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Full text of "Milano"

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ROBA 


COLLEZIONE 


MONOGRAFIE   ILLUSTRATE 


Serie  I."      ITALIA  ARTISTICA 

26. 


MIL  A  NO 


Collezione  di  Monografie  illustrate 
Serie  ITALIA  ARTISTICA 

DIRETTA  DA  CORRADO   RICCI. 

Volumi  pubblicati: 

*1.  RAVENNA  di  Corrado  Ricci.  VI  Edizione,  con  156  illus. 

2.  FERRARA  e  POMPOSA  di  Giuseppe  Agnelli.  Ili  Ediz., 

con  13S  illustrazioni. 

3.  VENEZIA  di  Pompeo  Molmenti,  con  132  illustrazioni. 

4.  GIRGENTI  di  Serafino  Rocco;   da    SEGESTA  a  SELI- 
NUNTE  di  Enrico  Mauceri,  con  101  illustrazioni. 

5.  LA  REPUBBLICA  DI  SAN  MARINO  di  Corrado  Ricci. 

II  Edizione,  con  96  illustrazioni. 

6.  URBINO  di  Giuseppe  Lipparini.  II  Ediz.,  con  116  illus. 

7.  LA  CAMPAGNA  ROMANA  di  Ugo  Fleres.  con  112  illus. 

8.  LE  ISOLE  DELLA  LAGUNA  VENETA  di  P.  Molmenti  e 

D.  Mantovani,  con  119  illustrazioni. 
*9.  SIENA  d'ART.  Jahn  Rusconi.  II  Ed.,  con  160  illustrazioni. 

10.  IL  LAGO  DI  GARDA  di  Giuseppe  Solitro,  con  128  illus. 

11.  S.  GIMIGNANO    e  CERTALDO    di    Romualdo    Pàntini, 
con   128  illustrazioni. 

12.  PRATO  di  Enrico  Corradini  ;  MONTEMURLO  e  CAMPI 

di  G.  A.  Borgese,  con  122  illustrazioni. 

13.  GUBBIO  di  Arduino  Colasanti,  con  114  illustrazioni. 
*14.  COMACCHIO,  ARGENTA  E    LE    BOCCHE    DEL  PO  di 

Antonio  Beltramelli,  con  134  illustrazioni. 
*15.  PERUGIA  di  R.  A.  Gallenga  Stuart,  con  169  illustraz. 

16.  PISA  di  I.  B.  Supino,  con  147  illustrazioni. 
*17.  VICENZA  di  Giuseppe  Pettina,  con  147  illustrazioni. 
*18.  VOLTERRA  di  Corrado  Ricci,  con  166  illustrazioni. 
*19.  PARMA  di  Laudedeo  Testi,  con  130  illustrazioni. 
*20.  IL  VALDARNO  DA  FIRENZE  AL  MARE  di  Guido   Ca- 
rocci, con   138  illustrazioni. 
*21.  L'ANIENE  di  Arduino  Colasanti.  con  105  illustrazioni. 
*22.  TRIESTE  di  Giulio  Caprin,  con  139  illustrazioni. 
*23.  CIVIDALE  DEL  FRIULI  di  Gino  Focolari,  con  143  ili. 

24.  VENOSA  E  LA  REGIONE  DEL  VULTURE  di  Giuseppe 

De  Lorenzo,  con  121  illustrazioni. 
*25.  MILANO,  Parte  I.  di  F.  Malaguzzi  Valeri,  con  155  ili. 
*26.  MILANO,  Parte  II.  di  F.  Malaguzzi  Valeri,  con  140  ili. 
*27.  CATANIA  di  F.  De  Roberto,  con  152  illustrazioni. 

Ogni  volume  L.  3,50.  rilegato  L.  5  -  quelli  con  asterisco  L.  4,  rilegati  L.  5.50 


Indirizzare  cartolina-vaglia  all'lst.  li  d'Arti  Grafiche,  Bergamo 


FRANCESCO  MALAGUZZI  VALERI 


MILANO 


PARTE    II. 


CON     140     ILLUSTRAZIONI 


BERGA M  O 
ISTITUTO  ITALIANO  DARTI  GRAFICHE  -  EDITC 

19  0  6 


TUTTI  I  DIRITTI  RISERVATI 


Officine  dell'Istituto  Italiano  d'Arti  Grafiche. 


INDICE    DEL    TESTO 


V.  Lodovico  il    .Moro   e    la    sua  corte  -  Leo- 

nardo da  Vinci  e  i  pittori  lombardi:  il 
Mcl/i,  il  Boltraffio, l'Appiani  e  il  pseudo 
Boccaccino,  il  Sodoma,  Giampietrino, 
Cesare  da  Sesto,  il  Predis,  il  Solari, 
Bartolomeo  Veneto,  Francesco  Napo- 
letano, Bernardino  dei  Conti,  Cesare 
Magni  -  L' influsso  leonardesco  sulla 
scultura 

VI.  Il  Cinquecento  -    La    fine  della    signoria 

sforzesca  -  L'architettura  e  i  classi- 
cisti :  il  Pellegrini,  1'. Messi,  il  Seregni, 
il  Meda  e  i  minori  -  La  scultura:  i  due 
Leoni,  Marco  d' Agrate,  Angelo  Marini, 
Annibale  Fontana-  La  pittura:  Bernar- 
dino Luini,  Gaudenzio  Ferrari,  il  La- 
nino, il  Lomazzo,  il  Pigino  -  I  pittori 


cremonesi  e  lodigiani  a  Milano  -  Le 
arti  minori  -  Gli  armaiuoli  ....  39 
VII.  Il  Seicento  -  La  dominazione  spagnola  - 
L'architettura:  Fabio  Mengoni,  i  Ric- 
chini,  gli  architetti  minori  -  La  pit- 
tura: i  Procaccini,  i  Crespi,  il  Ghi- 
slandi,  il  Morazzone,  i  frescanti  -  Gli 
scultori,  i  decoratori  e  le  arti  minori  ''7 
9  Vili.  Il  governo  austriaco  e  i  successivi  av- 
venimenti politici  -  11  neoclassicismo 
nell'arte  lombarda  -  1  Ruggeri,  il  Pier- 
marini  e  i  minori  architetti  -  Il  Tie- 
polo  a  Milano  -  L'Appiani,  il  Trabal- 
lesi  e  la  pittura  del  tempo  -  I  roman- 
tici -  L'arte  moderna  e  le  collezioni 
milanesi 125 


INDICE    DELLE    ILLUSTRAZIONI 


Appiani  Andrea:  Apollo  e  le   Muse       .     .     .143 

—  Il  carro  d'Apollo     ......     ...    142 

—  L'incoronazione   di   Giove .143 

Arco  della  Galleria  Vittorio  Emanuele      .   145 

—  della  Pace  o  del  Sempione 135 

—  di  Porta  Nuova     . 137 

Arena .     .   137 

Boltraffio  Gian  Antonio:  Due   devoti     ...      17 

—  Madonna  col  Putto      ........      16 

—  Ritratto  di  Girolamo  Casio 19 

—  Ritratto  di  Lodovico  il   Moro       ....      11 
Campi:  Particolare  degli  affreschi  in  S.  Paolo     88 

Canova:  Napoleone  I 138 

Casa  di  Leone  Leoni .65 

Castello  Sforzesco —  Appiani  A.:   L'incoro- 
nazione di   Giove 143 

—  Francesco  I 35 

—  Base  della  torre  Umberto  I  e    gli    ultimi 
restauri  nel  Castello 155 

—  Parte    superiore    della    nuova    torre   Um- 
berto I 154 

Cesare  da  Sesto:  La  Vergine  col  Bambino  .     27 
Chiesa  di  S.  Alessandro Hi 


Chiesa  di  S.  Alessandro  —  Altare     .     .     .118 
Interno 112 

-  di  S.  Angelo 58 

-  di  S.  Antonio   Abate  —  Sedie  corali     .   123 

—  di  S.  Carlo L34 

—  di  S.  Fedele  —  Candelabro  di    Annibale 
Fontana (>2 

—  —    Statuette  dell'aitar  maggiore  ....    L39 

-  di  S.  Giovanni  in  Case  Rotte  ....   106 

—  di  S.  Giuseppe      ....         .    ...   103 

-  di  S.  Lorenzo  —  Cupola 59 

—  —  Monumento  Conte       ......      .63 

-  di  S.  Maria  presso  S.  Celso     ....     55 

—  —    Ferrari  G.  :  11  battesimo  di  Gesù  Cristo     85 

-  —  Fontana  A.:  Lavabo  nella  sagrestia     ,      72 

—  — ■  —  La  Vergine 71 

—  -     —  Statua  di   S.  Giovanni 70 

-  di  S.  Maria  della  Passione LIO 

-   Luini  B.:  Deposizione  dalla  croce     .     .     73 

—  —   Solari  (maniera   deli:   La    Madonna  col 
Bambino 38 

-  di  S.  Maurizio   —    Particolari    degli    af- 
freschi di  B.  Luini 79,80,81 


INDICE  DELLE  ILLUSTRAZIONI 


Chiesa  di  S.  Paolo  —  Particolare  degli   af- 
freschi dei  Campi 88 

-  di  S.  Pietro  in  Gessate  —    Sedie  corali   1 24 

-  di  S.  Sebastiano 47 

—  di  S.  Vittore  al  Corpo  —  Armadio  nella 

sagrestia 122 

—  Sedie  corali 94 

Collezione  Borromeo  —  Ferrari  G.:  Madonna 

col  Bambino  e  due  Santi 84 

—  —  Luini  B.:  La  casta  Susanna     ....     78 

—  Trivulzio   —  BoltraffioG.  A.:  Ritratto  di 
Lodovico  il   Moro 11 

Colonna  del  Verziere 130 

Convento  di  S.  Maria  delle  Grazie  —  Leo- 
nardo da  Vinci:  Il  cenacolo 15 

Corso  di  Porta  Romana 109 

Crespi  Daniele:  G.  Cristo    flagellato     .     .     ,116 

—  Il  battesimo  di   G.  Cristo 117 

Duomo  (II)  e  il    Coperto    dei    Figini    prima 

dei  lavori  del  periodo  napoleonico    .     .     .140 

—  La  porta  centrale  del  Pellegrini  e  del  Ric- 
chini 43 

—  La  porta  maggiore  di  L.  Pogliaghi     .      .157 

-  Le  due  porte  settentrionali  del  Pellegrini     42 

—  Leoni  L. :  Monumento    a    Gian    Giacomo 

de'  Medici 67,  68,  69 

—  Marco  d' Agrate:   S.Bartolomeo.     .     .     .     62 

-  Marini  A.:   Statua  di  papa  Pio  IV      .      .     64 

—  Particolare  delle  sedie  corali 95 

—  Particolari  della  fronte    ......   44,  45 

—  Poscoro 46 

—  Solari  C:  Adamo 32 

—  —  Eva        io 

—  —    Cristo  alla  colonna 37 

Ferrari  Gaudenzio:  Il  battesimo  di  Gesù  Cristo     85 

—  La  Pietà 86 

—  La  Vergine  col  Bambino 87 

—  Madonna  col  Bambino  e   due   Santi      .     .     84 
Fontana  Annibale:  Candelabro 92 

—  Lavabo       ............      72 

-  La  Vergine 71 

—  Statua  di  S.  Giovanni     ........     70 

Galleria  Crespi    -  -    Boltraffìo    G.  A.:    Ma- 
donna  col    Tutto 16 

-  Crespi  U.:  G.  Cristo  flagellato    .     .     .     .116 

—  De  Predis  A.:  Madonna  col  Putto  ...     25 

—  Ferrari  G.:   La  Pietà 86 

-  Giampietrino:  Madonna  col  Putto   ...     24 

—  Marco  d'Oggiono:  Trittico 21 

—  Piazza  C:  Trittico      ........      90 

—  Solari  A.:  G.   Cristo  benedicente     .     .     .     31 
Giampietrino  :  Madonna  col  Putto    ....     24 

Gonfalone  di  S.  Ambrogio 93 

Leonardo  da  Vinci:   11  cenacolo   ....  15 


Leoni  Leone:  Monumento    a  Gian    Giacomo 

de'  Medici 67,  68,  69 

Luini  Bernardino  :  Deposizione  dalla  croce     .     73 

—  La  casta   Susanna        78 

—  La  flagellazione 83 

—  La  salma  di   S.    Caterina    portata    al    se- 
polcro dagli    angeli 77 

—  La  Vergine  col  Bambino 75 

—  Particolari    degli    affreschi    di     S.     Mau- 
rizio   79,  80,  81 

—  Sacra  Famiglia 76,  82 

Marco  d' Agrate:   S.  Bartolomeo 62 

Marco  d'Oggiono:  Gli  Arcangeli      ....      20 

-  Trittico 21 

Marini  Angelo:   Statua  di  papa  Pio  IV     .      .     64 
Monumento  a  Cesare  Beccaria      ....   150 

—  a  Leonardo  da  Vinci     .......   127 

Museo  Poldi-Pezzoli   —  La  sala  nera      .     .144 

—  Solari  A.:  Ecce  homo 29 

—  —  II   "   riposo  „   nella  fuga  in  Egitto  .     .      28 

-  — -  Madonna  col  Bambino 30 

Naviglio  (II)  da  S.  Marco 159 

Ospedale  Maggiore  —  Il  gran  cortile     .     .    100 

-  Parte  del  sec.  XVII  a  imitazione  dell'antica   101 

— ■  Tre  finestre 102 

Palazzo  Annoni  e  corso  di  Porta  Romana     109 

-  Archimi  — Affreschi  di  G.  B.  Tiepolo  132,  133 

—  Arcivescovile  —  Il  cortile  del  Pellegrini     41 

-  Bagatti-Valsecchi 151,   152 

-  —    Cortiletto    in    stile    del    rinascimento 
lombardo 153 

—  Belgioioso 126 

—  della  Borsa 15b 

-  di  Brera    • 106 

—  —  Affreschi  di  C.  Piazza  sullo   scalone   .     91 

—  — ■  Canova:  Napoleone  I 138 

Cortile 105 

-  della  Cassa  di  Risparmio 148 

—  Clerici  —  Tiepolo  G.  B.:    Soffitto    della 
gran  sala 131 

—  Cusani  in  Via  Brera 125 

-  Durini    . .   107 

—  dell'Esposizione  Permanente     .     .     .     .149 

-  dei  Giureconsulti        56 

—  Litta  e  Corso  Magenta 108 

-  Marino  —  Cortile 50,  51,  52 

—  —  Fronte  moderna  su  Piazza    della   Scala     49 

-  Fronte  verso  S.  Fedele 48 

-  —    Salone  ora    del  Consiglio    municipale     53 

—  degli  Omenoni  ..........     65 

—  Rocca-Saporiti  ..........   136 

—  delle  Scuole  Palatine 57 

—  del  Senato,  già  dei  Chierici  Elvetici  .     .     98 
.  Cortile .99 


INDICE  DELLE  ILLUSTRAZIONI 


Palazzo  Serbelloni I-1» 

—  Trivulzio  —  Porta .11'» 

—  Visconti  di  Modrone,  verso  il  Naviglio.  120 
Panorama  di  Milano,  visto  dal  campanile  della 

chiesa  di  S.  Carlo 9 

Pianta  di  Milano  edita  da  A.  La  ire  ri  nel  1573  40 
Piazza  del  Duomo     prima  dell'erezione   del 

monumento  a  Vittorio  Emanuele  li  .     .     .HI 

—  Fontana  e  la  fontana  del  Piermarini       .   160 

—  dei  Mercanti 56 

Piazza  Callisto:   Affreschi    sullo    scalone    del 

palazzo  di   Brera ''1 

—  Trittico 90 

Pinacoteca  Ambrosiana —  Figura  muliebre      13 

—  —  "Il   musicista   „,   dopo  il  restauro   .     .      12 

—  —  Luini  B.:  La  flagellazione 83 

—  —  —  Sacra  Famiglia 76,  82 

-  di  Brera  —  Appiani  A.:   Apollo  e  le  Muse   143 

—  —  —  Il  carro  d'Apollo 142 

—  Boltraffìo  G.  A.:  Due   devoti       ...      17 

—  —  —  Ritratto  di  Girolamo   Casio   .     .     .      19 

—  —  Cesare  da  Sesto:  La  Vergine  col  Bam- 
bino      .27 

—  —   Crespi  D.:    Il    battesimo  di  G.  Cristo    117 

—  —  Ferrari  G. :     La  Vergine  col   Bambino     87 

-  Luini  B.:  La  salma  ditS.  Caterina  por- 
tata al  sepolcro  dagli  angeli 77 

—  —  —  La  Vergine  col  Bambino     ....     75 

—  —  Marco  d'Oggiono:  Gli  Arcangeli  .  .  20 
Procaccini  G.C.  :  S.  Cecilia  e  S.  Girolamo    1 1 5 


Pinacoteca  di  Brera    -      Procaccini    G.  C: 
Sposalizio  di   S.  Caterina 

—  —  Sodoma  (attribuito  ali:  La  Vergine  col 
Bambino 

Porta  Nuova 

—  Romana 

Predis  (Ambrogio  dei:   Madonna  col   Putto    . 
Procaccini  Giulio  Cesare:  S.  Cecilia  e  S.Gi- 
rolamo    .  

—  Sposalizio  di    S.  Caterina     ...... 

Seminario  —  Cortile .     . 

—  Portale 

'•  Simonetta  „  (La)  nel  suburbio 

Sodoma  (attrib.  al) :   La   Vergine   col    Bambino 
Solari    Andrea:    "   Lece   homo   ....... 

—  G.  Cristo  benedicente 

—  Il    "   riposo   „    nella   fuga  in  Egitto     . 

—  Madonna  col  Bambino 

Solari  Cristoforo:   Adamo     ....... 

—  Eva 

—  Cristo   alla   colonna 

—  (Maniera  del):   La  Madonna  col  Bambino 
Teatro   della  Scala  e  monumento  a  Leonardo 

da   Vinci 

Tiepolo    Ci.    B.:     Affreschi    nel     palazzo    Ar- 
chinti 132, 

—  Soflìtto  della  gran  sala  del  palazzo  Clerici 

Via  Dante 

Villa  Reale,  giù  Belgioioso,  verso  il  giardino 


97 

25 


115 

Nò 
1,11 

121 
61 
23 
29 
31 
28 
30 


38 


133 
131 

147 
128 


Museo  Archeologico). 


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PANORAMA    DI   MILANO.    VISTO    DAI.   CAMPANILI.    DILLA  CHIESA   DI    S.    CABLO. 


V. 


Lodovico  il  Moro  e  la  sua  curie  —  Leonardo  da  Vinci  e  i  pittori  Lombardi:  il  Melzi,  il  Bollraffio, 
l'Appiani  e  il  pseudo  Boccaccino,  il  Sodoma,  Giampietrino,  Cesare  da  Sesto,  il  Predi*,  il  Solari,  Bar- 
tolomeo Veneto,  Francesco  Napoletano,  Bernardino  dei  Conti,  Cesare  Magni  —  L'influsso  leonardesco 
sulla  scultura. 


'AVVENTO  a  Milano  di  Leonardo  da  Vinci  coincide,  all'  incirca,  con 
l'inizio  del  periodo  più  glorioso  per  l'arte  lombarda  e  per  la  grandezza 
di  Milano.  Alla  morte  di  Galeazzo  Maria  Sforza  —  caduto  sotto  i  colpi 
di  tre  congiurati,  Lampugnano,  Olgiato  e  Visconti  —  la  seconda  fisti 
di  Natale  del  1476,  succeduta  alla  reggenza  Bona  di  Savoia,  questa,  pochi  anni  dopo, 
non  aiutata  dai  cortigiani,  staccata  dal  figlio  Giangaleazzo  ancor  fanciullo,  abban- 
donò il  Ducato,  dopo  aver  assicurato  che  nella  disperazione  avrebbe  lasciato  il  Ca- 
stello e,  piuttosto  che  rimanere,  ascendaria  per  le  finestre,  veneriti  innanti  li  ponti, 
se  amazaria.  Lodovico  Sforza,  detto  il  Moro,  zio  di  Giangaleazzo,  le  offrì,  per  cal- 
marla, venticinquemila  ducati  di  pensione,  oltre  cinquantamila  di  gioie,  un  dono  e  la 
residenza  del  Castello  di  Abbiategrasso  che  essa  accettò,  abbandonando  per  sempre 
il  Castello  di  porta  Giovia.  «  Le  opere  di  difesa  colle  quali  la  duchessa  Bona  aveva 
agguerrito  la  Rocchetta  per  resistere  ai  nemici  esterni  non  avevano  servito  che  alla 
sua  rovina;  ed  il  Castello,  innalzato  con  tanti  sacrifici  per  la  difesa  della  dinastia 
sforzesca,  doveva  —  prima  ancora  di  subire  un  attacco  esterno  —  servire  a  procacciare 
a  questa  dinastia  il  primo  tracollo  »  (Beltrami).  Scomparve  allora  la  bella  figura  di 
uno  dei  più  nobili  uomini  di  Stato    del  Ducato,   Cicco   Simonetta,    consigliere    della 


io  ITALIA  ARTISTICA 

duchessa  Bona,  che  fu  decapitato,  e  il  7  ottobre  del  1480  Giangaleazzo,  istigato 
dallo  zio.  affidò  al  Moro  la  reggenza  dello  Stato;  finché  nel  1494.  venuto  a  morte 
in  Pavia  Giangaleazzo  a  soli  venticinque  anni,  non  senza  sospetto  di  avvelenamento 
a  colpa  dello  zio,  Lodovico  il  Moro  con  diploma  imperiale  fu  nominato  duca  e.  il 
26  di  maggio  dell'anno  successivo,  fu  ornato  del  manto,  berretto  e  veste  ducale  nel 
Duomo  .  '.rimonte  e  Giason    del  Maino,    celebre    legista,  ne  pronunciò 

l'elogio.  In  Castello  poi,  aggiunge  con  compiacenza  il  Corio.   furono   celebrati  li  stil- 
li triumphi  quanto  ai  nostro  secolo  fussino  altri. 

Al  Moro  spettò  la  fortuna,  non  disgiunta  certamente  da  accortezza,  di  poter 
secondare  i  tempi  nuovi.  Egli  accolse  intorno  a  se  i  migliori  ingegni  che  le  arti,  le 
lettere,  le  scienze  vantassero  nella  regione  e  fuori  :  Leonardo.  Bramante.  Caradosso, 
iano  da  Sangallo.  Luca  Fancelli  fra  gli  artisti.  Giorgio  Merula.  Demetrio  Cai- 
condila.  Alessandro  Minuziano,  Bartolomeo  Calco,  Tommaso  Grassi,  gli  storici  Tristano 
Calco  e  Bernardino  Corio,  poi  Luca  Pacioli.  Francesco  Filelfo,  Costantino  Lascaris.  il 
Merula.   Dionigi  Nestore,  il  poeta  Gaspare  Visconti. 

Fra  i  dotti  stessi  il  primo  posto  spetta  a  Leonardo  da  Vinci.  1'  ingegno  mul- 
tiforme per  eccellenza  del  nostro  Rinascimento.  All'  op^ra  di  Leonardo  —  osserva 
con  ragione  il  Solmi  —  ha  collaborato  il  suo  secolo,  principalmente  in  Lombardia, 
dove  Lodovico  il  M^ro  lasciò  liberamente  svilupparsi  il  pensiero  moderno,  al  quale 
poi  attinsero  due  fra  i  maggiori  uomini  nuovi.  Gerolamo  Cardano  (1501-1576)  mila- 
nese e  Bernardino  Talesio  (150S-15S8)  di  Cosenza,  che  in  Pavia  accolse  alcuna  delle 
luminose  scintille  del  su<^>  Di  ria  principia.  Non  oseremo  dire,  col 

Muntz,  che  nel  movimento  intellettuale  e  nell'importanza  delle  opere  sbocciate  in  quel 
periodo  di  fecondità  meravigliosa  Milano  non  abbia  rivali  che  Roma  e  Venezia  : 
e  che  Padova.  Mantova.  Ferrara,  Firenze  stessa  impallidissero  al  confronto.  Ma  è 
certo  che  la  produzione  del  Bramante  e  di  Leonardo  diede  allora  alla  città,  nel 
mondo  dell'arte,  un  impulso  non  mai  raggiunto,  e  che,  come  avverte  il  Piot.  verso 
il  1400,  per  quanto  riguarda  l'architettura,  a  pena  l'arte  fiorentina  poteva  gareggiare 
con  le  eleganti  costruzioni  bramantesche. 

Beatrice  d"Este,  moglie  a  Lodovico,  donna  beata  e  spirito  pudico  come  la  lodava 
in  versi  un  poeta  del  tempo,  seguì  l'esempio  del  marito  al  quale  ispirò  virili  risolu- 
zioni e  così  sincera  affezione  che.  morta  lei  giovanissima,  il  Moro  ne  rimase  lunga- 
mente desolato  e  le  fece  erigere  da  Cristoforo  Solari  un  grandioso  monumento.  A 
maritare  le  lodi  degli  intelligenti  lo  Sforza  incoraggiò  gli  studi,  esentò  da  tributi  i  col- 
legi di  giureconsulti,  artisti,  medici,  filosofi.  Il  Grassi  aveva  aperta  la  scuola  gratuita 
per  i  poveri,  il  Calco  istituì  nuovi  insegnamenti,  il  Piatti  dotò  cattedre  di  astronomia, 
di  greco,  di  logica,  di  matematica.  La  prosperità  raggiunse  un  grado  non  mai  co- 
nosciuto ;  nel  1402  la  città  contava  18300  case,  mentre  Parigi  non  ne  aveva  che  1300. 
Allo  sfarzo  della  corte  il  Moro  diede  esempio  nuovo  :  si  videro  allora  ciambellani 
e  paggi  carichi  di  vesti  dorate,  cortigiani  che  portavan  braccialetti  persiti  del  valore 
di  7000  fiorini;  le  pellicce  e  le  piume  ven'.van  di  lontano  e  si  mandavan  artisti  come 
il  Caradosso  a  far  incetta  di  anticaglie  e  di  gioie  al  di  fuori  e  alla  stessa  corte  dei 
Medici.  Le  gioie  di  Giangaleazzo  eran  stimate  due  milioni  :  fra  quelle  di  Lodovico 
erano  un  balasso,  una  perla,  un  diamante  stimati  85  mila  zecchini.  «  Ad  altro  non 
si  attendeva   —  secondo  il  Corio    —  che  cumular  ricchezze  ;  le  pompe  et  voluptate 


MILANO 


1 1 


erano  in  campo.  La  corte  degli  nostri  principi  ora  illustrissima,  piena  di  nuove  foggie, 
abiti  et  pelicce,  e  questo  illustre  stato  era  costituito  in  tanta  gloria,  pompa  e  ric- 
chezza, che  impossibile  pareva  più  alto  attingere  ».  Lodovico  il  Moro  — ■  fastoso, 
potente,  energico  —  riassume  tutta  la  liberalità  del  rinascimento  lombardo;  a  pena 
Lorenzo  il  Magnifico  può  es- 
sergli paragonato,  anche  se, 
com'ebbe  a  notare  uno  scrit- 
tore illustre,  non  potesse  van- 
tare la  gloria  d'avere  ai  propri 
servizi  un  Bramante  e  un  Leo- 
nardo. 11  Magnifico  era  più 
eletto  e  geniale  ingegno  del 
Moro  ed  egli  stesso,  com'  è 
noto,  elegante  poeta  e  umani- 
sta convinto  ;  ma  è  certo  che 
Lodovico  pure  era  colto  e  «  fu 
oltre  li  altri  fratelli  dedito  agli 
studi  et  per  il  bono  ingegno 
suo  facilmente  capiva  li  sensi 
deli  autori,  di  modo  che,  fra 
tutti  li  altri  dominarno  mai  Mi- 
lano, fu  il  più  letterato  ».  Un 
contemporaneo  lo  paragona  al- 
l'Oceano che  attira  a  sé  i  fiumi, 
un  altro  assicura  eh'  egli  am- 
biva fare  di  Milano  una  se- 
conda Atene  ;  Ermolao  Bar- 
baro ne  cantava  in  versi  le 
lodi  e  il  Visconti  Io  chiamava 

Principe  sagro,  egregio  tra  gli  egregi, 
Duca  ili  ciuci  e  Re    degli   altri  regi. 

Appassionato  dell'antichi- 
tà, mandava  a  Firenze  e  a 
Roma  a  raccogliere  oggetti  di 
scavo,  ordinava  oreficerie  al 
modo   antico    e,    per    ricevere 

l'imperatore  Massimiliano,  faceva  erigere  un  arco  di  trionfo  al  rito  romano.  A  Mi- 
lano, a  Pavia,  a  Vigevano  ideava  piazze  e  grandi  vie  piene  d'  aria  e  di  luce  ;  il 
carteggio  coi  suoi  architetti  (in  gran  parte  inedito)  può  solo  dare  un'idea  di  quella 
mente  assetata  di  novità  edilizie  nelle  città,  di  migliormenti  nelle  campagne  e  nelle 
terre  minori.  A  tutte  le  maggiori  fabbriche  di  Milano  è  legato  il  suo  nome,  ma, 
oppresse  come  sono  oggi  stesso  da  nuovi  edifici,  volgari  o  insignificanti,  non 
siam  più  farci  idea  adeguata  degli  elogi  diretti  al  Duca  dal  cronista  Cagnola  a 
quel  riguardo. 


BOLTKAFFIO  :    RITRATTO    DI    LODOVICO   IL   MORO    (COLLEZIONE    TRIVULZIO). 

(Fot.    Anderson1!. 


ITALIA    ARTISTICA 


Intorno  alla  grande  figura  di  Leonardo  da  Vinci  s'impernia  il  movimento  d'idee 
nuove,  nell'arte  e  nella  scienza,  che  caratterizza  il  Rinascimento  lombardo  nell'ul- 
timo ventennio  del  Quattrocento.  Egli  venne  a  Milano  verso  il  1483,  sognando  im- 
prese grandiose  alle  quali  ap- 
plicare la  mente  sua  ribelle  alle 
vecchie  formule.  Il  monumento 
equestre  a  Francesco  Sforza 
glie  ne  offrì  subito  il  destro  e 
i  molti  schizzi  pre paratori i  e 
l'asserzione  di  Sabba  Casti- 
glioni  ci  assicurano  della  sua 
preoccupazione  di  far  cosa  ori- 
ginale e  grande.  La  Vergine 
delle  Roccie,  la  potente  compo- 
sizione della  Cena  nel  refettorio 
dei  Domenicani  a  S.  Maria 
delle  Grazie,  la  decorazione  del 
Castello  e  specialmente  della 
sala  delle  asse  sono  troppo  rare 
opere  alla  nostra  brama  di  co- 
noscer più  ampiamente  e  inti- 
mamente il  più  gran  genio  ar- 
tistico che  la  Lombardia  abbia 
accolto;  e  non  è  certamente 
a  Milano  che  si  potran  ricer- 
care tracce  fresche  e  vivaci 
di  Leonardo  pittore  dopo  la 
rovina  di  quel  miracoloso  e 
famosissimo  Cenacolo,  come 
lo  chiama  il  Bandello,  e  dopo 
che  la  critica  moderna  ha  ele- 
vato dubbi  sulla  paternità  ar- 
tistica dei  due  piccoli  ritratti 
dell'  Ambrosiana  e  maggior- 
mente sul  disegno  della  testa  del  Redentore  della  ^Pinacoteca  braidense. 

L' idea  del  monumento  a  Francesco  Sforza  non  era  sorta  spontanea  nell'animo 
di  Lodovico  il  Moro.  Già  Galeazzo  Maria,  nel  1473,  andava  volgendo  in  mente 
di  onorare  la  memoria  del  genitore  con  una  statua  equestre  :  l'orefice  Matteo  da 
Civate,  al  quale  il  Duca  s'  era  rivolto,  aveva  risposto  che  per  fare  la  dieta  opera 
de  bronzo  luj  era  mal  pratico  de  fondere,  ma  che  tuttavia  si  sarebbe  provato  a  farla 
de  rame  battuto  a  martello  et  dorato.  Rivoltosi  il  Duca  ad  Antonio  Pollajuolo  che 
preparò  due  disegni,  e  ai  fratelli   Mantegazza,  questi  risposero   che  più  che  eseguirla 


IL    MI  sIUSTA   »   (DOPO   IL   RESTAURO)    —    PINACOTECA    AMBROSIANA. 

(Fot.  Montabone). 


M  I  L  A  N  O 


in   oricalco  dorato  essi    non    sapevano:     il  che  ci   persnade  delle  difficoltà  che    s'in- 
contravano   nel  fondere  in   bronzo  un'opera  di  gran    mole. 

Gli  schizzi  che  ci  son  rimasti  provano  che  l'idea  definitiva  del  progetto  studiato 
da  Leonardo  passò  attraverso  a  diverse  fasi.  Il  Courajod  trovò  in  essi  due  tipi  distinti  : 
l'uno  di  quiete,  l'altro  di  movimento:   ora  il   cavallo  è  lanciato  con  violenza  estrema 
quando    sul     nemico    caduto, 
quando  su  un  tronco  spezza- 
to ;  e    il    cavaliere     tende    il 
braccio  in  avanti  in  attitudine 
di  comando,   o  lo  ritira  indie- 
tro ;  nell'altra  serie  il  cavallo 
è  riprodotto  al  passo,  calmo. 
solenne. 

I  suoi  molti  disegni  di 
cavalli  — ■  nei  quali  forse 
troppo  facilmente  si  videro 
altrettanti  pensieri  pel  monu- 
mento —  provano  che  egli, 
per  dirla  col  Muntz,  riprese 
ab  odo  gli  studi  dell'anatomia 
e  della  locomozione  ippica, 
pur  senza  rinunciare  a  ispi- 
rarsi ai  monumenti  equestri 
precedenti  :  e  fra  questi  — 
ciò  che  sembra  esser  stato 
dimenticato  dal  Muntz  e  dal 
Richter  —  la  statua  d'Anto- 
nino Pio,  erroneamente  cre- 
duta di  Teodorico,  detta  vol- 
garmente Regisole  (storpia- 
tura di  Re  Gisnlfo,  di  cui 
narravano  i  vecchi  storici), 
che,  proveniente  da  Ravenna, 
si  conservò  fino  a  tutto  il 
secolo  XVIII  a  Pavia  e  della 
quale  son  numerosissimi  ricor- 
di nelle  vecchie  carte  e  nelle 
rappresentazioni  dell'arte  del 

Rinascimento  lombardo,  compreso  un  bassorilievo  dell'  Amadeo.  In  un  accenno  de 
suoi  scritti  Leonardo  loda  precisamente  più  il  movimento  che  nessuna  altra  cosa  del 
cavallo  di  Pavia,  osservando  che  l'imitazione  delle  cose  antiche  è  pia  laudabile  che 
delle  moderne.  Certa  riflessiva  lentezza  inerente  al  carattere  di  Leonardo  e  la 
grandiosità  dell'  impresa  impediron  che  l'opera  per  la  quale  occorrevan  cento  mila 
libbre  di  bronzo  e  che  doveva  esser  alta  dodici  braccia  fosse  attuata  ;  il  modello  in 
creta  fu    distrutto  dalle  soldatesche    più  tardi.  Così  dell'attività    di    Leonardo    quale 


FIGURA   MULIEBRE   (PINACOTECA   AMBROSIANA). 

(Fot.  Montatone  . 


i4  ITALIA    ARTISTICA 

scultore  non  rimangon  tracce  sicure,  poiché  alcune  opere  che  qualche  studioso 
vorrebbe  attribuire  al  maestro  fiorentino  son  ben  lungi  dall'esser  riconosciute  come 
tali  dalla  critica  unanime,  anche  se  rivelano  la  maniera  del  Verrocchio  e  della  sua 
scuola  dalla  quale  Leonardo  era  uscito. 

Sull'autenticità  dell'esemplare  di  Londra  della  Vergine  delle  Roccie  o  di  quello 
di  Parigi  la  critica  ha  vivacemente  discusso,  ma  l'accordo  non  è  raggiunto  e  non 
Io  sarà  così  presto:  identiche  di  composizione,  con  differenze  lievissime  in  qualche 
particolare  secondario,  egli  è  certo  che  da  entrambe  spira  vivace  il  sentimento  leo- 
nardesco, sian  esse  solamente  disegnate  dal  maestro  ed  eseguite  da  un  allievo,  o  per 
intero  incominciate   o  anche  ultimate  da  Leonardo. 

Si  sa  che  l'originale  di  quel  quadro  fu  eseguito  da  Leonardo  e  da  Ambrogio 
de  Predis  pei  confratelli  della  Concezione  di  S.  Francesco  a  Milano  e  che  i  due  artisti 
dovetter  chiedere  l'intervento  del  Duca  per  esser  soddisfatti  dell'ancona  de  figure  de 
rdevo  misa  tutta  de  oro  che  racchiudeva  una  nostra  dona  depinta  a  olio  et  due  quadri 
cimi  dui  angeli  grandi  eseguita  da  Leonardo  stesso,  il  quale  chiedeva,  in  caso  di  non 
pagamento,  la  restituzione  del  quadro.  Forse  il  prezioso  quadro  fu  ritirato  da  Leo- 
nardo e  ceduto  a  Francesco  I,  come  vogliono  i  difensori  dell'autenticità  del  quadro 
del  Louvre.  Se  invece  si  vuol  credere  agli  inglesi,  che  giurati  sull'autenticità  del 
loro  quadro,  il  dipinto  sarebbe  stato  tolto  dalla  chiesa,  se  crediamo  al  Bianconi, 
prima  del  17S7,  e  precisamente  nel  1785  come  provati  varii  documenti  venuti  in 
luce  in  questi  giorni,  e  venduto  all'Hamilton,  da  cui  passò  poi  nella  collezione  del 
conte  di  Suffolk  e,  nel    1SS0,   per  250  mila  lire,  nella  Galleria  nazionale  di  Londra. 

Dobbiam  quindi  limitarci  ad  ammirare  a  Milano  l'opera  del  grande  e  multiforme 
artista  sotto  l'aspetto  di  pittore  se  non  nei  discussi  ritratti  dell'Ambrosiana  (il  Musi- 
cista, recentemente  ripulito,  e  il  delicato,  quasi  timido  ritratto  femminile  di  profilo) 
almeno  in  quel  che  rimane  del  Cenacolo,  il  cui  stato  di  deperimento  è  tale  che  stringe 
il  cuore.  La  grande  composizione  —  dipinta  a  tempera  —  fu  eseguita  lentamente, 
in  un  periodo  di  ben  sedici  anni,  a  più  riprese,  se  crediamo  ai  vecchi  biografi,  no- 
nostante le  sollecitazioni  del  Duca  e  le  lagnanze  del  priore.  Leonardo  lavorava  in- 
torno alla  Cena  molto  saltuariamente  e  si  soffermava  lunghe  ore  a  contemplare  la 
parte  eseguita  senza  progredire:  oppur  troncava  improvvisamente  il  lavoro  appena 
ripreso.  «  L'ho  anco  veduto  —  notava  il  Randello  —  secondo  il  capriccio  0  ghiribizzo 
lo  toccava,  partirsi  da  mezzo  giorno,  quando  il  sole  è  in  Itone,  da  corte  vecchia  ove 
quel  stupendo  cavallo  di  terra  componeva,  e  venirsene  dritto  alle  Grazie  :  et  asceso 
sul  ponte  pigliar  il  pennello,  et  una  0  due  pennellale  dare  ad  una  dì  quelle  figure, 
et  di  subito  partirsi  et  andare  altrove  ». 

Nel  grandioso  affresco  Leonardo  applicò  con  cura  particolare  e  per  la  prima 
volta  i  suoi  studi  e  le  sue  teorie  sulla  rappresentazione  dei  caratteri.  Conservando 
nella  scena  quella  simmetria  prisca  o  divina  proportione  che,  per  dirla  col  Solmi. 
«  riluceva  in  un  intelletto  ammiratore  dei  Greci  e  sotto  alle  investigazioni  scienti- 
fiche »,  egli  rappresentò,  in  una  armonia  generale  rigorosissima  nella  disposizione 
dei  gruppi  e  dello  sfondo,  il  tragico  momento  nel  quale  Cristo  pronuncia,  seduto 
a  cena  fra  gli  apostoli,  la  frase  che  rivela  il  tradimento.  I  disegni  che  rimangono 
provano  la  evoluzione  dell'idea  dominante  nella  mente  del  maestro  :  lo  schizzo  del 
Louvre,  con  quattro  figure  raccolte  in  atto  di  discussione  vivace  dinnanzi  a  una  quinta, 


MI  L  A  X  (  > 


15 


sembra  la  riproduzione  di  una  vera  scena,  ma  non  prova  d';iver  servito  da  vicino 
all'opera  definitiva  come  nei  due  schizzi  di  un  foglio  dell'Accademia  di  Venezia,  nei 
quali  la  scena  è  rotta  troppo  violentemente  dalla  mossa  incomposta  dell'apostolo 
Giovanni  arrovesciato  col  capo  innanzi  sulla  tavola,  mentre  nel  disegno  di  Windsor 
l'idea  è  totalmente  cambiata  e  riproduce  il  tranquillo  momento  della  comunione.  Non 
è  invece  opera  leonardesca,  ma  piuttosto  uno  studio  copiato  dalla  scuola,  quando  già 
il  dipinto  a  fresco  incominciava  a  rovinare,  il  disegno  a  pastello  della  testa  del  Re- 
dentore della  Pinacoteca  di  Brera.  E,  secondo  il  Dehio,  sarebber  pur  riprodotte  di- 
rettamente dall'affresco  —  forse  dal  Boltraffio  —  le  dieci  teste  che  figurano  nella 
Galleria  di  Strasburgo,  dalle  quali  sarebbero  tolti  i  noti  studi  delle  teste  degli  Apo- 


LEONAKDO    DA    VINCI   :    II.    CENACOLO   (CONVENTO   DI    S.    MARIA    DILLI;   GRAZIE). 


(  P'ot.  Alinari  1. 


stoli  della  raccolta  di  Weimar  attribuibili  invece,  secondo  il  Frizzoni,  a  qualche  scolaro 
di  Leonardo  che  potrebb'essere  il  Solari,  che  già  lasciò  una  copia  del  Cenacolo  stesso, 
come  la  lasciò  il  Magni.  Ma  sulle  copie  del  capolavoro  può  vedersi  quanto  ne 
scrisse  il  Bossi  che  ne  ricordò  quasi  una  trentina  che  vanno  dal  1500  al  1675,  anche 
di  maestri  stranieri.  Lentamente  l'idea  che  prevalse  s'andò  formando  :  Leonardo, 
gironzando  mattina  e  sera  nel  Borghetto  di  Milano  dove  dimorava  la  plebe  più  lu- 
rida, raccolse  schizzi  e  memorie  per  l'opera  bellissima  :  là  ritrovò  il  modello  pel  suo 
Giuda  così  potentemente  perverso  e  quel  ricco  materiale  di  fisionomie  diverse  e  di 
caricature  che  disseminò  nei  manoscritti  e  nei  disegni.  Quella  figura  è  pili  laudabile 
—  egli  scriveva  —  che  con  Vallo  meglio  esprime  la  passione  del  suo  animo.  Il  quadro 
anche  da  questo  punto  di  vista  rappresenta  il  capolavoro  dell'arte  del  Quattrocento: 
nessuno  dei  maestri  precedenti  —  Giotto  nel  Cenacolo  nell'Arena  di  Padova,  Andrea 


IO 


ITALIA  ARTISTICA 


del  Castagno  in  quello  del  convento  di  S.  Apollinare  a  Firenze,  il  Ghirlandaio  nel 
refettorio  d'Ognissanti  —  aveva  saputo  riprodurre,  come  questa  volta,  la  scena  gran- 
diosa e  il  propagarsi,  fra  i  seguaci  del  Redentore,  della  terribile  novella  e  la  mera- 
viglia, lo  sdegno  loro,  in  contrapposto  alla  calma,  forte  e  rassegnata,  del  Salvatore 
del  mondo. 

