istessa. 

La  tomba  era  riempita  col  medesimo  materiale  sassoso  ricavato  dallo  scavo,  onde 
gli  oggetti  costituenti  la  funebre  suppellettile  non  sempre  si  sono  rinvenuti  a  posto, 
ma  si  sono  trovati  spostati  e  frammentati  sia  per  effetto  della  sovrapposizione  di  quel 
materiale  che  col  tempo  ha  riacquistata  la  stessa  durezza  e  tinta  della  massa  circo- 
stante, sia  pel  più  grave  peso  che  ha  acquistato  con  la  maggior  quantità  di  terra 
che  vi  é  scesa  dall'alto  del  colle  in  sì  lungo  elasso  di  tempo. 

Notevole  pure  in  tante  tombe  è  l'assoluta  mani'anza  di  stole,  cippi  e  di  altro 
qualsiasi  titolo  o  distintivo  funebre,  il  clie  fa  supporre  che  posteriormonte  altro  do- 


BUGNARA  —   2ó4   —  REGIONE   IV. 


vette  essere  il  sepolcreto   del  pago,  nel  quale  forse   si  rinvennero  le    iscrizioni    che 
leggonsi  nel   C.  /.  L.  IX,  n.  3574,  357ò,  3572  ,  3577,  3581  ed  altre. 

K  anche  da  notarsi  la  completa  assenza  di  monete  e  di  oggetti  in  bronzo,  mentre 
che  vi  abbonda  la  suppellettile  tittile  ed  in  ferro.  Infatti  ecco  gli  oggetti  che  ne  ho 
potuto  osservare,  e  che  non  erano  stati  trascurati  e  dispersi  come  quelli  precedente- 
mente rinvenutivi. 

Dir^  p.ire  che  tale  suppellettile  in  genere  è  scarsa  e  di  ordinaria  fattura,  e  nella 
massima  parte  è  quella  Httile  di  creta  gialla  pallidissima,  meno  qualche  esemplare 
che  di  creta  e  di  stile  diverso  e  più  tino.  —  Filtili.  Olla,  alta  cm.  32,  mancante  di 
un  breve  tratto  dell'orlo.  Lucerna  monolicne,  con  rappresentanza  di  nn  ludo  gladia- 
torio. Altra  lucerna,  ma  di  rozzb  stile.  Patera  a  vernice  rossa,  ben  conservata.  Sco- 
della di  forma  elegante,  in  argilla  nericcia  ma  lina,  verniciata  in  nero,  con  orna- 
nementazione  geometrica  graffila  nel  mezzo.  Scodelletta  di  simile  argilla  e  lavoro, 
ma  rotta  e  mancante  di  varii  pezzi.  Quattro  ciotolettc  di  grossolana  argilla,  tinta 
in  nero.  Tre  scatole  circolari,  contenenti  altre  scatolette  quasi  simili,  ma  più  piccole, 
tinte  anche  in  nero.  Tre  vasetti  della  medesima  argilla  e  colore.  Quattro  skyphoi, 
rotti  0  mancanti  di  pezzi,  tutti  a  vernice  nera  ;  uno  solo  di  essi  ha  le  due  anse  in- 
tere. Un  arvballos  in  argilla  giallastra,  con  ansa  intrecciata.  Vasetto  ventricoso,  bian- 
sato.  Tre  lekythoi  frammentate,  di  forma  snella  ed  elegante,  ma  di  diversa  altezza. 
Una  oinochoe  in  argilla  gialla  pallida.  —  Ferro.  Due  coltelli,  rotti  e  corrosi,  lungo 
il  primo  cm.  -10,  ed  il  secondo  cm.  .")2.  Manichi  di  padellette  o  colatoi,  corrosi  o 
frammentati.  Tre  piedi  di  lucerne.  Spranghctte  e  chiodi  di  casse  mortuarie.  —  Avorio. 
Uno  stilo,  lungo  cm.  12,  ben  conservato. 

N.  I'kksichetti. 


l'AKfJO.V/. 

XII.  IJUGNAUA  —  Nella  contrada  Difesa,  di  proprieU'i  comunale,  cseguen- 
iIdsì  una  variante  al  canale  di  Cortinio,  alla  profondità  di  circa  m.  8,  si  scoprì 
0  fu  subito  demolito,  un  angolo  di  grandioso  edificio,  con  zoccolo  di  pietre  calcaree 
fine  e  scorniciate.  Alcune  di  queste  pietre  furono  adoperato  per  la  costmzione  di  un 
ponte,  nello  stesso  canale.  Mi  fu  detto  che  eransi  trovate  anche  delle  iscrizioni  ;  ma 
io  non  vidi  che  qualche  traccia  di  lettere.  Forse  furono  aluase. 

Gli  appaltatori  dei  lavori  mi  informarono  che  tra  i  rottami  si  rinvennero  pozzi 
di  vasi  di  creta  finissima  e  d  i  vetri,  e  mi  fu  mostrato  un  ex-coto  muliebre,  raccolto 
in  quella  stes.^a  località. 

A  poca  distanza,  verso  levante,  sempre  in  occasione  di  detti  lavori,  tornò  a  luce 
un  pavimento  di  pietre  poligone,  come  di  strada. 

Nella  contrada  s.  Giovanni  o  Caja  non  fu  mai  preso  in  considerazione  un  avanzo 
di  mura  poligoniche,  senza  cemento,  con  rozza  sfaccettatura  da  una  parte,  il  quale  fu 
manomesso  durante  i  lavori  della  linea  ferroviaria  Sulmona-llugnara-Anversa. 


REGIONE    IV,    SARDIMA  —    2.55    —  RAIANO,    SANt'aXTIOCO 


Ma  ne  rimane  ancora  visibile  un  tratto  di  circa  metri  3  di  lunghezza.  La  parte 
non  demolita,  verso  mezzodì,  si  nasconde  nel  terreno  alla  profondità  di  circa  metri  2. 

Alla  superficie  non  sono  rari  i  frammenti  laterizi  antichi;  e  poco  distante,  a  valle, 
si  rinvennero  già  parecchie  statuette  di  Ercole,  in  bronzo,  vindute  poi  al  barone  Corvi 
di  Sulmona. 

A.  De  Nino 


XIII.  RAIANO  —  Dentro  Kaiano,  quasi  in  u  nangolo  della  piazza  comunale,  in 
un  sito  del  sig.  Nunzio  Tiberii,  facendosi  uno  scavo  pei  fondamenti  di  una  cantina, 
si  è  rimesso  in  luce  un  mozzicone  solidissimo  di  mausoleo  quadrangolare,  di  circa 
quattro  metri  di  lato,  simile  a  quelli  che  ancora  si  vedono  presso  la  la  cattedrale 
di  Pentima. 

A  tre  metri  di  profondità,  verso  la  base  del  monumento,  si  sono  poi  scoperti  due 
tronchi  di  colonne:  uno  lungo  m.  0,9.5  e  uno  m.  0,70,  del  diametro  di  m.  0,35.  En- 
trambi sono  scannellati  a  tortiglione  e  lisci  nella  superficie,  anche  dalla  parte  delle 
scannellature. 

Con  le  colonne  si  sono  raccolti  molti  frammenti,  tra  cui  notevoli  due  pezzi  ben 
conservati  di  antifisse,  alte  m.  0,38,  scolpite  con  disegni  a  palme,  intramezzate  di 
gigli  a  tre  petali  :  palme  e  gigli  che  si  elevano  sopra  un  semplice  e  pur  grazioso  ara- 
besco. Dall'arabesco  in  su,  il  disegno  è  traforato  parte  a  parte.  Un  altro  pezzo  di 
antefissa  doveva  formare  angolo.  Vi  è  scolpito  una  specie  di  genio  alato. 

Tutto  il  descritto  materiale  è  di  pietra  calcarea  paesana  finissima,  lavorata 
da  un  perfetto  artista. 

Ora,  questi  avanzi  inducono  a  credere,  e  con  molta  probabilità,  che  di  là  doveva 
passare  la  Via  Amiternina  che,  dalla  destra  dell' Aterno,  fuori  della  Valle  di  San  Ve- 
nanzio, si  andava  a  ricongiungere  con  la  Claudia-  Valeria,  la  quale  scendeva  da  Sla- 
tule  (Goriano  Sicoli),  dirigendosi  a  Corfinium. 

A.  De  Nino. 


SARDINIA. 


XIV.  SANT'  ANTIOCO  —  Nuove  epigrafi  latine  dell'antica  Salci,  ag- 
giunte alla  raccolta  epigrafica  del  Museo  di  Cagliari. 

Nell'area  dell'antica  Silici,  nelle  fondamenta  di  un  antico  fabbricato  che  risultò 
lastricato  con  pietre  di  forma  parallelepipeda  rettangolare,  grossolanamente  lavorate, 
si  recuperarono  due  frammenti  di  epigrafi,  incise  su  lastra  marmorea   ('). 

(')  Di  tutte  queste  epi^afì  il  direttore  del  Museo  prof.  F.  Vivanet  iiiandù  al  Ministero  i  calchi 
cartaeei. 

C'LASSh  DI  sciKNZK  MoKM.i  ucc.  —  .\h  MouiK  —  Voi  II,  Serie  h^,  parte  2"  32 


SANT  ANTIOCO  —    2.'>()    —  SAttniSIA 

Uno  di  essi,  alto  m.  0,30.  largo  m.  0.19,  presenta  in  belle  lettere: 


i'  DERÌ\ 

>  M  E  D  I  * 

.-\  SOL 


L'altro,  alto  m.  0.12.  largo  in.  o.ll  conserva  soltanto  tre  lettere  incomplete,  cioè: 


Si  rinvenne  pure  parte  di  una  bandella  di  bronzo  ed  un  chiodo  dello  stesso 
metallo. 

Tali  oggetti  furono  donati  al  li.  Museo  di  Antichità  in  Cagliari  dal  sindaco 
di  Sant'Antioco  sig.  Luigi  Bigio-Cao. 

In  8.  Antioco  stesso  il  dott.  Alberto  Schifi",  ebbe  opportunità  di  acquistare  le 
seguenti  epigrafi,  una  delle  quali  intiera,  le  altre  mutile;  e  di  esse  fece  dono  al 
Museo  sopra  citato. 

1.  Lastra  di  m.  0,24x0,21: 


D  M 

L  •  POMPEIVS  MARCIANks 
VIXIT  ANNIS  XXIII  •  .MENSES 
SEX  AVIONIA  RESTITVTA 
FlLIO  BENEMERENTI 

Fecit 


2.  Lastra  di  ra.  0,23X0.11: 


etgArgiliAe  LF  gemellAe 

CONIVGI  DOMINAE  SVAEPOMPI 

felixsenecio  docimvsclvNta 
mXtri  kArissimAe  fecer- 


SAlìniXIA 


—  2.ì7  — 


SA  NT  ANTIOCO 


3.  Frammento  di  m.  0,12X0,12: 


R 

FECiT  Aliai 

e  O  I  V  G I   B  E  r'i 

Fec: 


VIX- 


4.  Altro  frammento   di   m.  0,10,  in  cui  dmane  soltanto,    ed   in  brutte  lettere: 


EVH 

[mai]; 


ó.  Altro  frammento  di  m.  0,12. X  0,12: 


'G-R.NELI 


F.    VlVANET. 


Roma  15  agosto  1894. 


REGIONE   X. 


—  259   —  CALTUANO  VICENTINO 


AGOSTO 


Regione  X  (VENETI A). 

I.  CALTRANO  VICENTINO  —  Ripostiglio  di  vittoriati. 

Proprio  dove  la  pianura  vicentina  muore  al  pie'  delle  Alpi,  e  l'antico  ghiacciaio 
dell'Astice  sbocca  per  l'ampia  valica,  formando  uno  sbarramento  frontale,  oggi  pro- 
fondamente inciso  per  oltre  un  chilometro  dal  tiunie,  in  ridente  posizione  a  solatio 
ed  adagiato  sulle  pendici  inferiori  del  monte  Costo  si  stonde  il  borgo  di  Caltrano, 
in  sito  un  dì  molto  forte,  a  guardia  d'un  valico  Huviale,  altra  volta  importante;  che 
oggi  la  cupa  ed  angusta  gola,  in  fondo  alla  quale  romoreggia  l'antico  Astagus  è  sog- 
giogata da  ardito  ponte  in  ferro,  mentre  nei  secoli  addietro  il  varco  del  fiume  si  ef- 
fettuava scendendo  in  fondo  all'erta  ripa  destra,  guadando  l'acqua  e  risalendo  l'opposta 
pendice  per  il  valloncello  detto  del  Crearo.  Per  questo  transito  durante  tutto  il  me- 
dioevo si  effettuarono  le  comunicazioni  fra  la  pianura  vicentina  e  l'altopiano  di  Asiago, 
ricco  di  prodotti  alpini;  e  certo  ancora  nell'epoca  romana,  e,  penso,  anche  prima.  Che 
Caltrano  sia  stato  luogo  di  qualche  importanza  lo  dicono,  oltre  della  sua  ubicazione, 
i  ricordi  storici  ;  già  nel  secolo  decimo  la  sua  chiesa  figura  come  chiesa  madre  di  nu- 
merosi borghi  e  villaggi  del  piano,  della  valle  dell' Astico  sino  all'attuale  confine 
austriaco,  e  dei  monti  di  Asiago  (');  era  dunque  un  ragguardevole  centro  cristiano, 
sovrapostosi  ad  uno  romano.  E  la  sua  romanità  risuona  ancora  nel  nome  odierno  [vicus 
Caltrianus)  {-),  ed  in  quello  di  circostanti  villaggi  (Zugliano  =  vicus  fulianus,  Chiup- 
pano  =  vicus  Clup ...,  Calvene  dalla  gens  Calvenia  o  Calvena) ;  Piovene,  non  guari 
discosto,  ha  dato  il  titolo  C.  I.  L.  V,  n.  3187,  e  Chiuppano  il  C,  V,  n.  3137,  im- 
portante pel  ricordo  di  un  magistrato  vicentino. 

Fu  appunto  sulla  collinetta  detta  «  Castellare  » ,  a  due  passi  dal  paese  verso  po- 
nente, imminente  all'antico  passo  del  fiume,  che  nella  scorsa  estate  del  93  avvenne  la 


(')  Brcntari,  Guida  di  Bussano  e  dei  Sette  Comuni,  p.  130. 

Cj  Una  gens  Caltria  o  Calteria,  comecché  sconosciuta  fin  qui  per  le  fonti  cpigralìchc  o  let- 
tirariu  (manca  in  De  Vit,  Onotnasticon  tot.  latinitatis),  ò  tutt'altro  clie  inverosimile,  avendovi  più 
di  un  nome  gentilizio,  il  cui  ricordo  ci  è  soltanto  pervenuto  attraverso  le  forme  toponomastiche. 

Ci.ASSK  DI  siiKN/ic  MouAi.i  ecc.   —  Mkmorif.  —  Vol.  II,  Serie  5',  parte  2*.  "3 


rAI.TRANO    VICENTINO  —   2<Ì0   —  REGIONE   X. 

Bcoperta  di  cui  riferisco.  Per  costruire  il  campanile  della  nuova  chiesa  gli  operai,  levando 
la  terra  superlìciale  in  cerca  della  roccia  sottostante,  avvertirono  ad  un  tratto  in  mezzo 
a  due  pietre  un  vaso  di  rame,  che  dai  fianchi  laceri  lasciò  scappare  una  quantità  di 
monete.  Tra  gli  operai  fu  tosto  una  ressa  a  chi  più  poteva  rubarne,  e  solo  con  grande 
stento  don  Giov.  Batt.  Stjevauo,  parroco  di  Caltrauo,  al  quale  apparteneva  il  fondo, 
potè  dopo  qualche  tempo  ricuperare  un  3G5  vittoriati,  dei  quali  circa  15  esemplari 
dopo  la  mia  prima  visita  fatta  al  luogo  nell'agosto  andarono  dispersi  fra  amici  e 
visitatori  :  poclii  altri  esemplari  ho  visto  nello  mani  di  varie  persone  di  Thiene,  e 
quattro  vennero  ancora  nell'agosto  offerti  al  Museo  Etrusco  Centrale  di  Firenze.  Dalle 
concordi  deposizioni  di  parecchie  persone  che  assistettero  al  rinvenimento  devo  arguire, 
che  l'intero  tesoretto  consistesse  di  poco  oltre  un  migliaio  di  pezzi. 

Prima  di  passare  allo  studio  di  esso  osservo  ancora,  che  sul  colmo  del  Castellare, 
dove  esisto  oggi  il  campanile  provvisorio,  di  sotto  la  zolla  erbosa  si  disegna  un  qua- 
drato di  robusto  muro  antico,  che  se  non  è  medioevale  (nò  ebbi  modo  di  accertarmene) 
nulla  toglie  che  s'abbia  a  considerare  come  il  nucleo  di  antico  fortilizio,  forse  avanzo 
di  una  torre  di  guardia.  Attorno  ad  esso  verso  il  1SS4  si  trovarono  fondamenta  di 
casette  con  muri  spessi  meno  di  un  metro,  suddivise  internamente  in  piccoli  ambienti 
pavimentati  a  battuto;  dalla  fattami  descrizione  parmi  desumere,  che  tali  casette  fossero 
simili  a  quelle  segnalate  al  Bostel  di  Kozzo,  sul  soprastante  altipiano  di  Asiago,  e  sui 
Lessini  del  veronese  ('),  dentro  le  quali  si  rinvennero  pure  vittoriati  romani.  Nel  ri- 
muovere poi  la  terra  per  denudare  la  roccia  si  misero  allo  scoperto  assieme  a  carboni, 
cocci  in  quantità,  i  quali  non  presentano  però  spiccate  caratteristiche  per  assegnarli 
ad  un  determinato  periodo;  quasi  completo  è  soltanto  un  fondo  di  vaso,  simile  a  kan- 
tharos,  di  bucchero  bigio,  nò  va  dimenticato  un  macinatojo  di  pietra  trachitica,  a  forma 
clittica  (cm.  30  X  23),  piano  inferiormente;  il  quale  nella  faccia  superiore  convessa 
porta  profondamente  scolpito  il  segno  V,  cioè  una  lettera  dell'alfabeto  veneto-illirico  (-); 
qua  e  là  s'imbatterono  i  lavoratori  anche  in  qualche  scheletro  isolato,  deposto  super- 
ficialmente nella  nuda  terra,  sulla  cui  età  manca  ogni  sicuro  indizio  ;  invece  è  molto 
antica  la  tomba  che  ha  dato  le  monete  massaliote,  e  che  ricorderò  più  avanti. 


Le  monete  che  io  ho  esaminate  nell'ottobre  u.  s.  presso  il  rev.  don  Stjevano, 
parroco  del  sito  erano  tutte  ricoperte  di  una  forte  ossidazione,  verdastra  in  taluna  per 
il  lungo  contatto  colle  pareti  del  vaso  metallico;  anzi  parecchie  di  esse  erano  ancora 
qua.si  incollate  l'una  all'altra.  Sottoposte  con  tutte  lo  <lebite  cautele,  ed  a  piccoli 
gruppi,   ad  un   bagno  di  acido    muriatico  ne  risultò   una   pulitura   completa   senza 


(')  Poi  Poizo.  .ìfemorie  dei  Sette  Comuni  p.  .1  ;  Orsi,  Noti:ie  1890,  p.  204  ;  De  Stefani,  Sopra  gli 
scavi  fatti  nelle  antichissime  capanne  di  pietra  del  Monte  Loffa  a  s.  Anna  del  Fondo  (Verona  188.')). 

(')  Probabilmento  nna  x  «cnia  la  ^'amba  lunga  che  occorre  di  consueto  (Oliirarilini,  Notitie 
degli  scavi  188«,  p.  12). 


REGIONE   X.  —   261    —  CALTRANO   VICENTINO 


compromettere  il  loro    stato  di  conservazione,  il  quale  io  ho  segnato  nella  gradua- 
toria seguente. 

1.  quasi  fior  di  conio esemplari      2 

2.  freschissimi n  7 

3.  freschi „  20 

■  4.  poco  usati n  56 

5.  usati „  118 

G.  molto  usati n  HO 

7.  logori  e  consumati     .     .         »  37 


Totale      ..  350 

È  una  delle  cose  più  delicate,  ed  al  tempo  stesso  più  importanti,  nello  studio 
dei  ripostigli  monetali,  quella  del  fissare  equamente  il  grado  proporzionale  di  con- 
servazione dei  singoli  pezzi  ;  nel  quale  giudizio,  a  scanso  di  conclusioni  errate,  vuoisi 
aver  di  mira  anche  Io  stato  del  punzone,  se  cioè  nuovo  0  stanco;  e  delle  differenze 
derivanti  da  conio  stanco  0  da  prolungata  circolazione  dei  pezzi  é  solo  in  grado  di 
giudicare,  chi  abbia  avuto  in  mano  ed  a  lungo  esaminate  e  comparate  tutte  le  mo- 
nete; nella  quale  fortunata  condizione,  per  parecchi  giorni  di  seguito  venni  io  stesso 
a  trovarmi.  Aggiungo,  che  per  maggior  sicurezza  di  giudizio  io  non  ho  voluto  com- 
misurare la  graduatoria  di  conservazione  sopra  una  scala  troppo  frazionata,  ma  ho 
preferito  stabilire  una  scala  progressiva  di  soli  sette  punti,  dal  fior  di  conio  al  logoro. 
Lo  specchietto  che  propongo,  dimostra  che  la  condizione  media  dei  pezzi  si  aggira  sui 
pimti  5  e  6,  ciò  che  dimostra  come  la  grande  maggioranza  dei  pezzi  sia  stata  a  lungo 
in  circolazione. 

Il  ripostiglio,  come  dissi,  consta  esclusivamente  di  vittoriati  ;  sebbene  il  tipo  fon- 
damentale sia  unico,  grandissime  sono  le  varianti  di  conio,  consistenti  non  solo  in  sigle 
e  simboli,  ma  nella  varia  grandezza  e  forma  (profilo,  chioma)  della  testa  di  Giove, 
nella  varia  composizione  del  rovescio,  nella  diversità  delle  lettere  dell'esergo  ecc.  Se 
talune  di  codeste  varianti,  sopratutto  le  sigle  ed  i  simboli,  sono  contrassegni  evidenti 
di  emissioni  diverse,  altre  invece  solo  questo  provano,  che  in  una  stessa  emissione  si 
adibivano,  per  sollecitare  l'operazione,  parecchi  punzoni  con  tenuissime  varietà.  Mag- 
giori particolari  espongo  nel  catalogo  che  segue. 

Villoriati  con  simboli  dei  monetieri.  N.  1-11.  Adu.  Piccola  testa  di  Giove  a 
d.  (alt.  mm.  11-12)  con  folta  chioma,  barbuta,  coronata  di  lauro,  con  tre  riccioli  mar- 
cati, che  scendono  alla  base  posteriore  del  collo;  il  tutto  in  cerchio  di  perline. 
F^  Vittoria  alata  incedente  a  d.,  sollevando  colla  d.  una  corona,  e  sorreggendo  colla 
sin.  il  lembo  della  ricca  e  lunga  tunica.  Di  fronte  ad  essa  trofeo  formato  da  un  palo, 
che  sostiene  uno  scudo  circolare  (panna)  sormontato  da  galea  cristata  ;  lo  completano 
una  lunga  lancia  ed  un  parasonium  appesi  obliquamente.  Dal  margine  inferiore  dello 
scudo  si  staccano  lo  striscio  in  cuoio  della  lorica.  Tra  la  vittoria  od  il  trofeo  luna 
crescente.  Esergo  RoMA. 


CALTRANO   VICENTINO  —   262   —  REOIONE   X. 

Sopra  nndici  pezzi  sono  rappresentate  almeno  sette  tenni  varianti  (varia  {rrandciza 
nella  tosta  di  Giovo,  lettere  ad  estreinitù  luintiggiate  o  meno;  parazonio  indicato  da 
uno  0  da  due  tratti  paralleli  ecc.). 

Conservazione:     3  freschi  Peso:    gr.  2,45  —  2,r>5  —  3,15 

•  4  poco  usati  •-  -    2,G0  —  2,75  —  2,95  —  3,25 

•  4  usati  .  -    2,45  —  3,25  —  3,30  —  3,50 

Il  simbolo  della  luna  crescente  fu  già  riscontrato  nei  vittoriati  del  primo  pe- 
riodo (268-217  a.  C.)  che  hanno  un  peso  medio  fra  i  gr.  2,37  e  3,47  (').  Uno  dei 
nostri  eseiuplari  freschi  supera  di  poco  il  peso  massimo  fin  qui  segnato. 

N.  12-18.  Adr.  Idem  con  testa  alta  mm.  12-12  ì.  ^  Tra  Vittoria  e  trofeo  doppio 
fulmino  verticale.  £s.  RoMA.  Su   sette   pezzi   almeno   cinque  tenui  varietà  (tre  con 

Roma). 

Conservazione:    3  freschissimi  Peso:    gr.  2,50  —  2,75  —  3,60  (sic) 

»  1  fresco  •  »    2.95 

»  3  poco  usati  "  "    2,35  (due)  —  2.95 

li  simbolo  monetale  del  doppio  fulmine  é  conosciuto. 

N.  19-20.  Adv.  Idem.  Ij  Troia  a  d.  fra  Vittoria  e  trofeo.  Es.  RoMA.  Esemplare 
largo  poco  usato  peso  gr.  2,95.  Altro  spesso  poco  usato,  peso  gr.  3,20.  Simbolo  mo- 
notale conosciuto. 

N.  21-22.  Adv.  Idem.  I)  Cagnolino  a  d.  con  orecchie  irte  e  coda  a  cirro  (lupetto), 
fra  Vittoria  e  trofeo.  Due  varietà  (strisele  della  lorica). 

Conservazione:     2  poco  usati  Peso:    gr.  2.50  —  2,85 

Il  simbolo  è  conosciuto  od  occorre  anche  nelle  monete  della  Antestia  (Cohen  Medailles 
consiilaires,  tav.  II,  Ant.  1-3). 

N.  23-25.  Adv.  Idem.  9  ^^  Vittoria  ha  la  palma  nella  sin.  Es.  RoMA.  Simbolo 
conosciuto:  mosca  in  prospetto.  Varietà  nessuna.  Conio  grosso  e  difettoso,  con  crini- 
ture  in  tutti  tre  gli  esemplari.  La  testa  di  Giove  è  bnitta,  quasi  barbarica;  pimzone 
cattivo  e  stanco,  e  tuttavia  peso  alquanto  elevato. 

Conservazione:     2  poco  usati  Peso:    gr.  3,20  —  3,30 

•  1  usato  »  »    2.90 

N.  26.  Adv.  Idem.  ì^  Es.  R»AA A  (sic).  Simbolo:  scorpione,  nuovo  nei  vittoriati. 
Incisione  scorretta,  conio  cattivo.  Conser^'azione  fresca,  peso  gr.  2,75. 

N.  27-28.  Adv.  Idem.  1)  Il  trofeo  è  coperto  da  un  cimo  a  cappellaccio,  con  bot- 
tone all'apice.  Es.  RoMA.  Emblema  noto:  ferro  di  lancia,  che  a  tutta  prima  sembra 
nn  cipresso.  Due  lievi  varianti  usate  del  peso  di  gr.  2,90-3,30 

N.  29-30.  Adv.  Idem.  9  Idem.  Es.  RoMA.  Simbolo  noto  :  spiga.  Due  tenui  va- 
rietà. Esemplari  molto  usati,  peso  gr.  3,0.5-3,15. 

N.  31.  Adv.  Idem.  1)  Idem.  Es.  R»MA.  Simbolo  noto:  cornucopia.  Esemplare 
usato,  poso  gr.  2,75. 

(■)  Babelon,  Detcription  hUtorique  et  rhronol.  dei  monnaiet  de  la  rtp.  romaine,  p,  49. 


REGIONE    X.  —    263    —  CALTRANO   VICENTINO 


N.  32-35.  Adv.  Idem.  ^  Idem.  Es.  RoMA.  Simbolo  noto  :  mota.  Conio  alquanto 
stracco.  Due  lievi  varianti. 

Conservazione:    3  freschi  Peso:    gr.  2,60  —  3,10  3,20 

»  1  freschissimo  »         >.    2,60  (sic) 

N.  36-42.  Adv.  Idm.  ^  Idem.  Es.  R«MA.  Simbolo  noto:  clava.  Incisione  gros- 
solana, conio  spesso  in  cinque  esemplari,  largo  in  due,  lettere  con  punti  agli  angoli. 
Due  varietà. 

Conio  grosso:     3  poco  usati  Peso:    gr.  2,90  —  3,10  —  3,15 

»  2  usati  1,         ,    2,95  (due) 

Conio  largo:    2  usati  »         »    2,95  —  3,00 

N.  43-46.  Adv.  Idem.  9  Emblema  :  elmo  a  larga  tesa,  con  paragnatidi  e  cimiero 
lunato.  Es.  RoMA  ed  in  uno  R«MA  (sic).  Tre  deboli  varianti. 

Conservazione:     1  fresco  Peso:     gr.  2,90 

3  poco  usati  »  ,    2,65  (sic)  —  2,85 

N.  47-48.  Adv.  Idem.  9  Conio  curato.  Es.  RoMA.  Simbolo  noto  ;  spada  gallica 
con  manico.  Due  piccole  varianti.  Conservazione  freschissima,   ambedue  di  gr.  3,00. 

N.  49-50.  Adv.  Idem.  9  Idem.  Es.  RoMA.  Emblema  nuovo:  falcetto.  Due  va- 
rianti nella  testa  di  Giove. 

Conservazione:     1  fresco  Peso:    gr.  3,30 

»  1  molto  usato  n         »    2,70 

N.  51.  Adv.  Idem.  ^  Idem.  Al  trofeo  sono  aggiunte  le  ocreae.  Es.  RoMA.  Sim- 
bolo :  mazzuolo, 

Conio  largo,  molto  usato,  peso  gr.  3,10. 

Vittoriati  con  sigle  dei  monetieri.  N.  52.  Adv.  Idem.  ^  Idem.  Es.  RoMA; 
sigla  SI,  Molto  usato,  peso  gr.  3,00 

Il  senso  della  sigla  è  oscuro;  che  essa  indichi  l'officina  di  Atria  non  è  verosi- 
mile, essendo  quella  di  consueto  espressa  con  H.  È  del  paro  incerto,  se  vada  riferito 
al  monetiere  Tampilus,  che  di  solito  marca  con  altro    monogramma   (cf.  n.  59)   ('). 

N.  53-56.  Adv.  Idem.  9  Idem.  Tre  esemplari  hanno  la  sigla  U,  a  cui  corri- 
sponde nellVs.  RoMA;  essi  costituiscono  tutti  tipi  diversi.  (Bella  e  curata  esecuzione 
della  testa  di  Giove  pettinata,  in  uno  con  fiocchi  di  capelli  cadenti  dritti  sotto  la 
corona,  sul  collo;  in  due  altri  con  fiocchi  arricciati.  Le  varianti  sono  a  tutta  prima 
meno  avvertibili,  perchè  sottilissime,  nel  rovescio). 

Conservazione:     3  usati  Peso:  gr.  2,80  —  3,10  —  3,20 

Un  esemplare  porta  la  sigla  t.  La  U  semplice  indica  la  zecco  di  Luceria,  dove 
i  pezzi  vennero  coniati,  dubbia  è  l'altro  monogramma  (2). 

(')  Il  Mommsen  (Geschichf.e  des  roemischeti  Mùmvezem,  p.  501)  non  sa  dare  spiegazione  dello 
stesso  monogramma,  occorrente  sujili  assi. 

(*)  Il  Cohen  Med.  cons.  tav.  XLIII,  15  p.  341  ed  il  Babelon  Description  I  p.  56  nota  3 
non  esitano  ad  attribuirlo  alla  stessa  zecca,  mentre,  con  più  ragione  Mommsen-Blacas  f/ìstoirc  II, 
p.  227  restano  dubbiosi  sulla  sua  interpretazione.  Il  De  Petra  {Museo  Italiano  1885  p.  1)  pensa  a 
Luceria-Teate. 


CALTRANO   VICENTINO  —   264    —  REGIONE   X. 

N.  57.  Adv.  Idem;  dietro  la  testa  C.  ì^  Idem;  es.  RoMA;  sigla  M. 

Cons. :  molto  usato.  Peso:  gr.  3,05. 

Incerto  è  il  senso  della  lettera  del  dritto  (iloinmsen-niacas  II,  248),  ricono- 
sciuti fin  qui  sopra  denari  (Capua?).  Puro  quella  del  rovescio  è  oscura,  forse  di  egual 
sijjuitìcato  del  monogramma  seguente. 

N.  58.  Adv.  Idem  con  la  C.  1>  Idem;  fis.  R«M.  Sigla  /\A. 

Cons.:  molto  usato.  Peso:  gr.  3,10 

Non  è  provato  che  codesto  monogramma  si  riconduca  al  monetiere  Matieniis. 

N.  5t)-G0.  Adv.  Idem,  l)  Idem.  £s.  RoMA.  Sigla  /NT^ . 

Cons.  :  poco  usati  Peso  :  2,75  —  2,90. 

Il  monetiere  Matienus,  indicato  nel  monogramma,  si  riporta  circa  all'anno  234  (Ba- 
belon  0.  e.  11  208). 

N.  GÌ -02.  Ado.  Idem.  1>  Idem.  Es.  RoMA.  Sigla  N£. 

Cons.:  poco  usati  Peso:  gr.  2,90  —  3,10. 

Il  monetiere  Caecilius  Metellus  batte  intorno  al  217  (Babelon  o.  e.  I,  258)  ma 
non  tutti  i  numismatici  sono  di  accordo  nello  attribuire  il  vittoriato  a  costui 
(Mommsuu-Blacas.  II,  240). 

N.  63.  Adv.  Idem.  I>  Idem.  Ks.  RoMA.  Sigla   J^. 

Cons.:  usato  Poso:  gr.  2,80. 

La  sigla,  a  rigore  epigrafico,  non  denota  nò  Matienus,  nò  Metellus;  resta  perciò 
oscura. 

N.  64-65.  Adv.  Idem.  9  Idem.  Es.  RoMA.  Sigla  M"  (col  P  aporto). 

Cons.:  usati  Peso:  gr.  2,90  —  3,15.  Due  varianti. 

Sigla  nota  (Mommsen-Blacas.  II,  p.  24G)  ma  incerta  di  senso  (')• 

N.  66-73.  Adv.  Idem.  Es.  RoMA.  Sigla   A?. 

Tre  tenuissime  varietà.  Cons.:  2  poco  usati:  Peso  gr.  3,00 

2  usati  »      gr.  2,90—3,00 

4  molto  usati     »      gr.  2,80  — 2,85  (due)— 3,05. 

Il  Babelon  (I,  249)  attribuisce  il  vittoriato  a  Cn.  Baebius  Tampilus,  conduttore 
di  un'armata  contro  Insubri  e  Liguri  della  Cisalpina  nel  199,  e  console  nel  182; 
egli  avrebbe  battuto  fra  217-214;  il  Mommseu  {Geschichle  p.  405)  propende  ad 
assegnare  la  moneta  al  padre  di  costui,  Q.  lìaebius,  legato  ad  Annibale  nel  218. 

N.  74.  Adv.  Idem.  Es.  RoMA.  Sigla  AV. 

Cons:  usato  Peso:  gr.  3,25  Età  e  monetario  come  nella  precedente. 

N.  75.  Adv.  Idem.  Es.  cancellato.  Sigla  T. 

Cons.  :  molto  usato  Peso  :  gr.  3,00 

N.  76-78.  Adv.  Idem.  1^  Idem.  La  galea  del  trofeo  è  a  campana,  con  bottone 
all'apice  e  guanciali.  Es.  RoMA.  Sigla  \S  e  punto  in  alto.  Due  varietà. 

Cons.:  usati.  Peso:  gr.  2,85  —  3,00  —  3,05. 

(')  II  l'cso  di  codesti  due  peni  conferma  le  osservazioni  del  De  l'etra  (Gli  ultimi  ripostigli 
di  denari  in  Muteo  Italiano  1885  p.  1)  facendo  riselire  il  vittoriato  con  tali  sigle  al  periodo  del 
denaro  di  4  Hcrupolì;  nella  -MP  il  De  Petra  vedrebbe  indicato  Malica  e  Paeitum,  città  privilegiate, 
che  battevano  coi  tipi  ed  il  nomo  Roma. 


REGIONE   X.  —  265   —  CALTRANO   VICENTINO 


Qualcuno  ha  attribuiti  alla  Tibia  questi  vittoriati.  Ora  però  si  è  d'accordo 
(Mommsen-Blacas  II,  p.  231.  Babelon  I,  p  57,  II,  p.  537)  nel  ritenerli  usciti  dalla 
zecca  di  Vibo,  che  nel  189  cambia  il  suo  nome  in  quello  di  Valentia  ;  essi  sono 
quindi  anteriori  a  quest'epoca  e  si  possono  collocare  fra  228-189. 

N.  79.  Adv.  Idem.  Ij  Idem.  Sigla  Nf.  Trattandosi  di  un  esemplare  alquanto  usato 
(peso  gì:  3,10),  può  darsi  che  la  sigla  logora,  non  sia  che  un  residuo  della  prece- 
dente. 

Viltoìiati  senza  simboli  o  sigle.  È  operazione  penosa  e  delicata  l'ordinamento 
di  quasi  tre  centinaia  di  pezzi,  di  tipo  eguale,  in  gruppi  determinati.  Ma  se  i  tipi 
sono  eguali  non  sono  in  tutto  identici.  L'occhio  sottile  del  numismatico,  schierando 
i  dritti  ed  i  rovesci,  avvertirà  numerose  sfumature,  le  quali  non  rispondono  sempre 
ad  altrettante  emissioni,  ma  a  diversi  punzoni,  che  in  una  stessa  emissione  venivano 
messi  in  opera  per  sollecitare  il  lavoro;  così  si  hanno  delle  gradazioni  dal  tipo  base, 
difficili  ad  esprimere  in  disegno,  impossibili  a  rendere  colla  parola. 

Prendendo  per  punto  di  osservazione  fondamentale  la  testa  di  Giove,  e  poi  con- 
siderando in  rapporto  ad  essa  nel  rovescio  il  trofeo  (sua  composizione,  forma  dell'elmo 
e  delle  altre  armi)  e  la  leggenda  (forma  e  grandezza  delle  lettere),  abbiamo  almeno 
una  dozzina  di  varietà  di  teste,  con  cii-ca  altrettante  varietà  di  rovesci  per  ogni  testa, 
quanto  dire  un  centinaio  circa  di  delicatissime  varianti.  Data  questa  abbondanza,  ho 
rinunziato  ad  una  descrizione  dei  pezzi  singoli,  limitandomi  ad  insistere  sui  caratteri 
salienti  della  testa,  del  trofeo,  della  leggenda,  ed  aggruppandoli  poi  attorno  a  nuclei, 
che  presentino  le  maggiori  affinità  di  caratteri. 

N.  80-87.  Adv.  Testa  di  Giove  e  davanti  ad  essa  uno  scettro.  Ij  Idem.  Es.  RoMA. 
Cinque  varianti  appena  percettibili. 

Cons. :  2  freschissimi  Peso:  gr.  2,95  —  8,00 

2  freschi  gr.  2,90  —  8,00 

2  poco  usati  gr.  2,85  —  3,30  (sic) 

2  usati  gr.  2,90  (due) 

N.  88.  Esemplare  con  testa  in  rilievo  da  una  parte  in  cavo  dall'altra. 

Usato.     Peso  gr.  3,00. 

N.  89-98.  Adv.  Testa  di  Giove,  grande  (a.  mm.  15),  di  forte  rilievo  plastico 
con  vibrato  disegno  delle  carni.  Chioma  ben  pettinata  sulla  nuca,  finiente  sulla  fronte 
in  ciocche  lanose;  barba  idem;  la  corona  è  a  doppio  ordine  di  foglie  aperte  e  ben 
chiare.  1)  Grande  la  figura  e  le  lettere  RoMA  ('). 

Cinque  varietà.  Cons.:  8  usati  Peso:gr.2,90— 2,95— 3,05(due)—3,lU(due)— 3,15 (due). 
2  molto  usati  :  gr.  3,00 — 3,05. 

N.  99-15r).  Adv.  Testa  media,  rilievo  tenue;  caratteristico  il  modo  di  scrimi- 
nare la  chioma  dal  vertice  craniale  in   masso    ondulate.    Chioma    frontale    e    barba 

(')  Il  D'Ailly  (Recherches  sur  la  mannaie  de  Rome  jusq'à  la  mort  d'Awjustr  classe  IV, 
tav.  53,  16,  17)  iliseu'na  esattaiiicnle  alr'iini  i>czzi  di  ruiostn  !jrru]>i)o. 


CALTRANO    VICKNTI.no  —    26(3    —  UEUIONE    X. 

lanoso.  Corona  con  foglie  aperte  e  semiaperte.  Numerosissime  tenui  varianti  cosi  nel 
diritto  come  nel  rovescio.  Pochi  oonii  larghi,  prevalenti  quelli  stretti  e  grossi. 

Cons. :  4  poco  usati        Poso:  3.15  —  3,20  (due). 

•     24  usati  •  gr.  2,35  (tic)  —  2,7(t  (tre)  —  2,8()  (due)  —  2,05  (due) 

—  3,00  —  3,05  (quattro)  —    3,10  (quattro)  —  3,20 

(quattro)  —  3,25  —  3,35  (due). 
.     30  usati.  Peso:  gr.  2,70  —  2,75  —  2,8o  —  2,85  —  2,90  — 

2,95  —  3,00  (due)  —  3,05  (due)    —  3,10  (due)  — 

3,12  —  3.15  (due)  —  3,20  (sei)  —  3,25  (cinque)  — 

3,30  (due)  —  3,35. 

N.  157-351.  Adv.  La  testa  è  piccala,  e  la  discriminatura  della  chioma  è  trat- 
tata come  nel  gruppo  precedente,  ma  i  capelli  più  che  lanosi  sono  setolosi  e  lìliformi. 
Anche  i  fiocchi  sulla  fronte  e  la  barba  sono  filiformi  ed  acuti.  Fattezze  secche,  quasi 
arcigne.  Foglio  della  corona  socchiuso  ed  aghiformi.  Numerose  varianti  tanto  nella 
testa  come  nel  \i  e  precisamente  nell'orlo  della  lorica,  nel  modo  di  indicare  il  pa- 
razonio.  nella  foggia  dell'elmo,  nelle  ocreae,  talora  mancanti,  nel  gambo  del  trofeo 
sottile  0  grosso,  nel  diametro  dello  scudo  (mm.  2  '/a  —  5),  nella  leggenda  dell'esergo 
a  lettera  or  crasse,  or  sottili,  ora  punteggiato  alle  estremità  (saggi  più  salienti  RoMA, 
RoMA,  RoMA.  RoMA,  RoMA,  RoMA,  RuMA),  e  quando  spaziate,  quando  serrate, 
quando  addossate. 

Freschissimi  e  quasi  fior  di  conio  2  ;  peso  gr.  2,80. 

Freschi  S,  peso  gr.  2,30  —  2,60  —  2,80  (due)  —  2.90  (due)  —  2,95  —  3,15. 

Poco  usati:  23,  peso  gr.  2,45  —  2,50  —  2,70  —  2,75  —  2,80  (due)  — 
2,85  —  2,90  (tre)  —  2,95  —  3,00  (tre)  —  3,15  (tre)  —  3,25  (tre). 

Usati  50;  peso  gr.  2,20  —  2,30  (due)  —  2,40  —  2,45  (due)  —  2,50  — 
2,00  (tre)  —  2,70  —  2,75  —  2,80  (cinque)  —  2,00  (tre)  —  2,95  —  3,00  (cinque) 
—  3,05  (sette)  —  3,10  (undici)  —  3,15  (quattro)  —  3,20  (tre)  —  3,25  (due)  — 
3,30  —  3,35  (due)  —  3,40  (due)  —  3,75  (sic). 

Molto  usati  66;  peso  gr.  2,20  —  2,25  —  2,40  —  2,45  (tre)  —  2,60  — 
2,70  (tre)  —  2,75  (due)  —  2,80  (quattro)  —  2,85  —  2,90  (sei)  —  3,00  (tre)  — 
3,05  (cinque)  —  3,10  (undici)  —  3,15  (sette)  —  3,20  (sette)  —  3,25  (quattro)  — 
3,30  (due)  —  3,35  (due)  —  3,40. 

Consumati  37;  peso  gr.  2,10  (esemplare  logoro  assai  e  di  conio  difettoso)  — 
2,25  —  2,80  (due)  —  2,90  (cinque)  —  2,05  —  3,00  (quattro)  —  3,05  (tre)  — 
3,10  (sette)  —  3,15  —  3,20  (quattro)  —  3,25  (due)  —  3,30  (due)  —  3,35  (due). 

Uno  sguardo  ai  pesi  di  questo  gruppo  dimostra  come  il  peso  stesso  non  sia  sempre 
in  rapporto  collo  sUito  apparente  di  conservazione  della  moneta.  ]K)ichò  noi  vediamo 
(jui  gli  esemplari  usati,  e  molto  usati  .superare  col  loro  peso  medio  i  freschissimi  ed 
i  freschi  ;  ciò  conferma  l'osservazione  già  fatta  di  sopra,  che  cioè  spesse  volte  lo  stato 
apparente  di  non  buona  conservazione  si  spiega  per  difetto  di  conio  più  che  per  ec- 
cesso di  circolazione;  dovesi,  non  di  meno,  aver  sempre  davanti  il  numero  grande  di 


REGIONE   X.  —   267   —  CALTRANO   VICENTINO 

emissioni  di  vittoriati,  fatte  su  piedi  notevolmente  diversi,  e  con  largo  margine  di 

tolleranza. 

* 

A  circa  sei  metri  dal  punto  del  ripostiglio,  accanto  ad  uno  scheletro  disteso, 
dentro  un  circolo  di  pietre  si  raccolse  una  dozzina  di  monete  di  Massalia,  delle  quali 
solo  cinque  rimasero  in  possesso  del  parroco.  Sono  emidramme  d'argento,  di  falsifica- 
zione antica,  leggermente  scodellate  e  di  uno  stile  eccessivamente  rozzo. 

N.  352-356.  Ado.  Testa  muliebre  colla  chioma  corta,  irta,  fermata  da  un  dia- 
dema; profilo  barbarico;  al  collo  doppio  giro  di  perle  e  giro  di  perline  attorno  la 
testa.  ^.  Mostruosa  corruzione  di  una  figura  di  leone  a  d.  colla  testa  formata  da  un 
arco  con  due  raggi,  la  giubba  a  scacchetti,  le  coscio  arcuate  e  sollevate,  le  gambo 
stecchite  con  punti  ;   il  tutto  indicato  a  tratti  lineari.  Di  lettere  non  avverto  traccia 

che  in  un  solo  esemplare,  nel  quale  sopra  il  leone  vadosi  „  .  Conio  pessimo,   esem- 
plari molto  usati,  anzi  in  parte  consunti,  pesi  gr.  1,65-1,75-1,85-1,95-2,05. 

11  tipo  eminentemente  barbarico  designa  tosto  questi  pezzi  come  contraffazioni; 
essi  appartengono  al  sistema  massalioto,  ridotto  sotto  l'influenza  del  vittoriato  romano, 
posteriori  cioè  al  217  a.  C,  che  si  può  tenere  come  «  terminus  a  quo  »  per  le  imi- 
tazioni fatte  a  Massalia,  nella  Gallia  e  nell'Italia  Superiore.  I  nostri  esemplari  per 
il  loro  carattere  generale  appartengono  ad  un  gruppo,  che  il  Von  Duhn  molto  giusta- 
mente crede  derivato  da  una  fabbrica  norditalica  della  fine  del  terzo  secolo,  i  cui 
prodotti  sono  appunto  diffusi  nell'alta  Italia  (') ,  associati  talvolta  ai  vittoriati  {-). 
In  vicinanza  alla  tomba  che  conteneva  le  monete  massaliote  venne  ricuperato  : 
N.  357.  Un  denaro  della  famiglia  Pompeia  Adv.  T.  galeata  di  Eoma  a  d.  pre- 
ceduta da  X.  ]^.  A  pie  d'un  albero  lupa  che  allatta  Komolo  e  Remo  ;  dietro  ad  essa 
tracce  di  figura  poggiata  ad  un  bastone  (Faustolo  ?).  Avanzi  della  leggenda:  SEX. Po. 
Foslulus  £s.RoM.\;  peso  gr.  3,7.  Il  Cohen  {3fed.  Coas.  tav.  XXXIII.  Pompeia  1, 
p.  264),  seguendo  il  Cavedoni,  assegna  la  moneta  al  184  circa  a.  C,  mentre  il  Ba- 
belon  (o.  e,  II.  p.  336)  la  abbassa  sino  al  129. 


('}  Von  Dulin,  Die  Benutzwuj  Jer  Alpenpàsse  im  AUerthum  (nei  Neue  Heidclh.  Jahrbucher 
1892.  p.  6G-67  e  nota  30).  —  Von  Duhn  &  Ferrerò,  Le  monete  galliche  del  medaf/liere  dell'ox]n:io 
del  Gran  s.  Bernardo  p.  10.  Le  imitazioni  nurditaliclio  si  trovarono  nel  Piemonte,  Lombardia,  (ìri- 
gioni,  Veneto  e  Trentino.  Alle  rassegno  statistiche  del  Ghirardini  (La  collesione  Barattela  in  Este 
p.  127-128)  e  del  von  Dnhn  (o.  e.  II,  p.  55-5(5)  aj^giungansi  altri  pezzi  provenienti  da  località  tren- 
tine. —  Orgler,  Vericichniss  der  Ftindorte  ron  antikcn  Mìinzen  in  Tirol  p.  30.  —  Noriler,  /  la- 
vini  di  Marco  p.  160,  tav.  I.  7.  —  Orsi,  Le  monete  romane  di  provenienza  trentina  del  Museo 
di  Rovereto  p.  G.  Anche  a  Eotzo  presso  Asiago,  dove  esisteva  un  piccolo  villaggio  si  niccolsc 
qualche  massaliota  con  qualche  vittoriato.  —  Molon.  /  popoli  antichi  e  moderni  dei  sette  comuni 
del  Vicentino  p.  4. 

(*)  Cos'i  nel  ripostiglio  di  Modena  (fine  del  3°  o  principio  del  2°  sec.)  e  ad  Este  ((ìhirardini, 
Notizie  degli  Scavi  1888,  p.  20G);  noi  tesoretto  di  Legnago  sono  associate  ai  denari  di  C.  Allius 
e  Paetus  (von  Duhn  o.  e.  p.  56). 

Classe  ni  sriF.NZK  moiiau  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  IT,  Serie  5",  parte  2'.  31 


CAI.TRANO    VICENTINO  —   268   —  REGIONE   X. 


Il  vittoriato  fu  introdotto  per  la  prima  volta  poco  dopo  la  conquista  dell'Illirico 
(228  a.  C.)  in  proporzioni  comodo  di  conto  e  di  cambio  colle  tridracme,  che  cir- 
colavano in  quella  regione,  poiché  esso  corrispondeva  a  '/s  del  denaro  romano,  e 
ad  Vj  dei  pezzi  illirici;  osso  rappresentava  cosi  una  specie  di  dramma  romano-illirica. 
Il  suo  peso  originario  fu  di  gr.  3,41,  ma  la  prima  emissione  deve  esser  stata  molto 
ristretta  e  di  breve  durata,  perchè  vittoriati  di  tal  peso  sono  rarissuni.  Colla  ridu- 
zione del  denaro,  avvenuta  nel  217,  anche  il  vittoriato  fu  ridotto  a  gr.  2,92,  ed  egua- 
gliato alla  dramma  corinzio-attica;  con  tal  piede  fu  tirato  su  larghissima  scala  e 
servì  come  moneta  provinciale  o  come  prototipo  ad  essa.  Sui  vittoriati  vedonsi  non 
di  rado  monogrammi  di  monetieri,  mai  però  nomi  interi  di  magistrati  ;  verso  la  fine 
del  6»  sec.  u.  e.  tutta  la  coniazione  delle  monete  viene  accentrata  in  Roma  e  da 
allora  scompariscono  tutti  i  nomi  delle  officine  provinciali  sui  vittoriati  ;  nomi  di  mo- 
netari non  si  hanno  prima  del  217  e  son  dati  con  monogrammi  o  con  iniziali,  ma 
col  finire  del  sec.  VI  u.  e.  essi  si  danno  in  disteso,  ed  il  vittoriato  va  a  scomparire  (')• 
Ho  premesso  questi  cenni  generali  sul  vittoriato,  per  arrivare  a  risultati  crono- 
logici, i  quali  emergono  anche  dall'esame  dettagliato  delle  nostre  monete  e  dallo 
studio  dei  loro  pesi. 

Siccome  abbiamo:  esemplari  superiori  a  gr.  3,30 n.     14 

fra  i  gr.  3,30  e  2,95 n.  210 

»  inferiori   a  gr.  2,95 n.  126 

tradotti  in  cifre  cronologiche,  questi  dati  si  esprimono  cosi  : 

esemplari  dell'emissione  228  e  poco  anteriori n.     14 

217 n.  126 

•         di  emissioni  intermedie  fra  228-217 n.210 

Maggiori  lumi  cronologici  si  desumono  dalle  poche  moneto  con  sigle  della  zecca 
0  del  monetiere  : 

n.  3  esemplari  (58-60)  sono  coniati  da  Matienus  circa  234  (?) 

n.  2        -        (61-62)  da  Metello  circa  il  217 

n.  8         •        (66-74)  da  Cn.  Rebio  Tampilo  fra  217-214 

n.  3        •        (76-78)  escono  dalla  zecca  di  Vibo  e  stanno  fra  218-189. 

Aggiungo  ancora  che  al  periodo  228-226  sembrano  appartenere  i  vittoriati  senza 
lettere  od  emblemi  rispondenti  ad  un  denaro  di  quattro  scrupoli,  di  più  quelli  con 
W  ,  CM  e  la  clava.  Al  periodo  226-217  quelli  con  U,  T,  \B  la  mezzaluna,  l'elmo 
gallico,  la  spada  gallica,  la  spiga,  il  cane,  la  meta,  la  mosca  (De  Petra,  ^'otùic 
Scavi  1883,  ser.  3»,  voi.  XI,  p.  392). 

Ma  la  presenza  di  circa  134  pezzi  battuti  intomo  al  217  o  poco  dopo  bastano  a 
collocare  il  nascondimento  negli  ultimi  anni  del  3°  sec.  o  noi  primissimi  del  2"  a.  C. 
K  poiché  d'ordinario  orano  causo  determinanti  di  tali  sott<.'rramenti  avvenimenti  mi- 
litari, cerchiamo  di  stabilire,  almeno  in  via  di  approssimazione,  quale  sia  la  fazione 

(')  Snl  vittoriato  in  Rcncre  Mommsen  Oeschichte  p.  389-99.  Mommeen-niacas  Uisloire  II, 
p.  85-101.  —  Dftbelon,  Description  p.   11   &  sogg. 


REGIONE   Vili.  —   269   — 


BOLOGNA 


di  guerra  svoltasi  al  pie  delle  Alpi  vicentine,  che  può  coincidere  col  nascondimento 
del  tesoretto. 

Nel  191  la  Gallia  Cisalpina  è  tutta  occupata  dai  Keniani  e  la  fondazione  di 
Aquileia  183/82  segua  l'installazione  dotìnitiva  dei  Romani  anche  nella  regime  dei 
Veneti,  che  però  anche  prima  erano  stati  in  ottimi  rapporti  con  Roma;  la  debella- 
zione poi  degli  Histri  e  dei  Liguri  avvenuta  pochi  anni  appresso,  nel  178,  compie 
la  conquista  di  tutta  l'Italia  superiore  ('). 

Ma  se  i  Veneti  del  piano  si  diedero,  come  pare,  a  Roma,  senza  guerra  e  per 
trattati  amichevoli,  siamo  allo  scuro  circa  le  popolazioni  della  zona  alpina  che  cinge 
la  pianura  veneta.  La  definitiva  soggiogazione  di  esse  avvenne  più  tardo  e  per  guerra. 
Dai  monti  scendevano  frequenti  e  pericolose  le  razzie  delle  tribù  alpine,  alle  quali 
rispondevano  le  punte  offensive  dei  Romani  ;  è  un  periodo  sul  quale  parecchio  ancora 
resta  oscuro;  sappiamo  però  che  in  ima  di  codeste  campagne  nel  118  Q.  Marcio  de- 
bellò gli  Stoni  che  abitavano  sopra  Verona  (T.  Liv.  Epit.  lib.  LXII). 

Tutto  ciò  mi  induce  a  pensare  che  alla  fine  del  sec.  terzo,  o  più  facilmente  nei 
primi  decennii  del  secondo  una  pimta  offensiva  dei  Romani  nelle  montagne  di  Asiago 
abbia  distrutto  il  villaggio  di  indigeni,  esistente  allora  al  passo  dell'Astagus,  incen- 
diandolo ;  la  sua  posizione  militare  richiedeva  che  quella  chiave  fosse  in  possesso  di 
chi  teneva  il  piano.  Il  tesoretto  sarà  stato  nascosto  al  primo  rumore  di  guerra,  ed 
il  fatto  che  non  venne  più  rintracciato  prova  che  i  suoi  antichi  possessori  eran  tutti 
periti.  Che  il  vittoriato  fosse  moneta  circolante  anche  presso  le  tribù  delle  prealpi 
venete  lo  dice  la  presenza  di  esemplari  dentro  casette  di  villaggi  preromani,  ricono- 
sciute sugli  altipiani  dei  Sette  Comuni  Vicentini,  al  Bostel  di  Rotzo  (-)  e  dei  Tre- 
dici Comuni  Veronesi  a  s.  Anna  del  Faedo  (3).  Cronologicamente  il  nostro  ripostiglio 
sembra  avvicinarsi  a  quello  di  Modena,  e  la  tomba  colle  mezze  dramme  massaliote 
dovrebbe  di  poco  precedere  la  distruzione  del  piccolo  villaggio,  e  quindi  anche  il  sot- 
teramento  del  tesoretto. 

P.  Orsi. 

Regione  Vili  {CISPADANA). 

IL  BOLOGNA  —  Antichità  scoperte  nella  città. 

1.  In  via  Ripa  di  Reno,  parte  nord  di  Bologna,  scavandosi  nella  cantina  della  casa 
n.  41-43  per  costruirvi  un  pilone  a  sostegno  degli  ambienti  superiori,  s'incontrò  ad 
un  metro  di  profondità  una  base  circolare  in  macigno  del  diam.  di  m.  0,80  alta 
m.  0,25  fra  toro  e  zoccolo;  il  primo  della  grossezza  di  m.  0,1.5  sporge  due  centim. 
tutto  attorno  sul  secondo,  lasciato  grezzo,  perchè  non  dovea  appaiii-o  visibile. 

(>)  A  proposito  di  tale  guerra  (cfr.  frammento  dei  fasti  in  Notizie  Scavi  1892  p.  411)  torna 
al  caso  nostro  ricordare  che  il  vincitore  di  essa  C.  Claudio  ne  riportò  in  trionfo  307.000  denari 
u  et  victoriatum  octoginta  quinque  niilia  .scptingcntos  duds  »  (Livio  XLI,  13),  il  che  conforma  la  grande 
diffusione  del  vittoriato  presso  tutte  le  popolazioni  dell'Italia  superiore,  anche  non  soggiogate  da  Roma. 

(«)  Orsi,  Notizie  degli  Scavi  1890  p.  294. 

(')  De  Stefani,  Antichissime  capanne  di  pietra  del  monte  Lo/fa  a  s.  Anna  del  Faedo. 


BOLOGNA  —   270    —  REGIONE   Vili. 

Stava  ad  un  metro  dal  piano  di  cautina  ed  a  quattro  metri  da  quello  della  strada. 

Avvertito  della  scoperta  dal  proprietario  della  casa  sig.  Angelo  Brunetti,  ordinai 
cbo  quantunque  aflìorasso  l'acqua  si  approfondisse  lo  scavo  tanto  da  puter  riconoscere 
se  la  baso  fosse  al  posto  originario  od  ivi  trasportata.  E  si  potè  constatare  eh'  essa 
era  al  .suo  antico  posto  e  posava  sopra  un  grosso  pilastro  quadro  di  ra.  U,70  per  lato, 
costruito  a  mattoni,  con  molta  regolarità,  del  quale  si  scoprirono  circa  40  centim. 
ma  che  senza  dubbio  dovea  approfondirsi  assai  di  più.  Ma  l'atHuire  abbondante  dell'acqua 
e  l'impossibilità  di  allargare  lo  scavo  senza  danneggiare  la  solidità  dei  muri  della 
cantina,  hanno    impedito   di  penetrare  fino  al  punto  dove  il  pilastro  terminava. 

Al  contrario  si  è  potuto  verificare  che  al  piano  stesso  in  cui  posava  la  base  sten- 
devasi  un  pavimento  costruito  con  grandi  laterizi  quadri  di  m.  0,43  X  0,30.  quattro  dei 
quali  ancora  aderivano  fra  loro,  mentre  altri  s'internavano  sotto  lo  strato  delle  terre  su 
cui,  or  sono  trentanni,  si  adagiò  il  piano  della  cantina,  quando  venne  restaurata  la  casa. 

Anche  in  quell'occasione,  mi  riferisce  il  proprietario,  s'incontrarono  resti  di  pavi- 
mento ma  fatto  a  mattonelle  esagonali  e  lucerne  e  vasetti  in  terracotta  a  lungo  collo  di 
quelli  soliti  a  deporsi  nei  sepolcri.  Una  delle  lucerne  che  ho  ancora  veduto  è  di  forma 
comune  con  il  manico  ad  anello  e  con  due  lettere  P  M  segnato  con  la  stecca  sulla  base. 

Dal  complesso  delle  scoperte  e  degli  oggetti  trovati  non  può  essere  dubbio  che 
all'epoca  romana  in  quel  sito  sorgevano  uno  o  più  edilìzi,  forse  di  carattere  sepolcrale, 
tenuto  conto  specialmente  del  fatto  che  la  località  era  situata  fuori  del  recinto  urbano. 

2.  .\1  eh.  prof,  don  Luigi  Breventani  debbo  la  conoscenza  della  seguente  iscrizione 
incisa  sul  rovescio  di  una  lapide  di  marmo  greco,  collocata  sopra  un  loculo  di  reliquie 
riposto  nel  secolo  XV  nella  chiesa  di  s.  Giovanni  in  Monte  qui  in  Bologna. 

La  lapide  è  alta  m.  0,20  larga  m.  0,25. 


u 

•       JVl 

AVREL • 

GLORIOS 

VIX  •  AN 

•  I  •  M  •  I  1 1 1 

DXXIII 

•AVREL 

PHILETE  MATE) 

3.  Per  far  posto  alla  suppellettile  proveniente  dagli  scavi  recentemente  eseguiti 
nell'Arsenale  Militare  di  Bologna,  ho  dai  magazzini  superiori  del  Museo  fatto  traspor- 
tare nelle  cantine  i  mucchi  di  frantumi  di  vasi  inservibili  estratti  l'anno  1874  dai 
sepolcri  tipo  Villanova  del  predio  Do-Lucca  fuori  porta  s.  Isaia. 

Nel  compiere  tale  lavoro  occorse  fra  i  rottami  di  vasi  un  pezzo  di  macigno  alto 
m.  0,23,  largo  m.  0,17  e  dello  spessore  di  m.  (>,10,  sopra  una  farcia  del  quale  ri- 
mangono avanzi  di  una  figura  umana  e  di  ornati  geometrici  incisi.  Questi  ultimi  con- 
sistono di  una  fascia  alta  m.  0,07  di  doppio  meandro  eseguito  a  mano  libera  od  un 
po'  irregolarmente.  Un  rosone  occupa  il  vuoto  che  rimane  a  sinistra  ed  in  testa  di 


REGIONE   Vili. 


—  271    — 


BOLOGNA 


tale  meandro.  Al  di  sopra  del  quale  era  un  grande  spazio  libero,  forse  occupato  da 
più  figure,  ma  di  esse  una  soltanto  sopravanza  e  neppure  intera. 

Kappresenta  un  uomo  del  tutto  nudo  con  il  braccio  d.  alzato  ed  il  s.  forse 
abbassato. 

Quanto  rimane  su  questo  frammento  di  macigno  è  suiliciente  per  far  riconoscere 
in  esso  l'avanzo  di  una  stele  sepolcrale  del  periodo  detto  di  Villanova,  attesa  l'ana- 
logia che  tanto  la  figura  virile,  quanto  gli  ornati  presentano  con  altro  stele  consimili 
rinvenuto  specialmente  in  questi  ultimi  anni. 


'■^■"'^'--^yj/jiiìp.-. 


■'  àmmimsimsfm 


Ad  es.  il  meandro  trova  riscontro  nella  bellissima  stele  di  s.  Giovanni  in  Per- 
siceto  edita  in  queste  Noiùie  1893,  p.  179;  ed  il  rosone  o  ruota  fu  gi;\  notato  nelle 
stele  Grabinski  {Notisie  1.  e.  p.  178,  fig.  1),  Arnoaldi  (ibid.  p.  180,  4),  e  Caprara 
(ibid.  p.  181,  fig.  5).  In  questa  ultima  poi  ricorre  altres'i  una  figura  virile,  la  quale, 
specialmente  per  il  disegno  delle  gambe  divergenti,  presenta  grandissima  somiglianzà 
con  la  figura  virile  sul  nuovo  frammento  di  stole  De-Lucca. 

E.  Brizio. 


IMOLA  —    272    —  REGIONE    Vili. 


IH.  IMt'LA  —  AnlichiU'i  scoperte  nella  ciUà  e  nel  suo  lerritorio. 

In  uaa  recente  visita  fatta  al  l^hisco  d'Imola,  ho  notato  sei  pezzi  di  bronzo  fa- 
cienti  parte  di  un  ripostiijlio  riuveuuttì  parecchi  anni  addietro  a  Uivera,  nel  podere 
Guado,  otto  miglia  da  Imola  presso  il  borgo  di  Tossignano. 

I  sei  pezzi  sono; 

1.  Frammento  di  cuspide  di  lancia,  alto  m.  0,11  a  tubo  cilindrico  con  l'orlo 
ingrossato  ed  ornato  di  un  cordone  fra  due  solchi.  L'altezza  del  tubo,  dall'orlo  fino 
alla  base  delle  due  alette  è  di  in.  0.08:  i  due  fori  per  cui  passava  il  chiodo  che 
formava  l'asta  innestata  nella  cuspide  sono  a  m.  0,025  sopra  l'orlo.  Nella  Fonderia 
di  s.  Francesco,  conservata  in  questo  Museo,  non  avvi  alcun  pozzo  di  cuspide  di  lancia 
del  medesimo  tipo. 

2.  Parte  inferiore,  alta  m.  0,08.t,  di  un  ascia  a  manico  tubulare  con  sezione  qua- 
drangolare dai  Iati  un  po'  ricurvi,  simile  ad  altri  esemplari  della  Fonderia  di  s.  Fran- 
cesco e  precisamente  al  n.  7  della  tav.  XX  della  pubblicazione  dello  Zannoni  :  La  Fon- 
deria (Il  Bologna.  Anche  nel  frammento  imolese   il  taglio  della  lama  è  ricurvo. 

3.  Parte  superiore  di  un  ascia  ad  alette,  anch'essa  di  un  tipo  assai  comune  nella 
detta  Fonoeria,  cfr.  Zannoni  op.  cit.  tav.  "VII. 

4.  Parte  superiore  di  ascia  ad  alette  del  medesimo  tipo  alta  m.  0,10. 

5.  Frammentino  alto  m.  0,05.5  di  ascia  ad  aletta  di  tipo  analogo  al  precedente 
ma  con  la  particolarità  che  il  manico  non  è  nettamente  separato  dalla  lama  mediante 
cordone:  al  contrario  sulle  coste  assai  larghe  di  questa,  discendono  le  aletto  for- 
mandovi un  triangolo.  Presenta  adunque  il  frammentino  qualche  somiglianza  con  le 
ascio  della  Fonderia  di  s.  Francesco  pubblicate  dallo  Zannoni  sotto  i  n.  59  e  (30 
della  tav.  XI. 

6.  Frammento  di  piastra  di  bronzo  alta  m.  0,09  larga  nella  parto  più  svilup- 
pata m.  0,10,  con  due  grossi  cordoni  a  rilievo  presso  l'orlo  che  affetta  la  forma  cir- 
colare. Lo  ritengo  un  frammento  di  falce,  per  la  grande  somiglianza  che  pre.^^enta  con 
pezzi  analoghi  inediti  della  fonderia  di  Casalecchio,  conservata  nel  museo  di  Rimini. 

Argomentando  dal  complesso  degli  oggetti  che  lo  componevano,  il  piccolo  ripo- 
stiglio di  Rivera,  sembra  spettare  ai  primordi  del  periodo  detto  di  'V^illanova  cioè  al 
tempo  a  cui  rimontano  altresì  in  massima  parte  gli  oggetti  della  Fonderia  di  s.  Francesco. 

In  un'altra  località  dell'Imolesc,  cioè  a  Monterone  (comune  d'Imola)  nel  podere 
detto  la  Chiesuola,  si  rinvenne  lo  scorso  anno  un  bellissimo  coltello-ascia  intero,  alto 
m.  0.21  a  taglio  lungo  e  curvo,  come  l'esemplare  della  terramaia  di  Castellazzo  par- 
mense, pubblicato  dallo  Strobel  nel  Bull,  di  paletn.  Hai.  toni.  I,  tav.  I,  n.  6  pag.  9. 
Il  senatore  Scarabelli  potè  eziandio  acquistarlo  per  il  Museo  di  Imola. 

Lo  scorso  anno,  circa  due  kilom.  a  ponente  della  città,  sulla  sinistra  dell'antica 
Via  Emilia,  nel  podere  del  sig.  Roncagli,  in  occasione  di  lavori  agricoli  si  trovarono 
due  iscrizioni  dell'epoca  romana,  che  insieme  con  il  senatore  Scarabelli  r.  Ispettore 
degli  scavi,  ho  potuto  poscia  esaminare  presso  il  proprietario. 


REGIONE    Vili. 


—   273    — 


IMOLA 


La  prima  è  incisa   in    belle    lettere  su   lastra  di    marmo    alta  ra.  0,90,  larga 
m.  0,35. 


D    ^^^/         \/^M 

mezzo  busto 

di'l  bambino  in  rilievo 

CTITIO   •    GENIAIL 

NATO  •  DVLCI   •   QV' 

EREPTA    •    LVCE   •  V  • 

ANN  •  VNO-M-Il  -D-XX 

C   ■   TITIVS • GENIAL 

ET 
ANNEIA     ■     MAR 
CELLA    •    CONTR'^ 
VOTVM-PAREN 

TES 


La  seconda  su  lastra  pure  di  marmo  è  in  lettere  brutte  ed  assai  logore  che  ne 
rendono  difficile  la  lettura  specialmente  nella  prima  riga,  ove  deve  leggersi  o  T.  Que- 
tio  oppure  T.  Quello.  L'ultimo  gentilizio  è  già  occorso  in  altra  lapide  pubblicata 
nelle  Notisie  1882,  ser.  3^  voi.  XIII,  p.  8. 


/    D        M     \ 
I  Q_V  Erio 
AVGVSTI' 
VE  TE  RAN 

SOSIA 

S  I  N  T  1  C  E 

M  E  R  E  N  T  I 

POS 


("■'•) 


Nella  medesima  località  donde  si  ebbero  le  due  lapidi,  si  rinvenne  puro  una 
bellissima  mensola  di  arenaria  compatta,  stupendamente  lavorata,  che  è  indizio  di  un 
cospicuo  monumento  sepolcrale  che  dovea  sorgere  lì  presso. 


IMOLA 


—  274  — 


REGIONE    Vili. 


Ho  fatto  coDoscore  al  proprietario  del  fondo  la  conveaienza  di  eseguirò  appositi 
scavi  per  rintracciare  gli  altri  avanzi,  che  non  potranno  mancare,  del  monuinonto. 

Hntro  Imola  nella  piazza  Maggiore  u  projirio  di  fronte  al  palazzo  comunale  ese- 
guendosi scavi  per  lavori  edilizi,  si  scoprirono  alcune  sepolture  medioevali  nelle 
quali  però  erano  stati  adoperati  come  materiale  di  fabbrica,  dei  tegoli  e  marmi  del- 
l'epoca romana. 

Uno  dei  pezzi  di  marmo  lungo  m.  0,38  alto  m.  0,22  e  grosso  m.  0,07,  contiene 
gli  avanzi  di    un  iscrizione  sepolcrale  incisa  in  belle  lettere: 


'IVS   THESEN 
ERENTI   FIL 


Sopra  un  grande  tegolo  rettangolare,  lungo  m.  0,60  alto  ra.  0,52  e  grosso  m.  0,08, 
è  impresso  il  bollo  seguente  (cfr.  Marini-Dressel  n.  695,  773. 


cartoriaN 


Un  kilom.  a  sud-ovest  da  Imola,  in  luogo  detto  Villa  Clelia,  proprietà  del 
sig.  conte  Antonio  Zaiiipieri,  si  sono  scoperte,  or  fanno  pochi  mesi,  in  occasione  di 
lavori  agricoli,  quattro  tombe  con  scheletri,  tre  dello  quali  prive  di  oggetti.  Nella 
quarta  però  con  lo  scheletro  erano  parecchi  grani  di  pasta  vitrea  variegata,  simili  a 
•luelli  in  1,'raude  numero  rinvenuti  nella  necropoli  longobarda  di  Castel  Trosino. 

A  fior  di  terra  poi  si  erano  raccolte,  volta  a  volta,  tre  fibbie  di  bronzo  di  tipo 
comune,  cioè  a  grosso  anello  elittico  con  gancio  mobile  e  ricurvo,  ed  una  fibula  di 
argento  dorato  in  forma  di  .S'  con  incastonatura  di  vetri  rossi;  anche  questo  ornamento 
caratteristico  dei  tempi  barbarici. 

Dalle  indicate  scoperte  sporadiche  argomento  che  in  vicinanza  di  Villa  Clelia 
dovea  esistere  un  sepolcreto  del  periodo  barbarico,  tanto  più  che  in  seguito  ad  una 
visita  fatta  sul  luogo,  ho  potuto  accertariui  che  le  ([uattro  tombe  casualmente  scoperto 
giacevano  poco  lungi  dall'antichissima  chiosa  di  s.  Cassiano  che  ivi  sorgeva  nel 
medioevo,  com'è  indicato  nella  pianta  di  Imola  del  Ferri  pubblicata  nel  17U5. 


E.  Brizio. 


RBOIONE    Vili.  —    275    —  FORLÌ,    FIUMANA,    CASTROCARO 


IV.  FORLÌ  —  Tombe  di  età  romana  riconosciute  fuori  la  barriera 
Ravaldino. 

Nella  cava  della  fornace  Hoffmann,  fuori  della  Barriera  Ravaldino,  proseguendosi 
lo  sterro,  verso  sud,  a  m.  3  di  profondità  furono  trovare  due  tombe  di  età  romana, 
contigue  fra  loro,  orientate  da  est  ad  ovest.  Erano  di  inumati  e  composte  di  embrici, 
messi  a  doppio  piovente,  fornite  solo  di  qualche  impressione  digitale,  fatta  sulla 
creta  molle. 

Una  tomba  mancava  di  ogni  corredo  fimebre  ;  l'altra  aveva  presso  il  cranio,  una 
semplice  oinochoe  di  terra  giallognola,  striata  all'esterno  da  spessi  solchi  orizzontali. 
I  crani  e  le  altre  ossa  erano  frantumate  ;  e  accanto  ai  due  depositi  stava  piu-e  un 
grande  abbeveratoio  di  calcare,  mancante  di  parte  di  uno  dei  lati  lunghi.  Lo  credei,  sulle 
prime,  un  terzo  sepolcro  ;  ma  fattolo  vuotare  dalla  terra,  nulla  rinvenni  che  testimo- 
niasse l'esistenza  di  cadaveri. 

Ho  acquistato  il  vaso  per  aggiungerlo  agli  altri  oggetti,  in  più  volte  tornati  in 
luce  in  quella  località,  e  custoditi  nel  Civico  Museo. 

A.  Santarelli. 

V.  FIUMANA  —  Altra  arma  litica  trovata  nel  territorio  del  comune. 

Da  quel  colono  che  raccolse  sporadicamente  la  bella  ascia  di  pietra  levigata,  de- 
scritta nelle  Notizie  del  corrente  anno  p.  166,  mi  è  stata  portata  un'altra  ascia  trovata 
poco  lungi  dal  luogo  della  prima,  ed  anch'essa  tornata  in  luce  in  occasione  di  lavori 
campestri. 

È  meno  elegante  e  piti  piccola  della  ricordata,  misurando  solo  m.  0,66  in  altezza 
e  m.  0,45  nella  maggiore  espansione;  il  suo  peso  specifico  è  di  grammi  132. 

È  di  roccia  verde-cupo,  coi  fianchi  tondeggianti;  ma  il  taglio  invece  di  essere 
arcuato,  è  quasi  diritto.  Anche  questa  pare  ricavata  da  un  ciottolo,  e  tranne  una  scheg- 
giatura nel  mezzo  del  tagliente,  può  dirsi  conservatissima.  Per  la  forma  si  confronti 
una  rinvenuta  a  Remedello  {Bull,  di  Paletti,  it.,  anno  X,  tav.  VI,  n.  5). 

A.  Santarelli. 


VI.  CASTROCARO  (frazione  del  comune  di  Terra  del  Sole)  —  Di  un 
sigillo  romano  scoperto  nei  pressi  dall'abitato. 

Un  sigillo  romano  di  bronzo,  probabilmente  usato  nelle  figuline  Cesoniane,  fu  rin- 
venuto, non  ha  guari,  nei  pressi  di  Castrocaro.  È  rettangolare,  con  presa  quadrilunga, 
di  m.  0,45  X  0,15,  e  reca,  a  belle  lettere  rilevate: 


MO230 


Di  questo  cimelio  ho  fatto  acquisto  per  le  raccolte  antiquarie  del  Civico  Musco 
di  Forl'i. 

A.  Santarelli. 


Classe  di  .scien/k  morali  (  ce.  —  Memorie  —  Vd.  II,  S<  rie  :>",  parte  2".  3.5 


FIRENZE,    AREZZO  —   27(5   —  REOIONE   VII. 


Regionk  vii  {ET  lì  uri  A). 

VII.  FIRENZE  —  Continuando  i  lavori  per  il  Centro  di  Firenze,  e  scavan- 
dosi i  nuovi  fogrnoni  in  piazza  dogli  Strozzi,  si  sono  scoperti  avanzi  di  muri  di  era  ro- 
mana 0  alcuni  tratti  di  una  strada  puro  romana,  lastricata  a  grandi  poligoni  di  selce. 


VIII.  AREZZO  —  Frammenti  fìtlili  relativi  al  coronamento  di  un 
tempio  scoperti  presso  l'abitato. 

Devo  ritornare  ancora  dove  sorge  la  nuova  fronte  del  teatro  Petrarca  situata  sulla 
via  Guido  Monaco,  a  cagione  di  altre  antichità  rinvenutevi  nello  scafare  le  fonda- 
menta. Già  ho  riferito,  che  in  quello  spazio  si  esercitavano  le  figuline  Annia,  Menimia 
0  llasinia,  che  cessarono  al  cadere  della  repubblica:  che  vi  passava  una  via  fiancheg- 
giata da  sepolcri  a  fossa  e  coperti  da  tegole.  Lì  presso  apparvero  alcuni  frantumi  fittili 
da  supporvi  l'esistenza  di  qualche  tempietto. 

Ora  questa  ultima  ricerca  può  ricevere  una  luce  maggiore,  dacché  il  sig.  dott.  An- 
tonio Guiducci  ha  donato  al  museo  aretino  diverse  terrecotte  ornate  a  rilievi,  e  che 
si  sono  tratte  dall'indicato  luogo.  Ben  si  comprende  che  uno  scavo  sistematico  avrebbe 
a  noi  offerto  elementi  non  dubbi  e  forse  fruttuosi,  ma  le  solite  condizioni  del  lavoro 
non  lo  permisero  (e  quando  mai  lo  permettono?);  onde  mi  valgo  della  conoscenza 
locale,  e  di  alcuni  miei  ricordi  per  trattare  tale  argomento. 

Peiianto  quando  nel  1872  fu  tracciata  in  quel  punto  la  nuova  strada  e  allar- 
gata la  piazza  di  s.  Francesco,  si  trovò  alla  profondità  di  due  metri  un  acroterio  fittile 
colla  faccia  rilevata  di  un  uomo,  dipinto  di  color  rosso.  In  quel  tempo  da  li  attorno 
si  trasse  un  piccolo  cornicione  di  marmo,  e  un  capitello  corinzio  a  foglie  di  palma 
acute.  Or  sono  due  anni  venne  fuori  una  sommità  di  pilastro,  pure  in  marmo,  di  or- 
dine corinzio,  che  doveva  essere  posta  innanzi  ad  una  delle  anlae  dell'edicola. 

I  fittili  poi,  che  a  tale  tempietto  sembra  che  appartengano,  sono  di  stile  così 
diverso,  che  converrebbe  o  stimarli  di  due  differenti  edifici,  o  pensare  ad  una  rico- 
struzione 0  almeno  restaurazione. 

Frammento  di  bassorilievo  in  terracotta  con  tracce  di  colorito  bianco,  rosso,  e 
turchino,  della  larghezza  di  cent.  34  per  20.  Si  figura  una  Noreide,  che  seduta  sul 
dosso  di  un  mostro  marino,  viene  da  questo  via  trasportata  verso  destra.  Klla  colla 
sinistra  abbraccia  per  reggerei  il  collo  dell'animale,  mente  coll'altra  mano  sostiene 
una  cnemide  o  gambale  di  guerriero.  È  ricoperta  di  tunica  sottile  interiore,  e  sopra 
la  cinge  la  sopravvesta  a  modo  di  mantello  o  clamide,  che  dietro  le  svolazza  a  signi- 
ficare la  grande  velocità  del  i^uo  corso.  Nella  tunira  appariscono  le  tracce  del  colore 
bianco;  nel  mantello  quelle  del  rosso,  e  il  nudo  ginocchio  è  dipinto  di  turchino,  per 
essere  quella  ninfa  marina.  Mancano  alla  figura  la  testa  e  la  parte  inferiore  dal  gi- 
nocchio in  giù.  Dell'animale  altro  non  resta  che  il  collo  con  l'ispida  criniera;  da  che 
si  argomenta  essere  un  cavallo  marino  od  ippocampo.  L'arto  si  mostra  rude  e  deca- 


ROMA  —   277    —  KOMA 

dente  piuttosto  che  arcaica;  e  le  figure  sono  gettate  colla  forma  e  non  lavorate  a 
stecco.  Il  gi'uppo  era  levato  dalla  forma  e  fissato  sopra  la  raetopa  o  spazio  apposito 
del  fregio,  sia  con  chiodi,  sia  mm-ata  :  il  che  molto  differisco  dallq  altre  metope  fittili 
dell'arte  campana  o  latina. 

Si  deduce  finalmente,  che  questa  Nereide  faceva  parte  d'un  fregio,  nel  quale 
erano  figurate  e  disposte  le  altre  Nereidi  portanti  le  armi  di  Achille.  Tale  rappresen- 
tanza è  ripetuta  nei  vasi  e  nei  sarcofagi,  e  quivi  stava  a  decorazione  di  un  tempio. 
Da  che  si  potrebbe  supporre  che  questo  fosse  consecrato  a  Nettuno,  o  a  Vulcano  :  ma 
più  probabilmente  al  dio  del  fuoco  per  avere  egli  fabbricato  le  armi  di  Achille,  e 
perchè  all'intorno  erano  le  fornaci  delle  celebri  figuline,  e  infine  perchè  il  suo  tempio 
era  situato  fuori  della  cinta  della  città,  come  infatti  è  questo  circa  250  metri  più  in 
basso  dalla  mm-a  dell'antica  Arezzo. 

