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Full text of "Poesie francesi di Giovan Giorgio Alione comp. dal 1494 al 1520, aggiuntavi La Maccheronea dello stesso"

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GIOVAN     GIORGIO     ALIONE 


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COIPOSIE  DAI  1494  E  ISSO 


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LA     MACHERONEA 


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con  52  TAVOLE  iXGni. 


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MIL  A  NO 

O.     DAELLI   e    C.    SDITORI 


H  DCCC  LXV 


BIBLIOTECA 


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PdESIE  FBANCESI 


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GIOVAN     GIORGIO     ALIONE 


ASTIGIANO 


CdPOSn  DAI  1494  Al  1S20 


▲(UmnnATi 


LA     MACHERONEA 


DBLLO  STBSSO 

con  52  TAVOLE  UWMI. 


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Q.    DABLLI   e    C.    ED  I  TORI 


H  DCCC  LXV 


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►UBBLICATA  DA  G.  DAELLI 


ALIONE 

POESIE  FRANCESI 


POESIE  FRANCESI 

Dl 

GIOVAW  GIORGIO  ALIONE 

ASTIGIANO 

COMPOSTE  DAL  1494  AL  1520 

AGCnmTAVI 

U  MACCHERONEA  DELLO  8TE880 


MILANO 

G.  Daolli  e  C,  Editor! 

MDCCCLXIV. 


Bu&to  Arsizio.  —  Tip.  Sociale. 


LIB.  COM. 

LHl.-.MA 


AI  LETTORI 


Dopo  d^aeere  puMkaio  m  akro  vobme  ii  g^- 
ito  ¥Uialeea  rara  Mte  le  foerit  Mf  AUone  m 
ikkm  AsHgiamo^  to  vi  ogra  anche  le  poesie  ehe 
9ie$(o  Trocaiore  iiaUmo  ha  ietlate  nella  Ungua 
fr<mee$e.  Esse  Mmo  slate  ripradolte  per  la  prima 
tolia  in  Praneia^  Helro  la  prima  ediziane  di  Asli, 
iMI,  dal  CaVyLC.  Bnmet,  in  m  volume  impresso 
s  Birigi,  nel  1836,  e  liralo  a  soli  108  esemplaru 
Mh  nolizia  Im^afiea  e  biUiografica  Che  U  Brunei 

ha  faito  preeedere  aUa  sua  edisiane^  egU  rende  ra- 
fkme  dei  moHm  ehe  lo  hatmo  indotlo  a  publicare 
pesle  poesie^  le  quaU  sono  a  un  lempo  di  un  in* 
tiresse  simieo  e  lellerario  assai  interessanle.  Esse 
<mtenf(mo  preziose  noUzie  sloriche  relative  alia 
dm  di  Astiy  segnatamente  suite  vicende  occarsevi 
(dpassaggio  dei  re  di  Franeia  Carlo  YIU  e  Luigi  XU, 
i  iuali  marciarono  alia  conquista  del  ducah  di 


VI 

Milano  e  del  regno  di  NapolL  Vi  si  reggono  de* 
scrUti  vari  fatli  sttccessi  in  Asti  al  tempo  del  pas* 
saggio  di  tali  so^)raniy  le  epoche  giustissime  e  con* 
cordanH  colle  storie  di  quei  tempi  ^  delle  loro  ope- 
razioni  fnililari. 

Dalle  accennate  poesie  francesi  ristiUa  che  T  A^ 
lione  era  parziaUssimo  per  la  nazione  Francese 
che  colma  di  elogi t  dicendo y  che  da  essa  sola  T/- 
talia  ptib  sperare  salute: 

»  Autre  salut  n'esperent  que  de  France 
»  Pour  reprimer  1  extreme  oultrecuidance 
»  De  leurs  tirans  »  .  .  .  . 

Ci  di  la  notizia  precisa  in  cui  gli  accennati 
sotrani  Carlo  e  Lmgi' passarono  in  Aeti^  indiedi^ 
doci  spedalmente  che  quesf  ultimo  alloggid  nel  pa* 
laszo  del  maestro  MalabaUa.  Qnesti  si  i  PAlea^ 
sandro  Malabaila  nominak>  nella  iscrizione  ed- 
stente  nel  pilastro  del  ducmo  esteriorey  al  lata  del 
Campanile^  ove  ^  tffettivamente  qualificato  Magister 
Ospitii  ordinis  Alexandri;  ordine  di  cavdllerid  in 
quei  tempi  farse  vigente.  II  palazzo  Malabaila  i 
quelh  che  oggi  comunemente  si  chiama  casa  del 
tmte  Canale  di  propriety  del  Sig.  Giacinto  Vd/* 
predoy  vicino  al  Carmine.  Al  di'sopra  deUa  porta 
ti  si  redono  ancora  scolpiti  in  pietra  i  tre  gigli , 
stemma  dei  re  di  Francia^  sostenuto  da  due  nmgeli 
di  crela^  dei  qmli  un  solo  esiite ,  essendo  V  altra^ 
rovinatOy  ed  al  di  sotto  vi  i  posta  una  isirieey  gua* 
sta  quasi  per  infero.  Tutto  queslolavaro  i  in  Intsao 
riliero  di  creta  colta  nella  fornace.  Prima  delta- 


VII 

'  Wfpresskme  del  comenio  altiguo  del  Carmine,  si 
tedeca  nella  capella  delta  Madonna  del  Carmine 
eretla  nella  grande  chiesa  vn  quadro  rappresen* 
tanie  Fandata  di  Luigi  Xll  dal  palazzo  simmen- 
i9€ato  alia  chiesa  del  Carmine.  II  re  e  luUo  il  stto 
c$rleggio  era  rappreseniaio  in  abiio  spagnuolo.  Si 
uderttHoJ  frali  del  Carmine  schierati  alia  porta 
delta  chiesa  in.  alto  di  ricevere  it  re.  Queslo  qua- 
iro  ricordava  uno  dei  fatti  slorici  interessanti  per 
A$H,  ed  era  un  prezioso  tnonumento  di  quetVepoca. 
Corse  la  iorle  di  tulti  gti  altri  monumenli  che  si 
ferdettero '  nella  faiale  rivoluzione  del  Piemonle. 
Vt  It  riscantra  pur  anche  Vepoca delta dishuzione 
del  Castello  t  Jncisa ,  del  quale  esistono  ancora  le 
tisHgia,  li  verso : 

a  Ancise  plus  n'aiira  (our  no  lournelle  n 

da  indizio  che  il  caslello  era  difeso  da  torri  che 
furono  distr title. 

11  leiiore  pub  constdfare  la  Notice  de  Brunei, 
che  qtii  faccio  seguire,  sia  per  la  biografia  delVA- 
Hone,  che  pel  merito  di  quesle  poesie  francesi.  Ma 
ab  du  pin  accresceri  it  pregio  di  qvesla  edizicne 
sari  il  irotarrisi  per  inliero  i  Rondeaux  d'amour, 
composcz  par  sigDiGcalion,  dei  quati  il  Brunei 
non  ha  data  che  il  facsimile  di  una  sola  pagina. 
Qui  il  leitore  froreri  questi  Rebus  in  cinquanta- 
d&e  pezzi,  che  occupano  id  pagine.  Cosa  singola- 
rissima  non  solo  per  quel  tempi^  nei  quali  i  Rebus 
ermo  da  fresco  invenlaliy  ma  anche  pei  tempi  pre- 


VIII 

9enUf  nei  quaU  ben  di  rado  aceade  4i  redere,  come 
qtdy  un  seguiio  di  due  Rondeanx  di  veniinove  tersi, 
espressi  in  cinquantadtw  Rebus. 

Ho  credulo  bene  di  fare  seguire  alle  Poesie  fran* 
cesi  la  Maccheronea  dello  siesso  autorcj  eke  gii  Ao 
faiio  rislampare  nel  volume:  MaccberoDee  di  cin* 
^ne  poeti  ilaliani.  KelP  eseguire  qnella  ristampa^ 
mi  sono  fidaio  ciecamenle  alia  edizione  data  dal 
Delepierrenelstw  Macaroncana  Paris,  Gancia,  185), 
tii-8.®  credendola  completa.  Ma  dopOy  avvedutomi 
che  egli  vi  lascid  alctme  lacnne^  ed  atendo  avulo 
fagio  di  riempirle  sulla  edizione  di  Asti  1521,  $ 
di  Yevezia^  1560,  sHmo  bene  di  qui  riprodurla  m- 
tiera.  Aprh  eo^  il  leltore  in  qtiesto  volnmeiHf^  e 
nelFaliro  delle  Parse  delP  AAume^  tniie  k  oper$ 
del  no$lro  Aulore  che  si  irocano  nella  rarismia 
edizione  di  Astif  1521,  in  8.* 


P.  A.  Tosi. 


POESIES  FRANCOISES 

DE  J.  G.  ALIO^ 

(D'ASTI) 

ATEC  I'NE   TiOTICE   BIOGRAPHIQl'E  ET  BlBLIOGRAPUIQtE 

PAR  J.  G.  BRUNET 


iiJO?ll 


NOTICE    BIOGRAPHIQUE 

SUR  ALIONE 


Asli,  ancicnne  cil6  da  Pifemont,  et  dont  Thisloire 
se  rallacbe  h  la  ndtre  par  pins  d'un  souvenir  glo- 
rienx;  Asti,  si  fifere  d'avoir  donn6  le  jour  an  plus 
grand  po^le  tragiqne  de  la  moderne  Italie,  avait 
^^ja  Tn  naltre,  avant  la  (in  du  XV  si^cle,  un  autre 
CDfant  d'Apollon,  qui,  dou6  d'une  joyeuse  verve, 
et  sans  aToir  cberch^  h  atleindre  Ics  plus  hautes 
regions  du  Parnasse,  comme  Ta  fait  depuis  I'illu- 
stre  Alfieri,cultiva  un  genre  de  poteie  un  pen  moins 
s^rieux,  k  la  v^rit^,  mais  avec  assez  de  bonheur 
pour  m^riter  une  place  distingute  dans  la  m^moire 
des  amis  de  la  gall6.  Jean-George  Alione,  c'est  ainsi 
que  se  nommait  le  troubadour  astosan,  a  exerc6 
A  sa  muse  avec  un  ^gal  succfes  dans  difT6renls  patois 
ilaliens  et  dans  notre  langue;  mais,  bien  que,  sous 
ce  dernier  rapport,  11  apparlienne  au  Parnasse  fran- 
?ais,  Jusqu'ici,  son  nom  est  rests  J  pen  prJs  ignor6 


parmi  nous;  et,  chose  singuli^re,  ce  po6te,  aussi 
ingSnieux  que  vari6,  ce  pofete,  qui,  plus  d'une  fois, 
a  c616br6  avec  eotbousiasme  la  gloire  des  armies 
fran^aises,  n'a  pas  encore  d'article  special  dans 
Dotre  volumineuse  Biographic  universelle  (1),  oil 
se  sont  gliss^s  tant  de  noms  moins  recommanda- 
bles  que  le  sicn.  Ce  silence  des  biograpbes  fran< 
fais  n'est  pourtant  pas  surprenant,  puisque  les 
Ilaliens  eux-m6mcs  semblent  s'^lre  fort  peu  occu- 
py du  fac^ticux  Alione,  lequel,  n'ayant  pas  laissS 
de  productions  purement  italiennes,  n'int^ressait 
gu^re  que  les  localil^s  peu  ^tendnes  dont  il  a  em<* 
ploy6  le  patois  dans  ses  compositions  dramatiques 
et  dans  plusieurs  autrcs  morceaux  de  ses  oeuvres. 
Cest  done  en  vain  que  nous  avons  cherch6,  soil 
dans  les  biograpbes  gSn^raux  de  ritalie,  soit  dans 
ceux  du  Pi^mont,  des  renseignements  exacts  et 
prteis  sur  Tauteur  qui  nous  occupe;  ces  ^rivains 
ne  sont  d'accord  entre  eux  ni  sur  TSpoque  oil  il 
vivait,  ni  m6me  sur  son  nom,  que  le  Quadrio  (2) 
^rit  Arione  et  Mazzuchelii  Aglione,  quoique  deux 


(1)  II  y  est  •eulenent  ciU  (xxxi,  493;  tl'apr^i  le  Nuovo  Di- 
xionario  i9loHco  k  rarlicle  Ooassi  {Tifi}^  et  U,  certet,  on  De 
t'avisera  guire  de  Paller  ebercher. 

(3)  te  bibliograplie  est,  a  d'atitres  egards,  celai  qui  a  parU 
le  plat  ezaetemeot  d'AIione,  le  seal  aossi  qui  lal  ail  donn^ 
ses  deoz  pr^ooros,  Jea|^«George.  Voir  Storia  e  ragiona  d'ogni 
poeiia,  r,  70.  Noos  aaroos  occasion  d'eo  rapper ter  le  teste, 
eo  parlaot  de  l'6ditioo  d'Alione  faite  eo  1560.  Haym,  qui  noiii- 
me  aassi  ooire  auleor  Ariome,  n'a  gaire  fait  qu'abr^ger  I'arti* 
cle  do  Qaadrio. 


edilioDs  des  (Ba?res  de  noire  po^te^  imprim^es  a 
Asti,  portent  indabilablement  Alione.  C'est,  h  la 
T^te,  ce  m^me  nom  que  lai  donnent  les  denx 
plos  ancicDS  biographes  da  Pi^mont,  Fr.  Agoslino 
Mia  Chiesa  (1)  et  RossoUi  (2);  mats,  si  ces  der- 
Diers  sonl  exacts  sur  ce  point,. ils  le  sont  moins 
lorqo'ils  font  Yivre  jasqu'en  1602  an  po6te  qui  a 
certaineoient  compost  des  vers  d^  Tann^e  1494^ 
et  qae  Mazzachelli,  d'accord  en  cela  avec  le  nouvel 
^iteor  da  Catalogo  de  delta  •Chiesa,  fait  flearir 
dans  rann6e  1490  (3).  Aucan  de  ces  terivains  n'a 

<1)  Caflogo  degli  seriUori  piemontet*.  Torino,  1614,  iO'i% 
M  fl  t'cxprime  atasi  {h  la  page  63j: 

•  ICOl.  Giorgio  Ab'one,  ttAiti,  icritte  un'Opera  motto  dilel^ 
tevoU  in  vtrti,  pmrte  delta  ^accaronea,  parte  d'attri  diverti 
eapriecij  tn  tiagua  asteggiana,  doue  vi  9ono  motle  tideuole 
forte,  el  attre  si  falle  cose,  da  recitarsi  sopra  i  batii  net 
tewtpo  del  Camaualle,  slampata  in  sua  patria  det  1601.  •• 
Ce  Catalogo  a  iU  rdtmprimd  eon  aggiunte:  Carmagnola,  1660, 

ui-4*.  el  c'eft  probablcment  cetle  secoode  Edition  qii*a  cike 
lazxochelli. 

(?)  Sgltabut  seriptorum  Pedemonla:ioram»  Moudovi,  1667, 
ia-i*,  p.  239.  Voici  ton  tcxle: 

•  Geor.  Alionas  Astensis^  vir  faeetus,  et  ad  jocos   natus,  scd 
*   no»  temper  modetlus,  seripsit  carmine  maecaronieo  {ut  to- 

eaaf)  Ungua  patria  quotdam  aniaiimotus  appellant  Caprieci 

tah't  ridiemlot,  et  talibas  conditot,  ted  nuttius  utilitatis.  Iiu« 

pret.  Atii,  1601;  et  Taarini,  16S8. 

(3)  Maziocbelli,  dana  aea  Seritlorid' Italia,  I,  part,  l*'  p.  19 1, 
f*es  boro^  it  cetle  coorte  notice:  Aclioiie  (Georgia),  d'  Atti, 
mentovato  dat  Chiesa  sotto  I'anno  1490,  teritte  un  opera  fa^ 
uta  in  terti  detii  wtaccarontci  intitotata  Caprieci,  la  quale  fa 
•ttmpata  in  Asti  net  1601 ,  e  poscia  in  Torino  appretto  5/e- 
ft^no  Uanzolino  1628,  ia-b**. 


6 

d'aillcurs  connu  I'^dition  des  Opera  jocunday  im- 
prim6e  en  1521,  la  seule  qui  renferme  les  diverses 
produclioDs  de  Paulenr,  et  qui  puisse  donner  une 
juste  id6e  de  sa  facility  h  versifier  dans  trois  lan- 
gues.  Aucun  d'eux  ne  nous  apprend  la  date  de  la 
naissance  du  po^te  astesan,  ne  nous  fait  connailre 
ni  sa  personnc,  ni  sa  profession,  ni  T^poque  de  sa 
mort.  A  leur  d6faut,  nous  avons  eu  recours  h  la 
preface  que  Virgilio  Zangrandi  a  placte  au  com- 
mencement de  VOpera  piacevole  di  Georgia  Alione, 
imprimS  par  lui  h  Asti,  en  1601.  Ge  morcea\i  est 
curieux,  mais  si  peu  connu,  que  ce  que  nous  al- 
lons  en  extraire  parallra  enti^rement  neuf  au  plus 
grand  nombre  de  nos  lecleurs. 

Nous  savons  d^jh  quWlione  ^tait  n6  dans  le 
comt6  d'Asti,  cu  sa  famille6taitdepuis  long-temps 
6tablie  (1).  Au  moment  de  sa  naissance,  que  nous 
placons,  par  conjecture,  vers  Tannic  1460,  la  pe- 
tite province  aslcsane  appartenait  a  Louis  d' Or- 
leans, le  m^me  qui,  depuis,  sons  le  nom  de 
Louis  Xil,  a  r6gn6  gloricuscment  sur  la  France  (2). 

(1)  Parnii  les  principaux  ^crivaios  relalifs  au  comte  d*Asti, 
dual  la  liste  est  placde  4  la  l^te  du  premier  volume  dei  NoWzic 
ttoriche  profant  dcUa  eilt&  d'AsU\  compilazione  di  (r/or.  Jr- 
diico  Molina  (Atti,  appresio  Francesco  Pila,  1774-70,  2  volumi 
in-4'j,  nous  remarquons  un  Georgia  Aliont  d'Asli,  di  cui,  teloa 
Moliua,  poeo  abbiamo  fort*  per  ettere  tmarrilo  it  $uo  memO' 
riale,  11  vivail  vert  Taoa^e  1414,  et  ful  probableroeot  I'aleul 
de  noire  poite. 

(3)  Ce  fut,  comme  oo  sail,  Valrotioe,  fille  de  Jeao  Galets 
prcmifr  due  de  Milaa,  qui,  eo  i3S9,  apporia,  en  dot,  4  Louis 
d'OrUans,  second  flls  de  Charles  V,  rol  de  Fraoce,  le  conii^ 


r 


7 

Allacbe  au  priace  frangais  par  Ics  liens  d'une  fran- 
cbe  afTeclioD^  et  peuWlre  aassi  par  ceux  du  de- 
voir el  de  la  reconnaissance,  noire  po^le  s'esl  plu 
a  lui  dooner,  en  plusiears  circonslances  d'apparal, 
(ks  lecQoignages  publics  de  son  d^vodment,  lors- 
la'ii  cut  rhonneur  de  le  complimenler  au  nom  dc 
sa  Tjile  nalale.  Void  commenl  ii  s'exprlmail  dans 
la  pi^ce  cil^e  h  la  nole  (I): 

Vrati  Framcois  de  nature 

AotfS  trouvtrai  auMti  ban  gu*^  Paris 
Ajfami  tn  cceur  la  franeht  /leur  de  Hz* 

La  m6me  chose,  h  pcu  prte,  csl  r^p6t^e  par  lui 
dans  les  deux  dils  qui  devaienl  ^tre  prononc^s  de- 

d*Asti.  Charles  d*OrUans,  fiU  de  Louis,  en  prit  possession  en 
1443,  et  eel  opanage  re«ta  dans  sa  fainille  jusqu'en  1527,  ^po* 
qoe  k  Uquelle  Francoii  I*'  en  fit  la  cession  dcfiatlive  A  I'eni- 
pereor  Charles^Quint.  II  appartieot  aojourd'kui  an  Pi^mont. 
iJQOtoos  que,  par  IcUrei-pateoles  du  roi  Louis  XII,  pobli^es  4 
Bloifl,  ea  septciobre  1500,  qI  entdrio^cs  au  parlemenl  dc  Grc- 
Doble,  ie  7  mai  loOl,  le  corol^  d'Asli,  sur  la  demande  do 
scs  babitanls,  qui  d^siraient  vivre  sous  les  luis  frangaises,  Tut 
distrait  dc  la  jiiridiclion  du  s^nal  de  Milan  el  souroit  A  celle 
da  parleoieot  de  Grenoble.  Le  tixte  latin  de  celte  pi^cc  se 
Iroave  k  la  fin  des  Statula  delphinaUa^  imprimis,  pour  la  pre- 
miere fois,  6  Grenoble,  vers  1508,  in-4.%  el  retinprim^s  plo- 
«ieurs  fuis  depnts,  dans  la  m^me  ville*  Louis  XII  y  prend  le 
litre  de  Francorum^  Cecil  toe  et  Jerusalem  rex,  dux  JUediolani, 
Jattuee  Astensisqut  dominus, 

(I)  Elle  est  iotiiuUe: 

{^  recotil  gut  Its  eiloyens  d*Ast  frent  a  leur  due  d'Orl/anSf 
a  ta  jtnfeuse  enlr^e  quant  il  deseendit  en  italic  pour  iemprinse 
de  Sttptrt, 


8 

vant  Francois  I/'^i  son  retoar  de  la  balaille  de 
MarigDau,  et  qai  sont  imprim^  k  la  suite  dc  la 
iroisi^me  piice  de  notre  recueil.  D^j^,  danssa  ma- 
caronte  latino-astesane  (i),  en  faveur  des  Frangais, 
MioDe  avail  dit: 

I/tc  me  lasiMii  iolum  deffcndere  eausam 
Gallorum  eonira  Cagasanguei  hit  Longobardi 
Asl  habitantei* 

El  plus  bas,  en  parlant  des  Lombards : 

/piot  franzotoi  vilipendunl  utque  a  la  tnerdOf 
Turn  no$  astentes  reputemur  undique  Galiot, 

Comme  ville  devenue  presque  frangaise,  et  sur- 
lonl  k  cause  de  sa  situation,  Asti  a  ^16  plus  d'une 
fois  le  rendez-vous  des  armies  de  Charles  VlII  et 
de  celles  des  deux  successeurs  de  ce  roi,  lors  de 
leur  passage  en  Italie.  Cette  circonstance  a  dA  na* 
turellement  procurer  h  cette  ville  de  grands  avan- 
tages,  mais  aussi  lui  susciter  bien  des  ennemis,  ct 
(*tre  pour  elle  une  source  de  calamltes  apr^s  les 
d^saslres  de  ces  m^mes  arm^;  et  il  est  fort  pro- 
bable que  la  fortune  d*Alione  se  sera  6galement 
ressenlie  de  Talternalive  de  nos  succ^s  ct  de  nos 
revcrs  (2).  Toulefois,  cc  po^te,  dou6  d'une  hu- 

(1)  Celte  maearoa^  (d'enviroo  580  vers)  est  une  r^poote  k 
uoe  aotre  piice  du  m^oie  genre,  compos^e  par  on  certain  met" 
ser  BaisanOf  doquel  nous  aorons  occasion  de  parler  ci-dessoas. 

(5)  C'est  ce  que  prouve  asses  la  truisiinie  stroplie  du  petit 
|to6me  d*Alione,  sur  lu  couqu^ie  de  Milan,  en   U99. 


9 

i^or  joTiale,  et  ne  songeanl  qa'aa  plaisir,  n'diait 
pas  homme  h  se  cbagriner  facilement.  Son  esprit, 
sa  gait^,  ses  piqaantes  saillies,  le  faisaient  recher- 
cber  de  toules  parts;  et  il  n'^tait  poiat,  dans  sa 
nlle,  de  $oci^l6  joyeuse.  point  de  reunion  de  gens 
fespril,  oa  il  n'edt  sa  place  marquee;  point  de 
bonne  f^te  dent  il  ne  fAt  I'^me  et  la  joie  (I). 
CependaDt,  pen  retenu  dans  ses  propos,  peu  me- 
sore  daos  ses  terits,  il'n'y  m6nageait  ni  les  per- 
sonnes,  ni  la  d^cence,  ni  la  religion^  ni  m^me,  et 
(^esi  \k  oa  £tait  pour  lui  le  plas  grave  danger,  les 
pr^tres  ni  les  moioes.  Or,  si  jusqae  1^  les  goa?er- 
fiemeots  d'ltalie  avaient  presque  toojours  para  fer- 
mer  les  yeax  sar  ces  sortes  d'infractions  i  la  mo- 
rale el  aa  respect  dH  aax  choses  sacr^;  si  mdme 
OQ  avail  yu  paraltre,  avec  permission  des  sup^- 
riears,  ane  foule  de  contes  licencieox  et  de  sati- 
res plas  impies  les  unes  que  les  aatres,  ce  temp3 
de  licence  allait  avoir  son  terme.  La  paissance 
ecclesiastique^  arrach6e  tout-§-coap  k  son  paisible 
sommeil  par  les  d^claibations  du  fougaeux  r^for- 
inatear  Martin  Luther  et  celles  de  ^es  adherents, 
seotil  enfln  le  besoin  de  se  /aire  respecter;  et 
Uon  X  Ini-m^me,  si  facile  dans  sa  vie  intime,  si 
favorable  aux  productions  de  Tesprit,  fut  oblig6 
de  s'armer  de  rigueur.  D6j§,  le  recueil  de  Jer6me 


(1)  rWvs  igDoroos  qaelle  ^Uil  la  profession;  mois,  t  en 
jofer  par  U  furine  jadiciaire  qu'il  u  dooo^e  k  la  piice  atte« 
•«M  ioliloUe:  Cont^glo  in  fauQrt  de  doe  iorelle,  on  peut 
c^re  qa'il  avail  ^ludiii  en  droiU 


/ 


10 

Morlino,  imprim^  k  Naples,  en  1520  (I),  qaoiqac 
rev6tu  du  privilege  du  pape  et  de  ceiui  tie  Tem- 
pereur,  venait  d'atlirer  ratlenlion  de  TinquisiUon, 
et  d'etre  rigoreusemenl  supprim6  par  un  jugement 
qui,  cependant,  n'alteignait  pas  Taateur.  Alione, 
quoique  beaucoap  moins  reprehensible  que  Ic  con- 
teur  napolitain,  fut  traits  bien  plus  s^v^rement. 
Non-seulement  les  Opera  jocunda,  publics  parlui- 
en  mars  1521  (vieux  style),  furent  prohib^s,  mais 
encore  Tauleur,  cit6  Iui-m6me  en  justice,  se  vit 
condamner  h  une  prison  perpeluelle.  Un  arrfit  si 
rigoureux  rempUt  de  deuil  loute  la  ville.  "  Quoi, 
se  disait-on,  nous  allons  done  ^Ire  priv6s  po\ir 
loujours  de  noire  Plaute,  de  seul  po6te  comique 
qui  ait  ^crit  dans  noire  langue;  nous  ne  jouirons 
plus  de  ses  joyeux  entretiens,  et  il  sera  absent  de 
nos  banquets,  dont  ses  saillies  ^talent  le  meilleur 
assaisonnement.  n  D'autres  habitants,  plus  rigides 
dans  lenrs  mocurs,  applaudissaienl  h  une  condam- 
nation,  que,  selon  eux,  ce  po^te  impie  n'avaii  quo 
Irop  mWt6e,  et  qui  devait  6tre  un  exemple  salu- 
laire  pour  Tavenir.  Au  milieu  de  ce  conflit  d  opi- 
nions, la  piti^  des  amis  du  condamn6  reslait  sterile 
et  ie  pauvre  Alione  se  voyait  priv6,  sans  espoir  de 


(1)  Ce  recueily  inlituld:  Hieronymi  Morlini  noveUaey  cum 
gracta  el  pn'vihgio  cesarect  majettatit  el  summi  ponlifieiM,  con- 
tient-qualrc'-vingt-une  oouvelles  d'un  cyolsme  NvolUot,  vingl 
fables  pea  piquaiites,  el  one  comddie,  eo  vers  latios,  di^nu^ 
d'iovcotion.  L'dditioo  crigmale  est,  comme  on  sail,  de  la  plus 
^raude  rarel^. 


a 

la  recoovrer  jamais,  de  celte  liberie,  c6!6br6e  dans 
ses  vers  avec  tant  de  chalenr  (I). 

Oh!  qoel  conlraste  offrait  alors  cet  homme  ja- 
dis  si  brillaot  el  si  avide  de  plaisir.  Renferm^  dans 
one  ^troite  et  obscure  prison,  charge  de  chalnes 
pesantes,  et  confiS  k  la  garde  d'on  vieox  ge61ier, 
son  enoemi  particnlier,  r^duit  au  pain  et  h  I'eau, 
T^la  d'ane  ^toffe  grossi^re  et  qui  tombait  en  lam- 
beaux,  Alione  n'^lait  plus  que  I'image  dn  d^ses- 
poir  et  de  la  plus  profonde  mis^re.  Cependant, 
lorsque  tout  le  monde  semblait  I'abandonner^  et 
qa'aucan  espoir  raisonnable  de  salut  ne  lui  restait, 
on  rayon  d'esp^rance  vinl  luir  pour  lui.  Un  jeunc 
gentilhommeaslesan,  que  le  cours  de  ses  Eludes  en 
droit  avait  lenu  quelque  temps  ^loign6  desa  ville 
nalale,  venait  d'y  revenir,  el,  4  son  relour,  il  avait 
H&  iaform^  da  sort  aflfreux  du  po^le  qu'il  charts- 
sail,  et  dont  it  ne  goi^tait  pas  moins  le  tour  d'es- 
prit  que  les  opinions  hardies.  Vivement  louche  de 
r^tat  deplorable  d'Allone,  noire  genlilbomme  mil 
lout  en  oeu?rc  pour  Ten  lirer.  Afln  d'y  paryenir 
plus  sfiremenl,  il  se  concerla  d'abord  avec  plu- 
sieurs  de  ses  amis,  ainsi  que  lui  loul  d6vou6s  au 
pauvre  reclus,  el  se  regardanl  comme  ses  disciples. 
Aprds  une  milre  deliberation,  il  ful  convenu  en- 
ire  eux  que,  puisqu'il  n'y  avail  rien  i  esp^rcr  par 
?oie  de  justice^  on  presenterail  une  requite  en 
gr^ce;  toulefois,  ce  moyen  ne  paraissail  pas  sans 
diOiculie  a  ceux  qui  connaissaienl  les  habitudes  du 

(1)  Voir  la  pi^ce  iolitoUe:  Chapitte  de  liberie. 


i2 

pofete  et  son  caracltre  enlier.  Comment  allcndre 
de  lui  une  soumission  absolue  anx  dares  condi- 
tions qu'on  ne  manquerait  pas  de  mctlre  h  la  grt^ce, 
en  supposant  qu'elle  fAt  accord^e?  En  cffet,  ii  ne 
s'agissait  de  rien  moins  ponr  lai  que  de  d6savoaer 
de  point  en  point  toutes  les  expressions  r^pr^hen- 
sibles  qui  lui  ilaient  ^cbapp^es,  tons  les  passages 
condamnables  r^pandas  dans  son  livre^  et  de  la- 
c^rer  publiquement  ce  mftme  li?re;  «  car,  disaienl 
les  magislrats,  comme  la  faate  avait  6t6  publique^ 
la  reparation  devait  I'dtre  6galement.  » 

En  celte  conjonctare,  notre  Alione,  que  le  mal- 
beur  avail  rendu  plus  sage,  se  montra  tr^s-docile, 
et  son  ami,  ayant  enGn  obtenu  la  permission  de 
le  voir,  refut  de  sa  part  Tassurance  qu'il  se  pr6- 
terait  sans  aucune  reserve  h  tout  ce  qu'on  exige- 
rait  de  lui,  quo!  qu'il  en  pftt  coAter  h  son  amour- 
propre.  En  consequence  de  cette  promesse,  le  jeune 
genlilhomme  cut  la  faculie  de  retirer  chez  lui  le 
prisonnier,  mais  sous  la  reserve  expresse  de  ne 
point  le  lais.^er  sorlir,  et  m^me  de  ne  lui  permettre 
de  voir  personne  avanl  le  moment  de  sa  penitence 
publique.  Comme  pr^liminaire  indispensable,  il 
fallut  d'abord  preparer  et  mettre  par  terit  le  cor- 
rectif  des  opinions  mal  sonnantes  et  de^  expres* 
sions  peu  mesur^es  qui  avaient  atlir6  I'animadver- 
sions  des  juges.  Ce  fut  h  un  travail  non  moins 
long  qu'^pineux,  auquel  se  livra  avec  ardeur  et 
succ^s  le  bienveillant  liberateur.  Tout  n'^tait  ce- 
pendant  pas  fini,  car  il  restait  i^payer  Texpidi- 
lion  de  la  grSce;  et,  par  malheur,  le  graci*  n'a- 


13 

nil  point  d'argent.  Ce  dernier  obstacle  fut  encore 
ler^  par  I'ami  k  qui  Alione  devait  6f}h  nn  com- 
nencement  de  liberie.  Alors,  gr§ce  k  eel  bomme 
g^reox,  le  po^te  ch^ri  da  peuple  astesan  pnt 
praitre  en  public,  yisiter  ses  amis,  et  rcndre  h 
fcur  socliii  la  vie  qa'elle  semblait  avoir  perdue 
peodaot  sa  trop  longue  captivity.  Pour  lui,  d^ja 
avanc^  en  kge^  et  £prouv6  par  le  malheur,  il  faut 
croire  qu'il  eut  soin  d'^vltor  de  donner  de  Tom- 
brage  a  ses  ennemis,  et  qu'il  iui  fat  permis  de 
termioer  tranquillemcnt,  dans  sa  patrie,  une  vie 
qoi  n'avait  ^ik  ni  sans  charmes  pour  Iui,  ni  sans 
orages.  A  cet  £gard,  notre  guide  ne  nous  ap- 
preodrien^  et  nous  ignorons  compl^tement  la  dale, 
m&ne  approximative,  de  la  mort  de  I'ancien  po6te 
astesan. 

Ce  que  nous  venons  de  dire  de  la  disgrace  d'A- 
lione  sufBt  pour  expliquer  la  grande  rarel6  de  ses 
Qftra  jocunddy  quant  \  la  partie  ilalienne,  com- 
posfe  de  dix  farce$  et  de  quelques  aulres  mor- 
ceaox  de  po^ie  fort  libres;  mais  une  autre  cir- 
Constance  a  dd  contribuer  i  rend  re  encore  plus 
rare  la  partie  frangaise  du  m6me  recueil,  objet  par- 
ticnlier  de  noire  travail,  et  cette  feirconslance  sera 
bcilcment  appr6ci6e  de  tons  ceux  qui,  comme  nous, 
oot  en  le  malheur  de  vivre  dans  des  temps  de  rea- 
ctions politiques  el  d'invasions  Slrang^res.  Le  po^te, 
aiosi  que  nous  Tavons  d^j^  fait  remarquer,  avail, 
en  plus  d^une  occasion  memorable,  cbanl^  le  triom- 
phe  des  Frangais  et,  en  m^me  temps,  insults  aux 
▼aincns.  Or,  ceux-ci,  devcnus  vainqueurs  a  leur 


i 


1* 

toar,  el  cela  dans  Tannte  m6me  de  la  publication 
d*un  recueil  qui  cooslalait  lear  prfcMente  d6- 
faite  (1),  darent  n^essairement  en  ordono^r  ki 
destruction.  Qui  sait^  d'ailleurs,  si  les  justes  ap- 
prehensions du  libraire  n'auront  pas  aulant  con- 
tribu6  h  cetle  oeuvre  de  destruction  que  I'espril 
de  parti  lui-m^me?  Voil^  pourquoi,  sans  doute^ 
si,  malgr6  la  condamnation  publique  de  la  portion 
italienne  de  ce  livrc  fac^lieux,  il  s'en  est  conserve 
jusqu'Ji  ce  jour  quelques  exemplaires  plus  ou 
moins  mutll^,  il  n'a  gu^re  pu  en  6tre  de  m^me 
de  la  partie  frangaise,  que  personne  alors^en  Ita- 
lic, n'a  dd  avoir  le  d6sir  de  conserver,  ct  qui,  par 
consequent,  aura  M  presque  enti^rement  d^truite; 
car  il  ne  faut  pas  croire  qu'au  milieu  des  embar- 
ras  d'une  retraite  pr^cipitee,  les  compagnons  do 
Lautrec  aient  pu  songer  k  en  rapporter  en  Prance 
quelques  exemplaires. 

Cependant,  ces  vers  frangais,  composes  il  y  a 
plus  de  trois  slides  par  un  stranger,  ces  vers, 
dont  nous  avons  eu  la  satisfaction  de  nous  procu- 
rer le  soul  exemplaire  complet  actuellement  connu, 
ont,  pour  notre  pays,  un  inter^t  tout  k  la  fois  hi- 
storiqueet  litl6raire,  surlout  k  une  ipoque  oil  Tat- 
tention  des  savants,  et  mdme  celle  des  gens  du 
monde,  se  porte  sur  les  productions  du  moyen- 

(1)  L'iinprestioo  dci  Optra  joeunda  a  6U  termiode  le  iS 
mars  i5SI,  Tieux  style,  correspoodaot  h  io23,  selon  lecaleo- 
drier  acluel,  et  le  combat  de  la  Bicoque,  par  suite  duqoel 
les  Francais  6vaco&reot  I'ltalie,  fat  livr^  le  39  avril  de  la 
n^rne  aon^e  iSSS. 


1!J 

Hge,  qui  oni  imm^diatement  prMd6  la  renaissance. 
Cest  dooc  nne  chose  nliie  de  les  Irrer  de  I'oabli 
oiils  semblaicDt  6tre  eDsevelis  poor  jamais,  demet- 
tre  ie  lecteur  k  m^meile  jnger  de  leor  m^rite,  et  de 
leQF  assurer  ainsi  nne  place  dans  les  biblioth6qaes 
eotre  les  ponies  d*Andr6  de  la  Yigne  et  celtes  de 
Client  Marot^  avec  lesqoelles  il  ponrra  6lre  ca- 
rieax  de  les  comparer.  Voil§  ce  qui  nous  a  engage 
a  en  donoer  une  Mition,  que,  vu  Textr^me  raret^ 
de  rorigioal,  on  peat  bien  regarder  comme  la  pre- 
miere public. 

La  plus  ancieone  pi^ce  frangaise  da  recueil  d'A- 
liooe  est  celle  qa'il  ^criTit^  aa  nom  des  citoyens 
d'Asti:  lors  de  Fentr^e  da  docd'OrKans  dans  celle 
?ii!e,  en  1494;  eile  n'a  qaeqaalre  stances  de  hait 
vers  de  dix  syliabes.  Vient  ensuite  Ie  Voyage  et 
conquesie  de  Charles  VIII,  roy  de  France,  sur  Ie 
royaume  de  Kapks^  et  sa  victoire  de  Fournoue  (1), 

(I)   Lm    baUille  de  Fornovo  fat  lifr6e  pris  de  la  ville  de 

cc  DOD,  Ie  6  juillel  1495*  Les  Frao^ais,  qaoique  trfti-inf^rtears 

ea  Bonbre  k  leuri  eoocmis,  y  rtBitreal   Taio^aeari ;  mais, 

eonme  ils  perdireol  toul  leur  bagage  peodant  Ie  oombal,  et 

que  Ie  teol  avaatage  qu'ila  retirdreat  de  la  vietoire  Tut  de  pou- 

voir  costiouer  traoqaillement  leor  retratle,  lei  Italieof,  de 

lear  cdte^  se    font  altriba6  Tboonear  de  cette  joaro6e,  et 

Pent  eti^br^e  aoos  Ie  nuro  de  vieloire  de  Taro*  VoiU  poor- 

qooi,  iandii  que  let  pontes  frangais  c^idbralent  dana  leur  pro* 

pre  laogne  Ie  trtompbe  de  Cbarlea  VIII  h  FornoTO,  et  que  ce 

■ime  triompbe  exer^ait  la  lutiae  lalioe  de  I'italien  Faunio  An^ 

iheliui,  de  Forii,  devena  poete  laar^at  da  rot  de  France,  deax 

aatres  pontes,  Ie  floreotio  Pierre  CWnt'loetlemodiooia  Pamphile 

Sttto,  adressaleot  leurs  Tera  looangeurs  ao  jeune  Francois  de 


L      _ 


en  qaarante-quatre  oclaves;  pais  la  Conquesle  de 
Laysdouziesme,  roy  de  France,  sur  la  duche  de  Mi- 
Ian,  auec  la  prinse  du  seigneur  Ludouicq  (en  1500)^ 
en  soixanle-sept  octaves.  Les  vers  de  ces  irois  pie- 
ces soDt  tons  de  ia  m^me  mesure,  et  chaqae  oc- 
tave ne  pr6sente  que  trois  rimes,  le  premier  vers 
rimant  avec  le  troisi^me  et  le  qnatri^me,  le  second 
avec  le  cinqai^me  et  le  sixi^me^  tandis  que  les 
deux  demiers  riment  ensemble,  h  la  mani^re  des 
stances  italiennes.  Le  po^te  se  platt  h  jouer  sou- 
vent  sur  les  mots,  et  k  r^p^ter  la  rime  d'un  vers 
an  premier  repos  du  vers  suivant,  ce  qui  tient 
6galemenl  des  vers  Equivoques  et  des  vers  bate- 
1^  (1)  genre  qu'afTeclionnaient  particuli^rement 
Jean  Molinet  et  Clement  Marot,  mais  qu'Alione  a 
cerlainemenl  cuUiv6  avant  ce  dernier.. \Une  autre 
chose  h  remarquer  dans  les  deux  petits  po^mes 

Gonxagiie,  roarqais  de  Mantooe,  general  des  troupes  ilalieo- 
nes,  le  premier,  dans  une  ode  intitule :  De  laude  Fr.  GoH" 
zagatj  prineipft  iUuttriuimi  Mantuaniy  cum  ad  TarrufH  contra 
Gallet  dimieavil,  et  qui  fuit  parlte  de  sea  oeavres  lutinet , 
page  !tii ',  le  aecood,  dam  qq  po^me  en  vers  hexaroitres,  a- 
yani  pour  litre  De  bctto  tarreniti  et  occupant  trelie  (Quillets 
du  recaeil  den  poesies  lalinci  de  l*aatetir,  imprimd  A  Bmeia, 
en  1499,  in-V. 

(I)    Les   qaatre   vert  ^ohrants   dooncront  une  idie  de  ce 
singulier  agencement : 

Le  roy  dream  ton  relour  vert  Saroy, 
PrenanI  $a  voye  au  pan  du  premier  awUfie^ 
Trop  bien  tavoil  que  fattendiez  en  roye; 
Mait  quoiquWi  voye  em  Hen  ne  te  devoye* 


17 

.  dl^  c'est  que  le  dernier  vers  de  chaqae  octave 
forme  proverbe  (4).  Ptnsieurs  podtes  fran^is, 
de  la  m^me  ^oqoe,  lels  qoe  JeaD  Molinet^  Octa- 
Tieo  de  Saiot-GeiaiSy  Andr^  de  la  Yigne,  Jeau 
<PAi]lOD»  Pierre  Gringore  et  Jean  Marol,  onl  ^go- 
iement  cil&brd  dans  leurs  vers  la  gloire  des  ar- 
mies francaises  en  Italie,  roais  aucun  d'eux  no 
Ta  fait  avec  plus  d'originalil6  et  plus  d'amour 
que  le  poMe  d'Asti.  Celui-ci  nous  a  encore  laiss^ 
deux  dils  en  I'honneur  de  Francois  \^%  el  une 
Chanson  des  Souyces^  sur  la  bataille  de  Marignan, 
en  TiDgt  coopiets,  morceau  (r6s-piqaant,  et  pouvant 
leiiir  sa  place  parmi  les  pi^es  hisloriques  (2). 
Totttefois,  ce  qo'ii  a  compost  de  plus  remarqua* 
Ue  dans  noire  langue » c'est ,  sans  contredil,  le 
Qhapitre  deLiberd^  en  trenle-six  stances  de  trois 
ters  cbaciitne.  Les  id^es  d'ind^pendancc  les  plus 
Wev^  y  sont  exprimSes  avec  une  chaleur  qu'on 
rencontre  rarcment  dans  les  aulrcs  morccaux  6- 
chappte  de  sa  plume,  et  qui  prouve  son  amour 
pour  la  liberty 

(1)   En  eompofaoi  en  Ui^x   pelils  puvoies,   Aiioat  a  6vi- 
dcflunest  pris  poor  raoJ^le  te  Tempk  de  Mart  et  ie   Voifage 
to  Se  UmpitMf  de  Jeon  Bltfliuct  (inort  eu  i&07>Y  06  Von  rcui'irqu* 
W  mIibc   »geiiecaieal  de  riiHCf^  «t  l'ciii|itui  d'ua  proverbe   a 
U  iia  «1«  eliaq«ie  octave, 
(t)   Cclte   pidc«  esi    loul-ik<fjil   diCTcrcote  d«  celle   qui  a 
^    po«r  tilre    Ckanaon    nomutiU  d^  la  ioutuee  faiele  contre  Ut 
SmjfMtes,  poar  U  iret  vietoritux  rojf  de  France  Franfoi*  pre 
mier,  et  qui  a  iU  relmpriinet*,  en  ih'AZ,  daiM  le  Ireiii^me  vo- 
iles Joif^unm,  jfMU  cbcs  Tccbeuer. 

AUO.\E  3 


r 


48 

Nous  poBvons  encore  citer  le  Did  da  Singe , 
petile  piece  vraimeDt  plaisante,  h  laquelle  nous 
avoiis  cru  devoir  r^unir  la  traduction  ilalienne 
qu'en  a  donni^e  i'auleur  lui-m^me;  la  Chanson 
d'une  josne  fille  marine  i  vng  tieillarl  jaloux  (4); 
la  Chanson  d'tme  iergiere  (2);  une  autre  chan- 
son, ayant  pour  refrain:  A  le  houe ;  et  enfin  uq 
Rondeau  d'amour,  composi  par  signification,  c'esl- 
a-dire  repr^enl6  par  des  rebus  graves,  fori  sin- 
guliers:  espfece  d'terilure  hi^roglyphique ,  dont 
nous  n'avons  pas  cru  inutile  de  donner  un  spe- 
cimen, ne  fftl-ce  que  pour  iburnir  aux  confiseurs 
de  la  rue  des  Lombards  I'occasion  de  mettre  &  la 
torture  les  OEdipes  du  Marais  qui  s'approvision- 
nent  de  bonbons  dans  Icurs  magasins  cnfum^s  (3). 

(1)  Cede  Chanson  nous  rappirlle  no  joli  roii<)oaa  de  Cid- 
niciil  Maroly  tniUuld  De  la  j tune  dame  ^ui  a  vi'eil  fiiait.  C'esI 
le  quaianltUuitiinie  dans  l*tdilion  de  Lpnglel  du  Fresnoy. 

{'2)  Aiioiic  a  uiis  Ics  qoatrc  premiers  vers  de  Cflte  clian- 
sun  duns  la  bouclie'de  Junino,  personnage  de  la  furce  du  Fran" 
rois  loQe'    chez  un  Lombard. 

0)  Ce  roudeau  Ci>t ,  k  ce  qu'il  parait ,  Ic  plus  long  mor- 
ceau  de  po^ste  francaise  qu'uo  rill  encore  Iraduii  par  des 
rebus  figuratifs,  mats  ce  genre  d'^rilure  6tait  connu  depuU 
long-(emps  en  France.  En  voici  plusicurs  exemples  que  nous 
fuuiuissent  d'anckns  livres  iniprim<^8  ft  Paris* 

L'imprimeur  Ctot  on  Gny  Marcliand,  qui  exei fail  dans  eel te 
vilie  des  I'anu^e  MhZ,  cl  denieurail  an  Champ  GaiUart^dcT' 
riere  U  college  de  Piaearre,  s'csl  servi  d*un  r^bus,  en  exprU 
man!  sa  devise,  sola  fdei  suffit^t .  par  les  deux  notes  de  mn- 
siqne  »o4  ta  ,  accooipa^nces  des  dcux  syllubcs  fieit ,  que  sur- 
nionte  le  mot  fidet. 

DdBs  Ic  mdmc  temp?,  le  librairc  Durand  Gerlier,  ^galemeiit 


i9 

Ed  cxamlnant  avec  aUenlioD  les  pitoes  compo* 
ste  par  noire  po^le,  depuis  1494  jasque  vers  1520, 
on  rcmarqae  qu'il  s'esl  6tudi6  §  varier,  presque 

^labli  4  ParU»  ftvatt  poor  eoseigne  VEstrille  Fauveau,  qu'ii  re- 
prdseotail  p«r  aoe  ^triile,  uue  faux,  el  uo  veau.  C'esl  *  qaoi 
Denrnt  Harot  (tteonde  epitre  du  Coq  a  i'dnt)  a  fait  allosioo 
4uis  ces  Irois  vers  : 

Une  tihillej  une  fauXy  tin  veav, 
C'tBt-h'dire  estrilte  Fauvcan 
En  bon  rebus  de  Picardie* 

Ters  qoe,pour  le  dire  eo  passaot,  le  sefgaeur  des  Accords,  daus 
se«  Bigarruretf  et  Manage,  dans  soo  Dictionnaire  e'tymologique^ 
rappcrteoi  d'uoe  mani^re  ioexacte.  Rabelais  a  aussi  trouv^ 
de  boooe  prise  le  rebus  de  Gerlicr,  et  il  I'a  plae^  plaisamoient 
daos  la  bouche  de  Paourge.  Voir  ie  Panlagrueif  lir  iv,  chap  ix. 
Cinq  Itgnes  de  ribot  gravds,  avec  leor  explication  au  bas, 
se  foot  remarqucr  ao  verso  du  deroter  feuiUet  des  Ueuret  de 
fiosire  Dame  a  lusot'ge  de  PartM^  impriro^s,  dans  cetle  vUle 
par  Guillaume  Gwdari,  vers  Tannic  1513,  io-8®.  A  cetle  dpo- 
que-I&,  ces  series  de  jeux  d'cspril  ^laienl  furl  en  vogue;  et 
ecile  vogue  s*est  sou  ten  ue  asscz  long-lemps,  ainsi  qu'on  pent 
s*en  con\aincre ,  cq  parcoaraot  les  Btgarruret  do  seigneur 
des  Accords  (Etienne  Tabourot),  lequel  a  consaerd  deux  longs 
cbapilrcs  de  son  fac<^lieux  recucil,  soil  aux  r^bus  figures  qu'il 
Bomme  r^bos  de  Picardie  ,  soil  aux  rdbus  par  let  Ires ,  par 
cbiflfres  ou  par  notes  do  uusiqoe.  Eotre  "aulres  exemples,  qu'il 
a  don*^  dans  soa  troisi^me  chapiirr,  noos  rcroarqoons  (page  H 
et  4»  de  I'^itioo  de  166S)  un  vicux  rondeau  de  ilulines  (ou 
pliif6t  Mulioei),  exprim^  en  r^bus,  et  dont  nous  nous  coolco*- 
teroos  de  rapporter  id  ie  premier  vers ; 

riant        ful  naguerct 
Eh  .   prff 


20 

dans  chaque  morceau,  le  m^canisme  de  son  vers, 
soil  par  le  nombre  des  syllabes^  soil  par  Tagen- 
cemeDt  des  rimes.  C'est  ainsi  qnll  a  ^crit,  b  la 
louange  de  la  Vierge,  qnatre  chansons  oa  canti- 
ques^  pr^enlant  tous,  k  peu  prte»  les  mtoies 
id^,  mais  exprim^  dans  des  mitres  dilK* 
rents  (1).  Ses  premieres  productions  accnsent  son 
peu  d'habitude  de  la  langue  frangaise;  11  y  latte 

qui  rcpr^scnle : 

En  iouriani  fut  naguerei    iurpris* 

Miiis  cetle  eipice  de  r^bns  n'a  qu'un  rapport  fort  iodircct 
avcc  le  rondeau  d'Aliouc 

(1)  Le  ctnq^fcne  couplet  da  premier  de  ces  cantiqaes 
commeace  par  let  deax  ters  tniraotf : 

AiH$i  qm9  rotet  tUseeHt  en  Im  fhur 
Oh  miroir  la  facet  '^  pentee  au  cotur, 

lesqueU  soot  6viJeilDincnt  imit^i  de  ccQx«ci  ; 

ToiU  aintf  torn  descent 
En  la  flomr  la  rouiee 
La  face  ou  miroir 
Ei  ou  ewer  la  pemsee* 

Cff  deroiers  se  liseni  dans  oo  PeUt  office  de  la  Viergej  en 
vert  frtn^ait,  aianvferit  do  XV  tiicle,  cooterr<  doos  la  biblio- 
ttiiqiM  da  die  de  Sattez,  A  Loodres*  (Voy.  BibU'olketa  5itr- 
ten'ana,  by  Tk.  Jom.  Petti$rew,  tom  1*',  prcoi.  part.,  p.  ccviti.) 
Peot-ilre  toot-ilt  aassi  imprimis  daos  quelques-uns  de  ces 
lirres  de  pi^l^  qui  tcrvaicnt  4  I'cdiBeatloo  dot  Cd^les,  d  la 
fin  du  XV  sUde. 


Si 

stos  cesse  pSoiblement  cootre  les  diffica)l6s  qu'U 
s'est  lai-m£me  cr^;  et,  poor  assQjeliir  les  mols 
aTenlraye  da  Bi^lre,  il  est  searent  oblige  de  les 
deoalarer  de  la  plas  ^Iraage  manifere,  ou  d'eo 
fi^liger  rorlhographe:  ce  qui,  joiot  k  la  bar- 
diesse  de  ses  inversions  et  anx.  idioUsmes  italiens, 
si  natorels  sous  sa  plome.  rend  son  vers  obscur, 
el,  parfois,  ininlelligible.  Plus  tard,  son  atiure  de- 
fientplus  libre,sa  phrase  moins  tourmcnt^e  et  plos 
correcle,  et,  alors,  sa  po^ie  ne  le  cide  en  rien  k 
celle  des  meilleurs  ponies  fran^is  ses  contempo- 
rains;  mais^  en  g^n^raU  ii  r^ussit  mieux  dans  les 
petits  vers  qae  dans  les  grands ,  dans  le  genre 
plaisant  ou  naif  qae  dans  le  sirieax.  Quant  k  ses 
composiltons  fac^tieases,  en  patois  astesan  et  lorn- 
bard,  m6l6  d'ilalien,  et  dont  on  troavera  la  table 
ci-apri^s,  il  ne  noas  apparlient  ni  de  les  jagcr,  ni 
de  les  reprodaire.  II  but  qa'on  nous  pardonne 
anssi  les  faotes  d'impression,  que  noasavons  mieux 
aimi  reprodaire  qaeiquefois  qae  de  les  corriger 
arbitrairement. 

Edilions  da  Recueil  dWliane. 

I. 

Selon  toote  apparence,  de  Bare  le  jeune  est  le 
premier  bibliographe,  en  France,  qai  ait  ea  con* 
uaissance  da  recaeil  fac^tieux  d' A Uone;  encore  ai* 
l-il  ignorS  et  le  nom  de  Faateur  et  la  date  do 
U?re,  parce  qae  Texemplaire  dterit  par  lai,  sous 


n 

le  n.«  2950  de  la  Bibliographie  inslrucike,  et  an- 
qaei  il  a  donn6  le  litre  de  Macharonea  taria,  ne 
contenait  ni  frontispice  ni  souscripiion  finale  (i). 
Dans  r^tat  de  mutilation  oil  se  tronvait  lo  re- 
cueil,  ainsi  r^dait  k  153  feuillets  (2),  ce  bibliogra- 
phe  ne  Ten  regardait  pas  moins  comme  un  des 
livres  les  plus  singuliers  qu'on  puisse  voir  et  conn- 
me  le  plus  rare  qu'il  connftl  en  ce  genre.  L'exem- 
plaire  dont  il  s'agit  appartenait  alors  h  Gaignat , 
riche  bibliophile,  h  la  vente  daquel  le  dac  de  la 
Valli^re  en  fit  faire  Tacquisition  (3).  II  fut,  quel- 

(f)  Le  doclear  Gentbc  a  reproduit  la  mdme  dcscnption 
aux  pages  77  4  79  de  son  oavrage  iiitituli  :  Gtnchhhie  dtr 
Macaroniichen  Poetie  y  Halle  und  Leipxtg  ,  ib39,  pel.  in-8® ; 
maU  il  ne  s>st  pas  aper^u  qoe  la  recueil  aaqael  il  a  doon£ 
aussi  le  Itlre  de  Macharonta  varia.  saos  cd  nomincr  I'aaleur 
^lait  en  grande  parlie  le  ni^me  que  les  Oppre  pfaectolcy  dont 
il  a  parle  ik  la  page  140,  sons  Particle  de  Giovanni  Arlane  (sit), 
cl  &  la  page  285,  sons  celui  de  Giovanni  Giorgo  Arione,  MaU 
grd  ced^fttut  d'attention,  et  qaelques  ant  res  erreurs  ou  omis« 
sions  que  noas  y  avons  rcmarqn^es,  cetle  lilstoire  de  la  po^sie 
macaronique  est  un  livre  enrieux  et  qui  manquail  ik  rblsloi'- 
re  litt^raire. 

())  II  y  manqaait  le  titre,  le  second  feuillet  dc  la  table  , 
deox  feuillets  dans  la  roacaron^e,  deux  reuillels  de  la  signa- 
ture I,  lesquels  renferment  ee  que  le  recueil  a  de  plus  ob« 
seine  el  de  plus  irr^ligieox,  et  enfin  les  38  derniers  fcuillels 
du  volume,  remplis  de  poesies  francaiscs,  et  terroluds  par  U 
souscripiion. 

(3)  Au  prix  de  H  fr.,  et  ce^minie  exeniplaire  a  iU  reven* 
du  48  fr.  k  la  vente  du  due.  En  cootid^ranl  IVtrt  d'iniper- 
feelionotksc  tronvait  le  livre  el  l'6poque  o6  il  fut  vcndu  ce, 
prix  paraitra   tris-elev6,  surtout  si  on  le  compare  avec  ceux 


23 

qses  anodes  plas  tard,  dterit,  avec  le  plus  grand 
d^il,  dans  la  premiere  parlie  du  catalogue  de  !a 
biMioth^ne  de  ce  c^l^bre  amateur,  parlie  dont 
00  doit  la  r^aclion  aux  soins  r^unis  du  savant 
M.  Van  Prael  et  de  M.  do  Bure  Talne.  L5,  il  est 
dil(II,  iM)  que  ce  livre,  trfes-singulier  et  fort 
rare,  a  pu  6tre  imprimfe  vers  4496;  et  corame,  en 
effet,  la  derni^re  pi^ce  do  l^exennpiairo  relatait 
Penlr^e  de  Charles  Vllf  h  Naples,  le  ?2  f6vrler 
1495,  et  la  vicloire  oblenue  par  les  Frangais  h 
Fon^Oj  le  6  juillet  de  la  m^me  ann^e,  la  dale 
assignee  k  ce  livre  devait  parailro  tr^s-vraisem- 
bUble,  alors  surlout  qn'on  ignorait  compl^tement 
I'exislerice  des  pi^es  plus  r^centes,  anncx6es  ori- 
ginairement  aa  m^me  recueil.  II  n'est  done  pas 
surpreuaot  quo  le  docleur  Dibdin  Tail  adopl^e, 
en  parlanl,  dans  les  ^des  AUhorpianod  (II,  470), 
de  cc  mftnae  exemplaire,  devenu  la  propri6l6  di) 
lord  Spencer,  apr6s  avoir  ^16  moraenlan^ment 
celle  de  Raimondini,  ^  Bassano.  D'ailleurs,  si  cello 
dale  est  fausse,  en  ce  qui  concerne  rimpressioa 
da  livre,  ii  n'en  resle  pas  moins  certain  que  la 

de  plo»ieur«  aolres  articles  prdcieus  qui  fif^uruienl  ilans  1 1 
■^ai«  ventf,  et  qui  le  paieut  aujourd'liui  dix  ou  vingl  fo  4 
plat  ebrr  qu'aloM.  On  sail  que  la  MoruUle  du  mauvaig  riehe 
el  du  iadre,  <^ditiou  in-4*,  co  Unit  feuillets,  payie  seulcment 
^  fr*  cbea  le  due  de  la  Valliire  (u.**  3332)  ,  a  616  acquire  en 
i)i3i  par  II.  de  Soleinne,  au  prix  rxcessifde  i860  fr.,  et  qtm 
le  tax  d'emour  divme,  in-4%  petite  niOralite  mystique,  don* 
Bfe  poor  5  liTres  I  sou  dies  le  m^me  due,  s'est  veudu  der- 
•i^eraeiit  500  fr.,  k  I'almable. 


24 

macaronfe  d'AIione  a  prteM6  de  plus  do  qoinze 
annees  ceWe  da  Pseudo-Merlin  Cocaie,  et  que  c'est 
la  plus  ancienne  production  de  ce  genre  qui  soil 
parvenuejusqu'a  noas;toutefois  apr^  la  Machardnea 
de  TiQ  Odassi,  k  laquelle  il  serait  difficile  dc  re* 
fuser  la  priori  16  (I). 

(I)  La  macaronde  Ue  Bassantti  Manluanus,  qui  a  doiM»4 
lieu  d  cclie  d'Alione  ,  e(  dunt  j«  ne^cbe  pas  qu'il  se  soil 
conscrxd  un  seul  exrmplairr,  doil  avoir  ii6  coinposec  avaui 
runo^c  i'(99;  car,  d  cette  dpoque46,  Paotcur  avail  de]^  cea- 
se dc  vivre,  ainsi  que  le  proovc  son  ^pitapfae  ,  iinprimte  an 
fenillet  tiiij  du  RecHfil  de  poesies  latines  de  Pmmphilo  Satso, 
public  h  Brescia,  daas  le  coorani  de  cette  iodine  aao^:  ^pi« 
laplic  ainsi  eon^ue  : 

Judy /a  ligfala  esl  f^mt'ni  bl$  Haniua  tale  (sic) 
Carmine  Datgnni:  carmine   Virgiiii  : 

Inclyia  trit'atn  rsl  gimini  kis  Man'ua  ratii 
Funere  Bassuni;  funere   Virtjilii, 

Cc  po^le  mantouan,  qu'un  indulgent  ami  n'a  pas  crainl  de 
met  I  re  en  parall^Ie  avec  Virgile,  nous  scrail  aujuurdMiui  lout 
ii-rjit  iuconnu  sans  \e  recueil  de  Sasso,  ou  so  trouvcut  plu* 
sicurs  pieces  qui  lui  sont  adress^es  ;  inais  d  en  jnger  par  la 
response  d'Alione,  il  appartenait  au  parti  contraire  ix  la  France, 
ct  il  avait  ceia  de  cofumun  avec  PampliilD  Sai^so,  Icquel,  roq 
eontrnt  d'uvoir  furl  niul  traitd  Ics  Prun^als  dans  uu  poinie 
compost^  a  la  gioire  de  Francois  dc  Gontague,  ^crivit  encore, 
(onhe  noire  rol  diaries  VIII,  une  ^pitaphc  satiriqae,  qui  se 
trou\e  dans  le  recueil  d^j6  citd,  fi  la  m^mc  page  que  cello  du 
manlouan  Bassanos,  ct  que  nous  rcproduirons  ici  : 

• 

Efiitophium  Regis  Gailorum, 
Galhrum  jacel  hie  Hex  :  qui  prantantibm  ermis 

Preftonent   Venerix  erimina^  furta,  j'oeox: 
Alfihonni  victor :  non  vi,  mom  arte,  srd  atln't  : 

Arripuit  lurpem  :  turpior  ipxe  fngam. 

Da  tumulum  tumulu :  noicas  quo  quixqite  viator 

Qui  tcmcl  C9t  natns :  bii  potuiste  mori. 


IB 
Un  airlre  exemplatre  de  celte  mSme  Mtlion, 
Element  dAponrvu  d'ane  partfe  de  ses  dernien 
feoiileto,  est  annoncd  sons  son  veritable  litre,  mais 
saos  date^  dans  la  BibHolkeca  Croflsima  {u.^  2783), 
u  rtche  eo  lifres  singaliers. 

D^an  natre  c6t6 ,  les  bibliographes  italieDs  n'i- 
gDoraienl,  11  est  ifrai,  ni  le  Dom  de  raotenr,  ni  le 
liea  de  rimpression  de  notre  reciieil,  mais  ils  en 
connaissaieot  si  pen  la  date^  que  le  Quadrio(V.  70), 
saivi  en  ce  point  par  Haym,  a  annoDc6  r^dilion 
de  1560  comme  une  r^impression  de  celle  qai  an* 
rait  M  faile,  pen  de  temps  avant,  a  Asli.  Ainsi, 
r&lition  originate  des  Opera  joctmda  se  tronvait 
rapprochte  par  les  nns  de  Tann^e  1560,  tandis 
que  d'aatres  en  feisaient  remonter  la  date  jusqn'^ 
1496.  Tel  *lait  Tdtat  dc  la  question  lorsque  M.  Tosi, 
libraire  de  Milan,  recommandable  par  ses  connais- 
saoces  bibliographiques,  le  m6me  qui  a  fait  r^cem- 
ment  racqnisition  de  Timmense  bibliol^ue  de  Ta- 
Tocat  Reina,  de  Milan,  entleboohenrdeseproenrer 
nn  exemplaire  complet  do  livre  en  question,  por- 
tant,  k  la  ftn,  la  date  de  i5dl.  An  moyen  de  cette 
dfeonrerte,  il  put  )uger,  avec  certitude,  que  la 

n  srrafi  earieoi  rfe  rapproclftr  de  celte  pidce  soliriqne  Ics 
trvis  #}ttiapbet  qu'uu  autre  llalirn,  FttO^ilo  Andretini  de  Forii 
a  compotes  A  la  looaoge  du  m^nc  roi  ^  et  qoi  foot  partte 
d'aa  opoMuie  dc  duoze  fcoillcts  pnblid  par  le  rndme  Fauslo 
KH19  ee  litre:  De  obittt  Caroti  oclavi  Depioratfo,  etc.  ParUiii 
pro  Jah.  Nicol/e,  i305,  in-4*,  —  Peur  la  macaroni  d'Odasfi), 
vorri  U  noie  particuli^rc  que  noos  avoiis  ptacdc  4  lu  suite 
^  \a  prcfcnie  notice. 


1 


20 

pr^tendue  Edition  sans  dale  n'^lait  autre  chose  quo 
celle  de  1521,  jusqu'alors  fort  mal  connuo.  Get  e- 
xemplaire,  peuU^lre  noique,  fnt  bientdt  acquis  par 
M.  Payne,  iibraire  de  Londres,  voyageant  alors  en 
Italie^  et  par  lui  c^d6  k  M.  Henrott,  bibliomane  an- 
glais des  plus  ardents,  lequel  ne  tarda  pas  h  sue* 
comber  sous  le  poids  de  ses  acquisitions  trop  mul- 
tipli^,  et  fut  oblige  de  livrer  sa  precieuse  coilec- 
lion  k  rimpitoyable  marteau  d'an  auctionaire  de 
Londres.  Mors,  le  Ir^s-ctlebre  bibliophile  Richard 
Heber,  qui  ^tail  h  la  piste  de  toutes  les  curiosiles 
lilteraires,  put  ajouter  celle^ci  h  son  incompara- 
ble collection.  Ce  morceau,  digne  d'y  Ogurer  en 
premiere  ligne,  est  peut-6lre  sa  derniere  acqui- 
sition importante,  car,  peu  de  mois  apr(!s  Tavoir 
faite,  il  cessa  de  vivrc,  et  sa  mort  pr6matur6e  II- 
vra,  incontinent,  h  la  chance  incerlaine  des  cnch^res 
publiques  Timmense  tr^sor  bibliographique  que 
son  insatiable  curiosity  avait  rassembl6  avec  tant 
de  soin,  h  si  grands  frais,  pendant  plus  de  qua- 
rante  ann^es  cons6cutives,  et  dans  toute  I'Cnrope. 
Ce  grand  encannousofrril,^  notre  tour,  Toccasion 
de  placer  dans  notre  raodeste  cabinet  ce  joyau,  plus 
pr^cieux  que  brillant  (1),  que  M.  Crozet,  jeunc 
Iibraire,  toujours  intr^pidesous  le  feu  des  enchires, 
Yenait  d'enlever  aux  Anglais,  apris  une  charge 
vaillamment  soutenue  par  ses  adversaires  (i). 


(I)  n  esl  aonoQce  sous  4e  d.**  21  Ue  la  qaatriime  partie  de 
la  Dibiiotheca  hrbcn'ana, 

(i)   Lc    cutuiogue  de  la  biblioth^que  Ue  M    RiclianI  Ueber, 


57 

DoDDons  m^intenant  la  description  de  ce  volame 
csfienx:  C'est  no  petit  in-S^*  de  197  feoillets  non 
chiffr^;  soas  tes  signalares  a  ii  josqa'^  z,  plus 

ptbUI  de  1834  4  iS36 ,  sqos  la  direction  de  BIM.  Payot  et 
Fossy  e^I^bres  libraires  de  Londres,  a  paru  rn  douze  parties^ 
dcstto^s  i  aotant  de  ventes  sdpar^es.  Les  dix  prrmiires  par- 
ties et  la  dooxiine  indiqaeot  les  livres  imprimes,  au  nombre 
de  Si,0&0  articles ,  et  fonnant  au  rooins  cent  mille  volomes. 
Dans  la  oozi^me,  soot  d^crtls  1,7i7  mannscrits,  plus  curieox 
les  ons  que  lea  aatres.  Le  resultat  des  douze  ventes  a  donne 
00  total  de  plas  de  57,000  livres  sterling  (environ  1,430,000  fr.), 
lomme  ^normc  ,  sans  doute ,  mais  infiirieure,  cependaul  ,  dc 
plus  d'uo  qoart  4  eelle  qu'avait  d^bours^e  le  propridtaire.  A 
cette  Enumeration  des  richesses  littdraircs  de  M.  Heber,  il  Taut 
ajoBlCT  les  qaaranle  mllle  volumes  qu'il  avalt  laissds  h  Puris^ 
et  asxqaels  soot  venues  se  rduiiir  les  acquisitions  fuites  prd- 
cedrmoieot  par  lui  i  Koreinberg  i  il  faul  aussi  y  joiodre  quel- 
qaes  milHers  de  volumes  resli^s  dans  la  Belgique,  et  qui  ont 
ete  veodos  &  Gand,  en  oclobre  i833.  Parmi  les  livres  qui  se 
troavaieni  k  Paris,  figurait  en  premiere  ligne  unepartie  con- 
siderable de  hi  bibliolhique  du  plus  ddtcrmind  bibliomane 
qoe  la  Fraoee  ait  jamais  produit,^  de  I'cstimable  M-  Ooulard, 
anden  Dolaire.  M.  Heber  en  avait  fait  Tacquisitioo  en  i830f 
et  il  devait  la  faire  transporlrr  en  Angleterre;  mais  comma 
il  n'a  pas  en  le  temps  d'exdcoter  son  desseiii,  apr^  sa  morr, 
ces  menies  livres  ont  did  vendus  A  Paris  et  aox  rehires  pu- 
bliqaes  ,  aiosi  que  les  aulres  livres  qu'tl  y  avait  laissds.  Au 
resle ,  les  trois  rentes  qui  ont  did  faites  ici  pour  le  compie 
df  sa  soceession  n'ajool^ront  gu^re  qo'une  soixantuine  de 
mille  francs  &  la  somme  ci-dcssus*  Aprds  avoir  doonS  un  a- 
per^a  de  cctte  collectioo^  disons  un  mot  de  celui  qui  Pa  for- 
isde.  Bicbard  Heber  ,  dcoyer,  naqoit  k  Londres  ,  en  1774.  Sa 
hmiile  pateroelle  dtait  depnis  pl&sleurs  gdndrations  eu  pos- 
tcssion  dp  maooir  de  Uarton,  donl  il  bdrita  &  la  niort  de  son 
fcre,  ainsi  qae  do  domaine  d'Hodn?!*  Pou^  d'un  esprit  vifct 


28 

Z  et  t  <le  premier  cahier,  de  sept  feuUleta;  le  der- 
nier, de  six,  el  tous  les  autres  de  hnit,  cbacon), 
caraclires  semi-gothiqaes.  Le  frontispice  occape 
le  recto  du  feuillet  a  ii,  dont  nons  donoons  ici 
la  copie  exacte,  mais  en  caractferes  rofflains  et 
sans  abri6valions. 

Animus  gaudens  clatem  floriJam  facit 
Sp!rilus  Irislis  exiccat  ossa;  Prouerb.  17. 

Opera   Jocunda    No.   D. 

Johanis.  Georgii  Aliooi 

Aslensis  Melro  ma- 

charroaico   Ma 

t6rno:etGalli 

CO  compo 

sita. 

Couaucntura  Uc  ccctesia  iuriti:u  professor  Asten. 

A(J  Icctorcni. 


p^fl«^trftiil,  il  fit  d«  rapidcs  progr^s  daot  ses  Etudes,  et  il  les 
termina  avec  succis  4  I'uoiversiltf  d*Oxford.  De  retour  &  Lon- 
dres,  il  s'y^t  bieoldt  remarqoer  par  I'^l^gaoee  de  ses  maoii- 
res ,  le  cbarme  d«  sa  conversation  et  I'^tendae  de  ses  con* 
naissauces;  ce  qal  lui  procura  d'iliostres  amis,  au  nombre 
desqaels  il  pat  compter  sir  Walter  Scott  et  H.  Canning. 
En  1S31  il  eul  I'bonnear  de  repr^senter  raniversit^d'Oxford 
&  la  cbambre  des  communes ,  oA  il  obtint  molns  de  soccis 
qoe  dans  les  reunions  du  Boxburgh  club.  Sa  carridre  parle* 
mentaire  termin^e,  il  pa^sa  snr  le  continent,  et  apri^S  ua  s^ 
jour  de  plusieurs  ana^s  a  Paris,  il  retoorna  A  Mndre^,  oik 
il  mourut  en  oclobre  iS33. 


20 

Pcrlcgis  bos  tersas  qttisqois  Don  sperne  labores 

A«ct«rU:  Testri  si  memor  esl  vilij 
Nee  laeoii  patris  rUom:  Don  crimiiia:  mores. 

Seoeci :  sic  Talivs :  sic  gravij  ille  Cato. 
Ccloces  caUmos;.et  ehHtam  lolle  Poetis 

Lingoam  rade:  latent  crioaioa  tiiDc  hooiianm. 

Au  Terso  da  m6me  frootispice  se  lisent  deox 
pieces  latines;  la  premifere,  en  dix-huit  vers,  imi- 
tate: 

Eiusdem  Bonauenlure  ecclesiastici  carmen. 

la  secoode,  en  huit  vers  seulement^  ayant  pour 
litre: 

Nicolaus  faleius  Tridinas^  in  detraeiorem. 

Les  deux  feaillets  saivants  contiennent  la  lable 
des  pieces  de  tout  le  volume;  nous  la  reprodui- 
roDs  icU  poor  nous  dispenser  d'enlrer  dans  de 
plus  longs  details  an  sujet  de  ce  recoeil/  aussi 
vari£  que  piquant. 

TABULA  CONTENTORUM  m  OPERA. 

Taoola  de  quello  se  contene  ne 
la  presente  ^ra. 

Et  primo 

U  pfDlogo  de  lauctore  A.  folio,  v 

Una  Madurronea  contra  queUa 
de  messer  Bassanu  A.  folio,  vj 


50 

Comcdia  de  lliomo  et  de  soy 
cinque  sentimenti  B.  folio,  rij 

Farsa  dc  Zohan  Zauatero  et  de 
biatrix  soa  moglierc,  ct  del 
prctc  ascoso  sollo  il  grometto  D.  folio,  j 

Farsa  de  doe  vegle  repolite  quale 
volluano  reprender  le  giouene  g.  folio,  viij 

Farsa  de  la  dona  quale  del  franzoso 
se  credia  hauere  la  robba  de  veluto        f.  folio,  j 

Farsa  sopra  el  litigio  de  la  robba 
de  Nicolao  spranga  astesano  b.  folio,  viij 

Farsa  del  marito  et  de  la  mogliere 
quali  litligoreno  insema  per  yn  petto    k.  folio,  vj 

Farsa  de  doe  vegie  le  quale  feccno 
aconciarc  la  lanterna  ct  el 
soffictto  m.  folio,  iiij 

farsa  de  scbrina  sposa  quale  fece 
d  figliolo  in  cappo  del  meyse  o.  folio,  j 

Farsa  del  bracbo  et  del  nillaneyso 
inamorato  in  ast  p.  folio,  vj 

Farsa  del  francioso  allogiato  a 
lliostaria  del  lombardo  r.  folio,  vij 

Sententia  in  fauore  de  doe  sorelle 
Spose  contra  el  fornaro  de  prumello  (i)     t.  fof  j 

(i)  Voici  la  consultation  lalioe  qui  a  doan^  liea  4  ccUff 
»entence«  en  vert  astesani : 

••  Duaffus  ioron'bui  nupii$  duohut  fratHhmt  dum  eo^Meremi 
pantm  circa  horat  noetic^  Promiliit   furnaiita  tret  cauahiot 


31 

Fortula  de  Ic  done  t.  folio,  iill 

Canlione  doe  per  li  frati  de  sanclo 
Augastino  contra  li  disciplinati  de  Ast.       t.  fo.  v 

too  benedicile  dns  et  uno  reGciat  t.  fo.  viij 

Scqaitano  le  oi>ere  del 
dicto  auctore  in  lingua  galica 
SensaiaueBt  les  oeuures 
De  lacteur  en  langue  franciose  v   fo.  j 

Et  premiers. 

Lc  recoeil  que  feirent  les  citoyens  v.  fo.  ij 

dast  a  leur  due  dorleans  a  sa 
ioyeuse  entree  Auecq  lemprin- 
se  et  conqueste  de  charier  hu- 
tiesnie  roy  de  france  sur  le  roi- 
yaume  de  naplcs.  et  sa  victoire 
De  fouruoeuf 


f«Of  ex  tune    exburtavil  in  tcrrh  iub  domo  furni   dummod* 
ftceaut  se  suppom'  a  narilii  eo  pretente  H  vtdtnte. 

m  Euocaiit  maritit,  quih'bet  eorum  tuam  ateendit;  ai  for- 
maring,  qui  numquam  erediditnet  hoe  eueHiurum ,  eepii  dieere 
eiedem  quod  forte  fimqebant,  ted  noH  pro  verilaie  eoibani*  Una 
mutierum  retpomdit,  instpice,  Fornariui  atttimpla  lueema  in* 
tpexit  oltrrcM  ex  eonjugibue  quot  vidil  habere  membrum  in 
membrof  et  dolent  de  promintione  arreptit  tribut  eaualotie 
di$ee$it,  Tandemque  conuentus  in  iudiefo  hae  exeeptione  te 
turbulur  teih'eet  quod  licet  alter i  eoniugum  verilaie  coitent  ut 
Hderat,  neteit  tamen  an  alleri  hoc  fdeereni,  RepUcatur  quod 
potermi  9idtra  el  eoa  ti  toluittet.  Tamdem  de  cauta  iV«  Jo% 
Qeorgiut  Ationna  eon^uliut,  retpondit  in  teriplii  uf  infra 
Hquitmr,  Et  ila  iudieatum  fuit  in  loco  per  mtl^'  eomitatttt 
tttmmti.  » 


32 

La  conqucsle  de  loys  douziesme  . 
Toy  de  france  sur  sa  duchie  de 
milan  et  la  prinse  du  seigneur 
ludouicque  x.  folio,  j 

Ditz  que  deuoit  pronuncier  vne 
pucelle  dast  au  roy  francois 
a  son  retour  de  la  victoire  de 
marignan  y.  folio,  iij 

Dilz  du  marzocq  de  cremonne 
transporte  en  ast.  y.  folio,  iij 

Uers  composez  sur  les  laiz  des  franco  is  en 
italye  depuis  la  venue  Dudit  roy  charles 
huiliesme.  En  chacune  couple  desquelz  par 
lellres  numerales  se  trouuera  Ian  que  les 
choses  y  mentionnees  sont  aduenues    y.  folio,  iiij 

Louange  au  raarcquiz  de  monferra 
sur  sa  conqueste  dancise  y.  folio,  iiij 

Le  dit  du  singe  y.  folio,  v 

Chappittre  de  liberie  ^  y.  folio  v 

Louahgc  a  noslre  damme  en  chant 
•Sur  la  natiuite  et  passion 
De  nostre  seigneur  y.  folio,  viij 

Autre  louange  a  nostre  dame  sur 
Lobsecro  z  folio,  ij 

Autre  louange  a  nostre  dame  sur 
Laue  maris  stclU  s.  folio  v(iij) 

Autre  louange  a  nostre  dame  sur 
Le  salue  regina  s.  folio 


55 

Umange  a  saiolc  catberinc  x.  folio,  v 

U  cbaasoa  des  suyces  siir 
la  baUilie  de  marignan  z.  folio,  viij 

la  chansoR  de  la  josne  dame 
Marie  au  Tieillart  iaJoux  ^  folio,  iij 

La  ebaiison  de  la  bergiere.  ^  folio,  iiij 

Aalre  cbanson.  %  foiio.  r 

Deux  rondeaux  damours  eomposcz 
Par  Bignifieations  S'f<>lio.  vlj 

Kondeaa  en  flameng. 
Replicqae  en  Italien  sul  le 
dit  du  singe. 

Le  xolume  ici  d^rit  parail  se  terminer  aa  recto 
da  sixi^me  feoillel  du  cahier  z;  mais  an  recto  da 
feuillet  suivant  commencent  Ics  rondeaux  d'a- 
moors,  lesquels  occapcnt  sept  feuillctSi  suivis  d'un 
huitidme,  imprim^  seulement  aa  recto,  ei  oil  so 
lit  (ao  bas  de  la  traduction  ilalienne  du  DU  da 
Singe)  la  souscription  suivante: 

tmpressum  Agi  per  vtaQtstrum,  Fran- 
titebum  de  silua  Anno  domiai,  Milesi' 
mo  quin^entetimo  vt'getimoprimo 
dis,  xij\  mentit  MorciJ. 
Finis. 

* 

Le  verso  da  m^e  fenillct  est  tout  blanc. 
L'impriaiear  Frangois  de  Silm^  Id  m6me,  pro- 
bablemeDt,  <iai  est  nomm6  Boalerus  dans  des  fcrs 


latins  places  ad  verso  du  litre  de  noire  livre^  avail 
d'abord  exerc^  h  Turin,  oili  noos  le  iroovoos  de 
i487  k  i512;  ii  S6  transporla  ensuite  k  Asli,  et 
y  imprima,  en  1518  el  1519,  deux  Editions,  lea 
seules  que  cite  Panzer  (Anrtales  typogr.^  VI,  pa- 
ge 130),  article  Asia.  II  retourna  plus  lard  k  Turin^ 
oh  il  imprima,  k  la  dale  du  Iroisidme  jour  des 
calendes  de  seplembre  1521,  nne  apologie  du  mu- 
sicien  GafTauri  ou  Gapbauri,  par  Barlhel.  Philip^ 
pineus,  pi^ce  in-4^  qui  se  joint  k  des  poteies  de 
Mapheus  Yegius,  et  autres,  pubK^es  k  Milan,  dans 
le  couranl  de  la  m^me  ann^.  (Voyez  le  deuxi^me 
catalogue  de  Cr^venna,  tome  3,  n.^  4150.)  Cepeo- 
danl,  nous  avons  vu  que  noire  Francois  de  Silva 
6tait  encore  k  Asti,  k  la  dale  du  xij  mars  1521, 
vieux  style;  mais  il  pa  rati  quMI  ne  resta  pa$  long- 
temps  dans  cette  ville,  puisqu'il  imprima  encore 
k  Turin  en  1523,  date  apr^  laquelle  son  nom  ne 
figure  plus  sur  aucnn  livre.  Ajoulons  que  deux 
fr6res,  portant  aussi  le  nom  de  de  Sylva  (Jean-Ange 
et  Bernard),  onl  ^galemenl  imprim6  k  Turin  de 
1516  k  1523. 


11. 


Opera  mollo  piacevole  del  No.  M.  Gio.  Giorgio 
Arione  astesano,  novamenle,  e  con  diligenza  cor- 
reila,  e  rislampala  con  la  sua  tavola.  In  Venezia 
1560,  in  8^ 

Tel  est  le  litre,  que  donne  le  Quadrio  (V.  70), 
de  cette  ^lition  pea  connue^  qu'il  doit  avoir  cue 


sons  les  yeux,  ei  an  sujet  de  laqnelle  il  s'axprime 
ainsi : 

a  Questainna  ristampa  deU  Opera  qualera  stata 
foc'anzi  impressa  in  Asti,  senza  teruna  alterazione^ 
qvanto  alia  sosianza.  Ma  essendo  qttesio  comico  tras* 
corto  eon  Ungua  troppo  mordace^  irreligiosa  ed  oscena 
non  par  rimase  il  suo  libro  dalF  inqnimione  vie^ 
tato;  ma  fu  egli  siesso  il  comjwsitore  e  inquirito  e 
carcerato.  Come  perb  vi  acea  mollo  bono  eommisto  col 
male  J  cosi  alcuni  euoi  amici  commiserando  la  perdila 
del  vnOy  e  la  disgrazia  delPallro,  oltennero  ad 
amendtte  la  liberla  a  cotidizione,  che  Vautore  togliesse 
iuUo  cibj  che  v'aveta  di  male  nelVOpera*  Cosi  tisci 
qvesta  di  nnoco  correUa  e  rislampaia  in  Asti n 

lyapr^  ce  qn'ajontele  bibliographe  ilallen,  T^di- 
tion  de  1560  conliendrait,  ontre  ia  macaroni  et 
les  dix  farces  ironies  dans  les  denx  Miliond  suivan- 
tes,  les  antres  pitoes  en  patois  astesan,  que  ren-> 
t^e  celle  de  4521;  tontefois,  avec  des  correc- 
tbns,  saos  lesquelles  il  eAt  ^tg  impossible  de  les 
riimprimer  alors.  11  ne  s'y  tronve  aucnne  piice 
frao^ise. 


HI. 


L'Opgra  piacerole  di  Georgto  Alione  asteggiano» 
di  nnoTo  correUa,  et  ristampata.  In  Asli,  appresso 
\irgilio  Zangrandi,  1601,  con  licenza  de'superiori, 
petit  in-8®. 

Cette  seconde  MiUon  d'Asli  est  beanconp  moins 
complete,  et,  par  cons^nent^  moins  prtoiense  que 


56 

la  premiere;  cependant,  c'est  encore  \m  livrc  assez 
rare  et  m6me  d'un  certain  prix.  11  s'y  Iroave 
sept  feoillets  pr^liminaires,  lesquels  conliennent 
I.®  letilre;  2.°  Ic  privilege,  ayant  au  verso  lessix 
vers  lalins  de  Bonaventure  de  Ecclesia  (delta  CUieaaJ^ 
qai  se  liseal  sur  le  fronlispice  de  l*edilion  de  1521, 
pias  quatorze  autres  vers  latins  dum^meaulear, 
exlrails  d'une  pi^cededix-hait  vers,  apparteoant 
^galemenl  k  {'Edition  de  1521;  3.^  lo  stampatore  al 
Popolo  d'Asti,  salulCy  preface  fort  curiease^qnioc- 
cupe  neof  pages,  cl  dans  laqueile  l'6dileur,  apr^s 
avoir  donu^  des  details  6lendus  sur  la  disgrace 
ct  la  rehabilitation  d'Alione,  annpuce  ainsi  son 
edition:  u  Eccoui  il  voslro  Alione  ringiouenUOyte^ 
sfiio  di  panni  nuoui  alia  moderna,  riformato  nella 
tifay  et  costumiy  e  finalmenle  assai  mulalo  in  me- 
glio  da  quel  ch'egli  era,  prima.  Et  per  leuarmi  la 
mascherny  senza  parlarui  piu  in  nuuoliy  od  in  fi" 
gnra.  Eccoui  t  opera  piaceuole  del  toslro  Alione 
tanlo  da  tutla  V^sleggianay  non  che  da  toi  soli 
desiderata  la  quale  ho  io  nuouamente  ristampala 
cl  hor  mando  fvori  per  darui  qualche  ricrealione 
in  questo  prossimo  Carneuale.  Che  libro  appunto 
da  Carneualey  et  non  da  altro  tempOy  il  giudico  to, 
per  far  rider e^  e  dar  gusto  alle  brigate.  n  AprSs 
qaot  il  cherche  h  prouver  que,  loin  d'etre  aussi 
frivoles  qu'elles  paraissent  I'^lrc,  les  farces  du 
po^le  astesan  pr^entent  un  sens  all^gorique,  une 
morale  qu'on  d^ouvre  en  les  examioant  altenti- 
vemeDt,  et  il  donne  pour  exemple  la  farce  de  Vhuo- 
mo  e  suoi  cinque  sentUnenti,  qu'il  compare  i  Tapo- 


57 

logac  d)^  membres  et  I'eslomac,  si  hcureusement 
imajrin^  jadis  par  Menenius  Agrippa,  ct,  enfin,  il 
termine  ainsi :  «  Riceuete  pur  Vopera  allegramenfe 
e  tton  mi  torcefe  il  naso,  biasimandota ,  perche  ri 
mancliino  molte  di  quelle  antiche:  che  con  molla  ra- 
^ofie  si  sono  iralasciate.  Ma  io  non  posso  giA  ren^ 
denii  conlo  cosi  minute  dt^gni  cosa,  come  forse  tor- 
resle;  cantentateti  che  si  dia  alVingrosso.  .  •  .  » 
Aq  verso  do  septi^me  feoillel,  se  lil  le  prologue 
de  I'aoteor,  r^duil  h  Irois  octaves  ao  lieu  decinq, 
qui  sent  dans  la  premiere  Edition.  La  inacaronte 
commence  au  huili^me,  el  en  occupe  neuf.  Les 
farces  qui  viennent  ensuite  remplissenl  deux  cent 
vinpt-neuf  pages  chifTr^es.  L'impression  de  celle 
edition  a  *16  faile  avec  si  peu  de  soin,  qu'a  la 
pa?c  !05,  on  a  subsliluS  S  huil  vers,  qui  auraiont  dft 
y  ^Ire  plac6s,  d'aulres  vers,  encore  r^p(^l6s  h  la 
pa?e  106,  ou  est  leur  vMlable  place.  Pour  rem- 
plir  celle  lacune,  les  huil  vers  omis  onl  ^16  ajou- 
I6s,  S  la  fin  du  livre  (page  229),  5  la  suile  d'un  avis 
an  lecleur  sur  les  faules  el  omissions  ^chapp^cs  a 
rimprimeur,  Icsquelles  sont  en  parlie  r^par^es 
dans  deux  pages  dVrrala,  inopriro^es  d*un  seul 
c6lHes  deux  derniers  feuillets.  II  esl  probable  quo 
ces  faules  nc  se  relrouvenl  plus  dans  la  r^impres- 
Mon  du  m6me  livre,  failc  ^  Turin,  appvesso  Sfcfano 
iknzolino^  1628,  pclil  in-8^  conlehanl  2ii  pages 
•  de  lexle,  mais  quo  nous  n'avons  pas  eu  occasion 
de  voir. 


58 

Kote  sur  la  plus  ancienne  Macaronfe  eonnue: 
i  Voccasion  de  celle  d'Alione. 

(Voir  ci-dessuns,  page  24). 

Tifi  Odassi  (en  latin,  Typhis  Odaxius)^  n£  k 
Padooe,  vers  le  milieu  du  XV«  si^cle,  et  frtre  de 
Louis  Odassi,  ^crivain  aujourd'hui  peu  connn  (1)» 
s'est  rendu  c^I^bre  dans  sa  palrie  pour  avoir,  le 
premier,  compost  un  de  ces  po^mes  burlesques, 
m616s  de  latin  pur  et  dc  mots  vulgaires  latinises, 
qui  ont  recu  le  nom  de  macaronies.  Cette  produc- 
tion, la  seule  que  nous  connaissions  de  lui,  est  une 
pi^ce  d'environ  sept  cents  vers,  diviste  en  six 
chants,  oi!i  il  s'est  plu  a  tourner  en  ridicule  cer- 
tains Padouans  infatu^s  de  magie.  Les  plaisante- 
ries,  un  peu  graveleuses,  sem6es  ^  profusion  dans 
cette  sa'tire,  excil^rent  vivement  I'hilant^  des  lec- 
tenrs,  et  le  grand  succ^s  qu*obtint  I'ouvrage  dans 
sa  nouveaut^  donna  naissance  k  une  foule  d'imi- 
tations  plus  ou  moins  heureuses  que  nous  n'avons 
plus;  mais  personne,  en  ce  temps-IA,  nesurpassa 
Odassi.  tt  tiemo  tamen,  dit  un  historien  de  Pa- 
doue  (2),  eo  carminis  genere,  omnium  judicicK  lepi- 

(1)  Tirabofdii  (Storia  delta  Ittleratura  Umtiana^  deuxi^nie 
^dit.  de  Modiiie,  VI,  prem  pari,  p  55,  A  U  oole)  cite  plu* 
siriiri  oiivrage«  de  Luuis  Odassi* 

(2)  BernardtHi  Seardeonii  d§  antiquitatt  Krbi*  Patavii  ## 
elan's  eivibus  polav*ntt  libri  Iret ;  rjHsdtm  appendix  de  #e« 
pulehtis  exterorum  Pulaoti jaceniium.  Basilcs,  Epitcopius,  1560, 
in  fol.  p.  83S  el  533. 


59 

iius  usas  est,  neqm  qui  profundiores  chachinnos 
excutiat  quam  Typhis;  et  le  rndme  liistorien  no 
craint  pas  d'ajoaler:  Merito  ergo  fsi  conferre  exem- 
plum  Uceat)  tantum  huic  nostra  civi  maccaroMBum 
carmen  debei^  quanium  heroicum  Yirgilio,  et  Danti 
out  PeirarchiB  rernaculum  (I),  n  Cependant,  calte 
plaisanlerie,  bardie  et  licencieuse,  rencootlra  plus 
d'QQ  censeur;  et  i'auteur  lui-m^me,  devenu  plus 
scrapaleux  k  la  fin  deses  jours^  ordonna,sur  son 
lit  de  mort  (en  i488?)  qne  son  po^me  fAt  livr^ 
aai  flammes,  de  pear  que  la  lectare  n'en  devtnt 
trop  poblique  et  n'occasionSt  du  scandale.  Toutefois, 
celte  sage  pr^aution  resta  sans  effet,  s'il  est  vrai 
qne»  comme  rafiirme  Fbistorien  d^jk  cil6,  ce  m£ine 
oposcnle  ait  ^l^  r^imprim^  plus  de  dix  fois,  et  la 
a?ec  d^lices  dans  toute  I'ltalie.  II  est  neanmoins 
assez  probable  que  la  grande  macaronSe  du  Pseu- 
do-Merlin Cocaie,  celte  ing6nieuse  plaisanterie, 
ou  noire  Rabelais  a  puis6  si  libremcnt,  et  qui 
a  en  des  Editions  nombrenses  (2),  aura  bientdt  fait 

(f)  Ce  qae  dit  ici  de  noire  Odassi,  eo  pro$e«  le  biograplie 
pedoaao,  Foleago,  daos  uo  acc^i  d'orgueil  poblique,  n'avail 
pat  craiol  dc  le  dire  de  lui-ro^ine^  en  vert,  1^  la  do  de  sa 
troisUme  macaroa^e.  Voyez  Herlini  Cocaii  Opera,  ^dit.  de 
if9S,  p.  79. 

(t)  La  premiere  esl  celle  de  Venise ,  in  oBdibug  Atexandri 
PiffoniHi.  Kai  lanua,  h  d.  xvm  ,  pet.  io-S"  aloogd  contenant 
4S  feaillets  pr^liaiinaires  et  119  reuillels  non  cbifTr^f.  lira- 
boacbi  I'avait  d'abord  aanonc6e  sous  la  date  de  1519,  dani 
■a  grande  bittoire  de  la  liU^ralore  ilalienac.  IJ  i'eat  ensuile 
c4Mrrig^  dans  la.  deuxieme 'edition  de  oci  ouvrage;  mais ,  ue 
faulaol  pas  paraltrt  s'^tre  tronip^,  il  a  donn^  U  ioexaclement 


1 


40 

n^gligor  riienrcux  cssai  du  po5le  padouan,  car  il 
s'cn  osl  k  peine  conserve  quelques  exemplaircs 
jusqu*^  nou^,  el  les  bibliographes  n'cn  client,  d'une 
mani^re  cerlaine,  qa'tine  seule  Wilion,  celle  qu'a 
d^crile  le  docle  abb6  Morelli,  dans  la  Bibliofbeca 
PinelUanay  \\,  p.  456,  ou  il  dunne  §  celle  pidce 
le lilresuppos^  de  Carmen  macarotiieum  de  Patarini$ 
qtiibusdam  arte  magica  delusis,  qui  en  cxprime  net- 
temenl  le  sojel  (l).  Celle  Milion  in-4^  de  dix  feuil- 
Icls  seuleraent,  imprina^e  en  caracl()res  semi-gollii- 
ques,  vers  la  fin  du  XV«  sitcle,  parall  bien  6lre 
la  macaroni^e  de  fori  rieille  lettre  don  I  a  parlfi  Ga- 
briel Naud6  dans  son  Mascarat  (2),  roais  que,  par 
orreur,  il  a  qualiflde  de  Macaronea  ariminensis. 
Comme  ce  savanl  bibllolhfcaire  cilail  IS  de  rac- 
raoire,  el  que  probablemenl  il  ne  connaissait  pas 
Odassi,   il  aura   confondu  I'invcnleur   du  genre 
macaronique  avcc  Gnarinns  Capetlus  Sarsinas,  au- 
leur  d'une  aulrc  po^me  du  mfime  genre,  effecli ve- 
la tlate  de  1318,  en  ajoulaiit  que  le  mois  tie  Janvier  15IS  d^ 
prnil  <le  Tann^e  1519,  iiou\e:iu  i»iylc,  ct  que,  par  eon$<}qucnt, 
I'^dltion  e»l  fflTfChviineut  de  I5t0. 

(I)  Panzer,  aprCs  avoir  cite  relle  61ition^  sous  le  m^nie  li- 
tre, dans  son  Ionic  IV,  page  ICO,  n*  8S:',  I'a  iiidiqii^e  de  nou- 
veau,  maii  saus  liire,  dans  $ou  lume  l\,  pnjze  33 >,  n*  iHI  b, 
rt  it  ne  s'lsl  pis  apcr^u  qu'il  s'«tgi.«sail  1.^  du  po6ine  d'Oda- 
xiuf,  d^j^  cild  par  lui. 

(?)  Plus  rkactemenl :  Jvgrmrnt  ih  teul  ee  ^ut  a  #V  impri-* 
ni^  eonlre  le  cardinal  Mizariiiy  tirpiiit  h  6  Janvier  juMqu*d  la 
declaration  du  V  arril  1019,  in-4*,  pages  IZt  el  suivanlrs. 
Ce  |it>sage  curie.ix  de  Naud^  rsl  b  fotiree  on  onl  puis*  pre* 
squff  tons  eeux  qui,  drpuis  iui^  oat  par!^  dcs  niae.trvn^f't 


mcnl  imprime  h  Rimini  on  1»26,  et  devenn  au* 
jonrd'hui  fori  rare  (1).  M.  Peignat,en  parlant  des 
vers  macaroniques,  dans  ses  Amusements  philolo- 
giqves  (2.*  ^diiion,page  H3),  s'esl  aperga  de  Fer- 
reur  de  Naad^;  mais,  en  cherchant  h  I'^viler,  il 
est  tombi  lai-m^me  dans  one  autre  m^prise:  il  a 
sappos6  que  le  Carmen  macaronictm  d'Odassi  avail 
M  iinprim6  vers  1490,  a  Rimini,  viUe  od,  selon 
toole  apparency  I'art  lypographiqae  n'a  pas  M 
eierc^  avanl  152f;  et  il  lui  est  6chapp6  de  dire 
qae  celte  macaronte,  iraprim^e,  selon  lui,  en  lft90, 
ponvail  bien  n'6lre  pas  anltrieore  k  celle  de  Fo- 
lengo,  qui  comme  on  le  salt,  n*est  venu  au  monde 
qu'en  1493.  Au  resle,  M.  Peignot  n'csl  pas  leseut 
que  les  expressions  ^uivoques  de  Naud6  aient 
indait  en  erreor,  et  il  est,  sans  doutc,  fort  excu- 
sable d'avoir  parl^  un  pen  l^g6rement  d'un  ou- 
vrage  qu'il  n'avail  pas  sous  les  yeux.  Aprfes  avoir 
indiqu^  la  plus  anciennc  de  toules  les  macaron^eSj 
W  noas  resle  h  rechercher  la  veritable  significalioa 
dc  ce  mot;  el  c'est  co  que  nous  allons  faire  en  peu 
de  lignes:  car,  sans  nous  arrftler  aux  explications 

(l>  CV»l  on  volume    p^lU  in-^* ,  dc  27  feoillcls  en  loot, 

•ya«l  pour  t!tre:  Guartni  Capelli  SarsinaltM    ilueharonea   im 

Cafritjiwai  Camago0e  regem  eomposila  mitttum  dtlnrinkilis  ad 

iffenduM  ,  ct   cominruraiit  par    cei  qoatre    vers,  qui  servenl 

d'argumenl  au  pririnier  livic: 

Vorlatur  galafronti  guerrwn,  a  matre  Cabrinut 
\t  geratj  in  barcam  monlai  cum  genie  pulita, 

Cabrinuit  iolut  remanef^  luen\fue  nrgantur 
Sotdati^  frrtnr  VhHomentB  ad  Icela  Cubrinut^ 


43 

plas  ou  moios  ing^nieuses,  plas  on  moins  conlra- 
dictoires  qa'eo  ont  donn^es  les  pbilologues,  et  qae 
le  doctear  Genthe  a  r^uni^s  dans  son  Histoire  de 
la  poSsie  macaroniqnef  pages  61  &  74,  noos  nous 
bornerons§  exposer  iciun  fail  remarqaable,auqael 
personne,  k  ce  qu'il  paratt,  n'avait  encore  fait  aU 
tention. 

Le  principal  acteur  de  la  macaron^e  d^Odassi 
est  UD  fabricant  de  macaroni  qui,  d^s  le  d6but  da 
po^e,  est  mis  en  sc^ne  dans  ces  deox  vers: 

En  unui  tm  Padua  nofut  ipfcialt  eu$»nu$ 
in  maeharonea  prineept  Sonm  atgue  magiiter, 

Ce  qui,  selon  nous  expliqne  sufQsamment  et  fa 
litre  de  Maeharonea,  que  porte  cette  fac^tie  dans 
Tuition  in-S^'  qui  est  sous  nos  yenx,  et  le  nom 
de  macaronique,  donn6  au  genre  de  burlesque  dont 
cette  m£me  fac6lie  paratt  avoir  M  le  module. 
Cette  explication  n'a  rien  de  contraire,  d'ailleurs, 
k  celle  que  Folengo,  lui-m6me,  nous  a  denote  de 
la  poteie  macaronique,  dans  son  Jpologeiica  in 
sni  excusalianem,  morceau  plac6  h  la  t6te  de  plu- 
sieurs  Editions  de  ses  oeuvres,  et  ou  il  s'est  expri- 
m^  en  ces  termes:  a  Ars  isla  poeiiea,  nuncupaiur 
maearonica^  a  macaronibus  derimia^  qui  macarth 
nes  sunt  quoddam  pulmenlum  farindy  casech  botiro 
compaginalum,  grossum^  rude  et  ruslicanum,  idea 
macaronices  nil  nisi  grassendinem  ruditatemy  et 
vocabulazzos  debet  in  se  continere.  «> 

Terminons  cette  note  par  la  description  d'aoe 
Mition  d'Odassi,  rest6e  jusqu'ici  inconnne,  et  dont 


43 

Iteemplaire  qae  nous  possMons  se  Iroare  reiii 
arec  le  Gnarinus  Capellm  de  1526.  C'est  un  petit 
m-80  de  16  feoillels  non  chifTr^,  imprim^  en  ca- 
ract^res  ronds,  et  h  vingt-trois  lignes  par  page; 
le  litre  porie  les  seals  mots:  la  MachcuroneOy  divcc 
Boe  Yip^nette  grav^  en  bois,  ot  est  representee 
la  jostlce  assise,  et  ayant  deax  lions  h  ses  pied$. 
An  bas  se  liseot  les  deax  lellres  A.  B.,  mono- 
gramme  de  rimprimenr  nomm^  h  la  fin  da  livre 
dans  UDe  soascription  ainsi  congue: 


Jmpreiium   Venetit'f  per  Alexandmrn 
de  DindoHttm 


Cette  Dillon  in-8®  n'a  point  de  date;  mais  elle 
doit  avoir  para  aa  commencemenl  da  XVl*'  si^le; 
c'est-i-dire  quelqoes  ann^es  apr^s  rin-4^  L'aateur 
n'y  est  nomme  qae  comme  dans  la  premiere  edi- 
tion, savoir,  au  premier  vers  da  quatrain  (tetrasii' 
eon)  qui  precede  rintroduction,^et  que  voici: 

Sei  muetor  Tjphii  leameuM  atque  parenzui, 

Ce  m^me  vers  est  rapporte ,  d'ane  mani^re  in- 

exacte,  dans  VEneyclopidie  de  Diderot  et  d'Alem- 

bert,  k  I'article  Macaronique  (edition  in-folio,  iX» 

page  7d6),  o\x  on  le  donne  h  tort  poor  le  premier 

bexameire  da  poeme  de  Gaarinas  Capeilas,  d^a 

ciie.  Par  maltiear,  ce  passage  de  VEnqfclop^die^ 

plus  faalif  encore  qae  celai  de  Naade,  a  induit  en 

errear  F16gel  (Ge$chich(e  des  BurleskmJ  et  son  com- 


palriole  le  docteor  Genlhe,  aalenr  de  VHisioire  9e 
la  poesie  macaronique.  Ce  dernier  reproduit  aussi  a 
la  page  285  de  Touvrage  cll6.  sous  le  nom  de  Gua- 
rino  CapellOy  riiexamdlre  d'Odassi,  que  cetle  fois 
il  rend  ainsi: 

Est  auclor  m  Typhis  Leonieus  atque  pabajiiiis, 

apr^s  Tavoir  donn6  correctement  h  la  page  207  da 
m^me  ouvrage. 

Voili  comment  unc  erreur  assez  Ifgirc  de  Nau- 
d6  sVsl  aggrav^e  success! vement  sous  la  plume 
de  compilateurs  inallenlifs,  au  poinl  de  d^naturcr 
cnlierement  les  fails,  el  de  rendre  indispensable 
le  recours  aux  originaux  pour  relablir  la  v^ril6. 
C'est  ainsi  que  les  r^cils  les  plus  inexacts  sonl 
journellrraent  adopl6s  el  reproduils,  avec  une  con- 
flance  sans  borne,  par  des  ^crivains,  fori  cslima- 
bles  d'aiileurs,  mais  si  faciles  en  fail  de  critique 
bibliographique,  qu'A  IVxcmpie  du  noble  auleur 
dcs  Analecia  biblion  (\),  ils  se  conlenlenl  de  Irouvor 
rS-peu-pres,  el  de  ne  pas  se  Iromper  loul  seul?j. 

Dans  rhisloire  lilteraire,  plus  que  dans  loutc 
autre  branche  des  sciences,  il  y  a  sans  doule  des 
pctils  faits  si  peu  imporlants,  en  eux*m^mes,qu'on 
penl  fori  bien  les  n^gliger  sans  inconv^nienl;  roaU, 
quand  on  fait  lant  que  dVn   parlor,  aa  moins 


(1)  Voir  Ic  DttUelin  dm  tibiiophihf  public   dies  Tccbrner, 
i*  ferity  page  S5  dtt  Analteta* 


45 

buUil  Ucher  do  le  fairc  avec  exacliludc,  et  do  do 
[^  reprodaire  aajourd'hui  de  vieilles  erreurs  qui 
oot  d^j^  Hb  pins  d'nne  fois  relevtes,  et  qa'an  pea 
d'alteatioQ  terail  fac'ilemcnt  6viler. 


FIK      DC     1«A.    :iOTXCE. 


o(uuve0  ^e   lacteur 
nt  lauflue  francobe* 


V 


s=s: 


Ice  recoeit  ^ue  (ejg  cifo^ens  bast  feireni  z 
(eur  (h£C  borUans  a  sa  ia^euse  enfre  ^uanf  t( 
btsctnM  oi  ifa(ie  fowc  (empnitM  be  naple^* 
Aic^uel  1(5  jresenterenf  un^  grant  geant  ac- 
armpgnie  be  ^uatre  cenis  WimeiS  sauvatges 
tou6  armei  be  {eui((e;3  pur  (e  sert^ir  a  (a 
bide  etnpriTi5e. 

Dico  roy  des  roix*  filz  de  vierge  bonnouree 
Et  ioas  les  sains  de  la  cellesle  gloirc 
Vueillent  descendre  de  la  ioyeuse  entree 
De  toy  franc  due  en  ceste  ta  contree 
Et  toy  prester  faveur  ^ace  et  victoire 
En  (ous  tes  faiz.  tant  quil  en  soit  memoire 
A  toQsiours  niais.  £t  qui  mal  te  praticque 
Soit  confonda  comme  einnemy  publique 

Pour  toy  servir.  nous  et  nostre  pietaille 
Sommes  yssuz  de  la  forest  obscure 
Armez  de  verd  sans  autre  harnas  ne  maille 
Requerans' mars  le  grant  dieu  de  bataille 
Et  neptunus  qui  la  mer  prent  en  cure 
Que  ebacun  deulx  a  toy  guidcr  procure 
Pour  acherer  ta  glorieuse  eniprinse 
Svr  les  ytaalx  qui  desirent  franchise 


BO 

(iT9m  ei  pelits  aggravcz  de  soufTranee 
Tres  disposez  a  noeuve  seignoveyc 
Autre  salut  nesperent  que  de  franco 
Pour  reprimer  lextreme  oultrecuidancc 
De  leurs  tyrans  et  rebel Ic  maflnye 
Quant  ilz  vcront  ta  haulte  baronnyc 
Et  desploycr  ton  estandart  luisant 
Cliacun  vicndra  soy  rendre  obeyssant^ 

Nous  tes  subgetz.  0  prince  debonnaire 
Ne  sorames  pas  instruiz  de  novcrerure 
Que  ne  saichons  a  ton  droit  satisfaire 
Nc  revcrer  dont  bien  nous  doit  desplaire 
Comme  apparlient  a  loyal  geniture 
Mays  quoy  que  soit.  vrais  fraiicois  de  nature 
Nous  trouveras  aussi  bons  qua  paris 
Ayans  en  coeur  la  francbe  fleur  de  liz. 


PiMS. 


} 


.   I  ' 


Ice  vo^^e  e{  con^uesie  ^e  cWteftKuUtesme 
ro^  ^e  France  jsut  (e  x(^mime  W  Meaples* 
•     et  «a  iricfoire  be  fournoue* 


Frans  champions  qui  par  succession 
Possession  lenez*doeuvre  belicque 
Dooilnatears  sur  toute  nation 
Deffension  pilier  protection 
El  mansion  de  la  foy  catholicque 
Notez  iexplicque  nng  hault  pas  carolicqoe 
Sot  litalicqne  a  Tostre  honneur  et  gloirc 
Les  baultains  faiz  sont  dignes  dc  memoire 

Neapoli tains  iadis  feurent  branlans 
Et  rebellans  a  leur  roy  magnanime 
Du  sang  francois.  si  feurent  appetians 
Roix  oaliienans  en  siege  eulx  hostellans 
Sobgets  pellans  dont  alphonse  est  Inltime 
Lui  Ion  intime  en  estre  hoir  legitime 
Charles  Imitiesme  et  defTunct  roy  de  france   ^r 
DiniuMe  acquest  doobteuse  ioyssance 


52 
Roy  Charles  done  a  qui  ne  fault  tutem* 
Ne  curateur  emprend  soy  transporter 
Conlrc  alphonslns  en  personel  acteur 
Esperateur  en  la  divine  liaulleur 
Estre  vicleur  et  naplcs  emportcr 
Qui)  doit  porter  en  liltre  et  rapporlcr 
Non  supporter  qualplionsc  yait  acquest 
Bon  appetit  vault  bien  ung  saulpicquet 

A  celtti  temp^  ung  more  ou  ludovicque 

Par  voyc  oblicque  a  mi  Ian  gouverna 

Son  nepveu  due  coniplainte  en  Ost  publicque 

Pour  lui  sapplicque  alphons  mais  lost  galique, 

Sa  virilicque  emprinse  destourna 

Trop  sciourna  car  le  mor  sinclina 

Et  tant  donna  quau  roy  sut  grant  mignon 

Gormant  ne  veult  au  trenchoir  compaignon 

Au  paravant  aux  gaulx  eut  compose 

Bien  dispose  dobeyr  rcservant^ 

Silz  passeront  quit  nesoit  depose 

Ains  sceur  pose.  Qui  quen  ait  bien  use 

Mon  prince  osc  Orleans  vint  devant 

O  lost  suivant  Jemprinse  mist  avant 

Bien  tinl  couvent  au  mor  quoy  quil  lui  gric?e 

II  fault  nagier  selon  que  le  vent  Here 

Tost  Tint  apres  &0S  gaufx  le  souverain 
A  puissant  train  en  barbe  de  lempire 
Le  mor  traicta  comme  a  cousin  germain 
Qui  moult  humain  se  tint  iuaquau  derrain 
Doubtant  le  train  dalphons  quil  ne  lempire 
Trop  a  grant  tire  approiche  el  lui  porte  yre 
Si  se  retire  aux  gaulx  pour  y  respoiidre 
Nest  pas  t^usieurs  saison  de  brebts  tondr« 


■    53 
Des  cstandars  premiers  fat  Ic  desploy 
Pi|r  lost  ^aploy.  vers  gennes  a  rappaHle 
Orleans  fist  illccq  terrible  expioy 
£t  lei  chapploy  de  sauldars  ct  peuploy 
Quen  piteax  ploy  rcmaint  toate  alpbonsaillc 
Qui  peat  en  saille  Fredric  passa  par  maille 
A  pied  sans  maille  et  fregosin  nous  restc 
Sor  madostrus  chiet  toasiours  la  bisscsle 

Le  roy  passa  vers  milan  sans  dcbatre 

El  pour  esbatre  essaya  son  estoeq 

Sur  florentins  quil  submist  sans  combatre 

Car  a  lembatre  afin  de  les  mieulx  batre 

II  fist  ^bbatre  a  pise  le  marzocq 

Et  print  leur  rocq  sarsanne  en  moins  dun  cboeq 

Celine  cocq  et  hicques  la  pamthere 

Qui  pisse  cler  na  besoing  de  clislerc 

Florence  vouli  Alphonse  entretenir 

Gaulx  courts  tenir  et  pour  gaulx  se  monstrer 

Si  pleut  au  roy  ce  fort  pas  retenir 

Pour  ladvenir  et  florentins  pugnir 

Quao  revenir  ne  peussent  caleitrer 

Quoy  qua  lentrer  pour  sa  grace  impetrer 

Sans  plus  neutrer  payerent  la  menestre 

Difficile  est  bien  servir  plus  dan  maislrc 

Puis  passa  lest  sans  offendrc  a  preudommc 
A  franc  viz  dbomme.  Alphons  clias£e  et  porsuyt 
Mordan  fut  prins  dassaull  <^n  moins  dun  sommc 
Et  miz  a  sorame.  Et  don  ferrant  en  somoie 
Qoon  ne  lassomme  o  son  est  qui  le  suyt 
Fut  lors  rcduit  dedans  romme  ou  sans  bruyt 
Print  saulfcoaduit  du  roy  pour  en  sortir 
Foyte  vault  mieulx  qualtandre  el  repcnlir 


u 

Damp  pape  honleux  an  roy  list  oureriare 

De  sa  dotare  a  miracle  evident 

Chut  ung  grant  mur  a  demonstrer  liniure 

Qui  le  pariure  et  de  nouv4el]e  coniure 

A  ce  qui  iure  a  franco  estre  accordant 

Et  dabondant  au  roy  faire  entendant 

Lui  cdtre  aydant  a  romprc  lalplionsec 

Soubz  beau  samblant  coniure  ont  layde  pensce 

Calhellan  ful  ce  pape  en  coeur  et  mine 
De  double  mine  et  gaulx  faint-  assister 
Le  roy  sen  part  vers  naples  sachemine 
Alphons  fulmine  il  muse  il  examfne 
Se  par  famine  y  pourra  resister 
Vers  laccoster  fourraige  fait  gaster 
Pays  fuster  ny  scet  autre  confort 
Caulelle  vaille  et  non  pet  a  la  mort 

Francois  se  sont  par  le  royaulme  espars 
Ainsi  que  spars  sans  attendre  a  deman 
Duchiecz  conlez  ont  prins  villes  et  pares 
De  toutes  pars.  la  nul  de  ces  langars 
Naplois  faulx  gars,  y  tient  piet  soir  nemain 
Tout  ItBur  remain  tira  de  main  a  main 
Vers  saint  germain  pas  aspre  et  merveilleux 
A  tout  perdre  na  que  ung  cop  perilleux 

Alphonse  illecq  tantost  fu  confondu 

Mai  deffendu  ia  feust  il  trepuissant 

A  son  chier  Glz  la  couronne  a  tendu 

Plus  atlendu  ny  a  comme  espcrdu 

De  coeur  perdu,  tresor  print  en  passant 

Nef  cut  chassant.  La  mer  fut  ravissant 

Naples  laissant  labroz  pnille  cl  ctlabre 

Pour  non  ployer  voit  on  choir  maint  gros  abr« 


m 

Alphons  party  Marran  plus  nj  converse 
Capua  et  verse  onl  to^t  faU  leur  traictie 
Cayetle  aprcs  et  naples  la  diverse 
A  gaal\  adverse,  de  paour  qaon  nc  Icnvcrse 
A  face  cnvcrse  au  roy  onl  appoinctie 
Et  despot nclie.  ferrand  doiit  iay  pitie 
Car  mal  bailie  sen  tricque  a  pon  de  suyte 
Fast  cur  perdu,  moutons  sont  tost  en  fujte 

Naples  conquiz.  Le  roy  Gst  abordcr 
Et  bombarder  cbasteaux  iosnes  ct  vieulx 
Maint  prisonnier  veissiez  lors  desbrider 
Sans  plus  darder  cbacun  vint  saceorder 
El  cMicorder  au  bon  roy  qui  mieulx  mienix 
Jiarons  baillieiix  restablis  en  leurs  {icax 
Pes  grans  toulieux  ont  rabbaty  Ihonneste 
Noel  crye  on  tant  q«il  en  vient  la  feste 

Nc  tronverei  en  escript  ancien 

De  grecien  de  latin  ne  debrieu 

Que  roy  iamais  ne  prince  terrien' 

Assirien  rommain  ne  morien 

Ait  acquiz  rien  condignc  au  neapolicu 

He  sans  tdnlieu  trace  tout  litalicu 

I'ar  ie  nrilicd  en  si  petit  espacc 

Qui  dieii  trammet  va  tost  et  par  tout  passe 

^\  loing  passer.  Ne  fut  sans  bardiesse 
Ne  sans  proesse  alpbonse  estre  domptez 
Roy  SI  erueun  si  fier  plain  dc  richessc 
Qui  de  ionesse  en  armcs  cut  addresse 
En  cbampfi  en  presse  en  voisins  trcsdoubtez 
Gens  fort  ntonlez  ayanl  ct  de  nom  tclz 
Quentre  ipertds  sembloit  quasi  invincible 
A  cocur  vaillanl  nest  il  riens  impossible 


»6 
Nul  nc  presume  alphonse  estre  surpriBS 
Son  lui  aprins  lo  regne  ct  quil  souspire 
De  cruaulte  ny  dolt  estre  reprins 
Le  roy  comprins.  Bt  saulcuns  mal  apprins 
Ont  enlrcprtns  snr  son  tresiustc  empire 
Sil  les  empire  on  tie  le  doit  despire 
Car  dieu  Ilnsplre  en  prenant  son  passaige 
On  doit  au  fol  monstrer  quil  nest  pas  satgc 

Quant  le  mor  secut  alphonse  estre  confuz 
II  list  grans  feuz  de  ioye  quant  et  quant 
Mais  en  secret  fut  le  premier  incluz 
Ou  fut  concluz  roy  et  rocq  estre  excluz 
Dytaulx  paluz  comme  il  eust- double  a  tant 
De  tout  autant  en  avoir  nonobstant 
Que  foy  constant  feust  en  Tranche  couronnc 
Ung  franc  est  franc  qui  foy  na  foy  ne  donne 

La  ligue  GsL  damp  pape  y  conforma 
Qui  disforma  galicque  intelligence 
Espaigne  eu  fut.  saint  marc  la  confer  ma 
Saudars  fcrma  sts  colTrcs  ^esferma 
Tant  quon  ferma  le  pas  a  diligence 
Blale  moseheance  envie  ouUrecuidanco 
A  miz  en  dance  itauix  a  fole  empriaso 
Ona  sou  vent  oy  corner  sans  prinse 

Le  vendredi  ore  bon  iour  bonne  oeuvre 

Le  mor  dcseoeuvre  au  due  orleannoy 

Quil  ne  veult  plus  quil  porte  la  culeuvre 

Et  que  ast  li  oeuvre.  ou  que  par  guerre  esmoeavre 

Len  fera  mocuvre  et  laissier  milannoy 

Remettre  harnoy.  Repasscr  daulphtnoy 

A  grant  annoy  le  soeuffre  estre  a  ses^dicques 

Tous  mandcmens  ne  sont  pas  iuridicques 


Surprios  sans  gens  Ic  bon  due  couraigcax 
Des  oaltraigeux  sa  cite  delTondi 
la  feust  ii  tors  de  fievre  iangoareux 
Homme  pour  culx  se  monstra  fermc  el  preax 
Subside  eotre  eux  de  francc  dessendi 
Riens  ny  perdi.  Novaire  on  lui  rendi 
Dun  sault  bardi  sa.quesle  advenlura 
A  temps  cmprend  qui  bonne  adventure  a 

Lorabars  despilz  Crop  feustcs  mal  eontens 

Bien  vous  enlends  que  sans  voire  secours 

Le  Roy  bardi  a  pou  de  corobatans 

En  si  brief  temps  fnt  naples  conquestans 

Ou  cincquanle  ans  cuidiez  guerre  avoir  cours 

A  ses  retours  usastes  troinpatours 

l>e  Toz  faulz  tours.  Le  bon  roy  pou  si  fonde 

Amy  de  dicu.  La  figue  a  tout  le  monde 

la  ne  laissa  poui^  vous  de  retourner 
Ne  de  tourner  son  front  conlre  vos  dens 
Naples  ne  voult  sans  guardc  liabandonner 
Ains  ordonner  bon  ost  y  seiourner 
Et  ne  amcner  que  buit  mil  liomnies  aydans 
Gaulx  tons  ardans.  de  leur  corps  dedcndans 
Frapper- dedans  vous  tons  vaille  que  vaille 
Bon  cuisinier  nesbahist  de  poulaille 

De  naples  part  paisible  ct  resioy 

Ayant  ioy  du  regne  a  sa  plaisance 

A  romme  vint  ou  pen  fut  conioy 

Que  sua  nony  fut  damp  pape  ou  fouy 

Non  desfouy  ditalicque  aliance 

Pou  dasseurance  y  prenez  gent  de  francc 

En  grant  souffrance  a  miz  romme  et  sa  terre 

Mal  va  quant  ders  se  meslent  de  la  guerre 


88 

Lc  roy  drcssa  son  relour  rcra  savoye 
Prcnant  sa  voye  au  pas  du  premier  amble 
Trop  bien  savoil  que  lallendiez  en  voye 
Mais  quoy  quil  voye  cu  ricn  iic  se  devoyc 
Dieu  le  convoye  il  passe  oa  bon  liii  semble 
Tesmoing  pontramble  ct  thuschanelle  ensemble 
<jui  Icur  ressamble  il  aura  male  estraine 
Cbicns  riboteux  nont  pas  la  teste  sainc 

Pontramble  fut  des  suvices  demolye 
Par  sa  folie  avant  les  oppressa 
Ulecques  sont  les  alpes  dethrurye 
On  ny  cbarye  harnoiz  nartillerye 
Par  industryc  a  fors  bras  tout  passa 
Le  roy  deca  vers  fourneuf  saddressa 
Bonne  addresse  a  se  gard  qui  lc  traveille 
Le  chicn  dormant  ne  doit  oq  mettre  en  veiHe 

Petillan  qui  des  Naples  eut  gaulx  suiviz 
Tourna  4e  viz.  au  l>esoing  les  trufant 
Vers  vous  tira  ionant  dylaulx  euviz 
Puis  ne  le  viz.  trivouls  eut  raieuldre  ad  viz 
Gaulx  asuiviz  dont  il  est  triumphant 
La  vint  bruyant  sur  eulx  le  mantthuant 
Premier  fuyant  quant  senty  leur  pointure 
A  ieu  dhazart  vault  sens  moins  quaventure 

A  fourneuf  done  armez  com  saint  michault 
Vintes  tout  chault  a  course  de  roncins 
Sur  le  bon  roy  de  france  a  qui  pou  chault 
De  vostre  assault  la  firent  en  ung  sault 
Le  soubresault  voz  Irippes  et  bacins 
Voz  larrecifis  remaindrent  aux  francins 
Et  vous  poucins  remalntes  aux  escoufles 
Teiz  espriviers  ne  preat  on  pas  sans  moufles 


"^1 


w 


Qaaiit  escrlprez  qoarez  eu  du  bagaige 
Notes  le  gaige  on  gaulx  sont  satisfaiz 
Voz  mameliiz  albains  ung  ort  mesnatge 
Leur  personnage  ont  fait  snr  somine  et  paige 
Mais  sur  loultraige  est  clieu  le  pesant  faiK 
Bottrreaox  infaic.  Voz  gentz  feorrent  desfaiz 
Par  Yos  meffaiz  apprinstes  a  gaalx  craindre 
Qui  trop  embrace  enlin  peut  mal  estraindre 

la  ne  soit  il  usance  a  vous  itaulx* 
Quen  champs  morlaulx  on  vous  saicbe  attrapper 
Cy  loutesfoiz  fyrent  in  leurs  darranis  saalx    * 
Tous  les  plus  baalx  barons  de  vos  consaulx 
En  folz  assaulx  se  firent  decopper 
Cnidans  tromper  par  leur  fraulde  et  bapper 
Le  roy  sans  per  sans  ce  quon  le  desfye^ 
Fortune  tourne  et  fol  est  qui  sy  fye 

Le  roy  victeur  sen  rint  riens  ne  sesparme 
Plaisance  et  parme  ung  pou  sen  sentiront 
Laissant  de  tous  la  feste  en  grant  Tuacarme 
En  doeil  en  larme  a  dieu  priant  pour  lamie 
Car  plus  alarme  aux  francois  nc  donront 
Saulfz  passeront  tout  ce  que  passer  ont 
la  ne  seront  par  tous  traiz  de  frontiere 
Chat  eschaulde  resoingnc  la  chauldiere 

Lors  pour  purgier  vestrc  lionte  et  desconfort 
Et  pour  an  fort  moilstrer  questes  gran  gens 
Vous  vinstes  tous  ensemble  a  grant  esfort 
Et  foibte  et  fort  vers  novaire  au  renfort 
De  Yostre  fort,  lllecques  assiegeans 
Et  mort  iugeans  le  bon  due  dorleans 
Qui  fut  leans  pour  plus  grant  faix  emprendre 
Le  bon  vouleir  pour  leffect  doft  on  prendre 


Le  vaillant  due  vous  ofTry  la  bataillo 
De  stocq  dc  taille  el  feussicz  pour  ung  dix 
Garde  le  prct  que  de  vestre  parcq  saille 
Dng  qui  lasaille.  Ung  pou  fcustes  sans  faille 
En  vers  rappaille  et  fourneuf  Irop  hardiz 
Car  des  tardifz  vault  mieulx  cstre  lousdiz 
.    Queslre  enlourdiz  navoir  la  pel  houssee 
Coeur  de  putain  vergoingnc  a  tost  passce 

Tout  quant  que  pent  ou  scet  faire  italye 
Ne  qui  saley  au  mor  nont  prins  novairo 
QvLoy  que  la  fain  la  peste  et  la  boulye 
Lont  nial  bailye  et  de  gens  affoiblye 
la  ne  loublie.  Aussi  ne  fait  a  taire 
Que  part  contraire  honteuse  a  fait  retraire 
Dont  mainte  paire  ont  mangte  les  vaultours 
Estradiotz  ne  gaignent  pas  tousiours 

Le  temps  pendant  eut  le  roy  tant  marohic 
Et  remarchie  le  pays  adversairc 
Qui!  Vint  en  ast  ie  chemin  droit  marchie 
Dont  desmarchie  nest  ear  lors  bon  marchie 
Sur  le  marchie  de  pain  fut  necessaire 
Pour  satisfaire  a  lost.  Ast  eut  a  faire 
Tar  tout  laffaire  iliecq  fut  descendn 
Larc  ne  peut  pas  tousiours  eslre  tendu 

Le  roy  se  tint  deux  mois  en  ces  quartiers 
£t  voulentiers  a  quier  pour  la  plus  part 
Lost  a  verceil  saecreut  cntrementiers 
Darbalesticrs  germains  hacquebuliers 
Et  fors  routtiers  de  franco  et  daultre  part 
Puis  se  depart  le  galicquo  estandart 
Mieulx  que  plus  tart  pour  itanix  parabatre 
Fcr  et  fourment  faul  il  de  sarson  batre 


61 
PoTrcs  iombars  carcnl  belle  vesardo 
Une  iezarde  eost  lout  miz  en  desroy 
Gros  cl  menuz  ont  pcur  quon  nc  Ics  arde 
Qui  peut  se  garde  ung  seul  grain  de  moustarde 
Leur  retrogarde  eusl  estupe  ce  crey 
GanUhier  geffroy  par  ville  et  par  beffroy 
De  grant  elTroy  qtji  fuit  qui  caghebardes 
Dague  de  plomb  ne  vault  cdntrc  ballebardes 

Ambassadeurs  morisques  et  raarquois 
Humbles  et  quois.  Lors  vindrent  enqverir 
Sen  la  pitic  du  ^brispien  roy  franquois 
Italicquois  en  faisant  les  pourquofs 
En  leurs  requois  pourronl  grace  acquerir 
Tant  poarquerir  scenrent  tant  requerir 
Et  tant  querir  quon  recent  Icur  ofTrande 
Car  dieu  ne  TeuU  du  pccbeur  que  lamenrfc 

Humilite  praticque  et  bons  amiz 
Eulx  entrcmlz  vers  le  roy  gracieux 
Ses  inlercstz  pay«s  cy  prins  cy  miz 
Emprunlz  remiz  grans  dons  faiz  et  trammiz 
Ont  en  paix  miz  le  more  ambicieux 
Itaulx  foyreux  de  voir  gaulx  enlour  eulx 
Sont  trop  eureux  quon  la  prins  a  mercy 
Beau  traictter  a  qui  dargent  est  farsy 

Trop  mieulx  me  pleust  la  paix  en  tons  cndroie 
Son  eust  aux  droix  de  mon  prince  eu  regard 
Grant  coulpe  y  ont  envie  et  sainte  croix. 
Quoy  quil  ce  crois  a  rompre  itauU  destroiz 
Fut  par  ses  roix  aux  frans  bon  contregard 
Se  dieu  le  gard  verrez  a  mon  esgard 
Oq  tempre  ou  tard  sa  cause  en  meilleurs  fermes 
Eocor  ne  sont  plantez  tous  les  gros  termes 


63 
Lombars  couars  vous  estes  deslongicz 
£t  desrcngiez  novairc  acreu  conseil 
Pour  cent  mil  francs  se  sont  gaulx  deslogiez 
Bien  Iio&tagiez  Ic  mor  les  a  plegiez 
Et  deschargiez  de  grant  cure  et  traveil 
Dast  et  verceil  sonssisse  en  cas  pareil 
A  lappareil  de  voslre  discipline 
Bien  commcncier  nc  vault  qui  ne  periinc 

Ne  dictes  plus  que  sans  voye  esforcisque 
Nul  roy  francisque  alphonse  eust  peu  casser 
€aulx  reviendront  sur  le  mor  qui  confisquc 
Soubz  nouveau  flsque  a  tout  ost  radde  et  frisquc 
Pour  la  morisque  a  milan  commencer 
Recompenser  venise  et  franc  passer 
Quau  reppasser  nait  escluse  qui  tiengne 
Qui  peut  altendre  il  nest  temps  qui  ne  yiengnc 


FINIS. 


/ 


IcE  conc^ueste  )e  Ut^h  bou^iesme  xo^  (te 
trance  $iit  (a  chi^bie  be  Milan  Avecq  (a  Tjfxxnu 
(h(  seigneur  Iu)at?ic^ue» 


Francois  victcurs  aux  armes  dellcguez 

Or  sont  les  guez  itauU  a  vous  noloires 

Et  ces  loinbars  a  vos  droiz  sabiugucz 

Lays  el  ioguez  confaz  bistrologuez 

Tant  qnalle^uez  serez  lears  purgatoires 

Leurs  dormitoires  moulliers  raulx  et  montoires 

Far  Yos  victoires  (enez  en  abandon 

11  fault  sooiTrir  qai  Veult  estre  preudoia 

Mars  est  francois  el  francs  sont  ses  guidons 
De  ses  brandons  est  lauriflambe  esprinse 
Soubz  toy  loys  sur  milanois  godons 
Tirans  bedons  a  qui  tes  roidz  bourdons 
Et  francs  pedons  ont  loy  galicque  apprinse 
Icy  comprinse  en  eat  la  iuste  emprinse 
Da  maur  la  prinse/et  Icsforcisquc  ouHraige 
Homme  bultraigeui  ne  peut  durer  oultrc  aage 


Or  onl  Jo/kibars  con^rc  moy  dispute 

Et  despite  nous  autres  astesans 

Pour  cc  que  avons  suivy  la  maiestc 

Tdnt  mole^tc  mes  sens  des  lautre  este 

Quay  apprcste  contre  iceulx  mesdisans 

Lombars  nuisans  de  noblesse  abusans 

Les  vers  presens  quen  brecf  vueil  cy  retraire 

Ou  la  dent  deult  faui  il  la  langue  iraire 

En  ensuivant  ma  bonne  intencion 
Sans  fiction  et  pour  loeuvre  entamer 
Vouldray  premiers  metire  a  description 
Lextraction  deuix  la  condition 
Et  laction  quilz  ont  deulx  estimer 
Pour  intimer  quon  ne  doit  presumer 
De  gaulx  blasmer  sans  garder  a  qui  plaiso 
Par  trop  grater,  chievre  gist  a  malaise 

A  Yous  lombars  saddresse  ma  parole 
Ce  petit  roolle  ay  voulu  concepvoir 
Sur  vostre  cas  atin  quon  le  recolle 
En  prainte  en  mosle.  en  note  en  proUiocolle 
A  vostre  escolle.  en  fault  le  double  avoir 
Sy  pourrez  voir  quytauix  a  dire. voir 
Pour  loix  savotf  ne  valent  gent  francoise^ 
Ung  hereng  sor  nest  pas  une  vendoise 

Tristes  marris  entez  a  froide  lune 
Ou  quant  on  icune  estes  et  (elz  vous  vend 
La  veste  dicu  portez  qui  ne  fut  que  une 
Plus  de  rancune  avez  que  de  peccune 
Et  foiz  aucune  a  guise  de  convent 
Ftietes  ladvent.  et  croy  que  bien  sonvent 
Vivei  du  vent  comme  font  les  ploutiers 
A  la  toussains  moins  qnatUes  qu^riviers 


n 


fi5 
Ou  dailies  sonl  sciublcs  tslre  encharmcz 
laloax  blasmcz.  tous  estes  ad^^catz 
Et  Toz  nioullers  dnt  Icurs  cons  prcfumcz 
Tons  atTamez.  ragas  plus  eslimes 
Toas  inthimeK  en  sonl  ies  prcdicas 
De  ca  trecas  car  daracs  ne  font  cas 
De  Tos  ducatz  slramoU  dant  ne  pctrarduc 
:Sacz  cl  Hiarcbans  cognoist  on  a  ieur  marque 

Forme  d'slre  lioms.  roidos  poor  tout  polaige 
Sont  de  tout  aagc  en  vous  recommandez 
Long  ambuler  cracbier  rond  par  usaige 
Kl  le  visaige  cnfle  dc  quoy  iesraige 
Font  lomme  saige.  a  voz  loix  lentendez 
Tant  que  cuidez  follastres  inal  guides 
Voz  culz  lardez  valoir  ung  palriarcbe 
Tel  est  docteur  qui  na  de  pain  en  larche 

Tel  rcpresente  ang  grant  melchiscdeeq 
Et  bic  et  bee  ea  son  pontifical 
Qui  na  de  fief  la  valeur  dun  rebecq 
Tous  font  Ulecq  grant  pompe  de  pain  sccq 
A  sobre  becq  et  souffit  a  leslat 
Dun  potestat  ou  daufre  magistral 
Pou  de  castrat  sept  onccs  dc  vitellc 
Tout  ce  qui  luyt  nest  pas  or  de  coupelle 

Estrc  cuidez  gentilz  phis  que  dardatns 
Et  comme  dains  on  vous  tienl  a  rusticques 
Vous  comparez  voz  gestcs  aux  rommai ns 
Si  vallez  moins  que  tons  autres  bumaiiis 
Car  inbumains  sout  voz  pccbicz  anticqucs 
Musars  cticques  voz  coeurs  sent  caynicqiics 
Mesclians  inicqucs  el  de  bastard  conroy 
la  ne  fcrcz  dun  asne  uug  palofroy 

ALI0.%E  5 


Quant  de  troyens  rouldrez  estre  nalifi 
Qui  fugitifz  Yindreiit  en  italye 
Cest  deneas  et  de  scs  appentiz 
Pariure  menliz  one  ne  feurent  gentilz 
Ainz  sont  clietifz  per  qui  troie  est  falye 
En  leur  hoirye  est  toute  foy  perye 
£t  tromperie  reputee  a  louange 
Dur  est  osfer  grenoilles  de  la  fange 

Romme  et  rommains  de  la  sont  descenduz 
Brene  ung  des  ducz  gaulois  les  debella 
Pour  leur  orgueil.  tost  les  eut  confonduz 
Pilliez  penduz.  romme  arse  et  dieux  fonduz 
Leurs  filz  penduz.  leurs  feme^  Yiola 
Puis  sen  ralla.  Milan  de  gaulx  peupla 
Gaule  droit  la  fist  la  terre  nommer 
En  beau  iardia  bon  fruit  doit  on  semcr 

Sautres  rommains  camil  a  reengendrez 
A  ceulx  ioindrcz  haninz  et  pay  sans 
Que  gliotz  et  buas  onl  aussi  desgendrez 
Puis  se  vouldrez  tombars  dont  nom  tauldres 
Ont  engendrez  vous  autres  mal  plaisans 
Glouts  de  bcsans  couars  de  gloire  exemps 
Puis  neuf  cens  ans  du  vieu  tronc  ny  a  fringe 
11  nest  esbat  tel  que  de  cbat  a  singe 

Anx  armes  ont  voz  rommains  satisfait 
Et  Ires  bien  fait  mais  trop  mieux  estript 
Francois  depuis  rommain  trosne  ont  desfait 
Lesquelz  de  fait  tendans  au  bien  parfait 
Ont  miz  effect  a  la  loy  ibesuxprist 
Quilz  ont  inscript  Rommain  los  est  prescript 
Car  autecrist  y  regne  et  prent  acquest 
Le  coeur  fait  locnurc  et  non  pas  le  cacquet 


<57 
tng  grant  iacint  rostre  honneur  debaty 
Quant  sembaty  en  iaqucs  de  la  lande 
log  nain  francois  qui  franc  le  combaty 
En  champ  basty  on  si  bien  le  baty 
Quil  labbaty  oultre  plat  sur  la  lande 
Les  annes  rende  il  la  paye  lamende 
Son  on  demande  excusez  sa  folye 
Tel  croit  yengier  sa  honte  qui  lamplye 

Se  cesar  dit  quen  gaule  il  prospera 

Lon  proufcra  cc  non  avoir  este 

Par  ses  effors  ear  gaule  o  lui  tira 

Tel  ly  lira  qui  puis  en  souspira 

Gaulx  ennpira  soubz  umbre  damiste 

Quant  cut  mate  par  eulx  ct  reboutc 

Lost  redouble  dhelveces  et  saxons 

En  trouble  estang  prent  on  les  gros  poissons 

Saxons  desfaiz  Cesar  fut  dilligent 
Intelligent  a  sa  cupidite 
Par  son  barat  praticque  et  par  argent 
Devint  regent  du  gaulois  pcupte  gent 
Et  de  tel  gent  veu  la  comodite 
A  tribut  prins  et  supped ite 
Lberedite  de  maint  prince  et  baron 
Le  bel  embler  fait  lomme  estre  larron 

A  soy  du  tout  la  gloire  en  attribue 
Ny  contribue.  ostun  nallobrogaulx 
Dautres  citcz  le  bon  loz  ambigue 
Qui  poinle  ague  ont  pour  lui  maintenuc 
Et  foy  tenue  en  ses  guerres  totaulx 
Car  pou  ditaulx  cut  au  regard  des  gauTx 
Qui  nulz  egauiz  curent  en  faiz  hostillcs 
Ditz  de  Tanleur  nc  sont  pas  cvvangilles 


68 
Tant  fist  quil  meut  di|X  rommains  diiTereuce 
Sans  reycrencc  et  contre  eulx  desplya 
Mais  quant  il  vid  les  siens  estre  en  balance 
A  piet  sans  lance.  II  neut  autre  esperance 
Quen  gent  de  france.  Ausquelz  shumilia 
Tant  supplya  promist  et  ralya 
Quil  enlya  romme  et  ses  adversaircs 
Cest  au  besoing  qnamiz  sont  neccessaires 

Gaulx  lont  forme  premier  imperateur 
Procurateur  de  la  cliose  publicque 
Auguste  apres  eut  maint  compediteur 
Gaulx  a  grant  eur  tint  qui  lont  fait  recteur 
Tributateur  iusquc  oultre  mer  salicque 
Gent  dpnt  galicque  et  non  gent  italicque 
Qui  quen  resplique  ont  miz  laigle  en  valeur 
Tel  fait  lefTect  dont  autre  prent  lonneur 

Et  si  ne  sont  en  gaule  revenuz 

Des  itaulx  nulz  trop  ont  eu  coeurs  failliz 

Puis  que  francois  illecq  sont  advenui^ 

Dhector  venuz.  Au  fer  francs  devcnuz 

Divins  tenuz.  De  dieu  roix  establiz 

Car  du  c.iel  ilz  sur  aulrcs  anobliz 

Ampoule  liz  et  lauriflambe  licnnent 

Regnes  sont  vains  fors  ceulx  qui  de  dieu  viennent 

Gaulx  ont  chassie  rommains  hors  de  germaigne 
lusquen  rommaigne.  Apres  fait  recreans 
Saxons  et  ghots.  petite  et  grant  bretaigne 
Navarre  esjiaigne  en  portant  Icur  ensaigne 
Ouftre  mer  maigne  en  barbc  aux  mescreans 
Destruit  tyrans  fidelles  secourans 
Et  non  curans  se  latins  nen  font  note 
De  mauvaiz  bccq  norrcz  ia  belle  note 


■'•■■■  M"i^^R9i^99^Bl^BR 


Qac  fist  cloviz  que  fist  charles  martel 
Bruit  ironiortel  pepin  roy  charlcmaine 
Maint  phlen  niaint  loys  maint  chaiie  itel 
Du  frani  hostel,  maint  due  soubz  leur  mantel 
A  paine  autel  eust  qui  la  loy  dieu  maine 
Ne  la  rommaine  eglen  eust  poil  ne  laine 
Sen  francbe  alaine  elle  neust  eu  recoeul 
Proeuve  ne  fault  de  ce  quon  voit  a  loeul 

Mainte^  fois  ont  rescoux  iherusalera 

Tbir  betlilem.  Anthioce  et  surye 

Constantinois  preserve  du  mal  an 

Inyfz  a  len  chassie  iusqua  milan 

Au  noir  pullen  soit  qui  telle  mesnye 

Par  tyrannie  ou  tribut  tient  en  lye 

En  italie  est  la  foy  maigre  et  fade 

Dieu  soeufire  ung  temps,  puis  vient  la  bastonnade 

Frans  ont  aussi  roys  lombars  deschasse 
Et  raddresse  le  siege  appostolicque 
Lempire  lors  au  dos  leur  fut  troussc 
Puis  font  laisse.  Germains  lent  ambrasse 
Et  tant  brasse  quor  le  regne  italicque 
Est  au  publique.  Ignoble  et  magnificque 
Cbacun  si  ficque  et  la  veult  mettre  a  proye 
Dd  cuir  daultrui.  taillc  on  large  courroye 

Saint  pierre  en  tient  sa  quote  et  davantaige 
Oaltre  partaigc  y  ont  naples  venise 
Milan  florenceet  iennes  qui  loing  naige 
Aatre  lignaige  y  forge  et  prent  dismaige 
Et  quelque  horamaige  ont  senc  Itiquc  et  pysc 
Marquiz  marquise  et  contes  quant  sy  vise 
A  leur  devise  y  a  plus  que  dc  thieulcs 
Borgncs  sont  roys  au  pays  des  avcuglcs 


70 
Milan  compete  au  roy  loys  present 
Son  pere  absent  ladlz  en  fist  querdlc 
Mais  milan  sol  de  villain  tour  usant 
Gaulx  meprisant  en  iiavilx  sabusant 
Fut  conduisant  en  celle  duchie  belle 
le  ne  say  quelle  esforcisque  sequelle 
France  en  appeUe  encor  ne  labandonne 
Qui  Yoit  il  vit  qui  soeuflTre  nepardonne 

Milan  tu  vouiz  prendre  ung  lombart  aincois 

Quo  ung  bon  francois.  grant  difference  y  a 

Franc  estre  peuz  mal  usas  de  ton  choiz  ' 

Or  tappercoiz  quelz  gens  sont  esforcois 

£t  bien  concoips  que  lors  fol  sy  fya 

Lon  te  lya.  lombart  tytalya 

Et  tamplya  de  sel  lourde  mesure 

On  doit  tousiours  cognoistre  ains  qnamour  dare 

Francisque  fut  premier  de  sa  maison 

Qui  ce  blason  draconique  usurpa 

Apres  en  eut  galeas  la  thoison 

Qui  ains  saison.morut  pou  le  prise  on 

Centre  raison  nom  de  prince  ocuppa 

Car  tant  liappa  que  ung  des  siens  lattrappa 

Et  decoppa.  sa  fin  fut  malcuree 

Maulx  horns  mal  temps  nont  pas  longue  duree 

leban  galeas  fut  puis  due  en  tutelle 
Soubz  la  cautelle  et  regno  en  languiton 
De  ludovic  que  le  more  ou  appelle 
Qui  gratte  et  pelle.  A  soy  banniz  appello 
Feaulx  expelle.  II  a  plume  loyson 
Tant  qua  foison  ducatz  tient  en  prison 
Sans  achoison  ne  dance  il  du  grobiz 
Mal  siet  le  loup  a  paistre  les  brebix 


71 
Plus  eat  de  bruit  que  ung  gtant  conle  vuarvicque 
Ce  ludovicque  esforcUqae  fdrceur 
Aa  roy  loys  lors  due  orleanicque 
Maint  tour  inieque  a  fait  80ubE  ta  croniquc 
Pour  estre  unique  a  milan  possesseur 
La  le  tint  sceur  roy  charles  precesseur 
Son  grant  teuseur  qui  le  creut  comme  ung  ange 
Nul  ne  se  doit  fier  de  saint  qui  mange 

Pour  ducatz  cuide  aux  iliettx  estre  compaigns 
Anglois  espaings  conduire  a  son  tournet 
Si  Yult  tenir  paixet  guerre  en  ses  mains 
Roy  des  rororoains  turcs  hongre^^  et  germajns 
Ne  plus  ne  moins  que  souffler  ou*  cornel 
Mais  encore  nest  son  cas  ferme  on  bien  net 
Quil  ne  eongnoist  sa  fortune  a  venir 
Dieu  toll  le  sens  a  ceuU  quil  reult  pugnir 

Car  Orleans  qui  regneou' royal  tiltre 

Lui  fera  tistre  orraais  dautre  fusee 

Par  franco  yront  ses  rieulx  trails  en  sinistre 

Que  tel  ministre  y  est  qui  admin istre 

Per  et  salnistre  a  rompre  sa  vi^e 

Trop  envoisee  est  sa  praticque  usee 

Et  mal  causee  a  tel  roy  ne  peult  nuire 

Apres  laid  temps  voit  ou  beau  soleil  luyre 

Roy  loys  done  trammel  franc  exercite 
Qui  sexfrcite.  a  Milan  subiuguer 
Le  mor  ne  dort  ains  est  tressollicite 
Son  peiiple  incite  a  tel  guerre  illicite 
11  mande  il  cite.  II  veult  gaulx  desbraguer 
Pour  dirulguer  sa  force  et  mieulx  fringuer 
Astrologuer  fist  son  maistre  ambrose 
Assez  remain!  de  ceque  horame  propose 


72 
Sd  boarsse  ouvry  fa  cocurk'enf  spcidacins 
Ficrs  eflbrcins  my  testes  stradiotz 
Ces  squarce  bragues.  ces  tout  fer  cds  manciiu 
Ces  tampestins  ces  aspres  Bataillins 
Ces  travaillins  facendes  caprioll 
Ces  fracalos  carcagnes  manigotz 
Gotz  et  magotz.  chacan  sarme  ct  ferroje 
Tel  qua  fler  nom  nest  pas  filz  de  iancroyc 

Alixandrie  eat  garny  tresfort  pas 
Lui  ny  vint  pas.  remiz  eqt  lestendart 
Au  lieutenant  son  bean  fliz  galcas 
Son.dextre  bras  qui  de  gauiz  fist  pon  cas 
Plus  en  ce  cas  eat  bruyt  quantre  et  scent  darl 
Maint  vieu  sauldart  eut  asprc  a  lance  et  darl 
Maint  fier  bedart  et  maint  grant  mamelucq 
Tel  6st  bien  noir  qui  nest  pas  Bcteebucq 

Par  gaulz  la  roicbe  eut  le  premier  sals 
Cui  tost  falu  tomber  iambe  levee 
Non  autressi  tantost  fu  revolu 
Tirer  volu  son  dan  si  sen  dolu 
En  sang  polu  cbeut  toute  leur  couvec 
La  part  saulvee  a  grant  corde  nouee 
Com  gent  dernee  en  ast  fa  mise  a  priz 
Dien  se  dclTend  ung  sol  tant  quil  est  prins 

Puis  marchent  ganlx  vers  tartonnc  et  valence 
Sans  rompre  lance  on  les  snbiugtie  et  prend 
Alixandrins  rebclles  gens  dolTense 
Feront  deffense.  Ilz  ont  la  deffiance 
Mais  leur  fiance  en  galeas  sc  rend 
La  <;bargc  emprend.  villains  a  guerre  esprend 
Couars  reprend  ne  craint  trait  nc  foulgiere 
Combatre  6t  perdre  est  cliosc  a  tons  le|;»ere 


75 

Alixandrins  a  roncques  et  inaillons 
Par  tourbeillons  veissiez.  la  rosveillier 
Aineois  rendront  loyaulx  bragnes  baillons 
Boeofz  agni lions  qac  soiiifrir  bottti lions 
0  lears  coullons  sur  leurs  dones  billier 
Aa  batailler  les  veolent  esinllier  - 
Et  descoHllifT  quencoires  ne  sont  sonlz 
Daroir  iadiz  mengie  levesqoe  aux  choulz 

FoUe  cite  a  dont  ven  lost  galicqne 

Doeil  basilicqne.  et  tres  le  villena 

Mais  abbatu  lenr  fort  citadellicque 

Leur  chef  bellicque  ains  que  lassault  duplicqne 

Sa  virilicque  emprinse  abandonna 

Plus  ny  coma,  vers  monferra  to^rna 

La  machina  la  seigneur  constantin 

Conbatre  vaiiU  trop  mieulx  que  faire  bustin 

OuTrir  lui  fait  constantin  ce  passaige 
II  nest  pas  saige  en  secret  au  mor  ployc 
La  demonstfa  vers  gaulx  son  bon  couraige 
Trop  fist  oultraige  au  royal  ordrc  et  gaige 
Honneur  engaige  et  sa  foy  iaschc  employe 
Tant  quont  le  roye.  itaulx  euniz  guerroye 
Plus  ne  ponrroye  excuser  telz  consaulz     • 
Touiours  cnfin  sent  le  mortier  les  auiz 

Monferrins  lors:  courrtirent  comme  pores 

Aux  ponts  et  ports  morisques  desbraguer 

Au  more  belas  durs  feurent  telz  rappors 

Veu  qua  son  corps  nesperoit  ndlz  accords 

Misericords  Ny  vault  plus  alleguer 

Nastrologuer.  Tresor  sans  proroguer 

Fist  transfuguer.  Au  rommain  roy  sen  tricque 

Mieulx  vault  fu>T  questre  en  pourpoint  de  bricque 


7^ 

Party  Ic  more  et  prinse  aliiandrie 

Ou  il  recuidrye  a  milan  eontendy 

Qui  veult  qui  non  la  francbe  scignourye 

Mais  quoy  quon  crie  o  qui  quen  pleurc  ou  rye 

Sans  pillerye  au  franc  roy  se  rendy 

La  se  foingdy  le  penple  et  vint  hardy 

Tempre  on  tardy  soy  rendre  obeyssant 

Lonneur  aux  roys  ia  grace  au  tout  pui^ani 

Le  fort  chasleau  f^t  atquiz  sans  bombarde 

A  la  lombarde  ung  tour  fut  la  conduit 

Or  et  quatrins  rompirent  layantgarde 

Se  lascbe  garde  y  fut  ie  ny  prend  garde 

Tel  fort  tel  garde  au  franc  roy  trop  mieulx  duit 

Bicn  fut  instruit  qui  le  rendy  sans  bruit 

Sanlcun  en  rnyt  ou  le  porte  a  mal  aise 

II  peut  mengier  du  sien  tant  quil  sappaise 

Milan  rendue  et  cesse  le  desroy 
Pleut  au  bon  roy  lui  faire  cest  honneur 
Que  dy  venir  en  triumphant  arroy 
Naint  palefroy  mainte  dame  en  charroy 
A  grant  courroy  lencontrent  a  bon  eur 
Grant  pardonneur  fut  Ce  bening  seigneur 
Moindrc  et  greigneur  tous  a  sa  grace  evocqne 
Qui  oingt  rillain  a  poindre  le  provocque 

Bon  ordre  y  mist.  Aptes  fist  son  retour 
Chastcl  et  tour  garderont  gaulx  entre  eulx 
Seigneur  iebaniaqne  y  reste  a  grant  pa^tour 
.  Se  garde^  autour.  Milan  veult  faire  ung  tour 
Ains  saint  yiciour  car  pres  tous  sent  moreux 
Mutins  verreux.  royaulx  ny  sont  pas  deux 
Le  meirieur  deulx  en  secret  maiche  ou  groigne 
Nnllui  ne  peut  eeler  toux  ne  la  roigne 


75 


Trois  mois  apres  milan  se  rcbella 
Et  rappella  le  more  ct  sa  lignyc 
Pari  gibelline  a  luy  se  propala 
Guelfe  brania  iehan  iaques  sen  ala 
Gaulx  trait  de  la  par  iorce  a  main  garnye 
Folle  maisuye  y  reste  au  more  unye 
Qui  la  maynie  et  gaide  a  la  moricquc 
Le  yillain  dra  guerroye  ou  quil  fabricque 

Gaulx  done  yssoE  sans  trop  estre  esbahix 
Ne  poursoyz  se  tirent  a  mortere 
Pour  recoeillir  autres  gaulx  du  pays 
Bytaulx  hays.  Par  tout  sont  envahiz 
Robbes  trahiz.  Tartonne  eut  ung  clistere 
Gaulx  Tituiiere.  Aux  gaulx  ruyne  espere 
Si  fault  quappere  ou  marebe  saint  deniz 
Pour  ung  pecheur  sont  mil  autres  pugniz 

Le  mor  yenu  tantost  bon  gent  darme  est 
Aux  champs  se  met  landsknechts  fait  avaler 
Le  rommain  roy  ses  bourgoings  lui  trammet 
A  maint  armet.  yigeve  on  lui  remet 
Assez  promet.  francois  yeult  affoler 
Mais  i^de  aler.  et  ses  pas  calculer 
Quau  reeuler  nait  la  place  occuppeo 
On  ne  prent  pas  griffons  a  la  pippee 

Tost  eut  remix  ses  bannieres  au  yent 

II  marche  ayant  novaire  fait  touchier 

Gaulx  qui  la  sont  le  yont  entretenant 

Et  pourmenant  leur  emprinse  accordant 

En  attendant  la  trimoille  approchier 

Car  sans  machier  quant  fut  temps  de  marchier 

Et  de  pineher  Noyaire  on  lui  fist  rendre 

Reculer  doit  qui  yeult  long  sault  emprendre 


76 
Embuschier  fist  le  more  huit  cens  todisques 
Hallebardisques  pour  Novairc  altrapper 
Mais  trop  cogneuz  fcurent  ses  tours  morisques 
€ar  nos  francisques  a  bons  hacquebutisques 
Ces  yoverlisques  f«irent  envelopper 
Et  dccopper.  A  paine  en  reste  ting  per 
A  ce  soupper  eut  trop  plus  chair  que  pain 
On  doit  tousiours  estlmer^le  cpmpain 

Trimoille  vint  qui  gaulx  eut  en  bailye 

En  Italy e  et  les  eut  ioings  ensemble 

Novaire  enclot.  le  mor  la  se  ralye 

Bourgoings  supplie.  aux  germains  shumilye 

Mais  gens  faillye  aura  quoy  quil  assemble 

Ne  que  fier  semble.  II  lui  fault  prendre  autre  amble 

Car  chacun  tremble  et  nul  est  qui  pourvoye 

Cest  tard  cioz  cnl  quant  pet  a  prins  sa  voye 

La  fut  le  more  an  prime  cognoissans 
Que  pou  de  sens  trop  avant  lent  conduit 
Ses  yoverlicx.  ses  bourgoingnons  vantans 
Fuerent  ce  temps  francois  trop  redoubtans 
Tard  repentans  quon  les  eut  la  reduit 
Lors  il  sans  bruyt  cuide  eschapper  de  nuyt 
Mais  guet  lui  nuyt.  parlout  est  garde  ou  postc 
Au  deslogicr  fault  il  compter  a  loste 

Le  more  encloz  usant  tour  de  bretaigne 
Quon  ne  lattaigne  illec  se  cache  et  veult 
Faire  cntendant  quil  est  en  alemaigne 
Qui  qui  remaigne  a  guider  son  ensaigne 
Quon  no  le  saigne  accordera  sil  pent 
Son  ost  se  doeult  fam  et  peur  entre  eulx  mcut 
Qui  les  promeut  aquerir  paix  ou  trieve 
Lumain  parler  beaucop  vault  et  pou  grieve 


77 
Car  ic  bon  roy  sa  grace  dcparUut 
Fut  lors  content  que  ceulx  du  nom  bourgoing 
Sorlissent  francs  sans  noise  ct  sans  contempt 
A  pou  contant  landskneclils  yront  a  tanl 
A  pie  trotant  ung  hasten  Wane  ou  poing 
Pas  neurent  soing  lombars  daler  si  loing 
Car  en  ung  coing  feurent  miz  en  main  fortes 
Bon  tavernier  a  vin  de  maintes  sortes 

Sen  va  qui  peut.  le  mor  vise  a  son  point 
Se  met  enpoint  landskinecht  est  devenu 
Dun  grant  germain  print  chaulses  ct  pourpoint 
Cuidant  a  point  escbapper  en  ce  point 
Mais  Vint  a  point  quaulcun  la  recognu 
Gris  et  chenu.  gaulx  Ion  prins  et  tcnu 
Soit  bien  v.enu  raison  veult  quil  demeure 
Cens  ans  accreu  tout  se  paye  en  une  heurc 

Milan  tantost  nouvelle  en  eut  certaine 
Sa  ioyc  haultaine  en  dolenr  renversa 
Qui  Cort  ses  bras  qui  des  yeulx  fait  fonlainc 
Qui  mort  certaine  attend  qui  rue  enchaine 
La  nuit  prouchaine.  Ascain  ny  conversa 
Sguelfe  engrossa.  tout  gibellin  Irousa 
Feuple  laissa  sans  guide  et  sans  peron 
Tousiours  ne  ril  la  femme  du  laron 

Moult  a  grant  peur  milan  quon  ne  latterrc 
Car  a  grant  errc  approche  le  guidon 
De  lost  francois.  mais  le  bon  roy  qui  ne  errc 
Ne  veult  sa  terre  ardoir  ne  reconqucrrc 
Par  cruel  guerre.  Ains  change  yrc  en  pardon 
Maint  bon  preudom  requcste  en  fist  adonc 
Se  garde  done  que  plus  on  ny  machine 
Aprcs  syrop  bailloh  la  medccine; 


1 


78 
Le  pour  mor  dc  inagicque  a  trop  sccu 
Qui  la  deceu  car  on  le  maine  en  franco 
Paasant  par  ast.  Beau  prince  bauU  et  corsu 
Pas  neusl  vouUu.  en  ast  estre  apperceu 
Ne  illecq  reeeu  en  pubblicque  appareace 
Fiere  presence  eut  sa  magnificence 
Et  grant  Constance  en  tenir  gravite 
On  cognoist  lomme  en  son  advcrsile 

Telz  motz  eut  dit  des  quil  novaire  obtint 
Ains  quon  le  lint.  Ast  ne  mescbapra  ia 
A  pasque  y  vueil  mengier  detourte  nng  qjaxni 
Ce  veu  convint  accomplir.  sy  advint. 
Qua  pasque  y  vint  et  la  tourte  y  mangea 
Pas  ne  songex)  sa  boucbe  au  vray  iugea 
Quung  bon  iuge  a  note  que  pour  yessir 
Ou  souhaidier  ne  fault  du  lit  yssir 

Les  roi iL  lombars  cbarlemaigne  a  finiz 
A  saint  deniz  lultime  desidier 
Fist  moisne  rendre.  Or  sont  sforcoix  liaiinls 
Des  mesmes  nydz.  leurs  tribulz  infiniz 
A  france  uniz.  plus  n'y  ont  que  playdler 
Leur  kalleudier  ne  les  peut  plus  aydier 
Ne  leur  cuidier.  regir.  mars  ou  neptune 
Estals  mondains  sont  subgetz  a  fortune  ^ 

Gennes  aussi  qui  iadiz  triumpba 
lusquen  caplia.  par  sa  rebellion 
Tant  a  grate,  quor  chante.  Ela  my  fa 
Loys  truffa.  qui  dung  fort  lestoffa 
Dont  godeffa  leur  tour  et  mer  lyon 
lusque  ylion  a  france  humilion 
Ung  million  paya  pour  eh  taster 
Aux  orgueilieux  voit  on  dieu  resister 


79 
Ung  demelrin  fut  la  decapitc 
DoDt  cest  pite.  Trop  sceut  de  leur  maliere 
Paule  leur  daz.  recteur  de  liberie 
Fut  esquarte.  aux  portes  depute 
Son  chief  porta  sur  une  lance  Jiaultierc 
Miroir  frontiere  aux  genevoiz  gent  fiere 
Que  plus  naffiere  user  de  leurs  emprinses 
Avecq  seigneurs  nest  bon  mangier  cerises 

Pour  ce  Yous  tous  lombsq's  itallcns 

Sicilliens  Marquetz  ct  florentins  * 

Romnriains  thoscains  senois  Bononiens 

Insubriens  Manthois  ferrariens 

Liguriens  lucquois  ct  pisantins 

Fuyez  hutins  laissiez  tyrans  mastins 

Et  leurs  butins.  Au  roy  vous  ycnez  rendre 

En  temps  et  lieu  fait  il  bon  party  prendre 

Gaulx  honnourez  leur  bruit  va  iusque  aux  cieulx 

Voz  vicieux  ialouz  corrigeront 

A  voz  moulllers  seront  plus  gracieux 

Filles  et  fieulx  feront  qui  vaiildront  mieulx 

Que  Toz  ayeulx  no  vous  car  francs  seront 

Loy  francbe  auront  et  franc  nom  porteront 

Par  comple  ront  guelfes  et  gibellins 

Plus  vault  ung  franc  que  ne  font  deux  carlins  , 

la  par  deux  fois  est  passe  le  dangler 
Et  de  legier  sans  rompre  autre  muraille 
Mais  sau  roy  fault  pour  vous  roetlre  en  forgier 
Maille  ou  gorgicr.  plus  ny  vault  hostagier 
Maistre  et  bregicr  dormirez  sur  la  paiile 
Fyer  ne  vaille  en  grant  tas  de  chiennaille 
II  na  que  raille  en  tous  quans  que  vous  estes 
Tant  chie  ung  bcuf  com  cent  mil  allouettes 


1 


Plaise  aux  lisans  cxauser  cy  laclcur   . 
Si]  nest  docteur  lucan  tulle  ou  virgille 
Au  moins  est  il  da  franc  liz  sustcnleur 
Sindicateur  de  maint  faulx  invenleur 
Lombart  mcnteur.  Se  la  rime  est  debille 
Ung  plus  habiile  y  mette  lappostille 
En  meilleur  slille.  II  est  de  tous  metiers 
Maistres  assez.  ct  pou  de  bons  ouvriers 


FIMS. 


Bi^  que  i^etrait  jj^onunaet  une  jpucetle 
^st  au  To^  francois  a  jsen  refottr  (>e  la  la^ 


^i((e  ))e  inan|nan. 


Francois  franc  roy  qhonnear  guide  el  regente 
Ihx^sse  tes  yealz  vers  moy  qui  represente 
U  cite  da8t  4}ai  te  Tient  humblenieni 
Regracicr.  qumi  betaille  san^lante 
As  expose  la  personme  ei<^efite 
Poor  restorer  notre  alfi^anchissemetit 
Tes  ancesseurs  toiisio«rs  beuignemeiit 
Nous  onl  traicllcs.  Ne  la  sir«  auUemefit 
Espere  en  toy.  M^s  clefa  cy  tfe  presento 
A  demonstrtr  qoe  generalentenl 
Nes  ciCoyem  «t  moy  eoftsequamffleiU 
Arons  en  coeur  dti  lit  la  franche  plante 


i|»'^V»  o 


L. 


(e  f ^on  que  rog  (o^«  fist  atnener  ie  aemott- 
lie  a  (oste(  )^e  tnoni^^  (e  tnaiistre  tna(ekif<^ 
en  aist  apres  (a  kitailU  ei  victoire  be  panbin. 


Lc  marzocq  suys  traitimiz  ey  dc  eremonne 
A  tcsmoigner  que  la  franclte  eouroiinc 
Lan  mil  cinq  cens  neuf.  soobz  loys  doiaiesme 
A  laignadel.  en  may  le  quatorziesme 
Contre  vcnise  oblint  bairite  victoirc 
Lonneur  lorgueil  larrogance  et  la  gloire 
Du  fier  saint  mace.  Illecques  trebucha 
Dalvian  fut  prins.  peliUan  dcsmdrclm 
Ses  yieulx  souldars.  Albains  et  mameluz 
Gisent  la  frois.  qiiinze  milliers  et  plus 
Trivy  carvaz  crcmoiuic  creme  et  brcsse 
Fcurent  reieintz  a  milan  leor  maistressc 
Vinccncc  apres.  Aussi  reronne  et  pade 
Fist  le  roy  melt  re  es  mains  dc  kimbassade 
Dc  lempereur  qui  lors  fut  dc  sa  ligue 


83 
Damp  pape  ingrat  qoi  puis  lui  fist  la  figue 
Ferrare  manle  et  leurs  aatres  consors 
Renrent  leur  lerre.  et  naplcs  toos  ses  ports 
Poar  tant  o  vous  itaulx  se  mc  crerez 
Centre  francoiz  ia  plus  ne  fringuercz 
Car  quant  youldront  nonobslant  vos  carlins 
Tous  francs  serez  guelfes  et  gibellins 
Souliz  le  franc  lis.  qui  regne  et  regnera 
Qui  yeult  sen  rye.  et  pleurc  qui  pourra 


FINIS. 


=3= 


£n  cimune  c^mU  "Ua  vtx»  qui  jBensin- 
venl  «  fr<m»m  par  lecire^  nicm<ra(<«.  Ian 
que  U  cWciS  pienctotmeejs  jsont  avenues 


Charles  franc  roy  passa  luy  et  scs  gauU 
Le  moncenis  en  barbe  des  itaulx 

Mcccclxxxxiiii. 

Charles  cest  an  passa  les  mons 
Et  dechassa  de  naple  alphons 

Mcccclxxxxiiii. 

A  fonmoue  ont  lombars  sentu 
Se  francs  ont  deux  couHons  au  cu 

Mcccclxxxxv. 

O  vous  itaulx  notez  cy  yerrez  Ian 

Que  francois  prindrent  vostre  due  dc  milan 

Mccccc. 

Calculez  cy.  vous  trouyerez  aux  dois 
Quant  roy  loys  embrida  ienncvois 

Mcccccvii. 


L^&  roy  firafic  a  kignadel 
Cbassa  saint  marc  pres  au  bordel 

Mcccccviiii. 

Delez  ravene  ce  scet  on 
Lcschecq  et  mat  eat  ian  gippon 

HoeccciUi. 
Francs  lez  rarene  ce  scet  on 
Foulerenl  marc  et  ian  gippon 

Mcccccxii 

Cy  en  ast  Marrabois  et  snyces 
CesI  an  farsireni  leurs  pelices 

Mecccexv. 

L'of^oeil  et  pricques  en  cest  an 
Laissa  lost  suyce  a  marignan 

Mcccccxv. 

Orgnoil  el  (rtppes  en  eesA  aa 
Cfaierent  svyces  qlicv  milai^ 

Mccecexv. 


85 


i^-^"*< 


Icouan^e  au  mar^uij  )e  monferra 
siux  SOL  con^uesfe  i^ancise* 


Prince  excellent.  A  louange  eternellc 
Tu  as  conquix  la  tressuperbe  ancise 
Oddon  Baddon  pere  et  filz  dune  prinse 
Cheaz  en  tes  las  et  toute  leur  sequelle 

Oultraige  orgueil.  les  a  days  a  fin  telle 
Non  estimans  ta  proesse  et  yaillance 
Or  sont  leurs  corps  an  rent  qai  les  balance 
Lonneur  a  toy  lexeniple  a  tout  rebelle 

Ancise  plus  naura  tour  ne  tournelle 
Quoy  quelle  feust  desi  fiere  apparance 
Quantre  seigneur.  Ne  exercite  de  f ranee 
Nont  enireprins  den  taster  la  querelle 

O  monferrins.  puis  que  mars  yous  appelle 
I^issiez  voz  beufx;  endossei  la  pancierc 
Et  le  suyvez.  qnor  mais  yostre  banniere 
Sera  dressee  a  fame  universelle 


FINIS. 


Ja  ^it  i>tt  &\n^i 


Notez  o  vous  inlelligens 

Usuriers  mangent  povres  gens 

Puis  sont  mangicz  les  usuriers 

Des  princes  el  leurs  officiers 

Clercs  mangent  princes  et  gran$  maislres 

Et  pnUins  mangent  clercs  et  prcbstres 

Ruffiens  apres  mangent  putains 

Et  taverniers  mangeul  rufHains 

Bellitres  et  mauvaiz  paicurs 

Mangent  liostes  ct  taverneurs 

Et  Yoit  on  puis  les  mat  payans 

Estrc  mangiez  par  les  scrgeans 

Et  Ics  scrgeans  mangiez  des  poulz 

Et  poulz  da  singe,  si  que  nous 

Trourons  cnfiii  q(ie  quoy  quon  brasse 

Tout  par  le  tvA  du  singe  passe. 


1 


Ci  jse  rejptk^ue  en  ifalien  (e  Mt  bu  jsin- 
je  note  cj  Levant  en  {rancaij5. 


Note  ben  lag  ista  buga 
Gliusurer  mangion  la  bfiga 
Si  son  pur  gliusure  ancour  lour 
Mangia  da  y  princi  e  supriour 
Princi  da  y  prete  son  mangia 
£t  putain  niangion  prete  et  fra 
Rufiayn  apres  mangion  putain 
Et  tavcrner  niangion  rufiayn 
Catif  pagau  pos  au  derrer 
Son  coy  chi  mangion  y  taverne 
Et  si  saran  y  catif  pagau 
Mangia  da  ysbirry  et  pellucau 
Eysbiry  anfin  mangia  da  y  piogl 
Ey  piogl  dalsumle  si  cba  logl 
Qui  se  descliiayra  pry  nosg  vers 
Che  sia  per  long  o  per  travers 
AI  mond  ognun  cbi  mangia  o  romia 
Passa  in  fin  prandel  cul  dla  sumia. 


tCluq^tre  be  UWte* 


II  nest  esUt  plus  digne  en  lieu  (errestre 
Que  liberte.  Ne  pour  vivre  en  miscre 
Qnaroir  seigneur  de  qui  faille  serf  estre 

Or  que  franc  suys  ia  ne  fault  qoautre  espero 
De  par  amour  nautrement  me  loycr 
Se  destinec  a  ee  ne  mest  austere 

Le  franc  est  fol  sil  se  laisse  ployer 

Pour  or  argent  ne  pour  quelque  promesse 

Car  liberte  rault  mieulx  quaulre  loyer 

Nolloi  ne  peut  aroir  bien  ne  liesse 
Hors  liberte.  aincois  vit  a  doleur 
Car  senrilude  est  mere  de  tristesse 

Pour  ce  iadiE  sopbonisbe  en  sa  fleur 

Mort  son  cpoax  plustot  se  dtsposa 

Boirc  renin  que  prendre  autre  a  seigneur 

E  mucins  bien  demonstrer  osa 

Que  liberte  de  tons  doit  estre  amee 

Qoant  sa  main  desire  a  bmsler  expost 


90 
O  liberie,  au  iour  dbuy  cler  semec 
Et  chier  vendue.  On  te  iioit  bien  servir 
Car  en  lous  lieux.  souvenl  es  rcclamee 

Cathon  vieillart  plastot  que  sasscrvir 
De  vouloir  franc  a  la  mort  sassigna 
.  En  liberie  voulanl  vivre  el  morir 

Drulhus  aussi  puis  que  cesar  re^^a 
Aalicippa  sa  morl  en  exemplaire 
Quen  servitude  vivre  ne  daigna 

Et  hanibal  trahy  du  grant  faulsaire 
Voult  senherber.  ainsque  vivre  en  lullelle 
Et  serf  de  ceulx  que  serfz  eut  cuidie  faire 

Dun  grant  villain  ct  pour  cause  autre  telle 

Se  flst  tucr  le  fier  metridates 

Centre  rommains  faisant  guerre  niortellc 

Sardanapal  qui  trouva  les  pastes 
Esleut  pluslot  sardoir  et  morir  roy 
Queslre  submiz  a  son  serf  arbates 

tng  roy  anglois  surprins  a  Gerberoy 
Ains  qua  mercy  des  gaulx  cstre  en  geolc 
8e  suspendit  au  planchier  dun  )>e/froy 

Les  Numanlins  iadis  gent  cspaignole 
Mirent  a'feu  |>lustot  queslre  aux  rommains 
Eur  leurs  enfans.  eite  raeuble  et  lydoie 

Et  dido  qui  voult  de  ses  propres  mains 
Finer  ses  iours  ains  que  sa  cite  belle 
Mellre  ou  dangier  du  roy  des  lusi tains 

Qui  flst  copper  aux  dames  la  mamelle 

En  amazone.  nc  combalrc  aux  fors  liorames 

Fors  po«r  garder  Icur  liberie  fcmelle 


91 
Et  noi  francoif  de  qiii  descend  uz  soaunes 
Ne  sont  ilz  pas  au  fer  francs  derenuz 
En  estirpant  des  tirans  les  grans  sommes 

• 

A  liberie  sont  aiitres  parvenas 

A  qui  des  mains  elle  est  puis  escliappeo 

Par  )e  deffiult  des  laches  sorvenoz 

Le  grant  sopby  ia  mainUent  a  lespec 
Flamengs.  aussi  pour  y  vonloir  entendre 
Par  fois  ont  eu  mainte  teste  coppee 

Sang  et  dueatz  a  saint  marc  fait  espandre 
Pour  raflGranchir  ce  quon  iui  eut  tolu 
Et  pour  son  reghe  en  libarte  deffendre 

Se  disrael  les  filz  eussent  volu 

A  ieor  dieu  croire  et  liberte  cognoslre 

ia  roy  ne  rocq  sur  eux  neussent  esleu 

Ne  voult  pas  iupiter  roy  faire  ct  malstre 

Sur  raynes  le  serpent  a  demonstrer 

Que  qui  roy  a.  11  Iui  convient  roy  paistre 

Liege  et  dynant  ingratz  deulr  rencontrer 
£n  lil^rte  et  pour  trop  bault  enquerre 
Sont  ore  exemps  de  plus  recalcitrer 

Sa  liberte  scet  retenir  saint  pierrc 
Et  ses  suppostz  gouvefner  gros  et  druz 
Que  ia  ne  yeult  que  roy,  naultre  le  ferrc 

Qui  va  fourre.  qui  porte  les  piedz  nuz 

Qui  plus  qui  moins  a  la  teste  pellade 

Et  tant  leur  cbauH  des  rcz  que  des  tonduz 

Plusieurs  dentre  eulx  portent  la  cherigadc 
Et  le  btssacq.  auxquelz  pour  lout  potaige 
U  Iruander  mieulx  que  labour  aggrade 


1 


Diogenes  aias  que  payer  louaige 
Dune  maisen.  ne  servir  atixandre 
En  ung  tonneaa  faisoit  son  faabitaige 

• 

Aincois  se  voult  ung  picard  lassier  pendrc 

Que  marier.  na  celie  estre  tenuz 

Qui  leust  saulve  sil  sy  feust  voln  rendre 

Que  vault  aroir  chasteaux  ne  revenue 
Sans  liberte  qui  tout  autre  honnoeur  passo 
Et  de  qui  tons  haultains  l^ns  sont  veiiux 

Suyces  pour  tani  ont  ilz  pas  en  laudaeo 
Deulz  liberer  des  tributi  et  puissances 
Des  empereurs  sur  quell  se  sont  fait  place 

Pour  sa  cite  iadiz  moult  de  vaillances 

Fist  ung  pommain  qui  seni  contre  bien  nuiie 

Garda  le  pont  non  eraignant  dars  ne  lanoes 

Et  dedalns  doubtant  vye  serviUe 

Fist  sempener  en  tirant  devers  bise 

Et  tant  vola  quil  cheut  de  crete  en  aille 

Ung  otsellet  dedeas  sa  caige  exquise 

la  mais  ne  tend  combien  quil  cbanle  et  picque 

Qua  escapper  et  vivre  en  sa  franchise 

Pour  tant  0  vous  recteurs  du  bien  pobHcquc 
Ne  me  blasmez.  La  libcAe  sublime 
Car  par  elle  est  regy  le  pollarticque 

Et  si  vault  tant  que  sung  coeur  magnanime 
La  proeuve  ung  temps  puis  pert  sa  compaignie 
La  mort  souvent  plus  que  le  vivre  estime 

Ne  tant  est  servitude  aspre  ennemye 

A  ses  subictz.  quaux  autres  en  tons  lieux 

Ne  soit  tant  plus  liberie  doulce  amye 


95 
£t  se  les  sains  et  les  anges  des  ciciilx 
Comme  Ion  dit.  ne.sont  en  liberie 
Tant  moins  sont  itz  contens  et  glorieux 
Car  qui  nest  franc  nest  en  felicile 


FINIS. 


Icouan^^  ^  noisire  batne  en  cWi  isur  (a 
hneur  be*  jk  io»Ui  an  ci^ne  attonjs  Ken 


isoweni* 


Gtace  soit  rendue.  A  died  de  la  stU 
Pour  Iambic  marie,  mere  dc  iliesus 
Qui  nasqui  de  vierge.  sans  corruption 
Et  print  chair  humaine  pour  nostre  raencon 
Et  Kyriclcyson 

La  viergc  marie,  navoit  que  quinie  ans 
Quant  fut  mariee.  les  gentilz  gallans 
La  se  presenterent*  mais  dieu  fist  adonc 
loseph  le  bon  horome.  choisir  au  baston 
Et  Kyrideyson 

Gabriel  larchangfe.  la  vierge  trouva 
Seulelle  en  sa  chambre.  si  la  salua 
De  toy  vierge  monde.  eii  brieuve  saison 
Le  sauveur  du  monde  prendra  nascion 
El  Kyrieleyson 


d» 


Qdahi  Ihumblc  marie,  lo  mcs^igrc  oy 
Fut  moult  Csbaliyc.  si  lui  r<^pondy 
Vecy  son  anccUe.  le  ne  congnois  horn 
Sa  Toulenle  face,  selon  ton  sermon 
Et  Kytielcyson 

Ainsi  que  rosee.  descent  en  la  flenr 
On  miroir  la  face,  la  pensee  ou  coeur 
La  Toix  en  la  chambre.  par  telle  facon 
Print  dicu  en  marie  lincarnaliori 
Et 

loseph  et  marie,  vont  en  belhleem 

Pour  enx  fa  ire  escripre.  soubz  octavien 

En  poTfe  habitacle.  san  feu  nc  cbarboit 

Voolt  dieu  plus  tost  natslre.  qnen  riche.  matsoh 

Et 

Noble  cbevaalcbee.  descendy  seens 
Trois  roys  qui  oflTrirent.  or  mirrc  et  cncens 
Puis  sen  retournerent.  en  leilr  region 
Herodes  planterent.  le  mau?ais  garcon 
Et 

Selon  la  coustume.  dn  temps  ancieit 
Ibesu  chrispt  porterent.  en  iherusalem 
Pour  loffrir  au  temple.  la  fut  symeon 
Qui  de  coeur  embrace,  le  donli  enfancofi 
Et 

Le  cruel  berodes.  quant  il  eut  fatly 
Davoir  la  response,  des  trois  rois  ioly 
Par  la  terre  envoye.  sergens  a  foison 
Pour  nouveHe  enquerrc  de  lenfant  ibeson 
Et 


96 
Sa  fureur  relourne.  sur  les  innoccns 
II  en  fist  occife.  par  mil  et  par  cens 
De  mort  inhumaine.  sans  remission 
Ihesus  pour  neant  quierent.  ne  le  (rouvcron 
Et 

Car  tumble  marie,  pour  sauver  lenfant 
Sen  fuit  en  egipte.  de  coeur  tresdolant 
loseph  la  convoye.  neut  autre  guidon 
Les  ydoles  eheurent.  dappol  et  damon 
Et 

Au  relour  degipte  Tint  en  nazareth 
La  rierge  marie.  Ihesus  et  iosepb 
Trente  ans  apres  firent  la  division 
Car  Ihesus  approiche  de  sa  passion 
Et 

Sa  mere  abandonne.  le  roy  souverain 
Saint  iehan  le  baptise,  ou  fleuve  iourgdain 
Les  appostres  vindrent.  a  conyersion 
Qui  puis  exaulcerent.  sa  foy  et  son  nom 
Et 

De  ses  beaux  miracles,  les  pliarisiens 
Cayphas  et  .tribes,  nc  sont  pas  contcnj 
Centre  lui  machineni.  la  grant  trahison 
Tout  le  peuple.  raoeuvent  ea  sedition 
Et 

Ces  iuyfs  infames.  lui  firent  honneur 
Le  iour  des  olives,  puis  vint  la  doleur 
ludas  vend  son  maistre.  le  traytre  fellon 
En  croix  le  pendirent.  enlre  deus  larron 
Et 


97 


Sa  mort  accomplic.  descend  en  enfer 
Les  portes  rompirent.  maugre  lucifer 
Ses  amit  eramaine  de  celle  prison 
Adam  nostre  pere.  et  se»  compaignon 
Et 

La  tierce  iournee.  diecuresuscita 
Vint  en  galilee.  la  se  demonstra 
Sa  mere  consoUe.  marthc  .et  magdalon 
An  iour  qaaranticsme  fist  lassension 
Et 

Apres  hii  marie  quatorze  ans  yesqut 
En  dueil  et  tristesse.  puis  lame  rendi 
Angles  la  porterent.  en  possession 
De  la  gloire  haultaine.  la  la  trouveron 
Et 

O  vierge  marie,  quant  viendra  le  ionr 
Quen  ta  .compaignie.  serons  a  seiour 
Tu  es  la  fontainc.  de  salutation 
Et  de  grace  plaine.  dominus  tecum 
El  Kyrieleyson. 


FINIS. 


ALmxE 


\ 


Auhe  (oiutn^e  a  nostre  ^atne  isur  (obse-- 
aa  et  aux  la  fencur  be  Wnj  {ranc  arcliieT 
btt  ro^  par  c^  jpassa* 


Obsccro  te  Marie  cscoute  moy 
Car  devanl  toy.  est  ma  cause  evocqnee 
Merc  de  dieu.  l^rincesse  colocquee 
Ou  ciel  la  sus.  deles  ton  fiiz  Ibeson 

Qui  souffry  passiou 

Tu  es  aussi.  mere  des  orphenins 
Tes  yeulz  benings.  ont  leur  douke  risee 
Sur  tous  afin.  que  soyes  reclamee 
Car  on  ne  peut.  de  paradiz  le  don 
Ayoir  se  par  toy  non 

Tous  desolez.  a  toy  sont  recourrans 
Et  les  errans.  de  voye  bien  eurec 
Seront  dressex.  par  toy  yierge  bonnouree 
lusques  au  port  de  consolation 

£t  de  remission 


90 


r 


Dieu  enroya.  Larchangic  Gabriel 
Loisant.  et  bel.  en  ta  chanibre  parce 
Pour  tannmicier.  de  Ibesucrist  lentree 
Eo  ies  douiz  flans  et  lincamalion 

Par  salutation 

Ante  partum  virgo  et  in  partu 
Post  partum  tu.  Remains  inviolee 
Sor  tontcs  fleurs.  la  rose  immaculce 
Et  le  salut.  In  te  speranlium 

De  bonne  intention 

lojeose  fuz.  quant  dieu  tins  en  tes  bras 
Mais  puis  helas.  par  trop  plus  tourmentee 
Qoant  to  sentiz.  la  dure  rapportee 
Qui!  fot  rendu.  Par  la  grant  trabison 

De  iudas  Ic  fellon 

Poor  nous  sanver.  fot  dieu  miz  sur  la  croix 
Mats  touttefoiz.  la  grace  est  dispensec 
Ao  repentans.  et  loffens^  cassee 
De  loos  pecbiez.  a  la  relation 

De  toy  flos  virginum 

Qoi  est  cellui.  qui  pourroit  exprimer 
Ton  dueil  amer.  Ta  piteuse  encontrce 
Qoant  ibesus  viz.  de  la  gent  diffamee 
Traynner  a  mort.  pour  la  redemption 

Dbumaine  nation 

0  maria.  Pour  toules  les  doleurs 
loyes  et  pleurs.  qoas  eu  de  ta  portec 
le  te  sopply.  quil  te  plaisc  ct  agree 
Noos  conforter.  en  toote  affliction 

De  tribulation 


1 


100 
Nos  cnnemiz.  lucifer  et  saihan 
Pourront  a.tant.  dormir  la  matinee 
Quant  ilZ'Sauront.  toy  viergc  estre  inclinee 
Devant  ihesus.  £n  intercession 

Pour  noslre  offension 

Concorde  et  paix  nous  faces  impelrer 
Et  penelrer  noz  coeurs  dhumble  pensce 
Tant  que  ppissons  a  porte  deffermce 
Monter  en  la  celeste  region 

Quant  de  cy  passeron 

A  mon  trespas.  Donne  moy  ferme  espoir 
Que  puisse  voir,  ta  face  illuminee 
Puis  au  partir  de  lextremc  lournee 
Du  iugement.  sil  te  plaist  vierge  adoncq 

Soyes  tiostre  guidon 

Demonstre  enfin.  que  sommes  tes  cnfans 
Et  nou  deffens.  de  lobscure  valee 
Que  la  ne  soit.  la  povre  ame  avalee 
De  tes  servans  qui  par  devotion 
Diront  ceste  dianson 


fims. 


Autre  ioMStn^t  a  woisfre  Bame  but  (e  sat- 
vt  xz^xnz  ct  sux  h  ietwut  be  Toule  {(cur  be 
noliUsse  en  ^ui  man  cocur  Tej5S0Tf . 


Sa]?e  regina  mater 

misericordie 
A  qui  fist.  lambassade 

larchangle  gabriel 
Ta  rcspondiz  pucello 

par  grant  bmnilitc 
Vecy  sa  povr  ancelle 

face  sa  volunlc 

Nocuf  inois  porta  marie 

ihesQS  nostrc  saurear 
A  lenfanlcr  nent  mie 

ne  painc  ne  doleur 
Vicrge  sest  accouchec 

vierge  esloit  paravant 
Et  vierge  est  demoarce 

apres  Icnfantement 


102 


Adara  le  premier  lioiniiie 

noCis  mist  en  grant  dangier 
Quant  il  mangea  la  pomme 

quil  ne  deyoit  touchier 
Mais  a  ta  bien  venue 

naus  a  dieu  rdchete 
Cest  bien  droit  quon  salue 

ta  haullc  maieste 

Tu  es  nostre  esperance 

et  nostre  reconfort 
Car  tu  as  la  puissance 

de  faire  nostre  accord 
Et  de  baillier  quittance 

quant  nous  aurons  fally 
Mais  quayons  repentance 

de  coeur  humble  et  marry 

A  toy  vierge  sadre^ent, 

noz  exclamations 
Noz  regretz  qui  no  cessent 

et  noz  orations 
Nous  sommes  enfans  dere 

povres  exillies 
Fay  que  nous  ayons  treve 

de  purgier  noz  pechiez 

En  ceste  grant  valee 

de  larmes  et  de  plour 
Soit  ta  grace  monstrec 

se  nous  portes  amour 
De  ta  misericorde 

vueilles  enluminer 
Chascun  qui  se  recorde 

qua  toy  fault  retonrncr 


103 


Tu  nous  donras  espacc 

de  bien  noas  confesser 
Et  de  veoir  ta  face 

avaot  le  trespasser 
Donne  nous  aussi  force 

conire  tes  ennemiz 
Afin  que  Ion  sesforce 

dacquerir  paradiz 

Et  ihesus  roy  de  gloir^ 

ton  enfant  precieux 
En  signe  de  victoire 

fay  nous  roir  de  noz  yeuiz 
Apres  ceste  misere 

0  Clemens.  0  pya 
Recoy  noslre  priere 

0  yirgo  maria 


FINIS. 


Autre  Uumf^c  a  nosfrc  iame  «ur  la  U- 
tieuT  be  Yive  (e  pape  et  (e  )>on  rog  {rancow. 


0  maria  siella.  sault  oyes  noz  voix 
Humble  puccllc.  mere  du  roy  dcs  roix 
Qui  sur  la  croix.  dc  Ion  sang  prccieux 
Kous  fist  la  voye.  dacqucrir  part  es  ciculx 

A  toy  marie,  vint  gabriel  disanl 
Ne  te  soussye.  de  toy  sera  naissant 
Le  tout  puissant.  A  quoy  tu  respond iz 
Yecy  sa  serve,  soit  fail  ce  que  tu  diz 

To  vierge  en  somme.  dieu  le  filz  engendras 
Sans  congnoistre  liomme.  vierge  ten  d^livras 
Vierge  seras.  vierge  es  et  vierge  fux 
Si  es  la  porte.  du  paradiz  la  sus 

A  ta  louange.  nous  fist  dieu  racbeler 
Et  par  son  ange.  paix  en  terre  apporter 
Si  fault  noter.  que  par  son  doulx  salu 
Fut  le  nom  dcve.  en  avtt  revolu 


I0» 
Tu  fuz  adoDcqueSi  commise  a  nous  tenser        ^ 
Plaisc  toy  doncqaes.  entendre  a  dispenser 
Tiostre  pcnser.  a  ta  devotion 
Car  dieu  ne  saulve.  qua  ta  relation 

Monstre  toy  mere,  de  qui  pour  nous  est  ne 
Tant  quil  apperc.  son  throsne  illumine 
Estre  incline  a  toy  vierge  obcyr 
Et  la  priere  de  tes  servans  oyr 

Par  ta  clemence.  tc  plaise  estre  a  genoulx 
Pour  nostre  offense,  devant  ton  ihesu  doulx 
Afin  que  nous,  puissons  estre  records 
A  ton  excmple.  destre  misericords 

Nostre  poursnite.  si  est  iinablement 
En  ta  conduite.  fay  doncques  tellemcnt 
Que  sceurement.  puissons  droit  voyager 
Soubz  ton  cnsaigne  pour  avccq  toy  logicr 

La  par  ta  grace,  serons  tons  assousiz 
Quant  face  a  face,  verrons  ibesus  ton  filz 
Tu  qui  le  Hz.  Bicn  en  peus  disposer. 
Te  serve  doncques.  qui  veult  la  resi>oser 

An  loz  du  pcre.  du  filz  du  saint  esprit 
Et  de  toy  mere,  soit  nostre  chant  cscript 
Et  de  coeur  dit.  esperans  quil  vauldra' 
En  cclle  gloirc.-  qui  iamais  ne  fauldra 

Amen 


ILouan^e  a  mnd^  atKerine  sur  (a  fe^ 
neur  be  Fautfe  ^r^ent  est  boteur  non  ipa^' 
reide. 


Gaude  gaude  glorieuse  pucellc 
Catherine,  qui  tant  as  solistenu 
Pour  ton  espoux.  ihesu  quas  obtenu 
En  paradiz.  lieu  de  seconde  ancelle 

De  grece  feuz.  en  ton  temps  la  plus  belle 
De  quatorze  ans.  iille  de  puissant  roy 
Mais  tu  laissas.  son  triumphant  arroy 
Pour  taccoster.  a  la  liguc  immortelle 

Tu  surm6ntas.  en  doctrine  et  loqaelle 
Tous  escoliers.  datheoes  a  tes  lours 
Si  que  tu  fuz.  et  seras  a  tousiours 
De  nostre  foy.  miroir  et  la  chandelle 

Maxence  empreur.  en  senty  la  nourelle 
Mander  te  fist,  pour  ses  dieux  adorer 
Mais  quant  la  vins.  bien  lui  sceuz  remonstrer 
Son  grant  abuz.  par  raison  naturellc 


107 
Pour  respondre  a.  tes  arguioeiis  appelfo 
Philozophes.  legistes  advocalz 
Mais  quant  ce  vint.  a  dispuier  le  cas 
Bien  tost  les  euz.  toarnez  a  ta  qucrellc 

An  coeor  en  eut.  Maxence  yrc  mortclle 
Vengeance  en  print,  car  lous  les  fist  ardoir 
Mais  tu  leur  Hz.  de  dieu  tel  grace  avoir 
Que  Toulentiers.  receureni  la  morl  telle 

Pois  Tint  a  toy.  Le  tyrant  infidele 
Disant  se  tu.  voulois  abandonner 
Ihesos  quil  te.  feroit  puis  couronncr 
En  son  palais.  en  la  plus  hauUe  sclle 

• 

Refuz  en  Gz.  si  te  tint  a  rebbellc 
Son  inpiter.  iura  mars  ct  Bachus 
Qoil  te  feroit.  en  despit  de  ihesus 
Martirisier.  dune  guise  aspre  et  felle 

Ta  donlce  chair  qui  tant  fut  blanche  ct  frelle 
A  graux  de  fer.  fist  il  lors  descbirer 
Ce  quen  plaisir.  pour  dieu  voulz  endurer 

Non  redoubtant.  paine  ou  mort  corporelle 

• 

Remise  fox.  en  lobscure  tournellc 

Par  douzc  iours.  sans  boire  et  sans  mengier 

La  Tint  ihesus.  pour  ta  pjaine  allegier 

En  demonstrant.  quil  teut  prinse  en  tutelle 

Le  faulx  tyrant  que  lueifer  harcelle 
Triste  et  marry,  du  miracle  evident 
Par  ses  bonrreaux.  te  fist  publicquement 
Noe  amener.  comme  au  bouchier  laignelle 


108 
Et  non  saichant.  nuHe  mort  plus  eruelle 
Kaisoirs  (renchans.  en  roues  fist  ancrer 
Ou  mise  fuz.  mais  langle  y  vinl  entrer 
Qui  decoppa.  bourreau  corde  et  vielle 

Des  assistans.  eheurent  la  pelle  melle 
Troiz  mil  et  pluz.  que  langle  extermina 
Tu  saulve  fuz.  Maxence  en  fulmina 
Ma  la  pour  tant.  sa  fnreur  ne  rapelle 

Aienoperreiz.  fist  copper  la  mamelle 
La  teste  apres.  pour  ce  quen  la  prison 
Toy  visitant.  la  fiz  proire  en  iheson 
Martire  fut.  et  porfire  avecq  elle 

Autres  plusieurs.  a  lexemple  dicelle 
Vouldrent  morir.  Baptesme  requerant 
Dleu  les  recent,  dont  le  villain  tyrant 
Guide  enragier.  mais  son  dueil  en  coeur  cellc 

Seconde  fois.  te  mist  a  la  couppellc 
Pour  tabuser.  soubz  umbre  dc  pite 
Nais  tu  lui  diz.  vaten  vieu  rassote 
Ihesus  ay  prins.  qui  mattend  en  sa  celle 

Voyant  enfin.  que  ny  vault  sa  cautelle 
Ne  ses  tourmens.  a  toy  faire  branler 
Pen  iours  apres.  il  teufist  decolcr 
Dieu  le  permist.  pour  te  mettre  a  son  eslc 

Sy  fut  le  corps,  prins  dc'  la  damoisclle 
Et  transporte.  par  angles  sur  le  mont 
De  sinay.  scs  relicques  y  sont 
Visitojis  les.  soyons  de  sa  scquelle 


109 
Dieo  qui  donnas,  sur  ce  mont  la  parcelle 
De  la  loy  a.  moyse  ton  bregicr 
Ta  &i  illecq.  Catherine  herbergier 
Tant  quil  en  feust  memoire  universeile 

Octroye  nous,  a  la  priere  dellc 
Qoao  derrain  iour.  que  de  cy  partirons 
Pdissons  monter.  se  bien  la  ser?irons 
La  sus  aa  mont  de  plaisance  eternelle 


FINIS. 


Clianson  beis  su^ccs  jsut  (a  Baiaitfe  be  Ma- 
n^gtiaii  ef  aux  U,  teneur  be  Yene^  au  pout 
bes  pierres  BnijglieUnjs;  et  y^nUxB. 


Seignears  oyez  des  soyces 
Qui  tant  font  du  grobiz 
Ilz  ont  laissie  leurs  lices 
Lears  yaicbes  et  brebis 
Venans  peres  et  filz 
Sar  ie  franc  roy  de  franco 
Largent  du  crucifix 
Les  mist  eu  ceste  dance 

Ce  fut  quant  pape  iule 
Les  fist  ses  protecteurs 
Les  nommant  par  sa  bullc 
Des  princes  domateurs 
De  leglise  recteurs 
Et  de  ia  sainte  ligue 
Lempirc  et  ses  trompeurs 
Au  roy  firent  la  figue 


Ill 


Leor  conductier  sc  €lame 
Cardinal  de  syon 
Qui  fait  bruyre  se  fame 
lusquau  roont  de  syoa 
II  a  fait  maint  sermon 
Pour.unyr  cos  bellitreg 
Tant  qua  trouve  facon 
Davoir  chappel  et  mittret 

Par  monferra  passerenl 
En  ast  Tindrent  apres 
Marraboys  y  trouverent 
Buvant  notre  vin  fres 
Eux  ensemble  a  grans  tretz 
En  emplirent  leurs  gaves 
Et  pour  lavoir  plus  prcs 
Concbirent  en  noz  caves 

En  la  povre  astesane 
Qoatre  mois  embuscba 
La  gent  marrabesane 
Maint  bon  homme  y  torcba 
Aui  femmes  nattaucba 
Montault  scet  de  leur  sUlle 
Car  ung  deulx  embrocba 
Le  core  de  la  ville 

En  la  povre  astesane 

A  mangie  maint  poullet 

La  gent  marrabesane 

Et  baillie  maint  souflet 

Piz  est  que  ung  sil  vous  plet 

Caballieros  grant  roaistre 

Par  faulte  de  mulet 

Vint  chevaucbier  le  prebstrc 


at 

Dast  se  parti  rent  suyccs 
Quant  curcnt  rasibus 
Embaurre  leurs  pellices 
De  melons  ct  clibus 
Or  feront  ragibus 
Sur  le  roy  qui  savance 
£t  feust  il  belgibus 
Trouver  liront  en  franco 

My  passer  la  montagne 
My  macer  monteniz 
My  brusler  la  champagne 
My  squarcer  fior  de  liz 
My  pigler  san  denyz 
My  scacer  roy  francisque 
My  Yoier  qua  paris 
Tout  spreke  a  la  todisque 

Vers  pjemont  et  saluces 
Sadressent  a  grans  flolz 
Garniz  de  poulz  ct  puces 
Mieuiz  que  de  cavalofz 
Leurs  labours  et  siflotz 
Par  tout  ont  ouvcrture 
Pinerol  iusqua  los 
En  senty  la  poincture 

Hz  ont  prins  Ic  passaigc 
Mais  mal  lont  retenu 
Car  maulgre  leur  visaige 
Fraficoiz  lont  obtcnu 
>     Lc  roy  de  ca  vcnu 
Lcur  fist  telle  vesarde 
Que  bien  cussent  vollu 
Tourner  a  sauregardc 


Al,»^XTf 


IIS 

A  Tillefranche  vindrent 
Blarraboys  ioindrc  au  pas 
Francois  la  les  surprindrent 
A  Iheure  du  repas 
Eschapper  nen  sceut  pas 
Seigneur  Prospre  leur  maistre 
Lui  et  ses  sattrapas 
Payeront  la  menestre 

Snyces  lors  sesmayrent 
Si  se  sont  deslogiez 
Saigement  se  retirent 
Tons  ensemble  arrengicz 
Comme  cbiens  enragiez 
Sur  chiras  se  vengierent 
Francois  les  ont  chargiez 
A  milan  se  cachierent 

Soubz  umbre  de  concorde 
Messaiges  ont  trammis 

r 

Au  roy  quil  sc  recorde 
Quilz  feurent  bon  amiz 
Encor  le  seront  ilz 
Se  pour  argent  ne  reste 
Si  que  tout  fut  remiz 
Et  la  peccune  preste 

0  franc  roy  ne  te  fye 
De  ces  suyces  faulx  gars 
Car  leur  foy  ie  taffye 
Ne  vault  pas  deux  lyars 
En  iouant  de  leurs  ars 
Vng  tour  la  praticquerent 
Ou  milanois  fringars 
Leur  couraige  monstrcrenf 


114 

Trenle  mil  youeriicques 
Oultre  ceux  de  milan 
Vindrent  traynnant  leurs  picqucs^ 
Tout  droit  a  marignaa 
Cuidans  seeretement 
Trouver  gaulx  en  sarprinse 
Mais  on  a  bien  souvent 
Oy  corner  sans  prinse 

Sur  le  franc  roy  sallirent 
Cornans  comme  vachiers 
Francois  les  recoeiUirent 
A  guise  de  bouchiers 
Landsknects  ayenturiers* 
Si  bien  les  enlarderent 
Que  le  moins  deulx  entiers 
A  milan  relournerenl 

Vingt  mil  et  davantaige 
De  ces  suyces  mastins 
Sont  remaiz  en  bostaige 
Au  lour  de  ces  bauUins 
Plus  ne  buvrons  noz  Tins 
Gaulx  ont  percie  leurs  trippes 
Au  deable  les  quaitrins 
Quilz  eurent  en  leurs  gippes 

Pour  leur  doeil  plus  accroistro 
Deux  mil  deulx  en  fuyant 
Feurent  ars  en  ung  cloistre 
Cuidans  estre  a  garant 
Pou  feust  le  demourant 
Se  le  roy  a  sa  gloire 
Eust  este  consentant 
De  suyr  le  vicloirc 


115 


Leur  cardinal  seo  tricque 
Qui  remaint  la  sondan 
Plus  ny  vault  sa  praticque 
De  preschier  a  miian 
Laissant  maximian 
Deffendre  la  fortresse 
Mais  he  la  tint  pas  Ian 
Car  irop  eut  grande  oppressc 

Comme  saige  abandonne 
Cbasteau  penple  et  cite 
Da  roy  qui  lui  pardonne 
Sera  bien  appoincte 
Et  par  trop  oiieulx  traicte 
Quen  celle  brouderye 
Onltre  monts  est  trote 
Vers  franee.  et  tyre  vyc 


FINIS. 


ttlian)5(m  et  complatttfc  bunc  josnc  iiite 
mariec  a  ung  vicitlarl  iatoug.  jsur  (a  tcneur 
ilc  Mon  pete  wa  bonne  wat^  a  ^ui  la  Bar- 
he  gxm  point- 


Venus  a  toy  ie  me  complains 
Dun  vieu  mary  quon  ma  donne 
Rudde  iaioux  roy  des  villains 
Au  deable  soit  il  comdampne 

Tousiours  brocardc 

Que  ie  me  farde 
Mais  pacience  marion 
Elas  pour  quoy  se  marie  on 

Lc  nez  a  roux.  les  yeulx  coulans 
£t  belle  fourme  de  pourpoint 
II  est  trouse  par  my  les  flans 
Comme  ung  barril  et  bien  en  point 

Pour  en  brigade 

Faire  gambade 
Et  bragbes  comme  un  ian  gippon 
Mais  il  a  myne  dc  chappon 


Quant  couchiez  sommes  en  effect 
Le  repos  cherche  et  ie  ieu  fuyt 
II  poit  et  ronfle  tout  a  fet 
Or  advisez  quel  beau  deduit 

Pour  excusade 

Fait  Ie  malade 
le  ne  say  sil  a  mal  ou  non 
Mai  mariee  cest  moo  nom 

Maudit  soit  qui  premiers  parla 
De  malier  a  tel  lionignart 
Se  ie  le  fay  passer  par  la 
On  ne  Ie  praingne  a  male  part 

Teste  pdlade 

Et  fille  rade 
Ne  sont  dune  complexion 
Mais  ie  pentir  ny  a  saison 

Parlcr  ne  puis  sans  grant  dangler 
A  mondain  prebstrc  ne  convers 
Car  le  yiilain  croit  dc  iegier 
Et  prend  toute  ciiose  a  revers 

Se  quelque  aubade 

La  malinade 
Me  font  CCS  gentilz  compaignon 
lauray  du  groing  et  du  gnon  gnon 

Puis  vcult  savoir  dc  iour  en  iour 
Ce  que  ie  file  et  dont  il  vient 
Sc  seulement  voy  iusquau  four 
La  cause  dire  lui  convicnt 
Mais  quoyquii  tarde 
Ie  la  lui     garde 


117 


118 

Pour  lui  fairc  ung  lour  dc  brcton 
Monslrant  qiril  a  sens  de  mouton 

Sil  est  ialoux  il  nc  men  chault 
La  paix  au  lit  fay  quant  ie  veulx 
Plus  brait  et  groingne  et  mains  Jui  vault 
Ie  men  riz  entrc  deux  lincculx 

Que  mal  feu  larde 

A  la  lombardc 
Me  cuide  tenir  en  prison 
Sit  est  cocu  cest  bien  raison 

Fy  fy  de  ceulx  qui  vent  disant 
Que  soubz  ung  ricbe  bomme  grison 
La  ione  fiUe  est  triumphant 
Car  trop  vault  mieulx  dun  beau  garson 

La  doulce  oeillade 

Questre  babillade 
De  soye,  et  de  la  chose  non 
Qui  tient  en  ioye  une  maison 

Filles  pourtant  sc  me  crerez 
Et  que  bon  tem^ps  vueilliez  avoir 
A  ces  grisons  ne  vous  ioindrez 
Pour  argent  ne  pour  autre  avoir 

Car  leur  bugadc 

Trop  est  mausade 
Vive  chair  ione  et  vieu  poisson 
Ccst  Ie  refrain  de  ma  chanson 


IIMS, 


Cliaiwon  bxme  bergierc  %vix  la  ieneut  5>e 
I3  T^eUfantanie* 


Lautre  ionr  cbevaulehoyc 
De  paris  a  lyon 
Ic  rcncontray  bergiere 
Qui  gardoit  ses  miDuton 
Bon  iour  bon  iour  la  belle 
Bon  iour  le  compagnon 
Ung  baisfer  lui  demande 
La  me  dit  pourquoy  non 
Descendez  sur  Iberbette 
Sortez  doulee  cbanson 
Des  oysolletz  sauyaiges 
Autour  de  ccs  buisson 
le  massif  empres  ellc 
Ma  teste  en  son  giron 
Damours  fut  ma  querclle 
Non  de  religion 
Puis  lui  diz  ca  la  belle 
Montcz  sur  mon  grison 


120 

Si  vous  menray  csbalre 
lusqua  la  garnison. 
La  vous  feray  grant  chierc 
Si  vous  donray  beau  don 
Habiz  aurez  dc  soye 
Escuz  ne  vous  fauldront 
Respond  i  la  bregicre 
Laissiez  voslre  sermon 
Mieulz  aynie  eslre  veslue 
Du  simple  cottillon 
Et  porter  a  la  pluyc 
Beau  mantellet  de  ioncq 
Qua  la  gendarmerye 
Me  mettrc  a  labandon 
Mes  parens  et  mon  pere 
Mary  bien  me  donront 
Qui  soil  bille  pareille 
Bergiere  a  bergeron 
Gardant  noz  brebisettes 
Beaux  capelletz  ferons 
De  ces  plaisans  flourettcs 
Chacune  a  son  mignon 
Et  saurons  pou  monnoye 
Au  moins  nous  cbanterons 
A  tant  prins  congie  delle 
Disant  or  adieu  dont 


FiyiS. 


Aufre  clwuiwn. 


Qui  Veult  oyr  belle  chanson 
Dune  filletle  de  lyon 
Qui  damours  fut  requise 

A  le  boue 
Eh  Tenant  de  leglise 
Mais  elle  en  fut  repr|nse 

A  Ic  boue 

Vug  bon  compain  lui  yoult  donncr 
Cent  florins  pour  la  marier 
Mais  quelle  feust  samye 

A  le  boue 
Prencz  les  ie  vous  prye 
De  coeur  les  vous  octrye 

A  le  boue 

A  la  m^re  sen  conscilla 
Qui  dit  que  bien  la  gardera 
De  ceste  maladye 

A  le  boue 
11  pent  bien  dire  pyc 
Car  il  ne  laura  mye 

A  le  boue 


122 

Les  amoreux  du  temps  present 
Font  des  promesses  largement 
£t  monstrent  mayn  garnye 

A  Ic  houc 
Mais  folle  est  qui  si  fyc 
Trop  couste  la  folye 

A  le  houe 

La  fillete  ne  youIu  pas 

Son  conseil  croire  en  cellui  cas 

Car  elle  eut  plus  grant  ioyo 

A  le  houe 
De  gaignier  la  monnoy 
Cent  florins  de  savoye 

A  le  Uoue 

Cent  florins  sont  beaux  et  luisans 
SeUe  eust  fille  vint  et  cincq  ans 
Voire  toute  sa  vye 

A  le  houe 
Toute  sa  filleryc ' 
Neo  vauldroit  la  moiciye 

A  le  houe 


FIMS. 


/ 

3R<mbeau  en  {(amcnj.      / 


Florens  hauTVcel  vriendl  vuyt  vcrcoren 
Van  comdi  nv  dns  Troech  ghegaen 
Men  seydc  dat  ghij  vvuert  ycrloren 
Florens  hauTTcel  vricndt  vuy t  vercoren 
En  T>'iU  y  doch  vp  mij  met  sloren 
Al  bebbie  dit  rondeel  gedacn 
Florens  hauyyecl  yriendt  yuyt  ycrcoren 
Van  comdi  ni  dus  yroech  gbegaen 


compose  pav  ^i$a\t{cMxon 


E(m^eau  baTrumtis  cotnpojKtf  ^ar  jsiignUication 


Amour  fait  moalt  sargent  detj  se  mesle 
Car  mes  cincq  sens  sont  en  trauail  pour  celle 
Be  qui  louange  Ast  ore  est  anoblie 
Cest  noon  escu  enuers  melancolie 
£t  mon  deport  mon  mire  et  ma  tutelle 
Corps  et  viz  a  de  figure  immortelle 
Puis  a  franc  coeur  et  loeul  qui  ne  depelle 
Mon  bon  espoir  ente  de  noubliemie 

Amour  fait  moult 

lay  sceur  acces  Ters  sa  ronde  mamelle 
Qnatouchier  ose  et  me  repais  sur   elle 
))Qn  franc  baisier  au  remain  ie  diz  pye 
Us  felle  truffe  et  ioue  a  la  ioupye 
De  moy  ne  say  sy  ne  la  croy  point  telle 

Amour  fait  moult 


kuUi  rondeau  ^e  mm^. 


Ce  nest  qnabuz  damonrs  et  sa  qnerclle 

Pcfnsez  que  cest  folic  universelle 

Antres  servans  et  ie  sommes  pres  las 

De  ses  faulx  tours  et  mi  mors  en  ses  las 

£  dieux  ie  crois  que  raison  ne  sen  mesle 

Attrapez  seuz  et  nriz  a  la  couppelle 

Dedens  sa  court  si  vins  languir  pour  celle 

Qui  or  me  trompe  et  par  qui  diz  helas 

Cenestquabuz  ie  la  cognois  si  nc 

Leuz  pas  pucelle  force  monnoie  a 

Corde  sa  vielle  et  maint  cocquart  y 

Anvie  a  bourseaux  platz  ponree  y  r^nonce  et  re 

Metz  telz  solas  aux  nouTcauIx  qui  mieulx  daiisent 

Au  cbant  dclle  ce  nest  qtiabuz. 


Amour  fail  nimilt  s.ir);t'iit  dety  it  nifsle 


Oir  aies  cincq  sens  mihI  en  Irtiiail  pour  edie 


Ast  ore  est  anohlie 


C«Bt  mnn  escii  enaers  raehncnlie 


Et  ni(in  (Ivporl  iiiun 


Mire  el  mn  Inlrllo 


Corps  el  ris  >  4f 


Figure  irauiorlalle 


Pais  a  franc  coeur  et  loeal 


Hou  bon  M[Kiir  «nt«  dr  noiiMieiBie 


Amour  fnit  iiintrll 


lay  Meur  aisucs , 


\CIS  SB  rotdr   OMnMlIC 


^ualoucliier  ute  et  me 


D«a  fruc  btUwr  ka 


Kejiajn  ie  dis  pye 


las  »rJIe  trirfft  et 


law  a  h  toHjtje 


He  HKiy  no  say  sy  ne 


Iji  nfijr  iMtnt  I  rile 


Attiuur  fait, moult 


r.c  iiMl  qtiii'uz  dam>iir> 


Autrcs  (it»*aiw  rl 


le  foinaiM  pra  Iw 


De  kfls  faulx  tours 


El  mi  Diurs  en  sts  las 


E  ixmx  ie  cruik  qiM 


.   AtlrajieE  seiii  et 


Nil  »  ta  coii|tpclla 


Si  tins  languir  pourceHe 


Qyi  or  HM  lri>in|)e 


F.t  par  q»i  dii  hflnti 


Et  matnl  cucquart  j 


NuHc  a  bnursuaux  plats 


I'ourec  ;  rignonct  el  re 


Mcti  tuli  solus 


Cc  ncs(  quabiit. 


ittadjacouea 


s 


MacWoneit    contra  tnadiarMeam    Bas^ 
sani  a^  spcctal)i(cm  ®.  Baftasarcm  Lupum 


O  (u  qui  Unquam  quondam  d'orjenlc  v^nisscs, 
Oflcrrc  munera  ¥ocaris  ffoniioc  magi 
El  dc  cognomine  spaYcnlas  pccora  campi. 
Quid  agis,  quid  pcschas,  quid  liabc$  aut  gaia  ligare 
Quid  nibli  scribis  quaiiler  le  regerc  vales 
Istic  Papie  nee  quali  f route  Irinmplias 
Cum  sociis  illis  milaneysts  seu  lizadrinis 
Qui  jam.  jam  voleiil  rebeche  excedere  sensum. 
Ilic  me  lassastt  9olum  defendere  causam 
Gallurum  contra  cacaaangues  hi  Longobardi 
Ast  habilantes.  Nostris  dormemlo  sub  umbris, 
Et  qnibus  bastat  aiiimils  Irufare  maiores 
Vnde  me  trovant  vcniuut  in  lurba  ghignando. 
Cum  certos  versos  qui  sub  colore  Vitonum, 
Sen  Biarronorum  Savoyam  circa  manenles 
Ipsos  Franxosos  vilipendunl  usque  a  la  mcrda 
Uos  bapiiianles  magniiK^  ^nzaparolos 
^n  cbiavorioos  quod  non  soffrire  debemus 
Cam  nos  Aslciises  repulemur  undique  Gallos. 
Dicvnl  tillerius  qui  dc  Tapia  venerunt, 


150 

Quod  versus  illos  Codiceni  lassando  Digest! 

Sludes  et  peysas  fcrrum  iuRgendo  a  la  cazza 

Tanquam  Lombardus;  hoc  quod  non  credere  possum. 

Guarda  quid  facias;  sindicatores  habebis. 

Pater  et  barba  ^tui  stent^at  te  facere  vu  bomuni 

Scio  tibi  dicere  quo  si  te*fore  t^gnoscent 

])e  variveUis/aut)  scbolas  perdere  tempus 

Certe  dum  veneris,  aoi  pro  pecunia  scribes 

Te  forsan,  forsan  facient  iiha  ocba  parere. 

Nota  quod  etiam  si  vis  cereare  sutilis, 

Nos  arnlK)  invenies  Gallorum  genuine  natos, 

Et  dicent  gentes  da  San  Damiane,  trabucho, 

Seu  cagapisti  suis  tremenare  solentes. 

Hoc  propter  laudo  similo^  accipere  versos, 

Cum  «carlapacio  4ibi  storchiare  moreUoin 

Tanquam  coropositos  animi  passionc  reversi. 

'  Auiorem  novimus  alias  fuere  balutom 

Cum  Savoyenghis  gallicam  sustioendo  qnerdlam, 

Sed  postquam  sibi  disciplinam  seu  staffiUttts 

In  quandam  staRa  dederunt  hit  Savoyengbi 

Quos  abbarraverat  monstrando  sc  nigroauuitaiii 

Voltavit  cartam  sforzando  dicere  contra 

Non  potens  equnm  cercavit  batere  sellara 

Et  quamvis  ipse  sit  /de  lizadrica  sorte 

Ex  habiteycis  tamen  inscrib^re  versus 

Cum  Pemonteysis  rolnit  se  ponere  stronxum 

lit  stronzi  fecerant  cum  pomis  quando  dicdiafit 

Yagando  in  mari  nos  poma  quoque  natamos. 

Si  me  iuvare  velis  qui  noscis  quo  pede  lopiat 
Doo  si  non  facimus  caramellam  ponere  saceOy 
Et  ut  non  tantura  valeas  tibi  rompere  zoebam , 
Hoc  paucuro  videas,  quod  in  scorreuza  notavl, 
Non  per  opprobrium  ncc  per  concurrere  doclis,  • 


Scd  propter  pugnani  pro  patria  capere  tantum. 
Satis  tu  nosti  me  non  ridisse  poetas, 
Et  si  barl^rear  per  non  intcndere  regiam 
Fatigam  notes,  mcnsuram  vade  a  la  ccroa; 
Corrige  si  placet,  snppleasquc,  dcindc  remanda. 
Scusare  targam  resistere  contra  braglfardos, 
£t  frapatores,  frapis  qui  vincere  ponsant 
Lombardis  qifcmqiiam  noti  decet  macharonarc. 
Quod  si  bcycanl  digitos  tres  ante  nasellum, 
nil  se  comperiunt  buscam  qui  quairere  roluht 
Oculis  altering,  tral)es  ascondcrc  snis, 
Et  at  intendant  nos  ancba  facere  versus 
Et  qaod  in  ipsis  mangagna  dare  videlur 
Absque  knicolis  rolumus  respitfere  orinam 
Ipsonim  lizadrnm  forza  est  schiattare  iavcllum 
£t  bic  in  norma  receptam  scribcrc  suam. 

Tanll  sunt  bodie  lizadrelli  sea  polledroni 
Et  zantillastri ;  partem  quod  dens  habebit, 
Et  quod  in  brere,  si  non  tcmpesta  rai'escit, 
Sine  candela  besognabit  ire  cagatum. 
Vigioti  septem,  ycI  ultra  saepe  videbis 
Ad  urabram  stantes  fici  sub  arbore  sicca 
Usi  menare  bores,  terrasque  arare  celoyra, 
Et  ferri  saper  aglium  comedere  mertsam 
(Snbtatellrgitiir  la  massa^  et  quando  volebis 
Ronchdre  cerbora  poteris  trfginta  pechionis 
Ex  his  zantilibus  b^nara  firmare  dozenam; 
PominicSs  tameii  illos  non  esse  putares 
Repatafolijsiassando  pigna  gonelli 
Cum  garardinis  da  festa  se  repoliscunt, 
Et  cum  bonetts  viridi  de  piga  veluli, 
Per  zentillomlnos  volant  se  osteirdere  graves. 
A^ice  ram  fiocant  nobis  bic  rodere  costas 


t»2 

Ad  C5rnasalem  monslrnnJo  for:',  parcnlcs 
More  qiiistoiTico,  pifrorutn  gen^rc  tanquam, 
Domi,  qui  pcius  alibi,  quam  stare  dicantur 
Habenl  in  patriis  caiTsliam  putaginarum 
I  (  cum  noslrabus  pcnsant  forbire  musellum, 
Noctc  per  fangas  vadnnt  cercando  amorosas. 
Doy  fate  a  la  fincslra,  yolunt  cantarc  fasoli 
Super  tagulum,  irenicnlique  voce  caprixant, 
Plangunt  ct  huUuIant,  volunt  andarc  a  lioferno 
Cum  boiia  gratia  velut  mareadine  caules 
Illos  (u  diccres  caga  straiisire  de  (iancho. 

Certa  scrventa  galoisa  in  rua  carrera 
Fa&tidio  mota  cum  ghinlernare  venircnt 
Quando  dormierat^  iinestrr.c  AUda  kvavit^ 
£t  cum  ncsciret  alitcr  scaciare  gcneam 
Topinum  captcns  de  pisso  fecit  aspergcs 
Dicens  compagni  parcatis,  ite  eum  Deo 
Garacg  sunt  care,  sufficit  habere  broetum, 
lordani  vero  valdorcliis  esse  crcdebant 
tbi  anaorose  reiiciunt  cum  ravetinis 
Compostc  crude,  vel  cum  zanzibrio  dulci, 
Et  quando  vadunt  ad  feslas,  uude  baiialur 
Non  appropioquant  dami^ellis,  guarda  la  gamba^ 
In  pede  remanent  semper,  a  longe  sUrati 
Trisli,  smarriti.  parent  volt  saoclo  de  luca 
Cum  suis  barbucijs  bracbios  in  cruce  tcncntes 
Perlighas  si  tanquam  comedissont.  O  cavigioni^ 
Ilic  bene  accorzimus  quod  ex  triginla  denariis 
Tractatu  jude  non  babent  neque  fucrunl 
In  paradiso  terrestri  mordere  pomum 
Si  propter  donas  fugiunt,  ut  gente  caslrata 
Nee  osculare  valent,  vergogna  semper  accorat, 
Partibus  in  nostris.  £t  si  quandoquc  basabu&t 


155 

Pro  parcnicILi  »(>iiis  serraliir  in  e\s 

Auric ulam  semper  quod  basant  prope  copizuni 

Sed  inler  ipsos  liomincs  sc  in  hore  basabunt 

Taoqiiam  schiOoftJ  quod,  si  sc  rclro  ba^sareol, 

I*i)sscb(  iBorfcJosos  ibi  sc  (rovare  soenzujn. 

Hi  hsbA  dicere  dc  CaUis  ad  mala  peius 

Casoncm  salis  hUchdiinus  undo  procodil 

1st  quod  Done  prepric  Lombardc  dum  cognovcrunt 

Uic  ultra  niontcs  Gallorum  gcsla  amorosa 

lllos  rccollgunt  libentcr,  atque  dcsirant 

Et  si  nunc  csmI  licitam  baratarc  mariloa, 

0  quot  vidcrcs  com  gallis  ire  solazum, 

Quos  cum  sola  vice  possont  vlderc  passando 

Vartlos  ipsos  diligunt,  jit  sathana  crucem 

lilosqne  facfunt  arrabiarc  dc  iclosia,. 

Inde  non  roiror  cum  sit  differentia  magna 

Dc  gallo  ad  asinum.  Ccrte  non'iuvat  n\erc«« 

In  domo  eiaodi  sieut  est  usama  I'apiae. 

Ace  fraociglioncs  a  la  chiamare  boiigla 

la  sob  scossale  potaOeluor  quia  bene  trovaiii 

Voveri  raariti  vix.  mereni  bib<^e  fecem 

Cum  semper  &(iidea«i  jpinam  ficbare  reboso; 

I'ndc  dome  ipse  magiuun  inleresse  paitscunt 

Sic  quot  boc  nomen-Loinbarflum  quoquo  se  vertat. 

Inter  feminabus  abboritur  usque  ad  bebreos*. 

Licet  bic  dicere  de  vcstintentis  eorum 
El  cum  qua  gratia  Mediolani  nunc  babigliantur 
rostquam  rex  noster  ibi  innxit  ad  Segnoriam 
Volunt  macbalui  robas  lassare  a  pigbonis 
Sen  da  rosieriis  renovellando  fazonem, 
Et  contrafacere  Franzesos  cum  la  mascberpa 
Tanquani  da  nobilis,  sed  per  sparmiarc  quatrinos 
Rer^rsant  Teteres^  tomporibos  avi  besavi, 


m 

Bloiigiiii,  lurcke,  caparroni,  passa  volanli, 
Ciuarnaclie,  ct  cetera  (aciunt  transire  a  la  moda, . 
Et  quando  dieimus  a  la  franzosa  non  esse 
Quia  semper  scarsas,  miserasque  in  dorso  cusi(as 
Scusanl  m  Gallis  ab  antiquo  gente  balorda 
Nuinquam  fuisse  mensuram  ncque  rasoncm 
Nee  fozis  suia.  Ad  quid  tagliiicare  velodini? 
l^t  asgayrare  pannum?  Medium  (enucre  beati 
Non  tanien  opus  est  vesicas  vendere  nobis 
Invidia  pereunt  non  dieitur  prog  sine  labris, 
Quod  si  cum  Gallis  presumerent  ire  de  pari, 
Brusaret  certe  Bernardus:  Altro  ci  vole 
Fodras  si  portant  habent  ab  extra  praefilli, 
De  pelle  flne.  Castronos  semper  ab  infra, 
£t  si  pura  quaernnt  Gallorum  sequere  fosas, 
Deberent  illos  imitare  quoque  de  verbo 
Non  abusaro  gentes  contra  vestire  loqucUam, 
Sed  qui  vestiret  asinujn  de  spoglia  leonis 
Habet  a  patre  quod  nemo  (ollerc  >potest, 
Et  qui  tisqoe  in  India  portaret  vendere  gattum, 
Idioma  proprium^  Gnau  gnau,  est  dicere  semper. 
Lombard!  pariter  qua  ghisa  involrerc  tendaat 
Brignoni  nesciunt,  mo  mo  relinquerfi  «uunu 
Alu  sunt  plures  qui  vestLmenta  refaeta, 
Bis,  ter,  qaarlerqae  eambialem  trare  volentes 
De  toto  in  totum  tandem  a  la  spagnola  reducunt  ^ 
Similes,  ut  mascbari  portant  danciare  moriscam, 
Sed  veteri  veste  nemo  vestitur  boneste« 
Collera  v^luti  caetera  fustanei  busti. 
Sunt  zipparelli  quos  etreumcirca  trapunxunt, 
Atque  fortificant  durare  in  vita  de  rttis, 
Gorgeriam  semper  a  Tantiqua  striogere  c^llum, 
Lt  pingues  pareant,  robosti  atque  bisinfies 


i:(S 


Ei  spcrluccntcs  canis  teslicula  (anquam 

Cum  pugnalacijs  vadnnt  facendo  bravosum. 

Praesumat  nuRos  pro  bello  taogere  nasum; 

Sen  per  despresium  dicere  cacasangue  ti  renga. 
In  bjeme  tamen  duici  de  tempra  yidebis, 
Ij  de  frixano  parte  dc  visa  descendant, 
lllos  qof  facioni  per  stratas  dncere  canem, 
Valeni  tunc  melins  borzachtni  rescapinati 
Et  felln  bianchi,  qnam  spate  neqae  talocbe, 
Portando  barbas  propter  scnsare  pelizas 
Circa  mostacinm,  semper  qnod  frigore  rnbmm 
Paret  ot  cuUtm  baboyni,  ant  caro  missata. 

Unam  inter  alios  ridimns  in  santaugn^ino 
Katalibas  festis  meyneras  facere  volens 
In  sgalocfaiare  donas  Oxns  sabiatare  d'amoris, 
Et  spassegiare  longrnn,  krgas  sconfiando  maxillary 
Cum  pannizello  stracigando  in  medio  templi 
Sed  com  pensaret  grassum  pargare  caponem, 
Se  resonando  rolens  spnlare  rotundnm, 
Ecce  snbijciens  pulebram  ex  orruto  pneflam, 
Qoare  retlnttit,  faciemqne  roltando  embescit, 
Et  scarcagliacinm  strangorarit  eansa  honestatis, 
Ke  donas  graTidas  forsan  stomiare  fecisset. 
Lofflbardi  rero  zantili  qaantum  una  perla 
Est  magrram  damnnm  tarn  grande  babere  foramen 
Bis  in  hebdomoda  faciunt  lai^are  perrueham 
Pro  Termenezo  quod  crueiflgere  sollet 
Ad  barbam  radere  savonetos  et  aqua  nampha 
I'sant  communiter  ac  se  cum  mille  eareeijs 
Serrire  faciunt  usque  in  perluso  de  Fberbe, 
Respicere  potes'  per  easam  quomodo  yivuni 
Pditi,  ntttdiy  cum  scapulario  semper 
Usque  ragacif  vadunt  spasando  caminos, 


Nee  airagnalcs  relro  de  porta  vidcbis. 

1)0  Tordinario  noR  licet  diccrc  tihi, 
Vincit  svbrictas,  scand^igti  ponderc  canics 
Qiiatroncias  cuilibci  raro  dc  regula  passaL. 
<;uni  forccllino  propter  non  ungerc  piotas, 
Ossa  si  remanent  potagia  facerc  servant 
Mcrcaris  et  lune,  praeslanlquc  dcinde  vicinis. 
Lecardf  tanien  niangiant  ofelle,  busccha, 
Mt  ad  sasones  lacbinbrocb,  ravico  a  I'agliata 
Noselum  ubiquc,  macarroDi,  oazamelati, 
Gnocbi,  berlende,  lecabonum  cl  fava  menata. 
Inter  Lombardos  c^i  semper  vita  beata  . 
Lasagnas  cliam  dant  pro  imbialia  quinquc 
rienam  scutellam  casei  pojicndo  sexinum. 
I'orros,  quos  virida  pisses  dc  cauda  vocanms 
Cum  Stilc  in  mana  faciunt  scrossirc  da  pelrus. 
Kt  in  yvcroo  de  sero  quando  ccnatur^ 
l.umen  de  lumine  grisolariim  torcbia  respleiidct 
Et  super  mensam  candelabra  testa  matonis 
Cum  pisoculis  baculis  duobus  ad  ignem. 

TrufabuDl  postea  Franciosos  sorbcrc  broda». 
El  stulli  viri  nesciuut  inlenderc  casum. 
Quod  tanta  cassia  scusal  andarc  de  corpo. 
Ad  quid  Lombardi  sorbirent  tale  synopum, 
Gorgcria  impazat,  capiunl  tot  namque  supposlas 
Quod  quando  sallant  balando  (a  mazacrocba 
Videbis  plurimum  caligis  muzarc  mencstram 
Dc  pane  melligbe  sua  est  medicina  stopandi 
Ilunc  businellum  cum  facial  plangerc  gcatcs 
Quando  tranoditur,  el  post  grignarc  cagando. 

Sed  dimittamus  ea  per  non  ussire  prcposium 
L'l  parum  dicam  de  potestate  Pavcyso, 
Ac  de  largcssa  talem  quK  reddii  honorem, 


m 

Oua  caii!i  (rossio  posset  ubkiiie  pricnri. 
(>  niagnos  sumplus  ravanoriini  plena  liraciala 
l*orUbaiit  semper  niililes  fornire  palasuin, 
Straciando  vcslcs  ciladiiiis  cdcre  secum 
Et  si  coriUngcrat  ipsum  venire  de  foris 
l>c  nocle  semper  tatiqiiam  corrucha  arrivabat 
El  sine  slrepilu,  bagagia  ne  viderenlur, 
tiain  solo  famulo,  cavallazum  de  Machabeis, 
£t  mulam  vetiilani  postea  qttam  sero  menabaot 
Bialeriajii  bibere  cnm  sopravcste  pillosa. 
Qua;  |K)st  sciisabat  paramentum  dominicale 
Balconis  ponere  pro  statu  faccre  inonslram 
Nobtri  passali  qui  cognovere  nnturam 
Prosapic  istorum  deiiiceps  dcHberarunt 
Ad  hunc  officlum  Oallos  eligere  semper, 
Gentcm  magnanimam  civilali  reddcre  laudcs 
Et  cum  bancbetis  faccre  triumpbare  putanas 
Non  scarsiglonos  vcnlrem  qui  strin^'crc  sohint 
Ac  misercriuin  ponendo  in  corkina  Icgunl, 
Lassando  poslea  nos  Cives  maIm(?g1ioratc»s, 
Vadunl  pur  ctiam  doclores  lali  <!c  .sorle 
Trombarc  duxum,  carasque  faccre  siias 
Versus  Uononiani  non  est  de  pane  lucrando, 
^iec  pro  LomtKirdis  sunt  ptsces  in  Astcsnna. 
llic  in  officio  reniunt  se  vest  ire  dc  novo. 
Mam  quaies  vidcris ;  polerts  tu  scribcre  tales 
Vix  habent  certe  duai  iungunt  ipsi  raspini 
Ongiam  gratanJi,  cum  rcvcrcnlia  culum 
Quia  solam  tunicnm  porlant  atqae  lavczinos 
In  capilc  ct  postca  sub  de  tavolalio  vullu, 
€iim  sua  matbolica  pensanl  valcrc  Ja<;anein, 
Ino  si  indiginius  cohortam  prcslo  vidcbis 
Sicci  ul  areughi  |)0.sscs  avischarc  siiiTrino, 


158 

Ncc  dragmani  selves  pressorio  spremcre  iusi 
Sic  quod  ut  dubilo  non  eis,  Deo  (avenle, 
Numerus  accipilrom  poterit  excedcre  qaaglias 
Tunc  oportebit  studentes  ire  bordcUum 
Mangiare  libros.  Magistrum  surgere  ad  scquum , 
Cum  soleat  famis  lupum  scaciare  de  boscbo, 
Et  ad  bisognum  vetulam  irotare  necesse  est  j 
Nota  dc  iudice,  qui  cum  fettina  cognatis 
Per  coHationem  ieiunando  cum  Malabaylis, 
Trcs  michas  succidas  absque  zurlare  spaxavit, 
Unde  tale  carmen  nostri  dixere  poclae, 
ludex  Lombardus  bic  Ast  cum  sola  (ettina 
Cognali  zuchari  vidimus  voydare  canistrum. 
Quis  frapam  crederet  istorum.  poof.  Maremagnum 
Nihil  existimant  ducatorum  facere  strages 
Da  fornasariis  numerant  nugliaria  semper 
Scd  bene  scimus,  quod  arrancbare  lassarent, 
tnum  da  bergbcm  anlequam  spendere  qaartum 
Et  qaando  voiunt  sperforzum  facere  suum 
Et  ad  honores  pansuci  gerere  pompam 
Inducunt  sibi  qnarletos  impagliolaium, 
Et  cum  sofranati  auri  sputalocbe  catheois 
Passant  per  urbes  de  Modena  Pota  parentes 
Super  cavalis  sbolzis,  mulasque  trotantes, 
Quibus  aniucbi  cocale  seoi  patcrnostri 
Ad  cavalcantes  faciunt  venire  culeram 
Saulant  de  bibere  biavam  sub  cauda  ministrant 
Assidua  tussis  generat  da  lyra  corrczas, 
De  fornimentis  volo  bic  dcscribere  copiam 
Trcdecim  parochiis  solito  de  more  paysi, 
Desquaternatam  Bernabovi  tempore  sella m 
Falcire  faciunt,  scilicet  amborare  de  paglia 
Cum  stortij^lionibus  per  pon  cassarc  variscum^ 


Craperias  rubras,  a  la  dcvisa  sUfilo, 

ei  pectorale  ianam,  centure  caramdlale, 

Mille  bizoys,  cavigUctisque  repa(and(K, 

Ac  mzunentum  dc  carncrolio  fcrruin 

SUlEa  scnsare  solet  scarpis  cazare  bechinuiit, 

£i  qualis  abbas  talis  familia  semper 

Ex  quibos  unus  est  in  manu  cum  cavagneto 

Super  bascheria  sequitur  sachagnaiulo  magistriim. 

Ex  istis  quidam  inagnilicus  caput  de  squadra 
Maloro  aspedu  tonsus  berrete  pastclli 
Intos,  et  cedulam  propter  parere  letrutum 
In  urbe  applicuit  veslitus  paniiis  aricnti 
Com  inagno  statu  famiglos  de  lippelopum, 
Et  cum  passasset  platcas  more  civili 
Ad  bccbariaoi  videns  magniOcus  ilic 
Pendere  nastronem  brebtsle  se  approximando 
Et  coram  nobis  mostrando  se  libcraleih 
Cam  nnanibus  proprijs  cxpit  tastare  de.  pcyso 
Qaaerens  de  precio,  quasi  veHet  emere  tolum, 
Sed  dum  concurrere  Yider^t  copia  vuJgi, 
Tanqoam  si  nunquam  gentcm  de  bonore  vidisscnt, 
Et  credens  ipse  rairarentur  facere  speysam 
Voltarit  equum  dicens  cum  fronte  levata 
£1  nos  soldali  volumus  manducere  caroes. 

Ilic  aliam  vidimus  soldatum  vetulc  mennis, 
Et  fantusatum  vulnera  cui  magna  parebant 
Super  morgniflea  stropialum  in  altera  gamba 
Tamen  dum  iuvenis  valenthomum  credo  fuissc 
Ex  bis  qui  pugnant  spadazalis  absque  rudella 
Quatordcs  vicibiis  et  in  camisa  dcscaici: 
Sed  quia  post  mortem  Cogloni  Berlholomei 
Soldali  italic!  potuerunt  ire  a  la  sappa, 
Pauper  sgraziatus  vix  cum  iorueta  remansit, 


460 

Caia  ViUani  cum  frapis  slru.^i  pcHaln 

Non  cum  raniponjhus  pioglus  a  (^iuza  altacfiassc-t, 

J'H  slringa  hrncliijs  gipponazum  do  Viilaiiuva 

Qualer  quarleriji^  seguilando  calce  sulate 

I)c  Monforrinis  schiapate  inira  canaleni 

Cum  bandcrola  reCropcndenlc  ad  usque  Zonogfluiii 

Kustici  mombein  longior  camisa  gondii 

Fa^alijs  potefat  poui  sbamiaro  colouibos, 

Tamen  comparuit  tanquam  da  f  est  a  vcstilus 

lu  sanfraucisco  f  rat  re  prcdicante  dc  zochris 

Quod  anleclirislum  veniel  perscqucrc  f^cnte^ 

Magna  cum  gucrra  faciens  ccrcare  sodalcs 

Novos  el  velercs  usque  ad  liospifalia  ntarz;i 

llabens  dinaros  furiani  pagare  maniscum 

Audiens  banc  zorgnam  pauper  .salbelKus  ill^ 

Auriculam  sporsit  bonam  spcclando  novellani 

HI  quamvis  frigore  nasi  caiHlelta  cularet 

Alquc  in  zcrbinis  manus  scahlarc  IlmktoI 

Hoc  non  obstante  predica  finila  rosolvil 

Sic  ranchczando  dagnachi<ino  sequcro  fralrem 

.Scopcrlo  capitc  capani  tirandoquc  dixit 

O  paler  bone  mcssias  ille  qua  dies 

Has  paries  venerit  nobis  qui  dare  qualrinos 

llespondens  fraler  drxil  mirando  scaferlav 

Ft  lu  e\  illis  eris  najnque  pb\lozf>rgtKi  demoublrat 

l!unfuito  interim  facias  saHarc  niulanchara. 

Hie  mu!li  veniunl  similes  de  suite  brusutl, 

Sen  malastruli  tantuni  j-i  stribf»i^  poi-sem. 