«  La  serena  e  tranquilla  tristezza  —  riporto  ancora  una  volta  le  parole  del  Solmi 

di  Cristo,  mostra  di   per  sé  il  divino  ;  i  moti  dei  discepoli,    nella  loro  semplicità, 

danno  l'impressione  che  una  gran  parola    è  stata    pronunciata  e  un    gran  fatto    sta 

per  compiersi.  Nella  tendenza  dei  gruppi 
verso  Gesù,  solo  Giuda  fa  come  un  leg- 
gero balzo  indietro,  mentre  l'atteggia- 
mento delle  labbra  e  della  mano  tenta 
di  esprimere  una  ipocrita  ignoranza,  ma 
già  la  destra  afferra  la  borsa  de'  denari, 
e  il  gomito  fa  rovesciare  sulla  tovaglia 
la  saliera.  Accanto  a  Giuda,  contrasto 
sublime,  Giovanni,  la  testa  bellissima 
leggermente  inclinata,  gli  occhi  semi- 
chiusi dal  sonno,  le  mani  con  le  dita 
intrecciate.  Le  bellezze  con  le  bruttezze, 
era  opinione  vinciana,  paiono  più  po- 
tenti l'ima  per  l'altra  ». 

Il  Pasquier  Le  Moine  vide  l'affresco 
ancora  vivace  nel  suo  colorito  originale, 
lo  lodò  come  opera  par  excellence  sin- 
gultire e  rimase  ammirato  della  cura 
posta  dal  pittore  nel  riprodurre  i  più 
modesti  particolari  della  mensa. 

Ma  la  rovina  del  capolavoro  inco- 
minciò presto:  nella  metà  del  Cinque- 
cento già  il  Lomazzo  la  diceva  «  rovi- 
nata tutta  »  e  il  Vasari,  poco  dopo,  non 
vi  vide  «  più  se  non  una  macchia  ab- 
bagliata ».  I  vandalismi  dei  restauratori  e,  più  tardi,  dei  soldati  quando,  nel  1 796, 
un  generale  repubblicano  fece  del  refettorio  una  stalla,  l'umidità,  l'azione  atmosferica 
aumentarono  il  più  gran  danno  recato  all'arte  italiana.  Oggi  le  cure  più  amorose 
son  rivolte  ad  arrestare  il  progredire  della  rovina.  Ne  miglior  sorte  incontrarono 
le  figure  di  Lodovico  il  Moro,  di  Beatrice  e  dei  figli  Massimiliano  e  Francesco 
che  Leonardo  —  come  assicura  una  nota  lettera  dello  Sforza  a  Marchesino  Stanga 
—  dovette  eseguire  sulla  parete  di  fronte  alla  Cena,  ai  lati  della  Crocifissione  del 
Montorfano.  Il  colore  è  scomparso  :  gli  stessi  contorni  son  stati  ripassati  da  gros- 
solane pennellate  opache. 

Del  ritratto  eseguito  da  Leonardo  della  nobile,  bellissima  e  colta  Cecilia  Galle- 
rani  gran  lume  della  lingua  italiana  come  la  chiamava  il  Bandello,  e  favorita  di 
Lodovico  il  Moro  dal   1481    al    1494,11011  si  conosce  la  fine  e  non  siam  certo  disposti 


GIAN"    ANTONIO   BOLTKAI  FIO  :    MADONNA   COL  PUTTO 
(GALLERIA  CRESPI,!.  I  Fot.    Anderson). 


G.    A.    BOLTRAFFIO  :    DUE    DEVOTI    (R.    PINACOTECA   DI    BRERA). 


(Fot.   Alinari). 


M  ILANO 


19 


a  vedere,  col  Carotti,  nell'angoloso  ritratto  muliebre  della  collezione  Czartoriski  di 
Cracovia,  un'opera  leonardesca,  ma  piuttosto  di  Ambrogio  de  Predis.  Di  Lucrezia 
Crivelli,  altra  amante  dello  Sforza,  si  crede  da  qualcuno  sia  arrivata  fino  a  noi  il 
ritratto  leonardesco  nella  belle  Ferronière  del  Museo  del  Louvre, "che  però  molti  cri- 


(',.    A     BOLTKAFI  IO  :    RITRATTO    DI    GIROLAMO    CASIO   (li.    PINACOTECA    DI    BRBRA). 

I  E  "t.   Montabone). 


tici  tolgono  dal  novero  ristrettissimo  delle  opere  indiscusse  del  maestro,  mentre  altri 
—  il  Venturi  a  ino'  d'esempio  —  la  ritengon  sua,  ancor  di  gusto  toscano  ed  ese- 
guita  a  Milano. 

A  Milano,  secondo  il  Marks  e  il  Cook,  sarebbe   stato    eseguito,    anteriormente 
al    1500,  il  cartone  della  prima  idea  del  gruppo  di    S.  Anna,    con    la    Madonna  e  il 


20 


ITALIA    ARTISTICA 


bino,  che  trovasi  oggi  nella  Rovai   A.ccademy    di   Londra,    mentre   un    secondo 

>ne,  eseguito  da  lui  più  tardi,  avrebbe  servito   alle  numerose  copie  oggi  sparse 

in  diverse   gallerie;  la  pala   ohe  il  pittore  stesso  trasse  da  quel  disegno  si  conserva 


\.  '         iNGl  LI     R.   PIXA<  Ori  (  A   DI   BRI 

Fot.    I.   I.   d'Ai  ti   Gra 


ini  leonardesche  nel  Castrilo  Sforzesco  — 

\—        -   guìte  fra  il  .  il  1498  —  un  foltissimo  pergolato  ar- 

raggrup]   iti  intorno  alla  serraglia  in  cui  campegg 

stemma  ra  ntemente    restaurata   sotto  la  direzione  di  Luca 

1  —  e  nella   saletl      negra  '..quale  il  Miiller  Walde  vide  l'ispirazione  di- 


1<wt»h«™«»«*.l.i...nl.i..*™w.rniHr 


22  ITALIA    ARTISTICA 

retta  di  Leonardo)  dobbiam  limitarci,  dato  il  carattere  sintetico  di  questo  scritto,  e 
la  loro  importanza,  limitata  alla  decorazione,  a  ricordarle  senza  entrare  nell'esame 
critico  dell'attribuzione. 

«  Leonardo  —  riporto  una  frase  del  Venturi  che  spiega  bene  la  poca  attività 
del  maestro  nel  campo  della  pittura  —  lasciava  spesso  la  cura  di  condurre  a  fine  le 
sue  creazioni  ai  discepoli.  Sospinto  da  irresistibile  bisogno  di  nuovo,  eccitato  ad  ogni 
visione  delle  cose,  nelle  quali  penetrava  coi  grandi  occhi  indagatori,  irrequieto  per 
il  sentimento  della  perfezione,  che  gli  schiudeva  innanzi  orizzonti  sempre  vasti,  poco 
dipinse.  Dubitava  sempre  di  sé  e  andava  dicendo  :  «  Quel  pittore  che  non  dubita, 
poco  acquista  ».  Lasciò  quindi  imperfette  la  maggior  parte  delle  opere  a  cui  mise 
mano,  perchè  voleva  rendere  l'anima  delle  cose  e  trovò  la  materia  sorda  ». 

Leonardo,  anche  considerato  come  architetto,  può  esser  collocato  fra  i  mag- 
giori, come  provati  le  conclusioni  del  Geymùller  ;  ma  l'opera  sua  dev'esser  studiata 
esclusivamente  su'  suoi  disegni  che  rivelano  una  derivazione  diretta  dall'arte  di  Bru- 
nellesco  :  all'influenza  di  Bramante  tuttavia  egli  non  rimase  estraneo  e  con  lui  rimase 
in  rapporti  per  molti  anni  alla  corte  del  Moro.  Alla  scelta  d'un  progetto  ispirato 
alle  tradizioni  lombarde  nella  costruzione  del  tiburio  del  Duomo  — -  pel  quale  uno 
schizzo  del  Codice  Atlantico  presso  la  Biblioteca  Ambrosiana  è  prova  del  suo  inte- 
resse al  monumento  di  fronte  a  certe  tendenze  d'oltr'Alpe  che  avrebber  voluto  dar 
sviluppo  alla  fabbrica  sulla  fronte  anziché  nel  punto  d'incrocio  delle  navate  —  non 
rimase  certamente  estraneo  il  parere  dato  da  Leonardo,  che  vi  si  applicava  volen- 
tieri; «  magistro  Leonardo  Fiorentino  me  ha  dicto  sarà  sempre  aparechiato  omi/ie 
volta  sji  rechiesto  »,  assicurava  Bartolomeo  Calco  al  Duca  in  una  lettera  del  1490 
che  trovo  fra  il  carteggio  sforzesco. 

Eccellente  ingegnere  militare,  Leonardo  prestò  molte  volte  il  proprio  ingegno 
multiforme  a  disposizione  del  Duca,  sia  per  dare  al  Castello  di  porta  Giovia  una 
forma  opportuna  alla  resistenza  agii  attacchi,  studiando  l'attuazione  di  un  canale  di 
comunicazione  fra  il  fossato  di  cinta  e  i  così  detti  redefossi  per  innondare  il  primo 
in  caso  di  bisogno  e  rafforzando  la  ghirlanda  con  una  serie  di  muri  paralleli  gemi- 
nati, sia  progettando  una  strada  segreta  e  un  rivellino  fondato  sul  precetto  vitru- 
viano  degli  ingressi  obbliqui,  sia  progettando  persino  una  così  radicale  modificazione 
del  piano  generale  dell'edificio  da  prevenire  molti  dei  concetti  che  saranno  la  base 
delle  fortificazioni  nel  secolo  successivo.  Alla  fertilizzazione  dei  vasti  latifondi  della 
Lomellina  il  Moro  adoperò  largamente  Leonardo  che  si  affaticò  in  opere  d'idraulica 
e  di  architettura  così  che  il  Naviglio  fu  dovunque  apportatore  di  beneficio  e  le  terre 
s'andaron  popolando  di  pastori  e  di  case  e  sorser  le  grandi  fabbriche  ducali  della 
Sforzesca  da  prima,  del  Castello  di  Vigevano  poi. 

I  manoscritti  di  Leonardo  rivelan  la  preoccupazione  continua  di  quella  mente 
superiore  per  ogni  nuovo  problema  che  andava  intravvedendo  durante  le  sue  pere- 
grinazioni: or  pensa  ai  lavori  di  una  scala  per  raddolcir  l'impeto  dell'acqua  che  ca- 
deva in  basso  dai  prati  della  Sforzesca  «  e  per  tale  scala  è  disceso  tanto  terreno  che 
assecò,  cioè  riempie  un  padule  e  se  si  è  fatto  praterie  di  padule  di  gran  profondità  » 
(febbraio  1494)  e  in  tal  modo  la  causa  stessa  di  un  danno  si  muta,  per  opera  del  suo 
genio,  in  ragione  di  beneficio  ;  or  fa  calcoli  intorno  alla  cavatura  di  un  canale  di 
trenta  metri:    or  s'appresta  al  rilievo  del   Naviglio   della  Martesana.  Di    quando  in 


M  I  L  A  X  (  » 


23 


quando  si  raccoglie  nel  silenzio  e  nello  studio,  e  dedica  ricerche  e  interi  volumi  di 
appunti  all'anatomia  artistica,  alla  prospettiva  e,  persuaso  che  la  scienza  esige  un 
uso  costante  e  ben  definito  dei   vocaboli,  si  dà   allo  studio  sistematico    sul    valore   e 


Wf 


ATTRIBUITO  AL   SODOMA  :   LA   VERGINE   COL   BAMBINO    IR.    IMSACOTIXA    DI    BRERA 


sul  significato  dei  termini  volgari,  e  ripassa  il  latino,  la  grammatica  del  Donato,  il 
vocabolario  di  Giovanni  Bernardo,  gli  avverbi  e  le  proposizioni,  declina  nomi,  coniuga 
verbi.  Eppure  così  serie  doti  di  ricercatore  indefesso  di  scientifiche  verità  non  andaron 
disgiunte  dalle  più  geniali  qualità,  tanto  che  Leonardo  rappresenta  veramente  il  più 
meraviglioso  esempio  di  perfetto  ingegno  che  vanti  la  nostra  razza.  «  Spiccarono  in 


24 


ITALIA   ARTISTICA 


Leonardo  —  assicurava  il  Giovio  —  pregi  di  grande  compitezza,  accostumatissime  e 
generose  maniere,  accompagnate  da  un  bellissimo  aspetto  ;  e  poscia  ch'egli  era  raro 
e  maestro  inventore  d'ogni  eleganza  e  singolarmente  dei  dilettevoli    teatrali   spetta- 


GIAMl'IETKINO  :    MADONNA    COL    l'I"  ITO      HALLI. RIA   CRESPI). 


(Fot.  Anderson). 


coli,  possedendo  anche  la  musica,  esercitata  sulla    lira  in   canto    dolcissimo,  divenne 
caro,  in  supremo  grado,  a  tutti  i  principi  che  lo  conobbero  ». 

Più  tardi,  quando  la  guerra  con  la  Francia  sarà  imminente,  Leonardo,  nominato 
ingegner  camerale,  sospenderà  i  suoi  studi  prediletti  e  i  lavori  di  decorazione  elei  cu- 


M  I  L  A  X  O 


merini  del  Castello,  per  sopraintendere  «  ai  fiumi,  ai  navigli,  alle  muzze,  ai  fossi 
e  alle  altre  acque,  che  da  essi  derivano  e  quindi  riparare  i  canali,  e  le  bocche 
pubbliche  e  private  »  e  si  applicherà  alle  conche  e  sistemerà  con  un  fossato  interno 
la  Martesana,  convinto  che  nessun  canale,  ch'esca  fuori  de'  fiumi,  sarà  durabili,  e 
l 'acqua  del  fiume,  d'onde  nasce,  none  integralmente  rinchiusa,  superandole  difficoltà 
per  condurre  l'acqua  dall' Adda  a  Milano.  Da  alcuni  disegni  del  Codice  Atlantico  si 
vede  come  Leonardo  avesse  studiato  con  amore  il  problema  della  navigazione  del- 
l'Adda. Compiuto  già  il  canale  della  Martesana,  l'Adda  opponeva  pericoli  e  dif- 
ficoltà permanenti  alla  navigazione  nel  tronco  fra  Brivio  e  Trezzo  ;  gli  studi  relativi 
al  corso  dell'Adda  furon  poi  promossi  da 
Francesco  I  di  Francia  con  un  annuo  as- 
segno, e  compiuti  fra  il  1516  e  il  1518 
quando  Leonardo  era  già  in  Francia  al 
servizio  di  quel  Sovrano  ;  il  Beltrami 
arguisce  logicamente  che  Leonardo,  es- 
sendosi già  interessato  di  quel  problema 
di  navigazione,  avesse  poi  consigliata  e 
spronata  la  generosità  del  Re.  guada- 
gnandosi in  tal  modo  un  nuovo  titolo  alla 
riconoscenza  dei  lombardi. 

Sulla  fondazione  di  un'  Accademia 
Vinciaua,  supposta  da  qualche  scrittore, 
non  insisto,  anche  perchè  la  questione 
è  "di  assai  dubbia  importanza,  né  egli, 
né  il  Vasari,  né  i  documenti  del  tempo 
la  ricordano,  e,  nonostante  quanto  ne 
pensasse  il  Muntz  —  del  quale  ricordo 
con  rammarico  che  la  promessa  d' in- 
viarmi il  risultato  di  nuovi  suoi  studi  su 
quell'  argomento  rimase  purtroppo  ina- 
dempiuta per  la  compianta  scomparsa 
dell'attivissimo  scrittore  —  è  a  credere 
col  Solmi,  con  Paul  Errerà  e  con  molti 
altri    che    una    tale    Accademia    non    sia 

mai  esistita.  La  frase  Academia  Leonardi  Vinci,  che  si  legge  in  diversi  pazienti  di- 
segni a  intreccio  cari  al  grande  artista  (che  verosimilmente  volle  alludere  al  proprio 
nome  con  gli  intrecci  della  pianta  del  vinco  che  caratterizza  con  la  sua  vegeta- 
zione il  villaggio  toscano  Vinci,  come  quelli  di  Vinciolo,  Vincigliata  ecc.  e  che  fan 
pensare  ai  legami  con  sì  dolci  vinci  ricordati  da  Dante)  non  vuol  dire  fors'altro 
— •  a  mio  pensare  —  che  :  passatempo,  disegno,  schizzo  di  Leonardo  da  Vinci,  se- 
condo un  antico  e  vario  significato  di  quella  prima  parola. 

Ma  già  il  pericolo  francese  incombeva  sul  Ducato  e  sull'Italia  intera  e  Leonardo 
si  lamentava  con  Io  Sforza  —  preoccupato  da  ben  altre  cure  —  di  non  poter  com- 
piere opere  di  fama,  per  le  quali  io  potessi  mostrare  a  quelli  che  verranno,  ch'io 
sia  sfato. 


AMBROGIO   DE   PREDIS 
(.GALLERIA   CRESPI). 


MADONNA  COL  PUTTO. 

(Fot.  Anderson). 


2  6  ITALIA  ARTISTICA 


Già  Luigi  XII,  Venezia  e  il  Pontefice  progettavano  la  divisione  del  Ducato,  e 
"benché  il  Moro  si  fosse  assicurato  con  la  sua  politica  machiavellica  l'aiuto  di  Fer- 
rara, di  Firenze,  di  Bologna,  di  Mantova,  del  Re  di  Napoli,  di  Massimiliano,  persino 
del  Turco,  nel  1499,  quando  l'esercito  francese  invase  la  Lombardia  comandato  dal 
maggior  nemico  degli  Sforza,  Gian  Giacomo  Trivulzio,  in  meno  di  venti  giorni  tutto 
lo  stato  fu  in  potere  del  Re  di  Francia.  Il  6  d'ottobre,  per  tradimento  del  castel- 
lano Bernardino  da  Corte,  la  capitale  stessa  del  Ducato  cadde  in  mano  dell'invasore. 
Confesso,  avrebbe  detto  il  Moro  quando  poco  prima  aveva  addensato,  sul  reame  di 
Napoli,  invitando  Carlo  Vili  ad  impossessarsene,  un  turbine  che  avvolse  e  poco 
•dopo  annientò  lui  stesso,  che  lio  fatto  gran  viale  ali1  Italia,  via  Vho  fatto  per  con- 
servarmi nel  loco  in  cui  mi  trovo  ;  l'Italia,  allora  e  dopo,  quando  il  malo  esempio 
trovò  troppi  spietati  imitatori,  non  gli  tenne  certamente  per  buona  la  scusa  ed  ebbe 
a  rimpiangere  che  le  teorie  del  Machiavelli  avesser  prodotto  al  paese  sciagura  così 
enorme. 

Re  Luigi  entrò  solennemente  in  Milano  da  porta  Ticinese,  e  fissò  la  sua 
dimora  in  Castello  «  et  quando  Io  vide  così  bello  et  fornito  di  artelaria  molto 
restò  maravigliato  et  grandemente  improperò  quello  nuovo  Juda  di  Bernar- 
dino da  Corte  ».  Il  Moro  non  si  perdette  d'animo  e,  con  l'aiuto  dell'  imperatore 
e  col  tesoro  che  s' era  portato  seco,  assoldato  un  grosso  nerbo  di  truppe  tede- 
sche e  svizzere,  tentò  ricuperare  il  Castello  che,  eretto  a  difesa  della  dinastia  sfor- 
zesca, subì  il  primo  assalto  precisamente  per  parte  di  uno  Sforza.  Ma  il  tentativo 
andò  a  vuoto  e  il  Moro,  abbandonata  Milano,  si  portò  sotto  Novara,  dove,  tradito 
dai  suoi,  fu  fatto  prigioniero  dai  Francesi.  La  dominazione  dei  quali  sullo  stato  do- 
veva durare  dodici  anni,  finché,  nel  15 12,  scosso  il  prestigio  di  Francia  dalla  Santa 
Lega  capitanata  da  Giulio  II,  vinte  le  armi  francesi  a  Ravenna  —  dove  il  conte 
Gastone  de  Foix,  il  giovane  comandante  delle  milizie  di  Francia,  rimase  ucciso, 
sembra,  dai  guasconi  per  torli  lo  safono  che  valea  meara  di  scudi  — ,  Massimiliano 
Sforza  primogenito  di  Lodovico  ottenne  il  Ducato  coll'appoggio  del  papa  e  dell'im- 
peratore. Più  tardi,  quando  a  Melegnano,  nella  famosa  battaglia  che  fu  detta  dei 
giganti,  furon  decise,  in  favor  di  Francesco  I,  le  sorti  del  Ducato,  succedette  quella 
dominazione  francese  a  Milano  che  non  finì  che  nel  1522  allorché  la  battaglia 
della  Bicocca  fiaccò  la  potenza  francese  in  Lombardia  e  lo  stato  si  trovò  nelle 
mani  di  Carlo  V  che  ne  dispose  in  favore  di  Francesco  II  Sforza  :  e  la  lunga,  fa- 
talo,  opprimente  dominazione  spagnuola  incominciò. 

La  signoria  sforzesca,  ridotta  a  una  parvenza,  si  spense  con  Francesco  II  che, 
morendo  nel   1535  senza  prole,  dichiarava  suo  erede  Carlo  V. 


La  caduta  della  signoria  di  Lodovico  il  Moro  nel  1499  rappresenta  il  maggior 
danno  per  l'arte  lombarda,  la  quale,  giunta  al  suo  apice,  dovette  piegare  sotto  la  sferza 
degli   avvenimenti  politici.  Fu  una  fuga  generale:  artisti,  dotti,  umanisti  non  pensaron 


M  I  L  A  N  O 


27 


che  a  porre  in  salvo  robe  e  persona.  Bramante  partì  per  Roma  dove  doveva    per- 
correre il  suo  cammino  trionfale  indirizzando    su    nuova  via  l'arte    delle  seste.    Leo- 


,ESARE    DA   SESTO  :    LA  VERGINE  COL   BAMBINO   (K.    PINACOTECA   DI    BRERA'. 

(Fot.   I.  I.  d'Ara  Grafiche). 


nardo,  con  lettera  di  cambio  del  14  dicembre  di  quell'anno,  mise  in  salvo  presso 
lo  spedale  di  Santa  Maria  Nuova  di  Firenze  il  suo  denaro  e,  nel  cuor  dell'inverno, 
insieme  all'amico  Luca  Pacioli  e  al  suo  fedele  Salaino,  si  avviava  a  Venezia.  Sulla 


28  ITALIA  ARTISTICA 

laguna  e,  poscia,  a  Firenze  lavorò  ben  poco  d'arte,  impudentissimo  al  pennello  come 
egli  era,  e  tutto  assorto  in  continui  e  nuovi  problemi  scientifici  :  tuttavia  il  ristretto 
elenco  delle  sue  opere  ne  annovera  ancor  qualcuna  anteriormente  alla  partenza  del 
maestro  per  la  Francia. 


ANDREA    SOLARI.    IL   <r    RIPOSO   »   NELLA   FUGA    IN    EGITTO     MUSEO   POLDI-PEZZOLI 


I  germi  dell'arte  e  della  scienza  lasciati  da  lui  in  Lombardia  si  svilupparon  spon- 
taneamente e  rigogliosamente  come  in  terreno  fecondo,  ma,  per  quanto  riguarda 
l'arte,  diciamolo  senza  ambagi,  la  presenza  di  Leonardo,  se  impresse  un  potente  ri- 
sveglio alle  forze  locali,  le  attrasse   nell'orbita  della  propria  potente    attività  e  tolse 


M  ILANO 


-che  vi  si  innalzasse  una  scuola,  con  caratteri  proprii,  originali,  lombardi  sullo  basì 
costrutte  dal  Butinone,  dallo  Zenale,  dal  Civerchio,  dal  Foppa,  dal  Bergognone.  Sola- 
mente la  scultura  — ■  se  se  ne  eccettua  Cristoforo  Solari  che  nel  suo  Adamo,  nel 
Cristo  alla  colonna  (e  in  qualche  altra  statua  men  sicuramente  sua  lungo  i  f inestroni 
del  Duomo)  rivela  l'influenza  leonardesca  —  rimase  quasi  interamente  estranea  al- 
l'espandersi delle  formule  messe  in  onore  dal  grande  maestro  fiorentino.  L'Amadio 
e  i  suoi  seguaci  —  specialmente  per  effetto  di  certo  isolamento  derivante  dal  fatto 
che  il  centro  principale  della  loro 
attività  rimase  quasi  sempre  la  Cer- 
tosa di  Pavia  —  continuaron  l'ascen- 
sione della  loro  parabola  artistica, 
senza  perder  nulla  delle  loro  buone 
e  cattive  qualità  prettamente  re- 
gionali. 

Leonardo  predilesse  sopra  gli 
altri  suoi  seguaci  in  arte  Giovanni 
Antonio  Boltraffio  e  Marco  d' Og- 
giono.  Quanto  al  Salai  o  Salaino 
«  il  quale  era  vaghissimo  v  di  grazia 
e  di  bellezza,  avendo  begli  capelli 
ricci  ed  inanellati  e  pe'  quali  Leo- 
nardo si  dilettò  molto,  ed  a  lui  in- 
segnò molte  cose  dell'  arte  »,  con- 
fuso da  qualche  vecchio  scrittore 
con  Andrea  Solari,  nessuna  opera 
sua  sicura  ci  può  dare  il  giusto  va- 
lore de'  suoi  meriti  artistici,  e  i  di- 
pinti che  gli  vengon  attribuiti  —  una 
tavola  (n.  316)  nella  pinacoteca  di 
Brera,  un  dipinto  neh'  Ambrosiana, 
un  altro  negli  Uffizi  —  lo  rivelano  un 
imitatore  più  che  uno  scolaro  di  Leo- 
nardo. Altro  prediletto  da  Leonardo, 

del  quale  invano  si  cercherebbe  un'opera  sicura  —  quando  non  sia  un  disegno 
col  suo  nome  dell'Ambrosiana  —  è  Francesco  Melzi  gentiluomo  milanese,  al  quale 
Leonardo  lasciò,  in  testamento,  in  considerazione  dei  servici  amorevoli  ricevuti  da 
Ini,  i  suoi  libri,  i  suoi  disegni  e  una  somma  di  denaro  ;  benché  in  una  lettera  pub- 
blicata dal  Campori  diretta  al  duca  di  Ferrara  sia  dotto  che  il  Melzi  fu  creato  de 
Lionardo  de  Vinci  et  herede  et  ha  molti  de'  sani  segreti,  et  tutte  le  sue  opinioni,  et 
dipinge  molto  bene,  è  a  credere  ch'egli  fosse  dilettante  più  che  pittore  di  professione. 
Il  Morelli,  non  sapendo  a  quale  fra  i  seguaci  di  Leonardo  attribuire  un  quadro  della 
galleria  di  Berlino,   mise  innanzi  l'ipotesi  che  potesse  essere  del  Melzi. 

Di  nobile  famiglia  nacque  pure  il  Boltraffio  nel  1467  e  coprì  diverse  cariche 
pubbliche  a  Milano  :  Leonardo  gli  apprese  la  sapienza  del  modellato,  il  colorito 
-caldo  e  delicato  nei  chiaroscuri,  l'esecuzione  sicura  e  diligente.    La    sua  natura  non 


ANDRl  A    SOLAKI 


I  I  1  I     HOMO   (MUSEO    PÙJLD1  l'I, //.OLI). 
(Fot.   Uro-i  >. 


ITALIA  ARTISTICA 


lo  portò  a  composizioni  drammatiche,  ma  piuttosto  alle  serene  rappresentazioni  di 
Madonne  e  di  santi  e  ai  ritratti  «  tutti  nobilmente  concepiti  ed  egregiamente  mo- 
dellati »  per  dirla  col  Morelli.  Lavorò  anche  a  Roma.  Nella  collezione  di  Brera  i 
Due  devoti  e  il  bel  ritratto  del  poeta  Casio,  nel  museo  Poldi-Pezzoli  la  Madonna  col 
Bambino  che  sta  raccogliendo  un.  fiore,  una  seconda  nella  collezione  Crespi,  il  ri- 
tratto nella  collezione  Frizzoni  e  un  altro  ancora  nell'Ambrosiana  son  le  opere  principali 
che  a  Milano  permettono  di  conoscerne  lo  stile  pieno  di  attrattive.  Marco  d'Oggiono 
lavorò  invece  specialmente  a  fresco,  a  Milano,  seguendo  la  maniera  di  Leonardo  nei 
tipi,  nei  contrasti  di  chiaroscuri,  nella  vivacità  del  colorito,  rimanendogli  ben  infe- 
riore nel  modellato,  nelle  sfumature,  nel- 
l' intensità  del  sentimento,  anche  quando 
nei  piccoli  quadri  (come  nel  Salvator  Mundi 
della  galleria  Borghese  che  fu  ritenuto  un 
tempo  come  opera  di  Leonardo  stesso) 
raggiunse  un  grado  di  morbidezza  che 
invano  si  cercherebbe  ne'  suoi  affreschi 
troppo  chiassosi  e  fuor  di  tono. 

La  maggior  parte  delle  sue  opere  —  nelle 
quali  il  trasmodare  delle  forme  leonarde- 
sche, gli  occhi  gonfi,  gli  zigomi  troppo 
distanti  fra  loro,  le  mani  dalle  dita  molli 
e  senza  ossa  son  sue  caratteristiche  —  si 
conserva  a  Milano.  Nella  sola  galleria 
di  Brera  sono  gli  affreschi  già  nella  chiesa 
della  Pace,  due  tavole  provenienti  da  Lodi 
nella  sala  XIV  e  la  nota  composizione 
degli  arcangeli  che  abbattono  il  demonio, 
piena  di  dignità  e  di  grazia  leonardesca 
attraverso  le  solite  forme  e  il  colorito  un 
po'  pesante.  Un  suo  imitatore,  secondo  il 
Morelli,  è  quel  maestro  Nicolò  Appiani,  o 
de  Aplano  come  lo  chiamar]  le  vecchie 
carte,  che  lavorò  pel  Duomo  dal  1 5 1 1  in 
avanti.  Il  Morelli  e  un  vecchio  catalogo,  ricordando  inesattamente  il  Torre,  attrfl  ui- 
rono  all'Appiani  due  tavole  —  V Adorazione  dei  Magi  e  il  Battesimo  di  Gesù  —  pro- 
venienti dalla  chiesa  di  S.  Maria  della  Pace,  ora  a  Brera,  senza  avvertire  che,  al 
contrario,  il  Torre  le  attribuì  a  Marco  d'Oggiono.  Così  nacque  l'attribuzione  all' Ap- 
piani —  del  quale  non  si  conosce  nessuna  opera  sicura  —  dei  quadri  che  sarà  più 
prudente  ascrivere  alla  scuola  leonardesca  in  genere,  pur  notanto  che  posson  apparte- 
nere al  maestro  conosciuto  come  il  psciido  Boccaccino:  un  maestro  questi  che,  ab- 
bandonata Milano  forse  all'epoca  della  caduta  della  signoria  del  Moro,  si  stabilì  a 
Venezia  e  risentì  altre  influenze  locali. 

Fra  gli  scolari  di  Leonardo  che  ne  sentiron  direttamente  la  grande  arte  son  an- 
cora Giovanni  Antonio  Bazzi,  detto  il  Sodoma,  Giampietrino,  Cesare  da  Sesto.  Nei 
loro  dipinti,  o  in  una  buona  parte,  le  forme,  i  tipi,  il  colorito,  il  paesaggio  del  maestro 


ANDREA    SOLARI:   MADONNA   COL   BAMBINO   .MUSEO 
POLDI-PEZZOLI  I. 

I       .   Montabone). 


M  ILAN  O 


ritornano  amorosamente,   diligentemente,  quasi    con  la  sola  prooccupazione    di  avvi- 
cinarsi il  più   che  sia  loro  possibile  al  prototipo  anzi  che  tentare  nuove    vie. 

Il  Sodoma,  nato  a  Vercelli  nel  1477.  venne  presto  a  Milano  e  da  Leonardo 
avrebbe  tolta  «  quella  sua  maniera  di  colorito  acceso  recata  di  Lombardia  »  secondo 
il  Vasari;  così  che  nel  1501,  quando  gli  agenti  degli  Spannocchi  lo  condussero  a 
Siena,  egli  avrebbe  potuto  recare  nell'inaridita  scuola  senese  il  valido  elemento  di 
un'  arte  luminosa  ed  elevata.  E  in 
Toscana  che  l'arte  di  questo  attivo 
maestro  può  esser  studiata  a  dovere. 
A  Siena  le  sue  opere  produssero 
—  come  osserva,  a  mo'  di  conclu- 
sione in  un  suo  acuto  studio  sul  pit- 
tore, il  Frizzoni  —  un  generale  rin- 
novamento, una  rigenerazione  a  più 
efficaci  espressioni  di  vita,  di  grazia 
e  di  naturale  varietà.  A  Milano,  la 
dolcissima  Madonna  col  ^Bambino 
di  Brera  che  gli  viene  attribuita,  a 
qualche  studioso  par  troppo  affine 
all'arte  leonardesca  per  doversi  attri- 
buire al  Bazzi. 

Di  Gian  Pietro  Rizzi,  detto 
Giampietrino,  è  tutt'altro  che  sicura 
la  identificazione  della  personalità 
artistica,  per  la  mancanza  di  opere 
firmate  :  gli  vengon  attribuite  molte 
delicate  composizioni,  di  leonardesca 
derivazione,  fredde  di  toni,  senti- 
mentali, delicate.  Qualche  volta, 
come  nella  dolce  Madonna  col  Bam- 
bino della  collezione  Crespi,  più  che 
nelle  due  Maddalene  di  Brera,  e  in 
una  terza  della  Pinacoteca  comunale 
nel  Castello  Sforzesco,  egli  trova 
una  gaiezza  di  colorito,  un  equili- 
brio di  toni,  un  intenso  sentimento 
per  lui  singolari.  Ma  quando  svolse 

scene  bibliche  o  mitologiche,  sotto  l'influsso,  e  forse,  come  sospettò  il  Morelli,  con 
la  stessa  collaborazione  di  pittori  dei  Paesi  Bassi  che  dopo  la  morte  di  Leonardo 
frequentemente  pellegrinarono  in  Italia,  allora  eccedette  nella  misura  e  smarrì  la 
soavità  d'espressione  antica. 

Meno  originale  del  Sodoma,  ma  più   colorista   del  tetro  Giampietrino,  è  Cesare 
da  Sesto.  La  Adorazione  dei  Magi  di  casa  Borromeo   è,  pel    Morelli,  la    più    antica 
sua  opera  e  rivela  lo  studio  sulle  opere  di  maestri    toscani   come  Lorenzo  di  Cred 
e  PAlbertinelli,  spiegabile  con  le  peregrinazioni  del  pittore.   Della  sua    prima   epoca 


A X DKK A   SOLARI 


Ci.    CRISTO   BENEDICENTE   (OALLEEIA  CRESPI). 
Fot.  Anderson). 


ITALIA  ARTISTICA 


CHISTOIOKO    SOL Alil  :    ADAMO   (DUOMO) 


(Fot.  Alinari). 


-è  una  delicatissima  Madonna  nella  galleria  di  Brera.  Altra  opera  della  sua  gio- 
vinezza è  un  tondo  con  la  Madonna  e  due  bambini  della  collezione  Melzi  d'Eril;  le 
figure  vi  sono  di  una  rara  morbidezza  e  di  una  grande  trasparenza  di  colorito  e  rivelan 
l'influenza  toscana.  Anche  questo  grazioso  dipinto  fu  dunque  verosimilmente  eseguito 
anteriormente  al  suo  viaggio  a  Roma  e  prima  di  risentire  il  fascino  dell'arte  leo- 
nardesca. Il  Battesimo  di  Cristo,  che  nel  1595  si  trovava  in  casa  del  senatore  Ga- 
leazzo Visconti,  è  ora  nel  palazzo  del  duca  Scotti  e  la  grandiosità  dello  sfondo  di 
paesaggio  fa  pensare  all'accenno  del  Vasari  sul  conto  del  Bernazzano  eccellente  nel 
dipinger  paesi  e  che  si  sarebbe  legato  a  Cesare  da  Sesto  nell'arte.  Dal  1507  al 
15 12  quest'ultimo  ebbe  modo  di  studiare  a  Milano  la  grande  opera  leonardesca 
come  diversi  quadri  provano.  Finì  coli'  entrare  neh"  orbita  della  maniera  raffael- 
lesca, come  assicura  la  grande  pala,  già  in  S.  Rocco,  ora  nella  collezione  Melzi 
d'Eril,  nella  quale  è  dunque  documento  del  principio  e  della  fine  dell'arte  del  pittore. 


M  I  L  A  N  O 


CRISTOFORO    SOLARI  :    EVA   (DUOMO). 


(Fot.  Alinari). 


Il  Morelli  riuscì,  pel  primo,  a  chiarire  1'  attività  e  i  caratteri  di  un  altro 
pittore  leonardesco,  che  egli  pose  fra  quelli  che  indirettamente  sentiron  l'influenza 
del  grande  fiorentino:  Gio.  Antonio  de  Predis,  la  ?ui  maniera  può  esser  studiata 
prendendo  a  punto  di  partenza  il  ritratto  firmato  e  datato  1502  di  Massimiliano  I 
nella  collezione^Ambras  a  Vienna,  del  quale  uno  schizzo  è,  per  alcuni,  nell'Accademia 
di  Venezia  insieme  a  quello  del  ritratto  di  Bianca  Maria  Sforza  moglie  dell'impera- 
tore stesso.  Anche  un  bel  ritratto  di  giovane,  esposto  a  Londra  nel  Burlington  Fine 
Arts  Club  nel  1898,  reca,  con  la  data  1494,  ^a  sigla  del  Predis.  Del  pittore  il  primo 
ricordo  è  del  1482  per  un  dono  fattogli  da  Eleonora  duchessa  di  Ferrara  --  forse 
in  compenso  di  qualche  pittura  recatale  da  Milano  —  ed  è  già  chiamato  dipintore 
de  lo  III.  Sforza,  Trovo,  nelle  carte  sforzesche  del  tempo  —  oltre  le  poche  notizie  cono- 
sciute sul  conto  suo  — ■  che  nel  1494  aveva  eseguito  una  Maestà  che,  riposta  con  al- 
cani  altri  designi  in  una  cassa,  fu  spedita  in  Germania  a  Bianca  Maria  Sforza,  della 


34  ITALIA  ARTISTICA 

quale  aveva  già  eseguito  uno  dissegno  de  carbone  e  stava  preparando  uno  retracto 
colorito  che  potrebbe  ben  esser  quello  dell'Ambrosiana  —  già  ritenuto  di  Beatrice 
—  che  il  Morelli  attribuì  al  nostro  e  ricordato  anche  dall'anonimo  Morelliano  come 
de  mano  de  milanese  di  cui  non  fece  il  nome.  Il  Predis  collaborò,  con  Leonardo, 
nel  dipingere  la  Vergine  delle  Roccic  e,  secondo  il  Venturi,  precisamente  per  l'esem- 
plare della  National  Gallerv,  «  solo  traducendone  i  cartoni  sotto  la  sapiente  dire- 
zione di  lui,  eppur  cadendo  negli  eccessi  suoi  propri  di  colorito  e  slargando  i  con- 
torni che  si  vedono  più  ristretti  e  più  giusti  nella  «  Vergine  delle  Rocce  »  del 
museo  del  Louvre,  dove  del  resto  manca  la  spontaneità  di  Leonardo,  quel  segno 
che  si  determina  senza  sforzo,  soavemente,  quel  chiaroscuro  coi  più  lievi  trapassi 
di  grado  che  sa  la  sostanza  delle  cose  e  il  loro  fondamento  interiore  ».  Per  questo 
il  critico  attribuì  al  Predis  la  Madonna  coi  Bambino  della  collezione  Crespi,  che  di 
Leonardo  ha  l'eco  delle  forme  elette,  uno  sfumato  delicatissimo,  ma  durezze  e  ri- 
gonfiamenti che  sembran  tolti  all'ingrosso  dalla  Madonna  delie  Roccie. 

Il  Lòeser,  trovando  in  un  disegno  dell'Ambrosiana  pel  ritratto  del  piccolo  Fran- 
cesco Sforza  (che  figura  nella  pala  con  tutti  i  componenti  la  famiglia  ducale  nella 
collezione  di  Brera)  i  caratteri  del  Predis,  attribuì  a  lui  la  pala  stessa,  nella  quale 
invece  il  Frizzoni  trovò  «  la  mano  di  un  pittore  che  dovette  aver  subito  ad  un 
tempo  l'influenza  del  vecchio  caposcuola  lombardo  Foppa  e  del  maestro  toscano 
Leonardo,  di  fresco  venuto  in  Lombardia  2>. 

Si  vide  già  che  cosa  pensiamo  del  quadro  che  tanto  filo  da  torcere  diede  e 
darà  agli  studiosi  e  che  fu  eseguito,  come  notammo,  non  prima  del  1494.  E 
certo  che  in  quell'epoca  il  Predis  era  precisamente  l'artista  che,  dopo  Leonardo,  pa- 
reva più  indicato  per  eseguire  un  tal  dipinto  fatto  a  cura  di  Lodovico  il  Moro,  dei 
quale  Ambrogio  era  ai  servigi;  qualche  accenno  indiretto  dei  documenti  conforte- 
rebbe l'idea  che  il  maestro  della  sala  sforzesca  —  come  la  prudenza  consiglia  per 
ora  di  indicare  l' ignoto  pittore  — ■  possa  essere  il  Predis,  del  quale  d'altronde 
l'attività  è  stata  fin  qui  studiata  in  modo  incompleto  e  quasi  esclusivamente  quale 
ritrattista.  Il  fatto  che  fin  dal  14S2  — ■  prima  dunque  dell'arrivo  di  Leonardo  a  Mi- 
lano -  -  il  Predis  era  già  pittore  apprezzato  alla  corte  sforzesca  ci  assicura  che  le 
origini  dell'arte  sua  vanno  ricercate  fuor  dell'orbita  leonardesca  e  probabilmente  in 
quella  del  Foppa  dominante  allora  sull'arte  della  regione  lombarda.  Forse  era  parente 
di  Ambrogio  quel  Cristoforo  Predis  che  ornò  di  miniature  alcuni  codici  della  bi- 
blioteca reale  di  Torino,  del  Santuario  di  Varese,  dell'Ambrosiana,  e  che  fiorì  nella 
seconda  metà  del  XV  secolo. 