Si  raccolsero  insieme  al  bassorilievo  della  Nereide  un  acroterio  di  coppo  colla 
testa  di  vma  ninfa  a  chioma  bipartita  e  fl,uente  (cent.  13).  Un  fi-ammento  di  ornato 
elegantissimo,  in  cui  da  uno  stelo  si  dipartono  da  una  parte  e  dall'altra  un  giglio,  e 
al  disopra  un  boccio  di  rosa,  e  così  alternamente.  Sopra  questo  ornato  stava  un  ba- 
stoncello, sul  quale  seguiva  uno  strigliato,  che  era  coronato  da  palmette  isolate. 

Di  queste  palmette  restano  due  esemplari,  e  poi  un'altra  più  piccola  forse  di 
altro  edifizio. 

Frammenti  di  embrici  ornati  a  velucchi,  e  a  spirali.  Frammento  di  ornato  a  boc- 
ciuolo  entro  una  gran  foglia. 

Non  saprei  poi  se  i  fittili  seguenti  siano  prodotto  di  quello  scavo,  ovvero  apparten- 
gano ad  altro  fabbricato  antico. 

Base,  0  grossa  punta  di  acroterio,  in  cui  è  impressa  a  stampa  una  piccola  pal- 
metta.  Dna  tavoletta  in  cui  è  impressa  una  colonnetta  scannellata.  La  parte  superiore 
di  una  figura  di  mimo  colla  maschera  scenica  (cent.  17). 

Fuori  della  città  di  Arezzo  alla  distanza  di  tre  chilometri  sulla  via  che  si  dirige 
alla  Pieve  al  Bagnerò,  e  anticamente  ad  Babieum  aiiremn^  è  stato  scoperto  un  altro 
sepolcro  coperto  a  tegole,  nel  quale  si  sono  raccolte  due  boccette  di  vetro  {ampuUae) 
una  turchina,  l'altra  biancastra,  e  insieme  una  grossa  corniola,  nella  quale  è  inciso 
Achille  armato  dello  scudo  e  dell'asta  che  riguarda,  innanzi  di  porlo  in  capo,  il  bel- 
l'elmo cristato:  buona  incisione  greca  anteriore  sicuramente  ad  Augusto. 

G.  F.  Gamuurini. 


IX.  ROMA. 

Nuove  scoperte  di  antieh'Uà  nella  eittà  e  nel  suburbio. 

Kegione  III.  Continuandosi  gli  sterri  pel  prolungamento  della  via  de' Serpenti, 
sono  stati  scoperti  gli  avanzi  di  un  antico  ninfeo.  Era  costruito  in  opera  reticolata 
di  tufo,  con  le  pareti  incrostate  di  pomici  ed  ornato  di  conchiglie,  di  smalti,  di  pic- 
coli pozzi  di  marmo;  la  volta  era  coperta  di  sole  pomici. 


ROMA 


278  —  ROMA 


Poco  più  innanzi,  cioè  noi  punto  ove  dotta  via  traversa  quella  della  Polveriera, 
è  riapparsa  una  stanza,  costruita  in  laterizio,  con  pavimento  a  lastrine  romboidali  di 
marmi  diversi.  Ni-l  sito  medesimo,  ad  un  metro  sotto  il  livello  stradale,  si  sono  in- 
contrati altri  avanzi  di  costruzioni  di  varia  età,  ed  un  tratto  di  antica  strada  sel- 
ciata; ed  a  poca  distanza,  alla  profondità  di  m.  2,  è  riapparso  per  la  lunghezza  di 
circa  5  metri  un  pezzo  di  muragliono,  costruito  in  massi  rettangolari  di  tufo  (di 
m.  U,(50  X  0,40  X  0,40) ,  in  direzione  da  nord  a  sud. 

Fra  le  terre  si  è  raccolto  :  un  grande  bacino  di  basalto,  del  diam.  di  in.  0,75, 
alto  m.  0,45,  grosso  in.  0,06;  un  frammento  di  fregio  fittile  con  piccola  parte  di 
figura  femminile  ignuda;  uno  stilo  d"osso;   e  due  bolli  figuli  che  sembrano  inediti: 


M  •  T  ITI  N'  I 

D  PR  D  P  F  LVCILLAE 
HELENVS  SER. 


Regione  IV.  Sull'angolo  della  via  Cavour  e  via  del  Lauro,  presso  la  piazza 
delle  Carrette,  costniendosi  un  fognolo  sotto  il  marciapiede,  si  sono  trovati  due  rocchi 
di  colonne  di  granito  orientale,  a  m.  3,50  sotto  il  piano  stradalo.  Hanno  il  diametro 
di  m.  0,70;  la  lunghezza  dell'uno  ò  di  m.  1,50,  dell'altro  m.  2,20  . 

Regione  V.  Nel  fondare  una  nuova  parte  del  monastero  delle  Suore  dotto 
del  Sangue  sparso,  in  via  di  s.  Giovanni,  a  m.  G,50  di  profondità,  si  è  incontrato 
un  tratto  di  antico  pavimento  stradale,  a  poligoni  di  selce,  lungo  m.  4.  K  puro  ap- 
parso alla  stessa  profondità  un  avanzo  di  costruzione  reticolata;  ed  a  m.  9,50  sotto 
il  piano  moderno  un  grosso  muro  di  fondazione,  largo  m.  1  e  lungo  circa  m.  10,  in 
direzione  da  nord  a  snd. 

Intrapresi  gli  sterri  per  la  fondazione  di  un  muro  di  recinto  alla  proprietà  Go- 
linelli,  nella  via  che  suole  appellarsi  Curva,  in  prossimità  della  via  Buonarroti,  ò 
stato  trovato  un  grande  ammasso  di  frammenti  fittili,  quivi  accumulati  quasi  in  luogo 
di  scarico.  La  maggior  parte  degli  oggetti  proviene  dalle  favisse  del  tempio  di  Mi- 
nerva [Medica,  che  sorgeva  in  quella  parte  doll'Esquilino;  ove  pochi  anni  or  sono  si 
rinvennero  simili  depositi  di  oggetti  votivi  (cfr.  Notizie  1887  p.  179,  446;  1888 
p.  CO,  133,  G99).  I  principali  fittili  recuperati  sono:  8  statuette  intiere,  43  sta- 
tuette mancanti  della  testa.  42  frammenti  di  statuette  simili,  90  testine  diverse. 
4  mani,  3  piedi,  2  braccia,  1  gamba,  1  addome,  2  maschere,  11  gruppi  delle 
tre  figure  eleusinie  sedenti. 

A  questo  deposito  di  oggetti  votivi  erano  frammisti  molti  vasetti,  tazze,  ciotole 
e  simili  oggetti  di  suppellettile  funebre,  di  rozza  fattura  e  di  grossolano  impasto  di 
terra  nerastra,  che  certamente  provengono  da  tombe  disfatte  dell'arcaico  sepolcreto 
esquilino. 


ROMA 


279    —  ROMA 


Regione  VII.  Per  i  lavori  della  nuova  fogna  in  via  Capo  le  Case,  è  stata 
recuperata,  in  prossimità  della  porticella  di  s.  Andrea  delle  Fratte  ed  a  metri  2,50 
sotto  il  piano  della  strada,  una  bella  statua  virile  in  marmo,  tutta  ignuda,  mancante 
della  testa,  delle  braccia  e  dulie  estremità  inferiori.  È  di  grandezza  poco  maggiore 
del  naturale:  nello  stato  presente  misura  m,  1,25  di  altezza. 

Sono  stati  pure  raccolti  nello  stesso  luogo  :  un  frammento  di  avambraccio  in 
marmo;  una  testa  di  putto  in  altorilievo;  un  piattello  fittile,  del  diam.  di  m.  1,15 
X 0,57X0,30  con  cornice  intagliata  e  con  l'iscrizione: 

LAPPVLEI VS-HERACLIDA-  ET 

L  •  APPVLEIVS  •  CERDO  •  APPVLEIAE  •  SATVRNINAE  •  Li  1 
LOCVMMONVNENTMN  FRONT- P- XX  IN  AGR-P-XX/X 
ET-VSTRINVM-POST-MONVMENTVM-IN  FRONTP-XII 
IN  AGRPXII-  CONLIbERTIS  ■  ET  •  CONLIBERTABVS  •  QVI 

infrascrIpti-svntdesvapecvniadedervnt 

APPVLEIA  •  L  •  LRHODINELAPPVLEIVSL-LET  •  DL-  SVAVIS 


ed  un  frammento  pure  di  lastra  marmorea,  che  conserva: 


Regione  IX.  In  piazza  di  s.  Pantaleo,  nell'escavazione  per  il  monumento  a 
Minghetti,  si  è  rinvenuto,  alla  profondità  di  m.  4,  un  lastrone  di  breccia  africana, 
con  belle  macchio,  lungo  m.  1,85,  largo  m.  1,18,  grosso  m,  0,50. 

Regione  XIV.  Nell'orto  annesso  all'ospizio  di  s.  Cosimato  in  Trastevere,  alla 
profondità  di  m.  1,60,  sono  stati  rimessi  all'aperto  gli  avanzi  di  due  camere  d'età 
romana,  costraite  in  laterizio.  Una  di  queste  misura  m.  6.40  X  4,25,  ed  ha  il  pavi- 
mento di  musaico  grossolano,  a  semplice  chiaroscuro,  con  fascia  verso  l'estremità, 
larga  m.  0,15.  Nel  mezzo  v'è  una  grande  testa  muliebre,  con  capelli  sciolti,  alta 
m.  1,05,  larga  alla  fronte  m.  0,85:  attorno  alla  quale  sono  rappresentati  delfini. 
L'altra  stanza,  distante  dalla  prima  circa  m.  10,  misura  m  3,50X3,10,  od  anch'essa 
ha  il  pavimento  a  musaico,  formato  di  soli  tesselli  di  marmo  bianco  e  nero.  Sul  lato 
nord  di  questa  seconda  camera  si  apre  un  corridoio,  tutttora  interrato,  lungo  m.  1,50. 

Dinanzi  all'ultima  casa,  che  forma  angolo  sulla  via  dei  Tre  Pupazzi,  verso  l'an- 
tico recinto  della  porta  Castello,  a  ciixa  mezzo  metro  sotto  il  suolo  attuale  si  è  sco- 


ROMA  —   280    —  ROMA 

perto,  per  la  lunghezza  di  m.  33   un  tratto   di  antica  strada  lastricata  coi  consueti 
poli<,'oni  baiialtini. 

Via  Tiburtina.  Nel  pubblico  cimitero  del  Campo  Verano,  in  occasione  di 
sterri  per  nuovi  sepolcri,  sono  stati  raccolti  i  seguenti  oggetti:  —  Marmo.  Fram- 
mento di  lapide  cimiteriale  cristiana,  su  cui  si  legge  : 


D     MI 

;trssANVsvix( 
S  •  I  •  ME  •  Vini  •  d\ 


\ 


La  lettera  V  nella  sillaba  finale  del  nome  si  yede  corretta  da  O.  Frammento  di 
sottile  lastra  di  cipollino,  parimente  cimiteriale,  che  conserva  le  poche  lettere  ru- 
bricate : 

v~m         r 

Dromo.  Un  pendaglio;  un  ago  crinale;  una  teca;  un  ganghero;  un  anello  con  chiave; 
due  anellini  semplici.  —  Terracotta.  Una  piccola  lucerna  rotonda  di  terra  gialla, 
iutiera.  —    Vetro.  Un  piccolo  balsamario.  —  Osso.  Una  colonnina,  lunga  m.  0,08. 

G.  Gatti. 
Iscrisioni  latine  aggiunte  alla  raccolta  epigrafica  del  Museo  nasionale  romano. 

Tra  i  monumenti  iscritti  aggiunti  alla  raccolta  epigrafica  del  Miiseo  nazionale 
romano,  due  meritano  speciale  studio. 

Il  primo,  acquistato  sul  mercato  antiquario  di  Roma  dal  eh.  sig.  conte  M.  Tvszkie- 
wicz,  e  da  lui  donato  al  Museo,  è  una  piccola  lastra  marmorea  da  colombario,  larga 
m.  0,355,  alta  m.  0,185.  Vi  si  legge: 


K/  > 


fi,',? 


Wv5JI\i 


35  e.  V. 


cioè:  Fusats,  citrsor  prasini,  vix{it)  ann{is)  XXI V:  vicit  Iiom(ae)  LUI,  ad  deam 
Diatn  II,  Bovillis  I,  una  palma  rev{ocatus)  bis  eandem  vicit.  Ilic  omnium 
curso/\um)  primus  qua  die  missiis  est  vicit  stai  . . .  C(aio)  Cestio,  M{arco)  Ser- 
vino co{n)s{ulibus).  Machao  conser{vus)  memoriae  causa. 


ROMA  _   281    —  ROMA 

Fu  edita  in  lettere  minuscole  dal  Friedlaender  nella  sesta  edizione  della  sua  Sitlen- 
gesehichte  (voi.  II,  pag.  325,  nota  7),  e  brevemente  illustrata  nel  testo,  secondo  una 
comunicazione  a  lui  fatta  dal  prof.  0.  Hirschfeld. 

Stando  a  ciò  che  quivi  fu  esposto,  la  lapide  sarebbe  stata  rinvenuta  nel  dicem- 
bre 1887  sulla  via  Campana  a  tre  miglia  da  Porta  Portese.  Ma  secondo  altre  notizie, 
che  sembrano  più  verosimili,  sarebbe  stata  rinvenuta  nel  sepolcreto  di  Porta  Salara, 
che  appunto  in  quel  tempo  si  andava  discoprendo  {Notizie  1887  p.  21,  74,  118,  147, 
191,  237,  283,  328,  375,  401,  449,  554).  Nella  linea  6,  egli  legge  sta[dio),  non 
tenendo  conto  dell'ultima  lettera  :  come  se  il  lapicida  avesse  scritto  I  per  D  ;  ma  ad 
ogni  modo  conviene  badare  che  non  mancava  lo  spazio  se  avesse  voluto  incidere  com- 
pleta questa  lettera. 

Nelle  iscrizioni  latine  sono  ricordati  parecchi  cursorcs  e  di  vario  ufficio.  Rara- 
mente si  ha  la  menzione  di  cursores  imblici-,  pubblici  corrieri  (cfr.  Cod.  Theod.  1, 
27,  1;  16,  61,  10;  Not.  dgn.  4,  12).  Abbiamo  in  una  iscrizione  di  Salona(C.  /.  L. 
Ili,  2007)  . .  .ex  cursore  pravato  {sic  =  prolmto),  qui  confecit  sub  die  milia  XCIV; 
ed  in  una  urbana  {C.  I.  L.  VI,  9317):  Zonisus,  cursor,  qui  cucurrit  opere  maxime, 
qui  cucurrit  annis  V  et  mesis  IIII  ecc.,  e  nelle  anse  della  targa  che  limita  il  campo 
epigrafico  :  de  ti^es  fratris  cursoris  unus  separatus  est. 

Più.  frequenti  sono  i  cursores  dell'imperatore  o  dei  privati,  quei  lacchè,  i  quali 
a  piedi  precedevano  i  cocchi  dei  padroni,  spesso  insieme  ai  Numidae  (Sen.  ep.  123,  7,  87; 
Suet.  Nero  30);  e  questi  cursores  servivano  per  lettere  e  commissioni.  Cursores  e 
Numidae  riuniti  in  collegio  si  hanno  in  un'iscrizione  del  sepolcreto  di  Cartagine 
(C  1.  L.  Vili,  12905)  :  D.  m.  s.  Saturu[s}  Aug{ustorum)  ser{vus)  et  Tit[f\cus  Augg. 
ser.,  cursores,  hic  s{iti)  s{unt).  Collegium  cursorum  et  Numidaru{m)  fecit. 

Un  collegius  (sic)  cursorum  ricorre  nella  lapide  urbana  C.  I.  L.  VI,  9316.  A 
questi  cursores  imperiali  vanno  attribuiti  il  praepositus  cursorum,  liberto  imperiale 
(C.  7.  L.  VI,  8800),  il  doctor  e  Vexercitalor  cursorum,  servi  imperiali  {C.  I.  L.  VII], 
12904;  Eph.  Epigr.  5,366)  ed  il  cursore  liberto  di  Acte(a  /.  L.  VI,  8801).  Qui  è 
probabilmente  da  citarsi  la  iscrizione  C.  I.  L.  VI.  241  :  Genio  soda\J,ict]  lovis  con- 
scrva[toris~\  cursorum  Caesa[ris  n{ostri)'],  quod  Allectum  \_profec{tum)']  Laudicia 
Syriac[oele']  Aug{usti)  lib{ertum)  cur\_sorem  servavif].  Un  ciu'sore  di  un  privato 
si  ha  nel  testamento  di  Dasumio  (C.  /.  L.  VI,  10229  lin.  85). 

I  corridori  nel  circo  (Plin.  Nat.  hist.  7,  84.;  Cic.  de  dioin.  2,  144;  Tusc.  2,  23) 
sono  menzionati,  a  quanto  sembra,  tre  volte  soltanto;  il  che  è  poco  per  la  quantità 
che  abbiamo  di  iscrizioni  relative  a  ludi  ;  probabilmente  tal  genere  di  corse  non  era 
molto  in  voga.  Tutte  e  tre  queste  menzioni  poi  ci  riportano  ad  epoca  relativamente 
antica:  abbiamo  in  primo  luogo  i  fasti  prenestini  {C.  I.  L.  P  p.  236  cf.  p.  317)  i  quali 
segnano  al  25  aprile  :  ludi  cursoribus  maioribus  minor ibusque  fiunt  ;  segue  la  lapide 
del  sepolcreto  di  Porta  Salaria  {Notiùe  1886  p.  70):  Q.  Antonius  Albaaus,  cursor  et 
supra  cursores  factionis  prasinac  ;  finalmente  la  nostra  lapide  che  ha  il  pregio  di 
indicarci  dove  si  fecero  quelle  corse. 

La  prima  indicazione  Romae  è  vaga:  la  seconda  invece  ad  deam  Diam  si  ri- 
ferisce certamente  alle  foste  Arvaliche  e  completa  gli  atti  del  collegio,  che  parlano 


ROMA  —    282    —  ROMA 

di  quadrigae  o  desuUores  dalla.  88  in  poi  o  di  bigae  dal  155  (cf.  Henzen,  Ada 
fratrum  Arvalium  p.  3(i  sg.).  La  terza  ci  riporta  ai  ludi  circensi  di  Bovillae  in 
onore  della  gente  Giulia,  poi  quali  abbiamo  una  testimonianza  in  Tacito  {Ann.  15,  23). 
Non  ofl"rono  alcuna  dillicoltà  le  parole  con  cui  termina  il  titolo,  per  le  quali  tro- 
viamo parecchie  analogie.  Fusco  dovette  correre  due  volte  per  una  palma  sola  e  la 
vinse;  ma  oscura  è  invece  la   lode   che   gli  si  fa,   di  essere  stato  il  primo  cursore 

che  nel  primo  giorno  in  cui  prese  parto  alle  corse  {missus  est)  vinse  stai  o  sta /; 

forse  vinse  in  una  corsa  semplice,  ia  quella  cioè  di  un  giro  solo  di  stadio. 

La  fazione  jirasina,  cui  il  nostro  Fusco  appartenne,  era  la  preferita  nei  primi 
tempi  dell'impero,  e  la  nostra  iscrizione,  che  ricorda  il  consolato  del  35  d.  €.,  ne  è 
la  più  antica  menzione. 

L'altra  iscrizione  proviene,  per  quanto  affermasi,  dalle  raccolte  del  defunto  barone 
r.  K.  Visconti,  e  fu  ora  acquistata  sul  mercato  di  Koma.  È  in  una  piccola  targhetta 
ili  bronzo  ansata,  alta  cent.  4,  larga  7,  e  dice: 


|.      DNCALLA  yi 
o    EPLACIDI 


/   AENP 


\ 


L'ansa  a  sin.  è  forata,  il  che  dimostra  che  la  targhetta  doveva  appendersi  ;  ma 
a  quale  scopo  essa  realmente  servisse,  non  appare  chiaro. 

Di  tali  targhette  di  bronzo  o  rotonde  {C.  I.  L.  VI.  8G90,  8691,  8692;  XIV  163, 
2769)  0  quadrate  si  conoscono  parecchie,  ma  nessuna  contiene  uu'  indicazione  sul  suo 
scopo:  talune,  come  quelle  esistenti  nel  museo  Kircheriano  (C.  /.  Z.  VI,  2148;Orelli 
2867)  hanno  un  foro  in  un'ansa,  simile  a  quello  della  nostra;  altre  invece  che  in 
un'ansa  hanno  un  foro  in  alto  ;  altre  mostrano  nella  parte  opposta  allo  scritto  una 
punta,  per  la  quale  avrebbero  potuto  essere  infisse.  Talune  sono  votive:  altre  hanno 
evidentemente  carattere  di  dedicazioni  e  si  distinguono  per  le  lettere  inargentate 
(C.  l.  L.  IX,  6u<»U,  8;  X,  802,  4.  5.  7;  XIV  412U,  4)  e  per  alcune  formule  (cfr.  p.  e. 
C.  I.  L.  XIV,  412U,  4):  Salvo  d{oviino)  n{ostro)  ì'alentiniano  p{ìo)  f{clìce)  Aug{u- 
sto)  Il  Pauliniis  v{ir)  c{larissimus)  praef{ectus)  urb{i)  fecit.  Le  altre  possono  aver 
servito  ad  usi  svariatissimi,  come  ad  esempio  per  accompagnare  doni,  per  collari  di 
schiavi,  per  bardature  di  cavalli,  per  luoghi  di  uflici  pubblici  e  via  dicendo.  Per 
la  nostra  targhetta  la  soluzione  forse  si  avrebbe,  se  si  potessero  spiegare  le  lettere 
N-  P-  della  terza  linea. 

Galla  PlaciJia,  nominata  nella  piastrina,  è  la  figlia  di  Teodosio  1.  che,  morto 
il  marito  Flavio  L'ostanzio,  fu  nel  424  mandata  da  Teodosio  II  in  Italia  insieme  al 
figlio  Valentiniano  per  ricuperare  il  trono.  Se  ne  ha  ricordo  in  Ravenna,  dove  esiste 
la  sua  tomba  e  la  chiosa  di  s.  Giovanni  da  lei  innnalzata. 

D.  Vagi.ieui. 


ROMA  —  283  —  noMA 


Di  una  lapide  dedicata  ad  Ercole  vincitore, 
forse  'proveniente  dal  famoso  santuario     libiirtino. 

Fu  aggiunta  al  Museo  nazionale  romano  per  acquisto  che  se  ne  fece  sul  mercato 
antiquario  di  Roma  un  cippo  marmoreo  alto  m.  0,255,  largo  m,  0.19  e  dello  spessore 
di  m.  0,08.  Vi  si  leggo: 


PFVLCINIVS 
vergili  v  s  •  marcellvs 
praéf-  fa  br  vm-t  ri  B 
millegvTTgem-felicis 
prae'f-  eq_vit  vmXlAé 
PARTHÓR ■ SVB  cvrator 
aedivm-sacrarvm-et 
opervm  •  locórvmqve 

PVBLICOR-  SVBPRAEFCLÀ'sS 

praét-misene'nsis  ■  CVRIO' 

PR-     SACRiS   •    FACIVNDIS 

HÉRC  VLl  ■  VICTÓRI 


P{ublius)  Fulcinius  Vergilius  Marcellus,  praef{ectiis)  fabrim,  trib{umis)  mi- 
l(ilum)  leg{ionis  septimae)  Crem{ÌHae)  Felicis,  p'raef(ecli's)  eqmtxm  alae  Parthor{um), 
siibcurator  aedimn  sacrariim  et  operimi  locoì'umqiie  piibticor{um),  subpraef{ectus) 
class{is)  praet{oriae)  Misenensis,  curio  p{opuU)  R{omani)  saeris  faciundis,  Ilerculi 
Victori. 


Due  fori  che  si  scorgono  superiormente  mostrano  che  il  cippo  sosteneva  la  sta- 
tuetta di  Ercole  Vincitore,  il  dio  protettore  dell'antica  Tibur,  donde  forse  proviene 
anche  questo  monumento  (Dessaii,   C.  l.  L.  XIV  p.  367,  495). 

P.  Fulcinio  Vergilio  Marcello,  uomo  dell'ordine  equestre,  sino  all'epoca  di  questa 
sua  dedicazione  non  aveva  percorso  veramente  una  splendida  carriera.  Prescindendo 
dalla  praefectura  faìiriim,  titolo  più  che  vera  milizia  (Mommsen,  Staalsrcciit  2^ 
p.  98),  lo  vediamo  anzitutto  tribuno  legionario  e  prefetto  di  un'ala.  La  legione  VII 
Gemina  Felice,  istituita  da  Galba,  apparteneva  dall'anno  78  in  poi  all'esercito  ispa- 
nico (cf.  Boissevain,  De  re  militari  prov.  Ilisp.  p.  32  segg.)  ;  non  si  conosce  invoco 
Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  Il,  Serie  6",  parte  2".  ;!(> 


S.    ANGELO    IN    F0RM18  —    284   —  REGIONE    I. 

la  residenza  dell' n/a  Parlhorum,  che  non  si  dorrà  confondere  coWala  F  Angusta 
Parthorum  di  residenza  nella  Mauretania  Cesariense,  almeno  dal  1U7  d.  C.  (Cichorius, 
in  Paiily.  Realencycl.  2*  ed.  8.  v.  ala). 

Occupò  poscia  un  utlicio  civile,  quello  di  subcurator  aediutn  sacrarum  et  operum 
locorumque  publicorum.  che  spettava  ai  cavalieri,  come  quello  di  curator  ai  senatori, 
ma  che  non  era  ufRcio  molto  alto,  come  si  vedo  dalla  nostra  lapide  e  da  un'  altra 
liritannica  frammentata  (C.  /.  /-.  VII,  1054).  Xè  più  alto  era  l'uflìcio  del  subpraefcctiis 
classis,  nel  primo  secolo  coperto  da  liberti  imperiali  {^Eph.  Kpigr.  4,  92(i):  dal  se- 
condo secolo  invece  da  cavalieri,  ma  subito  io'^oXdLjìraefectura  a/ae,  al  principio  cioè 
della  carriera;  da  essa  si  passava  alle  procuratie  imperiali  (T.  /.  L.  IX,  5387,  5439). 
Il  nostro  Jlarcello  è  il  terzo  sottoprefetto  della  flotta  Misenate.  che  si  conosca;  gli 
altri  due  sono  Alfenio  Senecione  {C.  I.  L.  X,  3334)  e  C.  Annio  Flaviano  {Eph. 
Epigr.  5,  699). 

Il  curio  minor  o  atrio  sacris  faciundis  o,  come  qui  si  dice  con  formula  so- 
lita nei  titoli  sacri,  curio  populi  Romani  sacris  faciundis,  poteva  essere  tanto  un 
senatore  (C.  I.  L.  X,  3701  ;  cf.  6439;  Eph.  Epigr.  4,  831),  quanto  un  cavaliere.  Per 
quest'  ultimi  anzi  era  il  più  alto  ufficio  sacro,  che  potessero  occupare,  onde  a  prefe- 
renza si  dava  a  cavalieri  d'ordine  senatorio.  A  questi  si  trova  conferito  dopo  il  se- 
virato cquitum  Romanorum  [C.  I.  L.  IX.  2213;  XII,  4354),  o  in  genere  prima  del 
tribunato  laticlavio  {C.I.  L.  II,  1262).  Al  vero  ordo  equester  appartengono,  oltre  a 
Fulcinio  Marcello,  altri  tre  {C.  I.  L.  Vili,  1174;  XI,  1331;  VI,  2169),  di  cui  il  primo 
occupò  quell'ufficio  tra  la  praefectura  fabrum  e  ì'advocatio  fisci,  e  il  secondo  dopo 
il  sevirato  equitum  Romanorum  :  quest'  ultimo  è  insieme  il  solo  di  tali  seviri  che 
abbia  seguito  la  carriera  equestre  (cf.  Mommsen,  Slaatsr.  3  p.   157). 

1).  Vagì. IERI. 


RiioioNE  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

X.  S.  ANGKLo  IN  FORMIS  —  Di  una  rara  tegola  con  iscrisionc 
fjraffìta. 

Sui  primi  del  lHi»0  nelle  vicinanze  di  s.  .\ngelo  in  Formis  da  un  tal  Micheli'  Scial- 
done fu  rimessa  in  luce  una  grande  tegola,  sulla  quale,  essendo  ancora  l'argilla  cruda 
e  non  completamente  disseccata,  fu  tracciato  un  graflìto.  Mostrata  al  solerte  ispettore 
cav.  (Jabriele  .lannelli,  parve  degna  «li  cssore  aggiunta  alle  raccolte  del  Museo  Cam- 
l>auo,  ove  da  vario  tempo  trova.si  esposta. 

Avendone  esaminato    un  buon   calco,   pel  (|uale   esprimo   la   mia  gratitudine  al 


REGIONE    I. 


—   285    — 


S.   ANGELO    IN    KORMIS 


Ministero  della  Pubblica   Istrazione   in   Roma,   mi  riuscì  di  eseguirne  un  disegno  a 
l'.ic-simile,  che  qui  viene  riprodotto. 


V 


^ 


s/ 


ro>>r7  u^y(fi  ^^^  /^  /^ 


V 


\/-      O  L-^7~' 


La  tegola  è  larga  m.  0,571;  alta  m.  0.58. 

La  scrittura  corsiva,  coi  suoi  tratti  connessi  ed  intrecciati,  è  di  forma  piuttosto 
insolita,  e  perciò  di  lettura  difficile.  La  mia  lezione  è  la  seguente  : 


N  •  D  ■  E  ■  C 
Idibìts  lulis  Celer  jìnget 

bipedas        VXXXI 

Aetum  CasiUno 

Modesto  II  ci  Probo  cos 


(a.  228  d.  Cr.) 


Nella  prima  riga  il  secondo  punto  è  un  po'  meno  chiaro;  il  penultimo  segno 
pare  debba  leggersi  ET  ;  perchè  prendendolo  per  E ,  l'orizzontale  superiore  sarebbe 
prolungato  troppo  a  sinistra.  L'ultima  lettera  è  certamente  C  e  non  G.  —  V.  3  l'A 


S.    ANGELO   IN    FORMIS  —  286   —  REOIONK    I. 


in  BIPEDAS  stava  in  nesso,  ma  rultiina  linea  è  adesso  poco  sicura.  —  V.  5  la  prima  O 
è  meno  chiara.  Dopo  questa  lettera  lo  scrittore  ha  lasciato  arbitrariamente  qualche 
spazio.  —  Del  v.  6  è  conservato  tanto  poco,  che  non  sembra  po.-;sibile  una  lezione 
sicura  degli  avanzi  e  molto  meno  un  supplemento.  11  dottoro  Hiilsen  {'),  che  ha  visto 

l'originale,  ha  creduto  di  leggervi  le  lettere MBRES... 

Il  consolato  è  dell'anno  228.  —  La  prima  riga  è  scritta  in  caratteri  lapidari 
probabilmente  per  farla  comparire  come  soprascritta;  giacché,  che  esse  si  connetta 
con  ciìi  segue,  non  si  può  mettere  in  dubbio.  Le  interpunzioni  non  escludono  asso- 
lutamente che  si  legga  «.  dee,  stante  che  per  es.  in  una  iscrizione  di  Heidelberg 
{Hrambach  Corp.  I.  Rhen.  n.  1710)  si  legge  con  perfetta  chiarezza  D  I  S-  M  cioè 
dis  vi{anìbuf).  Ma  una  tale  scrittura  è  insolita,  ed  inoltre  ad  una  tale  su]iposizione 
si  oppone,  che.  come  dissi,  si  legge  non  E  ma  (in  nesso)  ET.  È  dunque  più  probabile, 
che  in  questo  verso  si  abbiano  a  riconoscere  le  iniziali  di  quattro  parole,  diflicili 
però  ad  indovinarsi.  Con  tutta  riserva  proporrei  per  es.:  n{omine)  d(ecurionum)  et 
c{olonorum). 

La  parola  bipeda  per  una  specie  di  tegolo  s'incontra  ancora  nel  bollo  Marini 
n.  772  e  presso  Palladio  G,  2;  ed  ambedue  le  volte  come  qui  senza  l'aggiunta  di 
tcgula.  Vitruvio  usa  la  forma  hipedalis,  e  così  i  bolli  Marini  n.  258  e  944.  La  nostra 
tegola  è  essa  stessa  una  bipeda  quadrata.  Se  le  sue  dimensioni  sono  un  poco  inferiori 
di  due  piedi  romani  (0,59  m.),  ciò  si  spiega  con  la  diminuzione  subita  nella  cottura. 

Il  graffito  dice  dunque,  che  Celer  nel  15  luglio  formerà,  cioè  dovrà  formare  te- 
gole bipedali  in  numero  di  5031.  Dalle  iscrizioni  di  tegole  riunite  da  me  nei  Jahr- 
bficher  des  Vereins  von  Altertlnmxfrcuadcn  ini  Rheinlandc  67  (1879)  p.  7.'»  noi 
sappiamo,  che  un  operaio  poteva  formare  in  un  giorno  fra  137  e  2(30  tegole.  Il  nu- 
mero 5031  è  dunque  troppo  alto,  e  si  spiega  forse  come  uno  scherzo  o  come  una 
derisione  delle  esagerate  pretese  del  padrone. 

Il  prof.  Barnabei  sarebbe  di  avviso  che  si  tratti  di  un  incarico  per  la  fabbri- 
cazione di  .5031  tegole  di  quella  misura,  fissato  n{Oìiis)  dec(embribtis),  il  quale  decor- 
rerebbe idibus  Juliis. 

La  formola  Aclum  Casilino  è  analoga  alla  sottoscritta  di  documenti,  per  es. 
Aclum  Pompeis;  e  così  lo  scrittore  ha  voluto  dare  a  questo  graffito  quasi  la  forma 
di  un  documento.  Casilino  invece  di  Casilini  appartiene  all'uso  volgare.  L'unica 
iscrizione  nella  quale  questo  nome  sia  stato  trovato  finora  {C.  I.  L.  X,  3792,  del- 
l'anno 387)  offre  la  medesima  forma  del  locativo.  —  La  nostra  tegola  dunque  pro- 
viene da  una  figulina  casilinense,  ma  fu  adoperata  per  una  costnizione  in  s.  Angelo 
in  Formis. 

L'iscrizione  è  contornata  con  ornamenti  a  fogliame  disegnati  ai  quattro  angoli. 

Per  la  storia  della  scrittura  corsiva  questo  graffito  è  di  un  interesse  speciale, 
mancando  finora  un  esempio  datato  per  quest'epoca.  Nessi  simili  si  conoscevano  di  già 
dalle  tavole  cerate  della  Dacia,  senile  ai  tempi  di  Marco  Aurelio;  ma  qui  si  trovano 

(i)  V.  gli  Atti  della  Commissiono  di  Caserta  1892  p.  48,  ove  la  sua  lezione  delle  .ighe  4-C 
fa  edita. 


REaiONE   I. 


—  287  — 


BAIA,    POMPEI 


delle  legature  differenti  in  vari  riguardi;  anche  l'intero  carattere  della  scrittura  corsiva 
ò  essenzialmente  diverso  e  lascia  vederne  lo  sviluppo  nel  secolo  intermedio. 

Karl  Zangemeister. 


XI.  BAIA  (comune  di  Pozzuoli).  Il  cav.  Cesare  Pascarella  copiò  nel  Castello 
di  Baia,'  ove  è  tuttora  murata,  la  iscrizione  latina  (C.  I.  L.  X,  1750)  edita  sulla  fede 
di  antichi  apografi.  Ne  fece  anzi  un  fac-simile  di  cui  si  deduce  la  lezione  esatta  di 
quel  titolo,  che  merita  di  essere  ripubblicato.  Esso  dice: 


IVLIAE  ■  EroTiNI 

mYsTis-caesaris-vIlic 
familia  (jvaesvbeo  est 


OB 


MERITIS 


ElVS 


Secondo  afferma  il  cav.  Pascarella,  non  apparisce  nel  principio  del  vs.  3  nessuna 
traccia  dell' ET  segnato  nell'apografo  del  Maffei,  la  quale  congiunzione  modificava 
grandemente  il  senso  del  titolo.  F.  B. 


XII.  POMPEI  —  Giornale  dei  lavori  redatto  dagli  assistenti. 

1-2  luglio.  Si  eseguono  restauri  nell'isola  i'^  Regione  Vili  e  nella  casa  n.  f) 
dell'isola  3*  Regione  IX  e  n.  38,  isola  14^  Regione  VI.  Gli  scavi  hanno  avuto  luogo 
nel  lato  sud  della  regione  VIII. 

3  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

4  detto.  Da  un  operaio  della  nettezza  furono  trovate  dieci  monete  di  bronzo, 
nella  bottega  n.  6  dell'isola  P,  Regione  XI.  Sono:  un  dupondio  di  M.  Agrippa;  un 
asse  di  Tiberio  Claudio;  un  asse  di  Germanico;  due  dupondii  di  Galba;  cinque  se- 
sterzi di  Vespasiano. 

5-10  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

11  detto.  Da  un  operaio  furono  casualmente  rinvenuti  presso  la  Regione  VIII 
e  propriamente  fuori  le  mura,  a  sud  del  tempio  detto  di  Ercole,  i  seguenti  oggetti  :  — 
Terracotta.  Statuetta  di  figura  muliebre,  panneggiata,  con  avanzi  di  colori  ;  mancante 
della  testa  e  della  parto  inferiore,  alta  m.  0,670.  Bustino  muliebre,  rotto  nella 
parte  inferiore;  alto  m.  0,105.  Figurina  alata,  mancante  della  parte  inferiore,  alta 
m.  0,120.  Statuetta  muliebre  alta  m.  0,107.  Bustino  muliebre,  mancante  della  parte 
inferiore,  alto  m.  0,092.  Testina  muliebre  alta  0,058.  Tredici  tazzine  ordinarie,  con 
duo  manichi,  e  piede  per  base.  La  più  grande  è  del  diam.  di  m.  0,035,  la  più  piccola 
di  m.  0,025. 

12-31  detto.  Proseguirono  i  lavori  nelle  indicate  località;  ma  non  avvennero 
scoperte. 


BARISCIANO  —   288   —  RBOIONB    IV. 


RK.HONK  IV  (SAMNIU.U  ET  SABINA). 

Vi:STINl. 

XIII.  BAllISCIANi.»  —  Di  un  iscrizione  Ialina  di  edificio  pubblico, 
scoperta  in  contrada  s.  Angelo  nel  territorio  del  comune. 

Sulla  collina  a  cui  si  addossa  il  pittoresco  paese  di  Barisciano.  emergono  alcuni 
avanzi  di  castello  medioevale,  famoso  un  tempo  per  essersi  (come  dice  lo  storico 
Cirillo)  virilmente  difeso  e  per  esser  poi  stato  espugnato  e  messo  a  sacco  da  Braccio 
di  Montone,  durante  l'assedio  di  Aquila  {Annali  della  città  di  Aquila  libr.  V). 
Ora,  quegli  avanzi  sono  notevoli  per  una  chiesuola  dedicata  a  s.  Rocco,  ornata  con 
affreschi  del  secolo  XVI.  A  sin.  poi  di  chi  guarda  il  paese  dalla  via  nazionale  sopra 
un'  alta  cima  di  colle,  in  continuazione  della  stossa  plaga,  nella  contrada  Castelluccio, 
vi  sono  ruderi  di  altro  fortilizio  medioevale;  e  più  su  ancora,  alcuni  pochi  accenni 
a  cinta  di  mura  poligonali. 

Il  territorio  di  Barisciano,  da  me  esplorato  al  di  là  di  questo  colline,  fornisce 
non  pochi  materiali  per  la  storia  antica  di  Abruzzo.  Noto  la  contrada  più  lontana, 
detta  di  s.  Lucia  o  Cortine  della  Villa,  estesamente  seminata  di  laterizi  medioevali. 
Dna  improvvisa  pioggia  non  mi  permise  di  esaminare  la  parte  più  elevata,  per  vedere 
se  si  presentasse  anche  qualche  elemento  storico  più  antico. 

Tornando  però  indietro,  il  tempo  meno  cattivo  mi  permise  di  ascendere  un  colle 
detto  Fortini  di  s.  Basilio.  La  denominazione  accennava  a  qualche  foiiilizio  ;  e  difatti 
potei  raccogliervi  prove  indubbie  di  una  stazione  primitiva.  Vi  notai  una  traccia  di 
strada  con  avvallamento,  la  quale  comincia  da  mezzogiorno,  continua  verso  nord  per 
terminare  poi  a  levante,  dove  il  colle  scende  qnasi  a  picco.  Il  colle  medesimo  aveva 
una  cinta  ciclopica  della  primitiva  epoca,  riconoscibile  ora  soltanto  a  nord  e  a  nord-est. 

In  quest'ultima  direzione  le  mura  rimangono  a  discreta  altezza,  in  un  tratto  di 
circa  m.  6. 

Ad  occidente  di  questo  colle,  presso  il  laghetto  di  Valle,  vedonsi  parecchi  ru- 
deri di  un  villaggio  medioevale,  che  dovè  sorgere  dopo  la  distruzione  di  un  vico 
dell'età  romana,  so  devesi  giudicare  dai  frammenti  laterizi  e  specialmente  di  matto- 
nelle rettangolari  per  pavimenti  ad  opera  spicata.  E  di  questo  vico  fa  menzione  il 
citato  storico  aquilano,  dicendola  Villa  s.  Basilio  e  asserendo  che  ai  suoi  tempi, 
cioè  verso  la  metà  del  secolo  XVI,  esisteva  ancora. 

Girando  quindi  la  montagna,  dietro  a  Barisciano,  entrasi  in  una  valle  cosparsa 
di  laterizi  dell'epoca  romana  e  medioevale.  La  contrada  si  chiama  Sant' Angelo.  Vi- 
cino alla  Fontanella  v'  è  un  antico  fabbricato  col  nome  di  casetta  di  Sant' Angelo  : 
ora  ricovero  di  pastori  e  di  gregge.  Le  collino  essendo  coltivate  hanno  perduta  ogni 
traccia  di  più  remota  antichità.  Io  vi  raccolsi  e  feci  serbare  un  frammento  di  dolio. 
E  seppi  che  appiè  di  im'  altura,  la  quale  chiude  la  valle  verso  greco,  e  proprio  in 
un  terreno  di  Dionisio  Marinelli,  funmo  non  ha  guari  scoperte  otto  o  nove  tombe  a 
inumazione  con  suppellettile  funebre,  come  di  solito,  manomessa.  Il  colono  Domenicau- 
tonio  Jannarelli,  nella  stessa  contrada  rinvenne  già  una  lapide,  spezzata  in  due,  e  che 


REGIONE    IV.  —   289    — 


CASTELNDOVO 


ora  conserva  nella  sua  abitazione,   a  Barisciano.   È  di  pietra  locale,  lunga  m.  u,51, 
alta  0,25,  dello  spessore  di  m.  0,08.  Vi  si  legge  ('): 

T  •  TREBIVS  •  T  •  F  •  TVBER 
CVRIETR  /OVESTA 
DS-PF-CI  -Q^P- 

Colgo  quost'  occasione  per  rettificare  un  frammento  di  iscrizione  dell'area  dell'an- 
tica Furfo,  riprodotto  nel  C.  I.  L.  IX,  n.  3554  con  qualche  inesattezza.  È  di  calcare 
locale,  misura  m.  0,78X0,22X0,17,  e  le  lettere  sono  alte  m.  0,10.  Trovasi  oggi  a 
Barisciano,  come  parapetto  in  un  muro  dell'orto  dei  signori  Bernardi.  Devesi  retti- 
ficare come  segue  : 

VNIENA- V-  F 
A.  De  Nino. 

XIV.  CASTELNUOVO  (frazione  del  comune  di  s.  Pio  deUe  Camere)  — 
Oggetti  raccolti  nell'agro  deW antica  «  Peltuino  dei   Vestini  » . 

Un  tale  Loreto  Aloisi,  alcuni  mesi  or  sono,  facendo  uno  scassato  in  contrada  Col- 
burelli,  territorio  dell'antica  Peltuinum,  rinvenne  alcuni  avanzi  di  un  fabbricato,  con 
oggetti  in  ferro,  molto  corrosi,  che  non  curò.  Conservò  solo  un'  antefissa  fittile,  di  me- 
diocre lavoro,  avente  nel  mezzo  una  testina  muliebre  con  ornati  in  giro. 

Lo  stesso,  nella  località  Taverna  Nuova,  rinvenne  una  base  di  colonna,  di  stile 
dorico,  con  parte  del  fusto,  che  pure  conserva, 

Nello  stesso  agro  peltuinate,  in  contrada  Follato,  certo  Liberatore  Casciani,  ese- 
guendo uno  scassato  per  piantagione  di  viti,  trovò  un  sepolcro  composto  di  grosse 
lastre  calcari,  lavorate  a  scalpello,  ma  anepigrafi.  Nell'interno  rinvenne  uno  specchio 
rotto  in  più  pezzi  ;  due  fibule  di  bronzo,  pure  rotte  ;  un'  idria  col  collo  frammentato  ; 
un  piatto  e  due  vasetti  pure  fittili. 

Nel  paese  di  Castelnuovo  ho  avuto  occasione  di  riconoscere  i  seguenti  resti  epi- 
grafici : 

1)  Avanti  la  casa  di  Domenico  de  Julio  giace  un  cippo  quadrangolare  con 
cornice  e  base  sagomata  ;  alto  m.  0,60,  largo  0,45.  La  faccia  scritta  è  in  parte  rotta, 
e  l'epigrafe  rimanente  è  così  evanida  che  se  ne  legge  appena  l'ultima  parola: 


POSVIT 

2)  Altro  frustolo  di  iscrizione,  in  calcare;  trovai  infisso  nella  facciata  meridio- 
nale della  casa  di  Luigi  Capiani.  Misura  m.  0.20XU,18  e  reca  inciso: 

L  L 

tei  E%ì\0 
LIBEI 

^')  La  lezione  è  stata  desunta  ilal  calco  ciirtaceo,  sul  quale  io,  Gatti  e  ^'a,l:lieri  abbiamo  ten- 
tato invano  di  trarre  altri  elementi  per  dirimere  le  oscurità  del  secondo  verso.  K.  lì. 


PRBZZA,    CHEREMDLE  —  290   —  REGIONE   IV,   SARDINIA 


8)  Nel  muro  di  facciata  od  in  qui'llo  a  sinistra  dell'arco  della  casa  di  Santo 
Orioli,  sono  incastrati  due  frammenti  di  una  stessa  iscrizione,  in  bei  caratteri.  Il  primo 
misura  m.  0,54  X  0,35  ;  il  secondo  m.  050  X  016  :  Recano  : 

FVLG.VR 

CONdi/ 

cioè:  Fulyur  conditim.  cfr.  C.  I.  L.  X.  1GU3,  (3990  ecc. 

N.  Pkrsichetti. 


PELIGNI. 

XV.  PREZZA  —  Tombe   di  età  'preromana  e  ronmia  scoperte  nel 

territorio  del  comune. 

Eseguendosi  lavori  agricoli  nella  contrada  la  Chiusa,  in  terreno  di  proprietà  di 
Panfilo  Sandonato,  si  scoprirono  parecchie  tombe  formate  con  lastroni  calcarei  lavorati 
a  scalpello,  contenenti  ossa  e  vasi  rotti. 

Una  delie  tombe,  che  non  fu  scomposta,  era  di  m.  1,70X0,53X0,41.  I  fram- 
menti di  laterizi  sparsi  sul  terreno,  sono  di  età  romana.  Una  mezza  olla,  da  me  os- 
servata presso  detta  tomba  appartiene  a  fabbriche  locali.  I  tegoloni  però  sono  di 
due  specie,  0  con  dentatura  ad  angolo  retto,  o  con  dentatura  ricurva  in  fuori.  La  con- 
trada rientra  nel  territorio  del  Pago  Lavenio,  di  cui  si  sa  pochissimo. 

Nella  medesima  contrada,  a  breve  distanza  dalla  descritta  tomba,  sotto  una 
quercia,  si  rinvenne  un  altro  sepolcro  a  umazione,  con  oinochoe  rotta,  fatta  a  mano 
ed  una  collana  di  ventiquattro  cilindretti,  scanalati  di  traverso  e  tre  anellini  di  filo 
cilindrico,  di  bronzo. 

Questi  oggetti  sono  stati  acquistati  por  le  pubbliche  raccolte  del  Museo  peligno 
di  Sulmona.  A.  De  Nino. 

SA/iDLY/A. 

XYI.  CllEUEMUliE  —  Di  una  statuetta  di  hronso  probabilmente 
votiva,  scoperta  presso  il  Nuraghe  Martirio. 

Presso  il  Nuraghe  Martirio,  in  territorio  del  comune  di  Cheromule,  il  colono 
Bachisio  Mannori,  rinvenne  casualmente  una  statuetta  di  bronzo,  alta  m.  0,096  con 
testa  nuda,  viso  ovale,  e  vestigia  di  l)reve  tunica  stretta  al  corpo,  che  termina  alquanto 
sopra  il  ginocchio,  e  con  patera  nella  mano  sinistra. 

Sul  petto,  da  sinistra  a  destra,  scende  una  fascia  o  tracolla,  e  per  mezzo  di  un 
cordone,  da  destra  a  sinistra,  è  sostenuto  un  pugnaletto  in  posizione  orizzontale, 
ali'alte/.zii  della  vita. 

La  statuetta,  rotta  nelle  gambe,  doveva  essere  infissa  in  un  piedistallo,  essendo 
rimasta  parte  della  radice  e  della  impiombatura. 

Questo  cimelio  fu  da  me  acquistato  per  le  raccolte  del  Museo  Nazionale  di 
Cagliari.  I'-  Vivankt. 

Roma  L'i  settembre  1894. 


REGIONE   X.  —   291    —  QUATBELLE 


SETTEMBRE 


Regione  X  (VENETIA). 

I.  QUATRELLE  (frazione  del  comune  di  Fellonica)  —  Di  una  tomba 
romana  nella  quale  fu  trovato  un  peso  di  bronzo  iscritto. 

Nel  gennaio  del  1892  certo  Frignani  Francesco,  trovandosi  lungo  il  Po,  col 
fiume  in  massima  magra,  vide  nella  località  Merlino,  in  fondo  alla  scarpata  dell'ar- 
gine, verso  acqua,  pochi  centimetri  sopra  il  livello  della  stessa,  affiorare  un  grosso 
laterizio.  Spinto  dalla  curiosità  a  levarlo,  ne  trovò  altri  di  varie  dimensioni  (m.  U,00 
X  0,45  e  0,40  per  lato)  connessi  tra  loro  con  calce. 

Non  tardò  quindi  ad  accorgersi  che  era  una  tomba  a  cassettone  (m.  1,60  X  0,60)  ; 
poiché  ne  trasse  residui  d'ossa  cremate,  ceneri  e  carboni,  nonché  i  seguenti  oggetti, 
che,  mercè  l'intermezzo  dell'ora  defunto  parroco  don  Giulio  Ori,  riuscii  pm-e  ad  acqui- 
stare per  la  mia  collezione  archeologica  Sermidese.  —  Bronzo.  Peso  romano  di 
gr.  101,30  [triens),  in  forma  di  palla  a  due  coni  tronchi  (alt.  mm.  20),  uniti  per 
la  base;  l'inferiore  più  basso  e  scodellato,  il  superiore  recante  incastrati  a  quadrato 
tre  rettangoletti  in  lamina  di  rame:  del  quarto  segno  ponderale  è  rimasto  l'incavo 
vuoto.  In  giro  al  cono  superiore  reca  in  argento  le  lettere  : 

EX         CA 

cioè:  ex{actum  ad)  Ca{stons)  (cfr.  Wilraanns  2765a).  Asticciuola  cilindrica  beu 
modellata,  e  terminante  a  spatoletta  in"  forma  di  foglia  d'ulivo  (lung.  mm.  97).  Tre 
anelli  di  cordone  cilindrico  (diam.  mm.  18,20,25).  Frammenti  di  sottile  lamina  e 
d'altro  anello.  —  Piombo.  Peso  romano  di  gr.  103  (friens),  in  forma  discoide  e  con 
impronte  non  bene  discernibili  (diam.  mni.  40).  —  Monele.  Medio  bronzo  dei  primi 
Cesari  (obsoleto).  Piccolo  bronzo  di  Antonino  Pio  (obsoleto).  Raro  medio  bronzo  co- 
loniale di  Antonino  Pio,  coniato  a  Licopoli  nella  Tebaide  egiziana,  avente  nel  rovescio 
un  lupo  volto  a  sinistra,  e  sormontante  un  delfino  (?).  —  Vetro.  Palla  prismatica  di 
color  verde,  formata  da  18  faccette  quadrate  e  da  8  triangolari,  misuranti  ciascima 
poco  meno  di  10  mm.  periato;  probabilmente  giuocattolo  da  fimciuUi.  Collo  di  vaso 
a  ventre  quadrato  in  color  bianco,  e  frammento  di  altro  simile.  —  Terracolla.  Singo- 
lare oggetto,  proljabilmonte  una  lucernctta  priapilonue,  di  cui  nessuu  esempio  simile 
Classb  di  scibhzb  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  U,  Serie  5*,  parto  2»  37 


VEROCCHIO  —   292   —  REGIONE   Vili. 

finora  si  rinvenne.  —  Osso.  Duo  piastrelle  lusorie  tonde,  di  colore  bianchiccio  (diam. 
mm.  20  e  25),  una  delle  quali  scodellata.  —  Pietra.  Tre  dischetti  pure  lusorl  a 
forma  di  bottoni  lisci,  e  di  coloro  bianco-giallastro  (diam.  mm.  14.  lo  e  IG).  Guscio 
di  lumaca. 

Da  quanto  è  stato  esposto  apparisce  verosimile  che  la  tomba  del  Merlino  fosso 
stata  di  un  fanciullo  e  probabilmente  del  tempo  degli  Antonini. 

L'essere  stata  poi  trovata  in  scarpa  d'argino,  e  verso  l'acqua,  conferma  ancora 
una  volta  lo  induzioni  cho,  cii'ca  il  corso  antico  del  Po  ebbi  già  ad  enunciare  nel 
mio  volume  intitolato:  //  Territorio  Sermidese  (pag.  Ili  e  seg). 

G.  Mantovani. 


Regione  Vili  {CISPADANA). 

II.  VERUCCHIO,  SPADAROLO,  e  RIMINI  —  I"  Relazione  sulle  sco- 
perte archeologiche  nel  Riminese. 

Verucchio. 

Nel  giugno  dell'anno  1893  eseguendosi  alcuni  lavori  agricoli  in  un  campo  dotto 
Lavatoio  presso  Verucchio,  proprietà  del  dottor  Nicola  Kipa,  si  scopersero  casual- 
mente alcune  tombe,  da  cui  i  contadini  estrassero  alla  rinfusa  oggetti  fittili  o  di 
bronzo. 

Ne  indico  i  principali. 

Un  piccolo  ossuario  biconico  in  terracotta,  perfettamente  conservato,  alto  m.  0,28, 
ad  un  sol  manico  con  meandri  graffiti  sotto  il  collo  e  sul  ventre,  e  con  ciotola  che 
ne  formava  il  coperchio. 

Un'armilla  a  grossa  verga  di  bronzo,  ripiegata  due  volte  sopra  sé  stessa,  ben 
conservata;  diam.  0,07. 

Altra  armilla,  costituita  per  tutto  il  giro  del  cerchio,  da  filo  gemino  di  bronzo, 
il  quale  allo  estremità  convortesi  in  filo  tremolante;  diam.  ni.  0,05. 

Un'ornamento  formato  con  lastrina  trapezoidale  sormontata  da  disco  lavorato  a 
giorno  con  figura  maschile  nel  centro  e  due  volatili  ai  piedi,  simile  ad  altro  esemplare, 
ma  un  pò  guasto,  esistente  nella  fonderia  di  s.  Francesco  (Zannoni,  La  fonderia  di 
Bologna  tav.  XLVI,  n.  62).  Si  confronti  il  disco  di  Spadarolo  descritto  più  avanti 
pag.  308  e  fig.   17. 

Tre  fusaiuole  coniche  lisce. 

Due  fibule  a  grosso  arco  ritorto  di  bronzo,  alte  m.  0,47,  l'una  perfettamente  con- 
servata, e  l'altra  priva  dello  spillo  (tìg.  1). 

Altra  fibula  con  arco  fatto  a  due  robuste  verghe  ralTorzate  ciascuna  da  .setto  nodi 
di  cui  quello  centrale  più  grosso  :  manca  dello  spillo  e  della  statfa(tìg.  2).  Per  la  forma 
od  il  numero  dei  nodi  ricorda  un  poco  la  fibulina  pubblicata  dal  Gozzadini,  (Scavi 
Arnnaldi  Veli  tav.  XII,  n.  14)  e  da  Montelius  {Spànncn  fran  bronsnldcra  ecc.  pag.  1 15, 
D.  12S);  se  non  elio,  ripeto,  l'arco  è  formato  non  da  una  ma  da  due  aste.  Altra  fibula 


REGIONK   Vili. 


—  293  — 


VERUCCHIO 


con  più  nodi  simile  a  questa  di  Verucchio,  ma  ad  un  solo   arco,  venne   pubblicata 
daU'Undset,  che  la  giudicò  di  origine  greca  {Zeitschrift  filr  Ethnolog.  1889,  p.  218). 

Due  fibule  a  navicella  vuota  con  staffa  a  luntro 
canaletto  finiente  in  bottone,  del  tipo  di  quella  pubbli- 
cata da  Moutelius  op.  cit.  pag.  178,  n.  170. 

Una  fibulina  a  semplice  filo  di  bronzo  girato  a 
doppia  spirale,  come  altre  simili  provenienti  dalla  tombe 
arcaiche  Benacci  (fig.  3).  Di  un  tipo  simile,  ma  un 
po'  più  semplice,  cioè  senza  la  spirale  raddoppiata,  è  la 
fibula  edita  dal  Montelius  op.  cit.  p.  78,  n.  102. 

Una   grande   fibula   a  navicella   vuota  con  solchi 
longitudinali  fusi. 
Una  rotella  di  bronzo  traforata  a  giorno  col  mozzo,  simile  ad  altre  uscite  dalle 
necropoli  tipo  Villanova  di  Bologna  e  di  Chiusi  e  che,  da  rappresentazioni  plastiche 
è  provato,  servivano  per  annodare  e  rassicurare  i  capelli  dietro  la  naca  (tìg.  4)  ('). 


Fig.  1. 


Fig    2. 


Fig.  .3. 


Fig    4. 


Una  cuspide  di  lancia  in  ferro,  lunga  m.  0,80. 

Un  orecchino  formato  con  spillo  piegato  a  cerchio  ed  ornato  presso  la  testa  di 
tre  occhielli  disposti  in  fila. 

Il  complesso  di  questi  oggetti,  trovando  esatti  riscontri  in  altri  dei  sepolcri  fel- 
sinei Benacci.  Caprara,  ed  Arnoaldi  e  della  Fonderia  di  s.  Francesco,  non  lasciava 
dubbio  che  le  tombe  da  cui  erano  stati  estratti  appartenessero  al  tipo  di  quelle  dette 
di  Villanova. 

Incoraggiato  da  questi  casuali  ritrovamenti  il  proprietario  del  fondo,  dottor  Kipa, 
chiese  ed  ottenne  dal  Governo  la  licenza  di  proseguire  le  indagini  con  una  esplora- 
zione ampia  e  regolare. 

Un  suo  parente  il  sig.  Alessandro  Tosi,  dottore  in  medicina  e  scienze  naturali, 
ma  che  per  qualche  anno  avea  pure  frequentate  le  mie  lezioni  di  archeologia,  gen- 
tilmente si  otferse  di  presenziare  assiduamente  quegli  scavi,  e  notarne  le  particolaritil, 
secondo  le  indicazioni  da  me  suggeritegli.  Al  quale    scopo    gì'  indicai    anche  i  libri 


(')  Milani,  Monumenti  etruschi  iconici  d'uso  cinerario  tav.  \III,  n.  11  e  11""'';  cfr.  p.  311). 


VERUCCHIO  —   294   —  RBOIONB   Vili. 

che  dovea  consultare  alcuni  dei  quali,  rari  e  difticili  a  trovarsi,  gl'iuiprestai  io  stesso. 
A  lavoro  linito  mi  trasmise  una  estesa  ed  accurata  relazione  acccompaijnata  da  taluni 
disegni,  ch'egli  ronderà  poi  di  pubblica  ragione,  dalla  quale  ho  tolto  le  notizie  di 
lutto  più  interessanti  relative  allo  scavo  ('). 

La  sua  importanza  consiste  non  tanto  negli  oggetti  forniti,  i  quali  in  complesso 
ripetono  quelli  caratteristici  e  noti  delle  altre  necropoli,  specialmente  felsinee,  del 
tipo  Villanova,  ma  nel  fatto  eh'  esso  è  il  primo  scavo  metodico  eseguito  a  'Verucchio. 
dal  (jualo  si  può  ora  con  scientifica  certezza  stabilire  l'esistenza  presso  quella  città 
di  una  estesissima  necropoli  tipo  Villanova. 

Finora  la  si  poteva  soltanto  congetturare  da<,'li  oggetti  che  a  datare  dal  prin- 
cipio di  questo  e  forse  anche  dal  XVII  secolo  si  erano  o  per  caso  rinvenuti  od  irre- 
golarmente scavati,  e  che  andarono  qua  e  colà  dispersi  e  solo  accidentalmente  ven- 
nero 0  ricordati  o  pubblicati  ora  in  questa  ed  ora  in  quella  Memoria  (-). 

Al  contrario  tutta  la  suppellettile  raccolta  dallo  scavo  Ripa  venne  acquistata 
in  seguito  dal  Governo  e  depositata,  tomba  per  tomba,  secondo  le  odierne  esigenze 
scientifiche,  nel  Museo  Civico  di  Rimini,  in  apposita  vetrina  costruita  a  spese  del 
Municipio  di  quella  città. 

Questa  suppellettile  insieme  agli  oggetti  della  nota  fonderia,  di  Casalecchio, 
di  Rimini  (^)  e  ad  altri  rinvenuti  in  parecchie  località  del  riinineso,  starà  ad  atte- 
stare al  dotto  visitatore  l'estremo  confine  orientale,  a  cui  sul  versante  adriatico  arri- 
vano le  necropoli  tipo  Villanova. 

Lo  quali  ad  occidente  sono  limitate  dal  Panaro,  corno  ad  oriente  non  oltre- 
passano il  territorio  riminese,  certo  non  il  Foglia,  al  di  là  del  quale  appare  subito 
un  altro  tipo  di  necropoli  preromana,  quella  cioè  fin  d'ora  già  ben  nota  col  nome 
di  necropoli  tipo  Novilara  (■•). 

Il  podere  Lavatoio  che  racchiude  il  sepolcreto  trovasi  un  kilom.  a  sud-sud-ovest 
di  Verucchio,  in  un  campo  detto  del  Tesoro,  che  prospetta  il  fiume  Marecchia,  al 
quale  sovrasta  circa  20U  metri  ed  alle  radici  di  un  colle  detto  Monte  della  Baldissera 
fra  queste  e  la  via  comunale  che  conduce  al  Montefeltro  (Cfr.  Tosi  op.  cit.  tav.  27). 
Questo  monte  s  innalza  a  guisa  di  enorme  mammellone  fra  la  sponda  destra  del 
Marecchia  e  la  valle  verucchiese.  Sulla  sua  cima  stendesi  un  grande  pianoro    detto 


(>)  Dopo  la  consc;?na  di  questo  mio  lavoro  (20  lufrliu  1804)  al  Ministero,  il  dott.  Tosi  ha  pub- 
blicato la  sua  Memoria  col  titolo:  Relazione  dcijli  scavi  escyuili  in  un  Sepolcreto  del  tipo  Vil- 
lanova a  Verucchio  con  due  tavole.  Rimini  1894. 

(«)  A.  Pccci,  Cenni  sui  sepolcri  della  prima  epoca  del  ferro  scoperti  a  Verucchio  1893;  cfr. 
UuUettino  di  paletnol.  ital.  1894,  p.  34. 

(')  Lnijji  Tonini  negli  Alti  e  Memorie  della  R.  Deputatione  di  stona  patria  delle  Ro- 
magne  1867,  p.  127. 

{*)  Notitie  degli  scavi  1892,  ]>.  224  e  225.  Negli  Atti  e  Jf emorie  della  R.  Deputaxione  di 
storia  patria  delie  Romaijnc  1885,  tav.  V,4,  pag.  181,  n.  1,  ho  pubblicato  un  va-setto  in  terracotta 
conservato  nel  Muieo  di  Bologna  e  ch'era  stato  rinvenuto  nel  traforo  del  tunnel  fra  Pesaro  e  Cat- 
tolica. Quel  vaiclto  caratteristico  delle  tombe  tipo  Novilara,  dimostra  che  queste  cstendevansi  an- 
che sulla  sinistra  del  Foglia. 


REGIONE    Vili.  —   295   —  VER0CCHIO 


Piaii  del  Monte,  di  forma  pressoché  circolare,  col  diametro  di  oltre  mezzo  kilom. 
Nella  punta  sud  di  esso  sorgeva  un  antico  convento  dei  Cappuccini,  e  ad  ovest  tro- 
vasi la  Bocca  Capo  di  Monte  con  la  quale  il  Baldissera  è  collegato  e  su  cui  è  costruito 
attualmente  un  monastero  di  monaclio.  Un  largo  e  profondo  avvallamento  che  notasi 
quasi  nel  mezzo  del  pianoro  ia  direzione  da  nord  a  sud,  viene  dalla  tradizione  locale 
attribuito  all'esistenza  di  un  antico  lago,  che  sarebbe  stato  in  seguito  prosciugato, 
aprendo  dal  lato  sud-ovest  un  varco  alle  acque. 

In  molti  punti  di  quel  pianoro  appaiono  a  fior  di  terra,  frammenti  di  vasi,  spe- 
cialmente di  dogli,  del  periodo  di  Villanova,  rimessi  in  luce,  nel  dissodare  le  terre, 
insieme  con  zolle  tinte  di  cenere  e  picchiettate  di  carboni.  Parecchi  di  quei  cocci  ho 
raccolto  io  stesso  in  poco  tempo.  Scavi  appositi,  a  quanto  mi  fu  riferito,  non  vi 
vennero  mai  eseguiti.  Ma  noi  può  essere  dubbio  che  ivi  sorgessero  le  capanne  di 
quella  gente  che  ha  lasciato  le  tombe  tipo  Villanova,  già  molte  volte  scoperte  in 
passato,  nei  dintorni.  La  località  era  molto  adatta  per  abitazione,  non  solo  in  grazia 
dell'esteso  pianoro  e  della  elevata  postura,  la  quale  olFriva  una  difesa  naturale  contro 
assalti  nemici,  ma  specialmente  per  la  ricchezza  delle  acque,  manifestantesi  in  nu- 
merose sorgenti  ond'  erano  e  sono  tuttavia  circondati  i  versanti  del  monte. 

Una  di  queste  esiste  poco  sotto  il  ricordato  convento  dei  Cappuccini,  e  da  un'altra, 
detta  con  voce  dialettale  Brista,  ad  un  quarto  di  kilom.  da  esso,  sgorga  un'acqua 
così  fresca  che  pare  diacciata.  Lungo  il  versante  est  del  monte  avvi  una  terza  sor- 
gente che  chiamasi  Doccia,  copiosissima  di  fresca  e  saluberrima  acqua,  con  gettito  sempre 
abbondante  anche  nei  periodi  più  lunghi  di  siccità,  durante  i  quali  la  gente,  accorre 
ad  attingerla  da  otto  e  dieci  kilom.  di  distanza. 

Ai  piedi  e  tutto  intorno  a  questo  monte  di  Baldissera  dovea  estendersi  la  necro- 
poli, perchè  già  in  parecchi  punti  di  essa,  in  occasione  di  lavori  agricoli  e  special- 
mente nel  piantar  filari  di  viti,  s'incontrarono  sepolcri,  da  cui  si  ebbero  oggetti  di 
ambra,  di  bronzo,  fibule,  ciste,  morsi,  paalstabs  ecc.  Il  podere  Lavatoio,  situato 
anch'  esso,  immediatamente  alle  radici  del  monte  dal  lato  sud,  dovea  contenere,  per 
quanto  si  può  dedurre  dalle  scoperte  fatte  finora,  un  gruppo  di  tombe  molto  arcaiche, 
alle  quali  altre  in  seguito  se  ne  sovrapposero  di  età  più  recente. 

Gli  ossuari  delle  tombe  più  antiche,  tutti  del  tipo  a  doppio  tronco  di  cono, 
sormontati  da  ciotola  e  con  una  sola  ansa  ritorta,  presentano  un  forma  piuttosto  al- 
lungata, con  fascie  di  meandri  leggermente  graffiti  sotto  il  collo  e  talvolta  sul  ventre. 
Di  essi  porge  un'  idea  l'esemplare  della  tomba  38  che  qui  si  pubblica  (fig.  5).  No- 
tevole è  il  fatto  che  tutti  gli  ossuari,  sono  dal  più  al  meno,  irregolari,  e,  per  dire 
la  vera  parola,  storti,  il  che  attesta  l'imperizia  degli  antichi  vasai  verucchiesi. 

Con  una  serie  di  trincee  di  forma  e  lunghezza  varia  fu  esplorata  una  superficie 
di  terreno  di  circa  lUO  m.q.  nella  quale  si  posero  allo  scoperto  52  tombe  situate  a 
distanza  irregolare  fra  loro,  alcune  ricche  di  oggetti,  ed  altre  che  n'erano  quasi  del 
tutto  prive.  Anche  la  loro  profondità  era  molto  dilfereute,  oscillando  da  m.  0,40  a 
m.  1,00  e  talvolta  a  m.  2,00,  secondo  l'inclinazione  del  terreno,  e  ciò  in  causa,  come 
bene  avverte  il  dottor  Tosi,  dei  processi  di  denudazione,  a  cui  col  tempo  andò  sog- 
getta la  superficie  di  quel  colle. 


VERUCCHIO 


296  — 


REGIONE   Vili. 


Delle  ò2  tombe  alcune  erano  scavate  in  semplice  buca,  altre  con  le  pareti  rive- 
stite tutto  attorno  da  grossi  ciottoli  a  secco,  corno  nelle  piìi  ricche  ed  arcaiche  tombe 
Beuacci  presso  Bologna  ed  in  quelle  di  Villanova  edite  dal  Gozzadiui  (').  L'ossuario 
stesso,  della  nota  forma  di  due  coni  riuniti  alla  base,  quasi  sempre  ad  un  sol  ma- 
nico e  coperto  di  ciotola,  posava  ordinariamente  sopra  un  denso  strato  carbonioso  e 
conteneva  nell'interno  ossa  combuste,  accompagnate  talvolta  con  qualche  ornamento 
di  bronzo,  per  lo  più  tìbule. 


.J 


Fio.  5 


Gli  oggetti  però  in  generale  giacevano  fuori  dell'ossuario. 

Ma  assai  degno  di  nota  è  il  fatto  che  qualche  volta  gli  ossuari  erano  così  vi- 
cini gli  uni  agli  altri  che  quasi  si  toccavano. 

.\d  es.  riferisce  il  dottor  Tosi,  che  in  un  punto  del  sepolcreto  entro  uno  spazio 
largo  appena  m.  3  X  4.50  si  trovarono  circa  30  tombe  ^  le  piìi  adossate  l'una  all'altra 
in  modo  che  un  ossuario  posava  talora  direttamente  su  quello  sottoposto,  altra  volta 
occupava  il  poco  spazio  che  intercedeva  fra  i  coni  superiori  di  ossuari  che  aderenti 
fra  loro,  formavano  come  un  piano  inferiore  (-)  ". 


(•)  Di  un  sepolcreto  etriuco  scoperto  presso  Bologna  tnv.  I,  n.  2  e  ■». 
(«)  Toii,  op.  cit  pag.  11. 


REGIONE   Vili.  —   297    —  VERDCCHIO 

È  questa  una  particolarità  non  mai  osservata  finora  nello  necropoli  tipo  Villanova, 
ma  soltanto  in  quelle  dei  terramaricoli  e  sarà  certo  un  valido  argomento  per  quei 
dotti,  fra  cui  i  professori  Helbig  e  Pigorini,  i  quali  propugnano  l'affinità  etnografica  dei 
terramaricoli  e  degli  Italici  del  periodo  detto  di  Villanova,  anzi  ritengono  che  la 
civiltà  di  questi  ultimi  altro  non  sia  fuorché  un  ulteriore  sviluppo  di  quella  delle 
terramare. 

D'altra  parte  non  dev'essere  ti-ascurato  l'altro  fatto,  notato  pure  dal  dottor  Tosi, 
che  gli  ossuari  di  Verucchio  variavano  bensì  in  grandezza,  ma  erano  tutti  del  tipo 
biconico,  detto  di  Villanova,  che  nelle  necropoli  dei  terramaricoli  finora  non  è  mai 
apparso. 

Gli  ossuari  di  Verucchio  estratti  dal  fondo  Ripa  sono  quasi  tutti  ornati  di  disegni 
geometrici  gi-afBti,  raramente  impressi  e  gli  ornati  stessi  consistono  di  meandri,  croci, 
triangoli,  senza  neppure  un  accenno  a  figure  d'uomini,  d'animali  o  di  piante,  come 
per  es.  negli  ossuari  del  sepolcreto  Arnoaldi  (')•  Il  che  dà  a  questa  parte  della  necropoli 
verucchiese  finora  scavata  un  carattere  piuttosto  arcaico,  confermato  altresì  dai  bronzi 
rinvenuti,  specialmente  dalle  fibule,  parecchie  delle  quali  vanno  annoverate  fra  le 
più  antiche  che  siano  finora  uscite  dai  sepolcri  tipo  Villanova. 

Ad  età  relativamente  più  tarda  spetta  soltanto  una  tomba  in  cui  l'ossuario  non 
era  deposto  nella  solita  buca,  ma  entro  un  gran  dolio  di  terracotta,  difeso  da  pareti 
di  ciottoli  a  secco,  e  circondato  da  numerosi  vasetti  accessori,  notevoli  per  maggiore 
eleganza  di  forma  e  per  una  perfetta  cottura.  Le  stesse  particolarità  si  sono  più  volte 
notate  alti-esì  nelle  tombe  a  dolio  dei  predi  Benacci  ed  Arnoaldi  in  Bologna,  spet- 
tando anch'  esse  ad  età  più  tarda  che  non  le  tombe  a  buca  {^).  Ma  ciò  che  meglio 
conferma  il  periodo  più  inoltrato  della  sepoltura  a  dolio  di  Verucchio  è  l'essersi  rin- 
venuta nel  suo  interno,  sotto  alcuni  vasetti  accessori,  anche  una  lunga  lancia  di  ferro 
e  frammenti  di  spada  pure  di  ferro. 

Una  seconda  tomba  a  dolio,  ma  anteriormente  frugata,  si  era  casualmente  incon- 
trata dapprima  in  occasione  dei  lavori  agricoli,  ma  non  si  tenne  conto  degli  oggetti 
che  essa  conteneva. 

Debbo  infine  notare  che  oltre  le  tombe  di  combusti  si  rinvennero  pure  delle  ossa 
incombuste  di  uno  scheletro,  che,  a  quanto  riferisce  il  dottor  Tosi,  posava  con  la  parte 
superiore  sopra  lastre  di  sasso  grezzo  di  varia  forma  e  grandezza,  ma  non  era  cir- 
condato da  nessun  oggetto. 

Perciò  non  è  possibile  determinare  il  tempo  cui  spetta. 

A  queste  indicazioni  generali  sul  carattere  e  sull'età  del  sepolcreto  faccio  ora 
seguire  la  descrizione  delle  tombe  più  notevoli  per  la  singolarità  o  la  copia  degli 
oggetti  forniti. 


(')  (Jozzailini,  Scavi  Arnoaldi   Veli  fav.  V  e  VI. 

(')  Anelli.'  le  tumbe  a  ziro  di  Chiusi  e  quelle  ili  Corncfo.  a  giudicare  dagli  oggetti  che  foii- 
teiievano  spettano  ad  età  più  tarda  che  non  quelle  in  semplice  buca,  l'er  le  tombe  a  ziro  di  Chiusi 
si  confronti  specialmente  Milani,  Monumenti  etruschi  i(;on^c^  ecc.  pag.  300,  e  per  quelle  di  Comete 
Helbig,  Notizie  1891,  pag.  .5.5. 


VERUCCHIO 


—  298  — 


REGIONE   Vili. 


Tomba  1.  —  Apparsa  a  circa  40  centim.  dal  suolo  con  l'osiuario  ridotto  in 
minuti  frammenti  conteneva,  fra  lu  ossa  cremate  e  la  terra  di  rogo,  tre  fusaiole  co- 
niche lisce,  quattro  pendagli,  otto  fibule,  una  piastra  quadrangolare  di  bronzo  ed  un 
anellino  di  ambra. 

I  pendagli  alti  m.  O.iX)  massicci,  hanno  forma  di  battagli  con  appiccagnolo. 
Delle  otto  fìbule:  la  prima  a  navicella  piena  alta  m.  0,07,  liscia  manca  dello  spillo  ; 
la  seconda,  priva  ancli'essa  dello  spillo,  ò  formata  con  sottile  fettuccia  liscia  di  rame 
rivestita  con  fodera  di  bronzo  imitante  il  tilo  a  spirale  ;  la  terza  alt.  m.  t>,Oó  è  a 
gondola  piatta  con  solchi  obliqui;  e  tre  altre  sono  ad  arco  semplice  con  solchi  nell'una 
obliqui,  nell'altra  orizzontali,  nella  terza  piccoli  e  finamente  incisi.  La  settima  è  una 
piccola  tìbulina  ad  arco  semplice  perfettamente  conservata  con  solchi,  fini  orizzontali; 
l'ottava  un  frammento  di  fibula  a  filo  attraversato  da  sezioni  discoidali  di  ambra. 

La  placca  consiste  di  una  sottil  laminetta  dì  bronzo  ripiegata  sopra  se  stessa 
in  modo  da  formare  un  quadrato  di  m.  0,07  X  0,07,  con  una  serie  di  fori  pervii 
lungo  uno  dei  lati  verticali,  e  uell'altro  soltanto  due  a  ciascuna  testa.  Delle  due  facce 
una  è  liscia,  l'altra  ornata  da  puntini  a  sbalzo  che  formano  un  quadrato  intersecato 
da  due  lìnee  diagonali  con  i  quattro  triangoli  che  ne  risultano,  riempiti  da  una  bulla. 
Nella  tomba  erano  ancora  pochi  frammenti  di  piccole  spirali  detti  saltaleoni. 
Tomba  2.  —  L'ossuaiio  biconico  ad  un  sol  manico  ritorto,  alto  m.  0,30  e  graffito 
sotto  il  collo  e  sul  ventre  a  semplice  meandro  si  raccolse  intero,  e  contiene  tuttavia 
le  ossa  cremate  e  frammenti  di  duo  fibule  ad  arco  semplice  ritorto. 

Tomba  3.  —  Anche  in  questa,  il  cui  ossuario  si  estrasse  però  in  frammenti, 
erano  cinque  fibule  di  bronzo,  una  delle  quali  con  l'arco  formato  da  una  lastrina  sor- 
montata per  tutto  il  suo  sviluppo  da  una  serie  di  tubetti 
conici  a  spirale  distribuiti  a  gruppi  di  tre  e  tre,  e  dira- 
mantesi  ogni  gruppo  da  propria  linguetta  l'una  all'altra 
sovrapposta.  La  stalVa  consiste  di  un  disco  elittico  ornato 
presso  all'orlo  tutto  attorno  con  fasci  di  lineette  curvo  al- 
ternate con  altre  a  spina  di  pesce,  e  nel  mezzo  con  due 
croci  ausate  ed  un  quadrato  ripieno,  il  tutto  finamente 
inciso.  Fra  l'arco  e  la  staffa  interponevasi  di  traverso  una 
piastrina  tubolare  di  bronzo,  solo  in  parte  conservata, 
anch'essa  con  fini  incisioni  di  fascia  di  linee  e  di  qua- 
dretti (fig.  6). 

È  un  tipo  di  fibula  molto  arcaico,  e  solo  rare  volte 
occorso  nelle  tombe  tipo  Villanova. 

Due  fibule  con  l'arco  sormontato  da  tubetti  conici  a 
spirale  eransi  pure  trovate  nella  tomba  Renacci  n.  689. 
Ma  negli  esemplari  felsinei  i  tubetti  conici  sono  distribuiti 
ai  quattro  capi  di  tre  piastrelle  qiiadraiigulari  allineate  od  iiidiiodate  ^ulla  lastrina 
dell'arco.  Oltre  ciò  lo  spillo  non  appoggiasi  piìi  sul  largo  disco  aperto,  ma  è  rac- 
chiuso entro  breve  stalTa  piegata,  indizio  di  fibula  meno  arcaica. 

Questo  tipo  di  fibula  molto  probabilmente  (•  derivato  dalle  iibulu  ungheresi  con 


Fio.  6. 


REGIONE    Vili.  —    299    —  VERUCCHIO 

l'arco  ornato  ora  di  quattro,  ora  di  sei  tubetti  conici  a  spirali  disposti  lateralmente 
e  con  la  stafta  similmente  formata  con  disco  a  spirale  (Hampel,  AUerlhàmer  der 
Bromeseit  in    Ungarn  taf.  XL  e  XLl,  n.  4). 

Delle  altre  quattro  fibule  ch'erano  nella  tomba  verucchiese,  una  dovea  formar  paio 
con  quella  ora  descritta,  ma  non  ne  rimane  che  il  disco  :  due  sono  ad  arco  semplice 
linamente  ritorto,  e  la  quinta  consiste  di  un  frammento  di  arco  ad  asta  quadrangolare 
avvolto  in  filo  di  bronzo  girato  a  spira. 

Tomba  1.  —  L'ossuario,  ridotto  in  frammenti,  era  coperto  da  ciotola  notevole  per 
il  manico  formato  da  rozza  figura  femminile  con  la  mano  sinistra  distesa  sul  seno 
e  l'altra  al  basso  ventre,  e  con  due  fori  presso  le  orecchie,  nei  quali,  all'atto  della 
scoperta  era  ancora  infilato  un  cerchietto  di  bronzo  (fig.  7).  Questa  rozza  figurina 
sembra  imitazione  e  riproduzione  plastica  degli  idoletti  in  bronzo  che  il  commercio 
importava  sulle  coste  dell'Adriatico.  Difatti  nello  stesso  territorio  riminese,  cioè  a 
Spadarolo,  distante  circa  3  kilom.  da  Rimiui  sulla  strada  di  Verucchio,  cinque  anni 
addietro  scoprironsi  alcune  tombe  tipo  Villanova,  dalle  quali  il  dottor  Tonini  ebbe 
parecchi  bronzi  conservati  ora  nel  Museo  di  Rimini.  Fra  essi  era  la  figurina  sormon- 
tata, a  guisa  dei  ciondoli,  da  anello,  la  quale  in  grandezza  naturale  qui  si  riproduce 
(fig.  8). 


Fio.  7.  Fig.  8. 


Rappresenta  una  donna  del  tutto  nuda,  similmente  con  la  mano  sinistra  distesa 
sul  petto  e  con  la  destra  sul  basso  ventre.  Il  sesso  non  è  indicato,  ma  soltanto  il 
seno  e  questo  mediante  due  circoli  concentrici  impressi,  con  foro  nel  mezzo.  Dalle 
orecchie  poi  traforate  doveano  pendere,  come  nel  rozzo  idolo  fittile  di  Verucchio,  i 
cerchi  metallici. 

Questa  quarta  tomba  conteneva  altresì  due  armille  a  spirali  ed  una  catena,  pre- 
gevoli per  la  loro  bellezza  e  conservazione.  Le  due  armille  costituite  da  robusto  filo 
di  bronzo  lavorato  a  spirale  di  21  giri,  misurami  una  lunghezza  di  m.  0,1.5  e  con- 
servano ancora  tutta  la  loro  elasticità.  A  ciascun  capo  terminano   in  un  occhiello  da 

Cl.ASSK  DI  80IB-NZK  MORALI  «cc.  —  Mkmohie  —  A'iil,  II.  .'^(.•ric  .")°.  pnite  2*  38 


VBRUCCHIO 


—  300  — 


KEGIONE   Vili. 


cui  dipendono  tuttora  due  anelletti.  Una  delle  armille  poi  area  infilato  fra  le  spire 
una  fibula  ad  arco  semplice  (fig.  fl). 