He  pinchiarolijs  colcrisqu**  sclnapa  figlit'lis, 

Ofii  vadunt  furijs  I.ugduni  breve  narrabo 

I'rofirie  tu  diccres  hac  est  cavalcata  dT.gyplo 

lanquam  prima  dies  quaresyjue  bi»n»* enuU 

^uul  bcslurijs  f;;KinIi  dc  lunae  coyuoseuiit, 


let 

Et  coDlra  vciuant  dicendo,  ben  venga  maius, 
De  sero  saepe  per  paucum  spendere  dlcunt. 
Quod  dolet  stomachuni  pro  slracha,  sive  ieiunant, 
Sed  hospiles  quoniam  cognoscant  esse  aflamatos. 
Ad  praDdiam  semper  facereque  panxa  dc  lupis 
Siatim  diim  iuogunt  aotequam  mcnsa  paretur 
Dant  panem  et  caseum  coleram  que  in  primis  abarcat 
Ne  postea  ad  cames  habeani  parere  grifones 
Ad  pagamentum  smarriseit  tola  brigata, 
Grimazam  propriam  faciunt,  ut  nespore  vulpes 
Quia  si  nos  alij  solita  pro  taxa  muzamus 
Sex  parpagliolas  mafiolos  solvere  oportei, 
Et  bene  merito.  mangiant  quia  mora  crepantis 
Ampurte,  et  postea  rostum  cazare  bissacham 
Cercanty  si  superat,  da  laronos  surgere  mensam 
Borsellum  aperiunt  quaeritur  moneta  legera 
Sen  dayantagio  quam  so^irando  reyoltant. 
El  calculando  per  soldos^  vel  per  abacum 
Tanta  est  subtilitas,  braghe  quod  cadere  solent 
Nee  pro  bella  cbiera  petunt  cbiambrere  lyardos 
Sparmiare  oportet  propter  taconare  stivalos 
Unde  ad  recessum  signale  crucis  a  tergo 
Scavizacolum  zu  per  montagna  comendant. 

Ad  boc,  exemplum  novam  tibi  dicere  volo. 
Istonun  quidam  plenus  maliciSy  tanquam 
Unus  quagiiaster  acbiapatus  qui  bene  fuit 
Sedebat  ipse  cum  socijs  qui  comedebant 
Ad  hostariam  fingendo  se  ieiunare, 
Sed  oya  et  pisces  fecerant  trotare  salivara, 
Kaviole  calide  narisijs  quoque  fumabant 
Sic  quod  oportuit  tandem  rompire  ieiunum 
Mordendo  micham,  quatuor  spazando  boconis 
Dommodo  quod  famulus  ibat  implere  stagninum: 


163 

9<^  cum  fccisset  lioc  actus  bis,  terqQe  qualcrqu« 
Abseote  famulo,  credens  satiare  de  pane 
£t  sic  sinipliciter  passare  in  domino  nostrtf 
Deprehcnsit  famulus  magistro  qui  rccitavit 
Et  cum  cavalo  conlavit  more  conandi 
Qualordcs  solidos  non  rebatendo  una  maglia, 
Seusabat  se  tamen  brignonus  vix  comedisse 
Morsellum  panis  sola  pro  brbere  vice. 
Kcspondens  hospes  dixit  illi  care  fratclle 
Per  te  reslavit  potcras  nam  si  voluisscs 
Cenare  ut  alij,  debesquc  intendere  stylum 
Pagare  equaliter  cenanli  mense  scdcnte 
Et  cum  roalcavalum  brignonus  facere  credent 
I\ecalcitrarct  menaciando  fare  soldatus. 
Hospes  tunc  nolens  amplius  contendere  dixit 
Si  tu  soldatus  eris,  et  ego  varitus 
Volo  quod  sapias  nos  hospitcs  plus  guadagnare 
Tuis  cum  paribus  sobrijs  in  edere  paucum 
Quam  cum  zcnoyesis  pedes  qui  de  christo  devorant 
Per  hostariis  domis  lagliando  suliie, 
'  £t  sic  conclusive  servando  iure  appellandi 
Pagare  oportiiit  tanquam  si  plene  cenasset, 
Et  cum  besacijs  spallas  slringendo  recessit. 

Hie  alium  vidimus  se  retrovare  Lombardum 
Cum  certis  gailicis  gend*armis  ad  hostariam. 
Qui  Solent  facere  boglonum  ct  vivere  lietl 
Pro  parpagliolia  quasi  cenare  sperabat: 
Sed  cum  montoni  spalam  portare  vidisset 
Salsa  pichetum,  pastellos,  gallinafrea, 
Pollaglia  et  c<£tera  magno  bastanda  golye, 
Et  quod  vix  quatuor  erant  in  summa  sogliardi 
Qui  desbelabant  cum  grinfis  absque  coltello 
Cum  quinque  aposiolis  piatello  ascrose  pescande 


ids 

Nolait  comedere,  nee  ceiie  spendcre  ianlam^ 
Sed  ivit  cubitum  de  bon  profaza  pagando 
Ilospiti  pro  $cu9a  dicens  sibi  h!j  botigloni 
Pecbse  scbifimn  fostum  mastrogliando  da  porcbi% 
Kespondit  bospes  non  talia  vendere  nobis 
Quia  satis  notum  est  famem  cantare  Todeschos 
Bormire  14alJcos,  ct  illam  piangere  gallos. 
Dlios  lombardos  etiam  vklisse  recordor 
Hie  ad  iabernam  volentes  edere  saltim 
Par  OTum  cailibet  sic  et  passare  casainum; 
Accidit  nt  anus  primura  ovnm  cum  scapellasset 
Illam  troravit  coeyzum  cum  pdastrino. 
£t  cum  Yocaret  famutom  pro  facere  greuzam^ 
Alter  sagaeior  dixit  illi:  Tace  brignone, 
Sorbe,  crede  mtbt^  spagia  trayondere  cito 
Uospes  si  intendet  nobis  dedisse  polastros 
Per  cerium  faciei  cuilibet  pagare  tregrossos. 
llle  tunc,  timens  in  iantam  cadere  speysam 
OTum  predictum  coeyzum  groglia  pollastrum 
Com  becbo  et  plumis  oculos  claudendo  degluxit 
Et  strangoravity  famulus  ne  accorzere  posset. 
El  pro  patadiiis  in  somma  quinque  scaparunt 
Kunc  rerertaraur  ad  pinchiarole  viagium 
Ke  in  quinque  sollidos  habeamus  cadere  penam^ 
Cum  sunt  Lugduni  yaduni  gabarando  la  fera, 
Hie  tres,  bic  quatuor  erubescunt  dicere  qui  sunt, 
Palacia  magna  remirant  alte  bagliando 
Farei  quod  velini  volanies  prendere  musclias. 
Cagant  in  ore  picb  stornelli  et  rondone  sxpc 
Per  appotbccas  parlarc  sufficit  unus 
IHe  qui  melius  Franzosi  lingua  decemit, 
Comyen  o  bon  amy  qui  cortiau  chi  non  quater  de  dcntra 
£t  si  spendebuoi  yiginii  quinque  pechionos 


164 

Paret  quod  magnas  habeant  $petezare  facendas 
Pueri  per  stratas  scguitant  a  longc  ciamando 
Traytres  Lombard^  digitoque  semper  osteodunL 
Barberij  solent  piles  rancbare  de  naso 
Vi  sub  cadregam  faciant  tirare  garrelos 
Oculis  angussia  descendit  virgo  maria 
Hij  tamen  sufferunt  non  teropus  est  garrulandi 
Scd  paternostrnm  dicunt  de  symia  ssepe. 

Fiaita  fcria  zu  perfiocando  tropellos 
Ciconic  sicut  ad  Valentina  revertunt 
Adieu  loransa  reniunt  cantando  mathei, 
Capellum  biancum  cuilibet  cum  pluma  fasanis 
Ut  gentes  videant,  quod  usque  in  Franza  fuerutit. 

Quidam  Franzosus,  volens  tomare  Parisum 
Cerium  Milaneysnm  scontravit  extra  vigliaBam 
Sine  capello  docheti  testa  bagnatum 
Et  cum  ignoraret  Galiieus  hie  unde  fulsset 
Dixit  vulgariter:  estes  vous  nfioglie  mon  amicus? 
lllc  qui  intelligit  a  la  rebusa,  respondit 
Sy  sy  mi  che  ho  mogle  Milani,  et  anca  fiolos. 
Callus  tunc  cerncns  Lombardum  fore  loquela 
Et  reeordatus  quod  tempore  guerre  Salucis 
Alixandrini  fecerant  pagare  menestram 
Scutumque  sibi  sgraGgnarant  de  gibesera, 
Sfodravit  ensem  dicens  o  bogerone  c^gate 
Rendez  moy  sa  mon  escu.  sy  non  a  la  morte  spazatns. 
Pauper  Milaneysus  intendens  sporzere  culum 
Rubrica  si  in  zero  vellet  respicere  ianquam 
Dixit  humiliter,  se  sucssinando  pagure; 
Dee  monsur,  liabeat  vestra  scgnoria  respcetum 
Quod  non  sum  usalus  ad  illud,  neque  credebam 
De  tali  officio  vos  Callos  facere  casum. 
Impctuose  Callus  scutum  agrezabat  habere: 


465 

Fine  final!  Milaneysus  male  paratus 

Gonello  iik  testa  revoluto  calabragavit 

la  quataor  pedtbus,  piantando,  more  scabelli, 

Vnde  Franzosius  stnpefactus  tale  miraglium 

Magna  evm  faria  calzum  levando  sinistrum 

Illom  pantoflea  stravacavit  gamba  levala 

Ad  magnam  diabolum  fy  fy  mandando  pagliardum. 

0  Longobardi  frapatores  gens  odiosa 

Per  universum  mangagnas  noscite  vestras, 

Dicalis  prccor  si  scitis  raiseula  patrum 

TanUm  saperbiam  qualis  origo  ereavlt 

Dam  Tullis  dicere  yos  esse  sanguine  Troyc, 

£t  a  Romanis  venisse  qui  dominarunt 

Per  certum  tempus,  hoc  vobis  maxime  nego; 

Estis  quia  certe  tranta  de  coste  yillani 

In  merdariis  semper  pescbare  querentes 

It  scalabrones,  sed  yanum  est  perdere  tempus. 

Si  sicat  ipsis  creditis  yos  facere  d'aufum 

Quum  non  sic  vebis  desuper  sit  gratia  data , 

Constat  historiis  antiquis  et  fide  dignis 

Quod  GaHi  senones  et  Anglici  sob  duce  Breno 

Proyinciam  yestram  magna  pro  parte  babitarunf, 

Quae  pars  est  Gallia  bactenns  Cisalpina  yocata; 

Sed  ex  Gerroania  post  mortem  Gbristi  yenere 

Barbarice  gentes,  at  Hanni,  Guandali,  Gothi 

Et  Longobardi  partiales  Gaelfi  Gibelli, 

Qui  tolam  Italtam  subsupra  tarabascarunt. 

Tunc  baratastis  Gallorum  nobile  nomen 

Cum  Longobardo  talponi  sequere  cxemplum. 

Sic  quod  de  Gallis  yobis  nunc  memoria  cessat; 

Capponi  citius  eritis  cum  yestri  aratoni 

Circumlardati  nihil  mancare  yidetur, 

NiM  quod  cocbas  yeniens  yos  inflicet  hasta. 


466 

Angleysos  tamen  nop  sic  obliare  poteslis 

Retro  cum  cauda  soleat  vos  poogere  sepc, 

Et  ubi  palres  archerii  fore  solebant, 

Vos  scbioppeterii  deventaslis  seu  canoniste, 

Si  pax  vel  guerra  est  arcbibusi  in  ordine  seniper, 

Et  cum  cazafrusti  per  lavorare  scaglialum 

NuHus  equiparel  in  londo  jungcre  brocbam, 

Ragacii  ut  tripodes  facilis  scasarc  stapellum, 

Dt  scarpas  interim  discant  allaciare  pedestres, 

Atque  impenali  Tolare  cum  scacavellis. 

Intelligenti  pauca  quantum  est  de  cyrograpbi% 

Et  bona  vicia  factores  opera  laudant 

Quod  si  per  longum  ve41em  narrare  legendam 

Non  satisfaceret  bibliam  de  millequatemis. 

Hoc  solum  mitto,  satis  est  responsa  Bassani 

Qui  contra  Galios  dictavit  macbaroncam. 

Concludunt  ipsi  nescire  fine  finali 

Si  Mori,  Turchi,  ludei,  Gogbi,  Magogbi 

Estis  aut  Cingrii  tandem  batezarc  volenlcs, 

Vos  a  Cayno  canaglia  nomine  vocant. 

Unde  conforto  cum  Gallis  facere  treguam 

Vel  dominabus  litem  commiltcrc  nostris, 

Quo:  sunt  de  medio  partes  gratiose  a  scorantcs; 

Et  contumaciam  purgare  si  besognabit, 

Vcstra  instnimenta  portetis  a  bona  cbicra, 

Ad  portas  ante  non  tabussando  ghicbetum. 

Quia  nolunl  ipse  done  nostrc,  si  Galli  minant; 

Ab  uno  latere  vos  contra  fore  minantes: 

Ncque  scricemini  quod  si  montagne  passcti.% 

Et  cum  clistcTiis  ibitis  remuscbiarc  gapbinos 

Fassinas  venicnt  ad  nuptias  ducere  vcstras, 

FIXIS, 


//r 


BIBLIOTECA  RARA 

PUBBLICATA  DA  G.  DAELLI 

VOL.  IX 

VITA 

PI 

FRANCGSCO  FERRUGCI 


VITA 

DI 

FRANCESCO  FERRUCCI 

SCniTTA 

Dl  FILIPPO  SISSETTI 

COLL'AQQlnNTA 

DELLA  LETTERA  DI  DONATO  GIANNOTTI 

A  BENEDETTO  VABCHI 

HSU  TITi  I  sum  UIONI  DI  BSD  FIHIICa 

I  COK   UK  lAOOlO 

deIjIjb  sub  lbttbrb 

U  HtU  DELtl  aUERRt 


MILANO 

O.  DAELLl   e  COMP.    BDITOHI 


Proprietd  letterMria  G.  DAELLI  e  a 


Tip.  Orianolrofio  de*  Masehi. 


PREFAZIONE 


La  rotta  del  Ferruccio^  scrivea  Giambattista  Ba- 
sin! al  Yarchi,  fu  notabilissima  e  bella;  tanto  onore 
acquistb  chi  perde^  quanta  o  poco  meno  chi  vinse.  » 

Gano,  cosi  i  Fiorentioi  chiamavano  il  Busini, 
disse  egregiamente  che  la  rotta  fa  bella;  ma  pes- 
simamente  che  il  vincitore  n'avesse  onore;  perchfe 
lasciando  stare  ch'esso  era  parricida  o  scherano, 
la  disfatta  fa  preparata  da  un  tradimento  di  Ma* 
latesta ,  ottenuta  per  soverchianza  di  numero,  e 
coronata  degnamente  dagli  assassinj  d'un  Golonna 
e  d'an  Haramaldo.  —  Dicbfe,  anche  militarmen- 
te  fa  an  vituperevole  agaato,  e  Gano  forse  si  ri* 
cordava  d'  Orlando.  La  rotta  fa  bella^  percbe  la 
liberta  mori  con  coraggio  e  come  certa  di  risor- 
gere;  la  rotta  fa  bella^  perch^  fa  il  piu  possente 
addentellato  alia  riscossa  d'ltalia,  e  con  la  cam- 
pana  di  Gavinana  suonarono  a  stormo  contro  i 
successori  di  Glemente  YII  e  Carlo  Y  ilGuerrazzi 
e  TAceglio. 


Vni  PREFAZIOKS 

It  Ferraccio  ftnticipi  veramente,  come  altrove 
dicemmo,  gli  eroici  capitani  della  prima  rivolazio* 
ne  francese,  per  devozione  alia  patria,  per  animo 
grande,  per  ingegno  abile  non  solo  a  vincere,  ma 
ad  organizzare  la  yittoria.  Egli  proYvedeva  dili- 
gentemente  al  soBtestamento  dei  soldati,  perche 
le  guerre,  diceva,  $i  perdono  e  si  vincono  per  le 
vettovaglie;  egli  alle  munizioni,  facendo  gettar  pezzi 
d'artiglieria,  e  preparar  polvere  e  palle;  egli  alle 
fortificazioni,  facendo  al  bisogno  Tingegner  mili« 
tare,  ed  aveva  assettato  Empoli  per  modo  che  le 
donne  lo  pofevan  guardar  con  le  rocche;  egli  aUa 
salute  dei  soldati,  e  doveva  spesso  chiedere  a  gran 
preghi  il  medico  a  CeccottoTosinghi,  commissario, 
che  pareva  non  intendere  che  le  ferite  non  pos- 
sono  aspettare;  egli  al  denaro,  non  dandogli  la  re- 
pubblica  la  metk  di  qnello  che  gli  occorreva;  ere- 
pando  difatica  straordinariamente,  senza  fidare  gran 
fatto  nella  gratitudine  popolana.  E  di  fatto  scri- 
veva  ai  Dieci  il  16  marzo  1529:  t  Tutto  farb  per 
non  uscire  dal  comandamento  di  Yostre  Signorie,  die 
sono  cerio,  d^uno  scappuccio  d*un  dito^  quelle  ver- 
rebbero  a  dimenticare  ogni  opera  fatta  da  me  innan^ 
zi.  »  Sentiva  per  altro  doversi  remunerare  aU 
tamente  i  difensori  della  liberta,  e  il  5  febbrajo 
scriveva  ai  Dieci:  t  DelVavere  dato  il  bastone  al  si' 
gnor  Malatesta  mi  sono  molto  rallegrato;  che,  in  ve- 
rita,  la  integra  fede  sua  non  merita/ca  manco;  e 
per  le  faticke  durate  e  per  lo  essere  fuori  di  casa 
sua^  e  di  necessita  che  cotesta  Signoria  lo  ricompensi 


di  qualche  utUita  ferpetm,  che  $*0$fenda  ancara 
nei  figliuoli  suoi;  a  causa  ekechiverra  dopo  di  luit 
possa  isperare  fremio  da  quelle,  serv&ndo  bene  e  con 
fede,  t  E  solo  qaando  sentl  shonare  a  martello  la 
campana  di  Gavinana  e  fa  certo  ch'eran  giuntii 
Demici  e  il  principe  d'Orange  in  persona,  s'ac- 
corse  dell'inganno,  ed  esclamo:  Ah  traditare  Ma- 
latestaf  Uomo  di  fede  antica  e  di  abnegazione  da^ 
santo:  peritandosi  di  rifarsi  con  la  taglia  di  lin 
commissario  imperiale,  fatto  prigione,  di  quella 
pagata  gik  aNapoIi  nel  proprio  riscatto;  e  scriveva 
aiDieci  che  fecero  il  sordo:  ciVon  si  manchera  a 
VV.  SS,  quando  prima  vedrb  tempo  di  mandate  si' 
euro  il  Commissario  imperiale^  che  io  tengo  qui  pri* 
gione;  ricordando  a  quelle,  che  fui  prigione  ancora  io 
setto  Napoli  per  servizio  di  VV.  SS.  epagai  trecento 
Hnquanta  ducati  di  taglia;  ne  ho  mai  trovato  uomo 
che  dica  di  volermi  ricompensare  ^  come  saria  stato 
giusto.  E  perchi  io  non  sono  uomo  da  piangere  alii 
pie  di  persona,  piu  presto  mi  sono  voluto  stare  con 
il  danno  ricevuto  che  patlarne.f  Animo  altero  che 
rideta  di  quelli  che  vincono  con  le  parole;  ma* 
che  Don  sapeya  che  fosse  perdere;  onde  il  14 
febbrajo  4529  scriveva  ai  Dieci:  t  Vostre  Signorie 
non  si  maramglinor  se  prima  non  ho  fatto  loro  nota 
la  perdita  di  San  Miniato;  che  ci  hopreso  tanto  dispia'' 
eere,  e  tanto  poco  sono  uso  a  perdere,  che  a  gran 
fena  mi  sono  messo  a  scriverlo  adesso.  »  Seyero  a 
A  e  a' suoi,  epertanto  fiero  ai  nemici.  —  II 13 
(iitobre  1529  soriveva  ai  Dieci: 


c  Si  f\A  dire  nonrotto  U  colonneUo  delngnor  Pirro, 
tna  fracas$ato.  —  £  quelli  tanti  che  aranno  fossato 
il  ffimo  vaglio^  non  passeraniio  U  seeondo,  ferche 
li  appiccherd  per  la  gala;  e  pariicolarmente  Mti  li 
Sanesi»  eke  sento  ce  n'e  alquantu  Dal  fatto  della 
Loitra  in  qua  ho  giurato  a  Dio  eke  tuiti  lisoldatif 
che  non  aivranno  ammazzato  li  prigioni  che  e'  pi* 
^lino,  che  io  li  appiocherb^  e  cost  atterrb  loro.  »  E  il  15: 

c  £  iroviamci  prigioni  una  ventina  di  Saneei, 
li  maggiori  ribaldi  e  struisiatari  del  no$tro  paete;  e 
fra  Faltre  loro  virtU,  si  e  trovato  loro  certe  cords 
rinforzate,  le  quoH  dicono,  che  tenevano  per  legare  % 
coglioni  a'  Fiorentini,  e  come  lo  dicono^  lo  hanno 
fnesso  in  aito.  Olli  fatti  mettere  di  per  se  dagli  altriy 
e  se  non  li  punisco  questi  gagliofji,  Vostre  Signorie 
non  mi  tenghino  piii  Francesco.  »  II  26,  distin* 
gueiido  giustamente  i  soldati  e  i  ribelii,  scriveva: 

c  In  fra  li  prigioni  v*e  uno  gentile  uamo  napoletano 
e  certi  altri  ricchi  di  Castel  Fiorentino^  che  sto  fra 
due  iappiccarli;  chi  certamente  meritano  maggior 
puniziane  li  sudditi  nostri  che  sono  contro  alia  cittA^ 
che  li  soldati  che  vengono  a  oppressors  quella.  i 

A  queste  scintilla  che  scattano  dai  carteggi 
dell'eroe,  aggiungiamo  le  belle  testimoDiaoze  del 
Buaini  -  Gano  nelle  sue  vivacissime  e  oBestissime 
lettere  al  Yarchi: 

•-£u  veramente  buono  e  valenky  ed  era  a  Gio.  Ba- 
tista Sodmnl,  come  fu  Terigi  ad  Orlando^  ni  fm 
mai  akuno  m  Signoria^  se  nm  egli^  in  cw  solo  de- 
pend$s$i  tutta  la  speranza  e  la  salute  H  una  coA 


PBIFAZIONB  XI 

fatta  eittA  e  W^ertA:  e  perdendo^  ferimmo^  e  Hb 
avessi  vinto^  aremmo  vinto.  — ...Tirar  m  im  nomo 
1111090  $enza  e&Mscer  rawioni  iue  e  diiusato  e  pe^ 
rieoloso:  e  pocki  ovrMero  pensato  ch$  e*  fwie  per 
riuscirti  tcde^  non  essendo  mai  stato  in  guerraaltri' 
menti  che  come  pagatore.  OUre  a  cid^  Finvidia  pub 
qualeosa  neUe  repMlicke^  e  massime  dove  sono  asc 
sat  nobili,  come  era  nella  nostra^  che  $degnavano, 
non  cValtro^  di  vedere  uno  d^  Cardncci  gonfah- 
niere^  Michelagnolo  de*Nove,  un  de'Ceio  de*  Giugni 
de'Dieci^  e  costfatti;   onde  non  pensorno  troppo  a 
conotcerlo^  ne  ienza  questa  guerra  sarMe  mai  co* 
nosciiUo;  e  coA  si  viveva  quella  vertU  $epolUit  per" 
chi  sendo  nnovo  e  povero^  i  difficile  poter  eorgere^ 
te  gi&,  come  allora  la  necessita  non  facessi  altrui 
deligente  m  ritrovare  i  virtuoeit  come  fn  allora. 
...Ebhe  una  patente  dalla  Signoria^  tanto  ampla,  che 
mai  fn  alcnno  in  una  cittii  libera  che  aveize  t  a'Vh 
torita  che  Me  egli;  perche  poteva  fare  accordo  eoi 
nhnici  a  suo  modo,  donare  citta^  prometiere  quahi' 
poglia  eomma  di  denari  cKe  voleva,  ed  in  somma 
tmtia  la  cittA  e  tulH  i  magi$irati  unitamente,  non 
aoevano  altra  speranza  della  sua  liberazione,  che 
nel  comnUssario  Ferruccio  solo;  e  fn  gran  glories 
suoy  che  egli  solo  poteva^  e  non  altri,  liberarla  da 
qnello  assedio;  e  lo  poteva  fare  se  i  cieli  nonsegK 
aUraversavano.  Egli  ammalb  di  febbre  onde  ritardb 
ym  parecchi  giorni;  pure  presa  un  poco  di  cassia 
e  guarito,  si  mosse  con  Vesercito  suo,  che  non  fn 
fm  di  tremHa  fanti  utili^  e  dugento  cavalli  capita* 


JU  PREFAZIOKi: 

^nati  dal  n'jf.  Giampaoh  Orsino.  -^Ho  parlato  ad  ax- 
.saichediconochetnaisividdeunoesercito,  benche  pic- 
solo^  meglio  guemito  del  suo  di  vettovaglie,  d'ordinimi' 
atari,  tU  fuocki  lavorati,  dartiglierie  minute  aluochi 
.loro :  talche,  se  per  promessa  duno  detto  il  Bravotto 
da  Pistoia,  capo  di  Parte  Cancelliera^  non  avesse  tenuta 
,la  ma  delta  tnontagna^  e*  passava  ad  ogni  modo;  e  %e 
iMn  it  fu$$e  perduto  Empoli,  tion  vi  era  difficultd  at- 
xuna*  —  .^  il  Ferruccio  vinceva^  non  si  era  per 
far  altro  che  gnello  che  sifece,  che  fu  fare  h  dote  ad 
una  0  due  sorelle  cK  egli  amava,  Egli  era  per  etsere 
^emprs  onoratissimo  in  tutte  lecose;  ne  sipubpunt9 
calunniare^  perclU  fu  retto  uomo,  coraggioso  ed  ama- 
tore  del  be$u  pubblico...  Duolm  che  la  ca$a  sua  e 
spenta^  come  che  wtn  gran  fatto  nobile^  ma  antica... 
E  U  Yarchi  narrato  il  combattimento :  Furono 
desiderati  in  questo  confiitto^  U  quale  durb   da  di- 
£iannwe  ot^e  imjino  passate  le  ventidue^  fra  iuna 
parte  e  delValtrc^  d'intorno  a  duemila  uominu   I 
feriti  furono  in  grandissi^o   numero^  de  quoXi  ne 
morirono  assail  perche  quasi  tutti  avevano  piu  fe- 
rite  in  diversi  luoghi;  e  tra  questi  fu   Guglielmo 
Frescoba^di  molto  lodato  e  molto  adoperato  dal  Fer* 
fuccio^  il  qual  carico  darchibusak  e  di  piccate  fu 
portato  a  Prato,  e  quivi^  contento  di  morire  per  ser* 
cigio  deUa  patria^  spirb;  il  che  fecero  molfaltri^  i 
fguali  meritarono  tutti  egregia  e  sommissima  lode: 
na  sopra  tutti  gli  altri  fu  d  immortal  gloria  Fran- 
cesco  di  Niccolb  Ferrucci,  il  quale,  di  privatissimo 
cittadino  e  di  bassissimo  sUUo^  venne  a  tant*alto  e 


pREPAzioim  xm 

pvbhlico  grado^  ch'  ugli  feee  tra  lo  spazio  di  pochi 
fnesi'tutte  quelle  prodezze  in  una  guerra  sola,  eke 
fuh  tra  lo  spazxo  d*  assaissmi  anni  fare  un  gene- 
rale  esercitatissimo  in  nwlte^  e,  quello  cK  e  pm, 
avendo  avuto  solo  per  le  sue  virtii  la  maggiore  au* 
torita  e  balia  che  avesse  mai  cittadino  alcuno  da 
repubhlica  nessuna^  V  adoperb  cvcUissimamente,  e  sold 
in  pro  della  patria  sua^  e  a  beneficio  di  coloro  i 
qnali  conceduta  gliele  avevano.,. 

Bellissima  la  Yita  che  del  nostro  eroe  scrisse 
il  Sassetti,  e  ci  sia  lecito  a  questo  proposito  ri- 
portare  le  parole  che  Guido  Cinelli  ne  dettava 
Delia  Ricista  Contemporanea  di  Torino  (dicerabre 
1855),  e  che,  appropriandoci,  ripigliamo  il  nostro. 

Ai  eontroversisti  letterari  appartiene  Filippo 
Sassetti,  fiorentino  (nato  il  26  settembre  1540, 
morto  a  Goa  il  settembre  del  1588),  per  le  sue 
risposte  inedite  alle  censare  del  Gastravilla  con- 
tro  Dante  e  per  la  saa  censura,  altresi  inedita, 
ieW  Orlando  Fwrioso  di  Lodovico  Ariosto.  Se  non 
che  meglio  che  le  codtroyersie,  le  lezioni,  e  i  di- 
scorsi  accademici,  lo  onora  la  vita  ch'egli  detto 
dell'oUimo  fiorentino,  di  Francesco  Ferrucci,  che 
fa  pabblicata  nella  parte  II  del  tomo  lYdell'ilr- 
chivio  Storico  Italiano,  e  meglio  che  questa  bio- 
grafia  lo  raccomandano  all' universale  dei  lettori 
le  sue  Lettere,  ora  stampate  dal  Le  Monnier.  L'e- 
ditore,  signor  Marcocci,  ha  potuto  condurle,  tra 
edite  e  inedite,  al  numero  di  115.  Le  prime  nsei- 
rono  nel  volume  III  (parte  IV)  delle  Prose  Fioren- 


XIV  PBEFaZIONB 

tine,  vasto  repertorio  di  orazioui,  di  lezioni,  di 
cicalaie ,  di  lettere,  .ammassato  col  solo  fine  del- 
Teloquenza,  siccome  in  quel  tempo  si  diceva  la 
parlatura  forbita  ed  adorna.  Pietro  Giordani  fa 
il  primo  a  lodarle,  Prospero  Viani  a  smembrarle 
dalle  Prose  Piorentine  e  a  stamparle  a  parte,  e  Fi- 
lippo  Laigi  Polidori  a  dare  an'idea  delle  inedite 
Del  discorso  proemiale  all' allegata  parte  delFAr- 
chivio  Storico,  ove  ando  minutamente  discorrendo 
la  vita  e  i  viaggi  del  Sassetti.  Ora  il  sig.  Mircacci 
ha  tratto  dai  manoscritti  qaante  ne  pot^  raccorre, 
e  non  tralascio  neppur  quelle  che  favellando  di 
sozzi  amori,  scemano  pregio  alia  fama  del  Sassetti 
e  dei  suoi  amici,  e  stremeranoo  il  corso  ad  nn 
libro,  che  senza  tal  difetto,  andrebbe  facilmente 
per  le  mani  di  tutti. 

II  Sassetti,  come  Bernardo  Davanzati,  di  cui 
pregiava  il  giudizio,  comincio  e  fini  col  commer- 
cio.  La  sua  breve  vita  fu  smezzata  dagli  studi  let- 
terari  all'llniversitk  di  Pisa,  e  per  le  Accademie 
fiorentine.  II  suo  buon  ingegno  maturato  gik  dalla 
pratica  degli  afari  e  del  mondo,  bevve  piu  avi* 
damente  e  piu  copiosamente  la  scienza,  e  qaando 
si  fu  corroborato  di  qnegli  stndj  classici  e  filo* 
sofici,  che  non  nocevano  all'esercizio  dei  negozj^ 
come  non  nuoce  ora  il  saper  di  greco  ai  nego* 
zianti  di  Londra  e  di  Amburgo,  egli  si  dovb  ri* 
mettere  al  commercio,  ma  a  quel  grande  com* 
mercio  che  le  navigazioni  portoghesi  e  spagnaole 
avevano,  allargandolo  ed  agevolaodolo ,  involato 


agrttaliani.  tngegno  attivo  e  perspicace,  08senr6 
i  costami  degli  uomini,  gli  aspetti  della  natura 
alio  stesso  tratto  cli'egli  mandava  innaQii  il  sno 
traffico,  ed  egli  scorse  alcnni  veri  scientifici,  che 
faroDO  bene  acceDDati  dal  sig.  Decuppis  in  una 
letiera  al  Polidori.  Non  gik  ch'egli,  come  afferma 
Ferudito  fanese,  si  possa  dire  nno  dei  precorsori 
degli  accademici  del  Ctwiento.  AUro  h  Tosserva- 
xione  institaita  scieniificamente  e  con  fine  scien- 
tifico,  altro  h  Fosservazione  accidentale;  vi  corre 
quasi  lo  stesso  divario  che  tra  Tapplicazione  di 
cristatli  ad  nn  tabo  fatto  dai  figli  deH'ottico  di 
Middelbargo  al  cannocchiale  di  Galileo.  Se  non  che 
il  Saseetti  osservava  e  descrivea  bene  qnelloche 
di  DOtevole  gli  cadeya  sott'occbio,  e  le  sue  lei« 
tere  sono  riccbe  di  fatti  e  di  belle  avvertenxe. 
Ma  egli  scriveva  trecent'anni  fa,  e  a  Yolerlo  ben 
comprendere  e  a  farsi  giasto  concetto  delle  sue 
relazioni,  si  vorrebbe,  come  altri  notd,  an  comen* 
tario  geograficO)  etnografico,  fisico,  che  manca  al 
tntto  nel  libro  del  signor  Marcucci,  il  quale  si  h 
ristretto  ad  uno  spoglio  filologico,  assai  facile  a 
ehi  abbia  una  certa  pratica  dei  vocabolarj  ed  ha 
al  tatto  abbandonato  I'essenziale,  che  sarebbe  il 
eonfronto  di  quelle  che  Tien  riferito  dal  Sassetti, 
con  qaanio  ne  porge  Terudizione  o  la  scienza 
Boderna. 

Nob  istaremo  a  ripetere  il  layoro  gia  largamente 
btto  dal  Polidori  e  diYenuto  in  gran  parte  inu- 
tile  dopo*  la  pnbblicatione  delle  lettere  inedite. 


XVI  PBBFAZIONll* 

Solo  ci  piacerebbe  poter  ritrarre  la  Vite  d^'Uni- 
versitk  toscana  al  tempo  che  il  Sassetti  vi  fu  a 
studio,  illustrando  i  luoghi  non  bene  chkri  delle 
sue  lettere  che  vi  alludono.  IL  Polidori  rimanda 
al  Fabbroni  e  al  Valori  nei  Termini  di  mezzo  rt- 
lievo;  ma  dallo  storico  deU'Accademia  pisaua  e 
dagli  altri  autori  che  possono  dar  lume  intorno 
a  questa  materia^era  piuttosto  da  cavare  quanta 
poteya  meglio  solleticare  ed  appagare  la  curiositk 
erudita.  Mon  essendo  questo  studio  di  nostro  as- 
snnto,  citeremo  senza  piii  alcuni  passi,  che  ser- 
viranno  altresi  a  dare  un'idea  del  fare  del  Sas« 
setti.  c  Le  fwstre  scuole^  scriveva  egli  di  Pisa  il  iti 
novembre  1K70,  sono  in  ragionevole  frequenza*  B 
Verino  e  con  10  scolari^  non  contando  i  legisti;  il 
Buonamico  con  12,  tn  20,  tn  16  secondo  i  giorni;  il 
Caponsacco  eon  4,  in  5,  in  3,  massime  al  principio 
della  lezione;  il  QuarantoUo  pub  dire  come  queWor 
mico:  au^  Osoi;,  contando  Itit,  com'e  per  quarantot' 
to.  3  Non  solo  la  frequenza  alle  scuole  era  appe- 
na  ragionevole,  ma  Tamore  alio  studio  andava 
sempre  piu  svaporando:  c  Non  sentii  mai  pttt,  scri- 
ve  egli  di  Pisa  il  10  dicembre  1572,  la  men  toglioM 
sorte  di  novizj  per  istudiare^  eke  questa  di  questo  awno: 
Valori,  Buondelmontiy  Strozzi^  e  fanno  un  chiasso  mi* 
rabile. »  Di  che  la  sufficienza  degli  studiaoti  era 
sempre  in  calo  —  ed  egli  scriveVa  da  Ancooa 
iJ  19  luglio  1572,  parlando  di  un  comento  sopra 
la  Meteora  di  Aristbtele :  t  Mi  pare  Ae  di  comenti 
latini  non  sia  il  |)m  bello  fuora  di  qu^Hi  eke  to 


4 


P11BPAXI«RE  XVII 

(Mi  M  fMt  viBio^  $e  bene  4kdH  UudenU  $colari  e^ 
tarii  temsfre  ifuggito,  ferehe  tratiando  la  tmUeria  eon 
una  grandezza  eke  fa  e  con  U  ricoprire  Varte  delta 
logiea^  richiede  un  fantoccio  un  poco  meglio  eserei- 
tal0  eke  oggi  nan  si  costuma.  »  Certo  le  esquisi- 
tezze  filosofiche  non  attra«vano  troppo  g^i  animi. 
c  Not,  scriTeva  egli  di  Pisa  il  6  dicembre  1570,  dio' 
mo  per  non  diviso  dritto  a  qnesta  benedetta  genera^ 
sfione^  ed  ora  siamo  alle  mani  con  Democriio^  era 
con  quello  insensato  di  PhUone.^  e  si  va  dritto  a  sol- 
vere i  loro  amlli;  i  e  il  21  maggio  del  1572  sog- 
geUara  cost:  t  E  quanto  alle  fUosofiche  astrattezze 
la  sua  mole  vha  poco  andare  di  grazia^  e  trattan 
gU  amici  co*  qood  est  e  si  est,  lasciando  da  banda 
i  qaid  e  propter  quod,  che  nel  rinvenirsi  sdno  tanto 
difficili;  e  contentiamoci,  volendo  pure  fare  qualcosa, 
di  risolvere  i  quisUi  sino  in  certe  came  un  po  unwersa- 
lotte^  come  fa  messer  Grazia/no  di  Zanni,  che  volendo 
rendere  canto  percke  causa  si  trovasse  in  scena^  disss 
perchi  egU  vi  era  venuto.  »  Certo  gradivano  meglio 
le  suDiaose  cene,  le  musiche,  gli  sporehi  glnochi 
c  peggio  che  i  giuochi.  Noq  mancavano  pero  le 
geotilezze  della  poesia,  di  cni  erano  g^iot^  anche 
i  forestieri. 

Egli  scriyeYa  di  Pisa  il  6  dicembre  del  1570: 
c  Quando  voi  avete  qualche  bdla  poesia,  memento 
Dcsiri,  perchi  abbiamo  qui  certi  amici  nostri  fore- 
siieri  molto  dediii  al  verso  tosco^  e  U  faremmo  cosa 
§rata^  se  quaUosa  alle  volte  mostrassimo  loro.  »  For* 
qaesti  erano  forestieri  deiraltre  parti  d' Italia, 


XVm  PRRFAZIORB     * 

come  li  chiama  il  Segni  in  an  laogo  delle  sue 
storie,  e  forse  erano  stranieri,  perch^  in  qaeU'etk 
in  cni  prevaleva  ancora  la  coltnra  italiana,  d'ol* 
tremonte  e  d'oltremare  venivano  ad  apparare  gen- 
tilezza  e  cortesia  in  Italia,  e  per  nominarne  uno 
tra  mille,  an  principe  di  Yalacchia,  secondo  narra 
Stefano  Gaazzi  nei  saoi  Dialoghi^  amaya  e  colti- 
vava  la  poesia  italiana.  —  E  pare  in  Firenze  con 
taita  qaesta  finezza  di  coUara  e  amore  di  poesia 
era  parato  strano  cbe  Lorenzo  Giacomini  avesse 
recitato  in  ana  tragedia  data  in  Ancona,  onde  il 
Sassetti  gli  scriveva  di  Pisa  I'll  marzo  del  1S73: 
t  Tornando  alia  tragedia^  Veture  spetiacolo  sollaZ'^ 
zevole  al  popolo,  gid  era  cosa  iohhrdbrio:  onde  disse 
Laberio: 

Ego  bis  tricennis  annis  actis  sine  nola 
Eques  romanus  ex  tare  egressas  meo 
Pomnm  revertar  mimiu :  nimiram  hoc  die 
Uno  plus  Tixi,  mibl  quam  viyeDdom  fait 

Ma  cost  doteva  fortare  ropinione  di  quei  tempi; 
onde  oggi  nazioni  nobili  kanno  giudieato  cdtrimenti, 
se  ben  foche;  e  que$ie  pare  che  abbiano  piti  Vanimo 
volto  a  sollazzare  se  stesee  che  gli  spettatoru....  pik 
caro  avrdfbono  avuto  mohi^  ed  to  per  uno^  che  voi 
non  fo$te  intervenuto  in  questo  spettacolo, »  Ma  tor* 
niamo  alia  Vita, 

II  manoscritto  da  cai  fa  tratta  I'edizione  del- 
VArchivio  ha  parecchie  lacane  e  difetti;  le    ane 
indichiamo  con  pantini;  degli  altri  noteremo  al* 
cani.  A  pag.  42  dopo  Annibale  Bichi  dee  sapplirsi 
da  Siena,  e  il  Monzani  crede  anzi  che  il  nome 


PSKAZIOXflT  XIX 

fosse  J&copo  e  non  Annibale.  A  pag.  38  dopo  il 

Corpo  dee  snpplirsi  assai  probabilmente  di  S,  Ber* 

iMTdvM  da  Siena,  A  pag.  43  &  notevole  la  lacuna 

della  descrizione  di  Yolterra,  ch'^   poi  data  piu 

gill  a  pag.  47.  Da  queste  lacune  appare  che  To- 

rigioale  e  imperfetto,  piii  che  non  faccia  dalle 

sgramaticature  che  crediamo  soverchio  appontare. 

fl  Passerini,  che  ha  con  Tasata  espertezza  fatto 

I'albero  genealogico  della  famiglia  Ferrucci,  ha 

corretto  parecchi  errori  commessi  dalSassetti  in 

questa  vita.  Egli  prova  contro  il  nostro  antore 

che  la  dignita  di  6onfaloniere  fa  dai  Fermcci 

eonsegaita  per  la  prima  Yolta  nel  1299  e  qnella 

di  Priore  nel  1302;    che  nella  prima  metk  del 

secolo  decimoqnarto   i  Fermcci  farono   facolto* 

si    commercianti    e   fecero   parte   della   famosa 

ragione  de'  Bardi,  allora  la   piu   ricca   di    tutta 

I'Eoropa;   che   Leonardo  di   Francesco   Ferruc* 

ei   fa   capitano  del  popolo  di  Pistoia  nel  1413^ 

ed  Antonio  sno  figlio  ne  fn  podesta  nel  14S7; 

che  un  Leonardo  Ferrucci   fu   un    buono   stru- 

mento  della  guerra  di  Pisa,   ma   non   fa  questi 

Leonardo  di  Antonio,  bensl  Leonardo  di  Bindo, 

il  quale  durante  la  lotta  coi  Pisani,  dopo  la  meta 

del  secolo  XIY,  fu  eletto  commissario  delle  ga- 

lere  della  Repubblica,  ed  ebbe  il  vanto  di  toglie* 

re  ai    nemici  I'isola  del  Giglio;  che  il  Ferruc* 

ci,  il  quale  presto  utili  ^errigi  ad  Antonio    Gia- 

comini  neir  ultima  guerra  pisana,  fu  Simone,  il 

fratello    del   nostro   Francesco;    che   noli    tro' 


vasi  che  Niccolo  Ferrucoi  monacasse  alire  figlie; 
oUre  la  Lisabetta,  perciocch^laDianora  marito  a 
Gian  Francesco  Rucellai  e  la  Tita  a  Donate  Rod-^ 
dioelli,  e  di  poi  a  Lamberto  del  Belfredelli;  e  che 
cio  Don  ostante  gli  rimasero  non  pochi  de'  beni 
ayiti;  im  queste  oltre  le  case  di  Firenze,  altre 
due  case  nel  castello  di  Bibbiena,  la  villa  detta 
la  Tomba,  con  vari  poderi  nel  Caseniino,  con 
altro  podere  nel  popolo  di  S.  Giusto  a  Falgaoo; 
che  il  nostro  Francesco  nacque  a  di  14  agosto 
deU'anno  1489  in  venerdi  a  ore  14,  e  fu  baUez- 
zato  il  seguente  di  15 ;  che  fa  iratto  potesia  di 
Larciano  nel  1519,  ma  non  pote  risedervi  per  essere 
a  specchio;  che  tenne  per  altro  la  potesteria  di 
Campi  dal  1.^  giugno  al  1.^  dicembre  1523;  di 
poi  quella  di  Radda  e  del  Chianti  dal  14  febbrajo 
1526  (stile  fiorentino),  a  tutto  il  mese  d' agosto 
1527;  non  essere  esatto  che  risedesse  a  Greve; 
che  mentre  sedeya  al  goyerno  del  Chianti  die  il 
primo  saggio  di  valore,  ayendo  con  pochi  annati 
respinto  una  incnrsione  di  soldati  yenturieri,  che 
militayano  al  soldo  de'  Senesi,  e  costrettili  a  de- 
positare  gli  oggetti  riibati. 

Si  proya  poi  dal  Monzani,  che  fece  la  ricercatt 
a  questo  suono  nelVArchivio  Slorico  del  Yiessenx, 
che  Tito  Guiducci  nOn  era  cagino  del  Ferruc- 
cio,  ma  suo  zio  materno;  che  il  Ferrucci  non 
fu  riscattato  dalla  sua  prigionia  di  Napoli  da  Aii* 
tonio  da  Gagliano,  ma  sibbene  da  Tommaso 
Cambi ;  che  non  Piero ,  ma  Niccolo  ehiamavasi 


FREFASIOHO  TXXI 

qaelVOrlandiai  cbe  per  soprannome  erm  deito 
il  Polio;  ma  che  Piero  era  il  suo  frateUo,  che  fa 
poi  immediatameiite  chiamato  a  corrompere  An- 
drea  GiagnL — Sappiamo  dal  Monzaniche  il  Cat^ 
tivanza  era  il  sopranDome  di  Bernardo  Stroizi, 
ehe  GiuBpagolo  da  Ceri  era  figliaolo  di  Renzo  da 
Ceri,  che  Gaio  era  il  soprannome  di  Dinozzo 
Lippi,  e  finalmente  che  il  Ferruccio  non  pote 
pariire  da  Visa  il  2  agosto,  come  afferma  il  Sa»* 
setti  Yedendosi  una  sua  lettera  ai  Dieci  in  data  del 
1.®  da  Pescia. 

Alia  vita  scritta  dal  Sassetti  accoppiamo  la  let- 
tera di  Donate  Giannotti  a  Benedetto  Varehi  sulla 
Vita  e  suite  azioni  di  Frcmcesco  Perrucei  II  Gian- 
notti, nato  in  Firenze  il  di  27  novembre  1492, 
mori  esole  a  Yenezia  nel  1572.  Segretario  dei 
Dieci  nelF  ultima  lotta  della  liberta  fiorentina, 
dissotterro,  a  dir  cosi,  la  virtii  sepolta  del  Ferruc- 
cio, e  qnando  il  fato  awerso  d' Italia  voile  che 
tanto  eroismo  perisse  per  mano  d'an  Haramaldo, 
egli  ne  consacro  la  memoria  nello  stesso  libro,  che 
trattava  della  RepubbHca  Fiarentina^  facendo  tai> 
t'ona  cosa  della  libertSt  e  del  Ferruccio;  donde 
la  insse  ai  preghi  del  Varehi  e  a  intercessione  del 
Busini.  II  Giannotti  fu  il  precursore  de'  nostri  co* 
^ituzionali;  e  d'accordo  in  cio  con  altri  politici 
italiani;  di  che  parve  ad  uno  storico  piemontese 
£ar  del  costituzionalismp  la  dottrina  nazionale.  Se 
non  che  il  concetto  del  governo  misto  e  assai 
\ecchio,  e  nacque  dopo  la  mala  prova  dei  governi 


XX-                               PBJWASKWW  ^                                          \ 

Tasi  che  Niccolo  Ferrucci  mor  » ^  ^^^     ^               f 

oltre  la  Lisabetta.perciocchif  ^^  ^''ttlUerfT 

Giao  Francesco  Raceliu  e  '  ^,8.  ov©  ^J 

d'melli,  e  di  poi  a  Lambert/  irrebbo  if" 

cio  DOn  ostante  gli  "ms/a     .  ^       S 

aviti;  tra  qaeste  oltre '||  ^  'oriosr                "^ 

due  case  nel  castello>|  ^^  ^^j. 
la   Tomba,   con  fW>Vi? 

altro  podere  nelWjf  ^^3^ 

che  il  nogtro  Fr/Lf  -jui    ,  „• 

dpubbUcane  in  itaijj 


,«  I'esole  patriota  correr  die- 
ana  della  sua  repabblica,  e  di- 
erec;  consola  il  vedere  com'e- 
idea  del  monicipio  alia  graade 
noD  attuabile  al  sno  tempo,  e 
nel  nofltro  col  favore  del  pria- 
ion  attnabile  aUora  per  la  diver- 
.  di  governo,  e  male  adombnta 
irsitk  degli  elementi  di  popolo. 
iDcipio  monarchioo  fu  baono  ad 
I  cos'i  ad  unificar  municipj ;  e 
cipj  e  noa  Stati.  Al  priacipio 
rbato  la  uniScazione  dlltalja, 
»aa)e  ai  di  nostri;  ma  Don  sari 
le  sibbene  di  citU  sorelle,  cfae 
eome  i  pezzi  di  una  macchina 
Sio. 
Hi  e  il  Giaoaotti  corre  il  dira* 


\ 


■"'  ''"'"ccio  traemmo  .  '' 
.^j;!P"  """•*«' ««oipii.  be,  fatti,!, 
oltern..elBlt,„»chee8li8cris5edopo 
,  del  male,  che  lo  fece  meno  proweduto  » 
^rftere  «li«  dopp'«  cospir«iione  degli  aasediaDti 
c  doi  di/enaori  di  Firenie  a  rovioar  I'  uomo  che 
gorreVB.  a  di/enderia  e  aristorarne  la  fortuna.  La 
prima  fa  gii  pnbbiicata  dall'Aieglio,  e  si  riscon- 
tfs  Delia  coUeDoae  che  ne  pabblicarooo  i  compi< 
latori  dellMrcAiVw  storico  di  Viesseax,  che  taota 
eradizione  possro  in  serrigio  della  patria;  oode- 
ch&  turn  sai  to  den  chiamarll  piuttosto  grao  dotti 
o  gran  cittadini.  —  N6  paia  eccessivo  queato  epi- 
teto  ai  nostri  di;  si  larghi  di  lodi  ai  cerretani  della 
liberty  e  st  scarsi  a  qaelU  che  confortaroDo  col 
SDO  calto  le  loro  yeglie,  e  pngoaroao  perl'Ualia 
BBi  libri  finchb  doo  si  path  soi  csmpi,  —  Questi 
emditi  Tanao  al  pari  permente.esenon  pereo- 
tasiasmo,  carlo  per  profoodita  a  feconditk  d'amore 
ai  Goerrazzi,  at  D'Azeglio,  ed  a  tutti  quel  nostri 
romwizieri  c  poeli  che  appareechiarono  si  valida- 
U  oostro  risorgimeato. 


XXU  FBEFAZIONE 

puri;  e  dal  misto  si  ripassa  ai  pari  con  per* 
petua  Ticenda;  il  cbe  avyiene  per  Timperfeita 
organizzazione  deila  democrazia;  cbe,  ove  potesse 
conseguire  il  suo  vero  assetio,  parrebbe  il  goyer* 
no  miAto  an  espediente  barbarico. 

II  Giannotti  siadio  le  dae  piii  gloriose  repub- 
blicbe  d' Italia;  la  fiorentina  e  la  veneziana;  Tuna 
cbe  non  dovea  piu  rinascere;  I'altra  cbe  doYea 
meno  onoratamente  spegnersi  per  rinascere  a  bre* 
ve  vita,  come  a  ricattarsi  della  yiltk  della  mor- 
te,  e  fare  cbe  le  memorie  repubblicane  in  Italia 
fossero  onorate. 

Commuoye  il  vedere  Fesule  patriota  correr  die* 
tro  alia  Fata  Morgana  della  saa  repubblica,  e  di- 
scutere  le  forme  aeree;  consola  il  yedere  com'e- 
gli  si  levasse  dalPidea  del  manicipio  alia  grande 
idea  d' Italia;  idea  non  attaabile  al  sao  tempo,  e 
adombrata  appena  nel  nostro  col  favore  del  prin- 
cipio  monarcbico;  non  attuabile  allora  per  la  diyer* 
sitk  degli  element!  di  goyerno,  e  male  adombrata 
adesso  per  la  diyersitk  degli  element!  di  popolo* 
Noteyole  e  cbe  ilprincipio  monarcbioo  fu  baono  ad 
unificar  Stati ;  non  cosi  ad  unificar  manicipj ;  e 
in  Italia  son  manicipj  e  non  Stati.  Al  prinoipio 
democratico  e  serbato  la  unificazione  d' Italia, 
poco  piu  cbe  personale  ai  dinostri;  ma  non  sarii 
federazione;  unione  sibbene  di  cittk  sorelle,  che 
si  connetteranno  come  i  pezzi  di  una  maccbina 
nel  loro  ingranaggio. 

Tra  il  Macbiayelli  e  il  Giannotti  corre  il  diva? 


PBEFAZI05£  XXJlt 

no  che  tra  il  necessario  e  il  contingente.  U  Griaa- 
D9tti  corre  zoppicando  dietro  ai  fatti,  e  non  esce, 
81  pao  dire,  daU'esistente;  ii  Macbiayelli  svisce- 
ra  daU'esperienza  mobile  e  transitoria  il  principio 
che  senza  accorgersene  ha  in  grembo,  e  fonda  le 
leggi  della  politica;  tantochfe  h  il  maestro  delle 
oazioDi,  e  le  rivoluzioni  lo  convalidano  e  ritalli* 
seoDo  la  sua  fama. 

Dal  carteggio  del  Ferraccio  traemmo  a  saggio 
alcuoe  lettere  sopra  uno  de'  suoi  pia  beifatti,  la 
presa  di  Yolterra;  e  Taltima  che  egli  scrisse  dopo 
^arito  del  male,  che  lo  fece  meno  provvedato  a 
resistere  alia  doppia  cospirazione  degli  assedianti 
e  dei  difensori  di  Firenze  a  rovinar  V  aomo  che 
eorreva  a  difenderla  e  a  ristorame  la  fortana.  La 
prioia  fa  gik  pnbblicata  dall'Azeglio,  e  si  riscou- 
ira  nella  collezione  che  ne  pubbUcarono  i  compi- 
latori  delV Archivio  storico  di  Yiesseux,  che  tanta 
eradizione  posero  in  senrigio  della  patria;  onde« 
ch^  uon  sai  se  devi  chiamarli  piuttosto  gran  dotti 
0  gran  ciitadini.  —  Ne  paia  eccessivo  questo  epi- 
teto  ai  nostri  di;  si  larghi  di  lodi  ai  cerretani  della 
liberU^  e  si  scarsi  a  quelli  che  confortarono  col 
sno  calto  le  loro  veglie,  e  pugnarono  per  T  Italia 
sni  libri  fincbb  non  si  potb  sui  campi.  —  Questi 
eraditi  yanno  al  pari  per  mente ,  e  se  non  per  en« 
tasiasmo,  certo  per  profondita  e  fecondit^  d'amore 
ai  Gaerrazzi,  ai  D'Azeglio,  ed  a  tatti  quel  nostri 
romanzieri  e  poeti  che  apparecchiarono  si  valida* 
mente  il  nostro  risorgimento. 


XXVI  PREFAMOHB 

II  GiannoUi  fa  discepolo  di  quel  Francesco  da 

Diacceto,  di  cui  il  Yarcbi  scriase  la  vita,  da  noi 

• 

jipabblicata  presso  il  Sarioi},  e  la  filosofia  piu  che 
la  credulitk  ai  frati  lo  fece  forte  nei  servigi  della 
repubblica  e  neU'esilio.  Egli  fa  segretario  de'  Dieci, 
gik  aboliti  nel  1512  al  ritorno  de' Medici,  e  creati 
di  naovo  nella  libertk  rborgente.  /  Dieci,  dice  AUo 
YaoQucci,  ii  cui  nome  h  un  elogio,  avevano  n/ft- 
cio  gravissimo:  governare  quasi  tutte  le  ptu  gravi 
faccende;  negoziare  co*principi  e  coUe  repubblicke^ 
e  dare  udienza  agli  avAascuuhri;  soldare  i  copitom, 
provveder  le  arm,  regolare  k  guerre^  iwciwr  com- 
missar^  agli  eserciti^  spedire  le  ambascerie. 

Quesio  posto  era  gia  state  tenuto  dal  Machia- 
vellL)  che  ne  acquisto  per  eccellenza  il  nome  di 
segretario  fiorentiuo,  e,  ficcando  ben  gli  occhiper 
h  rami  deU'albero,  si  vede  assiso  alFombra  il  Gian- 
notti. 


VITA 


01 


FRANCESCO   FERRUCCI 

SCRITTA 

DA  FILIPPO  SASSETTI 


SamtH. 


VITA 


DI 


FRANCESCO  FERRUCCI 


Niuna  sentenza  d  cosl  vera,  come  quella  6  che  per 
lebocche  di  ciascuDO  tutto  il  giomo  risuona;  che 
da  uno  inconyeniente  cbe  nasca,  molti  ne  seguono* 
Fa  gik  lodevole  costume  appresso  a^  Romani,  che  i 
cjttadinl  di  quella  repubblica,  lipeTi  dalle  fatiche 
della  guerra,  esercitassero  nella  patria  i  loro  propri 
esercizj;  e  quelli  abbandouando  quantunque  volte 
CMcsse  mestiere ,  ritomassero  a  guerreggiare :  nd 
era  a  Tile  riputato  negli  eserciti  ubbidire  a  colui  che, 
tratto  dallo  aratolo,  era  eletto  capitano  generale;  nd 
si  sdegnavano  g\i  uominl  valorosi,  deponendo  V  im- 
perio,  tomarsene  a  coltivare  i  suoi  campi.  Venue 
meno  interamente  questo  costume  allora  che  Otta* 
▼iano  Augusto  si  strinse  nelle  mani  11  freno  del  go« 
remo  del  mondo:  imperoccbd,  essendo  egli  mal  si- 
curo  principe  assoluto  di  quel  popolo  ferooe  •  che 
tanto  a?eya  stimato  la  liberty,  per  gettare  un  saldo 
fondamento  dello  imperio  suo  (conoscendo  molte 
ToUe  deslderare  i  popoli  sommamente  quelle  che  d 
cagione  della  rovina  loro),  corroppe  con  la  dolcezia 
deirozio  r  animo  de^cittadini  romani  cotantoferoce; 


4  VITA 

•^  nheTKH^mitt  dalle  f&tiefae  della  grtierrft,  toise  km> 
og^i  speranza  di  mai  plCi  rivedere  il  volto  della  li- 
bertii,  e  priydgli  di  quella  gloria  ehe  il  mondo  si 
ayeya  fatto  suggetto :  la  quale  partendosl  da  loro 
trapassd  a  quelle  genti  che  furono  elette  da  lui  per 
la  fermezza  dello  imperlo.  Da  questo  successe ,  in 
processodi  tempo,  che  rimperio,  dalle  man!  di  coloro 
che  per  forza  o  per  ingamio  se  Terano  occupato,  tra- 
passd a-persone  per  niuna  propria  yirtCidi  tanto  grado 
meritevoli;  dispeiiBato  dal  mobile  yolere  degli  eser- 
citibarbari,  iie*qualierarimasta  la  potenza  deirarmi. 
Da  questo,  indi  a  non  molto,  derivarono  le  innonda- 
zioni  di  quelle  genti  settentrionali ,  che  per  tanto 
tempo  infamarono  la  proyincia  d'ltalia:  imperocchd, 
essendo  yenuto  meno  in  lei  quel  valore  che  due  yolte 
sostenne  V  impeto  de^  Galli,  e  che  distrusse  1  Cimbri 
che  yenirano  ad  occuparla ;  e  non  essendo  rimperio 
retto  da  uomini  yalorosi,  ma  da  flare  sozze  e  abomi- 
nevoli,  che  di  difenderla  non  ayeyano  ne  possanza 
ne  sapere  ne  yolont& ;  ella  fu  in  gran  parte  oceapata 
da^Gotti,  da^Vand^li  o  da'Longobardi:dalglogodei 
quali,  ella  finalmente  il  coUo  sottrasse,  non  per  la 
sua  propria  yirtu,  ma  con  Tarmi  de'  Franzesl,  la  pri« 
ma  e  la  seconda  yolta^  f u  da  quella  servitill  liberata. 
Di  maniera  che  lungo  tempo  yidero  le  cittik  dUlaUit 
Tarmi  de^  barbari  solamente :  le  quail  di  poi,  secondo 
)a  yarietil  degli  accidenti,  ora  da  questo  principe 
e  ora  da  quella  repubblica  richiamate,  lasciaroao 
daila  milizia  loro,  intenta  alia  mercede  e  non  aliia 
gloria,  aletmo  piceiolo  yest^io:  dondeayyennedae, 
non  combattendosi  piii  per  la  liberty  o  per  la  gnat-^ 
dezsa  della  patria,  ma  per  il  piceiolo  stipendio  di^e 
quindine'soldati  yeniya;  gli  uomini  oziosi solamente » 
o  quelli  che  malcontent!  dello  stato  loro  deaiddrct« 
yano  cose  nuove^  V  insegne  della  milizia  si  riyeaeti* 
yano.  B  fa  questo  mal  costume  ed  6  ancara  coti  o^- 
seryato,  ehe  appreaso  a^soMati  del  seeolo  presence 


DI  FRAMCB0CO  FEBRUCCI  5 

sarebbe  in  poca  st^ma  colui  ebe,  lasciata  pur  ora 
Parte  cbe  egli  esercitava,  alia  guerra  n'andasse;  e 
da  quella  partendosi  e  airesercizio  sao  ritornando, 
come  codardo  sarebbe  scbernito.  Onde  si  d  yeduto 
Paolo  GioYio,  storico  moderno,  per  bocca  di  Fabri- 
zio  Maram^do,  gentiluomo  uapoletano,  uno  de^eo- 
lonnelli  degli  eserciti  imperiali,  avere  rinfacciato  a 
Francesco  Ferrucci,  gentilnomo  fiorentino»  lo  essere 
di  mercatante  divenuto  generale  degli  eserciti;  come 
infunia  al  Ferruccio  recasse  lo  avere  abbandonata 
la  mercatura  ;>er  la  liberty  della  patria,  e  virtuosa- 
mente  nella  guerra  adoperando,  avere  ottenuto  quel 
gradi  cbe  sono  piii  riputati  nella  milizia;  ed  a  Fa- 
brizio  fusse  sommo  onore,  per  ptcciolo  stipendio,  ser- 
vire  ad  altri,  per  occupare  la  liberta  de'  Fiorentini. 
If  a  percb6  tale  fu  riputato  Francesco  Ferrucci,  cbe 
per  lui  solamente  stimasse  la  Repubblica  florentina 
di  avere  a  conservare  la  propria  liberty,  io  bo  preso 
di  scrivere  le  cose  fatte  da  lui ;  accioccb^  in  quelle 
scorgrendo  1  lettori  le  quality  e'costumi  suoi,  brighl- 
no  di  imitarlo  in  quelle  parti  cbe  fecero  lui,  men* 
tre  egli  visse,  famoso,  e,  morendo,  lasciarono  di  un 
tal  cittadino  desiderio  grandissimo  nella  patria.  Ne 
doverra  parere  cosa  da  fame  poca  stima  lo  scrivere 
la  Vita  del  Ferruccio,  percbe  Tazioni  adoperate  da 
lui  siano  tutte  accadute  in  uno  anno  o  poco  pid :  im- 
peroccbe,  elle  furono  tali,  cbe  molti  uomini  famosi 
nell^arte  della  guerra  banno  tutto  il  tempo  della 
vita  loro  bramato  di  mostrare  al  mondo  la  virtii  loro 
per  quella  maniera  cbe  di  mostrarla  fu  conceduto 
al  Fearuccio.  La  vita  del  quale,  riguardando  le  cose 
tnite  da  lui  innanzi  al  tempo  della  guerra ,  potette 
essere  argomento  di  quail  dovessero  riuscire  Tope- 
re  sue. 

La  famiglia  de*  Ferrucci,  tra  quelle  del  secondo  po- 
polo  assai  antica,  ottenne  la  degnit^  del  priorato 
Tanno  1299,  e  *1  primo  Gonfaloniere  di  questa  casa, 


6  VITA 

fu  nel  1305.  Non  fumai  di  uomiiii  molto  abbondante^ 
e  per  questa  cagione  non  molto  ricca:  se  gih  cid  non 
le  fusse  avyenuto  dal  non  avere  gran  fatto  eserci- 
tato  la  mercatura.  Gli  abituri  suoi  nel  Fondaccio , 
che  riescono  Lungarno,  presso  al  ponte  alia  Carraia, 
dimostrano  che  1  posseditori  d'essi  era  uomini  civili, 
ma  di  spiriti  non  molti  grand! ,  mancando  d*  ogni 
burbanza  e  d'ogni  superba  grandezza;  ritenendo, 
nondimeno,  una  certa  mediocritil  non  lunile.  Fon* 
darono  nella  chiesa  del  Carmine  una  cappella,  yerso 
lasagrestia,  allato  a  quella  de'Soderini  rozza,adorna 
di  pitture,  secondo  que^tempi  assai  artiflciose:  ecid 
fu  Tanno  1345,  allora  che  quel  monasterio  gittava 
btton  odore  per  la  santit&  del  beato  Andrea  de'Cor- 
8ini.  Sono  stati  gli  uomini  de^  Ferrucci,  ancora  che 
non  molti,  virtuosi  e  ciyili;  quasi  ne^pochi  fusse  ri- 
stretto  ilyaloreche  in  molti  spandendosid^unastessa 
famiglia,  e  cagione  di  farla  risplendere:  e  quindi  d 
forse  deriyato,  che  non  siano  essi  conti  al  mondo  al 
pari  di  molte  altre  che  a  lei  non  passano  ayanti  di 
quella  nobilta  che  dal  tempo  procede.  fi  stata  in  casa 
loro  tre  yolte  la  degnitil  del  gonfalonerato ;  e  dei 
Priori  sono  stati  flno  a  yentiquattro  yolte;  oltre  alio 
ayerli  adoperati  la  Repubblica  secondo  che  le  faeeya 
mestieri,  o  che  disponeya  la  sorte :  essendo  stati  com- 
messari  di  Pistoia  Francesco  e  Lionardo  ^  suo  flglio 
del  1414  e  del  1440;  e  Lionardo  di  Antonio  fu  buou 
strumento  nella  guerra  di  Pisa,  onde  fu  Commes- 
sario  Antonio  Giacomini,  11  qu^le  in  Lionardo  con- 
fldaya  neirassenza  sua  la  somma  delle  cose  che  erano 
state  commesse  alia  cura  sua.  Ebbe  Antonia  Fer- 
rucci,  oltre  a  Lionardo,  di  madonna  Dianora  Micbi, 
un  altro  flglio  detto  Niccold ;  del  quale,  e  di  madonna 
Piera  de'Guiducci,  nacque  Francesco,  quelli  del  quale 
i  mio  intendimento  scriyere  al  presente  la  yita,  Tan* 
no  1489,  addi  15  del  mese  d'agosto.  Era  Niccold  po- 
vero  cittadino ;  intanto  che,  per  far  monache  le  sue 


DI  FRANCB8C0  FEBBUCCI  7 

flgliuole,  gli  conTenisse  yendere  una  particella  del 
beni  stabili,  con  i  qnali  soateneva  la  sua  famiglia : 
e  per  questa  eagione,  fd  Francesco  suo  flgliuolo  in- 
diritto  da  Ini  alPesercizio  della  mercatura;  siccome 
anche  n^la  citt4  di  Firenze  sono  destinati  i  giova- 
netti,  come  cbe  ricchissimi  siano.  Imperocch^ ,  es* 
aando  U  paese  stretto  e  non  molto  fertile,  non  si  ri- 
eoglia  per  la  maggior  parte  degli  abitatori  tanto  che 
e*  poasano  Tivere  dairuno  anno  alPaltro:  che  quando 
pure  segoiase,  mancherebbe  ad  ogni  modo  loro  11 
comodo  di  trattenersi  e  eopperire  alle  altre  spese  ne- 
ceasarie;  e  percid,  conyebendosi  troyare  qualcbear- 
gomento  ehe  a  queato  disordine  proyedesse,  banno 
riyolto  Tanimo  i  Fiorentini  alia  mercatura,  accioe- 
eh^  i  guadagni  che  quindi  deriyano ,  possano  loro 
satisfiare  per  proyedersi  delle  cose  necessarie.  Bgli 
Ail  yero,  che  easendo  innanzi  al  secondo  popolo  di 
Firenze  diyisa  la  Cltt&  in  gentiluomini  (che  furono 
poi  domandati  i  Grand!)  e  *n  popolani ;  i  gentiluomini 
eaercitando  la  cayalleria,  si  sarebbefo  sdegnati  di 
tee  U  mereatante,  sostenendo  il  grade  loro  con  la 
linrza:  la  quale  non  esercitando  contro  a  nemici  co* 
muni,  o  in  aeerescimento  della  Repubblica  loro,  per 
la  diyiaione  delle  parti,  riyolgeyano  V  arm!  in  loro 
ateasi  e  eontro  a^n^seri  popolani.  I  quali,  flnalmenle, 
•eoaso  il  giogo  di  quella  seryitil,  preso  il  goyerno 
aaaoluto  della  Cittii,  stabilirono,  niuno  potere  ayere 
parte  nel  goyerno  deHa  Repubblica  che  alcuna  art^ 
ncm  esereitaaae;  stimando  cos!  potersi  mantenere 
dentro  lo  stato  pacifico.  B  Uncora  che  questo  11  con* 
docesse  a  mancare  d^  armi  propie  per  difecla  dello 
state  loro,  atimarono  le  ricchezze  acquistafe  da  loro 
ayerli  a  difendere  da  ogni  molestia  che  dagtUnimici 
di  fuori  poteaaero  aye^e ;  non  sapendo  che  gli  uomi- 
Bi  fbrti,  e  che  siano  inaieme  fedeli,  con  quali  si  di** 
fScndono  gli  stati  e  s'accrescono,  non  yendono  a  pie- 
dol  pregio  la  yirtii  loro* 


%  TITA 

Ma  tomaxido  al  proposiio  iidetro,  Francesco  Fer- 
rucci  fu  da  Niccold  suo  padre^  d^eti  d'anni  dod^, 
messo  al  basico  di  Rai&Mlk>  Oirolami*  dosde  egli  si 
iolse  molto  tempo  innanzi  ^he  egU  potmsse  ragione- 
▼olmente  per  maturo  discotrso  diliberare  di  sd  stedso. 
Imperocchd,  d'6t&  d'anni  quindici ,  coiae  da  cosa  in 
tutto  contraria  alia  Datura  saa,  se  ne  parti,  dod  mo- 
lestia  infinita  del  padre  sao;  11  quale  scorgendo  ii 
suo  picciok)  potere  da  soatentare  la  fiamiglia  sua,  e 
la  natura  di  Francesco  inefainata  alle  tresdie  e  aVo- 
moriy  e  al  couTersare  oompagnevole  con  gli  altri 
tianciulli,  de'quali  egli  era  11  capo  e  la  ehiocchia,  fia^ 
cendosi  le  ragunate  tutte  quanta  a  casa  sua,  staTa 
di  mala  voglia;  risoluto  di  ritirarsi  alia  villa,    e 
cosi  cessare  spesa,  e  rimuOTere  11  flgliuolo  dalle 
pratiche  che  lo  traevauo  fuori  del  cammino  mo* 
atratogli  da  lui.  Stette  Franceseo  al  banco  de'  Qh 
rolami,  in  tutto,  anni  tre ,  daU*  ct&  de^  dodici  flno 
a  quella  de^quindici:  ne  percid  si  dee  riputare  cbe 
nome  di  meroataate  gli  si  eonvenga ;  percl^d ,  oltre 
alio  esservi  stato  costretto  dalla  TOlontti  del  padre» 
questo  accadde  in  quel  tempo  ehe  egli  maneava  an* 
cora  del  perfetto  diacorso  e  dellaeleztone,  dalla  quate 
gli  abiti  derivano  onde  dascuno  e  dinominato. 

Bgli  non  e  forse  neceasario,  nello  scriTere  le  vita 
degli  uomini,  seguitare  nella  narrazione  delle  cosa 
la  successions  continova  del  tempo,  come  molti  per 
avventura  si  sono  imaginati;^on  sendo  il  fine  di  chi 
le  acriye  fare  conte  le  azioni  dimostrandose  le  ea^ 
gi<mi  loro,  per  la  prudenza  de'lettori,  ma  di  sooprire 
i  costumi  di  e<^ui  del  quale  si  scrive  la  vita;  onde 
secondariamente  vengono  le  azioni  raecontate  oome 
dimostratrici  degli  abiti  dello  animo  nostro :  i  quidi 
molte  volte  si  scorgono  assai  meglio  ne'piccioli  fatti 
B  nei*  domesticiy  che  sono  modernamente  tralascSati 
dalliscrittori  dellevite,  cbe  dalle  pubbliche  azioni « die 
essi  studiano  di  raccontare  per  graadezsa  e  laagaift* 


DI  FBAHOMOer  FXBBUCCI  0 

eenxa  dd)e«|>ere  loro.  Cid  yatiA  wras  me  molio  in  con* 
eio,  per  non  si  aTeremolta  contezza  di  eoee  adoperate 
dMl  Ferrnceio  innangi  che  egli  fiisae  eletto  Commee- 
sario  generale  dalle  ge&ti  florentine:  peroochd,  seb- 
beiie,  qnanto  era  in  lui,  venuto  gik  in  tempo  che  si 
fa  TiTa  la  fona  del  dlscorso,  e^  dimostrd  sempre  d'a- 
vare  concetti  trapassanti  la  condizione  nella  quale 
lo  aTera  poato  la  fortona;  dello  essere  osserTate  le 
me  axioni  e  pensieri  snoi  non  eraniente,  avvenendo^ 
qaaeto  de'gioTani  potenti,  che,  non  avendo  ancora 
apiegato  la  forza  deMoro  pensieri,  incitati  dalle  cose 
fitte  da^li  maggiori  loro  e  dal  ealdo  delle  ricchezzg, 
ftnno  che  ciascuno  si  riyolga  a  considerare  e  minu- 
taodeale  notare  i  progressi  loro,  se  e'  dinno  principio 
a  ewe  degne  della  stimazione  loro.  B  non  per  quaato, 
avendo in  Francescosopperito la  natnrain  quelle  di  che 
la  fortiina  gli  era  stata  poco  amorevole,  si  potranno 
raecontare  di  lui  alcnne  cose  che  ear  anno  argomento 
dellHtnimo  suo;  le  quali  se  non  furono  considerate 
dal  pobbiico,  come  adiyiene  di  quelle  de^giovani  ^rin* 
etpaU  della  Cittl^  furono  ahneno  notate  dagli  amici 
anoi.  1  qnali  non  fnrono  pochi,  nd  di  poca  stima; 
sendo  egli  stato  molto  osseryante  di  questo  vinoolo 
dell^amicizia:  la  quale  egli  osseryd  sempre,  non  solo 
osaerrandone  1  precettl,  foeendo  le  cose  sue  con  gli 
amici  comuni,  ma  eziandio  non  la  violando  con  sorte 
verona  d*ingiuria  o  di  cosa  mal  fatta:  delle  quali 
egli  fa  aampre  cosi  inimico,  che  egli  non  dubitasse 
di  tirarai  addoeso  inimicizie  di  moUa  importanza  per 
qoeata  cagione.  Imperocchd,  essendo  egli  ancora  gio- 
▼ana«  sebbene  aomo  ftttto,  fu  una  yolta  invitato  a 
cena  da  oerti  amici  snoi,  doye  per  sorte  era  stato 
ehiamaito  un  capitano  Cuio,  11  quale  era  al  seryizio 
di  Giulio  cardinale  de*Medici,  che  fu  poi  papa  Cle- 
mente,  al  goyemo  del  quale  era  allora  la  citt&  di 
mrenze.  Era  questo  Cuio  uno  de'grandissimi  brayi 
eke  allora  fusse  nella  proyincia  di  Toscana;  il  noma 


10  VITA 

del  quale  passd  poscia  in  proverbio:  imperocdid, 
quando  si  Toleya  pel  tempi  passati  ischemire  aleuno 
obe  facesse  di  braTO  professione ,  se  li  domandaya 
se  per  sortefasse  state  Caio.  Di  questasiffatta  bravura 
fecero  allora  molti  professione,  per  la  riputazione  che 
aveva  reso  Giovanni  de'Medici  alia  fanteria  italiana; 
ma  di  questi,  molti  erano  cotali  sgherri,  che  non  an- 
dando  alia  guerra  mai,  dimostravano  Tanimo  lore  oon 
fare  a  coltellate  con  colui  cbe  avesse  auto  piii  nome 
di  feroce  neirarmi ;  con  11  bestemmiare  Dio  e  la  Ma- 
dre  san^  aleuno  rispetto;  con  ildispregio  della  re- 
l^ione,  mangiando  carneil  venerdi  eil  sabbato;  e  con 
fare  tali  sporcherie,  che  movendo  gli  stomachi  al- 
trui  a  rigettare  cid  che  avessero  preso,  essi  non  se 
ne  pigliando  fastidio,  dimostrassero  la  fortezza  loro. 
E  una  di  queste  azioni,  per  sorta,  fu  quella  che  face 
perdere  la  pazienza  al  Ferruccio.  Imperocche,  mentre 
che  i  convitati  intorno  al  fuoco  si  scaldavano,  Cuio. 
senza  che  paresse  suo  fatto,  preso  un  bicchier    di 
vino'  bianco  e  bevutoselo,  andando  in  un  canto ,   vi 
piscid  dentro,  per  scherno  di  colaii  a  chi  in  sorte 
toccasse  quel   bicchiere,  e  rimesselo  in  tavola:    il 
quale  atto  cosi  sconcio  non  essendo  state  notato  se 
non  dal  Ferruccio,  non  avendo  egli  riguardo  se   a 
lui  poteva  toccare  quelle  o  ad  un  altro  (che  sapere 
non  si  poteva),  accostatosi  alia  mensa  e  preso  quel 
bicchiere  si  pieno  di  sporcizia,  le  battd  nel  vise   ml 
capitano  Cuio.  Per  la  qual  cesa ,  conturbaiasi  tutta 
la  compagnia,  estimandosi  dagli  altri  che  la  ca< 
gione  non  sapevano*  avere  il  Ferruccio  fatto  eosa 
insolente  a  turbare  la  gente  di  quella  compagnia 
lieta;  tiratosi  Francesco  da  banda,  avendo  mesao  le 
man!  suirarml,  narrd  come  fusse  passata  la  btaoerna 
onde  egli  si  mosse  a  fare  Tingiuriaal  capitano  Cuio; 
e  rivolto  a  lui,  gli  ofTerse  di  mantenergli   il  carico 
fattogli  con  Tarmi  del  pari,  quandunque  gli  placed- 
se.  Ma  fu  la  cesa  quietata,  con  tutta  la  bravunt   ^| 
Cuio;  si  che,  intramettendosi  gli  amici^  la  pace  si  fece. 


DI  FRANCESCO   FEBRUCCI  11 

Molto  pifl  veementemente  si  risentiva  delle  inglu- 
rie  che  fassero  state fi&tte  alai,  le  quali  egU  non  misu- 
raya  eosi  con  la  regola  diritta  nel  riputarle  oome  si 
conyerrebbe,  ma  come  d^animo  piii  che  ordinario,  che 
le  cose  eziandio  desiderate  contano  in  luogo  di  pro- 
pie,  e  che  a  loro  solamente  si  conyengono.  Non  sof- 
ferse  d'ayere  competitor e  in  una  donna  amata  da  lui, 
come  che  nobile  fosse  e  di  stirpe  alia  sua  simile,  se 
non  forse  maggiore.  Bra  il  Ferruccio  fortemente  in*^ 
namorato  in  una  sua  yicina,  gentildonna;  nell'amore 
della  quale  conoorreva  parimenti  un  altro  eguale  a 
lui ;  la  qual  cosa  reputandolasi  egli  ad  ingiuria,  e  non 
yolendola  sofferire,  afftontato  una  sera  il  suo  riyale, 
li  did  molte  bastonate;  per  le  quali  lascid  coluiTim- 
presa  dell^amore  al  Ferruccio  interamente,  il  quale 
ne  acquistb  nome  di  persona  che  yolesse  che  altri  lo 
rispettasse.  Incontrdgli  un  altro  accidente  da  questo 
non  dlssimile  molto,  incorrendoyi  egli  forse  con  mag- 
gior  ragione  che  nel  narrate  di  sopra ;  perocehd,  seb- 
bene  le  cose  d^amore  si  fiinno  fare  piazza  ad  ogni 
altro  rispetto,  non  d  percid  che  non  possano  essere 
le  bellezze  d'alcuna  donna  oggetto  a  molti  comune. 
Andaya,  una  sera  di  state ,  Frances(io  Ferrucci  a 
spasso  dope  cena,  e  *n  compagnia  sua ,  uscita  per 
yentura  di  casa  nella  strada,  era  una  femmlna  detta 
la  Sellaina.  Ora,  mentre  che  a  diletto  insieme  ragio- 
nayano,  soprayenendo  lacopo  de*  Medici  (detto  per 
sopra  nome  Boccale);  presa  quella  femmina,  Pebbe, 
eosi  nel  mezzo  della  yia  come  si  ritroyavano  ,  ba- 
sciata.  Alterossi  deiratto  il  Ferruccio,  e  non  ostante 
ehe  la  cosa  fusse  con  un  cittadino  potente  e  di  molto 
s^guito,  gli  disse  che  ay^ndo  ayuto  Tarmi  eguali  a 
lui,  che  e'non si  sarebbe  messo  ad  ofifenderlo  di  quella 
maniera.  Per  lo  che,  otferendoli  lacopo  d'aspettarlo 
se  egli  yoleya  andare  per  esse,  accettata  r  offerta, 
andd  e  tom6  incontinente '^  e  yenuti  alle  armi,  dope 
ayere  alquanto  menato  le  mani,  rilevd  Boccale  una 


1$  VITA 

pieciola  ferita  sur  una  spaUa;  e  stringendosi  addosso 
Tuno  all'altro,  yennero  flnalmente  alle  gavigne,  e 
Bifurono  spartiti.Ayeya  il  Ferruccio  data  molta  opera 
nella  sua  gioyinesza,  e  se  ne  conseryaya  Tabito  con 
rasercizio  continoyo,  alia  8crimia«  giocando  d'  ogni 
sorte  d'arme ;  ma  di  spada  e  rotella  e  d'arme  d'asta 
singolarmente. 

Questa  lite  ayyenutali  con  Boccale,  die  molto  co- 
noseiuto  era  e  riputato  per  la  nobilti  e  per  Taltre 
parti,  fece  creseere  il  coneetto  che  ayeyano  gik  le 
genti  del  Ferruecio ;  il  qaale  egli  andaya  conferman- 
do  col  mostrare  Tanimo  suo  intrepido  quantutique 
yolte  Toccasione  li  ae  ne  porge68e,maeziamdiocoii 
Taltre  sue  azioni.  Imperocch^,  'sebbene  egli  non  in* 
tendeya  la  lingua  latina,  e*  cercaya  in  ogni  modo  di 
sapere  delle  cose  fatte  dagli  antichi,  leggendo  le  tra- 
duzionied  oflseryando  le  cose  appartenenti  air  arte 
della  guerra,  alia  quale  si  scorgeya  manifestunente 
egli  ayere  riyolto  il  pensiero;  imperoccke,  ritroyan- 
dosi  la  dove  uomini  fossero  eke  delle  cose  della  mi- 
lizia  ragionassero  con  fondamento,  o  per  la  esperienza 
delle  cose  yedute,  o  per  ayere  letto  i  fatti  degli  al- 
tri  popoli,  ei  cercaya  d'entraryi  per  acooncio  modo. 
Ne  li  mancaya  naturale  inclinazione  al  ben  proferere 
11  parere  suo ;  anzi  lo  diceya  per  maniera,  eke  agli 
ascoltanti  poteya  essere  manifesto  cbe  egli  opera  vi 
ponesae.  Per  lo  contrario,  era  impaziente,  e  non  ei 
poteya  fermare  la  doye  fussero  ciancioni,  cbe  di  cose 
yane,  sporcbe,  o  pure  di  cose  grayi  sanza  fondamento 
ragionassero ,  donde,  tantosto  eke  egli  poteya  ,  sol 
eke  la  compagnia  offesa  non  ne  restasse,  se  ne  fug- 
giyi^  £  se  tra  gli  amici  di.simili  cose  accadessero , 
non  era  yago  di  riprendere  o  di  garrire  le  cose  nud 
dette;  ma,  con  un  cotal  rise  eke  non  andaya  molto 
a  dentro ,  dimostraya    non  essere  quel  propoaito 
secondo  il  gusto  suo :  mo^trando  in  ogni  suo  diaeorao, 
nulla  tanto  essergli  a  caore  o  tanto  dolere,  quanto 


DI  FRAKCO09  FlfiRUCCI  18 

il  tenpo  «be  si  perde.  Dicono  eadNrstslosttopropio 
quen'osa  del  nogghigTULte  qQaatmique  yotta  ad  al- 
cuna  cosa  si  aTYeniya  obe  nan  fusee  seeondo  il  gu*- 
8to  sao;  e  come  oke  in  hii  non  si  scorgesw  alciiae 
lotUgnd  peoBiero,  d  nondimeno  stato  notato  quel 
Tezto  oome  eosa  datla  quale  venga  ^el  non  sinoero. 
E  DODdim^o,  fa  egU  ripatato  uomo  aperto,  ehe  di* 
mostnisse  nolle  parole  quello  ^e  egli  aveva  nell*a- 
Btmo;  BOB  meno  amSco  degli  amid,  cheagli  inimiei 
inimieo  soopertamente:  con  i  qoaM,  noBdimeno,  de« 
ponendo  gPiateressi  particolari  per  cagione  del  piil>- 
bMeo,  ritornd  amioo. 

Dopo  la  lite  che  egil  ebbe  can  Boeeale  de^liCediei, 
eon  il  quale  non  fece  eosi  presto  la  paee,  si  rttird  11 
PBTTuccio  in  villa  nel  Casentino,  tra  il  castelto  di 
Poppi  e  di  Bibbtenau  Nel  qnal  luogo  non  istara  ozioao, 
ma  essendo  agile  della  vita  e  ben  disposto,  era  ish 
t«|ito  al  placere  della  caccia,  eosi  delle  flere  terre- 
sir!  come  degli  nceelli,  dilettandosi  molto  del  fare 
▼olare;  e  percid  nutricava  sempre  un  astore,  ciid  piik 
Bon  pokeTa  per  la  poca  rendita,  ch6  avera  a  soate- 
oera  la  famiglia  tutta.  Bra  in  quel  paese  ripotato 
ntotto,  6  quasi  auto  per  Tarbitro  di  tutte  le  diiferense 
Che  tra  gli  uomini  di  quel  paese  nasceTano;  i  quali 
P^rteggtando  tra  loro,  siceome  la  RoB&agna  e  gU 
ftttri  paesi  loro  vieini,  come  qualclte  disordiiie  d*im* 
portanza  era  aecaduto,  andavano  amendue  le  parti 
^  hri;  ed  egH,  per  destro  modo,  insieaoe  gli  accon* 
^▼a,  avendo  ragionerole  intelligenza  ed  una  oerta 
^cora  pratica  delle  cose  del  duello,  acqaistata  dalla 
sua  ossenranza  nel  conversare  tra  gli  uomini  delia 
?uerra.  Quindi  derivava  ohe  la  piCt  parte  del  paese 
Tamava  e  rereriya:  a  c&e  si  aggiognevaaiaehelSiii- 
torit^  ehe  da  per  se  stessi  ritenevano  i  dttadini  nel 
^oatado;  perd  cbe,  signoreggiando  dascuno  Tieen- 
deroimente  nella  Cittft ,  parera  ehe  e*  ritenessavo 
fl^&pre  parte  di  qnella  grandesza  ehe  era  in  loro  al* 


14  VITA 

cttna  YOltaper  disposizione  della  sorte.  E  nondimeno, 
come  ce^paesi  dove  le  parti  sono  e  le  dlyisioni  de^li 
uomini,  addiviene  a  coloro  che  non  Ti  sono  interest 
sati  per  natura,  alcuni  gli  portavano  manco  rispetto; 
per6  che,  oonvenendo  a  ciascuno  non,  ii^teressato 
in  loro  controversie,  e  che  tratti  tra  loro ,  dare  la 
sentenza  almeno  nell'animo  suo  contro  ad  una  delle 
parti,  Taltra  restandone  offesa,  sel  coglie  in  odio. 
Quindi  forse  procedette,  che  alcuni  del  castello  di 
Bibbiena,  andati  alia  Tomba  su  quello  del  Ferruccio, 
ne  presero  certe  lepre;  e  innanzi  che  se  ne  partis- 
sero,  furono  sopragiunti  da  lui:  11  quale  rlcevendo 
quest'atto  a  dispregio  suo  ed  a  gran  Yillania ,  cost 
come  era  armato  d'una  corsesca ,  capovolgendosela 
in  mano,  dette  a  uno  de'  principali  di  quella  compa- 
gnia  tanto  quanto  le  braccia  li  rossero.  E  sapendo 
con  quale  ingenerazione  egli  avesse  a  fare,  correndo 
contro  agli  inimici  non  una  persona  solamente,  non 
un  parentado  intero,  ma  la  parte  tutta  quanta ;  aven* 
do  chiamato  certl  seguaci  suoi ,  aspettava  il  movi- 
mento  di  quelli  di  Bibbiena ;  i  quali  tantosto  in  frotta 
(gente  salvatica  e  dimal  talento)  andarono  per  affron- 
tare  11  Ferruceio  e  nuocerli:  ma  troy andolo  ben  pro- 
yeduto,  si  partirono  senza  ay  ere  tentato  cosayeruna; 
ayendo  conosciuto  che  11  furore  non  ha  dempre  luogo, 
e  massime  doye  si  reggano  le  azioni  con  prudenza. 
Parr&  forse  ad  alcuno  gran  merayiglia,  che  non  si 
raccontino  magistrati  cheesercitassenella  Ci|;t&  cola  I 
che  ebbe  tanta  autoriti  dalla  sua  Repubblica.  fi  il 
yero  che  non  pare  cosa  yerisimile,  che  non  si  ayendo 
auto  sperienza  del  giudizio  e  della  prudenza  di  Fran- 
cesco, e'  doyesse  essere  confldato  in  lui  la  somma 
delfe  cose:  e  nondimeno,  interyienequesto,  che  dove 
11  bisogno  6  grande,  e  a  molte  cose  si  conyiene  pen- 
sare,  come  interyenne  nella  guerra  alia  RepubMica 
FkirenUna,  di  molti  strumenti  le  fanno  mestieri ;  clie 
se,  per  yeatura,  alcuno  ne  li  riesce  atto  a  quelle 


DI  FRAKCfeflCKT  FERHUCCI  15   ' 

efier^mo  eh^gli  fa  da  prima  adoperato,  si  prende 

animo  a  darli  cure  maggiori,  crescendo  smnpre,  fino 

a  Che  o  i^imprudenza  maaifesta  di  colui,  o  Tinfelice 

suocesso  di  qualche  sua  azione,  non  lo  trae  del  con* 

cetto  nel  quale  e^  fosase  aV>co  a  poeo  venuto^  In  qtia- 

lunche  modo  la  cosa  si  fass^t  colore  che  hanno  me- 

moria  delle  azioni  del  Ferruocio,  dicono  egli  essere 

stato  Podesti  prima  di  Campi  e  poi  di  Greve :  i  quali 

ufl2j  se  si  riguardano ,  si  conosceri  apertamente, 

non  pot^e  po'rgere  occasione  alcuna  agli  uflziali  di 

mostrare  in  qualehe  parte  segno  di  giudizio  o  di  pru- 

denza»sendoBpogliati  delgiudiziodel  criminale  Tund 

e  Taltro;  esercitando  Timperio  il  podest&nel  far  paga- 

re  i  debiti  privati ;  e  quella  parte  delle  rendite  del  Co- 

snine  ehe  11  fussero  comopiesse  da*magistrati  fiorenti- 

Hi,  potendo  egualmente  dame  la  cura  a  si  fatti  mini- 

strl  od  a  quegli  che  giudicano  nelle  cose  crim^alL  Que- 

sti  Bono  lecose  fatte  da  Francesco  flno  air  et&  d'anni 

trentotto,  consenratej:iella  memoria  di  amici  suoi :  le 

quali  possono  fiacilmente  essere  argomento  di  quello 

che  egli  poscia  diyenisse,  potendosi  scorgere  flno  a 

(foi  nelle  azioni  raccontate  di  lui,  giudizio  e  discorso, 

aaimo  e  forza,  e  bontii  di  mente,  congiunta  con  vo- 

lonta  di  dimostrarsi. 

Segoitano  da  qui  innanzi  azioni  piii  gravi,  e  degne 
d^easere  maggiormente  considerate.  Impercid  che , 
•Mondo  la  Repubblica  fiorentina,  per  la  Tenuta  in 
Firenze  deiresercito  della  lega,  dichiarata  anch^essa 
nella  confederazione  che  era  tra  il  re  di  Francis , 
d^Inghiltera,  de^Veneziani  e  del  ponteflce ,  contro  a 
Carlo,  e  mandando  poi,  sotto  questo  pretesto/cento 
einqusata  cavalli  e  quattro  mila  fanti,  dopo  la  presa 
(lil  ponteflce,  sotto  Orazio  Baglione,  con  V  eserdto 
cbm  Lautreoh  conducera  nel  Regno ;  il  Ferruccio  ot- 
tMBie  d^andare...  con  Marco  del  Nero  e  Oiovan  Bait- 
tistaSoderini,  imbasciadori della Bepubblicaappressq 
aLinite«(^:  inyitandoio  a  cid  non  pate  Tamieizia 


'    16  VTPA 

grraxMl6  ohe  era  tre  Itii  e  il  Soderlno,  mail  dMiderto 
auto  sempre  di  mandate  ad  effetto  i  pensieri  dell*a* 
Almo  suo  Che  all&milizia  la  traevano:  per  la  eho, 
proYtsto  d'arme  e  cavalli,  si  coadttMe  eon  le  genti 
deTiorentini,  dette  le  BanCLe  Nere,  satto  Napoli.  VM 
qual  luogo  ntillamena,  esercitando  Taflcia  che  egll 
aveva  in  quello  esereito,  cercaya  d^acqaistareinsie* 
me  nome  e  riputazlone,  e  seienia  neli'arte  militare : 
per  la  eke  £&re,  dicono  egli  esaere  stato  sottilisaimo 
ricercatare  degli  ordini  della  gruerra/  domandando 
ittstantemente  della  cagione  di  tutte  leeoae  chenttOTa 
alia  Tista  se  grli  rappresentavano^  Delkt  quale  eoMi 
siccome  gli  porse  roceasione  ampia  eommoditft,  cast 
gli  fa  facile  il  teatare  la  sorte  nella  guerra,  per  ri- 
portame  fama:  peracch6,  militando  tra  queUa  g«Biae 
che  erano  piU  di  tutte  Paltre  adoperate  nello  esercito, 
e  sanza  le  quali  di  Puglia  non  si  stimasse  potere  an- 
dare  alia  volta  di  Napoli,  ogni  giorno  poteraessere 
nelle  scaramucce  alle  man!  co%gli  inimici.  Perd  che, 
uscendo,  per  la  difflUta  de'viyeri»  la  cavalleria  a  oyai 
ora  di  Napoli,  pareva  che  con  molta  gloria  loro  nen 
si  potesse  opporre  altre  genti  agli  Spagaaoli ,  cM 
le  fiande  Nere  de'  Fiorentini ;  in  una  searamuctte 
delle  quali,  fa  flnalmente  fktto  prigrione  Fraaceaeo 
Ferrucci.  B  come  che  ci6  non  possa  aTYerani«  Tori- 
simile  d  che  e'  seguisaepoco  innanxi  all'altinia  roTl* 
ha  dello  esercito  f ranzese.  imperd  <^e«  essendo  giuiite 
I'armata  che  di  Francia  porta va  soocorso  di  gente  e 
di  daaari,  e  non  potendo  pigllare  porto  sansa  eaaare 
assaltata  dagii  Spagnuoli ;  Lautrech  avera  mandato, 
p«r  sicurta  del  tutto  nello  sbarcare,  11  awrc^eed  di 
Saluzzo,  i  Srizzeri  e  leBandaNere,  awiando  tenaasi 
la  gente  d'arme  franzeae  col  mareheae,  e  dietro  la 
fanteria  prtdetta:  tra  la  quale  e  la  geate  d'ari— , 
diiMoato  un  tiro  d'archSboto,  era  Ugo  de'P^ipoli^  tOm 
per  la  morte  d"  Oraaio  BaglSane  era  rioiaata  aspo 
deJOe  ge&ti  de'FloreBtini,  con  cinquanta  arehJhtwiai  L 


DI  FRANCESCO  FKBBUCCI  17 

Fu  la  gente  d^arme  assalita  dalle  genti  useita  di 
Napoli  in  gran  numero;  e,  forzata,  si  mise  in  Tolta, 
percotendo  nelia  fanteria,  che  dietro  gli  oamainaYa; 
nel  qoal  tumulto  fa  fatto  prigione  Ugo  da'Peppoli: 
col  quale  die  fosse  Francesco  Ferrucci  innansi  alia 
bi||taglia,  ranimo  sue  me  lo  fa  verisimile;  ma,  in 
qoalunque  mode,  egli  fa  condotto  prigione  in  Napoli. 
Altii  hanno  detto,  essere  state  prigione  di  un  Cala- 
Trese;  altri,  di  soldati  6pagnaoli  (de'qnali  atevain 
costume  di  lamentarsi  molto  sorente,  poichd  fa 
ritomato  in  Firenze);  altri  dieono  di  Fabrizio  Mara- 
maldo.  Era  Q  Ferruccio  povero  cittadino;  e  eon  gnm 
difficult^,  a  Tendere  tutto  quello  che  11  toccava  della 
rediti  patema,  si  sarebbero  messi  insieme  tanti  de- 
nari,  che  fossero  stati  basteroli  a  pagare  la  taglia 
ehe  gli  imposero  i  vineitori.  Onde  affermarono  i  sttol, 
averli  quelli  da  Gragliano,  mercatanti  Fiorentini,  pre- 
gt^tili  i  denari  del  suo  ricatto,  ed  esserne  ancorade* 
bitore.  Altri  lianno  detto,  la  nazione  Piorentina  di 
Napoli,  tatta  insieme,  arere  soyyenuto  al  bisogno 
del  suo  cittadino :  n^  6  maneato  chi  abbia  detto 
(tanto  Tolen^eri  rimangono  in  luce  piii  del  yero, 
hene  speeso,  le  bugiel)  che  egli,  il  Ferruccio,  si  gin- 
casse  i  danari  proyedatigli  da  altri  per  ricattarsi  di 
seryitii:  la  qual  cosa  per  cid  non  ardirei  di  negare. 
Crederei  bene  piii  tosto,  se  cosi  fosse  fama,  lui,  in 
cambio  di  ayerli  conyertiti  in  liberare  sd,  ayeme  a 
qoesto  effetto  accomodate  altri:  non  ay  endoritratto 
eke  egli  fusse  al  giuoco  inclinato,  ma  sanza  cura 
yerona  di  sd  stesso,  quanto  toccaya  allMnteresse  dei 
danari,  Ik  doye  il  bisogno  degli  amici  lo  ricercasse. 
La  mandata  che  fecero  iFiorentinidiquesta  gente 
eoatro  a  Carlo,  st  come  a  loro  fu  in  gran  parte  ca- 
gione  di  futnra  calamity ,  cosi  dette  occasions  al 
Perroccio  di  esercitarsi  di  nuoyo  nella  milizia ;  e  dope 
molti  trayagli  e  gloria  acquistata,  partirsi  di  questa 
yits,  portandone  in  ricompeosa  Tesaere  libero  dn) 


18  VITA 

Tedere  la  patria  ridotta  in  servitd  di  colui,  contro 
al  quale  per  difenderla,  egli  ▼!  laJscid  la  vita.  E  an- 
oora  Che  queste  cose  siano  note  per  le  storie  di  quel 
tempi,  e  cbe  forse  rinstituto  mio  non  comporti,  per 
fare  manifesti  1  costumi  di  Francesco  Perrucci,  im-« 
prendere  a  narrare  cosi  le  cose  di  quella  guerra;  nondi- 
mono,  per  essere  elle  da  alcuni  scritte  piolto  somma* 
riamente,  e  da  altri  con  poea  fede,  io  ho  stimato  che 
non  possa  essere  discaro  11  toccare  questa  materia 
con  la  presente  occasione,  con  quella  notizia  che  a 
me  ne  e  peryenuta,  sanza  per6  mai  discostarml  dal 
fine  che  io  mi  sono  proposto. 

Bssendo  state  Clemente,  dopo  che  egli  use!  del 
Castello  Santo  Angiolo,  dove  egli  stette  guardato 
pi&  mesi  da^ministri  di  Cesare,  neutrale  tra  i  poten- 
tati  della  lega  e  Io  imperadore  Carlo;  servendosi  a 
ci6  della  riputazione  persa  nella  sua  calamitit,  e  del 
mostrare  di  mancargli  forze  da  potere  fayorire  o  Tuna 
o  Taltra  parte;  andd continovamente i progressi  del- 
Puna  e  dell^altra  parte  osssryando,  per  poter  gittarsi 
da  quella  parte  che  egli  piii  fayoreyole  giudieasse 
a^isegni  suoi.  B  conoscendo  quelle  che  egli  potesse 
stimare  Taiuto  de'Franzesi,  intento  quel  re  a  bada- 
luccare  solamente  con  Carlo  per  riayere  i  figli  suoi, 
e  non  a  fiarli  guerra;  e  massime  nel  Amettere  in  Fi- 
renze  la  casa  sua,  essendosi  egli  presa  quella  Repub- 
blica  in  protezione ;  riyolse  Tanimo  acconciarsi  con 
Cesare.  Onde  Teffetto  segul  in  Barzalona,  della  pace 
tra  Cesare  eU  pontefice;  e,  oltre  a  molte  condizionl 
accordate  in  quelle  appuntamento ,  y  i  f  u  questa ,  che  Ce- 
sare fusse  tenuto  a  dare  aiuto  al  pontefice  per  rimet- 
tere  in  Firenze  la  famiglia  sua,  con  quella  grandezza 
che  per  molti  anni  yi  ayeva  gi&  tenuta.  A  questo 
effetto,  si  spinse  innanzi  dal  regno  di  Napoli  11  prin- 
cipe  d^Arange,  di  patria  Guascone,  allora  con  titolo 
di  yicer6  e  capitano  di  arme  in  Italia  per  sua  mae- 
stri succedttto  per  la  morte  dlDonUgodlMoncada. 


m  FRANOESOO  FHBRUCCI  1^ 

DeUa  venuta  del  quale  ayendo  inteso  i  Fiorestini , 

ed  ayendo  deliberate  di  difendersi.poich^glioratorl 

lore  a  Genoya  non  erano  potuti  convenire  con  Ce- 

sare,  tTeyano  mandate  fuori  pid  Commessarii  deUoro 

cittadini  sopra  le  cose  della  Abbundanza,  a  cid  ehe 

ridotti  i  Yiveri  tutti  quanti  ne*  luoghi  forti ,  se  ne  po* 

tesselaCitt&preyalere  ne^bisogni  suoi,  e  tOrrea^ni* 

mici  la  comoditi  deirusarli.  Tra  questi  Commessari, 

fa  spedito  dalla  Repubblica  Francesco,  e  gli  toced  per 

florte  la  terra  di  Prato,  in  compagnia  di  Lorenzo  So- 

derini;  nella  quale  e'  doyesse  fare  condurre  tutte  le 

Tettovaglle  di  quel  contado,  che  non  fussero  flno 

iUora  condotte  in  Fiorenza  o  quiyi,  e  quindi  dispen- 

sarle  per  Tuso  della  terra,  e  secondo  Tordine  della 

B^ubblica.  Ayeyano  questi  Commessari  podesti  as* 

soluta,  comandando  a  questo  efl^to  a  tutti  1  sudditi 

sottoposti  alia  terra ;  ed  ebbero  da  prima  di  proyisione 

flno  a  scudi  due  il  giomo.  And6  il  Ferruccio  a  Prato, 

dove  egli  esercitd  Tuflzio  suo,  eseguendo  le  commes- 

sioni  de*Dieci  della  guerra  sopra  le  cose  alle  quali 

egli  era  stato  proposto  da  lore;  e  poche  cose  ne  gli 

snceessero  degne  di  memorie.  Bbbeyi  differenza  con 

il  capitano  Niccold  Strozzi,  il  quale  in  compagnia 

d'tltri  era  a  guardia  di  quella  terra:  chd  yenuti  in* 

^me  a  parole,  il  Ferruccio,  tratto  fuori  lo  stocco, 

gli  eorreya  addosso  per  ammazzarsi  seco ;  come  quelli 

cbe  era  impaziente,  e  massime  doye  si  trattaya  di 

quelle  cose  che  erano  nel  concetto  suo  le  maggiori. 

B  p^cbd  il  raccontare  donde  yenisse  il  disparere 

loro,  oltre  alia  narrazione  della  storia,  molto  yale  a 

seoprire  il  costume  di  Francesco,  egli  si  mi  place  di 

Mceontarlo. 

Bra,  a  sommossa  del  ponteflce,  passato  Ramazzoto 
da  Scaricalasino  nel  dominioflorentino,  connumero 
di  tre  mila  masnadieri;  e  yenuto  a  Firenzuola  e  sac- 
cheggiatola,  entraya  piii  a  dentro  nel  Mugello  ,  fa- 
cendo  il  somigliante.  Contro  airinsolenza  di  quelle 


1^  VITA 

gonti,  ordiiiarono  i.Di6Ci  cbie  andasse  Otto  daUon* 
tauto,  che  era  in  Prato  allora  per  la  Repubblica;  ai 
quale  ordinarono,  che  passando  dal  Trebbio,  yilla  dei 
Jdedici,  dove  era  Maria  sorella  di  lacopo  Salviati  e 
moglie  di  Giovanni  de^Medici,  con  Cosimo  suo  flglio, 
prendesse  la.  donna  detta  e  a  Firenze  la  menasse,  e 
a  Cosimo  picciolo  fanciuUetto  togliesse  la  vita.  Andd 
Otto,  e  trovato  Ramazzotto  avere  predato  ed  essersi 
fuggito,  sanza  fare  quello  che  11  era  stato  commesso 
delle  cose  del  Trebbio,  se  ne  ritornd  in  Prato:  per 
lo  che  mal  sadisCatta  di  lui  la  Repubblica,  fiattolo 
pigliare  a  Prato,  in  Firenze  il  fece  condurre.  Ora, 
ragionandosi  di  questo  fatto  tra  Niccold  Strozzi  el 
Ferrucci,  e  pigliando,  ancora  che  modestamente,  lo 
Strozzi  la  difesa  del  Montauto,  quasi  fusse  per  vA 
soldato  opera  indegna  il  fare  prigione  una  donna  e 
tdrre  la  vita  a  un  fanciuUo;  non  potendo  sofferire 
il  Ferruccio  che  colui  fusse  difeso  da  un  soldato  flo- 
rentino,  il  quale  aveva  disprezzato  la  poverty  del 
Commeesario  della  Repubblica;  tiratosi  indietro,  e 
detto  alcune  parole  soprastanti  •  posto  mano  alio 
stocco,  tomava  avanti  per  venire  alie  mani  con  lo 
Strozzi :  e  ne  sarebbe  seguito  la  morte  dell^  uno  di 
loro,  se  altri  capitani  e  uomini  di  molto  affare  non 
si  fussero  inter posti  in  quella  lite.  La  quale  non 
ceasd  perd  del  tutto,  ma  fu  di  mestiere  che  vi  si  in* 
terponosse  Tautorit^  pubblica,  come  si  raccontera. 
Bratrascorso  il  tempo  sino  a  mezzo  gennaio  deH'an- 
no  1529,  sanza  che  il  principe  d'  Oranges,  accampato 
da  quella  parte  di  Firenze  che  si  dice  d'  Oltramo , 
avesse  fatto  progresso  veruno  memorabile.  Per   la 
qual  cosa,  avendo  determinato  Cesare  di  gratiflcare 
in  cid  al  pontefice  interamente,  avendo  accordato  le 
cose  di  Lombardia  e  di  Venezia,  fece  passare  il  mar- 
chese  del  Vasto  alia  volta  di  Toscana ,  con  numero 
dl...  fajiti,  tra  Todeschi  eSpagnuoli  e  Italiani.  Alia  ye 
tiuta  de*quali,  diffldando  i  Fiorentini  di  potere  guar- 


DI  FSJLNCSSCO  FSRBUCCI  21 

dare  la  terra  di  Prato,  trattane  la  parte  delle  yetto- 
▼aglie  Che  poterono ,  ne  rimossero  le  genti  che  vl 
eranodentro;  e  Francesco  Ferruccio  fu  da  loroman- 
dato  Commessario  d'Bmpoli,  castello  posto  suirAmo, 
lontano  qnindici  miglia  da  Firenze,  per  la  strada  di« 
rittadi  Pisa:  luogo  forte,  e  di  non  molta  grandezza , 
e  per  le  cose  della  guerra  molto  necessario ;  perd  che 
BOD  solo  per  essere  quello  uno  de^maggiori  mercati 
di  Toscana,  e  la  terra  abbondante,  ma  luogo  d^onde 
eon  meno  difficult^  che  d'altronde  si  poteyano  man- 
dare  yettoyaglie  in  Firei^ze,  e  impedire  quelle  che  al 
campo  quindi  per  quella  strada  passassero.  Quale 
autoriti  precisamente  ayesse  il  Ferruccio  essendo 
Commessario  in  Empoli,  o  con  quante  compagnie 
egli  yi  andasse,  non  pare*che  sia  manifesto,  non  si 
s^do  ritroyata  la  sua  condotta  registrata  ne*  libri 
de*Dieci  della  guerra.  Essendo,  adunque,  in  Empoli 
non  pretermetteya  cosayeruna  ches'aspettasse  abuon 
Commessario,  si  per  la  conseryazione  di  quella  terra 
eome  per  il  bene  essere  della  sua  RepubbJlca  ;!usando 
grande  yigilanza  per  sapere  i  progress!  e  gli  anda- 
menti  de^nemici.  Al  quale  effetto,  teneyaAioriscoltee 
spie  spendendo  in  cid  senza  risparmio  yeruno:  chd  non 
solo  si  conyiene  nolle  azioni  della  guerra  considerare 
e  misurare  le  azioni  propie  con  la  propia  potenza  e 
con  quella  de^nimici,  ma  eercare  di  penetrare  in  qua- 
lonque  modo  dentro  a^pensferi  loro;  donde  risulta 
maggiore  facility  e  sicurezza  nelle  propie  delibera- 
tion!, togliendosi  con  quest!  modi  la  potenza  che  ha 
sopra  le  azioni  nostre  la  fortuna.  La  quale  altro  non 
6  ehe  una  eaglone  non  preyeduta  da  chi  delibera,  la 
quale  fa  sortire  gli  eyenti  delle  cose  altramente  di 
quello  che  s^erano  gli  uominilimaginati. 

Ayendo,  dunc^ue,  sentito  il  Ferruccio,  come  la  terra 
di  Castelflorentino  si  reggeya  per  i  terrazzani  a  no- 
me  degiUnimici,  ayendo  dentro  un  goyernatore  spa- 
gnuolo;  e  sapendo  quanto  aiuto  di  yettoyaglia.andasse 


fiS  VITA 

nello  esercito  di  tutta  la  Valdelsa;  deliberd  di  tOrre 
a^nimici  la  comoditit  di  quella  terra;  e  aquestoeffetto, 
Ti  mandd  d^  Bmpoli  cinque  compagnie ,  sotto  Fran- 
cesco della  Brocca,  c6rso ,.  soldato  esercitato.Airar- 
rivo  delle  quali»  fecero  1  terrazzani  resistenza;  e  indl 
a  poco  trattando  di  accordarsi ,  essendo  noto  V  odio 
del  Ferruccio  contro  agli  Spagnuoli,  il  govematore 
epagnaolo  che  y'era  dentro,  passato  sopra  le  mura, 
sifuggi  a  Oliveto,  luogodeTuccl,nonmolto  distante. 
Essendo  le  genti  ritornate  in  Empoli  senza  danno  ye- 
runo,  e  intendendo  il  Ferruccio ,  che  Pirro  da  Ca- 
stello  di  Piero,  che  per  i  nimici  era  nel  castello  di 
Palaia,  veniya  alia  yolta  di  Montopoli»  castello  delle 
Colline  di  Pisa ,  doye  si  troyayano  due  compagnie 
di  fanti  florentini ;  mandd*  a  quella  yolta  Amico  da 
Venafro,  con  cinquanta  cayalli  e  quattro  insegne.  I 
quali  trapassato  Montopoli,  si  fermarono  in  aguato 
alle  fontanelle  di  Marti  e  Serayallino ;  e  comparendo 
i  nimici  e  trapassando  le  genti  del  Ferruccio,  furono 
assaltati  di  dietro  da  loro,  e  tantosto  messi  in  fuga, 
con  perdita  di  ottanta  fanti  de'nimlci ,  tra  presi  emorti; 
e  della  banda  del  Ferruccio  ne  morirono  da  trenta. 
Tra  i  quali  fu  un  Pirramo  da  Pietrasanta  luogote- 
nente  d'una  delle  compagnie  spedite  aquestofktto; 
quasi  egli  patisse  la  pena  d^una  scelleretezza  com* 
messa  nel  yiaggio  mentre  egli  andaya  alia  fazione ; 
perd  che,  trovato  airotteria  della  Scala  un  ragazzo 
di  bello  aspetto,  yedendo  tutte  le  genti  e  sapendone 
ia  cagione,  si  fermd  asfogare  la  libidine  in  quel  luogo. 
Non  istettero  molto  le  genti  del  Ferruccio,  che  ce- 
dettero  a  colui  che  era  stato  yinto  la  gloria  acqui- 
stata :  cosa  che  occorre  tutto  giorno  nelle  azioni  della 
guerra,  doye  non  si  tratta  della  somma  delle  cose. 
Perocdie,  tornando  Pirro  con  grossa  banda  di  ca- 
yalli, caccid  del  castello  le  genti  de*Fiorentini,  e  fe- 
cene  prigioni  da  trenta,  de^quali  si  fece  baratto  con 
i  prigioni  fatti  dalla  gente  del  Ferruccio  pochi  giorni 
a^anti. 


1>T  FRAKCESeO  7SRSUCCI  S8 

RtUrtie  iii  Bmpoli  lesue  genti,  il  luogo  nel  quale 
e'si  ritrovaTa,  li  poterera  eontinoYamente  occasione 
di  essire  alle  mani  oon  gli  inimici,  e  di  scoprire  Ta « 
nimo  sno.  Uaci  egli  steaso,  un  giomo,  dietro  ad  una 
grossa  banda  di  fanti,  cimddttisi  a  Pontormo  a  sea- 
ramueciare  con  gli  inimici,  che  faccTano  8c6rta  a  yet- 
toraglie  che  si  conducevano  al  campo :  nel  quale  ba- 
dalnceo  ponendo  diligente  cura  aciascuno  de'soldati 
sooi  e  a^progressi  loro,  ebbe  veduto  due  giovanetti 
fiorentini ,  di  diciotto  iti  diciannoTe  anni ,  che  pure 
duegiomi  avanti  ayevano  riceyuto  danari  da  lui,  por- 
tarsi  yalorosamente :  per  lo  che ,  tornati  in  Bmpoli 
amendue  a  salyamento,  taoendo  egli  il  pensiero  suo 
fine  a  che  tomasse  il  tempo  di  pagargli,  nel  passare 
alia  baiica  ,  fwm&tifli  al  ^cospetto  di  tutti  i  soldati 
e  molto  commendatigli ,  esortandogli  nel  seguitare 
nello  adoperare  yalorosamente ,  diede  loro  la  paga 
doppia ,  con  letizki  marayi|rliosa  di  que^garzoni ,  e 
eon  dimostrazione  a  tutte  quelle  genti  quanto  egli 
amisse  gli  uomini  forti  e  yalorosi.  Forse  che  da  que- 
sto  procedette  la  morte  di  que^gioyanetti ;  perocchd 
•caramucciando  altra  yolta  alia  Torre  de^Frescobaldl 
furono  morti  iyi  ambidue :  perocchd  potendosi  aggiu^ 
gnere  £Milmente  alle  forze  gioyanili  animo  e  ardire 
ma  non  gik  nel  medesimo  tempo  altanto  di  prudenza, 
fiieillasima  cosa  6  che  1  gioyani  entrlno  disayyedu- 
tamente  in  que^perigli,  onde  di  f itrarsi  non  abbiano 
la  possanza.  £  non  per  quanto,  si  fatti  strumenti 
Bono  moHe  yolte  necessari  nella  guerra ,  1&  doye  la 
prudenza  e  il  discorso  cede  al  bisogno  e  allaneces8it4. 

L^azioniched^flmpolifoceyail  Ferrucdo  rompendo 
il  passo  alle  vettoraglie  che  andayano  airesercitonon 
pure  per  quel  cammino,  ma  per  quelle  della  Yaldelsa 
e  della  Valdipesa  ancora,  doye  egli  sempre  si  mo- 
straya  superiore,  li  ayeya  nella  Citt&  date  nome  non 
piecolo  appreaeo  a  ciascuno.  Perd  che  colore  che  aye- 
yaao  conosoiuto  la  y  ita  sua  innanzi  alia  guerra,  rico« 


i4  VTPA 

noscevano  adesso  a  che  fine  fussero  iBdiritti  i  pen- 
sieri  suoi  qaando  egli,  ne'temiii  addietro ,  nell^armi 
9i  esercitava ,  e  delle  coee  della  mllizia  si  bramosa- 
mente  discorrera:  gli  altri  si  maravigliaTano,  a  per 
eid  in  sommo  conto  il  tenevano ;  come  si  fa  quando 
tra  le  cose  che-  tutto  il  giorno  si  yeggono ,  una  pre* 
ziosa  insino  a  quel  giorno  non  conosciata  ne  ritro- 
Tano.  La  non  era  minore  lastima  che  faoeyano  i  sol* 
dati  di  lui :  perd  che,  rioonoscendo  egli,  per  quanto 
le  sue  forze  si  distendeyano,  Topere  degne  di  lode,  do- 
nando  eziandio  le  cose  che  erano  per  uso  della  per- 
sona sua,  se  gli  rendea  affezionati,  amoreyoli  e  pronti 
in  ogni  fatto  a  sottomettere  la  yita  in  pericolo  dells 
morte.  Ma  essendo  coUerico  e  seyero ,  e  impaziente 
di  sua  natura  nelle  cose  che  erano  faori  del  yolere 
suo,  gli  teneya  in  timore,  e  gli  faceya  in  ogni  loro 
azione  ayere  innanzi  gli  effetti  deir  ira  sua;  proce- 
dendo egli  ad  ammazzar^  di  sua  mano  chi  ayesse  bef- 
fato  lui  0  schernito  i  comandamenti  snoi,  e  a  fitre  im» 
piccare  sanza  redenzione  chi,  nelle  cose  della  guerra, 
ayesse  a*  band!  e  agli  ordini  da  ae  dati  contrafE^tto. 
B  con  tutto  questo,  in  picciol  tempo  si  piegaya:  e 
toltosi  alcuno  del  cospetto  suo  nel  primo  impeto,con 
facility  impetraya  perdono. 

Bra  intento  il  Ferruccio  non  pure  a  impedire  e 
dare  sinistro  air  esercito  de^  nimici ,  ma  eziamdio  a 
soyyenire  la  Citta  assediata,  di  munizione  e  di  yet- 
toyaglie,  piiX  abbondantemente  che  egli  potease.  Per- 
chd,  la  settimana  santa ,  messi  insieme  cento  buoi , 
e  molte  sacca  dl  salnitro,  con  la  scorta  di...  cayalU  gH 
inyid  yerso  Fiorenza ;  doye  ilmedesimo  giorno,  ayeiido 
passato  Arno,  si  condussono  a  salyam^to.  Bgli  d  il 
yero,  che  in  queste  siflktte  azioni  mostra'che  i  Dieci 
della  guerra  desiderassero  la  deligenzia  del  Ferruc- 
cio :  perocchd,  non  ostante  che  i  cayalli  eke  acorgey  ano 
la  yettoVaglia,  non  ayessero  per  la  strada  alcuno 
impedimtnto ,  di  cento  buoi  non  se  ne  condnsaero 


m  TRANCBMO  FEBXT70CI  80 

ia  Pirenze  ehe  sesoantasette,  edsendo  gli  altri  imbo* 
lati  o  rimasti  perUstrada:  cheTenneaderiyaredal 
non  aT«r  dato  quegli  che  gli  mandd,  gli  ordini.che 
ai  rieercayano.  B^pare  che  intervenga  il  piii  delie  YOlte, 
cite  gli  uomini  che  ardentemente  desideranodimanda* 
re  ad  efbtto  un  loro  pensiero  con  celeriti,  Bianchino 
in  qaeata  parte  del  pensare  partitamente  a  tatti  i 
ineni  che  si  convengono  a  condurre  a  perfexione  1 
disegni  loro;  e  spexiahnente  incontra  questo,  quando 
a  qael  buon^TOlere  non  6  congiunta  una  lunga  ape- 
rienxa,  rieoprendo  la  bont&  del  fine  le  difficult^  che 
11  preoedono. 

Brasi  di  pochi  giomi  avanti  perduta  la  Laatra,  ca* 
stello  posto  nel  piano,  egualmente  distante  da  Bmpoli 
a  Firenze;  la  quale  ai  era  tenuta  per  i  Fiorentini  in 
tnttaqaella  guerra.peresser  luogo  atto  per  la  sicurU 
dalle  Tettovaglie  che  entravano  in  Pirenze.  Perocchd^ 
aaaaltata  dagli  Spagnuoli  e  poi  da'Tedeachi ,  e  ayendo 
queMentro  perduta  la  eperanza  del  soecorao  di  Pi« 
renze,  mandatoyl,  sotto  Giorgio  da  Santa  Croee,  Otto 
da  llontauto  e  Pasquino  Cdrao,  s'arrenderono  a  patti: 
tuttoche  rompendo  i  Tedeschi  la  fede ,  ammazzassero 
tut^  i  Boldati  che  y^erano  dtntro ,  arriyando  gik  11 
soecorao  di  Firenze,  e  tre  compagnie  di  fanti  che 
d^Empoli  mandaya  il  Ferruccio ;  ma  yeduto  come  fusse 
il  latto  pasaato,  se  ne  ritoruarono  quegli  yerao  Fi- 
renze, e  questi  alia  yolta  d'Empoli. 

Ayeyano  i  Fiorentini,  deliberati  gi&  di  non  accor* 
dare  col  pontefice,  fermo  di  guardare  aolamente  la 
rOcca  di  Liyomo,  la  cittii  di  Piaa,  la  terra  d'fimpoll 
e  quella  di  Prato  ;  per  potere ,  occupandosi  le  forze 
loro  in  pochi  luoghi,  ritirarne  la  parte  maggiore  alia 
ditea  di  Firenze :  conaiglio  buono,  poichd  o  non  po- 
tettero  o  non  aeppero  fare  tali  proyyedimenti  nel 
principk)  della  guerra,  che  e'poteaaero  tenere  un  eaer* 
eito  is  campagna  a  fronte  a  quello  de'nemici ;  che 
sarabbe  stata  ottima  resoluzioae.  Dope  la  quale,  pare 


24  TTTA 

BOMMTUio  ad«ao  a  oha  fine  f 
■ierl  anoi  quBiido  egli,  ne't^ 
Si  eaerciUTa .  e  delle  coee  <j 
iD«nte  discorrera:  gli  arte* 
ei6  in  sommo  oonto  il  ^'i%  a 
tra  le  cow  cho-tutto  '^/1|4 
ziosa  insioo  a  qnel  8^*^^^ 
▼ano.  La  non  era  minJ'.  '^v 
dati  di  lul:  pBr6  ohei 
le  sue  fonesidiatflj/j 
nando  eziandio  le  |  r 


■W  i  loog-hi  Impff 


^-  Per  q. 
rdaTr 


uODdau 

•***<>«,  «  Bommo^ 

_  -*«****  di  Voltert«-,e 

eonasua,  se  gU  r?/  /  ^oi^inessario ,  ritiratofli 

In  ogni  fatto  a,/'  -o*'  oentro;  venne  in  pen- 

morte.  Ma  esw/ "  jre  sforro  di  recuperate  queUa 

dl  sua  naturr  .  aomm«  dells  eruerrs  ci6  poc4> 

sue,  ffli  tenf'         .uendo  da  quelia  parte  vettotagUa 

asioDe  aye''       .entino.  Onde  alcuno  potrebbe  credere 

dendo  egl'     _,  lUto  detto,  1"  interesae  de' partlcolarl 

i  in  questa  dcliberasione  ,  che  am 

ivendo,  flno  a  principio  dellagaem, 

iloniere  la  saa  flgiiuola  in  qaeUa 

la  cosa  paBsasee  intorno  a  cid,  d«U- 
tttlni  di  ricuperare  Volterra ,  desti- 

Ferruoci  a  queirHmpresa.  Per  U 
0  ordintfaFraDcesco  zati,  Comniea- 
3  facesse  intendere  al  aipnor  Cam- 
10,  Che  era  qui  con  cinquanta  ftnti, 
d'Arsoll  e  Muaacehino  ,  condotMeri 
!gui8sero  gli  ordini  di  Pranceeco 
le  mandarono  patente  di  Commei- 

campagna  delle  genti  da'Piorentlnl 
ndreaaiugniperCommeasariod'Bm- 
che  Btease  aaaente  il  Pernicdo  lo 
Blla  Tolta  con  cinque  insegne  di  hn- 
0  Niccold  StroKi,  Nlccold  da  B%mL 
!0  Vorucola,  SandHno Monaidi eto- 


J  d^  "  di qne'eondO'il'lft;  ■J^'itennpo gll 

'-»W  qnanto  w  i^'^^^elmtem, 

Mntanto,  i,"",*'^T'""' 

^^  <»  -Ire   «^  '"  '^'  «"'S°olIe.  el„„. 

,  Z}'«^'"  \  ''^  qu»Ii  scaramuccJando, 
*' nmae  e  bi  salvarono  alia  Torre  de-Fre^ 
-.,  «^rado  lucftto  morto  Niceold  da  Sassofer- 
,  aw  Ofl  capitani;  e  quindi  a  salvamento  acflBero 
^  gmpoli,  dOTB  dj  poco  erano  giunti  i  cavatlf  riman- 
j^ti  <ji  Firenie,  che  tI  avevano  scdrta  la  TettovagUa 
c  Is  moiiiiJaae  che  si  dice  dl  sopra.  Arriyate  la  Bm- 
poli  le  geaU  sopraddette,  apedi  li  Femiccto  ■  Pisa , 
ordinsiido  a  Cammillo  da  Piombino,  che  con  cinque- 
cento  ftnti,  de'qnali  era  colonnello,  ai  moyesBC,  pren- 
ieado  il  ctmmino  di  Volterra,  nel  quale  insieme 
eoBgiagneTe  si  dovevano.  B  infra  tanto,  dsto  ripoao 
Mile  eae  genti.  indi  ad  un  giorno  le  rassegnd,  c  ne 
teee  la  mostra:  netla  quale  dond  un  cavallo  ed  ana 
«i>ta  ad  un  giovane  aretino,  inflammandolo  a  pro- 
!™ianii  con  r  opere  quella  gloria ,  che  la  sua  pre- 
^«aclaBcunoapromettergliel8Btringeva.Etav8ndo, 
ZMmdo  rordine  de'  Dieci,  consognato  la  Mrra  d'Bm- 
Zm^  Andrea  Giugni.  di  quellftBi  parti  a...  dl  giugno 
a  ore  di  notte.  Ayea  aeoo  il  Ferruccio  In  tutto  due 
1m.  fenti  compr6»ovi  le  cinque  inaegne  yenute  di 
S^Mwe' cento  oinquanta  cavaUl;  avendo  ordtne 
^-meci  d-andare  eon  quelle  gentl  di  Ptea  che  alui 
^^rtMero  con  le  compagnle  che  yenivano  di  Flrenie 
^^ZTnna  di  flUcUe  d'Empoli:  di  maniera  ehe,  lo  du- 


TTTA 

ehe  succeda  il  grnardare  solamente  i  laoghi  impor* 
tantiasimi  e  la  citti  principale,  sendo  cosa  di  damio 
evidente  11  volere,  dividendo  le  forze,  oonserTare  il 
tutto;  perocche,  mentre  che  ciascuno  sitoelaogrori 
difende,  tutto  lo  stato  si  trova  vinto.  Per  questa  ca- 
gione,  lasciata  Pistoiainsuabalia,  guardavano  Prato; 
e  disperati  di  resistere  alle  genti  cbe  yeniyano  di 
Lombardia,  ne  rimossero  il  Ferruccio  e  lo  fermarono 
in  Empoli.  Nella  quale  deliberazione,  con  danno  loro, 
non  si  fermarono :  perocchd,  essendosi,  a  sommossa 
d'Alessandro  Yitelli,  ribellata  la  citt&  di  Volterra;  a 
Bartolo  Tebaldi ,  cbe  t'  era  Commessario ,  ritiratosi 
nella  fortezza,  e  assedi&tovi  dentro;  yenne  in  pen- 
siero  a'  Fiorentini  di  fare  sforzo  di  recuperare  quella 
citt& ,  come  cbe  alia  somma  della  guerra  cid  poco 
montasse,  non  yenendo  da  quella  parte  yettovagUa 
nel  dominio  florentino.  Onde  alcuno  potrebbe  eredere 
quello  Che  e  stato  detto,  V  interesse  de'  particolari 
ayere  potuto  piu  in  questa  deliberazione ,  che  non 
rutilit&comune;ayendo,  flnoaprincipio  della  guerra, 
mandato  il  Oonfaloniere  la  sua  flgliuola  in  quella 
rdcca. 

Ma,comunque  la  cosa  passasse  intomo  a  cid,  deli- 
berarono  i  Fiorentini  di  ricuperare  Volterra ,  desti- 
nando  Francesco  Ferrucci  a  quelPiimpresa.  Per  la 
qual  cosa,  diedero  ordine>  Francesco  Zati,  Commea- 
sario  di  Pisa,  che  facesse  intendere  al  signor  Cam- 
mille  da  Piombino,  che  era  qui  con  cinquanta  ftati, 
al  signor  Amico  d'Arsoli  e  Musacchino ,  condottieri 
di  cayalli ,  che  seguissero  gli  ordini  di  Francesco 
Ferrucci;  al  quale  mandarono  patente  di  Commes- 
sario generale  di  campagna  delle  genti  de'Fiorentini. 
B  ayendo  eletto  Andrea  Giugrni  per  Commessario  d*Rm- 
poli  nel  tempo  che  stesse  assente  il  Ferruccio  ,  lo 
mandarono  a  quella  yolta  con  cinque  insegrne  di  fan- 
teria  eletta,  sotto  Niccold  Strozzi,  Niccold  da  Sasso- 
ferrato,  Francesco  Verucola,  Sandrino  Monaldi  e  Ba- 


DI    FRANCESCO  FEXtSUOCI  S7 

lordo  dal  Borgo ;  con  ordiBe  al  Ferruccip,  the  chia- 
zoati  di  Pisa  di  qae'condottieri,quelli  cheli  paressero, 
con  qneste  che  andavano  di  Firenze,  e  due  compagnie 
delle  sue,  andasae  quanto  prima  a  ricnperare  Vol- 
terra:  ordinandoli  iutanto,  che,  per  il  bene  della  Re- 
pubblica,  ponesse  giu  ogni  sdegno  cheegli  avessecon 
il  capitano  Niccold  Strozzi,  per  la  differenza  nata  in 
Plato  £ra  loro,  per  la  cagione  detta  di  sopra. 

Partirono  di  Firenze  le  dettecompagnie,  ed  ascendo 
dalla  strada  maestra,  per  i  colli  di  Marignolle,  giun- 
sero  in  sulla  Pesa;  dove  furono  raggiante  da  una 
banda  di  cavalli  leggier! ,  co*quali  scaramucciando , 
paasaronoil  flume  e  si  salvarono  alia  Torre  de'Fre- 
scobaldi,  avendo  lasciato  morto  Niccold  da  Sassofer- 
rato,  ono  de^capitani;  e  quindi  a  salvamento  scesero 
in  Empoli,  dove  di  poco  erano  giunti  i  cavalli  riman- 
dati  di  Firenze,  che  Ti  avevano  scdrta  la  vettovaglia 
e  la  munizione  che  si  dice  di  sopra.  Arriyate  in  Bm- 
poli  le  genti  sopraddette,  spedl  il  Ferruccio  a  Pisa , 
ordinando  a  Cammillo  da  Piombino,  che  con  cinque- 
cento  fanti,  de^quali  era  colonnello,  si  movesse,  pren- 
dendo  il  cammino  di  Volterra,  nel  quale  insieme 
congiugnere  si  doyeyano.  B  infira  tanto,  dato  riposo 
alle  sue  genti,  indi  ad  un  giorno  le  rassegnd,  e  ne 
fece  la  mostra:  nella  quale  dond  un  cay  alio  ed  una 
eelata  ad  un  gioyane  aretino,  inflammandolo  a  pro- 
cacciarsi  con  V  opere  quella  gloria ,  che  la  sua  pre- 
senza  ciascuno  apromettergliele  stringeya.Et  avendo, 
seeondo  Tordine  de'  Dieei,  consegnato  la  terra  d^Bm- 
poll  a  A9drea  Giugni,  di  quella  si  parti  a...  di  giugno 
a  3  ore  di  notte.  Ayea  seco  11  Ferruccio  in  tutto  due 
mlla  fanti,  comprSsovi  le  cinque  insegne  yenute  di 
Firenze,  e  cento  cinquanta  cayalli;  avendo  ordine 
da^ieci  d*andare  con  quelle  genti  di  Pisa  che  a  lui 
paressero,  con  le  compagnie  che  yeniyano  di  Firenze 
e  con  una  di  quelle  d*Bmpoli:  dimaniera  che,  io  du- 
bito  che  gli  non  trt^sse  di  qnella  terra  pia  gente  di 


f^  VITA 

quella  ehe  i  Dieci  grli  ayerano  ordinato ;  di  cfae  e 
stato  imputato:  ma  quindi  non  aTvenne  gik  che  Bm« 
poll  si  perdesse,  come  6  stato  scritto,  sendo  avre- 
nuto  quel  disordine  per  debolezza  di  animo  di  chi 
vi  era  superiore,  o  per  altra  cagione;  e  non  per  de- 
bolezza di  forze. 

Camminando,  adunque^  il  Ferruccio  tutta  la  notte, 
e  poi  la  mattina  appresso,  si  scontrd  alio  Spedaletto 
nel  signor  Cammillo  da  Piombino,  che  secondo  Por- 
dine  datoli,  11  Ferruccio  seco  congiugnere  si  doveya; 
e  camminando  1  soldati  in  ordinanza,  giunsero,  s&nza 
trovare  cosa  che  airandare  loro  fusse  molesta,  a  ore 
22  del  medesimo  giorno ,  a'27  d'  aprile  ,  a  Volterra. 
Nella  quale  erano  rimasti,  ess^ndosene  partito  Ales- 
sandro  Vitelli,  il  capitano  Giovan  Battista  Borghesi, 
con  suo  fratello,  il  Lanzino  del  Borgo,  e  altri  capi- 
tani;  che  tutto  erano  cinque  compagnie,  delle  quail 
per  il  ponteflce  era  Ck)mmessario  Taddeo  Guiducci; 
e  seco  erano  Ruberto  Aeciaioli  e  Giuliano  SalTiati: 
ma  questi  due  ultimi  se  ne  erano  partiti  la  sera  da- 
Tanti,  al  comparire  che  fecero  le  genti  del  Ferruccio 
alle  mura  di  Volterra.  Uscirono  fuori  de*  fanti  che 
y'era  alia  guardia  a  scaramucciare  eon  loro;  ma  nos 
segui  cosa  di  memento,  perd  che  non  fu  reaistenza 
nessunache  valesseaproibire  al  Ferruccio  e  sue  genti 
lo  entrare  nella  fortezza  per  la  porta  del  soccorso. 

Brano  i  soldati  stracchi  del  lungo  cammlno  fatto 
sanza  pigliare  punto  di  riposo:  ma  essendosi  con- 
dotto  il  Commessario  Tebaldo  in  termine,  che  Taltro 
giorno  era  costretto  acconciarsi  con  gli  inimici ;  non 
yi  fu  con  che  rinfrescarsi ,  sendovi  solamente  una 
botticella  di  yino  forte,  e  poco  pane.  Per  lo  che,  yol- 
tatoai  il  Ferruccio  alia  sua  gente,  parlo,  secoi^o  si 
dice,  in  questa  maniera:  xMiliti,  e'mi  displace  che 
ttla  necessita  mi  costringa  a  menaryi  a  combattere 
«  sanza  che  yoi  abbiate  alcun  ristoro  del  disagio  sof* 
«  ferto ;  ma  togliendo  laprontezzadeireffenderli,a'ai- 


DI  FBANCSSOO  FeRBUCCI  ^9 

MiniCl  Vanimo  del  difendersi,  tosto  si  muteran;io  gli 
••mfllEuuii  loro  nel  rostro  riposo.t  B  cosi  detto ,  per- 
cU  il  trombetto  che^ra  andato  a  domandare  la  terra, 
ayoTa  dal  Borgbese  auto  rispoata,  cbe  Rli  bisognaTii 
goadagnaraela;  usei  con  lesue  genti  della  fortezza, 
andando  per  la  via  di  Sant' Antonio,  affrontare  1  ba> 
siiODi  fBUL  da^Volterrani  assediavano  la  rdcca.  E  la 
fprtezxa  di  Volterra  da  quella  banda  della  citti  che 
gttarda...  Da  questa  uscendosi,  si  cala  nella  strada 
detta  di  SanV Antonio,  la  quale  sbocea  nella  piazza 
di  Volterra.  Ora,  essendosi  ribellata  la  terra  da^Fio- 
rentini,  e  ricoTute  dentro  le  genti  del  campo  nimico; 
Bartolo  Tebaldi  cbe  y'era  Commessario,  ayendo  pre* 
feduto  gli  umori  de^cittadini,  ebe  tenevano  stretta 
pratica  eon  Alessandro  Vitelli,  s^  era  ritirato  nella 
fortflzxa;  e*  Volterrani,  ricevute  dentro  cinque  inse^ 
gne,  tra  Spagnuoli  ed  altre  genti,  ve  lo  aveyano  afr* 
sediato  d^itro.  B  per  yenire  alia  presa  ayaocio  dt 
quel  easlello,  ayeyano  ottenuto  dall'esercito,  cbe.M. 
pezxi  d'artiglieria  cbe  da  Genoya  yeniyano  al  campo, 
esaendo  portati  flno  alia  rOcca  di  Yada,  si  conduces- 
aero  in  Volterra  per  battere  la  fortezza.  B  a  questo 
effetto,  percbe  la  strada  di  Sant* Antonio,  uscendosi 
della  fortezza  per  yenire  in  piazza,  discende,  ayeyano 
alzata  tre  bastioni,  cbe  attrayersando  la  strada,  guar- 
dayaao  per  petto  la  rOcca.  L'uno,  cbe  era  il  maggiore, 
era  di  eoirta  alia  cbiesa  di  Sant' Antonio,  e  gli  altri 
doe  tra  questo  ela  fortezza;  e'  qaali  conyeniya  spu- 
gnare  Francesco  Ferrucci,  yolendoentrare  nella  oitti: 
la  quale  non  ayeya  auto  per  fine,  sottraendosi  dalla 
ubidienza  de'Fiorentini,  seryire  al  pontefice,  ma  di 
yalersi  deiruno  per  liberarsi  dairaltro,  e  da  per  se 
stessa  da  poi  tdrsi  ogni  superiore;  non  sapendo  ohe 
a  qu^ti  disegni  raro  o  non  mai  corrispondono  gli  effet- 
ti;  massimamente  quando  si  adoperano  quelle  genti 
per  liberarsi  dal  primo,  cbe  noD  ayendo  piu  per  nimico 
quest!  cbe  quegli,e  per  amico  il  guadagno  solltmente. 


80  VITA 

non  intendono  per  piccola  cosa  avere  esposta  la 
Yita  a  manifesto  pericolo.  Usci,  per  tanto,  il  Fernie- 
cio  con  le  sue  genti  a  dare  Tassalto  al  bastione  primo, 
il  quale  era  difeso  da  quellidentroYalorosa]nente;6 
nel  pigliarlo  sarebbe  stato  molto  maggiore  il  traya- 
glio,  Che  e^  non  fti,  non  ostante  le  scale  tratte  di  f6r- 
tezza  e  1  Talore  de^soldati,  se  nonfusse  stata  Toppor- 
tunita  delle  case  alle  quali  terminavano  i  bastionL 
Peroccbe,  mentre  che  i  soldati  a  yicenda  si  sforzano 
di  salire  e  gll  inimici  di  impedirli,  una  parte  de^ sol- 
dati del  Ferruccio,  entrati  nelle  case,  dall*una  e  dal- 
raltra  banda  che  erano  conflno  al  bastione,  saliti  su  le 
tetta,  cominciarono  a  tirare  sassi  e  embrici  a  dosso 
a^nimiei:  i  quali,  facendo  forza  di  salire  le  genti  del 
Ferruccio  ed  essendo  moiestati  di  sopra,  comincia- 
rono a  ritirarsi;  e  quelli  di  sotto  instando  sempre 
di  salire,  cominciarono  a  presentarsi  sul  bastione. 
E  *1  primo  che  Ti  facesee  risplendere  la  sua  bandiera, 
fa  Talfiere  di  Niocold  Strozsi,  detto  il  Contadino ;  al 
quale  per  certo  doveva  avere  dato  quel  carico  il  suo 
giudixioso  capitano  per  il  yalore  sc6rto  in  lui,  enon 
perchd  egli  con  le  sue  faculty  potesse  tratlenere 
buon  numero  de^soldati;  come  fa  di  mestiere  nella 
presente  milizia,  sendo  ci5  bastevole  a  eonsegiiire 
qualunche  onorevol  grado  neiresercizlo  della  guemu 
Salito,  adunque,  il  Contadino  il  primo  sul  bastione, 
che  ^  la  difficult^  maggiore,  inoalciando  gll  altri  lo 
stimolo  e  la  facility  per  trovare  la  strada  fatta,  in- 
contanente  si  ritrassero  inimiciagli  altri, non aren- 
do  riccYuto  gran  danno  i  Fiorentini.  I  quali  air  ac- 
quisto  degli  altri,  e  del  terzo  massimamente,  pona- 
rono  molto  pid:  primieramente,  perchd  guardandosi 
tutte  le  case  dairuna  e  Taltra  parte,  non  potevano 
i  soldati,  entrandovi  dentro  e  salendo  ad  alto,  com- 
battere  con  nimici  col  medesimo  vantaggio  che  com- 
batterono  U  primo ;  dove  le  case  tra  quel  bastione 
e  la  r6cca  non  erano  difese,  come  dal  primo  basUone 


DI  FBANCBSOO  FERBUCOI  81 

in  giu  additroiiTa.  Non  pure  mancayano  grli  uomini 
del  Fermecio  di  qoeato  yanti^gioacombattereco'ni- 
ml<^:  ma  i  Volterrani,  consapevoli  deMoro  peecati, 
e  timorosi  della  pena  che  soprast^  alle  citt4ribellanti, 
e  ehe  si  vagliono  della  cnidelti,  indotteyi  da  coloro 
ohe  le  fumo  rivolgere,  perchd  disperate  di  perdono 
ogtipataTnente  si  preparino  alia  difesa,  acerbamente 
oflSmdeyano  le  genti  del  Perruccio ,  traendo  sassi 
dalle  fineslre,  embrici  dai  tetti,  ed  ogni  altra  sorte 
d^arme  atta  ad  offendere.  Agglugni,  che  sendo  queeto 
l^timo  baatione,  alia  perdita  d'esso  era  persa  an- 
eora  la  eittii;  e  per  cid  ivi  era  conddttasi  tutta  la 
genie  a  difenderlo  che  era  in  Yolterra;  e  U  Ferruccio 
fiieeTa  ogni  sforzo  per  acqnistarlo.  La  qual  eosa  fi- 
nalmente  gli  successe,  con  la  morte  di  molti  de^sol* 
dati  che  erano  drento,  ede^capi  principal!;  tra'quali 
fa  if  fratello  del  capitano  Giovambatista  Borghesl, 
eon  numero  di...  fanti,  e  con  perdita  di  quattro  in- 
segne,  di  cinque  che  ye  ne  erano  dentro :  e  de*  Fio- 
rartini  furono  morti  da...  Era,  quando  fu  preso  questo 
hasUone,  la  terza  ora  della  notte ;  e^  soldati,  stanehi 
del  eammino  e  poi  della  fatica  della  battaglia,  non 
ayrabbero  potuto  soflterire  tanta  fatica,  senza  che  il 
ealofo  del  giomo  ayease  dato  luogo  airombra  della 
notle.  Perd  che,  se  bene  nelle  imprese  incominciate, 
il  parere  di  aversl  a  condurre  al  desiderato  fine  scema 
la  fttlam  che  si  riscontra  nello  arriyarci,  sanza  que- 
sto piijciolo  alleggiamento  non  sarebbero  proceduti 
tanto  oltre,  ayendp  caminato  un  giorno  ed  una  notte 
sanza  prendere  alcuno  riposo  o  rinfrescamento  di  cibo. 
Dopo  che  le  genti  de'Fiorentini  ebbero  preso  I'ul* 
timo  bastione,  e  che  1  terrazzani,  con  Tayanzo  dei 
soldati,  s^erano  ritirati  sulla  bocca  della  strada  che 
mena  in  piazza,  e  qulyi  con  botti  e  legnami  ed  altri 
argomenti  si  fanno  forti,peryietare,giustailpotere 
loro,  Teatrata  a'nimici  nella  terra ;  yenne  dal  cielo 
una  tempesta  gr ossissima,  con  acqua  copiosa :  la  quale 


32  VITA 

gingaendo  addosso  a^soldati  del  Ferraccio ,  stanehi 
t  lassi  della  fiatica  della  polvere  e  del  sadore ,  gli 
rese  di  maniera  inabili  ad  ogni  azione,  che  impossi- 
bile  sarebbe  state  il  farli  muovere  per  minimo  spa- 
zio  dal  laogo  ove  si  ritroyaTono.  Ma  conoscendo  1 
eapitani  di  quanto  momento  fosse  11  segaitare  la  yII* 
toria,  e^nsiernorirsi  interamente  della  terra;  e  quanti 
poco  yi  restasse  da  fare  per  tenerla ;  non  cessavano 
di  stimolarli  e  inanimirli  a  farli  passare  ayanti,  mo> 
strando  lore  la  gloria  e  rutilitli  che  s'aequistaya,  e  ^1 
danno  e  la  yergroerna  che  si  sarebbe  rieevuta,  se  per 
non  venire  a  capo  di  queirimpresa  allora  che  i  nimici 
erano  battuti  e  vinti,  si  daya  loro  tempo  di  ripigliare 
animo  e  yigore.  —  Importare  ogni  momenta  di  tempo 
la  contrariety  degli  eventipreparati :  potere  de'luoghi 
vicini  mettere  nuove  genti  in  Volterra:  e  in  ,mille 
modi,  la  mattina  seguente  potere  essere  difficili^ma 
quella  impresa  che  ora  ayeyano  acquistata. -^  Ma 
del  fiirli  muovere  tanto  o  quanto ,  non  era  niente : 
peroochd,  dove  sono  in  tutto  mancate  le  forze,  ranl- 
mo  e  U  coraggio  e  vano.  Per  lo  che,  yedendo  il  ca- 
pitano  Nlccold  Strozzi  non  potere  da  per  se  ne  con 
gli  altri  muovere  i  soldati,  ricorse  in  fortezza,  dove 
il  Ferruccio  s^era  ritirato,  se  per  sorte  egli  fuase  a 
cid  bastevole.  Ck)rse  il  Ferruccio,  si  come  era,  sanza 
celata,  per  vedere  di  por  fine  a  quella  impresa;  e 
nel  paaeare,  gettando  i  Volterrani  sempre  dalle  fl- 
nestre  embrici  e  sassi,  trattasi  il  capitano  Niccold 
8trozzi  la  celata  di  testa,  il  Ferrjiccio  ne  ricoperse: 
il  quale  arriyato  alle  sue  genti,  non  potd,  ne  con 
preghi  ne  con  minaccie  o  persuasioni,  muoyerli  di 
quivi  unque  mai.  Perche,  rivdltosi  a*  eapitani  pr^ 
sent!,  cognosciuta  la  viM  che  era  ne^suoi,  comandd 
che  si  desse  ordine  di  guardare  lo  acquisto  fatto: 
perche,  certa  cosa  e,  che  se  i  nimici,  come  che  po- 
ehi  fussero  rimasi,  ayessero  auto  ardire  d'assaltarli, 
tutti  gli  avrebbero  ucci»i,  che  un  solo  non  ne  sareb- 


W  FRANCESCO  PEBRUCCI  83 

be  rimasto;  ma  la  perdita  che  essi  avevan  fatto  (a 
clie  segoita  la  perdita  deiranimo ,  e  Tarrivo  della 
paura,  che  offusca  il  discorso)  non  lascid  conoscere 
loro  questa  occasione.  E  dairaltra  banda,  fa  miracolo 
diTino,  che  in  si  fatta  maniera  invillssero  le  genti 
del  Ferruccio:  perocche,  se  in  qiiella  notte  si  ten- 
tava  rintero  conqulsto  di  Volterra,  nou  e  dubbio 
yeruno,  che  queUa  antica  citta  conveniva  sofferire 
Tultimo  estermlnio  suo ;  non  si  potendo  porre  freno 
al  farore  de^soldati  quando  per  forza  e'si  sono  gua- 
dagnati  quello  che  e'  bramano  continovamente,  e  per 
arricchiredelle  prede  e  sfogare  l»libidine.  Aggiugni, 
che  poteTacid  per  yentura  tornare  in  gravissimo  dan« 
no  de'soldati  medesimi:  per6  ch^,  per  esperienza  si 
e  yeduto«  i  soldati  intenti  alia  preda  e  al  sacco  delle 
citta  doy^  e*  sono  entrati,  essere  stati  essi  la  preda 
del  yinti.  Di  che  furono  in  Forli  testimoni  i  Franzes>; 
del  quale  fatto  cant6  Dante: 

La  terra  che  fe'  gik  la  Innga  prova, 
E  de'  Pranzesi  sanguinoso  mucchio ; 

e  resercito  imperiale  saccheggiando  la  trionfante 
citt&  di  Roma,  non  fu  preda  del  campo  della  lega  pi  d 
per  la  dappocaggine  de^  capi,  che  perchd  ne^  fanti 
tedeaehi  e  spagnuoli  non  fusse  tutto  quel  disordine 
che  e  basteyole  a  fare  opprimere  qualunque  esercitoi 
per  grande  e  giusto  che  egli  si  sia. 

Differ!,  per  tanto,  Francesco  Ferrucci  ad  assaltare 
Tultimo  riparo  de'Yolterrani,  alia  mattina  seguente : 
e'nfra  tanto,  fece  accendere  molti  lanternoni  su'  ba- 
stion! e  per  le  case  conquistate,  e  fare  guardie  suf- 
fizienti,  perche  i  nimici  non  potessero  offenderli ;  e  'n 
questa  guisa  si  trattennero  fine  alia  mattina.  La  mat- 
tina seguente,  sullo  schiarire  del  giorno,  facendo  il 
Fermccio  addomandare  di  nuoyo  la  terra,  per  non 
ayere  a  darla  in  preda  ai  soldati;  e  riportandone  ri- 
sposta,  che  addomandaya  tempo;  datonelle  trombe 
Sa$$€UU  3 


94  Vita 

e  tamburi,  sMnvid  a  combattere  la  chiesa  di  Sant^A- 
gostino,  Che  nellastrada  dettaera  guardatada  venti 
Spagnuoli ;  e  certe  altre  case  che  danneggiavano  le 
sue  genti,  nelle  quali  fece  appiccare  il  faoco :  e  ay  en* 
do  ottenuto  la  chiesa,  corsero  le  sue  genti  agli  ulti* 
mi  ripari  fatti  la  notte  tumultuariamente,  e  mentre 
che  la  sera  dayantiai  primi  bastion!  si  combattevano; 
i  quali  erano  in  sulla  bocca  della  strada  donde  si  an- 
tra in  piazza.  Aveya  11  capitano  Gioyambatista  Bor« 
ghesl  ritirato  in  questo  luogo  quattro  pezzi  d*  arti- 
glierla  yenuti  di  Genoya;  i  quali,  andando  le  genii 
del  Ferruccio  ad  as^ltarli,  furono  scaricati  con  poco 
danno  loro,  p^r  la  inesperienza  dello  adoperargli , 
mancando  di  bombardieri  pratichi.  Per  lo  che ,  po- 
tendosi  quiyi  fare  piccola  anzi  niuna  resistenza,  e 
essendo  appreso  il  fuoco  in  molte  case  da  quella 
banda  della  citt&  che  la  dicono  Firenzuola,  con  ter* 
rore  e  spayento  de'Volterrani,  condottisi  a  quella 
miseria  sanza  alcuna  speranza  di  apparenteutilita; 
deposta  la  proteryia,  si  arresero  al  Ferruccio,  uscen- 
done  Gioyambatista  Borghesi  con  Tayanzo  delle  genti 
sue,  che  furono  da  cento  fanti,  essendo  11  resto  morto 
in  gran  parte,  e  pochi  prigioni;  e  Taddeo  Guidncci, 
Commissario  per  il  pontefice,  si  dette  al  Ferrnc^ 
cio  prigione,  del  quale  egli  era  cugino.  Addomandd 
11  capitano  Gioyambatista,  ayanti  la  partita  sua,  di 
potere  yedere  il  fratello  morto  la  sera  al  bastione  di 
Sant'Antonio:  la  qual  cosa  il  Ferruccio  nongli  con- 
sent!, come  sdegnoso  che  agli  era;  tutto  che  egli 
dicesse  negargliele  per  non  dare  occasione  di  tumul* 
tuare  a!  Sanesi  alia  yeduta  del  morto:  la  qual  cosa 
non  poteya  succedere,  essendo  rimasti  poebi  di  nu- 
mero,  e  le  sue  genti  yittoriose.  Per  lo  che,  si  parti- 
rono  quelle  genti,  uscendo  per  la  porta  che  6  dalla 
eontraria  parte  della  citt&:  di  maniera  che,  entrando 
il  Ferruccio  in  Volterra^  i  soldati  suoi  non  yidero 
de'nimici. 


DI  FKAKCESdO  FEItRUCCI  85 

KoA  fa  appena  il  Ferruccio  passato  dentro  al  rlparo, 
Che  alia  vista  se  gli  ofTerse  Buonincontro  Incoutri 
volterrano,  11  quale  in  Empoli  ayeva  ficevuto  danari 
dal  Ferraccio  per  soldare  gente:  e,  come  son  gli  ani- 
mi  voltabili  ad  ogni  picciol  yento,  non  mancando  i 
pretest!  da  onestare  le  cose  mal  f^tte,  sentendo  come 
la  sua  citt&  s'era  rivolta  dairubbidienza  del  Floren- 
tini  a  qaella  del  pontefice,  t61to8i  1  danari  per  s6, 
non  era  altrimenti  tomato  al  Ferruccio ,  nd  riman- 
datoli  i  danari,  come  pareva  che  11  dovere  ricercasse; 
Tolendo  seguitare  la  parte  che  seguitaya  la  sua  cittii. 
Vedendolo,  adunque,  11  Ferruccio,  lo  fece  prendere, 
e  dl  presente  impiccare  alle  flnestre  della  casa  sua 
propria:  cbS  tal  pena  d  stata  da'capi  data  in  puni- 
zionea'trufTatori  delle  paghe.  Insignoritoti  il  Ferruc- 
cio della  cittii  di  Volterra,  come  e  consueto  di  farsl 
nelle  citt^  disubbedienti,  conforme  airordine  de*  Die- 
ci,  prese  molti  del  cap!  della  ribellione;  e  Taddeo 
Guiducci,  suo  cugino,  Commessario  per  Cletnente 
in  Volterra,  cbe  se  11  era  dato  prigione ,  mandd  In 
fortezza.  Speditosi  di  questiaffari  al  pubblico  appar- 
tenenti,  primieramente  distribui  i  soldati  suoi  per 
le  case  de*  Volterrani,  alloggiandoli,  come  si  dice,  a 
discrezione;  e  fatta  diligente  ricerca  delle  vettoya- 
glie  che  in  Volterra  si  ritroyayano,  conforme  alio 
ordine  che  ayeya  de'  Dieci,  ne  messe  nella  fortezza 
quella  maggiore  quantity  che  possibile  fusse;  perd 
che  r  ordine  suo  era,  dopo  V  avere  munita  la  for- 
tezza, in  Empoli  ritornarsene.  E  mentre  che  queste 
cose  da*  suoi  ad  effetto  si  mettevano,  ayeya  egli  co- 
manda^,  che  i  Volterrani  tutti,  popolo  e  cittadini , 
disfacessero  i  bastion!  che  con  tanta  gola  di  royi- 
ntfre  quella  fortezza  erano  da  tutti  stati  faiti:  la 
qual  cosa  non  pure  non  addiyenne,  ma  fu  lo  stru- 
mento  di  farii  ritornare  nella  signoria  de'  Fiorentini* 
I  quali  non  si  vantino  d'ayere  riceuto  questo  comodo 
dalle  fortezze;  ayendo,  due  anni  ayanti,  sentito  per 


36  VITA 

questo  il  danno  maggiore  Che  mai  sentire  per  loro 
si  potesse. 

Aveva  il  Ferruccio  commessione  da'Dieci  della  guer- 
ra,  non  solo  di  fare  che  i  Volterrani  pagassero  la  fan- 
teria  che  egli  vi  aveva  menata ,  ma  di  mettere  in- 
sieme,  per  tutte  quelle  vie  che  possibile  gli  fusse , 
inaggior  somma  di  numerata  pecunia,  che  mettere 
si  potesse ;  della  quale  egli  doveva  servirsene  a  sol- 
dare  mille  fanti,  e  lo  avanzo  portar  seco,  per  fame 
quelli  effetti  che  dalla  Repubblica  li  fusse  ordinate. 
La  quale  stimando  che  egli  le  avesse  aperta  la  via 
a  ritenere  la  liberta,  aveva  in  lui  riposta  ogni  sua 
speranza;  essendo  il  Ferruccio  stato  sommamente 
celebrato,  inteso  che  si  fu ,  lui  avere  combattendo 
racquistato  Volterra:  per  lo  che  si  movevano  a  po- 
sare  sopra  di  lui  il  peso  del  liberare  la  CittH.  Pe- 
pocchd  ,  de'  capi  delle  genti    che  erano  in  Firen- 
2e ,  poco  si  confldava :    e   per  cid   disegnando  di 
fare,  condotti  a  strettezza,  quello  che  fatto   da 
principio  non  ve  11  lasciava  condurre ;  essendo  di> 
Tenuti  dotti  per  le  battiture,  come  de'Frigi  gift  si 
diceva;  disegnavano  di  soldare  la  gente  in  tanto 
numero,  che  contrastando  airesercito  (nel  quale 
11  maggior  valore  che  si  dimostrasse,  era  il  difender- 
si ),  potessero  tenere  almanco  la  Cittft  abbondante  di 
vettovaglia.  Perocchd  sebbene  il  numero  delle  genti, 
che  era  intorno  a  Firenze,  era  si  grande  che  i  Fioren- 
'  tlni  non  arebbero  mai  potute  mettere  insieme  tante, 
che  fussero  potute  stare  a  petto ;  conveniva  loro  ad  ogni 
modo,  volpndo  proibire  alle  genti  de'Fiorentini  che 
si  trovassero  fuori,  il  portare  vettovaglie  in  Firenze, 
che  da  qualche  parte  Tassedio  si  aprisse  :  dimaniera 
che,  0  per  uno  verso  o  per  Taltro,  sarebbero  entsati 
viveri  nella  Cittft.  A  questo  effetto ,  fecero  fermare 
in  Pisa  Giampagolo  di  Renzo  da  Ceri,  dando  ordine 
che  facesse  due  mila  fanti;  altanti  ne  doveya  fare 
Andrea  Giugni,  Commessario  d'Empoli ;  e  miUe  11  Per- 


Dt  FRANCESCO  FEHRUCCI  87 

niecio  ayanti  la  partita  sua  di  Volterra:  e  a  questo 
efTetto  ,  doveva  ragunare  piik  danari ,  cavandoli  di 
quella  eitti,  che  possibile  gli  fusse ;  onde  rlmasero, 
per  vero  dire,  indietro  pochi  modi  da  mettere  insieme 
pecunia,  che  egli  non  adoperasse.  Per 6  clie,  oltre 
alle  imposlzioni  poste  a'cittadini  tutll  quanti  di  Vol- 
terra, spoglid  i  medesimi  di  tutti  gli  argent!  sodl 
che  potette  appo  loro  ritrovare.  B  a  questo,  avendo 
prigione  Niccold  Gherardi  volierrano,  incolpato  di  te- 
nere  pratiche  e  scrivere  nel  eampo  nimico ,  per  il 
quale  delitto  11  Ferruccio  voleva  impiccarlo ;  a  per- 
suasione  di  Pagolo  Cdrso,  lo  rese  alia  moglie,  che  con 
quattro  flgliuoli  se  gli  era  inginocchiata,  dandoli 
essasomma  notabile  d*argenti,  che  ella  si  troTava. 
Non  pure  privo  i  Volterrani  degli  argenti  che  essi 
aTerano  per  uso  de^privati,  ma  di  quello  che  ser- 
Tiva  al  pubblico,  e  che  era  consecrato  al  culto  di- 
Tino.  Onde,  fra  le  altre  cose  molte ,  li  fu  portato 
daranti  un  frontale  d^  ariento ,  dentro  al  quale  era 
la  testa  di  SanVettore.  Questo  si  rimaneva  cosisanza 
essere  offeso,  non  si  trovando  chi  le  man!  y1  mettesse; 
non  ostante  che  i  medesimi  che  ricusavano  di  farlo, 
ayessero  nel  medesimo  modo  guasti  i  caliei  e  le  pa- 
tene  e  Taltre  cose  apparteneuti  al  sacriflzio  dello 
altare.  Cos!  poco  sono  spesso  conoscenti  le  persone 
delle  azioni  loro,  non  misurando  le  cose  con  11  vero 
loro  regolo;  guardandosi  anche  i  ladroni  e  quelli  che 
alia  strada  ammazzano  gli  uomini  per  rubare  loro 
miseria,  di  mangiare  la  carneM  venerdi  e  11  sabato, 
facendo  professione  di  guardare  ogni  vigilia:  cosa 
che  stabene,  e  esecondoladisposizionedellalegge; 
e  pad  essere  principio  di  maggior  bene ;  ma  non  per 
quanto ,  pare  cosa  fuori  del  verisimile ,  che  chi  di- 
spregia  i  comandamenti  di  Dio,  faccia  stima  di  quello 
degli  uomini.  Stayasi,  adunque,  il  frontale  intatto , 
non  avendo  ardire  niuno  di  toccarlo,  nd  instando 
il  Ferruccio  che  egli  si  disfacesse:  ma  uno  nipote 


38  VITA 

del  Commessario  Tedaldi,  d'eta  d^anni  trenta,  prd* 
solo  e  apertolo,  lo  diede  a'ministri.  E  e  sopra  oid 
da  notare  (  o  fusse  il  dispregio  che  si  mostrasse  nel- 
Tanimo  di  coiui,  ohe  presentato  da  quel  Santo  nel 
cospetto  divino ,  ne  domandasse  vendetta ;  o  fusse 
pure  il  caso  che  cosi  portasse  )  che  11  giorno  mede- 
Bimo  sentendosi  pizzicare  quel  giovane  sopra  un  tal- 
lone,  nd  potendo  toUerare,  trattosi  la  calza,  fu  to- 
duta  una  bollicella  nera  in  quella  parte;  la  quale 
oonsumd  rodendo  la  carne,  e  finalmente  la  yita  di 
colui.*  II  quale  diede  materia  a'malevoli  del  Ferruccio 
di  aggradire  Timpiet^  sua  per  questo  atto,  ponendoyi 
tutto  lo  studio  della  eloquenza;  essendosi  contenti  di 
raccontare ,  solamente  per  via  di  narrazione,  che  il 
principe  d'Aranges,  passando  per  TAquila,  citt&  del- 
FAbruzzi,  suddita  e  arnica  di  Ceeare,  ne  arrappd  la 
cassa  d'argento  dentro  alia  quale  era  il  oorpo  di  S.... 
convertendola  in  uso  suo:  1&  dove  il  Ferruccio  fu 
stretto  per  sovvenire  alia  patria ;  nella  necessity  della 
quale  (con  Tesempio  di  Davitte  che  a'  soldati  diede  a 
mangiare  la  vittima,  mancandogli  aitri  argomenti), 
non  e  forse  impio  costume  adoperare  le  cose  desti- 
nate  al  culto  divino. 

Ma  tornando  ora  a  nostra  materia,  il  Ferruccio,  eon 
quella  maggiore  soUecitezza  che  fusse  possibile,  at- 
tendeva  a  fare  coniare  monete  di  quegli  argent! , 
valendosi  in  ci6  dell'opera  d'un  orefice  fiorentino  che 
era  nel  suo  esercito,  e  di  certi  torselli  e  punzoni  sta- 
till  mandati  a  questo  effetto  di  Firenze;  ma  perchd 
vi  mancavano  la  maggior  parte  degliistrumentj  prin- 
cipali,  battd  certe  monete  quadre,  di  valore  di  mezzo 
fiorino.  Ora,  mentre  che  egli  e  tutto  in  questo,  con  in- 
tendimento  indi  a  non  molto  di  tornarsene  a  Em- 
poll,  succedette  cosa  che  qui  vi  lungamente  lo  ritenne. 
Perd  che ,  Fabrizio  Maramaldo  napoletano ,  che  era 
Btato  in  pratica  stretta  di  condursi  a^soldi  del  pon- 
tefice  con....  fanti,  non  essendone  venuto  alle  condu- 


DI  FRANCEBOO  FCRRnCCI 

^ioiU ,  non  essendo  altra  guerra  in  tutta  Italia  chQ 
quella.  per  trattenere  le  sue  genti,  si  feee  ayanti  di 
Campagna  di  Roma;  e  sentendo  la  citU  di  Volterra 
esserestata  raoquistata  dal  Ferruccio  per  quella  ma- 
niera  che  di  sopra  si  e  raccontata,  si  volse  a  quella 
parte,  se  a  sorte  egli  potesse,  spogliandone  i  Fioren- 
tiDi ,  cosi  fare :  al  pontefice  cosa  grata.  Non  andd 
a  Volterra  Fabrizio  a  prima  giunta,  ma  si  pos6  a  Vil- 
lamagna,  sei  miglia  discosto  dallacitta .  intorno  a' 15 
d^  aprile :  ma  essendQsi  nell^  esercito  sentito ,  che  il 
Ferruccio  s^  era  partite  d'  Bmpoli  per  andare  alio  ac- 
quisto  di  Volterra,  incontanente  fu  disegnato  di 
xnandare  chi  tentasse  quella  impresa,  stimandola  fa* 
cilitata  molto  per  la  partita  del  Commessario  Fer« 
racci;  e  per  cid ,  fu  Y61to  a  quella  parte  Alessandro 
VitelU,  che  era  alia  guardia  di  Pistoia  con  tutte  le 
genti,  U  quale  si  mosse  per  la  Valdinievole  yerso  Fu- 
cecchio;  e  dair altra  parte,  v'andd  dello  esercito  il 
marchese  del  Vasto,  con....  Spagnuoli  e  sedici  pezzi 
d'artiglierla  in  tutto.  La  qual  cosa  avendo  intesa  i  Die- 
ci,  ordinarono  a  Volterra  al  Ferruccio,  che,  con  quella 
maggior  prestezza  che  potesse,  vi  mandasse  Niccold 
Strozzi  con  due  compagnie :  che  non  segui,  essendosi 
gia  il  Maramaldo  con  le  sue  genti  rappresentato 
ne'borghi  di  Volterra.  La  qual  cosa  sentitasi  in  Fi- 
renze,  fu  subito  fatto  intendere  a'Commessari  di  Pisa, 
che  Yi  Yolgessero  Giampaolo  di  Ceri,  con  e'  due  mila 
iatti  da  lui. 

Ma  mentre  chequesti  ordini  andayano  inqua'nl^, 
rappresentatosi  Tesercito  allemurad'Bmpoli ;  il  quale 
battuto  da  Alessandro,  ancora  che  con  piccola  utility, 
e  dal  marchese  dalla  banda  d'Oltrarno,  sanza  che  si 
yeuisse  alio  esperimento  degli  assalti;  fu  preso  dal 
marchese,  entrando  gli  Spagnuoli  per  la  batteria 
&tta  sanza  che  yeruno  facesse  loro  resistenza,  dosi- 
aando  Andrea  Giugni  Commessario :  il  quale,  lamat- 
tina  medesii^a ,  ayeya  negoziato  con  Gioyanni  Ban- 


40  VITA 

dini,  Che  era  nel  campo.  e'l  giorno  davanti,  con  Piero, 
detto  11  Polio ,  degli  Orlandini.  Scrissero  i  Dieci  di 
Firenze  al  Ferruccio  la  perdita  di  Empoli,  a'3  di  mag-* 
gio ;  e  dicono  cfd  essere  avvenuto  per  fraude  d'  al- 
cuno  de^loro. 

Bsscndo  il  marchese  spedito  del  fatto  d'  Empoli,  si 
mosse  con  la  gente  che  era  quivi  seco  venuta  per 
andare  a  Volterra,  al  primo  di  giugno ;  dove  era  gik 
Fabrizio  accampatosi  alia  porta  di  San  Francesco,  che 
e  la  porta  donde  a  Pisa  si  viene,  e  con  le  genti  lore 
avevano  iiuelli  del  Ferruccio  ftitte  pidscaramuccie; 
e  Fabrizio  aveva  dinanzi  alia  porta ,  per  impedire 
quindi  V  uscita  a^nimici ,  alzato  un  bastione,  contro 
al  quale  dentro  alle  mura  n^  avera  fatto  ftare  un  al- 
tro  il  Ferruccio,  fatto  rovinare  una  torre ,  che  rovi- 
nando  per  i  colpi  deirartiglieria,  poteva  nuocere  ai 
soldati  che  lo  guardavano.  Aveyasi  creduto  Fabrizio 
(  indotto  dal  concetto  smisurato  che  hanno  i  Napole- 
tani  di  sd  stessi,  e  dallo  avere  conosciuto  il  Ferruccio 
nel  campo  di  Lutrech  sotto  Napoli,  dove  e'fu  prigione, 
soldato  di  nessuno  nome  e  sanza  carico),  chearri- 
yando  egli  sotto  le  mura  di  Volterra,  il  Ferruccio  do- 
vesse  di  presente  mandarli  le  chiavi  della  citti,  si 
comeegli  imperiosamente  per  unsuo  trombetto  mandd 
a  domandargliele;  per  il  quale  insieme  erano  man- 
dati  a  sollecitare  e  sollevare  a  cose  nuo ve  molti  de^prin- 
cipali  di  Volterra,  per  lettere  scritte  dai  loro  parenti 
che  erano  con  Fabrizio ;  le  quali  trovate  addosso  al  det- 
to tamburino,  furono  insieme  con  esso  lui,  presentate 
al  Ferruccio.  II  quale  rispose  alia  domanda  di  Fa- 
brizio ,  che  la  terra  gli  faceva  mestiere  guadagntr- 
sela;  e  al  tamburino  promesse  di  farlo  impiccare,  se 
sotto  pretesto  di  domandare  la  terra ,  portasse  piii 
lettere.  La  qual  cosa  non  credendo  Fabrizio ,  ma  ri- 
mandandovelo ,  e  eziandio  a  trattare,  per  mezzo  di 
certi  soldati  partitisi  da  lui  e  andati  in  Volterra,  df 
fare  ammazzare  il  Ferruccio;  essendo  preso  il  tarn- 


DI  FBAHCBSm  FERRUCCI      -  41 

boring,  perordiB^del  Fef rneeio  fa  implecato ;  essendo 
noDdimeno  iBpodestft  sua  il  proibire  ehe  e^non-v^en- 
traaae*  Per  la  qnal  cosa  sdegrnd  meraTigrliosamente  Fa- 
bmk>  eoDiro  al  Fermccia,  esaendosi  mesao  in  cuore  di 
inslgBorirsi  ad  ogm  modo  di  Volterra,  e  per  11  contra* 
rio  di  difenderla  il  Ferraecio.  II  quale,  in  deriaione 
di  f^Miio,  dieono  avere  confltto  per  la  pelle  della 
schidna  mia  gatta  neUe  mura  dalla  parte  di  fuori , 
la  quale  con  la  sua  voce  maia  maiu  dilegrgiasse  la  fa- 
mgUt  di  Fabrizio  (Maramaus) ;  non  sapendo  che  le  fo- 
cezie  elM  mordono,  laaclano  cruda  memoria  diloro ; 
6  cbe  eo*mimiei ,  piu  combattendo  che  barlando  si 
guadagaa. 

Ora,  mentre  che  il  fatto  di  Volterra  passaya  in  que- 

sta  maalera,  el  Vasto  giunse  conTesercito:  che  non 

potera  esaere  a  Fabrizio  piCt  diacaro ,  stimando  egli 

cbeoott  potendo  alia  per  fine  il  Ferruccio  resisterli, 

sua  toUa  doresse  essere  la  gloria  d^  avere  ripreso 

Volterra;  dOTO  per  la  giunta  del  marchese,  superiore 

a  loi  di  gente,  di  milizia  e  di  grado  nello  esercito  , 

qoaado  egli  avessero  preso  Volterra,  non  gli  yeniva 

a  loi  tmllA,  o  picciola  parte.  Accostdssi  il  marehese 

alia  citt&  di  Volterra  da  quella' parte  che  di  Firenzo 

^  si  arriya:  ne'borghi  della  quale  porta  era  11  capi- 

tano  RIecoId  Strozzi,  Francesco  della  Hdcca  cdrso,  e 

SaadriBO  Monaldi,  con  tre  compagnie  di  ftinti;  le 

QQtli  scaramHCCiarono  con  le  genti  del  marehese 

baeaa  pezza  della  notte ,  e  finalmente  si  ritrassero 

in  TolteTa,  con  morte  di  trenta  deMoro;  avendo 

mofto  iBOlti  de'nemici.  Dilib^ross!  alia  giunta  del 

marehese  di  aforzare  Volterra ;  e  cosi  ordinarono  di 

dare  la  batterla  dal  munistero  di  Santo  Lino,  che  d 

posto  lungo  le  mura  di  Volterra,  dalla  parte  di  den- 

tro.  Ma  troyandosi  il  Ferruccio  sproyyeduto  di  mu- 

nizioni ,  per  ayerle  Bartoldo  Tedaldi  Commessario 

della  fortezza  consumate ;  e  percid,  sapendo  che  nella 

rOcca  di  Vada,  guardata  da'Fiorentini,  era  buona 


i%  VITA 

quantity  di  Balnitro,  pensd  di  maiidtre  ft  plgliarne 
aleani  de'suoi  cayalli.  Ma  non  fa  yero  ehe  il  si^nor 
Amioo  d'  Arsoli,  eh'era  oapitano  de'eavalli,  si  potesse 
disporre  a  commettere  ad  aleani  di  qae^capitani  ebe 
pigliassero  quest^  impresa ;  stimando  non  potere  es- 
sere  cbe  e'  vi  si  condacessero  ,  avendo  il  campo  ni- 
mico  cinta  Volterra.  Dairaltra  banda,  sforsando  la 
necessity  a  tentare  ogni  pericolosa  impresa,  easendo 
ancho,  ohe  nel  mettersi  alia  prova ,  molte  cose  rie- 
scono  chA  a'dappocbi  si  moslrano  diffleillssiime;  si 
risolTette  11  Ferraeeio  di  tentare  ad  ogni  modo:  e 
essendo  fra'capitani  de^eavalU  il  conte  Ghermrdo 
della  Qherardesca,  giovane  d'anni  venticinqaet  eon- 
dotto  alii  stipendj  de*Fiorentini  con  sessantae&Talli, 
e  Aniballe  Bicbi  da...  capitani  amendue  di  yak»e,  con 
cento  eavalli ,  11  mandd  alia  torre  di  Yada;  e  con 
loro  mandd  Matteo  Berardi,  saa  lancia  spezvata,  con 
ordine  cbe  e  'recassero  in  groppa  un  sacco  di  salnitro 
per  ciascuno.  Tenne  il  Feriaceio,  nel  mandarli  foori, 
qaest'ordine.  Sulle  due  ore  della  notte  ,  mandando 
f uori  della  porta  alia  fortezza  alcuni  fanti,  faoa  dare 
airarme  nel  campo  de^nimlci;e'ngrossaadoooatino- 
vamente  le  genti  di  deutro,  fa  tatto  rasercito  a  ro- 
more;  il  quale  trasse  a  qaeUa  parte  donde  era  nato 
lo  stormo.  Intanto,  aperta  la  porta  drtla  contraria 
parte,  uscirono  le  cento  celate;  le  qnali  quaato  le 
gambe  ne  li  portavano  andando,  tantoato  si  fdrono 
dilungati  dalla  yista  delPesercito :  il  quale  fees  quie- 
tare  11  Ferruccio  ritirando  dentro  le  genti  sue.  Sen- 
titosi  la  mattina  nello  esercito,  cbe  di  Volterra  oraao 
nsciti  i  cento  eavalli,  del  signer  lacopo  da  Piombino, 
cbe  eon  died  uomini  a  cayallo  gli  aveya  la  mattina 
incontrati ;  si  credette  cbe  ,  come  inutili  alia  difeaa 
della  terra,  ne  gli  avesse  il  Ferruccio  a  Pisa  riman- 
dati ,  donde ,  in  compagnia  del  signer  CanuniUo  da 
Piombino,  gli  aveya  il  Commessario  cbiamaii,  Arri- 
yarono  a  Vada  quelle  genti,  e  toroarono  indietro;  ai 


DI  FBANCsaCQ  FERBUCCI  48 

Che  intomo  alia  mezzanotte  arrivarono  presso  Vol- 
terra,  dove  11  Ferruccio  aveva  posto  una  scolta,  che 
fece  airarriTO  loro  il  segno  pattuito ;  al  quale  11  Com* 
niessarlo  beffd  Tesercito  dl  fuori  nella  stessa  maniera 
che  egll  aveva  fatto  la  sera  davanti.  Perd  che»  men- 
tre  che  nel  campo  si  romoreggia  dalla  banda  della 
fortezza,  entrarono  per  la  porta  medeslma  onde  erano 
usciti  i  cento  cavalli  a  salvamento,  avendo  fornito 
la  bisognaper  la  quale  essi  erano  parti tl;  con  somma 
lode  di  qneMue  capitani ,  che  dimostrarono  11  tanto 
propensare  a*"  pericoli  soprastanti,  tdrre ,  nelle  cose 
della  guerra,  assai  volte  V  occasione  di  imprese  de- 
gne  di  lode.  Perd  che,  tra  le  cose  delle  quail  si  dee 
fareragione  nelle  dellberazioni,  non  ha  Tultimo  luogo 
U  potere  essere  Ingannatl  i  nlmlcU 

Maperchd  molte  volte  occorrer^  faremenzione  di 
vari  siti  di  questa  citt^,  per  plii  chiarezza  della  sto- 
ria,  non  fia  male  cosi  brievemente  descriverla.  £ 
posta  Yolterra  ec.    .   .    , 

Piantate  leartiglierle  unamattlna,avanti  glorno»  aU2 
digiugno,  un^ora,  comlnciarono  apercuotere  le  mura; 
le  quail  vecchle,  antlohissime  e  dl  mala  materia,  non 
fecero  alcunareslstenza:  dl  maniera  che,  in  quattor- 
dlcl  cannonate  ,  alio  spuntare  del  sole ,  ne  avevano 
messe  in  terra  braccia  clnquantasel.  Perchd  essendo 
apertura  abbastanza,  si  rlstettero  di  piu  battere ;  e  co- 
mlndarono  a  schierare  la  gente  loro  per  venire  a 
sforzare  i  riparl  fattl  dal  capltano  Morgante  da  Castl- 
glioni.  II  quale,  mentre  che  lamuragUa  cadevae  Tar- 
tiglieria  fioccava,  essendo  In  sorte  a  lul  venuto  a 
guardare  quella  porta,  cerod  dl  alzare  un  rlparo  a^ncon- 
tro  a  quella  rovlna ,  con  plu  masserlzie  stratte  dal 
mtmistero  dl  Santo  Lino ,  che  1  Yolterrani  per  sal- 
varle  vi  avevano  portate. 

Hentre  ,  adunque  ,  che  questl  rlpari  si  facevano  , 
concedendo  lo  afforzarsi  lo  induglo  del  dare  i  nimici 


1 

44  VITA 

rassalto;  mandd  il  marcbese  del  Vasto,  per  tentare 
Tanimo  de' Volterrani  a  nuove  cose,  una  grida :  cbe 
nessuno  ardisse  offendere  i  cittadini  di  Volterra  ne 
in  persona  nd  in  avere ;  e  dair  altra  banda  ,  non  si 
facesse  prigione  alcuno  de^soldati ,  ma  tutti  si  met- 
tessero  a  fil  di  spada.  Ma  il  Ferruccio,  per  pensare 
dalla  banda  sua  a  tutte  le  soprastanti  cose ,  aveva 
proibito  a' Volterrani ,  per  pubblico  bando  ,  V  usclre 
il  giorno  di  casa  sotto  pena  della  vita ;  emesso  leguar- 
die  dovunque  egli  aveva  giudicato  fare  di  bisogno»  e 
con  Tavanzo  delle  sue  genti  in  battaglia,  stava  aspet- 
tando  rassalto  e  dmpito  de^nimici.  Eransi  creduti 
il  marcbese  e  Fabrizio,  cbe  uno  cittadino  creduto  da 
loro  sanza  sperienza  delle  cose  della  guerra  non  do* 
vesse  opporsi  a  due  cavalier!  di  cosi  gran  nome :  ma 
veduta  la  cosa  passare  in  altra  maniera,  credevano 
fermamente  ,  niuno  contrasto  dovere  avere  la  gente 
Ibro  nello  sforzare  la  terra.  Slcch^,  credendo  cbe  co- 
lui  al  quale  toccasse  prima  a  presentare  la  battaglia, 
dovesse  riportare  la  palma  di  quelle  acquisto,  quasi 
fttssero  giuncbi  i  soldati  cbe  la  difendevano,  comin* 
ciarono  acontendere  tra  loro,  cbi  prima  dovesse  spi- 
gnere  avanti  la  gente  sua;  e  dur6  questa  loro  diffe- 
renza  dal  salire  del  sole  infino  airora  di  vespro.  Nel 
qual  tempo ,  non  perdendo  il  Ferruccio  Toccasione, 
non  cessava  di  raflbrzare  il  riparo:  ma  non  avendo 
trovato  que'signori  modo  di  accordare  la  differenza 
loro,  andandosene  il  giorno  confusi  insieme  i  soldati 
loro,  divisero  quelle esercito  in  tre  parti;  cbe  tutto  era 
cinquantacinque  compagnie,  delle  quali  ne  spinsero 
dodiciadareil  prime  assalto.  Rappresentatasi  questa 
gente  alia  muraglia ,  passd  la  cosa  d'  altra  maniera 
cbe  i  capi  deir  esercito  non  s^  erano  avvisati ;   per6 
cbe,  avendo  combattuto  questa  scbiera  pid  d^un^ora 
sanza  fare  alcuno  acquisto,  furono  fatti  ritirare ,  ri* 
man6ndovenemorti  assai.  Spinsero  que^signori  un^al- 
tra  battaglia  con  diciotto  insegne  a  dare  rassalto  st- 


DI  FBAHCESOO  FEBBUCOI  45 

condo;  ma  questa  nonfece  prova  migliore  che  la 
prima  s^  ayesse  fatto.  E  addiviene  11  piu  delle  volte 
che  dove  i  pocbi  vagliono  contromolti,  se  nel  prime 
affroDto  non  si  smagano  gli  animi  de'soldati,  ma  re- 
slstono  yalorosamente,  bisognerannoforze  inestima- 
bill  a  superare  la  yirtuloro.Ritrassesi  questa  scbiera, 
ayendoanch^essacombattuto  un^orao  poco  piu  ,  coq 
picciolodanno  di  quelUdentro,econmortalita  de'loro. 
Mossesi  flnalmente  tutto  quanto  11  resto  deiresercito, 
con  yentlcinque  compagnle  di  soldati;  i  quali  com- 
batterono  ostinatamente  fino  alle  ventitre  ore:  alia 
qual  era,  si  ritird  indietro  Tesercito  tutto,  molto  dan« 
neggiato  dalle  genti  del  Ferruccio ;  essendoyl  morti 
quattrocento  soldati  de^  loro  ,  sanza  che  egli  avesse 
riceyuto  danno  notabile,  non  yi  sendo  rimasti  morti 
che  qoaranta  fanti :  cosa  che  appena  non  si  potevano 
imaginare  11  marchese  e  Fabrlzlo.  I  quail,  flnalmente, 
ayendo  conoscluto ,  al  gludizio  naturale  e  fortezza 
d^animo  ogni  plcciola  ombra  di  sperienza  giovare, 
disegnarono,  con  mlglior  ordine  e  da  piu  bande ,  di 
tentare  la  spugnazione  di  quella  terra. 

Ma  11  Commessarlo  con  ogni  dlligenza  attendeva  a 
fortiflcarla  e  munirla;  e  la  notte  che  succedette  alia 
battaglia,  alloggld  dirimpetto  alia  apertura  fatta 
da^  nlmici,  a'quall  erasugli  occhi:  e  dato  ordine  di  rl- 
parare  da  questo  canto,  era  soprappreso  da  moltl  pen- 
sieri,  se  1  nlmici  tornassero  a  combatterlo  di  nuovo, 
essendoli  yenuta  meno  tutta  la  munizione  da  trarre. 
Brasi  stretto  Teserclto  alle  mura  della  citt&  quanto 
egli  poteya  11  piu ;  e  non  per  quanto,  se  bene  s'aspet- 
taya  che  yolessero  11  marchese  e  Fabrizio  tentare  di 
sforzare  la  citti ,  non  si  yedea  per  eld  fame  alcuno 
moyimento;  anzi  pareva  al  Commessarlo,  che  in  certa 
maniera  e*  dormissero :  per  lo  che  ,  egli  disegnd  di 
risvegliarli,  con  tenere  Intanto  la  sua  gente  occupata 
eontinoyamente  neiresercizi  della  guerra.  E  a  que- 
gto  effetto ,  ima  notte  ,  tlrato  una  tela  alta  quattro 


46  VITA 

braceia  sulle  mura  nel  dirimpetto  dello  esercito  bi- 
mico,  Yi  mise  dietro  quattro  sagri;  e  la  mattina  per 
tempo,  ayendo  udita  messa,  ritiratosi  nello  alloggia- 
mento  suo ,  con  i  capi  delle  sue  genti  e  con  molti 
de^soldati  piii  valorosi,  secondo  il  costume  suo,  man- 
gid  con  tutti.  Ma  tornando  al  proposito  incominciato, 
dopo  che  il  Ferruccio,  con  colore  che  sedevano  alia 
sua  mensa,  ebbero  mangiato,  e'mostro  lore,  —  i  capi 
dello  esercito  nimico  ayere  sempre  fatto  piccolissima 
stima  di  loro ;  dl  qui  essere  venuto  il  procedere  tanto 
lenti  nel  dare  V  assalto  alia  cittft  il  giorno  che  ten- 
tarono  di  sforzarla :  ayere  fino  da  principle  mandato 
Fabrizio  a  domandarll  Volterra,  come  se  vili  femmi- 
nelle  fussero  stati  colore  che  la  difendeyano :  era 
essere  ristretti  sotto  le  mura,  sanza  prendersi  di  loro 
alcuno  pensiero,  mostrandosi  quella  sicurti  neirescr- 
cito  di  fuori,  che  se  e'  fusse  sotto  le  mura  degli  amici : 
non  potersi  cid  sofferire  sanza  cstrema  yergogna  di 
ciascuno;  e  perd  doyersi  mostrare  a^nimici  rerrore 
lord ;  essere  loro  quelli  che  ayeyano  racquistato  Vol- 
terra con  la  morte  di  quasi  tutta  la  gente  che  v*era 
dentro;  colore  che  Taveyalio  pochi  giorni  ayautidi- 
fesa  da  uno  esercito  si  potente,  orgoglioso  perletante 
yittorie  acquistate  dayanti  che  passasseinToscana: 
per  cid  non  si  conyenire  lo  starsi  cos!  rinchiusi,  ab- 
bandonandosi  nella  pigrizia,  die  partoriya  loro  la  con- 
fidenza  de'nimici;  doyere  invitargli  a  yedere  il  vero 
segno  del  yalore  loro.  —  Dopo  questa  persuasione , 
comandd  il  Ferruccio  a""  suoi  capitani ,  desiderosi  di 
azzuffarsi  con  gli  inimici,  che  scelti  yenticinque  fanti 
di  ciascuna  compagnia  i  piu  eletti,  n'andasscro  alia 
porta fiorentina:  doye  essendosi  ragunati  da  ducento 
uomini  scelti ,  comparse  il  Commessario,  il  quale 
pubblicamente  promise  scudi  yenticinque  a  ciascuu 
soldato  che  riportasse  insegne  degli  inimici:  e  per 
contrario.  proibi  sotto  pena  delle  forche  11  rubare 
cosa  yeruna  neiresercito :  e  avendo  loro  ordinate  che 


DI  FRAMCfiSCO  FESBUCCI  47 

e^fii  rltlrftftiero  come  egli  di  Bvtlle  mura  ftteera  dare 
nellft  tromba,  gli  inTid  nel  campo  nimfco.  II  quale 
credendo  piu  allora  ogni  altra  cosa  ehe  essere  assa* 
liU  da  qvelli  di  dentro ,  non  si  preBderano  di  eid 
Tenuna  oura:  per  lo  che,  assaltandoli  le  genti  del 
Permeelo  oon  impeto  maraTiglioso,  molti  n'uccisero 
ayanti  ehe  a*capi  dello  esercito  fusse  pervenuta  la 
cagione  di  qael  tomalto.  B  per  cid  f^tta  testa  la 
geate,  si  fece  avanti  il  marehese  per  yendieare  quello 
aflhmto ;  che  yedendo  di  sulle  mura  il  Commessario, 
feee  a^uoi  il  segno  loro  dato  della  trombetta;  onde 
east  eominciarono  a  ritirarsl. 

B  peeta  Volterra  snr  un  poggio,  Testremiti  del  qua- 
le  6  nnapianara,  doye  d  la  citt&,  a  guisa  d^unamano; 
percbe  essendo  la  terra  su  quella  parte  che  risponde 
ana  palma,  il  restante  che  alle  dita  si  rassomiglia, 
Bono  cinque  collettt  che  egualmente  sMunalzano,  e  tra 
Tono  e  Taltro  d  una  piaceyole  yalletta.  Ritroyayasi 
4agente  del  Ferruccio  in  una  delle  spSagge  predette  e, 
per  tomare  dentro  in  Volterra,  conyenlyano  salire 
solrlleyato:  e  per  cid  il  Marehese,  presoil  yantaggio 
del  rito,  andaya  per  tagliare  loro  la  yiaal  salire  quel 
poeo  dell^  erta ;  si  che  ricalciandoli  di  dietro  tutto 
rayamo  dello  esercito,  e^  si  ritroyassero  in  mezto,  e 
si  patissero  supplizio  della  audacia  loro.  Ma  yeg> 
gendo  questo.il  Commessario » tagliate  le  funi  che 
teaeyaao  tirata  la  cortlna  che  sulle  mura  toglieya 
alTeaercito  la  yista  dei  sagri  a  questo  efl^tto  piant&- 
tlyi,ftttillyolgereyersole  genti  del  Marehese,  fe'dare 
loro  faoco,  con  morte  e  scompiglio  dl  queirordine : 
per  lo  ehe  ,  le  genti  di  dentro  si  ritrassero  a  salya- 
nento;  ayendo  lasciato  prigione  nello  esercito  illuo- 
gotenente  di  Goro  da  Monte  Benichi ,  capitano  degli 
sbanditi ;  portandone  con  esso  loro  tre  insegne  di 
Spagnuoli,  ayendo  lasciati  morti fanti  nello 

OMfCltO. 

Usel,  indi  a  non  molto ,  a  searamucciare  con  gli 


48  VITA    ' 

inimiei  Cammillo  dft  Piombino,  eoa  nnabantede^suoi 
soldati ;  ma  si  ritrasse  tantosto  «6sendo  stato  tocco 
da  una  archil)  asata  nella  coscia  destra,  delia  .^aale 
indi   a  non  molto  si  mori.  Aleoni  banao  lasciato 
scritto,  essere  stato  Cammillo  ferito  di  dietro  4m  un 
soldato  per  ordine  del  Ferruoeio,  per  isdegno  preso 
seco  deiressersi  abbottinati  i  Cdrai  che  erano  nel 
suo  colonnello,  non  Yi  provedendo  eigrli  come  avrebbe 
il  Ferruccio  YOluto;  e  per  aTere,  oltre  di  ci6k  af»to 
sospetto,  cbe  non  volesse  dare  una  porta  alii  i 
Quanto  sia  dello  abbottini^mento  de'COrsi,  carta 
e,  cbe  e^non  era  seguito  ancora«  easendo  cid  ftTve- 
nuto  quando  V  esercito  si  preparava  a  fare  Uk  se- 
condabatteria:  deiraltra  cagione  cbe  e  stata  aUegmta 
del  volere  quel  signore  tradire  la  terra,  onde  ai  mo- 
vesse  11  Commessarlo  a  farlo  ammazzare;  non  f^Temlo 
certezza  veruna  di  questofatto,  avendo  fattone  dUi- 
gente  incbiesta  ne'ragionamenti  aTuti  conooloro  cte 
yi  si  trovarono  presenti,  e  sapendosi^  dairaltro  caat^ 
Francesco  Ferrucci  non  avere  mancato  di  officio  to- 
runo  verso  il  signer  Cammillo  in  quel  giorni  iBAoire 
cbe  e'visse  ferito ,  Tanimo  sMncbina  a  non  credere 
cosa  brutta  di  quel  signore;  e  tanto  piu,  riguardaado 
la  natura  e  Tautoritii  di  Francesco,  il  quale  no^  es- 
$endo  Commessario  de'Dieci  appresso  ad  un  9eiiera^ 
le,  ma  asaoluto  egli  Commissario  generale  di  cam- 
pagna  di  tutte  le  genti  de'  Fiorentini,  non  arebbe 
per  modo  veruno  preso  quel  verso  di  punire  un  mo> 
mo  cbe  11  fusse  stato  suggetto  xli  fiallo  cosi  gnwt* 
Di  cbe  ci  puote  essere  argomento  quello  cbe  indi  a 
pocbi  giorni  successe  al  conte  Gberardo  deUa  Obe- 
rardesca,  il  quale  fu  per  capitargli  male  tra  le  m»r 
ni,  in  questa  maniera. 

Aveva  Francesco ,  dopo  cbe  ebbe  egli  ae^oiatato 
Volterra ,  fatto  pubblicare ,  cbe  tutti  i  cittadiai  cli« 
erano  fuori  per  conto  della  revoluzione  passata.  poi 
tessero  liberamente  tomare  aanza  impedimento  tc- 


DI  FBAKCESCO  FBRRUCCI  49 

mno,  con  ripigliare  il  possesso  de^  suoi  stessi  beni ; 
perche  i  Dieci,  d'ordine  de'quali  egli  avea  cid  fatto, 
desiderayano  che  quella  terra  si  mantenesse  da  per  8d 
stessa  in  devozioiie  della  Repubblica »  e  con  meno 
costo  che  fosse  lore  possibile :  a  che  giadieavano  ot- 
timo  istromento  Tusare  clemenza  Tersoque^popoli. 
Tomaronne  molti ,  e  moltiin  Volterra  se  ne  troyavano 
cbe  yolentieri  sarebbero  passati  neiresercito  di  fuori : 
de'qoalj  sebbene  il  Ferruccio  si  sarebbe  potato  as- 
sicorare  con  ritenerli  prigioni,  per  man«)  sdegno 
deli^uniyersale.che  de^continovi  supplisq  oltreamodo 
si  turba,  si  era  contentato  di  proibire  a'Volterrani 
rnscire  della  citti,  alia  pena  della  yita.  Era  in  Vol- 
terra  Flaminio  Minusio,  cugino  per  yentura  del  conte 
Gherardo  da  Castagneta,  con  il  quale moltosi  ritraeya; 
e  per  cid,essendo  un  giorno  amendue  alia  presenza 
del  Ferruccio,  li  chiese  licenzia  il  conte  per  Flaminio 
di  andare  flno  a  Santo  Andrea  a  cayallo ,  che  era 
faori  della  porta.  Diegliela  Francesco,  con  che  egli 
avyertisse,  non  colui  se  n'^andasse,  come  addiyenne ; 
perch^,  usciti  di  Volterra,  essendo  Flaminio  sur  un 
bnon  cayallo,  datoli  di  sprone,  se  ne  fuggi  nel  campo 
nimico.  Tornd  il  conte  dentro ,  e  nel  raccontare  la 
sna  sciagura  a  colui  del  quale  aspettaya  gastigo  di- 
mostraya  la  propria  innocenza.  Sdegndssi  il  Commes- 
sario  stranamente ;  e  tratto  dalla  coUera  (che  in  un 
memento  di  lui  s^insignoriya) ,  yoleya  ammazzare  il 
conte:  e  lo  arebbe  fatto,  se  ilsignor  Amico  d'Arsoli, 
e  altri  capitani  che  erano  quiyi  present!,  non  si  fus- 
sero  oppostiairira  sua.  Perchd  essendoli  yletato  il 
gastigarlo ,  ydlto  al  conte  in  presenza  degli  uomini 
piu  importanti,  gli  disse,  che  era  certo,  questo  disor- 
dine  essere  accaduto  per  la  dappocaggine  sua ,  e 
non  per  la  tristizia:  che  se  altramente  fusse  stato  , 
Tarebbe  ad  ogni  modo  fatto  impiccare,  come  un  ri- 
baldo;  doye  ora  li  bastaya  notare  la  dappocaggine 
saa.  Che  se  non  ebbe  rispetto  il  Ferruccio  al  conte 


50  TITA 

Gberardo,  pure  condottiero  di  cavalli  a'  soldi  deUa 
Repubbllca,  molto  menolo  arebbe  auto  a  Cammilloda 
Piombino,  colonnello  di  due  compagnie  solamente, 
signore  saoza  stato,  e  uomo  chetra'soldati  dique'tem* 
pi  Don  era  molto  riputato; 

Trapassd  11  tempo  fino  alii  10  di  giugno  nella  ma- 
niera  narrata  di  sopra,  saoza  che  cosa  seguisse  de- 
gnadimemoria,  oltre  alle  raccontate.  E'nquel  giorno 
si  messe  in  cuore  il  marchese  di  tentare  un'  altra 
flata  di  sferzare  Volterra;  e  consigliandosi  del  modo, 
fu  proposto  il  minarla;  quasi  che  quella  muraglia 
non  cedesse  a^  colpi  delle  artiglierie  con  grande  age- 
volezza :  donde  forse  derivd  il  partito  preso  del  bat- 
terla  di  nuovo  in  plu  d'un  lato ;  si  per  diyidere  le 
forze  di  quelli  dentro  nel  difendere  gli  assalti ;  e  si 
per  ispaventare  maggiormente  gli  animi  de^Volter- 
rani,  e  per  ci6  yedere  se  potessero  indnrsi  a  noviti 
veruna.  Risolverono,  per  tanto ,  di  battere  Volterra 
da  Santo  Agnolo  a  Docciuola ,  che  ^  da  quella  parte 
che  guarda  verso...  e  dalla  parte  di  San  Francesco,  per 
la  quale  s^esce  yenendo  verso  Firenze ;  e  '1  marchese 
elessedi  sforzarladaSanto  Agnolo,  lasciando  dallabat- 
teria  di  San  Francesco  la  cura  a  Fabrizio.  Venuta, 
adunque,  la  notte,  si  comineid  nel  campo  a  dare  ordi- 
ne  di  piantare  V  artiglierie,  e  acconciare  le  poste  per 
levare  le  difese. 

Bra ,  per  ventura  ,  alia  guardia  di  Volterra  dalla 
parte  di  Santo  Ajigiolo  il  capitano  Sperone  del  Borgo ; 
uomo  che  con  molto  valore  aveva  aggiunta  molta 
sperienza:  il  quale,  sentito  il  tnmnltuareche  eranello 
esercito.eavvisandosicid  che  era,  auto  asdil  sue  lao- 
gotenente,  conferito  seco  il  pensiero  suo,  legato  una 
fune  ad  un  merlo,  piano  piano  si  cald  giii  per  essa. 
Aveva  la  lingua  spagnuola  quasi  naturale:  per  lo 
che,  entrando  tra  gli  inimici  neiroscnrit&della  notte, 
non  poteva  a  cosa  alcuno  essere  riconosciuto.  Tnt- 
desi  nel  campo  nimico  ad  ascoltare  i  dfsegni  della 


» 


DI  FBAKCBSOO  FEBRUCCI  51 

fir>rza  cho  si  doveva  fare,  e  a  consideraremiaatamente 
il  aito  dove  Tartiglierie  si  piantavano:  nella  quale 
operamolto  coai  soldnti  del  campo  a'affatieb.  E  qaan^ 
li  parve  avere  il  tutto  'umaiderato ,  tolto  una  ^J^wi- 
oiata  di  foglie  ehe  erano  tyiirl  in  terra,  torttd  aotlo 
le  mara,  e  scroll ato  la  sua  fiu^,  si  face  ritirare  au; 
e*Dcantanente  n^andd  dal  CommcKario,  e  preseiitdlli 
quelle  foglie,  per  testimonio  di  tutto  quk^to  qaello 
Che  eg*!!  aveva  nel  campo  veduto. 

Intanto  ai  era  s^otito  lo  strepito  medesimo  daUa 
porta  di  San  Francesco :  per  lo  ehe ,  fu  in  piedi  il 
Conmiesaario,  ebe  allora  era  nel  letto,  per  dare  or* 
dine  a^  ripari  che  Caeerano  di  saestiere.  Prese  V  as- 
sunto  il  capitano  Sperone  di  rafforzare  a  Santo  Agnolo; 
e  dietro  le  murs^  dove  Tartiglierie  dovevano  percuo- 
tere,  lasciaBdo  buono  spa^io  di  piano,  caydnnfosso 
il  pi\i  i^ofondo  e  largo  che  la  brevity  del  tempo  con* 
cedette;  e  dinanzi  al  fosso,  oon  la  terra  cavata,  alzd 
una  trincea  fino  al  petto.  E'nfra  tanto,  areva  fiatto 
tdrre  da^soldati  delle  case  de^Volterranl  molte  botti 
v6te,  e  quelle  condotte  suUe  mura;  e  confltto  nolle 
doghe  grandi  auti  che  passaasero  fuori,  lo  ayeva 
piena  di  sased ,  e  poste  in  bilico  su  quella  parte  del 
muro  che  non  poteva  rovinare  ,  adattate  in  guisa  , 
che  ogni  picciolo  fanciuUo  poteva  dare  loro  labalta; 
che  doveva  seguire  al  segno  che  ayeva  dato  il  ca- 
pitano. Alia  porta  a  San  Francesco  similmente  s'af- 
forzavano  con  fbesa  ed  argine,  e  altri  proyedimenti 
che  in  tali  occasion!  sono  concessi ;  non  lasclando 
indtetro  ii  Ferruccio  cosa  yeruna  che  potesse  fare 
alia  difesa  di  quella  terra.  Non  pure  era  il  Ferruceio 
ansio  deirevento  del  giorno  future  ,  per  quelle  che 
apporta  seco  la  dubbiezza  della  guerra,  ma  era  for- 
temente  trayagliato  dalla  sedizione  de'Cdrsi;iquali 
restando  a  essere  pagati  d'una  paga,  protestayano , 
per  il  capitano  Francesco  Scruccola  capo  loro »  di 
non  yolere  combattere  sanza  essere  pagatL  Vinse  il 


5J^  VITA 

Ferruccio,  condotto  a  quel  punto,  la  natura  sua , 
non  lasciando  indietlro  sorte  di  preghi  per  mantener- 
feM  in  offizio:  ma  niente  giovava;  che  lo  Scruccola, 
istan*o,  pregando ,  e'n  qiwlche  parte  deirautorita 
valendobi  il  Ferruccio .  ^  rispose:  —  Al  dispetto  di 
Dio,  che  se  noi  non  ^lamo  pagati,  noi  non  combat- 
teremo.  —  AIU  ^ie,  tanto  fece  il  Commessario,  che 
il  Cdrso  fu  contentd  di  combattere  nella  difesa.Venne 
adunque ,  tosto ,  alii  21  di  giugno,  Tora  nella  quale 
i  nimici  cominciarono  a  batters  le  mura;  le  quali 
non  feceno  miglior  prova  che  la  prima  volta  fatto 
s'aveBsero,  rovinandone  ad  ogni  cannonata  di  grran 
brandelli.  Mentre  che  la  batteria  seguitaya,  andando 
il  Ferruccio  da  San  Francesco  a  Santo  Agnolo ,  fu 
percosso  e  ferito  in  un  ginocchio  gray  erne  nte  da  un 
sassoschiappato  del  muro  per  forza  d'una  cannonata; 
si  che ,  non  potendo  reggersi  in  i)iede  ,  e  Bentendo 
dolore  grandissimo,  fu  di  bisogno  portarlo  di  peso 
in  fortezza. 

In  questo  mezzo ,  avendo  V  artiglierie  fatto  tanta 
apertura  quanto  poteva  bastare  per  entrare  dentro, 
si  mossero  Tunc  colonnello  e  Taltro,  ciascuno  dalla 
parte  sua,  a  dare  Tassalto  alia  terra :  e  le  genti  del 
Warchese  principalmente  s'crano  presentate  allaro-' 
yina ;  doye  non  troyando  alcuna  difesa,  erano  scese 
nel  fosso,  e  si  sforzayano  di  salire  sulla  trincea,  dope 
alia  quale  erano  chinate  le  genti  che  aquella  difesa 
erano  comandate  da  Sperone  dal  Borgo.  II  quale,  ve- 
duto  g:\k  due  bandiere  spagnuole  rilucere  sulla  trin- 
cea; alzato  uno  sciugntoio,  dette  il  segno  a  colore  ebe 
(lovcvano  fare  royinare  le  botti.che  erano  sulle  mura, 
picne  di  sassi ;  le  quali  sospinte  da  coloro  che  ne  ave- 
vano  il  carico,  caddono  appunto  nel  yano  della  bat- 
-tcria:  e'nfragnendo  molti  Spagnuoli,  si  conficcarono 
in  terra,  e  chiusero  quel  passo.  Di  maniera  che,  po- 
chi  fanti  a  cid  prima  destinati,  che  tantosto  yi  corse- 
ro,  tencyano  il  passo  agrinimici ;  rimanendo  inchiuse 


« 
« 


e 
t 


DI  FRANCESCO  FEBRUCCI  53 

prigionc  due  insegne  spagnuole,  con  moltl  ftinti,  che 
splntisi  avanti  erano  stati  i  primi  a  montare  su  la 
trincea :  di  maniera  che,  poco  potette  fare  Tesercito 
di  fuori  da  quella  band  a. 

Ma  mentre  che  a  Santo  Agnolo  succedevano  le  cose 
felicemente  per  quelli  dentro,  d'altra  maniera  si  go - 
vernavano  le  cose  dalla  batteria  di  San  Francesco ; 
perd  che  le  gentl  di  Fabrlzio  si  spinsero  avanti  ra- 
lorosamente  ,  appunto  quando  il  Ferrucclo  ferito  , 
da^suoi  era  portato  in  fortezza.  Dove  la  piu  parte  lo 
segnirono ;  come  addiviene  sempre  in  cosi  fattl  ac- 
cident!, ne^quali  pud  assai  piu  la  curiosity  delvedere 
e  udire  e  ad  ogni  minimo  atto  intervenire  per  dire 
poi  —  io  fui,  io  feci,  io  dissi,  —  che  non  pud  il  pro- 
pio  debito  di  ciascuno,  di  non  si  partire  deirordine 
della  battaglia.  Rimase,  adunque,  in  quella  parte  a 
difendere  Tassalto  de'nimici  il  capitano  Morgante  da 
Castiglione  eU  capitano  Michele...  con  le  compagnie 
loro :  i  quali  essendosi  difesi  yalorosamcnte,  in  com- 
pagnia  di  molti  Volterrani  che  in  quel  giorno  pre- 
Btarono  a'Fiorentini  opera  forte,  sforzatl  dalle  genti 
di  Fabrizio,  che  con  molto  ardimento  combattevano, 
cederano  alia  perflne,  e  si  ritiravano.  La  qual  eoaa 
essendo  al  Ferruccio  referita,  storpiato  cosi  come  era 
si  fece  riportare ,  sulla  seggiola  stessa  suUa  quale 
era  stato  portato  nella  fortezza,  alia  batteria,  e  die- 
tro  li  tomarono  tutti  i  soldati  suoi ;  tra'quali,  Fran- 
c^co  Seruccola,  che  la  notte  aveva  nello  abbottina- 
mento  disonestamente  bestemmlato,  subito  che  fu  ar- 
rivato,  fu  tocco  da  una  archibusata  nel  petto ,  e  di 
prcscnte  mori.  Comparito  il  Ferruccio  su  la  batta- 
glia, tanto  qtmnto  crebbero  di  numero  ed  animo  i 
soldati  suoi,  tanto  ne  inyilirono  quegli  del  campo 
nimico;  i  quali  ostinatamente  mantenevano  Tassalto, 
opponendosi  animosamente  quelli  den  tro;  a^  quali  di 
gift  mancavano  le  munizioni  da  trarre.La  qualcostk 
afeya  preveduta  il  Ferruccio ;  nd  potendo  a  ci6  al-> 


54  TITA 

trimenti  riparare,  aveva  fattoportaresulle  mura  delle 
caldaie  piene  d^olio ;  e  quivi  facendole  bollire,  con  i 
romaiuoli  dal  bucato  lo  faceya  gettare  addosso  agrli 
inimici.  I  quali  avendo  combattuto  sette  ore  conti* 
nove,  disperati  d'entrare  inYolterra  per  forza,  suUa 
sera  si  ritrassero  :  e  prima  era  ristato  di  combattere 
11  marchese  a  Docciuola,  veggendodi  non  potere  da 
quella  banda  conseguire  il  desiderio  suo.  D^costdssi 
11  campo»  per  tanto»  da  Volterra  con  molta  vergo^xva 
sua,  e  somma  lode  delle  genii  di  Volterra ,  e  del 
Commessario  singolarmente :  11  quale  ferita  grave- 
mente,  era  stato  suUa  batteria  sempre  presenter  da 
clie  Yi  fa  rlportato ,  procedendo  a  tutto  quello  che 
ad  ora  ad  ora  aveva  di  consiglio  ed  aiuto  mestiere; 
e  (cbe  fu  gran  maraviglia)  non  essendo  morti  de'suoi 
ma  cbe  venti  soldati ,  e  alcuni  pocbi  feriti ;  quando 
di  qaelli  del  campo  se  ne  deskierayano  meglio  di  otto- 
cento.  Ritiratosi  Tesercito,  la  sera  stessa  parti  U  mar* 
cbese,  ricreduto  e  scontento  del  non  avere  acqnistato 
Volterra;  e  Tesercito  si  trattenne  tanto,  cbei  nimici 
si  medicaasero. 

Aveya  il  Ferruccio  i^preaso  di  se,  mandatiii  dalla 
Signoria,  Pagolo  Cdrso,  uomo  di  lunga  sperienza,  e 
ilcapitano  Tomme  Siciliano;  i  quali  persoadtTano 
il  Commessario,  che  pinte  fuori  le  sua  genti,  aflf^on- 
tasse  i  nimici  cbe  dalla  batteria  si  ritiravano,  segui- 
tando  lavittoria:  al  consiglio  de^qualinon  s^attenne 
il  Ferruccio*  Non  si  poteva  £are  progresso  veruno,  pi- 
gliando  questo  partito,  sanza  cavare  fuori  tutta,  o  1« 
maggiore  e  migliore  parte  della  geute  di  Volterra;  la 
quale  se  i  nimici  erano  stracchi  del  lungo  combat- 
tere, molto  piiidov^vano  esaere  essi  stracchi,  essendo 
alati  meno  a  novero,  e  per  cid  piti  speaso  adoperati. 
Erano  quelli  di  fuori  tanto  pid  di  numero,  che  fiac- 
cendo  testa,  occupandosene  una  parte  contra)  alle 
gtnti  uscite  fuori,  Taltre  potevano  sanza  contrasto 
passare  in  Volterra  per  le  royine;  e  oltre  a  tutto 


DI  FBAKCE8C0  FERKT7CCI  $5 

^nesto ,  queir  esercito  aveva  di  gi&  perduto ,  non 

ttendo  acquistato  quello  per  cbe  egli  si  era  mosso. 

iHiU'altro  -canto,  si  poteva  molto  danneggiarlo  se  la 

sorte  ayesse  fattoli  dare  le  reni,  come  poteva  facil- 

ment«  inter  venire,  e  rubare  gli  alloggiamenti  loro; 

,ma  spegnerlo  tuHo  sarebbe  statoimposaibile,  quando 

ciascuno  di  quel  dentro  avesse  ammazzato  died  di 

quelli  di  fuori:  oltre  a  cbe,  seguitarli  lungamente  non 

si  sarebbe  possuto.  Sara  adesso  uflzio  degli  uomini 

periti  dell'arte  della  guerra,  eonsiderato  il  tutto,  lo- 

<^  0  biasimare  la  resoluzione  presa  il  Commeasa* 

rio,  di  contentarsi  deUo  avere  proibito  a'nimici  Ten* 

tfarein  Volterra.  Discostdssi,  indi  a  non  molti  giomi, 

I'esereito  di  faori,  nel  quale  era  entrata  lamoria;e 

8i  parti  cbe  11  marcbese  era  tomato  verso  Fiorenza; 

e  i^'tbrizio^parse  le  sue  gentl  per  le  colline  di  Pisa. 

Kiffltsero  in  una  cbiesa  vicina  a  Volterra  sessanta 

f<eriti,  quasi  tuttispagnuoli;  e  comandando  loro  Nic- 

cold  Neretti,  soprannominato  Babbone,  cbe  quindl  si 

to^liessero,  e  non  lo  faccendo  essi,  e  forse  non  po- 

tcndo,  egli  v^appicc6  fuoco,  per  fugglre  il  sospctto 

della  moria:  dove  morirono  tutti  que'feriti* 

Tosto  cbe  in  Firenze  gianse  la  novella,  cbe  per 
▼it  del  eampo  vi  venne,  il  cittadino  loro  avere  di- 
feso  Volterra  da  due  cosi  gran  capitani;  non  si  po- 
trebbe  stimare  r  allegrezza  di  tutti  i  Fiorentini,  in- 
Dtlzando  fino  al  cielo  Francesco  Ferrucei;  entrando 
in  ispo-anza  cbe  a  lui  oramaidovessetoccareat<)rre 
1*  eitti  di  quella  molest ta  cbe  per  otto  mesi  conti^ 
AOYi  r  aveva  cotanto  travagliata^  H  ancora  cbe  a  ci6 
credere  Tinvitasse  Tardire  di  Francesco  e'l  valore 
delle  sue  genti,  molta  speranza  nondimeno  ve  11  faceva 
porre  la  necessitli  nella  quale  ogni  giorno  gli  riducea 
Tassedio,  e  la  poca  fede  cbe  avevano  i  magistrati 
nelle  genti  cbe  erano  nella  citti:  le  quail  erano  go- 
Tenate  da  Malatesta  Bagiioni ,  gi&  divenuto  so^ 
tpetto  a'  Fiorentini;  sendo  stata  opinione  comune  cbe 


-    56  VITA 

se  alii  XVIII  dl  giugno  egli  fusse  uscito  ad  assaltare 
ilcampo  dalla  porticciuola  del  Prato,  cometraluie 
Stefano  Colonna  s'  era  convenuto  ,  che  dove  qael 
giorno  si  ammazzarono  no  vecento  fanti  tedeschi ,  quasi 
del  tutto  si  sarebbe  spenta  o  messa  in  volta  quella 
parte  deir  esercito ;  al  soccorso  della  quale  non  po-* 
tevano  esser  quegli  d'Oltrarno  si  pronti,  che  i  sol- 
dati  Fiorentini  non  la  spacclassero.  Per  questa  ca- 
gione,  adunque,  ordinarono  i  Died  al  Ferruecio,  che, 
poichd  r  esercito  nimico  s'  era  partito,  fortificata  Vol- 
terra  in  quella  parte  che  egli  giudicava  bisognare, 
vettovagliando  la  fortezza  abondantemente ,  a  Pisa 
sen'andasse,  congiugnendosi  in  quel  luogocon  Giltm- 
pagolo  da  Ceri;  dove  gli  ordinerebbero  quello   che 
e' disegnassero  che  e'facesse.  E  avendoli  per   pi^ 
lettere  replicato  questo  ordine,  e  a*  Commessarii  di 
Pisa  scritto  che  eseguissero  i  comandamenti  suoi; 
messo  il  Ferruccio  nella  rdcca  di  Volterra  quella 
piu  vettovaglia  che  e'  potette,  lasciatovi  dentro  Gio- 
vambattista  Gondi,  detto  il  Predicatore,  aM5  di  lu- 
glio  si  parti,  a  ore  due  di  notte;  avendolo  i  Dieci 
confermato  e  di  nuovo  eletto  Commessario  generale 
di  campagna  di  tutte  le  loro  genti ;  e  per  la  via  delle 
Maremme  venuto  a  Livorno,  a  Pisa  se  ne  venne 
a'  17  detto. 

Avevano  i  Dieci  ordinate  a  Piero  Adovardo  Giachi- 
notti,  Commessario  di  Pisa,  che  ordinasse  a  Giam- 
pagolo  da  Ceri,  che  seguisse  gli  ordini  del  Ferruc- 
cio, che  era  di  uscire  in  campagna;  e  alia  guardia 
di  quella  citta  ritenesse  Mattias  da  Camerino ,  con 
sei  cento  fanti.  Erasi  il  Ferruccio  partite  di  Volterra 
senza  avere  contentato  i  soldati  delle  paghe  guada- 
gnate,  e  promesse  loro  di  pagarli  in  Pisa;  dove  il 
Commessario  Giachinotti,  e  prima  e  allora  ,  aveva 
con  ogni  rigorositiL  cercato  di  strarre  denari  da^cit- 
tadini  pisani,  per  contentare  le  genti  di  Giampagolo 
da  Ceri;  e  perd  non  fu  facile  al  Ferruccio,  a  prima 


DI  FRANOESCO  FBimUCCI  57 

gianta,  potera  di  colpo  pagare  i  suoi  soldati:  per  lo 
cbe  i  Corsi,  rozzi  e  impazienti,  facendo  testa,  s'  e- 
rano  abbottinati,  dando  principio  a  disordine  d'im- 
portaaza.  E  per  riparare  a  questo  disordine  ,  corse 
Goro  da  Monte  Benichi  a  sigrniflcarlo  al  Ferruccio , 
il  quale  alloggiava  nella  cbiesa  di  Santa  Cater ina : 
11  quale  movendosi  sanza  nulla  in  testa  ,  in  giub- 
bone,  con  le  lunette  di  magUa  solamente  ,  corse  \k 
do?e  era  il  rumore  di  quelle  geati;  e  messo  mano 
alio  stocco,  n^  ammazzd  tre,  r  uno  dopo  V  altro  ,  re- 
stando  attonito  tutto  11  resto ;  e  'n  quella  maniera 
quietd  quel  tumulto.  Ne'  quail  si  suole  giudicare 
atta  tutta  r  autorita  che  pu6  ritrovarsi  in  uno  capo 
d'uBo  esercito,  come  sono  le  arm!  e  la  compagnia: 
alle  quali  cose  satisfece  la  risoluzione  e  V  animo  al- 
tiero  del  Ferruccio;  il  quale  armandosi,  con  dareal 
fatto  dilazione,  poteva  forse  meno  giovare  a  quel 
male,  trovandolo  avere  preso  piu  piede.  Pagati,  poi, 
li  suol  soldati,  e  fatto  rassegna  di  questi  e  di  quelli 
di  Giampagolo,  si  andava  preparando  per  uscire  in 
campagna,  e  tornando  verso  Firenze,  tentare  r  estre- 
ma  sorte  della  guerra,  per  liberare  la  patria;  la  quale 
stretta  in  guisa,  che  le  cose  sozze  erano  riputate  de- 
licate TiTande  e  preziosi  cibi. 

Non  finiva  di  affrettare  il  Ferruccio  a  uscire  fuori 
per  soccorrerla;  e  perche  la  coaa  se  ne  andava  piii 
per  la  longa  che  non  pareva  loro  verisimile ,  facen- 
do la  necessity  parereogni  giorno  un  anno  intero;  e 
dubitando  non  derlvasse  dallo  essersi  parti  to  11  Fer- 
ruccio di  Volterra  non  bene  del  suo  ginocchio  sani- 
cato;  per  cio,  per  ultimo,  non  potendo  piu  soste- 
nerai,  ordinarono  al  Commessario  Ferruccio,  che  non 
potendo  andare  egli,  mandasse  con  tutta  quella  gen* 
te  Giovambattista  Corsini,  detto  lo  Sporcaccino,  o 
ehi  altri  a  lui  paresse  a  proposito ;  nel  quale  case, 
davano  a  colui  che  mandasse,  la  medesima  autorita* 
Bssendo  presentata  questa  lettera  al  Ferruccio,  dopo 


58  ^  vi*rA 

}6  averla  letta  e  di  poi  ripi^ata,  teneadola  in  mano. 
la  prese  da  un  lato  coMenti,  dicendo:--  Andiamo  a 
morire.  —  Per  lo  che,  messi  in  ordiae  i  preparamenti 
Che  li  facevano  di  mestiere  e  quasi  in  punto  per  par- 
tinii,  and6  a  visitare  Taddeo  Gaiducci,  condotto  in 
fortezza  dalui;edolendo6i  il  Guiducci  del  riman^re 
q^ivi  sanza  speranza  di  vita,  lo  confortd  U  Ferrue- 
cio,  dicendogrli:  ^  avere  di  lui  buona  speranza:  lui 
andare  verso  Fir^nze,  e  scorgrere  )a  naotte  proprii 
evidentemente ;  ma  ftirlo  vol«itieri  in  servizio  della 
patria:  la  quale,  sanza  dubbio  veruiio,   per  questo 
fMto  aveva  occasione  di  respirare,  sapendone  co^no- 
Bcere  r  occasione.  —  Poteva  ragionevolmente  parer« 
cosa  dura  a  Francesco  Ferruccio,  con  uno  eolonnello 
di  quattromila  fanti  e  con  quattrocento  cavalii  us<5ire 
in  campagna,  per  andare  a  trovare  TeseroiU)  nimico, 
il  quale  lasciando  assediata  Fiorenza  poteva  oppor- 
glisi  eon  numero  tanto  maggiore,  che  11  pessare  di 
superarlo  sarebbe  stato  giudizio  i'uemo  corrotto; 
andandosi  a  perdita  manifesta ,  alia  quale  segiiitava 
incontanente  il  perdere  i  Fiorcntini  qnella  g-ucrra, 
non  si  mettendo  a  sbaraglio  se  non  una  parte  delle 
fbrze  loro :  cosa  da  non  si  eleggere  se  non  per  co- 
loro  che  fussero  stretti  alP  ultima  necessity.  Nella 
quale,  nondimeno,  coHdotti  i  Fiorentini ,  avevano  « 
come  diceva  il  Ferraccio,  occasione  di  prolungarsi 
alquanto  la  vita;  e,  se  non  altro,  correre  col  beneflzio 
del  tempo.  Perd  che,  tH^Ognando  a  contastarc  le 
gehti  del  Ferruccio  pit  che  la  met*  deir  eser cito,  e 
spezialmente  la  cavalleria  tutta  quanta;  e  trovandosi 
in  Fiorenza  sino  a  novemila  uomfni  da  cambattere, 
gente  scelta  e  valorosa;  chi  non  vede  essere  stato 
in  podestli  dl  chi  aveva  quelle  genti  in  governo,  di 
mandare  per  la  mala  via  quel  resto  dello  esercito 
che  intorno  alle  mura  rimaneva?  Non  fu  preso  queato 
partito,  con  carico  del  generale  di  dentro ;  perroet* 
tendolo  la  Provvidenza  divina,  forse,  per  salute  df i 


DI  PBANCESCO  FERiyaCCI  59 

FiorentiBi,  eondottiei  a  tale,  che  V  essere  ad  altri  sot- 
toposti  Bou  poteva  veruno  tollerare,  che  non  fusse 
egli  stato  11  capo  o  a  modo  suo  disposta  la  forma 
del  goyerno. 

Ma  tempo  e  di  ripigliare  11  filo  della  narrazione  in- 
cominciata.  Avevano  In  Firenze  eentito,  che  di  campo 
s'erano  mossi  11  princlpe  d' Oranges,  Pirro  Colonna, 
Alessandro  Vitelll  e  Plermaria  de'  Rossi  e  Fabrlzio 
Maramaldo,  per  andare  incontrare  11  Ferruccio;  e  che 
tra  loro  erano  rimasti  di  metterlo  in  mezzo,  con  ispe- 
ranza  che  dovesse  loro  auccedere,  conoscendo  il  Fer- 
rnccio  uomo  volenteroso.  Delle  quaU  cose  fecero  av- 
Tertito  Francesco,  slgnificandoli  che  alio  effetto  del 
metterlo  in  mezzo»  s^allargava  Fabrlzio  con  11  suo 
colonnello;  e  perdd  11  rieordavano  la  prudenzia; 
commett^idoll  che  al  Montale  levasse  duemlla  pic- 
che  e  studiasse  di  spignere  quella  maggiore  quan- 
tita  di  vettovaglia  che  fuss!  posslbile.  Con  questl  or- 
dlni  della  Repubblica ,  usci  11  Ferruceio  dl  Pisa  a^ 
2  di  agosto,  portando  aeco  vettovaglia  per  tre  giorni 
interl,  sessanta  trombe  di  fuoco  lavorato  £abbrlcate 
In  Pisa,  e  dodicl  smerlgll;  avendo  seco  per  guida 
del  cammlno,  mandatoli  dal  Dleci,  uno  da  Monteea- 
tini,  11  quale  aveva  promesso  di  fare  gran  cose  pas- 
sandosl  su  quello  dlPistola.  Erano  neireserCitoGlam- 
pagolo  da  Ceri,  Amico  d^Arsoli,  Alfonso  suocuglno, 
Goro  da  Monte  Benlchi,  Augustloo  da  Gaeta,  il  Cat- 
tivanza  delll  Strozzi,  e  cinque  compagnie  dl  Cdist; 
che  tuttl  facevano  11  numero  dl  quattromlla  fiasti  e 
quattrocento  cavalll.  E  prendendo,  a  ore  due  dlnotte, 
la  via  di  Lucca,  giunti  al  Monte  a  San  Giullano,  gi- 
rarono  al  pie,  e  riuscirono  nel  contado  di  Lucoa; 
alia  quale  vennero  poco  dopo. 

Eranosi  rltlrati  in  quella  cittii  molti  de'  cittadinl 
di  Fiorenza,  de^  piti  nobili  e  piu  ricchi,  uscitisi  della 
patria  per  aon  partecipare  delle  sue  calamitik,  e  non 
si  accostatl  alia  parte  del  pontefice»  per  potere,  eo- 


60  VITA 

munque  sortisse  il  fine  della  guerra  ,  essere  liberi 
da  ogni  pregiudizio.  Condottosi,  adunque,  il  Ferruc- 
cio  sotto  Lucca,  e  sapendo  non  v' essere  dentro  chi 
potesse  resisterli;  dicono  avere  guardato  verso  le 
mura  piu  volte,  parendoli  che  Tentrarvi  dentro  po- 
tesse rimuovere  11  campo  di  Firenze ;  oltre  a  potersi 
valere  in  quella  guerra  di  molti  danari  che  se  ne 
fussero  potuti  trarre.  B  flnalmente,  avendo  davanti 
agll  occhi  I  comandamenti  della  patria  ,  convertiti 
ultimamente  in  preghiere  ,  si  spinse  avanti ;  e  la- 
sciando,  al  passare  della  Pescia,  sulla  mano  stanca 
quella  terra,  prese  la  via  che  mena  a  Seravalle;  e 
piegando  sulla  sinistra  nel  montare  ,  cammind  alia 
volta  della  montagna;  e,  a  ore  23  al  terzo  giorno  d^a- 
gosto,  si  condusse  alia  villa  di  Calamecche ;  e  quindi, 
la  mattina  seguente,  a  Santo  Marcello ,  posto  solla 
montagna  di  Pistoia,  della  parte  Panciatica  ,  e  per- 
cid  contrario  alia  parte  del  Ferruccio:  il  quale,  en- 
tratovi  dentro  le  sue  genti,  non  ostante  che  egli  fusse 
infetto  di  peste,  fu  saccheggiato  e  rubato.  Solo  si  era 
tenuto  iin  prete  che,  salendo  nella  torre  del  campa- 
nile, souava  a  stormo  le  campane  quanto  e'  poteva: 
che  potette  essere  cagione  di  fare  anticipare  la  ve- 
nuta  del  principe. 

Essendo  in  arme  e  a  romore  tutto  il  paese  ,  non 
bene  ancora  giorno,  a' 4  d'agosto;  e  rinfrescandosi 
un  poco  le  sue  genti :  si  sentirono  a  un  tratto  da  Ga- 
finana  le  trombe  de^  nimici,  e  quella  terra  in  sdstessa 
dfvisa  sonare  a  martello;  per  lo  che ,  conosciuto 
quelU  essere  i  nimici,  e  bisognare  cercarsi  Tacquisto 
de^  vantaggi  concessi  dal  sito  ,  si  mossero  le  genti 
di  Francesco,  per  vederese  possibile  fusse  d'entrare 
in  Gavinana,  non  ostante  che  grinimici  gi&  comin- 
ciassero  a  comparire.  £  posto  San  Marcello  nella 
montagna  di  Pistoia,  sur  uno  colle,  del  quale  seen- 
dendosi,  si  viene  ad  un  fosaato  che  li  dicono  i  xnon- 
tanini  Rio  Gonfienti.  Da  questo  passandosi,  si  saglie 


DI  PRANCESCO  PEBBUCCI  61 

a  GaTinana  ,  posta  sulla  stiena  d^  un  monte  altissi- 
mo,  tra  caatagneti ;  e  la  via  del  detto  Rio  a  Gavi- 
nana  e  erta,  non  per6  molto  repente;  erbosa ,  e  ve- 
stita  da  cast4igni  fronzuti.  Erano,  adunque  ,  comin- 
ciati  a  comparire  genti  nimiche  InGayinana;  e'l  prin- 
cipe  d*Oranges,  capo  dello  esercito.  si  faceva  avanti; 
quando  quelli  del  Ferruccio ,  calati  di  gi&  sul  Rio 
Gonflenti,  scaramucciavano  con  1  nimici,  che  di  co- 
sta  cercaTano  tagliare  loro  lastradaalsalireTerta: 
nel  quale  primo  afft'onto  rimase  morto  Alessandro 
da  Ceri,  cogino  di  Giampagolo,  che  era  andato  avanti 
con  la  vanguardia.  Mentre  che  P  uno  esercito  e  V  al- 
tro  era  alle  mani,  quelle  del  Ferruccio  per  salirein 
GaTinana,  e  V  altro  per  y ietargli  la  salita ,  non  es- 
sendo  ancora  fuori  di  San  Marcello  tutte  le  genti 
de' Fiorentini ;  uno  stormo  di  montanini  della  parte 
Cancelliera,  entrati  in  San  Marcello  ,  applcc6  fuoco 
in  piu  parti  di  quel  castello ;  11  quale  and6  di  ma- 
niera  impigliando ,  che  sessanta  fanti  furono  rin- 
chiusi  dalla  flamma  in  una  stanza;  donde  non  po- 
tendo  uacire  se  non  per  la  rottura  d'  una  tavola,  ve 
ne  perirono  piu  di  renti. 

Intanto  il  Ferruccio,  in  mezzo  la  battaglia,  con  le 
gepti  sue  acquistava  deir  erta,  con  piu  certezza  fe- 
rendo  gli  archibusi  nel  trarre  alio  insu,  che  non  fa- 
ccrano  scaricati  alia  china.  Salendo ,  per  tanto,  fu- 
rono condotti  davanti  al  Ferruccio  alcuni  fanti  dei 
Bimici  fatti  prigioni ;  a'  quali  domandd  il  Ferruccio 
partitamente  della  somma  delle  genti  venuteli  incon- 
tro;  c  'ntese  da  loro  esservi  il  principe  con  la  gente 
<i*anne,  settecento  cavalli  leggieri ,  e  nove  in  dieci 
mila  fanti,  fra  Spagnuoli  e  Tedeschl  e  ItaHani.  Men- 
tre che  egli  sempre  montava,  venne  da  traverso  uno 
de'  suoi  fanti  con  allegrezza,  o  con  una  cintura  ricca 
in  mano,  gridando  -  vittoria.  -  Erasi  fatto  avanti  il 
prmcipc  d' Arailges  per  tenere  indietro  la  sua  caval- 
leria ,  che  non  si  mettesse  in  quel  luogo  cosl  male 


62  VITA 

atto  a  quella  milizia ;  e  trovaadoal  a  fronte  la  genti 

del  Ferruccio,  fu  ferito  da  <lue  archibusate,  e  cadde 

morto;  che  trattoli  quel  soldato  la  cintura,  laporto 

al  Ferruccio  con  quella  nuova:  il  quale,  con  parole 

animose,  ma  poco  confldente  nel  volto  ,  esortaya  i 

suoi  a  seguitare  la  vittoria.  Ma  la  gente  d^armedel 

princIpe  e  cavalli  leggier i,  veduta  la  morte  del  si- 

gnore  loro  ,  messi  in  volta,  dierono  le  reni  a  tattt 

briglia;  na  mai  ristettero,  si  furono  a  Pistoia.  In- 

tanto,  Alessandro  VitelU  e  Marzio  Colonna ,   con  \t 

squadre  del  fantl ,  venlyaAO  di  traverso  la  costa  t 

pie  di  Qavinano  ,  e  danneggiavano  la  retrogaardia 

de'  Fiorentini ;  i  quail  pervenuti  alia  porta  del  ca- 

stello  ,  Yi  troTarouQ  dentro  Fabrizio  Maramaldo.  n 

quale  essendosi  allargrato  tauto,  che  il  Ferruccio  li 

era  passato  avanti,  seguitandolo,  era  giunto  a  Gala- 

mecche  incontanente  che  '1  Ferruccio  se  n^  era  par* 

tito;  e-  avendo  inteso  che  egli  era  entrato  in  San 

MarcftUo  dalla  Tilla  di  Calamecche,  per  tragetti,  con* 

dotto  da  uomini  pratichi  del  paese  ,  era  entrato  in 

Gayinana  con  la  squadra  delle  sue  genti,  che  erano 

Spagnuoli.  I  quali,  volendo  entrare  dietro   le  gent^ 

del  Ferruccio  ,   a*  opposono  loro  con  tanta  fartezza , 

che  nel  primo  afifronto  furono  forzate  a  ritirarsi:  e 

gia  piegavano  Ic  bandiere,  quando  ,  comparendo 

Ferruccio  e  gli  altri  capi,  si  fece  impeto  maggiore 

di  maaiera  che  cedendo  quivi  i  nimtci,  entrano  dan^ 

trocombattendo  le  genti  dei  Fiorentini.  E  nellapriau 

fila  erano  il  Ferruccio,  Gioyampagolo  da  Ceri,  11  Cat 

tiyanza  delli  Strozzi ,  e  gli  altri  uomini  piu  princi- 

pall  di  quello  esercito  ,   1  quali  in  Gavinana  eraiu 

fortemente  combattuti  dalli  Spagnuoli.  Ma  le  ^at 

d' Alessandro  e  di  Marzio  Colonna,  in  gran  numero 

avendo  sbaragliato  quella  parte  de'  nimici  che  n(^ 

erano  ancora  entrati  nel  castello,  cM  girandolo  ceri 

eavano  di  salvarsi ,  erano  entrate  dentro,  e  xnesa^ 

in  mezzo  il  Ferruccio:  11  quale,  fattosi  forte  siir  ui4 


Dr  FRANCESCO  PERRUCCI  63 

testa  della  Yla  che  mena  in  piazza,  combattendo  ia« 
sieme  con  i  oominati  di  sopra,  f uggeitdo  tutto  il  sao 
esercito,  ta  fatto  prigione. 

ScriTe  Paolo  Giovio,  che  neir  usciredi  SanMarcello, 
BcorgendoBi  su  per  le  oime  di  quelle  alpi  donne  tn 
quantita,  cariche  di  roba»  che  davano  segno  i  nimici 
essere  Ticini,  era  confortato  il  Ferruccio  a  pigliare 
quelle  strade  alpestri,  aacora  chedifflcili;  e  girando 
super  la  corona  delVApennino, riuscire  in  Mugello« 
e  calare  a  Scarperia,  e  quindi  a  Firenze  venire :  coda 
che coloro  che  haono  cognizione  di  que^  monti/sanno 
essere  impossiUilc.;  convenendosi  girare  un  paese 
grande,  e  andare  sempre  per  luoghi  dove  non  e  se- 
guato  alcuno  sentiero:  sanza  che,  sendo  egli  a  San 
^cello  e^  nimici  a  Gavinana,  che  6  piu  alto  ,  piii 
tosto  di  hJl  sarebbero  state  suir  alpi  le  genU  nimV- 
che.  Ma,  quando  pure  e*  non  avessero  preso  di  con- 
trastare  loro  quel  cammino,  era  piiH  facile  a  loro  Tan- 
dare  aspettarli  nel  piano  di  Mugello  ,  e  quivi ,  con 
gran  vantaggio,  per  rispetto  della  cavalleria  »  com- 
batterli.  Ma  a  poche  cose  riguardando,  facilmente  si 
loda  0  si  riprende. 

Ma,  tomando  al  proposito  nostro,  fu  il  Ferruccio 
btto  prigione,  insieme  con  Giampagolo  da  Ceri  fe- 
rito  in  una  gamba,  e  Amico  d'Arsoli,  comperato  da 
Marzio  Colonna  per  straogolarlo.  Sono  stati  vari  i 
pareri,  di  chi  il  Ferruccio  si  fusse  prigione.  Alcuni 
dicono  di  certi  da  Perugia  e  da  Castello,  che  lo  pre- 
sentarono  ad  Alessandro:  altri  hanno  detto  d'un 
soldata  del  Regno  detto  8cannadio  ,  che  cercava  di 
^Warlo,  convenendo  gia  della  taglia.  In  qualunqne 
modo  la  cosa  s^andasse,  e^  venne  alle  mani  di  Fabri- 
zio  Maramaldo,  il  quale  dicono  averli  parlato  in  que- 
sta  mani  era:  —  Tu  non  pensavi  forse,  quando  in  Vol- 
terra  contro  alia  ragione  delta  guerra  impiceasti  il 
mio  tamburino,  d'avermi  a  capitare  alle  mani.  — 
^*l  Ferruccio  averli  rlsposto:  —  cosi  apportare  la 


64  VITA 

sorte  della  guerra:  avere  perso  in  quel  giorno,  vint^ 
altre  volte;  e  percid,  non  essere  vinta la  sua  Repub- 
blica.  —  Fattolo  Fabrizio  disarmare,  li  tlrd  egli  una 
pugnalata  nella  gola,  e  a  sue  genti  il  fece  fornire 
d*  ammazzare :  che  se  combattcndo  li  fusse  successo, 
non  era  forse  morto  alcuno  fiorentino  tanto  glorioso. 
Dicono»  non  se  li  essere  veduto  useire  di  dpsso  goc- 
ciola  di  sangue ;  e  cosi  come  era,  fu  poscia  preso^  e 
sepolto  lungo  il  muro  della  cbiesa  di  Gavinana.  S 
era  ragione,  che  il  maggiore  uomo  che  nella  g-uerra 
avesse  la  Repubblica,  avesse  per  sepoltura  il  monte 
Apennino. 