Un  artista  attraontissimo,  che  seppe  fondere  una  perfetta  conoscenza  del  di- 
segno, rara  nella  scuola  lombarda,  con  la  soavità  del  colorito  e  col  sentimento  leo- 
n  irci  esco,  è  Andrea  Solari.  Questo  maestro  occupa  nella  scuola  lombarda  un  posto 
particolare  e,  per  l'incisività  del  disegno  e  per  la  tecnica,  ne  è  il  più  eminente 
rappresentante.  Figlio  di  un  Bertolo  o  Bertela  e  fratello  di  Cristoforo  detto  il  Gobbo 
scultore,  da  questi  apprese  forse  i  primi  elementi  dell'arte  e  lo  accompagnò,  nel 
1490,  a  Venezia,  dove  risentì  probabilmente  1'  influsso  di  Antonello  da  Messina  più 
che  di  Giovanni  Bellini,  ciò  che  spiega  il  carattere  affine  a  quel  primo  maestro  in 
alcuni  ritratti  di  Andrea.  A  Venezia  eseguì  forse  i  dipinti  segnati  Andreas  Mediola- 
nensis  e  più  sicuramente  quello  di  Brera    con-  la  Vergine  col  Figlio  fra  i  santi  Giù- 


M  I  L  A  X  (  ) 


oo 


seppe  e  Gerolamo,  del  1495,  già  in  S.  Pietro  Martire  a  Murano.  Forse  Andrea  ri- 
mase a  Venezia  anche  quando  il  fratello  era  già  ritornato  a  Milano,  perchè  trovo  che 
appunto  in  quell'anno  Cristoforo  cercava  di  succedere  ad  Antonio  Mantegazza  nella 
carica  di  architetto  della  Certosa  di  Pavia.  La  fama  del  pittore  giunse  in  Francia, 
dove  il  cardinale  d'Amboise  nel  1,507  lo  invitava  a  stabilirsi  quale  peintre  de  monsci- 


I  KANCESCO    I   (CASTELLO    SFORZESCO  i. 


^ìteur  per  decorare  la  cappella  del  castello  di  Gaillon  :  di  là  passò  forse  in  Fiandra, 
come  lascerebbe  credere  uno  spiccato  carattere  fiammingo  di  talune  sue  opere  di 
quel  tempo.  Nel  15 14  era  forse  a  Roma  insieme  a  Cristoforo,  come  fa  supporre 
l'epigrafe  sulla  tomba  del  fratello  Alberio,  nella  chiesa  della  Carità,  ricordata  dal 
Bertolotti.  Nel  1515  era  di  nuovo  a  Milano  e  intorno  a  quest'epoca  dipinse  forse 
la  pala  della  Certosa  pavese.   Xel    1520  era  ancora  a  Milano,  compagno  all'   Zonale 


3 6  ITALIA  ARTISTICA 

nei  lavori  del  Duomo.  Xel  libro  dei  censiti  nel  1522  della  parrocchia  di  S.  Babila, 
dove  egli  abitava,  è  ricordato  Cristoforo  Solari,  ma  non  Andrea;  forse  questi  era  già 
morto  o  non  ritornato  da  Roma. 

Anche  nelle  sole  opere  che  si  conservano  a  Milano  è  possibile  constatare  l'evo- 
luzione artistica  del  maestro  attraverso  le  sue  varie  maniere. 

UEcce  homo,  su  tavola,  della  galleria  Crespi  appartiene  alla  giovinezza  del  pit- 
tore e  deriva  dall'Ecce  homo  di  Antonello  da  Messina  nella  raccolta  Spinola  a  Ge- 
nova, benché  più  addolcito  nei  contorni  e  nel  modellato.  «  Dall'Ecce  homo  della 
galleria  Crespi,  Andrea  passò  a  dipingere  l'altro  del  museo  Poldi-Pezzoli,  in  una 
forma  più  monumentale,  direi,  e  con  ricerca  maggiore  dell'effetto:  la  scollatura  ret- 
tangolare della  tunica,  accenno  ad  una  forma  contemporanea  del  costume,  sparisce, 
e  il  manto  tradizionale  copre  appena  la  spalla  sinistra,  lasciando  ignude  le  carni 
marmoree  del  braccio  destro  e  del  petto  ;  la  testa  più  larga  con  gli  zigomi  più 
ampli,  secondò  il  carattere  semi-fiammingo  del  quadro  di  Antonello,  prototipo,  di- 
viene più  rettangolare.  Ma  nell'intento  d'  idealizzare  la  forma,  di  nobilitarla,  Andrea 
Solario  perdette  la  primitiva  verità  e  la  forza  d'espressione  :  X Ecce  homo  della  gal- 
leria Crespi  guarda  intensamente,  con  gli  occhi  stretti  per  lo  spasimo,  e  socchiude 
le  labbra  amaramente,  mentre  quello  del  museo  Poldi-Pezzoli  guarda  basso,  con 
•occhi  incantati,  come  se  il  dolore  gli  avesse  spento  il  pensiero.  Lì  il  Dio  nelle  sof- 
ferenze umane,  e  che  pur  sembra  ricercare  la  pietà  ne'  cuori  della  folla,  a  cui  si 
presenta  col  capo  leggermente  curvo  ;  qui  il  Redentore  in  un  marmoreo  simulacro  ; 
quello  attrae  per  la  umanità  che  riluce  traverso  il  dolore,  questo  per  la  bellezza 
della  forma  insanguinata  »  (Venturi).  Di  quel  primo  periodo  è  pure  la  Madonna 
che  allatta  il  Bambino  della  collezione  Crespi,  che,  pur  conservando  'qualcosa  del 
tipo  dell'esemplare  braidense,  preannuncia  già  la  celebre  Madonna  an  coussin  vert 
del  Louvre,  alla  quale  si  può  avvicinare  quella  del  museo  Poldi-Pezzoli  recante  il 
n.  602.  Nella  stessa  collezione  Crespi  la  figura  dell' 'Addolorata  precede  a  sua  volta 
quella  in  atto  di  sBguire  molt:>  naturalmente  e  con  profondo  sentimento  delia  com- 
posizione il  Redentore  sotto  la  croce,  ch'è  nel  ^Poldi-Pezzoli  attribuita  al  Luini  e 
che  il  Venturi  ascrisse  al  Solari.  Da  Venezia  proviene  pure  un'altra  Madonna  col 
Figlio  del  Solari,  nella  pinacoteca  di  Brera  (n.  283).  Di  caratteri  più  schiettamente 
leonardeschi  è,  secondo  il  senatore  Morelli,  la  figura  del  Battista  nello  stesso  museo 
Poldi-Pezzoli,  eseguita  nel  1499,  mentre  in  questa  stessa  raccolta  il  Riposo  in  Egitto 
fu  eseguito  nel  1515,  e  il  Morelli  vi  notò  il  deciso  carattere  fiammingo  così  da  lasciar 
intravvedere  le  ultime  relazioni  artistiche  del  girovago  pittore. 

Anche  il  Cristo  benedicente  —  grande  e  dignitosa  figura  intera  — ■  della  raccolta 
Crespi  sarebbe,  secondo  il  Venturi,  una  delle  ultime  opere  del  maestro  lombardo.  Ma 
convien  dire  che  l'attribuzione  non  par  ben  accertata,  date  le  reminiscenze  con  le  forme 
care  al  B:>ltraffio  che  vi  si  notano.  Più  modesto  seguace  dell'arte  leonardesca  è 
Francesco  Napoletano,  del  quale  un  quadro  firmato  nel  museo  di  Zurigo,  già  di  pro- 
prietà Bonomi  Cereda,  permette,  secondo  alcuni,  di  attribuirgli  una  Madonna  col 
Bambino  nell  1  <  di  Brera,  che  però  presenta  ben  più  spiccati  caratteri  leo- 

nardeschi, e  un'altra  Madonna,  secondo  il  Cagnola,  della  Historical  Societv  di  New- 
York.  Il  pittore,  secondo  le  indagini  del   fusti,  lavorò  anche    in  Spagna. 

Un  maestro  che  fu  qualche  volta  confuso  col  Solari  è  Bartolomeo  Veneto,  che 


MILANO 


muove  da  Giovanni  Bellini  e  da  Cima  da  Conegliano.  Intorno  al  15  io  si  recò  forse 
a  Milano  dove  risentì  dell'arte  leonardesca,  come  basterebbe  a  provare  la  replica 
della  sua  Madonna  veneziana  ora  nell'Ambrosiana:  al  suo  periodo  milanese  apparten- 
gono, secondo  Adolfo  Venturi  che  si  occupò  diffusamente  del  maestro,  i  due  ritratti 
di  casa  Perego  e  altre  opere,  cui  seguono 
diversi  ritratti  anche  a  Milano  in  casa  Cre- 
spi, Del  Mayno,  Melzi,  una  Santa  Caterina 
nella  galleria  Borromeo.  Gli  appartiene  il  ri- 
tratto della  «  suonatrice  di  liuto  »  di  casa  Del 
Mayno  (1520)  che  per  tradizione  si  disse  della 
Cecilia  Gallerani  che  Leonardo  avrebbe  ri- 
tratta e  di  cui  rimangon  diverse  repliche  e 
copie  citate  dall'  Uzielli  e  dal  Carotti  in  casa 
Frisiani  a  Milano,  neh'  Ambrosiana,  in  casa 
Arnioni,  in  Brianza,  a  Roma,  in  Slesia.  Bar- 
tolomeo Veneto,  come  il  Solari,  attinse  all'arte 
veneta  e  lavorò  a  Milano,  non  estraneo  a  certi 
riflessi  d'arte  oltremontana.  «  Andrea  Solario, 
al  paragone  di  Bartolomeo  Veneto,  sembra  un 
savio  del  Comune  di  fronte  a  un  gentiluomo 
della  Corte  francese   ». 

Di  Bernardino  dei  Conti  di  Castelseprio 
—  nato  a  Pavia  nel  1450  —  i  primi  lavori, 
nel  rosso  , bruno  delle  carni  e  nello  spezzar 
dolio  pieghe,  proverebbero  la  derivazione  arti- 
stica dal  Loppa  e  dal  Civerchio.  Più  tardi,  sta- 
bilitosi a  Milano,  «  dedicò  tutta  1'  anima  rae- 
schinetta  a  Leonardo  da  Vinci  »  per  dirla  col 
Venturi,  come  prova  la  sua  Madonna  col  putto 
e  S.  Giovannino,  firmata,  di  Brera,  nella  quale 
è  una  debole  reminiscenza  della  Vergine  delle 
Roccie.  Egli  fu  principalmente  ritrattista.  Opere 
sue  firmate  si  conservano  a  Berlino,  a  Parigi, 
a  Bergamo,  presso  la  marchesa  d'Angrogna, 
nel  palazzo  di  Potsdam  e  vanno  dal  1499  al 
1522.  Se  le  notizie  riportate  dai  biografi  son 
giuste,  è  certamente  un'altra  persona  quel  Ber- 
nardo   de'    Conti   povero  pentor,    del    quale  ho 

trovato  una  supplica  perchè  fosse  rinchiusa    la   moglie,  che  teneva  cattiva  condotta 
e   ch'egli  aveva  sposato  nel    1550. 

Altro  modesto  pittore  della  prima  metà  del  XVI  secolo  è  Cesare  Magni  — ■  con- 
fusoTdal  Rumhor  con  Cesare  da  Sesto  —  seguace  di  Pierfrancesco  Sacchi,  e  al 
quale  si  attribuiscono  una  Sacra  Famìglia  a  Brera  (n.  2 1 5),  gli  affreschi  delle  pareti 
al  di  sotto  la  cupola  nel  Santuario  di  Saronno,  e  qualche  altro  dipinto,  più  delicato 
e  piacente  che  solido  di  fattura. 


CRISTOFORO    SOLAKI  :  CKISTO    ALLA  COLONNA 
(SAGRESTIA   DEL  DUOMO). 

iFot.  Montabone). 


38 


ITALIA  ARTISTICA 


Nella  scultura  lombarda  l'influsso  potente  di  Leonardo  non  fu  giovevole  poiché, 
al  contatto  dell'arte  sua.  Cristoforo  Solari  abbandona  lo  stile  personale  della  sua 
prima  maniera  e  modella  leziosamente  V Adamo  e  V  Eva,  il  Cristo  alla  colonna  e 
diverse  statue  del  Duomo  in  cui  i  caratteri  del  maestro  fiorentino  sono  abbastanza 
rilevanti  ma  superficiali.  E  gli  scultori  minori  —  il  Briosce  il  Bambaja,  i  maestri 
della  Certosa  di  Pavia  e  del  Duomo  —  ammorbidisco!!  le  loro  figure,  le  rendon  più 
garbate  e  molli,  ma  perdono  quasi  ogni  originalità.  Potrebbero  appartenere  al  Solari 
due  piccoli  bassorilievi  entrambi  con  la  Madonna  col  Bambino  e  due  angioletti  reg- 
genti una  tenda,  nel  coro  della  chiesa  della  Passione  e  nel  Museo  Archeologico, 
delicati,  lisciati,  con  certa  aria  di  famiglia  in  confronto  alla  pittura  di  Andrea,  par- 
ticolarmente col  quadretto  del  Poldi-Pezzoli  qui  riprodotto. 

Dopo  i  più  diretti  scolari  di  Leonardo  la  maniera  del  gran  maestro,  fondendosi 
con  altre  tendenze,  sformando,  nel  disegno,  le  linee  purissime  primitive,  eccedendo 
nel  colorito,  "si  diffuse  con  rapidità  grande  in  tutta  la  Lombardia  nelle  città,  nelle 
borgate,  lungo  le  rive  dei  laghi,  portando  dovunque  una  nota  un  po'  monotona  ma 
garbata  di  soavità  e  di  sentimento.  Ancora  mezzo  secolo  dopo  la  morte  del  grande 
fiorentino  che  alla  rude  arte  lombarda  aveva  recato  palpiti  nuovi  di  vita,  l'eco  della 
sua  grazia  squisita  —  ormai  sostituita  nelle  città  da  più  vigorose  ma  men  pure 
espressioni  —  si  spandeva  in  tranquille  e  sane  onde  lungo  i  colli  della  regione  la- 
riana  e  sui  monti  della  Valtellina,  dove  i  modesti  pittori  ritardatari  ripetevano  ancora, 
attraverso  le  loro  povere  figure,  qualcosa  dell'armonia  antica. 


L 


••,   I     .K  madonna  coi  bambino    chiesa  della  passioni 


VI. 

Il  Cinquecento  —   La  a  signoria   sforzesca    —  L'architettura  e  i  classicisti:  il  Pellegrini,  /'  : 

il  Seregni,  il  Meda  e  i  minori   —   La  scoltura  :  i  due  Leoni,   Marco   d'Agri  lo    Mirini.   Anni- 

bale F<niLinj  —    La    pittura   :  Bernardino    Luini,   Gaudenzio    Fa-rari,  il    Lanino,    il    Lomazzo,    il 
Figino    —    I  pittori  cremonesi  e  lodigiani  a  Milano  —   Le  arti  minori  —   Gli  armaiuoli. 


Al  decadere  dell'arte,  dopo  Leonardo,  non  lurono  verosimilmente  estranee,  come 
sempre,  le  ragioni  politiche.  Venuta  meno  la  signoria  sforzesca  indipendente  e  te- 
muta, l'esempio  di  Lodovico  il  Moro  non  trovò  imitatori.  Succeduto,  al  molle  Mas- 
similiano, Francesco  II  Sforza,  accolto  con  dimostrazioni  di  giubilo  al  suo  ingresso 
a  Milano  il  4  aprile  1522,  il  nuovo  principe  fu  subito  oppresso  da  ben  altre  cure 
che  quelle  dell'arte,  per  riformare  il  Senato,  per  difendersi  dai  nemici  interni  ed 
esterni,  per  le  preoccupazioni  della  peste  che  nel  1,524  spense  ben  cinquantamila 
abitanti  della  città.  Nell'ottobre,  discesi  i  Francesi  comandati  da  Francesco  I  e  dal 
Bonivet,  egli  dovette  abbandonare  Milano  e  riparare  a  Soncino  finché,  nel  febbraio 
del  1525,  anche  per  le  pratiche  del  fedele  Girolamo  Morone,  potè  ottenere  l'inve- 
stitura del  Ducato  da  Carlo  V.  Le  lotte  con  gli  Spagnoli,  le  stragi  del  giugno  1526, 
il  passaggio  delle  truppe  venete  e  pontificie,  la  lega  contro  l'imperatore  dettcr  riposo 
al  povero  principe  fino  alla  pace  di  Bologna  nel  1520  e  alla  relativa  nuova  investi- 
tura del  Ducato  in  suo  favore.  Ma  a  Milano  il  governatore  straniero  doveva  ricor- 
dare di  continuo  al  Duca  come  la  sua  signoria  fosse  fittizia.  Anche  la  signoria  spa- 
gnola, che  successe  a  quella  dello  Sforza,  si  preoccupò  poco  o  punto  di  incoraggiare 
le  arti.  Tuttavia  così  tristi  avvenimenti  non  impedirono  che  qualche  bello  ingegno 
fiorisse  e  con  originalità  di  studi  e  di  opere  ricordasse,  fuor  dello  Stato,  che  Milano, 
oppressa,  non  era  spenta  :  tali  Marcantonio  del  Conte,  spirito  bizzarro,  calunniatore 
di  Cicerone,  ma  ricco  d'ingegno,  Andrea  Alciato  filosofo,  leggista,  al  quale  dobbiamo 
una  raccolta  d'antiche  lapidi,  Alberto  dell'Orto  autore  del  classico  De  usu  Feudorum, 
Giason  del  Mayno,  Orazio  Carpano,  Pier  Paolo  Simonetta,  fra  i  dotti  ;  Gaspare  Bu- 
gatto,  Bernardino  Arluno,  il  buon  Burigozzo,  fra  gli  storici;  Girolamo  Cardano  me- 
dico, matematico  e  astrologo  bizzarro,  fondatore  dell'Accademia  dei  Trasformati  nel 
1546  «  per  incoraggiare  gli  studi  quando  erano  sgomentiti  dal  fragore  delle  armi  ». 
che  preluse  a  quella,  più  tarda,  degli  Inquieti  dove  si  interpretava  pubblicamente 
Dante  e  si  trattava  di  artiglieria,  di  nautica,  di  fisica.  La  scuola  di  musica  fondata 
dal  Gaf furio  prosperava;  alla  metà  del  secolo  Giuseppe  Caimo  componeva  madri-j  ili  : 
e  ballate  Giacomo  Castoldi  da  Caravaggio. 

Le  chiese,  le  fraterie,  le  sacre  istituzioni  s'andarono    aggiungendo    alle    preesi- 
stenti. Nel   1547  Antonio  Zaccaria,  Bartolomeo  Ferrari,  Giacomo  Antonio  Moriggiani 
istituirono  i  chierici  regolari  Barnabiti.  La  Torello  contessa  di  Guastalla  fabbri-  r. 
chiesa  di  S.  Paolo  spendendovi  ottanta  mila   scudi  d'oro  e  vi  poneva  l'ordine    de 
Dimesse  (1535),  poi  le  Convertite  al  Crocifisso  (1540)  e  il  collegio  delle  povere  fan- 


40 


ITALIA  ARTISTICA 


ciulle  nobili  detto  tuttora  della  Guastalla.  Ma  il  moltiplicarsi  degli  ordini  religiosi 
non  accrebbe  la  pietà  ed  i  buoni  costumi  se  era  nato  il  proverbio  «  non  esservi 
strada  più  dritta  a  dannarsi  che  l'andar  frate  x  finché  il  cardinale  Carlo  Borromeo 
non  vi  pose  freno  con  l'esempio  elettissimo  e  con  quello  dei  dotti  e  dei  religiosi 
che  conduceva  seco  ogni  volta  che  si  recava  a  Roma,  talché  fu  detto  «  rapacissimo 
ladro  di  savi   ».   San  Carlo  abolì  1'  ordine   degli   Umiliati,  che  più    degli    altri    arric- 


PIANTA    DI    MILANO    EDITA    DA    A.    LAFRERI    XEL    1573. 


chiti  con  le  industrie  della  lana  eran  corrotti,  e  costrinse  gli  altri  a  più  severe  co- 
stumanze. E  nuovi  ordini  fondò  o  predilesse  :  San  Martino  degli  Orfani,  San  Mar- 
cellino, Sant'Agostino  Bianco,  Santa  Sofia,  le  cappuccine  a  Santa  Prassede  e  a 
Santa  Barbara  ;  introdusse  i  beatini,  fondò  ospizi,  collegi,  istituti  :  Milano  ebbe  al- 
lora ben  233  chiese,  30  monasteri  di  frati,  34  di  monache,  6  di  orsoline,  32  com- 
pagnie di  disciplini,  4  collegi  di  preti  regolari,  un  numero  interminabile  di  pie 
congregazioni. 

Le  industrie  e  la  ricchezza  cittadina  eran    grandi.    Di  qui  si    esportavan    mille 
prodotti  di  una  lavorazione  ormai   famosa  nel  mondo  :  dalle  armi  ai  tessuti.    Il  Guic- 


M  I  L  A  X  <  » 


4i 


ciardini,  parlando  dei  Paesi  Bassi,  notava:  «:  Da  Milano  e  dal  suo  Stato  inviano  molte 
robe,  come  oro  ed  argento  filato  per  gran  somma  di  denari,  drappi  di  seta  e  d'oro 
di  più  sorte,  fustagni  infiniti  di  varia  bontà,  scarlatti  ed  altri  simili,  pannine  l'ino, 
buone  armature,  eccellenti  mercerie  di  diverse  sorta  per  gran  valuta,  ed  infine  il 
formaggio».  E,  di  nuovo:  «  Milano  a  ragione  è  noverata  fra  le  maggiori  città  di 
Europa,  fiorentissima  per  mercanzia,  ricchezza,  splendor  d'edilizi,  grandezza  di  tempii, 
beltà  di  piazze,  soda  di  mura,  munitissima  di  forti,  provveduta  d'armerie,  abbraccia 


l'Ai.  A  ZZO    AKUVLSLOVILL 


IL   COKTILL    DLL    HLLLLUKINl. 


1  Fot.   .Minali). 


spazio  immenso,  con  sobborghi  che  possono  star  pari  a  grandi  borghi,  con  alte 
fosse  e  bastioni  muniti.  A  pena  si  può  dire  quanto  sia  piena  d'arti  e  di  scuole  di 
artefici  e  di  fabbriche,  talché  corre  proverbio  che  col  disfare  di  Milano  si  potrebbe 
fare  un'  Italia  ». 

Gli  statuti  proteggevan  le  industrie  attribuendo  semplice  e  sommaria  giurisdi- 
zione ai  consoli,  rimovendo  i  cavilli  curiali,  allontanando  le  ingiustizie.  Agevolezze 
e  premi  incoraggiavano  gli  introduttori  di  nuove  manifatture.  Quasi  la  città  poteva 
dimenticare,  nel  lavoro  apprezzato  dal  mondo  e  nella  ricchezza,  le  poco  felici  con- 
dizioni politiche. 

Il  Cinquecento  sembra  essere  il  secolo    in  cui  il  mecenatismo,    almeno  in   Lom- 


ITALIA  ARTISTICA 


bardia,  in  cambio  d'esser  monopolio  del  principe,  s'estende,  con  maggior  concetto 
di  liberalità  che  nel  secolo  precedente,  a  vanto  dei  privati.  A  Milano  si  cercherebbe 
invano  qualche  opera  d'arte  di  valore  legata  al  nome  di  Massimiliano  o  di  Fran- 
cesco II  o  di  Carlo 
V,  mentre  abbon- 
dati quelle  ordinate 
dai  Bentivoglio,  dai 
Trivulzio,  dai  Me- 
dici, dai  Borromeo. 
Molti  edifici,  gran- 
diosamente ideati , 
anche  a  vantaggio 
pubblico  — ■  il  col- 
legio dei  giurecon- 
sulti, l'arcivescova- 
do, varie  chiese  — 
sorsero  allora  per 
iniziativa  privata. 


L'  architetto  che 
lasciò  una  maggiore 
impronta  nell'arte 
milanese,  in  un  se- 
colo che  per  eccel- 
lenza è  quello  vo- 
tato all'  edilizia,  fu 
Pellegrino  Tibaldi. 

Per  non  ripetere 
cose  che  ebbi  già 
a  pubblicare  in  uno 
scritto  dedicato  a 
questo  maestro,  del 
quale  la  personalità 
potente  ha  il  so- 
pravvento sulle  fred- 
de formule  dei  trat- 

DUOMO    -PARTICOLARE    DELLA  FACCIATA  :   LE  DUE  PORTE  SETTENTRIONALI  DEL  PELLEGRINI.  tati,       1111      limiterò      a 

ricordare,  dato  il  ca- 
rattere   della     pre- 
sente    pubblicazione,    fra    le  molte  sue  opere  disseminate  a  Bologna,  in    Lombardia, 
in   Piemonte  e  in  Spagna,   le  sole  che    più    sicuramente    sembrano    appartenergli    a 

Milano. 

Di   questo  mago  delle  seste  scrissero  il  Vasari,  il  Lomazzo,  l'Orlandi,  il    Bumaldo' 
lo   Zanotti.  il  Ticozzi  e  altri  fra  i  moderni,    ma  riuscirebbe    difficile    il  mettere    d'ac- 


MILA  NO 


•4  ì 


cordo  le  notizie  da  loro  fornite.  Molti  lo  disser  Bolognese,  altri  di  Valdelsa  :  il  Ba- 
glione  lo  fece  morire  nel    1591,  il   Milanesi  nel    [593,   il   Masini   noi    1606    a   Modi 

Pellegrino  Pellegrini  detto  Tibaldi,  figlio  di  Tibaldo  d'altro  Tibaldo  (d'onde  il  se- 
condo nome  alla  famiglia,  come  era  uso  frequente  allora),  nacque  nel  1,527,  a  l'uria 
in  Valsolda,  e  morì  il  27  maggio  1596  in  parrocchia  di  S.  Maria  alla  Porta  a  Al- 
iano. La  Valsolda  aveva  già  l'ama  di  produrre  uomini  quasi  tutti  luuralori,  scultori, 
scarpellini,  avellitela  ed  alcuni  pittori  acutissimi  à"  ingegnò. 

L'educazione 
artistica  di  Pelle- 
grino si  formò  a 
Bologna,  dove  suo 
padre  diresse  parto 
dei  lavori  di  costru- 
zione del  convento 
di  S.  Michele  in  Bo- 
sco e  quelli  del  chio- 
stro di  S.  Gregorio 
in  Alega  che  rimane 
tuttora,  nel  recinto 
dell'attuale  Istituto 
degli  Apostoli,  se- 
vero, elegante,  sa- 
piente .  Pellegrino 
unì  all'arte  delle  se- 
ste quella  del  pen- 
nello :  vero  precur- 
sore dei  Carracci, 
all'  energia  e  alla 
forza  del  colore  che 
gli  son  proprie  giun- 
se dopo  lunga  per- 
manenza a  Roma. 

Il  Borromeo 
fin  da  quando  era 
legato  di  Bologna, 
della     Romagna    e 

della  Marca  d'Ancona  aveva  avuto  occasione  di  apprezzare  in  quei  luoghi  e  a  Roma 
il  valore  del  Pellegrini.  Gli  affidò  quindi,  nel  1504,  l'incarico  della  costruzione  di  un 
Collegio  a  Pavia,  che  riuscì  opera  magnifica  e  ben  composta,  e  poscia  il  restauro 
dei  locali  interni  del  Palazzo  Arcivescovile  di  Milano,  nonché  l'erezione  del  cortile 
che  tuttora  si  vede,  quadrangolare,  grandioso,  con  due  ordini  di  logge  a  pilastri  a 
bugne,  opera  severa  quale  il  carattere  del  luogo  domandava  e  ben  superiore  alla 
corte  dell'Ammanato  di  Palazzo  Pitti  col  quale  ha  qualche  rapporto.  Intorno  al  1 56 1 
il  Pellegrino  divenne  architetto  del  governo  di  Milano  e  da  questo  momento  s'iniziava 
il  secondo  e  più  fortunato  periodo  della  vita  dell'artista  attivissimo.  Il  7  luglio  1567 
fu  nominato  architetto  della  fabbrica  del  Duomo. 


DL'OMO    —   PARTICOLARE   DELLA    FACCIATA.:    LA    PORTA    CENTRALE    DHL    PELLEGRINI    E 
DEL   KICCHINI. 


44 


ITALIA  ARTISTICA 


Dopo  la  costruzione  del  tiburio  siili'  incrocio  delle  due  navate  —  di  cui  s' è 
parlato  a  suo  luogo  —  l'attività  a  prò  della  grandiosa  costruzione  si  era  limitata  a 
ben  poco,  finché  nel  1534  si  pensava  a  risolvere  il  problema  della  facciata  incomin- 
ciando a  raccogliere  i  mezzi  finanziari  per  darvi  principio.  Nel    1437  Vincenzo  Seregni 

presentava  varie  pro- 
poste e  già  si  discu- 
teva del  come  s'aves- 
sero a  fare  i  campanili 
grandidestinati  a  dare 
accompagnamento  e 
bellissimo  ordine  alia 
facciata  grande.  Di 
pensare  a  continuar 
l' edificio  nello  stile 
primitivo  non  eran 
più  quelli  i  tempi  ; 
l'intransigenza  in  arte 
era  già  uno  dei  ca- 
ratteri dell'epoca  che 
s'avviava  alla  de- 
cadenza. Nel  1567  il 
Pellegrini  fu  dunque 
incaricato  di  presen- 
tare i  disegni  neces- 
sari a  iniziare  la  nuo- 
va fronte  ;  ma  per  al-  % 
lora  non  se  ne  fece 
nulla.  Invece  all'  in- 
terno i  lavori  del  Pel- 
legrini, forte  dell'ap- 
poggio del  Borromeo 
contro  gli  attacchi  di 
Martino  Bassi,  furon 
molti  e  notevoli.  Pri- 
mo il  Battistero  :  le 
colonne  di  marmo  fu- 
rono esegui  te  da  Fran- 
cesco d'Arzo  nel  Va- 
resino, i  capitelli  lavorati  in  metallo  ;  la  vasca  di  porfido  dell'acqua  battesimale,  per 
l' immersione  secondo  il  rito  ambrosiano,  vuoisi  che  provenga  dalle  terme  di  Massi- 
miano Erculeo  ;  il  tempietto  riuscì  classicamente  elegante,  ma  non  adatto,  è  su- 
perfluo notarlo,  al  carattere  del  tempio  che  lo  accoglie.  Anche  più  violentemente 
ruppero  l'armonia  semplice  e  solenne  e  la  tradizione  delle  regole  con  cui  il  tempio 
era  sorto  gli  altari  costrutti  per  desiderio  di  San  Carlo  sotto  le  navate  minori,  benché 
ideati    con    grandiosità    di    linee    e    di    effetti..  L'opera    del  Pellegrini  nella  massima 


rAKTICOLARE   DELLA    FRONTE, 


MILANO 


45 


chiesa  lombarda  spezzò  in  tal  modo  definitivamente  quella  catena  di  tradizioni  locali 
che,  bene  o  male,  vi  s'  era  conservata  come  in  un'  ultima  cittadella  delle  idee  e 
della  fede  di  un   tempo. 

Ma  dove  committente  ed  artista  fusero,  in    un'opera  grandiosa,  la  smania  della 
ornamentazione    e    i 
sogni  della  più  origi- 
nale   fantasia    fu    nel 
presbiterio  e  nel  coro. 

Il  Pellegrini  e- 
levò  l'altare  di  sedici 
gradini  dal  piano  ge- 
nerale della  chiesa 
per  dar  luogo,  al  di- 
sotto, alla  cripta  o 
scurolo  ;  e,  al  di  so- 
pra, nel  centro  geo- 
metrico dell'  abside, 
l'aitar  maggiore  rac- 
chiuse di  un  recinto 
marmoreo  alto  metri 
5,35  ;  così  che  i  fe- 
deli possono,  venendo 
dalle  navate,  girare 
intorno  alla  parte  sa- 
cra del  tempio,  come 
nelle  antiche  chiese 
di  tipo  francescano 
provviste  di  poiirtonv. 
Il  presbiterio  trovasi 
così  rinchiuso  entro 
il  nodo  dei  dieci  piloni 
che  costituiscono  il 
capo  di  croce.  La  de- 
corazione all'  ingiro 
del  coro,  sulla  chiu- 
sura marmorea ,  coi 
pilastri  a  figure  ter- 
minali con  teste  leo- 
nine, le  mensole  a  cherubini,  i  balconi  o  coretti  e  il  rivestimento  di  legname  a  in- 
tagli delle  pareti  è  grandiosa  e  abbastanza  pura  in  confronto  a  quella  .eccessiva- 
mente sbrigliata  dei  maestri  successivi. 

L'altare  non  è  quale  il  fasto  del  committente  e  la  grandiosità  del  tempio  ri- 
chiedevano, anche  tenuto  conto  delle  idee  prevalenti  nella  seconda  metà  del  XVI 
secolo.  Invece  il  ciborio  di  bronzo  a  forma  di  tempio  circolare,  con  la  ;  tazza  soste- 
nuta da  otto  colonne  binate,  ideato  dal  Pellegrini  per    collocarvi    il  tabernacolo  rc- 


DUOMO    —    l'AKTICOLAKK   DELLA    FRONTE 


4° 


ITALIA  ARTISTICA 


galato  da  Pio  IV.  è  una  eletta  e  ricca  opera  d'arte  con  le  sue  statuette  degli  Apostoli 
a  mo'  di  acroterii  e  quella  del  Cristo  benedicente  sul  centro  e  coi  bassorilievi  della 
base  circolare. 

I  difetti  d'anacronismo  storico  e  l'adulterio  artistico  di  che  si  lamentava  il  Mer- 
zario  oo-gi  non  solo  saranno  perdonati  ma  scusati.   In  un   periodo,  come  il  presente, 

di  studio  oggettivo  e  di  cri- 
tica positiva  1'  immaginare 
un  artista  fuori  del  proprio 
ambiente  sarebbe  inverosi- 
mile ;  e  i  prodotti  dei  mae- 
stri d'ogni  tempo  si  apprez- 
zano per  quel  che  sono,  non 
per  quello  che  potrebbero 
essere ,  altrimenti  conver- 
rebbe disconoscere  una  legge 
immutabile,  quella  dell'evo- 
luzione. A  chi  giudica  spas- 
sionatamente, le  opere  come 
il  Duomo  di  Milano,  con  la 
varietà  d' impronte  lasciate 
da  ogni  generazione,  pre- 
sentano un'attrattiva  di  più: 
la  spontaneità.  Pcichè  fatal- 
mente 1'  opera  non  potè  li- 
sche di  getto,  dalla  mente 
degli  artisti,  come  il  Duomo 
di  Siena  e  di  Orvieto,  il 
rimpiangere  che  gli  archi- 
tetti del  XV,  del  XVI,  del 
XVII,  del  XVIII  secolo  non 
abbian  fatto  uno  sforzo  su 
se  stessi  e  sulla  loro  edu- 
cazione artistica  per  conti- 
nuare l'edificio  in  uno  stile 
che  essi  non  potevan  più 
sentire,  equivarrebbe  a  pre- 
ferire al  monumento  attuale  —  che  rappresenta  degnamente  le  varie  epoche  arti- 
stiche (la  sola  che  fa  eccezione  è  quella  del  principio  del  secolo  teste  chiuso  ap- 
punto perchè  volle  essere  un  ritorno  all'amico)  —  una  costruzione  condotta  innanzi 
per  effetto  di  successivi  sforzi  artificiosi  contro  la  natura  dei  tempi  e  delle  ten- 
denze, cioè  un  vero  anacronismo  storico  ed  un  adulterio  artistico,  per  usare  le  pa- 
role del  buon  Merzario  in  senso  inverso.  Queste  considerazioni  debbono  essere  tenute 
presenti  da  chi,  senza  preconcetti,  vuol  ammirare  come  merita  la  parte  inferiore 
della  facciati  del  tempio  costrutta  molti  anni  dopo  la  partenza  del  Pellegrini  se- 
condo un  suo  progetto  notevolmente  modificato  dal  Ricchini,  al  quale  spetta    l'idea 


POSCOKO    DEL   DUOMO. 


MILA  X ( > 


del  finimento  della  porta  maggiore  e  la  finestra  che  le  sovrasta,  provvista  di  bal- 
conate :  motivo  che  il  Ricchini  svolse  ripetutamente  nella  chiesa  di  S.  Giuseppe, 
nella  fronte  dell'Ospedale  Maggiore  e  altrove.  Così  le  quattro  porte  minori  e  le  fi- 
nestre superiori  rappresentan  sole  il  concetto  del   Pellegrini. 

A  questo  artista  spetta  anche  il  disegno  della  chiesa  di  S.  Fedele  costrutta  a 
partire  dal  1569  per  ordine  del  Borromeo  che,  avendo  considerata  in  Roma  la  forza 
e  l'espansione  della  nuova  società  dei  Gesuiti,  detta  la  milizia  ecclesiastica,  volle 
fondarne  anche  a  Milano  una 
casa.  I  lavori  furon  poi  conti- 
nuati da  Martino  Bassi,  il  cui  in- 
tervento forse  non  giovò  all'  at- 
tuazione del  progetto  omogeneo, 
grandioso,  castigato,  del  primo  ar- 
chitetto. La  fronte  dell'edificio 
è  severa  ed  elegante  con  una  di- 
sposizione larga  e  sicura  ed  è  fra 
i  migliori  esempi  dell'architettura 
di  quel  secolo,  la  quale  così  fa- 
cilmente trasmodò  neh'  applica- 
zione rigida  delle  leggi  stereo- 
tipate dei  trattatisti  in  voga  e 
nelle  gonfie  decorazioni  che  pre- 
ludono al  trionfo  del  barocco. 

Grandioso,  nella  chiesa  stes- 
sa, è  anche  il  partito  ideato  pei 
fianchi  e  per  la  parte  absidale, 
con  una  serie  di  alte  colossali  co- 
lonne a  ino'  di  rivestimento,  che 
nella  maestosità  e  nella  purezza 
delle  linee  e  dei  capitelli  sembran 
tolte  a  un  monumento  della  Ro- 
ma imperiale.  Allo  stesso  archi- 
tetto si  attribuisce  anche  la  chiesa 
di  San    Sebastiano    costrutta    ad 

honore  del  glorioso  santo  per  la  cui  intercessione  ottenne  salute  la  città  dopo  la 
peste  del  1576-77  ;  ma  le  mie  ricerche  d'archivio  non  confortarono  l'attribuzione 
delle  guide.  L'edificio  è  circolare,  a  due  piani,  non  privo  di  grandiosità  nel  girar 
delle  finestre  —  di  cui  le  più  alte  incavate  a  mo'  di  nicchie  —  e  negli  archi  a  muro. 
Ma  certe  licenze  eccessive  che  si  notano  nei  particolari  e  la  lentezza  dei  lavori  (trovo 
che  nel  1586  la  fabbrica  era  incompleta  e  che  due  secoli  dopo  si  lavorava  nella 
cupola)  autorizzano  il  dubbio  dell'intervento  d'altri  nella  costruzione  e  nell'idea  prima. 

Anche  la  chiesa  di  S.  Raffaele  appartiene  in  parte  al  Pellegrini,  del  quale  p.otei 
rintracciare  la  relazione  dei  lavori  e  i  disegni  presso  l'Archivio  di  Stato.  Ma  il  di- 
segno di  quell'architetto  fu  sfruttato  solamente  più  tardi  e  la  facciata  attuale  non 
corrisponde  al  disegno  che  nel  solo  primo  ordine.  L'interno  è  severo,  a  tre  navate. 


S.    SEBASTIANI 


IH  L    l'I  I  1.H1U1M 


4s 


ITALIA  ARTISTICA 


'7liiMi 


PALAZZO    MARINO,    DELL'ALESSI 


FRONTE   VERSO    S.    FEDELE     A.    1553  . 


(Fot.  Brogi). 


L'architetto  diresse  anche  per  lunghi  anni  i  lavori  del  palazzo  ducale  —  oggi 
reale  — •  nel  quale  una  schiera  di  pittori  si  prestò  a  decorare  sfarzosamente  le  sale: 
ma  quelle  pitture  scomparvero  poi  per  cedere  il  posto  alle  attuali  del  periodo  neo- 
classico ;  e  lo  stesso  edificio,  grandioso,  a  vasti  ambienti,  con  bei  cortili,  vide  alterato 
il  carattere  originale  quando  il  Piermarini  vi  atterrò  la  fronte  verso  il  Duomo  per  dar 
posto  all'attuale  piazzetta.  Il  palazzo  era  stato  chiamato  magnifico  dal  cavalier  Ar- 
noldo de  Haerf  di  Colonia,  reduce  da  Gerusalemme  nel  1497  e  descritto  in  termini 
entusiastici  dal  Pasquier  Le  Moine  nel  15 15:  verosimilmente  però  i  lavori  grandiosi 
(di  cui  rimangon  numerosissimi  documenti)  diretti  dal  Pellegrini  vi  tolsero  il  carat- 
tere lasciatovi  dal  Quattrocento,  quando  il  luogo  serviva  di  residenza  ad  Isabella 
d'Aragona  dopo  la  morte  del  marito  Galeazzo  Maria  Sforza. 

Peggior  sorte  ebbe  un'altra  costruzione  eretta  su  disegno  del  famoso  architetto 
Pellegrini,  la  chiesa  di  S.  Dionigi  che  fu  distrutta,  e  che  sorgeva  nell'area  degli 
attuali  boschetti.  Trovo  che  una  relazione  del  23  agosto  1593  degli  ingegneri  Vin- 
cenzo Seregno  e  Francesco  Sitoni  la  diceva  di  gentilissima,  vaga  et  rara  archi- 
tettava et  dipinta  di  chiaro  et  scuro  a  tre  navate,  a  pilastri  e  a  vòlte.  V  era  annesso 
un  chiostro  dove  abitavano  25  frati.  Diversi  disegni  ne  rimangono  tuttavia  fra  le 
carte  del  luogo  oggi  presso  l'Archivio  di  Stato. 


MI  LA  N<  > 


49 


PALAZZO   MAKINO    —    FKOXTE    MODEKXA   SU    l'IAZZA   DELLA    SCALA. 