Per  il  tipo  ed  anche  per  la  conservazione  si  possono  confrontare  con  due  armille  a 
spirali  del  Museo  di  Bolojrna  provenienti  dalle  tombe  Arnoaldi,  ed  ancora  inedite,  i 
cui  capi  però  terminano  non  in  anelli,  ma  in  tubetti  conici  lavorati  similmente  a 
spirale,  come  quasi  tutte  le  armille  dello  stesso  tipo  raccolte  negli  altri  sepolcri  fel- 
sinei dei  predii  Benacci,  De  Lucca  ecc. 

Intorno  alle  armille,  riferisce  il  dottor  Tosi,  si  trovò  una  catena  costituita  di 
anelletti  gemini  della  stessa  grandezza  e  forma  di  quelli  uniti  ai  capi  dell'armilla, 
onde  pare  potersi  dedurre  che  fosse  ad  essa  appesa.  Il  ramo  meglio  conservato  mi- 
sura una  lunghezza  di  m.  0,óO  e  da  esso  dipendono  catenelle  simili  più  brevi. 

Altri  anelli  sciolti  e  raccolti  in  grande  copia 
sparsi  per  la  tomba,  doveano  comporre  una  seconda 
catena  uguale  alla  precedente. 

Nel  piano  della  tomba  erano  altresì  parecchi 
grani  sferoidali  di  ambra  e  di  vetro  scuro,  già  in- 
filati in  archi  di  fibule  e  vari  bottoncini  di  rame  con 
breve  appiccagnolo  da  cucirsi  alle  vesti.  Bottoncini 
simili  uscii'ono  in  grande  quantità  anche  da  talune 
tombe  arcaiche  del  predio  Benacci. 
_  Tomba  Ò.  —  È  quella  già  indicata,   a   dolio, 

f        "     ^~:r--^W>  rivestita  con  pareti  di  ciottoli  a  secco,  e  che  con- 

"^ —:;:»—  teneva  molti  vasetti  accessori  ben  cotti  e  di  forma 

eleganti. 

Alcuni  di  essi  a  doppio  manico,  con  alette  sul 
vertice  aflfettano  la  forma  di  cantaro,  altri  consi- 
stono di  semplici  ciotole  senza  manico  con  orlo 
rientrante,  ed  altri  di  alte  coppe  ad  un  manico 
verticale  e  con  base  umbilicata.  (ìiacevauo  quali 
(juali  fuori  del  dolio,  ma  tutti  nella  parte  opposta  a  quella  dell'ossuario 
che  era  a  ponente  ('). 

Questo  conteneva  nel  suo  intorno,  oltre  le  ossa  combuste,  dei  frammenti  di  anelli 
a  spirali,  e  dei  ganci,  maschio  e  femmina,  di  un  cinturone.  .VI  di  fuori  dell'ossuario 
erano  due  fibule  di  bronzo  a  doppio  ventre,  di  tipo  serpeggiante,  ma  di  forma  esile 
e  fina. 

Entro  il  dolio  poi,  come  ho  già  riferito,  e  sotto  alcuni  vasetti  accessori  si  rin- 
venne la  cuspide  di  lancia  in  ferro  molto  ossidata  e  corrosa,  lunga  m.  (i,yri.  con  avanzo 
del  suo  puntale  (sauroter)  pure  di  ferro  e  di  forma  cilindrica  e  frammenti  informi 
di  ferro  appartenenti  i»robabilmente  a  coltello. 


Fio.  9. 


dentro  e 


(I)  Tre  di  quosU  vaictii  sono  ura  pubblicati  dal  dott.  Tosi  nella  I  tavola  che  accompapia  la 
una  Memoria  jrià  citata. 


REGIONE   Vili. 


—  301   — 


VERDCCHIO 


Tomba  6.  —  Intorno  all'ossuario  frammentato  apparso  a  40  centim.  di  profon- 
dità posavano  vari  vasetti  accessori  essi  pure  in  frammenti  ad  eccezione  di  im  pic- 
colo calicetto.  Più  notevoli  erano  gli  ornamenti  di  bronzo,  fra  cui  sette  fibule  ed  un 
ciondolo. 

Delle  Mmle  tre  sono  a  navicella  vuota  con  lungo  canaletto  e  solchi  sul  dorso; 
due  aveano  dischi  di  ambra  intilati  nell'arco  ora  spezzato;  e  due  sono  ad  arco 
semplice. 

Il  ciondolo  assai  pregevole  per  la  sua  rarità  e  perfetta  conservazione,  consiste  di 
un  gancio  in  forma  di  1,  alla  cui  asta  orizzontale  sono  infilate  numerose  catenelle 
che  a  metà  o  più  giù  si  bipartiscono  o  tripartiscono  in  altre  più  brevi  e  ciascuna 
di  queste  finisce  in  pendaglietti  sferoidali  con  appicagnolo  ('). 

Tomba  9.  —  Da  essa  oltre  una  fusaiuola  e  frammenti  di  vasetti  accessori  si 
ebbero  vari  bronzi,  fra  cui  un'  armilla  a  grossa  verga  esagonale  girata  una  volta  su 
sé  stessa;  una  fibula  a  navicella  vuota  con  lungo  canaletto  finiente  in  bottone,  una 
con  solco  trasversale  sul  dorso  ed  altre  fibuline  ad  arco  semplice  con  fascie  di  linee 
orizzontali. 

Tomba  10.  —  Oltre  due  fibuline  a  navicella  con  lunga  staffa  e  residui  di  altre 
a  doppio  ventre,  si  trovò  una  tazzina  di  terra  nera  a  doppio  manico,  con  pareti  co- 
niche, piede  a  semplice  basetta  ed  orlo  rastremato   e  dritto.  Sopra  i  due  manici  ad 


Fio.  10. 


orecchietta  verticale  con  alette  sul  vertice,  notasi  im  ornamento  speciale  che  consisto 
di  una  fila  di  circoletti  riempiti  di  pasta  biancastra  con  puntino  di  terra  sul  centro. 
Altri  due  di  questi  circoli  sormontano  due  specie  di  tubercoletti  sporgenti  uno  per 
parte  dalla  costa  della  tazza  (fig.  10). 

Tali  ornamenti   si  ottennero  imprimendo   nella  terra,  quando  ancora  ora  fresca. 


(')  Pubblicata  aiiclie  i|uesta  dal  ilott.  Tosi  noUa  Memoria  succitata  tav.  I.  fis;.  •'>. 


VBRUCCIIIO  —   302   —  REGIONE    Vili. 

tanti  anellini  di  conchiglia  oppure  di  osso,  i  quali,  dopo  la  cottura,  assunsero  l'aspetto 
come  di  una  pasta  liiaucastra,  di  uno  smalto,  il  quale  sul  fondo  nero  delia  tazza  dovea 
vivamente  spiccare.  È  un  genere  di  ornamentazione  che  ricorda  quello  delle  cosidette 
borohiette  di  bronzo  con  o  senza  spina,  già  incontrate  nei  vasi  delle  necropoli  arcaiche. 
Cfr.  Harnabei,  Anticliità  del  territorio  Fulisco  -  Parte  Prima  p.  227  e  seg. 

Dopo  questa  tomba,  altre  nove  ne  vennero  scavate  le  quali  però  non  offrirono 
alcun  particolare  notevole,  né  contenevano  altii  oggetti  all'iufuori  di  poche  fusaiuole, 
di  avanzi  di  armille  a  filo  gemino   e  tremolante,  e  di  qualche  fibula  in  frammenti. 

Di  queste  fibule  due  aveano  la  staffa  a  disco;  ma  di  esse  altro  non  sopravan- 
zava che  il  disco  stesso  ed  ancora  assai  guasto  e  sformato  dal  rogo. 

Tomba  20.  —  K  notevole  perchè  conteneva  tre  fibule  e  tutte  a  grosso  arco  ri- 
torto, la  prima  perfettamente  conservata,  la  seconda  mancante  dello  spillo,  e  la  terza 
rotta  nella  staffa:  la  loro  altezza  media  e  di  m.  (),(J7.  K  il  tipo  di  fibula  apparso 
con  più  frequenza  in  queste  tombe,  essendosene  raccolte  fra  intere  e  frammentate  circa 
venti  esemplari.  Una  delle  meglio  conservate  è  quella  riprodotta  in  principio  della  re- 
lazione (fig.  1).  Come  le  fibule  con  staffa  a  disco  e  quelle  a  filo  attraversato  da 
perline  di  vetro,  giudico  anche  queste  ad  arco  ritorto,  proprie  di  un  periodo  arcaico, 
perchè  almeno  qui  in  Bologna,  esse  occorrono  nelle  più  antiche  tombe  tipo  Villauova, 
e  cessano  nelle  posteriori.  Ad  es.  appaiono  nelle  più  arcaiche  tombe  Renacci,  ma 
mancano  nella  fonderia  di  s.  Francesco,  in  cui  le  fibule  di  forma  primitiva,  ad  es. 
quelle  con  disco  a  staffa  sono  appena  rappresentate.  Fibule  con  grosso  arco  ritorto 
occorsero  al  contrario  nelle  tombe  scavate  l'anno  1886  nel  centro  di  Bologna  al 
Carrobio  presso  la  Mercanzia  {Notisie  1887,  pag.  tì  in  fine),  le  quali  tombe  già  per 
le  circostanze  topografiche,  cioè  per  essere,  fra  tutte  quelle  fin  qui  note,  le  più  pros- 
sime all'abitato,  debbono  annoverarsi  fra  le  più  antiche. 

Tomba  21.  —  Dovea  essere  simile  alla  5",  cioè  a  dolio;  ma  sfortunatamente 
si  rinvenne  frugata.  Degli  oggetti  estratti,  oltre  tre  fibule  ad  arco  semplice  ritorto, 
merita  speciale  menzione  un  pugnale  di  ferro,  rotto  iu  due  pozzi  alto  ni.  0,20  di  una 
forma  non  mai  occorsa  nelle  necropoli  tijio  Villauova,  ed  identico  per  contrario  a  quelli 
rinvenuti  in  grande  numero  nella  necropoli  di  Novilara. 

Consiste  di  una  lama  larga  e  dritta,  che  finisce  bruscamente  in  una  punta  aguzza 
e  lunga  simile  ad  uno  spiedo. 

Il  fodero  non  si  rinvenne,  ma  negli  esemplari  di  Novilara  esso  è  sempre  di  ferro, 
con  puntale  rafforzato  da  grosso  nodo  e  sotto  l'imboccatura  con  uno  e  più  anelli  con 
cui  veniva  sospeso  ad  una  cintura. 

Che  anche  il  pugnale  di  Venicchio  fosse  portato  nella  stessa  guisa  è  provato 
dal  fatto  che  alla  sua  punta  aderisce,  legato  dall'ossido,  un  gancio  femmina  di  bronzo, 
che  faceva  parte  della  cintura. 

La  presenza  di  questo  pugnale  caratteristico  delle  tombe  di  Novilara  a  Verucchio 
si  comprende  assai  bene  tenendo  conto  della  vicinanza  di  que.><te  due  località  e  degli 
scambi  che  potevano  effettuarsi  fra  gli  abitanti  di  esse.  Anzi  qui  mi  pare  opportuno 
ricordare  come  nella  necropoli  di  Novilara  fra  260  tombe  ad  umazione  col  cadavere 


REGIONE   Vili. 


—   303   — 


VBRUCCHIO 


rannicchiato  se  ne  trovarono  quattro  soltanto  di  combusti,  ed  in  una  di  esse  le  ceneri 
erano  deposte  dentro  un  ossuario  tipo  Villanova.  Molto  probabilmente  era  quella  la 
tomba  di  un  Italico  morto  colà  o  sepolto  sucoudo  il  rito  della  propria  gente. 

Dopo  la  tomba  21  si  esplorarono  altre  sei  tombe  le  quali  però,  ad  eccezione  di 
qualche  fibula  di  forma  comune  cioè  ad  arco  semplice  ed  a  navicella  ed  una  fii- 
saiuola,  non  diedero  altri  oggetti. 

Per  compenso  le  tombe  28  e  29  rivestite  con  pareti  e  con  volta  di  ciotoli,  a 
secco,  che  ne  coprivano  e  difendevano  tutto  attorno 
l'ossuario,  contenevano  altresì  taluni  oggetti  di  forma 
singolare. 

Nella  tomba  28  oltre  un'  armilla  formata  di  filo 
gemino  di  bronzo  in  parte  tremolante,  erano  due  fibule 
dette  a  sanguisuga,  cioè  formate  da  tanfi  dischetti  di 
bronzo  aderenti  fra  loro  e  degradanti  verso  l'estremità 
dell'arco. 

La  staffa  era  similmente  a  disco,  il  quale  come 
quello  della  fibula  nella  tomba  8  era  inciso  con  ornati 
geometrici,  cioè  con  fascio  di  fine  lineette  assecondanti 
la  curva  dell'orlo  e  con  due  croci  ansate  nel  mezzo 
(fig.  11). 

Bastano  queste  fibule  per  determinare  il  periodo 
arcaico  a  cui  questa  tomba  28  appartiene.  Impercioc- 
ché fibule  sifatte  sono  di  una  rarità  estrema  anche  a 
Bologna. 

La  fonderia  di  s.  Francesco  ne   contiene   una   sola 
(Zannoni,  La  fonderia  di  Bologna    tav.    XLI,    n.  31),    e   di    tutte    le    tombe    del 
predio  Beuacci,  similmente  una  sola,  la  412,  spettante  al  periodo  arcaico,  ha  offerto 
due  fibule  simili,  le  quali  sembrano  al  contrario  più  frequenti  nell'Etruria  mediter- 
ranea specialmente  a   Tarquinia.  Si  confronti  Montelius, 
Spànnen   fràn,    Bronsàldern    ecc.    fig.    18,    pag.    223, 
nota  2;  Ghirardini,  Noii:ie  1881,  ser.  3»,  voi.  IX,  tav.  I, 
n.  21   e  22  e  Notisie  1882,    voi.  X,  tav.  Ili,   n.   21 '; 
Falchi,    Vetulonia  tav.  VI,  n.  20. 

Toìuba  29.  —  Racchiudeva  quattro  valve  di  pec- 
tunculi  forate  all'apice  per  formare  collana;  una  fibula 
ad  arco  semplice  contorta  dal  rogo  ed  un'armilletta 
a  filo  gemino,  in  parte  tremolante,  di  bronzo  (fig.  12). 

Le    armille   e    gli  anelli  di  questo    tipo    sembrano 
caratteristiche  dello   tombe  più  archaiche  di  Verucchio, 
perchè  quantunque  il  numero  delle  tombe  esplorate   sia   piuttosto  esiguo,  pure  vi  si 
trovarono  già  dieci  di  tali  armille,  senza  contare  i  frammenti  di  parecchie  altre. 

Un' armilla  del  medesimo   tipo,   ma   ridotta   in   più  pezzi,  si  ebbe  altresì  dalle 


Fig.  11. 


Fig.  12. 


VERUCCHIO 


304   —  REGIONE   Vili. 


tombe  arcaiche  della  Mercanzia  in  Hologna,  che  sopra  ho    ricordate   descrivendo   la 

tomba  2. 

La  frrande  antichità  delle  arraille  ed  anelli  a  Hlo  metallico  tremolante  sembi-a 
inoltro  confermata  dal  fatto  che  anelli  simili,  ma  in  oro,  si  trovarono  nei  sepolcri  sca- 
vati dallo  Tsountas  nella  parte  bassa  di  Micene.  'EijtjitQÌi  ùaxitiuì.oytxi]  1«88,  tav.  9, 
n.  12  e  14,  pag.   151. 

Tomba  30.  —  Si  ebbero  da  essa  i  seguenti  oggetti: 

Un  bellissimo  rasoio  di  bronzo,  alto  m.  0,12  perfettamente  conservato,  ornato 
sopra  ambo  le  facce  di  triangoli  ripieni  incisi. 

Una  fibula  a  fettuccina,  rotta  in  due  pezzi  con  punteggiature  suUorlo,  anch'essa 
di  tipo  piuttosto  arcaico,  contorta  dall'ossido. 

Un  anello  di  bronzo  del  diam.  di  m.  0,08. 

Seguirono  altre  sei  tombe  dalla  31  alla  3(3  le  quali  non  diedero  oggetti  all'in- 
fuori  di  un  frammento  di  fibula  ad  arco  ritorto  e  di  un  ago  crinale  in  forma  di  chiodo, 
log"ermente  curvato  airestremità,   ma  assai  ben   conservato  e  con  stupenda  patina 

tmchina. 

Tomba  37.  —  Conteneva  l'ossuario  tipo  Villanova  intero;  un  frammento  di  fibula 

ad  arco  ritorto;  un  dischetto  a  lamina  di  bronzo  del  diam.  di  m.  0,04  con  foro  cen- 
trale, e  cinque  pezzi  di  tubetti  spiralifonui  detti  saltaleoni. 

Tomba  38.  —  Priva  affatto  di  oggetti.  Conteneva  soltanto  un  ossuario  con 
graffiti  a  meandri  sul  collo  e  sul  ventre  e  sormontato  da  ciotola  capovolta  (già  pub- 
blicato a  pag.  296,  ftg.  5). 

Tomba  39.  —  Racchiudeva  oltre  l'ossuario  in  frammenti  una  fusaiuola  sferoidale; 
una  fibula  ad  arco  ritorto  in  due  pezzi  e  frammenti  di  altra  simile,  più  un  gruppo 
di  anellettl  del  diam.  di  m.  0,015. 

Tomba  IO.  —  Oltre  i  frammenti  dell'ossuario,  due  fusaiuole  coniche,  un  avanzo 
di  fibula  ad  arco  ritorto,  conteneva  due  fibule  dette  a  sanguisuga,  cioè  formate  con 
dischetti  di  bronzo  aderenti  fra  loro  e  rastremautesi  ai  capi  dell'arco  con  la  stalla 
a  disco  come  gli  esemplari  della  tomba  21  (fig.  11). 

Eranvi  per  di  più  una  diecina  di  grani  di  pasta  vitrea  già  infilati  in  fibule,  ed 
una  placca  di  sottil  lamina  di  bronzo  molto  guasta  e  contorta  dal  fuoco,  simile  a  quella 
del  1"  sepolcro. 

Sorvolo  sopra  le  cinque  susseguenti  tombe,  dalle  quali  non  si  ebbero  che  scar- 
Bissimi  ed  insignificanti  oggetti. 

Tomba  4(j.  —  Degni  invece  di  particolare  considerazione  sono  i  seguenti  avanzi 
della  suppellettile  funebre,  raccolti  in  questa  tomba. 

Un  rasoio  semilunato  con  ornamenti  incisi  presso  la  costa,  rotto  nella  punta  e 
nel  taglio,  alto  m.  0,12. 

Due  lastre  parallelepipedi  di  osso  con  l'una  faccia  ornata  di  circoli  concentrici 
impressi  e  con  1  altra  grezza,  le  quali  combaciando  dovevano  formare  il  rivestimento 
di  un  manico  di  pugnale  o  di  spada,  la  cui  lama  però  non  si  rinvenne. 

Al  contrario  si  trovò  un  pugnale  a  lama  di  ferro  ricurva,  lunga  m.  0,37  compreso 


REGIONE    Vili. 


—  305 


VERDCCHIO 


il  manico  ora  staccato,  il  quale  finiva  in  testa  ad  anello  circolare.  L'ossatura  di  questo 
iDanico  doveva  essere  di  legno,  ratlorzato  alle  coste  da  piccole  laminette  di  bronzo  e 
tutto  intorno  da  due  fascio  a  filo  di  bronzo  girato  a  spirale,  luna  sotto  l'anello,  l'altra 
sopra  la  guardia.  Anche  il  fodero  della  lama  era  di  legno,  del  quale  sono  ancora 
visibili  le  tibre,  qua  e  colà  rafforzato  esso  pure  in  due  parti  cioè  a 
metà  ed  alla  punta,  con  fascie  di  filo  di  bronzo  girato  a  spirale 
(fig.  13). 

Per  questo  pugnale  debbo  rinnovare   l'osservazione  fatta  a 

quello  con  lamina  dritta  e  rastremantesi  della   tomba    21,  cioè 

che  è  di  un  tipo   affatto   nuovo   nella   suppellettile    del   gruppo 

Villanova,  ma  per  compenso,  trova  riscontro  nei  pugnali  di  No- 

vilara,    una    classe  dei  quali    sono    appunto  a  lama    ricurva    di 

ferro.  In  essi  il  fodero  è  sopra  una  faccia,  quella  meno  nobile  e 

non  visibile,  di  legno,  su  quella  destinata  a  vedersi  di  lamina  di 

ferro,  i  cui  orli  ripiegandosi  sulla  faccia   opposta  stringevano   e 

|l-'»'/^|  rassicuravano  la  lastra  di  legno.  Un  pugnale  di  questo  tipo  si  era 

lii'f^^l  scoperto  anche  a  Verucchio  da  molto  tempo  e    venne   acquistato 

^*\^''-'*  l'anno  1885  dal  prof.  Pigorini  perii  Museo  preistorico  di  Roma, 

dove  ora  si  conserva. 

Debbo  alla  gentilezza  dell'amico  il  disegno  che  qui  ne  pub- 
blico (fig.  14). 

È  alto  m.  0,28  e  quantunque  rotto  in  tre  pezzi,  lascia  scor- 
gere assai  bene,  in  quello  superiore,  i  risvolti  delle  lastre  in 
ferro  che  ne  costituiscono  il  fodero  della  parte  nobile.  Il  manico 
ora  manca,  ma  esso  pure  avea  la  stessa  forma  dei  manici 
propri!  ai  pugnali  ricurvi  di  Novilara,  che  pubblicherò  quanto 
Fig.  13.  prima  nella  relazione  generale  che  sto  preparando  sullo  scavo  di 

quella  necropoli. 
Tomba  47.  —  Oltre  i  frammenti  dell'ossuario  e  due  fusaiuole  coniche,  conte- 
neva un  considerevole  numero  di  oggetti  in  bronzo  fra  cui  :  una  fibula  a  verga  qua- 
drangolare ;  altra  piccola,  ma  ben  conservata,  a  semplice  filo  di  bronzo  ;  una  terza  fibula 
ad  arco  semplice  attraversata  da  altra  più  piccola  con  solchi  sul  dorso,  ed  una  quinta 
fibulina  ad  arco  quadrangolare  con  solchi  longitudinali  sul  dorso  ed  attraversata  da 
anellini. 

Argomentando  dalla  piccolezza  di  tutte  queste  fibule,  parrebbe  che  la  tomba  avesse 
appartenuto  ad  una  giovinetta. 

Confermerebbero  tale  supposizione  anche  due  armille  in  ossa  rinvenute  che  hanno 
un  diametro  di  soli  cinque  centimetri  (tipo  fig.  12). 

Lavorate  nel  solito  filo  gemino  in  parte  tremolante,  queste  armille  erano  attra- 
versate ciascuna  da  una  fibula  e  da  un  anello  di  ambra. 

11  medesimo  lavoro  a  filo  gemino  di  bronzo  in  parte  tremolante  presentano  al- 
tresì due  anelli  del  diametro  di  in.  o.o:;. 


VERDCCHIO 


—  306  — 


REGIONE   Vili. 


V, 


<' 


li 

.  1 


i*'.< 


Lu  rimanenti  cinque  tombe  erano  aflTatto  prive  di 
oggetti. 

Tomba  52.  —  Soltanto  la  52  conteneva  una  fìbula 
l'ho  per  la  novitfi  del  suo  tipo  e  per  la  sua  rara  conserva- 
zione merita  una  specialo  descrizione. 

L'arco  ò  cositituito  da  uno  spillo  ricurvo,   sormon- 

'ni^  ^  tato   da  capocchia  ottaedra  di  ambra;    e    la    corda    ha 

!«/;        ,      I  lorma  di  telaio    quadraufjolaro    introdotto    con   la  testa 

nel    foro  dello  spillo,  fornito  a  metà  di  due   cornetti  e 

tìniente  a  sua  volta  in  una  staffa  che  rinserra  la  punta 

dello  spillo  (tig.  15). 

Non  conosco  nesstm'  altra  fibula  da  confrontare  con 
questa.  Per  qualche  lontana  analogia  possono  soltanto 
osservarsi  le  due  hbule  pubblicate  dal  Montelius,  Spànnen 
frali  Hronsàldei'ii  ecc.,  pag.  ;iO  n.  27  e  pag.  27  n.  25, 
la  prima  per  lo  spillo  ricurvo  e  piegato  ad  arco,  la 
seconda  per  il  telaio  quadrangolare. 

Fra  i  numerosi  cocci  raccolti  in  questo  sepolcro, 
alcuni  si  distinguevano  per  le  pareti  più  spesse  e  per 
un  ornamento  di  circoli  impressi,  alternati  con  triangoli 
e  con  linee  graffite.  Avendo  fatto  raccogliere  ed  acco- 
stare fra  loro  i  diversi  pezzi,  no  risultò  un  oggetto  in- 
teressantissimo, vale  a  dire  im  elmo  a  doppia  cresta, 
alto  m.  0,2G5  senza  la  punta  che  è  rotta,  del  noto  tipo 
degli  elmi  di  bronzo  usciti  dalla  necropoli  tarquiniese 
{Notizie  1881,  tav.  V,  n.  18,  23). 

L'esemplare  verucchiese  è,  per    quanto  io   conosca, 
il    primo    littile    che   riproduca    in    grandezza    naturale 
l'elmo  a  doppia  cresta  e  con  riproduzione  non  superficiale, 
ma  accurata  ed  esatta  in  tutti  i  particolari  (').  Due  linee 
di  circoli  impressi,  imitazione  delle  bulle  a  sbalzo  sugli 
esemplari  di  bronzo,  ed  alternate  con  altre  due  linee  grafllte.  ornano  ambo  le  facce  della 
doppia  cresta,  al  di  sotto  della  quale  sopravanzano  gl'indizi  dei  tre  perni 
orizzontali,  così  caratteristici  degli   elmi  metallici  tarquiniesi.  Intorno 
all'orlo  gira  un  fregio  di  due  file   sovrapposte  di  circoli   ed  una  terza 
di  triangoli  ripieni  di  linee,  imitanti  i  cos"i  detti  denti  di  lupo,  frequenti 
pure  nei  lavori  di  bronzo,  ila  con  tutta    questa    ricchezza  di  fregi   o 
di  ornamenti  forma  contrasto  la  rozzezza  dell'elmo  per  quanto  riguarda 
la  fattura  plastica,  perchè  la  calotta    ò   anch'essa    irregolare  e  storta, 
).,,_  j-,  c-i'Uie  in  massima  parte,  le  pareti  degli  ossuari  (fìg.   Iti). 


t 


Fio.  M. 


(')  Nel  Mnico  preistorico  di  Roma  si  conserva  un  elmo  titf  ile  a  doppia  cresta,  proveniente  da 
Tarquinia,  ma  di  un  lavoro  .semplice  e  senza  ornamentazione. 


REGIONE    Vili. 


307    — 


SPADAROLO 


Questo  elmo  fittile  che  probabilmente  serviva  da  coperchio  all'ossuario,  induco 
a  credere  che  abbia  appartenuto  ad  un  guerriero  il  sepolcro  in  cui  lo  si  rinvenne, 
dove  in  luogo  dell'originale  metallico,  che  dovea  essere  di  troppo  gran  pregio,  fu  col- 


!4lIiaE  ^*  t^  ti  t*  ■•©  @  (^  0  :c>  ;TT .  ^ 


«il^i  ®  @  @  @  @  '@  @  @  è 


FiG.   16. 


locata  soltanto  una  copia  in  terracotta.  Essa  tuttavia  è  sempre  di  una  grande  im- 
portanza, perchè  dimostra  che  tale  tipo  di  elmo  era  usato  non  soltanto  dagli  Italici 
che  lasciarono  le  tombe  tipo  Villanova  sulle  sponde  del  Tirreno,  ma  altresì  dai 
loro  connazionali  stanziati  sul  versante  Adriatico. 


Spadarolo. 

Descrivendo  la  tomba  20  di  Verucchio  ho  già,  indicato  alcuui  bronzi  elio  si 
erano  scoperti  a  Spadarolo,  altra  località  del  riminese,  in  cui  esisto  un  sepolcreto  tipo 
Villanova. 

Qui  trovo  opportuno  di  menzionare  anche  i  seguenti  oggetti  che  il  benemerito 
dottor  Tonini  ebbe  dalla  medesima  località  e  che  ora  sono  conservati  nel  Museo  di 
Uimini. 

Tre  grosse  fibule  a  navicella  piena,  con  disegni  geometrici  e  prive  dello  spillo. 
Ci.ASSK  DI  8CI&NZE  MORALI  ccc.  —  Memoiìir  —  Vol.  II,  StTÌe  5*,  parte  2'  39 


SPADAROLO 


—  308  — 


RBOIONE    Vili. 


1&^ 


Una  fibula  a  nancella  Ttiota  frammentata  con  lungo  canaletto. 
Un  ago  crinale  tiniento  in  capocchia  sferica. 
Un  nocciolo  grande  di  ambra  appartenuto  a  fibula. 

Un  cilindro  fittile  a  doppia  capocchia,  ornato  allo  testo  di  croci  coi  quadranti 
riempiti  di  triangoli. 

Ma  special  descrizione  meritano  gli  oggetti  che  seguono. 
Un  disco  lavorato  a  giorno,  del  diam.  di  0,005,  formato  di  due  cerchi  concentrici 
legati  fra  loro  da  sei  linee  a  zig-zag  tre  per  parte.  È  un  fermaglio  di  cinturone,  proprio 
della  regione  rimineso,  perchè  un  secondo  esemplare  se  ne  rinvenne  nel  1875  a  s.  Lo- 
renzo in  Monte  presso  Kimini  e  fu  già  pubblicato  dal  dottor  Carlo  Tonini  (Storia  di 
Rimini  voi.  V  in  fine)  e  tre  esemplari  simili,  ancora  con  il  residuo  della  fascia  me- 
tallica appartoneute  alla  cintura,  conservansi  nel  Museo 
parrocchiale  di  s.  Giovanni  in  Galilea  {Noi.  1889  p.  216). 
Altro  disco  lavorato  a  giorno  è  formato  similmente 
da  due  cerchi  concentrici.  Lo  spazio  di  quello  più  pic- 
colo è  occupato  da  una  figulina  umana  con  le  braccia 
alzato  e  con  due  volatili  ai  piedi.  Sulla  periferia  del 
cerchio  maggiore  correva  una  fila  di  quadrupedi  anch'essi 
lavorati  a  fjiorno  e  distribuiti  cinque  per  parte. 
Sopravanzano  ora  soltanto  quelli  a  destra. 
Il  disco  termina  nella  parte  inferiore  in  un  sostegno  a 
forma  triangolare  con  propria  basetta  rettangolare  la  quale 
è  sorretta  da  una  tì<;rurina,  a  tutta  scultura,  di  bronzo 
con  le  braccia  allargate  le  cui  mani  sono  inchiodate  alla 
base  del  sostegno  del  cerchio  come  per  sollevarlo  e  pre- 
sentarlo (fig.  17). 

Anche  questo  disco  è  proprio  della  suppellettile  del 
periodo  detto  di  Villanova,  perchè,  come  ho  già  accen- 
nato in  principio,  un  secondo  esemplare  se  n'era  trovato 
nelle  tombe  del  predio  Ripa  a  Verucchio,  prima  che 
s'iniziassero  gli  scavi  regolari,  ed  un  tono  se  ne  conserva 
nella  fonderia  di  s.  Francesco  a  Bologna. 

Altri  duo  ne  fornirono  le  necropoli  di  Tarquinia 
(.Yolisie  1882,  ser.  3»,  voi.  X,  tav.  Ili,  n.  19)  e  di  Vetulonia  (Falchi  op.  cit.,  tav.  XVIII, 
n.  10).  Ma  l'esemplare  di  Spadarolo  è  più  completo  più  singolare  e  por  l'aggiunta 
della  figura  umana  che  lo  sostiene  si  comprende  l'uso  a  cui  può  aver  servito. 
Come  mi  ha  suggerito  l'amico  Barnabei,  la  base  rettangolare  del  sostegno  essendo 
curva,  non  vi  ha  dubbio  ch'essa  fosse  applicata  ad  una  coppa  emisferica  di  bronzo 
della  quale  il  disco  traforato  formava  il  manico,  e  la  figura  maschile  in  piedi 
l'appoggio. 

Da  Spadarolo  provengono  altresì  due  manici  di  cista  semicircolari,  mobili  e  lisci 
con  estremità  ricurve,  introdotte  in  doppi  anelli  cherani)  infissi  alla  parte  supcriore 
della  cista,  il  cui  diametro  era  di  m.  0,20  all'incirca.  Della  cista  stessa  si  conserva 


ri.-,.  ì: 


REGIONE    VII. 


—  309  — 


RIMINI,   LORO-CIDFFENNA 


un  pezzo  alto  m.  0,05,  largo  m.  0,04  che  contiene  cinque  cordoni.  Questa  cista  per 
la  sua  piccolezza,  per  la  foima  dei  manici  e  per  la  fittezza  dei  cordoni  dovea  essere 
simile  a  quelle  di  Novilara. 

Rimìni. 

Demolendosi  la  casa  colonica  di  un  podere  appartenente  alla  Congregazione  di  ca- 
rità, situato  oltre  il  Borgo  s.  Giovanni,  a  sin.  del  pubblico  passegi^io,  presso  la  chiesa 
della  Colonnella,  lungo  l'antica  via  Flaminia,  fu  rinvenuta  una  stele  di  calcare,  alta 
m.  2,23  larga  m.  0,49  dello  spessore  di  m.  0,27.  Superiormente  è  arcuata,  e  quivi 
presenta  di  rozzo  rilievo  una  testa  miiliebre  di  profilo  col  capo  coperto  di  un  manto. 
Di  sotto  è  incisa  la  seguente  epigrafe  che  fu  trascritta  anche  dal  eh.  prof.  Bormann 
per  il  voi.  XI  del  C.  I.  L. 


L-EGNAT  IVSLF 
a  n  i  •  s  e  x  -1 v i r 
vf-in-f-p-\kii 
et  egnat  /  a-l-l- 
d  i c  a  •  v i  //v i t 


La  lapide   è   ora   conservata  nella  biblioteca  Gambalunga,  unitamente  ad  altre 
lapidi  latine  del  riminese. 

E.  Brizio. 


Regione  VII  (ET R  URIA). 

III.  LORO-CIUFFENNA  —  DI  un  tesoretto  di  monete  lucchesi  sco- 
perto in  una  tomba  della  diruta  chiesa  di  s.  Miniato, 

Mi  riferisce  il  sig.  avv.  Cini  di  Montevarchi,  che  nel  disfare  il  pavimento  della 
piccola  chiesa  di  s.  Miniato,  situata  fra  Loro-Ciulfenna  e  Monte  Marciano  nel  Val- 
darno  superiore,  il  proprietario  don  Antonio  Farilli  ha  rinvenuto  alla  testa  di  un 
morto  un  vasetto  pieno  di  monetine  di  argento.  Dicesi  pure  essere  stata  quella  chiesa 
antichissima,  e  il  suo  disfacimento  aver  data  occasione  alla  scoperta  dello  monete. 
Era  situata  lungo  l'antica  via  romana,  che  da  Arezzo  passando  per  il  ponte  Aburiano 
seguiva  la  destra  dell'Arno  per  andare  a  Firenze  ('). 

(1)  La  chiesetta  di  s.  Miniato  presso  Loro,  abbandonata  da  un  ijran  pezzo  e  ridotta  alle  solo 
pareti  perimetrali,  mancante  dell'abside  fu  trasformata  in  tienile.  Ne  rimane  la  parete  a  tramontana 
costruita  di  pietre  conce  e  dulia  lunghezza  di  m.  12.  Liti-rnamente  erano    traccie  di  affreschi;  ma 


LORO-CIDFFENNA  —  àìV  —  REOIONB  VII. 

Del  t«soretto  non  mi  sono  capitate  che  centosette  monete,  che  si  afleriiia  siano 
circa  il  t«rzo  di  quelle  recuperato.  Sono  tutte  quante  denari  lucchesi  di  argento  bat- 
tuti col  nome  dell'imperatore  Enrico,  cioè:  HENRICVS,  nel  centro  LVCA;  nel  fot. 
INPERATOR.  nel  centro  il  monotjraninia  doUimporatore  Ottone,  cioè  IH  con  due  T. 

11  nome  dell'imperatore  Ottone  rimase  per  vari  secoli  come  tipico  nelle  monete 
lucchesi.  Ora  dopo  avere  esaminato  il  ragguardevole  numero  di  cento  sett«  denari  di 
argento,  tutti  dell'imperatore  Enrico  con  quelle  piccole  varietà  di  conio  notate  da 
D.  Massagli  nella  sua  storia  dello  monete  di  Lucca,  possiamo  ben  desumere,  come 
ancora  mi  è  stato  detto,  che  simigliauti  fossero  le  altre  monete.  La  mancanza  assoluta 
di  quelle  degli  Ottoni,  che  precedettero  Enrico  secondo,  il  quale  tenue  il  titolo  impe- 
riale dal  1014  al  1024.  e  di  quello  del  suo  successore  Corrado,  mi  inducono  a  credere  che 
questd  che  monete  spettino  ai  due  Enrici  successivi,  che  dominarono  tutta  la  seconda 
metà  dell'undecimo  secolo,  e  anche  più  oltre.  Infatti  nessun  chiaro  distintivo  si  ri- 
vela in  esse  in  quel  tempo  da  poterle  con  certezza  designare  :  in  tutte  lo  stesso  conio 
0  stozzo  a  martello,  le  rozze  lettere,  la  forma  disuguale  purché  ne  stozzassero  fuora 
da  dugento  ottantotto  per  libbra  di  argento  con  qualche  mistura:  e  cos'i  seguitò  Lucca 
a  battere  tino  al  tempo  di  Federigo  il  Barbarossa,  tenendo  lo  sue  monete  il  principale 
mercato  per  tutta  la  regione  della  Tuscia  ed  ancoi-a  nelle  limitrofe. 

Ma  tralasciando  questa  parte  numismatica,  alla  quale  tanti  dotti  hanno  atteso, 
il  pregio  della  scoperta  precipuamente  consiste  nell'aver  rinvenuto  il  gruzzolo  di  quei 
denari  di  argento  presso  il  capo  del  morto.  Tale  superstizione,  sia  pure  in  tempi  an- 
cora incolti  e  barbari  ma  cristiani,  se  da  alcuno  fu  avvertita,  da  nessuno  poi,  eh'  io 
sappia,  trattata.  Eppure  è  bene  di  considerarla,  giacche  sembra  che  nel  medio  evo 
fosse  ditTusa,  e  più  o  mono  per  l'Italia  tutta:  né  dubito  che  siano  comparse  le  sue 
tracce  anche  in  oltremente  e  foree  più  che  da  noi,  dove  questo  fatto  fu  sempre  tra- 
scurato. Valga  dunque  la  mia  breve  nota  a  mettere  sull'avviso,  e  cos'i  raccogliendo 
i  diversi  fatti  si  vengano  a  discoprire  lo  vere  ragioni  di  quella  pratica  superstiziosa. 

Dalla  Grecia  s'introdusse  in  Italia  il  rito  di  porre  l'obolo  o  nella  bocca  o  nella 
mano  del  morto,  in  tempo  però  non  molto  antico,  cioè  verso  il  secolo  quarto  avanti 
l'era  volgare,  e  non  in  tutte  le  sue  contrade;  più  frequente  poi  e  più  generale  nel 
primo  secolo  dell'impero.  Soltanto  la  moneta  di  bronzo  fu  allora  tenuta  sacra  e  di  rito  ; 
ma  col  diffondersi  delle  religioni  orientali  si  andava  perdendo  la  volgare  credulità, 
che  l'obolo  o  il  triente  servissero  a  pagare  il  passaggio  acherontico,  credulità  messa 
in  ridicolo  da  Luciano,  e  si  ritenne  piuttosto  che  servisse  a  fine  di  purificazione 
dell'anima.  Da  che  proviene,  che  oltre  le  monete  di  bronzo  s'incontrano  ne'  sepolcri 
quelle  di  argento  e  ancora  di  oro.  Tale  superstizione  se  fu  dal  cristianesimo  condan- 


anchc  quostc  vcnneio  distratte.  Di  tale  cliiesctta  non  si  lianiio  ricordi,  o  almeno  non  se  ne  co- 
noscono. Trattali  di  un  oratorio  che  forse  non  ebbe  cura  di  anime,  e  piobabilmentc  non  dovJ;  avere 
importanza  alcuna;  altrìmenti  questo  assoluto  silenzio  delle  antiche  carte  non  sarebbe  in  alcun 
modo  ^astiflcabilc. 


REGIONE    VII.  —    311    —  LORO    CIDFFENNA 

nata  ed  affievolita,  non  del  tutto  fu  dismessa  come  di  altre  pratiche  e  credenze,  che 
a  traverso  i  secoli  uulle  nostre  campagne  vigono  ancora. 

Sono  ormai  trascorsi  trenta  e  più  anni  {liull.  List.  1863,  p.  55)  da  che  io 
avvertiva,  che  in  luogo  detto  la  Quota  in  Casentino,  lontano  un  miglio  da  Talk,  e 
altrettanto  dall'Arno  (diverso  da  altro  luogo  Quota  sopra  l'oppi)  s'incontrarono  molti 
sepolcri  lavorando  un  breve  piano  a  pie'  del  colle.  1  morti  erano  interi,  coperti  da 
tegole,  e  ciascuno  di  essi  aveva  presso  il  capo  un  mucchio  più  o  meno  numeroso 
di  piccolissime  monete  di  rame  segnate  con  i  nomi  di  Teodosio,  di  Valentiniano,  e 
di  Onorio.  Siamo  adunque  nel  secolo  quinto,  quando  quella  contrada  non  era,  essendo 
piuttosto  lontana  dal  centro  di  Arezzo,  forse  divenuta  cristiana. 

E  in  quei  dintorni  si  manifestò  un  fatto  simile.  Il  parroco  di  s.  Martino  a  Ga- 
liano sopr'Arno,  ancor  vivente,  nel  guastare  l'antico  cimitero  della  chiesa,  trovò  alla 
testa  di  un  morto  una  trentina  di  denari  di  argento,  che  ebbi  fra  mano,  lucchesi  del 
tempo  degli  Ottoni  verso  la  tìne  del  mille. 

È  ancora  più  curioso  di  vedere  ripetuta  tale  superstizione  iu  luogo  sacro,  proprio 
nelle  catacombe  di  Bolsena.  L'ambulacro,  che  a  sinistra  si  diparte  dalla  grotta  di 
s.  Cristina,  teneva  nel  suo  primo  arcosolio  un  cadavere,  presso  il  capo  del  quale  era 
collocato  un  vasetto  con  circa  trecento  denari  di  argento,  la  maggior  parte  lucchesi, 
ma  ve  ne  erano  pure  delle  zecche  di  Lombardia,  e  vi  trovai  il  preziosissimo  denai-o 
di  Arduino  re  d'Italia  battuto  a  Milano,  che  fu  dal  medagliere  di  Brera  acquistato. 
Era  ben  manifesto  il  tempo  dei  primi  del  mille,  quando  il  tesoretto  insieme  al  ca- 
davere fu  deposto  e  nascoso. 

Kilevo  dalle  filze  manoscritte  dell'archivio  delle  KR.  Gallerie  di  Firenze  (anno 
1822,  n.  49,  e  1823,  n.  20)  che  nel  fare  la  strada  presso  ilignegno,  suburbio  di 
Pontremoli  fm-ono  trovate  da  un  ducente  monete  di  bilione  tutte  di  Londra  dei  primi 
del  duecento  (la  maggior  parte  con  WALTER),  delle  quali  una  ventina  giunsero  al 
medagliere  delle  Gallerie.  Ed  è  qui  da  osservare  che  costui  doveva  essere  un  viandante 
inglese,  che  avrà  voluto  che  quel  tesoretto  si  deponesse  nel  suo  sepolcro,  o  ciò  avrà 
fatto  alcuno  dei  compagni   suoi. 

E  proseguendo  ancora  dal  secolo  decimoterzo  noi  incontreremo  altre  vestigia  nei 
due  susseguenti.  Tolgo  dall'erudito  Zanetti  {Monete  e  Zecche  d'Italia,  t.  II,  p.  420 
n.  0)  che  nel  1771  si  trovarono  nel  comune  di  Panzane  sotto  l'ascella  di  un  morto 
molti  zecchini  veneziani,  tra  i  quali  uno  del  doge  Marino  Fallerò  che  fu  decapitato 
nel  1354.  Che  più?  Racconta  ancora  che  nel  comune  di  s.  Bartolomeo  di  Musiano, 
nel  territorio  di  Bologna,  fu  scoperto  al  tempo  suo  un  cadavere,  presso  del  quale  si 
trovarono  varie  monete  di  mistura,  che  stabilivano  che  quello  era  stato  sepolto  verso 
il  1470.  Dai  quali  fatti  lo  Zanetti  deduce  che  quel  costume  fu  appreso  certamente 
dai  barbari,   che  usavano  di  seppellire  i  loro  morti  con  grandi  tesori. 

Fu  nei  secoli  posteriori  stimata  una  siffatta  pratica  come  sortilegio  condannato 
dalla  chiesa;  onde  da  qualcuno  si  continuò  a  fare  di  nascosto,  non  già  credo  nel- 
l'opinione di  giovare  al  defunto,  ma  perchè  questo  fosse  propizio,  o  per  trarre  qualche 
fortuna.  Lo  stesso  Zanetti  nel  luogo  citato  riporta  quanto  ne  scrive  G.  Catalani  nei 


KoMA  —   312   —  ROMA 

suoi  commentari  al  Pontificale  Romanum  (t.  Ili,  p.  268):  Quidam  sortilegi  cantra 
fidem  agentes  ponimi  quinque  solidos  supra  pectus  mortai  — 

Il  Catalani  pubblicò  il  tono  volumt'  dei  Commentari  nel  174u,  econ  la  parola 
poiiìiiil  ci  8i<;nitica  come  tuttora  la  superstizione  fosse  in  vigore,  la  quale  forse  si 
sarà  protratta  fin  presso  ai  tempi  nostri. 

G.  Gamurkini. 


IV.   ROMA. 
Nuove  scoperte  mila  città  e  nel  suburbio. 

Regione  III.  Nel  cavo  all'angolo  sinistro  dell'abside  della  nuova  chiesa,  che 
costruiscono  le  Religiose  dette  del  Sangue  Sparso,  in  via  di  s.  Giovanni  al  Lattrano, 
si  è  scoperto,  alla  profondità  di  m.  tì,óU  dal  suolo,  un  pozzo  rettangolare  costruito 
in  laterizio,  profondo  oltre  5  metri.  È  largo  m.  0,85  X  0,70;  e  nei  quattro  lati  di 
esso  sboccano  piccoli  fognoli,  egualmente  costruiti,  che  misurano  m.  0,40  di  larghezza 
ed  altrettanto  di  altezza. 

In  vicinanza  dell'indicato  pozzo  ed  alla  medesima  profondità  sono  apparsi  avanzi 
di  mura  a  cortina. 

Nella  via  detta  Curva,  fra  le  vie  Buonarroti  e  Macchiavelli,  furono  raccolti  fra 
terre  di  scarico  molti  altri  frammenti  di  figurine  votive  in  terracotta  (cfr.  Notiiie  1894, 
p.  278),  parecchie  tazze  e  vasetti  fittili  spettanti  alla  suppellettile  funebre  dell'ar- 
caico sepolcreto  esquilino,  ed  un  blocco  di  amatista  gausto  dal  fuoco,  del  peso  di 
circa  5  chilogrammi.  Fu  pure  scoperto  un  avanzo  di  grosso  pilastro  in  muratura,  con 
un  blocco  di  tufo  sovrapposto,  alto  m.  0,50  largo  m.  0,55. 

In  via  di  s.  Vito,  cavandosi  per  una  fogna,  si  è  scoperto  un  tratto  di  pavimento 
stradale  a  poligoni  di  selce,  che  è  a  m.  2,00  sotto  il  livello  della  na  odierna.  K  ma- 
nifestamente l'antica  strada,  che  tendeva  alla  porta  Esquilina.  Fra  le  terre  sono  stati 
recuperati  duo  grandi  anelli  di  bronzo;  due  spilli  pure  di  bronzo,  e  due  di  osso;  e  cin- 
quanta monete  imperiali  di  bronzo. 

Per  i  lavori  di  fognatura  in  via  di  s.  Antonio,  alla  profonditii  di  m.  3.10  dal 
piano  stradale,  si  è  incontrata  un'  antica  chiavica  costruita  in  laterizio  e  coperta  alla 
cappuccina.  È  alta  m.  1,30  e  larga  m.  0,58. 

Regione  IX.  Nei  lavori  di  fondazione  al  muro  del  palazzo  Falconieri  pro- 
spiciente il  fiume,  si  è  recuperato  un  pezzo  di  lastrone  di  porfido,  lungo  m.  0,90, 
largo  m.  0,70,  dello  spessore  di  m.  0,40;  ed  un  rocchio  di  colonna  scanalata,  di 
portasanta,  lungo  m.  0,38,  del  diametro  di  m.  0,35. 

In  piazza  di  Montecitorio,  rinforzandosi  le  fondamenta  dell'albergo  Milano,  a 
m.  2  sotto  il  livello  stradale  si  è  scoperto  un  avanzo  di  muro  a  cortina  lungo  m.  2,50, 
grosso  m.  0,50.  Presso  il  medesimo  è  apparso  nel  cavo  un  piccolo  pilastro  laterizio. 


REGIONE    I.  —    313    —  OROTTAFERRATA 


Regione  XIII.  Sull'angolo  orientale  del  nuovo  Collegio  dei  Benedettini  all'Aven- 
tino, scavandosi  per  la  collocazione  del  tilo  di  un  parafulmine,  si  è  incontrato  il  pavi- 
mento di  un'  antica  stanza,  a  musaico  tutto  bianco.  Questo  pavimento  trovasi  a  m.  4,35 
sotto  il  livello  del  suolo  attuale. 

Costruendosi  il  nuovo  muro  di  recinto  a  sud  del  cimitero  acattolico  presso  il 
Testacelo,  si  sono  rinvenute  quattro  anfore  intiere  e  tre  frammentate.  Misurano  in 
media  l'altezza  di  un  metro,  ed  hanno  il  maggior  diametro  di  circa  m.  0,80. 

Via  Portuense.  Nella  vigna  Costa,  situata  fra  il  secondo  ed  il  terzo  chilo- 
lometro  fuori  di  porta  Portese,  a  sinistra,  eseguendosi  i  lavori  del  grande  collettore  delle 
acque  urbane,  è  stato  scoperto  a  m.  5,50  sotto  il  piano  di  campagna,  un  piccolo  cor- 
ridoio in  opera  laterizia,  largo  m.  1,60.  Ha  il  pavimento  a  musaico  di  tesselli  bianchi, 
con  fascia  nera  all'intorno.  Sui  muri  laterali,  che  spettano  probabilmente  a  due  stanze 
di  un  privato  edificio,  fra  le  quali  correva  quell'ambulacro,  resta  qualche  parte  d'in- 
tonaco abbastanza  fino,  senza  traccia  di  pittura. 

Via  Tiburtina.  Negli  sterri  per  la  costruzione  di  nuovi  sepolcri  al  Campo  Ve- 
rano,  sono  state  raccolte  quattro  lucerne  comuni,  in  terracotta,  una  delle  quali  col 
monogramma  t  in  rilievo;  una  piccola  tazza  di  terra  nerastra;  tre  spilli  di  osso; 
una  lastrina  di  smalto;  un  balsamario  ed  un  fondo  di  vasetto,  di  vetro. 

G.    G.1TTI. 


Regione  I  (LATIUM  ET  CAMPANIA). 

V.  OROTTAFERRATA  —  In  un  quarto  del  territorio  di  Grottaferrata,  de- 
nominato La  Cipriana,  si  è  scoperto  un  cippo  di  marmo,  alto  m.  0,53,  largo  e  spesso 
m.  0,82,  che  dentro  scorniciatura  mostra  l'iscrizione  seguente,  in  lettere  assai  cor- 
rose, della  quale  l'ispettore  P.  Rocchi  mandò  un  calco  cartaceo: 


L  ■  PVLLAIENVS 

SABINVS 
PVLLAIENAE 
PRIVATAE 
N  VT  R  I  CI  • 
FEC  I  T 

Il  cippo  fu  aggiunto  alla  raocoliii  miliijiiariii  dnllii  inMimiiK'iitiile  Abbazia. 

F.  Bak.nahki. 


ANZIO,    POZZUOLI,   POMPEI  —  814   —  HBOIONB   I. 


VI.  ANZIO  —  .ìfarmi  orchitettonici  scoperti  presso   un    tratto    di 
via  romana  in  Ansio. 

Nello  scorso  giugno,  furono  eseguito  opere  di  sterro  sulla  via  romana  di  Anzio, 

nel  punto  in  cui  sbocca  nell'abitato,  accanto  al  cancello  esterno  della  villetta  già  pon- 

titicia,  ora  Ospizio  Marino.  Si   rinvennero  numerosi  poligoni  di  selce,  dell'antica  via, 

la  coincidenza  della  quale  colla  moderna,  era  del  resto  cosa  nota.  Anzi  nel  margine 

sinistro  di  essa   si  scoprì   e   si   lasci«N   intatto  un  filo  dei  poligoni  suddetti.    Ma  ciò 

che  rende  importante  lo  scavo,  è  la  scoperta  di   frammenti  architettonici,  marmorei, 

di  grandiose   proporzioni.   Si  tratta  di  due  parti  di  un  immenso  stilobate  in  marmo 

bianco,   sagomato   egregiamente,   con   listelli,   gole,   abaco.    Un  frammento    è    lungo 

m.  1,48,   dello   spessore   di   m.  0,(37;  l'altro  è   di  ra.  l,20XO,7u.  Altri   frammenti 

minori  sono  stati  scoperti  insieme,  e  fu  trovato  anche  un  tronco  di  colonna  di  marmo 

caristio,  lungo,  m.  2,32,  del  diametro  di  m.  0,4(3.  Questi  avanzi  sono  custoditi  nel 

recinto  contiguo  suddetto  Ospizio  Marino. 

G.  Tom  ASSETTI. 


VII.  POZZUOLI  —  in  vicinanza  della  stazione  di  Torre  Gaveta,  nella  via 
campestre  che  mena  a  monto  di  Procida,  il  prof.  Viola  esaminò  alcune  tombe,  di- 
sposte sul  fianco  sinistro  della  strada,  a  m.  1,20  del  piano  di  campagna.  Erano  di 
costruzione  semplicissima,  incavate  nello  strato  tufaceo,  senza  rivestimento  interno  o 
coperte  da  grossi  tegoli.  Contenevano  il  solo  scheletro. 

Una  di  queste  tombe,  scavata  alla  presenza  dello  stesso  prof.  Viola,  lunga 
m.  1,'.»0X0,40  X  0,30,  coperta  come  le  altre  da  tegoloni,  presentava  in  una  estre- 
mità della  copertura  un  tubo  fonnato  da  due  embrici,  accostati  tra  loro.  La  tomba 
conteneva  nn  mucchio  di  ossa  umane,  combuste. 


\  III.  PO.MPEI  —  Giornale  dei  lavori  compilalo  dagli  assistenti. 

1-19  agosto.  Si  sono  fatti  lavori  per  restauri  di  vari  edifizi  e  per  assicurazione 
di  pareti  dipinto;  e  non  sono  avvenuti  rinvenimenti  di  oggetti. 

20  detto.  Sono  incominciati  i  lavori  di  scavo  nella  Regione  V,  ad  est  della  casa 
detta  del  Laberinto. 

24  detto.  Nella  sistemazione  dello  scavo  nella  Regione  V,  isola  2,  nella  casa 
con  l'entrata  al  secondo  vano,  nel  vicolo  ad  oriente  della  dotta  isola,  a  partire  dall'an- 
golo sud-est,  noU'ambieiito  posto  ad  est  dell'atrio,  si  rinvenne:  —  Terracotta.  Un'an- 
fora lesionata  e  frammentata  con  iscrizione.  —  Bromo.  Una  cerniera  lunga  mm.  72. 
Un  anello  avente  in  un  punto  del  diametro  un  avanzo  in  ferro;  diam.  mm.  70.  Una 
borchia  a  cui  è  superinnnonto  attaccato  un  anello  scanalato;  diam.  della  borchia 
mm.  43.  Altra  quasi  simile.  —  Ouxo.  Cinquantuna  cerniere  circolari,  delle  quali 
otto  grandi  e  quarantatre  piccole.  —    Vetro.  Piccola  carafinetta,  alta  mm.  65. 

25-31  detto.  Proseguirono  i  lavori  senza  rinvenimento  di  oggetti. 


REGIONE   I.  —   315   —  SORRENTO 


IX.  SORUENTo  —   Dì  all' (lìUica  colonna  inilliaria. 

Nel  chiostro  dell'ex-cdiivcntd  di  s.  Fiancesco  in  Sorrento,  e  propriamente  nell'area 
del  piccolo  <TÌar(iiiio  giace  al  suolo  da  alcuni  anni  (che  prima  trovavasi  in  opera  nel 
medesimo  chiostro)  un  fusto  di  colonna  di  marmo  cipollino,  alto  m.  1,83  e  del  diani. 
di  m.  0,27.  Porta  incisa  la  seguente  epigrafe,  molto  danneggiata  dalla  grande  cor- 
rosione' della  superficie  del  marmo  : 

XXV 

IMP  caes. 
M  ÀVR  vai.  m 
ÀXEN  Ilo 
PIO  .  felici 

my  icto 

Aìiijuslo 


Avverto  innanzi  tutto  di  aver  collazionato  l'apografo  con  l'impronta  cartacea. 
11  nostro  miniarlo  dunque  appartenne  senza  dubbio  alla  via,  segnata  dagl'itinerari 
{CI.  L.  X,  p.  58,  n.  I)  che  dal  promontorio  di  Minerva  perveniva  a  Pompei,  dove 
innestavasi  all'altra  che  da  Nuceria  menava  a  Napoli  ({7.  /.  L.  X,  p.  58,  n.  II).  Il  mil- 
liario  rinvenuto  a  Resina  e  recante  il  numero  VI  {C.I.L.  X,  n.  6937,  6938)  è  opi- 
stografo;  e  l'epigrafe  n.  6937  si  riferisce  appunto  a  Massenzio.  Ora,  poiché  ad  Rc- 
sinam  inveiilus  cum  sii  aeUUis  labcnlis,  qua  Neapolis  priacipalum  iiilcr  oppida 
Campana  sibi  vindicabat,  in  co  milia  ab  ea  urbe  numerari  probabile  est  (  C.  I.  L.  X, 
p.  704) ,  al  medesimo  computo  bisogna  riferire  il  railliario  di  Sorrento,  che  porta  il 
numero  XXV.  Ed  infatti  la  distanza  tra  Neapolis  e  il  promontorium  Minervae  era 
di  circa  trentuno  miglia  romane.  Ma  l'imperatore  Massenzio  non  dovette  che  restaurare 
la  strada,  giacché  altrimenti  dal  tempo  della  terribile  conflagrazione  vesuviana,  che 
mutò  addirittura  la  faccia  dei  luoghi,  si  sarebbe,  contrariamente  al  costume  romano, 
troppo  aspettato  per  rifare  una  regolare  via  di  comunicazione  tra  Napoli  e  tutta  la 
regione  sepolta  dal  Vesuvio.  La  qual  cosa,  se  è  insostenibile  alla  luce  del  solo  ra- 
gionamento, vien  del  tutto  eliminata  da  una  prova  di  fatto,  che  scatm-isce  dalla  impor- 
tante epigrafe,  in  grandi  e  belle  lettere  monumentali,  di  una  colonna  milliaria  scoperta 
nel  1879  presso  la  cattedrale  di  Castellammare  di  Stabia  (cfr.  Noi.  1879,  ser.  3*,  voi.  Ili, 
p.  418;  C.  I.  L.  X,  n  0939).  Spetta  all'anno  r21-122  d.  0.,  e  fa  memoria  di  una 
via  costruita  dall'imperatore  Adriano,  della  (piale  (luel  milliario  era  \undecimo.  A  buon 
diritto  credè  il  De  Rossi  {Bidl.  d.  ardi,  crisi.  1879,  p.  124)  che,  non  potendo  il 
milliario  scoperto  presso  Stabia  convenire  alla  distanza  da  Napoli,  la  numerazione 
progressiva  delle  miglia  della  via  fatta  da  xVdriauo  cominciasse  da  Nuceria  Alfa- 
terna,  stazione  principalissima  della  Cajnta  Jihe</iuiii.  dinimata  dall'Appia.  Ma  esi- 
steva già  in  Napoli  una  colonna  milliaria  priva  di  numero,  la  iiii  epigrafe  (('.  I.  !..  X, 

Classe  di  scienze  mokali  ecc.  —  Memoiue  —  \'ul.  11,  .Serie  ò',  l'iUtc"-"  -10 


NAVBI.L1 


Jl(i    _  REGIONE    IV. 


II.  tiiUO)  risulta  perfi'ttaineiito  identica  a  quella  del  milliario  di  Stabia.  Dunque  non 
è  infondata  la  ipotesi,  che  Adriano,  oltre  alla  Nuceria  Stabias.  abbia  rifatta  anche 
la  via  da  Napoli  a  Nocera.  passando  per  Pompei,  donde  si  diramava  il  tronco  l'ow}>eiis 
Staliius  l'romoiUoriiiiii  Miumutc.  cui  appartenne  la  nostra  colonna  milliaria  di 
Sorrento. 

Veramente  non  si  può  affermare  con  sicurezza  che  Adriano  sia  stato  il  primo 
imperatore,  dopo  l'incendo  Vesuviano,  che  abbia  curata  la  rifaziono  della  nuova  via 
tra  Napoli  e  le  città  sepolte.  Ma  se  da  un  lato  si  tien  conto  della  fortissima  im- 
pressione prodotta  negli  animi  da  quell'incendio,  la  quale  dovè  tener  lontani  da  qi:ella 
contrada  per  molto  tempo  gli  abitanti,  e  dall'altro  si  pensa  che  l'impero  di  Traiano, 
più  elle  alle  arti  della  pace,  fu  in  gran  parte  rivolto  alle  improse  guerresche,  i  qua- 
rantadue anni  intercessi  tra  la  catastrofe  Vesuviana  e  la  rifazione  della  nuova  via 
non  parranno  troppi,  perchè  quei  luoghi  desolati  risorgessero  alla  vita. 

Da  ultimo  non  voglio  omettere  che  Massenzio,  seguendo  la  tradizione  dei  suoi 
predecessori,  non  mancò  di  occuparsi  delle  viae  puhlicac  popuU  lloniani;  e,  oltre 
che  alla  via  fra  Napoli  e  il  promontorio  di  Minerva,  egli  rivolse  le  sue  cure  alla 
ria  //erculea  ab  Aequo  Tutico  in  Lucaniam  {C.  /.  L.  X,  n.  6063,  6964,  6971,  69T2); 
alla  Labicana  (n.  68S'2);  alla  Latina  (n.  6881);  air.l;»;)/«  (n.  6S36,  6847.  6816, 
6867,  6868,  (!869);  alla  /Vacnestina  (n.  6886)  e  tinaliiieiite  alla  Capila  /iheyium 
(n.  6'.i.j2,  OUM). 

A.    SOGLUSO. 


Ueiìionk  IV  ^V.I.I/.V//'.I/  h'T  SABINA). 

VEST/M 

X.  NAVKIilil   —    Tombe  preroniaìw  scoperte  nella  contrada  Carnaio. 

Di  fronte  al  villaggio  di  Navelli,  liavvi  una  contrada  detta  Camaia,  che  dista 
dal  paese  circa  un  chilometro.  Nello  scorso  inverno,  1  fratelli  Gennaro  ed  Ambrogio 
(fianiorio,  eseguendovi  in  un  loro  terreno  uno  scissalo  per  piantare  dello  zafferano, 
a  m.  2  circa  di  profondità,  rinvennero  dei  sepolcri  appartenenti  alla  prima  età  del 
ferro;  lua  di  un  periodo  piuttosto  avanzato. 

I  cadaveri  incombusti  giacevano  sulla  nuda  terra,  soltanto  difesi  lateralmente 
e  superionucnti'  da  rozze  pietre.  Io  non  fui  presento  al  rinvenimento,  ma  api)ena  ne 
ebbi  notizia  ini  recai  sopra  luogo,  onde  potei  osservare  la  località  ed  i  seguenti  og- 
getti della  suppellettile  funebre  che  ila!  iletli  Gianiorio  si  conservano.  —  /ironso. 
Dieci  placche  da  cinturone,  più  o  meno  corrose,  e  frammentate,  di  m.  0,116.')  X  0,1)65 
ognuna,  con  decorazioni  geometriche  a  puntini,  .sparse  di  bottoni  a  sbalzo,  riuniti 
«luattro  a  quattro.  Cinque  placchelte  per  rivestire  strisce  o  cinture  di  cuoio,  lunghe 
m.  0,028  X(»,Oir>,  contornate  da  ligure  geometriche,  anche  a  puntini,  aventi  nel  mezzo 
tre  Imttoiii  a  sbalzo,  in  linea  retUi.  Un  pettine  di  lamina  di  bronzo,  con  molte  sfal- 
dature, ornato  in  ambo  le  facce  da  ligure  ir<Miiiictiiilie.    alto   m.  0,o.")XO.0l.  Vi  ri- 


REGIONE    IV.  —    :ìI7    —  VITTOKITO,    SALLE 

mansjono  otto  denti,  oj^utino  liintjo  0,00.").  Una  pinzetta  ben  conservata,  liiu-^a  iii.  (t.I;!. 
Due  aniiillc  a  spirali,  grandi,  ed  una  piccola.  Catena  ben  conservata,  rotta  in  due  pezzi, 
lunga  m.  l,2o.  Un'armiila  ed  un  pendaglio  con  pasta  vitrea  colorata  in  azzurro:  — 
Ferro.  Metà,  del  fondo  di  un  vasetto  cilindrico.  Un'armiila  rotta  in  due  pezzi,  ed 
altri  oggetti  irriconoscibili.  —  Fi  Itili.  Un'idria  di  argilla  nera,  frammentata,  alta 
m.  0,42  X  0,35  di  diametro.  Le  anse,  in  numero  di  quattro,  rappresentano  dei  cagno- 
lini. All'intorno  vi  è  graftito  un  bell'ornato.  Una  tazza;  una  fusaiuola. 

N.  Persichetti. 


PAELIGNI 


XI.  VITTORITO  —  Nella  chiesa  dedicata  a  s.  Michele  Arcangelo  e  proprio 
in  un  muro  grezzo  della  seconda  nave  destra,  stava  murato  un  frammento  di  pietra 
calcare  locale,  di  m.  0,70X0,26.  Vi  si  legge: 


"ANN  •  XIIII  ■  MENS  •  VII  ■  DIES  ■  VI 


Al  lato  destro  vi  è  scolpito  uno  specchio  circolare. 

In  una  lastra  della  stessa  pietra,  di  m.  1,30X0,85X0,16,  rimane  il  seguente 
resto  epigrafico,  a  grandi  e  belle  lettere: 


BENIGNV 


Nei  dintorni  della  chiesa  si  scoprirono  in  vari  tempi  molte  tombe  appartenenti 
ad  un  pago  cortìniese,  ignoto. 

Le  antichità  continuano  a  scoprirsi  a  breve  distanza,  verso  nord-est,  nei  fabbri- 
cati nuovi  del  paese.  Tra  gli  oggetti  rinvenuti  noto  due  grandi  doli,  ben  conservati, 
imo  de' quali,  posseduto  dal  sig.  Seratino  Pietrantoni,  alto  m.  1,10,  del  diametro 
alla  bocca  di  m.  0,46.  Nel  luogo  del  rinvenimento  detto  Piano  di  Santa  Maria, 
si  scopri  pure  una  vaschetta  di  forma  quadi-angolare,  costruita  a  calcestruzzo.  L'altro 
dolio  è  alto  m.  1  con  diametro  di  ra.  1,12  nel  corpo  e  m.  1,02  di  bocca.  Verso  il 
fondo,  che  è  piatto,  ha  un  foro  circolare  con  labbri  sporgenti.  Questo  secondo  vaso  si 
conserva  nel  giardino  del  sig.  Alfonso  Pietrantoni. 

A.  De  Nino. 

XII.  SALLE  —  Avanci  di  suppellettile  funebre  preromana  prove- 
nienti da  tombe  scoperte  in  contrada  Pesehio  della    Valle. 

La  contrada  di  s.  Nicola,  distante  circa  1  chilometro  dal  paese,  è  ferace  di  sco- 
perte. Ma  gli  antichi  oggetti  che  di  quando  in  quando  vi  si  rinvennero,  andarono 
sempre  dispersi. 

Non  così  quelli  che  si  trovarono  nella  contrada  Pesehio  della  Valle,  a  sinistra 
del  torrente  Fossato  Torbido.    Ivi    ultiniiinicnte    il  prnprii'fario  del   fondo.  Luigi    Sa- 


TARANTO 


—   318   —  REGIONE   11. 


liTuo,  nell'abbattuie  uu  annosa  queiriji.  rinvenne  una  tomba,  la  cui  suppellettile  di 
ro^zo  impasto  nera:<tro  fu  spezzata. 

Dalla  descrizione  avuta  dal  colono,  supponjjn  vi  fosse  un'oinoclioe  a  bocca  tonda 
e  una  eotvia.  Lo  seoprit<ire  conserva  però  j^Maiide  jtarti'  di  una  decorazione  di  bronzo, 
con  le  .solite  majjlieite  a  spiralo;  e  una  •,'r:inde  quantità  di  anellini  di  lilo  cilindrico; 
oltre  a  cinquanta. 

Grazioso  il  ciondolo,   puro  di  bronzo,  somigliante  ad  anforetta  con  ba.<e  conica. 

La  tomba  aveva  per  piano  un  acciottolato  concavo,  quasi  a  navicella;  terreno 
vergine,  ai  lati,  e  un  grosso  lastrone  per  coperchio. 

Altra  tomba,  nello  stesso  sito,  fu  scoperta  dal  contadino  Antonio  Paolo  Sarra, 
che  conserva  soltanto  una  cuspide  di  lancia,  in  ferro. 

A.  1)k  Nino. 


IlEc.ION'K   II  (APULI A)). 

XII 1.    TAHANTo  —  l'ammenli  a  musaico  scoperti  in   Taranto. 

Nel  passato  mese  di  aprile,  mentre  si  faceva  lo  sterro  per  la  costruzione  di  una 
nuova  casa  nel  borgo  di  Taranto,  furono  scoperti  alcuni  pavimenti  a  musaico,  che 
richiamarono  Tattcnziono  del  vice-segretario  sig.  Parrilli,  colà  residente  per  le  cose 
del  Museo  e  degli  scavi;  il  quale  subito  ne  riferi  alla  Direzione  dei  Musei  e  degli 
scavi  in  Napoli.  Recatomi  sul  posto  e  tutto  osservato,  mi  è  sembrato  opportuno  di 
riferire  non  solo  dell'ultima  scoperta,  ma  anche  delle  precedenti,  per  quel  che  ri- 
guarda qnesto  genere  d'arte  antica,  e  por  quanto  essa  è  rappresentata  in  Taranto  nello 
sue  tre  parti  principali,  cioè:  naWnpus  lesseltatiim,  nel  musivum  sedile  e  nel  li- 
Ihostroton. 

Il  proprietario  del  terreno  dove  avvenne  la  scoperta  è  il  sig.  Carlo  Cacace;  ed 
il  mastro  muratore  che  vi  costruisce  è  un  tal  Quero;  e  questi  lasciarono  che  il 
•  inverni»,  per  mio  mezzo,  con  ogni  cura  avesse  pre.so  nota  del  rinvenimento,  e  det- 
tero il  temp.i  p.r  faro  csegnire  il  disegno  di  un  pavimento,  quello  che  più  interessa 
di  render  noto  ai  cultori  delle  scienze  archeologiche.  Ksso  infatti  ci  presenta  una 
scena  mitologica,  ciò  che  vuol  dire  che,  se  pure  non  viene  a  mostrare  un  fatto 
del  tutto  nuovo  nella  storia  delle  scoperte  tarantine,  non  è  tuttavia  fra  i  rinveni- 
menti più  comuni,  fra   i  tanti  cioè,  di  cui  quella  terra  è  stata  cos'i  doviziosa. 

Dal  1H80  a  questa  parto  molti  pavimenti  e  di  vario  genere  si  son  trovati,  ma  i 
figurati  son  tutti  a  disegni  geometrici,  e  quindi  di  minore  importanza  relativamente 
a  quest'ultimo.  Solo  una  volta,  quando  si  faceva  lo  scavo  delle  terme  romane  nel  sito 
denominato  /  fortini  presso  la  sponda  di  Mar  Grande  (')  venne  fuori  una  stanza  con 
pavimento  a  musaico,  nel  cui  mezzo,  disegnati  a  contorno  di  tenadlne  nere,  vede- 
vansi  la  parte  posteriore  di  un  delfino  e  gli  avanzi  ili  una  figura  umana  ignuda,  che 
>i  sedeva  Hiii)ra.    Ki-a   la  solita   rapj)rescntjizione   di   Taras   sul  delfino,  comunissima 

(•)  Notizie,  18P1.  scr.  r.  v..l    IX    \<    '.12 


REGIONE    li.  _    319    _  TARANTO 


nella  nuniiciiuiitica  tarantina.  Ma  era  pure  ben  mi.sera  cosa  quel  pavimento,  special- 
mente per  quel  che  vi  restava,  in  modo  da  non  meritare  una  spesa  per  conservarlo. 

Da' miei  appunti  poi  rilevo  clic  una  volla  iiel  Inndo  del  sic(.  La  Tanza,  ora  del 
sjcf.  Cacacc,  posto  a  dr.  dell'antica  strada  di  s.  Lucia,  presentemente  strada  secon- 
daria dell'arsenale  marittimo,  fu  scoperto  un  pavimento  a  musaico  con  disegni  geo- 
metrici di  color  nero  su  fondo  bianco,  molto  bene  eseguiti  e  discretamente  conservati  ; 
e  ricordo  pure  che,  dopo  di  essere  stato  esposto  per  qualche  tempo,  fu  ricoperto  per 
non  esporlo  ad  ulteriori  guasti.  Un  altro  fu  trovato  nella  casa  del  sig.  Tommaso  Cito 
a  dr.  della  strada  Umberto  I";  parecchi  nel  fondo  del  sig.  Osimo  presso  s.  Francesco 
di  Paola  ;  uno  nel  fondo  del  sig.  Miraglia  a  sin.  della  strada  delle  Gasine,  ed  altri 
in  altri  siti,  ma  tutti  d'un  importanza  secondaria. 

Però  se  essi  non  servono  a  far  progredire  le  conoscenze  in  quanto  a  parte  tecnica 
0  per  i  soggetti  di  rappresentazione,  mostrano  nonpertanto  quanto  era  dift'uso  in  Ta- 
ranto a'  tempi  dei  Romani  questo  ramo  di  costruzioni  e  la  importanza  ed  estensione 
della  Taranto  romana. 

Soli  tre  musaici  trovansi  estratti  e  conservati  nel  museo  di  Taranto,  dei  quali 
procurerò  di  fare  esatta  descrizione,  quantunque  nessuno  ignori  che  in  questi  casi  il 
disegno  sia  più  dichiarativo  di  tutte  le  parole. 

1.  Musaico  di  forma  rettangolare  (m.  2,12  X  1,78)  a  due  colori  bianco  e  nero 
e  di  mediocre  esecuzione.  Corre  intorno  una  fascia  bianca  larga  m.  0,0.5;  alla  quale 
succede  un'altra  di  m.  0,19  col  fondo  bianco  e  con  rivolgimenti  a  spirale  a  musaico 
nero,  fatti  in  modo  da  lasciar  bianchi  altrettanti  disegni,  simili  per  forma  e  delle 
identiche  dimensioni  dei  precedenti.  Ricordano  tali  disegni  il  motivo  generalmente 
adoperat'^  dagli  antichi  per  rappresentare  le  onde  del  mare  nei  vasi  e  nelle  monete. 
Dopo  una  terza  fascia  nera  di  m.  0,07,  resta  il  rettangolo  interno,  sempre  a  fondo 
bianco,  variato  da  figure  semiellittiche  a  semplice  profilo  nero,  sovrapposte  le  une 
alle  altre  in  modo  che  la  estremità  di  ciascuna  vada  a  posare  sul  centro  degli  archi 
sottoposti. 

2.  Il  secondo  musaico  (m.  1,70X1,00),  come  il  precedente  è  pure  in  due  co- 
lori bianco  e  nero;  esso  non  fu  trovato  completo,  uè  è  molto  pregevole  per  fat- 
tura. 11  fondo  è  al  solito  bianco,  le  variazioni  in  nero.  Una  fascia  larga  m.  0,2(J 
correva  intorno,  formata  da  triangoli  bianchi  e  neri,  i  quali  tutti  si  toccano  fra  loro 
negli  angoli.  Vi  succede  poi  una  zona  bianca  di  m.  0,07  ed  un'  ultra  nera  della  stessa 
larghezza,  che  limita  l'area  interna  die  poteva  essere  di  fprma  quadrata  o  rettango- 
lare. Questa  è  divisa  in  tanti  spazi  quadrangolari,  le  cui  estremità  sono  fra  loro  con- 
giunte da  curve  rientranti,  in  modo  che  si  potrebbero  chiamare,  se  fosse  possibile, 
quadrati  curvilinei.  Gli  spazi  contenuti  fra  le  curve  sono  in  musaico  nero,  mentre 
il  tondo  dei  quadrati  è  in  bianco. 

3.  Fu  tagliato  alle  dimensioni  di  m.  1,76X1,7(1  mentre  era  molto  più  grande. 
Il  fondo  bianco  è  formato  da  tasselli  piuttosto  piccoli  e  ben  commessi  insieme.  Nel 
mezzo  sta  un  quadrato  con  m.  0,84  di  lato;  il  quale  è  definito  da  una  fascetta  larga 
m.  O.Oi  di  minutissimo  musaico  in  porfido,  cui  succede  un'altra  di  m.  0,08  di  mu- 
saico bianco  con  tasselli  egualmente  minuti;  questa  in  iilcnni  ]Minu   fu  daL^li  antichi 


TARANTO 


320   —  REGIONK   II. 


restAnrata.  Viene  quindi  un  nioaudro  semplicissituo  su  fascia  larga  m.  0,18.  il  quale 
ò  distinto  in  quattro  parti,  rappresentate  da  quattro  diven-ii  colori  :  rosso  antico,  rosso 
meno  intenso,  verdastro  osiMiro  e  verde  chiaro.  Resta  infine  nella  parto  interna  un 
(luadrato  del  lato  di  ni,  <i.">4;  è  sempre  col  fondo  bianco  o  variato  da  rombi  e 
da  trianjioli  di  pasta  vitrea  e  di  iiiarnii  di  diversi  colori.  1  quattro  angoli  e  la 
parte  media  dei  lati  sono  occupati  da  triangoli  in  marmo,  mentre  tre  file  di  rombi, 
di  tre  ciascuna,  scendono  perpendicolarmente  nello  stesso  senso,  toccandosi  negli  an- 
goli acuti,  ed  altri  duo  rombi  per  parte  sono  messi  in  senso  opposto  al  primo.  Tutti 
questi  sono  di  pasta  vitrea  bleu  con  tilaaienti  a  voluta  di  color  biancastro.  Il  campo 
poi  è  sparso  di  pezzettini  di  marmo  giallo  senza  alcun  ordine  e  di  varie  forme  e  di- 
mensioni. 

È  questo,  secondo  a  me  pare,  uno  degli  esempi  in  cui  vedesi  Vopus  lessellatum 
mescolato  al  sedile  ;  e  però  questo  musaico  merita  di  essere  in  partieolar  modo  notato. 
Auderebbe  pure  menzionato  per  la  profusione  di  pasta  vitrea,  di  cui  non  solo  son  for- 
mate le  lastre  romboidali,  ma  anche  buona  parte  del  meandro. 

T  tre  descritti  musaici  fmouo  rinvenuti  parecchi  anni  fa  in  un'area  editìcatoria 
di  Montedoro,  e  propriamente  nel  sito,  ove  presentemente  trovasi  costruiti  la  casa  del 
sig.  Massarotti.  Si  vedeva  chiaro  che  trattavasi  di  una  antica  casa  di  epoca  romana, 
della  quale  però  non  si  potè  trovare  la  continuazione,  perchè  il  giardino  della  sopra- 
detta casa  moderna  non  fu  sterrato  ed  ancora  resta  nell'antico  piano  di  campagna. 
La  casa  però  doveva  essere  grandiosa  e  ricca:  lo  si  desumeva  non  tanto  dai  descritti 
musaici,  quanto  da  un  piccolo  frammento  pure  di  musaico,  che  potetti  salvare  e  che 
pur  esso  esiste  ancora  in  quel  museo.  La  piccolezza  dei  pezzettini,  il  vario  dei  colori, 
la  esatta  commessura  dovevano  far  cosa  di  primissimo  ordine  ;  esso  però  è  così  guasto 
da  non  prestarsi  a  descrizione.  Misura  m,  0,:J5  X  0,28. 

L'esempio  più  importante  nel  genere  ieW'opus  sedile  o  lavoro  a  commesso  vien 
dato  da  un  pavimento  trovato  nello  sterro  per  la  costruzione  delle  scuderie  della  so- 
cietà degli  Omnibus  nel  fondo  del  sig.  Carlo  Cacace,  posto  in  vicinanza  del  luogo, 
ove  furono  trovati  gli  ultimi  musaici.  Il  sig.  Cacace  ebbe  la  felice  idea  di  estrarlo 
e  restaurarlo,  sostenendo  una  non  lieve  spesa  :  presentemente  lo  si  ammira  nella  torre 
della  sua  deliziosa  villa  di  Crispiano,  borgata  di  Taranto.  Non  è  il  caso  di  farne 
descrizione  per  le  ditìicoltìi  che  incontrerei,  posta  la  complicazione  del  disegno  e  dei 
colori  dei  diversi  marmi;  solo  dirò  che  nei  dischi  dei  quattro  angoli  erano  intarsiate 
quattro  figure,  dello  qua^i  non  si  potè  conservare  neppure  l'impronta  pel  pessimo  stato 
di  conservazione  in  cui  ci  pervennero. 

Né  mi  fu  dato  di  vedere  altri  pavimenti  di  simil  genere  in  tutti  i  lavori  di 
Taranto;  e  tale  scarsezza  si  potrebbe  spiegare  con  la  povertà  di  marmi,  che  gli  scavi 
di  Taranto  ci  mostrano.  Invece  moltissimi  son  venuti  fuori  del  genere  che  gli  an- 
tichi chiamavano  con  la  parola  greca  lithostraton.  e  che  corrispondono  a  quelli,  che 
i  moderni  dicono  ha/tuli  alla  vcnesiaiia.  Si  costruivano  con  pezzettini  di  marmo  di 
vari  colori,  di  terracotta,  di  vetro,  misti  a  malta,  battuti,  spianati  ed  in  ultimo  li- 
sciati in  modo  da  presentare  un  piano  levigato  e  perfetto.  Si  consideravano  di  maggior 
pregio  qui'lii.  Ufi  quali   maggiore  era  la  quantità  di  pasta  vitn-a;  infatti  la  casa  del 


REGIONE    !;.  —    321    — 


TARANTO 


Fauno,  die  certamente  è  la  più  grandiosa  di  Pompei,  ne  conserva  i  migliori:  i  più 
comuni  poi  orano  quelli  costruiti  ì?enza  pezzi  di  vetro.  E  di  que.4a  classe  se  ne  trovano 
molti  in  Taranto;  qualcuno  anche  molto  ben  eseguito,  come  quello  rinvenuto  nello  sterro 
della  casa  Cito,  dove  c'era  anche  un  certo  ordine  nella  disposizione  dei  pezzettini 
di  marmo,  mentre  che  sinora  non  mi  è  stato  possibile  di  osservarne  alcuno  con  me- 
scolanza di  pasta  vitrea. 