Cotale  f u  la  fine  del  Ferruccio,  vissuto  anni  quaranta- 
due,  incognito  piu  del  tempo  a'suoi  cittadini,  conosciu- 
to  quando  le  faceva  di  lui  mestieri ;  uomo  di  alia  sta- 
tura,  di  faccia  lunga,  naso  aquilino,  occhi  lagrimanti, 
colore  vivo,  lieto  nelPaspetto,  scarzo  nolle  membra, 
veloce  nel  moto,  destro  e  sofferente  della  fatica ;  in- 
sicme  severe  e  di  grande  spirito ;  animoso,  modesto 
e  piacevole.  Ardeva  nella  coUera,  e  tantosto  tornava 
in  podesta  di  se  stesso;  si  che  i  medcsimi  crano  da 
lui  minacciati  della  morte,  e  in  poca  d'otta  careg- 
giati  con  amorevolezza.  Affezionato  e  grande  osser- 
vatore  della  sua  Repubblica,  i  cenni  della  quale  gli 
erano  espressi  comandameni :  liberale  e  poco  di  roba 
curante  ,  non  facendo  egli  alcuna  differenza  nel  bi- 
sogno  di  coloro  che  erano  seco  neU'esercito,  da^suoi 
propri.  La  mensa  sua  era  a  tanti  quanti  ve  ne  capie- 
vano;  tenevala  abondante  quanto  egli  poteva  il  pi  a: 
e  per  questo  rispetto,  si  valeva  deirautorit^  ,  man- 
dando  in  Volterra,  e  altrove  dove  e'sl  trovava,  alle 
case  de' particular i  per  quelle  chemancavaalui.  Ma 
egli  era  nel  vitto  parco,  e  di  qualunque  cosa  si  satis 
feceva.  Vegliava  molto  la  notte ,  e  con  i  capitani 
sovente  ragionava  di  quello  che  fare  si  potesse  ;  come 
in  uno  assalto  difendersi,  o  sforzare  i  nimici.  Spen- 
dera  nelle  spie  sanza  misura,  e  a'trattati  intead.eTm 


DI  FBAMCB8C0  FEBBUGCI  65 

Yolentieri;  e  per  questa  maniera  U  siiccessero  moUe 

cose.  Non  era  dlligente  nel  tenere  i  conti  di  quello 

che  gli  passava  per  le  mani :  per  lo  che  usava  dire 

Che  se  la  Repabblica  non  si  fldava  della  sincerity  sua, 

gli  conyeniva  saldare  la  raglone  nelle  Stinche.  E  per- 

chd  alia  grandezza  e  al  concetto  nel  quale  egli  era 

Trenuto  del  popolo  fiorentino,  non  sarebbero  mancati 

glUnvidianti ,  forse  si  sarebbe  egli  il  vero  pronosti- 

cato;  perocchd  gli  uomini  ricchi  e  potenti  di  paren- 

tado  e  d^amicizie,  che  ne^pericoli  spongono  malvo- 

lentieri  la  vita  loro,  ridottole  cose  in  tranquillo,  sop- 

portano  malvolentieri  che  uno  che  pssi  reputano  da 

meno  di  loro,  sia  sopra  ogni  altri  onorato ;  e  percid 

Don  restano  d^urtarlo  e  di  sbatterlo  per  ogni  possi- 

bile  modo ;  e  cessando  gli  altri,  ricorrono  al  efaldo 

delle  ragioni.  Da  questo  procedette,  che  Antonio  Gia- 

comini,  vissuto,  un'et^  ayanti^ne'piu  pericolosi  tempi 

che  avesse  la  Repubblica,  era  egli  sempre  eletto 

Commessario,  non  trovando  competitori ;  e  poi ,  ri- 

dotte  le  cose  in  buono  stato,  quando  sanza  pericolo 

si  ayeva  a prendere  Pisa,  Tonore  che  si  conyeniya 

a  lui  in  premio  della  yirtu  sua,  fu  conceduto  alle  ric- 

chezze  egrandezze  delle  famiglie.  Non  sarebbe,  adun- 

qae,  stato  gran  fatto ,  che  al  Ferruccio  fusse  inter- 

yenuto  quello  che  gli  sarebbe  augurato.  E  a^costumi 

suoi  ritomando,  alle  sue  yirtu  non  mancarono  de^yizi, 

dandoli  il  furore  della  coUera  nome  di  crudele.  Erali 

di  poca  riputazione  il  tenere  appresso  di  se  in  gran 

conto  gioyani  sbarbati;  a  uno  de^quali,  nominato  il... 

da  Cascina,  d^aspetto  giocondo»  teneya  in  mano  i 

suoi  danari :  e  con  tutto  questo,  non  si  sa  che  somi- 

glianti  persone  11  fussero  cagione  di  mancare  airufl- 

zio  che  egli  esercitaya.  Nel  quale  se  temperante  in 

questa  parte  dimostrato  si  fosse ,  poco  in  lui  si  po- 

teya  desiderare ;  vigilante  ,  accorto ,  presto ,  da'  aol- 

dati  ridottato,  ubbidito  e  amato  singolarmente. 

FINE  DBLL4  VITA  DI  FBRRUCCIO. 
8aum.  5 


SULLA   VITA 

■ 

SULLE  AZiONI  DI  FRANCESCO  FERRUCCI 

LETTBRA  A  BENEDETTO  VARCHI 
DONATO  GIAlfNOTTI 


iii       :.Hj 


\  -  : 


t^ 


SULLA  VITA 


SULLE  AZlOm  Dl  FRANCESCO  FERRUCCI 


VarcU  mio  anorando. 

lo  tton  vi  so  dire  del  Ferruccio  il  tempo  dell^  na- 

tiviti:  so  bene  ehe  quando  egli  mori,  egli  ayeYa  da 

qaarantacinque  in  cinquanta  annL  L*  educazione  e 

la  Tita  ch^egli  tenne  insino  a  ch^egli  andd  a  Napoli, 

non  fa  molto  dissimile  a  quella  che  fanno  i  piu :  per- 

ehe  non  attese  nd  a  lettere,  ad  a  discipline  dalle  quali 

egli  avesse  a  trarre  quelle  appetito  della  liberty  e 

Tita  civile  ch'egli  mostrd  pol  essere  in  lui;  perehd 

egli  stette  a  bottega,  come  fanno  la  maggior  parte 

de^ostri,  cosi  nobili  come  ignobili.  Nd  apco  in  que* 

sto  esercizio  consumd  molto  tempo;  perche  dilettan* 

dosi  della  caccia,  Yolentieri  stava  in  .villa;  la  qu^le 

essendo  lontana  dalla  citt& ,  gli  toglieva  di  poterla 

frequentare:  e  percid  si  ritrasse  dalla  bottega.  Di- 

lettoBsi  ne^primi  tempi  della  giovanezza  sua  conver- 

Mre  con  uomini  maneschi ,  i  quali  erano  chiamatij)ravi : 

siccome  fu  nei  tempi  suoi  il  Polio,  il  Came,  Andrea 

Oiugni  e  simili.  Ed  ho  sentito  dire ,  che  trovandoei 

lui  trattoalla  tavernacon  Cuioeconaltri  bravi  g  v^nne 

WL  parole  con  Colo;  le  quali  multiplicate,  gli  disseil 


70  901X1?  A8I0NI       -     ,  ,,.  , 

Ferruccio:  Taci»  poltrone^,  che  ti  monstrerd  ebe  U 
tua  spada  d  di  paglia.  Caio ,  sentendosi  ingiuriare 
di  questa  sorte,  venuto  in  coUera,  rispose:  —  Ah  pol- 
iron  pennarolo,  si  che  tu  mi  hravi,  ahl  —  E  cosi 
amenduni  cacciarono  i^anp  alio  fl|[)ade;  ma  gli  altri 
Ti  8i  messono  di  mezzo,  e  li  diviseno ;  e  tim  non  molti 
giorni  feceno  far  loro  la  pace. 

In  somma,  il  Ferruccio  si  dilettd  dell^armi  assai,  e 
ro  UtMlta  tlDmo  tAn  twi^buntfloaitt :  ita  non  fu  tf ' 
quella  sorbe  animosi  che  bravano  gli  osti ,  e  squar- 
tano  i  Santi,  e  rompono  le  pentole  e^piattelli,  come 
Giano  Strozzi;  ma  tenne  piil  gravity,  e  si  dilettd  di 
praticare  con  persone  di  riputazioneeriguardeToli: 
si  come  fii  Oiovan  Batista  Soderini,  uomo  di  singu- 
larissima  Yirtii;  col  quale  ebbe  tanta  domestichezza, 
ebe  rade  Yolte  avveniva  che  Tuno  fosse  sanza  Tal- 
tro  yeduto. 

Visse,  adunqne,  il  Ferruccio  nel  modo  che  abbiilmo 
detto;  clod  standosi  ii  piii  del  tempo  in  Casentino , 
dove  aveva  le  su^  poi^ssibni,  e  convers<uido  eon 
quelle  persone  che  ho  dette,  in  sino  all^anno  1527. 
Nel  qual  tempo,  6»aieMo  stato  creato  dalla  Repub- 
bliea  florehthiA  Cominissriirio  GiOTan  Biltistft  SM^rin! 
per  conduce  le  g^ti  florentine  (le  quali  efano  cinque 
mlllil  faiitl  e  tre^ent6  (^tiVatli)  a  Monsignore  di  Lau^ 
trech»  il  qyU^  ttndafd  a  Nti^U  eon  Tesercito  flran- 
lese  per  torre  qu^l  t^^fio,  kM6  il  ferruccio  seco :  e 
si  Talse,  tutto  quel  t^tupb  6lie  durd  Ttissedio  di  Na- 
pdll,  dell'opera  sua  in  tuttb  Taa^a!  miHtari ;  Mile 
quail  egll  prese  tanta  esperienzia  dotto  11  dt^tto  Coni- 
mlBsario,ch*eglipotettefiarpoi  quelle  6norat<^  proye 
che  hoi  racconteremo. 

Ifonsignbre  di  Lautrech  si  mori;  e  non  itfpo  motti 
giorni ,  r  eserdto  con  che  assediava  Napoli  r^st^lrto 
a'  ^Vetno  di  quel  matto  del  marchese  di  Saluszo, 
fd  ii%\  1526  rotto  dagli  imperiali  sanza  faticm  al- 
euna,  per  esbere,  per  le  frequenti  morti  e  malattie. 


DI  FBANbraCO  FBRR17CCI  71 

in  gran  parte  diminoito:  dote  furono  rotte  ancora 
le  genti  florentine,  le  quali  si  ehiamavano  le  Bande 
Nete.  Per  la  quale  rotta  rimase  prlglone  e  ferito  Oib- 
Tan  Batista  Soderitii  Commissario :  ed  il  Ferruecio, 
esaendosl  molti  giorni  innanzi  ammalato,  rimase  an- 
eora  luiprigione;  e  dopo  alquanto  tempo  riscattatosi, 
si  liberd,  e  totnd  a  Firenze. 

Ddpo  la  rotta  dell*  esereito  di  Lautrech  a  Napoli , 
il  signor  Renzo  da  Ceri,  il  quale  poehi  giomi  innanzi 
era  vennto'  dl  Francia  con  danari  per  rinfrescare  di 
gente  italiana  1*  esereito  (e  gi&  s^era  transferito  itt 
Abmzziper  soldare  gente>,  inteso  ch^egli  ebbe  la  rotta 
de^Praa^esi ,  con  qnella  gente  eh*  aveva  soldata  ,  si 
ritra&se  in  Barletta  col  prindpe  di  Melfl  ed  altri , 
ed  ocenpd  quella  terra.  Ed  usclto  poi  di  Barlet- 
ta ,  foce  alcune  prede  e  dauni  agli  iiUperiali:  onde 
cbe,  parendogli  quel  luogo  atto  per  fare  testa  e  d& 
poter  poi  procedere  piu  oltre ,  persnase  il  re  di  Fran-- 
eia  a  mantenere  quelle  genti  in  quel  luogo ,  ed  ae^ 
crescerle  tanto,  che  si  facesse  un  esereito  da  potere 
oscirr  fuori  alia  campagna  e  combattere  con  gli  Im* 
perfali,  se  Toccasione  se  ne  monstrasse;  emassitna- 
mente  i>erchd  i  Yinizlani  tenevano  Trani  e  Monopoli. 
Al  re  panre  la  cosa  da*  non  dispf ^zz&re ,  e  giudicd 
che  bastasse  tenere  quella  terra,  accid  che  gli  impe- 
riali  avesseno  nel  Regno  quella  molestia ,  talchd  non 
si  potessono  raddirizzare  ad  altre  imprese  insino  a 
tanto  ch^egli  pervenisse  a  quello  ch*egll  desiderava, 
eioe  alia  pace,  alia  quale  dopo  tante  mine  s>ra  tutto 
inelinato :  e  mentre  che  Lautrech  YeHiYa  a  Napoli , 
sempre  se  ne  tenne  qualche  pratica ;  ma  volse  bene 
fare  forza  che  i  Fiorentini  concbr  resseno  a  quella  spesa . 
S  pet  dare  ordine  a  tutta  questa  cosa,  mantf6  in  Ita- 
lia  il  visconte  di  Turena,  capitano  de^^entiluomini: 
11  quale ,  poichd  egli  fu  stato  in  Vlnegia  per  ragio- 
nare  con  quelli  illustrissimi  Signori  del  mod6  e  de^ 
Vordine  del  fare  e  m^nteiiere  quena  testti,  ne  tenne 


78  8UUJE  ASIOKf 

a  f^reoze,  dove  pvl6  a  qaelli  Slgnori  dellMtiliti  e 

eommodoehe  si  traera  nel  mantenere  ii  si^nor  Reazo 

in  Barletta,  ed  acerescerli  le  tone ;  ma  ehe  il  re  ri- 

mettera  tatta  questa  cosa  al  giadicio  ed  alia  pm- 

denxa  di  quelli  Signori,  e  Toleva  che  qaella  testa  si 

fikcesseenon  fiacesse  seeondo  che  parera  lore.  Fa  giw 

dicato  che  il  re  fiaeesse  tanto  onore  a^Florentiiii ,  ac- 

cid  che  a^grlino  consigliasseno  ehe  tale  impresa  A  fa- 

eesse,  ^lino  ancora  n^avesseno  ayere  in  processo  di 

tempo  tutta  la  spesa,  ed  il  careo  deMis6rdini  che 

potrebbeno  nascere.  Onde  naeqne  che  eonsultata  la 

cosa,  fa  risposto  che  alia  Signoria  di  FireuEe  non 

stava  a  consigliare  o  deliberare  cosi  &tta  impresa , 

ma  che  il  re  deliberasse  egli,  ae  la  fosse  da  fare :  e 

qnando  deliberasse  di  &rla,  ehe  la  Signoria  concorreb- 

be  a  qaella  pornonedella  spesa  che  fosse  conTencTole 

alio  stato  lore.  Panre,  flnalmente,  a  qaelli  agenti  del 

re  che  la  impresa  si  facesse,.  e  che  i  Fiorentini  con- 

oorresseno  alia  spesa  per  certa  rata.  B  cosi  bisognd 

mdlte  TOlte  mandare  aomini  e  danari  a  Barletta ,  e 

r  oltima  mandata  fu  per  le  mani  del  FerroAio;  il 

qaale  fu  mandate  con  sei  milia  dacati,  tra  danari  e 

panni,  a  Pesaro,  dov^erano  i  ricevitori  per  conto  del 

signer  Renzo:  ma  innanzi  eh^egli  consegnasse  loro 

delta  somma  di  danari,  venne  noova  come  Taccordo 

di  Cambrai  era  concluso,  ne^capitoli  del  quale  si  eon- 

teneva  che  Barletta  si  dovesse  restituire  alPimpera- 

dore.  La  qual  nuova  sentendo  il  Ferruccio ,  se  ne 

tomd  con  le  robe  e  danari  a  Firenze,  fiutendosi  beffe 

dell*  impurtuniti  de*  ricevitori  del  signor  Renzo,  li 

quali  n^arebbeno  Yoluto  portare  quelli  danari. 

Successe  poi  la  guerra  di  Firenze;  nel  principio 
della  quale,  dopoRaffi&ello  Girolami,  fu  mandate  Com* 
mieeario  in  Valdichiana  Tommaso  Soderini.  II  quale 
avendo  bisogno  d^uno  che  lo  servisse  in  molte  azioni 
di  guerra;  come  d  pagare  soldati ,  rassegnarli ,  ed 
altre  cose;  fu  consigliato  che  menasse  seco  il  Fer- 


DI  FRAKOBSCO  FBBSUOCI  73 

TueeiO'.ed  egli,  indotto  da  tali  persuasioni.lo  ricercd ; 
ed  avTenga  che  al  Ferruccio  non  par^sse  che  tal  coea 
fosse  secondo  il  grado  suo,  essehdo  anch^egli  noMM 
fiorentino,  nondimeno,  per  fare  servigio  alia  patria, 
non  reeosd  tale  andata.  Servissi  il  Commissaria  di 
lui  nelle  sopraddette  cose,  ed  in  ogni  altra  che  fosse 
d^importanxa;  ed  elli  eseguiva  tatte  le  commessioni 
con  qaella  diligenza  e  prontezza  che  si  pud  deside- 
rare.  Successe  pel  Zanobi  Bartolini  a  Tommaso  So- 
derfni,  11  quale  si  servi  deiropera  sua  in  quel  mode 
che  avcTa  fatto  Tommaso;  e,  per  Toccorrenze  della 
guerra,  lo  mandd  a  Perugia  al  signor  Malatesta  Ba* 
glioni,  e  da  lui  fu  mandate  a  Firenze:  dove  eseguile 
le  commessioni  di  quel  signbre,  ritornd  al  Commis- 
sario,  e  poi  a  Perugia.  Fu  poi  fatto  successore  di 
Zanobi  Bartolini  Anton  Francesco  degli  Albizzi;  al 
tempo  del  quale  Malatesta  s^  accordd  con  gli  impe- 
riiOi,  ed  uscito  di  Perugia,  ne  venne  con  tutte  le  genti 
che  aveva  seco  maadategli  da'  Fiorentini ,  e  V  altre 
di^erano  in  Valdichiana,  eccetto  due  milia  fanti  che 
rlmaseno  in Arezzoper  guardare  quella  terra:  li  quali 
poi  abbandonarono  Arezzo,  e  ne  venneno  a  Firenze. 
Dore  il  Ferruccio  venne  ancora  egli  con  Malatesta: 
che  fu  nel  mese  d'ottobre  1529. 

Amministravansi  le  cose  deUa  guerra  per  consiglio 
di  Malatesta  e  de'cittadini  ch'  erano  preposti  al  go- 
verno,  e  non  era  adoperato  il  Ferruccio  in  cosa  al- 
euna;  ed  elli  si  stava  quieto  ,  sanza  intromettersi 
nelle  fiaccende  pubbliche,  per  non  esser  chiamato.Pure 
ay  venne  che,  essendo  Commissar  io  in  Prato  Lorenzo 
Soderini,  11  quale  governava  in  mode  la  terra,  che 
i  soldati  che  v'erano  alia  guardia  se  n'erano  insigno- 
riti;  parve  alii  Dieci,  per  le  molte  querele  che  ave- 
vano  del  suo  cattivo  governo,  di  mandargli  uno  com- 
pagno,  col  quale  di  pari  consenso  reggesse  la  terra. 
B  considerando  eglino  chi  potesseno  mandare,  venne 
llnalmente,  dopo  molti  altri,  in  considerazione  il  Fer- 


14  8lTLL«  AXlOm 

t'uceio:  il  quale  approvato  da  ciascano,  si.transCeri 
Prato ;  dove  in  maniera  si  portd  ,  che  egli  ridusse  i 
s^ldati  air  obbedienza ;  e  I'altre  azioni  di  guerra  am- 
ministrd  di  sorte,  che  molto  facommendato.Ma  venato 
poi  in  discordia  con  Taltro  Commissar io,  parve  alii 
Dieci  di  levarli  tutti  dae:  e  cosi,  incambio  loro,  fu 
creato  Lottieri  Gherardi  per  rordinario ;  e  bisognando 
mandare  uno  Commissar io  in  Empoli,  vi  mandarono 
il  Ferruccio. 

Arriyato  il  Ferruccio  in  Bmpoli,  la  prima  cosa  alia 
^uale  egli  diligentemente  attese ,  fu  il  fortiflcare  la  ter- 
ra in  maniera  che  con  poca  guardiadi  soldati  la  potea- 
it  difendere  da  ogni  moltitudine  ed  assai  tempo.  Per 
questo  effetto  spiand  attorno  i  borghi,  che  la  terra 
avea  assai  grandi  e  belli;  fece  bastion!  ovunque  bi- 
(N)gnaTa ;  ed  alcune  molina  ch^erano  fuori,  messe  co* 
ripari  dentro:  la  qual  cosatrovando  poi  disutile  nM 
procedere  della  guerra,  li  lascid  di  nuovo  fuori,  roi- 
nando  i  bastioni ;  e  tutte  le  yettovaglie  di  qualunqae 
sorte  fece  metter  dentro.  Nel  governo  della  terra  ai 
portd  di  sorte ,  che  da  tutti ,  cosi  da^  soldati  come 
da^terrazzani,  era  amato  e  temuto;  perche  non  per- 
mettcTa  a^  soldati  che  usasseno  insolenza  alcuna ;  e 
quando  in  questa  parte  peccavano,  li  gastigava  ae- 
Teramente.  I  soldati  pagava  bene ,  ristorando  le  fa- 
tiche  loro  coMebiti  premj,  a  chi  accr^seendo  Io  sti- 
pendio,  ed  a  chi  dando  uno  grade  ed  a  chi  an  altro. 
*  Era  la  guardia  di  quella  terra  dMntorno  a  ciaque- 
cento  fanti,  con  alcuni  pochi  cavalli:  tan  to  che,  per 
pagarli,  bisognava  ogni  mese  d'intorno  a  due  milia 
ducati.  B  perche  la  spesa  che  si  faceva  in  Firenze 
era  grande,  e  con  difflcultii  potevano  provvedere 
fuori;  perd  detteno  commissione  al  Ferruccio,    the 
facesse  una  canova  di  tutte  le  vettovaglie  (ciod  g^rani, 
blade,  vino  ed  olio),  di  sorte  che  di  quella  traesse 
tanti  danari  che  potesse  pagare  le  genti.  La  quale 
cosa  egli  esegui  con  tanta  diligenza,  che  noii  ebbe 


mai  i»i&  t^isogrno  di  dar  nic^dstia  a  Pirenze.  Ma  men- 

tre  ch^egli  era  occupato  in  qaestiipensieri  fastidiosi* 

non  mancava  a  quel  che  ricbiedeva:  laonde ,  tran- 

scorrendo  assai  spesso  i  nimici  per  quel  paese,  man- 

dava  spesso  fuorl  le  sue  genti  a  combattei^  e  scara- 

mucciare;  e  quando  avveniTa  che  i  suoi  TimaneTano 

al  dl  sotto,  e  quando  al  di  sopra,  si  C0me  d&  la  for- 

tuna  della  gu^rra.  Ma  perchd  in  tutti  questi  combat- 

timentl  non  successe  cosa  alcuna  nttabile ,  perd  11 

lasceremo  andare;  e  verremo  a  dire,  conM  essendosi 

11  Spagnaoli  insignoriti  di  San  Miniato  al  Tedesco , 

ne  avevano  lasciato  alia  guardia  dMntorno  adugento 

fanti,  11  quail  andavano  per  11  paese  scorrendo,  e  fa- 

cevano  moltl  danni,  e  tenerano  infestato  11  cammlno 

di   Pisa :  la  qnal  cosa  era  molto  dannosa.  Perdd  11 

Ferruccio  deliberd  levarsi  quella  molestia  d*  in  su 

gli  occhi,  e  slcurare  il  detto  cammlno:  perclocchd  1 

Piorentinl  tenerano ,  loltra  ad  Bmpoli ,  Pontadera  e 

Ca8Clna;e  da  Bn^li  a  Pisa,  levato  via  quellMmpedl* 

mento  di  SanMiniato,era  sicuroil cammlno.  B  per  fare 

questo ,  usci  egil  con  parte  delle  genti  ch'  ayeva  in 

Sznpoll,  ed  andd  a  combattere  detto  castello.  L'  ad- 

salto  fu  gagliardo,  e  la  difesa*  non  mlnore :  pure  il 

Ferruccio  entrd  per  forza  dentro;  e  taglid  in  pezzi 

qaelli  die  Taspettarono ;  e  cosi  recuperd  il  castello, 

e  Ti  las^fd  Giuliano  Frescobaldi  a  guardia,  con  tanta 

^ente  '6!i*era  sufficiente  a  tenere  quel  luogo ;  ed  egli 

con  la  vlttoria,  se  ne  tornd  in  Empoli.  Ayendo  poi 

inteBO  Che  il  signor  Pirro  da  Castel  Piero  doveva  pas* 

sare  ,  con  un  colonnello  dl  fanti ,  tra  MontopoH  e  la 

Torre  a  San  Romano ,  deliberate  di  tagliargli  il  passo 

e  combattere  seco,  mando  chiedere  gento  da  Firenze 

per  fare  tale  effetto,  non  avendo  egli  tante  che  po- 

tesse  lasciar  guardato  Bmpoli,  e  fare  quella  fazione. 

It  per  ci6  fu  dato  ordine  al  Commissario  di  Prato , 

ei^  6rli  mandassi  cinquecento  fanti:  11  quail  egli,  ar- 

riYati  che  farono  ,  mandd  con  altfi  dl  quelli  d'  Bm- 


76  BULLS  Axiom 

poll  a  fare  un'imboscata  ia.quel  luoero  dova  quel  ai* 
gnore  ayeva  a-  passare.  La  cosa  fa  ordinata  dal  Fer-> 
rucoio  prudentemente,  e  gli  esecutori  usarono  ogni 
diligenza  che  fu  loro  possibile :  tanto  che  il  signor 
Pirro  detle  neirimboscata;  e ,  sanza  ayere  rimedio 
alcuno,  ftt  interamente  rotto ,  con  la  morte  di  molti 
de^suoi.  In  questa  rotta  rimaseno  prigioni  sette  suoi 
capitani ,  ed  egli  con  fatica  fuggi  dalle  mani  de^  ni- 
mici.  Avuta  questa  vittoria » le  genti  del  Ferruccio 
se  ne  tomarono  in  Bmpoli,  con  grande  allegrezza  di 
ciascuno. 

Qik  oominciava  la  citta  a  patire  per  mancamento  di 
carne.  La  qual  cosasentendo  il  Ferruccio,  messe  in  or« 
dine  cento  buoi,  e  la  notted^l  venerdi  gli  invid  verso 
Firenzecon  una  scortadi  cento  cinquanta  f^nti,  ed  al* 
cuni  cavaUi  e  buone  guide;  tal  che  la  mattina  se* 
guente  arrivarono  in  Firenze  a  salyamento,  con  gran 
copia  di  salnitri,  che  ave  va  in  aaechi  distribuito  a*£anti : 
la  qual  cosa  empid  d'allegrezza  tutta  la  Cittii. 

Brain  VolterraCommissarioBartolo  Tedaldi,  dove 
s'erano  rifuggiti  Ruberto  Acciaiuoli  e  Taddeo  Gui- 
ducci;  i  quali,  veduta  la  dappocaggine  del  Commls- 
sario,  operarono  di  sorte,  che  Volterra  si  ribell6  :  e 
parendo  il  luogo  di  qualche  importanza,  deliberarono 
gli  avyersarj  di  far  pruova  d'  avere  le  forte^iie ;  e  , 
per  questo  efTetto,  feceno  venire  di  Oenova  sei  pezzi 
d'artiglieria  grossa,  con  molte  palle  e  munizione,  e 
davano  ordine  di  combatterle.  La  qual  cosa  intesa 
in  Firenze,  fu  giudicato  chefusse  da  fare  opera  ch^elle 
non  si  perdesseno:  per  ci6  mandarono  al  Ferruccio 
cinquecento  fanti  e  centocinquanta  cavalli ;  ad  a  lui 
commesseno  che ,  lasciato  guardato  Bmpoli  sotto  il 
governo  d*  Andrea  Giugni  mandatogli  da  loro,  con 
quanta  maggior  prestezza  potesse,  si  trasferiase  a 
Volterra,  efornisse  le  fortezze  di  quelle  chebisognavm 
eritomassein  Bmpoli  conle  genti.  Partissi  un  eriorno 
il  Ferruccio  da  mattina  sanza  avere  conununlcato 


DI  FBAM0B800  VEBBUOOI  77 

II  difiegno  8U0  a  persona;  ed,  alle  ventidue  ore,  con 
t&nto  silentio  e  prestezzaarrivd,  che  quelli  ch^aveyauo 
occupato  la  terra   non  inteseno  la  yenuta  sua  ,  se 
non  poi  eh^egU  fa  nelle  fortezze.  Dove  non  trovd  pure 
da  potere  rinfrescare  le  genti  ch'aveYa  menate:  perd 
per  non  dar  tempo  a^nimici  di  mettere  uella  terra 
piii  gente,  Oelibero  nseir  fuori ,  e  combatterla.  Era 
nella  terra  Taddeo  Guidacci  Ck)mmi8sario  del  papa, 
e  Giovan  Batista  Borghesi  con  trecento  fanti ,  con 
tatti  quelli  deUa  terra,  i  quali  avevano  prese  Tarmi 
per  difenderla  dal  Ferruccio.  E  prima,  aveyano  ftitto 
certi  ripari  contro  quelli  che  delle  fortezze  uscisseno; 
dove  avevano  piantate  Tartiglierie  ch^  avevano  con- 
dotte,  e  vi  facevano  le  guardie  continue.  11  Ferruc- 
cio, adunque,  uscito  fuori  a  ventitre  ore,  assaltd  quelli 
ripari,  dove  trovd  assai  buonaresistenza:  nondimeno 
li  supero,  con  la  morte  dimolti  de^suoi  e  de^nimici. 
I  quali  vedendosi  vinti,cominciarono  amuovere  qual- 
che  pratica  d'accordo;  la  quale  il  Ferruccio  non  re- 
cuso:  ma  essendo  gia  venuta  lanotte  ed  il  combat* 
timento  partito,  fece  il  Ferruccio  tirare  le  artiglierie 
ch*  aveva  tolto  agli  avrersarj ,  sotto  le  mura  delle 
fortezze;  poi  conchiuse  Taccordo  co'Volterrani,  con 
queste  condizioni :  —  Che  Volterra  li  fusse  data  a 
discrezione,  e  che  alii  soldati  fusse  concesso  Tandar- 
sene.  —  In  questo  modo  ebbe  il  Ferruccio  la  terra : 
dove  rimase  suo  prigione  Taddeo  Guiducci.  Ruberto 
Aeciaiuoli,  tosto  ch^egli  intese  il  Ferruccio  essere 
arrivato,  se  n^andd  sublto ;  e  cosi  si  salvd.  AlloggiO 
il  Ferruccio  le  genti  a  discrezione,  ordinando  quelle 
che  da*  padroni  degli  alloggiamenti  avesseno  avere ; 
e  mancandogli  danari  da  pagare  1  soldati,  dette  or* 
dine  a  far  monete  degli  argenti  di  Volterra. 

In  questo  tempo  arrivd  Fabrizio  Maremaldo,  con 
uno  eolonnello  di  due  milia  fanti,  il  quale  veniva  per 
combattere  le  fortezze ;  ma  trovando  la  terra  perduta 
si  fermd  tanto  che  dal  principe  d' Oranges  venisso 


78  ftULLB  AZIONI 

ordlne  di  quello  eke  s'ayesse  a  fare:  dl  mQdo  che  il 
Ferruocio,  essendo  questa  gente  fuori,  Qon  potette 
fornire  le  fortezze  e  tornarne  iu  Empoli :  e  mytsime 
perche,  dopo  la  partita  sua  d'Bmpoli,  il  marchese 
del  Guasto,  con  li  Spagnuoli  e  molta  gente  itaU&na, 
e  con  artiglieria,  era  venuto  a  combattere  Bmpoli: 
11  quale  poi.per  tradimento  d' Andrea  04ugniePiero 
Orlandini ,  prese  e  saccbeggid.  Dopo  il  qual  sacco. 
11  marchesecondusse  a  Volterra  tutta  quella  gente 
equella  artiglieria;  e  congiuntosi  con  Fabrizio  Ma* 
ramaldoy  dette  ordineafare  la'batteria:  la  quale  fu 
assai  grande,  non  facendo'li  muri  resistenza  alc\uuu 
La  qual  cosa  vedendo  il  Ferruccio,  con  grandissima 
celerity  fece  fare  il  riparo  dove  la  batteria  si  faceva, 
togliendo  per  cid  tutte  quelle  masserizie  e  cose  che 
de'luoghi  vicini  potette  trarre;  e  cosi  provedutosi 
e  ordinate  tutte  le  cose  opportune  per  la  difesa,  aspet- 
tava  Tassalto:  il  quale  fu  dato  due  volte  dagU  Spa- 
gnuoli animoso  e  grande;  e  quelli  del  Ferruccio  si 
portorono  si  valentemente,  che  11  nemici,  saaza  aver 
fatto  frutto  alcuno,  vi  lasciarono  morti  meg>llo  che 
mille  persone.  In  quest!  combattimenti  il  Ferruccio 
fu  percosso  da  un  sasso  di  modo,  che  non   potendo 
stare  in  pie,  si  face va  portareinuna  seggiola  dovun- 
que  bisognava;  e  cosi  non  toglieva  la  presenza  sua 
a  quelle  azioni  che  la  ricercavano.  Finalmente    git 
avversarj,  vedendo  nonpotere  fare  frutto  alcuno^si 
levarono  dalla  terra,  e  se  ne  tornarono  al  campo.  Il 
Ferruccio,  ingrossato  di  gente,  e  lasciato  buone  ^uar* 
die  in  Volterra  sotto  il  governo  di  Marco  Strozzi  e 
Giovan  Batista  Gondi,  se  n'andd  per  la  via  di  Livomc 
a  Pisa:  dove  entrando  con  tutta  quella  gente  iu  or* 
dinanza,  Incontrato  dalli  Comissarii  e  da  tutte  le  per 
sone  di  qualita  ch'  erano  in  quel  luogo ,  dette    unc 
magnifico  spettaculo  a  tutta  quella  terra. 

Gia  cominciava  la  Citt&  a  patire  grandemente  pe] 
mancamento  di  tutte  le  vettovagUe,  ed  anche  ai  c<^ 


Dt  FRAN0I8GO  FBBRUGGI  79 

minciava  arere  diffleullinelle  pro  visioni  de*danari  per 
pagare  i  sokKati:  di  modo  che  per  tutta  la  Citti  si 
gtava  <H  mala  TogUa;  e  tutta  la  sperania  ch'aYea  di 
bene,  era  collocata  nell^  aiuto  del  Ferruccio.  Perehd 
ne*  capitani  ehe  erano  deatro  (cioe  nel  signbr  Mala« 
testa  e  nel  signer  Stefano)  nen  ayevano  piii  fldansa 
alcnna;  giudicando  che  Tuno  foss»  eorrotto  dal  pa- 
pa; encm  potendo  Taltro  disporreafare  cosa  alcuna 
ehe  piieesse  loro,  per  esser  egli  di  natura  poeo  per* 
suasibile,  e  non  si  cnrando  piu  che  la  impresa  si  Tin- 
eesse,  vMendo  che  la  cosa  era  ridotta  a  termine  che, 
Tine^ldosi,  tutta  la  gloria  era  del. Ferruccio,  e  non 
sua:  e  pereid  s''era  unito  con  Malatesta  per  farlo 
nttl  eapitare;  1&  dove  egli  prima  commendaYa  il  Fer- 
mcdo  insino  al  cielo ,  e  perseguitava  Malatesta.  I 
Fiorentini,  adunque,  sollecitaTsno  il  Ferruccio  che 
ne  andasse  aFirenze  con  piu  gente  ch'egli  potesse; 
e  ranimo  loro  era  o  combattere  con  gli  ayyersarj, 
o  fore  si  che  Tassedlo  s^aprisse.  Ma  il  Ferruccio  s^in- 
fermd  per  li  tanti^disagi  sopportati:  ma  gusrito  in 
capo  di  qnindici  giomi,  ed  accresciuto  di  gente  co* 
danari  ch^avevano  i  mercatanti  di  Lione  mandati  a 
Pisa  per  opera  e  diligenza  di  Luigi  Alamanni ,  con 
tremila  fuiti  e  trecento  cavalli,  ecol  signer  Oiovan 
Paulo  Orsino  ch''era  poco  innanzi  arrivato  da  Vine- 
giaa  PLsa,  si  parti  di  Pisa;  eper  il  Lucchese,  e  poi 
pel  contado  di  Pescia,  sail  su  alle  montagne  di  Pi- 
stoia,  tenendogli  sempre  dietro  Fabrizio  Maremaldo 
col  suo  colonnello ;  col  quale  egli ,  per  non  perdere 
tempo,  non  volse  combattere,  non  ostante  ehe  da 
molti  fusse  consigliato  a  combattere  seco :  ma  egli 
affirettava  tanto  di  essere  a  Firenze  presto,  sappien- 
do  che  la  Citt&  si  trovava  ingrande  strettezza,  ch'e- 
gW ,  sanza  tener  conto  di  lui ,  seguitd  il  cammino. 
M  cosi Arrivato  in  su  la  montagna  dettaa  SanMarcello 
riposd  alquanto  i  soldati,  i  quali  s'  erano  tutti  ba- 
CT^ati  per  un' acquis  che  nell' arrivare  in  quel  luogo 


80  SULLB  ASIOMI 

era  piovuta ;  e  poi  che  alquanto  ebbe  qoivi  dimorato, 
seguitd  ii  cammlno  Terso  Cayinana,  lontano  da  San 
Marcello  otto  miglia,  doTO  g\k  le  genti  del  principe 
d' Oranges  erano  gi&  arrivate;  tal  che  Tuna  parte 
e  Taltra  entrarono  nel  castello. 

II  prineipe  d'Oranges,  avendo  fhteso  che  i  Fioren- 
tini  soUecitaYano  il  Ferruceio  a  yenire  a  Firenze, 
perisd  che  f usee  meglio  incontrarlo  e  comtettere  seoo 
dlscosto  dalla  Citt&,  che  ayer  poi  a  combattere  o<m 
tutti ;  e  poi  giudicaya ,  se  il  Ferruceio  arriyava  a 
Firenze,  ay  ere  a  restringere  il  eampo  insiei&e;  onde 
si  yeniya  Tassedio  a  dissolyere:  e  percid  deliberd 
d^andarli  inoontro  e  combatterlo.  B  per  potere  me- 
nar  seco  assai  gente  sanza  temere  cheH  campo  ay  esse 
ad  essere  assaltato  da  quelli  di  dentro ,  opero  eon 
Malatestadisorte,  oh'egli  gli  promesse,  per  una  ee- 
doladisua  mano,  che  il  campo  non  sarebbe  da  quelli 
molestato.  La  quale  cedola  poi  gli  fu  troyata  nel 
petto;  ma  se  ne  yideno  anco  gli  effstti:  perche  sti- 
molando  i  magistrati  Malatesta,  che  facesse  qualche 
opera  per  la  quale  tutto  11  campo  non  ne  aiidasse  in- 
contro  al  Ferruceio,  egli  non  yolse  mai  f^re  cosa  al- 
cuna;  affermando  che  il  prineipe  ayesse  menato  seco 
pochissima  gente,  e  che  il  campo  era  benissimo  for- 
nito,  e  che  non  si  poteya  fare  cosa  alcuna:  concorren- 
do  seco  in  questa  opinione  11  signore  Stefano.  II  che 
erafalsissimo:  perche  11  prineipe  ayeya  menato  seoo 
tutto  il  neryo  dell^esercito,  cq^l  de^  Lanzi,  come  de- 
gritaliani  e  SpagnuoU,  e  tutta  la  cayalleria. 

Arrlyarono,  adunque,  quasi  in  un  medesimo  tem- 
po, Tuna  parte  e  Taltra,  a  Cayinana;  doye  il  Fer* 
ruccio,  ordinate  le  genti  11  meglio  che  si  potette  per 
la  breyit&  del  tempo  e  Tangustia  del  luogo,  s^appLc- 
cd  il  fatto  d'arme.  La  cayalleria  de^nimici  dette  in 
uaa  buona  banda  d'archibusieri;  dalla  quale  fu  in 
maniera  rotta,  che  i  cayalli  si  fuggirono  sbandati 
tnsino  a  Pistoia,  e  detteno  yoee  che  il  prineipe  f uaee 


DI  FRAKOESCO  l^E&ROOCt  81 

totto.Uprincipe,  yedatolacayalleria  rotta,8i  messe 
quelli  archibusieri,  e  vi  rimase  morto  d^un^archibu* 
sata  nel  petto:  ma  la  moltitudine  degli  avversarj, 
U  quali  aggiagnevano  ad  otto  milia  persone,  fu  ca« 
gione  Che  quelli  del  Ferruccio,  circundati  da  ogni 
parte,  non  potetteno  reggere,  e  cosi  furono  rotti. 
II  Fermccio  rimase  prigione  di  Fabrizio  Maremaldo: 
il  quale,  poi  che  Tebbe  fatto  disarmare,  gli  dette 
una  pognalata  nel  viso,  e  poi  comandd  a'  suoi  dbe 
r  ammazsasseno. 

Queato  full  fine  di  Franceseo  Ferraccio:  il  quale, 
aanza  dubblo,  d  stato  ai  tempi  nostri  uomo  memora- 
bile,  e  degno  d^eesere  eelebrato  da  tutti  quelli  che 
hanno  in  odio  la  tirannide  e  sono  amici  alia  liberti 
deUa  patria  loro,  si  come  fu  egli;  per  la  quale  egli, 
(rftratanti  disagi  e  faticbe  sopportate,  messe  final- 
mente  la  Yita. 


ri^E  bKLLA  LEtTRttA  DI  bONATO  OIANMOTTI. 


S^ttHli, 


EiETTERE 


DI 


FRANCESCO  FERRUCCI 


4 

L. 


BtitttnBQBHtABsnenBsme 


LETTEJRE 


bi 


FfiftRCESCO    FERRU€CI 


AI  SU^ORI  DIECt  DI  GOV£RNO 

ibifw^M  BowM.  N«i  turmsmmo  qui  alii  xxVi,  a  ore 

ui,  ei  aTammom  estrafe  ndlla  forteixaaoolpld^ar- 

ttglieria.  Et  qUando  fommo  tatti  artirati  arridoaao 

d^essa,  IM  aaltar  drento  tutte  le  ftoterie  ^  et  coal 

trar  la  sella  a  tutti  i  tevalii ;  et  a  ono  a  uno  li  messi 

n^a  etptadella,  faeeado  dare  ord&iie  subito  di  rlnf^e* 

soarli  alqtiasto :  aa  non  tnoTai  oca  efae^  A  fifiemere 

tatta  la  fortes,  aim  tI  si  trord  pid  ehe  sei  barill 

di  vino,  con  taiito  patie^  eie  ae  toeed  ua  qiUfto  per* 

mio,  e  turn  pi&t  eHe  tl  giaro  a  IMo,  ohe  ise  to  non 

aTessi  avuto  aterteotla  dl  far  plf  Uare  a  ogrfii  nomo 

peiae  pisf  due  dl,  et  eoM  pottar  meee  dM  eome  dl 

scale,  e  85  in  90  tfArrataoU,  eon  pioooat  et  altre  coee 

^t  faaao  tnestlerl  ai^pagaare  una  terra,  e  u«a  soma 

di  polvete  fltte  d'araMbtwt^  obe  foUottoltir^itroTato 

mede  cbe  U  vladtori  mm  rusafao  etxitl  vinti  senza 

cMfbtitiere.  Rittft^swti  alquiui«6,  ll  feci  mettere  in 

bettagllat  e  feci  aprire  U^  porta  di  yerso  la  terra, 

ea^attdieia  epingate  U  assaltal €a  lff«4ati,  et  til  tdHa 


S6  LETTBRB 

iMtft*  SltfUVOtniTiiiton^ditriiieere,  ehe  a  Tol6rTi 
passare,  vi  mori  un  500  homini,  fra  r  una  parte  e 
Taltra,  de*  piil  segnialati  che  fossino  nelle  bande : 
n6  si  mancd  per  questo  di  i^on  le  passare ;  et  passate 
Che  ayemmo  Iq  prime,' 4Qniiao  in  un  altro  scontro 
di  trinciere,  et  di  nuov5  le'piglianuno,  insieme  con 
la  piazza  di  Santo  Austino,  dove  ayevon  fatto  il  fon* 
damento  loro.  Et  quel  che  ci  ddtte  piil  molestia,  fti 
ressere  combattuti  da  tre  lati,  per  ayer  loro  trafo. 
Irate  le  case  di  sorts  passayan  Tuna  nell^altra,  et  of- 
fendeyon,  seioa  potere  essefp  ofp&si,  le  Ibrte  de*ni- 
mici.  Quali  alquanto  fecion  temere  le  nostre  Ainterie, 
per  esser  messe  a  ridosso  di  quella  trinciera  due 
cannoni  su  detta  piazza ;  et  sparorno  due  yolte  per 
uno,  con  qualche  danno  nostro.  Vedendo  io  con  li 
occhi  questo,  fui  forzato  a  fare  di  quelle  cose  che 
non  eron  rof&zio  niio;e  cosi  imbraccitti  una  rotella, 
dando  coltellate  a  tutti  quelli  che  tornayono  a  dreto: 
flnalmente  saltai  in  su  quel  riparo  con  unaAesta  di 
cavalleggieri  armati  di  tutV  arme,  con  una  pieea  in 
mano  per  uno,  insieme  con  parecchie  lance  speszate 
che  ho  apresBO  di  me;  etinsignoritici  del  riparo,  co- 
minciammo  a  spingniereayanti,etguadagnammola 
piazza  con  rartiglierie;  et  con  grande  uccision  di  loro, 
togliendo  loro  due  in8egnie;etyimor|uncapitaa[io: 
et  cosi  ci  YOlgemmo  a  combattere  easa  per  casa, 
tantoche  cHnsignorimmo  del  tutto.  Assalicei  la  notte, 
nd  si  potette  andare  pifiavanti ;  et  stayamo  in  modo 
tale,  che  nessun  poteya  stare  piu  in  pid. 

Feci  tlrare  quella  tanta  artigUeria  che  ayenuno 
loro  tolta  sotto  la  fortezza,  etmetterelesentinelle; 
et  lasciai  a  guardia  il  signer  Cammillo,  et  tre  altri 
capitani.  Cosi  ci  stammo  insino  a  questa  mattina; 
[doye  di  nuoyo  riordinai  le  genti«  et  messe  in  batta* 
gUa  per  dare  lo  assalto,  trovammo  aveyon  fotto  iatta 
nolle  bastioni,  e  attraversato  le  strade  con  certi  pesxi 
d'arligUeria  groita;  nd  per  questo  ai  teMeyit»  die 


DI  FBAKCI8C0  I^RBUCCI  91 

uidaYO  aUa  volta  d^essL  Ma  loro«  impaariU  delPavere 
preso  parte  della  terra,  e  yedendone  tanti  morti  per 
le  strade,  e  di  esserai  fuggiti  quelli  tanti  tristeregli 
che  ci  erono  florentini,  insieme  con  il  gran  Roberto 
AcciaiuoUf  quel  padre  di  tatti,  accennomo  di  yolere 
parlamentare :  et  coal  detti  la  fede  al  Commisaario 
Taddeo  Gaiducci,  e  gli  altri  della  terra,  che  yenis- 
sino  a  parlare  con  me.  Yenendo,  mi  dimandarono 
quel  che  io  desiderayo.  Riapoai  loro,  che  yoleyo  la 
terra  per  11  mia  Signori ,  o  per  forza  o  per  amore  ; 
et  che  Toleyo  che  fosai  rimeaao  nel  petto  mio  quel 
bene  e  quel  male  che  ayeyo  daffare  alii  Volterrani. 
Bt  loro  diieaono  temporeggiare  per  poterne  far  con- 
siglio  con  11  homini  della  terra;  et  che  yerrebbono 
con  pieno  mandate.  Non  lo  yolai  fare,  perchd  yedeyo 
mi  Yoleyono  tenere  a  bada  fine  a  tanto  che  il  ,80c- 
eorso,  che  era  per  yia,  compariaai :  et  ddtti  lor  tempo 
tanto  che  tornasaino  dentro  alle  trincere ;  con  far 
loro  intendere,  che  ae  fra  un  quarto  d'ora  non  tor- 
nayon  con  la  reaoluzione  di  quel  che  ayeyo  loro  im- 
posto,  che  io  farei  proya  d'acquiatare  quel  reato  con 
Tarme  in  mano,  come  ho  fatto  aino  a  qui.  Kt  cosi 
80  n^andomo,  et  ai  tornorono  infra  U  tempo ;  et  di 
piii  menoron  con  loro  il  capitano  Gloyanbatiata  Bor- 
ghesi,  che  era  colonnello  di  tutti  li  altri  capitani ;  et 
arriyati  amm^,  ai  buttorno  in  poter  mio,  e  che  li  Vol- 
terrani in  tutto  et  per  tutto  ai  rimetteyono  nella  di- 
acrezion  mia.  Coai  li  aceptai,  promettendo  di  aalyare 
U  yita  al  Commiaaario  et  al  colonnello,  et  a  tutti  li 
fanti  pagati :  et  tanto  6  obaeryato ;  et  aubito  li  feci 
f  passare  per  mezzo  delle  noatre  bande.  et  metterli 
fuora  della  terra.  Et  perche  Taddeo  Guiducci  mi  pa- 
reya,  ne'  tempi  che  noi  alamo,  di  troppa  importanzia 
a  lasciarlo,  V  ho  ritenuto  apreaao  di  me,  con  animo 
di  non  li  far  diapiacere  niaauno,  ayendoli  date  la  fede , 
ma  ei  ancora  ae  r  &  guadagnato  col  fare  qualcoaa:  per6 
cbe  m'  e  piaciutp*  Ond^  priego  Yoatre  Signorie,  che 


^i=St- 


S8  tEftuat 

lo  vogliii  perdmitird  flfto  a  quel  tunto  che  H  lio  inro* 
messb;  chd,  cotn^  di  6ot>ra  d  dettd,  li  deUi  la  lode 
mia  di  iioti  lo  fkir  motit^. 

Og^  far6  dedcHption  dl  tutte  rarme  delli  Voltar* 
rani,  6t  ne  U  p^iverd  del  t\itto,  accid  mm  le  poBsino 
piii  adopef are  (iontra  lor  Signori.  Ancora  oggi  si  flna 
bando  per  vedere  tutte  le'  portate  de'  forineuti,  ehe 
inti^ndo  ^e  ii'  e  gran  eopia,  et  ie  farine  et  altre  gra- 
scie.  Rimetter6  in  eipiadella,  eon  pid  prestezta  elia 
8i  potri,  tutte  le  artiglieri^  mandate  da  Andrea  Dorla; 
Che  pare  che  rabbi  fatto  a  po^ta  per  rendelrei  ii  con- 
tra^mbio  di  quelle  di  Ruberto  Puccf .  Le  artiglierie 
sotio  dtie  cannoni  di  70  libbre  per  uno ;  due  eDlabrine^ 
Che  riiai  Viddi  la  pid  beila  aHiiglieria»  et  meglio  oon- 
dotta;  et  un  cannone  et  un  sacro,  con  800  paUe«  con 
qualche  po^o  d!  polvere  e  di  salnltro*  Et  dotnani « 
Che  saremo  alii  xtviii,  manderd  un  trombetto  alle 
Pomarancie  e  Honteoatini :  et  di  quel  che  seguira, 
per  la  prima  si  darft  di  tutto  ayviso. 

Quando  patra  il  tempo  a  Voatre  SignOrie,  quelle 
mi  daranno  un  cenno  che  io  oayalchi  per  la  TOlta 
della  Maremma,  a  liberare  Campiglia  et  Bibbona  t% 
tutto  il  paeae.  Se  ne  caccera  quelli  ladroni  di  strada 
che  vi  si  sono  aeoasati.  Quando  inteaderd  la  passata 
di  Pabrizio  per  la  volta  di  Pisa,  non  mancherd  di 
mandare  quelle  forze  che  per  me  si  potra  a  qmella 
volta;  nd  manchero  di  rimandareaBmpoliunabmn- 
da,  acci6  si  renda  piii  sicuro;  ancorche  ai  truora  as- 
settato  di  sorte,  che  le  donne  con  ie  rocche  ki  po- 
trien  guardare.  N6  altro  occorre  dite:  salvo  ehepre- 
gar  quelle  umilmente,  che  mi  yogUn  eonseryare  la 
fede  data  al  Quiduccio ;  et  questo  yoglio  Che  sia  tutto 
il  premio  della  fatica  mia. 

Li  noml  di  quel  tristeregli,  usi  solleyar  popoli  a 
partito  saiyo,  sono  questi:  Agniolo  Capponi,  Qio* 
yanni  de*  Rossi,  Oiuliano  Saiviati,  et  Leonardo  Baon- 
delmontii  et  Ruberto  Acciaiuoli,  capo  di  tuttL  N« 


m  FftAHCBSco  raRBircci  dO 

altro  mi  oecorre,  salvo  cbea  Vostre  Signoriedi  con- 
tiauo  mi  raecomando;  le  quale  Iddlo  mantenga* 

Di  Volterra,  alll  27  d'aprile,  1530. 

Frahcesoo  Fsbbuoci  General  Commissar io. 


AI  MBDESIMl 


Magmfid  JkmwL  Per  la  nostra  delli  xxvii  si  signi- 
fied a  Vostre  Signorie  quanto  era  occorso  di  qua,  e 
tomdssi  a  replicarlo  alii  xxviii  per  via  d^Empoli; 
et  per  nan  avere  auto  risposta,  sar&  con  questa  la 
triplicata.  Siamoci  ingegnati  di  ritirare  li  andamenti 
di  coetoro;  et  troyiamo  che,  spugnato  cli^egli  ayes- 
sine  la  fortezsa,  yolevono  fare  la  massa  qui  de*fuo- 
ruscitit  per  essere  sito  forte  et  copioso  di  formento. 
Bt  di  gii  avevono  spedito  un  breye,  come  il  papacon- 
stituiva  Ruberto  Acciaiuoli  Commessario  di  questo 
luogo,  et  di  tutta  la  Maremma;  et  in  caso  cbe  il 
eampo  s^ayessi  allargare  da  Firenze,  voleva  ritirare 
quelle  tante  genti  cbe  facevano  loro  di  biaogno  per 
questi  tre  luogbi,  Arezzo,  Pistoia  et  qui ;  et  li  paga- 
menti  avevono  a  venire  dal  papa;  et  cbe  il  ritardare 
cbe  aveva  fatto  Fabrizio  Maramaa,  era  solo  per  aspet- 
tare  la  presa  della  fortezza  di  qui,  per  potersi  valere 
di  qaeste  artiglierie,  et  per  entrare  con  maggiore 
reputazione  alia  impresa  di  Pisa.  Et  per  aver  loro 
rotti  questi  disegni  eol  pigliare  questo  luogo,  mi 
pare  cbe  e'sien  volti  al  volerlo  raqui8tare:etdigi& 
sono  arrivati  a  Villamagna  parte  delle  sue  genti, 
con  buona  cavalleria:  et  vi  s'aspettarartiglieriaca- 

6* 


90  tBTTBM 

Tata  di  Siena ,  con  il  restante  delle  genti  sue.  fit  que- 
sto  giorno  mandai  li  cavalleggierl  a  riconoscerli,  et 
attaccoronsi  a  scaramucciare,  et  ne  rimase  qualcuno 
deiruna  parte  e  delPaltra;  et  se  non  fassi  che  si 
messe  un  temporale  di  pioggia  si  grando,  che  non 
vedevono  Tun  Taltro,  li  mettevono  per  la  mala  via, 
lo  mi  assicurerd  della  terra  fra  due  giorni,  di  sorte 
che  io  non  penso  averla  a  perdere ;  et  yenga  ohi 
Yuole :  et  se  io  avessi  mille  fanti  piu ,  come  sa- 
rebbe  ragionevole,  lo  crederia  far  passare  in  quel  di 
Lucca  a  sua  forza.  Qui  c'  e  gran  copia  di  formento, 
et  troviamo  che  li  avevano  capitolato  et  fermo  di 
dare  60  sacca  di  pan  fatto  la  settimana  al  campo. 

Al  prime  di  maggio  1530. 

Tenuta  alii  2;  et  e  comparso  di  poiduepezzi  d^ar- 
tiglieria,  con  11  restante  delle  genti,  che  sono  sette 
bandiere  di  flanti ;  et  dicono,  aspettar  di  campo  !l  co- 
lonnello  di  Sciarra  Colonna  et  del  Signor  Marzio,  con 
sei  pezzi.  Per  ancora  non  sono  arrivati.  Staremo  a 
vedere  qual  seguirii.  Bt  questa  Tolta  non  bisogna 
che  e^  pensino,  che  con  lo  spaventare  loro  et  stare 
a  Villamagna,  abbino  a  fare  andare  li  Volterrani  a 
capitolare :  cM  chi  vorr^  questa  terra ,  bisogneri 
che  la  combatta;  et  venendo  a  combatterla,  non  du* 
bitiamo  punto  di  non  ay  ere  a  dare  conto  di  noi,  come 
altre  yolte  abbiamo  fatto. 

Nd  altro  occore  dire  a  Vostre  Signorie;  alle  quale 
di  continup  mi  raccomando:  che  Iddio  quelle  conser- 
yi  felice. 

Di  Yolterra,  alii  2  di  maggio  1530. 

Francesco  Ferrucci  General  Commissario. 


I 


PI  FRAKC^c6  ttkanoct  91 


AI  MEDESIMI 

M^rnfid  DoMim.  Per  le  Vostre  Signorie  de*xxx  del 
pikssato  et  due  del  presente,  intendiamo  qaanto 
quelle  ne  dicono,  et  delli  campanili  etaltre  coseno- 
ciTi  alle  fortezze:  il  che  di  gil  era  ia  disegrno;  et 
come  prima  si  potri,  si  far&quanto  ne  commettono. 
Bt  aecid  che  si  possa  pagare  queste  fiaiiterie,  li  Vol* 
terrani,  per  ordine  nostro,  hanno  create  xii  aomini 
coo  pieaa  auetoriti,  per  provyederci  et  di  danari  et 
di  tutto  che  fa  di  bisogno ;  et  hanno  gi&  messo  in- 
fiieme  de*  denari,  ma  con  diiBcult&,  rispecto  chebuona 
parte  delli  benistanti  sono  absenti:  et  noi  non  man* 
chiamo  sanza  rispetto  solleeitargli,  perehd  provisti 
qnesti,  non  manchino  d^ordinare  gli  altri  da  Yostre 
Signorie  per  via  d*accatto  domandati ;  benchd,  a  quello 
che  Voetre  Signorie  ne  disegnano,  sari  difficile,  et 
con  loaghexza  di  tempo.  Bt  non  mancheremo  di  ta- 
lerei  del  Monte  della  piet& ;  nel  quale  intendiamo 
cssere  poco  fondamento,  agendo  ayantil>rrivodelle 
Vostre  Signorie  discorso  non  solo  il  Monte  predetto, 
Ott  ancora  la  canoTa,  e  U  sale ,  et  ognl  altra  cosa 
doBde  si  possa  trame  danari;  et  ci  anderemo  sfor* 
ztndo  trarne  pld  che  sari  possibile. 

Nella  cittadella  et  fortezze  s'  d  mandate  buona  som- 
ott  di  Tino,  fiarine,  olio  et  legne;  nd  si  manca di  pro- 
Tederle  di  tntto  il  bisogno  loro.  Di  pid  ancora,  yi  si 
i&aaderanno  qoelle  arme  leyate  alii  Yolterrani,  che 
^indicheremo  a  proposito :  et  delle  yettoyaglie  si  tro* 
^fOQo  in  Yolterra,  se  ne  far&  quelle  che  da  Yostre 
Sgoorie  ne  ^  commesso« 

Qnanto  alle  robe  de^  rebelli,  cosi  florentini  come 
Mterrani,  se  ayessimo  chi  sona,  si  sarebbe  meglio 


93  VffPK&R 

potato  ricercarle ;  et,  potendo,  le  venderemo*,  ben* 
chd  con  dif&cult&  si  faril,  rispetto  alia  scarsita  de^ 
danari.  Li  sail  confessati  sono  tutti  ne^  magazzini* 
Ne'  luoghi  loro  et  delli  altri,  troviamo  che  ne  hanno 
Tenduto,  nel  tempo  sono  stato  in  cittadella ,  circa 
libbre  60  mila:  benchd  si  ritrae  avevon  fatto  una  ca- 
noYa  a  Fig*gliine;  della  quale,  per  V  absenzia  di  chi 
lo  maneggid,  per  ancora  non  abbiamo  poesuto  ne 
dire  H  conti  d'essi,  nd  in  che  si  sieno  convertiti  11 
danari.  Far&ssi  diligensa,  etdi  tutto  si  dar&adTiso. 
Alio  porte  si  fSanno  guardie  diligentissimei  nd  si  la- 
scia  uscire  cosa  alcuna. 

Pagate  che  saranno  queste  fanterie,  et  si  possa 
trarre  da  costoro  li  cinque  in  sei  mila  scudi  per  pa- 
gare  11  8000  fiantl  da  farsi,  noi  giudichiamo  essere  a 
proposito  farli  qua,  per  isbandare  piii  si  pud  il  Ma- 
ramau,  trovandosi  lui  vicino  a  qui  miglia  quattro ; 
dove  s*  intende  che  patisce;  et  con  facility  le  genti 
sua  si  potrieno  tirare  alia  yolta  nostra.  Bt  alii  capi- 
tani  che  sono  in  Bmpoli,  si  potr&  far&  intendere  si 
trasferischino  qui,  per  fame  quello  che  Vostre  Si- 
gnorie  ne  hanno  ordinato. 

In  fortexza  non  6  numerate  nd  piii  argento;  che 
essendocene,  ce  ne  sariamo  valuti  come  delli  altri, 
finch^  Ti  sia  RafllEbello  Masini:  il  quale  alle  Vostre 
Signorie  mi  feeiono  ricerearlo,  et  si  aveva  danari  del 
pubblico ;  che  mi  disse  di  no,  et  4ia  lui  non  possetti 
trarre  cosa  alcuna:  et  quando  ero  in  cittadella,  lui 
drsse  trovarsl  quattrocento  scudi,  ma  che  non  ne 
Toleva  servire.  II  che  per  ogni  buon  rispetto ,  non 
mi  parse  da  grayamelo,  Cacendo  yista  di  non  lo  atere 
udito,  riseryandolo  a  luogo  et  tempo. 

Di  Yolterra,  alii  6  di  maggio  1530. 

Bartolo  Tbdaldi. 
Francesco  Ferrucci. 


m  FBAN0E8CO  FBBItUCCI  93 


AI  MBDESIMI 

Questo  griorno  abbiamo  la  rostra e  non  ci 

occorre  altro  dire,  se  non  che  ci  troviamo  presso  alia 
terra  di  Peseta  a  un  miglio,  e  troviamo  tutti  li  po- 
poll  contrarl  a  noi:  per6  non  temlamo,  ed  a  que- 
8t*ora  marciamo  alia  volta  di  Castclveccbio,  sperando 
dresser  doman  da  sera  al  Montale,  aucorche  Fabrizio 
abbia  fatta  gran  preparazione.  Se  li  nimici  faranuo 
sperienxa  di  noi,  allora  faremo  vedere  chi  noi  siamo, 
e  c*  ingegneremo  tenervi  avvisati  de'  progress!  nostri 
giorno  per  giorno.  Ne  altro  ho  a  dire  alle  Signorie 
Vostre,  salvo  che  io  mi  trovo  insulfatto,eguarito, 
Dio  grazia:  ed  a  quelle  quanto  pid  posso  mi  racco* 
mando,  ed  altrettanto  il  signor  Giampaolo. 

Dal  paese  di  Pescia,  il  l.o  di  agosto  1530. 

Fbamcesco  Ferrucci  General  Commissario. 


FINE  DELLE  LETTER B  E  DEL  VOLUMETTO. 


INDIGE 

DEI  NOMI  PROPRI 


B 


INBLLE  G6SE  NOTABILI 


CONTENUTE  NEL  PRESENTS  YOLUMETTO 


AccuioLi  B. :  e  la  presa  di 

Volterra,  38,  76. 
Albiui(oecli):  eFermccI,  73. 
ALAMAifNi  Luigi:  ^imercanti 

liooesi,  79. 
AQUiLA :  e  roraoges,  S8. 
Amicizia:  molto  oaservata  dal 

Femicci,  9. 
AasoLi  (A.  d'):  e  Tiinpresadi 

Volterra,  26;  —  e  Marzio  Co- 

lonna,  63. 
Adgosto,  imp.:  corruppe  Ro- 
ma, 3. 
Baguonb  :  e  le  Bande  nere,  1 5. 

-7-  sospetto  a'FioreDiini,  55. 
BoHde  uere  (le):  erenncci,  16. 
BAifDim  6.:  e  Glugoi,  40. 
BarcelloDa  (accordo  di) ;  e  Ft- 

renze,  18. 
Barlrtta:  e  Renzo  da  Ceri,7l. 
BAiTOLiMi  ZaDObi:  e  Femic- 

ci,  73. 
BsEAaDi:  800  losigoe  valore, 

4i. 
Bibbibna:  sua  geote  telTatica, 

u. 
BicHi:  000  valore,  4S. 
BiograOa:  coma  deye  scriyer- 

5i|  6» 


Boaoo  (B.  DAL):  e  I'impresa  di 

Voltena,  37. 
BORGO  (L.  DEL):  e  la  presa  di 

Volterra,  38. 
BoRGO  (Sperone  del):  sno  ya- 

lore,  50  e  seg. 
BORGBEsi  G.  B.:  e  la  presa  di 

Volterra,  38;  —  sua  risposta 

a  Perrnccl,  39;—  deye  ar- 

reDdersi,  34. 
Brayi:  e  il  capitano  Gnlo,9, 69. 
Brocca  (F.  BELLA):  proQde  Ga- 

stelflorentino,  33. 
Carmint  (A.  del)  in  Fir.:  ela 

cappella  6^i  Ferroccl,  7. 
Gamerino  (UatUas  da):  e  Pisa, 

56. 
Gastello  (Pirro  da):  e  Ferrac- 

ci,  33,  76. 
Gastiglioob  (H.  da):  sno  ya- 

lore,  43. 
Geri  (da):  riceve  ordine  d*a8« 

soldare  dne  mlla  (aoti,  37; 

—  ad  Empoli,  39;  —  (atto 
prigioDiero,  63;  — -  a  Bar 
letta,  71. 

Glbmentb  VII:  sua  politica,  18; 

—  solda  masDadieri  contro 
Toscaiia«  19. 


.  - — ^—  .  »—-  ^  <►  *- 


96 


Iin>ICE  DEI  NOHI  PROPRI 


GOLONNA  M.:  e  d'Arsoli,  03. 

GOLONNA  S.:  e  BagtiODi,  76, 

CoiUadino  (il),  alflere  dello 
Strozxi:  suo  valore,  30. 

CdrsI  (I):  e  Fcrruccl,  51;  — 
saccheggiano  Pisa,  16. 

GoMiNi  (A.  DB*):  e  la  cbiesa 
ddl  Carmine  in  Fir.,  6. 

CORsiNi  (G.  B.):  e  Perrocci,  57. 

Gnio:  e  Ferrucci,  9,  69. 

DocciOLA  (march,):  rlsta  dal 
combattere,  54. 

Empoli  :  e  Ferrucci ,  31 ;  •» 
presa  dai  Frances!,  39. 

FBaaacci :  spregiato  petchd 
mercatante,  5;  —  sua  fa- 
miglia,  5 ;  —  messo  ad  un 
banco,  8;  —  vi  rimane  ire 
anni,  8;  —  molto  osservan* 
te  den'amiclzia,  9 ;  —  i«  H 
capilano  Cuio,  9;  —  non 
toflera  rivale  in  amore , 
11;  —  e  Jacopo  de'Kedici, 
11;—  valente  netla  scher- 
ma,  IS;  ^  siudioso  delle 
cose  opcfate  dagli  antlchl. 
It;  —  efttcace  paflaiofe,  11; 

—  suo  flne  sorfiso,  19;  — 
schielto,  13;  —  va  in  villa 
net  Casentlnd,  13;  —  cac- 
clatore,  13;  —  arbitro,  14; 
^  podest^,  15;  —  amba- 
sciatote  ptesso  a  tautrectt, 
15;  -^  sottllissimo  ricerca- 
toit  degli  ordlnl  di  guerra, 
16;  —  ogni  dl  alle  mani  c6- 
gli  inlmici,  16;  —  fattO  pri- 
gione,  16;  —  riscattato,  17; 

—  commessario  in  Prato,  19; 
— suaconlesacon  N.Strozzi, 
19;  >-  commessario  ad  em- 
|)0li,  SI ;  —  llbetale  nello 
spendere,  SI ;  —  e  1&  presa 
di  Casteitiorentino.  SS;  —  e 
il  fatto  d'arme  di  MOntopoli, 
SS;  ^6  quetto  dl  PoQtortm>, 
S3;  —  amato  dai  soldati,S4; 

—  soyrieoa  di  fettotaglie 


i 


Pirenxe,  S4;  —  e  I'impresa 
di  Volterra,  6  e  tag. ;  — 
batte  moneta,  38;  —  va  a 
Pisa,  56;  —  con  pericolo 
manifesto  della  vita  frenai 
Gdrsi  saccheggiatori  di  Pisa, 
57 ;  —  profeta  di  sua  morte, 
58;  -^  Bue  genetose  parole, 
58;  «  e  il  combatUmento 
di  Gavinana,  51,  e  seg. ;  — 
sua  gloriosa  fine,  64; — sua 
Indole,  67;  «-Bna  vita  rias- 
snnta  da  Giannotti  ,70  eseg. ; 

—  sue  lettere,  85  e  seg. 
Plorentini:  dedid  alia  merca* 

tura,  7. 
Firbnzb:  divisa  in  nobili  e  po« 

polani,  7;  —  deliberadifen- 

dersicontroGarloV,  19  e  seg. 
PibbnzuOla:  taccbeggiata,  If. 
PORLl:  saccbeggiata  dal  Frah- 

cesi,  33. 
Francesi:  e  Home,  4. 
Frbscobaloi:  e  il  casiello  di 

S.  Miniato,  75. 
Gavinana:  e  la  morte  del  Per 

rucci,  60  e  seg. 
GtACOMim  A.:  e  Ferrdcci,  6. 
GiAcBiNoTTi:  coomiiesarlo  a 

Pisa,  56. 
Giovio  P.:  e  Perrocclj  5,  63. 
GiROLAMi  R.:  e  Fcnucci,  8. 
GttJGiff  A.:  commissatlo  ad  Em- 
poll,  ft;  —  vl  si  comporta 

vllmente,   89 ,  77 ;  —el 

BraVI,  70. 
Ghbrarobica:  suo  Instgneya* 

lore,  4S. 
GtfsRARDi  t.:  In  ^ratOf  74. 
Gbbrardi  N.:  daila  itiQglletl« 

scattato,  37. 
GoifDi:    lasciato  da'  Fertued 

nella  rocca  dl  Volterra,  86. 
Guerra:  appresso  I  Romftni,  3; 

—  si  deve  in  essa  spiait  il 
pensiero  de'  nemlci,  SI. 

Gefoucct:  cottioHiteaHe  pel  pa- 
pa in  Volterra,  S8,  7^ ;  -^ 


s\  4a  9I  rerroAel  PTigtpfUBt 

34,  35. 
iNcoNTBi :  dal  FeimCQl  f^to 

iiqplccai^j  35, 
Italia:  e  1  B^rb^ii,  4 ;  '-"  • 

LA8TRA  (LA):  castelfQ  ptWO  al 

Piorentini,  35. 
Lautrbcb  :  e  rimpresa  di  Na- 

poll,  70. 
Libertli :  e  Boma,  4. 
Lucca:  e  Ferrucci,  60* 
Maramaldo  p.:  e  Giovio,  5;  -* 

dicesi  facesse  prigione  For- 

raeci  DeirimpresadlNapoU, 

17;  —  muove   conlro  Vol- 
-  terra,  39;  —  deriso  dal  Fer- 
rucci,  41;  —  ammaxza  Fer- 

rncci,  01,  80. 
MAiACCHiNo:  e   I'impresa  di 

Volterra,  S6. 
Medici  (Giov.  DB*):e  la  tsxk^ 

ria  ital.,  10. 
MsDici  (Ginlio  OK*):  e  H  cap. 

Giilo,  9. 
Medici  (Jacopo  db')  :   e   Fer- 

mcci,  11. 
Melfl  (principe  di):   e  R.   da 

Geri,  71. 
MUisia:  e  la  mercatara,  5. 
MiNusio :  fagge  da  Volterra  nel 

campo  nemicoy  49. 
MoNALDi  S. :  e   rimpresa  di 

Volterra,  S6. 
MONTAnTO(Otto  DA):  e  N.  Slroz* 

^.  20;—  e  il  castello  La  La- 

8tra,  63. 
MONTE  Bbnicbi   (6.  DA):  fatto 

prigione,  47. 
Nbrbtti  N.  :  abbmccia  vivi  i 

feriti,  55. 
Nbro  (M.  del):  e  FerruccI,  15. 
Pasouino:  e  6.  da  S.  Groce, 

S4. 
Peppoli  (U.  db'):  capode'Fio- 

rentini  solto  Napoli,  16. 
PiOMfiiNo  (da):  e  I'impresa  di 

Volterra,  S6,  S8,  48. 


P^ATp:  e  Ferroccl,  74,, 
Qomvii:  loro  lodevole  costa- 

Romano (ImperQ);  elBaroi&ri,  4. 
Hahaxzoto.  masBA()iere:  e  Gie- 

Orange  (principe  0'):  e  Piren- 
te,  18^  -^  e  la  citiK  d'V 
qulla,  38;  —  a  U  One  del 
Fermcci,  64,  80. 

Orlanoini  (P.  degli):  e  Gia- 
gni,  89,  78. 

Salviati  G.  :  e  la  presa  di 
Volterra,  38. 

Saluuo  (march,  di):  e  Lao- 
trech,  16;  —  quale  fosse,  70. 

Santa  Groce  (G.  da)  :  e  Pa* 
sqnino  C6rso,  S5. 

Sassbtti  p.:  perchd  dettd  la 
yita  del  Ferraecio,  5. 

Sassoperrato  N.:  ePimpresa 
di  Volterra,  S6;  --  mnore,S7. 

ScANNADio:  e  Fermcci,  63. 

ScRuccoLA  P. :  e  la  milizia 
cdrsa  comandata  dal  Fer- 
mcci, 61;  «  sua  morte,  53. 

Sbllaina  (la):  donna  anata 
da  Fermcci,  11. 

SqDERiNi  G.  B. :  e  Fermcci, 
13,  70. 

SoDERiNi  Lorenzo:  in  Prato,73. 

SoDBRiNi  Tommaso:  e  Fermc- 
ci, 7i. 

Spagnnoli  (soldati):  biasimatl 
da  Fermcci,  17. 

STROZziGiano:  quale  fosse,  70. 

Strozzi  N.  :  yiene  a  contesa 
col  Fermcci,  19,87;  «—  ge- 
neroso  gli  salya  la  yita,  33. 

Tebaloi  :  assediato  nella  rocca 
di  Volterra,  34,  28,  76. 

Tomm6,  capitano:  e  la  dlfes^ 
di  Volterra,  34. 

Valore  di  due  gioylnetti  flo* 
rentini,  23;  —  deli'alflere  di 
N.  Stroui,  30 ;  -^  di  Mor- 
ganle  di  Castiglioni,  43;  — 


98 


di  BerardI*  4S;  —  di  Bichi, 

48;  —  di  Gherardesca,  4«. 
Vabchi:  e  la  lett.  di  Giannotti 

a  Ini,  99  e  seg. 
Vasto  (march,  dkl):  e  Piren* 

ze,  iO;  —  muoTe  contro  Em- 

poll,  39. 
Vbrucola  f.  :  e  IMmpresa  di 

VQlterra,  t6. 


aa>t<ni  dsi  nomt  mopsi 

ViTBLLi.  A. :  e  la  Hbellione 
dl  VoUeira,  36;  —  iniioTe 
contro  Empoli,  89. 

Volwrba:  presa  e  difesa  dal 
FerrticcI,  28  e  seg. 

Zati  p.  :  6  rimpresa  dl  VoN 
terra,  M. 


INDICE 


DBLLE 

MATERIE  GONTENUTE  NEL  PRESENTE 

VOLUMETTO 


Prefazione *    pag.      V 

Vita  di  Francesco  Ferrucci  scritta  da 

FiLippo  Sassetti.    .    • »       1 

Snlla  vita  e  sulle  azioni  di   Francesco 

Ferrucci,  lettera  a  Benedetto  Varchi 

di  Donato  Giannotti »     67 

idtkre  di  Francesco  Ferrucci  •  .  .  •  »  83 
i^ice  dei  fumi  prapri  e  delle  cote  w>ta- 

^li  cimtenmU  inel  volMmeito §    95 


WH.  A  M  0  —  0.  0  A  E  t  ■       1   C*   —   E  0  I  T  0  B  I.  1 

E'DIZIONE    POPOLARE  I 

troprietft  lettararia  dalli  Edltori  Q.  DAEUI  <  0.  . 

DI  VITXO'R  HUGO  *    I 


Hnfittgi  t •I'n'lieuirt'i'inaiii^ 
ifiuu.  1  nan  i  bh  kam  unl* 


.*>d*  MnruilMl  ■" 


■•"rnnA^ 


mtit  di  vltur  aatd  «  ttnant 
luiluHt  wffrt  Mr  BiBcaau  d'lu 

1  I  p»IM'frwUka:  kK  saMtt*  ■« 

I  OM  ''afl*  •>  t*  <*>nn  ■illluw; 

I  »r<»iR  Auut,  isdU  ■i)'aj*iw) 

I  gntminl  iu   ailUdl   ri»Hri  M 

I  »lia  iH  pnufSe  d*li.  >it  hun. 

<  til>  urn,  •«[  (lUcU  Hit  !•■> 

MH'Hn.  ■ 

!■  TlUai  B«t*  ■•*•■•  lUf*  I  fl*  P**<  »>«k1*i>l  HKialt:  D  nnariiM^  la  rmH- 

mla  i1«T«wt  H  w«  iSl  fwannu   ■  dilla  lUani.  tupnum*  li  TIlUr  Hsn 

-"-  '^™ aainealTinilunai  akrl  nil!  .obu  a  ad  hBtliilE 

l,Kcallg»e*auT»»M^  H»M.*d  afiuil  f«looU,  la 

'*C'a$ilHa  piMpa  dalla  M«HlaMTtiU>H  ta^MriW.  VMIdM*  pWibn  M^ 
•n  UTmm  nlaW  lUii^U  la  U*  aMI  laabloal.  "^ 


u  JtM^a'aSiHiaupla 

tit  U  MsBlb  a  Ilia  (Lud. 
l/ailiiHa  jafcilp.  da 
U  ilaM  nisW  lUai^t 


Freuo:  It.  L.  1. 


BIBLIOTECA  RARA     . 

PUBBLICATA    DA    G.    DAELLI 
Vol.  U. 


LORENZINO  DE'MEDICI 


TIPOGRAFIA  BOZZA. 


ProprIot&  lottoraria  «..daelu  •  C. 


r/ 


lEDICI 


TI 


tilCCOIill 


ORl 


L  0  F 

DA    VS   BBOHZO    BSI8T 


LORENZINO  DE' MEDICI 

SCRITTI    E    DOCUMBNTI 
•RJL  r^K  MJk  rSUIA  VOLTA  BACGVI.TI 


MILANO 
G.   DAELLI  e  COHP.  GDITORI 


PEEFAZIONE 


La  spada  del  Ferniccio  non  scampd  da  morte  la  Ubertk 
florentlna;  il  pugnale  di  Lorenzino  oon  la  fece  risorgere; 
ma  nei  loro  nomi  3i  conservarono  vivi  i  principj  della  di- 
fesa  e  della  rivendicazione  della  liberty  contro  la  tirannide. 
11  Fsrruccio,  col  suo  valore»  e  con  la  sua  modestla  civile, 
preflgur6  quel  general!  francesi  della  prima  rivoluzione, 
usciti  dal  popolo  e  fedeli  alia  sua  causa :  Lorenzo  nato  di 
casa  regnatrioe,  e  destinato  a  succedere  al  tiranno^  abor- 
rendo  da  on'ingiusta  signoria,  spense  in  lui  le  sue  ragioni, 
e  non  se  ne  yant6:  si  dolse  della  infelicity  del  tempi  e  della 
Tilt^  degli  uomini  che  lo  condannarono  a  rifare  11  secondo 
e  non  il  primo  Bruto,  ch'egli  piii  veramente  emuld. 

Lorenzino,  felice  d'ingegno  e  di  stile,  uccise  con  la  penna 
una  seconda  volta  il  Duca  Alessandro.  —  Se  ne  lev!  qualcbe 
storico  prezzolato,  come  il  Giovio,  o  qualcbe  letterato  delle 
polizie,  i  grandi  scrittori  lo  esaltarona  —  II  Yarcbi,  sebbene 
scri  yesse  come  a  dettatura  di  Cosimo  I,  esita  tra  I'esecrazione 
e  I'apoteosi ;  ma  si  vede  die  pende  all'apoteosi.  —  Lo  descrlve 
eon  amore,  con  quel  suo  tratteggiare  minuto  e  incislvo, 
cbe  anticipd  il  fare  del  Blanc  e  dei  Micbelet  RidestI  gH 


yi  PRBFAZIONB 

spirit!  di  libertit,  la  imagine  di  Lorenzino  risorse  neWEIrth 
ria  vendicata  deWAlfieri,  nel  FUippo  Stroxzi  del  Niccoliniy 
i  due  traglci  che  piA  s'intes^ro  di  tiranni  e  tiraimicidl  — 
Risorse  in  un  lavoro  gioyanile  del  Revere,  che,  secondo 
alcuni,  non  fu  mai  piii  si  bene  inspirato. 

II  Giovio,  il  quale  dice  del  duca  Alessandro  che  dava  spe- 
ranxa  di  riuscir  un  principe  moUo  tempercUo  e  dligerUe,  e 
mette  tra  gli  uccisori  di  lui  anche  il  Freccia  (ragazzo  a 
cui  il  Yarchl  afferma  che  Lorenzino  mostr6  senza  piii  il 
corpo  del  duca  morto)  forse  parendogli  poco  onor  d'un 
principe  I'esser  ammazzato  da  soli  due,  come  sarebbe  an- 
che ai  di  nostri,  se  fosse  ucciso  da  un  solo  medico,  descrive 
cosi  Lorenzino:  —  Lor^zo  s'era  fatto  consapevole  e  mez- 
zano  de'piaceri  amorosi  de'quali  il  Duca  era  insaziabile  e 
vago  fuor  di  modo,  per  poterlo  con  essi  facilmerUe  ingannare. 
Perch'egli  era  moUo  ben  fomUo  di  capestrerie  d'ingegno  erw- 
dito  a  fare  ogni  ruffianamento ;  di  maniera  ch'e'  solevaan^ 
che  comporre  di  bei  verri,  i  quaU  erano  ittromento  di  lut- 
swiOf  e  far  commedie  piacef)oU  in  lingua  toscana  e  rappre- 
seniarU  in  iscena,  talch'egU  simulava  di  pigliare  singolar 
dUetto  di  que$H  studj,  e  percid  non  portaca  amU  allato, 
come  facevano  gU  altri  cortigiani;  mosfraca  d'aver  paura 
del  eangue  e  d'eeser  in  tuUo  uotno  disideroso  di  pace  e  di 
ripoeo,  —  Ed  olhre  cid  con  volto  palHdo  e  con  frorUe  maUi^ 
conica,pa»$eggia0a  solo,  pochi$$i)mo  e  com pochi  ragionando ; 
frequenUwa  i  luoghi  soUtari  e  ripoeti  della  dttd  e  mosHxma 
si  wanifeUi  segni  d'umore  maUnconieo,  ch'aicuni  tadtamenie 
a^)evano  commciato  a  farsi  heffe  di  Int.  —  Akwd  aUri  piA 
accorti  iospettaoano  che  neW  animo  iuo  egU  andaete  disc- 
ffmindo  e  macchinando  quakhe  terrtbUe  impresa,  —  E  scop- 
piayano  parecchi  indizj  del  suo  divisamento  e  ne  gettava 
motti,  onde  II  Ruscelli  nelle  note  al  Giovio  alTenna  che  alia 
rappresentazione  deliMridono  Lorenzino  dicesse  che  a  quella 
oommedia  voleva  mandar  presto  dietro  una  flera  tragedia, 
e  il  Pontanini  sostiene  che  I'accenna  nel  Prologo  delfilH- 
d$9io. 


PRBFiZlONE  YII 

Nel  terzo  volume  delle  Storie  del  yarchi  pubblicate  dal 
yalente  Gaetano  Milanesi,  presso  il  Le  Monnier,  1857-58,  fu 
aggiunta  YApologia  di  Lorenzino,  e  al  suo  conto  d  la  set- 
tima  edizione,  rivista  e  correlta  da  vari  errori  colFaiuto 
di  dae  copie  manoscritte  della  fine  del  secolo  XYI,  che  si 
trovano  nel  codice  riccardiano  segnato  2710,  e  di  un*altra 
eopia  posta  in  fine  del  manoscritto  Poggi  delle  Storie  del 
Yarchi.  La  sesta  edizione  sarebbe  quella  del  Barbdra,  nel 
volumetto  delle  Autobiografief  che  pure  ha  la  data  del  1859, 
rivista  e  corretta  anch*essa  sopra  un  codice  riccardiano,  a 
quanto  dice  la  Prefazione.  —  Noi  seguimmo  questo  testo, 
11  quale  si  scosta  meno  dalla  lezione  comune,  che  ci  par  piu 
viva  e  vibrata  della  nuova  recensione  del  Milanesi.  V Apo- 
logia h  dettata  come  d'un  fiato,  e  con  queirenergia  d'animo, 
che  non  sMnchina  a  raccogiiere  i  fiori  rettorici,  ma  cala 
<^ome  un  fendente  d'Orlando  sul  capo  de' detrattori  del 
Bruto.  Toscano.  —  In  questo  impeto  che ,  secondo  il  ri- 
cordo  obbligato  di  tutti  gli  editori^  fece  dal  Giordani  e  dal 
Leopardi  dar  V  esciusivo  vanto  dell'  eloquenza  in  Italia 
aUo  scritto  di  Lorenzino,  in  quest'impeto  e  foga  di  tra- 
boccante  sdegno  contro  i  codardi  cbe  non  avean  saputo 
spegnere  la  tirannide,  spento  il  tiranno,  son  frequenti  i 
tr&passi  arditi,  le  forme  elittiche,  gli  adombramenti  piu 
'Che  i  regolati  significamenti  del  pensiero.  Ora  la  lezione  del 
Milanesi  ci  sembra  in  parecchi  luoghi  impastoiata  per  voler 
«ssere  phi  esatta  e  chiara.  —  V'ha  tuttavia,  come  da  quel 
vftlentuomo  era  da  aspettarsi,  alcune  buone  varianti,  che 
nof,  senza  toccare  il  testo,  ponemmo  in  fine  al  volume. 

Plauto  e  Terenzio,  dice  il  Ginguen^,  imitavano  Difilo, 
ApoUodoro  6  Menandro;  e  talora  di  due  commedie  ne  trae- 
vano  una.  I  nostri  imitavano  i  latini,  ma  non  sempre  tra- 
fiformandoli  come  1  latini  facevano  i  greci.  II  Moli^re,  ri- 
copi6  spesso  gl'Italiani,  e  sebbene  piil  vicini  di  tempo  e  di 
costumi,  gli  trasform6.  Prese  Tarie  e  le  cantd  con  fogge  e 
parole  francesi.  —  I  nostri  staytno  sospesi  tra  il  mondo  che 
I  ji  svolgeva  sotto  al  loro  occhi,  e  gli  esempj  antichi;  non 


YlU  PRBFAZIOICI 

sapevano  fondere  la  tradlzione  e  la  vita.  —  Questa  fusione 
riusd  al  divino  ingegno  del  Machiavelli  nella  Mandragokk^ 
e  in  parte  ad  altri.  —  Lorenzino  fu  del  piu  felici.  —  II  suo 
Aridosio,  come  not6  gi^  11  Ginguend,  esprime  in  parte  gli 
Adelfi  di  Terenzio,  e  in  parte  la  Mostellaria,  o  la  Spiritel^ 
laria,  per  dirla  col  napoletano  Angelio.  —  Ck)me  negli  Adelfi, 
cosi  nelVAridosio  due  fratelli,  di  diyersa  indole,  all&vano 
due  giovani  con  modi  diversi ;  e  I'educazione  indulgente  e 
liberate  riesce  meglio  cbe  la  severa  ed  arcigna.  —  Gome 
nella  Mostellariay  neWAridom  si  fa  credere  al  yeccbio  avaro 
ed  esoso  cbe  la  sua  casa  e  infestata  dagli  spiriti,  e  si 
riesce  ad  allontanarlo.  Teuropide  toma  quando  il  figlio  gli 
ha  plena  la  casa  di  gente  cbe  mangia  e  di  femmine.  -- 
Bussa  con  le  mani  e  co'piedi;  i  servi  passeggiano  fuori 
—  dentro  nessuno  gli  risponde.  —  egli  si  volge  a  Tranione, 
lo  scbiavo  inventore  perpetuo  d'arzigogoli  contro  i  yeccbi 
padroni,  e  ne  esce  il  seguente  dialogo: 

TR.  Come,  hoi  tocco 

Tu  questa  casa?  TE,  PerchS  rum  Vawoa 

A  toccar  io?  Se  dicoH,  che  quasi 

Ho  fracassato  la  porta  hussando,  , 

TR,  L'hai  tu  toccata?  TE,  Io  ti  dico,  che  I' ho 

E  toccata,  e  hussata.  fR.  Uht  TE,  Che  cos'i? 
TR,  Dio  te'l  perdoni,  TE,  Che  donUn  sard  ? 
TR.  Io  non  ti  saprei  dir  che  indegnitd, 

Che  misfatto  hoi  commesso,  TE,  Per  che  causa? 
TR.  Fuggi,  per  caritd,  scostati  via 

Da  quella  casa,  Fuggi,  fuggi  qua 

Vicino  a  me,  Toccasti  tu  la  porta? 
TE.  dome  potea  picchiar  senza  toccarla? 
TR.  Tu  hai  morto.  TE,  Chi?  TR.  Tutta  la  tua  famiglia. 
*     TE,  Ti  venga,  per  cotegto  mat  augurio  .... 
TR.  Die'l  voglia,  che  un  peccalo  di  tat  fatta 

Possa  esser  perdonafo  a  te,  e  a  costoro. 
TE,  Perchif  che  novitd  improuvisa  i  questa^ 


PREFi2I01IB    '  IX 

Che  tu  arrechi?  TR.  0  dio!  se'l  del  ti  guardi. 
Fa,  che  color  si  scoslino  di  It. 

TK  ScostcUevu  TR.  Non  toccate  la  casa. 
Toccaie  meco  la  terra  anche  vol. 

TE,  Per  earUd,  ii  prego,  parla,  di'. 
I TR.  Perehe  son  sette  mesi,  che  nessuno 
Ha  posto  piede  dentro  a  questa  casa. 
Da  che  ne  sgomherammo.  TE.  E  perchi  f  parUK 

TR.  Osserva  un  poco  atlomo  se  vi  fosse 
OU  stesse  a  origliar  qvuel  che  dkiamo. 

TE.  Per  ifUto  i  piazza  franca.  TR.  Guarda  attomo 
Un  (Utro  poco.  TE.  Non  vi  e  alcuno,  parla 
Su  mo,  TR.  Questa  i  una  casa  detestabile. 

TE.  Che^  cosa?  io  non  intendo.  TR.  d  si  e 
Commesso  da  gran  tempo  anticamente 
Un  misfattOj  e  Vahhiamo  or  noi  scoperto. 

TE.  Che  misfattof  chi  Vha  commesso?  parla. 

TR.  L'albergatore  afferrb  un  certo  tale, 
Che  vi  aveva  albergato,  e  Vammazzd, 
Che  fu,  credo,  coltU,  da  chi  comprastila. 

TE.  Vammazzbf  TR.  Lo  rubd,  e  lo  sotterro 
Qui  nella  casa  stasia.  TE.  E  voi  da  che 
Lo  sospettate?  TR.  Ti  dird:  ascolta. 
Tomato  a  casa  una  sera  tuo  figUo, 
Dopo  di  aver  cenato  fuori,  tutti 
Andammo  a  coricarci,  e  ci  addormimmo. 
Per  accidente  i'nU  era  dimentico 
Di  spegner  la  lu^cema;  ed  ecco  che 
TiUto  a  un  tratt§  egli  alza  un  urlo  aUissimo. 

TK  OU  maif  mo  flglio  forse?  TR.  ZUto;  sta 
A  sentir  ora.  G  dice,  che  gli  era 
Comparso,  mentre  dormvaf  quel  morto. 
TE.  Goi,  mentre  dormiva?  TR.  Si;  ma  senti 
Ora,  ci  dice  che  quel  morto  aveagli 
Detto  cosu  TE.  In  sogno?  TR.  Oh  questa  i  Mlat 
GUel'avea  a  dtr  mentre  vegghiava,  uno 


X  -    PRBFAZIORB 

Ucciso  gid  da  sessant'anni  add^tro  f 
Oh,  eerie  volte  sconciamente  dm 
In  eerte  mellonaggini.  TE.  Non  parlo. 
TR,  Ecco  qui  quello,  che  colm  gli  disse, 
lo  sono  Diaponzio  forestiere, 
Di  paese  Ionian  di  Id  da  mare, 
Abito  qui:  questa  k  la  sede,  che 
Mi  fa  assegnata,  perchS  non  mi  voile 
Ricevere  PhUone  in  Acheronte, 
PoicM  mi  fu  tolta  la  vita  innanzi 
Tempo.  Sotto  la  huona  fede,  fui 
Tradito,  fiU  da  un  ospHe  ,qui  ucciso, 
E  poi  nascosamente,  senza  darmi 
SepuUura,  qui  istesso  sotterrommi 
Lo  scellerato,  per  tormi  i  danari. 
Sgombera  or  tu  di  qui :  questa  d  una  casa 
Empia,  e  lo  abitarvi  i  un'empietd, 
A  malo  stento  ti  potrei  narrare 
In  un.  anno  quel  che  fan  qui  gli  spiriU. 
ZUto,  %it  TE.  Deh,  che  i  statot  TR.  Hointeso  certo 
Romore  cUVuscio.  Uavesse  mai  urto 
Costui?  TE.  lo  non  ho  piu  goccia  di  sangue. 
Mi  chiaman  vivo  in  AcherOnte  i  morti. 

Demmo  quasi  intera  questa  scena,  secondo  la  tradusse 
primamente  TAngelio,  percbd  si  compari  con  la  scena  degli 
spirit!  neWAridosio. 

Nd  solo  Lorenzino  attinse  alia  MosteUaria  di  Plauto,  ma 
eziandio  sAVAuluktria  o  allMcaro.  —  n  suo  Aridosio  h  il 
capro  espiatorio  dei  peccati  di  tutti  1  personaggi;  egli  d 
spayentato  con  gli  spiriti,  rubato  del  suotesoro,  truffato 
d'un  aneUOy  deluso  dal  flglio  e  befliato  dal  serva  —  Infine 
T\bk  i  daiaii  e  si  consola.  —  6  il  vero  protagonista  e  dk 
giostamente  11  titolo  alia  commedia.  —  Intorno  a  loi  si 
STOlgODO gl'intrecci  degli amori  de'giovani;  di  Tiberiocbe 
juua  Liria.  fuiciulla  presa  nelle  goene  di  MUano  e  CMa 


PaBFAZlOMB  XI 

schiaya  del  Ruffo,  e  poi  si  trova  esserfiglia  di  un  Messer 
Alfonso,  dabben  uomo  di  Tortona;  dl  Erminio,  che  ama  una 
giovane  di  monastero,  non  velata,  e  che  onoratamente  la 
sposa:  se  non  clie  eziandio  in  questo  amore  onesto  si 
sente  il  capriccio  di  Lorenzino  pei  chiostri,  ove  dovea  tanto 
impenrersare  insieme  a  lui  il  duca  Alessandro;  di  Cesare 
per  la  flglia  di  Aridosio.  Lucido  6  bene  il  servo  affrancato 
pei  vizj  de'suol  signori  e  un  po'  padrone:  Paulino  il  servo 
monello.  —  Le  donne  non  ispiccano  gran  fatto:  senelevi 
Mona  Pasquina,  che  Paulino  maltratta  non  senza  spirito: 
e  questi  contrasti  di  attempate  ancor  dedite  agli  amori  e 
di  giovani  che  le  schemiscono  son  frequenti  nei  nostri 
comici,  e  ve  n'6  un  esempio  ancor  piu  vivo  nella  Pelle- 
grina  di  Girolamo  Bargagli  fra  Targhetta  servo  e  Yiolante 
albergatrice.  —  Sono  battibecchi  pieni  di  equivoci  osceni, 
che,  sebbene  f rizzino,  ora  non  si  potrebbero  tollerare. 

II  Varchi,  che  pure  introdusse  una  vecchia  mezzana  e 
una  cortigiana  nella  sua  Suocera,  affermava  che  le  piu  di- 
soneste  e  le  piu  inutili  composizioni  che  al  suo  tempo  fos- 
sero  nella  lingua  nostra  erano  le  commedle,  perciocch6  po- 
chissime  eran  quelle  che  non  facessero  non  solo  vergognar 
le  donne ,  ma  arrossire  gli  uomini ,  non  del  tutto  immo- 
desti.  «  /n/ino  ai  piu  vili  ariefici,  continua  egli  in  quel 
plagnisteo  che  sotto  il  nome  di  proemio  manda  innanzi  a 
queUa  commedia,  dico  di  quegli  che  non  sap^ano,  non  che 
aUro,  leggere,  o  quello  che  si  fosse  commedUa,  si  mettevano 
a  famej  e  bastava  lor  I'animo  non  pur  di  fornirle  e  farle 
recitare,  ma  ancora  di  stamparle.  » 

Anche  per  V Aridosio  vale  il  giudizio  che  port6  11  Gin* 
guend  della  commedia  nostra  del  500.  —  « Outre  le  scandale 
des  choses  ei  des  mots  elle  donncUt  trop  a  Vintrigue  et  irop 
peu  aux  caractires,  quoique  les  ca/racteres  y  soient  souvent 
mis  en  jeu  par  Vintrigue  et  contribuent  mime  quelquefois  a 
lanouer  et  a  la  conduire;  elle  copiait  servUement  des  for- 
mes et  des  ressorts  d'action,  qui  n'avaient  plus,  dans  le  temps 
modeme,  la  mSme  vraisemblance  que  che%  hs  anciens  et 


XII  PRBFAZIONI 

ne  pouvaient  plus  par  consequent  produire  les  mSmes  effets.  • 
Dai  document!  che  corredano  il  FILIPPO  STROZZI,  tra- 
gedia  di  G.  B.  Niccolini,  nell'edizione  florentina  del  1847, 
abbiamo  tratto  tre  lettere  di  Lorenzino,  poflendo  prima, 
senza  badare  alia  data,  queila  a  Francesco  di  Raffaello  dei 
Medici,  germe,  a  dir  cosi,  deW Apologia  e  che  pertanto  le 
fu  premessa  nell'edizione  pisana  del  1^18,  ove  poi  ba  la 
data  del  5  febbraio  1536,  e  non  del  5  febbraio  1537  come 
nella  fiorentina  da  noi  seguita;  e  pare  la  vera,  essendo  an- 
che  nella  ristampa  che  ne  fu  fatta  nel  terzo  volume  delle 
Slorie  del  Varchi  nell'edizione  del  Milanesi.  Quests  lettere 
non  ci  paiono  perfette  di  lezlone;  ma  non  ci  attentammo 
toccarle ;  nd  di  lezione  perfetta  ^  certo  la  lettera  di  Filippo 
Strozzi  a  Lorenzino,  che  noi  aggiungemmo  all'altre,  siccome 
queila  che  rischiara  in  alcun  punto  le  azioni  e  grinteressi 
di  liii.  Per  la  prima  diamo  in  fine  alcune  varianti  tratte 
dalla  detta  edizione  del  Milanesi.  Ricopiammo  le  note,  in- 
vero  di  non  grande  rilievo,  onde  si  studJ6  illustrarle  Pie- 
tro  Bigazzi,  pi  a  valente  indagatore  che  critico  espositore 
di  antichi  scritti :  ma  benemerito  coadiutore  dei  Niccolini 
e  dei  Libri.  Di  una  lettera  di  Lorenzino  alia  Signoria 
parla  il  Cantti  nelle  sue  belle  Spigolature  negli  ArchivJ 
toscanif  pubblicate  nel  fascicolo  76  (marzo  1860)  della  Rivi- 
sta  contemporanea  di  Torino,  e  noi  ne  facciamo  ricerca , 
per  daria  a  suo  tempo,  nella  nostra  Bassegna  retrospelHva, 
Da  queste  Spigolature  abbiamo  tolto  U  Racconto  delta 
morte  di  Lorenzo  de' Medici  fatto  dal  capitano  Francesco  da 
Bihbona  che  la  procurd  ed  effettudj  supplendolo  e  rettifican- 
dolo  con  I'aiuto  del  testo  che  ne  aveva  pubblicato  fin  dal 
1846  Carlo  Morbio  nel  sesto  volume  delle  sue  Storie  dei 
Municipj  itaUani,  e  che  fu  ignoto  al  Cantik.  II  testo  del 
Morbio  6  piii  reciso,  ma'meno  esatto  dell'altro;  se  non  che 
sono  in  tutti  e  due  o  manifesti  errori,  o  meno  felici  va- 
rianti, e  ne  notammo  alcune  a  pie'di  pagina  perdarun'i- 
dea  del  valore  di  essi  test!  che  segnammo  con  le  lettere  M. 
6  C  inlziali  del  casato  dei  lore  pubblicatori,  di  varia  faooa. 


PRBPAZIOIfB  dim 

ma  run  e  raltro  dottissiuii,  11  Morbio  singolarmente  gen- 
tile, prodigo  de'  suoi  libri  e  de'  suoi  studj  e  d'una  cortesia 
pari  al  sapere. 

L'uccisore  di  Giuliano  de'MedicI,  Bernardo  Bandini,  in- 
Tanorifuggito  a  Ck)stantinopoli,  era  stato  ucciso  un  anno  dopo 
il  fatto;  11  26  febbraio  del  1548  Lorenzo  fu  ucciso  a  Ve- 
nezia  dodici  anni  dopo  la  morte  del  Duca  Alessandro  (6  Gen* 
naio  1536).  II  tirannicida  era  uno  spavento  intoUerabile 
ai  tiranni  d'ltalia.  Cesare  stimolava  pe*  suoi  oratori,  pe'suoi 
goveraatori  I'animo  di  Gosimo,  gik  troppo  desto  e  pronto  a 
vendetta  —  Era  un  morbo  da  spegnere  e  gli  agent!  del  Duca 
ne  cercavano  Tanima  con  una  fame  da  belve.  II  Bruto  to- 
scano  era  un  Giuda  per  essi ;  un  Giuda  piu  detestabile  del- 
I'antico,  perchS  avea  con  le  sue  man!  dato  di  piglio  nel 
sangue,  e  se  il  suo  nome  ricorre  dieci  volte  nelle  loro  let- 
tere  dieci  volte  lochiamano  Lorenzo  traditore,  Chiasso  del 
traditore  si  nom6  la  via  fatta  dairatterram^nto  di  una 
parte  della  casa  di  Lorenzino  quando  il  Magistrate  degli 
Otto  di  balia  ne  fece  tagliare  sedici  braccia  dal  tetto  ai 
fondamenti.  E  crescendo  Tossequio  e  confermandosi  Tabito 
del  servire,  un  Lorenzo  Ghihelllni  compose  II  crudele  e  gra- 
ve  lamento  che  fra  se  fa  Lorenzino  de'  Medici  ch'  ammazzo 
ViUustrissimo  duca  Alessandro  de'  Medici j  e  stampatosi  nel 
1543  si  ristamp6  nel  1601  con  una  figura  di  diavolo  incisa 
in  legno,  ch'esce  di  Lorenzino,  secondo  ci  aflferma  un  bi- 
bliografo,  volendo  dimostrare  essere  11  tirannicidio  cosa  in- 
female,  e  strazio  di  ravveduta  coscienza. 

11  Gant(i  trasse  altri  brani  dagli  ArclUvj  toscani  intomo 
airammazzamento  di  Lorenzo;  e  non  bene  concord!.  —Se 
non  cbe  la  relazione  del  Bibboni  ci  pare  la  piii  autorevole; 
solo,  tacendos!  in  questa  quel  che  facesse  Bebo,  togliamo 
da  un'informazione,  che  il  Gantu  trov6  in  una  lettera  di 
Luca  Martelli  al  Yarchi,  in  data  del  1548,  un  passo  che 
mette  in  rilievo  Topera  di  quel  meno  avventuroso  sicario. 
«  Andarono  a  Venezia,  e  tentarono  ammazzarlo  piil  volte 
ma  non  riusci  loro,  e  perebd  le  spade  erano  vedute,  e  i  pu- 


XtV  '  PREFAZIOXB 

gnali  doveva  parer  loro  pericoloso  quantunque  fossero 
av>elefiati,  si  risolverono  finalmente  pigliare  due  pistolesi, 
pur  awenelati.  E  perchd  Lorenzino  andava  m  una  chiesa 

0  alia  predica  o  alia  messa  assai  fuor  di  mano,  ove  flni- 
vano  due  vie  a  guisa  di  triangolo,  che  stando  dentro  in 
chiesa  amendue  si  vedevano,  si  risolverono  che  Ceccbino 
si  fennasse  fuori  e  Bebi  in  chiesa.  E  perch^  meglio  gli  riu- 
scisse  e  con  minore  sospetto,  Cecchino  si  ferm6  facendo 
vista  di  comprare  certe  scarpe  a  un  calzolaio,  e  tanto  ivi 
si  trattenne  che  Lorenzino  pass6  in  compagnia  di  Alessandro 
Soderini.  E  passato  che  fu,  Cecchino  and6  alia  volla  loro. 

1  quali  voltatisi  a  Cecchino,  Bebi  in  questo  uscito  di  chiesa 
e  andato  alia  volta  di  Lorenzino,  tiratogli  un  colpo,  gli 
divise  la  testa  con  quel  pistolese,  onde  cadde  morto  di 
subito.  E  voltatosi  al  Soderino  che  aveva  cacciato  mano , 
Cecchino  disse  che  non  erano  quivi  per  lui ,  ma  facendo 
pure  forza ,  restd  ferito  leggermente  in  una  mano ,  della 
quale  ferita  ancorche  piccola,  perch^  awelenato  il  pugnale, 
se  ne  mori. » 

L'orazione  del  Molza  contro  Lorenzino  per  aver  tagliato 
le  teste  a  molte  figure  antiche  dell'Arpo  di  Costantino  e 
d'altri  luoghi  di  Roma  6  piuriccad'ingiurieched*eloquenza; 
ma  nel  latino  ritiene  una  venustit  che  disparve  in  gran 
parte  nello  stile  affaticatoeambiziosodeltraduttore,  Giulio 
Bernardino  Tomitano.  Scampate  leforche,  minacciateal  nuovo 
Alcibiade  mutilatore  delle  sacre  erme.  Lorenzo  s'ebbe  due 
band!  pubblici,  uno  dai  Caporioni,  che  non  potesse  stare 
in  Roma  mai  piu,  I'altro  dal  senatore,  che  chiunque  I'uc- 
cidesse  in  Roma  non  solo  esser  non  dovesse  ponito  ma  pre- 
miato,epergiuntarinvettiva  del  Molza  neirAccademla  ro- 
mana.  Senonchd,  quandoegliebbeucciso  il  Duca  Alessandro, 
il  Molza,  dice  il  Yarchi,  pentendosi  deli*orazione  fattaglS 
contra  e  quasi  ridicendosi,  fece  in  onor  suo  questo  bellis- 
simo  epigramma: 


prbfaziouk  xf 

Invimm  ferro  Laurens  dum  percuUt  hostem. 
Quod  premeret  patrice  libera  colla  swb; 
Te  ne  hie  nunc,  inqwt,  paUar,  qui  ferre  tyranno$ 
Vix  oUm  Bonus  marmoreos  potuif 

e  raculeo  fu  ben  reso  dal  Varchi  cosi: 

Dunque  ch'io  soffra  te  qui  vivo  awisi 
Che  i  tiranni  di  marmo  in  Roma  uceisif 

E  negli  archivj  toscani  ilCantikyide  epitafl},  sonetti,«pi- 
grammi,  a  yituperio  del  defunto  ed  encomio  dell'uccisore; 
tanto  piaceva  e  place  In  Italia  la  conclusicme  dl  Lorenzino 
ehe  i  UranrU  in  qualunque  modo  e*  s'ammazzino,  siano  hen 
morti,  ^ 

CARLO  TEOLL 


I  / 


APOLOGIA 

M 

LORENZINO  DE'  MEDICI 


Un^tnz.  de'MedUi  1 


APOLOGIA 


Se  io  ayessi  a  giustificare  le  mie  azionf  appresso  di  cch 
loTO  i  quali  non  sanno  che  cosa  sia  libertli,  o  tirannide, 
Io  m'iDgegnerei  di  dimostrare  e  provare  con  ragioni ,  che 
molte  sono,  cbe  gli  uomini  non  debbono  desiderare  cosa 
piu  del  yiver  politico,  e  in  libertk  per  conseguenza;  tro- 
yandosi  la  polizia  piu  rara  e  manco  durabiie  in  ogni  altra 
sorte  di  goyemo,  che  nelle  repubbliche;  e  dimostrerei  anr 
cora,  com'essendo  la  tirannlde  totalmente  contraria  al  yiyer 
politico,  che  e*  debbono  parUnente  odiarla  sopra  tutte  le  cose ; 
ecom'^li  6  tanto  piu  preyaluto  altre  yolte  questa  opinione, 
ehe  quelli,  che  hanno  liberata  la  loro  patria  dalla  tiran- 
nide,  sono  stati  reputati  degni  de'  secondi  onori  dopo  gli 
edificatori  di  quella.  Ma  ayendo  a  parlare  a  chi  sa ,  e  per 
ragione  e  per  pratica,  che  la  liberty  S  bene,  e  la  tirannide 
^  male,  presnpponendo  questo  uniyersale,  parler6  pirtico- 
larmente  della  mia  azione,  non  per  domandarne  premio 
o  loda,  ma  per  dimostrare  che  non  solamente  io  ho  fatto 
qnello  a  che  d  obbligato  ogni  buon  cittadino,  ma  che  io 
are!  mancato  ed  alia  patria  ed  a  me  medesimo^  se  io  non 
Tayessl  fatto. 


4  LORERZINO  DK' MEDICI 

E  per  comincjarmi  dalle  cose  pid  note,  io  dico  cbe  non. 
^  alcuno  che  dubltl,  che  il  daca  Alessandro  (cbe  si  chia* 
mava  de'  Medici)  non  fosse  tiranno  della*  nostra  patria,  se 
gi^  non  son  quelli  che  per  fayorirlo,  e  per  tener  la  parte 
sua,  ne  divenissero  riccbi;  i  quali  non  potevano  per6  es- 
sere  tanto  ignorantl  nb  tanto  accecati  dairutilit^  cbe  noa 
conoscessero  cb'egli  era  tiranno.  Ma  percbS  ne  tomava  bene 
a  loro  in  particolare,  curandosi  poco  del  pobblico,  segui- 
tavano  quella  fortuna;  i  quali  in  yero  erano  uomini  di 
poca  qualltl^  ed  in  poco  numero,  tal  cbe  non  possono  in 
alcun  modo  contrappesare  al  resto  del  mondo,  cbe  lo  re^ 
putava  tiranno,  nd  alia  veritii :  perch^  essendo  la  cittk  dS 
Firenze  per  antica  possessione  del  suo  popolo,  ne  seguita,, 
cbe  tutti  quelli  cbe  la  comandano,  cbe  non  sieno  eletti  dai 
popolo  per  comandarla,  sien  tiranni,  come  ba  fatto  la  casa 
de'Medici,  la  quale  ba  ottenuta  la  superiority  della  nostra 
cittk  per  molti  anni  con  consenso  e  partecipazicme  della 
minor  parte  del  popolo:  ma  con  tutto  questo  ebbe  ella  mai 
autoritii,  se  non  limitata,  insino  a  tanto  cbe  dopo  molte 
alterazloni  e  mutazioni  di  govemi  venne  papa  Clemente,. 
con  quella  violenza  cbe  sa  tutto  11  mondo,  per  privare  dl 
liberty  la  sua  patria,  e  fame  questo  Alessandro  padrone; 
11  quale,  giunto  cbe  fu  in  Firenze,  percbd  non  si  avesse  a 
dubitare  s'  egli  era  tiranno,  levata  via  ogni  civiltk  e  ogai 
reliqoia  e  nome  di  repubblica,  e  come  se  fusse  necessario 
per  essere  tiranno  non  esser  men  empio  di  Nerone,  n^  meno 
odiatore  degli  uomini  e  lussurioso  di  Caligola,  nd  meno 
crudele  di  Falari,  cerc6  di  superare  la  scelleratezza  dl  tutti; 
percbd  oltre  alle  crudeltk  usate  ne'cittadini,  cbe  non  furono 
punto  inferior!  alle  loro,  e'superd  nel  far  morire  la  madre 
I'empietk  di  Nerone,  percbd  Nerone  lo  fece  per  timore  dello 
Stato  e  della  vita  sua,  e  per  prevenira  quello  cbe  dubitava 
che  fosse  fatto  a  bii;  ma  Alessandro  commesse  tale  scelle- 
ratezza solo  per  mera  crudeltk  e  inumanit^,  come  io  dir6 
appresso.  N6  fu  punto  inferiore  a  Caligola  col  vilipendere, 
liefliare  e  straziare  i  cittadini  con  gli  adulteril  e  con  l» , 


APOLOGIA  5 

violenze,  con  parole  Yillane  e  con  minacce,  che  sono  agli 
uomini,  che  stiman  V  onore,  pid  dure  a  sopportare  cbe  la 
morte,  con  la  quale  al  fine  11  perseguitaya.  Super6  la  cm- 
deltk  di  Falari  di  gran  lunga,  perch^  dove  Falari  punl  con 
:giusta  pena  Perillo  della  crudele  Invenzione  per  tormen- 
tare  e  far  morire  gli  uomini  miseramente  nel  Toro  di  bronzo, 
ai  pud  p^isare  che  Alessandro  Tarebbe  premiato,  se  fosse 
^tato  al  suo  tempo,  paich^  egli  medesimo  escogitava  nuove 
sorti  di  tormentl  e  di  morti,  come  murare  gli  uomini  vivi 
in  luoghi  cost  angusti,  che  non  si  potessero  nd  voltare,  n^ 
mutare,  ma  si  potevan  dire  murati  insieme  con  le  pietre 
e  co*mattoni,  e  in  tale  stato  gli  faceva  nutrire  miseramente 
e  allungare  rinfelicit^  loro  piii  ch'era  possibile,  non  si  sa- 
ziando  quel  mostro  con  la  morte  sempllce  de*suoi  cittadlni; 
tal  che  i  sett'  anni,  ch'  egli  visse  in  pnncipato,  e  per  libi- 
dine,  e  per  avarizia  e  crudeltk ,  e  per  empietk  si  posson 
eompararecon  sett'altrl  dl  Nerone,  di  Caligola  e  di  Falari, 
scegliendoli  per  tutta  la  vita  loro  i  piu  scellerati,  a  pro- 
porzione  per6  della  cittk  e  dell'imperio;  perehd  si  trover^ 
in  si  poco  tempo  essere  stati  cacciati  dalla  patria  loro  tanti 
cittAdini,  e  perseguitati  e  morti  poi  moltissimi  in  esillo, 
tanti  essere  stati  decapitati  senza  processo  e  senza  causa, 
«  solamente  per  yani  sospetti  e  per  parole  di  nessuna  im- 
portanza,  altri  essere  stati  ayyelenati  e  morti  di  sua  mano 
propria,  0  da'sua  satelliti,  solamente  per  non  ayere  a  yer- 
gognarsi  di  certi,  che  Tayeyano  yeduto  neUa  fortuna  in 
ch'egli  era  nato  e  alleyato;  e  si  troyeranno  in  oltre  essere 
state  fatte  tante  estorsioni  e  prede,  essere  stati  commessl 
tanti  adulterii,  e  usate  tante  yiolenze,  non  solo  nelle  cose 
profane,  ma  nelle  sacre  ancora,  ch*egli  apparirli  difficile 
a  giudicare  chi  sia  stato  piii  o  scellerato  ed  empio  il  ti* 
ranno,  o  paziente  e  yile  11  popolo  fiorentino,  ayendo  sop- 
portato  tanti  anni  cosi  gray!  calamitk ,  essendo  massime 
aUora  piii  certo  il  pericolo  nello  starsi ,  che  nel  mettersi 
eon  qualche  speranza  a  liberar  la  patria  e  assicurar  la 
¥ita  loro  per  Tayyenire.  Per6  qaelli  che  si  pensassero,  che 


6  LORBNZIIIO  DK'HEDia 

Alessandro  non  si  dovesse  chiamar  tiranno,  per  essere- 
stato  messo  in  Firenze  daU'Imperatore,  qual  6  opinions 
che  abbia  autoritk  d'investire  degli  Stati  chi  gli  pare,  s'in* 
gannano,  perch^  quando  I'Imperatore  abbia  cotesta  autorit^^ 
egli  non  Tha  da  fare  senza  giusta  causa,  e  nel  particolare 
di  Firenze  ei^li  non  lo  poteva  fare  in  nessun  modo,  essen- 
dosi  ne'capitoli  cbe  fece  col  popolo  fiorentino  alia  fine  del- 
I'assedio  del  1530  espressamente  dichiarato  ch'ei  non  po- 
tesse  mettere  quella  citU  sotto  la  servitCi  de'Medici;  oltre 
Che,  quando  ben  rimperatore  avesse  avuto  autoriU  di 
farlo,  e  Tavesse  fatto  con  tutte  le  ragioni  e  giustificazioni 
del  mondo,  tal  ch'  ei  fusse  stato  plii  legittimo  principe 
Che  non  d  il  re  di  Francia,  la  sua  vita  dissoluta,  la  sua 
avarizia  e  la  sua  cnideltit  lo  ayrebbono  fatto  tiranno» 
U  che  si  pu6  manifestamente  conoscere  per  r  esempio  di 
lerone  e  di  leronimo  siracusani ;  del  quali  V  uno  fu  chia- 
mato  re,  e  Taltro  tiranno;  perchd  essendo  lerone  di  quella 
santit^  di  vita  che  testiflcano  gli  scrittori,  fu  amato  men-» 
tre  che  e'  yisse,  e  desiderato  poi  che  fu  morto  da'suoi  cit- 
tadini;  ma  leronimo  suo  figliuolo,  che  poteva  parere  pid 
confermato  nello  Stato,  e  piil  legittimo  mediante  la  succes- 
sione,  fu  per  la  sua  trista  vita  cosi  odiato  dai  medesimi 
cittadini,  ch'e*  visse  e  mori  da  tiranno;  e  quelli  che  Taomiaz* 
zomo  furono  lodati  e  celebrati;  dove,  s*eglino  avessero 
morto  il  padre,  sarebbono  stati  biasimati  e  reputati  par- 
ricidi;  si  che  i  costumi  son  quelli  che  fanno  di  venire  i 
principi  tiranni  contro  a  tutte  le  investiture,  tutte  le  ra- 
gioni e  succession!  del  mondo.  Ma  per  non  consumar  piu 
parole  in  provar  quello  ch'  d  pi£i  chiaro  del  sole,  vengo  a 
risponder  a  quelli  che  dicono ,  ancorch^  e*  fusse  tiranno, 
che  io  non  lo  dovevo  ammazzare,  essendo  io  suo  servitore, 
del  sangue  suo,  e  fidandosi  egli  di  me;  i  quali  non  vorrei 
che  portassero  altra  pena  d^rinvidia  e  malignity  loro,  se 
non  che  Dio  gli  facesse  parent!,  servidori  e  confident!  del 
tiranno  della  patria  loro,  se  non  ^  cosa  troppo  empia  de- 
jlderare  tanto  male  ad  una  citt&  per  colpa  di  pochi;  poich^ 


APOtOOIA  7 

cercano  di  oscurare  la  buona  intenzione  coa  qttesto  ea^ 
liumie,  cbe  quando  le  fussin  vere,  non  arebbon  esse  forza 
alcana  di  farlo;  e  tanto  piu,  che  io  sostengo  cbe  io  noa 
fui  mai  servitore  di  Alessandro,  n^  egli  era  del  miq  i^an- 
gue,  0  mio  parente,  e  prover6  cbe  ei  non  si  fld6  mai  di 
me  YOlontariamcnte.  In  due  modi  si  pu6  dire  cbe  uno  sia 
servo  0  servitore  di  un  altro:  o  pigliando  da  lui  premio 
per  servirlo  e  per  essergli  fedele,  o  essendo  suo  sebiavo, 
percbd  i  sudditi  ordinariamente  non  son  compresi  sotto 
questo  nome  di  servo  e  di  servitore.  Che   iq  non  fussi 
sebiavo  di  Aiessandro  ^  cbiarissimo,  si  come  d  cbiaco  an- 
cora  (a  cbi  si  cura  di  saperlo)  cbe  io,  non  solo  non  rice- 
vevo  premio  o  stipendio  alcuno,  ma  che  io  pagayo  a  liu 
la  mia  parte  delle  gravezze,  come  gU  altri  cittadini;  e  se 
egll  credeva,  cbe  io  fussi  suo  suddito  o  vassallo,  perob'cgli 
poteva  pill  di  me,  e'dovette  conbscere  cb*ei  s'  ingannav* 
quando  noi  fummodei  pari;  si  cbe  io  non  fui  mai  ne  po? 
tevo  essere  cbiamato  suo  servitore.  Cbe  egli  non  fiisse  ) 
deUa  casa  dei  Medici  e  mio  parente,  ^  manifesto,  peicbe 
era  nato  di  una  donna  d'  iniimo  e  vilissimo  stato ,  da 
Colle  Veccbio,  in  su  quel  di  Roma,  cbe  serviva  i|i  casa  ^ 
il  duca  Lorenzo  agli  ultimi  servizii  della  casa,  eU  era  ma- 1 
ritata  a  un  vetturale,  e  infln  qui  6  manifestissimo.  Dubi-i 
tasi,  se  il  duca  Lorenzo,  in  quel  tempo  cb'egli  era  fuoruf 
scito,  ebbe  cbe  fare  con  questa  serva;  e  s'egli  accadde,  ac- 
cadde  non  piu  d'una  volta;  ma  cbi  6  cosi  imperiio  del 
consenso  degU  uomini  e  della  legge,  cb'ei  non  sappia,  cbe 
quando  una  donna  ba  marito  e  cb*ei  sia  dove  lei,  ancora 
cb'ella  sia  trista,  e  cb'ella  esponga  il  corpo  suo  alia  libi- 
dine  di  ognuno,  cbe  tutti  i  figliuoU  cbe  eUa  fa,  soa  sem- 
pre  giudicati  e  sono  del  marito ,  percb6  le  leggi  v^tiono 
conservar  Vonestk  quanto  si  pud?  Se  adunque  quesia  serva 
da  CoUe  Veccbio  (della  quale  non  si  sa,  per  la  sua  nobill^, 
nd  nome  n6  cognome)  era  mariuta  a  un  vetturale,  e  questo 
6  manifesto  e  noto  a  tutto  il  mondo,  Aiessandro,  secoado  e  le 
leggi  umanee  le  divine,  era  flgliuolo  di  quel  vetturale  e  non 


S  LORENZINO  0E*NI01CI 

del  duca Lorenzo;  tantoch*egH  non  aveva  meco  altrointe- 
resse,  de  non  che  era  flgliuolo  di  un  vettarale  di  casa  Medici. 
Ch*egU  non  si  fldasse  di  roe,  lo  provo,  perclid  non  voUe  mat 
acconsentire  cbe  io  portassi  armJ,  ma  mi  tenne  sempre  disar- 
mato,  come  faceva  agli  altri  cittadini,  i  quali  egli  aveva  tutti 
sospetti.  Oltre  a  questo  mai  si  fid6  meco  solo,  ancor  che  io 
fussi  sempre  sens'armi,  ed  egli  armato,  che  del  continao 
aveva  seco  tre  o  <}uattro  de'suoi  satelliti;  n§  quella  notte 
che  fu  Tultima,  si  sarebbe  fldato,  se  non  fusse  stata  la 
^renata  sua  libidine,  che  raccec6  e  lo  Sece  mutare,  contro 
a  suo  proposito,  voglia.  Ma  come  poteva  egli  essere,  ch'egli 
si  fldasse  di  me,  se  non  si  fl46  mai  d'uomo  del  mondo? 
percfa^  non  amd  mai  persona,  e  ordinariamente  gli  uomini 
non  si  posson  fldare  se  non  di  quelli  che  amana  E  che 
e*  non  amasse  mai  persona,  anzi  ch'egli  odiasse  ognimo,  si 
conosce  poi  ch'egli  odi6  e  perseguit6  con  veleni,  e  sino 
alia  morte,  le  cose  piCi  propinque  e  che  gli  dovevano  esser 
piu  care,  cio6  la  madre  ed  il  cardinale  Ippolito  de'Medici, 
ch'era  riputato  suo  cugino.  Io  non  vorrei  che  la  grandezza 
deUe  scelleratezze  vi  facesse  pensare  che  queste  cose  fus- 
sono  finte  da  me  per  dargli  carico,  perch^  io  son  tanto 
lontano  dairaverle  Ante,  che  io  le  dico  piik  sempllcemente 
«be  io  posso,  per  non  le  fare  piu  incredibili  di  quelk)  che 
elle  sono  per  lor  natura.  Ma  di  questo  c'^  inflniti  testi- 
mooi,  infinite  esamine,  la  fama  fresehissima,  d'onde  si  sa 
per  cerus  che  questo  roostro,  questo  portento,  fece  av- 
velenare  la  propria  madre,  non  per  altra  causa,  se  non 
che,  vivendo,  la  faceva  testimonianza  della  sua  ignobilit^; 
perch^  ancorchd  fusse  stato  molti  anni  in  grandezza,  egli 
raveva  lasciata  nella  sua  poverty  e  ne'suoi  esercizii  a 
lavorar  la  terra  insin  a  tanto  che  quei«cittadini,  che  avean 
fkiggita  dalla  nostra  citt^  la  crudeltk  e  avarizia  del  tiranno 
insieme  con  quelli  che  da  lui  n'^^no  stati  caociati,  volsero 
menare  all'Imperatore  a  Napoli  questa  sua  madre,  per  mo- 
strart  a  sua  Maestk  d'ond'era  nato  colui  il  quale  ei  com- 
portav*  che  comandasse  Fhrenze.  Allora  Alessandro,  non 


APOLOGIA  9 

scordatosi,  per  la  vergogna,  della  pieUi  e  dell*amor  debito  | 
alia  madre  (quale  egll  non  ebbe  mai),  ma  per  una  sua  | 
innata  crudeltk  e  feriUi,  commesse,  che  sua  madre  fusse  f 
morta  avanti  cb'ella  andasse  alia  presenza  di  Cesare;  11; 
€be  quanto  gli  fusse  difficile,  si  pu6  considerare,  immagi- 
nandosi  una  povera  veccbia  cbe  stava  a  fllare  la  lana,  e , 
a  pascer  la  pecore :  e  s*ella  non  sperava  piu  ben  nessuno  : 
da]  suo  figliuolo,  almeno  la  non  temeva  cosa  si  inumana  < 
e  si  orrenda;  e  se  ei  non  fusse  stato  oltre  al  piii  crudele  .' 
il  piu  insensato  uomo  del  mondo,  ei  poteva  pure  condurla  i 
in  qualcbe  luogo  segretamente,  dove  se  non  Tavesse  voluta  .. 
tener  da  madre^  la  poteva  tener  almanco  viva,  e  non  vo-  | 
ler  all'ignobilit^  sua  aggiungere  tanto  vituperio  e  cosi  ne-  i 
fanda  seelleratezza.  E  per  tornar  al  proposito  io  concludo,  ^ 
cbe,  poicbe  lui  non  amo  n^  sua  madre,  nd  il  cardinale 
de' Medici,  n^   alcuno  altro  di  quelli  cbe  gli  erano  pii^ 
congiunti,  e' non  am6  mai  alcuno,  e  per  conseguenza 
non  si  M6  mai  di  nessuno;  percb^  come  io  bo  detto,  non 
ci  |(k)ssiamo  noi  fidare  di  quelli  cbe  non  amiamo,  si  cbe 
io  non  fui  mai  suo  servitore,  n^  parente,  n^  egli  mai  si  fid6  di 
me.  Ma  e'mi  par  bene,  cbe  quelli  cbe  per  esser  male  infor- 
mati,  0  per  qualcb*altro  rlspetto,  dicono  cb'io  bo  errato  ad 
ammazzare  Alessandro,  allegandone  le  sopraddette  ragioni, 
mostrino  esser  molto  manco  informati  delle  leggi  ordinate 
contro  e'tiranni,  e  delle  azioni  lodate  fra  gli  uominl,  cbe 
banno  morto  infino  i  propri  fratelli  per  la  llbertit  della 
patria:  cb^  se  le  leggi  non  solo  permettono,  ma  astringono 
il  flgliuok)  ad  accusare  il  padre  in  caso  cbe  ei  cercbi  di 
occupare  la  tirannide  della  sua  patria,  non  era  io  tanto 
piu  obbligato  a  cercar  di  iiberare  la  patria  gi^  serva  con 
la  morte  di  uno,  cbe  quando  ben  fusse  nato  di  casa  mia 
(cbe  non  era),  a  loro  modo,  sarebbe  stato  bastardo,  e  Ion- 
tano  cinque  o  sei  gradi  da  me?  E  se  Timoleone  si  trov6 
ad  ammazzare  il  proprio  fratelk)  per  liberar  la  patria,  a 
ne  fu  tanto  lodato  e  celebrato ,  cbe  na  d  ancora ,  percb^ 
averanno  questi  malevoll  autoritk  di  biasimarmi?  Ma  quanio 


40  LORERZINO  DE*  MEDICI 

all'  ammazzare  nnb  che  si  fldl  (il  che  io  non  dico  di  aver 
fatto),  dico  bene,  che  se^  io  1'  avessi  fatto,  io  non  arei  er- 
rato;  e  se  io  non  avessi  potutofare  altrimenti,  Tarei  fatto. 
Io  domando  a  questi  tali,  se  la  loro  patria  fusse  oppressa 
da  un  tiranno,  se  Io  chiamerebbono  prima  a  combattere^ 
o  se  gli  farebbono  prima  intendere  che  Io  volessino  am- 
mazzare, sapendo  di  aver  ancor  loro  a  morire,  o  vero,  se- 
cercherebbono  di  ammazzarlo  per  tutte  le  vie,  econ  tutti 
gringanni,  e  tattl  gli  stratagenmii,  purch*egli  restasse  morto^ 
e  loro  vivi  ?  Quanto  a  me,  io  penso  che  non  piglierebbono 
briga  di  ammazzarlo  n^  nell'un  modo  nb  nell'altro;  n6  si  pu6^ 
credere  altrimenti^  poiche  biasimano  chi  ha  preso  quel 
modo  ch'era  piu  da  pigliare.  Se  questo  consenso,  e  questa 
legge,  che  6  fra  gli  uomini  santissima,  di  non  ingannare^ 
chi  si  fida,  fusse  levata  via,  io  credo  certo  ch'  e'sarebbo 
peggio  essere  uomo  che  bestia,  perch^  gli  uomini  manche- 
rebbono  principalmente  della  fede,  dell' amicizia,  del  con- 
sorzio  e  della  maggior  parte  delle  qualitlt  che  ci  fanno  su- 
periori  agli  animali  bruti ,  essendo  nel  resto  una  parte  di 
loro  e  di  piu  forze  di  noi,  e  di  piii  vita,  e  maneo  sottoposta 
ai  casi  e  alle  necessity  umane.  Ma  non  per  questo  vale  la 
conseguenza,  che  questa  fede  e  questa  amicizia  si  abbia  da 
osservare  ancora  coi  tiranni,  perch^  siccome  loro  perver- 
tono  e  confondono  tutte  le  leggi  e  i  buoni  costumi,  cosi  gli 
uomini  sono  obbligati  contro  tutte  le  leggi  e  tutte  Tusanze 
a  cercar  di  levarli  di  terra,  e  quanto  prima  Io  fanno,  tanto- 
piu  sono  da  lodare.  Certo  sarebbe  una  buona  legge  per  i 
tiranni,  questa  che  vol  vorreste  introdurre,  ma  cattiva  per 
il  mondo,  che  nessuno  debba  offendere  il  tiranno  di  quelli 
in  cui  egli  si  Ada,  perchS  fldandosi  egli  di  ogni  uno,  non 
potrebbe  per  vigore  di  questa  vostra  legge  esser  offeso 
da  persona,  e  non  avrebbe  bisogno  di  guardie  o  fortezze; 
si  che  io  concludo  che  i  tiranni  In  qualunque  modo  e^si 
ammazzino,  sieno  ben  morti. 

Io  vengo  ora  a  rispondere  a  quelli  che  non  dicono  gik 
cbe  io  facessi  errore  d' ammazzare  Alessandro,  ma  che  io 


APOLOGIA  41 

errai  bene  nel  modo  del  procedere  dopo  la  morte;   ai 
quali  mi  sark  un  poco  piik  difficile  il  rispondere,  che 
agli  altri;  perchd  Tevento  pare  che  accompagni  la  loro 
opimone:  dal  quale  loro  si  muovono  totalmente,  senza 
avere  aitra  considerazione,  ancorchd  gli  uomini  savi  sieno 
cosi  alieni  dal  giudicare  le  cose  dagli  eventi,  che  eglino 
usino  lodare  le  buone  e  sayie  operazioni,  ancor  che  Teffetto 
sortisca  tristo,  e  biasimare  le  triste,  ancorchd  lo  sortiscana 
buono.  lo  voglio  oltre  a  questo  dimostrare,  che  io  non  po- 
tevo  fare  piu  di  quello  che  io  feci;  ma  ancor  se  io  tentava 
altro,  che  e'  ne  resaltava  danno  alia  causa ,  ed  a  me  bia- 
simo.  Dico  dunque  che  il  fine  mio  era  di  liberare  Firenze ; 
e  r  ammazzare  Alessandro  era  il  mezzo.  Ma  perchS  io  co- 
noscevo  che  questa  era  un'impresa  la  quale  io  non  potevo 
condur  solo,  e  comunicarlo  non  yolevo  per  il  pericolo  ma- 
nifesto che  si  corre  in  aUargare  cose  simili,  e  non  tanto 
della  vita,  quanto  del  non  le  potere  condurre  a  fine,  io  mi 
risolvetU  a  far  da  me  fin  che  io  potevo  fare  senza  compa- 
gnia,  e  quando  io  non  potevo  far  piQ  cosa  alcuna  da  me» 
allora  allargarmi  a  domandare  aiuto;  il  qual  consiglio  mi 
successe  felicemente  dno  alia  morte  d' Alessandro,  che  in- 
5ino  allora  ero  stato  sufficiente  a  far  quanto  bisognava ; 
ma  d'  allora  in  qua  cominciai  ad  avere  bisogno  d'aiuto^ 
perchd  mi  trovavo  solo,  senz'amici  e  confldenti,  e  non 
avevo  altra  arme  che  quella  spada,  con  che  io  Tavevo 
morto.  Bisognandomi  dunque  domandar  aiuto,  io  non  po- 
tevo piu  convenientemente  sperare  in  quelli  di  fuora,  che 
hi  quelli  di  Firenze;  avendo  visto  con  quanto  ardore  e  con 
quanto  animo  loro  cercavano  di  riavere  la  liberty  loro,  e 
per  ii  contrario  con  quanta  pazienza  e  viltk  quelli  ch'erano 
in  Firenze  sopportavano  la  servitCk;  e  sapendo,  che  gli 
erano  parte  di  quelli  che  nel  MDXXX  si  erano  trovati  a 
difendere  cosi  virtuosamente  la  loro  liberty,  e  che  il  restO' 
erano  fuorusciti  volontari;  d'onde  si  poteva  sperare  piii  in 
loio,  che  in  quelli  didentro:  poichd  quelli  vivevano  sotto 
la  tirannide,  e  questi  volevano  esser  pid  tosto  ribelll  che 


•   # 


42  LORENZIMO  DB*m01CI 

servi;  sapendo  ancora,  che  i  fuorusciti  erano  armati,  e 
quel  di  dentro  disarmatissimi ;  in  oltre  tenendo  per  certo, 
che  quel  di  fuora  volessero  tutti  unitamente  la  liberU,  e 
sapendo  che  in  Firenze  vi  erano  mescolati  di  queUi  che 
Yolevano  anco  la  tirannlde;  il  che  si  yedde  poi  che  vale 
11  giudicare  degli  event! ,  che  in  tutta  quella  cittit  in 
tanta  occasione  non  fu  chi  si  portasse,  non  dico  da  buon 
eittadino,  ma  da  uomo,  fuor  che  due  o  tre:  e  questi  tali, 
che  mi  biasimano,  par  che  cerchino  da  me  ch'io  aveva  ad 
andar  convocando  per  la  cittk  il  popolo  alia  libertii,  e  mo- 
strar  loro  il  tiranno  raorto;  e  vogliono,  che  le  parole  aves- 
sero  mosso  quel  popolo,  11  quale  conoscono  non  essere  stato 
mosso  da'  fatti.  lo  aveva  dunque  a  levarmi  in  ispalla  quel 
<x)rpo  morto  a  uso  di  facchino ,  e  andar  gridando  per  Fi- 
renze come  pazzo  ?  Dico  solo,  che  Piero  mio  servitore,  che 
nell'  aiutarmelo  ammazzare  si  era  portato  cosi  animosa- 
mente ,  dopo  il  fatto ,  e  poich*  egli  ebbe  agio  a  pensare  al 
pericolo  che  egli  avea  corso  e  che  ancora  poteva  correre, 
era  tanto  avvilito,  che  di  lui  non  potevo  disegnare  cosa 
alcuna.  £  non  ayevo  io  a  pensare,  sendo  nel  mezzo  della 
guardia  del  tiranno,  e  si  pu6  dire  nella  medesima  casa  dove 
erano  tutti  1  sua  servitori,  e  essendo  la  notte  per  sorte  un 
lume  di  luna  splendidissimo,  d'  avere  a  essere  oppresso  e 
morto  prima  che  io  avessi  fatto  tre  passi  fuor  della  porta? 
£  se  io  avessi  levatogli  la  testa,  ch^  quella  si  poteva  celar 
sotto  un  mantello,  dove  avevo  io  a  indirizzarmi^  essendo 
solo,  e  non  conoscendo  in  Firenze  alcuno,  in  che  io  confl- 
dassi  che  mi  arebbe  creduto?  perch^  una  testa  tagliata  si 
trasfigura  tanto,  che  aggiunto  il  sospetto  ordinario  che 
hanno  gli  uomini  di  essere  tentati  o  ingannati,  e  massime 
da  me,  che  ero  tenuto  di  mente  contraria  a  quella  ch'  io 
avevo,  potevo  pensare  di  trovar  prima  uno  che  mi  am- 
mazzasse,  che  uno  «he  mi  credesse;  e  la  morte  mia  in 
quel  caso  importava  assai ,  per  che  avrebbe  data  reputa- 
zione  alia  parte  contraria,  e  a  qoelli  che  volevano  la  ti* 
rannide,  potendo  parere  che  con  quel  moto  fusse  in  parte 


APOLOGIA  49 

la  morte  d' Alessandra  vendieata;  e  cosl  procedendo  per 

quel  verso,  io  potevo  piQ  nuocere  alia  causa,  che  giovare. 

Perd  io  fui  di  tanto  contraria  opinione  a  quella  di  costoro, 

che,  non  che  Io  pubblicassi  la  morte  d' Alessandro,  cereal 

di  occultarla,  e  piu  ch*io  potetti,  in  quelFinstante,  e  portal 

meco  la  chiave  dl  quella  stanza  dov'egli  era  rimastomorto; 

come  quello  che  arei  voluto,  se  fusse  stato  possibile,  che 

in  on  med^imo  tempo  si  fusse  sooperto  che  il  tiranno  era 

morto,  e  inteso  che  i  fuonisciti  s'erano  mossi  per  venire 

a  rlcuperare  la  liberty;  e  da  me  non  rest6  che  cost  non 

fusse.  Certi  altri  dicono,  ch'io  dovevo  chiamare  la  guardia 

del  tiranno,  e  mostrargtielo  morto,  e  domandar  loro  che 

mi  conservassero  in  quello  stato  come  successore,  e  in 

somma  damU  loro  in  preda;  e  di  poi^  quaado  le  cose 

fussero  state  in  mio  potere,  che  io  avessi  restituita  la  re- 

pubblica,  come  si  convenira.  Questi ,  che  la  discorrono 

per  questo  verso,  almanco  conoscono  che  nel  popolo  non 

era  da  confidare  in  conto  alcuno;  ma  e'non  conoscono  gi^ 

che  se  quel  soldati  in  quel  primi  moti,  e  ptr  il  dolore  di 

veder  li  morto  il  suo  signore,  avessero  morto  me,  come  d 

v«risimile  che  egli  arebbon  fatto,  che  io  arei  perso  insieme 

la  vita  e  r  onore;  perchd  ognuno  arebbe  creduto  che  io 

avessi  voluto  far  tiranno  me,  e  non  liberare  la  patria;  dal 

quale  concetto,  cosi  come  io  sono  stato  sempre  allenissimo 

nel  mio  pensiero,  cosi  mi  sono  ingegnato  di  tenere  lontano 

gli  animi  degli  altri.  Si  che  nell'un  modo,  io  arei  nociuto 

alia  causa,  nell'altro  all'onor  mio.  Ma  io  confesserei  facil- 

mente  d'aver  errato,  non  avendo  preso  un  di  questi  o  si- 

mili  partiti,  se  io  non  avessi  avuto  da  sperare,  che  i  fuo- 

rosciti  non  dovessero  meco  finir  Topera  che  io  avevo  co- 

minciato;  perchd  avendoll  io  visti  cosi  frescamente  a  Na« 

poll  venire  con  tanta  reputazione  e  con  tanto  animo,  e 

eosi  unitamente  a  ridomandar  la  loro  liberty  in  presenza 

del  tiranno  ch'era  non  solo  vivo,  ma  genero  deirimpera- 

tore,  a  Chi  e'  la  domandavano;  or  non  avevo  io  a  tener 

per  certo,  che  da  poi  ch'egli  era  morto,  e  che  rimperatore 


44  LORENZIMO  OE' MEDICI 

era  in  Spagna  e  non  a  NapoU,  ch'egli  avessero  a  raddop- 
piare  e  la  potenza  e  Tanimo  ch*io  avevo  yisto  in  loro,  e 
Che  dovessero  venire  a  ripigliar  la  (liberU?  Gerto  e'nd 
parrebbe  essere  stato  mallgno  se  io  non  avessi  sperato 
questo  da  loro,  e  temerario  s*io  non  avessi  preso  questo 
partite  prima  ch*alcun*altro.  Io  confesso,  che  non  mi  venne 
mai  in  considerazione,  che  Ck)simo  de' Medici  dovesse  sue- 
cedere  ad  Alessandro;  ma  quando  r  avessi  pensato  e  ere- 
duto,  io  non  mi  sarei  governato  altrimenti  dopo  la  morte 
del  tiranno,  che  come  io  feci;  perch^  io  non  mi  sarei  ma! 
immaginato  che  gli  uomini,  che  noi  reputiamo  savi,  do- 
vessero preporre  alia  vera  presente  e  certa  gloria,  la  for- 
tuna  incerta  e  la  trista  ambizione.  Egli  e  altrettanta  diffe- 
renza  dal  discorrere  le  cose  e  farle^  quanta  n*6  dal  discor- 
rere  le  cose  dopo  il  fatto;  per6  quelli  che  discorrono  ora 
cosi  facilmente  quello  che  io  doveva  fore  allora,  se  si  fos- 
sero  trovati  sul  fatto  avrebbero  un  po*  meglio  considerate 
quanto  era  impossibile  soUevare  un  popolo  sbigottito  ed 
avvilito,  battuto,  disarmato  e  diviso,  che  si  trovava  in 
corpo  una  guardia,  e  in  capo  una  fortezza,  che  gli  era  di 
tanto  maggiore  spavento,  quanto  la  cosa  era  piu  nuova  ed 
insolita  in  Flrenze;  e  tanto  piil  era  a  me  difficile,  ch'oltre 
al  portare  il  nome  de' Medici,  era  in  concetto  d'amatore 
della  tirannide.  E  cosi  quelli  che  discorrono  le  cose  dopo 
il  fatto,  e  veggono  che  le  son  mal  successe,  se  mi  aves- 
sino  avuto  a  consigliar  allora  quando  avessero  visto  da  un 
lato  tanta  difflcolt^,  daU'altro  i  fuorusciti  con  tanta  repu- 
tazione,  hi  tanto  numero,  cosi  ricchi,  cosi  uniti  per  la  liberty, 
come  tutto  il  mondo  credeva,  e  che  non  avevano  ostacolo 
alcuno  al  tomare  in  Firenze,  poich^  il  tiranno  en  levato 
via;  io  credo  che  sarebbono  stati  di  contraria  opinione  a 
quella  che  ora  sono.  Ed  insomma  la  cosa  si  riduce  qui, 
che  dove  volevano  che  io  8(^0  e  disarmato  andassi  sve- 
gliando  e  convocando  11  popolo  alia  liberta,  e  che  io  m'op- 
ponessi  a  quelli  ch'eranodi  contraria  opinione,  il  che  era 
impossibile,  Io  Io  volevo  fare  in  compagnia  de'fuiHuscitiy 


APOLOGIA  45 

e  col  favore  degli  uomini  del  dominio,  quali  io  sapevo  che 
erano  la  maggior  parte  per  noi;  e  se  fussimo  tornati  alia 
volta  di  Firenze  con  quella  celeritk  e  risoluzioni  che 
si  ricercava,  noi  non  trovavamo  fattoci  contro  provvedi- 
meiV)  alcuno;  n^  Telezione  di  Cosimo,  che  era  cosi  malfon- 
data  e  cosi  fresca,  ci  poteva  impedire  o  nuocere,  Se  adun- 
qae  io  avessi  trovato  i  fuorusciti  di  quell'animo  e  di  quella 
prontezza  che  ei  dovevano  essere,  e  che  era  per6  la  mag- 
gior parte  di  loro,  ma  quelli  che  potevano  manco,  qnando 
e'  non  avessero  avuto  altre  quality  che  essere  fuorusciti, 
nessuno  negherk  che  la  cosa  non  fosse  successa  appunto 
com'io  m*ero  immaginato,  e  che  si  pu6  provare  con  molte 
ragioni  che  per  n<Hi  essere  troppo  lungo  si  lasciano,  e  per 
11  caso  di  Monte  Murlo,  perch^  dopo  molti  mesi  ch*  e'  do- 
vevano, e  dappoich*egli  avevano  lasciato  acquistare  gli  av- 
versari,  oltre  alle  forze,  tanta  riputazione  quanto  loro  ne 
avevano  perduta,  succedev*  egli  di  liberar  Firenze,  se  la 
malignitlt  e  V  inetta  ambizione  di  pochi  non  avesse  data 
agli  aw^ersari  quella  vittoria,  che  lor  medesimi  non  spe- 
ravan  mai;  i  quali  quando  si  veddero  vincitori,  non  pote- 
vano ancor  credere  d'aver  vinto,  tanto  che  i  fuorusciti 
persono  un'impresa  che  da  ogni  uomo  era  giudicato  che 
non  si  potesse  perdere.  Per6  chi  non  vorrk  di  nuovo  giu- 
dicare  second©  gli  eventi,  conoscerk  che  essi  allora  areb- 
bono  messo  Firenze  in  liberta,  se  si  fusslno  saputi  gover- 
nare;  e  tanto  piu  era  la  cosa  certa,  se  dopo  la  morte  di 
Alessandro  immediatamente  avessin  fatto  la  me\k  dello 
sforzo  che  feciono  allora,  e  che  noa  feciono  quando  e*  do- 
vevono  perch6  ei  non  volsono;  ch'altra  raglone  non  se  ne 
pu6  allegare.  Ancora  voglio  confessare  a  quest!  tali  d'  es- 
sermi  mal  govemato  dopo  la  morte  d' Alessandro,  se  loro 
confessano  a  me  di  aver  fatto  questo  medesimo  giudizio, 
in  quello  istante  ch'eglino  intesono  ch'io  1*  aveo  morto,  e 
che  io  era  salvo;  ma  se  feciono  allora  giudizio  in  contrario, 
e  se  parve  loro  che  io  avessi  fatto  assai  ad  ammazzarlo  e 
salvarmi,  e  se  giudicarono  subito,  essendo  usciti  fuori  tanti 


46  LORENZINO  DB'MEDIU 

cittadini  cosi  potenti  e  di  tanta  reputazione,  che  Firenze 
avesse  riavuta  la  liberty,  io  non  voglio  concedere  ora  che 
si  ridichino,  n6  che  pensino  ch'  io  mi  partissi  di  Firenze 
per  poco  anlmo,  e  per  soperchio  desiderlo  di  vivere:  con- 
ciossiachd  mi  stimerebbono  di  troppo  poco  giudizio^  se  vo- 
iessero  che  io  avessi  indugiato  infino  allora ,  a  conoscere 
che  quel  che  io  trattavo,  si  trattava  con  pericolo:  ma  se 
considereranno  tutto,  e'conosceranno  ch*io  non  pensai  mai 
alia  salute  mia  piu  di  quello  ch*d  ragienevole  pensarvi,  e 
s'io  me  ne  andai  poi  a  Costantinopoli,  io  Io  feci  quand'  io 
yeddi  le  cose  non  solo  andate  a  mal  cammino,  ma  dispe- 
rate;  e  se  la  mala  fortuna  non  m'  avesse  perseguitato  in 
fin  1^,  forse  quel  viaggio  non  sarebbe  riuscito  vano.  Per 
tutte  queste  ragioni  io  posso  piu  presto  vantarmi  d*  aver 
liberato  Firenze,  avendola  lasciata  senza  tiranno,  ':be  non 
possono  loro  dire  che  io  abbia  mancato  in  conto  alcuno; 
perch6  non  solo  io  ho  morto  il  tiranno,  ma  son  andato  io  me- 
desimo  ad  esortare  e  sollecitare  quelli  che  io  sapevo  che 
potevano,  e  pensavo  che  volessino  far  piu  degli  altri  per 
la  Uhertk  della  patria  loro.  E  che  colpa  dunque  S  la  mia, 
s'io  non  gli  ho  trovati  di  quella  prontezza  e  di  quell' ar- 
dore  che  avevano  ad  essere?  0  che  piu  ne  poss*io?  Guar- 
disi  in  quello  che  ho  potuto  far  senza  I'aiuto  d'altri,  se  io 
ho  mancato;  del  resto  non  domandate  dagli  uomini  se  non 
quello  ch'e'possono,  e  tenete  per  certo  che  se  mi  fosse  state 
possibile,  che  tutti  i  cittadini  di  Firenze  fussero  di  quel- 
ranimo  verso  la  patria  che  dovrebbono,  che  cosi -com'  io 
non  ebbi  rispetto  per  levar  via  il  tiranno,  ch*era  il  mezzo 
per  conseguire  il  fine  propostomi,  mettere  a  manifesto  pe- 
ricolo la  vita  mia ,  e  lasciare  in  abbandono  mia  madre, 
mio  fratello  e  le  mie  cose  piu  care,  e  mettere  tutta  la  mia 
casa  in  quella  rovina  ch'ella  si  trova  al  presente,  che  per 
il  fine  istesso  non  mi  sarebbe  paruto  fatica  spargere  il  pro- 
prio  sangue,  e  quelle  de*  miei  insieme ;  essendo  certo  che 
nd  loro  n6  io  aremmo  potuto  flnire  la  vita  nostra  piu  glo- 
rlosamente,  che  in  servizio  della  patria. 


ARIDOSIO 


COMMEDIA 


DI 


LORENZINO  DE' MEDICI 


Lorenz,  de' Medici  2 


PROLOGO 


Se  voi  averete  pazieniaj  sarete  speUatori  di  una  nuova 
commedia  iniitolata  Aridosiaj  da  Aridosio  detia  (Aridosio 
clUamtito  per  essere  piu  arido  che  la  pomice)  della  quale 
vi  conforto  a  rum  curarvi  di  saper  Vautore,  perch'egli  h  un 
eerto  omkiatto,  che  non  e  nessun  di  voi  che  veggendolo 
nan  Vavesse  a  noia,  pensando  che  egli  ahhia  fatto  una 
commedia.  Dicono  ch'  egli  i  di  spirito;  to  per  me  nol  credo, 
e  quando  ei  seppe,  che  io  veniva  a  farvi  VcprgomentOj  m'tm- 
pose  che  io  vi  facessi  una  imhasciata  a  tutti,  che  se  voi  lo- 
derete  questa  sua  commedia  sarete  causa  che  ce  ne  ahbia  a 
fare  delValtre;  onde  vi  prega  che  voi  la  hiasmiate,  accid  U 
togUate  questa  fatica.  Vedete  che  cervello  e  questo:  gli  aUri 
si  affaticano  in  comporre ,  chieggono  j  e  pregano  di  essere 
lodati,  e  quando  e*non  hanno  altro  rimedio  si  lodano  da 
loroy  e  costui  domanda  di  essere  hiasmato,  e  questo  dice 
che  fa  solo  per  non  fare  come  i  poeti,  e  a  mio  giudizio  ha 
mUle  ragioni,  perch6  ha  piu  viso  d'  ogni  altra  cosa  che  di 
poeta.  Per  ora  voi  avete  inteso  di  lui  tutto  quello  chese  ne 
pud  dire.  Resta  che  voi  stiate  a  vedere  questa  sua  commedia, 
e  alia  fine  U)  soddisfacciaU,  poi  che  non  viha  a  costare  aUro 


so  PROLOGO 

the  parole,  L'argomento  va  in  istampa,  perchi  il  mondoi 
stato  sempre  ad  un  modOj  e  egli  dice  che  non  i  possihile  a 
irovare  piu  cose  nuove,  si  che  hisogna  facciate  con  le  vec- 
chiCj  e  qtmndo  bene  se  ne  trovasse,    molte  volte  le  cose  vec- 
ehie  sono  nUgliori  delle  nuove;  le  monete,  le  spade,  le  scul- 
ture,  le  gdlUne,  ed  ewi  chi  dice  che  le  donne  vecchie  sono 
come  le  galline,  Perd  non  ahhiate  a  sdegno,  se  altre  volte, 
;  avendo  visto  venire  in  scena  un  giovane  innamorato ,  un 
vecchio  avaro,  un  servo  che  la  inganni,  e  simil  cose,  delle 
quaU  non  pud  uscire  chi  vuol  fare  commedie,  di  nuovo  U 
vedrete,  e  io  per  non  vi  fastidire  con  l'argomento,  che  lungo 
sarehbe^  me  ne  tornerd  drento,  e  dird  d'avervelo  recitato,  e 
voi  se  starete  altenti ,  caverete  il  subbietto  da  mona  Lu- 
crezia  e  Marcantonio,  marito  e  moglie,  che  di  qua  vengono. 
A  Dio. 


INTERLOCUTOR! 


MARCAOTONIO  vecchio. 
Mona  LUCREZIA  sua  moglie. 
L.UCIDO  servo. 
TIBERIO  giovane. 

LIVU  schiaya  del  Ruflfo. 
BUFFO, 

CESARE  giovane. 

ERMmo  flgiiuoio  adottivo  di  Marcantonio. 

ARIDOSIO  vecchio  fratello  di  Marcantonio. 

MONACA. 

OUCOMO  prete. 
Shot  MARIETTA. 
Mona  PASQUINA  serva. 
PAULINO  ragazzo. 
Messer  ALFONSO  vecchio. 
BRIGA  servo. 


ATTO  PRIMO 


llMr«aB««Bl«  e  Mona  LoereBl*  sua  moglie. 

MAR.  Gerto  d  com*io  ho  detto,  che  la  maggior  parte  dei 
costumi  dei  giovani,  o  buoni  o  cattivi  cbe  si  siano,  pro- 
cedono  dai  padri  e  madri  loro,  o  da  quelli  che  in  luogo 
di  padre  o  di  madre  li  custodiscono. 

LUG.  Egli  d  yero  che  i  padri  o  fattori  o  i  maestri  lo  pos- 
sano  fare,  ma  le  niadri  no;  perchd  sendo  donne,  in  questo 
come  nelle  altre  cose  del  mondo  hanno  pochissima  parte. 

MAR.  ^  par  talvolta  si  sono  visti  esempi  in  contrario,  che 
le  donne  piii  abbiano  potuto  ne'  flgliuoli  che  i  padri,  e 
non  solamente  ne*flgliuoli,  ma  ancora  ne*  mariti  lore;  e 
per  non  ayere  a  cercare  esempio  piu  discosto>  ti  devi  ri- 
cordare  come  Aridosio  mio  fratello  e  io  fummo  alJevati 
in  on  medesimo  tempo  e  dai  medesimi  padre  e  madre, 
e  nel  medesimo  tempo  pigliammo  moglie,  della  quale 
egli  ha  ayuto  Tiberio,  Erminio  e  Cassandra,  e  nol  ancora 
nessuna  D'allora  in  qua  esso  cominci6  a  diyentare  avaro, 
e  a  posporre  ogni  piacere  e  ogni  onore  alio  accumulare, 
tanto  ch*egli  ^  ridotto  meschino  come  yedi.  lo,  Dio  grazia, 
mi  sono  mantenuto  con  quello  stile  di  yiyere  che  da  mia 
madre  mi  fu  lasciato,  e  di  questa  mutazione  non  si  pu6 
allegare  altre  ragioni,  e  non  si  pu6  pensare  che  sia  stato 
altro  che  la  moglie,  la  quale  tu  sai  quanto  era  meschina, 


2i  ARIDOSIO 

perfida  e  da  poco;  e  mai  non  ebbe  Aridosio  la  maggior 
yentura,  chc  quando  ella  si  mori,  benche  a  lul  paresse 
di  fare  grand  issima  perdita,  perch6  gik  s'era  accomodate 
a'suoi  costumi. 

LUC.  Oh  infelici  donne  le  quali  a  detto  vostro  son  causa 
di  tutti  i  mali;  e  soIq  allora  fanno  felici  e'avventurate 
le  case,  quando  inaspettatamente  si  muoiono. 

MAR.  E  che  vuoi  tu  che  sia  stato  causa  di  tanta  muta- 
zione,  e  che  di  liberale  Tabbia  fatto  miserissimo?  perch6 
in  lin  a  questo  tempo  sai  come  era  vissuto;  per6iorin- 
grazio  la  sorte  che  piii  presto  a  lui  che  a  me  abbia 
mandato  tan  to  male,  la  quale  nelle  cose  del  mondo  pu6  il 
tutto;  ch6  io  mi  ricordo  nostro  padre  piu  volte  dubitare,  se 
a  me  0  a  lui  te  o  lei  doveva  dare.  Poi  si  risolvette  in 
modo  che  io  m'ho  da  lodare  grandemente  e  egli  da  do- 
lere,  e  sebbene  esso  ha  avuto  tre  flgliuoli ,  che  certo  6 
gran  felicity  e  io  nessuno,  egli  volentieri  ci  ha  dato  Er- 
minio  suo  minore,  e  noi  Io  tegniamo,  e  come  se  fatto  Io 
ayessimo  Io  amiamo,  e  plii  forse,  perch6  n6  tu  n6  io  di 
lui  abbiamo  avuto  quel  fastidii,  che  dei  putti  piccoli  si 
hanno. 

LUC.  Non  dite  cosi,  ch6  quelli  non  son  fastidii,  ma  secondo 
che  io  penso  son  cure  da  far  passare  1  fastidii;  pure  io 
ringrazio  Iddio,  che  dappoi  che  non  gli  ^  piaciuto,  che 
io  abbia  ligliuoli ,  ha  fatto  che  ci  siamo  imbattuti  in 
nn  giovane,  qual  ^  Erminio,  al  quale  sebben  noi  ab- 
biamo a  lasciare  la  roba  nostra,  e  n^lla  fede  sua  e 
al  suo  govemo  ci  abbiamo  a  rimettere,  quando  piu 
vecchi  saremo,  se  r  amor  non  m'inganna,  mi  pare  di 
potere  da  lui  sperare  ogni  bene;  ma  io  ho  paura,  Mar- 
cantonio  mio,  che  tu  non  gli  lasci  troppo  la  briglia  in 
sul  collo,  e  che  poi  a  tua  posta  non  Io  possa  ritenere, 
perch6  tu  Io  lasci  senza  pensieri  e  di  studii  e  di  fac- 
cende ;  solo  attende  a'  cavalli,  a*  cani  o  alf  amore,  onde 
mi  dabito,  che,  passato  questo  fervore  della  sua  gioventii, 
forte  si  «nbbia  a  pentire  di  avere  invano  consumato  il 


ATTO  PRIMO  S5 

tempo,  e  forse  si  dorrk  di  te ,  che  non  gli  prowedesti, 

quando  potevi. 

MAR.  lo  mi  maraviglio  assai,  e  di  te,  e  di  tutti  quelli 

cbe  pensano  che  i  flgliuoli  si  possano  ritrarre  dalle  loro 

incliQazioni,  o  con  busse,  o  con  minaccie,  perchd  sappi 

certo  che ,  se  io  volessi  ad  Erminio  proibire  tutti  i  suoi 

piaceri,  farei  peggio,  ma  bisogna  col  concedergli  una 

cosa  cbe  importa  poco,  e  che  a  lui  sia  a  cuore,  proibir- 

giiene  un'altra,  che  importi  assai,  e  cost  avvezzarlo,  che 

ei  m'  ubbedisea  non  per  paura,  ma  per  amore,  perch6 

quelii  che  fanno  bene  per  paura  Io  fanno  tanto  quanto 

e'  pensano  che  si  possa  risapere;  quando  pensano  di  far 

male,  nascosamente  lo  fanno:  guarda  Tiberio  come  suo 

padre  gli  ha  le  mani  in  capo  continuamente ,  lo  tiene 

in  Tilla  con  la  sorella,  perch^  non  ispenda,  e  percb^  non 

pratichi  nella  cittk,  dove  dice  che  son  molte  comoditk 

di  far  male.  Nientedimanco  son  poche  notti  ch'  ei  non 

venga  in  Firenze,  e  pur  questa  ho  inteso  che  ci  d  stato, 

e  ha  messo  mezzo  a  rumore  questa  cittk  per  avere  una 

schiava  del  Ruffo  qui  vicino  a  voi,  e  fa  delle  cose  molto 

peggiori  di  Erminio,  perch6  gli  6  necessario  che  la  gio- 

rentu  Tabbia  11  luogo  suo.  Se  adunque  questo  i  glovani 

hanno  a  fare.,  quanto  6  meglio  awezzargli  che  non  si 

abbiano  a  yergognare  dai  padri,  ma  da  loro  istessi  fa- 

cendo  cose  brutte?  Pensa  perd  Aridosio  per  tenerlo  in 

villa,  che  non  voglia  spendere,  e  far  le  cose  da  giovane  ? 

Io  so  ch*  ei  fa  e  V  uno  e  r  altro  senza  rispetto,  e  quel 

buon  uomo  con  ogni  estrema  miseria  attende  a  cumu- 

lare,  lavora  inflno  alia  terra  di  sua  mano,  e  s*ei  sapesse 

che  venisse  la  notte  io  Firenze,  o  che  egli  spendesso 

pure  un  soldo,  si  darebbe  al  diavolo,  e  cosi  vivono  tutti 

malcontenti,  inflno  a  quella  povera  figliuola,  la  quale  6 

gik  grande  da  marito,  che  6  disperata,  perch^  per  non 

si  avere  il  padra  a  cavare  di  mano  la  dote,  non  le  vuol 

dar  marito,  e  trovasi  contanti  in  un  borsotto  due  mila 

ducati,  li  quali  porta  sempre  seco,  e  ha  una  cura  estrema, 


26  ABIDOSIO 

cbe  io  non  gli  vegga,  percbd  non  fo  mai  altro  che  sgri- 
darlo,  che  lascia  invecchiarsi  in  casa  la  mia  nipote;  egU 
mi  risponde  che  b  poyero,  e  che  non  le  pu6  dar  la  dote. 
Credo  che  vorrebbe  che  io  ne  la  dessi  del  mio,  e  quando 
si  duol  meco  di  Tiberio,  e  che  Erminio  Io  svia,  gli  dico 
cbe  gli  dovrebbe  dar  moglie,  ed  ei  mi  risponde  cbe  bi- 
sogna  considerare  molto  bene  a  questi  tempi  mettersi 
una  bocca  vantaggio  in  casa,  cbe  importa  un  mondo,  e 
insomma  non  pensa  ad  altro  cbe  ad  avanzare,  e  allora 
gli  parrebbe  bene ,  che  r  avesse  fatto  simile  a'  suoi  co- 
stumi. 

LUC.  Io  non  vorrei  gik,  cbe  tu  fossi  strano  verso  Erminio 
com*d  Aridosio  verso  Tiberio,  ma  vorrei  bene  li  vietassi 
certe  cose,  come  sarebbe  a  dire,  io  bo  inteso,  non  so  se 
si  b  il  vero,  ch'egli  d  innamorato  di  una  monaca  di 
Santa  Osanna;  parti  egli  che  sia  conveniente  a  far  queste 
cose,  le  quali,  e  a  Dio  e  agli  uomini  dispacciono?  Sappi 
ch*ella  gli  dk  gran  carico,  e  a  te  cbe  la  comporti. 

HAR.  Di  questo  non  ne  so  alcuna  cosa,  e  certo  quando  ei 
fosse  vero  non  me  ne  parrebbe  molto  bene,  e  con  ogni 
rimedio  cercherei  stomelo,  bench^  alia  gioventCi  si  com- 
portlno  piu  cose  che  tu  forse  non  pensi,  ma  io  ho  caro 
che  me  n*  abbia  fatto  awertito ,  percbd  ne  vogllo  rilro- 
vare  Tintero,  e  di  poi  piglierd  quel  partito,  che  meglio 
mi  parrk,  ed  ecco  appunto  di  qua  il  suo  servo  Lucido, 
che  sa  cid  che  ei  pensa,  e  ci6  che  ei  sogna,  ed  egli  molto 
meglio  che  alcuno  altro  me  Io  potrk  dire. 

LUC.  Te  Io  faresti  bea  prima  dire  a  questa  porta;  tu  non 
conosci  Lucido,  eh? 

MAR.  Pur  proverd,  ma  vattene  in  casa,  cbe  piu  da  te  che 
da  me  si  guardano,  e  poi  ti  ragguaglierd. 

LUC.  Cosi  far6. 


ATTO  PRIMO  27 


Lb«I4«  servo,  e  ll*reAB««Bl«. 


LU.  Ei  pare,  che  la  fortuna  sempre  si  diletU  di  far  venir 
Toglia  aglt  uomini  di  quelle  cose,  che  sono  piu  dlfflcili 
ad  ottenersi.  lo  non  credo,  che  in  Firenze  sia  donna 
alcana,  che  non  avesse  di  grazia  far  piacere  ad  Ermlnio, 
ed  egli  s'd  innamorato  di  costei,  la  quale  non  che  possa 
godere,  ma  bisogna  che  con  mille  rispetti  le  parii,  ed 
6nne  guasto,  fracido  morto,  che  altrq  non  pensa  e  non 
parla  che  la  Fiammetta. 

MAR.  £i  parla  da  s^  di  questo. 

LU.  Adesso  mi  manda  a  vedere  quel  ch'ella  fa:  com' ell  a 
sta;  e  raccomandasi  a  lei,  e  ogni  giomo  ho  questa  gita 
per  amor  di  Dio  e  de'servi  suoi. 

MAR.  Lo  YO'chiamare  avanti  che  pigli  altro  viaggio.  Lu- 
cido,  0  Lucido. 

LU.  Chi  mi  chiama?  d  Marcantonio.  Che  domandate  ? 
.MAR.  Che  d  d'Erminio,  che  iersera  non  tom6  a  cena? 

LU.  Gen6,  e  dormi  con  Tiberio  in  casa  Aridosio. 

MAR.  £  tu  dove  vai?  a  portare  qualche  imhasciata  al 
monastero? 

LU.  Che  sapete  vol  di  monastero? 

MAR.  Sonne  quel  che  tu. 

LU.  A  dirvi  il  vero  mi  mandavB  a  vedere  se  ella  voleva 
niente. 

MAR.  In  verity,  che  Erminio  in  questo  mi  fa  tortot  perchd 
tu  sai  se  io  lo  compiaccio,  e  piu  presto  lo  aiuto  nelle 
sue  voglie  e  ne*suoi  amori ,  che  sono  in  qualche  parte 
ragionevoli;  ma  questo  ha  troppo  del  disonesto;  ei  do- 
vrebbe  pure  aver  rispetto  all'onor  suo,  e  mio;  perch6  il 
carico  6  dato  a  me,  che  lo  lascio  fare;  ei  pare ,  che  a 
Firenze  ci  manchino  le  donne  da  cavarsi  le  sue  voglie, 
che  si  abbia  andare  inflno  nei  monasteri. 


2S  ARIDOSIO 

LU.  lo  gli  ho  detto  questo  piu  volte,  ed  egli  parte  sel  co- 
Dosce;  ma  voi  sapete  Marcantonio,  che  Tamor  non  ha 
legge,  ed  ^  un  gran  tempo  che  le  cominci6  a  voler  bene, 
ed  ella  6  una  bellissima  figliuola,  nobile  e  virtuosa,  che 
forse  se  voi  la  vedeste  gli  avreste  piil  corapassione  che 
non  le  avete,  e  siate  certo,  che  prima  saria  possibile 
far  diventare  Erminio  un  altro  uomo,  che  fargli  lasciare 
questo  amore,  e  vu6  dire  piu  avanti,  che  Y  animo  suo 
sarebbe  di  pigliarla  per  moglie. 

MAR.  0  mat  piCi  sentli  dire,  che  le  monacbe  si  pigllassero 
per  moglie. 

LU.  0  la  non  6  monaca,  che  ella  non  e  ancora  velata  e 
non  vorrebbe  essere,  ma  la  serk  s'ella  crepasse  perchd 
ella  ha  una  buona  ereditli,  e  le  monache  r  hanno  adoc- 
chiata ,  e  sebbene  ella  mettesse  Tali  mai  potrebbe  uscir 
del  monastero;  tal  guardia  le  fanno. 

MAR.  E  non  essendo  monaca  d  cosa  piu  escusabile.  Ma 
dimni;  di  chi  d  ella  figliuola;  6  buona  credits,  di  tu? 

LU.  Ella  ^  dci  Ridolfi,  e  non  ha  nd  padre,  n^  madre,  e  le 
monache  son  sue  tutrici,  e  ha  bonissima  eredita,  se- 
condo  ch'  io  intendo,  e  altro  non  vi  so  dire. 

MAR.  Basta  questo,  conforta  pure  Erminio  di  levarsi  da 
questa  impresa,  che  non  ^  nd  utile  n^  onorevole,  e  s'egli 
ha  voglia  di  moglie,  e  delle  belle  e  delle  ricche  non  gli 
mancheranno. 

LU.  Gli  mancherk  questa,  che  sopra  tutte  Valtre  desidera. 

MAR.  Io  m'aweder6  se  tu  avrai  fatto  seco  11  debito  tuo. 

LU.  Lo  far6  per  obbedirvi,  non  perch'io  speri  di  far  fmtto. 

MAR.  Voglio  andare  fino  in  piazza ;  fa,  com^io  torno,  sia  la 
ordine  11  desinare. 

LU.  Sarit  fatto;  o  che  padre  dabbene  d  questo t  io  credo, 
che  s'ei  potesse,  che  di  sua  mano  la  caverebbe  dal  mo- 
nastero per  metterla  accanto  ad  Erminio.  0  s*ei  sapesse 
la  pena  che  porta  per  costei  n'avrebbe  pid  di  lui  dispia- 
cere,  chd  il  poveretto  teme  di  non  vituperare  lei,  il  roo- 
nisterio  e  s4  ad  un  tratto ,  perchS  ella  d  di  lui  gravida 


ATTO  PRIMO  29 

e  si  vicina  al  parto  che  ogni  giorno,  ogni  ora  6  la 
sua,  e  modo  non  si  pu6  trovare  o  di  cavarla  o  di  farla 
partorire  segretamente,  nd  via  che  ^H  ci  possa  ritrovar 
plCi  luogo,  e  insomma  bisogna  beria,  e  Erminio  mi  dice 
ch'io  pensi,  e  blsognava  cbe  pensasse  egli  a  farlo  in 
modo  che  non  se  ne  avesse  a  pentire ,  ma  guastando 
s'impara,  e  ringrazii  Iddio  che  non  ha  a  che  fare  con  un 
padre  come  Aridosio;ma,  or  ch'io  mi  ricordo,  Tiberio  deve 
essere  ancora  qui  intorno  a  Rufifo,  e  non  si  ricorda  di 
tomare  in  villa,  e  se  suo  padre  s'awede  che  non  vi 
sia  trotter^  qua  gill  per  istordire  tutti  quanti;  ecco  ap- 
punto  di  qua  Tiberio,  che  par  che  pensi  ad  ogni  altra 
cosa,  che  airandarsene  in  villa. 

Tllkerto,  Eivl*,  RoflW,  L.ael4«. 

TIB.  Sazierommi  io  mai,  anima  mia,  di  vederti,  parlarti 

e  toccarti? 
LTV.  Se  tu  non  ti  sazii  resterk  da  te,  perch'io  son  tua,  e ' 

sempre  sar6. 
RUF.  Cotesto  non  dir  tu,  che  mia  sei,  e  non  tua;  allora 

ch'egli  m'avrit  dato  i  denari,  sua  sarai. 
TIB.  Oh  uomo  nato  per  farmi  morire ! 
RUF.  Uomo  nato  per  farmi  morire  sei  tu ,  perch^  non  mf 

dando  i  miei  denari,  mi  fai  morire,  ch^  questa  6  la  mia 

possessione  e  la  mia  bottega,  senza  la  quale  vivere  non 

posso. 
TIB.  Io  ti  dard,  s'  bai  pazienza,  quel  che  tu  vuoi ,  ma  la- 

sciami  un  po*stare  in  pace. 
RUF.  Allora  sarai  tu  sua ;  ma  in  questo  mentre  ce  ne  an- 

dremo  a  casa;  vieni  Livia. 
LIV.  Tiberio,  io  mi  ti  raccomando. 
LU.  Guarda  se  sa  fare  Tarte  questo  scannauomini. 
TIB.  Oh  non  pensar  d'aver  a  usare  tanta  presunzione. 
RUF.  Vorr6  vedere,  chi  mi  vielerk  che  del  mio  non  possa 

fare  a  mio  modo. 


30  ARIDOSIO 

TIB.  lo  intendo  di  pagarti  avanti  che  U  parta  da  me. 

RUF.  0  da  che  resta? 

TIB.  Prow^go  il  resto  de'danari. 

RUF.  Oh,  oh,  io  sto  fresco,  se  si  hanno  ancora  da  proy- 

yedere  i  denari ;  domattina  yerrk  per  essa  uno  che  m'ha 

dato  rarra. 
LU.  Io  Don  posso  piu  patire  questo  assassino;  pu6  fare 

Iddio  che  tu  parli  si  arrogantemente  con  un  gioyane 

da  bene? 
RUF.  Che  direstii,  8*io  non  gli  ne  yolessi  vendere? 
LU.  0  guarda  RufTo,  che  non  ci  yenga  yoglia  di  ayerla 

per  forza  e  senza  denari,  chd  tu  sai  bene  che  i  tuoi  pari 

non  hanno  ragione  con  gli  uomini  da  bene. 
TIB.  Ascolta  Lucido;  quand'io  yolessi  fare  cotesto  (che 

potrei)  egli  ayrebbe  causa  da  dolersi ;   ma  io  lo  yoglio 

pagare  fino  a  un  quattrino. 
RUF.  Se  questo  fosse  noi  non  ayremmo  a  disputare. 
TIB.  Tu  hai  d*ayer  da  me  cinquanta  scudi,  non  6  cosi? 
RUF.  Si,  se  tu  yuoi  Liyia. 
TIB.  Mezzi  te  li  d6  adesso,  e  il  resto  domane. 
RUF.  Io  gli  yoglio  tutti  ora  che  n'ho  bisogno. 
TIB.  Io  non  credo  che  mai  al  mondo  fosse  il  piu  arrogante 

padrone  di  costuL 
RUF.  Tiberio,  abbi  pazienza,  cbi  ha  bisogno  fa  cost. 
LU.  Gomportalo  fino  a  stasera. 
RUF.  Non  posso. 
LIV.  Eh  Ruffo,  per  amor  mio. 
RUF.  L'hai  troyato  appunto  per  amor  tuo. 
TIB.  Orsi^,  Ruffo,  io  ti  prometto  da  yero  gentiluomo  che 

stasera  a  yentiquattro  ore  ayrai  i  tuoi  denari. 
RUF.  Chi  m'assicura? 
TIB.  Non  t*ho  io  detto  che  mezzi  te  li  dar6  adesso  e  mezzi 

stasera? 
RUF.  Di  quelli  d*  adesso  sar6  in  sicuro  quando  dati  me  li 

ayrai,  ma  di  quell*altri? 
TIB.  La  mia  fede. 


ATTO  fRIlIO  31 

RUF.  D*ogni  altra  cosa  sono  avrezzo  a  stare  alia  fede  che 
de'denari. 

TIB.  S'io  non  te  11  posso  dare. 

KUF.  Non  dico  che  tumelidia;  ma  che  tu  mi  lassi  andare 
con  costei. 

LU.  E  non  s*ha  egli  a  credere  a  un  uomo  da  bene  per  due 
ore  venticinque  ducat  i? 

RUF.  Ififine  io  sono  invecchiato  In  questa  usanza. 

TIB.  Ascolta,  io  ti  do  adesso  guelli  25;  se  stasera  non  ti 
do  11  resto,  vattene  a  mio  padre  che  e  in  villa  e  dilli 
la  cosa  com*ella  sta  e  se  ti  vien  bene,  dilli  com^io  ti  ho 
tolta  per  forza  (ch*  io  vorrei  innanzi  la  febbre  ch*  egli 
avesse  a  sapere  niente  di  questo)  e  richiedigli  Livia; 
egli  subito  yerrk  qua  giu,  e  renderattela;  tu  sai  come 
gli  ^  fatto:  se  tu  la  rihai,  25  scudi  sian  tuoi,  e  se  gran 
fatto  non  b,  ella  non  sark  peggiorata  25  scudi,  e  cosi 
sarai  securo  o  d'essere  pagato  in  tutto,  o  d'  aver  Livia 
e  25  scudi  vantaggio  che  vuoi. 

RUF.  A  questo  son  io  contento,  ma  non  vogllo  aspettare 
piu  che  insino  a  20  ore. 

LIV.  Sino  a  quanto  tu  vuoi,  pur  che  tu  mi  ti  levi  dinanzi; 
t6,  annoveragli. 

RUF.  Gil  annoverai  poco  fa;  ma  non  ti  doler  di  me;  che 
se  i  danari  non  vengono  io  far6  con  tuo  padre  quanto 
siamo  rimasti  d'accordo. 

TIB.  Yatti  con  Dio,  in  malora,  fa  quel  che  ti  place. 

RUF.  Addio. 

LIV.  Oh  e'  mi  s'd  levata  una  macina  di  sul  cuore. 

TIB.  E  a  me  di  su  Tanima:  or  ti  posso  guardare  e  toccare 
senza  che  Ruffo  mi  tiri  dairaltro  canto. 

LU.  Al  trovar  i  denari  ti  voglio. 

TIB.  Qualche  cosa  sark,  Lucido,  se  si  pensasse  tanto  alle 
cose  non  si  farebbe  mai  nulla.  Io  so  che  tu  m'aiuterai, 
6  penserai  a  qualche  modo  che  noi  11  troviamo. 

LU.  Io  penser6  pur  troppo,  ma  11  caso  sarebbe  a  pensare 
qualche  cosa  che  riuscisse;  ma  dimmi,  tunon  ti  ricordl 


32  ARIDOSIO 

tornare  in  villa;  come  pensi  tu  faria  con  tuo  padre  s'ei 
§'  avvede  che  tu  sii  venuto  in  Firenze  a  tante  brighe  ? 
ci  mancher^  questa  avere  a  placare  quella  bestia,  e  in 
un  medesimo  tempo  aver  a  trovar  25  scudi,  e  che  tanto 
b  possibile  a  far  V  uno  e  V  altro,  quanto  tener  il  Ruffo, 
che  passato  le  venti  ore  non  vadl  a  gridare  a  tuo  padre, 
e  dicali,  che  tu  lo  hai  sforzato,  o  toltoli  costei,  e  la  prima 
cosa  te  la  torrk,  e  daragliene,  e  tu  n*andrai  bene,  se 
non  ti  caccera  via. 

TIB.  Potrk  egli  mai  fare  ch'  io  non  mi  sia  goduto  Livia 
mia? 

LU.  £'  potra  hen  fare,  che  tu  non  la  goda  mai  piu. 

TIB.  Star6  pur  seco  un  pezzo.  Chi  gode  un  tratto  non 
istenta  sempre:  Lucido,  io  mi  ti  raccomando,  pensa  ta 
qualche  cosa,  che  owii  a  tanti  mall.  Noi  intanto  ce  ne 
andremo  qui  in  casa,  e  aspetteremo  Erminio,  che  ci  ha 
detto  di  venir  a  desinare  con  esso  noi. 


Eiael4«  solo. 

Egli  ^  ben  vero,  che  non  ^  cosa  che  faccia  piu  impazzar 
gli  uomini,  che  r  amore.  Tiberio  6  cosi  savio  giovane, 
quanto  sia  in  questa  cittk,  e  adesso  accecato  non  vede 
quello  si  faccia,  perchd  nascosamente  di  villa  6  venuto, 
e  non  si  cura  che  lo  sappia  suo  padre,  e  tanto  e  la 
rabbia  di  quel  vecchio,  che  io  credo  lo  direderk,  s'ei 
sa  che  sia  venuto,  e  a  che  fare,  perchd  n6  maggior  ml- 
sero,  nd  maggior  ipocrito  fu  mai,  e  non  vuol  che  Tiberio 
guard!  non  che  tocchi  una  donna,  e  lui  d'un  santo  van- 
taggio  oltre  a  questo  gli  ha  impegnato  se  e  gli  amlci 
suoi,  per  far  venticinque  scudi,  e  piu  ollre,  n'ha  pro- 
messo  venticinque  altri  a  venti  ore,  cosa  che  s'ei  non  gli 
ruba,  non  lo  pu6  osservare  in  alcun  modo,  e  parli  di  aver 
pensato  ad  ogni  cosa,  quando  dice  ch'  io  vi  pensi ;  ma 
se  non  fusse  Erminio,  che  mi  ha  comandato  ch'io  serva 


ATTO  PRIMO  33 

Tiberio,  come  lui  proprio,  io  entrerei  a  panto  in  questo 
labirinto:  per  Dio  la  cosa  torna  bene:  le  faticbe  e  le 
brighe  tocchino  a  me ,  e  i  piaceri  a  loro ;  ma  ecco  di 
qua  Erminio,  che  mi  ba  a  fare  un  cappello,  perch'io  non 
bo  fatta  la  sua  arolKtsciata :  dir6  di  averla  fatta,  e  le  li- 
sposte  SOD  tutte  ad  un  modo,  cbe  sta  bene,  e  cbe  si  rae- 
comanda  a  lui;  ma  ei  vien  parlando;  vogiio  intendere 
quel  cb'ei  dice. 


ErmlBla  giovane,  Ei«el4«  servo. 


ERM.  Che  pe?gior  cosa  mi  poteva  eg)i  intervenire,  sorte 
crudelet  non  credo  ch*egli  accada  in  cento  anni  ad  uno, 
cbe  alia  prima  volta  ingravidi  una  donna. 

LU.  Forse  cbe  paria  o  pensa  mai  ad  altro. 

ERI^I.  Ma  quel  cbe  piu  m'  alfligge  d,  ch'  io  mi  dubito  cbe 
per  il  gran  dolor  del  la  vergogna  la  si  faccia  qaalcbe 
male;  oh  Dio  tu  solo  puoi  fare,  cb*ella  Io  faccia  secre- 
tamenta 

LU.  Dio  non  ba  altra  faccenda^  cbe  far  la  guardadonna 
alia  Fiamm3tta. 

ERIf.  Almanco  non  gli  vol  ssMo  tanto  bene,  e  pur  quando 
io  potessi  non  gliene  volere,  gliene  vorrei  in  ogni  modo; 
quel  di,  cb'io  non  bo  i*uove  di  I-  i,  viver  non  posso,  e 
ancora  Lucido  non  6  venuto,  ed  b  due  ore  rh*  io  Io  mandai. 

LU.  Quaoto  piu  sto,  peggio  6;  cbe  le  bugie  od  ora  o  poi 
gli  ho  a  dire;  buon  di,  padrone. 

ERM.  Tu  mi  tratti  sernpre  a  questo  modo;  quell' amba- 
sciate,  cbe  tu  sai  chMo  desiJero  di  saper  prima  cbe  le 
altre,  tu  indugl  a  farmsle  saper  pill  cbe  tutte  I'altre. 

LU.  Voi  saptite  pur  como  son  fatle ;  innanzi  ch*  elle  com- 
pariscano  alia  ruota,  e  che  ahbian  flnita  la  tisposta,  gli 
e  ser«;  di  poi  vostro  padre,  Tiberio  e  il  RuCfo  al  ritor- 
nare,  m*hanno  tenuto  qui  a  bada  tre  ore. 
Lorenz.  de' Medici  3 


34  ARIBOSIO 

ERM.  Tuttavia  ha^  ragione  tu,  ed  io  i\  torto;  ma  indugia 
un  poco  piu  a  dirrat  com'  ella  sta. 

LU.  Io  ve  lo  far6  dir  a  Tiberio,  quanto  noi  siam  stati  a 
combatter  col  Ruffo. 

ERM.  Dimmi  in  malora,  com*ella  sta. 

LU.  E  chet  ad  un  modo. 

ERM.  Non  t'lia  ella  detto,  che  tu  mi  dica  cosa  alcima  ? 

LU.  Si  raccomanda  a  vol. 

ERM.  £  non  altro. 

LU.  Non  altrc. 

ERM.  Gome  sta  ella  di  mala  voglla? 

LU.  Al  solito. 

ERM.  Queste  sono  nK)lto  asciutte  risposte. 

LU.  Io  ve  le  do,  come  V  ba  date  a  me. 

ERM.  Dissefella,  cb'io  Tandassi  a  vedere? 

LU.  Ella  non  m'ba  detto  altro. 

ERM.  Ob  Dio,  la  poverina  debb'esser  fuor  di  s^. 

LU.  Fuor  di  te  sei  tu. 

ERM.  Cb'bo  io  a  far,  Lucido? 

LU.  Adesso  ayete  a  desinare ,  e  poi  poiseremo  a  quel  cbe 
s'ba  da  fare;  io  vi  ricordo,  cbe  il  darsi  tanto  dispiacere 
delle  cose,  non  serve  ad  altro  cbe  a  farci  male. 

ERM.  Io  non  posso  fare  altro:  tu  bai  beldirtu,  cben(»i  ci 
bai  passion  nissuna. 

LU.  Dunque  credete  voi,  cbe  le  vostre  passion!  non  sieno 
passione  ancora  a  me;  io  vi  giuro,  cbe  tutta  questa  notte 
non  ho  mai  dormito  per  pensare  a  qualcbe  via  cbe  vi 
hberi  da  tanta  molestia,  e  vi  content! ,  e  ancora  non  mi 
dispero  d!  poter  trovar  qualcbe  cosa  di  buona 

Wk.  Dio  il  volesse. 

LU.  Andiamo  a  desinare,  cbe  Tiberio  v!  aspetta. 

ERM.  E  dov'6  Tiberio? 

LU.  Lk  dentro  con  la  sua  bracciata,  e  fate  conto,  che  adesso 
sono  a!  ferri. 

ERM.  Ob  infelice  me:  hit  cbe  non  ba  comoditk  nissuna,  e 
ch*ba  un  padre  si  ritroso,  senza  danari,  senza  pratiche. 


ATTO  raiMO  35 

si  gode  i  suoi  amoii,  e  a  roe,  ch'bo  tutte  queste  cose,  e 
ogni  uom  propizio,  mi  mancano,  con  la  speranza  insieme 
di  averli  piu  a  godere. 

LU.  Lassatela  adesso  passare,  e  desinate  in  pace;  poi  pen- 
seremo  a  qualche  cosa;  voi  sapete  che  la  fortuna  aiuta 
i  giovanL 

ERM.  Tu  bai  una  gran  cura,  che  qaesto  desinar  non  si 
freddi;  per  Tamor  di  Dio  va  e  ordina;  io  son  qui  innanzi 
all'uscio;  cbiamami. 

LU.  Questo  importa  un  po'piQ. 

ERM.  lo  vo  meco  medesimo  spesso  pensando,  che  neiramor 
sia  di  queste  due  piu  infelice  condizione,  o  I'amor  senza 
esser  amato,  o  amando,  ed  essendo  amato,  e  desiderando 
una  medesima  cosa,  esser  proibito  da  muri,  da  ferri,  e 
porte,  e  guardie;  comMo  provo  con  la  Fiammetta  mia, 
la  qual  so  che  non  ha  altro  desiderio,  che  ritrovarsi 
meco,  e  al  fine  io  mi  risolvo,  che  la  mia  ^  piii  infelice 
sorte;  perch^,  nonostante  che  ci  sia  il  contentodi  saper 
d*  esser  amato  da  chi  io  amo,  egli  d  tanto  il  dispiacere , 
quando  io  considero,  che  fra  lei  e  me  non  6  altro  che 
ci  proibisca  i  nostri  desiderj,  che  tanto  di  ferro,  ch'io 
resto  roorto,  e  vommi  assimigliando  a  Tantalo,  il  qual 
stando  in  continua  sete,  con  i  labbri  tocca  un  rivo  di 
acqua  fresca ,  nd  perci6  ne  mand6  mai  giu  una  goccla , 
e  cosi  stando  lo  in  continuo  desiderio  di  ritrovarmi  con 
Fiammetta  mia,  me  gli  accosto  tanto,  ch'ogni  po'piu 
sarei  contento,  nd  perci6  toccar  n^  baciar  la  posso.  Oh 
almanco  fosse  stata  la  comparazione  simile  in  tutto, 
che  cosi  come  Tantalo  mai  T  acqua  ha  gustato,  io  mai 
lei  avessi  gustata,  che  adesso  avrei  moito  minor  dispia- 
cere t  Vedi  a  quel  ch'io  son  condottol  a  desiderare  di  non 
aver  fatto  quel  che  desiderai  far  pria  piu  che  di  vivere, 
non  per  levar  in  tutto,  ma  per  scemar  il  'mio  dolore. 

LU.  Venite  a  veder  Erminio,  se  volete  ridere. 

ERM.  Che  cosa  mi  farit  ridere?  bisogna  ben  che  sia  ,da 
ridere. 


36  ARIDOSIO 

LU.  Tiberio  e  Livia,  che  stanno  nel  letto,  e  fanno  le  mag- 
gior  bravate,  che  voi  sentissi  mai;  lui  vuole  amroazzar 
suo  pa^ie,  se  toraa  di  villa;  lei  11  Ruffo,  come  yerit 
per  ii  resto  del  denari;  e  cosi  infuriati  dicon  le  piu  belle 
cose  del  mondo,  ma  vi  prometto,  che  si  furieranno,  se 
fanno  a  questo  modo;  ma  venite  dentro,  ch'ogni  coea  e 
in  ordine. 

ERM.  Se  sono  in  letto  non  si  voglion  ei  levare? 

LU.  Voglion  desinar,  cenar,  e  dormir  11. 

ERM.  £  lor  savi. 


ATTO  SECONDO 


C^esare  giovane,  Lneli*  seno. 

CCS.  E'  non  d  cosa  al  mondo,  che  dalla  sorte  proceda,  della 

qual  gli  Qomini  si  possin  piu  dolere,  che  quella  che  dk 

suoi  beni  a  chi  non  gli  merita,  come  dir  ricchezze,  fl- 

gliuoli,  saniU,  bellezze  e  siroil  cose;  imperocchd  prima 

la  offende  quelli  che  gli  meritano,  e  in  caso  che  ancor  a 

lor  ne  dia,  il  paragoh  non  gli  lassa  lor  parer  buoni,  e 

cosi  gli  uomini ,  veggendo  che  da  tristi  a  buoni  la  for- 

tuna  non  fa  differenza,  non  si  curano  di  coltivar  e  levar 

J'animo  loro,  ma  inclinati  dove  natmralmente  il  suo  uso 

gli  tira,  cio^  al  male,  si  precipitano,  onde  accade  che 

pochi  se  ne  trova  dei  buoni,  e  assai  del  tristi;  e  di  qui 

si  mettono  gli  stoiti  a  negare  la  proyyidenza  di  Dio  di- 

4;endo  che  s'egli  avesse  proyyidenza  e  giustlzia  insieme, 

non  comporterebbe  mai ,  che  certi ,  che  ne  son  indegni, 

abbondassin  di  tanti  beni,  e  certi  altri,  che  meritano, 

gli  mancasse,  e  bench' io  ne  era  altramente  risoluto,  que- 

.sta  essere  falsissima  opinione,  niente  di  manco  quando 

U)  considero  quel  mostro  d'Aridosio,  di  quanti  beni  egli 

abbonda,  al  qual  di  buona  ragione  ayean  a  mancare 

tutti,  non  posso  far  non  dubiti,  o  almanco  non  mi  do- 

glia,  tomandomi  questo  in  mio  pregiudizio^  che  egli  6 

Jiccbissimo,  e  io  no,  e  ha  due  figliuoU^  che  son  gioyani 


38  ARIDOSIO 

moltD  da  bene,  e  ha  una  flgliuola,  se  raroornon  mMn- 
ganna,  ch'^  la  piu  bella,  la  piu  gentile,  non  dico  di  Fi- 
renze,  ma  di  tutta  Italia:  dalFaltro  canto,  qual  egli  sia, 
se  nol  sapete,  lo  intenderete.  Egli  avaro,  invidioso,  ipo- 
crito,  superbo,  dappoco,  bugiardo,  iadro,  senza  fede,  senza 
yergogna,  senza  amore,  e  insomma  6  un  mostro  ingene- 
rato  da'vizj  e  dalla  sciocchezza;  la  mia  sorte  ha  vo- 
luto  ch'io  abbia  ad  esser  sottoposto  a  tanto  male,  nd  mi 
manchi,  perch^  quattro  anni  sono  ch'io  incominciai  a 
YOler  bene  a  Cassandra  sua  figliuola,  non  pensando  per6 
che  questo  nostro  amore  ayesse  ad  ayere  si  tristo  effetto; 
ma  andando  crescendo,  come  fanno  tutti  gli  amori  ben 
collocati,  mi  condusse  a  tal  grado,  che  poco  piu  accen- 
der  mi  potrk  di  quel  ch'  io  era,  rendendomi  pur  ella  del 
continuo  il  cambio ,  n^  altro  far  poteva  m6:  che  scriyer 
talyolta  Tuno  all' altro  qualche  lettera,  pur  con  nwlto 
rispetto;  essendo  yenuto  a  termine,  che  yiyer  piii  senza 
lei  non  poteya,  n^  troyando  yia  piu  facile  a  soddisltare 
il  desiderio  mio,  pensai  di  addimandarla  per  moglie,  e 
conferito  la  cosa  con  mio  padre,  lod6  il  parentado  per 
ogni  altro  conto,  che  per  il  suocero ;  ma  considerando  la 
yoglia  ch*  io  n*ayea,  e  Taltre  tutte  buone  parti,  dellber^ 
fame  parlare  a  persone  d'autoriUi  con  Aridosio,  pensando 
che  la  cosa  doyesse  ayer  effetto;  perchd  era  giudicato 
cosi  da  ogni  uomo ;  e  cosi  troyato ,  pur  con  fatica ,  chi 
yolesse  negoziare  tal  cosa,  e  parlato  seco,  s'ebbe  risposta, 
che  il  parentado  gli  piaceya :  ma  che  era  poyero,  e  che 
non  aveya  il  modo  a  dar  una  dote  conyeniente  alia  sua 
figliuola :  e  a  me,  questa  che  in  sul  principio  mi  pareya 
buona,  mi  diyent6  col  tempo  cattiyissima  infra  le  mani, 
perchd  io  cerco  lei,  e  non  la  dote,  e  lei  ignuda,  non  che 
senza  dote,  mi  bastaya :  ma  mio  padre  mi  comand6,  che 
senza  mille  ducati  d'oro  mai  concludessi  il  parentado, 
0  facessi  conto  di  non  capitarli  piu  innanzi:  ond'io  per 
paura  di  lui  fui  forzato  a  chinar  le  spalle,  e  a  cercar 
nuoye  yie,  perchd  a  farli  dar  mille  ducati  era  tanto  pos- 


ATTO  SICORDO  39 

sibUe,  quanto  a  farlo  diventar  uomo  da  bene:  e  eoA 
ritrovando  altri  modi,  lo  feci,  credo,  insospettire,  e  forae 

-^  anche  per  far  piu  masserizia ,  il  buon  uomo  se  n'aiid6 
in  villa,  e  ewi  gik  stato  piu  d*un  anno,  dove  mal  con- 
tenta  tien  quella  povera  figliuola,  credo  a  zappar  la 
terra,  cbe  meriterebbe  esser  regina. 

LU.  lo  sar6  qui  adesso. 

CES.  La  qual  oggi  mai  per  la  miseria  di  suo  padre,  for- 
nir^  inutilmente  la  sua  gioventu. 

LU.  Cbi  h  questo,  cbe  cosi  si  scandalezza? 

CES.  Gostui  m'ayr^  udito. 

LU.  Ahf  ah  I  egli  d  il  guasto  di  Cassandra:  tu  stai  fresco. 

CES.  0  Lucido,  quant' 6  cbe  sei  qui? 

LU.  £  on  pezzo,  e  ho  inteso  quel  che  tu  hai  parlato.. 

CES.  S'io  non  avessi  voluto,  che  si  fosse  inteso,  non  Favrei 
detto. 

LU.  lo  mi  burlo  teco;  adesso  yengo :  ma  i  ragionamenti 
del  giovanl  innamorati  vanno  in  istampa,  e  perchMoBe 
avea  sentiti  degli  altri,  che  come  te  innamorati  erano, 
mi  parea  con  verity  poter  dire  d'aver  sentito  anco  i  tuoi. 

CES.  I  miei,  Lucido,  pur  escono  di  stampa,  perchd  i  miei 
mali  sono  estraordinari. 

LU.  Oh  cosi  dicon  tutti,  ma  ei  mi  sa  male  di  non  ayer 
tempo  da  badar  teco,  perchMo  Vho  da  dir  cosa  molV> 
al  proposito,  e  se  tu  m'aspetti  qui,  te  la  dir6,  e  staj<» 
poco. 

CES.  Aspetter6  miU'anni,  se  m'hai  da  dir  cosa  di  buono. 

LU.  Lo  intenderai,  e  adesso  tomo  a  te. 

CES.  Che  domine  pu6  esser  questo  che  Lucido  dir  i^i 
yuole?  Cosa  appartenente  a  Cassandra  bisogna  che  sia,' 
perchd  sa  bene,  ch'altro  amore  non  ho  che  il  sup,,  e 
anche  cosa  che  importa  debb*essere,  ch^  non  mi  farebbe 
aspettar  qui  indamo;  ma,  matto  chMo  sono,  anctti^  mi  ya 
appiccando,  quasi  com'io  non  sapessi,  quali  sleno  le  po- 
yelle  dei  seryi:  troy6  certi  lor  arzigogoli  sofistichi,  ebo 
hanno  apparenza  di  yeri,  e  poi  non  reggono  al  martello; 


iO  ARDOSIO 

ma  I'udirlo,  che  mi  nuoce?  sempre  d  buono  ascoltare 

sssai  pareri,  quando  in  te  ^  rimessa  la  elezione.  Ecco 

ch'egli  b  ritornato  molto  presto,  e  tutto  sottosopra,  se- 

condo  che  mi  pare  al  voito. 
LU.  Guarda,  8*io  sapea,  come  la  cosa  avea  ad  andareYOh 

porero  Tiberlo,  ti  converr^  pensare  ad  altro  che  il  tra- 

stullarti  con  Liyia. 
GES.  Tu  sei  tomato  si  presto  t 
LU.  Non  d  tanto  presto,  che  non  bisognasse  piu;  lo  ti  fo 

intendere,  che  Aridosio  6  in  Firenze. 
GES.  Volevi  tu  dir  altro  che  questo? 
IS,  Si,  ma  ho  pid  fretta  adesso  che  dianzi. 
GES.  Tu  hai  molte  gran  faccende? 
LU.  Tiberio,  oh  Tiherio,  oh  Erminio  uscite  un  po'qua. 
GES.  Gbe  fretta  d  questa:  mi  voglio  tirar  in  questocanU)^ 

e  star  a  vedere  che  C/Osa  ella  d. 


TIberi*,  Lweld*,  ErmlaU,  <)«sare  da  parte. 


TIB.  Ghi  mi  chiama? 

LU.  Non  ti  diss'  io  che  tuo  padre  verrebbe? 

TIB.  MJo  padre? 

LUG.  Tuo  padre  yiene,  e  sark  adesso  adesso  quL 

TIB.  Mio  padre? 

LU.  Tuo  padre. 

TIB.  E  Chi  rha  visto? 

LU.  Io  con  quest'occhi. 

TIB.  Ed  egli  ha  yisto  te? 

LU.  No,  ch'ero  discosto. 

TIB.  Io  son  rovinato,  o  Lucido. 

ERM.  GSme  abbiamo  a  fare? 

TIB.  Dico  cbe  son  rovinato,  Lucido,  se  non  mi  aiuti. 

LU.  Che  vuoi  ch'io  faccia? 

TA.  Qualche  cosa  di  buono,  Lucido  mio. 


ATTO  SECONDO  it 

LU.  Facci^  levar  quel  letto  e  quella  tayola,  e  lasciam  la 
casa  come  la  stava  prima,  e  mandiam  via  costei. 

TIB»  Gostei,  e  perch6? 

L0.  Vuoi  tu,  Che  tuo  padre  la  trovl  qua? 

TIB.  DoYe  Yuoi  tu  ch'io  la  mandi  cosi  sola? 

LU.  Dov'ella  ^  usa  a  stare,  e  tu  per  un*  altra  via  vattene 
in  villa. 

TIB.  Cosi  scalzo?  eh  Lucido,  trova  un'altro  modo,  ch'io 
Don  abbia  a  partinni  da  Livia  mia. 

LU.  Lo  far6,  se  trovi  un  modo,  che  tuo  padre  non  venga 
qui;  se  noi  avessimo  il  tempo  lungo,  e  fussimo  tutti 
d'accordo,  difficile  sarebbe  trovar  rimedio  a  questo  disor- 
dine;  oh  pensa,  essendo  mal  d'accordo,  e  senza  tempo. 

£RM.  Tu  fai  sopra  le  spalle  tue;  se  tuo  padre  ti  trova  qui^ 
come  pensi  tu  che  r  abbia  d'andare? 

LU.  lo  mi  maraviglio  ch'  egli  stia  tanto,  perch*egli  era  gi& 
dentro  alia  porta;  b  ben  vero,  che  va  appoggiandosi,  e 
par  che  porti  1  frasconi. 

TIB.  Non  sarebbe  meglio  ch'io  mi  rinchiudessi  con  Livia, 
In  una  di  queste  camere,  e  non  gli  rispondessi  mai? 

ERM.  Oh  bel  disegno  t  non  vorrebbe  egli  veder  chi  vi  fosse? 

TIB.  GIJ  avrebbe  forse  paura  ad  entrar  li? 

LU.  Orsu,  io  v'intendo,  state  di  buon  animo  ch'io  ho  ri- 
trovato  nn  rimedio,  col  quale,  stando  nel  letto,  medi- 
efaer6  tatti  questi  mail:  vattene  tu  dentro  con  Livia;  voi, 
Erminio,  rimanete  fuori. 

ERM.  E  che  buona  pensata  d  stata  questa. 

LU.  Ma  chiudete  questa  porta  col  chiavistello,  e  con  la 
stanga,  e  fate  conto,  che  non  sia  nessuno  in  questa  casa, 
6  s'egli  d  bussato,  e  fusse  rovinata  la  porta,  non  rispon- 
dete  niente,  e  non  fate  strepito  per  casa;  abbiate  insin 
cura  che  il  letto  non  faccia  rumore;  daU'altro  canto, 
quand'  io  mi  spurgo,  fate  il  maggior  rumore  che  sia  pos- 
sibile  con  la  panca  e  con  il  letto,  e  gittate  gid  qualche 
tegolo,  quando  sentite  brigate  intomo  all'uscio,  e  non 
nscite  un  iota  di  questa  commissione,  chd  voi  e  me  n>- 
vinereste  ad  un  tratto. 


12  ARID0S10 

TIB.  Non  dabiUre,  cosi  foremo. 

ERM.  Che  diavol  yaoi  ta  far  Lucido? 

LU.  Lo  vedrete;  ma  6  meglio  ch*andiate  a  raggaagliar  ogni 
cosa  a  MarcantonJo,  acciocch^  bisognandoci  poi  Topra 
sua,  lo  possiamo  adoperare;  ed  ecco  a  panto  di  ifua  Ari- 
dosio;  guardate  cb'ei  non  vi  vegga  inUMno  all'uscio,  e 
io  ancora  mi  vo'  tirar  qua  dietro. 

ERM.  Addio  adanqne. 

GES.  Per  Diol  ecco  Aridosio;  che  cosa  ba  a  esser  quesU? 
io  son  disposto  di  stare  infino  al  fine,  ma  in  luogo  ch*ei 
non  mi  vegga. 


M  rl4*»l*,  CcMire  da  parte,  Ij«eM«« 


ARI.  Dove  diavol  trover6  io  questo  sciagurato?  io  credo,  cite 
ssLTk  ito  in  cbiasso,  con  riverenzia  parlando;  ob  povero 
Aridosio,  guarda  per  cbi  tu  ti  aflTaticbi,  a  cbi  tu  cerchi 
di  lasciar  tanta  roba,  ad  uno,  cbe  ti  tradisca  ogni  dl^ 
ogni  ora  ti  dia  nuove  brigbe,  e  cbe  desideri  piu  la  morte 
tua  cbe  la  propria  vita. 

CES.  Ei  ci  ^  degli  altri,  cbe  cercon  questo  medesimo. 

ARI.  Ma  io  me  la  porter6  prima  meco  alia  fossa,  cba  lassar- 
gliene;  mescbino  a  me,  cbe  questa  mattina  bo  pensato 
di  crepare  affatto:  fra  la  fatica  del  venire  a  pi6,  che  ml 
ba  mezzo  morto,  e  il  dispiacer  deiranimo,  dubito  di  noa 
mi  ammalare,  e  tutto  per  causa  di  quel  presso  cb^o 
non  dissi:  ma  cbe  indugio  io  d'entrar  in  casa,  e  poaar 
la  borsa,  cbe  troppo  mi  pesa,  e  poi  darmi  alia  cerca 
tanto,  cbMo  lo  ritrovi  per  gastigarlo  secondo  ch'ei  me- 
rita?  ma  voglio  aprir  Tuscio. 

GES.  Per  Dio,  cb'  egli  ba  la  borsa  seco. 

ARI.  Abimd,  cbe  vuol  dir  questo;  sarebb*egli  mai  guasto  il 
serrame?  a  voltar  in  qua,  ^  peggio;  d  par  cbe  sia  messo 
11  cbiavisteUo  di  dentro;  io  so  pur  cbe  Tiberio  non  ha 


ATTO  SECONDO  43 

la  chiave,  ma  temo,  cbe  non  ci  sia  piu  presto  qualche 
ladro;  bisogna  un  tratto  che  qua  sien  brigate. 
LU.  Gbi  ^  quel  matto  cbe  tocca  quella  porta? 
ARI.  Percb6  son  io  matto  a  toccar  le  cose  mie? 
LU.  Aridosio,  perdonatemi ,  vol  slate  per  certo  a  toccarli; 

discostatevi. 
ARI.  Percbe  vuol  tu  cb'  io  mi  discosti  ? 
LU.  S'avete  cara  la  yita,  discostatevi. 
ARI.  E  percbd? 
LU.  Vol  Io  potreste  vedere,  se  troppo  vl  badate  intomo; 

discostatevi  dico. 
ARI.  Yuoi  tu  dlr  percbd? 
LU.  Percbd  cotesta  casa  6  plena  di  dlavoll.  (Lucido  gi  spwr- 

ga,  e  quel  di  com  fanno  rumore), 
ARL  Oim^  cbe  sento?  cbe  cosa  d  questa?  come  plena  di 

diavoU? 
LU.  Non  gii  avete  sentiti? 
ARI.  Si,  bo. 

LU.  E  sentirete  dell'aitre  volte. 
ARI.  £  cbi  rba  indiavolata,  Lucido? 
LV,  Questo  non  so  io. 

ARI.  Abim^  cbe  ml  ruberanno  ci6  cb'io  v*  bo. 
LU.  Se  Bon  rubano  1  ragnateli. 
ARI.  Yi  son  pur  gii  usci,  le  flnestre  e  I'altre  masserlzle. 
LU.  Avete  ragione,  non  ml  ricordava  dl  questo. 
ARI.  Bfe  ne  ricordav'io,  cbe  tocca  a  me. 
CES.  Ancor  non  intend' io  questa  matassa. 
LU.  Ob  vol  tremate;  non  abbiate  paura,  cbe  non  vi  fa- 
ranno  altrp  male,  se  non  cbe  vol  non  potrete  usar  la 
casa  vostra. 
ARI.  Questo  tl  par  niente?  e  se  gll  andassero  ancbe  in 
villa?  ^ 

LU.  Bisognerebbe  cbe  avessi  pazienza. 
ARI.  Bella  discrezion  la  loro  a  tor  la  roba  d'altri;  almanco 
ne  pagassen  la  pigione;  ma  per  questa  croce,  cbe  s'io 
dovessi  metterol  fuoco,  cb'io  ne  gll  vo  cavare. 


44  IRIDOSIO 

LU.  Voi  gli  giuDterete;  non  vi  stann'eglino  dentro  per 

piacere. 
ARI.  Tu  dl  anche  il  vero,  e  la  casa  arderebbe  or  ch^  io  ri- 

penso;  io  gli  vorrei  pur  ammazzare. 
LU.  Se  vi  sentono,  vi  faranno  qualche  male  scherzo;  ei 

getton  qui  spesso  tegoli,  pietre  e  ci6  che  trovano. 
ARI.  Oh  e'mi  debbon  guastar  tutta  la  casa? 
LU.  Pensate  che  non  la  racconciano;  ecco  un  tegolo;  di- 

scosUamoci  che  noi  non  abbiam  qualche  sassata.  {Quel  di 

casa  gettan  giu  iegoli), 
€ES.  Io  comincio  ad  intender  Tinganno. 
ARI.  Oh  Lucido,  io  ho  la  gran  paura. 
LU.  E  voi  avete  ragione. 
ARI.  Posson  eglino  trar  qui? 
LU.  Messer  no. 
ARI.  Quanf  b  che  cominci6  questa  maledizione,  ch'  io  non 

ho  mai  saputo  niente? 
LU.  Non  Io  so,  ma  due  noUi  sono,  ch*  io  ci  passai,  che  fa- 

ceano  un  rumore,  che  parea  che  rovinassero  allora  il 

cielo. 
ARI.  Non  dir  tanto  che  mi  fai  paura. 
LU.  Certe  volte  dicon  questi  vicini,  che  suonano  e  che 

cantano,  ma  piu  la  nolte,  e  la  maggior  parte  del  tempo 

si  stanno  quieti. 
GES.  Questa  6  la  piu  bella  cosa  ch'  io  vedessi  maL 
ARL  Come  ho  io  a  fare?  non  ^  bene  mandarvi  tanti^  che 

gli  ammazzin  tutti? 
LU.  Parlate  basso  di  simil  cosa 
ARI.  Tu  di  il  vero. 
LU.  E  Chi  yolete  voi,  che  gli  ammazzi?  bisogna  menar 

preti,  frati,  reliquie,  e  liar  comandar  loro  che  se  ne 

vadano. 
ARI.  Ed  anderannosene? 
LU.  Risolntamente. 

ARI*  Vi  potrian  ritomare  deli'altre  volte. 
LU.  Gotesto  sL 


ATTO  SSCONDO  i5 

ARI.  Ed  io  non  istar6  a  cotesto  riscbio,  che  ti  prometta 
Che  come  n'escano,  subito  la  vo*  vendere,  s'  io  )a  dovessl 
dar  per  manco  due  fiorini   cb'ella  non  mi  sta. 

LU.  L'avranno  peggiorata  piu  di  venticinque  ii  spiriti. 

ARI.  Oh  Dio,  non  me  io  ricordare,  cbe  mi  s'agghiaccia  il 
sangue;  io  non  ho  per6  mai  fatto  cosa,  ch*io  meriti 
questo,  ma  per  i  peccati  di  Tiberio  m'intervien  tutto; 
doy'6  egli  quel  ribaldo? 

LU.  Yoi  Io  tenete  in  villa,  e  domandatene  me,  che  sto  in 
Firenze.  • 

ARI.  Lo  debbi  ben  sapere,  che  tu  e  Erminio  me  io  sviate. 

LU.  Guarda  a  quel  che  costui  sta  a  pensare;  par  ch*egU 
abbia  la  casa  plena  d'angeli,  non  di  diavoli. 

ARI.  Pensa,  pensa,  che  i  mali  portamenti  di  Tiberio  mi  fan 
crepar  il  cuore.  Oim^,  Lucido,  di  grazia  non  ti  discostar 
da  me.  (Lucido  si  spurga  ed  elle  [anno  ru  vore), 

LU.  Oh  vol  non  dovreste  volermi  appresso,  che  vi  svio  if 
flgliuolo. 

ARI.  Egli  h  un  modo  di  dire;  so  ben,  ches'ei  non  volesse, 
non  Io  svierebbe  persona;  ma  a  cosa  a  cosa;  chMo  yo* 
glio  prima  cavarmi  quest!  diavoli  di  casa,  e  poi  farema 
cento  insieme:  adesso  me  ne  voglio  andar  a  casa  Mar- 
cantonio,  e  consigliarmi  quel  ch'io  debba  fare,  ma  che 
face'  io  della  borsa  ? 

LU.  Che  dite  voi  di  borsa? 

ARI.  Nulla,  nullr. 

LU.  Egli  h  forse  Ik  in  casa  quella  borsa ,  dove  avete  due 
mila  ducati. 

ART.  E  dove  ho  io  due  mila  ducati?  due  mila  flaschit 
bai  trovato  Tuomo  che  abbia  due  mila  ducati:  ma  av* 
viati,  Lucido,  che  lo  verr6  a  beiragio. 

CES.  Veili  se  niega  d'aver  denari,  I'avarone. 

LU.  Venite  pure  a  vostra  comodlUi,  che  non  mMncresce 
raspeltare. 

ARI.  Va  piir.e  alle  faccende  tue,  Lucido. 

LU.  Per  mia  fe,  ch*io  non  ho  che  fare. 


i6  ARIDOSIO 

ART.  lo  sono  impacciato.  Yattene,  Lucido,  ch*io  8tar6  on 
pezzo. 

LU.  lo  me  n*  andr6  poich^  voi  volete  esser  s(do.  lo  ho 
paura  che  questo  vecchio  non  ci  vogUa  far  qualcbe 

'  tradimento;  ma  io  so  pure  che  non  d  da  tanto;  me  ne 
voglio  andare  a  trovare  Erminio,  e  farlo  morire  delle  risa. 

ARI.  Mi  voglio  ritirare  in  qua  or  che  ioson  solo.'oDiotIo 
son  pur  disgraziato:  potevami  egli  accadere  cosa  peg- 
giore,  che  aver  la  casa  piena  di  diavoli,  a  causa  ch'io 
non  potessi  viporre  questi  denari?  che  ho  io  mai  a  far 
di  questa  borsa?  Se  io  la  porto  meco,  e  che  Marcantonio 
la  vegga,  io  son  rovinato,  e  dove  la  posso  io  lassare, 
ch'ella  non  mi  stia  a  pericolo? 

CESi  Questa  potrebbe  essere  la  mia  ventura. 

ARI.  Ma  dappoi  che  nessuno  mi  vede,  sar^  meglio  che  io 
la  metta  qua  giii  in  questo  fondo  aotto  questa  lastra, 
dove  altre  volte  r  ho  messa  ,"*  e  fidatamente  sempre  ce 
r  ho  ritrovata :  o  fogna  dabbene,  quanto  ti  son  io  ob- 
bligato  I 

CES.  Obbligato  le  8ar6  io,  se  ve  la  metti. 

ARI.  Ma  se  la  fosse  trovata,  una  volta  paga  sempre:  e  se 
io  la  porto  anche  meco,  non  va  ella  a  pericolo  d'  esser 
mbata,  vedutami?  41  certo,  che  ^  quasi  quel  medesimo; 
perchd  come  si  sa,  che  un  mio  pari  abbia  ducati,  subito 
gli  ^  fatto  disegno  addosso. 

CES.  Nella  fogna  sta  meglio. 

ARI.  Che  maladetti  state  voi  diavoli,  che  non  mi  lassate 
por  la  borsa  in  casa  mia.  Ma  meschino  a  me  se  mi  sen- 
tonotChefard?  Di  qua  e  di  lit  son  duri  partiti:  pure  6 
meglio  nasconderla,  e  dappoi  che  la  sorte  dell'altre  volte 
me  r  ha  salvata,  me  la  salverk  anco  adesso :  ma  non  ti 
lassar  trovare  borsa  mia,  anima  mia,  speranza  mia. 

CES.  Diavol,  che  ce  la  metta  mai  piu. 

ARI.  Cbe  far6?  orsu  mettiamla;  ma  prima  mi  voglio  guar- 
dare  molto  ben  da  tomo  di  qua  e  di  ]k:  oh  Dio,  mi  par 
che  sino  ai  sassi  abbian  gli  occhi  da  vedermi,  e  la  lin- 


ATTO  SECONDO  47 

gua  da  ridlrlo.  Fogna,  io  mi  ti  raccomando.  Or  su  met- 
tiamla  giu  col  nome  di  San  Gresci.  In  manus  tuas  Do- 
mine^  commendo  spiritum  meum, 

€ES.  £11'^  Unto  gran  cosa,  ch'io  non  la  credo^  s*io  non  la 
tocco. 

ARJ.  Adesso  yo'  vedere  se  ei  ci  pare  niente;  niente  affd : 
ma  se  qualcuno  ci  avesse  a  picchiare  sopra,  gli  verrebbe 
forse  voglia  di  vedere  ci6  che  sotto  ci  fosse;  bisogna 
Che  io  ci  dia  spesso  di  volta,  e  che  io  non  ci  lasci  fer- 
mar  persona;  adesso  voglio  andar  dov'io  aveva  detto,  e 
trovare  qualche  espediente,  per  cavar  colorodicasa;  me 
n'andr6  di  qua,  ch'io  non  voglio  passar  loro  appresso. 

GES.  Questa  d  pur  gran  cosa,  e  se  io  non  sogno,  che  mi 
par  pur  di  essere  desto;  questo  6  quel  di  che  ha  a  por 
fine  alle  mie  roiserie;  ma  che  aspetto?  che  qualcuno 
yenga  qui  ad  Impedirmi ;  voglio  anch'io  vcder  s'  io  son 
visto;  e  da  chi?  o  Fogna  Santa,  che  mi  fai  felice:  oh 
guarda  s'io  ho  trovato  altro,  che  un  fungo.  Voi  state 
pur  meglio  in  mia  mano:  e  forse  ch'io  gli  ho  a  sciorre 
della  moneta ;  tutti  d'oro  sono.  Oh  fortuna,  questa  b  troppo 
gran  mutazione,  perch^  dove  io  era  disperato  di  aver 
mai  a  veder  Cassandra  mia ,  in  un  punto  me  Thai  data 
in  mano;  ma  per  farli  maggior  dispetto  voglio rimettere 
nella  borsa  dei  sassi,  acciocch'ella  gli  paia  plena  fin  chd 
ei  non  la  tocca,  e  racconciar  che  non  ci  paia  niente :  o 
Diol  perch6  non  ho  io  un  capresto  da  metterci  dentro; 
ma  non  mi  vo'  lassar  vincer  d'allegrezza,  perchd  dicono, 
cb'egli  6  cosi  prudenza  sapere  sopportare  una  felicit4 
come  una  awersitk ,  bench'  io  sia  certo  di  non  aver 
Dial  aver  la  maggiore,  che  se  ben  un  altro  di  dieci  mlla 
n'  avessi  trovati  non  mi  varrebbono  quanto  questi ;  ma 
ecco  non  so  chi;  non  vo'che  mi  veda  qua;  ogni  cosa 
sta  bene,  e  non  ci  par  niente. 


i8  ARIDOSIO 


Laeld*  e  Arii««U. 


LIT.  Non  yi  date  impaccio  del  prete,  che  io  ve  lo  ho  tro- 
vato,  e  tanto  dabbene,  che  non  potreste  trovar  meglio, 
e  il  raaggior  cacciadiavoli  non  6  in  Toscana. 

ARI.  Io  ho  scarico  Tanimo  dappoi  che  la  lastra  sta  bene. 

LU.  Che  dite  voi  ? 

ARI.  Dico  che  mi  si  leverk  del]*animo  una  gran  briga,  se 
questi  diavoli  si  roandan  via;  ma  io  ti  ricordo,  Lucido, 
che  io  son  povero,  e  oltre  al  danno,  che  m*  hanno  fatto 
in  casa,  non  vorrei  avere  a  pagare  a  questo  prete  un 
occhio  d'uoroo. 

LU.  Non  'lubitate,  ch*egli  b  persona  che  starebbe  con- 
tento  quando  non  gli  deste  niente. 

ARI.  Io  far6  bene  a  cotesto  modo:  ma  come  gli  mandera 
egli  via  se  gli  hanno  Kerrati  gli  usci,  e  le  finestre. 

LU.  Con  orazioni,  e  scongiuri,  le  quali  entrano  per  tutto, 
benchd  slano  serrati  gli  usci  e  le  flnestre. 

ARI.  Usciranno  eglino  per  Tuscio,  o  per  le  finestre? 

LU.  Bella  domanda,  possono  uscir  donde  vogliono;  ma 
bisogna,  che  facciano  un  segno  pel  quale  voi  conosciate, 
che  ne  siano  usciti ;  ma  avviatevi  verso  San  Ix>renzo, 
dov*6  quel  prete  mio  amico^  e  io  vengo  dietro,  e  mene- 
remlo  qui  subito,  e  caverenne  le  mani.  In  tanto  doman- 
den*)  Erminio,  mio  padrone,  che  vien  di  qua,  se  vuol 
nulla. 

ARI.  Andiamo  insi»me,  Lucido. 

LU.  Avviatevi,  ch*io  vengo  adesso. 

ARI.  No,  io  ti  voglio  aspetlare. 

LU.  Guarda,  che  vecchio  pazzo  e  questo;  dianzi  vo^se 
esser  solo,  adesso  a  mio  dispetto  vuol  ch'  io  vada  seco ; 
Io  domanderd  pur  se  vuol  niente. 


ITTO  SECORDO  i9 


LaeM*,  ErmlaU,  ArMMl*. 


LU.  Volete  voi  niente,  padrone? 

ERM.  Ob,  LucidOy  si  voglio,  ascolta. 

LU.  Andate  dov'io  v'ho  detto. 

ART.  lo  mi  riposo  intanto,  e  non  lio  fretta,  e  ho  paura 

andar  solo.  Delia  l)orsa  lio  paura. 
LU.  Fate  vol;  cbe  comandate,  Erminio? 
ERM,  E*  si  pensa  a'  casi  d'ognuno,  e  a'  miei  niente. 
LU.  Pensate  ch'ioprocurie'fatti  d*altri,  e  i  vostri  si  get- 

tino  dietro  alle  spalle? 
ART.  Questo  bisbigliare  intorno  alia  borsa  non  mi  place. 
LU.  Non  Yi  diss*  io  cb'  aveva  trovato  quasi  un  modo  sta- 

notte,  pel  quale  voi  vi  poteste  contentare? 
ARL  Cbe !  aveva  egli  trovato  f 
ERM.  Si,  ma  non  mi  avendo  poi  detto  altro,  pensai  cbe 

fosse  niente. 
LU.  Io  bo  pensato  cbe  voi  entriate  in  un  forziero,  e  fin- 

gendo  di  voler  mandar  panni  e  altre  robe ,  vi  facciate 

portare  fln  in  cella  sua. 
ARI.  0  e*  mi  batte  il  cuore ,  ma  s*  io  veggio  cbinarli,  o 

far  atto  nessuno,  io  grider6. 
ERM.  Orsu  flnisci. 
LU.  Poi  uscire  del  forziero. 
ERM.  E  poi? 

LU.  Son  stato  per  dirvelo. 
ERM.  Tu  bai  pensato  ad  ogni  altra  cosa,  cbe  a  quelia  cb'io 

voleva,  cbe  tu  pensassi. 
ARI.  Oh  borsa  mia,  cbe  pagberei  averti  in  seno? 
LU.  Io  mi  penso,  cbe  ii  desiderio  degl*  innamorati  sia  il 

ritrovarsi  con  la  dama,  n6  penso  cbe  voi  speriate  che 

ella  vi  doni  mille  scudi. 
ARI.  Meschino  a  me:  che  dic*egU  di  mille  scudi?  grido? 
Lorenx,  de*Medici  ^ 


50  ARIDOSIO 

ERM.  Non  ti  ho  io  detto,  che  desidererei,  che  si  trovasse  im 

modo  pel  qual  ella  potesse  uscir  dal  monasterio,  per 

tanto  che  partorisset 
LU.  Ho  inteso  ,  questo  ancora  si  potii  pensare:  ma  sark 

dilficil  cosa,  padrone ;  togliete  ii  guanto,  che  vi  h  cascato. 
Am.  Ohim^,  che  mi  rubano,  oh  traditori,  oh  ladri. 
ERM.  Che  grida  son  queste? 
ARI.  La  lastra  sta  pur  bena 
L9.  Che  avete  voi,  Aridosio 
ARI.  Non,  nulla,  aveva  paura. 
LU.  Che  dicevate  voi  di  ladri? 

ARI.  Aveva  paura  che  i  diavoli  non  mi  rubassero  in  casa. 
ERM.  Voi  f arete  impazzar  questo  vecchia 
LU.  Io  vorrei  volentieri,  ch'ei  crepasse;  a  che  6  eibuono? 
ARL  Quanto  vogliam  noi  stare  t 
LU.  Adesso  vengo ;  non  abbiate  paura  quando  siete  meea 
ERM.  Dov'avete  voi  andare? 
LU.  A  trovare  un  prete,  che  voglia  fare  in  modo,  che  noi 

gli  caviam  di  mano  venticinque  scudi  che  s'hanno  a 

dare  a  Ruffo. 
ERM.  Come  farai? 
LU.  Lo  saprete. 
ERM.  Va  adunque^  perchd  m*d  si  grato  quel  cbe  tu  fai  per 

TilMrio,  come  se  tu  lo  facesst  per  me;  e  non  ti  scordar 

poi  del  fatto  mio. 
LU.  Mi  maraviglio  di  voi. 
ARI.  Andianne  Lucido. 
LU.  Io  ne  vengo,  volete  voi  altro? 
l^M.  No,  io  voglio  andare  infinoal  monistero;addio,Arl- 

dosio. 
ARI.  Chi  e  quello. 
LU.  t  Erminio. 

AM.  Oh:  addio  Erminio;  io  non  t'aveva  conoscinto. 
BRM.  Mi  raccomando  a  voi;  egli  ^  in  collera  meco,  perehd 

pensa,  che  io  gli  svii  Tiberio ,  e  ha  fiitto  vista  di  non 

mi  conoscere. 


ATTO  SECONDO  5f 

LU.  Che  guardate  yoi,  che  non  ne  venite? 

ARI.  No,  nulla  no,  va  pur  \k, 

ERIL  E  poi  non  me  ne  euro,  egli  b  on  uomo  da  non  lo 

Yolere,  n^  per  amico,  nb  per  padre;  ma  che  resto  io  di 

non  bussare  alia  ruota? 


alia  ruota,  Erailal*,  suor  MarleMn. 


MON.  Ave  Maria, 

ERM.  Io  Yorrei,  che  vol  mi  chiamaste  la  Fiammetta. 

MON.  Eir^  malata  grave,  e  non  yuole  che  nessun  la  vi- 
9iti:  non  so  se  io  mi  gli  potrd  fare  rambasciata. 

ERM.  Fategline  in  ogni  modo,  e  se  non  pu6  venire,  dite 
che  mandi  la  maestra. 

MON.  Orsd,  io  vo. 

ERM.  Egli  d  ben  vero  quel  che  si  dice,  che  chi  un  paio 
di  guanti  logora  intorno  a  queste  grate,  ce  ne  logora 
anche  sei  dozzine;  quante  volte  ho  io  annoverati  questi 
/erri,  e  considerati  quali  si  dimenino^  quali  sieno  im- 
piombati,  e  quai  no,  e  so  in  qual  vano  si  pu6  metter  la 
mano  a  chius'occhi. 

S.  MA.  Chi  m'ha  fatto  chiamare?  o  Erminio,  che  c'6? 

ERM.  Male,  suor  Marietta  mia,  poi  che  la  Fiammetta  ha 
male. 

S»  MA.  Eirha  avuto  si  gran  dispiacere  di  non  ti  poter  ve- 
nire a  parlare,  che  non  lo  poteva  aver  magglore,  e  non 
6  venuta,  perchd  le  monache  non  le  vedano  il  corpo 
grosso ;  non  gik  che  le  doglie  la  stringan  tanto,  ch'ella 
non  fosse  potuta  venire. 

ERM.  Che,  ha  doglie,  eh? 

S.  MA.  Oh  ella  potrebbe  ad  ogni  ora  fare  il  bambino. 

ERM.  Meschino  a  me. 

S.  MA.  La  poverina  si  aiHigge  tanto,  che  io  non  penso 
mai,  ch'ella  lo  conduca  a  bene,  e  hamml  detto  che  io  ti 


52  AEIDOSIO 

djca  da  sua  parte,  die  ta  yada  a  trovare  madmma  Go- 
stanza  sua  zla,  e  che  le  (accia  scrivere  una  iettera  alia 
pnora,  per  la  qoale  la  ricerchi,  ebe  dia  licenza  alia  Fiam* 
metta  di  farsi  portar  a  medicare  a  casa  sua. 

EBM.  Oh  I  la  priora  noa  lo  far^ 

S.  MA.  Eb,  sopra  la  fade  d'aoa  donna  dabbene  saa  zia,  e 
in  un  caso  com*d  questo,  si  bene,  percb^  pel  monasterio 
si  erede,  cb'ella  stia  per  morire;  s'ella  fosse  mcmaca  noa 
direi  io  cost,  ma  alle  non  velate  qualcbe  yolta  si  e  con- 
cesso. 

ERM.  n  tentar  non  nuoce. 

S.  MA.  Fallo  in  ogni  mode:  fallo  figliuol  mio:  e  levaci 
cosi  fotta  pena  dal  cuore. 

ERM.  Io  la  vorrei  poter  levar  col  proprio  sangne,  percbd 
io  la  leverei  a  vol,  e  a  me  ad  un  tratto. 

S.  MA.  Quanto  piu  presto  fai  quest' opera,  Erminio  mio, 
tanto  d  meglio. 

ERM.  Io  andr6  adesso,  se  yi  pare. 

S  MA  Ya,  che  la  paura  mia  d  ch'ella  non  partorisca 
stasera. 

ERM.  Dio  ci  aiuti. 

S.  MA.  Oh,  tu  Thai  detto.  Chi  ha  fede  in  lui  non  pu6 
far  male. 

ERM.  Io  vo'  a  far  questa  faccenda. 

S.  MA.  Si;  ma  non  dir  alia  sua  zia  ch'ella  sia  gravida. 

ERM.  Oh,  YOi  dite  le  gran  coset  s' ell' ha  a  andare  a  casa 
sua,  non  s'ha  ella  a  vedere? 

S.  MA.  Oh  tu  dl  il  vero,  io  non  aveva  pensato  a  cotesto; 
ma  come  farem  not? 

ERM.  Bisogna  dirgliene. 

S.  MA.  Fa  tu ,  digliene  in  modo  onesto. 

ERM.  Lassate  fare  a  me;  volete  altro? 

S.  MA.  Ascolta;  chi  manderai  tu  che  la  porti? 

ERM.  Oh  vol  pensate  troppo  in  la:  bisogna  prima  aver  la 
licenza. 

S.  MA.  Ella  s'  aviii. 


ATTO  SBCONDO  53 

ERM.  Dioil  YOglia.  Raccomandatemi  alia  Fiammetta,  e  di- 
tele  che  non  pianga^  e  non  s'affligga,  poich^  il  piangere 
e  k)  affliggersi  altro  non  fa  che  farle  male,  e  tenetela 
confortata,  che  no!  troveremo  ben  qualche  modo,  che  si 
consoli. 

S.  MA.  Ck)sl  far6;  ella  mi  disse  bene  che  io  te  la  racco- 
mandassi  tanto  tanto. 

ERM.  E  sarebbe  come  raccomandare  me  a  me  medesimo, 
8Uor  Marietta  mia. 

S.  MA.  Ascolta,  mandaci  un  poco  dl  trebbiano  da  sclacquarle 
la  bocca. 

ERM.  Gosi  far6;  se  vi  manca  altro  fatemelo  sapere. 

S.  MA.  Voiremmo  rlsposta  di  questa  cosa  presto. 

ERM.  Io  TO  Ik  adesso. 

S.  MA.  Ya  sano,  che  DIo  ti  benedica. 

ERM.  Io  son  certo  che  questa  norella  non  ha  a  fare  nes- 
sun  buon  effetto,  perch^  io  credo,  che  la  priora  darebbe 
licenza  prima  a  tutte  le  altre  monache,  che  a  lei;  pur 
proverb  per  satisfare  lora  Questa  ^  la  piik  corta. 


ATTO   TERZO 


LU.  Inflne  i  denari  fanno  ogni  cosa;  quand'ioebbi  contato 
al  prete,  ci6  che  io  voleva  da  lui,  subito  si  comfncid  a 
fare  scrupolo,  dicendo  che  questo  era  un  uccellare  la 
religione,  e  poi  quand'io  li  promisi  due  scudi,  eirjmut6 
la  cosa,  con  dire,  che  se  io  lo  faceva  a  fine  di  bene,  e 
per  rimettere  d*accordo  il  padre  e  il  figliuolo,  che  fa- 
rebbe  ogni  cosa :  si  che  bisogna  giuntarlo  piik  due  scud i, 
che  glMnteressi  hanno  a  correre  sopra  di  lui  questa  volta : 
ma  da  poi  che  ho  acconcia  la  cosa  del  prete,mi  bisogna 
aguzzare  lo  ingegno  come  io  abbia  a  fare  il  diavolo.  £ 
che  yoglio  io  anco  pensare?  Come  io  non  sappiaquanto 
sia  la  sciocchezza  dei  vecchi,  e  massime  del  nostro?  I 
putti  farebbono  oggi  lor  credere  che  gli  asini  volassero: 
e  questo  d  il  hello,  che  parendogli  di  esser  savi  vogliono 
consigliar  altri,  avendo  i  medesimi  necessity  di  esser 
consigliati,  e  provano  questo  con  dire,  che  fanno  assai 
meno  errori  che  i  giovani;  egli  6  ben  vero,  che  fanno 
manco  cose.  Ma  che  bado  io  d'  entrare  in  casa  avanti 
che  Aridosio  e  il  prete  arrivino  qui  ?  Tic  toe,  tic  toe,  o 
di  casa,  o  Ik,  aprite,  volete  voi  ch'io  vi  rovini  questa 
porta?  0  costoro  sono  morti  o  assordati,  tic,  toe,  tic,  toc> 

^  Tiberio  apri,  ch'io  son  Lucido. 


ATTO  TBRZO  55 

TIB.  A  qaesto  modo  si  I  tu  non  ti  dei  ricordare  ch^  io  ti 
aveya  piomesso  di  lassar  rainar  la  porta,  prima  the 
aprire  a  nessuno? 

LU.  Per  Dio,  che  se  tu  osservi  agli  altri  quel  che  tu  prcH 
metti,  come  tu  hat  osservato  questo  a  me,  che  tu  ti  pud 
pareggiare  all'imperadore;  ben  hai  tu  cavate  le  tue 
voglief 

TIB.  Non  sai  tu  che  11  desiderio  delle  cose  belle  non  si 
estingue  mai? 

LU.  Ecco  qua  tuo  padre:  entra  dentro. 

TIB.  Cbe  yien  egli  a  fare  qua? 

LU.  Non  yerrk  dentro,  non  dubitare. 


Aii4«»l«,  ser  I«e«Bi«,  Laeld*  che  parla  per  gptriU. 


ART.  Io  son  venuto  innanzi  per  vedere  se  la  lastra  sta 
bene,  ch'io  non  posso  vivere  se  ad  ogni  poco  non  gli 
do  un*occbiata:  ma  poi  che  non  si  vede  nessuno,  vogbo 
rivedere  anche  una  volta  la  borsa  cosi  di  fuori.  0  lastra^t 
tu  non  sei  peso  dalle  mie  braccia;  appunto  nel  modo, 
ch'io  la  messi  si  ritrova,  nb  la  vogllo  toccare  altri- 
menti.  0  Fogna  mia  dolce^  serbamela  anco  un*  ora ,  ben- 
ch^ noi  abbiamo  ad  esser  qui  in  luogo,  cbe  io  ti  vedr^ 
semprel  Ma  ecco  il  prete,  che  m*ayrk  visto  chinato;  per 
mia  f§,  che  mi  bisogna  trovare  una  scusa. 

S.  lAC  Aridosio  mi  disse  che  sarebbe  qui  e  non  ce  Io  vedo. 

ARL  Ah,  ah,  io  I'ho  trovato.  Ser  lacomo  mi  era  chinato 
per  ricorre  un  sasso. 

S.  lAC  Yoi  siete  qua:  io  non  y'avea  visto;  che  dite  yoi 
dl  sasso? 

ARL  Ba  che  non  m'  ayeva  yisto  la  riyolterd  in  qualche 
bel  passa  Bico  che  son  yenuto  passo  passo. 

S.  lAC  Yoi  avete  &tto  bene  per  non  yi  riscaldare,  che  yoi 
siete  a  cotesto  modo  sciorinata 


5S  ARfDOSIO 

ARL  Ghe  volete  voi  far  di  quel  lume? 

S.  lAG.  Egli  e  buono  a  mille  cose. 

ARI.  Dite  a  che,  ser  lacomo. 

S.  lAC  A  far  lume,  ad  accendere  il  fuoco  e  altre  faccende. 

ARI.  Eb,  voi  n  on  m'intendete ;  dico  se  gli  6  buon  per  gli  splriti. 

S.  f  Ad  Per  gli  spirit!  egli  d  pessimo  e  doloroso. 

AM.  Oh  perch6  Tavete  voi  portatof 

S'  lAG.  Per  dar  loro  il  mal  anno  e  la  mala  Pasqaa. 

ARI.  Ah,  ah,  io  yi  bo  inteso;  roi  parlate  troppo  astuta- 
mente:  che  cosa  avete  yoi  in  quella  secchia? 

S.  lAG.  Acqua. 

ARI.  Pur  per  gli  spiriti*? 

S.  lAC.  Oh  YOi  mi  domandate  delle  gran  cose. 

ARI.  Non  vi  maravigliate ,  che  io  non  bo  mai  yisto  scon- 
giurare  diayoli. 

S.  lAG.  Non  stiamo  piu  a  perder  tempo,  ayyiamoci  in  Ut. 

ARI.  Oh  quanto  ci  abbiamo  noi  accostare  alia  casa? 

S.  lAG.  Accanto  alia  porta. 

ARI.  Non  gik  io,  ch'io  non  to  yenir  tanto  in  Ik, 

S.  I  AG.  Oh,  perch^? 

ARI.  Perch6  tirano  giii  tegoli,  mattoni,  ohimd,  che  mi  gua- 
stano  tutta  la  mia  casa. 

S.  lAG.  Non  dubitate ,  che  mentre  siete  meco  non  yi  fa* 
ranno  dispiacere  nessuno. 

ARI.  Promettetemelo  yoi? 

S.  lAa  Si,  prometto. 

ARI.  Alzate  la  f^. 

S.  I  AG.  Per  questa  croce;  accostiamoci  adunque;  qui  sta 
bene. 

ARI.  Oh  Dio,  non  potreste  yoi  far  questa  cosa  senza  me? 

S.  lAG.  Bisogna  che  il  padrone  della  casa  sia  presente,  e 
ho  bisogno  che  mi  aiutiate  in  assai  cose;  pigliate  questa 
candela  in  mano.  Vedi  uomo  da  tener  candelei  pareun 
moccolo  in  un  candelliere:  tenetela  un  po'piCi  ritta  cbe 
io  non  yoglio  che  mi  ardiate  la  barba  per  questo. 

ARL  Gercate  come  mi  batte  il  cuore. 