Altre  opere  gli  vengon  attribuite  a  Milano,  almeno  in  parte,  ma  le  prove  sto- 
riche e  critiche  mancano:  fra  quelle  il  palazzo  eretto  dai  Cusani  sullo  scorcio  del 
XVI  secolo  e  ultimato  dagli  Erba-Odescalchi  in  via  dell'Unione  «  e  pur  mancando 
in  proposito  —  come  osserva  il  Beltrami  —  attendibili  documenti,  non  disdice  certo 
l'asserzione  per  quanto  concerne  la  porta  e  le  finestre  soverchiamente  lunghe  in 
confronto  della  larghezza  loro,  com'era  stile  del  Pellegrini,  ma  decorate  con  gusto 
e  parsimonia  e  portanti  fra  i  timpani  i  busti  degli  imperatori  e  delle  imperatrici 
romane  ».  Del  Pellegrini  stesso  si  può  ritenere  la  bizzarra  scala  elittica  a  destra 
della  corte  che,  foggiata  come  altre  analoghe  di  Roma,  conduce  al  piano  superiore, 
dov'  è  un  antico  curioso  pozzo  con  severa  ed  elegante  incorniciatura.  Il  Mongeri  gli 
attribuì  anche  i  disegni  per  la  cupola  di  S.  Lorenzo,  dove  però  è  certo  l' intervento 
di   Martino  Bassi  nel   giugno  del    1574   e   più  tardi. 

L'attività  del  Pellegrini  fu  davvero  prodigiosa  :  pittore,  architetto,  idraulico, 
egli  sembra  continuare  la  bella  tradizione  leonardesca  nella  molteplicità  geniale  e 
fortunata  delle  applicazioni.  Ingegnere  del  comune,  dell'arcivescovo,  del  principe, 
chiamato  incessantemente  da  privati  e  da  congregazioni,  doveva  moltiplicarsi  per 
rispondere  a  tutte  le  esigenze  che  non  si  limitavano  alla  città,  ma  comprendevano 
tutto  lo  Stato.  Egli  aveva  a  dirigere  lavori  di  chiese,  di  fortilizi,  provvedere  al   re- 


5o  ITALIA   ARTISTICA 

stauro  di  castelli,  a  dar  nuovo  corso  alle  acque,  ad  eriger  ponti  ad  Alessandria, 
a  Pizzighettone,  a  Saronno,  a  Rho,  a  Monza,  a  Varese,  a  Tortona,  a  Novara,  a 
Vercelli,  a  Gravedona  dove  innalzò  la  sontuosa  villa  del  cardinal  Tolomeo  Galli  (1586), 
a  Caravaggio,  a  Varallo;  la  Fabbrica  del  Duomo  Io  inviava  a  sorvegliare  i  lavori 
intrapresi  per  conto  suo  a  Limito,  a  Pobiano,  a  Panzono,  ecc.  «  Si  rimane  stupiti 
e  quasi  sbalorditi  —  possiam  bene  osservare  col  Merzario  —  al  pensare  come  il  Pel- 
legrino, nel     15S6,  quando    ancora  non    era    arrivato  a  60  anni,   avesse  fatte  tante  e 


PALAZZO    MARINO   —    IL  CORTILE 


così  varie  e   mirabili  cose,  delle  quali  anche  una  sola  potrebbe  ad  uomo  dare  diritto 
ad  essere  ritenuto  grande  artista  ». 

Intorno  al  1587  il  Pellegrini  fu  chiamato  in  Spagna  da  Filippo  II  che  lo  no- 
minò pittore  ed  architetto  di  corte  con  vistoso  stipendio:  là  l'artista  attese  anche 
ai  lavori  dell' Escuriale.  Nel  marzo  del  1596  era  ritornato  a  Milano,  dove  morì 
nell'anno  stesso.  Il  Capitolo  metropolitano  pensò  ad  apprestargli  un  sontuoso  sepolcro 
sotto  il  finestrone  del  poscoro  presso  quella  parte  che  egli  aveva  ideata  con  tanta 
esuberanza  di  fantasia:  ma  la  tomba  non  fu  compiuta  e  di  quegli  onori  progettati 
non  rimase,  negli  Annali  del  Duomo,  che  l'ampollosa  epigrafe  che  doveva  servir 
loro  di  complemento  ! 


PARTICOLARE    DEL    CORTILE    DEL    PALAZZO    MARINO 


(Fot.   Brusi'. 


PALAZZO    MARINO    —    SALONE    ORA    DEL    CONSIGLIO    MUNICIPALE. 


(Fot.  Brogi). 


1^ 


"    *        ■■'!_'  -ijt'^"' 


-^— ^'"UT| 


1  Ti  '  ITiifci! 


S.    MARIA    PRESSO    S.   CELSO,    DELL  ALESSI. 


(  Fot.   B  o    '  . 


s6 


ITALIA  ARTISTICA 


Natura  diversa  di  artista,  e  pel  quale  la  decorazione  spesso  ha  il  sopravvento 
sulla  sapiente  di-  -  ìe  delle  masse  architettoniche,  fu  Galeazzo  Alessi  che  divise 
la  sua  attività  fra  Genova  e  Milano.  In  quella  città  una  lunga  serie  di  bei  palazzi 
dalle  geniali  combinazioni  di  linee  prelude  al  capolavoro  ch'egli  creò  a  Milano.  Un 
mercante  genovese.  Andrea  Tommaso  Marino,  qui  stabilito  ed  arricchito  nelle  pub- 
bliche imprese,  fra  cui  quella  del  sale,  gli  dava  incarico,  nel  1553,  di  erigergli 
la    sontuosa    residenza    che    è    attualmente    la    sede    del  Municipio  e  che,  non  sono 


PIAZZA   DEI   MERCANTI    —    PALAZZO   DEI   GIURECONSULTI,  DEL   SI  REGNI. 


:-'ot   1 


molt'anni,  ha  avuto  un  razionale  restauro  anche  verso  la  piazza   della  Scala.    Nella 
costruzione  l'Alessi  sostituì  alcune  varianti  al  progetto  primitivo. 

I  disegni  in  parte  pubblicati  dal  Bsltrami  e  i  progetti  conservati  nella  raccolta 
Bianconi  presso  l'Archivio  civico  di  Milano  comprendono  due  planimetrie,  una  facciata 
e  la  decorazione  del  cortile  d'onore  e  ci  presentano  l'edificio  sorgente  sopra  una  pianta 
rettangolare.  Nel  graduale  sviluppo  dell'altezza  delle  colonne  o  lesene  ad  erme  mentre 
restavano  invariate  le  altezze  delle  trabeazioni  e  diminuiva  il  basamento  e  la  cornice 
di  finimento  sta  forse  il  segreto  di  quella  grandiosità  di  linee  dell'edificio.  La  deco- 
razione è  la  caratteristica  di  questo  edificio  ;    ma  non  è  ancora  la    decorazione  pe- 


M  I  L  A  X  (  ) 


57 


sante,  su  linee  ondulate,  che  prevarrà  men  di  mezzo  secolo  più  tardi  :  le  linee  sono 
ancor  tolte  al  repertorio  classico  e  la  decorazione  non  nasconde  il  partito  architetto- 
nico. Nei  primi  schizzi  gli  ornati  eran  forse  sovrabbondanti  e  schiacciavano  le  linee, 
ma  all'atto  pratico  l'architetto  seppe  moderarsi  con  un  senso  d'arte  che  è  un  trionfo 
dell'arte  della  Rinascenza  prima  di  spegnersi,  e  ne  risultò  un  gioiello  "architettonico 
nel  quale  ogni  parte  vanta  ancora  la  sua  giusta  importanza.  Il  cortile,  di  una 
leggiadria  incomparabile  con  la  sua    esuberanza    di    aggetti    profusi    in    ogni    spazio 


PALAZZO  DELLE  SCUOLE  PALATINE. 


libero,  acquista,  la  sera,  quando  la  luce  delle  lampade  dal  centro  allunga  dal  sotto 
in  su  le  ombre  delle  erme,  dei  trofei,  delle  statue  nelle  nicchie,  dei  cartocci,  dei 
festoni  abbondantemente  appesi  al  sommo,  un'apparenza  d' indescrivibile  vivacità 
quale  nessun  fantasioso  scenografo  potrebbe  immaginare.  E  la  artistica  e  fanta- 
stica signorilità  continua  e  si  sposa  alla  decorazione  pittorica  nel  salone  terreno, 
in  cui  gli  stucchi  e  la  istoria  di  Psiche  di  Andrea  Sanini  e  le  dodici  figure  alle- 
goriche di  Ottavio  stuccatore  fratello  di  Andrea  e  le  minute  accidentalità  decorative 
non  nascondono,  anche  qui,  l'organismo  architettonico.  E  v'han  ricordi  di  ugual  com- 
posta ricchezza  delle  altre  sale  prima  che  i  dissesti  della  famiglia  del    committente 


5 8  ITALIA  ARTISTICA 

ed  i  successivi  disgraziati  passaggi    di  proprietà    e  di    uffici    togliessero    al  palazzo 
l'antico  prestigio. 

Non  indegne  dell' Alessi  son  altre  più  modeste  fabbriche  che  gli  si  attribuiscono: 
la  fronte  della  chiesa  di  S.  Maria  presso  S.  Celso  terminata  da  Martino  Bassi,  a 
quattro  ordini,  carica  di  frontoni  spezzati,  di  mensole,  di  cartelle,  di  acroteri,  di  nic- 
chie, d'inquadrature  e,  nell'insieme,  grandiosa,  benché  abbian  nuociuto  alla  severità 
quei  troppi  riquadri  che  danno  all'  insieme  una  distribuzione  prevalentemente  oriz- 
zontale, così  che  le  finestre  vi  restan  impiccolite  e  le  colonne  e  i  pilastri  a  muro  vi 


S.    ANGELO     ATTRIBUITA    AL   SEKEGNI   .A.    1Ò52-1Ò54 


(Fot.  I.  I.  .l'Arti  Grafiche). 


appaion  meschini  mancando  loro  lo  spazio  di  allargarsi  debitamente;  S.  Vittore  al 
Corpo,  dalla  fronte  incompleta  e  gretta,  manomessa  forse  dai  continuatori  dell'Alessi 
(se  è  vero  che  questi  vi  aveva  ideato  un  pDrtico  dinnanzi  a  mo'  di  cortile)  e  l'interno 
vasto  e  strabocchevolmente  ricco  di  stucchi  che  rivela  un  motivo  del  maestro 
portato  all*eccesso  dalla  scuola  ;  e  S.  Paolo,  dalla  piccola  facciata,  ma  non  priva  di 
grandiosità  per  la  distribuzione  delle  colonne  sovrapposte,  e  che  ha  pochi  rapporti 
con  le  più  sicure  opere  dell'Alessi  se  non  alcuni  particolari  oppressi  però  dalla  fan- 
tasiosa decorazione  del  pittore  G.  B.  Crespi,  sì  che  ne  risultò,  per  dirla  col  Mongeri, 
«  un  gremito  di  colonne  le  une  sulle  altre,  di  finestre,  di  timpani,  tondi  ed  acuti 
che  si  accavallano,  di  acroteri  appuntati,  condotti  con  arte  e,  per  giunta,  de'  graniti 
tirati  a  perfezione,  marmi  rigorosamente  intagliati  »  nei  trofei,  negli    angioli,    nelle 


M  I  L  A  N  O 


59 


sculture  dovute  a  diversi  maestri   minori  e,  all'interno,  riccamente  ornata  dai  Campi 
che  vi  si  rivelan  davvero  «  ancor  pieni  di  robustezza  e  d'energia  ». 

Vien  fatto  di  pensare  all'arte  originale    dell' Alessi    anche  osservando    il  cortile 


CUPOLA   DELLA    CHIESA   DI    S.   LORENZO.    ATTRIBUITA    AL    PELLEGRINI    0    A    MARTINO   BASSI. 


iFot.   Broci). 


della  casa  Bozzotti  già  Orsini-Roma,  in  via  S.  Giuseppe  11,  ad  arcate  sorrette  da 
belle  colonne  doriche,  con  una  ricca  decorazione  nelle  vòlte,  ornate,  nelle  linee  d'in- 
tersezione, di  figure  di  sirene,  e  nei  sott'archi  in  cui  i  comparti  accartocciati  richia- 
mali il  repertorio  decorativo  di  palazzo  Marino. 

Più  abbondante  che  ricca  è  l'arte  di  Vincenzo  Seregni.  Il  suo  palazzo  dei  Giù- 


6o 


ITALIA  ARTISTICA 


reconsulti  in  Piazza  [Mercanti  presenta  già  i  prodromi  dell'eccessività  del  secolo 
successivo,  ma  senza  però  che  l'equilibrio  abbia  ancor  rotto  i  confini  ammessi  in  quel 
momento  dell'architettura  giunta  all'  inizio  della  sua  parabola  discendente.  L'edificio 
è  a  due  piani,  compreso  il  terreno,  rialzato  di  alcuni  gradini,  a  mo'  di  loggiato  a  co- 
lonne appaiate.  Il  piano  superiore  è  provvisto  di  finestre  con  frontoni  ritagliati  in 
cui  campeggian  gli  stemmi  medicei.  Il  palazzo  delle  antiche  Scuole  Palatine,  nella 
vicina  piazzetta  dei  Mercanti,  è  una  copia  dell'edificio  descritto. 


1.0KT1LE   DEL    SEMINARIO.   DEL    MEDA. 


(Fot.   Brogi). 


I  documenti  non  confortano  invece  l'attribuzione  messa  innanzi  dalle  guide  della 
città  al  Seregni  della  chiesa  di  S.  Angelo,  a  due  ordini  nella  facciata,  dorico  il  primo 
che  si  foggia  nel  centro  a  forma  di  pseudo  tetrastilo  su  alti  piedestalli  e  con  tre 
porte  negli  intercolonni  ;  ionico  il  secondo  che  corre  per  intero  a  pilastri.  La  tra- 
beazione s'  interrompe  nel  centro  e  tondeggia  per  lasciar  luogo,  nel  centro,  a  una 
grande  finestra  a  balcone  ;  altre  due  finestre,  più  piccole,  s'aprono  ai  lati  ugual- 
mente formate  ;  la  sommità  termina  a  frontone,  ornata  di  statue  :  un  insieme  ar- 
monico e  festoso.  L'  interno,  monumentale,  è  a  una  sola  vasta  navata.  Vi  è  no- 
tevole 1'  iconografia,  tuttora  a  forma  di  croce,  ma  il  tramezzo  non  esce  che  per 
poco  a  fianco  della  chiesa  compreso  dal  muro  esteriore  delle  cappelle  ;    il  tramezzo 


M  ILANO 


61 


ha  lo  dimensioni  della  nave  d'  ingresso  posta  ortogonalmente;  ciò  che  dà  l'appa- 
renza di  maggior  ampiezza  è  non  solo  l'aggiunto  insenamento  corrispondente  alla 
cappella,  ma  un  grande  arco  col  quale  è  rinserrata  la  nave  d' ingresso  neh'  incontro 
col  tramezzo  medesimo  :  piccoli  artifici  che  spesso  tengon  posto  dell'arte  vera. 

Conviene  notare  tuttavia  che  se  fra  le  carte  numerose  del  convento  trovai  le  no- 
tizie relative  alla  costruzione  della  chiesa,  dal  1552  in  avanti,  e  agli  aiuti  ed  ai  pri- 
vilegi per  la  fabbrica  anche  dal  Papa  e  dal  Re  di  Spagna  e  la  relazione  sullo  stilo 


LA   «   SIMONETTA   »    NEL   SUBUKBIO   (A.     1  )47  ?). 


(Fot.  Ferrario). 


dei  lavori  stesa  il  2  novembre  1584  dall'architetto  Francesco  Pirovano  che  assicura 
che  a  quest'epoca  restava  a  completarsi  la  facciata  della  chiesa  e  un  portico  che  vi 
si  era  progettato  dinnanzi  (ciò  che  spiegherebbe  il  grande  spazio  lasciatovi  libero) 
e  le  notizie  delle  pitture  del  Procaccino,  del  Morazzone,  del  Fiammenghino,  non 
trovai  però  ricordo  del  supposto  intervento  del  Seregni. 

Di  un  altro  palazzo  ideato  dal  Seregni  con  forti  aggetti,  benché  rimasto  poi 
incompleto,  il  palazzo  di  Pio  IV  in  via  Brera  di  contro  al  palazzo  delle  Belle  Arti, 
abbattuto  per  l'allargamento  della  via.  non  rimangono  che  alcune  fotografie  e  le  no- 
tizie pubblicate  da  Luca  Beltrami. 

Seguace  del  Pellegrini  si  rivela  Giuseppe  Meda  nel  bel  cortile  —  a  loggia  do- 


62 


ITALIA  ARTISTICA 


rica  in  basso,  ionica  in  alto  —  del  Seminario  Arcivescovile  :  e  al  perdurare  di  forme 
ancor  pure  in  qualche  altro  edificio  milanese  — -  i  cortili  del  palazzo  del  Senato 
prima  di  tutti  —  non  rimase  forse  estraneo  il  buon  influsso  lasciato  dall'arte  di 
quel  primo  maestro. 


Altri  architetti  che  fiorirono  a 
Milano  e  il  nome  dei  quali  è  nei 
documenti  di  quel  tempo  che  mi 
fu  dato  rintracciare,  sono  Dionigi 
da  Varese,  ingegnere  della  Camera 
Cesarea  che  nel  1542  diresse  i  la- 
vori per  la  chiesa  di  S.  Giovanni 
Battista  fuori  di  Porta  Nuova,  Am- 
brogio Alciati  che  riformò  il  chio- 
stro del  Carmine  e  il  coro  nel  1584- 
1585  e  la  chiesa  di  S.  Maria  .Se- 
greta, un  maestro  Amelio  che  nel 
1596  presentava  un  disegno  per  la 
nuova  casa  degli  Oblati  di  San  Se- 
polcro, Dionigi  Campazzi  che  nel 
1596-99  rifece  il  campanile  dei 
Carmelitani  di  S,  Giovanni  in  Con- 
ca, de'  quali  il  Monastero  era  stato 
eretto  o  rinnovato  nel  1583  dal 
Seregni  benché  fin  dal  1576  l'ar- 
chitetto Bernardino  Lonati  avesse 
già  presentato  un  disegno  della 
fabbrica  insieme  al  Pellegrino  e  al 
Seregni,  ciò  che  fa  ritenere  che, 
nella  gara,  quest'ultimo  riuscì  vin- 
citore. Anche  di  Francesco  Piro- 
vano, ingegnere  camerale,  trovo 
abbondanti  notizie;  così  di  Dionigi 
da  Varese,  che  diresse  i  lavori  del 
convento  di  S.  Simpliciano  nel  1546, 
di  Martino  Bosio,  di  Cesare  Cesa- 
riano.  il  noto  commentatore  di  Vi- 
truvio,  e  G.  B.  Clerici,  Domenico 
Gianelli,  architetto  militare,  Lo- 
renzo Leonbruno,  architetto  e  pittore  che  lavorò  col  Costa  e  protetto  da  Isabella 
d'  Este  e  dal  Duca  di  Mantova,  Cristoforo  Lonati,  Zanino  Mozzo  cremonese,  Evan- 
gelista Saronno,  oltre  quelli  che  si  seguirono  nella  carica  di  architetti  del  Duomo 
lasciandovi  poco  notevoli  impronte  dell'opera  loro. 

E  modesti  ricordi  dell'architettura  del  Cinquecento  di  cui  invano  si  indagherebbe 


MARCO    D'AGKATE  :   S.    BARTOLOMEO. 


M  I  L  A  N  O  Ò3 

per  scoprirne  la  paternità  artistica  sono  l'antico  chiostro  delle  Umiliate  di  S.  Erasmo 
(in  via  Borgonuovo,  5)  con  portici  al  pianterreno  <>  un  loggiato  con  ampia  tettoia 
di  sopra,  il  palazzo  Stampa  di  Soncino  in  via  Soncino  con  la  sua  bizzarra  I 
detta  di  Carlo  V,  a  ricordo  del  quale  ivi  s'  innalzano  al  eielo  le  colonne  d'Atlante 
sormontate  dall'aquila  bicipite  e  col  suo  bel  cortile  a  portici  e  a  loggiato  a  colonne 
binate,  di  belle  proporzioni,  e  di- 
versi edifici  nel  suburbio,  fra  i 
quali  mi  piace  ricordare  l'oratorio 
di  S.  Rocco  della  Lupetta,  ornato 
di  affreschi  luineschi,  del  quale  pur- 
troppo si  eseguisce  l'atterramento 
in  questi  giorni  e  il  vicino  palazzo 
della  Simonetta  che  è  il  più  note- 
vole tipo  di  sontuosa  villa  subur- 
bana della  metà  del  XYI  secolo 
da  noi,  costrutto  da  un  architetto 
pratese,  Domenico  Guintallodi,  che 
lo  innalzò  d'  incarico  di  Ferrante 
Gonzaga  duca  di  Guastalla,  intorno 
al  1547.  In  una  lettera  del  Giovio 
si  fa  cenno  della  Simonetta  come 
di  un  ninfeo  suburbano  da  dedi- 
carsi a  Carlo  V  :  consta  la  fronte 
di  un  elegante  duplice  colonnato 
ad  architrave  con  ricca  trabeazione 
e  balconi  a  balaustre  innalzantesi 
sopra  il  porticato  terreno  ad  ar- 
chi; antiche  decorazioni  ispirate  al 
florealismo  e  all'araldica  ornavano 
le  logge  e  i  vasti  locali  della  bella 
villa,  oggi  purtroppo  mal  custodita 
e  quasi  abbandonata. 

Modesto  avanzo  ma  legato  a 
gran  nome  d'architetto  —  quello 
del  fiorentino  Giuliano  da  Sangallo 
—  è  quanto  rimane  della  casa  dei 
Medici  in  via  Terraggio,  con  de- 
corazioni in  cotto,  sola  parte  di 
una  testata   di    edificio  abbastanza 

ricco  sul  quale  il  Clausse  e  il  Beltrami  richiamaron  l'attenzione  insieme  all'atto  di 
donazione  della  casa  eretta  in  quel  luogo  e  all'accenno  del  Vasari  sull'intervento  del 
Sangallo. 


S.    LORENZO 


MONI  MINTO   CONTE. 

(Fot.  I.   I.  .l'Arti  Grafiche). 


Nella    scultura,    dopo    l' influsso    del    lezioso    Bambaja,    alla    maniera  del  quale 
G.  Giacomo  della  Porta.  Ambrogio  Volpi,   Cristoforo  Lombardi,  Giulio  da    Oggiono 


&4 


ITALIA   ARTISTICA 


e  alcune  modeste  sculture  sparse  nelle  chiese  e  nel  Museo  Archeologico  si  riavvici- 
nano, a  prova  di  una  piccola  scuola  che,  assecondando  i  gusti  del  tempo,  sembrò 
aver  quel  maestro  per  punto  di  partenza,  non  moltissimo  rimane  a  Milano  a  rap- 
presentare l'arte  del  Cinquecento  e  la   maniera  michelangiolesca,  che  pur  nelle  altre 

città  dell'alta    Italia  aveva  trovato   modo  di 
affermarsi  con  tanto  entusiasmo. 

Xella  foresta  di  statue  del  Duomo  non 
mancan  certamente  esemplari  della  scultura 
lombarda  che  segue  al  Bambaja  e  al  Brio- 
sco,  ma  non  son  esempi  di  particolare  im- 
portanza né  particolarmente  originali.  La 
peste  del  1524,  che  aveva  obbligato  i  de- 
putati alla  fabbrica  a  vendere  persino  i 
doni  dei  fedeli  e  gli  argenti  dell'altare  del- 
l' Albero  per  soccorrere  i  cittadini,  aveva 
spossata  l'Amministrazione  d'ogni  forza  atta 
a  far  progredire  i  lavori  di  decorazione  al 
monumento  :  a  quel  primo  flagello  si  ag- 
giunse la  carestia  nel  1528  e  di  nuovo  e 
più  tardi  la  più  funesta  peste  del  1576.  Fu- 
rono licenziati  ingegneri  e  lapicidi  e  le  ul- 
time tradizioni  artistiche  legate  al  monu- 
mento sembraron  spezzate  per  sempre.  Tut- 
tavia fra  gli  scultori  Gian  Giacomo  della 
Porta,  Cristoforo  Leonardi  e,  più  tardi.  An- 
gelo Siciliano  e  Gabrio  Busca  vi  furono 
principalmente  addetti,  insieme  ad  altri  ;  Au- 
relio, Gerolamo  e  Lodovico  Lombardi  da 
Solaro  apposero  il  loro  nome  nel  tempietto 
scolpito,  su  idea  del  Pellegrini,  sull'altare 
maggiore  destinato  a  custodire  il  taberna- 
colo di  Pio  IV.  Ma  queste  sculture  come 
quelle  che  ornano  il  recinto  marmoreo  del 
retrocoro  ideato  dallo  stesso  Pellegrini,  do- 
vute ad  Andrea  Biffi,  a  Giovanni  Bellanda, 
a  Gaspare  Vismara,  a  Marc'  Antonio  Pre- 
stinari,  come  le  due  statue  —  il  Tempo  e 
V Eternità  —  di  Angelo  Biffi  e  di  Antonio 
Daverio,  che  dovevano  ornare  la  tomba  del 
Pellegrini,  e  come  le  opere  di  Francesco 
Brambilla  (per  quarant'anni  ai  servigi  della  fabbrica  per  decorazioni  e  statue  di- 
verse), di  Antonio  da  Viggiù  (autore  del  Cristo  con  la  croce  che  esagera  la  maniera 
di  Cristoforo  Solari)  nella  sagrestia,  non  accennano  certamente  a  una  vera  scuola 
con  peculiarità  originali  in  Lombardia.  Né  la  statua  di  S.  Bartolomeo  scorticato, 
eseguita  da  Marco  d' Agrate,  se    è    prova    di    virtuosità,    è    certo  documento    note- 


0  marini:  statua  di  papa  pio  tv. 

Fot.  Alinarii. 


M  I  L  A  X  i  » 


65 


vole  d'arte,  nonostante  la  troppo  alta  nomea  di  che  le  vecchie  guide  circondarono 
questa  scultura  poco  piacevole,  alla  quale  fu  apposta  la  immodesta  e  vacua  iscri- 
zione :  Non  me  Praxiteles  sed  Marcus  finxit  Agrates.    L'artista  modellò    anche    una 


LA  <  ISA  ni  leoni:  leoni. 


1  Fot.  Brogi 


statua  di  S.  Francesco  di  Paola  pei  frati  di  Santa  Maria  della  Fontana  e,  secondo 
alcuni,  il  monumento  di  Giovanni  Conte  nella  cappella  di  S.  Ippolito  in  S.  Lorenzo, 
da  altri  attribuito  a  Cristoforo  Lombardo. 

Men    facile  sarebbe  rintracciare   —   e  ad  ogni  modo  precisare  il  posto  che  lor 
compete  nell'evoluzione  dell'arte  lombarda    —    le    sculture   eseguite,  in  quel  secolo, 


66  ITALIA  ARTISTICA 

pel  Duomo  da  più  modesti  scultori  di  cui  fan  ricordo  le  carte  e  gli  Annali,  quali 
Tommaso  Bossi,  i  due  Corbetta,  Gian  Ambrogio  Cremona  che  lavorò  intorno  al 
monumento  a  Gastone  di  Foix  insieme  ad  Antonio  Dolcebuono,  ad  Agostino  Pozzi 
e  allo  stesso  Cristoforo  Solari  (151 8),  Pietro  Antonio  Daverio  che  modellò  ben  trenta 
statue  per  la  fabbrica  dal  1598  al  162 1,  Cristoforo  Lombardo  che  modellò  varie 
statue  fra  cui  la  Santa  Caterina  per  l'altare  della  Presentazione  (1543),  Giovanni 
Angelo  De  Marinis  siciliano  (1 556-1 584),  Antonio  Padovano,  Alessandro  Pajarino 
(156 i-i 609),  Alessandro  Parisio,  Francesco  Perego  detto  il  Borella,  Michele  Pre- 
stinari,  Giulio  Cesare  Procaccini  non  valente  scultore  quanto  lo  fu  pittore,  Rinaldi  An- 
drea, Stefano  Rozio,  due  Solari,  due  Taurino  per  lunghi  anni  e  per  intagli  in  legno, 
due  Vimercati.  Trovo,  fra  le  vecchie  carte  d'archivio,  anche  ricordo  di  Giacomo 
Trezzi  nel  1574,  scultore  pensionato  dal  Re  di  Spagna,  di  Bartolomeo  Volpi,  di  Bat- 
tista Passeto,  di  G.  Maria  Zermignasio  musico  e  scultore  d'immagini  sacre  (1585), 
di  Luigi  Cozzi-  e  Giovanni  Antonio  da  Melegnano,  di  Clemente  Birago  scultore  del 
Re  di  Spagna,  di  Pietro  Paolo  e  Cesare  Romani,  ecc.,  dei  quali  è  già  sufficiente 
aver  ricordato  i  nomi  senza  insistere  sul  loro  valore. 

Di  Angelo  Marini  è  la  statua  di  Papa  Pio  IV  nel  Duomo  :  il  pontefice  è  rappre- 
sentato seduto  benedicente  sopra  una  ricca  mensola  ornata  degli  emblemi  papali  e 
di  mezze  figure  nude  maschili  a  1110'  di  erme  reggenti  lo  stemma  mediceo  ;  la  figura, 
un  po'  rigida,  non  manca  di  grandiosità  e  non  son  privi  di  eleganza  i  particolari  de- 
corativi eseguiti  con  diligenza. 

Il  maggior  rappresentante  della  scultura  del  Cinquecento  inoltrato  in  Milano  è  un 
maestro  d'altra  regione,  Leone  Leoni  di  Arezzo.  A  Milano,  dopo  avventurose  vi- 
cende, egli  si  stabilì  e  si  costrusse  un  palazzo  che  tuttora  rimane,  in  via  degli  Ome- 
noni,  e  del  quale  si  vuole  che  egli  stesso  abbia  dato  il  disegno  :  un  pian  terreno,  a 
bozze,  con  finestre  rettangolari  e  arcuate  e  sei  colossali  figure  di  schiavi  paludati,  a 
ino'  di  cariatidi,  reggenti  la  cornice  del  piano  superiore  e  altre  due,  dalla  cintola 
in  su,  nude,  reggenti  il  balcone  che  si  collega  alla  piccola  porta  ;  il  piano  superiore, 
di  miglior  gusto  e  con  pure  reminiscenze  michelangiolesche,  presenta  nicchie  e  finestre 
alternate  fra  le  colonne  a  muro.  A  Leone  Leoni  si  debbono  i  bronzi  del  monumento 
funerario  di  G.  Giacomo  Medici,  marchese  di  Melegnano,  nel  Duomo  di  Milano, 
ordinato  da  Pio  IV,  su  disegno,  se  crediamo  al  Vasari,  di  Michelangiolo,  ma  più 
verosimilmente  dello  stesso  Leoni  come  confortano  a  ritenere  le  assicurazioni  —  re- 
centemente richiamate  in  uno  studio  del  Beltrami  sul  monumento  —  di  un  contem- 
poraneo, Celio  Malaspina,  del  Moriggia  e  lo  stesso  contratto  pubblicato  dal  Casati 
e  riportato  poi  dal  Plon,  passato  il  12  settembre  1560  fra  l'artista  ed  i  rappresen- 
tanti di  Pio  IV  :  contratto  che  fu  in  tutto  rispettato  nell'esecuzione,  contrariamente 
a  quanto  il  Plon  credette  interpretando  inesattamente  il  documento.  Il  monumento, 
nelle  sue  linee  architettoniche  e  nelle  sue  figurazioni  in  bronzo,  corrisponde  al  mo- 
dello approvato  dal  committente  ed  era  già  condotto  a  termine  nel  1563.  Solamente 
fu  soppresso  il  sarcofago  che  doveva  occupare  il  posto  d'onore  nella  composizione 
e  fu  quindi  lasciato  scoperto  il  campo  centrale  contro  il  quale    doveva    adattarsi  la 


M  I L  A  N  O 


67 


cassa  marmorea  in  omaggio  alle  prescrizioni  del  Concilio  di  Trento  che  appunto 
allora  aveva  vietato  l' uso  di  riporre  i  cadaveri  entro  i  monumenti  addossati  alle  pa- 
reti.  Non  regge  quindi  —  come  notò  il  Beltrami  —  l'opinione  del  Plon,  che  sia  stato 


DUOMO      -    LEONE    LEONI  :    MONUMENTO   A  GIAN   GIACOMO   DE'    MEDICI. 


alterato  il  pensiero  dell'artista  contro  sua  voglia  con  la  soppressione  di  un  supposto 
basamento  «  qui  surélevait  le  monument  ». 

L'  intervento  di  Michelangiolo  si  limitò  probabilmente  a  un  consiglio  o  all'esame 
del  modello  che  il  Leoni  sottopose  all'approvazione  di  Pio  IV. 


ITALIA  ARTISTICA 


;.  L'atteggiamento  della  sta- 
tua del  Medici,  dalla  gamba 
sinistra  piegata  in  avanti,  sulla 
quale  è  gettato,  in  ampie  pie- 
ghe, il  manto,  ritorna  in  un'al- 
tra notevole  figura  del  Leoni, 
la  statua  di  Ferrante  Gonzaga 
a  Guastalla,  eseguita  con  mi- 
nor finezza  ma  più  larghezza 
di  modellato  che  quella  del 
Medici  dovendo  sorgere  all'a- 
perto. Anche  quella  statua  fu 
modellata  a  Milano  e  negli 
stessi  anni  in  cui  l'artista  s'ap- 
plicava al  monumento  Medici 
e  vi  pose  mano  a  finirla,  sem- 
bra, anche  Pompeo  figlio  di 
Leone. 

Gli  Annali  del  Duomo  ri- 
cordano che  Leone  Leoni  fu 
ai  servigi  della  Fabbrica  più 
volte:  nel  1563  per  provve- 
dere all'accomodatura  di  una 
campana,  nel  1565  per  collau- 
dare due  statue  modellate  da 
Angelo  De  Marini,  nel  1568 
per  la  fusione  degli  angeli  in 
metallo  da  collocarsi  sotto  il 
tabernacolo,  nel  1584  per  certe 
perizie;  del  1585  è  un  accenno 
della  sua  attività  per  rispon- 
dere alle  esigenze  del  Re  di 
Spagna.  Di  lui  come  del  figlio, 
scultore  e  incisore  alla  zecca 
di  Milano,  non  è  qui  il  luogo  opportuno  di  parlare  a  lungo.  Fra  i  dispacci  reali 
trovo  un  ordine  del  28  aprile  1587  per  provvedere  Pompeo  Leoni  del  metallo  ne- 
cessario per  fondere  certe  figure  che  per  ordine  del  Re  si  dovevan  collocare  in 
S.  Lorenzo;  e,  altrove,  del  23  febbraio  1590,  una  lettera  da  cui  risulta  che 
Pompeo  era  tuttora  ai  servigi  del  Principe  e  aveva  alle  sue  dipendenze  un  Cesare 
Villa  milanese,  il  quale,  appunto  allora,  desiderava  di  ritornare  in  patria. 

La  maniera  michelangiolesca  si  sforma  e  trasmoda  in  molte  statue  del  Duomo 
o  sulla  fronte  di  varie  chiese  in  Lombardia  :  ma  non  è  il  caso  di  ricordarle  qui, 
in  un'opera  che  vuol  additare  solamente  gli  esempi  migliori  e  più  caratteristici.  A 
pena  potremo  ricordare  le  statue  di  Adamo  ed  Eva,  non  prive  di  garbo  e  di  dol- 
cezza, ma   troppo  esili,  troppo  eleganti,  un  po'  fredde,  del  fiorentino  Stoldo  Lorenzi 


PARTICOLARE   DEL   MONUMENTO    A  GIAN   GIACOMO    DE'   MEDICI. 

(Fot.  Ferrarlo). 


MILANO 


6o 


di  Gino,  sulla  fronte  di  S.  Celso  a  Mi- 
lano :  a  lui  si  attribuiscon  le  men 
belle  statue  dell'  Angelo  e  dell'An- 
nunziata presso  il  bassorilievo  cen- 
trale, che  però  e  nel  movimento  ec- 
cessivo delle  linee  e  nel  modellato 
esuberante  che  prelude  al  Seicento  mi 
sembrano  d'altra  mano  e  più  tarde. 
Di  Annibale  Fontana  milanese  si  vo- 
glion,  nella  stessa  fronte,  le  Sibille  sul 
frontone  del  portale,  i  profeti  e  gli 
angioli  del  fastigio  :  a  lui  pure  si  at- 
tribuiscono dalle  guide  quei  bassori- 
lievi e  la  figura  della  Vergine  all'in- 
terno del  tempio.  Quanto  il  Fontana 
fosse  affezionato  al  tempio,  cui  lasciò 
anche  i  propri  disegni,  «  è  attestato  — 
riporto  dal  diligente  Morigeri  —  dalle 
altisonanti  benché  vere  parole  della 
lapide  posta  di  contro  all'  altare  e 
sotto  un'  altra  statua  S.  Giovanni  E- 
vangelista  lavoro  di  sua  mano  ;  nella 
quale  l'inclinazione  all'arte  decorativa 
del  Bonarrotti  è,  però,  già  troppo 
evidente,  benché  morto  a  47  anni. 
Egli  fu  qui  sepolto.  Meglio  si  dimo- 
stra, quale  orafo  e  fonditore,  nel  vi- 
cino cancello  di  bronzo  all'  ingresso 
del  presbitero  ». 

Nella  sagrestia  dello  stesso  tem- 
pio il  bel  lavabo,  opera  sua,  di  linee 
prevalentemente  architettoniche,  pre- 
senta un  delfino  che  butta  acqua 
dalle  larghe  fauci  e  due  putti  in  bronzo 
modellati  con  rara  eleganza. 

Le  statue  nel  quadrato  sotto  la  cupola  e  quella  presso  l'organo,  nella  chiesa 
stessa,  sono  invece  del  Lorenzi.  Nel  coro  gli  stalli  si  vogliono  eseguiti  su  disegno 
dell' Alessi  ;  certo  è  che  li  intagliò  Paolo  Bozza  nel  1570  e  li  condusse  a  termine  Gian 
Giacomo  Taurino.  La  scultura,  compresa  quella  in  legno,  trova  qui  dunque  ampio 
campo  di  studio. 

Lo  stile  michelangiolesco,  con  tutte  le  sue  eccessività,  è  rappresentato  a 
Milano  più  che  tutto  dal  Fontana,  artista  pieno  di  talento,  che  neh' ideare  le 
belle  Sibille  e  le  quattro  potenti  figure  dei  Profeti  per  la  fronte  di  S.  Maria  presso 
S.  Celso  raggiunse  un  grado  di  vigore  che  invano  si  cercherebbe  nei  contemporanoi 
della  regione  :   in  uno  dei  Profeti  ripetè  il  tipo  del  noto    Mosè  michelangiolesco,  ad 


PARTICOLARE   DEL   MONI  MUNTO   A    GIAN    GIACOMO   DE'    MEDICI. 

(i-'ot.  Ferrario). 


7° 


ITALIA  ARTISTICA 


altri  diede  forse  atteggiamenti  eccessivamente  studiati,  alle  pieghe  un  esageralo 
tritume  e  alle  sue  composizioni  (T  idea  dei  bassorilievi  di  quel  tempio  gli  deve  ap 
partenere)  poco  equilibrio  nella  distribuzione.  Ma  nelle  figure  isolate  e  specialmente 


S.    MARIA   DI   S.   CELSO   —    ANNIBALE   FONTANA  :    STATUA   DI   S.    GIOVANNI. 

(Fot.  I.  I.   d'Arti  Grafiche). 


nella  dolcissima  Madonna  dell'  interno  del  tempio  (nell'  ideare  la  quale  sembra  aver 
tenuto  presente  quella  .del  Briosco  sul  mausoleo  di  Giangaleazzo  nella  Certosa  di 
Pavia)  molta  distinzione. 

Con  questo  artista,   che  non  gode  la  fama  che  merita,  la  scultura  del    Cinque- 


M  1  L  A  N  O 


7i 


cento  nella  regione  si  afferma  dignitosamente,  pur  senza  competere  in  vivacità  e  in 
certa  originalità  con  la  pittura  lombarda  che  a  ben  maggiori  altezze  dovrà  volgere 
il   volo  spinta  dalle  tendenze  proprie  e  dai  favori  dell'ambiente. 


S     MARIA  DI   S.    CLLSO    —    ANNIBALI;    FONTANA:    LA    VEROINE 


l  ,.1 .   L.  I.  .l'Arti  Grafie  he). 


La  pittura  lombarda  nel  Cinquecento  trova  a  maggiori  e  più  attivi  rappresentanti 
Bernardino  Luini  e  Gaudenzio  Ferrari.  Intorno  ad  essi  si  svolge  una  numerosa  schiera 


72 


ITALIA  ARTISTICA 


di  seguaci  e  di  continuatori,  così  che  la  scuola  della  regione  la  quale,  presente  Leo- 
nardo a  Milano,  per  mezzo  di  pochi  benché  valenti  suoi  scolari  diretti  non  aveva 
certamente  dato  luogo  a  una  molto  grande  attività,  dopo  di  lui,  quasi  su  un  terreno 
ben  seminato,  diede  invece  frutti  in  così  gran  copia  da  rappresentare  uno  dei  fo- 
colari artistici  più  importanti  d' Italia. 

La  produzione  luinesca  ha  del  prodigioso  :  fra  grandi  e  minori  gli  vengono  at- 
tribuiti dal  Williamson  —  1'  ultimo  biografo  del  maestro  — ■  e  da  altri  recenti  critici, 
intorno  a  duecento  dipinti  sparsi  nelle  chiese  a  Milano,  a  Venezia,  a  Firenze,  a  Roma, 

a  Napoli,  a  Monza,  a  Saronno,  a  Ber- 
gamo, a  Baveno,  a  Pavia,  a  Como,  a 
Legnano,  a  Luino,  a  Morimondo,  in 
Valtellina  ;  all'estero  vantano  opere  a 
lui  attribuite  Lugano,  Buda-Pest,  Vien- 
na, Londra,  Oxford,  Copenaghen,  Pa- 
rigi, Berlino,  Monaco,  Pietroburgo, 
Madrid. 

Il  periodo  più  florido  dell'attività 
del  Luini  è  quello  che  va  dal  1520 
al  1530:  una  delle  prime  sue  opere, 
la  Deposizione  nel  coro  della  chiesa 
di  S.  Maria  della  Passione  a  Milano, 
presenta  relazioni  con  l'arte  del  Ber- 
gognone,  del  quale  il  Luini  potè  am- 
mirare le  opere  nella  stessa  chiesa  : 
i  tipi  dei  due  santi  vescovi,  le  pie 
donne  e  il  paesaggio  accidentato  del 
fondo  ricordano  quelli  cari  al  vecchio 
pittore  lombardo.  E  uguali  relazioni, 
che  lascierebber  credere  che  Bernar- 
dino seguisse  da  principio  la  scuola 
del  da  Fossano,  ritornano  qua  e  là, 
men  palesemente,  in  altre  opere  gio- 
vanili, anche  se  non  precisamente, 
cornei  pareva  al  Morelli,  negli  affre- 
schi di  Brera  qui  trasportati  dal  convento  delle  Vetere.  Ne  l'artista  rimase  poi 
estraneo  allo  stile  personale  del  Bramantino,  come  assicurano  diverse  figure  della 
sua  seconda  maniera. 