Ho'  voluto  trattare  di  queste  precedenti  scoperte,  sia  perchè  esse  restavano  an- 
cora ignorate,  sia  per  mostrare  quanto  vi  era  in  precedenza  in  monumenti  ed  ^n  no- 
tizie intorno  a  questo  genere  di  antichità  in  Taranto.  Passo  ora  a  trattare  degli  ultimi 
rinvenimenti. 

I  pavimenti  a  musaico  erano  in  numero  di  tre,  uno  dei  quali  in  cattivo  stato  di 
conservazione  e  gli  altri  due  piuttosto  ben  conservati:  ap])artenevano  tutti  e  tre  ad 
una  casa  di  epoca  romana  dalle  proporzioni  vaste  e  grandiose.  Essa  però  posava  sopra 
rovine  di  altra  epoca,  le  bassissime  muraglie  che  limitavpno  i  pavimenti  erano  fali- 
bricate  con  pietre  appartenute  ad  edifizi  più  antichi  ed  i  pavimenti  stessi  erano  di- 
stesi sopra  rottami  di  data  più  anteriore.  Del  resto  quei  muri  erano  pessimamente 
costruiti  e  quasi  senza  fondazione  in  modo  da  far  ritenere  che  la  casa  era  formata 
dal  solo  pianterreno. 

II  pavimento  meno  ampio  e  meno  importante  misurava  m.  3,84  X  3,14.  Un  mar- 
gine di  musaico  bianco  largo  m.  0,55  correva  intorno  alla  parte  figurata,  la  quale 
formava  un  rettangolo  di  m.  2,74X2,04;  ed  era  semplicissima,  tutta  di  figure  geo- 
metriche con  qualche  accenno  o  motivo  di  fogliami.  Due  rettangoli  (m.  2,04X0,00), 
in  ciascuno  dei  quali  stanno  iscritti  due  rombi  orizzontali  ed  uno  verticale,  incassano 
un  quadrato  ;  il  quale  resta  del  tutto  chiuso  per  mezzo  di  altri  due  rettangoli  late- 
rali (m.  1,54X025);  in  cui  dal  centro  si  svolgono  due  semplicissimi  steli  serpeg- 
gianti formati  da  un  filo  di  pezzettini  neri.  Il  quadrato  interno  (m.  1,54  di  lato)  ha 
iscritto  un  secondo  quadrato,  e  nei  triangoli  risultanti  è  eseguita  una  foglia  di  edera 
con  steli;  il  secondo  contiene  con  lo  stesso  sistema  un  terzo,  e  nei  triangoli  altre 
figure  geometriche;  e  finalmente  il  terzo  con  un  insieme  di  quadrati,  di  triangoli  e 
di  archi  bellamente  compie  tutto  il  pavimento,  che  desta  interesse  e  per  la  bontà 
del  disegno  e  per  la  buona  esecuzione. 

Maggiore  considerazione  devesi  atribuire  all'ultimo  pavimento,  il  quale  per  essere 
figurato  è  quasi  unico  nel  suo  genere  in  Taranto.  La  stanza,  in  cui  trovavasi  era 
molto  ampia,  cioè  di  m.  9.25  X  5,95,  forse  la  piii  ampia  della  grande  casa;  la  rappresen- 
tazione che  ne  occupava  il  centro  era  di  m.  5,40  x  ;3,00,  però  nella  fig.  qui  unita  ne  è  rap- 
presentato solo  per  m.  4,80  X  3,00,  essendosi  tralasciata  la  riproduzione  di  altre  due  zone 
con  rombi  iscritti,  simili  a  quelle  che  vedonsi  nella  parie  superiore. 

Intanto  come  prima  impressione  notiamo  la  differenza  sensibilissima  fra  il  corpo 
del  musaico  e  la  zona  inferiore.  Come  tecnica  e  come  diseguo  queste  due  parti  sono 
diverse  ed  a  diverga  epoca  si  riferiscono.  Parierò  ([uindi  prima  dell'una  e  poi 
dell'altra. 

Si  notino  in  primo  luogo  la  jioca  esattezza  e  il  nessun  online  fra  le  diverse 
parti  del  musaico,  (iià  e  noto  che  gii  ;in(ielii   arteliei  davano  spesso  alle  rappresen- 


TARANTO 


—  322  — 


RBUIONE    II. 


taTioni  una  certa  irregolarità  che  in  vero  se  non  peraiettova  di  ammirare  la  parU 
meccanica  del  lavoro,  lasciava  nondimeno  posare  l'occhio  in  una  tal  quale  varietà  di 
composizioni,    che   riusciva   gradita   allo   sguardo.  Di  .juesto   fatto  infiniti  esempi  ci 


mostra  larte  decorativa,  e  nel  genere  di  musaici  questo  ne  è  uno.  (ìiacdie  la  fa.-cia 
a  dr.  della  ligura.  variaUi  da  rettangoli,  in  cui  sono  iscritti  in  senso  orizzontale  altiet- 


REGIONE    II.  —   323   —  TARANTO 

tanti  rombi  contenenti  piccoli  cerchietti,  ù  piti  larga  (ni.  0,54)  dell'altra  dt-Uo  .stesso 
disegno  che  sta  a  sin.  (ra.  0,42).  Così  nella  doppia  zona  della  parte  superiore  a  dr. 
e'  è  la  variante  dei  due  ultimi  rettangoli,  che  divisi  in  quattro  presentano  disegni  si- 
mili ai  precedenti,  ma  più  piccoli.  La  fascia  più  interna  poi  (m.  0,17)  costituita  da 
fondo  bianco  con  un  sistema  di  circonferenze  che  si  tagliano  a  vicenda  e  da  una  linea 
retta  che  tutte  le  taglia  a  metà,  non  è  meno  piena  d'inesattezze,  le  quali  non  sono 
che  l'effetto  di  poca  accuratezza.  E  dopo  un'altra  fascia  di  color  nero  (m.  0,07)  viene 
il  quadro;  tutto  il  resto  non  è  che  cornice. 

Il  fondo  del  quadro  (m.  2,40X1,80)  è  di  un  musaico  fitto  e  ben  commesso; 
ci  sono  parecchi  vuoti,  alcuni  dei  quali  intaccano  la  figura,  ma  tutti  facilmente  re- 
staurabili. Ne  occupa  il  centro  una  figura  giovanile  rappresentante  Bacco  imberbe; 
il  quale  si  regge  su  la  gamba  dr.,  lasciando  la  sin.  nella  solita  posa  di  abbandono; 
e  con  la  mano  sin.  sollevata  si  appoggia  al  tirso,  mentre  abbassa  la  destra  per  versare 
da  un  vaso  il  liquore  prediletto  nelle  fauci  di  una  pantera.  Questa  belva  che  gli  sta 
accanto,  dal  coi-po  screziato  e  dall'occhio  verdastro,  rivolge  la  testa  verso  il  nume, 
ed  apre  la  bocca  in  direzione  del  vaso.  Completano  la  rappresentazione  i  disegni  di 
due  anforette,  adattate  nei  due  angoli  superiori  con  la  bocca  rivolta  al  centro.  La 
forma  di  questi  vasi  dalla  pancia  piuttosto  sferica  e  senza  base,  e  dalle  anse  prolun- 
gate trova  più  facile  riscontro  nell'anfora  messapica,  quantunque  non  vi  siano  i  di- 
schetti, che  in  foiine  di  vasi  greci;  mentre  che  il  vaso  della  mano  è  proprio  il 
kantharos  greco. 

La  figura  è  di  prospetto  ed  è  ti'attata  a  semplice  contorno  di  disselli  neri:  la 
stessa  linea  passa  a  distinguere  varie  parti  del  corpo,  del  petto,  dell'addome,  dell'in- 
guine, del  pube,  dei  piedi  e  della  mano  destra;  mentre  che  una  zona  nera  serve  ad  in- 
dicare i  capelli  sormontati  da  foglie  di  edera  o  di  vite,  distinte  con  pezzettini  di 
vetro  verde,  ed  altri  avanzi  di  musaico  in  vetro  dello  stesso  colore  vedonsi  nella  gola, 
indicanti  forse  una  collana;  come  pure  alcune  linee  che  stanno  sul  petto  presso  gli 
omeri  potrebbero  indicare  una  nebride.  La  pantera  mostra  i  denti  di  vetro  celeste  e 
porta  la  collana  di  foglie  di  edera  di  color  verdino  ;  mentre  che  tutto  il  corpo  è  ma- 
culato da  piccoli  cerchietti  di  color  nero  e  qualcuno  verde.  L'apertura  dei  vasi  è  di 
color  bleu  e  nel  corpo  di  essi  e'  è  traccia  di  gialletto  :  il  tirso  poi  che  finisco  a  punta 
è  formato  da  due  linee  laterali  di  color  nero  e  nel  resto  da  musaico  di  vetro  celeste. 
L'insieme  della  figura  non  si  presenta  male,  ad  esempio  la  linea  delimitante  il  lato 
destro  è  piuttosto  corretta;  ma  ce  anche  del  brutto  specialmente  nella  forma  della 
gamba  sinistra,  tutf  altro  che  regolare.  Gli  occhi,  il  naso,  la  bocca,  in  generale  la 
faccia,  lasciano  molto  a  desiderare;  vi  si  osserva  una  certa  durezza  ed  uniformità, 
inevitabili  del  resto  in  lavori  di  simil  genero;  nei  quali  la  linea  non  si  può  inflet- 
tere a  ricercare  tutte  le  movenze  delle  diverse  parti  del  corpo.  Questo  però  non  in- 
fluisce a  che  non  si  veda  la  preponderanza  delle  forme  nmliebri,  quali  si  convenivano 
ad  un  dio  membris  ciim  moUibus  et  langHoris  feminei  dissolutissimus  laxitalc  ('). 
Tuttavia  se  si  va  a  notare  che  di  musaici  con  figure  oltre  la  grandezza  natm-alo 

(')  Aniobio,  Adv.  (jentes,  0,  12. 
Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  \o\.  II,  Serie  .ì",  parte  2".  II 


TARANTO 


—   824  —  REOIONB   II 


(la  figura  è  di  m.  2,10)  non  esistono  che  pochissimi,  e  che  in  nessun  altro  trovasi 
la  rappresentazione  di  Bacco  ('),  così  completa  come  in  questo,  non  si  deve  durar 
fatica  nel  dare  alla  nostra  scoperta  il  giusto  posto  che  le  compete. 

Né  quel  che  abbiamo  detto  costituisce  il  pregio  principale  del  nostro  musaico. 
Si  ritiene  da  tutti  gli  archeologi,  ed  è  vero  nel  fatto,  che  il  musaico  è  il  genere 
di  arte  che  più  si  accosta  alla  pittura;  e  però  nei  musaici  si  trovano  riprodotti 
ed  imitati  soggetti  di  arte  pittorica  con  tutte  quelle  note  che  alla  pittura  si  ad- 
dicono. Nel  nostro  invece  se  ne  togli  i  duo  vasi  degli  angoli,  tu  non  trovi  che  la 
semplice  riproduzione  di  una  statua  ;  non  vi  sono  movimenti,  non  e'  è  scena,  nò  figure 
di  paesaggio,  nulla  che  possa  riferirsi  ad  un  originale  di  pittura. 

Del  resto  in  im  soggetto  così  comune  e  popolare,  in  un  ciclo  di  arte  cosi  ampio, 
del  quale  infinite  e  svariatissimo  rappresentazioni  ci  sono  pervenute  su  qual^iasi  ma- 
teria e  di  qualsivoglia  tempo,  non  dovrebbe  esser  difficile  di  trovar  riscontri  nelle 
pitture  parietarie  o  vascolari  ed  anche  nei  rilievi.  Questo  non  m'  è  stato  possibile  ; 
ed  invece  facilissimo  m'  è  venuto  il  riscontro  con  parecchie  statue  e  specialmente  con 
mia  del  Museo  Nazionale  di  Napoli  (-),  nella  quale  il  soggetto  è  identicamente  ri- 
petuto. La  stessa  posa  del  corpo,  delle  gambe,  delle  braccia,  della  testa:  solo  la 
pantflra,  a  differenza  di  quella  del  musaico,  sta  seduta  su  le  gambe  posteriori  ed  è 
molto  più  da  presso  al  dio.  Ma  in  questo  chiaramente  si  vede  che  tale  posizione  non 
sarebbe  stata  che  un  ripiego  per  necessità  di  collocamento  o  di  dimensioni  di  blocco. 
Né  il  ripiego  fu  felice,  giacché  nel  mentie  la  belva  del  musaico  con  movimento  natu- 
ralissimo si  dispone  a  ricevere  il  liquido  che  le  va  a  cadere  direttamente  in  gola, 
quella  della  statua  invece,  stando  troppo  da  vicino  e  non  volgendo  bene  la  testa, 
riceve  il  liquido  su  la  fronte,  per  cui  viene  a  mancare  l'effetto  della  rappresentazione. 

Salvo  questa  differenza  tutta  a  vantaggio  del  nostro  monumento,  il  confronto  non 
potrebbe  riuscire  più  convincente  per  la  nostra  tesi,  cioè  che  la  figura  del  musaico 
è  la  riproduzione  non  di  una  pittura  ma  di  una  statua  di  Bacco  che  versa  da  bere 
alla  pantera.  E  questo  è  importante. 

In  quanto  al  tempo  cui  si  possa  rimandare  il  musaico,  io  lo  credo  fattura  della 
fine  del  3»  secolo  d.  Cr. 

Venendo  ora  a  dir  poche  parole  intorno  alla  zona  inferiore  che  si  lega,  come  di- 
cevo avanti,  col  resto  del  musaico,  essa  non  si  può  confondere  anche  a  solo  guardare 
la  riproduzione.  Nel  pavimento  poi,  oltre  alla  diversità  del  disegno,  notasi  la  diffe- 
renza della  esecuzione  e  sopra  tutto  la  posteriore  applicazione  di  essa,  come  restauro 
al  grande  musaico. 

Essa  (m.  3,00  X  0.58)  è  divisa  in  tre  partite,  distinte  fra  loro  da  due  fasce  nere 
perpendicolari,  della  larghezza  di  m.  0,05  :  le  due  laterali  sono  di  m.  0,82  X  0,85,  e 
quelle  di  mezzo  di  in.  (1,82X1,20.    Le  prime  sono  variate   da  doppio  rettangolo  di 


Cj  l'otribbi'si  a  fiucst»  proposito  ricordare  il  musaico  pnl)lilicato  da  E.  Q.  Visconti,  Museo 
P.  CI;  T.  VII,  tav.  XLIX,  nel  <|na1c  però  non  c'è  che  la  maschera  di  Bacco  con  fW  attribnti  propri 
di  ijueita  divinità. 

(•)  R.  M.  Dorb.  V.  XI,  tav.  10;  Mtlllcr-WicHclcr.  v.  II,  p.  :?54. 


REGIONE    II.  —   325    —  TARANTO 

filetti  neri  con  due  semicerchi  nella  parte  esterna  e  con  molti  altri  più  piccoli  nella 
interna,  oltre  \m  disco  nel  centro,  due  perpendicolari  ed  una  linea  orizzontale,  che 
dividono  il  rettangolo  interno  in  sei  più  pìccoli.  Il  rettangolo  di  mezzo  presenta  tre 
figurine  di  una  semplicità  e  rozzezza  tutt'  affatto  primitive  e  paragonabili  soltanto 
ai  più  rudimentali  graffiti  di  figura  umana  delle  catacombe  cristiane.  Quella  a  sin. 
è  a  semplice  contorno,  con  la  bocca  figmata  da  breve  linea  circolare  :  quella  di  mezzo 
ha  come  velata  la  testa  da  panno  che  gradatamente  va  a  restringersi  sotto  il  mento 
e  con  segno  quasi  quadrato  per  bocca  ;  la  terza  con  eguale  copertura  in  testa  però 
a  musaico  pieno  e  con  piccola  figura  ellittica  schiacciata  per  bocca.  Per  braccia  e 
busti  poi  di  segni  curiosi,  che  a  pena  ne  adombrano  la  forma  nel  modo  il  più  goffb 
e  primitivo. 

Ci  troviamo  dunque,  secondo  a  me  pare,  dinanzi  ad  un  lavoro  dei  tempi,  quando 
l'arte  del  musaico  ripigliava,  su  le  orme  dell'  arte  antica  romana,  la  via  che  poi  lo 
menava  ad  una  si  ampia  e  larga  applicazione  nell'arte  cristiana.  Da  tal  punto  di  vista 
esso  riesce  interessantissimo. 

Che  in  Taranto  stesso  poi  il  musaico  ebbe  applicazione  nei  monumenti  di  arte 
cristiana,  vien  provato  dalla  scoperta  del  1858,  mentre  si  rifaceva  il  pavimento  della 
cattedrale  di  s.  Cataldo,  santo  protettore  della  città.  Ivi  fu  trovato  un  pavimento  a 
musaico  di  rozza  fattura  con  rappresentazione  di  ima  figura  muliebre,  che  aveva  din- 
torno figiu-e  di  pesci  ed  uccelli.  Questo  pavimento  fu  salvato  dal  can.  Ceci,  amatore 
di  cose  antiche  e  fondatore  di  un  piccolo  museo,  che  più  non  esiste,  e  dallo  stesso 
fu  messo  in  opera  come  pavimento  della  stanza  del  Museo.  Posteriormente  la  detta 
stanza  crollò  ed  il  musaico  fu  ridotto  in  frantumi;  anche  ora  lo  si  può  vedere  in 
tale  stato.  Ma  qualche  anno  prima  era  stato  dal  Lenormant  visto  e  descritto  e  giudicato 
opera  del  sec.  XI  (i). 

E  in  tal  modo  resta  completa  la  storia  delle  scoperte  tarantine  in  questo  genere 
di  monumenti,  le  quali  scoperte,  quantunque  non  siano  di  primaria  importanza,  non 
cessano  tuttavia  di  esser  degne  di  menzione. 

Con  questo  non  intendo  nò  di  accettare,  né  di  respingere  l'opinione  del  Lenormant 
intorno  alla  provenienza  dei  due  quadretti  di  musaico  a  rilievo  della  collezione  Santan- 
gelo  del  Museo  Nazionale  di  Napoli,  che  il  dotto  francese  crede  scoperti  in  Taranto, 
mentre  da  tutti  sono  ritenuti  come  provenienti  dalle  rovine  dell'antica  Metaponto. 

L.  Viola. 


(1)  Lenormant,  Gaz.  archéol,  1881-2,  p.  125;  1883,  p.  199-200. 


TERRANOVA    FAUSANIA  —   326    —  SARDISIA 


SA  RI)/. VIA. 

XIV.  TERRANOVA  FAUSANIA.  —  .Vuove  scoperte  di  antichilà  mi 
territorio  oìbiense. 

1.  Essendosi  praticato  imo  scavo  nel  predio  denominato  Iscta  Mariana,  per  ricer- 
care materiale  da  fabbricare,  si  scoprirono,  a  circa  m.  0.80  di  profondità  ed  in  mezzo 
a  terreno  carbonioso.  otto  antiche  tombe,  con  ossa  umane  del  tutto  consunte.  Non  sì 
tenne  conto  di  prendere  le  misure  delle  tombe,  ma  secondo  informazioni  avute  dal 
mio  nipote  sig.  Tommaso  Tamponi,  il  quale  assistè  allo  scavo,  due  di  esse  erano  di 
piccolissime  dimensioni,  con  muri  laterizi,  e  vòlte  di  embrici  e  pioventi,  e  lo  altre 
sei,  di  proporzioni  maggiori,  coi  lati  di  pietre  granitiche,  legate  a  calcina  e  con  vòlta 
piana,  formata  da  lastroni. 

In  una  di  queste  si  raccolsero  due  orecchini  d'oro,  in  forma  di  cuore,  in  cattiva 
conservazione,  e  un  anello,  pure  d'oro,  a  fascia,  avente  un  leggiero  rialzo  in  quadra- 
tura ;  da  un'altra  tomba  si  estrasse  un  braccialetto  di  argento,  formato  di  sottile  la- 
mina rotonda  ma  in  parte  consunto,  tre  bottigline  di  vetro  celeste  e  due  anforette  di 
argilla  ordinaria. 

In  una  terza  tomba  trovaronsi  altre  due  anforette  e  tre  lucernine  fittili  anepi- 
grafi. Le  rimanenti  tombe  non  contenevano  oggetti  della  suppellettile  funebre;  in 
qualcuna  notaronsi  soltanto  pochi  avanzi  di  anfore  e  rimasugli  di  vetro. 

2.  In  uno  sterro  praticato  da  certo  Oio.  Ilaria  Panu.  in  vicinanza  della  collina 
di  s.  Simplicio,  rinvennesi  un  piccolo  sepolcro  spettante  a  bambina,  costruito  con  pietre 
e  calce  e  rifiuti  di  mattoni.  Chiudevano  la  volta  due  lastrine  di  granito,  bene  into- 
nacate al  di  fuori;  altra  lastrina  stava  in  una  testata  dell'interno,  messavi  per  tener 
sollevato  il  capo  della  defunta.  Le  ossa  erano  tutte  sminuzzate.  Vi  fu  trovata  una 
lucerna  fittila,  senza  bollo,  alcuni  frammenti  di  vetro  azzurro  e  un  orecchino  d'oro, 
a  forma  di  globetto,  molto  consunto. 

Nel  predio  Abbefrilta,  a  circa  G  chilometri  dal  paese,  in  direzione  della  linea 
ferroviaria  di  Figari,  si  rinvennero  molte  monete  di  bronzo,  del  basso  impero,  nonché 
copiosi  frammenti  di  embrici  romani  e  di  vetrerie.  Nella  stessa  località  vedonsi  i 
residui  di  un  antico  manufatto  in  laterizi  e  di  poco  emergenti  dal  piano  di  campagna, 
e  lo  rovine  di  una  vasca  circolare,  per  acqua,  con  traccia  di  uno  stretto  cunicolo 
di  pietre. 

3.  Il  mio  amico  sig.  Torquato  Tovani,  comandante  il  bastimento  italiano  Assun- 
tina,  estraeva  recentemente  dalle  acquo  di  questo  golfo  presso  l'isola  Bianca,  alla 
profondità  di  circa  m.  3,00,  due  grandi  anfore  fittili,  alquanto  scheggiate  alla  bocca 
e  terminanti  a  punta.  Una,  munita  di  piccole  anse  semicircolari,  è  alta  m.  1,10  con 
la  massima  rigonfiezza  nel  ventre,  di  m.  0,02;  l'altra,  meno  corporuta,  misui-a  in 
altezza  m.  0,90. 

Mi  manifestava  il  sig.  Tovani,  buon  conoscitore  di  quelle  località,  esser  nume- 
rosissime le  anfore  che   vedonsi   sparse  in  tutti  i  bassifondi  del  mare  di  Terranova. 


SARDINIA  —   327    —  TERRANOVA    FADSANIA 


La  draga  a  vapore   ne   ripescò   quattro,  di  dimensioni   maggiori  delle  precedenti,  le 
quali  riposavano  al  l'ondo  di  m.  (),()0. 

4.  Un  piccolo  scavo,  durato  poche  ore,  fu  fatto  con  esito  felice,  dal  sig.  Pietro 
Puzzu,  nel  suo  predio  denominato  Acciaradolsa,  presso  l'abitato.  Alla  profondità  di 
m.  0,55,  si  trovò  una  tomba  in  laterizi,  con  vòlta  granitica,  entro  la  quale,  tra  i 
resti  di  ossa  umane,  avvolti  di  terra,  si  raccolse  un  pendaglio  di  oro  ben  conservato. 

Certi  Francesco  Goleddu  e  Paolo  Careddu,  facendo  uno  scavo  nel  predetto  predio 
Acciaradolza.  per  conto  di  certo  Giovanni  Stefano  Nurra,  s'imbatterono  in  un  gruppo 
di  quattordici  tombe  antiche.  Erano  costrutte  con  pietra  e  calcina,  a  vòlta  piana  e 
stavano  in  un  filare,  alla  regolare  distanza  di  m.  1  l'uua  dall'altra.  Cinque  risul- 
tarono frugate  anteriormente,  a  giudicare  dalle  vòlte  aperte  e  dai  molti  frammenti 
di  ossami  e  di  fittili  fuori  posto;  e  le  altre  conservavano  il  corredo  funerario. 

Toviba  1.  —  Misurava  m.  2,10X0,85X0,60.  Vi  si  trovarono  le  ossa  ben  con- 
servate, riposanti  su  di  un  impiantito  di  pietre.  Corrispondenti  alla  testa  del  cadavere 
giacevano  tre  scodellette  leggermente  concave,  di  finissima  argilla,  una  lucernetta  ad 
un  solo  buco,  contornata  da  cordoncini  a  fiorami,  una  piccola  coppa  di  terraglia  gros- 
solana e  quattro  chiodi  di  bronzo. 

Tomba  2.  —  Misurava  m.  2,00  X  0,80  X  0,60.  Vicino  al  cranio  si  rinvennero  due 
scodelline  intere  e  tre  frammentate,  due  anforette  senza  manici,  dal  collo  lungo  e 
stretto,  cinque  monete  corrose,  un  ago  crinale  ed  alcuni  frammenti  di  vetro. 

Tomba  3.  —  Misurava  m.  2,08X0,75X0,62.  Presso  i  piedi  dello  scheletro  si 
trovò  una  scodella  rotta  in  due  parti  ;  due  anforette  fittili  ;  tre  chiodi  lunghi,  a  ca- 
pocchia concava,  diversi  frammenti  di  una  catenina  a  maglia,  quattro  pezzi  rotondi, 
di  bronzo;  una  piccola  chiave;  im  pezzo  di  osso  di  forma  circolare  con  buco  nel 
centro,  solcato  da  scanalature;  due  ampolline  di  vetro;  cinque  cerchietti  di  bronzo 
della  circonferenza  di  m.  0,07;  tre  monete  irriconoscibili. 

Tomba  4.  —  Misurava  m.  1,80  X  0,75  X  0,63.  Deposta  sopra  le  ossa  e  preci- 
samente a  contatto  del  petto  si  recuperò  una  catenina  di  bronzo,  a  maglia,  attac- 
cata ad  un  cerchiello  dello  stesso  metallo,  del  diametro  di  m.  0,04.  Da  un  altro  cer- 
chiello di  pari  grandezza  pendeva  un  frammento  di  catenina.  Accanto  al  teschio  erano 
due  ampolline  di  vetro,  sei  monete  irriconoscibili  e  due  lunghi  chiodi. 

Tomba  5.  —  Misurava  m.  1,82X0,70X0,65.  Prima  di  scoprirsi  le  ossa  si  rac- 
colsero nella  nuda  terra  due  scodelline  frammentate;  un  piccolo  calice  di  vetro  e 
tre  bottigline;  una  lucerna  fittile,  senza  bollo,  ed  alcune  asticelle  di  bronzo. 

Tomba  6.  —  Misurava  m.  1,85X0,80X0,60.  Al  fianco  destro  del  cadavere 
stavano  due  bottigline  di  vetro,  in  frammenti  ;  un  ago  crinale  di  bronzo  ;  tre  moneto 
ossidate  e  un'anforetta  di  argilla  finissima,  senza  manichi  e  con  coperchio  pirami- 
dale, avente  nel  mezzo  un  rialzo  in  forma  di  pomo. 

Tomba  7.  —  Mism'ava  m.  2,10X0,87X0,70.  Fra  la  terra,  superiormente  allo 
strato  in  cui  si  rinvennero  poi  le  ossa,  giacevano  due  frammenti  di  vetro  spettanti 
a  bottigline,  ed  alcuni  residui  di  scodelle.  Presso  il  teschio  era  una  lucernina  fittile, 
guarnita  di  fiorami,  sette  globetti  di  vetro  azzurro,  forati  nel  mezzo,  tre  chiodi  e  due 
cerchietti  di  bronzo,  dai  quali  pende  un  pezzo  di  catenina  a  maglia. 


TBMPIO  —   328  —  S  ARDISI  A 

Tomba  8.  —  Misurava  m.  2,00  X  0,82  X  0,60.  In  direzione  del  petto  del  morto 
giaceva  un  medaglione  di  bronzo,  in  forma  concava,  forato  nel  centro;  metà  di  un 
as;o  crinali-  di  osso,  tre  fraiiiiiii'uti  di  catenina  a  maglia,  attaccati  ad  un  cerchietto 
di  bronzo  e  diversi  frammenti  fittili  e  di  vetrerie. 

Tomba  9.  —  Misurava  m.  1,95X0,75X0,63.  Sul  petto  dell'estinto  posavano 
due  cerchielli  di  bronzo  e  uno  di  osso,  forati;  un  frammentino  di  catenella  a  maglia, 
lungo  m.  0,18;  cinque  monete  corrose;  tre  grossi  chiodi  a  capocchia  concava;  un'asti- 
cella di  bronzo  e  cinque  globetti  di  pasta  gialliccia,  traforali. 

Tutte  le  ossa  trovavansi  generalmente  in  buono  stato  di  conservazione. 

r.  T.\Mi'oN'i. 


XY.  TE.MriO  —  Fitlili  di  arte  rude  scoperti  nel  Nunujlie  del 
<  Muracciu  >    ìiella  regione  Padulu. 

11  mio  amico  dott.  Celestino  Secchi,  residente  a  Tempio,  essendosi  recato  nella 
decorsa  primavera  a  visitalo  un  ammalato  nella  regione  Padulu,  proprio  al  nord  di 
Tempio,  e  che  dista  da  quella  città  circa  quindici  chilometri,  potè  osservare  nel  fondo 
di  certo  pastore  Francesco  Abeltiuo,  un  nuraghe  posto  a  cavaliere  d'un  piccolo  al- 
tipiano. 

Il  predetto  manufatto,  mancante  della  vòlta,  conserva  solo  i  muri  di  cinta  per 
un'altezza  media  di  3  a  4  metri,  e  si  presenta  in  tutta  la  magnitìcenza  delle  sue 
rovine;  da  quei  pastori  viene  comunemente  denominato  lu  naracu  di  Ut  muracciu, 
e  secondo  la  tradizione  popolare  vi  si  ebbero  a  trovare  nel  secolo  scorso  molti  oggetti 
di  bronzo. 

Il  dott.  Secchi  costretto  a  rimanere  in  quella  località  un  paio  di  giorni,  intra- 
prese uno  scavo  nella  grande  camera  circolare  che  costituiva  il  solo  ambiente  del 
nuraghe,  dopo  aver  fatto  rimuovere  le  pietre  cadute  dai  muri  e  dalla  vòlta,  le  quali 
ingombravano  il  suolo.  Lo  scavo  si  cominciò  a  una  profondità  di  50  centimetri,  e  il 
primo  oggetto  a  comparire  fu  un  vasetto  dell'epoca  preistorica,  plasmato  rozzamente 
a  mano  con  argilla  nerastra,  e  munito  di  ruvida  ausa  ad  anello,  poco  sporgente. 
K  alto  m.  0,14,  col  massimo  rigonfiamento  di  m.  0,21;  alla  bocca  misura  il  diametro 
di  m.  0,10. 

Vicino  a  questo  recipiente  fu  notata  una  grande  quantità  di  cenere  vegetale  con 
carboni  in  decomposizione,  e  non  poche  pietre  scapole  annerite  dal  fuoco;  anche  nei 
grossi  cantoni  che  costituiscono  le  fondamenta  dell'edificio,  si  notarono,  qua  e  là,  gli 
stessi  annerimenti  causati  dalle  fiamme. 

A  questo  punto  il  disterro,  non  rinvenendosi  altro,  fu  portato  a  una  profondità 
maggiore.  Comparvero  allora  vario  ossa,  specialmente  costole  spezzate,  di  varia  gran- 
dezza ;  un  dente,  forse  di  cavallo  ;  una  vertebra  umana,  avariata,  e  molti  cocci  nerastri 
appartenenti  a  vasetti  e  grosse  anfore  primitive  lavorate  senza  l'aiuto  del  tornio.  Dei 
suddetti  frammenti  sonvene  alcuni  che  esibiscono  disegni  rozzi  fatti  a  mano,  come  pic- 
coli incavi  circolari,  ed  altri  sono  solcati  da  righe  disordinate  e  da  rialzi  piramidali. 


1 


SARDISIA  —    329    — 


TEMPIO 


Il  giorno  dopo  fu  continuata  e  compiuta  l'esplorazione  della  camera.  Si  rinvenne 
il  solito  grande  ammasso  di  cenere,  con  qualche  frammento  di  ossa  inclassitìcabile, 
e  fra  mezzo  a  quella  cenere  un  colpo  di  zappa  mise  fuori  un  oggetto  di  bronzo. 
Esso  consiste  in  una  colonnina  che  misura  m.  0,06  in  altezza,  per  m.  0,03  di  cir- 
conferenza. È  munita  di  zoccolo  in  quadratura,  e  termina  superiormente  con  un  anello 
fisso,  0  specie  di  appiccagnolo  sormontato  da  una  colomba.  Quest'oggetto  era  tutto 
incrostato  di  cenere,  levando  la  quale  vedovasi  annerito,  e  si  scorgeva  chiaramente 
l'azione  del  fuoco  sul  metallo.  A  poca  distanza  fu  trovata  una  giada,  o  pietra  di 
fulmine,  come  volgarmente  vien  detta,  nonché  altri  cocci  spettanti  a  recipienti  pri- 
mitivi e  lavorati  a  mano. 

L'anzidetta  regione  di  Padulu,  che  costituisce  im  esteso  e  ferace  altipiano  fra  i 
più  importanti  di  questo  alpestre  e  selvaggio  lembo  della  Gallura,  fu  abitata  dai 
popoli  preistorici  ;  ed  oltre  al  nuraghe  su  ricordato  ve  ne  sono  molti  altri,  o  me<^lio 
vi  è  un'agglomerazione  di  questi  monumenti  megalitici,  che  cuopre  un'  estensione  di 
circa  sei  o  sette  mila  metri  quadrati.  Disgraziatamente  il  tempo  e  l'uomo  non  li  hanno 
conservati,  e  tutto  si  riduce  a  un  ammasso  di  rovine  imponenti. 

P.  Ta.mponi. 
Roma  lo  ottobre  1894. 


REGIONE    IX.  —    '<i'à[    —  CAIRO    MONTKNOTTE 


O  T  T  O  B  li  E 


Regione  IX  (LIGURIA). 

I.  CAIRO  MONTENOTTE  —  Iscruione  latina  ed  oggetti  vari  di  età 
romana  rinvenuti  nel  territorio  del  comune. 

Alla  cortesia  del  eh.  prof.  avv.  Federico  Patetta,  della  R.  Università  di  Mace- 
rata, debbo  la  trascrizione  della  seguente  epigrafe,  incisa  sopra  una  lastra  di  forma 
irregolare,  di  cattiva  pietra  arenaria  locale,  alta  m.  0,87,  larga  m.  0,46,  con  lettere 
di  circa  m.  0,08,  scoperta  nel  1892  nello  scavo  delle  fondamenta  di  una  casa,  nel 
recinto  del  comune  di  Cairo  Montenotte: 

]„ENNIV/// 
LL       , 
F  A/  S  T I  \ 

L.  Etiiiiu{s)  L{ucii)  l{iberlu>i)  Fausti . . . 

La  prima  L  è  quasi  affatto  scomparsa;  ne  più  discernesi  il  compimento  del  co- 
gnome Faust  io  0  Fausti  nus. 

Questa  lapide  è  la  prima  rinvenuta  nel  detto  comune,  a  nord  del  quale  Spigno, 
ed  a  sud-ovest  Millesimo  diedero  già  titoli  romani  (cf.  C.  I.  Z.,  V,  n.  7543-7546, 
7553,  7554).  Uno  fra  i  primi  offre  il  medesimo  gentilizio  Eiinius  (n.  7543).  Però 
altri  resti  di  romane  antichità  erano  già  venuti  in  luce  nel  territorio  di  Cairo,  spe- 
cialmente a  poco  più  di  un  chilometro  dall'abitato,  nella  strada  da  Aquae  Statiellae  a 
Vada  Sabatia.  Ivi  il  Casalis  {Diì.  geogr.  stor.  degli  Stati  del  Re  di  Sardegna, 
t.  Ili,  1836,  p.  287)  ricorda  essersi  trovati  antichi  oggetti  e  resti  di  costruzioni;  e 
verso  il  1876,  in  un  campo  prossimo  ad  nna  chiesa,  ridotta  a  casa  rustica,  detta  la 
Madonna  Vecchia,  a  m.  1,50  di  profondità,  in  uno  strato  di  carboni  e  di  ceneri, 
si  rinvennero  fìttili,  vetri  ed  altri  oggetti,  in  massima  parte  andati  dispersi.  Alinini 
pochi  soltanto  ne  furono  salvati,  e  si  conservano  nella  casa  municipale,  ove  furono 
esaminati  dal  predetto  prof.  Patetta,  e  sono  :  un  frammento  di  specchio  metallico, 
circolare;  una  lucerna  fittile,  col  nome  SABINI;  alcuni  pezzi  di  vasi  vitrei  e  di  ba- 

Ci.AssE  DI  SCIENZE  MORALI  ccc.  —  Memokik  —  Vdl.  II,  Soric  .5",  paftc  2".  42 


S.  QUIRICO  IN  VAI-  1)1  l'OLCEVEKA  —   332    —  RBGIONB    IX. 


stoDcini  striati  pure  di  vetro,  uguali  a  quelli  che  si  trovano  spesso  nella  regione  su- 
balpina, nello  tombe  di  donne  de'  primi  secoli  dell'impero. 

Più  volte  nel  territorio  del  comune  avvennero  scoperte  di  monete  romane.  11 
Casalis  (op.  cit..  p.  288)  ricorda  un  ripostiglio  di  nummi  consolari  che  andaiono 
dispersi,  salvo  un  centinaio  di  essi  che  passarono  in  mano  del  P.  Spotorno,  a  Genova. 


E.  Fkkiiero. 


II.  SAN  QUIRICO  IN  VAL  DI  POLCEVEIU  —  Di  un  lesonlto  di 

monete  medievali  di  oro. 

Nel  greto  di  Polcevera.  nella  contrada  Serro,  si  rinvennero  casualmente  molte 
monete  d'oro,  medioevali.  Alcune  di  esse  sono  zecchini  francesi,  detti  scudi  doro  del 
sole  ed  appartengono  a  Carlo  "VI  (1396-140(5)  ed  a  Ludovico  XII  (1503-13).  Merita 
singolare  ricordo  uno  zecchino  di  Giulio  li,  coniato  in  Avignone  (1503-13).  Vi  sono 
pure  molte  monete  d'oro  della  repubblica  di  Genova,  e  per  quanto  può  argomentarsi 
dalle  notizie  giunte  tinora  al  Ministero,  trattasi  di  cospicuo  tesoro  nascosto  verso  la 
metà  del  secolo  XVI. 


Regione  X  (VENETI A). 

III.  TììEGNAGO  e  BAKIA  DI  OALAVENA  —  Armi  silicee  e  fitlili 
di  industria  rude  e  primitiea. 

La  cortesia  dell'egregio  rev.  don  Giovanni  Cieno  mi  pone  in  grado  di  comunicare 
alcune  scoperte  di  antichità  preistoriche  avvenute  nei  comuni  di  Tregnago  e  di  Badia 
Calavena.  Queste  località  restituiscono  assai  di  sovente  oggetti  d'antichità  romana  e 
preromana.  Di  Tregnago  (Terenciacum)  ebbi  occasione  di  far  cenno  più  volte  nello 
Notiiie,  riportando  anche  qualche  iscrizione  romana  ivi  scoperta.  I  due  comuni  an- 
zidetti di  Tregnago  e  di  Badia  Calavena  trovansi  nella  vallata  del  •  Pregno  d'IUasi  ", 
così  che  Badia  sta  a  settentrione  di  Tregnago,  e  ambedue  i  paesi  rimangono  alla  si- 
nistra del  torrente  "  Progne  ».  Le  contrade  Guerre.  Scorgnano.  Marcemigo.  giac- 
ciono alla  destra  del  torrente,  e  si  seguono  ordinatamente  |da  nord  a  >ud.  Invece  la 
contrada  Cogolo,  spettante,  come  Scorgnano  e  Marcemigo  al  comune  di  Tregnago.  sta 
sulla  sinistra  e  precisamente  è  collocata  fra  Radia  e  Tregnago.  Tutte  queste  località 
restituirono  di  tempo  in  tempo  antichità  di  varie  epoche,  e  vogliono  esser  tenute  ora 
in  considerazione. 

Nella  primavera  del  1893,  sulla  sinistra  del  Pregno,  poco  a  sud  della  piazza 
Mercato  di  Badia  Calavena.  in  un  fondo  posseduto  da  Agostino  Crisi,  sullo  spalto 
ghiaioso  quasi  adiacente  al  Progne  e  precisamente  ad  undici  metri  circa  sopra  il  li- 
vello di  questo  (cioè  a  m.  470  sul  livello  del  mare)  il  predetto  don  Cieno,  appas- 
sionato indagatore  delle  antiche  memorie  del  suo  paese,  fece  alcuni  trovamenti,  dei 
quali  vuoisi  tener  conto.  Come  egli  mi  riferiva,  nello  smussare  lo  spigolo  di  detto  spallo. 


REGIONE    X.  —    333    —  CONCORDIA-SAGITTARIA 


sotto  uno  strato  di  ghiaia  fluviale  spesso  circa  un  metro,  apparve  un  secondo  strato, 
e  questo  di  terra  nerastra,  spesso  da  m.  0,30  a  m.  0,50.  Esso  si  allinea  lungo  quel 
profilo  per  la  lunghezza  di  almeno  un  centinaio  di  metri.  In  detto  strato  di  terra 
nerastra  si  rinvennero  disseminati  moltissimi  fittili,  certo  composti  di  terra  no- 
strana, e  di  colore  o  grigio-neri,  o  rosso-neri:  in  alcuni  la  granulazione  è  fina,  ma 
quasi  sempre  apparisce  invece  assai  grossolana;  questi  ultimi  sembrano  cotti  all'aria 
libera.  Sopra  qualcuno  di  quei  cocci  apparisce  qualche  semplicissima  ornamentazione, 
ottenuta  forse  coU'impressione  del  polpaccio  delle  dita,  o  piuttosto  con  una  spatola. 
Vario  ne  è  lo  spessore,  che  di  solito  è  sottile  ;  talora  yer  altro  raggiunge  i  2  o  3  cen- 
timetri. Insieme  coi  fittili,  ritrovansi  in  quello  strato  anche  qualche  frammento  di 
ossa,  scheggie  silicee,  pezzi  di  basalto  ecc. 

Sulla  destra  del  Progne,  a  m.  442  sul  livello  del  mare,  nella  descritta  località 
denominata  Guerre  (cui  vaghe  tradizioni  circondano  di  memorie  guerresche),  il  pre- 
detto don  Cieno  nell'inverno  del  1893  incontrò  altre  antichità.  Scavando  ivi  all'unghia 
di  un  agglomerato  ghiaioso,  a  circa  m.  0,90  dal  suolo,  e  a  m.  11  dal  letto  del  Pregno 
scoprì  una  straordinaria  quantità  di  cocci,  nella  pasta,  nella  forma,  nel  colore  so- 
migliantissimi a  quelli  dell'altra  stazione.  C  è  però  a  notare  che  qui  i  vasi  fittili 
avevano  presso  all'orlo  o  verso  il  ventre  alcuni  semplici  lavori  a  dentelli,  ad  incavo, 
ad  intacco,  ecc.  Qualche  frammento  era  perforato  da  piccoli  buchi.  Si  raccolsero  pure 
alcune  anse  ad  anello.  Si  rinvennero  ancora  due  piccoli  globi  fittili  della  grossezza  di 
un  uovo  incirca.  Enorme  fu  la  quantità  di  scheggie  silicee  ivi  rinvenute;  alcune  di 
esse  hanno  più  o  meno  evidente  la  traccia  del  lavoro  dell'uomo,  e  sono  rozzamente 
foggiate  a  coltello  od  accetta,  della  larghezza  di  cent.  5  a  7.  Moltissimi  pezzi  cal- 
carei sono  formati  a  cuneo,  angolosi  o  piatti,  che  al  colore  non  sembrano  di  pro- 
venienza locale.  Qui  si  trovò  anche  un  disco  di  ferro  molto  ossidato  (diam.  cm.  9) 
ma  forse  la  sua  presenza  in  questo  luogo  è  fortuita.  Con  abbondanza  si  raccolsero 
anche  ossa  di  bruti;  ma  sulla  loro  età  non  si  potè  avere  un  giudizio  sicuro,  quantunque 
siansi  date  ad  esaminare  ad  un  zoologo.  Della  stazione  delle  Guerre  esplorossi  sol- 
tanto imo  spazio  di  100  m.q.;  ma  senza  dubbio,  se  la  esplorazione  si  fosse  allargata, 
si  avrebbero  potuto  ritrovare  altre  di  tali  anticaglie. 

A  cento  metri  di  distanza,  sull'ultimo  strato  delle  ghiaie,  nei  piani  Cieno-Gam- 
beroni,  si  rinvennero  le  fondamenta  di  antico  edificio,  con  numerosi  pezzi  di  teo-ole  di 
forma  romana. 

Negli  scorsi  anni  si  esumarono  cocci  ed  altri  oggetti  antichi  a  Cogolo,  e  nelle 
vicine  contrade  Ronchi  e  Sorte,  nonché  a  Scorgnano  (campo  Cazzola),  e  Marcemigo 
(campo  Battisti). 

Gli  oggetti  trovati  a  Badia  e  alle  Guerre  si  conservano  presso  il  prelodato 
don  Cieno.  C.  Cipolla. 


IV.  CONCORDIA-SAGITTARIA  —  Tempo  addietro  lo  scalpellino  nob. 
Pietro  Sbroiavacca  acquistava  in  Concordia  un  masso  di  pietra,  apparentemente  greggio 
per  metterlo  in  opera.  Levatolo  dal  posto  ove    giaceva,    vide   che  inferiormente    era 


ANCONA  —   'i'ài   —  REGIONE    V. 

scolpito  con  motivi  ornamentali  a  foglie  di  acanto,  e  faceva    parte  di    un   fregio   e 
e  perciò  sospese  il  lavoro  progettato. 

Il  masso,  conservato  ora  nel  Museo  concordiese,  è  in  pietra  calcare  delle  cave  di 
Nabresiua,  solita  ad  usarsi  nell'antica  Concordia;  è  rotto  irregolarmente,  e  misura 
m.  0,97  X  0,73  in  alto  e  m.  0,45  in  basso,  ed  ha  lo  spessore  di  ra.  0,30.  È  di 
buona  fattura,  e,  per  quanto  il  sig.  Pietro  Sbroiavacea  asserisce,  proviene  dallo  scavo 
della  Braida  Bruni,  miniera  inesausta  di  materiali  architettonici,  come  scrisse  il  com- 
pianto mio  padre  nelle  yutiiie  del  1880,  p.  413.  Quivi  doveva  sorgere  un  grande 
edificio,  probabilmente  teatro,  come  è  indicato  nella  pianta  di  Concordia  al  n.  4, 
edita  nella  tav.  XII  delle  Notiiie  superiormente  citate. 

G.  C.  Beutomn'i. 


Reoionk  Y  (PICENUM). 

V.  ANCONA  —  Nuove  scoperte  di  antichità  entro  l'abitato. 

Demolendosi  un  muro  nell'edificio  dell'Istituto  tecnico  si  riconobbe  tra  i  ma- 
teriali di  fabbrica  una  lastra  marmorea  funebre.  Vi  è  scolpita  di  rilievo  la  figura  del- 
l'estinto, in  piedi,  paludato,  col  braccio  sinistro  disteso  lungo  il  fianco,  e  col  destro 
ripiegato  sul  petto.  A  destra  è  un  giovinetto  ignudo,  appoggiato  ad  una  colonnetta. 
Inferiormente  è  inciso: 

rAYAinNùionoMno"^ 

XAIPE 

La  lapide  fu  aggiunta  alla  raccolta  epigrafica  del  Museo,  dove  se  ne  conservano 
quattro  dello  stesso  stile. 

Fu  riferito  intorno  alle  scoperte  avvenute  negli  scavi  pel  palazzo  delle  fer- 
rovie in  piazza  Cavour,  dalla  fine  di  marzo  al  27  di  aprile  scorso  {Notisie  1894, 
p.  234  sq.).  Gli  scavi  continuarono  fino  al  22  del  passato  agosto,  e  fecero  scoprile 
altri  avanzi  di  antiche  costruzioni  ed  altri  oggetti. 

Delle  costruzioni  riconosciute  in  trentotto  pozzi,  non  fu  possibile  ricavare  la 
pianta  esatta,  tanto  più  che  i  ruderi  apparvero  soprapposti  gli  uni  agli  altri  a  diversa 
profondità  e  variamente  orientati. 

Si  riconobbero  altre  quattro  tombe  formate  da  tegolo,  e  si  raccolsero  i  seguenti 
oggetti.  Sei  ossuari  ed  un  coperchio  di  sarcofago  di  travertino.  Due  frammenti  di 
colonne  pure  di  travertino  delle  quali  una  scanalata.  Dn  busto  di  statuetta  muliebre 
di  marmo  bianco.  Due  lucerne  fittili  anepigrafi.  Tre  coperchi  di  anfore.  Un  vasetto 
fittile.  Un  asso  unciale  di  bronzo  e  due  monete  imperiali  dello  stesso  metallo.  Un 
frammento  di  marmo  giallo,  in  cui  si  legge  il  residuo  epigrafico  : 

••  IPPAE 


REGIONE    VII.  —   335    —  VETULONIA 


Altro  frammento  di  iscrizione  in  pietra  calcare,  in  cui  restano  le  lettere: 

VIXIT  ANN 
DIES 
B 

Frammento  di  lastra  marmorea  alta  m.  0,20,  larga  m.  0,22,  e  dello  spessore  di  m.  0.03  : 

1/  E  Rj— 


Altro  frammento  alto  e  largo  m.  0,12,  e  dello  spessore  di  m.  0.04: 


Anche  questi  fiammenti  furono  aggiunti  alla  raccolta  dulie  lapidi   iscritte   con- 
servate nel  Museo  pubblico. 

C.    ClAVARINI. 


Eegione  vii  (ETRURIA). 

VI,  VETULONIA  —  Scaoi  della  necropoli  vetuloìiiese  durante  rati- 
no 1893. 

Tumolo  della  Piclrcra  (continuazione  e  fine). 

Nel  biennio  1891-92  rimase  demolita  una  parte  del  tumolo  della  Pietrera  per 
ricercare  i  depositi  funebri  che  io  riteneva  fermamente  dovessero  ivi  ritrovarsi  ric- 
chissimi e  inesplorati  (');  e  noi  sappiamo  già  di  qual  felice  resultato  siano  state  quelle 
esplorazioni  {^).  Ma  nel  decorso  anno  1893,  veduto  che  continuando  la  demolizione 
del  tumolo  avrebbe  corso  pericolo  il  suo  ipogeo,  costruito  per  rimaner  sepolto  nelle 
sue  viscere,  fu  deciso  di  limitare  gli  scavi  al  livello  cui  arrivavano  i  ricchi  depositi 
funebri  ritrovati  precedentemente,  sulla  superficie  del  tumolo. 

Questa  operazione  non  è  costata  molto  tempo,  né  ha  offerto  difficoltà  alcuna,  se 
si  toglie  la  durezza  quasi  lapidea  del  terreno  in  un  punto  a  sud,  ove,  quando  si  co- 

(')  I.  Falchi,    Vetulonia  e  la  sua  necropoli  antichissima  pag.  28. 
(■)  Notizie  1893,  p.  490  sq. 


VKTUI.ONIA 


—  ;>.Só  — 


UEGlONE    VII. 


Fic.  1.     1:8 


stniiva  l'ipoofeo,  o  più  probabilmente  quando  vi  fu  aporta  una  cava  per  asportarne 
le  pietre  della  sua  copertura,  doveva  essere  una  strada  pei  lavoranti  e  pei  veicoli 
che  si  conducerano  sulla  cima  del  pog^etto. 

Fu  quindi  iniziato  uno  scasso  regolare  del  tuniolo,  a  metà  della  sua  altezza, 
incominciando  da  zero  e  procedendo  orizzontalmente  per  guadagnate,  presso  il  centro, 
un'  altezza  di  taglio  di  m.  .">  in  ij.  Ma  non  fu  interamente  raggiunto  lo  scopo,  perchè, 
a  poca  profonditi!  venne  a  scoprirsi  lo  strato  delle  pietre  che  costituiscono  il  nucleo 
del  tuinolo,  di  cui  fu  necessitù  seguire  l'andamento. 

Neil' eseguire  i  suddetti  lavori  si  fecero  queste  scoperte. 
A  sud  del  tumolo,  a  poca  distanza  dalla  sua  cima,  sotto  un  metro  dalla  sua 
superficie,  comparve  un  piccolo  deposito  scomposto,  senza  difesa  alcuna 
né  superiore  né  laterale.  Conteneva  due  braccialetti  di  bronzo  in  pezzi; 
qualche  frammento  d'avorio;  due  rozzi  bottoni  di  bronzo;  nove  piccoli 
chiodi,  una  fibula  di  bronzo  a  sanguisuga  e  pochi  frammenti  di  fittili 
di  impasto  rosso,  fra  i  quali  due  balsamari,  dello  stosso  colore,  di  forma 
comunissima. 

A  sud-ovest,  in  vicinanza  dei  muri  della  corsia  clie  immette 
nell'ipogeo  superiore,  vennero  a  scoprirsi  le  seguenti  sculture  in  sassofetido,  le  quali 
io  qui  mi  limiterò  a  ricordare  semplicemente,  riportandone  i  disegni,  e  seguendo 
l'ordine  del  ritrovamento. 

1.  l'na  mano  al  naturale,  distesa,  con  dita  lunghe  e  intirizzite,  assai  mal  con- 
servata, che  è  forse  la  sfaldatura  di  un  frammento 
di  statua  sul  mezzo  rilievo  (tìg.  1). 

2.  Un  busto  muliebre  bellissimo,  in  buono  stato 
di  conservazione,  al  naturale,  acefalo,  al  quale  io  ri- 
tengo debba  avere  appartenuto  la  testa  ritrovata  nel 
decorso  anno  (')• 

Dalla  tosta  in  giù  sembra  fosse  scolpita  sul  mezzo 
rilievo  sopra  una  gran  tavola  di  pietrafetida,  la  quale 
superiormente  terminava  con  la  rotondità  delle  spalle 
e  la  testa  in  alto  rilievo,  da  cui  cadevano  posterior- 
mente larghe  trecce  di  capelli  che  tuttora  conservansi 
.scolpite  dietro  le  spalle  (fig.  2). 

La  donna  è  perfettamente  nuda  con  mammelle 
assai  sviluppate,  con  le  braccia  ripiegate  sui  gomiti 
e  portate  sul  petto,  con  lo  mani  distese  e  addossate 
una  sull'altra  sul  seno.  Attorno  al  collo  porta  una 
collana  di  ciondoli  ovoidali  accostati  fra  loro;  e  di  fuori  alla  collana  scendono  dal- 
l'alto quattro  grandi  trecce  di  capelli,  duo  delle  quali,  interno,  terminano  in  più 
voluto  sopra  alle  mammelle  medesime,  le  altre  duo  girano  al  di  fuori  per  terminare  e 
nascondersi  con  le  estremità  al  di  sotto  delle  mani.  .\i   polsi  appariscono  gli  avanzi 


1  u. 


(')  Noliiie  I8SI3,  i>.  .".10. 


REGIONE    VII. 


—  337  — 


VETCLONIA 


di  due  braccialetti.  Alla  vita  porta  un'alta  cintura,  nella  quale  sono  s-colpite  in  basso- 
rilievo due  sfingi  alate  l'una  di  fronte  all'altra. 

Questa  cintura  chiarisce  la  destinazione  delle  lamine  d'argento  dorate  e  sbal- 
zate rinvenute  nell'anno  precedente  in  una  tomba  del  tumolo,  le  quali  io  avevo  sup- 
posto che  avessero  appunto  servito  a  quello  scopo  ('),  e  non  escludo  che  anche  i 
due  leoncini,  trovati  insieme  a  quelle  lamine  in  quella  tomba  medesima  e  in  altra  (-), 
abbiano'  appartenuto  a  quella  cintura. 

3.  Altro  busto  di  donna,  simile  al  precedente,  ma  in  pessimo  stato  di  conser- 
vazione, come  vedesi  dal  disegno  che  qui  se  ne  offre  (tìg.  8).  È  forse  la  sfaldatura 
di  una  tavola  di  sassofetido,  su  cui  la  figura  era  tutta  scolpita  in  bassorilievo. 


1:12 


Non  sono  rimasti  che  i  segni  del  movimento  delle  braccia  nella  stessa  attitudine 
della  scultura  precedente,  con  le  mani  ugualmente  distese   e  sovrammesse  sul  seno. 

4.  Altra  mano  di  dimensioni  naturali,  pur  essa  assai  mal  ridotta,  troncata  alle 
falangi  medie,   ma   più  grossa   e  meno  intirizzita  della  precedente,  sulla  quale   si  ò 
conservato   il  dito    indice    dell'altra   mano,  che    le    posava  al    di 
sopra,  ad  angolo  retto  dei  suoi  metacarpi  (fig.  4),  precisamente  come 
nei  due  busti  acefali  (fig.  2  e  8). 

b.  Frammento  di  altra  scultura  che  è  il  collo  e  parte  del 
seno  di  altra  donna  nuda  e  parimente  al  naturale,  che  conserva  gli 
avanzi  di  due  fili  di  collana  a  globetti  (tìg.  5).  Questo  frammento 
appartiene  probabilmente  ad  altra  faccia  ugualmente  sfaldata  che 
qui  riporto,  nella  quale  apparisce  un'acconciatura  dei  capelli  che  si  rialza  esaf^e- 
ratamente  sopra  alla  testa.  Questa  faccia  è  altresì  più  piccola  delle  altre,  e  sembra 
essere  di  donna  giovanissima. 

Tutte  queste  sctilture   sono   state   ritrovate   in   un  medesimo   punto,  fuori  della 
costruzione  centrale,  insieme   a   grandi  lastre  in  pietrafutida  e  di  granito,  addossate 


]'1G.  4. 


(')  Xothie  1893,  ]..  501. 
|2)  Ih    e  p.  .W:3. 


VKTUI.ONIA 


—   838    —  REGIONE    VU. 


fra  loro  e  quasi  verticali:  onde  t-rano  state  certamento  asportate  dalla  camera  supe- 
riore e  condotte  all'esterno  sul  terreno  inclinato  del  tuuiolo,  per  opera  di  ohi  avea 
preso  a  visitare  ripojjeo  mediante  una  buca  al  di  sopra  della  corsia  in  vicinanza  della 
volta,  quando  la  costruzione  ora  ripiena  di  torra.  Ma  esse  erano  state  altra  volta  ma- 
neggiate, perchè  già  mal  ridotte  e  frantumate  ;  e  ciò  deve  essere  accaduto  quando  i  tra- 
fugatori penetrarono  nell'interno  dell'ipogeo,  mettendo  tutto  a  soqquadro,  dopo  averne 
abbattuta  la  porta,  la  quale  infatti  fu  ritrovata  caduta  nella  corsia.  Insieme  alle 
ricordate  sculture  si  trovarono  ancora  pochi  frammenti  di  fittili  e  pezzi  di  bronzo  e 
di  ferro  irriconoscibili. 

A  est  del  tumolo,  a  m.  1,40  dalla  superficie,  si  rinvenne  un  piccolo  cono  di  sas- 
soforte  nel  punto  in  cui  io.  in  presenza  di  tutti  i  lavoranti  e  della  guardia  degli 
^^cavi  Kboli  Salvatore,  avea  presagito  l'esistenza  di  altro  deposito  funebre, 
a  me  annunziato  da  osservazioni  che  qui  non  è  il  luogo  di  esporre, 
frutto  di  quella  esperienza  che  ognuno  avrebbe  acquistato  dopo  12  anni 
daci-hò  furono  incominciati  gli  scavi  nella  necropoli  di  Vetulonia. 

Il  cono  surricordato  è  simile  a  tutti  gli  altri  usciti  da  questo  me- 
desimo tumolo,  costantemente  situati  superiormente  ai  depositi  funebri, 
e  a  quelli  grandissimi,  in  buon  numero,  ritrovati  noi  circoli  di  pietre  (') 
e  nei  tumoli  di  piccola  mole.  Esso  misura  m.  0,25  di  altezza,  su 
m.  0,:U  di  diametro,  ed  era  situato  nella  nuda  terra,  posato  sui  fianchi. 
KiG.  o.    i;io  ^  ijj    ^^Q  ^Y  jj-  yQj^j.^  ^j  questo  piccolo  cono,  giaceva  uno  sche- 

letro schiacciato  alla  testa  e  ai  piedi  da  piccole  pietre,  come  gli  altri  precedentemente 
ritrovati,  e  similmente  collocato  in  una  fossa  scavata  nella  terra  di  trasporto  del 
tumolo  senza  difesa  alcuna.  Giaceva  per  traverso  sul  raggio  corrispondente  del  tumolo, 
voltando  il  lato  sinistro  al  centro,  scomposto  dalle  radiche  delle  piante,  con  ossa 
macerate  dall'umidità. 

La  sua  suppellettile,  anch'essa  tutta  frantumata  dalle  pietre  sovrastanti,  era  col- 
locata attorno  al  cadavere,  ma  più  ammassata  ai  piedi  ove  specialmente  posavano  i 
fittili.  Soltanto  un  gancio  da  cinturone  fu  ritrovato  al  di  sopra  delle  pietre.  Gli  og- 
getti di  questa  suppellettile  furono  i  seguenti: 

Un  coltello  di  ferro,  frammentato,  fissato  con  due  chiodi  ad  un'impugnatura  o 
codolo.  che  forse  era  foderato  d'avorio,  di  cui  accanto  al  coltello  si  trovarono  pure 
alcuni  frammenti,  che  sembrano  ornati  a  graffito.  Due  piccolissime  spirali  d'oro  liscie, 
e  due  d'argento  le  une  e  lo  altre  trovate  ai  lati  del  cranio.  Un  va.so  di  bucchero  a 
grandi  anse  pesanti,  levato  in  grossi  frammenti,  ma  forse  ricomponibile,  simile  ai  tanti 
ormai  comparsi  soltanto  a  Vetulonia  nei  circoli  di  pietre  e  nel  tumolo  stesso  della 
Pietrera.  Grande  quantità  di  altri  buccheri,  la  maggior  parte  di  forma  comune  a  ca- 
lice, come  quelli  delle  tombe  surricordate,  non  pochi  dei  quali  ho  tolti  in  blocco 
insieme  alla  terra,  e  inviati  al  Museo  Etrusco  centrale. 

A  poca  distanza  dal  deposito  ora  descritto  fu  rinvenuto  un  vaso  fittile,  tutto 
frantumato,  ma  che  forse   assomiglia   ai   cinerari   a   doppio   cono,   con  due  anse  sul 

(!)  Kttlclii.    \clulonia  ice,  pa-.  'M,  15!',  ITU    'I  «v    XIII    lo. 


REGIONE    VII.  —    339   —  VETUI.ONIA 


corpo,  e  quattro  buchi  nel  fondo,  ripieno  di  ossa  combuste,  senz'altro  oggetto  che  uu 
braccialetto  liscio  di  bronzo,  in  pezzi,  collocato  fuori  del  cinerario. 

Neil' inler Ilo  del  tumolo. 

Venuto  a  Vetulonia  il  conini.  prof.  Del  Moro,  direttore  dell'uffizio  regionale  per 
la  conservazione  dei  monumenti  della  Toscana,  e  riscontrata  la  grande  importanza 
della  gigantesca  e  meravigliosa  costruzione  ritrovata  nelle  viscere  del  tumolo  della 
Pietrera,  furono  da  esso  ritenute  necessarie  e  urgenti  alcune  opere  di  muratura  per 
proteggere  e  assicurare  quella  costruzione  medesima.  I  lavori  con  tanta  saviezza  or- 
dinati dall'esimio  architetto,  eseguiti  dal  bravo  maestro  muratore  Gaetano  Bardi  di 
Firenze,  consistono  in  una  volta  di  mattoni  per  tutta  la  lunghezza  della  corsia  che  im- 
mette nell'intorno  dell'ipogeo,  che  facesse  da  sbarra  ai  muri  della  corsia  più  bassa,  e 
di  sostegno  a  quelli  della  corsia  superiore,  e  in  una  copertura  a  calotta  della  camera 
centrale  posata  sui  muri  e  sui  pennacchi  delle  sue  pareti  perpendicolari,  ricoperta  di 
terra,  che  in  pari  tempo  restituisse  all'ipogeo  la  forma  primitiva. 

In  eseguire  i  detti  lavori  rimase  confermato  ciò  che  io  avevo  già  accennato  nelle 
precedenti  mie  relazioni  (')  e  cioè  che  la  corsia  della  camera  bassa  era  stata  ripiena 
per  metà  della  sua  lunghezza  da  bozze  rotte  di  sassoforte,  quasi  tutte  a  cuneo,  ap- 
partenute alla  volta  dell'antico  ipogeo,  certamente  levate  dall'interno  per  preparare 
le  opere  alla  riedificazione  dell'ipogeo  superiore;  per  l'altra  metà  da  strati  orizzon- 
tali di  pietre  a  lastra,  tramezzati  da  terra  inumidita  e  battuta.  Su  questa  riempitura 
in  tal  modo  ottenuta  furono  posati  i  muri  della  corsia  superiore,  i  quali,  come  già 
sappiamo,  si  vollero  paralleli  (-),  mentre  quelli  della  corsia  inferiore  sono  divergenti 
dall'interno  verso  l'esterno. 

Fra  le  bozze  rotte  dell'ipogeo  franato,  ammassate  nella  corsia,  al  medesimo  li- 
vello, e  a  m.  2  di  distanza  dal  punto  in  cui  fu  ritrovato  il  busto  acefalo   già  pub- 
blicato (•') ,  sono  comparsi  i  resti  di  due  sculture  in  alto  rilievo, 
anch'  esse  di  pietra  fetida,  delle  quali  riporto  i  disegni  (fìg.  G). 

Sono  le  estremità  inferiori  di  due  statue  in  alto  rilievo  al 
naturale,  attaccate  alla  loro  base,  o  plinto  rozzissimo,  consistente 
in  uno  zoccolo  grande  pesante  e  informe  leggermente  piramidato, 
destinato  a  rimaner  sepolto  nel  suolo  e  a  fissare  in  modo  sicuro 
le  statue  stesse  nella  loro  naturale  posizione  sul  pavimento  ove 
,,      „     .  vennero  collocate,  talché  sembrassero  riposare  su  quel  pavimento 

medesimo  (fig.  7).  In  ambedue  si  conservano  i  piedi  riuniti  ed 
accostati  di  due  figure  nella  medesima  posizione,  ma  nel  più  piccolo  di  essi  i  piedi 
sono  quasi  verticali  e  per  quanto  assai  corti  lasciano  vedere  le  impronta  delle  dita; 
nell'altro  più  grande,  espressi  in  modo  veramente  rude,  si  direbbero  chiusi  entro 
calzari,  se  le  gambe  non  fossero  interamente  nude. 


(')  Notizie  1893,  p.  I."i0. 
(«)  Ib.  p.  1.51. 

1,3)  Ib.   p.   511,   lì;,'.   7. 
Ci.ASSK  DI  sciBNZH  MORALI  ecc.  —  Mkmorif.  —  Vcil.  II,  Serie  5*,  parte  2*  -IH 


VBTULONU  —   34U   —  REOIONB    VII. 


Con  questo  rimane  esaurita  la  descrizione  dei  resultati  ottenuti  con  gli  scavi 
praticati  noi  gran  tuinolo  della  PretitTA  negli  anni  1891-9:5. 

Delle  os.servazioni,  cui  han  dato  luogo  mi  |iio]ioiigo  di  tener 
parola  con  uno  scritto  a  parto,  nel  quale  ini  tratterrò  sopratutto 
sul  fatto  interessantissimo  rimasto  accertato,  che  tanto  le  sepol- 
ture ricchissime  ritrovate  alla  superficie  del  tumolo,  quanto  le 
sculture  levate  dalla  costruzione  centrale,  sono  di  donne  :  e  frat- 
tanto chiudo  questo  argomento  col  richiamare  in  modo  partico- 
lare l'attenzione  del  Ministero  della  Pubblica  Istruzione  e  degli 
scienziati  sulla  necropoli  di  Vetulonia,  la  quale  offre  allo  studioso 
un  campo  nuovo  affatto  di  ricerche  interessantissime,  e  un  nuovo 
orizzonte  ove  ognuno  potrà  spaziare  per  riempire  non  poche  la- 
Fio.  7.    1:10        cune  della  nostra  storia. 

Scavi  alle  Migliarine. 

Esplorata  che  ebbi  la  cucumella  della  Pietrera,  guidato  dai  resultati  di  questi 
scavi  e  dai  precedenti  a  congetture  di  eccezionale  importanza  per  la  storia  e  la  crono- 
logia ('),  mi  condussi  a  visitare  alcuno  dei  tanti  sepolcri  esistenti  ai  piedi  e  a  nord-est 
del  poggio  di  Vetulonia,  a  circa  'ò  chilometri  di  distanza  dalla  Pietrera,  lungo  la 
via  provinciale  Emilia,  a  forse  5  metri  sul  livello  del  padule  di  Castiglion  della  Pe- 
scaia e  del  mare,  nell'intendimento  di  completare,  con  saggi  in  varie  localitii,  lo  studio 
della  necropoli  di  Vetulonia.  E,  fatte  le  necessarie  indagini,  sulla  guida  della  mia 
esperienza,  mi  fermai  in  un  luogo  detto  le  Migliarine,  in  un  punto  diboscato  e  in 
parte  già  da  molto  tempo  ridotto  a  cultura,  a  immediato  contatto  della  surricordata 
via  Emilia.  Quivi  avevo  scorto,  a  sinistra  di  detta  strada,  guardando  a  sud,  un  legge- 
rissimo rigonfiamento  di  terreno  che  per  certi  segni  particolari  più  di  ogni  altro 
mi  sembrò  meritevole  di  studio,  e  a  destra  due  tumoli  di  non  gran  mole,  sollevati 
e  raccolti,  tagliati  sulla  loro  cima  da  due  profondi  solchi,  o  fosse,  segno  certo  di  ten- 
tata esplorazione,  uno  dei  quali,  un  poco  attaccato  dalla  stessa  via  Emilia,  ritenni 
nonostante  non  del  tutto  rovistato. 

Tomba  I.  Il  17  di  aprile  incominciai  gli  scavi  sulla  leggera  sollevazione  testò 
descritta  a  sinistra  della  detta  via,  già  da  anni  e  anni  traversata  dall'aratro,  senza 
il  più  lieve  segno  esteriore  di  tomba,  situata  agli  estremi  di  un  campo  spiovente  sul 
fiume  Rigo.  Posti  i  lavoranti  nel  punto  più  basso,  assistiti  dalla  guardia  degli  scavi 
Eboli  Salvatore,  venni  dopo  poco,  con  mia  grande  soddisfazione,  a  scoprire  un  giro 
di  pietre  bianche  a  lastra,  accoste  fra  loro,  fitte  per  ritto  nel  terreno  vergine,  che  mi 
assicurò  del  ritrovamento  di  una  tomba  a  circolo,  come  quelle  ricchissimo  in  buon 
numero  .scoperte  sul  poggio  vicino  di  Vetulonia.  con  leggero  rigonfiamento  di  terra 
al  di  sopra,  come  altri  ritrovati  sul  dotto  poggio. 

(')  I.  Falcili,  Sulla  questione  rtrutra  -  Lettera  aperta  al  P.  A.  C.  De  Cara.  Firciiic  -  Stn- 
bilimcnto  Tip.  Fiurcntino  1893. 


REGIONE    VII.  —   341    —  VETULONIA 


Nel  giorno  18,  appena  superato  il  circolo  di  pietre,  comparvero,  ad  est  dal  centro 
due  cerchioni  di  ruote  di  ferro,  simili  a  quelli  usciti  da  tutte  le  tombe  surricordate 
dui  poggio,  e  frammenti  di  fittili  sparsi,  i  quali  non  mi  sgomentarono  punto  nella 
continuazione  delle  indagini,  quantunque  segno  di  ricerche  già  da  tempo  antichissimo 
ivi  praticate. 

Nel  giorno  19,  più  innanzi  ancora  verso  il  centro  del  cìrcolo,  comparvero  altri 
framménti  di  vasi  di  bucchero,  tra  i  quali  riconobbi  le  solite  grandi  coppe  ad  anse 
pesanti  e  intagliate  (')  come  in  tutti  i  circoli  e  nelle  tombe  a  umazione  del  tumolo 
della  Pietrera;  e  nel  giorno  20,  a  poca  distanza  dal  centro,  ma  più  a  nord,  si  pre- 
sentò il  ripostiglio  funebre  di  cui  vengo  a  riferire. 

Il  deposito  giaceva  a  m.  1,80  di  profondità,  o  il  primo  oggetto  a  comparire, 
compresso  e  schiacciato  da  informe  ma  non  grossa  pietra,  fu  un  va.so  grande  di  bronzo 
frammentato  e  ossidato,  con  due  manichetti  lisci  sul  corpo  e  una  ornamentazione  di 
capocchie  di  chiodo  sulla  parte  più  rigonfia  del  corpo,  circondato  da  forte  strato  di 
legno.  Presso  al  vaso  raccolsi  diverse  ambre  di  varie  forme,  ninna  a  figura  umana 
come  in  altri  circoli,  fra  le  quali  era  un'armatura  in  bronzo  di  grossa  fibula  che 
forse  avea  il  corpo  rivestito  di  ambra,  e  una  gran  quantità  di  nocciole,  avellane  (-), 
doventate  di  color  nero,  alcune  delle  quali  ben  conservate  furono  inviate  al  Museo 
Vetuloniese. 

Da  questo  punto  incominciava  uno  strato  di  pietre  globulari  bianche,  in  gran 
parte  ciottoli  di  fiume,  lungo  circa  m.  2,  e  poco  meno  largo,  sotto  al  quale  compar- 
vero fra  terra  nera,  simile  a  quella  di  ustrino,  ossa  scomposte,  di  cui  non  riuscii  a 
distinguere  alcun  ordine  anatomico,  e  nemmeno  con  sicurezza  ad  assicurarmi  se  di 
cadavere  incombusto  o  cremato  (3),  presso  le  quali  ossa  erano  i  seguenti  oggetti,  le- 
vati alla  presenza  del  prof.  Milani. 

1.  Due  braccialetti  d' oro  tuttora  agganciati  posti  a  qualche  distanza  uno  dall'altro, 
per  forma  tecnica  e  stile  identici  a  quelli  ormai  in  buon  numero  usciti  dai  circoli 
del  poggio  e  dalle  tombe  della  Pietrera.  Erano  aggrinzati  come  un  foglio  di  carta 
stretto  fra  le  mani,  ma  in  buono  stato  di  conservazione,  robusti  e  pesanti,  costituiti 
al  solito,  come  dal  seguente  disegno  (fig.  8),  da  nastri  sottili  d'oro,  riuniti  insieme  da 
filo  d'oro  in  vario  modo  attorto,  tirati  fra  due  lamine  sovrapposte,  oltre  le  quali  si 
continuano  in  minor  numero  quei  medesimi  nastri  a  formare  un  prolungamento  più 
stretto  ad  ambo  gli  estremi,  anch'esso  terminante  in  altre  due  lamine  cui  è  attaccato 
da  un  lato  il  gancio,  dall'altro  la  maglietta  del  monile.  Chi  desiderasse  avere  più 
esatto  informazioni  a  riguardo  di  questo  genere  di  oreficerie  vetuloniesi,  voglia  leggere 


CJ  I.  Falchi,   Vetalonia  e  la  sua  necropoli  antichissima,  tav.  IX,  19. 

{=)  Carilo  comune,  facile  in  Europa  e  nell'Asia  settentrionale. 

(')  Il  prof.  Milani,  che  ha  dato  le  informazioni  di  questi  miei  ritrovamenti,  in  suo  opuscolo  ; 
Le  ultime  scoperte  Vetuloniesi  a  Colonna,  dice  recisamente  questa  tomba  di  umazione;  ma  ci^  non 
può  affermarsi  con  sicurezza,  e  lo  spazio  ben  limitato  ove  furono  ritrovate  le  ossa,  la  loro  scom- 
posizione, non  che  la  terra  nera  sulla  quale  riposavano,  con  tutte  le  apparenze  della  terra  di  rogo, 
non  escludono  che  potesse  essere  invece  di  cremazione. 


VBTDLONIA 


—   342   — 


REGIONE    VII. 


la  minuta  descrizione  da  me  Tatta  di  altre  molte  già  ritrovate  in  altre  tombe  ('),  alle 
quali  perfettamente  si  rassomigliano.  Solamente  è  ad  osservarsi  che  nelle  lamino  assi- 
curate agli  estremi  dui  prolungamenti  più  stretti  si  veggono  nei  nostri  monili  sbalzate 
due  palnicttc;  ma  sulle  lamine  in  clic  termina  la  fascia  più  larga  sono  sbalzate  tre 
testo  umane  con  lunga  capigliatuni  spartita  sulla  fronte  e  ripiegata  sulle  spalle,   le 

quali  si  direbbero  ottenute  col  medesimo  stampo  di  altre 
che  figurano  in  due  paia  di  braccialetti  ritrovati  nelle 
tombe  a  umazione  del  tuniolo  della  Pietrera  (-). 

2.  Diver.si  globi'tti  d'oro  sbalzati  anch'osai,  identici 
alle  collane  della  Pietrera  (^). 

3.  Quattro  fibule  d"  oro  in  lamina  robusta,  il  cui 
corpo  è  costituito  da  un  quadnipede  alato  che  ha  attac- 
cato la  stalla  alle  estremitii  anteriori,  l'ardiglione  alle  po- 
steriori, le  cui  ali  sono  formato  di  due  sottili  nastri 
d'oro  stretti  al  collo  senza  alcuna  fermatura  (tìg.  9). 

4.  Due  vasi  di  bronzo  ossidati  e  ridotti  in  polvere, 
di  cui  sono  rimasti  soltanto  due  manichetli  orizzontali. 

5.  Diverse  patere  baccellate  in  pessimo  stato,  simili 
alle  tante  venute  in  luce  in  tutti  i  sepolcri  con  circolo 
di  pietre  (^). 

6.  Due  candelabri  affatto  rovinati,  anch'essi  simili 
ai  tanti  usciti  dai  sepolcri  a  circolo  surricordati  (^). 

7.  Molti  fìttili  in  frantumi,  buccheri  quasi  tutti 
della  stessa  forma  di  quelli  levati  dalle  tombe  ora  men- 
zionate, ad  eccezione  di  uno  frammentato  di  colore  ros- 
siccio, con  coperchio  sferico  e  manico  centrale  a  cilindro, 
sormontato  da  un  disco,  simile  forse  ad  alti'o  comparso 
nella  tomba  a  circolo  dogli  Ulivastri  ('•).  Fra  i  buccheri, 
uno  a  grandi  anse  intagliate  aveva,  al  solito,  la  deco- 
razione  geometrica  tintji  di  color  porpora. 

8.  Quattro  piccole  fusaruole  faccettate  e  bucate. 

9.  Divei-si  ferri  irriconoscibili. 

10.  Moltissime  piccole  ghiaie  di  fiume  o  più  probabilmente  di  maro,  levigate 
dalle  acque  per  il  continuo  e  lungo  loro  rotolarsi,  altro  volte  comparse  nei  sepolcri 
a  circolo  di  umazione  e  di  cremazione,  cho  si  direbbe  quasi  volere  esprimerò  la  gran 


Fio.  8,  1  :  l 


(')  I.  Falchi,    Vetulonia  e  la  tua    necropoli  aiitichissima.  imp.  80,  105,  tav.  VII  C,  Vili  11 
e  le  Noliiit  1893  p.  hO:ì. 

(<)  Notitie  1893  p.  304,  6g.  4i,  4b. 

{')  Ib.  p.  .J05,  tì^.  5. 

(*)  I.  Fnlchì,    i'etutonia  e  la  tua  necropoli  ecc.  tiiv.  X.  ". . 

(JJ  I.  Falchi  op.  cit.,  Uv.  .\IV.   H. 

(•)  I.  Falchi  op.  cit..  p.  98,  far.  XVIU  25. 


REGIONE    VII.  —   343   —  VETDLONIA 


distanza  o  il  lungo  mare  percorso  dall'individuo  ivi  sepolto  por  arrivare  all'ultima 
sua  dimora. 

Allontanati  tutti  questi  oggetti  è  venuto  a  resultare  che  essi,  con  un  tappeto 
di  terra  nera,  posavano  sopra  una  tavola  di  legno  nerissimo  e  lucido,  come  era  accaduto 
di  osservare  nel  circolo  dei  monili  ('),  ricoperta  di  una  lamina  di  bronzo. 

A  m.  1,60  da  questo  deposito,  apparve  nel  centro  del  tumolo  una  gran  buca  di 
forma  quadra,  nella  quale,  insieme  a  qualche  frammento  fittile,  vennero  a  scoprirsi 
due  grandi  coni  di  sassofortino  {-).  Erano  identici  per  la  forma  ai  tanti  ritrovati 
nei  circuii  di  pietre  e  in  alcuni  tumoli  del  poggio,  sovrapposti  uno  sull'altro  e  posati 
sui  fianchi.  Uno  di  essi,  il  più  profondo,  avea  il  diametro  alla  base  di  m.  1,40  e 
l'altezza  di  cent.  74;  l'altro,  certamente  non  più  al  suo  posto,  aveva  il  diametro  di 
m.  1,20  e  l'altezza  di  cent.  70. 

Nemmeno  dunque  nella  pianura,  alla  distanza  di  circa  3  chilometri  dal  centro  della 
necropoli  di  Vetulonia  si  trovano  tombe  che  diano   segno  di  appartenere   ad  un'  età 


Fio   n.         l:l 


meno  arcaica  di  tutte  le  altre  esplorate  sul  poggio  ;  e  quella  di  cui  abbiamo  più  sopra 
discorso,  delle  Migliarine,  è  similissima  ad  altri  sepolcri  a  circolo  fin  ora  di- 
scoperti, con  la  medesima  suppellettile,  coi  medesimi  riti  ed  i  medesimi  costumi,  non 
escluso  quello  di  seppellire  il  deposito  funebre  in  una  fossa  scavata  nella  nuda  terra 
e  di  lapidarlo  dopo  deposto,  per  poi  ricoprirlo  della  stessa  terra  scavata.  La  sola  diffe- 
renza consiste  in  ciò  che  nei  circoli  dei  monili,  di  Bes,  delle  Pellicce,  degli  Acquastrini  (') 
non  esistevano  altre  ossa  che  poche  corone  di  denti,  cioè  il  solo  avorio,  sempre  di  color 
verde  smeraldo,  riposte  tra  le  cose  più  preziose  del  ripostiglio,  mentre  nella  tomba 
delle  Migliarine  esistevano  le  ossa  dell'estinto  come  nel  sepolcro  di  cremazione. 
Del  Duce,  di  Val  di  Campo  (0  con  scheletro  certamente  combusto,  e  come  in  altri 
ancora  a  umazione;  e  mentre  nei  circoli  prima  ricordati,  l'area  del  terreno  sovrastante 
era  spianata,  nella  tomba  delle  Migliarino  era  ricolma  come  altre  del  poggio.  Del  resto 
s'i  in  questa  come  in  quelle  surricordate  a  circolo  di  pieti-e  e  del  tumolo  della  Pie- 
trera,  sono  venuti  in  luce  i  medesimi  oggetti  e  la  medesima  suppellettile,  senza  alcun 


(')  I.  Falchi,   Vetulonia  e  la  sua  necropoli  ecc.,  p.  07. 

I«)  r.  Falchi  op.  cit,  tav.  Xirr,  10. 

(^)  I.  Falchi  op.  cit.,  p.ig.  98,  167,  72  tav.  VII.   12;  XIV.   15;  XV.  2. 

(<)  I.  Falchi  op.  cit.,  paf,'.  119,  tav.  XII.  1  e  pag.  2U0,  tav.  XVIU.  15. 