ATTO    TERZO  67 

S.  lAG.  lo  vel  credo  senza  giurare,  chd  queste  cose  fanno 

C06i:  ma  non  abbiate  paura  mentre  avete  cotesto  lame 

in  mano:  accostatevi  piu  in  qna,  piu  ancora,  an  po'pii!^: 

OTSU,  inglnocchiatevi:  cbe  vi  guardate  voi  di  dietro?. 

Tenete  l^  qaesta  candela,  come  voi  I'avete  a  tenere ;  voi 

mi  parete  balordo,  cbe  non  badate  voi  a  queilo  cbe  avete 

a  fare? 
ARL  E  s'jo  ho  paara? 
S.  lAC.  A  questo  non  ^  rimedio;  dite  il  Pater  nostro  e 

VAve  Maria,  cbe  io  comincio  a  scongiurare. 
ARL  Ave  Maria, 

S.  lAG.  Ditela  piano,  cbe  non  mi  diate  impaccio. 
ARL  Ob  non  mi  sentiranno. 
S.  lAC  Basta,  cbe  sentano  me:  Hanc  tua  Penelope  lento 

TiH  mittit,  Ulysse,  Nil  mihi  rescribas ;  at  tamen  ipse  venL 
ARL  Parlate  in  volgare,  cbe  non  vi  debbono  intendere  in 

latino. 
S.  iA.G.  Sark  il  meglio.  0  di  casa,  o  spiiiti  maledetti,  io  vi 

comando  da  parte  di  Aridosio,  cbe  voi  usciate  di  costk. 
ARI.  Dite  pur  da  vostra. 
S.  lAC  Attendete  a  dire  VAve  Maria,  e  lassate  scongiurare 

a  me.  Io  vi  comando  da  parte  mia ,  cbe  son  prete,  cbe 

usciate  di  cost^  (Fanno  rumore), 
ARI.  Non  pii!k,  non  piil,  non  piik,  ser  lacomo. 
S.  lAC.  0  volete  cbe  n*escano  o  no;  a  quest'altro  scongiuro 

gli  caccio  via.  Io  vi  comando  da  parte  di  San  Giusto, 

che  voi  vi  partiate  di  cotesta  casa. 
LU.  Noi  non  ci  vogliamo  partire. 
S.  lAC.  Vedi  cbe  rispondestl. 
ARL  Ob  mi  si  raccapricciono  tutt'i  capelli. 
S.  lAC.  Gotesta  candela  sark  prima  logora,  cbe  noi  abbiamo 

flnito  I'opera;  tenetela  su.  Io  vi  comando  spiriti  maligni 

da  parte  4i  quel  medesimo,  cbe  mi  diciate  per  queilo 

cbe  voi  siat^  entrati  costk  entro. 
LU.  Per  la  mis^a  di  Aridosio. 
ARL  Pigliate  un  po'  questa  candela,  cb*io  bo  bisogno  di 

lare  una  faccenda. 


58  AEID0S10 

S.  lAC.  Badate  costi,  se  volete:  io  ho  piii  briga  di  yoi,  ehe 

dei  diavoli. 
ARI.  Io  mi  yergogno  di  farlo. 
S.  lAC.  Fatela  costi;  se  voi  vi  partite  un  braccio  di  gi- 

Docchioni,  io  me  D'andr6  con  Dio,  e  lasser6  stare  gli 

spiriti  tanto  che  venga  loro  a  noia. 
ARI.  Oh,  non  vi  adirate  per  questo.  Io  star6  tanto  qaanto 

voi  vorrete. 
S.  lAG.  Io  vi  comando  da  parte  disanta  Cristiana,  che  yoi 

usciate  di  costi. 
LU.  Noi  usciremo,  noi  usciremo. 
S.  lAC.  Or  vedi,  che  la  intendeste;  che  segno  darete  yoi^ 

pel  quale  noi  possiamo  conoscere,  che  ne  siate  usciti*? 
LU.  Rovineremo  questa  casa. 
ARI.  No,  no,  stiansi  piii  presto  dentro. 
S.  lAG.  Non  ci  place  questo  segno,  fatecene  on  altro. 
LU.  Caveremo  queiranello  di  dito  ad  Aridosio. 
ARI.  Son  dei  maledetti;  io  ho  i  guanti;  m'hanno  vislo 

I'anello;  non  voglio  cotesto,  che  non  me  Io  renderebtono 

poi  mai  piu. 
S,  lAG.  M  questo  ci  piace^  un  altro  bisogna. 
LU^  Entreremo  addosso  ad  Aridosio. 
ARI.  Addosso  a  me,  io  me  ne  maraviglio. 
S.  lAG.  Voi  non  avete  turato  tutt'i  luoghi  appunto;  se  vo- 

lessero  vi  entrerebbono  addosso  per  tutta  la  persona,  ma 

non  dubitate,  che  senza  mia  licenza  non  si  partirebbono 

di  11;  state  su  ritto,  e  ripigliate  la  candela  e  vedete:  on 
*  di  questi  tre  segni  vi  bisogna  pigliare;  eleggete  qoal  vi 

place. 
ARI.  Nessuno  non  me  ne  place :  fatevene  dare  un  altro. 
S.  lAC.  Io  non  gli  posso  costringere  a  dare  piii  che  tre 

segni. 
ARI.  Non  se  ne  possono  eglino  andare  senza  dar  segni? 
S.  lAC.  E  diranno  d'  andarsene  e  non  se  n'  andranno. 
ARI.  Stianyisi  e  yerrit  forse  loro  a  noia. 
S.  lAG.  Vol  siate  pur  sempUce,  che  a  posta  d*un  aneUo, 


ATTO  TERZO  59 

Che  val  dieci  scudi,  vogliate  perdere  una  casa  che  ne 
yal  cinquecento. 
ARI.  Dieci  scudi?  e'mi  sta  bene  in  piudi  trenU,  ed6  Tan- 
ticliiU  nostra. 

S.  lAC.  Adunque  non  volete  voi  che  si  partano:  io  Fho 

intesa. 
ARI.  Io  voglio;  ma.... 
S.  lAC.  E  non  si  pu6  far  altro,  vi  dico. 
ARL  Ben,  io  voglio  che  siobblighinoarifarmitutt'idanni 

cbe  m'hanno  fatto  in  casa. 
S.  lAC.  Questo  6  ben  ragioneyole,  e  lassatene  il  carico 

a  me. 

AHl.  Faran  eglino  male  a  me  cavandomelo  di  dito? 
S.  lAC.  Niente. 

ARL  Non  si  potrebbe  metterlo  in  dito  a  voif 
S.  L\C.  No,  che  bisogna  che  sia  cavato  d'un  dito  della  vo- 
stra  mano. 

ARL  Io  non  vorrei  che  mi  sgrafflassero;comepotremonoi 

fare? 
S.  lACL  Potrebbesi  tagliare  la  mano  e  gittarla  1^  che  Io 

cavassero  a  lor  beiragio. 
ARI.  Gotesta  pazzia  non  far6  io;  ma  mi  chiuder6  ben  gli 

occhi  per  non  gli  vedere. 
S.  lAC.  Aspettate;  io  vi  legher6  questa  berretta  dinanzi 

agli  occhi,  che  voi  non  vedrete,  n^  sentirete  nulla. 
ARI.  Graffierannomi  le  mani? 
S.  lAC.  Appunto  state  voi  a  vostro  mode. 
ARL  Messer  si. 

S.  lAG.  Tenete  la  candela  da  quest'altra  mano. 
ARL  Or  bene. 
S.  LAG.  GMamogli  io? 
ARL  Fate  voi. 
S.  lAG.  Noi  siamo  contenti  che  voi  caviate  V  anello  ad 

Aridosio,  promettendoci  sopra  la  fede  vostra  di  rifare  tutti 

i  danni  che  cost^  entro  voi  aveste  fatti. 
LU.  Gosi  promettiamo. 


60  ARIDOSIO 

S.  lAC.  Venite  donque  via,  e  non  gli  fate  n6  male  n6 
paura:  non  vi  discostate  Aridosio  e  non  temete,  che  io 
son  con  voi;  dite  pure  il  qui  habitat,  e  state  di  buona 
YOglia.  Spirito,  cava  presto  e  vatti  con  Dio. 

ARI.  Io  ho  paura  che  facciate  come  il  Gonnella. 

S.  lAG.  Voi  pensate  assai  ragionevolmente ;  state  sopra  di 
voi,  e  andiamo  in  casa  a  ribenedirla  con  quest* acqua 
ma  non  vi  levate  la  berretta  dagli  occhi ,  che  sono  an- 
cor  qui  intomo. 

ARI.  Dite  loro  che  se  ne  vadano  affatto. 

S.  lAC.  Se  n'andranno  bene,  venite  pure  in  casa. 

ARI.  Menatemi,  chMo  non  percuota  in  qual  cosa. 
S.  LAC.  Attaccatevi  a  me. 


Lael4«9  TIbert*  e  MAyrim. 


LU.  Che  vi  feci? 
TIB.  Quel  che  io  non  pensai  mai;  se  tu  sapessi  il  dispia* 

cere  ch*io  aveva  quando  sentiva  la  voce  di  Aridosio, 

aveva  quasi  piu  paura  di  lui  che  ei  di  noi;  mi  trema- 

vano  le  ginocchia,  che  io  non  poteva  stare  ritto. 
LU.  Oh  gran  disgrazia  la  tua,  che  non  ti  stesse  ritto. 
TIB.  Adesso  si  che  mi  place  il  parlare,  ma  allora  ti  pro- 

metto  che  non  ne  aveva  voglia. 
LU.  E  che  avevi  paura,  quando  Lucido  era  presented 
TIB.  E  questo  era  quanto  conforto  aveva. 
Uy.  E  io,  Lucido,  benchS  Tobbligo  mio  nulla  rilievi,  pore 

obbljgata  ti  sono,  quant' esser  possa  donna  ad  noma 
LU.  Obbligata  hai  tu  da  essere  a  costui,  che  ti  ha  liberata 

dalle  mani  di  siffatto  Ruffo,  e  di  poi  non  t'ha  fatto  di- 

spiacere  nessuno  ch*  io  sappia. 
LTV.  Dove  Tobbligo  d  si  grande,  che  le  parole  non  bastino 

a  signiflcarlo,  ^  meglio  tacersi,  aspettando  roccasione  di 

dimostrarlo  con  fattL 


ATTO  TERZO  61 

TIB.  E  non  lo  /arebbe  appena  il  cielo,  che  non  fossi  quella 
nobile  flgliuola  che  si  stima. 

LU.  E'  sank  buono  a  non  perder  tempo ,  perch6  credo  che 
siano  presso  a  venti  ore,  e  il  Raflb  verrk  prima  d'un*ora 
a  ricMedere  i  denari  che  non  ci  ha  promesso.  Credi  che 
io  cavert  quindici  scudi  di  questo  rubino  ? 

TIB.  Io  rho  sempre  sentito  stimare  Irenta. 

LU.  Torneranno  appunto,  perch6  se  n'ha  a  dare  due  al 
prete,  e  tre  che  ayanzino  saranno  del  povero  Lucido. 

TIB.  Egli  6  ragionevole. 

LU.  Io  voglio  adesso  andarlo  a  vendere,  che  il  Ruffo  non 
6  uomo  da  voler  gioie, 

TIB.  E  noi  che  farem,  Lucido? 

LU.  AQdateyene  in  casa  Marcantonio,  tanto  che  la  cosa 
del  Ruffo  sia  assettata;  poive  ne  potrete  andare  in  villa, 
e  costei  si  potrk  stare  in  casa  quel  tuo  amico  11  vicino, 
e  a  tuo  padre  sark  poca  fatica  a  dare  ad  intendere  che 
tu  sia  stato  sempre  lassu. 

TIB.  Se  ti  pare. 

Lu.  Si,  togliete  le  chiavi  della  camera  terrena  d'Enninio, 
e  serratevi  dentro;  io  anderd  a  fare  questa  faccenda , 
ma  udite,  ch*io  sento  aprir  la  porta;  andatevene  di  qua 
6  entrate  per  Fuscio  di  dietro. 


Ser  I«eoBi«  e  Arl4«ttl«. 

S.  lAC,  Yenite  slcuramente,  che  sono  iti  affatto. 

ARI.  Affatto,  affatto? 

S.  lAC.  Come  v'  ho  io  a  dire  ? 

ARI.  Ringraziato  sia  Iddio ;  o  ogni  modo  e'  doveyano  es- 
sere  un  monte  di  poltroni  a  starsi  tutto  il  di  nel  letto 
a  yoltolare,  e  gli  ayevano  ancora  mezza  la  tayola  appa^ 
recchiata;  ma  che  far6  io  di  quel  letto,  di  quella  tayola 
e  di  quelle  masserizie  che  y'hanno  portate?  Dio  me  ne 
guardi  ch*io  adoperassi  cose  di  diay.oli. 


62  ARnx>sio 

S.  lAC  Mandatemele  a  me  che  son  ciurmato. 

ARI,  E  vol  tocchereste  mat  queste  cose?  egli  S  meglio  che 

io  le  faccia  vendere. 
S.  lAC.  Avea  trovato  Tuomo. 
ARI.  Mi  pagheranno  tutti  i  danni  che  m'  hanno  fatti  in 

casa,  e  non  avr6  d'andar  dietro  a  lor  promesse. 
S.  lAG.  E  che  danni  v' hanno  ei  fatto? 
ARI.  Rotta  una  pentoia ,  arsa  una  granata  e  della  legna 

credo,  ch'io  non  mi  ricordo  a  punto  quanti  pezzi  egli 

erano. 
S.  lAG.  Yoi  siete  valente  a  tenere  a  mente  i  pezzi  deUa 

legna. 
ARI.  Chi  ^  poyero  bisogna  che  faccia  cosi. 
S.  lAC.  E  a  me  non  si  vien  niente  della  mia  fatica? 
ARI.  Obt  Lucido  m'ayeva  detto  cbe  non  volevate  nulla. 
S.  lAC.  Egli  ^  il  vero  ch'io  dissi,  che  non  voleva  altro  se 

non  quello  che  piaceva  a  voi. 
ARI.  0  cosi  fanno  gli  uomini  da  bene;  venitene  stasera  a 

cena  meco  per  questo  amore. 
S.  lAG.  Ck)testo  non  far6  io;  che  non  yo'morir  dl  fama 
ARI.  Cbe  dite  yoi? 
S.  lAC.  Dico  cbe  yi  yerr6  molto  yolentieri ,  che  ho  una 

gran  fame. 
ARI.  Oh  ser  lacomo,  ogni  troppo  sta  per  nuocere;  ei  yi 

sark  un  Colombo,  che  ieri  tolsi  dl  bocca  alia  faina,  e 

del  flnoccbio:  non  yi  basta? 
S.  lAC  Si,  si,  o  gli  d  roba  d'ayanzo. 
ARL  Ob  yoi  non  sapete  il  ben  ch'io  yi  yoglio?  Yi  gioro 

per  questa  croce ,  che  s'  io  non  ayessi  dato  quel  ruUno 

agli  spirit! ,  ch'  io  ye  Io  donerei ,  ed  alia  fd  me  ne  sa 

peggio  per  amor  mio  cbe  per  yoslro. 
S.  lAC  Io  rho  per  riceyuto. 
ARI.  Lo  fo  perchd  yoi  yeggiate  ch'  io  non  son  miserocome 

son  tenuto :  ma  andateyi  con  Dio,  non  istate  piii  a  dlsagio; 

a  riyederci  stasera. 
S.  lAC  A  Dio  dunque. 


ATTO  TBRZO  63 

ARI.  Mi  raccomando.  —  Oh  ehe  fa  sapere  usare  quattro  pa- 
role a  tempo;  ma  che  indugio  pih  a  cayar  la  mia  borsa 
e  riporla  per  poter  trovar  Tiberio?  acciocchd  io  gli  fao- 
cia  patir  la  pena  di  quanti  peccati  egli  fece  mai  a'  suoi 
di?  ma  ecco  appunto  uno  che  rien  di  qua,  che  mi  gua- 
sta  il  mio  disegao:  aspetterd  che  sia  passato. 


Raff«,  Arldi«»l«« 


RUF.  Io  ti  so  dire  che  avevano  trovato  il  corribo ;  dove 
m'  haono  a  dare  venticinque  ducati,  volevano  con  una 
doppia  tirarne  cinque  de'mieit 

ARL  Che  dice  egli  di  ducati. 

RUF.  Far6  quello  ch'  io  promisi  lore ,  me  n'  andr6  ad  Ari- 
dosio,  che  intendo  b  in  Firenze,  e  dorrommi  con  lui,  e  son 
ceito  che  mi  fark  render  Liyia  o  pagare  il  resto  dei 
denari. 

ARI.  Ghe  diavolo  dice  di  me  e  di  denari?  Dio  m'aiuti. 

RUF.  Ya  poi  tu  e  credi  a  persona  senza  pegno;  nol  far6 
mai:  ma  di  questo  ne  sono  io  piil  sicuro,che  s*io  avessi 
il  pegno :  anzi  mi  par  di  aver  guadagnato  quel  venticin- 
qae  ducati,  e  sebbene  ella  ha  perduta  la  yerginitit,  nes- 
8un  non  sa  in  quant'acqua  si  pesca. 

ARI.  Costul  m*  intorbida  la  fantasia ,  e  non  intendo  ogni 
cosa. 

RUF.  II  caso  sarebbe  ch*ella  fusse  flgliuola  di  chi  &*b  detto 
(ben  ch'io  n'ho  perduta  la  speranza) :  roa  non  so  se  quello 
cbe  io  yedo  ]k  6  Aridosio  o  un  che  Io  somigli ;  egli  6 
pur  desso:  a  tempo  per  mia  f^  I'ho  riconosciuto. 

ARI.  Perch6?  che  yuoi  tu  dirmi? 

RUF.  Cosa  giusta  e  ragioneyole. 

ARI.  Che  non  Io  di? 

RUF.  Questa  mattina  Tiberio  yostro  figliuolo  yenne  a  casa 
mia,  doye  6  stato  piu  yolte  per  yder  comprar  da  me 


64  ABIDOSIO 

una  fanciuUa,  ch'  io  ho  allevata  da  puttina,  molto  bella. 

ARI.  Tu  dl  Tiberio? 

RUF.  Tiberio  dico  io. 

ARI.  Mio  figliuolo? 

RUF.  Penso  sia  yostro  flglinolo;  sua  madre  ne  sapeva  il  certo; 
ma  lassatemi  dire;  egli  flno  allora  non  aveva  avuto 
comoditk  di  far  altro,  cb'andaria  a  vedere  al  monistero 
dove  ell' era,  perch6  non  avea  da  darmi  un  soldo:  ma 
questa  mattina  venne  con  animo  delilierato  d'  averla 
ad  ogni  modo,  e  fatta  ch'egli  me  Tebbe  condurre  a  casa 
mia,  cominci6  a  pregarmi,  ch'io  gliene  dessi,  dicendo, 
che  stasera  mi  darebbe  i  denari ;  io  che  sapeva  come  le 
cose  vanno  delle  prom^e ,  non  volea  star  saldo  a  modo 
niuno.  Finalmente  quando  ei  vide,  che  per  amore  non 
la  poteva  avere;  si  volt6  alia  forza,  e  cavommela  di 
casa. 

ARI.  Oim6  che  sento  io  ? 

RUF.  State  pure  a  udire,  e  perch6  io  gli  andava  dietro  do- 
lendomi  e  rammaricandomi  di  si  grantorto;  eimidisse, 
chMo  avessi  pazienza  sino  a  stasera  che  mi  pagherebbe 
venticinque  ducati  come  piii  volte  gli  avea  detto  che  ne 
voleva. 

ARI.  Dov'^  egli,  che  Io  voglio  ammazzare? 

RUF.  Adesso  ch'io  andava  pur  per  vedere  se  mi  voleva 
pagare,  non  ch'io  ne  avessi  molta  speranza,  I'ho  las- 
sato  che  mi  voleva  giuntare  con  un  rubino  falso,  e  darmi 
ad  intendere  che  valeva  trenta  ducati,  e  deVe  valere  set 
carlini ,  ond*  io  vedendomi  a  simil  partito ,  e  sapendo 
quanto  voi  siete  uomo  da  bene ,  e  quanto  vi  dispiac- 
ciono  le  cose  malfatte;  son  venuto  a  voi  pregandovi  che 
almanco  mi  facciate  rendere  la  mia  schiava;  se  vi  pla- 
cer^ poi  donarmi  qualcosa,  per  quello  ch'ella  sia  peg- 
giorata  avendo  perduta  la  verginitit,  stark  a  voi  e  alia 
djscrezion  vostra. 

ART.  Ha  fatto  questo  Io  sciagurato,  ah? 

RUF.  Pensate  voi,  sono  stati  rinchiusi  soli  in  casa  vostra 
forse  sei  ore. 


ATTO  TERZO  65 

ARI.  Jn  casa  mia?  • 

RUF.  In  casa  vostra. 

ARI.  E  Chi  te  I'ha  detto? 

RUF.  lo  so  che  ci  veddi  ordinare  il  desinare ,  ed  hannoci 

desiaato  Erminio  ed  egli. 
ARI.  Qual  dla  casa  mia? 
RUF.  Quella  li, 
ARI.  lo  noD  so  se  tu  vuoi  la  baia  del  fatto  mio.  So  che  in 

casa  mia  non  pu6  essere  stato. 
RUF.  E  perch^? 
ARI.  Come  perch§?r^  stata  spiritata;  e  non  v*d  stato  nes- 

suno  un  pezzo  fa. 
RUF.  Spiritata,  mi  piacque;  io  so  che  v' ho  visto  altro  che 

spirit).  • 

ARI.  Tu  dei  aver  cambiato  V  uscio;  non  so  io  che  mi  son 

trovato  a  cavargli? 
RUF.  Orsii,  sia  come  vol  volete:  pur  che  mi  facciate  ren- 

dere  la  mia  schiava  o  venticinque  ducati. 
ARI.  Ch'  io  ti  dia  venticinque  ducati  ?  io  non  gli  ho  quando 

te  11  volessi  dare,  ma  la  schiava  ti  prometto  io  hen  cbe 

riavrai,  e  se  sark  possibile  come  gUene  desti:  o  lo  vo- 

glio  conciare  in  modo   che  ne  verrk  compassione  a  te 

che  ti  ha  offeso;  ma  dove  lo  potr6  io  trovare? 
RUF.  Fatel  dire  a  Lucido,  che  ne  tiene  il  governo,  che  era 

adesso  in  piazza  che  mi  voleva  dar  quel  rubino ,  che 

v'ho  detto,  per  pagamento. 
ARI.  Qual  Lucido  di  tu? 
RUF.  II  medesimo  che  voi. 
ART.  Lucido  d' Erminio? 
RUF.  Quello  si. 

ARI.  E  che  rubin  ti  voleva  dare? 
RUF.  Un  rubino  in  tavola;  io  credo  che  fusse  falso;  avea 

assai  bella  mostra  legato  alia  antica,  scantonato  un  poco 

da  una  banda;  dice  che  6  anticx)  di  casa  vostra. 
ARL  Io  non  so  sMo  sogno  o  s'io  son  desto,  alle  cose  che 

tu  mi  di;  donde  dice  egli  averlo  avuto? 
Lorenz.  de'Medici  K 


^JT,  lo  ■OCL  JO  U:iti?  ^ic*s?. 


ftjo  nJ  6.J.3  ia  tittj  di  c»^rlI;  pettte  dke  molle  cose 
cfce  ton  ?jSjor»  siir*?. 


LscU*,  ■■■•  e 


U?.  Gtiaria  se  g!i  •?  ca^-ito  appunto  i!  present©  solToscia 

BUF.  lo  Ti  pr^fgo  ch^  o->n  mi  fciscUte  far  toito. 

Uf.  Ad^-vj  ch  10  h3  i  laairi  in  maro,  bisogna  far  boon 

coore. 
ARL  >'on  dubitare.         • 
LU.  E  acconciarmi  il  vi^o  !>?ne;  ioTi  so  dire  Aridosio,  cbe 

Toi  siete  capita  to  a  buone  mani. 
ARL  Hai  lu  sealito  q'jel  che  dice  costuit 
LU.  Mille  volte  I' ho  s^ntito;  nonsapele  TOi ch*egli  d  paxso. 
RUF.  Pazzo  mi  vorreste  far  voi,  ma  noQ  ri  liusciii,  che 

siamo  in  luogo  che  si  tien  giastizia. 
LU.  Taci  cbe  U  daro  i  tuoi  denari  come  U  levi  di  qui. 
RUF.  Kon  vo*  tacer  se  prima  non  me  g!i  daL  Vedi  in  che 

modo  mi  vorrebbe  levar  da  Aridosia 
ARL  Ben  che  cosa  e  questa,  Lucido? 
LU.  Non  v'  ho  io  detto  ch'  egli  6  pazzo? 
ARL  Che  dice  egli  di  Tiberio,  di  venticinqoe  docati  e  di 

on  nibin  falso?  Io  non  r  intendo. 
LU.  Una  disgrazia,  che  gli  6  intervenuto,  Tba  fatto  impax- 

zare,  e  non  fa  mai  altro  che  parlar  di  qoeste  cose. 
RUF.  Guarda  che  sciocca  astuzia  6  questa;  am  dir  ch*io 

son  pazzo,  volenni  torre  il  mio. 
ARL  E'  parla  pur  da  savio  e  non  da  matto. 
LU.  Non  V*  ho  io  detto  che  fa  sempre  co^?  Buon  uomo, 

adesflo  non  6  tempo  d*  ascoltar  le  toe  disgrazie.  Toma 

nn'altra  yolta,  che  Aridosio  ti  udirii ,  e  ti  farii  far  ra- 

gione;  io  non  te  li  vo  dare  in  sua  presenza. 


ATTO  TERZO  67 

RUF.  Tu  non  mi  sei  per  levare  di  qui ,  se  prima  tu  noa 

mi  dai,  o  i  miei  denari,  o  Livia. 
LU.  Oh  Che  importuno  pazzo  6  questo  t  quando  s*  appicca 

ad  UQO  ^  come  la  mignatta. 
ARI.  E  ne  debbe  pur  essere  qualcosa. 
LU.  Yolete  pur  credere  a  parole  di  matti:  tien  [qui  sotto 

la  cappa,  ch'el  non  veda. 
ARI.  Ma  dlte  ben  certe  cose  che  sono  impossibili. 
RUF.  Gil  voglio  annoverare. 
LU.  Di  grazia  che  non  veda. 
KUF.  Che  me  ne  euro?  Mi  basta  che  vi  sian  tuUi. 
ARI.  Che  bisbigliate  vol  costa? 
RUF.  Or  ch'io  son  pagato,  non  dico  altro. 
LU.  Gil  ho  dato  certi  quattrini  ^e  stia  cheto;  in  tutto  di 

non  arebbe  mai  fatto  a\tro  verso. 
RUF.  lo  vo  adesso  ai  banco ,  e  quelli  che  non  saranno 

buoni  me  li  cambierete. 
LU.  Gli  e  onesto,  vattene  in  malora. 
ARI.  £i  dice  pure  che  Tiberio  6  stato  a  diletto  stamane 

con  quella  fanciuUa  in  casa  mia. 
LU.  Ah,  ah,  non  vi  diceva  io  ch'egli  6  fuor  di  s^. 
ARI.  Ma  deli'altre  cose  non  so  io  che  mi  dire. 
LU.  Oh  sarebbe  bella,  che  voi  gli  aveste  a  creder  queste 

cosacce?  Ma  usciamo  di  questi  ragionamenti ;  la  cosa 

dfigli  spiriti  d  ita  bene,  come  m*ha  ragguagliato  ser  la- 

como. 
ARI.  Si  bene,  ma  hanno  avuto  il  mio  nibino  miglior^;  ma 

in  ogni  modo  lo  riaverd,  so  ben  io  perch^. 
LU.  E  io  padrone  non  ho  aver  qualche  mancia.t 
ARI.  Zucchet  io  me  ne  vo  in  mance. 
LU.  E  al  povero  Lucido? 
ARI.  Orsti,  io  son  contento. 
LU.  Che  mi  darete? 
ARI.  Ci  vo'pensar  piu  ad  agio,  ma  perch' io  son  solo  in 

casa,  e  sono  ancor  digiuno;  vorrei  un  po'mangiare  in 

casa  Marcantonio;  va  innanzi,  Lucido,  e  ordina  da  bere; 


6S  ARIDOSIO 

tin  poco  di  pane  e  una  cipolfa  mi  basta,  ch*  io  non  sono 
ayyezzo  con  molte  cirimonie. 

LU.  In  casa  Marcantonio  non  si  mangia  cipolle. 

ART.  Va,  ordina  di  quello  che  vi  6. 

LU.  Io  vo  ad  ubbidirvi. 

ARI.  Mi  pareva  mill'  anni  di  tormelo  dinanzi ,  per  peter 
pigliar  la  mia  borsa,  e  to*  risparmiare  questo  pane,  che 
ayea  portato  meco ,  e  poi  vo'  ritrovare  questa  matassa, 
ch'io  sto  confuso  quello  cb'io  m*abbia  a  credere.  Orsu, 
non  si  vede  persona;  non  yoglio  perder  tempo,  cb6  que- 
sto importa  troppo;  fogna,tu  ti  sei  portata  bene;  ohim^l 
Vb  si  leggieri,  obimSf  che  vi  6  dentro?  ohimd  ch'io  son 
mortot  al  ladro,  al  ladro,  tenete  ognun  che  fugge,  ser- 
rate le  porte,  gli  usci,  I0  flnestre;  meschino  a  metdoy*^ 
11  mio  cuore?  misero  me  dove  ved'io,  dove  sono,  a  chi 
dico?  mi  raccomando,  mi  raccomando  ch'io  son  morto; 
insegnatemi  chi  m'  ha  rubato  la  vita  mia,  Tanima  mia; 
avess'  io  almanco  un  capestro  da  impiccarmi ;  ell' S  pur 
vota;  0  Diot  chi  d  state  quel  crudele  che  m'ha  telto  ad 
un  tempo  la  vita,  Tonore  e'la  roba;  ohsciagurate  a  me 
che  questo  di  m'ha  fatto  il  piuinfelice  uomo  del mondo, 
e  che  ho  io  piu  bisogno  -di  vivere,  che  ho  perduto  tutti 
i  miei  denari ,  quelli  che  si  diligentemente  aveva  adu- 
nati,  e  ch'io  amava  piu  che  gli  occhi  prepri,  quelli  che 
io  aveva  accumulati  fin  col  cavarmi  il  pan  di  bocca. 

LU.  Che  lamenti  son  questi  si  crudeli  ? 

ARI.  Avessi  qui  una  ripa,  che  mi  ci  getterei. 

LU.  Io  so  quel  che  tu  hai. 

ABL  Avessi  un  coltello  che  mi  ammazzerei. 

LU.  Io  vo*  vedere  se  dice  il  vero ;  che  volete  voi  far  del 
coltello  Aridosio?  Eccolo. 

ARL  Chi  sei  tu? 

LU.  Son  Lucido ;  non  mi  vedete  ? 

ARI.  Tu  m'hai  rubati  i  miei  denari  ladroncello;  rendimeli 
qua. 

LU.  Io  non  se  quello  che  vi  vogliate  dire. 


ATTO  TBRZO  69 

ARI.  lo  SO  ben  che  mi  sono  stati  toUi. 

LU.  Chi  ve  gli  ha  tolti  ? 

ARI.  S'io  non  gli  troyo  son  deliberato  d'ammazzarmif 

LU.  Eh,  non  tanto  male  Aridosio. 

ARI.  Non  tanto  male?  Due  mila  ducati  ho  perduti. 

LU.  Yenite  adesso  a  mangiare;  poi  li  farete  bandire  o  in 

pergamo  o  all'altare;  gli  troverete  in  ogni  modo. 
ARI.  Ho  Yoglia  appunto  di  mangiare ;  bisogna  ch*  io  gli 

troTi  0  ch'io  muoia. 
LU.  Leviamci  di  qui.  ^ 

ARL  Dove  vuoi  ch'io  vada?  Agli  Otto? 
L\5.  Buono. 

ARI.  A  far  pigliare  ognuno. 

LU.  Meglio:  qualche  modo  troverem  noi ;  non  dubitate. 
ARI.  Ahimd,  ch'io  non  posso  spiccare  Tun piede dairaltro, 
ohim^  la  mia  borsat 

LU.  £h  Toi  Tavete,  e  volete  la  baia  del  fatto  mio. 
ARI.  Si  vota,  si  yota;  oh  borsa  mia,  tu  eri  pur  plena!  Lu- 

cido,  aiutami,  ch'io  non  mi  reggo  ritto. 
LU.  Oh  yoi  siete  a  questo  modo  digiuna 
ARI.  Io  dico  che  d  la  borsa;  oh  borsa  mia,  oh  borsa  mia^ 

ohimdt 


ATTO    QUARTO 


ErmlBl«9  Cesftre« 


ERM.  Dove  diavolo  stavi  tu,  ch*  e*  non  ti  vedde? 

CES.  In  luogo,  ch'io  vedeva  lui,  edei  non  vedeva  me,  e 
guardossi  attorno  piii  di  cento  volte. 

ERM.  Oh  Che  bella  festa. 

CES.  Bellissima  per  me. 

ERM.  Certo,  che  tu  hai  avuto  una  gran  ventura,  non  per- 
chd  abbia  guadagnato  due  mila  ducati ,  che  volendo  far 
r  ufflcio  dell*  uom  da  bene ,  sei  tenuto  a  restituirli ,  ma 
dico,  che  non  ti  poteva  accadere  cosa  piu  opportuna  a 
farti  conseguire  il  tuo  desiderio  di  aver  Cassandra  di 
questa  e  in  questo  modo ;  perchd  s'  ei  sapesse  che  tu 
avessi  1  suoi  denari,non  si  queterebbe  mai  fino  a  tanto 
che  non  gli  riavesse,  dove  che  a  questo  modo  lo  farem 
consentir  a  tutti  quelli  accordi  che  vorrem  noi  rivo- 
lendoli. 

CES.  E* non  lo  sa  altro  che  Marcantonio,  Lucido e  tu;  per6 
awertiscili  che  tacciano. 

ERM.  Lo  far6,  ed  ecco  appunto  di  qua  mio padre:  lassaci 
di  grazia  un  poco  soli. 

CES.  Gosi  far6;  intanto  andr6  a  riveder  quel  denari  che 
non  son  riposti  a  mio  modo;  addia 


ATTO  QUARTO  71 


llareaMt#Ml«,  Eratlnl*. 


UAR.  ErmiDio  mi  disse  di  esser  qui. 

ERM.  T  ho  ubbidito,  padre  mio. 

MAR.  Oh  bene  hai  fatto  t 

ERM.  Che  volete  comandarmi  ? 

MAR.  Tu  sai  che  sempre,  bench' io  potessi  comandarti,  U 
ho  pregato,  nd  adesso  voglio  cominciare,  ma  ti  voglio 
awertire. 

ERM.  Oh  Dio  voglia  che  sia  cosa  ch*lo  la  possa  fare,  accid 
ch'ella  non  causi  in  me  disubbidienza. 

MAR.  Tu  ti  sei  immaginato,  credo,  quello  ch'  io  ti  vo'  dire: 
in  modo  parli. 

ERM.  Penso  mi  vogiiate  dire  della  mia  monaca. 

MAR.  L' hai  trovata. 

ERM.  Nella  qual  cosa  conosco,  padre  mio,  di  errare  gran- 
demente,  e  dall'altra  banda  m*avveggo  di  non  poter  fare 
altro:  perchd  quanto  mi  era  facile  sul  principio  il  non 
eommettere  questo  errore,  tanto  adesso  mi  6  difficile, 
anzi  impossibile,  il  rimediarci;  in  tanti  lacci  mi  trovo 
essere  inviluppato :  si  che  altra  deliberazione  non  spero, 
e  non  voglio  che  la  morte,  perch^  come  possMg  non  amar 
Chi  mi  ama?  non  desiderar  chi  mi  desidera  sopra  tutte 
le  cose  del  mondo  ?  e  massimamente  non  essendo  donna 
al  mondo,  nd  mai,  credo,  ne  sark  che  con  lei  di  bel« 
lezza  e  di  gentilezza  si  possa  paragonare :  per6,  padre 
mio,  vi  prego  che  non  vogliate  opporyi  alle  mie  ardenti 
liamme ,  le  quali  d  impossibile ,  che  da  altra  cosa  che 
dal  benefizio  del  tempo  possano  essere  estinte :  in  tntte 
le  altre  cose  i  vostri  comandamenti,  i  vostri  prieghi  mi 
saranno  leggi  fermissime;  ma  in  questo,  che  noti  6  in 
forza  mia  V  ubbidirvi,  non  veggo  modo  di  potervi  con* 
tentare. 


72  AKIDOSIO 

MAR.  Figliuol  mio,  io  ti  ho  per  certo  gran  compassione, 
perchd  bo  provato  anch'io  che  cosa  sia  Tessere  inna- 
morato;  niente  di  manco  mi  parrebbe  di  mancare  dello 
offizio  del  buon  padre  s*io  non  ti  dicessi  il  parer  mio 
in  questo.  Tu  sai  cbe  non  d  nessuno,persceIIeratoch'ei 
si  sia,  al  quale  non  sia  odioso  Tusarecon  monache;  lascia* 
mo  stare  il  peccato  cite  si  commette  appresso  Iddio  che 
^  grandissimo,  e  dichiamo  che  non  ^  cosa  che  dispiaccia 
piu  alia  maggior  parte  degli  uomini,  che  quando  si  yede 
qua  alcuno,  che  cerca  in  qualche  cosa  particolare  farsi 
differente  dagli  altri:  si  che  quando  tu  non  Tavessi  mai 
a  far  per  altro,  questo  doverebbe  essere  possente  a  fartene 
distorre,  per  non  ti  proyocare  lo  sdegno  di  Dio  e  degli 
uomini.  Lasso  stare  ancora,  che  s'ingiuria  chi  y'ha  le 
flgliuole  e  le  sorelle,  e  che  si  ci  portano  mille  pericoli 
andandovi.  Per6,  figliuol  mio,  muta  questo  tuo  amore  in 
un  piu  ragioneyole ,  del  quale  tu  possa  ottenere  il  desi- 
derato  fine  senza  tanti  pericoli:  perchd,  grazia  di  Dio, 
non  b  flgliuola  in  Firenze,  che  i  suoi  non  te  la  dessero 
yolentieri;  disponti  adunque  a  yoler  tor  moglie,  e  a 
darmi  questo  contento,  che  oramai  ne  ^  tempo,  e  non 
mi  dk  noia  la  dote;  mi  basta  solo  che  la  ti  piaccia ,  e  che 
sia  da  bene,  e  a  questo  modo  potrai  far  contento  te  e  me 
ad  un  tempo. 

ERM.  Contento  non  sar6  io  mai  senonhoFiammettamia; 
yi  dico  ben  che  le  parole  yostre  hanno  ayuto  tanta  forza 
in  roe ,  che  mi  fanno  pensare  a  quello  ch'  io  non  arei 
mai  pensato,  e  yi  prometto,  per  quella  riyerenza  ch'io 
yi  porto,  di  sforzarmi  con  ogni  mio  potere  di.  fare  in 
modo  che  yi  contenti ,  pensando  pur  di  troyare  in  yoi 
qualche  compassione. 

MAR.*^Se  tu  pensi  di  ayer  bisogno  di  compassione,  io  sto 
fresco. 

ERM.  Volete  da  me  quel  ch'io  non  posso?* 

MAR.  K^  da  te,  nd  da  nessuno  yoglio  rimpossiblle;  ma 
proya ,  proya,  figliuol  mio,  perchd  quello  che  ti  parrji 


ATTO  QUARTO  73 

strano  e  dispiacevole  sul  principio,  alia  fine  grato  e  pia- 
cevole  ti  sark ,  cb^  questa  6  la  natura  delle  cose  ben 
fatte;  per6  lasciati  consigliare,  e  pensacb'iobo  piu  spe- 
rienza  di  te  e  cbe  solo  ti  dico  questo  pel  ben  cb*  io  ti 

YOgliO. 

ERM.  Io  far6  quel  cb'io  potr6. 


Arldi««l«,  llareaMt#Ml«,  EnnlMl*. 


ARI.  Oim6t 

MAR.  Cbi  si  lamenta? 

ARI.  Oimdt 

ERM.  Cbe  diavolo  6  questo?  Aridosio,  per  Dio,  cbe  si  ranuna- 
rica  dei  due  mila  ducati  t 

ARI.  E'  mi  mancaya  questo;  ob  flgliuol  del  diavolo ,  nato 
per  farmi  morire. 

ERM.  Non  dite  niente  di  grazia  cbe  vol  guasteresti  il  di- 
segno  a  Gesare. 

MAR.  Io  Io  TOglio  aiutare  in  quel  cb'io  posso. 

ARL  In  un  medesimo  di  bo  perduti  due  mila  ducati ,  e 
8ono  stato  giuntato  d'  un  rubino  da  Lucido,  uccellato  e 
svergognato;  si  cbe  aitro  non  mi  resta  cbe  morire:  ob 
sorte,  tu  sei  pur  troppo  crudele  quando  ti  deliberi  di  far 
male  ad  uno  t  io  non  bo  giammai  offeso  altro  cbe  me 
stesso. 

ERBL  E*8i  6  awisto  della  burla  degli  spiriti. 

BfAR.  0  infatti  fu  troppo  crudele. 

ERM.  E'non  si  poteva  far  altro. 

ARI.  Quanto  era  meglio  in  sul  principio  lasciare  andare 
ogni  cosa,  e  se  yoleva  spendere,  giocare,  tener  femmine, 
lasciar  fs^re  in  malora:  percbd  in  ogni  modo  le  fa,  e  io 
mi  tribulo,  e  ammazzo  per  cercar  di  lui,  e  rimediare  ai 
saoi  scandali;  e  bo  perduto  ii  mio  tesoro,  senza  il  quale 
noQ  mi  d^  piik  Tanimo  di  yivere. 


74  ARIDOSIO 

MAK.  E'mi  rincresce  di  lui;  lo  voglio  un  po*  consolare. 

ERM.  Ricordatevi  che  non  gli  avete  a  dir  niente  dei  denari. 

MAR.  Non  dubitare;  che  hai  tu  che  ti  lament!?  ecci  nulla 
di  nuovo? 

ARI.  E  che  non  ho  io  di  ma'e?  A  raccoglierne  quanti  ne 
sonb  al  mondo,  tutti  sono  in  me. 

MAR.  In  verita  che  mi  duole ,  e  dei  denari ,  e  dei  modi 
che  tien  Tiberio,  poi  che  dispiacciono  a  te;  ma  a  dire 
il  vero,  non  sono  sempre  sconvenlenti  all*eti  sua. 

ARI.  Tu  hai  sempre  mai  detto  cosi ,  e  sei  stato  causa  di 
molti  disordini,  ch'egli  ha  fatti. 

MAR.  Oh  non  mi  dir  vilianie,  che  io  non  ti  parler6  piii. 

ARI.  Tu  e  Erminio  ne  siete  stati  causa. 

ERM.  Buon  per  lui  se  si  fusse  consigliato  meco. 

ARI.  Ma  faccia  egli;  sMo  ritrovo  i  miei  denari,  gli  lascer6 
tento  la  briglia  in  sul  collo,  che  gli  putiri. 

MAR.  II  caso  6  a  trovargli;  tu  fusti  pazzo  a  metter  duemila 
ducati  in  una  fogna. 

ARI.  Ognuno  6  savio  dopo  il  fatto,da  me  infuori,  che  son 
sempre  pazzo,  sempre  sto  malcon tento,  e  duro  fatica,  e 
stento  pel  maggior  nemico  ch*io  abbia  al  mondo;  che 
patisco  fin  a  Lucido  mi  venga  a  sbeffare,  edarmi  ad  in- 
tendere,  che  la  casa  mia  6  spiritata,  e  cosl  farmi  tenere 
uno  sciocco  per  tutto  Firenze ,  fin  a  cavarmi  Y  anel  di 
dito. 

MAR.  Di  questo  do  io  il  torto  a  te,  che  sii  stato  si  sem- 
plice,  che  Tabbia  creduto:  e  se  egli  avea  bisogno  di  ven- 
*  ticinque  ducati  e  tu  non  glieli  volevi  dare,  come  aveva 

egli  a  fare? 

ARI.  Venticinque  ducati?  io  non  voglio  ch*egli  abbia  on 
soldo:  della  roba  mia  ne  voglio  esser  padron  io  fin  ch'io 
vivo:  poi  quando  morr6,  la  lascer6  ad  un  altro. 

ERM.  Egli  SLYTk  pur  quelli  a  tuo  dispetto. 

ARI.  Ma  infine,  quandMo  m'arricordo  de'miei  denari,  io 
esco  di  cervello;  e  per  la  pena  non  posso-star  ritto.  Io 
voglio  ora  andare  a  farli  bandire ,  ben  che  questi  mi 
paiono  pan  caldi. 


ITTO  QUARTO  75 

MAR.  Va  via,  non  perder  tempa 

ARI.  Poi  voglio  andare  in  casa,  e  pianger  tanto,  che  a  Dio 
6  al  diavolo  ne  venga  compassione. 

MAR.  Ob  cotesta  6  la  via. 

ERM.  Yedeste  mai  la  maggior  bestia? 

IIAR.  Eh,  elle  son  cose  da  far  disperare  ognuno. 

ERM.  Ob  Dio;  ebbi  pur  la  gran  sorte,  quando  vl  yenne 
YOglia  dl  tormi  per  figliuolo,  e  a  lui  di  dannivit 

MAR  Cbe  fenciuUa  6  quella,  di  cbed  InnamoratoTiberiot 

ERM.  E  una  fanciulla  cbe  ba  modi  e  aspetto  di  nobile:  e 
colui,  cbe  glle  Tha  venduta,  dice  avere  certissimi  indi- 
zi  cb'  ella  d  nobiiissima  di  Tortona,  e  per  padre  e  per 
madre;  a'  quali  per  le  guerre  di  Milano  fu  rubata,  e  da 
un  fante  fu  a  costui  venduta  di  eU  di  sei  anni ;  e  da 
quel  tempo  in  qua,  r  ba  tenuta  sempre  in  un  monistero,. 
in  fln  cbe  n'd  yenuto  tanto  voglla  a  Tiberio  cbe  ba  bi- 
sognato  gllene  dia  50  ducati:  e  pur  oggi  e  yenuto  un 
seryidore,  cbe  dice  messer  Alfonso,  quello  cbe  pensano 
cbe  sia  suq  padre,  essere  addietro.  "Forse  sar^  qui  stasera 
o  domattina,  con  animo,  cbe  se  la  sua  Ugliuola  si  ritroya 
come  egli  presume  per  lo  indizio,  di  ricomprarl^  ogni 
gran  preglo,  e  rimenarsela  a  casa,  in  modo  cbe  quel 
Ruffo  cbe  r  ayea,  si  morde  le  mani ,  parendoU  in  poco 
tempo  ayer  perduta  una  gran  yentura. 

MAR.  Orsu  basta :  io  yoglio  essere  fin  in  piazza. 

ERM.  Se  yolete  nulla  yerr6  ancb'io. 

MAR.  No,  no,  resta  pur  a  tua  comodita,  e  pensa  di  far 
quello  ti  bo  detto,  se  bai  caro  tenernii  contento. 

ERM.  Mio  padre;  io  y*bo  promesso  di  far  quel  cb*io  po- 
tr6.  0  mia  mala  sorte,  non  era  assai  il  dolore,  cb'  io  bo, 
cbe  ad  ogni  ora  temo,  cbe  non  partorisca,  senza  aggiu- 
gnermi  quesraltrotOimS!  Tampre  e  Taffetto  mi  lacerano 
con  tanto  dolore  cbe  appeoa  lo  posso  sopportare. 


76  ARIDOSIO 


Mona  PjMqnlaai  ErailaU. 

M.  P.  lo  vedo  \k  il  mio  padrone  che  ha  la  febbre  calda. 
ERM.  Oh  Dio  aiutacil 

M.  P.  Basterebbe,  se  fusse  innamorato  di  me. 
ERM.  Oim^,  io  sono  udito. 

M.  P.  Io  ti  farei  camminar  cento  miglia  per  ora  alia  tL 
ERM.  0  r  6  quella  pazza  di  mona  Pasquina:  che  bisbigli  tu? 
.  M.  P.  Dico ,  ch*  io  trattava  meglio  i  miei  innamorati ,  che 

non  fa  la  Fiammetta  voi. 
ERM.  Guarda  chi  vuol  metier  bocca  nella  Fiammetta  mia? 

Echi  fu  innamorato  di  te,  se  non  fu  il  boia? 
M.  P.  Qual  boia?  fate  conto  ch'io  non  ho  quella  cosa  come 

raltre. 
ERM.  Ma  che  fai  tu  qui  a  quest'ora? 
M.  P.  Dove  mi  avevi  voi  mandala? 
ERM.  Tu  sei  gik  stata  a  casa  mona  Gostanza. 
M.  P.  Che  vl  credete?  Si  trovano  poche  mone  Pasquine. 
ERM.  E.  massime  belle  come  te. 
M.  P.  S'io  non  son  bella,  miodanno;  oh  voi  m'avetestraccat 

sempre  mai  mi  state  a  dir  mille  ingiurie. 
ERM.  Dov'd  la  lettera? 
M.  P.  Toglietela. 
ERM.  Portala  adesso  allaPriora,  poi  va  alia  maestradella 

Fiammetta,  e  dille  che  ^  1^  Priora  ^  contenta,  ti  mandi 

subito  a  me,  e  io  manderd  chi  la  porti. 
M.  P.  Che  porti  chi? 
ERM.  Dl.a  questo  modo,  ella  ti  intenderk  bene;  diavok), 

che  tu  non  tenga  a  mente  t 
M.  P.  Io  tengo  benlssimo. 
ERM.  Basta,  va  via,  cammina. 
M.  P.  Uh,  signore. 
ERM.  Aspetta;  io  vo'  che  tu  porti  un'  altra  cosa.  Paulino, 

•  eh  Paulino;  non  odl  sciagurato?  o  Ul  I 


ITTO  QUARTO  77 


Pa«llB«,  EraibiU,  Pasqalaa. 


PAU.  Signore. 

ERM.  Sempre  vuoi  ch'io  t*abbia  a  chiamar  cento  volte;  © 
gran  cosa  questa.  Va,trova  quattro  flaschi  di  trebbiano, 
e  portateli  fra  voi  due  alia  Fiammetta. 

PAU.  Signorsi. 

ERM.  Andate  presto,  ch*io  desidero  la  risposta,  che  im- 
porta  assaj. 

PAU.  B6,-io  ander6  pur  adagio,  ch'io  ho  trottato  tutto  11  di. 

ERM.  lo  Y'aspetto  in  casa. 

M.  P.  Oim6,  r6  pur  una  mala  cosa  Tesser  serva;  or  ch'io 
sono  stanca  morta,  mi  convien  andare  a  Santa  Susanna, 
e  pol  forse  ci  ar6  a  ritornare,  e  cosi  fo  ogni  giorno.  Al 
manco  si  facesse  egli  la  festa  di  San  Satumo,  come  si 
faceya  al  tempo  antico ,  che  concedeva ,  che  per  otto  di 
le  serve  e  i  servidori  diventavano  padroni,  e  essi  servi 
e  servidori;  a  me  toccherebbe  ad  esser  mona  Lucrezia, 
e  vorrei  star  quegli  otto  di  sempre  nel  letto  con  qual- 
che  mio  Innamorato. 

PAU.  Mona  Pasquina,  togliete  questi  flaschi. 

M.  P.  Non  hai  tu  le  mani? 

PAU.  E  i  piedi  ho. 

M.  P.  Potrai  tu  adunque  andare  a  portargli,  che  io  ho  al- 
tro  da  fare;  non  ti  disse  il  padrone  che  gli  portassi  tu? 

PAU.  Madonna  no,  ma  che  li  portassimo  fra  noi  due. 

M.  P.  Io  ti  so  dire  che  tu  sei  cima :  orsii,  portane  tre  e  io 
ne  porterd  uno,ch6  son  vecchia. 

PAU.  E'  non  ne  sar^  altro :  io  gli  ho  portati  fin  qui*;  por- 
tategli  fin  1^  vol,  e  cosl  fra  noi  due  gli  avrem  portati. 

M.  P.  Alia  croce  di  Dio,  che  se  tu  non  gli  por^,  io  ti  far6 
dar  delle  staffilate,  e  dir6  che  tu  non  gli  abbia  volsuti 
portare  per  andar  a  giuocare. 


78  ARIDOSIO 

PAU.  E  io  dir6  quel  che  vol  mi  faceste  I'altra  notte,  quando 
dormii  con  voi. 

M.  P.  E  Che  ti  feci,  ladroncellof 

PAU.  Che  mi  toccavate  voi  ? 

M.  P.  Levamiti  dinanzi  sciagurato,  che  postu  arrabbiare! 

PAU.  Oh  porta  i  fiaschi  da  te,  scanfarda. 

M.  P.  Va  poi,  e  fldati  di  questi  morbetti:  e'ridicono  ogni 
cosa;  io  m'era  messa  bene,  ti  so  dire:  e  pur  bisogna 
qualche  volta  trastullarsi ;  ma  lasciami  andare  a  portar 
queste  cose ,  che  son  badata  pur  troppo ,  innanzi  eh 
questi,  che  yengono  di  qua,  che  paiono  smarriti,  mi  di- 
mandin  la  strada,  e  mi  tengano  anche  un  pezzo  a  parole. 


Messer  A.ir«ns«,  Brlg^a  servo. 


M.  A.  Io  poteva  fare  senza  mandarti  innanzi ,  poi  che  tu 
hai  bisogno  di  guida;  come  si  chiama  la  strada  dove  sta? 

BRI.  Non  Io  so. 

M.  A.  Ed  egli  come  ha  nome?  , 

BRI.  Non  me  ne  ricordo. 

M.  A.  Tu  sei  benissimo  informato  adunque. 

BRI.  Io  gli  ho  parlato,  e  sono  stato  in  casa  sua.  Ma  Fi- 
renze  non  e  fatta  come  Tortona;  che  come  io  volto  una 
strada  son  beir  e  smarrito. 

M.  A.  Tu  hai  pur  parlato  a  quella,  che  dicono  esser  la  mia 
flgUuola. 

BRI.  Holle  parlato:  e  dicono  che  d  dessa  al  certo:  e  di 
questo  state  sicuro. 

M.  A.  Ha'  la  tu  vista. 

BRL  Io  non  V  ho  vista,,  ma  colui  mi  ha  dati  i  segni :  e  dice 
che  sempre  d  chiamata  Livia,  che  d  bianca,  ha  gli  occhl 
neri ,  e  belle  cami ,  e  quel  contrassegno  della  margine 
appresso  Pocchio,  che  non  pu6  fallire;  oltre  di  questo 
dice,  che  mai  non  ricorda  altri,  che  messer  Alfonso. 


ATTO  QUARTO  79 

M.  A.  0  Djof  questa  e  una  gran  grazia,  e  affermotti  d'averla 
sempre  tenuta  in  un  monastero? 

BRI.  Dice  che  non  i'  ha  quasi  mai  vista,  ma  mi  parve  mal 
contento. 

M.  A.  Deve  aver  paura,  ch'io  non  lo  paghi  a  suo  modo: 
ma  s'io  gli  dovessi  dar  mezzo  lo  stato  mio,  lo  yo'  sod- 
disfare,  s'io  ritrovo  esser  vero,  che  Tabbia  tenuta  nel 
modo  che  dice:  or  va  presto,  e  vedi  se  tu'l  trovi,  chd 
mi  par  mill*  anni  di  vederia  e  abbracciarla. 

BRI.  Aspettatemi,  ch*  io  tomerd  a  voi,  s*  lo  non  mi  smar- 
risco. 

M.  A.  Se  Dio  mi  dk  grazia,  ch'io  ritrovi  la  mia  unica  11- 
gliuola,  che  abbia  salvo  V  onore,  siccome  la  persona,*  mi 
reputo  felice.  Difficil  cosa  mi  pare ,  che  essendo  gik  di 
quindici  anni ,  e  in  man  di  persone ,.  che  fan  piu  con  to , 
del  guadagno,  che  d*altra  cosa,  Tabbiano  volsuta  man- 
tenere  tanto  vergine.  DalFaltro  canto,  s'elJ*6  stata  in  un 
monastero,  come  si  dice,  e*saria  facile,  che  da  donna  da 
bene  si  fosse  allevata,  e  cost  mantenuta ;  ma  in  qualunque 
modo  si  sia,  io  rendo  grazie  a  Dio ,  che  si  lungo  tempo 
se  r abbia  preservata  fuor  di  casa  sua,  perche  io  abbia 
aver  questo  contento  in  ricompensa  del  dolore,  ch'  io  ebbi 
quando  la  mi  fu  tolta  di  braccio. 

BRI.  Slgnore,  io  ho  ritrovata  la  casa,  ed  e  qui  presso* 

M.  A.  E  un  miracolo,  ed  egli  d  in  casa? 

BRL  E  Ik  che  y'aspetta.  Andiamo. 

Mona  Pasqalna  e  Mareant^nto. 

M.  P.  Io  voglio  lasciar  andar  via  coloro,  che  Erminio  im- 
pazzerk  deirallegrezza  di  aver  avuto  un  si  bel  flgliuolo. 
Dicono  ie  monache  che  Tavrk  per  male ;  io  non  r  intendo 
questa  cosa;  gli  domanderd  pur  la  camicia  per  la  buona 
nuova.  Oh!  gli  6d*unamonaca;e*sisia:  io  credo ch'elle 
mi  dicono  a  quel  modo  per  invidia,  e  fanno  un  rumore. 


80  ARIDOSIO 

UQ  cicallo  per  quel  monastero,  che  paiono  uno  sciamo 
di  pecchie :  ma  che  indugio  io  di  andare  a  dirlo  ad  Er- 
minio  ?  Oh  ecco  di  qua  Marcantonio :  non  so  s'io  mi  glielo 
dica. 

MAR.  Quella  mi  par  mona  Pasquina. 

M.  P.  Ma  elle  mi  dissono  ch'  io  non  lo  dicessi  se  non  ad 
Erminio. 

MAR.  Mona  Pasquina. 

M.  P.  Che  farO?  A  saper  I'ha. 

MAR.  Siete  sorda? 

M.  P.  Oh  io  vel  dir6  poi. 

MAR.  Che  mi  dirai? 

M.  P.  Che  Erminio. 

MAR.  Che  ha  fatto  Erminio. 

M.  P.  Un  flgliuolo... 

MAR.  E  di  Chi? 

M.  P.  Delia  sua  monaca. 

MAR.  Sia  col  malanno  che  Dio  li  dia :  son  helle  cose  queste. 

M.  P.  Oh  Marcantonio,  perdonatemi,  elle  m*  ayevano  detto 
chMo  non  dicessi  nulla. 

MAR.  Orsu ,  ^^attene  in  casa ,  cicalaccia ,  e  fa  che  tu  non 
parli  con  persona. 

M.  P.  Oh  t  ad  Erminio  t 

MAR.  A  lui  manco. 

M.  P.  Risogna  pur  che  provegga  la  balia  e  Taltre  cose. 

MAR.  Proveder6  ben  io  a  quel  che  occorre. 

M.  P.  Se  mi  vede,  bisogna  pur  ch*  io  gli  dica  qualche  cosa. 

MAR.  Non  ti  lasciar  vedere. 

M.  P.  Oh  yedi  ch'  io  non  gli  potr6  dimandar  la  mancia. 

MAR.  Oh  Erminio,  tu  mi  potevi  pur  dir  ch*ella  fusse  gra- 
vida, e  non  yituperare  te  e  il  monastero.  Orsa,  ai  ri- 
med] ;  io  sarei  stato  troppo  felice,  s'io  non  avessi  avuta 
questa  briga,  ma  bisogna  pensarechei  gioyani  facciano 
talora  dei  disordini.  Io  yoglio  andar  qua  in  chiesa  a 
parlar  con  la  Priora,  e  intender6  i  particolari  della  cosa, 
per  poter  pigliare  poique*rimedj  che  migliori  parranno. 


ATTO    QUIN  TO 


Messer  Alf»B»«,  RaflW. 


M.  A.  Tu  pdlevi  pur  aver  pazienza  un  di  piu. 

RUF.  E  s'  io  era  stato  due  mesi  senza  aver  lettere,  n^  im- 
basciata  da  voi,  non  yolevate  chMo  pensassi  al  caso  mio? 
Siate  certo,  cb6  molto  piu  yolentieri  a  voi  1^  avrei  do- 
nata,  che  ad  altri  veaduta. 

If.  A.  Donata?  non  saresti  mai  piu  stato  povero. 

KUF.  Io  fui  sempre  disgraziato. 

M.  A.  Disgraziato  son  io,  che  vengo  fin  da  Tortona  per 
yeder  mia  llgiiuola  vituperata,  e  solo  mi  rdsta  la  spe- 
ranza  contraria  aquella  ch*  io  avea  dianzi;  perchd  'com'io 
desiderava  e  sperava,  che  quella  fusse  la  mia  flgliuola, 
cosi  adesio  desidero,  che  ella  non  sia  dessa;  per6  che 
molto  minor  dispiacer  mi  sarebbe  11  mancarne,  ancora 
che  unica  sia,  che  il  ritrovarla  a  questo  modo. 

RUF.  Ch'eila  sia  dessa,  non  ve  ne  state  in  dubbio,  se  son 

veri  i  segnl  che  mi  avete  dati :  ma  sapete  quel  ch*  io 

y'  ho  da  dire,  messer  Alfonso^  che  a  maritar  r  avete,  e 

che  per  tutto  si  vive  ad  un  modo,  e  benchd  da  Tortona 

Lorenz.  de'Medki  6 


t 


/ 


82  ARIDOSIO 

a  Firenze  sia  gran  differeoza ,  niente  di  manco  costui 
n*d  tanto  innamorato,  e  suo  padre  h  tanto  avaro,  che 
se  voi  sapete  fare ,  e  se  non  vi  parra  fatica  il  donargli 
una  buona  dote,  gliene  farete  tor  per  moglie,  e  a  lei 
tornerk  molto  meglio  a  esser  maritata  qua,  dove  d  alle- 
vata,  e  a  un  de'  primi  della  cittii. 

M.  A.  Se  i  denari  avessero  acconciar  questa  cosa,  da  me 
non  mancherebbe. 

RUF.  Quelli  Ik  possono  acconciare,  sopra  di  me. 

M.  A.  Dio  il  YOlessl  f  ma  non  lo  posso  credere,  perchd  come 
pu6  mai  consentire  un  giovane  da  bene  di  volere  ana 
per  donna ,  con  la  quale  abbia  usato  come  con  mere- 
trice? 

RUF.  Oh  non  sa  egli ,  ch*  ell*  ^  stata  sempre  in  on  mona- 
stero?  e  che  il  primo  uomo,  ch'eirabbia  yisto,  non  che 
tocco,d  stato  esso? 

M.  A.  Se  cosi  6,  e  potrebbe  essere;  i  denari  non  hanno  a 
guastare  (se  io  ne  avr6  tanti);  ma  veggiamola,  accioc- 
che  io  mi  certiflchi  se  6  dessa  o  no. 
I  RUF.  Io  la  lasciai  qui  con  Tiberio;  busserd  a  yeder  se  ci 
sono.  Tic  toe,  tic  toe;  oh  di  casa;  io  sento  pur  non  so 
chi. 


Arld^sUy  Raff*  e  messer  h\t%n%: 


ARI.  Chi  6  a? 

RUF.  Amici. 

ARI.  Chi  vienc  a  disturbare  i  miei  lament!? 

RUF.  Aridosio,  buone  nuove. 

ARI.  Chi  6  trovata? 

RUF.  Trovala  6,  i  segni  tulti  si  riscontrano. 

ARI.  Oh  ringraziato  sia  Iddio,  io  ho  paura  di  non  mi  ye* 

nir  meno  per  Pallegrezza. 
RUF.  Vedele  voi,  che  sark  ci6  che  voi  vorreto. 


ATTO    QUIRTO  83 

ARI.  Pensal  tu  se  mi  6  grato,  e  chi  Tavea? 

RUF.  Oh  non  sapele,  ch'  io  1'  avev'  io. 

ARI.  Non  io,  ma  che  facevi  tu  delle  cose  mie? 

RUF.  Imianzi  ch'io  la  dessi  a  Tiberio  era  mia,  e  non  vo- 
stra. 

ARI.  Gil  hai  dati  a  Tiberio?  0  tu  te  li  fa  rendefe,  e  dam- 
meli,  0  tu  li  pagherai. 

RUF.  Come  me  la  posso  far  rendere,  se  io  glie  Fho  libera- 
mente  tenduta? 

ARI.  Io  non  so  tante  cose ;  io  non  ist6  forte  a  vostre  ciance; 
tu  hai  trovato  duemila  ducati  che  son  miei,  e  hai  me  li 
a  dare^  se  non  per  amor,  per  forza. 

RUF.  Io  non  so  quel  che  vi  diciate. 

ARI.  Si;  si?  Io  so  ben  io:  uomo  da  bene  slate  testimonio, 
come  costui  m'ha  a  dar  duemila  ducati. 

M.  A.  Io  non  posso  esser  testimonio  di  questo,  se  io  non 
yedo  e  non  odo  altro. 

RUF.  Io  ho  paura  che  costui  non  sia  impazzato. 

ARI.  Oh  uomo  sfacciato:  ora  mi  dice  che  ha  trovato  due- 
mila ducati,  che  sa  che  io  ho  perduti,  e  che  son  mia,  e 
poi  dice  di  averli  dati  a  Tiberio,  per  non  me  li  avere  a 
rendere:  ma  non  ti  verrk  fatto:  Til)erio  6  manceppato, 
e  non  ho  che  far  seco. 

RUF.  Deh  Aridosio,  noi  siamo  in  equivoco;  ch6  del  due- 
mila ducati,  che  vol  dite  di  aver  perduti  (che  me  ne  sa 
male),  questa  6  la  prima  parola  ch'  io  ne  so,  e  non  dico 
di  aver  trovato  vostri  denari,  ma  che  avevamo  trovato 
il  padre  di  Livia,  che  ^  quest'  uomo  da  bene  qui. 

M.  A.  Cosi  penso. 

ARI.  Che  so  io  di  Livia  o  non  Livia?  siate  col  malanno, 
che  Dio  vi  dia  a  trambedue,  che  mi  venite  a  romper  la 
testa,  e  dire  di  buone  nuove,  se  non  avele  trovato  i 
miei  denari. 

RUF.  Noi  parlavamo,  credendo  che  vol  doveste  aver  caro 
d'intendere,  che  il  vostro  Ugliuolo  si  fosse  irapacciato 
con  persone  nobili  e  dabbene. 


84  ARIDOSIO 

ART.  Or  andate  in  malora  tutti  quanti  e  lasciatemi  vivere. 
RUF.  0  ascoltate,  Aridosio,  ascoltate :  si ,  egli  lia  serrato 

I'uscio. 
M.  A,  lo  ho  paura  Ruffo  che  tu  non  m'uccelii.  lodicocbe 

tu  mi  meni  a  yeder  la  mia  llgliuola,  e  tu  mi  meni  ad 

un  pazzo. 
RUF.  lo  non  so  che  diavolo  abbia  oggi  costui :  anche  poco 

fa  mi  disse  di  non  so  che  spiriti:  questo  d  11  padre  dl 

Tiberlo,  di  quello  che  ha  la  vostra  figliuola. 
M.  A.  Per  Dio,  ch'egli  d  una  gentil  persona,  ed  essa  ^  la 

dentro? 
RUF.  Essendoyi  11  yecchio,  non  credo  yi  sia  Tiberio;  ma 

ecco  di  qua ;  oh  forse  ci  saprk  dir  doye  siana 

RoflWy  Li«eld«  e  messer  Alfoas*. 

RUF.  Saprestici  tu  insegnare  doye  sia  Liyia  e  Tiberio  t 

LU.  Nel  letto. 

M.  A.  Jo  comincio  a  pentirmi  di  esser  yenuto  a  Firenxe. 

LU.  Che  yuoi  tu  far  di  loro?  tu  sei  pur  pagato. 

RUF.  Questo  6  il  padre  di  Liyia  e  yorrebbe  yederla. 

LU.  Sia  col  buon  anno:  essa  ancora  ha  desiderio  di  yeder 

lui,  che  ayeya  Inteso  che  era  yenuto,  ma  ella  non  yuole 

intender  niente  di  tomar  a  Tortona ,  e  Tiberio  f^irebbe 

mille  pazzie ,  se  gliene  ragionassi ;  ma  dice  che  a  dl* 

spetto  d*ognuno  la  yuole  per  moglie. 
M.  A.  Questa  potrebbe  forse  essere  la  sua  yentura ,  ma  di 

grazia  menaci  doye  sono,  che  io  mi  muoio  di  desiderio 

di  yederla. 
LU.  E  son  qui  in  casa  Marcantonio :  andiamo  per  questa 

strada,  e  entreremo  per  Tuscio  di  dietro. 


ATTO  QUINTO  85 


firmlnio  e  Cesare* 

ERM.  Non  dubitare ,  ch'  io  far6  quello  ufflzio  con  mlo  pa- 
dre per  te,  ch*  io  desidererei  che  fosse  fatto  per  me ;  ma 
sta  di  buona  voglia,  che  ti  riuscira  ci6  che  tu  vuoi. 

CES.  Io  ti  prego  che  Io  faccia  in  ogni  modo  e  di  buona 
sorte,  perch^  io  sono  ridotto  a  termine,  chMo  non  posso 
piu  yivere,  s'  io  non  ottengo  questo  desiderio. 

ERM.  Non  piu,  vatti  con  Dio,che  io  fimpromettod'averae 
parlato  innanzi  le  ventiquattro  ore. 

CES.  Adesso  debbono  essere  ventitrd,  o  piu. 

ERM.  Io  ti  affermo  le  impromesse. 

CES.  Mi  ti  raccomando,  addio. 

ERM.  E  forse,  chMo  non  dissi  a  mia  posta,  che  ritomasse 
presto,  e  che  io  non  glielo  messi  in  fretta?  Oh  gran  cosa 
la  indiscrezione  dei  servidori:  e*  mi  viene  certe  volte 
voglia  di  fare  ogni  cosa  da  me ;  a  bada  di  questo  presso 
ch*io  non  dissi,  io  sto  in  un  tormento  grandissimo,  ma 
egli  d  meglio,  ch*  io  mi  avvii  in  Ik  per  riscontrarlo.  Oh 
la  ecco,  che  esce  di  chiesa. 


MAr«ABi«Bl«  e  Vrailnl** 


MAR.  E'  mi  par  milFanni  di  trovare  Ermlnio. 

ERM.  E'  mi  pare,  e  non  ml  pare  mio  padre. 

MAR.  Io  non  so  s'  io  me  li  dico  prima  che  la  cosa  sia  ac- 

concia,  o  ch'eU'abbia  partorito. 
ERM.  Egli  d  esso.  Che  domine  ha  egli  fatto  in  lit  ? 
MAR.  Dove  Io  troYer6  adesso? 
ERM.  Voglio  intendere  che  cosa  sia  questa. 
BIAR.  Vo'vedere  s*ei  fosse  in  casa. 
ERM.  Dio  yi  dia  la  buona  sera. 


86  ARIDOSIO 

MAR.  Oh  Erminio,  io  ti  cercaya,  e  ho  da  darti  bonissime 

nuove. 
ERM.  Dio  il  volesse. 
MAR.  E  forse  migliori,  che  potessi  avere,  se  poco  fa  mi 

disse  II  vero. 
ERM.  Che  ha  avuto  licenza  Fiammetta  d*  ascir  fuora  del 

monastero? 
MAR.  Meglio. 
ERM.  Che  non  6  grossa? 
MAR.  Meglio  ancora. 
ERM.  E  che  meglio?  Padre  mio,  non  mi  so  imaglnare  altro 

di  meglio. 
MAR.  Fiammetta  ha  fatto  un  bel  putto. 
ERM.  Oh  miserol  ma  questa  6  Ja  peggior  nuoya  ch'io  po- 
tessi avere. 
MAR.  Lasciami  flnire,  e  percl^d  ella  non  6  ancora  monaca, 

come  sal,  che  non  ha  fatto  professione,  la  priora  \iiole 

che  tu  la  pigli  per  moglie. 
ERM.  Oh,  vol  volete  la  baia. 
MAR.  Egli  6  quel  ch'io  ti  dico,  con  questo,  che  mezza  la 

eredlt^  sia  tua,  e  mezza  delle  monache,  che  ti  toccher^ 

in  ogni  modo  cinque  mila  scudi. 
ERM.  Questa  mi  par  tanto  gran  cosa,  ch*io  duro  fatica  a 

crederla. 
MAR.  Ah,  ah,  credi  tu  chMo  volessi  la  burla  di  questa 

cosa,  a  questo  modo?  e  plu  \k  ti  dico,  che  quando  tu 

non  la  volessi,  ti  forzerebbe  a  torla,  che  tu  non  te  ne 

potresti  difendere. 
ERM.  Io  credo  le  leggi;  o  Dio,  padre  mio,  e  chi  d  piii  di 

me  felice  ? 
MAR.  Pensa  tu. 

ERM.  E  chi  ha  menato  la  pratica? 
MAR.  Io,  che  come  intesi  lei  aver  partorito,  subito  me  ne 

andal  dalla  priora ,  che  la  trovai  phi  superba  che  un 

toro;  e  Tho  lasclata  come  un  agnello,  e  abbiamo  c<m* 

chiuso  questa  cosa. 


ATTO  QUINTO  87 

ERM.  Oh  padre  mio,  quanto  vi  sono  per  ci6  obbligato,  pitl 
che  86  m'  aveste  adottato  un*  altra  volta. 

MAR.  Manderemo  domattina  a  levarla  di  \k,  ch'ella  vi  sta 
a  disagio. 

J^M.  Oh  Dio,  che  mutazione  d  questa  in  un  puntot  dove 
io  era  infelicissimo,  e  temeva  di  ora  in  ora  di  venir  piii 
infelice.  son  diventato  felicissimo,  tanto  ch'io  non  mu- 
lerei  lo  atato  mio  a  quel  d'un  prlncipe. 

MAR.  E*  non  6  per6  d'awezzarsi  a  far  simili  disordini,  per- 
chd  se  questo  t'  6  ito  bene,  b  slato  tua  sorte. 

ERM.  Sorte  no,  ma  sapere,  e  avvedimento  vostro;  per6  io 
vi  son  doppiamente  obbligato,  prima  che  mi  avete  libe- 
rato  da  un  dolore  e  da  un'  angoscia  maggiore  che  mai 
io  avessi;  secondo,  che  mi  avete  fatto  un  piaceree  una 
grazia,  che  altri  che  Dlo,  non  me  la  pu6  far  maggiore. 

MAR.  Non  tante  parole,  bada  a  goderti  la  Fiammctta,  poi 
ch'ella  ti  piace  tanto,  e  fa  in  modo  che  Fopera  mia  non 
t'abbia  piil  a  profittare  negli  errori,  che  tu  facessl,  ma 
abbi  a  mente  Tonore  e  la  roba  tua. 

ERM.  M'  ingegner6  con  tutto  il  cuore,  che  la  gioventQ  non 
mi  faccia  piu  declinare,  come  altre  volte  ha  fatto,  da 
qoella  ferma  e  buona  intenzione  che  io  ho  di  portarmi 
bene,  e  fare  la  vogUa  vostra. 

MAR.  Tu  sai  bene  se  io  so  avere  compassione  a'giovani. 

ERM.  Io  lo  so,  chd  rho  provato  assai  volte,  n6  voglio  per6, 
padre  mio,  fare  come  oggi  si  usa ,  che  quando  uno  d 
coDtento  e  fellce ,  non  si  rlcorda  nb  d*  amici ,  n^  di  pa- 
rent!: adesso  ch'io  ho  quel  ch'io  voglio,  e  ch'io  son 
beato,  tanto  piA  mi  vo'ricordare  di  quello  ch*  io  ho  pro- 
messo  a  Cesare,  ii  quale  mi  ha  pregato  graziosamente, 
ch'io  vl  preghi  che  vol  operiate,  ch'egll  abbia  questa 
mia  sorella  per  mezzo  di  quest!  denari,  ch'egli  ha  tro- 
vati,  e  certamente  ch'ei  desidera  cose  ragionevoli. 

MAR.  S'  61  mi  dk  in  mano  mi  obbligo  ch'  ei  1'  avr^  stasera. 

ERM.  Ei  gllen'  ha  da  render  la  metk ,  1'  altra  d  a  parte 
delta  dota. 


88  ARIDOSIO 

MAR.  Quest*  6  un  altro  parlare,  ch'io  non  credo,  che  Ari- 

dosio  ti  voglia  dare  due  mila  scudi. 
ERM.  Suo  padre  non  vuole  che  la  tolga  con  manco  dou 

che  quella. 
MAR.  Qui  sta  il  punto :  tu  sai  che  gli  ^  piu  fatica  a  ca^ 

vare  denari  d  i  mano  ad  Aridosio,  che  la  clava  ad  Ercole; 

pur  prover6  oggi  che  ho  buona  mano  a  far  parentadi. 


Lioeldi«9  Ermtnto,  M«re«Bl«Bl«« 


LU.  E*  pare,  che  la  sorte  voglia,  che  quando  s*ha  bisogno 
d'uno,  e'  non  si  trovi  mai. 

ERM.  Chi  domine  d  colui  che  cerca  di  yoi? 

LIT.  Non  d  in  casa  n6  in  piazza. 

MAR.  O  chiamalo,  d  Lucido. 

ERM.  0  Lucido. 

LU.  Quello  ^  Erminio. 

ERM.  Dove  guardi?  noi  siam  qua. 

LU.  Oh  Erminio  mio,  e  Marcantonio:  voicercavo  padrone. 

ERM.  Che  ci'6  di  buono? 

LU.  Bonissime  novelle  ci  sono:  quello  che  d  venuto  da 
Tortona,  messer  Alfonso,  ^  il  padre  di  Li  via,  e  si  sono 
riconosciuti  e  fatte  amorevolezze  grandissime,  con  tanta 
tenerezza,  che  non  che  essi  non  hanno  potuto  tener  le 
lagrime,  ma  nd  ancora  quelli,  che  erano  dattomo,  e  in 
ultimo  messer  Alfonso  ha  pregato  Tiberio^  che  dappoi 
ch'egli  ha  avuto  la  yerginit^  della  figliuola,  gli  piaccia 
ancora  torla  per  moglie;  e  gli  ha  promesso  in  dote  sei 
mila  scudi,  in  modo  che  Tiberio  d  quasi  impazzito  d'al* 
legrezza,  e  non  ha  altra  paura,  se  non  che  la  sciagara- 
taggine  di  suo  padre  non  voglia  che  la  tolga,  e  ha  dlse- 
gnato  darli  duemila  ducati  della  sua  dote,  acciocchS  egli 
abbia  a  consentire,  e  per6  mi  ha  mandato  qui  a  jure- 


ATTO  QUinro  S9 

garyi  che  vogliate  essere  con  Aridosio,  e  disporlo  a  que- 
sta  cosa. 

MAR.  Se  sta  cosi,  non  bisogner^  troppo  pregarlo,  chd  due 
inila  ducati  farebbono  tor  moglie  a  lui. 

LU.  Ella  sta  come  io  ve  la  dico. 

MAR.  Non  si  affatichi  tanto  con  le  promesse,  cbe  per  manco 
mi  obbligo  farglielo  fare,  maTiberiodoyeva  pur  almanco 
venire  in  fin  qua. 

liU.  E*vorrebbe,  che  voi  foste  quello  che  movesse  suo 
padre. 

ERM.  Questo  mi  pare  il  dl  de*parentadi. 

MAR.  Quest' altro  far&,  che  noi  potrem  servire  Cesare; 
perchd  ad  Aridosio  basta  di  trovare  'i  suoi  duemila  du- 
cati ,  e  mille  basterk  che  gliene  dia  Tiberio ,  che  servi- 
ranno  per  la  dote  di  Cesare ,  e  cosi  si  contenter^  1'  uno 
e  raltro. 

ERM.  Voi  avete  ben  pensato:  ma  di  grazia  mandiam  per 
Cesare,  e  parliamo  a  lui  di  questa  cosa  d* Aridosio,  ac- 
clocchd  noi  possiamo  fare  a  un  tratto  tre  paia  di  nozze. 

MAR.  Lucido,  va,  e  di  a  Cesare  che  venga  adesso  qua ,  e 
che  porti  i  duemila  ducati. 

ERM.  Ya  via,  che  sark  in  casa. 

LU.  Io  vo. 

MAR.  Egli  d  stato  una  gran  sorte ,  trovar  la  flgliuola  in 
capo  a  tanti  anni. 

ERM.  Gran  sorte  d  Stata  quella  di  Tiberio,  che  cayato  che 
si  ha  le  sue  voglie,  troya  un  che  gli  dk  sei  mlla  ducati. 
Ma  quale  d  stata  maggior  sorte  della  mia?  In  fine  gli  d 
meglio  un'oncia  di  fortuna,  che  una  libbra  di  sapienza. 

MAR.  Tiberio  ha  paura  che  suo  padre  non  yoglia;.*  quando 
egli  intenderk  di  sei  mila  ducati,  gli  parr^  un'ora  mille 
anni. 

ERM.  Io  Io  credo,  per  me,  che  benchd  non  abbiano  a  tor- 
nare  in  mano  a  lui,  gli  yuol  pur  gran  bene;  ma  biso* 
gna  prima  ragionar  di  Cesare  che  di  nulla. 

MAR.  Cosi  far6. 


90  AHtDOSIO 


Clc»ar«9  Laeld^y  KtmIbI*^  M«reaBt«Bl«« 


GES.  Dove  di  tu  che  sono? 

LU.  Vedili  U. 

ERM  Ecco  qua  Gesare ,  noi  vogliamo  oggi  darti  la  Cas- 
sandra per  moglie. 

CES.  lo  non  desidero  altro;  eccovi  i  denari  d'Aridosio,  e 
vi  giuro,  che  in  quanto  a  me  io  desidero  lei  e  non  la 
dote,  ma  io  son  necessitato  a  far  la  voglla  di  mio  pa- 
dre, il  quale  mi  ha  comandato  espressamente  che  senza 
mille  ducati  io  non  la  pigli. 

MAR.  Tutto  abbiam  pensato;  andiamo>  parlar  conArido- 
sio,  che  senza  lui  non  si  pu6  far  niente,  e  tu  Gesare  ya 
per  tuo  padre  e  menalo  qui  in  casa  mia,  dove  noi  sa- 
remo  tutti,  e  11  concluderemo  ogni  cosa  ad  un  tratto. 

CES.  Gosi  faremo;  in  questo  mezzo  mi  vi  raccomando. 

MAH.  Non  dubitare,  lascia  fare  a  me,  e  sta  di  buona  vo- 
glia,e  tu  Lucido,ya,  ordina;  chd  tutti  ceneremo  in  casa 
mia. 

LU.  Che  ho  io  a  rispondere  a  Tiberio  ? 

MAR.  Non  altro,  far6  ii  bisogno. 

LU.  Sar^  fatto. 

MAR.  Erminio  bussa  quella  porta. 

ERM.  Tic  toe,  tic  toe. 

MAR.  Bussa  forte. 


Arldl^sU,  MMr«ABt«Bl«9  Ermlal^* 


ARI.  Chi  d? 

MAR.  Apri,  Aridosio. 

ARI.  Che  mi  vieni  a  portar  qualche  cattiva  novella? 


ATTO  QUIRTO  91 

MAR.  NoQ  piti  cattive  nnove,  Aridosio,  sta  di  buona  yo- 
glia,  che  i  taoi  duemila  ducati  son  trovati. 

ART.  Dl  tu  cbe  i  miei  denari  son  trovati? 

MAR.  Questo  dico. 

ARI.  Pur  che  io  non  sia  uccellato  come  dianzi. 

HAR.  E'  son  qui  presso ,  e  di  qui  a  poco  gli  ayrai  nelle 
manj. 

ART.  Io  non  lo  credo  s'  io  non  li  vedo  e  non  li  tocco. 

MAR.  Innanzi  che  tu  gli  abbia,  ci  hai  da  prometter  due 
cose :  r  una  di  dar  Cassandra  tua  figliuola  a  Gesare  di 
Pogglo,  e  I'altra  di  lasciar  torre  una  moglie  a  Tiberio 
con  seimila  ducati  di  dote. 

ARI.  Io  non  bado,  non  penso  a  nulla  se  non  a*  miei  de- 
nari ;  infln  che  io  non  gli  veggio  almanco,  ncn  so  quello 
che  vi  diciate.  Io  vi  dico  bene,  che  se  voi  mi  fate  ria- 
vere  i  miei  denari  far6  poi  ci6  che  voi  vorrete. 

MAR.  E  cosi  prometti? 

ARI.  Cosi  prometto. 

MAR.  Se  tu  ne  manchi  poi,  te  li  torrem  per  forza :  t6,  ecco 
i  tuoi  denari. 

ARI.  Oh  Dio,  e'son  pur  dessi.  Marcantonio  mio,  quanto 
ben  ti  voglio;  io  non  ti  potrd  mai  ristorare,  se  ben  vi- 
vessi  mill'anni. 

MAR.  Tu  mi  ristorerai  d'avanzo,  se  tu  farai  queste  due 
cose. 

ARI.  Tu  mi  hai  reso  la  vita,  Fonore,  la  roba  e  I'essere; 
che  insieme  con  questa  aveva  perduto. 

MAR.  Per6  ml  del  tu  far  queste  grazie. 

ARI.  E  Chi  gli  avea  rubati  ? 

MAR.  Lo  intenderai  poi:  rispondi  a  questo. 

ARI.  Io  voglio  prima  annoverargli  e  poi  ti  rlsponder6. 

MAR.  Che  bisogna  adesso  annoverargli? 

ARI.  E  se  ce  ne  mancasse? 

MAR.  Non  ve  ne  manca  certo:  e  se  ve  ne  mancherit,  ti 
prometto  di  rifarteli  del  mio. 

ARL  Fammi  un  poco  di  scritto  e  son  contento. 


92  ARIDOSIO 

MAR.  Quest' d  pur  cosa  da  starne  alia  fede. 

ART.  Orsu,  io  me  ne  sto  alia  tua  promessa;  che  di  tu  di 

seimila  ducati? 
ERM.  Guarda  s'  egli  ha  tenuto  a  mente  questo. 
MAR.  Dico  che  noi  yogliamo  la  prima  cosa  che  tu  dia  Cas- 
sandra tua  figliuola  per  moglie  a  Cesare  dl  Poggio. 
ARI.  Son  contento. 
MAR.  Dl  poi,  che  tu  lasci  torre  a  Tlberlo  una  moglie,  che 

gli  dk  seimila  scudl  di  dote. 
ARI.  Di  questo  io  ho  da  pregar  voi;  come  seimila  ducati? 

e  chi  sark  piu  ricco  di  lui  ? 
MAR.  Egli  d  da  Tortona ;  che  non  dlca  poi,  io  nol  sapeya. 
ARI.  Sia  da  casa  del  diavolo;  seimila  ducati  eh? 
MAR.  E  Tlberio  d  contento  di  darti  della  sua  dote  mille 

scudl,  1  quail  tu  dia  per  dote  a  Cesare,  acciocchd  non 

ti  abbla  a  cayare  denari  di  mano. 
ARI.  Questi  mi  paiano  ben  troppi  a  dirti  11  yero. 
MAR.  Ti  paion  troppi,  e  oggl  n'hal  guadagnati  otto  mila. 
ARI.  Come  otto  mila? 

BfAR.  Due  mila  ne  hai  troyati  tu  e  sei  mila  Tlberio. 
ARI.  Orsu^  fa  tu  Marcantonio. 
MAR.  Yoglio  che  gliell  dia  ad  ogni  modo. 
ARI.  Noi  faremo  adunque  due  pala  di  nozze  ad  un  tratto. 
MAR.  Noi  ne  faremo  pur  fin  in  tre,  che  In  questa  sera  ho 

dato  moglie  ad  Erminio. 
ARI.  E  chl? 

BfAR.  Te  K)  dir6  per  la  yia. 
ARI.  Buon  pro  ti  faccia,  Erminio. 
ERM.  E  a  yol  che  ayete  guadagnato  oggl  tantl  ducati. 
MAR.  Andiamoadesso  dentro  a  concludere  afliatto  questi  pa- 

rentadi,  e  a  dame  notizia  ai  nostrl  parent!  che  son  tutti  in 

casa  mla. 
ERM.  Fate  che  si  mandi  per  Cassandra. 
ARL  Ella  ci  sark  domattina  a  buon'  ora,  e  farolla  venire  a 

casa  tua,  dove  si  potran  fare  tutte  tre  le  paia  deUe  nozze, 


r 


ATTO  QUIRTO  93 

perchd  la  mia  b  tanto  disagiata  stanza ,  che  non  vi  si  po< 

trehbe  nd  ballare,  n6  far  cosa  buona. 
MAR.  lo  V  ho  inteso,  farem  quello  che  tu  vorrai;  andiam  pur 

l^adesso. 
ART.  Andiamo. 
ERM.  Voi  udite,  stasera  non  si  banno  a  far  le  nozze;  chd 

manca  Cassandra  e  Fiammetta  mia,  si  che  pigliatevi  per 

on  gherone,  e  domandassera  venite  che  si  far^  allegra 

festa. 


LETTERE 


Dl 


LORENZINO  DE' MEDICI 


liBTTEBB  '^ 


Lorenso  de'Medioi  a  Franoetoo  de'Medioi.  (4) 

Da  poi  Che  io  mi  partii  di  Firenze^  io  non  ho  mai  scritto 
a  persona,  pensando  (come  in  simili  casi  suole  intrayyeuire) 
ch'a  certi  sia  parato  bene  quello  che  ho  fatto,  ed  a  certi 
altri  male;  per6  giudicavo  che  con  quelli  a'quali  ne  paresse 
bene^  non  accadesse  giustiflcarmi;  con  queiraltri  mi  parve 
tempo  perduto:  perch^  non  gli  movendo  il  fatto,  non 
potevo  sperare  di  far  frutto  con  le  parole.  Ma  sapendo  io 
qaanto  bene  vol  mi  volete,  e  quanto  potete  credere;  che 
io  ye  ne  yoglia,  in  qualunque  modo  la  cosa  yi  sia  referta, 
mi  d  parso  di  fanri  intendere  I'animo  mio,  perch^  yoi  ab- 
biate  questo  contento  di  sapere  ayere  un  amico ,  al  quale  j 
non  paia  d'  ayer  fatto  niente ,  n^  portato  alcim  pericolo , 
rispetto  a  quelli  ch'egli  6  pronto  a  portarein  seryiziodella 
Patria,  acci6  che  yoi  mi  difendiate  contro  a  quelli,  ai  qua- 

(i)  Francesco  di  RafTaello  de'Medioi  cbbc  prestante  ingegno,  molta  acutezza 
di  mente  e  varia  erudizionc,  secondo  cbc  ne  attesta  in  raolti  suoi  scritti  Pier 
Vettori,  molto  intrinseco  di  lui.  Legato  nci  primi  suoi  anni  con  Lorenzo  Medici, 
fa  8UO  oompagno  in  Roma  in  quelle  follic  di  piik  che  giovanilo  bakianza,  < 
trascinato  forse  per  la  troppa  bontii  sua ;  si  che  faho  giuoco  altrui,  convcnnegli  j 
partirsi  di  ]k.  Pur  tuttavolta  raantennesi  ii^  fama  di  uomo  sincero,  e  adomo  di  | 
grande  ed  elegante  Iclteratura. 

Lorenz,  de*Medici  7 


9^  LETTERS 

li  pare  Che  io  abbia  fatto  bene,  ma  mi  sia  govemato  male, 
e  mi  danno  di  poco  animo,  e  di  poco  giudizio.  Perch^  se 
coQsidereranno  bene,  vedranno  ph'io  noa  potevo  far  aliro 
di  qaeiio  ch'ho  fatto;  perche  voi  yi  potrete  imaginare,  che 
dura  cosa  sla  conferire  con  persona  tali  segreti;  ma  di 
quelle  diligenze,  che  io  potevo  usare,  non  mancai  di  nes- 
suna;  cioe  d'intendere  Fanimo  di  tutti  quelli  chemipare- 
vano  d*importanza  e  che  io  tenevo  certo,  che  non  ayes- 
sino  in  tal  caso  a  mancare  alia  Patria,  massimamente 
che  lasciandosi  intendere  si  scopertamente  allora  che  il 
Tiranno  era  yivo ,  non  potevo  credere  che  morto  avessino 
a  mancare  a  loro  medesimi. 

Di  averlo  e  non  averlo  fatto  in  tempo,  noa  mi  par  di 
parlame,  perche  queste  son  cose  che  bisogna  farle  quando 
si  pu6,  e  non  quando  si  vuole,  ancorch^,  disputandola,  le 
ragioni  son  per  me;  perche  il  farlo  innanzi  o  adesso, 
quando  le  cose  di  Cesare  eiano  in  fiore,  e  ch'egli  era  in  Ita- 
lia, e  tomava  vincitore  d'Affrica,  pareva  il  dare  occasione 
a  chi  non  voleva  la  liberty  di  volersi  servire  di  questa 
paura,  per  coperta  del  suo  mal  animo:  nel  differire  s*in- 
correva  in  pericoli  iniiniti,  o  piuttosto  nella  rovina  mani- 
festa  del  la  citta,  che  sapete  non  si  pensava  ad  altro  che 
a  por  gravezze,  e  spendere  senza  profitto  alcuno;  e  neii'a- 
ver  eletto  altro  tempo,  che  il  signore  Alessandro  Vitelli 
era  fuora,  mi  pare  aver  data  grand'occasione  a  quel  citta- 
dini  di  pigliare  la  superiority  della  citt^  e  di  poter  pen- 
sare  di  disporre  il  prefato  signore  per  qualche  verso.  Circa 
air  essermi  fuggito ,  e  il  non  aver  chiamati  i  cittadini ,  e 
I'aver  mancato  di  una  certa  diligenza  dopo  il  fatto,  scu- 
simi  quello  ch'e  seguito  dopo,  che  dimostra  non  solo  che 
io  non  avrei  giovato  alia  Patria  in  conto  alcuno ,  ma  vi 
averei  messo  la  vita,  la  quale  io  riserbo  pur  salva  per 
impiegarla  un'altra  volta  in  suo  servizio,  aacorchd  io  avessi 
in  animo  di  farlo;  ma  il  sangue,  che  mi  osciva  in  quaotita 
straordinaria  da  una  mano,  che  mi  era  stata  morsa,  mi 
fece  temere^  che  nell'andare  attorno  non  si  manifestasse 


Dl   LORENZIRO  DBMEDICI  99 

quello,  Che  bisognava  tener  segreto  un  pezzo,  volendo  for 
cosa  buona.  E  cost  mi  risolvetti  cTuscire  fuori  di  Flrenze, 
dove  io  non  mancai  di  quelle  diligenze,  cb*io  potetti;  ma 
la  mia  mala  sorte  volse  che  11  primo,Messer  SalvestroAl- 
dobrandlni  a  Bologna,  ch'io  scontrai,  non  ml  credette,  e  cosi 
ebbi  a  perder  tempo,  e  spingerml  pii^  innanzi  per  trovar  chi 
mi  credesse.  Di  pol  me  ne  andai  alia  Mlrandola  per  sollecitare 
se  niente  si  facesse,  e  con  qualcbe  pericolo  mi  messi  a  pas- 
sare  per  luoghi  sospetti,  tenendo  sempre  ferma  speranza,  che 
la  cosa  non  potesse  cascare  se  non  in  piedl;  perchS  non 
mi  pareva  possibile,  che  dopo  tanti  mall  non  avessimo  a 
pensare  d'essere  uniti,  massime  sapendo  che  i  Gapi  tende- 
vano  a  questo  di  vivere  in  modo  che  ognuno  avesse  11  luo- 
go  suo;  e  pareva,  che  spenta  ogni  sospezione  di  tirannide, 
questo  ne  avesse  da  succedere  facilmente.  E  certo  ne  sue- 
cedeva  se  si  fosse  avuto  fede  Tuno  alPaltro,  e  pensato  che 
gli  uomlni  da  bene  voglion  prima  che  tutte  le  altre  cose 
11  bene  della  Patria  loro,  e  non  ricoprono  i  loro  appetiti 
eon  dire  di  far  quello  che  fanno  per  non  poter  far  meglio. 
Nondimeno  io  ho  spe^ranza,  che  un  de'meglio  informati  del 
vero  s*abbia  da  per  se  stesso  a  medicar  quest*  ulcere  in- 
nanzi ch'egli  incancherisca,  e  ch'egli  abbi  bisogno  di  piii 
gagliardi  rimedi;  ch6  sapete,  che  medicine  potenti,  nel  le- 
vare  il  trlsto,  menano  assai  del  buono;  tanto  che  io  sto 
in  dubbio  se  io  desidero  piuttosto  ilmale,  chelamedicina; 
atteso  la  miseria  in  che  ^  ridotta  codesta  povera  cittk,  e 
il  suo  dominio.  Ma  con  tutte  queste  cose  io  non  mi  doglio 
della  mia  sorte,  parendomi  aver  mostro  al  mondo,  qual  sia 
la  mia  fede,  e  alia  mia  patria  in  qualcbe  modo  satisfatto ; 
e  non  mi  pare  aver  fatto  troppa  perdita  sendo  privo  d'una 
patria  dove  si  tiene  si  poco  conto  della  libertk ;  avendo  pure 
questa  satisfazione  di  sapere  ch'ella  non  possa  esser  sottopo- 
sta  piu  a  tii^nno.  S'io  av^si  pensato,  che  questa  lettera  vi 
fusse  per  dar  carico  alcuno,  vi  potete  tener  per  certo,  che  io 
non  ve  Faverei  scritta;  ma  non  mi  pare  intendere,  che  noi 
siamo  in  si  tristo  termine  che  non  si  possa  parlare;  imperd 


lihMvnMvm 


400  LETTERB 

letta  Che  Taverete,  ardendola  sarete  sicuro  ch'ella  non  vi 
possa  nuocere;  perchS  e]la  ayerii  fatto  il  corso  suo  ogni  volta 
che»  sfogandomi,  io  vi  abbia  mostro  quellafede  cb'io  ho  in 
vol,  ayendo  per  certo  che  ia  queslo  grado,  che  io  sono,  voi 
non  abbiate  a  mancare  aironor  mio ;  ami  mi  abbiate  a 
difenderedOYunque  saxk  di  bisogno,  facendo  larga  fede  d^*a- 
nimo  mio,  quale  credo  ch'  abbiate  conosciuto  prima  che 
adesso ;  tale  6  stata  l*amicizia  nostra :  e  senz'altro  dirvi  dar6 
qui  fine;  certificandovi  che  in  ogni  evento  voglio  esser  vostro^ 
come  fin  qui  sono  stato,  ea  voi,  e  a  vostro  padre  mi  racco- 
mando. 

Di  Yenezia,  li  5  febbrajo  1537. 


LorenBO  de*  Medioi  a  Fil^po  Strotsi*  in  BologMu 

Noi  aspettayamo  iersera  la  resoluzione  di  quello  che  si 
ayesse  a  fare,  quand'egli  6  arriyato  un  mandato  del  sig. 
conte  de'Pepoli  per  intendere  che  somma  di  gente  sia  pos- 
sibile  far  qui  (1),  alia  quale  interrogazione  non  si  pud  ri- 
spondere  assolutamente;  perchd  se  yoi  yi  yorrete  seryire 
di  quelli  capitani  che  ha  appresso  il  sig.  conte  delta  Mi- 
randola,  e  che  ogni  giomo  se  li  yengono  a  offerire,  farete 
in  su  di  otto  o  diecimila  f^nti ,  ma  non  yi  yolendo  yol 
seryire  di  questi  cap!  non  si  pu6  sapere  appunto  il  nu- 
mero^  ma  pensiamo  che  passerebbero  8  mila.  Imper6  era 
necessario  che  yoi  mandassi  per  qualche  persona  che  ayessi 
yisto  quel  che  fussi  ben  fare,  e  cosi  la  cosa  sarebbe  riso- 
luta  in  un  tratto  e  con  piil  reputazione;  perchS  quel  ca- 

(1)  <  Era  FUippo  con  ordine  degli  Oratori  Francesi  partitosi  di  Yenezia,  t 
trasferitosi  a  Bologna,  nella  qual  citta  diede  oixline  che  si  Cacessero  3  mila  UnU, 
a'quali  diedc  per  capo  il  conte  Jeronimo  'de'PepoIi ;  si  percM  essendo  e^Ii 
amico  de'Salviati  era  ben  volto  verso  le  cose  di  Firenie,  si  massimarorateper 
aver  un  luogo,  cioe  Castiglion  de'Gatti,  dove  far  U  massa.  —  Yarclii ,  Storia, 
lib.  XV.  » 


Dl  LORENZIRO  DE'MBDia  401 

pitani  e  quel  fantl ,  cbe  sono  stati  trattenuti  qui  dal  sig. 
caatB  dieci  dl,  Yien  loro  a  noia,  che  senton  tutto  il  mondo 
sollevato,  e  non  si  posson  piii  ritenere.  Eppur  domattina 
si  partono  circa  4  mila  fanti ,  a'  qaali  si  era  dato  per  ul- 
timo  termine  domattina,  e  se  voi  spacciassi  subito  a  die- 
tro  in  poste  quella  risoluzione  del  si,  sarebbe  possibile 
che  li  ritenessimo.  SiccbS  in  conclusione  bisogna  per  tutti 
i  rispetti  far  presto  quel  che  si  ba  da  fare,  e  bisogna  man- 
dar  subito  i  denari,  perebd  si  sono  intrattenuti  tanto  con 
le  parole  cbe  non  credon  piii  niente. 

Ancor  cb'  io  sappia  cbe  11  sig.  conte  scriverk  di  questo 
abbastanza ,  pure  ne  bo  voluto  scrivere  ancb*  io  per  mia 
satisfSEizione.  E'  son  gi^  tre  di  cbe  io  non  bo  nuove  da  voi 
delle  cose  di  Firenze ;  pregovi  non  mancbiate  di  farmi  in- 
tendere  qualcbe  nuova  o  buona  o  cattiya  cbe  la  sia,  ed  a 
Toi  mi  raccoiiando.  Yostro  come  fratello 

LORENZO  DE*MEDia, 
DaUa  Mirandola  (1),  all!  t8  gennaio  1537. 


LorenBO  de*  Medio!  a  FUippo  Stroui,  in  Bologna. 

Avendo  inteso  come  Jacopo  de' Medici  b  entrato  nella 
dttadella  di  Pisa  (8)  ci  ^parsoricordanri  cbe  sarebbe  bene 

(1)  La  Minndola,  situata  tra  Mantota  e  Modena,  fii  capitale  e  dtU  forte  d'uii 
piccolo  State.  E  benchd  ristretto,  soflH  continaa  vicenda  ora  di  stranieri ,  ora 
di  legittimi  padroni,  neHe  gare  deU*Impero  e  deHa  Francia ,  scesi  mai  semprt 
a  strazio  delle  nostre  tore ;  sino  a  che  fatto  rapina  del  prime  e  venduto  al 
daca  di  Modena  nel  171i,  fermd  Taltemare  delle  sue  oondizioiii  politicbe.  Nd 
aecolo  dectmo  aeato  did  gran  hunediadallltaliapereisenrisafito  aUabreoda 
GiaUo  n, «  per  principi  ilhiatri  neUe  leltere;  ma  diede  pur  anco  miserabile 
tpettacolo  di  frtteme  discordie,  e  di  sangue  ^ersato  nelle  famiglie  dei  tuoi 
eignorotti;  Galeotto  Pieo,  principe  per  usurpata  ragiooe,  rioettava  dentro  la 
duk  nel  37,  come  paniale  della  Francia,  le  armi  di  Ftanceaco ;  e  intanto  sotto 
^letto  pretesto  ripararansi  coU  a  maneggi  i  ftionucitt  fiorentini,  i  quali  tMi 
«icvi  dai  lospetU  radunavano  le  genti  asaoldate  per  Timpresa. 

(9)  Due  crano  i  Medici  di  questo  Doa>e,unofigUodiCluartitiiiiodeUtKiieA 


402  LBTTBRB 

tentare  di  corromperlo;  ch6  essendo  de*nostri,  e  di  assai 
buona  mente,  si  potrebbe  sperare  con  buona  somma  di 
denari  condurlo  alia  voglia  nostra.  Avvisateci  di  grazia  se 
1  2  mila  spagnuoll  sono  in  Empoli,  come  noi  intendiamo; 
ed  a  V.  S.  mi  raccomando.  Vostro  come  figliuolo 

LORENZO  DE'MEDICT. 
Dalla  Mirandola,  alli  24  gennaio  1537. 


Ftlippo  Strossi  a  Lorenso  de'  Medici. 

Magnifico  ed  onorando  messer  Lorehzo.  —  Yoi  mi  scri- 
vesti  a  vostra  partita  di  qui ,  a  lungo ;  ho  difierito  il  ri- 
spondervi,  aspettando  potervi  dire  qualche  cosa  piu  certa 
e  resoluta  dell'  azioni  e  speranze  nostre  non  far6  forse  al 
presente.  Ma  trovandomi  qui  e  partendo  in  fra  duegiorni 
per  Ferrara,  mi  6  parso  non  mancare  della  presente,  quale 
se  non  risponderk  a  tutte  le  parti  necessarie  della  vostra, 
scusimi  il  non  avere  tale  lettera  appresso  di  me ,  cbe  e 
I'estata  in  Bologna  con  altre  mie  scritture.  Circa  le  cose 
private,  voi  mi  raccomandate  con  tutto  il  core  il  vostro 
Giuliano,  quale  qui  si  trova  col  Zeffo,  e  ricercando  come 
dispensa  la  vita  sua,  trovo  attende  alli  studj,  e  che  vive 
laudabilmen!e  in  ogni  parte,  passandosi  il  tempo  in  com- 
pagnia  de'mlei  flgli  piccoli  assai  dolcemente.  lo  bo  com- 
messo  al  Zeffo  ch*e  non  gli  lasci  mancare  niente,  e  cbe 
domandi  al  mio  Francesco  Dini  tutto  quello  gli  occorre 

<£  Sihrestro,  Taltro  di  Luxtro  di  TolcMino  delli  linet  di  Giovenoo;  e amboAM 
aeeondo  il  Hanni  ml  Senate  FiorenHno,  adopnti  da  Coainio  ndle  frccooda 
del  ioo  govemo.  Pare  che  Loreuo  aoceoni  qui  al  saoondo,  poich^  Tallra 
era  io  qaeato  tempo  a  Bologna*  mandato  espressameole  da  Coeimo  per  ten* 
tare  i  fooruadti,  e  glneU  il  Varchi,  piik  per  ragionare  d'aoeordo  che  per  ftrio; 
ed  awiMva,  agginnge  il  Cini,  coo  lettera  io  cifra  quanto  potera  inveetigar  da 
loro,  lotio  §fem  di  tr.iltar  pace  tra  il  tig.  Cosimo  ed  eeti. 


Dl  LORBNZIMO  DE'mEDICI  103 

senza  alcun  rispetto,  ed  al  Dlni  che  faccia  quanto  il  Zeflo 
gli  dice;  e  quanto  al  prevalersi  del  credito  e  in  su  11  Sal- 
viati,  e  almanco  della  sua  met^ ,  ne  ho  pari  ato  piu  volte 
con  Averardo,  quale  insieme  col  Calandro  si  sta  in  Bolo- 
gna per  non  essere  maneggiato  in  Firenze,  e  lo  trovo  lar- 
gamente  volto  al  fare  per  noi  e  lui  ogni  ufOcio  debito  ai 
buono  e  amorevole  parente.  Ma  ^  persona  timida  come 
sapete,  e  non  fa  niente  senza  il  pareredi  Calandro,  e  per  esser- 
gU  stato  detto  a  voce  da  Ottaviano  e  da  Cosimo  che  non  paghi 
niente  del  credito  ha  in  mano  cantante  in  li  eredi  di  Pier 
Francesco,  non  si  risolve  al  divlderlo,  e  pagare  a  Giuliano 
la  sua  metk,  come  io  arei  voluto;  pure  siamo  restati  In  que- 
sto,  che  vostra  madre  prende  la  tutela  di  detto  Giuliano,  che 
non  li  pu6  essere  negata,  ed  a  lei  come  a  tutrice  sia  poi 
pagata  la  porzione  aspettante  a  Giuliano  equandosaremo  a 
questo  vedremo  d'aiutare  la  porzione  detta  il  piusi  potrii, 
mettendo  in  conto  della  parte  vostra  lo  speso  per  vol,  ac- 
cid^che  la  sua  met^  resti  maggiore  si  pu6.  E  nece^ario  a 
fare  questi  atti ,  che  vostra  madre  si  conduca  in  Bologna 
o  altrove  fuori  del  dominio;  e  se  gli  e  fatto  intendere,  ed 
essa  non  mancherit  farlo  come  prima  ahbia  preso  I'acqua 
di  Porretta,  quale  per  indisposizione  prendeva  circa  15 
giomi  sono  o  20  in  quel  munistero  di  Mugello,  ove  con  le 
flgUuole  si  era  ritirata  (i).  Come  ella  abbia  preso  la  tutela 
del  detto,  sarei  d'oppenlone  che  Giuliano  prendessi  li  ordini 
ecclesiastici ,  e  mai^re  poi  a  ricognoscere  la  sua  met^ 
del  beni  patriroonlali ,  o  vostra  madre  (2)  si  faccia  conse- 
gnare  la  sua  dote,  e  cosi  Insignorirsi  delle  cose  che  non 
poBsano  essere  negate;  appresso  fare  in  Roma  quelli  atti 
cbe  saranno  dagli  jurisconsulti  giudicati  necessari ,  per  le 


<1)  L'mui  Laudomia,  che  dWenuta  \edova  di  Alamanno  SahUti,  spesd 
oel  i539  Pietro  Strozzi ;  Taltra,  Maddalena,  che  si  congiunse  in  matrimonio 
neU^anno  medesimo  con  Roberto  firatello  di  Piero. 

(9)  «  Maria  figlittoladiToinmaso  Soderini,  donna  di  rara  prodenza  c  bonti. » 
—  Varchi. 


404  LETTERB 

ragioni  se  gll  cempetessero  in  la  ereditk  di  papaQemente; 
il  testamento  del  quale  bo  messo  in  potere  di  messer  Sil- 
yestro  Aldobrandini,  e  per  quanto  mi  ha  riferito,  crede  le 
ragioni  di  Giuliano  siano  buone.  Procederassi  in  queste 
cose  col  coDsiglio  del  detto,  la  sufficiienza  e  amore  del 
quale  vi  d  notissima.  In  questo  mezzo  Averardo  andri 
aiutando  di  qualche  cosa  il  mese  Glaiiano,  a  conto  delli 
utili  si  faranno  col  credito  ha  in  mano,  cambiandolo  a 
doppia  prowisione,  secondo  il  tempo  passato. 

Quanto  alP  affinity  intra  noi  ragionata  non  mi  muter6 
mai  d'  oppenione,  e  la  desidero  sempre,  non  punto  meno 
di  voi;  ^  ben  vero  che  sendo  Ruberto  mio  destinato  piu 
fa  da  lui  e  da  me  alio  ecclesiastico,  non  mi  restano  altri 
subietti  capaci  di  donne  che  Piero  e  Yincenzo,  quali  soao 
in  una  prctfessione  molto  aliena,  e  quello  che  piu  importa 
fuora  d'ogni  arbitrio,  e  disposizione  mia.  Nd  ripigUate 
queste  mie  parole  a  senso  che  io  mi  yada  ritirando,  per- 
cM  il  giudizio  vostro  saria  in  tal  parte  falso,  ma  che  solo 
siano  da  me  dette  per  mostrarvi  appunto  come  le  cose 
stanno.  Se  la  cittk  nostra  recupererkla  sua  libertk,  Tuna  e 
Faltro  d*essi  son  certo  lascerebbono  rarmiesiripatriereb- 
bono  meco  insieme ,  nel  quale  caso  son  certo  potrei  di- 
sporre  d*uno  di  essi.  Ma  stando  fuoridi  meed  in  su  Farmi 
come  al  presente,  non  sendo  intra  noi  molta  unione,  per 
spendere  loro  quello  che  non  possano,  ed  a  me  non 
pare  onesto  ruinare  gli  altri  miei  flgli  a  loro  instanzia,non 
so  quanto  me  ne  possa  promettere. 

Circa  il  procurare  qualche  benefizio  a  Giuliano  con  que- 
stl  oratori  di  qui ,  o  mandare  lui  in  Francia ,  non  man- 
ch6r6  degli  ufficj  debiti;  ma  non  sodo  cose  da  fondani 
interamente  le  sue  speranze ,  ed  io  ne  so  paiiare  quanto 
UB  altro.  La  stanza  di  Giuliano  mi  pare  questa>  o  Padua 
per  sicurtii,  per  costume  e  per  vacare  alii  studj;  e  se  io 
fussi  di  nuovo  declarato  ribelle  come  facihnente  pu6  ac- 
cadere,  perchd  io  non  sono  per  avere  rispetto  alcuno  per 


DI  LORERZlIfO  DE*MED1C1  106 

giovare  alle  patria  mia,  approverei  in  tal  caso  che  Gia- 
llano  si  separassi  da  me  (1),  perchd  non  11  fossino  traya- 
gUati  11  beni  e  frutti,  come  a  persona  caduta  in  pregiudl- 
zio  per  commercio  con  11  ribelli ,  ed  io  non  mancherel 
porgere  quetll  aiuti  che  fussino  necessarl  secretamente. 
Bestaml  a  dire  che  domandando  11  ambasciatorl  se  ave- 
vano  aato  risposta  dal  re  sopra  le  cose  vostre,  mi  dicano 
la  lettera  principale  ove  il  re  trattaya  dl  ci6  essere  perita, 
e  clie  per  ana  seconda  oye  si  riferisce  alia  prima ,  tocca 
breye  motto;  onde  possono  fare  giudizio  che  yoi  siate  in 
buona  grazia  appresso  sua  maestit,  e  me  lo  dicano  dl  sorte 
che  lone  presto  loro  fede;  replicheremo  e  Io  saprete  per 
altre;  et  haec  de  privaUs  satis, 

Qnantoalle  pubbllche;  siamo  stati  in  Bologna  slno  a 
poehl  giomi  fa  tatti  Insieme,  li  tre  reyerendissimi,  Sal- 
viati,  RidolA  e  Gaddl,  Bartolomeo  Yalori,  Francesco  e  Fl- 
Uppo  Yalori,  Bertoldo  Ck>rsini  ed  altri  simill  con  U  priore 
di  Roma,  Piero  mio,  Roberto  ed  io^  per  muoyere  I'armi 
parchd  intendessimo  che  il  re  ingrossasse ,  o  fussi  per  in- 
grossare  in  breye  in  Piemonte,  parendo  alia  maggior  parte, 
che  possendo  11  Gesarei  smembrare  ima  parte  delle  loro 
genti  per  Toscana,  non  si  potesseper  noi  farecosabiKma; 
6  se  ayessimo  yisto  opp<»1unit&  di  entrare  in  qoalche  loco 
defensibile  del  dominio,  tatti  eramo  resoluti  al  farlo,  e  cost 
si  sono  tentate  piu  pratiche  in  yano,  senza  essere  scoperte. 

(i)  Giuliano  seguitd  la  (ortuna  di  Piero  Strozsi  fino  alia  battaglia  di  liar- 
dano  nel  1554.  Quindi  posatosi  in  Roma  a  vita  tranqnilla,  ottemie  da  Coaimo 
pd  booni  nflSsj  di  IHo  ly  una  penaione,  con  promeasa  di  votarti  per&,  coma 
isce,  alio  stato  eccleaiastico;  onde  cessando  in  lid  il  ramo  auiffiore  di  Pier 
Firancesco  aeoiore,  restassero  i  diacendaoti  dell'allra  linea,  tnnquiUi  poaaea- 
sori  di  Pireoxe.  —  Vedi  LiUa.  — Condottoai  poi  nel  61  in  Franeia  preaso  Gat- 
terina,  fn  col  (avore  di  lei  fotto  veecovo  di  Briers,  e  socceasivameote  d'Aix, 
6  abate  di  S.  Yittore  di  MarsigUa. 

Mori  colmo  d*onori  e  di  ricchexze  nel  15Si,  dopo  arere  etiandio  rivednta 
Firense,  e  ottemiladal  G.  D.  Francesco  la  reatitnaioQe  de*beni  49lla  tm  fi* 


406  LETTER E 

Ultimamente  quelli  del  Bello  ci  promisero  Castro-Caro,  e 
preparando  la  cosa  vennono  a  sospetto  a  1  commlssario,  e 
ne  fece  prendere  uno;  onde  li  consci  presero  rarmeayanti 
al^ tempo,  e  mandarono  in  Bologna  a  noi  per  soccorso. 
Spinsevisi  subito  dopo  li  200  fuorusciti  che  Piero  mio  ha 
menati  seco  dl  Pieraonte,  ma  non  furono  a  tempo,  percb^ 
il  commissario  accord6,  che  quelli  del  Bello  se  ne  uscissino 
salvi  con  le  loro  robe  e  persone ,  e  cosl  ci  scoprimmo  in 
vano.  II  papa  stimulato  dalll  Cesarei,  sopra  questa  occa- 
sione  ci  ha  fatto  usare  tali  termini  in  Bologna ,  che  noi 
giudicammo  a  proposito  allargarci.  Cos!  Gaddo  qui  se  ne 
venne  dove  ora  si  trova,  Salviati  si  trasferi  in  sul  Ferra- 
rese,  Ridolfi  and6  a  Roma  per  medicare  col  papa,  e  riscal- 
dare  Mascone  (1)  al  contentarsi  che  noi  movessuno  Tarmi,. 
Bartolomeo  Valori  con  Piero  mio  che  era  malato  rest6  in 
Bologna.  lo  qui  roe  ne  venni  per  disporre  questi  oratori 
alio  spendere  tutta  la  prowisione  avevano  avuta  di  Fran- 
cia  in  un  mese,  per  fare  un  conato  gagliardo,  e  vedere 
un  tratto  quelle  mura  della  cittk  in  faccia.  Mentre  eravamo 
in  su  tale  espedizione  sono  venule  lettere  dal  Cavalcante, 
quali  contengono  la  mente  del  re  e  di  Toumon  essere,  che 
non  sendo  Tarmi  roosse  alia  giunta  delle  sue  lettere,  che 
le  si  soprassedino  ancora  un  mese  o  due,  perch^  Sua  Mae- 
stk,  che  si  trova  al  presente  in  Piccardia  con  huono  eser- 
cito,  ha  resoluto  e  dato  ordine ,  perche  da  questa  parte  il 
suo  regno  non  possa  essere  offeso,  voltaretuttelesueforze 
in  Italia;  nel  qual  tempo  pensa  che  Gesare  sark  ancora 
assalito  da  voi  altri  di  costk.  Onde  sendo  piu  occupato, 
manco  potrk  provvedere  alle  cose  nostre,  ricordando  che 
in  questo  mezzo  noi  stiamo  insieme,  a  fine  che  al  tempo 
detto  la  impresa  si  possa  eseguire  pih  gagliarda  che  al 
presente.  Tale  resoluzione  essendo  venuta  ieri,  b  parso  a 
quest!  signori  che  io  vada  subito  a  trovare  Salviato,  e 
chiamato  Bartolomeo  Valori ,  diamo  ordine  dove  abbiamo 

(i)  11  ctrdinal  di  Macon*,  de*  G«y,  wnbwdatore  del  re  CristUuiitsiino  al  papa. 


DI  LORBRZIRO  DI*IIIDICI  407 

a  soggiomare  per  mantenerci  insieme^etenere  ildidrento 
in  timore,  come  insioo  a  qui  si  ^  fatto,  e  in  spesa.  Penso 
Che  voi  Yi  awicinerete  con  l*apparato  turcliesco  a  noi,  se 
teriik  per6  1' Italia  come  per  molti  si  crede,  e  intendendo 
Che  noi  siamo  in  su  Tarmi  se  arete  commodity  di  venire! 
a  trovare,  non  ne  mancherete.  Le  cose  di  drento  sono  de- 
bill  al  pi^sibile,  perchd  non  Yi  sono  denari,  nd  modo  a 
fame,  se  non  con  violenze  grandi.  Del  matrimonio  di  Go- 
simo  non  s'intende,  per  lettere  di  Spagnadelli  16  del  pas- 
sato  e  17  Che  sono  le  piik  fresche,  ci  sia  cosa  che  rilievi; 
e  li  apparati  di  Gesare  non  s'intendono  molto  grandi.  Di 
tatti  11  fuorusciti  non  6  tomato  in  Fiorenza  altri  che  Ri- 
naldo  Gorsini  che  era  a  Napoli ,  ma  molti  delli  di  deniro 
sono  con  noi  aderiti ,  onde  la  restituzione  di  Gosimo  d 
rinscita  vana  cosa  secondo....  per  noi  altri.  II  Yitello  per- 
severa  a  tenere  ogni  cosa  in  potere  suo ,  e  quelli  primi 
cittadini  non  pare  siano  in  fede. 

In  tale  grado  si  stavano  le  cose  nostre  per  le  notizie 
mie.  Ar6  caro  sapere  di  yostr'essere,  e  se  ho  a  fare  niente 
per  vol,  desidero  saperlo.  .  t 

Dio  yi  content!.  Non  voglio  tacere  che  messer  Luigi  Ala-  :  / 

manni  mi  ha  imposto  vi  faccia  intendere,  che  6  schiavo 

aUa  yirtii  yostra,  e  se  le  muse  sue  yagliano  nulla  ye  ne 

sarit  grato  in  quel  modo  pu6,  che  ha  dedicato  mille  carte 

al  nome  yostro;  in  fretta 

Tutto  yostro 

FILIPPO  STROZZI 
Di  Yenezia,  alii  4  aprile  itS37, . 


RiGCONTO  DELIA  lORTE 

DI 

LORENZINO  DE' MEDICI 

tratto  da  una  reiazione 

DEL  CAPITAMO 

FRANCESCO    BIBB01VI 

clxe  I'-ucciso 


AMlllAZZiLllIENTO 


DC 


LORENZINO   DE' MEDICI 


Tornando  io  d*Alemagna,  dove  era  stato  al  soldo  deirim- 
peratore,  trovai  in  Vicenza  (1)  Bebo  da  Volterra  che  si  trat- 
teneva  in  casa  di  M.  Antonio  da  Roma  gentiiuomo  vicen- 
tino,  perch6  aveva  gran  nimicizie  (2),  ed  esso  M.  Antonio  ebbe 
molto  cara  ia  mia  venuta  e  voile  che  io  mi  fermassi  qulvi 
da  lui. 

In  questomentre,occorse(3)  che  un  certo  M.  Francesco  Ma- 
nente(4),pure  gentiiuomo  vicentino,  aveva  una  grandeini- 
micizia  con  certi  de*  Guazzi  e  contro  la  casa  de'  Laschi  lutti 
vicentini,  ed  era  durata  detta  inimicizia  parecchl  anni,  e 
v'erano  nate  molte  morti  d'uomini,  tanto  tra  dl  loro  autori 
che  tra  i  seguaci  di  ciascheduna  parte;  per6  questo  M.  Fran- 
cesco preg6  M.  Antonio  dove  abitava  che  si  contentasse 
conceder  noi  in  quel  gioroo;  e  per  esser  tanto  suo  amico 
non  gli  potette  detto  M.  Antonio  disdi>e,  e  cosi  Bebo  ed  io 
andammo  con  detto  gentiiuomo  ad  un  villaggio  che  si 
chiama  Gelsano,  dove  una  parte  e  Taltra  hanno  i  loro  beni, 

(1)  a  Venecia.  M.  (2)  aTera  una  graade  inimicina.  M.  (3)  accona.  G.  (4)  Am- 
lento.  M. 


442  AMMAZZAMEHTO 

e  tuUi  tenevano  uomini  in  casa,  talcb^  non  era  giorao  che 
non  si  uscisse  in  campagna>  e  si  faceva  molti  latU  d'anne, 
e  sempre  n'usciva  de'  feriti  e  morti. 

Un  giorao  poi  quelli  della  parte  nostra  si  risolverono  di 
assaltare  la  parte  contraria  in  casa,  dove  ammazrammo 
due,  ed  il  resto,  ch'erano  cinque,  si  racchiusero  in  una  stanza 
terrena  e  quivi  si  fortificarono,  onde  noi  portammo  loro 
via  tutti  gli  arcliibusi,  e  le  altre  armi,  ed  essi  furono  ne- 
cessitati  a  sgombrare  la  villa  e  si  ritirarono  in  Vicenzay  e 
non  vi  corse  molto  tempo  cbe  di  una  si  grande  inimicizla 
si  fece  un'amplissima  pace. 

Bebo  poi  si  ritir6  in  Padova  col  Rettore  dello  studio 
cb*era  milanese,  dove  dopo  qualche  tempo  il  medesimo 
Rettore  se  ne  and6  a  Milano  e  condusse  seco  Bebo. 

lo  restai  a  Vicenza  con  M.  Galeazzo  della  Seta,  perch^ 
quantunque  fosse  seguita  la  pace,  egli  non  si  fidava,  ed 
ivi  stetti  circa  a  dieci  mesi,  e  poi  bisogn6  ch'io  tornassi 
da  M.  Antonio  Roma,  che  erano  sette  fratelli,  quali,  volen- 
domi  tutti  gran  bene,  mi  avevano  offerto  che  io  dovessi 
stare  in  vita  mia  al  bene  ed  al  male,  come  loro,  con  questo 
per6  ancora  che,  se  fosse  venuta  occasione  di  guerra,  e 
che  lo  vi  fossi  voluto  andare,  egli  non  mi  avrebbono  man- 
cato  di  venticinque  scudi  (1)  ed  armi  e  cavallo  e  toraatasem* 
pre  cbe  io  fussi  vissuto,  ed  in  caso  di  non  volere  andare 
alia  guerra,  Tistesso  trattamento. 

Occorse,  che  essendo  Bebo,  come  si  disse,  in  Milano,  M. 
Francesco  Yinta  volterrano  vi  era  ambasciadore  per  il 
Duca  di  Firenze:  vide  egli  Bebo,  e  domandatoli  ci6  che 
faceva  in  Milano,  rispose  ch'egli  era  cavaliere  errante. 

Allora  M.  Francesco  gli  disse,  che,  essendo  stato  taDto 
tempo  fuori  dello  Stato,<  doveva  procurare  di  toraare  con 
buona  grazia  di  Sua  Eccellenza  (2),  e  con  buone  parole  co- 
mincid  ad  insinuargli  il  modo  cosi  alia  lontana,  che  Bebo  ri- 
maneva  piuttosto  confuse;  ma  venendo  poi  (3)  alle  strette  gU 

(1)  mi  aTrebb«ro  dato  cioquanta  scudi.  M.  (2)  del  Duca.  M.  (3)  pick.  C. 


DI   LOREMZINO  DE  MEDICI  443 

disse,  come  viveva  Lorenzino  de*  Medici,  il  quale  aveva  fatto 

il  tanto  noto  tradimento,  e  che  lui  od  altri  doveva  cercare 

dl  fame  vendetta :  che  se  lui  s'offeriva  di  mandare  ad  eflfetlo 

tal  impresa,  che  lo  manderebbe  a  parlare  airistesso  Duca. 

—  Ed  essendosi  il  medesimo  Bebo  offerto  a  tale  impresa, 

lo    mandd  con  sue  lettere  a  Firenze,  quale  prescntatosi 

avanti  al  Duca,  esso  Tassicurd  di  ritornarlo  in  grazia,  pur- 

ch^  seguisse  la  morte  di  detto  Lorenzino,  ed  oltre  a  ci6 

gU  avrebbe  somministrato  e  lettere  e  denari  per  la  sua  si- 

cnrezza;  per  il  quale  elTetto  ripiglid  Bebo  dicendoli,  che 

aveva  anco  un  compagno  (1)  a  proposito  tale,  che  non  ci 

era  altro  simile  a  lui  per  tal  negozio. 

Partitosi  Bebo  per  Milano,  mi  venne  a  trovare  a  Viceoza 
e  mi  conferlquesto  negozio  (2)  .Stetti  un  pezzo  sopra  pensiero 
irresoluto  a  che  partito  appigliarmi ;  ma  quando  io  loccai 
con  mano  ch'era  volonti  del  medesimo  Duca,  io  gli  promessi, 
e  ci  demmo  unitamente  la  fede  della  segretezza,  e  con  questo 
ancora,  che  non  dovessimo  avere  in  tal  negozio  altra 
compagnia.  Cosi  concluso  tra  di  noi  raCTare  andammo  a 
Venezia  per  mettere  in  esecuzione  il  nostro  disegno,  c 
perchd  io  era  pratichissimo  di  tutta  la  citt^  di  Yenezia 
e  vi  avevo  molti  amici,  inteso  con  bel  modo  ove  abitava 
detto  Lorenzino,  quivi  pigliammo  un  alloggiamenlo  in  quel 
vicinato,  e  sera  e  matlina  andavamo  vedendo  come  ci 
avessimo  a  governare. 

Ma  perche  Lorenzo  non  usclva  mai  del  suo  palazzo,  non 
sapevamo  come  avessimo  a  fare,  e  stavamo  assai  confusi 
per  rimpegno  presone.  Ma,  come  Dio  voile,  venne  di  Fran- 
cia  Ruberto  Strozzi,  col  capitano  Cencio  Uuasconi  ed  un 
suo  cameriere,  il  quale  si  chiamava  per  soprannome  (3) 
Spagnuoletto,  ma  era  navarrese  e  mioamicissimo:  ecosi 
come  la  nostra  fortuna  voUe,  una  mattina  riscontrai  dello 
Spagnuoletto  ci  congratulammo  insieme,  ci  feciamo  festa  e 

(1)  si  fatto  (2)  Questo  pcriodo  mancava  in  C.  e  si  c  supplito  con  M.  (3)  Io 
Spagnolctlo.  M. 

Lorenz.  de^Medici  8 


414  AMMAZZANENTO 

molte  carezze.  CosI  discorrendo  mi  disse  ch'eglino  erano 
Tenuti  di  Francia  per  andare  a  Roma.  lo  gli  dissi  che  vo- 
levo  inchinarmi,  e  baciar  le  mani  a  M.  Roberto  mio  prin- 
oipalissimo  padrone,  ed  esso  mi  rispose  ch'erabene,  avendo- 
mi  esso  M.  Ruberto  benissimo  riconosciuto  in  Roma  (i).  Gosi 
andassimo  insieme  a  casa  di  Lorenzo  (dove  era  di  stanza 
11  medesimo  M.  Ruberto  Strozzi  ed  il  capitano  Gencio  Gua- 
sconi)  e  mi  abbattei  che  uscivano  di  casa  M.  Ruberto  e 
Lorenzo:  e  per  esservi  con  loro  molti  altri  gentiluomini 
ed  altre  persone,  io  non  potetti  farmeli  innanzi,  e  subito 
M.  Ruberto  e  Lorenzo  entrarono  in  gondola;  e  perchd  era 
stato  molto  tempo  che  non  aveva  yeduto  Lorenzo,  e  per 
essore  egli  anco  yestito  modestamente,  nollo  raffigurayo 
troppo  bene,  se  non  che  pur  mi  pareva  e  non  mi  pareva, 
e  in  tal  dTd)biezza (2)  dissi  a  Spagnuoletto—  Mi  par  di  cono- 
scere  quel  gentiiuomo,  e  non  mi  ricordo  doye  io  Tabbia 
Teduto  —  e  M.  Ruberto  gli  daya  la  mano  diritta.  Allora  mi 
rispose  Spagnuoletto.  —  Tu  lo  conosci  molto  bene,  egli  6 
M.  Lorenzo,  ma  non  ne  dir  niente  a  persona;  e'sifachia- 
mar  M.  Marco  (3)^  perchd  Ini  ha  gran  sospetto,  e  non  si  sa 
che  lui  sia  qui  di  stanza  in  Yenezia.  »  Io  gli  risposi,  che 
!  molto  mi  marayigliayo  di  lui,  e  se  ayessi  potuto  aiatark), 
I  Fayrei  fatto  molto  yolentieri.  Poi  gli  domandai  doye  anda- 
\  yano  ed  esso  mi  disse  che  andayano  (4)  a  desinare  da  Mon- 
I  '  signor  Gioyanni  della  Casa,  ch*  era  Legato  in  Yenezia  pel 
/     Papa  —  Nollo  lasciai  fino   a  tanto  che  non  ne  ritrassl 
1      quanto  ayeyo  di  bisogno. 

.  Spagnuoletto  accompagnato  ch'ebbe  1  padroni,  usci  (8)  Tor- 
dine  del  suo  ritorno  a  casa,  e  cosi  insieme  ritomammo  al 
palazzo  del  sopraddetto  Lorenzo,  doye  che  bisogn6  cbe  io 
desinassi  con  esso  lui. 
Yi  era  uno  spenditore  di  Lorenzo,  il  quale  era  giistato 

(1)  Maf  Uo  M :  percht^  aveali  detto  Ruberto  avenni  conosctnto  a  Roma.  (2)  in 
aol  dubbio.  U.  (3)  If.  Dario.  U.  (4)  Lc  parole  ed  e$to  mi  diite  che  andnoM 
maocavana  in  C.  c  le  abbiamo  svppliie  da  M.  (5)  ebbe.  M. 


Dt  LOBEHZINO  DE'mIDICI  445 

eon  Pietro  Strozzi  in  Roma;  che  se  Spagnuoletto  mi  fece 
festa,  piil  assai  me  ne  fece  lui,  dove  che  allegramente  rin- 
novammo  I'amieizia  vecchia,  ed  avanti  che  io  mi  partissi, 
discorrendo  Ira  di  noi,  seppi  qualmente  Pietro  Strozzi  dava  * 
^  detto  Lorenzo  miUe  cinquecento  scudi  di  piatto  l*anno, 
e  tre  compagni  bravi  e  facinoroei  pagati,  ed  ancora  gli 
dava  on  palazzo,  che  pagava  cinquanta  scudi  di  pigione, 
ed  egli  ne  prese  uno  a  San  Polo  che  ne  pagava  trecento, 
ed  egli  allora  per  quest'altura  gli  lev6  miUe  scudi  I'anno 
della  prowisione.  t  ben  vero  che,  parendo  al  medesimo 
Lorenzo,  che,  per  avergli  dimlnuita  la  prowisione  annua 
Io  volesse  abbandonare,  eglj  molto  se  ne  dolse,  e  perci6 
gli  diede  in  compagnia  Alessandro  Soderini,  che  era  ancor 
esso  ribello;  onde  non  poco  mi  rallegrai  deUe  avute  noti- 
zie  (l),che  fnronodi  gran  conseguenza  per  il  fattoche  do- 
vevo  fare.  Seppi  ancora  quando  tomava  al  nuovo  palazzo,  e 
mediante  quel  servitor,  vecchio  mio  amico  intrinseco  che 
aveva  nome  Luca,  sapevo  (i)  bonariamente  quanto  lui  fa- 
eeva,  e,  per  cosi  dire,  quante  volte  sputava.  Seppi  poi  che  il 
medesiDK)  Lorenzino  era  ardentemente  innamorato  della 
bella  Barozza,  siccome  tutti  gli  andamenti  che  faceva 
verso  della  medesima,  e  qui  disegnai  di  fare  il  fatto^  come 
appresso  si  dirii. 

11  giovedi  grasso  di  camevale,  che  fummo  a  9  di  feb- 
braio  dell'anno  1547  ab  ineamcUiQfne  (3X  detto  Lorenzo  fa- 
ceva maschere,  vestito  egli  da  zingara,  con  altri  in  forme 
varie  a  cavallo,  dove  si  correvano  lancie  sulla  piazza  di 
Santo  Spirito,  ov'era  concorso  a  tal  festa  una  gran  quan- 
tity di  popolo,  e  pensando  come  potessimo  mandare  ad  ef- 
fetto  il  negozio,  non  ci  sort!  mai  I'intento,  ma  non  per 
questo  io  mancavo  della  mia  parte  di  fare  in  modo  con 

(1)  the  ta  assai  il  perrenirmi  e  che.  G.  (2)  Sapevano.  C :  forso  iapevamo, 
f3)  Canttt  aimota :  ^  nolissiino  che  i  Fiorentini  c<»ninciavano  Tanno  al  25  mar- 
10 :  e  per^  il  1547  qui  sopra  indicato  equivale  al  46  4ell*^a  comune.  —  M.  ha 
94lebbraio. 


4  1 6  AMMiZZAM  BNTO 

quel  servidore,  di  sapere  con  bel  modo  quello  che  il  jia* 
drone  ogni  giorno  faceva  e  discorreva ,  a  tal  che  per  gli 
avvisi  suoi  io  mi  govemavo,  ed  ero  certo  che  senza  tall 
•  awisi  mal  ci  poteva  riuscire  (i). 

Avendo  io  tanto  inoanzi  (2)  il  negozio,  presi  amicizia  d'  uq 
calzolaio ,  comprando  da  lui  ora  una  cosa ,  ora  un'  altra  , 
siccbd  io  mi  ero  fatto  suo  amico  familiare  ed  intrinseco,  e 
questo  facevo  perchd  la  bottega  del  medesimo  calzolaio 
scopriya  tutta  la  piazza  dl  San  Polo,  e  particolarmente  U 
palazzo  dl  Lorenzo,  dove  che  mattina  e  giorno  di  continuo 
mi  trattenevo  per  buono  spazio  di  tempo,  e  spesso  facevo 
linta  di  dormire;  ma  sallo  I(^dio  se  io  dormivo,  perchd 
coiranimo  (3)  stavo  sempre  desto. 

Occorse  un  giorno  che  io  fui  avvisato  che  Lorenzo  era 
andato  a  desinare  da  Mons.  Giovanni  della  Casa ;  a  tal  nuova 
tutti  allegrl  andammo  risoluti  per  fare  il  negozio,  ed  io 
salii  francamente  solo  nel  palazzo  di  detto  M.  Giovanni,  e 
lasciai  Bebo  giu  nella  loggia,  al  quale  dissi  che  stesse  pre- 
parato  per  ogni  occorrenza ,  ma  trovammo  che  il  detto 
M.  Giovanni  e  Lorenzo  erano  di  U  andati  a  desinare  a 
Murano,  talch^  rimasimo  colle  trombe  nel  sacco.  Per  que- 
sto non  si  manc6  di  fare  ogni  giorno  le  nostre  diligenze: 
e  perch6  Bebo  non  conosceva  Lorenzo,  un  giorno  gHelo 
feci  conoscere,  tomato  che  fu  ad  abitare  alia  piazza  di 
San  Polo.  Dove  per  esser  novizj  in  quel  contorno,  non  do- 
vevano  sapere  le  strade  di  quel  vicinato,  perchd  una- mat- 
tina andarono  per  terra,  per  passare  dinanzi  alia  sua  in- 
namorata  bella  Barozza,  fallirono  la  strada,  e  volendoan- 
dare  ad  un  convento  di  frati,  dov'ella  andava  alia  messa, 
prcsero  un*altra  strada,  quale  gli  condusse  un  gran  pezzo 
in  \k,  ma  non  ha  riuscita,  dove  che  noi  gli  andammo  die- 
tro  per  fare  il  fatto,  ma  non  gli  potemmo  raggiungere,  e 
eosl  ce  ne  tornassimo  indietro(i),tiIchegli  riscontrassimo 

(1)  il  fatto  aj^giungo  M.  (2)  spinio  il  nc^jozio.  M.  (3)  troppo  stavo  dcslo.  M. 
'i)  Eijlino  che  non  eran  possvti  passare  per  quella  strada  tornarono  in- 
dietro  anch'essi  agjfiungc  M. 


^ 


DI   LORBNZINO  DB*MED!CI  447 

In  luogo,  dove  Tarme  che  avevamo  non  erano  a  proposito 
per  r  eflSetto  che  avevamo  disegnato,  sicch^  bisogn6  prov- 
^edere  altre  armi  piu  adattate  al  c%so,  immaginandoci 
die  a]tra  volta  gli  averebbamo  abboccati  ed  incontrati 
nel  medesimo  luogo,  come  segui. 

Yenne  che  a' 26  di  febbraio(l),  la  seconda  domenica  dl 
quaresima,  essendo  io  andato  (com*era  il  mio  solito)  a  ve- 
dere  ed  investigare  se  Lorenzo  dava  ordine  di  andar  fuora. 
tome  altre  volte  era  andato,  entrai  nella  sopraddetta  bot^ 
iegOL  di  calzolaio,  ed  ivi  stetti  un  pezzo,  a  tal  che  Lorenzo 
si  fece  alia  flnestra  con  uno  sciugjitoio  al  collo  e  si  petti- 
nava^  e  vidi  neli'istesso  tempo  entrare  cd  uscire  uncerto 
Giovan  Battista  Martelli  Piccino(2),  cho  stava  alia  guardia  e 
a  dlfesa  di  esso  Lorenzo  colla  spada,  e  pensandomi  iocho 
lai  dovesse  uscire  fuori,  camminai  a  casa  perapprontarml 
e  provvedermi  d'armi  necessarie,  dove  trovai  Bebo  ancora 
in  letto  che  dormiva,  lo  feci  subito  levare,  e  venimmo  alia 
solita  guardia ,  dove  vi  e  la  chiesa  di  San  Polo ,  ed  ^  in 
capo  alia  piazza,  dove  loro  avevano  da  passare. 

La  detta  chiesa  d  posta  come  in  isola ,  ed  ha  due  portc 
che  sono  addirimpetto  Puna  airaltra,  a  tal  che  messi  Bebo 
alia  porta  davanti  alia  detta  chiesa,  e  gli  diss!  che  stesse 
lorte,  e  che  mi  guardasse  spesso  per  osservare  se  mi  ve- 
deva  fuori  della  bottega ,  e  vedendomi  fuori  di  essa ,  che 
lui  si  awiasse  innanzi ,  e  che  io  lo  seguiterei. 

Ora>  come  voile  la  nostra  buona  ventura,  usci  fuori  il 
sopraddetto  Giovan  Battista  Martelli,  ed  and6  innanzi  un 
pezzo,  dipoi  usci  Lorenzo,  e  poi  usci  Alessandro  Soderini, 
6  andavano  dietro  Funo  all'altro,  come  le  grue,  e  quando 
Lorenzo  f  u  dentro  (3)  alia  sopraddetta  chiesa  di  S.  Polo,  alzo 
la  8toiaocoltrone,ch'eraaU'uscio(4)  dl  detta  chiesa,  in  modo 
che  Bebo  ch'era  all'altro  uscio  lo  vide,  e  vide  me  ancora 
«he  ero  uscito  fuori  di  bottega ,  e  ci  ritrovammo  insieme 

<f )  n  13  mano.  M.  (9)  Piccino  manca  in  H.  <3)  dietro.  G.  (4)  usctolo.  C. 


IIS  AMIIAZZAIIBNTO 

per  la  strada,  come  eramo  restati  d'accordo,  e  dissemi  ch9 
era  in  chiesa;  e  stando  osservando  r  esito,  vidi  che  uaclt 
Lorenzo  di  chiesa,  e  prese  il  suo  cammino  nella  strada 
maestra,  poi  uscl  Alessandro  Soderini,  ed  io  me  n'andava 
dietro  a  tutti,  e  quando  fummo  al  iuogo  destinato,  saltai 
innanzi  ad  Alessandro  col  pugnale  in  mano  dicendo  — 
State  forte,  Alessandro,  e  andatevi  con  Dio,  che  noi  ncm 
siamo  qua  per  vol.  -*  Lui  allora  mi  si  gett6  alia  vita,  e 
mi  prese  le  braccia ,  e  teneya  sempre  forte  gridando.  la 
che  yidi  arer  fatto  male  in  yolergli  risparmiar  la  vita, 
mi  sforzai  quanto  potetti  per  uscirgli  dalle  mani ,  e  tro* 
Tandomi  il  pugnale  alto,  lo  toccai,  come  Dio  yolle,  sopra 
di  un  ciglio^  d'onde  col6  un  poco  di  sangue.  Egli  allora 
molto  in  collera  mi  diede  un'urtata  tanto  grande,  che  mi 
ebbe  a  far  dare  della  schiena  in  terra ,  tanto  pid  che  si 
sdrucciolaya  per  essere  un  poco  pioyuta  Gacci6  Alessan* 
dro  mano  alia  spada,  che  Tayeya  col  fodero  in  mano,  e 
mi  tir6  alia  yolta  del  mostaccio,  e  mi  colse  nel  corsaletta 
della  corazzina,  e  mi  yalse  ch'era  di  maglia  doppia. 

Innanzi  ch'io  mi  potessi  mettere  in  amese,  toccai  Ire 
imbroccate  (1),  e  se  io  ayeyo  giaco,  come  corazzina,  mi 
passaya  (i)  al  certo,  perch^  ero  sotto  misura. 

Alia  quarta  botta  mi  ero  nfatto  (3)  assai  di  animo  e  di  forze, 
onde  me  gli  strinsi  addosso ,  e  gli  tirai  quattro  coltellatft 
alia  yolta  della  testa,  e  per  essergli  tanto  appresso,  egli 
non  mi  poteya  piii  colpire,  ma  yolendosi  riparare  col  brac- 
cio  e  colla  spada,  pensando  cosi  di  ripararsi  bene,  com» 
Dio  yolle,  io  lo  colsi  nella  congiuntura  deUa  mano,  ap* 
presso  la  manica  di  maglia,  e  gli  tagliai  la  manodi  netto, 
e  subito  gli  diedi  un'altra  ferita  sulla  testa  che  fu  1' ul- 
tima: allora  mi  chiese  la  yita  per  i'amor  di  Dio,  ed  io^ 
che  ayeyo  pena  di  quello  che  facesse  (4)  Bebo,  lo  lasciai  nelle 
braccia  di  un  gentUuomo  yeneziano,  che  lo  tenne,  ch% 
non  si  gettasse  in  canale. 

(1)  stooMte.  M.  (^  pMMn&o.  M.  (3)  liitto.  G.  (4)  fSece.  C. 


Di  LORBNZIIIO  DB'MEDICI  149 

Nel  YOltarmi  trovai  che  Lorenzo  era  in  ginocchioni,  e  si 
rizzava,  onde  io  in  collera  gli  tirai  una  gran  coltellata 
sulla  testa,  e  fattogliene  due  parti,  lo  dlstesi  a'mlei  piedi, 
nd  piii  si  rizz6. 

Non  vedevo  dove  Bebo  si  fosse  andato ,  se  non  ehe  vo- 

lendo  partirmi  di  quivi,  bisognava  andare  verso  la  chiesa 

di  San  Marcello,  che  vi  d  una  piazzetta  e  quivi  ritrovai 

Bebo,  come  un  uomo  insensato ,  al  quale  diss!  con  buone 

parole,  che  11  dovere  voleva  che  mi  avesse  soccorso,  e  vo- 

lendomi  egli  replieare,  io  gli  dissi  —  Ora  non  ^  tempo, 

—  e  cosi  tra  di  corsa  e  di  buon  passo,  fummo  in  breve 

aliontanati  dal  luogo,  dov'era  seguito  il  fatto.  Al  traghetto 

di  Santo  Splrito,  ci  risolvemmo  di  gettare^  come  feciamo, 

i  pugnali  In  mare,  perch'erano  proibiti  pena  la  galea,  e  fu 

un  t^npo,  che  io  mi  pentii  d'averlo  gettato,  ed  essermene 

privato,  perch6  essendoci  io  e  Bebo  separati,  e  rimasti  d'ac- 

cordo  dove  cl  avevamo  a  trovare,  per  essere  io  molto  in- 

sanguinato,  accid,  se  io  per  disgrazia  fossi  stato  preso  da- 

gli  sblrri,  egli  avesse  campo  di  salvarsi. 

Appena  Bebo  si  fu  separato  da  me,  ed  a  caso  voltan- 
domi  vedo  venirmi  dietro  da  venti  sblrri;  io  subito  mi 
pensai  che  sapessero  ogni  cosa ,  e  che  venissero  per  cat- 
turarmi,  che  in  verity  allorami  vidi  perso;  allora,  piii  pre- 
sto potei ,  allungai  Ji  passo  ed  entrai  in  una  chiesa ,  e  vi 
era  accanto  alia  medesima  una  Gompagnia,  ed  una  entrava 
neU'altra,  e  m'inginocchiai  pregando,  e  caldamente  racco- 
mandandomi  a  Dio  per  la  mia  salute  e  sal vezza;  per6  trale 
preghiere  stavo  osservando,  e  vidi  che  tutta  quella  frotta 
pass6  avanti ,  se  non  che  uno  de*  medesimi  sbirri  che  en- 
tr6  in  detta  chiesa,  ed  io  teneva  Tocchio  tanto  teso,  e  in 
modo  che  vedevo  di  dietro  come  dinanzi ,  e  allora  avrei 
avuto  caro  il  (i)  pugnale,  perchd  non  avrei  guardato  d'es- 
sere  in  chiesa ;  conobbi  per6  che  nulla  sapevano,  ed  io  poi 
feci  animo  e  mi  risolvetti  di  passare  pel  mezzo  di  dettl 

(i)  del.  C. 


420  AMMAZZAMBNTO 

sbirri  con  ferma  iatenzione  di  entrare  nella  chiesa  di  San 
Spirito ,  dove  il  padre  maestro  Andrea  Yolterrano  predi- 
cava,  e  (1)  di  quivi  passare  alFaltra  porta,  ma  non  ci  fu  mai 
modo  n6  via  per  lo  tanto  gran  popolo  che  vi  era ,  sicch^ 
fui  forzato  a  tomare  indietro,  ed  uno  di  quei  sbirri  mi 
veone  dietro  un  gran  pezzo,  tanto  che  mi  trovai  dove 
erano  due  strade:  allora  mi  presi  per  compenso  di  mo- 
strare  di  averc  smarrita  la  strada,  e  ritomai  addietro,  e 
questo  pure  mi  seguitava,  credendo  io  che  avesse  preso 
sospetto  per  avermi  visto  insanguinato.  Allora  preso  arUmo 
mi  voltai ,  e  mentre  coslui  non  se  V  aspettava ,  gii  diedi 
cosi  grande  urtone,che  gii  feci  dare  della  testa  una  grandis- 
si  ma  botta  in  terra  (2),  e  poi  la  diedi  a  gambe  (3),  tanto  che 
tutto  affannato  arrivai  alia  gabella  delle  farine  e  dipoi  a 
San  Marco,  dove  andai  al  mare,  e  feci  venire  una  gondola, 
che  mi  levo  al  ponte  (4)  della  Paglia,  che  riesce  nell^  casa 
degli  Altanesi  (5),  e  quivi  vidi  uno  colla  spada,  e  perchg  era 
in  luogo  dove  11  giorno  sta  la  guardia  degli  sbirri,  mi 
manc6  un  poco  Tanimo,  a  tal  che  bussai  allora  Tuscio  di 
una  puttana  mia  amica,  la  quale  riconosciutomi ,  subito 
mi  aperse.  Ed  in  quello  che  io  salgo,  un  amico  mi  dice 
che  non  stia  quivi,  e  cosi  mi  risolvetti  di  partire  e  andai 
al  mio  viaggio,  e  senz*altro  batticore  e  intoppo  arrivai  alia 
casa  del  conte  Salici  (6)  da  Ck>Ualto  del  Friuli,  amicissimo 
ed  intrinseco  nostro,  perch^  Bebo  ed  io  gii  avevamo  fatto 
per  lo  passato  di  gran  servizj.  Bussai  la  porta,  e  Bebo  su* 
bito  mi  aperse,  e  quando  mi  vide  tutto  imbrattato  di  san- 
gue ,  si  fece  maraviglia  che  io  non  fossi  eapitato  male  e 
nelle  forze  delta  giustizia,  e  ne  dubit6  anco  per  essere  io 
stato  tanto  ad  arrivare. 

II  conte  non  era  in  casa,  ma  per6  essendo  conosciato  da 
tutti  di  casa  feci  da  padrone  e  me  n*  andai  in  cucina  al 
f uoco,  6  con  sapone  e  acqua  feci  diventar  bigie  le  calzette  (7) 

(1)  quivi.  G.  (2)  gii  feci  dare  una  gran  testata  in  terra.  M.  (3)  battel  le  gambe. 
M.  (4)  e  mi  pose  offgiwtge  U.  (5)  Albanesi.  H.  (6)  Felice.  M.  (7)  calxe.  M. 


DI   LORBNZIMO  DE'HEDia  421 

ch'erano  bianche.  In  questo  mentre  arrivd  il  conte,  e  Bebo 
se  gii  fece  incontro,  e  da  iui  gli  farono  fatte  gran  carezze, 
e  <limand6  di  me:  allora  Bebo  gli  disse,  che  avevo  dato 
malamente  ad  uno  sbirro,  per  conto  di  una  femmina,  e  che 
pensavo  che  assolutamente  fosse  morto;  intanto  mentre 
discorrevano  di  questo  fatto,  ancora  io  me  gli  presentai 
dayanti,  mi  accarezz6,  e  si  ragion6  di  yarie  cose,  e  di- 
scorrendo  si  fece  Tora  di  desinare;  ma  perchd  veniva  a 
desinare  da  Iui  il  primo  medico  di  Yenezia)  non  voile  che 
ci  vedesse ,  e  n5  tampoco  voile  che  ci  vedesse  alcuno  dei 
saoi  servitori,  e  fece  ordinare  da  desinare  per  noi  di  sopra 
in  una  camera ,  ed  esso  col  suo  segretario  ci  servirono  a 
tavola,  discorrendo  e  sbocconeggiando  ancora  loro.  In  que- 
sto venne  il  prefato  medico,  ed  il  conte  and6  via,  per  es- 
sere  a  desinare  coiristesso,  e  restd  con  noi  il  segretario.  In 
quello  che  si  lavavano  (1)  le  mani  per  andare  a  tavola,  viene 
un'imbasciata  dalla  madre  di  Lorenzo,  cbe,  se  ci  ^  11  me- 
dico, vada  subito  a  casa  di  lei,  perch^  era  stato  ammaz- 
zato  Lorenzo,  e  ferito  a  morte  Alessandro  Soderini.  A  tal 
nuova,  subito  and6  via  il  medico,  e  non  stette  quivi  a 
desinare,  ma  il  conte  venne  da  noi,  e  ci  cont6  Timba- 
sciata  per  filo  e  per  segno  con  dimandarci  s*  eramo  statl 
noi.  Negammo  da  bel  principio,  ma  per6  egli  s'  immagin6 
che  fussimo  stati  noi,  ed  assai  ci  rincor6  con  dirci  che  non 
dobitassimo,  che  in  tutti  1  modi  ci  voleva  salvare,  ma  che 
gli  sapeva  male  che  quel  giorno  doveva  andare  in  consi- 
glio,  e  non  sapeva  a  che  ora  uscirebbe:  se  ne  andd  egli  a 
desinare  e  poi  a  riposarsi. 

Quando  fu  Tora  di  vespro,  mi  risolvetti,  senza  dire  ad- 
dio  a  nessuno,  di  partirmene,  e  dissi  a  Bebo  che  mi  se- 
gnitasse,  e  mi  venisse  lontano  quanto  mi  vedeva :  e  se  ve- 
deva  ch*  io  fossi  preso ,  egli  si  salvasse  al  meglio  che  po- 
tesse,  e  andammo  via,  non  82q)endo  Bebo  dove  io  volessi 
andare. 

(1)  hTava.  C. 


422  AMMAZZAMIRTO 

Andammo  a  casa  di  quella  donna,  dove  prima  stavamo 
di  stanza,  e  feci  ordinare  da  cena,  ayendo  pensiere  di  star 
quiyl  per  sentire  qualche  cosa  del  fatto  per  pigliare  le 
nostre  misure;  ma  in  quel  tempo  vi  comparsero  due  preti 
col  flglluolo  di  quella  donna,  1  quali  preti  mi  conoscevano, 
e  quivi  ci  ponemmo  a  ragionare  di  varie  cose:  di  li  a  im 
poco,  uno  di  quel  preti  and6  fuori,  11  perch6  ayendo  preso 
io  sospetto,  dissi  a  quella  donna  che  yoleyo  andare  a  fare 
un  senrizio,  e  che  presto  sarei  tomato,  e  accennando  Bebo 
lo  condussi  yia,  e  ce  ne  andammo  al  traghetto  della  Ifad- 
dalena,  e  montammo  su  una  gondola  con  dirgli,  ya  forte, 
— -  e  cheandasse  a  S.  Maria  Zobenigo  (1),  e  quando  ml  panre 
di  essere  nel  mezzo  del  canale,  dissi  al  barcarolo  —  But- 
taci  a  riya  —  e  gli  dledi  pareccbi  marcbetti ,  e  gli  sog- 
giunsi  che  aspettasse,  che  saremmo  tomati.  E  glunti  che 
fummo  in  terra  appresso  il  palazzo  dell'  ambasciator  di 
Spagna,  dissi  a  Bebo  che  ayeyo  intenzione  che  quiyi  noi 
ci  salyassimo. 

Piacque  molto  a  Bebo  il  mio  consiglio,  e  subito  Tapproyd, 
e  cosi  andammo  senza  intoppo  alcuno  al  palazzo  di  detto 
ambasciatore. 

Arriyati  al  detto  palazzo,  troyammo  quiyi  allMntomo 
circa  quaranta  Spagnuoli,  tutti  benissimo  in  ordine,  quail 
ci  fecero  molte  cortesie,  come  quelli  che  di  gik  ayeyano 
inteso  il  caso,  e  s'immaginayano  che  fussimo  stati  noi.  Io, 
senza  turbarmi  e  far  eonto  alcuno  nd  di  loro,  nd  di  loro 
aiccoglienze ,  dissi  che  ayeyo  gran  bisogno  di  parlare  col- 
I'illustrissimo  signor  ambasciatore,  ed  uno  di  quel  gentl- 
luomini  mi  rispose,  che  il  signor  ambasciatore  non  era  in 
casa,  ma  che  in  breye  tomerebbe;  e  cominciammoa  pas- 
seggiare  per  detta  corte,  quasi  da  (2)  un  quarto  d'ora;  poi 
dissi:  — -  Signori,  giacchd  11  signor  ambasciatore  non  yiaie, 
noi  andremo  a  f^ure  una  faccenda  e  tomeremo.  —  Non 
dissi  gik  questo  per  yoler  partire,  ma  per  non  parer  di 

(1)  soDenioghi  o  soboniiif  hi  II.  (9)  per  qoasi.  II. 


r  1 

m 

DI  LORBHZINO  DR'mEDICI  4S3 

esser  quelli  cbe  essi  pensayano.  Allora  uno  di  quelli  con 
molta  franchezza  ci  disse  —  che  se  noi  stavamo  quivi  a 
disagio  in  quella  corte ,  che  noi  entrassimo  in  una  bella 
camera ,  che  era  ivi  appresso,  e  11  ci  assentassimo  (I)  con 
tutto  nostro  comodo  —  e  da  ci6  conobbi,  che  si  pensayano 
che  non  ayessimo  caro  di  esser  yeduti.  lo  gli  rispoei  che 
non  c'importaya  d' esser  yeduti,  perch^  eramo  uomini  da 
bene  e  di  onore,  e  poteyamo  esser  sempre  yeduti  in  tutti 
I  luoghi  del  mondo;  allora  ci(2)  soggiunse:  —  Signori,  io 
non  dico  questo;  essendo  loro  (3)  persone  conosciute  e 
onoratissime;  ma  sappiano  che  io  ho  preso  Tardire  di  ci6 
pregarle,  perch^  questa  mattina  6  stato  ammazzato  Lo- 
renzo de'  Medici  e  ferito  a  morte  Alessandro  Soderini ,  e 
questo  ferito  ha  detto  che  gli  aggressori  sono  stati  due, 
uno  che  pu6  ayere  yentotto  anni  e  Taltro  trentuno:  uno 
con  calze  blanche  e  V  altro  uomo  tozzo  e  formato ,  e  per 
questo  ho  parlato  in  questa  forma ,  e  non  doyete  ayerlo 
per  male.  -*  Io  allora  gli  replicai ,  che  non  eramo  quelli, 
ma  per  non  esserci  11  signor  ambasciatore  ayeyamo  caro 
di  dire  quattro  parole  al  signor  segretario,  e  dipoi  sares* 
simo  andati  alle  nostre  faccende. 

Ci  condussero  subito  dal  segretario,  e  ci  yennero  dietro 
forse  trenta  Spagnuoli  con  grande  allegrezza  e  festa,  ed 
arriyati  in  camera  del  segretario,  io  cominciai  a  dire  che 
eramo^uiyi  per  parlare  al  signor  ambasciatore,  quale  per 
non  troyarsi  in  palazzo,  ayeyamo  pregato  lui  a  sentir  quello 
che  ayeyamo  a  dire  al  signor  ambasciatore,  e  di  poi  sa- 
remmo  andati  al  nostro  yiaggio,  ma  innanzi  che  noi  par- 
lassimo,  ayeyamo  caro  che  non  ci  fusse  tanta  gente.  Onde 
subito  11  segretario  diede  licenza  a  tutti,  e  serr6  ben  bene 
la  camera,  indi  ci  abbracci6  e  ci  baci6,  senza  che  prima 
noi  parlassimo,  e  poi  disse,  che  noi  parlassimo  liberamento 
•  senza  sospetto  alcuno.  Allora  io  esposi  tutto  11  caso  se- 
gttito,  e  flnito  che  io  ebbi  di  narrarlo,  di  nuoyoci  abbracci6 

(1)  Ti  asptCtaMimo.  M.  (1)  mi.  C.  (3)  percbi  •flino  sono.  C. 


484  AHHiZZAMBNTO 

e  baci6,  e  con  dirci  che  molto  ci  sUmava  e  reputava,  p^- 
ch6  avevamo  fatto  quello  che  moiti  altri  avevano  tentato, 
manon  potato  fare;  e  allora  ci  serr6  in  camera,  dicendoci 
che  andava  a  trovare  il  signor  ambasciatore,  perch^  sapeva 
doy'era;  ecosisi  parti,  e  poco  stette,  che  per  una  scala  a 
chiocciola  ci  mend  in  camera  del  signor  ambasciatore,  dove 
dal  medesimo  ci  fu  fatto  grandissima  accoglienza,  e  dopo 
Tolle  sapere  di  nuoyo  com* era  s^^ito  il  fatto;  molto  ci 
commendd  e  lod6,  promettendocl  d'  impiegare  tutta  la  forza 
ed  il  potere  dell'lmperio  persalvarci  e  mettercl  sicori  nelle 
man!  del  duca  dl  Firenze;  e  che  questa  mattina,  quando  fu 
fatto  si  nobile  azione  (i),  subito  ayeva  spedito  un  corriere 
airimperatore  medesimo,  e  che  voleva  spedime  un  altro  con 
dirgli,  che  voi  vi  siete  assicurati  (2)  e  salvati  nelle  sue  forze ; 
e  questo  dico,  perch^  so  benissimo,  che  questa  nuoya  gli 
sark  molto  cara  e  gradita,  sicch^  di  cosa  alcuna  non  du- 
bitate,  che  spero  di  avere  ordlni  molto  pressanti  alia  vo- 
stra  salvezza. 

Non  erano  compiti  dieci  giorni,  che  se  ne  veddero  gli  ef- 
fetti,  poich^  venne  un  corriere  colla  risposta,  che  il  signor 
ambasciatore  facesse  tutto  lo  sforzo  di  salyarci,  e  procurasse 
di  fare  ogni  possibil  diligenza  per  mettercl  salvi  (H)  in  mano 
del  Duca  dl  Firenze,  come  segui. 

£  per  dire  la  somma  diligenza  che  fece  il  medesimo  si* 
gnore  ambasciatore ,  ogni  mattina  faceya  dire  in  Riaito, 
che  quelli  che  aveyano  ammazzato  Lorenzo  erano  passati 
da  Padoya  il  tal  di ;  V  altro  giomo  faceya  dire ,  11  tal  di 
furono  yisti  a  Verona;  altre  tre  yolte  fece  pubblicare  es- 
sere  stati  yisti  nel  Friuli,  e  quando  in  un  luogo  e  quando 
in  un  altro,  e  tutto  faceya  per  oyyiare  alle  molte  diligenze 
che  faceyano  i  Fiorentini  che  teneyano  con  Lorenzino,  ed 
altri  ribelli,  che  dimoravano  in  gran  copia  in  Yinegia,  per 

(1)  la  stessa  mtttina  del  fatto.  M .  (2)  noi  eramo  assicurati.  M.  (d)  tutto  lo 
sfono  ed  ogni  possibile  diligenza  per  saWarci  e  roetterci  Uberi  nelle  ma- 
ol,  ecc.  M. 


01  LORBlUIIiO  DBMBDICl  4S5 

arerci  nelle  manl,  avendo  posto  a  tale  effetto  le  guardie  a 
tutu  i  passi,  non  guardando  a  veruna  spesa,  e  di  pid  aye- 
vano  quattro  brigantini,  che  andavano  per  mare;  vedendo 
ed  osseryando  tutte  le  gondole  che  passavano ,  e  ci6  era 
molto  ben  noto  a]  nostro  signore  ambasciatore,  che  stava 
per  noi  molto  avrertito. 

Ora  udlte  di  grazia  la  gran  diligenza  che  il  signore  amba- 
sciatore  us6  per  salvarci.  Prese  in  affitto  un  bellissimo  pa- 
lazzo  faori  della  catena  del  passo  di  Marghera,  ed  ogni 
giomo  vl  andava  con  cinquanta  Spagnuoli;  e  quando  era 
in  terra  ferma  pigliava  le  carrozze,  e  parte  andavano  a 
piedi,  a  tal  che  pareva  un  esercito ,  dove  che  qucgli  che 
Ti  erano  stati  messi  alia  guardia  da'Fiorentini,  andavano 
a  vedere  piu  volte  tal  cosa,  e  videro  sempre,che  il  signore 
ambasciatore,  subito  che  quivi  arrivava ,  si  esercitava  col 
bale8tro(i),  e  faceva  cavalcare  un  bellissimo  cavallo,  tanto 
che  assuefece  (2)  quella  gente,  che  nessuno  piil  gli  poneva 
mente.  Onde  avendo  ridotto  Taffare  come  desiderava,  si  rl- 
solvette  di  volerci  cavare  di  Venezia,  ed  ordin6  che  Tam- 
basciatore  di  Trento,  ch'era  il  signor  don  Alberto  Spagnuolo 
venisse  in  Venezia,  dove  gli  conferi  tutto  il  negozio,  e  gli 
diede  tutti  i  rontrassegni  di  noi ,  ordinandogli  per  parte 
dell' Imperatore,  come  si  aveva  dagovernare  circa  a'nostrl 
cast  per  metterci  sicuri  e  franchi  da*  luoghi  di  sospetto,  e 
doveegliavevaa  metterle  poste  e  leno8trepo8ate(3),  come 
appresso  intenderete.  Venne  il  giomo  il  quale  a  lui  parve 
che  fosse  a  proposito  a  cavarci  da  Venezia,  e  mand6  su  in 
camera  nostra  il  segretario ,  che  fu  il  signore  Ximenes,  a 
dirci,  d'ordine  del  signore  ambasciatore,  che  ci  mettessimo 
in  punto  per  andare  al  nostro  viaggio,  e  ci  port6  una  ca« 
sacca  lunga  flno  ai  piedi,  con  una  spadina  cinta  con  un 
cintolo,  ed  un  berrettino  ed  un  cappello,  ch' eramo  tutti  e 
due  vestiti  alia  biscaina,  dipoi  ci  diede  un  paio  di  forbice, 

(1)  subito  che  quivi  arrivava  rescrcito  col  bargcllo  ei,  occ.  M.  '2)  assuefa- 
cessc.  C.  (3  per  Ic  nostre  pas&ale.  U. 


426  AMMiZZAMERTO 

acci6  noi  ci  tagliassimo  la  barba,  a  tale  che,  chi  non  ci 
aveya  bene  in  pratica,  non  ci  avrebbe  tampoco  riconosciuti 
vesUti  in  quella  forma.  Andammo  poi  giu  in  camera  del 
signore  ambasciatore,  il  quale  di  nuovo  ci  abbracci6  e  ba- 
ci6,  e  fececi  molte  accoglienze,  con  istruirci  del  modo  cb» 
aveya  tramato,  e  cbe  dovevamo  tenere  per  salvarci,  • 
dopo  questo  8uo  amorevole  dlscorso  ci  pose  avanti  un 
sacchetto  di  9cudi  d'  oro ,  dicendo  cbe  ne  pigliassimo  fino 
in  cinquanta,  percbd  ci  sarebbero  bisognati,  dovendo  noi 
fare  un  lungbissimo  viaggio,  quail  a  sua  instanza  presamo 
con  rendergli  iniiniti  ringraziaroenti. 

Uscimmo  dunque  (i)  del  palazzo  e  andammo  a  montare  in 
una  gondola  di  dodici  persone  cbe  quivi  erano  all'ordiney 
e  plena  anco  di  soldati  spagnuoli  bene  armati ,  cb'  erano 
lino  a  settanta,  e  tutti  si  awiarono  avanti,  ed  il  signore 
ambasciatore  per6  si  pent!  (2),  e  ci  messe  nella  sua  gondola; 
allora  andammo  piCi  allegramente,  ed  arrivammo  al  porto 
di  Ifargbera.  Alio  smontare  di  gondola  usci  prima  il  si- 
gnore ambasciatore  per  vedere  cbi  era  quivi>  dove  vi  erano 
da  venticinquearcbibttsieri  Italian!  (3),  messi  a  bella  posta 
per  guardia  da'signori  florentini,  sospetti  per  tal  conto(4)» 
e  volendo  essi  veder  noi,  cbe  eramo  restati  nella  gondola, 
aspettando  cbe  la  carrozza  fosse  air  ordine,  alcuni  di  loro 
si  appressavano,  ed  accostavano  alia  nostra  gondola  per 
megllo  osservarci.  Allora  il  signore  ambasciatore  accortosi 
di  tal  cosa,  venne  quivi  e  disse  a  quel  soldati  —Cbe  cosa 
pretendevano  e  cbe  cosa  cercavano ,  dicendo  loro  cbe  si 
levassero  di  quivi,  siccome  puntualmente  fecero;  dipoi  il 
signore  ambasciatore  venne  a  cavarci  di  gondola  con  dire!, 
se  ancora  tenevamo  febbre,edi  sua  mano  ci  messe  in  car- 
rozza, e  andammo  al  palazzo  cb*egll  avea  preso  in  affltto, 
eon  tutta  la  gente  spagnuola  innanzi ,  e  quando  fummo 

appresso  al  palazzo,  tutti  gl!  Spagnuoli  entrarono  dentro, 

•  • 

(1)  finalmente.  H.  (3)  si  part).  C.  (3  50  archOmsieri  Candiani  o  Candiotti* 
M.  (4)  che  scmpre  sospettavano  per  tal  conto.  M. 


DI  LORBRZIRO  DB'mIDICI  427 

e  dalla  porta  del  palazzo  di  per  di  dietro  usci  il  capitano 
Yaleriano  da  Temi  (1)  ed  il  suo  figlluolo  con  quattro  cavalli 
da  posta,  che  due  per  no!  e  due  per  loro :  e  di  nuovo  Tam- 
basciatore  ci  abbraccid,  e  ci  diede  la  sua  benedizione,  con 
dire:  Andate  con  quest!  compagni,  dove  da  loro  sarete 
fedelmente  guidati,  e  non  pensate  ad  altro  (i). 

Cosi  rambasciatore  rientr6  in  palazzo,  enoi  montammo 
a  cavailo  posteggiando  dalle  ventun'ora  (3)  fino  all'un  ora  di 
notte.  Con  quel  medesimi  cavalli  arrivammo  ad  una  villa, 
dove  ci  aspettavano  altri  quattro  cavalli  freschi ,  e  senza 
mangiare,  n^  bere,  n6  dormire ,  cavalcammo  fino  che  do- 
vevano  essere  sei  ore  di  notte,  fino  ad  un'altra  villa,  dove 
trovammo  in  ordine  una  buona  cena  e  nuovi  cavalli,  e  si 
fece  poi  il  conto ,  che  fino  allora  avevamo  camminato  da 
einquanta  miglia.  Mangiato  che  ebbamo  senza  punto  dor- 
mire, di  nuovo  montanuno  a  cavailo,  e  con  quelli  facenuno 
quaranta  miglia  di  cammino ,  innanzi  che  ci  fermassimo , 
tanto  che  ci  eramo  dilungati  ed  allontanati  da  Vinegia  da 
novanta  miglia  avanti  che  noi  dormissimo. 

Giunti  che  fummo  ad  un  castello,  dove  parlavano  mezzo 
tedesco,  ci  posammo  ad  un'  osteria,  dove  Toste  ci  rafflgur6 
per  i  contrass^ni  mandatili  dal  slgnore  ambasciatore,  per 
qoei  personaggi  ch'  eramo,  e  ci  fece  tante  cortesie,  e  ci 
trattd  in  una  forma,  che  piu  non  si  poteva  f^u^  a  qualsi- 
voglia  gran  signore,  e  quivi  stemmo  la  notte  sicuri,  e  la 
mattina  con  nuovi  cavalli  ci  partimmo  di  bonissima  ora  di 
mezza  posta  (4),  tanto  che  senza  mutar  cavalli  cavalcammo 
fino  alle  vent'ore ,  ed  arrivammo  a  certe  case ,  che  v'  era 
un  massaiotto  che  ci  aspettava,  avendo  cosi  con  precedenti 
lettere  r  ordine ,  e  quivi  ci  rinfrescammo ,  e  ci  furon  dati 
nuovi  cavalli  ed  una  guida,  che  ci  men6  per  piu  sicurezza 
per  tutte  le  strade  incognito  e  non  punto  praticate,  ed  in 
due  giomi  ci  condusse  per  le  terre  del  re  de'Romani,  e  di 

(i  Termi.  M.  (3)  pitk  in  U.  M .  (3)  dalle  due  fino  alia  prima  ora  di  oottt . 
M"  '♦,  di  messa  posta.  C. 


428  AMMAZZAMENTO 

poi  ci  voltammo  a  Trento,  dove  arrivali  scayalcammo  ad 
una  buona  osteria,  e  di  li  a  poco  arrivarono  due  mandati 
dal  signer  Alberto  (1),  ambasciatore  di  quel  luogo,  con  dirci 
ch'  era  mente  del  signor  ambasciatore  che  fossimo  da  lui . 
e  cosi  prontamente  obbedito,  andammo  ad  Inchinarlo  ed  a 
baciargli  la  mano,  com'era  nostro  debito,  e  pensando  che 
egli  nonavesse  notizia  di  noi,  n6  tampoco  del  caso  seguito, 
che  molto  bene  gli  era  noto,  ci  prese  subito  per  la  mano, 
dicendoci  che  molto  bene  ci  conosceva  ed  era  informato  del 
fattoechequandosegui  il  caso  era  in  Venezia,  e  che  aper- 
suasione  del  signore  ambasciatore  nostro  protettore  si  era 
quivi  portato,  onde  con  nostro  slupore  si  ricevettero  molte 
car«zze  e  cortesie,  oflferendoci  denaro  ed  ogni  patrocinio.  Noi 
umilmente  lo  ringraziammo  e  ritomammo  alia  nostra  oste- 
ria,  dove  cenammo,  e  poi  andammo  a  dormire,  perchd  ne 
avevamo  gran  bisogno  per  esser  molto  stanchi. 

La  mattina  levati  che  furamo,  andammo  nuovamente  ad 
inchinare  il  signore  ambasciatCTe,  il  quale,  dopo  diversi 
ragionamenti,  ci  diede  una  buona  colazione:  ci6  seguito, 
licenziammo  la  nostra  guida  ed  il  llgliuolo  del  capitano 
Valeriano,  quali  presero  i  loro  vantaggi,  quegli  a'suoi  luo- 
ghi,  e  questi  a  Vinegia,  e  subito  comparsero  quivi  cinque 
cavalli  di  posta ,  perche  V  ambasciatore  voile  venire  con 
noi  in  persona  e  farci  compagnia  Ono  alle  porte  di  Man- 
tova,  e  per  meglio  assicurarci  da  ogni  pericolo,  mandd 
avanti  cinque  bravi  uomini  alia  Chiusa,  dove  stava  la 
guardia  de'Tedeschi,  con  ordine  espresso  che  si  fermassero 
quivi,  e  se  avessero  preso  sospetto  per  noi,  il  che  non  ere- 
deva,  0  che  tosse  per  esser  fatto  impedimenlo  loro,  ave- 
vano  a  menar  le  mani,  tanto  che  noi  passassimo.  Preso  il 
nostro  viaggio,  ci  fece  mutar  le  poste  di  \k  dall'Adige,  e 
per  sospetto  facevamo  le  poste  doppie;  alia  Onearrivammo 
sicuri  a  Mantova,  alia  qual  cittk  essendo  noi  vicini  da 
mezzo  miglio,  V  ambasciatore  si  licenzi6  da  noi  col  dirci , 

( 1 )  Signor  Duca  Alberto. 


DI  LORENZmO  DEMKDICI  429 

Che  andassimo  a  scavalcare  airosteria  del  Moro>  dove  ci 
sarebbe  stata  fatta  gran  cortesia ,  come  segul  in  effetto , 
poichd  quando  arrivammo,  Toste  subito  ci  conobbe,  e  non 
si  potrebbe  dire  le  carezze  ch'egli  ci  fece.  Andammo  poi  a 
baciar  le  mani  al  sig.  cardinale  di  Mantova,  il  quale  sapeva 
benissiiiM>  chi  noi  eramo,  e  ci  offerse  denari  e  compagnia, 
Yolendoci  dare  per  nostra  sicurezza  cinquanta  cayalli  fino 
a  Piacenza,  il  che  non  volemoio  ed  umilmente  lo  ringra- 
ziammo;  e  tomati  airosteria  montammo  a  cavallo^  ed  ar- 
rivammo la  sera  al  tardi  a  Piacenza ,  dov'  era  il  sig.  don 
Diego  di  Mendozza,  al  quale  andammo  a  baciar  le  mani, 
ed  egll  in  veritlt  ebbe  molto  caro  di  vederci ,  e  ci  offerse 
quanto  ci  faceva  di  bisogno. 

La  mattina  seguente  ci  partimmo  e  andammo  a  un  ca- 
stello  lontano  da  Piacenza  trenta  miglia :  V  altro  giomo 
arrivammo  al  Borgo  dl  val  di  Taro,  dov'6  una  fortezza 
cbe  si  teneva  per  Timperatore,  e  vi  era  dentro  il  capitano 
FraBoesco    Anguissola   gentiluomo   piacentino  ;    il  quale 
fece  ogni  possibile  sforzo,  che  noi  andassimo  in  fortezza 
da  Ini,  il  che  non  volemmo  fare,  ed  inflnitamente  lo  rin- 
grazianmio ,  ma  la  mattina  poi  venne  egli  a  buon*  ora  da 
Qol  in  persona ,  e  ci  condusse  in  fortezza ,  e  ci  fece  ana 
colazione  non  da  nostri  pari ,  ma  da  gran  signori.  E  per* 
cbd  la  sera  a  due  ore  arriv6  all*  osteria  dove  noi  aUog- 
giammo,  un  uomo  di  trent'anni  a  cavallo  e  bene  armato  dl 
giacoemanicheecoirarchibusolungo  a  ruota  e  duearcbi- 
bosetti  piccoli  o  terzette,  ed  interrogato  dairoste  di  dove  ve- 
nisse ,  gli  rispose  che  veniva  V  istesso  giomo  di  Piacenza 
e  se  ne  voleva  andare  a  Pontremoli  per  suoi  negozj ,  noi 
grandemente  sospettammo,  e  tanto  piii  ch'egli  si  parti  avanti 
giomo ;  onde  ne  parlammo  di  ci6  al  capitano  di  detta  for- 
tezza, il  quale  sped!  subito  due  soldati  ben  armati  a  cavallo, 
ordinando  espressamente  a  loro  cbe  spronassero  i  cavalli, 
tanto  che  arrivassero  quel  tale,  che  di  sopra  abbiamo  detto, 
e  che  volontario  o  sforzato  lo  conducessero  in  tutti  i  modi 
Lorenz.  de'  Medici  9 


432  AUDAZZAMBNTO 

a  lui,  e  non  volendo  venire,  o  facendo  loro  resistenza ,  lo 
ammazzassero. 

Andarono  subitamente  quei  soldati  in  diligenza,  e  n(Hi 
avevano  cavalcato  molto  che  lo  raggiunsero,  percbd  cayal- 
cava  piano,  e  senza  rumore  o  resistenza  alcana  lo  ric<Mi'- 
dussero  al  capitano,  11  quale  lo  fece  mettere  in  prigione,  e 
sentimmo  che  poi  lo  mand6  a  Placenza  a  don  Diego:  qu^o 
che  ne  fosse  non  si^saputo.  £  certo  per6ch*egliera  stalo 
mandato  per  farci  dispiacere;  ma  la  cosa  pa8s6  bene,  me- 
diante  quel  capitano. 

Gi  partinuno  dal  Borgo,  ed  arrivammo  la  sera  a  Pontre- 
moti,  dove  era  un  castellano  che  ci  fece  assai  cortesie  e 
carezze.  La  mattina  montammo  a  cavallo  per  le  poste^col 
postiglione,  e  perche  erano  strade  cattivissime,  avemmo 
paura  dl  non  entrare  in  Pisa  la  sera,  tanto  piCi  che  ii  ca- 
pitano Yaleriano,  ch'era  sempre  venuto  con  noi  fine  da 
Yenezia,  era  vecchio  e  molto  stracco,  perchS  ayevamo  ca- 
vaUeato  i3  giomi  di  continuo :  pigliammo  partito  di  lasciarlo, 
eche  se  ne  venisse  verso  Pisa  con  sno  bell'agiOt  come  feoei, 
e  cosl  cominciammo  a  spronare  i  cavalll,  ed  entrammo  in 
Pisa  alle  quattro  di  notte,  e  trovammoil  Duca  a  tavola  che 
ceoava.  Si  stimd  bene  quella  sera  di  non  dare  incomodo 
per  r  audienza  per  V  esser  r  ora  tarda,  e  andammo  a  una 
locanda,  dove  si  fece  ordinare  la  cena,  e  poi  a  doimire,  e 
la  mattina  andammo  a  udienza. 

Giunti  che  fummo  davanti  al  signor  Duca,  ed  omil- 
mmte  baciandoU  le  mani,  egli  ci  accolse  con  ana  somma 
ooitesia,  e  voile  di  nuovo  di  nostra  propria  bocca,be&- 
ebd  11  sapesseper  via  di  lettere,  che  io  gli  raccontassi  come 
€ia  seguito  il  fatta  lo  che  non  aveva  altra  ambtziooeche  di 
nMdirlo,  glieresposi  meglio  che  potei,  ed  egli  aU<Ha  wfcAto 
ei  oommendd  e  lodd^  dicendoci,  che  ci  eravamo  portati  va- 
loro6amente,epostoil  medesimo  in  ana  viva  memorial  ob- 
MJgaiiiMii;  dipoi  ci  assicurd  per  tutto  il  suo  Stato,  e  d  ri- 
meue  in  grazia  di  nostra  contomacia,  e  con  amplissime  pa< 
teati  e  privilegi  dichiarandoci  molto  affetti  e  benemeriti  non 


DI  LORKMZIUO  DB'IIEDICI  431 

^lo  alia  sua  persona,  ma  a  tutta  la  saa  casa,  e  dl  ci6  ne 
promesse  una  inviolabile  osservanzay  come  veramente  segot 

Non  manc6  p(4  il  medesimo  sig.  Duca  di  graziard  di  al- 
eune  pensioni  e  cariche  per  lo  mantenimento  delle  nostre 
penoneyCheYeramentenonfurono  poche,  perchd  potemmo 
TiYeretuttoil  tempo  di  nostra  vita  splendidamentee  semsa 
Teron  pensiero. 

Bebo  di  11  a  non  so  chetemposenepassdaVolterrasua 
i)atria»  e  11  flnl  i  saoi  giomiy  ed  io  rimasi  in  Firenz^  doT6  non 
Tolli  pill  saper  niente  di  guerre,  ma  Tiyermene  in  santa  pace« 


ORAZIONE 

DI 

FRANCESCO  MARIA  MOLZA 

COMTRO 

liOREliZIMO   DE' MEDICI 


1MB 


CONTRO 


LORENZESTO   DE' MEDICI 


Se  alcuno  di  yoi,  o  Romani,  si  reca  a  niaravigUa,  dbe 
io,  il  quale  non  peranco  posi  il  piedo  in  luogo  si  aatore- 
YOle,  mi  accinga  a  parlare,  spezialmente  in  questa  Gittii, 
nella  quale  poco  men  che  nata  esser  setubra  I'eloquema 
stessa,  questl  non  potit  nemmeno  flgurarsi  I*atrocit&  del 
delitto,  la  quale  sotto  la  vostra  disamina  ora  ne  viene. 
Questa  diveit)  d  si  grande,  o  Romani,  che  sebbene  piuc- 
cb'altra  mai  la  voce  e  la  lena  d'un  perfetto  oratore  som- 
mamente.  e  manifestamente  richiegga,  pure  non  potei 
porre  silenzio  al  mio  dire,  avvegnach^  io  abbia  tanto  solo 
di  liacolt^  ad  arringarequanto  Tesercizio  invero  soarsissimo 
di  dire,  ed  una  tenue  pratica  di  quasi  tutte  le  cose,  poleron 
somministrarmi.  Imperciocch^,  chi  mai,  quando  vegga  da 
perfldi  sicarj  oltraggiarsi  la  riputazione  del  popolo  una 
yolta  vincitor  del  mondo,  nol  sosterr^  di  mai  animo  t  non 
si  turberk?  non  s'accenderk?  Quindi,  o  Romani,  ebbe  presso 
di  me  tanto  di  potere  Tenorroitk  del  fatto,  di  cui  sono  "per 
dire,  che  ho  pensato  di  dover  deporre  ogni  riguardo  der 
lungo  silenzio,  del  quale  niuna  cosa  piCi  mi  tornava  in 
acconcio^  e  niuna  a  cui  ml  fossi  maggiormente  delermmato. 


4  36  0RA2I0NE 

Che  se  a'  genitori  dai  quali  fuinmo  generati  ed  allevati, 
siamo  spiati  in  forza  della  stessa  natura  a  render  una 
simil  pariglia,  quanto  piu  alia  patria,  la  quale  in  s6  con- 
tiene  tutte  le  affezioni  di  tutti,  fa  di  mestieri  cbe  confes- 
siamo  esser  ci6  dovuto?  Ma  ora  di  luminosissima  sede  di 
tutto  ii  mondo  qual  cadavere  ti  scorgo  io,  o  Roma,  una 
volta  regina  delle  cittk  t  Quanto  yituperosamente  negletta  t 
quanto  villanamente  difformata  t  quanto  d'ogni  primiera 
dignitli  spogliata  I  Tu  se*  quella  dunque  che  dava  rifugio 
alle  straniere  nazioni?  L'ornamento  dell'Italia?  Rocca  dei 
re  d'onde  tutti  solevano  chieder  sussidiof  ov*6  una  Curia 
conse^rata  alia  maest^  deirordine  amplissimo?  dove  un 
nobil  campo  per  li  comizj  consolari?  dove  un  Foro,  flo- 
rido  teatro  di  diligenti  studj?  dove  gli  stessi  rostri  tante 
volte  celebrati  dalla  voce  di  grandi  oratori?  I^      /  tutte 
queste  cose,  o  Roraani,  in  quelle  rovine  e  .^^^cjure  le  quali 
buona  pezza  fa  coprirono  tutta  la   repubbllca,  le  per- 
demmo  per  sempre,  e  le  perdemmo  in  modo,  cbe  non 
gill  in  qualcbe  parte  sol  danneggiate,  ma  del  tutto  tolte, 
e  disfatte  perirono,  ed  arsero.   Quando  dunque  di  si  gran 
mole  di  ediflzj,  di  tanti  sublimi  portici,  di  tanto  vasta  e 
misurata  spessezza  di  colonne,  dalle  quali  per  lo  passato 
quest!  medesimi  rostri  erano  cinti,  finalmente  dairinnu^ 
merabil  serie  di  templi,  e  di  luogbi  sacri,  e  di  fabbricbe 
maestosissime,  delle  quali  si  per  fare  i  sacrifizj,  si  per  so- 
stenere  la  forza  de'turbini  e  le  ingiurie  delle  stagioni, 
era  stato  dicevole  cbe  ne  facesse  uso  un  popolo  cbiaro  pei 
trionfli  delle  riportate  vittorie  di  tutte  le  nazioni,  non  esi- 
stendo,  dico,  di  queste  e  pubblicbe  e  private  opera  niona 
dalla  cui  vista  non  solo  non  venga  eccitato  ed  acceso 
Tanimo,  e  quell'oratorio  foco  di  dire,  ma  anzi  al  primo 
sguardo  venga  abbattuto  ed  inflevolito.  A  vol ,  o  Roman!, 
deesi  convertir  tutta  la  trattazione  di  causa  siffatta;  nei 
rostri  occbi  e  nella  vostra  ragunanza  e  concorso  d^ggio 
riporre  tutta  la  speranza.  Vol  sarete  per  me  il  Foro,  voi 
la  Curia,  voi  i  rostri.  voi  la  grandezza  dello  Stato  e  del- 


CONTRO  LORENZiNO  DE*MBDICI  "437 

r  imperio;  e  farete  anche  in  guisa  che,  mentre  brevemente 
V'  espongo  tutto  il  fatto,  m'  udiate  con  attenzione  e  cortesia. 
Eyvi,  come  tutti  vel  sapete,  o  Romani,  neirestremiti 
della  via  Sacra ,  la  quale  conduce  al  Monte  Gelio ,  r  arco 
alzato  al  chiarissimo  ed  invlttissimo  imperatore  Gostan- 
tino:  lo  che  apertamente  dimostra  il  nome  di  lui  a 
grand!  caratteri  in  esso  scolpito.  Questo  vollero  i  nostri 
maggiori  che  fosse  un  monumento  dedicate  alia  chiarissima 
e  nobilisslma  vittoria,  ed  un  testimonio  di  yirtii,  avendo 
cred'io  in  mira  la  posterita,  onde  coUa  frequente  vista  di 
lui  coloro  i  quali  dopo  di  esso  fossero  collocati  in  amplis- 
simo  grado  di  dignitit,  venissero  eccitati  a  regger  la  re- 
pubbllca,  e  con  lui  s' infiamroassero  ad  imitare  i  costumi 
di  quelli,  i  nomi  de'quali  per  le  imprese  loro  valorose  me- 
ritassero  in  singolar  maniera  d'essere  sempre  ricordatl. 
t)ur6  dunque  flno  a*nostri  giomi  quest'arco,  del  quale  par- 
liamo,  intatto  ed  incorrotto,  e  talmente  a  maraviglia  con- 
nesso,  che  il  muro  flno  ad  ora  non  sofferse  danno  veruno. 
E  conciossiacosachS  siffatti  omamenti  degli  altri  impera- 
tori  dairantichitli  e  dalla  negligenza  tanto  consumati,  che 
agli  spettatori  non  possono  apportar  alcun  vantaggio  o 
piacere;  non  pertanto  alia  memoria  di  questo  valoroso 
piincipe,  perchd  da  grandi  pericoli  la  repubblica  avea  li- 
berate, ci6  conceduto  esser  sembrava  dagli  Dei  immortal!, 
che  que' monument!  che  rlmanevano  della  virtu  di  esso, 
sembrassero  non  esposti  air  ingiurie  degli  uomini ,  n6  a 
quelle  de' tempi.  Imper6  flno  ad  ora  non  solamente  rima- 
sero  imboscati  dagli  spini  e  da!  greppi;  ma  in  questo  re- 
centissimo  torrente  d' assassin!,  da'rubamenti  ed  incendj 
de'  quali  le  cose  divine  e  le  umane  tutte  sottomesse  non  d 
guar!  vedute  abbiamo,  intatti,  ned  in  alcuna  parte  danneg- 
giati,  rimasero:  d!  maniera  che  non  solamente  da  coloro 
ai  quali  11  piii  delle  volte  il  nome  vostro  fu  solito  essere 
in  odio  ed  awersione,  o  Romani,  non  trascurati,  ma  awi- 
satamente,  ed  a  posta  fatta  esser  conservati  sembrassero^ 
Ora  molte  cose,  tutto  che  in  c!6  io  non  profess!  gran  co« 


438  oRAziem 

gnizione,  e  scoTpite,  ed  intagliate  con  somma  maestria  vi 
si  scorgevano;  roolte  statue  militari,  aquile,  non  pochi 
schiaTi ,  e  qaesti  post!  ne'  ceppi :  ed  in  oltre  molte  cose 
non  tanto  appartenenti  alia  guerra  quanto  atte  agli  nsi 
della  citUt.  Le  quali  tutte  cose  gli  animi  de*ferocilBaii)ari 
agevolmente  avrebbero  potato  comnH>yere;  tuttavia  niuno 
troTossi,  il  quale  cotanto  ayessedicoraggioed'ardimento, 
e  cotanto  fosse  a!  nostro  nome  nemico,  che  queste  cose  di 
toccare  osasse.  Finalmente  nella  vostra  cittk,  o  Romuii, 
non  terroyyi  lungamente  sospesi,  pur  ora  trovossi  non  to 
chi  (immagtnatelo  pure  qualclie  assassino,  o  siwero  par- 
ricida)  il  quale  pose  mano  a  questo  Tostro  bellissimo  e 
chiarissimo  monumento ,  col  quale  i  nostri  maggiori  delle 
cose  operate  la  gloria  e  la  ricordanza  attestar  yollero,  le 
teste  delle  statue,  le  quali  erano  piCi  eminenti,  levd  via: 
quelle  poi  le  quali  agiatamente  non  si  poteyano  staccare , 
le  infranse  e  sminuzz6.  Pur  ben  m'accorgo  dalP  unanime 
yostro  mormorio,  o  Roman! ,  qual  sia  per  essere  il  yostro 
giudizio.  Pertanto  io  prendo  pid  di  coraggio;  a  tal  che  piu 
temer  non  deyo,  che  per  difendere  la  yostra  dlgnitlt  le 
parole  mi  manchino.  Dir6  dunque  liberamente  quelle  cose 
che  giudico,  e  quelle  ch'alla  nobiltlt  e  grandezza  del  po- 
polo  roroano  appartenere  io  stimo.  Quando  yi  ayr6  mo- 
strato  a  questa  scelleratezza  ed  audacia  yenime  dietro  pid 
mali  di  quello  che  ognuno  pensa ,  ponderate  tacitamente 
la  grandezza  del  delitto. 

n  primo  che  introducesse  in  questa  citta,  o  Romani,  U 
pubblico  culto  di  Dio  Onnipotente,  e  rendesse  securo  chi 
k)  professasse,  mettendo  la  repubblica  nella  cognizione  e 
scienza  della  yera  rellgione,  fu  Gostantino  imperatore:  al 
che  non*  yeggo  qual  cosa  mai  debba  antiporsi.  Ayyegnachd 
se  quelFarte,  die  inyentd  i  rimedj  pe'malori  del  corpo, 
ottenne  per  approyazione  di  tutti  la  maggioranza,  quanto 
piii  la  religione,  con  la  cui  scorta  ottenghiamo  la  sanitit 
deir  anima,  non  6  ella  da  ayersi  in  conto,  e  da  venerarsi? 
E  pure  ayrebbe  egli  creduto  di  ayer  fatto  poco  nell'  ayere 


CONTRO  LOREItZIHO  DB'MBDICI  43^ 

fl  primo  agli  uomini  nostri  aperto  Tadito  alia  rellgione, 
86  non  Tavesse  lasciata  aliora  aUcor  na^nte  di  cerU  so- 
stegnl  fornita,  co'quali  potesse  alzarsf,  e  soUerarsi.  E  clie 
pid?  Egli  yoUe  grandemente  ornato  con  ogni  sorta  di  be- 
nefizj,  atteso  il  concetto  in  cui  era  di  santltit,  Silyestro, 
aomo  nella  condotta  della  vita  e'ne'costumi  ottimamente 
fondato,  ch'era  aliora  1*  interprete  della  religione  da  esso 
rlcevuta,  e  in  somma  dopo  quelle  grandissime  calamitii 
nelle  quali  era  essa  caduta  per  la  barbarie  de'principi, 
ebe  il  precedettero,  fece  si  cbe  fosse  flnalmente  proweduta 
d'abitazioni  degne  di  sd,  proteggendola  colla  somma  au* 
toritit  deirimpero,  senza  la  quale  appena  avrebbe  potuto 
essa  mantenere  diritto  il  suo  corso.  Ma  a  qual  fine  yi 
dico  io  tali  cose?  A  nuiraltro  inyero,  se  non  percbd  yeg- 
giate,  o  Romani»  che  questo  predatore  de'monumenti  del 
quale  trattiamo,  questo  pubblico  rubatore  della  memorla 
dell'altrui  lodi  con  malyagisslma  maniera  rub6,  e  nel  di 
lui  ladrocinio  non  solamente  I'imperatoria  maestli  eTau- 
toritk  del  yostro  nome  si  d  scemata,  ma  ancora  gli  stessl 
Dei  immortal!  restarono  profanati:  eras!  posto  quel  mo- 
numento  ai  grandissimi  merit!  della  repubbllca  ed  alie 
prestantissime  cose  oprate,  non  che  alia  religione  e  a  Dia 
ottimo  massimo  consecrato;  sicche  colul  che  non  potd  con- 
tenersi  dall' offendere  la  gloria  di  si  gran  benefizio,  si  e 
macchiato  anche  coir  empietk  di  yiolata  religione. 

Di  yero  intesi,  o  Roman!,  che  in  que* prim!  tempi,  nei 
quali  per  benefizio  di  Gostantino  da!  nascondigl!  uscita 
questa  stessa  nostra  religione  com!nci6  a  comparire  alia 
luce,  dappoichd  pigUatoebbe  piede  intieramente,  in  quella 
stagione  yi  furono  piu  uomini  di  tal  maniera  animosi , 
cbe  non  si  confidayano  di  doyer  abbastanza  piacere  ai 
loro  concittadin!  che  s'erano  dati  a  Gristo,  se  non  ayes- 
sero  dato  bruttamente  11  guasto  ai  monument!  de'  loro  an- 
tenati,  dalle  massime  de*  quali  erano  apertamente  discord! : 
quinci  si  yidero  rubati  gli  omamenti  della  cittk,  qulnci 
i  sacri  e  profani  ediiizj  col  foco  e  col  ferro  disfatti,  syiati  gll 


i40  ORAZIONE 

acquidoUi,  profanati  i  templi,  quinci  i  laqueati  tetti,  quinci 
i  marmi,  quinci  i  broozi  spezzati  e  consunti :  di  maniera 
che  non  maggior  danneggiamento  alia  repubblica  le  inn- 
zioni  de'barbari,  a  mio  awiso,  abbiano  apportato,  cbie  lo 
spirito  di  partito,  e  la  dissomiglianza  delle  nostre  opinioni 
e  de'nostri  riti  religiosi:  al  cbe  s'  aggiunga  la  crudelUi 
ed  11  furore  de'  principi  sotto  il  cui  dominio  gli  uomini 
41  cristiano  nome  con  vari  tormenti  erano  stati  lacerati.  U 
percb6  essi  pensavansi  di  perseguir  le  ingiurie ,  e  vendK 
carsi  di  molto,  se  ne  avessero  in  quale  be  modo  oscurata 
I^  rimembranza:  sembrami  eziandio  cbe  a  questa  pazzia 
4esse  qualcbe  luogo  lo  stimar  eglino  giovar  gran  fatto  e 
ad  awalorare  le  forze  della  nuova  religione,  e  ad  indebo- 
lire  le  anticbe  cerimonie,  che  convinta  Tantica  setta,  ed 
in  tutte  le  guise  sconciamente  sembrasse  dileggiata.  In 
quale  densa  caligine  poi  di  mente  uomini  di  goffo  e  stu* 
pido  ingegno  erano  avvolti,  quanto  dair  arti  squisite  d^li 
antichi  erano  lungi!  Dei  immortalil  Nella  lingua  s'erain- 
sinuata  la  barbarie,  tutta  la  purezza  del  dire  offuscata  ver- 
gognosamente  era  andata  in  disuso:  trycidata  la  repub- 
blica,  erano  di  squallidezza  ricoperte  tutte  le  cose,  e  spento 
quasi  il  nome  romano,  erano  gik  perite:  ma,  o  Romani, 
sia  pure  stata  questa  una  certa  fatal  disgrazia  di  quel 
tempi,  perchd  11  mio  dire  non  y'induca  al  pianto:  doniamo 
alquanto  airignorantaggine,  e  perdoniamo  in  oltre  alio 
sdegno  de'nostri  maggiori:  scusiamo  ancora,  se  pur  cost 
place  agli  Dei,  una  ruvida  natura  e  stupidezza.  Ma  final- 
mente  qual  ragione  gli  uomini  del  nostro  secolo  rendereb- 
bero  del  loro  furore  e  pazzia,  dopochd  Roma  trovasl  ridotta 
quasi  al  primiero  suo  lustro,  dopochd  fu  sbandito  il  le- 
targo  di  quelle  etk,  cbe  di  sopra  rammentammo^  di  quale 
scusa  faran'usof  con  qual  volto  difenderannosi  t  Diranno 
fprse  cbe  *1  senate  od  il  popolo  nel  comandasse?  Del  cho 
cosa  piu  sconcia  non  puossi  immaginare.  0  piuttosto  ri-» 
^ponderanno,  eglino  essere  sempre  stati  amadori  dell'anti- 
iiaglifi  e  delle  nobilj  statue  ?  Anzi  se  di  cotali  cose  alcun 


J 


cohtro  LORENziifo  db'mboici  411 

gusto  avessero  avuto,  da  queste  pareti  avrebbero  invero 
tenuto  lungi  le  mani ,  dalle  quali  niente  poteasi  spiccare 
senza  guastarne  o  danneggiarne  Tartiflzio.  lo,  o  Romania 
lallorclie  per  mio  divertimento  per  di  \k  a  caso  passava,  e 
mi  si  aflacciava  la  mirabil  vista  del  vostro  monumento , 
lio  stimato  che  quelle  teste  di  statue,  che  spiccate  sembra- 
iranOy  fosser  cosi  intonacate  di  argilla ,  il  che  da'  dipingi- 
tori  osservai  alcuna  volta  esser  solito  farsi ,  per  trame  i 
lineamenti  delle  opere,  de' quali  servirsi  nelle  lor  forme  e- 
He*  lore  lavori,  ed  afflne  di  rappresentar  le  opere  loro,  per 
q^aanto  pid  potessero,  sul  modello  di  quelle.  Ma  com'io^ 
m'  accostai  piu  presso,  quanto  grandemente  ne  fui  com* 
mosso,  quanto  turbato,  quanto  eziandiospaventatot  Qaesto 
solo  fatto  ridest6  la  memoria  della  recente  calamitk,  onde 
el)be  a  crollar  lo  stato  della  repubblica,  e  la  stessa  reli- 
gione  a  tremar  de' fondamenti.  Quinci  m'era  avviso    di 
ireder  una  seconda  fiata  quel  giorno  ehe  test^  era  stato  di 
infausta  luce  a  questa  cittk,  agli  occhi  mi  si  paravan  di- 
nanzl  il  sangue  e  la  strage  de'cittadini,  e  gli  abbrucia^ 
menti  de'  templi  e  delle  case ;  e  tanto  pii!i,  quanto  io  ben 
yedea  che  cotesto  malvagio  sicario,  qualunque  si  sia  stato 
Goloi ,  che  si  turpemente  si  prese  a  schemo  un  tal  dono 
del  popolo  romano,  nient'altro  ebbe  in  mira  che  lo  stra- 
)[>azzo,  che  il  furore,  che  in  line  il  sommo  vilipendio  del 
nostro  merito,  della  nostra  gloria;  onde  parvemi  pid  spie- 
tato  che  la  stessa  barbarie,  piili  violento  di  qualunque 
stuolo  di  corsari ,  piu  inferocito,  e  piu  awerso  di  qualun- 
que nemico  o  domestico  od  esterno.  Io  tenni  per  verisi- 
mlle  che  tocche  fossero  da  pentimento  delle  vostre  miserie 
e  de*  vostri  saccheggi  lepiu  rimote  nazioni  del  mondo:  ma 
come  sosterrei  poi ,  che  la  costui  scelleraggine  a  vostra 
rovina  non  oltrepassi  di  gran  lunga  il  loro  furore?  Quelle 
annate,  e  dalla  vittoria  grandemente  animate,  v'apporta* 
ron  detrimento.  Questi  nato  in  mezzo  1' Italia,  in  tempo  di 
pace  e  di  tranquillity  si  diede  a  mettere  il  devastamento; 
quelle  assoggettate  per  le  vittorie  de'nostrl  maggiori;  que- 


448  ORAZIONE 

sti  non  provocato  da  veruno  affronto ;  quelle  lontane  dalla 
dolcezza  de'  nostri  costumi ,  questi  imbevuto  dalle  nostre 
massime.  A  che  trascorrer  le  cose  tutte  ad  una  ad  una,  o 
Romani?  Date  uno  sguardo  attento  intorno  intomo,  e  pa- 
ragonate  questa  dannosissima  iiera  con  quelle  nazioni: 
non  dlrete  che  questi  prese  la  cittk,  e  che  quelle  la  con- 
servarono?  0  scelleraggine  prima  d'ora  inaudlta?  0  mo- 
struositli  da  espiarsi  co'  pid  solenni  sagriflzj  f  Pjaccia  al 
cielo  ch'io  faccia  da  profeta,  o  ch'io  m'inganni  nel  mio 
pensare:  tuttavia  dird  liberamente  quel  ch'io  sento:  cote- 
sto  8poj?llo  sfacciato  dei  fregi  della  cittk  praticato  a  vol  e 
allarepubbUca  non  dall'armi  d'estere  nazioni,  ma  co'do- 
mestici  ladronecci,  sembra  aver  intimata  una  troppo  grande 
roTlna  alia  religione  della  quale  la  nostra  cittli  dicesi ,  e 
stimasi  capo,  non  che  agli  stessi  sacerdoti,  edal  Ponteflce 
Massimo;  e  per  ccmfessar  il  vero  m'  induco  facilmente  a 
credere,  che  costui,  ch'ebbe  Tardire  d'  immaginare  si  enorme 
scelleraggine  sia  s^tto  un  qualche  scorndore  od  esplora* 
tore  di  recente  mandato  dallo  spietatissimo  Signore  dei 
Turchi,  da  cui  testd  sentimmo  mettersi  insieme  flotte  con^ 
siderabilissime,  ed  ailestirsi  uno  sceltissimo  esercito:  tutta 
questa  tragedia  risguarda  alia  religione,  alle  divine  cose, 
alle  cerinKmie,  a'  sacrifizj :  le  quail  tutte  cose,  se  1  nostri 
maggiori,  mentre  rendevano  quella  chiarissima  testimo- 
nianza  alia  virtii  d'un  chiarissimo  imperadore,  prestavaoo 
onore  anche  alia  religione;  chi  non  confesserk  essere  esse 
state  macchiate,  profonate  e  violate?  In  un  sol  colpo  vol 
vedete  pertanto  essere  state  impugnate  due  spade  dal  per- 
verse e  sciaurato  assassino.  Tuna  contro  la  maest&  del 
popolo  romano,  I'altra  contro  il  rispetto  agli  Dei  ed  alia 
religione.  Che  direte  poi,  se  vi  far6  vedere  con  riprove 
manifestissime,  che  nella  depredazion  di  questo  roonumento 
fu  fatto  Qltraggio  aU'estimazione  e  ali'autoritk  di  due  im- 
peratori?  qua!  termine  flsserete  voi  finahnente  a  sifOatta 
audacia?  qual  marca  d'infamia  giudicherete  mancar  a 
questa  scelleratezza?  0  che  mai  credereste  che  costui 


L 


CONTRO  LORENZINO  DB'MBDICI  413 

avrebbe  fatto  nel  sorbire  11  vostro  sangue,  nel  trlturare 
le  ossa,  costui  che  nel  distriiggere  gli  antichi  monument! 
fa  cotanto  temerarlo,  cotanto  audace,  cotanto  al  nome  vo- 
stro nemico?  Ma  tu,  dirk  forse  taluno,  di  cotai  cosenefai 
pur  gran  caso?  lo  non  bo  peranco  deciso  quanto  basta 
qual  sia  intorno  a  ci6  11  mlo  sentimento :  mi  ricorda  per6 
d'aver  veduti  non  pocbi  sifiTattamente  dalla  vaghezza  ac- 
cesi  di  cotali  cose,  cbe  fuor  di  modo  e  le  sUmavano  e  ne 
andayano  in  cerca.  Nd  in  veritli  questo  nostro  d'anticaglie 
egregio  investigatore,  se  stimato  avesse  esser  quelle  imma- 
gini  una  qualche  cosa  puerile  non  si  sarebbe  giammai  ado- 
perato  in  guisa,  che  per  quelle  cadesse  in  cotanta  indigna- 
aone  degli  uomini.  Considerate,  o  Romani,  come  gliabbia 
io  dato  adito  di  porsi  aUe  difese ,  avendo  trascorso  per 
troppo  desiderio  di  scusarmi:  questi  si  confesserk  studioso 
di  cotali  squisitezze:  mostrerk  che  preso  ed  adescato  dalle 
delizie  di  queste  non  ha  potuto  a  nessun  patto  moderarsi : 
che  ancora  molti  personaggi  di  grande  nobiltk  e  di  mint* 
bil  saviezza  lo  stesso  praticarono  sovente :  foracci  vedere 
che  grandissima  quantity  di  statue  da  alcuni  vien  oggi 
raccolta,  coU'esempio  de' quail  sosterrk  a  lui  pure  do« 
Tarsi  perdonare.  Ma  se  quelle  cose  nelle  quail  sfacciatlssi* 
mamente  liai  posto  mano,  avessi  imvolate  e  rapite^  e  ncm 
rayessi  frahte,  nb  messe  in  pezzi,  per  lo  meno  tl  saresti 
in  tal  maniera  contenuto  nel  ladroneccio,  che  a  noi  del 
tao  capriccio,  e  della  smoderatezza  tua  i  segni  ne  aresti 
lasciati ,  non  per6  del  furore  e  della  pazzia.  Di  grazia  os- 
s^yate,  o  Romani,  questo  monumento:  per  Dio  le  stesse 
pareti  sembran  piangere  sulla  nostra  malayyeatura.  Altre 
immagini,  tagliate  le  teste,  veggonsi  soltanto  tronche»  al- 
tre in  gran  parte  infrante  e  spezzate,  le  piu  siflkttameBte 
minuzzate,  che  con  istento  alcun  pezzo  di  esse  possa  rico- 
noscersi.  Yerrk  detto  che  costui  abbia  yohito  mostrarci  la 
Mttaglia  di  Ganne,  non  che  proporci  un  quadro,  che  rap- 
presenti  la  auperbia  e  la  stravaganza  del  f^tto :  non  so  lo 
qoando  quel  sciaurato  commetteya  si  gran  misfatto,  ,non 


4il  ORAZIONL 

SO,  se  si  credesse  o  dovergli  mancar  accusatore  che  per- 
seguisse  I'audacia  di  lui,  e  che  voi  vi  sosterreste  si  facil- 
mente  un'ingiuria  cotanto  solenne.  Pognam  caso  ch'e'sia- 
si  iDgannato;  oondimeno  vilipendendo  si  indegnamente  la 
memorla  d'un  valorosissimo  e  santissimo  imperadore,  non 
si  lascid  trasportare  ad  altri  furti ,  s'  attenne  dai  tern- 
pli;  credd  esser  qualche  cosa  la  maestk  divina.  0  Dei  baoni  r 
qua!  uomo  accuso  mai  t  quanto  traviato !  quanto  scelleratot 
quanto  bruttato  d'  ogni  sorta  di  nefandigia  f  Nessuno  piiH 
nemico  alia  religione,  nessuno  piu  ardimentoso  a  violare 
i  templi ,  nessuno  a  rovesciare  ed  atterrare  gli  altari  piu 
accanito,  dai  quale  nb  i  diritti  de'sepolcri,  che  i  nostri 
maggiori  siffattamente  doversi  custodire  decretarono,  fu- 
rono  securi ;  ma  in  ogni  maniera  sbeffeggiati  e  sprezzati. 
Ma  perch^  non  istimiate,  o  Roman! ,  che  da  me  sMnfinga 
qualche  cosa  per  accusare,  mentre  a  voi  espongo  breve^ 
mente  una  cosa  non  gik  oscura ,  di  grazia  diligentemente 
considerate  con  quanto  nero  e  detestabile  assassinamento 
abbia  egli  chiusa  la  via  a  tutto  questo  genere  di  discolpa. 
Fuori  della  porta  Trigemina  ewi  il  templo  di  San  Paolo 
da  quello  stesso  Costantin  magno  fabbricato ,  certamente 
rispettabile  e  religioso,  dagli  occhi  bensi  e  dalla  quoti- 
diana  veduta  del  popolo  romano  alquanto  rimoto,  niente- 
dimeno  celebratissimo,  nel  quale  sonvi  di  molte  cose,  che 
possono  adescare  gli  occhi  de' risguardanti.  Portici  bellis- 
simi ,  nb  gik  ruinosi ,  smisurate  colonne ,  e  tutte  difette 
perpendicolarmente,  recate  col^  col  maggiore  stento  e  lun- 
ghezza  di    tempo.  In  oltre  non  pochl  avanzl  deU'antico 
intonacato;  una  fabbrica  di  yasta  mole,  ed  egregiam^te 
lastrlcata.  Fra  gli  altri  ornamenti,  che  noti  vi  sono,  ripu- 
tavasi  che  siccome  ad  accrescere  il  concorso  deUe  persone, 
cosi  ad  ampliflcare  la  dignitli  del  luogo  avesse  gran  lorza 
quel  sepolcro  costrutto  di  pario  marmo,  non  tuttavolta  ifiii 
in  largo  esteso  di  quello  che  bastasse  a  potervi  aver  luogo 
le  Muse.  Di  fatto  queste  ilgliuole ,  se  ben  mi  ricordo ,  di 
GlQve  e  della  Memoria ,  erano  in  virginal  portamento  e 


CONTRO  LORBNZIMO  DB'mBDICI  445 

vestilo  scolpjte  in  quel  labbricciuolo;  e  ognimo  che  qui 
venlva  solea  visitarle,  come  quelle  che  d'antica  fattura  e 
eon  somma  maestria  erano  lavorate.  Perawenlura  vol  vi 
pensate  esserne  soltanto  commosso  il  deslderib  di  costui; 
tuttayolta  si  guardavano  dai  custodi  alquanto  diligente- 
mente  con  cerli  cancelli  attorno  tirati.  Gome  gitt6  gli  oc- 
ciii  sopra  queste  ii  nostro  elegantissimo  e^dottissimo,  poi- 
ehe  avea  giii  deliberato  la  preda  di  tali  cose  tutte,  incon- 
tanente,  vinto  dalla  bellezza  di  quelle,  malamente  se  n'  ac- 
cese.  Sembramigla  costui  aggirarsi,  o  Romani,  tentarogni' 
strada ,  guardar  dillgentemente  intorno ,   non  istimarsi 
uomOy  se  ne  tornasse  deluso  I  mostrar  ai  suoi  ministri  di 
sceUeraggini  la  malagevolezza  della  cosa,  chiamatili  a  par- 
lamento,  far  awertiti  quel  prezzolati  operai,  i  quali  teme- 
Tano  le  leggl  e  i  giudicl ,  esser  superstizione  da  vecchie- 
rella  se  esservl  alcana  rellglone  stimassero.  Alia  perflne 
ra£trenato  alcun  poco  11  furore ,  proruppe  costui  air  atto: 
imperciocclie  gik  annottandosi,  gik  pensando  lontani  i  cu- 
stodi del  tempio ,  dk  il  segno :  levate  le  sbarre  a  forza 
scuotono  le  porte,  e  vi  fanno  violenza.  I    custodi  sentono 
il  fatto,  ma  non  a  tempo:  incontanente  v'accorrono:  chi 
di  bastoniy  cbi  di  pall  di  ferro  armato;  siccome  quelli  che 
Ventravano  apparecchiati  e  deliberatamente.  In  questo 
mezzo  avea  gia  incominciato  a  minacciar  roina  il  sepolcro, 
quinci  e  quindi  s*  Innalzan  le  grlda.  II  nostro  egregio  im* 
peradore,  finalmente  da  hastoni  e  da  sassi  quasi  fatto  in 
pezzi,  si  ritira  dal  tempio,  tolte  alquante  teste  alle  Muse. 
M'  ayyeggo  che  a  diritto  vi  commovete,  o  Romani,  ed  a 
siflatta  cattivezza  inorrldite:  piacesse  a  Dlo  che  da  quel 
numero  di  Dee  tolto  aveste  quella,  che  a  formar  le  tra- 
gedie  voUero  i  poeti  che  soprantendesse ,  aflinch^  della 
casa  di  lui  avesse  nuovo  cominciamento,  coU'approvazione 
di  tutte  le  Muse ,  un'  orrlhii  tragedia.  E  questo  sfacciatis- 
simo  rubatore  delle  cose  alia  rellgione  coasacrate,  alle  pa- 
reti  del  tempio,  alle  colonne,  ed  alle  vostre  statue  ara  por- 
tato  guerra,  Tarredo  delle  chiese  e  le  suppellettili  avrk 
Lorenz,  de'Medid  10 


446  ORAz:oifE 

messo  a  sacco,  gli  altari  avra  rovesciati  f  nd  alia  memoria 
de'morti,  ed  agli  stessi  Numi,  e  alle  stesse  Dee  non  Pari 
perdonata  ?  e  quelle  cose  co'  pall  di  feiro  ar^  tocche ,  le 
quali  fu  pur  convenevole  clie  di  coroneedi  ghirlande  cir- 
condate  fossero ,  ed  unte  d*  unguenti  ?  Impercioccjid  che 
stard  a  ramme^iorar  mai ,  che   fuori  della  p<»rta  Aurelia 
il  tempio  di  Pancrazio  da  questo  medesimo  sceUerato  la- 
drone,  leyati  tutti  gli  ornamenti,  fa  sfonnato?  Quando  )o 
stesso  in  mezzo  del  Foro,  alia  presenza  del  popolo  romano 
della  sua  sfacciataggine  e  ladroneccio  lasGi6  pur  on  etemo 
monamento.  lo  quando  mi  pongo  innanzi  agli  occhl  la 
sfacciatezza  di  colui  pregna  di  tutto  Todio,  resuberante 
audacia,  la  sfrenata  libidine,  il  plu  delle  TOlte  soglio  re- 
carmi  a  maraviglia,  qual  Divinity  mai  abbia  preservata 
illesa  dair  impeto  di  colui  la  dorata  statua  equestre  di 
Marco  Aurelio,  la  quale  d  presso  il  tempio  di  (Mano;  qual 
quella  di  Romolo  fabbricatore  di  questa  cittk  in  atto  di 
succhiar  le  poppe  della  nutrice  lupa;  quale  la  statua  di 
bronzo  d*  Ercole,  e  molte  allre  pure  di  metallo  che  si  v^- 
gono  nel  Campidoglio,  abbia  conservato,  quando  perawen- 
tura  non  istimiate  che  costui  non  venga  adescato  da  sii- 
fatta  tempra  di  bronzo,  o  che  ad  esse  statue  la  loro  gran- 
dezza  abbia  jriovato:  il  che  appunto  sento  essw  avrenuto 
ai  monument!  dci  due  ottimi  imperadori,  Traiano  cio^  ed 
Antonino,  da' quali  costui   per  la  smisurata  altezza  deDe 
colonne  non  arebbe  potuto  spiccar  cosa  alcuna  senza  cbe 
maccfaine  y'  applicasse.  Perdonate,  o  Romani,  alia  mia  te- 
menza,  perdonate,  dirollo  pure:  se  1!  toore  di  costui  a 
guisa  di  alcun  incendio  coi  vostri  voti  non  decreterete  do- 
versi  spegnere,  temo  che  nemmen  queste  cose,  vivo  rlma- 
ncndo  costui ,  durare  non  possano.  Cbe  cosa  finalmente-  a 
voi  pare  doversi  fare ,  non  processato  il  delinquente,  non 
denunziatone  ii  nome ,  non  sentite  le  ragioni  di  lui  t  Pri- 
mieramente  io  son  di  parere  che  debbansi  da  voi  confer- 
mar  quelle  cose  che  furon  gi^  prese  in  Senate.  Poscia  \i 
intimo  e  v*awerto,  o  Romani,  che  v'aceordiate  co'piu 


CONTnO   LOHENZTNO  DE'MEDICr  147 

uniformi  sentimenti  con  queir  amplissimo  Ordine ,  per  di- 
fender  la  comune  dignity.  Indi  somraamente  gli  b  da  guar- 
darsi ,  che  voi  nel  punire  piu  indulgent!  non  vi  renda  il 
non  veder  voi  ancor  preso  il  reo.  Rettamenle  pertanto  e 
saplenteraente  a  cotesta  cosa  si  provvide  in  pien  Senato, 
quando  egli  stimO  doversi  decrelare  intorno  V  altre  cose .. 
fnnanzi  che  siasi  fatto  il  decreto  su  tal  materia.  RECITO 
IL  DECRETO.  Adunque  nel  prime  capo  vedele  stabilito  che 
formisi  il  processo  a'vasai,  agli  scultori,  ed  a  tutti  gli  ar- 
tieri :  ed  a  cosi  fatto  procesjso  vollero,  che  Q.  Lentulo  prin- 
cipal personaggio  della  citt^  soprantendesse ,  la  cui  fe- 
deltk  verso  la  repubblica,  ed  i  cui  sommi  pregi  d'ingegno 
e  di  virtu,  penso  che  ad  ognuno  sieno  cosi  noti ,  che  non 
abbiano  di  mestieri  che  alcuno  ne  faccia  r  elogio :  nel  se- 
condo  poi  fu  decretato  che  sia  leclto  presso  i  magistrati 
jnquisirsi,  e  quegll  nella  cui  casa  abitano  i  malvagi 
gladiatori ,  fu  giudicato  operar  contro  la  repubblica.  Cosi 
purfuprovveduto  cheacoloro,  i  quali  avranno  denunziato 
i  rei,  si  diano  i  premj  piu  generosi  a  tenor  della  gran- 
dezza  del  delitto.  Quinci  vedete  ogni  adito  alia  cupidigia 
ed  alJa  pazzia  chiuso  ed  occupato.  Laonde  quest'  orrida 
fiera,  che  non  alle  leggiere  vestigia  di  scelleraggini,  ma  ai 
ravvolgimenti  di  tutto  il  corpo  perseguiamo,  da'  nascon- 
digli  e  dalle  caveme  son  certo  che  prestissimamente  dar^ 
ne*  lacci. 

Ma  in  qualche  luogo  fuggirassi?  Non  pertanto  il  cam- 
mino  6  guardato  qua  e  1^  da  molti  presidj.  Ma  si  sottrarr^ 
a!  gastigo  vivendo  ritirato  sotto  la  protezione  di  qualche 
personaggio  autorevole-  Niun  giudico  potersi  trovare  co- 
tanto  alieno  dal  bene  della  Repubblica,  che  voglia  che  co- 
«toro  sieno  salvi.  Niun,  credetemi,  un  consiglio  tanto  per- 
nicioso  a  sd,  ed  alle  sue  fortune  prenderii:  niuno  vorri 
jmpunita  una  cosi  segnalata  calamity  de'nostrl  tempi  nata 
dalla  scostumatezza ,  cresciuta  colla  forza ,  compiuta  col- 
Todio,  vorrk  che  resli  impunita.  Chi  poi  alPautoriti  ed  al 
comandD  di  tanto  giusto,  di  tanto  pio,  e  di  tanto  prudente 


4  48  ORAZIORB 

decreto  del  Senato  chi  non  ubbidlrk?  owero  qual  cosa  da 
tanti  stupri,  da  tanta  ruffianeria,  da  adulter]  contaminata 
potrassi  ritrovare,  che  cotanla  pestilenza  non  vomiti »  e 
fuor  non  cacci?  Ciie  anzi  per  dir  il  vero  ora  le  ruberie 
della  religiona  mi  fu  d*avviso  poc*anzi  non  so  di  qiu4 
fumo  olezzassero,  le  quali  accostandovlsi  piu  di  vicino  non 
solo  guardare,  ma  ancora  di  maneggiare  a  tutti  la  facoltli 
confido  che  sara  per  darsi.  Le  quali  cose  cosi  essendo,  yi- 
gorosamente  imprendete  questa  causa.  Assumete  11  patro- 
cinio  delle  pubbliclie  lodi.  Non  vogliate  comportare  che  i 
monumenti  alzati  alia  virtu  sieno  in  dileggiamento  aqua- 
lunque  malvagio  e  sciagurato.  Fatevi  finalmente  i  campioni 
delle  cerimonie  e  gli  acerrimi  difensori  de'  riti  religiosL 
Ricaperate,  o  Romani,  i  monumenti  del  senato,  e  del  Po- 
polo  Romano  alzati  al  prestantissimo  Imperadore:  oppooe- 
tevi  al  furor  del  malvagi :  soy venite  la  repubbliea,  se  mai 
foste  alia  difesa  della  Religione,  se  per  decoro  del  popolo 
jTomano  faceste  schermo  contro  11  capriccio  de'pemiciosi 
cittadini  flla  memoria  del  yostri  maggiori.  Se  il  delitto  di 
furto  di  pubblico  denaro  con  forza,  e  ribalderia,  con  odio 
yergognosamente  a  yoi  praticato  in  alcun  tempo  mai  co* 
noandato  avete  doyersi  gastigare;  e  se  queste  cose  stesse 
in  questa  stagione  yedeste  abbattersi ,  le  quali  se  non  po- 
teyano  durar  per  la  natura  per  lo  meno  erano  da  conser- 
yarsi  per  ricordanza.  Se  la  magnliicenza  delle  chiese,  se 
del  religiosl  edifizj  gll  ornament!  e  de'templi  yi  dian  pia- 
cere,  innanzi  a  yoi  un  tal  reo  si  fa  yenire,  n^  cui  sup- 
plizio  la  malvagitk  di  tutte  le  furfanterie  potete  yoT  pu* 
nire:  il  quale  non  la  temenza  de'giudici,  non  la  riyerenza 
della  religione,  non  la  giustizia  de'Numi,  non  la  estima- 
zione  degll  uomlni  potevano  rallrenare.  Egli  e  reo  di  lesa 
maest^,  avvegnache  i  monumenti  di  vittorla  del  P.  R.  di 
rovinare  e  di  appropriarsi  ebbe  ardinjento.  Reo  di  furto 
pubblico  perch^  de'nostri  imperadori  le  statue  pubblica- 
inente  con  pall  di  ferro  di  rovesciare  non  temette;  e  di 
empietk  poichd  viol6  i  riti  piu  sacri,  e  d*  inumaait^  per* 


COHTRO  LORinzino  db'medici  449 

chd  in  tante  ruine  della  cittit  vostra  luogo  di  nuova  cni- 
delt^  in  qual  maniera  potesse  ritrovare  and6  sottilmente 
considerando;  e  di  forseonatezza  percbd  non  perdon6  alia 
rnemoria  de'mortf.  Or  io  voi  appello,  voi,  o  ceneri  dei 
maggiori,  per  industrfa,  e  virtu  de'quali  airimperio  Ro- 
mana  una  volta  i  regni  della  terra  ubbidirono.  Voi  tem- 
pli  di  Paolo  e  di  Pancrazlo,  dagli  omamenti  de'quali  tuttl 
la  mano  astennero,  onde  costui  II  portasse  via,  li  nibasse, 
li  rapisse.  Voi  AJtari,  Focolari,  Dei  Penati  violati  con  forza 
e  furore  da  gente  prezzolata:  vol,  Fi«lie  di  Giove,  celibi, 
pure,  e  florenti  d*una  perpetua  castjr<\  fautrici  degl'lnge- 
gni,  le  quali  credero  che  la  crudeltA  dt^irimpurissimo  gla- 
<liatore,  e  la  sfacciataggine  degli  occlii  avete  perseguitata 
con  ogni  sorta  di  maledizione,  se  col  favor  del  vostro  Nume 
eternate  le  gesta  de'  mortal!,  costui  ed  i  conipagni  suoi ,  i 
quali  le  quasi  consuraate  reliqufe  della  gloria  del  P.  R. 
tentano  di  rapire,  di  distruggere,  di  malmensCre,  a' quali 
servono  di  solazzo  i  busti  e  le  ceneri  dei  morti  del  P.  R.; 
tramandateli  alia  posteriUi  marcati  a  fuoco  con  note  per- 
petue  di  loro  scelleraggini :  cacciatisi.in  fuga  e  nel  buio, 
fuora  ne  li  traete,  e  dai  nascondigli,  ne'quali  pensano  di 
essere  sicuri,'pure  gli  svelate,  e  questa  pestifera  pianta, 
acciocch^  piu  lungamente  noii  serpa  e  trascorra,  recidete 
per  tempo.  Jntanto  voi,  o  Romani,  ricordevoli  delFantica 
virtude,  e  non  dimentichi  della  presente.  miseria  condan- 
nate  ai  piQ  ricercati  supplicj  questi  empi  parricidi,  neroici 
della  cose  religiose,  ladroni  deiritalia  a'quali  questa  chia- 
lissima  cittli,  che  n'6  la  sola  casa  della  virtu,  deirimpe- 
rio,  e  della  dignitk  non  poteva  essere  oggetto  d'odio;  onde 
gli  uooiini  col  vostro  mezzo  conciliatisi  cogli  Dei  Immor- 
tali  i  quali  con  (I)  moltlssime  vision!  e  con  vari  segni  di 
prodigi  in  questi  giorni  mi  parvero  minacciar  non  so  qual 
ria  sciagura,  si  volgano  flnalmente,  rnerc^  di  voi,  a  dare 
speranze  di  piii  tranquilla  sorte.  Ho  detto. 

(1)  In  queftti  giorni  appmito  il  Tevcfw  fnee  nn^umpia  inondazio)>e. 


VARTANTI  ALL'APOLOGIA  (1). 


Ph. 

3  cbe  molte  sono 

>  ehe  gtioomini 

4  De  divenissero 

»  bene  a  loro  in  particolare 
»  che  non  sieno  deiU 

>  ma  con  tuUo  qucsto 

»  privarc  di  liberty  la  sua  palria  e  faroe 
questo  AlesMndro  padrone 

>  tale  Bcelleratcsza 

>  col  viUpendcro 

5  deUa  cnidele  invenzione 
»  nk  voltare  nd  mutare 
^e  per  ayarizia  e  crudeltk 
9  vergognarsi  di  certi 

c  e  si  troveranno 

6  mettere  quella  ciltii 
1  gU  sciitkMi 

7  la  boona  inlensiono 
»  ebbe  che  Dure 

»  dove  lei 

>  •  sono  del  marito 
Sagtialtridttadini 

»  cooiro  a  suo  prqKwito,  ^oglia. 


cb&  molle  ce  ne  umo 

•ome  gUnomim 

ne  divenivano 

a  beneficio  loro  particolare 

ehe  non  s<mo  eletti 

nd  con  tutto  questo 

privare  di  liberty  la  palria  sua  e  fame 

tiranno  questo  Alcssandro 
tanta  sccllerateua 
nel  vilipendere 
del  cnidele  invento 
nd  mutare  nd  muorere 
e  per  avarizia,  cstorsione  e  cmdeltii 
Tcrgognarsi  da  certi 
Si  troveranno 
rimettero  quella  eittk 
tutti  gli  scrittori 
la  mia  intenzioM 
^beafore 
doT*dlei 

e  son  sempre  del  marilo 
gU  altri  cUtdUni 
flontro  a  sua  TogUa,  proposito. 


(1)  La  letteia  F  indict  Tediiioiie  fioreotina  del  Le  llonnier,  tifaUoelliB*^ 
slnPrefuioM;  VU  la  nostra. 


462 


tariauti 


Pair- 

9  ch*ella  andasso  a 
s  ahneno 

>  quando  ben  fusse  nato 
ID  clie  lo  volessino  ammazzare 


>  e  i  buoni  costumi 

>  e*8i  ammazzino 
il  comunicarlo 

«  poich^  quelK  vivevano  sotto  la  ti- 
rannide  o  questi, 
a  B  non  ayevo  io  a  pensare 
»  e  essendo  la  noltc 

>  oppresso  e  moiio 
»  in  cho  io  confidassi 

13  e  piik  ch*io  potessi 

>  tenere  lontano'gli  animi  degli  allri 

>  chc  i  Aiorusciti  non  dovcsscro  raeco 

finir  I'opera 
44  Egli  b  altrettanta  diilerenza  dal  di- 
scorrero  le  cose  e  farlc  quanta  ne 
d  dal  dlscorroi*e.le  cose  dopo  il 
fatto 

>  impossibilc 

>  battuto 

15  e  che  si  pu6  provarc 
»  Msendo  uscili  fuori 


ch'ella  venissc  a 

aneo 

quando  fiissestato 

o  se  eglino  andcrebbero  deliberati  p€r 

anunazzarlo,  aggiunge  qui  I'fi- 

dit.  f.' 
e  tutli  i  buoni  costumi 
c*si  ammazzino  e  si  spenghino 
comunicarla 
perche  qucsli  vivevano  sotio  la  tiraa- 

nide  e  quelli 
0  non  avevo  io  a  pensarc 
chc  essendo  la  nottc 
o  preso  o  morto 
in  chi  io  confidassi 
il  piilkch'iopolelti 
tenernc  Imitani  i  pensieri  degli  altri 
che  i  fuonisciti  dovessero  rocco  finir 

I'opera 
Egli  b  altrotlanta  difTerenza  dal  discor- 

rere  le  cose  al  farle  quanta  ne  £ 

dal  discorrcrc  le  cose  innanzi  o 

dopo  il  fatto 
possibile 
sbattuto 

il  che  si  pud  provare 
essendo  fiiori 


TAIUINTI 


46S 


VARIANTI  ALLA  I.«  LETTERA. 


Pag. 

97panre 
9  Bperaro 
96  mi  danno 

>  Yi  potrete  imaginare 

>  di  arerlq  e  oon  averlo 

99  Mesaer  Salvestro  Aldobrandini  a 
Bologna 

>  d'eesere 

>  unde'inegUo 
1  infflano 

1  atteso  la  miseria 

>  pidi  a  timmo 
airipotete  - 

100  faoendo  larga  tode 
» in  ogni  erento 


parcva 

pensaro 

mi  dannano 

vi  potete  imaginara 

di  averlo  o  non  averlo 

Led.  f.  espunge  queste  parole  quoii 

glos$ema  pattato  net  Utto, 
aessere 

on  di  meglio,  forte  on  d),  meglio 
menon  con  loro 
attesa  la  miseria 
a  pitli  tristo  ttranno 
potete 

facendo  largammite  fede 
io  questo  ed  in  ogni  erenlo 


ERRATA-CORRIGE  AJLL'ARIDOSIO 


P»g,  26  Unea  16  SanrOtanna 

leggi  Santa  Sosanna 

a    57    a    15  ol  tamen 

9     attamen 

1    68     »    15Ted* 

»     vado 

»    80         13  Che  Erminio. 

>     Che  Erminio.... 

»      »     >    14  Che  ha  falto  Erminio. 

a     Che  ha  fatto  Erminio  f 

a    83    a    llbaimeU 

»     Uaimeli 

INDICE 


Prefaxione Pag.  v 

Apologia  di  Lorenzino  ds'Medici -  .    .  »     i 

Aridosio,  Commedia  di  Lorbnzino  de'Medtci »    i7 

Prologo »    49 

Atto  Primo '  .    .  »    23 

Alto  Secondo »    37 

Atto  Terxo  .     .» «  .54 

AtlQ  Quarto >     70 

Atto  Quinto »    81 

Ltttere  di  Lorenzino  de'Medigi »    % 

Racconto  delta  morte  di  Lorenzino  de'Medtci  ,  fat  to  dal  capi- 

tano  FavNCESco  Bibbona  che  I'uccise »  109 

Orazione  di  Francesco  M.  Molza  contro  Lorenzin  o  de*  Medici  »  133 

Varianti • »  151 


• 


MILANO   -   G.    DAELLI   e   C*   —   EDITOR  I. 


raccoUa  e  pubblicata  da  G.  DAELLI. 

t'Edilore  tl  propone  di  pulilicare  in  questa  Raccolta  scritU  classicl  e  rarl  delln  nng^-^ 
o  itraniera  ktteratura,  trascegiiendoti  in  modo  cbe  a  poco  a  |>oco  costituiwcano  o«tS 
illustra/ione  del  secolo  a  cui  uppartenttono  ;  corredandoli  di  appottti  proeoii  ch<'  be 
addilino  TimporUnza  letteraria  ed  il  newo  colla  ttoria  pre^enle  e  pa^sata.  Quelle 
Edizioni,  popolari  pel  buon  mercato,  sono  cundoite  coila  maggior  diiigenza  {*er 
cib  che  riguarda  la  scelu  e  la  revlsione  ,  e  sono  arriccbite  di  tavol«,  noie,  indit^ 
e  dei  rilrulU  degli  autori,  o  del  perionaggi  di  cui  traitauo. 


LORENZfNO  DE' MEDICI. 
S,«Arldosloi  con  I'Apoiogia  e  te  Le'tere 
def  lo  ste»so,  con  documenti  cbe  lo  riguar- 
dano,  econ  prefazione  e  medaglie  iuedile. 

PAOLO    GIOVIO. 

Olaloco  dt»ll0  loapreso  mlllCarl  ed 
anaorosei  con  prefa.  iune  e  iiuie  ei'un 
Tinilice  dei  nomi  propri  e  delle  cose  uo- 
levoU;  e  col  rilratto  deiTauloie. 

LODOVICO  DOLCE. 
INaloco  d0ll«  pltUir«i  coil  I'agiriiinta 
deile  lettere  di  Tiziano  a  varii  e  dell'A- 
retiuo  al  Ticiano ;  con  prefazione  e  iii- 
dlce  (lei  nomi  propri  e  delle  co«e  uoia- 
bili;  e  col  rilruuo  di  TIdano. 

LEON  BATTISTA  ALBERTI. 
■escolMBBo  d*«aiore.  Qnesto  volumelto 
CO   tiene:-t.  lla0<OMat»»e«»<«  d'awto- 

vedi  Ploliiio,  tradolto  dk  A.  M.  Salvini; 
S.  Due  uovelle  amoruze  di  L.  D.  Albert!: 
VBcatont/ila  e  In  I»e</1«HZ ;  3.  il  nia- 
iogo  clell'onoy^  defle  cl«nt»e  d> 
8.  Uuazzo;  4.  CalKaCa  e  JPIIetore.  fraui- 
meuto  d'una  novella  grec:.  di  Helcbiorre 
CezarotU;  con  proeulo  ed  il  rilratto  di 
1*.  II.  Alberts. 

ALESSANDRO  PICCOLOMINI 

(to  SUNIU  litrtuU). 
^m  Batfaeltet  ov%er<»  dialog*  della 

Bella  Cre«as«  delle  doauei  ridoUo 
m  miglior  lezione,  eon  prueuiiu  e  note, 
e  col  rilratto  del I'au tore. 

IMPRESS    NAVALI. 

Qvesto  volumelto,  co'i  pr.  emio,  co  itlene  : 
1.  la  Matn-amtone  defl*  ^attmoiUt 
tf  <  M.«ttanto  di  G.  Uiedo ;  1  M,m  in- 
«ene<6l0  At>MMMl«  o  la  falliu  inva- 
sion e  deiringbiiterra  nel  1S88,  relazioni 
e  dotumeotii  con  ritratto  della  re^luu 
Blisabelta. 

CRISTOFORO  COLOMBO. 

fteltere  aatecvafe  edlte  ed  laeditei 

firm  cui  il  testo  «pagnuolo  r^riMinio  dellu 
Iettera«critu  da  Colombo  nel  lkJ9  »ulle 
Ualtf  da  lui  scoperle,  esutente  nelia  Di- 
Blloteca  Ambrusiana,  ed  ora  nuovamen  « 
ffftltampafo;  premetso  un  discono  su  Co- 
tVBbo  di  Ueaare  Correntl;  con  proemio  e 
•oil  nove  tavole. 


MORO  e  CAMPANELLA. 

I.*(7topla  e  la  Citt*  del  ftole«  aggfUA* 
lavi  la  Storia  del  reaaiie  de^H  Oreft 
narrala  da  itaspare  Guzzi;  con  prefaxidu^ 
e  note;  ecoi  ritratti  di  boroe  CampauelUu 

ONOSANDRO  PLATONICO. 

Deirottlmo  eapiCaao  g^mcvmM^  a  del 
sao  offficiot  traduzione  dal  greco  di  Wm» 
bio  Cuitt  romano;  con  pioemio. 

GIUSEPPE  AVERANI. 

Del  lasao  della  meaaa  preaao  1  R«» 
aaaai  t  con  prefazione  e  cuu  ritrattu  deW 
I'autore. 

ANNIBAL  CARO. 

cut  Straeeioal,  commedia;  ed  11  Caaa. 
aieaia  aopra  la  prlaaa  ficat«»  owja 
•apltalo  della  meheldei  cOO*  pr«>»- 
mlo  ed  il  ritratto  dell'aulore.  * 

GIORDANO  BRUNO. 

fill  eralel  tarorl  e  II  C;aadelaja  •  eon» 

media ;  con  proemio,  note  e  ritratto  de&> 
I'autore.  9 

GIAN  MARIA  CECCHI. 

DIelilaraBlaae  del  proverMdl«aeaal 
e  rAsslaoioa  c6mmedia;  c^funa  le- 
xfone  di  L.  Pia*  cbl  mi  i>roTerbi  toacini:  e<i 
uno  stud  o  suite  coiumedie  del  Ceecnii 
con  prefazione  e  ritratto  deirautore. 