La  grande  e  più  moderna  arte  di  Leonardo  doveva  più  tardi  influire  sulla  im- 
pressionabilità artistica  del  pittore,  pur  senza  toglier  nulla  alla  bella  e  vivace  natura 
dell'esuberante  Bernardino. 

A  questa  maniera  il  Morelli  è  disposto  a  riferire  una  Madonna  col  Bam- 
bino di  Brera,  la  grande  Sacra  Famiglia  della  collezione  Ambrosiana  e  diverse  opere 
altrove  ;  a  una  terza  —  la  così  detta  maniera  bionda  —  dal  1520  al  1530  —  nella 
quale  il  maestro  si  presenta  in  tutta  la  maggiore  indipendenza,  appartengono  le 
opere  migliori  :  gli  affreschi  della  chiesa  di  S.  Maurizio,  il  bellissimo  polittico  della 


S.   .MARIA  DI    S.    CELSO 
SAGRESTIA. 


ANNIBALE   FONTANA:   LAVABO   NELLA 
(Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


M  [L  ANO 


73 


BERNARDINO   LI  INI:    DEPOSIZIONE    DALLA    CROCE     Hill. SA    DILLA    PASSIONI    . 

(Fot.   [.  1.  d'Ai  ii  Grafiche). 


parrocchiale  di  Legnano,  gli  affreschi  a  Santa  Maria   degli  Angioli  a  Lugano  e   ;iu 
merosi  quadri  di  minori  proporzioni. 

Gli  affreschi  nell'interno  della  chiesa  di  S.  Maurizio  del  Monastero  Maggiore 
rappresentano  il  più  vistoso  e  felice  connubio  fra  l'edilizia  e  la  decorazione  pittorica 
a  Milano  nel  Cinquecento:  appena  la  meravigliosa  cupola  di  Saronno  può,  sotto 
questo  punto  di  vista,  essere  paragonata  a  quel  tempio. 


74  ITALIA  ARTISTICA 

Nel  1506  i  Bentivoglio,  abbandonata  la  signoria  di  Bologna  quando  Giulio  lise 
ne  impadronì,  si  rifugiarono  a  Milano,  consigliati  fors'anche  dal  fatto  che  Alessandro, 
figlio  dello  spodestato  Giovanni  li,  aveva  per  moglie  Ippolita  Sforza  nata  dal  ma- 
trimonio di  Carlo,  figlio  naturale  del  duca  Galeazzo  Maria  Sforza,  con  Bianca  Si- 
monetta. I  Bentivoglio  si  eressero  un  palazzo,  presso  la  chiesa  di  S.  Giovanni  in 
Conca,  che  non  doveva  essere  privo  di  attrattive  artistiche  a  giudicare  dalle  tradi- 
zioni della  famiglia  —  che  aveva  innalzato  a  Bologna  il  più  bello  e  riccamente  deco- 
rato palazzo  d'  Italia,  distrutto  allora  da  furor  di  popolo  immemore  —  più  che  dal  por- 
tale che  di  quel  nuovo  palazzo  costrutto  a  Milano  rimane  nel  Museo  Archeologico. 
Una  delle  figlie  di  Alessandro  s'era  fatta  monaca  e  rinchiusa  nel  Monastero  Mag- 
giore di  S.  Maurizio.  La  chiesa  vantò  per  questo  la  particolare  protezione  dei  Benti- 
voglio —  che  vollero  esservi  sepolti  —  e  delle  famiglie  con  loro  imparentate.  Il  Luini 
svolse  nella  parete,  che  divide  in  due  parti  la  bella  chiesa,  quella  sua  vivacissima 
decorazione  a  buon  fresco,  e  vi  riprodusse  le  figure  dei  due  committenti  Alessandro 
e  Ippalita  e  forse  della  giovane  monaca  Alessandra,  benché  nessuna  indicazione  lo 
precisi.  Il  Beltrami  richiamò  già  diversi  elementi  a  ritenere  che  l'opera  del  pittore 
debba  riportarsi  agli  anni  dal  1522  al  1524,  e  l'età  dimostrata,  nell'affresco,  dai  ri- 
tratti dei  due  committenti  può  infatti  corrispondere  a  quella  che  essi  avevano  a 
quell'epoca.  Qualche  anno  più  tardi,  e  precisamente  nel  1530.  il  causidico  milanese 
Francesco  Besozzi,  volendo  adornare  la  terza  cappella  di  destra,  ricorse  allo  stesso 
Luini,  che  vi  produsse  la  scena  della  Flagellazione  e,  nella  parete  di  destra,  la  scena 
della  decollazione  di  S.  Caterina,  per  rappresentare  la  qual  figura,  dolcemente  re- 
clina a  mani  giunte  in  attesa  del  colpo  fatale,  il  pittore,  secondo  una  leggenda, 
avrebbe  riprodotte  le  sembianze  di  quella  contessa  di  Challant  «  assai  bella,  ma 
tanto  viva  ed  aggraziata  che  non  poteva  essere  più  »,  della  quale  il  novelliere  con- 
temporaneo Bandello  raccontò  la  tragica  fine.  Ma  i  nuovi  documenti,  nella  loro  ine- 
sorabile oggettività,  e  la  narrazione  lasciataci  dal  Grumello  modificaron  non  poco  la 
leggenda  quale  il  Bandello  la  raccolse  :  e  a  lui  lasciam  tutta  la  responsabilità  sulla 
veridicità  della  riproduzione  iconografica  della  contessa  precisamente  «  nella  chiesa 
del  Monastero  Maggiore  »,  anche  se  la  mancanza  di  quei  caratteri  peculiari  ai  ri- 
tratti dal  vero  consiglino  piuttosto  di  ritenere  quella  dolce  e  pia  figura  del  tutto 
impersonale. 

Le  carte  del  monastero  mi  rivelaron  nomi  e  numerosi  particolari,  che  qui  sa- 
rebbe inutile  riportar  tutti,  sulle  pitture  e  le  decorazioni  che\seguiron  a  quelle  di 
Bernardino  e  che,  tutte  insieme,  contribuirono  con  la  loro  delicata  leggiadria  a  fare 
di  quel  tempio  quasi  un  grande  cofano  :  Pietro  e  Aurelio  Luini  vi  dipinser  una 
cappella  per  commissione  della  contessa  Bergamini  e  vi  riprodusser  uno  Christo 
che  aresiisita  e  tre  ladroni  al  sepulcro  e  ai  Iati  la  Maddalena  dinnanzi  a  Gesù  vestito 
da  ortolano,  e  Gesù  con  doi  apostoli  quando  andò  in  Emans  ;  e  stesero  nei  vani, 
nelle  vòlte,  nelle  pilastrate  una  gaia  florescenza  de  foiami  e  festoni  e  altre  cliose 
che  stiano  bene  (1555);  Antonio  Campi  dipinse  la  tela  dei  «  Re  Magi»  pel  centro 
principale  della  tramezza  e  che  erroneamente  il  Lattuada  ascrisse  al  Luini  (1578), 
come  l'organo  era  stato  eseguito  da  Giovanni  Giacomo  degli  Antignati  uguale  a 
quello  di  S.  Simpliciano  (1554)  e  Francesco  de  Medici  da  Seregno  ne  aveva  dipinta 
la    cassa    e   Giov.    Antonio    Ferrari    e    Giuseppe    Prevosti    avevan    modellato   molti 


MI  LA NO 


7  5 


stucchi    decorativi    (1573)    e    lo    scultore    G.    B.    da    Vallate    stemmi    e    ornati    in 
pietra  (1572). 

Il  Luini,  quale  frescante,  occupa  certamente  il  maggior  posto  della  scuola    lom- 


BERNARDINO    U'IN'I  .    LA   VERGINE  COL   BAMBINO   (U.    PINACOTECA   DI    BRERA). 


(F.  :.    Uinari). 


barda  dopo  Leonardo  :   il  suo    ciclo    di    affreschi    nel    casino  di    villeggiatura    della 
famiglia  Pelucchi  presso  Monza  — •  staccati  nel   1822  ed  oggi  sparsi  in  oltre  quar, 
pezzi  a  Brera,  nel  palazzo  Reale  di  Milano,   presso  il  sig.    avv.    Cologna,    presso    i 
sigg.  Grandi,  e  a  Parigi,  a  Chantilly  e  a  Londra  — ,  quelli  della  cappella  di  S.  Giuseppe 


76 


ITALIA  ARTISTICA 


in  Santa  Maria  della  Pace  recentemente  ricomposta  nella  pinacoteca  di  Brera,  ese- 
guiti fra  il  1520  e  il  1524,  quelli  già  nella  chiesa  e  nel  convento  di  Santa  Marta 
e  gli  altri  già  nel  monastero  delle  Vetere  (non  nella  chiesa  perchè  il  Torre,  il  Lat- 
tuada,  il  Bianconi  non  li  ricordano  ivi),  oggi  tutti  a  Brera,  rivelano  un  pittore  forse 
qualche  volta  frettoloso,  ma  vivace,  originale,  gaio  colorista  sempre.  Certi  difetti 
anche  fondamentali  nel  disegno  e  alcune  volgarità  di  forme  e  di  particolari,  spe- 
cialmente nelle  composizioni  maggiori  per  la  chiesa  della  Pace,  rivelai!  l' inter- 
vento di  aiutanti  nell'opera  grandiosa.  In  certi  quadri  di  cavalletto  —  la  deliziosa 
Madonna  del  Roseto,  due  Madonne  col  Figlio  a  Brera,  lo  Sposalizio  di  Santa  Ca- 
terina nel  museo  Poldi-Pezzoli,  nella  col- 
lezione Borromeo,  in  quella  dell'Ambrosiana 
ecc.  —  la  vigorìa  del  colorito  caldo  e  vi- 
vace si  sposa  a  una  dolcezza  di  sentimento 
cristiano  contenuta  e  profonda,  forse  un  po' 
monotona  per  il  lungo  ripetersi  in  identiche 
forme  in  cui,  come  nota  veramente  il  Mo- 
relli, ritornan  spesso  gli  eguali  difetti,  le  linee 
un  po'  pesanti,  i  piedi  un  po'  lunghi,  le 
mani  troppo  larghe,  a  cui  potremmo  aggiun- 
gere un  carattere  tolto  a  Leonardo,  comune 
a  quasi  l' intera  scuola  lombarda  di  questo 
tempo,  ma  che  nel  Luini  trova  il  principale 
interprete  :  gli  zigomi  eccessivamente  lon- 
tani fra  loro  e  il  mento  piuttosto  basso  a 
dar  al  viso  una  forma  allungata  che,  se 
aggiunge  grazia  e  carattere,  rivela,  a  lungo 
ripetersi,  una  maniera  fatta,  benché  il  punto 
di  partenza  si  debba  trovare  nel  tipo  pre- 
valente nelle  donne  lombarde,  nelle  quali  il 
Luini  e  prima  di  lui  lo  stesso  Leonardo 
vider  certamente  i  modelli  per  le  loro  Ma- 
donne e  le  loro  sante,  formose,  solidamente  costrutte,  di  un  tipo  assolutamente 
diverso  da  quelli  predominanti  nelle  opere  dei  maestri  toscani,  ferraresi,  veneziani, 
più  delicate  forse,  ma  men  vere.  Nei  tipi  dei  vegliardi,  solenni,  abbondantemente 
chiomati,  quasi  olimpici,  il  Luini  invece  si  staccò  piuttosto  dalla  natura  e  si  plasmò 
un  motivo  suo  proprio. 

Col  Luini  la  scuola  lombarda  per  la  prima  volta  —  eccezion  fatta  per  la  Cena 
delle  Grazie  e  anche  questa  soltanto  da  certi  aspetti  —  trovò  un  maestro  che 
alla  composizione  diede  forme  e  concetti  nuovi  :  naturalezza  negli  aggruppamenti, 
grandiosità  nelle  scene  d'ambiente,  sapienza  nelle  ricostruzioni  storiche  o  mitologiche. 
Con  ugual  sicurezza  e  senza  mai  venir  meno  alla  sua  originalità  egli  riproduce  scene 
or  civettuole  e  gaie  come  il  giuoco  del  guancialino  d'oro  (Brera  n.  71),  or  curiose  e  vi- 
vaci come  le  mitologiche  del  sacrificio  del  dio  Pane,  di  Dafne  trasformata  in  alloro, 
della  Nascita  di  Adone  (Brera,  n.  73,  74,  76),  di  Vulcano  e  Venere  fabbricanti  le  ar- 
mature di  Achille  (Palazzo  Reale),  della  Fucina. di  Vulcano  del  Louvre  ;  or  popolate  e 


B.    LUINI  :    PARTICOLARE   DELLA   SACRA   FAMIGLIA   (PINA 
COTECA   AMBROSIANA).  (Fot.   Anderson). 


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78  ITALIA  ARTISTICA 

grandiose  come  il  S.  Giuseppe  scelto  a  sposo  di  Maria  ^Brera,  n.  302),  il  Cristo  inco- 
ronato di  spine  dell'Ambrosiana,  lo  Sposalizio,  la  Presentazione  al  tempio  e  V Ado- 
razione di  Saronno,  le  scene  in  S.  Maurizio  a  Milano,  la  grande  Crocifissione  di  Lu- 
gano (1530).  In  alcune  scene  spinse  la  grazia  e  il  sentimento  fino  alla  poesia.  In 
quella  della  salma  di  S.  Caterina  deposta  dagli  Angioli  nel  sepolcro   a  Brera  (n.  288) 


BERNARDINO    Ll'l.NI  :    LA   CASTA   SUSANNA     COLLEZIONE   BOKROMEO). 


(Fot.   Marcozzi). 


la  virtuosità  nel  render  la  leggerezza  delle  tre  figure  librantisi  nello  spazio  —  sì  che 
par  quasi  di  sentire  il  lieve  fruscio  delle  vesti  sbattute  dall'aria  tagliata  rapidamente 
—  è  uguale  all'armonia  e  al  ritmo,  cui  nuoce  appena  la  rigidità  delle  linee  del  sepolcro 
scoperchiato  nel  basso,  anche  se  non  oseremo  sottoscrivere  all'asserzione  del  Muntz 
che  «  Léonard  eùt  été  impuissant  à  donner  à  une  de  ses  compositions  une  netteté 
pareille,  avec  des  contours  si  tranchés  et  un  agencement  si  décoratif  ». 

Numerosi  artisti   —  parecchi    tuttora  ignoti  -  -  seguiron    la   maniera    del  Luini, 
oltre  Aurelio,  suo  figlio. 


AI  l  L  A  N  O 


79 


Gaudenzio  Ferrari  non  possiede  certamente  la  grazia  del  Luini,  del  quale  fu 
contemporaneo,  ma  nell'  invenzione,  nel  sentimento  drammatico,  qualche  volta  nella 
forza  del  comporre  gli  fu  superiore. 


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BERNARDINO    J.UM:    PARTICOLARE   DEGLI   AIIKESCHI   IH    S.    MAURIZIO. 


La  critica  moderna  non  è  d'accordo  sulla  derivazione  artistica  di  Gaudenzio,  ne 
il  problema,  per  chi  non  limita  la  propria  osservazione  alle  manifestazioni  superfi- 
ciali dell'arte,  si  presenta  di  poco  interesse  ;  gli  si  danno  troppi  e  diversi  maestri 
perchè  un  accordo  sia  per  ora  possibile.  Il  Morelli,  richiamando  l'asserzione  del 
Lomazzo  il    quale,    da    giovane,   poteva    aver    conosciuto    il    vecchio  Gaudenzio 

Ferrari  ed  esser    quindi  ben  informato  sulla  sua  educazione  artistica    —    che  ce  lo 
presenta  quale   uno  scolaro  dello  Scotto  a  Milano,  poi  di  Bernardino  Luini,  osserva 


So 


ITALIA  ARTISTICA 


che  nessun  scrittore  fa  cenno  dello  Scotto  e  nessuna  sua  opera  si  conosce.  Oggi 
non  potremmo  più  dire  altrettanto  perchè  le  recenti  ricerche  hanno  rivelata  tutta  una 
famiglia  di  artisti  di  quel  nome  fioriti  in  Lombardia  nel  XV  secolo  e  qualche  opera 
non  priva  d'importanza. 

Altri  trovan  rapporti  fra  le  prime  opere  del  Ferrari  e  l'arte  del  Bramantino  : 
il  Bordiga  invece  lo  volle  scolaro  di  Girolamo  Giovenone  e  il  Morelli  di  Macrino 
d'Alba  e  degli  Oldoni  di  Vercelli  ;  altri  persino  di  Perugino  e  di  Raffaello.    Il  Lo- 


:NAkDINO   LI  INI:    PAKTICC 


:gli  affreschi  di  s.  mairizu 


mazzo  ne  fece  addirittura  un  genio  multiforme  come  il  Leonardo.  «  Fu  pittore,  pla- 
sticatore, architetto,  ottico,  filosofo  naturale  e  poeta,  sonator  di  lira  e  di  liuto  ». 

Sicuri  sono  i  rapporti  fra  i  suoi  dipinti  giovanili  della  galleria  di  Torino  e  il 
Bramantino  nelle  figure  lunghe,  nei  tipi,  nel  muover  largo  dei  panni.  Le  ultime  ri- 
cerche del  Colombo  —  che  ha  trovato  recentemente  varie  prove  di  una  attiva 
permanenza  del  pittore  a  Vigevano,  di  cui  è  anche  riconferma  in  un  documento 
milanese  --  e  di  Ethel  Halsey,  recente  biografa  del  pittore,  provan  che  questi,  nato 
in  Valduggia  intorno  al   1480,  visse  fino  al   1540. 

A  mio  parere  la  critica  moderna  non  ha  reso  sufficientemente  giustizia  a  Gau- 
denzio. Il  Morelli,  è  vero,  non  risparmia  elogi  al  maestro  dei  grandi  aggruppamenti 
in  cui  aleggia  un  forte  spirito  drammatico  e  non  si  perita  a  confrontarlo  con  lo 
stesso  Raffaello,  nella  grande  Crocifissione  di  Varallo  :  e  gli  autori  del  Cicerone  — 
cito  questi  perchè  sembrati  riassumere  il  giudizio  di  molti  altri  —  osservano  che  la 


M  [  L  A  N  O 


81 


vita,  il  movimento,  l'espressione  violenta  delle  passioni  dell'  animo  nelle  sue  com- 
posizioni son  degni  di  un  maestro  di  prim'ordine  ;  ma  si  sembra  dimenticaro 
che  nella  stessa  rappresentazione  del  sentimento  cristiano  e  della  dolcezza  ii  piU<a-(> 
raggiunse  un'  altezza  a  cui  nessuna  scuola  dell'alta  Italia,  esclusa  forse  la  veneta, 
ora  mai  giunta.  Questa  sembra  essere  anzi  la  principale  tendenza  del  pittore  fin 
dai  primi  suoi  lavori  e  che  trova  le  più  belle  e  felici  rappresentazioni  nella  soavis- 
sima   Annunciazione    della    collezione    Layard  di  Venezia    e    in  quella  della  gali  ria 


BERNARDINO    LUINI  :    PARTICOLARE    DEGLI    AFFRESCHI   DI   S.   MAURIZIO. 


di  Berlino,  in  alcuni  gruppi  degli  affreschi  di  Varallo,  nella  bionda  Madonna  col 
Bambino  della  galleria  di  Brera,  benché  la  Vergine  nel  tipo  e  nell'abito  valsesiano 
presenti  un  carattere  più  profano  che  sacro,  nella  bellissima  Pietà  della  collezione 
Crespi  — ■  un  motivo  che  ritorna,  con  varianti,  altre  volte  nel  repertorio  del  maestro 
—  nella  Madonna  col  Bambino  della  collezione  Borromeo,  di  una  soavità  senza  pari, 
nella  Natività  di  San  Gaudenzio  a  Vercelli,  ma  più  che  tutto  negli  affreschi  della 
cupola  di  Saronno.  Se  l'insieme  di  questo  ultimo  capolavoro  non  dissimula  qualche 
po'  dell'affastellamento  eccessivo  di  gruppi  che  nella  seconda  serie  di  opere  sue 
il  maestro  non  saprà  evitare,  esaminati  uno  per  uno  quei  gruppi  presentano  an- 
cora tutto  il  soave  incanto  delle  prime  opere:  benché  il  dipinto  appartenga  al  1534 
offre  ancor  tutta  la  ingenuità  di  un  maestro  primitivo,  nel  sentimento  e  in  parte 
nella  disposizione  stessa  che,  dopo  tutto,  è  ben  semplice,  quasi  a  zone,  e  non  può 
esser  confrontata,  per  ciò,  come    Ethel  Halsey  vorrebbe,  con  le  cupole  frescate  dal 


82 


ITALIA  ARTISTICA 


Correo-o-io  nel  Duomo  e  in  S.  Giovanni  Evangelista    di    Parma,    trionfanti     con    ben 
più   sapienti  aggruppamenti. 

Anche  quando  per    accrescere  il  senso    drammatico     all'azione  è  costretto,  con 


Hl.KNAKDI.NO   LUINI  :   SACUA   FAMIGLIA  (PINACOTECA    AMBROSIANA;.  (Fot.   Anderson). 


danno  dell'equilibrio  e  dell'armonia  della  composizione,  ad  affastellar  figure,  le  une 
a  ridosso  delle  altre,  senza  posa,  senza  il  dovuto  passaggio  di  piani,  come  in  certe 
parti  degli  affreschi  di  Varallo,  nel  quadro  della  Pietà  di  Cannobio,  nella  Deposizione 
della    galleria  di  Torino,    nella    Madonna  coi  santi  e    putti  e    nella    Crocifissione  in 


M  I  L  A  X  O 


83 


San  Cristoforo  di  Vercelli,  nel  Martirio  di  Santa  Cale  ri  ìli  d)  [Alessandria  di  Brera, 
il  senso  drammatico  è  più  apparente  che  reale  e  sentito,  benché,  in  confronto  al 
Luini,  Gaudenzio  rappresenti  già  un  gran  passo  in  avanti  nella  rappresentazione 
drammatica. 

A  Milano  le  opere  del  Ferrari  son  numerose.  Ve  n'  ha  a  Brera,  nel  museo  Poldi- 
Pezzoli,  nel  coro  di  S.  Maria  presso  S.  Celso  (il  Battesimo  di  Cristo),  nella  collezione 
Crespi,  e  altrove.  E  non  divideremo  l'opinione  degli  autori  del  Cicerone  che  le  opere 


BERNARDINO   LUINI:    LA   FLAGELLAZIONE   (PINACOTECA   AMBROSIANA. 


(Fot.  Anderson). 


del  Ferrari  conservate  nelle  gallerie  non  diano  idea  del  suo  talento  :  nella  sola  colle- 
zione di  Brera  i  quadri  piccoli  da  cavalletto,  la  grande  composizione  del  Martirio  di 
Santa  Caterina  d'Alessandria,  i  vivacissimi  affreschi  già  in  S.  Maria  della  Pace  — 
ben  tredici  pezzi  — ■  son  documenti  preziosi  della  variabile  tempra  di  questo  attivis- 
simo artista.  Nella  stessa  collezione  è  rappresentato  degnamente  anche  il  princi- 
pale dei  seguaci  di  Gaudenzio,  il  vercellese  Bernardino  Lanino,  con  alcuni  affreschi 
già  in  Santa  Marta,  col  Battesimo  di  Gesù,  con  le  Madonne  e  varii  santi,  col  deli- 
catissimo disegno  a  carbone  per  V Adorazione  del  Bambino.  I  suoi  affreschi  rivelan 
però  la  distanza  che  lo  separa  dal  maestro.  Forse  per  questo  un  altro  manierista,  il 


§4 


ITALIA  ARTISTICA 


Lomazzo,  ne  lodò 
«  la  leggiadrìa  et 
la  forza  del  suo  bel 
operare  ».  Tuttavia 
nel  suo  capolavoro, 
il  Martirio  di  Santa 
Caterina,  a  buon 
fresco,  in  S.  Nazaro 
Maggiore,  il  pittore 
si  avvicinò  all'arte 
del  maestro  ;  la  tra- 
dizione vuol  vedere, 
fra  quelle  molte  fi- 
gure, anche  il  ri- 
tratto di  Gaudenzio, 
del  Luini  e  di  un 
altro  scolaro  del 
primo,  G.  B.  Cerva. 
Fermo  Stella  e  il 
Vaiorsa  che  dipin- 
sero in  Valtellina  e 
nel  Comense  qual- 
che volta  non  senza 
delicatezza ,  conti- 
nuar on  per  un  mez- 
zo secolo  l'eco  del- 
l' arte  del  maestro: 
altri,  come  il  De 
Magistri,  il  Donati, 
s'  ispiraron  ,  come 
poterono,  ora  alla 
maniera  del  Luini, 
ora  a  quella  di  Gau- 
denzio ,  perpetuan- 
do, in  pieno  periodo 
di  decadenza,  qual- 
che po'  della  gen- 
tilezza e  del  com- 
posto sentimento  di 
quei  vecchi  maestri. 
Perchè,  per  dirla 
con  le  belle  parole  del  Muntz,  la  scuola  milanese  di  questo  tempo  rassomiglia  a  un 
bello  e  delicato  adolescente  che  si  abbandona  al  piacere  di  vivere,  al  piacere  d'a- 
mare e  che  ignora  le  tristi  preoccupazioni  e  le  laidezze  della  vita  ;  «  libre  aux  flo- 
rentins  de  creuser  les  mystères  de  la  philosophie,    la    science    du    dessin  ;   pour  les 


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MADONNA   COL   BAMBINO    E   DUE   SANTI   (COLLEZIONE   BORROMEO]. 

(Fot.  MarcozziJ. 


M  I  LANO 


85 


disciples  de  Léonard,  s'ils  sont 
réussis  à  remplir  Ieur  ròle  de 
poètes,  à  émouvir  et  à  char- 
mer,  leur  ambition  est  sati- 
sfatte ». 

Paolo  Lomazzo  -  meglio 
noto  per  esser  stato  quasi  il 
Vasari  della  scuola  lombarda 
—  e  il  suo  scolaro  Ambrogio 
Figino  appartengon  già  al  pe- 
riodo dello  sfacelo  della  scuola 
locale.  Si  mostran,  del  primo, 
nelle  chiese  milanesi,  gli  A- 
postoli  nella  piccola  cupola 
della  quarta  cappella  a  destra 
in  S.  Marco  che  non  sembrali 
appartenergli,  mentre  gli  ap- 
partengon invece  —  lo  prova 
la  firma  stessa  —  la  tavola 
nella  terza  cappella  che  è  del 
157 1,  le  pitture  ai  lati  di  una 
cappella  che  fa  parte  del  pre- 
sbiterio in  S.  Maurizio,  benché 
dubitativamente,  le  tre  figure 
di  Santi  in  S.  Paolo  nel  primo 
altare  a  sinistra,  forse  la  Pre- 
dicazione di  S.  Paolo  nella  sa- 
grestia di  S.  Maria  alla  Porta 
e  sopratutto  gli  affreschi  nella 
cappella  alla  testata  sinistra 
del  tramezzo  in  S.  Angelo  coi 
fatti  della  Vergine  e  che  è  da 
riconoscere,  secondo  il  Mon- 
geri,  «  fra  le  opere  sue  mi- 
gliori, come  quelle  che  mo- 
strano non  avere  egli  ancora 
del  tutto  sacrificate  le  remini- 
scenze dell'arte  leonardesca  alle 
caricature  dell'arte  dei  Raffael- 
listi  »   e  anteriore  al    1570. 

Del  Figino  il  bel  ritratto 
di  Lucio  Foppa  a  Brera  dà  il 
miglior    saggio    dell'arte   sua  ; 

gli  vengon  attribuiti  il  S.  -  Ambrogio  a  cavallo  in  S.  Eustorgio,  due  composizioni  nelle 
arcate  dell'orbano  del  Duomo,  X Incoronala  in  S.  Fedele,  un  San  Marco  «  caricatura 


GAI  DI  NZIO    FERRARI  :    IL  BATTI-SIMO   DI    GESÙ    CRISTO   (.NEL  COKO   OELLA 

chiusa  DI  S.   MARIA  Di  S.  CELSO).  'I  ot.  I.  1.  d'Arti  Grafiche). 


86  ITALIA  ARTISTICA 

michelangiolesca  »    in    S.  Raffaele,    la    Vergine  che    schiaccia  il  serpente  in  S.  An- 
tonio Abate. 


A  Milano,  attratti    dai  maggiori    maestri  e  dalle    richieste  dei    committenti  — 
primi  le  chiese  e  i   monasteri   che    s'  eran    andati    moltiplicando  e    che    sostituiron, 


GAUDENZIO   FERRARI  :    LA   PIETÀ     GALLERIA  CRESPI).  (Fot.    Anderson). 


.MILANO 


37 


dopo  la  metà  del    XVI    secolo,    gii  antichi    mecenati  —,   venner  numerosi    i  pittori 
delle  scuole  vicine  ;  specialmente  cremonese  e   lodigiana. 

Vincenzo  Campi  cremonese,  fiorito  nella  seconda  metà  del  XVI  secolo,  m< 
che  nelle  due  figure  di  Brera  (una  fruttivendolo  od  una  pescivendolo)  può  esser  co- 


GAUDLN/10    FERRARI!    LA   VERGINE    COL   BAMBINO  (le.    PINACOTECA  DI   BRERA). 

(Fot.  I.   1.  d'Ani   Grafiche). 


nosciuto    in  qualche  quadro  nelle  chiese  milanesi  e  specialmente    negli    affreschi  un 
po'  farraginosi  ma  ancor  pieni  di  energia  in  San  Paolo  eseguiti    insieme   ai  fratelli 

Giulio  e  Antonio. 

Si  attribuiscono  ad  Antonio  Campi  la  Maddalena  e  Cristo  in  vesti  da  ortolano 
in  San  Tommaso,  due  quadri  nella  sagrestia  di  S.  Alessandro,  uno  in  S.  Maurizio, 
un  altro,  della  decadenza,  nella  chiesa  della  Passione,  dove  la  Crocifissione   si  vuole 


ITALIA  ARTISTICA 


del  fratello  Giulio,  e  le  belle  istorie  di  Santa  Caterina  in  S.  Angelo;  a  Bernardino 
—  che  lasciò  il  proprio  nome  e  la  data  1565  nella  Trasfigurazione  in  S.  Fedele  — 
la    Vergine  fra  S.   Caterina  e  S.    Piolo  «  opera  bellissima»  in  S.  Antonio  Abate,   e, 


PARTICOLARE   DEGLI   AFFRESCHI   DEI   CAMPI    IN   S.    PAOLO. 

(Fot.   I.   I.  d'Art!  Grafiche). 


a  Brera,  un  Cristo  morto  fra  diverse  figure,  fra  le  quali  l'offerente  Gabriele  dei  Piz- 
zamigli  carmelitano  ;  e  ad  Antonio,  nella  stessa  collezione,  la  Madonna  con  quattro 
santi,  già  in  S.  Barnaba  ;  del  vecchio  Galeazzo,  la  cui  maniera,  secondo  la  Schweitzer, 


M  I  L  A  X  O  8g 

non  sarebbe  che  un  miscuglio  dell'arte  del  Boccaccino  e  di  quella  del  Perugino, 
v'è,  nella  stessa  pinacoteca,  una  tela  con  la  Vergine  fra  S.  Biagio  e  S.  Antonio 
cibate  segnata  e  datata  [517,  ispirata  alla  pala  che  vent 'anni  prima  il  Perugino  aveva 
dipinto  a  Cremona  in  S.  Agostino.  Nella  stessa  collezione  braidense  possiam  stu- 
diare qualche  altro  vecchio  maestro  cremonese  oltre  che  in  parecchi  disegni  anche 
in  dipinti  degni  di  attenzione:  il  Casella  in  un  Martirio  iti  S.  Stefano,  l'Aloni  in  una 
composizione  segnata  col  nome  e  l'anno  1500.  Camillo  Boccaccino  in  un  quadro 
grandiosamente  concepito,  caldo  di  colorito,  vivacissimo  e  con  varie  figure  di  Santi. 
eseguito  nel  1532,  e  che,  se  le  date  biografiche  fissate  dagli  storica  cremonesi  sono 
esatte,  sarebbe  ben  prezioso  documento  della  precocità  del  piacente  maestro,  il  quale, 
secondo  il   Morelli,  risentì  dell'arte  potente  di  Giovanni  Antonio  da  Pordenone. 

Della  famiglia  lodigiana  dei  Piazza  sono,  a  Brera,  un  S.  Giovanni  Battista  at- 
tribuito a  Martino  — ■  da  altri  ad  Albertino  —  e  ben  cinque  opere  di  Callisto,  due 
delle  quali  segnate  col  suo  nome,  che  ci  mostrano  diversi  aspetti  del  suo  ingegno 
bellissimo.  Gli  affreschi  coi  quali  egli  ornò  il  refettorio  di  S.  Ambrogio  furon  collo- 
cati sullo  scalone  che  mette  alla  biblioteca  di  Brera.  Un  S.  Girolamo  nel  de- 
serto, nel  retrocoro  di  S.  Maria  di  S.  Celso,  severo,  ma  un  po'  freddo,  ci  mostra 
il  pittore  quasi  nell'  ultimo  periodo  della  sua  attività.  Dipinse  anche  nella  chiesa  di 
S.  Maurizio  e  una  Deposizione  gli  viene  attribuita  dal  Mongeri,  quale  opera  della 
sua  prima  maniera,  in  S.  Maria  alla  Porta.  Di  Martino  è  pure  un  quadro,  firmato, 
nell'Ambrosiana  ;  di  Albertino  un  bel  trittico  nella  collezione  Crespi. 

Altri  maestri  lombardi,  ma  non  milanesi,  fecer  più  0  meno  rapide  apparizioni  a 
Milano  e  se  ne  conservali  opere  nelle  raccolte,  ma,  dato  il  carattere  della  presente 
pubblicazione,  sfuggono  alla  nostra  disamina  e  dobbiam  accontentarci  di  farne  ap- 
pena il  nome  :  tali  G.  B.  Moroni,  Alessandro  Bonvicino  detto  il  Moretto  da  Brescia, 
Girolamo  Romanino,  Giovanni  Busi  detto  il  Cariani  bergamasco  seguace  di  Palma 
vecchio,  che  risentiron  influenze  varie  del  Veneto,  della  Lombardia  e  che,  in  misura 
diversa,  fusero  certa  vigoria  di  forme  lombarde  con  la  calda  tonalità  del  colorito  dei 
maestri  veneti. 

Qualche  altro  cinquecentista  non  di  scuole  locali  è  rappresentato  nelle  chiese 
milanesi  :  Federico  Zuccari,  con  una  S.  .  Igata  visitata  in  carcere  da  San  Pietro, 
del  1597,  e  un  mediocre  Sposalizio  della  Vergine  nel  Duomo;  Paris  Bordone,  con 
una  superba  composizione,  S.  Girolamo  dinanzi  alla  !  rergine,  al  Ba?nbìno,  a  San 
Giuseppe  e  istorie  e  decorazioni  minori  a  fresco  che  fan  cornice  all'ancona  in  Santa 
Maria  di  San  Celso,  dov'è  pure  la  Caduta  di  S.  Paolo,  opera  firmata  dal  Moretto  da 
Brescia,  oltre  capolavori  di  scuola  milanese  ricordati  precedentemente. 


A  chiudere  questo  fugace  per  quanto,  se  mal  non  m'appongo,  esatto  esame 
della  parabola  dell'arte  in  Milano  nel  Rinascimento  convien  ricordare  almeno  i  prin- 
cipali prodotti  delle  arti  minóri  nel  Cinquecento,  nei  quali  è  spesso  una  eco  ancor 
vibrante  delle  maggiori,  specialmente  nell'oreficeria,  neh'  intaglio,  nella  ceramica  ; 
non  nella  miniatura  perdio  dopo  la  introduzione  ormai  diffusa  della  stampa  e  della 
silografia  quell'arte  delicata  e  gentile,   ma  paziente  e  laboriosa,   morì  per  sempre    e 


go 


ITALIA  ARTISTICA 


non  valsero  certamente  i  tentativi  di  qualche  geniale  artista  che  s' ispirò  diretta- 
mente alle  opere  di  pittori  in  voga  per  rianimarla.  DeW  arte  mia  non  se  fa  più 
niente,  scriveva  malinconicamente  un  miniatore  negli  ultimi  anni  del  Quattrocento, 
l'arte  mia  è  finita  per  l'amor  dei  libri  eli  e  si  fanno  in  formi  eli  e  non  si  miniavi  più. 
Purtroppo  le  opere  notevoli  in  oreficeria  rimaste  non  son  molte  in  confronto  a 
quelle  passate  altrove  :  tuttavia  la  collezione  del  museo  Poldi-Pezzoli  e  quella  del 
Museo  Archeologico  nel  Castello  Sforzesco  contengono  qualche  buon  esemplare  del 


CALLISTO    PIAZZA   DA    LODI  :   TRITTICO   (GALLERIA    CEESPI). 


(Fot.  Anderson). 


periodo  che  segue  a  quello  che  può  chiamarsi  aureo  dell'arte  lombarda  e  del  quale 
già  si  fece  cenno  precedentemente.  Nelle  chiese  potremmo  ricordare  una  «  pace  » 
in  argento  dorato  con  carnei  e  pietre  preziose  e  con  la  rappresentazione  della 
Deposizione  di  Cristo  nella  cattedrale,  attribuita  erroneamente  dal  Perkins  al  Ca- 
radosso  e  dal  Plon,  benché  dubitativamente,  al  Cellini,  al  quale  si  attribuiva  un 
tempo  anche  la  ricca  anfora  di  argento  dorato  —  provvista  di  un  giro  di  mezze  figure 
femminili  a  mo'  di  erme  dalle  cui  teste  cadon  drappi  sorretti,  ai  lati,  da  vivacissimi 
putti  nudi  —  del  tesoro  di  S.  Maria  di  S.  Celso,  per  la  quale  ora  si  pensa  preferi- 
bilmente, condotti  dallo  stile  e  dalla  marca  N.    W.,  alla  scuola    tedesca  ;    in    questa 


92 


ITALIA  ARTISTICA 


CANDELABRO   Li  1    ANNIBALE   FONTANA  IN   S     I  l  DJ  LI  . 
(Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


stessa  chiesa  è  un  messale  a  stampa  del  1594 
con  fermaglìetti  a  motivi  analoghi  a  quelli  del- 
l'anfora. 

In  S.  Fedele  due  candelabri  in  bronzo 
sono  di  quel  secolo  e  degni  dell'attribuzione  al 
Fontana  che  essi  vantano. 

In  S.  Nazaro,  in  S.  Stefano  e  in  qualche 
altra  chiesa  minore  alcune  paci  e  teche  e  cam- 
panelli e  oggetti  diversi  provano  il  lento  de- 
gradare sia  del  valore  della  materia  prima  che 
dell'opera  manuale  in  un'arte  che,  a  causa  dei 
mutati  tempi,  doveva  piuttosto  affermarsi  con 
le  forme  appariscenti  che  con  la  finezza  del- 
l'esecuzione. E  più  tardi,  quando  i  rapporti  fra 
il  popolo  e  l'autorità  religiosa  saranno  anche 
maggiori  e  si  esplicheranno  in  pubbliche  riu- 
nioni e  in  processioni,  imponenti  come  spetta- 
coli, il  gonfalone  e  tutto  il  grande  arredo  vi- 
stoso e  simbolico  prenderanno  il  posto  dei  ti- 
midi oggetti  sacri  ornati  dalla  pietà  dei  vecchi 
orafi.  Quanto  all'arte  del  ricamo,  una  volta 
preso  il  sopravvento  sulla  decorazione  del  tes- 
suto non  conobbe  più  limiti  nelle  sue  estrinse- 
cazioni e,  per  colpire  1'  attenzione  della  folla, 
arriverà  persino  ad  accoppiare  la  pittura  al  tes- 
suto come  nel  grande  gonfalone  di  S.  Ambro- 
gio —  oggi  nel  Museo  Municipale  —  ese- 
guito nel  1565  da  Delfinone  Scipione  e  da 
Camillo  Pusterla  per  ordine  del  Comune  di 
Milano,  su  disegno  del  pittore  Carlo  Urbini  da 
Crema. 

Neil'  intaglio  in  legno  gli  esempi  son  più 
abbondanti  ;  al  rifiorimento  di  questo  ramo 
dell'  arte  contribuirono  le  corporazioni  reli- 
giose, molte  e  ricche  a  Milano.  Qui  il  sodalizio 
dei  maestri  falegnami  era  stato  Riconosciuto, 
con  statuto  proprio,  fin  dal  1459,  ma  verosi- 
milmente aveva  origine  più  antica  :  la  corpo- 
razione aveva  un  priore,  un  sottopriore,  sei 
sindaci,  un  «  canevaro  »,  e  dodici  consiglieri 
con  speciali  attribuzioni.  Gli  statuti  furono  ri- 
confermati più  tardi  da  Luigi  XII  e  da  Carlo  V  ; 
subiron  qualche  modificazione  nel  157S  e  nel 
1607.  Solamente  nel  1728  gli  intagliatori  e 
gli  intarsiatori  si  staccarono  dai  falegnami  prò- 


M  ILANO 


93 


priamente  detti,   finche  nel   1774  il  governo  austriaco  soppresse  queste  come  tutte  le 
altre  società  artigiane. 

Alla  bella  serie  di  tavole  e  alla  illustrazione  del  Forcella  e  del  Beltrami  rimando 


IL   GONFALONE   DI    S.    AMBKOGIO    (A.    1565). 