VBTUt.ONIA  —   344   —  REGIONE    VII. 


raso  decorato  a  figura  umaDa  a  colore.  Onde  sembrami  si  possa  senz'altro  concludere 
e  porro  come  dimostrato,  iu  riguardo  all'antichità  di  Velulouia,  che  quella  celebre 
e  illustre  cittù  decadde  e  fu  abbandonata  almeno  dalle  illustri  famiglie  in  un"  età  re- 
motissima, la  quale,  in  considerazione  della  quasi  assoluta  mancanza  di  vasi  ellenici 
nelle  sue  tombe,  possiamo  determinare  essere  stata  anteriore  al  VI  secolo  av.  G.  G. 

Tomba  II.   Tiimolo  del  /ìgulo. 

Non  erano  interamente  compiute  le  ricerche  nella  tomba  a  circolo  di  pietre  a 
sinistra  della  via  Emilia,  che  posi  mano  ad  uno  dei  tumoli  al  lato  opposto  di  detta 
strada,  incominciando  da  quello  propriamente  situato  sull'argine  di  essa  e  un  poco 
da  questa  manomesso.  Su  questo  io  riponeva  lo  maggiori  speranze  quantunque,  come  ho 
già  accennato,  conservasse  una  fossa  profonda  alla  sua  cima,  che  indicava  per  lo  meno 
un  tentativo  fatto  per  violarlo. 

Questo  tumolo  era  alto  m.  4,80  ed  avea  il  diametro  di  m.  10.  Diboscato  da 
poco  tempo,  conservava  tuttora  i  ceppi  e  le  radiche  delle  grosse  piante  che  vi  ave- 
vano vegetato  al  di  sopra,  per  le  quali  il  lavoro  riusci  lungo  e  faticoso. 

Ne  fu  incominciata  la  esplorazione  il  21  aprile  con  un  taglio,  a  poca  distanza 
dalla  sua  base,  diretto  orizzontalmente  al  centro:  ma  all'ondato  che  fu  lo  scavo  per 
circa  due  metri,  e  costatato  che  il  nucleo  del  tumolo  era  costituito  di  schiette  pietre, 
fu  necessità  di  seguirne  l'andamento. 

Nel  giorno  successivo,  a  in.  l,ln  dalla  superficie,  a  nord  del  tumolo,  comparve, 
deposto  nella  nuda  terra,  un  gruppo  di  rozzi  balsamari  di  varie  dimensioni,  di  tipo 
comune,  ma  più  arrotondati  e  ingrossati  inferiormente,  alcuni  dei  quali  erano  decorati 
sul  collo  di  linee  a  colore  disposte  a  raggio.  Questi  balsamari  erano  in  numero  di  sei 
senza  altro  oggetto. 

E  nel  giorno  'Ih,  arrivati  a  m.  2.50  dal  centro,  venne  a  scoprirsi  a  sud-ovest  del 
tumolo,  a  soli  cent.  1.5  dalla  superficie,  intricato  fra  le  radiche  delle  piante,  un  de- 
posito funebre  singolarissimo  e  di  eccezionale  importanza. 

Comparso  questo  deposito  contemporaneamente  su  due  punti  con  una  distanza  fra 
loro  di  circa  m.  l,2u,  credetti  in  principio  che  fossero  due  gruppi  distinti,  ma.  ri- 
mosso con  molta  circospezione  lo  strato  della  terra  sovrastante,  ritrovai  che  era  un 
solo  ripostiglio,  posato  sopra  un  piano  orizzontale,  di  circa  m.  2,  nella  nuda  terra  del 
tumolo,  senza  segno  alcuno  di  difesa,  né  di  muro,  né  di  pietre  per  ritto.  Noterò  anzi 
che  a  differenza  delle  altre  tombe  tinto  di  umazione  che  di  cremazione  visitate  sul 
poggio,  ad  eccezione  della  tomba  del  Duce  e  di  Val  di  Campo,  nemmeno  si  notarono 
i  soliti  sassi  di  lapidazione,  e  come  in  queste  la  suppellettile  sepolcrale  era  ricoperta 
di  schietta  terra:  onde  quasi  tutti  gli  oggetti  eransi  conservati  in  buono  stato,  e 
quelli  levati  in  pezzi  non  sono  cos'i  frantumati  da  non  potere  essere  ricomposti. 
È  dunque  certo  che  il  materiale  funebre  di  questa  tomba  si  volle  conservato  come 
nei  due  sepolcri  surricordati,  mentre  che  in  tutte  le  altre  si  volle  lapidato  e  distrutto. 
Kifiettendo  ora  che  le  tombe  fin  ad  oggi  scoperte,  con  la  suppellettile  funebre  lapidata, 
erano  tutte  di  donna,  mentre  quelle  del  Duce  e  di  Val  di  Campo  erano,  come  questa 


REGIONE    VH.  —   345   —  VETUI.ONIA 


delle  Migliarine  certamente  di  maschi,  mi  nasce  il  dubbio  che  l'uso  della  lapidazione 
fosse  limitato  alle  tombe  di  donna  ove  erano  ricchi  monili,  i  quali  non  dovevano  tor- 
nare ad  essere  adoperati  per  l'uso  dulia  vita. 

Dissi  siìi  del  rito  della  lapidazione  (');  ma  non  "avevo  ancora  notato  che  esso  si 
limitava  alle  tombe  di  donna.  Né  ciò  deve  sorprendere  ove  si  pensi  che  certe  osservazioni 
quando  sono  conseguenza  di  fatti  strani  che  compariscono  per  la  prima  volta  (come  ad 
esempio'  è  accaduto  dei  ripostigli  stranieri  del  poggio  alla  Guardia  e  della  presenza  della 
sola  corona  dei  denti  in  quegli  e  in  altri  depositi  senza  altre  ossa  né  uniate  né  cremate, 
non  che  dell'uso  stesso  della  lapidazione)  non  danno  subito  luogo  a  particolare  atten- 
zione; ma,  tornati  quei  fatti  più  volte  a  manifestarsi,  doventano  soggetto  di  studio. 
E  tale  studio  mi  propongo  di  dedicare  d'ora  innanzi  ai  sepolcri  di  donna  per  appu- 
rare il  dubbio  cui  ho  sopra  accennato,  come  ho  fatto  dei  ripostigli  stranieri  e  degli 
usi  e  costumi  ivi  riscontrati,  i  quali  oggi  sono  doventati  fatti  evidentissimi  e  meri- 
tevoli di  tutta  l'attenzione  degli  scienziati. 

Scoperto  il  prezioso  deposito  del  nostro  tumolo,  la  prima  idea  che  mi  venne 
alla  mente  fu  di  nettare  e  isolare  dalla  terra  ogni  singolo  oggetto  senza  rimuoverlo 
dalla  sua  giacitura,  per  farne  la  fotografìa  e  quindi  tentarne  la  remozione  e  l'incas- 
samento in  blocco  da  inviarsi  al  Museo  Vetuloniese;  ma  richiedendo  tale  operazione 
un  tempo  lungo  a  causa  specialmente  delle  radiche  delle  piante,  e  non  convenendo 
di  lasciare  in  aperta  campagna  sopra  una  strada  pubblica  un  sì  prezioso  ripostiglio, 
mi  decisi  di  asportarne  tutti  gli  oggetti. 

A.  Fittili.  —  Essi  consistevano  in  balsamarì  in  gran  numero,  che  si  distinguono 
per  la  varietà  e  per  la  singolarità  delle  loro  forme,  principale  caratteristica  del  nostro 
sepolcro,  aggiustati  con  molta  cura  attorno  a  due  vasi  di  bronzo  ripieni  di  ossa  combuste, 
con  qualche  altro  oggetto  di  bronzo  e  di  ferro.  Non  oro,  né  argento,  né  altri  degli 
oggetti  preziosi  levati  dalla  tomba  precedente. 

Non  posso  precisare  il  numero  di  questi  fittili,  perché  non  pochi,  levati  in  pezzi 
e  riuniti  in  un  medesimo  involto,  non  sono  stati  per  anco  ricomposti  ;  e  nel  descri- 
vere quelli  levati  interi  mi  atterrò  ai  tipi  più  importanti,  e  ne  unirò  il  disegno 
inviatomi  dalla  Direzione  del  Museo  Ai-cheologico  di  Firenze,  ove  il  bravo  restauratore 
sig.  Pietro  Zei  attende  ora  a  ricomporre  il  rimanente. 

1.  Balsamario  in  forma  di  lepre  morta,  sgozzata  e  gonfiata,  con  la  testa  cadente  e 
rovesciata  sul  dorso,  e  gli  arti  distesi  nella  posizione  che  ognuno  può  facilmente  imma- 
ginare pensando  di  vedere  quell'animale  attaccato  a  un  chiodo  di  una  parete,  o  so- 
speso per  le  estremità  anteriori.  Nel  punto  jiiù  alto,  ove  il  collo  sgozzato  si  rovescia 
con  la  testa  sulla  schiena,    è  la  bocca  cilindrica  e  poco  sporgente  del  vaso  (tìg.  10). 

In  altri  esemplari  le  estremità  anteriori  invece  di  essere  intirizzite  e  distese, 
sono  leggermente  ripiegate  in  alto,  e  vanno  a  terminare  e  quasi  a  sostenere  gli  orli 
del  beccuccio  (fig.  11). 

Sono  in  numero  di  8  o  10  di  questa  specie  e  variano  per  le  dimensioni  da  17 
a  21  cent,  di  lunghezza:  onde  non  furono  ottenuti  con  uno  stampo  sopra  una  medesima 

(')   Vetulonia  e  In  sua  necropoli  antichissima  ]k  68,  9.5. 


VKTU1.0N1A 


;i4(i  — 


REGIONE    VII. 


fomia,  lua  ognuno  con  la  mano  dullo  scultore  che  a  questo  genero  di  tiguliue  in  modo 
speciale  si  era  dedicato.  Mancano  atVatto  di  vernice,  e  il  loro  impasto,  come  di  quasi 
tutti  gli  altri  bal.-amari,  è  costituito  di  terra  Éìnissima  di  color  giallognolo  con  ten- 
denza al  rosso  ;  la  quale,  ridotta  sul  posto  quasi  allo  stato  di  mota,  è  tornata  a  gua- 
dagnare la  durezza  della  terra  cotta  appena  asciugatoi. 


KlG.    10       2:7 


r:G     11.     2:7 


2.  Altro  balsamario  a  testa  di  cavallo,  riprodotta  alla  perfezione,  vestita  dei  suoi 
finimenti  tinti  di  color  nero  o  almeno  della  sua  cavezza  di  striscio  di  cuoio,  con  criniera 
e  parte  del  collo  tagliato  alla  sua  metà,  la  cui  sezione  di  taglio  costituisce  la  base 
del  balsamario.  Fa  da  ciuffo,  sulla  parte  più  alta  della  testa,  la  bocca  del  vaso,  co- 
stituita da  un  collo  ben  corto  cilindrico  sormontato  da  uno  scudetto  sferico  orizzon- 
tale bucato  (fìg.  12).  Altra  testa  simile  più  grande,  ma  assai  trascurata  e  mancante 
di  tinimenti. 

à.  Altro  in  forma  forma  di  cervietta  accueciata  con  le  estremità  ripiegate  sotto  il 
corpo,  sulle  quali  riposa  in  attenzione  e  quasi  vicina  a  slanciarsi.  Il  collo  perpendicolare. 


l'iG     1.'.      1:4 


Ilo.    l:'..      2:5 


bucato,  costituisce  la  bocca  del  balsamario,  nel  quale  entra,  mediante  un  pernio,  la  testa 
mobile  orecchiuta  dell'animale,  che  serve  di  tappo  all'unguentario  medesimo  (lig.  l;i). 
È  di  rozza  fattura  e  non  offre  di  particolare  che  la  originalità  del  soggetto. 

4.  Altro  in  forma  di  lepre,  pure  accueciata  come  la  cervietta,  con  le  orecchie 
ripiegate  e  strotto  alla  groppa.  In  corrispondenza  della  fronte  è  un  buco  che 
costituisce    la  bocca    del    balsamario,    e    sotto    le    orecchie   è   altro    buco    passante. 


REGIONE    VII. 


—    347    - 


VETUI.ONIA 


destinato  forse  a  tenere  una  cordicella  per  appenderlo  (fig.  14).  Anche  questo  è  di  rozza 
fattura  e  appena  riconoscibile. 

5.  Altro  in  fnrai;i  di  un'  oca  o  di  un'anatra  posata  sui  piedi,  a  collo  alto  e  ricurvo, 
la  cui  testa,  non  più  ritrovata  e  forse  smarrita  nell'involto,  terminava  a  bocca 
aperta  (fig.  15). 


Via    1  t.     1:2 


Fio.    15.      1:3 


rio.  iG. 


Altro  simile  più  rozzo  ancora  e  parimente  mancante  della  testa  non  otfre  di 
singolare  che  la  sua  posa  assai  bea  rappresentata. 

6.  Altro  in  forma  di  organi  genitali  di  fanciullo  ;  scroto  attaccato  al  pube  buc:(to 
per  appendersi,  col  pene  eretto,  il  cui  glande,  tagliato  orizzontalmente,  è  bucato  fa 
da  bocca  all'unguentario  (tìg.  16). 


Fig.  17      1:2 


Fio.  18      1:2 


7.  In  forma  di  sfìnge,  di  tipo  egiziano  a  faccia  umana  imberbe  che  riposa 
sulle  estremità  ripiegate  sotto  al  corpo,  con  lunga  coda  ripiegata  e  avvolta  sopra  la 
natica  sinistra,  coperta  di  vello,  sulla  cui  testa  è  la  bocca  del  vaso  (fig.  17). 

8.  Altro  in  forma  di  stivale,  che  conserva  fino  a  metà  del  gambale  i  graffi  obliqui 
e  intrecciati  di  una  affibbiatura  (fig.  18). 

Altro  simile  ma  più  rozzo  non  porta  segno  alcuno  di  graflitura,  ed  è  di  impasto 
più  scuro,  imbevuto  forse  del  succo  di  radiche  marcite  in  sua  vicinanza. 

9.  Altro  in  forma  di  elmo  che  riposa  sul  suo  orlo  inferiore.  L'elmo  è  verniciato 
di  nero  e  ripete  la  forma  del  capo,  con  cresta  sulla  sommità  che  fa  da  bocca  al 
balsamario.  La  visiera  alzata  porta  scolpita  una  palmetta,  e  lascia  vedere  una 
faccia  umana  imberbe  in  esso  racchiusa,  nascosta  fra  i  guanciali  dell'elmo,  con  occhi 
ciglia  e  bocca  tinti  di  nero  sul  fondo  rossastro  naturalo  del  fìttile,  di  esecuzione 
stupenda  (tìg.  19). 

Ci.AssH  ur  sciKNZH  MORALI  ccc.  —  Mkmohif,  -  -  Voi.  II,  Serie  ,^°,  parte  2"  44 


VETCLONIA 


—  348  — 


REGIONE    VII. 


10.  Altro  in  forma  di  doana  nuda  inginocchiata,  che  posa  sulla  punta  dei  piedi  o 
sui  ginocchi,  con  le  braccia  ripiegale  sui  gomiti  e  portate  in  alto  in  atto  di  preghiera, 
con  le  mani  riunite  sul  seno  per  il  dorso  dello  dita  forzatamente  chiuso  a  pugno,  meno 
i  diti  pollici  tesi  in  alto  a  guisa  di  corna.  Dalla  testa  scendono  i  capelli  sciolti, 
so  pure  non  è  un  velo  che  scendo  dal  capo,  sul  cui  vertice  è  lapertura  circolare  del 
vasetto  formata  da  un  semplice  buco  (fig.  20). 

Questa  figuni  di  ccoezinnale  importanza  era  così  ridotta  allo  stato  molle  al 
momento  in  cui  fu  ritnivata.  che  a  stento  potei  strigarla  dalle  barbe  vegetali  capil- 
lari che  la  cingevano  e  levarla  dal  posto  senza  lasciarvi  le  impronta  della  dita.  Asciu- 
gata ha  preso  un  colore  tendente  al  mattono  e  una  consistenza  come  di  terra  non  cotta, 
per  cui  ha  perduto,  nella  faccia  specialmente,  la  regolariti'i  dei  suoi  lineamenti. 

Nonostante  non  è  chi  non  veda  in  questa  figura  una  natu- 
ralezza e  un  insieme  di  linee  e  di  proporzioni  da  dover  definire 
per  un  genio  il  tìgulo  che  la  modellò  :  genio  strano  e  singolare,  che 
avea  la  passione  di  imitare  alla  perfezione  tutto  ciò  che  più 
feriva  la  sua  fantasia,  e  che  forse  è  colui  stesso  sepolto  nel  tu- 
molo  delle  Jligliarine.  a  cui  omaggio  vennero  dai  superstiti  de- 
positati attorno  alle  sue  ossa  combuste  i  migliori  saggi  dell'arte 
sua,  insieme  forse  allo  strumento  del  suo  mestiere,  come  fra 
poco  dirò. 

Queste  ceramiche,  in  gran  parte  nuove  per  TEtruria,  ma  non 
nuove  per  lOriente,  di  un  pregio  inestimabile  per  la  cronologia 
e  la  storia  dell'arte   non  meno    che    per  l'etnologia,  mi  auguro 
che  saranno   soggetto   di   studi   accurati.    In   questa    liducia    ri- 
chiamo l'attenzione  degli  scienziati  sulla  comparsa   in  una  me- 
desima tomba  di  queste  figuline,  di  genere    tanto    diverso,  che 
sembrano  uscite  da  una  medesima  mano,  e  in  modo  particolare 
sull'atteggiamento  che  hanno  le  mani    della    figura  di  donna  in  ginocchio    teste  de- 
scritta, con  le  dita  chiuse  a  pugno  meno  i  diti  pollici  stesi    in   alto,  precisamente 
come  una  delle  sculture  in  sassofetido  ritrovate  nell'ipogeo  della  Pietrera  {'). 

11.  Balsamario  in  forma  di  bottiglia  allungata  senza  piede  (alabastron)  alto  più 
che  30  cent.,  a  pareti  molto  grosso,  bucato  e  vuotato  dopo  modellato,  di  terra  più 
fino  ancora  e  più  giallastra  di  quella  degli  altri  fittili,  che  all'atto  del  ritrovamento 
avea  l'apparenza  dell'avorio  infracidato  per  gli  anni,  tornata  poi  duri.'isima  all'aria  li- 
bera (fig.  -21).  Era  spalmato  di  unoere  color  ruggine,  ora  in  gran  parte  mancante, 
decorato  di  grafiiti  di  cui  pochi  avanzi  sono  rimasti  sulla  superficie  del  balsamario, 
ma  che  nonostante  fanno  ritenere  essere  stati  interessantissimi  e  forse  a  figura. 

Altro  esemplare  ripeto  la  stessa  forma  senza  graniture;  e  altri  ancora  in  buon 
numero,  ugualmente  a  bottiglia,  a  base  rotonda  e  rigonfia,  sono  lavorati  a  tortiglione 
con  solcature  marcate  spiraliformi,  le  quali  hanno  favorito  la  rottura  di  tutti,  in  modo 
però,  da  lasciare  speranze  di  poterli  restaurare. 


Fio    20.     ]:■> 


(')  .Votine  IS'Ja,  i>.  .MI. 


REGIONE    VII. 


—  349  — 


VKTULOXIA 


s-^l 


12.  Balsamario  in  forma  di  una  palla  (aryballos),  simile  ad  altri  ritrovati  nelle 
tombe  di  Vetulonia,  e  segnatamente  nel  tumolo  di  cremazione  di  Val  di  Campo  (') 
ugualmente  situato  nel  padule  di  Castiglion  della  Pescaia  sotto  al  Poggio  di  "Vetu- 
lonia, a  forse  m.  4  sul  livello  del  mare  (%.  22). 

Sono  in  numero  di  8  o  lu,  di  varie  dimen.sioui,  alcuni  dei  quali  con 
qualche  avanzo  di  graffitura  e  fors' anco  di  una  decorazione  a  colore 
sul  corpo. 

B.  Bronci.  —  1.  Due  ciotole  liscie  con  due  manichetti  orizzon- 
tali sugli  orli. 

2.  Due  oinoclioai,  alte  e  di  forma  elegante,  con  bocca  a  foglia 
d'ellera,  e  manico  pesante  che  si  solleva  perpendicolarmente,  per  ri- 
piegarsi poi  ad  ansa  e  attaccarsi  sul  corpo  con  una  palraetta  in  bas- 
sorilievo. 

3.  Una  grattugia  frammentata. 
1       §                   4.  Grande  bacinella  liscia,  piena  colma  di  ossa  combuste. 
\^                   5.  Cassa  di  bronzo  anch'essa  tutta  piena  di  ossa  bruciate  di  forma 

quadra,   liscia  con  coperchio  a  scatola  lunga  cent.  30,  larga  cent.   8, 
FiG.  21.    1  :c     alta  cent.  12.  È  posata  su  quattro  piedi,  che  sono  il  prolungamento  della 
stessa  lamina  di  cui  si  compone  tutta  la  cassa.  Sulle  ossa  non   esisteva 
altro  oggetto  che  quello  di  cui  vengo  a  dire. 

6.  Piccolo  arnese  con  manichetto  rotondo  ed  allungato  cui  la  seguito  una  piccola 
lama  lunga  quanto   il  manico,   che  termina   in  un  tagliente  orizzontale   a  scalpello, 
leggermente    convesso    da   un   lato,    pianeggiante    dall'altro  e 
graffito  a  raspa  (fìg.  23). 

7.  Due  piccole  fibule  a  globetti,  una  delle  quali  ben  con- 
servata. 

Tutti  questi  oggetti  di  bronzo  erano  situati  al  centro  del 
deposito  funebre,  posati  uno  presso  l'altro,  eccettuato  il  pic- 
colo arnese  ora  ricordato  di  bronzo,  situato  sulle  ossa  del  ci- 
nerario a  scatola,  il  quale  era  forse  lo  strumento  di  cui  il 
figulo  stesso  ivi  sepolto  si  era  servito  per  modellare  sulla  terra 
allo  stato  di  mota  gli  oggetti  che  più  avea  ritenuto  lueritevoli 
di  essere  riprodotti  ;  alcuni  dei  quali  Jovea  aver  veduti  in  ben  lontani  paesi,  e  altri 
imitati   sull'originale  dinanzi  ai  suoi  occhi  a  Vetulonia. 

In  mezzo  al  deposito  funebre  erano  pm-e  degli  oggetti  di  ferro,  ma  questi  in 
scarsissima  quantità,  e  consistevano  in  una  lancia,  in  una  spada  o  in  un'accetta,  ri- 
dotti in  pessimo  stato. 

Rimossa  tutta  questa  suppellettile  sepolcrale,  e  continuato  lo  scavo  verso  il  centro 
del  tmuolo,  venne  a  scoprirsi,  come  nella  tomba  a  circolo  precedente,  un  cono  di 
sassoforte  anche  esso  collocato  sui  fianchi,  identico  per  la  forma  a  tutti  quelli  com- 
parsi nella  tomba  ora  ricordata   e  nei  circoli  e  nei  tumoli   del    poggio,  tanto  in  se- 


Fio    22.     1 : 2 


(')  r.  Falchi,   Vetulonia  ecc.  pag.  108,  tav.  XVIII.  13. 


VBTULONIA  —   35U   —  REGIONE  VII. 


polcri  di  umazione  che  di  cremazionf.    Fu  inviato  a  Firenze,  ed  og^  vedesi  esposto 
nel  Museo  Vetuloniese. 

Terminata  la  esplorazione  di  questo  tumolo  fu,  posto  mano  all'altro  che  gli  stara 
quasi  accosto,  conformato  nello  stesso  modo   o   con   le  medesime  dimensioni,  e  sola- 


Fio    2.1.    i  :  i 


■nente  un  poco  più  spianato  sulla  sommità  ;  ma,  nonostante  molto  lavoro  e  le  più 
.scrupolose  ricerche,  non  ne  risultarono  che  le  prove  certe  di  un'antica  esplorazione, 
praticata  con  una  fossa  profonda  che  per  appunto  deve  esser  caduta  sul  deposito 
funebre. 

Tombe  di  Franchclta. 

Esplorati  anche  tre  sepolcri  alle  Jligliarine  a  forte  distanza  dal  centro  della  ne- 
cropoli di  Vetulouia,  e  riscontrato  che  anche  in  questi  si  mantiene  quel  carattere  di 
grande  antichità  che  è  proprio  di  tutte  le  sue  tombe,  mi  venne  vaghezza  di  vi-sitare 
altri  sepolcri  vicinissimi  al  tumolo  della  Pietrera,  sui  quali  già  da  molto  tempo 
avevo  fissato  la  mia  attenzione,  quantunque  convinto  che  anch'  essi  non  potevano  es- 
sere sfuggiti  ad  un'antica  esplorazione. 

Il  Poggio  della  Pietrera  è  limitato  a  sud  da  una  valle  stretta  e  profonda  che 
dicesi  di  Franchetta,  sulla  quale  si  rialza  dal  lato  opposto  una  costola  assai  più  bassa 
della  Pietrera,  continuazione  del  Poggio  alle  Birbe  ('),  spiovente  sugli  Acquastrini  (') 
e  sulla  Sagrona,  che  è  la  parte  più  ricca  di  tombe  a  circolo. 

Sul  crinale  di  detta  costola  erano  visibilissimi  alcuni  rigonfiamenti  regolari  del 
terreno,  uno  accanto  all'altro,  disposti  in  linea  retta,  i  quali  andavano  sempre  più 
ingrandendosi  dal  basso  all'alto  per  terminare  in  un  vero  e  proprio  tumolo  di  non 
piccola  mole. 

Primo  sepolcro  di  Franchella.  Tali  scavi,  affidati  alla  continua  vigilanza  delle 

due  guardie  degli  scavi  Eboli  Salvatore  e  Liberato  Miele  furono  incominciati  con  la 
esplorazione  della  più  piccola  e  quasi  insensibile  sporgenza  di  terreno  in  basso;  e 
non  erano  passate  che  poche  ore  di  lavoro  che  venne  allo  scoperto  un  circolo  a  muro, 
formato  di  pietre  sovrammesse  senza  cemento;  entro  il  qual  circolo  erano  diverse 
tombe  a  umazione,  giù  da  antico  tempo  rovistate,  disposte  ad  alveare  una  accanto 
all'altra,  divise  da  grandi  lastroni  per  ritto  e  ricoperte  da  altri  lastroni  simili  ritrovati 
in  pezzi. 

<■)  I.  Falchi,   Vetuloma  e  la  sua  necropoli  antichitiima,  tav.  I.  L. 
(«)  Op.  cit.,  Ut.  I.  8. 


REGIONE    VII.  —    3ól    — 


VETULONIA 


Potei  raccogliere  diversi  frammenti  di  vasi  di  bucchero  lisci,  anche  qui  col 
piede  a  cono  come  ma  circoli  di  piede;  un  alabastron  intatto,  di  alabastro,  che  per 
la  grana  non  rassomiglia  punto  all'alabastro  nostrale;  tre  bulsamari  fittili  a  corpo  tondo 
di  colore  giallognulo,  in  tutto  simili  a  quelli  della  tomba  del  figulo;  una  tazza  ele- 
gante a  piede  piatto  della  stessa  terra  dei  balsamaii;  rottami  di  altro  vaso,  forse  di 
forma  singolai-e,  che  non  riuscii  a  distinguere;  diversi  spilli  di  bronzo  con  capocchia; 
frammenti  di  una  fibula  d'argento  e  di  una  di  bronzo;  un  coltello  in  ferro  e  altro 
arnese  di  egual  metallo  che  è  forse  un  puntale  di  lancia. 

Secondo  sepolcro  di  Franchetta.  Anziché  da  pietre  a  muro  era  questo  circondato 
da  grandi  lastre  bianche  e  accostate  di  sassovivo  come  in  tutti  i  circoli,  fitte  a  molta 
profondità  nel  terreno  vergine.  Misurato  a  livello  di  queste  lastre  aveva  un'altezza  di 
m.  4,  ridotta  poi  a  m.  1,80  sul  piano  del  sepolcro,  con  in.  18  di  diametro.  Kra  da 
molto  tempo  ridotto  a  cultura  e  traversato  dall'aratro,  ma  conservava  sempre  una 
certa  regolarità  nella  sua  forma  esteriore. 

Penetrati  gli  scavi  per  circa  m.  3  nell'interno  del  circolo  senza  mai  abbando- 
nare il  terreno  vergine,  non  incontrai  che  qualche  frantume  di  ferro  appartenuto  a 
un  cerchione  da  ruote;  ma  continuati  verso  il  centro,  venne  a  scoprirsi  una  gran  buca 
ripiena  in  parte  di  sassi  schietti,  in  parte  da  sassi  e  terra,  nella  quale  si  affondava 
un  cerchione  di  ferro  addos;<ato  al  ciglio  nord  di  quella  medesima  buca. 

Noto  in  modo  particolare  che  fra  le  pietre  di  riempitura  si  trovarono  grossi  pezzi 
di  bozze  lavorate  di  sassoforte  in  forma  di  cuneo,  leggermente  scavate  in  tondo  sul 
lato  largo,  simili  a  quelle  avanzate  alla  rovina  della  volta  nell'ipogeo  della  Pic- 
trera  ('),  perciò  indubbiamente  cadute  da  quel  ripido  poggio  nella  valle  di  Franchetta, 
e  poi  raccolte  e  portate  alla  riempitura  della  buca  in  discorso  ;  onde  il  sepolcro,  cui 
appartenevano  è  posteriore  alla  costruzione  del  tumolo  della  Pietrera  e  alla  riedifi- 
cazione del  suo  ipogeo. 

La  buca,  quadra  in  pianta,  era  lunga  m.  4,  larga  m.  2,  alta  m.  2,30,  e  nel 
suo  fondo,  sopra  un  piano  durissimo,  trovai  con  mia  sorpresa,  distesi  sul  dorso,  ma 
non  interi,  due  scheletri  quasi  uno  all'altro  accosti  col  capo  a  est  a  valle,  ambedue 
di  età  molto  avanzata,  per  quanto  potessi  desumerlo  dallo  stato  di  consumazione  dei 
denti  e  dallo  spessore  delle  pareti  del  cranio.  Di  fuori  e  superiormente  ad  ambedue 
le  teste  posava  la  meravigliosa  accetta  di  bronzo  in  perfetto  stato  di  conservazione 
di  cui  qui  riporto  il  disegno  (tìg.  24). 

Si  compone  di  una  lama  forte  e  robusta  da  lavoro,  lunga  cent.  18,  con  ta- 
gliente tuttora  affilato,  largo  cent.  8,  della  stessa  forma  delle  accette  di  ferro  anch'oggi 
in  uso,  meno  l'occhietto.  Le  sue  orecchiette  sull'estremo  opposto  al  taglio,  si  prolun- 
gano per  cent.  8  e  vanno  a  aderirsi,  mediante  due  prolungamenti  per  ciascun  lato,  ad 
un  manico  rotondo  e  molto  pesante  di  ferro.  Questo  è  ricoperto  da  forte  lamina  di  bronzo, 
ed  è  posto  ad  angolo  acuto  con  la  lama  ;  la  qual  lamina,  dopo  una  lunghezza  di  cent.  28, 
termina  in  un  cartoccio  rafforzato,  sull'orlo,  dalla  ripiegatura  della  stessa  lamina.  Nel 
cartoccio  entra  un'asta  rotonda  di  legno  duro,  in  parte  conservata,  assicurata  con  chiodi 

(')  V.  a  pag.  339. 


VETULONIA 


3Ò2  — 


RBOIONK    VII. 


^r' 


jiassanti  e  ribaditi,  lunga  precisamente  m.  1,  munita  di  elegante  ghiera  all'estremità  op- 
posta. E  uu  oggetto  di  grandissimo  pregio,  tanto  per  la  sua  conservazione  da  permettere 
ancheggi  di  servircene  senza  tema  di  romperlo,  quanto  per  farci  assiouniti  dol  modo 
col  quale  le  accette  di  bronzo  o  paalstab  degli  antichi,  di  questa  forma  senza  occhio 
0  fessura,  erano  assicurate  al  manico,  e  adoprate.  Ma  la  nostra  è  forse  un'accetta 
sacerdotale  che  non  doveva  aver  mai  servito,  né  essere  mai 
rimasta  senza  il  suo  fodero  di  bronzo  o  di  cuoio  ;  da  cui  la 
sua  perfetta  integrità. 

Presso  la  detta  accetta  e  di  fuori  alla  testa  dello  sche- 
letro di  sinistra  era  un  incensiere  di  bronzo  (tig.  25),  simile  in 
tutto  ad  altii  ritrovati  nei  circoli  di  pietre  e  segnatamente  a 
quello  levalo  dalla  tomba  dol  Duce  (')  e  da  uno  dei  circoli 
delle  Pellicce  (■').  La  catena  è  formata  come  in  quelli,  di  pid 
ordini  di  colonnette  di  bronzo  che  si  articolano  coi  loro  oc- 
chietti, e  girano  entro  assi  orizzontali,  uno  dei  quali,  al- 
l'estremo superiore  sostiene  un  manubrio  grave  ad  anello.  Ma 
in  questa  catena  l'asse  inferiore  è  sostenuto  dalle  inani  e 
dalle  braccia,  portate  in  alto,  di  una  figma  umana  nuda, 
tagliata  a  metà  del  petto  e  fermata  su  quattro  petali  cadenti. 
Questi  petali  escono  da  un  boccio,  da  cui  inferiormente  parte 
un  pernio  destinato  a  rimaner  fissato  al  coperchio  dell'incen- 
siere a  cono  fenestrato;  coperchio  e  incensiere,  ritrovati  in- 
sieme, simili  a  quelli  delle  tombe  surricordate. 

Accanto  all'incensiere  posava  un  elmo  conico  liscio  ri- 
dotto in  pessimo  stato.  Sul  petto  del  medesimo  scheletro  di 
sinistra  stavano  diverse  fibule  di  bronzo,  frantumate,  coperte 
di  foglia  d'oro,  e  altre  a  corpo  di  ambra,  anche  queste  in 
frammenti. 

Lateralmente  alla  testa  dello  scheletro  di  destra  erano 
due  piccole  spirali  d'oro  liscie,  un  balsamario  di  forma  comune 
e  due  piccole  fusaruole. 

Tutto  il  restante  della  buca  centrale  era  stato  da  tempo 
remotissimo  rovistato  mediante  una  fossa  a  tutta  profondità, 
che  avea  tagliato  gli  scheletri  a  metà  del  petto,  conservandoci 
cos'i  tutti  gli  oggetti  che  erano  stati  deposti  presso  la  testa 
dei  defunti. 


Fio.  21.     l:7 


Teno  sepolcro  di  Franchetla. 
Era  i)oco  più  grande  del  precedente  e  come  quello  limitato  da  un  circolo  di  pietre 
per  ritto  accostate  fra  loro  e  un  poco  inclinate  in  fuori. 

Conteneva  ugualmente   una  buca  centrale,  già  anch'  essa  anticamente  esplorata. 

(')  I.  Falchi,   Veliilonia  e  la  lua  necropoli,  V-  ^^--  <»*'•  ^'-  ^- 
(«}  Op.  cit.  pax    171,  tttv.  XV.  21. 


REGIONE    VII. 


—  353  — 


VETOLONIA 


nella  quale  erano  avanzi  di  uno  scheletro,  senz'  alti-i  oggetti  che  quattro  ciotole  liscie 
di  robusta  lamina  di  bronzo,  ben  conservate,  un  balsiuiiario  fittile  di  forma  comune, 
qualche  ambra  frammentata  e  un  morso  ossidato,  di  ferro,  da  cavalli. 

Sull'orlo  di  detta  buca,  a  sud,  era 
stato  deposto  un  gruppo  di  oggetti  di 
bronzo  e  di  cocci,  fra  i  quali  potei 
riconoscere  soltanto  una  lamina  bucata, 
che  era  forse  l'avanzo  di  una  grattugia. 
E  dal  lato  opposto,  a  nord,  presso  l'orlo 
della  medesima  buca,  stava  altro  de- 
posito, posato  sulla  nuda  terra,  costi- 
tuito da  diversi  vasi  di  bucchero  fram- 
mentati col  piede  a  cono,  del  solito 
tipo  di  quelli  comuni  a  tutti  i  circoli 
di  pietre  ;  da  altra  catena  da  incensiere 
simile  a  quella  precedentemente  de- 
scritta del  secondo  sepolcro,  anch'  essa 
ben  conservata,  ma  senza  la  figura 
umana  a  sostegno  dell'ultimo  asse  della 
catena;  e  da  una  fermezza  d'argento 
frammentata  ricoperta  di  lamina  d'oro. 

Quarto  sepolcro  di  Fraiichetta. 

Mentre  gli  altri  tre  sepolcri  di 
cui  ho  detto  sopra  erano  soltanto  un 
poco  rigonfi  in  modo  da  permettere 
all'aratro  di  passarvi  comodamente  al 
di  sopra  pei  lavori  campestri,  il  quarto 
era  un  vero  e  proprio  tumolo  pronun- 
ziato e  raccolto  come  il  tumolo  àA 
figulo  alle  Migliarino,  alto  m.  4,80  con 
una  circonferenza  di  circa  m.  4u,  limi- 
tato da  un  muro  di  pietre  per  piano, 
in  qualclie  punto  conservato,  che  faceva 
da  terrazza  al  poggetto. 
Img.  2C.    1:3  Per  quanto  sapessi  che   i   tumoli 

in  generale  hanno  tutti  provato  l'azione 
di  un'antica  esplorazione,  non  nego  che  la  regolarità,  che  questo  presentava  nella  sua 
forma  esteriore,  mi  aveva  fatto  sperare  un  qualche  interessante  ritrovamento;  ma 
all'infuori  di  un  oggetto  preziosissimo  per  caso  gettato  nella  cucumella,  di  cui  ora 
dirò,  non  lui  oll'ei'to  lino  ad  oggi  niente  di  interessante. 

11  tumolo  era  foniiato  all'esterno  da  schietta  terra,  e  nel  centro  da  sassi  gettati 


VBTDLONIA  —   354   —  KEOIONE    VII. 

a  caso,  i  quali  ricoprivano  una  <4ran  fo.ssa  in  quadro  scavata  molto  profondamento 
alla  basìu  del  tuuiolo.  Questa  volta  la  buca  era  stata  ^à  visitata  mediante  un  pozzo 
larjjo  sulla  cima  della  cucunu'Ua  ;  e  può  darsi  clic  quella  soddisfacesse  all'avidità  dei 
ricercatori.  Solami-nte  pre.-so  l'orlo  della  gran  buca  centrale,  a  ovest  di  questa,  compar- 
vero, deposti  sulla  nuda  terra,  diversi  vasi  di  bucchero  col  piede  a  cono,  grandi  o 
piccoli,  che  ripetono  esattamente  la  forma  di  tutti  gli  altri  usciti  dai  circoli  di  pietre, 
i  quali  erano  forse  abbelliti  di  sfoglia  d'oro  ritrovata  in  quantità  tra  i  frantumi  di 
quei  medesimi  tittili,  e  1.')  pallottole  fenestrate  di  bronzo  che  forse  avevano  servito  ad 
uso  di  bottoni;  tinalmente  13  campanelle  pure  di  bronzo  e  pezzi  di  cerchioni  di  ruote. 
Il  tumolo  per  altro  non  fu  interamente  esplorato  in  riguardo  di  una  grossa  piantii 
d'ulivo  che  prometteva  un  abbondante  raccolto;  e  se  in  seguito  si  veritìcheranno  im- 
portanti ritrovamenti,  tornerò  a  parlarne  nella  futura  mia  relazione. 

L'oggetto  interessantissimo  cui  ho  sopra  accennato  fu  rinvenuto  al  quarto  giorno 
di  lavoro  fra  la  terra  e  i  sassi  del  tumolo,  sotto  due  metri  dalla  superficie,  e  con- 
siste in  un  frammento  di  statua  al  naturalo,  simile  ad  altro  comparso  lo  scorso  anno 
nel  gran  tumolo  della  Pietrera,  ma  di  un  pregio  grandemente  maggiore. 

È  una  testa  al  naturale,  con  parte  del  collo  e  del  petto,  in 
sassofetido,  che  ha  di  veramente  eccezionale  la  particolarità  di 
essere  sbozzata  e  condotta  a  un  buon  punto,  e  poi  dallo  scultore 
abbandonata  e  gettata  via  per  motivi  a  noi  ignoti,  ma  che  ci  da- 
remo cura  di  investigare  (tìg.  26).  Qualunque  la  ragione  per  cui  non 
fu  rifinita,  il  suo  pregio  straordinario  consiste  appunto  nell'essere 
essa  incompleta,  e  nel  presentarci  una  scultura  aiTestata  ad  un 
primo  periodo  del  suo  svolgimento,  che  ci  rivela  il  processo,  ossia 
la  maniera  usata  per  potere  scorgere  fino  dai  primi  tratti,  come 
Fio.  26  1:13  nella  penombra,  l'immagine  da  riprodursi,  non  meno  che  per  as- 
sicurarsi della  sua  buona  riuscita  al  confronto  di  un  soggetto  già 
modellato  o  di  una  maschera  che  stava  forse  dinanzi  agli  occhi  dello  scultore;  il 
quale  la  esamina,  la  confronta  e  finalmente  si  decide  ad  abbandonarla.  È  questa  l'im- 
pressione che  si  riceve  a  un  primo  colpo  d'occhio  sulla  nostra  scultura  ;  ma  la  ragione 
per  cui  rimase  incompleta  non  è  forse  che  ossa  non  corrispondesse  all'ideale  di  chi 
la  scolpiva,  ma  ben  altra  come  ora  vedremo,  per  cui  fu  di  necessità  abbandonarla. 

Questo|_monumento  preziosissimo  è  parte  di  una  scultura  di  donna,  indubbiamente 
destinata  al  vicino  tumolo  della  Pietrera,  lavorata  a  poca  distanza  a  sud  di  questo, 
jwi  raccolta  come  un  sasso  qualiinciue  e  adoprata  con  tanti  altri  sassi  a  formare  la 
cucuuiella  ivi  presso  situata  di  Franchetta.  ove  la  mancanza  di  ogni  altro  frammento 
e  di  ogni  costruzione,  non  che  le  circostanze  del  ritrovamento  escludono  in  modo  certo 
che  ad  essa  appartenes.xe.  D'altra  parte  la  distanza  di  questo  tumolo  da  altri  di  gran 
mole  esistenti  nella  necropoli  di  Vetulonia  tolgono  di  mezzo  anche  il  dubbio  di  altra 
provenienza. 

Da  questo  primo  fatto  si  può  intanto  trarre  la  deduzione  che  la  piccola  ciicu- 
mella  di  Franchetta  è  presso  che  contemporanea  al  tumolo  della  Pietrera,  senza  poter 
dire  con  precisione  se  essa  rimonti  all'età  del  i>rimo  ipogeo  o  al  tempo  della  riedi- 


REGIONE   VII.  —   355   —  VETULONIA 


ficaziono  del  secondo  in  quel  medesimo  tumolo  (')  costruiti.  Solamente  è  a  osservarsi 
che  il  secondo  sepolcro  di  Franchetta,  di  cui  si  è  detto  jioco  fa,  in  cui  sono  apparse 
le  bozze  a  cuneo  di  sassoforte,  è  sicuramente  posteriore  alla  rovina  del  primo  ipogeo 
della  Pietrera;  e  dovendo  ritenere  questo  secondo  sepolcro  posteriore  ancora  alla  cu- 
cumella  di  Franchetta,  per  trovarsi  esso  in  una  posizione  più  infelice  ed  in  mezzo 
ad  altri  sepolcri,  si  sarebbe  indotti  a  ritenere  quella  cucumella,  e  quindi  anche  la 
scultura  in  essa  ritrovata,  appartenuti  piuttosto  al  tempo  della  costruzione  del  primo 
ipogeo  che  all'etìi  del  secondo  della  Pietrera. 

Ma  ciò  sia  o  non  sia,  di  che  meno  importa,  l'osservazione  di  cui  più  preme  tener 
conto  si  è  che  la  scultura  in  esame  ci  richiama  ad  altra  uscita  nello  scorso  anno  dal 
tumolo  della  Pietrera  (-),  alla  quale  tanto  a  me  sembra  si  rassomigli  da  farmi  nascere 
il  dubbio  che  ambedue  si  riferiscano  ad  un  medesimo  soggetto,  l'una  incompiuta  e 
rifiutata,  l'altra  rifinita  e  collocata  al  posto  cui  era  destinata.  E  infatti  chi  prenda  in 
esame  comparativo  le  due  sculture,  riscontrerà  facilmente  che  esse,  oltre  ad  avere  le 
medesime  proporzioni,  rivelano  un  medesimo  pensiero,  un  medesimo  concetto  e  direi 
quasi  la  medesima  espressione.  La  faccia  è  ugualmente  lunga  e  magra,  uguale  è  il 
movimento  delle  ciglia  e  la  forma  del  mento,  uguale  e  molto  allungato  l'angolo 
mascellare;  e  con  una  stessa  maniera  scendono  dal  capo  i  capelli  riuniti  in  grosse 
trecce  che  passano  dietro  le  orecchie,  allargandole,  per  condursi  sul  nudo  seno.  Sola- 
mente la  scultura  di  Franchetta  è  semplicemente  sbozzata,  per  cui  le  ciglia  sono 
appena  marcate  dall'arco  ciliare  sull'affossamento  dell'orbita,  e  le  protuberanze  mediane 
della  gobba  frontale,  del  naso  e  del  mento,  sono  costituite  da  un  solo  rilievo  rettilineo 
longitudinale  che  si  direbbe  ottenuto  con  un  sol  tratto  di  uno  strumento  tagliente,  e  le 
trecce  dei  capelli  si  veggono  rappresentate  informemente  da  due  grossi  cordoni  ango- 
losi che,  spostando  e  allargando  il  padiglione  già  tracciato  dalle  orecchie,  scendono 
anch'essi  in  basso  e  in  avanti  sul  petto. 

Al  momento  in  cui  la  figura  fu  abbandonata  sembra^ che  lo  scultore  attendesse 
a  svilupparne  il  seno,  di  cui  una  parte  in  alto  è  già  scoperta  e  quasi  rifinita,  mentre 
in  basso  rimane  tuttora  un  rilievo  rude  globoso  da  doversi  remuovere.  È  questo  forse 
il  punto  ove  l'artista  dette  scoraggilo  l'ultimo  suo  colpo  di  scalpello;  ma  attenta- 
mente osservata  questa  nostra  scultura  nel  suo  insieme  e  nei  suoi  contorni  a  me  sembra 
scorgere  dal  lato  sinistro,  di  fuori  all'orecchio,  un  incavo  che  esteticamente  disarmo- 
nizza con  le  linee  rigonfie  terminali  del  lato  opposto,  a  causa  del  quale  la  treccia 
corrispondente  è  più  dell'altra  abbassata  e  schiacciata  per  entrare  ugualmente  dietro 
il  padiglione  dell'orecchio.  Sembrerebbe  insomma  che  lo  scultore  si  fosse  adoprato  a 
riparare  o  a  un  difetto  della  pietra  o  a  una  sfaldatura  verificatasi  nel  lavorare  attorno 
all'orecchio  sinistro  della  sua  figura,  e  che  in  principio  abbia  creduto  di  esservi  riu- 
scito, per  cui  si  dette  a  svilupparne  il  petto;  ma  che  poi,  riscontrata  la  persistenza 
di  im  difetto  troppo  sensibile  al  lato  sinistro  della  testa,  finisse  col  decidersi  ad  ab- 
bandonarla, facendola  ruzzolare  nella  valle  sottostante  al  poggio,  ove  ora  la  sua  stanza 

(1)  Notizie,  1803,  \k  50'?.  508- 

(2)  Ib.  p.  510,  fig  •!. 

Ci.ASsK  1)1  sciKNZK  MORALI  ccc.  —  Mkmoiuk  -  •  \ul.  II,  teorie  5',  parte  2"  4-5 


VBTDLONIA 


—   35(j    —  REOIONE   VII. 


di  lavoro,  da  dove  poi  fu  levata  e  condotta  nella  formazione  del  vicino  tumolo  di 
Franchetta.  Può  darsi  che  io  non  abbia  indovinato  la  causa  che  indus^ie  lo  scultore  a 
ri<»ettaa'  quella  sua  opera;  in  ogni  modo  questa  scultura  solamente  sbozzata  è  sempre 
un  monumento  interessantissimo  per  la  storia  dell'arto  da  preferirsi  ad  altro  ritinito 
e  completo. 

Con  questa  mia  relazione  non  rimane  compiuto  il  resoconto  degli  scavi  praticati 
sul  poggio  di  Vetulouia  nella  primavera  dell'anno  189;i,  imperocché  agli  splendidi 
resultati  ottenuti  con  le  e^plorazioni  in  quella  stemiinata  necropoli,  dovrei  unire  la 
desci-izione  di  quelli  più  splendidi  ancora  conseguiti  sull'area  della  città  di  'Vetulonia, 
entro  il  cerchio  delle  sue  portentose  mura  di  cinta,  e  dire  del  disseppellimento  di 
una  parte  di  quella  stessa  città,  dei  suoi  muri  avanzati  ad  un  antichissimo  incendio, 
delle  sue  strade,  dei  suoi  pozzi,  dei  tanti  oggetti  levati  dalle  sue  rovine,  delle  mol- 
tissime monete,  in  gran  parte  di  Vetulonia,  tolte  alle  sue  macerie.  Ma  avendone  il 
prof.  cav.  Milani  anticipata  la  notizia  in  due  suoi  rapporti,  uno  dei  quali  :  Una 
seconda  Vetulonia,  stampato  come  manoscritto  e  comunicato  ai  Lincei  nel  giugno  189a, 
l'altro:  Le  ultime  scoperte  Veluloniesi  a  Colonna,  letto  nell'adunanza  dei  Lincei  sotto 
di  26  novembre  successivo,  verrò  a  parlarne  nella  relazione  dei  futuri  scavi,  i  quali 
spero  mi  sani  concesso  di  continuare  oltre  che  nella  necropoli,  anche  sull'area  dell'an- 
tichissima cittìi.  Frattanto  verrò  a  dire  di  altri  importanti  ritrovamenti  verificatisi 
fuori  degli  scavi  governativi  sul  poggio  di  Vetulonia  nell'anno  1893. 

Di  altri  importanti  ritrovamenti  sul  poggio  di   Vetulonia. 

Tre  grandi  mole.  Nell'anno  1892,  dopo  sospesi  gli  scavi  governativi  nel  tumolo 
della  Pietrera,  il  sig.  Angiolo  Guidi  di  Vetulonia,  cui  piace  di  frugare  per  proprio 
conto  nelle  sue  possessioni,  venne  a  scoprire,  in  luogo  detto  la  Leccetina  entro  il 
cerchio  delle  mura  urbane,  lungo  il  braccio  che  conduce  a  Colonna,  a  sinistra  di 
questo  scendendo,  a  forse  m.  300  dall'arce  di  Vetulonia,  grandi  avanzi  di  antichissimi 
fal)bricati  sepolti  sotto  m.  1,50  dalla  superficie.  Di  questi  fabbricati  non  posso  dare 
alcune  informazioni  perchè  erano  .stati  di  mano  in  mano  ricoperti  o  scomposti  nel 
procedere  degli  scavi  ;  solamente  al  cessare  di  questi  rimase  scoperta  una  stanza  grande, 
la  quale  nell'occasione  di  una  mia  gita  a  Vetulonia  potei  osservare,  insieme  a  pochi 
oggetti  avanzati  alla  spedizione  già  fatta  al  Museo  di  Grosseto  dal  sig.  Angiolo  Guidi 
di  tuttociò  che  di  più  importante  avea  ritrovato  in  quella  località  e  altrove. 

La  stanza  non  interamente  esplorata  era  situata  forse  a  m.  3  di  distanza  dalla 
via  che  conduce  a  Colonna,  la  quale  in  quel  punto  è  alta,  e  passa  metri  due  al  di 
sopra  dell'antico  piano  stradale  etrusco;  onde  è  dato  congetturare  che  il  suo  ingresso 
corrispondesse  alla  strada  surricordata.  Questa  stanza  era  costituita  da  un  vuoto  quadro 
di  circa  m.  1,.'J0  por  lato,  ed  era  limitata  da  muri  a  secco,  alti  in  qualche  punto 
m.  1,80.  Sul  Iato  est  si  conservava  la  bocca  di  im  forno  costituita  da  due  pilastri  per- 
perdicolari  di  sassomorto,  sormontati  da  un'arcliitrave  della  stessa  pietra  tagliato  infe- 
riormente ad  arco.  Nel  profondo  si  conservava  una  terra  di  color  rosso  con  molti  avanzi 
di  enil)rici  e  di  tegoli,  e  al  di  fuori  dello  scavo  da   ogni   parte   erano  rottami  in  gran 


REGIONE    VII. 


—  357  — 


VETULONIA 


quantità  di  vasi  fittili,  per  lo  più  anfore  alcune  «grandissime,  ma  tutto  liscie,  di 
ferri  informi  e  di  bronzi  irriconoscibili.  Seppi  dal  proprietario  clie  entro  questo  vano 
erauo  state  ritrovate  due  macine  in  pezzi,  una  statuetta  di  bronzo,  una  calotta 
pure  di  bronzo,  e  diverse  moneto.  La  statuetta,  del  peso  di  circa  10  chilog.,  avea 
subito  l'azione  del  fuoco,  por  cui  la  testa  specialmente  e  altre  parli  del  coi-po  avevano 
cominciato  a  colare,  e  pare  rappresentasse  una  figura  virile  coperta  di  pallio.  La  ca- 
lotta grande  e  forte,  ottenuta  con  la  fusione,  liscia  nel  suo  interno,  fu  in  principio 
da  me  creduta  una  ciotola;  ma  attentamente  osservata  all'esterno  ho  dovuto  con- 
vincermi che  quella  che  io  credevo  una  decorazione  a  tiammelle,  riproduceva  invece 
i  capelli  corti,  divisi  in  gruppi  appuntati  e  ondulati,  disposti  a  raggio  dal  centro 
verso  l'orlo  esterno;  onde  è  certamente  una  calotta  craniense  destinata  a  coprire  il 
capo  di  una  statua  virile  al  naturale.  Fra  le  monete  alcune  erano  sestanti  di  Vetu- 
lonia  con  la  solita  iscrizione';  del  tipo  delle  due  macine  verrò  a  dire  fra  poco. 


-;»*.i 


Fio.  27. 


Non  mi  trattengo  più  oltre  a  dire  di  questi  e  di  altri  oggetti  ritrovati  dal  sig. 
Angiolo  Guidi,  perchè  in  gran  parte  nemmeno  da  me  veduti,  e  per  darne  informazioni 
più  esatte  mi  occorrebbe  di  fare  una  visita  al  museo  di  Grosseto. 

Nella  scorsa  primavera,  tornato  il  sig.  Angiolo  Guidi  a  rovistare  nella  sua  Leccetiua 
e  a  frugare  nella  stanza  surricordata,  incontrò  altra  mola  in  grossi  pezzi,  la  quale 
io  potei  ricomporre  alla  meglio  e  fotografare  (fig.  27).  Non  posso  dai-e  le  misure 
esatte,  perchè  appena  fatta  la  fotografia,  fu  quella  mola  inviata  a  Grosseto  senza  che 
io  avessi  tempo  di  misurarla:  ne  riporterò  bensì  il  disegno,  tolto  dalla  mia  foto- 
grafia, eseguito  dal  sig.  Guido  Gatti  di  Firenze,  sufficiente  perchè  ognuno  possa  averne 
una  chiara  idea. 

E  alta  circa  m.  1,40  ed  è  formata  di  una  roccia  simile  al  granito  orientale,  la 
quale  per  aver  subito  leggermente  l'azione  del  fuoco  è  diventata  leggiera  e  friabilis- 
sima. Si  costituisce  di  un  cono  posato  sopra  una  gran  vasca  o  piatto  di  terra  cotta, 
sormontato  da  una  mole  internamente   bucata,   la   quale   termina,   superiormente,   a 


VKTULONIA  —   358   —  REGIONE    VII. 

conca  per  servirò  da  traniog^'ia,  o  iiiferiomiento  in  una  specie  di  campana,  che  riposa 
e  si  muovo  sul  cono  surricordato.  Fi-a  la  tramoggia  e  la  campana  è  un  sodo  in  forma 
di  grosso  troppolo,  alle  cui  estremità  sono  le  fessure  destinate  a  ricevere  le  leve  o 
stan^'he  di  legno  e  di  fono,  con  le  quali  si  imprimeva  a  tutta  la  mole  un  movimento 
orizzontale  di  andirivieni  sul  cono  tisso  interiore,  con  che  si  compiva  la  macinazione 
di  ciò  cho  dal  buco  interno  della  tramoggia  cadeva  fra  la  campana  e  il  cono  ora 
detto,  fregando  sulla  sua  superticie  (')• 

Meravigliosa  fibula  d'oro.  Sui  primi  di  luglio,  mentre  si  stava  segando  il  grano 
in  luogo  dotto  le  Costiacce  Bambagini,  che  fan  parte  del  poggio  alle  Birbe  (-)  sul 
poggio  di  Vetulonia  precisamente  a  pochi  metri  a  destra  scendendo  dalla  via  dei 
sepolcri  0  del  piano,  in  vicinanza  di  un  circolo  di  pietre  già  da  antico  tempo  esplo- 
rato, sulla  cui  superticie  furono  ritrovate  le  due  strane  e  curiose  statuette  (^),  una  di 
donna  nuda  che  tiene  tìssa  sul  capo  una  doppia  catenella  di  bronzo,  l'altra  virilo 
itlfallica  che  tiene  in  mano  le  estremiti  della  detta  catenella  per  cui  la  donna  con- 
duce l'uomo  e  questi  guida  la  donna,  un  certo  Ferdinando  Lippi,  nel  sollevare  da 
terra  il  grano  segato  per  legarlo  col  balso,  cosi  almeno  si  racconta,  si  senti  impigliate 
le  dita  in  un  oggetto  metallico,  che  pulito  dalla  terra,  fu  riconosciuto  per  una 
fibula  d'oro. 

Avuto  avviso  di  questo  ritrovamento  e  condottomi  subito  a  Vetulonia.  potei  acqui- 
stare quel  prezioso  cimelio  per  il  museo  Vetuloniese,  ed  eccone  il  disei,'no  (tìg.  28). 


FiG.  28.         2:'? 


È  mancante  della  staffa,  che  doveva  esser  lunga  circa  cent.  12  e  pesante  forse 
quanto  tutta  la  fìbula,  perchè  generalmente  d'oro  sodo,  contuttociò  il  peso  di  questo 
meraviglioso  cimelio  monta  a  grammi  15:  è  in  forma  di  mignatta  come  quasi  tutte 
le  libule  d'oro,  d'argento  e  di  bronzo  cho  si  rinvengono  a  Vetulonia  e  termina  agli 
estremi  con  un  rigonfiamento  solido  a  rocchetto,  da  cui  esce  da  un  lato  la  staffa, 
dall'altro  un  grosso  filo  d'oro  che  dopo  due  volute  a  molla  costituisce  l'ardiglione 
che  è  lungo  cent.  16.  Il  suo  corpo,  leggermente  ammaccato  da  una  parte,  è  formato 

(■)  Il  movimento  di  andirivieni,  anziché  rotatorio,  per  compire  la  macinazione,  è  dimostrato 
diil  fatto  che  tutte  e  tre  le  macine  erano  situate  accoste  alle  pareti  della  stania,  per  cni  non  poteva 
cfTettuarsi  un  movimento  attorno  alla  macina. 

(«)  I.  Falchi,   Vetulonia  ecc.  Tuv.  I.  L. 

(»)  Op.  cit.  tav.  Xni,  33. 


REGIONE    VII.  —   359    —  VBTULONIA 


da  una  sola  robusta  lamina  d'oro  battuta,  i  cui  bordi   sì   sovrammettono  e  riman- 
gono fissi  sulla  concavità  della  fibula. 

Il  pregio  suo  eccezionale  sta  tutto  nella  sua  decorazione  a  pulviscolo  finissimo, 
i  cui  granellini,  grossi  quanto  un  granello  di  sabbia,  appena  si  scorgono  ad  occhio 
nudo.  La  quale  decorazione  ricopre  intunimeute  tutta  la  superficie  della  fibula,  divisa 
in  due  parti  distinto  da  un  meandro,  pur  esso  di  granitura,  che  va  da  un  estremo  al- 
l'altro dèi  monile  passando  per  la  sua  maggiore  convessità.  Da  un  lato  si  veggono  due 
grandi  sfingi  che  occupano  quasi  tutto  il  campo,  le  quali  si  guardano  di  fronte  e  si  toc- 
cano per  una  delle  loro  estremità  anteriori  portata  in  alto.  Sono  ambedue  nello  stesso 
atteggiamento  e  ambedue  a  coda  ritta  e  ripiegata  ;  ma  una  è  a  testa  di  cavallo  a  lungo 
collo,  quasi  di  giraffa,  ed  ha  sulla  groppa  un  quadrupede  che  è  forse  un  cervo;  l'altro 
quadrupede  gli  sta  di  dietro,  e  altro  ancora  è  situato  fra  le  sue  gambe  posteriori  allar- 
gate: sotto  la  pancia  è  collocata  una  figura  umana  nuda  forse  itifallica  col  braccio 
destro  alzato  e  l'altro  presso  il  fianco  corrispondente.  L'altra  sfinge  è  a  testa  umana 
ed  è  alata,  con  un  tralcio  sopra  alla  groppa  e  un  quadrupede  a  bocca  aperta  dietro 
le  natiche  e  sotto  la  pancia.  Fra  le  due  sfingi  si  alza,  nel  centro  della  fibula,  sulle 
gambe  di  dietro,  altro  animale,  che  sembra  un  rettile,  col  collo  e  la  testa  piegata 
verso  la  figura  virile.  Dall'altro  lato  sono  ugualmente  due  sfingi  nella  stessa  attitu- 
dine, ma  una  sembra  a  testa  di  leone  a  bocca  aperta,  l'altra  a  testa  di  cavallo,  ambedue 
parimente  con  un  quadrupede  sulla  groppa  e  altro  sotto  la  pancia.  Questa  decorazione 
a  pulviscolo  si  estende  anche  agli  ingrossamenti  delle  estremità  della  mignatta,  ove 
sono  pure  rilevati  dei  quadnipedi  i  quali  sembrano  in  movimento.  Tutti  questi  animali 
hanno  i  piedi  posati  sulla  concavità  della  fibula,  onde  la  posizione  naturale  del  mo- 
nile è  col  corpo  in  alto  e  l'ardiglione  in  basso  puntato  a  sinistra. 

Coi  futuri  scavi  mi  propongo  di  fare  attive  ricerche  per  tentare  di  recuperare 
la  staffa  e  completare  un  cimelio  di  tanto  pregio;  ma  dubito  assai  di  riuscirvi,  per 
varie  ragioni,  di  cui  qui  non  è  luogo  parlare. 

Monete  ritrovate  fuori  degli  scavi  sul  poggio  di  Vetulonia  nel  eorso  del- 
l'anno 1893.  Le  monete  venute  in  luce  sul  poggio  di  Vetulonia  solamente  nell'anno  1893 
sono  :  N.  3  didi-ammi  d'argento  a  rovescio  liscio  del  peso  di  grammi  8,  nei  quali  è 
da  un  lato  impresso  il  gorgonio  come  nelle  monete  di  Populonia;  ma  due  di  essi 
ritrovati  in  un  pozzo  etrusco,  in  luogo  feracissimo  di  ritrovamenti  arcaici  detto  le  Ban- 
ditene entro  l'area  della  città,  si  distinguono  in  modo  particolare  su  quelli  comuni 
di  Populonia.  Il  gorgonio  è  impresso  tanto  più  profondamente  (fig.  29)  con  zigomi  stac- 
cati dalle  gote  ;  i  suoi  capelli  non  sono  raccolti  e  cadenti  a  pioggia  come  nei  didrammi 
di  Populonia.  ma  arruffati  e  piegati  in  alto  ;  nemmeno  è  diademato  come  generalmente 
quelli  della  città  surricordata,  e  come  quello  qui  riprodotto  (fig.  30)  parimente  trovato 
a  Vetulonia,  ma  ha  sulla  testa  un  segno  non  mai  comparso  in  altri  esemplari,  e  per 
di  più  è  orecchiuto. 

Un  quinario  col  Mercurio  a  sinistra  e  dietro  il  segno  A  o  cinque,  rovesciato, 
del  peso  di  grammi  2. 

Due  sesterzi  pure  a  rovescio  liscio,  ambedue  con  testa  di  moro  a  destra  e  dietro 
<  1 1  0  due  e  mezzo. 


VETULONU  —   300   —  KKtJlONK    VII. 

Duo  ODCo  (li  Vetulonia  impresse  da  ambo  i  lati  cou  faccia  a  doòtra  da  uua,  e 
sotto  la  iscrizione  VATL,  dall'altra  tridente  e  delliui  rovesciati. 

Diiiassetto  sestanti  di  Vetulonia,  non  compresi  quelli  usciti  da^'li  scavi  gover- 
nativi nella  città  in  numero  di  7,  ne  altri  in  numero  di  5  o  ti  ritrovati  dai  signori 
Fratelli  Guidi,  coi  soliti  emblemi  e  la  solita  iscrizione. 

Un'oncia  di  Cosa  con  testa  olmata  da  un  lato,  e  dietro  protome  di  cavallo  e 
l'iscrizione  :  cossano. 


FiG.  29.     1:1  Fio.  30.     l:l 


Un  denaro  romano  coi  dioscuri  a  cavallo  e  dietro  Roma. 

Un  quinario  pure  romano. 

Due  assi  romani  assai  pesanti  per  quanto  consunti. 

Due  monete  della  Campania. 

Uua  moneta  d'oro  piccola  dell'età  costantiniana. 

Quattro  mouetn  di  bronzo  bizantine,  una  delle  quali,  ben  conservata,  di  Licinio. 

Sei  monete  di  bronzo  irriconoscibili,  una  sola  delle  quali,  forse  cartaginese,  lascia 
vedere  due  spighe  sopra  una  delle  sue  faccie. 

Fu  pure  raccolta  una  moneta  d'oro  di  Emanuele  Filiberto. 

Tutte  questo  monete  da  me  acquistate,  sono  state  raccolte  sul  poggio  di  Colonna 
ad  eccezione  della  moneta  d'oro  di  Emanuele  Filiberto,  ritrovata  da  certo  Fioronzoni 
a  qualche  distanza  lungo  la  via  Emilia. 

Questa  abbondanza  di  monete,  venute  a  scoprirsi  nellauno  1893,  è  dovuta  alle 
dirotte  pioggie  dell'estate  che  ne  hanno  favorito  il  ritrovamento,  e  non  meno  alle  mie 
incessanti  premure,  perchè  ninna  sfuggisse  alla  collezione  Votuloniese.  Tre  o  quattro 
nonostante  sono  passate  nelle  mani  del  sig.  Grembialini  di  Massa  Miirìttiina,  castrino 
molto  stimato  che  fa  frequenti  gite  a  Vetulonia,  da  cui  il  prof.  Milani  comprava 
nel  maggio  decorso,  nella  città  stessa  di  Massa,  alcune  monete,  fra  le  quali  due  sestanti 
di  Vetulonia. 

I.    F.M.CUl. 


ROMA  _    361    —  ROMA 

VII.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  eitlà  e  nel  suburbio. 

Regione  III.  Nella  escavazione  per  fondare  il  muro  di  facciata  della  nuova 
fabbrica  delle  Religiose  dette  del  Sangue  sparso,  in  via  di  s.  Giovanni,  a  m.  4,70 
sotto  la  strada  odierna,  si  è  incontrato  un  tratto  dell'antica  via  lastricata  coi  soliti  poli- 
goni di  selce;  ed  alla  maggiore  profondità  di  m.  1,20  è  stata  messa  allo  scoperto  la 
volta  di  un'antica  fogna,  costruita  in  muratura. 

Per  i  lavori  di  sistemazione  della  via  Labicana,  alla  distanza  di  circa  m.  100 
dall'ingresso  delle  terme  di  Tito,  ed  a  m.  8,55  dall'asse  della  strada,  si  sono  trovati 
avanzi  di  antiche  costruzioni  in  opera  laterizia.  In  uno  di  questi  muri  si  apre  una 
porta  larga  m.  1,25  con  arco  a  sesto  ribassato. 

In  via  Carlo  Alberto,  a  piccola  distanza  dall'angolo  sinistro  della  via  di  s.  An- 
tonio, è  apparso,  alla  profondità  di  m.  4,50,  un  pozzo  circolare  scavato  nel  terreno 
vergine,  il  quale  ha  il  diametro  di  m.  0,70  ed  è  profondo  m.  14. 

Regione  IV.  Facendosi  la  nettezza  al  Foro  romano,  è  stato  trovato,  presso  il 
tempio  di  Romulo,  un  frammento  di  lastra  marmorea,  alto  m.  0,24 X  0,14,  che  conserva: 


È  stato  pure  raccolto  un  pezzo  di  fregio  in  terracotta,  nel  quale  rimano  la  parte 
superiore  di  una  Vittoria  alata,  volta  a  sin.,  che  col  braccio  destro  levato  in  alto  te- 
neva forse  una  corona  od  altro  simile  emblema. 

Regione  V.  Nel  fondare  un  muro  di  recinto,  in  via  Macchiavelli,  presso  il  vil- 
lino Giampietri,  si  è  incontrato  un  avanzo  di  antica  costruzione  a  mattoncini  di  tufo, 
regolarmente  squadrati  ed  uniti  con  un  sottile  strato  di  calcina. 

Regione  VI.  In  via  Quattro  Fontane,  rinforzandosi  le  fondazioni  del  casamento 
posto  al  n.  143,  a  m.  4  sotto  il  piano  stradale  e  alla  distanza  di  m.  3,40  dal  ciglio 
del  marciapiede,  è  stato  riconosciuto  un  tratto  di  antica  strada  romana,  a  grossi  po- 
ligoni di  lava  basaltina. 

Regione  IX.  Un  altro  pavimento  stradale  si  è  incontrato  nel  cavo  per  costruire 
la  nuova  fogna  in  via  dei  Falegnami.  Trovasi  a  m.  4,10  di  profondità  dal  suolo  at- 
tuale; e  per  tutta  la  lunghezza  del  cavo,  dalla  metà  incirca  della  predetta  via  sino 
alla  piazza  delle  Tartarughe,    l'antica   strada   corre   nella   stessa   direzione  della  via 


ROMA 


—  362  — 


BUMA 


odierna.  A  circa  va.  6  sotto  quell'antico  selciato,  è  stata  scoperta  una  fogna,  larga 
ni.  0,85,  alta  lu.  1,55,  costruita  in  muratura.  Fra  le  terre  è  stato  raccolto  un  pezzo 
diU'anfrolo  sinistro  di  un  piccolo  sarcofago  marmoreo,  alto  m.  0,30.  Vi  rimano  una 
ligura  virile  in  piedi,  molto  consunta:  e  sul  fianco,  la  parte  anteriore  del  solito  gri- 
fone alato. 

Regione  XI.  Ricostruendosi  un  casamento  in  via  di  s.  Teodoro  u.  41,  si  è 
raccolto  nello  sterro  del  cortile  un  pi'zzo  di  colonna  di  bigio,  lungo  m.  0,!iO,  col  dia- 
metro di  m.  0,07,  ed  una  piccola  anfora  fittile,  mancante  delle  anse,  alta  m.  0,47. 

Regione  XIII.  Nel  lato  volto  ad  oriente  del  nuovo  monastero  dei  Benedettini 
sull'Aventino,  facendosi  un  cavo  per  la  collocazione  di  un  altro  parafulmine,  alla  pro- 
fondità di  m.  2,00  si  è  incontrato  uu  tratto  di  muro  reticolato,  lungo  m.  1,80,  ed  un 
altro  di  buon  laterizio  largo  m.  0,05,  per  la  lunghezza  di  m.  1,70. 

Prati  di  Castello.  Nel  disfare  i  muri  di  fondamento  dei  bastioni  moderni 
dinanzi  Castel  s.  Angelo,  sono  state  messe  allo  scoperto  parecchie  grandi  travi  di 
quercia  e  di  pino,  che  formavano  la  palizzata  su  cui  era  stata  costruita  la  testata 
transtiberina  dell'antico  ponte  Elio.  Queste  grosse  travi  sono  larghe  in  media  m.  0,50 
e  grosse  m.  0,40.  Hanno  sopra  un  lato  l'incastro  a  maschio  e  femmina,  per  essere 
fortemente  unite  fra  loro;  ed  all'esterno  erano  rivestite  da  grosse  lamine  di  piombo, 
alte  m.  0.20. 

Fra  i  materiali  di  fabbrica,  che  costituivano  le  suddette  fondazioni,  si  è  rinvenuto 
un  frammento  marmoreo  di  Atti  Arvalici,  largo  m.  0,20,  alto  m.  0,15,  grosso  m.  0,048. 
Vi  si  legge  : 


,  AVT  EOMELIORE-' 
RISASTTVEAITA  F/ 
TVA\TIBIPROCONL 
FRATRVMARVALIVA\' 
AVRATOVOVEO  ESSE  F 
aLX£ROPTIA\EA\A> 


Spetta  questo  frammento  alla  invocazione  solenne,  con  la  quale  il  collegio  ar- 
valico  al  principio  di  ciascun  anno  faceva  voti  per  la  salute  dell'  imperatore.  Oltre  i 
caratteri  paleografici  e  la  fonnola  stessa  del  voto,  propria  degli  atti  più  antichi,  si 
hanno  qui  due  dati  caratteristici,  per  i  quali  possiamo  stabilire  con  sicurezza,  che 
il  frammento  deve  .as-segnarsi  all'impero  di  Claudio,  e  precisamente  ad  uno  degli  anni 
fra  il  óO  e  il  •>{  dell'era  nostra. 


ROMA  —   363   —  ROMA 

In  fatti  è  da  notare  in  primo  luogo,  che  questa  parte  degli  Atti  fu  scritta  so- 
pra una  tavola  marmorea,  elio  ha  dimensioni  cosi  ristrette,  da  non  superare  in  lar- 
ghezza i  ventisei  centimetri;  onde  ogni  linea  di  scrittura  contiene  in  media  soltanto 
20  lettere.  In  secondo  luogo  è  da  osservare,  che  mentre  tutti  i  consimili  voti  o  sacrifìci 
fatti  dagli  Arvali  sono  espressi  dal  capo  del  sacerdozio  fratrum  Arvalium  nomine^ 
nel  nostro  marmo  è  adoperata  invece  la  formola  equivalente:  prò  conlegio  fratrum 
Arvalium. 

Queste  due  particolarità,  che  non  s'inconti'ano  in  alcim'  altra  delle  molte  tavole 
arvaliche  superstiti,  appariscono  unicamente  in  quella  che  si  riferisce  ad  uno  degli 
anni  probabilmente  compresi  fra  il  50  e  il  54,  e  trovasi  edita  nel  C.  I.  L.  VI,  2035 
e  noìY Ephem.  epigr.  Vili,  p.  326,  n.  8.  Questa  è  la  sola  tavola,  che  ha  in  ogni 
linea  circa  20  lettere  di  scrittura;  ed  in  essa  soltanto  trovasi  la  formola  prò  con- 
legio. Farmi  quindi  evidente,  che  agli  atti  del  medesimo  anno  ed  al  principio  della 
stessa  tavola,  in  cui  sono  registrati  1  sacritìcii  del  23  e  24  settembre,  appartenga  anche 
il  frammento  testé  rinvenuto,  che  fa  menzione  dei  voti  annui,  emessi  il  3  gennaio 
per  la  salute  di  Claudio.  E  poiché  in  quell'anno,  come  risulta  dai  sacrifici  anzidetti, 
era  magisler  del  collegio  L.  Vitellio,  si  può  ragionevolmente  congetturare,  che  la  con- 
sueta relazione  premessa  al  carme/i  votorum  fosse  redatta  in  questa  guisa  ('): 


a.  d.  Ili  non.  lanuar. 
L.  Vitellius  magister  prò  conlegio  fratrum  Arvalium  vota  nuncupavit  prò 
salute  Ti.  Claudii  Caesaris  Aug.  Germanici:  victimis  immolatis  in  Capi- 
tolio,  quae  siiperioris  anni  magister  voverat,  persolvit  et  inproximum  annum 
nuncupavit^  praeeunte ,in  eadem  verba  quae  infra  scripta  sunt. 


Seguiva  poscia  la  formola  della  votiva  promessa,  di  cui  è  parte  il  frammento 
testé  ritrovato.  Tenuto  conto  del  numero  delle  lettere  da  assegnare  a  ciascuna  riga, 
il  testo  può  essere  reintegrato  nel  modo  che  segue  : 


■luppiter  optine  maxime, 
si  Ti.  Claudius  Caesar  Aug. 
Germanicus,  qicem  me  sentio 
dicere j  vivet  domusq.  eius 
incolumis  erit  a.  d.  ITI  non. 
Jan.  quae  prò ximae  p.  R.  Q.  reip. 
p.  R.  Q.  erunt  f aerini,  et  eum 
diem  eumque  salvum  serva- 
veris   ex  periculis   si   qua 

(')  Cfr.  C.I.L.  VI,  2028:  Hcnzeii,  Ad.  Arv.  p.  95. 
Ci.AssK  DI  sciKN»  MOKALi  ccc.  —  ìIkmorik      Vi'l.  II,  Scrii'  .">',  parte  2' 


ROMA  —  364  —  aoMA 

sunt  eruttive  ante  eum  diem, 
eventumque  bonum,  ita  uti 
Vìe  senlìo  dicere,  dedcris 
eumijue  in  co  statu  quo  nunc 
est  aut  eo  lueliore  servave- 
ris,  ast  tu  oa  ita  f&xsis, 
tiini  tibi  prò  couìegìo 
fra  tr  uni  Arvalium  bove 
aurato  tovuo  esse  fularum. 
Juppitev  optime  mai  me, 
quae  in  verta  tibi  bove 
aurato  vovi  esse  fulurum, 
qiiod  hoc  die  vovi,  ast  tu  ea 
ita  faxsis.  tum  tibi  donum 
quod  conlegium  fratrum 
Arvalium  volet,  p.  ..  attri 
voveo  esse  futurum. 

La  seconda  parte  del  voto,  con  la  quale  ali"  immolazione  del  bove  si  aggiunge 
anche  la  promessa  di  un  donarlo,  trovasi  pure  in  un  altro  frammento  spettante  ad 
uno  degli  stessi  anni  50-54  {C.  I.  L.  VI,  2034),  che  è  stato  reintegrato  dal  Mommsen 
u(t\\' Ephm.  epigr.  IV,  p.  226,  cf.  Vili,  p.  327. 

Il  carme  continuava,  secondo  il  solito,  ripetendo  la  stessa  promessa  votiva  a 
Giunone  regina,  a  Minerva,  alla  Salute  pubblica,  ed  anche  probabilmente  alla  dea  Dia 
ed  al  divo  Augusto,  siccome  trovasi  negli  atti  dell'anno  38;  e  conchiudevasi  la  re- 
lazione coi  nomi  dei  fratelli  Avvali  che  in  conlegio  adfuenint. 

Dallo  stesso  luogo  proviene  un  frammento  marmoreo  scolpito,  di  m.  0,15X0,10. 
spettante  all'angolo  sinistro  superiore  di  un  piccolo  sarcofago  pro1)abilmente  cristiano. 
Della  scultura  piuttosto  rozza  rimane  soltanto  la  parte  superiore  di  un  uomo  bar- 
bato e  coperto  di  pileo,  volto  a  d.,  con  clamide  allibbiata  sulla  spalla  dritta,  che 
potrebbe  essere  uno  dei  Magi  alla  presenza  del  bambino  Gesù. 

Fu  puro  recuperata  nella  demolizione  dei  muri  sopra  indicati  una  parte  d'umetta 
cineraria  quadrata  (m.  0,26  X  0,16),  che  porta  l'epigrafe: 


d  ^M     •      S 

.;^vreliovalV// 

ANO  •  VIXIT •  KVilnos 
XV    M- VII-  D   <.  .  . 


Via  Flaminia.  In  occasione  dei  lavori  por  l'arginatura  della  riva  sinistra  del 
Tevere,  a  valle  del  ponte  Milvio,  a  non  molta  distanza  dal  ponto  medesimo  e  sulla 


ROMA  —    365    —  ROMA 

sponda  del  fiume,  sono  stati  riti-ovati  fra  le  sabbie  i  seguenti  oggetti.  —  Capi- 
tello ionico,  in  tufo,  alto  ni.  0,18,  del  diametro  di  m.  0,27  al  collarino:  l'abaco  è 
di  forma  quadrata  e  misura  m.  0,37  per  lato.  Frammento  di  fregio  fittile  di  forma 
trapezoidale,  spettante  alla  estremità  sinistra  di  un  frontone.  È  largo  m.  0,62  alla 
base;  e  i  due  lati  sono  alti  m.  0,70  e  m.  0,61.  Vi  è  egregiamente  scolpito  a  tutto 
rilievo  un  Genio  alato,  cbe  cammina  verso  sin.,  volgendo  alquanto  la  testa  con  ele- 
gante movimento  delia  persona.  Sostiene  con  la  mano  dritta  la  pesante  clava  di 
Ercole,  sulla  quale  è  gittata  la  pelle  di  leone;  la  cui  testa  cade  dietro  le  gambe 
del  Genielto,  le  zampe  e  la  coda  sul  davanti.  Altro  avanzo  di  fregio  rettangolare, 
alto  m.  0,30,  lungo  m.  0,44.  Superiormente  è  terminato  a  punte  decorate  con  pal- 
mette,  ed  in  basso  è  ornato  da  una  larga  greca.  Vi  è  figurato  ad  alto  rilievo,  un 
animale  fantastico,  di  forma  leonina,  volto  a  dr.,  con  otto  mammelle  sotto  il  ventre  ; 
le  zampe  posteriori  e  la  coda  terminano  in  volute  ornamentali.  Manca  la  testa. 
Vari  frammenti  di  altro  fregio  fittile,  di  dimensioni  minori.  In  alcuni  restano  gli  avanzi 
di  due  bighe,  che  corrono  una  dopo  l'altra  verso  dritta.  Nella  prima  è  una  figura  di 
auriga  con  corta  tunica  e  schinieri;  nella  seconda  sta  una  donna  vestita  di  lungo 
chitone  e  manto,  col  braccio  sinistro  proteso.  Di  altri  pezzi  rimane  la  parte  supe- 
riore, ornata  con  ovoli,  palmette  e  mascheroncini.  Quattro  pezzi  di  canali  con  ante- 
fissa, uno  dei  quali  quasi  intiero  è  lungo  m.  0,58.  L'antefissa  ha  in  basso  una  serie 
di  baccelli,  e  nel  mezzo  di  essi  una  colonnina;  sopra  vi  è  un  mascherone  con  fogliami. 
Tanto  queste  antefisse  che  i  frammenti  di  fregio  sopra  descritti,  portano  tracce  di 
policromia. 

Via  Salaria.  Alla  distanza  di  m.  56  dalla  porta  Salaria,  verso  nord,  scavan- 
dosi per  la  condottura  del  gas,  si  è  scoperto  l'angolo  di  un'antica  stanza  sepolcrale, 
costruita  in  reticolato,  e  con  avanzi  dei  soliti  colombaria  Si  rinvenne  fra  la  terra  una 
stele  di  marmo,  terminata  superiormente  ar  semicerchio,  e  forata  nella  parte  inferiore 
per  innestarvi  un'asse  di  legno  che  ne  proteggesse  l'infissioue  nel  suolo.  È  alta  m.  0,445 
e  larga  m.  0,207.  Vi  si  legge: 

D-M 
TRYPEA^A 
FECI    COIVO 
IS'VO-B-M 
APRIOA^l 
V-AiVIS-XXXX 

Fu  pure  raccolta  un'anfora  di  terracotta,  rotta  nell'orlo  superiore. 

Via  T  i  b  u  r  t  i  n  a .  I  soliti  movimenti  di  terra  per  le  nuove  sepolture  al  Campo 
Verano  hanno  fatto  recuperare  :  un  piccolo  balsamario  di  vetro  ;  uno  stilo  ed  una  tes- 
sera di  osso;  un  pezzo  di  antico  condotto  di  piombo,  anepigrafo;  tre  frammenti  di 
lastrina  di  smalto;  una  lucerna  fittile,  uionolicue,  con  ornati  nel  giro  del  piatto. 