ERASMO  DI  ROTRRDAMO 

Blo^io  della  paBslai  con  proemio  • 
nute;  ed  illusimto  con  •-0  inclsioni  aui 
disegni  originali  d' Holbein. 

ANTON  FRANCESCO  DONI 

IVoveile  e  La  SCaffaiola,  commedia  ^  • 
la  Mala  e  la  Cfciave,  con  proemlu, 
nute  ed  il  ritratto  deli'autore.  Vol.  t. 

FILIPPO  SASSETTI 


irita  di  Praaeeaeo    Ferraaeia*  eoa 

proemio,  uote  ed  II  ritratto  dei  FemioeiOb 

CARDINAL  BIBBIENA 

Ea  c:aiaadra  •  commedia:  agglantMl 
Ua*  Avveatara  aaioraea  dl  Fei^*- 
aavida  d'Ara^oaa  daea  dl-Calakrla 

deilo  stesso  auiore ;  cou  proemio,  note  ed 
il  ritratto  dell'aulore. 


Kriiert  imuib  e  faftii  (mUU  alU  mm  ft.  HAKLU  a  a^*  a  Bkm, 


Frezzo:  It.  L.  4.  50. 


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BIBLIOTECA  RARA 

PUBBLICATA   DA   G.   DAELLI 

Vol.  V. 

RAGIONAMENTO 

SOPRA   LE   IMPRESE 


TIP.   RBDAELLI. 


Propriela  letteraria  g.  daiou.  e  c. 


i 


MONSIONOR    PAOLO    GIOVIO 


RAGIONAMENTO 

DJ  MONSIGSOR 

PAOLO  GIO VIO 

SePRA  I  MOTTI  E  DlSKGNl  D'ARME  E  D'AMORE 
CHE  COHUNEHENTE  CIIIAUANO 

IMPmESE 


MILANO 

G,    DAELLI    c    C  O  M  P.     EDITOHI 

U  DCCC  LXllt 


PREFAZIONE 


.  Paolo  Giovio  e  Pielro  Areiino  si  mordevano  con 
epigrammi^  ma  si  accordavano  neW  indole  e  nei 
coslumi,  Erano  naii  libellisH^  Vuno  yiii  erudite 
e  versato  nelle  corti  scriveva  slorie ^  Valtro  cor- 
teggialo  alia  lontana,  e  maladetto  sotto  voce^  det- 
tava  libelli  in  quella  forma  succinta  e  spedita^ 
che  anlicipd ,  secondo  noib  assai  bene  Filarete 
Chasles^  il  giornalismo  de"*  nostri  tempi.  Come  i 
giornalisti^  essi  avevano  dumpm  e  due  misure , 
e  per  valerci  delle  parole  dello  stesso  Giovio^  due 
penne^  Tuna  dT  oro  per  gli  amici^  Valtra  di  ferro 
per  gli  avversarj^  o  come  allrove  disse^  vestiva 
gli  uni  di  broccatOy  gli  allri  di  canovaccio  o  me- 
glio  di  cilicio :  imperocchb  il  libellista  eccede  nella 
lode  come  nel  biasimo^  ed  d  piii  stomachevole 
quando  si  compone  ai  compri  sorrisi  chequando 
imprecay  come  in  bocca  al  diavolo  sta  meglio  la 
beslemmia  che  la  lode  de''  santi,  Voro  di  Vespa- 
sianoj  da  qual  siasi  imposla  uscisse^  non  aveva 
cattivo  odore ;  T  or(f  de**  libellisti  ha  come  un  lanfo 
di  bordello. 


VIII  PRBr  AZIONB  . 

Nei  libelHsti  il  piii  piacevole  son  le  palinodie , 
non  quelle  ohe  strappa  lor  la  patira^  ma  quelle 
a  cin  li  trasporta  il  dispetlo  di  non  redersi  com- 
piaciuti  o  premiali  dai  potenti  ai  quali  immola- 
rono  0  eran  presti  ad  immolare  il  vero,  —  Que- 
sti  sfoghi  lo  vendicano^  e  danno  degni  pittori  ai 
vizj  e  alle  reilii  de'^grandi.  Cosl  Pelronio^  prima 
di  morire^  mandd  a  Nerone  T  elenco  delle  turpi-  ' 
tudini  che  questi  credeva  far  celalo  come  le  facer  a 
impunilo.  —  Nel  Giovio  si  troverebbero  parecchie 
di  queste  rivendicazioni  i^iteressate^  o  piii  spesso 
s"  incontra  quel  ghigno  onde  i  parassiti  si  ricai- 
tano  delle  genuflessioni  che  fanno  ad  acquislo  dt 
favori  e  di  grazie. 

Quando  Paolo  III  nol  voile  trasferire  al  re- 
scovado  di  Como^  il  Giovio  la  serbd  in  petto  e  scri- 
veva  di  Firenze  ai  3  d'^oltobre  del  1551  a  M.  Ga- 
leazzo  Florimonte:  Alia  barba  di  papa  Paolo  mi 
Aorisce  in  capo  la  memoria  viva,  laudato  Dio,  seb- 
bene  sono  stroppiate  le  gambe ;  talmenle  ch'io  spero 
vivere  un  pezzo  dopamorle  con  lode  ed  onesto  pia- 
cere  di  coloro  che  leggeranno  le  vigilie  mie. 

VAretino  riceveva  collane  d'^oro  dai  principle 
e  cost  il  Giovio.  Lo  stesso  vincitor  delP America^ 
Fernando  CorteZymando  al  Giovio  uno  smeraldo 
in  forma  di  cuore,  Leone  X  leggcva^  in  presenza 
de'^suoi  cortigiani^  ad  alta  voce  alcuni  brani  delle 
Storie  di  lui^  e  Clemente  VII  dava  un  beneficio 
a  chi  ne  ricuperava  i  libri  iti  male  nel  sacco 
di  Roma.  Set  perb  andarono  irreparabilmenle 
perduti  e  curiose  son  le  parole  onde  il  Giovio 
riempie  questa  lacuna.  , 

Gli  ultimi  sei  libri  di  qucsU  prima  Deca  si  per- 
deroDo  nel  sacco  di  Roma,  ma  nondimeno  Pau- 


PREPAZIONB.  IX 

tore,  raenlre  ch'^egli  abbia  vita,  confidandosi  ndla 
mcmoria  sua,  non  si  dispera  che  non  possano  ri- 
farsi  dalPoriginalo  dcllti  prima  bozza.  Perciocchfe 
TErrera  da  Cordova  e  Antonio  Garaboa  Navarrese, 
capitano  di  fantt^ria,  poichfe  nel  convenlo  di  Sanla 
Maria  della  Minerva,  martoriati  i  frati,  ebbero 
spiato  tutti  i  secreli,  ritrovarono  una  cassa  fer- 
rata,  dove  Tautorc  avea  ascoso  cento  libbre  d'^ar- 
gento  lavorato  e  i  libri  d(»irislorie.  Ma  il  Gamboa^ 
contento  deirargcnto,  gett6  i  libri  come  inulil 
pfeda.  D'*altra  parte  I''  Errera  cbc  non  era  punlo 
goffo  d'^ingegno,  ne  raccolse  una  pnrte,  quegli 
cio6  ch'^crano  scritti  in  pergamena  e  coperti  di 
cuoio  rosso,  e  sprezz6  quei  di  caria.  tal  che  strac- 
ciati  furon  dispcrsi,  c  adoperali  a  servigj  brulti. 
E  poi  che  gli  ebbe  raccoltl,  gli  porl6  alPautore 
in  castello,  per  averne  il  premio,  dove  il  papa, 
scongiuralo  dalTautorc,  rimerit6  quel  dono  con 
on  beneflcio;  il  quale  PErrera^  ess ondo  morto  un 
prete  spagnuolo,  dcsiderava  grandemente  d'^avere 
a  casa  sua. 

UfCaltra  lacuna,  ma  rolortlaria^  t  mile  stdrie 
del  Giovio^  agendo  egli  trapassaio  tutto  lo  spazio 
di  quel  lagriraosissinio  tempo  che  corse  dalla 
morte  di  Leon  X  insino  al  sacco  di  Roma,^5?ip- 
plito  con  semplici  sommarj  i  4ibri  XIX  -  X^IV, 
Egli  86  ne  scusa  nella  dedica  della  seconda  parte 
delle  sue  istorie  a  Cosimo  de'' Medici  in  data  di 
Pisa  il  \.^  maggio  1552^  ma  con  tal  garbu- 
glio  di  stile  che  non  mostra  altro  forse  che  la 
sua  paura  di  non  mettersi  a  pericolo  ^  dicendo 
•  pure  una  parte  del  vero.  Egli  come  Fontenelle 
non  rolera  aprir  la  mano  a  mostrarlo^  ma  ne 
lascid  cader  tra  nn  dito  e  I'altro  un  poco  nelle 


X  PRKFAZIONE.  • 

vite  di  Leon  Xydi  Adriano  VUdel  cardinal  Pom- 
peo  Colonna^  del  Marchese  di  Pescara^del  gran 
capitano  Consalvo^  e  del  duca  Alfonso  d''  Este  ; 
rinlero  lo  sgomeniava^  e  come  prudente  medico^ 
egli  dice  J  lasciava  le  flslole  incancherite  a  beneficio 
di  nalura.  Anzi  egli  qui  rend^e  a  sb  stesso  una 
testimonianza  conlraria  al  nostro  giudizio.  E  ve- 
ramente  di  mio  costume  non  fa  mai  scrivwe  enco- 
mj,  laudazioni  false  per  acquistarrai  la  grazia  d'^al- 
cuno,  n6  alP  incontro  esercitar  lo  stile  della  satirica 
asprezza  per  farmi  voler  male,  come  sfacciata- 
menle  veggiamo  aver  fatto  alcuni  altri.  Tuttavta 
non  ci  ridiremo  e  concluderemo  piuttosto  che  egli 
era  tm  Aretino  pauroso ,  e  anche  V  Aretino  non 
dicea  male  che  a  man  salva, 

II  Giovio  era  andato  a  Firenze  verso  il  seltembre 
del  1550  e  vi  mori  agli  11  dicembre  1554.  Cold  scrisse 
queslo  dialogo.  cW  ^  uno  stillato^a  dir  cosl^  delle 
^ue  St  Tie  e  del  suo  Maseo.  Confortato  dal  suo  Do- 
menichi  e'^si  ricorda  i  gran  personaggi  che  aveva  o 
conoscitilo  di  persona^  o  di  opere  e  di  fama^  per  le 
loT*o  imprese  e  i  loro  moili;  studio  ora  abban- 
donatOy  ma  cost  connesso  alia  storia  da  dovere  al- 
meno  ne"^  suoi  principali  lineamenti  rivivere  ^  e 
ch'' era^  in  queWeta  letterata^  un  mezzo  di  rap- 
piccarsi  alle  tradkioni  classiche,  che  tornavano 
a  prevalere. 

\[  vescovo  Giovio ,  dice  Apostolo  ZenOy  fc  stato 
veramente  il  primo  ad  aprir  la  stradaalParte  di 
far  rimpresc  c  a  prescrivernc  le  regole,  parte  da 
alcuni  accetlale,  c  parte  da  altri  riproiiotte,  e  da 
moiti  anche  ampliate.  Di  queslo  suo  libro  furon 
falle  parecchie  edizioniy  e  sei  o  selte  ne  annovera 
lo  Zeno,  La  pritna^  assai  scorrelta^  uscl  in  Roma 


PRBFAZIONE.  XI* 


per  cura  di  Monsignor  Girolajno  Fenaruolo  nel 

1555.  Laseconda  'assai  ptit  correlta^  per  cura  dl 
Gtrolamo   Ruscelli^  presso   Giordano  Zilelli  nel 

1556.  Se  non  che  Lodovico  Domenichi^  non  bene 
contenlo  delV  opera  del  VUerbese  ,  ristampo  con 
parecchie  variazioni  ed  omissioni  il  Ragionamento 
del  Giovio,  soilo  il  titolo  di  Dialogo  delle  imprese 
mililari  ed  amorose,  presso  Gabriele   Giolito  nel 

1557.  Parla  lo  Zeno  di  due  edizioni  del  Rovillio^ 
di  una  di  Domenico  Giglio  ,  e  d*"  un''  altra  del 
Ziletti  del  1560.  //  ragionamento  e  indiritto  dul- 
tautore  al  magDanimo  S.  Co.simo  de'^Medici,  duca 
di  Fiorenza.   . 

Le  importanti  ^om  la  citata  gid  del  Ruscelli^ 
la  veneta  del  Giolito  del  i^^l procurata  dallo  slesso  , 
Domenichiy  e  la  lionese  di  Guglielmo  Kovillio  del 
1574.  Questetre  furono  il  fondamento  delta  nostra 
edizione  ^  se  non  che  avendo  seguito  quelta  del  Zi- 
letlo  come  pii^.completa^  ricorremmo  per  alcuni 
miglioramenti^emendazioni  e  varianti  alValtre  due, 
massime  a  quella  del  Domenichi^  che  si  vanta  aver 
ritratlo  la  itua  dallo  stesso  originate  deWautore^ 
ma  che  non  dee  aterto  scrupolosamente  seguito^ 
se  si  bada  ai  mutamenti  ingiustificabili  fatti  in  pin 
luoghi.  Ma  le  piU  essenziali  Varianti  che  poniamo 
in  fondo  al  votumetto  daranno  un''  idea  precisa 
delta  qualitd  e  bontd  di  queste  edizioni^  e  ere- 
diamo  de  11^  originate  deWaulore^  del  quale  morto 
ciascuno  fece  un  poco  quel  che  gli  piacque, 

^r^  Enciclopcdia  italiana  afferma  contro  al  pa- 
rere  di  Apostolo  Zeno^  che  il  Gio^io  non  fu  il 
prima  a  Irattare  quesla  materia^  ma  il  primato 
apparliene  al  vero  ittuslralore  ^  e  nel  Giovio 
si  trovano   le  piii  picnc   illustrazioni   storiche  ^ 


XII  PRBrAZIO!tS. 

didaltiche^  critiche'  delle  imprese^  e  il  suo  libro 
non  fu  agguaglialo  nc  abbuiald  da  altri. 

Le  imprese,  gallicamenie  divise;  sono  un  ramo 
deWAraldica^  ma  il  ramo  pin  diseccalo  deW  in- 
fermo  tronco.  —  Quando  rCera  andazzo^  ciascuno 
ch''  era  o  si  credea  di  conlo^  si  slillava  V  inge- 
gno  per  trovarne  o  faceva  capo  a  qualche  let- 
teralo ,  come  quel  dappoco  che  andava  a  Giotto 
per  r  arme,  Dai  gran  signori  o  capitani  ai  piu 
ineUi  accademici .  che  cicalavano  per  le  aule 
dP Italia^  tulli  cercavano  un  corpo  e  Myraniitia 
dPimpresa^  e  pin  quelli  il  cut  corpo  e  la  cui  anima 
non  valea  nulla,  V^erano  i  maestri  deWarle^  come 
il  Taegio ,  i  crilici  come  il  Biralli ,  cl^  ne  fece 
^mi  antologia'riformando  quelle  che  conlraffhce- 
vano  alle  norme  accettate,  II  Padre  Bouhours  ne 
delld  anch'^egli  precelti;  ma  tulti-questi  teorisli 
non  si  leggono  piu.  —  Si  legge  il  Giovio ,  per- 
ch^  egli  avviva  questa  materia  con  le  sue  ricor- 
danze  storiche ;  perch^  il  suo  libro  non  e  una 
pedanteria  ^  percht  efjli  segui  a  dir  cosl  Slazio 
ch*"  accenna  le  divise  dei  re  clfassiser  Tebe,  ma 
per  meglio  conlrassegnarli ,  e  facendoli  spiccar 
pui  per  le  loro  azioni. 

II  Giovio  k  veramenie  poelico  in  quesla  rasse- 
gna  eroicomica^  —  II  suo  c>  un  ballo  a  fogge  e 
abbigliamenti  storici ;  in  cui  si  riiede  France- 
sco Ij  ma  non  manca  Triboulet. 

Deride  il  Giovio  a  ragione  le  imprese  fondale 
sopra  giuochi  di  parole'^  vezzo  pii^  spagnolesco 
che  de^rilaliani^  i  quali  lasciarono  queste  argnzie 
al  Carafulla ,  le  cui  etimologie ,  come  quella  di 
vendo,  erano  pnr  citate  dal  Davanzati,  Cost  il 
freddo  giuoco  sulla  voce  malva  e  altribuilo  alia 


PRBPAZIONB.  Xlll 

regina  Isabella  di  Spagna  nella  Vila  della  Picara 
Giustina  Diez  pubblicata  in  Venezia  presso  il 
Barezzi  nel  1624.  La  prudentissima  regina  D.  Isa- 
bella, pregio  ed  onore  dei  due  regni  di  Castiglia 
e  di  Spagna,  desiderando  di  dar  ad  intendere  al 
re  D.  Ferdinando  sue  marito  che  una  strada,  la 
quale  egli  in  certo  viaggip  voleva  fare,  era  tanto 
conlro  il  gusto  di  lei ,  quanlo  poco  convenevoie, 
rivoise  gli  occiii  in  una  pianta  di  maiva,  die 
nata  frondeggiava  nella  via  e  cosi  al  re  pari6 : 
Dicami  in  grazia,  voslra  maesta,  sc  la  strada,  ove 
allro  non  6  che  malva,  le  dovcsse  parlarc  in  que- 
sla  occasione,.che  credeella  che  le  direbbe  ?  Ri- 
spose  il  re  dope  ayer  alquanlo  p^nsato :  lo  per 
rae  averei  gusto  che  voi  alia  vostra  proposla.  si- 
gnora,  deste  soddisfazione.  Allora  la  saggia  regina 
cosi  (lissc:  Chiara  cosa  6  che  la  strada,  nella 
quale  la  sola  raalva  deve  servir  di  lingua,  non 
saprebbe  in  occorrenza  tale  dir  altro  a  Vostra 
Macsla  fuor  che  mal  ra,  Volse  in  quel  punlo  la 

briglia  il  re E  qui  tronchiamo  il  fasiidio  di 

fjuesia  cilazione.  che  facemmo  solo  per  dar  un 
esempio  di  pHi  del  contagio  letlerario  di  Spagna. 
II  Domenichi  fu  uno  dei  gran  faccendieri  let- 
terari  del  secolo  XVL  Spese  Vingegno  non  me- 
diocre piu  nel  tradnrre  che  nel  comporre  di  suo. 
Mori  a  cinqnanfanni  (29  agosto  1564),  e  ^m  la 
piramide  che  si  veniva  rizzando  de'^suoi  volumi 
era  bene  alta^  piramide^  che  il  tempo  con  le  sne 
fredde  ale  ha  quasi  del  tuUo  spazzalo  Allernb  gli 
studj  con  gli  amori^  e  fu  di  quella  Accademia 
piacentina  degli  Orlolani,  che  aveva  a  nume  il 
Dio  degli  Orti  e  non  sappiam  che  cosa  ad  inse- 
gna^^che  il  Domenichi  tlimava  piU  che  la  ca- 


XIV  PREPAZIONE. 

bezza  deirimperatore.  Non  aveva  gran  devozione 
aWimpero^  i  cui  ministri  gli  avevano  appiccato 
un  fratello  ai  merli  del  Castello  di  Pavia^  il  Doniy 
suo  concitladino  J  di  amico  devoto  faltoglisi  ca- 
pital  nemico^  si  studiata  di  farlo  finire  come  il 
fratello^  inandando  a  don  Ferrante  Gonzaga  un 
soneiio  che  esso  Domenichi  avea  scritto  contra. 
P  imperator  Carlo  V^  aggiungendo  con  ipocrisia 
rimastagli  addosso  dal  convenlo: ««  La  prego  bene 
a  non  li  far  dispiacere  e  pcrdonarli  piutlosto  sci^ 
sandolo  appassionato  che  maligno.  » 

//  Domenichi  incorse  in  piu  grari  dispiaceri 
per  essere  intinto  delle  nuove  opinioni  religiose, 
Q  aver  dato  mano  alia  loro  diffusione.  Egli  Ira- 
dusse  e  stampo  in  Firenze  con  la  data  di  Basi-- 
lea 'la  Nicomediana  di  Calvino  ^  il  qual  libro  ^ 
secondo  il  Poggiali^e  quello  scritto  che  porta  per 
titolo:  Johannis  Calvini  excusalio  ad  Nicodemitas 
seu  Pseudo  Nicodemus,  qui  de  nimio  rigore  ejus 
conqueruntur.  II  destinato  storrografo  di  Co- 
simo  I ,  con  lo  stipendio  di  dugento  scudiy  fu 
condannalo  aW  abiura  pubblica  col  libro  appeso 
al  collo^  e  a  died  anni  di  carcere  *per  aver  tra- 
sgredito  alle  leggi  emanate  in  materia  di  stampa. 
Vinlercessione  del  Giovio  lo  liberd. 

I  principj  di  quelle  opinioni ,  che  serpeggia- 
vano  per  tutta  Italia^  gli  si  erano  forse  appiccali 
addosso  fin  da  Piacenza^  dove  secondo  il  Pog- 
giali,  scoppiarono  nel  sesto  decennio  del  sec.  XVI, 
e  furono  atrocemente  repressi.  II  valente  storio- 
grafo  cita  alcuni  ricordi  curiosi.  Anno  1538  die 
18  mart,  in  Templum  Fratrum  Praedicalorum  Pla- 

i  enliee,  quidam  sacerdos  cognoraine quod  cou- 

veisatus  fueral   cum  Lulheranis,  cum  eis'come- 


^BBPAZIONE.  XV 

derat  et  biberat,  eisque  auxilium  prsebucral,  cum 
fugerent^  neque  eos  accusaverat,  coram  pulpito 
a  praDdio,  staDs  prope  pulpitum,  emiDentior 
aliis,  csesus  v^rgis,  a  L.  Valerio  Malvicino  In- 
quisilore  . . .  Alter  vero,  qui  vocabatur  Joseph  . . . 
et  erat  notarius,  eodem  modo  perculsus^  multa 
mala  qu8B  fecerat  manifestavit^  nempe  mortariolDm 
{la  Pila  delCacqua  benedelta  ?)  urina  irapleverat, 
atque  imagines,  brachia  et  crura  S.  Rochi  ense 
vulneraverat.  Notevole  d  che-quesii  ereticierano 
il  piii  procuratori  e  notai^  ma  eziandio  negli 
ordini  piu  bassi^  nonchb  negli  alii  e  nei  letterati^ 
si  andava  spargendo  il  seme  di  Lutero^  e  il  Varchi 
ricorda  che  a  Padova  sino  i  ciabattini  dispula- 
vano  di  religione,  E  secondo  la  velocitd  del  genio 
italiano  si  oltrepassava  Lutero  e  nasceva  Socino^ 
e  lo  Speroni  si  lamentOi  che  Vinflusso  degli  ebrei 
a  Padova  aduggiasse  le  credenze  dei  buoni  cri- 
stiani. 

Noi  citiamo  quesli  appunti  come  un  eccila- 
menio  alia  sioria  della  riforma  in  Italia  non 
ancor  falta^  e  ci  pare  che  quelli  che  si  affannano 
tanto  inlorno  al  Savonarola  non  abbian  trovato 
la  vera  vena.  Ma  a  farla  bene  questa  storia  delle 
noslre  eresie ,  bisogna  aver  Romd  e  i  'suoi  ar- 
chivj,  e  con  ragione  il  valente  La  Farina  si  duole 
nei  suoi  Comenlarj  degli  ultimi  anni  cheVarchivio 
del  SanCUffizio  a  Roma^  venuto  alle  mani  del 
popolo^  non  sia  stato^  menlre  si  poleva^  traspor- 
tafo  in  luogo  sicuro, 

Jl  Giovio  e  il  Domenichi  erano  Allah  e  Mao- 
mello.  LP  tmo  il  piii  scrivea  latino^  P  aliro  met- 
leva  il  fiacco  latino  in  buon  toscano.  Vuno  gua- 
dagnava  della  fama,  Valtro  delta  popolarita  del- 


X\I  PIBVAZIONB. 

Vamico.  Riprova  deWaffetto  delVuno  e  delta  de- 
vozione  deWaltro  e  quesio  dialogo^  dove  il  Dome- 
nichi  d  come  un  discepolo  modeslo  e  ossequioso 
che  interroga  e  ascotta^  interroga- nei  rari  inter- 
valli  che  gti  concede  rinessiccabil  vena  del  maestro, 
e  quasi  indovinando  dal  suo  sguardo  che  d  in 
foia  di  continuare  il  suo  discorso;  ascolla  con 
orecchi  intenti  e  fede  cieca.  Questa  non  d  piiA 
la  forma  dialogica  di  Plalone  ^  d  piuttosto  f  o- 
morfismo  dei  caiechisti,  TuUavia  anche  noi  so- 
migliamo  al  Domenichi^  ed  ascoltiamo  volentieri 
un  vecchio  facondo  che  ne  profonde  il  tesoro  delle 
sue  ricordanze  ^  e  in  virtu  delle  sue  notizie  ca- 
ralteristiche  gli  perdoniamo  di  aver  visto  in  fac- 
cia  senza  orrore  r  introduttore  degli  slranieri 
in  Italia^  Lodovico  it  Moro^  e  adoraio  senza  ri- 
brezzo  C  ordinaiore  della  lirannide  straniera  in 


Italia,  Cosimo  de^  Mediei. 


Cahlo  Teoli. 


RAGIONAMENTO  DELL'IMPUESE 


Taata  6  ia  cortesia  di  Voslra  Eccellenza  verso  di 
me,  ch'io  mi  tengo  obbiigato  a  rendervi  conto  di  tutto 
queirozio,  che,  in  gran  parte,  a  vostra  amorevole  esor- 
tazione,  mi  sono  asarpato  in  quest!  fieri  e  nolosi  caidi 
del  ihese  d'agosto,  nemico  della  veccliiaia.  £  perci6, 
avcndo  io  tralasciata  I'istoria,  come  fatica  di  gran  peso, 
mi  sono  ito  trastullando  nel  discorrere  col  virtuosis- 
simo  e  gentile  M.  Lodovico  Domeniciii^  che  a  ci6  m'in- 
vitava,  sopra  I'invenzioni  dell' imprese ,  che  portano 
oggldi  i  gran  signori.  Di  modo  che  essendomi  riuscito 
questo  picciol  trattato,  assai  piacevole  e  giocondo,  e 
non  poco  grave  per  Taltezza  e  variety  de'  soggetti,  mi 
sono  assicurato  di  mandarvelo,  pensando  che  vi  possa 
esser  opportuno  passatempo  in  cost  fastidiosa  stagione ; 
ed  in  ci6  ho  imitato  il  nostro  semplice  ortolano,  che 
spesse  volte  sopra  la  vostra  tavola,  ricca  di  varie  e 
preziose  vlvandc,  s'arrischia  di  presentare  un  panie- 
rino  de'suoi  freschi  flori  di  ramerino  e  di  borrana, 
per  servire  a  uno  intermezzo  d'una  saporita  insala- 
tuccia.  Ha  questo  trattato  molta  simililudine  con  la  di- 
versity di  detti  flori  amcni  e  gratissimi  al  gusto;  il 
Giovio.  t 


2  DIALOGO 

4 

quale  sarft  ancor  lanto  piti  grato  a  voi,  valoroso  si- 
gnore,  quanto  ch'  egll  6  nato  In  casa  voslra ;  e  I'argo- 
mento  del  presente  discorso  ba  avuto  principio  in  tal 
guisa;  cbe  usando  meco  famigliarmente  M.  Lodovico 
Domenichi^  per  cagione  di  tradurre  continaamente  risto- 
rie  nostre  latine  in  volgar  toscano,  a  baon  proposito 
entr6  a  ragionare  della  materia  ed  arte  deirinvenzioni 
ed  imprese,  le  qnali  i  gran  signori  e  nobilissimi  cava- 
lieri  a'nostri  tempi  sogliono  portare  nelle  sopravvesti, 
ftarde  e  bandiere ,  per  significare  parte  de'  loro  gene- 
rosi  pensieri :  al  cbe  risposi  io. 

Gio.  II  ragionare  appunto  di  questo  soggetto,  ^  pro- 
prio  un  entrare  in  un  gran  pelago,  e  da  non  poterne 
cost  tosto  riuscire. 

DoM.  Per  grazia^  monsignore,  essendo  voi  persona  di 
facile^  ricordevole  ed  espedito  ingegno^  siate  contento 
toccarmene  an  sommario,  massimamente  poi  cbe  vi  tro- 
vate  scioperato  dallo  scrivere  I'istoria  in  questi  noios 
giorni,  ne'quali  assai  stadia  e  guadagna  cbi  sta  sano;  ndf 
si  possono  piCi  agevolmente  trapassare,  cbe  con  Ja  pia- 
cevolezza  del  ragionare  di  simili  amenissimi  concetti , 
\  quali  appartengono  all'  istoria ,  e  parte  ridacono  a 
memoria  gU  aomini  segnalati  de'  nostri  tempi ,  cbe  gi^ 
son  passati  all'altra  vita,  non  senza  lode  loro.  E  qae- 
sto  vi  sar^  molto  agevole,  avendo  voi  gi^  fatto,  per 
quel  cbe  io  intendo,  molte  di  queste  imprese  nella  vo- 
stra  piCi  fresca  eU  a  quei  signori  cbe  ve  ne  richiesero. 

Gio.  Qnesto  far6  io  volentieri,  con  patto,  cbe  voi 
interrogbiate  a  parte  per  parte  ^  ed  io  vi  rispondero 
amorevolmente  e  con  desiderio  cbe  ne  resti  un  dia- 
;  logo ,  nel  quale  non  intendo  obbligarmi  alia  severity 
delle  leggi  dl  questo  scelto  pariar  toscano;  percb^  io 
voglio  In  tutti  i  modi  esser  libero  di  parlare  alia  cor- 
tigiana^  senza  essere  scrupolosamente  appuntato  dalla 
vostra  Accademia;  ricordandomi  d'aver  anco  altre  voile 
scritlo  in  nostro  volgare  il  llbro  de*  Signori  de'Tur- 
rbi  di  casa  (Htomaua,  il  qual  libro  fa  molto  ben  letto 
•si  inicjio  (Ul  graude  impcralore  Carlo  V, 


D£LL'IMPR£S£.  3 

DoM.  Ringraziovi  inflnitamente  di  tale  offerta^  ma  di- 
temi  prima,  se  il  portare  queste  imprese  fu  costume 
antico. 

Gio.  Non  ^  panto  da  dubitare  che  gU  antichi  usarouo 
di  portar  cimieri^  ed  ornamenti  negli  elmetU  e  negii  scu- 
di ;  perch^  si  vede  cliiaramente  in  Virgilio,  quando  fa  ii 
catalogo  delie  genti,  che  vennero  in  favore  di  Turno 
contro  i  Troiani,  nell'VlII  dell'Eneide ;  Anliarao  ancora, 
come  dice  Pindaro,  alia  guerra  di  Tebe  port6  un  dra- 
gone  nello  sendo.  Stazio  scrive  similmente  di  Capaneo 
e  di  Polinice,  che  quelii  port6  Tidra  e  questi  la  sflnge. 
Leggesi  eziandio  in  Platarco ,  che  nella  battaglia  del 
Gimbri  comparve  la  cavaileria  loro  moHo  vistosa,  si 
per  Tarmi  lucenti ,  si  per  la  variety  de'  cimieri  sopra 
le  celate,  che  rappresentavano  Tefflgie  di  flere  selvag- 
gie  in  diverse  maniere.  Narra  il  medesimo  autore,  che 
Pompeo  Hagno  us6  gi^  per  insegna  an  leone  con  ana 
spada  nada  in  mano.  Veggonsi  ancora  i  riversi  di  molte 
medaglie,  che  roostrano  significati  in  forma  dell'im- 
prese  modeme^  come  appare  in  quelle  di  Tito  Yespa- 
siano,  dov'  6  on  del5no  involto  in  un'&ncora  che  vaole 
inferire^  fbstina  lerts,  sentenza,  la  quale  Ottaviano 
Augaalo  soleva  molto  spesso  usare.  Ma  lasciando  da 
canto  questi  esempi  antichissimi ,  in  eid  ne  fanno  an- 
cora eongettura  i  famosi  Paladini  di  Francia^  1  quali^ 
per  la  verity ,  in  gran  parte  non  furono  favolosi ;  e 
veggiamo,  per  quel  che  gli  scrittori  accennano,  che 
ciascuno  di  loro  ebbe  peculiare  impresa  ed  i&segna^ 
come  Orlando  il  quartiero^  Rinaldo  il  leone  sbarrato  > 
ii  Danese  lo  scaglione,  Salamone  di  Brettagna  lo  scac- 
chiero^  Oliviero  il  grifone^  Astolfo  ii  leopardo  e  Gano 
il  falcone.  II  medesimo  si  legge  de'  Baroni  della  Tavola 
rotonda  d'ArtCt,  glorioso  re  d'lnghilterra.  L*usarono  si- 
milmente i  celebrati  nei  iibri  della  lingua  spagnuola^ 
Amadis  dc  Gaala,  Primaleon,  Palmerino  e  Tirante  ii 
Bianco.  Ora  a  questa  et^  piil  moderna,  come  di  Fede- 
rico  Barbarossa,  al  tempo  del  quale  vennero  in  uso 
rinsegnc  dcllc  famiglie,  cbiamate  da  uoi  arme^  donate 


4  UIAL060 

da  principi  per  merito  deU'onorate  imprese  fatte  Id 
gUeita>  ad  eftetto  di  aobilitare  i  valorosi  cavalieri,  ne 
natqiiei*o  biszarrissime  invenzioni  nei  cimieri  e  piUure 
negli  scadi ;  il  che  si  vede  in  molte  pitture  a  Fiorenza 
I  in  santa  Maria  novella.  Ma  a  quest!  nostri  tempi  dopo 
la  vennta  del  re  Carlo  VIII  e  di  Lodovieo  XII  in  Ita- 
lia, ognano  che  segoitava  la  milizia^  imitando  i  capi- 
tani  francesi^  cerc6  di  adornarsi  di  belle  e  pompose 
imprese^  delle  quali  rilacevano  i  cavalieri  appartati 
fcompagnia  da  compagnia  con  diverse  livree;  percioc- 
|ch6  ricamavano  d'argento  di  martello  dorato  i  saioni 
(e  le  sopravvesti;  e  nel  petto  e  nella  sebiena  stavano 
M  imprese  de*capitani^  di  modo  che  le  mostre  delle 
'genti  d'arme  facevano  pomposissimo  e  ricchissimo  spet- 
'  tacolo,  e  nelle  battaglie  si  conosceva  Tardire  e  il  por- 
^  tamento  delle  compagnie. 

DoM.  lo  m'avreggio  ben,  monsignore,  che  vol  avete 
fresca  memoria^  e  per6  siate  coutento  ragioaarmi  dl 
quelle  totte  cb' avete  vedute;  perchd  so  moito  bene, 
che  avete  conosciuti  e  veduti  in  faecia  tutti  quel  ca- 
pitani^  che  sono  contenuti  e  celebrati  nella  vostra  isto- 
ria;  o  ragionevolmente  avete  dinanzi  agli  occhi  la  va- 
ghezza  degli  omamenti  loro. 

Gio.  Non  mancher6  di  ridurvi  a  mente  tutte  queste 
cose,  che  voi  domandate ,  parendomi  dl  tomare  un'al- 
tra  volta  giovane ;  nel  favellare  delle  quali  tanto  ml 
dilettava  gi^ ,  che  ben  pareva  vero  pronostico ,  ch'  io 
avessi  a  scriver  I'lstoria  loro.  Ma  prima  ch'  io  venga  a 
questi  particolari,  6  necessario  ch'  io  vi  dica  le  condi- 
zioni  universal!,  cbe  si  ricercano  a  fare  una  perfetta 
impresa;  il  che  forse  ^  la  pitl  difficile,  che  possa  es- 
^ere  ben  colta  da  un  Ingegno  perspicace  e  ricco  d'in- 
venzioni«  la  quale  nasce  dalla  notizia  delle  cose  scritte 
dagll  antichi.  Sappiate  adunque,  M.  Lodovieo  mio,  che 
)1nvenzione  ovvero  impresa,  s'eila  deve  avere  del  buo- 
1)0,  bisogna  cb*abbia  cinque  condizioni:  prima,  giusta 
proporzione  d*anima  o  di  corpo;  seconda,  ch'ella  noii 
»ia  osf  ura,  di  sorte  ch'  abbia  mestiero  della  sibilla  per 


DELL^IMPRBSK.  5 

iaterprete  a  volerla  intendere,  n^  Unto  chiara  ch'ogni  ^ 
plebeo  rintenda;  terta,  che  sopratutto  abbia  bellavi-! 
su>  la  quale  si  fa  riuscire  molto  allegra,  entrandovi* 
stelle ,  soU^  lune ,  fuoeo ,  acqua ,  arborl  verdeggianti ,  | 
islrumenti  meccaoici,  animali  bizzarri  ed  ucceDi  fan-; 
tastici;  quarta^  non  ricerca  alcana  forma  umana;  quin- ) 
ta,  richiede  il  motto^  cbe  d  Tanima  del  corpo^  e  vnole  1 
essefe  eomunemente  d'ana  lingua  diversa  dair  idioma  j 
di  oolui^  che  fa  Timpresa,  percb^  11  sentimento  sia  al-  • 
quanto  piti  coperto.  Yuole  anco  esser  breve ,  ma  non  \ 
tanto   cbe  si  faccia  dubbioso;  di  sorte  che  di  due   oa 
tre  parole  quadra  benissirao,  eccetto  se  fosse  in  forma  \ 
di  verso^  o  integro  o  spezzato.  E  per  dichiarare  quesle  < 
condizioni  diremo ,  che  la  sopraddetta  anima  e  corpo 
s'intende  per  ii  motto  o  per  ii  soggetto,  e  si  stima  che 
mancando  o  il  soggetto  all'anima^  o  I'anima  at  soggetto, 
rimpresa  non  riesca  perfetta:  verblgrazia^  Gesare  Bor- 
gia di  Yalentinois,  us6  un'anima  senza  corpo,  dicendo 
AUT  GiKSAR^  AUT  NMiL,  volcndo  dire,  che  si  voleva  ca- 
var  la  maschera  e  far  prova  del  la  sua  for  tuna:  onde 
essendo  capitato  male  e  ammazzato  in  Navarra,  Fau- 
sto  Maddalena  Romano  disse  che  il  motto  si  verified 
per  rultima  parte  alternativa  con  questo  distico: 

Bfjfrqia  Catar  erat,  facUs  et  nomine  CcBior,  { 
AutnUdl,  out  Casar,  diwit;  utrumqm  fiiit,  \ 

£  certamente  in  quelia  sua  grande  e   prospera  for- 
tuna  il  motto  fu  argutissimo ,  e  da  generoso ,  s'  egll 
avesse  applicato  un  proporzionato  soggetto,  come  fece 
suo  fratello  don  Francesco  dnca  di  Gandia,  il   quale 
aveva  per  impresa  la  montagna  della  Chimera,  ovvero 
gli  Acrocerauni,  fulminata  dal  cielo,  con  le  parole  ad    i 
imitazione  d'Orazio ,  pbriunt  summos  fulmina  months.    • 
Siccome  verified)  con  I'infeiice  sua  line,  essendo  scan-    .' 
nato  e  gettato  in  Tevere  da  Gesare  suo  fratello.  Per  lo    i 
contrario  disdice  eziandio  un  bei  soggetto  senza  motto, 
come  port6  Garlo  di  Borbone,  contestabile  di  Francia, 


B  DULOGO 

Che  pinse  di  ricamo  nella  sopravveste  della  sua  compa- 
gnia  an  cervo  con  I'ali.  Ed  io  lo  vidi  nella  giornata  di 
Ghiaradadda ;  volendo  dire,  che  non  bastando  il  coirer 
suo  naturale  velocissimo,  sarebbe  volato  in  ogni  difficile 
e  grave  pericolo  senza  freno.  La  quale  impresa  per  la 
bellezza  del  vago  animale,  riusci,  ancor  che  pomposa, 
come  cieca,  non  avendo  motto  alcuno^  che  gli  desse  la- 
me ;  il  che  diede  materia  di  varia  interpretazione^  come 
actttissimamente  interpreto  un  geniiluomo  francese  chia- 
mato  la  Motta  Augrugno,  che  and6  in  Roma  appresso 
il  Papa  quando  venne  Tacerba  naova  del  Re  cristia- 
nissimo  sotto  Pavia^  e  ragionandosi  della  perfldia  di 
Borbone ,  disse  a  papa  Glemente  :  Borbone  >  ancorchd 
paia  essere  stato  traditore  del  sao  re  e  della  patria, 
merita  qualche  scusa  per  aver  detto  molto  avanti  quel 
ch'ei  pensava  di  fare^  poichd  portava  nella  soprav- 
veste  il  cervo  con  I'ali^  volendo  chiaramente  dire,  che 
aveva  animo  di  faggire  in  Borgogna :  al  che  (are  non 
gli  bastavano  le  gambe.,  se  non  avesse  avuto  anco  Tali, 
e  perci6  gli  fu  aggiunto  il  motto ,  cursum  intsndimus 
ALis.  Ebbe  ancora  questo  medesimo  difetto  la  bellissima 
impresa  che  port6  la  signora  Ippolita  Fioramonda,  mar- 
chesana  di  Scaldasole  in  Pavia,  la  quale  air  eta  no- 
stra avanz6  di  gran  lunga  ogni  altra  donna  di  bel- 
lezza^ leggiadria  e  creanza  amorosa^  che  spesso  por- 
tava una  gran  veste  di  raso  di  color  celeste,  seminata 
a  farfalle  di  ricamo  d'oro,  ma  senza  motto,  volendo 
dire  ed  avvertire  gli  amanti  che  non  si  appressassero 
molto  al  suo  fuoco,  acciocch^  talora  non  intervenisse 
loro  quel  che  sempre  interviene  alia  farfalia,  la  quale 
per  appressarsi  airardente  flamma,  da  s^  stessa  si  ab- 
brucia.  Ed  essendo  dlmandata  da  Monsignor  di  Lesvi, 
bellissimo  e  valorosissimo  cavaliere,  il  quale  era  al- 
lora  scolare^  che  gli  esponesse  questo  signiflcato ;  e'  mi 
conviene,  diss'ella,  usare  la  medesima  cortesia  con  quel 
gentiluomini  che  mi  vengono  a  vedercy  che  solete  usar 
voi  con  coloro ,  che  cavalcano  in  vostra  compagnia , 
perch6  solete  mettere  un  sonaglio  alia  coda  del  vostro 


corsiero^  cbe  per  morbidezza  e  flerezza ,  trae  di  calcic 
come  ano  avvertimento  che  non  si  accostino,  per  lo 
pericolo  delle  gambe.  Ma  per  questo  non  si  riUr6  Mou- 
signer  di  Lesvi,  perch*  molVanni  persever6  nell'amor 
suo,  ed  al  fine  sendo  ferito  a  morte  nella  gioraata  di 
Pavia,  e  riportato  in  easa  della  signora  Marchesana^ 
pass6  di  questa  vita ,  non  poco  consolato ,  poicb*  la- 
sci6  lo  spirito  estremo  suo  nelle  braccia  della  sua  cara, 
come  diceva,  signora  e  padrona. 

Cadde  nel  contrano  difetto,  il  motto  del  eiarissimo  4 
jurisconsulto  M.  Qiasone  del  Maino ,  il  quale  pose  il  \ 
suo  bellissiroo  motto  sopra  la  porta  del  suo  palazzo  \ 
(cbe  ancora  si  vede  senza  corpo)  cbe  dice  virtuti  for- 
TUNA  COMES,  volendo  signiflcare  cbe  la  sua  virtCi  aveva 
avata  bonissima  sorte. 

Pn6  molto  bene  essere  ancora  una  impresa  vaga  in 
vista  per  ie  figure  e  per  li  colori  cbe  abbia  corpo  ed 
anima^  ma  cbe  per  la  debile  proporzione  del  motto  al 
soggetto  di^enti  oscura  e  ridicola^  come  fu  quella  del 
duca  Lorenzo  de*  Medici,  il  quale  flnse  ne'saioni  delle 
lancie  spezzate,  e  stendardi  delle  genti  d'arme  (come 
si  vede  oggi  in  pittura  per  tutta  la  casa)  un  albero  di 
lauro  in  mezzo  a  due  leoni,  col  nbtto  che  dice,  ita 
BT  VIRTUS,  per  significare  che  la  virti^  come  il  lauro 
^  sempre  verde.  Ma  nessuno  poteva  intendere^  quel  che 
importassero  quel  due  leoni;  chi  diceva  cbe  signiftca- 
vano  la  (ortezza  e  la  clemenza,  che  favellavano  insieme 
cost  accozzati  con  le  teste^  e  chi  I'interpretava  in  al- 
tro  modo,  di  sorte  cbe  un  M.  Domizio  da  Cagli^  cap- 
pellano  del  cardinale  de* Medici,  che  fu  poi  papa  Gle- 
mente  VII,  il  qual  cardinale  era  venuto  a  Fiorenza 
per  visitare  il  duca  Lorenzo  ammalato  di  quel  male , 
del  quale  poi  fra  pochi  mesi  mori,  s'assicuro,  come 
desideroso  d*intender  V  impresa,  di  dimandarne  M.  Fi- 
lippo  Strozzi ,  invitato  dair  umanit.'i  sua ,  dicendo :  si- 
gnor  Filippo,  vol  che  sapete  tante  lettere,  e  oltre  Tes- 
ser  cognato.  sietc  anco  comes  omnium  horarum,  et  par- 
iiceps  consiiiorum  del  Duca,  dicbiaratemi,  vi  prego,  che 


B  DIALOGO 

fanno  quel  due  ieoni  sotto  questo  aibero.  6iiard6  sot- 
t'occhi  M.  Filippo  e  squadrb  ii  ceffo  del  cappeliano^  11 
quale  ancorch^  bene  togato,  non  sapeva  lettere  se  non 
per  le  feste^  e  come  acuto^  salso  e  pronto  ch'egli  era  : 
Non  vi  avvedete,  dlsse^  cbe  (anno  la  guardia  al  lauro 
per  difenderlo  dalla  (uria  di  questi  poeti^  cbe  corrono 
al  romore  avendo  udita  la  coronazione  deir  Abate  dl 
Gaeta  fatta  in  Roma,  acciocchd  non  vengano  a  spogliiorlo 
di  tutte  le  frondi  per  (arsi  laureati?  Replied il  cappel- 
lano,  come  uomo  cbe  si  dilettava  di  far  qnalcbe  so- 
netto,  cbe  andava  in  zoccoli  per  le  rime;  questa  ^ 
malignity  invidiosa;  soggiongendo :  cbe  domine  importa 
al  duca  Lorenzo  cbe  il  buon  papa  Leone  abbia  corte- 
semente  laureato  I'abate  BarabaUo,  e  fattolo  trionfare 
su  I'elefante?  Di  maniera  cbe  la  cosa  andd  airorec- 
cbia  del  Carduiale  e  si  prese  una  gran  lesta  di  M.  Do- 
mizio,  come  di  poeta  magro  e  cappellano  di  piccola 
levatura. 

£l  inoltre  da  osservare  cbe  non  ci  sia  intelletto  di 
molta  superbia  e  presunzione,  bencbe  abbia  bel  corpo 
e  beiranima,  percbd  ella  rende  vano  Tautore,  come  fu 
quella  cbe  port6  il  gran  cardinale  di  San  Giorgio,  Raf- 
fael  Riario,  11  qu^le  mise  in  mille  luogbi  del  suo  pa- 
lazzo  un  tlmone  di  galea  con  un  motto  di  sopra  cbe 
dice,  BOG  OPUS,  quasi  volesse  dire,  per  fare  questi  ma- 
gniflcentissimi  edlQcj  e  gloriose  opere,  m'  ^  dl  bisogno 
esser  papa  e  governare  11  mondo ;  la  quale  impresa 
riusci  vanissima  quando  fu  creato  Leone,  e  dappoi  c  be 
essend'egli  consapevole  della  congiura  del  cardinale 
Alfonso  Petrucci,  restb  preso,  convinto  e  spogliato  delle 
facoltd,  e  conflnato  a  Napoli  dove  finl  la  sua  vita. 

Non  lascer6  di  dirvi,  cbe  sarebbe  troppo  gran  can- 
tafavola  11  voler  tassar  i  difetti  delle  imprese>  cbe  son 
c^mparse  a  questo  secolo,  composte  da  scioccbl  e  por- 
I  tate  da  cervelli  vani,  come  fu  quella  di  quel  flero  sol- 
I  dato  (per  non  dir  ruffiano)  Bastiano  del  Mancino,  an- 
I  corcbd  a  quel  tempo  fosse  nome  onorato  fra  spadac- 
*  ciui,  cbe  us6  di  portare   nella  berretta  una  picciola 


\ 


\ 


DRLL*IMPRBS£.  0 

suola  di  Scarpa  con  la  letlera  T  in  mezzo ^  ed  una  perla  . 
grossa  in  ponta  di  detta  suola ,  volendo  che   s*  inten-  * 
desse  11  noroe  delta  sua  dama  a  questo  modo .  Mar-  \ 
gherita  te  sola  di  cor  amo. 

Un  altro  suo  concorrente^  chiamato  Panmolena,  fece  il 
medesimo^  ponendo  oro  di  martello  in  cambio  di  cuoio. 
perch6  s'intendesse :  Margherita  U  sola  adoro,  stimando 
che  fosse  maggiore  efficacia  d'amore   Tadorare  cha  di 
cuore  aroare.  In  questl  simili   trovati  passd   11  segno    \ 
M.  Agostino  Porco  da  Pavia^  Innamorato  di  madonna    ; 
Blanc4i  Paltiiilera^  11  quale  per  dimostrare  d'esser  suo    i 
fedel  serro,  port6  una  piccola  candela  di  cera  bianca    ' 
inserlata  nel  frontale  del  suo  berrettone  di  searlatto, 
per  signlAcare^  spezzando  il  nome  della  candela  in  tre     . 
siUabe^  can,  clo^  servo  fedele  della  Bianca.  Ma  ancor     I 
qnesta  con  pift  spesa  e  magglor  arguzia  fu  avanzata 
dalla  medaglia  del  cayalier  Casslo^  poeta  bolognese^  11 
qnale  portava  nella  berretta  in  una  grande  agata,  di 
mano  del  ^nlssimo  maestro  Giovanni  da  Castel  Bolo- 
gnese,  la  dlscenslone  dello  Spirito  Santo  sopra  i  dodici 
apostoH;  e  domandato  un   glorno  da  papa  Clemente, 
di  ctti  era  familiarissimo  ^  per  qual  dlvozlone  portasse 
questa  colomba  dello  Spirito  Santo  e  le  lingue  ardenti 
sopra  11  capo  degll  apostolic  rispose  essendo  io  presente  : 
Non  per  divozione,  Padre  santo,  ma  per  esprlmere  un 
mlo  concetto  d'amore ,  essendo  io  stato  lungo  tempo 
innamorato  e  tngratamente  straziato  da  una  gentildonna 
e  forzato  d'abbandonarla  per  non  poter  sopportar  pid 
le  beffe  e  lungagnole  de'varii  doni  ch'io  le  soleva  fare, 
ml  flgurai  la  festa  della  Pentecoste,  volendo  inferire 
ch'  Io  me  ne  pentiva  e  che  moUo  m'era  costato  questo 
innamoramento  :  sopra   la  quale  esposizione   11  Papa, 
ancorchd   per  altro   severo,  rise  si   largamente,  che 
tralasci6  la  c^na  da  mezza  tavola. 

Diede  In  simlU  scogli  di  ridicola  impresa  11  gran 
cardinale  di  san  Pietro  in  Vlncula,  Galeotto  dalla  Ro- 
vere,  11  quale  facendo  diplngere  in  cancelleria  la  stanza 
della  v61ta  fatta  a  lunette,  che  guarda  a  levante,  fece 


10  UtALOGO 

fare  otto  gran  celatoni  di  stucco  indorati  aei  cielo,  so- 
spesi  al  ramo  delta  querela^  sua  peculiare  arme ,  come 
nipote  di  papa  Giulio,  acciocch^  s'intendesse  gaUe  oUo, 
Che  concbiudevaoo  il  suo  proprio  nome,  ma  dicendo- 
gli  M.  Carlo  Ariosto  suo  maestro  di  casa^  che  ci  sa- 
rebbono  stati  di  quegli  cbe  avrebbono  letto  celate  otto« 
fu  cagione  cbe  il  buon  cardinale  11  quale  aveva  in 
casa  pocbi  svegliati  ed  eruditi  ingegni ,  vi  facesse  di- 
piugere  sotto  otto  galee  cbe  andavano  a  vela  e  remo 
per  fuggire  Tambiguit^  cbe  aasceva  fra  le  celate  e  le 
galee.  E  questa  tal  pittura  oggidi  ancora  fa  meravi- 
gliare  e  ridere  spesso  il  signor  Camerlengo^  Guido  Asca- 
nio  Sforza,  cbe  abita  quella  stanza  come  piti  onorata. 
Furono  ancora  a  quel  tempi  pia  anticbi  alcuni  grand i, 
ai  quali  mancando  I'invenzione  di  soggetti^  supplivano 
alia  lor  fantasia  con  motti^  cbe  riescono  goffi  quando 
son  troppo  lungbi^  come  fu  il  motto  di  Castruccio  si- 
gnore  di  Lucca^  quando  fu  coronato  Lodovico  Bavaro 
imperatore,  ed  egli  fatto  Senatore  romano,  cbe  allora 
era  grandissima  dignity :  il  quale  coroparve  in  pub- 
blico  in  un  manto  cremisino  con  un  motto  di  ricamo 
in  petto  cbe  diceva :  boli  t  comb  dio  vuolb,  e  di  die- 
tro  ne  corrispondeva  un  altro,  b'saba'  qubl  ghb  dio 
vobba'.  Questo  medesimo  vizio  della  lungbezza  dei 
motti  fu  anco  (bencb^  sopra  assai  bel  soggetto  d'ap- 
parenza  di  corpo )  in  quello  del  signor  Principe  di  Sa- 
lerno cbe  ediQc6  in  Napoli  il  superbo  palazzo,  por- 
tando  sopra  il  cimiero  deU'elmo  un  paio  di  coma,  col 
motto  cbe  diceva:  porto  lb  cobna  cn'ooNi  uomo  lb 

VBDB^  B  QUALCH'ALTRO  LB  PORTA  CUB  NOL  CRBDB  ,  VO- 

lendo  tassare  un  certo  ^ignore  cbe  intemperatamente 
sparlava  dell'onor  d'una  dama,  avendo  esso  bella  mo- 
glie  e  di  sospetta  pudicizia.  £  questa  lungbezza  d  tanto 
pia  dannata>  quanto  cbe  il  motto  6  nella  natural  lin- 
gua di  cbl  lo  porta ;  percb^  pare,  come  bo  detto,  che 
quadri  meglio  in  parlare  straniero. 

Don.  Monsignore  vol  mi  avete  dato  la  vita  con  queste 
ridicole  sciocchezze  di  lante  imprese  che  m'avete  narrate. 


DELL'llfPRESR.  || 

Gio.  Sar^  dunque  tempo  che  noi  toraiamo  al  propo- 
sito  nostro,  nameraodo  quelle  imprese  ch'baiino  del 
magnanimo^  del  generoso  e  deiracuto>  e,  come  si  dice, 
del  frizzante. 

E'  mi  pare  che  i  gran  principi  per  aver  appresso  di 
loro  uomini  d'eccellente  ingegno  e  dottrina  abbiano 
eoasegoito  I'onor  deirinvenzione ,  come  soao  stati  fra 
gli  altri  Timperator  Carlo  V^  11  cattolico  re  di  Spagna 
ed  11  magnanimo  papa  Leone,  percb^  in  effetto  I'im- 
peratore  avanz6  di  gran  lunga  la  bella  impresa ,  la 
quale  port6  gi^  II  valoroso  suo  bisavolo,  il  gran  Carlo 
duca  di  Borgogna,  e  certamente  mi  pare  che  I'impresa 
sua  delle  colonne  d'Ercole  col  motto  del  plus  ultra, 
non  solamente  abbia  superato  di  gravity  e  leggiadrla 
quella  del  focile  deirarolo  maleruo  di  Filippo  suo  pa- 
dre, ma  ancora  tutte  I'altre  che  abbiano  portate  insino 
ad  ora  gli  altri  re  e  principi. 

Don.  Per  certo  queste  colonne  col  motto,  considerata 
la  buona  fortuna  del  felice  acquisto  dell'India  occiden- 
tale,  11  quale  avanza  ogui  gloria  degli  antichi  romani , 
soddisfa  mirabilmente  col  soggetto  alia  vita  e  con  Ta- 
oima  agli  intelletti  che  la  considerano. 

Gio.  Non  ve  ne  maravigliate  percbd  Tinventor  d'essa 
fu  un  molto  eccellente  uomo  chiamato  maestro  Lnlgi 
Marliano  milaneso,  che  fu  medico  di  Sua-Maest^,  e 
morl  vescovo  di  Tuy,  ed  oltre  I'altre  virtCi  fu  gran  ma- 
tematico,  e  queste  simili  imprese  svegliate,  illustri  e 
nette  non  escono  dalla  bottega  di  gatte  inguant^te^  ma 
d'argutissimi  maestri. 

Don.  E  cosi  6  vero,  ma  ditemi  di  grazia  che  voleste 
dir  vol,  nominando  il  focile  del  duca  di  Borgogna  ?  Sia- 
temi,  vi  prego,  monsignore,  cortese  e  raccontatemi  I'isto- 
ria  di  questa  famosa  invenzione  con  la  quale  s'ornano 
di  gloriosa  corona  i  valorosissimi  cavalieri  delTetk  no- 
stra, i  quali  sono  neU'onoratissimo  coUegio  deU'ordine 
del  Tosone  ampliato  dairinvittissimo  Carlo  V. 

Gio.  Questa,  di  che  vol  mi  dimaudate  d  materia,  molto 
intricata  e  poco  intesa  eziandio   da  quel   signori   che 


I  i  DIALOGO 

porUno  quest!  focili  al  collo,  perch^  vi  ^  ancora  ap- 
piccato  un  vello  d'un  monton  tosato ,  interpretato  da 
alcanl  il  vello  deH'oro  di  Giasone  portato  dagli  Argo- 
naut! ;  ed  alcimi  lo  riferiscono  alia  Sacra  Scrittura  del 
Testamento  veccbio,  dlcendo  ch'egli  ^  !1  yello  dl  Ge- 
deone,  11  qaale  signiflca  fede  inconrotta.  Ma  tornando 
al  proposito  del  focile,  dico,  cbe  il  valoroso  Carlo  daca 
di  Borgogna,  che  fa  ferocissimo  In  arme,  volse  portare 
la  pietra  focaia  col  focile  e  con  dae  tronconi  di  le- 
gno  Yolendo  denotare  ch'egli  aveva  il  modo  d'eccitare 
grande  incendio  di  guerra,  come  fa  il  vero ;  ma  qaesto 
sao  ardente  vaiore  ebbe  tristissimo  successo  percb^, 
prendendo  egli  la  gaerra  contro  Lorena  e  Sviszera,  fu 
dopo  le  dae  sconfltte  di  Morat  e  di  Granson  sbarat- 
tato  e  morto  sopra  Nansi  la  vigilia  deU'epifanla,  e  que- 
sta  impresa  fa  beffata  da  Renato  ducadi  Lorena,  vin- 
citore  di  qaella  giornata.  al  qaale  essendo  presentata 
ana  bandiera  con  I'impresa  del  focile,  disse :  per  certo 
qaesto  sfortanato  signore  qaando  ebbe  blsogno  di  scal- 
dars!  non  ebbe  tempo  da  operare  !  focili.  E  ianto  piOi 
fa  acato  qaesto  detto,  qaantocb^  qaeila  terra  era  co- 
perta  d!  neve  rosseggiante  di  sangae ,  e  fa  il  maggior 
freddo  cbe  si  ricordasse  mai  a  memoHa  d'aomo;  di 
sorte  che  si  vede  nel  daca  Carlo  che  la  ladra  fortana 
non  volse  accompagnare  la  santa  virtti  In  quelle  tre 
sae  altime  giomate. 

Don.  Per  quel  cb'  io  veggio,  monsignore,  parmi  cbe 
vol  abbiate  incominciato  a  entrare,  come  avete  pro- 
messo,  nelle  piti  scelte  imprese  cbe  portarono  i  gran 
re  e  principl  di  qaesta  nostra  eiA ;  ond'  io  spero ,  che 
come  si  sono  assottigliati  gl'  ingegni  ed  affinate  le  dot- 
trine  da  qaello  ch'erano  ne'  tempi  piOi  veccbl  e  lontani 
dalla  niemoria  nostra  ,  cosi  I'imprese  e  rinvenzioni  do- 
vranno  riascir  pit  va:zhe  e  piti  argute.  Ma  innansi  cbe 
segultiate  11  ragionar  de'  modem! ,  per  non  lo  dlmen- 
ticare,  poich^  avete  detto  deli'ordine  del  Tosone,  pre* 
govl  a  dichiararmi  ancora  eerie  parole  poste  nel  se- 
gno deirordlne  dinghilterra. 


DKLL'lMI*U£bE.  13 

Gio.  Di  quel  che  mi  domandate,  per  esser  cosa  an- 
tica  d'intorno  a  dngento  anni,  questa  fama  solamente 
ne  resta ,  che  essendo  qaell*ordine  da  Edoardo  III,  uomo 
di  grao  valore,  instituito  sotto  la  protezione  di  S.  Gior- 
gio a  cavallo  con  lo  scudo  bianco  diviso  da  una  croce 
rossa ,  il  re,  percti^  col  raccorre  da  terra  ana  benda 
da  legar  calze  avea  data  occasione  di  mormorar  della 
dama  di  eui  era  quella  benda,  in  francese  detta  gar- 
tier,  volse,  ad  onore  di  essa  dama,  che  i  cavalieri  del- 
I'ordine  che  sogliono  esser  ventisei  al  pi(i,  portassero 
per  insegna  alia  gamba,  come  fanno,  il  gartier,  inscritto 
di  qneste  parole  honni  soit  qui  mal  t  pbnsb  ;  cio^  : 
disanorato  sia  chi  mal  vi  ^pM$a. 

Ora  tornando  a'nostri  tempi  pia  ricchi  di  dotti  in- 
gegni  dico,  che  questi  re  che  noi  abbiamo  visti  in 
gran  parte  trapassarono,  per  gloria  delle  faccende  di 
gaerra  e  per  bellezza  degli  ornamenti  dell'imprese,  quelle 
de'lor  maggiori ;  e  cominciando  da  quella  di  Lodovico  XII 
re  di  Francia,  ella  parve  ad  ogni  uomo  di  singolare 
bellezza  e  di  vista  e  di  signiflcato.  Perch^  fu  a  modello 
di  quel  bravo  di  natura  e  bellicoso  re  che  non  si  stanc6 
mai  per  alcun  travaglio  di  guerra  con  un  animo  sem- 
pre  invitto,  e  per6  portava  nelle  sopr'  arme .  ehiamate 
Ottoni,  de'suoi  arcieri  delta  guardia,  un  istrice  coro- 
nato,  il  qual  suoie  urtar  chi  gli  d^  noja  dappresso ,  e 
da  lontano  gli  saetta,  scotendo  e  lanciando  Tacutissime 
spine.  Per  il  che  dimostrava  che  Tarme  sue  erano  pronte 
e  gagiiarde  dappresso  e  da  lontano,  e  benchd  nella  so- 
praweste  non  fosse  motto  alcuno ,  mi  ricordo  nondi- 
meno  aver  visto  in  piil  luoghi  questa  impresa  dipinta 
con  un  breve  di  sopra,  cominus  et  eminus,  il  che  qua- 
drava  molto.  Ho  lasciato  1' impresa  di  Carlo  YIII,  per- 
ciocch^  ella  non  ebbe  corpo  e  soggetto,  ancorch^  ella 
avesse  bellissimo  motto  d'anima  dicendo:  si  dbus  pro 
NOBIS,  Quis  CONTRA  Nos?  NcgU  stcudardi  e  sopra  i  sa- 
joni  degli  arcieri  della  guardia  non  v'era  poi  altro  die 
la  lettera  K  con  la  corona  di  sopra,  che  voleva  signi- 
flcare  il  nome  proprio  di  Carlo. 


14  D1AL0G0 

Non  fu  men  bella  di  quella  di  Lodovico  Timpresa 
cbe  port6  il  successore  e  genero  suo,  Francesco  I,  il 
quale,  come  portava  la  giovanile  eU  sua,  mut6  la  fie- 
rezza  dell'lmprese  di  guerra,  neila  dolcezza  e  giocon- 
diU  amorosa ;  e  per  signiflcare  che  ardeva  per  passioni 
d'amore«  e  tanto  gli  piacevano,  che  ardiva  di  dire  che 
si  nutriva  in  esse;  onde  portava  la  salamandra,  che 
stando  nelle  fiamme  non  si  consuma,  col  motto  ita- 
liano  che  diceva ,  mi  nutrisgo  ;  essendo  propria  quality 
di  quell'animale,  spargere  dal  corpo  suo  freddo  umore 
sopra  le  brage,  onde  avviene  ch'egli  non  teme  la 
forza  del  fuoco ,  ma  piuttosto  lo  tempera  e  spegne.  £ 
fu  hen  vero,  che  quel  generoso  ed  umanissimo  re  non 
(u  mai  senza  amore,  essendosi  mostrato  ardentissimo 
e  liheralissimo  conoscitore  de'  virtuosi ,  e  d'animo  in- 
domito  contro  la  fortun«i»  come  la  salamandra, in  ogni 
caso  de'  successi  di  guerra^  e  questa  invenzione  fu  fab- 
hricata  dal  suo  nohilissimo  Ingegno. 

Non  cede  in  alcuna  parte  alia  suddetta,  quella  che 
di  presente  porta  il  flgliuolo  successor  suo,  il  magna- 
nimo  re  Enrico;  il  quale  continua  di  portar  Timpresa, 
che  gi^  fece  qnando  era  delflno ,  che  d  la  luna  ere- 
scente  ,  col  hravo  motto  pieno  di  grave  sentimento , 
DONBG  TOTUM  iMPLBAT  ORBEM :  volcudo  diuotaro  ch'egli 
flnch^  non  arrivava  all'eredit^  del  regno  ^  non  poteva 
mostrare  il  suo  intero  valore,  siccome  la  luna  non 
pu6  compitamente  risplendere,  se  prima  non  arriva  alia 
sua  perfetta  grandezza ;  e  di  questo  suo  generoso  pen- 
siero  ha  gi^  dato  chiarissimo  saggio  con  la  ricupera- 
zione  di  Bologna  ed  altre  molte  imprese^  come  ognuno 
sa  in  Italia.  II  perchd  gli  fu  da  me  fatta  a  richiesta  del 
signor  Mortier,  ambasciatore  francese  in  Roma^  dopo  la 
morte  del  re  Francesco^  una  luna  plena  di  tulto  tondo 
con  un  motto  di  sopra^  cum  plena  est  fit  muvla  sous , 
per  dimostrare  ch'egli  aveva  tanto  splcndore  che  8*ag- 
guagliava  al  sole,  facendo  la  uotte  chiara  come  11  giorno. 
Volse  ancora  questo  re  sotto  quella  impresa  per  onore 
di  dama  dar  luogo  al  nome  di  Diana,  la  quale  (u  dagli 
antichi  riputata  la  dea  medesima  che  la  luna. 


DEtL'lMPRKSK.  15 

DoM.  Senza  fallo  queste  tre  imprese  di  questi  Ire  re 
francesi  hanno,  a  mio  parere,  tutta  quella  grandezza 
cbe  si  ricerca^  si  di  soggetto  e  vista ^  come  di  spirito 
e  signiflcato,  e  non  so  se  gii  argutissimi  spagnuoli  v'ag- 
giangeranno. 

Gio.  Vol  non  v'ingannate  certo  ,  perch6  difflcil  cosa 
^  il  migliorare.  Ma  il  re  cattolico  ne  cav6  la  macchia 
qaando  porto  ii  nodo  gordiano  con  la  mano  d'Ales- 
sandro  Magno ;  il  quale  con  la  scimitarra  lo  tagli6,  non 
potendolo  sciorre  con  le  dita,  col  motto  di  sopra  tanto 
MONTA.  E  acci6  intendiate  il  pensiero  di  quel  prudente 
re,  voi  dovete  aver  letto  in  Q.  Gurzio>  come  in  Asia, 
nella  citt^  di  Gordio,  era  in  un  tempio  1*  inestricabil 
nodo  detto  gordiano^  e  Toracolo  diceva,  che  cbi  Tavesse 
saputo  sciorre,  sarebbe  stato  signore  delFAsia.  Perch^ 
arrivandoci  Alessandro,  n^  trovando  capo  da  sciorlo, 
per  fatal  bizzarria  e  sdegno  lo  tagli6;  et  oraculum  aut 
implevH^  aut  elmit.  11  medesimo  intervenne  al  re  cat- 
tolico, il  quale  avendo  litigiosa  differenza  sopra  Tere- 
dit^  del  regno  di  Gastiglia^  non  trovando  altra  via  per 
consegulre  la  ginstizia,  con  la  spada  in  mano  lo  com- 
battd  e  lo  vinse,  di  maniera  cbe  cosl  bella  impresa 
ebbe  gran  fama,  e  fu  pari  d'erudita  leggladria  a  quella 
di  Francia;  e  fu  opinione  d'alcuni^  cbe  elia  fosse  tro- 
vata  dal  sottile  ingegno  d'Antonio  di  Nebrissa ,  uomo 
dottissimo  in  quel  tempo  ^  cbe  egli  risuscit6  le  iettere 
latine  in  Ispagna. 

fila  in  veritii^  ancorcb^  molte  imprese  sieno  riuscite 
eccellentissime  dagli  ingegni  spagnuoli,  come  fu  quella 
che  port6  don  Diego  di  Mendozza  flgUuolo  del  cardi- 
nale ,  cavalier  valoroso  ed  onorato  nelle  guerre  del 
gran  capitano  Gonsalvo  Ferrante,  tuttavolta  ce  ne  sono 
uscite  dellA  scioccbe  e  stroppiate,  in  quanto  alle  con- 
dizioni  antedette  che  si  ricbieggono  in  essa,  come  fu 
quella  di  quel  eavaliere  di  casa  Forres,  ii  quale  scr- 
vendo  a  una  damigella  delta  regina  Isabella,  che  si 
chiamava  Anna,  e  dubitando  ch'ella  non  si  maritasse 
in  un  altro   cavalier   piCi  ricco  di  lui ,  il  quale  la  ri- 


16  DIALOGO 

cercava  per  accasarsi  con  lei ,  volse  avvisarla  ch'  eiia 
stesse  costante  neiramor  suo  verso  di  lui,  e  non  con- 
sentisse  a  quel  maritaggio,  portando  sul  cimiero  an 
anitroccolo,  che  in  lingua  spagnuola  si  chiama  Anna- 
dino ,  il  qual  nome  spezzandolo  per  le  sillabe  diceva : 

ANNA  Dl'  NO*. 

Fu  ancora  simile  quella  che  us6  don  Diego  de  Guz- 
man^ il  quale  avendo  riportaio  poco  cortese  cera  dalla 
sua  dama^  ed  un  certo  rlbuffo,  port6  In  giostra  per  ci- 
miero un  gran  cesto  di  malva  florita^  ad  effetto  di  sl- 
gniflcare  mal  va  il  negosio  d'amore. 

DoM.  Qneste  si  che  danno  scacco  alia  candela  bianca 
e  a  quella  della  Penteeoste ;  ma  suppUte  a  simile  seioc- 
chezza  coirimpresa  di  don  Diego,  la  qual  vol  poco  in- 
nanzi  avete  detto  che  fu  bellissiroa. 

Gio.  Si  per  certo  e  forse  nnica  tra  quant'  altre  ne 
sono  uscite  non  solo  di  Spagna,  ma  d'altronde;  e  fu, 
che  avend'egli  tentato  il  guado  con  la  sua  dama,  e 
travati  mail  passl  per  poteria  arrivare ,  occupato  dal 
dolore  e  quasi  disperato^  si  pose  una  rnota  con  quei 
vasi  che  levano  Tacqua  e  la  gettano  fuora ,  e  perchd 
di  punto  in  punto  quasi  la  metit  di  essi  si  trova  plena 
pigliando  Tacqua ,  e  TaHra  vuota  per  gittarla  fuora , 
nasceva  da  quei  vasi  un   motto  in  questa  guisa;  los 

LLENOS,  DE   DOLOR,  Y  LOS   VAZIOS,  DE  SPBRANZA.  La  quale 

fu  stimata  impresa  di  sottile  invenzione  e  quasi  unica 
vista,  perch^  Tacqua  e  la  ruota  davano  gran  presenza 
di  soggetto  a  chi  la  mirava,  e  inferiva  che  il  suo  do- 
lore era  senza  speranza  di  rimedio. 

Fu  assai  bella  quella  del  signor  Antonio  da  L.eya,  11 
quale  essendo  per  la  podagra  portato  in  sedia,  fece  por- 
tare  dal  capitano,  appuntato  nelle  barde  del  suo  cor- 
siere  capitanale,  quando  (u  coronato  in  Bologna  Carlo  Y 
imperatore  e  restituito  il  ducato  di  llili^o  a  France- 
sco Sforza,  questo  motto:  sic  vos  non  vobis.  E  Tim- 
presa  fu  senza  corpo,  il  quale  se  ci  fosse  stato  non  si 
sarebbe  potuto  dir  meglio,  perch^  voleva  inferire  come 
per  vlrtti  sua  s'era  acquistato  e  conservato  lo  Stato  di 


DBLl/lMPRESB.  i1 

Ifilano,  e  poi  restitutio  al  duca  dairimpcratore,  avendo 
egli  desiderato  di  tenerlo  per  s6  contro  la  forza  di  tutta 
la  lega,  com' egli  aveva  fatto  per  lo  innanzi.  E  perch6 
s'  ba  da  seguir  Tordine  della  nobilt^,  vi  dir6  llmprese 
de'  quattro  re  ultimi  d'Aragona ,  e  fra  Taltre  quel  che 
volesse  significare  11  libro  aperto,  che  fu  impresa  del 
re  Alfonso  primo. 

Don.  Che  libro  fu  questo*  monsignore  f 

Gio.  Ebbe  questo  re  Alfonso  per  impresa  un  libro 
aperto,  come  v'bo  detto,  il  quale  non  avendo  anima  di 
motto  alcuno,  molti  restarono  sospesi  e  dubbi  del  si- 
gniftcatOy  e  perchd  egli  fu  re  d'incomparabil  virtti  ^  si 
nel  mestiere  deirarmi,  come  nella  notizia  delle  lettere 
e  nella  pratlca  del  civH  govemo,  chi  diceva  una  cosa 
e  cbi  ne  diceva  an'altra,  ma  11  piti  degli  uomini  sti- 
maroab'*  ch'  ei  volesse  dire  che  la  liberty  fosse  la  pia 
preziosa  cosa  che  potesse  aver  Tuomo,  e  percio  esso 
come  prudentissimo  non  prese  mat  moglie  per  non  farsi 
servo  per  elezione.  Alcuni  dissero  che  egli  port6  il  H- 
bro^  denotando  che  la  perfezione  dell' intelletto  umano 
consista  nella  cognizione  delle  scienze  e  dell'arti  libe- 
ral!, delle  quali  sua  maest^  fu  molto  studlosa.  Ma  tra- 
passando  questo  signiflcato  del  libro  aperto,  dico  che 
il  re  Ferrante  suo  flgliuolo  ebbe  una  bellissima  impresa, 
la  quale  nacque  dalla  ribellione  di  Marino  di  Marciano 
duca  di  Sessa  e  principe  di  Rossano :  il  quale  ancorch^ 
fosse  cognato  del  re,  s'accost6  nondimeno  al  duca  Gio- 
vanni d'Angio  e  macchin6  d'ammazzar  al  parlamento 
il  re  suo  signore.  Ma  per  Tardire  e  franchezza  del  re 
refifetto  non  pot6  seguire  d'ucciderio :  Tistoria  del  qual 
caso  sta  scolpita  di  bronzo  sopra  la  porta  del  Gastel 
Nuovo.  Ed  essendogli  dopo  alcun  tempo  venuto  alle 
mani  e  posto  prigione  il  detto  Marino,  si  risolse  di  non 
farlo  morire,  dicendo  non  volersi  imbrattare  le  mani 
nel  sangue  d'un  suo  parente,  ancorch^  traditore  ed 
ingrato,  contro  il  parere  di  molti  suoi  amici  partigiani 
e  consiglieri.  £  per  dichiarare  questo  suo  gene roso  pen- 
siero  di  elemenza,  flgurO  un  armellino  circondato  da 
Giwio.  1 


18  DIALOGO 

un  riparo  dl  letame,  con  questo  motto:  halo  iiori 
;  QUAif  FOBDARi,  essciido  la  propria  natura  deirarmellino 
di  patir  prima  la  morte  per  fame  e  sete  che  imbrattarsi, 
cercando  di  fuggire  di  non  passar  p^  lo  brutto ,  per 
non  maccbiare  il  candore  e  la  politezza  della  sua  pre- 
ziosa  pelle. 

Ne  port6  ancora  il  re  Alfonso  II  suo  flgliuolo  ana 
brava  ma  molto  stravagante,  come  composta  di  sillabe 
di  parole  spagnuole,  e  fu,  cbe  approssimandosi  sopra 
la  guerra  il  giorno  della  battaglia  di  Campomorto  so- 
pra Velletri,  per  esortare  i  saoi  capitani  e  soldati,  di- 
pinse  in  uno  stendardo  tre  diademe  di  santi  insieme, 
con  un  breve  d'una  parola  in  mezzo:  valbr,  signifi- 
cando  cbe  quel  giorno  era  da  mostrare  11  valore  sopra 
tutti  gli  altri,  pronnnziando  alia  spagnuola,  Dia  de  mas 
valer,  la  quale  impresa  forse  avrete  vista  dipinta  nel- 
Tatrio  del  nostro  Museo. 

Bella  in  vero  fu  quella  del  re  Ferrandino  suo  fi- 
gliuolo,  il  quale  avendo  generosi  e  reali  costumi  di  li- 
berality e  di  clemenza,  per  dimostrare  che  queste  virtti 
vengono  per  natura  e  non  per  arte,  dipinse  una  mon- 
tagna  di  diamanti»  che  nascono  tutti  a  faccia  come  se 
fossero  fatti  con  artificio  della  ruota  e  della  mola,  col 
motto  cbe  diceva :  nature  non  artis  opus.  M  fu  men 
lodata  quella  del  re  Federico  come  zio  carnale  successo 
nel  regno  al  nipote  re  Ferrandino,  il  quale  troppo  to- 
sto,  sopra  Tordine  del  trionfo  d^Ua  sua  vittoria,  per 
iniquiU  delle  Parche,  in  un  soffio  fu  levato  di  questo 
mondo.  Avendo  11  re  Federico  preso  il  possesso  del 
regno,  conquassato  per  la  fresca  guerra  e  contaminato 
dalla  fazione  angioina,  per  assicurare  gli  animi  de'ba- 
roni  della  contraria  parte ,  si  fece  per  impresa  un  li- 
bro  da  conto  legato  in  quella  forma  con  le  corregge  e 
flbbie,  che  si  vede  appresso  de*  banchieri  ponendovi 
per  tltolo:  mccccxgv,  e  figurando  molte  fiamme  che 
nscivano  fuora  de'  margini  del  libro  serrato ,  con  un 
motto  tolto  dalla  Sacra  Scrittura  cbe  diceva :  rbcbdant 
VETERA,  per  palesare  il  nobile  decreto  deiranimo  suo» 


r^ 


DlSLL'lMPRRSE.  49 

Che  a  tutli  perdonava  gli  errori  e  i  ])eccati  di  quel- 
I'anno,  e  ci6  fu  proprio  a  imitazione  degli  antichi  ate- 
niesi  i  qaali  fecero  lo  statato  deiramnistia,  che  signi- 
flca  oblivione  di  tutto  il  passato,  ancorchd  al  buon  re 
Federico  ci6  non  giovasse  molto ,  perchft  fra  cinque 
anni  per  la  impensata  cospirazione  di  Ferdinando  re 
di  Spagna  con  Lodovico  XII  di  Francia,  fu  sforzato  ab- 
bandonare  il  regno  e  lasciarlo  a  quel  due  re  che  se 
ravean  diviso. 

Farono  altri  principi  d' Italia  e  famosi  capitani,  cbe 
si  dilettarono  di  mostrare  i  concetti  loro  con  varie 
imprese  e  divise ,  fra  le  quali  fu  tenuta  bella,  a  quel 
tempo  che  gli  ingegni  non  erano  cost  aguzzati,  quella 
di  Francesco  Sforza  duca  di  Milano,  che  avendo  preso 
possesso  dello  Stato  per  vigore  deU'eredita  della  mo- 
glie,  madonna  Bianca  Visconta,  e  con  la  forza  del- 
Tarmi  quietate  le  cose,  fece  di  ricamo  sopra  la  gior- 
nea  militare  un  bravo  veltro,  o  vogliamo  dir  levriere, 
assentato  con  le  gambe  di  dietro  ed  innalzato  coi  pi6 
dinanzi  sotto  un  pino  col  motto :  quibtum  nemo  im- 
PUNK  ljigesset  :  inferendo  ch'  egli  non  dava  mdlestia 
ad  alcuno^  ma  era  pronto  a  offendere  e  difendersi  da 
Chi  avesse  avuto  ardire  di  molestarlo.  E  lo  mostr6 
contro  i  signori  veneziani  quando  fece  calare  il  re  Re- 
nato  di  Provenza,  per  resistere  alia  cupidity  che  gli  pa- 
reva  che  essi  avessero  di  quello  Stato. 

Alia  bellezza  delia  detta  leggiadra  impresa,  fece  buon 
paragone  la  troppo  oscura  che  usO  Galeazzo  suo  figliuolo 
e  successore  ,  la  quale  fu  un  leone  asscttato  sopra 
on  gran  fuoco  con  un  elmetto  in  testa,  bella  certo  da 
vedere  in  pittura,  ma  riputata  senza  sale ,  perchd  non 
ebbe  anima  di  motto  e  per6  appena  intesa  dalFautore ; 
onde  non  m'estenderO  a  narrare  i  diversi  interpreta- 
menti  che  facevano  le  brigate,  i  quali  spesse  volte  riu- 
scivano  vani  e  ridicoli. 

Ma  fu  ben  molto  erudita  e  bella  in  vista  ancorch^ 
alquanto  presuntuosa^  quella  che  ebbe  il  duca  Lodo- 
vicOy  suo  fratello,  senza  motto ,  il  quale,  per  opinione 


^  DIAIXKSO 

di  pruden2a,  fu  tenuto  un  tempo  arbitro  delta  pace  e 
delta  guerra  d'ltalia,  e  percio  port6  Talbero  del  gelso- 
moro  per  impresa,  la  quale,  come  dice  Plinio,  6  ripatata 
sapientissima  omnium  arborum ,  perch^  fiorisce  stand o 
per  fuggire  11  gelo  e  le  brine;  e  fa  frutto  prestissimo, 
mtendendo  di  dire,  che  con  la  saviezza  sua  conoscera 
i  tempi  (uturi,  ma  non  conobbe  gia  che  it  cbiamar 
i  Frances!  in  Italia,  per  isbattere  il  re  Alfonso  suo  ca- 
pital nemico ,  fosse  cagione  della  rovina  sua.  £  cosi 
divento  favolosa  e  scbernita  la  sua  prudenza,  avendo 
linita  la  sua  vita  nella  prigione  della  torre  di  Lioches 
in  Francia,  ad  esempio  della  misera  vanagloria  umana. 
Facevasi  eziandio  cbiamar  Moro  per  soprannoroe ,  e 
quando  passava  per  le  strade,  s*udivano  alzar  le  voci 
da'fanciulli  e  da'bottegai,  Moro,  Moro,  e  continuando 
in  simil  vanity,  avendo  fatto  dipingere  in  castello  I'lta- 
lia  in  forma  di  regina,  che  aveva  indosso  una  veste 
d'oro  ricamata  a  ritratti  di  citta  che  assomigliavano 
al  vero,  e  dinanzi  le  stava  uno  scudier  moro  negro 
con  una  scopetta  in  mano :  perchd  dimandando  Tarn- 
basciator  florentino  al  duca  a  che  serviva  quel  fante 
negro ,  rispose ,  che  scopettava  quella  veste  e  le  citta 
per  nettarle  d'ogni  bruttura,  volendo  che  s'intendesse 
il  Moro  esser  arbitro  dell'Italia,  ed  assettarla  come  gii 
pareva.  Replic6  allora  Tacuto  florentino:  avvertite,  si- 
gnore,  che  questo  servo  maneggiando  la  scopetta,  vien 
a  tirarsi  tutta  la  polvere  addosso ;  il  che  fu  vero  pro- 
nostico.  Ed  6  da  notare,  che  molti  credono  che  Lodo- 
vico  fosse  chiamato  Moro,  perchd  egli  fosse  bruno  di 
came  e  di  volto,  in  che  s'ingannano,  perch'egli  fu  pint- 
tosto  d'una  carnagione  bianca  e  pallida  che  negra,  come 
abbiamo  veduto  dappresso. 

Sopra  tutti  non  solamente  i  principi  dltalia,  ma 
eziandio  sopra  quelii  della  casa  de'  Medici,  suoi  maggiori, 
ue  trov6  una  bellissima  Giovanni  cardinale  de' Medici,  il 
quale  fu  detto  poi  papa  Leone,  e  fu  dopo  ch'esso  per 
mano  dellarmi  spagnuole  fu  rimesso  in  Fiorenza,  es- 
sendo  stato  dieciott'anni  in  esilio.  L'impresa  fu  un  giogo. 


DKLL'UIPB£SB.  21 

come  portano  i  buol,  e  il  motto  diceva,  suave,  per  signi- 
flcare  di  non  essere  ritomato  a  voler  essere  tiranno 
della  patria,  col  vendicarsi  deiringlorie  fattegli  da'suoi 
contrari  e  faziosi  cittadini,  prenunziandogli  che  il  suo 
principato  sarebbe  stato  clemente  e  soavc,  col  motto 
della  Sacra  Scrittoxa  conforme  all'  abito  sacerdotale 
cbe  portava ,  cavato  da  quel  cbe  dice :  Jugum  meum 
suave  est,  el  onus  meum  leve.  E  certamente  quadrava 
molto  alia  natura  sua,  e  fu  tale  invenzione  del  suo 
proprio  sottile  ed  erudito  ingegno,  ancorcb^  paia  che 
il  detto  giogo  fosse  prima  del  gran  Cosimo,  il  quale, 
qoando  fu  richiamato  dairesilio  alia  patria ,  flgnr6  in 
ana  medaglia  Fiorenza  assettata  sopra  una  sedia  col 
giogo  sotto  1  piedi ,  per  dinotare  quasi  quel  detto  di 
Cicerone :  Roma  patrem  patrioB  Ciceronem  Ubera  dixit , 
e  per  la  bellezza  fu  continuato  il  portarlo  nel  pontifi- 
cato  di  Leone,  e  merit6  d'essere  stampato  nelle  mo- 
nete  di  Fiorenza. 

DoM.  Piacemi  molto  questa  impresa ,  e  la  giudico 
molto  bella,  ma  di  grazia  non  v'incresca  raccontarnii 
ancora  i'altre  deir  illustrissima  casa  de'  Medici ,  e  con 
esse  toccar  diffusamente  il  percb6  deirimprese,  perch^ 
ristoria  porta  gran  luce  e  dllettevol  notizia  a  questo 
discorso. 

Gio.  lo  non  posso  andar  pid  alto  de'tre  diamantl 
cbe  port6  il  gran  Cosimo  ,  i  quail  voi  vedete  scolpiti 
nella  camera  dov'  io  dormo  e  studio ,  ma  a  dirvi  il 
vero,  con  ogni  diligenza  cercando,  noa  potei  mai  tro- 
vare  precisamente  quel  che  volessero  signiflcare,  e  ne 
stette  sempre  in  dubbio  papa  Clemente ,  che  dormiva 
ancor  egli,  in  minor  fortuna,  in  quella  camera  mede- 
siraa.  &  ben  vero  che  diceva,  che  il  magniflco  Lorenzo 
s*aveva  usurpato  un  d'essi  con  gran  galante/ia,  inser- 
tandovi  dentro  tre  penne  di  tre  dlversl  colori,  cio6: 
verde,  bianco  e  rosso,  volendo  cbe  s'  intendesse ,  che 
Dio  amando  Aoriva  in  queste  tre  virtd ;  Fides ,  Spes , 
Charilas,  appropriate  a  quest!  tre  colori ,  la  speranza 
verde  >  la  fede  Candida ,  la  cariUi  ardente  cio6  rossa , 


32  DIALOGO 

coa  SBiiP£R  d'abbasso,  la  quale  impresa  ^  stata  con- 
tinuata  da  tutti  i  successor!  della  casa,  e  Sua  SantiU 
eziandio  la  port6  di  rlcamo  ne'  saioni  de'  cavalli  della 
guardia,  di  dietro  per  rovescio  di  detto  giogo. 

Prese  il  magniflco  Pietro,  flgliuol  diCosimo,  per  im- 
presa un  (alcone,  che  aveva  negli  artigli  un  diamante, 
il  quale  6  stato  continuato  da  papa  Leone,  e  da  papa 
Clemente,  pure  col  breve  del  3emp£r,  rivolto,  accomo- 
dato  ai  titolo  della  religione  cbe  portano  i  papi,  ancor 
che^  sia  come  ^  detto  di  sopra,  cosa  goffa  a  far  imprese 
di  sillabe  e  di  parole :  percb6  il  magniflco  Pietro  voleva 
intendere  che  si  debba  fare  ogni  cosa  amando  Dio.  E 
tanto  piti  ci6  viene  a  proposito ,  quanto  cbe  il  dia- 
mante importa  indomita  fortezza  contro  fuoco  e  mar- 
tello,  come  miracolosamente  il  prefato  magniflco  fa 
saldo  contro  le  congiure  ed  insidie  di  M.  Luca  Pitti. 

Us6  il  magniflco  Pietro,  flgliuolo  di  Lorenzo,  come 
giovane  ed  innamorato,  i  tronconi  verdi  incavalcati,  i 
quali  mostravano  flamme,  e  vampi  di  fuoco  intrinseco, 
per  signiflcare  che  il  suo  ardor  d'amore  era  incompa- 
rabile,  poi  cb'egli  abbrueiava  le  legna  verdi,  e  fu 
questa  invenzione  del  dottissimo  uomo  M.  Angelo  Po- 
liziano,  il  quale  gli  fece  ancor  questo  motto  d'  un  verso 
latino:  in  viridi  tbnbras  exurit  flamma  medullas. 

II  magniflco  Giuliano  suo  fratello,  uomo  di  bonis- 
sima  natura,  ed  assai  ingegnoso,  che  poi  si  cbiam6  duca 
di  Nemours,  avendo  presa  per  moglie  la  zia  del  re  di 
Francia,  sorella  del  duca  di  Savoia,  ed  essendo  fatto 
gonfaloniere  della  Gbiesa,  per  mostrare  cbe  la  fortuna, 
la  quale  gli  era  stata  contraria  per  tanti  anni,  si  co- 
minciava  a  rivolgere  in  favor  suo,  fece  un'  anuna  senza 
corpo  in  uno  scudo  triangolare,  cio^  una  parola  di  sei 
lettere  che  dicevaoLOvis,  e  leggendola  al  rovescio,  si  volg, 
come  si  vede  intagllato  in  marmo  alia  chiavica  traspon- 
tina,  in  Roma,  e  percb^  era  giudicata  di  senso  oscuro 
e  leggier! ,  gli  affezionati  servitor!  interpretavan  le 
lettere  a  una  a  una  facendo  lor  dire  diversissimi  senti- 
nienti,  come  facevano  coloro  nel  conciiio  di  Basilea,  cbe 


DELL*niPRESB.  33 

interpreUrono  11  nome  di  papa  Felice,  dicendo :  FwHx 
id  est  faUus  eremita,  ludificator. 

E  percb^  di  sopra  A  stato  ragionato  deirimpresa  di 
Lorenzo,  non  accade  dir  altro,  se  non  dell'impresa  di 
papa  Clemente,  che  si  vede  dipinta  in  ogni  luogo,  e  fu 
trovata  da  Domenlco  Buoninsegni  florentino,  suo  teso- 
riere ,  il  quale  volentierl  ghiribizzava  sopra  i  secreti 
delta  natura,  e  ritroy6  che  i  raggi  del  sole  trapassando 
per  una  palla  di  cristallo  si  fortiflcano  talmente,  ed  uni- 
scono  secondo  la  natura  della  prospettiva,  che  bruciano 
ogni  oggetto ,  eccetto  le  cose  candidissime.  E  yolendo 
papa  Clemente  mostrare  al  mondo,  che  il  candore  del- 
1'  animo  suo  non  si  poteya  offender  dai  maligni,  n6  dalla 
forza,  usd  quest'  impresa,  quando  i  nemici  suoi  al  tempo 
d'Adriano  gli  congiurarono  contra  per  torgli  la  vita,  e 
io  Stato,  e  non  ebbero  allegrezza  di  condurre  a  fine  la 
congiura,  e  veramente  la  vita  ed  il  governo ,  ch*  egll 
tenevain  Fiorenza,  non  meritaya  tanta  crudelU,  almeno 
di  sangue,  e  Timpresa  riusciva  magniflca  e  ornatis- 
sima,  perch^  v'entrayano  quasi  tutte  le  cose  ch'hanno 
iilustre  apparenza,  e  la  fanno  bella,  come  fu  detto  da 
prlncipio ,  cio^  la  palla  di  cristallo,  ed  il  sole ,  i  raggi 
trapassanti,  la  flamma  eccitata  da  essi,  in  un  cartoccio 
bianco  col  motto  :  candor  iiXiBSus.  Ma  con  tutto  questo 
sempre  fu  oscura  a  chi  non  sa  la  propriety  styldetta, 
di  sorte  che  bisognava,  che  noi  altri  servitori  suoi  Te- 
sponessimo  ad  ognuno,  e  rendessimo  conto  di  quel  che 
ayeva  volutodireil  Buoninsegni  e  di  quel  che  sua  santit^ 
disegnasse  d'esprimere ;  il  che  si  dee  fuggire  in  ogni  im- 
presa,  come  ^  stato  detto  di  sopra.  E  peggio  fu,  che 
essendo  11  motto  scritto  in  un  breve  diviso,  per  sillabe, 
in  quattro  parole,  cio^  ciCN  dor  h^lab  sus,  un  M.  Simone 
schiavone,  cappellano  di  sua  santit^,  che  non  aveva  tante 
lettere  che  potessero  servire  per  uso  di  casa  fuor  della 
messa,  tutto  ammiratlvo  mi  domand6  quel  chevolesse 
signiflcare  11  papa  in  quel  breve,  perchft  non  vedeva  che 
gli  fosse  a  proposito,  ilte  $m  non  volendo  dir  altro  che . 
quel  porcoj  dicendo  spesso,  Ule  vuol  dir  pur  quello,  e» 


ii  DIALOGO 

SU8  vuole  pur  dir  porco,  come  bo  imparato  a  scuoli 
a  Sebenico.  La  cosa  and6  in  gran  risa,  e  passd  sino  a 
sua  santiU,  e  diede  avvertimento  agli  altri  cbe  non 
debbano  spezzar  le  parole  per  lettere,  per  non  faasare 
simili  error!  d' amflbologia  appresso  de'go£Q,  i  qaali 
presumono  d'avere  la  lor  parte  di  sapere,  come  si  dic«, 
fin  al  flnoccbio. 

Quella  ancora,  clie  fece  il  Molza  a  Ippolito  cardinal  dei 
Medici,  fu  bellissima  di  vita  e  di  soggetto,  bencb^  non 
compitamente  intesa,  se  non  da'dotti,  praticbi,  e  ri- 
cordevoli  del  poema  d'Orazio.  Perciocchd  volendo  egli 
espriniere  cbe  donna  Giulia  Gonzaga  avanzava  di  bel- 
lezza  tutte  Taltre  donne,  come  sa  I'eU  nostra,  ehe 
maggiormente  V  ba  in  venerazione  per  li  suoi  santi  eo* 
stumi  ed  eccellente  virttli,  Agurb  una  cometa,  deila  quale, 
recita  Plinio  avere  scritto  Augusto,  cbe  in  tempo  de' 
giuocbi  festivi  da  lui  celebrati  a  Venere  Genitrice,  pocbi 
giorni  appresso  la  morte  di  Giulio  Cesare,  appanre  nella 
parte  del  cielo  settentrionale  per  spa^io  di  sette  giorni 
si  cbiara  ad  ogni  regione,  cbe  cominciava  a  vedersi 
un'ora  innanzi  il  tramontar  del  sole.  Per  I'apparir 
deila  quale  Stella  credette  il  volgo  significarsi,  ranima 
di  Giulio  Cesare  esser  ricevuta  tra  li  dei  immortali.  E 
per  questa  cagione  Tinsegna  deila  cometa  essere  stata 
posta  ^opra  il  capo  deila  statua,  cb*egli  a  Cesare  padre 
adottivo  dedic6  nel  foro.  Gome  poi  Orazio  con  queste 
parole :  Micat  inter  omnes  lulium  $idu$  velut  inter  ignes 
Luna  minores  celebr6  Giulio  Cesare,  cosi  il  Blotoa,  pi- 
gliandone  inter  omnbs  per  motto,  cbe  ben  quadrava, 
volse  onorar  queirunica  ed  eccellentissima  signora.  E 
neir  impresa  essendo  la  flgura  deila  cometa,  pare  cb*ella 
fosse  al  cardinale  ancora  proBostico  di  morte  dolorosa, 
dov'egli,  forse  con  la  spaventevole  Stella  minacciava 
ruina  a  cbi  procurando  male  c^n  fuorusciti  florentini 
si  era  mosso  per  passare  da  Gaeta  in  Africa  air  impera- 
tore,  cb*era  a  Tunisi,  e  per  cammino  in  breve  spazio, 
con  dan  no  e  lamento  di  moiti  suoi,  si  morl  in  Itri , 
castello,  il  qual  era  in  domioio  deila  suddetta  signora 
doiuia  Giu)ia  Gonzaga. 


,  DELL'UfPaBSR.  35 

Ebbe  anco  pbco  ayanti  un^altra  impresa  deireclissi, 
flgnrando  la  lona  nell'ombra,  cbe  fa  la  terra  intermedia, 
posta  fra  lei  e  il  sole ,  con  un  motto  cbe  diceva :  hhvc 
ALiQUANDO  SLUCTABOR.  Volendo  infeHre  ch*egli  erapo- 
sto  nelle  tenebre  di  certi  pensieri  torbidi  ed  oscari,  del 
quali  deliberava  uscir  tosto,  i  quail  pensieri,  percbd  fu- 
rono  ingiusti  e  poco  onesti  a  un  tanto  uomo,  per  non 
dipingerk)  paxzo  e  nemico  deila  grandezza  di  casa  sua, 
iasceremo  di  esplicare  ii  signiflcato  dell* impresa,  la  quale 
sar^  per6  intesa  da  moiti,  ch'banno  memoria  di  lui. 

Dopo  la  morte  del  cardinale,  il  duca  Alessandro  avendo 
tolto  per  moglie,  e  fattone  le  nozze,  madama  Marghe- 
rita  d' Austria  flgliuola  deir  imperatore ,  e  governando 
Fiorenza  ccn  egual  giustizia  grata  ai  cittadini ,  mass!- 
mamente  ne'  casi  del  dare  e  avere ,  e  rltrovandosi  ga- 
gliardo  e  potente  della  persona,  desiderava  farsi  famoso 
per  guerra,  dicendo  cbe  per  acquistar  gloria  e  per  la 
fazione  imperiale  sarebbe  animosamente  entrato  in  ogni 
difficile  impresa,  deliberando  di  vincere  o  di  morire. 
Mi  domandd  dunque  un  giorno  con  istanza ,  ch'  io  gli 
volessi  trovare  una  bell' impresa  per  le  sopravveste  d'ar- 
me  secondo  questo  signiflcato:  ed  io  gli  elessi  quel 
flero  animale,  cbe  si  cbiama  rinoceronte ,  nemico  ca- 
pitale  deir  elefante,  il  quale  esseudo  mandato  a  Roma, 
aecioccbd  combattesse  seco,  da  Emanuello  re  di  Porto- 
gallo,  essendo  gi^  stato  veduto  in  Provenza,  dove  scese 
in  terra,  s*  affogd  in  mare  per  un'  aspra  fortuna ,  negli 
scogli  poco  sopra  Porto  Venere :  n^  fu  mai  possibile 
cbe  quella  bestia  si  potesse  salvare  per  esser  incatenata, 
ancorcbd  nuotasse  mirabilmente ,  per  I'asprezza  degii 
altissimi  scogli,  cbe  fa  tutta  quella  costa.  Per6  ne  venne 
a  Roma  la  sua  vera  efflgie,  e  grandezza;  e  ci6  fu  del 
mese  di  febbraio,  Tanno  MDXV,  con  informazioni  della 
natnra  sua,  la  quale  secoud6  Plinio,  e  siccome  narrano 
i  Portogbesi,  ^  d'andare  a  trovare  1' elefante,  assaltan- 
dolo,  e  percotendolo  sotto  la  pancia,  con  quel  duro  e 
acuto  corno  cbe  tiene  sopra  il  naso ;  n6  mai  si  parte 
dal  oemico^  n^  dal  combatUmenjtOi  fin  cbe  npn  r  ba  al- 


26  IHALOGO 

terrato  e  morto;  il  che  il  pia  delle  volte  gli  succede 
quando  Telefante  con  la  sua  proboscide  non  rafferra 
per  la  gola,  e  lo  strangola  neir  appressarsl.  Feces!  dun- 
qae  la  forma  del  detto  rinoceronte  in  bellissimi  rlcami, 
che  servivano  ancor  per  coperla  di  cavalli  barberi,  i 
quali  corrono  in  Roma  ed  altrove  il  premio  del  palio, 
con  un  motto  di  sopra  in  lingua  spagnuola :  no  bublvo 
SIN  vBNCRR.  lo  uou  fitomo  indietix)  senza  vittoria,  se* 
condo  quel  verso  che  dice : 

Bhinocerot  nunquam  vichu  db  hoste  rediL 

E  parve  che  quest'  impresa  gli  piacesse  tanto,  che  la 
fece  intagliare  di  lavoro  d'agimia  nel  corpo  della  sua 
corazza. 

DoM.  Poich^  voi  avete  raccontate  I'imprese  di  que- 
sti  illustrissimi  principi  della  casa  de' Medici  gi&morti, 
siate  contento  ancora  di  dir  qualche  cosa  di  quella 
che  porta  V  eccellentissimo  signor  duca  Gosimo ,  delle 
quali  tante  se  ne  veggono  in  palazzo  dei  detti  Medici. 

Gio.  Gerto  che  il  giorno  delle  nozze  sue  io  ne  vidi 
molte  fabbricate  da  gentili  ingegni :  sopra  tutte  una  me 
ne  piacque,  per  essere  molto  accomodata  a  sua  eccel- 
lenza,  la  quale  avendo  per  oroscopo  ed  ascendente  sac 
il  capricomo,  che  ebbe  anche  Augusto  Gesare,  come  dice 
Svetonio,  e  per6  fece  battere  la  moneta  con  tale  ima- 
gine, mi  parve  questo  bizzarre  animale  molto  al  pro- 
posito,  massimamente,  che  Carlo  Quinto  imperatore, 
sotto  la  cui  protezione  fieri  see  il  principato  del  prefato 
signor  duca ,  ebbe  ancor  egii  il  medesimo  ascendente. 
E  parve  cosa  fatalc  che  il  duca  Gosimo,  quel  medesimo 
di  di  calende  d'agosto,  nel  qual  giorno  Augusto  consegni 
la  vittoria  centre  Marcantonio  e  Gleopatra  sopra  I'a- 
ziaco  promontorio,  e  quel  giorno  anch'egli  sconflsse 
e  prese  i  suol  nemici  a  Monte  Murlo.  Ma  a  questo  ca- 
pricomo, che  porta  sua  ecceUenza,  non  avendo  motto, 
acciocch^  T  impresa  sia  compita,  io  ho  aggiunta  Ta- 
^  Aima  d'un  motto  latino :  vtdem  fati  viiitute  ssQUKiroa; 


D£LL  1MPRKS£.  H 

qaasi  che  voglia  dire  :  io  far6  con  propria  virtii  forza 
di  conseguire  quel  che  mi  promette  r  oroscopo.  E  cosi 
r  ho  fatto  dipingere,  figurando  le  stelle  che  entrano  nel 
segno  del  capricorno,  e  nella  camera  dedicata  all'Onore, 
la  qaal  vedeste  al  Museo,  dove  6  ancora  Taquila,  che 
signiflca  Giove,  e  V  imperatore,  che  porge  col  becco  una 
corona  trionfale  col  motto  che  dice:  iuppitrh  mkren- 
TiBus  opfkrt:  pronosticando,  che  sua  ecceilensa  merita 
ogni  glorioso  premio  per  la  sua  vlrtCi. 

Ebbe  un'altra  impresa  nel  principio  del  suo  princi- 
pato,  dottamente  trovata  dal  reverendo  M.  Pierfrancesco 
da  Rivi,  suo  maggiordomo,  e  fuquelche  dice  Virgilio 
neir  Eneida  del  ramo  d'  oro  col  motto  :  uno  avulso  non 
DSPiGiT  ALTER,  flguraudo  uu  ramo  svelto  daH'albero, 
in  luogo  del  quale  ne  succede  subito  un  altro ;  volendo 
intendere  che  se  bene  era  stata  levata  la  vita  al  duca 
Alessandro ,  non  mancava  un  altro  ramo  d'  oro  nella 
medesima  stirpe. 

Don.  Parmi,  monsignore,  che  abbiate  tocco  abbastanza 
quel  che  ragionevolmente  spetta  alia  casa  de'  Medici. 
Resta  che  parliate  degli  altri  principi,  e  famosi  capitani, 
i  quali  avete  conosciuti  al  tempo  vostro. 

Gio.  FaroUo,  e  dico  che  gi^  voi  con  lo  stuzzicarmi, 
mi  farete  ricordare  di  molte  cose  attenenti  a  questo 
proposito,  e  non  mancher6  di  fregarmi  la  coUottola, 
per  servire  al  vostro  desiderio,  purch6  per  11  numero 
tante  imprese  non  vi  vengano  a  noia. 

Don.  .Questa  memoria  hon  d  per  venire  si  tosto  a  noia 
a  persona  che  abbia  giudizio,  e  che  si  diletti  di  genti- 
lezze  erudite ,  per6  vi  prego  che  non  vi  scusiate  con 
si  fiero  ed  estremo  caldo,  il  quale,  ancor  che  siamo  a 
sedere,  ed  in  luogo  assai  fresco,  grandemenle  vi  fa  sudare. 

Gio.  E'  mi  par  dunque  di  metter  mano ,  se  cost  vi 
piace ,  alia  bossola  del  gran  capitani,  i  quali  voi  avete 
visti  celebrati  da  me  nell' istoH  a.  E  mi  par  che  Tonor 
di  Roma  meriti  che  si  cominci  da'  Romani,  perchd  eglino 
in  effetto  hanno  portato  in  s^  grandezza  e  graviU't  di 
sc  eiti  capilani^  cone  eredi  dell* antica  virtu  della  patria^ 


28  DIALOGD 

(ra*  qaali  a'  mtei  d)  le  due  principali  famiglie,e  capi  del- 
Tantica  fazlone  (ruelfa  e  (ifhibellina ,  cbe  si  chiamano 
Orsini  e  Golonnesi,  n'hanno  avuto  an  bel  paio  per 
ciascana:  neU'arsina,  Viiyinlo  e  Nicol6,  conti  di  Piti- 
gliano :  nella  colonnese,  Prospero  e  Fabrizio ;  Virginio 
d'autoriU,  ricrbezze,  e  concorso  de'  soldati,  e  splendor 
di  casa,  essendo  stato  capitano  quasi  di  tutti  1  poten- 
tati  d' Italia,  venne  al^colmo  della  grandezza,  della  quale 
cased  poi  nella  yenuta  del  re  Carlo,  essendo  stato  preso 
col  conte  di  PitiRliano  a  Nola  da' Frances!,  ingannati 
dalla  promessa  de'  Nolani,  e  di  Lui^  d'Arsio  capitano  de' 
Francesi,n^  prima  furono  liberati  cbe  nella  furia  del  fatto 
d'arme  del  Taro,  nel  quale  si  sf^abellarono  destramente  delle 
mani  di  cbi  gli  guardava,  cb'era  intento  ad  altro.  In  questo 
tempo  i  signori  Colonnesi,  condotti  dal  cardinale  Asca- 
nio  Sforza,  cbe  nel  principio  servivano  Francesi,  essen- 
dosi  poi  fatto  nuova^  lega  fra  i  potentati  d*Ruropa,  ritor- 
narono  al  servizio  del  re  Ferrandino,  ma  prima  Prospero 
cbe  Fabrizio,  il  quale  poi(seguendo  Tesempiodi  Prospero) 
ancor  si  fece  aragonese.  Virginio  fu  invitato  d'andare 
a  servire  il  re  Ferrandino  con  ofTerta  di  gran  soldo, 
e  ricompensa  deH'onore  e  dello  stato,  cbe  fu  TufiScio 
del  gran  contestabile,  dato  al  S.  Fabrizio,  e  lo  Stato  di 
Abruzzo,  d'Alba  e  di  Tagliacozzo;  ma  giudicando  egii 
cbe  non  ci  fosse  Tonor  sno,  come  caparbio,  si  fece  fran- 
cese,  e  rigett6  gli  stipend]  loro,  ancor  cbe  in  ci6  i  me- 
desimi  signori  Ursini  non  approvassero  quel  suo  con- 
siglio,  poi  cb'era  tutto  in  pregiudizio  della  salute  d'l- 
talia,  la  quale  in  quel  tempo  conspirava  contra  i  Fran- 
cesi, dubitando  di  nonandare  in  servitA  di  quella  po- 
tentissima  nazione.  Ma  essendo  indurato  da  una  fatale 
ostinazione ,  and6  col  seguito  di  molti  capitani  della 
fazion  sua  contra  il  re  Ferrandino,  dicendo  a  cbi  lo 
consigliava,  e  fra  gli  altri  agli  uomini  del  papa,  del  duca 
Lodovico,  e  de*  signori  Veneziani,  cbe  gii  proponevano, 
e  mostravano  i  pericoli  ne'  quali  si  metteva,  e  i  cbiarl 
premi  cbe  daU'altra  parte  se  gli  ofTerivano:  lo  son  si- 
mijyQ  al  caniello,  il  quale  per  nalura,  arrivando  a  ua 


obll'uiprssb.  S9 

fonte  chiaro,  non  beve  di  queiracqua  se  prima  calpe- 
staadola  uou  la  fa  torbida.  fi  per  questo  porto  ua  ca- 
mello,  cbe  intorbidava  ua  fonte,  inchinandosi  per  bere, 
con  questo  motto  francese :  il  he  plait  l'£au  troublb.  Ma 
certo  11  sao  tristo  consiglio  ebbe  pessimo  fine,  percb^ 
superato  in  quella  guerra,  assediato  in  Atella,  epreso, 
morl  nella  prigione  di  Gastel  deir  Ovo,  e  cosi  porto  la 
pena  della  sua  perversa  opinione, 

11  coute  di  PitigUano,  assoldato  da'signori  Veneziani 
alia  guerra  di  Lombardia,  merito  d'esser  generale,  ed 
ebbe  per  impresa  11  coUare  di  ferro ,  cbiamato  in  la- 
tino MiLLus  ,  il  qual  6  ripieno  d'  acute  punte,  come  si 
vede  al  collo  de'  cani  mastini  de'  pastor! ,  per  difender- 
gli  dal  morso  de'  lupi.  Yedesi  oggidi  la  suddetta  impresa 
in  Roma  nel  palazzo  di  Nicosia,  cbe  6  d'  uno  de'  signori 
di  casa  Ursina,  e  nel  mezzo  del  detto  collare  sta  il 
motto  Che  dice:  prius  mori  quam  fidbm  fallbrb.  Vi 
sono  anche  due  mani ,  cbe  nel  far  vista  di  pigliar  il 
collare,  si  trovano  passate  pel  mezzo  dalle  punte  cb'egli 
tia  attorno,  ed  in  mezzo  sta  la  rosa. 

Alie  nominate  due  imprese  non  cedevano  punto,  n6 
di  beilezza,  n6  di  propneta  di  signiflcato,  quelle  de'  due 
fratelli  cugini  Golonnesi,  Prospero  e  Fabrizio,  i  quali  in 
diversi  tempi  portarono  diverse  invenzioni,  secondo  le 
fantasie  loro ,  parte  militari  e  parte  amorose :  perch^ 
ciascun  di  loro  insino  all'estrema  veccbiezza  non  si  ver- 
gogn6  mai  d'esser  innamorato,  massimamente  Prospero, 
il  quale  avendo  posto  il  pensiero  in  una  nobilissima 
donna,  della  quale  per  coprire  il  favore  cb'egli  n'a- 
veva  e  per  mostrare  Tonest^,  s'assicurb  di  menar  seco 
per  compagno  un  famigliar  suo  di  bassa  lega,  il  cbe  fu 
molto  Incautamente  fatto,  percioccb^  la  donna  sua,  come 
generalmente  quasi  tutte  le  donne  sono  vagbe  di  cose 
nuove,  s'  innamoro  del  compagno,  talmente  cbe  lo  fece 
degno  deiramor  suo;  di  cbe  avvedutosi  Prospero,  e 
sentendone  dispiacere  inflnito ,  si  mise  per  impresa  ii 
toro  di  Perillo ;  cbe  fu  il  primo  a  provare  quella  gran 
pena  del  fuoco  acceso  sotto  il  ventre  del  toro,  nel  quale 


30  .    mAtXMiO 

egli  fu  posto  dentro,  per  capriccio  del  tiranno  Falari, 
e  di  donde  usciva  lamento  di  voce  umana,  e  mlserabil 
muggito.E  ci6  fece  Prospero  per  inferire  cb'egli  mede- 
simo  era  stato  cagione  del  mal  suo,  e  ii  motto  era  tale : 
iNGENio  BXPBRioa  FUNBRA  DiGNA  MBO.  Fu  quest'iny^n- 
zione  del  dottissimo  poeta  M.  Gabriele  Attilio,  vescovo 
di  Policastro. 

DoM.  A  me  pare  che  Tanima  di  questa  vaghissima  in- 
venzione  potesse  esser  piU  bella,  e  qaadrerebbe  forse 
meglio  dicendo,  spontb  gontractum  inbxplabilb  malum. 

Gio.  Cerlamente  quella  del  signor  Fabrisio  pass6  il 
segno  di  bellezza,  il  quale,  perseverando  nelle  parti  fran- 
cesi,  invitato  a  seguire  il  consenso  d' Italia  con  gran 
premio,  nel  princlpio  fece  molta  resistenza,  e  si  pose 
per  impresa  sulla  sopravveste  un  vaso  antico  pien  di  du- 
cati  d'oro,  con  questo  motto:  samnitico  non  capttur 
AURO ,  significando  cbe  esso,  come  Fabrizio,  era  simile 
a  queir  antico  romano,  cbe  da'Sanniti  in  lega  con  re 
Pirro  non  volse  esser  eorrotto,  ancora  con  gran  quan- 
tity d'oro;  il  qual  motto  e  suggetto  resta  tanto  pid  ec- 
cellente,  quanto  d  pi  A  ronforme  all'  antico,  per  il  nome 
di  Fabrizio,  e  Tu  trovato  da  lui  medesimo.  Ne  port6  an- 
cora un'altra  assai  accomodata,  e  fu  la  pietra  del  pa- 
ragone,  con  molte  linee  e  vari  saggi,  col  motto,  fides 
HOG  UNO,  VIRTUSQUB  PROBANTUR.  Quasi  Yolcssc  dire,  Che 
la  virtA  e  fede  sua  si  sarebbono  conosciute  al  para- 
gone  d'ogni  altro.  Fu  portata  da  lui  quest' impresa  nella 
giornata  di  Ravenna,  dove  il  valor  suo  fu  da  tutti  cbia- 
ramente  conosciuto ,  ancor  ch'egli  vi  restasse  ferito  e 
prigione. 

Nella  medesima  guerra  il  signor  Marcantonio  Colonna, 
nipote  carnal  di  Prospero,  ch'  era  stato  posto  in  presidio 
della  difesa  della  citt^  di  Ravenna,  nelia  quale  si  portd 
franchissimamente  contra  Timpeto  della  terribil  bat- 
teria  di  monsignordl  Foix,  ebbe  un'impresa,  la  quale  di 
argutezza ,  a  mio  parere,  avanza  ogni  altra ,  e  fu  un 
ramo  di  palma,  attraversato  con  un  ramo  di  cipresso, 
e  il  motto  di  sopra,  il  qual  fu  composto  da  Marcanto- 


DBLL'lMPaBSE.  31 

nio  Casanova,  poeta  eccellente,  che  diceva:  erit  al- 
TsaA  MERGES :  volendo  inferire,  ch'egli  andava  alia  guerra 
per  riportarne  vittoria  o  per  morire ,  essendo  la  palma 
segno  di  vittoria ,  e  il  cipresso ,  funebre.  Ebbe  questo 
signore  in  sd  tutti  i  doni ,  che  la  natura  e  la  fortuna 
potessero  dare  ad  uomo  per  farlo  singolare. 

II  medesimo  Marcantonio  ne  porto  un'altra  alia  guerra 
della  Mirandola  e  di  Bologna,  nella  quale  era  legato  II 
cardinale  di  Pavia,  che  essendo  di  natura  alle  volte 
troppo  strano  ed  imperioso,  esso  signore ,  come  gene- 
roso  ed  altiero  romano,  non  intendeva  esser  comandato, 
ma  voleva  far  ogni  debito  di  fazion  militare  da  s6  stesso, 
tanto  pill  vegg^do  che  il  detto  cardinale  usava  incon- 
venienti  modi  col  duca  d'Urbino,  per  li  quali  fu  poi 
da  lul  ucciso.  Per  dimostrar  dunque  Tanimo  suo,  fece 
rimpresa  deU'aerone,  che  in  tempo  di  pioggia  vola 
tant'alto  sopra  le  nuvole,  che  schifa  Tacqua,  che  non 
gli  venga  addosso,  ed  altrimenti  d  usato  di  starsi  sguaz- 
zando  nelle  paludi  per  natura,  amando  r  acqua  da  basso, 
ma  non  quella  che  gli  potesse  cader  sopra.  L'  impresa 
riuscl  giocondissima  di  vista,  perch^  oltre  la  vagbezza 
deli'uccello,  chiamato  in  latino  ilrei^a,  v' era  flguratoil 
sole  sopra  le  nuvole ,  e  Tuccello  stava  tra  le  nuvole  , 
e  il  sole,  nella  region  di  mezzo,  dove  si  generano  le 
pioggie  e  le  grandini.  Da  basso  erano  paludi  con  verdi 
glunchi  ed  altre  verzure,  che  nascono  in  simil  luoghi, 
ma  sopra  tutto  era  ornato  d'un  belli ssimo  motto,  co[ 
breve  che  girava  intorno  al  coUo  deir  aerone :  natura 
DiGTANTB  FEROR.  L' iuvenzioue  non  fu  tutta  del  signor 
Marcantonio,  ma  fu  aiutato  dagringegni  eruditi,  de'  quali 
egli  faceva  molto  conto,ed  onorava;  e  fra  quegli  fui 
ancor  io  un  tempo,  e  de'  famigliarissimi. 

Viemmene  a  mente  un'altra,  ch'egli  pur  us6,  come 
quel  che  si  dilettava  molto  di  simili  ingegnose  imprese ; 
e  se  la  mise  alia  guerra  di  Verona,  la  qual  citt^  fu 
francamente  difesa  dalla  virtd  sua  contra  Timpetuosa 
forza  di  due  campi,  francese  e  veneziano.  Figur6  dun- 
que una  veste  in  mezzo  il  fuoco,  la  quale  non  ardeva. 


32  OlALOGO 

come  quel  che  voleva,  ch'eMa  s'iotendesse  fatu  di  quel 
iino  dMndia,  chiamato  da  Plinio  a^estino,  la  natura 
del  quale  6 ,  nettarst  dalle  macchie ,  e  non  consumarsi 
nel  fuoco,  ed  aveva  questo  motto:  skmper  pkevigai. 
Quasi  yolesse  dire,  cb'egli  sarebbe  stato  costantissimo 
contra  dgni  forza  di  guerra  de'  nemici. 

Imit6  felicemente  la  prontezza  deiriugegno  del  signor 
Marcantooio,  11  signor  Muzio  Colonna,  cbe  fu  nipote 
del  signor  Fabrizio,  il  quale  fu  vaioroso  e  prudente  ca- 
valiero,  e  merit6  d'aver  la  compagnia  di  cento  ktnce, 
da  papa  Giulio  li ,  e  poi  da  papa  Leone  X ,  nei  saioni 
e  bandiere  della  qual  compagnia  fece  fare  una  assal 
proporzionata  impresa,  cio6  una  mano  cbe  abbru- 
ciaya  nel  fuoco  d'un  altare  da  sacrificio,  e  col  motto; 
FoaTu  FACRRs  BT  PATi  ROMANUM  EST :  alludcndo  al  8U0 
nome  proprio,  a  similitudine  di  queir  antico  Muzio,  cbe 
di  segno  indamo  d'ammazzar  Porsena  re  di  Toscana,  il 
quale  volse  cbe  la  mano  cbe  errd  ne  portasse  la  pena, 
ii  cbe  fu  di  tanta  meravlglia,  cbe  come  dice  il  poeta, 
Hanc  spectare  manum  Porsena  non  potuit,  Fu  Tinvenzione 
di  messer  Otamira ,  uomo  ietterato  e  servitore  antico 
di  casa  Golonna. 

I  signori  Colonne^i  ne  portarono  una ,  la  quale  ser- 
viva  universalmente  per  tutto  il  ceppo,  fatta  in  quello 
esterminio  di  papa  Alessandro  contra  i  Baroni  romani, 
perch^  furono  costretti  tutti  col  cardinale  Giovanni  fug- 
girsi  di  Roma,  e  ricoverarono  parte  nel  regno  di  Napoii, 
e  parte  in  Sicilia;  nel  qual  caso,  parve  cbe  prendes- 
sero  miglior  partito,  cbe  non  avevano  fatto  i  signori 
Ursini,  avendoeglino  eletto  di  voler  piuttosto  perder  la 
roba  e  lo  Stato,  cbe  commetter  la  vita  airarbitrio  di 
sanguinosissimi  tiranni.  II  ch^  non  seppero  far  gli  Ursini, 
i  quali  perci6  ne  restarono  disfatti,  e  miserabilmente 
strozzati.  L'impresa  fu,  che  essi  volevano  dire  che  an- 
cor  cbe  la  fortuna  gli  perseguitasse  e  gli  sbattesse,  essi 
per6  restavano  ancor  vivi,  e  con  speranza,  cbe  passata 
I'asprezza  della  burrasca,  s'avessero  a  rilevare.  Fu,  dico, 
I  I'impresa  alquanti  giuncbi  in  mezzo  d'una  palude  tur- 


DSLL^UfPIIKSE.  33 

bata  da  venti,  la  natura  de'  quali  ^  di  piegarsi,  ma  non 
gi^  di  romperei  per  V  impeto  dell'  onde  o  de'  venti.  Era 
il  motto:  Flectimur  non  FaANGiiiUR  undis. 

DoM.  lo  giudico,  monsignore,  che  quest' invenzione^  e 
fosse  di  cbi  si  volesse,  sia  bellissima,  e  compita  d'a- 
nima  e  di  corpo. 

Gio.  Ed  io  credo,  anzi  tengo  per  fermo,  ch'ella  uscisse 
dair  ingegno  di  raesser  lacopo  Sannazzaro,  poeta  chia- 
rlssimo,  e  molto  favorito  del  re  Federico,  dal  quale  fu- 
rono  raceolti  e  stipendiati  i  Colonnesi,  e  dopo  che  esso 
re  fa  cacciato,  s'accostarono  al  gran  capilano. 

DoM.  Poicli6  avete  narrate  V  Imprese  de*  signorl  ro- 
mani,  mi  parrebbe  conveniente  cbe  voi  narraste  ancora 
1' imprese  degii  altri  principi  e  capitanl  d'ltalia,  ed  anco 
de'  forestieri,  se  ve  ne  sovviene. 

Gio.  Udite  prima  quella  che  port6  il  signor  Bartolo- 
meo  Alviano,  valoroso  e  vigilante,  bencb^  poco  felloe 
capitano :  egli  fu  gran  difensore  della  fazione  ursina , 
difese  valorosamente  Bracciano  contra  la  forza  di  papa 
Alessandro,  e  prese  Viterbo,  rovinando  la  parte  Gatle* 
sea,  in  fay  ore  de' Maganzesi ,  dicendo  che  quegli  erano 
ii  pestifero  veleno  di  quella  citt^.  Ed  essendo  stato 
morto  il  capo  loro  Giovan  Gat  to,  fece  fare  per  impresa 
nello  stendardo  suo  I'animale  chiamato  Tunicorno, 
la  proprieta  del  quale  6  contraria  ad  ogni  veleno,  fl- 
gurando  una  fontana  circondata  d'aspid^  botte  ed  altri 
serpenti ,  che  vi  fossero  venuti  a  here ,  e  V  unicorno 
prima  che  vi  bevesse  vi  cacciasse  dentro  il  cor  no  per 
purgarla  dal  veleno,  mescolandola,  come  6  di*  sua  na- 
tura, ed  aveva  un  motto  al  coUo:  vbnbna  pkllo.  II 
detto  stendardo  si  perd^  nella  giornata  di  Vicenza, 
avendolo  difeso  un  pezzo  dalla  furia  de'nemici  Marcan- 
tonio  da  Monte,  Veronese,  che  lo  tenne  abbracciato,  n^. 
mai  lo  lasci6  fin  che  non  radde  morto. 

Metter6  mano  ora  a  quelli  che   hanno   avanzato  gli 

altri  di   fama  e   di  gloria,  fra  i  quali  istimo  il  primo 

Francesco  di   Gonzaga,   signor  di   Mantova,  11  quale 

tiusci  famosissimo  per  la  giornata  del  Taro   e  p(>r  la 

Giovio,  3 


34  DULOOO 

vittoria  della  conquista  del  reame  di   Napoli  per  il  re 
Ferrandino;  essendo   stato  il  detto  marches  e   dt  Man- 
tova  calunniato  appresso  il  senato  veneziano,  del  quale 
egli  era  capitaao  generale,  da  alcuni  m align i  ed  invi- 
diosi,  poich^  si  fu  chiarissimamente  giustiiicato  e  pur- 
gato,  us6  per  impresa,  come  cosa  che  moito  quadrava 
a  suo  proposilo,  un  cruciuolo  al  fuoco  pieno  di  verghe 
d'oro,  nel  qual  vaso  si  fa  certa  prova  della  finezza  sua, 
con  un  l)el  motto  di  sopra,  tratto  dalla  Sacra  Scrittura  : 
pROBASTi  MR  DOMiNs,  ET  cooNOvisTi,  voleudo  intend  ere 
ancora  la  segaente  parola,  cio^:  sessionem  meam,  per- 
ch^ quel  calunniatori  avevano  detto    che  il  marchese 
in  quella  giornata  aveva  voluto  sedere  sopra  due  selle, 
cio6  servire  i  signori  Yeneziani  col  flero  combattere , 
e  il  signor  Lodovico  Sforza ,  suo  cognato ,  col  tempo - 
reggiar  dopo  la  giornata,  lasciando  di  seguitar  i  Fran- 
ces! mezzi  rotti ,  nel  qual  caso  esso  non  ebbe  coipa , 
perch^  fu  tutta  del  conte  Gaiazzo,   che   si   volse   far 
grato  alia  casa  di  Francia,  sapendo  di  non   fame  di- 
spiacere  al  duca  Lodovico  ,  che  non  desiderava  veder 
totalmente  vincitori  i  signori  Yeneziani,  acciocch^  di- 
sfatti  i  Francesi,  vittoriosi  non  andassero  per  occupare 
lo  stato  di  Milano,  da  lor  desiderato  flno  al  tempo  del 
padre  e  del  duca  Filippo. 

Fra  i  chiarissimi  capitani  fu  senza  controversia  di 
somma  perizia  e  d'estrema  riputazione  il  signor  Gio- 
vanni Giacopo  Trivulzio ,  il  quale  dapprincipio ,  come 
nemico  del  duca  Lodovico  Sforza,  veggendolo  incam- 
minato  a  occupar  il  ducato,  ch'era  legittimamente  del 
nipote,  si  parti  sdegnato,  non  potendo  sodrire  i  modi 
d'esso  signor  Lodovico,  ed  accostossi  col  re  d'Aragona, 
il  quale  allora  s'era  scope rto  nemico  dello  Sforza,  per 
la  medesima  cagione.  £  vol^ndo  inferire,  che  nel  go- 
verno  della  patria  sua,  egli  non  era  per  cedere  un 
punto  a  esso  signor  Lodovico ,  pcrtd  per  impresa  un 
quadretto  di  marmo,  con  uno  slil  di  ferro  piantato  in 
mezzo,  opposto  al  sole,  che  era  antica  insegna  di  casa 
Trivulzia,  con  un  motto:  non  cbdit  umbra  sou.  Poi- 


chd  girando  il  sole  quanto  si  vuole,  sempre  quello  stile 
rende  la  sua  ombra. 

Alfonso  duca  di  Ferrara ,  capitano  di  risoluta  pro- 
dezza  e  mirabil  costanza,  quand'  egli  and6  alia  batta- 
glia  di  Ravenna ,  port6  una  palla  di  metallo  plena  di 
fuoco  artiflciale ,  che  svampava  per  eerie  commissure, 
ed  6  di  tale  artiflcio  che  a  luogo  e  tempo  il  fuoco 
terminato  rompendosi  farebbe  gran  fracasso  di  quegli 
che  gli  fossero  incohtro,  ma  gli  mancava  11  motto ,  il 
quale  gli  fu  poi  aggiunto  dal  famoso  Ariosto,  e  fu :  logo 
BT  TEMPORE ;  6  fu  poi  conveitlto  in  lingua  francese , 
per  pia  bellezza,  dicendo  :  a  lieu  bt  temps.  MostroUo 
in  quella  giomata  sanguinosa ,  pcrchd  drizz6  di  tal 
sorte  rartiglicria  che  fece  grandissima  strage  d'uomini. 

II  duca  dUrbino,  poich^  per  la  morte  di  papa  Leone, 
rlcaper6  il  suo  stato,  essendosi  insieme  co*  signori  Ba- 
glioni  riconcillato  e  collegato  con  Giulio  cardinal  de^e- 
dici,  che  governava  allora  lo  stato  di  Fiorenza,  fu  con- 
dotto  da  quella  repubblica  per  generale,  ed  avendomi 
M.  Tommaso  de'  Manfred! ,  suo  ambasciatore  ,  ricercato 
chMo  troyassi  unMmpresa  per  lo  stendardo  e  per  le 
bandiere  de'trombettl  del  duca,  io  gli  feci  una  palma 
che  aveva  la  clma  plegata  verso  terra,  per  un  gran 
peso  di  marmo  che  v'era  attaccato,  volendo  esprimere 
quel  che  dice  Plinio  della  palma,  che  il  legno  suo  ^ 
di  tal  natura  che  ritorna  al  suo  essere  ,  ancorch^  sia 
depresso  da  qualslvoglia  peso,  vincendolo  in  spazio  di 
tempo  con  Fitirarlo  ad  alto,  col  motto  che  diceva:  in- 
CLiNATA  RESURGiT,  alludcudo  alia  virtti  del  duca ,  la 
quale  non  aveva  potuto  opprimere  la  furia  della  for- 
tuna  contraria,  bench6  per  alcun  tempo  fosse  abbas- 
sata.  Placque  molto  a  sua  Eccellenza  questa  impresa , 
ed  ordin6  che  si  facesse  lo  stendardo,  ancorch^  per 
degna  occorrenza  non  venisse  a  prendere  il  bastone 
del  generale. 

DoM.  Piacemi  molto  che  siate  entrato  a  narrar  Tim* 
prese  ch'avete  fatto  di  vostro  ingegno,  sapendo  che  ce 
ne  sono  molte  a'diversi  signori,  come  ho  veduto  net 
Museo. 


36  DIALOGO 

Gio.  Gertamente  io  n*  ho  fatte  pareccbie  a'  miei  giorni, 
ma  mi  vergogno  a  narrarrele  tutte,  perchft  ce  ne  sono 
alcune  ch^hanno  i  difetti  che  sogliono  avere  le  cose 
umane,«attesoch6  come  ho  par  detto  da  prmcipio ,  ii 
formar  dell'imprese  6  quasi  come  una  ventura  d'uu 
capriccioso  cervelio,  e  non  6  ia  nostra  maao  col  lango 
pensare  trovar  cosa  degna  del  concetto  e  del  padrone 
che  ia  vuoi  portare ,  ed  anco  deir  autore  che  la  com- 
pone.  Perch^  vi  mette  deli'onore,  quando  per  aitro 
6  stimato  ietteratp.  Ed  in  effetto ,  aitro  ^  il  ben  dire 
in  narrare  an  concetto ,  ed  aitro  6  esprimerlo  con  anima 
e  corpo,  che  abbia  del  buono  e  niente  delio  sciocco. 
Ed  a  me,  che  n*ho  fatte  tante  per  altri,  volendo  tro- 
var an  corpo  di  soggetto  in  corrispondenza  deiranima 
del  motto,  ii  qaale  porto  io ,  che  ^ :  fato  pauD£NTiA 
MINOR,  6  intervenuto  qael  che  awiene  ai  calzoiari ,  1 
quali  portano  le  scarpe  rotte  e  sgarbate,  facendole 
nuove  a  posta  alia  forma  del  pi6  d' altri.  Perciocchd 
non  ho  potato  mai  trovar  soggetto  di  cosa  alcuna  che 
mi  soddisfaccia,  come  intervenne  ancora  a  M.  Glasone 
del  Maino,  come  ho  detto  di  sopra.  Ma  prima  ch'  io  vi 
dica  le  mie,  per  modestia  narrer6  par  qaeile  degli 
altri,  acciocch^  le  mie  gli  facciano  baon  paragone. 

DoM.  Gaardate,  par,  monsignore,  che  forse  non  ne 
smacchiate  qaalcana  che  vi  paia  zoppa. 

Gio.  Certo  no,  perchd  io  non  voglio  ricordarmi  se 
non  delle  belle ,  attesochd  si  6  detto  assai  delle  ridi- 
cole,  e  per  continaare  11  proposito ,  dico  che  qaella 
del  signer  Ottaviano  Fregoso  alia  gaerra  di  Bologna  e 
di  Modena ,  fa  repatata  ingegnosissima,  ma  alqaanto 
strava(;ante  per  la  pittura,  perch6  port6  ana  gran  fihsa 
delia  lettera  0,  negra  in  campo  d'oro ,  nel  lembo  del- 
i'estremit^  delle  barde,  le  qaali  iettere  per  abbaco  si- 
gniflcano  nalla ;  e  qaando  hanno  ana  lettera  di  namero 
avanti,  (anno  ana  moltitadine  qaasi  infinita ;  verbigra- 
zia  facendovi  an  jota,  signiflcher^  milioni  di  milioni. 
Era  an  breve  di  sopra  ai  lembo,  che  Io  girava  tatto, 
dicendo:  hog  pbr  ss  nihil  est,  sbd  si  mNacnif  addidb- 


DBIX'mPRKSB.  37 

BIS  MAxnfDM  FiBT,  signiflcando ,  che  con  ogni  poco 
d'aiuto  avrebbe  ricuperato  lo  stato  di  Genova,  il  quale 
fu  gi^  del  signor  Pietro  suo  padre,  e  vi  fu  ammazzato 
combattendo,  essendo  esso  signor  Ottaviano,  come  fuoru- 
scito,  quasi  niente  appoggiato  al  duca  d'Urbino,  ma 
in  assai  espettazione  d'esser  rimesso  in  casa,  come  fu 
poi  da  papa  Leone.  £  ben  vero  che  il  motto  d  sover- 
chiamente  lungo,  ma  la  natura  deir  argutissimo  sog- 
getto  lo  comporta  molto  bene. 

II  signor  Girolamo  Adomo  ,  il  quale  prendendo  Ge- 
nova col  braccio  de'  Cesariani,  cacci6  il  detto  signor  Ot- 
tavio  Fregoso,  per  aver  egll  ceduto  al  ducato  ,  facen- 
dosi  egli  francese,  col  nome  di  govematore,  fu  giovane 
di  gran  virta,  e  perci6  d'incomparabile  espettazione, 
ma  la  morte  gli  ebbe  i  nvidia  troppo  presto.  Esso,  come 
giovane^  arditamente  innamorato  d'una  gentildonna  di 
beliezza  e  pudicizia  rara,  la  quale  lo  conosceva,  ed  an- 
cor  Vive,  mi  richiese  ch'io  gli  facessi  unMmpresa  di 
questo  tenore ,  che  pensava  e  teneva  per  certo  che 
I'acquisto  dell'amor  di  costei  avesse  ad  essere  la  con- 
tentezza  e  principio  della  felicity  sua,  o  che  non  Tacqui- 
stando  fosse  per  metter  fine  ai  travagli  che  aveva  sop- 
portati  per  I'addietro,  si  dl  questo  amore,  come  nel- 
I'imprese  di  guerra  e  prigionia,  con  affrettargli  la  morte ; 
il  che  udendo ,  mi  sovvenne  quello  che  scrive  Giulio 
Obsequente  De  prodigiis,  cio6  che  il  fulmine  ha  que- 
sta  natura,  che  venemlo  dopo  i  travagli  e  le  disgrazie 
ci  mette  fine,  e  se  viene  nella  buona  fortuna ,  porta 
danni,  rovine  e  morte.  E  cosi  fu  dipinto  il  fulmine  di 
Giove  in  quel  modo  che  si  vede  nelle  medaglie  anti- 
che,  e  con  un  breve  intomo:  bxpiabit  aut  obrubt. 
Piacquegli  molto  Timpresa,  e  fu  lodata  dal  dottissimo 
M.  Andrea  Navagero,  dlsegnata  a  colori  dal  chiarissimo 
M.  Tiziano,  e  fatta  di  bellissimo  ricamo  ed  intaglio  del- 
I'eocellente  Agnolo  da  Modena,  ricamator  veneziano  , 
poco  avanti  che  il  detto  signor  Girolamo  ,  per  adem- 
pire  Tultima  parte  del  motto>  passasse  aU'altra  vita  in 
yenezia>  ove  risedea  per  ambasciator  cesareo. 


38  DIALOOO 

Ma  poich6  siamo  entrati  in  menzione  de' sigaori  Ge- 
novesi,  ve  ne  voglio  nominar  tre  assai  belle,  ch'io  feci 
a  richiesta  di  .due  signori  della  Flisca,  Sinibaldo  ed  Ot- 
tobuono,  ai  quali  fui  moUo  famigliare  e  grato;  essi  mi 
dimandarono  ua'impresa  cbe  signiflcasse  la  vendetta 
da  lor  fatta  della  morte  del  conte  Girolamo  lor  fra- 
tcllo ,  crudelmente  ammazzato  da'  Fregosi  per  emula- 
zione  dello  stato ;  e  fa  tale ,  che  ne  restarono  spenti 
della  vita  i  percussori,  Zaccaria  Fregoso,  il  signer  Fre- 
gosino,  ed  1  signori  Lodovico  e  Guido.  Laonde  si  rae- 
consolarono  della  perdita  del  fratello;  dicendo  ctie  i 
nemici  non  si  potevano  vantare  d'aver  usato  contro 
lui  tanta  crudelt^ :  non  essendo  solito  tra'  Fregosi , 
Adorni  e  Fliscbi,  insanguinarsi  le  mani  del  sangue  dei 
contrari,  ma  solamente  esser  lecito  di  contendere  del 
principato  tra  loro  civilmente,  ovvero  a  guerra  aperu. 
lo  feci  lor  dunque  on  eletante  assaltato  da  un  dragone, 
il  quale  attorcendosi  alle  gambe  del  nemico,  suol  met- 
tere  il  morso  del  veleno  al  ventre  dell'elefante,  per  la 
qual  ferita  velenosa  si  muore;  ma  egli  per  natara  co- 
noscendo  il  pericolo,  gira  tanto  intomo  che  trova  qual- 
che  sasso  o  ceppo  d'albero ,  dove  appoggiatosi,  tanto 
frega,  che  straccia  ed  ammazza  il  detto  dragone.  L'im- 
presa  ha  bella  vista,  per  la  variety  di  due  animali ;  ed 
il  motto  la  fo  chiarissima,  dicendo  in  spagnuolo:  no 
OS  ALABBRBis :  volcudo  dire  ai  Fregosi ,  vol  non  avete 
a  vantarvi  d'aver  commesso  tanta  empietdr  nel  sangue 
nostro. 

lo  ne  trovai  un'  altra  ai  medesimi  signori  Flischi  so- 
pra  questo  proposito ,  che  trattando  essi  d'accostarsi 
Hlle  parti  cesaree,  e  conglungersi  coi  signori  Adorni 
dei  quali  sono  molto  affezionati,  e  i  partigiani  servidori, 
davan  loro  per  avviso  che  non  avessero  fretta  a  ri- 
solversi  a  far  questo,  perchd  le  forze  del  re  di  Francia 
erano  grandi.  11  signor  Ottaviano  Fregoso,  con  le  spalle 
della  parte,  aveva  molto  ben  fermato  il  piede  nel  go- 
verno ;  era  per  difendersi  gagliardamente,  se  gli  move- 

vano  guerra  \u  quegli  ^rticoli  di  tempo.  Al  elie  essi 


dbll'imprbsb.  39 

signori  Fliscbi  rispondevano  che  sapevauo  molto  bene 
il  come  e  il  quando  di  far  simil  cosa ;  e  cost  sopra 
questa  materia,  mi  dimandarono  unlmpresa.  Per  il  che 
subito  mi  ricordai  di  quel  che  scrive  Plinio  degli  uc- 
celli  chiamati  alcionl,  i  quali  per  istinto  natorale  aspet- 
tano  il  solstizio  del  verno,  come  opportuno  a  loro  ,  e 
sanno  quando  deve  venir  quella  tranquilliU  di  mare , 
che  snol  venire  ogni  anno,  e  volgarmente  d  detta  la 
state  di  S.  Martino,  nella  quale  stagione  i  predetti  al- 
cioni  ardiscono  di  far  il  nido ,  far  I'uova ,  covarle  ed 
averne  flgliuoii  a  riva  il  mare,  per  il  felice  spazio  con- 
cessit loro  dalla  detta  bonaccia :  laonde  avviene  che 
i  giomi  di  tanta  caima  son  chiamati  alcionii.  Feci  dun- 
que  dipingere  una  sereniUk  di  cielo  e  tranquillity  di 
mare,  con  un  nido  in  mezzo  rilevato  da  prora  e  da 
poppa,  con  le  teste  di  questi  due  uccelli  prominent!  da 
prora,  essendo  eglino  di  mirabil  colore,  azzurri,  rossi, 
bianchi ,  verdi  e  gialli ,  con  un  motto  sopra  loro  in 
lingua  francese :  nous  savons  bien  lb  tbmps  :  ciod,  noi 
sappiamo  bene  il  tempo  di  quando  abbiamo  a  fare  Tim- 
presa  coniro  gli  avversari  nostri.  E  cosl  riusci  loro 
felicemente  lo  rientrar  in  casa,  e  il  vendicarsi  de'ne- 
mici,  con  buono  augurio  degli  uccelli  alcioni.  Vedevasi 
questa  vaghissima  impresa  dipinta  in  molti  luoghi  del 
lor  superbo  palazzo  di  Viola ,  innanzi  che  per  decreto 
pubblico  fosse  rovinato. 

Ne  feci  ancora  un'altra  ,  che  forse  ^  riuscita  meglio 
delle  sopraddette,  al  signor  Sinibaldo  Flisco,  in  mate- 
ria d'amore,  il  quale  florisce  meglio  per  la  pace  dopo 
la  guerra.  Amava  questo  signore  una  gentildonna,  ed 
ella  era  incominciata  ad  entrare  in  gelosia ,  veggendo 
che  il  signor  Sinibaldo  andava  molto  intorno,  all'  usanza 
di  Genova,  burlando  e  trattenendosi  con  varie  dame. 
Laonde  glielo  rinfacclava  spesso ,  dolendosi  della  sua 
fede,  di  come  poco  nelta  e  leale ;  e  volendo  egli  giusti- 
ficarsi  presso  di  lei,  mi  richiese  dun' impresa  a  que- 
sto proposito.  Ed  io  gli  feci  il  bussolo  della  calamita, 
ftPP^Sg^Ato  sopra  una  carta  da  uaTigare,  col  suo  com- 


40  DIALOOO 

passo  al  legato,  e  di  sopra  il  bussolo  d'azzurro  a  s telle 
d'oro  il  ciel  sereno,  col  motto  che  di.ceva :  aspigit  unam , 
significando,  che  sebbene  sono  molte  bellissime  stelle 
in  cielo,  una  sola  6  guardata  dalla  calamita,  cio^  fra 
tante,  la  sola  Stella  delta  tramontana.  E  cosl  si  venne 
a  giustiflcare  con  la  sua  dama ,  che  da  lui  era  amata 
fedelmente;  e  che  quantonque  egli  andava  vagheggiando 
delle  altre,  non  era  per  effetto,  ma  per  coprire  il  vero, 
con  simulato  amore.  I/impresa  parve  anco  piii  bella 
per  la  vaga  vista,  e  fu  assai  lodata  da  molti,  e  fra  gli 
altri  dal  dottissimo  M.  Paolo  Pansa  suo  segretarig. 

DoM.  OrsO,  monsignore ,  qui  non  bisogna  governarsl 
con  ordine,  essendo  questa  cosa  straordinaria ;  segaite 
dunque  quelle  di  mano  in  mano  che  vi  cadono  in  memo- 
ria,  cosi  circa  I'imprese  d'amore,  come  di  guerra,  benchd 
Jo  giudico  meglio,  che  spediate  quelle  d'armi,  per  finir 
poi  il  ragionamento  in  dolcezza  d'amore. 

Gio.  Sovviemmene  ana  bella,  che  port6  gi^  il  signor 
Giovanni  Paolo  Baglione,  che  fu  persona  di  consiglio  e 
valor  militare ,  di  bella  presenza ,  e  di  molto  cortese 
eloquenza  secondo  la  lingua  perugina,  ma  sopratatto 
molto  astuto ;  essendo  riuscito  come  tiranno  di  Peru- 
gia e  governatore  deU'esercito  veneziano,  benchd  poco 
li  valesse  esser  avveduto  e  bene  assettato  nel  seggio 
della  sua  patria :  perchd  papa  Leone ,  ancorch^  di  na^ 
tura  clementissimo ,  provocato  da  infinite  querele  ed 
in  ispecie  da'medesimi  capi  della  casa  Bagliona,  dato- 
gli  salvocondotto  d'andar  a  Roma,  gli  tagll6  la  testa; 
e  cosl  venne  vota  e  vanissima  la  sua  impresa,  la  quale 
era  un  grifone  d'argento  in  carapo  rosso,  e  col  motto: 

UNOOIBUS  KT  ROSTRO    ATQUK    ALIS   ARMATUS    IN   HOSTBM; 

onde  argutamente  disse  il  signor  Gentile  Baglione :  que- 
st'uccellaccio  non  ha  avuto  Tali  per  fuggire,  come  Tal- 
tre  volte,  la  trappola  che  gli  era  stata  tesa. 

Ricordomi  d'una  ch'io  feci  a  Girolamo  Mattel  romano, 
capitan  de'  cavalli  della  guardia  di  papa  Clemente,  che 
fu  uomo  di  risoluto  ed  alto  pensiero  ed  animo  delibe- 
rato,  avendo  con  gran  pazienza,  perseveranza  e  dis9i* 


DBLL^IMPABSB.  4i 

muiaiione  aspettato  il  tempo  per  ammazzare,  come  fece, 
Girolamo,  nipote  del  cardinal  della  Valle,  ad  effetto  di 
vendicar  la  morte  di  Palnzzo,  suo  fratello,  che  dal 
detto  Girolamo  fu  crudelmente  ammazzato,  per  cagione 
d'an  litigio  civile.  Avendomi  dunqne  egli,  per  tornar 
aH'impresa,  pregato  ch'io  gliene  trovassi  una  signifl- 
cante  che  on  valoroso  cuore  ha  forza  di  smaltire  ogni 
grave  inginr^  col  tempo,  volendoregli  porre  sulla  ban- 
diera,  gli  flgurai  ono  strozzo  che  inghiottiva  nn  chiodo 
di  ferro,  col  motto:  spiritus  durissima  coourr.  Fa  si 
lodata  qnella  sua  notabil  vendetta,  che  i  nemici  della 
Valle  acc^ttarono  la  pace,  per  cancellar  la  briga  tra  le 
due  easate,  ed  il  papa  Clemente  gli  perdon6  Tomicidio, 
6  lo  fece  capitano. 

Lo  struzzo  mi  servi  ancora  per  la  diversity  di  sua 
natura,  e  per  diverso  effetto,  a  un'impresa,  la  qual  io 
feci  gi^  al  mio  signor  marchese  del  Vasto ,  in  quel 
tempo  che  il  papa  e  Timperatore  abboccati  in  Bologna 
ordinarono  le  cose  d'ltalia;  e  si  fece  capitano  della 
lega  per  difensione  di  tutti  gli  stati  e  conservazione 
della  pace  il  signor  Antonio  da  Leva,  11  qual  grado  pa- 
reva  che  appartenesse  pifi  al  signor  marchese  per  al- 
cune  ragioni  che  al  signor  Antonio;  ma  papa  Cle- 
mente offeso  per  U  danni  ricevuti  negll  alloggiamenti 
delle  fanterie  spagnuole  nel  piacentino  e  parmegiano, 
dove  vivendo  i  soldatl  a  discrezione,  nd  rimediando  il 
marchese  alia  troppa  licenza  militare,  avevano  misera- 
bilmente  saccheggiato  quasi  tutto  il  paese,  si  volse  ven« 
dicar  con  posporlo.  Perch^  egli  sdegnato  si  rammaric6 
molto  di  sua  santit^  in  questo  modo :  lo  mi  potrei  pen- 
tire  di  non  essere  intervenuto  al  sacco  di  Roma,  quando 
mi  partii  e  abbandonai  le  genti,  riflutando  quel  capi- 
tanato  come  buon  italiano,  per  non  esser  presente  al- 
ringiurie  e  danni  che  si  preparavano  al  papa.  E  con- 
solandolo  io,  mi  rlspose:  S'io  non  sono  stato  aiutato 
a  montar  in  alto  per  la  bont^  mia ,  almen  restando 
capo  generale  di  questa  invitta  fanterla,  non  mi  si  po- 
tr^  ^rre  che  nelle  f^zioni  della  guerra  Aessun  m'a- 


i%  DIAI.0GO 

vanzi.  £  perci6  m'astriDse  a  trovargli  ua'impresa  acco- 
modata  a  questo  suo  pensiero.  Parvemi  molto  a  pro- 
posito  ano  struzzo  messo  in  corso ,  che ,  come  dice 
Plioio,  suol  correndo  farsi  vela  con  Tali,  per  avan- 
zar  ogni  animale  nel  corso,  poich6  avendogli  la  natura 
dato  le  penne,  non  si  pu6  alzar  a  volo  come  gli  altri  uc- 
celli,  e  cos)  glielo  died!  con  questo  motto:  si  subsum 

NON   EFFEROR  ALIS,  CURSU  SALTEM   PRiBTERVEUOR  OMNES ; 

e  fu  tanto  pid  grata,  perchd  aveva  bellissima  vista  nel 
ricamo,  ch'era  di  rlUevo  nella  sopravvesle  e  barde. 

II  medesimo  uccello  diedi  anche  proporzionatamente 
per  impresa  al  signor  conte  Pietro  Navarro,  quando, 
per  la  capitolazione  della  pace,  fu  liberato  dalla  pri- 
gione  di  Castelnuovo ,  e  venne  a  Roma ,  che  allora 
presi  seco  stretta  famigliarit^  per  I'informazioni  ch*  io 
desiderava  da  lui  in  servizio  deiristoria  da  scriversi 
per  me.  Nel  che  mi  soddisfece  molto  cortesemente,  es- 
sendo  egli  bramoso  di  gloria;  ed  avendomi  egli  contaia 
tutte  le  vittorie  e  le  disgrazie  sue,  mi  richiese  poi  d'una 
impresa  sopra  certi  soggetti,  che  in  ettetto  noh  mi  pia- 
cevano  molto;  ond'io  gli  replicai:  A  me  par,  signore, 
che  non  dobbiate  uscir  del  proprio  per  cercar  i'appel- 
lativo,  perch^  avendovi  io  fatto  glorioso  inventore  di 
quel  mirabile  e  stupeudo  artiflzio  delle  mine  nell'isto- 
rie  mie,  che  vi  faranno  immortale,  in  quel  luogo  dove 
miracolosamente  faceste  volare  per  I'aria  il  castel  del- 
r6vo  a  Napoli,  non  vorrei  che  vi  partiste  da  questo^ 
come  da  cosa  che  v'  ha  portato  estremo  onore  e  pe- 
culiar rlputazione.  Onde  egli  confessando  esser  vero , 
tornd  a  dirmi :  guardate  voi  se  in  esso  trovaste  alcun 
proposito ,  ch*  io  ne  saro  contento.  Io ,  perchd  alcuni 
scrivono  che  Io  struzzo  non  cova  le  sue  ova ,  seden- 
dovi  sopra  come  gli  altri  uccelli,  ma  guardandoli  con 
raggi  efficacissimi  del  lume  degli  occhi,  flgurai  Io  struzzo 
.  maschio  e  la  femmina  ,  che  miravano  flssamente  I'ova 
loro,  uscendo  lor  dagli  occhi  raggi  sopra  le  dette  ova, 
e  il  motto  era  questo :  diversa  ah  alus  virtutr  va- 
UMUS,  esprimendo  la  sua  unicalodee  perizia  deiria- 


DELL'mPBSSK.  43 

venzione  di  quel  macchinamenti  sotterranei,  che  con 
la  violenza  del  fuoco  sono  agguagliati  all'effetto  deile 
furie  inferaali.  Piacque  assaissimo  Timpresa  al  conte 
Pietro,  ed  accettoUa. 

DoM.  Certamente  ,  monsignore ,  qaesti  vostri  struzzi 
con  la  loro  proprieU  mi  par  che  abbiano  servito  a 
pennello  in  queste  tre  diversissiibe  imprese,  e  non  son 
certo  se  potrete  migliorare  in  quell'aUre  che  vi  restano 
a  dire ;  fate  voi ;  ei  sar^  possibile  che  smacchiate  Taltre 
che  conterete  fatte  da  altri  belli  ingegni. 

Gio.  lo  non  sono  si  arrogante,  che  mi  presuma ,  n^ 
in  quesU>>  n6  in  altro,  di  far  si  bene  da  potere  avan- 
zare,  ma  neanche  agguagliare  i'invenzioni  degli  altri 
ingegni,  come  fu  qaella  che  port6  gi&  il  gran  mar- 
chese  di  Pescara,  la  prima  volta  ch'egli  fa  capitano  ge- 
nerale  di  tatti  i  cavalli  ieggieri,  la  quale  fa  ben  veduta 
da'  nemici  nel  fatto  d'arroe  di  R'wenna,  nel  qaale  esso 
marchese  per  difendere  la  bandiera  sua  fu  gravemente  fe- 
rito,  e  poi,  trovato  fra  morti,  fatto  prigione  dai  Francesi. 

DoM.  Dite,  monsignore,  che  portava  egU  nella  ban- 
diera e  sopravvesta? 

Gio.  Un  targone  spartano  col  motto :  aut  cum  hog  , 
AUT  IN  Hoc^  quale  la  magnanima  donna  porse  al  fl- 
gliuolo  ,  che  andava  alia  battaglia  di  Mantinea  ,  vo-  j 
lendo  intendere,  che  il  flgliuolo  si  deliberasse  di  com-  ^ 
battere  si  valorosamente ,  che  riportasse  vittoria ,  o  1 
morendo  come  generoso  e  deg.iO  del  nome  spartano ,  \ 
fosse  riportato  morto  nel  targone  a  casa,  come  era  an- ' 
cora  antica  usanza  de'Greci,  notata  eziandio  da  Virgilio :  ] 

Jmpositum  scuto  referunt  Pallanta  frequentes  \ 

il  che  anche  si  comprende  dalle  parole  di  quel  famoso 
Epaminonda  tebano,  che  essendo  stato  nella  batta- 
glia ferito  a  morte  e  riportato  da'  suoi  soldati,  domand6 
con  grande  istanza  se  il  suo  scndo  era  salvo,  ed  es- 
sendogli  risposto  di  si,  morendo  dimostr6  segno  d'alle- 
grezza.  Fa  la  detta  in  venzione  de^l  nobile  poeta  M.  Pie-' 
tro  Gra^ina. 


44  DLALOGO 

Si  SOD  dilettati  roolto  di  questo  imprese  militaii  ed 
amorose  i  capitani  francesi,  fra'qnali  6  stato  fra  i  piCi 
segnalati ,  e  .-che  abbiano  meritato  titolo  di  generale, 
monslgnore  della  Tramoglia,  che  yittorioso  nella  gior- 
nata  di  sant'  Albino  di  Brettagna ,  dove  rest6  prlgione 
il  duca  d'Orliens,  che  fa  poi  re  Lodovico,  us6  per  Im- 
presa  una  raota  con  qucsto  motto:  sans  point  sortir 
DB  l'ornibrb^  per  significar  ch'  egli  camminava  per  cam- 
min  dritto.nel  servir  il  suo  re  senza  lasciarsi  deviare 
da  alcuD  interesse.  E  fn  capitano  d'estrema  autorit^,  il 
qaal  vecchio  di  anni  settanta,  combattendo,  mori  ono- 
ratamente  nel  cospettodel  suo  re,  quando  fa  soperato 
e  preso  nella  giomata  di  Pavia. 

Fa  ancora  de'  primi  capitani  che  venissero  in  Italia, 
nobilissimo  e  bellissimo,  Luigi  di  Luzimburg,  della  stirpe 
deirimperatore  Arrigo,  il  quale  mori  a  Buonconvento. 
E  n'avete  vista  la  sepoltura  nel  duomo  di  Pisa.  Fu  co- 
stui  cbiamato  monsignore  de  Ligni ,  quello  a  cui  s'  ar- 
rese  il  duca  Lodovico  Sforza,  quando  fu  tradito  dagli 
Svizzeri  a  Novara,  aspettando  da  lui  e  per  intercession 
sua  qualche  alleggerimento  della  calamity.  Egli  (per  tor- 
nare)  ebbe  per  impresa  un  Sol  d'  oro  in  campo  di  vel- 
luto  azzurro,  ch'era  circondato  da  folte  nuvole,  col 
motto  di  sopra :  obstantu  nxtbila  solvbt  :  inferendo  che 
avendo  egli  avuto  molte  avversit^  dappoich6  fu  tagliata 
la  testa  a  suo  padre^  gran  contestabile  di  Francia ,  spe- 
rava  col  valor  suo,  ad  uso  del  sole,  che  con  la  virtti 
del  caldo  dissolve  le  nuvole ,  vincere  ogni  contrario 
alia  sua  virtti ,  nd  per6  ebbe  tempo  di  farlo ,  perchd 
mori  troppo  tosto. 

Successe  a  questi  govematori  in  Lombardia  Carlo 
d'Ambaosa,  cbiamato  per  le  dignity  dell' officio  della 
corte  reale,  gran  maestro  e  signore  di  Chaumont.  Egli 
fu  di  dolce  natura,  e  molto  dedito  agli  amori ;  ancorch^ 
in  viso  dimostrasse  d'esser  rubesto,  e  con  parole  col- 
leriche  paresse  fiero  e  brusco,  pure  si  dimentlcava 
molto  con  le  donne  dilettandosi  di  feste,  banchetti,  daoze, 
e  commedie ,  la  qual  vita  non  fu  molto  lodata  dal  re 


DKLL'niPBBSB.  iH 

LodoTico,  percbd  si  troy6  moUo  occapato  In  dimili  pia- 
ceri,  in  tempo  che  doveva  soccorrere  la  Mirandola,  op- 
pognata  e  presa  da  papa  Giulio.  Portava  il  detto  cava- 
liere  un'impresa  d'un  uomo  salvatico  con  una  mazza 
verde  in  mano,  la  quale  si  vedeva  ricamata  ne'saioni 
della  sua  compagnia,  e  di  sopra  era  un  breve  con  un 
verso  latino :  mitem  animum  agrbsti  sub  tbgminb  sbrvo  ; 
volendo  signiflcare,  per  assicurare  e  conciiiarsi  le  dame, 
cbe  non  era  cost  brusco  come  pareva. 

Parve  la  sopraddetta  invenzione  a  molti  bella,  ed  una 
ne  port6  a  mio  giudizio  belli ssima  Giovan  Francesco 
Sanseverino ,  conte  di  Gaiazzo,  11  quale  per  emulaxione 
di  suo  fratello  Galeazzo>  nella  passata  de'francesi  in 
Italia,  si  parti  dal  duca  Lodovico,  ed  accostossi  con 
detti  francesi ,  con  qualcbe  carico  deir  onor  suo ,  per- 
ciocch^  tal  partenza  fu  molto  sospetta.  Yedevasi  Tim- 
presa  ricamata  ne'  saioni  delle  cento  lance,  ch'egli  aveva 
ottenute  dal  re,  e  ci6  era  un  travaglio  che  usano  1  mare- 
scalcbi  per  ferrar  cavalli  bizzarri  e  calcitrosi,  con  que- 
8to  motto  francese :  pour  domptbr  folib  :  per  dinotare , 
che  domerebbe  alcun  suo  nemico,  di  cosi  fatta  natura. 

Fu  eziandio  presso  i  francesi  di  nota  virta  e  famoso 
capitano  Eberard  Stuardo,  nato  del  sangue  reale  di  Sco'^ 
zla,  chiamato  monsignor  d'Obegnl.  Usava  questo  signore, 
come  parente  del  re -Jacob  lY,  un  leone  rampante,  rosso, 
in  campo  d'argento^  con  molte  flbbie  seminate  ne'rica- 
mi  de'  saioni  e  sopravveste ,  e  dipinte  negli  stendardi  col 
motto  latino;  distantia  iungit,  significando  ch'egli  era 
il  mezzo  da  tenere  uniti  il  re  di  Scozia  ed  il  re  di  Fran- 
cia,  per  far  giusto  contrappeso  alle  forze  del  re  d'ln- 
ghilterra,  nemico  naturale  de'francesi  e  scozzesi. 

Doii.  Parmi,  monslgnore,  che  voi  torniate  ai  nostri  ita- 
liani ,  almeno  a  quelli,  come  si  dice,  della  seconda  bus- 
sola  ,  poich^  avete  nominati  da  principio  quel  grandi , 
alia  gloria  de'  quail  oggidi  pochi  possono  presumere  di 
poter  arrivare,  parendomi  che  i  stgnori  Golonnesi  ed 
Ursini  non  abbiano  piti  a  quest!  giorni  del  loro  ceppo 
Chi  canmiini  per  le  lor  pedate  nell'esercizio  dell' arte  mi- 


a  DtALOQO 

litare, e  blsogiier^  ben  che  sudino  qnei  principl  che  tot- 
ranno  agguagliarsi  alia  fama  di  Francesco  Gonzaga^  d*AI> 
fonso  da  Este,  di  Gio.  Giacopo  Trivulzio,  e  del  signori 
regnicoli,  de'quali  altre  volte  uscirono  famosi  capitani, 
mi  pare  che  vadano  declinando,  perch^  gli  onori  e  k 
digniu  che  si  danno  della  milizia^  gi^  molti  anni,  soao 
poste  in  mano  a  gente  forestiera.  E  se  il  signer  Fer- 
rante  Sanseverino,  principe  di  Salerno,  ornato  di  molte 
virtti,  non  suscita  V  onor  del  regno,  poco  veggo  da  po- 
tere  sperare  negli  altri  principi. 

Gio.  Vol  dite  11  vero,  messer  Lodovico  mio,  e  ben  lo 
mostr6  egli  nella  gionuta  di  Ceresola,  perchd  essendo 
chiaro,  cbe^  con  la  prudenza  sua  ritirandosi  onestissima- 
mente,  fece  in  gran  parte  vana  la  vittoria  francese,  si 
pu6  dire  che  conservasse  lo  stato  di  Milano  e  del  Pie- 
monte  alia  maest^  Cesarea,  che  non  fu  poca  lode  in  tante 
disgrazie. 

DoM.  Ditemiy  monsignore;  porta  questo  principe  al- 
cnn'impresa;  parmi  quasi  che  non  gli  debba  mancare, 
essendo  ancora  per  altro  galantissimo  cavaliere. 

Gio.  Non  veramenle,  oh*  io  sappia,  perchft  certo  la  di- 
pingeremmo,  come  onoratamente  I'ho  diplnto  nell'isto- 
rie ,  al  detto  luogo  della  Ceresola.  Ma  io  non  ho  mai 
veduto  sua  bandiera,  n^  impresa  amorosa  che  abbia; 
di  che  mi  meraviglio  avendo  in  casa  il  facondo  poeta 
messer  Bernardo  Tasso.  £:  ancora  nel  regno  il  signor  duca 
d'Amalfl,  di  casa  Piccolomini,  gentile  ed  ardito  cavaliere, 
e  sopra  tutto  ottimo  cavalcatore,  e  conoscitore  de'  ca- 
valli  aspri  e  coraggiosi.  Egli  esortato  in  mia  presenza 
dal  signor  marchese  del  Vasto  suo  cognato  a  levarsi  dalle 
delizie  di  Siena,  essendo  egli  allora  governatore  di  quella 
repubblica,  ed  a  girsene  seco  alia  guerra  del  Piemoate , 
gli  rispose,  che  lo  spirto  era  pronto  e  la  came  non 
inferma,  ma  che  poteva  dire  quella  parola  delVevan- 
gelio :  Nemo  nos  conduxit,  Allora  11  signor  marchese  Io 
fece  generale  di  tutti  i  cavalli  leggieri  nella  guerra  del 
Piemonte ,  dove  il  duca,  irtnanzi  che  partisse  ,  mi  do- 
mand6  un' impresa  per  lo  stendardo;  e   per    avergli 


DBLt'ntPRBSB.  47 

detto  SI  marchese,  che  ire  cose  convenirano  a  tal  ca- 
pitano,  ciod  ardire ,  liberalita  e  vigilanza,  risposMo: 
non  gli  ricordate  signore  n6  la  liberality,  n6  Tardire, 
avendo  Tuno  e  Taltro  imparato  da  voi,  n6  anche  la 
vigilanza,  perch^  egli  ha  da  natara  di  levarsi  tostQ  dal 
luogo  ove  dorme  (sopra  che  si  rise  un  poco),  ma  la 
yigilaoza  che  voglio  dir  io,  comprende  ogni  cura  che 
si  prende  per  non  esser  colto  airimprovviso,  e  per 
peter  coglier  altri.  Feclgli  dunqne  per  Impresa  una  grii, 
da  mettere  nello  stendardo,  col  pi^  manco  alza  to,  con 
un  ciottolo  fra  Tunghie,  rimedio  contra  il  sonno,  come 
scrive  Plinio  di  questi  uccelli  mararigliosamente  av- 
▼eduti,  e  col  breve  intorno  che  dice :  oppicium  natura 

DOCET. 

DoM.  Ditemi,  monsignore,  fra  gli  altri  signori  regnicoli 
pid  antichi  di  questo,  non  ce  ne  fu  alcuno  che  portasse 
qualche  bella  impresa? 

Gio.  Ce  ne  sono  stati  certo,  ma  io  non  mi  ricordo  se 
non  di  due,  I'una  d*Andrea  di  Capua  duca  di  Termoli, 
che  fu  d'eslremo  valor  militare,  e  Taltra  di  Tommaso 
Caraflfa,  conte  di  Matalone.  II  duca  nel  flore  deir  eU  sua, 
essendo  stato  creato  capitano  generate  di  papa  Giulio, 
mori  a  Civita  Gastellana,  con  qualche  sospetto  di  veleno 
che  li  fu  dato  forse  da  chi  gli  portava  invidia  di  tanlo 
onore.  Usava  per  impresa  questo  signore  un  mazzo  di 
corsesche  da  lanciare,  volendo  dire  che  non  gli  man- 
cherebbono  armi  da  lanciare,  per  non  lasciarsi  acco- 
stare  i  nemici.  Era  il  motto:  portibus  non  deerunt. 

II  conte  di  Matalone,  che  fu  generale  del  re  Ferran- 
dino,  ebbe  per  impresa  una  statera ,  con  questo  motto 
tratto  dall  Evangelio :  HOC  pac,  kt  vives.  La  quale  im- 
presa mi  parse  troppo  larga,  perch^  la  statera  importa 
il  pesar  moUe  cose,  £  fu  motteggiata  da  monsignore  di 
Persi,  fratello  di  monsignore  d'Aligre,  che  rompendo 
il  campo  Aragonese  a  Eboli,  guadagn6  lo  stendardo  del 
generale  e  disse :  Par  ma  foi,  que  mon  ennemi  n*a  pas  faict 
ce  qu'il  a  escrit  a  I'entour  de  son  Peson,  pource  que  iln'n 
pas  bien  pete  ses  forces  avec  les  nUennes, 


its  OtALOOO 

£  poichd  siamo  entrati  ne'  napoletani^  non  mancberd 
di  dire ,  cbe  sebbene  i  principi,  quasi  degeuerando  da 
loro  maggioriy  non  vanno  alia  guerra,  io  penso  cbe  sia 
percb^  non  sono  lor  date  le  digniU  ed  i  gradi,  secondo 
cbe  converrebbe,  essendo  passate  le  dignita  in  mano 
de'  forestieri ;  ma  non  ci  mancano  per6  uomini  della  se- 
conda  classe,  nobili  e  valorosi,  i  quali  per  yirtCi  aspi- 
rano  agli  onor  grandi ,  fra  i  qaali  di  presente  6  il  si- 
gnor  Gio.  Battista  Gastaldo,  cbiarissimo  per  mille  belle 
e  frescbe  prove,  quando  maestro  di  campo  del   gran 
Carlo  V,  avendo  acquistato  molta  laude  nellMmprese 
d'Alemagna,   s'ba  guadagnato  onor  d'esser  luogote- 
nente  e  capitano  generale  del  re  de'Romani  neirim- 
presa  di  Transilvania  contra  Turcbi  e  Yalaccbi.  Esso 
CastaldOy  a  quel  tempo  cbe  bolliva  la  guerra  in  Pie- 
monte   contra  i  Frances!,  non  volendosi  rltrovare  in 
essa,  percb6  gli  pareva  cbe  il  signor  marcbese  del  Vasto 
avesse  distribuito  tutti  gli  onori  a  persone  manco  pe- 
rite  neirarte  militare  di  lai,  come  sdegnato  stava  in 
Ozio  a  Milano,  e  diceva  cbe  il  signor  marcbese  faceva 
cose   quasi  fuor  di  natura,  e  da  far  maravigliare   le 
genti  del  suo  giudizio  stravagante ,  e  consolandolo  io 
Con  Vive  ragioni,  egli  mi  disse:  fatemi  un'impresa  sopra 
questo   concetto.  Ed  io  feci  il  monte  Etna  di  Sicilia , 
il  quale  in  cima  arde  con  gittar  flamme  di  (uoco,  e 
poco  pill  basso  6  carico  di  neve,  e  non  molto  di  lon- 
tano  da  essa  si  vede  la  vastit^  delle  pietre  arse,  ed  al 
basso  amenissimo  paese  coltivato  e  frugifero ,  con  un 
motto  cbe  diceva:  natura  maiora  fagit;  alludendo  alia 
stravaganza  del  signor  marcbese,  in  compartire  gli  onori 
del  campo,  percb^  in  ci6  quel  dolcissimo  signore  voleva 
compiacere  a  molte  persone,  cbe  per  vari  interessi  gli 
potevano  comandare,  e  cosi  sforzato,  riportava  faccia 
di  non  perfetto  giudizio ,  percb^  si  scordava  d'  un  an- 
tico,  leale  e   valoroso  servitore,  com' era  esso  signor 
Castaldo.  E  questo  Etna  dipinto  ba   maravigliosa  va- 
gbezza,  per  la  variety  delle  parli  sue,  siccome  avete 
visto  in  flgura  nel  nostro  Griptoportico,  ore  sono  I'al- 
tre  degli  anticbi  padroni. 


dbll'imprbsb.  49 

DoM.  Adunque,  monsignore,  voi  non  dovele  mancare 
di  dirmi  quali  sono  V  altre  imprese,  che  avete  fatto  di- 
pingere  nelle  case  vostre. 

Gio.  Evvi  frar  altre  quella  dell' eccellentissima  e  non 

mai  abbastanza  lodata,  la  stgnora  marchesa  di  Pescara, 

Vittoria  Colonna,  alia  memoria  della  quale  io  tengoin- 

fiaito  obbligo,  come  ho  moslrato  al  mondo  con  la  vita 

defl'invittissimo  sao  consorte,  il  signor  marchese   di 

Pescara.  Essa  signora,  ancora  che  tenesse  vita,  secondo  la 

vita  cristiana,  pudica  e   mortiflcata,  e  fosse  pia,  e  li- 

berale  verso  ognuno,  non  le  raancarono  per6  invidiosi 

e  maligni  che  le  davano  molestia,  e  disturbavano  i  suoi 

altissimi  concetti.  Ma  si  consolava  che  quel  tali,  credendo 

nuocere  a  lei,  nocevano  a  s6  stessi,  e  fu  pid  che  vero 

per  raolte  ragioni  che  ora  non  accade  dire ;  il  perchd 

io  feci   certi   scogli  in  mezzo  il  mar  turbato ,  che  gli 

batte  con  I'onde  procellose,  con  un  motto  di  soprache 

diceva^  conantu  frangerb  prangunt;  quasi   volesse 

dire,  che  gli  scogli  della  sua  fermissima  virtd  ribatte- 

vano  indietro  le  furie  del  mare,  con  romperle,  e  risol- 

versi  in  schiuma,  e  tiene  quest'  impresa  vaga  vista ,  e 

per6  r  ho  fatta  accuratamente  dipingere  nella  casa  nostra. 

E  poich6  siamo  entrati  nelle  donne,  ve  ne  dirO  un'al-  t 
tra  ch'io  feci  alia  elegantissima  signora  marchesa  del  * 
Vasto,  donna  Maria  d'Aragona,  dicendo  essa,  che  sic-  . 
come  teneva  singolar  conto  deironor  della  pudicizia, ; 
non  solamente  Io  voleva  conservare  con  la  persona  sua, 
ma  ancora  aver  cura  che  le  sue  donne,  donzelle  e  ma- 
ritate,  per  Irascuraggine  non  Io  perdessero.  E  percl6  te- 
neva una  disciplina  nella  casa ,  molte  proporzionata  a 
levare  ogni  occasione  d*  uominl  e  di  donne,  che  potes- 
sero  pensare  di  macchiarsi  dell'onore  e  deH'onestv^.  E 
cosi  le  feci  T impresa,  che  voi  avete  vista,  e  lodata  nel-  j 
Tatrio  del  museo,  la  quale  impresa  6  due  mazzi  di  mi-  j 
glio  maturo  legato  Tun  all'altro,  con  un  motto  che  di-  j 
ceva:  servari  bt  servarb  meum  est;  perch6  il  miglio 
di  natura  sua,  non  solamente  conserva  s6  stesso  da 
corruzione,  ma  ancora  mantiene  1' altre  cose  che   gli 

Giovio.  ^ 


50  DIALOGO 

stanno  appresso^  cbe  non  si  corrompono,  siccome  6  ii 
reubarbaro  e  la  canfora,  le  quali  cose  preziose  si  ten- 
gono  alle  scatole  piene  di  miglio ,  alle  bottegbe  d^ 
speziali,  acci6  cb'elle  non  si  guastino. 

DoM.  Mi  place  cbe  slate  disceso  da'  capitani  sino  alie 
donne.  II  cbe  6  comportablle,  poicbd  queste  due  farono 
mogli  di  due  singolari  capitani. 

Gio.  Da  questo  mi  vengo  ricordando  d'unabellissima 
gentil  donna,  amata  da  Odetto  da  Foix,  cblamato  mon- 
signor  di  Lautrec,  la  quale  gli  diceva  motteggiando  cb'e- 
gli  era  ben  nobile  e  valente,  ma  cb'  era  troppo  saperbo, 
com' era  forse  vero,  perch6  essendo  egli  corleggiato  ogni 
mattina  da  nobilissimi,  e  riccbissimi  signoH  feadatari 
dello  Stato,  non  levando  la  berretta,  appena  degnava  di 
guardargli  in  viso,  il  cbe  faceva  scandalizzare  ed  am- 
mutinare  tutta  la  nobilta  di  Milano.  La  qual  cosa  fu  ca- 
gione  cbe  pigliasse  partito  dl  portare  un'impresa  al 
proposito  in  cambio  delta  vacca  rossa  cofi  sonagli,  come 
antica  insegna  della  casa  di  Foix.  II  cbe  fu  un  largo  ca- 
mino  d'una  fornace  cbe  ardeva,  con  un  gran  fuoco 
dentro:  per  le  bocche  usciva  fuora  molta  nebbla  di 
fumo  con  un  motto  cbe  diceva:  dov'e  gran  fuogo  i 
GRAN  FUHo;  volcudo  Intcndcre  e  rlspondere  alia  dama, 
cbe  dov'6  gran  nobilti  e  gran  valor  d*animo,  quivi 
ancora  nasce  gran  fumo  di  superbia.  Onde  6  necessario 
cbe  i  grandi  si  guardino  di  far  cosa,  cbe  possa  essere 
tassata  dalle  brigate,  come  fu  quella  del  signor  Teodoro 
Trivulzio,  11  quale  avendo  lungamente  militato  co'  Frau- 
cesi  e  con  gli  Aragonesi  nel  regno  di  Napoli,  era  sti- 
mato  prudente  e  riservato  capitano,  piA  per  parlar  poco 
ne' consign,  cbe  per  combatter  molto  nelle  fazioni,  il 
quale  portando  per  impresa  cinque  spicbe  di  grano 
senza  piti,  e  senza  motto  alcuno,  essendo  tenuto  poco 
liberale  verso  le  sue  genti  d'arme  e  di  poca  cortesia, 
nel  trattamento  delle  paghe,  venne  taUnente  in  faslidio 
ai  signori  Veneziani ,  de'  quali  egli  era  generate ,  cbe 
pcnsarono  di  volerlo  cambiare  al  signor  Marcaatonio 
Colonna,  e  diede  ancbe  materia  d'esser  burlevolmenie 


dell'impbssb. 


51 


calanniatoa  messer  Andrea  Gritti  provveditoredei  campo 
dopo  il  fatto  d'  arme  della  Bicocca ,  il  quale  disse:  que- 
sto  Qostro  generate  va  molto  malfornito  di  vettovaglia; 
perch^  non  porta  provvisione  di  piu  di  cinque  spiche  di  gra- 
no.  Al  cbe  rispose  messer  Viola,  che  portava  il  suo  guidone, 
ttomo  valente  e  faceto,  nobile  milanese,  dicendo:  non 
ve  ne  maravigliate,  signor  provveditore,  perchd  il  no- 
stro  capitano  vive  a  minuto,  e  d^  a  credenza,  e  pagasi 
poi  a  contanti.  Ora  queste  spiche  del  signor  Teodoro 
mi  riducono  a  memoria  I'impresa  ch'io  feci  al  signor 
marchese  del  Yasto ,  quando  dopo  la  morte  del  si- 
gnore  Antonio  da  Leva  fu  creato  capitano  generale  di 
Carlo  y  Imperatore,  dicendo  egli  che  appena  eran  finite 
le  fatiche  ch'egli  aveva  durate  per  esser  capitano  della 
fanteria,  che  gli  eranata  materia  di  maggior  travaglio, 
essendo  vero  che  il  generale  tiene  soverchio  peso  so- 
pra  le  spalle.  Gli  feci  dunque  in  conformity  del  suo 
pensiero,  due  covoni  di  spiche  di  gran  maturo,  con  un 
motto  che  girava  le  barde  e  fimbrle  della  sopravvesta, 
e  circondava  I'impresa  nello  stendardo:  il  qual  motto 
diceva:  finiunt  pariter,  hbnovantqub  laborbs  vo- 
lendo  io  esprimere,  che  appena  era  raccolto  il  grano,  che 
nasceva  occasion  necessaria  di  seminarlo  per  un'altra 
messe,  e  venlva  a  rinnovare  le  fatiche  degli  aratori,  e 
tanto  pill  conviene  al  soggetto  del  signor  marchese » 
quanto  che  i  manipoli  delle  spiche  del  grano ,  furono 
gi^  gloriosa  impresa  guadagnata  in  battaglia  di  don  Ro- 
derico  d'Avalos,  bisavolo  suo,  gran  contestabile  di  Ga- 
stiglia;  e  questa  tale  invenzione  ha  bellissima  apparenza, 
come  Tavete  vista  in  molti  luoghi  del  Museo,  e  perci6 
la  continu6  sempre  fino  alia  sua  morte,  come  niente 
superba  e  molto  conforme  alia  virtti  sua ,  e  de'  suoi 
maggiori. 

Ne  port6  ancora  il  predetto  signor  marchese  una  bella 
in  materia  amorosa,  che  gli  fu  trovata  da  messer  An- 
tonio Epicuro,  letterato  uomo  neir  accademia  napolitana, 
la  quale  fu  il  tempio  di  Giunone  Lacinia,  il  quale  so- 
stenuto  da  colonne  aveva  un  altare  in  mezzo,  col  fuoco 


Hi  DUtOCkO 

r  acceso ,  ctie  per  nessun  vento  si  spegneva  mai,  aacor- 

:  cM  il  tempio  fosse  d'ogn'intorno  aperto  per  gli  spazi 

I  degrintercolonni.  Volendo  dire  d'una  dama  sua  che 

*  ^  lungo  tempo  egli  aveva  amata,  e  dolevasi  aliora  d*es- 

sere  abbandonata  da  lui,  com'ella  in  ci6   s'lngannava 

e  dolevasi  a  torto  di  lui,  percti^  il  fuoco  dell*  amor  sue 

era  eterno  e  inesUnguibile,  come  quello  dell'altare  del 

tempio  di  Giunone  Lacinia,  e  servl  per  motto  Tinscri- 

;  '  zione  d'esso  tempio,  che  girava  per  il  fregio  dell'ar- 

'  I  chitrave  posto  sopra  le  colonne:  iunoni  lacinls  dica- 

'  )  TUM.  £  quest' impresa  ebbe  bella  presenza,  aocorcb^ 

-  \  avesse  bisogno  di  qualche  letterato,  che  dichiarasse  Ti- 

\  •  storia  a  coloro  che  non  sanno  pitl  che  tanto. 

Fu  ancora  un  poco  ampollosa  T  impresa  del  signor 
Luigi  Gonzaga,  chiamato  per  la  bravura  Rodomonte :  il 
quale  il  di  che  Carlo  Quinto  imperatore  fece  Teatrata 
in  Mantova,  port6  una  sopravveste  di  raso  turchino, 
fatta  a  quadretti,  i  quali  alternati  a  due  a  due,  1'  uno 
mostrava  uno  scorpione  hcamato,  e  I'altro  un  breve 
che  diceva:  qui  vivbns  l^edit  morte  medbtur,  essendo 
la  propriety  dello  scorpione  di  medicare  U  veleno 
quando  egli  ^  ammazzato,  e  poslo  sopra  la  piaga;  vo- 
lendo che  s'  intendesse  che  egli  avrebbe  ammazzato  chi 
presumesse  d' offenderlo,  rivalendosi  del  danno  dell' of- 
fesa  con  la  morte  del  nemico. 

Ebbene  un'altra  il  medesimo  signor  Luigi  di  Gonzaga, 
che  fu  molto  pid  bella,  e  ci6  fu  che  essendo  egli  venuto 
CO'  soldati  imperiali  air  assalto  di  Roma ,  fra  la  porta 
Aurelia  e  la  Settimiana ,  dopo  gi^  preso  il  borgo  di 
S.  Pietro  per  1'  ardire  de'  soldati  di  quella  bandiera,  e 
jniserabilmente  saccheggiata  Roma  dai  Tedeschi ,  Spa- 
gnuoli  ed  Italiani,  che  aderivano  alia  parte  Cesarea,  egli 
diceva  che  il  soldato  deve  avere  per  scopo  la  fama,  o 
.  buona  0  trista  ch'ella  si  sia,  quasi  dicendo  che  la  presa 
di  Roma  e  la  rovina,  ancorch^  fosse  abominevole  ad 
ogni  buon  italiano,  pensava  nondimeno  che  gli  dovesse 
dar  fama  e  riputazlone,  e  per  questo  s'invent6  1*  im- 
presa del  tempio  di  Diana  Efesia,  il  qus^  essendo  ab- 


DBLL^niPIIBSB.  f(3 

brnciato  da  un  uomo  desideroso  di  f^ma,  n6  curandosi 
ch'ella  fosse  pessima  ed  empia,  per  aver  distrutto  la 
pill  bella  cosa  del  mondo,  gli  fa  fatto  da' Greet  un  di- 
spetto  che  non  si  nominasse  mai  il  nome  di  lui,  come 
scelleratissimo  ed  abominevole;  il  motto  suo  diceva: 

^ALTERUTRA   GLARESGERB  FAMA.   II  qual    mOttO   gli   fU   poi 

messo  da  me,  e  fa  approvato,  e  lodato  da  lai  e  da  al. 
tri,  avendone  esso  posto  an  altro,  che  non  ci  pareva 

COSl   vivo,   Ci06  :   SIVE  BONUM,   SIVE   HALUH,  VAWi  EST, 

Ne  feci  ancor  io  ana,  oh'aveva  deiraltiero,  al  signor 
marchese  del  Vasto,  ancorch6  fosse  d'onesto  proposito, 
perch6  dicendo  sua  signoria  ch'erano  moltl  nel  campo 
sao ,  i  quali  per  gli  circoli  e  negli  alloggiamenti  pre- 
suntuosamente  dicevano:  il  signor  marchese  potrebbe 
fare  una  grossa  incamiciata ,  o  an  assalto  a  an  forte , 
o  combattere  a  bandiere  spiegate  alia  prima  occasione, 
o  espugnare  il  tal  castello  ,  mostrando  moito  sapere  e 
raolto  ardire  con  le  parole ,  e  tassando  quasi  il  capi- 
tano  per  cessante ,  e  ch'  egli  diceva  che  questi  tali , 
quando  instavano  i  pericoli,  e  bisognava  che  mostras- 
sero  prodezza  e  menassero  le  mani ,  tacevano  e  non 
comparlvano  al  bisogno,  quando  esso  si  trovava  con  la 
spada  in  mano;  per  esprimere  questo  suo  concetto  io 
dipinsi  quell* istrumen to  meccanico,  il  quale  ha  molti 
martelli  ed  una  ruota,  che  fa  grande  strepito,  e  si  mette 
sopra  i  campanili  al  tempo  delle  tenebre  ne*  giorni  santi, 
per  dar  segno  degli  uffici  sacri  in  cambio  delle  campane, 
le  quali  in  quel  tempo  per  comune  instituto,  a  rive- 
renza  della  morte  di  Cristo,  non  suonano,  e  in  luogo 
d'esse  supplisce  al  bisogno  Io  strepito  che  fa  questo 
tale  istrumento,  il  quale  in  verita  ha  una  bizzarra  pre- 
senza;  e  il  motto  suo  dice:  cum  grepitat,  soxora  si- 
lent, cio6,  quando  6  il  vero  bisogno,  e  che  il  sig.  mar- 
chese fulminando  con  Tarmi  entra  nei  pericoli,  i  bravi 
e  le  toghe  lunghe  de'  consiglieri  cagliano  di  timore ,  e 
non  rispondono  alle  bravure  fatte  a  parole. 

Non  Iascer6  di  ragionarvi  dello  stendardo  del  conte 
di  SantaAore,  oavaliero  ardito  e  generoso,  il  quale    Io 


S4  DIALOGO 

port6  nella  battaglia  della  Servia ,  e  fa  tutto  seminato 
di  mele  cotogne,  la  quale  fa  V  antica  arme  del  sao  va- 
lorosissimo  capitano  Sforza  da  Cotignola,  per  linea  di- 
ritta  arcavolo  suo ,  e  tra  quesle  cologne  scorreva  un 
breve  con  queste  parole :  fragrantia  durant,  hbrgulba 
COLLSCTA  MAND,  volcndo  signiflcare  che  le  mele  colo- 
gne colle  da  quel  valorosissimo  capilano  durano  ancora  ' 
gillando  buono  odore,  alludendo  ad  Ercole,  cbe  simili 
frulli  colse  negli  orli  delle  Esperidi.  II  campo  dello 
stendardo  era  rosso,  e  le  mele  d'oro. 

Una  bizzarra  impresa  inalber6gi^,  per  signiflcare  I'a- 
nimo  suo,  quel  valenle  capilano  borgognone  che  ser- 
viva  i  Frances!,  chiamalo  monsignor  de  Gruer,  fratello 
del  famoso  Anlonio  Basseio,  dello  Baili  de  Digeon.  Es- 
sendo  queslo  Gruer  innamoralo  d'una  dama,  alquanto  > 
rnslica  e  restia,  per  avere  anco  un  marilo  simile  a  lei, 
ma  sopraluUo  avaro ;  nel  mostrar  desiderio  dl  volergli 
compiacere ,  gli  mellevano  laglia  di  cose  difficili ;  per 
esprimere,  ch'era  per  far  ogni  cosa  in  soddisfazione 
deirappelilo  loro,  fece  fare  nella  sopravvesle  sua,  e 
nelle  barde  di  lutli  gli  uomini  d'arme  della  sua  com- 
pagnia,  una  femmina  salvalica  pelosissima  del  luUo,  ec- 
cello  che  nel  viso,  la  quale  si  lirava  dielro  per  lo  naso 
con  una  corda  un  bufalo,  ed  appresso  gli  veniva  un  uomo 
pur  peloso  con  un  gran  basione  verde  broncolulo  in 
mano,  signiflcanle  il  marl  to  della  dama,  quasi  che  sfor- 
zasse  il  bufalo  a  camminare,ed  il  mollo  si  leggeva: 
MENATKMi  B  Nox  tbmbte;  Yolcndo  infcrire,  che  sarebbe 
ito  paciflcamenle  dove  essi  avessero  volulo,  perch^  per 
sua  disgrazia  si  trovava  attaccato  per  lo  naso.  Faceva' 
quello  animalaccio  un  bel  vedere ,  accompagnato  da 
quelle  due  flguracce,  e  fu  comporlala  la  forma  deiruomo, 
essendo  piuUoslo  moslruosa  che  umana. 

Fu  un  gran  signore ,  noslro  padrone ,  innamoralo 
d'una  dama,  la  quale  per  propria  inconiinenza  non  si 
contenlava  de'favori  del  nobilissimo  amanle^  e  prati- 
candole  in  casa  un  giovane  di  nazione  plebea,  ma  per 
allro  assai  disposlo  della  persona  e  non  brulto  di  volto. 


DBLL'UfPRBSB.  55 

sl  fattamente  di  lui  s'invagbi,  ch'ellai  come  si  dice, 
ne  meaava  smanie ,  e  per  altimo  indegQamente   lo  ri- 
pat6  degno  del  sao  amore.  Venne  assai   tosto   la  cosa 
all'orecchie  di  quel  sigaore ,  forse  palesandosi  per  86 
stessa  la  donaa  per  gr  iacoasiderati  e  poco  onesti  modi 
snoi ,  di  cbe  egli  estremissimameBte  si  scandalizx6 ,  6 
comandommi   (cbe  ben  comandarmi  con   ogni   sicart^ 
poteva)  cb'io  gli  facessi  aa'impresa  deU'lnfrascritto  te- 
nore:  cb'egli  veramente  si  teneva  beato,  essendo  nel 
possesso  di  cotanto  bene,  ma  accortosi  poi  d'esser  fatto 
compagno  di  persona   si  vile ,  11  pareva    che  da  un 
sommo  bene,  fosse  ridotto  in  estrema  miseria  e  dispia- 
cere.  lo  sopra  qnesto  soggetto  feci  dipingergU  un  carro 
trionfale  tirato  da  quattro  cavalli  biancbi ,  e  sopra  vi 
era  un  imperator  trionfante ,  con  uno  scbiavo  negro 
dietrogli,  cbe  sopra  il  capo  gli  teneva  la  laurea  airan- 
iica  romana,  essendo  lor  costume  per  ammorzar  la  su- 
perbia  e  vanagloria  deir  imperatore ,  di  mettergli  ap- 
presso  quello  scbiavo.  Era  di  sopra  il  motto,  tolto  da 
Giovenale,  cio6 :  skrvus  gurru   portatur  bodbm  ,  vo- 
lendo  dire ;  ben  cb'  io  abbia  il  favore   da  questa  gen- 
tildonna,  non  mi  aggrada  per6,  essendomi  comune  con 
si  ignobile  ed  infimo  servo.  L'impresa  ebbe  bellissima 
vista  in  pittura ,  ed  a  quel  gentilissirao  signore  gran- 
demente  soddisfeci;  la  feci  poi  scolpire  in   una  meda- 
glia  d'oro,  e  fu  anco  tollerata  Tetfigie  deiruomo  da  cbi 
ft  scrupoloso  compositor  delFamprese,  essendo  in  abito 
straordinario. 

DoM.  Questa  certo  mi  piace,  perch6  Tanima  del  verso 
di  Giovenale  le  di  la  vita.  Ma  ditemi ,  monslgnore ,  i 
signori  cardinali,  coi  quali  avete  si  lungamente  prati- 
cato,  soglion  eglino  portare  imprese? 

Gio.  Si  veramente,  quando  essi  son  principi  nobili , 
come  fu  il  cardinale  Ascanio ,  il  quale  avendo  messo 
ogni  suo  sforzo  Jn  conclave ,  per  far  creare  papa  Fe- 
derico  Borgia,  che  si  cbiam6  Alessandro  VI,  non  stette 
motto  cbe  negll  effettl  grandi  lo  trov6  non  solo  in- 
gratOy  ma  capital  nemico ;  perchd,  per  opera  del  detto. 


1 


56  DUL060 

e  per  li  perversl  disegni  suoi,  fu  scacciato  dai  Fran- 
ces! il  duca  Lodovico  da  Milano,  e  senza  pun  to  intra- 
lasciare  Todio,  non  rest6  mai  di  persegnitar  casa  Sfor- 
zesca,  fincbd  non  furon  traditi,  spogliati  dello  Stato,  e 
condotti  prigioni  in  Francia.  In  questo  proposito  fece 
fare  monsignor  Ascanio  per  impresa  I'ecUssi  del  sole , 
il  quale  si  fa  per  interposisione  della  luna  tra  esso  e 
)a  terra,  voiendo  intendere ,  che  siccome  il  sole  noo 
risplendeva  sopra  la  terra,  per  Tinginria  ed  ingratitu- 
dine  della  luna,  la  quale  da  sd  non  avendo  luce  alcuna, 
tutta  quella  che  ba  la  riceve  dal  sole,  e  neireclisse  la 
leva  al  benefattor  suo,  come  ingratissima ;  cosl  papa 
Alessandro  Taveva  pagato  d'un  sommo  beneflcio  rice- 
vuto  con  grandissiroa  ingratitudine.  II  motto  diceva: 

TOTUM  ADIMIT,  QUO  INGRATA  REFULGET. 

DoM.  Certo  questo  papa  Alessandro  fu  un  terribile  e 
pestifero  mostro ,  quasi  per  tutta  la  nobilt^  d'ltalia,  si 
come  bo  visto  nella  vostra  istoria ,  e  mi  maraviglio 
manco  di  tanta  ingratitudine  verso  monsignor  Ascanio, 
che  fu  per  un  gran  tempo  I'onor  della  corte  romana, 
avendo  alcuni  papi  successor!  a  lui  seguite  le  mede- 
sime  pedate ,  il  che  chiarissimamente  appare  discor- 
rendo  sopra  le  vite  de*  pontefici ,  che  son  venuti  poi. 

Gio.  L'inv^nzione  fu  attribuita  a  M.  Bartolomeo  Sa- 
Mceto,  nipote  del  chiarissimo  iurisconsulto  bolognese, 
ch'era  ambasciatore  del  detto  cardinale  appresso  i) 
duca  Lodovico.  Us6  il  detto  monsignore ,  innansi  il 
tempo  delle  sue  rovine ,  certe  nuvole  illuminate  dal 
sole,  quasi  in  forma  di  far  I'arco  baleno,  come  si  vede 
sopra  la  porta  di  santa  Maria  della  Consolazione  in 
Roma ,  ma  perch^  ella  ^  senza  anima ,  ognuno  la  in- 
terpreta  a  suo  modo,  e  per  diritto   e  per  rovescio. 

Ippolito  da  Este,  cardinale  di  Ferrara ,  zio  del  me- 
desimo,  che  ha  11  medesimo  nome,  ebbe  per  impresa 
un  falcone,  che  sosteneva  con  gli  artigli  i  contrappesi 
d'un  orologlo,  come  si  vede  dipinto  sulla  porta  del 
palco  delle  Terme  di  Diocleziano,  e  non  vi  mise  motto, 
perch^  voleva  intendere,  che  lo  spezzar  la   parola  del 


DBLL^niPRSSB.  57 

falcone  ,  che  faceva  le  sue  cose  a  tempo ;  e  viene  ad 
avere  queUa  medesima  menda  il  falcone,  che  ha  il  dia- 
mante della  casa  de' Medici,  ed  oltre  a  quel  falcone, 
port6  ancora  per  impresa  amorosa  un  camello  ingi- 
nocchiato  carico  d'  una  gran  soma,  con  un  motto  che 
diceva  :  non  sutfro  has  db  lo  que  puedo,  volendo  dire 
alia  dama  sua :  non  mi  date  pid  grayezza  di  tormento, 
di  quel  che  posso  sopportare ,  essendo  la  natura  del 
camello,  che  spontaneamente  sUnchina  a  terra  per  la- 
sciarsi  caricare,  e  quando  si  sente  addosso  peso  ahba- 
stanza,  col  levarsi  signlflca  non  poterne  sopportar  pid. 

Dopo  la  morte  d'Ascanlo  e  del  cardinale  San  Giorgio, 
furono  successiyamente  il  cardinale  Lodovico  d'Ara- 
gona  e  Sigismondo  Gonzaga,  i  quail  pentendosi  d'aver 
creato  papa  Leone,  I'uno,  che  fu  Aragona ,  port6  una 
tayoletta  bianca,  con  un  breve  che  la  girava  attomo 
dicendo :  melior  fortuna  notabit,  come  si  vede  in  pi  a 
luoghi  nella  sala  della  rocca  di  Nepi.  Ed  il  Gonzaga 
porl6  un  coccodrillo,  con  un  motto  che  diceva:  cro- 
GODiLi  LAGRiMiS,  parolc  passatc  in  proverbio,  per  signi- 
flcare  la  simulazione  di  coloro  che  hanno  belle  appa- 
renze  d'amore,  e  neirintrinseco  hanno  il  veleno  del- 
Todio  di  male  affetto. 

Sono  poi  stati  duo  luminaria  magna  della  corte  ro- 
mana,  due  giovani  I'un  dietro  aU'altro,  Ippolito  de'  Me- 
dici ed  Alessandro  Famese ;  e  perch^  di  quello  abbiamo 
narrato  la  sua  impresa  peculiare  dello  inter  omnes , 
della  cometa,  e  quella  deireclissi  della  luna,  narreremo 
•  ora  quelle  del  cardinal  Famese  ,  che  sono  state  tre , 
cio^,  un  dardo  che  Terisce  il  bersaglio ,  con  un  motto 
greco  che  diceva :  B  A  A  A'  O  T  TQ  2,  che  voleva  dire  in 
suo  linguaggio,  che  bisogna  dare  in  carta,  e  fu  inveuzione 
del  poeta  Molza  modenese,  il  quale  fu  molto  amato  e  lar- 
gamente  beneflcato,  cosl  dai  prefati  Medici,  come  da  que- 
sto  Famese.  La  seconda'fu  una,  che  gli  feci  io,  secondo 
la  richiesta  sua,  come  si  vede  nelle  superbe  e  ricche 
portiere  di  ricamo.  E  fu  dicendo  sua  signoria  reveren- 
dissima,  nei  prim!  anni  del  suo  cardinalato,  che  non 


88  DIALOGO 

era  ancor  risoluto  quali  imprese  dovesse  portare ,  e 
cb*io  ne  dovessi  trovar  una,  coaforme  a  quanto  mi  di- 
ceva,  YolBndo  dire  che  prosperandolo  Dio  e  la  for- 
tuna  negli  occulti  desiderj  suoi ,  che  al  suo  tempo  gli 
paleserebbe  con  una  ctiiara  impresa.  Ed  io  gli  feci  per- 
ci6  UQ  fcartiglio  bianco  con  on  breve  attomo  cbe  di- 
ceva :  votis  subscribent  fata  sbgundis.  Percb^  si  come 
11  motto  fu  giudicato  al  proposito,  cosi  la  pittura  ba 
bella  apparenza,  secondo  cbe  avete  potnto  vedere  al 
Museo,  alia  sala  dedicata  alia  Yirtd.  Ultimamente  quando 
da  papa  Paolo  III  fu  mandato  Legato  in  Alemagna,  col 
flore  de'  soidati  d'ltalia,  in  a^ato  di  Carlo  Y  imperatore, 
per  domare  la  perversity  de'  tedescbi,  fatti  in  gran  parte 
lateranl  e  ribelli  alia  cesarea  maestk ,  gli  feci  per  im- 
presa il  fulmine  trisulco,  che  ^  la  vera  arme  di  Glove 
quando  vaol  castlgare  Tarroganza  e  poca  religione  de- 
gli  aomini,  come  fece  al  tempo  de'giganti,  col  motto 
cbe  diceva:  roc  uno  iupiter  ultor,  assimigliando  le 
scomunicbe  al  fulmine,  il  papa  a  Giove.  E  cosi  come  si 
vede  in  buona  parte,  per  questi  aiuti  cbe  nel  principio 
della  guerra  f urono  moito  opportuni,  Carlo  V  con  somma 
gloria  riusci  vittorioso  ed  invittissimo. 

M.  Andrea  Gritti,  proweditore  alia  guerra  de'  aignori 
Veneziani,  fu  di  cbiarissima  fama  dal  principio  alia  fine 
della  guerra..  cbe  dur6  otto  anni ,  e  perci6  merit6  per 
il  suo  franco  valore  d'esser  creato  principe  e  doge  deila 
sua  repubblica.  in  quel  tempo,  cbe  per  sua  virta  si 
ricuperd  Padova,  e  la  difese  dall'impeto  di  Massimiliano 
imperatore,  cbe  aveva  seco  tutte  le  nazioni  d'Europa, . 
port6  una  magaanima  impresa,  cbe  fu  invenzione  di 
M.  Giovanni  Cotta,  celebratissimo  poeta  Veronese,  e  fu 
il  cieio  cx)l  zodiaco  e  suoi  segni,  sostenuto  dalle  spalle 
d'Atlante,  come  flgurano  i  poeti,  cbe  sta  inginoccbiato 
con  la  gamba  sinistra  e  con  le  mani  abbraccia  il  cielo, 
con  un  breve  che  riesce  sottovia:  sustinet  nrc  fati- 
scrr ,  ancorcbd  esso  signore,  come  modesto,  non  Io  por- 
tasse  in  pubblico  per  fuggir  Tinvidia,  bencbd  gli  pia- 
cesse  moito,  e  fosse  ben  lodato  da  ognuno ,  ed  ancor* 


DBLL'lllPRBSB.  tf9 

cb^  Atlante  abbia  forma  umana ,  pur  si   pa6  toUerare 
per  esser  cosa  favolosa. 

Non  merita  d'esser   passata  con   sileuzio  la  signora  f 
Isabella,  marcbesana  di  Mantova,  cbe  sempre  iu,per  wl 
Buoi  onorati  costami,  magniflcentissima ,  ed  in  diver  si! 
tempi  della  vita  sua  ebbe  varii  affronti  di  fortuna,  il 
quaii  gli  diedero  occasione  di  fare  piU  d'un'  impresa,  e " 
fra  I'altre  accadde  che  per  sovercbio  amore,  cbe  por-^^ 
tava  ii  flgliuolo  sao,  il  daca  Federico,  ad  una  gentil-  i 
donna ,  alia  quale  egli  voltava  tutti  gli  onori  e  favori,  > 
essa  re8t6  come  degradata  e  poco  stimata,  talmente  che 
la  delta  innamorata  del  duca  cavalcava  superbamente  ! 
accompagnata  per  la  cittii  dalla  turba  di   tutti  i  gen*  . 
tiluomini,  cbe  erano  soli  ti  accompagnare  lei;edi  sorte  - 
che  non   restarono  in   s  ua  compagnia  se  non  uno  o 
due   nobili  vecchi ,  che    mai  non  la  volsero  abbando- 
nare ;  per  lo  quale  affronto  e  ssa  signora  marcbesa  fece 
dipingere  nel  si^  palazzo  suburbano,  chiamato  Porto, 
e  nella  corte  veccbia,  una  bella  impresa  a  questo  pro- 
posito,  cbe  fu  il  candelabro  fat  to  in  triangolo,  il  quale 
ne'  divini  ufQcj  oggidi  s'usa  pe  r  le  chiese  la  settimana  -, 
santa,  nel  qual  candelabro  mis.  teriosamente  ad  uno  ad 
uno  si  levano   i  lumi   da '  sacerdoti ,  flnchd  un  solo  vi  . 
resta  in  cima,  a  signiflcazione   che  il  lume  della  fede  ' 
non  pu6  perire  in  tutto,  al  la  quale  manc6  il  motto,  ed  ; 
io  che  fui  gran   servitore  della  detta  signora  ve  Tag- 
giunsi  ed   6  questo :  sufficit  unum  in  tbnbbris  ,  allu-  i 
dendo  a  quel  di  Yirgilio,  unum  pro  mMltis.  Port6   si- 
milmente  questa  nobilissima   signora   per  impresa  un 
mazzo  di  polizze  bianche,  le  quali  si  traggono  dall'urna 
della  sorte,  volgarmente  detta  il  lotto,  volendo  signi- 
ficare  cbe  aveva  tentato  molti  rimedj,  e  tutti  gli  erano 
riusciti  vani ,  ma  pur  a  11a  fine  rest6  vittoriosa  contro  . 
i  suoi  emuli,  tornando  nella  sua  grandezza  di  prima;  ' 
e  port6  per  impresa    il  numero  27,  volendo  inferire 
come  le  sette,  le  quali  gli  erano  state  fatte  contra , 
erano  tutte  restate  vinte  e  superate  da  lei,  II  qual  motto 
aacorcbd  abbia  di   quel  vizio  detto  per  innanzi ,  par 


60  DULOOO 

nondimeao  toUerabUe  in  ana  donna  e   cos)  gran  si- 
gnora. 

K\  figliuolo  primogenito  del  signor  marchese  del  Va- 
sto  erede  del  name  e  dello  state  del  marchese  di  Pe- 
scara,  nel  quale  si  yede  espresso  segno  di  chiara  v^irtd, 
per  correre  alia  fama  e  gloria  del  zio,  del  padre  ed  al- 
tri  suoi  maggiori,  andando  esso  in  Spagna  a  servire  il 
re  Filippo,  gli  feci  per  impresa  il  gran  stipite  del  lauro 
della  casa  d'AyalcM,  nel  quale  si  veggono  troncati  al- 
cuni  pltl  grossi  rami,  e  fra  essi  si  vede  nato  un  dritto 
e  gagliardo  rampollo,  il  quale  va  crescendo  molto  in 
alto ,  con  on  motto  che  dice :  triumphali  r  stipite 
SUR6BNS ,  ALTA  PETIT ,  c  vieu  tauto  pia  al  proposito , 
quanto  che  il  lauro  6  dedicato  ai  trionfi. 

Non  lascerd  di  contarvi  una,  cb'io  feci  Tanno  pas- 
sato  al  signor  Andrea  Hgliuolo  dell*  eccellentisslmo  si- 
gnor don  Ferrante  Gonzaga,  11  quale,  come  giovanetto 
d'indole  e  speranza  di  sommo  valore,  avendo  ottenuto 
la  condotta  d*una  compagnia  di  cavalli,  mi  ricerc6  del- 
I'impresa  per  lo  stendardo,  ed  io  alludendo  a  quel  di 
Virgllio,  Parma  inglorius  alba,  gli  feci  uno  scudo,  ov- 
vera  brocchiere  rotondo  col  campo  bianco,  cb'aveva 
intorno  un  fregio ,  il  quale  aveva  dentro  quattro  pic- 
cioli  tondi  in  quattro  canti,  legati  insieme  con  quat- 
tro festoni  d'alloro;  nci  primo  v'era  il  cruciolo  deiroro 
afflnato,  del  magnanimo  signor  marcbese  Francesco  col 
suo  motto:  probasti  me  domikb,  11  qual  marchese  fu 
suo  avolo  paterno;  nel  secondo  monte  Olimpo,  con 
I'altre  della  fede  del  duca  Federico  suo  zio;  nel  terzo 
quella  deiravolo  materno,  Andrea  di  Capua,  duca  di 
Termoli,  ch*era,  come  di  sopra  bo  detto,  un  mazzo  di 
partigiane  da  lanciare,  col  motto  cbe  diceva:  fortibus 
NON  deerunt;  nel  quarto  era  il  cartiglio  del  signor  sac 
padre,  senza  corpo,  c*o<>,  nec  spe  nec  metu.  e  glrava 
per  I'estremit^  nel  campo  bianco  dello  scudo  intra  I'al- 
loro  uu  breve  d'oro ,  cbe  diceva :  virtutis  troph^ea 
NOViE  NON  DE6BNER  ADDET ,  volcudo  dire  ch' cgH  nou 
tralignerii  da'suoi  maggiori,  ma  aggiunger^  qualche  sua 


DBLL'IMPRBSB.  04 

gloriosa  e  pecaliare  impresa.  E  questa  invenzioue  feee 
vago  vedere  nello  stendardo  eol  suo  oaesto  e  mode- 
rau>  aigiiiflcato. 

DoM^fi  possibile,  monsigaore,  che  qoesti  vecchi  ca- 
pitani  e  principi  non  portassero  qualche  arguta  im- 
presa?  Par  che  questi  signori,  ed  io  ispecie  quegU  di 
Miiano,  per  un  gran  tempo  non  sapessero  uscir  di  sem- 
previvi,  di  baratti,  morsi,  muraglie,  streglie,  scopette 
e  si  mil  trame,  con  poca  vivezza  di  moUi,  e  forse  troppo 
arrogante  significato. 

Gio.  Egli  ^  yero ,  ma  pure  ce  ne  sono  stall  alcaoi , 
cbe  banno  avuto  del  buono  e  deir  elegante ,  come  fu 
quella  di  Galeazzo  Visconte  >  che  edified  il  castello ,  il 
parco  e  il  ponte  di  Pavia,  opera  pari  alia  grandezza 
de'  Romani.  Esso  port6  il  tizzone  affocato,  con  secchie 
d'acqua  attaccate,  volendo  dire  cb'esso  portaya  Ja 
guerra  e  la  pace,  poi  che  con  I'acqua  si  spegne  il 
fuoco;  vero  6  che  gli  manc6  il  motto. 

Ma  quella  del  conte  Nicola  da  Campobasso ,  a  me- 1 
moria  de'  nostri  padri  ebbe  soggetto  ed  anima,  il  quale, 
stando  al  soldo  col  gran  duca  Carlo  di  Borgogna,  non 
si  cur6  d'acquistar  fama  di  notabil  perikiia,  per  ven- 
dicarsi  d'una  privata  ingiuria,  e  ci6  fu  perch^  per  un 
dispiacere  in  una  consulta  di  guerra  dal  duca  signor 
suo  sovercbiamente  coUerico  rilevd  una  grossa  cefTata, 
la  quale  mai  non  si   pot^  dimenticare,  riservandola 
nelk)  sdegnato  petto  all^ccasione  di  poterla  vendicare, 
e  cosi  fece  dopo  un  gran  tempo,  alia  giornata  di  Nansl, 
nella  quale  ayvis6  Renato  duca  di  Lorena ,   cbe  non 
dubitasse  d'assaltare  il  duca  con  gli  Svizzeri:  perchd 
egli  con  le  sue  genti  d'arme  non  si  sarebbe  mosso  a 
dargli  aiuto,  ma  si  starebbe  a  yedere,  e  in  quel  con- 
serto  rest6  fracassato  e  morto  il  duca  ,  ed  esso  conte  ] 
Cola  addrizz6  la  sua  bandiera  yerso  Jrancia,  accostan-  ' 
dosL  al  re  Luigi,  e  port6  poi  nella  bandiera  ^ua  ligu- 
rato  un  gran   pezzo  di  marmo   d'una  anticbit^ ,  rotto 
per  mezzo  dalla  forza  d;un  flco  salyatico ,  il  quale  col  i 
tempo  porta  royina,  ficcandosi   per  le  fissure  e  com- 


6i  DULOGO 

missure  con  lenta  violenza,  e  sopra  vi  porta  11  mouo, 
tolto  da  Maniale,  che  diceva:  ingsntu  mahmora  fih- 
DiT  GAPRiriGus,  6  fu  reputata  qaesta  impresa  non  solo 
belia  di  vista,  ma  molto  esemplare  ai  principi,  c^e  noo 
debbano  per  coUera  villaneggiare  i  seryitori  ,  massi- 
mamente  nobili  e  d'importanza. 

DoM.  Qaesta  fa  una  gran  vendetta,  ma  ignominlosi, 
e  mi  parve  quasi  simile  a  quella  del  prete  Rlnaldo  da 
Modena  cappellano,  sottomastro  di  casa,  e  altre  Tolte 
cameriere  di  Cristoforo  Eboracense,  cardinale  d'Inghil- 
terra,  11  quale  avendo  ricevuto  alcune  volte  sopra  lln- 
giurie  di  parole  di  fiere  bastonate  dal  cardinale,  ch'era 
capriccioso  e  gagliardo  di  cervello,  per  vendicarseoe 
crudelmente  rawelen6  ed  ammazzd;  e  confessando  poi 
11  delitto ,  fu  squartato  al  tempo  di  Leone  in  Romi. 
Basta  cbe  non  si  deve  giocar  dl  mano  in  nessun  caso 
con  uomo  fatto ,  percb^  bisogna  ammazsare  o  lascUr 
stare  di  battere,  perciocch^  alia  fine  ogni  uomo  offeso 
pensa  alia  vendetta  per  onor  suo. 

Gio.  Sono  alcuni  grandi,  che  nelle  imprese  loro  se- 
guono  la  conformity  o  del  nome  o  dell'arme  loro,  come 
fece  il  gran  Mattia  Gorvino,  re  d'Ungberia,  il  quale  port6 
il  corvo  per  impresa,  uccello  di  forsa,  ingegno  e  vi- 
vacity singolare,  e  cbi  port6  I'arme  propria,  come  fa 
il  signor  Giovanni  Schiepusense  fatto  re  d'Ungheria  per 
favore  di  Solimano,  signore  de'Turchi,  e  per  affezione 
d'alcuni  baroni  del  regno  coronato  In  Alba  regale.  Esse 
port6  per  impresa  una  lupa  con  le  poppe  piene ,  che 
fu  ancora  Tarme  del  padre ,  ma  egli  vi  aggiunse  il 
motto  composto  con  convenevole  arguzia  dal  signor 
Stefano  Broderico  gran  cancelltere  del  regno ,  che  di- 
ceva: SUA  ALiENAQUB  PI6N0RA  NCJTRTr ,  voleudo  dire 
che  riceveva  in  grazia  quegli  ancora  che  gli  erano  stati 
conirari. 

lo  m'era  quasi  scordato  di  dirvi  una  che  ne  port6 
il  sig.  Francesco  Maria  della  Rovere  duca  d'Urbino, 
dappoich^  con  le  sue  mani  ammazzd  il  cardinale  di 
Pavia  In  Ravenna  per  vendicare  I'importantissime  in- 


DBLL'UfPBBSB.  63 

giurie,  che  da  lui  aveva  ricevuto.  E  f a  un  leone  ram- 
pante,  di  color  natarale  in  campo  rosso,  con  uno  stocco 
in  mano,  e  con  un  breve,  cbe  diceva:  non  obbst  gb- 
Nsaoso  IN  PEGTORB  VIRTUS ,  0  fu  inventato  a  similita- 
dine  di  quello  che  port6  Pompeo,  come  narra  Plutarco, 
dal  conte  Baldassare  Gastiglione,  il  quale  intervenne 
col  daca  alia  morte  del  detto  cardinale ,  ancorchd  il 
daca  non  volesse  far  molta  mostra  di  questa  impresa, 
per  faggir  Todio  e  Tinvidia  de'  cardinal!. 

II  signore  Stefano  Colonna,  valoroso  e  magnanimo  ca- 
pitano  generale  del  duca  Gosimo,  portando  per  impresa 
la  sirena,  antico  cimiero  di  casa  Colonna,  mi  richiese 
alia  domestica,  come  compare  cb'io  gli  era,  ch'io  gli 
volessi  ia^re  un  motto  per  appropriarsi  per  impresa  la 
detta  sirena,  ^omune  a  sua  casa,  e  cosi  conforman- 
domi  col  suo  generoso  pensiero  gli  feci,  contbmnit 
TUTA  PBOGBLLAs,  volcndo  dire,  ch'egli  sprezzava  rawer- 
sitii ,  come  confidatosi  nel  valor  suo ,  nel  modo  che 
quella  col  suo  nuotare  supera  ogni  tempesta. 

Feci  ancora  per  rovescio  d'una  medaglia,  che  pu6 
servire  per  rlcami  ed  alire  pitture  air  eccellentissima 
signora  duchessa  di  Fiorenza,  una  pavona  in  faccia, 
la  quale  con  Tali  alquanto  alzate,  copre  i  suoi  pavon- 
cini,  tre  alia  destra  e  tre  alia  sinistra,  con  un  motto 
che  dice :  cum  pudorb  l^bta  FOBCUNorrAS,  alludendo  alia 
natura  deU'uccello,  il  quale  perGi6  6  dedicato  a  Giu- 
none  regina  del  cielo  secondo  I'opinione  de'gentili. 

DoM.  Ditemiy  monsignore,  poich^  avete  numerato,  di- 
scendendo  dal  sommo  al  basso ,  quasi  tutti  i  famosi 
principi ,  capitani  e  cardinali ,  ecci  nessun'  altra  sorte 
d'uomini  ch'abbia  portato  imprese? 

Gio.  Ge  ne  sono,  e  fra  gli  altri  alcuni  letterati  a  mio 
giadizio  della  prima  classe,  cio6  M.  Giacopo  Sannaz- 
zaro ,  il  quale  essendo  fleramente  innamorato ,  e  sti- 
mando  che  ci6  gli  fosse  onore,  con  allegare  il  Boccac-  ^* 
cio  che  lod6  Guido  Cavalcanti,  Dante  e  M.  Cino  da  Pi-  ; 
stoia,  sempre  innamorati  sino  airestrema  vecchiezza, 
stette  sempre  in  aspettazione  d'essere  ricompensato  in 


J 


64  DUU>60 

t  amore,  come  gli  avvenne,  e  port6  per  impresa  an*urna 

.'  plena  di  pietruzze  nere  >  con  una  sola  bianca,  coa  un 
motto  Che  diceva:  jsquabit  nigras  Candida  sola  oiks, 

;  volendo  intendere  che  quel  giorno  che  sarebbe    fatto 

•  degno  deiramor  della  sua  dama,  avrebbe  coutrappesato 
a  quegli  cbe  in  vita  sua  aveva  sempre  negri   e  disav- 

!  veuhirati.  E  questo  alludeva  ali'usanza  degli  antichi,  i 
quali  solevano  segnare  ognuno  il  successo  delle  gior- 
nate  loro  buone  e  cattive  con  le  pietruzze  nere  e  bian- 

'  che,  che  al  fine  dell'anno  ,  annoverandole ,  facevano 
il  conto,  secondo  quelle  che  gli  avanzavano,  se  Tanno 
gli  era  stato  prospero  o  infelice.  Questa  impresa  fu 
bella,  e  domandandomene  esso  parere,  gli  dissi  ch'era 
belli ssi ma,  ma  alquanto  sconvenevole,  perch^  Turne  de- 
gli antichi  solevano  essere  o  di  terra  o  di  metallo,  e  percid 
non  si  poteva  Qgurare  che  dentro  vi  fossero  molte  pie- 
truzze negre  ed  una  sola  bianca,  per  non  poter  essere 
trasparente.  Aliora  egli  urbanissimamente  rispose :  egli 
6  vero  quel  che  dite;  ma  a  quel  tempo,  I'urna  mia  fu 
di  vetro  grosso,  per  lo  quale  potevano  molto  bene  tra- 

I    sparire  dette  pietruzze,  e  cosi  con  gran  riso  gittammo 

I   il  motto  e  I'argnta  risposta  in  risa. 

Fece  una  bella  impresa  M.  Lodovico  Ariosto  Cacendo 
ii  vaso  delle  pecchie,  alle  quali  I'ingrato  villano  fa  11 
fumo  e  Tammazza  per  cavare  il  mele  e  la  cera ,  col 
motto  di  sopra  che  diceva :  pro  bono  malum,  volendo 
forse  che  s'intendesse  com'egli  era  stato  maltrattato  da 
qualche  suo  padrone,  come  si  cava  dalle  sue  satire. 

Erasmo  Roterodamo,  nato  nell'estrema  isola  d*01anda, 
aU'et^  nostra  fu  si  ricco  di  dottrina,  ed  ebbe  si  fe- 
condo  ingegno,  che  avanz6  ogni  altro  letterato ,  come 
si  vede  per  I'inflnite  sue  opere ,  per  la  quale  autoht^ 
di  dottrina  port6  per  impresa  un  Dio  Termine,  di  si- 
gniflcato  alquanto  altiero,  volendo  in(erire  che  non  ce- 
deva  a  nessun  altro  scrittore,  come  auche  il  Dio  Ter- 
roine,  non  volendo  cedere  a  Giove  in  C^tolio  come 
scrive  Varrone  ,  ed  il  suo  motto  che  fu  questo :  vbl 
lovi  GBDxaB  NBSGiT.  Fu  Erasmo  amicissimo  di  Tom- 


drll'iupbbse*  65 

maso  Moro  inglese ,  uomo  di  pari  celebriU  d'ingegno, 
•al  quale  domandando  Erasmo,  qaal  sentenza  gli  pareva 
-cbe  stesse  bene  da  mettere  sopra   la  porta  dello  stu- 
-dio  0  scrittoio  sao ,  argutamente  rispose ,  che   vi   sa- 
rebbe  proprlamente  convenuta  rimmagine  d'Apelle,  il 
-finale  dipingesse,  e,  maravigliandosi  di  ci6  Erasmo,  re- 
plied 11  Moro ;  percbd  no  ?  poicb^  esso   Apelle  disse : 
iruLLA  DISS  snfB  LiNBA ;  il  qual  precetto  ^  da  vol  molto 
l>ene  osservato,  poicb^  scrivendo  fate  stupire  11  moudo 
delle  Yostre  innumerabili  opere. 

Port6  ancora  11  dottissimo  M.  Andrea  Alciato ,  no- 
Tellamente  psssato  a  miglior  vita ,  11  caduceo  di  Mer- 
furio,  col  corno  della  divizia  della  capra  amaltea,  vo- 
lendo  signiflcare  ,  che  con  la  copia  delle  dottrine ,  e 
€on  la  facolt^  delle  baone  lettere  delle  quali  si  flgura 
Bfercurio  padrone,  aveva  acquistato  degno  premio  alle 
sue  faticbe;  ma  in  vero  questa  bella  impresa  aveva 
l)isogno  d'on'anima. 

DoM.  E  vol,  monsignore ,  che  valete  quel  che  valete, 
e  sarete  forse  stimato  piCi  dopo  morte  che  ora,  perchd 
tx>n  la  moite  yostra  estinguerete  Tinvidia,  e  la  vera 
gloria  viene  a  chi  la  merita  dopo  la  morte  ,  portaste 
mai  nessona  impresa  che  abbia  corpo?  Perciocch^  as- 
sai  avete  detto  sopra  dell'anima,  che  voi  portate  senza 
soggetto  delFATO  pbuobntia  minor,  come  si  vede  e  nelle 
case  vostre  e  nel  Museo,  in  ogni  ornamento  d*apparato 
Yostro  di  casa. 

Gio.  Certo  io  ho  desiderato  molto  trovame  il  sog- 
getto  che  abbia  del  buono,  ma  non  Tho  mai  trovato, 
ancor  ch'io  abbia  conosciuto  per  prova  che  il  motto 
d  pi  til  che  verissimo.  Perch^  chi  pensa  con  ogni  dili- 
genza  mondana  trovare  schermo  alia  fortuna  che  viene 
dal  cielo  (chd  cosi  vuol  intendere  il  fato,  che  non  ^ 
altro  che  volont^  divina,  la  quale  ha  pid  forza  che  la 
virta  e  solerzia  umana)  s'ingani^  molto.  £:  ben  vero 
che  in  mia  gioventCi,  essendo  io  preso  d'amore  in  Pavia, 
lui  necessitato  per  non  far  peggio  a  prendere  un  par- 
ti to  dannoso  per  salvar  la  vita,  e  volendo  most  rare  la 
GUn>io.  *  '       » 


B6  DIALOOO 

necessiU  cbe  mi  sforz6,  feci  qaeil'aniinale  che  in  latino 
8i  chlama  Fiber  PonticuSj  e  castoro  in  Tolgaire,  il  qmile 
per  faggir  delle  mani  de' cacciatori,  conoscendo  d'esser 
perseguitaio  per  conto  de'testicoli  che  haano  molta 
virt(t4n  medicina,  da  s^  stesso,  non  potendo  fnggine, 
«e  gli  cava  co'denti  e  gH  las^la  ai  (^tcciatori;  come 
narra  Gioyenale:  con  un  motto  di  sopra  ctie  dicera 
in  greco:  ANATKH,  cbe  vuol  dire  neoesaiU,  alia  qnale, 
siceome  scrive  Luciano ,  obbediscono  gH  nominl  e 
gli  Dei. 

Ultimamente  ho  fatto  un'impresa  a  richiesta  di  M.  Ca- 
millo  Giordani,  iureconsalto,  dicendo  egli  che  stava  nel- 
I'animo  suo  ambiguo  e  sospeso  di  prendere  nn  certo 
partitOi  e  che  per  risolversi  n'aspettava  parere  e  con- 
snlto  dall'oracolo.  E  coal  feci  la  afinge  degli  Bgizj,  che 
ftroole  interpretare  gli  enigmi  e  le  cose  astmse ,  col 
tempo,  il  qnale  6  signiflcato  per  un  serpenie,  che  sin- 
ghiottisce  la  coda,  col  motto  che  dice  nrcsftTA  Aimn 

IMBCRBTA  RB80LVBT. 

Portane  ancora  una  al  proposito  suo  il  caralier  Bac- 
cio  Bandinelli,  molto  eccellente  statuario  florentino,  II 
quale  per  sua  virtii  e  famose  opere  6  riusoito  e  noMle 
e  ricco ,  e  gratissimo  al  principe ,  il  signor  duca  Go- 
8imo.  La  quale  impresa  6  una  grossa  massa  di  flnis- 
simo  cristallo,  il  quale  pende  da  una  asprissima  balza 
di  montagna,  con  un  motto  che  6\ce:  bx  glagib  cai- 
8TALLUS  BVASi ,  tcstimouio  della  sua  molta  modestia  e 
preziosa  Tirtti.  E  questa  impresa  ^  inyensione  di  M.  Giu- 
lio  Giovio,  mio  coadiutore  e  nipote. 

Hanne  similmente  fatta  una  per  s^  medesimo  il  detto 
mio  nipote  M.  GiuUo ,  con  la  quale  s'  inaugura  accre- 
scimento,  come  merita  il  suo  letterato  ingegno;  flgu- 
rando  un  albero  innestato  con  un  motto  tedesco,  che 
dice  wAifN  ooTT  WILL,  che  vuol  dire,  quandoBio  vorrA, 
questo  mio  nesto  s'apprenderii  e  florirft. 

DoM.  Se  non  fosse  presunzione  io  vi  direi,  monsignore , 
una  ch'io  ho  fatta  per  me,  aneorch^  Fimprese  si  conren- 
gano  a  pcrsonc  di  maggior  pregio,  che  non  sono  to. 


raLL'lMPBBSB.  67 

Gio.  E  pwchft  Hon  stanno  elleno  bene  a  voit  Ditela 
IHire  sicuraHiente,  che  insino  ad  ora  vi  assolvo  d'ogni 
bi^simo  di  presanzione,  cbe  peroi6  ne  poteste  incorrerew 

DoM.  Assiearato  dunqae  dairautoriU  e  favor  yostro, 
dico  cbe  volendo  io  signiflcare  un  mio  concetto  assai 
modesto  bo  fatlo  questa  impresa,  ed  ^  cbe  non  po- 
tendo  io  stare  nella  patria  mia  Piaoenza ,  con  quella 
tranquillity  e  contentezza  d'animo  cb'  io  vorrei,  mi  bo 
eletto  per  seconda  patria  questa  floridissima  Fiorenza, 
ore  io  spero  prosperare  sotto  questo  liberale  e  glndi- 
zioso  principe.  £  cosi  bo  figurato  un  albero  di  pesco> 
cartco  di  frutti :  il  quale  albero  non  ba  feliciUt  nel  suo 
terreno  natio ,  per  esser  velenoso ,  ma  trapiantato  poi 
in  terreno  lontano  e  fertile,  prende  felice  miglioramento, 
con  un  motto  cbe  dice :  translata  proficit  arbos. 

Gio.  Questa  vostra  impresa^  Domenicbi  mio ,  ancof * 
cbd  sia  ingegnosa  e  discreta,  mi  dispiaee  per  due  cony. 

Don.  Di  grazia,  monsignore,  siate  contento  dire  percbd. 

Gio.  L'uno  6  percbd,  se  ben  mi  ricorda,  elia  d  gil^ 
stata  inyenzione  di  M.  Andrea  Alciato  negli  Embhmi 
suoi ;  Taltro  percb6  non  convien  molto  a  voi,  cbe  gia 
non  siete  voi  pianta  velenosa,  e  tale  cbe  non  aveste 
potuto  volendo  far  ancor  frutto  nel  vostro  natio  ter- 
reno; siccb6,  se  fai'ete  a  mio  senno,  ve  ne  provvede- 
rete  d'un'altra  cbe  piti  vi  si  confaccia. 

D0¥.  Orsil  dunque  avendo  vol  fatte  tante  imprese  ad 
altri,  non  mi  volete  essere  cortese  d'una  delle  vostre 
vivissime  ed  argute?  Perchd  in  verity  ne  ancbe  io  mi 
soddifaccio  molto  della  mia  del  pesco. 

Gio.  Si  veramente  voglio,  e  non  gi^  per  pagare  con^ 
si  poca  cosa  la  gran  fatica  cbe  durate  nel  tradurre  le 
mie  istorie.  E  sara  forse  questa  piCi  conveniente  all'ono- 
rato  proposito  vostro,  percbd,  nell'adoperarvi  voi  tanto 
con  ringegno  nelle  buone  iettere,  voi  vi  assomiglierete 
al  vomero  dell'aratro,  il  quale  per  il  lungo  uso  diventa 
Instro  e  forbito,  come  se  fosse  d'argento,  e  per6  farete 
un  vomero  con  un  motto  cbe  dice :  lokgo  splrndrsgit 
15  usu. 


i^ 


08  .DIALi^GO 

DoM.  Yerameate  ch*  io  m*  affatlco  volentieri ,  e  soo^ 
tuttavia  per  esercitarmi  flnch^  vivo  con  speransa  di 
acquistar  qualche  splendore  di  fama ;  e  in  questo  aK 
meno  iiniter6  vostra  signoria  reverendissima ,  che  col 
continuo  studio  s'6  fatta  immortale,  la  qual  cosa  non 
succede  per6  a  molti.  Ma  perch^  io  non  son  solo  a  ser- 
virvi,  non  volete  voi  fare  anche  un  favore  a  M.  Neri 
Rampuccio  da  Volterra,  che  cosi  gentilmente  Irascrive 
le  cose  vostre,  e  Io  merita  per  ci6,  e  per  Io  sao  ge- 
neroso  ardire ,  il  quale  ha  nuovamente  ammazzato  il 
suo  nemico,  dal  quale  aveva  ricevuto  la  inespiabile  e 
gravissiraa  ingiuria? 

Gio.  Io  aveva  gi^  pensato  a  questo  >  ed  ho  compia- 
ciuto>  dicendogli  che  aggiunga  airarme  sua,  che  ^  aa 
grifon  negro  in  campo  d'oro,  un  pugnale  in  mano  al 
detto  grifone,  e  che  vi   metta  questo  motto:  vel  cum 

PERICULO  DECUS   TUBRl. 

DoM.  Avreste  voi ,  monsignore  ,  da  raccontarmi  pii^ 
qualch'altra  bella  impresa,  perch6  io  non  vorrei  gia 
che  questa  festa  cosi  tosto  finisse. 

Gio.  Yeramente  non  me  ne  sovvlene  piti  nessuna,  la- 
quale  abbia  del  buono,  n^  voglio,  come  io  sono  nsato 
di  dire,  guastare  la  coda  al  fagiano,  accozzando  cor- 
niole  con  rubini ,  plasme  con  smeraldi,  e  beriili  con 
diamanti ;  e  ben  vi  dovrebbono  bastar  queste  ch*  io  vi 
ho  raccontate,  e  dovete  ancora  aver  compassione  all'etit 
mia,  nella  quale  la  memoria  suol  patir  difetto ,  ancor- 
ch6  si  no  ad  ora,  la  Dio  grazia,  io  non  Io  senta. 

DoM.  Io  conosco,  monsignore,  che  voi  avete  fatto  pia 
del  dovere,  e  so  che  chl  vedrk  in  iscritto  quel  che  voi 
di  questa  materia  avete  ragionato,  dir^  che  ve  ne  sono- 
infinite  d'altre  belle,  ma  voi  potrete  scusarvi  e  dire, 
come  avete  detto  nel  libro  degli  Elogi  degli  tiomini  fa- 
most  in  arme,  frescamente  pubblicato^  che  se  pure  se 
ne  sono  tralasciate,  cio  non  6  stato  colpa  vostra,  ma- 
per  difetto  di  non  aver  ritrovato  i  ritratti  in  gran  parte 
per  cagione  di  chi  non  s*  6  curato  di  mandarli  al  Mu- 
seo,  a  quella  bella  compagnia  di  tanti  erol.  £  gi^  m'  t- 


dbll'imprbsk.  69 

caplUto  alle  mani  un  romagnolo ,  il  quale  si  lamenta 
v.he  negli  Elogi  non  ha  ritrovato  il  cavalier  della  Volpe, 
il  quale  fu  si  gran  valente  uomo  al  servizio  dei  poten- 
tissimi  signori  Veneziani  per  Tonor  d'ltalia,  ma  io  I'ho 
consolato,  dicendogli,  cli'io  era  certo  che  11  signor  ca- 
valiere  non  s'avea  fatto  ritrarre,  per  essere  alquanto  de- 
forme  di  volto ,  essendogii  ouoratamente  stato  cavato 
ufi  occhio  in  battaglia,  e  che  gli  avrei  procurato  ri- 
compensa  in  qnesto  trattato  deir  iroprese.  Li  diinandai 
dnnque  s'egli  aveva  portato  alcuna  impresa.  Gome,  dis- 
8'egli ,  non  si  sa  che  portava  la  volpe,  che  mostrava 
i  denti  nella  bandiera  con  un  motto  che  dicevf :  simul 
A8TU  ET  DBNTiBus  UXOR?  voleudo  dire  che  non  biso- 
gnava  scherzar  seco,  perchd  si  sarebbe  difeso  in  tutti 
i  modi. 

Gio.  11  cavaliere  fu  valente  e  vigilante,  e  neH'istoria 
nostra  non  passa  senza  lode ;  e  per  questo  11  senato 
Tsneziano  gU  fece  dopo  la'  morte  sua  una  bella  statua 
di  legno  dorata  in  santa  Marina  di  Venezia. 

lo  non  voglio  gia  tacermi  per  Tultiroa  impresa  di 
Giovanni  Ghiuchiera  albanese,  chiamato  il  cavalier  fa- 
moso  sulle  guerre,  il  quale  ne  port6  una  faceta  e  ri- 
dicolosa,  a  chi  la  mirava ,  simile  alia  predetta.  Port6 
costui  nella  sua  bandiera,  per  mostrare  Tardita  natura 
sua  yalorosa  neU'esercizio  dei  cavalleggieri,  un  feroce 
lupo,  che  aveva  nelle  gambe  una  pecora  presa  e  mezza 
insangutnata  nel  coUo,  in  atto  con  la  testa  rivolta  ad- 
dietro  verso  due  grossl  cani  di  pastori,  che  lo  seguono 
per  torgli  la  preda,  de*quali  due  Tuno  piti  vicino  vol- 
tava  anch'  egli  la  testa  indietro  a  vedere  se  gli  altri 
cani  venivano  a  soccorrerlo,  temendo  d'assaltare  si 
terribil  neroico.  £  M.  Giovanni  Antonio  Musettola  gli 
fece  questo  motto  latino:  pavknt  ovbs,  timbnt  canes, 
iNTREPmus  MANBO.  Di  questa  impresa  molto  si  motteg- 
glava  e  rideva  il  signor  marchese  del  Vasto ,  veggen- 
dola  spiegata,  ma  a  dire  il  vero  della  bussola  de'  con- 
dottier!  ce  ne  sono  tanti,  che  affogherebbono  ogni  di- 
iigente  e  laborioso  scrittore,  il  quale  pensasse  di  voUr 


70  DIALOGO 

fermarsi  in  ogni  passo   dove  apparis^  qualche  valore 
«  prodezza  di  fame  so  soldato. 

DOM.  lo  vidi  qoesti  giorni  passati  sopra  la  tavoJa 
dello  studio  di  vostra  signoria  il  libro  o  quaderno  dei 
suoi  mettoriali,  ed  ayendolo  tolto  in  mano,  vidi  per 
entro,  tra  I'altre  cose,  cbe  su  in  cima  d'una  carta  erano 
notate  sei  tra  lettere  e  sillabe ,  puntate  tra  loro ,  cbe 
me  ie  ricordo  molto  bene,  perch6  io  vi  fantastical  un 
pezzo  attorno ,  e  non  le  potei  mai  intendere.  Ed  es- 
sendo  vostra  signoria  in  sala  con  molti  gentiluomini , 
io  non  volli  domandargliene  allora,  e  poi  cbe  furono 
partiti^  me  Io  dimenticai,  essendomi  dappoi  fermato 
poco  ancor  io.  Onde  ora  cbe  me  lo  ricordo ,  la  prego 
cbe  me  le  dicbiari,  tanto  pid  essendo  elle  in  materia 
d'imprese,  cb6  sotto  a  loro  era  uno  scbizzo  di  disegno 
con  alcune  lettere  ed  atcune  parole. 

Gio.  Voi,  cbe  allora,  e  tant'  altre  volte,  avete  veduto 
quel  miei  fogli  o  quaderni,  cbe  voi  gli  cbiamiate ,  di  mie 
memorie,  avete  ben  visto  cbe  son  quasi  tutti  pieni  di  pa- 
role cosl  mozze  ed  appuntate  per  lettere  o  per  sillabe, 
bastandomi  cbe  servano  a  me  solo,  cbe  le  vengo  di  volta 
in  voita  notando  per  miei  ricordi.  P6r6  se  non  mi  spe- 
cificate quali  fossero  le  lettere ,  e  quale  il  disegno  ,  e 
le  parole  dell'impresa ,  io  non  ve  lo  sapr6  dichiarare 
altramente,  essendovene ,  come  bo  detto  ,  molte  altre 
con  imprese  e  scbizzi  di  disegno  e  senza. 

DoM.  Ben  dice  vostra  signoria.  Le  lettere  erano  qae- 
ste,  e  cosi  puntate ,  cbe  col  dito  le  verr6  notando  su 
questa  mano,  e  vostra  signoria  I'intender^  molto  bene. 

Gio.  si  far6;  fate  pure,  e  ditele  con  la  lingua. 

DoM.  Un'  N ,  un  0  ed  un  B  tutte  insieme,  e  puntata 
i'ultima:  poi  un  I  ed  un  0  pur  insieme,  e  col  panto 
in  u  timo :  poi  MAT.  e  B.  SEN,  e  YEN.  ed  il  disegno 
era  un  sole,  e  sotto  a  quello  una  pianta  d'un'erba,  cbe 
per  esser  mai  disegnata ,  non  s  intendeva.  Ma  vostra 
signoria  vi  avea  scritto  in  greco  otiCcuov,  ed  eranvipo  i 
notate  P.  I.  ed  S.  B.,  lettere  sole  e  puntate,  ed  un  motto 
d'attorno  cbe  diceva :  dum  volvitur  ists. 