(Fui.   Montabone). 


per  ammirare  e  conoscere  i  capolavori  di  quell'arte  che  rimangon  tuttavia  nella  re- 
gione lombarda.  Qui  basterà  ricordare  che  dell'arte  gentile  dell'intaglio  nel  Cinque- 
cento, è  prova  di  magìa  di  linee  ed  eleganza  di  motivi  nelle  sedie  corali  di 
S,  Ambrogio  —  meno  che  nei  dossali  del  XIV  secolo  —  del   1507,  esuberanti  e  in 


94 


ITALIA  ARTISTICA 


cui  le  figure  si  innestano  felicemente  ai  fregi,  in  quelle  di  S.  Maurizio,  dei  primis- 
simi anni  del  XVI  secolo,  in  quelle  di  S.  Maria  della  Passione  con  ornamenti  di  ma- 
dreperla e  di  linee  prevalentemente  architettoniche,  in  quelle  di  S.  Fedele  qui  tra- 
sportate da  S.  Maria  della  Scala,  coi  dossali  ornati  di  prospettive  e  di  madreperla, 
in  quelle  di  S.  Maria  presso  S.  Celso  eseguite  nel  1570  da  Paolo  Bazza  su  disegno 
di  Galeazzo  Alessi  e  ultimate,  nel  16 16,  da  Giovanni  Taurino,  ricchissime  di  erme, 
di  maschere,  di  putti  e  di  motivi  del  repertorio  preferito  dallAlessi,  in  quelle  di 
S.  Vittore  al  Corpo  condotte  con  maestria  nel    1583   da  Ambrogio  Santagostino  che 

vi  raffigurò  le   istorie    della  vita    di 
S.  Benedetto  :  qualche   reminiscenza 
dei  motivi  cari  all' Alessi  non  manca 
anche  qui  neh'  uso  delle  erme  e  di 
fregi  quasi  geometrici,  ma  alle  istorie 
dei  dossali    nuoce    il    sistema    delle 
pieghe.  A  istorie  figurate  della  vita 
di  S.  Ambrogio  nei  dossali  e  esube- 
ranti   decorazioni    nelle    mensole    e 
nella  cimasa  son  anche  le  sedie  co- 
rali del  Duomo,  di  noce,    a    tre  or- 
dini pel  capitolo  maggiore,   pel    mi- 
nore,   pel    clero   addetto  al  servizio 
dell'altare,    grandioso    lavoro    della 
seconda  metà  del  Cinquecento  e  dei 
primi  anni  del  Seicento.  Una    squa- 
dra di  artisti  vi   si    applicò  :   il  Pel- 
legrini, lo  scultore  Francesco  Bram- 
billa,   i    pittori    Ambrogio    Figini  e 
Camillo  Procaccini,  l'architetto  Giu- 
seppe Meda    peL  disegni  ;    i    fratelli 
Taurini,  Giovanni,    Giacomo  e  Ric- 
cardo, Virgilio  del   Conte    e,    sopra 
tutti,  Paolo  de'  Gazii  che    ne    fu    il 
principale  assuntore    e    che    si    era 
obbligato  a  dar   finito  il  suo  lavoro 
pel  Natale  del   1573. 
Più  modesti,  di  carattere  esclusivamente  decorativo,  ma  severi  ed  eleganti,  sono 
gli  stalli  del  coro  di  S.  Simpliciano  dovuti  ad    Anselmo  e  a  suo  figlio    Virgilio  del 
Conte  milanesi,  come  prova  il  relativo  contratto  del   1588  fra  le  carte  del  convento 
(oggi  presso  l'Archivio  di  Stato),  dov'è  pure  il  contratto  del  30  settembre  del   1596 
con  Giovanni  Taurini  per  le  istorie  intagliate  nei  confessionali  della    chiesa  di    San 
Fedele.  Tra  gli  armadi  delle  sagrestie  messi  a  intagli  notevoli  son  quelli  di  S.  Fe- 
dele, iniziati    forse    da   Giovanni     Taurino    e    proseguiti    dal    suo    allievo    il    gesuita 
Daniele  Ferrari,  ricchissimi,  con  figure  intere  a  mo'  di  cariatidi  fra  gli    sportelli  ed 
esuberantemente  ideati,  ma  che  preludon  già  al  trionfo  dell'arte  barocca. 

Ai  Taurini  debbonsi  pure  le  figure  dell'organo  verso  la  sagrestia  settentrionale 


SEDIE   CORALI    DELLA    CHIESA   DI    S.    VITTORE   AL   COUPO (A.  1583). 

(Dal  Forcella). 


MILANO 


95 


nel  Duomo,  cominciato,  dal  lato  dell'epistola,  da  Gian  Giacomo  Antignati  e  l'opposto 
da  Cristoforo  Valvassori  e  finito  all'  esterno  da  Giov.  Battista  Mangone,  mentre  i 
pittori  Figini,  Camillo  Procaccini,  Giuseppe  Meda  ne  dipinsero  i  battoliti:  o  ui 
contributo,  a  creare  l'opera  d'arte,  ci  fa  quasi  dimenticare  il  rimpianto  per  la  perdita 
degli  sportelli  più  antichi  ch'erari  stati  certamente  dipinti  da  un  leonardesco  del 
quale  invano  si   additerebbe  oggi  un'opera  sicura,   Nicola  Appiano. 

Agli  Antignati,  e  precisamente  a  G.Giacomo  (1534),  appartiene  anche  l'organo 
della  chiesa  di  S.    Man  ri /io. 

Minori  lavori  d'intaglio  si  con- 
servano nel  Museo  Archeologico  in 
frammenti  di  soffitti,  cassoni,  stipi, 
cornici,  e  in  collezioni  private,  a  ri- 
prova del  rifiorimento  di  quell'arte 
che  a  Milano  e  nel  centro  della 
Lombardia  ebbe,  nel  Rinascimento, 
caratteri  peculiari  e  derivazione  dallo 
arti  maggiori  del  luogo,  mentre  nelle 
parti  più  lontane  della  regione  lom- 
barda risentì  influssi  delle  scuole 
vicine  e,  nella  Valtellina  —  ricchis- 
sima di  anconette  intagliate  e  di- 
pinte nelle  alitine  — ,  fu  una  pretta 
filiazione  dell'arte  tedesca  del  tempo. 
Jacopo  da  Trezzo  fu  noto  allora 
come  lavoratore  di  carnei,  in  una  con 
Clemente  Birago,  Giovanni  Antonio 
Rossi,  Francesco  Tortorino,  Giu- 
liano Taverna  e  Io  stesso  Annibale 
Fontana,  che  aveva  istoriato  il  Te- 
stamento Vecchio  in  una  tazza  pa- 
gatagli 6000  scudi,  e  i  cinque  fra- 
telli Sacchi  che  intagliava n  l'oro, 
il  cristallo,  le  pietre. 


PARTICOLARE   DELLE   SI  DIE    CORALI    DEL   DUOMO. 

(Dal   Forcella;. 


1: 


Un'  industria  artistica  fiorentissima  a  Milano  nel  Rinascimento  fu  quella  delle 
armi.  Intere  vie  —  non  ne  rimangon  che  i  nomi  —  eran  destinate  agli  Armorari, 
agli  Spadari,  agli  Speronari,  e  vi  sorgevan  i  magazzini  da  cui  venivan  quegli  arti- 
stici prodotti  che  andavan  sparsi  per  tutto  il  mondo.  La  divisione  del  lavoro,  a  pro- 
durre l'opera  perfetta,  era  tale  che  la  sola  società  degli  spadari  era  suddivisa,  secondo 
gli  statuti,  nelle  classi  dei  fodratori,  dei  limatori,  degli  scalpellatori,  dei  manichieri, 
degli  imbornitori,  dei  lustratori,  dei  doratori.  La  produzione  era  enorme  e  le  miniere 
fra  i  laghi  di  Como  e  di  Garda,  dei  dintorni  del  lago  d'Orta,  della  Valsesia,  della 
valle  d'  Ossola,   di    Maccagno  sul  Verbano.   eran  largamente    sfruttate  ;    le  fucine  di 


gà  ITALIA  ARTISTICA 

Como,  Lecco,  Sondrio,  Bormio,  Bergamo,  Brescia  ne  lavoravano  la  materia  prima. 
Dall'estero  venivano  continue  ordinazioni  alle  fabbriche  d'armi  milanesi  ;  le  tariffe 
doganali  di  Germania  vi  si  riferivan  di  continuo  :  il  registro  dì  Chillon  ricorda  che 
interi  carichi  di  armature  passavan  con  frequenza  le  Alpi  e  capitalisti  anche 
stranieri  preferivano  investire  ingenti  somme  di  danaro  in  queste  che  in  altre  in- 
dustrie. 

Nella  via  degli  Spadari,  nel  cuore  della  città,  era  il  centro  di  quella  grande  in- 
dustria e  la  famiglia  dei  Missaglia  da  Elio  v'era  la  più  famosa  :  la  lor  casa  ancor 
bella  di  ogive  e  di  decorazioni  antiche  fu  demolita  recentemente  in  omaggio  a 
pretese  esigenze  del  rettifilo. 

Nella  prima  metà  del  XV  secolo  le  fabbriche  d'armi  a  Milano  eran  così  pro- 
duttive e  ricche  che  dopo  la  triste  giornata  di  Maclodio  (11  ottobre  1427),  essen- 
dosi rimandati  disarmati  a  Milano  i  generali  ed  i  soldati  dal  capitano  veneto  fatti 
prigionieri,  il  duca  Filippo  Maria  potè  in  pochi  giorni  provvedersi  —  se  crediamo 
al  Verri  —  presso  due  soli  fra  i  tanti  artefici  di  Milano  di  armature  per  ben  quat- 
tromila cavalli  e  duemila  fanti.  Furon  famosi  allora,  oltre  i  Missaglia,  altri  artefici 
armaiuoli  :  i  da  Merate,  i  Cantoni,  Francesco  Piatti,  i  Negrioli,  Michele  da  Figino  ; 
per  le  notizie  sul  conto  loro  rimando  alla  ricca  pubblicazione  che,  su  gli  armaiuoli 
milanesi,  diede  alle  stampe  Jacopo  Gelli. 

La  maggior  parte  di  armature  milanesi  di  singolare  importanza  che  rimangon  tut- 
tora nella  Reale  Armeria  di  Torino  e  nella  collezione  Poldi-Pezzoli  appartengono  al  Cin- 
quecento e  si  raccomandano  per  la  precisione  e  l'eleganza  del  lavoro.  Le  borgognotte 
figurate,  le  rotelle,  le  armature  da  giostre  dei  Negrioli  sposan  perfettamente  l'arte 
dell'orafo  e  dell'  incisore  con  quella  dell'armaiuolo.  La  celata  e  scudo  di  Gaspare 
Moli  nel  museo  di  Firenze,  lo  scudo  di  Pirro  Sironi,  le  parti  minori  di  artefici  mi- 
lanesi nelle  molte  collezioni  nostre  ravvivano  tuttora  in  noi,  attraverso  le  gaie  rap- 
presentazioni figurate  e  i  fregi  gentili,  il  senso  d'arte  della  Rinascenza  italiana  che 
alle  più  tristi  cose  sposò  un  soffio  vivificatore  d' idealismo  artistico.  E  quando,  con 
la  scomparsa  dei  Missaglia  e  di  altri  valenti  artefici  e  più  che  tutto  per  effetto 
dei  mutati  sistemi  di  guerra,  venner  meno  quelle  armi  e  vi  si  sostituiron  quelle  da 
fuoco,  gli  archibugiari  milanesi  —  l'altra  ricchissima  pubblicazione  del  Gelli  lo  prova 
—  tennero  alta  l'antica  fama  delle  industrie  e  del  buon  gusto  dei  nostri  artefici. 


VII. 

//  Seicento    —  La  dominazione  spagnola  —  L'architettura:   Fab  .  ì   A',  chini, gli  architetti  mi- 

"  tura:  i  Pi  ■  Ci  'spi,  il  Ghislandi,  il  Morazz  me,    :   rrescant     —  Gli  scultori,  i 

decoratori  e  le  di'ti   minori. 


La  signoria  spagnola  non  fu  tanto  fatale  alle  popolazioni  soggette  pel  suo  sistema 
di  governo  quanto  pei  pregiudizi  che  importò  in  una  regione  un  tempo  così  sicura  delle 
proprie  forze,  così  attiva,  così  praticamente  laboriosa  come  la  lombarda.  Potremmo  rias- 
sumere con  le  parole  di  uno  storico  quel  sistema:  «  tutto  andò  a  capitombolo  dopo  ve- 
nuti gli  Spagnuoli,  pel  farnetico  di  sottoporre  ogni  cosa  a  regolamenti  ;  per  le  im- 
provvide quanto  ingorde  imposte;  il  monopolio,  fatto  universale  con  le  maestranze;  pei 
rimedi  sempre  a  controsenso;  per  le  lungagne  avviluppate  dei  Tribunali».  I  pregiudizi 
importati  non  furon  men  dannosi:  la  boriosità  spagnola  fatta  di  apparenze  vietò  ai 
nobili  e  ai  ricchi  di  applicarsi  al  commercio;  il  sospetto  e  la  pedanteria  tarparon 
l'ali  alla  libertà  del  pensiero  ;  i  privilegi  tolser  rispetto  alla  legge.  «  Il  lusso  la- 
sciamo ancora  una  volta  la  parola  allo  storico  —  era  ancor  più  sfarzoso  che  comodo; 


pokta  komana,  di  MARTINO  iìASSI.  (Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


98  ITALIA  ARTISTICA 

mobili  ad  intagli  faticosi  e  ricche  tarsie:  abiti  indistruttibili;  sontuosità  di  palazzi. 
di  ville,  di  trattamento  ;  insieme  orgoglio  senza  franchezza,  ambizione  senza  virtù 
pubbliche,  studi  senza  progresso,  inerzia  senza  ripeso,  avventure  senza  gloria,  mi- 
serie senza  compianto,  mal  consolate  da  una  religione  di  abitudine  più  che  di  per- 
suasione, da  una  devozione  inclinata  alle  superstizioni  e  alla  intolleranza.  Il  vulgo 
operaio,  sprovveduto  d'arti,  scarso  di  pane,  tremava  del  Re  lontano  e  del  governa- 
tore vicino,  tremava  della  corda  e  della  forca    piantata  su  tutte  le  piazze,    tremava 


PALAZZO   DEL   SENATO.    GIÀ   DEI  CHIERICI    ELVETICI.   DI    FABIO   MENGOKI. 

.    1.    1.   d'Arti   Giu- 


dei birri,  tremava  del  padrone,  tremava  della  Inquisizione,  tremava  delle  streghe,  le 
quali  si  moltiplicavano  quanto  più  erano  bruciate;  e  tra  fiacchi  terrori,  indecorosi 
patimenti,  pazienza  incurante,  caddero  di  mente  persino  le  feconde  memorie  del  pas- 
sato ».  La  legge,  le  disposizioni  governatoriali,  le  gride  oppressero,  invasero  e  di- 
lagarono. E  spesso  gli  ordini  eran  contradditori.  Di  fronte  a  disposizioni  che  volevan 
essere  protettrici  delle  industrie  tessili  ve  n'eran  altre  proibitive  dell'esportazione  e 
1'  industria  rovinava;  il  conte  di  Fuentes  vietava  di  portar  fuori  armi  e  le  floridissime 
fabbriche  di  un  tempo  si  chiudevano;  ma  per  dar  lavoro  ai  disoccupati  nel  1634  si 
pubblicava  l'ordine  ai  negozianti  di  dar  lavoro  agli  operai,  pena  200  scudi  d'oro  e 
tre  tratti  di  corda.  In  pochi  anni  sparirono  24  mila  operai,    70  fabbriche  di    panno 


M  I  LA  X  (  > 


99 


si  ridussero  a  15.  Alle  popolazioni  oppresse  e  disgraziato  si  aggiiingevan  flagelli 
come  le  scorreria  e  i  saccheggi  dei  Lanzichenecchi,  dei  terribili  reggimenti  di  Col- 
lalto,  di  Altringer,  di  Fiirstenberg,  di  Brandeburg  e,  come  conseguenza,  la  carestia 
e  la  peste.  Qual  terribile  condizione  doveva  essere  quella  dei  milanesi  se  in  un  do- 
cumento pubblico  rivolto  al  Re  lontano  si  arrivava  a  dichiarare  coraggiosamente 
che  «  questi  poveri  sudditi  non  hanno  che  il  solo  respiro  esente  da  aggravi!  »  Si  so- 


COKTILE   DEL   PALAZZO   DEL   SENATO. 


Fol     E.  I.  d'Arti  Grafiche). 


leva  dire  che  i  ministri  di  Spagna  in  Sicilia  rosicchiavano,  a  Napoli  mangiavano,   a 
Milano  divoravano. 

In  un  secolo  cosi  malaugurato  lo  storico  si  sofferma  con  compiacenza  a  ricor- 
dare i  meriti  di  un  Federico  Borromeo,  poiché  non  può  fare  altrettanto  nemmeno  pei 
pochi  uomini  di  dottrina  e  di  lettere  che  coprivan  con  l'aruffio  delle  frasi  la  po- 
vertà dei  concetti  o  ammassavan  immagini  bizzarre  a  raffigurare  povere  cose.  Le 
nuove  accademie  Ermatenaica,  dei  Perseveranti,  degli  Animosi,  degli  Arisofi,  degli 
Infocati,  dei  Faticosi,  degli  Ifeliomachi  non  valsero  a  incoraggiare  seriamente  que- 
gli studi  inariditi.  Appena  1'  Osio,  Ottavio  Ferrari,  il  Gigeo  orientalista,  il  Rivola  che 
scrisse  la  vita  del  cardinal  Federico,  il  Puricelli  archeologo,  il  Ripamonti  storico,   il 


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102 


ITALIA  ARTISTICA 


Bugatti,  il  Bescapè,  il  Moriggia,   Carlo  Maria  Maggi  si  salvano  dal  naufragio    degli 
ingegni  nel  campo  letterario. 

Miglior  ricordo  lasciaron  di  sé  alcuni  scienziati  :  il  padre  Tommaso  Ceva, 
Giovanni  Clerici  astronomo,  Alessandro  Rovida  matematico,  Francesco  Sitoni  ar- 
chitetto e  ingegner  generale  del  milanese,  fra  Bonaventura  Cavalieri,  Lodovico 
Settala  professore  e  protomedico.  Che  tuttavia  i  tempi  fosser  ben  poco  adatti 
alle  ricerche  e  alla  conoscenza  dei  severi  ingegni    basta  a    provarlo    la   gran    fama 


ir 


OSPEDALE   MAGGIORE    —    TRE    FINESTRE. 


Fot.    \iinari). 


che  allora  vantò  un  mattoide  come  G.  B.  Sitoni,  del  quale  ebbe  molte  ristampe  la 
Iatrosophiae  miscellanea,  nella  quale  egli  si  industriava  a  ricercare  perchè  il  tagliare 
e  pettinar  capelli  e  barba  portasse  alla  recidiva,  perchè  il  morsicato  da  un  cane 
rabbioso  fosse  preso  da  crisi  se  collocato  sotto  un  albero  di  corniolo,  se  una  tinca 
viva  applicata  all'ombelico  guarisse  1'  itterizia  e  simili  amenità, 

I  ciarlatani,  i  cercatori  della  pietra  filosofale,  i  parolai,  i  sognatori  abbondavano. 
Qualche  volta  tuttavia  la  reazione  del  buon  senso  li  schiacciava  nel  modo  più  terribile, 
come  accadde  a  un  Giacomo  Antonio  Galluzzi.  famoso  per  finger  documenti  antichi, 
onde  dar  lustro  e  diritti  a  case  ricche,  che  nel  1685  fu  arso  insieme  alle  sue  carte 
false.  I  roghi,  per  fortuna,  non  son  più,  ma  i  seguaci  del  Galluzzi  non  mancano  an- 
che   iggi! 


M  I  LA  NO 


io.-, 


Le  opere  d'arte  di  quel  periodo  rispecchiano  la  vacuità  dei  tempi  e,  men  poche 
eccezioni,  sono,  in    Lombardia,  di    minor    numero    e    interesse    che    altrove.  Milano 


S     GIUSEPPE.    ATTRIBUITA    A    F.    M.    NICCHISI. 


Fot.  I.  I.  d'Ai  li  Grafiche). 


non  ebbe  ne  un  Bernini,  nò  un  Borromini,  e  neppure  un  artista  come  il  Lon- 
ghena, a  raccomandare  in  modo  speciale  un  nucleo  di  monumenti  di  quel  secolo, 
ma  appena  alcuni  architetti  che  lasciaron  qualche  saggio  del  loro  gusto  ecces- 
sivo in  cui  nemmeno  il  movimento  audace  delle  linee  fa  perdonare  --  come  in 
tanti  palazzi  di  Venezia  e  di  Roma  -  -   la  mancanza  di  misura.  Che  gran  numero  di 


io4 


ITALIA  ARTISTICA 


statue  inutili,  che  quantità  di  colonne  che  non  sostengono  niente!  esclamava  Se- 
neca nel  vedere  lo  stato  misero  dell'architettura  romana  della  decacenza:  e  le  la- 
mentele, quasi  a  provare  che  tutti  gli  stati  di  povertà  si  rassomigliano,  possono 
esser  ripetute  osservando  lo  sfacelo  dell'arte  edilizia  del  XVII  secolo. 

A  Milano,  dopo  il  Seregni  e  il  Meda,  l'architettura  perde  rapidamente  vigoria 
e  ragione  statica  che  la  informi.  Appena  con  Martino  Bassi  erano  apparsi  gli  ultimi 
bagliori  dell'antica  severità  costruttiva,  i   quali,  pur   accennando   a   sovrabbondanza    di 


PALAZZO   DI   BUEKA,   DEI   DUE   RICCHIM   (A.    1651-lbSò). 


(Fot.  Brogi). 


rivestimenti  decorativi,  non  nascondevan  del  tutto  le  belle  linee  classiche  dell'edificio. 
Il  Bassi  fu  occupato  ai  restauri  della  basilica  di  S.  Lorenzo,  al  completamento  della 
fronte  di  S.  Maria  presso  S.  Celso,  a  quello  della  chiesa  di  S.  Fedele  quando  il 
Pellegrini  si  recò  in  Spagna.  Innalzò  il  severo  e  monumentale  arco  di  Porta  Ro- 
mana in  occasione  del  ricevimento  di  Margherita  d'Austria  che  si  recava  a  Madrid 
per  sposarsi  con  Filippo  III  re  di  Spagna  e  duca  di  Milano.  L'arco  è  tutto  in  marmo, 
d'  ordine  dorico  a  bugne  riquadrate  :  all'esterno  due  colonne  binate  a  tamburo, 
come  nel  palazzo  della  Zecca  di  Venezia,  sorreggono  la  trabeazione  con  fregio  do- 
rico, a  triglifi  e  metope  ornate  di  bassorilievi;  ha  termine  con  un  alto  attico  diviso 
in  tre  corpi  riquadrati,  di  cai  il  mediano  supera  gli  altri  in  larghezza. 

Rapidamente,  a  Milano  più  che    altrove  anche    per    effetto  della    dominazione 


M  IL  ANO 


io: 


nuova,  l'evoluzione  dell'arte  dell'ultimo  periodo  classico  ispirato  alle  fri' Me  leggi  dei 
trattatisti  verso  il  barocco  s'incamminò  e  si  svolse.  Il  barocco  fu  troppo  disprez- 
zato dai  neo-classicisti  :  le  accuse  lanciate  contro  quello  stile  dal  Milizia,  dal  Te- 
manza,  dal  Selvatico  e  da  altri  si  vanno  oggi  riconoscendo  ingiuste  in  gran  parte, 
poiché  il  rispetto  per  la  legge  inesorabile  dell'evoluzione  è  oggi  più  sentito  che  non 
fosse  mezzo  secolo  fa. 


CORTILE   DEL   PALAZZO    DI   BRERA. 


(Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


A  Milano,  fra  i  principali  innovatori  dell'architettura  in  quel  secolo  è  Fabio 
Mengoni,  che  seppe  genialmente  adattare  l'arte  edilizia  ai  differenti  usi  delle  fabbri- 
che, alle  varie  ubicazioni,  alla  estensione  dei  luoghi  dove  quelle  dovevan  sorgere. 

Neil"  innalzare  la  Biblioteca  Ambrosiana  seppe  così  intuire  il  carattere  della 
costruzione  che  sopra  un'area  stretta  e  oblunga  ideò  e  murò  un  edificio  che  allora 
poteva  servire  di  modello  in  simil  genere  per  magnificenza  e  comodità.  E  lo  costruì 
grave  e  severo  quale  conveniva  all'  uso,  e  seppe  distribuirlo  con  praticità. 


io6 


ITALIA  ARTISTICA 


Più  libero  fu  il  suo  stile  nella  fronte  degli  edifici  sacri  :  in  Santa  Maria  Podone 
ancor  classicizzante,  provvista  di  un  pronao  d'ordine  composito  ;  nella  chiesa  della 
Vittoria,  —  pel  Torre  dovuta  al  romano  G.  B.  Paggi,  ma  i  documenti  dell'Archivio 
di  Stato,  come  rilevò  in  uno  studio    recente    Giovanni   Vittani,    provan  !'  intervento 


S.    GIOVANNI   IN    CASE    KOTTE,   DEI    DUE   RICCHINI. 


(Fot.   I.   I.  d'Arti  Grafiche). 


del  Mengoni  dal  1629  in  poi,  —  su  quattro  archi  coperti  di  cupole,  uno  per  l'aitar 
maggiore  con  piccolo  presbiterio,  i  due  laterali  per  due  altari  minori,  il  quarto  per 
la  porta,  di  architettura  severa,  non  priva  di  grandiosità  per  i  pilastri  compositi  e 
striati  sopra  un  basamento  alto  quanta  è  l'elevazione  del  presbiterio,  sull'esempio  dei 
buoni  classici.  Gli  vengono  attribuiti  la  chiesa  di  Santa  Marta,  l'antico  orfanotrofio 
Stella,  i  disegni  delle  case  pei  canonici  di  S.  Lorenzo,  le  decorazioni  in  pietra  viva 


M  I  L ANO 


107 


dell'alta  cupola  della  chiesa  di   S.   Sebastiano  e   parte   delle    decorazioni    delle  porte 
del    Duomo. 

L'opera  maggiore  del  Mengoni  è  l'antico  Collegio  dei  chierici  elvetici  sul  Na- 
viglio, poi  sede  del  Senato  milanese  e  attualmente  dell'Archivio  di  Stato,  iniziato 
nel  1620  per  opera  del  cardinale  Federico  Borromeo,  e  quindi  senza  nessun  in 
vento  del  Pellegrini  come  per  qualche  temp  >  si  è  cretini...  La  disposizione  d< 
grandi  cortili  circondati  da  logge  a 
colonne,  architravate,  d'ordine  do- 
rico al  pian  terreno,  ionico  nel  su- 
periore e  i  tre  grandi  vestiboli  che 
sembrano  allungare  la  prospettiva 
monumentale  sono  indizio  sicuro 
dell'epoca  in  che  furono  innalzati, 
quando  si  esigeva  in  edifici  di  que- 
sta natura  l'aspetto  di  vaste  vedute 
sceniche,  osservate  da  varii  punti  di 
vista,  il  terzo  vestibolo  dava  accesso 
a  una  gran  sala,  di  fronte  alla  porta, 
e  oggi  chiusa.  Ma  l'architetto  non 
potè  condurre  a  perfezione  il  gran- 
dioso monumento  e  la  facciata  at- 
tuale che  si  vuole  non  rappresenti 
che  l'ala  destra,  a  linee  ondulate  e 
la  porta  centrale  con  l'oratorio  — 
mentre  la  sinistra  si  doveva  esten- 
dere, pure  a  linee  ondulate,  nell'area 
degli  attuali  boschetti  — ■  sarebbe 
stata  eretta  da  Francesco  Ricchini 
il  vecchio,  che  si  allontanò  dalla  pu- 
rezza di  stile  del  Mengoni  nelle 
pesanti  cornici  delle  finestre,  che 
nel  primo  piano  presentano  una  ser- 

raglia  su  schema  di  bucranio  e,  nel  secondo,  il  frontispizio  rialzato  da  pilastrini  con 
uno  specchio  centrale;  motivo  che,  se  accresce  ricchezza,  non  risponde  tuttavia  ai 
buoni  principii  dell'arte  delle  seste  che  esige  un  severo  razionalismo  in  tutte  le 
membra  di  un  edificio.  L'annesso  oratorio  è  d'ordine  corinzio  all'esterno  e  all'interno 
e  si  vuol  condotto  dal  Mengoni. 

Opera  monumentale  di  quel  periodo  è  il  grande  cortile  centrale  dell'Ospedale 
Maggiore  in  cui  la  disposizione  di  ogni  parte  è  pari  alla  magnificenza  dell'insieme, 
I  documenti  presso  l'Archivio  dell'Ospedale,  i  disegni  presso  L'Archivio  civico  e  le 
ricerche  del  Canetta  assicurano  che  dopo  il  lascito  di  Giovanni  Pietro  Carcano  fu- 
rono chiamati  a  dare  i  disegni  e  a  dirigere  i  nuovi  grandi  lavori  che  comprende- 
vano il  grande  cortile,  la  facciata  verso  la  strada  nel  mezzo  e  la  chiesa  dal  1625 
al  1649  Francesco  Maria  Ricchini,  il  Mengoni  e  (f.  B.  Pessina  che,  all'atto  pratico, 
fu  il  vero  direttore  dell'opera,  ciò  che    sembra    esser  stato    dimenticato    fin  qui;  a 


PALAZZO   DURINI,    DEL   RICCHINI   (.'). 

(Fot.   I.  I.  d'Arti  Grafiche  . 


ioS 


ITALIA  ARTISTICA 


quest'ultimo,  nel  1634.  successe  però  Giovanni  Angelo  Crivello.  Oggi,  con  maggior 
oggettività  di  studi  e  con  più  conoscenza  dei  gusti  e  delle  esigenze  di  quel  tempo, 
non  sapremmo  ancora  condividere  le  troppo  acerbe  critiche  del  Morigeri  a  questo 
cortile  grandioso  dove,  incoporando  parte  già  preesistente  con  le  relative  lussureg- 
gianti decorazioni  in  cotto,  gli  architetti,  svolgendo  i  vasti  porticati  —  a  colonne 
ioniche  nel  piano  terreno,  con  le  volute  a  profilo  grandioso,  e  composite  nel  supe- 
riore  —   dagli  esuberanti  aggetti,  crearono  uno  dei  monumenti  più  maestosi  d'Italia. 


PALAZZO    LUTA,   DI    F.    M.    RICCHIXI,    E  CORSO   MAGENTA. 


1F0:.  Brogi  . 


La  parte  del  XV  secolo  fu  imitata  come  acconsentivano  i  tempi;,  ma,  al  disopra 
del  porticato,  l'originalità  dei  nuovi  costruttori  si  affermò  alternando,  sulle  finestre 
collocate  fra  gli  intercolonni  chiusi,  i  timpani  rettilinei  e  a  sezione  di  circolo,  ornan- 
doli con  specchi,  con  teste  d'angioli,  con  svolazzi,  con  festoncini  e  impostandoli  su 
cornici  architravate  sorrette  da  mensole  pensili.  Men  felice  è  il  partito  adottato  per 
la  parte  nuova  della  facciata,  dove  tuttavia  le  finestre  a  ogive  ornate  di  cotti  ispi- 
rati agli  antichi  dell'edificio  stesso  ebber  l'onore  di  esser  creduti  —  e  lo  sono  tut- 
tavia da  qualche  guida  —  del  XV  secolo  ! 

Sui  disegni  del  Ricchini  e  per  opera,  se  crediamo  al  Mongeri.  del  Quadrio,  del 
Rossone  e  del  figlio  del  Ricchini  medesimo  Gio.  Domenico  sorse  dal  1651  al  16S6 
il  palazzo  di  Brera.  Il  fianco  verso  la  piazzetta  non  fu  compiuto    che     fra  il    1773  e 


MILANO 


109 


il  17S4.  L'esterno  è  severo  se  non  immune  da  mende  II  cortile  a  due  ordini  di 
logge  è  grandioso  e  di  belle  proporzioni:  lo  scalone  è  regale,  e  quando,  le  sere 
di  plenilunio,  la  luce  d'argento  invade  le  logge  e  giuoca  fra  le  sinuosità  delle  ba- 
laustre e  degli  archi  l'ambiente  acquista  una  apparenza  così  suggestiva  quale  il  più 
fantasioso  scenografo  non  saprebbe  concepire.  Veduto  dall'alto,  al  sommo  dello  sca- 
lone, sembra  rianimarsi  Io  sfondo  dei  quadri  cari  alla  fantasia  di   Paolo   Veronese. 


PALAZZO    ANNONI.    DI   F.    M.    RICCHIN1    (?),    E   CORSO    DI    PORTA   ROMAN' A. 

(Fot.   I.  I.   d'Arti  Grafiche"!. 


Al  Ricchini  si  attribuiscono  altri  edifici  in  tutto  0  in  parte:  la  ricostruzione 
della  chiesa  di  Sant'Antonio  Abate,  in  cui  l'abuso  degli  stucchi  fu  eccessivo;  la  chiesa 
di  S.  Giuseppe,  piena  di  equilibrio  e  di  leggiadria  così  che  vien  reputata  da  taluno 
il  capolavoro  del  Ricchini,  benché  la  fronte  resti  estranea  all'organismo  ottagonale 
interno;  la  parte  superiore  di  Santa  Maria  alla  Porta  (1652)  perchè  il  rimanente  si 
deve  a  Carlo  Castelli;  la  chiesa  di  S.  Giovanni  alle  Case  Rotte  ultimata  dal  figlio 
Domenico,  in  cui  appena  le  macchinose  mensole  delle  serraglie  all'esterno  richiamano 
il  primo  ideatore,  mentre  l'interno,  a  iconografia  di  olissi  ritagliata  ad  of 
pilastri  ionici  all'ingiro,   ha  ben  l'impronta  sua;   il  palazzo    Durini,    ampio,   maestos* 


I  IO 


ITALIA  ARTISTICA 


con  ben  ordinate  parasta  te  che  si  collegano  con  la  cornice  del  tetto  e  in  cui,  per 
dirla  con  un  vecchio  studioso.  «  l'armonia  fa  velo  ai  difetti  »;  il  palazzo  Annoili,  se- 
vero, con  vivacità  di  linee  monumentali,  cui  nuocìon  però  le  finestrelle  superiori  che 
sembrali  sospese  al  cornicione  e  ne  interrompono  la  fascia  come  in  certi  edifici  di 
Roma  di  quell'epoca  ;  il  palazzo  Arese  iniziato  internamente  con  aspetto  principesco 
per  opera  di  Francesco  Maria  Ricchini,  «  continuato  dal  Merli  »  a  quanto  assicurar! 
le  guide  più  attendibili  «  e  terminato  esteriormente  durante  i  delirii  peggiori  Borro- 
mineschi,  dalia  famiglia  ducale  dei  Litta  »,   ecc.  ;   fra  le  opere  di  carattere  decorativo 


!-Mil    |  i  liii*  ■■ 


CHIESA   DI   S.    MARIA   DELLA    PASSIONE     (A.    L692).  (Fot.   I.    I.   d'Arti  Grafiche). 


ricordiamo  la   porta  a  cariatidi  del  Seminario,    originale,    imponente    di    linee  e    di 
movimento. 

Di  quel  secolo  posson  essere  ricordati  alcuni  altri  pochi  edifici  che  si  raccoman- 
dano più  quali  esempi  di  bizzarria  edilizia  che  per  originalità  di  concetti:  la  fronte 
della  chiesa  di  S.  Maria  della  Passione  condotta  nel  1692.  che,  nelle  sue  linee  sgar- 
bate e  fiacche,  benché  qualche  particolare  decorativo  non  manchi  di  leggiadria,  con- 
trasta troppo  con  le  linee  severe  del  transept  e  della  cupola  dovuta  a  Cristoforo 
Solari,  come  vedemmo;  la  chiesa  di  S.Alessandro,  costrutta  a  partire  dal  1602  per 
opera  del  padre  Lorenzo  Binago,  ma  di  cui  la  fronte  pesante  ed  eccessivamente  larga 
in  confronto  all'altezza  è  posteriore  a  quell'epoca;  qualche  parte  della  ricostrutta 
chiesa  di  S.  Protaso  ad  Monachos,  che  sarebbe  da  prima  stata  trasformata  dal  Pel- 


M  !  L  A  NO 


1 1 1 


legrini  in  un'ampia  sala  rettangolare,  con  uno  sfondato  centrale,  ove  collocò  l'aitar 
maggiore,  ma  in  cui  più  tardi  fu  aggiunto  il  pronao,  così  che  la  fronte  ricorda  piut- 
tosto la  maniera  del  Ricchini  ;  il  palazzo  di  Giustizia,  del  1605  eseguenti,  non  dun- 
que costrutto  dal  Seregni  o  dal  Bassi  come  qualche  vecchia  guida  vorrebbe,  con  un 
cortile  ardito  e  felicemente  condotto,  edificio  ultimato  molto  più  tardi;  il  palazzo 
Archinti,  poi  della  Congregazione  di  Carità,  con  una  interna  loggia  che  dà  aspetto 
signorile  all'edificio  con  belle  sale  attestanti   l'antico  splendore,  ecc. 


CHIESA  DI    S.    ALESSANDRO. 


(Fot.  Brogi). 


A  chi  volesse,  per  curiosità,  conoscere,  oltre  i  ricordati,  altri  nomi  di  architetti 
di  quel  secolo  dalla  fantasia  inesauribile  potremmo  aggiungere  quelli  degli  architetti 
e  ingegneri  pubblici  che  desumo  dalle  carte  d'archivio:  Francesco  Azzurro  (1609- 
16 16),  Pietro  Antonio  Barca  (16 12),  Bernardo  Brambilla  (16 12-16 17),  Lelio  Buzzo 
(1609),  Gio.  Francesco  Cucchi  (1603-16 13),  G.  B.  Bombarda  (1 620-1 641),  Bernardo 
Lodesani  (1641),  G.  B.  Pessina  (1606-1Ó34),  G.  B.  Real  (1610-1611),  Giuseppe  Ro- 
becco  (1606-1637),  Aurelio  Verri  (16 15-1637). 

Fra  i  nomi  di  esecutori  di  disegni  architettonici  che  mi  fu  dato  raccogliere 
presso  l'Archivio  di  Stato  desumendoli  dalle  vecchie  carte  dei  conventi,  sono  anche 
Agostino  Regali  (1678),  Giorgio  Rossone  (1678),  il  Dominione,  il  Ricchini:  e,  fra 
gli  architetti  che  lavorarono  a  innalzare   o    ampliar    chiese    e    conventi,  ho    rintrar- 


ii2  ITALIA  ARTISTICA 

ciato  i  nomi  di  Bartolomeo  Rinaldi  (1600)  e  di  Francesco  Maria  Ricchini  (1622)  in 
S.  Simpliciano,  di  Giuseppe  Maria  Robecco  in  S.  Maria  delle  Grazie,  del  Bombarda  in 
Santa  Maria  del  Carmine  (1627-1633  >,  di  Girolamo  Quadrio  e  di  Pietro  Fontana  in  Santa 

Maria  Annunziata  11669).  di  Carlo  Buzzi  che  diede  il  disegno  dell'aitar  maggiore  in 
S.  Maria  della  Vittoria  (1655)  evi  diresse  altri  lavori  insieme  a  G.  B.  Pessina  (1629), 


CHIESA  DI   S.    ALESSANDRO    —    INTERNO. 


(Fot.   Brogi). 


del  Ricchini  in  S.  Apollinare,  di  Camillo  Ciniselli  in  Sant'Agostino  Xero  in  Porta  Nuova 
e  del  Ricchini  (1615),  di  Aurelio  Trezzi  in  S.  Maria  Segreta  (1600),  di  Agostino  Regagli 
in  S.  Giovanni  in  Conca, di  Girolamo  Quadrio  in  S.  Antonio  e  S.  Anna  dei  Teatini  (1663). 


La  scuola  di  pittura  lombarda  del  Seicento  più  che  nell'architettura  si  afferma 
e,  abbandonata  anche  l' ultima  eco  della    vecchia    arte    leonardesca,    si    svolge    con 


(Fot.    I.   I.  d'Ani  Grafiche). 


GIULIO    CESARE    PROCACCINI: 
SPOSALIZIO    bl    SANTA    CATERINA. 
(R.    PINACOTECA    DI    BRERA) 


M  I  LA  NO 


1 1 


O     C.    PROCACCINI:    S.    CECILIA    E   S.   GIROLAMO    (K.    PINACOTECA    DI    BRERA). 

i  Fot.   I.   I.   <l-Arti  Grafiche). 


una  corta  grandiosità  di  concetti,  con  colorito  vivace,  con  certa  correttezza  delle 
forme,  specialmente  se  confrontata  con  quella  d'altre  scuole  —  non  esclusa  la  bo- 
lognese —  trionfanti  allora  in  Italia.  I  Procaccini,  i  Crespi,  il  Nuvolone  nella  mag- 
gior parte  delle  loro  opere  sepper  mantenere  un  vigore  e  una  nobiltà  di  concezióne 
che  li  raccomandano  all'osservatore  senza  preconcetti. 


u6 


ITALIA  ARTISTICA 


Giulio  Cesare  Procaccini,  abilissimo  se  non  sempre  molto  originale,  raggiunse  un 
elevato  grado  di  dolcezza  specialmente  quando  —  come  nelle  Nozze  mistiche  di  Santa 
Caterina  della  pinacoteca  di  Brera  —  rivela  lo  studio    sulle    opere  del  Correggio  e 


DANIELE  CRESPI:    G.    CRISTO   FLAGELLATO   (GALLERIA   CRESPI). 


(Fot.   Anderson) 


del  Parmigianino.  Nella  Maddalena,  modellata  con  grandiosità  e  pur  tanto  morbi- 
damente, nel  San  Girolamo  e  in  quella  così  profondamente  sentita  Santa  Cecilia 
della  stessa  collezione  egli  raggiunse  un  raro  grado  di  potenza  drammatica.  In 
quest'ultimo  quadro,  nel  quale  la  santa,  ferita  al  petto,  sul  quale  scorre  il  sangue  abbon- 
dante a  lordare  il  corsetto  e  le  vesti,   in  uno   stato  d'estasi,  abbandona' le  belle  mani 


MI  LA NO 


117 


nel  languore  dello  svenimento  e  eh' eran  congiunto  nell'atto  della  preghiera  som- 
messamente mormorata,  mentre  gli  occhi  languidi  e  pieni  d'amore  si  rivolgono 
in  alto  verso  l'angiolo  feritore,  è  tutto  lo  spirito  della  grande  e  ancor  miscono- 
sciuta arte  del  Seicento. 

E  in  tante  composizioni  di  Daniele  Crespi  —  prime  il  Martirio  ili  S.  Stefano, 
il  Cenacolo  (in  cui  la  linea  tra- 
dizionale del  vecchio  soggetto  è 
abbandonata  per  presentare  il 
gruppo  di  scorcio),  5.  Pietro  e 
S.  Paolo  e  sopratutti  quel  potentis- 
simo Gesù  trascinato  al  Calvario, 
tutte  a  Brera  —  quanto  senti- 
mento dell'arte  e  che  elevato  con- 
cetto della  rappresentazione  dram- 
matica senza  gli  inutili  e  pur 
comuni  feticismi  per  la  scuola  ro- 
mana allora  invadente!  E  nei  ri- 
tratti di  Vittor  Ghislandi  detto 
fra  Galgario  e  in  quelli  del  Nuvo- 
lone e  dello  stesso  Crespi  quanta 
vigorosa  e  sicura  rappresentazione 
del  vero  quasi  sempre,  anche  se 
il  colorito  si  accende  qua  e  là  ec- 
cessivamente e  i  contrasti  vio- 
lenti tolgon  delicatezza  alle  mezze 
tinte!  E  nelle  vivacissime  com- 
posizioni  di  Pier  Francesco  Maz- 
zuchelli,  detto,  dal  luogo  di  na- 
scita in  quel  di  Varese,  il  Moraz- 
zone,  che  elevato  sentimento  della 
composizione  e  che  felice  visione 
delle  luci  e  delle  ombre  attraverso 
una  scioltezza  di  forme  che  par 
preludere  al  Tiepolo  ! 