G.  Gatti. 


l'OUPEl 


—   36G    —  REGIONE    1. 


Hkoione  I  (LATIUM  ET  CA.UI'AXIAJ. 

Vlir.  POMPEI  —  Giornale  dei  lavori  redatto  dai  Soprastanti. 

1-4  seltuinbii'.  Prosefruono  gli  scavi  ad  est  della  casa  detta  dol  Laberinto.  e  con- 
tinuano i  lavori  di  restauro  nella  Uegiono  VII,  is.  1»  ed  is.  2'.  Non  avvennero 
scoperte. 

5  detto.  Nello  sterro  della  detta  casa  si  rinvenne:  —  Bromo.  Una  fibula,  lunga 
m.  0.045,  mancante  deirardiglione. 

6-10  detto.  Non  avvennero  rinvenimenti. 

1 1  detto.  Nello  sterro  fu  recuperato  :  —  Dromo.  Un  asse  di  Domiziano,  col  tipo 
della    Victoria  Augusti,  nel  rovescio. 

12  detto.  Non  si  ebbero  scoperte. 

Vò  dotto.  Nello  scavo  della  menzionata  casa  si  recuperò:  —  Bromo.  Un  asse  di 
Tiberio,  di  conio  mal  riuscito. 

14-21  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

22  detto.  Nello  scavo  si  rinvenne  :  —  Bromo.  Frazione  di  uu  asso  di  Claudio, 
con  le  sigle  S  •  C  •  nel  rovescio. 

23-25  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

26  detto.  Fu  trovato  nella  medesima  località  :  —  Bromo.  Un  piccolo  piede  umano, 
munito  di  coturno,  lungo  m.  0,68. 

27-30  detto.  Non  avvennero  scoperte. 
Koma  25  novembre  1894. 


REGIONE    XI.  —    367    —  AOSTA 


NOVEMBRE 


Regione  XI  (TRANSPADANA). 

I.  AOSTA  —  Di  un'antica  porta  scoperta  nel  recinto   romano  di 
Aosta  e  di  un'iscrizione  onoraria  ad  Augusto  quivi  riìivenuta. 

La  somiglianza  della  pianta  di  Aosta  con  quella  degli  accampamenti  militari 
romani  doveva  naturalmente  far  pensare  che  oltre  alla  ben  nota  porta  praetoria  ed 
alla  decumana,  di  cui  esistono  tuttora  alcuni  avanzi,  doveva  la  città  romana  avere 
anche  le  due  porte  a  capo  della  via  pn'ncipalis.  E  ciò  tanto  più  che  non  appariva 
naturale,  che  i  coloni  di  Augusto  non  avessero  sentito  il  bisogno  di  riservarsi  facili 
uscite  dalle  mura  verso  le  campagne  a  sud  e  similmente  verso  le  pendici  a  nord 
della  città,  dove  si  trovano  le  più  soleggiato  e  ridenti  posizioni  dei  dintorni,  nonché 
verso  le  profonde  valli  Pellina  e  di  Si.  Remij,  ricche  di  minerali  e  di  legname  e 
percorse  da  »  quella  via  alle  Alpi  per  la  quale  i  mercadanti  solevano  passare  con 
grande  pericolo  e  pagando  gravosi  pedaggi  ".  Di  questa  via,  al  tempo  di  Giulio  Ce- 
sare, fu  affidata  la  difesa  a  quel  Sergio  Galba,  che  fu  poi  sconfitto  a  Ottoduro. 

Infatti,  gli  autori  che  scrissero  intorno  alle  antichità  di  Aosta  e  della  sua  valle, 
pensarono  tutti  alla  probabilità  dell'esistenza  di  dette  porte  ;  ma  non  avendole  tro- 
vate, nonostante  gli  scandagli  che  uno  di  essi  disse  di  aver  fatti  all'uopo,  si  venne 
nella  conclusione,  non  solo  che  dette  porte  non  erano  mai  esistite,  ma  che  vi  era 
una  ragione  perchè  così  fosse,  essendo  la  città  stata  fabbricata  in  un  tempo  in  cui 
la  strada  verso  la  valle  superiore  del  Kodauo  ed  il  lago  Lemano  non  aveva  ancora 
l'importanza  che  ebbe  più  tardi,  cioè  quando  la  Kezia  venne  occupata  e  furono  creati 
gli  accampamenti  del  Reno. 

Malgrado  l'opinione  di  tanti  studiosi  non  potei  mai,  per  più  ragioni,  convincermi 
di  queste  asserzioni.  Una  di  dette  ragioni  era  l'esistenza  presso  la  torre  medioevale 
di  Ikamafam,  che  avevo  motivo  di  credere  fabbricata  su  di  una  torre  romana,  di  un 
rudere  sporgente  infuori  della  cinta  della  città,  che  altro  non  mi  pareva  poter  essere 
se  non  i  resti  dell'altra  torre,  che  accoppiata  con  quella  doveva  costituire  la  difesa 
di  una  porta.  Un  altro  dei  motivi  por  cui  supponevo  l'esistenza  della  porta  in  quel 
luogo,  era  che  nel  tratto  di  muro,  evidentemente  romano,  e  rivestito  di  pietre  da 
Classe  di  scibnzk  morali  ecc.  —  Memorie  -    Voi.  II,  Serie  5',  parte  2»  17 


AOSTA 


—   3(58   —  REOIONB    XI. 


taglio,  che  si  vedeva  tra  la  torre  di  Braraafam  ed  il  rudero  anzidetto,  si  poteva  notare 
la  testata  di  una  piccola  fogna,  accanto  ad  uno  stipite  di  altra  apertura  che  qualcuno 
diceva  di  una  grande  cloaca  e  che  a  me,  osservandola  dall'alto  del  muro,  dal  quale 
io  la  poteva  scorgere,  pareva  piuttosto  lo  stipite  della  porta  stessa. 

In  questi  dubbi,  profittando  della  presenza  in  Aosta  di  un  nostro  assistente, 
presi,  col  suo  aiuto,  alcune  misure,  e  mi  convinsi  maggiormente  della  giustezza  della 
mia  supposizione.  Indi,  osservato  con  cura  il  lato  interno  di  quella  parte  del  muro  del 
castello  medioevale  di  Bramafam,  sottostante  alla  torre,  ed  avendo  constatato  le  tracce 
di  un  risvolto  nella  costruzione  dell'epoca  romana,  non  mi  restò  più  alcun  dubbio 
sulla  esistenza,  lì  presso,  della  porta  prineijjalix  dextra. 

Restava  a  sapere  quale  l'importanza  dei  resii  di  detta  porta,  che  le  vicende  della 
città  avevano  risparmiato. 

Feci  perciò  scavare  un  pozzo  nel  suolo  dell'  interno  del  castello,  là  ove  avevo 
riconosciuto  i  resti  del  risvolto  del  muro  romano;  e  trovato  subito,  a  pochi  centimetri 
al  di  sotto  del  suolo  attuale,  la  parete  di  levante  di  una  delle  torri,  volli,  senza  fare 
crosso  spese,  accertarmi  dei  punti  essenziali  per  stabilire  la  pianta  esatta  di  tutta 
la  fabbrica. 

Ordinai  perciò  lo  scavo  di  tanti  pozzi  quanti  dovevano  essere  gli  angoli  delle 
torri  che  supposi,  e  che  ebbi  la  soddisfazione  di  trovare  al  posto  indicato,  in  buono 
stato  di  conservazione,  per  l'altezza  varia  da  m.  5  a  m.  2,50,  misurata  dal  suolo  del- 
l'epoca romana. 

Erano  tali  torri  costruite,  come  lo  mura  della  cittiV  a  corsi  regolari  di  selci  di 
torrente,  dalla  faccia  spaccata,  cementati  con  abbondante  malta  di  calce  e  sabbia  e 
rivestiti,  all'esterno,  di  bei  pezzi  di  travertino,  murati  a  corsi  regolari. 

Volli  pure  riconoscere  gli  stipiti  dell'unica  fauce  di  questa  porta;  e  li  trovai 
con  le  loro  scanalature  per  la  cateratta  ;  e  dietro  ad  uno  di  detti  stipiti,  vidi  la  pietra 
su  cui  poggiava  e  girava  il  cardine  inferiore  di  una  delle  imposte.  E  prima  di  tra- 
lasciare il  lavoro,  volli  pure  riconoscere  in  qual  modo  si  accedesse  alle  torri  ;  e  trovai 
le  apposite  porte,  rivolte  verso  la  città,  e  constatai  che  questa  porta  minore,  cioè  la 
prìncipalis  dextra,  a  differenza  della  j>rnetoria.  non  aveva  cortile  chiuso. 

Durante  gli  scavi,  che  portarono  a  queste  scoperte,  si  rinvennero  innumerevoli  resti 
dell'età  romana,  cioè  frammenti  di  tegoli,  embrici,  anfore  e  stucco  dipinto,  tutti  og- 
getti di  demolizione,  provenienti,  probabilmente,  dalla  città. 

Tra  questi  avanzi  mi  parvero  specialmente  interessanti  per  le  nostro  ricerche  i 
molti  pezzi  di  travertino  aventi  una  delle  faccio  scalpellate  a  curva,  simili  a  quelli 
con  cui  sono  costruite  le  mezze  colonne  che  decorano  le  pareti  superiori  del  cortile 
della  porta  pretoria;  poiché  da  essi  si  può  dedurre  che  anche  la  jwrta  principalis 
dextra  avesse  al  di  sopra  del  basamento  finestre  fiancheggiate  da  mezze  colonne. 

Uinvonni  infino,  in  questa  occasione,  tra  i  mateiiali  murari  romani,  con  cui  nel 
medio  evo  venne  chiusa  la  parte  ba.ssa  della  porta  romana,  un  grosso  lastrone  di  pietra 
arenaria,  grigiastra,  con  iscrizione  latina  dedicata  ad  Augusto. 

Dalla  scoperta  della  porta  principalis  dextra  emergo  la  quasi  cortezza  della 
esistenza  della  simmetrica  porta  principnlix  sinistra.  Accertato  che  sarà  questo  fatto. 


REGIONE   XI. 


—  369 


AOSTA 


parrai  che  non  debba  più  porsi  in  dubbio  che  la  via  al  Sommo  Pennino  partisse  da 
Aosta,  salendo  per  le  pendici  dominanti  la  riva  destra  del  Buthier,  come  fa  l'attuale 
strada  e  non,  come  taluno  vuole,  voltasse  verso  la  riva  sinistra  del  torrente,  prima 
di  giungere  al  ponte  pel  quale  entravasi  nella  città  romana,  dal  lato  di  Eporedia. 

A.  d'Andkade. 

L'epigrafe  latina  superiormente  citata,  è  incisa  sopra  un  masso  di  arenaria,  alto 
m.  0,92,  largo  m.  0,68,  spesso  m.  0,28.  Fu  da  me  copiata  sull'originale,  e  dice  : 


IMP  •  CAESAL^a 
Divi  •  TT     A  VG  v""^"!" 

OOS  XI  IMP  v.r 
TRIBVNICPOT/f 
SALASSI-  INCOL 
QVI-  INITIQSE 

incolon/izonl:; 

P  A  T  R  O  N  • 


I  margini  sono  intatti,  salvo  quello  a  destra  di  chi  guarda,  dove  si  notano  varie 
corrosioni.  Nella  superficie  posteriore  sono  i  resti  di  tre  impiombature  ;  nella  superiore 
si  trova  il  buco  per  lo  strumento  destinato  ad  aggrappare  la  lapide  ed  a  sollevarla. 

In  generale  vi  ha  una  disposizione  simmetrica  delle  linee,  salvo  nella  terza,  nella 
quinta  e  forse  anche  nella  seconda. 

Aggiungerò  alcune  osservazioni. 

Nel  verso  1°,  sulla  fine,  la  pietra  è  sgretolata  nel  luogo  che  avrebbe  dovuto  es- 
sere occupata  dalle  due  ultime  lettere  della  parola  Caenc^rf\. 

Nel  verso  2°  è  una  rottura,  per  la  quale  è  scomparsa  parte  di  alcune  lettere. 
Dell' A  di  Augusto  non  rimane  che  leggerissima  traccia;  le  due  ultimo  lettere  poi 
non  sono  totalmente  visibili  ;  supponendole  entrambe,  non  esisterebbe  più  la  posizione 
simmetrica  della  linea. 

Nel  verso  3°  si  ha  la  simmetria  soltanto  in  COS  ■  XI  •  IMP  ■  È  probabile  che  il 
numero  della  salutazione  imperatoria  sia  stato  aggiunto  dopo;  e  ([uiiidi  sia  stato  inciso  in 
carattere  più  piccolo,  sicché  vi  apparisce  solo  una  V  seguita  da  una  lineetta.  Né  vi 
manca  il  posto  per  due  altre,  necessarie  a  formare  il  numero  Vili.  Ma  non  vi  sarebbe 
lo  spazio  per  una  quarta  lineetta,  sicché  il  numero  Villi  della  salutazione  imperatoria, 
che  pure  si  concilierebbe  col  numero  XI  del  consolato  di  Augusto,  è   inammissibile. 


AOSTA  —   370   —  REGIONE   XI. 

Nel  verso  4*  non  apparisco  alcun  segno  di  numero  dopo  il  POT.  Volendo  sup- 
porre che  noi  tratto  niancaute  per  rottura,  fosso  stato  un  numero,  questo  avrebbe  do- 
vuto essere  in  caratteri  molto  piccoli,  incisi  ad  un  certa  distanza  dal  T,  non  in  alto 
uè  in  mozzo,  ma  in  basso;  il  cho  è  assai  improbabile  per  non  dire  impossibile.  Ora 
non  potendosi  ammettere  che  fosse  stato  inciso  un  numero  dopo  la  tribunicia  potestà, 
ne  viene  la  conseguenza  che  sia  stata  questa  la  prima,  la  quale  ottenne  Augusto 
il  27  giugno  del  7'M  di  Roma  (23  av.  Cr.).  Ciò  è  in  piena  armonia  col  consolato  XI 
e  con  la  Vili  salutazione  imperatoria.  Quindi  la  lapide  è  da  riportarsi  al  periodo  tra 
il  27  giugno  del  731,  ed  il  17  giugno  del  732. 

Nel  verso  7°  dopo  CON  ci  è  lo  spazio  per  una  lettera;  ma  è  impossibile  di- 
Bcernerne  la  menoma  traccia  per  i  guasti  sofferti  dalla  pietra  ('). 

Nel  verso  8°  si  può  esser  certi  clie  non  esistesse  la  O  tinaie. 

Fra  i  rottami  di  tegoli  estratti  dallo  scavo  della  porta  meridionale  della  cinta 
romana  di  Aosta,  fatto  per  cura  dell"  Uflicio  regionale  per  la  conservazione  dei  mo- 
numenti del  Piemonte  e  della  Liguria,  quattro  recano  avanzi  di  bolli. 

1. 


Nel  primo  si  legge:  C.  Cas[^si].  Un  tegolo  col  medesimo  nome,  scoperto  ad 
Aosta  nel  1857,  esisteva  nella  collezione  già  del  canonico  Gal,  ora  del  vescovo  mon- 
signor Due  {C.  I.  L.,  V,  n.  8110,  402).  Io  non  l'ho  più  trovato;  quindi  non  posso 
dire  se  il  sigillo  fosse  perfettamente  uguale  in  entrambi  i  tegoli.  Il  bollo  col  nome 
C.  Cassi,  sui  tegoli  del  Gran  San  Bernardo  {Notizie,  1894,  p.  40)  è  più  piccolo  di 
quello  ora  scoperto  ad  Aosta. 

Nel  secondo  rimane  soltanto: 


2.  /4-n1^ 

Un  altro  uguale,  mancante  pure  del  principio,  era  già  conosciuto  {C.  I.  L.,  V, 
n.  8110,  413). 

Nuovi  sono  il  terzo  ed  il  quarto,  dei  quali  non  rimane  che  la  fino  : 


3.  |Ple  |<l 


4.  ftCijlll 

Può  darsi  che  il  terzo  sia  da  completarsi  in  [5<7)]/)e;  ma  ha  fonna  diversa  dal 
bollo  con  questo  nome,  già  occorso  ad  Aosta  (C.  /.  L.  V,  n.  Silo.  407  //,  A),  co- 
munissimo al  Gran  San  Bernardo  {Nolizic,  1892,  p.  444). 

(•)  Da  nn  csAmt  che  abbiamo  fatto  sul  calco  in  gesso,  io,  il  prof.  Bormann  ed  il  dott.  Vaplieri 
abbiamo  creduto  da  principio  riconoscere  alla  fine  di  questo  verso  COIT.  Ma  un  nuovo  esame  pcr- 
sooic  noi  tutti  cho  il  taglio  supcriore  dell'  N  h  accidentale.  F.  B. 


I 


REGIONE   XI. 


—   371    — 


AOSTA 


Molto  abbondanti  sono,  fra  i  rottami  di  fittili,  quelli  di  vasi  con  vernice  rossa, 
talora  finissima,  talora  meno,  ed  in  questo  caso  per  lo  più  molto  lucida  e  di  color 
vivo  quali  sono  quelli  che  provengono  dalle  ofliciiie  di  Arrelììim.  Parecchi  hanno  or- 
namenti e  figure  in  rilievo.  Copiai  i  seguenti  bolli  : 


n) 


COMVNI 


A///////N 


in  un  fondo  di  coppa  o  di  patera  assai  fina. 

b)  \l  L I 

In  orma  di  piede  impressa  in  un  frammentino.  Probabilmente  è  avanzo  di  Gelli,  o 
C.  Gelli  0  L.  Gelli,  bolli  ovvii  nei  vasi  aretini  (Gamurrini,  Iscr.  dei  vasi  aretini 
p.  36  e  Nottue,  1884,  p.  369),  e  non  rari  nel  Piemonte  (cfr.  Mem.  dell' Acc.  delle 
sciense  di  Torino,  serie  II,  t.  XLI,  p.  186). 


e) 


M-PER 


cioè  della  famosa  oflRcina  di  Marco  Perennio  (cfr.  Gamurrini,  o  e.  p.  51;  Notizie  1884 
p.  369). 


d) 


P  RI 

mVs 


Con  un  ramoscello  orizzontale  tramezzante  le  due  righe.  Occorre  in  più  fittili  rinve- 
nuti nella  Narbonese  (C.  /.  L.  XII,  n.  5686,  714)  ed  è  il  nome  assai  noto  di  un 
figulo  dell' officina  Annia  {Primus  C  Anni)  in  Arezzo. 


e)      (rasn) 
Ras{i)n{ii),  noto  fra  i  sigilli  aretini  (Gamurrini,  o.  e,  p.  31). 

f)  /ASCIj 

Da  compiere  in  [^M]asci  o  [of  M]asci,  col  confronto  di  vasi  di  Ginevra  e  di  Aosta 
(Isère)  (C,  /.  Z.,  XII,  n.  5686,  557). 

Appartengono  a  fabbriche  probabilmente  della  Gallia  i  seguenti: 


g)  (severa  of) 


h)    L-CYI 


i)   /SILLI 


k)  Jvrf) 


Un  collo  di  anfora  ha  impresso  il  sigillo  : 


MLIVI 


Due  lucerne  di  terra  rossa  offrono  il  comunissimo: 

FORTIS 

letto  pure  sopra  un'altra  lucerna  di  Aosta,  ma  di  terra  cenerognola,  della  raccola  Gal 
{C.I.L.,  V,  n.  8114,  54  W.W.). 


VERONA  —   372   —  RBQIONE   X 

Nei  lavori  compiuti  nel  18!'l  dallUtìicio  per  la  conservazione  dei  monumenti 
attorno  alla  torre  romana  conosciuta  sotto  il  uomo  di  Pailleron,  ai  rinvenne  un  fondo 
di  coppa  col  bollo  aretino  : 


(sabini  f) 


In  altri  scavi  fatti,  nel  medesimo  anno  e  nel  seguente,  alla  porta  pretoria  si  raccol- 
due  frammenti  di  tegoli  coi  nomi  noti  : 


TMOLI 


SEPPI 


(C.  I.L.,  V,  n.  8I1U,  4u7,  408). 

Un  pezzo  di  tegolo  con  parte  di  sigillo  nuovo  : 

fu  da  me  raccolto  quesfanno  presso  la  chiesa  di  Sant"  Orso  e  consegnato  all'  Ufficio 
menzionato,  ove  si  conserva  pure  una  lucerna  fittile  trovata  nel  1891  ad  Aosta  colla 
leggenda  : 

PHOETASPI 

11  bollo  è  assai  comune,  ma  nuovo  sinora  per  questa  città. 

E.  Ferrerò 


Regioni.:  X  (VENEIIA). 

II.  VHUONA  —  Nei  primi  giorni  di  settembre  il  sig.  Giacomo  Apostoli  ese- 
guiva alcuni  lavori  di  ampliamento  al  suo  opifìcio  di  filatura  di  seta,  e  per  questo 
scopo  lavorava  sopra  una  piccola  superficie  di  terra  da  lui  acquistata  dal  locale  Mu- 
nicipio. Ciò  avveniva  in  città,  nella  contrada  di  s.  Giorgio,  sulla  sinistra  dell'Adige, 
accanto  alla  via  detta  dietro  Mura.  A  circa  m.  l.fìo  di  profondità  gli  operai  incon- 
trarono le  bocche  di  parecchie  anfore  fittili  vinarie,  che  si  trovavano  ritte,  le  une  alle 
altre  addossate,  e  chiuse  entro  una  specie  di  stanza.  Erano  infatti  racchiuse  fra  tre 
muraglie,  di  cui  due  normali  alla  terza,  la  lunghezza  della  quale  misurava  m.  3  circa. 
Furono  raccolte,  più  o  meno  .spezzate,  cinque  anfore,  che  potei  io  stesso  vedere.  Sono 
biansate  e  munite  di  fittone;  non  potei  rilevarvi  alcuna  lettera  o  indicazione  nume- 
rale. Insieme  colle  anfore,  alte  un  metro,  si  rinvennero  anche  tre  vasi  fittili  di  assai 
minore  grandezza,  senza  piede,  coU'orlo  ripiegato.  Misuravano  rispettivamente  in  altezza 
cent.  Iti,  20  e  2ii.  Credo  che  ivi  fosse  una  cella  vinaria.  Gli  oggetti  indicati  pas- 
sarono al  Museo  Civico  di  Verona.  Probabilmente  queste  antichità  non  lianno  relazione 
alcuna  con  un  cumulo  di  ossa  umane  rinvenute,  siccome  venni  assicurato  dagli  operai, 
a  pochi  metri  di  distanza.  C.  Cipolla. 


I 


REGIONE    Vili.  —   373    —  CAORSO 


Regione  Vili  (CISPADANA). 

III.  CAORSO  —  NuoDÌ  scavi  nella  Terramara  Rovere. 

In  altra  mia  Nota  inserita  nelle  Notizie  del  corrente  anno  (pag.  3),  ho  fatto  cenno 
dei  risultati  ottenuti  dal  1891  al  1898  colle  ricerche  eseguite  nella  terramara  Rovere 
di  Caorso  nel  Piacentino.  Stimo  ora  opportuno  di  far  seguire  un'aggiunta  a  quella 
prima  relazione,  riassumendo  i  fatti  osservati  nel  medesimo  luogo  dal  luglio  all'agosto 
u.  s.  colle  nuove  esplorazioni  che  ho  potuto  compiere  pei  mezzi  accordatimi  pur  questa 
volta  dal  Ministero  della  Istruzione  pubblica  e  dalla  benemerita  Cassa  di  Risparmio 
piacentina,  di  che  mi  professo  infinitamente  grato. 

Gli  scavi  dal  1891  al  1893  provarono  all'evidenza,  come  risulta  daUa  planimetria 
inserita  nella  citata  relazione  cui  ora  ripresento  completata,  che  anche  la  terramara 
Rovere  di  Caorso  ha  gli  stessi  caratteri  essenziali  delle  altre  stazioni  simili  dei  pri- 
mitivi Italici,  cioè  la  quadratura  e  l'orientazione,  coll'argine  attorno,  circondato  dalla 
fossa.  Era  inoltre  già  apparso  anche  il  canale  di  immissione,  pel  quale  entrava  nella 
fossa  l'acqua  del  vicino  torrentello  Chiavenna  (lett.  A.  della  planimetria).  Restava 
ancora  da  cercare  il  canale  di  scarico  della  fossa,  e  colle  ultime  indagini  sono  riuscito 
a  scoprirlo  nel  mezzo  del  lato  orientale  (lett.  B).  Chiunque  metta  ora  pertanto  a  con- 
fronto la  planimetria  della  terramara  Castellazzo  di  Fontanellato  nel  Parmense,  già 
data  nelle  Notizie  del  1892,  pag.  452,  con  quella  di  Rovere  di  Caorso  vedrà  tosto 
come  esattamente  si  corrispondano  in  tutti  i  particolari  della  periferia,  e  troverà  in 
ciò  nuovo  argomento  per  ritenere  che  fra  le  varie  terremare  non  vi  ha  alcuna  dif- 
ferenza oltre  quella  della  estensione.  Fra  le  planimetrie  del  Castellazzo  e  di  Rovere 
\ì  ha  questo  solo  di  diverso,  che  nella  prima  è  indicato  il  ponte  pel  quale  vi  si  ac- 
cedeva, ciò  che  nell'altra  non  si  conosce  affatto.  Giova  però  notare  che  fino  a  qui  a 
Rovere  non  si  fecero  per  anco  le  ricerche  relative,  le  quali  porterebbero  senza  dubbio 
a  trovarne  le  tracce  nel  punto  S. 

Ma  le  ricerche  di  quest'anno  erano  rivolte  più  specialmente  a  indagare  se  pure 
a  Rovere  di  Caorso  esistesse  quella  tale  area  limitata  di  terreno  naturale,  detta  co- 
munemente templum,  posta  nel  mezzo  del  lato  orientale  della  stazione,  quale  già  per 
la  prima  volta  fu  osservato  dall'illustre  prof.  Pigorini  al  Castellazzo  ('),  poscia  da  me 
a  Colombare  di  Bersano  nel  Piacentino  (-).  Le  norme  che  mi  guidarono  nella  ricerca 
furono  quelle  stesse  per  le  quali  si  fece  la  scoperta  nelle  due  località  menzionate,  e, 
divisa  quindi  anzitutto  la  stazione  in  due  parti  uguali,  l'orientale  e  l'oecideutale,  lue- 
diante  la  linea  M-M,  cominciai  nella  prima  una  serie  ordinata  di  trivellazioni  da  nord 
a  sud  le  quali  mi  diedero  il  più  felice  risultato  che  potessi  attendermi. 

Con  le  prime  trivellazioni  da  C  a  D  non  ebbi  che  terreno  artificiale,  quello  cioè 
formatosi  tra  i  pali  che  reggevano  le  abitazioni,  o  in  altri  termini  terramara  vera  e 
propria;  ma  arrivato  al  punto  E,  incontrai  un  terreno  come  di  riempimento  di  fossa, 

(')  Rendiconti  .\cc.  d.  Lincei,  (CI.  di  se.  nior.)  sei    d.  29  iiuv.   1803,  l'ag    831. 
V^J  Ib.  sed.  d.  17  die.  1893,  pa.s,'.  998. 


OAORSO 


—  374  — 


REGIONE    Vili. 


che  alla  profondità  di  m.  5  circa  si  mutò  in  vero  pantano,  ossia  un  deposito  mel- 
moso lasciato  dallo  acque  che  ivi  dovevano  stagnare.  Avuta  cosi  la  certezza  di  una 
fossa  all'interno  della  stazione.  ai>rii  senz'altro  nel  punto  indicato  uno  scavo  da  nord 
a  sud  con  riiilendiiueuto  di  tagliarne  trasversalmente  la  sponda  settentrionale,  e  vidi 
che,  levato  il  terreno  coltivabile,  un  altro  ben  distinto  se  ne  presentava  di  tinte  di- 
verse e  senza  dubbio  di  trasporto.  Di  mano  in  mano  che  si  discendeva,  il  terreno  di 
trasporto  e  di  riempimento  scompariva  a  settentrione,  scoprendo  cosi  l'inclinazione 
della  sponda  esterna  della  fossa.  A  m.  ó  circa  mi  arrestai  e,  rilevatane  una  sezione, 


proseguii  collo  trivellazioni  verso  sud,  tinche  ebbi  attraversato  il  terreno  di  riempi- 
mento, col  quale  lavoro  mi  riuscì  facile  di  incontrare  la  sponda  opposta  della  fossa 
0  di  determinarne  la  larghezza  che  è  di  m.   lo. 

Che  nel  punto  K  si  trovasse  la  fossa  non  era  da  dubitare  menomamente,  ma  im- 
portava di  vedere  se  essa,  come  si  doveva  supporre,  chiudesse  a  nord  la  fronte  del- 
l'area limitata  che  io  cercava.  Il  problema  non  fu  di  difficile  soluzione.  Procedendo 
infatti  colle  trivellazioni  da  nord  a  sud,  oltrepassata  appena  la  sponda  meridionale 
della  fossa,  si  presenta,  in  F  un  cumulo  di  terreno  naturale  giallognolo  che  prosegue 


REGIONE    Vili. 


—   375    —  CAORSO 


fino  a  G  per  una  lunghezza  di  iti.  50,  e  appresso,  cioè  in  H,  riapparve  di  nuovo  la 
fossa,  uguale  a  quella  trovata  in  E,  così  per  la  larghezza,  come  pei  materiali  dai 
quali  è  stata  riempita.  Mediante  tali  lavori  era  chiaramente  dimostrato  che  l'area  li- 
mitata 0  templum  a  Rovere  di  Caorso  non  manca,  e  che  lungo  i  due  lati  di  nord 
e  di  sud  esiste  la  fossa  che  la  circondava. 

Toccata  anche  in  H  la  fossa,  non  mi  tenni  soddisfatto  di  averne  accertata  la  esi- 
stenza. Volli  seguirla  da  est  ad  ovest  per  tutta  la  sua  lunghezza,  cioè  fino  al  punto  I 
ove  termina  :  in  I  anzi,  oltre  alle  trivellazioni,  apersi  anche  uno  scavo,  pel  quale  ebbi 
modo  di  osservare  esattamente  l'angolo  sud-ovest  del  templum  e  il  punto  ove  si  con- 
giungono il  lato  meridionale  e  quello  occidentale  della  fossa  (').  Nel  pantano  che  in 
questa  giaceva,  raccolsi  parecchi  cocci  di  piccoli  vasi  tipici  delle  terremare,  molti  fram- 
menti d'ossa  cremate,  un  pezzetto  d'arma  di  bronzo  e  la  punta  di  un  ago  crinale  dello 
stesso  metallo.  È  questa  la  prima  volta  che  si  raccolgono  di  tali  residui  nella  fossa 
che  circonda  l'area  della  quale  parlo,  e  gioverà  forse  tenerne  conto  per  gli  studi  che 
in  proposito  si  potranno  fare  in  avvenire. 

Rintracciato  pertanto  con  questo  scavo  l'angolo  che  formavano  le  due  sponde 
esterne  delle  fosse  di  sud  e  d'ovest,  non  restava  che  di  seguire  l'occidentale,  onde  de- 
terminarne la  lunghezza,  e  dalla  esplorazione  fatta  risultò  chiaramente  che  essa  arri- 
vava fino  al  punto  L,  ove  si  congiunge  esattamente  col  lato  settentrionale  del  quale 
ho  già  parlato.  Inoltre,  studiando  il  lato  occidentale,  sul  fondo  di  essa,  in  N,  trovai 
accumulato,  sopra  un  spazio  di  circa  5  m.,  avanzi  di  legnami,  che  verosimilmente  sono 
i  resti  del  ponte  pel  quale,  dalla  via  mediana  della  stazione  M-M,  si  poteva  acce- 
dere al  templum.  Finalmente  un'ultima  serie  di  trivellazioni  da  0  a  P  mi  condusse 
a  rintracciare  la  fossa  anche  in  Q,  cioè  nel  lato  orientalo,  e  a  determinare  in  pari 
tempo  l'esatta  larghezza  dell'area  che  la  intera  fossa  circoscrive  {-). 

Dalle  mie  osservazioni  pertanto  risulta,  che  l'area  limitata  o  templum,  come  si 
voglia  chiamare,  è  lunga  a  Rovere  m.  50  e  larga  m.  25,  ossia  misura  in  superficie 
m.  q.  12,50,  e  che  la  fossa  che  la  circonda  mantiene  costantemente  la  larghezza  di 
m.  10   colla  profondità  massima  nel  mezzo  di  m.  6. 

La  fossa  è  altrettanto  larga  quanto  quella  che  gira  attorno  all'intera  stazione. 
Fra  l'una  e  l'altra  vi  è  solo  differenza  nella  profondità,  e  mentre  quella  del  temjilìim 
scende  fino  a  m.  (i,  l'altra  invece  non  giungo  che  fino  a  m.  3.  La  ragione  di  questa 
differenza  di  livello  si  ha  forse  nel  fatto  che  la  fossa  interna  non  comunicava  afl'atto 
coir  esterna,  e  che  probabilmente  solo  per  mezzo  di  una  maggiore  profondità  si  otte- 

(1)  I  fatti  esposti  furono  pure  osservati  dal  chiarissimo  dott.  .\lfroilo  Ferrari,  professore  del 
R.  Istituto  tecnico  di  Piacenza  ed  Ispettore  della  Cassa  di  Risparmio  piacentina,  il  quale  il  .'«O  hisrlìo 
mi  fu  compagno  nelle  mie  esplorazioni. 

(2)  Stimo  utile  di  notare  che  nel  mezzo  del  templum,  ossia  nel  punto  K,  mediante  le  trivella- 
zioni eseguite  ho  potuto  osservare  che  alla  profondità  di  circa  m.  3,50,  entro  uno  spazio  limitato, 
vi  ha  un  deposito  melmoso  che  è  da  credere  sia  dovuto  ad  acqua  ivi  stagnante  dopo  la  costruzione 
dell'area  di  cui  ho  parlato.  Del  fatto  non  ho  saputo  darmi  ragione,  ma  esso  acquista  valore  dalla 
circostanza  che  altrettanto  si  verifica  ora  nel  mezzo  del  templum  della  terramaia  Castellazzo  di  Fon- 
tanellato.  Ulteriori  studi  potranno  forse  risolvere  il  nuovo  problema  che  si  presenta. 

Ci.ASSK  DI  sciBNzK  MORALI  ccc.  —  Memorif.  -  ■  Vol.  II,  Serie  .5",  parte  2»  "18 


MELDOLA  -   37(5   -  BEOIONB    Vili. 


neva  che  lacqua  della  seconda  potesse  penetrare  nella  prima  (').  Quanto  all'area  limi- 
tata, dopo  ciò  che  ho  detto  non  credo  occorrano  altro  considerazioni.  Per  rilevarne  la 
sua  iiiiportaii/a.  basta  notare  che,  al  pari  di  quelle  già  scoperte  al  Ca^stcllazzo  e 
a  Colouibaro  di  Uersano,  ai  trova  pur  essa  sul  punto  d'intersecazione  del  decumana 
e  del  cardo,  e  che  come  le  altre  due  è  perfettamente  orientata,  avendo  paralleli 
i  lati  di  est  e  di  ovest. 

Tuttoché  cogli  scavi  eseguiti  tìn  qui  sia  stato  possibile  di  conoscere  la  confor- 
mazione della  terramani  Uovere  di  Caorso  in  ogni  suo  particolare,  pure  non  credo  si 
debba  per  questo  tralasciare  di  faro  in  seguito  sopra  di  essa  altri  studi  .  La  mono- 
.  grafia  di  un  popolo  - ,  scriveva  il  compianto  Chierici,  non  è  compita  se  non  porge 
.  anche  la  descrizione  de'  suoi  sepolcri  '.  Dello  tombe  relative  a  tale  stazione  non 
abbiamo  fin  qui  indizio  alcuno,  e  si  rende  necessario  cercarie  e  rinvenirle.  E  la  sco- 
perta di  esse  sarebbe  tanto  più  importante,  in  quanto  non  conosciamo  fin  qui  alcun 
cimitero  di  terramaricoli  nella  provincia  di  Piacenza. 

L.  Scotti. 


IV.  MELDOTi.V  —  A  sud-est  di  Forlì,  nei  contrafforti  appenninici  di  .Meldoia, 
in  località  che  non  mi  ò  riuscito  di  bene  determinare,  fu  trovato  qualche  tempo  fa  un 
sigillo  di  bronzo,  di  cui  si  olfre  qui  un  fac-simile  alla  grandezza  del  vero. 


Vi  si  troviN  pure  un  campanellino  quadrato  di  bronzo.  Di  ambedue  questi  oggetti  feci 

acquisto  pel  Museo  di  Forlì. 

A.  Santarelli. 


(')  Dei  fatti  osservati  convennero  puro  (ili  eprct'i  sipp.  rap.  L.iporio  sindaco  di  Caor.fo,  prof, 
cav.  Severino  Britridini  preside  del  H.  Istitnlo  tecnico  di  l'iacenza.  Sartori  Carlo  Assessore  comun.ile 
e  Cerri  segretario  comnnalo,  i  quali  n.I  20  ha'lio  visitarono  eli  scavi.  A  questa  visiti»,  in  niaiicau7.a 
del  R.  Ispettore  degli  scavi,  volle  farsi  rappresentare  dal  Sindaco  lo  stesso  sip.  Prefetto.  All'illustre 
fnnzionario,  che  con  tanto  amore  e  sollecitudine  s'interessa  depli  studi  ch'io  sto  compiendo  sullo 
antichità  primitive  di  questa  provincia,  i  sensi  della  mia  più  viva  e  sentita  riconoscenza. 

K  parnii  altresì  ojiiiortuno  di  ricordare  con  animo  v.Tamcnte  riconnscente  il  dotto  cav.  avv. 
fiftetano  (irandi  presidente  del  Consiplio  d'Amministrazione  della  benemerita  Cassa  di  Rispannio,  il 
quale,  insieme  apli  onorevoli  suoi  Cidlephi,  mi  i  oltreraodo  cortese  d'incoraggiamenti  e  di  aiuto. 


REGIONE   VI.  —   377   —  NOVILARA 


Regione  VI  (UMBRIA). 

V.  NOVILARA  presso  Pesaro  —  Fu  già  aunimciato  {Notule  1893,  p.  14) 
che  il  eh.  GamiuTini,  accompagnato  dai  chiarissimi  marchese  Ciro  Antalti,  prof.  IJormann, 
prof.  Zamboni  e  da  altri  amici  nella  seconda  metà  del  1891  esplorò  presso  No- 
vilara  in  ima  delle  colline  che  dominano  la  città  di  Pesaro,  alcune  tombe  a  fossa 
con  scheletri,  e  con  suppellettile  funebre  simile  a  quelle  delle  tombe  a  fossa  vetu- 
stissime scoperte  nelle  necropoli  della  bassa  Etruria  e  del  Lazio. 

Fatte  in  quel  luogo  nuove  ricerche  dal  eh.  prof.  E.  Brizio  direttore  degli  scavi 
di  Emilia  e  Marche  {Notizie  1893,  p.  224),  si  riconobbe  la  convenienza  di  praticarvi 
esplorazioni  sistematiche  per  conto  del  Governo;  non  solo  nel  fondo  di  proprietà 
Servici,  ove  erano  stati  eseguiti  i  saggi  di  scavo  sopra  accennati,  ma  anche  nel  pros- 
simo fondo  parrocchiale  denominato  Tomba,  ove  per  molte  notizie  di  scoperte  pre- 
cedenti rimaneva  accertato  che  estendevasi  un  vasto  sepolcreto.  Attirava  maggiormente 
l'attenzione  del  prof.  Brizio  l'essere  stato  osservato  che  gli  scheletri  rinvenuti  in  queste 
tombe  erano  stati  deposti  con  le  gambe  rannicchiate,  il  quale  costume  trovava  riscontro 
nel  modo  di  seppellire  usato  in  altri  sepolcreti  lungo  le  coste  dell'Adriatico;  e  che 
gli  oggetti  di  suppellettile  funebre  mostravano  piena  somiglianza  con  quelli  delle 
tombe  più  antiche  della  necropoli  picena  di  Numana,  a  sud  di  Ancona,  e  con  quelli 
più  caratteristici  di  altri  sepolcreti  arcaici  del  Piceno.  Per  la  qual  cosa,  esssendovi 
certa  speranza  che  in  questi  scavi  di  Novilara  avrebbesi  potuto  raccogliere  un  ma- 
teriale archeologico  cospicuo,  che  si  prestasse  ad  utili  raffronti,  il  eh.  prof.  Brizio  pro- 
pose che  senza  indugio  si  incominciasse  l'esplorazione  della  necropoli,  affidata  la  di- 
rezione tecnica  dello  scavo  al  solerte  ingegnere  Raniero  Mengarelli. 

Né  le  speranze  furono  vane.  Incominciate  le  regolari  esplorazioni  il  28  luglio  1892 
{Nolisie  1892,  p.  295),  si  scoprirono  due  vasti  sepolcreti,  l'uno  nel  fondo  parrocchiale 
denominato  «  Tomba  »  di  cui  è  usufruttuario  il  sacerdote  don  Romolo  Molaroni,  l'altro 
nel  fondo  posseduto  dalla  signora  contessa  Servici. 

Le  tombe  esplorate  furono  142  nel  primo,  e  121  nel  secondo,  quasi  tutte  ad 
inumazione  o  fossa,  e  quasi  tutte  col  proprio  scheletro  coperto  e  circondato  dagli 
oggetti  del  fimebre  corredo,  giacente  nel  maggior  numero  dei  casi  sopra  uno  strato 
di  ghiaia  marina,  e  ravvolto  in  uno  strato  di  calce. 

Ho  detto  che  le  tombe  erano  quasi  tutte  a  fossa,  perchè  fanno  eccezione  tre 
0  quattro  a  pozzo,  ossia  a  cremazione,  nelle  quali  si  trovò  l'ossuario  fittilo  che  ripete 
la  nota  forma  del  vaso  di  Villanova,  eseguito  nella  stessa  rude  tecnica,  e  coperto  da 
ciotola  della  forma  tradizionale. 

Ciò  che  rende  prezioso  l'insieme  dei  dati  raccolti  consiste  nell'essere  stata  tro- 
vata in  una  tomba  a  fossa  del  sepolcreto  Servici,  ed  al  proprio  posto,  la  parte  infe- 
riore di  una  stole  sepolcrale,  ornata  con  i  motivi  a  spirale  o  d'arte  così  detta  Micenea, 
assai  caratteristici  nelle  stele  dell'agro  pesarese,  che  presso  Novilara  in  altri  tempi 
furono  scoperte,  e  che  richiamarono  molta  attenzione  da  parte  dei  dotti  e  dogli 
eruditi. 


KIRBNZB 


378   —  RBGIONE   VII. 


K  hiuto  uiagpioriuento  questa  scoperta  ha  prozio  in  quanto  oh.'  rimane  deter- 
minato lo  strato  archeologico  a  cui  appartengono  tali  stele;  al  cui  numero  possiamo 
oggi  aggiungere  due  oltreinodo  rare,  perchè  iscritte,  la  prima  mutila,  la  seconda  intatta, 
rinvenuta  poco  tempo  prima  in  un  fondo  prossimo  al  fondo  Servici  e  mediante  le  cure 
del  prof.  Brizio  e  dell'ing.  Mougarelli  salvata  anch'essa  per  le  collezioni  nazionali. 
Sono  i  due  monumenti  che  diedero  materia  alle  dotte  memorie  del  eh.  prof.  E.  Lattea 
della  li.  Accademia  scientitico-lettoraria  di  Milano,  edito  da  questa  nostra  Reale  Ac- 
cademia {Rendiconti  CI.  fc.  mor.  11,  IS'.U,  p.  775,  85i>,  lUlH. 

K  poiché  questa  pubblicazione  del  prof.  Lattes  e  le  notizie  sommarie  già  date 
hanno  maggiormente  acceso  il  desiderio  che  di  tutto  lo  scavo  si  pubblichi  una  me- 
moria illustrativa;  e  da  varie  parti  è  stato  domandato  se  l'amministrazione  governa- 
tiva abbia  in  animo  di  provvedervi,  ho  creduto  opportuno  di  far  conoscere  che  secondo 
gli  accordi  con  la  Presidenza  della  U.  Accademia  dei  Lincei  nel  volume  V  dei 
Monumenti  antichi,  che  sarà  presto  dato  alla  luce,  sarà  inserita  un'ampia  memoria 
del  prof.  Brizio  sopra  gli  scavi  di  Novilara,  corredata  da  dieci  tavole,  e  con  moltis- 
sime figure  intercalate  nel  testo,   aggiunto  il   giornale   dello   scavo  redatto  dall' ing. 

R.  Mengarelli. 

F.  Barnabei. 


Regione  VII  (ET R  URIA). 

VI.  FIRENZE  —  Nuove  scoperte  di  anlìcìdlà  nei  lavori  del  Centro. 

Mentre  è  in  corso  di  stampa  un'ampia  relazione  del  eh.  prof.  L.  A.  Milani  sopra 
le  antichità  rinvenute  nei  lavori  del  Centro  di  Firenze,  dove  si  disseppellirono  tombe 
con  ossuari  fittili  della  forma  del  vaso  di  Villanova,  e  sculture  appartenenti  al  pe- 
riodo più  florido  della  civiltà  etrusca  (cfr.  Notizie  18il3,  p.  493;  1894,  p.  237,  276), 
proseguono  i  rinvenimenti,  dei  quali  togliamo  l'annunzio  dal  Giornale  fiorentino  Arte 
e  Storia  (anno  XIII,  n.  25,  1  die.  1894). 

Nel  soppresso  vicolo  degli  Adimari,  accanto  ad  una  torre  medievale,  che  fu  degli 
Adimari  e  poi  di  un  ramo  di  cotesta  famiglia,  cioè  degli  Alamanneschi,  tornò  in  luce 
alla  profondità  di  m.  3,3.ì  un  ricco  musaico  a  decorazioni  geometriche  bellissime,  e 
presso  di    esso    vari   gradini.  Uno  di   questi  era  formato  con  una  pietra  sepolcrale, 

leggendovisi  la  iscrizione: 

IN  AG.  P- XXX 

Il  musaico  accuratamente  consolidato  è  oggi  nel  Museo  archeologico  a  far  parto 
della  nuova  ed  importante  sezione  delle  antichità  fiorentine. 

In  via  Pellicceria,  nel  fare  gli  scavi  pel  fognone,  riapparve  il  lastrico  della  via 
romana.  Sopra  di  questo  si  riconobbe  una  massa  di  scarico,  commisto  a  sostanze  car- 
bonizzate, che  ne  costituiscono  la  superficie;  e  si  può  supporre  che  trattisi  delle 
tracco  di  uno  di  quei  grandi  incendi  che,  secondo  i  ricordi  degli  antichi  cronisti,  de- 
solarono più  volto  la  città  di  Firenze  nel  medio  evo. 


ROMA  —    379    — 


ROMA 


vrr.  ROMA. 

Nuove  scoperte  nella  citla  e  nel  suburbio. 

Kegione  III.  Nelle  fondazioni  del  nuovo  fabbricato  spettante  alle  Suore  del 
Sangue  Sparso,  in  via  di  s.  Giovanni  Laterano,  a  distanza  di  m.  3,80  dall'angolo  sud 
ed  a  m.  9  sotto  il  piano  stradale,  si  sono  incontrati  gli  avanzi  di  un'antica  camera, 
costruita  in  opera  reticolata  di  tufo,  larga  m.  ;3  per  ogni  lato.  Le  pareti  conservano 
in  parte  l'intonaco  dipinto  a  fondo  rosso,  con  riquadrature  in  bianco,  tramezzate  da 
una  larga  fascia  scura,  sulla  quale  spiccano  in  colore  verde  foglie  di  vite.  Il  pavi- 
mento della  stanza  è  a  musaico  tutto  bianco,  con  fascia  nera  larga  m.  0,10  distante 
dal  muro  0,20. 

Regione  V.  Restaurandosi  ima  parte  del  marciapiede  nella  via  Alfredo  Ca- 
pellini, a  pochi  centimetri  sotto  il  livello  stradale,  sono  stati  raccolti  fra  terre  di  sca- 
rico i  seguenti  oggetti  :  —  Novantacinque  verticclii  in  terracotta,  del  diam.  di  m.  0,05. 
Sette  pesi  fittili,  detti  da  tessitore.  Sei  lucerne  in  terracotta,  di  età  arcaica,  una  delle 
quali  ha  impressa  nel  fondo  la  lettera  D  fra  due  punti.  Tre  balsamarì  fittili.  Uno 
scalpello  di  ferro.  Sette  stili  di  osso.  Tre  monete  di  bronzo. 

Regione  IX.  In  piazza  di  Montecitorio,  rinforzandosi  le  fondamenta  sull'an- 
golo del  palazzo  Wedekind,  è  stato  recuperato  un  frammento  di  busto  marmoreo,  assai 
danneggiato.  Si  conserva  soltanto  il  pieduccio  di  sostegno,  e  parte  del  petto  della 
figura,  che  era  vestita  di  clamide. 

Regione  X.  Fra  le  terre  rimosse  da  una  delle  stanze  terrene  della  domus  Ti- 
beriana  al  Palatino,  sono  stati  raccolti  parecchi  pezzi  di  tegoloni  improntati  col  bollo 
di  fabbrica.  Uno  di  questi  bolli,  spettante  alle  officine  Brutiane,  porta  il  nome  di 
M.  Rutilio  Lupo  ed  i  nomi  dei  consoli  dell'anno  115  {C.I.L.  XV,  22):  un  altro  è 
delle  officine  Caniuiane  di  T.  Greio  lanuario  (ib.  119«);  un  terzo  ricorda  le  officine 
Quinziane  di  Plotina  Augusta  (ib.  442).  Sette  altri  bolli  portano  il  solo  nome  di  Gneo 
Domizio  Amando  (ib.  1097  «);  un  altro,  quello  di  T.  Flavio  Ermete  (ib.  1152);  un 
altro,  quello  di  L.  Sestilio  Rufo  (ib.  1449  a).  Nuovo  è  il  bollo  circolare. 

L  MVNATI";    ^STId 
CRESCENTI 

Leggasi:  Munali  {Faus)li,  dol{iaré)  Crescenli[s~\. 

Dallo  stesso  luogo  provengono  tre  manichi  di  grosse  anfore  fittili,  che  recano  i 
bolli  retlangolari  : 

a)     DIATRICI  b)     TGERN^  e)     S/tMJSES 


OROTTAKKKRATA  —    380    —  REOIONB    I. 


Alveo  del  Tevere.  Fra  le  terre  proveuienti  dallo  spurgo  dell'alveo  del  Tevere 
sono  stati  raccolti  gli  oggetti  che  seguono  :  —  Manno.  Testina  muliebre  di  rosso  an- 
tico, assai  consunta  nel  volto,  alt.  m.  0,07.  Peso  circolare  da  una  libbra,  su  cui  è 
inciso  il  segno  numerale  1.  Piccolo  peso  circolare  di  pietra  nera,  con  la  nota  di  due 
once  •  *.  Quattro  frammenti  di  pietre  inscritte: 

a)  m.  0,06  X  0,07  *)  ni.  0,12  X  0,08 


e)     m.  0.07X0,08  «/)  m.  (1,14  X  0,09 


\^J  /    M 


Ferro.  Cuspide  di  lancia,  con  parte  del  codolo,  lunga,  ni,  0,33.  Due  anellini  del 
diametro  ciascuno  di  m.  0,018.  —  Droii:o.  Una  fibula  semplice  a  navicella,  mancante 
di  una  parte  dell'ago,  lunga  m.  0,045.  Piccolo  manico  di  vaso.  Varie  monete  ossidate 
e  logore,  di  varia  età  ;  tra  le  quali  un  grande  bronzo,  che  è  il  pezzo  meglio  conser- 
vato porta  l'elligie  di  Caracalla  con  la  leggenda  DIVO  ANTONINO  MAGNO,  e  nel 
rov.  il  rogo,  con  la  scritta  CONSECRATIO  S  C  (Cohen.  Caracalla,  n.  300).  —  Osso. 
Quattro  spilli  e  due  aghi  crinali,  rotti.  —  Terracotta.  Piccola  ciotola  grossolana  di 
forma  comune,  alt.  iti.  0,025,  diam  m.  0,05.  Un  coperchio  di  anfora.  Fondo  di 
tazza  aretina  col  bollo  (cf.  C  I.  L.  XV,  5346  a)  : 

P- MESSE 
NVSME 
NOPILVS 

Via  Tiburtina.  Dagli  sterri  per  nuovi  sepolcri  nel  pubblico  cimitero  al  Campo 
Verano  provengono:  —  Una  piccola  mano  in  marmo;  un  frammento  di  antefìssa  fittile, 
con  mascherone;  quattro  lucerne  comuni  di  terracotta;  un  anello  di  bronzo  ;  un  peso 
di  stadera,  in  marmo,  con  parte  dellappiccagnolo  in  bronzo  ;  un  balsamario  di  vetro. 

G.  Gatti. 


Reoone  I  (L.AriUM  ET  CAMPANIA). 

Vili.  OROTTAFERRATA  —  Nuova  iscruione  funebre  lalim  ricono- 
sciuta nei  pressi  della  monumentale  Abbadia. 

In  una  vigna  presso  Castel  Savelli,  nel  quarto  denominato  fìorghe/to,  l'ispettore 
padre  A.  Rocchi  riconobbe  un  cippo  di  peperino,  sormontato  da  antefissa,  alto  m.  0,05, 
largo  m.  0,35,  dello  spessore  di  m.  0,10. 


REGIONE    I.  —    381    —  CASTELMADAMA,    POMPEI 

Sulla  fronte  è  iocisa  l'epigrafe  seguente,  della  quale  il  sig.  ispettore  mandò  l'apo- 
grafo ed  il  calco  cartaceo: 

D       •       M 

C  •  MALLIO  •  ABASCANTO 

A  P  R  H  O  D I  S  I  V  S       sic 
PATER-FILIO 


VIX  -MENS  •  Vili 


DIEB-  mi 

Il  cippo  fu  aggiunto  alla  raccolta  lapidaria  esistente  nella  monumentale  Abbazia. 

F.  Barnabei. 


IX.  CASTELMADAMA  —  Di  una  statuetta  di  bronco  rappresentante 
Minerva. 

Fu  acquistata  pel  Museo  Nazionale  Romano  alle  Terme  di  Diocleziano  una  sta- 
tuetta di  bronzo,  alta  mm.  85,  offerta  da  un  contadino  che  disse  averla  rinvenuta 
presso  l'abitato  di  Castelmadama,  sulla  valle  dell'Anieno  fra  Tivoli  e  Vicovaro,  senza 
aver  saputo  indicare  il  luogo  preciso  del  rinvenimento.  Rappresenta  Minerva  coperta 
di  elmo  ad  alta  cresta,  vestita  di  lunga  tunica,  con  peplo  succinto,  sopra  il  quale  è 
l'egida  col  Gorgoneion.  Ha  il  braccio  destro  alzato;  la  mano  destra  attraversata  dal 
foro  per  cui  passava  l'asta;  ed  il  braccio  sinistro  abbassato.  Probabilmente  con  la 
mano  protesa  reggeva  una  piccola  Vittoria,  come  la  famosa  Atena  del  Partenone  se- 
condo che  ci  viene  indicato  dalla  statua  di  Atena,  conservata  ora  uel  Museo  del  Var- 
vakion,  con  la  quale  questo  piccolo  bronzo,  benché  di  lavoro  ordinario,  ha  molta  so- 
miglianza. 


X.  POMPEI  —  Giornale  dei  lavori  compilato  dagli  assistenti. 

1-3  ottobre.  Continuarono  i  lavori  di  restauro,  nella  Regione  XII  e  precisamente 
nelle  isole  2  e  14;  e  si  fecero  le  riparazioni  ad  alcune  pareti  della  casa  segnata  col 
n.  35,  nella  detta  Regione,  isola  2.  Proseguirono  gli  scavi  nella  località  ad  est  della 
casa  detta  del  Laberinto.  Non  avvennero  scoperte. 

4  detto.  Nello  strato  superiore  delle  terre  si  raccolse:  —  Bronco.  Una  piccola 
cerniera,  mancante  di  uno  estremo,  lunga  m.  0,40. 

5  detto.  Nello  stesso  luogo  e  sempre  nello  strato  superiore  delle  terre  si  trovò:  — 
Bromo.  Una  fibula  semicircolare,  lunga  m.  0,01S.  Una  pinzetta,  lunga  m.  0,65. 

6-8  detto.  Non  si  ebbero  scoperte. 

9  detto.  Negli  strati  superiori  delle  terre  fu  recuperato:  —  Bromo.  Una  pinzetta, 
con  una  delle  due  linguette  rotta  por  metà,  lunga  ni.  (),U81.  Altra  pinzetta,  lunga 
m.  0,112. 

10-13.  Non  avvennero  scoperto. 


POMPEI  —    382    —  REGIONE    I. 

14  detto  Fu  posto  mano  ad  udo  scavo  nella  via  Nolana.  Regione  V.  isola  2  e 
precisamente  nell'ambiente  a  de.stra,  di  fronte  al  secondo  giardino,  osi  rinvenne:  — 
Ava/Ut  organici.  Una  quantità  di  ossa  appartenenti  a  scheletri  di  cavalli. 

15-17  detto.  Non  avvennero  scoperte. 

18  detto.  Fu  eseguito  uno  scavo  straordinario  nella  casa  ii.  1.").  Regione  V.  is.'J" 
sulla  via  Nolana,  e  nell'ambiente  a  sinistra,  di  fronte  al  secondo  giardino,  si  rin- 
venne: —  Terracotta.  Un  frammento  di  anfora  con  parte  del  collo,  presso  cui  in 
lettere  nere  leggesi: 

CGPàniC 
AwPA 

Nel  giardino  poi  si  rinvennero  due  anfore,  in  una  delle  quali,  verso  la  base  del  collo, 
in  lettere  rosse  è  scritto: 

Nell'altra,  sul  collo,  a  lettere  rosse  e  crassac  leggesi  : 

TI 
Una  pelvi  con  la  marca  di  un  tridente  da  uu  lato  dell'orlo,  e  dall'altro  la  leggenda 

a  lettere  rilevate: 

M ■ VAREN 

CRESCENS 

19  detto.  Non  avvennero  rinvenimenti. 

20  detto.  In  uno  scavo  eseguito  nella  casa  segnata  coi  numeri  18  e  19,  con  in- 
gresso sulla  via  Nolana,  Regione  V,  isola  2,  alla  presenza  di  S.  E.  il  Ministro  della 
Pubblica  Istruzione,  si  rinvenne  nell'ambiente  a  sinistra  del  vano  di  ingresso:  — 
Terracotta.  Un  abbeveratoio.  Due  anfore:  —  Piombo.  Un  peso  avente  in  una  faccia 

la  leggenda: 

HABBEBI 
sull'altra: 

EME 

21-22  detto.  Non  si  ebbero  scoperte. 

23  detto.  Negli  strati  superiori  delle  terre,  fu  trovato:  —  Avorio.  Piccolo  co- 
perchio cilindrico,  lavorato  al  tornio,  del  diam.  di  m.  U,(i27. 

24-;Jl  detto.  Continuarono  i  lavori  nelle  mentovate  località;  ma  non  avvenne 
alcun  rinvenimento. 

Nuove  epifjrafi  rinvenute  nel  fondo  del  sig  Eduardo  SantilU. 

Nel  fondo  Santilli  (cfr.  Notizie  1893,  p.  333  sgg.  e  1894,  p.  15  sg.),  continuan- 
dosi a  cavare  il  lapillo,  tornarono  a  luce  altri  quindici  cippi  ad  erma  con  le  seguenti 
iscrizioni  : 

1.  Cippo  ad  erma  marmoreo,  rotto  superiormente,  alt.  m.  l,(i;!,  larg.  m.  0,33, 
in  buone  lettore: 

AMANDVS- 

%'IX  ■  AN  •  XX- 


REGIONE    I.  —    383   —  l'OMPEI 

2.' Altro  cippo  marmoreo,  assai  corroso,  alto  m.  0,58,  larg.  m.  0,10: 

AMPLIA"/ 

r/NNICVLI 

ET-MENS-III 

3.  Altro,  del  pari  molto  corroso,  alto  ra.  0,49,  larg.  m.  0,15: 

ECHI///// 
ANN-X//// 

•1.  Altro,  alto  m.  0,58,  larg.  m.  0,18: 

FAVENTINVS 

Il  cognome  FaueiUians  ricorre  nelle  iscrizioni  parietarie. 

5.  Altro,  alt.  m.  0,50,  larg.  m.  0,16: 

L  A  S  a  V  O  S         {sic) 
INTRIMATV 

Nel  primo    verso    è    forse    da    leggere:   Lascivo  s{u,o).  Per  la  frase  in  Irimatu  cfr. 
C.I.L.  VI,  24167:  Grut.,  1148,  13:  Phosphorus  obiti  in  Irimatu. 

G.  Altro,  rotto   inferiormente,  alto  m.  0,34,  larg.  m.  0,14.   Lettere  rubricate  e 
cattive  : 

ORLES  •  VIX 

ANN      V 


7.  Altro,  ricavato  da  un  pezzo  di  cornice  marmorea,  col  solito  buco  verso  il  basso, 
alto  m.  0,62,  largo  m.  0,22: 

topYrvs-plocaMi 

Nell'epigrafe  pompeiana  C.  /.  L.  X,  n.  827  incontriamo  un  L.  Melissaeics   Plocamus 
minister  Fortunae  Aiigustae. 

8.  Piccolo  cippo  marmoreo  di  erma,  spezzato  in   due,  alto  m.  0,54,    larg.  0,13 
in  lettere  trascurate: 

VENVSTVS 
VIXIT-ANXIII 
MENS-IIII- 
Classk  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5",  parte  2"  40 


POMPEI 


—   384  —  REOIONB   I. 


0.  Altro  cippo  marmoreo,  alto  m.  0,80,  largo  ra.  0,111: 

hELlCF 

10.  Altro,  col  solito  buco  nella  parte  inferiore,  alto  m.  0,69,  largo  m.  0,21  : 

L-  MELISSAEVS 

CASTOR  AVCVST 

11.  Altro,  col  solito  buco  nel  basso,  alto  m.  0,18,  largo  in.  u.2U.  Nel  capo: 

L  •  L • AT 

Nell'ernia  o  pilastro  in  Ietterò  quasi  corsivo: 

L  •  R-S 

1-J.  Altro,  col  solito  buco  nel  basso,  alto  m.  0,(30,  largo  ni.  0.;;!5,   frammentato 
nei  lati  e  iiiferiormento: 

NELIAE 

W-PRIMlGENlAB 
vix^  ann1s>-  xxxxvl 

Le  lettere  ncliae  «lei  primo  verso  ed  or  entro  il  C  iniziale   del  secondo  furono 
aggiunte,  e  paiono  più  gradite  che  incise. 

13.  Cippo  di  travertino  ad  erma,  alto  m.  0,05,  largo  ni.  0,81,   danneggiato  in- 
feriormente a  sinistra  od  in  buone  lettere: 

POPPAEACORINN 

14.  Cippo  marmoreo  ad  erma,  alto  m.  0,74,  lungo  ni.  0,20: 

TVTIAE  ■  D  ■  L- 
LICENTIAE- 

IT).  Altro,  col  solito  buco  nel  basso,  alto  ni.  0,87,  larg.  m.  0,20: 

VRSILLA 

VIX-AN-XXV 


REGIONE    I.    IV.  —   385   —       BOSCOREALE,S.  RUFINA,  ROIO   PIANO 


Si  raccolsero  inoltre  tre  pìccoli  frammenti  marmorei 
a) 


HEGIA-»-'  b)      QVINTA  e)      PRoX 

EXSPECY) 


VIX- ANN  1^^ 

et-menI  V  •  knn. 


Il  frammento  indicato  colla  lettera  b  è  rotto  in  due  pezzi. 

Tra  le  poche  monete  raccolte  più  frequenti  sono  quelle  di  Nerone. 

A.    SOGMANO. 


XI.  BOSCOREALE  —  Nel  fondo  de  Prisco  in  contrada  Pisanello,  nel  co- 
mune di  Boscoreale,  essendosi  aperta  una  cava  di  lapillo,  riapparvero  alcuni  ruderi 
di  antiche  fabbriche,  appartenenti  come  sembra  ad  un  suburbano  dell'agro  di  Pompei. 


Regione  IV  (SAMNIUM  ET  SABINA). 

SABINI 

XII.  SANTA  RUFINA.  (Frazione  del  comiiue   di   Cittaducale). 

L'iscrizione  Calliste  ati...  piae.  vilica...  ecc..  edita  nelle  Notizie  dello  scorso 
aprile  p.  148  non  fu  rinvenuta  in  Cittaducale,  come  per  errore  fu  stampato,  ma  fu 
riconosciuta  tra  i  materiali  di  fabbrica  demolendosi  la  fontana  pubblica  del  paesetto 
di  Santa  Ruflna,  frazione  del  comune  sopra  detto. 


XIII.  ROIO  PIANO  —  Di  im'  epigrafe  sepolcrale  mutila  e  di  altri 
oggetti  di  età  romana  scoperti  nel  territorio  del  comune. 

Un  tal  Donato  Ciccozzi,  facendo  uno  scassato  per  vigne  sul  poggio  denominato 
Coste  di  Colle,  a  levante  della  chiesa  dell'Annunziata  ed  a  poca  distanza  da  essa, 
ha  rinvenuto  una  testa  muliebre  in  marmo,  alquanto  mutilata  ma  di  buon  lavoro, 
che  ha  collocato  al  sommo  di  ingresso  di  un  suo  orto  recinto  presso  il  villaggio  di 
s.  Rufina. 

Giacomo  Ciccozzi,  nella  medesima,  contrada  Coste  di  Colle,  ha  pure  rinvenuto 
delle  tombe  a  tegoloni,  disposti  alla  cappuccina,  tutti  anepigrafi,  sotto  i  quali  gia- 
cevano due  cadaveri,  privi  però  di  suppellettile  funebre. 

Certo  Angelo  Ciccozzi  nell'autunno  del  1892  scassando  un  terreno  di  sua  pro- 
prietà nella  contrada  Madonna  di  Corti,  trovò  un  sepolcro  composto  di  grossi  blocclii 
di  pietra  calcare,  lavorati  a  scalpello.  Vi  giacevano  due  scheletri.  La  lastra  superiore 


PBNTIMA,  6.  VALEUTISO 


—   S8(i   —  KEGIONB    IV. 


era  iscritta  e  frammontata.  Lunga  ni.   l.l'i,  largii  lu.  i»..".7  e  dello  spessore  di  ni.  (),;{0 
in  grandi  e  bello  lettere  offre: 


1 P  A  T  R  I 

•C 

•lECIOC   F 
QVIVICIAE 
F  R  A  T  R  I 

|)TIMI  • 

L 

Per  grandezza  e  bellezza  del  carattere  questa  lapide  esce  dall'ordine  comune  dei 
titoli  sepolcrali.  Il  sig.  Ciccozzi  l'ha  fatta  murare  a  due  metri  di  altezza  dalla  su- 
perticie  stradale,  presso  l'angolo  a  destra  della  facciata  orientale  di  un  suo  fabbricato 
che  sta  costruendo  nel  detto  villaggio  di  s.  Kulina. 

N.  Persichetti. 


PAELIGSl. 


XIV.  PENTI.MA  —  Xitocl  frammenti  epujrafici  latini  dell'agro  cor- 

finiese. 

In  una  gita  fatta  a  Pentima,  ho  riconosciuto  i  seguenti  frammenti  epigrafici  : 
1.  Per  stipite  della  casa  di  Luigi  Marrana,  fu  Vincenzo,  venne  adibito  un  fram- 
mento di  lapide  di  calcare,  di  in.  0,.J2  x  0,.iO  x  0,15,  ove  rimangono  le  lettere: 

LLI 

VS 

TR 

In  una  maceria  poi,  si  sono  trovati,  in  vari  rovistamenti,   due  pezzi  di  lapido, 
che  ho  acquistati  e  depositati  nel  Sluseo  cortìniese.  Riuniti  recano: 


Ho  dato  incarico  per  tentare  il  rinvenimento  di  altri  frammenti. 

A.  De  Nino. 


XV.  SAN  VALENTINO  E   BOLOGNANO   —   Antichità   riconosciute 

nel  territorio  dei  due  comuni  ('). 

Nelle  vic-nan/.e  di  Bolognano  sono  tre  contrade  notevoli  per  indizi  di  antica 
dimora  di  popolazioni  sconosciuto  nella  storia.  La  contrada  più  prossima  e  che  so- 
vrasta l'attuale  paese,  è  quella  di  Sant'Anzino.  Vi  si  sono  scoperti  molti  sepolcri  a 

(!)  Pei  dubbi  sollevati  circa  rassepiazionc  di  questo  territorio  di  s.  Valentino  o  di  Intcn)roniio 
ai  Marmcini  piottnsto  che  ai  Pai-lìgni,  cfr.  Notìiie  18."*7,  p.  L'io. 


REGIONE    II.  —    387   —  BENEVENTO 


inumazione,  di  cui  i  contadini  non  hanno  saputo  dir  altro,  che  erano  formati  di  la- 
stroni grezzi  di  pietra  del  luogo  medesimo  e  talvolta  di  grossi  tegoloni  dentati.  Qua 
e  là  si  vedono  anche  avanzi  di  cella  vinaria.  È  ovvio  quindi  supporre  che  dal  colle 
di  Sant'Anzino,  nel  medioevo  la  popolazione  scendesse  a  fomiare  con  l'immancabile 
feudatario  il  Gastrum  Bolaniani,  ricordato  anche  nelle  porte  di  bronzo  della  IJadia 
di  San  Clemente  a  Casam-ia. 

La  contrada  di  Santa  Liberata  che  s'incontra,  quando  da  Bolognano  si  va  alla 
chiesa  di  Santa  Maria  del  Monte,  è  ancora  essa  coperta  di  folti  avanzi  laterizi  d'ogni 
maniera.  Vi  ho  visto  altresì  un  rocchio  di  colonna  cilindrica  di  calcare  paesano. 
Quindi  emerge  un  vivo  scoglio,  ne'  cui  fianchi  sono  incavate  tre  nicchie  votive  di 
varie  dimensioni  e  di  forme  rettangolari.  La  prima  ha  m.  0,19  x  0,13  ;  la  seconda 
m.  0,17x0,16;  la  terza  m.  0,13x0,14.  Se  vi  erano  iscrizioni,  il  tempo  deve  pro- 
babilmente averle  corrose.  Le  due  contrade  sono  nel  tenimento  di  Bolognano,  alla  si- 
nistra del  fiume  Orta,  affluente  del  Pescara. 

La  terza  contrada,  detta  di  Sant'Angelo,  alla  destra  dell'Orla  ed  a  brevissima 
distanza  da  Bolognano,  appartiene  al  territorio  di  San  Valentino.  Sant'Angelo  è  ri- 
cordato daU'Ughelli,  nel  tomo  6°  della  Storia  mera,  dove  parla  del  Vescovado  Tea- 
tino. Non  pare  che  debba  confondersi  questo  Sant'Angelo  con  l'altro  di  Caramanico. 
La  necropoli  della  contrada  in  discorso  è  piuttosto  estesa,  se  dobbiamo  prestar  fede 
alle  relazioni  dei  contadini  del  luogo.  La  costruzione  delle  tombe  è  sempre  di  lastroni 
grezzi.  Se  ne  riconobbero  molte  nei  poderi  del  sig.  Emilio  Tieri.  Ivi  in  un  serbatoio 
d'acqua  ho  potuto  scoprire  un  lastrone  rettangolare,  adoperato  per  argine  delle  acque 
raccolte,  alto  m.  1,03,  largo  m.  0,-57  e  spesso   m.  0,27.   L'iscrizione  un  po'  coirosa 

a  sinistra,  dice: 

FELICI 

M-  TITI  ET  GALL 

SERVO 

VIXIT  •  ANNOS  ■  X//// 

SALVIVS  ■  PATER 

QVAR  T  A  ■  M  A  T  E  R 

P 

La  parte  corrosa  è   quella   infissa   nel   terreno   e  sempre  sott'acqua.  Ho  pregato 
quindi  il  proprietario  del  podere,  onde  faccia  rimuovere  da  quel  sito  la  lapide  e  c^u 
servarla  in  luogo  idoneo. 

A.  De  Nino 

Regione  II  (APULIA). 

IIIRPINI. 

XVI.  BENEVENTO  —  Eseguendosi  restam-i  nella  casa  del  cav.  Pasquale 
De  Nicola  in  via  Neviera  n.  10  in  Benevento,  il  giorno  1(>  dello  scorso  agosto  vi  si 
rinvenne  un  cippo  di  calcare  del  luogo  con  base  e  cimasa,  alto  m.  1,1  ;{,  largo 
m.  0,565,  e  dello   spessore  di  m.  0,425.   Sul   fianco   sinistro  è  scolpito   l'urcoo.   sul 


TARANTO,    MARSALA  —    388    —  REGIONE   li,    SICILIA 

destro  la  patera.  Nel  prospetto  si  legge  la  iscrizione  seguente,  della  quale  il  sig.  ing. 
A.  Meoniartini  mandt»   il  calco  cartaceo: 

C-  IVLIO  CYPAERO 

AVG • CLAVD 
HONORATO  •  BISELLIO 
M • rvtIlivs-  LVPVS 
amIco  optimo 

A  cura  dell'ispettore  sopra  citato  la  lapide  fu  trasportata  nel  Museo  provinciale. 

F.  B. 


XVII.  TAItANTO  —  11  giorno  20  dello  scorso  novembre  il  eh.  prof.  Luigi 
Viola  reduce  da  Taranto,  presentò  in  Pompei  a  S.  E.  il  Ministro  dell'istruzione  pub- 
blica, on.  prof.  Guido  Baccelli,  alcuni  frammenti  di  iscrizioni  in  tavole  di  bronzo, 
nei  quali  appparivano  brani  di  una  legge  romana,  .\vendo  il  prof.  Viola  mostrato 
esservi  buona  speranza  di  ricuperare  altri  pezzi  di  questo  insigne  monumento,  S.  E. 
il  Ministro  lo  incaricò  di  tornare  a  Taranto  ad  attendere  alla  cosa.  E  le  nuove  cure 
vennero  coronate  da  buon  successo.  Infatti  il  Direttore  del  Museo  Nazionale  di  Na- 
zionale di  Napoli,  con  nota  lf>  novembre,  comunicava  al  Ministero  avere  il  prof.  Viola 
recuperato  un  sesto  frammento,  il  quale  completava  la  colonna  nona  della  legge,  come 
si  deduce  dal  numero  scrittovi  sopra.  In  attesa  di  maggiori  notizie  sopra  questo  im- 
portantissimo trovamento,  ne  diamo  intanto  l'annunzio,  per  quanto  risulta  dagli  atti 
del  Ministero. 

F.  B. 


SICILIA. 

XVIII.  MARSALA  —  Di  una  rara  epigrafe  ricordante  Sesto  Pompeo. 

Uno  splendido  monumento  epigrafico,  unico  nel  suo  genere  e  destinato  a  fornire 
argomento  di  studi  per  la  Sicilia  antica  e  per  la  storia  generale  di  Koma,  è  stato 
recentemente  acquistato  dal  Museo  Nazionale  di  Palermo,  e  queslo  acquisto  è  da  sti- 
mare ancor  più  pregevole  ove  si  pensi  alla  nota  povertà  epigrafica  dell'Isola.  Fabbri- 
candosi dal  signor  Carlo  Anselmi  un  vasto  stabilimento  di  vini  a  Marsala,  e  proprio 
all'estremità  del  Boeo,  si  trovava  un  pavimento  di  lastre  di  un  calcare  bianchiccio, 
molto  compatto,  proveniente  forse  dalla  vicina  cava  di  Trapani,  e  fra  quelle,  una  lapide 
incisa  in  un  lastrone  dello  stesso  materiale,  lungo  m.  1 ,34,  largo  m.  0,42  e  spesso 
m.  0,15  (').  Si  rinvennero  altres'i  un  bel  frammento,  forse  di  coronamento  di  stele, 
con  una  voluta,  e  un  frammento  di  collo  di  pozzo,  con  scanalature.  I  quali  pezzi  si 
vedono  collocati  sulla  lapido  nella  fotografìa  che  ne  feci  nel  cortile  stesso  dello  sta- 

(')  Ne  ebbi  notizia  dall'egregio  ispettore  dei  monumenti  di  Morsala,  signor  Salvatore  Strappa. 


SICILIA 


—  389 


MARSALA 


bilimento  Anselrai,  e  che  ò  qui  riprodotta.  Dal  proprietario  mi  si  cedette  tanto  la  la- 
pide che  quei  frammenti,  i  quali  hanno  ora  sicura  e  decorosa  conservazione  nel  Museo 
Palermitano. 


La  lapide  fu  già  incastrata,  come  è  naturale,  in  un  muro  e  se  ne  hanno  le  tracce 
nello  spessore  della  pietra  stessa,  adoperata  più  tardi  come  lastra  di  pavimento.  Ciò 
nocque  alla  conservazione  dello  scritto,  massime,  nella  parte  centrale;  ma  le  scheg- 
giature che  si  notano  in  questo  posto,  hanno  pur  lasciata  tanta  parte  dei  solchi  delle 
lettere,  che  il  contesto  si  legge,  senza  alcuna  ambiguità,  nel  modo  seguente: 

MG -POMPE  IO  MG  F  •  PIO  IMP  ■  AVG  VÌE 
COS-DESIG  PORluM-ET  TVRRES 
LPLINI VSL-F  RVFVS-LEG-PRO-PR-PR-DES-F-  C  • 


L'epigrafe  è  di  una  singolare  importanza  tanto  rispetto  alla  persona  di  Sesto 
Pompeo  e  del  legato  di  lui  Plinio,  quanto  rispetto  alle  opero  eseguite  a  Lilibeo.  Nissuna 
memoria  epigrafica  si  aveva  in  Sicilia  di  quel  Pompeo  che  pur  la  tenne  da  sovrano 
assoluto  per  ben  sette  anni,  dalla  costituzione  del  triumvirato  nell'ottobre  711  =  43 
alla  battaglia  di  Mylae  nell'estate  del  718— -36;  la  quale  mancanza  dovrà  puro  at- 
tribuirsi all'odio  dei  vincitori,  premurosi  di  distruggere  le  memorie  del  gran  proscritto; 
né  parrebbemi  di  azzardar  troppo  congetturando  che  il  fatto  di  trovarsi  la  nuova  la- 
pido adoperata  in  un  pavimento  antico  debba  attribuirsi  all'essere  stata  rimossa  di 
proposito  dal  primitivo  posto   di   onore.   Ad  ogni   modo,  non  trovando  alcun   ricordo 


MARSALA 


_    390    —  SICILIA 


epigrafico  di  Sesto  Pompeo,  neanche  fuori  di  Sicilia  (almeno  nelle  principali  raccolte 
discrizioni)  mi  rivolsi  al  collega  Pais  per  accertarmi  se  ne  fosse  venuto  fuori  qual- 
cuno in  questi  ultimi  tempi;  ed  egli  riconoscendo  l'unicità  del  titolo  lilibotano  e  l'alto 
suo  valore,  accennava  alle  molteplici  considerazioni  che  potranno  dedursene.  Le  quali 
ricerche  lascio  agli  studiosi  di  antichità  romane;  da  parte  mia,  stabilita  la  lettura 
del  testo,  mi  limiterò  solo  ad  accennare  ad  alcune  circostanze  che  hanno  più  stretta- 
mente rapporto  con  la  lapide  stessa. 

E  pria  di  tutto,  in  quanto  alla  data,  è  certo  che  questa  sia  posteriore  alla  pace 
di  Miseno  {715  =  39),  perchè  allora  fu  stabilito  secondo  Dione  Cassio  (XLVIIl,  36) 
che  Sesto  Pompeo  fosse  eletto  console  ed  aKf/nre:  Ài  ói  awO^f^xui  t.iì  roTaót  fyt'totTo 

arròr  ài   tòv  ^t^iur   vnaTÓv  %f  cÙQfi^ì^Kti  x(c\   oìutvtar  ì]v  tcnoònxi>>,rui- 

.Vppiano  {de  beli.  civ.  VI,  62)  riferendo  i  patti,  muta  l'augure  in  pontefice:  inattiam 
d'ùnovru  dì  oiov  xqIioi  (Pompeo)  róiv  (plXm-,  xaì  rijg  utytatr^g  uQwavtrfi  tg  lovg 
tfgè'ag  èyYQ"f']'"'^  ^  poscia  (V,  73),  ricordati  1  banchetti  tenuti  dopo  la  pace  da  \n- 
tonio  Cesare  e  Pompeo,  aggiunge  che  si  stabili  l'ordine  dei  consolati  pel  quadriennio, 
assegnando  a  Pompeo  il  secondo  anno  insieme  a  Cesare:  'i4;réyi,i«r  ói  t^c  cn-<oi'ffj,s 
vnecTovg  *ì  TtTQaftèg,  'Avtwiiov  j-iiv  xcà  Ai'^oiva  n^wtovg  ....  erri  ó'fxn'roic  kcelanQti 
T€  xcà  noiini]iov  ....  Nel  717  ^35,  nel  foedus  laren/iiium  uno  dei  patti  convenuti 
tra  Cesare  ed  Antonio  è  che  si  tolga  a  Sesto  Pompeo  il  consolato  e  l'augurato.  Ce 
lo  dice  Dione  Cassio,  dopo  di  aver  notato  (XLVIIl,  53,  54)  il  mutare  di  tutti  i  prin- 
cipali magistrati  :  xaì  TÒV  fiiv  St^xov  rrjg  tb  i f  quo  v  rrjc  ufice  xaì  r^c  vTrnTeiag 
éc  »■)•  ci-Tfòtónxio  Irravaav  (Cfr.  Drumann,  Gescliiehte  Roms,  I  Th.,  440  seg.  ; 
IV  Th.  577;  Schiller,  Gesch.  der  ròm.  Kaiser:eit,  I,  05).  Pertanto  fra  questi  due 
avvenimenti  è  da  collocare  la  data  della  nostra  iscrizione.  La  quale  pel  titolo  sacerdotale 
di  AVGVRE  dimostra  sempre  più  l'errore  di  Appiano,  già  notato  dal  Dorn-Seilfen. 
De  Sex.  Pompeio  Magno  Gn.  Magni  f.\  Trajccti  ad  lihenum,  MDCCCXLVI, 
p.  18  e  74. 