DBLL'IIIPRBSB.  71 

Gio.  k>  v'intesi  sabito  che  mi  speeiflcaste  le  prime 
lettere,  ma  vi  lio  lasciato  finire,  godendo  di  far  prov^ 
della  vostra  miraeolosa  memoria.  Le  lettere  in  cima 
della  carta  erano  per  mio  memoriale,  e  dicono  NohiUs 
Joanni$  Matthai  Bembi  ^  Senatoris  Vetieti ,  del  quale  6 
quella  impresa,  che  voi  avete  or  deita  e  divisata  come 
elia  stia.  L'erba,  come  dalla  parola  greca,  cbe  raolto 
ben  Ti  siete  ricordato,  potrete  ay^r  compreso,  ^  qoella 
cbe  comunemente  per  tutto  cbiamano  Sempretiva,  Le 
quattro  lettere  puntate^  cbe  le  stan  sotto,  sono  le  prime 
del  nome  e  cognome  mio,  e  di  quel  di  Sebastian  Mun- 
stero.  Ora,  messer  Lodovico  mio,  io,  ancorcb^  ne  sif 
chiarissimo  da  gi^  molto  tempo,  tuttavia  vorrei  vedere 
anco  in  qnesto,  se  in  voi  si  rende  falsa  quell'opinione 
di  coloro,  cbe  dicono  cbe  cbi  ba  gran  memoria  non 
ba  gran  giudizio.  Per6  vedete  ora  voi ,  se  sapete  dar 
la  sua  esposizione  alia  detta  impresa. 

DoM.  Ella  mi  pare  in  s6  stessa  cosi  Anita,  e  con  tutte 
le  parti  cbe  a  beila  e  leggiadra  invenzione  si  ricercano, 
cbe  non  ne  converria  assottigliar  molto  la  grossezza 
deiringegno  mio  per  interpretarla.  Parmi  adunque  pri- 
mieramente ,  cbe  quel  cbiarissimo  e  nobilissimo  gen- 
tiluomo  abbia  con  quell'  impresa  voluto  parlare  non 
meno  a  %h  stesso  ed  ai  suoi  flgUuoli  e  discendenti,  cbe 
al  mondo. 

Gio.  Voi  cominciate  gi^  molto  bene  ad  entrar  per  la 
via.  Perciocch^  questa  impresa  intendo  cbe  quel  gen- 
tiluomo  ba  fatta  dipingere  sopra  la  facciata  o  il  fron- 
tispizio  della  casa  sua  in  Venezia.  Cb6  cbi  non  ba  quel 
disegno,  o  quella  intenzione  cbe  voi  avete  detto  pur 
ora,  par  cbe  si  contenti  di  far  I'imprese  sue  o  sopra 
medaglie,  o  sopra  stendardi,  o  portiere,  o  altre  cose 
siflatte,  cbe  non  sono  da  durar  se  non  a  certi  tempi, 
e  da  vedersi  ad  alcune  occasioni,  e  non  da  molti.  Bfa 
seguite  I'esposizione. 

DoM.  Quel  nomi  cosl  appuntati,  cio6,  11  nome  e  co- 
gnome  di  V.  S.  e  quello  di  Sebastian  Munstero,  credo 
jo  cbe  sien  quivi  collocati  da  lui  per  rispetto  cbe  Tuno 


73  DIALOGO 

e  Valtro  di  vol  ha  fatta  onoratissima  menzione  dello 
splendor  suo  nelle  sue  istorie. 

Gio.  Questo  conyiene  a  forza  che  cosi  si  pigli  e  non 
altrimenti. 

DoM.  L'erba  poi  che  non  si  secca  mai  n^  per  sole 
n^  per  orobra,  e  cosi  in  greco  come  in  latino ,  come 
ancora  in  lingua  nostra,  ha  nome  di  Sempreviva ,  mo- 
stra  col  nome  e  conila  propriety  e  natura  sua  Tin  ten- 
zione  deli'autore,  e  con  le  parole  che  le  stanno  sotto, 
DUM  voLvrruH  iSTE,  vuol  inferire,  che,  finch*  il  sole  si 
aggirerit  intorno  ai  poli,  sar^  sempre  viva  la  memoria 
e  Tobbligazione  che  egli  e  tutta  la  casa  sua  avranno 
all'amorevolezza  ed  alia  bont^  di  V.  S.  e  del  detto  Man- 
stero,  che  sebben  ban  fatto  menzione  di  lui  per  dire 
il  vero  nelle  loro  istorie,  niente  di  meno  un  animo  gen- 
tile e  grato  e  veramente  nobile  non  pu6  mancar  d*ag- 
gradirlo,  e  di  riconoscerlo  per  favore.  Perch*  io,  mon-. 
slgnore,  tengo  per  cosa  certa,  che  chi  non  mostra  di 
aver  caro  di  perpetuare  11  suo  nome  e  la  gloria  sua 
con  la  memoria  delle  cose  gloriosamente  da  lui  ope- 
rate ,  non  far&  ancor  mai  cosa  alcuna  degna  di  gloria 
e  d'onore,  se  non  forse  a  caso,  o  per  forza.  Siccome 
chi  non  ha  caro  d'arrivare  ad  una  citt^,  o  altro  luogo, 
non  si  movers  mai  per  andarvi,  e  non  vi  ander^  n* 
arriver^  mai.^se  non  a  caso  ancor  esso  o  per  aver  fal- 
lata  la  via,  o  per  esservl  mandato,  o  trascinato,  o  por- 
tato  a  forza. 

Gio.  Yerissimo  per  certo  *  tutto  quelto  che  ora  dite. 
E  per  questo  vedete  che  1  vili  e  plebei,  siccome  non 
fanno  mai  cosa  onorata  se  non  per  errore  o  a  forza, 
come  avete  detto,  cosi  ancora  si  curan  tanto  deironore 
e  della  gloria,  quanto  i  porci  delle  gioie  e  dell'oro.  ifa 
io  vengo  ben  ora  considerando,  che  voi,messer  Lodo- 
viro  a  questa  impresa  di  quel  gentiluomo  avete  dato 
molto  migliore ,  e  piCi  convenevole  esposizione ,  che 
quella  che  io  le  dava.  Perciocch*  io  interpretava,  ch'ei 
volesse  con  essa  inferire  cbe  il  Munstero  ed  io ,  ^on 
aver  fatta  vera  testimonianza  del  valor  suo,  abbiamo 


i^k. 


dsll'imprbsb.  is 

fatto  Che  esso  e  la  casa  sua  saranno  sempre  vivi  nel 
cospetto  di  tuUi  i  secoli,  e  sarli  sempre  vivo  lo  splen* 
dor  suo,  e  chiaro  come  il  sole ,  fla  che  il  sole  girl  il 
mondo.  Ma  per  certo  mi  place  ora  molto  piti  questa  in* 
terpretazione  vostra,  cio6  che  egli  non  per  sua  gloria, 
ma  per  sua  modestia,  e  per  gran  bontli  e  gratitudine 
deir  animo  suo>  abbia  fatta  tale  impresa  sopra  la  sua 
casa,  per  moslrare,  come  voi  avete  benissimo  detto,  che 
egli  e  tutta  la  casa  sua,  serbando  eternamente  viva  la 
memoria  dell'amorevolezza  di  ciascun  di  noi,  che,  seb* 
ben  abbiam  fatto  per  dire  il  vero,  e  per  aggiungere 
splendore  agli  scritti  nostri,  nondimeno  esso  per  sua 
modestia  e  gratitudine  voglia  riconoscerlo  a  servigio  ed 
a  favore,  con  quella  ingenua  e  veramente  degna  con- 
siderazione,  che  voi  avete  spiegata  di  sopra ,  ciod  cher 
Chi  non  si  mostra  d'aver  cara  la  gloria  e  ronore>  non 
possii  d'animo  e  di  fatti  esser  se  non  vile  e  disonorato. 
Ch6  gli  uominf,  veramente  nobili  non  si  hanno  gi^  a 
muovere  a  far  le  cose  onorate  e  buone  per  solo  fine* 
d'acquistarne  gloria,  ma  per  far  quello  che  si  conviene 
a  loro.  Ma  hanno  ben  poi  da  aver  caro,  e  riconoscerne 
obbligo  a  Dio,  che  dairaverle  essi  fatte  felicemente  ne 
segua  loro  Tonore  e  la  gloria,  e  siccome  dagli  effetti 
d*  esse  e  dair  esempio  ne  conseguono  contentezza  ed 
utile  i  presenti  ed  i  poster! . 

DoM.  Cosi  6,  monsignor,  certamente.  Ed  in  quanto  allar 
esposizione,  che  V.  S.  dice,  ch'essa  dava  air  impresa , 
non  mi  par  che  fosse  se  non  belli ssima  ancor  essa,  per 
le  ragioni  che  V.  S.  ed  io  abbiamo  pur  ora  dette,  della 
contentezza  che  ogni  persona  onorata  deve  aver  della 
perpetuity  del  suo  nome  e  della  sua  gloria. 

Gio.  Di  questo  hanno  ragionato  a  lungo  e  scritto  mol* 
tissimi  grandi  uomini  come  sapete,  antichi  e  moderni. 
£  si  hanno  nolle  istorie  inflniti  esempi  di  famosissime 
e  valorosissime  persone,  che  con  gli  effetti  hanno  mo- 
strato  di  cosi  portare  opinione,  e  di  cosl  giudicare  come 
noi  diciamo. 

DoM.  Questa  impresa  del  Bembo ,  quanto  io  piil  Id' 


74  OlMJOGO 

Tengo  eoQSiderando  >  pid  mi  si  viene  scoprendo  arUft- 
ciosa  e  leggiadra.  Percioccb^  ia  quanto  all'  interprets- 
zione,  allora  sono  veramente  belle  e  vaghe  IMmpreae^ 
quando  possono  aver  pit  d'  una  espDsizione ,  purch^ 
ciascuna  le  quadri  e  le  si  convenga  bene ,  e  cbe  cia- 
scuna  sia  di  buon  sentimento,  e  non  di  tristo.  Accioe- 
cb^  pigliandosi  o  Tuna  o  Taitra  inter pretazione,  per  86 
sola,  o  Tuna  e  Taltra  insleme,  venga  sempre  a  resur 
bene  e  vagamente  edificato  I'animo  di  cbi  I'interpreta 
0  di  cbi  I'ascoita,  siccome  ed  unite  insieme  e  disgiunte 
tra  loro  vengono  a  far  pienamente  1'  una  e  r  altra  di 
queste  due  .esposizioni  cbe  noi  abbiamo  gia  date  a 
questa. 

Gio.  £  cbe  diremmo  poi  vol,  ed  io,  se  per  avventora 
quel  gentiluomo  cbe  I'ba  (atta,  le  desse  poi  qualcb'altra 
interpretazione  in  tutto  diversa  dall'una  e  dall'altra  di 
queste  diie? 

DoM.  S'eila  fosse  buona  e  le  convenisse  leggiadramente 
loderemmo  poi  tanto  pid  e  Timpresa  e  Tautore  insieme. 
E  per  certo,  siccome  in  un  bellissimo  palazzo,  ehe  si 
mostri  tutto  di  parte  in  parte  a  cbi  vuol  vederlo,  sem- 
pre i  padroni  si  riserban  cbiusa  qualcbe  stanza  con  al- 
cune  cose  a  sua  voglia,  da  non  pubblicarsl  o  mostrarti 
se  non  a  cbi  a  lui  piace,  o  a  cbi  pare  cbe  si  conTen- 
gano,  cosi  giudico  cbe  nelle  imprese  sia  cosa  tanto 
piti  vaga  e  tanto  piti  comoda  all'autore  quanto  avendo 
ella  una  o  piti  esposizioni  e  sentimenti  da  mostrare  a 
tutti,  n*abbia  ancor  poi  qualcb'  altro  mistico  e  recon- 
dito,  cbe  serva  a  s^  stesso  o  a  cbi  egli  vuole.  E  que- 
sta intenzione  si  vede  cbe  banno  avuto  non  solamente 
gii  scritti  de'poeti>  e  de'Hiosofl,  e  principaUnente  de'pla- 
tonici,  ma  ancor  le  sacre  e  divine  lettere. 

Gio.  Ben  dite.  Ma  non  so  se  ancor  avete  avvertito 
I'altre  bellezze  di  questa  impresa,  pur  con  questo  fine 
di  sentimento  vario,  cio6  cbe  Terba  col  nome  e  con 
la  natura  sua  serve  doppiamente  alFintenzione  deirau- 
tore,  e  questo  voi  toccaste  di  sopra ;  ed  ii  sole  poi  cbe 
pur  doppiamente  accomoda,  I'uno,  col  girar  suo  a  tener 


dbll'imprbsbI  71!^ 

interprelate  le  parole:  Dum  volvUur ,  Taltro  con  lo 
8plendore,  a  dar  esposizione  al  tatto,  cosi  nell'altra  ri- 
ferirsl  al  Monstero  ed  a  me,  che  quel  gran  gentiluomo 
ci  voglia  descrivere  per  illustri  e  splendenti  nel  co- 
spetlo  del  mondo ,  come  riferendosi  a  lai  stesso ,  che 
per  gli  scritti  nostri  sia  fatto  tanto  piti  chiaro.  E  que- 
sto  non  viene  ad  essere  fuor  di  modestia,  poi  che  tal 
cbiarezza  e  splendor  sao  moffira  di  riconoscere  dalla 
penna  nostra. 

Don.  Bellissima  e  artiflciosissima  ella  riesce  per  certo 
in  ogni  sua  parte.  E  ben  mostra  esser  nata  da  quel 
gran  gentiluomo,  del  quale  ho  udito  dire  a  piti  d'uno, 
e  principalmente  da  gentilnoroini  veneziani  stessi,  che 
cost  di  valore  e  altezza  d'animo,  come  di  acutezza  d'in- 
gegncnon  cede  a  persona  che  oggi  vira. 

Gio.  Di  questa  ultima  parte  io  non  vi  replicher6  al- 
tro.  Ma  delia  prima,  clod  deiraltezza  deiranimo,  io  ho 
in  punto  piti  d'nna  notabilissima  testimonianza  da  met- 
tere  nelle  mie  istorie,  e  principalmente  quella  quando 
dopo  la  molta  prudenza  usata  da  lui  e  molta  modestia 
per  tener  quieto  e  in  pace  Barbarossa,  che  volea  Gat- 
taro,  il  qual  esso  Tavea  in  governo,  essendo  flnalmente 
astretto  a  venir  all'armi,  non  solameote  difese  la  terra 
con  resistere  agl'impeti  de'nemici,  ma  usci  fuori  con 
tal  ordine  e  con  tanto  valore  ,  che  gli  fece  ritrar  su- 
bito,  e  r  aver  a  grazia  di  far  1'  amico  con  lui ,  e  pre- 
sentarlo,  e  fargli  un  mondo  di  favori  e  d'accarezzamenti. 
Ma  perchd  ^  gi^  tempo  di  venir  gente  che  c*interrompa, 
vedete  se  vi  resta  che  dir  altro  intorno  a  questo  sog- 
getto  deirimprese. 

DoM.  Per  ora  non  voglio  piCi  fastidir  V.  S.,  ch^  avremo 
tempo  a  ragionarne  altre  volte,  piacendo  a  Dio. 


HNB. 


AGGIUNTE 

AL 

riALOGO  DELLE  IMPRESE 

TRATTE  DALLE   EDIZIONI  GIA'  GITATE 
DEL  GIOLITO  E  DEL  ROYILLIO 


AggitiiUa  1."  tralU  dairedizione  del  Rovillio,  da  riferirsi  alia 
pag.  33  della  nostra,  avanti  al  paragrafo  cbe  comincia : 
Mettero  mano  ecc,  ecc. 

Al  medesimo  signor  Liviano  fu  trovata  una  arguta 
impresa  dal  Gotta  yeronese,  suo  poeta ,  dopo  la  detta 
rotta  di  Vicenza,  della  quale  dicevano  che  fu  potissima 
cagione  il  provveditore  M.  Andrea  Loredaao ,  il  quale, 
nel  punto  che  si  ritiravano  i  nemici  cesariani,  corse 
armato  in  corazzina  di  velluto  cremisino  al  padiglione 
del  generale.  E  trovandolo  con  molti  capitani  a  una 
tavola  che  consuUavano  di  quanto  s'avesse  a  fare,  co- 
mincld  a  rinfacciargli  la  vilt^  e  la  tardanza  loro;  per- 
ch^ essi  dicevano  ch'a'nimici  che  fuggono  si  doyreh- 
hero  fare  i  ponti  d'  oro ;  ed  egli  pure  instaya  che  non 
se  gli  lasciassero  scappar  dalle  mani;  atteso  che  eran 


78  AGGIDNTE   AL   DIALOGO 

roUi  i  Yeneziani,  e  il  liOredano,  restando  morto ,  pag6 
la  pHna  della  sua  temeriU.  Allora  il  Gotta  esortd  il 
8U0  signore,  che  ,  in  cambio  dell' Unitoriio ,  cbe  s'era 
perduto  nella  giornata,  portasse  per  insegna  ua'oca  in 
mezzo  d'  alquanti  cigni ,  coq  an  breve  legato  al  collo , 
cbe  dice :  Obstrbpuit  intbr  olorbs,  per  inferire  ch'ella 
6  cosa  impropria  cb'  on  senator  togato  voglia  prender 
presunzione  di  giudicare  ne'  casi  di  guerra  tra'  capitani. 
Riflut6  tale  impresa  il  Liviano,  ancorcb^  molto  la  lo- 
dasse,  per  non  morder  11  Loredano,  morto  miserabil- 
mente,  e  per  non  trattarlo  da  oca. 

Aggiunta  1*  tratta  dalle  due  citite  edizioni,  da  riferirsi  alia 
pag..5l  della  nostra,  avanti  al  paragrafo  cbe  comlncia : 
Ne  portd  ancora  il  predello  S,  Marchese. 

Ne  port6  ancora  un'altra  poco  avanti  molto  bella, 
trovata  da  M.  Guaitieri  Gorbetta,  senatore  miianese, 
uomo  dottiMimo  nelle  buone  letlere ,  ad  un  proposito 
che  voleva  dire  esso  signor  marcbese  cbe  desiderava 
venire,  siccom'  era  vcnuto,  capitan  generale,  per  poter 
roostrare  interamente  il  suo  valore,  senza  cbe  si  co- 
municasse  la  laude  al  soprastante  capitano>  dicendo 
mostrare  al  mondo  quanto  sapesse  e  valesse  neir  arte 
milttare.  Figurd  dunque  es  o  M.  Guaitieri  le  sfere  del 
quattro  elemenli  s^parati,  con  un  motto  di  sopra,  cbe 
diceva :  Discretis  sua  virtus  adbst  ,  volendo  intender 
cbe  gli  element!  nel  luogo  loro  banno  la  sua  peculiar 
bvirttl.  11  cbe  non  confesserebbe  un  fliosofo,  pereb^  il 
fuoco  nella  sua  propria  sfera  non  cuoce  n^  abbrucia , 
ma  solamente  quan<regli  ^  legato  con  la  mistura  de- 
gli  altri  elementi.  E  pereb^  ebhe  bella  apparenza  di 
quelle  quattro  sfere  fii  tollerata  e  fatta  a  ptltura  nelle 
bandlere  de' trpmbetti. 


DELLE  IJdPRESB.  79 

Aggiuiita  3.*tralla  dali'edizione  del  RovilUo  e  da  riferirsi 
alia  pag.  68  delta  nostra  dopo  il  paragrsfo  che  finises 
Lmgo  splendesrit  in  usu, 

Port6  ancora  il  cavalier  Gastellano  di  Beccaria ,  il 
quale  ^  il  vero  onore  del|a  generosa  ospitalit^  ed  ele- 
gaDza  di  tuUa  la  Valtellina ,  una  impresa  piU  comoda 
ai  8U0  proposito  onestissimo ,  cbe  scelta  di  vaga  flgu* 
razione.  Amando  esso  una  signora  ^ergine  con  dise- 
gno  di  pigliarla  per  moglie  ,  pose  in  ana  medaglia  di 
oro  ed  in  un  cameo  la  testa  del  re  David  col  delto 
del  suo  salnio:  SACiTTifi  tu^  infixes  sunt  mihi  e  nel 
rovescio  i'ardente  monte  d'  Etna ,  per  signiflcare  ardor 
naturale  e  legittimo  di  puro  amore ,  col  motto  attorno 
in  tergo ,  che  diceva :  Cos!  abrupfa  il  vbllo  di  mo- 
NELLO.  £  questa  fu  invenzione  del  beir  ingegno  di 
M.  Luigi   Raimondi. 


fiNE   OELLE   AgGIUNTE. 


VARIANTI  E  CORREZfONI 

AL 

DIALOGO    DELLE    IMPR£SE 

TRATTE  DALLE  BOIUONI  DEL  GlOUTO  DEL  4587 
E  DEL  ROVILUO  DEL  1874  (*) 


1  vostra 
f  intermezzo 

•  ameni 

3  appuDlo 

•  facile  ri<*ordeYOle  ed  espe- 

dito  fngeano 

•  e  con  desiderio  clie  ne  resU 
an  d  iaioffo.nel  qnale  non  in- 
tendo  obbligarmi  alia  ecc 

4  ridurvi 
6  Lesvi 

8  e  dappoi  clie 
I  van  I 

*  •  Porco 

9  Paltiniera 

•  della 
I  Cassio 

>  lungagnole  * 

10  at  raoK) 

I  di  sogflretti 

•  B  qnalcli'altro  le  porta  che 

Dol  erede 

11  materno  di-  Pilipposoo  pa- 

dre 


nostra.  G. 
intermeuo 
ameni  alia  viata.  R« 
appuntatamente.  R. 
facile  memoria  ecc. 

parcli^  non  mi  obbligliiate 
alia  ecc, 

ridurmi 

Lescu  —  e  cosi  pol,  a  pag.  7. 

e  dopo,  che 

busi 

Porco 

Patiniera 

de  la 

Casio 

longole  (coH  in  tutte) 

ai  rami.  B. 

de'soggetti 

altri  le  porta  che  non  se  le 

crede.  R. 
qwtU  paroU  mancano 


C)  La  Mlera  G-  indUa  Vedizione  del  GioUto:  ta  R.  redizione 
del  RaviUio,  Dwe  n<m  i  tegno,  ^inUnde  ehe  qiuiU  du$  iditUnU 
eoneordano.  Dove  i  tm  oiteritco.  iHnUnde  eke  la  varteU  0  Verrore 
i  della  nottra  ediMime, 


^^ 


VARIANTI 


H  Vita 

•  corona 

12  quel  la  terra 

•  Ma  innauzi  ecc,  fino  a  vi 

pensa 
Ora   lornando   ecc,    clio 

13  quest!  re. 
U  Ml  nutrisoo 

»  Volse  ancora  questo  re /iwo 

a  luna 
16  si  pose 

•  Dai<^pitano,appuntato 

48  Pordine 

•  fuora  de' margini 

49  Quietate  le  cose 


20  )a  quale 

•  stando 

M  di  seiiso  oscuro 
2i  QueUa  ancora  cbe  fece  il 
Molza,  ecc 

26  lo  strangola 

•  Paziaco  promoQtorio 

27  de  Revi 
^i  rigettd 

29  Teau  trouble  * 
31  ornato 
37  Ollavio  Fregoso 
«  Agnolo  da  Modena 

•  per  ambasciator  cesareo  * 

38'straccia 
»  c  i  pariigiani 

•  era  per  oifendersl 

40  datogli  salvo  condotto  d'an- 
dar  a  Roma. 

•  vola 

43  fate  vol 

•  smaechiate 

•  Tebano  • 

44  per  tornare 

•  rubesto 

•  si  dimenticava 

45  brusco 

•  e  dei  signoii  regnicoll 

•  il  mezzo 

•  che  usano 
4G  impresa 

■  facoodo  ^ 
47  levarsl  tosto  dal  laogo 


vista 

colon  na- 

quel  di  la  terra 

manca 

Vcrameute  questi  uoslri  re 

Nutrisco  ed  estinguo.  R. 
manea 

si  prese. 

Dai  capitano,  pun  to.  6. 

Torlo    • 

fuora  de'fogli  per  le  margin  I 

quietate  le  cose  e  fatta  la 

mirabil  fortezza  di  Porta 

Glovia. 
la  quale,  planta.  R. 
tardi.  R. 
di  peso  oscuro 
Tutta  la  descrizione  di  gue- 

sVimpnsa  6  abbreviata. 
non  lo  strangola 
Fa.  p.  oggi  la  Prevesa.  R. 
de*  Ricci 
acccu6.  R.  forse  daW  errato 

ricetK^  del  G. 
la  trouble 
ornata 

Oitaviano  Fregoso 
Agnolo  di  Madonna 
per  sopr*  ambasciator  cesareo 

{cosi  in  tulle) 
schiaccia 
e  pariigiani 
ed  era  ecc 
Adescandolo  ad  andar  a  Roin^ 

busa 

fatte  da  vol.  R. 

smaccaste.  R. 

Spartano  {coil  in  tulU) 

per  tornare  at  proposito.  R. 

robusto 

si  dimesticava 

brutto 

e  di  signori  regniooli 

il  mezzo  e  la  fibbia.  R* 

che  usavano 

impresa? 

fecondo 

levarsi  innauzi  giorno  per  an- 
dar a  caccia  o  per  levarsi 
dal  luogo.  R. 


B  C0RRBZI0N1. 


83 


47  Qii*.  mon  ennemi 

48  faccia 

49  risolversi 

M  Messer  Viola 
»  di  don  Roderico 

54  Servia 

•  nel  mostrar  desiderlo 

55  Federigo 

56  2io  del  medesimo 

•  Che  lo  spezzar 
87  a  tempo 

•  che  ha  il  diamante 
»  della  cometa 

58  alia  sala 

»  ed  invittisslmo 

59  alia  quale 

60  ovvera  * 

»  Taltre  delta  fede 

61  dispiacere 

62  Marziale  (X.  2.) 

•  Vi  porta 
64  ognuno 

»  scouvenevole 
»  risa 

•  non  volendo 

•  un  Dio  Terralne  • 

•  che  fa  queslo 
66  Portane 

»  Cristallus 

68  Ma  perchS  /Ino  a  Tuem 

69  lacermi 

70  lo  vi  li  a  luita  la  pag,  75. 


mon  ennemi.  R. 
taccia 
risolverle 

Messer  Cesare  Viola 
da  don  Roderico 
Scrivia 

e  che  nel  ecc.  R. 
Roderigo 
zio  del  moderno 
con  lo  spezzar 
a  tempo,  ciod  fa  con  tempo 
col  diamante 

delta  Stella  di  Venere  in  for- 
ma di  cometa. 
nella  sala  R. 

e  parimenteinyittlssimoAn- 

gusto.  R. 
alia  quale  impresa.  R. 
ovvero 

Taltare  della  fede 
disparere 
Glovenale.  G. 
Vi  pond 
ognanno.  R. 

Ereternaturale 
uria.  R. 
non  volse 
un  Termlne 
fu  questo.  R. 
Porionne 
Crystallus 
manea 
tacervi 

Tulta  quesV  ultima  parte 
manca  nelle  due  edizioni 
del  Giolito  e  del  RooilUo. 


FINE  DELLE  VABIANTI. 


INDJCE  DEI  NOMI  PROPRI 

•  B  DELLE 

COSE   NOTABILI   GONTENUTE 

Ml  PRBSENTE  VOLUME 


Acrocerauni  (motiti):  e  Fran- 
cesco Dorgia,  !j. 

Aborni  (gli):  0  i  Pioscliii  38. 

Adorno  u.  :  sua  impr.,  37. 

Adriano  :  e  Clem.  VII,  23. 

Aerone :  e  M.  Colonna,  31. 

Agnolo,  ricamalore :  e  Pimpr. 
di  G.  Adorno,  37. 

Af^osto:  nemicodella  vecchia- 
la,  I. 

Alciato:  sua  impr.,  65,  67. 

Alcioni  (gli):  e  i  Picschi,  39. 

ALEssANDRo:  6  \\  nodo  gor- 
diano,  IK. 

Ales^ndro  VI :  pestifero  mo- 
st ro,  56. 

Alfonso  I  d*Ar. :  sua  impr.  17. 

Alfonso  II  d^Ar.:  suo  motto, 
48:  -  e  Lodovico  il  Moro,  tO. 

Alfonso,  duca  di  Ferrara:  sua 
impr.,  35. 

Alviano  B.:  sua  impr.  33,  75. 

Ama|.fi  (duca  d'):  sua  impr., 

Amianto :  e  M.  Colonna ,  32. 
Anfiarao:  sua  impr.,  3. 
ANGid  (G.  d'):  e  M.  di  Mar- 

ciano,  17. 
Anitroccolo:  e  fl  cjw.  Porres, 

16. 
Apelle:  motto  preso  da  lui, 

65. 
Aragona  (Lod.  (V):  sua  imp., 

57. 


Aragona  (Mar  ia  d*) :  sua  impr^ 
49. 

Ariosto  G.  :  e  G.  dalla  Rovere, 
10. 

Ariosto  L.:  sua  impr.,  64. 

Arme :  quando  ne  principi6 
Puso,  3. 

Arsio  (Luigi  d*):  e  Virginio 
Orsini,  28. 

Artu'  :  e  ibar.  dellaTav.  rot.,5. 

AsTOLFo:  sua  impr.,3. 

Allaiite,  milo:  e  A.  Gritti.  58. 

Attilio  Gabrielc:  e  P.  Colon- 
na, 30. 

^VGusTo:  suo  motto,  3. . 

AvALos  (Roderico  d') :  sua  Im- 
pr., 81 . 

Baglione  G.  p.:  sua  impr..  40. 

Banoinelli  B.  :  sua  imp  ,  66. 

Baraballo  (al)ate):  V.  Gaeta 
(ab.  oi) 

Barb  AROssA :  e  gli  stemmi  gen- 
til.,  3. 

Beccaria:  sua  impr.,  76. 

Bembo  6.  M. :  sua  Impr.,  70 
e  seg. 

Borgia  C:  sua  impr.  5. 

Bracciano:  e  Alviano,  33. 

Broderico  S.:  e  G.  Schiepu- 
sense,  62.  " 

6u6ninsegni:  e  Clem.  VII,  23. 

Bussola :  e  S.  Fieschi,  39. 

Cagli  (Dom.  da):  e  L.  de' Me- 
dici, 7. 


86 


INDICB  DEI  NOMI  PROPRI 


•  Camcllo:  o  VIr.  Orslni,i8;  — 

e  Ipp.  d'Esto,  36. 

Gampobasso  (Nicola  oa)  sua 
irapr.,  61. 

Caraponlorio  (ball,  dl):  e  Al- 
fonso ii  d'Ar.,  48. 

Mandela:  e  A.  For<^o,  9. 

Capaneo:  sua  impr.,  3 

Canricorno:  e  Cosimo  de'  Me- 
dici, 26. 

Capua  (Andrea  di):  sua  im- 
pr.,  4/. 

Carafpa  T.:  sua  impr.,  47. 

Carlo  V  :  e  Giovio,  2;  -  sua 
impr,  H;  —  e  Paolo  111,  58. 

Carlo-ViU:  in  Ii.,  4;  —  suo 
motto.  13. 

Carlo  ai  Borbone:  sua  im- 
pr.,  6. 

Carlo,  duca  dl  Borgogna.-sua 
impr.,  14  e  seg. 

Casio  (cav.):  sua  impr.,  9. 

Castaldo  G.  B.  ;  sua  impr.,  48. 

Castiglione  B.:  e  p.  M.della 
Rovere,  63. 

Castoro:  e  Giovio,  66. 

CASTRUcciot  suo  mollo,  10. 

Ceresola  (giornata  di):  e  F. 
Sanseverino,  4ii. 

Ccrvo:  e  Carlo  di  Borbone,  6. 

Chacmont  (Carlo  di):  sua  im- 
pr., 44. 

Chiuchiera  G.:  sua  imprH69. 

Cicerone:  suo  detlo,  21. 

Cinjbri :  loro  cavalleria.  3    ^ 

Cipresso:  e  M.  Colonna,  31. 

Clements  Vll:  e  il  cav.  Ca- 
sio, 9;  —  6  le  impr.  medicee, 
24 ;  —  suo  mollo ,  22 ;  —  sua 
impr.,  23. 

Coccodrlllo:  e  Gonzaga.  b7. 

C01.0NNA  Fabrizlo:  suoi  mol- 
li ,  29. 

•  Colonna  Marcanlonio:  sue  im- 

pr., 29  —  e  T.  Trivulxlo,  50. 
Colonna  Muzio:  suo  motto,  32. 
Colonna  Prospero :  sua  im- 
pr., 29. 

Colonna  Sief  ,sua  impr.  63. 
Colonna  Viit.  ^sua  impr.  49. 
Colonnesi  (i):  e  A.  Sforza,  ti;— 

loro  impr..  32. 
GoRViNo  M. :  sua  impr., 62. 
Corvo:  e  M.  Corvmo  62. 


Cotta  G,:  e  A.  GritU ,  58;  — 
e  Liviano,  75. 

Crislallo:  e  B.  Bandinelli,  6d. 

Danese  (il):  sua  impr..^  i- 

Delflno:  e  Tito  Vespasiano,  3. 

Diamanle:  e  le  impr.  medi- 
cee, 22.  * 

Diana  Efesia  (tempio  di):  e  L. 
Gonzaga,  S2. 

DoiiENiCHi  L.:  e  le  impr.»  4; 

—  e  le  storie  del  Giovio,  %; 

—  sua  impr.,  67. 

Dragone :  ,e  Anflarao,  3. 

Eberard  Stuardo :  sua  im- 
pr. 45. 

Eboracense  Crist. :  avvele- 
nato,  02. 

Edoardo  HI:  e  Tord.  della 
giarrettiera,  43. 

Elefante:  e  il  rinoceronie,  33; 
-  e  i  Fieschi.  38. 

Emanuello  di  Port.:  riuoce- 
rontc  da  lui  mandato  a  Bo- 
ma,  35. 

Enrico  II:  suo  motto,  44. 

Epaiiinonda  :  e  II   suo  scu- 
do,  43. 
^  Epicuro  A.:  e  il  march,  del 
Vasto,  m. 

EuASMO,  sua  impr..  65- 

Ercole  ( colonne  d' ) :  e  Car- 
lo V,  44. 

Este  (Ipp.  da):  sue  Impr ,  36. 

Etna,  monte:  e  G.  B.  Castal- 
do, 48. 

Falcone :  e  Ipp.  da  Estfe,  56;  — 
e  P.  de'MtcTicl.  22. 

Fama:  e  il  soldato,  52. 

Farfalle:  e  I.  Fioramonda,  7. 

Farnese  a  :  sua  impr.,  59. 

Federico,  re  d*Ar.:  sao  mot- 
to, 49. 

Ferdinando,  re  di  Spagna :  e 
Luigi  XII,  49.         ^ 

Ferrandino,  re  d'Ar. :  suo 
motto,  48. 

Ferrante  ConsaWo:  e  D.  di 
Mendozza,  15. 

Ferrante.  w  d*Ar. :  sua  im- 
pr., 47. 

FiEscHi  (i):  loro  Impr.,  58. 

Fieschi  Sinibaldo:  sua  im- 
pr., 39. 

FiLirpo  II:  sui  InriprM  45 


R  DBLLB  COSB  NOTABlLI. 


•«7 


FioRAMONDA  Ipp. .  sua  impr^  6. 
KiHENZE  :  sue  pill.,  ij  —  sue 

monete  21. 
FiRENZB  (duchessa  di):  sua 

impr.,  63. 

FlISCHI.  V.  FlESCHI. 

Foix  (inonsig.  di):  e  Raven- 
na, 30 

Forgo  A. ;  sua  impr,  9 

Fortuna:  ladra,  13. 

Francesco  I:  sua  impr.,  14. 

Francesco,  duca  di  Candia: 
sua  impr.,  5. 

FRfiGosi  0):  e  i  Fieschi ,  38. 

Faeuoso  Ottaviano:  sua  im- 
pr., 36. 

Fulmine :  e  G.  Adorno,  37 ;  — 
e  A.  Farnese,  58. 

Gaeta  (abate  di);  sua  incoro- 
naz.  in  Roma,  8. 

Galea  (timouo  di):  e  R.  Ria- 
rio,  8. 

Gano:  sua  impr.»  3 

Gatto  Giovanni :  e  B.  Alvia- 
no,  33. 

Gedeo>e:  suo  vello,  H, 

Gclsomoro:  e  Plinio,  20. 

Ghiaradadda  (bait,  di):  e  Carlo 
di  Dorbone,  6 

Giogo :  e  le  impr.  de'Medici,  21 . 

GiORDA.Ni  G.:sua  impr.  66. 

Giovenale:  motto  da  lui  tol- 
to,  35. 

Giovio :  6  Cosimo,  1;  —  sua  sto- 
ria  de'  Turchi,  2;  —  ed  En- 
rico II,  14;  —  e  Alessandro 
do' Medici,  25;  —e  il  duca 
di  Urbino,25;  —  sue  impr.. 
36.  66;  —  imprese  da  lui 
invent.,  37  e  seg.:  —  suo 
Tnuseo,  68 ;  —  suoi  Elog  ,  63 : 
—  e  G.  M.  Bembo,  70. 

Giovio  Giuiio:  sua  impr.,  66. 

Giarreitiera  (ord.  della);<n^<. 
The  order  op  tub  Gartbr: 
suo  motto,  13. 

Giasone:  e  it  vello  d'oro.  12, 

Giunonc  Lacinia  (tcmpio  di): 
e  il  march,  del  Vasto,  5'. 

Go.nzaga  Andrea:  sua  impr., 60. 

GoNZAGA  Francesco:  sua  im- 
presa,  33. 

GoNZAGA  Giulia:  e  Ipp.  de'  Me- 
dici  28.  ^ 


i  GoNZAGA  Isabella:  sue  im  pr..  59. 

GoNZAGA  L. :  sue  impr.,  62. 

GoNZAGA  Sig.:  sua  imp.  57. 

GoRDf 0 :  e  il  nodo  goruiano,  1 5. 

Grano  (spiche  di):  ed  il  mar- 
ch, del  Vasto,  51. 

Gravina  p.:  ed  il  march,  di 
Pescara,  49. 

Gritti  a.  :  e  F.  Trivulzio,  51 ; 
—  sua  impr..  38. 

Gru:  e  il  duca  d'Amalfl,  46. 

Gruer  (monsig.  de)  sua  im- 
pr.. 54. 

GuALTiERi  CoRBETTA  :  impr., 
in  v.  da  lui,  76. 

Guzman  (Diego  di):  sua  im- 
pr., 16. 

Idra:  e  Gapaneo,  3. 

Imprese:  e  gli  antichi«  3;  -> 
quali  debbono  essere,  4. 

Isirico:  e  Luigi  XII,  13. 

Lauro:  e  i«  de^MedicI,  7. 

Lautrec  (monsig.  di):  sua  im- 
pr., 50. 

Leone  X:  e  Tabate  di  Gaeta, 
8;  --  magnanimo,  11 ;  —  sue 
impr.  21 ,  22 ;  —  e  Baglione,  40. 

Leone:  v.  Pompco,  3:  —  e  L. 
de'Medici,  7 ;  —  e  F.  M.  dclla 
Rovere,  62. 

Lescu  (mons.  w):  e  1-  Fiora- 
monda,  6. 

Leva  (A.  da)  :V.  Leyva  (A.  de). 

LrviANO.  V.  Alviano. 

LoDovico  Xll:  v.:  Luigi  XII. 

LoDovico,  imp.:  e  Gaslruccio, 
10. 

LoREDANo  :  e  la  rotta,di  Vi- 
cenza  75  * 

Leyva  (A.  de):  suo  motto,  16. 

Luciano:  e  la  necessity,  66. 

Luigi  XII:  in  It.,  4;  —  sua  ira- 
presa,  13 ;  —  e  Ferd.  di  Spa- 
gna,  19. 

Luna:  ed  Enrico  II,  14. 

Lnpa:  e  G.  Schiepusense.  62. 

LussEMouRGO  (Luigi  m):  sua 
impr.,  44. 

Maddalena  Fauslo :    c  Bor- 
gia, 5. 
Maino  (G.  DEL):  suo  motto,  7, 31. 
Malva:  e  D.  de  Guzman,  16. 
Mancino  (Bast,  del):  sua  im-  • 
pr.  9. 


gg  INDICB  DEI 

Manpredi  (T.  de*):  e  Giovlo,  35- 
Marciano  (Marino da):  e  Per- 

ranle.  re  d'Ar.,  *7. 
Maria  Novella  (ch.  di  S.)  in 

Fir. :  sue  pill ,  4. 
Marina  (chiesadiS.)di  Yen.: 

e  il  cav.  della  Volpe,69. 
Marliano  L.:  e  Carlo  V,  II. 
Massduliano,  imp.:  e  A.  Gnl- 

li,  58. 
Mattei  G.:  sua  im|»r.,  40. 
Medici  (Aless.  de')  :  suaimpr., 

Medici  (Cosimo  de*)  il  vecchio: 
sua  impr.,  54.  ^.     , 

Medici  (Cosimo  de'):  eGiovio, 
4 ;  —  sue  impr.,  26. 

Medici  (Giu.s.  DE'):suomoUo, 
ft 

Medici  (Ipp*  de*)  :  suo  mollo, 

Medici  (Lorenzo  de'):  suo  mot- 
to, 7. 
Medici  (Pielro  de'):  sua  imfr., 

Mele  cologne :  e  U  conie  di 

Santaflore,  54. 
Mendozza  (Diego  di)  :  sua  im- 

pr.,  19, 16. 
Molza:  e  1pp.  de'MedicI,  24;  — 

e  il  card.  Farnese,  57. 
Monte  (M.da):  suo  valore,33. 
MoRO  T. :  e  Brasmo,  65. 
MoRTiER :  e  Giovio,  14. 
MoTTA  AuGRUGNo:  6  Carlo  di 

Borbone,  6. 
MuNSTERO :  e  Berabo,  70. 
Mdsettola  :  e  G.  Cbiuchiera«  - 

69.  * 

Navaoero  :  e  Timpr.  di  G.  A- 

dorno,  37. 
Navarro  P.:  sua  impr.,  43. 
Nebrissa  (A.  DI) :  e  Filippo  II, 

15. 
NeccssiUi:  e  Luciano,  66. 
Nola:  e  Virg.  Orsini.  28. 
0B8EQmENTEG.:e  ii  rulmine,37. 
Oliviero  :  sua  impr.,  3. 
Orlando  :  sua  impr.,  3. 
Orsini:  e  i  Coloniiesi,  32. 
Orsini  Niccol6:  sua  impr.,  29. 
Orsini  Virginio:  sua  impr.  29. 
Otamira  :  e  i  Colonnesi ,  32. 
Padova:  e  A.  GriUi,  58, 


NOMI  PROPEl 

Palma:  e  M.  Colonna,30;  —  e  il 

ducad^Urbino,  35. 
Paltiniera  Bianca:  e  Forco,  9. 
Panmolena:  sua  imp.,  9. 
Pansa:  e  S.  Fieschi,  40. 
Paolo  II:  e  Carlo  V. 
Paragone  (pielra del):  e  F.  Co- 

lonna,  30.         ... 
Patiniera.  V.  Palliniera. 
Pavia(card.di):  cM.ColODn3i,3l- 
Pavia:  sue  cosiruzioni,  60. 
Pavone:  e  la  duchessa  ai  Fi- 

renze,  63. 
Peccbie:  e  L.  Ariosto,  64., 
Perugia:  e  Baglione,  4a 
Pescara  (marcn.  di)  sua  impr. 

*3.  00. 
Pesco:  e  L.  Domenicni,  67. 
Petrucci  (card.):  sua  congiu- 

ra,  8. 
PiNDAAo:  e  Anflarao,  3. 
PiTTi  Luca:  e  Pielro  de'M©-' 

dici,  21. 
Plinio  :  e  il  gelsomoro,  20;  •-- 

e  i  rinoceronli ,  65 ;  — ;e  U 

nalma.  35;— e  gll  alcioiii; 

89;  — e  lo  siruzzo,  4«. 
Plctarco  :  e  i  Cimbn ,  3 ;  —  e 

Pompeo,  3.         .       «  _x 
Poitiers  (Diana  di):  e  Enrico 

PoLiNicE:sua  impr., 3. 
PoLiziANo :  e  Pielro  de'  Medi- 

ci,  <2. 
Pompeo  :  sua  impr. ,  3. 
PoRCo  Agosiino.  V.  Forco. 
Porres  (cav.  di  casa):  sua  imp., 

Raihondi  Luigi:  imp.  my.  da 

lui,  76. 
Rampoccio  :  e  Giovio,  68.  - 
Ravenna  (giornata  di),  e  F.  Co- 

lonna,  80         ^  ,  ^ 

Ravenna:  e  M.  Colonna,  30. 
Renato.  duca  dl  Lorena:  e 

Carlo  di  Borgogna,  12. 
Renato  di  Provenza:  e  F.  Sfor- 

za,  10. 
Revi  (DA.)  V.  Ricci  (da). 
RiARio  R.:  sua  impr.,  8. 
Ricci  (P.  F.  da):  e  Cosimo  de' 

Medici,  27. 
RiNALDo,  prete:   suo  iradi- 

raenio,  62. 


RiNALDO :  sua  impr. ,  3. 

RinoceroD  te :  e  A .  ae*Meaici,  i5. 

RovERE  (F.  M-  della):  sua  im- 
pr^ 63. 

RovERB  (Galeotto  dalla):  sua 

impr.,  9. 
Salamandra:  e  Francescol.li. 

Salamone  di  Brett. :  saa  im- 
pr. S. 

Saiemo  (prtn.  di):  suo  motto, 
iO.    * 

Saliceto  B.:  e  a.  Srorza,56. 

Sannazzaro  I  :  e  Pimpr,  del 
Golonnesi,  33;  — sua  impr.i 
03. 

Sanseverino  F.:e  la  giornata 
di  Ceresola,  id. 

Sanseverino  G.  F.:e  la  gior- 
nata del  Taro,  3i :  —  sua  im- 
pr. 45. 

Santafiore  (conte  di);  sua 
impr.,  53. 

ScBvoLA  Mnzio:  e  Muzio  Co- 
lonna,  S3. 

Schiepusbnse  G.  :  sua  impr. , 
63. 

Scudo :  e  il  march,  di  Pesca- 
ra,  43. 

Semprevivat  erbia:  e  Bembo, 
73. 

Sflnge:  e  Polinice,  3;  —  e  C. 
Giordan  i.  66. 

Sforza  A8canio:e  i  Colonnesi, 
38;  —  sue  impr.,  55. 

Sforza  Francesco:  suo  motto, 
19. 

Sforza  G.  A. ,  e  G.  dalla  Roye- 
re,  <o. 

Sforza  Galeazzo:  sue  impr., 
19. 

Sforza  Lodovico:  sua  impr., 
19;  — cagion  di  sua  ruina, 
30. 

SiMONB,  schiavone :  e  Clem. , 
vnr,  33. 

Sirena :  e  S.  Colonna,  63. 

Sole  (eclissi  del):  e  Ascanio 
Sforza,  56. 


B  DELLS  C08B  NOTABILI.  S9 

Stazio  :  e  Capaneo,  3. 
Stemmi :   quando  ne  comin- 

ci6  r  uso,  3. 
Strozzi  F.:  e  il  motto  di  L. 

de*  Medici,  7. 
Struzzo:  eG. Mattel, 41  —  ell 
march,  del  Yasto,  4i;— e P. 
Navarro,  43. 
Taro  (giornata  del) :  e  V.  Or- 
sinl,  38;  ~  e  F.  Gonzaga,  33. 
Tasso  Bernardo:  e  F.  sanse- 
verino, 46. 
Tavola  rotonda  (bar.  della): 

loro  impr.,  3. 
Termine  (Dio);  ed  Ertsmo ,  67. 
Tito  Vespasiamo:  sua  impr.,  3. 
TiziANo:  erimpr.  di  G.  Adorno, 

37. 
Tosone  (cav.  del) :  e  Carlo  di 

Borgogna,  H. 
Tramoglia  (monsig-  della):  sua 

impr. «  44. 
Trivulzio  G.  G.  :  sua  Impr. , 

34. 
Trivulzio  Teodoro :  sua  impr., 

sa 

TuRNo :  c  Virgilio,  3. 
Urbino  (duca  di):  e  il  card. 

di  Pavia,  31;  —  sua  impr., 

35. 
Valtellina  :  e  Beccaria,  76. 
Vasto  (march,  del):  sue  im- 
pr. 41,  Ml  76. 
Verona  (guerra  di) :  e  M.  Go- 

lonna.  31. 
yicentSL  (giornata  di):  e  Al- 

viano,  33 ; — e  Loredano,  75. 
Viola:  e  F.  Trivulzio,  51. 
ViRGiLio :  e  le  impr.  antirlie,  3. 
ViscoNTi  Bianca: «  F.  Sforza, 

19. 
ViscoNTi  Galeazzo:  sua  im- 

presa,  61. 
ViTERBO :  e  Alviano.  3Sw 
Volpe :  e  il  cav.  della  Volpe, 

69. 
Volpe  (rav.  della)  e  gli  Elog, 

di  Giovio,  49.    • 


FINB  DELL'INDICB  DBI  NOMl  PROPRI  B  COSE  NOTABILI. 


INDICE 


DELLE 


MATERIB  CONTENUTE  NEL  PRESENTE  VOLUNETTO 


Phefazione.    .    .  ^ Pag.  vii 

Dialogo    delle  Imprese   di    monsignore 

Paolo  Giovio •99      3 

Aggiunte  al  Dialogo  delle  Imprese  tratte 
dalle  edizioni  del  Giolito  e  del 
ROVILLIO w     77 

Variantie  Correzionial  Dialogo  delle  Im- 
prese Iralte  dalle  edizioni  del  Giolito 
del  1557  e  del  Rovillio  del  1574    .    w    81 

Indice  dei  nomi  propri  e  delle  cose  nota- 

labili  contennte  nel  presetUe  volnmeUo  ,    »    85 


.   i 


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.  r         > 


WIILANO  -   G.   OAELLI  c   C*   -  C  0  I  T  O  R  f . 


raceolla  e  pubblicata  da  G.  DAELLL  * 

L'Editore  si  propone  di  puhlicare  In  quests  Raccolta  teritti  classic!  e  rarl  detl»  B|Hlft 
0  Btraniera  letteratura,  trasc«giieDdoli  in  modo  che  a  poeo  a  poco  cosUtui»rM«^av 
IHustra/ione  del  secolo  a  cui  u ppartenit ooo ;  corredandoU  dl  apposiU  proemi  tkmm' 
addiUno  rimportanza  letteraria  «d  11  ncMo  colla  storia  presenle  e  pa^Batn.  QtMMi 
Edizioni,  popoiari  pel  buon  mercato,  sono  cundotte  colla  mafrg'or  dillffenu  mT 
clb  clie  riguarda  la  scelU  e  la  reviniooe  ,  e  sono  arriccliUe  di  Uvole,  oote,  laoi 
•  del  rilruiU  degli  autori,  o  del  penouaggi  41  cui  tralUuo. 


LORENZINO  DE' MEDICI. 
i:.*Arido«l«t  con  I'Apologia  e  le  Le  tere 
dello  ste»so,  con  documftnti  cbe  In  riguar- 
daou,  ecuo  prefazione  e  medaglie  iuedite. 

PAOLO    GIOVIO. 

DIalvCo  dell«  latpr«s«  aallliarl  «d 

•■aorosai  coil  prefa  lone  e  iwie  ecun 
Tiodice  del  nomt  propri  e  delle  eose  no- 
levoli;  e  eol  ritralto  detTautoie. 

LODOVICO  DOLGB. 

Dlaloc*  dclte  pl*i«rai  con  rinlnaU 
delle  letlere  dl  Tiziauo  a  varll  «Ooll'A- 
retino  al  Titiano ;  con  prefaiioae  e  in- 
dice  del  no  ml  propri  0  delle  cose  nota- 
blll;  e  col  rilratte  4i  Thimwt, 

LEON  BATTISn  ALBERTt, 

■e  4*«aaore«  Questo  volumelto 
itieue:  1.  Mmgtonmm»mntm  <!'•••»•• 
di  PloUno,  tradotto  da  A.  M.  Salvini; 
S.  Due  novelle  amo»«»se  di  L.  B.  Albert!: 
VEemtom/iUi  e  la  MMfirm ;  3.  il  JNo- 
<oya  <teU*onore  cfftlle  Amnnm  di 
S.  Uuazzu;  4.  CmUi0^m9W*i9*•r«,  frani-  ] 
mento  d'una  ooYeli^greca  di  ||elcbiotrei 
Cesarotti;  con  proequo  ed  U  ritratio  di' 
•  t.  B.  Albert!. 

ALESSANDRO  PICCOLOMINt 

(k  Sitrilta  litnuto). 

*  0«lte  Cr«aMB«  dcll«  d«Ma«f  ridoilu 
M  niiglior  lezione,  con  pruemlo  e  note , 
«  coi  ritratto  deirautore. 

IMPRESS   NAVALI. 

Cuesto  volunietio,  con  proeniio,  co.itiene  : 
I.  la  Kmt^amt9*hB  amilm  ^mitmgUa 
A<  E^jpanta  di  O.  Oiedo ,  S.  M.m  Mtt- 
weno<ble  AjitmrnOm  o  la  fallila  invu- 
lioiie  deiriDgliiUerra  nel  1S88,  relazieni 
«  (locumeuti:  Cou  ritratUi  della  xo^Ium 
Blisubetta.  '^ 

CRISTOFORO  COLOMBO. 

A.«ttc»e  ■■it«crAf«  cdlft«  cd  laedltef 
ftra  cul  II  teslo  tpagnuolo  r^rissinio  dellu 
letlera  scrtlta  du  Colombo  nel  14 (S  »ullt! 
iKole  da  lui  scuperle,  esistenle  nella  01- 
blioteca  Ambrusiaua,  ed  ora  nuovamen  e 
rittaiupatu;  preuiesso  un  discorso  su  Co> 
lombo  dl  cesare  Gorrenll;  con  proeato  e 
eon  novo  tavole. 


MORO  «  CAMPANELLA. 

I.*UC«pla  e  la  CittA  dd  Sol«  t 
Uvi  la  Siorte  del  rhmmmm  d«^i 

narrate  da  Gaspare  Goszi;  con  pr«fksi«w| 
e  note;  e  col  ritrotU  di  Moro  e  Campan«tl^ 

ONOSANDRO  PLATONICO. 

D«U*oiilaao««plt«ao  ceaerale  •  d«| 
■ao  otflelo  •  tradttzlone  del  greco  di  ff^ 
bio  Cotti  romano;  con  pioemio. 

GIUSEPPE  AVERANI. 

Dal  lasaa  delta  aaeaaa  preaaa  I  Be* 
aaaai  •  con  preftal«n6  «  con  rilnUo  del« 
Taulore. 

ANNfBAL  CARD. 

fill  ■ftraeeieai*  eommedia;  ed  tl  Ceaa- 
■aeate  sepra  la  prlaaa  Aeat«i»  ■— la 
eapltele  della  rieheJd*!  c9B  pr««- 

mlo  ed  fl  ritratto  deirantore. 

GIORDANO  BRUNO. 

CUI  erelei  f avert  e  U  C^aadelafe.  eOw 

media ;  con  proemi«,  note  e  riir«tto  del- 
I'MUlore. 

GIAN  MARIA  CECCIH. 

DiektaraBleae  del  preverfct  teTaat 
e  I'Aeslaete*  comnedia{  cen  una  le- 
xione  di  L.  Fia  chi  sui  proverbi  toecani:  eJ 
nno  stud  o  sulle  comMiedie  del  Ceccal; 
C9U  prebtlone  e  ritratto  deirantore 

ERASMO  Dl  ROTERDAMO 

KI*Cte  del  a   paaalat  con  pro  em 'e  • 

p«'te;   ed  illostruto  coh  *0  Incisioul  »U 
disegiii  origioali  d'Bolbcln. 

ANTON  FRANCESCO  DONI 

IVevelle  e  Le  Stalalele.  eovmedia,  e  l« 
Mala  e  la  Ciilave .  dicerie;  con  pre»> 
uiu,  ttute  eJ  1 1  ritratto  deh'aiitore.  ^1.  i,     ■ 

FILIPPO  SASSETTI 

Vlia   dt  Fraaceaee    rerra«ele.  cot 

proemio,  note  «d  II  ritratto  del  Dirruccle. 

CARDINAL  BIBBIENA 

La  Caiaadra  •  eommedia:  aggiOBtari 
Ua*  A'TveaCara  aatereMi  d|  FevdJ* 
aaade  d*  Ara^eaa  daea  dl  CalakHa 

dello  stesso  autore ;  cou  proemio,  note  ed 
il  ritratto  deil' autore. 


Piriiete  iamU  •  uglia  r«Uli  aUi  fidiliri  S.  ftilOU  #  C**  «  IiIm, 


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MILANO 

G.    DAELLI    e    C.    EDITORI 


MDCCCLXIT. 


AVVERTENZA 

DBGLF  EDITORI 


Eoeo,  noi  ristampiamo  come  una  curiosita 
e  senza  temer  di  eccitare  altro  sentimento 
che  la  curiositji  im  libro  che  fece  fremere  il 
medio  evo,  e  che  parve  un  attentate  satanico 
tremendo  ed  inespiabile.  II  medio  eve  ridea 
alia  novella  dei  tre  anelli ;  i  tre  fratelli  cre- 
deyano  ciascuno  che  il  sue  fosse  il  yero;  ma 
non  aveyano  gli  altri  due  per  falsi  assolu- 
tamente.  —  Ora  V  autore  dei  Tre  Impoitori 
dicbiaraya  ch'eran  falsi  tutti  e  tre,  speszava 


vl 

le  Tavole  della  legge,  abbatteva  la  cro- 
ce,  bruciava  il  Corano,  e  Fuman  genere  pa- 
rea  restar  senza  Dio.  II  libro  non  esisteya 
o  non  si  trovava  e  vedea  mai ;  bastava  il 
titolo  a  spaventar  le  coscienze^  e  a  rinnovar 
nelle  menti  le  tenebre  e  gli  orrori  del  caos. 

Questo  Bgomento  si  pralung6  pel  secoli^  e 
la  storia  di  questo  libro,  narrata  cosl  minu- 
tamente  da  Filomneste  Juniore,  fa  Teffetto  di 
un  ghigno  mefistofelico  a  traverso  le  preci 
e  le  estasi  dei  fedeli.  Incerto  il  libro,  incerto 
r  autore,  ma  V  atterrita  imaginazione  popo- 
lare  e  la  stolta  sapienza  sacerdotale  si  com- 
moveano  contro  questi  wn^orf  dell' intelligen- 
za,  e  perseguitavano  e  percotevano  a  ten- 
toni.  Quel  titolo  era  pi{i  pericoloso  cbe  tutti 
i  dubbj  e  le  disputazioni  dei  filosofi,  e  potea 
piu  facilmente  penetrare  il  duro  cranio  delta 
plebe. 

Noi  demmo  il  testo  tale  e  quale,  e  faoemmo 
tradurre  le  illustrazioni,  si  piene,  cbe  non  ore- 
diamo  vi  sia  troppo  da  aggiungere.  Solo  no- 
teremo  non  esser  precisamente  vero  che  di 
Fausto,  o  Bastiano  Faosto  da  Longiano  (ca- 
stello  tra  Cosena  e  Rimini)  non  si  possano 


vii 

trovar  aotizie  (come  si  afferma  a  pag.  xiv).  ^ 
Nan  si  sa  V  appunto  della  nascita  e  della 
morte,  ma  si  conoscono  gli  stadj^  i  viaggi, 
le  opere^  e  che  nelle  cose  della  fede  era 
zojppo,  secondo  not6  gilL  il  Muzio.  II  Tira- 
boschi  ne  parla  a  lungo.  Cos!  h  inesatto  che 
il  Mantovani  scrivesse  la  vita  di  Cardano 
(come  si  afferma  a  pag.  LXiv);  egli  tra- 
dusse  in  italiano  le  notizie  che  quel  fa- 
moso  scienziato  e  visionario  lasci6  di  s^. 
Ora  tocca  ai  Kenan  lo  scandolezzare  i  cre- 


1  A  pag*  45  si  cita  un  brano  del  Fausto,  che  i  ri 
portato  dal  TiraboecM  ne*  eeguenti  termini:  u  Ho  co- 
minciato  un'altra  fatica,  la  quale  eintitolata:  Tern- 
pio  di  verild,  una  fantastica  faccenda.  Sara  divisa 
forse  in  trenta  libri.  Ivi  si  legger&  la  distruzione 
di  tutte  le  sette,  altamente  ripetendole  da  gli  primi 
principj  loro:  le  bugle  degli  istorici,  le  verita  del 
poeti,  ed  in  quest!  tratterassi  della  facultade  rettorica 
e  della  poetica,  ove  sono  introdotti  Cicerone  ed  al- 
tri  a  mostrare  gli  difetti  loro;  Virgilio,  cosi  gli 
Yolgari  e  gli  comentatori  ancora.  Vol  sentirete  gli 
yitupeij  di  Cesare,  d'Alessandro  e  d'Ottaviano;  le 
lodi  di  Falari,  di  Nerone  e  di  Sardanapalo;  Ayicenna 
vi  manifestera  1  suoi  error!  e  Ptolomeo  gli  suoi  in 
astrologla;  ed  io  introduce  un  astrologo  a  com- 
ponerc  una  nuova  astrologia  contraria  a  quella  d9- 
gli  altri,  ec. 


•  •  • 

▼III 

denti.  L'autore  dei  Tre  Impoatari,  fosse  an- 
che  un  Imperatore,  aveva  il  far  rotto  del 
demonio  del  medio  evo ,  che  era  loico^  ma 
non  gentiluomo.  II  tomawack  del  selvaggio 
h  faor  di  moda;  torna  meglio  on  sottil  ve- 
leno  locusteo  o  una  fina  lama  d'acciaio,  che 
fugga,.  le  indagini  degli  Orfila,  o  le  sanzioni 
dei  Troplong.  Noi  non  facciam  vedere  che  la 
prima  fessura  dello  schifo  che,  vinta  la 
tempesta;  credeva  scorrer  sicuro  suI  lago  di 
Tiberiade. 


DE  TRIBUS  IMPOSTORlBllS 


NOTIZIA  BIBLIOGRAFICA 

IMTOKNO  All  LIBBO 

DE  TRIBUS  IMl^OSTORIBUS 


I. 


In  sul  cominciare  del  secolo  XVII ,  la  liberty  de ) 
pensiero  per  si  lungra  pezza  compressa,  in  conse^ 
guenza  delle  controversie  religiose  corse  tra  catto-. 
lici  eriformati,  si  ridestd;  e  alcuni  animosi  oltre^ 
passarono  ben  anco  il  limite  di  cosi  fatte  contese, 
Quando  Giordano  Bruno  e  il  Vanini  (1)  esposero 
in  opere  scritte  con  meditata  oscuriU  temerarie  as«> 
serzioni ,  che  scontarono  colla  vita,  era  gi^  passato 
un  buon  pezzo  dacche  Rabelais  aveva  messo  in  beffa, 
sotto  un  velo  anzi  che  no  trasparente,  cid  che  sino 
a  quel  punto  era  stato  oggetto  della  piil  profonda 
venerazione.  (8) 

Teofilo  Viaud  e  i  suoi  seguaci  si  mostrarono  poco 
meno  che  a  yisiera  alzata;  cid  che  il  padre  GarassQ 


—  IT  — 

uella  sua  Doctrine  Cwnieuse  chiama:  n  apprenUft  de  Va- 
thiisme^  mroolez  en  cette  maudite  cmfirerie  qui  s'appelie 
la  CONFRiRIB  DBS  BOUTSILLBS,  (3) 

Appunto  allora  ne'  dotti  circoli  si  diffusero  delle 
voci  intorno  ad  un  libro,  del  quale  non  si  parlava 
che  con  terrore;  la  cui  mira,  dicevasi,  era  di  provare 
che  11  genere  umano  fu  successiyamente  ingannato 
da  tre  impostori.  Quindi  11  titolo  De  tribns  Imposto- 
ribus  dato  a  quest*opera,  vero  capolavoro  d*enipieta, 
che  nessuno  ayeva  mat  veduta ,  e  nondimeno  dava 
luogo  a  dicerie  sconnesse  e  vaghe  che  correvano  sul 
suo  conto. 

Uno  fra  1  primi  a  fame  espressa  menzione  fu  un 
monaco  spagnuolo  dell'ordine  del  Carmelitani,  Ge- 
ronymo  de  la  Madre  de  Dios.  In  un  libro  pubbli- 
cato  a  Brusselles  nel  1611  col  11  titolo  di:  Diez  la- 
mentaciones  del  miseraUle  estado  de  los  Atheistas  il  re- 
verendo  padre  si  dichiara  in  quest!  sens! :  Uno  desfa 
Secta  {de  los  Atheistas  libertinos)  compuso  un  lidro  in- 
titulado :  De  los  tres  Enganadorbs  del  Mundo  : 
MoYSBN,  Christo  y  Mahoma,  Que  no  se  lo  dexaron  tm- 
primir  en  Alemanna,  el  anno  pasado  de  1610. 

Nel  corso  del  secolo  XVll,  e  nel  principio  del  XVIII, 
un  numero  grande  d*  autorl  continud  a  parlare  del 
libro  De  tribus  Impostoribus;  niuno  perd  che  asse- 
risse  d*  averlo  veduto ;  ma  i  piii  ripetevano  dd  che 
se  ne  diceva  dsUr  universale ,  aggiungendovi  alia 
volte  circostanze  non  molto  verisimili.  Piit  tardo 
critici  piiH  giudiziosi  manifestarono  il  dubbio  che 
forse  non  si  trattasse  d'un  libro  imaginario.  Un  let- 
terato  inf^epmoso,  la  memoria  del  quale  e  rimasta 
oara  agli  amicl  del  buoni  studj,  Bernardo  de  La  Mon- 
po^e  autor^  dei  fnnu  J  i(oei  borgognoni^  in  appog- 


ffio  di  quest' altima  opinione,  pose  in  campo  diversi 
argromenti  esposti  in  una  sua  dissertazione.  Codesto 
scritto  trovd  oppositori,  ma,  mentre  i  dotti  discu- 
tevano,  I*opera  per  se,  restd  invisibile. 

In  questo  mezzo  Tavevano  cercata  con  vivo  ar- 
dore.  Si  voile  che  un  diplomatico  svedese,  Salvius, 
fosse  arrivato  a  porvi  su  le  mani;  si  aggiunse  chc 
la  regrina  Cristina  si  sia  trattenuta  dal  richiedernelo 
mentre  viveva,  ma  come  tosto  riseppe  la  morte  del 
suo  antico  plenipotenziario,  abbia  mandato  Bourde- 
lot,  suo  primo  medico,  a  pregare  la  vedova  di  appa- 
gare  la  sua  curiosita.  Ma  n'ebbe  in  risposta  che  Tin- 
fermo,  preso  da  rimorso,  la  vigilia  della  sua  morte 
Tavea  fatta  abbruciare  dinanzi  ai  proprii  occhi  (Me- 
nagiana^  t.  IV. ). 

Prima  di  La  Monnoye,  Gabriele  Naude,  del  quale  e 
noto  Tamore  pei  libri,  e  che  per  fermo  nulla  avrebbe 
lasciato  intentato  per  aggiungere  anche  quosto  alia 
ricca  biblioteca  che  stava  formando  pel  cardinalc 
Mazzarino ,  scrisse :  r>  Non  mi  venne  mai  veduto  il 
libro  De  tribm  Impostoridus;  credo  che  non  sia  mai 
stato  stampato ,  e  repute  menzogna  tutto  cid  che 
ne  fu  detto  «.  Grozio  (App.  ad  Comment,  de  Antichrist o, 
p.  133 )  s'accorda  in  simile  sentenza. 

Un  teologo  di  ardite  idee  per  Vet^  in  cui  visse,  il 
primo  fra  1  cattolici  (almeno  crediamo)  a  venire  in 
sospetto  che  il  Pentateuco  fosse  poi  veramente  opera 
di  Mose,  Riccardo  Simon,  prete  deir  Oratorio,  nelle 
sue  Lettere  scelte  ( Rotterdam  n02 1. 1  pp.  166  e  202)  pa- 
lesa  I'opinione,  che  il  Liber  de  tribus  Impostoribus  non 
abbia  mai  esistito;  le  false  voci  diffuse  sul  suo  conto, 
derivano  dalla  malignity  che  cercava  di  diffamare 
un  personaggio  che  si  voleva  screditare. 


Anche  Bayle  s'attenne  a  codesta'opinione;  in  una 
nota  apposta  airarticolo  ch'egli  consacra  airAretino 
(  Diz.  isL )  dice :  <*  £:  molto  probabile  che  codesto 
libro  non  abbia  mai  esistito;  il  signor  de  La  Mon- 
noye  ha  dimostrato  con  argomenti  assai  forti  che 
esso  e  puro  sogno.  II  padre  Mersenne  (in  GencHm^ 
pag.  1830 )  ha  detto  che  uno  de'  suoi  amici,  il  quale 
aveva  letto  il  libro  in  discorso,  y'avea  riconosciuto 
lo  stile  deirAretino.  Le  son  tutte  baje  ^, 

Avremo  piu  sotto  occasione  di  parlare  di  qual- 
cuno  degli  scrittori  che  hanno  fatta  menzione  del 
Liber  de  tridus  Impostoribus  e  che  V  hanno  attribuito 
a  questo  o  a  quel  personaggio;  alle  quali  si  pos- 
sono  aggiungere  anco  altre  testimonianze.  Un  fllo- 
sofo  francese  venuto  a  domiciliarsi  in  Italia ,  gli 
scritti  del  quale  improntati  d'uno  scetticismo  poco 
celato ,  suscitarono  vive  ire  fra  i  teologhi ,  Claudio 
di  Beauregard,  (Beringaldo)  nel  suo  Circolus  Pisa- 
7iHS^  (4)  pag.  230  (Patavii,  1661)  parlando  dei  miracoli 
di  Mose  attribuiti  ad  arte  magica,  s*esprime:  »»  Tot 
Hri  sancti  et  Christus  ipse  Mosen  secuti  satis  eum  tin- 
dicant  ah  hoc  calumnia  qtUdquid  affectus  contra  liber 
impins  De  tribus  Impostoribus  omnia  refimdens  in 
Damonem  potentiorem  cujus  ope  magi  alii  aliis  videnhir 
prastantiores  quo  etiam  refertnr  illud  flctum  a  Boccac- 
cio de  tribus  annulis.  n 

Un  gesuita  che  si  segnald  per  gran  vastit^  di  dot- 
trina ,  per  fecondita  inesauribile  e  per  un*  indipen- 
denza  di  spiriti  rara  nella  sua  Compagnia ,  Teo- 
fllo  Raynaud (5)  da  parte  sua  dichiard  {in  ffopoplot, 
sez.  II,  p.  250):  «  Opusde  Tribus  magnis  impostoribus* 
Mose,  Christo,  Mahomete,  ewitiale  fuisse  Wechelio,  in- 
signi  alios  typographo.  Sed  e^us  Ubri  pestifero  attactu 


-  va  — 


funditus  everso,  referunt,  quod  legeruntjkie  digni  testes, 
mihi  incestare  ocuios  tarn  infcmda  scriptionis  lectione 
ad  ingens  scelus  videtur  perHnere.  » 

Niente  s'e  potato  rinvenire  che  potesse  convalidare 
il  fatto  che  Wechel  abbia  stampato  alcun  che  di  si- 
mile ;  ed  e  possibiie  che  Raynaud  abbia  avuto  sott'oc- 
chio  un'opera  d'Antonio  Cornelius  un  tempo  stimata, 
dove  s'incontrano  alcune  idee  poco  ortodosse :  Bxac- 
tissima  infantium  in  limbo  clausorum  querela  adversus  di^ 
vinum  judicium.  Wechel  appose  il  suo  nome  al  volume 
stampato  ncl  1531 ;  pel  quale  rimandiamo  il  lettore  a 
Bayle  (art.  Wechel),  aDavide  Clement  (Bidlioth^que 
cwrieuse,  t.  VII,  p.  302)  a  Schaelhorn,  {Amanitates 
litteraria^  t.  V,  p.  287 ). 

Florimondo  de  Raymond  (cioe  il  gesuita  Richeom- 
me)  parla  egli  pure  con  isdegno  dellibro  del  quale 
ci  occupiamo,  intomo  alia  cui  esistenza  egli  non  nu- 
tre  il  menomo  dubbio :  u  Nefandus  ille  libellus  in  Ger- 
mania  excusus  horribili  titulo  inscriptus ,  ex  ipsis  in- 
femis  faucibus  libellum  hunc  eructatum,  no7i  argumen- 
turn  solwn,  sed  titulus  ostendit  r>  (Nel  trattato  De  Ori- 
gine  haresium,  lib.  II,  cap.  16),  Egli  aggiunge  d*a- 
verlo  veduto  nella  sua  infanzia  in  mano  a  Pietro 
Ramus  ( si  veda  la  dissertazione  di  La  Monnoye  ) ; 
ma  cosi  fatti  asserti  sono  avuti  per  pochissimo  de-> 
gni  di  fede. 

Nel  1581,  un  dottore  partigiano  sfegatato  della 
Lega,  Gilberto  Genebrard ,  parld  ,  in  termini  a  dir 
vero  piuttosto  vaghi,  del  libellus^  quasi  che  girasse 
palesemente.  Disputando  con  un  riformato(Lamberto 
Daneau)  egli  si  esprime  cosi,  avendo  di  mira  1  cat- 
tolici.  n  Non  Blandratum ,  non  Aldatmt,  non  OcMnum, 
ad  Mdhometismmt  impulerunt;  non  Vallcum  ad  Athei^ 


smi  proftsiumem  ind%xermt[(S);  nanalium  ^nendam  ad 
spargendtm  libelhim  De  tribm  Impostoribus,  quorum  se- 
cundus  esset  Christus  Dominus ,  duo  alU  MoiUes  et 
Mahom§te8,  pellexerunt.  « 


II. 

Ipotesi  intorno  airAutore. 

Egli  era  non  poco  malagevole  Tesprimersi  chiara- 
mente  circa  Tesistenza  d'un  libro,  del  quale  non  si 
conosceva  che  11  titolo  accompagnato  da  qualche  in- 
certo  romore;  era  cosa  impossibile  Tadditare  Tautore 
d*uno  scritto,  contro  11  quale  si  sarebbe  scatenata 
grave  tempesta.  Le  congetture  pertanto  andarono 
di  buon  passo ;  e  i  bibliografl,  i  letterati,  che  s'  oc- 
cuparono  del  libro  di  cui  parliamo ,  mandarono  in- 
nanzi  alcuni  nomi  senza  poi  giustiflcare  le  loro  as- 
serzioni ;  e  si  attaccarono  ai  personaggi  che  sin  dai 
primordj  del  medio  cvo  si  segnalarono  per  principj 
irreligiosi,  piuttosto  rari  in  quell'eti. 

L*imperatore  Federigo  Barbarossa  morto  nel  1190, 
e  il  primo  che  si  presenta  in  ordine  cronologico:  i 
suoi  litigi  colla  corte  di  Roma,  1  suoi  costumi  poco 
castigati,  fecero  nascer  del  dubbj  suUa  purezza  della 
sua  fede.  II  filosofo  arabo  Averroe  o  Ibn  Roschd , 
morto  nel  1193  did  luogo  a  sospetti  pel  sentimenti 
ostili  cui  si  dice  nutrisse  tanto  contro  Tislamismo, 
quanto  contro  le  dottrine  di  Moise ,  e  la  fede  cri- 
Btiana*  Secondo  il  signor  Renan,  che  ha  pubblicato 


—  IX  — 

iutomo  air  averroisino  un  iibro  notevolissimo «  la 
filosofia  di  Averroe,  interpretazione  piuttosto  libera 
delle  dottrine  d*Aristotile,  e  interpretata  a  sua  volta 
iu  modo  aucora  piii  libero«  si  ridusse  a  questo :  Ne- 
gazione  del  soprannaturale,  del  miraccli,  degli  an- 
geli ,  dei  demonj ,  dell*  intervento  divino ;  splega- 
zione  delle  religioni  e  delle  credenze  morali  mediante 
Vimpostura. 

Non  tutti  i  nostri  lettori  potendo  procurarsi  il 
dotto  lavoro  del  signor  Renan,  pensiamo  di  far  loro 
cosa  gradita  recando  qui  alcune  linee ,  dove  que- 
st' abile  critico  parla  coUa  sua  usata  lucidita  in- 
torno  airargomento  che  forma  Toggetto  della  pre- 
sente  notizia. 

*»  Non  senza  un  certo  fondamento  Topinione  pub- 

blica  attribui  ad  Averroe  la  formola  dei  tre  im- 

postori.  A   queir  etk  i  diversi  culti    si  rawicina- 

r6no,  non  gik  per  la  loro  comune  origine  celeste, 

ma  per  le  loro  pretese  impossibility.  Questo  pen- 

siero  che  quasi  come  sogno  affannoso  perseguitd 

il  secolo  XHI ,  fu  perd  frutto  degli  studj  arabi  ed 

efifetto  delle  tendenze  della  corte  degli  Hohenstau- 

fen.  Esso  scoppid  senza  nome  d'  autore ,  senza  che 

persona  osasse  confessarlo;  esso  e,  per  cosi  dire, 

la  tentazione,  il  S&tana  nascosto  in  fondo  al  cuore  di 

quel  secolo.  Avuto  dagli  uni  in  conto  di  bestemmia, 

dagli  altri  in  conto  di  calunnia,  la  parola  d'ordine  dei 

tre  impostori,  fra  le  mani  de'monaci  mendicant!  di- 

venne  un  arme  terribile  sempre  pronta  per  rovinare  i 

loro  nemici.  Si  voleva  diffamare  qualcuno  faceiidolo 

passare  per  un  nuovo  Giuda?  egli  aveadetto  che  vi 

erano  stati  tre  impostori . . . .  e  tale  imputazione  lo 

bollava  come  un  marchio  d'infamla ....  Per  scuo- 


tere  yieppiii  V  imaginazione  popolare,  delUt  formoh 
si  fece  un  libro.  Allorch^  le  opere  di  Pietro  il  vene- 
rabile,  e  di  Roberto  de  Ratines  intorno  al  Corano, 
la  crociata,  1  libri  di  polemica  scritti  dai  Domenicani, 
diedero  una  idea  piii  esatta  dell*  islamismo ,  Mao- 
metto  apparve  qual  fondatore  d'un  eulto  monotei- 
stico,  e  si  arrivd  a  questa  conclusione,  che  al  mondo 
si  danno  tre  religioni,  fondate  su  principj  analoghi, 
tutte  e  tre  perd  intrammischiate  di  favole.  Questo  fu 
il  pensiero  che  si  tradusse  neir  opinione  de'  vulghi 
mediante  la  bestemmia  dei  Tre  Impostari,  L*  Italia 
come  la  Francia  partecipd  a  questo  grande  vacilla- 
mento  delle  coscienze.  L'anticliit&  pagana  v^avea  la- 
sciato  un  pericoloso  germe  di  rivolta  contro  il  cristia- 
nesimo.  In  sul  cominciare  del  secolo.XI,  8*udi  certo 
Vilgard ,  maestro  di  scuola  a  Ravenna ,  dicbiarare 
che  il  vero  era  quanto  dicevano  i  poeti  antichi,  e 
che  convenia  credere  a  quest!  anziche  ai  misted 
cristiani.  Giil  nel  1115,  a  Firenze  si  trovaya  una 
setta  d'Epicur^i  abbastanza  forte  per  cagionare  san- 
guinosi  tumulti.  Arnaldo  da  Brescia  trasformava  in 
moti  poUtici  la  rivolta  fllosofica  e  religiosa.  Arualdo 
di  Villanuova  passava  per  I'adepto  d'una  setta  pita- 
gorica  diffusa  in  tutta  Italia.  II  poema  delia  Discesa 
di  San  Paolo  allHnfemo  parla  con  terrore  d'una  so- 
cietli  secreta  cbe  aveva  giurato  la  distruzione  del  cri- 
stianesimo.  n 

Si  pose  in  campo  11  nome  deir  imperator  Fede- 
rico  II,  morto  nel  1250,  fondandosi  sulla  imputa- 
zione  di  Gregorio  IX,  che  accusava  questo  monarca 
d'aver  sostenuto  che  tre  impostori  abusarono  suc- 
cessivamente  della  credulity  del  genere  umano  (7). 
Si  pretendeva  che  Topera  non  Tavesse  mica  scritta 


—  itr — 

lo  stesso  imperatore,  mail  suo cancelliere Pier delle 
Vigrne(8).  Quest'opinione  dopo  esser  girata  come  vago 
rumore,  verso  ii  cominciamento  del  secolo  XVIII  ri- 
sorse  e  fu  sostenuta  e  discussa  in  una  disserta- 
zione  senza  nome  d*autore,  che  noi  ripubbliehiamo 
pi\i  giiX,  Nondimeno  si  tiene  che  sia  destituita  di 
fondamento ;  e  noi  aggiungeremo  che  Federico  re- 
spinse  con  gran  forza  Taccusa  che  il  papa  gli  lan- 
cid  contro,  la  gravit|i  della  quale  potea  veramente 
far  paura.  Intomo  a  cid  si  pud  consultare  le  JSpi^ 
stole  Petri  de  Vineis  (lib.  I,  ch.  XXXI)  ristampate  piu 
volte  {Haganoa,  1539;  Basilea,  1566;  Amderga,  1609; 
Basilea,  1740, 2,  vol.  in  8.)  Notiamo  pure  che  Timpe- 
ratore  non  fu  il  solo  al  quale  s'addossasse  I'accusa 
pronunciata  dal  ponteflce.  Un  autore  del  secolo  XIII, 
(  Tommaso  de  Cantimpr6,  nella  Storia  letteraria 
della  Francia,  t.  XIX  p.  477,  gll  consacrd  una  noti- 
zia) ,  neir  opera  allegorica  e  mistica  da  lui  intito- 
lata  Liber  de  proprietatibtts  apum^  sostiene  che  a  Pa- 
rigri  esisteva  un  professore,  che  ai  suoi  discepoli  iir^ 
segnava  che  Mose ,  Cristo  e  Maomctto  furono  tre 
impostori.  Noi  dubitiamo  grandemente  che  un  pro- 
fessore ,  anche  nutrendo  simili  sentimenti ,  abbia 
portata  Taudacia  flno  al  segno  di  manifestarsi  a| 
suoi  discepoli;  il  castigo  sarebbe  stato  esemplare* 

Un  monaco  napoletano,  un  audace  pensatore,  Tom- 
maso Campanella,  fu  sospettato  d'aver  composto  il 
trattato  de'  tre  Impostori,  Bgli  voile  giustificarsi  al- 
legando  che  il  libro  era  gia  stampato  trent'anni  (9) 
prima  della  sua  nascita  ( cioe  nel  15!^ ) ;  ma  que- 
st' asserto  e  esso  poi  veramente  degno  di  fede? 
Nulla  troviamo  che  valga  a  provarlo.  Guglielmo  Po- 
stelnel  154'^  parld  d*un  trattato  de  tribusprophetis^  che 


—  XII  — 

attribuiva  a  Servct;  e  su  lui  stesso  cadde  il  so- 
spetto  ehe  avesse  scritta  quell'opera;  egrli  a]ineno 
ne  avea  ripetuti  alcuui  pensieri  in  uno  degli  scritti 
da  lui  dati  alia  luce :  De  orbis  ^ccncordia^  (10)  open 
d'un  genio  inquieto  ma  potente,  analizzata  con  cars 
nel  Dizionario  delle  scienze  filosofiche  (1S51,  t.  VI, 
p.  183).  Si  son  messi  in  campo  i  nomi  del  Machia- 
Telli,  di  Rabelais,  d'Erasmo «  di  Stefano  Dolet,  ab- 
bruciato  a  Parigi  nel  1546;  di  Giordano  Bruno,  ab- 
bruciato  a  Roma  nel  1601 ;  di  Oiulio  Cesare  Vanini, 
abbruciato  a  Tolosa  nel  1616,  ma  queste  confuse  at- 
testazioni  mancano  d'ogni  apparenza  di  prova. 

Altri  scrittori,  facendo  risalire  a  piu  secoli  ad- 
dietro  la  composizione  di  questo  celebre  trattato, 
lo  posero  a  carico  del  Boccaccio,  autore  la  cui  or- 
todossia  non  e  immacolata  (11). 

II  Campanella  pensava  che  il  vero  autore  di  co- 
desto  libro  non  fosse  forse  quel  Poggio ,  il  quale, 
se  bene  secretario.  del  papa ,  era  poco  devoto ,  e 
molto  libero  in  questo  particolare,  come  lo  prova 
la  raccolta  di  Facetics  stampata  col  suo  nome;  ma 
il  Campanella  par  che  non  abbia  fatto  gran  caso  di 
questa  opinione,  stante  che  TErnst  nelle  sue  Obser- 
tatUmes  mria  asserisce  che  a  Roma  il  monaco  cala- 
brese  gr  indicd  Mureto  come  autore  del  libro  in 
discorso;  ora  cid  non  s*accorda  per  nulla  colla 
stampa  del  libro  che  avrebbe  dovuto  precorrere 
di  trent'anni  la  nascita  del  Campanella;  il  Mu- 
reto, nato  nel  1526,  nel  1538  non  aveva  che  dodici 
anni.  Altri  pronuncid  il  nome  d'Ochino  cappuccino, 
il  quale,  volte  le  spalle  al  cattolicismo,  abbraccid  i 
principj  della  riforma;  ma  con  tutto  il  suo  perse- 
guitare  con  sillogismi  e  sarcasm!  la  chiesa  da  lui 


desertata,  TOcbino  non  negd  mai  i  dogmi  fonda- 
mental!  del  cristianesimo.  Sicche  anche  quest'  opi- 
nione,  che  non  troviamo  se  non  in  ano  scrittore  del 
secolo  XVII  (12),  ci  pare  destituitadi  fondamento.  Al- 
trettanto  dlciamo  rispetto  airAretino.  II  troppo 
celebre  autore  del  Bagionamenti  e  dei  SonetH  lussu- 
riosi  spinse  la  licenza  a  un  seg:no  flpo  allora  senza 
esempio.  Ma  egli  era  incapace  d*alcuna  idea  flloso- 
flca  profonda ,  e,  cercando  sopra  ogui  altra  cosa  di 
Tiver  tranquillo  e  di  far  danaro,  adoperd  quellapenna 
che  aveva  vergate  le  awenture  della  Nanna  e  della 
Pippa  a  scrivere  libri  di  devozione  (13). 

II  fllosofo  italiano  Pomponaccio ,  morto  nel  1524 , 
flgura  fra  gli  autori  ai  quail  fu  attribuita  senza  al- 
cuna  prova  r  opera  che  forma  il  soggetto  del  pre- 
sente  scritto.  fi  noto  che  codesto  ardito  pensatore 
si  mostrd  favorevole  al  materialismo  e  ostile  alia 
chiesa.  Le  sue  opere  a  Venezia  furono  abbruciate; 
ma  rautore  dovette  allUndulgenza  di  Leon  X,  e  alia 
protezione  di  alcuni  cardinal!  il  piacere  d!  morire 
in  pace.  Dei  divers!  pass!  de'suo!  scritti  che  hanno 
provocate  le  ire  de'suo!  coetanei,  non  ne  trascrive- 
remo  che  unotoltodal  Tractatus  de  inmortalitate  ant" 
ma  (1534,  in-12,  p.  121):  »  Ad  quartum,  in  quo  dice- 
datur  quod  fere  totum  Mniverswn  esse  deceptwn ,  cum 
amnes  leges  ponant^  antmam  intmortalem  esse.  Ad  quod 
dicitur^  qik>d  si  totum  nihil  sit,  quam  sua  partes,  veluti 
multi  existimant,  quum  nullus  sit  homo^  qui  non  deci- 
piatwr^  ut  dixit  Plato  in  de  Republican  non  est  peccatum 
illud  concedere^  imno  necesse  est^  concedere  aut  quod 
totus  wundus  decipitur  aut  saltern  nuUorpars,  supposito, 
quod  sint  tantum  tres  leges,  scilicet  Christi,  Mopsis  et 
Mahometis,  Aut  igitur  omnes  sunt  falsa,  et  sic  totus  mun- 


—  xrr  — 

dMS  estdeceptut,  ani  saltern  d%m  eanm,  et  sic  inaiorpan 
est  decepta.  y> 

Si  parld  eziandio  d*  un  amico  dell'  Aretino ,  di 
Fausto  da  Longiano,  che  s'era  proposto  di  scrivere 
col  titolo  II  Tempio  della  veritd  un  libro  molto  ar- 
dito ,  molto  eterodosso,  come  annunzia  egli  stesso 
in  una  lettera  da  lui  diretta  al  celebre  satirico . 
stampata  nel  suo  cai1;eggio*  Un  passo  di  questa 
lettera  si  trova  nella  dissertazione  di  La  Mon- 
noye  che  noi  ripubblichiamo.  Anco  ponendo  che 
detta  opera  sia  stata  scritta ,  si  comprende  come 
ragioni  di  gran  peso  debbano  aver  impedito  la  pub- 
blicazione  del  Tempio  della  veritd.  Noi  abbiamo  inu- 
tilmente  cercato  di  procurarci  qualche  indizio  in- 
tomo  a  codesto  Fausto.  Longiano  e  una  cittaduzza 
appartenente  agli  antichi  stati  romani,  presso  Forli. 

Fu  menzionato  il  nome  del  Cardano;  quest*uomo 
tanto  erudito  quauto  bizzarre,  1  cui  scritti  presen- 
tano  uno  strano  miscuglio  di  scetticismo  e  di  cre- 
dulity, piuttosto  frequente  a  trovarsi  nel  secolo  XVI, 
non  temette  di  comparare  fra  loro  paganesimo,  giu- 
daismo,  maomettanesimo  e  cristianesimo,  e  dope 
averli  messi  a  riscontro,  senza  poi  palesare  in  quale 
credenza  abbia  fede,  termina  col  dire :  i*  His  igitur 
arbitrio  victoriiB  relictis;  «*  lasciando  cosi  decidere 
al  caso  a  qual  religione  spetti  la  palma.  E  pero 
vero:  piil  tardo  raddolci  questo  passo;  ma  s'era 
gik  attirato,  segnatamente  da  parte  dello  Scaligero, 
la  taccia  di  ateo  (14). 

Si  pose  Tocchio  su  Pietro  de  la  Ramee  o  Ramus, 
celebre  pei  suoi  attacchi  contro  Aristotele,  il  quale 
fu  aocusato  d*  irreligione  a  cagrione  dell'  ardimento 


—  XV  — 

con  cui  die  addosso  alia  veecbia  filosofla  che  spa- 
dronava  nelle  scuole  (15). 

Un  cappuccino ,  il  padre  Foly ,  nel  terzo  Tolume 
delle  sue  Conferences  9ur  les  mystdres  sostiene  che 
un  ugonotto,  Nicola  Bernaud,  nel  1612  fu  scomuni- 
cato ,  per  aver  compodto  uno  scritto  De  tribvs  Jm- 
postoriHs.  Si  trattava  di  Nicola  Bernaud  de  Crests 
al  quale  s*attribui  un'  opera  curiosa ,  il  Cabinet  du 
roy  de  France,  dans  lequel  il  y  a  trots  pierres  pr6^ 
cieuses^  1581,  e  si  tiene  eziandio  per  autore  del  Mi- 
roir  des  Francois,  1582,  libro  che  aspira  a  riforme,  il 
cui  compimento  si  fece  attender  due  secoli  (16),  e  che 
non  si  sono  nemmen  tutte  incarnate  nei  fatti,  poiche 
r  autore  domanda  11  matrimonlo  del  preti  e  la  riu- 
nione  del  Belgio  alia  Francia.  Alchimista  e  viaggia- 
tore  infaticabile ,  Bernaud  (la  vita  del  quale  e  po- 
chissimo  conosciuta)  era  uomo  d'audaci  propositi; 
non  per  questo  v'  6  ragione  di  dubitare  di  quanto  il 
cappuccino  asseri  sul  conto  suo* 

Lo  scrittore  piA  modemo,  di  cui  parve  doversite- 
ner  conto,  e  Milton,  morto  nel  1674;  ma  non  si  pud 
pensare  sul  serio  ad  affermare  che  T  autore  del  Pa- 
radiso  perduto  abbia  composto  un'opera  intorno  alia 
quale  si  disputava  molto  prima  della  sua  nascita,  e 
che  sarebbe  stata  in  perfetto  dissenso  coi  suoi  prin- 
cipj,  ne'quali  dominaya  il  puritanesimo  repubbli- 
cano  fondato  suUa  lettura  della  Bibbia. 

Fra  gli  scrittori  tenuti  in  conto  di  liberi  pensatori, 
ed  ai  quali  si  avrebbe  pur  potuto  attribuire  il  Li- 
ber de  tribus  Impostoribvi  ^  non  abbiamo  incontrato 
Bonaventura  Des  P^riers;  d  noto  che  questo  aseetico 
scrittore  si  tolse  la  vita  nel  verno  fra  il  1542  e 
1543 ,  dopo  aver  fatto  stampare  nel  1337  il  Cymd4h 


—  XVI  — 

lum  vmrndi^  libro  che  tosto  fu  proeessato  dal  Parl»- 
mento  come  contenente  di  grandi  abusi  ed  eresie. 
£  inutile  ripetere  che  lo  stampatore  Morin  fu  in- 
carcerato  e  tenuto  in  gran  poverty  «  detenu  en  gnmde 
pauvret^;  ^  che  Tedizione  originale  fu  distrutta  con 
tanta  cura ,  che  non  se  ne  conosce  piii  che  una  o 
due  copie. 

Di  fresco  il  Cymbalwm  mundi  ebbe  due  edizioni 
nuove  rivedute  I'uua  da  Paolo  Lacroix  (Parigi^  Gos- 
selin,  1841)  Taltra  da  Luigi  Lacour  (nel  I.  tpmo  delle 
opere  di  Bonawentura  Des  Periers,  Jannet,  1856). 
Eligio  Johanneau  scoperse  la  chiave  dei  nomi  degli 
interlocutor!  nascosti  sotto  il  velo  deiranagranuna. 

»  Massime  nel  secondo  dialogo,  dice  il  signor  La- 
croix, Tautore  mette  in  burla  tutte  le  credenze  pro- 
fessate  al  suo  tempo;  il  Cristo  gi&  da  lui  trasfor- 
mato  in  un  briccone,  qui  e  apertamente  proclamato 
tale ;  Lutero,  corifeo  della  riforma,  non  e  rappresen- 
tato  in  modo  meno  satirico :  cattolici  e  protestanti 
son  messi  in  mazzo;  Des  Periers  si  burla  del  pari 
e  degli  uni  e  degli  altri.  »  La  Monnoye  aveva  indo- 
vinata  Tallegoria  ed  aveva  espresso  il  suo  pensiero 
con  tutta  quella  chiarezza,  di  cui  gli  fu  datofar  uso : 
tt  S'e*  m*e  lecito  esprimere  il  mio  sospetto,  dird  che 
in  questo  scritto  si  pretende  sberteggiare  colui  che 
scendendo  dal  cielo  ci  portd  la  verity  etema;  dird 
che  il  seguito  del  discorso  di  Trigabus  t  Tempio  ed 
esagerato  dileggio  di  quanto  codesta  veriti^  ha  ope- 
rato.  n 

Noi  non  abbiamo  bisogno  d'insistere  intorno  a  cid ; 
e  evidente  che  se  il  libro  De  tribus  Impoitoribus  fu 
reaimente  stampato  nel  1538,  come  sostiene  il  Cam- 
panelist  «i  potrebbe  con  qualche  verosimiglianza  ad- 


—  5cvii  — 

dossHrlo  a  Des  Periers ,  il  quale  v*  avrebbe  syolt'a 
con  maggior  precialone  la  tesi  da  lui  velata  a  dise- 
gno  nel  Cymhalum  mundi,  che,  agli  occhi  de'  miopi, 
poteva  passare  per  una  beffa  lanciata  contro  11  pa- 
ganesimo.  In  quel  racconti  figuravano  Mercuric,  Cu- 
pido  ed  altre  parecchie  divinltil  mitologriche ;  parti- 
colare  che  si  trova  eziandio  nella  famosa  opera  di 
Giordano  Bruno  e  che  s'intende  assai  facilmente*  1 
colpi  assestati  a  Glove  e  a  Saturno ,  avevano  ben 
piii  alta  la  mira. 


Opinioni  di  alcuni  Critici  moderni 
interne  al  libro  De  tribua  Impostoribtts. 

Uno  degli  scrittori  che  maneggid  con  gran  for- 
tuna  tuttl  1  mezzi  della  lingua  francese,  un  bibllo- 
fllo  appassionato,  Carlo  Nodier  nolle  sue  Qitestions 
de  liUdrattwe  Ugale  (1828),  riepilogd  giudizlosamente 
cid  che  si  sa,  o  piuttosto  cid  che  non  si  sa,  ri- 
guardo  al  famoso  e  irreperibile  trattatQ  ch*d  Tog- 
getto  delle  nostre  ricerche: 

n  Per  secoli  di  questo  libro  non  esistette  che  11 
solo  titolo;  una  parola  uscita  dalle  labbra  d'un 
principe  celebre  ne  pote  fornire  Tidea ;  ma  nessuna 
penna  avrebbe  osato  vergarlo  in  un*eti,  nella  quale 
simile  ardimento  sarebbe  stato  troppo  pericoloso. 
Fondandosi  sulle  voci  che  s'erano  sparse  in  una  certa 

I>e  Urilms  Impostmb%$%  % 


—  xvm  — 

chtSBo  di  letterati,  gli  si  attribui  una  re«lt4  impose 
sibile;  si  andd  tant*oltre  da  nominare  perflno  grli 
stampatori  che  dovevano  averlo  pubblicato,  i  quali 
per  avventura  diedero  qualche  appiglio  a  cosi  fatta 
accusa,  e  perch^  increduli  e  perche  persone  abili; 
i  Wechtel  fra  gli  altri;  ma  cid  avveDne  senza  che 
poi  si  potesse  flancheggiare  tale  opinione  con  auto- 
ritA  di  qualche  riiievo.  Che  pensare  quindi  degrli 
esemplari  di  questo  trattato  presentemente  cono- 
sciuti,  la  data  dei  quali  s'accorda  abbastanza  bene 
col  tempo,  nel  quale,  secondo  tutte  le  ipotesi,  do- 
vette  apparlre?  Questa  scoperta  forse  non  distrugge 
i  ragionameuti  pid  speciosi,  e  resta  egli  ancora 
qualche  cosa  a  dire  contro  Tesistenza  d'un  libro, 
11  titolo  del  quale  e  ripetuto  in  piu  cataloghi  di  so- 
guito? 

n  Codesto  problema  csige  una  doppia  soluzione: 
nU  esisto,  un  trattato  De  tribus  Impostoribus,  i  cui 
esemplari  sono  estremameute  rari ;  no ,  il  trattato 
De  tribus  Impostoribus,  che  occupd  i  bibliologhi  del 
secolo  XVII,  non  esiste.  *» 

II  Nodier  aggiunge  d*ayer  posseduto  nella  sua  in- 
fonzia  un  esemplare  di  codesto  libro,  in  tutto  con- 
forme  alia  dcscrizione  che  si  dk  di  quelli  che  si  sono 
veduti  in  vendita:  era  un  piccolo  in-S  di  46  pagino 
e  due  di  frontispizio  stampato  in  sant*Agostino  ro^ 
mano,  su  carta  pochissimo  consistente,  vecchia,  bru- 
na,  e  forse  ingiallita;  portava,  senz*  altro  contras- 
segno,  ranno  1598 ,  che  alcuni  bibliografl ,  conside* 
rando  la  forma  moderna  del  caratteri,  ritennero 
posto  in  luogo  del  1698.  Pud  darsi  che  non  sia  state 
stampato  ne  in  quelle  ne  in  questo,  comeche  a  quel 
tempo  non  mancassero  ragioni  atte  a  consigliare  tale 


dostitozione.  La  regina  r'ristina  di  Svezia  alcuni 
anni  prima  aveva  offerto  trentamila  lire  a  colui  che 
fiapesse  procurargliene  una  copla,  e  questo  era  un 
motivo  forte  abbastanza  per  mettere  alia  prova  Tin- 
dustria  dagli  editor!.  In  appresso  la  liberta  del  pen- 
sare,  e  in  certi  paesi  quella  della  stampa,  giunsero  al 
eolmo.  L'Olanda  e  la  Germania  rigurgitavano  di 
audaci  fuorusciti,  ai  quail  tal  opera  sarebbe  parsa 
un  trastullo,  e  allora  lo  stamparla  non  avrebbe 
offerto  punto  maggiori  ostacoli  di  quello  che  le  ar- 
dite  teorie  di  Hobbes  e  di  Spinosa. 

A  ogni  modo  e  cosa  indubitabile  che  il  trattato 
De  tribus  Tmpostoribus,  non  fu  mai  dato  alia  regina 
Cristina;  ed  e  dlfQcile  il  credere  che  se  fosse  stato 
stampato  sin  d'  allora  nel  minor  numero  di  copie 
possibile,  non  ne  sia  pervenuto  alcun  sentore  a  La 
Monnoye,  la  cui  dissertazione  dev'essere  stata  pub- 
blicata  soltanto  qualche  anno  appresso. 

Eppoi,  come  spiegare  che  questo  libro  sia  sfuggito 
alle  ricerche  dei  dotti  e  laboriosi  bibliografl  del  se- 
colo  XVIII,  di  Prospero  Marchand,  di  Sallengre,  di 
Davide  Clement,  di  Bauer,  di  Vogt,  di  De  Bure  e  dl 
tant*altri,  e  che  non  si  sia  trovato  in  nessuna  di 
quelle  grandi  e  rare  biblioteche ,  di  cui  noi  posse-^ 
diamo  i  cataloghi? 

In  Germania  si  ritiene  per  cosa  certa,  e  si  assert 
in  diverse  opere  {\^  Bibliotheca  historic  litteraria  se-- 
Itcta  di  Jugler,  t.  Ill,  p.  1665),  che  il  volume  di  46  pa- 
gine  che  porta  la  data  del  mdho,  f  u  stampato  nel  1753 
a  spese  e  per  cura  d*un  libraio  di  Vienna,  Straube ; 
egli  ne  vendette  alcune  copie  al  prezzo  di  20  e  piil 
monete  d'oro,  e  per  questo  fu  gettato  e  detenuto  a 
Itmgo  neUe  prigioni  di  Brunswicl^. 


Se  I'edizione  che  si  suppone  appartenere  al  se* 
colo  XVI  esisteva  realmente;  se  si  potesse  attribuirla 
ad  Dolet,  a  Enrico  Stefano  od  anche  a  Postel,  allora 
al  pregio  d*  una  straordinaria  raritii  unirebbe  anco 
altri  vantaggi,  particolarmente  questo,  di  manife- 
starci  i  sentiment!  d'uno  scrittore  yalente ,  e  di  ri- 
solvere  una  molto  celebre  questione  di  bibliografla. 

II  marchese  Du  Roure  ^Analecta  Hblion,  1. 1,  p.  422), 
analizza  lo  scritto  datato  del  1598  in  una  copia  fatta 
da  un  laborioso  bibliografo,  Tabate  Mercier  di  Saint- 
Leger,  copia  da  lui  posseduta.  Egli  opina  cbe  La 
Monnoye  dopo  aver  confutato  senza  fiatica  cid  che 
Arpe  sostenevafondato  suU' autorit&  d*un  aneddoto 
puerile,  sia  andato  tropp*oltre  negando  Tesistenza 
d*un  trattato  De  tribus  /mpo«(m^«#  anteriore  al  1716. 
«i  Per  quanto  grande  'si  fosse  Tastio  di  Federico  II 
contro  la  potenza  pontiflcale,  e  ridicolo  Tattribuire, 
vuoi  a  questo  imperatore,  vuoi  anche  al  suo  cancel- 
liore,  un*opera  che  mente  umana  non  avrebbe  po- 
tuto  concepire  nel  1230;  opera  del  resto,  nella  quale 
la  mano  moderna  si  palesa  in  ogni  frase.  A  ogni 
modo  converrii  pure  concedere  che  un  tal  llbro  ha 
potuto  esister  verso  il  1553,  come  ce  ne  assicurano 
Guglielmo  Postel  e  il  gesuita  Richeomme  conosciuto 
col  nome  di  Florimondo  de  Remond.  Come  mai  il 
inondo  erudit,o  avrebbe  potuto  ingannarsi  flno  al  se- 
gno da  cercare  dovunque  Tautore  d*un  libro  che  non 
fosse  mai  esistito,  d*  attribuirlo  successivamente  al 
Boccaccio,  a  Servet,  al  Poggio,  all'Aretino  e  a  tanti 
altri?  che?  Tanto  fracasso  per  nulla!  Tanto  fumo 
senza  focol  Cid  non  e  mica  possibilel 

II  signor  Renouard,  possessore  d'un  esemplare,  di 
cui  parleremo  nel  seguente  paragrafo,  nel  Catalogue 


d$  la  Hbliothigue  d'm  amateur  (1818, 1. 1,  p.  19),  con- 
sacra  una  liingra  nota  a  questo  trattato.  Dopo  aver 
rifiutato  la  storiella  troppo  leggennente  ammessa 
nel  Dictionnaire  des  anonymeSy  appoggiandosi  alia  quale 
rabate  Mercier  di  Saint-Leger  avrebbe  fabbricato 
questo  libro,  egli  aggiunge :  u  E  molto  probabile  che 
questo  libro  sia  uscito  fuori  o,  come  vuole  la  sua 
data,  nel  1596,  o,  cid  ch'lo  credo,  nel  corso  del  secolo 
seguente.  Del  resto,  questo  gioiello  tanto  prezioso, 
questo  libeUo  di  venti  luigi,  non  va  considerate  che 
qual  rarity  bibliografica.  £  una  lunga  argomenta* 
zione  scritta  in  latino  piuttosto  cattivo,  nella  quale 
si  Yuol  provare  che  Mose  e  Maometto,  e  massime  il 
prime,  furono  insigni  impostori ,  che  i  libri  degli 
Ebrei  non  sono  d'  ispirazione  divina ,  anche  per  te- 
stimonianza  di  san  Paolo,  del  quale  si  riferiscono 
diversi  passi.  Quanto  a  Gesii  Cristo,  ch'  e  11  terzo,  a 
cui  allude  11  titolo  del  libro,  se  ne  dice  ben  poco; 
sembra  che  Tautore  abbia  avuto  paura.  Una  frase 
biasima  le  pie  frodi  di  colore  che  hanno  fondato  la 
religione  Cristiana  sulle  ruine  del  giudaismo,  e  an- 
che questa  frase  sembra  imbrogliata  a  bello  studio. 
Dairaltro  canto  si  attesta  un  gran  rispetto  per  Te- 
vangelo.  Inflne  questa  e  1'  opera  d'  un  uomo ,  che 
avrebbe  certo  finite  sul  rogo,  dove  avesse  confessato 
d'esser  Tautore  di  questo  libro,  ma  che  professa  il 
deismo,  e  non  e  ne  piii  ne  meno  empio  di  molti 
i  quali  a'nostri  di,  in  materia  di  religione,  si  ere- 
done  le  persoue  meno  censurabili  del  mondo. 

Convien  rimpiangere  che,  senza  dubbio  tratte- 
nuto  dalle  esigenze  dei  conflni  che  s*era  assegnati, 
I'oracolo  della  bibliografia,  Tautore  del  Manuel  du  Li- 
Iftaire  non  abbia  consacrato  al  trattato  in  discorso 


che  un  breve  articolo,  dove  rigetta  Taneddoto  gik 
combattuto  dal  signor  Renouard,  pur  senza  toccare 
con  cid  le  altre  question!  che  gli  si  presentavano. 
Speriamo  che  neila  quinta  edizione  del  Jifanmle, 
alia  cui  pubblicazione  ora  si  sta  attendendo ,  il  si- 
gnor G.  C.  Brunet  concederli  due  o  tre  colonne  alia 
discussiono  d'un  punto  oscuro  della  scienza  del  li* 
bri;  niuno  pu6  chiurirlo  meglio  di  lui. 


IV. 

Opera  oggi  esistenti  e  intitolate 
Dei  tre  Impostor i. 


1.  OPERE  in  lingua  ?iATINA. 

Ncl  Manuel  du  libraire  e  registrata  un*edizioue  col 
millesimo  MDIIC  (1598),  in  piccolo  8,  di  46  pagine; 
e  osserva  che  con  certezza  non  se  ne  conpsce  che 
tre  esemplari :  quelle  registrato  nel  catalogo  d'un  ce- 
lebre  amatore  olandese,  Crevenna,  la  cui  biblioteca 
fu  venduta  nel  1790  (I':) ;  quello  che  nel  1784  (18)  alia 
vendita  dei  libri  del  duca  de  la  Valliere,  fu  pagato 
474  lire  (somma  straordinaria  in  quel  tempo,  nel 
quale  i  libri  rari  erano  ben  lontani  daU'avcre  il  va- 
lore  che  hanno  acquistato  piu  tardi ) ;  infine  Tesem- 
plare  del  si^or  Renouard:  quest' ultimo,  notato 


—  xxin  — 

nel  Catalogo  della  biblioteca  di  questo  amatore  (1818, 
4  vol.  in-8),  t.  I,  p.  118,  figura  come  comperato  nel 
1812  nella  vendita  del  libri  del  professore  AUamand 
che  in  fronte  a  quel  volume  scrisse  d*  averlo  rice-i- 
vuto  in  dono  a  Rotterdam  nel  1762  (19). 

Secondo  Barbier  (Dictionnaire  des  anonymes)  e  se- 
condo  il  Manuale  del  libraio,  questa  edizione  fu  stam- 
pata  a  Vienna  nel  1753  da  P.  Straube.  Aggiungono 
che  questo  tipografo  come  testo  si  servi  di  qual^ 
cuno  dei  manoscritti  che  giravano  da  lungo  tem- 
po; poiche  nel  1716  uno  di  essi  fu  comperato  pel 
principe  Eugenio  di  Savoia  al  prezzo  di  80  imperiali 
alia  vendita  della  biblioteca  di  Federico  Mayer  a  Ber-> 
lino.  Prospero  Marchand,  che  nota  questo  particolare 
nel  suo  Dictionnaire  historigue  (1724)  riferisce  le  prime 
parole  del  manoscritto,  e  son  quelle  che  si  leggono 
nel  volume  datato  il  1598. 

Si  disse  che  la  biblioteca  di  Dresda  possedesse  un 
quarto  esemplare,  ma  secondo  Topera  di  M.  Falken- 
stein  (Beschreihimg  der  KOniglichen  Gfentlichen  BibliO' 
thek  zu  Dresden  1839  p.  50*3)  non  si  tratta  che  della 
ristampa  senza  luogo  ne  data,  fatta  a  Giessen  nel 
1792  (dal  libraio  Krieger),  della  quale  non  andd  at- 
torno  che  un  numero  assai  scarso  di  copie,  Tintera 
edizione  essendo  stata  sequestrata  e  messa  sottosug- 
gello  in  una  sala  dell*universit&  di  Giessen  dove  se- 
condo Falkenstein  si  trova  tuttora.  Questa  edizione 
a  ogni  modo  conta  64  pagine ;  si  distingue  dunque 
a  prima  vista  da  quella  che  n*  ha  46. 

II  testo  latino,  dopo  una  trentina  d*anni  (nel  1833) 
fu  di  nuovo  pubblicato  in  Germania;  un  laborioso 
scrittore,  il  dottore  F.  G.  Genthe,  al  quale,  fra  le  altre 
lotte  opcre,  dobbiamo  un  curioso  saggio  intorno  allf^ 


—  XXIV  — 

poesia  macaronica  (20),  lo  fece  ristampare  a  Lvpslm, 
usando  di  due  manoscritti  diversi,  e  lo  corredd  di 
una  notizia,  della  quale  ci  siamo  senriti,  ma  aggriun- 
gendovi  non  poche  cose.  A  questo  testo  deiredizione 
del  1833  per  mala  sorte  mandano  le  tre  ultime  pa- 
gine  dell*edizione  del  1598,  ohe  neiredizioue  presente 
abbiamo  integralmente  restituite.  Nel  J846  un  altro 
bibliografo  che  dimora  generalmente  in  Zurigo,  il  si- 
gnor  Emilio  Weller  di  bel  nuovo  diede  f  uori  il  testo  la- 
tino, e  rarricchi  d'una  traduzione  tedesca.  Pigliando 
perd  la  cosa  da  un  lato  diverso  de*8uoi  predecessori,  11 
signor  Weller  stima  che  il  volume  datato  del  1596  ab- 
bia  realmente  veduta  la  luce  in  queiranno,  L*edizioQe 
non  gli  e  parsa  per  nulla  moderna,  e  pensa  che  que- 
sta  stampa  abbia  preceduto  1  manoscritti  che  si  sono 
divulgati  piiH  tardi ,  un  de'  quali  ba  servito  alia  n- 
stampa  fatta  da  Straube,  la  quale  sequestrata  con 
gran  diligenza  e  divenuta  irreperibile. 

Ecco  dunque  per  lo  meno  quattro  edizioni  succes-* 
siramente  pubblicate  dalle  tipografle  tedesche,  ba- 
tave  0  ejvetiche,  d*un  lavoro  che  forse  non  e  nem- 
manco  il  trattato,  a  cui  hanno  accennato  gli  scrittori 
del  secolo  XVII,  ma  che  perd  non  e  indegno  d'es- 
sere  conosciuto.  Le  edizioni  recenti,  essendo  po- 
chissimo  divulgate  in  Francia,  e  accompagnate  da 
schiarimenti  in  lingua  conosciuta  da  pochi,  pel  no- 
stro  pubblico  d  come  se  non  esistessero. 

Molti  critici  (fra  gli  altri  i  signori  Genthc  e  Wel- 
ler) tengono  per  indubitato  che  il  testo  latino, 
quale  d  stampato,  possa  essere  state  scritto  nel  se- 
colo XVI,  ma  la  scorrezione  dello  stile  e  il  difetto 
di  nesso  fllosofico  nelle  idee  sono  motivi  bastanti 
per  istabilire  ch'esso  a  ogni  mode  non  e  uscito  dalla 


penna  di  nessuno  degli  scrittori,  11  cui  nome  fa  messo 
in  campo  (21).  Si  pud  credere  che  sia  lavoro  d'un 
uomo  che  aveva  studiata  la  storia  e  aveva  viaggiato, 
condotto  poscia  alio  scetticismo  dalle  dispute  reli- 
giose, che  presero  le  mosse  dalla  riforma.  Egli  pose 
in  carta  le  sue  idee  per  proprio  uso.  II  secolo  XVI 
produsse  gran  numero  di  codesti  liberi  pensatori, 
che  si  chiamavano  Lucianisti  fmirwrn  ejusmodi  homi- 
mm  fuisse  freguentiam  qui  Lucianista  dicti  sunt  eo  quod 
omnes  religiones  derideant;  cosi  s'esprime  Florimondo 
de  Remond).  Pud  darsi  che  I'opera  andando  attomo 
manoscritta,  sia  stata  alterata  e  interpolata;  e  con- 
Yien  notare  che  vi  si  fa  menzione  di  sant'Ignazio,  il 
quale  non  fu  canonizzato  che  nel  1622  rAn  vero  ere- 
dmdum  est  quia  bancs  foeminunculae  Franciscum,  IgnO' 
tium,  Damimcum  et  similes  tanto  cultu  prosequmtur.,J. 
Una  lunga  tirata  contro  la  religione  mosaica  al  pa- 
rere  di  Genthe,  e  un  frammento  appiccicatovi  in  se- 
guito,  e  che  hon  ha  a  che  fare  col  rimanente. 

Verso  il  principio  del  secolo  XVIII  i  giudizj  sin  a 
quel  tempo  assai  titubanti  rispetto  al  libro  De  tri- 
bus  Impostoribus  cominciarono  a  farsi  pii!l  precisi. 

Pier  Federico  Arpe,  che  nel  Yi\2  aveva  pubblicato 
un*  apologia  del  Vanini,  nel  1716  diede  alia  luce  una 
risposta  alia  dissertazione  del  La  Monnoye^  e  s*an- 
nunzid  come  possessore  deiropera  che  menava  tanto 
rumore. 

Egli  racconta  che  nel  1706,  trovandosi  presso  un 
libraio  a  Francoforte  sul  Meno,  v'  incontrd  un  uffl- 
ciale  tedesco  che  voleva  vendere  un  libro  italiano 
fXo  Spaccio  delta  Bestia  trionfante  di  Giordano  Bruno) 
e  due  manoscritti  latini,  di  cui  s'era  impadronito  nel 
a  ccheg^io  di  Monaco  dopolabattaglia  di  Hochstett; 


—  XXVI  — 

domandaya  500  risdalleri  (circa  2000  lire  italiane). 
Arpe,  avendo  fatto  ubbriacare  que8t*ufflciale,  ottenne 
a  prestanza  uno  de*  due  manoscritti,  il  fiamoso  trat- 
tato  De  trilms  Impostoridus.  Arpe  gli  promise  con  Sa- 
cramento, che  non  sarebbe  ricopiato ;  ma  stimd  tran- 
sigere  colla  propria  coscienza  pigliando  il  partito 
di  tradurlo;  fatta  questa  versione  in  fretta  e  in 
furia  con  Taiuto  d*  un  amico,  rese  all'uffloiale  il  ma- 
noscritto  che  fu,  coi  due  altri  volumi ,  venduto  per 
500  risdalleri  (il  prezzo  richiesto)  a  un  principe  della 
casa  di  Sassonia. 

Arpe  in  appresso  feoe  un  cenno  intomo  a  questo 
libro,  secondo  lui,  diviso  in  sei  capitoli ;  anche  la  sua 
pretesa  traduzionc  fu  poscia  stampata ;  ma  essa  non 
ha  alcun  riscontro  ne  per  Testensione,  ne  per  la  di- 
visione,  ne  per  la  sostanza  coU*  opera  latina  che 
Arpe  per  fermo  non  ha  tampoco  veduta.  Del  resto 
di  questo  Tedesco  non  si  conosce  verun'opera  scritta 
in  francese,  di  maniera  che  non  d  la  piii  certa  cosa 
del  mondo  che  appartenga  propriamente  a  lui  la 
dissertazione  francese  pubblicata  col  suo  nome.  Noi 
a  ogni  modo  la  ripubblichiamo  come  uno  degli  atti 
di  questo  processo  letterario ,  e  v'  aggiungiamo  la 
replica  con  cui  La  Monuoye  la  confutd. 


2.  OpERB  in  lingua  francese  ED  IN  ALl'RE  LINOUE. 

In  francese  esiste  un  opera  intitolata :  Traits  de$ 
trais  Imposteurs;  fu  ristampata  piii  volte  e  con  tutto 
cid  non  si  trova  troppo  facilmente.  Ma  in  sostanza 
questo  libro  non  e  altro  che  quelle  che  andava  at- 
torno  manoscritto  nel  principio  del  secolo  XVII I  co^ 


titolo  di  Esprit  de  Spinasa;  il  quale,  lavoro  d'autor^ 
rimasto  ignoto,  subi  diverse  modiflcazioni ;  stampato 
nel  1719  airAja,  secondo  Prospero  Marchand  fiction- 
naire  historique^  t.  I,  p.  325)  fu  in  gran  parte  abbru- 
ciato ;  il  Manuel  du  Lidraire  intorno  a  cid  d&  rag- 
gualio  che  sarebbe  superfluo  trascrivere.  Un*altra 
compilazione  fu  fatta  verso  il -1*720;  stampata  a 
Rotterdam,  presso  Michele  Bohm  1721  in  60  pagine 
in^.  coUa  data  di  Francoforte,  La  sola  differenza 
cbe  y*abbia  fra  questa  e  il  libro  descritto  da  Arpe  e 
che  gli  otto  capitoli  deWEsprit  furono  ridotti  a  sei ; 
e  quelli  che  dapprima  portavano  1  numeri  3,  4  e  5 
ne  formano  un  solo. 

Alcunl  librai,  cercando  di  trar  profltto  dalla  ce- 
celebrity  del  titolo,  sul  frontisplzio  posero :  Trattato 
del  ire  ImpostotH  (22).  Sembra  per  altro  che  siasi 
fatto  qualche  mutamento  anche  al  manoscritto.  Al- 
cuni  passi  tolti  di  peso  dalle  opere  di  Charron  e 
dalle  Considerations  di  Naude  sur  Us  coups  d'EtaU 
furono  introdotti  nei  capitoli  III  e  IV.  L*edizione 
datata  il  CICDCCXIX  senza  indicazione  di  luogo 
(Olanda)  e  un  piccolo  in-8  di  200  pagine  preceduto 
da  una  notizia  intorno  a  Spinosa  e  da  un  elenco 
de*suoi  scritti.  Di  fronte  si  trova  un  ritr^tto  del 
fllosofo  colla  seguente  quartina: 

Si,  faute  d'lm  pinceau  Jldelle, 

Du  fameuw  Spinosa  Von  n'a  pas  peint  Us  traiU, 

La  sagesse  itant  immorUlU, 

Les  ecrits  ne  mourront  jamais, 

Quest*edizione  e  molto  rara;  ma  al  tempo  in  cui  i 
Ubri  cosi  detti  filosoflci  s^  moltiplicavano  sotto  ^ 


penna  del  barone  d*  Holbach,  dl  Naigeon  e  del  loro 
amid,  le  ristampe  si  successero  rapidamente.  Noi 
ne  abbiamo  veduta  una  collMndicazione  di  Trerdw 
1768,  senza  luogo,  1T75  (Olanda)  e  l'i76  (Germania), 
152  pagine:  Amsterdam  (Svizzera?)  1776,  di  138  pa- 
gine.  Ne  esiste  anche  una  piii  antica  che  fa  parte, 
col  titolo :  De  V Imposture  sacerdotale,  d'una  raccolta 
di  scritti  yari  pubblicati  nel  1767  in  un  yolume  in-8. 
Un'altra  edizione  datata  del  1796  fu  data  alia  luce 
da  Mercier  de  Compiegne ;  preceduta  da  una  ristampa 
fatta  nel  1793,  epoca  poco  notevole  nella  storia  del- 
Tarte  tipografica  in  Francia. 

Una  traduzione  tedesca,  additata  come  rara,  porta 
11  titolo  di  Spinosa  II,  Oder  Subiroth  Supim.  Bom ,  bei 
der  Wittwe  Bona  Spes,  5770. 

Abbiamo  sott'occhio  una  traduzione  inglese  pub- 
blicata  a  Dundee  nel  1844,  J  Myles  in  12,  intitolata: 
The  Three  Impostors  (96  pag.)-  In  calce  ad  una  dis- 
sertazione  di  25  pagine,  la  quale  nulla  insegna  che 
gi&  non  si  sapesse,  si  trova  una  traduzione  della  BS- 
ponse  d  Za  Monnoye  e  Testratto  dello  Jf^moires  litU- 
raires  (airAja  1716).  II  preambolo  della  traduzione 
anonima  e  molto  breve ;  lo  rechiamo  in  italiano  come 
qui  appresso: 

ff  II  traduttore  di  questo  trattatello  stima  neces- 
sario  dire  una  parola  circa  1'  oggetto  da  lui  avuto 
in  mira  colla  presente  pubblicazione.  Essa  non  e 
gi&  fatta  allUntento  di  difendere  lo  scetticismo,  o 
di  propagare  Tincreduliti:  ma  unicamente  a  flnedi 
Bostenere  i  diritti  del  giudizio  individuale.  Nessun 
ente  umano  e  in  condizione  di  leggere  nell'uman 
cuore,  e  di  decidere  con  giustizia  della  fede  o  della 
condotta  da*  suoi  simili ;  e  gli  attributi  della  diTi- 


nit&  sono  tanto  al  di  sopra  della  nostra  debile  ra- 
gione,|che  per  comprenderli  converrebbe  che  Tuomo 
diventasse  egli  stesso  un  Dio.  Ne  deriva  che  ogni 
biasimo  severo  delle  azioni  e  delle  opinioni  altrui 
dev'essere  messo  da  banda,  ed  ognuno  deve  porsi 
in  istato  di  poter  dichiarare  con  un  nmano,  nobile 
filosofo: 

H<mo  sum,  hiimani  nihil  a  me  aliemm  puto.  » 

II  traduttore  ha  traslatate  in  inglese  le  note  che 
accompagnano  il  testo  francese  (correggendo,  per 
modo  d*  esempio,  la  parola  cananico  dove  si  tratta 
d'un  rabbino)  e  v'aggiunse  quattro  o  cinque  bre- 
yissime  citazioni,  tolte  da  Tito  Livio,  Bolingbroke  e 
Volney.  Questa  traduzione  inglese  dell'edizione  fran- 
cese d'Amsterdam,  1776,  fu  ristampata  nel  1846,  a 
Nuova  York,  da  G.  Vale,  3,  Franklin-Square. 

Riepilogando,  dalla  traduzione  tedesca  (e  incom- 
pleta)  del  signor  Em.  Weller  infuori,  noi  non 
conosciamo  in  veruna  lingrua,  nessuna  vera  tradu- 
zione  del  trattatello  latino  De  tribus  Impostoribus,  di 
cui  ripubblichiamo  il  testo  in  tutta  la  sua  integrity* 


w 

Opere  aventi  titolo  simile  a  quello  del  Liber 
de  tribus  Impostoribtts* 

U  gTido  di  cui  godeva  il  libro  di  cui  favelliamo, 
il  mistero  che  lo  velava,  dovette  facilmente  spin- 
gere  qualche  scrittore  a  poi-re  in  fronte  ai  suoi  la- 
▼ori  UQ  titolo  che  in  certo  qiial  modo  rammentasse 
un'opera  che  si  cercava  dovunque  senza  trovarla. 
Era  un  mezzo  di  stimolare  la  curiositii  e  di  conci- 
liarsi  un  poco  di  attenzione;  il  che  non  si  sarebbe 
ottenuto  dove  Topera  si  fosse  pubblicata  con  on  ti- 
tolo insignificante.  Quest*  6  il  motivo  per  cui  ap« 
parve;  Vinceniii  Panurgi  Spistola  ad  CL  tirum  Jooft- 
nem  Baptistam  Morinum  Dr,  Med.  etc.  De  tribus  Impo- 
sUnibus,  Parisus  apud  MattAaum  BouUette,  1644,  in-r2; 
1654,  in-4. 

L'autore  di  questo  libro  fu  lo  stesso  G.  B.  Morin, 
e  i  tre  impostor!  sono  Gassendi>  Naude  e  Bemier 
che  s*erano  burlati  dei  suoi  sogui  astrologici. 

Uno  scritto  intitolato :  De  tribus  Nebulonibns  ap* 
parve  in  Olanda  composto  da  un  Olandese.  I  tre 
nebulones  erano  Masaniello,  Cromwello  e  Mazarino. 
Pare  che  il  cardinale,  a  dispetto  della  indifferenza 
sincera  o  simulata  ch*egli  ostentava  riguardo  ai  libri 
scritti  contfo  di  lui,  abbia  trovato  il  mezzo  di  spe- 
gnere  interamente  questa  edizione;  pare  eziandio 
che  i  bibliografl  non  abbiano  conosciuta  quest*o- 
pera,  e  non  cl  venne  fatto  trorarla  in  nessun  ca- 
talogo. 


Kel  1697  a  Londra  fu  dato  aUa  luce  un  libro  in*^ 
intitolato:  BUtary  of  the  three  late  famous  Impostort. 
Questi  tre  personaggi  erano  due  individui  che  vo- 
levano  spacciarsi  per  principi  ottomani,  e  Sabbathi 
Levi  per  terzo,  che,  nel  1666  voile  rappresentare  f ra 
i  Giudei  deirOriente  la  parte  di  Messia  (23). 

Codesto  libro  fu  tradotto  in  tedesco :  Amburgo  1669 
in-8;  una  edizione  uuova,  con  una  prefazione  di 
Martino  Schmizel  vide  la  luce  nel  1739.  Ne  esiste 
altresi  una  traduzione  francese  (Paris,  Robinet  1673, 
in-12),  e  quella  istoria  si  trova  per  intero  anclie 
neiropera  di  G.  B.  de  Rocoles ,  les  Imposteurs  in- 
signes  (Amsterdam,  Wolfgang  1683,  in-12). 

Nel  1680,  uno  scrittor  danese  pubblicd  il  Lider  de 
tribus  magnis  Jmpostorilnis  Oumpe  Sduardo  Herbert  de 
Cherbwry  (24),  Thoma  Eobbes  et  Benedicto  de  SpinosaJ, 
Kiloni  apud  Bichelium.  Questo  scritto,  dirizzato  con- 
tro  tre  impugnatori  della  rivelazione,  fu  ristampato 
con  qualche  aggiunta  da  un  figliuolo  delPautore  ad 
Amburgo  nel  1700,  e  tradotto  in  tedesco  da  un  pa- 
store  luterano,  Michele  Born» 

Giovanni  Decker  In  un  capitolo  d'  una  delle  sue 
opere  ^e  scriptis  adespotis,  sect.  XIX),  raccostd  Cam- 
panella,  Hobbes  e  Spinosa,  intitolando  le  sue  conside- 
razioni  sul  loro  conto :  De  tribus  maximis  hujus  seculi 
philosophis,  e  vi  pose  in  fronte  quest'epigrafe  presa 
da  Orazio  (Od.,  1.  I,  3). 

Nil  mortaliMis  arduum  est 
Coelwn,  ipsun  petimus  stultitia,  negue 

Per  nostrum  patimur  scelus 
Iraeunda  Jovem  ponere  fulmina  (25). 


—  XULtt  — 

Biversi  altri  flcrlttori,  come  sarebbe  dire  G.  E.  Ur- 
sine, de  Severin  Lintrup  e  de  Letdecker,  net  loro 
scritti  si  piccarono  di  unire  in  un  mazzo  tre  perso- 
naggi.  F.  E.  Kettner  nella  sua  DissertaUo  de  duobui 
Impostoridus,  B.  Spinoza  etB.  Beckero  (26)  Lipsiae  1691, 
in-4,  stette  pago  a  due. 

II  signor  Graesse  fa  menzione  anco  d'un*  opera 
pubblicata  a  Londra  e  intitolata  Us  Trots  Imposteun; 
si  tratta  di  Maometto,  d'Ignazio  Loiola,  e  di  Giorgio 
Fox  fondatore  della  setta  dei  quaccheri. 


VL 

Testimonianze  del  bibliografi  rispetto  al  libro 
De  trihus  Impostorihus, 

11  signor  Genthe  annovera  novantun*  autori  di- 
versi  che  parlarono  del  Trattato  de' tre  Jmpostori  ; 
ma  questa  lista  potrebbe  essere  yieppi(!i  accresciuta; 
il  bibliografo  tedesco,  a  quanto  sembra  poco  versato 
nfe'libri  francesi,  non  ha  citato  ne  G.  C.  Brunet, 
nd  A.  A.  Renouard ;  a  questi  tennero  dietro  Du  Roure, 
Qu6rard  fSupercheries  litUraires,  1, 371),!rautore  ano- 
nimo  d'  una  lettera  inserita  nel  Bulletin  des  Arts 
(1846,  t.  V,  p.  99),  e  d'un'altra  lettera  pubblicata  nel 
Journal  de  VamaXewr  de  Litres  (Paris,  Jannet,  N.  del 
1  agosto  1849).  Non  ci  venne  fatto  di  procurarcl  tra 
speciali  dissertazioni  di  cui  parla  il  siguor  Genthe : 
Emmanuele  Weber:  Programma  de  trihus  Impostor i- 


■■~*1- 


—  XXXUI  — 

dns,  ccCm  Giessen  1713;  G.  Cr.  Haremberg:  D0  secta 
non  timenUum  Deum ,  exhibens  originem  famosi  dicterii 
ac  commentitior.  script,  de  tribus  Impostoribus,  Bruns- 
wigae  I'TSQ,  in-8;  G.  M.  Mehling,  Das  erste  Schlimme 
Buck,  Oder  Abhandlmg  von  dcr  Schrift  de  tribus  Impo- 
storidus,  Chemnitz  1764,  in-8.  fi  noto  quanto  sia  dif- 
ficile il  procacciarsi  molto  tempo  dopo  la  pubblica- 
zione,  e  lontano  dal  luogo  dov*hanno  veduta  la  luce 
simili  opuscoli  accademici  usciti  dalle  university. 
Manco  male,  del  resto:  perocche  non  sappiamo  se 
essi  potrebbero  poi  dar  qualche  utile  informazione. 
Del  libro  di  cui  parliamo  e  fatto  cenno  anche  in  un 
periodico  inglese :  The  Blackwood  Magazine,  t.  VIII, 
p.  d06. 

Avevamo  Tlntenzione  di  trascrivero  a  parte  a  parte 
relenco  fatto  da  Genthe,  e  di  recare  i  pass!  degli 
autori  ch*  egli  addita ;  ma  rinunziammo  a  questa 
idea,  poichd  le  notizie  che  que*  libri,  per  la  piu 

■ 

parte  dimenticati,  somministrano  intorno  al  trattato 
de  tri6us  Impost<mdus  non  meritano  di  venir  ripe- 
tute.  Citeremo  a  ogni  modo,  come  adatti  a  essere 
consultati  da  coloro  che  volessero  conoscere  cI6 
che  fu  scritto  su  questo  soggetto: 

B.  G.  Struve,  De  doctis  Impostoribus  dissertatio,  Je- 
na nC3;  ibid.  1706,  §  9-23,  ristampato  ma  scorret- 
tamente  neir  Oudini  Commentt.  de  Scriptt.  Bcclesiast,, 
t.  III.  —  loh.  Fricdr.  Mayer,  Prof,  in  Disputt.  de  Co- 
tnitiis  Tadoriticis,  cf,  Placcius  de  Anonym,,  pp.  185-188 
seqq.  ristampato  separatamente,  Grcifswald  1702, 
in-4.  —  Christ.  Thomasius,  Obsertat,  Halenses  ad 
rem  Litt,,  t.  I,  odservat,  VII,  p.  78  seqq.  —  Vincenzo 
Placcius,  Theatr.  Anonymor.,  cap.  II,  N.  89;  p.  184  seqq. 
Calmet,  DicUonn.de  la  Bible,  art,  Jmposteurs.  —  Oior- 

De  tribus  Impostoribus.  3 


—  XXXIV  — 

nale  del  Letterati,  puddlicato  in  Firenze  per  i  mesi  d'a- 
prile,  maggio  e  giugno^  mdccxlii.  —  Job.  Godof. 
Schmutger,  Dissertatio  de  Friderici  IL  in  rem  Zitte- 
raricm  meritis, —  Observations  upon  the  report  of  the 
horrid  Blasphemy  of  the  three  grand  Impostors,   By 
some  ajflrm*d  to  have  been  of  late  years  uttered  and 
published  in  print.   (  vid.  Catal.  Msstor.  Angliae, 
t.  II,  p.  213).  —  lugement  de  M,  Maturin  Teissier  la 
Croze,  MbliotMcaire  et  antiguaire  du  roi  de  Prusse 
et  memdre  de  VAcad.  roy,  d  Berlin,  sur  le  traits :  De 
tridus  Impostoridus.  —  Bidlioth,  Reimann.  ffildesheim^ 
1731,  in-8,  p.  930.  —  Morhof,  Polyhist.  litt.,  t.  I, 
cap.  VIII.  —  Heumanni,    Conspectus  Reipubl.  lit- 
ter,, cap.  VI,  §  33.  —  Bidlioth.  JJfendachiana,  t.  in, 
p.  681.  —  Kochii  Odservatt.  miscell.^  t.  II,  p.  364.  — 
Bierlingii,  Pyrrhon.  hist.,  cap.  V,  p.  256.  —  Fabricii, 
Scriptt.  de  veritat.  Relig,  Christ.^  cap.  XXII,  p.  4'75.  — 
Annal.  Acad,  Julia,  semestr,  II.  —  Coleri,  Antholog.^ 
p.  196.  —  A.nt.  Maria  Gratianus,  in  pit.  Card.  Com- 
mendoni,  t.  II,  p.  9.  —  loh.  Dekherus,  de  Scriptt.  ade- 
spotis,  p.  119.  —  Sam.  Maresius,  De  lohmina  Papissa. 
—  Naudceana ,  p.  129.  —  Mulleri,  Atheismus  devictus. 
Prol.,  cap.  II,  pag.  19.  —  Melch.  Adam,  in  Vit.  Cal- 
tini,  p.  41.  —  Spizelius,  de  Atheismo ,  p.  15  e  18.  — 
Tentzelii,  Bidlioth,  curiosa,  etc.^  p.  491,  ann.  1704.  — 
Histoire  des  Outrages  des  Sirans,  fevr.  1694,  p.  278.  — 
Aubort  Miraei,  Bidlioth.  eccles.,  p.  226.  —  Hebhen- 
streit,  de  tariis  Christianor.  nominib.,  cap.  I,  p.  80.  — 
Odservatt.  Ha  lenses ,  t.  X,  observ.  9,  p.  218;  t.  IV, 
p.  261,  observ.  20.  —  Reimanui,  Introductio  in  ffistar. 
lltt.,  t.  Ill,  p.  246.  —  Ittigii.  Diss,  de  Postelo,  1700,  §  26, 
p.  :34.  —  Olearii,  Diss,  de  Vanino. 


—  XXXV  — 

VII. 

Degli  scritti  di  alcuni  autori  ai  quali  si 
attribul  il  libro  De  tribus  Impostorihus. 

Dicemmo  che  Servet,  Giordano  Bruno ,  Vanini  ed 
altrl  ancora,  furono  additati,  ma  senza  verosiml-, 
glianza  e  senza  fondamento,  come  autori  di  questo 
celebre  trattato  che  sfuggiva  a  ogni  ricerca.  Tali 
asserzioni  s'appoggiavano  alle  opinioni  poco  orto- 
dosse  manifestate  da  codesti  scrittori,  segnatamente 
dai  tre  che  abbiamo  pur  ora  mentovati,  vittime  del- 
r  inf oUeranza ,  il  cui  regno  era  ancora  in  vigore  in 
tutta  Europa.  In  universale,  gli  scritti  che  gli  con- 
dussero  al  rogo  sono  pochissimo  noti ;  non  sara  dun- 
que  inutile  il  fame  qui  un  cenno. 

Cominciamo  da  Michele  Servet.  La  condanna  che 

10  colpi  a  Ginevra  lo  rese  oggetto  d*  attenzione 
al  tutto  particolare.  La  relazione  del  suo  processo, 
cogli  atti  che  Tappogglano,  si  trova  nelle  MSmoires 
de  la  Society  d*hisioire  et  d'archMogie  de  Oenite,  t.  Ill, 
pp.  1-158.  Non  e  nostro  pensiero  di  parlare  della 
vita  di  queiruomo  celebre.  Moltissimi  scrittori,  se 
ne  sono  occupati.  Si  vedano  le  M^moires  de  d*Artu 
gny,  t.  II ;  VHistoire  de  France  d*Enrico  Martin,  t.  IX, 
p.  606;  VHistoire  de  Calvin  d'Audin  t.  II,  pp.25S-324; 

11  Bulletin  de  la  Soci^t^  de  Vhistoire  du  pi'otestantisme 
francais,  luglio  1S53  e  maggio  1858. 

La  sua  vita  scritta  in  tedesco  da  Mosheim  1748, 
in-4,  e  molto  prolissa.  Reputata  e  Topera  tedesca 
dl  Trechsel:  GH  Antitrinitari  protestanti  prima  di  So- 


—  XXXVI  — 

ciMO.  Idbroprimo.  8enet  (Heidelberg  1839).  Segnalato 
dall' JMrff^mm  fran^it  come  notevole,  e  uno  Studio 
intomo  al  processo  di  Scrttt  di  E.  Schase  (Strasbor- 
go  1853,  in-F). 

II  piii  celebre  scritto  di  Servet  e  quello  che  porta 
per  titolo :  Christianimi  restitutio  1553,  in-*8,  di  T34  p. 
Stampato  a  Vienna  presso  Baldassare  Amollet,  fu 
dato  alle  fiamme,  e  non  furono  salvate  che  sole  due 
0  tre  copie.  Una  di  queste,  che  aveva  appartenuto  tl 
dottore  inglese  Mead  ed  all*  archeologo  francese  de 
Boze,  8i  trova  nella  biblioteca  imperiale ;  e  contiene 
diverse  pagiue  abbruciacchiate.  Questa  copia  era 
quella  di  Colladon,  uno  degli  accusatori  di  Servet, 
il  quale  sottosegnd  le  proposizioni  piil  ardite.  (Si 
veda  un  articolo  di  M.  Flourens  nel  Journal  dcs  Sth 
tants,  aprile  1854,  p.  198). 

Per  somministrare  un*  idea  del  sistema  esposto  in 
questo  volume,  che  accese  tante  collere,  ci  serviremo 
deiranalisi  che  Emilio  Saisset  inseri  nel  Dictionnaire 
des  sciences  philosophiques  (tomo  VI).  Servet  piglia 
le  mosse  dal  punto,  che  Dio,  considerato  nella  pro- 
fondita  della  sua  essenza  increata,  e  assolutameute 
invisibile;  egli  e  perfettamente  uno,  perfettamente 
semplice,  si  semplice  e  si  uno  che,  a  pigliarlo  in  se, 
non  e  ne  intelligenza,  nd  spirito,  nd  amore.  Pertanto 
fra  un  tale  Iddio,  raccolto  in  se  medesimo  nella  sua 
inalterabile  semplicit&,  e  Tonda  delle  esistenze  mo- 
bill,  divise,  mutevoli,  abbisogna  un  legame,  un 
mediatore.  Codesto  mediatore,  codesto  legame,  sono 
le  idee,  tipi  eterni  delle  cose. 

Le  idee  non  sono  punto  separate  da  Dio,  se  bene 
ne  sieno  distinte.  Esse  sono  la  irradiazione  etema 
di  Dio.  Cid  che  |e  idee  sono  alle  cose^  Dio  lo  ^  alle 


idee  per  sd  stesse.  Le  cbse  trovano  la  loro  eSsenzA 
e  la  loro  unit&  nelle  idee :  le  idee  trovano  la  loro 
essenza  e  la  loro  nrnXk  in  Dio.  Dio,  per  se  invisibile, 
8i  divide  nelle  idee:  le  idee  si  dividono  nelle  cose. 
Dio  (per  usare  del  linguaggio  di  Servet,  che  qui 
ricorda  a  un  tratto  Plotino  e  Spinosa)  Dio  e  Tunitft 
assoluta  che  uniflca  tutto,  Tessenza  pura  che  tutto  es- 
senzia  (essentia  essentium,  Christ,  Best.  lih.  IV,  p.  125). 

Riepilogando ,  v*  ha  tre  mondt ,  a  un  tempo  di- 
stinti  ed  uniti:  al  sommo,  Dio,  assolutamente  sem- 
plice,  Ineffabile;  nel  mezzo  I'eterno  e  invisibile  lume 
delle  idee;  al  basso  di  questa scala  infinita s*agitano 
gli  esscri.  Gli  esseri  sono  contenuti  nelle  idee;  le 
idee  son  contenute  in  Dio ;  Dio  e  tutto,  tutto  e  Dio ; 
tutto  si  lega,  tutto  si  compenetra;  legge  suprema 
deiresistenza  d  TunitS.  universale.  L'uniti,  1*  armo- 
nia ,  la  consustanziallt^  di  tutti  gli  esseri :  ecco  il 
principio  che  sedusse  Servet,  non  meno  che  Bruno, 
Spinosa,  Schelling  e  tant*  altri  nobili  ingegni. 

Servet  alia  sua  metaflsica  penteistica  aggiungeva 
una  teologia  sostanzialmente  contraria  al  cristiane*' 
simo.  Volendo  essere  a  un  tempo  cristiano  e  pantei- 
6ta,  egli  imagind  la  teoria  d*  un  Cristo  ideale  che 
non  6  Dio ,  che  non  e  nemmanco  uomo ,  ma  un 
mediatore  fra  I'uomo  e  Dio ;  e  I'idea  centrale,  il  tipo 
dei  tipi,  TAdamo  celeste  modello  deirumanit^,  e  per 
conseguenza  di  tutti  gli  esseri.  Per  la  chiesa,  il  Cri- 
sto e  Dio,  pel  panteismo,  il  Cristo  non  e  che  un  uomo, 
una  parte  della  natura.  Servet  fra  la  Divinitft,  san- 
tuario  inaccessibile  dell*  eternita  e  deir  immobilita 
assoluta,  e  la  natura  rcgione  del  mo  to,  della  divi- 
sibne  e  del  tempo,  coUoca  un  mondo  iutermedio, 


—  XXXVIU  — 

quello  delle  idee,  e  del  Cristo  fa  il  centro  del  mondo 
ideale.  Di  manicra  Che  egli  crede  correggere  il  Cristo 
ed  il  panteismo,  correggendoli  e  temperandoli  l*un 
I'altro.  II  Cristo  e  il  lume  di  Die,  la  sua  piu  perfetta 
manifestazione,  la  sua  imagine  piu  pura;  tutto  emana 
da  lui ,  tutto  ritorna  in  lui ;  egli  e  la  causa,  il  mo- 
dello,  11  fine  di  tutti  gli  esseri;  tutto  s*  unifica  in 
lui,  ed  egli  tutto  unifica  in  Dio. 

Servet  svolge  quest*  idea  con  vero  entusiasmo ;  e 
il  perno  di  tutta  la  sua  dottrina.  Con  essa  pretende 
di  ricondurre  il  cristianesimo  alia  sua  primitiva  pu- 
rezza,  spiegando  tutti  i  dogmi,  riducendoli  ad  armo- 
nia  con  un  panteismo  appurato,  colle  tradizioni  di 
tutti  i  popoli,  i  simboli  tutti,  le  massime  di  tutti  i 
sapient!.  £  vero  per6  che  codesta  teoria  del  Cristo 
distrugge  totalmente  il  dogma  dell*  incarnazione , 
come  la  sua  dottrina  sull'  indivisibilita  assoluta  di 
Dio  distrugge  il  dogma  della  Trinitii,  come  11  suo 
concetto  d'un  mondo  intelligibile,  che  emana  da  Dio 
per  una  legge  necessaria,  distrugge  di  pianta  il 
dogma  della  creazione.  Rifiutando  I'ldea  d*una  tras- 
missione  del  peccato  originale  ereditario,  Servet 
abolisce  il  battesimo  del  neonati;  egli  non  ricono- 
see  la  necessity,  della  grazia  per  salvarsi,  ne  quella 
della  fedc  nelle  promesse  di  Gesu  Cristo ;  di  maniera 
che  egli  salva  i  maomettani,  i  pagani,  e  tutti  coloro 
che  saran  vissuti  secondo  la  legge  di  natura.  I  prin- 
cipj  di  Servet  non  restittUvano  gia  il  cristianesimo , 
com*  egli  si  confldava,  ma  lo  distruggevano  intera- 
mente.  Avviluppato  per  profondita  e  sottigliczza  di 
concetti,  cosi  fatto  sistema  non  ha  trovato  un  solo 
proselite;  ma  la  sincerita  della  fede  di  Servet,  la 
nobilta  del  suo  entusiasmo,  Taltezza  e  originalita 


—  XIL  — 

delle  sue  idee ,  non  potrebbero  esser  poste  in  forse 
senza  ingiustizia. 

Yeniamo  a  Giordano  Bruno.  I  due  volumi  gik  da 
noi  mentovati,  dal  signer  Bartholmess  consacrati  a 
codesto  fllosofo,  mi  dispensano  dal  parlarne  partita- 
mente.  Diremo  soltanto  che  se  n'  d  eziandio  fatta 
parola  nelVEistaire  des  sciences  matMmatiques  en  Ita- 
lic del  signor  Libri;  neir  opera  del  signer  Cousin 
intomo  a  Vanini ;  neWHistoire  de  France  di  Enrico 
Martin,  torn.  XIII,  e  va  discorrendo.  Fra  i  numerosL 
scritti  di  questo  audace  pensatore,  quelle  che  s'at- 
tiro  le  maggiori  coUere  fu  lo  Spaccio  de  la  Bestia 
trionfante^  proposto  da  Gioce,  e^ectuato  dal  consiglio, 
rivelalo  da  Mercwrio ,  Parigi  15b4  in-S.  Questo  raris- 
simo  volume  nelle  pubbliche  vendite  del  secolo  scorso 
si  facea  pagare  dalle  600  alle  1000  lire  italiane  (27) ; 
e  tuttoche  il  prezzo  dci  libri  di  questa  fatta  sia  di 
molto  diminuito ,  questo  (  unite  perd  a  tre  altri 
scritti  di  Bruno  )  alia  vendita  Dunn  Gardner  a 
Londra  nel  1854  fu  alzato  a  20  lire  st.  15  sc.  Esse 
poi  fu  ristampato  neir  edizione  delle  opere  italiane 
di  Bruno,  pubblicata  da  Ad.  Wagner  (  Lipsia  1829, 
2  vol.  in-8) ,  e.ne  vien  fatta  parola  ti€[V  Histoire  de 
la  litt^ratwre  italienne  di  Ginguene,  torn.  VII ,  nella 
Litter atwre  of  Ewrope  di  Hallam ,  tom.  II.  ecc.  Si  d 
quasi  sempre  parlato  di  questo  libro  enigmatico  ed 
oscuro  senz'  averlo  veduto ,  e  spesso  ne  fu  alterato 
il  titolo,  mettendo  Specchio  in  luogo  di  Spaccio,  L'o- 
pera  di  Bartholmess  ne  offre  una  lunga  analisi,  che 
daremo  per  sommi  capi. 

Si  tratta  della  cacciata  della  bestia  (parola  presa 
coUettivamente  per  indicare  tutto  il  regno  animale), 
cioe  degli  animal!  collocati  dalla  mitologia  e  daU 


—  XL  — 

1*  astronomia  iiella  volta  celeste ;  la  credeAza  allora 
si  divulgata,  che  gli  astri  influissero  sui  destini  e 
le  volont^  degli  uomini,  e  combattuta  senza  riserbo. 
Bruno  a  nomi  spregevoli  o  insignificanti ,  nell'  an- 
noverare  le  costellazioni,  vuol  sostituire  i  nomi  delle 
quality  e  dei  meriti  degni  della  stima  c  deir  am- 
mirazione  degli  uomini.  Seguendo  questo  ragiona- 
mento,  Tautore  frammischia  airallegoria  la  satira; 
la  metafora  si  confonde  coll*  allusione.  Di  mano  in 
mano  che  ciascuna  virtii  chiamata  a  subentrare  ai 
vizj  del  cielo  e  inaugurata,  essa  apprende  da  Giove 
cid  che  deve  fare  e  cid  che  deve  cansare.  Nell'iTpi- 
stola  espUcatoria  diretta  a  sir  Filippo  Sydney,  Bruno 
dichiara  d*aver  nello  Spaccio  seminato  a  larga  mano 
i  principj  della  sua  fllosofla  morale ,  senza  temere 
le  rughe  e  il  superciglio  degli  ipocriti,  il  dente  e  il 
naso  degli  scioli ,  la  lima  ed  il  sibilo  dei  pedanti. 
Fa  notare  che  sarebbe  ingiustizia  T  attribuirgli  le 
opinion!  che  mette  in  bocca  a  personaggi  che  si 
esprimono  senza  riserva.Certe  digrcssioni,nelle  quali 
Tambizione  e  la  cupidigia  sono  segnate  adito,non 
senza  ragione,  quali  cause  delle  guerre  che  affligge- 
vano  I'Europa,  certi  attacchi  contro  i  monaci,  alcune 
insinuazioni  oscure,  ma  al  ccrto  poco  ortodosse,  ecco 
cid  che  si  trova  in  molti  luoghi  di  codesti  dialoghi, 
che  flniscono  quando,  sendosi  mutato  il  nome  a  tutte 
le  costellazioni  ( air  aquila  subentra  la  magnani- 
mity, al  toro  la  longanimita,  al  cancro  la  conver- 
sione),  Giove  invita  gli  Dei  a  desinare. 

Faremo  pure  un  brevissimo  cenno  di  altre  opera 
di  Bruno,  ancora  molto  riccrcate  dai  bibliografl,  ma 
di  poco  peso ,  dove  si  guard! no  rispetto  alia  storia 
dello  spirito  umano. 


La  Cahata  del  cdvallo  Pegis^o  (Parigi,  1565)  e  unO 
scritto  bizzarro  per  metii  set io ,  per  metii  giocoso^ 
nel  quale  Tironia  y*d  profusa  aribocco.  Erasmo  aveva 
fatto  Telogio  della  pazzia:  Bruno  scrisse  il  panegi^ 
Tico  deirignoranza,  della  scempiaggine,  dell*asinita, 
ma  frammischiando  a  tutto  cid  le  dottrine  della  ca- 
bala rabbinica«  Vien  posto  in  iscena  un  personaggib 
chlamato  Onorio ;  in  forza  della  metempsicosi  esso 
passd  per  istati  molto  diversi.Primieramentefuasino 
al  servizio  d*un  giardiniere ;  in  seguito  si  trasformd 
nelcavallo  Pegaseo;  indi  passd  nel  corpo  d'Aristotile; 
e  1&  delird,  pid  che  non  abbia  fatto  lo  stesso  dellrio. 
Bulla  natura  dei  principj,  sulla  sostanza  delle  cose. 

In  altra  opera  in  forma  dl  dialogo:  La  cena  delle 
ceneri,  1581,  Bruno,  procedendo  Galileo,  impugna  Ti- 
dea  deirimmobilit^  della  terra;  precorrendo  di  due 
secoli  e  mezzo  le  idee  intorno  alia  plurality  dei 
mondi,  che  di  fresco  ban  suscitato  vive  controversie 
in  Inghilterra,  sostiene  esistere  gran  quantity  d'al* 
tri  pianeti  di  forma  e  materia  pari  alia  terra,  ani* 
mali  sterminati,  intellettmli,  il  cui  insieme  costi- 
tuisce  un  solo  essere  vivente  formato  dalla  intera 
creazione.  Codesti  elevati  concetti ,  cui  la  moderna 
fllosofla  ha  ripigliati  e  svolti ,  erano  nuovi  troppo, 
troppo  arditi  perche  non  urtassero  Tignoranza  ap- 
poggiata  a  dispotica  autoriti.  Si  confutd  perento- 
rlamehte  il  fliosofo  napoletano  col  condurlo  al  rogo. 

II  Vanini  cMntratterra  poco.  Si  6  smesso  al  tutto  di 
leggere  VAmphitheatrum  atema  providentia  e  il  trat* 
tato  De  adnUrandis  natura  regina  deaque  martaliim, 
II  signoT  Rousseiet  nelle  (Suvres  philosophiques  de  Fa- 
nini  (Parigi,  Gosselin  1842),  reed  una  completa 
Tersione  deU*  A^fiteatro ;  della  geconda  opera  non 


— •  XLll  — 

traslatd  in  francese  se  non  la  parte  piii  curiosa; 
scopo  della  quale  e  lo  spiegare  tutti  i  secret!  della 
natura,  fra  cui  convien  porre  anche  i  fatti   avnti 
in  conto  di  miracoli.  Le  tre  prime  parti  non  sono 
che  un  trattato  di  flsica  peripatetica  pochissimo  in- 
teressante,  comeche  contenga  alcune  ardite  idee.  Se 
non  che  (osserva  il  traduttore)  solo  nel  quarto  li- 
bro ,  avente  per  oggetto  la  Religione  dei  Pagani ,  il 
Vanini  spiega  tutta  la  sua  vena  e  la  sua  audacia. 
Dietro  questo  titolo  se  ne  nasconde  manifestamente 
un  altro  (cid  ch'avea  fatto  Bonavventura  Des  Periers 
nel  Cymbalum  mundi),  «  Annoverando  fra  i  fatti  na- 
turali  1  miracoli  ^  gli  oracoli ,  in  una  parola  d'ogni 
ragione  prodigi,  e  perfino  il  dono  delle  favelle  im- 
partito  agli  apostoli,  egli  passa  in  rassegna  tutte  le 
credenze;  le  discute  con  un'ironia,  ch'e  un  distin- 
tivo  particolare  del  suo  carattere ;  e  finisce  col  con- 
cludere  che  la  vera  religione  e  la  legge  naturale 
che  Dio  ha  scolpita  nel  cuore  di  ogni  uomo.  Le  im- 
posture dei  preti  son  tutt*  altro  che  passate  in  si- 
lenzio;  e  le  istituzioni  che  ne  derivano,  ai  suoi  oc- 
chl  non  sono  che  devote  frodi.  » 

Fra  gli  autori,  ai  quali  s'avrebbe  potato  attribuire 
il  trattato  De  tribus  Jmpostoribus,  nel  tempo  in  cui  le 
congetture  erano  in  voga,  a  nostro  credere  si  lascio 
da  parte  Giovanni  Bodin ,  audace  scrittore  molto 
superiore  all*  eta  in  cui  visse.  E  ben  vero  che  nella 
sua  Ddmonomanie  des  sorciers  pubblicata  nel  15S0, 
ristampata  pid  volte  (23),  e  tradotta  in  piu  lingue, 
inseri  sul  serio  i  piCi  assurdi  racconti  del  mondo; 
ma  il  suo  Unitersa  nature  theatrum,  (Lione  1593)  e 
scritto  sotto  r  ispirazione  d'  un  panteismo  mal  si- 
mulator e  morendo  lascid  manoscritta  un*opera  an- 


: 


—  XLIII  — 

cora  pill  ardita,  cui  nessuno  oso  pubblicare.  II  Col- 
loquium heptaplomeros  ci  presenta  sette  interlocutori : 
un  Cattolico ,  un  Luterano ,  un  Calvinista ,  un  Pa- 
gano,  un  Ebreo,  un  Maomettano,  un  Deista.  In  mezzo 
a  una  discussione  lunga  e  imbrogliata,  rinzeppata  di 
erudizione  pedantesca,  ejntarsiatadi  forme  straniere, 
brilla  r  idea  della  tolleranza  religiosa,  tutte  le  reli- 
gioni  essendo  sorelle,  e  intendendosi  a  mezzo  della 
morale. 

Nel  1841,  un  dotto  tedesco,  G.  E.  Quhrauer  pub- 
blicd  a  Berlino  una  notizia  intorno  a  quest'opera; 
un  anno  prima  un  altro  tedesco ,  Vogel ,  ne  formd 
argomentQ  di  due  articoli  stampati  in  un  giornale 
bibliograflco  di  Lipsia  (il  Serapeum),  Oltre  a  un*ana- 
lisi  deir  Heptaplomeros,  il  Guhrauer  diede  alia  luce 
due  estratti,  uno  in  tedesco,  Taltro  in  latino,  accom- 
pagnati  da  una  notizia  bibliografica.  Un  periodico 
che  piCl  non  yive,  la  Bevue  de  bibliographie  analytique^ 
diede  ragguaglio  di  questo  lavoro  (1842  p.  749).  Noi 
veramente  non  sapremmo  far  di  meglio  che  riman- 
dare  il  lettore  al  notevole  libro  di  E.  Baudrillart : 
Boiin  et  son  temps  (Parigi  1853  in-8).  La  parte  che 
riguarda  il  Colloquium  occupa  il  cap.  V,  p.  190-221. 
L*  originalitiL  di  quest*opera  consiste  nel  conciliare 
che  fa  con  una  credula  superstizione  V  esame  piu 
libero,  la  critica  pid  audace  col  giudizio  intorno  alle 
credenze  esistenti  piu  severo  che  dar  si  possa.  Tre 
fra  gli  interlocutori,  un  Ebreo,  un  Mussulmano,  un 
fllosofo  impugnano  acremente  il  cristlanesimo ;  ai 
loro  ragionamenti  inframmettono  espressioni  irri- 
verenti,  che  Baudrillart  non  voile  citare,  nemmeno 
in  latino,  e  Tinterlocutore  cattolico  difende  la  fede 
con  argomenti  molto  ma  molto  fiacchi.  Un  deismo 


ardente,  forma  la  sostanza  di  quest'opera  tunto  €^ii- 
troversa  e  si  poco  nota;  per  tutto  esala  un  vivo 
sentimetito  dclla  dignit§,  morale  dciruomo,  e  vi  si 
mescolano  inqualiflcabili  sogni. 

II  trattato  dei  Tre  Impostori  c' induce  in  modo  al 
tutto  naturale  a  parlare  dei  due  impostori  o  piut- 
tosto  dei  due  mentecatti,  che  a  Parigi  si  spacciavano 
come  Messia,  come  Figliuoli  deiruomo  (29):  furono 
ambidue  condannati  a  morte,  anziche  chiusi,  come 
meritavano,  in  \\n  mianicomio. 

II  primo  di  questi  sfortunati  fu  Goflfredo  Vallee: 
nacque  ad  Orleans,  ed  aveva  appena  vent^anniquando 
fece  stampare ,  nel  1572 ,  un  opyscolo  di  due  fogli, 
intitolato  la  Beatitude  des  Chrestiens  ou  U  FUo  de  la 
foy;  e  un  tessuto  di  stravaganze,  a  cui  si  mescolano 
invettive  contro  Roma  e  contro  TautoriU  in  mate- 
ria religiosa.  II  Parlamento  di  Parigi  condannd  Val- 
ine ad  essere  abbruciato  yivo  come  ateo.  II  decreto 
e  contenuto  dagli  Archives  curieuses  de  I'Histoire  de 
France,  t.  VIII.  (Si  yegg.  M^moif^s  de  literature  di 
Sallengre  t.  II;  Nouteaux  M^moires  di  d'Artigny, 
t.  11,  p.  278;  V  Analecta-Biblim  di  Du  Roure,  t.  II, 
p.  81 ;  il  Bulletin  du  bibliophile  di  Techener,  10  serie 
p.  612-623  ecc). 

Simone  Morin  d  piii  conosciuto.  MIchelef,  sella 
sua  ffistoire  du  rigne  de  Louis  J/r,  gli  consacrd  al- 
cune  pagine,  che  trovano  numerosi  lettori;  questo 
visionario  pretendeva  che  vi  fossero  tre  regni :  quello 
di  Dio  padre;  il  regno  della  legge,  che  finisce  col- 
Tincamazione  del  Figlio;  quello  del  Figllo,  il  regno 
della  grazia,  che  finisce  nel  1650;  quello  dello  Spinto 
Santo,  11  regno  della  gloria,  11  regno  di  Simon  Mo* 
rinmedeaimo,  durante  il  quale,  Dio  govema  le  anime 


—  XLV  — 

per  vie  interior!  senza  bisogno  del  xninistero  del 
preti.  Egli  pigliava  le  mosse  da  questo  principio  per 
chiedere  che  Luigi  XIV  gli  cedesso  la  corona.  In 
codesta  stravaganza  si  voile  vedere  un  crimenlese; 
Morin  fu  abbruciato  nel  166?.  I  Pensieri,  stampati 
nel  1647,  formano  un  volume  rarissimo,  11  cut  prezzo. 
arriva  dalle  50  alle  106  lire ;  fu  ristampato  verso 
11  1740,  In  mezzo  a  un  inintelligibile  garbuglio,  si 
pud  notaro  qua  e  It  qualcbe  squarcio  eloquente, 
qualche  bel  verso,  fra  gli  altri  questo: 

Tu  sais  Men  que  Vamour  change  en  lui  ce  qu'il  aime. 

Si  veggano  le  M^moires  di  d*  Artigny ,  t.  Ill , 
p.  249-313;  il  Bulletin  du  bibliophile^  1843,  p.  31,  ecc. 

Un  dotto  bibliografo  tedesco ,  il  dottor  Graesse , 
nelV Utoria  letteraria  unitersale  (in  tedesco  t.  VII, 
p.  772)  fa  parola  come  fosse  stata  scritta  ad  Halle 
nel  1587,  d*un' opera  ispirata  da  dottrine  deiste  ed 
anticristiane,  intitolata  Origo  el  fundamenta  religianis 
chrifdana^  e  rimanda  a  lUgen:  Zeitschrift  fikr  .  .  . 
( Qiomale  di  teologia  istorica^  VI,  2,  192). 

Nell'opera  d'un  avvocato  borgognone,  Claudio  Gil- 
bert, si  trovano  violenti  attacchi  contro  il  giudaismo 
e  il  cristianesimo:  ffistoire  de  Calejava,  ou  risle  dee 
homines  raisonnables^  avec  le  parallile  de  leur  morale  et 
du  chrislianisme ;  Dijon,  1700,  in-12.  Benche  lo  stam- 
patore  v'abbia  omesso  alcuni  squarci,  tutta  Tedi- 
zione  fu  in  progresso  di  tempo  abbruciata  dallo 
stesso  autore ;  si  dice  che  non  se  ne  sia  salvata  che 
una  sola  copia,  che  nel  1784  si  vendeva  nella  biblio- 
teca  del  duca  de  La  Valliere  per  120  lire.  Si  veda  il 
JHctiimHOire  d^s  anonjfmes  di  Barbier,  n,  7665  ^he  cUft 


—  XLVI  — 

Papillon  e  Mercier  di  Saint-Leger.  Codesto  libno 
scritto  in  forma  di  dialogo  e  pochissimo  conoficiuto. 
Di  Claudio  Gilbert  non  e  fatta  menzione  ne  nella 
Biographie  uniterselle  pubblicata  dai  fratelli  Michaod, 
ne  nella  seconda  edizione  di  questa  grand'opera,  ne 
nella  Biographie  g^n^rale  data  in  luce  da  Didot,  sotto 
la  direzione  dl  Hoefer. 

Chiudiamo  questa  rivista  dei  vari  scritti   etero- 
dossi  notando,  che  verso  la  fine  del  secolo  XVII, 
un  altro  individuo,  il  cui  cervello  era  alquanto  scorn* 
pigliato,  un  impiegato  della  camera  del  conti  G.  P. 
Parisot,  pubblicd  un  libro  piuttosto  oscuro ,  intito- 
lato:  la  Foy  d^voiUe  par  la  raison^  1631,  in-8.  Grazie 
al  progress!  della  toUeranza,  rispetto  airautore  s'ac- 
contentarono  dMmprigionarlo;  non  fu  abbniciato 
che  il  libro.  Fattosi  rarissimo,  e  dair  altro  canto 
poco  rlcercatq;  vi  si  trova  una  spiegazione  molto 
oscura  della  dottrina  del  Verbo  divino  ( il  Logos ) , 
quale  e  esposta  nel  Vangelo  di  san  Giovanni.  Pari- 
sot s'  avvisd  scoprire  nella  natura  i  tre  element! 
della  Trinity :  il  sale ,  generatore  delle  cose ,  corri- 
sponde  al  Padre;  !1  mercurio  per  la  sua  eccessiva 
fluidity  rappresenta  il  Figliuolo  diffuso  in  tutto  Tu- 
niverso;  il  zolfo  che  ha  la  proprieti  di  congiun- 
gere ,  d'  unire  il  sale  al  mercurio ,  flgura  evident^- 
mente  lo  Spirito  Santo,  sacro  legame  delle  due  prime 
persone  della  Trinitft.  Sarebbe  veramente  inutile 
analizzare  le  fantasticherie  di  Parisot;  curioso  e 
r  osservare  che,  stimandosi  strettamente  ortodosso, 
egli  dedicd  il  suo  libro  al  papa,  indirizzandogli  una 
lettera  plena  di  reverenza  e  di  sommissione.  II  cardl- 
nale  Casanata  non  si  prese  per  certo  la  cui^  di  leg- 
gere  la  Fede  svelata  mediante  la  ragione;  e  in  una 


—  XLVU  — 

risposta  datata  il  giomo  4  delle  calende  d'aprile  1680, 
sua  Emiaenza  rispose  che  V  opera  fu  letta  a  Roma 
con  diletto,  e  ch'era  degna  di  lode. 


vni, 

Di  alcirne  opere  che  misero  in  campo 

una  tesi  simile  a  quella  che  si  pretese  trovare 

nel  libro  De  trihus  Impostorihus. 

fi  noto  che  da  un  secolo  in  qwk  le  opere  irreli- 
giose,  che  hanno  attaccate  le  basi  d'ogni  dottrina 
rivelata,  si  sono  moltiplicate.  Noi  non  ce  ne  occupe- 
remo :  vogliamo  solamente  far  cenno  intorno  a  tre 
o  quattro  lavori  non  molto  divulgati,  ostili  ai  le- 
gislatori  dcgli  Israeliti  e  dei  Cristiani. 

Questo  non  e  il  luogo  d'  esaminar  11  quesito :  se 
Mose  fu  ispirato,  s*egli  fu  Tautore  del  Pentateuco; 
questione  vivamente  agitata  nelle  seuole  della  Ger- 
niania.  Noi  ci  accontenteremo  di  far  menzione,  fra 
gli  scritti  ch'han  messa  in  dubbio* la  realty  istorica 
dei  racconti  contenuti  nei  primi  libri  della  Bibbia, 
deU'opera  d*Adriano  Beverland  olan^ese:  Peccattm 
originale  philologice  elucudratum,  stampata  pid  volte 
in  Olanda ;  in  francese  ve  n*  ha  diverse  traduzioni, 
0  piuttosto  imitazioni,  circa  le  quali  si  pud  consul- 
tare  il  Dictiofmaire  des  Anonymes  di  Barbier  ed  una 
uota  deU'edizionc  fatta  da  Leschevin  nel  1807  del  Chef- 


—  XLYIII  — 

d'autre  d'm  ^(mnu,  t.  II,  p,  459.  "k  inutile  rammeii- 
tare  che  secondo  Beverland  11  porno  (30)  e  la  voluttl 
11  serpente  la  concupiscenza  d'oude  son  nate  le  male 
inclinazioni  della  razza  umana ;  nell*albero  fatale  soi 
flgurati  gli  organi  della  generazione.  Quest*opiiiion^ 
non  era  nuova ;  Tavevano  gik  messa  in  campo  alcunj 
dottori  ebrei,  segnatamente  Rabbi  Zahira  (veggr.  Nork 
Braminen  und  RabMnen,  1836,  citato  da  Rosenbaum, 
Geschichte  dcr  Lnstseuche,  1.48).  Di  questi  giomi  uno 
scrittore  che  si  stima  molto  oriodosso,  11  signor  Gui- 
raud,  nella  sua  Philosophic  catholique  de  VHistoirt 
(1841,  t.  II)  manifestd  quest*  opinione:  u  II  frutto 
deiralbero  proibito  prepard  e  inizid  cid   che  noi 
chiamiamo  peccato  originale,  ma  i  sensi  lo  consu- 
marono;  e  Teffetto  fu  la  moltiplicazione  materiale 
della  specie.  >»  Secondo  1  Catari  o  Manichei  del  me- 
dio evo,  il  porno  proibito  era  I'unione  dei  due  primi 
uomini ;  il  principio  del  male  aveva  posto  Adamo  ed 
Bva  nel  suo  falso  paradiso,  vietando  loro  di  gustare 
il  frutto  deir  albero  della  scienza,  il  quale  non  eit 
che  la  concupiscenza  carnale,  di  cui  egli  stesso  sve- 
glid  gli  appetiti,  seducendo  Eva  sotto  forma  di 
serpente;  cosi,  mediante  Tunione  dei  sessi,  arrivd  t 
propagare  il  genere  umano  (si  veda  Matter,  Hishirt 
du  gnostidsme  t.  Ill;  Schmidt  Histoire  des  Aldigeoii 
opera  notevole,  di  cui  il  signor  Mignet  fece  un  cenno 
nel  Jowrnal  des  Savants  ISSSl).  Certl  settari  dei  primi 
secoli,  fra  gli  altri  gli  Arcontici,  vennero  in  campo 
coiropinione  che  Satana  avesse  avuto  commercio 
carnale  con  Eva,  commercio,  il  cui  frutto  fu  Caino 
(si  veda  Santo  Epifanio  Haeres^  XL)\  similmente  giu- 
dicarono  alcuni  rabbini ;  un  passo  di  Rabbi  Eliezer 
(in  Pirke,  p.  4':)  fu  tradotto  cosi:  «  Accedit  ad  ^am 


•^  XLIX  — 

Bt  eqpitabat  terpens,  et  gravida  facta  est  ex  Caino. »  Dove 
si  TOglia  scartabellare  il  Talmud,  nei  cinque  vo- 
lumi  in  foglio  della  Bibliotheca  rabbinica  di  Giulio 
Bartolocci  (Roma  1(J75-1694)  sMncontreranno  parec- 
chie  altre  simili  asserzioni.  Non  istaremo  a  fermar- 
vici;  solo  aggiungeremo  esistere  diverse  opere,oggi 
piuttosto  rare,  che  hanno  rinnovata  la  tesi  esposta 
neiri^te^  de  rhonme.  Tall  sono:  VSclaircessement  swr  U 
f^cM  orlginel  par  le  chevalier  de  C.  (Vedl  VAnn^e  lit^ 
Uraire  1*755,  t.  IV,  p.  139),  e  un  libro  tedesco  VAU 
bero  della  Scienza  considerato  da  un  occhio  Jllosojlco, 
Berlino  (Erfurt),  1760  in-8.  Conchiuderemo  osser- 
vando  che  Adelung,  il  quale  nella  Istoria  della  pa> 
zia  umana  (in  tedesco  1. 1,  p.  20-41)  consacrd  una  no- 
tizia  a  Beverland,  dice  che  un  esemplare  del  Pecca* 
turn  originale  con  copiose  aggiunte  scritte  a  mano 
per  una  nuova  edizione,  esisteva  nella  bibliot-eca  del 
conte  di  Bunau  (oggi  unita  a  quella  di  Dresda). 
Per  ultimo  ci  sia  permesso  di  por  qui  due  linee  che 
troviamo  in  un  libro  al  di  d'oggi  affatto  dimenti- 
cato :  tt  Un  improvvisatore  fiorentino,  parlando  d'Eva, 
manifesto  la  propria  opinione  con  un  sol  verso  assai 
hello: 

LUngamh  il  serpe  ch*era  grosso  e  Imgo, 

e  v'aggiunse  un  gesto  espressivo,  con  cui  risolsfe 
questa  controversia  »».  Memorial  d'un  mondain  (scrltto 
dal  conte  di  Lamberg),  Londra  1776,  in-8, 1. 1,  p.  12. 
II  divin  mandato  di  Gesii,  la  verita  delPEvangclo 
ebbero  fra  i  loro  antagonisti  Carlo  Blount  nato  nel 
1655,  die  termind  la  vita  uccidendosi  nel  1693 ;  co- 
stal fu  una  del  primi  e  pi(i  arditi  liberi  pensatori 

De  tribus  Impostaribus.  4 


dell*Ingliilterra.  No*  suoi  Oracoli  delta  ragione  (pub- 
blicati  dopo  la  sua  morte),  impugna  la  GenesU  il 
racconto  della  caduta  dell'  uomo ,  la  dottrina  delle 
pene  future.  —  Anche  gli  altri  suoi  scritti  sono  poco 
ortodossi.  Neir^wim^  nmndi^  o  Relazione  storica  deUt 
opinimi  degli  antichi  intomo  alV  anima  umaua  dopo 
la  morte,  1679,  inculca  11  materialismo ;  nella  sua 
Grande  i  la  Diana  degli  Efesj ,  o  delVOrigine  d^ll'i" 
dolatria,  1680,  col  pretcsto  di  combattere  Tidolatria, 
impugna  le  dottrine  della  Bibbia.  I  suoi  scritti  fu- 
rono  raccolti  sotto  il  titolo  di  Opere  diverse  fl^iscel-- 
laneons  Worksj  Londra  1695in-12;  mail  pi(i  famoso, 
quello  che  deve  chiamare  la  nostra  attenzione,  e 
la  sua  traduzione  del  due  primi  libri  della  vita  di 
ApoUonio  Tianeo  scritta  da  Filostrato,  1680,  in  fo- 
glio ,  corredata  di  note  dirette  contro  il  cristiane- 
simo;  questo  libro,  sequestrato,  suscito  una  furiosa 
tempesta.  £  noto  chc  Filostrato,  nel  secolo  terzo, 
scrisse  la  vita  d 'ApoUonio,  filosofo  al  quale  i  pagani 
attribuirono  miracoli    che  contrappqsero  a  quelli 
di  Cristo.  L'intenzione  che  ispiro  questo  libro  era 
d'  indebolire  1'  autorita  deU'Evangelo,  opponendogli 
i  pretesi  prodigj  fatti  da  Apollonio.  Filostrato  di- 
pinge  questo  personaggio  come  un  essere  sopranna- 
turale,  e  quasi  come  un  Dio.  Benche  fondata  sopra 
element!  istorici,  codesta  leggenda  non  e  che  una 
composizione  ideale,  nella  quale  predomina  I'idea  di 
far  spiccare  1'  eccellenza  delle  dottrine  pittagoriche 
(si  veda  un  articolo  di  E.  Miller  nel  Journal  des  Sa- 
vants 1849  p.  621  e  segg.). 

Le  note  di  Blount  si  trovano  nella  traduzione 
francese  (fatta  da  Castillon)  dell'opera  di  Filostrato, 
Berlino  1774,  o  Amsterdam  1779,  4  vol.  in-8.  piccolo. 


»--  LI  -» 

I>et  Itb'rd  di  6i  F.  Baur:  Apotlontus  eon  Tyaha  unA 
CkristM  (Tubinga  1B32,  in-8)  non  conosciamo  che  11 
titolo. 

Qui  potremmo  pure  far  cenno  intorno  a  diverse 
opera  di  G.  Toland,  il  Telradymus^  Londra  1720,  in 
8;  il  Pantheisticon,  Cosmopoli  (Londini),  1720  in-8,  e 
sovrattutto  il  Nazarenus,  or  Jewish,  gentile  and  maho- 
metan  chrUtianity^  Londra  1718,  in  8.  opera  di  XXV  e 
48  pag.  nella  quale  si  disputa  molto  intorno  a  qual- 
cuno  degli  Kvangeli  apocrifi  (dei  quali  non  restano 
piii  che  rari  frammenti),  e  intorno  agli  scritti  di 
san  Barnaba:  in  essa  si  ripete  la  dottrina  degli 
Ebioniti  (31). 

Nel  BibliograpMsches  Lexicon  d'  Ebert  con  un  ri- 
cbiamo  agli  Archiveh  zur  neuem  Oeschichte  di  Ber- 
nouilli ,  troviamo  indicata  un*opera  italiana  che  non 
ci  venne  mai  veduta:  Politica  e  religione  tromte  in" 
sieme  nella  persona  di  QiesU  Cristo.  Nicopoli  (Vienna) 
170(5-7,  4  vol.  in-8;  quest *opera  per  fermo  molto  rrfra 
d  di  G.  B.  Commazxi;  fu  sequestrata;  Gesii  Cristo 
vi  d  rappresentato  come  un  impostore  politico. 

Alia  fine  del  libro  nella  pag.  3  degli  scritti  giusti- 
flcativi  si  troveranno  i  nomi  di  molti  altri  increduli! 
il  francescano  Scot,  Jeannin  de  Solcia  ecc,  venuti 
in  fama  per  la  loro  empieti. 

II  secondo  punto  della  tesi  che  ispird  il  trat- 
tato  De  tribus  Impostoribus,  f u  svolto  con  molta  f ran- 
chezza,  specialmente  in  alcuni  libri  compostl  da 
Bbrei ;.  ma  codcste  opere  scritte  in  lingua  ebraica 
Bono  tanto  meno  conosciute,  in  quanto  questi^ 
non  volendo  dare  un  pretesto  a  crudeli  persecuzioni, 
procurarono  per  lunga  pezza  di  tenerle  nascoste 
coUa  maggior  cura  del  mondo.  Un  celebre  italianOf 


(j.  B.  Rossi ,  consacrd  loro  un  volume  di  128  pft- 
grine,  in  Francia  abbastanza  raro;  Bibtiotheca  Jttdeica 
anti-ehrUtiana,  Parma,  1800  in-8. 

Un  libro  di  questa  fatta  conosciuto  da  alcnni 
dotti  e  11  Liber  Toldos  Jeschu.  Non  si  sa  Tepoca  in 
cai  fu  scritto ;  ma  verso  la  fine  del  secolo  XIII  nn 
domenicano,  Raimondo  Martino,  lo  inseri  in  latino 
in  una  polemica  da  lui  scritta  contro  gli  Bbrei  (Pv- 
gio  Fidei)*  Similmente  ne  usarono  11  certosino  Por- 
chet  e  altri  avversari  della  religione  mosaica.  Lu- 
tero  lo  fece  traslatare  dal  latino  in  tedesco.  II  teste 
obraico,  ignorato  per  secoli,  fu  flnalmente  trovato  da 
Sebastiano  Munster,  e  Buxtorfio(nel  suo  Lexicon  Tal- 
mudicum )  promise  di  pubblicarlo ;  ma  non  ne  fece 
nulla.  Finalmente  un  dotto  tedesco  G.  C.  Wagenseil, 
inseri  questo  testo  nella  coUezione  di  scritti  anti- 
cristiani  pubblicati  da  Giudei,  a  cui  imparti  11  ti- 
tolo  di  Tela  ignea  Satana;  usci  ad  Altdprf  nel  16S1, 
2  Vv)l/in-4. 

L*opera  in  discorso  nella  detta  raccolta  consta  di 
24  pagine  di  S  colonne  cadauna,  il  testo  ebreo  e  la 
traduzione  latina;  Teditore  v'aggiunse  una  cofi/uta- 
tio  die  prende  la  pag.  25  alia  45,  ne  risparmia  in- 
giuric  al  libro  da  lui  ristampato  (32). 

II  Liber  Toldos  Jeschu  comincia  con  questi  sensi: 
Anno  sexcentesimo  septuagesimo  prima  quarti  millena- 
rii,  in  diebus  Jannaei  regis  quem  alias  Alexandrum  fo- 
cantf  hostibus  Israelis  ingens  obvenit  calamtas.  Prodiit 
enim  quidam  ganeo^  vir  nequam^  nulliusque  frugis ,  ex 
Irunco  succiso  tribus  Jud<B  ctU  nomen  Josephus  Pm^- 
dera. . . . 

Secondo  I'autore  ebreo,  Jeschu  essendosi  intra* 
dotto  furtivamente  nel  tempio,  penetrd  nel  Sanct« 


r 


—  LUI  — 

sanctorum,  T'apprese  11  nome  ineffabile  del  Signore 
scolpito  Bovr'una  pietra,  lo  scrisse  sopra  un  pezzo 
di  pergamena,  che,  dopo  essersi  fatto  un  tnglio, 
ascose  nelle  proprie  carni;  in  virtd  della  irresistibile 
potenza  di  questo  nome  egli  operd  i  maggiori  mi- 
racoli  che  si  fossero  veduti  mai,  guari  i  lebbrosi,  rl- 
suscitd  i  morti.  Egli  esegui  cosi  fatti  prodigi  in  pre- 
senza  della  regina  Elena,  ed  essa  si  dichiard  sua 
protettrice.  Fra  i  miracoli  che  gll  sono  attribuiti  ve 
n*ha  di  ridicoli,  quale  6  quelle  d'essersi  assise  sopra 
una  macina  di  molino  che  somuotava  alle  acquc 
del  Giordano.  Giuda  poi  si  sacriflca  per  la  causa  dei 
Giudei;  anch'egll  impara  il  nome  ineffabile  del  Si- 
gnore ,  6  contrappone  i  propri  ai  miracoli  dl  Je- 
schu;  questi  ha  la  peggio  ed  e  lapidato;  dopo  la  sua 
morte  lo  si  vuol  appendere  ad  una  croce ;  ma  tuttl  i 
legni  si  rompono,  avendoli  egli  stregati.  Giuda  su- 
pera  anche  questa  difficolt^.  II  corpo  di  Jeschu  6  po- 
scia  per   sua  cura  sepolto  sotto  un  ruscello  del 
quale  s*e  sviato  il  corso ;  i  discepoli,  non  trovandolo 
piii,  sostengono  ch*  e  salito  al  cielo ;  la  regina  si 
turba,  ma  la  cosa  si  spiega  all'istante :  Dehinc  Juda : 
u  Veni,  ostendam  Ubi  virum  quern  quarts;  ego  enim  il- 
ium noihum  subduxi  ex  sepulchro,  quippe  terebar  ne 
forte  impia  ipsius  caterva  eum  ex  tumulo  sw  fwraretw, 
itaque  ilium  in  horto  meo  condidi,  et  superinduxi  amnem 
aquarum,  »  Ad  unum  igitur  omnes  conjluunt,  eumque 
Cauda  equina  alligatum ,  protrahunt,  eumque  ante  Be- 
ffinam  ilium  abjecissent,  ajunt:  a  Bcce  tibi  hominem  de 
quo  afflrmateras  eum  in  aetJiera  ascendisse,  » 

VHistoria  Jeschuae  Nazarem  fu  ristampata  a  Leida 
nel  n05,  in  lingua  ebrea  e  latina,  con  note  d'un  al- 
tro  dottOt  G.  G.  Huldrich^  il  quale^  seguendo  le  orme 


—  LIV  — 

di  Wagenaeil,  copre  il  libro  che  conuneiita  di  titoli 
oltraggiosi.  Crediamo  che  poscia,  e  coa  mire  diverse 
da  quelle  che  ispirarono  quest!  vecchi  eruditi«  il  li- 
bro in  discorso  sia  stato  ristampato  due  o  tre  altre 
volte;  abbiamo  tenuto  nota  d*una Eistoria de  Jeschua 
Nazareno  pubblicata  nel  1793,  in-8. 

Rispetto  alle  imposture  di  Maometto,  non  fara  ma- 
raviglia  il  veder  gli  autori  cristiani  del  medio  evo 
scatenarsi  contro  di  lui.  I  racconti  da  loro  spacciati 
intorno  al  fondatore  deir  islamismo  talvolta  sono 
d*  un*  assurdita  straordinaria:  per  gli  uni  Maometto 
d  TAnticristo;  altri  fa  di  lui  un  cardinale;  tutti  s'ac- 
cordano  nell'incolparlo  d'una  quantitii  di  misfatti  e 
d*eccessi.  Qui  baster^  mentovare  11  Roman  de  Maho- 
met, poema  composto  nel  secolo  XIII  da  un  trova- 
tore,  Alessandro  Dupont,  pubblicatu  a  Parigi  nel 
1831  da  Francesco  Michel,  con  note,  fra  le  quali  si 
trovano  pur  quelle  d*un  dottissimo  orientalista,  il 
signor  Reinaud. 


FINE   DELLA  KOTIZIA  BIBLIOGBAFICA. 


NOTE 


r 


'I       ■  I   ■■  1 1     M       P 


NOTi! 


(1)  Per  veritii  Hon  6  questo  il  luogo  piu  acconcio 
a  parlare  di  codesti  due  tanto  notevoli  pensatori. 
Quant'e  al  primo  si  potr&  consultare  il  dotto  lavoro 
del  signor  Bartholmess,  Giordano  Bruno  (Parigi,  1^6, 
2  vol.  in-S);  quanto  al  Vanini  un  lavoro  del  signor 
Cousin  pubblicato  nella  Revu^  des  Beux-Mondes^  1  di- 
cembre  1843,  e  ristampato  in  principio  ai  Fragments 
de  philosophic  carUsienne^  1845.  Un  articolo  si  trova 
pure  nella  Encyclopedic  nouvellc  (incompiuto)  scritto 
dai  signori  Leroux  e  G.  Reynaud.  Aggiungiamo 
ancora  che  in  un*opera  importante  di  Maurizio  Car- 
riere,  la  quale  non  essendo  stata  tradotta,  in  Fran- 
cia  e  pressoche  sconosciuta  ("Die  philosophischc  Wcl- 
tanschamg  dcr  Reformationszeity  Stuttgart,  1847,  in-8, 
pag.  635-S21)  si  trova  un  magniflco  giudizio  in<^ 
tomo  al  Bruno  e  al  Vanlo^ 


1 


—  LVIII  — 

X^  L^ardlmento  dl  Kabelals  d  gflk  nolo;  ma  tm 
fatto  curiosissimo ,  non  avvertito  che  da  poco  in 
qua,  e  che  nelle  edizioni  original!  della  immortals 
sua  satira  (edizioni  delle  quali  non  resta  al  pid  se 
non  una  o  due  copie  che  si  pagano  tant'  oro)  quel* 
l*audacia  era  ancora  maggiore ;  e  parve  necessario  di 
raddolcirla  alquanto,  vuoi  alio  stesso  mastro  Fran* 
cesco,  vuoi  ai  suoi  editori.  Eccone  un  esempio :  il  te- 
sto  originale  del  capitolo  23  del  libro  secondo  di- 
ceva:  u  Pantagruel  ebbe  notizia  che  suo  padre  Gar- 
gantua  era  stato  trasportato  ncl  paese  delle  fate 
da  Morgana,  come  altravolta  lo  furono  Enoch  ed 
Eiia.  n  Codesto  paragonare  ai  racconti  delle  fate, 
due  fatti  recati  dall'Antico  Testamento  suscitd  de- 
gli  scrupoli,  e  le  ristampe  piii  recenti,  al  patriarca 
antidiluviano  e  al  profeta,  sostituirono  due  eroi 
delle  epopee  cavalleresche,  Ogiero  ed  Arturo.  La 
nuova  Iczione  non  poteva  offendere  anima  viva:  da 
allora  in  pol  fu  sempre  ripetuta  tal  quale  (fra  le  al- 
tre  si  veda  Tedizlone  Variorum  di  9  vol.  in-8»  t.  Ill 
p.  522). 

Un  bibliofilo  di  Bordeaux,  11  signer  Gustavo  Bra- 
net,  fu  11  prime,  a  nostro  credere,  a  scgnare  Tantica 
e  notevole  variante  in  una  Notizia  intomo  a  un*  edi- 
zione  sconosciuta  del  Pantagruel.  II  dotto  autore  del 
Manuale  dtl  Libraio  nelle  sue  Eecherches  sur  Us  ^di' 
tions  originales  de  Rabelais  (Paris,  1852),  non  mancd 
di  fare  osservare,  pag.  89,  che  gli  eroi  della  Tavola 
Rotonda  non  furono  sostituiti  ai  due  eroi  della  Bib- 
bia,  che  cominciando  daU'edizione  del  1538  in  poi.  Ci 
fa  meraviglia  il  non  trovare  se  non  la  lezione  corretta 
nella  bellisslma  ediiione  di  Rabelais,  pubblicata  dai 
ngnori  Burgaud  des  Marets  e  Rathery,  Vorifi^  F^ 


—  LIX  — 

Didot  1857  (t.  I,  p.  845) ;  nel  Rabelais  (t.  I,  p.  S66) 
che  il  signor  Jannet  voleva  inserire  nella  Bidliothd-^ 
que  elzMrienne,  del  quale  disgraziatamente  non  6 
comparso  che  il  primo  volume  (nel  1858),  tal  va- 
riante  e  notata. 

(3)  Ci  richiamiamo  alia  notizia  intorno  a  Teofllo, 
che  occupa  136  pagine  nel  I  volume  delle  (Eutres 
di  codesto  scrittore,  pubblicate  da  Alleaume  nella 
BidliothiQtte  elz^tiricnne,  1856,  2  vol,  in  18. 

(4)  Notiamo  di  fuga  che  il  catalogo  compilato  a 
Londra  per  la  vendita  d'una  parte  della  biblioteca 
del  signor  Libri  (1860,  n.  968),  nota  che  Beauregard 
nel  Circulus  PiiOMUS  1643,  (e  quindi  prima  delle  fa- 
mose  esperienze  di  Pascal)  accennd  airinvenzione  del 
barometro  e  alia  sua  applicazione  alia  misura  della 
altezza  dei  monti;  ma,  esaminata  la  cosa,  si  trovd 
che  il  passo  che  aveva  glustamente  attirata  V  at- 
tenzione  e  che  comincia  cosi:  Compertwn  enim  est 
Aquam, ...  si  trovava  bensi  nella  seconda  edizione 
del  Circulus ,  pubblicata  nel  1661 ,  ma  mancava  in 
quella  del  1643. 

(5)  Le  opere  di  Raynaud  pubblicate  a  Lione  nel 
1665  e  anni  segg.  pigliano  fiO  volumi  in  foglio,  e  con- 
tengono  un  centinaio  di  fatti  diversi ;  e  ve  n*  ha  di 
curiosi^  come:  De  triplici  eunuchismo;  Be  Sanctis  me" 
retricibus;  Be  sotria  alterius  sexi  frequentatiane  per 
sacros  et  religiosos  homines, 

(6)  Si  tratta  di  Goffredo  Vallee,  del  quale  faremo 
cenno  pid  sotto.  Rispetto  a  Giorgio  Blandrata  e  a 
Giampaolo  Alciati,  quest!  due  italiani  abbracciarono 
le  dottrine  del  Socino,  e  cercarono  rifugio  in  fondo 
alia  Germania ;  per6  non  e  ancora  provato  ch*e*  non 
^  §ien  fatti  magniiettani. 


(7)  Trascriyiamo  un  passo  dl  Voltaire  fSnai  9ur 
les  moewrs  et  sur  V esprit  des  naUonsj^  comeche  per 
fermo  gi&  noto  alia  piii  parte  del  nostri  lettori : 
tt  La  Sardegna  era  ancora  argomento  di  guerra  fira 
rimpero  ed  11  sacerdozio,  e  quindi  dl  scomuniche, 
Limperatore  nel  1238  sMmpadroni  dl  tutta  Tisola; 
allora  Gregorlo  IX  aocusd  pubblicamente  Federico  II 
d*incredulit&.  —  Noi  abblamo  la  prova  (dic'egli,  nella 
sua  clrcolare  del  1  lugllo  1239)  che  rimperatore  so- 
stiene  pubblicamente  ohe  11  mondo  fu  Ingannato 
da  tre  impostor  1:  Mos^,  Gesii  Cristo  e  Maometto; 
ma  egll  pone  Gesii  Cristo  molto  sotto  agli  altri, 
perocche  dice:  quelli  vissero  ricolml  di  gloria,  ma 
questl  non  f u  che  un  uomo  della  feccia  del  yolgo 
che  predicava  a  gente  simili  a  se.  L'imperatore  (ag- 
giunge)  pretende  che  un  Dio  unlco  e  creatore  non 
possa  essere  nato  da  donna,  e  molto  meno  da  una 
verglne.  —  Appunto,  fondandosi  su  questa  lettera  di 
papa  Gregorlo  IX,  a  quel  tempi  si  credette  che  vi 
fosse  un  libro  intitolato  De  tribus  Impostaribus:  si  . 
cercd  questo  libro  di  secolo  in  secolo ,  ma  non  fa 
mai  trovato.  *»  Agglungiamo  che  la  lettera  di  Gre- 
gorlo IX  si  trova  nella  CollecUo  canciliorum,  edita 
dal  padi    Labbe,  torn.  XIII,  col.  11(77  e  seg.  Si  vegga 
I'opera  ijiportante  di  de  Cherrier:  Histoirede  la  lutie 
des  papes  et  des  empereurs  de  la  maison  de  Souabe, 
2  ediz.  tom.  II,  pag.  396. 

(9f^)  Q'lk  si  sa  come  quest*uomo  di  Stato  fosse  poco 
scrupoloso.  Egli  fu  accusato  d'aver  tentato  d'avvele- 
nare  rimperatore ;  questl  gli  fece  strappare  gli  oc- 
chl,  e  il  cancelliere  in  un  impeto  di  disperazione,  si 
spaced  la  testa  contro  11  muro  della  prigione.  II  sui- 
cldio  allora  era  caso  quasi  senza  esempio.  Ecco  ii 


^uali  sens!  Federico  8*  espresso  rispetto  airaccusii 
di  cui  era  accagionato:  «  Inseruit  falsus  GhrisH  fi- 
carius  fabulis  suis  nos  christiaws  fldei  religionem  recte 
non  colere  ac  diadsse  tribus  seductoribns  w/mdvm  esse 
decepttm,  gw>d  absit  de  nostris  labiis  processisse  cum 
manifeste  caufiteamtir,  unicum  DeiflUtm  esse,,, »»  Non 
ostante  cosi  fatte  proteste,  pare  che  Federico  fosse 
ben  poco  credente;  alcuni  scrittori  di  quel  tempo 
attestano  cli'egli  non  comparve  a  Gerusalemme  se 
non  per  burlarsi  apertamente  del  cristianesimo. 

(9)  «*  Deinde  accusartmt  me  quod  composuerim  librum 
Be  tribus  Impostoribus,  qui  tamen  invenitur  typis  exeu- 
sus  atmos  triginta  ante  ortum  meum  ex  utero  matris,  *»  Si 
trovano  alcuni  particolari  intorno  al  Campanella  in 
Brucker  Eist,  crit.  philosophiw,  t.  V,  p.  106-144,  nella 
Sloria  delta  Filosofia  di  Buhle  (trad,  francese,  t.  II, 
p.  749-T70),  nel  IHctionnaire  des  sciences  philosophiques, 
t.  I,  p.  421-424;  neir-Se*^  des  sciences  math^matiques 
en  Itatie,  del  signor  Libri,  t.  IV,  p.  149.  II  signor  Pie- 
tro  Leroux  gli  ha  consacrato  un  articolo  notevole 
neWSnctfclopedie  noutelle, 

(10)  Postel  fuunvisionario,  malestravaganze  che 
cgli  spaccia,  le  chlmere  dietro  alle  quali  egli  corre, 
non  tolgono  che  si  debba  riconoscero  in  lui  straor- 
dinaria  erudizione  ed  una  mente  sommamente  in- 
vest! gatrice  ed  ardita.  In  altro  secolo  sarebbe  stato 
un  grand*  uomo.  Nodier  ha  potuto  dire  che  Leibni- 
zio  non  fu  piii  dotto,  ne  Bacone  piu  universale  di 
lui.  Egli  indovind  il  mesmerismo.  e  adinostri  sivi- 
dero  parccchie  sue  idee  ripetute  colic  modificazioni 
che  [^necessariamente  porta  seco  il  corso  dei  secoli. 
L*apostolato.  della  donna,  predlcato  di  poi  dal  Sansi- 
moniani,  fu  una  delle  sue  pid  vive  preoccupazioni. 


—  LXU  — 

(11)  L*ftutof6  anonimo  (si  sa  perd  cli*d  il  signoi*  Al^ 
gernon  Herbert)  d'un  libro  inglese,  dotto  e  para- 
dossico,  Nimrod,  a  discourse  on  certain  passages  of 
History  and  Fable  (Londra,  lS28-dO,  4  vol.  in-8),  fa  os- 
servare  come  le  tre  prime  novelle  del  Decamerone 
insegrnino  sentimenti  poco  ortodossi.  La  terza,  nolla 
quale  ai  racconta  la  storia  dci  tre  anelli,  parve  80- 
spetta;  del  resto  nel  medio  evo  era  poco  diffusa; 
si  trova  neile  Oesta  RovMmonm^QK^,  89,  nel  Novel-- 
Uno  antico  pag.  72.  Lessing  si  servi  di  questa  leg- 
genda  nel  suo  dramma  Natan  il  saggio,  uno  dei  ca- 
polavori  del  teatpo  tedesco.  L*  idea   fondamentale 
del  racconto  par  che  sia  d'origine  ebraica  ( si  yeda 
un  curioso  articolo  di  Michele  Nicolas  nella  Corre- 
spondance  littSraire,  5  juillet  IBS'?).  Aggiungiamo  che 
un*  altra  opera  del  Boccaccio,  la  Genealogia  deomm  d 
zeppa  di  particolari  che  non  si  trovah  che  li,  e  sem'> 
brano  derivare  dalle  dottrine  dei  gnostici. 

(12)  D*Ochlno  parld  un'Inglese,  Tommaso  Browne 
nella  Religio  medici,  sez.  19.  Quest*  opera  stampata 
per  la  prima  volta  nel  1642  ebbe  due  numerose  edi- 
zioni ;  la  migliore  d  quella  di  Londra  1733,  coUa  vita 
dell*autore  scritta  dal  dottore  Johnson. 

Di  questo  libro  esistono  diverse  traduzioni  latine  e 
una  francese  (per  N.  Lefebvre),  1663,  la  quale  non 
e  che  un  viluppo  di  controsensi  dilavati  in  uno  stilo 
illeggibile.  Intorno  a  Browne  si  pud  consultare  la 
Mdinbwrgh  Meview,  ottobre  1836 ;  la  Eeme  des  Dew 
Mondes,  aprile  1858 ;  VAnalecta  biblion  del  signer  Da 
Roure,  t.  II,  p.  196. 

(13)  Se  TAretino  non  avesse  scritto  altre  opere 
che  la  Passions  di  Giesh,  il  Qenesi  e  V^knmanitd  di 
Qhristo  ecc.  il  suo  nome  sarebbe  da  lunga  pezza  di* 


-*-  ijtiir — 

menticato.  tl  stgnor  E.  de  la  Oournerie  nelPanticH 
Betme  eitropdeme^  t.  Ill,  p.  297,  pubblicd  un  articolo 
intomo  a  queste  opere  devote  tradotte  in  francese. 
Una  di  dette  yersioni  porta  un  titolo,  che  oggi  sem- 
bra  Btrano  anzi  che  no :  La  Passion  de  J^sus-Christ, 
ffivement  descrite  par  U  divin  Bngin  de  Pierre  Aretin 
(Lyon  1539).  Sintendo  gia  che  engin  qui  si  piglia 
nel  signiflcato  di  genio,  talcnto,  ingegno.  Fid  tardo 
questa  parola  si  us6  ^i  altro  significato,  come  prova 
una  Mazarinade  curiosissima:  Imprecation  contre  VSn-- 
gin  de  Mazarin  161f .  Fin  quando  acriveva  pel  con- 
yenti,  TAretino  si  ricordava  un  poco  delle  opere 
che  componeva  per  altri  luoghi.  Nel  suo  libro  in- 
tomo al  Genesi,  delle  bellezze  d*£ya  traccia  un 
ritratto,  che  nel  testo  ebraico  non  si  troya:  Odc-^ 

ravano  le  sue  chiome  di  nettare  e  d'  ambrosia 

Blla  con  le  ireccie  giU  per  le  spalle:  non  dava  cura 
delle  mammelle  posts  nello  ebumeo  del  suo  petto  co* 
me  gioie  della  divina  natura.  (Si  veda:  II  Oenesi  di 
m.  Pietro  Aretino,  con  la  visione  di  Noi  nella  quale 
vede  i  misterj  del  Testamento  antico  $  del  nuovo,  Ditiso 
in  tre  libri.  Stampato  in  Venezia.  MDXLV.  Parte  Ir 
pag.  8). 

La  indulgente  morale  deirautore  lo  porta  anche 
a  scusare  la  condotta  di  Loth  e  delle  sue  flgliuole. 
(lb.  parte  II,  pag.  51). 

(14)  L'edizione  delle  Opera  Gardani^  Lione  1663^  10 
vol.  in  foglio  contiene  222  opere  diverse.  Tutti  gli  sto- 
rici  dclla  filosofia  fecero  giusta  estimazione  di  que- 
st' uomo  di  geiiio,  ma  pazzericcio.  Naigeon  gli  con- 
sacrd  un  articolo  hqU: Bncyclop^die  m^thodique  fDict. 
de  philosophies  t,  II,  p.  878-940) ;  Franck  ne  fece  og- 
getto  d'  una  memoria  letta  nel  1844  all*  accademia. 


delle  scienze  marali  e  politiche.  Gringleni  se  ne  oe^ 
cuparono  anch*  essi.  Noi  additeremo  un  articolo  della 
Retrospective  Bevietv,  t.  I,  p.  94-112;  un  altro  nel 
London  Quarterly  Review,  ottobre  1854;  la  sua  Tita  fu 
scritta  da  Crosley  (1836,  2  vol.  in-8.)  e  da  Morlaj 
(1854,  2  vol.  iii8.).G.  Mantovani  ne  pubblicd  una  in 
italiano,  Milano  1821,  in-8.  Humboldt  giudico  alcune 
idee  del  Cardano  degne  d'essere  citate,  (Cosmos,  t.  II). 

(15)  Si  veda  Tarticolo  di  Ram^  nel  t.  V,  del  J^ie- 
tionmire  des  sciences philosopkiques^  p.  409-35$  e  il  libro 
del  signor  Carlo  Waddington,  Ramits^  sa  vie^  ses  Merits 
et  ses  opifiiofis,  (Paris,  1855).  II  signor  Renan  parlo 
di  questo  lavoro  nel  Journal  des  Dibats^  5  giugno 
1855.  Brucker,  nella  sua  Historia  critica  pkilosophie, 
t.  V,  p.  548  non  lascia  nulla  a  desiderare.  11  signor 
Bartbolmdss,  or  ha  molto  (in  una  lettera  pubblicata 
nel  Journal  delV Instruction  publique,  21  gennaio  184Q 
manifestd  I'intenzione  di  dare  un*edizione  delle  opere 
complete  di  Ramus;  la  sua  morte  prematura  lo 
impedi  di  mandare  ad  effetto  questo  disegno.  Chiu* 
diamo  osservando  che  il  signor  Feugere  consaerd  a 
Ramus  una  notizia  che  si  trova  a  p.  379-395  del 
libro  di  questo  scrittore:  les  Femmes  pontes  au  sei- 
ziime  siicle* 

(16)  Si  veda  il  Conservateur,  agosto  1757,  p.  220- 
237.  Delisle  de  Sales  ci  ragguaglid  diflfusamente  in- 
torno  a  codesto  scritto  nel  suo  libro  intitolato: 
Malesherbes,  1803  p.  202-247.  Si  consulti  anche  Leber, 
Btat  de  la  presse,  p.  61. 

(17)  Sombra  che  quest*esemplare  non  sia  stato  ven- 
duto,  sia  perche  non  si  trovava  airincauto ;  sia  pcr- 
chd  venne  ritirato.  Non  si  sa  dove  sia  andato  a  fl- 
pire^ 


—  LXV  — 

(18)  Quest'esemplare,  comperato  per  la  Bibliotcca 
del  re,  vi  si  trova  anco  al  presente,  e  noi  qui  ri- 
stampiamo  appunto  il  suo  testo  rettiflcato  con  al- 
cune  variant!  dell'  edizione  di  Lipsia,  che  mettia- 
mo  fra  parentesi  angolari.  Detto  esemplare  di  21 
linee  per  pagina,  e  esattamente  conforme  alia  de- 
scrizlone,  che  fa  il  Nodier ,  v.  p.  XVIII.  di  questa 
notizia. 

(19)  Nel  1854  alia  vendita  dei  libri  del  signor  Re- 
nouard,  il  volume  in  discorso  fu  stimato  140  lire  ita- 
liane  (n.  186  del  catalogo).  II  marchese  Du  Roure 
(bibllografo  alcuna  volta  poco  accurato)  sostlene  a 
torto  cbe  Tesemplare  di  La  Valliere  sia  quello  clie 
poscia  passd  uel  gabinetto  Renouard. 

(20)  II  signor  Raynouard  parld  di  quest'opera  nel 
Journal  des  Samnts^  dicembre  1831,  e  il  signor  G.  C.  Bru- 
net,  nella  prefazione  della  sua  edizione  delle  (Eutres 
franpaises  d'Alione  d'Asti,  sostiene  che,  non  ostante 

alcuni  errorl  ed  omissioni,  questo  e  un  libro  curioso 
che  mancava  alia  storia  letteraria.  Del  resto  fu  ec- 
clissato  dairopera  ben  piu  estesa  di  0.  Delepierre; 
Macaroneana,  1855,  in-8. 

(21)  Gli  scrittori  moderni  che  meglio  maneggiarono 
la  lingua  latina,  il  Facciolati,  Ruhnkenius,  Wytten- 
bach  stanno  di  lunga  mano  al  disotto  del  Mureto.  Non 
8i  pud  dunque  fermarsi  nemmeno  un  istante  alia 
idea,  che  questo  si  elegante  scrittore  abbia  avuta 
la  menoma  parte  nel  libellus  che  noi  ristampiamo. 
Nuove  osservazioni  si  potrebbero  aggiungere  anche 
agli  altri  nomi  che  furono  messi  in  campo,  ma  il 
porle  qui  sarebbe  aflfatto  inutile. 

(22)  Fra  le  malizie  di  questo  genere  si  notd  la 
truffa  doppiamente  criminosa ,  che  si  pretende  sia 

Hm  Uibus  Itnjoostoribus.  5 


—  LXVI  — 

8tata  realmente  commessa  da  un  Inglese,  che  aveva 
unite  nello  stesso  volume  il  Pentateuco  di  Mose  in 
lingua  ebraica,  i  quattro  Evangelisti  e  gli  Atti  de- 
gli  Apostoli  in  greco,  e  TAlcorano  di  Maometto  in 
latino,  non  avendolo  potuto  trovare  nella  lingua  ori- 
ginale  dello  stesso  formato  degli  altri,  in-8;  v'ag- 
giunse  una  piccola  prefazione  ed  il  titolo  Idbri  de 
tribtn  Impostoribus. 

(23)  La  Biographie  wiiterselU  consacro  a  questo 
personaggio  un  dififuso  articolo.  Si  veda  il  t.  XXXIX, 
p.  412-418.  Vi  rimandiamo  i  nostri  lettori.  Esiste  pure 
una  storia  (in  tedesco)  del  falso  messia,  Sabbathai 
Zebhi,  per  C.  Anton  1'752,  in -4. 

(24)  Gli  scritti  di  questo  nobleman  inglese  lo  fe- 
ecro  riguardare  a  buon  dritto  com*  uno  dei  primi 
difensori  del  deismo.  I  suoi  trattati  dc  Veritatc  1624, 
de  Causis  errorum  (sine  loco),  1656,  sono  notevoli  per 
diversi  rispetti, 

(25)  G\h  nulla  e  omai  difficile 
A*  figli  della  terra : 
Osiam  ebbri  dUnsania 

Al  cielo  ancor  far  guerra; 

Ne  i  nostri  insulti  cessano, 
Ne  cessano  ognor  nuove 
Vendicatrici  folgori 
Armar  la  destra  a  Giove. 

(Trad,  di  T.  Gargallo) 
(23)  L*olandese  Bekker,  morto  nel  1698,  autore  del 
Belooverde  wirild  (il  mondo  stregato)  libro  che  im- 
pugna  le  opinioni  allora  ammessc  rispetto  al  potere 
dei  demonj  e  dei  sortilegi ,  fcco  sorgere  una  vio- 
lenta  tempesta. 


"•■r"' 


—  Lxrn  — 

(27)  Ne  possiede  un  esemplare  la  biblioteca  Ma"> 
zarino. 

(28)  Rispetto  a  quest'opera  si  veda  un  artScolo  del 
signor  de  Puymaigre  nella  Retue  d'Austraste  1840. 

(29)  II  catalogo  della  biblioteca  di  Carlo  Nodiep, 
1829,  n.  66,  el  svela  I'esistenia  d*un  libro  stampato 
aParigi  verso  il  1887  intitolato:  AwertUsement  tM^ 
table  et  assure  au  nom  de  Dieu,  E  Topera  d'un  illumi« 
nato  che  si  dice  Fils  de  rhomme,  e  che  promette  di 
risuscitare  in  tre  giorni,  dopo  essersi  fatto  yettare 
neir  acque  di  Marsiglia  legato  a  una  gran  pietra 
con  catena  di  ferro. 

(90)  Usando  di  questa  parola  ci  conformiamo  a  un 
uso  volgare,  che  perd  crediamo  inesatto.  La  tradu- 
zione  del  signer  Cahen,  che  rasenta  assai  da  vicino 
11  testo  ebraico,  non  adopera  altro  che  la  parola  fhitto 
{/hUto  delValbero  che  i  in  mezzo  al  ffiardino).LK  Y\x\- 
gata  non  usa  che  le  espressioni  lignum  e  fructus, 

(31)  Si  sa  che  questi  settarj  contemporanei  agliapo«> 
stoli,  in  Gesii  Cristo  non  vedevano  che  un  uomo « 
la  cui  nascita  nulla  aveva  di  soprannaturale.  Essl 
possedevano  un  evaugelo  che  per  fermo  era  interes- 
sante,  ma  non  ne  resta  che  appena  qualche  traccia, 
che  da  parte  Semler  fu  oggetto  d*una  dissertazio- 
ne  spociale.  Halle  1777,  in-4. 

(32)  Nel  solo  preambolo  c*  incontriamo  in  frasi  di 
questo  conio :  u  Jmpietatis ,  maledicentia ,  impostura^ 
que  ultima  quasi  aggestus  cumulus  .  .  .  cacatus  a  Sqx 
tana  liber,  n 

FINE  PEU^iLE  NQTE^ 


DE  TRIBUS  IMPOSTORIBCS 


DE  TRIBUS  INP0ST0RI6US 


BUM  esse,  eum  colendum  esse,  multi 
disputant ,  antequam  et  quid  sit 
Deu8,  et  quid  sit  esse,  quatenus  hoc 
corporibus  et  spiritibus ,  ut  eorum  fert  di- 
stinctio ,  commune  est ,  et  quid  sit  colere 
Deum,  intelligant.  Interim  cultum  Dei  ad 
mensuram  cultus  fastuosorum  hominum  sesti- 
mant. 

Quid  sit  Deus  describunt  secundum  con- 
fessionem  susb  ignorantiae:  nam,  quomodo  dif- 
ferat  ab  aliis  rebus,  per  negationem  justo- 
rum  conceptuum  efferant,  necesse  est.  Esso 


4  Dfi  TBIBUS 

infinitum  Ens,  id  est;  cnjus  fines  ignorisint^ 
comprehendere  nequeunt.  Esse  Creatorem 
coeli  et  terrarum  aiunt^  et,  quis  sit  ejus  Crea- 
tor^  non  dicunt^  quia  nesciant,  quia  non  com- 
prehendunt. 

Alii;  ipsom  sui  principium  diennt;  et  a  nnllo, 
nisi  a  se^  esse  contendunt;  itidem  ii  dioentes 
quid;  quod  non  intelligunt.  NoU;  aiunt;  capi- 
mus  ejus  principium;  ergo  non  dator.  (Cur 
non  ita:  non  capimus  ipsum  Deum;  ergo  non 
datur.)  Atque  h»c  est  ignoranti^  prima  re- 
gula. 

Non  datur  processus  in  infinitum.  Cur  non? 
Quia  intellectus  humanus  in  aliquo  subsbtere 
debet.  Cur  debet?  Quia  solet;  quia  non  potest 
sibi  aliquid  ultra  sues  fines  imaginari^  quasi 
vero  sequatur;  ego  non  capio  infinitum;  ergo 
non  datur. 

Et  tamen ;  uti  experientia  notum ;  inter 
Messise  Sectaries  aliqui  processus  infinites  di- 
vinarum;  sive  proprietatum;  sive  personarnm, 
de  quarum  finitionibus  lis  tamen  adhuc  est, 
et  sic  omnino  dari  processus  in  infinitum  sta- 
tuunt.  Ab  infinito  enim  generatur  Filius:  ab 
infinite  spiratur  Spiritus  Sanctus. 

In  infinitum  generatur,  proceditur.  Si  enim 
coepissent;  aut  si  desinerent  semel  generatio 


^*— • -  --  ^    - .. 


IhpostobIbus  5 

ista^  spiratio^  setemitatis  conceptus  violaretar. 
Quod  si  etiam  in  hoc  cum  istis  convenias, 
quod  hominum  procreatio  non  possit  in  infi- 
nitum extendi,  quod  tamen  propter  finitum 
suum  intellectum  ita  concludunt;  nondum  jam 
constabit  an  non  et  suo  modo  ali»  inter  su- 
peros  generationeS;  eseque  tanto  numero  fue- 
rint;  ac  hominum  in  terra,  et  quis  ex  tanto 
numero  pro  Deo  prsecipuo  recipiendus?  Nam 
et  Mediatores  Deos  dari  omnia  religio  con- 
cedit,    quamvis   non   omnes    sub    sequalibus 
terminis.  Unde  illud  principium:  Ens  supra 
hominem,  per  naturam  suam  elevatum,  debere 
esse  Unum,  labefactari    videtur.  Atque  inde 
'  ex   diversitate   Deorum    progeneratorum   di- 
versitates  religionum  et  varietatem  cultuum 
postmodum  ortas  dici  poterit:  quibus  potissi* 
mum  Ethnicorum  nititur  devotio. 

Quod  autem  objicitur  de  c^dibus  aut  con- 
cubitu  Deorum  paganorum,  prseterquam  quod 
hsBc  mystice  intelligenda,  sapientissimi  Ethni- 
corum jam  dudum  ostendere,  similia  in  aliis 
reperiuntur;  strages  tot  gentium  per  Mosen 
et  Josuam  Dei  jussu  perpetrataa;  sacrificium 
humanum  etiam  Deus  Israelis  Abrahamo  in^ 
junxerat.  Effect  us  non  secutus  in  casu  extraor- 
dinario.  Nil  autem  jubere  poterat,  aut  aerio 


6  D£  TBtBUS 

juberi  ab  Abrahamo  credi  poterat,  quod  pror- 
sus  et  per  se  Dei  naturse  adversum  foisset 
Mahomet  in  prsemium  suse  superstitionis  to- 
turn  orbem  pollicetur.  Et  Christiani  passim 
de  strage  suorum  inimicorum,  et  subjugatione 
hostium  Ecclesise  vaticinantar;  quae  sane  non 
exigua  fuit,  ex  quo  Christiani  ad  remrn  pn- 
blicarum  gubernacula  sederunt.  Nonne  poly- 
gamia  per  Mahometem  y  Mosen  y  et  ut  pars 
disputat,  in  Novo  Testamento  etiam  concessa? 
Nonne  Deus  Spiritus  Sanctus  peculiari  con- 
junetione  ex  virgine  desponsata^  Filium  Dei 
progeneravit? 

QusB  reliqua  de  ridiculis  idolis;  de  abosu 
cultus  Ethnicis  objiciuntur  ^  tanti  non  sunt, 
ut  nee  paria  reliquis  Sectariis  objici  queant: 
[quos]  tamen  abusus  a  Ministris  potius,  quam 
Principibus,  a  Discipulis  magis  quam  Magi- 
stvis  religionum  provenissO;  facili  iabore  mon- 
strari  potest. 

Cseterum,  ut  ad  priora  redeam,  hoc  Ens, 
quod  intellectus  processum  terminat,  alii  Na- 
turam  vocant,  alii  Deum.  Aliqui  in  his  con- 
veniunt,  alii  differunt.  Quidam  mundos  ab 
fieternitate  somniant^  et  rerum  connexionem 
Deum  vocant;  quidam  Ens  separatum,  quod 
nee  videri  nee    intelligi    potest,  quamvis  et 


iMPOSTOBIBUS  7 

apud  ho8  contradictiones  non  infrequentes 
sint,  Deum  volunt.  Religionem,  quatenns  con- 
cernit  cultum,  alii  in  metu  invisibiliiim  po- 
tentiani;  alii  in  amore  ponunt.  Quod  si  po- 
tentes  invisibiles  falsi  sint,  idololatra  efficitui*^ 
una  pars  mutuo  ab  altera^  prout  sua  cuique 
principia. 

Amorem  ex  benevolentia  nasci  volunt,  et 

gratitudinem  referunt,  cum  tamen  ex  sym- 

pathia  humorum  potissimum  oriatur;  et  ini- 

micorum  benefacta  odium  gravius  maximum 

stimulent,  licet  id  hypocritarum  nemo  con- 

fiteri  ausit.  At  quisnam  amorem  ex  beneyo- 

lentia  ejus  emanare  statuat,  qui  homini  leo- 

nis,  ursi   et   aliarum   ferociarum   bestiarum 

particulas  indidit,  ut  naturam  contrariam  in- 

clinationi  creatoris  indueret?  Qui,  non  igno- 

rans  debilitatem   humansB   naturae,  arborem 

ipsis  posuerit,  unde  certe  norat  reatum  ipsos 

hausturos,  sibi  et  omnibus  suis  successoribus 

(uti  quidam  volunt)  exitialem.  Et  hi  tamen, 

quasi  insigni  beneficio,  ad  cultum  vel  gratia* 

turn  actionem  teneantur,  sc.  Hoc  Ithacus  ve- 

lit,  etc.  Arripe  mortalia  arma,  e.  g.  ensem, 

Bi  certissima  prsescientia  tibi  constet  (quam 

tamen  et  alii,  quoad  contingentia,  in  Deo  non 

dari  adstruunt),  hoc  ipso  eum,  cui  ob  ocu- 


8  DE   tRIBUg 

los  ponis^  arrepturum,  seque  et  soam   prog^e- 
niem  omnem  miseranda  morte  interemturam  : 
cui  adhuc  aliqua  humanitatis  gatta  supereri^ 
horrebit  talia  perpetrare.  Accipe,  inqnam^  gla- 
diam,  qui  e.  g.  pater  e&,  qui  amicus  es;  et  si 
pater  eS;  si  amicus  genuinuS;  objice  amico  vel 
Hberis  cum  jussu,  ne  incurrant;  citra  oxnnem 
dubitationem  tamen  ot  incursum  vel  miseraii' 
dam  stragem  suorum^  eorumque  adhuc  inno- 
centium,  daturum  providens.  Cogita,  qui  pater 
es,  an  ejusmodi  facturus  esses?  Quid  est  lu- 
dibrium  prohibitioni  afFerre,  si  hoc  non  est? 
Et  tamen  Deus  hsec  prsecepisse  debuit. 

Hunc  ex  benefacto  suo  colendum  esse  ro- 
lunt;  quia,  aiunt,  si  Deus  est,  col  end  us   est. 
Simili  mode  uti  inde  coUigunt:  Magnus  Mo- 
gol  est,  ergo  colendus.  Colunt  etiam  eum  sui; 
sed  cur?  Ut  nempe  impotenti  ejus  et  omnium 
Magnatum  fastui  satisiiat,  nil  ultra.   Colitor 
enim  potissimum  ob  metum  potentise  visibilis 
(bine   morte   ejus  exolescit),   spemque    dein 
remuneratlonis.  Eadem  ratio  in  cultu  paren* 
tum  et  aliorum  capitum  obtinet.  Et  quoniam 
potentise  invisibiles  graviores  et  majores  ha- 
bentur  visibilibus,   ergo   etiam  magis  colen- 
das  esse  volunt.  Atque  hi,  Deus  ob  amorem 
colendus,  inquiunt.  At  quis  amor  innocentes 
posteros,  ob  unius  certo  provisum,  et  proin 


IMPOSTORIBUS  9 

et  prseordinatum  lapsum  ( prseordinationem 
concedendo  ad  minimum),  objicere-  reatui  in- 
finite? Sed  redimendos,  inquis.  At  quomodo? 
Pater  unum  Filium  miserise  addicet  extre- 
jnsd,  ut  alteram  cruciatibus  baud  minoribus 
tradat  propter  prioris  redemtionem. 
Nil  tam  leve  noverunt  Barbari, 
At  cur  amandus,  cur  colendus  Deus  est? 
Quia  creavit  Ad  quid?  tu  laberemur;  quia 
certo  prsescivit  lapsuros,  et  medium  propo- 
Buit  pomi  vetiti,  sine  quo  labi  non  poterant ! 
Et  tamen,  colendum  esse,  quia  ab  eo  omnia 
dependent  in  fieri,  addunt  tamen  alii  in  esse 
quoque  et  conservari 

Quem  in  finem  colendus  Deus  est  ?  An 
ipse  cultus  indigus  aut  cultu  placatur?  Ita 
quidem  est:  parentes  et  benefac tores  colun- 
tur  apud  nos.  Sed  quid  hie  cultus  est?  So- 
cietas  humana  mutusB  indigentise  prospicit,  et 
cultus  est  ob  opinionem  potentise  nobis  sub- 
veniendi  majoris  et  propioris.  Subvenire  vult 
alteri  nemo  sine  mutuo  adjumento  su»  quo- 
que indigentise.  Agnitio  beneficii  et  gratia  vo- 
catur,  qu»  majorem  recognitionem  sui  bene- 
ficii postulat,  utque  exin  celebretur,  alter  ei 
ad  manus  yelut  pedissequa  sit,  ut  claritatem 
^tiam  et  suspicionem  magnificentise  apud  alios 


10  DE  TBIBUS 

sosoitet.  Scilicet  opinio  aliomm  de  nostra  po- 
tentia  subveniendi  particulari  yel  commoni 
indigentisB^  nos  titillat,  cristas  pavonis  inatar 
erigity  unde  et  magniiicentia  inter  virtates 
est.  Ast,  quis  non  videt  imperfeotionem  no* 
strse  natursd?  Deam  autem  omnium  perfeotis* 
simum  indigere  aliqua  re^  quis  dixerit?  Velle 
autem  ejusmodi;  si  perfeotus  sit,  et  jam  in 
se  satis  contentus  et  honoratuS;  citra  onines 
extra  eum  honores^  quis  dixerit^  nisi  qui  in- 
digere earn?  Desiderium  honoris,  imperfectio- 
nis  et  impotentisB  signum  prsebet. 

Consensom  omnium  gentium  hoc  in  passa 
urgent  aliqui,  qui  vel  solos  populares  suos 
vix  omnes  allocuti,  vel  tres  aut  quataor  li« 
bros  de  testimonio  universi  agentes  inspe- 
xerunt;  quatenus  vero  autori  de  moribus  uni- 
versi constet,  non  perpendentes.  At  nee  boni 
illi  auctores  omnes  norunt.  Nota  tamen  de 
cttltUy  fundamentum  in  ipso  Deo  et  operibos 
ejus,  non  in  solo  alicujus  societatis  aliquo 
interesse  habente,  hie  qwestionem  esse.  Nam 
ex  nsu  id  esse,  potissimum  imperantium  et 
divitnm  in  republica,  ut  exteriorem  aliquam 
religionis  rationem  habeant,  ad  emoUiendam 
ferocitatem  populi,  nemo  est,  qui  non  in- 
telligat. 


IMPOSTORIBUS  11 

Cseterum  de  priori  ratione  sollicituS;  quia 

in  principali  religionis  christianse   sede^  Ita-* 

lia,  tot  LibertinoSy  et  ut  quid  gravius  dicam, 

tot    Atheos   latere   oredat,   et   si   crediderit, 

qui  dicaty  consensum  omnium  gentium  esse: 

Deum  e$8e,  Eum  colendum  e8$e?  Scilicet^  quia 

saniores  tamen  id  dicunt.  Quinam  saniores? 

Summus  Pontifex,  Augures  et  Auspices  ve- 

terum,  Cicero,  Csesar,  Principes,  et  his  adh»- 

rentes    Sacerdotes,  etc.  Unde  vero  constat, 

quod  sic  dicant  et    statuant,  uti  dicunt,  et 

non  ob  interesse  suum  talia  prse  se  ferant? 

Hi  nempe  ad  gubernacula  rerum  sedent,  et 

reditus  ex  populi  credulitate,  summam  in* 

yisibilium   potentiam    et    vindictam    minati, 

suamque  quandoque  cum  bis  intimiorem  col- 

lationem  et  nexum  ementiti,  pro  sua  luxuria 

idoneos  vel    excedentes   sibi    acquirunt.  Sa- 

cerdotes  enim  talia  docere,  mirum  non  est, 

quia  hsdc  ratio  vitse  ipsorum  sustentandse  est. 

Et  hsec  sunt  ea  saniorum  dictamina. 

Dependeat  hoc  universum  a  directione  primi 
moventis,  at  vero  id  dependentia  prima  erit. 
Quid  enim  impedit,  quo  minus  talis  primus 
DEI  ordo  fuerit,  ut  omnia,  cursu  semel  pr»- 
stituto,  irent  usque  ad  terminum  prsefixum, 
si  quem  preefigere  voluit?  Nee  nova  cura,  de- 


12  DE  TRIBUS 

pendentia  vel  sustentatione  jam  opus 
Bed  ipsis  ab  initio  caique  virium  gatis 
giri  potuit.  Et  cur  non  fecisse  autumaiidus! 
Nee  enim  visitare  eum  omnia  elementa  d 
universi  partes,  sicut  Medicus  segrotum^  ere- 
dendum  est. 

Quid  ergo  de  conscientise  testimonio  di- 
cendum,  et  undo  illi  animi  metus  ex  male 
factis,  si  non  constaret  nobis  speculatorem 
et  vindicem  desuper  adstare,  cui  ista  displi- 
ceant;  utpote  cultui  ejus  omnino  contraria? 
Non  jam  animus  est;  naturam  boni  tcI  mab', 
nee  pericula  prcBJudiciorum  et  plorimi  timoris 
vanitates,  ex  prseconceptis  opinionibus  orinn- 
das;  altius  perseqni:  id  tantum]  dico,  inde 
hsBC  ortum  ducere,  quia  nempe  omnia  male- 
facta  nituntur  in  con'uptione  et  oonversione 
harmoni»  subveniendi  mutuse  indigentias,  qu« 
genus  humanum  sustentat;  et  quia  opinio  de 
eo,  qui  promovere  magis  quam  adjuvare  in- 
digentiam  istam  velit;  odiosum  eum  rcddii 
Unde  contingit,  ut  ipse  timeat,  ne  vel  aver- 
sionem  aliorum  et  contemtum  incurrat,  vel 
sequalem  denegationem  subveniendi  indigen- 
tise  suae;  vel  amittat  potentiam  suam  insuper 
tum  aliis,  tum  sibi  succurrendi,  quatenus  nem- 
pe spoliationem  potentisB  nocendi  a  reliqnis 
metuere  debet. 


im^stor!bus  13 

Atqui  ita  agere^  aiunt  y  eos ,  qui  non  ha- 
"bent  lumen  Scripturse  S.;  Becundum  naturale 
lumen^  pro  conscientise  suse  dictaminO;  quod 
certo  arguat,  indisse  deum  intellectui  com- 
muni    hominum ,    scintillas    suse    cognitionis 
et  voluntatis  aliquas,  secundum  quas  agentes^ 
recte  fecisse  dicendi  sint.  Et  qusenam  ratio 
horum  colendi  DEUM  dictaminum  esse  queat, 
8i  non  hsBC  sit?  Cseterum,  num  bestiae  secun- 
dum ductum  rationis  agant,  multis  rationi- 
bus  disputatur ,  nee  jam  decisum  est ,  quod 
tamen    non    moveo.   Quis   tibi    dixit ,   quod 
id  non  fiat,  aut  quod  politum  brutum  rudi 
homini  et  sylvestri   quandoque   intellectu  et 
facultate  dijudic^ndi  non  praestet?  Ut  autem, 
quod  res  est,  dicam,  plurima  otiosorum  ho- 
minum   pars ,   qui    ex  cogitationibus    rerum 
Bubtiliorum  et  communem  captum  exceden- 
tium    vacarunt,    ut   suo  fastui   satisfacerent 
atque  utilitati,  multas  subtiles  regulas  exco- 
gitarunt,  quibus  nee  Thyrsis  nee  Alexis,  cura 
sua  pastorali  et  rustica  impediti  vacare  po- 
torunt.  Unde  hi  fidem   otiosis   speculantibus 
habuere,  quasi  sapientioribus,  adde  et  aptio- 
ribus  ad  imponendum  insipidis«  Hinc ,  bone 
Alexi!  abi  Panes,  Sylvanos,  Satirosque,  Dia* 
nas;  etc.  cole,  isti  enim  magni   Philosophi 

J)<  tribus  ImpostoribuSk  Q 


14  DE  TRIBUi^ 

tibi  communicationem  somnii  Pompilliani  &- 
cierit,    et    concubitus  cum  Nympha  ^geria 
narrarO;  et  hoc  ipso  ad  istorum  cultum  ad- 
Btringerc  volent,  proque  mercede  sui   operis, 
et  reconciliatione  et  favore  illarum    invisibi- 
liutn  potentiarum  sacrificia  succumque  gregb 
et  sudorem  tuum  pro  sua  sustentatione  desi- 
derabunt.  Et  bine,  quia  Titius  Panem,  Ale- 
xis Faunos,  Roma  Martes,  Atbense  ignotos 
Decs  coluere,  credendum  est;  bonos  istos  ho- 
mines qusedam  ex  lumine  naturse  cognovisse; 
quia  otiosa  speculantium  inventa  et  attributa 
erant,  ne  quid  inclementius  in  aliorum  reh- 
giones  dicam. 

Et  cur  hsec  ratio  non  etiam  dictitavit  abe^ 
rare  eos  in  cultu,  signaque  et  lapides  tan- 
quam  Deorum  suorum  habi taenia  ridicule  co- 
lore? At  vero  credendum  est,  quia  bonse  fo- 
miniculsB  Franciscura,  Ignatium,  Dominicum, 
et  similes  tanto  cultu  prosequantur ,  dictare 
i*ationem  ad  minimum  Sanctorum  hominum 
aliquem  esse  colendum,  et  istos  ex  lumine 
faaturse  perspicere  cultum  alicujus  potentis 
fiuperioris  jam  non  visibilis.  Cum  tamen  haec 
sint  commenta  otiosorum  nostrorum  Sacerdo- 
tum  pro  suse  sustentationis  lautiori  incre- 
mento. 


IMP0ST0B3US  15 

Ergone  dbvs  non  est?  Esto,  sit;  ergo  co- 
lendus?  Sed  hoc  non  sequitar;  quia  cultum  de- 
siderat.  Sed  desiderat,  quoad  cordi  inscripsit. 
Quid  turn  amplius?  Sequemur  ergo  naturse  no- 
strse  ductum.  At  is  agnoscitur  imperfectusesse: 
in  quibus  ?  Sufficit  enim  ad  societatem  homi- 
numsic  satis  tranquillecolendam.  Nee  enim  alii 
Religiosi  reyelationem  seouti  felicius   vitam 
transigunt.  At  magis  est^  quod  de  nobis  exi- 
git  DEUS^  imprimis  cognitionem  DEI  exactio- 
rem.  Sed  tamen,  qui  id  spondes^  cujuscunque 
religionis  siS;  non  pr»stas.  Quid  enim  DEUS 
sit,  in  reyelatione  qualicunque  obscurius  longe 
est;    quam    antea.  Et  quomodo  conceptibus 
inteliectus  id  clarius  sistes^  quod  omnem  in- 
tellectum  terminat?  Quid  tibi  videtur  de  his? 
Deum  nemo  novit  unquam^  item,  oculus  non 
vidit;  item;  habitat  in  luce  inaccessibili;  item; 
post  reyelationem  adhuc  in  senigmate?  At; 
quanta  senigmatis  claritas  sit;  cuique  notum 
credo.  Varum;  unde  tibi  id  constat;  DEUM 
ista   exigere?  An  ex  desiderio    inteliectus ; 
terminos  sui  captus  superandi,  et  omnia  per- 
fectiuS;  quam  facit;  concipiendi;  an  aliunde? 
Ex  speciali  revelatione?  Quis  eS;  qui  hoc 
dicis?  Bone  deus!  quanta  reyelationum  far- 
rago 1  Oracula  ethnicorum  prodis?  H»c  jam 


16  l>fi  tBIBUS 

risit  antiqttitas.  Sacerdotum  tuomm  testuBo- 
nia?    Sacerdotes  tfbi  offero    contradictorioi 
Pugnetis  invioem:  sed,  quia  jadex  erit?  qm 
controversise  finis?  Mosis,  Prophetarom^  Apo- 
Btolorum  Bcripta  profers?  Opponit  se  tibi  Ai- 
coranns;  qui  hsec  corrupta  dicit  ex  novissimi 
reyelatione;  et  autor  ejas  divinis  miracub 
Be  gloriatar  corraptelas  et  altercationes  Cliri- 
Btianorum  gladio  Becuisse;  mti  Moses  Ethni- 
corum.  Vi  enim  Mahomet,  vi  et  Moses  Palc- 
Btinam  Bubjugayit;  uterque  magnis  miracnlii 
ittstructus.  Et  Sectarii  istoram^  nt  et  Veds 
et  Brachmannormn  ante  MCCC  retro  secok 
obstant  collectanea,  ut  de  Sinensibus  nil  di- 
cam.  Tu,  qui  in  angulo  Europse  hie  delite- 
BciS;  ista  negligis,  negas;  quidem  bene,  vi- 
deas  ipse.  Eadem  facilitate  enim  isti  tua  ne- 
gant.  Et  quid  non   miraculorum   supercBset 
ad  convincendos  orbis  incolas,  si  mnndum  ex 
Scorpionis  ovo  conditum  et  progenitum  ter- 
ramque  Tauri  capiti  impositam,    et    renun 
prima  fundamenta  ex  prioribus  III  Vedae  li- 
bris  couBtarent;  nisi  invidus  aliquis  Deonun 
filius  hsec  III  prima  yolumina  furatus  esset! 
Nostri  id  riderent,  et  apud  eos  novum  hoc 
stabiliendse  religionis  8U»  argumentum  foret, 
no9  tamen,  nisi  in  cerebro  Sacerdotum  aao- 


IMPOSTOBIBUS  17 

rum    fimdanientam  habeiiB.   Et    undo    alias 

profecta  tot  immeiiBa  de  Diis  Ethnicorum  vo- 

lumina  et  mendacioriim  plaustra?  Sapientius 

Jiloses,  qui  artibus  primo  .^Igyptiorum  excol* 

tu8^   id  est,  astrorum  et  Magise  caltu,  dein 

armorum  ferocia;  Palestinae  regolos  sedibus 

extrusit,  et  specie  coUoquii  Pompiliani  fiden- 

tern  rebus  suis  exercitum  ia  otiosorum   ho- 

minum  possessiones  advexit:  scilicet,  ut  ipse 

esset  Dux  Magnus  et  (rater  ejus   Saoerdos 

Maximus,  ut  ipse  Princeps  et  Dictator  ali- 

quando  populi  esset.  Alii  per  yias  dulciores 

et  delinimenta  populi  sub  proferenda  sancti- 

tate,    horresco   reliqua    proferre    et    eorum 

Sectarii   per   pia   fraudes ,   in   occultioribus 

conyenticulis ,    primo  imperitam  paganorum 

plebem,  dein  et  ob  vim  pullulantis  nov»  re? 

ligionis ,  timentes  de  se  et  odiosos  principes 

'  populi  occuparunt.  Tandem  alius  belli   stu- 

diosuB   ferociores  Asiae  populos,  a  Christia-r 

norum  Imperatoribus  male  habitos,  fictis  mi-. 

raculis  ad  se  adscivit;  sub    promiesione    tot 

beneficiorum  et  victoriarum;  exemplo  Mosis, 

discordes  et  otiosos  Asise  Principes  subjuga- 

vit,  et  per  acinacem  religionem  suam  stabi- 

livit.  Prior  Ethnicismi,  alter  Judaismi,  ter- 

tios  utriusque  corrector  habitus,  quis  Maho- 


18  DB  TEIBU8 

metis,  quia  Mahometismi  futunu  sit^ 
dam  est. 

Scilicet,  eo  credolitas  hominam  fraadlboi' 
Bubjecta  est;  cujus  abusns  sub  specie  alicajos 
utilitatis  merito  ihpostuba  vocatur.  Hajv 
in  genere  naturam  et  species  hie  latias  eyot 
vere,  nimis  et  longum  foret  et  t»dio6iim. 
Cieteram  id  nobis  observandum ,  quod  con 
cessa  etiam  naturali  religione  et  debito  cnltv 
divine,  quatenus  per  naturam  dictari  diciior. 
jam  omnis  novse  religionis  Princeps  ixpo- 
STUBJE  suspectus  sit;  potissimum,  com,  quants 
in  religione  aliqua  propaganda  fraudes  in* 
tervenerint,  in  aprico  omnibas  sit,  et  ex  dictis 
et  dioendis  obvium. 

Manet  id  ergo  secundum  oppositum  prias 
immutabile:  Beligionem  et  cultum  DEI  $&- 
cundum  dictamen  luminia  naturalis  consenta- 
neum  et  veritati  et  cequitati  esse.  Qui  vero 
aliud  quid  circa  religionem  statuere  volt, 
vel  novum,  vel  dissonum,  idque  autoritate 
superior  is  invisibilis  potestatis,  suam  refor- 
mandi  potestatem  evidenter  producat ,  -  ne- 
cesse  est,  nisi  ab  omnibus  impostor  haberi 
velit,  qui  omnium  sententise  adversatur,  non 
sub  concluso  ex  naturali  ratione,  non  sub 
revelationis  specialis  auctoritate*  Insuper  sit 


IMPOSTORIBUS  19 

ejusmodi  vitse  ac  morum  probus,  qui  a  moU 
titudine  dignus  credf  possit,  quern  tarn  sum- 
mum  et  Sanctum  numen  in  suam  conversa- 
tionem  recipiat,  cui  nil  placuit  impuri  quid- 
quam;  nee   id  solum    propria    confessio    aut 
vita  sic  satis  sancte  ante  acta^  aut  miracula 
aliqua^   id  est  Actionea  extraordinariae  pro- 
bare  poterunt;  nam  et  id  magis    artificiosis 
et  deceptoribus  hominum,  mendacibus,  hypo- 
critis  commune  est,  qui  ex  istis  rebus   com- 
modum  aut  gloriam  aucupantur;  nee    etiam 
id    attendendum,    eo  vesanise  quosdam  pro^ 
cessisse ,  ut  sponte  mortem  appeterent ,  quo 
contemnere    omnia    et    sincere    orederentur, 
uti  varii  apud  philosophos  veteres.  Nee  etiam 
credendum    peculiaribus    eos  divinis  viribus 
suffultos  fuisse,  in  eo,  quod  ex  inani  imagi- 
natione  et  yana  aureorum  montium  persua- 
sione  propter  defectum  judicii  perpetrarunt. 
Hi  enim  nee  rem  satis  judicarunt,  nee  veri 
Doctores;  quos  ut  probe  discernas,  dixi  non 
solum  proprium  eorum  testimonium  suflScere, 
sed  et  ipsos  inter  se  et  alios  testes  cum  ipsis 
conferre  opus  est,  eosque  tum  notes  et  fami- 
liares,  tum  ignotos,  tum  amicos  et  inimicos: 
atque  dein  coUectis  omnium  testimoniis,  tum 
cujusc^ue  Doctoris  de  se  ipso^  tum  aliorum 


30  DB  TBIBU3 

veritatem  rei  penetrare.  Et  si  testes  ipsi  no- 
bis iguoti  sint;  testes  de  testibus^  et  sic  porro 
consulendi  eruut,  Adjecto  insuper    examine 
de  sua  judicandi  facultate;    an    capax    sis, 
falsum  talibus  vol  aliis  circumstantiis ,    nu> 
xime  vero  similibus  involutum,  a  vero  discer^ 
nere ,    addita    inquisitione  y    unde   eas  notas 
hauseris  veritatis  dignoscendse;  coUato  adhuc 
aliorum  judicio ,  quid  hi  ex  tali  demonstra- 
tione  vel  testin^onio    colligant.    Atque    hinc 
^olligere  licebit,  an  verus  revelationia  divinx 
voluntatis  nuncius  sit,  qui  id  prse  se  fert,  et 
an  dictamen  ejus  presso  pede  sequendum  sit. 
At,  ne  hinc  in  circulum  incidamus,  omniiK) 
Qavendum  est. 