Fra  gli  stessi  minori  lombar- 
di, il  Legnani,  troppo  cereo,  il 
Ligari,  il  Crivellone,  il  Tanzio  da 

Varallo,  il  Cerano,  il  Salmeggia  detto  Talpino,  spesso  delicatissimo,  il  Zoppo  da 
Lugano,  il  Bustino,  fra  molte  cose  trascurate,  affrettate,  fumose  hanno  non  di  rado 
particolari  che  provano  originalità  di  concezioni  e  di  tavolozza.  Le  collezioni  pub- 
bliche e  private  e  le  chiese  rigurgitano  di  opere  di  quei  maestri  che  sarebbe  lungo 
enumerare.  Ne  sono  particolarmente  ricche:  S.  Eustorgio,  S.  Marco,  il  Duomo, 
S.  Maria  del  Carmine,  S.  Maria  di  S.  Celso,  S.  Maria  della  Passione,  Sant'  Angelo, 
S.  Alessandro,  S.  Antonio   Abate. 

Frescanti  non  privi  di  grandiosità   si  rivelarono  il  Della  Rovere    detto  il   Fiam- 


:kespi:  il  battesimo  li  gesù  cristo  (k.  pinacoteca  di  bkeka). 

(l'ot.   Montabone). 


II- 


ITALIA  ARTISTICA 


menghino  (che  svolse  la  sia  prodigiosa  ma  spesso  dozzinale  attività  nella  regione 
lariana)  in  S.  Marco,  il  Legnani  nella  chiesa  del  Carmine  dove  la  cappella  della 
[Madonna  del  Carmelo  (1673)  rappresenta  uno  dei  più  eccessivi  esempi  dell'arte  di 
quel  secolo  da  noi,  il  Crespi,  G.  1!.  Procaccini,  il  Nuvolone  in  S.  Maria  di  San 
Celso,  Daniele  Crespi  in  Santa  Maria  della  Passione  e  in  S.  Vittore  al  Corpo.  Ca- 
millo Procaccini  in  S.  P»arnaba,   Filippo   Abbiati  e    Federico   Bianchi,  genero   e    suc- 


A1TAKE    DI    S.    ALESSANDRO. 


iFot.  I.   I.   d'Arti  Grafiche,). 


cessore  di  G.  B.  Procaccini,  in  S.  Alessandro  (il  contratto  è  del  16S3  e  v'è  pure 
nominato  G.  B.  Grandi,  pittore)  dove  son  anche  alcune  composizioni  date  a  G.  Caccia 
detto  il  Moncalvo,  G.  C.  Procaccini  in  S.  Antonio  Abate.  Diverse  cappelle,  nelle 
rhir-se  ricordate,  dipinte  e  ornate  di  stucchi,  attestano  tutta  la  grandiosità  d' intenti 
sposata  alla  più  vivace  leggiadria  decorativa  che  animava  gli  artisti  nostri  d'allora. 
Non  rimangon  più  invece  in  S.  Fedele  le  pitture  della  cupola  eseguita  nel  1644  da 
un  Camillo  Alcona  di  che  ho  rintracciato  il  relativo  contratto.  Solamente  nel  Duomo 
lavorarono  Amelio  G.  De  Michele  Alberi,  G.  A.  Alciato,  Federico  e  Ventura  Ba- 
rocci, G.   A.   \Y:   ;-,  ■   .   Carlo  B  vizzi.   G.  C.   Crespi,  Camillo  Grassi,   Paolo  Camillo   Lan- 


M  [L  ANO 


i  tg 


ariani,  detto  il  Duellino  (1602-161 7 1,  P.  Federico  Maccagno,  G.  B.  Pellegrino,  Am- 
brogio Prevosti,  Camillo  Procaccini  (1590-1611),  il  Fiammenghino,  Alessandro  Vi- 
tali, il  Volpino,  ecc. 

Fra  molte  di  quelle  tele  in  gran  parte  ottenebrate  per  effetto  della  meri  dili- 
gente mestica  adoperata,  dell'impasto  frettoloso  di  colore  e  dell'azione  atmosferica, 
vien  fatto  di  ritrovare  così  vibranti  rappresentazioni  e  così  felici  ardimenti  di  com- 
posizioni, o  alme.!  di  particolari,  da  giustificare  tutto  l'entusiasmo  dei  nostri  vecchi 
per  la  grande  arte  italiana  del  Seicento. 
Xoi,  più  oggettivi  e,  diciamolo  pure, 
più  profondi  nella  nostra  ammirazione, 
sappiamo  oggi,  anche  se  qualcuno  si 
ostina  a  disconoscerne  le  bellezze,  ap- 
prezzare i  meriti  grandissimi  degli  ar- 
tisti dell'  immaginoso  secolo  che  vide 
le  maggiori  audacie  artistiche  che 
fosser  mai. 


PORTA   DEL   PALAZZO   TK1VLLZIO. 

(fot.    I.    t.   d'Arti  Gii 


Men  felici  furono,  in  Lombardia, 
le  condizioni  della  scultura  nel  Seicen- 
to, poco  o  nulla  incoraggiata  da  com- 
mittenti, in  un'epoca  in  cui  l'apparenza 
aveva  il  predominio  sulla  sostanza  e 
la  frettolosità  aveva  di  conseguenza 
sostituito  la  diligenza  antica,  tanto  più 
in  un  ambiente  come  il  nostro  in  cui 
la  mancanza  di  un  genio  come  il  Ber- 
nini e  di  un  focolare  artistico  come 
una  corte  poteva  servir  di  sprone  agli 
scultori  nel  lungo  e  penoso  lavoro  in- 
torno alla  materia  sorda  e  ingrata. 

Quel  gran  focolare  della  statuaria  lombarda  ch'era  stato  il  Duomo  di  Milano 
raccolse  ancora  intorno  a  sé,  in  quel  secolo,  numerosi  maestri;  i  lavori  però  si  limi- 
tarono quasi  esclusivamente  alla  fronte,  per  la  quale  del  resto  i  pareri  e  gii  indirizzi 
eran  tutt'altro  che  concordi.  Fra  i  maestri  che  lavorarono  alle  sculture  delle  porte 
e  dei  contrafforti  —  Gaspare  Vismara,  Carlo  Biffi,  Pietro  Lasagni  (sui  disegni  di 
G.  B.  Crespi  detto  il  Cerano),  Giuseppe  Antonio  Riccardi,  Carlo  Maria  Giudici,  Dio- 
nigi Bussola,  Luigi  Acquisti,  Camillo  Pecetti,  Angelo  Pizzi,  Donato  Carabelli,  Gae- 
tano Monti,  ecc.  —  sarebbe  difficile  rintracciare  chi  si  elevi  in  modo  speciale,  così 
da  meritare  la  fama  non  che  di  un  Bernini,  ma  di  un  Algardi,  di  un  Barratta,  di 
un  Mazza,  di  un  Fontana,  di  un  Serpotta.  In  tutte  quelle  statue,  di  prevalente  carat- 
tere decorativo,  l'imitazione  spesso  servile  della  scuola  romana  è  dominante:  qua  e 
là  qualche  accenno  a  originalità  di  concetti,  di  modellato,  di  pose  non  è  sufficiente 
a  raccomandare  in  modo  speciale  un  maestro,  e  quegli  accenni  son  piuttosto  una 
eccezione  che  la  prova  di  un  ideale  perseguito  e  raggiunto.  E  il  numero    che  prevale 


120 


ITALIA  ARTISTICA 


e  s'impone  piuttosto  che  il  valore  particolare  ;  il  forestiero  profano  ammira,  ma  l'ar- 
tista vi  cercherebbe  invano  le  prove  di  una  scuola  o  di  un  nucleo  di  opere  che  ac- 
cennino a  un  indirizzo  originale.  Ammesso  ciò,  è  indubitabile  che  fra  le  statue  della 
fronte  e  dei  fianchi  del  Duomo  abbondai!  opere  pregievolissime  che  rivelai!  lo  studio 
amoroso  sulle  maggiori  creazioni  di  Michelangiolo  —  del  quale  l' influsso  durò,  sal- 
tuariamente, fin  quasi  al  sorgere  dello  stile  neo-classico  —  e  del  Bernini.  Fra  molte 


PALAZZO    VISCONTI   DI    MODKOXE,  VERSO   IL   NAVIGLIO. 


.   !i . J 

(Fot.    I.   I.   d'Arti  Grafiche). 


figure  contorte,  flosce,  manierate  in  cui  invano  l'agitar  delle  pieghe  e  certa  grandio- 
sità generale  degli  atteggiamenti  nascondono  la  mancanza  di  originalità,  non  mancano 
altre,  nascoste  fra  gli  aggetti  del  monumento,  lungo  i  contrafforti,  o  disseminate 
qua  e  là  un  po'  dovunque,  che  si  raccomandano  per  vigoria  di  modellatura,  per  com- 
posta semplicità  di  mosse,  per  maestà  di  panneggiamenti.  Specialmente  quando  la 
grazia  e  la  delicatezza  hanno  condotto  lo  scalpello  più  che  la  smania  di  riprodurre 
un  po'  superficialmente  e  con  effetti  pittorici  la  vigoria  e  la  potenza  drammatica, 
gli  ignoti  esecutori  di  piccole  statue  meno  in  vista  nei  fianchi  e  sulla  parte  più 
alta  del  monumento  seppsr  raggiungere  un  grado  elevato  di  arte  rappresentativa  :  è 


M  I  L  A  X  O 


i  :  i 


quando  l'ispirazione  sembra  derivare  piuttosto  dal  Bernini  creatore  dell'Estasi  ili 
Santa  Teresa  che  dal  Michelangiolo  del  Mosè  che  lo  scultore  lombardo  della  de- 
cadenza seppe  creare  opera  tuttora  piacente.  Anche  questa  volta,  come  già  ai  bei 
tempi  di  Leonardo  e  del  Luini,  l'artista  nostro  seguiva  ancora  la  propria  inclina- 
zione mite  e  sentimentale. 


PORTALE   DEL    SEMINARI! 


(Fot.  Brogi). 


Data  la  impossibilità  di  un  serio  esame  della  maggior  parte  di  quelle  statue,  non 
è  per  ora  facile  —  prima  che  la  serie  di  fotografie  che,  con  l'aiuto  dei  ponti,  si 
stanno  ora  eseguendo,  sia  in  dominio  del  pubblico  -  -  precisare  quali  figure  appar- 
tengono agli  scultori  ricordati  negli  Annali  del  Duomo  per  quel  secolo,  quali  An- 
tonio Albertino,  G.  B.  Asconino,  Giovanni  Bellandi,  G.  B.  Bianchi,  Andrea  Biffi  che 
lavorò  dal  1593  al  1630  a  modellar  statue  e  numerosi  bassorilievi,  e  suo  figlio  Carlo, 
Carlo  Antonino  Bono  (1646-1673)  e  Francesco,  Giacomo,  Giuseppe  (1680-17  io)  della 


122 


ITALIA  ARTISTICA 


stessa  famiglia.  Cesare  e  Dionigi  Bussola.  Pietro  Antonio  Daverio  (158S-1022),  G. 
Pietro  Lasagna  (1641-1658),  Teodoro  Lucani,  G.  B.  Maestri  detto  il  Volpino  (1662- 
1680),  Marco  Mauro,  Alessandro  Paiarini,  i  Prestinari,  Andrea  Prevosto  (1 633-1 663) 
e  Girolamo,  G.  Cesare  Procaccini,  G.  B.  Quadrio,  Giuseppe  Busnati,  Carlo  Simo- 
netta, i  sei  Vismara,  Siro  Zanelli,  ecc.:  nomi  che  mi  piace  ricordare  a  riprova  del- 
l'importanza, almen  pel  numero  dei  proseliti,  che  ebbe  tuttavia  anche  allora  l'am- 
biente artistico  lombardo. 

Anche  nelle  chiese  in  cui  la  sta- 
tuaria del  Seicento  è  meno  rappresen- 
tata che  nel  Duomo  o  dove  serve  di 
completamento  all'  architettura  dell'e- 
dificio —  S.  Maria  della  Passione,  S.  A- 
lessandro,  S.  Giuseppe  —  e  in  altri 
edifici  civili  qualche  statua,  qualche  bas- 
sorilievo, qualche  particolare  decora- 
tivo merita  l'attenzione  dell'artista,  ma 
sarebbe  lungo  farne  cenno  qui.  Per 
quello  che  riguarda  la  decorazione,  fra 
gli  stessi  editici  privati  che  apparten- 
gono evidentemente  al  periodo  della 
signoria  spagnola  —  e  a  Milano  sono 
numerosissimi,  sparsi  anche  nei  più 
modesti  vicoli  della  parte  più  vecchia 
della  città  entro  la  cerchia  del  Navi- 
glio —  vien  fatto  di  trovar  tuttora  at- 
traenti ricordi  di  quell'arte  elegante,  vi- 
stosa, un  po'  superficiale:  portali  dal- 
l'arco poggiante  in  falso  qualche  volta 
riccamente  ornato,  cartelle  a  flessuosi 
cartocci,  incorniciature  ondulate  di  fi- 
nestre, balconi  sagomati,  ringhierette 
di  ferro  a  belli  intrecci,  stemmetti.  L'ar- 
tista vedrà  certamente  con  piacere,  fra 
i  migliori  esempi  d'arte  decorativa  di  quel  tempo,  il  bizzarro  altare  di  S.  Fedele  nel 
quale  una  cariatide  abbraccia  il  fusto  di  una  colonna  e  lo  stacca  dal  capitello  spo- 
standolo dal  suo  asse  (idea  che  non  dev'essere  del  Pellegrini  come  si  crede,  ma  piut- 
tosto del  XVII  secolo),  il  portale  dalle  belle  cariatidi  del  Seminario,  l'aitar  maggiore 
ricchissimo  di  pietre  preziose  e  di  marmi  come  di  linee  in  S.  Alessandro,  quelli  di 
S.  Maria  alla  Porta  e  l'altro  più  elegante  ma  misurato  di  S.  Francesco  di  Paola  che 
però  potrebbe  essere  del  principio  del  secolo  XVII,  anche  per  la  sua  analogia  con 
quello  dell'Incoronata  di  Lodi  che  vuoisi  del  1738;  le  belle  porte  e  finestre  del  palazzo 
Litta  dell'architetto  Bolli,  la  porta  del  palazzo  Trivulzio,  la  porta  di  S.  Alessandro, 
inquadrante,  come  quella  della  Passione,  un  bassorilievo  che  prende  il  posto  delle 
antiche  lunette  lombarde,  i  parapetti  in  pietra,  di  un'eleganza  francese,  nel  giardino 
del  palazzo  Visconti  di  Modrone,  verso  il  Naviglio,  e  nello  scalone  del  palazzo  Crivelli. 


AKMADIO    NELLA    SAGRESTIA  DI    S.   VITTORE   AL   CORPO. 

I  Dal  Forcella). 


M  I  L  A  N  O 


12. 


Nell'intaglio  in  legno  l'industria  lombarda  raggiunse  grandi  altezze.  A  Milano, 
se  non  rimangon  opere  di  una  festosità  cosi  eccezionale  come  è  dato  di  vedere  in 
Valtellina  e  particolarmente  a  Grosio  —  dove  l'organo  della  parrocchiale  tocca 
l'estremo  della  più  esuberante  fantasia  di  sognatore  — ,  restati  tuttavia  negli  ar- 
madi di  S.  Vittore  al  Corpo,  eseguiti 
nel  1611-1020  da  un  frate  Giuseppe  del 
luogo,  nelle  sedie  corali  di  S.  Antonio 
Abate  su  disegno  del  Ricchini  (163 1?), 
in  quelle  di  S.  Pietro  in  Gessate  (1640», 
negli  armadi  della  sagrestia  di  S.  Maria 
delia  Passione  (1692  ?),  in  quelli  del 
Carmine  di  Giovanni  Quadrio  (1691- 
1707),  esempi  piacevolissimi  di  quel 
ramo  gentile  dell'arte  che  troverà  fuor 
di  Milano  nei  ricchissimi  stalli  eseguiti 
da  Carlo  Gara  vaglia  per  l'Abazia  di 
Chiaravaile  la  più  splendida  manife- 
stazione. 

Alle  notizie  già  conosciute  potrei 
aggiungere ,  come  pei  periodi  prece- 
denti, le  più  importanti  che  mi  fu  dato 
raccogliere  nelle  mie  ricerche  storiche. 
Mi  limito  a  ricordare  che  nel  1602 
G.  B.  Vertemate  eseguiva  i  banconi 
intagliati  nel  refettorio  del  Carmine, 
un  Carlo  Brunelli  eseguiva  e  inta- 
gliava l'organo  di  S.  Maria  di  Lo- 
reto (1640-1642),  Giovanni  Rogantino 
bergamasco  costruiva  e  intagliava  l'or- 
gano in  S.  Fedele. 

Negli  altri  rami  minori  dell'arte  il 
carattere  profano  finì  col  prendere  il  sopravvento  sul  religioso  e  tolse  ogni  carat- 
tere d'arte  locale  :  ne  son  esempio  l'ostensorio  «  all'Ambrosiana  »,  cesellato  e  dorato, 
in  S.  Ambrogio,  il  tabernacolo  in  legno  in  S.  Antonio  ancor  composto  nell'edicola 
ma  troppo  slegato  nella  base  a  figure  e  putti  e  volute;  e  principalmente  nelle  stoffe 
dove  la  parte  pittorica,  per  effetti  o  per  tecnica,  invase  la  parte  puramente  tessile, 
come  in  un  pallio  d'altare  in  S.  Maria  di  S.  Celso,  in  altro  della  chiesa  di  S.  An- 
tonio, in  un  terzo  di  S.  Vittore  al  Corpo  in  cui  la  parte  decorativa  fa  da  cornice  al 
quadretto  centrale  e,  nella  stessa  chiesa,  in  un  piviale  ricchissimo,  e  in  altro  pallio  in 
S.   Babila  analogo  a  quello  di   S.  Vittore. 

In  un  ramo  più  modesto  —  quello  del  fonder  campane  —  si  distinsero  diverse 
fabbriche  milanesi  e  prima  quella  dei  Bonavilla,  dalla  quale  uscì  la  campana  ornata 
a  figure,  cariatidine,  festoni  e  scritte  del  campanile  di  S.  Antonio  Abate,  fusa  nel- 
l'anno   1635. 


SEDIE  CORALI    DELLA   CHIESA    DI    s     ANTONIO    ABATE     A.     1631). 

Dal   Forcella). 


I24 


ITALIA  ARTISTICA 


Di  applicazioni  minori,  ma  nelle  quali  si  poteva  sbrigliare  senza  freni  tutta  la 
bizz  irra  fantasia  degli  artisti  —  archi  di  trionfo,  carri,  mascherate,  pennoni  per 
cortei  e  per  corse  —  rimangon  descrizioni  magniloquenti  e  qualche  incisione  e  di- 
segno non  privo  di  eleganza. 

Ma  già  l'industria  andava  prendendo  il  sopravvento  sull'arte  pura  e  la  parabola 
scendeva  precipitosa. 


SEDIE    CORALI   DELLA    CHIESA  DI    S.    PIETRO    IN    GESSATE. 

\  (Dal   Forcella). 


Vili. 

Il    governo    austriaco    e    i    successivi    avvenimenti  politici    —    Il    neo     i  lell'arte    lombarda    — 

I  Ruggeri,  il  Piemarini  e  i  minori   architetti  —   II  Tiepolo  a  Milano  —  L'Appiani,    il    Traballili  e 
la  pittura  del  lcmr<>    -     I  romantici  —   L'arte  moderna   e  le  collezioni  milanesi. 


Il  governo  austriaco,  subentrato  nel  1706  allo  spaglinolo  in  seguito  alla  guerra 
di  successione  causata  dalla  morte  di  Carlo  II  di  Spagna,  non  incontrò  certo  gran 
favore  in  Lombardia,  dove  si  videro  gli  austriaci  succedere  agli  spaglinoli  con  la  stessa 
indifferenza,  per  dirla  col  Cantò,  ondo  il  casigliano  vede  cambiare  il  padrone  della 
casa.  Tuttavia  il  saggio  governo  di  Maria  Teresa  e  il  successivo  rifiorimento  delle 
industrie  locali  dovetter  persuadere  che  il  nuovo  padrone  era  migliore  del  primo.  Il 
lungo  periodo  di  tranquillità  che  seguì  alle  nuove  lotte  che  funestarono  il  paese  nel 
1 74  S  e  la  pace  del  1748  che  ci  ribadì  all'Austria  furon  proficue  pel  benessere  ge- 
nerale. I  privilegi,  le  imposizioni  eccessive,  le  ingiustizie  patenti  ebbero  fine  o  al- 
meno preser  forma  tollerabile. 


PALAZZO    LI  SANI    IN    VIA   BRERA,    DLLi.Al.CH.    A.    M     RUGGERI    (SEC     2CVI1I).  (Fot.    Dvogi). 


126 


ITALIA  ARTISTICA 


Un  valoroso  nucleo  di  forti  e  bellissimi  ingegni  mostrò  al  mondo  quanto  tut- 
tavia la  Lombardia  fosse  degna  di  miglior  fortuna:  i  Verri,  Cesare  Beccaria  che  col 
libriccino  Dei  delitti  e  delle  pene  operò  in  favor  della  giustizia  più  che  non  intere  ri- 
voluzioni, Ermenegildo  Pino,  architetto,  idraulico,  minerologo,  geologo,  Giuseppe 
Parini,  gloria  di  quel  secolo  di  cui  flagellò,  in  forma  così  elegantemente  severa,  i 
vizi  e  le  sdolcinature  vergognose  dei  nobili,  Maria  Gaetana  Agnesi,  lo  storico  Giulini, 
l'Allegranza,  i  dotti  Reggio,  Lechi.  Castelli,  Frisi,  e,  in  altro  campo,  i  musici  Zin- 
garelii.   Sarti,  Cherubini,  Marchesi. 


PALAZZO   BELGIOIOSO.    DELL'ARCH.    PIEKMAK1XI     A.    1777'. 


Fj:.   Brogi). 


L'arte  s'irrigidì  in  fredde  formule  più  che  altrove  dopo  percorsa  la  sua  para- 
bola discendente. 

Di  quel  secolo  e  precedentemente  al  ritorno  al  classicismo  è  fastoso  esempio 
a  Milano  il  palazzo  dei  Cusani  —  ora  sede  del  comando  della  divisione  militare  — - 
eretto  a  due  piani  sul  terreno  e  questo  con  una  originale  fusione  di  una  finestrella 
ovale  con  la  grande  finestra  sottostante,  dovuto  ad  Anton  Maria  Ruggeri,  per  altri  a 
Giovanni  Ruggeri,  dalle  forme  più  tortuose  e  spezzate  «  che  una  mano  convulsa  sappia 
tracciare  »  per  dirla  con  una  vecchia  guida,  e  dai  disgraziati  particolari  decora- 
tivi. «  Ciononostante  vi  ha  ordine,  vi  ha  giusto  equilibrio  di  parti,  larghezza  di  piani, 
e  le  gonfiezze  ornamentali,  se  non  svaniscono,  si  fanno  condonare,   come    si  condo- 


M  I  I .  A  X  (  ) 


^: 


nano  sopra  una  bella  persona  gl'insensati   acconciameuti    della    moda».    Lo    st< 
piacente   partito  pel  quale,   in  una  stessa  cornice,  si  associano  le   luci  del  pianterreno 
e  del  mezzanino,  ritorna  nel  palazzo   Andreani  Sorniani.  Al  Ruggeri  si  dà  anche  1  i 
fronte  della  chiesa  di  S.  Maria  Maddalena  delle  monache  agostiniane  (i  728). 

Ai  primi  decenni  di  quel  secolo  appartiene  il  palazzo  Clerici,  ora  dei  Tribunali, 
sorto  per  volontà  di  Giorgio  Clerici,  il  fastoso  e  raffinato  maresciallo  ai  servigi  degli 
eserciti  imperiali  di   Maria  Teresa.  Il   palazzo  è  noto  perchè  accoglie  le  grandi  1 


TEATRO   DELLA   SCALA     DELJL'ARCH.    PIERMARINI   (1776- 


E    MONUMENTO    A    LEONARDO    DA   VINCI. 

(Fot.   I.    I.  d'Arti  Grafiche). 


zioni  pittoriche  del  Tiepolo,  di  cui  si  parlerà  tra  breve. 

Giuseppe  Piermarini  folignate,  allievo  del  Vanvitelli,  è  l'architetto  più  attivo  a 
Milano  in  quel  secolo.  Gli  appartengono  l'edificio  del  Monte  di  Pietà,  la  parte  del- 
l'Arcivescovado verso  piazza  Fontana,  la  fronte  verso  il  giardino  del  palazzo  Cusani, 
il  palazzo  Belgioioso  (1777)  a  due  piani,  grandioso,  ricco,  un  po' rigido,  l'antica  casa 
dei  Marliani,  poi  Monte  Napoleone,  severa,  semplice  di  linee,  il  palazzo  reale  nel- 
l'attuale sua  forma  quale  risultò  quando  quell'architetto  vi  tolse  l'antica  fronte, 
talché  là  dove  era  un  cortile  risultò  una  piazza,  il  teatro  della  Scala  —  così  chia- 
mato perchè  sull'area  della  chiesa  fondata    già    da    Regina    della    Scala    moglie    di 


128 


ITALIA  ARTISTICA 


Barnabò  Visconti  — ■  che  sorse  nel  1 776-1 778  coi  «  segni  di  quella  timidità  che  nel 
Piermarini  confinava  con  la  secchezza  senza  peccare  però  al  disordinato  »  (Morigeri), 
il  teatro  della  Canobbiana,  rifatto  più  tardi  con  altra  forma  e  sott'altro  nome,  e  di- 
versi rimaneggiamenti  d'altri  edifici  pubblici  e  privati. 

Di  Simone  Cantoni  —  architetto  dallo  stile  più  ampio  di  quello  del  Piermarini  — • 
son  palazzi  e  ville,  compreso  quello  Pertusati,  quello  dei  Porta  poi  Poldi-Pezzoli  e 
quello  dei  Serbelloni  (1794),  grandioso,  non  senza  attrattive,  tenuto  conto  dei  gusti 
del  tempo. 


VILLA   REALE,   GIÀ   BELOIOIOSO,   VEKSO    IL    GIARDINO,    DELL'ARCH.    L.   POLLACK    i  A.    1790). 

(Fot.  I.   I.   d'Arti  Grafiche). 


Valenti  architetti  furon  Giuseppe  Levati,  formatosi  sullo  studio  del  trattato  del 
Vignola  ch'era  allora  considerato  come  il  Vangelo  dei  costruttori  più  che  quelli  del 
Serlio  e  del  Palladio,  e  che  decorò,  fra  la  generale  ammirazione,  il  palazzo  reale  di 
Milano,  la  villa  di  Monza  ed  ebbe  scolari  il  Perego  e  il  Sanquirico  applicanti 
alla  scenografia  le  leggi  pure  dell'architettura  e  della  prospettiva  lineare;  Leopoldo 
Pollack,  di  una  famiglia  d'artisti,  del  quale  sono  la  fontana  nella  piazza  omonima  e  la 
villa  reale  —  eretta  dal  conte  Lodovico  Barbiano  di  Belgioioso  (1790)  —  dalla  leg- 
giadrissima  fronte   verso  il  giardino. 

La  scultura,  in  condizioni  tristissime  dopo  i  fulgori  dei  periodi  precedenti,  an- 
novera appena  a  Milano  modesti  benché  attivi,  specialmente  a  prò  del  Duomo, 
C.  Maria  Giudici,   Giuseppe  Franchi   carrarese  insegnante  all'Accademia  organizzata 


M  I  L  A  X  O 


1 29 


da  Maria  Teresa,  F.  Zarabatta,  i  due  Beretta,  G.  B.  Brunetto,  il  Carcano,  G.  B.  Do- 
minione,  M.  A.  Marchi,  G.  Perego  che  modellò  la  gran  statua  della  Vergine  sulla 
guglia  maggiore  del  Duomo,  Francesco  Carabelli,  il  Pizzi,  il  Ferrandino,  il  Ruzzi,  G.  I',. 
Marchesi,  il  Pasquali  e  il  Rusca  che  rientrali  già  nel  periodo  neoclassico. 

La  pittura  si  afferma  e  trionfa  in  Lombardia  per  opera  di  un  veneto,  non 
per  opera  degli  artisti  locali,  benché  qualcuno  meriti  un  ricordo  anche  in  una 
modesta  rassegna  storica  d'arte  come  la  presente.  Son  essi  Pietro  Ligari,  Angelo 
Maria    Crivelli    detto    il    Crivellone,    primo     fra    i    pittori     di     genere  e    di    animali 


lini  i 


I 


PALAZZO    SEKBELLONI,   DEJLLAUCH.    CANTONI   (A.    1794). 

(Fot.  I.    I.  d'Arti  Grafiche). 


da  noi,  Vittore  Ghislandi  noto  col  nome  di  fra  Galgario,  ritrattista  vigoroso  e  pien 
di  carattere  meglio  che  il  Lanzani,  l'Abbiati,  l'Adler  e  qualche  altro,  Francesco 
Londonio  acquafortista,  pittore  d'animali  e  di  scene  campestri  vivaci,  sentimentali, 
piene  di  colore  —  la  Pinacoteca  di  Brera  ha  numerosissimi  suoi  quadri  e  schizzi 
piacevolissimi  —  e  altri  men  valenti  o  mediocri  del  tutto  che  precedettero  o  videro 
l'ultimo  fulgore  dell'arte  pittorica  lombarda,  più  tardi,  con  Andrea  Appiani. 

Gio.  Battista  Tiepolo  fu  chiamato  dal  maresciallo  Clerici  a  decorare  il  suo  pa- 
lazzo di  Milano  nel  1740.  Nessun  artista  poteva  in  quel  tempo,  meglio  del  fantasioso 
pittore  veneto,  soddisfare  ai  desideri  del  ricco  committente  e  completarne  le  attrat- 
tive del  grande    palazzo.  Egli  vi  rappresentò    la    corsa  del  Sole  attraverso  il  cielo, 


i.so 


ITALIA   ARTISTICA 


gli  astri  e  la  natura.  E  un  volo  di  figure  raggruppate  con  la  potenza  solita  del 
grande  artista  che,  ribelle  ai  vincoli  di  spazio  e  alle  tradizioni,  uscì,  con  alcune  sue 
fio-are,  persino  dalle  cornici  e  che  si  presentano,  per  dirla  con  Henry  de  Chenne- 
vières,  «  avec  un  goùt  peut  étre  un  peut  théàtral,  mais  du  théàtral  le  plus  radieuse- 
ment  délicat  ». 


COLONNA    DEL   VERZIERE. 


(Fot.   I.   I.  d'Arti  Grafiche). 


Il  Tiepolo  lasciò  in  Lombardia  altre  opere  oggi  men  godibili:  due  affreschi  tra- 
sportati su  tela  nella  cappella  di  S.  Satiro  o  di  S.  Vittore  in  Ciel  d'Oro  nella  chiesa 
'li  S.  Ambrogio  con  le  rappresentazioni  del  Naufragio  di  S.  Satiro  e  il  Martirio  di 
S.  Vittore  e,  nella  sagrestia  detta  delle  messe,  un  S.  Bernardo  in  gloria,  nella  mag- 
gior   sala  del    palazzo   del  Museo  —  riformato  già  nel   1738  dai  Casati  —  nei  giar- 


PALAZZO    CLERICI    —    SOFFITTO    DELLA    GRAN     SALA,    DI    G.    B.    TIEPOLO. 


U2 


ITALIA  ARTISTICA 


/ 

% 


à 


G.    B     TIEPOLO  :    AFFRESCO   NEL   PALAZZO    AKCHINTI. 


clini  pubblici  il  soppalco  dipinto;  nella  sala  che  servì  poi  agli  archivi  nel  palazzo  della 
Congregazione  di  Carità  -  -  già  degli  Archinti  —  la  grande  composizione  a  fresco 
II  trionfo  delle  arti  belle,  molto  restaurata  e  attribuita  anche  a  Domenico  Tiepolo. 
come  le  decorazioni  delle  altre  sale  erano  e  da  qualcuno  son  date  tuttavia  a 
G.  B.  Piazzetta;  nella  pinacoteca  di  Brera  è  lo  schizzo  di  ima  battaglia  (n.  250);  e 
a  Bergamo  la  smagliante  decorazione  della  cappella  Colleoni. 


MILA  X (  i 


G.    lì.    TIEPOLO:    AI  FRESCO    NEL    PALAZZO    ARCHINTI. 


(Fot.  Ferrarlo). 


Il  periodo  neoclassico,   un  po' prodotto  delle  tendenze  dell'epoca,  appassiona: 
ai  nuovi  scavi  d'antichità,  agli   atlanti  e  alle  pubblicazioni  inneggianti  al  classicismo 
de'  greci  e  dei  romani  e  più  reazione  alle  eccessività  del    barocco,  trova  a    Milano, 
meglio  che   in  ogni  altra  parte  d'Italia,   seguaci  convinti    e    artisti    se   non  di  genio 


134 


ITALIA  ARTISTICA 


certamente  di  una  grande  genialità  e  severità  d'idee,  quali  il  Cagnola,  il   Marchesi, 
l'Appiani  e  uno  stuolo  di  minori. 

L'arco  della  Pace,  o  del  Sempione,  ideato  nel  1S06  da  Luigi  Cagnola  per  festeg- 
giare l'arrivo  del  principe  Eugenio  Beuharnais  e  della  moglie  principessa  Amalia 
di  Baviera,  ed  eretto  poi  a  ricordo  delle  imprese  del  primo  Napoleone  che  aveva 
dischiusa  la  via  fra  la  Francia  e  l' Italia  attraverso    il  Sempione,  è  1'  opera    che  più 


CHIESA   DI    S.   CAKLO   SU   DISEGNO   DELL'AMATI   (1836-47). 


(Fot.  Brogi;. 


felicemente  riassume  gli  ideali  dell'arte  edilizia  di  quel  tempo.  Nel  1814  la  costru- 
zione arrivava  quasi  all'  imposta  delle  due  arcate  minori,  ma  non  fu  compiuta  che 
più  tardi,  per  esser  dedicata  nel  183S  all'imperatore  Francesco  I,  quasi  a  ricordo  che 
la  gloria  di  tre  principi  è  men  duratura  di  un  monumento.  Costò  circa  quattro  mi- 
lioni e  mezzo  di  lire  austriache  compresi  i  due  casini  laterali  o  propilei,  e  uno  stuolo 
di  artisti  vi  lavorò  intorno  attivamente. 

L'edificio,    grandioso,    solenne,  un  capolavoro    veramente    nonostante    le  mende 
e  certe  rigidità  nelle  decorazioni,    è    d'ordine    corinzio    qual    si    conveniva  alla    rie- 


ARCO    DELLA    PACE   O    DEL    SEMFIONE,    DELL'ARCH.    CAGNOLA    (A.    1806   E   SEGG.)- 

(Fot.  Alinari). 


i*6 


ITALIA  ARTISTICA 


chezza  che  l'aveva  ispirato  e,  come  negli  esempi  più  notevoli  dell'antichità  romana, 
presenta  tre  archi,  uno  più  grande  nel  mezzo  e  due  minori  ai  lati,  con  colossali  co- 
lonne abbinate  di  marmo  di  Crevola  reggenti  la  trabeazione  cui  sovrasta  un  grande 
attico. 

L'opera  sembrò  allora,  certamente  in  misura  maggiore  che  a  noi  non  sembri, 
degna  dell'antichità  classica  :  si  pubblicaron  le  misure  delle  varie  parti  degli  archi  di 
Settimio  Severo  e  di  Costantino  per  concludere  che  l'arco  di  Milano  era  superiore 
a  quelli,  non  solo  nelle  proporzioni,   ma  nell'arte.   Certo  è  che  neh'  arco   della  Pace, 


PALAZZO   ROCCA  SAPORITI,   DELLARCH.   PEREGO. 


(Fot.   I.   I.   d'Arti  Grafiche). 


essendo  aumentata  l'altezza  in  confronto  alla  larghezza  e  più  della  metà  dell'altezza 
totale  essendo  al  di  sotto  della  cornice  generale,  ne  è  risultata  maggior  sveltezza  nel- 
l' insieme  che  negli  archi  dell'antichità,  pei  quali  d'altronde  lo  scopo  precipuo  era 
di  imporsi  per  la  forza    e  la  solidità  più  che  per  snellezza  di  forme. 

E  quest'opera  il  miglior  documento  dell'arte  edilizia  d'allora  :  migliore  certamente 
che  le  inconsulte  e  affrettate  applicazioni  pel  completamento  del  Duomo  —  eccet- 
tuata la  maggior  guglia  eretta  su  modello  di  Francesco  Croce,  nella  quale  aleggia 
ancora  qualche  po'  dell'antico  spirito  dei  costruttori  lombardi  —  dovute  all'Amati  e 
allo  Zanoia,  al  Nava  e  al  Vadoni  ;  migliore  della  chiesa  di  San  Carlo  eretta,  su  di- 
segni dell'Amati,  dal  1836  al  1S47  e  derivazione  libera  dal  Pantheon  come  il  San  Fran- 


ARCO    DI    PORTA    NUOVA,    DELL'ARCH.    ZANOIA    (A.    1810). 

Fot.  r.   I.  d'Arti  Grafiche). 


L'ARENA,    DELL'ARCH.    CANONICA   (A.    180Ò-1807). 


i  Fot.    Alinari). 


18 


i38  ITALIA  ARTISTICA 

cesco  di  Paola  di  Napoli,  di  stile  corinzio  vitruviano,  meri  peggiore  tuttavia  di  quanto 
sembri  ad  Aston  Rollins  Willard  che  non  vide  nell'interno  quella  grandiosità 
d' insieme  che  vi  appare  innegabilmente  se  non  si  voglion  fare  confronti  pericolosi 
o  —  se  pur  si  voglion  fare  —  quando  non  si  dimentichi  che  il  Pantheon  non  rap- 
presenta, quale  lo  vediamo,  che  l'avancorpo  delle  terme,  combinazione  felice'i.per  una 
sala  di  riposo  per  bagni,  ma  ribelle  alla  necessità  del  tempio'  cristiano  ;  migliore  del - 


CANOVA:    NAPOLEONE   I   —   PALAZZO   DI   BRERA. 


(Fot.  Alinari). 


l'arco  di  Porta  Nuova  (1810)  lodatissimo  allora  per  le  modanature,  ideato  dallo  Zanoia 
che  si  applicò  allora  a  innalzar  altri  edifici  e  cappelle  in  Milano  e  fuori.  Il  Canonica, 
il  Pestagalli,  il  Pollack  meritan  ricordo  onorevole  in  quel  periodo  di  rigide  ricostruzioni 
archeologiche:  del  primo  è  la  grandiosa  Arena,  che  arieggia  gli  anfiteatri  romani, 
innalzata  fra  il  1806  e  il  1807,  di  ben  238  metri  nell'asse  maggiore,  con  le  carceri, 
la  porta  trionfale,  la  loggia  reale  o  pulvinare  e,  di  contro,  la  porta  libitinaria, 
disposte  come  nei  circhi  romani,  e  contenente  ben  trentamila  spettatori.  A  Luigi  Ca- 


M  I  L  A  N  O 


139 


nonica  spetta  l'erezione  del  teatro  Carcano  (1803),  ottimo  nelle  proporzioni  interne,  e 
quello  dei  Filodrammatici,  fratto  d'una  trasformazione*  dell'antica  chiesa  dei  SS.  Co- 
sma e  Damiano,  di  cui  restan  tuttora  avanzi  dell'abside,  o  rimanevan  prima  dei  re- 
centi restauri. 


Milano,  nella  prima  metà  dell'Ottocento,  si  trasformò  rapidamente  fin  da  quando, 
dopo  la  pace  di  Luneville,  riconosciuta  ufficialmente    la  repubblica  cisalpina,    Bona- 


STATLETTE   DKLL'ALTAK   MAGGIORE    NELLA    CHIESA   DI    S.    FEDELE. 

(Fot.   I.   I.  d'Arti    Grafiche). 


parte  iniziò  quel  grande  sventramento  che  prese  il  nome  di  Foro  Bonaparte,  cui 
doveva  seguire,  secondo  un  piano  grandioso  che  non  ebbe  attuazione,  la  trasforma- 
zione del  Castello  in  palazzo  pel  governo  centrale  da  circondarsi  di  grandi  edifici 
destinati  a  vari  pubblici  uffici  e  raccordati  coll'antico  centro  di  Milano  mediante  una 
spaziosa  via  diretta. 

Sorsero,  poco  dopo,  edifici  come  gli  Ospedali  Fatebenefratelli  e  Fatebenesorelle, 
grandiosi,  classici,  vignoleschi,  i  palazzi  Melzi  in  via  S.  Paolo,  Belloni  ora  Rocca- 
Saporiti  in  corso  Venezia  per  opera  di  Giovanni  Perego,  Cagnola  in  via  Cusani, 
Traversi,  Passalacqua,  Arese,  Archinti,  dell'Amministrazione  del   Duomo  —  profana 


140 


ITALIA  ARTISTICA 


ma  ardita  costruzione  —  e  molte  altre  senza  speciali  peculiarità.  I  nuovi  tempi  e  i  muta- 
menti di  governo  dovevan  influire,   come  sempre,  a  dar  nuovi  indirizzi  all'arte  stessa. 

Rimasto  senza  effetto  pratico  il  generoso  tentativo  delle  cinque  giornate  (1848) 
e  restaurato  il  governo  austriaco,  tutti  gli  intelletti  furon  rivolti  all'attuazione  del 
sogno  delle  menti  italiche:  e  l'arte  sembrò,  almeno  nelle  sue  maggiori  manifestazioni, 
assopita,  dopo  le  grandi  opere  che  chiameremo  di  arte  imperiale.  Dopo  il  cinquan- 
tanove, a  libertà  riconquistata,  dopo  tanti  secoli  di  servaggio,  la  città  crebbe  rapida- 
mente e  le  occasioni  all'arte  —  almeno  all'arte  pubblica  —  per  manifestarsi  e  per 
assecondare  i  nuovi  piani  regolatori  e  le  nuove  esigenze  non  mancarono  ;  ma  già  gli 
ultimi  saggi  edilizi  avevan  lasciato  poco  a  sperare  per  l'avvenire. 