Quel  che  forma  uno  dei  pregi  caratteristici  di  questo  titolo  è  la  solennità  della 
titolatura  di  Sesto  Pompeo,  all'ablativo,  come  si  conveniva  per  mostrare  ancor  più 
che  l'opera  fosse  fatta  sotto  il  regno  di  lui.  Non  è  più  il  Praefeciits  ora-  maritimae 
et  classix  ex  scnaius  consulto  delle  noto  moneto  ;  qui  si  sento  la  grandezza  impera- 
toria, quale  poteva  concepirsi  in  quel  tempo  e  da  tale  uomo  ;  il  cognome  Magnus  del 
padre  suo  diventa  un  praenomen  imperatorium,  e  secondo  l'opinione  del  Pais.  farebbe 
riscontro  all'operato  di  Ottaviano  che  poco  avanti,  nel  714,  cessando  di  farsi  chiamare 
/'n/us  Idim  Caesar,  aveva  assunto  la  titolatura  di  Imp.  Cacsar  divi  filius. 

lì  presente  titolo  ci  dà  intero  il  nome  latino  e  gli  uffici  del  celebre  Plennios 
legato  di  Sesto  Pompeo,  che  ebbe  parte  notevolissima  nella  catastrofe  del  partito 
pompeiano  in  Sicilia.  Appiano  (V,  07)  lo  ricorda  là  dove  parlando  dell'attacco  simul- 
taneo che  Cesare,  Lepido  e  Tauro  davano  alla  Sicilia  per  cingere  Pompeo  da  oriente, 
da  occidente  e  da  mezzogiorno,  dice  che  Pompeo  a  Lepido  contrapponesse  Plennios 
in  Lilibeo  con  una  legione  e  con  truppe  leggere  :  "O  rf*  TIonnìUK  AfniÓM  ntvàtit- 
raitt  IlXtvvi  0  V  fi  AiXv^aÌM,  ib'/.og  //orra,  xaì  ccV.o  nlijO^ug  laxtvwìitiror  xov(f(og. 
Lepido  viene  dall'Africa  con  mille  e  settanta  navi,  dodici  legioni,  cinque  mila  cava- 


SICILIA  —   391    —  MARSALA 


lieri  Numidi,  e  dopo  di  aver  perduto  molte  navi  onorarie,  approdò  in  Sicilia  ed  as- 
sediò Plennio  in  Lilibeo  (V,  98):  Ilh'rviov  èv  AiXv^ctim  noXioQxuiv.  Né  altro  ne  dice 
Appiano  di  questo  assedio,  riuscito  infruttuoso  o  per  poco  impegno  di  Lepido  o  per 
la  difficoltà  di  espugnare  per  forza  la  piazza  (F.  Briiggemann,  De  Afarci  Aemilii 
Lejndi  vita  et  rebus  gestis.  Monasterii  Guestfalorum,  MDCGCLXXXVII,  p.  65  ; 
Gardthausen,  Augustus  und  seine  Zeit,  I,  264)  e  che  dovette  esser  levato  quando 
Cesare  volle  che  l'esercito  di  Lepido,  insieme  alle  due  legioni  di  Messala  (Appiano, 
V,  103)  venisse  a  raggiungerlo  presso  Tauromenio.  E  da  Lilibeo  venne  Plennio  tostochè 
Pompeo  ebbe  bisogno  di  tutte  le  sue  forze  a  INIessana  per  combattere  la  lotta  decisiva 
coi  triumviri.  Perduta  la  causa  di  Pompeo  con  la  disfatta  di  Naulochos,  fu  Plennio 
che  ridottosi  a  Messana,  con  una  o  con  otto  legioni,  si  arrese  a  Lepido  nei  primi  del  set- 
tembre 718  =  36.  Le  vicende  di  questo  belliim  sicidum  sono  narrate  da  Dione  Cassio 
e  da  Appiano  e  formarono  oggetto  di  studio  del  Drumann  {Geschichte  Roms  IV, 565  segg.) 
dello  Schiller  (1.  cit.  p.  104  segg.)  e  del  Gardthausen  (1.  cit.  L  245  segg.  II,  127  segg.). 
Del  Nuovo  piano  d'attacco  dopo  la  rotta  di  Tauromeniiim  (a.  7 18/ =  36)  il  signor 
A.  Aiello  ha  trattato  recentemente  nella  Raccolta  di  studi  di  Storia  antica  edita 
dal  prof  Casagrande  (Catania,  1893,  p.  65-126).  Qui  non  è  il  luogo  di  discutere  di 
quegli  avvenimenti  ai  quali  ebbe  parte  il  legato  pompeiano,  ricordato  nella  lapide; 
devo  bensì  far  notare  come  il  Pleariios  degli  scrittori  greci  debba  oramai  dar  posto 
al  Plinius  distinto  del  suo  prenome  Lucius,  della  paternità  L.  /.  e  del  cognome  di 
Rufus.  Il  Klein  {Die  Verwaltungsbeamten  von  Sicilien  und  Sardinien,  Bonn,  1878, 
p.  196)  togliendo  da  Appiano  il  nome  di  questo  legato,  ragiona  opportunamente  che 
Plinius  in  forma  greca  dovesse  dirsi  UXéivioc,  ricordando  quanto  aveva  scritto  il  Dit- 
temberger  {Hermes,  VI,  142)  sulla  forma  ^rsgrévviog  per  Slertinius  e  il  Wannowski 
{Antiquitates  rom.  e  gr.  font,  explicatae,  p.  27)  sull'uso  di  raddoppiare  in  greco 
le  consonanti  latine  semplici.  Aggiunge  il  Klein  che  la  persona  del  legato  è  scono- 
sciuta ed  è  da  ritenere  come  l'esempio  più  antico  di  un  ricordo  della  gente  Plinia  in 
tempi  repubblicani;  nella  qual  cosa  consente  pure  il  Gardthausen  (1.  cit.  II,  p.  136.  5), 
aggiungendo  come  sia  più  moderna  l'epigrafe  di  un  soldato  per  nome  L.  Plinius 
Sexti  f.  {C.I.L.  III,  supp.  7451).  L'aver  affibbiato  al  legato  Pompeiano  un  pre- 
nome C.  Plennius,  è  un  equivoco,  senz'altro,  dello  Schiller  (1.  cit.  I,  105). 

Il  nuovo  titolo  lilibetano,  insieme  al  nome  completo  del  legato,  ci  dà  l'indica- 
zione degli  uffici  di  lui,  che  fu  legatus  prò  praetore  e  praetor  designatus.  Durante 
la  sua  amministrazione  a  Lilibeo  egli  curò  di  farvi  (o  restaurarvi?)  il  porto  e  le 
torri,  opere  strettamente  legate  alle  condizioni  commerciali  e  militari  di  quel  posto 
di  una  capitale  importanza  strategica.  Se  delle  fabbrici)e  ordinate  dal  legato  di  Sesto 
Pompeo  possano  ancora  trovarsi  tracce,  è  un  quesito  che  merita  una  risposta  ;  e 
l'avrebbe  piena  soltanto  quando  il  R.  Governo  volesse,  o  potesse,  iniziare  un'ampia 
esplorazione  archeologica  nelle  rovine  tanto  visibili  dell'antica  Lilibeo. 

A.  Salinas. 


Classk  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5°,  parte  2»  50 


SKLINUNTB,    TERRANOVA  FAUSANIA      —    392    —  SICILIA,    SARDINIA 


XIX.  SELINUXTE  —  Ripostiglio  di  monde  campane. 

Da  Partanna  venne  un  ripostifjlio  di  molto  continaia  di  monete  campane  di  ar- 
gento, rinvenute  nelle  campagne  vicine  a  Seliniinte.  Erano  tutte  di  un  tipo;  la  testa 
bifronte  di  Giano  nel  dritto,  e  Giove  in  quadriga,  nel  rovescio  ;  nuove  di  zecca  e  in 
maggioranza  di  bellissima  fattura.  Si  tratta  di  moneta  notissima  (Cohen,  Consulaires, 


rw] 


l>\.  XLIH.  .5,  0;  D'Ailly.  Recherches.  toni.  I,  pi.  XLIII-XLV,  p.  151  segg.);  tut- 
tavia io  ho  voluto  farne  una  scelta  di  36  pezzi  (30  con  l'iscrizione  ROMA  inca- 
vata e  6  con  l'iscrizione  a  rilievo) .  tanto  per  avere  tutte  le  varietà  del  tipo,  che  in 
alcune  teste  ha  un  rilievo  e  una  larghezza  che  ricordano  le  monete  greche,  quanto 
per  conservare  ima  memoria  di  questo  ripostiglio,  che  andrà  naturalmente  disperso 
nel  commercio.  A  Seliuunte  stessa,  nel  1891,  fu  già  trovato  un  gruzzoletto  di  monete 
simili;  e  questo  fatto,  come  notai  nelle  Notizie  del  giugno  di  questo  anno  (')  fa  pen- 
sare ai  molti  mercenari  campani,  militanti  sotto  varie  bandiere  in  Sicilia.  E  col  fare 
questo  accenno  non  intendo  portare  un  giudizio  nella  controversia  suscitata  fra  i  nu- 
mismatici sulla  vera  patria  di  quelle  monete. 

Il  presente  ripostiglio  di  quadrigati,  oltre  il  valore  storico,  ha  dal  lato  numi- 
smatico il  pregio  di  darci  una  serie  di  varianti  nella  fattura  dei  tipi;  ed  è  da  no- 
tare pure  che  un  esemplare  ha,  nel  rovescio,  tracce  di  una  moneta  preesistente,  senza 
che  possa  scorgersi  quale;  e  un  altro  ha  due  lettere  graflite  e,  cosa  non  solita,  con 
qualche  accm-atezza.  un  Y  sul  collo  della  testa  di  Giano  e  un  N  nel  campo  della 
quadriga. 

A.  Salixas. 


SARDINIA. 


XX.  TERRANOVA  FAUSANIA  —  Nuoce  scoperte  di  antic/ntà  ml- 

l'agro  olbiese. 

1.  A  pochi  chilometri  di  distanza  da  Terranova  e  precisamente  sul  versante  della 
collina  di  Provania,  nella  regione  di  Pusiolu.  fu  dal  pastore  Martino  Muccicone 
intrapres»  uno  scavo  per  trovare  pietrame  e  valersene  nella  chiusura  di  un  suo  predio 
che  si  estende  fino  al  vertice  della  collina  predetta. 

(')  Notiiie,  180»,  |).  '211.  I/iscrizionc  ROMANO  ivi  citata  va  corretta  in  KOMA. 


SARDINIA  —    393    — 


TERRANOVA    FACSAMIA 


Distrutte  iu  prima  le  fondamenta  di  un  vecchio  manufatto  e  proseguiti  i  lavori 
a  levante,  comparvero  a  m.  0.25  dal  suolo,  tre  tombe  antiche,  delle  quali  una  quasi 
a  contatto  della  muraglia  anzidetta  e  le  altre  due  un  po'  discosto. 

Avendo  subito  visitato  il  luogo,  ho  potuto  constatare  che  le  tombe  erano  formate 
con  murelli  barbari,  di  pietre  informi  e  senza  rivestimento  d'intonaco;  per  coperchio 
erano  state  poste  due  o  tre  sfaldature  di  roccia,  rimboccate  negli  interstizi,  da  pietre 
minori. 

Nella  tomba  addossata  alla  muraglia  furono  trovati  gli  avanzi  di  un  cadavere 
incombusto.  Gli  oggetti  fìttili,  consistenti  in  due  anforette  e  in  una  lucernina  senza 
bollo,  giacevano  in  direzione  dei  piedi;  ai  lati  del  cranio,  di  forma  dolicocefala,  e 
volto  a  nord-est,  si  raccolsero  un  anello  d'oro,  a  fascia,  per  dito;  ed  un  braccialetto  di 
bronzo,  del  diametro  di  m.  0,08. 

Nelle  altre  due  tombe,  oltre  i  resti  dello  scheletro,  trovaronsi  due  monete  di 
bronzo,  del  basso  impero,  vari  frammenti  di  anfore  fittili  ed  un'asticciuola  cilindi'ica 
di  bronzo,  ripiegata  alle  estremità. 

Piti  innanzi  si  scoprirono  i  resti  di  un  piccolo  muro  in  laterizi,  lungo  m.  7,20, 
il  quale  correndo  da  ponente  a  levante  andava  a  terminare  presso  due  blocchi  di  pietra 
locale,  in  forma  di  parallelepipedi.  Nella  faccia  di  uno,  e  proprio  nel  centro,  vedevasi 
un  foro  circolare  contenente  i  rimasugli  del  piombo  che  vi  fu  messo.  Poco  distante, 
a  m.  1,10  di  profondità  si  rinvenne  una  vasca  ovale,  costruita  in  mattoni  e  calce  e 
col  pavimento  a  calcestruzzo.  In  media,  i  muri  erano  alti  m.  0,30,  e  nella  parte  meglio 
conservata,  a  m.  0,05  dal  pavimento,  vedevasi  il  foro  pel  quale  passava  il  tubo  fit- 
tile, 0  plumbeo,  destinato  per  l'acqua.  In  quel  punto  si  allargò  lo  scavo,  avendo  dato 
coraggio  il  trovamento  di  16  monete  di  bronzo,  irriconoscibili;  e  si  raccolsero  tre  grossi 
e  lunghi  chiodi  di  ferro,  a  capocchia  concava,  e  un  pezzo  di  osso  bianco,  piegato  ad 
arco  e  terminante  ai  capi  con  due  globetti.  Si  ebbe  anche  un'anfora  di  impasto  nero 
e  rozzo,  di  m.  0,40  di  diametro  e  m.  0,15  nell'orifizio  fatto  a  labbra  sporgenti  e 
ripiegate. 

Nel  culmine  della  detta  collina  di  Promnia,  esistono  i  ruderi  di  una  borc^ata 
medioevale;  ma  la  località,  come  ne  fanno  fede  le  tombe  scoperte,  era  abitata  nei 
tempi  romani,  e  frequentemente  i  pastori  delle  vicinanze  vi  rinvengono  monete  dei 
primi  secoli  dell'impero.  Nella  breve  sosta  che  vi  feci,  venni  informato  di  un'anfora 
di  terracotta,  piena  di  ossa  combuste,  trovata  pochi  mesi  addietro,  a  circa  200  m.  di 
distanza  dagli  scavi  predetti. 

2.  Un  altro  trovamento  ebbe  luogo  presso  la  chiesa  riu-ale  di  Cobu  Abbas,  a 
nord  di  Terranova,  da  cui  dista  circa  4  chilometri.  Facendovisi  un  fosso  per  abbe- 
veratoio del  bestiame,  si  trovò  una  tomba  di  piombo,  in  forma  di  grande  baule; 
ma  cosi  deteriorata  da  non  potersi  raccogliere  che  in  frammenti.  Era  deposta  a  m.  1 
di  profondità,  e  devesi  al  terreno  acquitrinoso  il  pessimo  stato  in  cui  trovavasi.  Il  co- 
perchio era  leggermente  concavo  e  solcato  da  cordoni  longitudinali.  Lo  scheletro  rin- 
chiusovi era  coperto  da  terra  ed  aveva  ai  lati  alcuni  resti  di  terraglia  ordinaria,  ne- 
rastra, spettante  ad  anforette  manubriate  ed  una  moneta  in   bronzo  di  Tiberio.  Sa<^- 


TEKKANOVA    KAUSANIA  ÌJ94    SAHDI.SIA 

piando  il  terreno  limitrofo,  si  notarono  pozzi  di  embrici  alla  rinfusa,  con  frammenti 
di  grosse  olle  fittili  e  vi  si  raccolse:  una  vorghetta  di  ferro,  hui'^'a  m.  0,22;  sette 
globetti  di  vetro  turchiniccio,  per  collana;  una  fusaiiiola  littik-,  di  forma  piramidale; 
e  dodici  monete  di  bronzo,  di  piccolo  modulo,  irriconoscibili  per  l'ossidazione. 

8.  Sottofondandosi  un  casamento  di  Alessendro  Dalli,  situato  entro  questo  popolato, 
nella  via  principale  che  conduce  al  porto,  si  trovarono  alla  profondità  di  m.  1.40  cinque 
anfore  tìttili  d'impasto  ordinario,  una  delle  quali,  cioè  la  piìi  grande,  munita  di  due 
anse  semicircolari  con  scanalature,  e  le  altre  ad  un  sol  manico  liscio.  In  queste  è 
praticato  sul  labbro  a  gola  rovescia  un  canaletto  a  beccuccio  per  iscorrorvi  il  liquido. 
Fra  la  terra  estratta,  ricca  di  avanzi  carboniosi  e  di  calcinacci,  si  raccolsero  diversi 
cubetti  di  pietra  nera  e  bianca  distaccati  da  impiantito  a  musaico,  due  medi  bronzi 
di  Nerone  ed  altre  monete  indecifrabili  per  l'ossido. 

4.  .\peitasi  una  gramlu  scavazione  nel  cortile  della  casa  Bardanzollu,  posta  nella 
piazzetta  del  liarcltile,  per  impiantarvi  le  fondamenta  d'un  magazzino,  si  posero  in 
vista  quattro  tombe  romane  fatte  con  embrici,  ed  a  capanna.  Due  di  esse,  collocate 
sotto  il  muro  di  cinta  del  cortile,  avevano,  per  la  forte  pressione,  la  vòlta  rovinata, 
e  nienfaltro  contenevano  che  i  resti  del  cadavere.  Esplorate  le  altre  si  rinvennero  at- 
torno agli  scheletri  alcuni  frammenti  di  vetrerie  verdognole,  e  tre  chiodi  di  ferro, 
ossidati.  Tutti  gli  embrici  adoperati  nelle  tombe,  all'infuori  di  uno  il  quale  portava 
impressi  longitudinalmente  due  solchi  fatti  a  stecca,  esibivano  il  noto  bollo  ACES  • 
AVO  ■  L  {C.  I.  L.  X,  804G,  9)  così  comune  in  tutti  gli  scavi  d'Olbia.  Nel  centro  del 
cortile,  interrati  a  m.  1,30,  si  riconobbero  i  residui  d'un  piccolo  manufatto  in  late- 
rizi, di  forma  quadrata  ;  là  presso  si  ebbero  sparpagliate  32  monete  di  bronzo  :  le  ben 
conservate  appartengono  a  Tiberio,  Vespasiano,  Traiano,  Marco  Am-elio,  Massimino, 
Gordiano  Pio,  Filippo,  Carino,  e  Massimiano  Erculeo.  Dal  suddetto  manufatto  ripartivasi 
con  qualche  piccola  interruzione  un  selciato  di  pietre  granitiche,  largo  m.  2,35,  lungo 
m.  7,50,  sul  quale  giacevano  rovesciate  due  colonne  cilindriche  della  stessa  pietra, 
con  zoccolo  d'ordine  corinzio,  ed  aventi  poco  più  d'un  metro  in  altezza,  col  diametro 
alla  base  di  m.  0,t5.^.  Nell'estremità  superiore  di  queste  colonne  doveva  impernarsi 
un'asta  di  ferro  o  di  altro  metallo,  a  giudicare  dai  fori  profondi  ed  impiombati  che 
vi  sono  rimasti. 

Poco  discosto  dal  selciato  comparve  l'avanzo  di  un  muricciuolo  in  laterizi,  alto 
ra.  0,3G,  e  dello  spessore  di  m.  0,20.  In  questo  punto  si  trovò  un  mozzo  busto  di 
marmo  rappresentante  una  figura  a  metà  del  vero,  mancante  della  testa  e  delle  braccia, 
e  con  parte  del  manto  che  svolazzava  a  sinistra.  Si  trovarono  inoltre  alcuni  pezzi  di 
embrici  portanti  il  bollo  su  menzionato,  e  accanto  ad  un  mucchio  di  calcinacci  si  eb- 
bero a  trovare  cinque  monete  di  bronzo  irriconoscibili,  mctìi  d'una  fusaiuola  in  ter- 
racotta, e  i  frammenti  d'un  lungo  ago  crinale  di  osso,  lavorato  a  piccoli  incavi.  Il 
fondo  d'una  fiala  di  vetro  portava  impresso  le  lettere  V  P. 

In  un  angolo  del  cortile,  alla  profondità  di  m.  0,60,  si  trovò  un  cannone  di  ferro 
lungo  m.  0,'J8,  e  del  peso  di  110  chilogrammi,  più  un  cannoncino  di  bronzo  che  mi- 


SAIiniNIA  —    395    —  TERRANOVA    KAUSANIA 

sura  m.  0,20  di  lunghezza.  È  probabile  che  i  predetti  due  arnesi  debbano  aver  ap- 
partenuto a  un  castello  fortificato  che,  secondo  la  tradizione  popolare,  sorgeva  verso 
la  metà  del  secolo  scorso  in  vicinanza  al  detto  cortile. 

5.  Uno  scavo  eseguitosi  per  conto  del  sig.  Toiriniaso  Tamponi  nel  predio  Tscia 
Mariana^  mise  allo  scoperto  un  tratto  di  muro  rettilineo,  con  direzione  da  nord  a 
sud,  formato  da  grossi  cantoni  granitici  escalpellati,  e  disposti  senza  calce  o  cemento. 
Il  suddetto  muro,  che  misura  in.  19,20  in  lunghezza,  ed  è  largo  m.  0,4."),  doveva 
estendersi  ancora  dalla  parte  di  levante,  cioè  in  faccia  al  mare,  essendosi  poi  sterrato 
a  qualche  distanza  il  residuo  d'un  altro  muro  trasversale  dell'identica  fattura.  Gli 
sterri,  condotti  in  media  alla  profondità  di  m.  1,20,  posero  poscia  in  evidenza  cinque 
tombe  con  embrici,  alla  cappuccina,  situate  a  varie  distanze  una  dall'altra.  Con  gli 
avanzi  delle  ossa  si  trovarono  i  frammenti  della  suppellettile  funeraria,  consistente  in 
vasi  e  tiale  di  sottilissimo  vetro,  ed  in  lucerne  ed  anforette  tittili.  Solo  da  una  tomba 
si  estrasse  incolume  un  orciuolo  in  terracotta  finissima,  e  un'ampollina  di  vetro 
verde,  alta  m.  0,12. 

In  un  altro  disterro,  fatto  a  poca  distanza  da  questo,  si  esplorò  una  tomba  di 
eguale  struttura,  contenente  un  cadavere  incombusto  ;  anche  da  questa  il  corredo  venne 
estratto  in  frammenti,  tranne  una  lucernina  di  fina  argilla  biancastra,  avente  nel  fondo 
la  lettera  H.  In  direzione  del  cranio  si  raccolsero  due  orecchini  di  oro,  e  sette  gra- 
nelli di  ambra  perforati.  Ogni  orecchino  consta  di  un  globetto  liscio,  nel  quale  è  at- 
taccato il  solito  gancio  ricurvo  per  appenderlo;  sotto  al  globetto  v'è  un  anellino  o 
appiccagnolo  che  sorregge  una  sottile  lamina  d'oro  in  forma  quadrata,  ma  con  gli  an- 
goli leggermente  smussati.  Gli  orli  della  lamina  sono  fatti  a  cordoncino  rialzato,  e  nel 
mezzo  due  altri  cordoncini  la  dividono  in  quattro  parti  a  guisa  di  croce.  A  qualche 
metro  d'intervallo  dalla  suddetta  tomba,  si  trovò  un'urna  ossuaria  di  piombo  in  forma 
di  cassetta,  contenente  due  fialette  di  vetro,  e  le  ossa  combuste  del  cadavere.  L'urna 
è  lunga  m.  0,39,  larga  m.  0,24,  alta  m.  0,20  fino  alla  impostatura  del  coperchio. 
Questo  si  presenta  a  due  pioventi,  ed  è  attraversato  da  cordoni,  da  palme  e  da  rialzi 
rotondi  in  rilievo.  Uguali  ornamenti  si  ripetono  anche  ai  quattro  lati  dell'urna.  Era 
sepolta  a  m.  0,60  ;  il  fondo  poggiava  su  di  una  lastra  granitica  quadrangolare,  e  su- 
periormente era  difesa  da  informi  pietre  messevi  alla  rinfusa. 

6.  Il  predetto  sig.  Tommaso  Tamponi  intraprese  un  altro  scassato  in  un  predio 
di  sua  proprietà  situato  all'imboccatura  del  paese,  tra  la  stazione  ferroviaria  e  la  ba- 
silica di  San  Semplicio.  Si  scopersero  sei  tombe  a  tettuccio,  le  quali  stavano  allineate 
alla  regolare  distanza  di  un  metro.  Una  di  esse  portava  nel  cumignolo  della  vòlta 
l'avanzo  di  un  tubo  fittile  sporgente  col  diametro  interno  di  m.  0,08.  Gli  scheletri, 
tutti  dolicocefali,  giacevano  col  cranio  rivolto  a  levante.  Senza  contare  i  numerosi  fram- 
menti fittili  spettanti  a  piccoli  recipienti,  si  cstrassero  incolumi  due  vasi  di  vetro, 
una  scodella  aretina  alquanto  scheggiata  e  lesionata  nell'orlo,  e  quattro  anforette  di 
argilla  ordinaria.  Dalla  tomba  guarnita  del  tubo,  si  estrasse  una  lamina  d'argento 
in  quadratura,  che  misura  cent.  6  per  ciascun  lato.  Nel  mezzo  della    lamina  e  pra- 


TERRANOVA    KAUSANIA  —    396    —  SAKDIMÀ 

ticato  un  foro  circolare  di-l  iliainetro  di  S  cent.,  il  quale  era  chiuso  da  una  lastrina 
di  madreperla  di  cui  rimangono  appena  gli  avanzi.  In  direzione  del  cranio  si  raccolse 
un  paio  di  orecchini  in  oro,  consistenti  ciascuno  in  una  piccola  ghianda  dalla  quale 
pendono,  infilzate  ad  un  anellino,  due  catenelle  lavorate  a  filigrana  lunghe  m.  0,02. 
Da  un'altra  tomba,  più  piccola  delle  precedenti,  perchè  appartenente  a  bambina,  si 
raccolsero  altri  due  orecchini  di  oro,  consistenti  in  una  lastrina  dello  stesso  metallo, 
in  forma  rotonda,  racchiudente  una  pietra  verde  quadrangolare  tìniente   a   piramide. 

7.  Certi  cavatori  di  pietra,  attendendo  com'è  loro  consuetudine,  a  rivoltare  un 
forte  strato  di  terra  nella  collina  di  San  Semplicio,  diedero  occa.sione  ad  alcune  sco- 
perte archeologiche.  Esse  consistono  in  11  urne  ossuarie  fittili  di  diversa  grandezza, 
contenenti  i  resti  combusti  e  sminuzzati  dei  cadaveri  ;  hanno  l'istossa  forma  delle  an- 
fore, col  coperchio  leggeimeute  conico  terminante  in  un  rialzo  a  globo.  Giacevano  in 
un  sedimento  di  breccia  dura  e  giallastra,  alla  profondità  di  circa  un  metro,  entro 
apposite  buche  scavate  nel  vivo  di  quella  roccia,  le  quali  vennero  poi  riempite  di  sa.ssi 
e  di  terra. 

8.  Nella  spiaggia  del  mare,  presso  la  villa  Tamponi,  si  trovò  casualmente  un 
frammento  marmoreo  di  lapide,  che  conserva: 


Si  trovò  pure  il  fondo  d'un  vaso  di  vetro  che  esibisce  la  scritta: 

RIMON 

Tale  bollo  concorda  con  altro  da  me  edito  nella  Classical  Review  di  Londra  (v.  IV, 
1890,  p.  07),  e  nello  Notizie  189;i,  a  pag.  393. 

9.  Frammisto  a  molte  pietre  accumulate,  vicino  al  predio  Ciaruzsedda  e  presso 
Terranova,  raccolsi  un  frammento  marmoreo  che  conserva  le  lettere  : 

10.  Scavandosi  un  tratto  di  terra,  per  lavori  agricoli,  nell'appezzamento  Oltu 
Mannu,  vicino  all'antico  porto  romano,  si  rinvenne  il  frammento  della  bocca  di  una 
grossa  anfora  fittile,  col  graffito  seguente  : 

S  +  +X 

r.  Tamponi. 

Roma,   16  dicembre  1894. 


REGIONE    XI.  —   397   — 


TORINO 


DICE  M  B  R  E 


Regione  XI  {7RAXSPADANA). 

I.  TOlilNU  —  Avaiui  antichi  scoperti  nei  laoori  per  la  fogmtura. 

Nello  scavo  per  il  canale  della  fognatura  sul  viale  di  destra  del  Corso  Kegiua 
Margherita,  di  fronte  al  muro  di  cinta  del  giardino  reale,  fra  la  via  Venti  Settembre 
e  l'incontro  col  corso  San  Maurizio,  si  estrassero  parecchi  mattoni  e  pezzi  di  tegoli 
coi  risvolti,  frammenti  di  vetri,  di  anfore  e  di  altri  vasi  di  terra  cotta,  fra  cui  di 
quelli  con  ornamenti  in  rilievo  e  verniciati  in  rosso  lucido.  Un  fondo  piano  di  patera 
recava  il  bollo  pediforrae  di  tigulo  aretino: 

L  -GEL 
ovvio  pure  in  Piemonte,  né  sconosciuto  a  Torino  (Rivantella  e  Ricolvi,  Marni.  Taur., 
Il,  p.  1U5). 

Erano,  fra  questi  avanzi  ossa  umane  ed  animali,  e  si  raccolse  altresì  la  parte 
inferiore  di  una  lastra  marmorea,  alta  m.  U,21,  lunga  m.  0,84,  che  reca  in  lettere 
rozze  (alcune  paleogratìcamente  curiose),  alte  in  media  m.  0,035: 

cv. 

cvisb- 

UBERO  PATkx 
I  PROCVRA  ?Qs\ 
T 

Non  sono  ben  certo  della  line  della  liu.  é*».  Liber  -pater  occorre  già  in  altro  titolo 
torinese  (C.  /.  Z.,  V,  n.  6950). 

La  terra,  in  cui  questi  resti  fm-ono  scoperti,  era  stata  colà  trasportata  anni  isono, 
per  alzare  il  livello  del  corso,  da  scavi  probabilmente  non  lontani,  forse  da  quelli 
per  lo  fondazioni  delle  case  fronteggianti.  La  presenza  di  ossa  umane  mostra  che  fra 
quei  resti  ve  ne  sono  di  sepolture.  Il  luogo  è  fuori  della  cinta  romana,  non  discosto 
dalla  porta  settentrionale  (la  così  detta  lìorla  Palatina),  e  dalla  strada,  che  si  av- 
viava verso  la  Dora,  con  direzione  non  ancora  precisamente  determinata. 

Al  di  là  di  questo  fiume,  nel  punto,  ove,  secondo  il  piano  d'ingrandimento  della 
città,  si  taglieranno  obliquamente  la  via  Foggia  ed  il  corso  Palermo,  si  trovò  un'an- 
fora mancante  del  collo,  rotta  in  più  pezzi  e  ripiena  di  terra  nera;  e,  ad  una  di- 
Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi,  II,  Serie  5*,  parte  2".  òl 


NOLI 


—   398   —  RBGIONE   IX. 


stanza  di  una  voutina  di  metri,  due  iticcoli  vasi  cretacei  cou  breve  collo  e  manico. 
Avanti  di  altre  sepolture  già  si  erano  scoperti  in  questi  luoghi  (cfr.  Notule  1887, 
p.  4)35;  1888.  p.  272;  1802,  p.  3159). 

Un  sepolcro,  fatto  di  materiale  di  età  romana,  ma  probabilmente  a  questa  po- 
st«riore,  si  trovò  pure  in  quelle  vicinanze,  in  via  Pisa,  tra  le  vie  Ancona  e  Perugia, 
presso  rangole  cou  quesfultima.  Era  rettangolare  coi  lati  formati  da  corsi  di  mattoni 
con  l'impronta  della  mano,  interi  (m.  0,42  X  0,32)  o  rotti,  e  di  laterizi  a  forma  di 
semicirooli  o  di  quarto  di  cerchio,  congiunti  con  calce,  Nei  tratti  meglio  conservati 
i  corsi  giungevano  ad  otto.  Nell'interno,  di  cui  ho  potuto  esaminare  due  lati  intera- 
mente 0  parte  di  un  tene,  le  pareti  erano  arricciate,  e  misuravano  m.  1,95  di  lun- 
ghezza nei  lati  maggiori  e  m.  1 ,83  nei  minori.  L'asse  era  in  direzione  da  nord  a  sud,  e 
formava  un  angolo  di  47°  con  quello  della  via  Pisa.  Trovaronsi  guasti  i  resti  di  tre  o 
quattro  scheletri  umani  con  la  testa  a  nord,  senza  alcun  oggetto  di  corredo  fimebre. 
Era  questo  sepolcro  sopra  uno  strato  di  puddinga,  ed  era  circondato  in  parto  e  co- 
perto da  terra  trasportata.  Dal  piano  della  strada  a  quello  della  tomba  contavasi  la 
distanza  di  m.  1,20. 

Avanzi  dei  soliti  mattoni  e  tegoli  con  ossa  si  trovarono  nei  lavori  fatti  per  la 
fognatura  e  per  altri  scopi  presso  il  maschio  della  cittadella  nell'angolo  sud-ovest  della 
città  romana.  Scoperte  di  antichità  iu  quei  luoghi  avvennero  più  volte;  se  n'ha  me- 
moria sin  dal  tempo,  in  cui  il  duca  Emanuele  Filiberto  faceva  costruire  la  cittadella 
(Ottaviano  Ferraio  ad  Aldo  Manuzio,  156().  cod.  Vat.,  n.  5237,  f.  347').  Nei  lavori 
dell'anno  1893  venne  fuori  altresì  una  lueernetta  fìttile  con  le  lettere: 

PCP 
analoga  ad  altra  di  Vercelli,  ove,  per  la  non  buona  conservazione  nella  seconda  let- 
tera io  aveva  scorto  una  G  {Mem.  della  R.  Acc.  delle  sciense  di  Torino,  ser.  II, 

tom.  XLI,  p.  128,  u.  42,   lo). 

E.  Ferrerò. 


Regione  IX  (LIGURIA). 

II.  NOLI  —   [scr'uiom  funebre  lalim  scoperta  mila  catledrale. 

Eseguendosi  alcune  riparazioni  nella  cattedrale  di  Noli  ligure,  si  rinvenne,  ado- 
perata come  materiale  da  costiuzione,  un'umetta  cineraria,  marmorea,  sulla  cui  fronte, 
entro  cornice,  superiormente  terminata  da  timpano,  legge.4  la  seguente  epigrafe,  della 
quale  il  prof.  comm.  A.  D'Andrade,  direttore  dell' Uflicio  regionale  per  la  conserva- 
zione dei  Monumenti  del  Piemonte  e  della  Liguria,  trasmise  un  calco  cartaceo: 

D  M 

L  CAECILl  ALEXAN 
DRI  CONIVG  B  M- 
CAECILIA    TYRANI^S 

L'urna  conscrva.'<i  ora  nella  sacrestia  della  cattedrale.  F.  H- 


REGIONE    X.    VI.  —   399   —     CONCORDIA,    CASTEIJ-EONE  DI  SUASA 


Regione  X  (VENETI A). 

III.  CONCORDIA  —  Avamo  delle  antiche  mura  della  ei Uà  colonica, 
rinvenuto  nel  fondo  Siro. 

Il  sig.  Giacomo  Stringhetta,  allo  scopo  di  cercare  materiali  da  costnizione,  eseguì 
uno  scavo  nel  fondo  posseduto  dalla  signora  Elisa  Siro  vedova  del  Pra,  noi  punto 
segnato  col  n.  1  nella  pianta  dell'antica  Concordia  Sagittaria,  pubblicata  nelle  No- 
lisie  del  1880,  tav.  XII. 

Lo  Stringhetta  si  accinse  all'opera  partendo  dal  punto  segnato  in  pianta  col  n.  ■', 
0  dirigendosi  verso  il  n.  1,  poiché  giusta  lo  sue  induzioni,  ivi  dovevansi  trovare  le 
mura  della  colonia  romana. 

Infatti,  a  circa  m.  1,50  dal  livello  del  suolo,  s'imbattè  nel  muro,  costruito,  in 
quel  punto,  colle  pareti  e  la  parte  superiore  di  laterizi  della  dimensione  in  media  di 
m.  0,40X0,30X0,06,  posti  a  strati  alternati,  cioè  per  lungo  e  per  traverso.  La 
parte  intermedia  è  di  opera  incerta,  cioè  di  pezzi  di  pietrame  vivo  e  calce.  Il  muro 
riposa  sopra  uno  strato  di  impasto  simile  al  belod,  di  circa  m.  0,50  di  spessore,  assai 
indurito.  L'altezza  calcolasi  di  circa  m.  3  e  la  larghezza  di  m.  3  alla  base  era.  2  in 
sommità.  Non  si  restringe  dal  basso  all'alto  ;  ma  è  a  tratti  verticali,  con  due  riseghe, 
ad  ognuna  delle  quali  si  restringe  per  circa  m.  0,50.  Un  frammento  di  quadrone 
laterizio,  reca  impresso  il  bollo  già  noto  per  altri  esemplari,  ed  edito  nel  C.  I.  L.. 
V,  n.  149. 

Questo  modo  di  costruzione  delle  mura  di  Concordia,  non  è  speciale  che  al  luogo 
ora  scoperto,  mentre  negli  altri  pimti  il  muro  era  di  massi  irregolari  di  sasso  vivo, 
saldamente  cementati  tra  loro.  Ora,  la  platea  che  è  base  alla  fondazione  e  la  molta 
torba  che  vi  si  scava  all'intorno,  lascia  supporre  che  tale  costruzione  siasi  prescelta 
per  la  natura  bassa,  palustre  e  mal  sicura  del  suolo. 

Addossati  poi  al  muro,  dalla  parte  interna,  nel  punto  segnato  in  pianta  col 
n.  3,  si  rinvennero  alcuni  massi  quadrati  di  sasso  vivo,  un  rocchio  e  tre  quarti  di 
colonna,  di  m.  1,10,  altro  di  colonna  intera  del  diametro  di  m.  0,30  ed  un  capitello 
ionico,  alquanto  guasto,  di  m.  0,36  di  diametro,  alla  base,  alto  m.  0,33,  largo,  tra 
le  punte  delle  volute,  m.  0,14. 

G.  C.  Bertouni. 

Regione  VI  (UMBRIA). 

IV.  CASTEIiLEONE  DI  SUASA  —  Costrusioni  varie  scoperte  nel- 
l'area dell'antica  Siiasa. 

Sono  stato  a  s.  Lorenzo  in  Campo  per  esaminare  gli  avanzi  architettonici  di 
recente  scoperti  nel  luogo  dell'antica  Suasa. 

Si  tratta  di  basi,  tronchi  di  colonne  e  mensole  di  marmo,  incontrate  alla  pro- 
fondità di  circa  un  metro  e  mezzo  dal  suolo  attuale,  in  occasione  degli  sterri  per 
un  nrquodotto  clw  dal  Monte  Secco  dovrà  porterò    V\\Ci[\n\   al   coniunc   di    Corinaldo. 


CASTEI.I.EON'E    Ul    SIASA  —    iOO    —  REGIONE    VI. 


La  conduttura  passa  sotto  Cast4?noono  di  Suasa,  costeggiando  una  strada  coimnialc. 
ronfinanto.  tanto  a  monte  quanto  a  valle,  con  i  poderi  del  principe  don  Emanuele  Uu- 
spoli  attualo  sindaco  di  Roma.  1  quali  poderi  occupano  altresì  la  maggior  parte  dcl- 
lan'a  dell'antica  Suasa. 

Ciò  è  provato  dal  fatto  che  si  incontrano  nel  sottosuolo  pavimenti  e  muri  di 
private  abitazioni,  delle  quali  appaiono  le  sezioni  noi  fossi  di  scolo,  e  vi  vedono  i 
i  ruilori  doU'aufiteatro.  emergenti,  ancora  in  parte,  a  tìor  di  terra;  inoltre  vari  ri- 
trovameuti  parte  fortuiti,  parto  intenzionali,  vi  si  fecero  por  lo  passato,  di  moininicnti 
scritti  e  di  oggetti  d'arte. 

Da  persone  del  luogo  mi  venne  riferito  che  circa  venti  anni  addietro  si  rinvenne 
una  t«sta  di  cavallo  in  lirmi/.o  di  irrandozza  naturale  e  di  buonissimo  lavoro,  la  (lualc 
fu  poi  venduta  all'estero.  La  testa  fu  veduta  altresì  «lai  11.  isiiettore  cav.  A.  Auselmi, 
il  quale  mi  a.ssicura  che  il  bronzo  era  dorato,  come  quello  del  cavallo  di  M.  Aurelio 
in  Campidoglio. 

Delle  lapidi  scritte,  oltre  quelle  citato  dal  Rrandimarte  {Piceno  Annonario,  Uoma 
1825,  pag.  Ili  sq.)  e  già  al  suo  tempo  scompai-se,  tre  se  ne  conservano  ancora 
in  caiia  di  privati  a  Castolleone,  le  quali  saranno  quanto  prima  pubblicate  dal  Bor- 
mann  nel  voi.  XI  del  C.  ì.  L.  Un  grandioso  monumento  sepolcrale  proveniente  da 
Suasa  conservasi  nel  Museo  di  Ancona  e  fu  publ)licato  dal  eh.  Henzen  negli  Annali 
dell' Insl.  1872,  p.  GÌ.  tav.  d'agg.  F.  Era  stato  ritrovato  poco  tempo  prima  .  vicino 
r^li  avanzi  dell'anfiteatro  e  non  lungi  dal  Cesano  '•. 

Questo  antiteatro  era  stato  creduto  finora  di  forma  circolare.  11  Ihandimarte  dice 
(1.  e.  p.  107):  ■•  Si  mirano  i  ruderi  dell'anfiteatro  ch'era  perfettamente  tondo  o  molto 
vasto,  e  vicino  ad  esso  quelli  di  un  tempio  in  cui  furono  trovate  molte  antichità  dal 
Volpelli  e  fra  esse  una  statua  di  Giove  di  marmo  parie  ». 

Parendomi  anormale  un  anfiteatro  di  forma  circolare,  ne  ho  fatto  misurare  gli 
avanzi  emergenti  sopra  suolo,  ed  è  risultato  di  forma  elittica  con  lUO  metri  per  l'asse 
l>iìi  lungo,  ed  80  per  quello  più  breve. 

L'area  occupata  dall'antica  città  è  travei-sata  ora  da  ponente  a  levante  dalla  so- 
liraindicata  via  comunale,  ed  in  tre  punti. di  essa  s'incontrarono  recentemente  gli  ac- 
cennati avanzi  architettonici. 

Il  primo  luogo  è  di  fronte  la  casa  colonica  detta  Tappatino.  Ivi  alla  profondici 
di  111.  1,50  sotto  il  margine  a  monte  della  strada  comunale  s'incontrò  un  pavimento 
formato  con  grandi  blocchi  di  un  marmo  rosso,  simile  a  quello  di  Verona,  larghi  circa 
un  metro  quadrato,  dello  spessore  di  oltre  80  cent,  e  levigati,  anzi  quasi  lucidi,  in 
una  delle  faccio. 

Per  far  posto  alla  conduttura  questi  lastroni  vennero  alcuni  estratti,  altri  barba- 
ramente rotti.  Ne  ho  veduto  sei  appoggiati  al  muro  della  casa  colonica  ed  altri  an- 
cora in  sito,  ma  spezzati. 

Non  ostante  la  ristrettezza  del  taglio  (largo  appena  m.  0,60)  ho  potuto  me- 
diante tasti  qua  e  là  acquistare  la  convinzione  che  il  pavimento  marmoreo  si  esten- 
deva cosi  sotto  la  strada  comunale,  comò  sotto  il  podere,  a  monte,  del  principe  Uu- 


REGIONE   VII.  —   401    —  VETULONIA 

spoli,  0  che  con  uno  scavo  largo  o  regolare  si  potrà  determinare  l'edifìzio  a  cui  esso 
ha  appartenuto. 

Circa  cento  metri  più  oltre  verso  l'anKteatro  s' incontrò,  pure  alla  medesima 
profondità,  un  grande  dado  marmoreo,  largo  un  metro  che  ora  sormontato  da  una 
hella  base  ionica  di  in.  0,7."i  di  diametro  e  di  assai  buon  lavoro.  La  colonna  pioha- 
l)ilmente  non  era  sola,  ma  perchè  il  cavo  in  questo  secondo  punto  era  già  stato  col- 
mato, non  ho  potuto  investigare  se  altre  ne  esistessero  più  discosto  e  da  quale  specie 
di  pavimento  fsssero  circondate. 

Ricerche  più  particolareggiate  ho  potuto  istituire  nel  terzo  punto,  distante  circa 
60  metri  dal  secondo,  sempre  sulla  medesima  linea  stradale,  ma  quasi  di  fronte  al- 
l'anfiteatro. Ivi  si  era  incontrata  una  fila  di  blocchi  quadrangolari  di  calcare,  larghi 
più  di  un  metro  i  quali  erano  sovrapposti  due  a  due  o  costituivano  le  fondamenta  di 
colonne  costruite  a  tamburi.  I  blocchi  equidistavano  fra  loro  quattro  metri  ;  ma  i  due 
di  mezzo  soltanto  m.  3,20,  e  lo  spazio  racchiuso  fra  essi  era  occupato  da  un  grosso 
e  largo  gradino  fatto  in  duo  blocchi,  della  lunghezza  complessiva  di  m.  2,80,  in  modo 
che  rimaneva  un  vuoto  di  venti  centimetri  per  parte  fra  i  gradini  e  la  base  della 
colonna. 

Tale  vuoto  probabilmente  era  riempito  con  grossi  mattoni  esagonali,  i  quali  cir- 
condavano altresì  da  ogni  parte  le  altre  due  basi  di  colonne  e  costituivano  il  pavi- 
mento dell' editìzio.  Del  quale  pavimento  ho  riconosciuto  ancora  gli  avanzi  in  posto 
così  a  destra  come  a  sinistra  delle  ultime  due  basi  di  colonne:  per  cui  non  si  può 
ancor  dire  se  queste  fossero  soltanto  quattro,  oppure  in  maggior  numero. 

Anche  qui  sarebbe  necessario  uno  scavo  ampio  e  regolare  per  determinare  l'esten- 
sione e  la  uatm-a  dell'edifizio  a  cui  hanno  appartenuto  non  solo  queste  colonne,  ma 
ancora  una  grande  mensola  marmorea,  alta  più  di  un  metro,  ritrovata  in  vicinanza 
di  esse. 

Siccome  tutti  questi  trovamenti  avvennero  lungo  la  strada  comunale,  così  tanto 
le  colonne,  quanto  le  basi  e  le  mensole  sono  di  proprietà  del  comune  di  Castelleono 
di  Suasa,  dove  ho  consigliato  che  siano  trasportate  e  collocate  nel  cortile  del  imini- 
cipio,  perchè  rimanendo  sulla  strada  dopo  poco  tempo  o  scomparirebbero  o  audreb- 
bero distrutte. 

Nel  sottosuolo  od  in  sito  restano  ancora  i  dadi  inferiori  che  servivano  di  so- 
struzione alle  colonne,  e  che  alla  ripresa  dello  scavo,  potranno  essere  di  guida  per 
controllare  le  misuro  e  lo  distanze  da  colonna  a  colonna  indicate  nel  presente  rapporto. 


Rreione  vii  (ETRURIA). 

V.  VKTUTjONIA  —  Ih  una  kcrisione  latina  dedicala   a  Caracalla. 

Nella  nuova  JJadia  di  Sestinga,  ridotta  a  casale,  presso  Colonna  ora  'Vetulonia. 
entro  il  perimetro  delle  mura  dell'antica  città,  il  solerte  ispettore  dott.  I.  Falchi 
riconobbe  un'iscrizione  latina,  di  cui  trasmise  il  calco.  Era  applicata  come  soglia  di 


VBTULONIA 


402    —  REGIONE    VII. 


inanno  ad  una  tiuestra,  e  si  appalesa,  sebbone  mancante  (lolla  parte  superiore,  come 
nnoraria  ali" imperatore  Caracalla.  Per  la  importanza  sua  e  per  la  lozione  migliore 
tleirclita  nel  giornale  YOmbronc  (n.  40  della.  IH'Ct).  "ou  vi  ha  dubbio  che  deve 
inserirsi  in  questo  Nulisie.  A  suo  complemento  supplisco  le  parti  manrauti.  attenen- 
domi a  simili  iscrizioni,  e  specialmente  a  quella  di  Perugia  {C.  I.  !..  XI.  parte  1». 
n.   1!»25): 

Im\).  Cacs.  M.  Aurelio 
Antonino.  Aug.  Tr.  Poi.  ... 
Imjh  Cacs.  L.  Seplimi  Severi 
Pii.  Pertiiiacis.  Ann.  KKabici 
ADIABENICIFILIOD//7.  M. 
ANTONININEP  DIVIA/i/o/»/<i 
PII  PRON  DIVI  HDRIA/;/yl(/«e/). 

DIVI  •  TRAIANI  •  ?KmCi  .  et 

DIVI  NERVAE  ■  ADfiEpoti 
I  X  ■   D   ■   D      P      P  • 


Vaio  a  diro  nell'iiltima  riga:  E.v  decreto  deeurionvm  pecunia  pnblico.  11  che  ci  av- 
visa, che  presso  quel  luogo  sorgeva  un  municipio  fra  il  secondo  e  il  terzo  secolo  del- 
l'era volgare.  Di  quale  mai  si  tratta  ?  Certo  di  quello,  che  era  in  cima  del  poggio, 
risorto  dopo  la  distruzione  dell' etrusca  città.  Nella  grave  questione,  quale  lassù  si 
fosse,  "•iun<'e  molto  opportuno  questo  nuovo  monumento.  Non  è  vero  adunque,  come 
si  propalò  e  si  fantasticò,  che  nel  poggio  di  Colonna  Vetulonia  cessasse  cinque  o  sei 
secoli  av.  Cr.  e  i  suoi  abitanti  più  a  settentrione  trasmigrassero,  fondando  una  cittiì 
omonima.  E  neppure  è  vero,  che  dopo  la  sua  distruzione  avvenuta,  come  si  rileva 
dalle  monete,  nel  secolo  primo  av.  Cr.,  la  ricoprisse  un  oblio  di  tempi  e  di  fortuna. 
Invece  riprese  vita,  e  si  costituì  a  municipio.  Nel  suo  pubblico  Foro  saranno  stati  di- 
sposti i  titoli  onorari  ai  cittadini  più  cospicui,  ai  patroni,  e  agli  imperatori  :  e  questo 
a  Caracalla  a  noi  rimane  di  valida  testimonianza.  Sono  persua.so,  che  proseguendosi 
gli  scavi  entro  cittìi,  come  felicemente  da  due  anni  si  è  cominciato,  s' incontrerìi  il 
luogo  del  Foro,  e  da  qui  verrà  alla  luce,  (luale  fu  ijuella  città  etrusca,  che  intorno  a 
sé  svolse  una  così  gi-ande  e  meravigliosa  necropoli. 

r.rij  sapevamo  che  la  città  di  Vetulonia  non  ricordata  da  Strabene,  perchè  a  suo 
tempo  distrutta,  aiiparisce  poco  dopo  come  ricostituita  da  potere  concorrere  colle  altre 
di  Ktruria  ad  onorare  l'imperatore  Claudio  con  un  monumento  in  Cerveteri.  Si  ricorda 
il  suo  nome  in  varie  epigrati  del  secondo  e  terzo  secolo,  da  che  si  desume  la  sua  esi- 
stenza al  tempo  imperiale.  Ma  finora  dubitoso  fra  me  diceva  :  Si  pone  Vetulonia  etrusca 
sul  poggio  di  Colonna,  con  ragioni  invero  validissime,  e  pare  che  del  tutto  siale  man- 
cata la  vita  prima  di  Cesare,  essendomi  manifesto  che  la  sua  distruzione  fu  eseguita 
da  qualche  legione  di  Siila  :  ma  dove  sarà  la  Vetulonia  romana,  della  quale  abbiamo 
l'accertamento  in  Plinio  e  Tolomeo,  e  nelle  iscrizioni?  Ora  qu&sta  difficoltà  è  scom- 
parsa. Kocentemonte  ho  itubblirato  nel  Ihi/lclthto  Dforico  .«-//(V"  alcune  epigrati  latine 


ROMA  —   403    —  ROMA 

sparse  nel  poggio  di  Colonna,  ove  restano  non  lievi  traccio  di  vie  romane.  11  titolo 
ora  di  Caracalla  decide,  che  alla  città  etnisca  successe,  sia  pure  dopo  un  secolo,  il 
municipio  romano. 

Da  quanto  finora  possediamo,  si  può  asserire  che  quasi  tutti,  se  pure  non  furono 
tutti,  i  quindici  popoli  dell' Etruria  dedicarono  un  ricordo  di  gratitudiue  a  Caracalla. 
Sussistono  tali  monumenti  a  Luui,  a  Perugia,  a  Volsinii,  a  Falena,  a  Cosa,  a  Saturnia, 
a  Sutri,  a  Cerveteri,  ad  Alsio,  e  a  Capena,  e  se  ne  ritroverà  qualche  altro  di  altra 
città  dell'Eti-uria.  Queste  dimostrazioni  pubbliche  appellano  a  provvidenze,  a  libera- 
lità, e  a  benefici  di  Caracalla  inverso  quei  municipi,  sia  per  rifacimenti  di  strade, 
sia  per  condoni  d'imposte,  sia  per  istituzioni  di  monti  frumentarì.  Certo  aveva  tutta 
la  regione  etnisca  gran  bisogno  di.  essere  sollevata,  specialmente  la  marittima.  Saturnia 
dichiara  che  onora  Caracalla  {CI.  L.  XI,  p.  1%  n.  2()48)  oh  multa  et  Mmlria  ia 
se  beneficia  divinae  iddulgentiae  eius.  Lo  scopo  dell'epigrafe  del  poggio  di  Colonna, 
che  omai  potremo  dire  di  Vetulonia,  è  sicuramente  uno  simigliante.  Poiché  a  quale 
altra  città  possiamo  pensare':'  forse  a  Colonia,  rammentata  solo  da  un  dubbio  passo 
di  Frontino,  ed  in  un  martirologio,  mentre  non  si  legge  il  suo  nome  in  alcun  mo- 
numento, in  niun  latercolo  militare 'r'  Eppoi  è  molto  disputabile  se  quella  Colonia 
equivalga  alla  medievale  Colonna:  e  infine  che  i  romani  abbiano  dato  l'appellativo 
generale  alla  colonia  dedottavi  senza  determinarla,  il  clie  non  facevano  mai.  Adunque 
resta  comprovato  anche  per  questo  nuovo  documento,  se  non  direttamente,  almeno  per 
giusta  deduzione,  che  la  città  etnisca,  situata  sopra  il  poggio  di  Colonna,  riprese  vita 
al  tempo  imperiale,  e  ciò  molto  conforta  l'opinione,  ornai  universalmente  accettata 
(nulla  contando  le  scritture  più  o  meno  vivaci  ed  erudite  senza  dei  fatti),  che  quella 
debba  stimarsi  e  credersi  la  celebre  Vetulonia, 

6.  F.  Gamurrini. 


VI.  ROMA. 
Nuove  scoperte  mila  cilici  e  nel  suburbio. 

Regione  IV.  Intrapresi  dal  Ministero  delia  pubblica  Istruzione  alcuni  lavori 
per  rimuovere  l'umidità  nel  pavimento  della  chiesa  detta  di  s.  Pudenziana,  si  è  ster- 
rata una  parte  degli  antichi  edifici  sui  quali  quella  chiesa  fu  fondata.  Quando  i  la- 
vori saranno  compiuti,  e  saranno  tratte  piante  e  disogni  delle  costruzioni  sottoposte 
alla  chiesa,  potrà  riconoscersi  se  queste  costruzioni  siano  da  attribuire  ai  portici  delle 
termo  di  Nevato,  iioUe  quali  alla  metà  del  secondo  secolo  dell'era  nostra  fu  costituito 
il  tilolo  di  Pudente  ossia  \ ecclesia  Pudentiana;  ovvero  se  spettino  alla  riedifica- 
zione della  chiesa  stessa  fatta  nell'annuo  308  sotto  il  pontificato  di  Siricio,  dai  preti 
Leopardo  ed  Ilicio. 

Frattanto  possiamo  accennare,  die  quattro  .spazioso  e  lunghe  gallerie,  costruite 
in  buon  laterizio,  pai'allele  fra  loro  e  comunicanti  mediante  una  serie  di  arenazioni, 
sono  state  già  scopurte:  qualcun'altra  ne  è  ancora  nascosta  sotto  le  terre,   come  in- 


ROMA  —   404   —  ROMA 

ilicauo  gli  archi  di  comunicazione  che  appariscono  in  una  di  esse.  Tali  gallerie  oc- 
cupano tutto  lo  spazio  della  chiosa  sjuperiore.  e  vei'so  la  facciata  di  questa  mettono 
iu  alcuno  stanze  quadrate,  con  volta  a  crociera,  sulle  cui  pareti  intonacate  veggonsi 
tuttora  tracce  di  decorazione  a  scomparti  architettonici,  formati  da  linee  di  colore 
rosso.  In  una  delle  indicate  gallerie,  e  poco  sotto  la  volta,  si  è  scoperta  una  nicchia 
iu  forma  di  arcosolio  ;  nel  cui  fondo  è  conservatissimo  un  bel  dipinto,  che  ritrae  l'apo- 
stolo Pietro  in  mezzo  alle  giovani  Prassede  e  Pudenziana.  Le  figure  sono  distinte  coi 
propri  nomi,  scritti  con  lettere  una  sotto  l'altra. 

Il  piano  antico  ù  stato  iu  alcuni  luoghi  r^giunto,  e  trovasi  a  piìi  di  setto  metri 
sotto  il  pavimento  della  chiesa.  In  un  punto  si  è  scoperto  un  avanzo  di  pavimento 
a  nuijiaico  bianco  e  nero;  in  un  altro  si  ò  incontrato  il  selciato  di  un'antica  strada 
romana.  Fra  le  terre  è  stato  raccolto  un  frammento  di  zoccolo  in  porfido,  un  piccolo 
rocchio  di  colonna  scanalata  in  marmo  bianco,  frammenti  di  lastre  diverse  di  maiini 
colorati,  0  quattro  pezzi  di  tegoli  con  bollo.  Due  di  questi  sono  delle  figline  di  t^. 
Servilio  Pudente  e  spettano  agli  anni  128-lo3  (cfr.  CI.  L.  XV,  1439);  uno  è  delle 
figline  Terenziane  e  dell'età  di  Settimio  Severo  (cfr.  CI.  I.  XV,  G2ij);  un  altro  ri- 
corda l'ofliciua  Vicciana,  e  dee  riferirsi  alla  metà  del  primo  secolo: 

^         V  I  C CI N 

A  sinistra  <lelli'  gallerie  sopra  indicato,  cioè  nella  parte  che  si  estende  alle  pen- 
dici del  Viminale,  sono  state  sterrate  altre  gallerie  minori  :  e  quivi  la  caduta  di  una 
piccola  parte  della  volta  ha  messo  allo  scoperto  il  pavimento  a  musaico  di  un'antica 
stanza  romana,  che  si  trova  a  livello  più  alto  e  di  poco  inferiore  a  quello  della  chiesa. 
Il  musaico  è  a  minuti  tesselli  bianchi  e  posa  sopra  un  piano  di  mattoni,  uno  dei 
quali  ha  il  bollo  dell'età  di  Antonino  Pio,  coi  nomi  di  Flavio  Apro  e  del  figlilo  Giulio 
Callisto   (C.  /.  L.  XV,  1145). 

Kegione  V.  In  via  Palestre,  facendosi  un  cavo  per  fondazione  presso  l'angolo 
ad  oriente  del  casamento  segnato  col  n.  15,  a  quattro  metri  sotto  il  piano  stradale 
si  ò  rimesso  all'aperto  un  avanzo  di  antica  costruzione  in  opera  reticolata.  Si  com- 
pone di  due  muri  posti  ad  angolo  retto,  il  primo  dei  quali  ò  lungo  m.  1,2U,  l'altro 
in.  0,<30. 

Refioue  IX.  Negli  sterri  per  la  costruzione  della  rampa  d'accesso  al  ponte 
Umberto  I,  presso  la  via  di  Monte  Brianzo,  sono  stati  scoperti  avanzi  di  un  antico 
muro  ad  opera  reticolata.  In  prossimità  di  esso  si  trovarono  due  basi  di  colonne,  di 
m.  0,:57  per  ogni  lato,  distanti  l'una  dall'altra  m.  l,o2.  Fra  le  terre  fu  recuperato 
un  rocchio  ili  colonna  di  gninit<i  bigio,  lungo  circa  m.  2,  col  diametro  all'imoscaiio 
di  m.  U,G7.S. 

Kegione  XI.  Nel  giardino  attiguo  al  casamento  Cartoni  in  via  di  .-<.  Teodcuo 
n.  11,  facendosi  alcuno  opere  di  fondazione  si  è  trovata  un'antica  fogna,  che  corri- 
s|mnde  all'angolo  sud  del  fabbricato  medesimo.  Ila  l'altezza  di  m.  1.70,  la  larghezza 
di  m.   l,-lo,  0  trovasi  a  circa  otto  metri  sotto  il  livello  stradale. 


REGIONE   X.  —    4U5    —      ROCCA  DI  l'.Vl'A,    S.  MARIA  C.  VETERE 

Regione  XII  [.  Un  altio  uvauzo  di  pavimento  a  musaico  bianco  o  nero  ò  tor- 
nato in  luco  nei  lavori  per  il  lato  meridionale  del  nuovo  monastero  dei  Benedettini 
sull'Aventino.  È  alla  profondiiii  di  «ette  metri  sotto  il  piano  attuale;  ed  è   },'randu- 

lueiito  danneggiato  e  consunto  dal  fuoco. 

G.  Gatti. 

•       •  Regione  I  (LATIUM  ET  CAJIJ'AXf.ìJ. 

VII.  IIOCCA  DI  PAPA  —  Resii  di  edifìein  termale  scnpcrli  alle  falde 

di  monte  f'aoo. 

Nel  terreno  boschivo  di  proprietà  dulia  Casa  Colonna,  alle  laide  meridionali  di 
Monto  Cavo,  in  vocabolo  Mezzaraga,  eseguendosi  delle  buche  per  piantare  alcuni  pali 
di  una  capanna,  si  scoprirono  due  vasche  in  muratura,  di  forma  quasi  semicircolare, 
parallele  ;  l'una  col  fondo  in  mosaico,  a  quadretti  di  marmo  bianco,  inclinato  a  nord- 
ovest, l'altra  rivestita  nelle  pareti  e  nel  fondo  di  lastre  di  marmo  bianco  e  di  por- 
tasanta.  Dai  fori  praticati  nel  fondo  delle  dette  vasche  si  riconobbe  il  vuoto  sotto- 
stante, che  pare  di  fornace,  con  pilastrini  quadrati  in  laterizio  {suspensurae).,  sui  quali 
poggiano  grossi  mattoni  quadri,  di  m.  0,60  di  lato.  Su  questi  sono  impressi  i  bolli 
riprodotti  nel  C.  I.  L.  XV,  u.  171,  207,  674,  riferibili  agli  anni  134,  138  dell'era 
volgare. 

Per  due  lati  della  vasca  rivestita  di  marmo  e  nelle  pareti  di  essa  appariscono 
le  tubnlature  fìttili  per  il  calorico,  comunicanti  coU'ipocausto.  A  breve  distanza  dalle 
vasche  suddette,  esistono  i  ruderi  di  due  ambienti  paralleli,  di  forma  rettangolare. 
comunicanti  tra  loro,  con  residui  di  copertura  o  volta  reale,  e  pare  che  spettino  a 
conserva  di  acqua.  Presso  le  vasche  osservasi  pure  un  avanzo  di  parete  con  paramento 
di  opera  reticolata,  di  pietra  albana,  e  con  un'apertura  di  cunicolo. 

Alla  destra  degli  indicati  ruderi,  indubitatamente  di  una  torma  o  balinoa  di 
qualche  siiburbano,  a  circa  m.  10  di  distanza,  trovansi  gli  avanzi  di  un'antica  strada 
romana,  pavimentata  con  poligoni  di  lava  basaltina,  per  la  quale  si  saliva  al  monte 
Laziale,  da  una  parte,  e  discendevasi  verso  Albano,  dall'altra. 

M.  Saldstri. 


VIII.  8.  MARIA  DI  OAPUA  VKTKHE  —  Il  direttore  del  Museo  Nazio- 
nale di  Napoli  ha  mandato  il  calco  cartaceo  della  seguente  iscrizione  osca: 


(a)         V  >)  I  :  V  1 

>irvia>iR^ 

NN*3D 


{b)       V  -J I  n  V  I 

SIOIM^ 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5*,  parte  '2". 


POMPEI,    S.    VITTORINO  —    40tì    —  REGIONE    1,    IV. 


Tale  lapide  fu  venduta  nel  passato  inverno  al  sig.  Bourgiiignon  da  persona  di- 
morante nelle  vicinanze  di,  S.  Maria  Capila  Vetere;  essa  misura  21U  mm.  di  lungh. 
0  mm.  17'>  di  hirgh.  ;  la  parte  sinistra  della  pietni  è  rotta,  sicché  possediamo  solo 
il  principio  dell'iscrizione.  La  terza  parola  del  lato  (a)  è  probabilmente  verna,  e  cioè 
la  parola  che  troviamo  in  altra  epigrafe  osca  (cfr.  Fabretti,  C.  1. 1.  2888,  Gloss.  col. 
.■)70).  L'iscrizione  nostra  appartiene  alla  classe  delle  ioriloe,  probabilmente  oll'erte  vo- 
tive a  (.ìiove  delle  quali  non  abbiamo  ancora  precise  notizie,  malgrado  le  m«lte 
iscrizioni  osche  che  ne  fanno  menzione  (cfr.  Zvetaiell',  SylL  Inscript.  Ose.  SSb,  'Ma; 
Uh.  Mas.  1888.  p.  130  e  segg.;  1889,  p.  323  e  segg.;  e  cfr.  anche  la  nuova  iscri- 
zione osca  recentemente  pubblicata  dal  Pianta,  in  /iidogermanhclte  ForschntKjeii  IV, 
1894,  p.  259).  Il  mkrak  è  nuovo  nel  dizionario  osco;  il  sa/crid  è  evidentemente  abla- 
tivo (cfr.  Uh.  .Vm.  voi.  45.  f.  II),  acc.  sakrì7n,  da  tema  in  -i,  come  slaagid  'loco' 
(acc.  slagim),  akrid  'acri'. 

Il  testo  della  nostra  epigrafe  fu  pubblicato  in  Uhcinischcx  Maifenm.  ISOl.  pa- 
gina 48U  dal  signor  K.  Seymour  Oouway;  od  io  stesso  no  tentai  rinterpretazinnL'  in 
Read.  Accad.  Lincei,  Ferie  accad.  1894. 

C.  Pascal. 


IX.  POMPEI  —  (riornale  dei  lavori  redatto  dagli  assi-Uenti. 

1-.")  novembre.  Fiurono  ripresi  gli  scavi  ad  est  della  casa  del  Laberinto,  nella  Re- 
gione VI,  isola  12-'.  Oli  operai  attendono  allo  sgombro  degli  ambienti  a  destra  di  chi 
guarda  il  protiro  e  nel  primo  di  essi,  che  è  di  fronte  al  peristilio,  vennero  in  luco  tre 
dipinti,  con  le  rappresentanze  del  supplizio  di  Dirce  nel  primo,  del  supplizio  di  Penteo 
nel  secondo,  e  di  Ercole  coi  sei-penti  nel  terzo.  Nell'ultimo  ambiente  si  scoprirono  altri 
due  dipinti,  l'uno  rappresentante  Bacco  ed  altre  figure  presenti  alla  lotta  di  Amore 
con  Pane;  e  l'altro  rappresentante  Ciparisso.  Mancano  i  due  quadri  che  adornavano 
le  pareti  dei  lati  est  od  ovest. 

(i-11  detto.  Non  avvennero  rinvenimenti. 

12  detto.  Da  un  operaio  fu   rinvenuto  casualmente:  —  lìron:o)  Un  cucchiaio, 

lungo  ni.  0,135. 

13-2(3  detto.  Non  si  ebbero  scoperte. 

27  detto.  Nello  scavo  su  indicato,  si  rinvenne  una  carallinetta  di  vetro,  alta 
m.  0,130. 

28-30  detto.  Non  avvennero  scoperte. 


Reoionk  IV  (SA.MNIUM  ci  SABINA). 

SABI.M 

X.  S.  VITTORIN(»  (fraziono  dol  conimn'  di  VmA\)  —  Angelo  Maria 
Ludovici,  pur  lavori  agricoli  scassando  un  suo  terreno,  nel  territorio  di  s.  Vittorino, 
nella  località  denomiiKit.i    Tniriiiar.  trovò    alcune   lastre   di   calcare,    sagomate,  vari 


KEOIONE    IV.  —   407   —  CAPESTRANO,   BUSSI 


frammenti  di  laterizi  od  una  lucerna  fittile,  monolicne.  ornata  nulla  parte   superiore 
ili  (lue  palme,  e  recante  nel  fondo  il  noto  bollo: 


L  FABRMASCL 


N.  Pkhsichetti. 


VESTINI 

XI.  CAPESTRANO  —  Di  una  iscrlsioue  Ialina  scoperta  preciso 
Vahìialo. 

Circa  tre  anni  dietro,  il  signor  Filippo  Corsi,  cultore  di  patrie  memorie,  mi  favori 
alcime  notizie  sulla  scoperta  di  una  lapide  di  pietra  calcarea  comune,  di  m.  1,00  X  0,50 
0,50,  rinvenuta  a  poca  distanza  da  Capestrano,  nella  contrada  Presciano.  Vi  si  leggeva  : 

C  O  M  M  V  N  I 
C-ORFIDIBENIG 
NI- VIL  LI  C  O 
GEMELLVS-  FRA. 

Non  diedi  comimicazioue  officiale  della  scoperta,  porche  volevo  andare  io  sul 
luogo  e  rilevare  un  calco  della  iscrizione.  Il  ritardo  ha  fatto  sì,  che  la  mia  gita,  per 
tale  oggetto,  fosse  ultimamente  riuscita  inutile,  dacché  con  rammarico  ho  saputo  clu' 
la  lapido  in  discorso  fu  barbaramente  rotta  e  adoperata  come  materiale  di  iabbrica. 

A.  DE  Nino. 

XII.  BUSSI  —  Altre  antichità  riconosciute  nel  territorio  del  comune. 
Nelle  vicinanze  di  Bussi,  alle  contrade  di  Piano  di  San  Rocco,  Piano  le  Case, 

San  Paolo  e  Fossi,  descritte  nelle  Notizie  del  volgente  anno  pag.  170-180,  debbono 
aggiungersi  alcune  altre  non  meno  interessanti  per  la   topografìa  antica  dei  Vestini. 

Bussi  siede  sopra  un  colle.  Nel  più  alto  del  paese  ha  un  avvallamento;  quindi 
rincomincia  l'erta.  Poi  viene  un  piccolo  spianato,  detto  contrada  JVecchia,  dove  si  sco- 
persero già,  in  diversi  tempi  e  non  di  rado,  sepolcri  a  inumazione  per  un  lungo  tratto, 
fino  alla  contrada  Giardino,  in  cui  appunto  per  una  piuttosto  larga  distesa  di  terreni 
si  vedono  sparsi  laterizi  di  ogni  genere,  compresi  alcuni  frammenti  di  bucchero  ita- 
lico. I  grossi  pezzi  di  dalia  e  di  seriae  si  incontrano  in  vari  punti. 

I  contadini  di  quella  contrada  ricordano  avanzi  di  nmri  di  varie  forme  e  dimen- 
sioni, demoliti  per  la  piantagione  delle  vigne.  Una  piccola  sorgente  accenna  all'antica 
fontana  del  pago,  da  cui  per  avventura  sorse  nel  medio  evo  l'attuale  Hussi. 

La  contrada  detta  Bussi  vecchio,  parecchi  chilometri  distante  dal  moderno  Bussi. 
non  può  aver  dato  a  questo  l'origine. 

Essa  è  contigua  all'altra  di  Aratm-o,  entrambe  ricordate  dallo  storico  Antinori, 


CANOSA  —   408    —  REGIONE    11. 


il  quale  nomina  un  signore  di  Jiiissi  e  di  Aratura.  Corto  è  cho  questo  JUmi  vecchio, 
dovette  essere  un  vico  dell'età  ronìiina.  come  dalla  testimonianza  di  cocci  antichi  che 
vi  si  vedono  sparsi,  e  poi  fu  castello  medievale,  come  dai  ruderi  di  fortilizio  che  al 
presente  ancora  si  vedono. 

La  denominazione  connine  ili  lìuxsi  deve  probabilmente  derivare  dall'abbondanza 
dei  bossi  che,  in  vernacolo  si  chiamano  rtisci  o  biisci.  Nel  tenimento  di  Castelvecchio 
Carapelle  si  ricorda  altresì  una  contrada  dotta  Valle  di  bussi.  Lo  storico  Di  Pietro, 
jiarlando  della  cattedrale  di  Siiliiiona.  a  pag.  .">7,  ricorda  una  Saiila  .Maria  in  liitssi. 
Del  reslo,  trattandosi  di  etimologie,  si  rimane  quasi  sempre  nel  campo  congetturale. 

Torno  all'attuale  Bussi  e  alle  su  accennate  contrade  di  Necchia  e  Giardino,  e 
noto  che  per  esse  e  per  Culle  Sodo  si  deve  passare  volendo  ascendere  a  lìoccn  Tn- 
i/linla.  che  è  un  colossale  schianto  di  roccia,  dove  ho  osservato  gli  avanzi  di  ini  ca- 
stello medievale,  di  cui  è  anche  bene  tener  conto. 

A.  DE  Nino. 


Reoionk  II   (.ÌPULIA). 

XIII.  CANOSA  —  Antichi  aran::i  scoperti  nel  l'agro  Canusivo. 

In  occasione  dei  lavori  della  ferrovia  Harletta-Spiuazzola,  nel  fondo  del  sig.  Sa- 
bino Forina  in  contrada  Vignale  dell'Avena,  si  rinvennero  non  lontano  dall'anfiteatro, 
alla  profondità  di  m.  1,.''>0  e  in  un'  area  di  circa  m.  q.  700,  un  frontone  luariiioroo 
modanato  della  lunghezza  di  m.  3,20  e  dell'altezza  di  m.  0,'J4,  mancante  di  una 
parte  della  cornice  nel  lato  inferiore  d'imposta;  un  buon  capitello  corintio  marmoreo 
alto  m.  0,50  ;  due  colonne  di  marmo  grigio  giallastro,  con  venature  turchine,  senza 
scanalature,  alte  m.  3  o  del  diam.  di  ni.  o.^ii  nell'imoscapo  ;  e  undici  pezzi  di  tìstulo 
plumbee,  di  cui  quattro  con  l'ejiigrafp: 

R  P  C  CVR  P  GRAEC  FIRMo 

che  io  leggerei  :  /?(«')  p{ublicae)  G(anusinorHm)  dogante)  P{Mio)  Groec{idin)  Firmo. 

Un  P.  Graeciditis  Firmus  figura  tra  i  [Iviralicii  nell'allio  dei  decurioni  di  Ca- 
misium  dell'anno  22:<  dell'  e.  v.  (r. /.  /..  IX,  n.  338,  2,  3(i). 

Cos\  i  dati  dogli  avanzi  architettonici  come  la  copia  della  iscrizione  su  i  fram- 
menti di  fistule  li  ho  tratti  da  un  disegno  prosentatonii  dal  sig.  Forina. 

A.    SoOMANfi. 


REGIONE    III. 


—  409 


REGUIO    CALABRIA 


RAGIONE  III  (LUCANIA  Eì  BRl^TTII). 


XIY.  KE(;(ilU  OALABJUA 


Piombi  anticìii. 


I.  Hei.a/.ione. 

Nella  piazza  Vittorio  Emamielo  di  Reggio  di  Calabria,  scavandosi  le  fabbriche 
della  Banca  Nazionale,  i?i  rinvennero  avanzi  di  varie  età,  fra  i  quali  un  buon  nu- 
mero di  piombi,  cristiani  per  la  maggior  parte.  Il  prof.  Barnabei  ne  descrisse  IJ 
nelle  Notizie  del  1886  (p.  244  seg.),  e  propriamente  10  sigilli  bizantini,  con  iscri- 
zioni greche,  uno  di  un  Gregari  papae  e  una  placcbetta  col  monogramma  cristiano. 
Altri  39  piombi  di  proprietà  del  Museo  Reggino  furono  piìi  tardi  spediti  a  me  dal 
R.  Ministero  perchè  li  studiassi,  e  sono  quelli  che  fonnano  l'argomento  della  presente 
relazione,  la  quale  ho  compilato  con  grandissimo  ritardo,  in  parte  per  colpa  di  guai 
miei  e  in  parte,  per  colpa  di  quei  piombi  stessi,  che  sono  in  uno  stato  disperato  di 
conservazione;  sicché  prima  di  rinunziare  alla  lettura  di  molti  di  quelli,  ho  voluto 
tentare  e  ritentare  la  prova,  sperando  sempre  di  giungere  ad  un  risultato  concreto. 
Perchè  nessun  genere  di  monumenti  si  presta  così  poco  alla  lettura  come  quello  dei 
piombi  iscritti,  essendo  che  la  cattiva  conservazione,  unita  alla  poca  precisione  di 
un  metallo  duttilissimo  e  all'alterazione  dell'ossido,  spesso  non  permette  di  ricono- 
scere le  singole  lettere  se  prima  non  si  è  divinata  la  lettura  di  tutto  il  testo.  Spero 
che  altri  possa  essere  più  fortunato  di  me;  a  me  duole  di  non  aver  potuto  cavar 
fuori  altre  notizie  da  una  partita  di  piombi,  che  avrebbe  potuto  darei  elementi  pre- 
ziosi per  la  storia  della  Calabria  nell'età  bizantina;  ma,  comunque  sia,  credo  che  i 
risultati  ai  quali  son  giunto  mi  compensino  degli  sforzi  fatti.  Questi  39  piombi  vanno 
così  divisi: 

A)  Piombi  mercantili. 

B)  Piombi  di  forma  cilindrica  schiacciati  alle  estremità. 

C)  Sigilli  bizantini  con  iscrizioni  greche  o  latine. 

D)  Tessere  e  frammenti  informi. 


Piomlìi  racrcantHi. 


Di  questi  piombi  tre  sono  del  periodo  classico  (n.  1:1)  e  per  la  forma  simili  a 
quelli  che  si  trovano  in  Sicilia  (dei  quali  nel  18G4  pubblicai  un'ampia  colleziono  nel 
voi.  XXXVI  degli  Annali  dell' htitntu  Archeologico,  accompagnata  da  8:>  disogni). 


ULOOIU  CALABUU  —  41u  —  RBOIONE  111. 


i-  come  i  iiiodorni  liolli  iiiLTcaiitilì,  oraD  tonnati  da  una  striscia  fusa  di  ])ioinbo  aventi- 
ad  una  estroiuitù  una  parte  conica,  la  quale,  tìceata  nel  cerchio  dell'altra  estromitii. 
i-ra  poi  schiacciata  con  l'imprónta  dei  coni  ('). 

Il  n.  1  ila  una  piccola  tu:?ta  rivolta  a  dritta:  il  ii.  :!  un  aratro  con  una  caval- 
letta ed  altro  oggetto  indistinto;  il  n.  ó  ha  un  tipo  irriconoscildle. 

Non  è  improbabile  che  questi  esemplari  rog^nni  venissero  dalla  vicina  Sicilia. 
quantuni|iio  contro  l'uso  di  quelli  siciliani,  sieno  bollati  da  una  sola  faccia.  Il  tipo 
dcUaratro  si  trova  in  quelli  da  me  pubblicati,  sebbene  di  l'orma  diversa  (Vedi  Mi- 
moria  citala,  u.  71). 

In  quanto  a  quelli  dei  bassi  tempi  (nn.  4-l(i)  nulla  posso  dire  di  concreto,  es- 
sendo che  dei  tipi  loro  non  restano  cbc  avan/i  incompletissimi  di  stemmi,  di  iscri- 
zioni e  di  monogrammi. 


B 

Jlotlo  ili  forma  cilindrica  schiaccialo  all' est  reni  ilii. 


J 


La  forma  loro  si  vede  chiaramente  dalla  vignetta  qui  intercalata  e  ancor  meglio 
dalle  incisioni  della  tavola  d'aggiunta  H.  che  fa  seguito  ai  miei  Piombi  antichi  si- 
ciliani pubblicati  negli  Annali  dell' htiluto  archeologico  del  18G(.ì,  voi.  XXXVIII. 
In  questi  piombi  si  scorge  benissimo  che  il  conio  fu  stampato  dopo  che  la  parto  ci- 
lindrica di  quelli  si  trovava  imprigionata  in  un  corpo  di  un  centimetro  circa  di  spes- 
sore, il  quale  frapponendosi  fra  le  due  facce  del  piombo,  permetteva  che  vi  stampasse 
sopra.  Anzi  è  da  ammettere  piuttosto  che  questa  forma  a  fungo  avesse  origine  dal- 
l'essere il  metallo  colato  in  un  foro  della  tavoletta,  che  voleva  bollarsi  e  che  poi  andò 
consunta  col  tempo.  Da  (juesta  osservazione  potrebbe  forse  derivare  la  congettura  che 
con  quei  piombi  si  bollassero  documenti  scritti  su  tavolette. 

In  questo  esemplare  reggino  (ii.  II)  si  scorge,  in  un  bollo  quadrangolare,  parte 
ili  un  monogramma  composto  di  tre  lettere. 


(I)  Nclln  Memorili  sopracitata  publilic.iì    .iticlic  mi  csciuplarc  dir  ancorn  non  era  stato  rhiiisn 

i.Il!:lf..   iM'iniim.-iili    .IfìV/.tl^    iirrh     v.)     Vili,    t.iv     XI.    11.    I). 


REGIONE   III. 


REGGIO    CALABRIA 


Sigilli  hisantiiii. 

Itiniiovaniio  K'  dichiarazioni  già  fatte  intorno  allo  .stato  deplorevole  di  questi  si- 
gilli bizantini,  due  soli  dei  quali  hanno  leggenda  latina,  ecco  quanto  io  sono  riuscito 
a  trovarvi. 

J'J  anzi  tutto  un  nuovo  Duca  di  Calabria,  Nicetbro  (u.  12). 


Il  nuovo  bollo  di  Niceforo  ha  nel  dritto  il  solito  monogramma,  ch'io  proposi  di 
leggere  QeoTi'ixe  fio/^ft,  rettificando  la  lettura  Kvgn-  ^oi]Ofi  seguita  fin  allora  ;  e  son 
lieto  che  l'egregio  Schlumberger  abbia  accettato  quella  mia  rettifica.  Nel  rovescio  si 


legge  : 


NI.. 

<Ì>OPCjJ 

CnA0' 
OVK'K 


<fÓQ(p 

\jTQmvo^  ariete  {aQÌ(o) 
\_xcà  6'\nvxì   K[aXa^QÌac) 


Come  si  vede,  la  lettura  non  offre  alcuna  difficoltà.  A  cinar)aQÌcì  aggiungo  il  nouno 
restando  effettivamente  Io  spazio  per  Yalfa  col  quale  esprimevasi  quella  parola  e  non 
mai  perchè  la  carica  di  Duca  di  Calabria  dovesse  per  necessità  conferirsi  ad  un  pro- 
tospatario,  siccome  dimostrai  in  queste  Nolisie  (1887,  p.  124)  a  proposito  del  sigiUlo 
di  Ireneo  duca. 


Nei  miei  Sif/illi  diplomatici  italo-greci  {Periodico  dello  Strozzi,  voi.  IV,  1872. 
tav.  XI)  io  aveva  trovato  i  nomi  di  Pietro,  Teodoto  e  Basilio,  insigniti  dell'Ufficio 
di  Duchi,  quando  al  tema  di  Calabria  furono  preposte  autorità  rivestite  di  quell'alto 
grado  militare.  Lo  Schlumberger  nella  sua  splendida  opera:  Sigillographie  de  l' Em- 
pire bìisanlin,  Paris  1884,  p.  220  e  seg.,  vi  aggiunse  un  Costantino  (')•  E  un  altm 
Duca  di  Calabria,  freueo,  trovai  in  uno  splendido  sigillo  acquistato  dal  Museo  di 
Palermo  e  pubblicato  in  queste  Notizie,  1887,  p.  124. 


(')  Non  teiiiid  ooiito  ilei  iioim.' 


propostu,  a  ragiono,  in  iiiodci  iliibitativo. 


RKOr.Ii)    CALABRIA 


—    412    — 


REGIONE    III. 