Cumque  primarum  religionum  ea  sit  na- 
tura,  ut  una  aliam  prsesupponat ,  ut  Mosis 
Paganismum,  Messise  Judaismum^  Mahumedis 
Christianismixm ,  nee  semper  aut  quoad  om- 
nia, sed  certis  solum  in  partibus  posterior 
priorem  rejiciat,  quoad  reliqua  etiam  in  priori 
se  fundet,  ut  Messias  faciunt  et  Mahomet; 
opus  erit  non  solum  vel  postremam,  vel  me- 
diam  vel  priorem,  sed  omnes  et  singulas  ac- 
curate perlustrare,  praecipue  cum  in  quavis 
secta  imposturae  arguantur,  ut  veteres  a 
Messia,  qui  legem  corruperint,  Christiani  a 


DIPOSTOBIBUS  31 

MahometOy  qui  corruperintEyangeliom.  Quoad 

hos  nil  mirum,  cum  et  OhriBtianorum  Secta 

altera  alteram  corrupti  textus  N*  T.  arguat; 

ut  constare  queat^  an  et  hic;  qui  imitandns 

proponitui',  ver»  religionis  ductor  sit,  et  qua- 

tenus  ii,  qui  se  prsesuppositos  dicunt,  audiendi 

sint.  Nulla  enim  in  examine  Secta    prseter- 

mittenda   est ,    sed  omnia  conferenda ,  citra 

qualecunque  praejudiciimi.  Nam,  si  unica  prse- 

termittatur,  ea  forsan  ipsa  est,  quae  yerior 

est.  Ita ,   qui  Mosen  sequitur ,  veritatem  se- 

cutua  erit,  etiam  secundum  Cristianos;  caete- 

rum  in  eo  solo  non  debebat  subsistere ,  sed 

et  yeritatem  Christianae  religionis  indagare. 

Omnes  equidem  Doctores  secum  esse  una* 

quaeque  Secta  asserit,  et  quaelibet  se  id  ex- 

pertam,  et  quotidie  adhuc  experiri,  nee  dari 

alios  meliores.  Adeo  ut  yel  omnibus  creden- 

dum,  quod  ridiculum,  yel  nulli,  quod  est  se- 

curius,  usque  dum  yera  sit  yia  cognita,  ne 

tamen  ulla  in  collatione  praetereatur. 

Non  obstat  quod  ut  cognoscatur,  bis  duo 
esse  quatuor,  omnes  mathematicos  congre- 
gare.  Res  enim  non  est  eadem ,  quia  nemo 
est  yisus,  qui  dubitayerit  an  bis  duo  quatuor 
sint,  cmn  e  contrario  religiones  nee  in  fine, 
nee  in  pxincipiis ,  nee  in  mediia  concordent. 


2^  PB  TBIBUS 

Fonamus   sio,   ignorare   me   reetam    saUate 

viam,  seqaor  interim  Brachmannos  vel  Alco- 

ri^nam;  nonae  Moses  et   reliqui    dicent:    Et 

quid  mali  tibi  a  nobis  profeotom  est^    quod 

ita  rejiciamor^  meliores  interim  et  veriores? 

Quid  respondebimus?  Credidi  Mahameto  yel 

Gymnosophistis  y  in  quorum  doctrina   xiatus, 

educatus  sum^  et  unde  inteliezi^  tuam  et  se- 

quentem  Christianorum  Religionem  jam  da- 

dum  abolitam  et  corruptam  esse  vel  corrnp- 

trices  esse.  Non  ne  reponent^  nescire  se  qoic- 

quam  de  illis^  et  illos  de  vero  salutis  ducta; 

quodque  sciant,  esse^  quod  corruptores  sint, 

et  impoatores,  fictis  miraculis   et    mendaciis 

populum  delinientes.  Nee  ita  simpliciter   fi- 

dem  adhibendam  uni  hominum  vel  sectae,  re- 

jectb  citra  omne  vel  debitum  examen    reli- 

quis  omnibus.  Eodem  enim  jure  dicere  ^thio- 

pem,  qui  non  sortitus  est  de  suis  terris^  non 

dari    alterius   quam    nigri   coloris    sub    sole 

homines. 

PrsBterea  et  id  in  examine  Sectarum  reli- 
quarum  attendi  debet^  ut  par  in  omnium  in- 
quisitione  diligentia  adhibeatur^  nee  altera 
ingenti  opera  illustrata^  reliqu»  vix  levi  bra- 
chio  tangantur,  statim  ob  unam  vel  alteram 
positionem  primo  intuitu  iniauam  visam^  aat 


IMPOSTOBIBUS  23 

fSftmsa  maloB  do  prinoipe  ejus  seotte  rtimores 
a  tergo  rejectis  reliquis.  Neo  enim  oonfestim 
pro  dogmate  yel  indubitato  testimonio  haben< 
dtun^  quod  vagabundorum  primus  quisque  de 
adversa  religione  adserueri't  Eodem  nempe 
jure  primitus  communi  fama  et  sola  nominis 
recensionO;  Christiana  religio  borrori  aliis 
erat^  aliis  ludibrio:  apud  hoS;  quod  Asini 
caput  colerent,  apud  illos;  quod  Deus  suos 
comederent  ac  biberent,  etc.;  ut  Cbristianum 
esse^  id  demum  capitalem  DEi  et  hominum 
inimicum  esse  reputaretur:  cum  tamen  ejus- 
modi  narrata  vel  male  intellecta^  vel  egregia 
mendacia  essent.  Quce  inde  confirmabantur, 
partimque  orta  erant,  quod  hostes  illius  re- 
ligionis  vel  plane  non,  vel  non  recte  cum 
ipsis  Christianis^  et  ex  his,  scientioribus  con- 
ferrent,  verum  prime  idiotiB  vel  desertori,  aut 
inimico  ejus  crediderint.  Cumque  ita  propo- 
sita  examinis  ratio  tantae  difficultatis  sit  res, 
quid  de  infantibus  dicemuS;  quid  de  fceminis, 
quid  de  maxima  plebis  parte?  Exclusi  jam 
erant  a  securitate  de  sua  religione  omnes 
infantes^  et  fosminarum  maxima  pars^  cui  et 
ea  quoque^  quae  clarissime,  quam  fieri  potest^ 
ex  principiis  alicujus  religionis  deducuntur^ 
tenebrae  sunt.  £t  ex   earum   mode   vivendi 


34  DS  TBIBUS 

probe  eonspicis  non  habere  ipsas;  nisi    per- 
paucissiiQAB  eximas^  tarn  exactam  &cult£Ltem 
penetrandi   ejusmodi   mysteria.  Ut    nihil   de 
infinitate  minuti  populi  aut  rasticorum  dioam, 
quibus  alimentorum  suonim  qusesitio  pro  sum* 
ma  rationis  est;  reliqua  bona  fide  vel  adsu- 
munt;  vel  rejiciunt.  Ita  scilicet  minimae  orbis 
parti  superest;  quae  omnes  religiones  ponde- 
ret;  Buam  exacte  conferat^  rationes  veritatis 
vel  fraudiS;  in  quibus  nempe  minutiis  decipi 
posset,  probe  discernat;  sed  potior  numerus 
aliorum  fidem,  ut  plurimum  rerum  sacrarum 
Professorum,  quorum  scientia  et  judicandi  in 
sacris  facultas  notoria  habetur,  sequitur. 

Idque  in  quayis  religione,  quod  patissimum 
faciunt  ii,  qui  legere  et  scribere  nequeunt, 
aut  quod  legant  non  habent.  Notandum  au- 
tem  erat  quod   hie   non   sufficiat,  religionis 
alicujus  Dootores  judicio  et  experientia  pro-, 
fessa  satis  accuratis  poUere,  ut  vera  a  falsis 
discemere  queant;  sed  et  reliquis  certo  cer-r 
tius,  et  judicio   non   minus  accurate  id  con- 
stare  debet,  insuper,  habere    illos    verum  a 
false  discernendi  non  mode  facultateni;  [sed] 
et  [manifestandi]  yoluntatem.  Certi   qnippe 
adprime  esse  debemus,  nee  falli  nee  fallere 
eum  yelle;  qui  ejusmodi  scientiam  et  volon- 
latem  profitetur* 


niPosTORiBUs  25 

£t  qitalem  hie  inter  tot  diversissimos  etiam 
unius  Beetae  palmatiae  Doctores  eleetionem 
faciemns?  Qnando  enim  soeios  et  eollegas 
intuemur^  qui  in  plnribus  sententiis  discon- 
veninnt;  caeteroquin  amicissimi;  alternter  dis- 
sentiens  id  faeiet  propter  aliqnem  defectum, 
vel  quod  rem  non  recte  intelligat;  atque  ita 
facultate  judieandi  car  eat;  vel  quod  cedere 
nolit;  et  ita  voluntatem  vera  fatendi  non  ha- 
beat.  At,  licet  hoc  in  articulis  secundariis 
contingeret,  tamen  hi  suspecti  redduntur 
etiam  quoad  reliqua;  in  utroque  quippe  ve^ 
ritas  una  est^  et  qui  una  in  parte  ab  ea^  vel 
ex  defectu  judieandi ,  vel  ex  voluntate  de- 
pravata  recedit,  ejus  rei  etiam  in  reli^^is 
suspectuS;  atque  id  merito,  redditur.  Qcrare, 
ut  judicare  possis  de  habilitate  vel  ingenui- 
tate  alicujus  Do^^toris  in  religione,  primo 
aequo  habilis  sis ;  ac  ille  necesse  est ,  alias 
enim  facillime  imponere  tibi  poterit:  et  ille 
praeterea;  si  tibi  non  omnino  sit  notus,  testi- 
monio  aliorum  indigebit,  et  hi  rursus  alio- 
rum,  quod  in  infinitum  tendit,  nee  solum 
veritatis;  scilicet  docuisse  talia  ipsxmi,  sed  et 
ingenuitatis;  citra  fraudem  id  fecisse.  Et  de 
testibus  ingenuitatis  et  dictorum  itidem  ratio 
omnino  habenda  erit.  Quern  vero  hie  termi*^ 


niim  {k>nes?  Nee  id  satis  est^  apnd  alios  talis 
jam  dispntata  esse;  quam  bene  etiam  id   fac- 
tnm    sit  y  videndum.  Commnnes  namque  de- 
monstrationes;  quae  publicantor,  nee   certae 
nee  evidentes  sunt,    et  res  dabias  probant 
per  alias  saepe  magis  dabias;  adeo,  at  exem- 
plo  eoram,  qui  eirculum  currant,  ad  termi- 
num  semper  redeas,  a  quo  currere  incepistL 
Ut  constet,  aliquem  vero  religionis  Docto- 
rem  aut  Impostorem  esse,  opus  est  vel  pro- 
pria nostra  experientia,  quae  nobis  eirca  m 
magnos  Beligionis  Judaieae^  Christianae   et 
Mabomedanae  Prineipes  non  eontigit;  ntpote 
et  remotissimos  et  pridem  diu  ante  nos  mor- 
tuos;  vel  aliena^  quam  si  quis  nobis  comma- 
nicet;  testimonium  vocamus.  Superest  adhac 
media  Tia^  videlicet  eognoscendi  aliquem  per 
scripta  sua,  quam  testimonium  proprixrai  ali' 
cujus  de  se  ipso  vocare  liceat.  Atque  ejus- 
modi  quid  de  Cbristo  non  superest.  De  Mose, 
an  quid  supersit;  dubitatur.  De  Mabomede 
superest    Coranus.  Testimonia  aliorum  sunt 
vel  amicorum  vel  inimLCorum,  nee  datur  in- 
ter hoc  tertium,  secundum  tritum  illud:  Qui 
non  est  mecum,  contra  me  est.    Quod  pro- 
prium  alicujus   de    se    testimonium   attinet, 
Mahomedea  in  scriptia  suis  aequo  divina  sibi 


IMPOSTORIBUS  2t 

Bomit  et  attribuity  quam  Moses  et  alins  qui- 
-vis.  Quoad  reliqaa;  amici  Mahomedis  et  Se- 
ctatores  ejus  aequo  id  de  se  ipso  scripsernnt; 
ac    Seetatores    reliquorum    de    suis.    Inimici 
reliquorum  aeque  male  de   ipsis;   ac  horum 
amici  de  isto.  De  caetero  testimonia  alicujus 
de  se  ipsO;  ad  faciendam  fidem  indubitatam, 
nimis  fragilia  sunt  et  nullius  momenti ,  nisi 
ad  confundendum  forte  auditorem  incogitan^ 
tern.  Amicorum  asserta  ejusdem  &rinae  sunt; 
quippe  qui  uno  ore  idem  cum  suo  loquuntur. 
Nee  inimici  contra  aliquem    audiendi    sunt, 
propter  interesse  concurrens.    Jam   yero    is 
non  obstantibuS|  quilibet  alicujus  ex  tribus 
socius;  omne  imposturae  adversarii  sui  fun- 
damentum,  et  omne  veritatis  sui  principium 
ex  ejusmodi  levibus  rationibus  sumunt,  qui 
non  nisi  propria  gloria,  vol  amicorum  asser- 
tis;    vel  inimicorum  obtrectationibus  confir* 
mantur.  Nihilominus  tamen  indubie  Mahome^ 
des  apud  Nostrates  pro  impostore   habetur* 
Sed  unde?  Non  ex  proprio  ,  non  ex  amico^ 
rum,  sed  inimicorum  testimonio.  Ergo  con-* 
trario   apud   Mahometanos    pro    Sanctissimo 
Propheta.  Sed  unde?  Ex  [propria  partim, 
partim  ex  ]  propria  potissimum  amicorum  at- 
testations Qui  Mosen  vel  pro  impostore,  vel 


28  BB  TRIBUfl 

pro  sancto  doctore  kabent,  eodem  modo  pro- 
cedaut.  Atqne  adeo  aeqnalis  ratio  est  ,    tast 
quoad  accosationemy  quam  delineattonem  im- 
posturae  in  Mahomede  atqne  in  reliquis,   etsi 
nihilominns  hi  pro  Sanctis^  ille  pro  nebnlon^ 
contra  justitiae  debitum  haberentnr.  SchoJa- 
stico  igitur  more  iirmisBime  sic  concladitor: 
In  quoBcnnqne  cadit  aequalis  ratio^  quoad 
declinationem  vel  accnsationem  imposta- 
rae  cnm  Mahomede,  eorum   relatio   in 
eandem  classem  cam  ipsa  jnstitia. 
Atqai  ex.  gr«  in  Mosen  cadit  aeqnalis  ra- 
tio. Ergo 
Exigenda  justitia  pariter  cum  Mahomede 
est,  nee  pro  impostore  habendus. 
Minor  probatus  (1)  quoad  declinationem  im- 
posturae:  banc  fieri  per  superius  dicta  tcstimo- 
nia,  tum  Mahomedis  de  se  ipso,  tum  Mosis  de 
se  ipso  bene  scribentis,  tum  amicorum  cujusli- 
bet  de  suo  principe,  atque  hinc  jure  seqoi 
necesse  est. 
I.  Quam  vim  probandi  amici  Mosis  habent 
in  excusatione  ejus,  cam  vim  et  Maho- 
medis  amici   habere   debent    ab   impo- 
stura. 
—  Atqui  vim  liberandi  per  testimonia  sua 
favorabilia  [amici  Mosis  habent],  etc. Ergo,  etc. 


IMPOSTORIBUS  29 

U.  Et  qnam  ad  banc  finem  habent   libri 
IMosis,  eandem  quoque  babebit  Coranus. 

Atqui.  Ergo. 
-Adde  et  hoc,  quod  Maselmanni  ex  ipsis  N.  T. 
libris  (quamvis  secundum  ipsos  quoad  reliqua 
xnultum  corruptis)  varia  etiam  pro  suo  Mano- 
mede  argumenta  aesumant;  et  praecipue  prae- 
dicationem  illam  Christi  de  futuro  paracleto 
tunc  venisse  volunt,  et  corruptionem  Cbri- 
stianorum  [detexisse],  novumque  fcedus  in- 
8tituisse.  Et  licet  Coranus  accusetur  alias 
multarum  ineptiarum  et  fabulosarum ,  immo 
impiarum  relationum ,  haec  tamen  omnia 
sensu  spirituali  vel  aliis  modis  explicari  et 
[  leniri  J  posse ,  cum  quoad  residua  nil  nisi 
profundam  sanctitatem  et  exactam  morum 
regulam,  potissimum  autem  sobrietatem  et 
abstinentiam  a  vino  inculcent.  Et  quod  objici 
solet,  vina  esse  dona  Dei,  responsionem  ac- 
cipere  posse ,  talia  etiam  esse  venena ,  nee 
tamen  baurienda.  Quod  [additur]  insuper  con- 
Buetum,  quasi  Coranus  nimiam  carnalitatem 
spiret,et  vitam  aeternam(carnalibus)corporeis 
voluptatibus  impleat,  concessa  praeterea  tarn 
indistincte  polygamia;  tanti  non  esse,  ut  de- 
struere  eam  possit,  cum  et  [Moses]  polyga- 
miam  concesserit,  et  in  N.  T.  vita  aeterna 
convivia  admittat,  e.  g.:  Accumbetis  cum 
Abrahamo,  Isaaco,  etc.  Item  non  gustabo  vi- 
num,  nisi  in  regno  patris  mei.  De  Cantico 
Salomonis  nihil  esse ,  quod  addatur,  quippe 
ista  omnia  [  bono  ]  et  spirituali  sensu  expli- 
cata,  nil  mali  continere  dicuntur,  uti  [et]  hoc 

De  tribus  Impostoribus.  7 


30  DE   TRIBU8 

pacto  dictiiB  Coranus.  Et  bi  contra  verba 
Corani  nimis  rigorosi  snmus,  contra  Mosis 
et  aliormn  scripta  eodem  rigore  nti  debemns. 
Quae  antem  pro  declinanda  impostnra  ex 
ipso  Mose  argiunenta  exponuntm*,  ea  non  vi- 
dentur  justi  et  necessarii  ponder  is. 

I.  Commercia  Mosis  divina  nituntur  pro- 
prio  ipsius  vol  amicorum  testimonio^  nee 
proinde  amplius  quid  valere  possnnt; 
quam  similia  argumenta  Muselmannornm 
de  coUoquio  Mahomedis  cum  Gabriele: 
et  quod  majus  est^  baec  Mosis  commer- 
cia ex  ipso  Mose  (si  omnia  Mosis  sunt, 
quae  vulgo  feruntur  esse)  suspicionem 
imposturae  accipere,  uti  infra  dicendmn. 
IL  Sanctimoniam  vero  ipsius  non  esse  fa- 
cile adsequendam,  nemo  facile  vel  ad 
minimum  jure  dicere  poterit,  cui  summa 
et  gravissima  Mosis  crimina  cognita  sint 
Talia  autem  sunt. 

a)  Latrociuium ,  quod  non  nisi  amici 
ejus  excusaverint;  sed  hos  non  esse  ju- 
stos  rerum  censores,  nee  officere  locum 
favorabilem  Litcae  in  Actis  Apostolorum^ 
nam  et  de  hujus  testis  ingenuitate  et 
veracitate  litem  superesse. 

b)  [  Suscitationem  ]  rebellioms;  nam 
eam  a  Deo  ortam  esse  non  probari^ 
immo  contrarium  liquere  posse^  quod  is 
alibi  citetur  interdicere  resistentiam  con- 
tra Tyrannos. 

c)  BeUa,  ut  ut  vocentur,  contra  prae- 
ceptum  ipsius  Mosis  V  et  Vn^  caedes; 


IMPOStORIBUS  31 

violentas  rapinas^  etc.,  eodem  pacto, 
atque  Pontifex  in  Indiis,  vel  Manomed 
in  suis  finibus  specioso  Dei  titulo  abusi, 
suis  ditionibus  veteres  possessores  eje- 
cerunt.  Moses  occidebat  plurimos;  atque 
[internecionem]  dabat,  ut  sibi  et  suis  se- 
curitatem  assereret. 

d)  Doctrinam  de  ablatione  rerum  alie- 
narum  sub  simulatione  mutui. 

e)  Obligationem  erga  Deum,  qua  Moses 
volebat  mori  aetemum  pro  populo  suo, 
utpote  quae  petitio  a  Deo  desideret  ta^ 
lia^  quae  essentiam  ejus  destruunt.  Vid. 
Exod.,  XXXn,  31,  32. 

f)  Neglectum  praecepti  divini  de  [Cir- 
cumcisione],  Exod.,  IV,  24,  25,  26.  Et 
tandem 

g)  Primarium  Mosis  yitium,  summam 
et  crassam  incredulitatem  ejus,  qui  tanta 
miracula  vi  Dei  perpetrasse  legitur,  et 
tamen  propter  lubricam  suam  fidem,  ab 
ipso  Deo  graviter  et  cum  comminatione 
poenae  redargui.  Vid.  Numer.  XX,  12. 

Quantum  ad  probationem  alterius  argumenti 
scilicet  accusationem  imposturae  attinet,  dici 
potest:  Mahomedem  esse  impostorem,  nobis 
non  constat  experientia  propria,  ut  supra 
monitum,  sed  testimonio  non  amicorum  suo- 
rum  sed  inimicorum.  Tales  autem  sunt  omnes 
non-Mahomedani  ob  dictum:  Qui  non  est 
mecum,  etc,  Atqui  hinc  inde  concluditur: 
Quamcunque  yim  testimonium  inimicorum 
in  causa  onius  habet,  illam  etiam   ha- 


32  DE    TRIBUS 

bere  debet  in  causa  alterios.  Alias  eri* 
mus  iniqui^  uniun  ex  testimonio  inimi^ 
corum  condemnaiido  y  altenim  non:  quo 
facto  omnis  justitia  corruet. 

Atqui  testimonium  inimicorum  in  causa 
Mahomedis  banc  vim  habet^  ut  Mabomed 
pro  impostore  babeatur.  Ergo,  etc. 

Dico  ulterius  non  solum  suspiciones  de 
impostura  Mosis  ex  alienis,  sed  et  ex 
domesticis  argumentis  peti  posse:  quo 
ipso  tarn  per  proprium  quam  per  alie- 
num  successorum  tamen  suorum,  testi- 
monium argui  posset.  Quamvis  etiam 
adbuc  lis  supersit: 

I.  an  libri,  qui  dicuntur  Mosis  esse  j  sint 
ejusdem, 

II.  vel  compilatorum, 

in.  yel  Esdrae  in  specie;  et 

IV.  An  Samaritana,  an 

V.  genuina  bebraica  lingua  scripti?  Et  si 
boc  non  sit,  an 

VI.  Lingua  ista  a  nobis  intelligi  possit. 
Quae  omnia  multis  impugnari  possent, 
etpraecipue  demonstrari  potest  per  priora 
capita  Geneseos,  linguam  istam  a  nobis 
recte  explicari  non  posse.  Nolle  me  ta- 
men istis  occupari  profiteer,  sed  xxt'  av- 
OpwTTov  argumentari  volo. 

1.  A  testimonio  Mosis  proprio,  et  quidem 
a)  De  vita  sua  et  moribus,  quam  su- 
pra expendimus,  quaeque  si  Mabomedi 
(propter  vim  bellicam  prae  primis  con- 
tra  innocentes   adbibitam)   aliquantum 


n 


IMPOSTORIBUS  33 

aequipoUet,  nee  in  reliquis  omnino  ablu- 
dere  videtur. 

p)  De  auetoritate  doctrinae  suae.  At- 
que  hue  pertinent  superius  de  commerciis 
Mosis  divinis  monita,  de  quibus  ille  qui- 
dem  gloriatur,  sed,  ut  videtur,  nimis  li- 
beraliter. 
Quicunque  enim  tale  commercium  cum  Deo 
venditat,  quale  esse  nequit,  illius  com- 
mercium suspectum  jure  est, 
Atqui  Moses.  Ergo. 
Probatur,   quia  gloriatur,  se  vidisse  id,  de 
quo  in  V.  et  N.  T.  postea    saepius  dicitur, 
quod  oculus  nullus  viderit,  scilicet,  ut  loqui 
amant,  Deum  a  facie  ad  faciem.^o(2.,XXXn, 
11;  Numer.,  XII,  8. 

Sic  vidit  Deum  1)  in  sua  propria  forma, 
non  sub  imagine  vel  in  somnio.  2 )  A  facie 
ad  faciem,  ut  amicus  amicum,  cum  os  contra 
OS  loquitur.  Quaecunque  autem  visio.  1)  Est 
talis,  qualis  amicorimi  a  facie  ad  faciem,  ore 
ad  OS  coUoquentium.  2 )  Qualis  dicitur  bea- 
torum  in  altera  vita,  ilia  proprie  dicta  et 
praecisa  Dei  visio  est:  Atqni  Moses,  Ergo,  etc. 
Minor  probatur  ex  locis  supra  adductis  et 
dicto  Apostoli:  tunc  vero  de  facie  ad  fa- 
ciem ,  etc. ,  eademque  est  oppositio  in  locis 
Mosis,  atque  in  Apostoli  loco.  Et  tamen  cer- 
tissimum  est  apud  Christianos ,  Deum  nemi- 
nem  nnqnam  videre  in  hac  vita  posse.  Atque 
insnper  Exod,,  XXXIII,  20,  expresse  additur: 
Faciem  meam  videre  non  poteritis.  Haec  verba 
Dens    Mosi   objicit,  atqne  expresse    contra- 


34  DB  TRIBUS 

dicnnt  locis  prioribus  allegatis  nt  adeo  aliter 

haec  excusari  non  possint ,    qaam    si    dicas 

haec    ab    inconsiderato    compilatore    addita 

6886^  quo  ipso  totum  illad  dabium  reddetnr. 

•y)  De  doctrina  ipsa  Mosis,  quod  sit  vel  le- 

galis ,  vel  evangelica ,  inter  leges  quas 

brevitatis    causa   non  jam    omnes    per- 

stringere  licet.  Eminet  Decalogus,   qui 

speciali  Dei  opus  et  pactum   in   monte 

Horeb  vocatur. 

Ceterum  prius  a  Mose  excogitatus  videtnr, 

quam  a  Deo  scriptus^  quia  haec  praecepta 

in    re    ipsa    non   spirant    perfectionem    Dei. 

Cum  1)  aut  superflua  sint^  scilicet  tria  ilia  po- 

steriora^  argumento  dictorum  Cliri8tiMatth.V. 

jam  ad  priora  pertinentia,  et  9  a  10  non  est 

dividendum^  yet  et  dividendum,  item  erit  X: 

2)  aut  sunt  defectuosa:  nam  ubi  non  concu- 

pisces  habere  Decs  alienos,  non  concupisces 

maledicere   Deo^  non  concupisces  Sabbatha 

yiolare,  non  concupisces  laedere  parentes  et 

similia?  Et  an  ne  praesumendum  Deum  mi- 

nores  concupiscehtias  de  yiolatione  domus, 

agri^  yel  bonorum  proximi  prohibiturum  in 

specie^  et  tam  singmari  et  extraordinario  or- 

dine,    non   yero  majores?  Doctrinam  Mosis 

eyangelicam^  quod  attinet,  [ipsam]  satis  lu- 

bricam  et  fragilem  notam  yenturi  magni  Pro- 

phetae  yel  Messiae  statuit  Deut.XVin,  21. 22. 

quia  haec  nota  suspendit  fidem  prophetiae  ad 

magnum    tempus.    Sequitur    yi    hujus    dicti 

Christum  yaticinatum  excidium  Hierosolymi- 

tanum.  hactenus  non  haberi  debere  pro  pro- 


IMPOSTOBIBUS  35 

pheta  gennino^  qaatenas  hoc  nondnm  imple« 

turn  esset  (  neque  Danielem ,  antequam  ejus 

impleta  sunt  vaticinia ).   Atque  adeo ,  qui  a 

tempore  Christi  ad  excidium  usque    interea 

temporis  Judaei  vixerunt,  eos  non  posse  in- 

culpari ,  quod  in  eum  non  crediderint ,  cum 

tamen  et  Paulus    iis    anathema    dicat^    qui 

Christo  non  adhaeserint  ante  excidium. 

Quaecunque  ergo  nota  ad  longum  tempus 

relinquit  libertatem  securam  credendi  in 

Messiam  y  yel  non  credendi ,  ilia  a  Deo 

profioisci  non  potuit^  sed  merito  suspecta 

habetur.  Atqui  data  nota^  etc.  Ergo^  etc, 

Non  obstat;   quae  dicuntur  de  impletis  aliis 

yaticiniis.  Nam  haeo  est  ilia  specialissima  et 

genuina  magni  illius  Prophetae  nota^  ut  im« 

pleantur  ea,  quae  praedixerit.  Unde  per  re» 

rum  naturam  ante  pro  tali  propheta  haberi 

non  potuit. 

Alterum  absurdum ,  quod  ex  hoc  loco  se^ 
qui  videtuTy  est  sequens:  quod  haec  nota, 
quae  tamen  omnium  Prophetarum  divinum  cri- 
terium  esse  debebat,  in  quibusdam  Prophetis. 
scilicet  indefinite  [aliquid  praedicentibus,  vel 
definite]  quidem,  sed  per  verba  moralem  la- 
titudinem  admittentia  (qualia  sunt:  mox,  cito, 
propinquC;  etc.)  plane  non  possit  ulla  ratione 
locum  invenire,  e.  g.  praedixerunt  multi  diem 
universi  extremum  y  et  Petrus  instare  diem 
ilium  ait ,  ergo  hactenus  y  donee  advenerit , 
pro  vero  propheta  haberi  non  poterit.  Ita 
enim  expresse  requirit  Moses  loco  citato* 


36  DE   TRIBUS 

8)  De  historiis  Mosis.  Quod  si  Coranizs  ar- 
gnatnr  mnltarnm  fabalarnni^  sane  in  Genesi 
raulta  aderint  curioso  lectori  snspicionem  mo- 
tura.  Uti  creatio  hominis  ex  gleba  terrae, 
inspiratio  halitus,  Eva  ex  costa  viri  facta  ^ 
Berpentes  locuti   et  seducentes   homines    sa- 

Eientissimos  y  et  qnos  non  latebat  serpentem 
abitari  a  patre  mendacii^  pomi  esns  capitalis 
toti  orbi  [qnod]  uninn  ex  attribntis  Dei  (qnae 
tamen  identificantnr  cnm  ejus  essentia  )  sci- 
licet clementiam  faciat  finitam,  nti  restitutio 
lapsornm  faciet  iram  Dei^  et  sic  ipsnm  Deom 
finitnm;  ira  enim  Dei  est  ipse  Deus;   homi- 
nes 800  et  900  annornm,   iter  bestiarnm  in 
area  Noae ,  tnrris  Babelis ,  oonfnsio  lingna- 
mm^  etc.  Haec  et  mille  alia  [inspicienti]  li- 
bertine, non  possnnt  non  [videri]  similia  fa- 
bnlis,  Rabbinoram  potissimnm,  quia  et  gens 
Judaica  ad  fabalas  pronissima  est:  nee  om- 
nino  disconvenientia  loqui  Ovidios ,  [  Vedas] 
Sinensium,  et  Indorum  Bramines,  qui  pnlchram 
filiam,   ex  ovo  natam  mnndnm  peperisse  et 
similia   fabnlantnr.  In    specie    autem   Moses 
impingere  videtnr,  qnod  Denm  sibi  contradi- 
centem  stiterit:   scilicet  omnia  bona    erant, 
et  tamen  non  erat  bonnm,  Adamnm  esse  so- 
lum. Unde  sequitur,  qnod  aliqoid  extra  Ada- 
mum    fuerit,    quod  non  erat  bonum,  atque 
adeo  bonitati  Adami  nocere  poterat,   quum 
tamen  et  ipsa  solitude  Adae  esset  opus  Dei, 
quia  ille  non  solum  essentiarum,  sed  et  qua- 
litatum  bonitatem  creaverat;  bona  enimerant 
omnia  in  ea  qualitate,  in  qua  Deus  ea  crea- 
verat, 


IMPOSTORIBUS 


37 


Argmnentor 

Quicquid  a  Deo  est  concreatum  opns^  id 
non  potest  non  esse  bonum, 
Atqui  solitudo  Adami,  etc.  Ergo,  etc. 

I)  Qui  stadium  genealogiarum  V.  T.  af- 
fectant,  multas  difficultates  in  Mose  inveninnt. 
Jam  non  omnes  proponemus :  hoo^  unico  sal- 
tern exempto,  quod  Paulus,  I  Tim.  1,  4,  do- 
cuerit,  genealogias  esse  inutiles,  et  earum 
studium  infructuosum,  immo  cavendum.  Cui 
ergo  Usui  tot  actu  distinctae,  immo  toties  re- 
petitae  Mosis  genealogiae?  et  suspicionis  sin- 
gulare  exemplum  ad  mininum  corruptelae  vel 
compilatorum  inadvertentiae,  in  uxoribus  Esa- 
yi  et  earum  diversa  enarratione  adesse. 


UXORES  ESAVI. 


Genes.  XXVI, 
34. 

Judith,  filla  Be- 
rith  HethitsB. 

Basmath,  fllia  E- 
lon  HethitsB. 


Genes.  XXVIII, 
9. 

Mahalaad  ,  filia 
Ismaelis,  sorer 
"Nabajoth,  quae 
ultra  duasprio- 
res  illis  addi- 
tur. 


Genes.  XXXVI, 
2. 

ADA.flliaElonHe- 

thltSB. 

Ahalibama  c.  I. 
Basmath,  filia  I- 

smaelis,  soror 

Nabajoth. 


Quod  Ada  est  Genes.  XXXVI.,  id  Basmath 
dicitur  Genes.  XXVI.,  scilicet  filia  Elonis  He- 
thitae;  et  quod  Basmath  est  Genes.  XXXVI., 
id  Mahalaad  dicitur  Genes.  XXVIII. ,  sci- 
licet soror  Nabajoth:  cum  tamen  Mahalaad 
loco  dicto  Genes.  XXVIII.,  dicatur  esse  ducta 
post  Juditham  et  Basmatham  Genes.  XXVI., 


88  DB  TBIBU8 

praecedenti  nominatas.  Harum  conciliationem 
nondnm  video;  atqne  haec  et  similia  aagent 
snspicionem^  scripta  Mosis^  quae  habemas,  a 
compilatoribus  esse  constrncta^  et  quondam 
in  scribendo  errores  irrepsisse. 

Uitimum  tandem,  quod  in  Mose  argni  po- 
test, est  nimia  ilia  taatologia  et  inntilis  re- 
petitio  y   eaqne  semper  variata ,  quasi  ex  di- 
yersis  autoribus  diversa  loca  congesta  sint 
II)  Ut  et  aliorum  testimonio  Moses  suspi- 
cione  arguatur,  nee  inimicorum  tantom, 
sed  et  eorum  qui  se  ejus  successores  et  as- 
seclas  aperte  professi  sunt.  Atque  ea  esse 

1)  Petri,  Act.  xv,  10,  leges  Mosis  ju- 
gum  insupportabile  vocantis,  atque  proin 
aut  Dens  erit  tyrannus,  quod  absit,  aut 
Petrus  loquitur  falsa,  aut  leges  Mosis 
non  sunt  divinae. 

2)  Pauli  semper  de  legibus  Mosis  ab- 
jecte  loquentis,  quod  non  faceret,  si 
eas  pro  divinis  haberet.  Sic,  Gal.  iv. 
eas  Yocat: 

a)  Captivitatem,  v.  3,  4.  Quis  autem 
leges  Dei  ita  vocaverit? 

6)  Miserabilia  praecepta,  y.  9. 

c)  V.  30.  Scribit:  Abige  ancillam  cum 
filio  suo  Hagar.  Anoilla  est  testamentum 
de  Monte  Sinai,  quod  est  lex  Mosis,  se- 
cundum V.  24.  Quis  autem  toleraret 
istam  locutionem:  Expelle  legem  Dei 
una  cum  filiis  suis  et  sectatoribus;  quam- 
vis  ipse  Paulus,  quae  hie  et  capite  se- 
quenti  Gal.  y.  2,  3^  asserit^  non  served 


IMPOSTORIBUS  89 

Timothenm  circum  ducendo,  Act.  xvi.  2. 

£)  Legem  litteram  mortnam  vocat,  et 

quae  non  alia  sapersant    praedicata    II 

Cor.  III.  6,  10  seq.  Item  quod  non  ha- 

beat  claritatem  dignam  aestimatn^  v.  10. 

Qnis  haec  de  sanctissima  Dei  lege  diceret^ 

si   aeqne  divina  ac   est  Evangelinmy  aeqna-. 

lem  claritatem  habei*e  debet^  etc.? 

Testimonia  eorum^    qui    extra   Ecclesiam 
Judaicam  yel  Christianam  sunt. 


TANTUM  ! 


41 


SCRITTI  GIUSTIFICATIVI<^\ 


mm  MORNO  AL  MnATO 
DE   TRIBUS  IMPOSTORIBUS 


Da  lunga  pezza  si  disputa  se  vi  sia  stato  veramente 
un  libro  stampato  col  titolo:  De  tribus  Impostoribus. 

II  signor  de  La  Monnoye,  venuto  a  notizia  che  un 
dotto  della  Germania  (^)  voleva  pubblicare  una  dis- 
sertazione  per  provare  che  fu  realmente  stampato 
un  libro  intitolato :  2>^  tribus  Impostoribus,  scrisse  ad 


(1)  Eccetto  r  ultimo,  i  seguenti  scritti  giustifica- 
tivi  si  trovano  aggiunti  a  diverse  edizioni  del  Traits 
des  trqis  Imposteurs  (francese) ;  libro  il  quale  (come 
M  osserva  nella  Notizia)  non  e  per  nulla  aflftttto  la 
Jraduzione  der.Xe^^r  d<;  tribus  Impostoribus. 

(2)  Daniele  Giorgio  Morhof,  morto  il  80  giugno  1091 
»:;uz'aver  mantenuto  parola. 


42  BORITTt 

un  suo  amico  UBa  lettera,  colla  quale  intendeva  pro- 
vare  il  contrario :  questa  lettera  fu  comunicata  dal  si- 
gnor  Bayle  al  signer  Basnage  de  Bauval  che  nel  feb- 
braio  del  1694  ne  diede  un  estratto  nella  sua  Istors 
delle  opere  dei  dotti.  In  appresso ,  il  signor  de  U 
Monnoye  scrisse  intorno  a  questa  materia  una  dis- 
sertazione  pid  diffusa  in  un*altra  lettera  del  16  giugu 
1712  da  Parigi,  diretta  al  signor  presidente  Bouhiez; 
nella  quale  egli  assicura  che  si  trovera  una  bre^ 
storia  quasi  completa  di  quel  famoso  libercolo. 

In  primo  luogo  egli  rigetta  1*  opinione  di  colon 
che  attribuiscono  codesto  scritto  alPimperatore  Fe- 
derico  I.  Questa  falsa  accusa  derivd  da  un  passo  di 
Grozio  neirappendice  al  trattato  De  Antichristo,  ch« 
suona  come  qui  appresso : 

Librum  de  tribus  Impostoribus  absit  ut  Papa  tribuam 
aut  Papa  oppugnatoribus ;  jam  olim  ifdnUH  Fredetid 
Barbarossa  Imperatoris  fanum  sparserant   libri  U' 
lis,  quasi  jussu  ipsius  scripti,  sed  ab  eo  ten^ore,  nem 
est  qui  viderit;  quare  fabulam  esse  arbitror.  Citaziooe 
riportata  da Colomiez  nelle Melanges  historiques ^^ 
Ma  contiene  due  errori,  egli  aggiunge:  I,  non  fi 
giii  Federico  I  Barbarossa  che  altri  spacci6  come  an- 
tore  di  questo  libro ,  ma  Federico  II ,  suo  nipote, 
come  appare  dalle  lettere  di  Pier  delle  Vigne  suo 
segretario  e  cancelliere,  e  da  Matteo  Paris,  i  quali 
riferiscono  che  fu  accusato  d'aver  sostenuto  che  il 
mondo  fu  ingannato  da  tre  impostori;  ma  non  gik  di 
aver  composto  un  libro  con  questo  titolo.  Oltraceid 
quest'  imperatore  neg6  gagliardamente  d*  aver  mai 
detto  tal  cosa.  Egli  abbomin6  la  bestemmia,  che 
gli  avevano  apposta,  dichiarandola  atroce  calun- 
nia ;  di  sorte  che  Lipsio  ed  altri  scrittori  lo  condan- 


GIUSTHlOATm  43 

narono  a  torto  senza  avere  abbastanza  esaminate  le 
sue  difese. 

Averroe,  quasi  un  secolo  prima,  s*era  beffato  delle 
tre  religioni,  ed  avea  detto  che  (1)  la  religione  giu- 
daica  era  una  legge  da  bimbi,  la  crUtiana  una  legge 
impossibiUy  e  la  maomettana  una  legge  da  porci. 

In  appresso  parecchi  scrissero  con  grande  liberta 
intorno  alio  stesso  soggetto. 

In  Tommaso  de  Catimpre  si  legge  che  un  cotal 
maestro  Simone  de  Tournay,  diceva  che  tre  sedut- 
tori,  Mose,  Gesd  Cristo  e  Maometto,  colle  loro  dot- 
trine  avevano  infatuate  il  genere  umano.  Cestui  e 
probabilmente  quel  maestro  Simone  de  Tournay, 
del  quale  Matteo  Paris  racconta  un' altra  empietii; 
quelle  stesso  che  Polidoro  Virgilio  chiama  de  Tur- 
wai,  nomi  entrambi  corrotti. 

Fra  i  manoscritti  della  biblioteca  del  signer  abate 
Colbert,  comperata  dal  re  nel  1732,  se  ne  trova  uno 
che  porta  il  numero  2071,  scritto  da  Alvaro  Pelage, 
francescano  spagnuolo,  vescovo  di  Salves  ed  Algarve, 
conosciuto  pei  suoi  libri  De  Planctu  Scclesim  ;  rife- 
risce  come  un  tale ,  chiamato  Scotus ,  cordigliere  e 
domenicano,  tenuto  prigione  a  Lisbona  per  diverse 
empieta,  avesse  parimente  tacciati  d'  impostura  Mose, 
Cristo  e  Maometto,  dicendo  che  il  prime  ingannd  gli 
Ebrei,  il  secondo  1  Cristiani,  ed  il  terzo  i  Saraceni. 
Dissemnavit  iste  impius  hareticus  in  Eispania  ( sono 
parole  d'Alvaro  Pelage)  Quod  tres  deceptores  fuerunt 
in  mundo ,  scilicet  Moi'ses  qui  deceperat  Judaos ,  et 
Chriitus  qui  deceperat  christianos  et  Mahometus  qui  de^ 
cepit  Sarracenos. 

(1)  Apud  Nevizanum  I,  Sylv®  nupt.  2,  n.  121. 


-^     .  -i 


44  SCBITTI 

II  buon  Gabriele  Barlette,  in  un  sermone  di  sant*An* 
drea  fa  dire  a  Porfirio  cid  che  segue:  Bt  sic  falsa 
est  Porphyrii  sententia^  qui  dixit  tres  fuisse  ffarru  la- 
tores  qui  totum  mundum  ad  se  converterunt ;  primus 
fuit  MoXses  in  populo  judai'co^  secundus  Mahometus. 
tertius  Christus.  Bella  cronologia,  che  mette  Criato 
e  Porfirio  dopo  Maometto! 

I  manoscritti  del  Vaticano,  citati  da  Odorico  Ral- 
noldo,  tomo  19  degli  Annali  ecclesiastici,  fanno  men* 
zione  d'un  Giovannino  de  Solcia,  canonico  di  Berga- 
mo, dottore  in  diritto  civile  e  canonico,  nel  decreto 
di  Pio  II  chiamato  latinamente  Javinus  de   Solda^ 
condannato  il  14  novembre  1459  per  aver  sostenuto 
Tempietli,  che  Mose,  Cristo  e  Maometto  aveTano 
governato  il  mondo  a  loro  capriccio :  mundum  pro 
suarum  libito  volv/ntatum  rexisse.  Giau  Luigi  Vivaldo 
de  Mondovi,  che  scrisse  nel  1506,  del  quale,  fra  le 
altre  opere,  venne  fino  a  noi  un  trattato  De  duode- 
dmpersecntiotdbusEcclesiCB  Dei^  nel  capitolo  della  sesU 
persecuzione,  dice  come  vi  fossero  alcuni,  i  quali  osa- 
yano  disputare  quale  sia  stato  piCl  seguito  fra  i  legis- 
latori,  Cristo,  Mose  o  Maometto :  Qui  in  qumstionen 
vertere  prasumunt^  dicentes:  Quis  in  hocmundo  majo- 
rem  gentium  aut  populorum  sequelam  habuit,  an  Ckri- 
stus,  an  MoXses^  an  Mahometus? 

Arminio  Ristwyk  olandese,  abbruciato  all* Ala  nel 
1512,  si  burlava  della  religione  ebrea  e  della  cristiana: 
non  si  dice  che  dicesse  della  maomettana;  ma  un 
uomo  che  trattava  da  impostori  Mose  e  GesCi  Cristo, 
poteva  avere  miglior  opinione  di  Maometto? 

Similmente  si  deve  pensare  deirautore  sconosciuto 
delle  empietii contro  Gesd  Cristo,  trovate  a Ginevra 
nel  1547  fra  le  carte  di  un  mentovato  Gruet.  Un  ita- 


GlUSTIPICATIVI  45 

liano,  chiamato  Fausto  da  Longiano,  imprese  a  scri- 
vere  un*  opera  intitolatail  Tempio  delta  veritd^  nella 
quale  pretendeva  niente  meno   che  di  distruggere 
tutte  le  religioni.  —  Ho  posto  mano  (cosi  egli)  a 
un' altr' opera  iutitolata  //  Tempio  della  Veritdy  con- 
cetto bizzarro  che  forse  dividerd  in  trenta  libri ;  in 
essa  si  distruggono  tutte  le  sette,  la  ebrea,  la  cri- 
stiana  e  la  musulmana,  come  anco  le  altre  religioni; 
pigliando  tutte  queste  cose  dalla  prima  loro  scaturi- 
gine.  —  Ma  fra  le  lettere  dirette  dall'Aretino  a  que- 
sto  Fausto,  non  se  ne  trova  pur  una,  dove  s'accenni 
a  quest*  opera ;  pud  darsi  che  non  sia  mai  stata 
condotta  a  fine ,  e  quando  lo  fosse ,  e  fosse  uscita 
alia  luee,  era  fur.se  bon  altra  da  quella  di  cui  si 
tratta  e  di  cui  si  pretende  vi  sia  una  traduzione 
tedesca ,  stampata  in  foglio ,  della  quale  rimangono 
ancora  alcuni  esemplari  nelle  biblioteche  della  Ger- 
mania.  Claudio  Beauregard,  in  latino  Berigardus, 
professore  di  filosofla,  prima  a  Parigi,  indi  a  Pisa, 
e  finalmente  a  Padova,  cita  o  indica  un  passo  del 
libro  Dei  tre  Impostor i,  iiol  quale  i  miracoli  da  Mose 
fatti  in  Egitto,  sono  attribuiti  alia  superiorita  del 
suo  demonio ,  sopra  quello  dei  magi  di  Faraone. 
Giordano  Bruno ,  abbruciato  a  Roma  il  17  febbraio 
1600,  fu  accusato  d'avcr  asserto  qualche  cosa  di  si- 
mile. Ma  dairaver  Beauregard  e  Bruno  messo  fuori 
simili  sogni,  e  stimato  opportune  citarli  come  tratti 
dal  libro  dei  tre  Impostori ,  si  potra  inferire  con 
certezza  che  essi  poi  abbiano  letto  questo  libro? 
Essi  senza  dubbio  ce  Tavrebbero  fatto  conoscere 
meglio,  e  avrebbero  detto  se  era  manoscritto  o  stam- 
pato,  in  qual  luogo,  e  di  chegrandezza. 

de  tfibttS  ImpostoHhus.  8 


46  SOBITTI 

Tentzelius,  sulla  fede  d*uno  dei  suoi  amici,  pretesoj 
testimonio  di  veduta,  fa  la  descrizione  del  libro,  s] 
ciflcando  perflno  11  numero  (otto)   dei  fogrli  o  qua- 
derni;  e.nel  terzo  capitolo,  volendo  provare    cIk' 
rambizione  dei  legislatori  e  Tunica  fonte   di   tuttc 
le  religion!,  adduce  ad  esempio  Mose,  Cristo  e  Mao- 
metto.  Struvius  suirautoritH  di  Tentzelius  riferis<?f 
lo  stesso  particolare,  e  nulla  trovandovi  cui  la  fin- 
zione  non  possa  inventare,  non  parve  punto   pic 
disposto  a  credere  alia  esistenza  del  libro. 

II  giornalista  di  Lipsia  ne'  suoi  Acta  eruditarum  dd 
mese  di  gennaio  1709,  p.  3o  e  37,  pubblica  un  estratto 
di  lettera,  della  quale  ecco  il  senso:  Trovandomi  m 
Sassonia,  nel  gabinetto  di  JIf***  mi  venne  veduto  il  li- 
bro dei  tre  Impostori,  S  un  volume  latino  inS,  senzA 
indizio  ni  del  nome  dello  stampatore ,  nS  del  tempo  im 
cui  fu  stampato  il  libro ,  che  dai  caratteri  par  fatio 
in  Germania;  ebbi  un  ^elVadoperare  tutti  gli  imagina- 
bill  pretesti  per  ottenere  il  permesso  di  leggerlo  per 
intero;  il  padrone  del  libro ^  uamo  di  specchiata  pieta, 
non  ci  voile  mat  a^cconsentire ,  e  seppt  perfino  che  «« 
celebre  pro/essore  di  Wirtemberg  per  averlo  gli  of- 
ferse  una  grossa  somma.  Sssendomi  recato  non  molto 
dopo  a  Norimberga ,  intrattenendomi  un  giomo  in- 
torno  a  questo  libro  col  signor  Andrea  Mylhdorp,  uotm 
venerando  per  etd  e  per  dottrina,  mi  con/essb  di  buona 
fede  d' averlo  letto,  e  d'aurlo  avuto  inprestito  dal  mi- 
nistro  Wlfer;  dal  modOy  ond'egli  mi  descrisse  la  cosa, 
giudicai  che  era  un  escmplare  affatto  simile  al  precc- 
dente;  dal  che  conclusi  che  fosse  fuor  di  dubbio  il  libido 
in  discorso;  nessun'altro  che  non  sia  in-^^  e  di  si  tec- 
ckia  data,  pub  essere  il  vero.  L'autore  di  questo  libro 
avrebbe  potuto  e  dovuto  somministrarci  maggiori 


6HU8T1PICAT1VI  47 

Bchiarimenti ;  poiche  non  basta  il  dire  ho  veduto, 
bisogna  far  vedere  e  dimostrare  che  si  e  veduto; 
diversamente  cid  non  avri  maggior  autenticiti  d'un : 
udii  a  dire ;  al  che,  da  ultimo,  si  riducono  tutti  jg\i 
autori  fin  qui  nominati. 

II  primo  che  abbia  parlato  del  libro  come  esistente 
nel  1543,  fu  Guglielmo  Postel  nel  suo  trattato  della 
conformity  del  Corano  coUe  dottrine  dei  luterani  o 
degli  evangelici,  ch*  egli  chiama  An^vangHistes^  e  si 
sforza  di  rendere  invise,  tentando  di  dimostrare  co» 
me  il  luteranesimo  conduca  diritto  all'ateismo:  in 
prova  cita  tre  o  quattro  libri  composti,  a  suo  dire,  da 
atei,  ch*egli  dice  essere  stati  tra  i  primi  settarj  del 
preteso  nuovo  evangelo.  Id  arguit  ne/arius  tractatvB 
Villanovani  De  tribus  Prophetis^  Cymbalwn  mundi,  Pan^ 
tagruelus  et  Novue  insulae,  qmnm  autores  erant  aneran- 
gelistartm  antesignani*  Questo  Villanovanus^  cui  Postel 
dice  autore  del  libro  Dei  (re  Impostori,  d  Michele 
Serveto,  flgliuolo  d*un  notaio,  il  quale,  nato  nel  1509 
a  Villanova  nell'Aragona,  assunse  il  nome  di  Villa" 
novanus  nella  prefazione  che  prepose  alia  Bibbia  da 
lui  fatta  stampare  a  Li  one  nel  It42  presso  Ugo  de  la 
Porte;  in  Francia  prese  ilnome  di  Villeneuve,  sotto 
il  quale  fu  processato,  dopo  che  fece  stampare  nel 
1553  a  Vienna  nel  Delflnato,  lo  stesso  anno  della  sua 
morte,  il  libro  intitolato  Christianism  restitutio^  li- 
bro divenuto  rarissimo  per  la  cura,  con  cui  a  Ginevra 
ne  furono  raccolte  le  copie  per  darle  al  fuoco;  ma 
in  nessun  catologo  dei  libri  di  Serveto  non  ci  vien 
fatto  trovare  il  libro  De  tribus  Impostoribus,  Nessuno 
dei  difensori  del  partito  degli  Ugonotti,  che  scris- 
sero  contro  Serveto ,  non  Calvino ,  non  Beza,  non 
Alessandro  Moro  t  per  q^uanto  lore  inxportasse  dit 


giustiflcare  il  suo  suppiizio  e  di  eonvincerlo  d'aver 
Comtiosto  questo  libro,  ebbe  ad  accusarlo  di  cid. 
f  dstel  ei  gesuita  fa  il  primo  a  far  tanto  Benza  ap- 
pog-griarsi  a  teruna  autoriti. 

Florlmondo  de  Remond,  consigliere  al  Parlamento 
dl  Bordeaul,  scrlsse  positivamente  d'arer  reduto 
detto  libro  stampato.  Ecco  le  sue  parole :  m  Qiaeopc 
Curio  nella  sua  cronologia  deiranno  1556,  dice  che  ii 
Paiatinato  si  riempiva  di  eerti  irrisori  della  religionf 
detti  Lucianisti,  i  quali  avevano  in  conto  di  favola 
1  libri  santi,  massime  quelli  del  grande  legislatore  di 
Dio,  Mose:  non  si  e  perflao  veduto  un  libro  scritto 
in  Germania,  benche  stampato  altrove,  nel  tempo 
appunto  che  r  eresia  faceva  le  sue  maggnori  proTe, 
seminare  questa  dottrina  formulata  col  titolo  DHirt 
Imposiori  ecc;  burlandosi  di  tre  religioni,  cbe  sole 
riconoscono  il  vero  Dio,  la  ebrea,  la  cristiana  e  li 
maomettana?  il  solo  titolo  mostra  qual  fosse  il  secolo 
cbe  lo  vide  nascere  e  che  ardi  produrre  libro  si  em- 
pio.  lo  non  ne  avrei  tampoco  parlato,  se  Oslo  e 
G6nebrard  non  Tavessero  fatto  prima  di  me.  Mi  ri- 
cordo  che  nella  mia  iufanzia  ne  Tidi  una  copia  nel 
coUegio  di  Presle,  fra  le  mani  di  Ramus,  uomo  ab- 
bastanza  notevole  pel  suo  eminente  sapere;  egli 
imbroglid  la  sua  mente  fra  le  investigazioni  dei  se- 
creti  della  religione,  ch*egli  indagava  fllosoflcamente. 
Questo  cattivo  libro  si  faceva  passare  di  mano  in 
mano  fra  i  piii  dotti  desiderosi  di  vederlo.  « 

O  cieca  curiosititl  Tutti  conoscono  Florimondo 
de  R^mond  per  un  autore  di  poca  vaglia,  del  quale 
comunemente  si  dicevano  tre  cose  notevoli:  Aedijlca- 
bat  sine  pecunia,  judicadat  si$te  conscientia,  scnbeM 
sine  scientia*  &  noto  eziandio  eh'  egli  sorente  prestd 


^        61TJSTIFICATIVI  49 

ii  suo  liome  ai  padre  Richeaume  gesuita,  il  quale 
(il  suo  essendo  odiatlssimo  dai  protestanti)  si  co- 
priva  del  nome  del  consigliere  di  Bordeaux.  Ma 
86  Oslo  e  Genebrard  ne  parlassero  con  franchezza 
pari  a  quella  di  Florimondo  di  Remond ,  vi  e  ra- 
gione  di  dubitare:  ecco  ci6  che  ne  dice  Genebrard 
a  pagina  39  della  sua  risposta  a  Lamberto  Danau, 
stampata  in-8  a  Parigi  nel  1581 :  Non  Blandratum, 
non  Alciatum,  non  Ochinum^  ad  mahometismum  impule- 
runt:  non  Valleum  ad  atheismi  pro/essionem  induxe- 
runt :  non  alium  quemdam  ad  spargendum  libellum  De 
tribus  ImpostoribuB^  quorum  secundus  esset  Christus 
Dorninus^  duo  alii  Moises  et  Mahometes,  pellexerunt. 
Ma  cosi  e  egli  abbastaoza  specificate  quest*  empio 
libro,  e  G6nebrard,  dice  egli  forse  d'averlo  veduto? 
e  sarebbe  egli  possibile  che,  se  fosse  realmente  esi- 
stito,  oggi  non  se  ne  possa  avere  piii  certa  notizia? 
Ben  si  sa  quante  menzogne  si  sieno  sparse  in  tutti 
i  tempi  intorno  a  diversi  libri,  cui  non  si  e  mai  po- 
tuto  trovare,  benchd  molti  abbiano  attestato  d^averli 
yeduti,  e  persino  palesato  il  luogo  dove  furono  loro 
comunicati. 

Si  sostenne  che  il  libro  Dei  tre  Impostori  si  tro- 
vasse  nella  biblioteca  del  signer  Salvius  plenipoten- 
ziario  di  Svevia  a  Munster;  che  la  regina  Cristina 
non  abbia  volute  richiedemelo  mentre  viveva;  ma 
come  prima  riseppe  la  sua  morte,  abbia  mandato 
il  sigDor  Bourdelot  suo  prime  medico  a  pregare 
la  vedova  di  soddisfare  alia  sua  curiosita;  se  non 
che  questa  rispose  che  V  infermo ,  preso  da  rimorsi 
la  vigilia  della  sua  morte,  aveva  fatto  gettare  quel 
libro  sul  fuoco  nella  propria  stanza.  In  quel  torno 
Cristina  fece  cercare  con  cura  11  Colloquium  hepta- 


So  SORITfl 

plomeres  di  Bodino ,  manoscritto  allora  rarissinio: 
dopo  lunghe  ricerche  arrivd  finalmente  a  troTarlo:  P 
ma  per  quanto  desiderio  abbia  avuto   di  vederc  il 
libro  De  tribus  Impostoridus,  per  quante  ricerche  nf 
abbia  fatte  in  tutte  le  biblioteche  d*Suropa,  e^t 
mori  senza  aver  potuto  disseppellirlo.  Non  si  po- 
trebbe  concludere  ch'  esso  non  esisteva?  Senza  di 
Che  le  cure  della  regina  Cristina  avrebbero   infalli- 
bilmente  scoperto  un  libro,  che  Postel  dichiara  es- 
sere  comparso  nel  1543,  e  Florimondo  de  Remond  nd 
1556.  Altri  in  seguito  hanno  assegnate  altre  epoche. 
Nel  1654GiambattistaMorino,  celebre  medico  ema- 
tematico,  sotto  il  nome  di  Vincenzo  Panurgio,  scrisse 
una  lettera  che  diresse  a  s6  medesimo :  VincentH  Pit- 
nurgii  epistola  de  tribus  ImpostcHbus,  ad  clarissimtm 
virum  Joannem-Baptistam  Morinum  medicum,  I  tre  im- 
postori,  a  cui  allude,  sono  Gassendi,  Naude  e  Bemier, 
cui  con  questo  titolo  vuol  rendere  odiosi.  Cristiano 
Kortholt  nel  1680  diede  il  titolo  De  tribus  Imposto- 
ribu9  al  suo  libro  contro  Herbert,  Hobbes  e  Spinosa, 
e  nclla  sua  prefazione  dice  che  s'era  veduto  il  vero 
trattato  del  tre  Impostori  fru  le  mani  d'un  libraio  di 
Basilea:  a  tal  segno  s'abusd  di  questo  titolo  contro 
i  propri  avversarj,  e  a  tal  segno  domind  la  credu- 
lity de*  semidotti,  i  quali  vengono  pigliati  dalPappa- 
renza,  senza  altra  disamina.  Poiche,  posto  che  questo 
libro  sia  veramente  esistito,  e  possibile  che  nessuno 
rabbia  confutato,  come  del  resto  si  fece  col  libro  dei 
Preadamitl  di  de  La  Peyr6re»  cogli  scritti  di  Spinosa, 
coUa  stessa  opera  di  Bodiuo?  11  Colloquium  heptaplo- 
meres^  benche  manoscritto,  fu  perd  confutato.  II  li- 
bro De  tribus  Impostoribus  meritava  maggior  grazia? 
Donde  deriva  che  non  fu  censurato  e  messo  all*in- 


GIUSTIPICATIVI  51 

dico?  Perchd  non  fu  abbruciato  dalla  mano  del  car- 
neflce?  I  libri  contro  i  buoni  costumi  qualche  volta 
sono  toUerati,  ma  quelli  che  attaccano  si  gagliarda- 
mente  il  fondamento  della  religione,  non  restano 
mai  impuniti.  Florimondo  de  Remond  che  asserisce 
d'aver  veduto  quel  libro,  affettd  di  dire  che  allora 
era  fanciullo,  et&  idonea  a  scrivere  i  racconti  delle 
fate;  egli  cita  Ramus  morto  trent'anni  prima,  e 
che,  conseguen^emente,  non  poteva  piCl  convincerlo 
di  menzogna;  cita  Osius  e  Genebrard,ma  con  pa- 
role vaghe,  senza  indicare  il  passo  delle  loro  opere. 
Dice  che  si  faceva  passar  di  mano  in  mano  questo  li- 
bro, che  invece  si  sarebbe  dovuto  tcner  sotto  chiave. 
Si  pud  opporre  eziandio  questo  passo  di  Tommaso 
Browne,  del  quale  seguono  qui  appresso  le  parole, 
parte  I,  sezione  19  del  suo  libro  intitolato :  Religio 
mecUci,  tradotto  dairinglese  in  latino  da  Giovanni 
Merrivheater:  Monstrum  illud  hominis^  diis  inferis  a 
secretis  scelus,  nefarii  illius  tractatus  de  trilms  Tmpo- 
storilms  author  quantumtis  ab  omvi  religione  alienuSy 
adeo  ut  nee  judaus,  nee  turca,  nee  christianus  fuerit, 
plane  tamen  atheus  non  erat.  Dal  che  s*  inferira  che 
bisognava  aver  veduto  il  libro  per  giudicar  cosi  del- 
I'autore.  Ma  Browne  non  parla  in  tal  modo,  se  non 
perche  Bernardino  Ochino,  il  quale,  secondo  lui,  co- 
me nota  con  un  asterisco,  fu  autore  di  questo  libro, 
era  piuttosto  deista  che  ateo,  ed  ogni  deista  piii 
provveduto  di  spirito  che  di  lettere  e  capace  di  con- 
cepire  ed  eseguire  pari  disegno.  Moltkius,  nella  sua 
nota  a  questo  passo  di  Browne,  non  afferma  gia,  e 
con  ragione,  che  questo  libro  sia  di  Ochino,  poiche 
si  vuole  che  sia  stato  composto  in  latino,  e  Ochino 
non  iscrisse  che  in  italiano:  inoltre,  dove  si  fosse 


53  SOBim 

nutrito  il  sospetto.ch'egli  avesse  aynto  mano  im  si- 
mile scritto,  i  suoi  nemici,  che  hauno  fatto  tanto  fr»-  : 
casso  per  alcuni  suoi  dialoghi  che  toccarono  la  Tri- 
nitit  6  la  poligamia,  non  gli  avrebbero  mai  perdo- 
nato  il  libro  Dei  tre  impostori.  Ma  come  accordan 
Browne  e  Genebrard  che  trattano  Ochino  da  mao- 
mettano,  e  dicono  che  non   fu  settario  ne  di  Mose 
ne  di  Gesii  Cristo,  ue  di  Maometto  ?  Quante  contrt- 
dizioni! 

Naude,  per  un  ridicolo  disprezzo,  credette  che 
questo  trattato  Dei  tre  Impostori  fosse  d'Arnaldo  ds 
Villanova  scrittore  grossolano  e  barbaro;  Ernstiu5 
dichiara  d*aver  udito,  trovandosi  a  Roma,  dalla  bocca 
,  del  Campanella,  che  fu  opera  del  Mureto,  scrittore 
molto  castigato  e  molto  buon  latinista,  posteriore  di 
piii  che  due  secoli  ad  Amaldo  di  Villanova ;  ma  con- 
vien  dire  che  Ernstius  sMnganni,  e  che  il  Campa- 
nella  abbia  mutato  parere,  poiche  nella  prefazione 
del  suo  AtJieismus  triumphatus,  e  ancora  piu  espressa- 
mente  nella  questione  De  genttlismo  non  retinendOt 
egli  dice  che  Topera  era  provenuta  dalla  Germania, 
0  bisogner&  supporre  che  solo  I'edizione  fosse  di  Ger- 
mania,  ma  che  la  composizione  era  del  Mureto;  il  che 
e  pienamente  contrario  a  quanto  dice  di  sopra  Flori- 
mondo  di  Remond,  che,  cioe ,  il  libro  fu  scritto  in 
Germania,  benche  stampato  altrove:  ma  il  Mureto 
fu  accusato  a  torto ,  e  non  dovrebbe  aver  tampoco 
bisogno  d'apologia.  Si  argomentd  della  sua  religione 
dai  suoi  costumi.  Gli  Ugonotti  stizziti  contro  colore 
che,  avendo  appoggiate  le  loro  dottrine ,  le  abban- 
donarono  poi  irrevocabilmente,  non  lo  risparmiarono 
mica  all'  occasione ;  Beza,  nella  sua  storia  ecclesia- 
stica,  gli  appone  due  colpe,  la  seconda  delle  quali  d 


GIUSTIPICATIVI  58 

I'ateismo.  Giuseppe  Scaligero,  irritato  contro  di  lui 
per  una  quistioncella  d*erudizione,  non  gli  resemag- 
giore  giustizia.  II  Mureto,  diss'egli  maliziosamente, 
sarebbe  il  miglior  cristiano  del  mondo,  dove  cre- 
desse  in  Dio  si  bene  come  persuade  che  bisogna 
crederci :  di  qui  derivarono  i  cattivi  sentimenti  sorti 
contro  il  Mureto,  in  luogo  d*aver  riguardo  alia  pietii 
esemplare  di  cui  diede  ediflcanti  prove  negli  ultimi 
anni  della  sua  vita ;  e  si  pensO  d'offuscarla  cinquan- 
t*anni  dopo  la  sua  morte,  per  un  sospetto  ignoto  ai 
Buoi  nemici  piii  dichiarati,  e  dal  quale  e  cosa  certa 
che  non  fu  preso  di  mira  mentre  visse. 

Compilatori  idioti,  privi  d*ogni  princjpio  di  crl- 
tica,  involsero  nella  medesima  accusa  il  primo  che 
loro  si  presentasse  segnato  dal  menomo  indizio:  uno 
Stefano  Dolet  d*Orleans,  un  Francesco  Pucci  di  Fi- 
renze,  un  Giovanni  Milton  di  Londra,  un  Merula,  falso 
maomettano;  v*han  perflno  mescolato  Pietro  Aretino, 
senza  considerare  ch'  egli  era  ignorantissimo,  senza 
studio,  digiuno  di  lettere,  e  che  non  conosceva  che 
la  lingua  materna ;  ma  perche  n'udirono  parlare  co- 
me di  scrittore  molto  ardito  e  licenzioso,  si  pensarono 
di  farlo  autore  di  questo  libro.  Per  la  stessa  ragiona 
si  accusa  il  Poggio  ed  altri ;  si  risale  fino  al  Boccac- 
cio, per  fermo  a  cagione  della  terza  novella  del  De- 
camerone,  dove  e  riferita  la  parabola  dei  tre  anelli, 
della  quale  si  serve  per  fare  una  molto  dannosa  ap- 
plicazione  alia  religione  giudaica,  alia  cristiana  ed 
alia  maomettana,  quasi  voglia  insinuare  che  si  pud 
abbracciare  indiflferentemente  una  delle  tre,  non  sa- 
pendo  a  quale  concedere  la  preferenza.  Non  si 
dimenticd  nemmeno  il  Machiavello  e  Rabelais  no- 
minati  da  Decker ;  e  V  Olandese ,  che  tradusse  in 


54  SCRITTI 

francese  il  libro  della  Religione  del  medico  Browne,    1 1 
nelle  sue  note  al  capitolo  20,  oltre  al  Machiavello 
nomina  anco  Erasmo. 

Ck)n  minore  stranezza  si  potrebbe  uniryi  il  Pom- 
ponaccio  e  11  Cardano.  II  Pomponaccio  nel  capitolo 
14  del  suo  trattato  ^QWImmortalUd  delVamnut^  ragrio- 
nando  da  semplice  filosofo,  e  prescindendo  dalle 
credenze  cattoliche,  alle  quali  sul  flnire  del  suo  li- 
bro protesta  solennemente  di  sottoporsi ,  ardi  di- 
chiarare  che  la  dottrina  deirimmortalit&  dell'anima 
fu  introdotta  da  tutti  i  fondatori  di  religion!  per  te- 
nersi  i  popoli  soggetti;  per  la  qual  cosa  o  tutto  il 
mondo  o  la  piu  gran  parte  fu  pigliato  a  gabbo :  poi- 
che,  aggiunge,  lo  suppongo  che  non  si  dieno  che  tre 
religion!,  quella  di  Cristo,  di  Mose  e  quella  di  Mao- 
metto;  ora  se  tutte  e  tre  sono  false,  ne  viene  che 
tutto  il  mondo  fu  ingannato.  Scandaloso  ragiona- 
mento,  11  quale,  non  ostante  tutte  le  precauzioni  del 
Pomponaccio,  porse  occasione  a  Giacomo  Charpentier 
di  gridare :  Quid  vel  hoc  sola  duHtatione  in  Christiana 
9C0la  cogitari potest  permdosius?  Cardano  fa  peggio 
ancora  nell*undecimo  dei  suo!  libri  intorno  alia  Sot- 
tilitd;  egli  mette  succintamente  a  confronto  fra  loro 
le  quattro  religion!  maggiori,  e  dopo  averle  fatto 
disputare  Tuna  contro  Taltra,  senza  dichiararsi  per 
nessuna,  finisce  improvrisamente  in  questo  modo: 
^ic  igitur  arbitrio  victorim  relictis;  che  viene  a  dire 
che  lascia  al  caso  il  decidere  della  vittoria;  parole 
che  nella  seconda  edizione  corresse  egli  stesso.  Cid 
perd  non  tolse  che  tre  anni  appresso  non  fosse  acer- 
bissimamente  rampogoato  da  Giulio  Scaligero  a  ca- 
gione  del  terribile  sense  che  conteneva  questo  passo, 
e  delllndifferenza  che  mostrava  nel  Cardano,  trat- 


aiUStlPlCATIVI  56 

tandosi  della  vittoria  che  ayesse  a  riportare,  sia  per 
la  forza  della  ragione,  sia  per  la  forza  dell'armi,  una 
delle  quattro  religion!  quale  si  fosse. 

L*ultiino  articolo  della  Naudaeana^  che  6  un  tes- 
suto  di  error!  e  d!  falsita,  contiene  qualche  confusa 
investigazione  riguardante  il  libro  DH  tre  Impostori, 
Vi  si  dice  che  Ramus  Tattribuisce  a  Postel,  cosa 
che  non  si  trova  in  verun  luogo  degl!  scritti  di  Ra- 
mus ;  comeche  Postel  avcsse  di  strane  vision!,  e  che 
Enrico  Stefano  asserisse  d^averlo  udito  dire  che 
delle  tre  religion! ,  ebrea ,  cristiana  e  maomettana, 
si  potrebbe  rimpastarne  una  buona ;  non  per  questo 
non  si  trova  in  nessuna  delle  sue  opere  impugnata 
la  missione  di  Mose,  ne  la  divinitii  di  Gesu  Cristo^  e 
non  ha  nemmeno  ardito  sostenere  in  termini  pre- 
cis! che  quella  religiosa  ospitaliera  veneziana,  che 
egli  chiama  sua  madre  Oiovanna,  sarebbe  la  reden- 
trice  delle  donne,  come  Cristo  fu  il  redentore  degl! 
uomini.  Soltanto,  dopo  aver  detto  che  neiruomo 
animus  e  la  parte  mascolina,  amma  la  femminina, 
ebbe  la  pazzia  d*aggiungere,  che,  queste  due  parti, 
sendo  state  corrotte  dal  peccato,  sua  madre  Gio- 
vanna  rimedierebbe  alia  femminile,  come  Gesi  Cri- 
sto aveva  rimediato  alia  maschile.  II  libro,  nel  quale 
spaccia  cos!  fatte  stranezze,  fu  stampato  in-16  a  Pa- 
rigi,  ranno  1553  col  titolo  di  Trois  merveilleuses, 
Victoires  desfemmes  e  non  s*d  fatto  si  raro  che  non  si 
possa  trovarlo  ancora  facilmente ;  similmente  quindi 
si  dovrebbe  vedere  anche  quelle  ch*egli  avesse  pub- 
blicato  intorno  a!  tre  Impostori,  dove  fosse  veramente 
giunto  a  tale  estremo  d'empiet^.  Egli  ne  fu  si  lon- 
tano,  che  gik  dair  anno  1543  dichiard  apertamente 
che  Topera  era  di  Michele  Serveto ;  e  per  vendicarsi 


5S  8CRITT1 

degU  Ugonotti  suoi  calanniatori,  non  si  feee 
polo  di  sorta  di  accusarli,  in  una  lettera  scritta: 
Masius  nel  1563,  d^aver  essi  stessi  fatto  stam] 
qaesto  libro  a  Caen,  ne/arimm  illud  trmm  Jmp&stkA 
rwm  commentum  ten  Uber  contra  Christumi^  Mbism  d\ 
MMkomeUm  Cudam  nuper  ad  ilUs  qui  Bvamgelio  CAr-{ 
tiim  u  addictistimot  proJUentur  typis  e^pcutus  est: 
nello  stesso  capitolo  della  Namdmana  si  paxla  di  cert« 
Barnaud  con  parole  si  confuse,  che  non  si  compreiMk 
verbo ,  se  gii  altri  non  abbia  letto  on  piccolo  li- 
bro intitolato  Le  Magot  g/nevois;  e  un  inS  di  96  p. 
stampato  nell'anno  1613  senza  loco ;  anche  il  nome 
dell*autore  manca;  e  potrebbe  ben  essere  Bnrico  de 
Sponde,  poscia  vescoTo  di  Pamiers;  eg-li  dice  die 
in  quel  torno  un  medico,  chiamato  Bamaud,  con- 
▼into  d*arianesimo,  lo  fu  pure  d'  arere  scritto  il  li- 
bra De  triHs  Iw^Mioribus^  che  allora  sarebbe  £ 
data  molto  fresca.  Cid  che  v'ha  di  piii  ragionevole  ia 
questo  stesso  articolo  della  Namdeana ,  e  che  si  fit 
dire  a  Naude,  uomo  di  stenninata  esperienza  in  ma- 
teria di  libri,  ch*  egli  non  aveva  mai  veduto  il  libro 
dei  tre  Impostori,  ch*egli  non  lo  credeva  stampato. 
e  che  aveva  in  conto  di  favola  tutto  che  si  spac- 
ciaYa  intorno  a  simile  argomento. 

A  queste  schiera  si  pud  aggiungere  ancora  il  ia- 
moso  ateo  Giulio  Cesare  Vanini  abbruciato  a  Tolosa 
nel  1619  col  nome  di  Lucilio  Vanino ,  accusato  d*a- 
▼er  alcuni  anni  prima  del  suo  supplizio  divulgato 
in  Francia  quel  libro  malvagio. 

Se  v*ha  scrittori  follemente  creduli,  uomini  desti- 
tuiti  del  senso  comune  che  possono  ammettere  tali 
straneixe,  ed  assicurare  che  codesto  libro  si  rendesse 
a  quel  tempo  pubblicamente  in  diversi  luoghi  d*Bu- 


'  OHJBTIFIOATIVI  si 

ropa,  gli  esemplari  non  dovrebbero  essere  tanto  rari, 
'  ed  uno  solo  basterebbe  a  risolvere  la  questione ;  ma 
^Tion  se  ne  vede  alcuno,  ne  di  questo  ne  di  quelli 
'  clie  si  dicono  stampati,  vuoi  da  Cristiano  Wechel 
*  a  Parigi  verso  la  metii  del  secolo  XVI,  vuoi  dal  no- 
'  minato  Nachtegral  airAia  nel  1614  o  1615.  II  padre 
'   Teofilo  Raynaud  disse  che  il  primo,  di  ricco  che  era 

-  cadde,  per  punizioue  divina,  in  estrema  poverty. 
*'   Mullerus  dice  clie  11  secondo  fu  cacciato  dall'Aia 

-  i^oniiniosamente.  Ma  Bayle  nel  suo  JHuonario  al 
'  nome  Wechel  rigettd  foudatamente  la  favola  spac- 
^  ciata  intorno  a  questo  stampatore.  Rispetto  a  Nach- 
^  tegal,  Spitzelius  riferisce  che  questo  uomo  nativo 
'  d'Alchinar,  fu  cacciato  non  per  aver  pubblicato  il 
"  libro  dei  tre  Impostori ,  ma  per  aver  proferito  al- 
^  cune  bestemmie  di  simil  «genere.  Finalmente  si 
'  legga  con  attenzione  e  pazienza  cid  che  dice  Vin- 
'  cenzo  Placcius  neiredizione  in  foglio  della  sua  estesa 
^  opera  J>e  Anonymis  et  Pseudonyms;  Cristiano  Kor- 
'  tholt  nel  suo  libro  De  tribus  Impostoribus  ^  rive- 

duto  dal  suo  figliuolo  Sebastiano;  e  infine  ci6  che 
'  dice  Struvio  neiredizione  del  1706,  della  disserta- 
zione  De  doctis  Impostoribus ;  nulla  si  trovera  nolle 
ricerche  di  questi  scrittori  che  dimostri  che  questo 
libro  abbia  esistito;  fa  maraviglia  che  Struvius,  il 
quale,  nulla  ostante  le  prove  piu  speciose  che  Tent- 
zelius  gli  avcva  potuto  somministrare  intorno  ad  esse 
libro,  s*era  sempre  tenuto  fermo  in  sul  niego,  si  sia 
poscia  indotto  a  credere  che  esista,  fondandosi  sulla 
piu  frivola  ragione  che  dar  si  possa. 

Essendogli  capitata  fra  mano  una  prefazione  aned- 
dotica  deir  Atheismns  triumphatus,  ci  trovd  che  Tau- 
torc,  per  iscolparsi  del  delitto  ond'  era  imputato  di 


58  SCRITTI 

aver  composto  11  libro  De  tribrts  Tmpostoribus^  rispose 
che  questo  libro  aveva  veduta  la  luce  trent'anni  pri- 
ma della  sua  nascita.  Mirabile  a  dirsil  quests  ri- 
sposta  fondata  suU*  aria,  a  Struvius  parte  si  dimo- 
strativa,  che  non  ebbe  piii  dubbj  intonio  all'esi- 
stenza  del  libro,  concludendo  ch'era  cosa  certa,  non 
essendo  piii  Iccito  d^ignorare  il  tempo  deU'edizione, 
la  quale,  avendo  preceduto  di  trent'  anni  la  nascita 
del  Campanella,  avvenuta  nel  1568,  cadeva  appunto 
nel  1538.  Di  la,  spiugendo  le   scoperte  pifi  oltre, 
si  determind  di  tenere  11  Boccaccio  per  autore  del 
trattato,  per  una  cattiva  interpretazione  del  libro 
del  Campanella,  il  quale  nel  capitolo  II,  n.  6  del- 
VAtheismus  triumphattis,  s*esprime  in  questi  sensi: 
ffinc  Boccaccius  in  fabellis  tmptis  prabare  contendU 
non  posse  discerni  inter  legem  Christie  MoXsis  et  Mako- 
metis ^  quia  eadem  signa  ha  bent  uti  tres  annuli  conn- 
miles.  Ma  il  Campanella  con  cid  intese  di  dire  che  il 
Boccaccio  fosse  Tautore  del  libro  2)^  Iribus  Imposto- 
ribus?  Ben  lontano  da  cid,    rispondendo  del  re- 
sto  a  questa  obbiezioue  degli  atei,  dice  d'avervi  sod- 
disfatto  altrimenti,  contra  Boccaccium  et  librum  de  tri- 
bus  Tmpostoribus ;  e  Struvius  al  parag.  9  della  sua 
dissertazione  De  doctis  Impostoribus^  cita  egli  stesso 
il  passo  d*£rnstius,  ove  asserisce  il  Campanella 
avergli  detto  che  questo  libro  era  del  Mureto;  ma  il 
Mureto  nacque  nel  1526 ,  e  il  libro  essendo  state 
stampato  nel  1588,  il  Mureto  non  poteva  avere  che 
dodici  anni,  etft  nella  quale  non  si  potr&  mai  am- 
mettere  cho  sia  stato  capace  di  comporre  un  tal 
libro.  Convien  dunque  concludere  che  il  trattato  de 
tribus  Impostoribus,  scritto  in  latino  e  stampato  in 
Germania,  non  esiste  mai.  Non  si  die  mai  libro  stam- 


61 


RISPOSTA 


ALLA  DISSERTAZIONE  DEL  SIGNOR  DE  LA  MONNOYE 

INTORNO    AL    TRATTATO 

DEI    TRE    IMPOSTORI 


Una  specie  di  dissertazione  piuttosto  inconclu- 
dente,  la  quale  si  trova  in  fine  alia  nuova  edizione 
della  Menagiam^  che  si  pubblica  in  questo  paese,  mi 
porge  occaslone  di  pigliare  la  penna  per  dare  al 
pubblico  contezza  d'un  fatto,  intorno  al  quale  pare 
che  tutti  gli  eruditi  vogliano  esercitare  la  critica, 
e  insieme  per  discolpare  molti  uomini  valenti,  fra 
i  quali  non  pochi  eziandio  dotati  di  segnalat'a  vlN 
tii,  cui  taluno  si  studid  di  far  passare  per  autori 
del  libro  che  forma  il  soggetto  di  detta  disserta- 
zione attfibuita  al  signor  de  La  Monnoye:  ib  non 
dubito  che  codesto  libro  non  sia  gi&  fra  le  vbstre 
mani!  come  vedete  intendo  parlaredel  picdolO  frat^ 
tato  Di  tHH^  mp)itoHbiiM.  V  autore  della  disj^er- 


62  RISPOSTA  ALLA  -DISSESTAUONB 

tazione  sostiene  che  esso  non  esiste ,  e  s'  indiistria 


di  proyare  la  sua  opinione  con  congetture  , 
addurre  Yeruna  prova  atta  a  colpire  un  animo  abi- 
tuato  a  non  sopportare  che  si  voglia  dargliela  ad 
intendere.  lo  non  Imprenderd  a  confutare  punto 
per  punto  questa  dissertazione,  che  nulla  contiene 
che  non  sia  stato  gik  detto  in  una  dissertazione  la- 
tina,  De  doctis  Impostoridut ,  di  Burchard  Gottheflae 
Struve,  stampata  per  la  seconda  volta  a  GenoTi 
presso  Miiller  nel  1706,  veduta  dairautore,  dacche  la 
cita.  lo  possedo  uno  spediente  ben  piii  sicuro  per 
confutare  la  dissertazione  del  signor  de  La  Monnoje, 
manifestandogli  d'aver  vcduto  mHs  oculis  il  famoso 
libricciuolo  De  tridus  ImpostoribuSy  e  che  ho  qui  nel 
mio  studio.  Paleserd  a  vol,  signore,  ed  al  pubblico  il 
modo  onde  venni  a  capo  di  scoprirlo  e  di  esami- 
narlo,  e  ve  ne  dard  un  breve  e  fedele  transunto. 

Trovandomi  nel  1706  a  Francoforte  sul  Meno ,  un 
di  ero  nella  bottega  d'uno  dei  librai  meglio  prowe- 
duti  di  librl  d*ogni  genera,  insieme  a  un  Ebreo  e  ad 
un  ami  CO  chiamato  Frecht,  allora  studente  di  teologia. 
Stavamo  esaminaudo  i  cataloghi  del  libraio,  quando 
vedemmo  entrarc  nella  bottega  una  specie  di  ufl9ciale 
tedesco,  il  quale,  rivoltosi  al  libraio,  gli  disse  in 
lingua  tedesca ,  che  se  voleva  concludere  quel  loro 
aflTare,  bene ,  diversamente  sarebbe  andato  in  cerca 
d'altro  compratore.  Frecht,  al  quale  Tufficiale  era 
g\k  noto,  lo  salutd  e  rinnovd  la  conoscenza;  11  che 
porse  occasione  all*amico  di  chiedere  al  soldato, 
che  si  chiamava  Trawsendorff,  che  affare  avesse 
dere  col  libraio.  Trawsendorff  gli  rispo^e  che  posse- 
deva  due  manosoritti  e  un  libro  antichissimo ,  coi 
qtialiVolBTa  procacoiarsi  im  piocdo  peeulio'pef  Ut 


DEL  Sli^KOR  DE  LA  MONNOTB  69 

prossima  campagna,  e  che  il  libraio  la  stiraccliiaya 

per  50  risdalleri,  non  volendone  sborsare  che  450  per 

quest!  tre  libri ;  egli  ne  domandava  500.  Si  grossa 

somma  per  due  manoscrittie  an  libricciattolo  eocitd  la 

curiosita  di  Frecht,  che  chiese  all'amioo  suo  se  non 

si  potessero  vedere  le  cose  ch'ei  yoleya  spacciare  a 

si  caro  prezzo.  Trawsendorff  trasse  subito  di  tasca 

un  pacchetto  di  pergamena  legato  con  un  cordoncino 

di  seta,  Taperse,  e  ne  tolse  i  tre  libri.  Entrammo  nel 

magazzino  del  libraio  per  esaminarli   pid  libera" 

mente^  e  il  primo  che  Frecht  aperse  fu  lo  stam« 

pato,  che  portava  un  titolo  italiano  scritto  a  mano, 

in  luogo  del  titolo  vero  che  era  stato  laoerato, 

Questo  titolo  era  SpeccMo  delta  Bestia  tria^fantCy  la 

cui  stampanon  pareva  guari  antica;  io  ritengo  che 

sia  la  stessa  di  cui  Toland  pubblicd  una  tradu^ 

zione  inglese,  or  ha  qualche  anno,  gli  esemplari 

della  quale  si  son  venduti  a  si  caro  prezzo.  II  se- 

condo ,  un  yecchio  manoscritto  latino  di  scrittura 

piuttosto  intralciata,  non  portava  verun  titolo ;  ma  in 

cima  alia  prima  pagina,  a  caratteri  abbastanza  grandi, 

stava  scritto;  Othoni  illustrissimo  amico  meo  caris^ 

simo  F,  L  8.  D,,  e  V  opera  cominciava  con  una  let-. 

tera,  della  quale  ecco  le  prime  llnee :  Quod  de  tridutt 

famosUsinUs  nationum  deceptoribus  in  ordinem  jussn 

meo  digessit  doctissimus  ille  vir,  quorum  sermonem  d& 

ilia  re  in  museo  meo  habuisti  exscriH  curati,  atque  cOr. 

dicem  ilium  stylo  eque  vero  ac  puro  scriptum  ad  t& 

quampHmum  mitto;  etenim,  etc.  L'altro  manoscritto 

era  pure  latino  e  senza  titolo,  e  cominciava  con  que- 

ste  parole,  che  sono  mi  pare,  di  Cicerone,  nel  primo 

libro  De  natura  Deorum:  Qui  vero  Deos  esse  diaerunt 

tanta  snni  in  nrteHit  tt  dlssefuUme  emtitnH^  nt 


64  RI8P0STA  ALLA  DIS8EBTAZI0NE 

eonm  molestwn  sit  anmmerare  sentential al' 

terum  fieri  potest  prof ecto ,  ut  earvm  nulla;  alterius 
certe  nan  potest,  ut  plus  una  vera  sit, 

Frecht,  dopo  aver  in  tal  guisa  sfogliati  in  fretta  e 
in  furia  i  tre  libri,  si  fennd  al  secondo,  di  cui 
ayeva  spesse  volte  udito  parlare,  e  intomo  al  quale 
aveva  letto  tante  stone  diverse;  e  senza  piii  cu- 
rarsi  degli  altri  due ,  tird  in  disparte  Trawsendorff, 
e  gli  disse  tshe  troverebbe  dovunque  clu  sarebbe  di- 
sposto  a  comperar  quel  tre  libri.  Non  si  parld  piil 
del  libro  italiano«  e  quanto  all'altro  concludemmo 
leggicchiando  qua  e  \k  qualcbe  frase,  cbe  conteneva 
un  sistema  d*ateismo.  Poiche  il  libraio  tenne  fenno 
alia  prima  offerta ,  e  non  voile  accordarsi  coll'  uffi- 
ciale,  noi  uscimmo  e  ci  riducemmo  nell'abitazione  di 
Frecbt,  il  quale,  avendo  le  sue  mire,  fece  portare  del 
vino ,  e ,  pregato  Trawsendorff  a  palesarci  in  che 
maniera  quei  tre  libri  fassero  caduti  in  sue  mani,  lo 
inducemmo  a  vuotare  tanti  bicchieri  che  v*aunegd 
la  ragione,  e  Frecbt  ottenne  senza  molta  fatica  che 
gli  lasciasse  il  manoscritto  Be  tridus  famosissimis 
Deceptoridus ;  non  senza  vincolarci  con  esecrablle 
giuramento  che  non  lo  avremmo  copiato.  A  tal 
condizione  ne  divenimmo  possessori  dalle  dieci  ore 
della  sera  del  venerdi,  sino  alia  sera  della  domenica; 
giorno  in  cui  Trawsendorfif  sarebbe  tomato  a  ripi- 
gliarlo  e  a  vuotare  alcuni  flaschi  di  quel  vinetto  che 
gli  era  andato  tanto  a  sangue. 

Poiche  io  non  era  mono  smanioso  di  Frecht  di  co- 
noscere  codesto  libro,  ci  mettemmo  tosto  a  leggerlo, 
deliberati  di  non  dormire  flno  alia  domenica.  II  libro 
era  dunque  moltq  voluminoso,  domanderete  voi? 
Niente  ftflRitto :  era  un  in-8.  grandOi  di  dieci  fogli,£enza 


D£t  SIGfrNOR>E  LA  kOKNOYS  65 

la  lettera  posta  in  principio;mascrittoconcarattere 
cosi  minuto  e  zeppo  di  tante  abbreviature «  senza 
punti ,  ne  virgole ,  che  arrivammo  a  gran  fatiua  a 
deciferarne  la  prima  pagina  in  capo  a  due  ore;  ma 
poi  la  lettura  si  fece  di  mano  in  mano  pid  agevole; 
allora  mi  venne  in  mente  di  proporre  al  mio  amico 
Frecht  uno  spediente,  che  sapeva  alquanto  d'equi- 
voco  gesuitico,  per  procurarci  una  copia  del  celebre 
trattato  senza  violare  il  giuramento  fatto  ad  mentem 
interrogantis ;  era  presumibile  che  Trawsendorff,  esi- 
gendo  che  non  si  copiasse  11  suo  libro,  intendeva  che 
non  fosse  trascritto ;  di  sorte  che  la  mia  scappatoia 
consisteva  nel  fame  una  traduzione:  Frecht  dopo 
qualche  esitanza  y*acconsenti ,  e  ci  ponemmo  tosto 
all' opera.  II  sabato  verso  la  meszanotte  il  libro 
era  cosa  nostra.  Jo  passai  quindi  a  limare  quella 
frettolosa  traduzione,  e  ne  prendemmo  ciascuno 
una  copia,  concertando  di  non  fai*ne  parte  ad  ani- 
ma  nata.  Quanto  a  Trawsendorff,  s*  ebbe  i  suoi  500 
risdalleri  dal  libraio  che  lo  compemva  per  conto  di  un 
principe  della  casa  di  Sassonia,  il  quale  riseppe  come 
questo  manoscritto  fu  involato  dalla  biblioteca  di 
Monaco,  allorche,  dopo  la  sconfitta  dei  Frances!  e 
dei  Bavaresi  a  Hochstet,  gli  Alcmanni  s'impadro- 
nirono  di  questa  cittiL,  dove  Trawsendorff,  com'egli 
stesso  ci  raccontd,  essendo  entrato  d*appartamento 
in  appartamento  sino  alia  biblioteca  di  S.  A.  eletto- 
rale,  cadutogli  sott'  occhio  quel  pacchetto  di  perga- 
mena,  e  quel  cordone  di  seta  gialla,  non  seppe  re- 
sistere  alia  tentazione  di  cacciarselo  in  tasca,  so- 
spettando  che  potesse  contenere  qualche  oggetto 
prezioso;  n^  s'ingannava. 
Per  compiere  la  storia  della  scoperta  di  codesto 


66  filSPOSTA  ALLA  DI8SEftTA2l<n!lB 

Iibrb,  r^stano  a  dinri  le  congetture  fattc  da  Preclit  e 
da  mb  intomo  alia  sua  origine.  Anzitutto  ei  trovmm- 
mo  d'accordo  nel  ritenere  che  qneW  illustrissimo 
Othofd,  al  quale  ^  dedicate,  non  fosse  altri  che  Ottone 
rillustre  duca  di  Baviera,  flgliolo  di  Lodovico  I ,  e 
nepote  di  Ottone  il  grande,  conte  di  Schiren  e  di  "Wi- 
telspach,  al  quale  Timperatore  Federico  Barbarossa 
ayeva  ceduta  la  Bay  iera  in  grniderdone  della  sua  fedel- 
t&,  togliendola  a  Enrico  il  Leone  per  punire  la  costal 
ingratitudine.  Ora,  questo  Ottone  rillustre,  successe 
a  suo  padre  Lodoyico  I  nel  1290,  durante  11  re^no 
deir  imperatore  Federico  II,  nipote  di  Federico  Bar- 
barossa,  nel  tempo  in  cui  questo  imperatore  si  era 
guastato  affatto  coUa  corte  romana,  al  suo  ritomo 
da  Gerusalemme;  11  che  ci  fece  congetturare  che  il 
monogramma  F.  I.  S.  D.  che  seguiya  1*  amico  wnto 
earistimo  signiflcasse  Fredericus  Tmperator  salmUm 
dicit :  congetture,  dalle  quali  ci  panre  doyer  inferire 
che  il  trattato  De  trtbus  In^ostoribus  fu  composto 
dopo  I'anno  1230 ,  per  ordine  di  questo  imperatore , 
aizzato  contro  la  religione  dai  cattiyi  trattamenti 
riceyuti  dal  suo  capo,  allora  Gregorio  IX,  dal  quale 
fu  scomunicato  prima  di  partire  per  terra  Santa,  e 
lo  perseguitd  flno  in  Siria,  doye  a  forza  dMntrighi 
indusse  Tesercito  ad  ammutinarglisi.  Questo  principe 
suo  ritorno  assedid  il  papa  in  Roma  e  diede  il  gua- 
sto  alle  proyincie  dattomo;  in  appresso  conchiuae 
con  lui  una  pace  che  non  durd  a  lungo,  ma  fu  seguita 
da  si  yiolenta  animosity  fra  rimperatore  ed  il  sommo 
ponteflce,  che  non  si  spense  se  non  colla  morte  di 
quest'ultimo,  che  mori  di  dolore  nel  yeder  Federico 
trionfare  del  yani  suoi  fulminl,  e  smascherare  i  yia^j 
del  santo  padre  nel  yersi  satirici  che  fece  diyulgare 


per  tutto>  in  Oermania,  in  Italia  ed  in  Francia.  Ma 
non  ci  venne  fatto  di  scoprire  chi  poi  fosse  quel  da^ 
etisHtms  vir^  con  cui  Ottone  s'era  intrattenuto  in- 
torno  a  quella  materia  nel  gabinetto  reale,  e  pro- 
babilmente  in  coropagnia  dell' imperatore ;  se  gia 
non  Bi  dica  ohe   sia  stato  il   famoso   Pier  delle 
Vigne,  secretario,  o  come  altri  vogliono,  cancel- 
Here  di  Federico  II.  II  cestui  trattato  De  Potestate 
imptriaU  e  le  Spistolm  d   fan   conoscere   quanto 
grande  fosse  la  sua  erudizione «  lo  zelo  cbe  aveva 
per  gli  interessi  del  sue  signore ,  e  V  astio  che  1'  a- 
nimava  ccmtro  Oragorio  IX ,  gli  ecclesiastici  e  le 
chiese  del  suo  tempo.  Egli  e  pero  vero  che  in  una 
delle  sue  epistole  si  studia  di  scolpare  11  suo  signore^ 
accusato  sin  d'allora  d*esser  Tautore  di  codesto 
libro;  ma  eid  potrebbe  appoggiare  la  nostra  con- 
gettura ,  e  far  credere  che  egli  forse  non  abbia  pa- 
troeinato  Federico,  perche  non  fosse  posta  a  suo 
earieo  opera  si  scandalosa;  e  forse  egli  stesso  ci 
avrebbe  tolto  ogni  pretesto  di  fare  si  mill  suppo- 
Bizioni,  confessando  la  yerit&,  se^  quando  Federico^ 
sospettando  che  avesse  cospirato  contro  la  sua  vita^ 
lo   c6ndannd    ad  esser  accecato   ed   abbandonato 
in  man  dei  Pisani  suoi   acerrimi  nemici,  la  di- 
sperazione  non  avesse  accelerata  la  sua  morte  in 
un'infame  prigione ,  dove  non  poteva  comuuicara 
eon  anima  al  mondo*  Ed  ecco  distruttetuttele  false 
accuse  contro  Averroe,  il  Boccaccio,  Dolet,  TAretino, 
Serveto,  POchino,  Postel,  il  Pomponaccio,  il  Campa- 
nella,  il  Poggio,  il  Pulci,  il  Mureto,  il  Vanini,  Milton, 
ediyersi  altri;  e  risulta  che  il  libro  fu  compostoda 
on  dottd  di  prima  levatura,  alia  corte  e  per  ordine 
deE'imperatore  Federico.  Ri^petto  al  sostenere  che 


18  BI8P06TA  ALLA  DISfiBRTAUONE 

si  fe00  cli*e880  fu  anche  stampato,  parmi  poter 
eluarare  che  ci6  Jkdu  e  molto  probabUe,  poielie  m 
pud  Credere  focilmente  cUe  Federico,  circondato  ^>- 
m*era  per  tutto  da  nemici«  nou  avra  voluto  diyulgruro 
UB  tal  libro^  che  a  questi  avrebbe  o^erto  uua  beUa 
oocasione  di  propalare  la  sua  irreligiosita;  e  pud 
darai  che  nou  ne  sia  esistito  mai  altro  che  Tori^- 
nale,  e  questa  cop. a  mandata  a  Ottoue  di  Bavieim. 

E  cid,  parmi,  puo  bastare,  quanto  si  e  alia  sco- 
perta  del  libro,  e  al  tempo  in  cui  fa  scritto:  or  eceo 
ci6  che  contiene. 

Easo  e  dlviso  in  set  libri  o  capitoll,  ognuno  dei 
quali  e  suddiviso  in  divcrsi  paragrafl;  11  primo  e»- 
pitolo  ha  per  titolo:  Di  DiOy  o  contiene  8ei  para^rafi, 
dove  Tautore  per  farsi  conoscere  spoglio  da  qualsi- 
sia  pregiudizio  d*educazioue  o  di  pailito,  mostra 
che,  8c  bene  gli  uomini  abbiano  iuteresse  affatto 
peculiare  di  conoscere  il  Yero,  non  per  tanto  e'  noB 
si  pascono  che  d'  opinion!  o  d*  imaginazioni ,  e  che 
dandosi  persone  cui  torni  11  conto  d'  intrattenerli 
in  cid,  vi  restauo  invesehiati,  avvegnache  possaoo 
f aoilmente  scuoterne  il  giogo,  non  facendo  che  pic- 
colissimo  uso  di  loro  ragione.  Indi  passa  alio*  idee 
che  abbiamo  della  divinita ,  e  prova  che  le  recano 
ingiuria,  come  quelle  che  fanno  di  Dio  Tessere  il 
piUk  spaventoso  ed  imperfetto  che  dar  si  possa; 
so  la  prunde  coll'  ignoranza  del  popoli ,  o  piuttosto 
coUa  loro  goifa  credulita,  che  prestafedeallevisioni 
di  profeti  e  d'  apostoli,  del  quali  fa  un  ritratto  con- 
forme  all'idea  ch'egli  se  n'  e  formato. 

II  secoudo  capitolo  tratta  delle  ragioni  chehaimo 
apiuto  gli  uomini  a  flgurarsi  un  Dio:  e  divieo  in 
undioi  paragraft,  nei  quuli  si  proTa  che  daUMgno- 


DSL  SIONOR  DB  LA  MOKMOTS  <^ 

r*Ma  dalle  eause  fisicbe ,  derivd  una  natural  teitta 

alta  Viata  di  mille  terribili  easi ,  la  quale  fece  )  a- 

i        neefii  IMdea  che  esista  qualche  potenza  invisibile: 

tema  e  sospetto,  dice  Tautore,  di  cui  i  sagaci  p  »U- 

ticl  seppoto  far  uso  a  norma  dei  propri  flni^  e 

r       diedero  Yoga  airopiniose  di  detta  esistenza,  con- 

i        fermata   da   altri   che   ci   trovavano   il  loro   tor- 

naconto,  e   radicatasi    negli   animi   i)er  la  stol- 

tezza  della  moUltudine  aempre  ammiratrice  Oello 

straordinario ,  del  sublime  e  del  meravi^lioso.  Pol 

efiamina  qual  sia  la  natura  di  Dto,  e  atterra  la  yoI- 

;        gare  opinione  delle  cause  flnali  come  contrarie  alia 

Sana  fisiea:  flnalmente  mostra  come  T  nomo  non 

L        fi'abbia  formata  questa  o  quella  idea  della  divi<: 

,        Bltft  se  non  dopo  aver  giudicato  cid  che  e  per- 

I        fezione,  bene,  male,  virta^  vizio;   giudizlo  fatto 

dairimaginazione,  e  spesso  11  piu  falso  che  sia ;  doude 

pol  derivarono  le  false  idee  che  ci  formiamo  e  con* 

serviamo  intorno  alia  diviniU.  Nel  decimo  para(^*rafo 

l*autor6  spiega  a  modo  suo  cio  che  e  Dio,  e  ne  d^ 

una  nozione  conforme  al  sistema  dei  panteisti,  di* 

cendo  che  la  parola  Dio  ci  rappresenta  un  ente 

inflnito,  uno  degli  attributi  del  quale  ^  d'essere  nnv^ 

sostanza  eatesa,  e  per  consegruenza  eterna  e  infliiita; 

neirundecimo  volge  in  beffa  Topinione  Tolgare,  cha 

8i  flgura  Iddio  in  tutto  simile  ai  re  della  terra;  e  pas* 

sando  ai  libri  sacri  ne  parla  in  un  modo  molto  svan? 

taggioso. 

11  terzo  capitok)  ha  per  titolo  ci6  che  signidca 

la  parola  religrione,  come.e  perche  ne  sorse  suUa 

•  terra  numero  si  grande.  Questo  capitolo  conta  vcn« 

litre  paragrafl.  Net  primi  nove  Tautore  esamina  To- 

vltiM  delto  religion!  e  oon  eaempj  e  ragicmamenti 


BfSPOATA  AtX«A  DISSBRTA2I0HK 

iita>)ili8ce  che,  ben  lontane  dall*  essere  divine ,  wmo 
snzl  tutte  opera  della  politica:  nel  decimo  paragrafo 
preiende  svelare  IMmpostura  di  Mose,  mostrando  cbi 
egli  fu,  e  quale  fu  11  modo  da  lul  adoperato  per  fon- 
dare  la  religione  giudaica:  neir  undecimo  esamina 
le  imposture  di  alcuni  uomini  politici,  come  Numa 
e  A^essandro.  Nel  dodicesimo  passa  a  Gesu  Cristo, 
del  quale  esamina  i  natali :  nel  tredicesimo  e  seguenti 
1  aria  intorno  alia  sua  politica:  nel  diciassettesinoo  e 
In  quello  che  segue,  esamina  la  sua  morale,  che  non 
trova  molto  pid  pura  di  quella  di  molti  antichi  fllo^ 
sofl:  nel  decimonono  esamina  se  la  fama  che  ottenne 
dopo  la  morte,  abbia  contribuito  a  deiflearlo;  e 
fiinalmente  nel  ventesimo  secondo  e  nel  yentesimo 
terzo  parla  dell*  impostura  di  Maometto ,  del  quale 
non  dice  giran  cose,  perche  non  si  troyano  tanti 
ayvocati  della  sua  dottrina  come  di  qu^la  degli  al* 
tri  due. 

11  quarto  capitolo  contlene  yeriti  sensibili  e  ma- 
Siifeste,  e  non  conta  che  sei  paragrafi,  doye  rautore 
dimostracid  che  e  Dio,  e  qualisonoisaoiattribiLti: 
e  rigetta  la  credenza  d*una  yita  ayyenire  e  dell'esi- 
atenza  degli  spirit!. 

II  quinto  capitolo  tratta  deiranima;  6  diyiso  in 
sette  paragrafi,  nei  quali,  espostaropinioneyolgarei 
rautore  reca  quella  dei  fllosofl  deirantichit&,  come 
h,v  he  quella  di  Cattesio ;  finalmente  dimostra  qual 
isia  la  natura  deH'anima  secondo  11  suo  siatema. 

II  sesto  ed  ultimo  capitolo  ha  sette  paragrafi;  nei 
<iuttli  si  fia  parola  degli  spiriti  chlamati  d^moni,  e  si 
rhiarisce  Torigine  e  la  ^siti  deH'opinione  yolgmr« 
f  irca  la  loro  esistenza. 

Kcoo  Fanalisi  del  fiunoao  libro  in  dSseoiso :  l*«rrti 
'j>otnta  lare  pi(l  per  disteio  •  piu  parMtameate ;  ma. 


BEL  SIGKOR  DEi  LA  MONNOYE!  ^l 

oltre  all'essere  questa  lettera  g\k  di  sovercliio  pro- 
lissa,  ho  creduto  che  tanto  basti  per  farlo  conoscere 
e  far  vedere  che  si  trova  effettivamente  in  mia  mano. 
Mille  altre  ragioni  che  voi  comprenderete  di  leg-^ 
geri ,  m'  impedirono  di  stendermi  quanto  avrei  po- 
tuto ;  giacche  est  modus  in  rebus. 

Pertanto,  se  bene  questo  libro  possa  essere  stam- 
pato  anche  subito  (preceduto  da  una  prefazione,  nella 
quale  ho  tessuta  la  sua  storia,  e  la  storia  della  ma- 
niera  in  cui  fu  scoperto,  con  alcune  congetture  in- 
torno  alia  sua  origine,  oltre  a  parecchie  annotazioni 
che  potrebbero  essergli  apposte  in  fine )  non  per 
questo  credo  che  saHi  mai  fatto  di  pubblica  ra- 
gione ;  se  gih  gli  uomini  non  abbandonino  a  un  tratto 
le  solite  opinioni  e  imaginazioni,  com'hanno  lasciato 
andare  in  disuso  i  collari,  i  polpacci  flnti  e  le  altre 
yecchie  foggie.  Quanto  a  me,  non  voglio  espormi  alio 
stiletto  teologico,  che  temo  quanto  fra  Paolo  temeva 
lo  stylum  romanum^  per  dare  a  qualche  dotto  il  pia- 
cere  di  leggere  questo  piccolo  trattato ;  pure  al  letto 
di  morte  non  sard  tanto  superstizioso  da  farlo  gettare 
alle  flamme ,  come  si  vuole  abbia  fatto  Salvius,  ple- 
nipotenziario  di  Svezia  alia  pace  di  Munster:  coloro 
che  verranno  dopo  di  me,  ne  faranno  tutto  che  loro 
piaceri,  senza  che  cid  abbia  a  conturbare  menoma- 
mente  la  pace  del  mio  sepolcro.  In  questo  mezzo 
prima  di  scendervi,  io  mi  dichiaro,  o  signore,  con 
sentita  stima,  vostro  obbidientissimo  servitore, 

J«  li*  R«  L* 

Di  Leida,  addi  1  gennaio  1716. 

Questa  lettera  fu  scritta  da  Pietro  Federico  Arpe 
di  Kiel,  nell'Holstein,  autore  dell'Apologie  de  Vamid^ 
stampata  a  Rotterdam  in-8.  nel  1*712. 


73 


COPIA 

deirarticolo  IX,  del  torn.  I,  parte  seconda,  delle  Mi- 
mcnres  de  littdrature,  stampate  aU'Aja,  presso  Kn- 
rico  del  Sauzet,  lllC. 

Oggimai  non  si  pud  pid  dubitare  ch^Cnoii  esista 
un  trattato  J)e  tribus  Jmpostoribus^  dappoiche  ve 
n'ha  diverse  copie  manoscritte.  Ma  posto  anche  che  11 
signor  de  La  Monnoye  Tavesse  veduto,  quale  lo  pre- 
senta  Testratto  che  ne  sonuninistra  11  signor  Arpe 
n«lla  lettera  stampata  a  Leida  11  1  gennaio  1716,  di- 
viso  parimente  in  sei  capitoli,  cogli  stessi  titoli,  con- 
tenente  la  stessa  materia,  egli  si  sarebbe  pur  sempre 
lagnato  della  supposizione  di  questo  libro,  che  si 
vorrebbe  falsamente  attribuire  a  Pier  delle  Vigne  se- 
cretario  e  cancelliere  deir  imperatore  Federico  II. 
Questg  critico  giudizioso  ha  gia  fatto  conoscere  la 
differenza  che  passa  fra  lo  stile  gotico  delle  epistole 
dl  Pier  delle  Vigne,  e  quello  usato  nella  lettera  che 
si  §nge  indirizzata  al  duca  di  Baviera,  Ottone  Til- 
lustre  ,  quando  gli  f u  mandato  detto  libro.  Ma  alle 
sue  cognizioni  non  sarebbe  sf uggita  un*  annotazioue 
ben  piii  importante.  II  trattato  Dei  tre  Impottori  e 
scritto  e  pensato  secondo  il  metodo  ed  i  principj 
della  nuova  filosofia ,  i  quail  non  prevalsero  che 
yerso  %.  meta  del  secolo  XVII,  dopo  che  i  G^iesio, 
i  0aiiencU,  1  Bemier  e  alcuni  altrl  si  spiegaroao  con 
rttgionamenti  piQi  glusti  e  piU  chlarl,  oh«  nen  ab- 
bUno  fatto  gli  antichi  fllosofl,  1  quail  affettarono 
XBlsterlosa  oscuritii,  volendo  che  1  loro  secret!  non 
t^pritsero  che  agli  Iniziati,  L*autore  deU*op«ra^  si 


DELLE  Ml^MOIRES  DE  LITT^RATUBE  '73 

lasci6  perflno  scappare  di  bocca  11  nome  di  Carte- 
sio ,  nel  quinto  capitolo ,  dove  impugna  i  ragiona- 
menti  di  questo  grand'  uomo  circa  aU'esistenza  del- 
I'anima.  Ora,  ne  Pier  delle  Vigne,  ne  alcun  altro  di 
quelli  che  si  voile  spacciare  come  autori  di  questo 
trattato,  avrebbero  potuto  ragionare  secondo  i  prin- 
cipj  della  nuova  fllosofla,  sorti  lungo  tratto  dopo  la 
loro  morte.  A  chi  dunque  attribuir  questo  libro?  Si 
potrebbe  concludere  ch'e  contemporaneo  alia  breve 
lettera  scritta  a  Leida  nel  1716.  Ma  ci  si  opporrd,  una 
obbiezione.  Tentzelius,  che  scrisse  nel  1689  e  dopo 
quest' anno,  ne  dk  anch'esso  untransunto  sullafede 
d'un  suo  amico  preteso  testimonio  di  veduta:  di  ma- 
niera  che  senza  voler  flssare  il  tempo  in  cui  fu  com- 
posto  questo  libro ,  che  si  disse  scritto  in  latino  e 
stampato;  il  piccolo  trattato  francese,  manoscritto, 
Yuoi  che  non  sia  stato  mai  composto  in  altra  lingua 
che  in  questa,  vuoi  che  sia  una  traduzione  dal  latino, 
eosa  difficile  a  credersi,  non  pud  essere  molto  antico. 
Questo  non  e  nemmeno  il  solo  libro  scritto  con 
questo  titolo  e  intorno  a  questa  materia.  Un  uomo, 
il  cui  carattere  e  la  cui  professione  avrebbe  dovuto 
consigllare  a  darsi  ad  altri  argomenti  a  lui  piii 
convenienti ,  pens6  di  scrivere  in  francese  un'  opera 
voluminosa  appunto  col  titolo  Dei  tre  Tmpostori.  In 
una  prefazione  posta  in  fronte  al  trattato,  dice  che 
da  lungo  tempo  si  fa  un  continuo  parlare  del  libro 
dei  tre  Impostori  senza  che  si  possa  trovare  in 
nessun  luogo,  sia  perche  veramente  non  d  mai  esi- 
stito,  sia  perche  and6  perduto;  nertantb,  a  fine  di 
consolarci  di  tale  mancanza,  voile  scrivere  intorno 
alio  stesso  argomento.  La  sua  opera  e  molto  lun- 
ga,  molto  noiosa  e  mai  composta,  senza  principj, 


r 


^4    OOPIA  DELL*Al^t.  IX  DELLB  ll£)C6lRBS  BE  LITT. 

BehtK  argomenti.  i  un  confuso  rabbercnmento  d! 
tatte  l6  ingiurie  e  le  invettive  diffuse  contro  i  tra 
principali  legislator!.  II  manoscritto  si  componera 
di  due  volumi  in  foglio,  fltto,  con  carattere  bello  e 
piuttosto  minuto :  11  libro  6  diviso  in  gran  nninero  di 
capltoli.  Un  altro  simile  manoscritto  fu  troTsto  dopo 
la  morte  d'un  signore ,  il  che  fu  causa  Che  si  seo- 
prissero  le  traccie  di  questo  autore,  11  quale,  essendo 
stato  avverttto,  fece  in  maniera  che  fra  le  sue  carte 
•nulla  si  trovasse  che  potesse  conyincerlo.  Da  alien 
in  |>oi  visse  rinchuso  in  un  chiostro  dore  fa  pe- 
nltenza.  Nel  1*713  ricuperd  interamente  Ht  liberty,  e 
si  aggiunse  una  pensione  di  250  lire  sopra  r  abadii 
di  san  Liguori ,  ad  una  prima  pensione  di  360  lire 
da  Vtxi  conservata  sopra  unsuobeneflcio;  si  chiama 
Ouillaume,  curato  di  Presne-sur-Berny,  fratello  d'on 
opefait)  di  questo  paese.  Per  I'addietro  fu  rettore 
nel  doUegio  di  Montaigu;  in  gioventii  fu  arroUio 
ai  dragoni,  e  poi  si  fece  cappuccino. 


n 


RISPOiitA  Di  LA  MONNOYE 


Tolta  dalle  M^moirei  de  litt^ratnre,  pnbblicate  da 
Sallengre,  all'Aja,  1716,  t.  ]«  pag.  3^6.    * 

Nella  mia  disertazione  sul  preteso  libro  De  tri- 
dus  Impoitoribus  dimostrai  cbe ,  sebbene  in  diverse 
et&  si  sieno  dati  divers!  empj  cbe  ardirono  asserire 
Che  il  mondo  fu  sedotto  da  tre  impostor!,  non  per 
tanto  le  voei  corse  intomo  ad  un  libro  scritto 
8U  tale  argomento  non  cominciarono  a  diffondersi, 
Che  verso  la  met&  del  secolo  XVI.  Si  pud  anzi  fls* 
sarne  la  data  nel  1543 ,  tempo  nel  quale  Gugliel- 
mo  Postel  parld  di  quest*opera  come  gi&  esistente. 
L'autore  anonimo  della  risposta  alia  mia  disser- 
tazione  va  errato  del  tutto,  sostenendo  che  que> 
sto  libro  sia  stato  scritto  per  ordine  dell'  impera- 
tore  Federico  II.  Intomo  a  cid  non  si  trova  nulla, 
dal  fatto  all'infuori,  che  i  nemici  di  questo  impe- 
ratore  I'accusarono  d'aver  detto,  parlando  di  Mosd, 
di  Gesti  Cristo  e  di  Maometto,  che  ess!  furono 
tre  seduttori  che  ingannarono  il  mondo;  empietii 
della  quale  si  discolpd  a  tutto  potere,  protestando 
contro  cosi  fatta  calunnia.  Non  per  tanto,  se  que* 
sto  libro  di  presente  esiste,  come  assicura  il  mio 
crit!co,  tal  quale  egli  vuole  che  quest'imperatore 
rabbia  fatto  comporre  in  latino,  egli  non  ha  che  a 
mostrarne  il  manoscritto ;  e  quando  abili  giudici, 
dopo  averlo  esaminato,  avranno  dichiarato  ch'e' 
non  V'  ha  frode,  allora  io  confesserd  pubblicamente 
che,  in  luogo  di  negare  V  esistenza  del  libro,  avrei 
dovuto  dire  semplicemente  ch'esso  non  era'  cono- 


76  fitSPOSTA 

sciuto.  Ma  flnattantoche  si  spaccer&  una  storiella 
senza  fondamento,  e  non  yedremo  allegare  che  una 
traduzione  al  tutto  recente  deU'originale  antico,  che 
non  sar&  mai  pubblicato ,  io  persisterd  nella  mia 
opinione ;  e  se  si  arriverii,  cosa  ch'  io  non  credo,  a 
quella  di  pubblicare  la  traduzione  di  cui  parliamo, 
sosterrd  altamente  che  essa  e  una  composizione 
dell*editore,  non  gik  una  versione  fatta  sul  mano- 
scritto  cbe  si  pretende  tolto  dalla  biblioteca  di  Mo- 
naco. II  libro  dei  tre  Impostori  trovato  da  un  ufB- 
ciale  tedesco  dopo  la  battaglia  di  Hochstedt,  rasso- 
miglia  molto  al  Petronio  completo,  trovato  nell^asse- 
dio  di  Belgrrado  da  un  ufflciale  francese.  Queste  due 
scoperte  sono  veramente  una  pid  bella  dell'  altra. 
II  falso  Petronio  si  riconobbe  a  primo  tratto  per 
la  differenza  manifesta  dello  stile.  Si  riconosceril  11 
falso  libro  dei  tre  Impostori  alia  stessa  pietra  del 
paragona  E  certo  cbe  la  lingua  latina  al  tempo  di 
Federico  II  era  tutt*  altro  che  elegante ;  non  aveva 
nd  periodo,  ne  numero,  ne  purit&.  Si  pud  giudicame 
dalle  epistole  di  quel  Pier  delle  Vigne,  che  si  yuol  far 
passare  per  autore  dell*  opera  di  cui  si  tratta.  Chi 
le  lesse  ben  sa  quanto  sieno  barbaramente  scritte. 
Giusta  questa  norma  vediamo  11  principio  della  let- 
tera  che  si  spaccia  come  scritta  da  Pier  delle  Vi- 
gne,  a  nome  del  suo  signore,  ad  Ottone  duca  di  Ba- 
Yiera.  L*anonimo,  tuttocche  impegnato  da  esecra- 
bile  giuramento  a  non  ricopiare  11  manoscritto,  non 
giudicd  che  tale  obbligo  si  estendesse  anco  all*epi- 
stola  preliminary  della  quale,  grazia  a  questa  giudi- 
ziosa  distinzione,  pot^  communicarci  le  prime  linee: 
Othoni  illustrissimo,  amioo  meo  earisHmo  F.  L  8.  2>.  — 
Quid  de  tribus  famosisHmis  nationwn  deceptoribus  in 


DI  LA  MONNOYE  77 

ordinem  Jussu  meo  cUgestit  doctissimus  ille  vir,  qwh 
cum  iermonem  de  ilia  re  in  museo  meo  hahUsH,  ea- 
icribi  curavi,  atque  codicem  ilium  stylo  eque  veto  ac 
puro  scriptum  ad  Te^  ut  primum,  mil  to,  etenim  ipHut 
perlegendi  Te  accipio  cupidissimum. 

Quest' esordio  nulla  ha  ne  del  torno  ne  deUa  di- 
zione  di  Pier  delle  Vigne.  La  formola  salutem  dixit 
a  quel  tempo  non  era  pid  in  uso.  MMeum  era  pa- 
rola  sconosciuta  nel  secolo  XIII.  Altrettanto  dico 
d'ewscribo;  e  io  adduce  questi  fatti  senza  tema  d'es- 
sere  smentito  da  nessun  esempio  tratto  da  autori 
contemporanei  a  Federico. 

L'auonimo  per  fermo  dir&  Che  Timperatore  in  que- 
sta  occorrenza  ordind  al  suo  cancelliere  d'usare  uno 
stile  piii  puro  che  d*  ordinario>  e  questo  essere  ap- 
punto  11  sense  di  quelle  parole:  codicem  ilium  stylo 
egue  vero  ac  puro  scriptum;  il  che  signiflca  che  la 
lingua  di  questo  libro  era  del  pari  pura  e  sincera. 
Rispondo  che  questa  scappatoia  d  inutile,  perche 
rimperatore  e  il  suo  cancelliere  non  ayevano,  ne 
Tuno  ne  I'altro,  idea  di  buona  latinitii  piii  che  il 
cieco  nato  del  color! .  /. . 

Passo  all'anonimo  il  granchio  d*ayer  letto  speccMo 
per  spaccio,  parlando  del  libro  stampato  che  si  ven- 
deva  coi  due  manoscritti.  Esso  e  un  libro  italiano  in-8, 
intitolato  da  Giordano  Bruno,  suo  autore,  cosi :  Spac- 
do  delta  bestia  trionfante.  Gli  meno  buono  altresi 
il  confronto  ch'  ei  fa  della  mia  dissertazione  con 
quella  di  Struvius,  scritta  dieci  anni  dope  la  mia, 
della  quale  nel  1694  in  Olanda  fu  pubblicato  un  tran- 
sunto  citato  dallo  stesso  Struvius.  Neanco  stard  a 
chiarire  il  suo  modo  di  spiegarsi,  ove  dice  che  non  d 
probabile  che  11  libro  del  tre  Impostori  sia  state  im- 


*78  RISPOSTA  DI  LA  MONHOTB 

presso,  poiehd  Federico  si  sarebbe  guardato  dal  pre- 
sentare  ai  suoi  nemici  si  bella  occasione  di  divul- 
gare  la  sua  empiet&;  espressione  che  sembra  sap- 
porre  che  la  stampa  fosse  eonosciuta  ai  tempi  di 
Federico. 

L'anonimo  vuol  essere  credato  sulla  parola ;  ed 
egli  non  dice  il  sue  nome;  egii  non  nomina  la  li- 
breria  di  Francoforte.  Nomina  solamente  Trawsen- 
dorfif  e  Frecht,  due  uomini  si  poco  conosciuti,  che 
tornava  lo  stesso  il  non  nominarli.  Lo  scope  prin- 
cipale  del  suo  scritto  6  di  annunziarci  la  sua  pre- 
tesa  versione,  la  quale,  checchd  ne  dica,  consisteri 
forse  unicamente  in  quel  compendio  ch'egli  ce  n*of- 
fre«  si  facile  in  fbndo  a  essere  inunaginato :  non  dan- 
dosi  emplo  che  con  mediocre  ability  non  possa  con- 
cepirne  ed  esporne  uno  simile  in  meno  d*un  ora; 
di  maniera  che  cosi  fatti  disegni  d'ateismo  potr&nno 
in  pochissimo  tempo  moltiplicarsi,  e  il  mondo  udrii 
parlare  ogni  tanto  tiei  tre  Impostori,  e,  senza  mai 
vedere  il  libro,  si  vedril  andare  in  volta  grandissi- 
mo  numero  di  riassunti. 

PINE  DEGLI  SCRITTI  GIUSTIPICATITI. 


13 

INDICE 


Prefazione Pag.  v 

NOTIZIA  BIBLIOQRAFICA  INTORNO  AL  LIBRO 
D£  TBIBUS  IMPOSTORIBUS. 

*•••••••'•••"         III 

II.  Ipotesi  intorno  alPAutore.   .       .       .      n     viii 

III.  Opinioni  di  alcuni  critici  moderni  intorno 

al  libro  De  tridus  Impostoribm,  .       .       n    xvii 

IV.  Opere  oggi  esistenti  e  intitolate  Dei  tre 
Impostori n    xxii 

V.  Opere  aventi  titolo  simile  a  quello  del  Lir 

ber  de  tridus  Impostoribus.  ...»     xxx 

VI.  Testimonianze  dei  bibliografl  rispetto  al 
libro  De  tribus  Impostoribus,       .       .       »  xxxii 

VII.  Degli  scritti  di  alcuni  autori  ai  quali  si 
attribui  il  libro  De  tribus  Impostoribus.     »»  xxxv 

VIII.  Di  alcune  opere  che  misero  in  campo 
una  tesi  simile  a  quella  che  si  pretese  tro- 

vare  nel  libro  De  tribus  Impostoribus.      »  xlvii 
Note n       liV 

DE  TRIBUS  IMPOSTORIBUS »  1 

SCRITTI  OIUSTIPICATIVI. 

Qiudizj  intorno  al  trattato  De  trib.  Impostor.  **        41 

Risposta  alia  dissertazione  del  signer  de  la 
Monnoye  intorno  al  trattato  Dei  tre  im- 
postori  n        61 

Copia  dell'articolo  IX,  del  torn.  I,  parte  se- 

conda,  delle  MSmoires  de  littSrature.       »»        72 

Risposta  di  La  Monnoye  toita  dalle  AfMoires 

de  litt^rature n        75 


r 


DI 


GIOVANNI  BERCHET 


Adieu,  my  native  land,  adieu! 


MILANO 
CASA   EDITRICE   ITALUNA   DI  M.   GUIGONI 

*868 


tip.  GnigonU 


— '^i 


PROEMIO 


/  poeti  fwrono  i  prtmt  guerrieri  Mia  nostra  mdi" 
pendenza.  Quando  non  solo  le  leggi,  ma  la  noncuranza 
e  il  silenzio  codardo  dei  pm  vietavane  e  soffocavano 
la  parola,  il  poeta^  come  gid  SoUme ,  pazzo  subUme , 
soendeva  in  piazza ,  e  co*  suoi  carmi  consigliam  il 
racquisto  delta  dignitd  e  delta  potenza.  A  costo  di  pro- 
comber  solo,  metteva  alta  ventura  la  libertd  e  la  vita: 
se  non  che  il  generoso  sangue  fu  fuoco  agli  italici 
petti,  e  i  versi  seminati  crebbero  in  eroi, 

I  fonti  di  questo  nobile  fiume  di  poesia  si  Irovano 
net  trecento.  Non  fu  sottile  e  povero  d'acqtAe  alle  ort- 
gini;  sibbene  sgorgb  con  Vabbondanza  e  Vimpeto  d*un 
torrente  nei  versi  immortati  di  Dante  e  del  Petrarca, 
Net  dnquecento,  derivandosi  per  la  prosa ,  non  perdi 
la  sua  nobile  indole  nelle  pagine  del  Machiavetto :  r'a- 
pri  una  via  tra  le  divine  follie  deWAriosto ,  e  nelta 
lirica  un  prelato,  il  Guidiccioni',  press  la  face  di 


4 

mano  al  Petrarca,  per  trasmeUerla  al  FUkaja.  Sper» 
dendoH  per  Varene,  o  scavandosi  tm  eammno ,  come 
Alfeo,  sotto  la  terra^  riusci  finalmente  alia  luce,  quan- 
do  la  rivoluzione  ftancese^  mettendo  sossopra  Vltalia, 
cosi  nel  favore  come  net  contrasto  che  trovd  feee 
fiammeggiare  piU  viva  che  mat  Videa  italiana.  Pro- 
ruppe  un  istante  alle  speranze,  non  diremo  ai  tenta- 
tivi ,  di  salvdre  un  regno  d*  Italia  dalla  rovina  nape- 
leonica,  e  impedito  poi  e  attraversato  duramente  dalle 
nuove  tirannidi  rincappellate  alle  antiche ,  tomb  a 
scorrere  ricco  e  possente  alle  rivendicazioni  italiane, 
II  21  ebbe  a  vindice  il  Berchet;  it  31  il  Giusti;  t2  48, 
a  consorte  di  battaglie  il  Mameli;  il  59  non  ha  poeti, 
perchi  la  poesia  dei  fatti  li  soffoga  ptu  che  la  tiran- 
nide  non  facesse. 

Questi  tre  nomi  segnano  le  tre  ere  delta  nuova  poe- 
sia politica.  It  Berchet  cania  principalmente  contro 
to  straniero;  il  Giusti,  gict  piii  sicuro,  contro  i  tiran- 
nelli  patrj ,  e  comincia  anzi  a  sentire «  neUa  pietd  al 
soldato  straniero  strappato  dal  nativo  campo  a  con- 
quidere  gli  Italianiy  Vaura  delta  nascente  fralemitd 
dei  popoli,  Anche  il  Berchet  sent\  amore  d^un  altro 
popolOy  dei  Greci;  ma  questi  erano  gid  nostri  fratelU 
nelta  gloria  delle  lettere  neWoppressione,  Egli  cantb  i 
Profughi  di  Parga,  perche  sentiva  gid  V  infallibUe 
nesso  tra  le  rivendicazioni  greche  e  le  italkhe, 

II  Mameli  partccipb  alia  nostra  resurrezione ,  on- 
d*  egli  preme  meno  neUe  antiche  tradizioni  di  gloria 
che  non  fa  il  Berchet,  il  quale  tuttavia  nel  suo  Le- 


5 

gns^no  pare  piuttosto  prefigurare  la  nuova  e  vittoriosa 
lotta  che  descrivere  l^antica,  II  Berchet  toccb  poi  tutte 
le  piaghe  e  le  vergogne  delta  servitu  straniera.  Egli 
fu  inspiratore  d^alta  dignitd  alle  nostre  donne^  mo- 
strando  Vorrore  degli  abbracciameiiti  tedeschi,  Egl'im' 
precb  a  Carignano,  ma  visse  tanto  che  gli  fu  caro  n« 
benedirlo. 

n  Berchet  visse  per  vedere  la  prima  riscossa,  e  non 
si  sgomentb  della  rovina  delle  nostre  sorti.  11  nucleo 
del  regno  d^Italia  era  creato.  La  liberU  lo  rendea 
forte  e  vitdUy  e  leaver  combattuto  era  principio  e  au- 
gurio  di  futura  vittoria,  Egli  non  vide  la  seconda  rt- 
scossa^  ma  mori  sereno  e  con  la  fede  nel  cuore, 

Quando  si  rUeggono  ora  a  Italia  libera  e  gUt  wia 
questi  versi  che  espressero  e  nutrirono  Vira  dei  nO' 
stri  anni  giovanili  sotto  un  atroce  e  vile  servaggio  fa 
stupore  trovarli  ancora  s\  vivi  ed  accesi,  quasi  bat- 
tuti  a  un*  incude  divina,  Esprimono  P  anima  degli 
schiavi  frementi^  la  quale  ha  poco  meno  del  generoso 
che  Vanima  dello  schiavo  che  ha  preso  rdrme  contro 
r  oppressore ,  e  vince ,  o  muore  con  ferite  dinanzi. 
Rari  modi  duramente  latini  o  meno  eleganti  sono  nSi 
alio  stile  d^  un  poeta  studioso  ed  esule,  II  piii  i  vena 
pura  italiana  e  ricca  ed  alta,  quale  pub  rampollare 
tra  le  battaglie. 

Questi  versiy  monumento  della  nostra  insofferenza 
del  servaggio,  non  morranno;  e  se  mai  awenga  che, 
racquistata  tutta  la  nostra  terra,  un*empia  mollezza 
tomi  a  serpeggiare  ne*  nostri  animi  e   li  corrompa 


/!\ 


f 


6 

ed  inehim  di  imfoo  a  servire  y  questi  vent  varranmo 
a  destarci;  e  se  furon  gid  folgore  actUa  a  pereuotere 
ed  atterrare  il  superbo  straniero,  saranno  catne  U 
lampo  4eHe  ardenti  armi  aW  eroe  assopUo ,  o  kmcia 
contro  la  schiena  d^U^imbelle^  perehi  sHa  taldo  e  va- 
lente  a  mantenere  la  libertd  della  pa^ria. 

Carlo  Tiou. 


LE  FANTASIE 


I. 


Per  entro  i  fltti  popoli; 
Lungo  i  desert!  cam; 
Sul  monte  aspro  di  geli; 
Nelle  inverdite  valli, 
Infra  le  nebbie  assidue; 
Sotto  gli  az/urri  cielt; 
Dove  che  venga,  PEsule 
Sempre  ha  la  patria  in  cor. 

Accolto  in  meszo  i  liberi 
Al  conversar  fldente: 
Ramingo  tra  gli  schiavi. 
Ghiuso  il  pensier  pradedle; 
Infra  ffl'industri  unanimi; 
Appo  1  discord!  ignavi; 
0  lastidito,  od  invido, 
Sempre  ha  la  patria  in  cor. 

Semnre  net  eor  I'ltalia, 

S'ell^anche  obblia  dii  I'ama; 

E  cariti  con  cento 

Memorie  k>  richiama 

Lk  sem|)re  a  quei  che  gemono^ 

Che  aggira  lo  spavento 

E  a  quei  che  trarii  ambivano 

Di  servi  a  liberta. 

S'ei  dorme,  i  soof  ftmtasimi 
Sono  I'ltalia;  e  vanno 
Baldi  ne'sogni,  o  abWaltl, 
A  sus^UargU  aSaooo; 


8 


E  le  panrenti  assumono 
Forme  e  gli  alterni  affetti 
Or  dai  perduti  secoli, 
Or  dalLa  viva  eta. 

Era  sopito  I'Esule; 
Era  la  notte  oscura; 
Con  lui  tacea  d'  intoroo 
L' universal  natura 
Presso  a  sentir  la  gelida 
Ora  che  d  innanzi  al  ffiorno; 
Quando  il  pensier  su  randito 
Ua  uom  gli  figurd. 

Dato  ha  il  cappuccio  agli  omeri, 
Indosso  ha  il  fucco  aDtico; 
Ginto  d  di  cuoio,  e  viene 
Grave,  ma  in  atto  amico; 
Trasfuso  agli  occhi  ha  il  giubilo 
Gome  d'un'alta  spene; 
La  sua  parola  d  folgore: 
Dirla  oggimai  chi  pu6?  — 

L'han  giurato.  Li  ho  visti  io  Pontida 
Gonvenuti  dal  monte,  dal  piano. 
L'han  giurato;  e  si  strinser  la  mano 
Gittadtni  di  venti  citti. 
Oh,  spettacol  di  gioia!  i  Lombardi 
Son  concordi,  serrati  a  una  lega; 
Lo  straniero  al  pennon  ch'ella  spiega 
Gol  suo  sangue  la  tinta  dara. 

Pid  sul  cenex  delParso  abituro 
La  Lombarda  scorata  non  siede. 
Ella  ^  s6rta.  Una  patria  ella  chtede 
Ai  fratelli,  al  marito  guerrier. 
L'han  giurato.  Yoi,  donne  frugali, 
Rispettate,  contente,  gli  sposi, 
Yoi  che  i  Ogli  non  guardan  dubbiosi. 
Vol  ne'forti  spiraste  il  voler. 

Perchi  ignoti  che  qui  non  han  padri 
Qui  staran  come  in  proprio  retaggioT 


9 

Una  terra,  un  costume,  un  linguaggio 
Dio  lor  anco  non  diede  a  fruir? 
La  sua  parte  a  ciascun  fu  divisa. 
fi  tal  doQo  cbe  basta  per  lui. 
Maledetto  chi  usurpa  I'altrui, 
Ghi'i  suo  doDO  si  lascia  rapirt 

Su,  Lombardit  Ogui  vostro  Gomuue 
Ha  una  torre,  ogni  torre  una  squilla; 
Suoni  a  stormo.  Cbi  ba  in  feudo  una  villa 
Go'suoi  venga  al  Gomun  cb'ei  giurd. 
Ora  11  dado  d  gettato.  Se  alcuno 
Di  dubbiezze  ancor  parla  prudente, 
Se  in  suo  cor  la  vittoria  non  sente, 
In  suo  core  a  tradirvi  pensd. 

Federigo?  Egli  h  un  uom  come  vol. 
Gome  il  vostro  d  di  ferro  il  suo  brando. 
Quest!  scesi  con  esse  predando, 
Gome  voi,  veston  came  mortal.  — 
Ma  son  millet  piu  milat  —  Gbe  monta? 
Forse  madri  qui  tante  non  sono? 
Forse  il  braccio  onde  ai  figli  kf  dono 
Quanto  il  braccio  di  questi  non  val? 

Sut  nell'irto,  increscioso  Alemanno, 
Sut  Lombard!,  puntate  la  spada; 
Fate  vostra  la  vostra  contrada, 
Questa  bella  cbe  il  ciel  vi  sorti. 
Vagbe  flglie  del  fervido  amore, 
Gbi  nell'ora  del  riscbi  d  codardo 
PiCi  da  voi  non  isperi  uno  sguardo, 
Senza  nozze  consumi  i  suoi  di. 

Presto,  airarmit  Gbi  ba  un  ferro  I'afiGUi: 
Gbi  un  sopruso  pati,  sel  ricordi. 
Via  da  noi  queslo  branco  d'ingordit 
Glik  Torgoglio  del  fulvo  lor  sir  I 
Liberta  non  fallisce  ai  volenti, 
Ma  il  sentier  de'perigli  ell'addita; 
Ma,  promessa  a  cbi  ponvi  la  vita 
Non  e  premio  d'inerte  desir. 


10 

Gusti  anch'ei  la  sventura  e  sospiri 

L'Alemanao  i  paterni  suoi  fochi: 

Ma  sia  in  van  che  ii  ritorao  egli  kiYoebi, 

Ma  qui  sconti  dolor  per  dolor; 

Questa  terra  ch'ei  caica  iDsoleatey 

Questa  terra  ei  la  morda  caduto; 

A  lei  Volga  Testremo  saluto, 

E  sia  il  lagno  deiPuomo  che  muor. 

n. 

Era  sopito  PEsule, 
Era  la  notte  oscura: 
I  sogni  suoi  travoiti 
Altra  pian^ean  flgura. 
Eran  sembianze  cogaite, 
Gia  discernuti  volti, 
Gente  su  cui  diffondesi 
Yitale  ancora  11  sol. 

Quale  il  pid  Undo  esercita 
A  danze  pellegrioe; 
Quale  alio  specchio  6  intaoto 
A  profumarsi  il  criue: 
E  qual  su  molle  coltnce 
S'adagia,  o  vinolento 
Rattien  deHa  fuggevole 
Gioia,  cantando,  il  vol:  -^ 

Pera  chi  stolido 
Mi  tedia  I'anima, 
Querulo,  indocile 
A  servitu! 

Ebben !  che  importami, 
Se  omai  I'ltalia 
Nome  tra  i  popoli 

Non  serba  pid? 

Forse  che  sterili 
Sul  colle  i  pamfHni 
Ai  prandj  niegaao 
L'ihu^? 


i1 

Forse  che  i  rosei 
Baci  ne  maacaoo, 
E  i  furti  facili 

Delia  belta? 

Stringan  ilimperio 
Su  noi  g\i  estrani, 
Se  la  mia  stritjgerlo 
Destra  non  pu5 

Ma  non  si  ch'emuh) 
Con  me  soll6visi 
Chi  Delia  polvere 
Floor  pos5. 

La  Dotte  vedila 
Tener  le  teoebre; 
E  il  giorno  limpido 
I  bei  color. 

Tai  la  progenie 
DelFuom  dfivlDO, 
Due  fati  immobili, 
Gioia  e  dolor. 

Se  y'ha  chi  d  in  lagrime, 
Sorga  maledico 
Contra  le  viscere 

Che  ii  concepir; 

Nd  lo  spregevole 
Figliuol  del  povero 
Fra  i  nati  al  giubilo 
Stenda  il  sospir. 

Oh,  il  nappo  datemi! 
Beviamt  sommergasi 
Tutta  de'gemiti 
La  vanity  I 

Beviaml  divampino 
E  lombi  ed  animal 
Gli  ocelli  seiotilliiM 
Di  volutUt 


12 

Sul  labbro  scocchino 
Le  oblique  arguzie, 
I  priegbi  e  il  calido 
GhigQO  d'amor, 

Onde  le  cupide 
Mogli  m'invocaito 
Garo  del  talami 
TrioDfatort 

Beviamt  chd  il  domito 
Sposo  non  vigila: 
E  anco  la  timida 
Divezzerd ; 

Lei  Che  il  volubile 
Fianco  e  le  grazie 
A'gai  spettacoli 
Nuova  rec6. 

Poggiato  a  un  candido 
Seo,  non  m'assalgono 
Nenie  per  Titalo 

DefuQto  onor; 

Ma  baci  fervidly 
Lepide  insidie, 
Defiij^  aneliti 

E  baci  ancor. 

III. 

Era  sopito  I'Esule, 
Era  la  notte  oscura; 
Uq  altro  il  sogno.  —  Ei  siede 
Svagato  a  una  pianura. 
Stirpe  di  padri  adulteri 
Quivi  trescar  non  vede, 
Ma  catafratto  ud  popolo 
Dalla  battaglia  uscir. 

Quel  che  giur^,  I'attennero; 
Han  combattuto,  ban  vinto. 


MiM 


13 

Souo  il  tallon  dei  forti 
Giace  il  Tedesco  estioto. 
Ecco  i  dispersi  accorrere 
Che  scapigliati  e  smorti 
Gercan  ridursi  alPaquile, 
Ghiaman  sussidio  al  sir. 

Egli  ?  —  h  scampato.  II  veggiono 
Nel  bosco  i  suoi  donzelli 
Le  maQ  recarsi  al  mento, 
Stracciarne  i  rossi  velli ; 
MeQtre  i  iombardi  cantici 
Gol  trionfal  coDcento 
A  iui  da  tergo  intimano 
Ghe  qui  non  dee  regnar. 

Preda  dei  primi  a  irrompere 
Nel  padiglion  deserto, 
Ecco  ostentar  pel  campo 
L'aurea  collana  e  il  serto : 
£  la  superba  clamide, 
£  deUe  borcbie  il  lampo 
Ecco,  a  ludibrio,  Pomero 
Di  vil  giumenta  ornar. 

Gome  tra  i  brandi,  mistico 
Auspicio  d'lsraele, 
L'Arca  del  divin  patto 
Gon  lor  venia.  fedele; 
Gosi  la  Groce,  iodizio 
Dell'immortal  riscatto, 
Ginta  dal  fior  de'  militi, 
Qui  sul  Garroccio  sta. 

Ecco  i  lor  giachi  sciogliere, 
Depor  le  cervelliere, 
E  tutte  intomo  al  Gristo 
Si  riposar  le  scbiere. 
Eccole  a  Dio,  cui  temooo, 
Prostarsi,  ed  il  cooquis^ 
Gli  riferir  deU'ardua 
Lombarda  liberta. 


14 


Per  la  campajgim,  orrtUB 
Di  morti  e  di  morenti, 
Donne  van  mule  in  voka, 
Gercando  impizienii 
Quel  Che  ban  mancato  al  novero 
Quando  squlll6  a  racooha, 
Quando  le  madri  accorsero 
Festanti  ai  Tineitor, 

E  anch'essi  ban  le  lor  laerime: 
Figli  dell'uomo  aneh'essi, 
Gbe  aspira  ai  gaudj,  e  inter! 
Non  gli  son  mai  concessi  1 
Curve  \h  donne  ingegnansi 
D'intorno  ad  un  cbe  i  fieri 
Spasmi  di  morte  occiipano 
Con  I'ultimo  pallor. 

Sovra  i  nemici  esanimi 
Ei  si  lanffiria  caduto. 
L'banno  le  pie  sorretto, 
L'banno  tra'suoi  renduto: 
Per  tre  ferite  sanguina 
Rotto  al  guerriero  il  petto; 
Nd  tuttavolu  il  rigido 
Pugno  I'acciar  lentd. 

Ma  non  ban  detto  al  misero 
Gbe  piCi  non  v'^  cui  fera? 
Gbe  in  Uitto  il  campo  sola 
Sventa  la  sua  bandiera^ 
Gbe,  cui  la  fufi[a  all'avide 
Lance  lombarde  invola, 
Perde  il  Ticino  al  valico, 
Li  dh  sommersi  al  Po  ? 

II  sa,  cbe  spose  ai  liberi, 
Madri  d'angustia  uscite 
Son  queste  cbe  devote 
Bacian  le  sue  ferite. 
Ob  quanta  gioja  irradia 
Le  moribonde  gote  t 


18 
Di  qati  oonlortD  lirowiik 
RimeriU  il  valor  1 

Presso  a  migrar,  lo  spirilo 
Si  striDge  al  cor:  Faita, 
L'affita,  il  riconduce 
Al  batter  della  vita : 
Gli  ocohi  virt£i  ripigliano 
A  comportar  la  luce ; 
Odi,  sul  labbro  valida 
Ferv«  la  voce  aocor!  — 

Dove  son  le  tre  ounzie  de'  santi, 
Le  Colombo  che  uscir  dall'altare  ? 
Con  cbe  bello,  cbe  fausto  aleggiare 
Del  Garroccio  airantenna  salir  I 
Fur  le  bande  oimiche  allor  viste 
Coder  campo»  tremar  del  portento, 
E  percosso  da  miro  spavento 
Rovesciarsi  il  eavallo  del  sir. 

Dio  fu  nosco.  Al  drappel  deUa  Wrte^ 
Alia  foga  de'  carri  fafcati 
£i  fu  ^uida  per  chiane  e  fossati 
Impighaodo  gii  avversi  guerrier. 
Si,  colui  cbe  par  lento  agli  afflittt, 
E  il  Dio  vigil  clie  pugna  per  essi; 
Nel  8uo  gioroo  ei  solleva  gli  oppressi. 
Fa  su  i  prenci  il  disprezzo  cader. 

Or  m'udiM!  Al  glaciglio  de'  servi 
Questa  rissa  di  nhstie  vi  logliie : 
Saldi,  eretti,  riarsi  di  voglie, 
Yi  fa  donui  del  vostro  vigor. 
Ma  vi  afflda  un  destin  che  v^h  nuovo, 
Che  vi  sbalza  su  ignoti  sentieri: 
A  percorrerli  voi,  v'^  mestieri 
Aim  spirto  comporvi,  altro  cor. 

Obi  dan&ali  que^  {[ioriii  quand'uono. 
Da  qual  fosse  oitta  peregrine, 
Per  qual  porta  pigliasse  il  cammino, 
Uscia  verso  un'esosa  cittit 


1 


16 


Son  la  siepe  die  I'orto  vlmpruna, 
il  confin  dell'Italia,  o  ringhiosi ; 
SoQO  i  monti  il  suo  lembo ;  gU  esosi 
Soa  le  torme  che  vengon  di  iL 

Le  fiumane  de'  vostri  valloni 
Si  devian  per  correnti  diverse; 
Ma  Del  mar  iutte  quante  riverse, 
PerdoD  Dome  e  si  abbracciaD  tra  lor : 
Gosi  voi,  come  il  mar  le  lor  acque, 
Tutti  accolga  ud  supremo  peosiere, 
Tutti  mesca  e  coofoDda  ud  volere : 
L'odio  al  giogo  d'estraoio  sigoor. 

Le  citUi,  siccom'uoa,  cod  uoa^ 
Abbiau  pace  aDche  doDtro :  e  I'iDsegDi, 
Col  deporre  i  profaDi  disegDi, 
L'uom  che  stola  e  maDipoi  vesti. 
CapitaD,  valvassor,  ciitadiDO, 
Gessi  ogDUD  dai  lavori  di  parte. 
II  Lombardo  che  ^  scritto  ad  uu'arle 
Nod  dispetti  chi  uu'altra  segui. 

Al  fratel  di  pid  forte  coDsiglio 
Chi  vergogDi  obbedir  dod  vi  sia; 
Percbd  Dulla  vergogDa  piCi  ria 
Che  obbedire  al  soldato  straoier. 
Se  UD  rettor,  se  ud  de'coDsoli  falla, 
ToUerate  aDche  i  guai  dell'errore» 
Perchd  Dulla  miseria  oiaggiore 
Che  Id  domlDio  d'estraDei  cader. 

E  voi,  madri,  crescete  uua  prole 
Sobria.  iogeoua,  pudica,  operosa, 
Liberta  mai  costume  dod  sposa, 
Per  sozzure  dod  mette  mai  pid.  — 
Addio  tutti . . .  Appressate  ai  moreute. . 
Gh'io  mi  posi  a  uua  destra  vittrice. 
Gari  miei,  dod  mi  dite  iofelice; 
Nod  piaDgete,  fratelli,  per  me. 


17 


Era  allor  d4  oompiangermi  quando, 

A  scainparvi,  per  Dio  I  dal  servaggio , 

Yi  richiesi  un  di  so)  di  coraggi6, 

E  mi  deste  litigri  e  vilt^t 

Tutto  in  gioia  or  mi  torna,  fin  anco 

Se  del  tanto  dolor  mi  ricordi. 

i  ii  dolor  che  n'ha  fauo  concordi : 

La  coBCordia  vincenti  ne  fa. 

Miser  quel  che  in  sua  vita  non  colse 
Un  fior  mai  dalla  speme  promessot 
Quei  che  senza  venirgli  mai  presso, 
Corse  anelo,  insistente  ad  un  fin! 
Peggie  ancor,  se  qui  giunto  com'io, 
Qui  sul  passo  che  sganna  ogni  iliuso 
Ydlto  indietro,  s'accorge  confiiso 
Gh'era  iniquo  ii  fornito  cammin  t 

lla  la  via  ch'io  mi  scelsi  fu  santa. 
Ma  it  dover  ch'era  il  mio  I'ho  compiuto. 
Questo  di  ch'io  volea  I'ho  veduto : 
Or  clemente  m'accolga  Chi  '1  Te'. 
Qualche  volta,  pensose  ia  sera 
Mi  rammentin  le  donne  ai  mariti; 
Qualche  volta  ne'  vostri  conviti 
Sorga  alcuno  che  dica  di  me : 

<  In  parole  fu  acerbo  con  noi 
Fin  cne  Italia  nell'ozio  si  tenne. 
Quando  il  ffiorno  dell'opre  poi  venne, 
Uno  sguardo  egli  intorno  gir6; 
Pose  in  lance  il  servaggio  e  la  morte; 
Eran  pari;  — >  e  a  Dio  i'alma  commise: 
In  PoNTiDA  il  suo  sangue  promise; 
II  suo  sangue  a  Lbgnano  versd.  » 

IV. 

Era  sopito  I'Esule ; 
Era  la  notte  oscura. 
II  sogoo  erano  agoelle 
Vaganti  alia  pastura; 


Gampi  ohe  lenl  salgono 
Su  per  colline  belle: 
Lontano  a  dritta  ripidi 
MoDti  e  altri  monti  ancor; 

Dinanzi  una  cerulea 
Laguna,  un  prorompente 
Fiunie  che  da  quelrobde 
SvolTe  la  sua  correote. 
Sovra  tant'acque,  a  specchio, 
Una  citta  risponde; 
Guglie  a  cui  grigio  i  secoli 
Composero  il  color ; 

Ed  irte  di  pinnacoli 
Case  che  su  lor  grevi 
Denno  sentir  del  lent! 
Vemi  seder  le  nevi ; 
E  finestreue  povere, 
A  cui  ne'  di  tepenti 
La  casalioffa  vergine 
Infiora  il  davanzal. 

6  il  tempo  in  cui  Panemone 
Intisichisce  e  muore, 
Gedendo  i  Soli  adulti 
A  plik  robusto  fibre. 
Purpureo  ecco  il  garofano 
Spiegar  d'in  su  i  virgulti 
Dell'odorato  amaraco, 
Del  diitamo  vital. 

Per  tutto  d  moltitudine ; 
]^  un  di  come  di  festa. 
Donne  che  su  i  veroni 
Sfoggiano  in  gaia  vesta; 
Gid  tra  la  folia  un  s^guito 
D'araldi  e  di  baroni, 
Che  una  novella  spandono 
Gome  gioconda  a  udir. 

Ma  cbe  parola  parlino. 
Ma  che  novella  sia, 


19 


Ma  che  risposta  reoda 
Chi  grida  per  la  via, 
Nol  pu6  il  sognante  cogliere, 
Per  quant'oreccbio  intenda: 
£  gente  che  con  I'ltalo 
Non  ha  comuoe  il  dir. 

Que'  suoi  baroni  emergono 
Segnal  d'un  di  vetusto : 
P:  ferreo  il  lor  cappeilo; 
i  tutto  maglia  il  busto : 
Tal  fra  le  volte  gotiche 
Distesa  in  su  Pavello 
Gli  avi  scolpian  I'efOgie 
Del  morto  cavalier.  — 

PassaD  da  trivio  in  trivio; 
Dar  nelle  trombe  fanno; 
Gennan  che  il  popol  taccia; 
Parlano.  —  Intente  stanno 
Le  turbe.  E  plausi  e  battere 
Di  palme  a  quel  procaccia 
Sempre  il  bandito  annunzio, 
Sovra  qua!  trivio  il  dier.  — 

Ma  di  che  fan  tripudio? 
Ma  che  parola  ban  detto  ? 
Ma  sul  cammin  la  calca 
Or  di  che  sta  in  a^petto  ? 
La  pompa  oud'essi  ammirano, 
Piu  e  pii!i  lontan  cavalca; 
E  anco  lontan  non  s'odono 
Trombe  oramai  squillar. 

Pur  non  v'd  un  uom  che  smovasi 
A  ceder  passo  altrui. 
Chi  d'usurparlo  ardisce, 
Balza  respinto;  e  lui 
Del  suo  manchevol  impeto 
Chi  '1  vantaggid,  scheriiisce. 
Da  ciasi*.un  gesto  il  tendere 
De'  curiosi  appar. 


r 


K 


4 


AU'ondeggiante  streplto 
Di  si  condensa  gente, 
Ecco,  una  muta  sosta 
Or  sottentr6  repente. 
Pur  n^  le  trombe  suonano , 
N^  palafren  s'accosta 
Gbe  porti  del  silenzio 
L'araldo  intimator. 

£  un  quietar  spoutaneo, 
Un  ripigliar  decoro. 
Par  anco  peritosa 
Uua  sQdanza  in  ioro, 
Gome  di  chi  con  palpito 
S'appresta  a  veder  oosa 
Gbe  riverenza  insolita 
Sa  cbe  dee  porgli  in  cor. 

Ecco  far  ala,  e  un  adito 
Scbiuder.  Gbi  d  mai  cbe  vegna? 
Non  daMmiltzie  scorti, 
Non  da  fastosa  insegna, 
Son  pocbi,  —  sol  cospicul 
Per  negri  cigli  accorti. 
In  mezzo  il  biondo  popolo 
Muovono  lento  il  pi6. 

A  coppia  a  coppia  in  seroplici 

Prolisse  cappe  avvolti. 

Gbe  francbi  atti  discrelil 

Gbe  dignita  nei  voltit 

Tra  lor  dan  voce  a  un  cantico, 

Tra  lor  I'alteroan  lieti. 

Ob,  della  cara  Italia 

La  cara  lingua  elPS  t 

Lo  stesso  Evangele,  toccato  da'  suoi, 
Toccammo  a  vicenda;  giurammo  ancbe  noi 
Quel  cb'egli  col  labbro  dei  conti  giuro. 
Su  Panime  nostre,  su  quella  di  lui 
Sta  il  patto :  la  perda,  la  danni  colui 
Del  quale  avran  detto  cbe  prime  il  tuSsb. 


In  Curia  solenne,  fra  on  nugol  di  sguardi. 
Qual  pari  con  pari,  coi  Messi  lombardi 
Fu  d'uopo  al  sunerbo  legarsL  di  fd  1 
II  popol  eh'ei  voile  punito,  soggetto, 
Gli  sfugge  dal  piglio,  gli  siede  a  rimpetto, 
Levata  la  fronte,  sicuro  di  sd. 

La  pace!  la  pace!  Rechiamola  ai  figli. 
Nunziaroo  alle  spose  Oniti  i  perig[Ii 
Di  cb'elle  tanl'anni  pei  cari  tremar. 
L'immune  abituro  pregato  ai  mariti, 
Or  Than ;  nS  piii  mogll  di  servi  scherniti, 
Ma  donae  di  (ranchi  s'udranno  cbiamar. 

AddiOy  belle  rive  del  fiume  straniero, 
E  tu,  mitiffato  signer  dell'lmpero, 
£  tu,  pel  Lombardi  la  fausta  ciu^. 
Tornati  a  sedere  su  i  fiumi  nativi, 
Gompagno  de'  nostri  pensier  piCi  giulivi, 
GosTANZA,  il  tuo  nome  perpetuo  verrlt. 

Ma  quando  da  canto  le  nostra  lettiere 
Yedrem  le  sospese  labarde  guerriere, 
E  i  grumi  del  sangue  cbe  un  di  le  bruttd ; 
Un  altro  bel  nome  ricorso  alia  mente 
Diremo  alle  donne  j  ciascuna,  ridente, 
Poggiatasi  al  braccio  cbe  i  fieri  prostr^. 

Dbrem  lo  sbaraglio  del  campo  battuto 
E  11  sir  di  tant'oste  tre  giomi  perduto, 
Tre  notti  fra  dumi  tentando  un  sentier. 
La  ref^a  consorte  tre  notti  I'aspetta, 
Tre  giorni  lo  cbiama  dall'alta  veletta: 
Al  quarto,  misviene  fra  i  muti  scudier. 

L'ban  cerco  nel  greto,  neirampia  boscaglia; 
Indaroo  I  —  Sergenti,  valletti  m  gramaglia 
Preparan  nell'aula  Pesequie  def  re.  — 
No,  povera  afflltta,  non  metterlo  il  bruno. 
6i&  al  ponte  v'd  gridi;  lo  passa  qualcuno : 
E  desso,  —  in  castello  domanda  ol  te. 


SI 


No,  povera  afflitta,  tu  colpa  non  hai ; 
E  il  ciel  te  lo  rende;  nd  tu  le  saprai 
Le  angosce  sofferte  dall'uom  del  tuo  cor. 
Ma  taci ;  e  ti  basti  che  vano  6  il  corrotto. 
Nessun  di  battaglia  s'attenti  far  motto: 
NessuQ  con  inchieste  gl'irriti  il  rossor. 

6  altrove,  d  fra  il  balli  del  popol  ritroso 
Ghd  fervon  racconti  del  di  sanguiooso. 
Lk  chiede  ogni  voce  :  guerrieri  che  fuT  — 
Oh,  hello  I  sul  campo  venir  di  que'  prodi, 
Tracciarne  i  vestigi,  ridirne  le  lodi, 
Memhraroe  per  tutto  Paudace  virtA! 

Ne'  di  del  Signore,  dinanzi  gli  altari, 
Allor  che  Tuom,  netto  d'afTanni  volgari, 
L'ori^n  piCi  intende  da  cui  deriv6; 
Ignoti  al  rimorso  d'averia  smentita> 
Oh  hello!  in  sen  plena  sentirci  la  vita, 
Volenti,  possenti,  cuai  Dio  ne  cre6! 

Nel  coglier  dell'uve,  nel  mieter  del  grano, 
Dovunque  d  una  gioia;  fla  sempre  Legntmo 
L'altera  parola  che  il  canto  dira. 
Ma,  guai  pe'nipoti!  se,  ad  essi  discesa, 
Diventa  parola  che  muor  non  compresa; 
Quel  giomo  I'inCame  de'glorni  sara 

Snerbato,  curante  ciascun  di  sd  solo: 
Qual  correr  d'estraneil  qual  onta  sul  suolo 
Che  a  noi  tanto  sangue,  tant'ansie  cost5l 
Allor,  non  distinti  dai  vili  i  geroenti, 
Guardando  un  tal  volgo,  diranno  le  genti: 

I  RB  CHI  HA  SUL  GOLLO  SON  QUBI  CHB  MBRTd. 

V. 

Bra'sopito  FEsule, 
Era  la  nolle  oscura, 
E  nulla  p\h  del  lago 
E  delle  grigie  mura. 


Ecco  ne^sogni  mdbili 
Una  diversa  immago; 
Bcoo  un  diverso  palpito 
Del  dormiente  al  cor, 

Pargli  aver  penne  agli  omeri, 
E  un  ciel  che  Pinna  mora 
Battere,  ai  rai  vermigli 
D'italiana  aurora. 
Fiuta  dall'alto  i  balsam! 
De'suoi  materoi  tigli; 
Gode  in  veder  la  turgida 
Foglia  de'geisi  ancor. 

Gome  la  vispa  rondioe, 
Tornata  ov'ella  nacque, 
Spazia  sul  plan,  sul  flume, 
Scorre  a  lambir  fln  I'acque, 
Sale,  riscende^  librasi 
Su  I'iaderesse  piume, 
Yiene  a  garrir  nei.portici, 
SvoU  e  garrlsce  in  oiel, 

Cosi,  fldato  all'aere, 
Ei  genial  lo  spira; 
E  cala  ognor  piCi  il  volo, 
PiCi  lo  raccorcia,  e  gira 
Lento,  piCi  lento,  a  radere 
n  vagheggiato  suolo; 
Com' ape  fa  indugevole 
Circa  un  fiorito  stel. 

L'aia,  il  pratel,  la  pergola 
Dove  gioia  fanciullo; 
L'erte  indicate  ai  bracchi 
Nel  giovenil  trastullo; 
Le  fraite  donde  al  vespero, 
Ghino  a  palpar  ffli  stracchi, 
Redia,  colmo  suT  femore 
Pendendogli  il  carnier; 

Tutti  con  Pocchio  memore 
Hsiti  egli  rifruga, 


I  cari  siti,  ahi  lasso  t 
Che  neli'amv^  fuga 
Larve  mandar  parevano 
A  circuirgli  ii  passo, 

A  coUocargii  ud  tribolo 
Sovra  ciascun  sentier. 

Rinato  ai  di  cbe  furoao, 

II  mattin  farsi  ammira 
?\ii  rancio;  e  la  salita 
Del  Sol  plena  sospira, 
Tanto  die  intoriu)  ei  veggisi 
Ribrulicar  la  vita, 

Oda  il  yenir  degli  uominiy 
Yoli  dinanzi  a  lor. 

Tutta  un  sorriso  d  I'anima 
Di  rif  ersarsi  ardeote. 
Presago  ei  si  eonsola 
Nelle  accogliense;  e  seme 
Ghe  incoBtreria  benevolo 
Fin  aneo  lei  cbe  sola 
Sa  pur  di  quale  asseozio 
Deggia  grondargU  il  cor. 

Eccolo,  il  Soil  Prettevoli 
Pestan  la  guazza,  e  Aiori 
A  seminati  e  vigne 
Traversano  i  cultori. 
Recan  le  facoe  stupide 
Cbe  il  gramo  viver  tigne; 
Scalzi,  cenclosi  muovono 
Sul  suol  dell'uberti. 

Dai  fumaiuoli  anounziansi 
Ridesti  a  mille  a  mille 
I  focbi  dei  castelli, 
Dei  borgbi  e  delle  viHe. 
Dove  pit  fulto  S  d'uomini, 
A  due,  a  tre,  a  drappelli 
Escono  agli  02j,  aiPopere, 
Sparsi  per  la  citta. 


Son  qaeaAl  ft  qjoem  11  popoio 
Per  GUI  con  aS^nosa 
VegUa  ei  cerc6  ii  perigUo, 

Serse  ogni  amata  cosat 
questo  11  desiderio 
Dell'inquieto  esiglio? 
Questo  il  narrato  affli  ospiti 
Nobil  nel  sao  patirf 

Eeco  infra  lore.  U  teutono 

Dominator  passeggia; 

Li  assal  con  mano  avara^ 

Li  insidia,  li  dileggia: 

Ed  ei  tacenti  prostransi, 

Pidi  allMnfame  gara 

Di  chl  piti  alacre  a  opprimere, 

0  Chi  '1  sla  pii^  a  servlr. 

In  tante  fronti  vacuo 
D'ogni  viril  concetto 
Chi  un  pensier  pu6  ancor  vivo 
Sperar  d'antico  aftetto? 
Gni  vorria  farvel  nascere? 
Chi  non  averlo  a  schivo 
Gome  il  hlandir  di  femmina 
Sul  trlvio  al  passeggier? 

Lesto  da  crocchio  a  croeohio 
II  volator  trapassa; 
E  gl'indaganti  sguardl 
Su  quel,  su  questo  abbassa. 

1  bet  presagi  tornangli 
Ad  uno  ad  un  bugiardi; 
Pur  vola  e  vola,  e  indocile 
Discrede  il  suo  veder. 

Gol^  una  donna?  Abi  miseraf 
Qual  caro  suo  1'^  toho? 
Non  6  dolor  che  agguagii 
Quel  che  Vh  impresso  in  volto. 
Par  che,  da  forze  perfide 
Hessa  quaggiu  in  travagli, 


M 


Sporga  ver,  Dio  la  lajffrima 
Gui  gli  uomini  insultir. 

Patrial...  Spilbergat...  vittime!... 
Suona  il  suo  getner  trislo.  — 
Quel  che  dir  voglia  il  saimo, 
Gom'ella  pianga  ban  visto: 
E  niun  con  lei  gartecipa 
Tanto  solenne  affanno; 
NiuD  gPinfelici  e  U  carcore 
Osa  con  lei  nomar. 

Chi  dietro  im  flauto  gongola 
Ghe  di  cadenze  il  pasca, 
E  Chi  allibbisce  ombroso 
D'ogni  stormir  di  frasca; 
Gome  nel  buio  il  pargolo 
Sotto  la  coltre  ascoso, 
Se  il  di  la  madre,  iroproyida» 
Di  spettri  a  lui  parl6. 

Altri  il  pusillo  spirito 
Onesta  d'un  vel  pio; 
Piaggia  i  tiranni  umile 
E  sen  fa  bello  a  Dio. 
Gome  se  Dio  coropiacciasi 
Quant' ^  piii  Tuom  servile, 
L'uom  sovra  cui  la  nobile 
Imroagin  sua  stamp&t 

E  quel  che  fean  dell'itale 
Trombe  sentir  lo  squilio 
La  sul  Raabt  soldati 
Del  tricolor  vesslllo, 
Ghe  a  tener  fronte,  a  vincere 
Gorrean,  —  per  tulto  usati 
L'Austro,  il  Boemo,  TUagbero 
Gacclar  dinanzi  a  si^, 

Dove  son  ei?  —  6ii  rinelita 
Destra  omicida  h  polve? 
Tutte  virti^  I'argilla 
Del  cimitero  involve? 


17 

0  de'conigli  Findole 
Adco  ii  teon  sorbilla, 
E  dei  ruggiti  immemore 
Lambe  a  chi'l  calca  i  pid?  — 

Al  dubbio  amaro,  TBsule, 
Gome  una  man  gli  fosse 
Posta  a  oppressar  sul  core, 
Si  risenti;  si  scosse 
A  distrigar  I'anelito, 
A  benedir  I'albore 
Ghe  dalle  vane  immagini 
A!  ver  io  ravvid. 

Desto,  —  ammutito,  immobile 
II  suol  com'uomo  afdsse 
Ghe  del  suo  angor  vergogni: 
Poi  quel  che  vide  ei  scrisse. 
Ma  quel  che  ancor  I'ingenuo 
Soffre,  pensando  ai  sogni, 
Sol  cui  la  patria  d  un  idolo 
lodovinar  fo  pu6. 


I  PROPUGHI  DI  PARGA 


PARTE  PRIMA 

LA  DISPERAZIONE 


c  Chi  d  quel  Greco  cbe  guarda  e  sospira, 
Lk  seduto  nel  basso  del  lido? 
Par  Che  fissi  riropetto  a  Gorcira 
Qualche  terra  lontana  nel  mar.  — . 
Chi  6  la  donna  che  mette  uno  strido 
In  vederlo  una  rdcca  additar? 

t  Ecco  ei  scorge.  —  Per  i'erto  cammiuo 
Che  pensier,  che  furor  I'ha  sospinlo? 
Ecco  ei  stassi  che  pare  un  tapmo 
Gui  non  tocchi  pii^  cosa  mortal.  — 
Ella  corre  —  ii  raggiuuge  —  dal  cinto, 
Trepidaudo,  gli  strappa  un  pugnal.  ^ 

•  Ahi,  che  invan  la  pietosa  il  contrastaf 
G\k  alia  balza  perduta  ei  s'affaccia; 
Al  suo  passo  il  terren  pii^  non  basta; 
II  suo  guardo  su  i  flutti  piombd. 
Oh  spaventol  ei  pretende  le  braccia:  ^ 
Oh  sciagural  gia  il  salto  spiced.  — 

t  Remiganti,  la  voga  battete; 
Affretlato,  —  salvate  il  furente. 
Ei  delira  un'orrenda  quiete: 
Muore  —  e  forse  non  sa  di  morir.  — 
0  g\i  forse  il  meschino  si  pente; 
Gia  rimanda  a'suoi  cari  un  sospir.  ■ 

Disse  Arrigo.  —  E  de'remi  la  lena 
L'ansia  ciurma  su  I'acque  distese; 


Ma  a  soherDirlo  dallMma  oarena 
Fra  i  tacenti  una  voce  gali: 
t  Che  t'importa,  o  viiissimo  Inglese, 
>  Se  un  ramiogo  di  Parga  mon  t  >  ^ 

Quella  voce  6  il  dispetto  de'forti 
Che,  traditi,  piu  patria  non  baono.  — 
Que'  voganti  alle  belle  consoiti 
Gorciresi  ritornan  del  mar.  — 
God  ior  passa  a  Gorcira  il  Britanno 
Poi  Che  i  venti  al  sue  legno  mancar.  — 

Gome  il  reo  che  Ak  roente  all'accusa, 
Senti  Arrlgo  Tingiuria  e  si  taeque: 
Gome  il  reo  che  non  trova  la  scusa^ 
Strinse  il  guardo,  la  fronte  cel6; 
E  delPisola  avara  ov'  ei  nacque 
Sul  suo  capo  I'infamia  pes6. 

Ma  un  nocchiero  i  coropagni  rincora; 
Sorge  un  attro  e  lor  segoa  un  maroso; 
Ecco  un  altro  si  affanna  alia  prora; 
II  governo  da  poppa  ristd.  — 
Ecco  UQ  plauso:  —  <  Su!  roira  il  tuo  sposo, 
Mira,  o  donna,  perduto  non  6.  >  — 

Quando  Arrigo  posarsi  al  naviglio 
Vede  il  miser,  su  lui  s'abbandona; 
E,  gual  madre  alia  culla  del  flglio, 
Su  le  labbra  aiitando  gli  vieu; 
Delia  vita  il  tepor  gli  ridona; 
Gli  conforta  il  respiro  nel  sen. 

I  noccbieri  a  quel  corpo  grondante 
TuUi  avvolgono  a  gara  i  lor  panni; 
TuUi  a  gara  d'intorno  alPansante 
Gli  affalica  un'  industre  pieta.  — 
Nolo  a  lutti  ^  queiruom  degli  affaoni; 
Ognun  d'essi  la  storia  ne  sa. 

S'ode  un  pianto:  —  discesa  alia  spiaggia 
£:  la  donna  che  invoca  il  consorte, 
E  alia  voga  che  a  lei  snk  v'iaggia 
Piu  veloce  scongiura  il  vigor. 


w 

Infelicel  un'aogustia  di  morte 
Le  tnvaglia  la  speme  nel  cor. 

A  quel  prego,  su  i  banchi,  —  giuliva 
Del  riscatto,  —  la  ciurroa  s*arraDca;  — 
G\k  vicina  bianchegffia  la  riva;  — 
Sotto  prora  gia  I'onda  spari.  — 
Gik  d'un  guardo  il  salvato  rinfraaca 
La  compagna  de'tristi  suoi  di.  — 

L'uom  di  Parga  all'ostello  riposa; 
La  sua  stanca  pupilla  d  sopita.  — 
Ma,  a  custodia  deH'egro^  la  sposa 
Quanto  d  lunga  la  notte  veglid; 
E  a  spiarne,  tremando,  la  vita 
Su  lui  spesso  ricurva  peud. 

Ne  la  veglia  angosciosa  il  Britanno 
A  la  donna  soccorre  e  le  dice: 
t  Perch^  taci  e  nascondi  Paffanno? 

>  Ahl  mi  svela  i  segreti  del  duol; 

>  Narra  i  guai  che  al  deliro  infelice 

>  Fenno  esosa  la  luce  del  Sol.  >  — 

Era  11  chieder  delPuom  che  prepara 
Un  conforto  maggior  che  di  pianto; 
E  a  lei  scese  sull'anima  amara. 
Gome  ad  Agar  la  voce  del  ciel, 
Quando  gia  pel  deserto,  ed  a  canto 
Le  gemea  Tassetato  Ismael.  — 

c  0  cortese,  qualunque  tu  sia, 

>  No,  d'aprirti  il  mio  cor  non  mi  pesa; 

>  Ma  ove  I'angiol  di  Parffa  t'invia 

>  A  veder  di  sue  genii  il  dolor, 

>  Se  tu  ascoiti  parola  d'offesa, 

>  Non  irarti,  ma  piangi  con  lor.  >  ^ 

Ogni  flel  di  rampogna  futura 
Temperd  con  tai  detti  Tonesta; 
Poiy  qual  donna  che  il  tempo  misura, 
Fe'silenzio  e  alio  sposo  torn6; 
La  man  lieve  gli  pose  alia  testa, 
E,  contenta^  un  suo  voto  maodd: 


31 

c  Da  le  loembra  d  svanito  Palgore. 
t  Ah!  siOD  plaoidi  i  sonni.  e  daiciglio 
f  Si  trasfonaa  la  calma  oel  core: 
t  M  il  funestiD  vaganti  pensier 
t  Che  gli  parlin  di  patria,  d'esiglio, 
«  Che  gli  parlin  d'oltraggio  stranier.  >  — 

Oltre  il  mezzo  6  varoata  la  notte.  — 
Nel  tugurio  le  tenebre  a  stento 
Da  una  poca  lucerna  son  rotte 
Che  gia  stride,  vicina  a  mancar.  — 
Fuor  non  s'ode  uno  spird  di  vento, 
Non  un  remo  che  batt^sul  mar.  — 

Tace  Arrigo.  —  La  Greca  si  asside 
A  ridir  le  sue  pene;  e  sovente 
II  sospir  la  parola  precide, 
0  IMdea  ne  la  menie  le  muor, 
Perchd  al  leito  dell'uomo  languente 
La  richiama  inquieto  I'amor. 


PARTE  SECONDA. 

IL   RACCONTO. 

L 

Qoando  Parga  e  il  suo  popol  floria, 
AnchMo  spesso  neU'alma  gustai 
La  gentil  volutt4  d'esser  pia. 

Or,  caduta  all'estremo  de'guai, 
Mi  conforta  che  alaien  su  me  torna 
Quella  pieta  che  agli  altri  donai. 

Ohl  se  un  di  per  me  lieto  raggiorna; 
Se  un  di  mai  rivedrd  quelle  mura 
Da  cui  Todio  di  Ali  ci  distorna; 

Se  mai  vien  ch'io  risalga  secura 
A  posar  sotto  il  tiglio  romito 
Che  di  Parga  incorona  I'altura; 


.L 


Pra  i  terrori  del  lurbo  i|Hirito» 
Un  rifugio  da  dolce  al  cor  mio 
Rammentar  chi  m'ha  salvo  il  marito* 

Ahit  percossa  dall'ira  di  Dio^ 
A  che  parlo  speranza  di  pace, 
Se  di  morte  if  feroce  desio 

Forse  ancor  nel  mio  sposo  non  taoe? 

Ma  i  sonni  son  placidi; 
Svanito  d  I'algor; 
La  calma  del  ciglio 
Trasfusa^oel  cor. 

Oh  Dio!  n(Pfunestino 
Yaganti  pensier 
Di  patria,  d'esilio, 
D'ohraggio  stranier. 


II. 


Dalle  vette  di  Suli  domata 
LMnfedele  esecr6  le  mie  ffentl 
Ghe  una  sede  ai  fuggiaschi  aveao  data. 

L^  su  i  templi  del  Dio  de'Redenti 
Ecco  il  rosso  steodardo  dell'eropio 
Elevar  ie  sue  corna  lucenti. 

Quei  che  iodisse  a  Gardichi  lo  so6mpk>» 
Quel  che  rise  in  vederlo,  ha  giurato 
Rionovarne  su  Parga  I'esempio. 

La  sua  tromba  suon6  lo  spietalo, 
Noi  la  nostra;  —  e  scendemmo  nell'ira 
Sul  terreno  d'Aghia  desolato; 

Sui  terren  che  ie  caste  rimira 
Sue  donzelle  vendute  al  servaggio, 
B  scannati  i  suoi  prodi  sospira. 

Gl'infelici  eran  nostro  lignaggio, 
Nostri  i  campi;  e  a  punir  aoi  scendenuno 
Ghi  insultava  al  comuoe  retaggio. 


1 


3S 

E  noi  donne,  noi  pur^  combattemmo; 
0  accorrendo  al  tuonar  de'moschetti,  * 

Garche  I'armi  ai  valor  provvedemmo. 

La  vittoria  allegrd  i  nostri  petti ; 
E  il  guerriero  asciugando  la  fronte 
Gi^  cantava  i  salvati  suoi  tetti. 

Gik  le  spose  recavan  dal  fonte 
Un  ristoro  ai  lor  cari,  e  rrattanto 
La  vendetta  cantavan  dell'onte.  — 

c  Ah!  ce^sate  la  gioia  del  canto: 
c  Due  fratelli  il  crudel  m'ha  trafitto; 
f  L'un  sd  I'altro  periroDmi  accanto.  » 

Gosi  in  Parga  una  voce  d'afflitto 
Rompe  i  gridfdel  popol  festoso 
Ghe  ritorna  dal  vinto  conflitto. 

Ahit  Chi  piange  i  fratelH  d  il  mio  spofie. 

Fur  I'uUime  lagrime 
Ghe  il  miser  versd: 
Poi  cupo  nelPanima 
II  duoi  rinserrd; 

Con  negri  flantasimi 
Flu  sempre  ii  nodri; 
Ahy  misero!  miserol 
La  vita  abborri.  — 

Ma  il  sonno  piii  aggrevasi; 
Ritorna  il  tepor: 
Trasfusa  dal  ciglio 
La  caima  d  nel  cor.  ^ 

Oh  Dio  t  noi  ritentino 
Vaganti  pensier 
Di  patria,  d'estglio, 
D'  oltraggio  stranier. 

in. 

Gome  uscito  alia  strada  il  ladrone, 
Se  improvviso  lo  stringe  il  p^riglio, 
Riguadagna  a  gran  passo  il  burrone;  S 


34 


Li  si  acooscU;  e  dal  vil  nascondiglio 
Gira  ii  guardo  ed  ago^na  il  momeoto 
Di  spiegar  seuza  rischio  I'artigiio: 

Tale  AH  si  sottrasse  al  cimento; 
Poi  rivolto  all'  infausta  pianura, 
L^attristd  d'ua  feral  monuroeoto.  — 

Ha  que'  marmi  non  soo  Sepoltura 
Che  piangeDdo  ei  compoDga  al  nipote; 
Am  son  di  sua  rabbia  futura.  — 

Sorge  un  vecchio  e  predice:  c  Remote 
c  Abl  QOD  sou  le  vendetie  del  viuto; 
«  Oggi  ei  fugge,  domao  vi  percote. 

t  D'armi  ouove  il  suo  fiauco  d  riciato; 
c  E  alle  vostre  la  punta  fu  scema 
c  In  quel  di  che  I'avete  respinU).  t  — 

GoQSigliera  de'stolti  ^  la  tema. 
Stolto  il  veglio  e  chi  udillo!  —  Fu  quesu 
Deile  nostre  sciagure  I'estrema. 

Not  vedemmo  venir  la  tempesta; 
E  dov'd  che  cercaromo  salute? 
Nel  covil  della  serpet  —  Oh  funesta 

Ceciti  delle  menti  canutel 
Oh  de'ffiovani  incauta  fldanzal 
Oh  vigilie  de'forti  perdutet 

Pift  di  libere  genti  la  stanza 

Son  d  Parffa.  Un'estrania  bandiera 
il  segnaT  di  sua  nuova  speranza. 

La  sua  spada  6  una  spada  straBiera: 
I  non  vinti  suoi  flgli  alFInglese 
Han  oommesso  (^e  Parga  non  pera. 

De'tementi  6gli  il  gemito  intese, 
E,  signor  delle  vaste  marine, 
Gome  amico  la  destra  ci  stese, 


95 
Ecco  Bi  siede  sul  nostro  confine, 
Ecco  Ei  giura  nel  nome  di  Gristo 
Far  secure  le  genti  tapine.  — 

Ah!  gual  fd  ci  d  serbata  dal  tristo, 
A  che  faceio  il  mio  popol  Xu  cdlto, 
Sil' quasi'  uomo  su  cui  mi  contristo, 

Questo  forte  che  il  senno  ha  sconvoUo.  — 

Ma  I'ansie  cessarono; 
Pid  lene  d  il  sopor: 
La  caiQda  trasfondesi 
Dal  ciglio  nel  cor. 

Oh  Diol  non  la  turbino  « 

Lugiibri  pensier, 
Crucciuse  memorie 
D'ollraggio  stranier. 

IV. 

Squilla  in  Parga  Tannunzio  d'un  bando:  -^ 
Posti  a  prezzo  dall'An^lo  noi  siamo 
Gome  schiavi  acquistati  col  brando.  — 

Yano  h  il  pianfifer;  schernito  d  il  richiamo: 
Gik  il  vegliardo  dell'empia  Giaunina 
Go'suoi  mille  avanzarsi  veggiamo. 

G\k  gia  tolta  allMnflessa  vagina 
Sfronda  i  cedri  del  nostro  terrene 
L'insultante  sua  sciabla  azzurrina. 

Egli  Tiene:  dal  perfido  seno 
Scoppia  il  gaudio  dell'  ira  appagata; 
La  oestemmia  d  sul  labbro  ali'osceno. 

Non  6  II  forte  che  sfidi  a  giomata : 
E  il  villano  che  move  secdro  « 

A  sgozzare  I'agnella  comprata. 

Abl  non  questo,  o  Britanni,  d  ii  future 
Ghe  insegnavan  le  vostre  promesse; 
Quest!  1  paiti,  o  sleali,  non  furo. 


56 


Pur,  quantunque  deluse  ed  oppresse, 
Le  mie  ^enti  al  superbo  Ottomanno 
Non  offnr  le  cervici  sommesse. 

Un  sol  voto,  di  mezzo  all'affauno, 
Un  sol  grido  fu  il  grido  di  tuUi: 

t  No,  PKR   Diol  NON  SI  SRRVA  AL  TiBANNO  » 

Quindi,  al  crudo  paraggio  condutti, 
Preferimmo  I'esiglio.  —  Ma  quest! 
Ch'oggi  tu  m'hai  scampato  dai  fluui 

Pin  d'allora  in  suo  cor  pidi  funesti 
Pea  consigli;  e  ne'  segni  inguleti 
JOf  vegghiando,  Tudia  manifesU 

Darmi  i  segnl  dei  fieri  segreti.  — 

Ma  i  sonni  prolungansi; 
L^afTanno  cess6; 
Le  membra  trasudano; 
II  cor  si  calm6. 

Serene  ie  immagini 
Ti  formi  il  pensier; 
0  sposo,  dimentica 
L'oltraggio  stranierl 

V. 

feran  queili  i  di  santi  ed  amari, 
I  di  quando  il  Fedele  si  att^^ra 
Ripentito  agli  squaUidi  altari, 

Ove  I'inno  lugubre  disserra 
Le  memorie  dei  lunghi  dolori 
Con  Che  Cristo  redense  la  terra. 

L^  repressi  i  profani  rancori, 
Offerimmo  le  angosce  a  quel  Dio 
Che  per  noi  ne  pati  di  maggiori. 

Pol,  gemendo  il  novissimo  addio^ 
Surse,  e  I'orme  dei  suoi  sacerdoti 
Tacituma  la  turba  scguio. 


Quei  ne  trasser  la  dove,  remoti 
Dai  trambusti  del  mondo  e  viventi 
Nel  piu  caro  pensier  de'nlpoti, 

Sotto  il  salcio  da  i  rami  piangenti 
Dorroian  gli  avi  di  Parga  sepolli, 
Dormian  I'ossa  de'uostri  pareoti. 

Qui»  scoverte  le  fosse  e  travolti 

I  sepolcri,  dal  campo  sacralo 
Gli  oooraadi  residui  fur  toUi.  — 

Abl  dovea,  suUe  tombe  sprooatOy 

II  cavallo  deU'empio  quelPossa 
AMudibrii  segnar  del  soldalo! 

Da  pieta,  da  dispetto  commossa 
Ya  la  turba,  e  sul  rogo  le  aduna 
Gbe  le  involi  alia  barbara  possa. 

Guizza  il  fuoco:  aU'estrema  fortuna 
De'  suoi  raoni  la  vergin,  la  spoaa 

I  ricisi  capegli  accumuna. 

Guizza  il  fuoco:  «-  la  scbiera  aoimosa 
De'mariti  il  difende;  e  appressarse 
La  vauguardia  deirempio  qoq  osa. 

Guizza  il  fuoco,  —  divam^;  —  son  arse 
Le  reliquie  de'padri;  —  ed  il  Tento 
G'\k  ne  fura  le  ceneri  sparse.  — 

Quando  il  rogo  funereo  fu  spento^ 
Noi  partimaio;  e  chi  dir  ti  potria 
La  miseria  del  nostro  lamento? 

L^  piangcva  una  madre  e  s'udia 
Maledire  il  fecoudu  suo  lelto 
Mentre  i  flgli  di  baci  copria. 

Qui  togUevasi  uii'altra  dal  petto 

II  latiante  e,  fermando  il  cammino, 
Goti  istrano  delirio  d'ailetto 


57 


38 


Si  calava  al  ruscello  vicino, 
Vi  bagnava  per  i'ultima  volta 
Nelle  patrie  fontane  il  bambino. 

E  cbi  UD  raroo,  un  cespuglio^  chi  svolia 
Delle  patrie  campagne  traea 
Una  zolla  net  pugno  raccolta.  — 

Noi  salpammo:  —  E  la  queta  marea 
Si  coverse  di  lunghi  ululati, 
Sicchd  il  di  del  naufragio  parea.  — 

Ecco  Parga  d  deserta.  Sbandati 
I  suoi  figli  consuman  nel  duolo 
I  destini  a  cui  furon  dannati.  — 

To  qui  venui  mendica;  e  ci6  solo 
Ghe  rimanmi  6  quest'uom  del  mio  eoore, 
£  i  pensier  cod  che  a  Parga  rivolo. 

Ei  non  ha  che  roe  sola  e  il  furore 
De'suoi  sdegui  e  de'morti  fratelli, 
Quest!  avanzi  di  pianto  e  di  amore, 

Li  rinvenne  alPaprir  degli  avelli: 
Gariti  si  severa  neA  punse 
Ghe,  geloso,  alia  pira  non  dielli , 

Ha  compagni  alia  fuga  li  assunse. 


PARTE'  TERZA. 

L'ABBOMINAZIONE, 

Nunziatrice  dell' alba  gia  spira 
Una  brezza  leggiera  leggiera 
Ghe  agli  aranci  dell'anipia  Gorcira 
Le  fragranze  piu  pure  invol6.  — 
Ecco  il  Sol  che  la  bella  costiera 
Risaluta  col  primo  sorriso, 
E  d'un  guardo  rischiara  improwiso 
La  capanna  ove  Tegro  pos6.  — 


Egli  d  il  Sol  Che  fra'  bellici  stenti 
Rallegrava  agli  Elieni  il  coraggio 
Quando  in  petto  alle  libere  genii 
Delia  patria  fremeva  I'amor, 
Quando  al  giogo  d'estranio  servaggio 
Niun  de'Greci  curvava  il  pensiero, 
E  alia  madre  giurava  il  guerriero 
Di  morire  o  tornar  vincitor. 

Gome  foglia  in  balia  del  torrente, 
Ahi,  la  gloria  di  Grecra  ^  sparita! 
L'aure  anticbe  or  qui  trovi,  e  fiorent^ 
Delle  donne  la  bruna  belta. 
Ma  in  le  fronti  virili  scolpita 
Qui  tu  scorgi  la  mesta  paura, 
Qui  I'impronta  con  cui  la  sveatura 
Le  presenta  ail'umaoa  pieti. 

Soly  che  a  libere  insegne  vedrai 
Batter  forse  qui  ancor  la  tua  luce, 
Sol  di  Scberia,  i  tuoi  limpidi  rai 
Sien  conforto  a  un  tradito  guerrier: 
Qui,  vagando  a  rirugio,  il  conduce 
D'una  sposa  il  solerte  consiglio; 
E  tu  qui  fra  la  morte  e  I'esigHo 
Fa  cb'ei  scelga  il  piii  mite  voler.  •— 

Dal  guancial  de'suoi  sonni  al  mattino 
L'uom  di  Parga  l6v6  la  pupilla: 
n  pallore  d  sul  volto  al  meschino; 
Ma  ii  terror,  ma  Tangoseia  non  v'di 
Un  ristoro  che  il  cor  gli  traoquilla 
Son  gli  olezzi  del  giomo  novello; 
E  quel  Sol  gli  rifulge  piCl  bello 
Che  perduto  in  eterno  credd. 

Ma  percbd,  se  il  suo  spirto  d  pacato, 
Perchd  almen  nol  rivela  ii  saluto? 
Perchd  a  lei  che  ii  sorregge  da  lato 
Con  un  bacio  ei  non  tempra  il  dolorY 
Percfad  immoto  sull'uom  sconosciuto 
II  vigor  de'suoi  sguardi  s'arresta? 


40 


E  che  sttbiu  flamma  d  codeata 

Che  in  la  guancia  gli  vive  e  gli  aiuor? 

Ben  Arrigo  la  vide :  —  e,  compreso 
Da  che  affeito  il  tacente  sia  rose, 
Gome  I'uom  che  propizia  un  offeso, 
Questa  in^enua  parola  tent6: 

0  stranierOy  ai  tuo  cor  doloroso 

So  che  orrenda  6  Fassisa  ch'io  ?esto; 

So  ch'io  tutu  qui  gli  odii  ridesto 

Che  i'inflda  mia  patria  mertd. 

>  Ma  de  i  pochi  che  seffgon  tiranni 
Delie  sorti  deli'Anglia  fur  vili , 
Tutti  no  non  son  viii  i  Britanni 
Che  ritrosi  governa  il  peter. 
Premian  croci  Ingemmate  e  monili 
La  spergiura  amist4  di  qu&pochi; 
Ma  i'infaroia  che  ad  essi  tu  invochi 
Miile  Inglesi  imprecSrla  primier. 

»  Mille  giustt  il  oui  senno  pre|)OQe 
Ai  favor  de'potenti  i  lor  sdegni, 
Mille  giusti  lu  le  vie  d'Albione 
Pianser  puhhiico  pianto  quel  di 
Ghe  Hggirato  con  perfldi  ingegni 
Narr6  un  popol  fidente  ed  amico, 
Poi  venduto  al  mortal  suo  nemico 
Da  quel  braccio  che  scampo  gli  ofifri. 

»  Oh  rossort  Ma  il  sacrilego  patto 
Nol  segn6  questa  man  ch'io  ti  slaodo, 
Ma  non  complice  fu  dei  ruisfatto 
Questo  petto  che  geme  per  te.  — 
Non  tu  solo  se  '1  miser.  Tremendo 
Ben  pifii  assai  che  I'averia  perduta 
Egli  6  il  dir:  La  mia  patria  ^  caduta 
In  ohbrd[)rio  alle  genti  ed  a  me. 

•  Per  1'  ingiuria  che  entrambi  ha  perooaao 
Or  tu  m'odi,  o  fratei  di  dolorel 
lo  nd  il  suol  de'  tuoi  padri  a  te  poaao 
Nd  la  bella  ridar  liberta; 


41 

>  Ma  se  in  te  non  prevale  il  ranoore, 
»  Se  preghiera  fraieroa  h  gradita, 

»  Dal  fratalio  ricevi  un'aita 

>  Ghe  meo  grami  i  tuoi  giuroi  fara,  >  — 

Cosi  Palma  schiudea  queU'afffitto; 
Oosi»  largo  di  doni  e  di  pianto, 
Col  rimorso  egli  scoota  il  delitto, 
n  delitto  che  mai  nol  maccbi6.  — 
Piange  anch'essa  la  Greca;  e  di  taato 
II  p^nar  del  pietoso  I'accora 
Ghe  le  par  mal  venuta  quell'  ora 
In  cui  mesta  i  suoi  casi  narr6. 

Ella  tace;  e  col  guardo  prudente, 
Yedil  il  guardo  ella  cerca  alio  sposo. 
Yedi  come  n'  esplora  la  mente  t 
Gome  in  volto  if  travaglio  le  appar!  — 
Ghi  sa  inai  se  dell'uom  generoso 
Fien  disdeiti  1  soccorsi  od  accoiti? 
Ma  una  voce  prororape;  —  s'ascolti; 
£:  il  ramingo  che  sorge  a  parlar: 

c  Tienti  i  doni  e  li  serba  pe'guai 
Ghe  la  colpa  al  tuo  popol  matura. 
La,  nel  di  del  dolor,  troverai 
Ghi  vigliacco  ti  chiegga  pietli. 
Ma  v'^  un  duolo,  ma  v'  e  una  sciagura 
Ghe  fa  altero  qual  uom  ne  sia  cdlto : 
E  il  son  io:  —  nd  chi  tutto  m'ha  tolto 
Quest'orgoglio  rapirmi  potra. 

>  Tienti  il  pianto;  nol  voglio  da  un  eigko 
Che  ribrezzo  invincibil  m'  inspira.  — 
Tu  se'  un  giusto :  —  e  che  importa?  sei  figlio 
O'una  terra  esecranda  per  me.  — 
Maledetta!  dovunque  sospira 
Gente  ignuda,  gente  esule  o  schiava, 
Ivi  un  gndo  bestemmia  la  prava 
Ghe  un  mercato  impudente  ne  fe'. 

>  Mentre  ostenta  che  il  Negro  si  assolva, 
In  Europa  olla  insulta  ai  Dratelli; 


ki 


E  qual  prema,  qual  popol  dissolva 
Sta  librando  con  empio  saver.  — 
Sperdi,  o  cruda,  calpesta  gli  imbellit 
Fia  p^  poco.  —  La  nostra  vendetta 
La  fa  ii  tempo  e  quel  Dio  cbe  PafTreUa, 
Che  in  Europa  avvalora  il  pensier.  — 

>  lo  vivea  di  memorie;  —  e  il  mio  seaao 
Da  manie,  da  fantasmi  fu  vinto. 
Veggo  or  Fire  che  compier  si  denno,  — 
E  piu  franco  rivivo  al  dolor. 
Questa  donna  che  piansemi  estinto, 
Questa  cara  a  cui  tu  mi  rendesti, 
Piu  non  tremi:  a  disesni  funesti 
PiCi  noD  fla  che  m'inafuca  il  furor. 

>  Forse  il  di  non  i  lunge  in  cui  tutti 
Ghiameremci  fratelli,  allorquando 
Sovra  i  lutti  espiati  dai  lutti 
II  perdono  e  Tobblio  scorrera.  — 
Ora  gli  odii  son  verdi:  —  e  nefatndo 
Un  spergiuro  li  intima  al  cor  mio; 
Per5,  s'anco  a  te  il  viver  defig'io, 
Sappi  eh'  io  non  ti  rendo  amista. 

>  Qui  star6  nella  terra  straniera; 
£  la  destra  onorata,  su  cui 
Sptende  il  callo  dell'elsa  guerriera, 
Ai  servigi  piu  umili  offrird.  — 
Rammentando  qual  sono  e  qual  fui, 
I  miei  figli,  per  Diot  fremeranno, 
Ma  Don  mai  vergognati  diranno: 
Ei  dall' Anglo  il  suo  fhisto  accattd.  > 

L'uem  di  Parga  giuro,  —  nd  quel  giuro 
Mai  falsato  dal  miser  fu  poi:  — 
Oggi  ancor  d'uno  in  altro  aoituro 
Desta  amore  a  chi  asilo  gli  did. 
Scerne  il  pasco  ad  annenti  non  suoi, 
Suda  al  solco  d'estranio  terrene; 
Ma  ricorda  con  volto  eereno 
Ghe  I'angustia  mai  vile  nol  fe'. 


Fosca  fosca  ogni  di  pid  s'aggreva 
Su  lo  spirto  d'Arrigo  la  ooia; 
Nessun  dolce  desir  gti  rileva 
Qualche  bella  speranza  nel  sen; 
Non  gli  ride  un  sol  lampo  di  gioia; 
Teme  irata  ogni  voce  ch'ei  senta; 
Yede  un  cruccio,  uno  scherno  paventa 
Su  ogni  volto  che  incontro  gli  vien. 

La  sua  patria  ei  confessa  infamata, 
La  rinnega,  la  fugge,  I'abborre; 
Pur  da  altrui  mal  la  sofTre  accusata, 
Pur  gli  duole  cbe  amarta  non  pu6. 
Infelicet  L'Europa  ei  trascorre; 
Ma  per  tuito  lo  insegue  un  laiaeoto^ 
Ma  una  terra  che  il  faccia  contento, 
Infelicel  non  anco  trov6. 

Ya  ne'climi  vermigli  di  rose, 
Lungo  i  poggi  ov'  eterno  h  V  ulivo, 
A  traverse  pianure  che  erbose 
Di  molt'  acque  rallegra  il  tesor; 
Ma  per  tutlo»  nel  piano,  sul  clivo, 
GiCli  ne'campi,  di  mezzo  a'viila^gi 
Sente  i'Anfflia  colpata  d'oltraggi, 
Maladetta  da  un  nuovo  llvor.  — 

Va  in  le  valli  de'  iristi  roveti, 
Su  pe'greppi  ove  salta  il  camoscio, 
Giu  per  baize  ingombrate  d'abeti 
Che  la  frana  da'  gioghi  rapi; 
Ma  ove  tace,  ove  mugge  lo  stroscio 
Quando  Paila  valanga  sprofonda, 
Da  per  tutto  v'd  un  pianto  che  gronda 
Sovra  piaghe  che  I'Anglia  fori.  — 

Yarca  fiumi  e  di  spiaggia  in  ispiaggia 
Studia  il  passo  a  cercar  nuovo  calle. 
Per  ciua,  per  castelli  viaggia, 
Nd  mai  ferma  I'errante  suo  pid. 


45 


44 

Ma  per  tutto,  di  fronte,  alle  spaile, 
Ode  it  lagno  di  geoti  infinite, 
D'altre  genti  dalrAnglia  tradite, 
D'altre  genti  che  Angiia  vendd. 


CLARINA  ^*> 


ROMANZA. 

Sotto  i  pioppi  delia  Do.a, 
Dove  Fonda  d  piCi  roraita, 
Ogni  di,  su  I'ultim'  ora, 
S'ode  un  suono  di  dolor. 
£  Glarina,  a  cui  la  vita 
Rodon  i'ansie  dell'amor. 

Poverettat  di  Gismondo 
Piange  i  stenti,  a  lui  sol  peosa.  «— 
Fuggitivo,  v^tgabondo 
Pena  il  mtsero  i  suoi  di; 
Mentre  assise  a  regal  meosa 
Ride  ii  vil  che  il  tradi.  — 

Gik  mature  nel  tuo  seno, 
Bella  Italia,  fremean  fire; 
Sol  mancava  il  di  sereno 
Delia  speme;  —  e  Dio'l  cre6: 
Di  tre  secoli  il  desire 
In  volere  Ei  ti  cangi6. 

(0  Era  desiderio  dell'  Aatore  che  qaesta  romanza  pl^  oon 
si  ristampasse  dopo  gli  avr^nimenti  del  4R48  e  49  che  dl  quel 
Garignano  da  lai  maled^tto  nel  1891  fecero  un  martire  dellln* 
dipendenza  italiana.  Noi,  a'  qnali  non  meno  che  al  Berehei  del 
4850  d  sacra  la  memoria  deU'  Btule  di  Oporto,  del  UarffUort 
deUo  Statuto,  la  riprodaciamo  soltanto  per  dare  compleU  U 
raccolta  delle  poesie  poliliche  d''!  nostro  Tirteo. 


48 

Oh  Ventura  t  e  alio  Straniero, 
Che  il  pi^  grava  sul  tuo  60II0, 
Pose  ii  buio  nel  pensiero, 
La  paura  deniro  il  cor; 
Gome  vittiroa  segoollo 
Al  tuo  vindice  rancor. 

Grid6  I'onta  del  servaggio: 
Siam  fratelli;  all'arme.  all' ar  me  I 
Giunta  ^  I'ora  in  cui  I'oltraggio 
Denno  i  barbari  scontar. 
Suoni  IialJa  in  ogni  carme, 
Dal  Genisio  infino  al  mar. 

—  Tutti  uoisca  una  bandiera  — 
Fu  il  clamore  delle  squadre, 
D'ogni  pio  fu  la  pregniera, 
D'ogni  savio  fu  if  voter; 
D'ogni  sposa,  d'ogni  madre 
Fu  de'palpiti  il  primier.  — 

E  Glarina  al  suo  diletto 
Ginse  il  brando,  e  tricolore 
La  coccarda  su  I'elmetto 
Di  sua  man  gli  coUoc6: 
Poi,  soffusa  di  rossore, 
Gon  un  bacio  il  conged6: 

Ma  indiscreta  sul  bel  volto 
Una  lagnma  pur  scese:  — 
Ei  la  vide  e,  al  ciel  rivolto, 
Did  un  sospiro  e  impallidi; 
E  la  vergine  cortese, 
II  guerriero  inanimi: 

t  Fermi  sieno  i  nostri  petti ; 

>  Questo  il  giorno  d  dell'onore* 
•  Senza  infamia  a  molli  affetti 

>  Geder  oggi  non  puoi  tu. 

»  Abit  che  giova  anco  I'amore 
»  Per  chi  freroe  in  servitu? 


y^^ 

il  chlo  sii, 

»  mie  pene. 

>  UdI 

a  pria 

•  Cbe 

il  tuo  cor: 

>  Bor 

t  catene. 

.  Poi 

iinor. 

'  Va,  eorobUti;  —  e  oa'perigli 
>  Pensa,  o  caro,  al  di  remolo 
'  IJuando,  assist?  Id  mezzo  ai  fl^i, 

•  Tu  (eslosi  poirai  dir: 

•  Qitesto  brando,  a  lei  dnoto, 
»  Totse  Italia  dal  ieroir.  —  » 

PoTerettal  —  E  tulto  sparvel 
I  patfttoli,  le  scuri 
Di  sua  mente  or  son  le  tarve. 
La  bllila  Libeni, 
L'armi  estranie,  i  ra  spergiuri, 
B  d'Alberto  la  vJIU. 

Lui  sospinto  avea  U  suo  Tato 
Su  la  via  de'gloriosi; 
Ha  una  inbme  il  sciagurato 
He  preferse;  e  in  mano  al  re 
Did  la  pairia  e  i  generosi 
Che  in  lui  posta  avean  la  tk. 

Esecrat 

Vft  il 
Hon 

0*6  i 

Lab 


E  qui  in  riva  delta  Dora 
Questa  vergiiie  infelice, 
Questo  lullo  che  le  sflora 
Gli  anni,  il  senno  e  la  belU^ 
Su  I'esosa  tua  cervice 
Grida  sangne;  —  e  sangue  arra. 


47 

Qui  Gismoodo,  U  di  Catale, 
Scans6  I'ira  de'tiranni; 
Di  qui  mosse:  —  e  il  tristo  vale 
Qui  Giarina  a  lui  gem^, 
E  qui  a  piaoger  vien  gli  affanni 
Deiramaote  che  perdd. 

Piu  fermezza  di  consiglio 
Ahi,  ooD  ba  la  dolorosa! 
Fra  ie  angustie  deiresiglio 
Lunge  lunge  ii  suo  pensier 
Ya  perduto  senza  posa 
Didtro  i  passi  del  guerrier. 


IL  ROMITO  DEL  CENISIO 


ROMAT^ZA 

Viandante  alia  ventura, 
L'ardue  nevi  del  Cenisio 
Un  estranio  super6; 
E  delPitala  pianura 
Al  sorriso  interminabiie 
Daila  balza  s'afifaccid. 

Gli  ooehl  alaeri,  i  passt  arditi 
Subilaoeo  in  lui  rivelano 
II  tripudio  del  pensier. 
Maravigliano  i  romili, 
Quel  che  pavido  il  sorressero 
Su  pe'dubbj  del  sentier. 

Ma  I'un  d'essi,  coi  dispetto 
D'uom  crucciato  da  miserie, 
Rompe  i  gaudi  al  viator, 
Esclamando:  —  •  Maiedetto 
>  Chi  s'accosta  senza  piangere 
»  Alia  terra  del  doforf  » 


Qua]  cbi,  scosM  dMrnprorrlm, 
Si  risente  d'un'inpuria 
Che  nnn  sa  di  merliar; 
Tal  8Ul  Vecchin  del  Ceilisfo 
Si  rivolse  quell'eslranio 
Scuro  ii  giiardo  a  saeiur. 


Cbi  UD  di  a  lui,  nell'aula  algenii 
Lk  IodUd  su  I'oada  b^tiea, 
Dairrtalik  andA  un  romor 
D'opprnssori  e  di  frementi, 
Di  speranze  e  di  dissidj, 
Di  tumulti  aoDunEiator. 

Ha  confuso,  ma  fugace 
Pu  quel  grido:  e  ratio  a  sperdario 
La  parota  usci  dai  re, 
Cbe  iMTTb  composta  io  pace 
Tuna  Italia  ai  troni  immobilii 
Plauder  liela  e  giurar  Id.  — 

Ei  pensava:  —  Non  b  lieu; 
Non  pu6  stanza  esser  det  giubilo 
Dove  il  pianio  b  al  limitar.  — 
Con  incbiesta  roangueis 
Tantd  il  cor  del  Solitario, 
Cbe  rigpose  al  suo  pregar: 


LIberti  voile;  mi,  Holut 
CredA  si  prencj  e  osj)  coiumeltero 
Ai  lor  giuh  il  sua  voler. 
I  suoi  preoci  I'ban  travolia, 
L'luD  ricinla  di  perBdIe, 
L'han  vonduta  alio  straDiw. 

Da  qui 
La  I  rbaro 

Che 


Eui 

Una  clai 
Scosse  Irenne: 

Corse 
Trae  ) 
Dove  i 
Che  bi 

Guardal  i  Sgii  dell'aSanno 
Su  la  marra  incurvi  sudano: 
Va,  ne  inierroga  ii  aospir.  — 
Quelle  braccia,  ti  diraniio, 
Scame  penano  onde  mietere 
II  tribute  a  »n  stranUi  sir. 

Va,  discendi,  e  le  baadlere 
Cerca  al  prodr,  carca  i  lauri 
Che  all'ltalia  il  pensier  did.  — 
Son  disciolte  le  sue  srbiere; 


i  compresso  il  labbro  ai  i 
Sireito  in  ferro  ai  giusti  it 

Tolta  ai  solchi,  alle  offlcine, 
Delle  madri  al  caro  eloquio 
La  robusta  giovenid; 
Data  ill  rdcche  peregrine 
Alia  versa  del  vil  Tdutono 
Cbe  reduchi  a  serviiu. 


p(i 


t  Ceru  il  brio  della  sue  gentl 
.  All'Italii;  \  di  cho  furono 

•  Alle  cento  sue  citti. 

.  Dov*6  il  flauto  che  rammenti 

>  Le  sue  veglle  e  delle  vvgini 

•  La  danzante  llarili? 

•  Va,  ti  bea  de'  Soli  sool , 

.  Godi  I'aure,  spira  vi^ide 
I  Le  fragranw  de'suoi  flor. 

>  Ha  che  pro  de'  eaudj  luoi? 

•  Nod  avrai  con  cni  dividerti : 

>  11  sospetlo  ha  chiusi  i  cor. 

•  Huti  intorDo  degli  alari 

.  Vedrai  padri  ai  figli  stringersi, 
.  Vedrai  nuore  iropallidir 

•  Su  lo  sirazio  de'lor  cari, 

>  E  fralelli  membrar  invidi 

>  1  fralelti  che  fuggir. 

•  Oht  perch6  non  posso  anch'io, 

>  Con  la  mentti  ansia,  fra  gli  esoli 
I  II  mio  figlio  riniraeciar? 

>  0  mio  Silvio,  o  flglio  into, 

>  Perche  mai  nell'incolpabile 

•  Tua  coscienza  ti  fldar? 

I  Oh,  I'improvvido  I  —  ITian  cdllo 

•  Come  agnello  al  suo  presepto; 
■  B  di  mano  al  percussor 

•  Sol  dai  perfidi  [u  tollo 

>  Perch^,  avviQto  in  ceppi,  il  calice 

>  Bava  lento  del  itolor; 

•  Dove  ui 

>  Dove 

•  Altro 

>  Delle 
Su  le  la 
I  singu' 


51 

Di  conforto  lo  soTviene, 
La  man  stende  a  lui  I'eslranio.  — 
Quel  sul  petto  la  serr6: 
Poi,  com'uom  che  piCli'l  raltiene, 
Pid  gli  sgorga  il  pianto,  aU'eremo 
Col  coinpagno  s'avvid. 

Aht  quarAIpe  si  romita 
Pud  sottrarlo  alle  memorie, 
Pu6  le  angosce  in  lui  sopir 
Che  dal  turbin  della  vita, 
Dalle  care  consuetudini, 
Disperato,  il  diparlfr?  — 

Gome  il  voto  che,  la  sera, 
Fe'il  briaco  nel  convivio, 
RInnegato  d  al  nuovo  di; 
Tal,  su  I'itala  frontiera, 
DelP Italia  il  desiderio 
AU'estraneo  in  sen  mori. 

A'bei  Soli,  a'bei  vigneti 
Gontristati  dalle  lagrime 
Che  i  tiranni  fan  versar, 
Ei  preferse  i  tetri  abeti, 
Le  sue  nebbie  ed  i  perpetui 
Aquiloni  del  suo  mar. 


IL  RIMORSO 

ROMANZA 

Ella  d  sola,  dinanzi  le  genti; 
Sola,  in  mezzo  dell'ampio  convito, 
Ne  alle  dolci  compagne  ridenti 
Osa  intender  lo  siuardo  avvilito; 
Yede  ferver  tripuoj  e  carole, 
Ma  nessuno  I'invita  a  dilnzar; 
Ode  intorno  cortesi  parole. 
Ma  ver'  lei  neppur  una  volar. 


n% 


Un  faaciuUo  che  madre  ia  dice 
S'apre  il  passo,  ie  corre  al  ginocchio, 
E  co'baci  la  lagrima  elice 
Che  a  lei  gonfla  tremava  oell'occhio; 
Gome  rosa  6  fioreate  il  fanciuUo^ 
Ma  nessuoo  a  mirarlo  rista. 
Per  quel  pargolo  un  vezzo,  uq  trasuillo, 
Per  la  madre  un  saluto  noD  v'ha. 

Se  un  ignaro  domanda  al  vicino 
Chi  sia  mai  quella  mesta  pensosa 
Che  su  i  ricci  del  biondo  bambino 
La  bellissima  faccia  riposa, 
Cento  voci  risposia  gli  fanno. 
Cento  scherni  gl'insegnano  il  ver:  — 

>  E  la  donna  d'un  nostro  tiranno, 

»  t  la  sposa  dell'uomo  stranier.  »  —  . 

Ne'teatrl,  luughesso  le  vie, 
Fin  nel  tempio  del  Dio  che  perdona» 
Infra  un  popol  rlcinto  di  spie, 
Fra  una  gente  cruciata  e  prigiona, 
Serpe  1'  ira  d'  un  motto  sommesso 
Che  il  terrore  comprimer  non  pu6:  — 
»  Maladetta  chi  d'italo  amplesso 

>  II  tedesco  soldato  be6!  >  — 

Ella  ^  sola:  —  Ma  i  vedovi  giorni 
Ha  contato  il  suo  cor  doloroso; 
£  gia  balte,  gia  esulta  che  torni 
Dal  lontano  presidio  lo  sposo.  — 
Non  6  vero.  Per  questa  neglettta 
fi  flnito  il  sospiro  d'amor* 
Altri  sono  i  pensier  €he  r  ban  stretta, 
Altri  i  guai  che  le  ingrossano  il  cuur. 

Quando  I'onte  che  il  di  I'han  fefita 
La  perseguon,  fantasmi,  all'oscuro; 
Quando  vagan  su  Talou  smarrUa 
Le  memorie  e  il  terror  del  futuro; 
Quando  sbalza  da  i  eogni  e  poa  meole 
Gome  udisse  il  sua  nato  vagir; 


5S 


Bgli  h  allor  che  a  la  veglia  inclemente 
Gostei  fida  il  secreto  sospir: 

«  Trista  met  Qual  vendetta  di  Dio 
Mi  cerchio  di  caligine  il  senno, 
Quando  por  la  mia  patrla  in  obblio 
Le  siraniere  lusinghe  mi  fenno? 
lo,  la  vergin  ne'gaudi  cercata, 
Festeggiala  —  fra  PItale  un  di, 
Or  chi  sono  ?  Papostata  esosa 
GliB  vogliosa  —  al  suo  popol  menti. 

Ho  disdetto  i  comuni  doiori; 
Ho  negalo  i  fratelli,  gli  oppress!; 
Ho  sorriso  ai  superbi  oppressor!, 
A  seder  mi  son  posta  con  essi. 
Vilel  un  manto  d'inCamia  hai  tessulo; 
L'hai  volulo,  —  sul  dosso  ti  sta; 
N6  per  gemere,  o  vil,  che  farai, 
Nessuno  mai  —  dal  tuo  dosso  il  torra. 

Ohl  il  dlleggio  di  ch'io  son  pasciuU 
Quei  che  il  versan  non  san  dove  scende. 
Inacerban  I'umil  ravveduta 
Che  per  odio  a  lor  odlo  non  rende. 
Stolta!  II  merto,  che  il  pid  non  rattengo, 
Slolta  I  e  vengo  —  e  rivelo  fra  lor 
Quesia  fronte  che  d'erger  m'  6  tollo, 
Questo  volto  —  dannato  al  rossor. 

Yiiipeso  da  tutti,  rejetto, 
Come  fosse  il  ilgliuol  del  peccato, 
Questo  caro,  senz'onta  concetto, 
fe  uno  estranio  sul  suol  dov'6  nato. 
Or  si  salva  nel  grembo  matemo 
Dallo  scherno  —  che  intender  non  sa; 
Ma  la  madre  che  il  cresce  all'insulto, 
Forse,  adulto  —  a  insultar  sorgeri. 

E  se  avvien  che  si  destin  gli  schiavi 
A  tastar  dove  stringa  il  Tor  laccio; 
Se  rinasce  nel  cor  degP  ignavi 
La  coscienza  d'an  nerbo  nel  braccio; 


fti 


»  Di  che  poi)ol  dirommi?  A  che  fati 

>  Gli  esecrati  —  miei  gioroi  unir6? 

>  Per  chi  al  cielo  drizzar  la  preghiera? 

>  Qual  bandiera  —  viaceote  vorro? 

Gittadina,  sorella,  consorte, 

>  Madre  —  ovunque  io  mi  volga  ad  un  fine, 

>  Fuor  del  retio  sentiero  distorte 

>  Stampo  I'orme  fra  i  vepri  e  le  spine. 

>  Vile  I  UD  manto  d'infamia  hai  tessuto: 
»  L'hai  voiuto,  —  sul  dosso  ti  sta; 

*  M  per  gemere,  o  vil,  che  farai, 

>  Nessun  mai  —  dal  tuo  dosso  il  terra.  • 


MATILDE 

ROMANZA 

La  fronte  riarsa, 
Stravolti  ^\l  sguardi, 
La  guancia  cosparsa 
D'aDgustia  e  pallor, 

Da  sogni  bugiardi 
Matilde  atterrita, 
Si  desta,  s'interroga, 
S'affaccia  alia  vita, 
Scongiura  i  fantasimi 
Che  stringonla  anpor:  — 
«  Cessate  dal  carmi; 

•  Nod  ditelo  sposo: 

•  No,  padre,  non  darihi 

>  AlPuomo  stranier. 

c  Sul  volto  all'esoso. 

>  Nell'aspro  linguaggio 

>  Ravvisa  la  sordida 

>  ProDtezza  al  servaggio, 

>  L'ignavia,  la  boria 

•  Deli'austro  guerrier. 


58 

>  Rammeota  chi  ^  desso, 
t  L'lUlia,  gU  affanni ; 

»  Non  mescer  Toppresso 

>  Col  sangue  oppressor. 

f  Fra  i  servi  e  i  tiranni 
.  Sia  rira  il  sol  palto.  — 
•  A  pascersi  d'odio 

>  Que'perfidi  ban  tratto 
»  Fin  r  alme  piu  vergini 
»  Create  all' amor.  — 

E  sciolta  le  chiome, 
Riversa  nel  letto, 
Dk  in  pianti  siccome 
Chi  speme  non  ba. 

Serrate  sul  petto 
Le  trepide  braccia, 
Di  nozze  querelasi 
Gbe  niun  le  minaccia, 
Paventa  miserie 
Gbe  Dio  non  le  da. 

Tapinal  L'altare, 
L'anello  h  svanito; 
Ma  innanzi  le  pare 
Quel  ceffo  tuttor. 

Ha  bianco  il  vesttto; 
Ha  il  mirto  al  cimiero; 

I  fiancbi  gli  fasciano 

II  giallo  ed  il  nero, 
Colori  esecrabili 

A  un  italo  cor. 


> 


M 


IL  TROVATORE 


ROMANZA 


Ya  per  la  selva  bruna 
Solingo  il  (rovator, 
Doinato  dal  rigor 

Delia  fortuna. 

La  faccia  sua  si  bella 
La  disfior6  it  dolor; 
La  voce  del  cantor 

NoQ  h  pi(k  queHa. 

Ardea  nel  suo  segreto, 
E  i  votl»  i  lai,  i'ardor 
Alia  caiizon  d'amor 

Fid6  indidcretd. 

Dal  talamo  inaccesso 
Udillo  il  suo  signer;  — 
L'  improvido  cantor 

Tradi  s^  stesso.  — 

Pel  di  del  giovinetlo 
Trem6  alia  donna  il  cor. 
Ignara  infino  alior 

Di  tanto  affetto. 

R,  suppUce  al  ^e\(iso, 
Ne  contenea  li  furor: 
Bella  del  proprio  onor 

Piacque  alio  sposo. 


87 
Rise  Pingenua.  Blando 
L'accarezz6  il  signor: 
Ma  il  giovin  trovator, 

Gacciato  6  in  bando. 

De*cari  occhi  fatali 
Piu  Qon  vedra  il  fulgor, 
Non  berra  piu  da  lor 

.  L'obiio  de'mali. 

Yarcd  quegli  atri  muto 
Ch'ei  rallegrava  ognor 
God  gl'inni  del  valor, 
Col  suo  liuto. 

Scese;  —  varc6  le  porte;  — 
Stette;  —  guardolle  ancor: 
E  gli  ^coppiava  il  cor 

Come  per  morte.  — - 

Yenne  alia  selva  bruna: 
Quivi  erra  il  trovator, 
Fuggendo  ogni  chiaror 

Fuor  che  la  hina. 

La  guancia  sua  si  bella 
Pid  non  somiglia  un  flor; 
La  voce  del  cantor 

Non  ^  piO  quella. 


58 


GIULIA 


ROMANZA 


La  legge  ^  bandita;  la  squilla  s'S  intesa: 
t  il  di  de'Goscritti.  —  Yenuti  alia  chiesa. 
Fan  cercbio;  ed  uo'urna  sta  in  mezzo  di  lor. 
Son  sette  i  garzoni  richiesti  al  Comune: 
Son  poste  nell'urna  le  sette  fortune; 
Ciascun  vi  s'accosta  col  tremito  in  cor. 

Ma  tutti  d'italia  non  sod  cittadini? 
PcrchS,  se  il  nemico  minaccia  ai  confini, 
Non  vanno  braniosi  la  patria  a  salvar?  — 
Non  h  piu  la  patria  cbe  all'armi  gli  appella: 
Sod  servi  a  una  gente  di  strania  favella, 
Sottesso  le  vergbe  chiamati  a  steatar.  — 

Che  vuol  questa  turba  do!  tempio  si  spessa? 
Quest' altra  cbe  anela,  che  alPatrio  fa  pressa, 
Dolente  che  Tocchio  piCi  lunge  non  va? 
Vuol  forse  i  fratelli  strappar  dal  periglio? 
Ai  brandi,  alle  ronche  dar  tutti  di  piglio? 
Scacciar  lo  Straniero?  gridar  liberty?  — 

Aravan  sul  monte:  sentito  ban  la  squilla; 
Son  corsi  alia  strada;  son  scesi  alia  villa, 
Siccome  fanciulli  traenti  al  romor. 
Che  voglion?  Del  giorno  raccoglier  gli  eventi. 
Attendere  ai  detti,  spiare  i  lamenti, 
Parlarne  il  domani  senzMra  o  dolor.  — 


f 


m 

Ma  sangue,  ma  vita  non  ^  nel  lor  petto? 
Del  giogo  tedesco  non  v'arde  il  dispetto? 
Not  punge  vergogna  del  tanto  patirT  — 
Sudanti  alia  gleba  d'inetti  signori, 
N'han  tolto  Pesempio:  neMrepidi  cuori 
Han  detto:  Che  giovat  siam  nati  a  servir.  — 

Grli  stoltit...  Ma  i  padri?  —  S'accoran  pensosi, 
S'inoUran  cercando  con  guardi  pietosi 
Le  nuore,  le  mogli  piangenti  air  altar. 
Su  i  Hgli  ridesti  con  Talba  primiera 
Si  disser  beate:  chi  sa  se  la  sera 
Su  i  sonni  de'figli  potranno  esultar?  — 

E  mentre  che  il  volgo  s'avvolta  e  blsbiglia^ 
Chi  fia  quest' immota  che  a  niun  rassomiglia, 
Nd  sai  se  piu  sdegno  la  vinca,  o  piela? 
Non  bassa  mai  '1  voUo,  nol  chiude  nel  velo, 
Non  parla,  non  piange,  non  guarda  che  in  cielo, 
Nol  scerne,  non  cura  chi  intorno  le  sta.  — 

t  Giulia,  ^  una  mndre.  Due  flgli  ha  cresciuto; 
Indarnol  I'un  d'essi  gia'l  chiama  perduto: 
E  Tesul  che  sempre  I'd  fisso  net  cor. 
Pen6  trafu^ato  per  valli  deserte; 
Si  tolse  d'ltalia  nel  di  che  I'inerte 
Di  sd,  de'suoi  fati  fu  vista  minor. 

Che  addio  lagrimoso  per  Giulia  fu  quelle  t 
Ed  or  si  tormenta  dell'altro  fratello; 
Chd  un  volger  deU'urna  rapire  gliel  pu6. 
E  Carlo  dei  sgherri  soccorrer  le  file! 
Vestlrsi  la  bianca  divisa  del  vile! 
Fibbiarsi  una  spada  che  TAustro  aguzzdl 

Via,  via,  con  Vingegno  del  duel,  la  tapina 
Travalica  il  tempo,  va  incontro  indovina 
Ai  raggi  d'un  giorno  che  nato  non  d: 
Tien  dietro  a  un  clangore  di  trombe  guerriere, 
Pon  Forme  su  un  caropo,  si  abbatte  in  ischiere 
Che  alacri  deli'Alpi  discendono  al  pid. 


60 


Ed  ecco  altre  insegne  con  altri  guerrieri 
Che  sboccano  al  piano  per  altri  sentleri, 
Che  il  varco  ai  vegn^nti  son  corsi  a  tagliar. 
La  gridano:  Italia  I  Redimer  I'oppressat 
Qui  giuran  protervi  serbaria  sommessa: 
L'un^oste  su  I'altra  sguaioa  Pacciar. 

Da  dritta  spronando  si  slancia  un  furente: 
Un  sprona  da  manca,  lo  assal  col  fendente, 
N^  svia  da  s^  il  colpo  che  al  petto  gli  vien. 
Bestemmian  feriti.  Che  ^stil  che  vocit 
La  roisera  guarda,  ravvisa  i  feroci: 
Son  quei  che  alia  vita  port5  nel  suo  sen« 

Ahl  ratio  dalPansie  del  campo  abborrko 
S'arretra  il  materno  pensiero  atterrito» 
Ricade  piu  assiduo  fra  Pansie  del  di. 
Pii!i  rapido  il  sancue  ne'poisi  a  lei  batte: 
Le  schede  fatali  dalPurna  son  tratte. 
Qual  mai  sar^  quella  che  Carlo  st  rti? 

Di  man  do'garzoni  le  tessere  aduna, 
Ne  scruta  severola  varia  fortuna, 
Determina  i  sette  che  I'urna  dannd. 
Susurro  piu  intorno,  parola  non  s*ode; 
Ch'ei  sorga  e  li  nomi  la  plebe  gia  gode, 
Gik  Tavido  orecchio  I'insulsa  lev6. 

E  Giulia  reclina  ffli  attoniti  rai 
Sul  figlio  e  lo  guarda  d'un  guardo  che  mai 
Con  tanto  d'amore  su  lei  non  ristd. 
Oh  angoscial  ode  un  nome;  non  ^quel  di  Carlo; 
Un  altro  ed  un  aliro;  — non  sente  chiamarlo. 
Rivelan  gia  il  quinto;  —  no,  Carlo  non  e. 

Prodamano  il  sesto;  — nna  ^  flglio  d'allrui; 
E  un'altra  la  madre  cho  piange  per  lai. 
Ahl  forse  fu  in  vano  che  Giulia  trem6. 
Com' aura  che  fresca  I'infermo  ravviva, 
Soave  una  voce  dal  cor  le  deriva 
Che  grazia  il  suo  prego  su  in  tieHo  U«v6. 


•  61 
Le  cresce  ia  fede:  nel  sen  la  pressura 
Le  aUevia  un  sospiro:  con  men  di  paura 
La  settima  sorte  8ta  Giulia  ad  udir. 
L'ban  detla:  d  il  suo  figlio:  doman  vergognato, 
Al  cenno  insolente  d'estraneo  soldato, 
Con  I'aquila  in  fronte  vedrallo  partir. 


.   ODE 

scritta  in  oggasionb  obllb  rivoluzioni  ul  modbna  b 
Bologna  sgoppiatr  nkl  1830. 

AUarmi!  AU'armil 

Su,  figli  d'ltalial  su,  in  armii  coraggiot 
Il  suolo  qui  ^  nostro:  del  nostro  retaggio 
fl  turpe  mercato  finisce  pei  re; 
Un  popol  diviso  per  sette  destini, 
In  sette  spezzato  da  sette  confini, 
Si  fonde  in  un  solo,  piu  servo  non  d. 

Su,  Italia  t  su  in  armi!  venuto  e  il  tuo  dil 
Dei  re  congiurati  la  tresca  finit 

Dall'Alpi  alio  Strelto  fratelli  siam  tuttit 
Su  i  limiti  schiusi,  su  i  troni  dislrutti 
Piantlamo  i  comuni  tre  nostri  color  I 
II  verdey  la  speroe  tant'anni  pasciuta; 
Il  rossOf  la  gioia  d'averfa  compiuta; 
.  II  bianco,  la  fede  fraterna  d'amore. 

Su,  Italia  I  su  in  armi  1  venuto  6  il  tuo  di! 
Dei  re  congiurati  la  tresca  Unit 


62 


Gii  orgogt!  minuti  via  tulti  all'oblio ! 
La  gloria  e  de'forti.  —  Su,  forti,  per  Dio, 
Dall'Alpi  alio  Stretto,  da  questo  a  quel  marl 
Deposte  le  gare  d'un  secol  disfatto, 
Confusi  in  un  nome,  iegati  a  un  sol  patto, 
Sommessi  a  noi  soli  giuriam  di  restar. 

Su,  Italia  I  su  in  armil  venuto  ^  il  tuo  di! 
Dei  re  congiurati  la  tresca  fluil 

Su,  Italia  novella!  su,  libera  ed  una! 
Mai  abbia  chi  a  vasta,  sicura  fortuna 
L'angustia  prepone  d'anguste  cittal 
Sien  tutte  le  file  d'un  solo  stendardo! 
Su,  tutti  da  tutti!  Mai  abbia  il  codardo, 
L'inetto  che  sogna  parzial  libertal 

Su,  Italia!  su  in  armi!  venuto  d  il  tuo  di! 
Dei  re  congiurati  la  tresca  fini ! 

Voi  chiusi  ne'borghi,  voi  sparsi  alia  villa, 
Udite  le  trombe,  sentite  la  squilla 
Che  alParmi  vi  chiama  del  vostro  comunl 
Fratelli,  a'fratelli  correte  in  aiutol 
Gridate  al  Tedesco  che  guarda  sparuto: 
L' Italia  i  Concorde,  non  serve  a  nessun! 

Su,  Italia!  su  in  armi!  venuto  d  il  tuo  di! 
Dei  re  congiurati  la  tresca  flnil 


FINB. 


INDICE 


Proemio f*ag,    3 

Le  Fantasie >    7 

I  Profagbi  di  Parga.  Parte  prima.  La  disperazioDe    .  •  S8 

Parte  seeonda,  il  racconto 'SI 

Parte  terza.  L'abbomlnazione *  38 

Clarina,  romanza >  4i 

II  Romito  d^l  Cenitio,  romanza >  47 

II  RimorsOt  romanza >  5i 

Matitde^  romanza *  54 

II  trovatore,  romanza        .       .       .       .       .  >  56 

GiuUa^  romanza >  58 

Ode  scriua  in  occasionc  delle  rivoluzioni  di  Uodena  e 

Bologna  scoppiate  nel  1830.  AlVarmit  AH'armi!     .  •  61 


fc 


LB 


BIBLIOTEGA  RARA 

I'UBItLICATA    DA    G.    DAELLi 

Vol.  I. 


DIALOGO 


DELIA  BELLA  GREANZA  DELLE  DONNE 


TIP.   VALL.VRDI 


Proprieta  letteraria  e.  daiui  e  c 


ALESSANDKO    PICCOLO|MIKI 


LA  RAFFAELLA 

DELIA  BELLA  CREASU  DEllE  DOME 

DIALOGO 
ALESSAIIDRO  PICCOLOMiai 

STORDrrO  ISTROSATO 


MILANO 

O.  DAELLI   e  COUP.  EDlTOai 


PROEMIO 


AI.LA  PRESENTE  EDIZIONE. 


PROEMIO 


11  severo  profilo  che  precede  alia  Raffaella  e  le  c 
quasi  imbronciato,  rappresenta  TAutore  quando  pen- 
tito  e  coDfesso  insegnava  filosofia  morale,  attendeva 
a  calcoli  astronomici,  era  vescoYO  in  partibus  e  coa- 
dintore  delF  arcivescovo  di  Siena,  quando,  vecchio, 
per  meglio  raccor  Y  animo  alia  contemplazione  delle 
cose  divine,  si  seppelliva,  quasi  diremo,  tra'  libri, 
come  lo  vide  il  Tuano.  Non  ci  venne  fatto  di  avere 
il  ritratto  delFautore  ancor  giovane,  innamorato  e 
maestro  insieme  d'amore,  catechista  deir  adulterio , 
che  consolb  la  Margherita  delle  peregrinazioni  del 
marito.  Ma  perche  il  marito  se  n'  andava  in  Val 
d'  Ambra? 

Noi  non  ci  rechiamo  la  cattivitii  a  scherzo,  per  dirla 
col  Casa ;  ma  vedendo  la  presente  amena  letteratura 
tutta  grondante  dell*  onor  dei  mariti,  non  possiamo 
scandolezzarci  gran  fatto  di  questo  libro  del  Picco- 
lomini.  Solo  diremo  che  in  lui  Fadulterio  e  piu  sto- 
machevole,  perche  e  nella  sua  forma  piu  semplice  e 
piu  camale.  Nella  Margherita  il  sense  h  disoccupato 
e  vago  di  passatempi ;  ed  eccoti  la  versiera  in  forma 
d'  una  vecchia  amica  di  famiglia,  che  apposta  la  so- 
litudine  e  Tabbandono  di  una  giovane  sposa  per  darla 
in  bocca  di  Lucifero  maggiore  o  di  quel  da  san  GallOy 


direbbe  il  Boccaccio,  soito  specie  di  salvarnela.  H 
sentimento  che  tormenta  la  Margherita  e  altresi  in 
molte  eroine  del  romanzo  e  del  dramma  moderno , 
il  principio  della  lor  rovina  morale,  h  la  tnezza  pera 
del  Sardou  che  cerca  la  compagna,  non  andandoie 
bene  quella  che  legittimameute  le  fu  appaiata.  Se 
non  che  nel  Piccolomini,  la  sednzione  della  Raffaella 
e  il  campo  deir  arme,  a  dir  cosi;  ma  quello  che  Y*e 
dipinto  in  sostanza  e  la  Bella  Creanza  delle  donne 
e  con  tal  garbo  e  leggiadria  che  nessnno  vorrebbe 
non  veder  la  commedia  perche  e  messa  male  in  iscena. 
Cosi  altri  amerebbe  il  Sogno  (Tuna  nolle  d^  estate  di 
Shakespeare  sia  che  fosse  rappresentato  con  tutti 
gli  sferzi  e  sfoggi  di  Kean,  sia  nel  vecchio  teatro 
del  Glohe^  o  anche,  come  si  facea  in  antico,  in  una 
corte  d*  osteria,  o,  megHo,  cosi  da  una  attrice  bacata 
nell*  onesta,  ma  valente  nelP  arte,  si  udirebbero  con 
piacere  ammaestramenti  di  virtu  e  di  convenevolezza. 

La  Raffaella  e  un  Mefistofele  in  gonnella:  ragiona 
non  meno  sottilmente  di  lui;  ma  non  ha  astucci  o 
forzierini  da  donare;  anzi  si  sciorioa  in  tutti  i  suoi 
cenci  e  in  tutte  le  sue  miserie  per  muovere  a  pieta 
la  Margherita,  e  coltiva  Y  inf^mia  per  viveme.  La 
Margherita  non  e  la  innocente  e  improvvida  fanciulla 
di  Goethe,  che  s*  innamora  dawero  e  sdrucciola  per 
Tamore  al  delitto;  essa  specula  la  voluita,  e  con 
allato  quella  valente  mezzana,  e  quasi  sicura  di  non 
dovere  alia  liquidazione  pagare  le  differenze.  Se  nou 
che  qui  noa  abbiamo  che  il  prologo,  e  forse  la  Mar- 
gherita si  appassiono,  forse  fioi  come  la  Pia;  forse 
dUfeceh  Maremma;  ma  ella  nel  libro  non  appansce 
tale  da  rincorrerla  con  la  fantasia  e  farne  un  romanzo. 

La  gente,  che  sperava  in  Talamone^  era  assai  aUa 
ad  invaghirsi  dell*  ideale,  e  V  ideale  non  risplende 
mai  meglio  che  nel  volto  delle  leggiadre  donne.  Si 


w 


Vi: 

agginnga  la  singolar  bellezza  deUe  Senesi;  la  soa- 
vitit  del  loro  idioma : 

So  sweet  a  language  from  so  fair  a  mouth; 

la  bessaggine  de*  marlti,  Tozio  succeduto  alia  at- 
tivita  mill  tare,  politica  ed  artistica;  quasi  giuocbi 
di  bivacco  innanzi  ad  un  conflitto,  in  cui  e  per 
perirc  la  patria,  le  veglie,  i  veglini,  i  ritrovi,  le 
commedie  e  le  feste,  e  si  ayranno  le  scene  del  pa- 
ganesimo  spirante  sotto  una  pioggia  di  rose.  Le 
cittit  italiane,  moribonde  della  prima  lor  fioritura, 
eran  come  il  Sardanapalo  di  Byron  e  come  loi  mo- 
stravan  coraggio  almen  nella  morte: 

.  .  .  Harkl  the  lute^ 
The  lyre,  the  timbrel,  the  lascivious  tinhllngs 
Of  lulling  inslrumenlSy  the  softening  voices 
Of  uomen, 

. . .  Odi  il  liuto,  la  lira,  il  cembalo ;  il  lascivo  tintinno 
dMnstrumenti  che  assonnan  Tanima  nel  piacere;  le 
morbide  e  soavi  voci  di  donne...  Le  citta  piu  piccine 
competevano  con  le  maggiori  di  bellezza  e  di  volutta. 
Al  Fii'ecizaola  bastb  Prato  pe'  suoi  esempj  di  ve- 
nnsta  e  d'  amore.  Questa  giocondita,  dileguandosi 
dalle  citta  d'  Italia  al  raffittirsi  delle  tenebre  della 
tirannide  e  andando  a  stagnare  nel  cicisbeismo, 
stalle  d'  Augia,  che  appena  il  Parini  basto  a  pur- 
gare,  dorb  ancora  gran  tempo  in  Venezia,  ove  tutta 
r  Europa,  vsga  di  piaceri  e  ricreamenti,  ricorreva 
per  liberta  di  confetti  e  di  volutta,  impazzando  pei- 
quel  labirinto,  il  cui  filo  era  Tore,  e  il  guadagno, 
r  esaurimento. 

11  secolOy  parola  onde  si  difendevano  i  vizj  fin  dal 
tempo  di  Tacito,  pareva  una  magra  scusa  al  severo 
pittore  della  casta  vita  dei  Germani.  Ma,  per  quanto 
lleve^  vogliamo  addurla  in  favore  del  Piccolomini,  e 


VIII 

trarne  1*  autorlta  da  uq  aliro  senese,  Girolamo  Bar- 
gagli,  che  44  anni  dopo  faceva  nella  Pellegrina^  corn- 
media  rappresentala  neUe  felicissime  nozze  del  Sere- 
nissimo  Don  Ferdinando  de^Mediciy  Grandma  di  Toscana^ 
e  delta  Serenissima  Madama  CrUtiana  di  Lorena  sua 
consorte^  dir  dalla  Giglietta,  balia  di  Lepida,  a  Teren- 
zio,  innamorato  di  costei,  che  non  voleva  ch*ella 
sposasse  altri,  sebbene  incinta  di  lai :  (quoique  ou  par- 
cequel) 

c  G.  Potevale  lasciar  seguir  questo  parentadoy  che^ 
$ebben  Lepida  aveva  marito^  la  miglior  parte  e  la  piu 
fionta  sarebbe  slata  la  voHra. 

T.  Come  ?  Yoletn  cVio  comportassi  cKallri  vi  avesse 
parte! 

G.  Eh!  la  parte  de'marili  d  i  per  ciritnonia,  Ima- 
n*/e,  ben  sapete^  non  sono  aUro  che  fattori  e  guardiani 
degl*  innamoralu  I  mariti  fanno  loro  le  spese^  i  mariti 
loi'  fanno  le  vesti:  gl'impacd^  i  rinAroUi  e'  fastidj  che 
portan  seco  le  donne^  son  tutti  de' mariti;  i  piacerl,  i 
vezzi^  le  dolcezze  tuUe  toccano  agli  amanliy  e  awiene 
di  questo  quello  che  soleva  dire  un  nostro  cappellano^ 
ch'  a  lui  toccava  V  uffiziare  la  cMesa,  ed  un  altro  ne 
igodeva  V  entrate.  » 

Non  sappiamo  se  la  Grandnchessa  ne  arrossisse, 
ma  queste  balie  I  Da  Giulietta  in  poi  non  sanno  in- 
tcndere  altro  modo  di  cadere  che  supinol 

Pentito  e  confesso  dicemmo  il  Piccolomini,.  ma  ci 
pare  piu  vero  il  secondo  che  il  primo;  percbe  nel  ca- 
pitolo  9  del  libro  X  della  sua  InsUtuzion  morale^  oYe 
gli  storici  morigerati  additano  trionfandoqaestaritrat- 
tazione  delle  lascivie  della  sua  penna,  ecco  che  cosa  si 
legge  aproposito  che  gliamantinondeyonopretendere 
che  tutto  il  loro  tempo  si  assorba  nell*  amore,  ma 
lasciarsi  scambievolmente  liberta  e  spazio  agli  altri 
ufici  della  vita. 