Pochi  anni  ancora  e  verrà  meno  ogni  concetto  direttivo  :  dopo  le  ultime  costru- 
zioni dell'Albertolli,  del  Pestagalli,    del   Chierichetti,    Milano    vide   sorger    dovunque 


IL   DUOMO    E    IL   COPERTO   DEI   FIGINI    PRIMA   DEI   LAVORI   DEL   PERIODO    NAPOLEONICO 
(DALLA   PIANTA    MANOSCRITTA  DI   G.   B.    RICCARDI). 


nuovi  edifici  in  cui  spesso  la  terra  cotta,  usata  senza  misura  e  con  poca  arte,  pren- 
derà il  sopravvento  sulla  pietra  da  taglio.  I  nuovi  quartieri  eccentrici,  omaggio  al- 
l'enorme e  rapida  espansione  di  una  città  popolosa  ed  eminentemente  industriale, 
le  grandi  arterie,  fra  cui  la  via  Dante  —  in  cui  purtroppo  il  senso  d'  arte  non  è 
pari  alla  grandiosità  degli  edifici  che  la  racchiudono  — ,  le  piazze  del  Duomo  ed  Elit- 
tica,  i  teatri,  gli  edifici  pubblici,  se  son  prova  impressionante  dell'  espansione  della 
città,  non  danno  purtroppo  gran  buon  saggio  di  gusto  nell'edilizia  moderna  — -  fatte 
poche  eccezioni,  quali  la  galleria  Vittorio  Emanuele,  romanamente  ideata  da  Giu- 
seppe Mengoni  (1865-1878),  il  palazzo  della  Cassa  di  Risparmio  del  Balzaretti  (187 1) 
che  s'ispirò  al  palazzo  Strozzi  di  Firenze  come  i  Bagatti-Valsecchi  nel  costrurre  il 
loro  s' ispirarono  genialmente  allo  stile  del  Rinascimento  lombardo,  il  Cimitero  Mo- 
numentale iniziato  nel  1865  su  disegno  del  Macciacchini,  il  palazzo  dell'Esposizione 
Permanente  di  Belle  Arti  dell'ardi.  Luca  Bel  trami,  che  eresse  anche  quello  delle 
Assicurazioni  venete  in  Piazza  elittica,  la  Sinagoga  e  altri  edifici  e  che  diresse  e  di- 
rige tuttora  con  amore  d'artista  e  con  diligenza  di  archeologo  i  restauri  del  Castello 
Sforzesco. 


La  scultura  trovava  rari  mecenati  e  committenti  privati,    benché  prosperasse  la 
scuola  del  romano  Camillo  Pacetti,  e  Gaetano  Monti,  Luigi  Acquisti,  Giovanni  Putti, 


M  I  L  ANO 


141 


Pompeo  Marchesi  —  che  ebbe  fama  maggiore  degli  altri  e  lasciò  belle  opere  nel 
Duomo  e  in  S.  Carlo  —  e  più  tardi  il  Cacciatori,  Vincenzo  Vela,  Abbondio  San- 
giorgio,  i  Somajni,  il  Fraccaroli,  lo  Strozza,  il  Alagni,  il  Miglioretti.  l'Argenti,  il 
Tabacchi  e  altri  abbian  lasciato  belle  prove  del  loro  valore:  la  grande  statuaria 
classica  si  può  dir  finita  come  rappresentante  di  determinate  scuole  con  caratteri 
precisi,  se  pure  non  vogliamo  sperare    che    sia  solamente  assopita.    Le  eccezioni   — 


PIAZZA  DEL   DUOMO   PRIMA   DELLA   EREZIONE   DEL   MONUMENTO    A   VITTORIO    EMANUELE    II. 


notevolissima  quella  del  monumento  al  Beccaria  del  Grandi  —  non  posson  che 
confermare  un  fatto  indiscusso  :  e  i  monumenti  che  van  pullulando  per  le  piazze, 
su  gli  edifici,  e,  con  un  crescendo  allarmante,  nel  Cimitero  Monumentale,  sembrati 
provare  che  1'  arte  moderna,  anche  quando  si  pasce  di  virtuosità  tecniche,  è,  nel 
concetto  ispiratore,  di  una  povertà  desolante. 


La  fastosità  del  periodo  napoleonico  trovò  il  suo  pittore,  e  starei  per  dire  il  suo 
poeta,  in  Andrea  Appiani.  La  scuola  pittorica  lombarda  aveva  avuto  a  buoni  rap- 


142 


ITALIA  ARTISTICA 


presentanti,  nello  scorcio  del  Settecento,  Carlo  Maria  Giudici,  Angelica  Kauffmann. 
Martino  Knoller,  Giuseppe  Mazzola,  Giuliano  Traballesi,  Giovanni  Battista  dell'  Era, 
Francesco  Corneliano,  e  nella  scuola  di  pittura  di  Brera  un  focolare  che  contribuiva 
a  tener  vivo  l'amore  per  l'arte  e  per  lo  studio  dei  maggiori.  Il  Knoller,  allievo  del 
Troger,  era  stato  chiamato  dal  conte  Firmian  a  dirigere  l'Accademia  di  Brera  come 
il  Mazzola,  allievo  del  Mengs  e  conservatore  della  pinacoteca  braidense  sotto  il  Regno 
italico  e  lombardo-veneto.  Giuliano  Traballesi  (1727-1812)  fu  anch'egli  insegnante 
e  valente  frescante:   le  sue  composizioni  mitologiche  nel  palazzo  Serbelloni  e  in   quello 


A.    APPIANI:    IL    CARRO   D'APOLLO   |  AFFRESCO)   —    R.   PINACOTECA  DI    BRERA. 


(Fot.  Montabone). 


Reale  presentano  un'  accentuazione  particolare  di  grazia  che  si  stacca  dalla  rigi- 
dezza dei  classici  del  tempo  senza  preludere  alle  sdolcinature  dei  romantici  futuri,  e 
preparano  l'arte  locale  all'avvento  dell'Appiani.  Questo  maggior  astro  della  pittura 
lombarda  moderna,  gloria  prettamente  milanese  perchè  nacque  a  Milano  nel  175  ; 
e  vi  morì  nel  181 7,  risentì  l'influenza  della  grand' arte  di  David  e  del  ^Traballesi. 
e  fu  superiore  al  romano  e  glorioso  Camuccini,  venuto  dopo,  del  quale  il  Guerin 
diceva  ch'egli  s'era  nutrito  degli  antichi  e  di  Raffaello,  ma  senza  averli  potuti  dige- 
rire. I  contemporanei  chiamaron  l'Appiani  il  pittor  delle  grazie  e  nelle  sue  composi- 
zioni mitologiche,  in  cui  accoppiò  le  eccellenti  qualità  di  disegnatore  e  di  colorista,  è 
una  delicatezza  qualche  volta  un  po'  rigida  ma  elegante,  composta,  insinuante,  che  gli 
meritò  bene  l'epiteto,  dato  oggi  di  preferenza  a  un  altro  grande.  Nei  pennacchi  della 


ANDREA    APPIANI  :    LINCORONAZIONE   DI    GIOVE   (CASTELLO   SFORZESCO). 


(  Kot.  Ganzini). 


ANDREA    APPIANI:    APOLLO    E    LE   MUSE   (CARTONE    NELLA    R.    PINACOTECA    DI    BRERA). 


I  Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche), 


i44 


ITALIA  ARTISTICA 


cupola  di  S.  Celso  (1795),  nei  Fasti  di  Napoleone  nel  palazzo  di  Corte  (1804-1807), 
nei  dipinti  nella  sala  del  Trono  e  delle  udienze  nello  stesso  palazzo  (1808-1810),  nei 
superbi  cartoni  della  Pinacoteca  di  Brera  (dov'  è  pure  un  affresco  con  Apollo 
e  Dafne  che  sembra  ispirato  ai  disegni  preparatori  per  lo  stesso  soggetto  do- 
vuti a  Simone  Cantarmi)  e  in  diversi  ritratti  vibranti  carattere  e  sentimento,  egli 
si  eleva  tanto  sui  contemporanei  che  la  critica  può  anche  oggi  convenire  negli  alti 
elogi  direttigli  da  un  vecchio  biografo  :   «  torna  ad  altissimo  onore  di  lui  se  in  mezzo 


LA   «   SALA   NERA   >    NEL  MUSEO   POLDI-PEZZOLI. 


alla  generale  tendenza  per  le  forme  della  greca  e  romana  statuaria  egli  seppe  guar- 
darsi da  quella  dura  e  fredda  imitazione  di  essa  e  da  quei  convenzionali  e  pedan- 
teschi precetti  che  si  ostentavano  quasi  cardini  della  fraintesa  arte  classica  ».  Furon 
suoi  seguaci  il  De  Antoni,  il  Prajer,  il  Monticelli,  il  Bellati  ;  gli  fu  contemporaneo 
ma  minore  d'età  il  Bossi,  più  apprezzabile  per  aver  aperto  una  scuola  che  fu  pa- 
lestra di  erudite  dissertazioni  intorno  a  sistemi  e  teorie  artistiche  che  per  l'efficacia 
dell'esempio:  ma  gli  studiosi  ricordan  con  gratitudine  l'opera  sua  a  prò  del  riordi- 
namento dell'Accademia  di  Belle  Arti  e  dell'  ampliamento  delle  antiche  collezioni 
lombarde  e  i  suoi  scritti. 


ARCO   DELLA    GALLERIA    VITTORIO    EMANUELE,    DELL'ARCH.    G.    MENGONI 

(A.     1865-1878).  (Foc.Brogi). 


1" 


M  T  L  A  N  O 


i47 


La  Pinacoteca  di  Brera,  sorta  sul  primo  nucleo  riordinata  dal  Bossi,  è  perenne 
ragione  di  compiacimento  pei  milanesi  non  solo  pei  tesori  d'arte  che  racchiude,  ma  per 
gli  esempi  di  disinteresse  e  d'intelligente  attività  che  alla  storia  della  sua  formazione  son 
legati:  il  suo  nome  suona  oggi  quale  uno  dei  maggiori  santuari  dell'arte  nel  mondo. 
Istituita  l'Accademia  di  Belle  Arti  nel  1776,  il  segretario  abate  Carlo  Bianconi,  dotto 
e  buon  intenditore  d'arte  pe'  tempi  suoi,  incominciava  a  raccogliervi  un  primo  nucleo 


gjM^ 


VIA   DANTE. 


(Fot,  Brogi). 


di  dipinti  per  l'istruzione  degli  allievi:  eran  cartoni  di  Guido  Reni,  del  Creti,  quadri 
del  Nuvoloni,  del  Subleyras,  del  Batoni.  L' idea  aveva  avuto  un  principio  d'  attua- 
zione, né  i  tempi  acconsentivan  di  più  quando  Milano  e  l' Italia  eran  spogliate  dai 
commissari  francesi  de'  loro  tesori  d'arte.  Giuseppe  Bossi,  con  maggior  avvedutezza 
e  coltura  artistica,  riuscì  ad  aggiungere  a  quel  povero  nucleo  opere  notevoli  del 
Bergognone,  di  Marco  d' Oggiono,  del  Giambellino,  di  Bramantino,  del  Luini,  lo 
Sposalizio  della  Vergine  di  Raffaello  (in  origine  in  S.  Francesco  di  Città  di  Castello 
e  che  il  generale  Lecchi  aveva  avuto  in  dono  da  quel  Municipio  nel  1798  per  ven- 
derlo poscia,  nel   1801,  a  Giacomo  Sannazzari  che    lo  lasciò  all'  Ospedale   Maggiore 


148 


ITALIA  ARTISTICA 


di  Milano  dal  quale  nel  1804  il  governo  vicereale  lo  acquistò  per  Brera)  e  altre 
minori.  Le  soppressioni  religiose  del  1798  e  1799  permisero  di  raccogliere  a  Ve- 
nezia e  a  Milano  un  ingente  numero  di  quadri  di  antichi  maestri;  e  Andrea  Ap- 
piani veniva  nominato  commissario  per  le  Belle  Arti  con  l' incarico  di  provvedere 
alla  formazione  delle  gallerie  dello  Stato.  Dai  diversi  dipartimenti  della  media  Italia 
e  da  Venezia  piovvero  così  numerosi  i  quadri  che  a  Milano  è  dato  oggi  studiare 
l'evoluzione  dell'arte  dell'alta  Italia  come  in  nessun  altro  luogo.  Le  scuole  venete 
vi  son  rappresentate  con  opere  dei  Bellini,  del  Mantegna,  dei  Crivelli,  del  Montagna, 
di  Carpaccio,   di  Cima,  dei  Bonifacio,   di  Palma  vecchio,  di  Tiziano,    di  Paolo   Vero- 


PALAZZO    DELLA   CASSA   DI    RISPAKMIO. 


(Fot.  il.  I.  d'Arti  Grafiche). 


nese.  di  Tintoretto,  del  Moretto,  di  Lotto,  del  Piazzetta,  di  Tiepolo,  del  Canaletto 
e  dei  minori  con  una  ricchezza  eccezionale  di  opere.  Il  15  agosto  1809  la  collezione 
fu  aperta  solennemente  al  pubblico.  ILe  soppressioni  del  1810  accrebbero  di  oltre 
cinquecento  quadri  la  già  ricca  raccolta  :  «  da  Venezia  a  Pavia  —  scriveva  il  Mon- 
geri,  —  per  tutta  la  valle  del  Po,  da  Macerata  a  Ferrara,  lungo  la  sponda  adriatica 
e  nel  seno  delle  Marche,  fino  alla  chiesa  dei  Bolognesi  a  Roma,  è  un  moto  inces- 
sante di  spedizioni  ».  I  commissari  del  governo  gareggiavano  nell'  inviare  i  dipinti 
del  maggior  valore:  con  Parigi  si  intraprendevan  cambi  vantaggiosi  e  ne^venivan  la 
Cena  di  Rubens,  il  ritratto  muliebre  di  Rembrandt  e  quello  di  Van-Dyck  :  nuclei 
preziosi  venivan  dalla  galleria  Monti  dell'Arcivescovado,  da  quella  Sampieri  di  Bo- 
logna; gli   affreschi  del    Luini  dalla  villa  della  Pelucca  presso  Monza,  e  nel   1855    il 


MILANO 


149 


ricco  lascito  Oggioni.  Fra  i  doni  veramente  regale  quello  dei  tre  meravigliosi  ritratti 
di  Lorenzo  Lotto  da  Vittorio  Emanuele  nel  1860;  nel  1S76  il  marchese  ' Stampa- 
Soncino  legava  altre  pitture.  Altri  dipinti  furon  tolti  alle  chiese  e,  separate  definiti- 
vamente la  Pinacoteca  dall'Accademia,  le  cure  di  Giuseppe  Bertini  e  il  riordinamento 
definitivo  di  poi,  nel  1900,  di  Corrado  Ricci  —  che  v'aggiunse  ben  quindici  sale  e  un 
centinaio  di  dipinti  (gli  affreschi  di  Bramante,  quadri  di  Benozzo  Gozzoli,  di  Gentile 
da  Fabriano,  del  Foppa,  di  Cosmè  Tura,  dei  Dossi,  del  Carrari,  dello  Zaganelli,  del 
Bastiani,  di  Cima,   di  Bufinone,  del  Boltraffio  ecc.)  —  e  recentemente  i  preziosi  doni  di 


PALAZZO   DELI/ESP0SIZ10NE   PERMANENTE. 


(Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


schizzi  e  il  notevole  deposito  di  antichi  disegni  della  collezione  Morelli  da  parte  del 
dott.  Gustavo  Frizzoni,  permettono  oggi  di  considerare  questa  collezione  come  una 
delle  maggiori  e  delle  più  seriamente  disposte. 

Quando  si  pensi  che  a  così  ingente  collezione,  che  vanta  oltre  700  dipinti,  di- 
sposti in  trentacinque  sale,  vanno  aggiunte  le  ricche  collezioni  di  antichità  preromane, 
greche,  etrusche,  romane,  medioevali,  moderne,  accolte  nelle  grandi  sale  del  Castello 
Sforzesco,  nelle  quali  le  sculture,  le  ceramiche,  i  dipinti,  i  bronzi,  i  mobili,  le  stoffe, 
gli  avori  e  le  minori  manifestazioni  d'arte  industriale  son  così  ampiamente  rappre- 
sentate, e  quelle  della  pinacoteca  Ambrosiana  in  cui  rifulgon  opere  del  Bambaja,  di  Leo- 
nardo, del  Luini,  di  Bramantino,  di  Raffaello,  di  Bergognone  e  di  maestri  stranieri, 


J5o 


ITALIA  ARTISTICA 


incisioni  rarissime,  cimelii,  curiosità  cui  son  legati  numerosi  ricordi  d'arte  e  di  storia 
cittadina,  e  vi  s'aggiunga  quel  gioiello  —  mi  si  conceda  l'espressione  —  di  raccolte  ch'è 
il  Museo  lasciato  nel  1879  dal  Poldi-Pezzoli,  ove  quadri,  sculture,  stoffe,  gioielli, 
armi,  arredi,  maioliche,  curiosità  son  raccolti,  in  ambienti  eminentemente  suggestivi, 
a  far  da  cornici  a  un  Botticelli,  a  un  Pier  della  Francesca,  al  Signorelli  all'Alber- 
tinelli,  al  Perugino,  ai  grandi  maestri  lombardi  della  Rinascenza:  quando  si  pensi  che 
intorno  a  quesri  tre  precipui  santuari  dell'arte  a  Milano  son  numerose  gallerie  pri- 
vate preziose  di  opere  celebri  —  le  gallerie  Borromeo,  Frizzoni,  Melzi,  Scotti,  Tri- 
vulzio,  Crespi,  Bagatti-Valsecchi,  Cagnola,  Noseda,  ecc.,  ecc.  ;    quando    si    pensi    fi- 


MONUMENTO    A   CESARE   BECCARIA. 


(Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


nalmente  ai  tesori  d'arte  profusi  con  larghezza  sovrana  in  ambienti  che  appaion 
spesso  degni  cofani  a  tante  gemme  in  quasi  tutte  zìe  cento  chiese  di  Milano  e  in 
minor  misura  in  altre  case  private,  in  istituti  pubblici,  in  edifici  dello  stesso  suburbio, 
vien  fatto  di  chiedersi  come  mai,  nonostante  così  "grandioso  patrimonio  artistico,  si 
ignori  ancora  da  molti  degli  italiani  anche  colti  l'importanza  particolare  che  Milano 
gode  fra  gli  ambienti  artistici  del  nostro  paese. 


La  pittura  lombarda  nell'Ottocento,  dopo  i  rigori  del  classicismo,  s' illanguidì  nel 
romanticismo  dei  soggetti  e  delle  forme.  La  ricerca  dei  motivi  dalla  storia  antica 
leziosamente  rappresentata  ebbe  a  maestri  Pelagio  Pelagi  —  mentre  il  Sabbatelli  fre- 
scava  ancora  coi  fatti  della  mitologia  i  palazzi  Annoni  e  Serbelloni  —  che  ornò, 
insieme  all'  Hayez,  la  sala  della  Lanterna  nel  palazzo  di  Corte  e  architettò  la  Villa 


M  I  L  A  X  <  » 


151 


Traversi  e  il  palazzo  Raimondi  (ora  Frigerio),  Giuseppe  Diotti  —  che  all'Accademia 
di  Bergamo  istituita  dal  conte  Carrara  ebbe  allievi  come  Coghetti,  Trecourt,  Car- 
nevali —  annoverato  fra  i  maggiori  ma  che  lavorò  piuttosto  fuor  di  Milano,  Luigi 
Basiletti,  felice  paesista  sufficientemente    ribelle    alle    formule    dominanti.    Giovanni 


PALAZZO   BAOATTI-VALSECCHI. 


(Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


Migliara,  buon  prospettivista,  Giuseppe  Bisi,  Giuseppe  Canella,  Francesco  Hayez  —  l'al- 
fiere della  scuola  romantica  in  Italia,  ammiratore  dei  vecchi  maestri  veneti,  l'idolo 
del  pubblico  per  un  trentennio,  attraente  ancora  specialmente  nei  ritratti  bellissimi 
oggi  a  Brera  e  nelle  case  Litta-Modignani,  Negroni,  Prato,  Morosini,  Barbiano  di 
Belgioioso  — ,  Massimo  d'Azeglio,  che  tenne  lunga  dimora  a  Milano,  Giovanni  Servi, 
Carlo  Bellosio,  che  lavorò  più  volte  per  la  nostra  Casa    Reale    in  decorazioni  e  in 


ITALIA  ARTISTICA 


ALTKO   PALAZZO   BAGATTI-YALSECCHI. 


(Fot.  I.  I.  d'Arti   Grafiche). 


tele,  Giuseppe  Molteni,  che  ricorda  le  tendenze  della  scuola  germanica  dell'Overbeck, 
e  conoscitore  profondo  della  tecnica  degli  antichi  e  buon  restauratore  di  vecchi  dipinti 
a'  suoi  tempi,  Francesco  Coghetti,  che  lavorò  a  Roma  dove  divenne  presidente  del- 
l'Accademia di  S.  Luca,  Carlo  Arienti,  Vitale  Sala,  Enrico  Scuri,  che  fresco  la  cupola 
dell'  Incoronata  a  Lodi,  quella  dell'Immacolata  a  Bergamo  e  in  S.  Alessandro  a  Mi- 
lano, Giovanni  Carnevali  detto  il  Picelo  —  bizzarro,  abilissimo,  tenuto  come  un  genio 
da' suoi  confratelli  del  tempo  e  sul  quale  forse  la  scuola  francese  del  '30,  allora  fio- 
rente, influì  non  poco  e  le  opere  del  quale,  esposte  nella  mostra  della  pittura  lom- 
barda nel  secolo  XIX  tenutasi  a  Milano  nel  1900,  furono  una  rivelazione  — ,  Giacomo 
Trecourt,  buon  ritrattista,  e  compositore  di  quadri  storici  e  religiosi  men  buoni,  Eliseo 
Sala,  Luigi  Scrosati,  Domenico  Induno,  squisito  pittore  di  soggetti  di  genere,  Mauro 
Conconi,  Cherubino  Cornienti,    audace    e  originale  ma  castigato,    Raffaele    Casnedi, 


M  IL  ANO 


153 


Giuseppe  Bertini,  buon  colorista  e  benemerito  conservatore  del  patrimonio  artistico 
milanese,  Girolamo  Induno,  forte  pittore  di  soggetti  militari  prima  di  Sebastiano  de 
Albertis,  Federico  Faruffini,  spirito  inquieto  e  vivace,  Alessandro  Focosi,  del  quale 
il  Carlo  Emanuele  di  Savoia  che  scaccia  l'ambasciatore  spaglinolo  (di  proprietà  del- 
l' on.  Ettore  Ponti)  rimarrà  sempre  uno  dei  più  sentiti  capolavori  del  secolo  scorso, 
Tranquillo  Cremona,  alfiere  dei  ribelli  alle  formulo  accademiche,  grande  e  nobilis- 
simo ingegno,  Francesco  Didioni,  Modesto  Faustini,  Uberto  Dall'Orto,  Eleuterio  Pa- 
gliano e  numerosi  altri  giù  giù  fino  a  Giovanni  Segantini,  dall'originale  e  vivido  in- 
gegno, che  dal  verismo  dei  primi  tempi  per  una  lenta  evoluzione  divenne  simbolista 
e,  imitando  il  Millet,  divisionista,  ma,  ciò  che  più  conta  benché  gli  imitatori  non 
sembrino  avvedersene,  felice  interprete  e  poeta  della  natura  alpina.  E  lo  stuolo  dei 
paesisti,  che  al  vero  e  specialmente  alle  nostre  Alpi  domandano  l' ispirazione  a 
creare  l'opera  d'arte,  lavora  e  combatte  tuttora. 

Tra  gii  scenografi  un  gruppo  valoroso  di  maestri  :  da  Bernardino  Galliari,  da 
Pietro  Gonzaga,  da  Giovanni  Perego,  da  Alessandro  Sanquirico  fino  al  Menozzi,  al 
Fontana,  al  Ferrari,  al  Ferrario,  al  Vimercati,  ai  Motta  e  ai  recenti  e  recentissimi  che 
continuarono  e  continuan  degnamente  a  prò  del  teatro  della  Scala  le  antiche  tradizioni 
con  serietà  d'intenti  e  di  studi. 

*  * 

Quando,  indipendentemente  dall'arte,  si  consideri  al  progresso  che  la  città  ha 
subito  negli  ultimi  cinquantanni  dall'aspetto  edilizio,  commerciale,  tecnico,  igienico, 


CORTILETTO   IN    STILE   DEL  RINASCIMENTO    LOMBARDO   DEL   PALAZZO    BAOATT1-VALSECCHI. 


20 


154 


ITALIA  ARTISTICA 


non  si  può  a  meno  di  rimanerne  stupiti.  Le  demolizioni  e  i  lavori  per  la  for- 
mazione della  nuova  piazza  del  Duomo,  della  Galleria  e  delle  vie  circostanti,  la  fab- 
brica delle  nuove  stazioni,  dei  nuovi  grandi  opifici,  di  interi  quartieri  —  il  quartiere 
Principe  Umberto  occupante  un'area  di  123  mila  metri  quadrati,  il  quartiere  di  via 
Solferino' con  un'area  fabbricata  di    176,525   mq.,  il    quartiere    di    Porta  Genova,    di 


LA    PARTE    SUPERIORE   DELLA  NUOVA    TORRE    UMBERTO    I. 


una  estensione  di  573  mila  mq.  —  e  i  minori  circostanti  della  stazione  centrale,  di  Porta 
Tenaglia,  dei  sobborghi  e  numerosi  gruppi  di  abitato  son  opere  che  non  hanno  ri- 
scontro, su  così  larga  base,  in  nessuna  parte  d'Italia  ;  le  fognature,  i  ponti,  le  strade 
e  tramvie  interne,  gli  stabilimenti  grandiosi  di  beneficenza,  dei  ricoveri,  degli  asili,  degli 
istituti  pii,  degli  istituti  di  credito,  delle  scuole,  posson  esser  citati  a  modello  anche 
all'estero. 

Anche  presso  i  privati  andò  sorgendo  una  gara  nei  costrurre  palazzi  e  villini 
rispondenti  alle  nuove  esigenze  della  vita  e  della  moderna  comodità:  ma  purtroppo 
non  sempre  l'arte  corrispose  agli  sforzi  fatti  dai  committenti. 


MILANO 


i55 


Al  tipo  di  costruzioni  adottato  dall'architetto  Sidoli,  che  aveva  tentato  di  toglier 
l'arte  edilizia  al  freddo  classicismo  accademico  ancor  imperante  alla  metà  del  secolo, 
sembrò  succedere  quello  rappresentato  particolarmente  dal  Pestagalli  che  cercò  di 
popolarizzare  lo  stile  lombardo  del  Rinascimento  con  le  sue  eleganze  di  profili  e  di 
terre  cotte  ;  non  mancò  di  fortuna  anche  il  tipo  di  costruzioni  all'inglese  —  villini 
circondati  da  giardini  —  iniziate  dall'architetto  Allemagna  in  via  Principe  Umberto. 
Il  Garavaglia,  il  Terzaghi,  il  Moraglio,  il  Sodani  tentaron  altri  tipi  e  altre  forme.  Lo 
Scheigheer  di  Zurigo  col  villino  Mylius,  il  Borioli  con  la  casa  Ronchetti,  il  Coi  ubi 
col  palazzo  Turati,  il  Terzaghi  col  palazzo  Grondona,  il  Brogi  con  la  casa  Candiani, 


LA   BASE   DELLA  TOKKE   UMBERTO    I   E  GLI    ULTIMI    KKSTAUKI   NEL  CASTELLO. 


(Fot.   Fumagalli). 


il  Balzaretto,  i  Bagatti-Valsecchi  con  la  genialissima  ricostruzione  del  Rinascimento 
del  loro  palazzo  che  alle  attrattive  esteriori  unisce  le  interne  e  ricche  collezioni  ar- 
tistiche, il  Beltrami  con  le  sue  dotte  e  personali  creazioni  edizie,  omaggio  alle  tra- 
dizioni locali,  e  altri  e  altri  ancora,  non  esclusi  i  seguaci  del  nuovissimo  stile  venutoci 
d'oltr'alpe,  arricchiron  la  cittti  di  edifici  di  tutte  le  forme  e  di  tutti  i  tipi,  con  e 
senza  sentimento  d'  arte,  e  non  sempre  in  omaggio  almeno  alle  esigenze  dell'igiene, 
specialmente  nelle  abitazioni  del  ceto  medio.  Alle  case  operaie,  agli  asili  notturni, 
alle  cucine  economiche,  agli  alberghi  popolari  si  son  dedicate  recentissime  fabbriche, 
dinnanzi  alle  quali  il  critico  tace  in  omaggio  agli  scopi  elevatissimi  con  che  sono 
sorte,  anche  se  si  sentisse  disposto  a  ricordare  che  gli  splendidi  esempi  del  passato 
stanno  ad  attestare  che  la  genialità  dei  nostri  vecchi  costruttori  sapeva  ben  conci- 
liare l'arte  con  la  praticità  e  l'igiene. 

Ma  il  critico  dell'arte  e  chiunque  abbia  il  culto  delle  memorie  non  può  tacere 


I.S6 


ITALIA  ARTISTICA 


invece  dinnanzi  a  vandalismi  grandi  e  piccoli,  a  demolizioni  di  antichi  edifici  di  ca- 
rattere artistico,  a  sperperi  di  vecchie  tracce  che  si  son  compiute  e  si  van  compiendo 
in  omaggio  a  un  mal  inteso  sentimento  di  modernità.  La  smania  del  rettifilo  tende 
a  livellare  le  città  italiane:  ma  la  più  bella  caratteristica,  la  varietà  che  ciascuna  di 
esse  distingue  dall'altra,  è  minata  alle  basi  dal  piccone  demolitore,  il  nuovo  vessillo 
degli  indotti  e  degli  immemori. 


■>     £ 


PALAZZO    DELLA  BOKSA. 


(Fot.  Brogii. 


Oggi  Milano  occupa  uno  dei  posti  più  notevoli  fra  le  città  produttive  ed  è  centro 
della  regione  più  ricca  ed  industriosa  d'  Italia.  Ma,  per  tutto  quanto  si  è  detto  fin 
qui,  sembra  a  noi  che  debba  anche  esser  considerata  come  un  centro  d'arte  notevo- 
lissimo. Qui  più  che  altrove  l'arte  vive  ancora  e  produce,  anche  se  certe  recentis- 
sime manifestazioni  possono  offrire  campo  ad  acerbe  critiche  :  ma  dove  è  critica  è 
interessamento  e  vita.  Qui,  mentre  altrove  l'aristocrazia  e  le  classi  ricche  danno 
triste  esempio  di  sperperi  del  patrimonio  artistico  lasciato  dai  vecchi,  sono  ancor 
numerose  le  antiche  famiglie  che    reputano    a    gloria  del    nome    conservare    gelosa- 


LA    PORTA    MAGGIORE   DEL    DUOMO,    DI    L.    POGLIAGHI. 


(Fot.   Montabonc) 


M  ILANO 


159 


mente  le  collezioni  artistiche,  e  persone  ricche  e  industriali  stessi  che  raccolgon 
opere  d'arte:  perchè  l'amore  del  luogo  e  delle  sue  glorie  è  radicato  in  tutti,  anche 
nel¥popolo.«  Meneghino  ama  assai  il  suo  paese-  ripeteremo  col  Cantu  per  accen- 


IL   NAVIGLIO   DA    S.    MAKCO. 


(Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


nare  al  carattere  della  popolazione,  a  mo'  di  conclusione  -  e  ripone  il  patnotismo 
in  una  buona  dose  di  sprezzo  pe  provinciali.  Del  resto  accoglie  i  forestieri  con  aria 
dabbene  e  protettrice;  ama  la  sua  parrocchia;  sospira  se  perde  di  vista  la  guglia  del 
Duomo-  e  guai  se  gli  toccaste  il  suo  carnevalone.il  suo  podestà,  il  suo  arcivescovo, 


ióo 


ITALIA  ARTISTICA 


il  suo  cielo  «  così  bello  quand'  è  bello  ».  Vi  dirà  che  i  suoi  sartori,  i  suoi  calzolai, 
i  bigiottieri  suoi  son  i  migliori  del  mondo,  e  che  non  v'  è  leccornia  che  uguagli  ì 
suoi  stracchini,  i  suoi  panettoni:  e  quando  vi  parla  del  suo  Duomo,  de'  trombetti 
rossi  della  città,  de'  suoi  pompieri,  del  suo  stendardo  di  Sant'  Ambrogio  con  quegli 
artieri  vestiti  all'antica,  della  sua  galleria  De  Cristoforis,  del  suo  corso,  de'  suoi  mon- 
signori che  portano  mitra  anche  nelle  processioni,  del  suo  arcivescovo  che  funziona 
come  il  papa  e  (dice  lui)  entra  a  Roma  a  croce  alzata,  Meneghino  si  ringalluzzisce, 
e  domanda  :  Che  vi  pare  eh?  e'  è  il  simile  al  nostro  Milano  ?  »  Oggi  non  vi  son  più 
i  trombetti  rossi,  né  il  podestà,  né  il  carnevalone,  e  la  galleria  De  Cristoforis  è  stata 
detronizzala  da  una  ben  maggiore,  come  le  modeste  soddisfazioni  d'  un  tempo  da 
altre  di  diversa  natura.  Ma,  in  fondo,  il  carattere  bonario  e  generoso  della  popola- 
zione è  rimasto  lo  stesso,  e  dinnanzi  a  un  avvenimento  —  come  quello  che  si  pre- 
para mentre  scrivo  ■ —  che  è  destinato  a  dar  spettacolo  al  mondo,  in  una  esposi- 
zione delle  forze  del  lavoro,  de'  progressi  della  città,  appaion  ben  lontane  le  accuse 
all'accanimento  delle  sètte  lanciate  ai  milanesi  dal  Foscolo  un  secolo  fa. 

L'attuale  festa  imponente  del  lavoro  è  un'affermazione  e  un  augurio  :  un'  affer- 
mazione di  vittoria  nelle  combattute  battaglie  per  la  libertà  del  lavoro  ;  e  un  augurio 
che  si  rinnovino  i  bei  tempi  della  Rinascenza  quando  l'arte  nostra,  grande  e  venerata 
nel  mondo,  stendeva  davvero  la  mano  alle  industrie  fiorenti. 


PIAZZA   FONTANA   E   LA   FONTANA   DEL   PIEBMAKINI. 


{Fot.  I.  I.  d'Arti  Grafiche). 


BIBLIOG  \<  A  K  I  A 


Pel  V.°  capitolo  cfr.  specialmente: 

C.  Amoretti.  Memorie  storiche  sulla  vita,  gli  studi  e  le  opere  di  Leonardo  da  Vinci,  Milano,  1804, 
— ■  G.  Uzielli,  Ricerche  intoni)  a  Leonardo  da  Vinci,  Firenze,  Roma  e  Torino. —  J.  P.  Richter.[  The 
literary  Work  of  Leonardo  da  Vinci,  Londra,  ISSI,  2  voi.  ili.  E.  Muntz,  Léonard  de  Vinci,  Paris, 
Hachette,  1899,  ili.  —  G.  Séailles,  Léonard  de  Vinci,  l'artiste  et  le  savant,  Paris,  1892.  —  E.  Solmi, 
Leonardo,  Firenze,  Barbera,  1900,  e  ricca  bibliografia  ivi.  —  D.  G.  Gronau,  Leonardo  da  Vinci,  London, 
1903.  —  L.  Beltrami,  //  codice  di  Leonardo  di  Vinci  nella  Biblioteca  del  Principe  Trivulzio\in  Milano, 
Milano,  Hoepli,  1896.  —  L.  Beltrami,  Leonardo  da  Vinci  e  la  sala  delle  asse  nel  Castello  di  Sfilano, 
Milano,  1902.  --  Bollettino  della  Raccolta  Viadana  di  Milano.—  G.  Caro  r  ri,  Le  opere  [di  Leonardo, 
Bramante  e  Raffaello,  Milano,  Hoepli,  1905,  ili.  (oltre  le  opere  citate  in 'dette  monografìe  perchè 
ricordarle  tutte  non  sarebbe  qui  il  luogo.  11  bollettino  della  raccolta  viadana*  ha  appunto  una  ricca 
bibliografia  vinciana  di  E.  Verga,  e  i  regesti  vinciani).  —  G.  Carotti  (in  Gallerie  Naz.  II.,  IV,  1899), 
Roma.  —  Calvi,  Caffi,  Mongeri,  opp.  citt.  nella  I  parte.  —  A.  Jansen,  Lebeuìnnd  Werhe  des  Ma- 
lers  Giovannantonio  Bazzi  gen.il  Sodoma  (Stuttgart,  Verlag  von  Ebnerd  und  Seubert,  1870). —  G.  Friz- 
zoni,  G.  A.  Bazzi  il  Sodoma  in  Arte  italiana  del  Rinascimento,  Milano,  Dumolard,  1891.  — C.  Faccio, 
G.  Antonio  Bazzi  il  Sodoma,  Vercelli,  1902.  —  E.  Reymond,  Cesare  da  Sesto  [(in  Gazzette  des  Beaux 
Aris,  1892).  —  G.  Morelli,  La  pittura  italiana,  ed.  Treves,  1897:  I  Lombardi:  ]Giampietrino  -  Bol- 
traffio  -  Marco  d'Oggiono  -  Nicola  Appiani  -  Cesare  da  Sesto  -  Bernardino  Luiui  -  Andrea  Solario  -  Gau- 
denzio Ferrari  -  Ambrogio  de  Predis  -  Bernardino  de'  Conti.  —  W.  vox  Seidlitz,  Ambrogio  Preda 
und  Leonardo  da  Vinci  (e  opp.  ivi  citt.) (in  Jàhrbuch  der  Kunsthist.  Samm.  des  alter.  Rais.,  XXVI.  I.  l')06). 
—  F.  Malaguzzi  Valeri  (in  Rassegna  d'arie,  I,  li)),  150;  V,  U). — G.  Gagnola,  Bernardino  f  de  Conti 
(in   Rassegna  d'arte,  V,  61).  -  Id.,  Intorno  a  Francesco   Napoletano  (in   Rassegna  d'Arte,  V,  81). 

Pel  VI.0    capitolo: 

G.  Mongeri,  La  facciala  dd  D,wmo  di  Milano  e  i  suoi  disegni  antichi  e  moderni  (in  Ardi.  Stor. 
Lomb.,  Giugno  1886).  —  F.  Malaguzzi  Valeri,  Pellegrino  Pellegrini  ej/e  sue  opere  in  Milano  (in  Ar- 
chivio Storico  Lombardo,  XXVIII  (1901),  fase.  XXXII.  —  L.  Beltrami,  //  palazzo  Mirino  (in  Archivio 
Storico  dell'arte  e  in  Edilizia  moderna,  1896).  —  Annali  del  duo, no.—  C.  Borro,  Il  duom>  di  Milano  e 
in  bibliog.  del  Salveraglio  cit.  nella  I  parte. —  C.  Romussi,  Il  duomo  di  Milano,  Sonzogno.  —  P.  Mol- 
menti,  Leone  e  Pompeo  Leoni  (in  Arte  III.,'  1895).  —  L.  Beltrami,  Il  monumento  funerario  a  G.  Gia- 
como Medici  nel  Duomo  di  Milano  (in  Rassegna  d'arie,  IV,  1).  —  Mongeri,  op.  cit.  —  G.  C.  V*  il- 
llvmson,  Bernardino  Luiui,  London,  Bell,  1899.  —  P.  Gauthiez,  Luini  (Les  Grands  artisles,  Paris, 
Laurens).  —  L.  Beltrami.  Bernardino  Luiui  e  la  Pelucca  (in  Ardi.  Stor.  dell'urte,  Roma,  1895,  5-19). 
■ —  Id.,  La  Chiesa  di  S.  Maurizio  in  Milano  e  le  pitture  di  Bernardino  Luiui.  —  I Bentivoglio  e  la  contessa 
di  Challant  (in  Bmporium,  Gennaio  1899).  —  G.  Bordiga,  Notizie  intorno  alle  opere  di  Gaudenzio  Fer- 
rari, Milano,  1821.  —  D.  G.  Colombo,  Vita  ed  opere  di  Gaudenzio  Ferrari,  Torino,  1881,  e  Docu- 
menti ecc.  intorno  gli  artisti  vercellesi,  Vercelli,  1333. —  F.  Riffel,  E.  Ferrari  un  t  die  Schule  von  Ver- 
celli  (in  Repertorium  fi'ir  Kuustiv.,  1891).  —  E.  Halsev,  Gaudenzio  Ferrari.  London.  —  J.^Gelli,  Gli 
armar  oli  milanesi,  Milano,  Hoepli,  1905.  —  Per  le  arti  minori  v.  opere  di  Forcella,  d'Adda,  Bel- 
trami, citt.  nella  I  parte. 

Pel  VII.0  capitolo  : 

Mongeri,  cit.  —  Annali  del  Duomo.  —  L.  Beltrami,   Francesco  Maria   Richino,  autore  d'un  pro- 
getto per  la  facciata  del  Duomo  (in  Ardi.  Stor.  Lomb.,  XV  (1898),  fase.  III).  —  Borro,  Romussi,  opp.  citt. 


\Ò2 


BIBLIOGRAFIA 


—  L.  Malvezzi,  Le  glorie  dell'arte  lombarda.  Milano.  Agnelli,    1SS2:  cap.  VII:  dall'anno  1600  al  17"  l. 

—  Forcella,  Beltrami,  opp.  citt.  —  L.  Beltrami.  Vicende  edilizie  della  Piazza  del  Duomo  di  Milano 
iin  E. ìiiizia  Moderna,  1896).  —  V.  Forcella.  Milano  nel  secolo  XVII,  Milano,  Colombo  e  Tarra.  1898;ecc. 

Per  l'VIII.0  capitolo: 

A.  Caimi,  Delle  disegno...  di  Lombardia  dal  1777  al  1862,  Milano,  Pirola,  1862.  —  Mal- 

vezzi, op.  cit.  —  G.  Ivi.  Urbani  de  Gheltof.  Tiepolo  e  la  sua -famiglia,  Venezia.  1879. —  F.  F.  Leit- 
schuh.   G.  B.   Ticy  -\  urzburg.  1896.  —  F.  H.  Meissxer.   Tiepolo,  Lipsia,  1897  (in  Kunstler-M 

phien  del  Knackfu"  . —  Polifilo,   G.  B.  Tiepolo  a  Milano  (nel   Corriere  della  Sera,  9-10  Maggio   1896). 

—  G.  A.  M..  '  ■:  breve  storia...  dei  celebri  intarsiatori  Giuseppe  e  C.  Francese"  Maggi  lini.  — 
Moxgeri,  op.  .  —  La  pittura  lombarda  nel  secoli  XIX,  Milano,  1900  catalogo  dell'esposizione  tenutasi 
a  Milano  r        <00  della  pittura  di  tutto  quel  secolo,  e  biografie  ivi.  —  G.  Frizzoxi.  Museo  Poldi-Pe 

in  Ma  '•  (in  Kunstchronik,   18    ott.   1888).   —  E.  Molixier,  Le  tnusée  Pold;-  Milan  (in 

:x  aris,  1   aprile    1889  e  segg.l. —  A.  Melaxi.   Le  musée  Poldi-Pezzoli  à  Milan  in  Revue 

des  ar  ratifs,  marzo  1890).  —  Per  le  collezioni  di  Brera.   Ambrosiana,    Crespi,  ecc.  cfr.  i  relativi 

ghi,  perchè  sarebbe  lungo  ricordarne  gli  scritti  che  ne    parlano.    —    Per    la  Milano  moderna» 

i  suoi  impianti  industriali  e  i  lavori    pubblici    v.  la  guida  recente  pubbl.  per  conto  del  Comune. 


(Collezione  Trivulzio). 


049340053