N.   18.  Nel  dritto,  avunzi  di  titilla.  Nel  rovescio,  l'iscrizione: 


OAN 

IIAPXICIII 

KOnoJKA 

AAVPIN 


Oxónoì  Ka 
ì.uvqi{ec 


La  lettura  par  dillicile  a  prima  vista,  aia  pure  riesce  agevole  se  si  coufroiita 
con  leseiuplare  bollissimo  ch'io  comprai  pel  Museo  Nazionale  di  Palermo  e  pubblicai 
nel  Periodico  citato,  tavola  XI,  n.  lo,  p.  2G7  sog.  È  questo  uu  caso  raro  di  dupli- 
cati di  .-igilii,  facilmente  spiegabile  se  si  pensi  al  lungo  governo  tenuto  da  questo 
tìiovanni.  se  questi  è  il  vescovo  reggino  spedito  nel  G8U  da  papa  Agatone  come 
uno  dei  deputati  del  sinodo  romano  al  concilio  costantinopolitano  contro  i  Monotoliti 
e  ricordato  dall  Ughelli  {Italia  sacra,  Venezia,  1721,  voi.  IX,  p.  324).  Non  è  questo 
il  luogo  opportuno  per  esaminare  se  lo  Span^^  Bolani  abbia  errato  registrando  due 
vescovi  diversi  col  nome  di  Giovanni  (^/o/v'rt  (//  Reggio  di  Calabria.  Ueggio.  181»1. 
II-',  p.  ;372).  Per  la  storia  di  quel  periodo  mi  limito  a  rimandare  all'opera  di  Hefele 
(Coucilie/igesc/iichtc,  III,°  2.'»2  segg.)  notando  soltanto  come  in  quel  tempo  un  archie- 
jHscopm  potesse  esser  chiamato  semplieenientc  cpixcopiis,  e  come  la  sede  di  Reggio 
portasse  il  titolo  di  metropolitana  della  Calabria  (G.  Minasi,  .S".  .Xilo  di  Calabria. 
Napoli,  1892,  p.  108;  Spanò  Bolani,  1.  cit.  I,  2U4)  ed  anche  della  Sicilia,  dopo  che 
gli  Arabi  conquistarono  l'Isola,  come  si  vedo  dall'esempio  di  Niccolò  arcivescovo 
della  provincia  di  Calabria,  della  città  di  Reggio  xnì  lixfUnc  TgncexoiiKÌoc 
Xc'>e"'^j  ricordato  nel  codice  greco  vaticano  HióU,  citato  da  monsignor  Lancia  di  Brolo. 
Storia  della  Chiesa  in  Sicilia.  Palermo,  1884,  II.  454. 

Un  altro  arcivescovo  di  Calabria  avremmo  nel  frammento  di  n.  14. 


Dritto:  avanzi  del  solito  monograiuiiia  :  rovescio: 


O0 

leni 
PI 


0,>.  ..     (ÙQX) 
lfTTl{axU7T) 

h(aXctfi) 

()/'(rfj) 


Del  nciiue  dell'arcivescovo  non  restano  che  due  .sole  lettere  ..  .0  0. . .  insullicienti 
a  specificare  se  <|ue8to  fosso  un    Timoteo  o  un  Dnroleu  o   quahinqui'   altm   dei  tan- 


REGIONE    III. 


—  413  — 


KKGtìlO    CALAKRIA 


tistiinii  composti  col  nome  di  Dio;  molto  più  che  tanto  nella  lista  dell' Ughelli,  quanto 
nell'altra  dello  Spanò  Bolaiii,  non  ne  trovo  alcuno  che  convenga  con  quelle  lettere. 


Il  sigillo  di  Pa/icalio,  n.  15,  è  importante  non  solo  pel  titolo  onorario  di  Miso- 
ki'o,  che  spunta  quasi  sempre  in  sigilli  italo-bizantini  ('),  ma  per  l'uso  cui  fu  desti- 
nato più  tardi,  siccome  si  vede  dal  suo  rovescio.  Su  questo,  cancellato  lo  scritto  an- 
tico, fu  inciso  con  uno  strumento  tagliente,  un  lambda.  Che  il  piombo  in  origine  fosse 
un  sigillo  diplomatico  non  è  da  dubitare,  restando  ancora  visibili  i  buchi  pei  quali 
passavano  i  cordoncini;  pertanto  è  da  ammettere  che,  in  seguito,  di  quel  sigillo  si 
facesse  un  peso.  Presentemente  pesa  gr.  25,  90. 


Il  n.  16  apparteneva  ad  un  Simeone  imperiale  siìatario  e  termina  con  l'augurio 
AM{ì[v)  ameii,  riferentesi  alla  formola  espressa  nel  monogramma  del  dritto:  Madre 
di  Dio  ajiUa  . .  . 

Finamente  incise  erano  le  lettere  del  n.  1 7,  ma  è  a  deplorare  che  non  possano 
leggersi  gli  ultimi  due  righi  del  rovescio,  in  cui  doveva  contenersi  l'ufficio  determi- 
nato di  questo  Teo/Ilatlo  Jmperiale  proiospatario.  In  un  altro  si  legge  il  nome  di 
Niceforo  e,  sicuramente,  il  solo  titolo  di  Caddidalo  (NAA). 

NN.  19-30.  Frammenti  o  bolli  interi  mal  conservati  e  dai  quali  non  può  cavarsi 
alcuna  lezione  sicura.  Noterò  solo  due  pezzi.  L'uno  (n.  19),  che  è  la  metà  di  un  pic- 
colo sigillo,  che  ci  lascia  il  desiderio  del  nome  di  qualche  gran  funzionario  di  Sicilia 
all'ottavo  0  al  nono  secolo.  Kesta  soltanto  la  metà  destra  dello  scritto  con  la  line 
del  nome  (forse  un  Giovanni),  e  poi  il  titolo  protospalario  e  proto  . . .  di  Sicilia. 


Ili 
AP' 
SA' 
IKe 


[^TTQUìTO^  (o';rnr.'/)«p(j(V)) 

.  .  .     Xfà    TTOCOTO 


(  ')  V.  iiuliluiiibcixor,  1.  e.  p.  54o, 

Classe  di  scienze  mokau  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  tfcrie  5",  parte  2".  5o 


KBGGIO    CALABKIA 


—     JU    — 


REGIONE    III. 


L'altro   (u.  2<0  puro  piccoliuu.  da  un  lato  aveva,  come  l'altro,  la  croce   circon- 
.lata  dall'iscrizione  -\- Kvoif  (ioi]^n  r».>  ao»  rfoi'/h),  e  lul  rovescio, /70©/2  e  la  tìue  di 

altri  tre  righi  di  scrittoi 

...  HAI  (■>) 

...  HA 

.  .  .  lu) 

L'ossido  ha  rovinato  questo  piombo,  sicché  pel  secondo  rigo,  non  saprei  alcuna 
lozione  da  proporre  ;  in  fine  potrebbe  proporsi  rrarpix/V.)  o  ann^a^i'oh  E  mi  rassegno 
con  tanto  più  dispiacere  a  questa  irapossibilitìi  di  giungere  a  leggere  i  titoli  di  questo 
l'otlm.  in  quanto  che  il  presente  sigillo  è  molto  simile  a  un  altro  in  cui  si  legge 
rolhos  stratego  di  Sicilia,  e  lo  Schlumberger  (i.  cit..  i-.  2 IH.  nn.  8,  9,  10  e  p.  734) 
ha  creduto  di  poter  leggere  pure,  non  so  con  quanto  fondamento,  il  titolo  di  (armarca 
ili  Calabria. 

Degli  altri  piombi  con  iscrizioni  n  con  nionogi-ammi  incompleti  o  di  dubbia 
lezione  preferisco  di  non  tener  conto,  credendo  non  solo  privo  di  scopo,  ma  anche 
dannoso  il  proporre  letture,  che  non  abbiano  sicuro  fondamento.  Due  di  questi  sigilli 
di  età  bizantina  hanno  iscrizioni  latine;  l'uno  (n.  31)  ha  nel  dritto  i  due  soliti  busti 


di  santi,  con  una  croce  nel  mezzo;  e  nel  rovescio,  l'iscrizione  Sisiimii  j»\cshijlcr)i: 
e  l'altro  (u.  32)  probabilmente  di  (luulche  vescovo.  li;i  il  dritto  interamente  sciupato, 
mentre  nel  rovescio  si  leggono  i  [uimi  due  righi  S{ady{_lai')  Ji'cc(lesiac)  ed  è  perduto 
il  terzo,  che  doveva  contenere  il  nome  della  diocesi. 


D 


Tessere  e  frammcnli  informi. 


Nulla  ho  da  dire  intorno  a  questi  frammenti  o  a  qualche  piccola  tessera,  tutti 

dei  biissi  tempi  (nu.  ;^3-3t>)-  Solo  noterò  un  disco   (n.  33)  liscio  dalle  due  facce,  ma 

che  porta  graffito  da  un  lato  una  sigma  e  dall'altro  le  lettere  A  •  E.  Evidentemente  è 
im  poso  (Pesa  gr.   10,98). 

Nel  por  fine  a  questa  relazione  esprimo   il   desiderio  die   gli  eruditi  di  Kcggio 
vogliano  continuare  a  raccogliere  con  ogni  .ur;;  (|iieste  anticaglie,  le  (inali  se  a  prima 


KEGIONE    III. 


4i; 


REGGIO    CALABRIA 


giunta  paiono  ben  povera  eosa,  possono  tuttavia  fornirci  notizie  importantissime  per 
la  storia  italiana  anteriore  al  mille,  (jnandn  allo  studio  iiuu  faeeia  ostacolo,  runie 
questa  volta  è  seguito  la  cattiva  conservazione  di  questi  cinioli. 


II.  Relazione. 

Dal  K.  Ministero  mi  si  communicano  altri  34  bolli  di  piombo  della  stessa  pro- 
venienza reggina,  i  quali  descriverò  lasciando,  in  certa  guisa,  come  introduzione  quanto 
nella  relazione  prepedente  avevo  scritto.  Questa  nuova  serie  contiene  pezzi  inediti  di 
grande  importanza,  come  il  sigillo  di  Nlcela  putrbio  e  drateyo  di  Sicilia  molto 
noto  nelle  storie  (n.  7)  e  quello  di  Giorgio  di  Antiochia  ammiraglio  ed  arconte,  il 
fondatore  della  celebre  chiesa.  dell'Ammiraglio  o  della  Marloram,  in  Palermo  (n.  ol). 
Nelle  bolle  bizantine  sono  pure  da  notare  quelle  di  uno  spalariu  e  turmarca  di  Si- 
cilia (n.  8),  di  un  Nic —  imperiale  spalario  e  protonoiaio  di  Sicilia  (n.  9),  di  un 
arcivescovo  di  Calabria  (n.  12),  di  un  Coslanlim  ?  e  di  un'altro  anonimo  (nn.  11  e  10) 
duchi  pure  di  Calabria,  secondo  ogni  probabilità,  di  uu  Sisinnio  commerciano  (n.  14) 
di  un  Euprassio  cubiculario  e  cartulario  (n.  21).  di  un  Cosma  ex-prefetto  (n.  24) 
e  (luella  greco-latina  di  un  Asterio. 

Insieme  a  qualche  piombo  ottimamente  conservato,  ve  ne  ha  di  molto  guasti  ed 
incompleti.  Chiudendo  fra  parentesi  i  numeri  coi  quali  mi  furono  consegnati,  li  nu- 
mero ora  tutti  a  modo  mio  e  li  descrivo  qui  appresso,  dividendoli  in  classi,  come 
quelli  della  prima  relazione,  e  aggiungendo  una  nuova  categoria  (E)  di  varia. 


À 


Piomlji  mercantili. 


N.  1  (27).  Lunghezza  mill.  ;J6. 

I)r.  Monogramma  in  cui  si  scorgono  le  leiiere  IINOE.   If.  liscio. 


UEOOIO   CAL ABBIA 


—   410   — 


IIROIONK    III. 


Sopra  del  tratto  orizzontale  tlol  fi  esistono  tracco  di  altro  lettore,  ma  non  è  pru- 
di'nto  ili  produrre  congetture,  essondo  stato  il  piombo  linettato  poco   accortamente. 

X.  li  ^■2S).  Lunghezza  mill.  .M. 

I)r.  Lo  lottino  A  T  K  in  monogramma,  li.  liscio. 

Non  sappiamo  se  il  monogramma  sia  completo  o,  data  la  deticionza  del  piombo 
in  quel  posto,  non  sarebbe  improbabile  che  i  resti  in  forma  di  K  fossero  appartenuti 
ad  una  R. 

X.  :5  (;{:()•  Diametro  mill.  l.'i.  Manca  la  striscia  ripiegata. 

Or.  ^lonogramma  composto  delle  lettere  KGN.   I{.  liscio. 

l'ii  altro  tipo  simile,  trovato  in  Sicilia,  fu  da  me  puldilicato  negli  Aiiiiali  citati. 
\ XX Vili.  tav.  dagg.  H.  n.  8 

XN.  4  (2!»).  ">  ("50).  0  (.■?2).  Piccoli  bolli  con  monognimmi  molto  intrecciati,  ma 
di  epoca  recentissima. 


Sigilli  biìantini  con  iscrisìoni  greche  o  Ialine. 


N.  7  (8).  Dr.  come  al  n.  IJ  della  Relazione  precedente. 


H. 


nikhta 

IATPIK,K, 
TPATir, 
.  .  K  G  A  I  A' 


Ntxi'ja 
[7TyciQt.x{ioì)  x{a() 


Sopra  e  sotto,  croce  fra  due  rami  ;  in  un  cordone.  Diametro  mill.  32. 

Niceta  patrizio  di  Sicilia,  venerato  dalla  chiesa  greca  come  santo,  è  noto  tanto 
nella  storia  ecclesiastica  che  nella  storia  politica  dell'Isola.  TI  Lancia  di  Hrolo  (1.  cit. 
II,  107  seg.)  raccoglie  le  notizie  di  questo  stratego  di  Sicilia,  clic  fu  ])aruntc  del- 
l'imperatrice Irene  e  che  fini  monaco,  dopo  di  essere  stato  Prefetto  di  Costantinopoli. 
Durante  il  suo  governo  in  Sicilia  è  importante  il  fatto  di  aver  spedito  nel  797  un 
suo  legato.  Teoctisto.  per  trattare  in  Aquisgrana  con  Carlo  Magno  (Annfiics  Laiirix- 
xoiscs   presso  Pertz.   Scriplores   tonm  I.  p.   1K_'.   ISfi).  Sappiamo,  dalla    stf.-<sa   sor- 


RROIONE    111. 


—    417    — 


REGGIO    CAI-ABItlA 


gente,  clu'  lU'l  7!i!i  ogli  non  tosse  più  stratego  o  patrizio  di  Sicilia,  poiché  un  altro 
legato  è  spedito  a  Carlo  Magno  dal  successore  Michele,  per  continuare  quello  pratiche 
intese,  a  quanto  paro,  ad  una  possihilo  iiiiprosa  di  Sicilia,  sollecitata  da  papa  Leone  HI 
(Amari.   Sf.  dei  Mtn^.  I.  p.   liio  sugg.). 


K\ 


'^(^!}^\  •'! 


N.  8  (19,  20).  Frammento  lungo  mill.  '20. 
Dr.  Como  so]ira. 


I^. 


.  n  A  ©,  I 

VPMAP 
.  KEAI, 


Questo  povero  avanzo,  privo  del  nome  del  pubblico  ufficiale,  ha  pure  una  vera 
importanza  storica,  provando,  insieme  al  sigillo  di  un  Marciano  imperiale  candidato 
e  turmarca  di  Sicilia  già  da  me  pubblicato  (1.  cit.  tav.  Vili,  n.  3.  Scblumberger, 
1.  e.  p.  .372),  come  la  Sicilia,  la  quale  nell'amministrazione  bizantina  formava  un 
Ihema  governato  da  nn  patrizio  o  stratego,  fosse  talvolta  retta  da  un  militare  di 
grado  meno  elevato,  come  era  il  turmarca.  Panni  probabile  che  ciò  seguisse  quando 
i  progressi  del  conquisto  musulmano  lasciarono  all'impero  greco  solo  la  parto  orien- 
tale dell'Isola,  e  però  non  si  credette  più  opportimo  di  mandare  un  reggitore  con  la 
dignità  di  stratego  ad  una  provincia  così  ridotta,  e  che  andava  sempre  più  riducen- 
dosi, malgrado  la  resistenza  eroica  dei  Siciliani,  mal  secondati  dall'ignavia  dell'im- 
pero lontano. 


i?.i\ 


{^m>^ 


^p'ii\'\^  t'  jì. 


N.  '.I  (21.  22).   Frammento:  diani. 


ItKlililii    CAI.AItlUA 


■llS    — 


KBUIONK    HI. 


|)r.  ("iwo  poU'ii/.iaU ;  in  -jiio:        KeROH©HTW. 


NIKI 
.  .  R/CnA 
rsA'NO 
-"IKGAi 


yix . . . 

(i^uaiXixfì))  cna- 
\tfi^i*<f\  2ixt/.(i'cic) 


Noli  i-  ii)i]irol)abili'  clii'  il  nomi'  l'osse  Nixi^<f iÌ^m.  J)i  mi  Nicefoi'o  pr<itoiiol(ti'o 
ili  Siciliu  pubblicai  mi  sifjillo  divereo  da  questo  itcl  drittn.  che  non  ha  la  croce,  ma. 
invece,  il  solito  iiionit<jramma  cruciforme  (1,  cit.,  tav.  Vili,  n,  -2). 


N.   1(1  (2:5,  24).   Franimeuto  ìnw^o  mill.  2.".. 

lir.  

Ab  Al  Òhi /.in 

W.                                ...  

VnA  ìttù[t<.{] 

.  A  CI  A  I  K  .  [fi]«ff<A(;<[<ò] 

.  Il  A  0  A  P  I  .  layruiyKQili.i] 

S  A  li  KI  (x(à)  òovxi. 

Da  questo  sigillo  vediamo  corno  anche  i  duchi  di  Calabria  ;ilil)i;inii  avuta  talvolta 
la  din^nità  di  console,  come  l'ebbero  più  tardi,  i  duchi  di  Sardegna,  .secondo  vedianm 
ilai  si<(iili  pubblicati  dal  Manno  (,!///  dell' Acc.  di   Tm-nih.  toni.  XIII.   l.'^TS). 

N.  11  (25,  26).  Frammento  lungo  mill.  2;{. 

Dr.  Avanzi  di  croce,  e,  fra  due  cerchi  di  puntini.  ...CO(.svr)  AOV  acj..  . 
\^h{ou  iioì'^lh^  KÌ^ysò  doi'Xit)). 

If.  +KC  +Aw[i] 

CTAI  ffTftl'TlVlJ» 

Il  A  T  nui\_Qixii(r\ 

CllA  (T.7f<[y«p(Vr     x«i3 

Ab  dov\xC]? 

Que.sto  frammenti!  e  rottn  in  modo  <la  permetterci  di  ricostruire  con  certe/./.a  tutto 
il  testo,  tanto  ni-l  nome,  che  nei  primi  due  tit'di  di  jiatrisin  e  di  .■.//rt/ttr/')  :  con  ili- 


REGIONE    III.  —    41f»    —  REGGIO    CALABRIA 


«piacere  ho  dovuto  aggiuugeie  un  punto  interrogativo  al  terzo  titolo  di  duca,  perchè 
mentre  questa  lettura  è  avvalorata  dalla  seconda  lettera,  che  ha  ben  la  forma  del 
sogno  del  dittongo  oc,  d'altra  parte  potrebbe  essere  contrastata  dalla  prima  lettera, 
nella  quale  non  solo  manca  la  linea  orizzontale,  così  pronunziata  nella  base  del  A 
del  dritto,  ma  si  trova  una  certa  interruzione  come  ili  un  A.  1  l>oili  in  piombo  hanno 
così  di  frequente  simili  imperfezioni  per  vizio  originario  dello  stampare  o  per  ammac- 
catmx'  successive,  che  bisogna  andar  molto  guardinghi  nel  completare  leggende  :  per- 
tanto noto  con  riserva  questo  nuovo  nomu  di  Costantino  nella  serie  dei  duchi  di 
Calabria. 

N.  12  (11).  Diam.  mill.  28. 

Dr.                          .  A  oL)  T  '//[yt'ft]  t\_qiccc~\ 

D0GOCH  ,)  &fÒQ  i;[,«w)] 

N  B  O  H  O  h  .  .  ^„,;^,; 

.  U)  A  O  V  \j~\uy  Soi- 


if. 


...COV  \_hn~\aov 

.  .  .  A£_  . .  'Aq 

.  .  C  K  O  n  [_xifm']axÒ7T{((i) 
KAAABP  KaXtt^q- 


lAC 


lai 


Sventuratamente  il  nome  dell'arcivescovo  Calabro  manca  del  tutto  per  la  rottura 
del  piombo;  ma  così  incompleta  come  si  trova,  questa  bolla  è  importante  per  la  sua 
forma,  diversa  da  quella  adoperata  dagli  altri  arcivescovi,  e  per  la  rara  formula  di 
invocazione  alla  Santa  Trinità  (Schlumberger.  1.  eit.  p.  725.  /<). 


N.  l;l  (i').  Diametro  mill.  .n. 

Dr.  Monogramma  e  iscrizioni,  come  al  n.  7.  In  un  giro  di  grossi  luintini. 

1^.  PVC(jJ  [AJ  Qvaòì 

A  A  X  A  P  .  .  y_aQ(xovlKQÌ<o) 

TOVìe  tiìv^e- 


KBOUIO    CALABRIA 


—  ilo  — 


REGIONE    III. 


N.   Il  (Ut.   Diametro  mill.  J.".. 

Dr.  iMouoj^nimiua  o  iscrizioni,  conio  sopra.  In  uu  i-eicliio. 


Iv 


+  CICI 
NNIUK. 
M  e  P  K  H 

A  PIW 


CtQÙiì 


N.   lo  (23,  24).  Frammento  lungo  mill.  28. 
Di.  Come  sopra. 


M. 


+  TA 

Ani 

ONAl 
AM 


N.   Hi  cl\.  11).  rraiumento  lungo  mill.  2.j. 
i>r.  Come  sopra. 


ì;- 


...AC 
.  lOVT 
eiNOY 

.MHN 


\.   17  (].-.).   Diam.  mill.  li. 

Dr.   Monni,'raniiiia.  come  al  n.  7;  in  giro,  tra  liiii'  iH'ivlii.  un  ornalo  a  triaii^'olftti. 


If. 


.  ^  ^  (x) 

At.  '  AW 

AeONTI 

.MHN 


fT' 


óov?.in 


RKGIONE    III. 


—  421  — 


REGGIO    CALABRIA 


N.  IS  (19,  20).  Diametro  mill.  2tJ. 

Ur.  Monogramma  e  iscrizioni,  come  al  n.  7.  1).  Croce  potenziata;  in  ^iro  fra 
due  cerchi  di  puntini  .  . .  WR  AlCnA  ©  ( . . .  r,,  ^aa,l,>crji  nQonoana^aQu.>). 

Questo  sigillo  è  notevole  per  tiovurvisi,  adoperato  come  rovescio,  il  tipo  della 
Croce,  die,  invece,  servo  di  di-itto  in  una  numerosa  swie  di  bolle  bizantine  (si  ve- 
dano p.  es.  i  nn.  precedenti  0.   11). 

N.  19  (1).   Kottiì  in  due  pezzi.  Diam.  mill.  32. 


Dr.  (in  un  cerehiii)      A  ri  A  TI 
I A  C  O  0  G  O 
CHMWN 
COHeH 

U.  (in  un  cerchio) 


N.  20  (12).  Diamctr 
Dr. 


J{.  (in  un  cerchio) 


IPAKIW 

A  e  I  AI K  W 

BnAGAPOK 

AnaiaA 

TW  + 

ctro  mill.  2.5. 

nA  nA 

riATPi 

ACBOH 

MA? 

r  A  p  I T  b' 

e  rf  I T  b' 

Gvr 

tàg,  ò  Ofò- 

.  .  QCCXÌ(() 

tìnaOctQox- 
C(vòi6d- 

T'-K 


Tlava- 

yia    Tqi- 

MUQ- 

ynQitiiv 
fTTÌ    loì 


_        Alla  Trinità  è  dato  in  questa  bolla  il  titolo   di  prnm,ia,   come  alla  Madonna, 
invece  del  semplice  aggettivo  di  n/i/i/a. 


N.  21  (2).  Diametro  mill.  2;-5. 
Di',  (in  un  ccrcliio)        -|- 

evn 

PA  il 

ov 

Classe  di  scienze  morali  ecc.  -  Memokie  -  Voi.  II,  Serie  5»,  parte  2". 


EÌtt- 


REGGIO   CALABRIA  —   422   —  REGIONE   UI. 


I{.  K«  xo.- 

B  1  K"0  va  ,Ìixnr).{aQÌor) 

B  A  S  X  A  P  ,if((aiXixiir)  (xuì)  x<<i>- 
Tt'AAl  ior/.n(QÌov). 

Nello  mie  noto  sui  sigilli  bizantini  del  Cahiacl  des  Méldailles  di  Parigi  trovo 
la  copia  di  un  pionii)o.  olio  deve  essere  identico  a  questo  e  che  allora  io  non  potei 
decifrare  completamente.  Quelle  note  sono  del  1864  e  voglio  augurarmi  che,  dopo 
tanto  tempo,  questo  piombo  non  sia  sparito  insieme  ai  tanti  distrutti  dallossido,  come 
deplora  lo  Schlumbcrger. 

N.  22  (17).  Diametro  mill.  25. 

Dr.  (in  un  cerchio)  -f- 

©eOT  .>foi[ó] 

KGBOI  xf  fioi] 

e  G I  +  ^fi-\- 


]>. 


.  .  KOV  ..xov 

.  .  K  O  V  A  l^iyov). 

.  .  P  1  W  -f  [«] 


010 


N.  2:;  (fi).  Diametro  mill.  2(3. 

Dr.  (in  un  cerchio)      -|-        CO 
A  ...  O  V 

KV. .  IKO  x[o]i[/J]»xo 

V  A  A  P I  b'  vXaQÌov 

9.  (in  un  cerchio)        -|-  A  O  v  -f-  Joi'- 
AOVTH  h,v  ti- 
C0GOTO  «  OtoiC- 
K  O  V  xov. 


\  primi  due  righi  del  dritto,  logori  dall'ossido,   potrebbero   plausibilmente  sup- 
plirsi in  questa  guisa: 

A[foi'x(']OV 


REGIONE    III. 


—   423   — 


REGGIO   CALABRIA 


N.  24  (5).  Diametro  mill.  23. 
Dr. 


KOC 

MAAnO 

enAPx 

WN 

A^. 

^THCG 

GOTOK 

OV-f- 

N.  2.^1  (3).  Diametro  mill.  22. 


Dr. 


wGC 

A  tO 
POV 


A'off- 

fià  (ini 

ènttQyi^ 


ào{S[}.'] 

fOtÓX- 

or  + 


Qso- 
óoa 

QOV 


9-  Monogramma  composto  dalle  lettere  n  A  P  E  X  . . . 

Alcune  lettere,  nella  parte  superiore,  non  sono  ben  visibili,  e  però  la  lettura  non 
può  esser  certa.  Tuttavia  essendo  che  probabilmente  nel  monogramma  si  conteneva 
il  titolo  di  questo  Teodoro,  proporrei  di  leggere  énÙQxov. 

N.  26  (25,  26).  Frammento  lungo  mill.  21. 

Dr.  Croce  potenziata  con  rabeschi  che  occupano  tutto  il  campo.  ìj.  Pochi  avanzi 
di  lettere,  in  quattro  righi. 

N.  27  (31).  Diametro  mill.  18. 

Dr.  Avanzi  di  un  monogramma  con  la  lettera  €.  9.  Resti  di  tre  righi  di  lettere. 

N.  28  (7).  Diametro  mill.  30. 


Dr.  (in  una  ghirlanda)  +  A  C 

+  'Aff- 

TGPI 

tfQl' 

OV 

0V  + 

R  (in  un  giro  di  grossi  puntini) 

+  AS 
T€RI 

nEGOIO  CALABRIA 


—  424  — 


REGIONE  III. 


Un  altro  esemplare,  meno  completo,  di  questo  piombo  si  conservava  nel  Museo 
Biscari  di  Catania  e  fu  pubblicato  dal  Castelli  (Sicilùic  veteres  fnscripl.  2"  ed., 
ci.  XVI,  II.  XXIV,  p.  '2M)  e  dal  Feinira  (S/oria  di  Catania,  Catania.  MDCCCXXIX, 
p.  lo,  u.  ())  cou  un  disegno  orribile.  Del  resto,  né  questi  né  il  Ca.stelli  si  accorsero 
che  il  piombo  fosse  bilingue,  la  qual  cosa  è  evidente  nell'esemplare  reggino. 


N.  2il  (V.i).  Diametro:  mili.  28. 


Dr.  (in  un  cerchio)      I O  H 

ANN 
PRI 


Joh 

aiin{is) 

presbt/tcri 


If.  (in  un  cerchio)      +  R  O 
n  A  N 

ecc 


+  Ro 

mnii{ae) 

Ecel{esiac) 


N.  30  (4).  Diametro  mill.  27. 

Dr.  Due  testo  virili,  una  barbata  e  una  imberbe  atfrontate;  in  alto,  nel  campo, 
una  croce;  in  giro,  puntini.  Ij.  Roso  dall'ossido;  nei  duo  riglii  inferiori,  N  <_  \RI 
{Xolari). 


N.  :J1  (lo).  Diametro,  mill.  25. 

Dr.  Busto  barbato  con    nimlio   e   lancia. 


di  s.  Giorgio;  ,ii  lati.  OTG  PTIOC 


REGIONE    III.  —    425    —  REGGIO    CALABRIA 


li.  (in  IMI  fjiio  (li  ]uintiiii)      \-  KCBO  +  K{vQi)f  jio 

lereop  c^r/)  PfOQ 

ril,'AK£  yiov  'A{nrjQ(i)  xè 

■  P  X  O  T  (ÌQX<>{t)TOC 


Prezioso  sigillo,  perchè,  siccome  accennai  nell'introduzione,  appartiene  ad  uno 
dei  pili  celebri  personaggi  della  storia  siciliana  nel  periodo  normanno,  Giorgio  di  An- 
tiochia, primo  ministro  e  grande  ammiraglio  di  re  Ruggero  e  fondatore  della  chiesa, 
che  da  lui  fu  detta  dell' Amrairag Ho  (e  ora  la  Martorana)  in  Palermo.  La  scrittura 
ha  le  scorrezioni  solite  nei  documenti  greci  siciliani  di  quel  tempo:  BOI0  per  BOH©, 
KG  per  KAI,  e  una  abbreviatura  abbastanza  arbitraria  A  per  'a(n]Qaq,  della  quale 
ragionerò  di  proposito. 

Anzitutto  è  da  notare  che  il  Museo  Palermitano  ebbe  già  un  piombo  simile,  e 
in  buonissimo  stato,  dai  lavori  fatti  nell'antico  monastero  di  s.  Giovanni  deo^li  Ere- 
miti  in  Palermo;  e  questa  circostanza,  non  che  il  titolo  di  arconte  e  l'impossibilità 
di  una  lezione  plausibile  seguendo  le  forme  della  sigillografia  bizantina,  mi  avevano 
fatto  pensare  all'Ammiraglio  Giorgio.  Essendo,  inoltre  il  titolo  di  uqxovzoc  preceduto 
dalla  congiunzione  xcà  (K£)  parvemi  naturale  che  nella  precedente  lettera  A,  col 
segno  di  abbreviazione,  si  contenesse  pure  un  titolo  e  questo  non  poteva  essere  che 
quello  di  'Afiì]Qac.  Dell'ammiraglio  Giorgio  antiocheno  è  noto  un  piccolo  sigillo  di 
piombo,  finamente  inciso,  di  tipi  ben  diversi:  nel  dritto,  la  Madonna  Blacheniitissa. 
nel  rovescio  l'epigrafe  metrica  -h'O  idJv  ÙQxùvTutv  «(i/wr  rsM^yiog  ùiii^Qug-\-  Il 
sigillo  pende  ancora  dall'atto  originale  del  maggio  1143  conservato  nella  cappella 
Palatina  di  Palermo  (C'usa,  /  diplomi  greci  ed  arabi  di  Sicilia,  p.  68  segg.)  e 
l'Engel  ne  pubblicò  un  disegno,  del  resto  poco  esatto  {Recherches  sur  la  numisma- 
tique  et  la  sigillographie  des  Normands  de  Sicile  et  d'Italie,  Paris,  1882,  p.  94, 
pi.  Ili,  8)  inserito,  per  la  singolarità  del  titolo,  nel  libro  dello  Schlumberger  (p.  343). 
Il  sigillo  trovato  a  Reggio  sarebbe,  secondo  me,  di  un'epoca  anteriore  quando  Giorgio 
non  aveva  ancora  i  titoli  altisonanti  di  arcoale  degli  arconti  e  ammiraglio  degli 
ammiragli.  "Aqxoìv  twv  ÙQxóvTutv  xal  (ii.irjQcig  rùv  ffuiyorérfo))'  Ffwpytog  lo  chiama  re 
Ruggero  in  un  diploma  del  1133  (Cusa,  1.  cit.,  p.  51.5);  ed  egli  stesso  si  firma  con 
tutti  quei  titoli  nel  1143  (Cusa  1.  cit.  p.  524)  o,  anche  nello  stesso  anno,  col  solo 
titolo  di  arconte  degli  arconti  (Cusa,  1.  cit.,  p.  70).  E  il  titolo  di  ammiraglio,  in- 
sieme a  quello  di  n^diiOTov  tùv  aQX'^vTai'  oXcoi,  troviamo  nelle  iscrizioni  metriche 
dipinte  nel  ritratto  a  musaico  del  fondatore  nella  chiesa  dell'Ammiraglio  o  della  Mar- 
torana. Ma  due  firme,  che  si  leggono  nella  raccolta  del  Cusa,  potrebbero  indurci  a 
leggere  diversamente  del  nostro  sigillo,  contraddicendo  a  quanto  io  ho  ritenuto  sulla 
necessità  di  riconoscere  un  titolo  in  quella  abbreviatura  seguita  da  una  congiunzione 
e  da  un'altro  titolo.  In  un  diploma  della  chiesa  di  Catania,  del  1125,  si  troverebbe, 
secondo  il  Cusa  (p.  556)  la  firma  rtcÓQyioc  chnox^ìi  xnì  fl^D^gàc  ficeQtvQ  l'/T^y^rri^'^, 
e  in  un    altro    della   ciiiesa   di    Messina    del    1142(?)  'Eyiò  ytMQyioi;    chiiaxitci  xaì 


KBQGIO   CALABRIA 


\26  — 


REOIONB   III. 


fiftt'Qn^  aixfh'ctK  X.  i.  }..  (C'usa,  p.  310).  In  ini  permetto  di  dubitare  dell'esattezza 
di  queste  due  letture,  tenendo  conto,  massime,  del  sistema  arbitrario  seguito  nella 
raccolta  del  C'usa:  o  perA  nel  iicstro  sigillo,  più  che  'Avttuxlac  o  'Avitoxttc  credo 
che  si  debba  leggere  il  titolo  di  ammiraglio,  pel  quale  fu  distinto  Georgio  tanto  dai 
suoi  contemporanei  quanto  dai  posteri. 


D 


Tessere. 


\ 


N.  32  (IO).  Diametro  mill.  34. 

Dr.  Croce  latina  pomata;  nel  campo  IC  XC  YC  OV  (ì{ì^(Sov)c.  X{qi<STo)(;  i"'(»ó)c 
0(*o)r').  In  giro,  grossi  puntini.  9-  Cristo,  con  la  testa  cinta  dal  nimbo,  siede  sul- 
l'asino, le  cui  redini  paiono  tenute  da  una  persona  che  precede.  In  giro,  grossi  puntini. 

Presso  all'orlo  di  questa  tessera  sacra  fu  praticato  un  buco,  perchè  potesse  ap- 
pendersi come  amuleto. 


E 
Varia. 


N.  33  (18).  Diametro  mill.  2G. 

Dr.  Iscrizione  in  duo  righi.  I).  Liscio. 

So  l'iscrizione  si  volesse  collocare  verticalmente,  potrebbe  tiovarvisi  qualche  mo- 
nogramma, non  dissimile  per  la  forma  generale  da  quelli  di  alcune  monete  bizan- 
tine; ma  a  me  paro  che  debba  leggersi,  così  come  l'ho  fatto  disegnare,  in  due  righi 
orizzontali,  e  tenersi  in  conto  di  orientale.  Si  noti  che  il  pionil)o  lia  qualche  cosa  di 
inusitato  nella  sua  fattura,  perché  pur  essendo  un  sigillo  diploinatico,  traver.satfi   da 


.  SARDINIA 


427    —  TERRANOVA    FAUSANIA 


un  biico,  è  coniato  da  ima  sola  faccia  o  inegualmente.  È  da  aspettare  peitauto  il 
trovamento  di  un  esemplare  migliore  prima  di  dare  un  giudizio  dotìnitivo. 

N.  34  (35).  Piombo  rettangolare,  lungo  mill.  17;  largo  mill.  11. 

Dr.  Le  lettore  SVF  legate  insieme.  IJ!.  Tracce  poco  sicure  di  lettere. 

Singolare  è  la  forma  di  questo  piombo,  il  quale  ha  pure  una  fenditura  perchè  vi 
passasse  una  striscia  di  pergamena  o  una  fettuccia;  sicché  è  chiaro  l'ufficio  suo  di 
sigillo  pendente.  La  qual  cosa  è  da  notare  tanto  più  in  quanto  che  il  Picoroni  pub- 
blicando parecchi  piombi  pure  di  l'orma  rettangolare  {I piombi  aalichi,  Roma  MDCCXL 
Pai-te  I,  tav.  XIX,  nn.  3,  5  e  altrove)  dice  espressamente  (p.  61)  che  non  sa  se 
siano  sigilli.  Invece  di  tentare  fantastiche  spiegazioni  dei  tipi,  egli  avrebbe  fatto 
meglio  a  descrivere  la  fattura  dei  piombi  stessi,  perdio  riuscisse  chiaro  l'uso  loro 
di  sigilli  0  di  tessere. 

A.    S.VLINAS. 


SARDINIA. 


XV.  TERRANOVA  FAUSANIA  —  Esplorazioni  compiute  nell'interno 
di  manufatti  preistorici  situati  nell'agro  dell'antica   Olbia. 

Avuta  notizia  di  alcuni  vasetti  fittili  provenienti  da  uno  scavo  eseguito  nel  nu- 
raghe Belveghile,  stimai  opportuno  di  proseguire  io  stesso  le  indagini,  con  la  spe- 
ranza di  nuovi  e  più  importanti  trovamenti. 

Il  nuraghe  dista  appena  tre  chilometri  da  Terranova,  in  direzione  della  montagna 
di  Calia  Abbas,  e  trovasi  collocato  sul  rialto  d'una  collina,  nella  regione  15elveghile, 
da  cui  prende  il  nome.  Fino  a  questi  ultimi  anni  esistevano  i  muri  di  cinta  ad  una 
altezza  considerevole,  ma  ne  maucava  la  vòlta  franata  da  tempo  immemorabile,  e  il 
cui  materiale  era  stato  già  esportato  per  servire  di  chiusura  ai  predi  vicini.  Anche 
le  pareti  vennero  poco  per  volta  abbattute,  in  guisa  che  oggi  non  ne  rimangono  che 
pochi  avanzi,  i  quali  emergono  circa  un  metro  dal  livello  del  terreno. 

Si  trovarono  nella  camera  circolare,  sepolti  a  (30  centimetri  di  profondità,  tre 
vasetti  d'impasto  ordinario  e  nerastro,  e  lavorati  rozzamente  a  mano.  Ciascuno  è  mu- 
nito di  due  manubri,  poco  staccati  dal  collo,  e  foggiati  ad  arco  .  Un  vasetto  è  alto 
m.  0,18,  con  pronunziato  rigonfiamento  nel  corpo,  ed  avente  il  collo  piuttosto  lungo 
che  termina  alla  bocca  con  un  orifizio  di  m.  0,07  di  diametro.  Gli  altri  due  hanno 
il  collo  più  corto,  con  la  bocca  più  larga,  e  sono  alquanto  più  corporuti.  Nella  terra 
venuta  fuori  si  notarono  dei  rimasugli  di  piccole  ossa,  probabilmente  di  animali,  co- 
piosa quantità  di  cenere  vegetale,  e  alcuni  pezzetti  di  bronzo  insignificanti. 

Frugato  così  l'ambiente  principale  del  manufatto,  rivolsi  l'attonziene  ad  un  cu- 
nicolo che  internamento  girava  intorno  allo  Ibudazioiii  dell'edificio.  Vi  si  accedeva  da 
un'apertura  quasi  ovale,  pra,ticata  presso  la  porticina  del  nuraghe,  ma  era  cos'i  sti'etta 
da  non  potervi  a  mala  pena  passare  elio  un  uomo  ricurvo,  misurando  esso  m.  1,20 
di  altezza,  por  ni.  0,80  di  larghezza  alla  base,  che  gradatamente  restringevasi  poi  a 
50  centimetri  lino  alla  impostatura  della  vòlta.  Questa  presenta\asi  in  forma  piana, 


TERRANOVA    KAUSANIA  —    428    —  SARDINIA. 


costrutta  con  cantoni  granitici  malamente  squadrati,  e  rimboccati  negli  interstizi  da 
piutre  minori.  La  parte  destra  era  l'ormata  dalle  fondazioni  stesse  del  nuraghe,  mentre 
alla  sinistra  vi  fu  eretto  un  muro  d'uguale  struttura  cioè  di  blocchi,  senza  malta  di 
terra  o  cemento. 

Aiutati  dalla  poca  luce  che  penetrava  dal  foro  di  entrata,  s'intraprese,  come 
meglio  si  potè,  uno  scavo,  ma  senza  alcun  fintto;  più  avanti  si  trovò  una  spada  di 
ferro,  sospesa  per  la  larijhezza  del  cunicolo,  ossia  collocata  in  modo  che  lo  due  estre- 
mità di  essa  si  trovavano  solidamente  intornato  fra  lo  fossure  de'  due  muri.  La  spada, 
larga  nel  mezzo  sei  centimetri,  è  a  due  tagli,  con  la  costola  rilevata,  e  misura  dal- 
l'apice in  cui  dovea  essere  impernato  il  manico  tino  alla  punta  m.  1,20. 

Non  fu  però  possibile  di  percorrere  in  tutta  la  sua  longitudine  il  cunicolo,  giacché 
arrivati  a  15  metri  dall'apertura,  si  veriticò  che  esso  era  otturato  da  enormi  pietre 
caduto  dalla  vòlta,  le  quali,  malgrado  gli  sforzi  fatti,  non  si  poterono  nemmeno  smuo- 
vere, atteso  lo  spazio  ristrettissimo.  All'intervallo  di  pochi  metri  dal  nuraghe,  sul 
pendio  della  collina,  spuntano  dal  suolo  le  fondazioni  di  tre  piccoli  manufatti,  che 
indubbiamente  devono  esser  stati  altri  nuraghi,  attesa  la  loro  forma  circolare,  e  il 
grado  di  lavorazione  delle  pietre  impiegatevi. 

Compiute  con  esito  cos'i  soddisfacente,  queste  prime  ricerche,  feci  praticare  un'altra 
esplorazione  nell'interno  del  nuraghe  detto  Nuragudcaa.  il  quale  trovasi  alla  distanza 
di  circa  un  chilometro  da  Belveghile,  e  che,  comò  il  primo,  è  mancante  della  cupola, 
conservando  solo  i  muri  ad  un'altezza  di  duo  metri,  o  poco  più.  Della  camera  se  ne 
potè  solo  esplorare  una  metà,  trovandosi  il  restante  dell'area  costituito  da  una  roccia 
ben  dura  e  tutta  d'un  pezzo,  rivestita  da  pochi  centimetri  di  terra.  Si  rinvennero 
vari  agglomeramenti  di  cocci,  spettanti  ad  anfore  preistoriche,  un  teschio  umano  in 
avanzato  grado  di  corrosione,  ed  altre  ossa  appartenenti  allo  scheletro. 

Avendo  poi  appreso,  nel  giorno  susseguente  dai  due  scavatori,  che  in  altro  nuraghe 
denominato  Chidonza,  si  erano  trovati,  anni  sono,  molti  pezzi  di  bronzo,  volsi  colà 
le  mie  ricerche.  Questo  manufatto,  posto  in  cima  ad  un  colle  boscoso,  e  distante  da 
Terranova  cinque  chilometri  circa,  a  nord-ovest,  si  mostra  nell'identica  conservazione 
dei  due  precedenti,  cioè  con  le  muraglie  smantellate  e  privo  di  copertura.  Lo  scavo 
venne  fatto  alla  profondità  di  in.  0,70,  fino  al  primo  strato  delle  pietre  messo  per 
fondamenta.  Sotto  la  direzione  d'un  vacuo  quadrato,  che  al  certo  sarà  stata  la  por- 
ticina d'ingresso,  furono  trovate,  sparpagliate,  alcune  ossa  umane  ricoperte  di  cenere 
e  di  terra  nera  untuosa;  e  più  in  là  si  estrasse  una  scodella  rozzissima  in  forma 
concava,  lavorata  a  mano  con  argilla  ordinaria,  ma  rotta  in  tre  parti.  Molti  altri 
cocci  di  stile  arcaico,  lasciati  sul  luogo  perchè  inservibili,  dinotavano  di  aver  soppor- 
tato l'aziono  del  fuoco.  Ma  il  trovamento  più  importante  è  quello  di  ventidue  pezzi 
informi  di  rame,  che  si  raccolsero  a  contatto  del  muro,  fra  un  mucchio  di  pietre 
sciolto  e  di  cenere  vegetale. 

Oltre  a  questo  si  esplorò  pure  la  camera  del  nuraghe  Criscu/a,  vicinissimo  a 
quello  ora  descritto,  e  che  presenta  lo  stosso  deplorevole  stato  di  conservazione.  Estir- 
pato le  radiche  di  annose  pianto  che  ne  occuparono  l'area,  e  tolte  le  pietre  cadutevi 
dai  muri,  si  cominciò  a  frugare  alla  profondità  di  ni.  o.iìo.  Anche  qui   non   manca- 


SARUISIA  —    -129    —  TERRANOVA    KAUSANIA 

rono  di  comparire  i  residui  di  numerosi  recipienti  fittili  lavorati  a  mano,  e  segnata- 
mente di  grandi  anfore,  le  cui  pareti  misuravano  lo  spessore  di  m.  0,07.  Fu  raccolto, 
un  po'  lesionato  nella  bocca,  un  vasetto  a  due  manichi,  simile  per  fattura  e  mate- 
riale a  quelli  recuperatisi  in  Belveghile;  più  quattro  pezzi  informi  di  rame,  un  fram- 
mento di  osso  bianco  lavorato,  due  pezzi  di  minerale  di  ferro,  e  alcune  scheggie  di 
ossidiana  lavorata,  forse  avanzi  di  antichissime  armi. 

Visitando  attentamente  le  campagne  vicine  a  questi  due  ultimi  nuraghi,  trovai 
i  ruderi  di  alcune  costruzioni  dell'epoca  romana.  Nel  luogo  Pctrialvcddu,  ove  si  rin- 
vennero casualmente  nel  mese  scorso  trentadue  monete  del  basso  impero,  sorgono  le 
fondamenta  d'im  manufatto  quadrangolare  in  blocchi  granitici,  lungo  m.  25,60,  largo 
m.  17,20,  con  traccie  di  divisioni  interne;  nella  regione  Tamara  si  vedono  altri  ru- 
deri di  caseggiati  in  mattoni  e  calcestruzzo,  cen  avanzi  di  un  largo  cunicolo  avente 
le  pareti  di  pietre,  e  la  volta  concava  in  laterizi;  nell'appezzamento  Fedra  Bianca 
sonvi  a  livello  del  terreno  i  resti  di  tre  piccoli  manufatti  in  quadratura,  vicinissimi 
fra  loro;  e  infine  presso  il  fiumicello  di  Sa/iia  Lucia,  non  lungi  da  una  robusta  mu- 
raglia di  pietre  scalpellinate,  la  quale  sopporta  metà  d'un  arco  fabbricato  con  mattoni 
e  cemento,  esiste  vm  tratto  di  strada  robustamente  selciata,  lungo  m.  11,40,  largo 
m.  7,10.  Altre  vestigia  di  quella  strada,  si  ripetono  anche  dalla  parte  opposta  del 
fiume  ;  per  cui  sarebbe  lecito  supporre  che  la  muraglia  sopra  descritta,  sia  il  residuo 
d'un  antico  ponte  che  traversava  quel  fiume. 

P.  Tamponi. 
Eoma,  20  gennaio  1895. 


—  481  — 


INDICE  TOPOGRAFICO 


Ancona  —  Tombe  e  costruzioni  di  età  varia 
rimosse  in  Ince  nella  piazza  Cavour  2ol, 
33-1  ;  epigrafe  sepolcrale  greca  scoperta  nel- 
l'edifìcio dell'  Istituto  tecnico  ib. 

Anzio  —  Frammenti  architettonici  e  tratto  di 
via  romana,  riconosciuto  sull'ingresso  della 
villa  già  pontificia,  ora  Ospisio  marino  170, 
314. 

Aosta  —  Nuovi  avanzi  del  recinto  romano  di 
Aosta  ed  iscrizione  onoraria  ad  Augusto 
ivi  rinvenuta  367. 

Arez7.o  —  Nuove  indagini  nell'orto  di  s.  Maria  in 
Gradi,  nel  luogo  ove  avvennero  lo  scoperte 
delle  figuline  perenniane  93  ;  frammenti  di 
vasi  fittili  a  copertura  rossa  dissepolti  nella 
via  Guido  Monaco  117  ;  altri  avanzi  di  vasi 
trovati  a  Fonte  Pozzolo  presso  le  mura  della 
città  120  ;  vasi  dell'ofiicina  di  L.  C'alidio  ri- 
conosciuti nel  podere  detto  delle  Carciarelle 
121  ;  frammenti  fittili  relativi  al  coronamento 
di  un  tempio  scoperti  presso  l'abitato  270. 

Assisi  —  Rilievo  sepolcrale  scoperto  nel  fondo 
Del  Bianco,  presso  s.  Potente  47. 


B 


Iìaia  (comune  di  Pozzuoli)  —  Epigrafe  sepol- 
crale latina  riconosciuta  nel  castello  di  Baia 
287. 

Bariano  —  Tomba  di  età  romana  scoperta  in 
un  campo  del  convento  91. 


Barisciano  —  Iscrizione  latina,  spettante  a  pub- 
blico edificio,  rinvenuta  nella  contrada  s.  An- 
gelo 288. 

lÌASSANo  VENETO  —  Anficliìssinia  necropoli  rico- 
nosciuta presso  Anyarano  1-59;  avanzi  di 
costruzioni  romane  e  tegole  con  bolli  sco- 
perte nel  predio  Roberti  165. 

Bene  Vagiekna  —  Frammenti  di  iscrizioni  la- 
tine provenienti  da  varie  località  del  terri- 
torio 187. 

Benevento  —  Epigrafi  latine  scoperte  in  vari 
luoghi  della  città  180,  387. 

Bologna  —  lìesti  di  costruzioni  di  età  romana 
scoperti  nella  via  Pipa  di  Beno  269  ;  epi- 
grafe sepolcrale  latina  riconosciuta  nella 
chiesa  di  s.  Giovanni  in  Monte  270:  stele 
sepolcrale  del  periodo  di  Villanova,  prove- 
niente dagli  scavi  eseguiti  nell'arca  dell'Ar- 
senale militare  ib. 

Borgomasino  —  Moneta  d'oro,  dell'  imperatore 
Maurizio  Tiberio,  trovata  nel  territorio  del 
comune  73. 

Boscorbai.e  —  Resti  di  antica  villa  suburbana 
rinvenuti  nel  fondo  de  Prisco  in  contrada 
Pisanello  385. 

Brionano  —  Sepoltura  di  età  romana,  contenente 
oggetti  di  corredo  funebre,  tornata  in  luce 
nel  predio  lireda  91. 

Brindisi  —  Nuovi  titoli  sepolcrali  latini  della 
necropoli  brindisina,  scoperti  nel  fondo  de 
Marzo-Monaco  17,  196. 

BuQNARA  —  Costruzione  a  blocchi  di  pietra  cal- 
care e  resti  di  via  romana  scoperti  nella 
contrada  Difesa  254  ;  avanzo  di  mura  poli- 


Classe  di  scienze  morali  ecc.  —  Memorie  —  Voi.  II,  Serie  5',  parte  2" 


55 


—  432  — 


fonali  riconoscinto  nella  contrada  ».  Gio- 
vanni o  Caia  ib. 
Bussi  —  Avanzi  di  antica  via  romana  ricono- 
sciuti nella  contrada  Piano  di  s.  Rocco  179  ; 
frammento  di  lai>ide  sepolcrale  latina  rin- 
venuto nella  chiesa  deì\&  Madonna  Ji  ponte 
Marmore  ib.;  tomba  scoperta  in  contrada 
Fossi  ib.;  laterizi  e  frammenti  di  vasi  fittili 
raccolti  nelle  contrade  Vecchia  e  Giardino 
407. 


Cairo  Montenotte  —  Iscrizione  latina  ed  og- 
getti vari  di  età  romana  rinvenuti  nel  ter- 
ritorio del  comune  331. 

Caltrano  Vicentino  --  Ripostiglio  di  Vitto- 
riati  scoperto  sulla  collina  detta  Castellare 
259. 

Campli  —  Ripostiglio  di  tctradrammi  di  argento 
scoperto  presso  il  villaggio  di  Battaglia  l'JO. 

Canosa  —  Statuine  fittili  ed  urna  di  arte  cano- 
sina  rinvenuto  nel  territorio  del  comune  150; 
avanzi  architettonici  marmorei  e  fistule  plum- 
bee inscritte,  scoperte  nella  contrada  Fi- 
ijnale  dell'Avena  408. 

Caobso  —  Esplorazione  della  terramara  Rovere 
3,  373. 

Caprstrano  —  Epigrafe  sepolcrale  latina  sco- 
perta nella  contrada  Presciano  407. 

Capodimonte  —  Nuovi  scavi  della  necropoli 
Visentina  eseguiti  nelle  contrade  Palazzetta 
e  Polledrara  123. 

Capolona  —  Avanzi  di  un'antica  via  riconosciuti 
presso  il  ponte  a  Buriano  48. 

Casteli.eone  di  Si'asa  —  Resti  di  costruzioni 
varie,  di  età  romana,  tornati  in  luce  nel- 
l'arca dell'antica  Suasa  309. 

Castei.mada.ma  —  Statuetta  di  bronzo,  rappre- 
sentante Minerva,  scoperta  nel  territorio  del 
comune  381. 

Castelnuovo  (frazione  del  comune  di  s.  Pio  delle 
Camere)  —  Resti  di  antiche  costruzioni  e 
frammenti  architettonici  scoperti  nella  con- 
trada Colburclli  289  ;  tomba  a  lastroni  rin- 
venuta nella  localitii  detta  Taverna  Nuova 
ib.;  frammenti  epigrafici  riconosciuti  entro 
l'abitato  ib. 

Castrocaro  (frazione  del  comune  di  Terra  del 
Sole)  —  Sigillo  romano  di  bronzo  rinvenuto 
presso  l'abitato  275. 


Crbremule  —  Statuetta  di  bronzo  votiva  recu- 
perata presso  il  nuraghe  Martirio  290. 

Cittadicale  —  V.  Santa  Rufina. 

Civitei.la  di  Romagna  —  Lucerna  fittile  con 
marca  di  fabbrica  recuperata  nei  pressi  del 
comune  1()8. 

CoLOONO  AL  serio  —  Scheletro  amano  e  coltfllo 
di  ferro  dell'età  barbarica,  scoperto  presso 
la  cascina  Cantarano  92. 

Concordia-sagittaria  -  l-'rainmento  architet- 
tonico, spettante  a  pubblico  edificio,  ricono- 
scinto  ncll'abit.ito  di  Concordia  333;  avanzo 
delle  mura  della  città  colonica  rinvenuto  nel 
fondo  Siro  399. 

Cornkto-Tarqiikia  —  Nuovi  scavi  della  necro- 
poli tarquiniese  in  contrada  Monteroi:i  52. 

Cortona  -  Urna  con  iscrizione  etrusca  scoperta 
nel  fondo  Petti  51  ;  tomba  di  età  remotis- 
sima, contenente  armi  di  pietra  e  di  bronzo, 
rinvenuta  nel  territorio  del  comune  168. 

CiGLiERi  —  Pietra  terminale  con  menzione  degli 
antichi  popoli  della  Sardegna,  dissotterrata 
nella  località  detta  Sessa  153. 


F 


Fiesole  —  Stele  funebre  con  rilievo  di  stile  ar- 
caico proveniente  dal  luogo  detto  s.  Ansano 
116. 

l'ioKENzuoLA  d'Auda  —  Fondi  di  capanne  del- 
l'età neolitica  scoperti  alla  Palazzina  d'Olza 
113. 

Firenze  —  Antichità  scoperte  nei  lavori  di  ri- 
sanamento nel  Centro  della  città  237,  276; 
mos.iico  a  decorazioni  geometriche  rinve- 
nuto nel  già  vicolo  degli  Adimari  378  ; 
tracce  di  via  romana  riconosciute  nella  via 
Pellicceria  ib. 

FicMANA  —  Armi  litiche  rinvenute  nel  territorio 
del  comune  ICC,  275. 

FoRCHiA  —  Tombe  riconosciute  in  contrada  del 
Crocefisso  IC;  tracce  di  acquedotto  e  resti  di 
opera  reticolata  scoperti  entro  l'abitato  ib. 

ForlI  —  Tombe  romane  dissotterrate  nell'area 
del  palazzo  Albicini  in  Borgo  Schiavonia 
115;  altre  tombe  scoperte  fuori  la  barriera 
Ravaldino  275. 

FoRNovo  SAN  Giovanni  —  Testa  marmorea  vi- 
rile rinvenuta  nel  podere  Brolo  89  :  oggetti 
di  suppellettile  funebre  provenienti  dalle 
località  Casarelti  e  Castelletto  00. 


—  433  — 


FossoMBnoNE  —  statuetta  di  bronzo  rinvenuta 
"nella  località  detta  Gulla  a  nord  dell'abi- 
U\U   IT. 


G 


Gran  san  Bernardo  —  Nuove  esplorazioni  nel- 
l'aj-ea  del  tempio  di  Giove  Penino,  al  Pian 
de  Jupiter,  nel  comune  di  Saint-Remy  33. 

Grottaferrata  —  Iscrizione  sepolcrale  latina 
scoperta  nel  fondo  denominato  La  Cipriana 
313;  cippo  con  iscrizione  funebre  dissepolto 
nel  predio  denominato  Borghelto  380. 


Meldola  -  Sigillo  di  bronzo  scoperto  nel  ter- 
ritorio del  comune  37C. 

JIii.AKO  —  Lapidi  sepolcrali  con  iscrizioni  la- 
tine scoperte  presso  il  Ponte  di  Porta  Ma- 
genta 158. 

MoNTEMARCiANO  —  Ripostiglio  di  monete  con- 
solari di  argento,  scoperto  nella  contrada 
Gaggiola  234. 

Montepulciano  —  Arredi  funebri  rinvenuti  in 
una  tomba  a  camera,  della  necropoli  chiu- 
sina  237. 

MoNTERiGGioM  —  Grande  tomba  a  camera,  con- 
tenente sarcofagi  ed  oggetti  della  suppellet^ 
tile  funebre,  tornata  in  luce  nell'altipiano 
detto  Malacena  51. 

Mozzanica  —  Pugnale  di  selce  raccolto  nel  pre- 
dio Camozzi  92. 


Imola  —  Bronzi  arcaici  spettanti  ad  un  ripo- 
stiglio ritrovati  a  Rivera,  nel  podere  Guado 
272  ;  coltello-ascia  recuperato  a  Monterone 
nel  podere  detto  la  Chiesuola  ih.;  epigrafi 
sepolcrali  latine  tornate  in  luce  nel  predio 
Roncagli  sulla  sinistra  dell'antica  via  Emi- 
lia ib.;  tombe  medievali  scoperte  nella  piazza 
Maggiore  274  :  tombe  barbariche  ricono- 
sciute nella  località  detta  Villa  Clelia  ib. 


Lenta  —    Tomba  di  età  romana,  lucerne  fìttili 

e  vasi  vitrei  rinvenuti  presso  la  strada  Ver- 

cclli-Galtinara  113. 
Loro-Cilffenna  —  Tesoretto  di  monete  lucchesi 

scoperto  in  una  tomba  della    diruta  chiesa 

di  s.  Miniato  309. 


M 


Marcellina  (frazione  del  comune  di  s.  Polo 
de'  Cavalieri)  —  Sarcofago  marmoreo  sco- 
perto nel  fondo  denominato  Colonnelle  146. 

Marsala  —  Epigrafe  ricordante  Sesto  Pompeo 
relativa  alle  fortificazioni  ed  al  porto  del- 
l'antica Lilibeo  3S8. 

Maser.'v  —  Tombe  di  età  romana  contenenti  og- 
getti della  suppellettile  funebre  rinvenute 
in  un  fondo  di  proprietà  Mellerio  3. 

Massa  e  Cozzile  —  Tombe  tornate  in  luce  nel 
predio  Mucci  sul  monte  denominato  Monte 
a  Colle  9. 


N 


Napoli  —  Scavi  e  scoperte  in  Sezione  Porto 
171  ;  id.  in  Sezione  s.  Lorenzo  174. 

Navelh  —  Tombe  preromane  ed  oggetti  della 
suppellettile  funebre  scoperte  nella  contrada 
Camaia  316. 

Noli  —  Epigrafe  sepolcrale  latina  recuperata 
tra  i  materiali  di  fabbrica  della  cattedrale 
398. 

Noto  —  Sepolcreti  siculi  riconosciuti  nei  colli  a 
nord  dell'antica  Neetum  152. 

Novilara  (presso  Pesaro)  —  Esplorazioni  della 
necropoli  arcaica  nel  predio  parrocchiale  de- 
nominato Tomba,  e  nel  predio  Servici  377. 


0 


Osio  Sopra  —  Urne  fittili  ossuario  ed  oggetti 
di  bronzo,  scoperti  nel  podere  Casello,  di 
proprietà  Mongilli  92. 


Paganica  —  Tombe  di  età  romana,  con  oggetti 
della  suppellettile  funebre,  rinvenute  nella 
contrada  detta  Colle  del  Vallone  253. 

Palestbina  —  Epigrafe  onoraria  all'imperatore 
Traiano  scoperta  nell'area  del  Foro  prene- 
stino  96. 

Pausi'la  —  Avanzi  di  edifici  della  picena  Pan- 
sulae,  scoperti  nella  località  denominata 
Antico  189. 


—  434  — 


I'avia  —  Resti  di  un  ponto  romano  sul  Ticino 
riconosciuti  presso  lii  città  73;  note  to])rtffra- 
ficlif  sallii  regione  dell'iuiticu  Ticinum  81. 

I'kntima  —  Epigrafe  sepolcrale  latina  tornata 
in  luce  lungo  la  via  ili  Jiaiano  179  ;  nuovi 
frammenti  epi);rafici  dell'apro  corfiniese  ri- 
coDosciati  nel  territorio  del  comune  386. 

Pettorano  siL  (ÌI7.I0  —  Lapide  dialettale  pc- 
lipna  rinvenuta  iircsso  lu  contrada  detta  delle 
Prete  Regie  178. 

l'iANETTO  (frazione  del  comune  di  Galeata)  — 
Tomba  preromana,  con  armille  e  fibule  di 
bronzo,  scoportii  nel  fondo  di  proprietà  Qner- 
cioli  12  ;  tomba,  puro  preromana,  riconosciuta 
presso  il  torrente  Riosecco  167. 

Pieve  di  Cadore  —  Statuetta  di  bronzo  e  disco 
di  rame  con  epi'.'rafe  latina,  votiva,  rinve- 
nuti alle  falde  del  Monte  Ricco  188. 

PizzoLi  —  Frammenti  di  epigrafi  latine,  sco- 
perti nelle  frazioni  comunali  di  Vallicella 
e  s.  Lorenzo  195. 
Pompei  —  Scavi  e  scoperte  nella  regione  I,  is.  5» 
60,  111  ;  id.  regione  V,  is.  2*  14.  Ili,  175, 
193,  31-J,  382;  id.  regione  ^^,  is.  12»406; 
is.  14»  252;  id.  regione  VU,  is.  1»  e  2»  366  ; 
id.  regione  YUI,  is.  2*  147,  193,  287;  id. 
regione  IX;  is.  2»  175,  251;  is.  3»  252;  is. 
6»  60,  111  ;  is.  7»  14;  id.  regione  XI,  is.  1* 
287  ;  id.  regione  XII  ;  is.  2»  e  14»  381  ;  tombe 
ed  epigrafi  latine  rinvenute  nel  fondo  San- 
tini 15,  382;  scavi  a  porta  Stabiana  193; 
scavi  fuori  le  mura,  a  sud  del  tempio  dotto 
di  Ercole  287. 

Pozzuoli  —  Tombe  scoperte  presso  la  stazione 

di  Torre  Gaveta  314. 
Prezza  —  Tombe  di  età  preromana  e  romana  rico- 
nosciute nella  contrada  detta  la  Chiuta  290- 


Qi'ATRKLLE  (frazione  del  comune  di  Fellonica)  — 
Tomba  romana  contenente  oggetti  della 
suppellettile  funebre  ed  un  peso  di  bronzo 
iscrìtto,  scoperta  nella  località  Merlino  291. 


R 


Raiano  —  Base  di  calcare,  con  epìgrafe  latina, 
rinvenuta  nella  contrada  j.  Petronilla  195  ; 
tracce  di  antico  mausoleo  scoperte  nella 
piazza  del  comune  255. 


Reggio  di  Calabria  —  Piombi  mercantili,  tes- 
sere e  sigilli  bizantini  con  epigrafi  greclie 
e  latine,  scoperti  nella  piazza  Vittorio  luna- 
nuele  409. 

RiMiNi  —  Epigrafe  sepolcrale  latina  scoperta 
presso  la  chiesa  della  Colonnella,  lungo  l'an- 
tica via  Flaminia  309. 

Rocca  di  Papa  —  Resti  di  edificio  termale  sco- 
perti alle  falde  di  monte  Cave,  in  vocabolo 
Meszaraija  405. 

Rolo  Piano  —  Testa  muliebre,  marmorea,  e  tombe 
scoperte  nella  contrada  Coste  di  Colle  385  ; 
frammento  di  iscrizione  sepolcrale  latina,  re- 
cuperato nella  contrada  J/oi/w/na  di  Corti  ib. 

Roma  —  (Regione  II)  Scavi  e  scoperte  nella  via 
Capo  d'Africa  242. 

(Regione  HI)  Scavi  e  scoperte  nella  via  della 
Polveriera  13. 

Id.  nella  via  Giovanni  Lonza  141. 

Id.  nella  via  dei  Serpenti  191,  242,  277. 

Id.  nella  via  dell'Olmata  ib. 

Id.  nella  via  di  s.  Giovanni  in  Laterano  312, 
361,  379. 

Id.  nella  via  Curva  312. 

Id.  nella  via  di  s.   Vito  ib. 

Id.  nella  via  Labicana  357. 

Id.  nello  via  Carlo  Alberto  ib. 

(Regione  IV)  Scavi  e  scoperte  tra  le  vie  Cavour 
e  dei  Serpenti  13. 

Id.  nell'area  del  tempio  di  Venere  e  Roma,  presso 
il  Foro  Romano  58,  93,  357. 

Id.  in  via  Viminale  141. 

Id.  nella  via  Genova  169,  191. 

Id.  nella  piazza  di   Termini  ib. 

Id.  nella  via  Cavour  191. 

Id.  all'angolo  delle  vie  Cavour  e  del  Lauro  278. 

Id.  sotto  la  chiesa  di  s.  Pudenziana  403. 

(Regione  V)  Scavi  e  scoperte  nella  piazza  DanteXZ. 

Id  tra  le  vie  Ariosto  e  Manzoni  59. 

Id.  nel  Viale  Principessa  Margherita  169. 

Id.  nella  via  di  s.  Giovanni  278. 

Id.  nella  via  Machiavelli  357. 

Id.  nella  via  Alfredo  Capellini  379. 

Id.  nella  via  Palestra  404. 

(Regione  VI)  Scavi  e  scoperte  tra  le  vie  Venti 
Settembre  e  Firenze  13,  93. 

Id.  nella  via  Cadorna  169. 

Id.  nella  via  di  ».  Martino  247. 

Id.  nella  via  delle  Quattro  Fontane  357. 

(Regione  VII)  Scavi  e  scoperte  nella  piazza  di 
s.  Silvestro  248. 

Id.  nella  via  di  Capo  le  Case  279. 


—  435  — 


Roma  —  (Regione  K)  Scavi  e  scoperte  nella 
via  Capo  di  ferro  1-t. 

Id.  nella  piazza  di  s.  Stefano  del  Cacca  94. 

Id.  nella  via  di  Monleroni  218. 

Id.  nella  piazza  s.  Pantaleo  248,  279. 

Id.  nella  via  Giulia  312. 

Id.  nella  piazza  di  Montecitorio  312,  379. 

Id.  nella  via  dei  Falegnami  357. 

Id.  nella  via  di  Monte  Brianzo  404. 

(Regione  Xi  Scavi  e  scoperte  nello  stadio  Pala- 
tino 94. 

Id.  nelle  fabbriche  di  Caligola  249. 

Id.  nella  Domus  liberiana  379. 

(Regione  XI)  Scavi  e  scoperte  nella  via  di  s.  7'eo- 
doro  358,  404. 

(Regione  XIII)  Scavi  e  scoperte  nella  via  di 
s.  Sabina  141. 

Id.  presso  il  monte  Testacelo  191. 

Id.  nell'area  del  nuovo  convento  dei  Benedettini, 
sviW' Aventino  313,  358,  405. 

(Regione  XIV)  Scavi  e  scoperte  a  s.  Cosimato 
279. 

Id.  nei  Prati  di  Castello  249,  358. 

Id.  naWalveo  del  Tevere  95,  192,  380. 

Id.  nell'area  del  Policlinico  95. 

(Suburbio)  Scavi  e  scoperte  nella  via  Flaminia 
142. 

Id.  nella  via  Nomentana  14,  143. 

Id.  nella  via  Ostiense  95. 

Id.  nella  via  Portuense  192,  313. 

Id.  nella  via  Salaria  14,  143,  169,  365. 

Id.  nella  via  Tiburtina  59,  145,  169,  193,  249, 
280,  313,  365,  380. 

Epigrafe  latina  spettante  ad  un  cursor  della  fa- 
zione Prasina,  aggiunta  alle  raccolte  del 
Museo  Nazionale  romano  280. 

Roncaglia  (frazione  del  comune  di  Bene  Va- 
gienna)  —  Esplorazioni  nell'area  del  teatro 
romano  dell'antica  Augusta  Bagiennorum 
155. 

Ruvo  di  Puglia  —  Vasi  dipinti  provenienti  da 
una  tomba  greca,  tornata  in  luce  nel  terri- 
torio del  comune  148  ;  tombe  della  necro- 
poli ruvestina,  contenenti  vasi  fittili  dipinti, 
scoperte  nella  contrada  Arena  182. 


S 


Salle  —  Avanzi  di  suppellettile  funebre,  pre- 
romana, provenienti  da  tombe  scoperte  in 
contrada  Peschio  della   Valle  317. 

S.  Angelo  in  Formis  —  Di  una  tegola  con  iscri- 


zione grafDfa  rinvenuta  nelle  vicinanze  del- 
l'abitato 284. 

Sant'Antioco  —  Nuove  epigrafi  latine  dell'an- 
tica Silici,  aggiunte  alla  raccolta  lapidaria 
del  Museo  nazionale  di  Cagliari  255. 

San  Giusto  Canavese  e  Foglizzo  —  Tombe 
romane  e  frammenti  di  stoviglie  scoperte 
nella  regione  Meletto  sul  confine  dei  co- 
muni 187. 

S.  Maria  Capua  Vetere  —  Epigrafe  osca  rin- 
venuta nei  pressi  dell'abitato  406. 

San  Prisco  (presso  s.  Maria  Cajiua  Vetere)  — 
Cippo  con  iscrizione  osca  rinvenuto  presso 
il  fondo  Patturelli  147. 

San  Quirico  in  val  di  Polckvera  —  Tesoretto 
di  monete  medioevali  d'oro,  rinvenuto  nella 
contrada  Serro,  nel  greto  del  Polcevera  332. 

Santa  Rufina  (frazione  del  comune  di  Cittadu- 
cale)  —  Frammento  di  iscrizione  sepolcrale 
latina  scoperto  entro  l'abitato  385. 

S.  Valentino  e  Bolognano  —  Tombe  a  inu- 
mazione, formate  di  lastre  di  pietra,  sco- 
perte nella  contrada  Sant'Andino  386  ;  resti 
di  costnizioni  laterizie,  e  niccbie  votive,  in- 
cavate nella  rupe,  riconosciute  nella  contrada 
Santa  Liberata  387  ;  tombe  a  lastroni  ed 
iscrizione  se])olcrale  latina,  scoperta  nella 
contrada  Sant'Angelo  ib. 

S.  Vittorino  (frazione  del  comune  di  Pizzoli)  — 
Epigrafe  sepolcrale  latina  scoperta  nella 
casa  Cialone  entro  l'abitato  252  ;  lastre  di 
calcare  e  lucerna  fittile  con  marca  di  fab- 
brica rinvenuta  nel  luogo  detto  Torrione 
406. 

Selinunte  —  Relazione  degli  scavi  eseguiti  nel- 
l'area dell'antica  Selinunte  dall'anno  1887 
al  1892,  202;  ripostiglio  di  monete  cam- 
pane rinvenuto  nel  territorio  selinuntino  392. 

Sentino  —  Monete  romane  scoperte  nel  terri- 
torio del  comune,  in  occasione  dei  lavori 
per  la  ferrovia  s.  Arcangelo-Fabriano  168. 

Siracusa  —  Nuove  esplorazioni  nella  necropoli 
siracusana  del  Fusco  152;  indagini  nelle 
catacombe  cristiane  di  s.  Giovanni  e  del- 
VAcradina  ib. 

Sorgono  —  Gemma  incisa,  con  rappresentanza 
di  Giove  Serapide,  rinvenuta  nella  località 
detta  Bingia  de  saìilu  Sarbadorc  220. 

Sorrento  —  Colonna  milliaria  spettante  alla 
antica  via  che  da  Napoli  per  Pompei  an- 
dava a  Nocora  315. 

Si'adarolo  (fraziono  del  comune  di  Rimiui)  — 


—  ìm  — 


Bronzi  arcaici  provenienti  da  un  fondo  presso 
la  strada  di  Vcrncchio  307. 
Stkomìoli  —  Piedistallo  di  statua  onoraria, 
posta  a  Miinìo  Megonir)  Leone  nel  Foro  di 
Petelia,  con  iscrizione  dedicatoria  e  con  un 
nuovo  capitoli!  del  1i-stnnun)M  ili  i|iiol  ("T- 
s>ina);^io   IS. 


Taranto  —  Frammenti  di  epi^Tafi  preche  ed 
iscrizioni  sepolcrali,  latine,  tornate  in  luce 
in  vari  lno<;hi  della  città  60  ;  pavimenti  ro- 
mani a  mosaico,  rinvenuti  nella  contrada 
Montedoro  318. 

Tkmpio  —  Fittili  di  arte  rude  scoperti  nel  Nu- 
raghe del  Muracciu,  nella  regione  Padulu 
328. 

Tf.rracina  —  Avanzi  del  tempio  di  Giove  Aniure 
scoperti  sulla  vetta  di  monte  s.  Angelo  presso 
la  città  96  j  frammento  di  epigrafe  latina 
recuperato  presso  il  monumento  sepolcrale 
detto  di  Valmarina  171;  scoperte  varie 
avvenute  in  occasione  dei  lavori  per  la  nuova 
conduttura  d'acqua  250. 

Terranova  fausama  —  Tombe  in  muratura, 
frammenti  di  vasi  fittili  e  monete  di  bronzo, 
scoperte  in  vocabolo  la  Conca  di  la  pudda 
29;  tracce  di  antico  acquedotto  riconosciute 
nella  regione  Moronsu  30;  resti  di  costru- 
zioni laterizie  esistenti  nella  regione  Frati 
Zinnia  ib.  ;  tombe  costruite  con  pietre  e  ce- 
mento tornate  in  luce  nel  predio  vocabolo 
Sticcatu  ib  ;  avanzi  di  antiche  costruzioni, 
monete  romane  imperiali  e  frammenti  epigra- 
fici rinvenuti  in  vari  punti  dell'abitato  30; 
frammento  di  diploma  militare  sci'perto  nella 
villa  Tamponi,  presso  il  porto  112;  tombe 
in  laterizi,  scoperte  nel  predio  denominato 
hcia  Mariana  326,  395;  tomba  di  bambina 
rinvenuta  presso  la  collina  di  s.  Simplicio 
ib.;  monete  di  bronzo  e  frammenti  di  em- 
brici romani  tornati  in  luce  nel  predio 
Abbefritta  ib.  ;  sepolcreto  con  oggetti  della 
suppellettile  funebre  rinvenuto  nel  predio 
Acciaradalza  327  ;  tombe  di  età  romana  e 
resti  di  costruzioni  laterizie,  tornati  in  luce 
nella  regione  Puzzolu  alla  collina  di  Pro- 
Vania  392;  cassa  sepolcrale  di  piombo  e 
stoviglie  scoperto  presso  la  chiesa  rurale 
di  Cobu  Abbas  .393;  tombe  romane  con 
oggetti  della  sup))ellettile  funebre  rinve- 
nute nella  piazzetta  del  Darchile  .394  ;  urne 


ossuario  fittili  trovate  nella  collina  di  i.  Sim- 
plicio 396;  esplorazioni  eseguite  nell'interno 
dei  nuraghi  Belveghilc,  Suraijadcna.  Chi- 
donili,  Critcula,  nell'agro  olbiense  427  ;  resti 
dì  antiche  costruzioni  riconosciuti  nella  lo- 
calità Pirtralveddu,  Tnnuim.  P,-dni  IHanca 
429. 

TiiAi'sos  (penisola  di  Magnisi,  presto  Siracusa)  — 
Esplorazioni  della  grande  necropoli  sicula 
di  Thapsos  201. 

Tivoli  —  Tomba  romana  con  iscrizione  sco- 
perta nella  contrada  Favale  146  ;  epigrafe 
onoraria  latina  proveniente  dal  santuario 
di  Ercole  Vincitore,  aggiunta  alle  raccolte 
epigrafiche  del  Museo  Nazionale  di  lioma 
283. 

Torino  —  Sepolture  di  età  romana,  e  frammento 
epigrafico  scoperto  sul  corso  Regina  Mar- 
gherita 397  ;  anfora  fittile  ricuperata  nel 
punto  di  intersecazione  della  via  Foggia 
e  del  corso  Palermo  ib.;  tomba  di  laterizi, 
rinvenuta  nella  via  Pisa  398. 

Tornimparte  —  Frammenti  di  iscrizioni  latine 
riconosciuti  nel  territorio  del  comune  194. 

Tregnago  e  RADIA  DI  cALAvF.NA  —  Almi  silicce 
e  vasi  fittili  di  industria  rude  e  primitiva 
scoperti  nei  territori  dei  comuni  3.32. 


Venezia  —  Iscrizione  cretese  rinvenuta  nella 
basilica  di  s.  Marco  232. 

Verona  —  Scavi  e  scupertc  nell'area  del  teatro 
romano  223  :  epigrafi  etrusche  della  raccolta 
dei  Conti  Gazzola  229;  iscrizione  cristiana 
di  pro]>rietà  del  sig.  Pietro  Sgulmero,  ))ro- 
vcniente  da  Lazise,  sul  Garda  231  ;  anfore 
vinarie  rinvenute  nella  contrada  s.  Giorgio 
presso  la  via  detta  dietro  mura  372. 

Vericchio  —  Necropoli  arcaica  riconosciuta 
nel  podere  detto  Lavatoio  292. 

Vetilonia  —  Nuove  esplorazioni  del  tumulo 
della  Pietrera  3.35  ;  scavi  della  necropoli 
vetuloniese,  nel  luogo  detto  le  Migliorine 
340;  tomba  scoperta  nella  valle  di  Fran- 
chetta  350  ;  scoperte  sul  paggio  di  Vetu- 
lonia  356  ;  epigrafe  dedicata  all'imiieratorc 
Caracalla,  riconosciuta  nella  nuova  Badia 
di  Seslinga  401. 

ViTTORiTO  —  Frammenti  epigrafici  riconosciuti 
nella  chiesa  dedicata  a  s.  Michele  Arcan- 
gelo 317. 


439  — 


INDICE  DEL  VOL.  II  —  SERIE  5^ 


Classe  di  scienze  morali,  storiche  e  filologiche. 


Parte  prima  —  Memorie. 

Nallino.  Al-Huìvàrizml  e  il  suo  rifacimento  della  Geografia  di  lolomeo.  Pag,  3 

Guidi.  Il  «  Gadla  'Aragàwl  » '  ^4 

Conti  Rossini  Carlo.  Il  «   Gadla    Takla  Hàymanot  ■^  secondo  la  reda- 
zione waldebbana "  ^^ 


Parte  seconda  —  Notizie  degli  Scavi. 

Notiiie  degli  Scavi.  Gennaio  1894 "  3 

»  n       Febbraio '  ^^ 

»  »       Marzo "  '^^ 

«  »       Aprile ■"  113 

»  "       Maggio "  1^^ 

»  »       Giugno '  ^^'^ 

1,  »       Luglio "  223 

»  "       Agosto "  ^^^ 

„  »       Settembre -  291 

»  »        OWoère "  331 

n  "       Novembre '  367 

Il  »       Dicembre ■>  39/ 

Indice  topografico '  '*'  ' 


AS  Aocademia  nazionale  del 

222  Lincei,  Boaa.  Classe  di 

R645  scienze  morali,  storiche, 

ser.5  critiche  e  filologiche 
V.2        Memorie 


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Pubblicazioni  della  R.  Accademia  dei  Lincei. 


8«i«  1*  —  Atti  dell'Accademia  pontificia  dei  Nuovi  Lincei.  Tomo  I-XXIII. 
Atti  della  Beale  Accademia  dei  Lincei.  Tomo  XXIY-XXVl. 

Swie  2'  —  VoL  1.  (1873-74). 
Voi.  n.  (1874-75). 
Voi.  III.  (1875-76).  Parte  1'  Transdkti. 

2*  Memorie  della    Cicute  di  teietue  /Ittehe. 

matematiche  e  naturali. 
8*  Mbmorib  della  Ciotte  di  tciente  morali, 
storiche  e  ilologiche 

VoL  IV.  V.  VI.  vn.  vili. 

Serie  3'  —  Transunti.  Voi.  I-VIII.  (1876-84). 

Mbmorib    della    Classe    di   sciente   fisiche,    matematiche   e   ncaurali. 

Voi.  I.  (1,  2).  —  II.  (1,  2).  —  III-XIX. 
MjDfORiB    della    Classe    di    sciente    morali,  ttoriche    e    biologiche. 

VoL  I-XIII. 
Serie  4»  —  Kendiconti  VoL  I-VII.  (1884-91). 

Mbmorib   della    Classe   di   sciente   litiche,   matematiche   e   naturali. 

Voi.  I-VII. 
Memorie    della    Classe    dt    sciente    morali,    ttoriche    e    /Uologichi. 

Voi.  I-X. 
Serie  5'  —  Rendiconti  della  Classe  di  scienze  /itiche,  matematiche  e  naturali. 

VoL  I-V.  (1892-96)  2»  Sem.  Paso.  3». 
Rendiconti  della  Classe  di  sciente  morali,  storiche  e  /Ilologiche. 

Voi.  I-V.  (1892-96)  Fase.  4<'-5». 
Memorie   della    Classe   di   sciense  fisiclie ,    matematiche   e   naturali. 

VoL  I. 
Memorie  della  Classe  di  sciente  morali,  ttoriche  e  filologiche. 

VoL  I-UL 

CONDIZIONI  DI  ASSOCIAZIONE 

AI  BKNDICONTI  DELLA  CLASSE  DI  SCIENZE  FISICHE,  MATEMATICHE  E  NATURALI 
DELLA  E.  ACCADEMIA  DEI  LINCEI 


I  Rendiconti  della  Classe  di  scienze  fisiche,  matematiche 
e  naturali  delia  R.  Accademia  dei  Lincei  si  pubblicano  due 
volle  al  mese.  Essi  formano  due  volumi  all'anno,  corris|)OD- 
denli  ognuno  ad  un  semestre. 

II  prezzo  di  associazione  per  ogni  volume  è  per  tutta 
l'Italia  di   L.  flO  ;  per  gli  altri  paesi  le  spese  di  posta  in    più. 

Le  associazioni  si  ricevono  esclusivamente  dai  seguenti 
editori-librai  : 

Ermanno  Loescher  <V  C.**  —  Roma,  Tonno  e  Firenze. 
Ulrico  Hoepli.  —  Milano,  Pisa  e  ISapoli.