IX 

€  E  segid  moUi  anni  sono  disH  alcune  cose  in  questa 
propositOy  dalle  quali  pud  parer  che  s'  offoschi  la  virtu 
della  donna^  in  un  Dialogo  che  si  domanda  la  Raffa- 
ELLA  ower  LA  Creanza  dellb  Donne,  io  al  presente 
ritorno  indietro^  e  ritrailo  tutto  quello^  che  io  avessi 
dello  quivi  contro  V  onestd  delle  donne :  poscia  che  fu 
fatto  da  me  tal  dialogo  quasi  per  ischerzo  e  per  giuoco; 
siccome  alcuna  voUa  si  fingono  delle  novelle  e  de'  can 
verisimili  piu  che  veri^  come  fece  il  Boccaccio ,  sol  per 
dar  un  cerlo  solazzo  alia  mente,  che  sempre  serena  e 
grave  non  pub  stare.  > 

L*  autorita  del  Boccaccio  non  si  accetterebbe  da 
nessnn  confessore,  neppur  da  quelli  che  creava  egb*, 
come  sarebbe  quel  suo  marito  geloso,  e  il  quad  ci 
conferma  il  dubbio  cbe  V  ant  ore  fosse  I'Aspasio,  si  bene 
aiutato  a  salire  alia  perdizione  da  Monna  Ralfaella. 

II  Piccolomini  era  amico  deirAretiuo.  A  lui  scri- 
vea  le  ragioni  che  lo  moyevano  a  trattar  di  filosofia 
in  lingua  volgare;  ma  certo  TAretino  gustava  piu 
il  Dialogo  della  RafTaella.  II  Piccolomini  poi  non 
fu  mai  piu  originale  che  in  questo  libro,  neppure 
forse  nelle  sue  Commedie,  una  delle  quali,  V  Amor 
CostantCy  nel  1536  ebbe  a  spettator  Carlo  V  ed  un'al- 
tra,  V  AlessandrOy  fu  recitata  quando  entro  la  prima 
volta  in  Siena  Cosmo  de' Medici  nel  1560  —  Egli  nel- 
Taltre  sue  opere  si  strasclcb  per  Torme  d'Aristotile, 
nella  scienza  naturale  e  nella  morale,  nella  rettoricu 
e  nella  poetica,  anzi  nella  morale  fu  dapprima  pla- 
giario  dello  Speroni,  che  Taccuso  di  avergli  straziato 
due  dialoghi  e  appesone  moUi  pezzi  alia  sua  becche- 
ria.  Noi  potremmo  accusarlo  di  avere  ammaiato  coi 
fiori  delle  sue  commedie  Tantro,  orrendo  pel  cada- 
yeri  dei  trucidati  patrioti,  del  Tiberio  toscano.  Ma 
torniamo  alia  Raffaella^  cbe  almeno  non  ebbe  Tonta 
degli   applausi  tirannici,   e   spregiando  1  vili  ufici 


X 

della  vecchia  pollastriera,  confessiamo  dairnn  lato 
che  i  suoi  ragionamenti  non  son  graa  fatto  perico- 
]os],  e  che  il  romanzo  e  ii  dramma  moderao  sanno 
aisai  meglio  trovar  sofisticaDdo  le  vie  del  caore,  e 
dair  altro  ehe  )'  amore  delle  donne  travio  un  poco 
f'^  Piccolomini,  il  quale  ne  detto  uq  elogio  apposta; 
ma  r  elogio  fa  freddo,  mentre  gli  ammaestramenli  di 
peccato  piacqaero  assai  e  faroQO  ristampati  parec- 
chie  Yolte  in  italiano  e  in  francese. 

Yenutaci  alle  mani  nn*  edizione  di  questo  Dialogo 
(lei  1540,  Tavevamo  data  in  stamperia  come  gem- 
ma delia  nostra  collana  di  scritti  inediti  e  rari,  quando 

Dinanzi  agli  occhi  ci  si  fu  offerla 
una  ristampa  fiorentina  del  1862,  cnrata  da  quel  va- 
leatnomo  che  e  Pietro  Fanfani.  Stracciammo  questa, 
ma  nel  riveder  le  bozze,  entrati  in  qaalche  dobbio, 
tornammo  alia  nostra  yecchia  edizione,  e  ci  accor- 
gemmo  che  il  fiorentino  aveva  di  molto  migliorato 
la  lezione  in  tutto  il  testo,  ma  che,  per  aver  forse 
un  esemplare  meno  perfetto,  in  alcuni  luoghi  1*  a- 
veva  lasciata  pessimameote  gnasta.  Seguendolo  per- 
tanto  nella  graGa,  ove  correva  bene,  I'abbiamo  ri- 
formato  con  Taiuto  del  nostro  testo  in  molti  punti 
ossenziali  e  in  fine  ne  tessiamo  un  cataloghetto,  che 
mostrerk  i  nostri  meriti  col  coadiutore  di  Siena,  e  se 
il  peccato  della  Raffaella  gli  e  stato  perdonato,  e  se 
ora  h  in  luogo  di  salute,  preghiamo  che  preghi  per 
noi ,  che  s*  estingua  dalla  nostra  fironte  questo  P 
della  ristampa,  e  s'  affretti  il  nostro  iivmir  santu 

Carlo  Teou. 


D  lALOGO 

D£    LA    BELLA 

CREANZA  D  E 
liE    DONNE. 

DE  LO 
STORDITO  INTRONATa 


H«  D.  ZXXX* 


? 


1 


PROEMIO  NEL  DIALOGO 


LO  STORDITO  INTRONATO 


A  QUELLE  DONNE  CHE  LEGGBBANNO 


Quanta  io  sia  stato  sempre^  nobilissime  donne^  vostro 
affezionato,  e  conoscilor  delle  bellezze  e  virtU  vostre^ 
oUre  che  voi  slesse  lo  dovresle  sappre^  quelli  piu  che 
alLri  ve  ne  potrebbon  4ar  chiarissima  infottnazione^  i 
quali^  acctcali  del  lume  dell' intelletto^  fuor  d'ognira- 
gione  si  son  lasciati  involgere  in  cost  vil  fango  e  bruUa 
macchia^  quant''  e  il  parlar  in  biasmo  di  voi  donne :  il 
che  quanto  sia  fuor  dei  meriti  vostri^  io  per  uno  lo 
so,  lo  vo'  sapere,  e  lo  sapro  sempre.  Questi  tali^  dicOy 
vi  potrebbero  esser  bonissimo  testimonio  dellanimo  wto, 
come  quelli  che  si  son  trovali  piu  volte  in  luoghi^  dove 
io  con  ragione  e  con  colkra  gli  ho  ripresi^  ei  ammo- 
nili  gagliardemente  ;  piu  in  vero  perche  la  nalura  mia 
e  il  debito  delV  uomo  da  bene  mi  sforza  a  far  cosi^ 
che  per  bisogno  che  voi  ne  abbiate :  perchlgiA  conosco 
chc^  con  lo  scudo  delle  virlii  vostre^  sete  baHanli  a 
difendervi  contra  qual  si  vcglia;  net  quale  scudo  punla 
di  velenose  lingue  nm  pub  far  fiUa  in  alcun  modo, 
Quantunque  egli  accada  qualche  volta^  che  se  ben  le 
male  lingue  appresso  di  chi  ha  punto  di  giudizio  non 

Creansa  detU  Donne  i 


2  PROEMIO 

fan  danno  alcutto  a  una  donna^  nondimeno  alcuni  aliri 
sono^  che^  non  considerando  k  cose  minulamente^  dan 
gran  fede  a  quel  che  senlono :  e  per  queslo  si  pud  dire 
che  in  tai  cast  non  sieno  in  tuUo  vane  le  defensicni 
che  io  fq  continuamenle  per  V  omr  vostro,  Adunque^ 
essendo  io  con  tutto  il  cuore  e  con  tutte  le  forze  mie 
dalla  parte  voslra,  comti  io  sono^  mi  rendo  cerlo  chcy 
se  a  quesla  volta  vi  reco  innanzi  a  leggere  un  Dialogo 
nel  qual  si  nprende  e  si  ri forma  qualche  particeila^  che 
in  alcuue  di  voi  in  vero  in  vet  o  (che  fra  noi  potiam  dire 
ogni  cosa)  non  sia  in  tuito  da  lodare;  mi  rendo  cerlOy 
dicOy  che  voi  non  solamenle  non  ve  ne  sdcgneretCy  e  non 
me  ne  porlante  colter a^  ma  la  pigliaiete  in  buona 
parte  y  e  terrete  par  fermo,  come  git  e  d  vero^  ch'  io 
/*  abbia  falio  a  fin  di  bene^  per  riparar^  sio  posso,  ad 
alcune  parti  non  cosl  buone^  che  ft  a  mode  vinii  veggio 
indeynamente  metcolarsi  in  alcune  di  voi]  acciocche  ne 
nasca  di  queslo^  che  voiy  scacciato  via  quel  che  non  e 
cost  buonoy  nmaniate  in  quella  perfeiiofie,  nella  quale 
la  njtura  v'ha  create.  E  se  ben  quMi  tai  mancamenti, 
che  io  dico  essere  in  alcune  di  vot^  non  sono  cose  alia 
fine  di  motto  grande  importanza^  nondimeno^  chi  vuol 
dir  fnale^  a  ogni  minima  cosa  si  appiccay  e  Vammaia 
di  sortCy  mescolando  il  vero  con  il  vei  isimitcy  che  fa  ogni 
minima  cosa  parer  grandissima.  E  per  questo  hanno 
da  far  gran  conto  le  donne  che  ogni  minima  macchia- 
rella  che  si  veggono  addosso  si  spsnga  piii  che  si  pudy 
acciocche  la  bdlezza  dett' animo  e  del  corpo  lore  iuca 
chiarissimay  senza  coper ta  di  velo  alcuno:  e  iOy  questo 
conoscendo,  sono  stato  sforzalo  dalV  amor  ch'io  liporlOy 
-d' ingegnarmi  di  riparaici  con  quel  cK  io  posso.  E  per 
non  notar  particolarmente  quelle  donne  ch'  io  conosco 
averne  bisognOy  io  indirizzo  il  mio  Dialogo  a  tuUe  vol 
Donne  nobitissimcy  perch'  io  so  multo  beney  che  quiUe 
che  si  sentiranno  non  averne  mestierit  pdranno  stimare 


DELLO  STORDITO  INTRONATO  3 

che  non  sia  slato  mandalo  a  loro;  e  delle  alive  pot 
ciascuna  potrd  pigliame  quel  che  li  paia  che  le  si 
convenga^  e  lasciare  il  reslo  alle  altre  di  mano  in  tnano: 
nel  qual  DialogOy  con  le  ragioni  che  intende  ele^  si 
potrd  conoscere  aperlamente  la  vita  e  i  modi  che  si 
appaitengono  a  una  donna  giovene^  nobile  e  bella,  E 
se  per  sorte^  donne  mie^  vi  accaderd  mat  di  leggerlo 
alia  presenza  d'alcuni  di  qusli  malignly  i  qualiy  fra 
f  altre  bujie  che  dicono  di  voi  donne^  sogliono  affer- 
mare,  che  nelV  animo  delle  donne  non  si  posson  creare 
mai  gran  conceltiy  o  senleme  profonde  e  di  giudicio^ 
ma  solamente  discorsi  frivoli  e  snervati;  e  per  queslo^ 
parendoli  queslo  Dialogo  pieno  di  ulilissimi  consigli^ 
vond  dire  che  sia  imposdbile  che  sia  nato  d'una 
donna  chiamata  madonna  Raffaella^  come  io  lo  presup- 
pongo;  a  questi  tali,  ancor  che  non  merilin  risposla, 
nondimeno  voglio  esser  tanto  coiiese  di  offerirvi  che 
voi  rispondiate  a  loro  da  parte  mm,  che  io  ad  ogni 
loro  volontd  gli  vo*  provare  con  mollissime  ragioni  e 
esempj  infinitiy  che  s'  ingannano  di  lungo,  e  che  le 
donne  possono  discorrere  e  giudicare,  consigliare,  e-pro- 
vcdere  in  qnal  si  voglia  caso  (T  imporlanzay  cost  ben 
come  gli  uomini;  e  se  vantaggio  ci  i,  e  in  esse,  E  queslo 
dileglield  arditamente,  perch' io,  aiutalo  dal  vero,  mi 
sento  bastantissimo  a  farlo :  pessimi,  maligni,  scandolosi 
che  sonol  Ma  lasciamoli  andare,  cW  io  intrerei  in  col- 
leva  agevolmente.  Dubilo  ancora,  donne  mie  amantissime, 
che  non  sieno  alcune  fra  voi,  le  quali^  come  poco  pra- 
tiche  delle  cose  del  moudo,  e  avvezze  fra  i  gomccioli 
e  le  matassCy  non  si  maraviglino  trovando  in  queslo 
Dialogo,  che,  fra  le  allre  buone  parti  cV  io  dico  con- 
venirsi  a  uia  gentildonna,  intendo  esser  convenevolis- 
simo  cVella  con  gran  destreiza  si  elegga  uno  amanle 
unico  in  questo  mondo ,  e  insleme  con  esso  goda  se* 
gretissimamente  il  fin  deWamor  suo.  A  quesk  tali  cost 


4  PROEaiio 

sc^mpie^  che  si  tnaravigliano  di  cio,  to  mi  crederei 
con  tanla  chiarezza  moslrar  loro  ck*  cUe  «'  imfannano 
grossamente^  e  con  si  buone  ragioni  farli  vedere  che 
5/t  e  cosi^  cKelle  confessarebbono^  ch*  io  m'intendo  piii 
delle  cose  del  mondo  che  a^se  non  fanno:  tna  pcrche 
s'  io  entrassi  in  tal  pioposito^  mi  abbondurebbono  cosi  le 
ragioni  e  la  materia^  che  diverrebbe  maggiore  il  proe- 
ii:io  che  il  Dialogo^  per  questo  mi  liaolvo  che  sia  me- 
fjlto^  donne  mie^  offetirmi  a  quelle  di  voi,  che  non 
sf(mo  dt  cosi  sciocca  opinione^  che  le  si  credino  ch:' 
ron  H  convenga  vd  una  g^nlildonna  atlendere  agli 
anwri,  e  mostrar  loro  ad  altro  tempo  ^  con  ragioni 
vhissime  e  gagliarde,  come  questa  cosa  d-tlV  onore  s*ha 
da  inlendere,  Io  vi  confesso  bene^  poi  che  gli  uomini 
fuori  di  ogni  ragione  iirannicamenle  hanno  ordinaio 
leggi^  volendo  che  una  msdesima  cosa  alle  donne  sia 
viluperosissima^  e  a  loro  sia  onore  e  grandezza^  poi 
ch'  egli  e  cosi,  td  confesso,  dico,  che  quindo  una  douna 
jensasse  di  guidare  un  amore  con  pora  saviezza^  in 
maniera  che  n'avesse  da  nnscere  un  minima  sospelluzza^ 
farebbe  grandissimo  errore^  e  io  piii  che  allri  neir  a- 
nimo  mio  la  biasimarei;  perche  io  conosco  benissimo  che 
alle  donne  imporla  il  Mto  questa  cosa:  ma^  se  dal- 
Paltro  canto^  donne  mit,  voi  sarete  piene  di  tanla 
prudenza^  ed  accortezza  e  temperanza^  che  voi  sappiale 
mantenervi  e  goderui  V  amanle  vostro^  elelto  che  ve 
Pavele^  fin  che  durano  gli  anni  vostii.  cosi  nosfo^a- 
mente^  che  ne  P  aria,  ne  il  citlo  ne  possa  suspicare 
fnai;  in  queslo  caso  dico  e  vi  giuro^  che  non  potefe 
far  cosa  di  maggior  contenlo,  e  piii  degna  di  una  gen- 
til  donna  che  questa,  E  di  cib  ve  ne  vorrei  dar  tanle 
ragioni  che  huon  per  voi;  ma  mi  riserbo  ad  altio 
tempo.  Per  ora  baslivi  questo,  che  la  cosa  sia  come  vi 
dicOy  che,  se  poi  vokte  poter  dire  neW  animo  vostro  di 
esser  vissutc  in  queslo  mondo,  vi  bisogna  aver  questa 


DELLO  STORDITO  INTRONATO  5 

parte  clC  to  v'  ho  delta ;  M  altrimenti  il  menar  gli 
anni  gioveni  senza  conoscer  amore^  si  pud  dire  che  sia 
il  medesimo  che  star  morte  sempre,  Sicche  abbracciatCy 
clonne  mie  care^  qu^to  amore  con  tutto  l^animo^  ma 
con  destrezza ;  'e  se  non  ve  we  giova^  doletevi  di  me ; 
e  se  ve  ne  torna  biasimo  veruno^  dile  che  io  sia  stalo 
io.  E  questo  mi  basti  avervi  delto  per  ora,  Yipiacerd 
per  cortesia  di  leggere  il  Dialogo  fino  al  fine,  con  il- 
spostzion  di  animo  che  vi  abbia  da  far  qualche  frutlo ; 
e  ricordatevi  di  me,  come  di  quello  che  sempre  pensa 
a  far  qualche  cosa  in  servizio  e  utile  e  conlento  vo- 
slro,  Addio, 


Di  Lucignano . . . .  il  di  XKii  di  ottobre  nel  mdxxxyiit. 


DIALOGO 

DBLLi 

6ELL4  GREANZA  DELLE  DONNE 


INTERLOCUTORi;  MADONNA  RAFFABLLA  B  MARGARITA 


Raf.  Dio  ti  dia  il  buon  di  Margarita,  mai  si 
staDDO  coteste  mani,  che  sempre  ti  trovo  a  lavo- 
rare  e  ricamar  qualche  cosa. 

Marg.  0  bea  venga  madonna  Raffaella:  n'e  pur 
tempo  che  voi  veniate  a  star  una  yolta  da  mel  Che 
n'  e  di  voi  ? 

Raf.  Peccati  e  fatica,  come  delle  yecchie:  che 
vuoi  che  ne  sia? 

Marg.  Sedete  un  poco  qui  da  roc.  Come  la  fate? 

Raf.  Vecchia,  povera  piu  che  mai,  col  capo  nella 
fossa  di  ora  in  ora. 

Marg.  Non  dite  cosi;  che  ne  vanno  cosiigioveni 
come  i  vecchi,  quando  Dio  vuole. 

Raf.  II  morir  m'  importerebbe  poco:  piu  presto 
oggi  che  domani  I  ch^  in  ogni  modo  che  ci  ho  da 
fare  in  questo  mondo?  E  la  poverta  ancora  air  ultimo 
airultimo  me  la  recherei  in  pazienza;  beache  sia  du- 
rissima  cosa  lo  esser  povero,  a  chi  e  nato  nobilmente 
come  sono  io :  ma  quel  che  mi  duole  e  ch*io  mi  yeggip 
piena  di  peccati,  e  ogni  giorno  ne  fo  piu. 


8  DBLLA.  BELLA  CREANZA 

TIarg.  0  che  diranno  le  altre,  se  voi,  che  seie 
tale  che  io  vi  tengo  una  santa,  peDsate  di  aver  tanti 
peccati?  E  che  peccati  potete  voi  mai  avere,  chb 
vi  veggio  sempre  co'paternostri  in  mano,  e  vi  state 
tutto  UgiorDO  per  qaest«  chiese? 

Raf.  Io  Don  ti  posso  negare  che  qnanto  con- 
solazion  m'e  rimasta  non  sien  quelle  mosse,  e  quelli 
ufficj  di  S.  Francesco,  che  non  ne  lascio  mrii  uno, 
qnatido  posso;  ma  che  e  questo  a  tanti  peccati  che 
81  fanno  tutto  *1  giomo? 

Marg.  E  assai :  io  per  me  tengo  che  voi  ve  he  an- 
derete  in  paradiso  ritta  ritta.  Ma  che  vuol  dir  che 
voi  non  venite  da  me  cosi  spesso  come  solevate? 

Raf.  Io  ti  dir6  il  vero,  figb'uola:  son  rest<nta 
molte  volte  di  venirci,  perche  conosco  che  le  vec- 
chie  e  povere,  come  son  io,  non  danno  se  non  fa- 
stidio  dove  le  vanno ;  ma  non  e  mancato  per  questo 
che  io  non  mi  ricordi  sempre  di  te,  e  sempre  prego 
Dio  per  tutta  casa  tua  quando  si  dice  il  Magnificat 
al  vespro  di  S.  Francesco. 

Marg.  Avete  il  torto,  madonna  RaSaella,  a  pen- 
sar  di  darmi  fastidio  quando  venite  in  casa  mia; 
anzi  piglio  sempre  piaoere  di  ragionar  con  esso  voi: 
e  voi  sapete  quanto  mia  madre  avea  fede  alle  vostre 
parole  e  a'  vostri  consigli,  e  quanta  consolazione 
ne  pigliava:  e  il  medesimo  fo  io. 

Raf.  Ahime!  e  che  consolazion  pub  dar  una  che 
e  d'avanzo  in  questo  mondo? 

Marg.  Basta  ch'egli  e  come  vi  dico:  e  voi  sa- 
pete se  yi  abbiamo  iutto  sempre  carezze. 

Raf.  E  vero,  n' avete  fiitte  piu  ch*io  non  merito. 

Marg.  Dunque  perche  non  ci  venite  piu? 

Raf.  Per  dirti  la  cosa  oom'ella  sta,  io  mi  guard  o 
piu  che  posso  del  venirci,  non  perche  io  non  goda 
di  vederti,  ma  perch^  io  non  ci  vengo  mai,   che 


DELLE  DONNE  9 

non  m'  intervenga  cosa  della  quale  mi  fo  gran  co^ 
scienza  con  messer  Domeneddio. 

Marg.  0  questo  perche? 

Raf.  Mi  vergogno,  Margarita,  pur  a  pensarlo,  non 
che  a  conferirlo  con  altri:  perb  lasciamolo   andare. 

Marg.  Come  I  dunque  vi  vergognate  a  oonfcrire  le 
cose  vostre,  che  sapete  ch'  io  vi  tengo  in  luogo  di 
madre? 

Raf.  Che  so  io,  se  venisse  aU'orecchie  d'altre 
persone? 

Marg.  Voi  mostrate  d'  aver  poca  fede  in  me, 
se  dubitate  che  io  confidi  ad  altri  cosa  che  non 
vogliate. 

Raf.  Promettimi  di  tenerne  la  lingua  in  bocca. 

Marg.  Statene  sopra  la  mia  fede,  e  dite  di  gra- 
zia,  che  io  non  posso  pensar  che  cosa  qaesta  sia. 

Raf.  Sopra  la  tua  parola  ti  scopriro  dunque  il 
mio  peccato,  che  non  V  bo  rivelato  mai  ad  altri 
che  al  mio  confessore.  Ogni  volta  ch'io  ti  veggio, 
Margarita,  e  ch'  io  considero  la  tua  bellezza  e 
gioventu,  subito  mi  viene  una  ricordanza  di  quelli 
anni,  nei  qnali  era  giovene  io ;  e  ricordandomi  che  io 
non  mi  seppi  pigliare  quel  bel  tempo  che  avrei  po- 
tuto,  il  diavolo,  per  farmi  romper  il  collo,  mi  mette 
addosso,  senza  che  io  me  ne  possa  aiutare,  un  rimor- 
dimento  e  un  dispiacere,  che  per  parecchi  giorni  sto 
come  una  disperata,  senza  udir  messa  o  ufficio,  o 
far  ben  nissuno:  e  per  non  cadere  in  questo  pec- 
cato, come  t'  ho  detto,  mi  guardo  quanto  posso  di 
venirti  innanzi,  perche  me  ne  tengo  gran  carico 
airanima. 

Marg.  Quanto  mi  fate  maravigliare  I  Mai  avrei 
pensato  a  questo.  Ma  il  medesimo  vi  debbe  inter- 
venire,  epiu,  quando  vi  trovale  con  queste  altre, 
che  son  piu  belle  che  non  sono  io. 


10  DELLA  BELLA.  CREANZA 

Raf.  Io  non  mi  sono  mai  accorta  che  nessuna  mi 
facci  tanto  danno  quanto  tu ;  o  sia  perche  in  vero  non 
h  oggi  in  Siena  bellezza  pari  alia  tua,  o  per  qual 
si  voglia  altra  cagione:  basta  che  egli  e  cosi. 

Marg.  Ogni  di  mi  riuscite  piu  divota,  madonna 
RafTaella,  poi  che  voi  vi  fate  conscienza  di  si  poca 
cosa. 

Raf.  Ti  par  poca  cosa  ricordarsi  di  non  aver  faiii 
degU  errori  e  pentirsene,  eh?ch'io  non  so  come  la 
terra  non  mUnghiottisca  I 

MaRo.  Molto  peggio  sarebbe  ricordarsi  d^averne 
fatti. 

Raf.  Uh,  non  dir  cosi,  figliuolal  pensati  ch*io  ho 
piu  pratica  di  questo  mondo  che  non  hai  ta;  e 
conosco  oramai  la  brusca  dalla  trave  intorno  a  cose 
di  conscienza. 

Marg.  lo  vi  crederb;  che  so  che  di  qaeste  cose 
ne  sapete  la  parte  vostra,  secondo  che  mia  madre 
mi  disse  piu  volte. 

Raf.  £  quanta  fede  mi  aveva  quella  benedetta 
anima  di  tua  madre  I  01  Dio  sa  quanto  amor  ch*io 
le  portava,  che  si  puo  dir  me  Tho  allevata  io ! 

Marg.  Chi  lo  sa  roeglio  di  me,  ch*  ella  non  po- 
teva  viver  senza  di  voi? 

Raf.  Tenevamo  parentado  insieme,  che  la  sorella 
sua  era  cognata  del  mio  nipote. 

Marg.  Gia,  me  lo  diceva. 

Raf.  Ora  hai  saputo,  Margarita,  perche  causa 
io  ho  abbandonata  da  un  pezzo  in  qua  la  casa  tua. 

Marg.  A  o^ni  altra  cosa  certo  avrei  pensato. 

Raf.  Dairaltro  canto  mi  rimorde  Fanimo  a  non 
venirci,  perche  non  mi  par  far  il  debito  mio,  secondo 
che  comanda  la  Pistola  della  Messa ,  e  I'  Inlroibo 
ancora. 

Marg.  Perche? 


DELLB  DONNE  11 

Raf.  Come  perch^?  non  sai  clieU  Signor  dice 
nella  Messa  della  Madonna,  aiula  it  prossimo  tuo? 
e  pero  io,  per  esser  vecchia  per  conoscere  ormai 
il  mal  dal  bene,  dovrei  avvertire,  e  consigliar  le 
giovani,  e  massime  quelle  con  le  qaali  io  ho  qaalche 
sicurtJi,  come  con  esso  te,  di  moUi  errori,  ne*quali 
esse,  per  aver  poca  pratica  del  mondo,  potrebbero 
incorrere  agevolmcnte,  acciocche  imparassero  a  cono* 
scere,  alle  spese  del  compagno,  quel  pericoli  ch'  io 
e  roiiraltre  vecchie,  per  carestia  di  chi  ci  abbia 
consigliate  e  avyertite,  abbiamo  conosciuti  alle  spese 
di  noi  medesime :  e  qaesta  sarebbe  la  vera  carilk. 

Marg.  Poi  che  noi  slamo  entrate  in  questo  ragio- 
namento  ditemi  un  poco,  di  che  cosa  giudicate  che 
noi  giovani  dovriamo  essere  avvertite  principalmeiite? 
Raf.  Di  molte  coso;  e  fra  Taitre  di  questo  ch*io 
t'  ho  detto  di  sopra,  che,  se  non  si  piglia  qualche 
piacer  modestaroente  quando  altri  e  giovane,  si  viene 
in  tal  disperazione  in  vecchiezza,  che  ci  manda 
a  casa  del  diavolo  calde  calde,  come  tu  vedi  che  io 
temo  di  non  andarci  io. 

Marg.  E  di  che  sorte  piaceri  dovrebbero  esser  i 
nostri  ? 

Raf.Di  quelle  cose  che  sogliono  dilettar  comunemente 
le  donne  giovani,  come  sarebbe  il  ritrovarsi  spesse 
volte  a  feste,  a  conviti,  a  ritrovi,  vestir  garbatamente, 
ornarsi  di  gioie,  di  acque,  di  profumi,  usar  sempre 
qualche  bella  foggia  nuova,  cercar  d'  esser  tenuta 
bella  insieme  e  savia,  esser  amata  da  qualche  uno, 
ndir  serenate,  e  yeder  mascare  e  livree  per  amor 
suo;  e  simili  altri  piaceri  onesti  da  donne  giovani 
e  gentili  come  sei  tu. 

Marg.  Mi  fate  maravigliare,  perche  ho  sempre  in- 
teso  dire  che  tutte  coteste  cose  son  piu  presto  pec- 
cati  che  altrimenti. 


12  DELLA  BELLA.  CREANZA  f 

Raf.  Io  ii  confesso,   figliuola  (che  cosi   ti   poi^^ 
chiamare  per  Io  tempo  e  per  la  afieuone)  che  sardik 
cosa  santissisima  e  buona,  quando  potesse  essere^i 
mantenerci,  da  che  noi  nasciamo  fia  che  moriamo, 
seiiza  un  peccato  e  senza  una  macula  al   moado; 
ma  perche,  per  gli  esempj  di  tutti  gli   uomini   ehe 
sono  stati,  conosciamo  che,  per  essere  noi  creati  pec- 
catori ,  i  impossib'le  che  noi  viviamo    senza   error 
nensuno,   doviam  pensare  che  egli  e  cosa  pia  dz 
comportare,  e  che  piu  merita  perdono   appresso  di 
Dio,  il  far  qualche  erroruzzo  in  gioveutu,  che  T'lsef- 
barsi,  come  ho  fatto  io,  a  tempo,  che,  non  Io  potent 
piu  fare,  mi  sfogo  colia  disperazioue,  la  quale   pa 
che  altro  peccato  mette  altrui  in  bocca  di  Satanasso. 
Perche,  si  come  le  infermita  del  corpo  che  haa    da 
venire  agU  uomini,  molto  manco  son  pericolose  da 
gioveni,  (come  noi  vediam  della  roselia  e  del  vaiaolo, 
che  quanto  piu  si  sfogano  allora,  tanto  piu  rendono 
il  corpo  firanco  e  schietto  lutto  il  resto  della   vita) 
cosi  una  certa  pazzia,   che   nasce  con  tntti,   molto 
manco  e  dannosa  air  anima,  e  piu  rende  poi  la  vita 
libera  e  risoluta,  se  fa  Io  sfogo  suo  negU  anni  gio- 
veni, che  se  si   riserba   a  uscir  fuora  nel   tempo 
nel  qual  si  ricerca  esscr  savio  e  temperato. 

Marg.  Dunque  voi  tenete  che  sia  utile  io  qpiesta 
eta  ch*  io  mi  trovo,  di  viver  allegramentc,  e  pigliarsi 
qualche  solazzo. 

Raf.  UtilisMmo,  e  necessario :  e  se  ci  fosse  tempo, 
crederei  saperti  mostrar  minutamente  che  vita  do- 
vrebbe  esser  la  tua,  e  quanto  oltre  dovresti  di- 
stenderti  in  pigliarti  piacere:  e  so  certo  che  tu 
diresti  ch*  io  m'intendo  delle  cose. 

Marg.  Come  tempo?  e  che  abbiam  noi  da  fare?  io 
voglio  in  ogni  modo  che  voi  mi  ragioniate  un  poco  di 
questa   cosa;  d  non  potiamo  aver  tempo  piu  co- 


modo :  siam  sole ,  e  a  vol  non  penso  die  impoi  ti 
molto  il  partirvi,  che  ngn  mi  par  ora  di  vespro  ne 
di  compieta. 

Raf.  Perdonarai,  io  non  posso  oggi  star  da  te: 
voglio  andar  a  riscuoter  certi  danari  dalla  tua  zia. 

Marg.  Che  V*  importa  riscuoterli  oggi  o  domani? 

Raf.  Ohimel  Margarita,  benche  tu  mi  yeggia 
cosi  vestita,  hai  da  sapere  che  io  fo  poi  in  casa  di  belli 
stentolini ;  ma  Io  dimostro  maDCO  ch*  io  posso  per 
vcrgogna,  e  a  te  che  posso  dire  ogni  cosa,  posso 
giurar  che  spess)  non  ho  briciola  di  pane  in  casa. 
^Iarg.  In  fine  nou  pensate  di  partirvi :  non  man- 
chera  pane  ne  altro,  mentre  che  lie  avro  io;  che  certo 
e  d'  aver  una  gran  compassione  a  chi  e  nato  no- 
bilmente,  e  non  ha  da  viverje. 

Raf.  Ti  ringrazio;  ma  questa  volta  mi  perdonc- 
rai  ch*  io  ti  vo*  lasciare :  potro  tornarci  un  altro 
di  piu  a  beiragio. 

Marg.  Che  fate?  n^m  bisogna  rizzaryi,  ch'io  non 
vo'  per  niente  che  ve  n'  andiate:  mi  lamentarei  molto 
di  voi. 

Raf.  Che  t' importa  piu  ora  che  un'altra  yolta? 

Marg.  Importami,  che,  poiche  m*  avete  accesa  a 
questa  cosa,  non  vo'  che  passi  oggi  eh'  io  non  in- 
tcnda  minutamente  il  parer  vostro. 

Raf.  Margarita,  io  non  ti  posso  mancare:  ma,  a 
dirti  il  vero,  ancor  che  tutto  quel  ch'  io  sarei  per 
flirti  io  conosca  che  dovrebbe  piacere  a  tutte  le 
donne  gentili,  come  sei  ta ,  non  di  manco  gli  animi 
nou  si  conoscono,  e  i  cervelli  sono  vari.  Chi.sa? 
potrebbe  esser  talvolla  che  mi  avvenisse  il  contrario  q 
che  ti  dolessi  di  me,  che  mi  dispiacerebbe  assaissimo. 

Marg.  No,  no,  di  questo  non  ci  e  pericolo:  io  vi 
conosco  per  altri  tempi,  e  so  molto  bene  che  le  vostro 
parole  tnrnano  sempre  in  onoie  di  Dio,  e  util  di 
chi  Tode, 


14  D£LLA  BELLA  CREAKZA 

Raf.  Quanto  a  Dio,  gia  t*ho  detto  cbe    sard)fe 
meglio,  se  si  potesse  fare,  il  nondarsi  mai   un  pu- 
cere  al  mondo;  anzi  stars!  sempre  in  digioui  e  <£- 
scipline :  ma,  per  fuggir  maggior  scandalo,  bisogoa 
coDsentir   a  questo  poco  di   errore,    che    e    cti  pi- 
gliarsi  qualche  piacere  in  gioventu,   che  se   ne    \a 
poi  con  I'acqua  benedetta:  e  questo  ti  sia  di  lisposta, 
senza  cb*io  piu  te'i  replichi,  a  tatte  qaelle    cose 
che  io  ti  dirb,  le  quali  ti  parera  cbe  pizzichino  al- 
qnaato  di  peccatuzzo.  £  pero  in  tntlo  quello  che  io 
ti  ragionero,  presupponendo  questo  poco  di  peccato 
per  esser  necessario,  procurero  quanto  piu  sia  pfl^ 
sibile  r  onore  del  mondo, '  e  cbe  quei  piaceri  che  a 
banno  da  pigliarsi  sieno  presi  con  tal  destrezza  e 
con  tal  ingegno,  cbe  non  si  rimanga  vituperato  ap- 
presso  delle  genti. 

Marg.   Di   questo  ne  sono  certissima ;  ch*  io   ho 
piu  fede  in  voi,  sto  per  dir,  cbe  nel  vangelo. 

Raf.  La  puoi  aver,  bgliuoU  mia,  che  io  vorrei 
piu  presto  perdere  questo  monile,  cbe  non  ho  sltro 
di  buono'in  questo  mondo,  cbe  dir  cosa  che  noo 
tornasse  in  tuo  utile  e  onore. 

Marg.  Or  cominciate  adunque. 

Rag.  Con  questo,  cbe  tu  mi  prometta  di  starmi  a 
udire  quetamente  tutto  quello  cbe  bo  in  animo  di 
dirti;  e  se  ben,  cbe  nol  credo,  in  qualche  cosa  io 
non  ti  soddisfacessi,  per  questo  non  m*impedire  per 
fin  al  fine  del  mio  ragionamento :  da  poi  sera  in  (ua 
liberta  di  £are  o  non  fare,  secondo  cbe  ti  parra. 

NIahg.  0  se  nel  vostro  ragionar  mi  nascesse  qualche 
4ubbio,  non  volete  vol  cbs  io  possa  dimandarvi  libe- 
rameiitc  di  quanto  mi  occorre? 

Raf.  Questo  SI,  pur  cbe  tu  m'ascolti  amorevol- 
mente  tutte  quelle  cose  ch'io  vorro  dire. 

Marg.  Cosi  vi  prometto. 


Raf.  Da  qua  la  mano. 

Marg.  Eccovela:  or  dite. 

Raf.  Mi  par  cosi  vedere,  che  nel  mezzo  de*  no- 
stri  ragiouamenti  verra  il  tuo  marito,  o  qualche  uno 
altro,  e  romperacci  ogni  nostro  disegno. 

Marg.  Non  e  ora  da  venirci  nessuno;  di  mio  ma- 
rito noQ  *ci  e  pericolo,  che  egU  ha  due  mesi  che  egli 
undo  ill  Val  d*Ambra  a  riscuoter  non  so  che  grano 
e  denari,  e  nou  e  ancora  tomato. 

Raf.  Gomel  due  mesil  e  tanto  tempo  pervoltati 
lascia  sola  in  cosi  bel  fiore  della  tua  eta? 

Marg.  Eh  Diol  questo  e  un  zuccaro;  vi  posso 
giurare  che  da  due  anni  in  qua  che  io  ?enni  a 
marito,  non  e  state,  accozzando  tutte  le  volte,  quat- 
tro  mesi  intieri  con  esso  me. 

Raf.  Oime,  oime!  che  mi  dicil  che  tradimento  e 
questo  I  io  mi  teneva  per  certa,  vedendoii  star 
sempre  in  casa  cosi  rimessa  e  abietta  come  tu  stai, 
e  gittar  via  cosi  gran  bellezza  com'e  la  tua  tanto 
scioccamente  quanto  fai,  che  almanco  tu  ti  godessi 
continuamente  neHrattenimenti  del  tuo  marito;  ben- 
che  le  carezze  e  i  piaceri  co'mariti  son  poco  manco 
sciapiti  e  disutili  che  sieno  a  queste  monacheitra- 
stulh  dei  loro  passatempi.  Oime!  che  n/hai  dettolor 
che  fara  egli  per  V  avvenire,  se  ora  ch*  egli  t'ha  frc- 
sea  in  casa,  c  si  puo  dir  sposa,  ti  tratta  cosi? 
£*  mi  vien  certo  una  compassione  di  te  la  maggior 
che  si  credesse  mai,  pcrche  io  veggo  chiaro  chia- 
rissimo  come  in  uno  specchio,  come  tu  vieni  negU 
anni  di  qualche  conoscimento  hai  da  rimordertene  e 
disperarti,  e  arrabbiarne  di  sorte,  che  la  dispera- 
zione  ti  mettera  fra'  denti  del  diavolo  viva.  E  come 
puoi  viver  meschinella  a  questo  modo? 

Marg.  Io  vi  confesso  che  mi  sa  malagevole;  ma 
mi  son  sempre  appiccata  ai  consigli  che  mi  die  mia 
madre  poco  tempo  innanzi  che  ella  morisse. 


6  DELL  A  BELLA  CRIlAXZA 

Raf.  Oh  Dio,  quanti  eirori  si  fanno  non  cono- 
scendo,  per  poca  pr-atica  delle  cose !  S'ella  avesse  vis- 
suto  veniicinque  o  trent'  anni  piii)  arebbe  conoscduto 
con  tuo  gran  danno  Y  error  suo.  Ma  dimmi  un  poco, 
come  e  amorevole  di  ie  il  tuo  marito  quel  poco 
tempo  che  egli  sta  in  Siena? 

Marg.  Tutto  quello  ch'  io  fo  e  tutto  ben  fatto: 
non  mi  riprende  mai  di  niente;  e  qaesto  lo  fa  per- 
ch^ la  sua  natura  lo  sforza  a  far  cosi,  o  vogliam  dir 
per  dappocaggine,  non  gia  per  amor  che  mi  portL 

Raf.  Lo  credo,  perche,  se  t'  amasse,  non  farebbe 
si  longhe  pause  a  tornar  da  te;  anzi  non  ti  lascia- 
rebbe  mai,  e  massime  ch*egli  e  ricchissimo,  e  non 
ha  bisogno  da  ^ndarsi  avviluppando  per  le  val 
d'Ambre. 

Marg.  Questo  e  vero,  ch*egli  e  ricco,  e  di  ogni 
cosa  potrei  disporre  io  quando  me  ne  deliberassi; 
ma  come  v'ho  detto,  mi  son  sforzata  contra  mia  vo* 
glia  di  non  curarmene. 

Rap.  Tanto  piu  sei  una  semplicella;  che  sarel^ 
pazzia  cotesta,  quando  la  facesse  madonna  Loreoi 
0  la  tua  cognata,  e  mille  altre  brutte  che  ci  sono, 
non  che  tu,  che  sei  tenuta  la  piii  diUcaia  bellezza 
che  sia  oRgi  in  Siena. 

Marg.  Or  torniamo' al  fatto  nostro,  madonna  Raf- 
faella,  ch'io  tengo  certo  che  vi  ci  abbia  mandata 
oggi  Dio  qui  da  me, 

Raf.  Siene  certissima  che  Dio  m'ha  spirata  a  re- 
nirci,  accio  che  tanta  bclta  e  leggiadria  quant' e  la 
tua,  non  abbia  da  invietirsi  in  casa  ruzzando  con 
Taco,  e  con  le  assictUe.  Ora  la  prima  cosa,  figliuo- 
la,  tu  hai  da  por  cura  che  quei  piaceri,  i  qoali  con- 
chiuderemo  oggi  che  ti  si  convenghino,  tu  ?e^gia 
di  pigliartili  con  tal  ingegno,  e  con  tal  arte,  cbe  i] 
tuo  marito  piji  presto  abbia  da  comportarlo  voles- 


DBLLE  DONNE  17 

tieri  che  da  pigliar  un  minimo  sospettozzo  dei  ca^^i 
tuoi.  £  questo  lo  farai  ageyolmente,  se  tu  avrai  av- 
verteDza  di  non  entrar  furiosa  cosi  in  un  tratto  nella 
via  che  noi  diremo;  e  massime  essendo  ta  vissata 
fin  qui  lontaoa  da  simil  cose,  e  rimasa  fra  i  gatti 
intomo  al  fuoco;  perch^  una  cosi  subita  mutazione 
darebbe  a  sospettar  a  non  so  chi.  Bisogoa  ancora 
che  tu  usi  diligenza  quando  ti  accadesse  trovarti 
dove  si  ragionasse  di  solazzi  e  di  feste  alia  pre- 
senza  di  tuo  marito  o  d'altri,  non  mostrar  di  me« 
nar  smania,  e  di  struggertene  del  desiderio;  anzi 
tenendo  il  tutto  in  te,  ne  parlerai  come  di  cosa  che 
non  Vimporti  molto.  Medesimamente,  tornando  tal 
volta  a  casa  da  qualche  festa  e  convito,  guardati 
lion  star  in  un  certo  modo  sospesa,  e  con  Tanimo  sol* 
levatOy  tal  che  s'accorghino  le  mura,  non  che  altri, 
che  tu  abbi  il  capo  pien  di  grillL  £  con  queste  av- 
vertenze,  e  altre  che*l  tuo  ingegno  ti  dimostrer^, 
tu  potrai  avere  li  medesimi  sollazzi,  e  insieme  la 
pace  deMa  casa  con^tuo  marito ;  che,  potendola  avere, 
mi  pur  cosa  da  stimarla  moltissimo. 

Marg.  In  questo  avro  io  da  durar  poca  fatica, 
per  che,  come  vi  ho  detto,  il  mio  marito  e  la  miglior 
pasta  d*uomo  che  vol  vedeste  mai ;  e  di  quelle  cose 
che  io  mi  disponessi,  crederei  farli  creder  che  le 
lucciole  fossero  lanteme:  ne  altri  ho  in  casa  diehi 
^  io  abbia  da  tener  conto,  come  son  suocere  e  suo- 
ceri,  cognati  e  cognate  e  nipoti,  e  simil  gente  da 
maFacqua. 

Rap.  Gran  ventura  e  la  tua,  perchi  io  conosco 
molte  in  questa  terra  che  hanno  i  lor  mariti  cosi 
arrabbiati,  &stidiosi  e  indiavolati,  che,  sempre  rim- 
brottolandole  e  villaneggiaudole,  fanno  la  casa  lore 
la  casa  del  gran  diavolo ;  dove  che  gU  sciocchi  po- 
trebbono,  se  si  recassero  le  mogli  per  loyerso,  starsi 

Creanxa  delle  Donne  * 


18  DELLA  BELLA  CREAKZA 

nel  paradiso :  se  ben,  air  ultimo  air  ultimo,  quant o 
piu  son  pazzi  e  coUerici,  tan  to  piu  la  collera  e  h 
pazzia  torna  sopra  di  loro;  perche,  a  dispetto  lor 
marcio,  e  oon  molto  disvantaggio ,  fanno  le  mcgli 
loro  alia  fine  tutto  quel  che  vogliono.  'Nondimeno 
quando  una  giovane  potesse,  come  t*ho  detto,  &re 
insieme  quel  che  vuole,  e  salvar  la  quiete  della  casa, 
6  star  ben  col  marito,  e  cosa  al  proposito,  e  mas- 
sime  nelle  spese  ch*ella  ha  da  fare. 

Marg.  Del  fatto  del  mio  marito  la  cosa  non  pui 
star  meglio:  ma  ditemi  un  poco,  in  che  cosa  prin- 
cipalmente  ho  da  far  queste  spese  che  voi  dite? 

Raf.  Primieramente  molto  porge  diletto,  e  si  con- 
Tien  generalmeute  agli  uomini  e  alle  donne  gio- 
veni,  U  vestire  riccamente  e  con  garbo  e  con  gin- 
dizio;  e  massime  alle  donne,  perche,  per  esser  loro 
moUi  e  delicate,  come  quelle  che  sole  faro  create 
da  Dio  per  for  meglio  comportar  le  miserie  del 
moodo  (secondo  che  io  ho  udito  dir  piu  volte  a  un 
giovine  degli  iutronati,  che  si  chiama  lo  itordito, 
molto  affeziooato  delle  donne),  molto  piu  par  che  si 
convenga  la  nettezza  del  vestire  alia  lor  candidezza 
e  delicatura,  che  V  asprezza  e  non  so  che  robusto 
che  hanao  gli  uomini. 

Marg.  Vi  vorrei,  madonna  Raffaella,  un  poco  piu 
particolare  nella  cosa  del  vestire. 

Raf.  Voglio  che  una  giovene  ogni  pochi  giorni 
muti  veste,  e  non  lasci  mai  foggia  cho  sia  baona; 
e  se*l  suo  giudizio  le  bastasse  a  trovar  foggie  nuove 
e  belle,  sarebbe  molto  al  proposito  che  spesso  ne  met- 
tesse  iBuanzi  qualcuna:  ma,  non  le  bastando  il  giu- 
dicio,  appicchisi  a  quelle  delle  altre  che  sien  tenute 
migliorL 

Marg.  Che  parte  vuol  aver  una  foggia  per  potersi 
chiamar  buona? 


DELLE  DONKE  19 

Raf.  VuoI  esser  ricca  e  garbata. 

Marg.  Id  che  si  contiene  Tesser  ricca? 

Raf.  Vuoi,  Margarita,  che  io  discorra  nelle  cose 
che  abbiam  da  dire  oggi,  secondo  l^esser  tuo,  e  che 
s^appartiene  a  te  solamente,  ovvero  insieme  di  molte 
altre,  secondo  le  diverse  qualita  loro? 

Marg.  Che  vi  par  meglio  a  voi? 

Raf.  II  mio  primo  proponimento  e  oggi  di  mo^ 
sirarti  le  cose  secondo  Tesser  tuo  particolare:  niente 
di  inanco,  mi  par  che  sia  necessario,  per  far  qnesto, 
andar  considerando  insieme  ancora  intorno  all*esser 
diverse  di  molte,  per  ]e  ragioni  che  per  te  mede- 
sima  conoscerai. 

Marg.  Cos!  si  faccia. 

Raf.  Dico  adunque  che  la  ricchezza  delle  vesti 
coDsiste  molto  in  cercar  con  diligenza,  che  i  drappi, 
panniy  saie,  o  altre  tele,  sieno  finissime,  e  le  migliori 
che  trovar  si  possino;  perch^  il  vestirsi  di  panni 
gross],  come  fa,  poniam  case,  madonna  Lorenza,  che 
per  foggia  ha  fatto  una  gamarra  di  panno  poco 
nianco  che  fratesco,  si  domanda  foggia  magra. 

Marg.  Come  poco  manco?  egh  h  fratesco  frate- 
schissimo. 

Raf.  Tanto  peggio  I  Voglion  le  vesti,  oltre  a  que- 
sto,  esser  ampie  e  doviziose;  ma  non  perb  tanto, 
che  la  persona  ne  rimanga '  troppo  scomodata:  e 
quest'anipiezza  importa  assai,  perche  non  si  vede 
mai  peggio,  che  quando  noi  vediam  alcane  delle  no- 
stre  gentildonne,  che  vanno  per  Siena  con  certe  ve- 
starelle,  che  non  vi  e  dentro  sedeci  braccia  di  drap- 
po,  con  le  loro  sberuiette,  che  non  gli  arrivano  al 
cuio  a  una  spanna,  e  aggirandosene  ana  parte  al 
collo,  e  tenendone  un  lembo  in  mano,  col  qual  si 
copron  mezzo  il  viso,  e  van  facendo  le  mdscare  por 
la  strada;  e  con  Taltra  mano  alzandosi  la  veste  di 


20  DELLA  BELLA  CREANZA 

dietro,  accib  che  noa  si  logori  toccando  terra,  yanno 
per  la  strada  con  una  certa  faria,  con  un  trich  trach 
di  pianellette,  che  par  ch'elle  abbiano  il  diavolo  fra 
le  gambe:  e  forse  che  si  alzan  cosi,  per  mostrar  il 
pie  galante,  con  una  poca  di  gambetta  tutta  attilla- 
tal  anzi,  mostran  quei  pieacci  larghi,  mal  tenuti, 
con  certe  pianelle  tutte  scortecciate  per  la  vecctaiez- 
za:  delle  quali  cose  ti  parlero  poi,  qaando  verremo 
a  questa  particolarit^. 

Marg.  Mi  par  che  m*abbiate  descritia  tntta  di 
punto  la  mia  cugina,  ben  ch^ella  m*ha  detto  che  ya 
cosi,  non  per  scempiezza,  ma  per  galantaria. 

Raf.  Tutte  dicon  cosi,  e  fan  della  necessita  cor- 
tesia,  mostrando  di  far  a  posta  e  pensatamente  qael 
che  fanno  o  per  miseria,  o  per  poverta,  o  per  dap- 
pocaggine.  Voglio  aiicora  che  queste  vesti,  cobi  am- 
pie  come  io  ti  dico,  sieno  piene  di  liste,  tagli,  ta- 
gliuzzi,  ricami,  e  altre  simil  cose;  alcun^altra  ^olta 
sieno  tutte  pure;  perche  questa  varieta  di  vestire 
mostra  gran  sontnosita,  e  ha  roolto  del  buono. 

Marg.  Io  mi  crederei  che  questo  fosse  segno  di 
varieta  di  cervello  e  d'aver  poca  fermezza,  che  non 
sarebbe  poca  macchia. 

Raf.  Sarebbe  vero,  quando  una  giovinc  neU^altre 
sue  operazioui  mostrasse  questa  instabilita;  ra  i,  fa- 
cendosi  conoscer  per  savia  e  accorta  in  ogni  altra 
sua  azione,  questa  variety  nelle  vesti,  ch'io  ti  dico, 
le  tornera  tutta  in  grandezza  ed  ornamento. 

Marg.  Mi  avete  fatto  sovvenir  del  cervello  della 
Bianchetta,  che  h  il  piu  balmno  ch^io  vedessi  mai; 
che,  fra  Taltre  sue  fantasticherie,  la  falotical  sei 
volte  si  vesti  un  (tiorno  per  andare  in  un  ritrovo ; 
e  sei  volte  pentitasi,  si  fispoglio  per  non  vi  andare. 

Raf.  Lo  intesi.  Or  sopra  tutto  si  conosce  la  ric- 
chezza  del  vestire,  Margarita,  in  aver  sempre  vesti 


^M«M^i^«^ir 


DBLLB  DONNE  21 

fresche,  non  portar  mai  una  medesima,  non  vo*  dir 
molte  settimaiie,  ma  almanco  multi  mesi. 

Marg.  Queste  cose,  madonna  Raffaella,  par  che  si 
convenghitio  piu  a  una  signora  e  principessa,  che 
a  una  partioolar  gentildonna  come  sono  io,  che,  se 
mi  posso  chiamar  ricchissima  in  Siena,  rispetto  alia 
maggior  parte  delle  altre,  non  ho  il  modo  a  regger 
a  tanta  spesa  quanta  voi  dite.  Che  faranno  Taltre, 
'  che  sono  molto  piu  povere  ? 

Raf.  a  una  principessa,  e  gran  signora,  si  ap- 
parterrebbe  vestir  broccati  fioissimi,  e  ricamar  le  ve- 
st i  di  perle,  di  diamanti,  rubini  e  altre  simil  cose; 
dove  ch*io,  avendo  questo  rispetto,  non  Vho  parlato 
fin  qui  di  cosa  piu  ricca  che  e'  drappi. 

Marg.  Gli  e  vero;  ma  ne'  ricami,  nelle  liste,  ne* 
tagli  che  voi  dite,  ci  van  ditnolti  danari. 

Raf.  In  somma  io,  di  quanto  dico,  intendo  secondo 
la  possibilita;:  chi  non  pub  tutto,  faccia  quel  piu  che 
sia'  possibile,  sforzandosi  ancora  un  poco, 

Marg.  Seguite  dunque. 

Raf.  Dico,  tornando  al  proposito,  che  h  molto 
brutta  cosa  il  portar  una  istessa  veste  molto  tem-^ 
po;  ma  bruttissima,  quando  altri  si  puo  accorgere 
di  chi  di  una  veste  ne  abbia  fatta  un'altra,  o  tingen^ 
dola,  0  rivoltandola,  o  altrimeuti,  come  fece  la  mo- 
glie  d'uQO  che  i  adesso  de'Signori;  che,  essendosi 
fatta ,  quando  era  sposa ,  una  veste  di  damaschin 
bianco,  dopo  che  Tebbe  portata  parecchi  anni,  es- 
scndo  gia  molto  lorda,  la  rivolto,  ponendo  il  dentro 
di  fuora,  e  cosi  se  la  porto  cinque  anni  poi  di  do- 
menica  in  domenica :  ma  essendo  gia  frustissima,  la 
fece  tigner  in  giuggiolino,  o  leooato  che  noi  vogliam 
dire,  si  per  parer  di  mutar  veste,  e  si  perche  in  quel 
colore  maDCO  si  conosce  il  frusto  che  nel  bianco,  o 
si  ancora  perche  alia  sua  eta  il  bianco  oramai  non 


22  DELLA  BELLA  ORBANZA 

si  conveniva.  Or  coininciandosi  poi  dopo  qualche 
anno  piu  a  rompersi  gagliardamente,  si  risolve  par 
di  gnastarla,  e  fecesene  di  una  parte  frange  per 
non  so  che  gamurra  paonazza,  e  di  un^altra  parte 
manichette;  le  quali  in  pochi  di  convertendosi  in 
fila,  le  ricoperse  poi  con  panno  lino  tagliato,  e 
cosi  si  stanno  oggi.  Quel  che  ne  segaira  \edremo: 
penso  ben,  che,  innanzi  che  il  povero  damaschino  si 
riponga  in  sepoltnra,  aodara  ancora  scontando  i  snoi 
peccati  in  altre  forme  qualche  anno  piu. 

Marg.  M*indovino  chi  sia  costeL 

Raf.  Basta:  or  tutto  quel  chMo  t*ho  detto  intomo 
alia  ricchezza  del  vestire,  bisogna  che  sia  accompa- 
gnato  da  un  garbo  pien  di  giudizio;  che  altrimenti 
non  varrebbe  niente. 

Marg.  In  che  consifte  questo  garbo? 

Raf.  Consiste  in  tre  cose  principalmente,  nei  co- 
lor!, nel  comodo  della  persona,  e  nei  movimenti. 

Marg.  I  movimenti,  madonna  Rnfifaella,  sono  {^ri 
delle  azioni:  e  noi  siamo  ora  nel  proposito  del  ve- 
stire,  e  non  delle  operazioni. 

Raf.  lo  inteodo  solo  di  qnei  movimenti  che  ap- 
partengono  al  portar  delle  vesti,  che  gli  possiamo 
chlamare,  se  ti  pare,  portatura^  perche  ogni  foggia 
senza  esser  ben  portata  sarebbe  bruttissima. 

Marg.  Portatura  e  piu  a  proposito. 

Raf.  Dico  che  molto  ha  da  guardarsi  una  giovane 
di  non  vestir  di  molti  colori,  e  massime  di  quei  che 
non  convengono  insieme,  com'e  il  verdc  col  giallo, 
e  il  rosso  con  lo  sbiadato,  e  simili  altre  mescolanze 
da  bandiere;  perche  questa  mistura  di  colori  e 
sgarbatissima. 

Marg.  0   chi   volesse  con  imprese  nel  vestire 
mostrar  Tanimo  suo? 

Raf.  Le  imprese  si  fanno  di  due  colori,  o  tre  al 


DBLLE  DONNE  23 

piu,  neir  un  de'  quali  ha  da  essere  il  corpo  di  tatta 
la  veste,  gli  altri  poi  consistono  in  filetti,  o  in  na- 
stri,  o  cordelle,  o  frange,  o  taglinzzi,  o  simili,  del 
che  non  parlo  al  presenter  ma  intendo  il  vestir  di 
piu  colori,  come  fa  la  tua  \icina,  che  porta  la  ga- 
murra  bigia,  la  sbernia  paonazza,  le  manichette  di 
raso  sbiadato,  e  il  centolo  verde,  che  pare  la  piu 
goiTa  cosa  che  tu  vedessi  mai :  e  perb  ti  conchiudo, 
che  il  corpo  di  una  veste  vuol  esser  sol  d'un  co- 
lore, e  quello  accommodato. 

Marg.  Come  accommodalo'i  non  v' intendo. 

Raf.  Accommodato  all*  essere  e  alia  qualltii  di 
chi  veste:  poniamo  caso  che  una  che  abbia  le  cami 
pallide  e  vive  si  guardi  da*  colori  aperti,  salvo  che 
dal  bianco,  come  sono  verdi,  gialli,  cangianti,  aperti 
e  simili :  quelle  che  hanno  le  cami  smorte  vestino 
quasi  sempre  di  nero :  quelle  che  hanno  un  certo 
vivo  rosseggiaute  nel  viso,  che  le  fe  parere  sempre 
briache,  vestino  leonato  scuro  e  bigio.  II  rosso  e 
colore  generalmente  pestilentissimo,  e  a  nissuna 
carnagione  s*  acconviene ;  e  per  il  contrario,  il  bianco 
alia  maggior  parte  sta  bene,  pur  che  sieno  nel  fior 
della  gioventu ;  e  a  te  prirticolarmente  riderebbe 
moltissimo:  benche  di  questo  in  vero  non  si  possa^ 
dar  regola  chiara  e  determinata,  ma  bisogna  rimet- 
tersene  al  giudicio  di  chi  ha  da  vestire. 

Marg.  Quanto  ai  colori,  mi  basta  questo:  parla- 
temi  ora  del  comodo  della  persona,  nel  quale  se- 
condariamente  dite  che  consisle  il  garbo. 

Raf.  Di  questo  ti  risolvo  in  due  parole :  una  gio- 
vane  ha  da  por  cura,  che  quelle  foggie  che  piglia 
sien  tali,  che  le  parti  della  persona  sua,  le  quali 
ella  ha  belle,  diventino  nobilissime,  e  quelle  che 
sono  brutte  riroanghino  manco  brutte  che  sia  pos* 
sibile;  e  non  fare   come   madonna  Brigida.   Ma  di 


24  DELLA  BELLA  GREANZA 

questa  ultima  parte  non  importa  che  io  ti  parG, 
perche  tu  non  hai  parte  nessona  che  non  sia  cccd- 
lentissimamente  bella. 

Marg.  Che  fa  madonna  Brigida?  ditemi  uq  poco. 

Raf.  Ha  voluto  pigliar  una  foggia  di  portare  le 
manichette  tanto  strette  che  si  vegga  schietta  la 
forma  del  braccio,  e  ha  il  braccio  tanto  sottile  che 
e  una  bruttezza  a  vederlo;  dove  che,  s*ella  avesse 
le  braccia  proporzionatamente  grosse,  non  era  forse 
cattiva  foggia  in  tutto.  £  similmente  la  tua  comare 
ha  le  spalle  grosse  e  larghe  come  un  facchino,  e 
ha  presa  la  foggia  di  empire  i  busti  di  tanta  bam- 
bagia  che  ne  rimane  la  piu  contraffatta  cosa  del 
mondo;  e  avendo  i  piedi  larghi  da  contadino,  fa 
certi  tagli  alle  scarpe,  che  li  &n  parer  altrettaofo 
piu  larghi.  E  di  queste  e  simil  cose  ti  darei  infini- 
tissimi  esempj,  ma  li  puoi  considerar  per  te  mede- 
sirna.  Bisogna  adunque  riparare  a*  difetti  di  naturi 
piu  che  si  pub,  con  bambagie,  o  gamurrette^  e  con 
statura,  o  tagli,  e  simil*  altre  avvertenze:  ma  tu,  che 
sei  bella  per  tutto,  pigUa  le  foggie  che  mostrino 
chiaramente  Io  svelto  della  tua  persona,  la  fran- 
chezza  delle  braccia,  la  maesta  delle  spalle,  la  di- 
sposizion  dei  fiancbi,  la  scarsezza  del  pie,  la  buona 
proporzione  della  gamba,  e  del  resto. 

Marg.  Che  bisogna  aver  cura  alle  gambe,  non 
avendo  da  essere  vedute? 

Raf.  Anzi,  c*han  da  esser  vedute;  ma  con  che  arte  e 
destrezza,  neparleremo  un  poco  dopoquandodiremodei 
movimenti,  che  6  la  terza  parte  appartenenle  al  vestire. 

Marg.  Che  non  ne  diciamo  ora,  che  della  como- 
dita  abbiamo  detto  assai? 

Raf.  Vo*  prima  discorrero,  con  poche  parole,  so- 
pra  Fornameato  della  testa  e  dilicatura  delle  carni; 
che  questo  ancor  voglio  che  si  convenga  nel  vestire 
benche  paia  alquanto  diverse. 


r 


DELLE  DONNE  25 

Mahg.  Ben  dite. 

RiF.  Hai  da  saper,  Margarita,  cbe  aon  potrebbe 
aver  una  giovene  le  carni  cosi  chiare,  biancbe  e  de- 
licate (se  non  le  aiatasse  alquanto  con  V  arte)  che  non 
mostrassero  alcuna  volta  per  qualche  caso,  come 
spesso  puo  accadere,  di  esser  non  cosi  belle :  e  non 
e  baona  ]a  ragione  di  coloro  cbe  dicono,  che,  pur 
che  una  donna  abbia  le  carni  belle  naturaln.ente, 
non  importa  poi  lo  sprezzarle  e  trascurarle.  E  per 
questo  io  concederei,  ch*una  gentildonna  usasso 
continuamente  acque  preziose  e  eccellenti,  ma  senza 
corpo  0  pochissimo,  delle  qaali  io  li  saprei  dar  ri- 
cette  perfettissime  e  rare. 

Marg.  Dunque  questi  solimati,  e  biacche,  e  molte 
altre  sorti  di  lisci  che  si  usano,  non  vi  paiono  da 
lodare. 

Raf.  Anzi  da  biasimar  quanto  si  pub ;  percbe,  che 
potiam  veder  peggio,  che  una  giovene,  che  si  abbia 
incalcinato  e  coperto  il  viso  di  si  grossa  mascara, 
cbe  appena  e  conosciuta  per  chi  la  sia?  E  tan  to 
piu  quando  ella  e  ignorante  di  tal  esercizio,  e  si 
impiastra  a  caso,  senza  sapere  che  ella  si  faccia; 
come  ne  conosco  molte  in  questa  terra,  che  si  con- 
sumeranno  la  mattina,  poco  manco  che  due  stiac- 
ciatelle  di  solimato,  ponendoselo  a  pazzia,  da  far 
rider  chi  le  vede. 

Marg.  Madonna  Giachetta  che  sta  nel  Casato  e 
una  di  quelle;  che  la  mattina  di  San  Martino,  la 
vidi  alia  festa,  che  cosi  sgarbatamente  si  aveva 
coperto  il  viso,  ch'io  vi  prometto  che  gli  occhi 
parean  di  un*  altra  persona;  e  il  freddo  gli  avea 
fatte  livide  le  carni,  e  risecco  Tempiastro,  tal  che 
gli  era  forza  alia  poveretta  stare  interizzita,  e  non 
voltar  la  testa,  se  non  con  tutta  la  persona  insieme, 
accio  che  la  mascara  non  si  fendesse. 


26  OELLA.  DELLA  CREANZA 

Raf.  Guardatene,  figliuola  mia,  da  tali  impiastri 
come  dal  fuoco. 

Marg.  In  vero,  di  queste  cosi  scempie  non  e  se 
non  Ha  farsene  beffe;  ma  che  i  Hsci,  a  chi  gli  sa 
ben  usare,  non  sieno  d'importanza,  non  e  nessana 
donna  che  non  \o  dica. 

Raf.  Fidati  di  me,  che  chi  lo  dice  non  se  ne  in- 
tende:  pero,  se  farai  a  mio  raodo,  non  userai  se 
non  acque,  le  migliori  che  potrai  trovare,  ed  in 
quelle  spenderai  quanto  puoi. 

Marg.  Gia  uso  adesso  un'acqua  che  e  ieniita 
boDis^ima. 

Raf.  Che  acqua? 

Marg.  Non  vi  so  dire,  ma  me  la  vendh  uno  spe- 
zial  che  sta  alia  Costarella,  e  non  me  n'  ha  Tolato 
mai  dar  la  ricetta. 

Raf.  T'intendo;  so  che  acqna  ch*ella  e,  che  ne 
vende  a  mo^te;  che  quasi  tutie  oggi  osano  di  co- 
testa,  per  esser  di  non  molta  spesa:  e  non  solo  le 
donne,  ma  molti  ancora  di  qnesti  efTeminati,  che 
piu  meritavano  di  nascere  donne  che  uomini ;  nella 
qual  acqua  entra  malvagia,  aceto  bianco,  mele,  fior 
di  gigli,  fagiuoli  freschi,  verderame,  argento  sodo, 
salgemma,  salnitro,  allume  scagliuolo  e  zuccarino, 
ogni  cosa  distillata  per  campana;  ed  h  in  vero  assai 
buona  acqua:  ma  per  acque  divine,  non  cederet 
a  persona  del  mondo,  o  massime  d*una  che  h  in 
vero  di  gran  spesa,  ma  ecceilentissima  molto. 

I^Iarg.  Di  grazia  ditemela,  madonna  Raffaella. 

Raf.  In  ogni  modo  non  m*  intenderesti:  basta  che 
io  te  ne  faro  ogni  volta,  che  vorrai  e  fara  le  carni  in  un 
tempo  chiare,  bianche  e  morbide  quanto  piu  si  possa. 

Marg.  Voglio  che  mi  diciate  la  ricetta  breve- 
mente. 

Raf.   Io  piglio  prima  un  paro  di  piccioni  smem- 


DELLB  DONNE  27 

brati,  dipoi  termentioa  yiniziana,  fior  di  gigli,  uova 
fresche,  mele,  chioccioline  mariae,  perle  macinate  e 
canfora;  e  tutte  queste  cose  incorporo  insieme,  e 
mettole  dentro  ai  piccioni  e  in  boccia  di  vetro  a 
lento  fuoco.  Dipoi  piglio  rouschio  ed  ambra,  e  pin  perle 
e  panelle  di  argento;  e  macinate  queste  ultime  cose 
al  porfido  sottilmente,  le  metto  in  un  botton  di  panno 
lino,  e  legole  al  naso  della  boccia  col  recipiente 
sotto,  e  dipoi  tengo  V  acqua  al  sereno,  e  diviene 
una  cosa  rarissima. 

Marg.  Io  non  v*bo  bene  intesa. 

Raf.  Te  lo  credo ;  ma  non  te  ne  curare,  perche 
te  lie  faro  io  sempre  che  ne  vorrai,  e  Vinsegnero 
ad  usarla. 

Marg.  E'  non  si  pub  negare  che  Tusare  simil 
acqua  non  sia  cosa  gentilissima  e  delicata;  nondi- 
meno  non  e  donna  in  Sieua,  che  non  adoperi  qualche 
sorta  di  liscio,  chi  piu  fino  e  chi  manco.  E  io,  per 
far  come  le  altre,  y\  confesso  che  io  me  ne  metto 
qualche  volta,  e  ho  di  quel  che  e  ienuto  bonissimo ; 
che  ne  usa  madonna  Fioretta  e  la  Roffina,  e  quella 
sposa  che  usci  fuora  non  ieri  Taltro. 

Raf.  E  cotesto  ancora  so  ch'egli  e;  e  vuo'tene 
dir  la  ricetta  in  due  parole :  si  piglia  argento  sodo 
e  argento  vivo,  e  ntacinato  nel  mortaio,  vi  si  aggiu- 
gne  biacca,  ed  allume  di  rocca  arsa,  e  cosi,  per 
un  giorno,  di  nuovo  maeinato  insieme,  si  gli  da  poi 
la  saliva  con  la  mastice,  tanto  che  sia  liquido,  e  si 
fa  bollire  in  acqua  piovana;  e  levato  il  bollove, 
si  butta  sopra  il  mortaio  del  solimato,  a  cosi  fatto 
tre  volte,  e  gittata  V  acqua,  la  quarta  volta,  si  serba 
insieme  col  corpo :  e  di  questo  si  costuma  molto  fra 
le  donne  che  non  hanno  molto  il  modo  da  spendere. 
Ma  io  ho  da  insegnarti  da  fame  di  una  Si>rte  cosi 
gentile  e  rara,  che  molte  doiine  pagherebbero  assai 


28  DELLA  BELLA  CREANZA 

di  saperla ;  et  e  tanto  ben  disposta  e  delicata,  che,  an- 
cora  ch*ella  abbia  alquanto  di  corpo,  non  sara  ap- 
pena  alcuno  che  se  ne  accorga,  e  acconcia  le  cam! 
perfettissimamente. 

Marg.  Dehl  madonna  Rafiaella,  se  mi  volete  bene 
insegnatemi  come  la  si  fa. 

Raf.  Bastiti  che  io  te  ue  darb  continuameute, 

Marg.  Io  vorrei  iotendere  quello  che  vi  eutra 
dentro,  se  non  v'importa. 

Raf.  Io  te'l  dirb,  ancora  che  io  so  che  non  mi 
intenderai.  Si  piglia  argento  sodo  fino,  e  argento 
vivo  passato  per  camoscio,  e  incorporati  insieme, 
si  fan  macinare  per  un  di  per  un  medesimo  verso 
con  un  poco  di  zuccaro  fino ;  e  di  poi  il  cavo  del 
mortaio,  e  Io  fo  macinare  al  porfido  a  un  dipintore 
e  v'  incorporo  dentro  panelle  d*  argento  e  perle;  e 
di  nuovo  fo  macinare  al  porfido  ogni  cosa  insieme 
e  Io  rimetto  nel  mortaio ,  e  Io  stempro  la  matlina 
a  digiuno  con  saliva  di  mastice,  con  un  poco  di 
olio  di  mandole  dolci;  e  cosi  liquido,  rimenato  un  di 
stempero  di  nuovo  il  tutto  con  acqua  di  frassinella, 
c  mettolo  in  un  fiasco,  e  Io  fo  bollire  a  bugnoroaria; 
e  cosi  fatto  quattro  volte,  gittan  io  sempre  Tacqua, 
la  quinta  la  serbo,  e  cavata  dal  fiasco,  la  vuoto  in 
una  conca  e  lasciola  far  corpo:  di  poi  vuoto  quel- 
le acqua  pianamente,  e  al  fondo  rimane  il  solimato, 
nel  quale  incorporo  latte  di  donna,  e  gli  do  odore 
con  muschio  e  ambra :  e  tuito  questo  incorporo  poi 
con  r  acqua,  e  Io  tengo  in  un  fiasco  ben  chiuso  e 
sotterrato  in  cantina. 

Marg.  Non  pnb  esser  se  non  cosa  bonissima 

Raf.  Sta  certa,  Margarita,  chMo  non  credo  si 
^ossa  trovare  meglio;  e  vo'tene  poriar  domani  un 
Jiaschetto,  e  insegutrotti  ad  usaria. 

Marg.  Degli  olii,  madonna  Raffaella,  che  mi  dite? 
Paionvi  al  proposilo  per  acconciar  le  cami? 


DELLE  DONXE  29 

Raf.  Olii  (I'ogni  sorte  son  da  faggire:  o  sieno 
fatti  d'allume  scagliuolo,  o  d'allame  gentile,  obiacca 
0  argento  sodo,  o  di  ulive,  o  siano  come  si  vogliano. 
Ben  e  vero  che  talvolta  in  villa,  per  mantenimento 
delle  carni,  non  sarebbe  forse  male  Y  usare  un  poco 
d'olio  di  mandole  dolci,  con  cera  biunca,  aggiun- 
tovi  qualche  poco  di  canfora:  benche  queir  acqua 
eccellente,  ch'io  t*ho  detto  poco  fa,  fa  questo  me- 
desimo  eftetto  e  megUo. 

Marg.  Per  levar  il  rossore,  tornando  di  villa, 
usava  mia  madre  verderame  con  chiare  d'  novo  la 
sera;  e  dormiva  con  queir impiaslro  sa'l  viso. 

Raf.  Oh!  braltissima  cosal  E  forse  che  la  maggior 
parte  delle  donne  non  fanno  questo  medesimol  Ma 
tu  abbi  avvertenza  di  non  far  simili  poltronerie. 

Marg.  Di  madonna  Loretta,  e  della  Mascarina, 
e  di  molte  altre,  che  ban  presa  una  foggia  di  farsi 
il  viso  e  il  petto  di  color  incarnato,  che  ve  ne 
pare?  e  come  pensate  che  le  facciano? 

Raf.  Cotesta  e  facilissima  cosa.  £*  si  pongon 
prima  con  diligenza  il  rosso,  e  di  poi  danno  uno 
scialbo  in  sommo  del  solimato ;  il  qual  bianco,  con 
quel  rosso,  produce  quell'  incarnate  che  vedi:  c 
bruttissima  usanza,  e  vedrai  che  durera  poco ;  e  non 
mi  par  che  per  niente  una  gentildonna  abbia  a  di- 
pingersi  in  cotal  modo. 

Marg.  Delle  stufie  che  ne  dite? 

Raf.  Stuffe  d'ogni  sorte  o  sieno  fatte  di  vetri, 
0  penne  di  gallina,  o  gusci  d'nova,  o  simili  brut- 
tezze,  non  voglio  che  una  gentildonna  usi  per  niente, 
perche,  se  ben  fanno  belle  carni,  e'  guastano  poi  i 
denti  e  la  vista,  corrompono  il  fiato  e  la  sanita. 

Marg.  Mi  fate  sovvenire  della  Bambagiuola,  che 
non  gli  e  rimasto  gia  dente  che  buon  sia ;  e  non  passa 
pur  anco  ventidue  anni. 


30  DELLA  BELLA  CREANZA 

Raf.  Da  qaesti  esempj  impara  tu;  e  tanto  piu 
che  la  bellezza  e  bianchezza  de*  denti  porta  gran 
grazia  a  una  donna  e  io  ti  voglio  insegnare  nn 
giorno  alcana  buona  polvere  da  mantenergli. 

Marg.  L*  avro  molto  cara,  perche,  poche  iniendo 
che  se  ne  trovan  dalle  perfette. 

Raf.  Le  mani,  Margarita,  come  te  le  curi?  im- 
perocche  la  bellezza  delle  mani  e  molto  stimata  in 
una  giovane. 

Marg.  Io  uso  di  pigliare  on  limone,  e  fattolo 
venire  in  succhio,  Taccoslo  al  fuoco,  e  dentro  vi 
metto  zuccaro  candido;  e  con  esso  mi  lavo. 

Raf.  Cosi  costuman  quasi  tutte  le  donne :  ed  in 
vero  sarebbe  buono,  se  non  facesse  col  tempo  pigliar 
vizzo  alle  mani;  ma  io  ti  voglio  insegnare  una  cosa 
eccellentissima,  e  facile:  pigUa  senape  sottilmente 
passata,  e  mele,  e  mandole  amare  mescolate  insieme 
tanto  che  venghino  a  modo  di  lattovaro,  e  di  questo 
iropaniati  le  mani  la  sera;  e  metti  guanti  di  camo« 
scio,  che  sieno  stretti  piu  che  si  puo ;  e  la  mattina 
poi,  lavati  con  acqua  di.  coppo,  e  con  un  poco 
d*olio  di  bengioi,  e  vedrai  cosa  che  ti  piacera. 

Marg.  Innanzi  che  sien  due  giomi  ne  vo*  far  la 
prova. 

Raf.  Orsul  tu  hai  d*  avvertire,  Margarita,  sopra 
il  tutio,  di  non  far  come  molte  che  io  conosco;  e 
massime  madonna  Brigida;  le  quali  non  hanno  cura 
di  custodir  se  non  il  viso,  ed  una  parte  del  petto, 
quelle  appunto  che  si  vede;  del  resto  poi  vada  come 
viiole:  del  che  nasce,  ch*  elle  stanno  della  persona 
lore  lorde,  schife,  e  mal  dilicate. 

Marg.  Oh  I  volete,  madonna  Raffaella,  che  una 
giovane  usi  simile  acque  e  solimati  per  tutta  la  sua 
persona? 

Raf.  Non   dico   questo  (ancor  che   siano  alcune 


DELLE  DONKE  31 

che  si  lisciano  le  gambe,  le  braccia,  e  cio  ch^elle 
hanno,  il  che  e  vituperosisissimo) ;  ma  voglio  cbe 
una  geniildonna  ogni  pochi  giorni  si  lavi  tutia,  con 
acqua  di  fonte  calda,  fattovi  bollire  dentro  qualche 
cosa  odorifera,  perch  e  tu  hai  da  tener  per  certo, 
che  la  delicatezza  e  quella  che  rifiorisce  la  bellezza 
di  una  donna. 

Marg.  Di  quelle  parti  che  non  si  veggono  che 
importa? 

Raf.  Del  vedersi  o  non  vedersi  ti  parlero  poi, 
quando  saro  in  tal  proposito:  ma  ora  dice,  che, 
posto  case  che  non  abbiano  mai  da  esser  vedute, 
in  ogni  modo  la  neitezza  della  persona  e  delicatura 
si  ha  da  cercare,  se  non  per  altro,  per  soddisfa- 
zion  propria  e  del  marito :  oltre  che  la  lordezza 
della  persona  genera  spesso  cattivo  odore  in  una 
donna,  che  h  cosa  vituperosissima :  e  poche  sere  sono 
ch'  io  lo  provai  dormeudo  a  sorte  con  la  moglie  di 
mcsser  Ulivieri.  ^ 

Marg.  Mostra  pur  costei  di  andar  assai  delicata. 

Raf.  Nel  viso  si,  ma  del  resto  fatti  il  segno 
della  croce.  Pensa  che  oltre  ch'  essa  teneva  il  soglio 
alto  per  tutto.  ella  avea  sopra  la  cintara,  fra  tutte 
due  le  parti  del  petto,  radunato  un  fango,  una  lor- 
dezza, la  piu  brutta  cosa  del  mondo:  e  per  quel 
ch'io  ne  pensi,  stimo  procedesse  dal  solimato;  il 
quale,  essendo  piu  volte  rilavato  e  riposto,  avea  a 
poco  a  poco  imposto  sopra  la  cintura  come  il  sab- 
bione,  il  quale  solimato  cosi  imposto  genera  un  odo- 
rino  acuto,  la  piu  schifa  cosa  che  si  possa  odorare. 

Marg.  Mai  Tavrei  pensato  di  costei,  che  fa  tanto 
del  gentile  e  dello  schifo;  e  mi  ricovlo,  che,  tro- 
vandomi  a  queste  mattine  accanto  ad  essa  in  un 
convito,  non  veniva  in  tavola  vivanda  che  non  mo- 
strasse  che  le  putisse. 


32  DELLA  BELLA  CRSAKZA 

Raf.  Qaanto  a  questa  parte  della  delicatura  ab* 
biamo  forse  ragionato  trojtpo;  e  pero,  lasciandola 
da  parte,  bastiti  sapere,  che  una  gentildonna  Tha 
da  curare  sempre  quanto  puo,  ancor  che  fusse  certa 
di  non  aver  mai  a  uscire  delta  sua  camera.  Ma  vo- 
glio  ora  dirti  alquante  parolette  sopra  racconciatura 
della  testa. 

Marg.  Avrb  caro  di  sentire  il  vostro  parere,  per- 
che  n*ho  udito  qualche  volta  parlar  moUo  varia- 
mente.  A  chi  par  che  il  berzo  assai  grande  dia 
molta  grazia,  a  chi  il  picciolo;  e  a  molti  il  non 
averlo  in  alcun  modo. 

Raf.  In  vero  questi  berzi  cosi  piccioli,  come  si 
usan  oggi,  tolgono  alquanto  della  preseozia  e  del 
nobile;  ma  quei  cosi  grandi,  che  si  portavano  non 
molti  anni  sono,  erano  peggiori  assai:  pero  giudi- 
carei  che  quant' al  borzo,  nna  giovene  lo  portasse 
alquanto  maggiore  di  questi  che  si  portano  oggi, 
ifta  non  molto;  e  massimamente  Tavrebbon  da  far 
quelle  donne,  che  hanno  la  testa  picciola  e  portano 
quasi  niente  in  testa,  come  fa  la  mia  vicina  in  Ca- 
muUia,  che  tu  ben  m*  intend!,  la  quale  ha  on  capo 
quanto  un  cardarino,  e  in  vise  minutissima,  e  va 
con  un  poco  di  scuffiarella  molt)  scempia,  ^senza 
punto  di  berzo,  e  con  un  velo  semplicissimo,  cb'elhi 
pare  uno  scricciolo. 

Marg.  Io  so  di  chi  voi  dite:  ela  faperche  gli  e 
stato  dato  ad  inteiidere  alia  semplicella  ch*  ella 
faccia  professione  di  esser  di  poco  assetto,  e  tra- 
scurata  della  persona  sua:  tal  che  la  poveretta, 
credendosi  che  sia  bene,  va  fuori  il  piu  delle  volte 
con  gli  occhi  appiccicati,  che  non  si  e  pur  lavato  il 
viso  con  acqua  chiara. 

Raf.  Gia,  mi  son*accorta  del  tulto.  Quanto  poi 
alle  scuffie,  voglio   che   sien   ricche   e   gentilOiente 


1>£LL£  DONNE  33 

intessute,  correspondenti  alia  grandezza  del  berzo ; 
e  quelle  donne  che  non  avraii  molto  brutti  capelli, 
noQ  voglio  che  portino  capei  morti  in  testa.  I  ricci 
ancora  giudico  che  porghino  grazia  grandissima ;  ma 
YoglioD  esser  fatti  molto  garbatameate,  come  gU  fa 
quella  tua  parente  bella,  yche  sta  vicina  alia  Piazza 
dei  Tolomei. 

Marg.  Benissimo  ancora  gli  fa  madonna  Cassilia; 
sopra  i  quali  fu  fatto  un  sonetto  da  uno  degl*  In- 
tronati. 

Raf.  Nelle  camicie  voglio  ancora  che  nna  gentil- 
donna  spenda  assai,  portando  lenze  finissime,  e  gen- 
tilissimamente  lavorate,  alcana  volta  con  seta,  alcuna 
con  oro  e  argento,  e  il  piu  deile  volte  con  refe 
solo,  ma  con  grand*  arte  fatte :  e  lo  increspato  da 
mano  ha  molto  del  buono  e  del  gentile;  ed  altro 
tanto  dello  sgarbato  ha  quel  portarle  accoUate^ 
come  poco  tempo  e  s*usava;  che  era  foggia  da 
ostesse  e  infranciosate. 

Marg.  Dite  il  vero :  ed  a  me  ancora  dispiaceva 
quella  foggia  come  il  male  del  capo. 

Raf.  Or  di  questo  sia  detto  assai. 

Marq.  Di  gioie  e  collaae  come  vi  par  che  una 
giovine  si  abbia  da  caricare? 

Raf.  Modestamente.  £  per  venire  piu  al  partico- 
lare,  voglio  che  al  coUo  porti  un  vezzo  di  perle 
chiare,  tonde  e  grosse ;  ed  una  collanetta  di  quindici 
scudi  smaltata  con,  garbo;  ed  un  diamante  ben 
legato,  da  un  sessanta  scudi,  nel  dito  accanto  al  dito 
grosso  della  man  sinistra.  Altre  gioie  o  collane  non 
vo*  che  porti,  se  gia  non  portasse  una  maniglia  che 
fusse  beila,  la  quale  non  lodo  e  non  biasimo  in 
tutto.  Guanti  poi  di  gran  pregio  voglio  che  porti, 
n^  altri  odori  addosso;  acciocchi,  nel  passare  per 
le  strode,  non  lasciasse  una  mescolanza  di  odori 
Cr€an;fa  delle  Donne  S 


34  DELLA  BELLA  CREAKZA 

dapo  se,  che  ha  poehisdfflo  del  buono,  come  fiuuio 
k  toe  soreUe. 

Marg.  E  la  Biandietta  dove  la  lasciaie?  ebe  doo 
si  pub  quasi  stare  dove  ella  si  sia.  Ma  di  qaesto 
mi  basti.  Paiiatemi  ora  dei  moTimenti,  die  Yoi  dite 
esser  la  tena  cosa  cbe  si  appaitiene  al  vestir  bene, 
i  q[aali  abbiam  chiamati  per  pia  proprio  nome  por- 


Raf.  Tu  bai  da  peosar,  Margarita,  die,  se  am 
gio^e  aTesse  una  veste  iatta  oon  bella  foggia,  e 
eoo  cokri  bea  divisati,  e  ricca  ed  accommodata,  e 
noa  sapesse  dipoi  tenerU  indosso,  non  aidri>e  &tto 
nieote. 

Mabg.  Chi  saia  qaella  die  noa  sappia  portarla, 
se  la  Teste  non  avera  mancamento  per  se  ? 

Raf.  Cbi  sara  queila?  Tn  ne  aei  male  informata. 
Ce  ne  sono  infinite  die,  o  per  Teai,  o  per  poea 
aTYerteniia,  si  hanno  presa  qoalche  portatnra  coa 
oerti  altareili  geffi,  la  piu  scempia  cosa  dd  mondo. 

Marg.  Datemeae  qoalche  esempio* 

Raf.  Eccoti  uno,  senza  andarlo  moUo  cercanda 
Non  Yedi  ta  la  toa  pigionale  qui  di  sotto?  Per  aver 
preso  nn  costome,  qoando  va  per  le  s^rade,  di 
spinger  innanriy  sempre  con  la  bocca  pindnta,  e 
&r  tut  alle  pocde  la  chiaraniana,  se  portasse  tutto 
oro,  sempre  gli  piagnerebbe  indosso.  Ma,  ce  n*e 
forse  ana  in  Siena  di  qaeste  tali?  Anzi  rare  ce  ne 
sono,  die  non  abbian  preso  veuo  sgari>aUo.  Chi 
porta  la  sbemia  tatta  awolta  sol  coUo;  chi  se  la 
lasda  cadere  di  dosso  fer  non  parer  di  pensard ; 
dii  Ta  eon  la  bocca  iarata  semfo^;  chi  corre  a 
stsBetta  col  capo  innauzi;  chi  Ta  tanto  agiata  che 
consoma  on' ora  dal  Daomo  alia  Costarella;  chi  ri- 
mena  sraipre  la  testa  come  ana  impauata;  chi  Ta 
intera  oome  ana  imagine;  dii  porta  k  calse  rotte, 


DELLE  DONNE  35 

che  le  escono  faora  di  eerie  scarpette  di  panno  pa- 
vonazzo  a  due  suole;  chi  si  va  tuttavoUa  pavoueg- 
giando  intorno,  uccellando  alia  sberrettate,  e  tuttavia 
si  rassetta  or  qua  or  la  secondo  il  bisogno;  chi, 
trovandosi  a  nozze  dove  si  balla,  sempre,  o  bailando 
o  vedendo  baliare,  batte  il  tempo  del  liuto  con  la 
testa. 

M ARG.  Questo  che  diie  delle  calze  rotte,  e  piu  da 
dappocaggine  che  da  vezzi. 

Haf.  Basta ;  pur  e  vezzo  alia  fine.  Oltre  a  quesie 
altre  ci  sono  che  van  colla  bocca  aperta,  che  par 
ch'  elle  esalin  sempre  di  sete ;  chi  con  gli  occhi 
sempre  in  su'  piei;  chi  col  viso  alie  stelle ;  chi  tuttavia 
si  cava  il  guanto  e  rimette;  chi  sempre  si  morde 
nn  labro;  e  chi  porge  per  canto  un  tal  micin  di 
lingua;  e  chi  ha  on  costume  cosi  laito,  e  chi  un 
altro,  come  puoi  discorrere  per  te  medesima. 

Marg.  Tutto  vi  confesso,  monna  Kaffaella:  ma 
donde  precede,  che  ie  scempie  non  s'  accorgan  che 
fonno  male?  * 

Raf.  Molte  ragioni  ci  sono,  ma  una  principal- 
mente  n'e  causa;  ed  e  che  questa  razza  di  donne, 
di  ch'io  t*ho  parlato,  sentendo  lodare  e  metter  in 
cielo  alcune  donne  eccellentissime,  che  sono  in  Siena, 
pensano  con  Timitarle,  di  potersi  acquistar  quelle 
medesime  lodi  e  eccellenze :  e  come  persone  di  poco 
giudicio,  si  pigliano  a  imitar  qualche  parte  di  quelle 
che  a  sorte  sara  da  biasimare,  o  se  non  da  biasi* 
mare,  manco  da  lodare,  perche  nessun  puo  esser  da 
ogui  parte  perfetto:  e  pensano  queste  tali,  che  quel 
solo  che  le  imitano  sia  cagione  che  quell*  altre 
sieno  chiamate  eccellenti ;  e  quelhi  parte  poi  accre- 
scon  quanto  possono,  stimandosi  che  quanto  maggior 
sara^  tanto  piu  avanzeranno  ^di  dignita  e  meriti  di 
lode  quelle  ch*  io  ti  dico  esser  eccellenti. 


86  della£bella  creanza 

I^Maag.  Noa  Vintendo  molto  bene:   lUchiaratemd 

meglio. 

Kaf.  Con  uno  esempio  mi  faro  intendere.  Ma- 
donna Andrea,  sentendo  esaiiar  maduuua  Cassilia 
per  una  siugulanssiina  donna  e  unica,  si  puo  dire, 
si  penso  che  di  tntto  ne  fosse  cau^a  cii*  elia  ancava 
lentamente  per  ie  strade,  che,  ne  per  fretta  ne  per 
agio,  usci  uiai  deii'  usato  suo  passo:  e  per  questo, 
disponendosi  madonna  Andrea  di  meriiare  qoanw 
lei,  iia  preso  on  passo  tanto  agiato  e  fastidioso  che 
fa  rider  chi  la  vede.  £d  un^aiura  ne  conosco,  che, 
6eutendo  dir  a  una  gran  donna  molto  nomiuata,  ragio- 
nando  con  essa,  ch'  elia  si  iegava  le  caize  sopra  i 
gmocchio,  pensandosi  che  questo  fosse  causa  deiia 
lama  di  quella,  comincio  a  iegarsele  ancor  essa  in 
cotal  mooo:  e  mi  ricordo  che,  trovaudosi  eiia  una 
matiina  alia  predica  in  Duomo,  non  poiendo  sop- 
portar  ii  dolor  che  le  dava  qaeiia  legauira,  come  a 
queha  che  non  v'  era  avvezza,  mando  destramtnie 
1  centoli  sotto  ii  ginocchio;  t  vennero  a  sciorsi, 
non  so  in  che  modo,  tal  che,  parienuosi  eiia  poi 
tiaiia  predica,  un  centolo  rimase  ii,  e  mi  venne  alle 
mani;  ed  era  una  cinUira  che  puizava  d*  urina  Ta- 
ientemente:  che  penso,  che  piu  d' una  volta  fosse 
t^aduta  dal  capeuale  neiia  conchetta.  Di  quesu 
^esempj  ce  ne  sono  infiniii,  di  doune  che  han  voluio 
iniiiar  d  manco  bene,  e  iasciato  ii  maggiore:  il 
che  precede  solo  da  pooo  giudicio  e  carealia  di 
cerveilo,  e  mala  creansa. 

Marg.  Come  avrebbe  dunque  a  gOTernarsi  uni 
tlonna  in  questa  portaiura  che  ^oi  diie? 

Kaf.  In  vero,  m  questo  bisogna  pregar  Dio  di 
nascer  con  buon  giudicio  di  saper  discemere  quel 
che  e  da  lodare,  da  ^quello  che  e  da  biasimare ; 
perche  la   imitaxion   sarebbe   utilissima,  quando  ci 


BKiLB  DONNB  8T 

fosse  questo,  e  quando  sapesse  conoscere  ed  eleg- 
ger  da  qaelle  che  sono  eccellenti  le  parti  lor  btione 
e  lasciar  le  cattive.  E  quando  alcuna  non  avesse 
tanto  ffinHicio  di  saper  far  qnesta  elezione,  dovrebbe 
tener  Y  oreccbie  attente  a  qnel  cbe  sente  in  altri 
lodaTe,.ed  in^esTiarsi  d'imitarlo,  e  fiigf?ir  quel  cb'el- 
Tode  vituperar  comnnemente.  E  in  somma  moUo 
giova  lo  inprejrnarsi  che  in  tutte  le  cose  non  si  esca 
Helfa  via  del  mezzo,  e  fu^prir  V  affettazion  piu  che 
si  pno :  polirsi,  e  assettarsi,  in  casa  apcrtamente,  e 
poi  alia  presenzia  delle  genti  mostrar  un  certo  di- 
sprezzare,  ed  un  certo  non  molto  pensar  a  quel  che 
s'  e  fatto  per  ornamento  o  per  altro,  che  non  te  lo 
so  descriver  altrimenti ;  e  questo  ancor  con  giudicio, 
perchfe  r  andare  spensierita  in  tutto  sarebbe  forse 
vizio  non  minor  che  V  andar  tion  affettazione. 

Marg.  Di  questo  dunque,  madonna  Raffaella,  non 
SI  pub  dar  resrola  speciale? 

Raf.  Malissimo:  ma  servi,  in  tutte  le  cose  che 
ella  ha  da  far  una  giovene,  questa  via  del  mezzo 
ch'io  t'h^  detta,  e  non  potra  errare.  Ed  oltre  a 
questo,  abbia  awertenzia  sempre,  che,  si  come  t'ho 
mosirato  poco  fa,  che  tutte  le  vesti  e  fojrgie  che 
ella  fa,  ban  da  esser  tali,  che  le  parti  ch*  elle  ban 
belle  della  persona  appaian  piu  belle;  e  per  lo 
contrario,  ricuoprino  piu  che  si  pao  quelle  che  son 
da  biasimare :  cosi  ancora  che  i  suoi  movimenti  e 
portatura  mostrin  piu  che  sia  possibile  il  bello,  e 
nascondino  il  brutto. 

Marg.  Vi  vorrei  un  poco  piu  particolare  intorno 
a  questo. 

Raf.  Voglio,  dico,  che,  se  ella,  poniam  case,  avra 
bella  mano,  pigli  ojmi  occasione  che  le  si  porga  di 
mostrarle:  come  puo  accadere  nel  eavarsi  e  met- 
tersi  i  guahti,  in  giuocare  a   tavole,   a   spacchi,   a 


38  DBLLA  BBLLA  CREANZA 

carte,  in  mangiare,  edin  mille  altre  cose  che  le  si 
possano  occorrere  tatto  il  giorno.  Se  ella  avra  bel 
petto,  il  che  e  d*  importanzia  grandissina  a  una 
donna,  cerchi  con  destrezza  d'  aver  ^  commodita  che 
gli  le  possu  in  qualche  bel  mode  esser  visto  (per 
qnanto  ricerca  la  sua  onesta)  esser  naturalmeole 
bello,  e  non  per  arte  nessana;  e  qaesto  gli  verra 
fatto,  se  la  maitina  fingera  qualche  volta  a  quei 
che  a  sorte  le  verranno  in  casa,  di  esser  levAta 
allora  del  letto,  e  non  aver  avuto  tempo  di  strin- 
gers! le  vcsti:  e  cosi  potrii  conoscersi  che'l  petto 
suo  per  se  stesso  e  ritondo  e  spiccato,  non  per 
forza  di  pontelli  e  bagattelle.  Puo  occorrere  que- 
sto  medesimo  giocando  alia  ueve^  o  bagnandosi 
con  acque  la  state,  come  accade,  e  di  poi,  mo- 
strandosi  tutta  moUe,  fa  parer  necessario  lo  sci- 
gnersi  ed  asciogarsi.  Una  bella  gamba  occorre  spesso 
in  villa,  andando  a  pescare,  o  uccellare,  cavalcando 
o  scavalcando,  a  passar  qualche  fossatello  o  simili, 
il  poter  destramente  esser  veduta  e  coDsiderata.  Le 
braccia,  essendo  belle,  accade  in  giochi  deirortica, 
lasciandosi  coglier  nel  letto,  esser  vedute :  e  quando 
ancor  ella  avesse  bella  persona,  e  ben  disposta,  oc- 
corre alcuna  volta  ai  bagni,  mostrando  non  pen- 
sare  a  cio,  bagnarsi  in  tal  ora  e  in  tal  luogo  che 
da  alcune  fessure  pnossi  esser  vista  da  qualch*  uno. 

Marg.  Mi  fate  rieordar,  madonna  Rafiaella,  di 
due  donne  belle,  che  fur  viste  tutte  ignude  nel  bagno 
a  Vignone,  da  certi  gioveni  che  io  conosco. 

Raf.  £  di  tutto  questo  in  tend  o  che  una  giovene 
abbia  da  cercar  destrissima  occasione,  e  tale,  che 
non  si  pensi  che  ella  abbia  volato  che  una  tal  cosa 
le  intervenghi,  perche  in  tutte  le  azioni,  ed  opera- 
zioni  e  parole  di  una  donna,  intendo  principalmente 
che  si  abbia  da  conoscere  estrema  onesta  e  pudicida, 


DELLE  DOKNB  39 

perche,  dove  non  e  onesta,  non  s*  appr^za  ue  con- 
sidera  in  nna  donna  alcana  opera  virtuosa:  e  per 
lo  contrario,  dov'  ella  e,  ogni  altra  cosa  fiorisce.  E 
pero,  non  ^solo  Jia  da  guardar  nelle  occasioni  ch*ella 
ha  da  pigliare,  per  far  quanto  ho  detto  di  sopra, 
che  altri  non  s*  accorga  ch*  ella  1*  abbia  fatto  av- 
yertitamente;  ma  ha  da  finger  con  rossore,  potendo 
arrossire  a  sua  posta,  o  con  qualche  altro  finto  segno 
di  onesta,  d*  aver  avuto  dispiacer  che  tal  cosa  le 
sia  avvenuta:  e  ha  da  por  cura  che  in  an  mede«» 
simo  tempo  e  luogo  non  le  intervenga  molte  volte 
una  medesima  cosa,  perche  si  suspicarebbe  non  lo 
facesse  accortamente,  e  replicandoti  ti  dico  che  in 
somma  ella  ha  da  aver  sempre  avverteazia,  che 
ogni  suo  minimo  passo^  o  parola,  o  atto,  sia  pieno 
di  quella  modestia  che  tanto  si  ricerea  alle  donne, 

Marg.  Da  un  canto,  madonna  Ral&iella,  mi  dileti-i 
molto  quel  che  voi  dite;  dall*  altro  mi  par  pericolo 
facendo  tai  cose,  di  non  venire  in  considerazione  di 
persona  vana. 

Rap.  Questo  t*  interverrebbe  quando  tu  facessi 
alcana  di  quelle  cose  ch*  io  t'  ho  dette  con  poca 
destrezza  e  affettatamente ;  ma,  se  la  farai  di  sorte, 
che  paia  che  tu  di  cio  non  t*  accorga,  e  con  un 
poco  piu  di  rossore  e  un  non  so  che  di  vergognarti 
farai  parer  di  essere  necessitata  a  farlo,  chi  sara 
quello,  che  per  questo  te  ne  giudichi  manco  mo- 
desta  0  vana? 

Marg.  Se  ben  si  tien  coperta  agli  uomini  questa 
vanita,  a  Dio  non  si  potra  gia  nascondere. 

Raf.  Io  t*ho  gia  detto,  Margarita,  e  ridico  di 
nuovo,  che  se  fosse  possibile  sarebbe  benissimo 
fatto  appresso  Dio,  non  far  mai  un  minimo  pecca- 
tuzzo,  anzi  viver  come  una  romita  fra  paternostri,  e 
rosarj,  e  discipline:  e  Dio  il  volesse  che  si  potesse 


40  DELLA  BELLA  CREAKZA 

forel  che  non  ci  sarebbon  tanti  peccatori  al  mondo. 
Ma  perche  io,  per  la  pratica  c*ho,  conosco  chiara- 
iDente,  che  noi  siam  nati  peccatori,  e  che  Hsogna  per 
forza^  far  urui  di  qmste  due  cose^  o  sfogar  la  malizia^ 
col  commelter  un  poco  di  quakhe  erroruzzo  in  gioventk, 
ovvero  errar  pot  in  vecchiezza  con  maggior  danno  e 
vergogna^  e  pentird  della  gioventu  passaia  in  vano^  e 
coder  per  qtiesto  in  disperazione ;  per  fuqgir  tania 
ruina^  conosco  esser  necessario  ed  utile^  lo  sfogar  gli 
animi  negU  anni  giovem\  ne*  quali  Dio  piu  facil- 
roente  perdona^  ed  il  mondo  scasa  piili,  e  piu  par 
che  acconvefcna  e  rida  quel  che  si  faccia.  Nondi- 
roeno,  se  ti  basta  pur  ranimo  a  te  sola,  piii  che 
a  tutti  gli  altri,  di  esser  unica  in  qaesto  mondo, 
col  guardarti  e  mantenerti  fin  che  vivi  senz*  un  minimo 
peccatuzzo,  io  ti  conforto,  e  ti  consiglio  per  far  questo, 
ohe  sarebbe  molto  buono  che  tu  non  uscissi  quasi 
mai  della  camera  tua,  e  che  tu  andassi  braccando 
vigilie,  0  quattro  tempora,  e  ti  disprezzassi  in  tntto, 
e  fuggissi  ogni  conversazione.  Ma  non  confidandoti  po- 
terlo  fare,  ti  consiglio  da  figliaola,  che  tu  hai  (salvando 
sempre  la  modestia  ed  onesta  tua)  da  passare  i  tuoi 
auni  giovenili  allegramente;  e  pensare  che  non  yen- 
goDO  se  non  una  volta,  e  che  un  medesimo  piacere 
in  quel  tempo  giova  e  diletta  infinitamente,  ed  e 
scusato  da  tutti,  e  perdonato  da  Dio  con  V  acqua 
santa,  e  nella  vecchiezza  poi  e  deriso  da  ognuno, 
aggrava  la  conscienza  assai,  e  porta  pochissimo 
diletto  e  piacere.  Si  ch^,  per  fu|^gire  questo  di- 
sordine,  io  Vho  parlato  di  sopra,  e  consigliata 
nel  modo  che  hai  inteso,  e  cosi  consiglierei  s^n- 
premai.  Nientedimeno ,  se  ti  da  pare  il  cuore, 
com*io  ti  ho  detto,  di  viver  senza  commetter  mai 
peccato  fino  alia  morte,  par  che  ti  riesca,  io  ne 
averb  piacere:  e  lasciando  i  nostri  primi  ragiona^ 


DSLLB  DONNB  41 

roenti,   sark  buono  ch*io  ti   parli  in  quel  cambio 
della  vita  di  qualche  santo  padre. 

Marg.  No,  no :  dite  pur  via  quel  ch'  avete  co- 
minriato;  eh' ora  m'accorgo  ch'egli  h  pur  bene  il 
parlar  con  chi  sa,  ed  ha  pratica  delle  cose:  perche 
mi  cominciate  a  far  conoscere  esser  verissimo  tutto 
qnel  che  dite;  pero  sciniite  di  grazia. 

Raf.  Poi  che  noi  abbiam  parlato  quanto  ne  oc« 
corre  intomo  al  yestir  d'una  giovane,  cosi  delta 
vaurhezza  delle  foggie,  come  del  garbo  e  del  com* 
modo,  e  dei  mnyimenti  e  poriatura,  ed  altre  av* 
vertenzie  che  intomo  a  cib  hanno  d'avere;  voglio 
che  noi  ragioniamo  ora  dei  costumi  e  maniera  che  ha 
da  tener  una  gentildonna  nelle  cose  che  accadon 
tutto  il  giorno :  e  prima  quanto  alia  cnra  della  casa 
e  a  mantenersi  la  benivolenza  del  marito,  la  quale 
come  io  t*ho  detto  disopra  e  importantissima  e  neces- 
saria.  E  hai  da  saper,  Margarita,  che  tatte  quelle  cose 
di  che  io  ti  ho  ragionato,  e  ti  ragionero  appartenersi 
a  una  gentildonna,  io  intendo  che  ella  sia  giovane,  e 
non  passi  al  piu  trentadue  anni ;  perche,  dopo  quel 
tempo,  bisogni  che  si  ritiri  un  passo  addietro,  e 
non  1e  sta  ben  cosi  ogni  cosa. 

Marg.  Mi  basta;  perche,  innanzi  che  io  sia  di 
cotesta  eihy  passaranno  parecchi  anni. 

Raf.  II  governo  della  casa,  o  Margarita,  quando 
gli  i  ben  guidato,  e  di  grandissimo  ornamento  a 
una  gentildonna;  e  la  fa  stimar  molto  appresso  di 
chi  Io  sa,  e  ben  volere  maravigliosamente  dal  marito 
suo:  pero  che  non  pu6  aver  un  uomo  maggior 
contenlezza,  che  vedere  la  robba,  e  i  figli,  e 
quel  che  egli  ha  in  casa,  esser  amato  e  custodito 
dalla  moglie  sua;  facendo  argumento  da  questo 
essere  amato  da  lei  esso  ancora. 

Marg.  Vi  vorrei  piu  minutamente  intorno  a  questo 
governo. 


42  DELLA  BBLLA  CREANZA 

Raf.  Credo  che  tu  sappi,  Margarita,  che  per  so- 
Btentamento  ed  accrescimento  di  una  casa,  fo  bisogno 
prima   che  le   entrate  yenghin  dentro  di  fdori;  la 
cnra   delle  quali  si  appartiene  all'  uomo :  ed   oltre 
a  qaesto,  bisogoa  poi  che  sia  in  casa  chi   le    con- 
servi ;  il  che  si  convien  alia  donna :  perche,  se  Toao 
acqaistasse  e  Taltro   spergesse   e   lasciasse   andar 
male,  la  casa  andrebbe  in  perdizione.£  per  il  contrario, 
qnando  queste  dae  cose  s*  accordano  insieme,  ne  vieo 
poi  la  felicitk  delle  case.  £  per  questo  voglio  prima- 
mente,  che  una  giovene  non  si  lasci  pigliar  dominio 
addosso  dair  ozio,  dal  sonno,  dalla  pigrizia,  e  dal  tedio 
del  viver,  come  molte  fanno,  che  per  fitstidio  non  san  di 
che,  e  per  poTtroneria,  si  stanno  fino  a  mezio  giomo  nel 
letio  e  lasciano  andare  a  brodetto  la  casa  e  quel  cLe 
v*e:  e  se  il  marito  lor  dice  mai  niente,  ravanzano 
di  voce,  tal  che  egli,  dopo  pocbe  Yolle,  se  ne  ri- 
mane  per  abbandonato,  e  sta  in  casa  sempre  come 
an  rabbioso.  Ha  voglio,  dico,  che  ella  si  levi  or<U- 
natamente  di  letto  assai  a  buon*  ora;  e  che,  andando 
una  yolta  o  due  per  la  casa,  dia  Tocchio   a   tutte 
le  cose;  ordini  per  tatto  il  giomo  alle  serve    quel 
che  hanno  da  fare;  vegga  che  tuUe  le   cose   sieno 
al   luogo  sue   determinato;   accioccbe,   occorrendo 
aver  bisogno   d*  alcana,   non   si  abbia  da  perdere 
tempo  in  cercarla;  perche  Tordine  importa  assai  in 
ogni  azione,  e  massime  nella  cara  della   casa.   Nel 
comaudar  poi  voglio    ch*  abbia  tal   maniera,   che  i 
send  spontaneamenie  e  con  affezione  facciano  T  of- 
ficio lore,  ed  in  an  medesimo  tempo  stieno  in  timore, 
tal  che  non  si  <ienta  mai  in  casa  an  minimo  nuno- 
ruzzo   di   discordia   o   disabbidienza,  e  non  ficcia 
come  molte  che  tutto  il  giomo  fan  la  comedia  con 
le  serve,  borbottando  e  gridando  tuttavia,  di   sorte 
che  par  sempre  la  casa  loro  la  casa  del  diavolo:  e 


DGLLB  DONNE  43 

nan  vale  ud  soldo  tutto  quello  che  dispatano,  per- 
che  il  piu  delle  volte  nascer^  che  una  serva,  ven- 
dendo  in  piazza  parecchie  once  di  fichi  secchi,  si 
sara  lasciata  torre  un  fico  vantaggio  da*  compra- 
tori,  0  simili  altre  frivolezze;  e  delle  cose  che  importano 
poi  non  se  ne  accorgono  e  non  ne  banno  cura.  Dopo 
che  ella  dunque  avra4a  mattina,  come  t*ho  detto,  data 
regola  a  ogni  cosa  per  tutto  il  giorno,  voglio  che  si 
ponga  a  lavorare  di  sua  mano  qualche  cosa:  piu  invero 
perche  quelli  che  vengono  in  casa  non  la  trovino 
oziosa,  che  per  guadagno  che  sia  per  cavarne.  Ve- 
nendo  poi  il  marito,  ella  ha  da  farsegli  iticontro,  e 
mostrare  di  rallegrarsi  di  vederlo;  e  se  non  lo  fa 
di  cuore,  almen  finga  di  farlo.  E  s'el'  menera  in 
casa  forestiero,  voglio  che  ella  lo  raccolga  con  bo- 
nissimo  viso;  e  dando  una  volta  destramente  in 
cucina,  dia  ordine  che  vi  sia  da  fargli  onore,  e  non 
mostri  di  sbigottirsi  con  far  rimenio,  come  ho  ve- 
duto  fare  ad  alcune,  che,  se  elle  hanno  pur  per 
sorte  a  desioar  un  fattor  di  villa  strasordinario,  si 
avviliscono,  e  parlano  fuor  di  proposito,  e  fanno  un 
barbucchio,  un  romor  di  sedie  e  4li  scabelli,  un  ri- 
girarsi  per  casa,  senza  saper  che  farsi  ne  che  ordin 
pigliarsi,  di  sorte  che  lo  faranno  star  due  ore  a  di- 
sagio  ad  aspettar  che  '1  pasto  sia  a  ordioe;  e  poi 
alia  fine  verranno  in  tavola  per  strasordinario  due 
frittelle  d*uno  novo  e  mezzo  Tuna,  e  sguazza:  e 
con  si  magri  trattenimenti  lo  intrattengono  a  tavola, 
e  con  tante  scuse,  che  'Ipoveretto  suda  di  smania 
d*andarsi  con  Dio,  e  fa  voto  tra  se  stesso  di  non 
tomarvi  mai  piu. 

Marg.  Hi  fite  quasi  vergognare  a  sentirvelo  pur 
dire. 

Haf.  Da  queste  tai  cose  si  ha  da  guardar  come 
dal  fuoco  una  gentildonna:  ed  in  somma  ha  sem- 


44  DELLA  BELLA  CRBANZA 

pre,  in  ogni  sna  aziono  ed  occorrenzia,  a  mostrare 
almeno  fingendo,  di  avere  desiderio  di  oompiacere 
il  marito  sao,  in  tnito  qnello  ch^ella  conosca  gli  sia 
a  grado,  e  di  tenere  oj^ni  affezione  a  lai,  alia  casa 
sua,  alle  su^fanzie  e  facolta,  ai  figli,  e  a  ogni  cosa 
sna:  e  se  non  In  fa  con  buon  animo,  almeno  mo* 
stri  di  farlo,  perche  di  qni  nasce  ch*e11a  pno  poi  piu  ar- 
ditamente  spender  nelle  vesti;  pero  che  YOflendola 
1]  marito  cosi  utile  nel  resto  ed  afTezionata  alia  casa 
non  solo  1e  compra  queste  volontieri,  ma  esortala 
spesse  volte  a  farlo  e  cosi  si  da  nella  ragna  da  se 
medesimo. 

Marg.  Nei  j)iaceri  poi,  che  voi  volete  che  ella  si 
pigli,  che  via  ha  da  tener  che  sia  al  proposito? 

Raf.  Ogni  cosa  ti  diro  pienamente.  Totti  i  pia- 
ceri  che  io  ti  ho  da  dire  che  debba  avere  ana  gio- 
vane,  hai  da  sapere  che  egU  hanno  origine  ed  aiuto 
principalmente  da' ri^ruovi,  da'conviti,  vejijlie,  feste, 
boschetti,  pescagioni,  parentadi,  c  veglini  e  ritruovi 
privati  sopratutto.  Or  essendo  questo,  una  giovane 
ha  da  desiderare  di  trovarsi  in  tai  luoghi,  per  na- 
trimento  e  mantenimento  di  quei  !diletti  e  piacerif 
<li  che  noi,  per  ammonirti,  parlaremo  poco  dopo:  e 
tal  desiderio  ha  da  tener  in  se  nascosto;  e  di  faora 
palesemeate  ha  da  mostrare  di  dilettarsi  per  natura 
di  trovarsi  in  fest«  e  conviti,  e  simili,  non  per  altro 
se  non  semplicemente  per  pigliar  piacer  di  quei  balli, 
feste  e  giuochi  che  vi  si  fanno.  E  per  qnesto  ha  da 
fame  professione;  e  massime  a  mostrar  al  marito 
di  esser  inclinata  dalla  propria  natura  a  tali  cose, 
acciocche,  veggendola  egli  andarvi  volontieri,  oon 
snspichi  per  questo  cosa  nessuna  di  male;  ma  Io 
iniputi  alia  lei  natura,  e  ne  stia  con  Tanimo  quieto : 
e  COSI  egli  gli  concedera  sempre  Tandare  ove  lei  vor- 
ra,  per  non  voler  repugnare  a  quello  a  ch'ella  sia 


BELLE  DONMB  46 

inclinata  naturalmente.  £  per  coprir  meglio  Tanimo 
suo,  le  giovera  molto  il  mostrar  sempre  la  medesima 
purita  di  allegrezza,  taato  in  un  rilruovo  che  in 
un  aitro :  e  se  ben  la  sapra  che  in  qualche  iuogo 
non  sia  per  aver  piacer  nessuno  anzi  dispetto,  noii 
per  questo  ha  da  far  vedere  di  non  desiderare  di 
andarvi;  anzi,  audandoci,  coprira  il  dispetto  ed  il 
fastidio  con  iinta  allegrezza:  e  se  pariniente  in  al- 
cun  luogu  ella  avra  qualche  maggior  contentezza  e 
strasordinaria,  non  per  questo  esca  panto  dall'usata 
soai  allegrezza.  Ed  in  somma,  in  ogni  luogp  ed  in 
ogni  tempo,  mostri  sempre  la  medesima  disposizione 
d'auimo;  acciocche  la  brigata,  ed  il  marito  princi- 
palmente,  imputino  il  tutto  alia  coudizion  sua  ed  alle 
stelle  che  cosi  Tabbino  inciinata.  Guardisi,  oltre  a  que- 
sto, che  un  maggior  contento  o  dispetto  non  la  facciano 
tornar  in  casa  o  piii  brillante  di  ieti^ia,  o  piu  sospesa 
di  sdegno:  an^i  mostri  sempre  una  medesima  faccia; 
e  nascosissimamente  copra  la  varieta  dei  pensier 
suoi,  ed  i  travagli  e  mutazioni  deiranimo. 

Mas.  Quanto  mi  riuscite  savia,  madonna  Raffa- 
ella. 

Raf.  Pensa,  figliuola,  che  gU  anni  fanno  conoscer 
le  cose;  e  felice  colui  che,  col  crederle  aivecchi,  le 
conusce  in  gioventu. 

Mar.  Ben  dite:  ma  seguite  di  mostrarmi  la  ma- 
niera  nello  intertenersi,  c  ha  da  aver  ne'  ritruovi  e 
nelle  conversazioni,  questa  che  voi  formate  oggi  vera 
gentildonna. 

Raf.  In  ogni  Iuogo,  dove  le  accada  di  conversare 
0  con  doone  o  con  uomini,  abbia  avverteuzia  costei 
di  non  lasciarsi  mai  trasportar  a  far  un  minimo 
movimento,  o  dir  una  minima  parola,  che  passi  il 
termine  della  modestia  ed  onesta;  perchi  t'ho  del  to 
9  ti  replico,  che  (questo  e  quel  che  fiorisce  ogni 


46  DBLLA  BULLA  CRBANZA 

azione  di  una  doima:  e  pero  ingegoisi  in  tatto  quel 
che  fa,  0  dice,  che  penda  piii  presto  in  essere  troppo 
continente  che  troppo  ardita  e  sfacciata:  e   fiaccia 
profession,  non  solo  che  li  dispiacciano  i   vizj  e  la 
vilta,  cosi  in  lei  stessa  come   negli  aitri,  nia  che  le 
dilettino  ancora  Topere  virtuose  e  gentili.  Fra  tatti 
i  brutti  costumi  che  le  sia  da  faggire,  sempre  voglio 
che  principalissimamente  s'ingegui  di  non  esser  bu- 
giarda  ne  novellaia;  anzi  mostri  sempre  di  parlar  pu- 
ramente  delle  cose  come  le  sono,  salvo  quel  che  potesse 
nuocer^  all'  onesta  sua;   pei^cht  in  questo  e  ragio- 
nevol  di  fuggire  e  simulare  una  cosa  per  un'  altra 
pill  che  pud.  Abbia  ancora  avvertenzia  di  non   dir 
mai  cosa  nessuna,  che  possa  generar  sospetto  alcuno 
in  qual  si  voglia';  il  che  le  interverra,  se  pigliera 
per  vezzo  di  non  parlar  mai  troppo,  e  pensar  prima 
la  cosa  innanzi  che  Fesca  di  bocca,  e  avvertir  alle 
cose  che  le  son  domandate,  innanzi  ch'ella  rispon- 
da:  perche  oggi  la  nostra  citta  e  piena  di  malissi- 
me  lingue,  e  ad  ogni  picciola  cosa  e  sempiicemente 
detta,  si  fa  un  commento  grandissimo,  ed  i  dif&cil 
cosa  a  ripararsene :.  ma  il  parlar  poco  e  con  accor- 
tezza  e  il  meglio  che  si  possa  fare.  E  molto  da  fug- 
gir  ancora  il  venir  in  fama  di  mala  lingua,  il  qual 
vezzo  e  oggi  quasi  in  tutte  le  donne,  ed  e  jHstelen- 
sissimo  e  vile.  Pero  una  donna  ha  da  cercar  sem- 
pre i  fatti  degli  altri,  ma  dir  ben  di  chi  lo  merits, 
e  non  dir  male  d'alcuno. 

Marg.  Or  non  ha  da  far  diSerenzia  o  nel  parlare,  o 
in  tutto  quel  che  le  accade,  fra  un  virtuoso  e  gen^ 
tile,  ed  un  altro  scostumato  e  vizioso? 

Kaf.  Assaissimo;  perche,  si  come  io  t*ho  detto  che 
una  gentildonua  ha  da  prezzar  piu  neU'animo  suo 
le  persone  virtuose  e  gentili  che  i  scelleraii  e  sgar* 
bati,  cosi  ancora  ha  da  far  .qualche  differenzia  di 


DGLLE  DONN£  47 

benignita  neiraccogliere  le  riverenzie  e  gli  onori,  e 
i  ragionamenti  di  quelli  e  di  questi:  pero  che  di 
qui  ne  nascera  cbe  tutti  queili  della  citta,  che  avran 
bello  spirito,  quasi  a  gara  s'iagegneranno  di  esal- 
tarla  ed  onoraria,  esseudo  che  naturaimente  ciascun 
ama  e  riverisce  quei  da'  quali  vede  esser  conosciuto 
le  sue  virtu.  Ed  ba  questo  una  donna  da  stimar  as- 
sai,  perche  impurtano  piu  quattro  o  sei  che  avanzino 
di  buona  fama  gli  altri  della  citta;  importaao,  piu, 
dico,  ad  esaltar,  e  mettere  iuaanzi  una  giovene,  che 
non  fara  tutto  *1  resto :  pero  che  loro  son  quegli,  che, 
se  una  giovane  ha  in  se  qualche  bella  virtu,  la  sanno 
conoscere  e  far  conoscere  ad  altri;  dove  che  gli  altri,  non 
la  conosceranno,  o  non  ve  la  vorrebber  conoscere, 
acciocche  ella  fosse  come  loro  in  dozzina,  per  poterla 
condurre  io  qualche  atto  vile  secondo  Tappetito  loro. 
Ed  avvertisci  ch'io  non  voglio  ch'ella  faccia  questa 
differenza  che  io  ti  dico  molto  grande  ed  apparente, 
ancor  cb'ella  conosca  che  i  meriti  di  qualch*uuo  Io 
ricerchino,  perche  sarebbe  pericolo  ch*  i  gioveni  di 
dozzina  non  si  sdegnassero,  e  per  questo  sparlassero 
e  la  mettesser  in  chiacchiare  e  novelle;  che  non  e 
al  mondo  la  peggior  cosa;  ma  con  destrezza  e  pru- 
denzia  mostri  alquanto  piu  benignita  a  quei  che  piu 
meritano,  ed  alquanto  manco  a  chi  manco  si  convie- 
ne.  Ed  se  la  disaguaglianza  dell*  umanita  sua  non 
sara  secondo  i  meriti,  per  questo  i  virtuosi  e  gen- 
tili  non  si  sdegneranno,  come  quei  che  hanno  gi:i- 
dicio,  e  conoscono  che  a  lei  e  forza  di  far  cosi;  ma 
dairaltra  parte  si  sdegnarebbono  ben  quegli  altri , 
come  persone  vestite  di  poco  conoscimento,  e  nu- 
triti  nella  vilta. 

Marg.  a  me  non  bastarebbe  mai  Tanimo  di  fare 
atto  amorevole  verso  d'alcuni,  che  non  solo  fosser 
persone  di  dozzina,  ma  siano  tenuti  pubblicamente 


**«  DELLA  BELLA   CRtSANZA 

di  pessima  fama,  come  e  quel  vostro  buon  parente 
che  voi  ben  sapete,  che  non  e  donna  in  Siena  che  lo 
possa  sentir  ricordare. 

Raf.  Gli  e  molto  peggio  che  tu  non  dici:  io  ti 
so  dire,  ch'egli  ha  tutte  le  virtu  cardinalesche ;  ed 
10  meglio  che  alcuno  te  ne  potrei  informare,  ma  non 
merita  'i  conto:  bastiii  che  egli  non  ha  parte  nes- 
suna  che  gli  stia  bene,  se  non  Vesser  odiato  da  chi 
lo  conosce  o  per  vista  o  per  fama.  A  un  simile  ti 
confesso  che  una  gentiidonna  non  ha  da  nsare  mai 
benignita  alcuna,  ne  favorir  in  qualsivoglia  cosa 
giaminai.  Ma  iononvoglio  per  questo  che  ella  gli  osi 
scortesia,  non  perche  non  la  meritasse,  ma' per  ri- 
spetto  di  lei  stessa;  si  per  esser  bruttissima  mae- 
chia  in  naa  donna  gentile  Tusare  scortesia,  si  an- 
cora,  acciocche  egli,  per  esser  malissima  liagaa,  non 
trovasse  qualche  cantafavola  e  qualche  isioria  ma- 
ligna in  terza  persona  che  le  nocesse:  benche  in 
vero,  a  costui  che  tu  dici,  non  saiebbe  uomo  che  li 
credesse  il  paternostro.  Ma,  per  star  piu  su  *1  si- 
curo,  e  da  lasciarlo  andare  seuza  mostrarsegli  mai 
benigna  ne  scortese;  e  non  ne  far  conto  in  uissun 
modo. 
Marg.  Oh  I  quanto  Fho  a  noia!  se  voiil  sapestel 
Raf.  Basta,  tienlo  coperto  neiranimo,  e  di  fuor 
mostra  di  non  fame  conto  ne  in  bene  ne  in  male;  per 
rispetto  di  te,  non  di  luL  Voglio  ancora  che  questa 
giovene,  che  io  ti  dico  se  per  sorte  si  trovara  aver  mo- 
strato  benignita  e  cortesia  ad  alcuno,  pensandosi  es- 
ser tale  che  lo  meritasse,  e  da  poi  couoscera  esser 
il  contrario  (pero  che  gli  uomini  non  si  conoscono 
cosi  il  prime  di)  voglio,  dico,  ch*a  questo  non  man- 
chi  cosi  subito  della  sua  umanita;  ma  a  poco  a 
poco,  senza  che  se  n*  accorga,  venga  spegneodola 
ogni  ^  piu;  accio  che,  essendo  •gU  aweuo  nella 


DELLE  DONNE  49 

cortesia,  non  si  sdegni  di  queila  mutazione,  e  per 
questo  cerchi  di  vendicarsene.  Per  la  qual  cosa,  o 
non  si  ha  da  mostrar  atto  benigno  a  uno,  o  avendo 
cominciato,  bisogna  seguire;  ovvero  molto  destra- 
mente  tomarsene  indietro,  essendo  che,  chi  e  av- 
vezzo  nel  bene  si  sdegna  di  perderlo;  dove  che,  se 
non  avesse  provato  il  buono  non  avrebbe  cagion  al- 
cana di  sdegnarsi  di  quel  chc  non  si  potrebbe  cbia  - 
mar  perdita:  e  pero  ha  da  aver  lei  rawertenzia  che 
io  dico,  se  gia  ella  non  avesse  ricevuta  tale  ingiu- 
ria  da  alcun  di  questi,  che  le  fosse  forza  mostrarsene 
scopertamente  scrucciata  e  sdegnosa.  Ma  innanzi  che 
ella  creda  tale  ingiuria,  vegga  molto  ben  prima  di 
saper   la   verity ;  pero  che   oggi  il  mondo  e  tanto 
pieno  di  perfide  lingue,  che  trovano  e  cantano  spesse 
volte  cose  che  paiono  yerissime  pin  che  il  Vange- 
lo ;  e  di  poi  si  conoscono  vane  e  di  nessun  memen- 
to. E  questo  procede  dalF  invidia  grande  e  poche 
faccende  che  sono  nei  gioveni  del  nostro  tempo ;  che 
Tozio  li  costrigne  andar  cercando  i  fatti  d*  altri ,  e 
sopra  ogni  minima  apparenzia  compongon  casi  e  no- 
veile,  e  le  ammaiano   con  tante  frasche,  che  son 
tenute  da  chi  Tode  come  articol   di  fede;  e  il  piu 
delle  volte  non  e  vera  cosa  alcuna.    £  per  questo 
pensi  ben  una  donna,  innanzi  che  la  si  tolga  a  ni- 
micar  alcuno;  e  non  faccia  come  madonna  Artusa^ 
che,  mossa  da  non  so  che  sogno  che  fece,  si  messe 
nella  testa,  senza  altro  saperne,  che  un  giovine,  la  mi- 
glior  pasta  del  mondo,  avesse  fatto  non  so  che  uf- 
ficio   cattivo   contra  di  lei;  e  subito  sconsideraia- 
mente  si  accese  di  odio  contra  lui,  e  stemperoccisi 
si  che  gli  faceva  scortesia  e  atti  sgarbatissimi  e  fiior 
di  proposito,  da  non  gli  comportar  mai  quando  ben  gli 
avesse  meritati:  e  tanto  piu  quant*ei  non  avea  colpa 
nessuna;  che  tanto  sapeva  il  perche  questo  fosse  ^ 
Crcanza  delle  Donne  4 


50  DBLLA  BBLLA  CBBAKZA 

qaanto  tu  lo  &ai  ta.  Nondimsno  costei  ebbe  baona  sor- 
te,  che  qaesto  giovene  era  di  si  buona  condizione, 
che  non  se  ne  commosse  giammai,  ne  se  n*alter6: 
anzi  non  manco  mai  della  sua  solita  gentilezza,  e 
Tonorava  e  reveriva  nel  medesimo  modo  che  prima. 
Ma  non  h  per  questo  ch*ella  non  si  mettesse  a  pe- 
ricolo,  che  egli,  sentendosi  senza  colpa,  non  si^^sde- 
gnasse  di  sorte  che  le   gricce  tornassero  in   danno 
di  chi  le  feceva.  £  vuotti  dir  piu  oltre,  che  ipiaudo 
ben  costei  fosse  stata  in  qualche  parte  ingiariata  da 
lui,  non  doveva  per  qaesto  far  simili  atti  vili ,  e  se 
non  Yolea  usarli  benignita,  non  avea  da  farli  scor- 
tesia,  perche  in  somma  la  cortesia  ride  e  sta  bene 
fra  I'altre  virtu  e  belle  parti  di  una  donna,   come 
stanno  i  rubini  e  le  perle  fra  Tore:  oUre  ancora  che 
nel  far  scortesia  si  mostra  non  stimar  altrni  troppo;  che 
non  i  la  maggior   vendetta  che  non  far  conto  di 
nno  ne  in  ben  ne  in  male,  come  se  in  qaesto  mon- 
do  non  fosse. 

Marg.  Che  bisogna,  monna  Raffaella,  aver  tanto 
riguardo  e  awertenzia  che  alcun  non  si  sdegni?  Che 
potra  egli  mai  fare  che  nuoca  a  una  donna  che  non 
faccia  errore,  e  viva  onestamente?  lo  ho  sempre  in- 
teso  dir:  Urina  chiaro  e  fa  le  fiche  al  medico. 

Raf.  Uhl  non  dir,  figliuola  mial  grandissimo  danno 
le  potrk  fare,  perche  hai  da  sapere  che  1' onore  o 
il  biasimo,  non  consiste  principalmente  net  fare  ella 
una  cosa  o  non  la  fare,  ma  nel  credersi  che  la  fac- 
cia, 0  non  credersi :  perche  Tonore  non  e  riposto  in 
altro,  se  non  nella  stimazione  ?ppresso  agQ  uomi' 
ni;  perb  che  s*  el  sera  alcun  segrelissimamente,  o 
ladro,  0  omicida,  o  simili,  e  se  e  tenuto  lealissimo 
e  giusto,  tanto  e  appunto  qaanto  ali'onore,  come  se 
non  avesse  quei  vizj:  e  cosi  per  ii  contrario,  es- 
3endo  uomo  dabbene  e  tenuto  scellerato,  le  virtu  sue 


t)ELLE  DOKNB  51 

gli  sono  poco  men  che  vane  e  superflae.  £  questo 
si  ha  da  dir  di  una  donna,  Tonor  della  quale  non 
consiste,  come  t'ho  del  to,  nel  fare  o  non  fare,  che 
questo  importa  poco,  ma  nel  credersi  o  non  creder- 
si.  Or,  essendo  questo,  ha  lei  da  fare  un  gran  conto 
che  alcuno.  sdegnandosi,  non  trovi  qualche  finzione 
per  vituperarla ;  perche,  se  ben  moiti,  che  conoscono 
le  virtu  di  lei  e  la  poltroneria  di  lui,  passaranno  la 
cosa,  e  non  la  crederanno ;  nondimeno  saranno  moIti 
altri  che,  senza  guardare  alle  cose  cosi  minutamente 
gli  daranno  pienissima  fede ;  e  cosi  la  poveretta  a  torto 
sara  infamata.  £  per  questo  una  donna  ha  da  sapere 
usare  ogni  arte,  non  di  non  far  la  cosa,  ma  di  non 
dar  cagione  che  si  abbia  da  trovare  istorie  sopra 
de*  casi  suoL  £  a  questo  le  giovera  da  una  parte 
il  non  fare  scortesia  a  nessuno;  e  dairaltra  il  non 
far  le  cortesie  troppo  particolari ;  ma  passsarsela  sem- 
pre  per  il  generale,  e  rimer itare  piu  le  virlu  al- 
trui  col  conoscerle  in  sb  stessa  o  apprezzarle,  che 
con  le  accoglienze  troppo  manifesto,  perche  ne  po- 
trebbono  seguire  duo  cose  dannose:  Tuna,  che  le 
male  lingue  che  se  ne  accorgessero  avrebbono  dove 
cominciare  a  ordir  le  loro  tele;  e  quelli  stessi  che 
le  ricevessero  entrarebbono  in  speranze;  le  quali 
non  gli  riuscendo,  poi  si  pensarebbono  ancor  essi 
aver  ragione  di  dolersi  e  lamentarsi.  £  se  pur,  ti- 
rati  da  qualche  spcranza,  procedessero  troppo  oltra, 
0  con  parole  o  con  atti,  abbia  lei  avvertenzia  da 
mozzar  loro  le  maestre  da  principio,  e  non  fare  una 
minima  cosa  dove  possino  appiccarsi.  £  intorno  a 
questo  ha  sempre  una  gentildonna  da  stare  accorta 
e  destra  in  tutti  i  luoghi  dove  si  ritrova,  come  sono 
feste,  giuochi,  veglic,  balli,  chiaranzaue,  ragiona- 
menti  particolari,  che  tanto  si  usano  oggi,  e  al  mio 
tempo  si  biasiinavano.  In  tutte  queste  occorrenzie, 


52  DELLA.  BELLA  CRBANZA 

pensi  sempre  d*  aver  intorno  insidiatori,  chi  tratto  k 
qualche  speranza,  chi  per  accellare  a  qualche  segno 
dovepossa  appiccarsi  per  dime  male;  e  le  bisognaaver 
ceato  occhi,  e  cento  orecchie,  e  una  lingua  sola,  e 
quella  molto  savia  e  accorta;  pero  che  come  le  esee 
fuora  UDa  parola  di  bocca,  non  e  piu  possibiie  ili 
far  la  ritornar  dentro;  e  per  qiiesto  le  bisogna  pen- 
sar  le  cose  prima.  Ma  oram.ii,  Margariti,  il  corso 
del  mio  ragionamento  ne  ha  condotte  a  quella  par- 
te, che  importa  piu  che  tutto  il  resto,  e  che  iori- 
serbava  di  dirti  per  l' ultima;  perb  sara  buono  che 
te  no  ragioni;  che  non  e  da  lasciarla  passar  per 
niente,  perche  tutto  'I  resto  che  abbiamo  detto  sa- 
rebbe  zero. 

Marg.  Che  cosa  puo  esser  questa,  che  mi  par  cbe 
si  sia  parlato  del  tutto?  e  beata  colei  che  potesse 
esser  tale,  quale  voi  Tavete  oggi  formata  I  e  io  per 
una  mi  vo'  sforzare  d'accostarmici  piu  che  posso. 

Kaf.  Quel  che  ci  resta  da  dire  e  Tavvertenzia 
ch'ella  ha  da  tenere  verso  gli  innamorati  suoi,  e  le 
avvertenzie  ch'ella  ha  da  avere  io  sapere  elegger- 
sene  uno  fra  tutti,  il  quale  sia  dotato  di  quelle  parti 
che  si  richieggono  a  un  geutile  uomo  e  veramente 
innamorato,  il  quale  clla,  dopo  che  Tha  eletto,  ha  da 
amare  con  tutto  il  cuore  e  con  tutto  Tanimo,  e  fa- 
vorire  e  accarezzare,  nel  modo  che  intenderai  ap- 
partenersele. 

Marg.  Tu  parli  da  semplicella.  Che  vaglion  le 
bellezze,  o  le  virtu  e  i  bei  costumi  in  uoa  donna,  e 
tanto  piu  quanto  e  piu  nobile  ed  eccellente,  senza  Ta- 
more,  il  qual  iiorisce  e  fa  perfetta  ogni  altra  bella 
parte;  e  tutti  gli  altri  piaceri  e  diletti,  se  egli  non 
vi  si  ritruova,  son  cose  sciapite  e  vane?  Porche  le 
feste,  i  balli,  i  giuochi,  i  ritruovi,  le  veglie,  le  virtu, 
le  bellezze,  senza  amorc,  son  proprio  come  una  bella 


dellA  donnb  53 

c*£^a  1ft  vernata,  senza  il  fuoco;  ovver  come  la  messa 
senza  il  paternostro.  Ogni  miDimo  sollazzo  piglia 
forza  dov'  egli  e :  le  ville,  per  la  preseiizia  sua,  paion 
paradisi;  i  boschetti,  le  caccie,  le  pescagioni,  le  ca- 
valcate  senza  lui  sono  freddissime ,  e  con  esse  son 
dolcissime^  dilettevoli.  E  a  cbe  si  puo  dire  che  sia 
huona  una  gioveDtii  che  passi  senza  provare  amo- 
re?  Quant* e  da  aver  compassione  a  quelli,  che  pas- 
sati  quarant'anni  si  accorgono  di  questo,  e  prima 
scioccamente  non  se  ne  accorsero  I  Miseri  veramente 
si  possono  dire,  sfortunati  e  superllui  nel  mondo ;  e 
beatissimi  per  lo  contrario  quelli  uomini  e  quelle 
donne,  che  innanzi  a'  venti  anni  hanno  imparato,  alio 
spese  degli  altri,  conoscere  la  forza  e  la  possanza 
che  ha  Famore  in  quegli  anni  che  sono  dai  venti  a* 
trentacinque,  e  in  quel  mezzo  principalmente.  Que- 
sti  si  posson  metier  nel  calendario  de*  beati.  Ma  gran 
giudicio  e  gran  discorso,  e  molt'arte  e  governo  bi- 
sogna  avere  a  governarsi  e  reggersi  intorno  a  que- 
sta  parte ;  e  massimamente  a  una  donna,  per  esser 
a  lei  piu  d'  importanza  il  pericolo  che  le  ne  segue. 

Marg.  Poi  che  voi  dite  ch'egli  e  cosi,  io  non  posso 
2?e  non  credervelo;  perche  ho  assai  maggior  fede  in 
voi  che  in  me  stessa.  E  perb  ditemi  un  poco  il  go- 
verno che  ha  da  tener  questa  gentildonna  in  guar- 
dar  questo  amore,  e  Tavvertenzie  ch'ella  ha  d'aver 
in  eleggersi  un  che  sia  come  esser  debba. 

Raf.  Innanzi  chMo  ti  dica  le  parti  che  ha  d'aver 
un  giovane  per  meritare  di  esser  eletto  da  una 
gentildonna  per  suo  vero  innamorato,  voglio  che 
noi  ragioniamo  un  poco,  quai  giovani  hanno  da  es- 
sere  fuggiti  come  le  serpi  dalle  donne;  pero  che 
conoscendo  prima  questi,  assai  piu  chiaramente  si 
potra  poi  mostrare  le  buone  paiti  che  ha  da 
avere  uno  innamorato:  e  fatto  questo,  si  potra  se- 


54  DKLLA  BELLA  OREANZA 

gaire  di  parlare  della  maniera,  cbe  la  gentildoima 
lia  da  usar  yerso  quei  ch'ella  debba  faggire,  e 
verso  colai  cb'ella  ha  da  seguire. 

Marg.  Mi  piace:  or  dite  adunque. 

Raf.  Per  la  pratica  cbe  io  bo  delle  cose,  irovo  cfae 
i  giovani  cbe  non  arrivano  a'  venti  anni,  e  aneo 
a*  ventidue,  cbe  sanno  pur  anco  di  latte,  sono  pe- 
ricolosissimi  ad  una  donna,  e  da  faggir  come  il 
diavolo;  pero  cbe,  per  la  pocbissima  esperienza,  non 
sanno  guidare  un  amore  ire  giorni.  Hanno  i  di- 
scorsi  frivoli  e  snervati;  affogarebbero  in  uno  bie- 
cbiere  d*acqua :  superbi,  ed  arroganti  della  gioyinezza 
loro:  subiti  e  scandalosi;  vantatori  e  parabolani 
la  maggior  parte,  se  eglino  banno  an  minimo  far 
vore,  ei  se  ne  vantano  subito  studiosamente :  owero 
per  essere  poco  praticbi,  se  lo  lasciano  cavar  cU 
bocca  da  mille  insidiatori,  cbe  gli  bani^o  intomo 
sempre.  Nelle  allegrezze  e  contenti  son  cosi  stem- 
perati  cbe  brillano  continaamente;  e  s'  avvedrebbono 
le  mura  cbe  non  possono  capire  in  se :  negli  sdegni 
medesimamente  si  accendono  di  sorte  cbe  e  forza 
cb'  ognnno  se  ne  accorga;  alia  fine  sbattooo  col 
dire  il  peggio  cbe  possono  di  qaella  povera  gentil- 
donna  cbe  se  gli  sara  data  in  preda:  gli  par  me- 
ritare  ^di  essere  i  pregati  loro ;  e  in  somma,  non 
hanno  costume  cbe  buono  sia.  £  se  per  sorte  rara 
alcuno  di  loro,  bencb^  rarissimo,  cbe  voglia  essere 
segreto  in  ogni  modo,  non  sapra  esser  poi,  perche, 
non  se  ne  accorgendo,  fark  palese  in  due  giornate 
tutio  quelle  cbe  gli  sia  accaduto,  e  fara  pigliare 
sospetto  di  molto  piu.  Io  ti  confesso  bene,  cbe  se 
fosse  possibile  sforzar  la  natura  cbe  facesse  an  gio- 
vane  in  quelFeta  savio  epratico,  sarebbe  benissimo 
amarlo;  ma  non  e  da  mettersi  a  questo  pericolo, 
cbe  di  mille  non  se  ne  trova  ano  che  non  sia  seem- 


DILLB  D0NNJ3  55 

pio,  superbo,  levantino,  fumoso,  vaniatore,  fastidioso, 
scandaloso  e  malcreato.  Pero  questi  tali  fuggali  una 
gentildonna  piu  che  pao,  se  Don  yuoI  divenire  in 
quattro  o  cinque  di  la  favola  di  Siena. 

Marg.  Conosco  che  dite  il  vero,  madonna  Raf- 
faella,  perche  la  moglie  di  messer  Donate,  e  stata 
sotterrata  per  sempre  dal  sue  cugino. 

Raf.  I  vecchi,  Margarita,  non  son  niente  manco 
da  lasciar  andare,  perch^^  se  bene  egli  hanno  mag- 
gior  discorso,  e  piu  maturo  consiglio,  e  piu  pra- 
tica  del  mondo,  nondimeno  egli  hanno  ancor  tante 
partaccie,  pessime  e  gagliofife,  che  ricompensano  di 
lungo  quel  poco  di  buono  ch*egli  hanno  di  esser 
pratichi.  £  fra  le  brutte  parti  che  sono  in  essi,  una 
ue  hanno  sceleratissima,  e  qaesta  e  che  tu  non  ne 
troverai  uno  che  non  sia  malissima  lingua  e  invi- 
dioso:  e  di  cio  n'e  la  ragione,  perche,  vedendo  di 
non  aver  piu  grazia  loro,  crepano  se  sanno  o  pen- 
sano  che  alcuno  gode  neiramore,  e  aiutansi  col 
chiacchiarare  nelle  botteghe  a*  foconi,  e  levar  i  pezzi 
delle  povere  donne.  £  se  per  sorte  alcun  di  loro 
ara  ventura  alcuna  con  qualche  donna,  subito  se 
ne  vanta,  per  mostrar  di  non  aver  persa  la  grazia 
delle  donne,  come  la  brigata  si  pensa.  Che  bisogna 
che  io  mi  distenda  in  parlar  di  loro  ?  che,  post-o  case, 
il  che  e  impossibile,  che  fosser  secreti,  savi,  ac- 
corti,  buone  lingue,  ed  avcssero  tutte  le  virtu  del- 
Tanimo  che  si  possono  avere;  che  vuol  far  per 
questo  una  giovane  bella  delFamore  d*un  vecchio 
canuto,  bavoso,  lercio,  moccicone,  fastidioso,  novel- 
laio,  col  fiato  puzzolente,  e  mille  altri  mancamenti 
da  dar  vomito  a  i  cani,  e  da  for  i)enitenza  senza 
peccato  ? 

Marg.  Di  grazia  non  me  li  ricordate  piu:  io  vi  so 
dire  che  cbi  arit  voglia  d*  un  tale  stomacoso  amor« 
'  ara  il  giudicio  nelle  calcagna. 


56  DELLA  BJSLLk  OUEANZA 

llAF.  Pessima  generazione  e  aacor  quella  di  que- 
sti  chiacchiaroni,  e  pambolani,  e  vantatori^  di  qnesti 
siraccamurelli  effeminati,  che  non  sanno  far  altro 
che  profumarsi,  lisciarsi,  strigarsi  la  barba,  legarsi 
una  calza,  e  vantarsi  di  qaello  che  a  bocca  gli  vieae 
e  metterebbero  in  novelte  il  paradiso :  e  se  per  di- 
sgrazia  hanno  la  grazia  di  qualche  sfortunata  donna 
van  braccando  con  ogni  ingegao,  ch*ella  gli  faccia 
qualche  favore  in  tempo -che  sia  qualch*  uno  chese 
ne  accorga:  e  se  qualch' uno  gli  n*e  fatto  segreta- 
mente,  essi  po\^  trovandosi  con  gli  altri,  eereaoo 
con  mille  astuzie  che  si  sappia,  da  un  canto  fingendo 
di  non  voler  dire,  e  dall'  altro  facendo  in  modo  cbe 
si  abbia  da  sospieare :  e  in  somma  bisogna,  o  in 
un  modo  o  in  un  altro,  che  un  loro  segreto  venga 
palese  ia  pochi  di,  o  col  vantarsene,  o  con  la  sfac- 
ciataggine  nolle  veglie  e  nei  ritruovi,  che  quanto 
piu  y'  e  gente,  piu  si  ficcano  sotto  alia  donna,  e 
cercano  favori  scoperti :  e  non  glieli  facendo,  si  sde- 
gnano  scopertamente,  e  fanno  Tadirato  che  ognuno 
se  ne  avvede:  e  s*egli  avranno  qualche  cosa  che 
gli  piaccid,  subito  brillano,  e  fanno  mille  pazzie  da 
fare  accorgere  le  mura  di  tutti  i  loro  fatti :  e  non  le 
lasciano  uscir  di  casa  un  passo  che  non  li  vadino 
dietro.  E  di  qui  nasce,  che,  se  bene  una  donna  gli 
ha  date  la  grazia  sua,  presto  e  sforzata  di  torgli?la 
ovvero  di  rimaner  la  favola  del  volgo.  £  cosi  noa 
hanno  questi  tali  mai  amor  che  gli  duri  due  mesi: 
e  la  maggior  parte  poi,  se  ben  sono  sforzati  alia 
scoperta,  e  alia  presenza  d*al(ri,  alia  secrela  poi  sooo 
manigoldissimi. 

Marg.  Mi  fitte  ricordar,  madonna  Raffaella,  di 
uuo  di  codesti  fastidiosi,  senesc,  che,  gittando  i  li- 
raoni  alia  dama  in  presenzia  del  marchese  del  Vasto, 
fece  mille  civette,  perche  ella  avesse  da  fargli   Ik- 


OELLB  DOKME  57 

vore  Id  presenzia  del  marchese,  acclocche  i  segni  si 
ricontrassero  cod  quello  che  gli  doveva  aver  detto. 

Baf.  In  Camullia  fa  cotesto,  Tho  ben  saputo. 
Poco  manco  ancora  h  da  rifiutar  quella  ruzza  di 
gioveni,  che  si  riputano  e  si  tengono  tanto,  o  per  )e 
virtu  0  per  le  beliezze,  che  gli  par  che  siano  in 
loro,  cLe  pensano  che  le  donne  s'abbiano  a  gittare 
per  le  finestre  per  amor  loro;  e  bisogna  sempre 
che  le  pov  3rette  gli  vadino  a'  versi :  e  d'  ogni  mi- 
nima cosa  si  sdegnano,  e  voglioao  che  non  mirino 
e  non  parlino  pur  al  marito^  non  che  a  fratelli,  a 
cognati  o  altri.  £  in  somma  gli  par  ragionevole 
d'aver  a  essere  la  dama  loro;  e  da  essi  abbia  a 
venire  il  favorire,  e  il  eomandare,  come  se  le  doDne 
fossero  obbligate  per  viva  forza  ad  andar^li  dietro. 
Con  questi  tali  guardisi  una  donna  di  non  si  in- 
tricare  in  amore,  che  se  ne  pentira  presto,  e  non 
avra  mai  un'  ora  di  tempo  che  buon  sia. 

Marg.  Si  vuol  domandarne,  per  quanto  intendo,  la 
nipote  di  quel  cavaliere,  voi  m'  intendete. 

IIaf.  T' intendo  benissimo.  Or  io  non  voglio  an- 
cora  che  una  gentildonna  doni  il  suo  amore  a  per- 
sona che  abbia  moglie ;  pero  che  tu  hai  da  sapere, 
che  amore  vuol  tutto  V  uomo,  e  bisogna  che  chi 
vuol  esser  vero  e  perfetto  innamoralo,  spogli  Tanimo 
da  ogni  allra  cnra  e  pensiero;  mai  non  pensi  in 
altro  il  di  e  la  notte  che  nella  cosa  amata :  e  que- 
sto  non  lo  puo  fare  uno  ammogUato,  che  a  viva 
forza  e  necessitato,  se  non  vuol  essere  deriso  da 
ognuno,  ad  avere  nelFanimo  priucipalmente,  e  innanzi 
a  tutte  le  altre  cose,  la  cura  della  casa  sua,  Tamore 
della  moglie,  dei  figliuoli,  e  dclla  roJ»a  :  e  rari  sono 
che,  0  bella  o  brutta  che  abbiano  la  moglie,  che 
non  le  portino  amore,  perche  la  con  tin  ua  conversa- 
zione gli  sforza  a  cio.  E   se   pur,   lasciando   tutte 


58  DELLA  BELLA  CRBAKZA 

queste  cose  dietro  alle  spalle,  porra  tuUo  il  pensiero 
alia  cosa  amata,  gli  ne  torna  vituperio  grandissimo, 
di  che  uoti  puo  far  che  Don  pigli    fastidio,    e    co^ 
viene  a  star  sempre  come  ua  arrabbiato.  E  se  alcan 
vorra  dire,  ch*egli  puo  segretamente  attendere  al- 
Tamore,  e  palesameDtemostrar  d'aver  ranimo  alia 
casa,  rispondo  che  non  lo  pub  fare,  e  te  lo  proYo. 
Uno  innamorato,  come  t'ho  detto,   ha   bisogno  che 
i  conteuti  suoi,  ch*  egli  ha  nell'  amore,  e  gli  sdegoi 
secondo  che  gli  accadono,  stieno  sempre  secretissimi 
e  gli   copra   piu  che  puo,  mostrando   sempre   alii 
palese  un  medesimo  vise.  Ma  perche,  secondo  i  casi 
che  gli  accascano   nelF  amore,  bisogna,  per  poiere 
meglio  in  palese  fiagere,   sfogar   qualche  volta  da 
se   stesso   il   dolore  e   Tallegrezza,   e   per   questo 
non  ha  luogo  nessuno  piu  al  proposito  che   la  ca- 
mera sua  e  il  sao  letto,  perch^  arrivando   in  casa, 
e  rinchiudendosi  in  camera,  puo  fra  se  stesso   sfo- 
garsi,  e  pensare  e  imaginare  i  ripari  che   &ranno 
di  bisogtio  secondo  i  successi,  e  talvolta   piangere, 
lamentarsi,  rider  fra  se  stesso,  e  smaniare,  secondo 
che    n*  ara   cagione,  acciocche   dopo  questo   sfogo 
possa  poi  fira   le  brigate   me^4io   ricoprire   i   suoi 
pensieri;  or  tutto  questo,  non  pub  fare  uno  ammo- 
gliato;  anzi,  gli  bisogna  piu  simulare  in   casa   nel 
letto  suo,  che  in  altro  luogo,  per  ingannare  la  mo* 
glie.  £  in  ogni  modo,  dopo  mille   awertenzie,   non 
potrk  al  fin  fuggire  di  non  metterla  in  sospetto ;  del  • 
che  ne  nasce,  che  ella  come   un   diavolo   scatenato 
comincia  a  tumultuare,  e  empire  la  casa  di  guerrd 
c  di  tormenti,  e  a  spiar  chi  possa  esser   la   dmna 
amata;  e  saputo  che  I'ha,  vituperarla,  e  infamarla 
in  ogni  luogo  che  si  trova:  e  cosi  ne  segue  la  ruina 
di  quella  donna,  la  disperazion  di  lui,  e  mille  altri 
disordini,  che  tu  li  puoi  pensar  per  ic  mcdesima. 


DELLB  DOKNE  59 

Marg.  Dunque  volete,  madonna  Raffaelia,  che  si 
abbia  da  eleggere  uno  che  non  abbia  ancora  moglie, 
ma  sia  ancora  per  toglierla? 

Raf.  Sara  manco  male,  ma  non  bene  in  tutto; 
percbe  quaodo  poi  ei  la  torra,  si  potra  dir  che  tal 
amor  sia  finto.  Ed  io  intendo  che  un  amor,  dopo 
ch'egli  e  incominciato,  non  abbia  da  mancare,  se 
non  per  morte. 

Marg.  0  come  ha  ella  dunque  da  fare?  perche 
tutti  gli  uomini,  o  si  trovan  moglie,  o  Thanno  a 
pigliare. 

Raf.  Alcuni  ne  sono  che  non  Thanno,  e  non 
rhanno  a  torre,  come  intenderai.  Pericolosissimo  e 
ancora  V  amore  del  forestieri  generalmente ;  e  mas- 
sime  di  quella  sorte  ch<)  ci  e  venuta  da  pochi  anni 
in  qua:  e  te  ne  potrei  dare  infinitissime  ragioni, 
ma  non  ti  voglio  infastidire.  Bastiti  che  ti  puoi  spec- 
chiare  in  madonna  Giacchetta,  madonna  Leonarda, 
la  Baratina,  la  tua  pigionaie,  e  qualcun*  altra  an- 
cora (pur  donne  in  vero  tutte  da  pochi  soldi)  e 
guardar  il  frutto  che  ban  cavato  di  tali  amori. 
Pestilente  e  V  amore  dei  grandi  e  de*  potenti  in  una 
citta,  e  di  questo  ti  potrei  dar  iafiniti  esempj,  ma 
so  che  li  sai  benissimo.  £  per  non  contar  minuta- 
mente  tutte  le  generazioni  dei  gioveni  che  sono  da 
lifiutar  neir  amore,  fugga  insomma  una  donna,  oltre 
a  questi  che  io  t'bo  detti,  quelli  ancora  c*haiino 
nome  di  esser  presuntuosi  alia  scoperta,  rincresce- 
voli,  fastidiosi,  bugiardi,  appoiosi,  brutti»  vili  di 
sangue,  male  lingue,  giocatori,  biscazzieri,  bestem- 
miatori,  troppo  stringati  in  su  1  bellaccio,  leggieri, 
capevoli,  sfacciati,  puttanieri,  perdigiorni,  e  simili 
generazioni  di  poi-o  conto. 

Marg.  Poi  ch'io  ho  inteso  daqual  sorie  d'uomini 
si  ha  da  star  discosio,  vuirei  che  \ui  mi  diccdle  le 


60  DELLA  BELLA  GREANZA 

parti  che  si  licercaDO  in  colai,   a   cai   e  debik«  e 
convieDsi  lo  amore  di  una  gentildoana. 

Raf.  £gli  ha  da  esser,  la   prima  cosa,   tutto    il 
coatrario  di  quelli  che  rxoi  abbiamo  ora  vituperati. 
E  per  replicarti  il  meglio  in  poche  parole,  dico  che 
io  voglio,  che  chi  ha  da  esser  degno  dell*  amore  di 
una  gentildonna,    sia   giovane   di   eta   di    venti   ai 
trentacinque,   e  in  quel   mezzo   massime,   cioe  fra 
*1  yentisette  e  ventotto^  nel  qual  tempo  il  discorso 
e  maturo,  e  si  ha  gia  la  pratica  delle  cose  dell'  a* 
more,  e   guidasi  e  governasi  bene   ogni  cosa  chfi 
possa  intorno  a   questo   accadere.   Vo,^lio   che   sia 
iiobil  di  sangue,   la   qual   cosa   porta   grandissima 
soddisfazione,  e  sia   bello   e   aggraziato,  non   solo, 
neiraspetto,  ma  nella  persona  ancora  e   nei  movi- 
menti ;  perche,  se  ben  la  bellezza  non  e  la  principal 
cosa  che  si  ricerchi  in  amore,  nondimeno  eire   di 
grandissima  importanza,   e   gran    contento   porta, 
quando  ci  sono  i*  altre  parti.  Debbe  esser  costui  co- 
stumato  e  modesto,  e  ben  creato  in  ogni  sua  parola 
c  azione,  e  questo  senza  affettazione  alcuna :  rispettoso 
generalmente,  defensor  deU'onor  delle  donne,  e  deUa 
sua  principalmejite :  riposato  e  quieto  in  ogni  suo  mo- 
vimento  faccia  sempre  professione  di  aver  in  vene- 
razion  tutte  le  donne,  e   piu   e   manco,   secondo   i 
meriti  loro.  Voglio  che  sia  segretissioio,  cho  a  pena 
si  confidi  di  se  medesimo  nelle  cose  che  importano 
e  abbia  avverteuAia  di  tenere,  non  solamente  segnio 
quel  che  importa,  ma  ogni   minimo   fovoruzzo,  ac- 
ciocchi  non  yi  sia  poi  sopra  fatti  i  comenti.  Guar- 
disi  sempre  questo  tale  di  non  venir  con  alcuno  in 
ragionamenti   di   quella   donna   ch'  egli   ama ;    ma 
quando  pur  g\i  sia  forza  per  qualche  caso  parlarne 
(ii  che  se  non  facesse    darebbe    maggior   sospetto) 
parline  con  quella  accortezza  che   egli   piu   pao,  e 


DEtitE   DONNE  61 

imanco  die  puo;  ma,  se  gli  e  possibile/  fiigga  con 
destrezza  tai  parlamenti,  perche  e  pericolosa  cos.'i, 
che  nel  ragionare,  cobi  ch')  sta  male  mm  gli  venga 
arrossito  o  impallidito  il  volto,  secondo  quello  che 
egli  ode  o  parla;  o  pensisi  sempre,  che  le  brigate 
che  Todono  cerchino  con  ogni  istanzid  (\i  cavargli 
di  bocca  qualche  cosa:  e  pero  pensi  ben  le  parole 
innanzi  che  gli  eschino  di  bocca.  Voglio  ch'egli 
abbia  ancor  tanto  giudicio,  che  sappia  corteggiar  la 
sua  donna  qualche  volta,  ma  non  molto  spesso;  e 
trovarsi  alcuna  volta  dove  lei,  con  tal  arte  che 
paia  che  per  qualche  altro  efiPetto  lo  faccia,  e  quasi 
gli  sia  forza;  e  non  le  vada  continuamente  dietro. 
Ha  da  guardar  anco  di  esser  tenuto  persona  gen- 
tile, cortese,  e  liberale  con  ognun  generalmente,  e 
massime  con  le  donne;  e  di  vestir  bene,  e  con 
garbo,  e  di  maniera,  che  le  foggie  sue  non  diano 
segno  d'  instabilita  e  di  poco  cervello,  ma  di  fer- 
mezza  di  animo  e  di  persona  riposata.  Le  mascare, 
le  livree  e  imprese,  e  altre  cose  simili,  non  giudico 
che  le  faccia  ogni  giorno,  tal  che  n«n  si  veda  mai 
se  non  lui:  e  voglio  ancor  che  non  le  fugga  in 
tutto,  ma  con  tal  continenzia  e  saviezza  le  faccin, 
che  non  si  conosca  da  nissuno  a  che  fine  egli  prin- 
cipalmente  le  faccia;  a  che  gli  giovera  assai  il  sa- 
per  mostrare  di  aver  T  animo  in  un  luogo,  e  tenerlo 
segretissimamente  in  un  altro.  E  non  sol  vorrei  che 
non  avesse  moglie,  ma  non  si  dabitasse  ancora  che 
egli  avesse  da  torla,  come  sarebbe  se  fosse  prete, 
ma  non  con  chierica,  tale  che  Tabito  non  fosse  altro  se 
non  una  scusa  di  non  aver  a  tor  moglie,  per  goder 
poi  piu  con  tutto  T  animo  Tamor  della  donna  sua. 
£  in  somma  ingegnisiquesto  tale  di  farsi  conoscer 
per  persona  gentile,  stabile,  virtuoso,  litterato,  alia 
palese  difensor  delle  donne,  magnanimo,  accorto  nel 


G2  DELLA  BELLA  CREANZA 

saper  pigliar  le  occasion!  qaando  venghuio:  sappi 
fingere,  e  ricoprire  i  suoi  pensieri,  e  sia  fedele  alia 
donna  sua,  e  costante  e  infiammato  in  amarla :  per- 
chh  Tamore,  cominciato  che  egli  e,  tuoI  durar  fi- 
n*alla  morte:  e  sopra  tutto  sia  savio  in  sapersi 
governar  secondo  le  cose  che  accascano  tuttoU  giorno 
perche  non  si  pub  dargli  regola  piu  particolare,  ma 
bisogna  rimettersi  al  suo  gindicio.  Or  tale,  qual  ti 
ho  detto,  ha  da  essere  un  giovine,  se  vuol  meritar 
la  grazia  d'  una  gentildonna :  e  tale  ella  se  Y  ha  da 
eleggere. 

Marg.  Me  r  avete  dipinto,  madonna  Raffaella,  cosi 
eccellente,  ch*io  non  credo  se  ne  trovi  nessuno  al 
mondo. 

Raf.  Pochi  ne  conosco  in  vero;  e  tanto  piu  ha 
da  tenersi  be?ita  colei  che  e  amata  da  un  simile.  E 
avvei'tisci,  Margarita,  che,  se  una  giovene  non  puo 
trovare  in  alcuno  tutte  queste  parti,  faccia  la  sua 
diligenza,  e  dipci  appicchisi  a  chi  ne  ha  la  mag- 
gior  parte,  e  la  piu  importante. 

Marg.  Questo  vi  confesso  ben  ch*  egli  e  possi- 
bile. 

Raf.  Or,  noi  abbiam  ancora  da  discorrere,  eletto 
che  una  gentildonna  si  avra  un  amante  tale  qaal  io 
t*  ho  formate,  la  maniera  che  ella  ha  da  tenere  nello 
intertenersi  con  lui,  e  nel  governarsi  ancora  con 
gli  altri,  che  tuttavia  come  uccellacci  le  vengono 
d'  attorno ;  perche  non  puo  esser  cosi  savia  e  sagace 
una  donna,  che  sappia  troncar  altrui  le  maestre,  in 
modo  che  alcuni,  se  non  Iratti  da  speranza,  almeno 
per  far  dispetto,  ovvero  per  non  saper  che  altro  si 
fare,  non  si  piglino  per  esercizio  di  andarle  civet - 
tando  d^intorno. 

Marg.  Or  ditemi  dunque  come  ha  da  far  costei 
a  difendersene,  in  modo  che  non  le  rechino  carico, 


DELL£  DONNB  (33 

c  mantenersi  in  un  tempo  Tamor  di  coloi,  che  gia 
ella  per  amante  si  ha  eletto? 

Raf.  Id  prima  guardi  di  non  far  questa  elezione 
troppo  subita,  perocche  potrebbe  facilmente  rima- 
nerne  ingannata;  perocche  i  gioveiii  del  di  iroggi 
sanno  fingere  e  piangere  a  lor  posta,  %  dimostrar 
d'esser  tutto  mele,  e  poi  riescono  fiele,  e  veleno. 
£'  non  si  conoscono  cosi  il  primo  di;  e  pero  biso- 
gna  avvertir  bene  un  mese,  dne  mesi,  otto  mesi, 
un  anno,  e  considerare  profondamenle  ogni  minima 
cosa;  e  dipoi,  riuscendo  bene  il  tutto,  debbia  ri- 
solversi  a  riceverlo  per  suo  unico  amante,  e  dargli 
la  grazia  sua.  £  fatta  la  elezione,  ha  da  deliberare 
due  cose  principalmente  nell*  animo  suo  per  mante- 
nimento  di  questo  amore.  Prima,  d*  amare  V  amante 
suo  unicamente,  con  tutto  T  animo,  e  con  tutto  il 
cuore,  sopra  tutte  le  altre  cose  care  che  ella  ha  al 
mondo:  pensar  continuamente  in  lui:  tutto  il  resto 
del  mondo  stimare  un  zero  rispetto  a  lui,  acciocche 
egli  abbia  ad  amare  lei  medesimamente :  perche  in 
somma,  a  voter  esser  amato,  bisogoa  amare :  e 
quest' 6  una.  L'altra  e  metter  tutto  Tingegno,  e 
ogni  arte,  a  tenerlo  segreto;  perche  la  segretezza  e  il 
nerbo  d*amore:  e  acciocche  questo  le  venga  fatto,  biso- 
gna  ch*  ella  sia  dotta  in  saper  fingere  una  cosa  per 
un'altra;  e  mai  non  parli  dell' amante  suo  ne  in 
bene  ne  in  male,  se  gli  e  possibile;  e  se  pur  per 
case  e  sforzata  parlarne  qualche  parola,  che,  no  *i 
facendo,  fosse  per  dar  maggior  sospetto,  ricordilo 
e  parline  con  destrezza,  perche  ella  ha  da  pensar 
sempre  che,  chi  gliene  ragiona,  lo  faccia  per  seal- 
zarla,  e  veder  ove  la  si  trovi.  E  per  questo  fugga 
quanto  pub  tai  ragionamenti,  acciocche,  non  accor- 
gendosi,  o  con  rossore,  o  con  pallidezza  o  altro  se- 
gno, non  facesse  argomento  del  suo  pensiero.  E  nei 


64  DELLA  BELLA  OREAKZA 

ritrovi  e  veglie  si  guardi  di  ragionare  molto  con  asso, 
e  dair  altra  banda  non  usi  perb  tanto  riguardo  che 
fosse  troppo;  perche  le  persone  oggi  son  scaltrite, 
e  considerano  a  tutte  le  vie  e  tutti  i  modi  che  si 
trovano  per  far  una  cosa:  perb  costei  sforzisi  di 
intertenere  in  palese  Tamante  sao  yero,  con  tratte- 
nimenti  nsati  da  essa  con  tutti  gli  altri  che  mo- 
strino  d*  amarla.  Perch^  hai  da  sapere,  che  bisogna 
guardarsi  da  principio  che  una  cosci  non  cominci  a 
suspicarsi,  per6cchb  sabito  ch*egli  e  nato  un  mi- 
nimo  sospettuzzo,  o  nel  marito  o  in  altri,  gli  occhi 
poi  se  gli  raddoppiano  addosso,  ed  e  forza  che  in 
brieve,  o  in  tutto  o  in  parte,  le  cose  si  scoprino. 
Perb  vada  assegnata,  ne  si  mostri  mai,  o  col  marito 
0  con  altri,  se  non  d'una  medesima  iantasia,  ne 
muti  mai  faccia,  ne  per  contento  o  passion  ch'  ella 
abbia:  perche  a  quest!  cotai  segni  molto  si  awer- 
tisce  oggidi,  essendo  che  soglion  dir  vero  il  piu 
delle  volte,  ed  e  difficil  cosa  a  temperarsene. 

Marg.  Se  voi  volete,  madonna  Raffaella,  che  costei 
sia  tanto  rispettosa  in  parlar  delFamante  suo,  che 
piaceri  avra  di  questo  amore,  non  potendo  mai 
dirgli  una  parola^?  Volete  forse  che  si  scrivino  se- 
gretamente,  il  che  mi  par  cosa  molta  pericolosa,  per 
non  la  poter  far  senza  aversi  a  fidare  di  poila-* 
striere  ? 

Raf.  Pericolosi.^sima,  e  da  fuggir  quanto  si  pub: 
che,  per  una  cosa  che  sia  ben  gtudata  per  man  di 
mezzani,  ne  ruinano  le  centenaia;  ma  quando  altri 
fosse  pur  sforzato,  non  avendo  altra  via  d*ap[nc- 
carsi,  a  questa  molto  piu  sono  al  proposito  i  servi- 
tori  che  le  serve :  prima,  per  esser  le  fiantesche  piu 
sempliei  e  novellaie,  da  scoprir  per  loro  stesse  le 
cose,  ovvero  da  lasciarsele  senza  accorgersene  cavar 
di  bocca:  dipoi  non  se  le  pub  andar  tanto  a  versi, 


1)BLLR  DOXXE  C) 

cbe  per  ogni  minima  cosa  non  si  sdegnino  con  le 
padrone,  e  per  vendetta  le  vituperinoj  e  non  dubi- 
tano  che  gli  sia  fatto  dispiacere,  conoscendo  che  ^ 
vilta  far  dispiacere  a  una  donna.  In  an  servitore  e 
tutto  il  contrario:  discorre  la  cosa  meglio,  e  si 
vergognarebbe  di  far  le  vendette  si  vigliacche;  ed 
oKre  a  questo  sta  in  timore,  perche  conosce  molto 
ben  che,  se  non  si  porta  lealmente,  incorre  in  pe- 
ricolo  della  vita:  e  milPaltre  ragioni  ci  sono,  che 
sarebbe  lungo  raccontarle.  Nondimeno,  ne  dell*  uno 
n^  delFaltro  si  fidi  chi  pao  far  di  manco,  e  serbi 
questo  per  T  ultimo  rimedio. 

Marg.  £  come  avra  dunque  una  donna  a  poter 
conferir  Tamore  con  Famante  suo? 

Raf.  E  questo  ti  di)*o  ancora  innanzi  che  io  mi 
parta.  Or  io  non  voglio  ancora  che  costei,  di  chi 
noi  parliamo,  sia  frettolosa  e  subita,  ma  paziente  e 
riposata;  e«aspetti  che  le  occasieni  venghino,  se 
non  oggi,  domani;  se  non  domani,  tanto  che  ven- 
ghino: e  venendo,  sappile  torre,  e  non  le  lasci  pas-* 
sar  per  niente;  che  non  tornano  poi  in  dietro  per 
ricbiamarle. 

Marg.  Lo  scriver  dunque  non  vi  piace? 

Raf.  Quando  altri  fosse  certo  della  6de\\k  e  ac- 
cortezza  d*an  servitore,  si  potrebbe  far  sicuramenle 
ed  e  di  gi'an  contento ;  e  in  quanto  alF  amante,  ella 
potrebbe  star  sicura,  perocche  io  lo  presuppongo 
lidelissimo  ed  avveduto,  e  nella  camera  sua,  e  nelle 
casse  sue  non  e  pericolo  che  sia  nessuno  che  possa 
andarli  rovesciando  lettere,  o  favori,  e  ricercando, 
s*  egli  non  lo  consente  se  gi&  cestui  non  fosse  am- 
mogliato:  perche  allora  ci  sarebbe  con  lui  cattivo 
taglio  in  questo,  e  in  tutie  Je  sue  altre  cose. 

Marg.  M*  avete  detto  poco  fa,  madonna  Raffaella, 
die  il  marito  e  la  casa  sua  ha  da  esser  la  prima 

Crennza  flclh  Donne  Q 


66  DELLA  BELLA  OREANZA 

cosa  che  una  donna  ami  in  questo  mondo,  e  on 
pare  cbe  vogiiate  ii  couirario:  cioe  che  Tamore  del- 
Tamante  passi  ogni  cosa. 

Rap.  T*  h^  detto  ch*  ella  si  ha  da  portar  in  modo 
ch*egU  sel  pens!,  e  sel  dia  ad  intendere  cbe  sia 
cosi;  ma  nel  cuor  poi  T  animo  sia  allogato,  dov'egli 
sia  molto  meglio :  e  cosi  ti  replico  ora,  che  cod  U 
raariti  basta  a  finger  di  amarli,  e  questo  gli  basta 
a  loro.  Faccia  oltre  a  cio  una  gentildonna  profes- 
sione  di  gentil  e  cort^se  con  tutti  quelli  che  con- 
versano  in  luogo  dov'  ella  sia,  salvando  perb  sempre 
in  palese  la  modestia  e  Fonesta  sua;  perche,  oltre 
che  questa  cortesia^  come  t*ho  detto,  rifiorisce  toite 
Faltre  virtu  d*una  donna,  ell*  e  ancor  oagione  ehe 
ella  puo  sicuramente  far  qualche  volta  qualch'atto 
eortese  alFamante  suo,  o  in  parlar  seco,  o  in  qual- 
ch*altra  cosa,  come  accade;  U  che,  s*egK  e  fatto 
con  accortezza,  si  reputa  piu  alia  natu^a  e  condi- 
zione  di  lei,  che  sia  inclinata  alia  corlesia,  che  ad 
altra  cosa  che  importi.  £  s«4>pi,  Margarita,  che 
questo  trattenersi  che  fanno  oggi  le  gioveni  con 
ugn*uno  che  gli  venga  occasione,  gli  da  grande 
uiuto  ad  iissieurarsi  a  parlar  qualche  volta  air  in* 
uamorato  loro:  e  ogni  poco  tempo  che  si  parli  con 
esso^  0  in  veglia,  o  in  un  ritruovo,  o  in  una  strada 
qualche  volta  importa  assaissimo,  e  puossi  dir  del 
buono  in  poche  parole  agevolissimamente,  se  giii 
una  non  avesse  a  far  coo  qualche  parabolano  e 
pascibietole,  che  logorasse  quel  poco  tempo  ch'im* 
porta  tanto  in  dir  signora,  signora;  non  s/^mira,  si 
tignora;  la  sigtwria  vosira  va  a  udir  Messa?  e  simili 
altro  castronarie  da  dar  vomito  a  cbi  io  sento.  Ben 
e  vero  che  le  Iiisogna  goardar  a  costei,  che  questa 
cortesia,  che  io  voglio  ch'  ella  usi  con  tutti  qnei 
che  le  occorronOy  non  sia  tanta,  che^  altri  ne  pigli 


DELLB  DONNE  67 

ianta  speranza;  perche  ne  seguirebbe  un  gran  di- 
sordine;  cbe  quel  che  haano  cominciato  a  sperare 
le  pigliarebbero  ardire  addosso,  e  anderebbero  tan^ 
t'ohre  con  le  parole,  che  ella  sarebbe  sforzata  a 
mancar  di  quella  cortesia  per  non  vituperarsi :  e  per 
questo,  non  riuscendo  a  eostoro  il  disegno,  si  sde- 
gnarebberO)  e  cercarebbero  di  vendicarsi  col  fare  il 
peggio  che  potessero  contra  lei\  E  perb  yadino 
le  donne  col  pie  del  pioinbo;  e  innanzi  che  facciano 
un  atto  beuigno  ad  alcuno,  avvertischiuo  a  chi  lo 
fanno,  pero  che  si  trovano  certi  petti  ingordi,  che 
come  gli  e  mostrato  un  dito  si  pigliano  tutto  il 
braccio,  e  per  ogni  minimo  favoruzzo,  si  pensano 
che  una  donna  si  stia  fracida  dei  casi  loro,  e  di- 
ventano  la  piu  importuna,  e  la  pin  appoiosa  cosa 
del  mondo :  alcuni  ajitri  poi  piu  pratichi,  si  pigliano 
il  bene  come  viene,  e  in  altro  che  in  un  favoruzzo 
tentano  le  donne  se  ci  e  disegno,  con  tanta  de- 
strezza,  che  esse  stesse  appena  se  n*  accorgono ;  e 
se  trovano  il  varco  aperto,  seguono  animosamente,  e 
troyandolo  ristretto,  si  toroano  indietro,  ne  si  sde- 
gnano  per  questo.  £  perb,  come  gia  ti  ho  detto, 
bisogna  conoscere  a  chi  si  ha  da  usare  la  cortesia 
maggiore  o  minore,  e  troncare  da  principio  le  vie 
e  i  passi  a  chi  si  conosce  che  vuole  andare  [liu 
oltre  che  non  debba.  Non  voglio  ancora  per  nienlo 
che  una  gentildonna  sia  invidiosa,  e  astiosa  del 
bene  deUe  altre,  e  per  questo  dia  orecchie  a  chiac* 
chiare,  e  per  dispelto  di  chi  si  voglia  faccia  sfavore 
o  carezze  ad  alcuno,  come  ne  conosco  di  molte,  che 
continuamente  ne  vanao  spiaudo  i  fotti  dell*altre,  e 
si  ridono  di  questa,  e  dicono  male  di  quella,  e  in- 
grassano  de  li  dispiaceri  altrui,  e  dei  .solazz;'  ar- 
rabbiano«  £  tutti  questi  sono  atti  vigliacchissuoi  e 
impertinenti  alnobil  animo  di  una  gentildonna,   i 


68  DELLA  BELLA  CRBANZA 

quail  mettono  le  donne  che  yi  aitendono  in  iQtrlchi 
che  non  gli  svilupparebbo  il  paradiso.  £  se  pnre  elk 
senza  sa'i  colpa  sara  iavidiata  dalle  allre,  e  aveii 
qualche  una,  che,  per  farle  dispetto  e  per  fare  pia- 
cere  ad  altrui,  ne  dira  quel  male  die  piii  si  potra 
e  non  la  stimara,  di  tutto  questo  voglio  che  ella 
faccia  poca  stima,  e  non  ci  pensi  mai,  ne  in  bene 
ne  in  male;  e  attenda  alle  virtu  sue,  e  al  mododi 
yivere  che  abbiamo  detto  convenirsele,  guardandoa 
sempre  che  a  ragione  altri  non  la  possa  calanniare 
e  che  i  secreti  suoi  stieno  sotto  terra,  e  dipoi  lasci 
andare  il  mondo  come  vuole,  e  chi  arrabbia  arrabbl 

Marg.  Mi  fate  sovvenir  d*uno,  che  e  piu  invil- 
luppato  in  queste  chiacchiare  che  uomo  ch'io  co- 
noscessi  mai,  che,  per  far  dispetto  a  una  donna, 
come  gli  h  in  capo  di  una  certa  strada,  ei  comincia 
a  cantare;  e  qaaoto  e  piu  vicino  alia  casa  di  lei, 
d  va  la  voce  rinnalzando,  e  passata  la  casa^  comincia 
a  ralleutare,  per  fino  ch'egli  ^^in  parte  che  non 
pensa  d*esser  sentito,  dove  si  racqneta  in  tutto:  e 
s*io  vi  ho  da  dire  il  vero,  non  credo  uhe  colei  se 
na  gratti  punto  gli  occhi. 

Raf.  Io  ti  so  dire  che  gli  h  una  bella  professione 
la  sua,  ma  lasciamolo  andare.  Io  vorrei  anco,  Mar- 
garita, che  questa  nostra  gentildonna  non  fosse  avara, 
ne  eupida  del  danaio,  ancor  che  non  molto  ricca ;  per- 
che,  olire  alFessere  bruttissima  macchia  in  una 
donna  Tingordigia  del  guadagno,  gli  e  ancora  pe- 
ricolosa,  perche,  se  n  vedra  ch*e11a  va  uccellando 
a*presenti,  alle  vencite  o  simil  cose,  saranno  molti  cbo 
le  donaranno,  e  si  lasciaran  vincere  qualche  cosa,  e 
subito  gli  parerik  esser  padroni  di  lei :  perehi  Tesser 
ricevuti  i  {)resenti  da  una  donna,  da  grand*ardire 
sopra  di  lei  a  chi  gli  manda;  e  pero  non  li  riceva 
per  niente^  se  gii  non  sono  frascarie,  per  qualche 


DBLLB  DONNE  69 

altra  occasione  sia  sforzata,  per  noh  far  peggio.  Ma 
dairamante  suo  yoglio  ben  che  li  riceva,  e  li  tenga 
cari,  e  alcuna  volta  gli  ne  renda  il  cambio,  accib 
ch'egli  conosca  in  lei  V  amore  e  non  l*  avarizia.  Or 
10,  Margarita,  non  saprei  piu  minulamente  par-r 
larti  delia  maniera  che  ha  da  tenere  una  geniildonna 
per  mantenersi  lungo  tempo  Tamante  suo,  e  inter- 
tenersi  con  gli  altri ;  perocche  per  le  diverse  occa- 
sioni  che  possano  accadere  tutto  il  giorno,  non  A 
puo  por  regola  ad  ogni  cosa :  ma  basta  ch*  ella  ha 
da  amarlo  con  tanta  fede  quanto  pub,  e  tenerlo  in 
segreto  con  ogni  suo  sforzo :  e  come  poi  meglio  Tab- 
bia  da  fare,  bisogna  rimettersi  al  suo  giudicio. 

Marg.  N*avete  parlato  assai  pienamente,  che  la 
meta  appena  delle  parti  che  voi  dite  le  bastareb- 
bero.  Ma  vorrei  sapere  un' altra  cosa:  che  favori 
han  da  esser  quelli  ch*  ella  ha  da  fare,  qnando  yer- 
ranno  T  occasion],  al  vero  amante,  eletto  che  sara, 
e  quant*  oltre  gli  ha  da  concedere  per  ristorarlo,  e 
per  salvare  in  un  tempo  I'onesta  sua? 

Raf.  Tu  parli  da  giovine  come  tu  sei:  che  vuol 
dire  Tonesta  sua,  semplicella? 

Marg.  0  non  m'avete  detto,  che  I'onesta  k  la 
prima  cosa  che  una  donna  ha  da  salvare? 

Raf.  Si,  appresso  di  tutti  gli  altri;  ma  con  quel 
che  si  ama  bisogna  ingegnarsi  di  trovarsi  con  esso 
in  luoghi  segreti,  tutte  le  volte  che  ne  verra  occa- 
sione. 

Marg.  E  che  se  gli  convien  poi  fare  in  tai  luoghi  ? 

Rap.  Che  cosa  eh?  Che  se  le  convien  fare?  a'noc- 
cioli?  scioccarellal  Tu  mi  riesci  piu  scempia  chMo 
non  pensava.  Voglio  dico,  che  quando  sono  insieme, 
sien  lontani  da  ogni  finzione;  .e  debbano  unirsi  con 
tutto  Tanimo,  col  corpo,  col  pensiero,  e  eon  quel 
che  piu  si  puo. 


70  DELL  A.  BELLA   CREANZA 

Marg.  Voi  parlate  bucarato,  madoDna  Raffaella: 
volete  forse  dire  che  ana  gentildonna,  in  tal  caso, 
ha  da  far  1e  fusa  imie  al  suo  marito? 

Raf.  Che  torte?  anzi  dirittissime :  torte  sono  ftuelle 
che  si  fan  no  col  marito. 

Marg.  Non  e  che  per  questo  non  se  gli  iBcessero 
le  coma? 

Raf.  Corna  sarebbero,  se  si  sapcsse;  ma,  sapendo 
tener  la  cosa  segreta,  non  so  conoscere  che  vergogna 
gliene  segua. 

Marg.  Or  pur  v'ho  intesa,  e  mai  T  avrei  pcn- 
sato :  perche  io  mi  pensava,  che  qnesto  amore  avesse 
ad  essere  deiranimo  e  onesto;  che  cosi  sentii  dire 
una  sera  a  una  vee:lia  in  Un  giuoco,  ad  un  degli 
Intronati,  che  lo  chiamano  il  Garoso,  o  Ostinato,  che 
non  mi  ricordo. 

Raf.  Quanti  errori  fan  certi  a  mettere  questi 
rulli,  e  questi  giardini  in  aria  nel  capo  alle  gio- 
^ani!  E  sappi  che  cotestui  si  bnrlava,  e  Tintende 
come  io ;  benche  faccia  cosi  deironesto,  e  che  s*empi 
la  bocca  d'  onesta.  Che  onesta?  la  cosa  va  come  ti 
dico:  0  tu  m*hai  fede  o  no? 

Marg.  Da  un  canto  non  so  che  mi  dire,  e'mi  pare- 
rebbe  far  torto  al  mlo  marito,  e  daii"  altro  non  posso 
dir  se  non  che  le  vostre  ragioni  oggi  mi  piacciono. 

Raf.  Torto  gli  faresti,  Margarita,  se  tu'l  facessi 
in  modo  che  egli  se  ne  accorgesse;  ma,  nonlosap- 
piendo,  non  e  niente  al  mondo.  0 1'andrebbe  ben  don- 
que,  che  una  gentildonna  non  si  riscontrasse  con  la 
condizione,  e  col  sangue,  col  suo  marito ;  e  non  avesse 
a  cercar  di  trovarsi  con  uno  il  qual  si  somigHasse  con 
la  complessione,  col  sangue,  e  coi  pensieri  suoi !  pe- 
rocche  questa  e  una  cosa,  che,  oye  Tanimo  non  si 
contenta,  resta  sciapita  e  non  val  niente;  e  per  lo 
contrario,  ove  e  T  unione  degli  anirai,  e  divinissi- 
ma,  e  quanto  bene  c  al  mondo. 


DKLL£   DpM^Xa  71 

IIarg.  Molte  debbon  esser,  nmdontia  Raifaella,  che 
hanno  questa  conveaienzia,  ehe  voi  dite  di  sangue 
con  i  loro  mariti, 

Raf.  Rarissime  sono;  e  ce  n*e  la  ragione:  perche 
le  mogli  e  i  mariti  si  pigUano  alia  cieca  senza  aversi 
mai  veduti ;  e  graa  yeDtnra  sarehbe ,  se  s*  amasser 
di  cuore  e  non  per  cerimonia  e  per  obHgo,  o  to- 
gliam  dir  per  forsa. 

Marg.  In  ogni  modo,  questo  fare  i  parentadi  cosi 
al  buio  e  una  cattiva  usanza ;  percbe  molte  volte  si 
debbono  congiungere  in  matrimonio  due  persone  di 
contraria  natura  e  didiversi  costumi. 

Raf.  Che  importa  questo,  se  ci  e  il  rimedio  pron* 
tissimo  e  congruo,  di  darsi  in  tutto  e  per  tutto 
neir  amore .  d*  uno,  che  con  desterita  ricompensi  quel 
dispiacere  che  si  ha  col  marito? 

Marg.  Non  e  che  alia  fine  non  si  commetta  peccato. 

Raf.  Non  t'ho  detto  io,  gia  dieci  volte,  ehe,  se 
ti  da  il  cnore  di  passare  la  gioventu  e  la  vecchiezza 
poi,  senza  far  mai  un  minimo  peccato,  cfa'io  ti  consi- 
glio  e  dico  che  tu  farai  bene?  Ma  guarda  ohe  le  forze 
ti  rieschino ;  che  non  riuscir  inai  a  persona  che 
nascesse  al  mondo:  e  per  questo,  perche  tu  non 
abbia  a  incorrere  in  maggior  errore  di  cercar  di 
favlo  poi  la  ne  gli  anni  ultimi,  ti  consiglio  cosi.  £ 
sai  quel  che  le  interviene  poi  in  quel  tempo.  Tu 
arai  a  pregare  altri,  dove  ora  sarai  pregata  tu; 
perche  quel  che  tu  penserai  t' amino,  nel  segreto 
loro  ti  vilipenderanno ,  e  ti  scorgeranno ;  di  che 
tu  accorgendoti,  al  fine  entrerai  in  disperazione 
e  in  pentimonto  del  tempo  passato  invano,  che  e 
il  maggior  peccato  che  si  possa  avere.  Oh  I  figlii^ola 
mia,  consideralo  ora  che  sel  a  tempo  I  e  ripara  al 
maggior  errore  col  minore;  c  pensa  che  non  valo 
poi  il  dire  pesca  fu :  e  se  Lea  in  quel  tempo,    piu- 


72  DELLA  ££LLA  CEBANZA 

cendoti  alcnno,  tu  lo  goderai  per  sorte,  considera 
che  tu  non  piacerai  a  luL  £  hai  da  sapere  qaesto 
che  '1  piacere  di  trovarsi  insieme  coq  la  mente  Yal 
pochi  soldi,  ed  e  tanto  come  niente,  quando  uon  e 
Tamore  da  ogni  banda;  che  rimportanza  sta,  chu^ 
se  ta  ami  uno,  sapere  che  lui  ami  te,  e  che  non 
manco  desideri  e  pigli  piacere  con  teco,  che  tu  con 
lui:  e  senza  questa  unione  di  animi,  non  ti  darei 
dl  simili  cose  un  quattrino. 

Marg.  Tutte  le  ragioni  son  vostre,  madonna  Raf- 
faella,  io  yi  confesso  ogni  cosa;  e  infin  or  conosco 
che  bisogna  parlar  con  chi  sa,  a  voler  diTentar  sa- 
via :  che  mi  par  aver  piu  guadagnato  di  giudicio  in 
qaesto  poco  di  tempo  oggi  ch*io  son  stata  con  voi 
che  in  tutto  il  resto  che  io  son  vissuta. 

Raf.  Io  ti  so  dir,  poveretta  a  te!  che  tu  ne  avsvi 
bisogno.  E  che  ti  credevi?  Pensavi  forne  che  ipia- 
ceri  delle  giovani  consistessero  in  essere   un   poco 
piu  mirata  o  manco,  o  simili  frivolezze?   Mesdiina 
a  tel  che  Dio  proprio  mi  ti  ci  ha  mandata.  Ohimel 
una  bellezza  com*e  la  tua  aveva  a  invietirsi  intomo 
alia  rocca,  e  alle  ceneri?  Per  questo  credi  che  Dio 
te  r  abbia  data?  Quanto  starebbe  bene  a  queste  tali 
che  Dio  le  facesse  bruttissime  come  furie,   poi  che 
non  san  conoscere  il  bene  quando  Thanuol   E  che 
val,  semplicella  che  tu  sei ,  la  belti^  e  Y  altre  buone 
parti,  in  una  donna  senza  amore?  e  amore  poi  che 
val  senza  ii  suo  fine?  Quel  che  Tuovo  senza  il  sale 
e  peggio.  Le  feste,  i  conviti,  i  banchetti,  le  mascare, 
le  comedie,  i  ritrovi  di  villa,  e  mille  altri  cosi  fatti 
sollazzi  senz*amor  son  freddi  e  ghiacci;  e  con  esso 
son   di   tanta   consolazione   e    cosi   fatta  dolcezza, 
ch*io  non  credo  che  fra  loro  si  potesse  invecchiar 
mai.  Amor  rifiorisce  in  altrui  la  cortesia,  la  genti- 
lezza,  il  garbo  ^el  vestire,  la  eloquenza  del  parlar^ 


DELLE  DOKN£  73 

i  movimenti  aggraziati  e  ogni  altra  bella  parte;  e 
senza  esso  son  poco  apprezzate,  quasi  come  cose 
perdnte  e  vane.  Amor  infiamma  gli  uomini  die  yirlu, 
rimove  dai  vizj  e  dagli  aiti  vili;  empie  il  cuor  di 
magnanimitii ;  tien  Tanimo  brillante  di  contentezza; 
ammorza  ogni  passione;  fa  passar  la  vita  allegra  e 
contenta;  e  in  somma  h  cagioQ  sempre  di  bene. 
Dimmi  nn  poco,  che  consolazione  credi  che  sia  di 
due  che  s*  amino  senza  fingere,  dopo  che  gli  aran 
dnrata  fatica  alquantl  giomi  d'aversi  a  trovare  in- 
sieme,  poi  ch*alla  fine  vi  si  ritrovUno,  e  li,  senza 
velo  alcano,  scopre  eiascuno  alPaltro  il  cuore  aperto 
ed  i  pensieri  puri  e  veri  come  sono ;  si  raccontano 
le  passate  noie  e  fastidj;  si  consolano,  si  confortano* 
si  bagnano  il  viso  Tun  I'altro  di  lagrime  yenute 
per  troppo  contento?  Oh  I  quanto  son  dolci,  Marga- 
rita, quei  bisbigli  che  fanno  insieme  con  bassa  voce! 
quei  mormorii,  quel  tenersi  fissi  gli  occhi  deirun 
in  quei  dell*  altro ;  quel  sospirare,  e  entrar  il  vento 
de*  sospiri  in  bocca  1*  un  deir  altro  I  Oh,  divinissima 
dolcezza!  oh  piacere  unico  in  questo  mondol  oh  al- 
legrezza  singulare  o  non  conosciuta  ne  creduta,  se 
non  da  chi  la  prova  I  Oh,  Margarita,  se  tu  la  provi 
una  volta,  quante  grazie  mi  hai  darenderel  Quanto 
ti  parr&  essere  un' altra  in  questo  mondol  Quanto 
ti  riderai  della  passata  vital  Quanto  terrai  misere 
(fuelle  donne  che  non  la  provanol  Questo  e  quel 
che  s'ha  da  cercare  menire  che  altri  e  giovine,  e 
tutte  le  altre  son  pazzie.  Per  questo  h  state  ordi- 
nata  la  gioventu,  la  qual  chi  passa  iu  vano,  si  rav- 
vede  poi  in  tempo,  che  sarebbe  meglio  non  ravve- 
dersene.  E  non  e  vero  quel  che  dicon  roolti,  che, 
quando  il  piacere  h  passato,  tanto  e  quanto  non  fosso 
avuto:  anzi  quasi  tutto  *l  contrario  ch*e  quasi  piu  dolce 
quella  soddisfazione  d*aver  fatto  il  debito  sue,  quella 


74  DELLA  BELLA  OiiBAXliA 

dolce  ricordanza  del  tempo  buon  passaio,  quel  pensar 
a  ogni  minimo  atto  e  luogo  e  tempo,  nel  qoal  si  sia 
avuto  qualche  sollazzo,  che  non  e  I'averlo  istesso:  ed  io 
lo  proYO,  che  se  io  non  avessi  qaesto  contento,  che 
io  mi  ricordo,  e  iuttavia  ci  penso,  e  come,  e  quaodo 
avessi  cosa  che  mi  piacesse,  viverei  come  ana  di* 
sperata ;  ancor  che  molti  piaceri  arei  potato  avere 
ch*io  non  ho  avuti,  per  non  conoscer  allora  qoei 
ch'io  conosco  oggi.  Fidati  par  di  me,  Margarita, 
che  i  diletti  e  contenti  son  baoni  mentre  che  si 
hanno,  e  sempre  di  poi,  per  fin  che  dura  la  ^ita. 
£  perb  rawediti  ormai^  e  considera  che,  dope  dieci 
0  dodici  anni,  gli  araori  e  i  piac^  sapran  di  vieto; 
'  pensa  che,  in  questa  eta  che  sei,  un  giomo  im- 
porta  mille,  e  non  voler  star  piu  in  cotesta  seem- 
piezza  ctie  sei  stata  fin  qui. 

Marg.  Madonna  RaCEetella,  io  yi  sto  a  odir  per 
balorda,  tan  to  mi  place  quel  che  voi  dite;  ma  ana 
sola  cosa  mi  da  fastidio,  che  io  penso,  che  pochj 
aono  quelle  che  abbiano  mai  comodita  di  troyrirsi 
con  gli  amanti. 

Raf.  Tu  rintendi  male:  e*non  e  nessuna  che  a 
qualche  tempo  non  n*abbia  comodita.  Ben  e  vero, 
che  chi  piu  e  ohi  manco;  percb^  sara  alcana  che 
ara  ventura,  che  rumante  sara  suo  &migliare,  e 
domestico  in  casa,  o  col  marito  o  con  gli  altri  suoi 
parenti;  e  per  qaesto  si  potrati  parlar  e  comporsi, 
e  spesse  voile  trovarsi  insieme  assai  sicuramente: 
e  a  questa  tale  nou  fa  bisogno  di  fidarsi  d' altri 
mezzani,  ed  e  in  vero  gran  ventura.  Ma  a  qaei  che 
non  avran  cosl  buona  sorte,  gli  sark  forza  fidarsi  d*an 
mezzano,  e  in  qaesto  avvertiscbino  bene  di  chi  si 
fidino.  £  io,  come  t*ho  detto,  giudico  piu  al  proposito 
un  servitore  che  una  serva,  il  qnal  potra  dir  tutie 
le  cose  che  occorrono,  e  avvisar  Tuna  parte  e  Tal- 


DELLB  DONNB  75 

ira.  E  in  qaesto  bisogna  che  cbi  ama  non  sia  fret- 
toloso,  ma  stia  paziente  per  fin  che  venghino  le 
occasioni;  e  venendo,  vegga  di  saperle  pigliare,  e 
non  lasciarle  passare;  che  importa  tropp^^,  quaudo 
vengon  di  rado,  perderne  pur  una.  £  bai  da  sa*. 
pare,  che  abbia  una  donna  la  casa  piena  di  quanti 
parent!  si  voglia^  e  sien  tutti  gelosi  come  il  diavolo, 
in  ogni  modo  a  qualche  tempo  ella  potra  pigliar 
la  comodita:  il  qual  tempo  yenendo^  subito  faccia 
avvisato  Taraante  dell*ora  e  del  luogo,  e  riuscira 
benissimo  ogni  cosa.  E  stotti  per  dir^  che,  s*ella 
stesse  rinchiusa  in  una  camera  del  continue,  in  ogni 
modo  0  con  scale  di  funi,  o  con  altri  istrumenti,  a 
qualche  tempo  riesce  la  cosa.  Ben  e  vero,  che  s*ella 
sara  come  Taviam  descritta,  ella  sapr^  govemarsi 
di  sorte,  che  non  avra  ne  marito  ne  altri  geloso: 
e  quel  tempo  che  h  in  mezzo  fra  un  ritrovarsi  e 
Taltro,  paschinsi  di  vedersi  e  di  doici  pensieri.  E 
Yo*  che  tu  sappi,  che  e  gran  diletto  quando  una 
donna,  si  tro^a  in  luogo  aleuno  ove  sia  Tamante 
suo,  il  rimirarsi  destramente,  e  intendersi  con  uno 
sguardo  tutto  quel  ch'  e  success©  fra  lore,  e  ridersi 
in  loro  stessi  de  gli  altri  che  non  sanno  la  cosa, 
dicendo  fra  sh  medesimi:  lo  ho  pur  in  me  segreto 
)I  tal  contento,  che*l  cielo  appena  lo  sa.  Oh!  se  tu 
provi,  Margarita,  quanto  mi  crederail 

Marg.  M*ayete,  madonna  Raffaella,  in  modo  in- 
fiammata  di  non  so  chi,  ch*io  non  cappio  in  me 
stessa:  ma  quel  che  solo  mi  sbigottisce,  h  ch'io 
credo,  che  si  trovino  pochi  amanti.  che  non  sieno 
traditori;  e  per  questo  sto  in  dubbio,  volendomeno 
elegger  uno,  che  non  sia  poi  tale  che  mi  ruini;  e 
pero  stimo  felici  e  fortunate  quelle  donne,  che  hanno 
il  loro  amore  in  aleuno  che  abbia  pur  la  minima 
parte  di  quelle  che  oggi  gU  avete  date:   non   dico 


76  DBLLA  BELLA  OBEANZA 

che  r  abbia  tutte,  pwche  io  Don   credo  che  se  ne 
trovia  di  cosi  perfetti. 

Raf.  Ne  conosco  ben  qualdi'  ono  io^  benche  po- 
chi  ne  sieno. 
Marg.  Beata  danque  ohi'l  possede! 
Raf.  Se  mai  fd  beata  alcuna  nel  mondo,  in  sarai 
paella,  Margarita,  se  sarai  savia. 
Mabg.  0  questo  perche?  Ditemel  di  grazia. 
Raf.  Bastiti :  io  non  ti  vo'  dir  altro. 
H.\RG.  Vi  prego,  madonna  Raffiiella,  che  me  Io  di- 
ciate:  non  mi  cominciate  mai  a  dir  una  cosa  qoando 
non  me  la  volete  finire. 

Raf.  E  meglio  ch'io  non   te*l  dica,  perche   in 
ogni  mode  non  me  ne  faresti  onore. 

Marg.  Vi  prometto  di   farvene  onore ;   ch*  io  vi 
ho  posta  una  affezione,  che  non  sarebbe  cosa  ch*io 
non  &cessi  per  voi. 
Rap.  E  cosi  miprometti? 
Mar."  E  cosi  yi  prometto. 
Rap.  Dammi  la  fede. 
Marg.  Eccovela;  or  dite. 

Raf.  Io  conosco  uno,  Margarita,  che  sta  mai  di 
te ;  e  se  mai  uomo  amb  donna  con  fede  e  col  cuore, 
egli  ama  te:  e  se  alcun  fu  mai  doiato  di  quelle 
parti,  ch*io  t'ho  detto  conveoirsi  a  un  vero  inna- 
morato,  e  molto  piu  ancora,  egli  e  quelle :  e  questo 
Io  so  di  certo,  come  che  io  son  qui.  Or  vedi  di 
mantenermi  la  promessa,  e  di  donarli  la  grazia  tua  ; 
che  per  anco  conosco  che  non  V  hai  data  ad  al- 
cuno. 

Marg.  Ohime!  che  mi  dite,  madonna  Raffaella, 
voi  vi  volete  burlare  di  me? 

Raf.  Come  burlare?  Burlero  io  una,  che  io  tengo 
in  luogo  difigliuola?  Noa  peasare,  che  io  nol  farei  maL 
Mai^g.  In  fine  io  nol  posso  credere. 


CBLLE  DONNE  71 

Raf.  Io  ti  *dico  ch'egli  e  cosi:  in  iingi  fori^e  di 
non  crederlo,  perche  non  mi  vaoi  osservare  la  pro- 
messa. 

Marg.  Iddio  il  Tolesse  che  fosse  verol  chi,  non 
sol  ve  la  osserverei,  ma  me  ne  terrei  fortunatissima 
e  felice. 

Raf.  Io  Vbrrei,  Margarita^  quando  io  ti  dice  una 
cosa,  che  tu  me  la  credessi.  Io  ti  fo  certa,  ch'egU 
e  quel  ch*io  ti  dico;  e  che  non  ha  un*ora  di  bene,  hh 
mai  ha  avuta  occasione  di  pur  con  cenno  fartelo  co- 
noscere :  ancof  ch'io  penso  che^  se  tu  fossi  stata  un 
poco  piu  pratica  nelle  cose,  te  ne  saresti  tal  Tolta 
accorta. 

Harg.  Non  mi  tenete  piu  sospesa,  ditemi  chi  gli  k 

Raf.  Promettimi  di  dargli  la  graxia  tua. 

Marg.  Quest' e  una  cosa,  come  m^avete  detto, 
che  biisogna  che  si  rincontri  il  sangue  sue,  e  la 
condizion  sua  con  la  mia;  ma  s'egU  h  tal  come 
Toi  dite,  non  potra  se  non  riscontrarsi.  £  vi  vo'  dire, 
che  gia  me  ne  sento  infiammare  e  scorrer  per  tutta 
la  persona  un  nudvo  caldo  per  amor  sno^  senza 
saper  chi  sfai 

Raf.  Non  conosci  messer  Aspasio?  egH  e  colui 
che  io  ti  dico,  e  molto  piu. 

Marg.  Oh!  messer  Aspasio!  Lo  conosco  certo,  e 
yi  giuro  ch'un  giorno,  quasi  io  me  n'accorsi;  e  a 
dirvi  il  vero,  io  me  gli  sentivo  non  so  in  che  modo 
inclinata,  ma  me  ne  ritenni:  prima,  perchi  io  sti- 
mava  che  1'  attendere  agli  amori  fosse  grandissimo 
errore;  e  dipoi,  perch^  io  teneva  per  certo  che  lui 
iingesse  con  esso  me:  perb  che  io  aveva  inteso  che 
egli  aveva  finto  con  delle  altre  ancora,  e  che  egli 
non  amava  se  non  a  sua  posta;  il  che  mi  par  che 
sia  specie  d*ingannar  donne. 

Rap.  Credi  a  me,  che  la  yenik  e  quella  ch'io 


tS  DELLA  BELLA  CRBANZA 

dico;  e  ti  confesso  bene  ch'egli  ha  simolato  qaaldie 
volta  di  amar  alcuDe  douue^  non  gia  per  iDgaDnarle, 
ma  per  ricoprire  ineglio  per  questa  via  Y  amore 
ch'  egli  ha  portato  e  porta  a  te. 

Marg.  la  vero,  ch'  egli  non  abbia  tutte  le  buone 
parti,  per  quanto  ho  inteso,  non  si  pub  negare;  ma 
veramente  io  ho  udito  dire  pel  certo,  ch'egli  e 
molto  infianunato  e  i^ta  male  di  madonna  Jacopa,  e 
che  tutto  U  suo  pensdcro  e  in  lei,  e  cosi  credo. 

Raf.  Tutio  lo  fa  eon  arte,  acciocche  non  si  possa 
immaginare  dov'  egli  abbia  veramente  V  animo ;  ed 
e  assai  buon  tempo  che  comincio  qaesto  amore,  per 
fin  che  ti  parlo  la  prima  volta  in  quel  veglino,  che 
si  fece  qui  vicino  a  canto  alia  casa  tua,  che  tu  ben 
ti  ricordi;  ne  mai  ha  avuto  ardir  di  mostrarne  una 
minima  apparquza,  salve  che  pochi  di  sono  se  ne 
confidb  con  esso  me,  perb  che  mi  tiene  in  Inogo  di 
madre ;  e  a  questo  ancora  pensb  un  gran  pezzo,  se 
si  aveva  a  fidar  di  oasi  miei  o  no :  naa  Dio  lo  sa, 
se  lui  lo  poteva  far  sicuramente. 

Mar6«  Infine,  s'  egli  e  cosi,  ringrazio  Dio  e  voglio 
esser  savia  per  V  avvenire,  e  non  lasciar  pa-ssare 
questa  ventura,  e  renderli  il  cambio  dell*  amor  che 
mi  porta,  e  maggior,  s*  io  potrb ;  e  massime  ch*  io 
mi  ci  sentiva  iuclinata  prima,  io  non  so  in  che 
mode,  ma  mi  spaventavan  quelle  cose  ch*io  vi  he 
dettOi  Ma,  conoscendo  oggi  per  le  vostre  parole, 
ch'una  giovine  e  necessitata,  per  fuggir  maggior 
errore,  sfogar  T  animo  alquanto  in  giovento,  e  di- 
cendomi  voi  per  certo  le  buone  parole  di  messer 
A3pa8io  e  Tamor  che  mi  porta,  resta  di  vivere. 

Rap.  OhI  quant*e  bonissima  risolnzion  la  tual  Dio  ti 
benedica.  Felici  voi  I  e  forse  che  voi  non  avreie  co- 
moditi^  e  che  vi  mancar4  mez^aoo  fidatol  cbi  d 
sarb  io,  che  non  niancarb  mai,  in  benefieio  dell*ano 


DELLtl  DONNB  ?0 

e  deiraltro,  di  far  sempre  tutto  qnello  ch*  io  vedro 
che  torni  in  gaudio  e  contento  vostro,  e  onore  ap« 
presso  agli  altri,  pur  che  non  ti  penti. 

Marg.  Come,  ch*  io  mi  penti  ?  Dico  che  io  mi 
sento  piur  ora  acH^esa  di  sorte,  che  Dio  voglia  che 
vada  bene,  e  ch*  io  mi  sappia  temperare  deir  alle- 
grezza  ch*io  mi  sento  addosso:  e  di  grazia  vedete 
che  non  passi  domaoe,  che  ad  ogni  modo  voi  par- 
liate  a  messer  Aspasio,  e  gli  diciate  tutto  U  suc- 
cesso  dei  nostri  ragionamenti,  e  tornate  a  render- 
mine  risposta. 

Raf.  Lascia  pur  far  a  me  quanto  a  questo. 

Mah6.  Oh,  felice  me  I 

Rap.  Veramente  ti  puoi  chiamar  felice  e  beata^ 
che  nel  fior  della  tua  eta  possederai  un  amante 
nel  fior  della  sua.  Oh  fortonatissima  coppia  d*a- 
mantil  tu  bellissima,  ed  egli  bello;  tu  accorta  e 
segreta,  ed  egli  avvedutissimo  e  coperto;  tu  co- 
stantissima  ed  egli  essa  fermezza;  tu  fidelissima^ 
egli  la  propria  fede;  tu  benignissima^  egli  pieno 
di  estrema  cortesia  e  umanita:  tutti  due  gioveni, 
soavi,  gentili,  inclioati  all*  amore,  virtuosi,  ben  ac- 
costumati,  nobili.  Dio  vi  prosperi  e  Ti  mantenga 
sani  e  iiifiammati  V  un  dell'  altro,  e  vi  lievi  sempre 
da  torno  tutti  li  scandoli  e  tutti  i  periooli  che  pos- 
sono  accadere  nel  goder  dei  vostri  amori :  e  in 
quel  cambio  vi  agevoli  le  vie  di  trovarvi  insieme^ 
e  vi  mandi  spesso  delle  occasioni;  c  in  somma  vi. 
mantenga  tutti  gli  adni  vostri  fortunati.e  felicL  Ed 
io  sempre  nelle  mie  orazioni  Io  preghero  che  io 
facci;  e  per  ora  mi  vo*  par  tire,  che  mi  par  miU'anni 
portargli  buona  nnova,  e  non  cappio  quasi  in  me  di 
ullegrezza,  che  io  ho  di  esser  stata  cagione  oggi 
della  felice  vita  che  ha  d'  aver  una  si  gentil  coppia 
d'  amanti* 


80  bELLA  BELLA  CRE!ANZA 

Marg.  Or  andate,  madonna  RaOaella,  e  tornate 
presto;  che  io  non  pensaro  in  qaesto  menire  ad 
altro. 

Raf.  Abbi  pur  avvertenzia  che*l  luo  raarito  non 
s*  accorga  di  qaesta  tua  muiazione  d'  animo. 

Marg.  II  roio  marito  non  e  in  Siena;  e  qaondo 
cI  fosse,  mi  da  bene  il  caore  di  esser  savia  abba- 
stanza,  se  gia  la  fortuna  non  mi  e  contraria. 

Raf.  La  fortuna  aiuta  sempre  chi  s'aiata  da  se 
medesimo;  e  amore  soccorre  sempre  ad  ogni  cosa: 
e  pero  abbi  animo  e  non  ti  avrilire,  e  dipoi  non 
dubitare.  Addio. 

Marg.  Addio.  Vedete  madonna  Raffaella,  mi  rac- 
comando  da  ver  da  yero. 

Raf.  Basta^ 

Marg.  Oh,  oh  I  madonna  Raffaella,  udite  una  pa-* 
rola :  volete  pane  o  cacio,  o  prosciutto,  o  cosa  che 
)o  abbia?  domaudate. 

Rap.  Domane  te*i  diro  poi  quando  tornarb  da 
te;  e  pensati  che  d*ogni  cosa  ho  bisogno. 

Marg.  Io  non  vi  faro  molte  parole:  quel  che  i 
in  casa  sta  sempre  per  voi. 

Raf.  Ti  ririgrazio,  figliuola  mia;  ci    sara   tempo 
a  ogni  cosa:  per  ora  rimanti  in    pace,    che    ho   il 
capo  solo  a  qaesta  cosa  taa. 
-  Marg.  Ed  io  ye  ne  ristoraro.  Andate  in  bnon*ora. 


FINE  DEtl.A   raffaella. 


VARIANTI 


L 


VARIANT!  0 


F. 


31. 


3  vi  reco  innanzi. 


»  invero. 


»  solamente. 

»  chi  vuol  dir  male  a  ogni 
minima  cosa  s'  appicca, 
e  chi  e  di  mala  sorle, 
mescolando  il  vero  con 
il  \^ri8imile,fa  ogni  mi- 
nimaparer  grandissima. 

»  sentiranno. 

3  la  via. 


mi  reco  innanzi,  forse  tne- 
glio;  ma  abbiamo  lasciaio 
la  lezione  del  F. 

invero  invero,  vezzo  fami- 
gliare  aWautore  di  ripe' 
tore  cerli  modi  avverbiali: 
cost  ap,l  airultimo  all'ul- 
timo. 

non  solamente,  correzione 
essenziale. 

e  l*ammaia  di  sorie  ecc.  cbe 
fa,  ecc.  La  lezione  del  F, 
puo  stare;  ma  la  genuina 
e  la  nostra  e  a^sai  piu  bel^ 
la.  Ammaiare  per  Esorna- 
re,  e  felice  traslatOj  V.  /'/»- 
dice, 

si  sentiranno,  esprime  me- 
glio  ridea  di  coscienza, 

la  vita:  via  abbonda  dtcen- 
do  poi  modi. 


{*i  Sella  prima  colonna  s^gnata  F.  sono  le  lezioni  delta 
edizion  fiorcntina  del  1862;  nella  secotida  segnata  M.  le 
varianti  di  quclla  del  4540,  seguita  gencralmente  da  noi. 
Net  nostra  esemplare  si  Icgge  in  ^fi^;Stampn(a  In  Brovazzo 
per  dispeUo  d'ua  asnazzo  huxxxx.  E  tanto  evidente  la  bontd 
delta  maggior  parte  delle  varianti,  che  traemmo  da  questo 
tesfo,  che  dopo  le  prime  colonne  stimammo  inutile  confor- 
tarle  di  ragioni;  bastando  il  semplice  riscontro  a  fame 
accorto  il  let  tore. 


84 
5 


P. 


7  i  gioveni  come  i  vecchi. 

8  il  MagnificaL 


iO  che  1'  ho  allevata  io. 
»   a  conviti. 
11  avverlirvl. 


i%  dovemo. 
»   Hoseide. 


43  assai. 

U  in  risposta. 

»   e  86,  beocb^  nol  credo. 


VARUNTI  M. 

diLucignano  etc.  net  F.  man* 
caladata,Nelno$tro  tetto 
dopo  Lucignano  son /tf/Ni- 
role  ad  asso,  che  ometiem- 
mo 'Ma  e  da  leggere  Lucf- 
gnano  di  Valdasso,  come  fa 
I'Aulore  nell'uUimo  capi- 
tolo  delta  sua  InsUtnxione 
morale  olfa  perche  io  alpre- 
sente  mi  ritrovo  molto  infer- 
mo  della  persona,  come  gia 
sono  state  vicino  a'dieci  an- 
ni,  colpa  della  vita,  die  con- 
tra stomaco,  ho  fatto  in  Ro- 
ma, pensero  che  sia  ben  fatto 
che  questo  autunno  del  1 558 
si  consumi  da  me  nella  no- 
stra villa  di  Lucignano  di 
Valdasso,  per  far  prova  di 
racquistare  una  parte  deUa 
mia  antica  sanita.  » 
cosi  i  giovani  come  i  vecchi. 
la  Magnificat:  ve  n'ha  esempj 
antichi;  ma  abbiamo  to- 
sciato  come  nel  F. 
me  1*  ho  allevata  io. 
a  conviti,  a  ritrovi. 
awertlre :   awerlirci  puo 
stare;  ma  awertire  ri- 
sponde  meglio  al  contesto. 
doviam. 

Rosedie:  il  F,  registra  su 
quesfautorita  Roseida  nel 
stio  vocab.  Noi  non  aDCfi- 
done  allro  esempio  abbia- 
mo posto  Roselia,  senesi- 
smo  per  Rosolia. 
assaissimo. 

cosi  anche  il  nostro  testo; 

noi  per  erroreponemmodi, 

e  se  ben,  che  nol  credo,  la 

lezione  del  F,  e  bwma; 


F. 


15  del  marito. 
»   avanti  che  morisse. 

16  nel  poco  tempo. 

17  dei  solazzi  e  di  feste. 
]»  cosa  da  stimarsi  moltis- 

simo. 

18  che  a  Tasprezza. 


19  comevipar  meglioavoi. 


»  gamurra. 


30  un  poco. 

31  che  di  una  vesle. 


»   per  parer  di  mutar  veste. 

33  Gonsiste  in  due  cose  prin- 
cipalmente,  nei  comodi 
della  persona  o  nei  mo- 
vimenti. 


)>   pure. 

»   e  brottissima. 


VARIANTI  M.  85 

ma  la  nostra  pud  siat^e 
del  pari  ed  e  piu  vaga  e 
spedita, 

del  tuo  marito. 

innaozi  che  ella  mortssc. 

quel  poco  tempo,  lezione 
ptu  elegante, 

di  solazzi  e  di  fesle. 

da  stimarla  moUissimo.  piu 
elegante, 

che  Tasprezza.  Cost  ilno^ 
stro  testo;  ma  e  da  accet' 
tare  la  lezione  del  F. 

che  vi  par  meglio  a  vol? 
piu  vivo, 

n  nostro  sempre  camorra; 
ma  noi  ponemmo  gamur- 
ra. V.  V  Indice. 

una  poca. 

di  chi  di  una  veste,  costrutio 
un  po'duro  ma  piu  chiaro 
e  regvlato, 

si  per  parer  di  mutar  ve* 
ste  e  si  ecc.,  assai  meglio, 

Consisle  in  tre  cose  prlnci- 
palmcnte,  nel  comodo  della 
persona  e  nei  movlmenti. 
La  voce  tre  o  meglio  tuKo 
il  processo  del  discoreo 
faceva  chiaro  I' errore  e 
suggeriva  la  nostra  cor* 
rezione  ne^colori,  nel  como- 
do della  persona  e  nel  mo- 
vlmenti. Jl  testo  seguiio 
dal  F,  contrasta  alia  divi" 
sione  seguita  dall'autore 
come  appare  ancke  dai 
varipassi  accomodati  per 
stare  al  primo  errore. 

pari. 

sarebbe  bruttissima;  foiso 
meglio  e. 


86 


F. 


VARLA.NT£ 


M. 


24  diremo  dei  movimeati. 

che  e  la  terza  parte  appar- 

* 

tenente  al  vestire  aggiun- 

ge  il  nostra  te$lo  in  ac^ 

cordo  alia  divisioM  fatta. 

35  goffa  mascara. 

grossa  mascara. 

»   a  pazzia. 

a  pazzie;  not  lasciamiM  la 

voce  al  singolare. 

26  acqua  eccellente. 

acque  divine. 

37  le  distillo. 

Quelle  parole  mancano  nel 

nostro  testo  e  ci  parve  po^ 

terle  lasciare. 

n   con  acqua. 

in  acqua. 

2>   ed  ambra. 

e  piu  perle,  aggiunge  il  wh 

stro  testo. 

»   bene  intesa. 

cosi  bene  intesa,  not   to- 

sciammo  come  nel  F. 

38  perfettamentc. 

perfettissimamente. 

39  chiaro  d'uovo. 

chiare  d'  novo. 

51  acqua. 

acqua  di  fonte. 

»    vituperosa. 

viiuperosissima. 

33  aspetto. 

assetto.  Aspetto  non  corrc. 

»   caldarino. 

cardarino,  voce  senese  per 

, 

cardellino:  caldarino  e  er^ 

rore  manifesto.  V.  I'Indice, 

»   occhi  appicciaii. 

Anche  il  nostro  testo  ha  cosh 

not  ponemmo  appiccicali. 

L'  altra  lezione  e  meno 

ovvia^  ma  5uona  -  Nel  Po- 

liti  pero  non   trovammo 

appicciato.  V.  I'Indice. 

b    s'  usava. 

s^usano,  not  lasciammo  u- 

sava. 

53  si  e  detio. 

sia  detto. 

54  le  tue  sorelle. 

le  due  sorelle;  not  Ifuciam' 

mo  tue. 

tt    che  voi  dite  che  appar- 

che  voi  dite  esser  la  terza 

tengono  al  vestir  bene. 

che  s'appartiene  ecc. 

35  e  piu  dappocaggine. 

e  piu  da  dappocaggine. 

»    seiopre  in  su. 

in  su'  piei,  correzione  f^- 

senziale. 

»    niuna  puo  esser  da  ogni 

nissun  ecc.  perfetto. 

parte  perretla. 


F. 


VAttlANT  L 


M. 


b7 


»    in  che  le  imitano. 

36  senteadosi  esaltar. 

»    meri tarsi  quanto  lei. 
»    a  gran  donna. 
»   in  duomo. 

37  in  niuna  cosa. 
»    spensierata. 

»    ma  serva. 
2>    non  potrai 

38  e  in  miile  altre  cose. 


»    6880  le  possa. 
i>    veduto. 
i>    bagattelli. 
»    con  acqua. 
»    scavalcando   poter   de- 
stramente  esser  veduta. 


39  con  qualche  altra. 
»  in  somma  eila. 

)>  un  poco  dl  rossore. 

»  un  romito. 

40  commetter  qualche  erro- 

ruzzo. 

9  guardarti  o  mantenerti. 

n  senz*  un  peccato. 

»  brancaudo  vigilie. 

»  disprezzassi  H  tutto. 

»  ti  consiglio. 

»  scusato  da  tutti. 

4i  di  qualche  santo. 

»  seguite. 

»  come  io  Vho  detto. 

»  ognl  cosa. 

»  la  sua  robba  e  i  figliuoH. 

43  da  di  fuora. 

»  e  Taltro  spargessc. 


»  spontaneamente. 


che  le  imitano. 

sentendo  ecc. 

meritare  quanlo  lei. 

a  una  gran  donna. 

a  duomo:  lasciammo  in. 

in  tutte  le  cose. 

spensierita. 

ma  servi  (osscrvi^\ 

non  potra. 

il  testo  aggiunge  che  le  si 
possono  occorrere  tutto  U 
giorno. 

gli  possa. 

visto. 

bagattelle. 

con  acque. 

0  scavalcando,  a  passar  qual- 
che fossatello  o  simili  11 
poter  destramente  esser  ve- 
duta e  considerata. 

0  con  qualche  altra. 

E  repllcandoti  ti  dico  che,  ec . 

un  poco  piu  di  rossore. 

una  romila. 

un  poco  di  erroruzzo. 

guardarti  e  mantenerti. 
senza  un  minimo  peccatuzzo. 
braccando  vigilie. 
ti  disprezzassi  in  tutto. 
ti  consiglio  da  figliuola. 
scusato  da  tutti  e  perdonato 

da  Dio  con  Tacqua  santa. 
di  qualche  santo  padre, 
seguite  di  grazia. 
come  io  t*ho  detto  disopra. 
cosi  ogni  cosa. 
la  roba  e  i  flgli. 
di  fuori. 
e  Taltro  spergesse  o  las- 

sasse  andar  male, 
spontaneamente  e  con  aife- 

zione. 


88 


F. 


» 


grignsuido. 
del  gran  diavolo. 
n    d'  awantaggio 
*»    e  delle  cose  che  impor- 
tano  oon  ae  hannacura. 
»    sbigoUirsi  come  far  ri- 

medio. 
44.  esortala  spesse  volte  a 
farlo. 


VABtAMTI  M. 

gridando. 
del  diavolo. 
vantaggio.  V.  Chidice* 
e  ddle  cose  che  importstno 
poi  noD  se  De  aooorgoooec 
sbigottirsi  con  far  rinenio. 


45  impati  la  condizion  sua 

alle  steUe. 
»    la  verita  de*pensier  suoi. 

46  le  son  da  fuggire. 
principalmente. 
delle  cost  come  son  quelle. 


n 


» 


48  questa  giovine. 

49  il  bene 

»    crucciata. 

impongon  cast. 

le  ammagUano. 

articoU  di  fede. 

in  testa. 

e  stemperoccisi. 
»    da  non  comportar. 

50  si  mostra  stimar  altrui 

troppo. 

51  ha  da  usare. 

52  Iratli  da  qualche  spcran- 

za  per  uccellare. 

55  da  far  fare. 

56  il  diavolo. 
fastidiosi  senesi. 
del  Yasto. 


»> 


)» 


H7  donna. 
»    domandare. 
.*>8  accadono. 
]*    la  ruina  di  quella  me- 

scbina   donna,   in    (al 

case  infelice. 


il  tesio  aggiunge,  e  coa  si 
da  nella  ragna  da  8^  me- 
desimo. 

imputino  il  tutto  alia  con- 
dizion sua  e  alle  st^e. 

la  varieta  de*pensier  saoi. 

le  sia  da  fuggire. 

principalissimamente. 

delle  cose  come  le  sono,  salvo 
quel  che  ecc. 

questa  giovine  che  io  ti  dioo. 

il  buooo. 

scrucciata. 

compongon  casi. 

le  ammaiano.  V.  I'lndice. 

articol  di  fede. 

nella  testa. 

e  stemperoccisi  si. 

da  non  gli  comportar. 

si  mostra  non  stimar  altrui 
troppo. 

ha  da  sapere  usare. 

chi  tratto  da  qualche  spe- 
ranza,  cfal  per  uccellare. 

da  far. 

il  paradiso. 

fastidiosi,  senese. 

H  testo  aggiungcy  e  alia 
presenza  d^altri,  ma  non 
lo  seguimmo. 

dama. 

domandarne. 

accascano. 

la  ruina  di  quella  donna. 
Ic  aUre  parole  tnoHcano, 


l\ 


VARIANTI 


M. 


89 


39  capevoli. 

60  di  eta  di  ventl  ai  tren- 

tacioque  anni. 
i>    bene  in  ogni  cosa. 
n    difensor  delle  donne. 

61  ma  non  chierico  tale. 

69  accadono. 

y>    applichisi  a  cui. 
65  per  avanti. 

]»    ^  il  nerbo. 

64  centooaia. 

65  vituperano. 

»    avra  dunque  a  fare  una 

donna. 
y>    il  suo  marito. 

66  che  lor  venga  a  occasio- 

ned lor  da. 

67  petti. 

68  svilupparebbe  il  diavolo. 
»   a'presenti  e  a  simil  cose. 

»   da  grand' ardire. 

69  se  gU  convien  fare. 
»    che  cos*  e? 

70  non  so  per  me  conoscere. 
»    e  niente  ai  mondo. 

»    perfettissima. 

71  far  on  minimo  peccato. 

72  solamente. 

n    un  marcio  quattrino. 
»    ch'e  I'uovo. 

73  allegrezza. 

i>    non  si  fosse  avuto. 
»    anzi  e  quasi  piu  dolce. 

74  del  tempo  ben  passato. 

75  perdendone  pur  una. 

n   e  gran  diletto  a  una  don- 
na quando  si  trova. 


capavoll:  noi  come  il  F, 
II  testo  lascia  anni. 

bene  ogni  cosa. 

difensor  dell*  onor  delle  don- 

ne. 
ma  non  con  cherica,  non 

chercuto. 
accascano. 
appicchisi  a  chi. 
per  amante. 
e  il  nerbo  d*amore. 
centenaja. 
vituperino. 
avra  dunque  una  donna. 

il  marito. 

che  gli  venga  occasione^ 
gli  da. 

preti.  Lasciammo  petti. 

svilupparebbe  il  paradiso. 

a*presenti,  alle  vencite  o  si- 
mil  cose. 

danno  grand*  ardire.  Xo- 
sciammo  dk, 

se  gli  convien  poi  fare. 

che  cosa  eh? 

non  so  conoscere. 

non  e  niente. 

divinissima. 

far  mai  un  minimo  peccato. 

con  la  mente. 

un  quattrino. 

che  r  novo. 

oh  allegrezza. 

non  fosse  avuto. 

anzi  quasi  tutto  *1  contrario, 
ch'  e  ecc. 

del  tempo  buon  passato. 

perderne  pur  una. 

e  gran  diletto  quando  una 
I     donna  si  trova. 


90 


F. 


VARIANT! 


M. 


76  cbe  me  *\  dite. 

»    Come  burlero  io  ecc. 
»    non  ci  pensare. 

77  egli  e  comMo  ti  dico. 

78  ch*  io  non  mi  pentii. 
»    st'  allegrezza. 

n    tu  benignissima  e  egli 

pieno. 
)»    per  certo 


che  me  Io  diciaie. 

Gome  burlare?  Burlero  io 

non  pensare. 

egli  e  quel  eh*  io  U  dioo. 

ch*  io  mi  pentiL 

dell*  allegrezza. 

tu  benignissima ;  ^11  pkno. 

per  certa;  Uuciammo  cerio. 


FINE  DELLB  VARIANTI. 


INDICE 

DI  VOCI E  MANIERE  DI  DIRE  NOTEVOLI 
E  D'IDIOTISMI  SENESI. 


INDICE 

Dl  VOCI  E  MANIERE  DI  DIRE 


jicO'Se,  Ago,  P.  16. 

Allume  -  scagliuolo,  gentile 
39.  zuccarino,  36.  di  rocca 
arsa,  37. 

Ammaiare  -  Coprire  ed  or- 
nare  con  rami  verdi 
(fronzuti)  0  fieri.  Proprio 
degli  ornament]  cbe  si 
fanno  alle  cbiese  nelle  lor 
festivita.  Metaf.  Dir  piu 
delvero.P.3-Ap.  49  era 
Ammagliaie,  e  cost  scrive 
questo  verbo  il  Giuliani; 
come  Gioglia  per  Gioia 
dice  il  Tommaseo.  Noipo^ 
nemmo  ammaiare. 

AppicciatO'Z^.  TuUi  e  due  i 
testi  Jppicciato  e  vale 
attaccato,  incollato,  quasi 


attaccato  come  panini  in 
piccie;  cipiacquetuttavia  * 
piu  leggere  appiccicato. 

Appoioao  -Stuccbevole,  ug- 
gioso.  59,  67. 

Argento  sodo  -  37.  Gosi  chia- 
mavano  I'argentoa  distin- 
guerlo  dal  mercurio  o  ar- 
gento vivo.  V.  il  Dizion. 
del  Tommaseo. 

Assetto  -  Esser  di  poco  asset- 
to.  33  -  In  simil  senso  usa 
assetto  per  assettato  G. 
Bargagli  nella  Pellegrina, 
commedia  data  fuori  dal 
fratello  Scipione.  -  3. 3. - 
-  Uh !  tu  non  ti  sei  niente 
rassetta  stamattina;  guar- 
da  che  ricci  sparpagliati ; 
questa  treccia  non    ista 


In  questo  piccolo  indice  abbiamo  tratto  fuori  alcuni  vo- 
caboli  e  modi  notevoli,  specialmente  senesi,  valendoci  il  piii 
per  V  interpreta%ione  del  Dizionario  toscano  di  Adiiano  Po* 
LIT].  Citiamo  ancora  il  Compendio  del  FAnPAiii,  lavoro 
eccellente  nel  suogenere,  e  talora  il  gran  vocabolario  die 
va  stampando  a  Torino  Villustre  Tommaseo,  Indichiamo 
con  la  tettera  Pil  Dizionario  toscano  e  con  Fil  Compendio 
0  Vocabolario  della  lingua  italiana  del  Fanfani.  it  segno 
se  vuol  dir  senesismo  o  modo  senese. 


94 


INDICB 


nietlie  pel  verso.  -  Debbo 
forse  andar  a  nozze :  sono 
asseita  pur  troppo. 

Fr.  Giord.  281.  Sono  molte 
(donne)  cbe  non  studiano 
se  Don  di  assetiarsi  e  mo- 
strarsi. 

Assioella,  se  -  Quello  stru- 
menlo  cbe  sostiene  la  ma- 
tassa  quando  si  trae  il  fllo 
per  far  gomicciolo.  P.  16. 

Barbucchio  -  Borbottio.  43. 

Bell(U:cio  *  59. 

Berzo  -  32. 

Biacca  -  25. 

Bottone-^  panno  lino.  27. 

Btaccare  -  Cercar  come  i 
braccbi.  12.  5i.  II  Barga- 

*  gli  nella  Pellegrina.  5,  3. 
Ognuno  di  noi  \a  brae- 
cando  il  padrone,  e  nes- 
suno  lo  Irova. 

BrodeUo-kaddir  a  brodetto  - 
Far  d'ogui  cosa  un  mescu- 
glio.P.  Andar  sossopra.  42. 
Jl  noslro  lesto  Brudetto. 

Brusca- se  -  Quel  minuUs- 
simo  pezzolino  di  legno, 
paglia  0  d'altra  materia. 
Brusco,  Lat.  Festuca.  P. 
Bruscolo.  9.  Gonoscer  la 
brusca  dalla  trave. 

Bucarato  -  Bucherato.  70. 

CamosciO'  Pelle  di  camoscio 
concia.  28. 

Camurra-Gamurra.  se  -  Ve- 
ste  da  donna  di  panno.  P. 
II  nostro  lesto  sempre  Oi- 
morra.  19. 

Cordarino-52.se.  Calderino- 
I  Fiorenlini  lo  cbiamano 
anche  calderugio  e  cal-* 
derello.V 


Capei  morli.  53. 

Cento  lo  -  Cenlola  e  Centokx 
dicono  i  Senesi,  per  cin- 
tola  e  cintolo  e  cost  ceo- 
turello,  ch'e  quel  nasiro 
con  cbe  si  legan  le  alie 
sotto  al  ginocchio.  P.  S%- 
Gintura-23. 

CAtaranzana-Specie  di  bal- 
lo,  e  per  ballo  in  genere  - 
Sin,  CAtaren /ana,  Chirm- 
tana^  Chirinzana.  51,34. 

Conchelta  -  56  -  Forse  Ko* 
urinarium  o  Scaphiwn; 
donde  i  Sanesi  cbiamaiio 
scafarda  o  scanfarda 
quelle  catinelle  cbe  a  Ud 
effelto  usano  le  donne. 

Damaschino  (PaDno)-if . 

Esalar  di  sete-TTtfelare,S5. 

Faio/ico-Dicesi  di  pmona 
slravagante  e  fantasUca. 
20. 

Fango  -  Sudiciume.  31. 

Favore  -  Premio  ai  giuocbi 
di  veglia.  F.  -  Per  Dooo, 
Souvenir.  65. 

FiUa- se  -  Segno  d*  tuM 
percossa  cbe  affonda  sen- 
za  rompere.  P.  I. 

Frustare  -  Logorare  (delle 
vesti). 

Frustiisimo  -  21. 

Frusto  -  A  modo  dl  sost.  24 . 

jPocoii«-Stumento  di  ferro 
0  dl  rame  o  di  terra  cotta 
da  tener  il  fuoco  per  le 
camere  o  dove  t>isogna. 
55.  P.  Meglio  Caldano. 

Ghiaccio  -  Agg.  72. 

Giuggiolino  -  Agg.  di  colore 
giuggiolo,  ira  giallo  e  ro»- 
so.  P.  21. 


DI  VOCI  BCC. 


95 


GomicciolO'Se  -  Goniilolo. 
P.  5. 

Griccia^  50.  se-Guardatura 
torta.  Far  la  griccla.  Su- 
percilium  contrahere,  P. 

Jmposto  -  31. 

Incalcinato  -Detto  del  vi- 
so  coperto  di  liscio.  25. 

Introibo  -  Preci  che  si  di- 
cono  al  principio  della 
messa.  10. 

Jnvietire  -  Divenir  vieto. 
16,  73. 

Xefiza-33  -  Fascia  lina.  P. 

Zeonato  -  Dieesi  aocheXio- 
nato,  l\  F.-Agg.  di  colo- 
re, simile  a  quello  del 
leone.  Oggi  si  dice  non 
solamente  del  tane  chiaro, 
ma  si  ancora  di  tutti  gli 
altri  gradi  d'esso  colore. 
23.  Vedi  a  pag.  21. 

Levantino'ogg.  -Stizzoso.55 

Livrea  -  Foggia  di  vestimen- 
to  di  pio  persone  con  di- 
vise  fatte  a  un  modo.  Corn- 
parse  di  persone  cosi  ve- 
sUte.  11,  65. 

Mciestra  -  Mozzare  o  Tron- 
car  le  maestre;  le  penne 
maestre.  31,  62. 

Mascara  -  Maschera.  11. 

Mastice-m, 

iVbccio^o-Fare  ai  noccioIi-69. 
lo  non  ti  vorrei  al  giuoco 
de*noccioli  (dicesi  d'un 
dappoco).  P. 

Novellaio  -  Vago  di  saper  e 
riferir  novelle,  nolizie.  46, 
55,  64. 

Onore  -  Fare  onore  ad  alcono 
di  alcuna  cosa.  AccetUr 


la  corlesia  che  questi  ti 
fa  e  mostrar  di  gradirla 
e  averia  cara.  76. 

Panelle  -  d'  argento.  27. 

Patemostro  -  Uno  di  quel 
l^ani  della  corona  che  e 
segno  di  dir  il  Paternostro, 
e  la  filza  stessa  o  corona : 
si  dice  anco  paternostri 
nel  Rumero  del  piu.  P.  8. 

Pe^ca  -  Dicesi :  Manco  male 
che  non  furono  pesche. 
Poteva  avvenir  peggio.  P. 
Pesta  fuy  awenne  il  peg- 
gio? 71. 

Pinciuto  -  Bocca  -  a.-54 

Poccia  -  se.  Poppa.  34. 

Pollastriera  -  Mezzana.  64. 

Porfido  -  Macinare  al...  27. 

Puro  -  Vesle,  -  a ,  senza 
frastagli.  20. 

Rimbrottolare  -  Frequent, 
di  Rimbrottare.  Garrire 
borbottando.  Nel  F.  e  rim" 
brottolo  e  non  rimhrot' 
tolare,  17. 

Rimenio,  -  (  Far. ).  Darsi 
moto,  affanno.  Arrabat- 
tarsi.  43. 

Rullo  -  Bizzarria.  Gapriccio. 
Rulliegiardini  in  aria,  70 
in  senso  simile  a:  Dar  nei^ 
rulli  che  vale:  Saltare,ruz- 
zare,  metaf  presa  dal 
giuoco  dei  rulli.  F. 

«y&aWerc-54. 

Sbernia  o  Bernia  -  Veste  a 
guisa  di  mantello,  porta- 
ta  anticamente  dalle  don- 
ne.  23.  34. 

Sbernietta  - 19.. 

Sbiadato  o  Sbiavalo  -  Agg. 


9f; 


INDICfi 


di  colore.  Celeste  e  azzur- 
ro,P. ^%,LaLC.Aggiunto  di 
colari  che  ha  perduto  la 
9ua  vivezza^  ma  qui  ha 
altro  sense. 

Scalzare  uno  -  Cercar  di 
cavar  di  bocca  altrui  quel 
che  si  vuol  sapere.  P.  63 

Scialbo.  -  Intonico  di  li- 
scio.  39.  Nel  F.  ^  Scial- 
barsi,  Imbellettarsi ,  li- 
sciarsi. 

•S<cor  feccia  to -Pianelle-e.  20. 

Scrucciato  -  49. 

Scufjla  -  32. 

Scuffiarella,  32. 

Sguazzare-k^.  G.  Bargagli 
nella  Pellegrina  3,  i  usa 
Sguazzo  sost.-LecoIazionI, 
i  banchetti,  gli  sguazzi. 

Soglio  -  31  -  Loia.  Sudiciu- 
me  invecchiato. 

^o^ima  to-25. 

Sommo  (in)  -  29. 

Sperget^e  -  Scialacquare  42. 

Sfavore  -  67. 

Star  male  d* una  donna  -  Es- 
serne  guasto,  innamoralo. 
70-78.  -  Assol.  61. 

Statura  -  24. 

Slentolino^  dkn.  di  Stenlo^ 
13-Fardi  begli  stentolini. 
Soffrir  delle  belle  priva- 
zioncelle.  Maniera  grazio- 
sissima. 

Stiaccialelle  di  <oa'mato-25 

Straccamurello  -  Da  Mur 
rello  che,  dice  il  Politi, 
h  un  muro  fatto  per  se- 
dere  e  per  riposarsi  ai 
pie  delle  facciate  delle 
case.  56.yagheggiatoreas- 
siduo  ed  importuno. 


Sluffa  -  di  vetri ,  di  penne  I 
di   gallina,  di  gusci   di 
uova  -  29. 

iSticcAto-se- Sugo.  n  Po- 
liti:  I  Senesi  cbiamano 
Succhio  il  sugo  e  ViUrar 
del  sugo.  80.  Far  venir 
in  succhio  un  limone. 
(spremendolo). 

Taglio  -  Frastaglio,  20. 

Tagliuzzo  -  20.  23. 

Trich  track  dipianelletU- 
20.  Hodo  onomatopeico 
come  il  Cricch  di  Dante 
Inf.  xxxU.  30. 

yantaggio  -  Aw.Da  vantag- 
gio.  Di  piu.  43-E  frequente 
neir^ridoxio  dl  Lorenxi- 
no  de*Medici.  G.  Bargagli 
nella  Pellegrina  2, 3.  Pi- 
glia  questo  coscieilo  con 
quel  che  gli  pende,  van- 
taggio. 

Veglia"  Si  cbiamano  ve- 
glie  le  adunanxe,  che  si 
sogliono  (are  rinvemo  da 
donne  ed  uomini  per 
ispassodopo  lacena.P.44: 

yeglino  -  44.  78. 

Verso  17  -  Recarsi  le  mo- 
gli  per  lo  verso.  28-Si  faa 
macinare  per  un  di  per 
un  medesimo  verso  (sense 
dxrebbero  i  modern  t) 

f^iZ20-8C-Pigliar  vi«o.-50. 
II  Bargagli  nella  citata 
commedia  3,  2.  La  came 
stanca,  GiglietU;  bisogna 
tenerla  piu  coperta  che  si 
pu6,  che  alia  spaparaU 
si  vede  troppo  il  vi^o. 


^-